Ritrovarsi

di Jeremymarsh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guanti ***
Capitolo 2: *** Sentimenti ***
Capitolo 3: *** Comunicare ***
Capitolo 4: *** Voglio ***
Capitolo 5: *** Priorità ***
Capitolo 6: *** Egoista ***
Capitolo 7: *** Supporto ***
Capitolo 8: *** Esplorazione ***
Capitolo 9: *** Telefonata ***
Capitolo 10: *** Artigli ***
Capitolo 11: *** Abbraccio ***
Capitolo 12: *** Lettera ***
Capitolo 13: *** Fiducia ***
Capitolo 14: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 15: *** Attraversaspecchi ***
Capitolo 16: *** Promessa ***
Capitolo 17: *** Il Polo ***
Capitolo 18: *** Ritorno ***
Capitolo 19: *** Lacci ***
Capitolo 20: *** Liberi ***
Capitolo 21: *** Marito ***
Capitolo 22: *** Sorprese ***
Capitolo 23: *** Matrimonio ***



Capitolo 1
*** Guanti ***


N/A: Ciao a tutti! 

È la prima volta che scrivo una storia per questo fandom, ma mi sono ritrovata nelle ultime settimane a finire finalmente il quarto volume della saga e ho bisogno di soddisfare un po’ il vuoto che mi ha lasciato dentro a causa del finale per molti versi deludente 
😫. Quindi quale migliore idea se non scrivere una storia io stessa?
È una post-canon e dovrei attenermi a tutto ciò che è tale. Se non volete spoiler sul quarto libro perché non lo avete ancora letto, tornate quando lo avrete fatto. 
L'intero concept si basa sull’idea che, di nuovo insieme, Ofelia e Thorn debbano affrontare le perdite e i cambiamenti che la guerra con l’Altro e la permanenza di Thorn nel Rovescio hanno causato. Quindi prima di arrivare al romanticismo di cui la Dabos ci ha tanto lasciato a digiuno vorrei portare i personaggi attraverso un graduale percorso di guarigione. 

Spero possa piacervi e buona lettura! 
💞






 

Guanti


 

 

Seduta sul bordo del letto, Ofelia si osservava le lunghe e affusolate dita mentre apriva e chiudeva lentamente il pugno.

Il movimento aveva su di lei un effetto leggermente catartico.

Forse perché il cigolio di quelle nuove dita d’acciaio a cui ancora doveva abituarsi completamente le ricordava l’approcciarsi dell’alta e allampanata figura del marito, segnalata dal rumore della gamba prima ancora che dalla sua gigantesca ombra; un’ombra che inghiottiva sempre il corpo minuto di lei; forse perché muoverle in continuazione le ricordava lo scatto dell’orologio da taschino di Thorn che faceva tac.

Queste nuove dita erano lunghe quanto quelle da lettrice non lo erano mai state e anche per quello faticava ad abituarsi. Per lei i cui movimenti non erano mai stati semplici e aggraziati, per lei il cui aggirarsi maldestro aveva sempre provocato una caduta improvvisa – ma in qualche modo sempre predetta – e il pestarsi i piedi, vestiti e sciarpa era la normalità, abituarsi a qualche centimetro di dita in più era una tortura.

Poteva raggiungere oggetti che prima le era impossibile afferrare, come la saliera due posti più avanti a lei sul tavolo oppure riusciva a spegnere la lampada sul comodino senza doversi allungare troppo. Se lo si vedeva da quel punto di vista, in effetti, la cosa era una conquista – o almeno lo sarebbe stato per chiunque tranne che per Ofelia. Lei proprio non riusciva a calcolare i movimenti sulla base di quei centimetri in più, abituata com’era alle distanze mantenute per una vita intera e questo le creava solo più casini e incidenti.

Da un altro punto di vista, però, le cadute e gli incidenti erano una normalità – cose a cui Ofelia era abituata mentre affogava in un mare di novità – e l’Attraversaspecchi li accoglieva come tali; ne era grata.

La sua vita era stata così tanto stravolta che si ritrovava a trovare piacere nel ritorno della sua instabilità nei piedi e della sua goffaggine. Se il suo corpo avesse mantenuto la coordinazione che aveva ottenuto in seguito alla comparsa del suo Eco nel osservatorio delle Deviazioni probabilmente Ofelia avrebbe perso da un po’ quel briciolo di sanità che ancora le rimaneva.

Aprì e chiuse ancora una volta il pugno. Un altro cigolio. In effetti quella mattina si era dimenticata di oliare i suoi nuovi guanti all’avanguardia.

Con gli occhi tracciò il cinturino che si chiudeva attorno all’esile polso e che permetteva a quelle nuove falangi di diventare una nuova parte di lei. Ofelia lo slacciava ogni sera prima di andare a dormire e poi lo riallacciava con cura la mattina, dopo le necessarie pratiche quotidiane.

Era un lavoro assurdamente sfiancante e difficile.

Se toglieva entrambi i guanti non aveva abbastanza dita per effettuare la manodopera quindi era costretta a infilarne sempre uno per oliare l’altro. Poi sfilava e infilava per completare l’opera. Era un processo lungo che le procurava sempre tanti sospiri, anche troppi, oltre che brividi. Il freddo dell’acciaio a contatto con il suo palmo privo di ramificazioni le faceva sempre tremare l’intero corpo.

A volte, quando si scocciava di quell’infilare, sfilare, poi ancora infilare, procedeva senza. O era meglio dire che la sua fedele sciarpa cercava di aiutarla procurandole più guai che altro? Entrambe lo avevano scoperto a proprio discapito.

Aprì e chiuse il pugno.

I guanti erano stati un ottimo regalo.

Glieli aveva fatti trovare Octavio al primo ritorno dal suo viaggio attraverso gli specchi. Ci aveva lavorato parecchio, le aveva detto, ma alla fine era soddisfatto del risultato; Ofelia doveva solo ricordarsi di effettuare una manutenzione continua in modo tale che non si inceppassero o arrugginissero. Le dita erano tra gli arti che più effettuavano movimenti – Ofelia lo sapeva particolarmente bene – e, in quanto tali, delle protesi sarebbero state più soggette all’usura; bisognava averne cura.

Quando glieli aveva presentati, l’Animista aveva abbracciato l’ex apprendista virtuoso di slancio, causando all’amico un eccesso di tosse e un aumento della temperatura corporea. Octavio le aveva goffamente dato una pacca sulla spalla senza sapere dove mettere le mani o come rispondere a una tale dimostrazione d’affetto e poi le aveva risposto che non gli era costato nulla. Ofelia aveva continuato a insistere, affermando che gli era costato eccome: gli era costato del tempo e il minimo era dimostrargli quanto apprezzasse il suo regalo; il ragazzo aveva risposto distogliendo lo sguardo e grattandosi la nuca.

Tuttavia, per quanto la giovane apprezzasse quel presente che le era stato finora tanto utile, non era meno difficile abituarsi. Era ormai un anno e mezzo che li indossava e, sebbene la routine era diventata automatica, era ben lontana da diventare parte di lei.

Ciò che le faceva stringere sempre il cuore in una morsa spietata era l’impossibilità di indossare dei guanti da lettrice sopra quelli di metallo. Le dita ora erano più lunghe e leggermente più gonfie, dunque i vecchi non andavano bene, ma avrebbero rappresentato un problema anche per qualsiasi altro paio quindi Ofelia non li indossava proprio. Per quanti anni aveva sempre e solo indossato guanti da lettura, poteva quasi azzardarsi a dire che si era vista più volte queste falangi d’acciaio che quelle che aveva perso.

Avere sempre la propria visione invasa dal grigio lucido talvolta la metteva particolarmente di malumore, un sentimento che si diffondeva, neanche a dirlo, a macchia d’olio per tutta la casa. I tappeti cercavano – e il più delle volte ci riuscivano – di farla inciampare, le ante e le porte sbattevano offese, le posate si rifiutavano di essere maneggiate da strumenti tanto estranei e le sedie cercavano di scapparle da sotto il sedere. Quella che più era soggetta al suo malumore in quei casi era la sciarpa che, quando non cercava di strozzarla, la trattava da traditrice e colpevole.

Spesso al malumore seguiva la nostalgia e allora Ofelia tirava fuori dal cassetto del comodino i fedeli compagni di una vita, che ancora si muovevano come se contenessero le dita della lettrice più brava di Anima, e li infilava dimenticando il corpo estraneo.

Quei giorni faceva più fatica a muoversi per casa e effettuare anche le sue più semplici operazioni – non che dei guanti in realtà vuoti, per quanto animati, potessero mantenere un bicchiere pieno di succo –, ma la sua amica sciarpa, estremamente felice della sua scelta, l’aiutava in tutto rendendole almeno il compito meno ingrato.

Erano però giorni rari: Ofelia sapeva che quanto prima accettava le protesi come parte integrante di sé, tanto prima avrebbe superato la perdita che aveva frantumato il suo intero essere. Per questo motivo cercava di indossarli la maggior parte delle volte e utilizzava i vecchi solo nei casi più disperati.

Aprì e chiuse il pugno un’altra volta.

Un lungo sospiro le sfuggì dalla bocca e nel silenzio della camera da letto ebbe l’effetto di una bomba prima che il cigolio delle dita ricominciasse.

Ofelia non era più una lettrice da 687 giorni, 3 ore, 27 minuti e 45 secondi.

Un sorrisetto quasi ironico le apparve sul viso.

Dalla scomparsa di Thorn aveva in qualche modo cercato di rifugiarsi nei numeri come faceva lui, ma in realtà aveva scoperto che le metteva solo nostalgia addosso e le provocava più dolore; aveva abbandonato presto il proposito.

In realtà l’unica cosa che aveva continuato a contare erano i giorni che passavano dalla nascita del suo nuovo io incompleto.

Ogni nuovo giorno era una stilettata al cuore, ma lei continuava imperterrita a segnalare giorni, ore, minuti e secondi nella sua mente. Non lo aveva fatto con quelli passati dalla scomparsa del marito, però; quello le era impossibile.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista – e un’Attraversaspecchi, quelle rare volte in cui riusciva a specchiarsi e ad affrontare se stessa.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista e aveva degli Artigli che non facevano assolutamente caso se la sua persona avesse o no delle dita reali.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista che aveva sposato un abitante del Polo e si era ritrovata in dono degli Artigli che faceva ancora fatica ad utilizzare – e che in realtà non aveva poi molto motivo di usare. Il marito, contagiato dall’animismo che aveva a sua volta ereditato da lei, aveva perso il controllo dei suoi e non era mai stato in grado di insegnarle in che modo utilizzarli.

Ofelia non era più una lettrice ma era ancora un’Animista, una discendente di Artemide.

Era questo ciò che aveva imparato in quei 687 giorni, 3 ore, 27 minuti e 45 secondi. Non era anche quello un affrontare se stessa? Fare a patti con il suo essere? Certo, lo era, si disse, ma il costante sentirsi inferiore e, soprattutto, mutilata – interiormente più che fisicamente – le impediva di accettare davvero se stessa.

Ci voleva coraggio, le aveva detto il prozio quando l’allora lettrice stava per affrontare il suo primo viaggio al di fuori di Anima; ci voleva coraggio ad affrontare se stessi ed accettarsi e Ofelia non ne aveva più molto. Non sapeva nemmeno più lei cosa voleva, ma sicuramente non voleva rimanere quell’essere a metà, sentirsi un essere a metà.

Certi giorni le mancavano la caparbia e la determinazione che l’avevano sempre contraddista e le avevano fatto superare mille pericoli e sopravvivere alla morte da quel giorno del fidanzamento. La stessa testardaggine non le era mancata nemmeno da ritorno dal Rovescio e dopo essere uscita dall’ospedale.

Voleva ritrovare Thorn e lo avrebbe fatto a qualsiasi costo. Lo aveva ritrovato una volta e lo avrebbe fatto ancora perché era quello il suo destino. Avrebbero trascorso il resto della vita insieme perché era ciò che lui le aveva promesso e ribadito.

Eppure certi giorni era così difficile ritrovare quello spirito forte.

Ofelia aprì e chiuse il pugno per l’ennesima volta quella mattina.

Non aveva ancora alzato lo sguardo da che le sue elucubrazioni erano cominciate; era come incantata dal quel aprirsi e chiudersi e dallo scricchiolio quasi confortante – solo perché le ricordava quello dell’orologio da taschino di Thorn e basta.

Insieme.

Il destino aveva giocato molti scherzi a quella coppia mal assortita che era stata costretta a sposarsi, eppure entrambi avevano imparato ad amarsi e ad amare quel loro essere non convenzionali, ma questa volta ne aveva giocato uno ancora più crudele e amaro che rischiava di spezzarli per una buona volta.

Ofelia aveva fatto avanti e indietro tra gli specchi per un anno intero e durante le pause era rimasta a New Babel, per lo più per sfuggire ai familiari – nuovi o vecchi – che affollavano le altre due arche che l’avevano vista crescere a loro modo. Occupava in quei giorni la casa che era appartenuta a Lazarus e aveva visto le ultime incertezze e difese di Ofelia e Thorn cadere; era la casa dove per la prima volta si erano donati gli uni agli altri e come tale avrebbe sempre rappresentato un luogo d’estrema importanza per l’Attraversaspecchi – per quanto fosse difficile non collegarla anche a persone ed eventi particolarmente scomodi.

Ma se doveva essere sincera con se stessa, non era per quello che la utilizzava come base, semmai quella famosa prima stanza la evitava come la peste; era semplicemente più facile così. E un luogo ormai abbandonato e solitario dove lei poteva lasciarsi andare alla disperazione senza che qualcuno che la braccasse e cercasse di farle vedere la ragione. Nessuna la capiva e quindi preferiva stare sola. Era un luogo di convenienza.

Quando era di ritorno nell’arca che era stata di Helena e Polluce si incontrava spesso con Octavio, che si era rivelato un amico fedele e, soprattutto, attento ai suoi bisogni come moglie di Thorn. Tra parenti e amici era stato tra i pochi a comprenderla veramente, a non ostacolarla e soprattutto aiutarla in quella missione impossibile. Lui le aveva sempre fornito i mezzi migliori, le aveva offerto consiglio durante le sue ricerche e ogni volta che Ofelia tornava alla base e andava a trovarlo, lui era lì ad accoglierla come se la ragazza fosse semplicemente tornata da una visita ai parenti e non un viaggio tra specchi alla ricerca del marito disperso dall’altro lato, né vivo né morto. Parenti che Ofelia in quel primo anno aveva visto a stento una volta – e le era bastata. Non sapeva se erano peggio le occhiate impietosite o quelle accondiscendenti, ma ne sapeva abbastanza da non voler ripetere l’esperienza fino al momento in cui non avrebbe ritrovato Thorn.

Solo il prozio era stato in parte comprensivo e aveva cercato di aiutarla, ma subirsi una nidiata di Animisti che le stavano addosso cercando di curarla era abbastanza a convincerla a non tornare a casa per passare più tempo con il padrino.

Alla fine le offerte di aiuto erano finite solo quando, dopo un anno di insuccessi e quanto più provata mentalmente parlando, Ofelia aveva deciso di allungare il suo periodo di riposo a New Babel a data da destinarsi.

In realtà, per non rivelare alla mamma sempre asfissiante che aveva deciso di vivere da sola in una casa ormai abbastanza desolata senza la manutenzione degli automi di Lazarus, aveva fatto sapere lei che si era stabilita al Polo insieme alla zia Roseline e Berenilde.

Per sua grande sorpresa era stata proprio la zia a suggerirle l’idea. Nonostante non accettasse, come la sorella, le decisioni della nipote, la conosceva meglio di quanto avesse mai fatto Sophie e aveva imparato bene cosa provasse Ofelia per l’ex-intendente; non le avrebbe mai riservato frasi di circostanza né l’avrebbe costretta a dimenticarlo. Il piano si era rivelato un grosso aiuto e bastava solo ricordarsi di inviare qualche lettera alla zia al Polo che si sarebbe assicurata a sua volta di mandarle alla madre – un piano un po’ articolato, ma funzionante.

Ciononostante, Sophie non aveva smesso di parlare a sproposito e Ofelia si era ritrovata a stringere in una morsa letale la lettera che aveva ricevuto nella quale la donna grassoccia si complimentava con lei per aver “elaborato il lutto”. Da quel giorno aveva chiesto alla zia Roseline di leggere in anticipo la sua corrispondenza prima di fargliela avere e bruciare le missive che conteneva certe cose che erano poco delicate.

La sua permanenza prolungata a New Babel, comunque, non significava che Ofelia avesse abbandonato la sua missione.

L’Attraversaspecchi era ferma più che mai nella sua decisione e, come si era già detta una volta, avrebbe volentieri attraversato tutti gli specchi di questo nuovo – o doveva dire vecchio? – mondo, anche i più piccoli, anche quelli ridotti in frammenti e neanche riaggiustabili dal potere del prozio se ce ne fosse stato bisogno. Aveva tuttavia compreso che, dopo un anno di insuccessi, il suo animo ne era uscito ugualmente distrutto e prima di poter riattraversare un altro specchio bisognava ritrovare ancora se stessa.

Le era sembrato come se, dal momento in cui si era fidanzata con Thorn anni prima, non avesse fatto altro che guardarsi allo specchio e affrontare ciò che era diventata, come cambiava e si rivoluzionava.

Ofelia in quei momenti sapeva di essere un’Attraversaspecchi ma soprattutto la moglie di Thorn.

Quel mattino freddo d’inverno era certa di non essere più la prima né se valesse più tanto come moglie di Thorn. Perché alla fine, dopo un altro anno di viaggi, Ofelia lo aveva ritrovato e lo aveva riportato a casa, incurante dei rischi e delle conseguenze, di ogni Contropartita. Ce l’aveva fatta.

Ma gli scherzi del destino non erano finiti: ritrovatosi, l’Animista aveva scoperto che l’ostacolo più grande non sarebbe stato riportarlo nel Dritto, ma fare a patti con ciò che erano diventati, imparare a conviverci. Lo spettro di ciò che avevano perso, ciò che avevano vissuto e ciò che ora erano, pendeva su di loro come una spada di Damocle.

Prima ancora di riprendere la loro vita insieme come si erano giurati, entrambi dovevano affrontare se stessi e Ofelia si rendeva conto che, per quanto lei si sentisse a stento metà di quel che era una volta, Thorn era messo ancora peggio. Qualsiasi cosa avesse vissuto dall’altro lato l’aveva provato più di quanto a lei piacesse ammettere.

Per questo non sapeva più se definirsi davvero moglie di Thorn. Senza riuscire a trovare un senso a ciò che era, come poteva anche solo offrire conforto a lui che nemmeno faceva sforzi per accettarsi? Come poteva definirsi sua moglie se non poteva aiutarlo ad affrontare le sue paure e fargli capire che non era solo?

Tuttavia, quel mattino sapeva con certezza di non essere più un’Attraversaspecchi perché da quell’ultimo viaggio in cui era tornata vittoriosa non era riuscita più ad attraversarne un altro e lei aveva capito ciò che il suo riflesso aveva tentato di dirle – e ancora le diceva ogni mattina.

Durante quegli anni, sebbene fosse lacerata internamente dalla mancanza del marito e dalla perdita delle dita da lettrice, specchiandosi era sempre stata sicura di essere la moglie di Thorn; ora, per l’appunto, dubitava anche di quello.

Non era più una lettrice, non era più un’Attraversaspecchi, non era più la moglie di Thorn. Cos’era, dunque? Gli specchi sembravano rifiutarla in quanto non essere; la discendenza da Artemide non valeva nemmeno più tanto se aveva paura di rimettere piede su Anima.

Il destino gli aveva giocato lo scherzo più crudele perché il ritorno non era stato come lo aveva immaginato e, dentro di sé, sapeva che non si fossero ritrovati presto, si sarebbero spezzati completamente.

Lo avrebbe evitato a tutti i costi e per farlo doveva ritrovarsi e tornare a essere qualcuno. Fra le tante cose, voleva ritornare a essere la moglie di Thorn.

Aprì e chiuse il pugno un’ultima volta prima di volgere lo sguardo alle sue spalle.

La figura allampanata di Thorn dormiva accovacciata in quel letto che non sarebbe mai stato abbastanza grande per lui, uno che condivideva con lui solo quando egli non era ancora consapevole di ciò che gli accadeva attorno, evento tra l’altro più unico che raro, perché erano decisamente poche le volte in cui Ofelia si era svegliata prima di lui in quei pochi giorni da che lui era tornato nel mondo dei vivi.

In quelle mattine si era seduta sul bordo del letto e lo aveva osservato. Anche quando dormiva Thorn conservava quel cipiglio severo che gli causava una piccola ruga d’espressione in fronte, più in basso rispetto alla cicatrice, e tutta la rigidità del suo essere.

Eppure a lei, quell’uomo tanto alto e imponente sembrava la persona più fragile del mondo.

Sospirò più piano e si trattenne dallo stringere di nuovo quelle dita di ferro e riempire la stanza del loro cigolio. Thorn era silenzioso anche quando dormiva; il respiro che gli usciva a piccole nuvolette dalle labbra tirate in una linea sottile era muto.

Si alzò finalmente cercando di fare meno rumore possibile e sperando che la sua goffaggine non la facesse cadere e inciampare svegliando l’altro occupante della stanza come le era successo già un’altra volta – non che questo suscitasse in lui una qualche reazione a parte un’occhiata di ghiaccio sporco; a lei avrebbe anzi fatto piacere.

Quanto più silenziosamente le permettesse il suo corpo per nulla armonioso e con la complicità della sciarpa che, avendo compreso il volere della sua padroncina, si era arrotolata attorno al suo collo e alla parte bassa del viso per coprirle anche la bocca, Ofelia uscì dalla stanza.

Si chiuse la porta alle spalle e, finalmente, tirata giù la sciarpa con più veemenza del solito – e più di quanto questa apprezzasse – lasciò andare quell’ultimo sospiro che aveva trattenuto.

Quella stanza non era quella dove l’Animista aveva dormito in quei due anni né quella dove si era concessa per la prima volta al marito, no. Era solo di Thorn e completamente sterile – come lei. Non portava tracce del loro passaggio e forse non lo avrebbe fatto mai.

Ofelia lo sperava, ma solo perché sperava che in realtà lui tornasse presto a farsi toccare e a condividere il letto con lei, prima che quello dove stava attualmente riposando prendesse la sua forma; che presto avrebbe lasciato quello spazio troppo angusto e i ricordi che lo tormentavano.

Alzò il viso e con un dito gelato si spostò un ricciolo ribelle dietro l’orecchio. Un’altra giornata stava per cominciare e lei anelava a fare un passo in più verso la comprensione di se stessa per il suo bene e quello di Thorn. 


 

 


 

N/A: Ho voluto cominciare dal punto di vista di Ofelia, siccome è quello principale e quasi sempre adoperato nella storia originale. Nel prossimo, invece, entreremo nella testa di Thorn e verrà spiegato qualcosina in più sul perché si comportano in quel modo.

Spero che la storia vi abbia preso abbastanza da spingervi a seguirmi e magari lasciarmi una vostra opinione.

Grazie e a presto!  ❤

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Capitolo 2
*** Sentimenti ***



N/A: Se da un lato è sembrato abbastanza naturale scrivere questo capitolo, dall'altro è stato anche particolarmente complesso. Per l'intera durata della saga siamo quasi sempre spettatori attraverso gli occhi di Ofelia, inserirsi nella mente di Thorn diventa dunque una sfida. Spero che nel tentativo di cominciare a farlo mio per questa storia io non abbia commesso qualche errore imperdonabile. Mi affido al vostro giudizio.

Buona lettura!





 
 

Sentimenti

 

Thorn aprì gli occhi di scatto e si girò di schiena non appena Ofelia ebbe chiuso la porta dietro di sé. Il movimento fu repentino e gli provocò una fitta alla gamba priva di armatura. Allungò un braccio pieno di cicatrici per afferrare l’orologio da taschino che aprì e chiuse mezzo secondo, abbastanza per controllare l’orario.

La permanenza della ragazza accanto a lui aveva prolungato di molto il suo presunto riposare e in altre occasioni avrebbe fatto una smorfia, rendendo più profondo il cipiglio tra le sopracciglia, ma visto che non aveva doveri da adempiere si rendeva anche conto che non era una perdita sostanziale. Era consapevole che, fosse stata quella un’altra occasione, un altro giorno e un altro mondo, non avrebbe mai formulato un pensiero del simile: un altro Thorn avrebbe considerato un’eresia rimanere lì più di quanto dovuto con o senza doveri. Era anche conscio del fatto che sua moglie cercasse di passare del tempo con lui in quel modo perché al momento le sembrava uno dei pochi a sua disposizione.

Quella mattina aveva dunque fatto finta di dormire quando lei era entrata in punta di piedi e si era lasciato ugualmente confortare dal cigolare delle dita di metallo. Anche se faceva fatica ad ammetterlo, era grato della sua presenza, pur non riuscendo a rivolgersi a lei.

Volse lo sguardo verso il soffitto, aprì e chiuse le palpebre per tre volte consecutive prima di dischiudere le labbra senza che anche solo un suono ne uscisse, solo un respiro che nel freddo della stanza formò un’altra piccola nuvoletta. Erano poche le parole che aveva pronunciato da quando era tornato da quel lato esattamente sette giorni, tre ore, ventitré minuti e quindici secondi fa. La media era di otto parole al giorno; non era ancora riuscito a ritrovare la forza di parlare correttamente. Forse il lungo soggiorno nel Rovescio aveva condizionato questa sua abilità – tra le altre cose.

L’ozio e l’indolenza non erano mai state cose da lui approvate eppure, per ironia del destino, non aveva concluso nulla in quei sette giorni, non avrebbe potuto. Anche la razionalità, la fedele amica che lo aveva sempre aiutato a calcolare i risultati di ogni cosa che faceva, sembrava averlo abbandonato e lui, che mai come ora si era sentito così inutile, non sapeva che fare.

Nella sua vita aveva sempre avuto uno scopo e un obiettivo, anche quando forze esterne avevano cercato di precludergli la sopravvivenza.

Era stato intendente del Polo e vi aveva tratto molta soddisfazione personale perché poteva metteva in pratica ciò che sapeva utilizzare meglio: i numeri e la matematica. Nonostante la corte fosse un luogo corrotto e spietato, nonostante le minacce di morte qua e là, aveva trovato il suo posto.

Era stato sir Henry e anche in quell’occasione il suo obiettivo avrebbe potuto essere ricondotto a una parte importante di sé: Ofelia e il sentimento che provava per lei. Ogni ricerca, ogni compito svolto era da ricondurre al desiderio di allontanarla da quel terribile complotto in cui erano stati entrambi invischiati.

Ma chi era ora? Qual era il suo scopo?

Ricordava il momento nel Rovescio in cui si era specchiato: si era sentito sicuro di sé per la prima volta nella sua vita e ora si chiedeva dove fosse finito quell’uomo. Logorato da ogni secondo passato nel silenzio ingombrante fatto di Aerargyrum, si rispose meno di un attimo dopo.

L’unica cosa che lo aveva fatto sopravvivere era stata la consapevolezza di essere stato indispensabile ad Ofelia e aver impedito alla matita rossa di Seconda di compiere la sua profezia. Il sollievo, però, era durato poco e Thorn era caduto preda di quel mondo, dimenticando l’immagine di sé nello specchio, fermo e immobile nei sensi di colpa e con i se che si ripetevano nella sua mente come un disco rotto.

Se Ofelia stesse bene.

Se il mondo fosse ora un posto sicuro.

Se Ofelia avesse chi la proteggesse al posto suo.

Se i due popoli avessero imparato a convivere.

Se Ofelia sentisse la sua mancanza.

Se nuove guerre avessero dilaniato una pace difficilmente conquistata.

Se Ofelia fosse al sicuro.

Se la pace fosse stata effettivamente conquistata.

Se… se… ancora se…

Quelle domande e quei dubbi non avevano mai smesso di assillarlo, né avevano smesso ora che era disteso su un letto troppo corto per i suoi ingombranti arti. Dentro di sé tutto era agitazione pura come il perfetto opposto dell’angosciosa calma che pervadeva il suo essere all’esterno.

Era sempre stato sempre così.

Una figura posata e calma che indossava un’espressione impassibile, o al massimo contrariata, che aveva sempre il controllo su tutto ciò che lo circondava – almeno era questa l’impressione che dava. Erano però i numeri a dargli quella parvenza di controllo, per questo li aveva sempre amati, ma dentro di sé dilagava il caos di sentimenti più disparati. Una sola volta era arrivato quasi a controllare anche quelli, o meglio ad avere sotto controllo un sentimento specifico.  Era l’amore che provava per quella ragazzina goffa e in apparenza debole che la zia Berenilde gli aveva scelto come futura moglie tra le altre.

Sebbene fosse logorato dal dubbio e dalla gelosia, almeno lui era sicuro del sentimento che provava per lei e in quanto tale era in controllo, non perché l’amore fosse davvero razionale – non lo era mai, per quanto lui ci provasse a renderlo tale – ma perché lui era sicuro di esso.

Aveva avuto il controllo di quel sentimento anche quando sapeva di non essere ricambiato e il dolore sembrava volergli scavare il petto. Amava Ofelia, bastava essere certi di quelle due paroline. Lo era ancora ora, quella sicurezza almeno non lo avrebbe mai abbandonato, eppure non riusciva a farsi avvicinare dalla donna che era il destinatario di tale affetto.

La verità era che se prima aveva faticato ad accettare il fatto che lei lo ritenesse degno di essere amato, ora gli sembrava inconcepibile. Non si sentiva dunque il marito di Ofelia.

Aveva tentato di salvarle la vita quando le aveva lasciato il polso attraverso lo specchio, anzi lo aveva fatto. Si era sentito indispensabile e sapeva di aver fatto la cosa giusta. Lei non meritava di restare in quello spazio silenzioso, aveva già perso se stessa una volta, e lui aveva volentieri sacrificato l’amore che li univa per permetterle di vivere una vita normale.

Ciò che però Thorn non aveva calcolato era che una persona potesse essere ugualmente logorata dalla sua assenza, lui che era sempre stato un essere indesiderato e odiato da tutti; nemmeno sua madre lo aveva voluto. E per quanto all’epoca avesse accettato che Ofelia ricambiasse il suo sentimento in tutto e per tutto, aveva genuinamente creduto che lei avrebbe potuto superare la sua scomparsa dal Dritto e proseguire oltre.

All’equazione, inoltre, non aveva aggiunto la tenacia della moglie e per questo il risultato era uscito errato.

Ofelia lo aveva cercato, cercato e cercato ancora. L’Attraversaspecchi aveva preso sul serio la loro promessa mentre lui aveva dato per scontato che la loro vita insieme si fosse conclusa quando era riuscito nel suo intento di salvarla e si era portato con sé l’Altro.

Solo quando i loro riflessi si erano scontrati in un vecchio specchio crepato, gli occhi sgranati e le labbra aperte in un grido muto, aveva compreso il suo errore e si era odiato.

Si era odiato perché era stato la causa della sofferenza della moglie – per l’ennesima volta. E poco importava se alla fine il suo sacrificio era stato necessario a liberarsi dell’Altro, quello che importava a Thorn era la sofferenza causata a Ofelia. 

La sua vita da che aveva messo quella prima volta piede su Anima era stato un susseguirsi di gesti volti a soddisfare quella donna eppure aveva continuato a sbagliare, farla soffrire e metterla nei guai. Come poteva definirsi degno? Come poteva lei considerarlo tale? Come poteva lei voler sfiorare un essere tanto impuro?

Da quando si era reso conto di amarla aveva cercato in ogni modo di esserle d’aiuto, evitarle ogni dispiacere ed era stato convinto che solo la sua assenza avrebbe potuto salvarle la vita, poco importava se era lui a soffrire. In realtà quella piccola discendente di Artemide gli aveva dimostrato che entrambi davano il meglio di sé se univano le loro menti e i loro sforzi.

Eppure aveva commesso di nuovo lo stesso errore lasciandola andare e lasciandola sola.

Si odiava ancora perché oggi più che mai si sentiva insufficiente e per nulla meritevole del suo affetto puro.

Quando i loro riflessi si erano scontrati per puro caso, dopo innumerevoli viaggi di lei e innumerevoli se di lui, Ofelia non aveva perso tempo e, con nuove dita che avevano lo stesso colore dei suoi occhi non più impenetrabili, non lo aveva lasciato andare. A metà tra il Dritto e il Rovescio, Ofelia lo aveva trascinato di nuovo nel loro mondo, incurante delle conseguenze, incurante delle regole e delle contropartite.

Si chiedeva se alla fine la contropartita richiesta non fosse stata la sua anima che ora era a stento la metà – e lui non si era mai reputato chissà quale persona. L’altro mondo gli aveva strappato parte della suo essere che mai era stato completo per permettergli di tornare nel suo mondo d’origine.

Ofelia lo aveva trascinato con forza nel Dritto, lei una figura minuta che vinceva su un gigante come lui, ed erano caduti entrambi sul pavimento. Thorn l’aveva automaticamente avvolta con le sue lunghe braccia cercando di difenderla dall’impatto incurante dei propri dolori e della gamba che da quest’altro lato tornava a far male. Nonostante lo shock l’aveva stretta forte a sé come se fosse la sua ancora di salvezza, l’unica cosa che davvero contasse – e lo era, per lui – e si era beato di quel contatto, affondando il lungo naso nei sui capelli ribelli. Con sollievo l’aveva sentita ricambiare la stretta, non si era ritirata.

Poi erano cominciate le lacrime, seguite dalle proprie, e le parole non erano uscite – non riusciva a parlare – e si era liberato di scatto. Aveva portato le gambe al petto e le aveva strette a sé come un bambino dopo aver perso la strada di casa.

Doveva essere un’immagine alquanto bizzarra quella di un gigante come lui che si piegava su se stesso.

Quelle lacrime gli avevano aperto la mente al dolore di Ofelia e si era odiato. Aveva inteso tutte le implicazioni del suo ritorno nel Dritto mentre ancora nemmeno riusciva a comprendere di essere nuovamente lì; si era detestato. I rumori di un nuovo giorno li avevano raggiunti dall’esterno per rivelargli che non era più circondato dal silenzio mentre la mente era ricaduta in una matassa ancora più pericolosa di se.

Cosa aveva fatto? Cosa avevano fatto? Perché lo aveva salvato? Lui non era degno.

Lei lo aveva guardato con occhi carichi di dolore malcelato e si era asciugata le lacrime dal volto. Ofelia gli aveva sorriso – un sorriso così luminoso nonostante tutto e per un attimo il suo proposito era vacillato – e aveva compreso. Thorn non capiva ancora come e perché, ma aveva proprio letto una scintilla di comprensione in quel sorriso.

In qualche modo Ofelia aveva capito che quello che aveva salvato non era la stessa persona che Seconda aveva spedito nel Corno dell’Abbondanza né quello che aveva riportato alla zia la figlia o rispedito l’Altro nel Rovescio. Thorn aveva letto poi determinazione e tenacia sotto strati di sofferenza in quegli occhi scuri.

Lui si era solo chiesto perché lei non lo abbandonasse ora che non era altro che uno scheletro del suo precedente essere. Se prima non si era mai sentito abbastanza per lei, nonostante le sue rassicurazioni, il suo affetto, il suo amore fisico e non, come faceva a sentirsi degno ora?

Erano passati sette giorni, tre ore, ventitré minuti e quindici secondi da che era tornato nel Dritto e lui aveva pronunciato una media di otto parole al giorno, tra cui la metà era il nome di lei. La moglie invece aveva continuato imperterrita a parlare con lui, nonostante Thorn fosse restio a farsi anche solo sfiorare.

Gli aveva detto che ora che lo aveva trovato non aveva alcuna intenzione di abbandonarlo, perché gli aveva promesso una volta che avrebbero fatto tutto insieme e cosi sarebbe stato. Lei non aveva intenzione di permettere a lui di abbandonarla, perché anche Thorn le aveva fatto la stessa promessa. E se in quel momento facevano fatica a riconoscersi non importava, perché avrebbero superato anche quello. Costi quel che costi.

Poi avrebbero lasciato quell’arca che per quanto nuova le ricordava troppe cose spiacevoli, avrebbero lasciato New Babel strappandogli i bei ricordi condivisi e sarebbero tornati al Polo. Lì Thorn avrebbe potuto avere quel processo giusto che aveva desiderato e annullare il loro matrimonio; lei gli avrebbe chiesto di sposarla e non avrebbe accettato un no come risposta.

Thorn in quei momenti la guardava con il suo solito cipiglio e le labbra incurvate verso il basso chiedendosi come facesse a esserci tanta determinazione in un corpo così piccolo. Ignorava, in realtà, che dall’interno Ofelia era logorata tanto quanto lui, che si mostrava forte solo per lui.

E d’altronde quella era la scelta giusta, perché se Thorn avesse visto quanto sofferenza si celava in lei si sarebbe odiato ancora e ancora. Ma c’era davvero spazio per altro odio per quanto grande il corpo di lui?

Ciononostante, lui amava sentire la sua voce e osservarla con lo sguardo, evitando però con accuratezza quegli occhi pieni di tristezza.

Ignorava anche che quegli occhi tristi non erano pieni di risentimento né gli stavano attribuendo alcuna colpa. Erano pieni di rimorsi e impotenza perché Ofelia si abbatteva per non essere riuscita a far sentire Thorn un uomo amato e voluto come si era ripromessa. Ma lui continuava a evitare il suo sguardo. Se avesse letto il suo viso con più attenzione, invece, forse avrebbe riconosciuto l’amore e il desiderio, lo stesso che provava anche lui quando non era consumato dai sentimenti negativi.

Perché in fondo Ofelia e Thorn sentivano profondamente la mancanza dell’altro, avrebbero voluto più di ogni altra cosa perdersi l’uno tra le braccia dell’altro, ma erano invece sopraffatti dai sensi di colpa che non li facevano riflettere lucidamente.

Quello di cui avevano bisogno di ogni altra cosa era comunicare, ma non lo sapevano. Thorn parlava poco e Ofelia parlava troppo di cose che non erano quelle giuste. Un osservatore esterno, qualcuno che avesse preso appunti durante tutta la loro relazione, avrebbe probabilmente commentando dicendo che era sempre stato il loro problema quello, la mancanza di comunicazione, e ora ritornava a galla più potente che mai.

Sarebbe bastato che lei gli parlasse delle sue presunte colpe affinché lui ritrovasse qualche parola in più, ma in realtà l’Animista non voleva dargli ancora più peso e lasciava passare la cosa.

Gli occupava le giornate con il chiacchiericcio che talvolta risultava anche un po’ vuoto e non era altro che la conseguenza della necessità di Ofelia di essere presente in qualche modo. Venendo a mancare quel contatto che Thorn al momento non accettava, lei voleva stargli vicino in altro modo e parlava, parlava, parlava… raccontandogli i suoi piani, facendo la lista di quello che aveva fatto in quei due anni, di come New Babel fosse cambiata, e in che modo la vita nelle vecchie arche stesse procedendo per assimilare nuovi e vecchi abitanti. Non si rendeva nemmeno conto che con quel vocio un po’ ossessivo diventava in parte come la madre e la sorella che in vita loro non avevano forse mai ripreso un po’ di fiato – se ne fosse accorta probabilmente avrebbe fatto una smorfia molto simile a quella indossata perennemente dal marito.

Thorn, dal canto suo, aveva sempre odiato quelle conversazioni un po’ vane e faceva uno sforzo enorme per far sì che la sua incredibile memoria registrasse e ricordasse solo ciò che era necessario: Ofelia che organizzava la loro vita insieme semmai entrambi avessero trovato il coraggio di affrontarsi, dando l’impressione di essere più ottimista di quel che in realtà era; Ofelia che si preoccupava di lui nonostante il dolore che le aveva procurato; Ofelia che si affaccendava attorno a lui nonostante il rifiuto a lasciarsi sfiorare.

L’ex-intendente, sebbene avesse sempre odiato il blaterare nervoso, prendeva quell’operarsi di Ofelia per quello che era: il tentativo di ritrovare in qualche modo un contatto con il marito che aveva tanto cercato e del quale sentiva ancora la mancanza, nonostante ora fosse lì, vivo e vegeto, accanto a lei. Thorn riconosceva il bisogno di lei perché era anche il suo, ma continuava a odiarsi mentre nella mente continuava la cantilena di se, chiedendosi quanto sarebbe stata facile la vita della moglie se lui non ci fosse mai entrato; se non avesse mai chiesto alla zia di trovargli la migliore lettrice di Anima per un puro tornaconto personale.

Era diviso da quell’amore che gli lacerava l’anima e gli faceva apprezzare la voce flebile della donna, la sua presenza e la consapevolezza di essere inadeguato.

Ancora una volta, preoccupazioni e dubbi che consumavano, ma che erano trattabili, curabili, come le ferite dell’animo, se solo avesse avuto il coraggio di lasciare che Ofelia le mendicasse.

“Ofelia,” mormorò nel silenzio della stanza, con lo sguardo rivolto al soffitto – che contava la bellezza di 34 macchie e mezza fetta di pane imburrato finita lì chissà come, diventata ormai parte dell’arredamento – e il tono marcato del Nord, pronunciando la prima parola della giornata. “Ofelia,” ripeté. Il conteggio si alzò a due parole e di questo passo, se avesse continuato, avrebbe superato la media giornaliera.

Quel nome andò per un momento a sostituire i se nella sua mente. Pensò che forse, una volta alzatosi da quel letto scomodo, quel giorno avrebbe avuto il coraggio di ripeterlo quando le avrebbe rivolto il Buongiorno con quella sua erre marcata e scricchiolante – era poco, se ne rendeva conto, ma era un passo avanti.

Con un’agilità di cui non pensava di essere mai stato dotato, l’uomo mosse il corpo ricurvo a causa della posizione che aveva tenuto per troppo tempo su quel materasso, e andò a sedersi sul bordo del letto che fino a poco prima era stato occupato da Ofelia; le coperte avevano mantenuto la sua forma e gli dimostrarono un po’ di contrarietà non appena lui vi si posizionò sopra.  

Controllando il proprio respiro, si aggiustò i capelli biondi, quasi argentei sotto l’influsso dei raggi del sole che provenivano dalla finestra, e si mise composto andando a formare un angolo retto perfetto con la posizione del busto e delle gambe. Fece scattare una seconda volta l’orologio da taschino per controllare che non avesse perso troppo tempo a fissare il soffitto e poi lo ripose nuovamente sul comodino; lo avrebbe ripreso dopo essersi accuratamente lavato e vestito con ciò che Ofelia gli aveva poggiato sull’unica sedia della stanza. Poco dopo si rese conto che la precedente posizione di quest’ultima a bordo letto non era simmetrica né centrale, e dato che lo disturbava profondamente scivolò lungo il perimetro per posizionarsi perfettamente al centro. Le coperte si agitarono; chissà se a causa dell’animismo della giovane donna o per quello da lui ereditato. Si osservò le lunghe e ossute dita che erano sempre più grandi di quelle artificiali di Ofelia e la gamba ormai storpia; la ruga tra le sopracciglia si accentuò per un secondo a causa di una fitta di dolore che Thorn non fece trapelare in nessun altro modo.

Alzando gli occhi e percorrendo con essi la stanza, notò il bastone che lei gli aveva procurato ai piedi del letto. Per un attimo rimpianse la vecchia armatura fornitagli dai Genealogisti, ma poi dimenticò quel pensiero perché nella sua mente non c’era spazio per altri rammarichi al momento. 

Si alzò repentino dal letto e il capo, che toccava pericolosamente il soffitto, per poco non urtò la fetta preistorica di pane. Thorn fece una smorfia e si piegò di conseguenza; avrebbe preferito attraversare la stanza incurvato piuttosto che permettere a quello sporco secolare di sfiorargli solo i capelli.

Si chiese cosa avessero fatto quei tanti automi per tutti gli anni in quella casa se non erano stati nemmeno in grado di pulire decentemente, poi si disse che forse era meglio anche cambiare stanza; la vecchia casa di Lazarus non ne aveva poche. Gli venne allora in mente l’altra camera che aveva utilizzato nel suo precedente soggiorno lì e si chiese in quale Ofelia stesse dormendo visto che gli aveva fatto intendere di non utilizzare quella.

Quando, infine, ebbe concluso i rituali quotidiani si apprestò a lasciare quel luogo. Prima di allungare la mano verso il pomello della porta e aprirla, controllò nuovamente l’orologio da taschino. Dal momento in cui Ofelia aveva lasciato la stanza erano passati undici minuti e 20 secondi; mentre si preparava aveva calcolato i suoi movimenti in modo tale da evitare sprechi di energia e recuperare un po’ di tempo.

Un’altra giornata era già cominciata e lui sperava che osservando la moglie nelle sue attività quotidiane avrebbe trovato una risposta e soprattutto un modo per esserle di nuovo indispensabile nonostante al momento si sentisse tutto fuorché utile.






 


N/A: Se siete arrivati a fine capitolo significa che molto probabilmente non siete su una spiaggia a godervi il cocente sole di Agosto e magari vi ho fatto un po' compagnia. 
Spero che la matassa di sentimenti ed emozioni che Thorn sta provando in questo momento non vi sia sembrata troppo confusa e di essere riuscita a illustrare quella che era la mia idea di base. 
Se il capitolo vi è piaciuto e volete farmelo sapere mi piacerebbe molto leggere i vostri commenti. 

Alla prossima! 💞

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Capitolo 3
*** Comunicare ***


 


N/A: Salve a tutti! 
Finalmente riesco a pubblicare il terzo capitolo. La buona notizia è che ho quasi finito di scrivere il quarto quindi spero di non farvi aspettare un altro mese prima di aggiornare la storia. 
Buona lettura 😘.






 

Comunicare

 

Quella mattina Ofelia, mentre Thorn restava fermo in un angolo della cucina a fumare la pipa ricordandole terribilmente il freddo e scostante intendente che era stato durante il loro primo incontro, si teneva occupata con un po’ di ricerche.

Non potendo più leggere alcunché e non avendo più un potere familiare che potesse mettere a disposizione del prossimo per guadagnarsi qualcosa, utilizzava il metodo di studio appreso alla Buona Famiglia per dare una mano ad Octavio. In qualche modo doveva pur sempre vivere anche se l’alloggio le era garantito tramite l’occupazione di una casa che aveva perso i precedenti proprietari.

In quei due anni ogni persona, per adattarsi al nuovo mondo, aveva cercato di trovare un impiego soddisfacente e il più delle volte, se era possibile, utilizzava il proprio potere familiare. Ciò, tuttavia, non era stato possibile per Ofelia che, durante il suo primo soggiorno più lungo a New Babel, si era sentita più inutile di un senza poteri. Di nuovo Octavio le era corso in aiuto. L’ex precorritore era tra quelli che si era messo in prima linea per dare una parvenza di ordina alla propria arca natale e come tale era sempre pieno di impegni. Ofelia ancora si stupiva di come avesse trovato il tempo per costruirle quelle nuove dita considerando che la meccanica non era mai stato il suo campo di preferenza, ma dopo le prime domande rimaste senza risposta aveva lasciato perdere.

Quando Octavio le aveva proposto di lavorare con lui e aiutarlo con le scartoffie, lei non aveva esitato ad accettare: l’incarico le teneva la mente occupata e le assicurava il piatto a tavola. Era dunque tanto occupata nella lettura e organizzazione degli ultimi file che Octavio le aveva passato da dimenticarsi completamente della sua prevista visita.

Il Visionario andava a trovarla a cadenza regolare per recuperare i documenti e le ricerche assegnatole, a meno che non l’avesse avvertita in precedenza di non riuscire a passare. In quei casi, allora, era Ofelia ad andare da lui e a muoversi un po’ per le strade di quell’arca cambiata come tutte le altre.

Siccome Octavio non era riuscito a visitarla in quelle ultime settimane, non gli sarebbe stato possibile venire a conoscenza degli ultimi risvolti; non aveva modo di sapere che per un puro caso il riflesso di Ofelia si era scontrato con quello di Thorn né che l’ex intendente condividesse il tetto con la moglie già da sette giorni. Quando dunque giunse alla porta della villetta e bussò, l’Animista scattò sull’attenti come una molla, consapevole di aver completamente dimenticato i programmi dell’amico.

Era del tutto impreparata.

Si chiese come Octavio avrebbe preso la notizia, come avrebbe reagito nel vedere colui che aveva sempre creduto essere Sir Henry, una figura a cui portare rispetto e infinitamente più acculturata di lui, in quella più debole forma; nel vedere in lui Thorn, abitante del Polo. Tante volte si era anche domandata se Octavio la assecondasse solo per non vederla sprofondare nel suo stesso dolore, se credesse veramente nelle sue ricerche o se in realtà pensava di aiutare una donna un po’ pazza che inseguiva una chimera. E ora che avrebbe detto? Come si sarebbe comportato?

Ma soprattutto, in che modo avrebbe reagito Thorn nel vedersi piombare davanti un’altra persona? Una persona che tra l’altro lo aveva conosciuto prima del crollo delle arche?

Non aveva nemmeno finito di formulare quelle domande nella sua testa che la persona lì fuori bussò di nuovo mentre, contemporaneamente, Thorn si irrigidiva e chiedeva con il tono più duro e tagliante che mai: “Chi è?”

Ofelia trasalì; non le era sfuggita l’implicazione contenuta in quella gelida frase. Thorn voleva vedere nessuno né desiderava che qualcuno disturbasse la sua quiete mentale.

A lei fece un po’ male al cuore pensare che tra le poche parole che le rivolgeva ce ne fossero alcune così intrise di malcelata diffidenza, anche se sapeva che il sentimento non era esattamente rivolto a lei, ma a colui che si trovava sulla soglia della loro temporanea residenza.

Ciononostante, le uscì un tono di voce più sicuro di quel che credeva quando gli rispose per fargli capire che non avrebbe mandato via l’ospite; d’altronde al Visionario servivano le sue ricerche tanto quanto a Ofelia serviva la sua paga. “È Octavio,” lo sguardo di Thorn, se possibile si fece ancora più duro, “viene a farmi visita regolarmente.” Appena ebbe pronunciato quelle parole, però, se ne pentì. Non erano certo le migliori che avrebbe potuto utilizzare per spiegare al marito la necessità dei suoi incontri con Octavio che, tra l’altro, le era diventato molto caro e alla cui amicizia lei teneva molto. Ma argomentare in quel modo non le avrebbe portato alcun beneficio, soprattutto considerando la gelosia che Thorn aveva da sempre dimostrato nei suoi confronti.

Per un breve secondo si chiese se quest’ultima cosa fosse ancora veritiera dopo tutto quello che era accaduto tra di loro. Se Thorn non la voleva più accanto a sé si sarebbe ancora dimostrato geloso di qualsiasi altro essere di sesso maschile? Sarebbe ancora stato possessivo di lei? La logica le diceva di no. Eppure la successiva ed immediata rigidità del marito che seguì la sua ultima affermazione dimostrò tutt’altro.

Thorn era ancora geloso. Doveva pur sempre significare qualcosa, no? Poco importava si disse, se poi non riuscivano a comunicare. Ora, però, doveva pensare a spiegarsi meglio.

“Perché?” I suoi occhi sembravano volerle scavare dentro per trovare da solo la risposta; l’odio che fiammeggiava in essi le fece quasi paura.

“Lavoro per lui,” rispose immediatamente, “o meglio… con lui. Avevo bisogno di un’entrata per poter continuare a vivere qui e siccome non sono più una lettrice, lui mi ha offerto di aiutarlo con le scartoffie, cose così. Viene regolarmente a ritirarle quando non è troppo occupato. Mi ero completamente dimenticata con tutto quello che è successo… ci è successo… insomma,” stava cominciando a cedere visto che lui sembrava non voler distogliere quegli occhi infuocati. “Non posso mandarlo via.”

In risposta lui incurvò maggiormente la linea sottile delle labbra e fece scattare l’orologio da taschino come a voler sottolineare il suo disappunto.

Nel silenzio che seguì si sentirono altri colpi e la voce di Octavio che le chiedeva se stesse bene e come mai non venisse ad aprirlo. Era impossibile che avesse sentito il mormorio delle loro voci perché, nonostante tutto, avevano tenuto i toni piuttosto bassi, ma l’amico aveva imparato piuttosto bene i suoi ritmi e sapeva che Ofelia non era solita lasciare molto spesso l’abitazione. E, siccome non lo aveva avvisato di qualche viaggio imminente, era sicuro di trovarla a casa.

Gli occhi scuri di Ofelia pregarono il marito; lo sguardo di Thorn non cambiò, ma nelle spalle che sembrarono accasciarsi di poco lei lesse il suo consenso finale. L’ex-intendente non sarebbe riuscito a rifiutarla comunque, nonostante la gelosia lo stesse rodendo dentro al pensiero del ragazzo che visitava con frequenza la moglie. Fu indeciso se rimanere su quello sgabello e osservare l’intero colloquio o rintanarsi in biblioteca. Il bisogno di silenzio era attualmente impellente, ma la paura viscerale di cosa significasse Octavio per Ofelia lo faceva rimanere incollato con i piedi a terra. Voleva guardare in che modo quei due si salutavano e leggere le espressioni e i movimenti dell’uomo.

Ofelia corse subito ad aprire e quando si ritrovò l’ospite davanti, lui le risolve un sguardo un po’ esasperato e un po’ sollevato. “Finally,” esordì, “eri ancora a letto?” tentò di scherzare guardando i capelli un po’ più disordinati e il respiro affannato della ragazza. Chiuse la porta dietro di sé e appesa la giacca all’appendiabiti accanto. “Stavo quasi per rinunciare, ma…” si bloccò quando, infine, notò l’alta figura che aveva seguito Ofelia nell’atrio e lo sguardo che questa gli riservò raggelandoli il sangue nelle vene. Le labbra si schiusero andando a formare una piccola ‘o’ e gli occhi rossi si allargarono; i plichi nell’incavo del braccio sinistro rischiarono di cadergli, ma all’ultimo momento riuscì a evitare la caduta. “Sir Henry!” scattò rigido, usando un tono di voce un po’ troppo alto per i gusti di quest’ultimo. “Voglio dire… signor T-Thorn!” Lasciò vagare lo sguardo sbigottito da lui a Ofelia, e ancora da quest’ultima al marito, come se non credesse ai suoi occhi.

Ofelia avrebbe volentieri cominciato a mangiucchiarsi gli orli dei guanti da lettrice se ne avesse ancora avuti; nell’assenza di questi si morse il labbro inferiore per cercare di mitigare il nervosismo. Octavio sembrava aver visto un fantasma, e in qualche modo era come se fosse così.

“Vedi, sono stata un po’ occupata ultimamente,” provò a dire, “e mi sono dimenticata…”

Lui la interruppe subito, distogliendo un’altra volta gli occhi da Thorn. “Vuoi che me ne vada? Really… io non avevo idea, Ofelia.”

Lei subito si dimostrò contraria. “No, no, ti prego. Ho già tutto pronto, non c’è bisogno. Hai fatto tutta questa strada per venire, non vorrei.” Dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei ci mancava solo che si dimostrasse tanto ingrata. Thorn, se lo sguardo di ghiaccio che rivolse puramente a lei era un segno, non sembrava essere dello stesso parere.

La moglie aveva avuto l’occasione perfetta per liberarsi del visitatore indesiderato e non l’aveva colta al balzo; a quanto pare le vecchie abitudini erano dure a morire. Servendosi del bastone e con il corpo teso, seguì i due in cucina, conscio del fatto che Octavio al momento avesse non poca paura di lui.

Non che gli piacesse causare quel tipo di reazione, semmai vi era indifferente, ma si rese conto che il Babeliano, essendo ora a conoscenza di chi lui fosse veramente e quali fossero i suoi poteri familiari, non poteva essere più così tranquillo in sua presenza. Inoltre, l’occhiata che gli aveva rivelato era stata abbastanza eloquente.

 

***

 

Mentre la temperatura nella stanza scendeva drasticamente, Ofelia tentò di intavolare una conversazione quanto più possibile normale sotto lo sguardo tagliante del marito e quello un po’ spaurito dell’amico. Thorn sembrava non perdersi nemmeno una delle loro interazioni e lei aveva avuto premura di sedersi abbastanza lontana da Octavio, per paura di sfiorarlo per sbaglio e scatenare gli artigli già instabili del marito. Il Babeliano, invece, continuava a rivolgere a entrambi occhiate nervose, sforzandosi di concentrarsi su quello che Ofelia stava cercando di dirgli. Si fece più attento nel momento in cui lei cominciò a raccontargli gli ultimi eventi che ancora gli apparivano storia fantastica.

Non poteva non dirsi felice per l’ultimo sviluppo, se non altro per Ofelia, ma allo stesso tempo non gli sfuggì nemmeno l’apprensione negli occhi di lei e in che modo Thorn le si muoveva attorno. Certo, si disse, poteva anche essere dovuto al fatto che quegli occhi metallici erano troppo occupati a fulminarlo per poter sfiorare la figura minuta della moglie, ma anche senza la sua vista acuta, Octavio avrebbe potuto affermare con certezza che c’era molto più in ballo di quel che Ofelia gli stava narrando.

Durante tutto il colloquio tra i due, Thorn non si mosse mai di un millimetro. Rimase fermo sullo sgabello del quale si era riappropriato, occasionalmente fumando la pipa e facendo scattare l’orologio cosicché i vari momenti vuoti nella conversazione fossero riempiti da quel tic tac. Sembrava voler essere sicuro che Octavio non si dimenticasse della sua presenza, ma quest’ultimo non credeva che, pur in silenzio, con quello sguardo cocente sempre su di lui, avesse potuto dimenticarsi dell’ex-intendente.

A un certo punto, però, mentre il Babeliano continuava a sudare sotto quella minuziosa analisi, Ofelia sembrò averne abbastanza. Schioccò un’occhiataccia al marito ma non sortì il risultato sperato. Decise allora di rivolgergli uno sguardo implorante e stavolta, seppur con evidente difficoltà, Thorn decise di lasciare i due. Ad Ofelia sembrò quasi di sentirgli mormorare un “Concesso,” ma scosse la testa pensando fosse solo una maligna illusione della sua mente.

Per quanto riguarda Thorn, se ne andò almeno con la consapevolezza di aver visto abbastanza e non volendo deludere ulteriormente la moglie. Solo quando si fu rifugiato nella biblioteca al piano superiore, e i due a quello inferiore ebbero sentito il chiaro rumore della porta che si chiudeva, Ofelia osò emettere un lungo sospiro, nascondendosi il viso tra il disperato e l’esasperato.

Octavio la osservò un po’ preoccupato e accigliato, cercando di cogliere qualche altra cosa che potesse dirgli di più, ma alla fine aspettò che fosse l’Animista a parlargli.

“Scusami, non avrei voluto che ti mettesse tanto a disagio. Thorn, ecco… lui, è ancora scosso ed è sempre stato un po’ geloso.”

“Scosso?” Alzò un sopracciglio. “E come definiresti il tuo stato attuale, invece?” indagò. “Ofelia, perché non mi dici come stanno veramente le cose? Sai, non sono mai stato così naïve. È evidente che c’è qualche problema tra di voi; la tensione è palpabile.”

Se tutto ciò fosse capitato due anni fa, quando la guerra era da poco finita, Octavio non si sarebbe mai azzardato a essere così diretto, non ne era capace. Eppure, in tutto quel tempo, aveva imparato molto su Ofelia e lei su di lui; entrambi si erano aperti e trovato nell’altro un confidente. Lui sperava di esserle d’aiuto anche questa volta.

La ragazza prese a mordicchiarsi il labbro inferiore e a guardarsi le lunghe dita riflettendo se fosse il caso o no di vuotare il sacco con Octavio e renderlo partecipe di problemi che talvolta era meglio rimanessero all’interno della coppia – non voleva nemmeno fare un torto a Thorn raccontando qualcosa di troppo personale. Poi si disse che nella situazione in cui si trovava ora, il Visionario era l’unico di cui si sarebbe potuta fidare veramente. Nessuno della sua famiglia sapeva del ritorno del marito né avrebbe potuto offrirgli un consiglio adeguato. E, pensò con rammarico e il cuore pesante, il suo vecchio e fidato consigliere non c’era più. Decise che poteva almeno provare a raccontare le cose come stavano dal suo punto di vista, lasciando da parte ciò che riguardava Thorn.

“Non so più chi sono,” esordì con la stessa frase che si ripeteva nelle mente come un mantra da una settimana. “Non riesco più ad attraversare gli specchi da che ho riportato Thorn qui e non riesco ad essergli d’aiuto. Ho paura di non essergli più abbastanza, non so nemmeno più se sono degna di chiamarmi sua moglie.” Lei che non era mai stata in grado di mentire o mantenere una faccia impassibile, non impiegò molto a far crollare quella maschera positiva che aveva cercato di indossare quando aveva accolto l’amico alla porta. Sul viso comparvero rughe che non vi erano mai state, la stanchezza mentale e il turbamento interiore.

Octavio lesse nei suoi occhi disperati anche tutto ciò che non aveva detto. Si grattò la nuca e la guardò pensieroso. “Well… non che io abbia molta esperienza in fatto di relazioni e sentimenti,” cominciò, Ofelia alzò lo sguardo su di lui all’improvvisa attenta, “ma mi sembra di capire che tu ti senta inadeguata e se aggiungiamo tutto il resto, il risultato può essere micidiale.” Octavio sapeva bene anche cosa provasse l’animista a causa della perdita delle dita, condizione che si era solo aggravata a seguito dei numerosi incidenti. Che arrivasse addirittura a dire che non si sentiva più nemmeno degna di essere la moglie di Thorn era grave. “E non sappiamo nemmeno bene cosa ha vissuto dall’altro lato, sebbene possiamo farci un’idea avendo entrambi trascorso un periodo più o meno lungo in quel luogo.” Gli occhi rossi si adombrarono per un momento al pensiero; Ofelia li ricordava ricchi di tormento mentre le passava una gazzetta.

“Cosa dovrei fare allora? Thorn non è mai stato il tipo da aprirsi – con chiunque.”

Well, non lo so. Hai cominciato parlandogli delle tue di insicurezze?” chiese lui come se fosse la cosa più normale di questo mondo.

Ofelia rimase scioccata davanti a un consiglio tanto semplice quanto inattuale. Sgranò gli occhi e gli occhiali si tinsero di grigio; tanto bastò a far capire a Octavio che, tuttavia, la lasciò elaborare. “Io… io non posso.”

“E perché no?” chiese ancora come se stesse parlando con una bambina che fatica a comprendere qualcosa.

“Finirei solo per appesantirgli la coscienza, Octavio!” sbottò come se stavolta fosse lei a dire la cosa più ovvia. “Sono sicura che sia già tormentato di suo, se andassi a rivelargli certe cose lo farei sentire ancora peggio e di conseguenza io mi sentirei peggio.”

“Ofelia,” ricominciò lui con un tono più comprensivo, “tu non sai cosa gli passi per la mente now. Così come tu ti senti inadatta, lui potrebbe pensare la stessa cosa, non sentirsi abbastanza per te dopo essere stato incapace di salvarti.”

“Ma lui mi ha salvata!” protestò veementemente lei. “Se non fosse stato per Seconda e per Thorn a quest’ora sarei morta; Thorn ha fatto in modo che io mi salvassi!”

Octavio la guardò con un misto di pietà scuotendo la testa. “Believe me, ci sono alte possibilità che anche lui si senta come te. Ti ha salvata certo, ma potrebbe sentirsi in colpa per averti abbandonata, perché alla fine ne sei uscita con dieci dita in meno, chissà. Il punto è che se non ci parlerai mai, tutto potrebbe restare così per sempre. Really, è questo che vuoi?” la spronò.

L’Animista in quel momento sembrava davvero una bambina persa e non gli rispose.

“Forse il primo passo è davvero comunicare, my friend,” concluse infine. Quando poi lesse ancora paura incertezza nei suoi occhi riprese, “Non hai nulla da perdere, Ofelia. Non riuscirai a cavarti da questo impiccio ripetendoti ogni giorno cosa non sei o appoggiando la mano allo specchio aspettando che questo ti rifiuti. L’ultima volta che ci siamo visti un mese fa eri ancora quella ragazza determinata; dove l’hai nascosta?”

“Ha visto in che stato è il marito,” rispose la sua voce flebile.

“E in che stato è invece la moglie?” ribatté lui. “Per quanto ti possa far male il pensiero che non tutto è andato liscio come avresti voluto una volta ritrovatolo, le tue insicurezze non sarebbero mai scomparse da un giorno all’altro e, anche se lui fosse tornato quello di prima, sarebbe arrivato il momento in cui avresti dovuto confessargliele. Non puoi continuare a scappare da te stessa.”

Si alzò quando vide che lei abbassava il capo senza rispondergli a tono e poi sospirò. Avrebbe voluto allungare il braccio e sfiorarle la mano in segno di conforto, sebbene la cosa fosse troppo diretta anche per lui, ma il pensiero di Sir Henry che tornava in cucina e lo beccava a toccare la moglie lo fece desistere. Alla fine prese i fascicoli che gli aveva preparato e si fece accompagnare alla porta. Quando si ritrovarono di nuovo faccia a faccia fece un ultimo tentativo, “Forse il motivo per cui non hai ancora superato certe cose è perché non avevi la persona giusta accanto a te che ti aiutasse. Sono sicuro che sia le tue incertezze che le sue sparirebbero se entrambi ci lavoraste insieme,” disse calcando bene l’ultima parola.

In realtà il Visionario sapeva che la strada che quei due avevano da percorrere erano lunga. Lui non li aveva mai conosciuti come coppia, non sapeva chi erano prima di arrivare a Babel né aveva mai conosciuto l’amore, eppure era stato il primo a vedere come stavano davvero le cose. Forse bastava essere degli osservatori esterni per notare certe cose. Magari Ofelia e Thorn non avrebbero fatto subito i passi necessari per venirsi incontro, ma spronarli era un inizio, così come comunicare. Il tempo avrebbe fatto il resto.

“Pensaci bene, Ofelia. See you,” la salutò agitando la mano libera mentre si congedava.

L’animista rimase per qualche secondo sulla soglia a contemplare il vuoto lasciato da Octavio e poi, alzando lo sguardo, si chiese se Thorn avesse udito anche solo uno dei consigli che le aveva dato il ragazzo. Non importava si disse poi; probabilmente certi pensieri le avrebbero solo messo più fifa addosso e reso le lenti gialle. Lei aveva sempre trovato il coraggio di dire ciò che le passava per la mente a Thorn, spesso risultando anche sfacciata e magari priva di tatto. Magari ora la posta in gioco era più alta, ma doveva fare un passo verso di lui, sperando di accrescere la media giornaliera delle parole da lui pronunciate.

Prese un grosso respiro, chiuse a chiave la porta d’ingresso dietro di sé e si avviò verso la biblioteca. Fece una piccola sosta in camera sua per sostituire i guanti di metallo con quelli da lettrice e poi si fermò davanti alla porta.

Aveva appena chiuso il pugno animato pronta a bussare per annunciare la sua presenza, quando questa si aprì da sola rivelando l’alta figura del marito.
 

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Capitolo 4
*** Voglio ***


N/A: Qualcosa si muove... e niente, volevo dire che il Thorn geloso mi è sempre piaciuto in modo particolare, soprattutto perché ha un modo tutto suo per esserlo. Ma comunque, capitolo importante quello di oggi. Spero vi piaccia 💞. E sono stata brava perché l'ho postato entro le due settimane come mi ero prefissata! Ora bisogna solo mettersi all'opera per il quinto 💪. 
 

 






Voglio


 

Il corpo troppo lungo accovacciato su una poltrona posta accanto alla sezione scientifica della raccolta un tempo appartenuta a Lazarus, l’ex-intendente se ne stava lì, un vecchio libro di contabilità aperto sulle gambe che era riuscito nell’intento di distrarlo da ciò che stava accadendo giù in cucina.

Dal momento in cui aveva lasciato la moglie da sola con il Babeliano, Thorn si era già pentito 36 volte di quella sua scelta. Cosa significava davvero la presenza di Octavio in quella casa? Cosa intendeva Ofelia quando aveva detto che l’uomo le aveva fatto visita più di volta? Aveva bisogno di temere? La società era cambiata così tanto che ora era considerato proprio lasciare entrare un uomo nell’abitazione di una donna senza chaperon?

Chiudendo il libro di scatto colto da un’improvvisa rabbia, si disse che aveva tutto il diritto di intromettersi e assicurarsi della dignità di quella che era ancora sua moglie. Lui era il marito e non doveva aver paura di imporsi, non faceva alcunché di male se assisteva all’incontro, anzi. Che importava se l’aveva lasciata per causa esterne per due anni? Poteva e doveva farsi valere quando c’era di mezzo il suo onore e quello della donna che amava. Non aveva d’altronde sbagliato lasciandoli soli?

Si alzò con altrettanta foga e fece per attraversa la stanza in un sol balzo, ma tanto era preso dalla sua gelosia che si dimenticò per un attimo di non avere più due gambe perfettamente funzionanti. Il movimento troppo veloce rischiò di farlo cadere in ginocchio, ma con il braccio afferrò prontamente lo schienale della poltroncina per stabilizzarsi; sulla fronte una goccia di sudore gli imperlò la fronte e poi una seconda bagnò una ciocca bionda a causa dello sforzo di non far cedere quella gamba traditrice. Quando si fu ripreso, la sua mente cambiò traiettoria. Era bastato quell’attimo di sconsideratezza affinché le sue insicurezze tornassero con insistenza. Aveva davvero il diritto? Ofelia poteva anche non averlo creduto morto per tutto quel tempo, ma volendo razionalizzare, la sua scomparsa in quel reame simboleggiava proprio quello. Doveva considerare sua moglie una donna libera e dunque non più sua moglie? Gli era ancora concesso di essere geloso? Poteva ancora attenersi a certe leggi, diritti e tradizioni? Non era stato lui, un tempo, a mettere in dubbio il modo in cui era stato celebrato il loro matrimonio?

Mentre una nuova fonte di panico gli attanagliava il cuore in una presa stritolante, il rumore secco di una porta che si chiudeva lo riscosse da quei pensieri tormentati. Alzò gli occhi di ghiaccio davanti a sé e fissò l’ingresso della biblioteca.

Avrebbe cercato delle risposte, invece di lasciarsi trasportare da ulteriori incertezze. Non aveva ancora la forza di affrontare la moglie per quel che riguardava il loro rapporto e ciò che ne sarebbe stato di loro come coppia in un futuro prossimo, ma non sarebbe stato debole al punto da lasciar perdere un potenziale corteggiatore di lei. La sua capacità di osservazione, d’altronde, non l’aveva ancora abbandonato e l’avrebbe sfruttata per studiare le reazioni di Ofelia e la sua relazione con Octavio. Lo umiliava ammetterlo, ma non era nemmeno più sicuro di ciò che aveva visto con i propri occhi nella cucina. Aveva bisogno di altre rassicurazioni.

Senza ripetere lo stesso errore di pochi minuti prima, si sporse verso l’altro lato della poltrona e si riappropriò del suo bastone. Dopo pochi passi era davanti alla porta ad aprirla meccanicamente.

Il suo cuore saltò un battito quando si accorse che l’ingresso non era libero come pensava. Davanti a sé, con il pugno alzato vestito di un diverso tipo di guanti e l’espressione leggermente sorpresa, spiccava Ofelia.

 

***

 

Lì sulla soglia, Ofelia e Thorn rimasero fermi in silenzio per qualche secondo; con acidità lei rifletté che era ormai diventata un’abitudine tra di loro, rimanere muti di fronte all’altro.

Alzò lo sguardo per poterlo guardare, ma il movimento fu così repentino, tant’era l’impazienza di rompere questa abitudine malsana e logorante, che una fitta le attraverso il collo e si propagò per tutta la spina dorsale; quasi alzando gli occhi al cielo si disse che ci mancava solo un colpo di frusta, poi sì che sarebbe stata capace di guardare l’alta figura del marito normalmente in parte preclusa a causa della sua statura.

Negli occhi da rapace di Thorn, a cui non era sfuggito nulla, passò un lampo di preoccupazione, ma Ofelia, che non poteva vederlo bene in viso, non se ne accorse.

“Ofelia,” pronunciò a mo’ di saluto e anche per dirle che la sua presenza era ben accolta dopo tutto; sperò che lo percepisse dal tono. Dentro di sé era ancora più in subbuglio. Osservò famelico le sue mani domandosi il perché del cambio – c’entrava in qualche modo la visita dell’ex-precorritore? Sentiva il bisogno di nascondergli qualcosa? Non poteva sapere che era un tentativo di Ofelia di farlo sentire più a suo agio. L’animista sperava che, almeno per tutta la durata di quella conversazione che si prospettava più difficile di una battaglia contro l’Altro, entrambi potessero far finta che le dita da lettrice ci fossero ancora e quindi non sentire tra di loro il peso di uno dei tanti sensi di colpa; di una delle tante mancanze.

Ofelia però non lo deluse e gli occhi le si accesero nel sentire quella parola in qualche modo traboccante di sentimento. Guardò dietro di lui, verso la stanza ora vuota, e chiese permesso di entrare; Thorn si fece da parte per concederle il giusto spazio. Senza nemmeno saperlo, si appiattì contrò lo stipite della porta in modo tale che i loro corpi tanti diversi eppure in qualche modo ancora strettamente legati tra loro – ma i due non ne erano a conoscenza – non si sfiorassero nemmeno accidentalmente. Ofelia notò il movimento istintivo e la scintilla negli occhi le morì per un secondo.

Thorn si richiuse la porta alle spalle mentre la moglie si faceva strada verso le due poltrone. Evitò quella sul cui bracciolo svettava il libro di contabilità e si accomodò sull’altra posta di fronte. Almeno, pensò tra sé e sé, nessuno dei avrebbe avuto modo di sfuggire allo sguardo dell’altro, nessuna marcia indietro. Lui la raggiunse qualche secondo più tardi.

Si osservarono per quello che sembrò un’eternità.

Thorn registrò ogni centimetro del corpo minuto di Ofelia che un tempo aveva conosciuto come le sue tasche, sfiorato in ogni singola imperfezione, lavato con i suoi baci prima inesperti e poi più famelici e lo confrontò con quello che ancora ingranato nella sua memoria infallibile.

Ofelia si torturò il labbro inferiore con i denti mentre la mente percorreva sentieri pericolosi. Aprì e chiuse la bocca più di una volta, boccheggiò, ma ancora nessun suono né uscì, solo il respiro più pesante. Infine qualcosa si smosse.

“Ho tante cose per la testa, Thorn,” esordì dimostrando più coraggio di quel che credeva di avere; non riuscì, tuttavia, a incontrare ancora il suo sguardo. “Non riesco da sola a districare la mia matassa di pensieri e al tempo stesso cercare di analizzare i tuoi.” Vide il corpo del marito irrigidirsi di più e si rese conto di aver scelto di nuovo le parole sbagliate. Boccheggiò ancora per qualche secondo, le pupille leggermente dilatate e la mano alzata come a volerlo sfiorare; l’abbassò quando si rese conto del movimento per lo più involontario e la riportò in grembo. “Non volevo dire… insomma, non intendevo che mi pesa pensare a te. Solo che…” si fermò alla ricerca delle parole giuste, mentre la sciarpa le si stringeva ancora più forte addosso a sottolineare la difficoltà con cui stava parlando e l’ansia che l’attanagliava. “Ho bisogno di sapere che possiamo ancora collaborare, farcela insieme e superare qualsiasi cosa sia successa. Forse-” alzò finalmente lo sguardo verso di lui, osando incontrare quegli occhi metallici, “Forse quests è solo un’altra sfida che ci si para di fronte e ne abbiamo affrontate così tante… a prima vista più difficili, ma siamo riusciti a mettere da parte le nostre differenze e a cooperare.”

Thorn strinse i pugni e gli occhi, chiudendo fuori Ofelia per qualche secondo, cercando di scacciare via pensieri e ossessioni negative che lo spingevano a mal interpretare parole che in cuor suo sapeva la moglie aveva pronunciato in buona fede. Se fosse stato un uomo meno controllato, se non avesse avuto alle spalle anni e anni di esperienza, avrebbe scosso la testa per eliminare quei pensieri opprimenti.

Ofelia nel frattempo rimaneva a bocca semiaperta cercando di capire il perché dei suoi gesti e se, in qualche modo, quella sua iniziativa fosse stata accolta negativamente, se avesse sbagliato a dare ascolto a Octavio, se non avesse dovuto aspettare ancora un po’ prima dell’approccio, se…

Ma no, si disse, non poteva fare marcia indietro. Non erano proprio queste interazioni – o mancanza di esse – a dirle che il problema era il loro modo di comunicare? E se Thorn, che già faceva fatica prima, non voleva ancora aprire bocca, lo avrebbe fatto lei al posto suo. Nemmeno lei era mai stata chissà quanto brava a dire la sua, spesso scegliendo parole sbagliate e facilmente interpretate male – si era appena visto –, ma avrebbe fatto uno sforzo. Non avrebbe gettato la spugna quando dentro sé aveva finalmente sentito nascere una scintilla, per quanto piccola, di vecchia determinazione. Da lui voleva solo la certezza che ci avrebbe provato, che oggi era un nuovo giorno e avrebbe significato l’inizio di un nuovo percorso.

Quando richiuse la bocca, Thorn aveva riaperto gli occhi e la guardava. “Una sfida? Pensi che questa sia un’altra sfida?” Una sfida significava avere uno scopo – tornare ad averlo – e se il risultato avrebbe portato Ofelia ad essere di nuovo felice, se quello che lei veramente desiderava era tentare di dare un senso a ciò che stava accadendo nella sua mente come lui nemmeno riusciva a fare, forse avrebbe potuto tentare.

Per lei.

Il problema, penso tra sé e sé, è che non sapeva quanto più difficile sarebbe stato cancellare ossessioni, nuovi muri e incubi. Aveva affrontato così tanto da quando era nato, ora gli veniva chiesto di affrontare di nuovo se stesso, in modo diverso, sotto una luce diversa.

Mentre rifletteva su quel poco che Ofelia gli aveva detto, lei era ancora scossa da quella frase che aveva lasciato le labbra del marito. Otto parole. Tutte di seguito.

Rincuorata e incoraggiata, Ofelia riprese il suo discorso più sicura di prima e facendo il primo passo vero e proprio, confessandogli la sua prima paura. “Non so più cosa sono, Thorn… questo è quello che mi è accaduto dopo aver creduto di averti perso. Prima di incontrarti ero una lettrice e un’Attraversaspecchi, dopo averti sposato ero molto di più, nonostante i problemi, le minacce di morte, le sfide… ero molto di più. Ora, dopo averti conosciuto e perduto, non sono altro che una semplice discendente di Artemide incapace di affrontare se stessa. E vivere in questa casa, sentirti vicino e allo stesso tempo così lontano, irraggiungibile, non mi piace.” Il tono di voce non l’aveva tradita – e nemmeno gli occhiali che, nonostante la paura che covava dentro di sé, non si erano colorati di giallo – e lasciò che il significato di tutto ciò che aveva detto lo raggiunse; gli permise di marchiare a fuoco quel momento nella sua memoria di Storico. Voleva che quelle fossero le premesse che avrebbe ricordato.

“Voglio che tu sappia tutto di me, cosa mi passa per la mente, le mie paure, le mie insicurezze; voglio che tu mi dica che ce la posso fare nei momenti più bui e mi tenga stretta quando davvero non ce la faccio. Non voglio più che la mancanza di comunicazione sia l’ostacolo principale alla nostra relazione. Ma soprattutto voglio sapere tutto di te, voglio sapere chi è oggi mio marito e cosa gli è successo quando eravamo separati e se, anche lui come me, si sente in qualche modo indegno di questo matrimonio. Voglio che si lasci abbracciare da me, nonostante la mia presa possa essere più debole o più gelida di prima, e mi ascolti quando gli dico che per me sarà sempre abbastanza fintanto che resta accanto a me e mai indegno.”

Durante tutto quel discorso le pupille di Thorn si erano dilatate sempre di più come a volerle dimostrare che aveva sentito tutto sebbene il lungo corpo fosse rimasto immobile insieme alla linea sottile delle labbra.

“Voglio che mi aiuti a superare ogni nuova giornata e che si faccia aiutare. Voglio quella vita che avevamo immaginato; voglio divorziare e chiedergli di sposarmi di nuovo e, lo so, non so come muovermi, non so da dove cominciare e quale potrebbe essere il primo passo, ma voglio farlo. Non voglio più girarmi in questa casa come un fantasma e aver paura di cosa potremmo diventare.”

In quel momento a Thorn sembrò rivedere la vecchia Ofelia, quella tenace e testarda che si era presentata nell’Intendenza determinata a farsi ascoltare senza alcuna intenzione di ricevere un diniego; negli occhi di sicuro fiammeggiavano gli stessi sentimenti, sebbene in parte scalfiti dall’esperienza e dal dolore. Le labbra gli tremarono per un secondo nel tentativo di restare in controllo e non lasciarsi ancora andare.

All’epoca, già profondamente innamorato e senza alcuna bussola che gli dicesse dove andare o manuale che gli dicesse in che modo risolvere quell’equazione tanto stramba, si era trovato spiazzato e aveva osservato senza parole quella ragazzina minuta e malconcia tenergli testa. Ne era rimasto così colpito che, in seguito, non aveva potuto far altro che concederle tutto ciò che gli aveva chiesto, sperando che dietro la sua maschera di finto fastidio e il continuo tic-tac dell’orologio lei potesse in qualche modo scorgere quello che non avrebbe mai trovato il coraggio di confessarle. Sperando che un giorno, oltre le sue macchinazioni e colpe, lei trovasse il modo di ricambiare un sentimento in lui nato così spontaneamente e d’improvviso; che lei potesse aver fiducia in un lui.

Ora deteneva ancora quella fiducia che aveva conquistato con tante difficoltà? La ragione gli diceva di sì, il cuore gli diceva di no. Eppure da quando Thorn, freddo e indifferente quanto l’arca in cui era nato e cresciuto si lasciava governare dalle emozioni?

Da quando era andato a prendere una goffa e assurda abitante di Anima, gli rispose il suo io interiore. Da quando era partito per Anima era stata sempre una lotta tra mente e cuore, nonostante fuori, all’apparenza, era rimasto lo stesso. Per tutti tranne che per Ofelia che non lo conosceva eppure, rispetto a tutti gli altri, piano piano era riuscita a sfogliare strato dopo strato fino ad arrivare al nocciolo del suo essere.

Ofelia che era diversa da tutte le donne che aveva incontrato prima, Ofelia sfacciatamente vera che si mostrava in tutti i suoi pregi e difetti – questi ultimi per qualche motivo non lo infastidivano, ma aumentavano la presa sul suo cuore sopraffatto –, Ofelia che stava soffrendo e lui all’origine del problema perché l’aveva portata via dalla sua arca natale.

All’epoca Thorn si era detto lui che il minimo che avrebbe potuto fare era concedergli tutto che al confronto non era nulla.

Ora con la stessa schiettezza gli chiedeva di far parte di nuovo della sua vita e Thorn ne fu nuovamente scosso. Si trovò a chiedere se davvero quella richiesta fosse più complicata di quelle che gli aveva fatto quel giorno all’Intendenza? Sarebbe stato così difficile accettare nuovamente il suo contatto? Il suo io sembrava scisso in due tra la naturalezza con cui sarebbe potuto cadere in vecchie abitudini sebbene entrambi fossero cambiati molto e i tanti ostacoli che gli si piazzavano di fronte, per lo più frutto della sua mente contorta.

Restava, però, sempre il fatto che ancora lui era all’origine dei problemi di Ofelia e quindi doveva porvi rimedio nel modo migliore che poteva. Sulla punta della lingua si posò un ‘concesso’ che però non trovò fiato; la moglie interpretò il suo silenzio e lo sguardo nei suoi occhi metallici come via libera a continuare. Forse quel ricordo che sembrava vecchio di decenni e non pochi anni si era riflesso nel suo sguardo e Ofelia lo aveva ripercorso insieme a lui e interpretato quella parola non detta.

L’animista dunque continuò: “Una volta mi hai detto che avremmo affrontato tutto insieme, vero?” mormorò con un filo di voce, trovando ancora il coraggio di guardarlo negli occhi pieni di dolore; riconobbe la natura di quel sentimento e, soprattutto, confrontò le sue insicurezze con quelle che leggeva nelle pozze argentee di lui.

Il profilo di Thorn rimase rigido e curvo, ma sbattendo una volta di più le palpebre si tradì. Ofelia comprese il turbamento che quella domanda gli aveva causato.

Fece per parlare di nuovo, aprì la bocca, ma la chiuse e quando lui non le diede segno di voler rispondere, sempre tenendo gli occhi fissi in quelli di lui, alzò tentativamente la mano. Piano piano si avvicinò a lui, le dita dei guanti sempre più vicine al suo ginocchio, distese fino all’impossibile come se anche loro sentissero la mancanza di contatto tra i due sposi. L’elettricità era sempre di più, palpabile e pesante, eppure Ofelia non si scoraggiò.

Negli occhi di ghiaccio guizzò un lampo di paura. Per cosa, si chiese Ofelia? Di farle male o del suo tocco? Di non meritarlo o, piuttosto, era frutto delle sue insicurezze? Non importava, non si sarebbe lasciata scoraggiare.

Entrambi trattennero il fiato quando i guanti erano a un centimetro dalla sua gamba difettosa, ma la determinazione di Ofelia aumentò sempre più – ed era la prima volta che ne sentiva così tanta da quando Thorn era tornato da lei. Dopo quelli che sembrarono anni e in realtà non erano altro che pochi secondi, le punte mangiucchiate lo sfiorarono una dopo l’altra.

Cosa provava il marito a sentirle vuote?

Mezzo secondo dopo distese il palmo e poi lo chiuse attorno al ginocchio di Thorn; il corpo dell’ex-intendente fu scosso da un brivido involontario e, persa ogni briciola di autocontrollo che l’aveva sempre contraddistinto, chiuse gli occhi preda di quella beatitudine inaspettata quanto necessaria. Quando li riaprì era già un altro uomo, sempre imperfetto e incompleto, ma pur sempre migliore. Un sorriso si distese sulle labbra di Ofelia.

“Insieme,” confermò, un mormorio così piano che lei ebbe paura che fosse un altro parto della sua immaginazione. Invece il sorriso le si allargò ancora di più sul viso: Octavio aveva proprio avuto ragione, il comunicare sarebbe stato un inizio. Per quel giorno poteva essere già abbastanza.

Insieme ci avrebbero provato e insieme ci sarebbe riusciti.

Non era, però, arrivato ancora il momento per Thorn di smettere di stupirla.

Sentendo quel palmo caldo sul ginocchio e riportando lo sguardo verso i guanti bianchi da lettrice, un tarlo tornò a tormentargli la mente e, per un attimo, rovinò quell’accenno di buon umore che si era ristabilito tra di loro. “I guanti…” pronunciò solamente, sperando che, anche questa volta, lei interpretasse il tono come uno interrogativo e rispondesse dunque alla domanda implicita.

“I guanti,” ripeté lei, dapprima colta alla sprovvista. “I guanti,” ripeté una seconda volta, portandosi la mano libera verso il viso. In quel secondo che le ci volle sembrò rendersi conto di quello che poteva essere il dubbio di Thorn. “Oh…”

Il silenzio cadde tra di loro e lui strinse i denti sotto il peso dell’attesa. L’aprirsi e il chiudere dell’orologio da taschino risuonò come il fragore di una bomba nella stanza e Ofelia cercò di spiegargli le sue buone intenzioni. Avrebbe pensato che lei lo aveva creduto capace di disprezzarla per la mancanza delle dita o che il metallo freddo e la mancanza di calore che i vecchi guanti procuravano lo avrebbero disgustato?

Alla fine, pronunciò comunque le prime parole che le erano venute in mente. “L’ho fatto per te.” Thorn, mascella sempre serrata, alzò un sopracciglio e strinse la presa sull’orologio. “Conservano ancora il mio animismo, per questo si muovono,” sottolineò muovendo la mano libera, “e talvolta li indosso nei giorni peggiori. Ma oggi io-” si fermò di colpo imbarazzata; gli occhiali le si tinsero di un rosa tendente al rosso, “ecco, vista la difficoltà con cui abbiamo approcciato il nostro problema volevo che tu mi vedessi come quella di una volta… come mi ricordi.” Era stato tremendamente difficile cacciare fuori quelle parole, intrise della paura di essere rifiutata per quello che non era più o accettata in modo diverso. Ma mentre rimuginava, Thorn era ancora fermo alle parole ‘il nostro problema’. Ofelia le aveva utilizzate con così tanta disinvoltura, come se fosse così naturale unificare i loro complessi in un’unica incognita che andava risolta insieme, e quella sua spontaneità aveva colpito Thorn quasi quanto il lungo discorso di prima.

Subito dopo, poi, la mente registrò il resto di ciò che aveva detto e capì che doveva rassicurare Ofelia. A lui non interessava quali guanti lei indossasse né si era posto il problema da quando era tornato, l’unica cosa che lo tormentava era sapere di essere il colpevole per la sua mancanza di dita. Non immaginava nemmeno che lei potesse credere che dei guanti metallici avrebbero creato dei problemi a lui. Lui che aveva ancora tutte le dita. Un’altra crepa comparve sulla superficie del suo cuore. Ma si riscosse dal suo dolore per la necessità di troncare sul nascere un altro sentimento negativo che si stava facendo strada in Ofelia.

“No,” pronunciò con un tono più duro e inflessibile di quel che avrebbe voluto; con uno sforzo immane riuscì ad ammorbidirlo quando riprese a parlare. “Ofelia, apprezzerò sempre la tua presenza, qualunque sia il paio di guanti che indosserai. Tu sei Ofelia, tanto basta.”

Avrebbe potuto stupirla più di così? Di certo l’animista non si aspettava così tante parole rivolte a lei, sapeva che avrebbe probabilmente condurre gran parte della conversazione, ma le bastava, perché era già un progresso. Eppure… eccolo lì a infrangere qualsiasi media avessero calcolato separatamente nelle loro menti in quegli ultimi sette giorni. E non con qualche parola senza valore, no…

“Tu sei Ofelia, tanto basta,” ripeté nella sua mente incapace di crederci. Lo sapeva quando aveva parlato che così aveva anche risposto al suo primo dubbio, la sua prima paura? Non sapeva chi era? Thorn le aveva appena porto una soluzione, tanto semplice che voleva ridere.

“Sì, io sono Ofelia,” gli disse con un sorriso a trentadue denti – il primo così aperto e genuino – che fece divampare una piccola, ma sufficiente, fiammella all’interno dell’io di ghiaccio di Thorn. “E tu sei Thorn,” continuò come se fossero dei bambini a cui andavano ricordate le basi. E, per un certo verso, era così. Per ritrovarsi avrebbero davvero dovuto ripassare passo per passo vecchie lezioni e reimparare nozioni fondamentali.

Quando le sembrò che il sorriso di Thorn non fosse più incurvato verso il basso, Ofelia pensò che ora poteva dichiararsi davvero soddisfatta per i risvolti positivi di quella giornata.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Priorità ***


 


Priorità

 
 

Affermare che dopo la loro conversazione di quel giorno Ofelia si era illusa che tutto sarebbe tornato subito alla normalità sarebbe stata una bugia, ma allo stesso tempo la difficoltà di quell’impresa la lasciava più scoraggiata di quel che avrebbe mai ammesso. Era stato semplice dire a Thorn ciò che desiderava, tirare fuori il coraggio per esprimere la propria frustrazione riguardo la loro situazione, eppure a conti fatti agire le sembrava ancora troppo difficile.

Come avrebbe dovuto comportarsi? Qual era la mossa giusta? Negli ultimi giorni era rimasta di più a letto la mattina a pensarci, quasi sperando che il soffitto che continuava a fissare le fornisse la risposta giusta. Il marito non era proprio tornato a rinchiudersi in se stesso, o meglio, aveva preso a parlare leggermente in più e qualche volta si era anche offerto di aiutarla con le piccole cose, ma la distanza appariva ugualmente insormontabile. Nonostante si fosse lasciato toccare, ora sembrava evitare il suo tocco quasi come se avesse paura di lei – o per lei. Riflettendoci, era probabilmente la seconda alternativa. D’altronde Thorn aveva ammesso di aver perso il controllo dei suoi artigli già prima delle loro ultime disavventure, poteva solo immaginare che l’esperienza nel Rovescio e il ritorno nel Dritto avessero scombussolato ancora di più il suo potere famigliare.

La scoraggiava pensare che quello sarebbe stato l’ostacolo più grande da superare: se anche Thorn fosse tornato ad avere fiducia in se stesso, se anche avesse espresso il desiderio di tornare a stare con lei così com’era naturale tra marito e moglie, come avrebbero mai fatto? Poi però scuoteva la testa e cercava di essere più positiva. Non avevano forse già affrontato un intralcio simile? Avrebbe detto che l’avevano superato a pieni voti. Ricordava il periodo alla vecchia Babel, dopo aver ritrovato veramente Thorn e lasciato alle spalle vecchi rancori, come il migliore della sua vita.

Certo, ricordava bene che era stato anche uno dei più difficili perché la loro ricerca si era fatta sempre più pericolosa a mano a mano che si avvicinano all’Altro, eppure come poteva anche solo pentirsi di ciò che era successo ad entrambi se era in quel periodo che avevano finalmente lasciato cadere ogni barriera e scoperto cosa volesse dire veramente amarsi? Ci erano arrivati e Ofelia era sicura che avrebbero raggiunto quella fase un’altra volta, anche se erano diversi, anche se le loro anime sembravano più pesanti. Era solo il naturale corso della vita: si cresceva e insieme si accettavano tali cambiamenti, ci si adattava. Doveva solo ricordare di non prendere mai alla sprovvista Thorn o le conseguenze sarebbero state più gravi per la salute mentale del marito che per la sua; d’altronde non è che non avesse mai subito gli artigli di un Drago. Ma sapeva che lui non se lo sarebbe mai perdonato e si sarebbe solamente allontanato di più.

Quindi contatti improvvisi erano per il momento sconsigliati, ma cercava di apparire più positiva possibile all’esterno e aveva preso l’abitudine di sorridere più spesso. La sua goffaggine, che intralciava i suoi tentativi più maldestri di apparire sciolta e forse anche, istintivamente, più attraente agli occhi del marito, si manifestava come al solito nei tappetti che la facevano inciampare, una sciarpa che all’improvviso decideva di non volerla più aiutare nelle faccende di casa ma di strozzarla, e in uno sguardo che si faceva più rosso a causa delle lenti animate.

Forse stava impazzendo, ma aveva quasi giurato che durante una delle sue cadute imbarazzanti, aveva scorto gli angoli della bocca di Thorn piegarsi leggermente verso l’alto e gli occhi brillare di un sentimento sconosciuto. Altre volte il suo braccio lungo e svelto le aveva porto aiuto ed entrambi avevano goduto di quel contatto così spontaneo da non dare a lui nemmeno il tempo di pensare “La tocco? Mi avvicino?”.

Thorn, dal canto suo, passava sempre più tempo ad osservarla. In quei giorni era raro che stessero lontani l’uno dall’altro – anche quando Ofelia era in biblioteca a studiare per Octavio, Thorn la raggiungeva e faceva le sue ricerche – ed entrarono in routine che entrambi accettarono senza problemi. La presenza reciproca quietava lentamente i loro animi e la sera, quando si coricavano nei loro letti singoli, si rendevano conto di avere meno ansie e meno paure rispetto alla mattina. Prima di spegnere la luce si dicevano che a dispetto di quello che avevano pensato qualche ora prima, la distanza sembrava essersi accorciata inesorabilmente. Sera dopo sera era un metro in meno, una parola detta in più, uno sguardo d’intesa e un angolo curvato in su.

Mentre Ofelia si scervellava sul prossimo passo da fare e Thorn si chiedeva come poter rendere felice la moglie, entrambi non si rendevano conto che il destino stava già facendo un passo al posto loro – o meglio, quei fili con cui la Rete li aveva uniti in matrimonio si stava rammendando da soli e piano li richiamavano come due poli magnetici opposti.

 

 

 ***

 

 

Due settimane dopo, come l’ex-precorritore aveva promesso all’amica l’ultima volta che si erano visti, Octavio si presentò alla porta della casa di Lazarus e bussò il campanello per annunciare la sua presenza. Non prese nessuno alla sprovvista anche perché l’Animista si era curata di avvisare in anticipo il marito, facendo particolare attenzione al modo in cui articolava la frase per non istigare la gelosia cocente di Thorn.

Come se fosse stato un accordo non detto, ma accettato in ogni caso, appena il Visionario entrò in cucina e furono scambiati convenevoli nervosi e impacciati, Thorn lasciò ai due la loro privacy andando a rifugiarsi in biblioteca – non prima di aver lanciato un’occhiata gelida a Octavio capace di gelargli il sangue nelle vene e aver riaffermato il concetto con uno scatto improvviso e tagliente dell’orologio da taschino. Ofelia ebbe quasi paura che il naso dell’amico potesse cominciare a sanguinare da un momento all’altro quando sentì un leggero mal di testa farle visita, ma per fortuna nessun incidente ebbe luogo.

Octavio però continuò a lamentarsi dell’emicrania anche tempo dopo che Thorn ebbe lasciato la stanza. Era possibile, si chiese Ofelia? Scosse la testa e si disse che era meglio cominciare subito a discutere di cose serie; il marito di sicuro non l’avrebbe lasciata da sola per un tempo infinito.

Dopo che il tè fu preparato e i documenti consegnati, fu Octavio a rompere il ghiaccio. “Non vorrei sbagliarmi, ma oserei dire che l’aria che si respira in questa casa rispetto a due settimane fa è molto meno pesante.” Il sorriso che indossava era speranzoso e stava solo aspettando un cenno da parte dell’amica prima di continuare. Evidentemente quello che lesse negli occhi di Ofelia fu abbastanza perché poi riprese: “Tu e sir Thorn non mi siete sembrati in conflitto, né distaccati, come lo eravate durante la mia ultima visita. Ho ragione a pensare che qualcosa di positivo è successo?”

Ofelia strinse tra le sue dita metalliche la tazza di tè prima di prendere un sorso e poi parlare. “Diciamo che ho sfruttato i tuoi incoraggiamenti e ho approfittato del momento per andare a parlare con mio marito,” fu la risposta di lei. “Abbiamo avuto un’onesta conversazione poco dopo averti accompagnato alla porta e gli ho esposto un po’ i miei dubbi e problemi.”

Il sorriso si allargò ancora di più sulle labbra del Babeliano. “Ma è perfect, Ofelia! Sono molto contento per voi due, questo è un grande passo. Un grande passo, indeed. Cos’altro è successo, se posso permettermi?”

“Beh…” si mordicchiò il labbro nervosa, “ho parlato per lo più io, sai… gli ho confessato un po’ della mie paure e devo dire che è stato un po’ come liberarmi di un peso e, anche se da un lato penso ancora di aver appesantito lui, dall’altro sono davvero contenta di averlo fatto. È stato come se anche lui all’improvviso avesse capito che dobbiamo fare qualcosa e non rimanere fermi in una stanza senza mai andare avanti.”

“È un cambiamento, dear Ofelia. Nessuno ha mai detto che debba essere perfetto, ma il più delle volte è positivo perché mette in moto le piccole realtà intorno a noi e ci si inspira a fare di più e meglio.”

Lei annuì. “Non credo tu abbia tanto torto. Data la nostra situazione muoversi e cambiare è comunque meglio di restare immobili. Anche se non perfetto, questo cambiamento è il segno che qualcosa si muove e va avanti. Sono certa che sarà ancora difficile d’ora in poi, che non sarà facile per Thorn parlarmi delle sue paure ed esperienze, anche se fosse all’improvviso come ho fatto io, ma nel frattempo ho pensato che posso continuare io questo processo di… guarigione? Penso che possa farmi bene sfogarmi con lui, so che può capirmi anche se non me lo dice apertamente; ho imparato a leggere altri segni che me lo indicano e se ce ne sono nuovi, voglio impararli. Inoltre, da un lato spero che renderlo partecipe di quello che ho vissuto lo possa far sentire di nuovo più vicino a me.”

“Molto bene. E magari sulla scia delle tue confidenze potrebbe sentirsi spronato a esporti le sue paure o condividere le sue esperienze,” le disse l’amico con tono professionale, quasi stesse studiando un caso o fosse un medico che tranquillizzava il parente di un suo paziente.

Un sorriso mesto comparve sulle labbra di Ofelia. Era di Thorn che stavano parlando. Sarebbe mai arrivato a confidarle certe cose? Non si era mai aperto fino a quel punto nemmeno prima della battaglia con l’Altro. Tutto ciò che lei aveva saputo del suo passato tutt’altro che roseo era stato tramite terzi o attraverso un guanto rovinato che le aveva permesso di leggere i dadi della sua infanzia.

Lui però era sopravvissuto a quei traumi, giusto? Anche se era diventato la persona schiva e taciturna che Ofelia aveva conosciuto, non aveva lasciato che altre persone potessero governare la sua vita. Il suo compito ora fargli capire che nemmeno paure irrazionali o traumi peggiori potessero farlo. Ce l’avrebbe fatta? Sarebbe bastato anche solo condividere tutta stessa giorno per giorno, pezzo per pezzo?

Annuì solamente, dopo quell’attimo di silenzio, incapace di trovare una risposta adeguata. Dunque Octavio continuò. “Ci sarebbero anche un paio di cose tecniche di cui parlare. Tu abiti su questa arca da circa due anni, ormai, e svolgemmo già le pratiche necessarie a darti il visto, tuttavia…”

Ofelia spalancò gli occhi davanti a quell’affermazione. Pratiche, visto, residenza… Thorn. Per un momento, sommersa dai suoi problemi e dall’angoscia, aveva dimenticato che quella su cui si trovavano era New Babel. Non il Polo o Anima – arche sulle quali avevano diritto di nascita o di matrimonio per vivere – ma New Babel che, sebbene ora avesse il new che precedeva il nome, era rimasta comunque abbastanza fiscale su alcuni dettagli. Senza considerare che poi, per quanto volesse bene a Octavio, non si poteva evitare di dire che meticoloso fino alla pignoleria; era ovvio che avrebbe affrontato l’argomento prima o poi. Sciocco da parte sua dimenticarlo.

“Ecco…” cominciò, “in realtà non ci avevo ancora ben pensato, Octavio, ma è un problema della massima importanza.”

Il Visionario scosse la testa, per nulla divertito e quasi a volerla riprenderla. “Ah, Ofelia, come si fa a dimenticare certe cose; ovvio che è un problema really importante. Ma non ti preoccupare, me ne occupo io, mi servono solo alcune generalità. Sir Thorn non avrà problema a ricevere un valido visto e posso testimoniare sulla sua-”

Fu interrotto dal freddo delle dita metalliche di Ofelia che si posarono sul suo braccio di scatto; era stato tutto così improvviso che neanche lei sembrò rendersene conto se non a cosa compiuta. Ritirò il braccio come se fosse scottata, le lenti, indecise tra imbarazzo e mortificazione, cominciarono a lampeggiare con diversi colori, mentre il viso di Octavio si tingeva di rosso. Sebbene quello non fosse stato proprio un contatto caldo, lo aveva comunque preso alla sprovvista. Poi, quasi ricordando che non erano soli in casa, si irrigidì e le pupille si dilatarono, sforzandosi di non guardarsi alle spalle. Non sentendo uno sguardo gelido che gli trapassava la schiena si rilassò.

Prima che il suo balbettio poté ricominciare, però, quello di Ofelia lo interruppe ancora. “N-no, aspetta. Non è questo quello che intendevo.”

“Non ti seguo,” le rispose Octavio sistemando scrupolosamente i fascicoli davanti a sé in una pila perfetta.

“Voglio dire che non avevo ancora considerato la questione della residenza. Ora, però, mi rendo conto che dobbiamo decidere quale arca sia la migliore in questo periodo delicato.”

Octavio alzò un sopracciglio, colto di sorpresa. “Vorresti dirmi che hai intenzione di ritornare ad Anima? Mi era sembrato di capire che al momento non trovassi molto in simpatia i modi un po’ invadenti e indelicati di tua madre. Con tutto il rispetto, Ofelia, ma non credo che una famiglia molto rumorosa – che, da ciò che i miei studi sulle arche mi hanno rivelato, conta tutti gli abitanti tra cugini e prozii – sia la più adatta alla tua salute né tanto meno a quella di sir Henry, ehm, Thorn che è mi è sembrata sempre una persona molto riservata.”

Ofelia non trovò le parole per ribattere. Octavio aveva ragione. Anima non sarebbe mai stata adatta al marito, nemmeno se fosse stato perfettamente in salute. Inoltre, la madre non aveva ancora saputo dell’ultimo viaggio di Ofelia attraverso gli specchi né aveva intenzione di comunicarglielo al più presto, proprio perché voleva evitare una sua intromissione. Che avrebbero combinato parenti impiccioni con il marito che non avevano mai visto ma di cui avevano solo sentito parlare – e spesso nemmeno troppo bene? No, Anima era esclusa. Ciò però significava che…

“Che mi dici del Polo? È l’arca natale di tuo marito, giusto?” la riscosse Octavio.

“Ehm… sì, sì, Thorn è del Polo, però…” si mordicchiò il labbro mentre una serie di problemi ancora più gravi di un’orda di parenti ficcanaso le affollarono la mente. Da quando Thorn non metteva piede su quell’arca gelida? Dal loro primo incontro con Dio. Ciò significava che sussisteva il problema del processo, visto che all’epoca era stato considerato autore degli omicidi. Inoltre, ora che Faruk non governava più l’arca, valeva ancora il contratto? All’epoca aveva concesso al marito un titolo nobiliare e lo aveva affrancato dallo stato di bastardo. Cercò di ricordare cosa le avesse detto la zia sull’attuale direzione del Polo, ma non le venne in mente nulla; avrebbe dovuto scriverle una lettera urgente. La situazione però non cambiava, nemmeno l’aria apparentemente più tranquilla del Polo – che però nascondeva altrettante insidie – sarebbe stata adatta.

Octavio sembrò leggerle la risposta in viso. “Capisco. Quindi torniamo al problema principale: ti prego di farmi avere quanto prima le generalità necessarie e ti assicuro che tuo marito avrà il suo permesso entro la mia prossima visita. Al momento nessuno sa che vive in questa casa, quindi non dovete preoccuparvi di visite improvvise. In ogni caso, il fatto che siete sposati già da prima del crollo delle arche, aiuterà le pratiche; d’altro canto tu sei un abitante regolare già da due anni.”

Ofelia ancora una volta rimase senza parole e annuì interdetta. Che poteva dirgli? D’altronde erano praticamente costretti a vivere su New Babel al momento – trasferirsi in un’arca straniera senza nemmeno contatti sarebbe stato impensabile. L’amico sembrò percepire ancora una volta il suo stato d’animo; dopo esserle stata accanto per tutti quei momenti difficili aveva imparato a riconoscere certi segnali.

“Non preoccuparti, dear Ofelia; andrà tutto bene. Stai facendo la scelta giusta. Potrà sembrarti per certi versi ancora un’arca estranea, ma New Babel al momento è la vostra opzione migliore. Meglio restare dove in pochi conoscono il vostro passato – o meglio ancora, nessuno.” Raccolse un fascicolo sottile che il vento proveniente dalla finestra sulla destra aveva fatto scivolare a terra e lo inserì tra gli altri, assicurandosi che nessun margine sporgesse. “Molto bene,” riprese alzandosi di scatto, “credo di aver approfittato abbastanza della tua ospitalità. Verrò a trovarti regolarmente tra due settimane. Non preoccuparti troverò sempre il modo; non c’è bisogno di scomodarsi. Piuttosto prenditi cura di te stessa e di tuo marito.”

Le si inumidirono gli occhi a sentire quelle raccomandazioni. Nonostante i modi spesso distaccati, Octavio riusciva sempre a esprimere la propria preoccupazione e l’affetto che nutriva per l’amica; Ofelia non voleva immaginare che ne sarebbe stata di lei se non ci fosse stata lui a consigliarla e sostenerla. Inclinò il capo in segno di riconoscimento e lo accompagnò a porta.

“Grazie mille, Octavio. Rifletterò sul nostro colloquio; è stato molto illuminante.”

“Sono sempre a disposizione, really. A presto.” E così com’era arrivato, il ragazzo scomparì dalla sua vista, lasciandola da sola con le proprie ansie e il marito.

Sì, per il momento rimanere a New Babel era davvero la scelta più adatta. Nonostante potesse riportare a galla ricordi poco piacevoli, lasciava loro più respiro e gli avrebbe dato il modo di guarire nei loro tempi e senza pressioni.

Per qualche motivo, Ofelia sentiva che ne sarebbe ancora passata di acqua sotto i ponti prima che uno dei due avesse rivisto la propria arca natale e, a dirla tutta, nemmeno le dispiaceva più di tanto.

 

***

 

 

Quella volta fu Thorn a raggiungerla in cucina, quando Octavio ebbe lasciato la casa, e Ofelia ebbe l’impressione che il marito si sarebbe volentieri trasformato in un Olfattivo per potersi accertare che non fosse stata nemmeno sfiorata in posti che non competevano al Visionario. Thorn la guardò, occhi ridotti a due fessure, mento in avanti e lei poté giurare, per un secondo, di averlo visto annusare, cercando di allungare il naso adunco.

Quando si sedettero a tavola, un po’ di tempo dopo, il suo atteggiamento era tornato a essere quello di sempre, o per lo meno quello di sempre in seguito al suo ritorno dal Rovescio. Thorn aveva cercato anche di aiutarla nella preparazione dei pasti – per quanto la sua altezza e il disagio con cui cercava di assisterla fossero di intralcio – ogni volta che l’aveva vista in difficoltà. Se solo avesse guardato bene e riconosciuto il colore rossastro delle lenti di lei, Thorn avrebbe capito che era piuttosto il modo in cui si trovavano gomito a gomito in quello spazio piccolo a metterla in imbarazzo e, di conseguenza, ad aumentare la sua goffaggine. In ogni caso le sue mani assurdamente lunghe avevano evitato disastri più di una volta, molti pericolosi per la salute della moglie; lei gli offrì sorrisi timidi in segno di riconoscimento.

Non spiccicò nemmeno una parola, eppure a Ofelia sembrò che fosse già un altro piccolo passo avanti e sapeva che nelle prossime settimane avrebbe dovuto accontentarsi di piccoli gesti e una presenza che prima era stata molto più sfuggente.

Quando ebbero finito Thorn si pulì lentamente le labbra con un tovagliolo e poi si schiarì la voce. Ofelia comprese immediatamente che era quello il momento per discutere di ciò che aveva compreso durante il colloquio con Octavio – e il marito sicuramente voleva che lei placasse in qualche modo la sua gelosia.

Il silenzio che seguì fu interrotto dal solito cigolo delle dita metalliche che ormai andava di pari passo con il tic-tac nervoso dell’orologio da taschino.

Infine Ofelia parlò: “Ho dato a Octavio le tue generalità; ha detto che tra due settimane ti farà avere un permesso del tutto in regola per la tua permanenza in questa arca. Spero non ti dispiaccia se abbiamo risolto tutto senza chiamarti.” Quell’ultima parte la disse più per riempire gli spazi vuoti che per l’altro.

Lui annuì solamente. Era naturale, pensò, che prima o poi un ragazzo scrupoloso come Octavio si sarebbe preoccupato di regolarizzare la sua presenza improvvisa. Dopo tutto, lavorava pur sempre nel campo dell’amministrazione a New Babel e ricordava bene il modo meticoloso con cui si era occupato di ogni ricerca che gli aveva affidato all’epoca in cui esisteva ancora Sir Henry. Da ex-intendente, inoltre, era più che a conoscenza dei passaggi necessari a far sì che lui diventasse un abitante regolamentato.

Non l’avrebbe mai detto apertamente – né fatto capire, se era lui a dover decidere –, ma era grato al ragazzo per questo suo aiuto. Era ovvio che il lavoro che Ofelia faceva per lui le teneva la mente occupata e l’aiutava a distrarsi e ora si era preso da solo l’incarico di svolgere una pratica che richiedeva molto più di due settimane. La sua gelosia gli diceva che c’era qualcos’altro sotto – forse questo ragazzo desiderava di più oltre l’amicizia da sua moglie? – dall’altro la razionalità gli chiedeva di riflettere con calma.

Poi ricordò che il Visionario era stato anche la persona a cui Ofelia si era maggiormente appoggiata durante la sua assenza, nei periodi in cui era rimasta ferma a New Babel. La rabbia prese per un attimo il sopravvento e strinse il pugno più del necessario quando realizzò che Octavio aveva fatto quello che lui, come marito di lei, non era riuscito a fare: prendersi cura di Ofelia. Aveva proprio fallito in tutta la linea.

L’Animista percepì la tensione che aumentava nell’aria ma non osò sfiorargli la mano, per quanto avrebbe voluto, perché sapeva che Thorn al momento era così preda dei suoi pensieri da dimenticarsi il mondo esterno. Se l’avesse sfiorato ora avrebbe fatto quello contro cui l’aveva messa in guardia: l’avrebbe preso alla sprovvista. Lo guardò quindi con preoccupazione negli occhi e un sorriso triste sulle labbra, chiedendosi in che modo avrebbe potuto essergli d’aiuto.

Ecco che ancora si ritrovava senza mezzi e speranza.

Quando infine Thorn alzò il suo sguardo e incontrò quello della moglie, leggendo il sentimento in esso, si schiarì una seconda volta la voce nella speranza di dissimulare la tensione. Non ebbe molto successo.

Ofelia allora prese la palla al balzo e gli sfiorò la mano. “Va tutto bene? Ho fatto qualcosa che non dovevo?”

Lui scosse la testa. “No. È tutto a posto. Prosegui pure.” Il tono secco diceva chiaramente che non aveva intenzione di ritornare sull’argomento.

“Oh, ok, certo. Ecco… dicevo che lui si occuperà di tutto quello che ci serve. Ha detto che visto che siamo sposati da un po’ e io vivo qui da due anni, il processo sarà ancora più veloce.” Si fermò e riprese solo dopo un altro cenno del capo da parte di Thorn. “Credo che sia la soluzione migliore per noi, al momento, rimanere a New Babel. Considereremo l’idea di ritornare al Polo una volta che avremo risolto i nostri problemi.” Nell’attimo in cui ebbe pronunciato il nome dell’arca gelida, il corpo di Thorn si irrigidì, ma Ofelia proseguì comunque; si era resa conto che non c’era mai stato il tempo per rivelare al marito che non era più un bastardo.

“C’è qualcosa che avrei dovuto dirti già tempo fa…” dallo sguardo tagliente che lui le lanciò si rese conto di aver scelto per l’ennesima volta le parole sbagliate, “riguarda il contratto che avevo stipulato con Sir Faruk prima del nostro matrimonio. Ricordi?”

Il contratto. Certo, quello stupido contratto che lo aveva fatto dannare e le aveva messo ulteriormente la vita in pericolo. Come avrebbe potuto dimenticare il contratto? Che c’entrava ora? Non sapeva nemmeno che fine avessero fatto gli spiriti di famiglia dopo il crollo. Che Faruk le avesse in qualche modo creato ulteriori problemi quando lui era intrappolato in quell’altra realtà?

“Non ho mai avuto modo di dirtelo perché quando ti ho ritrovato a Babel c’erano problemi maggiori che gravavano sulle nostre spalle,” proseguì lei mentre Thorn si lasciava andare a un piccolo sospiro di sollievo. Quindi era una cosa vecchia. “All’epoca, mentre tu scappavi dalla prigione con il potere che avevi ereditato da me, io stavo ancora cercando di provare la tua innocenza. Riuscii a onorare il contratto, Thorn, questo vuol dire che Faruk ti affrancò dalla tua condizione di bastardo e ti concesse un titolo nobiliare.”

Thorn si immobilizzò. Cos’era quella storia? Tutto ciò che un tempo aveva desiderato, ciò che una volta era stato il suo scopo, si era avverato qualche anno fa e lui nemmeno lo aveva saputo. Tuttavia, ciò che lo colpì maggiormente di quel momento fu il fatto che a lui non poteva importare meno. Le sue priorità erano da tempo cambiate e se aveva avuto qualche dubbio, ora sicuro non ne aveva più. Quando era scappato dal Polo il suo obiettivo era stato salvare Ofelia, renderla libera e felice. L’amore che provava per la piccola Animista era arrivato a superare ogni altro sentimento e desiderio. Non poteva sapere che, a suo modo, Ofelia stesse cercando di fare esattamente la stessa cosa per lui.

Desiderò che la mano di lei fosse posata ancora sulla sua, così da poterla trattenere e toccare senza sbilanciarsi troppo; desiderò essere in grado di ringraziarla per ciò che aveva fatto, fare qualcosa che superasse lo sterile “Grazie” che lasciò le sue labbra. Il sorriso che lei gli rivolse, però, lo destabilizzò… che avesse ancora una volta letto la sua anima attraverso un paio di occhi freddi e incomprensibili ai più? Era lui a essere diventato un libro aperto od Ofelia ad aver imparato a leggerlo così bene?

Era quasi ironica la cosa. La moglie non era più una lettrice, eppure a quanto pare c’era ancora qualcosa che sapeva leggere con maestria.

Quando il momento si spezzò, Ofelia gli svelò il resto dei suoi piani. “Tuttavia, anche da nobile, dovrai essere sottoposto a un processo per le accuse che ti vennero rivolte all’epoca. Sono fiduciosa che ci sia nulla di cui preoccuparsi. Dovrebbe essere evidente, dopo tutto ciò che è successo e i cambiamenti a cui siamo andati incontro, che non sei il colpevole. Comunque, mi occuperò personalmente di contattare la zia Roseline per chiederle informazioni dettagliate sulla vita al Polo in questo momento; lei vive lì con tua zia e Vittoria.”

Questo non stupì più di tanto l’ex-intendente. Per quanto la signora Roseline fosse stata una donna particolarmente fastidiosa, si era rivelata comunque un’ottima compagnia per la zia.

“Ho pensato quindi che non sarebbe proprio il momento adatto a spostarci. Andare ad Anima, invece, è altrettanto fuori discussione; hai avuto modo di toccare con mano quanto può essere invadente la mia famiglia.”

Gli angoli delle labbra di Thorn si incurvarono, andando a formare una smorfia. “Hai fatto bene, Ofelia. Studiando la cosa razionalmente, credo anch’io tu abbia preso la decisione giusta per entrambi.” La guardò fisso negli occhi e quello sguardo fu così intenso che a lei sembrò che il mondo sparisse per un momento, che fossero catapultati in un universo parallelo esistente solo per loro. “Ti ringrazio,” concluse e a quel punto marito e moglie furono consapevoli che c’era molto più di un semplice grazie dietro quelle due parole, non per una cosa così banale.

Le lenti di Ofelia si colorarono improvvisamente di un rosso acceso, quasi abbagliante, così intenso che credette di dover essere costretta a rimuoverle ma poi, un secondo dopo, tornarono quelle di sempre. Thorn era convinto che quello non era il solito rosso, Ofelia non era per nulla imbarazzata; il sorriso radioso che le illuminò il viso mentre lo guardava sembrò confermare la sua ipotesi.

Era davvero, d’improvviso, così felice come gli sembrava, si chiese mentre afferrava l’orologio da taschino con la mano destra per darsi un po’ di contegno. Cosa aveva fatto lui per renderla tanto entusiasta? Cosa aveva detto? Thorn non se lo spiegava. Sapeva solo che avrebbe fatto di tutto per rivedere quel sorriso più spesso, che quello era davvero il suo unico scopo – nessuna eredità, titolo nobiliare od orgoglio intatto.

Schiuse leggermente le labbra, annaspando improvvisamente per un po’ di aria, mentre cercava una spiegazione razionale a quel momento e studiava ogni particolare di quel viso luminoso con minuzia. Ofelia così sorridente sarebbe rimasta ingranata nella sua mente anche se non avesse avuto una memoria da Storico.

Se riusciva ancora a renderla felice, non era tutto perso. Thorn non aveva perduto il suo scopo: si era perso, aveva smarrito la via, ma l’obiettivo era sempre stato lì davanti a lui, ora più chiaro che mai.

E nemmeno Ofelia sapeva spiegarsi razionalmente cosa le aveva fatto scoppiare il cuore, cos’era che d’un tratto la riempiva d’orgoglio e le faceva capire ancora una volta che il suo posto sarebbe stato sempre accanto a Thorn. Lui l’aveva solo ringraziata e pure quanto ci aveva letto dietro quelle due parole, quanto aveva letto in quel suo sguardo penetrante. Se, per ogni giorno passato in compagnia del marito, avesse sempre avuto la possibilità di scrutargli l’anima attraverso uno sguardo, avrebbe sacrificato altre mille volte parte della sua e le dita da lettrice.

Ofelia era Ofelia.

Ofelia non era più una lettrice ma ora sapeva di essere sempre rimasta la moglie di Thorn, anche quando arrancava alla ricerca di se stessa, disperata.

Gli prese la mano libera tra le sue e, mantenendo il contatto visivo, rispose: “No, io ringrazio te, Thorn.”








 


N/A: Salve a tutti! 
Eccoci alla fine del quinto capitolo e, tra quelli finora scritti, anche se non sono tanti, mi è piaciuto particolarmente. 
Non so se forse l'ultima parte vi è sembrata un po' confusa o se avete colto tutto ciò che Ofelia e Thorn provano, ma non volevo essere troppo specifica o dettagliata. D'altronde le emozioni non sono mai nulla di razionale e gli stessi protagonisti fanno fatica a dare un nome - o spiegazione - a quello che provano volta per volta, soprattutto in una situazione come la loro. Se qualcosa non è chiara, comunque, non esitate a dirmelo!

Ritorna anche Octavio che come personaggio mi sta piacendo sempre di più, soprattutto nel ruolo che gli ho dato. 

Detto questo, grazie per seguirmi ancora, lasciarmi i vostri pensieri o anche solo incoraggiarmi a continuare. A presto! 💞

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Capitolo 6
*** Egoista ***


 

 

Egoista



 

I giorni diventavano settimane e pian piano le settimane si trasformavano in mesi. Ofelia e Thorn erano entrati in una routine ormai collaudata, costellata da silenzi meno opprimenti e gesti più eclatanti, sebbene il contatto reciproco fosse ancora troppo poco rispetto a quello che lei avrebbe desiderato. Eppure, Ofelia non si faceva illusioni. L’animista si era ripetuta più volte che doveva avere pazienza, che anche lei non era pronta a fare salti da gigante; aveva ancora tante paure e segreti che non era pronta a condividere per timore di ciò che avrebbero potuto suscitare. Quindi perché avrebbe dovuto aspettarsi da Thorn un ritorno repentino al contatto fisico?

Il cambiamento avvenne in una gelida mattina d’inverno, durante la quale la nebbia e la mancanza di sole oltre le tende la riportarono indietro ai suoi primi giorni al Polo. Fu inaspettato e, per lo stesso motivo, ancora più apprezzato.

Si era svegliata e, come sempre, il suo primo pensiero era stato andare a trovare Thorn; rispettavano ancora quell’accordo silenzioso secondo il quale lei lo raggiungeva mentre ancora dormiva e lasciava la stanza prima che lui si svegliasse. Proprio come durante la prima settimana dal suo ritorno. La differenza stava nel fatto che ora Thorn non era più inconsapevole né più addormentato quando lei entrava in punta di piedi – né faceva finta di esserlo –, talvolta lei restava qualche minuto in più, poche altre lui si alzava insieme a lei e si recavano in cucina insieme. Ancora altre lei parlava, parlava e parlava per riempire il silenzio e rispondere alla muta richiesta di lui di sentire la sua voce. Erano per lo più parole vuote, ma entrambi le apprezzavano. Lui perché poteva crogiolarsi nel calore di quel suono, nella consapevolezza che ogni cosa era detta solo e soltanto per lui, e memorizzare ogni lettera come fosse goccia d’acqua nel deserto. Lei perché l’atto in sé le dava la possibilità di compiere un gesto per il marito.

Erano nel complesso passi sempre piccoli, non quei grandi traguardi che Ofelia avrebbe tanto preferito, eppure sapeva che si stavano muovendo nella giusta direzione.

Quel mattino, dunque, inizialmente arrivò come tutti gli altri, o per lo meno così sembrò ai due coniugi. Ofelia aveva chiacchierato liberamente di tutto ciò che voleva portare a termine durante la giornata e Thorn l’aveva ascoltata con gli occhi aperti e lo sguardo fisso su di lei, facendo particolare attenzione alle inflessioni della sua voce. Solo quando Ofelia fece per alzarsi e lasciare la stanza, si accorse della mancanza dei guanti. Osservandosi le mani notò quelli vecchi e bianchi da lettrice che indossava a letto – da quando lei e Thorn erano in accordi migliori, il numero di volte in cui li aveva indossati durante il giorno era diminuito considerevolmente – e scattò subito in piedi. Tanto valeva compiere subito quei rituali quotidiani. Tuttavia, a fermarla fu l’inaspettato contatto con le lunghe dita di Thorn che si erano strette attorno al suo polso in una morsa ferrea.

Ofelia sussultò e lo guardò con occhi leggermente sgranati e labbra schiuse. Incontrò quelli di ghiaccio di lui, ma non vi lesse nulla che avrebbe potuto dirle il significato di quel gesto.

Si alzò anch’egli senza aprir bocca e nel suo solito modo composto, nonostante la gamba ferita, la portò in bagno e la fece sedere abbastanza prepotentemente su uno sgabello posto lì in mezzo alla stanza. Lei provò a ribattere, ma uno sguardo tagliente di lui le fece immediatamente chiudere la bocca.

Mentre Thorn scompariva, lasciandola per qualche secondo lì da sola nel bagno sterile, l’ex-lettrice rifletté che sebbene non avesse idea di ciò che passasse per la mente del marito, era pur sempre la prima volta che prendeva l’iniziativa. Quel suo scatto improvviso doveva significare assolutamente qualcosa e soprattutto poteva indicare un piccolo passo verso il vecchio Thorn. Quello sempre organizzato e mai con le mani in mano; l’uomo preciso e impassibile che aveva sempre qualcosa da fare e che preferiva dormire ore in meno la notte piuttosto che rimanere indietro con gli impegni.

Il Thorn di New Babel, invece, quello che ora abitava con lei, era del tutto diverso da quel punto di vista. Seppur non si chiudesse più del tutto in se stesso e trascorressero molto tempo insieme, questo Thorn aveva adattato la sua giornata a lei, colpa anche la mancanza di attività che gli si addicessero. Non che Ofelia potesse dargli poi tanto torto. Cos’altro c’era da fare sempre chiuso tra quelle quattro mura? Eppure, se le sue reazioni ogni volta che Octavio veniva a trovarli erano un indizio, non era ancora lontanamente pronto a incontrare altre persone e uscire di casa significava incontrarne molte. Quindi, anche se già da qualche settimana il Visionario aveva portato loro tutte le carte in regola per il soggiorno di Thorn in quell’arca, ancora non si erano avventurati fuori per esplorare la città insieme.

Quando, invece, si era voltato verso di lei, intimandole con gli occhi di restare ferma lì, Ofelia aveva letto nei suoi occhi anche una scintilla del vecchio Thorn, quello disposto a tutto pur di compiere ciò che si era prefissato. Vi aveva letto un obiettivo. Determinazione.

E se c’era qualcosa che non si poteva dire dei due coniugi apparentemente mal assortiti era che mancassero di determinazione. Ovviamente, se si prendeva in considerazione ciò che erano stati. Ora non c’era più nessuno a giudicarli se non loro stessi e sebbene Ofelia ammettesse di essere ancora molto dura con se stessa, sapeva anche che ogni giorno, quando si guardava allo specchio e si diceva di avere pazienza e coraggio, un po’ di quella determinazione riaffiorava goccia a goccia.

Sperava che quel giorno potesse significare qualcosa di importante anche per Thorn, le cui ferite interne erano senza dubbio molto più profonde e letali delle sue. Se avesse sentito scattare quella molla nel marito, avrebbe fatto di tutto mantenere lo stato delle cose e non farlo ricadere nella depressione dei primi giorni. Era d’altronde, ciò che bisognava fare con Thorn, con tutti gli istinti che lo avevano sempre reso lui e che l’avevano fatta innamorare; bisognava riaccenderli, farli ripartire senza curarsi se all’inizio gli ingranaggi fossero più lenti o difficili da girare. Nel caso peggiore li avrebbe oliati, proprio come faceva ogni giorno con i propri guanti metallici. Erano il motivo per cui si trovava nel piccolo bagno quel mattino, la ragione per cui si ritrovava a riflettere su certi sviluppi e pensò, poco prima che Thorn rientrasse dalla porta troppo piccola per lui – piegandosi e manovrando il suo lungo corpo attraverso l’apertura –, che se l’essere stata smemorata per un attimo li avrebbe sbloccati e portati verso il prossimo traguardo, non aveva nulla di cui pentirsi.

 

***
 

Quando il marito rientrò, lo fece con in mano proprio il motivo del loro ritardo quella mattina sulla tabella di marcia. Insieme ai guanti aveva con sé tutto l’occorrente che le serviva per effettuare i rituali quotidiani. La scoperta la scioccò nel profondo, forse anche più dell’aver visto Thorn con un nuovo spirito d’iniziativa. Non immaginava nemmeno che lui fosse a conoscenza di tutto ciò che le serviva per pulire e infilare i guanti la mattina – e l’occorrente non era poco, così come il tempo necessario – figurarsi sapere dove conservava il tutto.

Come e quanto bene l’aveva osservata Thorn da che si erano ritrovati e come aveva fatto a non accorgersi prima di quegli occhi penetranti che la seguivano ovunque, anche laddove non sembrava possibile? Non era stupida, sapeva che lui aveva cominciato a studiare ogni suo movimento molto più di quel che era abituato a fare prima della separazione ed era normale, a pensarci, considerando che ora l’ex-intendente non avesse più molto da fare. Eppure la colpì venire a sapere che il marito conoscesse anche rituali che lei aveva cercato in ogni modo di nascondergli.

Per non essere un peso.

Per nascondere ancora per un po’ quello che era diventata.

Per celare ciò che non era più. 

Per paura che vedendola in ogni suo piccolo nuovo difetto lui si stancasse, ammise infine.

Guardare Thorn manovrare il suo corpo per accovacciarsi accanto a lei e poggiare tutti gli attrezzi intorno a loro le aprì gli occhi. Era stata meschina a provare quelle sensazioni. Lui non meritava certi pensieri, non era il tipo di uomo che abbandonava la donna che aveva sposato solo perché non era più ciò che aveva inizialmente scelto e acquistato. Nascondergli certe cose per la propria mancanza di coraggio dimostrava che anche Ofelia aveva ancora molto da guarire e che non era nella posizione adatta per pensare di trovarsi un passo avanti rispetto a lui. Perché, nonostante Thorn le avesse detto a parole che per lui sarebbe rimasta sempre la stessa qualunque tipo di guanti indossasse, si rese conto nell’osservarlo che non era stato abbastanza a liberarla del suo timore più grande.

Fino a quel momento, Ofelia aveva continuato a dirsi che stava guarendo, che giorno dopo giorno le sue ferite si stessero cicatrizzando e, per certi versi, così era. Solo che il tutto stava procedendo molto più lentamente di quel che lei avesse pensato in origine, di quel che lei si dicesse. La sua paura più grande era sempre stata lì. Ofelia aveva sempre paura che un giorno Thorn si svegliasse e decidesse di non volere più una donna che era tutto il contrario di quel che aveva richiesto. Lui aveva voluto una lettrice, la lettrice più brava di Anima e lei non lo era più. Poteva ancora volerla?

Mentre lo guardava prendersi cura delle sue nuove dita e dei suoi moncherini, la ragazza sentì gli occhi riempirsi di lacrime e, con fatica, represse l’istinto di tirare su con il naso. La fedele sciarpa, percependo il suo tumulto interiore, si affaccendò attorno a lei, ma Thorn ignorò entrambe continuando con ciò che stava facendo. Osservando il modo in cui trattava con rispetto e quasi adorazione ciò che rimaneva delle sue mani, Ofelia sentì il calore diffondersi in tutta lei stessa, un nuovo sentimento nascerle in petto e infonderle nuova forza. Era sicura che quel timore non sarebbe scomparso nemmeno domani, che dentro di sé avrebbe ancora covato la paura dell’abbandono per i giorni a venire, però era sulla buona strada.

Se lei avesse lasciato che Thorn prendesse parte ai suoi rituali mattutini, se gli avesse permesso di sfiorare ed esplorare quella parte di sé – quella debolezza – gli avrebbe anche dato la possibilità di guarirla. Se non poteva superare certe mancanze e fragilità dalla sola non c’era nessuna vergogna nell’accettare l’aiuto della persona per lei più importante.

Non c’era più bisogno di nascondergli quella parte di sé.

 

***
 

Così, silenziosamente, senza nemmeno accordarsi o scambiarsi due parole a riguardo, la loro routine si arricchì, sintomo di una ferita ora più vicina a cicatrizzarsi che riaprirsi.

Ofelia accettò di condividere la sua più grande debolezza con il marito, la sua anima infranta che si manifestava nei tremolii del suo corpo quando le mani di lui si soffermavano per un secondo di più sul suo polso o sul moncherino; nei sussulti che suo malgrado le scappavano quando Thorn tracciava le vene sul palmo della mano prima di allacciare il cinturino del guanto; negli occhiali appannati quando il marito alzava lo sguardo e incrociava i suoi occhi una volta completato il rito e nei respiri ansanti quando, sfacciatamente, lui le rimuoveva gli stessi occhiali per scrutarla meglio. Quando infine la lasciava lì da sola, a riprendere fiato e controllo del suo cuore impazzito, Ofelia rifletteva che quelli erano per il momento gli unici istanti in cui era in grado di rivedere l'ombra del vecchio Thorn, prima che tornasse a nascondersi dietro i traumi della separazione. Quella scintilla che aveva visto la mattina in cui le aveva infilato i guanti per la prima volta non sarebbe mai stata un caso isolato.

Allora, sempre in silenzio, giorno dopo giorno, quel rituale che Ofelia aveva così tanto odiato veniva prolungato di secondi e poi minuti.

Fu così che, mattina dopo mattina, Ofelia cominciò a sentire sempre più normale inserire e utilizzare le protesi, mentre i vecchi guanti da lettrice restavano nel comodino accanto a letto. E divenne normale accettare l'aiuto dell'unica persona che avrebbe mai potuto guarire quei solchi tanto profondi da lasciarle una cicatrice destinata a non scomparire mai. Tuttavia, Ofelia non poteva sapere che, mentre si lasciava curare dal marito leniva e rasserenava anche l'animo di lui.

 

***

 

Thorn non sapeva cosa l'avesse spinto ad afferrarle il polso quel mattino uggioso né dove avesse trovato il coraggio e la determinazione, ma era successo. Aveva sentito come la traccia di un vecchio istinto chiamarlo e spronarlo ad agire e gli era sembrato normale aiutare la moglie in ciò che era un atto semplicissimo ma che, in realtà, nascondeva tante insidie. L’ex-intendente sapeva benissimo cosa provava Ofelia a guardarsi le dita, pulirle, utilizzarle ogni giorno della sua nuova vita. Se anche non fosse stato in grado di leggerla così bene, così come sapeva fare lei con lui e come ancora stentava a credere – perché erano cambiati, perché erano animali feriti che istintivamente pensavano di non conoscersi più, di non combaciare più – lo avrebbe capito da quei minuti che trascorreva in camera sua a chiudere e riaprire il pugno, dal cigolio di ogni falange, dalla rigidità delle sue spalle o i sospiri a cui si lasciava andare.

Era stato anche l'egoismo a spingerlo.

Sì, perché il voler rendersi utile e tornare a essere qualcuno agli occhi di lei era alla base di ciò che ormai faceva ogni mattina con grazia, tanta cura e soprattutto amore. Perché in quei suoi gesti riversava tutta il sentimento che provava, che strabordava dalle flebili carezze e dalla presa ferrea delle sue dita.

Era il suo egoismo ad averlo spinto a cercare un nuovo scopo nella loro nuova routine. Uno importante. Era così normale ignorare il modo in cui il corpo di Ofelia tremava e il respiro si spezzava sotto le sue cure, far finta di non vedere in che modo ne era toccata. In fondo, dentro di lui, Thorn non aveva davvero mai pensato che la perdita delle dita potesse scalfire l'enormità del sentimento che provava per lei. Anche se capiva bene perché la moglie potesse covare tale paura, sebbene comprendesse come mai si sentisse infranta e persa senza quella parte di lei che era stata così importante, Thorn aveva continuato a vedere Ofelia sempre e soltanto come Ofelia. Semmai, la donna che gli era apparsa davanti quel giorno che aveva segnato il suo ritorno nel Dritto era molto di più di ciò che aveva lasciato andare, mai meno.

Le lasciava quindi il tempo per elaborare la naturalezza con cui compiva i suoi gesti, mentre contemporaneamente, pian piano, lui si beava del tempo insieme. Memorizzava e conservava ogni secondo come il bene più prezioso perché allievava il suo dolore, la stessa paura di non essere necessario e quindi abbandonato.

E forse tra l’egoismo e la paura c’era infine posto per la sete di conoscenza. Thorn voleva conoscere ogni tassello della nuova Ofelia, ogni parte di lei che era disponibile solo a lui. Voleva riappropriarsi di lei.

Nelle settimane che erano passate da che lei lo aveva confrontato, aveva cercato di studiarla silenziosamente e senza farsi notare. Tuttavia, quel metodo aveva i suoi lati negativi: c’erano parti di lei che non avrebbe mai fatto sue se non si fosse prima riavvicinato, senza il contatto fisico, senza aprirsi a sua volta. Mentre riconosceva che alcune erano ancora lontane da lui, che per alcuni punti di vista non era pronto, aveva accolto la nuova routine come possibilità di comprendere il lato di lei rappresentato dalle dita. Soprattutto considerando che anelava da sempre a conoscerlo.

Con le sue mani fredde e sottili ne approfittava, dunque, per esplorare le nuove di lei e quel semplice e scontato contatto faceva miracoli sulla sua anima e confidenza. Non aveva immaginato che poterla sfiorare di nuovo avrebbe avuto un tale effetto. Allo stesso tempo, sperava che ciò che le diceva attraverso ogni tocco le arrivasse dritto al cuore.

Quando poi stringeva il cinturino e la lasciava, alzava lo sguardo su di lei e studiava il suo viso per assicurarsi di aver fatto qualcosa di utile, esserle stato necessario. Soltanto quando leggeva in quei grandi occhi scuri la risposta che cercava, distoglieva i suoi e abbandonava la stanza un po' più sicuro di sé – una sicurezza mai provata prima – dandole modo di digerire le emozioni che lui le aveva letto dentro.

Era il momento che Thorn preferiva della giornata e non provava vergogna ad ammetterlo.

Forse un giorno non troppo tardi le avrebbe anche detto ciò che quel tempo insieme significava per lui. Le avrebbe confessato che si sentiva dannatamente egoista perché si era intrufolato di forza in quella sua routine personale a causa del suo bisogno di sentirsi utile; che il motivo per cui ci teneva tanto a starle accanto in quei momenti non era tanto il desiderio di compagnia – che poteva avere durante il resto della giornata – quanto la necessità di guarire le sue stesse ferite.

Ma non lo faceva. Non lo faceva perché tutta il coraggio che aveva provato – e che raggiungeva il suo picco massimo quando distoglieva lo sguardo e lasciava la stanza – lo abbandonava gradualmente e nel resto della giornata riaffioravano le paure; non importava quanto forti si fossero sentiti la mattina, le insicurezze tornavano prepotenti. Allora lui teneva per sé quelle parole, non potendo sapere che tutto ciò che Ofelia aspettava era sentire la sua voce, le sue confessioni; non poteva immaginare che aprirsi anche quel poco era in realtà un altro strumento per guarirsi a vicenda.

C'era tempo, però. Non correvano loro due.

Volevano guarire, ma farlo bene. Se ancora non capivano certe cose non importava, perché guardandosi alle spalle vedevano i piccoli traguardi raggiunti e davanti a loro la distanza diminuire, anche se di pochi centimetri.



 


N/A: 

Arrivo sul filo del rasoio, ma dovrebbero essere sempre due settimane dall'ultimo aggiornamento. Ho finito di scrivere questo capitolo e rileggerlo giusto poco fa 🙊 (quindi se trovate erroracci che mi sono sfuggiti, ditemelo pure) ma non volevo farvi aspettare troppo. 

Venendo a noi: ho adorato questo capitolo e soprattutto scrivere di Thorn. Se avete notato il titolo, avrete anche capito su quale sentimento mi sono leggermente soffermata. In generale, comunque, sia per Ofelia che Thorn sono messi in luce due punti importanti. Quello che ho scritto è  quello che credo molto plausibile per i due nel post-separazione, molto in linea con il loro carattere. 

Spero vi sia piaciuto e ora corro a scrivere il capitolo sette, per il quale ho in serbo un altro bel sviluppo 🤩. 

Grazie come sempre a tutti voi lettori. A presto! 💞

 

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Capitolo 7
*** Supporto ***


Supporto
 
 

 

Qualche settimana dopo, quando Octavio tornò per la visita di routine e ritirare altri fascicoli, percepì subito l’aria diversa che si respirava in casa. Ofelia e Thorn sembravano più naturali e a loro agio, gravitavano l’uno attorno all’altro come se fosse parte della loro quotidianità e non scappavano da tocchi semplici quali lo sfiorarsi involontario delle mani o delle braccia. La tensione nelle spalle di lui era molto diminuita, se non quasi del tutto assente – Octavio era pronto a scommettere che quel poco che rimaneva era dovuta alla sua presenza – e Ofelia emanava un’aria molto più rilassata e serena.

Il suo primo istinto, quando mise piede in cucina, fu immobilizzarsi e spalancare la bocca, però riuscì a ricomporsi nel giro di mezzo secondo, pur continuando ad osservarli con occhi indagatori. Nel modo in cui si muovevano e nella scioltezza delle loro azioni era pronto a scommettere che il cambiamento non fosse nemmeno avvenuto da pochi giorni.

Non poté fare a meno di sentirsi fiero di quei progressi, quasi come un genitore che vede un figlio alzarsi sulle proprie gambe da solo per la prima volta.

Da osservatore esterno certe cose risaltavano di più e riusciva a studiare con metodo ogni cambiamento. Tuttavia, era certo che dal loro punto di vista sembrava più difficile e lento e, certamente, il cammino era ancora lungo. Decise quindi di tenersi certi pensieri per sé per evitare di metterli in imbarazzo e sfoggiò solo un sorriso più incoraggiante del solito, evitando di farsi influenzare dalle occhiatacce che Sir Thorn riservava sempre e soltanto a lui.

Poco dopo la sua entrata in scena, i due coniugi si scambiarono uno sguardo d’intesa – altro sviluppo molto interessante, pensò il Visionario – e il marito fece per lasciare la stanza, quando Octavio lo bloccò. Alzò il braccio istintivamente e i due si immobilizzarono; Ofelia con un sopracciglio alzato e Thorn con un cipiglio ancora più profondo sul viso. L’ex-precorritore si grattò nervoso la nuca. “Ecco, oggi vorrei che foste presenti entrambi,” spiegò mentre accennava leggermente al grosso pacco poggiato ai suoi piedi.

Si era presentato così quel giorno e Ofelia non poteva negare di essere curiosa mentre Thorn sembrava del tutto indifferente. Tuttavia, quest’ultimo acconsentì ancora prima della moglie perché non avrebbe mai perso un’occasione di osservare il cosiddetto amico di lei da vicino e vedere in che modo si comportava in sua presenza.

Quando si sedette al tavolo, perfettamente di fronte al Babeliano, incollò gli occhi ai suoi e non li distolse nemmeno quando Ofelia si sedette accanto a lui, indecisa ora tra l’essere curiosa o nervosa.

Con gesti veloci, dati per lo più dalla fretta di allontanarsi da quello sguardo penetrante, Octavio recuperò il lungo pacco a terra. Lo poggiò davanti a loro e cominciò a rimuovere l’involucro fino a che non rimase solo una scatola in legno. Senza indugi, alzò il coperchio e rimosse l’ultimo strato di carta velina che nascondeva l’oggetto al suo interno. Sembrava che chi avesse impacchettato il tutto lo avesse fatto con estrema cautela e attenzione e Ofelia non ebbe dubbi quel qualcuno fosse Octavio. A cosa dovevano quel che appariva a tutti gli effetti un regalo di estrema importanza?

Non ebbe modo di chiedersi altro perché un luccichio familiare attirò la sua attenzione. Immediatamente dopo, trattenne il fiato per la sorpresa mentre Thorn accanto a lei si immobilizzava.

Il tutto durò non poco più di un paio di secondi.

Solo dopo essersi assicurato che i due avessero compreso cos’avevano davanti agli occhi Octavio parlò: “Doveva essere una sorpresa. Mi sembra di capire di esserci in parte riuscito, no?”

Ciò che aveva portato era un’armatura nuova di zecca che, senza ombra di dubbio, era stata costruita dal Visionario in persona. Il luccichio che era sembrato tanto familiare a Ofelia era quello del metallo impiegato; lo stesso, probabilmente, che aveva utilizzato tempo addietro per costruire le sue protesi alle mani.

L’Animista era senza parole e seppe solo fare un cenno con il capo, ingoiando un groppo, mentre con esitazione sfiorava il nuovo supporto per la gamba ferita di Thorn. Quest’ultimo, invece, continuava a spostare guardingo lo sguardo dall’oggetto al suo costruttore, come se si aspettasse una fregatura da un momento all’altro.

D’altronde, era pur sempre l’ex-intendente e certi istinti erano duri a morire. Non era solito ricevere regali che non implicassero la richiesta di un favore; anche la precedente armatura era stata un dono dei genealogisti insieme all’identità fittizia di Sir Henry in cambio del suo lavoro e della sua eccellente memoria.

Octavio sembrò percepire lo stato d’animo dell’uomo più grande, che per una volta faceva fatica a nasconderlo dietro una maschera indifferente, e riprese: “Ci sto prendendo un po’ gusto, mi sa. Intendo questo sperimentare, obviously. Non è stato un lavoro semplice, per nulla in confronto ai tuoi guanti, e alla fine ho chiesto un paio di favori per aggiustare delle cose che non andavano, ma ora dovrebbe essere perfetta. Ci ho messo anche più di quel che avrei voluto, ma meglio tardi che mai. Spero sia comunque cosa gradita.”

La testa di Ofelia scattò verso di lui. “Da q-quanto,” si schiarì la voce, “Da quanto ci stavi lavorando su?”

“Dal giorno in cui ho avuto il piacere di rincontrare Sir Thorn,” rispose l’altro, ma per qualche strano motivo la frase, nel modo in cui era stata formulata, stonò alle orecchie di tutti i presenti. In effetti, non ci sarebbe voluto un genio per capire che ancora oggi, a qualche mese di distanza, le visite a Ofelia quando Thorn era presente – cioè sempre – erano tutt’altro che piacevoli. D’altronde, nessuno sarebbe stato tranquillo con degli occhi da rapace puntati addosso, soprattutto se questi erano in grado di causarti emicranie ed epistassi nel migliore dei casi.

Lei fece per aprire la bocca, poi guardò il marito e infine si rivolse nuovamente all’amico. Sapeva di dover esprimere gratitudine per entrambi, ma non aveva dubbi che, una volta passato lo shock, Thorn sarebbe stato davvero grato a Octavio, nonostante l’apparente animosità – che era poi frutto solo della sua mente gelosa. Nessun poteva negare quanto fosse stato utile e soprattutto necessario l’aiuto del Babeliano e a quanto pare quest’ultimo non era per nulla intenzionato ad abbandonarli; era molto di più di ciò che Ofelia avrebbe mai osato chiedergli.

“Io… ecco, Octavio, io non so davvero cosa dire. Non mi sarei mai aspettata nulla del genere. Hai già fatto tanto per me… per noi.”

Lui sorrise, sincero e comprensivo. “Non è niente, dear Ofelia. Anche tu hai fatto tanto per me, sebbene ti ostini a non ammetterlo; la tua amicizia è un grande dono.” Una fitta alla testa lo fece voltare di scatto verso Thorn che lo stava ora trafiggendo con uno sguardo omicida e gli impedì di proseguire.

Ofelia rise nervosa e poi poggiò la mano sulla quella del marito, contratta attorno all’orologio.

“Comunque sia,” ricominciò Octavio massaggiandosi la tempia e cercando di ignorare gli spasmi di dolore, “la manutenzione ti costerà un po’ di tempo e olio di gomito, ma i procedimenti sono gli stessi che finora Ofelia ha utilizzato per i guanti. Non dovreste avere troppi problemi. Nel caso ce ne fossero, però, ve ne prego di riferirmeli. È pur sempre un supporto pensato per rendere la vita più facile, non difficile.” Avrebbe voluto aggiungere che gli avrebbe fatto piacere istruirli sul modo in cui andava indossata e assistere al primo utilizzo, ma se aveva capito qualcosa sia da Sir Henry che da Thorn era che entrambi consideravano la privacy una cosa sacra. Non credeva possibile che l’uomo potesse mai mettere in mostra così facilmente la sua debolezza, non se faceva fatica anche con la moglie.

Dunque, dopo qualche altra raccomandazione e istruzione, raccolto il lavoro di Ofelia di quelle ultime settimane, Octavio ritenne opportuno non immischiarsi oltre in questioni di famiglia.

Fu così che moglie e marito rimasero soli in cucina molto prima di quanto avessero programmato e con un risvolto del tutto inaspettato, per quanto anche apprezzato. La giornata aveva sicuramente portato un paio di interessanti sorprese e adattarsi ad esse sarebbe stata un’altra sfida che avrebbe affrontato con coraggio insieme.

 

***

 

Com’era prevedibile, all’inizio Thorn si dimostrò indifferente a quel cambiamento; agiva come se utilizzare il bastone o indossare il nuovo supporto erano la stessa cosa. Era però inevitabile non constatare l’effettiva differenza. Sin dal primo utilizzo, dovette ammettere tra sé e sé che la vita d’ora in poi sarebbe stata molto più semplice. Non sarebbe mai tornato a muoversi come se avesse avuto due gambe perfettamente funzionanti, ma era evidente che Octavio avesse passato parecchio tempo e speso molte energie per presentargli un’armatura degna di quel nome.

Ancora una volta si dimostrava un perfezionista in tutto e per tutto; anche in ciò che non era sua competenza.

L’andatura con la nuova protesi era più sciolta, naturale; il cigolio che annunciava il suo arrivo più morbido e meno gracchiante rispetto alla vecchia; indossarla tutto il giorno gli creava meno problemi, non lo stancava troppo.

Non lo avrebbe mai rivelato, né a Ofelia né tanto meno al Visionario, ma era molto soddisfatto e grato di quel regalo.

Nel frattempo, la moglie non nascondeva il suo entusiasmo. La mattina attendeva impaziente ed eccitata il momento in cui Thorn finiva di allacciarle i guanti per poter cominciare lo stesso rituale con la gamba di lui. Quest’ultima era più difficile da maneggiare e inserire quindi entrambi partecipavano, ma se fosse stato possibile Ofelia avrebbe voluto lavorarci da sola, ricambiare il favore, impegnarsi per lui.

La prima volta il marito fu colpito da tanta passione, ma la sorpresa durò solo qualche secondo perché poi, ripensandoci, notò che era tanto in linea con il carattere di Ofelia. Solo qualche ora dopo, ritornando con la mente al suo viso sorridente e ai suoi occhi luccicanti, si rese conto che quel tipo di ardore era tipico della vecchia lei.

Perché ci aveva messo così tanto a capirlo? Qualche mese prima una risposta del genere lo avrebbe stupito molto di più. Da quando era diventato così semplice per Ofelia cadere in quelle vecchie abitudini? Anche per lui, allora, alcune cose era diventate normali? Si guardava allo specchio e vedeva più cicatrici di un tempo, anche quelle invisibili a occhio nudo, ma forse, assottigliando un po’ lo sguardo, riusciva a sbirciare la flebile ombra di ciò che era stato un tempo. Il Thorn marito di Ofelia, non quello senza di lei, unito a colui che era sopravvissuto. Come poteva solo la sua presenza curarlo a quel modo? Aveva ricominciato ad aprirsi senza nemmeno rendersene conto; le paure erano ancora tutte lì, ma ora vedeva una soluzione, seppur lontana.

Era la consapevolezza di esserle di nuovo indispensabile, sapere che anche lei aveva bisogno della sua compagnia. Era Ofelia che la mattina sfiorava la sua gamba ferita con la stessa cura e adorazione che lui usava con i suoi moncherini. Era il modo in cui le dita e il palmo di lei sfioravano inavvertitamente le cicatrici sulla gamba e il contrasto tra il freddo del metallo e il calore della sua pelle. Infine, era soprattutto il modo in cui i suoi grandi occhi scuri si alzavano verso di lui, adornati di lenti rosa scuro, e gli chiedevano di poter toccare un’altra cicatrice ancora.

La prima volta che avvenne Thorn ammise che gli era mancato; gli era mancato il modo in cui mostrava di accettarlo in tutto e per tutto, cicatrice per cicatrice. E sebbene per il momento si fermasse a quelle della gamba e talvolta della mano, la scoperta lo colpì come ogni altra. Si rese anche conto che da quando era tornato aveva scioccamente visto ogni segno sulla sua pelle come più mostruoso di prima – ancora di più –, come qualcosa di inaccettabile. Convinzione dovuta probabilmente alla comparsa di nuovi solchi sul suo cuore.

Fu in seguito a quella scoperta che Thorn si trovò, suo malgrado, a confessarle una sua paura, una di cui fino a poco prima nemmeno lui era a conoscenza.

 

***

 

Era passati otto giorni da quello in cui Octavio aveva portato loro l’armatura e la routine mattiniera si era inevitabilmente allungata, nonostante a nessuno dei due dispiacesse. Negli ultimi due Ofelia aveva trovato anche il coraggio di sfiorargli le cicatrici in bella vista ogni volta che lo aiutava a infilare il supporto.

Le ci era voluto un po’ per trovarlo dentro di sé, ma sicuramente meno di quel che avrebbe creduto un tempo, se alla fine non ci aveva impiegato nemmeno una settimana. Aveva avuto paura che il freddo delle sue dita potesse dargli fastidio, per una questione del tutto pratica – a chi piacerebbe essere sfiorato con delle dita metalliche, d’altronde? –, ma poi aveva ripetuto nella sua mente tutte le riassicurazioni di Thorn riguardo a quell’argomento e lo aveva fatto. Aveva percorso lentamente prima con le dita e poi con il palmo ogni cicatrice visibile. Da quel momento, ogni mattina, ne sfiorava qualcuna in più, prendendo sempre più coraggio. Sulla sua gamba e sul ginocchio le cicatrici non mancavano.

Il terzo giorno, mentre stavano per finire, Thorn parlò: “Non ti sembrano più mostruose di prima?” Lei sussultò, non aspettandosi una domanda del genere. “Non ti sembra che dopo non averle viste per così tanto tempo, dopo averle dimenticate, ora sembrino ancora più orrende?” Il dubbio era sorto in lui così spontaneo e aveva lasciato la sua bocca inaspettatamente tanto che, dapprima, nemmeno lui registrò veramente l’importanza di quanto chiesto.

Ofelia lo guardò con occhi spalancati. “Non le ho mai dimenticate, Thorn. Soprattutto se consideriamo ciò che per me significano, quali ricordi ad esse io associo. Non potrei mai.”

La sua risposta fu istintiva e, per questo, ancora più sincera. Come avrebbe fatto lui a non crederle? Non portò, dunque, avanti il discorso e le offrì solo un cennò del capo mentre tirava un po’ più in su l’orlo del pantalone per meglio liberare il ginocchio e mettere in mostra un’altra cicatrice; questa era più piccola e così vecchia da sembrare quasi argentea sulla sua pelle già chiarissima.

Un sorriso timido abbellì le labbra di lei e, accettando il nuovo silenzio sceso tra di loro, si rimise a lavoro, non prima di aver sfiorato il segno con il pollice e poi coperto il ginocchio con il palmo.

Quella sera, quando lei rifletté su quel breve scambio, comprese ciò che davvero Thorn le avesse chiesto e quali paure quella domanda nascondesse. Pensò che, seppur in modo indiretto, era riuscita a scalfire un po’ di più il cuore indurito di lui e la prima delle sue nuove paure.

A quanto pare il Rovescio gli aveva scombussolato anche il modo in cui si vedeva – sebbene quello poteva dirsi di entrambi – e fu grata di aver risposto in quel modo. Lei non avrebbe mai odiato le sue cicatrici né ne sarebbe mai stata disgustata. Era, semmai, un elemento importante della loro relazione e del loro amore, la prova che un tempo si erano accettati a vicenda completamente, che ora stavano lavorando sodo per tornare a quella condizione e riprende insieme il loro viaggio. Se per fargli capire che né cicatrici vecchie né nuove, non quelle invisibili, non quelle più evidenti, le avrebbero mai fatto cambiare idea, avrebbe dovuto accarezzargliele di nuovo, una a una, lo avrebbe fatto. Avrebbe ricominciato da quel percorrendo piano quelle della gamba e delle mani, fino a quelle del viso e, infine, quelle che solo lei aveva mai visto.

L’obiettivo non la spaventava, lo sognava la notte a occhi aperti mentre rimaneva sveglia ad analizzare i piccoli e grandi passi che continuavano a fare-

All’alba del quarto giorno la nuova piccola aggiunta alla routine era stata accettata in modo naturale e quando raggiunsero la cucina per la colazione, le lancette dell’orologio da taschino indicavano un ritardo di 7 minuti e 26 secondi rispetto al solito.

 

***

 

Quella sera Ofelia e Thorn si stavano attardando un po’ di più dopo la cena e lui stava attendendo che la moglie cominciasse a pulire le stoviglie per offrirle il suo aiuto. Sebbene quelle non fossero mansioni che aveva mai fatto, data la mancanza di domestici era Ofelia a gestire il tutto e a lui non piaceva l’idea che moglie si stancasse da sola, soprattutto se si considerava che certe cose risultavano più difficili con i guanti metallici.

Tuttavia, lei rimaneva ancora al tavolo, silenziosa e titubante. Thorn aveva capito che c’era qualcosa che voleva comunicargli, un argomento da approcciare che le metteva particolarmente ansia. Era qualcosa che la stava disturbando da un paio di giorni; l’aria nervosa della casa e di tutti i mobili parlava da sé. Inizialmente aveva ignorato la cosa, sapendo bene che lei gliene avrebbe parlato non appena fosse stata pronta e, per il modo in cui si era comportata negli ultimi mesi, visto che sembrava intenzionata a indirizzare subito ogni problema che si presentava, si stupì non l’avesse ancora fatto.

Per questo, quando quella sera Ofelia non diede il minimo indizio di volersi alzare da tavola o anche solo parlargli, dopo l’ennesima occhiata di sbieco, si decise a parlarle lui stesso.

“Ofelia,” pronunciò con tono autoritario e tagliante mentre con uno sguardo cercava di leggerle dentro. Non serviva aggiungere altro per farle capire ciò che voleva; lei lo conosceva abbastanza per riconoscere le inflessioni della sua voce e tutto ciò che ad esse era associato. La moglie sussultò e poi lo guardò timidamente, finalmente incrociando i suoi occhi. Le lenti si colorarono della stessa tonalità delle sue guance e cominciò a storcere le mani. Non lo avrebbe mica costretto a ripetere il suo nome una seconda volta? Era convinto di essere stato chiaro e Ofelia doveva sapere di non essere stata proprio brava a nascondere il proprio nervosismo.

A quel punto si schiarì la voce e lei lo seguì, poi cominciò: “Sai che sono passate tre settimane dall’ultima volta in cui Octavio è venuto a trovarci.” Thorn non fece nemmeno lo sforzo di nascondere la smorfia apparsa sul suo viso nel sentire pronunciare quel nome in un momento così delicato, poi annuì contrito. “Beh, so che l’ultima volta eri preso più da altro,” continuò facendo riferimento alla nuova armatura, “ma se ricordi mi ha anche detto che non sarebbe potuto venire a trovarci la prossima volta.”

“Quindi?” chiese di rimando, come a sottolineare che se non veniva, per lui era tanto di guadagnato. Eppure Ofelia sapeva che non poteva aver dimenticato che se non era Octavio a venire da lei, allora…

“Vuol dire che ho urgente bisogno di recarmi da lui e portargli le mie ultime analisi,” rispose subito senza indugiare.

Thorn strinse gli occhi, scettico. “Non avrai intenzione di andare da lui da sola?”

Lei sbuffò piano, ma si morse la lingua per evitare di fargli notare che lo aveva già fatto molte volte mentre lui si trovava ancora nel Rovescio. Era meglio evitare battibecchi in quella situazione ancora instabile.

“No,” rispose ancora e per un attimo Thorn rilassò le spalle, per poi irrigidirle di nuovo quando la moglie continuò. “Verrai con me.” Il suo sopracciglio alzato e la smorfia sul viso significavano “Come scusa?” e Ofelia prese un altro grosso respiro. “Ho pensato che ti sei ormai abituato all’armatura, cammini molto meglio che con il bastone e tra i due io sono ancora la più maldestra. Quindi, se qualcuno rischia di inciampare e cadere quello non sei tu.” Il suddetto sopracciglio si arcuò ancora di più mentre lei parlava di cadute e l’orologio scattò in risposta al nervosismo di lui. “Non avresti problemi ad accompagnarmi e anzi, mi aiuteresti nel caso in cui ci fosse qualche problema.” Lo guardò con aria di sfida, come a dirgli che era pronta a ribattere qualsiasi scusa avrebbe addotto, mentre conservava un ulteriore argomento come ultima spiaggia. Non avrebbe voluto utilizzarlo, però, se Thorn non si fosse lasciato convincere… Ofelia sapeva di dover premere quel tasto.

“Non sono ancora pronto,” sibilò lui, sicuro che la moglie l’avrebbe chiusa lì. Però, Ofelia era un tipo ostinato, soprattutto quando credeva di poter vincere una battaglia e non era nemmeno la ragazza più debole che era stata qualche mese addietro. Quel percorso graduale che stavano affrontando insieme l’aveva sicuramente aiutata a recuperare parte della sua determinazione e testardaggine.

“Va bene. Io però ho bisogno comunque di andare da Octavio.” Non era convinta che Thorn non fosse davvero pronto, anzi era certa che non fosse più quello il caso. A quel punto pensava che senza essere spinto il marito non sarebbe mai uscito di casa e, se prima gli aveva dato ragione, soprattutto considerando l’andatura instabile nonostante il bastone, ora le cose erano cambiate.

Se era una spinta quella di cui aveva bisogno, lei gliel’avrebbe data.

“Non puoi andare da sola,” ordinò perentorio.

“Non andrò da sola,” ripeté Ofelia altrettanto seria. “Mi aiuterai e io aiuterò te.” Le lenti erano diventate di un arancione tendente al rosso, carico di altrettanta determinazione, e lo sguardò non vacillò mai. Le labbra si stesero in una linea dritta, la mascella si contrasse.

Thorn nel frattempo rifletteva: qual era il male minore? Avrebbe davvero permesso alla moglie di girare la città da sola e recarsi da un uomo non sposato ora che lui era lì? Sarebbe venuto meno ai suoi doveri da marito? Ma soprattutto, la sua gelosia glielo avrebbe permesso? La risposta era anche fin troppo ovvia, sebbene non gli facesse piacere. A quanto pare Ofelia non avrebbe lasciato perdere facilmente e sapeva bene quali carte giocarsi. Era convinto che, se lui avesse continuato a insistere con il non voler uscire, gli avrebbe ricordato da chi doveva andare. Forse, lasciare libero sfogo alla gelosia negli incontri precedenti non era proprio stata una mossa ben calcolata, visto che ora la moglie ne approfittava.

Chiuse gli occhi esasperato e Ofelia tradusse quel gesto in vittoria. Trattenne l’impulso di correre ad abbracciarlo per la gioia e invece rimase lì a sorridergli; allungò solamente la mano per permettere a lui di stringerla. Rivolgendo di nuovo lo sguardo a lei, Thorn si disse che, per lo meno, se tutto ciò bastava a renderla felice, non era poi tanto inutile come marito.

 




 


N/A: Awww, posso dirlo ora che mi è piaciuto troppo scrivere questo capitolo? Posso? Vabbe ormai lo dico ogni volta, ma davvero che piacere si sta rivelando scrivere di Ofelia e Thorn, nonostante la fatica. Io nel frattempo cerco sempre di essere quanto più IC possibile e mi affido sempre a voi nel caso non vi sembrasse così. 

C'è anche un parallelo tra questo e lo scorso capitolo? Lo avete colto? 

Il capitolo otto è già in fase di scrittura, spero di farvelo avere come sempre nel giro di due settimane. A presto e grazie a tutti 💞. 

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Capitolo 8
*** Esplorazione ***


 

Esplorazione





La mattina del fatidico giorno Ofelia si svegliò inaspettatamente dimentica di ogni problema che alleggiava attorno a lei. Esisteva solo l’entusiasmo che quasi contagiava anche il marito – quasi. Ovviamente la casa, dopo due anni ormai entrata in simbiosi con l’Animista, condivideva tale sentimento. I tappeti si agitavano impetuosi, le porte e le finestre sbattevano in una danza coordinata, le stoviglie ingaggiavano una propria canzone al riparo nei rispettivi scomparti e le sedie ballavano sotto di loro. Era con grande forza di spirito e volontà che Thorn stava evitando di sospirare mentre nascondeva l’ansia nei suoi movimenti come al solito metodici e controllati. Lo aiutava, inoltre, leggere un sentimento tanto puro e positivo negli occhi e nell’aura di lei. Il suo amore per Ofelia era tale al punto da fargli dimenticare le proprie paure, o meglio, si diceva che non importavano tanto quanto il sorriso sulle sue labbra; tanto quanto la consapevolezza di esserne il responsabile.

Ciò, però, non voleva dire che l’idea di uscire e incontrare tanta gente non lo infastidisse. Semmai, si ripeté, avrebbe dovuto fare particolare attenzione a evitare luoghi affollati se non voleva che sconosciuti lo sfiorassero, che Ofelia inciampasse in qualche piede di troppo o che i suoi artigli si attivassero nel momento sbagliato.

Nessuno lo conosceva in quella nuova arca, aveva detto Octavio. Era un comune cittadino con regolare visto. Nessuno lo avrebbe additato, guardato con sdegno, fatto buon viso a cattivo gioco. Dunque, era meglio non attirare animosità non necessarie e, come conseguenza, odio gratuito sulla moglie. Il suo viso avrebbe comunque sfoggiato un’espressione scostante e fredda, ma ciò era quanto meno normale.

Ofelia sembrava ignara del suo turbamento interiore mentre portavano avanti i rituali mattutini ma, per l’appunto, era solo una finzione. Era ben consapevole dei pensieri che stavano attualmente affollando la mente di lui, ma se anche avesse accennato alla cosa, sarebbe stato del tutto inutile. Lei non avrebbe cambiato idea – soprattutto ora che aveva avvertito Octavio del loro arrivo – e lui avrebbe sprecato solo fiato se avesse accennato, ancora una volta, al voler rimanere in quella casa.

Fu quindi con rassegnazione che Thorn, per la prima volta dopo più di due anni, accolse il mondo esterno attorno a sé.

Ofelia non aveva avuto dubbi quando aveva afferrato la sua mano e intrecciato le loro dita – considerava quello uno stadio almeno collaudato, un contatto già abituale – e aveva sorriso speranzosa con la fedele sciarpa avvolta attorno al collo che faceva il tifo. Thorn abbassò lo sguardo su di lei, scrutandola in tutta la sua euforia, e poi lo riportò su ciò che lo circondava.

Forse, dopo tutto, una speranza di sopravvivere a quella mattina c’era ancora. Forse.

 

***

 

Babel era cambiata dall’ultima volta in cui Thorn vi era stato. E non intendeva quella al tempo dei crolli, ma l’arca in cui era inizialmente scappato dopo il suo matrimonio in una prigione del Polo. Per le strade c’era più disordine, vivacità e un’armonia di colori che non aveva mai visto. Eppure, constatò stupito, quel caos non era fastidioso né innaturale. Il venire meno delle imposizioni che avevano sempre costretto ogni cittadino a seguire un set prestabilito, regolare la propria vita sulla base degli ordini superiori e modellare il proprio essere su quello che si credeva giusto, aveva scatenato una sete di libertà che lo lasciò di stucco. Si traduceva in ogni gesto e parola, ogni nuovo edificio o accostamento di colori e abiti diversi, nei sorrisi più genuini e gli sguardi sereni. E non erano solo gli abitanti non natii, quelli che non aveva mai vissuto in un mondo con spiriti di famiglia e arche, ma anche i cittadini della vecchia Babel a rispettare questo nuovo ordine delle cose.

Thorn non sarebbe mai stato capace di dire chi aveva dato via a quel movimento, ma ognuno, a modo proprio, rispettava una nuova regola non scritta che dettava di essere se stessi e basta.

Babel era scomparsa e al suo posto era sorta New Babel.

Con sollievo, si rese anche conto che quell’eccessiva libertà non sfociava in un caos estremo.

Le strade erano piene di automezzi e pedoni che rispettavano le regole delle strada e coordinavano i propri movimenti alla perfezione; i negozi erano puliti ed eccentrici; le voci si mischiavano ma senza causare eccessivo disturbo. Sembrava che la nuova moda avesse trovato un proprio modo per non danneggiare troppo la pace o destare litigi. La nuova Babel era riuscita a rinascere facendo buon uso di regole antiquate, trasformandole.

Non era sempre stato così, però, gli aveva detto Ofelia, non appena aveva notato il modo in cui lo sguardo critico di Thorn si posava su ogni cosa e persona. La vita a New Babel nei primi mesi dopo la pace era stata molto più caotica e preda della disperazione. Tuttavia, l’operato di gente carismatica e positiva – persone che mai avevano pensato di approfittare del proprio talento per instaurare un governo monarchico o addirittura dittatoriale – aveva fatto sì che un nuovo ordine più libero si stabilisse. D’altronde, nessuno voleva che si formasse di nuovo una società che poneva alcuni prima di altri o limiti al proprio essere. L’egualità doveva essere rispettata in tutte le sue nuove forme. Tornare indietro al vecchio regime sarebbe stato ormai inconcepibile.

Allo stesso tempo, era stato un progetto utopico pensare che sarebbe stato facile entrare in quell’ottica e aspettarsi che tutti rispondessero allo stesso modo. Soprattutto, adattarsi fu difficile per chi proveniva da una vita di agi e pochissimi stenti, per chi era stato fin troppo contento della vecchia Babel e ora si trovava a dover condividere con persone che riteneva naturalmente inferiori. Osservando le strade era facile notare le nuove fazioni, la linea di confine tra i vari gruppi che non doveva essere valicata e il disprezzo negli occhi di alcuni.

Thorn non se ne stupì troppo. Era, per l’appunto, utopia credere che razzismo e pregiudizi non nascessero ancora e ancora. Per quel che lo riguardava, in quella nuova società preferiva passare inosservato e rimanere neutrale; voleva vivere con sua moglie e concentrarsi sui propri problemi senza curarsi di ciò che la gente attorno a lui dicesse.

Certo, era difficile per una figura allampanata e ingombrante come lui non farsi notare; in particolare, il suo apparente contrasto con Ofelia saltava subito all’occhio sui marciapiedi e più di una testa si voltò a osservare la coppia che passeggiava quella mattina. Ma non era anche quella una forma di libertà? Scegliere la persona da avere affianco senza dar conto a parametri dettati da altri o abitudini vecchie di secoli e secoli ne era la più grande manifestazione. E quindi i più non se ne curavano e andavano avanti con la loro vita, altri sorridevano incoraggiati dall’espressione felice sul volto della donna, mentre altri ancora si chiedevano come potesse accompagnarsi a un tipo così ombroso come lui. 

Per i due sposi, però, i sibili e gli sguardi non esistevano. Thorn preferiva concentrarsi sulla sua analisi della nuova società e sulla donna accanto a sé che quel giorno sembrava più solare che mai. Era davvero la prima volta che tornava a vederla così spensierata e contenta. L’ex-intendente dovette riconoscere che quello aveva tutta l’aria di essere un nuovo giorno per entrambi. Assottigliando lo sguardo e guardando molto in là, riusciva a vedere una nuova vita che li avrebbe accolti guariti e in finalmente in pace con se stessi.

Non era tutto perduto dopo tutto. Anche il gelido e ferito abitante del Polo cominciava a cogliere la speranza nei gesti quotidiani.

 

***

 

L’esplorazione vera e proprio venne rimandata al post-incontro con Octavio che, per gioia di quest’ultimo e Ofelia, filò liscio senza troppi intoppi.

L’Animista lo raggiunse sul luogo di lavoro dove quindi non ebbero modo di lasciarsi andare a chiacchiere vuote o convenevoli; attorno a lui tutti si stavano dando da fare e Ofelia non voleva arrecare troppo disturbo, soprattutto perché la presenza di Thorn aveva inevitabilmente fatto scendere un po’ troppo la temperatura.

Pur volendosi concentrare, infatti, l’uomo non ce la faceva a restare indifferente di fronte a quell’amicizia che si era consolidata tra i due. Sapeva di dover essere grato al Visionario per l’aiuto offerto, ma la sua gelosia era onnipresente. Di conseguenza, non furono pochi a lamentare mal di testa quel giorno in ufficio.

Quando infine ritornarono all’aria aperta, Ofelia sembrò entusiasmarsi ancora di più e, incrociando gli occhi del marito con i suoi coperti da lenti di un blu intenso che dichiaravano al mondo il suo stato d’animo, dichiarò l’inizio della loro avventura.

Passo dopo passo, viale dopo viale, Thorn rimase costantemente attaccato alla moglie. Più che scrutare ciò che lo circondava – aveva fatto un’attesa analisi già prima e la sua mente aveva memorizzato ciò di cui aveva bisogno – il suo sguardo seguiva ogni movimento di Ofelia.

La tenne per il braccio e le impedì di cadere ogni volta che metteva il piede in fallo; si assicurò che i loro corpi non sfiorassero accidentalmente quelli dei passanti più distratti come lei, seguendo sempre i percorsi che assicuravano più libertà di movimento. I suoi sensi rimasero tutto il tempo in allerta cosicché qualsiasi incidente sconvenevole potesse essere evitato. E ciò si manifestò inevitabilmente nella rigidità delle spalle e nella mascella serrata. Però la sensazione delle mani di Ofelia nelle sue riuscì a ricordargli perché si trovavano lì in quel momento, ogni volta che il fastidio sembrava impossessarsi di lui; il contrasto tra caldo e freddo dato dal palmo e dalle dita artificiali era diventato così naturale per lui che ormai vi trovava inconsapevolmente conforto. Tenendo dunque gli occhi sempre aperti, si lasciò condurre dall’Animista e il loro viaggio attraverso la città si trasformò piuttosto in un’occasione per lei di restare all’aria aperta e godersi la compagnia del marito.

Era tutto diverso ora che avevano valicato quella soglia e Ofelia non poteva e non voleva contenere la propria felicità. Ci stava riuscendo, stava dimostrando di essere una moglie adatta a Thorn. Giorno dopo giorno, sentiva il cuore di lui aprirsi nuovamente a lei – e solo a lei – e automaticamente le sue ferite si cicatrizzavano e i dubbi si affievolivano. E con la maggiore positività e determinazione che ora tornavano a caratterizzarla, sarebbe stato ancora più facile guarire a sua volta Thorn come lui stava facendo con lei.

 

***

 

Tornarono a casa relativamente tardi, quando il cielo aveva ormai cominciato a tingersi di rosa e arancione, e Ofelia si chiese dove il tempo fosse finito. Quella giornata era volata e lei non si era mai sentita così felice. Tuttavia, una volta rientrati in casa, l’atmosfera cupa e opprimente tornò a piombare su di loro. Mentre cenavano e in seguito pulivano, il silenziò regnò su di loro e lei non poté fare a meno di chiedersi cosa fosse andato storto o se, per caso, non fosse proprio la casa che portasse sfortuna – un’eventualità tra l’altro molto plausibile visto il precedente proprietario. Era come se lo stesso edificio imbottigliasse dentro di sé tutti i sentimenti negativi che per mesi i due sposi si erano portati dentro, come se l’Animismo di Ofelia non avesse contagiato solo i mobili, ma anche l’essenza stessa della casa.

Se davvero era quella la verità, era normale credere che vivere in quel luogo, con tutti i suoi ricordi spiacevoli, non aiutasse la loro guarigione. Eppure, non avevano dove altro andare – avevano già chiarito che era fuori questione trasferirsi in una delle loro arche natali – e soprattutto, la stessa casa conservava anche ricordi positivi.

Ofelia continuava a viaggiare con la fantasia, percorrendo lidi un po’ pericolosi, non rendendosi conto che la stessa atmosfera più lugubre era in parte provocata proprio da Thorn. L’ex-intendente, infatti, aveva fatto a sua volta fatto una propria analisi di quella gita all’esterno e il suo risultato non era stato poi così positivo, al contrario di ciò che aveva pensato qualche ora prima. Certo, gli aveva fatto piacere sentire il corpo di lei vibrare d’entusiasmo, ma allo stesso tempo aveva messo in evidenza un’altra profonda paura che celava dentro di sé; una che ora era così dannatamente difficile evitare e seppellire.

Quel silenzio che stava mandando in crisi la moglie era dato dagli ingranaggi della sua mente che cercava di capire come approcciare l’argomento, se era davvero una buona idea svelare quel timore – una volta tradotto in parole, sarebbe stato impossibile nascondere la verità – e se aveva il coraggio necessario per farlo. Thorn sapeva di doverglielo: Ofelia gli aveva confessato paura dopo paura e si era aperta a lui come un libro mentre lui ne aveva approfittato per accogliere ogni informazione come acqua nel deserto e, al tempo stesso, rimandare sempre di più il momento in cui avrebbe dovuto fare lo stesso. E anche se, in realtà, le aveva già comunicato una sua insicurezza, era tutto accaduto senza che lui stesso se ne rendesse conto. Era stato diverso. Non c’era voluto alcun coraggio.

Infine, alzando il viso verso di lei, notò il grigiore delle sue lenti e l’aria ora più adombrata che la circondava. Si accorse di aver mandato anche lei in una nuova spirale di dubbi, smorzando l’entusiasmo che l’aveva tanto caratterizzata e che lui aveva amato vedere sul suo viso. Decise dunque di interrompere quella situazione per il bene di Ofelia, più che per il suo. “Ofelia,” pronunciò con tono deciso, rivolgendole uno sguardo penetrante.

Lei sussultò leggermente e sgranò gli occhi nel leggere la determinazione sul suo viso. Allungò piano la mano verso quella di lui, coprendola – ma facendo sempre in modo che il movimento fosse chiaro – e non distogliendo mai lo sguardo.

Thorn si schiarì la voce, ma ancora nulla usciva. Il suo sguardo si faceva solo più penetrante e gli occhi si stringevano mentre cercava di infondersi coraggio da solo. L’orologio da taschino scattò più volte – utilizzò la mano sinistra per maneggiarlo, quella destra voleva lasciarla dov’era, sotto il caldo e rassicurante palmo di lei – e infine parlò. “Ofelia, credo che sia ora che tu sappia una cosa di me e decida di conseguenza come comportarti e cosa farne della nostra relazione.” Aveva formulato il tutto facendo sembrare l’intera questione più grave di quel che era, comportandosi in modo anche troppo formale e rigido per un argomento tanto importante quale il futuro della loro relazione.

In risposta, Ofelia sussultò ancora ed ebbe paura che Thorn volesse improvvisamente fare marcia indietro. Si chiese anche se fosse stata una buona idea portarlo fuori.

Era evidente, dal modo in cui quella conversazione era partita ed in cui entrambi avevano fatto le loro considerazioni affrettate e sbagliate, che per quanti passi avanti avessero fatto finora, avevano ancora bisogno di lavorare molto sulla comunicazione.

Ciononostante, Thorn continuò in quel suo modo neutro e formale, come se stesse leggendo un manuale, anziché essere sul punto di dichiararle una cosa importante. “Mi sono reso conto di essere inadatto a questa società ed è importante che tu ne sia messa al corrente, in quanto il nostro rapporto potrebbe risentirne.” A quel punto, Ofelia ebbe il sentore di quel che stava succedendo e trattenne il fiato, anche se continuava a non capire il perché dell’eccessiva serietà – maggiore della solita. “Il mio stesso essere ha sempre avuto difficoltà a integrarsi nella società e, con fatica, avevo conquistato il mio posto al Polo. Ho lavorato sodo per ottenere una posizione degna e, grazie anche alla tua presenza accanto a me, avevo raggiunto un livello di soddisfazione personale accettabile.” Mentre parlava teneva lo sguardo fisso davanti a sé, senza più incontrare quello della moglie che si trovava più in basso. “Ho osservato bene la società in cui oggi viviamo e ho contato i tanti modi in cui si è sviluppata ed è andata avanti in quest’ultimi due anni. Il risultato delle mie analisi mi ha dato una risposta chiara, che non lascia nulla al caso.” Fece una pausa e prese un grosso respiro prima di continuare e confessarle la parte più difficile. “Questo mondo è andato avanti e io sono rimasto indietro. Non sono più adatto a questa vita. Devi prenderne atto prima di portare il nostro rapporto a un livello successivo e agire di conseguenza.” Fuori sembrava perfettamente a suo agio e calmo, ma dentro sé stava pensando a quanto era stato davvero difficile cercare di mischiarsi quella mattina – e come non ci era riuscito. Si diceva che era stato facile vivere tra quelle mura finora, ma non avrebbe probabilmente mai imparato a inserirsi agli altri al di fuori di esse.

La sua maschera appariva intatta, eppure Ofelia non ebbe problemi a leggere la rigidità nelle sue spalle, la presa troppo ferrea sull’orologio, il modo in cui evitava ostinatamente il contatto visivo. Esalò tutto il fiato che aveva trattenuto finora e portò le mani tremanti alle labbra, cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di rigarle il viso – lacrime di sollievo e di dolore allo stesso tempo.

Era sollevata perché comprendeva che Thorn aveva ancora tutte le intenzioni di restare con lei. Aveva lasciato a lei la scelta definitiva – o quella che lui credeva fosse la scelta definitiva. Provava dolore per ciò che il marito le aveva appena confessato e per l’enormità di quella paura. E nello stesso momento il suo corpo cominciò a tremare dallo sforzo. Stava cercando di rimanere seduta sulla sedia e non slanciarsi troppo, non gettargli le braccia al collo e bagnargli il colletto; le emozioni che le si agitavano dentro erano così disparate che la battaglia interna si stava manifestando proprio in quel tremore.

La cosa più importante era il constatare che Thorn aveva volontariamente fatto quel passo e, primo di lasciarsi andare a qualsiasi sentimento, lei doveva fare ciò che lui aveva già fatto in precedenza per lei: rassicurarlo, confortarlo, fargli capire che una paura non l’avrebbe allontanata. “Il mondo è andato avanti in questi due anni,” ripeté allora, la voce rotta dallo stesso fremito che ancora la scuoteva. “È andato avanti anche per me, nonostante io vivessi in quest’arca e fossi testimone dei suoi progressi.” Le labbra di Thorn formarono una linea rigida e la sua mascella si contrasse; sembrava stesse facendo uno sforzo per non contraddirla. Ofelia lo ignorò e riportò la sua piccola mano su quella di lui. “Eppure io non penso che sia questo un handicap, Thorn. Non è vero che sei inadatto a questa società. Io penso che questa sia solo una possibilità che ti è stata data.”

“Una possibilità,” ripeté lui, il tono di voce scettico.

Ofelia annuì e gli strinse ancora di più la mano. “Una possibilità per cominciare d’accapo e vivere una vita quanto più libera dai pregiudizi che hanno contraddistinto le nostre in passato. È la tua chance per crearti a tuo modo un nuovo posto… insieme a me.”

Scese ancora una volta il silenzio tra di loro. L’animista continuava a fremere mentre il marito a contemplare quel nuovo punto di vista che non aveva ancora preso in considerazione.

“Quindi scegli di restarmi accanto nonostante ciò che ti ho esposto,” disse infine, sempre logico. A lei venne quasi da ridere, ma gli fece solo un cenno del capo, ormai al limite. A breve si sarebbe mossa nonostante la mente le stesse dicendo che prendere alla sprovvista Thorn non era una buona idea. “Resterai accanto a me nonostante tutto,” ripeté lui una seconda volta, il tono sempre serio, ma tradendo il suo bisogno di rassicurazione; era così chiaro che dentro di sé le insicurezze fossero ancora troppe e aveva bisogno di quanto più incoraggiamento Ofelia potesse dargli.

“Sì, sei mio marito e ho promesso di restarti accanto perché è quello che voglio.” Dopo aver pronunciato quelle parole lei si rese conto di avere girato in tondo attorno al sentimento che provava per lui. Gli aveva ribadito indirettamente che lo amava ma non era stata capace di pronunciare quelle due paroline.

Thorn mosse il capo, annuendo, come se fosse semplicemente arrivato alla conclusione di un problema tecnico. Infine, portò la mano libera su quella che Ofelia aveva appoggiato su di lui e la guardò negli occhi, cercando di trasmetterle tutta la gratitudine che non poteva esprimere a parole. Lo stupì quel suo fremere che non accennava a smettere e si chiese se c’era ancora qualcosa che bisognava discutere tra di loro.

Ebbe la sua risposta un secondo dopo, quando Ofelia scattò in piedi, le dite ancora intrappolate a quelle di lui.

 

***
 

“Voglio abbracciarti,” dichiarò di getto e impacciata, pensando che un gesto così spontaneo e affettuoso sarebbe stato ancora più tale se non ci fosse stata la necessità di annunciarlo. Le guance e le lenti le si tinsero di rosso mentre pensava che la cosa era molto stupida e al tempo stesso essenziale. Lui si immobilizzò ancora di più, ma le diede il suo consenso. Un attimo dopo, il corpo caldo e minuto di lei lo stava stringendo il più forte possibile e lacrime salate gli stavano bagnando l’incavo tra il collo e la spalla.

Rimase fermo all’inizio, rigido e impacciato, non sapendo come muoversi e al tempo stesso grato per quel passo che ancora una volta lei aveva avuto il coraggio di fare al posto suo; grato di quel calore che lo stava invadendo in ogni sua particella e gli era mancato così tanto. Lentamente, anche le sue mani si alzarono, allacciandosi dietro la schiena di lei. Le sue lunghe braccia la coprirono quasi interamente, come a volerle fare da scudo, e la spinsero ancora più verso di lui, fino a quando Ofelia non si trovò letteralmente seduta sulle sue gambe. Lei pianse ancora più forte, leggendo in quel so gesto tutta la volontà che ci stava mettendo, e anche se questo abbraccio non somigliava per nulla a quelli che si erano scambiati una volta, prima che qualcun altro li dividesse, non poté che esserne felice.

Aveva dimenticato cosa si provava a stare tra le braccia della persona che contava per lei più di ogni altra cosa; aveva dimenticato quanto si stesse bene e, soprattutto, quanto si sentisse sicura stretta nel suo abbraccio.

Era per questo motivo che le sue paure le erano sembrate così insormontabili finora? Non ne avrebbe fatto più a meno allora. Avrebbe dimostrato a Thorn che un abbraccio era indispensabile tanto quanto il suo tocco al mattino.

Senza saperlo, nello stesso momento, anche Thorn stava pensando la stessa cosa. Tenerla stretta accanto a sé era una necessità che aveva dimenticato e alla quale aveva tutte le intenzioni di riabituarsi.





 


N/A: Anche se con una settimana di ritardo, ce l'ho fatta a pubblicare il capitolo. Dovete scusarmi, ma quando manca l'ispirazione e la testa è impegnata in altri problemi è difficile scrivere, soprattutto perché l'ultima parte di questo capitolo è stata particolarmente ostica. In pratica avevo era quasi interamente scritto per settimane, ma non riuscivo a finirlo. Purtroppo, questa è anche la mia unica storia in aggiornamento che sto scrivendo volta per volta - non ho capitoli in avanzo, in pratica. 

Spero che la mia descrizione di New Babel sia stata chiara, così come l'ultima parte in cui è Thorn ad aprirsi sul serio. Dal prossimo capitolo in poi ho in mente altri sviluppi. Ora non mi resta che mettermi a scriverlo. 

A presto e grazie a tutti coloro che seguono la storia e continuano a lasciarmi un pensiero o incoraggiamento! 💞

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Capitolo 9
*** Telefonata ***


 

 

 

Telefonata



 

Un paio di giorni dopo, ancora ubriaca di felicità per gli ultimi sviluppi e rendendosi conto che era arrivato anche per lei il momento di smettere di scappare, Ofelia decise di mandare un telegramma alla zia Roseline. Era dal suo ultimo viaggio attraverso gli specchi che non la contattava e si sentì in colpa per aver ignorato ogni missiva ricevuta in quegli ultimi mesi; capiva anche che, con ogni probabilità, sarebbe impazzita come una teiera rimasta troppo tempo sul fuoco appena avrebbe ricevuto il suo messaggio. Alla mamma non osava nemmeno pensarci: il rimorso e l’ansia le stringevano il cuore nel petto e chissà cosa aveva dovuto subire la zia Roseline da parte della sorella per colpa sua.

Quindi, con tutto il coraggio che riuscì a racimolare, cominciò il telegramma mantenendo un tono normale e tranquillo. In breve, non fece alcun riferimento alle novità e finse che quei mesi senza alcun contatto non fossero mai esistiti. Scrivendo, provò a immaginare che fosse una lettera scritta dopo appena una settimana di silenzio.

Riconosceva anche che il suo fosse un approccio codardo — molto codardo —, ma non si sentiva ancora pronta ad affrontare l’argomento. D’altronde, per quanto la zia fosse stata molto comprensiva dalla presunta morte di Thorn, sapeva che l’avrebbe pressata con le sue preoccupazioni non appena avesse ricevuto il messaggio. Aggiungere il ritorno del marito alla lista delle cose avrebbe solo peggiorato il tutto.

Meglio un passo alla volta, si disse. In tanti aspetti della sua vita stava cominciando a capire che era il modo migliore per agire.

Le chiese, dunque, della vita al Polo, dei cambiamenti che non aveva ancora avuto modo di vedere con i propri occhi, di Berenilde e della non più piccola Vittoria; si informò di Archibald e di come stesse proseguendo la sua malattia e, infine, volle sapere addirittura di Faruk. Mentre scriveva, non osò pensare ad altri due abitanti del Polo dei quali, in altre circostanze e in un universo parallelo, avrebbe potuto ricevere ancora notizie e che, specialmente quel giorno, le mancavano particolarmente. 

 

***
 

Quella sera stessa, in un’altra arca, la zia Roseline fissava imbambolata il telegramma appena ricevuto, mentre Berenilde tentava di coinvolgerla in conversazioni frivole e Vittoria la studiava con precisione. Roseline rileggeva quelle frasi scritte nero su bianco e non riusciva a credere ai suoi occhi. Tra i mille pensieri ansiogeni e arrabbiati — perché Ofelia era scomparsa da mesi, perché l’aveva lasciata nelle grinfie della sorella nonostante lei le avesse fornito tutta la comprensione e l’aiuto possibile in quei due anni — la donna non poté non notare il cambiamento.

Era la prima volta, da che la corrispondenza Polo—New Babel andava avanti, che Ofelia si era davvero interessata alla loro vita sull’arca fredda; ogni notizia e frase Roseline gliel’aveva dovuta cavare da bocca come si fa con una caramella al mou particolarmente resistente e attaccata ai denti. Evidentemente, rifletté mentre rileggeva, avrebbe dovuto fare così anche questa volta. Qualsiasi cosa fosse cambiata, Ofelia non ne faceva parola e andava avanti come se nulla fosse accaduto e lei non fosse sparita per mesi.

Berenilde interruppe improvvisamente il suo monologo, notando l’espressione allibita di Roseline. “C’è qualcosa che non va, cara?” E visto che l’amica non rispondeva, le prese senza altre parole il telegramma da mano. “Ah, Ofelia! Iniziavo davvero a preoccuparmi. È un’ottima notizia! Dici che vorrà finalmente stabilirsi in pianta stabile qui e accettare la mia proposta?”

“Nemmeno se cominciassi a masticare la mia preziosa carta!” sbottò quella. “Ma non finisce qui,” continuò strappandole di nuovo la lettera da mano. “Domani riuscirò a venirne a capo, e mi sentirà, vedrai se non mi sente!”

 

***

 

Com’era prevedibile, il giorno dopo Ofelia non era ancora del tutto sveglia quando nella casa si diffuse il trillo insistente dell’apparecchio telefonico. Thorn fece una smorfia, mentre la moglie subito correva ad alzare la cornetta, un groppo in gola, sapendo già chi aspettarsi dall’altro lato. La voce gracchiante e allarmata della zia le arrivò senza che lei avesse avuto almeno la possibilità di prendere fiato per annunciarsi. “Acciderbolina, Ofelia, cos’è successo?”

“Zia,” rispose lei mentre Thorn si materializzava accanto a lei. “Come state?”

“Non ci provare, signorina,” rispose la zia; Ofelia poteva immaginarla benissimo con la sua crocchia ordinata e gli occhi ridotti a due fessure. “Scompari per mesi, senza nemmeno avvisarmi e poi vuoi far finta che non sia successo nulla? Hai almeno idea di quello che ho dovuto passare con la tua povera madre? Mi stupisco che non sia ancora venuta a tirarti per le orecchie e sculacciarti come faceva quando eri bambina! E per non parlare dei pacchi indignati che mi arrivano qui al Polo. Con tutte le cianfrusaglie che tua madre ha collezionato e poi spedito qui la povera Berenilde ha un’intera stanza piena di scatole balzanti che non abbiamo nemmeno osato aprire! Mi meraviglio non siano in grado di sibilare come la vecchia teiera dello zio! E alla piccola Vittoria non ci pensi? Ha il terrore di avvicinarsi, la povera bimba!”

Ofelia lasciò che la zia proseguisse con la sua tiritera, allontanando la cornetta dall’orecchio per evitare di perdere anche l’udito, mentre il senso di colpa si faceva sempre più presente. Non osava immaginare cosa l’aspettava da parte della madre. Presto o tardi avrebbe dovuto affrontare anche lei.

Thorn, accanto a lei, alzò il sopracciglio in modo inquisitorio. Intuendo la domanda, Ofelia scosse la testa. No, non avrebbe ancora rivelato alla zia della presenza del marito, per lo stesso motivo per cui non l’aveva fatto via telegramma.

“Oh, e non farmi cominciare sul quel povero uomo che è tuo padre! Sarà anche molto comprensivo e silenzioso, ma come se non lo conoscessi. Lo hai fatto penare così tanto che mi stupisco non ci abbia ancora lasciato le penne!” Continuò la zia e Ofelia sussultò, capendo che era venuto finalmente il momento di interromperla.

“Mi spiace, zia,” le disse con il tono più cordiale possibile, “ho avuto molto da fare.” Si voltò per sorridere a Thorn, il quale non ebbe alcun problema a prendere la mano allungata di lei per stringerla.

“Oh,” fece Roseline, per un attimo interdetta dalla voce così leggera e diversa da quella che era abituata a sentire. Si era aspettata mille scuse e promesse che la giovane avrebbe infratto la prossima volta che sarebbe scomparsa. I dubbi aumentarono di conseguenza, ma schiarendosi la voce, decise di non rovinarle subito il buon umore. “Presumo che non mi dirai cosa questo gran da fare sia,” le disse, sospettosa.

“Beh, zia, davvero nulla di cui—”

“Per tutti gli antenati, Ofelia!” sbottò l’altra senza nemmeno farla finire — e probabilmente l’intento era quello. “Non dirlo nemmeno. È ovvio che ci preoccupiamo.” Si sentì in sottofondo la voce più aggraziata di Berenilde che approvava.   

“Ma io sto bene, zia, davvero. Sono stata oberata di lavoro e—”

Di nuovo, la zia non la fece concludere. “Hai cercato di scappare ancora una volta dai tuoi problemi attraverso quelle scartoffie? Insomma, Ofelia, mi costringerai a parlare con quel ragazzaccio. Dovrebbe avere più rispetto di te invece di assecondare queste strambe manie che hai sviluppato. Ci sono tante cose sane e più utili con le quali potresti intrattenerti, visto che ti ostini a non raggiungerci qui al Polo. Capisco la tua reticenza a non tornare ad Anima, ma, cara nipotina, non voglio più sentire che non rispondi ai miei telegrammi a causa di quel lavoro.”

“Va bene, zia. Ma ve lo assicuro, io sto bene,” le ripeté, sperando di farle capire che era così e scongiurare un altro attacco di panico che avrebbe potuto farle venire la malsana idea di venire a New Babel.

“Certo, tesoro, posso constatarlo da sola,” concordò la zia. Il suo tono si fece improvvisamente più basso e, subito dopo, la sentì singhiozzare. “Vorrei poterlo vedere con i miei occhi, sai. Non è solo a tua madre che manchi. Noi saremmo molto contente di poterti rivedere e ci sono tante cose che potresti fare qui al Polo. Lo so che il clima non è il migliore, ma è cambiato tutto da quando siamo arrivate insieme la prima volta. Prova a farci un pensierino; anche solo una visita per calmare il cuore di due donne sole.” In sottofondo, la voce offesa di Berenilde ribadì che lei non era affatto sola.

Sebbene la giovane riconoscesse facilmente il tentativo di giocare sulle sue debolezze, non poté evitare di pensare che, in fondo, la zia Roseline era davvero preoccupata per lei. Da parte sua, Thorn cominciava a stizzirsi. Non aveva mai sopportato di buon grado le chiacchiere incessanti e irritanti della zia di Ofelia e non in era in quel modo che aveva immaginato di passare la mattina. Era uno spreco di tempo ed energie. Per quel che lo riguardava, il telegramma che la moglie aveva perso tanto tempo a scrivere il giorno precedente sarebbe dovuto bastare come fonte di informazioni.

Lanciandogli uno sguardo di scusa, Ofelia rispose alla zia. “Va bene, zia, ci penserò. Cercherò di ritagliarmi un po’ di spazio.” Poi cercando di concludere il tutto con un’altra nota positiva aggiunse: “Sto cercando di godermi la vita qui a New Babel che è così tanta cambiata.”

“In più di due anni te la saresti goduta di più se non avessi perso tempo in qualche universo strambo tra uno specchio e l’altro,” borbottò Roseline. “Spero che questo cambio di umore sia dovuto in parte alla ritrovata consapevolezza che sprecare settimane e mesi in quel modo ti fa solo male alla salute. Sei più saggia di così, Ofelia.”

“Certo, zia, sono mesi che non attraverso uno specchio,” le riferì con una punta di acidità a cui la donna non fece assolutamente caso, troppo presa dalla notizia.

“Ah,” per un attimo perse anche l’uso della parola. “Mi fa molto piacere, cara.” Non avrebbe detto la stessa cosa se avesse saputo il motivo. “Fin quando attraversi gli specchi per comodità non vedo perché non dovresti farlo. Ma non voglio più vederti così abbattuta come ogni volta che torni da un viaggio senza risultati; il tuo spirito non lo sopporta più.”

Le sopracciglia di Thorn, a quel punto, sparirono sotto i ciuffi biondi che gli ricadevano sulla fronte; evidentemente c’era qualcosa che la moglie non gli aveva ancora detto riguardo i suoi viaggi. Le rivolse un’occhiata più dura per farle capire cosa ne pensava e Ofelia sorrise incerta, mentre ancora cercava di chiudere la conversazione con la zia. “Lo terrò a mente, zia. Ora se volete scusarmi, avrei un lavoro da sbrigare.”

“Ma certo, ma certo, cara. Ricorda di dire a quel ragazzaccio che deve lasciarti un po’ di tempo libero per uscire da quella casa asfissiante e piena di brutti ricordi. Sono sicura—”

“Lo farò, zia, grazie ancora.” E dopo quello, ormai stufa, avendo sopportato anche troppo, posò la cornetta dandole a mala pena il tempo di ricambiare il saluto e ripeterle di chiamare la madre.

Chiuse gli occhi e prese un altro grosso respiro. Pur essendosi aspettata una conversazione del genere, quella telefonata le era pesata parecchio, sia mentalmente che fisicamente. In più, ora l’aspettava qualcosa di più arduo.

Se avesse saputo che Thorn avrebbe ascoltato ogni cosa, avrebbe ricercato un po’ più di privacy. Non sapeva se era ancora pronta a raccontargli tutto ciò che era successo durante i suoi viaggi, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto confessarlo. D’altronde, c’erano ancora un sacco di cose da dirsi.

Poco importava ora. Non aveva altra scelta.

Si voltò infine verso il marito, il quale indossava ancora il suo caratteristico cipiglio, e gli sorrise incerta. “Il tè si sarà fatto freddo ormai,” disse facendo riferimento alla loro colazione ancora intatta sul tavolino, “metto sul fuoco altra acqua?” Senza aspettare una risposta si avvicinò alla cucina e riempì il bollitore mentre Thorn la seguiva con occhi da falco e poi tornava a sedersi. I minuti passarono in silenzio fino a quando un fischio non annunciò loro che l’acqua era pronta. Ofelia la versò nelle tazze, aggiungendo poi a ognuna del tè fresco, passando la più piena al marito; avvolse poi le dita attorno alla propria, come se avesse bisogno del calore della bevanda per riscaldarle, rifiutando ancora di incontrare lo sguardo di ghiaccio di lui.

Thorn non le mise per nulla pressione e aspettò che lei cominciasse a raccontare; quella specie di confessionale andava avanti ormai da tempo ed entrambi avevano imparato gesti e parole confortanti da riservare all’altro. Per smorzare il silenzio un po’ intimidatorio, l’uomo allungò la propria mano per coprire quelle di lei e vide le sue labbra incurvarsi un po’ in su. Era un sorriso un po’ amaro e la cosa lo preoccupò non poco.

In realtà, aveva paura di scoprire la verità su quei tanti viaggi attraverso gli specchi — non sapeva nemmeno quanti ne avesse davvero fatti — e non si era mai soffermato su cosa avesse dovuto sperimentare Ofelia per ritrovarlo. Era stato sempre preso da sensi di colpa maggiori e più evidenti. Ora, la frase della zia Roseline lo aveva preso in contropiede e non poteva più andare avanti senza sapere. Nonostante si sentisse un nuovo peso sul petto, non poteva vivere nell’ignoranza.

Era per lui che Ofelia aveva viaggiato imperterrita e il massimo che poteva fare era offrirle incoraggiamento.

“Non devi preoccuparti per me,” cominciò infine. “Ora sto meglio… molto meglio di prima… grazie a te.” Alzò finalmente lo sguardò per osservarlo. Ammetteva che quei mesi erano stati duri e non amava guardarsi alle spalle per quel motivo, ricordare chi era stata nel periodo antecedente e seguente la ricomparsa di Thorn. Tutti gli insuccessi le avevano fatto perdere la propria identità e si era sentita sempre meno degna di essere sua moglie. Ora non era più così. Giorno dopo giorno, permettendole di aiutarlo a sua volta, il marito le dimostrava quanto lei fosse l’unica persona meritevole di stargli accanto.

“È vero quello che la zia Roseline ha detto: soffrivo all’idea di non poterti trovare; attribuivo ogni mio fallimento a qualche incapacità personale e non al caso. Non potevo sapere dove sarei finita ogni volta che ne attraversavo uno, ma ingenuamente pensavo che fosse colpa mia se ogni viaggio non mi portava da te.” Ridacchiò, ma non c’era traccia di umorismo. “Con il senno di poi mi rendo conto di essermi fatta solo del male, ancora e ancora; era evidente che la cosa peggiorasse ogni volta che tornavo a mani vuote.” Abbassò lo sguardo su quest’ultime nascoste da quelle di Thorn. “La zia è solo preoccupata perché non sa che ho smesso, perché crede che andando avanti così continuerò a logorarmi e perdermi in me stessa.”

Thorn la fissò a lungo, comprendendo ogni cosa che lei gli stava dicendo. Si era fatta del male da sola, diceva; capiva anche quello. Era la forma di autolesionismo più facile da effettuare ed era anche troppo familiare. Tuttavia, non poteva non pensare alle implicazioni di tutto ciò. Era colpa sua, di lui, se si era fatta del male. Era per cercare lui che aveva proseguito fino a perdere se stessa. Il suo viso si corrucciò ancora di più e strinse la presa sulle mani di lei.

Ofelia capì subito cosa stesse accadendo nella sua mente e fermò quei pensieri dannosi sul nascere. “Non farai nulla di diverso se ora ti attribuisci colpe che non hai, Thorn. Pensavo che a, questo punto, fossimo oltre questo stadio. La colpa non è mia, ma neanche tua. È una conseguenza di tutto ciò che ci è successo. Pensi che avrei potuto convivere con me stessa se non ti avessi cercato a lungo? Che sarei stata meglio? No, le mie insicurezze e debolezze mi avrebbero ucciso molto prima. La verità è quei viaggi, per quanto logoranti, erano anche confortanti. Fin quando mi era possibile attraversare gli specchi ero consapevole di avere ancora una speranza, di poterti rivedere un giorno.”

“Questo non rende più consolante l’idea,” rimarcò lui.

“Sono stata anch’io nel Rovescio, Thorn, so cosa c’era dall’altra parte. Pensi che fosse confortante per me l’idea delle tue sofferenze in quel luogo? Nulla era semplice in quello stato delle cose — nulla lo è. Ho scelto il male minore e quello che ti ha riportato qui da me ora.” Si alzò infine e lo raggiunse dall’altra parte del tavolo senza interrompere il contatto visivo; i loro visi erano a pochissima distanza, le lunghe braccia di Thorn la sfioravano senza problemi. Se ne avesse alzato uno avrebbe potuto carezzarle una guancia senza difficoltà. “Rifarei ogni cosa d’accapo, Thorn. Nonostante abbia perso la coscienza di me, sebbene mi sia messa in dubbio anche troppo, se c’è una cosa che non mi è mancata dal momento in cui ti ho perso è la volontà di ritrovarti. Vedendo dove siamo oggi io e te,” disse indicando i loro corpi sempre più vicini, tanto da non esserci nemmeno un po’ di spazio, “come puoi dirmi che ti dispiace, anche solo con uno sguardo, di quello che ho passato?”

“Ciò non toglie che ancora una volta hai sofferto a causa mia.” Thorn si rabbuiò, come se ce l’avesse con lei perché non capisse le sue colpe, come se stesse cercando di giustificarlo quando scuse non ce n’erano.

“E tu sei finito dall’altra parte per colpa mia,” ribatté Ofelia, combattiva. “Stavi cercando di salvare me. Non ci serve a nulla ora questo ragionamento e nessuno dei due si pentirà mai delle scelte fatte perché, alla fine, ci hanno riportato qui dove siamo… insieme… ancora.” Si fece ancora più vicina, fino a che le loro ginocchia non cozzarono e le braccia di lui non la circondarono. Ofelia si sporse e Thorn inspirò profondamente, fino a quando la moglie, piccola e fragile, ma anche forte e coraggiosa, non si ritrovò seduta in grembo a lui.

Ofelia non poteva credere di trovarsi in una posizione così intima, dopo tanto tempo, e per un attimo chiuse ancora gli occhi, aspirando il profumo di lui e sentendosi protetta da quell’abbraccio, dal suo calore. Solo quando poggiò finalmente la guancia sul suo petto, Thorn tornò a respirare, gli occhi sgranati e il cuore che batteva impazzito. Era così forte che Ofelia non aveva difficoltà a sentire il suo thump-thump.

“Rifarei ogni cosa, Thorn. Passo per passo, graffio per graffio, dolore per dolore. Tutto. E forse le cicatrici sono così evidenti e scolpite in me che faccio fatica a riconoscermi, a rivedere la traccia di chi ero, ma cosa importa se ho ritrovato la parte più importante? Voglio essere tua moglie, Thorn, voglio riconoscermi in questo. Voglio esserti utile e starti vicino per ogni nuova consapevolezza e battaglia.” Si rendeva conto di avergli detto qualcosa di molto simile appena ritrovati, quando Thorn ancora faceva fatica a spiccicare parola, ma sentiva che lui aveva bisogno di risentire quelle stesse cose. “Se me lo permetterai,” aggiunse infine.

Lui strinse ancora di più le braccia attorno al suo corpo in risposta.

“Ti dispiace aver impedito che morissi, Thorn? Ti dispiace aver impedito al disegno di Seconda di diventare realtà?”

Thorn si ritrasse per un momento, come ferito da una supposizione simile. “È una cosa così illogica e impossibile che non riesco a figurarla. Non voglio sentirti parlare in modo così irragionevole,” le rispose, piccato.

Lei alzò il viso e gli sorrise. “E non è altrettanto irragionevole pensare che io mi penta di averti aiutato solo per paura di soffrire? È così difficile immaginare che io tenga ancora così tanto a te? Thorn…” alzò la mano per sfiorargli un ciuffo biondo, scostandolo e poi accarezzando la cicatrice che si trovava sotto, “i miei sentimenti sono sempre gli stessi, anche più intensi.

Questa volta fu Thorn a chiudere gli occhi, ogni particella del suo essere rigida e, per un attimo, Ofelia pensò di essere andata troppo oltre, di aver esagerato con il coraggio. Dopo aver preteso un contatto ancora maggiore tra di loro aveva sbagliato a fargli capire esplicitamente quanto lo amasse? Pensava di essere andata sul sicuro non pronunciando le parole esatte. E poi, tutte le azioni che aveva compiuto finora, non erano testimoni dell’intensità dei suoi sentimenti? Thorn dubitava ancora di lei o, meglio, dubitava ancora di lui? Le parole che pronunciò un attimo dopo contraddissero i suoi dubbi.

“Ofelia, mi dispiace di essere stato… illogico. Questi dubbi non sono degni di un uomo come me.” Riaprì gli occhi e la fissò così intensamente che un calore quasi dimenticato si diffuse in tutto il suo corpo, coinvolgendo anche parti non in uso da tempo. “Ma, se me lo permetterai, farò in modo che tu non abbia sofferto invano.”

Lei gli prese il volto a coppa e lasciò che continuasse a guardarla in quel modo; la faceva sentire così bene — dopo tanto tempo. Pensava di non poter raggiungere un piacere così profondo, sebbene sapesse che c’erano ancora cose da condividere, che tante sensazioni ancora più forti l’aspettavano. “So già che non ho sofferto invano, pensavo di avertelo già spiegato."

Thorn annuì con difficoltà, il volto stretto nelle sue mani. “Vorrà dire che te lo dimostrerò ancora.”

“Non vedo l’ora.” Sorrise, felice.

“Per la cronaca,” aggiunse infine, più serio che mai, “neanche i miei sentimenti sono stati scalfiti.”

A quel punto Ofelia tirò la testa all’indietro e rise, libera, mentre lacrime di gioia le inumidivano gli occhi e poi le rigavano il volto. Il suono arrivò alle orecchie di Thorn puro e melodioso; invase tutto il suo essere e lo riscaldò dentro.

“Sì,” concordò lei. “In fondo l’ho sempre saputo.”




 


 

N/A: Vi sarete resi conto anche voi, a questo punto, che le cose stanno prendendo una piega più veloce. Sono passati un po’ di mesi (ma sempre meno di un anno) e il loro percorso di guarigione diventa più facile man mano che ottengono dei risultati. Questo perché loro stessi ritornano sempre più a loro agio l’una con l’altro e diventa più facile osare se si ha a che fare con risposte positive. Senza considerare poi che sono passi che in passato hanno già fatto; riscoprono sensazioni che non sono più disposti a perdere. D’altronde hanno provato la vita da soli prima di conoscersi, hanno vissuto quella insieme e infine ne sono stati derubati. A questo punto, chi vorrebbe rinunciare?

E, ovviamente, è arrivato il momento di introdurre pian piano aspetti che non riguardano solo la loro vita di coppia, ma anche tutto ciò che li circonda e vedere un po' come se la cavano entrambi. 

Come sempre, vi ringrazio per i riscrontri che mi lasciate e per aver aggiunto la storia tra le preferite/seguite. A presto 💞.

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Capitolo 10
*** Artigli ***


Artigli
 

La vita nella vecchia casa di Lazarus continuava con i suoi alti e bassi. Le giornate proseguivano secondo una routine ormai prestabilita fatta di manutenzione e carezze nel primo mattino, lavoro prima di pranzo e brevi esplorazioni il pomeriggio. In mente, Ofelia aveva stilato una lista dettagliata delle cose più importanti e pressanti da risolvere, mentre lasciava negli angoli più reconditi ciò che la spaventava e non aveva ancora il coraggio di affrontare. All’alba si alzava e, dopo aver fatto alcuni esercizi di respirazione, sapeva che non doveva sentirsi in colpa e che tutto si sarebbe risolto con il tempo.

Thorn, dal canto suo, non voleva essere invadente nei momenti in cui la moglie aveva bisogno del suo tempo libero e tentava di riflettere e razionalizzare su se stesso e su ciò che doveva migliorare. Spesso e volentieri, però, le profonde ferite del passato intralciavano quel suo percorso psicologico e lo rendevo più scorbutico e di malumore, tanto da ricordare ad Ofelia quell’uomo freddo e rigido che era venuto a prenderla ad Anima la prima volta.

Fu durante uno dei giorni peggiori che lei si rese conto di una cosa fondamentale e alla quale nemmeno Thorn, con la sua impeccabile lucidità, sembrava aver fatto caso.

Era ora di pranzo e Ofelia aveva appena messo da parte il lavoro, decretando gli sforzi del giorno un fallimento; per quanto facesse, le era stato impossibile concentrarsi ed essere produttiva. Non solo aveva un terribile cerchio alla testa da quella mattina, ma Thorn sembra essere di un umore più tremendo del solito — per qualche inspiegabile motivo che non voleva rivelarle. Anzi, quando aveva provato a chiederglielo e insistere delicatamente, lo aveva solo intestardito di più. Spazientita, quindi, aveva chiuso i libri di sbotto, ottenendo un’occhiataccia dal marito che stava studiando chissà cosa accanto a lei nello studio, e dichiarato che sarebbe andata a preparare il pranzo per cambiare un po’ aria.

La sciarpa la seguì ugualmente scocciata, agitandosi un po’ più del solito, e il tappeto sotto i piedi di Thorn cominciò a solleticarlo troppo insistente poco dopo che lei ebbe chiuso la porta dietro di sé.

Solo quando, mezz’ora dopo, Thorn la raggiunse, Ofelia ebbe una rivelazione.

Durante quel breve lasso di tempo, il mal di testa della giovane sembrava averle dato un po’ di sollievo, ma arrabbiata com’era ormai anche lei, non ci aveva fatto troppo caso fin quando, all’arrivo del marito in cucina, il dolore non era tornato più martellante. E l’umore di Thorn non era per nulla migliorato, anzi.

Quando presero posto a tavola tentò di sondare il terreno senza essere troppo sfacciata o far infuriare ancora di più l’uomo, e con sorpresa, constatò anche che l’argomento non solo non era mai stato approcciato da nessuno dei due, ma lei non ci aveva nemmeno mai pensato. E ora si ricordava: Octavio non aveva lamentato mal di testa ogni volta che era andata a trovarlo insieme a Thorn?

Il marito, intanto, la guardava con sguardo critico e particolarmente intenso — cosa che stringeva di più quel cerchio alla testa — come se fosse consapevole del modo in cui le rotelle si stessero muovendo più freneticamente nella sua mente.

“Thorn,” cominciò lei, un po’ titubante, “pensi che potremmo parlare di una cosa?”

Lui mosse il capo, accompagnando al cenno un mezzo grugnito. Sperava solo che non gli chiedesse ancora una volta cosa non andasse per non doverle rivelare tutte quelle insicurezze che lo stavano sommergendo ed erano la causa del suo malumore. Era uno di quei periodi no del quale provava anche un po’ vergogna, soprattutto perché non amava rivelare quanta strada ancora dovesse fare, nonostante sapesse che Ofelia voleva solo aiutarlo e non l’avrebbe giudicato. Tuttavia, quello che lasciò le labbra della moglie un secondo dopo lo prese decisamente di sorpresa.

“Non ne abbiamo mai parlato da quando sei tornato, e mi chiedevo se fosse cambiato qualcosa per quel che riguarda il tuo potere familiare da che hai vissuto nel Rovescio.”

L’uomo arcuò un sopracciglio. “La mia memoria è perfettamente intatta se è questo ciò di cui vuoi sincerarti. Se hai bisogno di una mano per i tuoi lavori sono del tutto dis—”

Ofelia lo interruppe prima ancora che potesse finire. “No, no, non mi riferivo a quello. Piuttosto… all’altro tuo potere familiare, quello dal ramo di tuo padre.”

Thorn si immobilizzò con il cucchiaio a mezz’aria e, probabilmente, la domanda gli aveva anche svuotato la mente visto il sollievo dal mal di testa che seguì quel momento. Poi, ripresosi, appoggiò la posata in modo perfettamente angolare nel piatto fondo, avendo cura di non schizzare nemmeno una goccia di zuppa con il movimento, e pulì le labbra prima di riappoggiare il fazzoletto di stoffa sulle gambe. Il silenzio che accompagnò quei gesti sembrò durare in eterno per Ofelia che avrebbe tanto voluto potere mordicchiare i bordi dei suoi guanti. Impossibilitata, si attorcigliò le mani in grembo, tentando di non rovinarsi le labbra secche a causa del tic nervoso che aveva sviluppato in mancanza dei guanti da lettrice.

Quando sembrò riprendere il controllo di se stesso e negli occhi era possibile notare una consapevolezza che qualche secondo fa era assente, Thorn si schiarì la voce. “I miei artigli erano diventati un po’ instabili in seguito al nostro matrimonio,” cominciò. Ofelia annuì, ricordando benissimo quel quasi incidente quando lui ancora si faceva chiamare Sir Henry. “Ora, mi rendo conto che da parte mia c’è stato un errore incommensurabile; uno per il quale un uomo come me non ha scuse.” Mentre parlava era anche più rigido del solito e si ostinava a non incontrare lo sguardo della moglie.

Lei, invece, era indecisa se avvicinarsi o meno e offrirgli il suo confronto per quello che sembrava un argomento spinoso e anche difficile da sviscerare per Thorn. Alla fine, però, capì che sarebbe stato meglio non interromperlo e lasciarlo continuare.

“C’è stato un incidente nel Rovescio, uno al quale non ho mai pensato da quando sono tornato in questo reame. Un errore inscusabile, me ne rende conto — e potrei dirti che ci sono state questioni più rivelanti da risolvere, probabilmente la causa della mia dimenticanza, ma sarei un ipocrita.” Si schiarì ancora la voce. “Le cose sono mutate da allora e la mia mente non ha colto i cambiamenti. Ci sono poi state altre varianti che si sono intromesse in questo nostro percorso e hanno vanificato in parte questi cambiamenti, talvolta in meglio, talvolta in peg—”

A quel punto, notando come Thorn sembrava essere partito in quarta, Ofelia mandò all’aria il proposito di lasciarlo finire prima di interromperlo e allungò il braccio per sfiorargli il polso che si trovava accanto alla ciotola di minestra. In risposta, lui le scoccò un’occhiata tagliente che si ammorbidì non appena si rese conto di ciò che aveva fatto. Si schiarì una terza volta la voce per dissipare l’imbarazzo del momento e poi le fece un altro cenno della testa per darle il permesso di proseguire.

“Thorn, prima di andare avanti… di che incidente stai parlando? Cos’è successo?” La voce le uscì un po’ tremolante e il tentativo di nascondere il terrore dentro di sé per qualsiasi altra esperienza terribile lui avesse vissuto dall’altra parte non le riuscì bene.

“Ho incontrato mia cugina Vittoria nel Rovescio. Nell’aiutarla a tornare nel nostro mondo, mi sono anche reso conto di aver riacquistato il controllo dei miei Artigli. Almeno era così.” La fissò negli occhi in attesa di una reazione che non si fece attendere troppo.

Ofelia, infatti, trattenne il fiato e poi, ancora un po’ titubante, gli chiese ancora: “In tutto questo tempo hai avuto sempre il controllo degli artigli? Eri… eri tu prima che…?”

Qualcosa simile al rimorso attraverso gli occhi di ghiaccio di lui e Ofelia si pentì immediatamente di aver aggiunto quella seconda domanda. Poi Thorn scosse il capo. “No, non ne sono sempre stato in controllo. O meglio, forse sì, forse no.” Scosse ancora il capo. Quell’incertezza non faceva per lui e non si rivedeva in essa. Ma come poteva dire con sicurezza di aver sempre saputo utilizzare gli Artigli durante quei mesi in cui non era certo nemmeno di se stesso? Di chi era? “Ho avuto cose più importanti a cui pensare che a un potere per il quale ho sempre provato odio.” Si fermò e allungo l’altra mano per coprire quella della moglie. “Ofelia,” scandì, “mi dispiace non essermi accorto di ciò che stavo facendo; mi dispiace che tu sia stata vittima del mio umore traballante e, come ho già detto, non ho scuse.”

Lei in risposta gli sorrise. “Come dovrò farti capire che non mi devi alcuna scusa? Thorn, stiamo ancora imparando io e te… lo stiamo facendo insieme. Ma non vedi quanto è importante ciò che abbiamo scoperto oggi? Non ne capisci il significato?” Lo guardava meravigliata, e quel sentimento che aveva letto altre volte nei suoi occhi scuri sembrò ancora più limpido e chiaro. E all’improvviso quella chiarezza si riversò anche in lui, rendendolo partecipe di quell’epifania.

Quell’autocontrollo di cui pensava di non essere dotato, che credeva di aver perso definitivamente con l’aggiunta dell’Animismo della moglie, era sempre stato lì, ma forse per paura, forse per incertezza, Thorn non aveva mai voluto toccarlo. Ma era sempre stato lì, parte di lui, come quel potere che aveva ereditato da un padre mai conosciuto, qualcosa che aveva sempre odiato e disprezzato a causa del modo in cui quel ramo della famiglia lo aveva sempre usato, di tutte le implicazioni ad esso collegate. Aver perso se stesso durante e dopo la permanenza nel Rovescio era il motivo per cui Thorn aveva dimenticato e nascosto quel nuovo controllo e solo ora si rendeva conto di ciò che chiudere gli occhi aveva comportato. Aveva continuato a soffocarlo dentro di sé fino al momento in cui quella parte era scoppiata senza che lui se ne rendesse nemmeno conto. E la cosa peggiore era che sarebbe potuta andare peggio di un mal di testa. Perdere la presa saldi su sui nervi in quei giorni di umore un po’ instabile aveva fatto sì che usasse i suoi artigli sulla moglie e, se Ofelia non se ne fosse resa conto in tempo, lui avrebbe potuto anche…

Una smorfia orribile doveva essergli apparsa sul viso ora più cinereo del solito, rappresentazione del dolore che quell’idea gli aveva trasmesso, perché all’improvviso Ofelia era lì accanto a lui che gli teneva il volto tra le mani e lo esortava a guardarla. “Ehi, non è successo nulla, Thorn.”

Lui annuì.

“E tu non sei il tipo da riflettere troppo sul passato e sui piccoli errori.”

“Non sono nemmeno il tipo da dimenticare qualcosa del genere: la mia memoria da storiografo ha sempre impedito inesattezze del genere,” le rispose tagliente e Ofelia ridacchiò in risposta. Lui arcuò un sopracciglio.

“La vita perdona sempre, Thorn, soprattutto queste sciocchezze sulle quali non dovresti nemmeno soffermarti se non per non comprenderne il significato. Impara a non essere sempre così severo con te; non lo meriti. Piuttosto, non capisci? Ti sei riappropriato di una parte di te! Sei sempre più padrone di quel che sei.”

E la gioia negli occhi scintillanti di lei, tutto l’amore che provava per il marito, la fiducia che non aveva mai perso dovevano essere ormai trasparenti e così contagiosi che Thorn si sentì abbracciare da un calore invitante; avvolse il suo corpo lungo e sproporzionato e lo fece sentire ancora più sicuro, mentre due palmi altrettanto caldi continuavano a stringere il suo viso in una morsa. E lo sguardo intenso di Ofelia non gli diede la possibilità di distogliere il suo, lo costrinse a guardare bene il suo riflesso in quelle iridi scure; a vederlo così come lo faceva lei. Infine, gli trasmisero una sicurezza e fiducia in se stesso che gli altri avevano sempre cercato di strappargli per farlo sentire più piccolo — ancora più piccolo. Ma Thorn non era più un bambino abbandonato né un ragazzino sfruttato; non era il bastardo che non si guardava indietro per paura dell’odio che vi avrebbe trovato né l’uomo che doveva racimolare briciola per briciola fingendo di essere insensibile nel tentativo di trovare il suo posto nel mondo.

E tutto questo grazie a Ofelia.

Gli angoli delle labbra si incurvarono in su mentre lei continuava a rivolgergli quello sguardo brillante e un sorriso a trentadue denti.

Thorn era in totale controllo dei suoi artigli. L’animismo che aveva ricevuto dalla moglie non era un intralcio. Ma, soprattutto, non aveva paura di quella parte fondamentale di sé; Thorn non odiava quella parte di sé.

 

***

 

Nei giorni successivi quella scoperta influenzò positivamente l’umore di entrambi i coniugi e tutta la negatività che aveva contraddistinto Thorn scomparve. Non perché, all’improvviso, tutte le sue insicurezze erano sparite o perché non sentiva più di dover lavorare su alcune parti di sé, ma perché aveva compreso appieno il cambiamento avvenuto in lui. Ed era una crescita personale così importante da oscurare per il momento ciò che ancora non andava in lui — poiché  sapeva che c’era ancora qualcosa da correggere. E, allo stesso tempo, non voleva assolutamente adombrare il sorriso di Ofelia così fiera di lui.

E, a proposito di Ofelia, il loro discorso sugli Artigli e l’importanza di saperli padroneggiare, aveva ricordato a Thorn una cosa ancora più importante.

Così come lui aveva ricevuto la capacità di infondere vita agli oggetti e attraversare gli specchi, Ofelia aveva ereditato i suoi Artigli, un’arma che poteva essere tanto pericolosa per gli altri quanto il suo possessore se non la si sapeva usare. Il giorno in cui le suggerì di iniziare con le lezioni, lei si intestardì come non mai e rifiutò di parlargli per il resto della giornata. A Thorn sembrò di aver a che fare con una bambina, piuttosto che con una donna adulta e matura. E siccome i successivi tentativi non portarono a nulla e lui era un uomo determinato che non ammetteva un no come risposta — soprattutto quelli immotivati —, una mattina a colazione la incastrò prima ancora che lei potesse trovare possibilità di scampo.

Ofelia si agitò sulla sedia sotto il suo sguardo penetrante, cercando di distogliere gli occhi, ma Thorn non gliene diede modo. “Ofelia, non mi aspettavo un atteggiamento così infantile,” la castigò senza remore. Lei si contorse ancora un po’ sul posto e non rispose. “So che comprendi benissimo il motivo per il quale è importante per te imparare a controllare gli artigli.”

“Ah…” rispose lei. “No, ma ecco, non è che non voglio imparare. Però, sai… Octavio mi ha dato tanto da fare e—” Si bloccò, rigida, in seguito allo sguardo gelido che lui le mandò. Era stato a causa della scusa ridicola che aveva utilizzato o il nome che aveva pronunciato? Ma come poteva dirgli che aveva paura di quel potere quando, fino a qualche giorno fa, era stata lei a insistere che lui non doveva averne? Come poteva essere così ipocrita? Non che poi avesse mai intenzione di utilizzare qualcosa di così violento.

“Tutto il resto può aspettare,” pronunciò in un tono che non ammetteva repliche e dichiarava già conclusa la loro discussione. Ofelia allora abbassò il capo e afflosciò le spalle, sconfitta. Thorn non si fece impietosire né influenzare da quello che poteva essere in parte recita.  “Abbi rispetto di te stessa e del bene che provo per te, Ofelia. Imparare a controllare i tuoi Artigli significa anche difendere te stessa: non voglio che tu possa farti male accidentalmente né scoprire quali conseguenze potrebbe avere sul tuo animo il ferire senza volere qualcun altro. Fallo anche per me.”

Quelle parole la colpirono al cuore come una stilettata. Dovette ammettere che molto spesso Thorn era capace di utilizzare sempre quelle giuste e dimostrava di conoscerla come mai nessun altro. Ma, soprattutto, non le dispiacque sentirgli ripetere quanto l’amava e quanto era importante per lui. Come poteva rifiutarlo a quel punto? Poteva superare le proprie paure e venirgli incontro, proprio come aveva fatto lui?

Sì, poteva farcela. Nonostante il solo pensiero di utilizzare gli Artigli le desse la tremarella, le colorasse gli occhiali di giallo e rendesse silenziosa la stessa sciarpa.

 

***

 

Le lezioni non si rivelarono facili né Thorn era mai stato così ingenuo da pensare che lo sarebbero state. Ofelia era un’Animista, una maldestra e con zero coordinazione per giunta: padroneggiare gli Artigli era difficile già di suo, ma per lei lo sarebbe stato anche di più. E ogni volta che feriva il marito, scoppiava a piangere o cominciava a sciorinare scuse dopo scuse tanto da fargli venire mal di testa senza che utilizzasse quel potere. Eppure, ogni errore non faceva che convincerlo ancora di più della sua scelta. Se stava così male per un taglio durante le lezioni, come si sarebbe sentita se fosse successo senza che lei se ne rendesse conto?

In realtà, Thorn non credeva nemmeno che Ofelia avesse l’animo necessario per utilizzare a pieno gli Artigli e la cosa lo tranquillizzava perché rendeva gli errori ancora meno probabili. In più, la moglie gli aveva anche raccontato dell’incidente con la sua compagna di corso e quello aveva solo confermato le sue ipotesi.

Ma rimaneva anche vero che l’improbabilità era un fattore da non disdegnare quando si calcolavano errori, possibilità e percentuali. Thorn era un uomo che studiava le cose da ogni angolazione e non dimenticava mai nulla. Ciò significava che, per il suo bene, Ofelia doveva imparare a usare quel potere anche se non lo avesse mai utilizzato. E lui avrebbe fatto in modo che durante le loro lezioni la moglie non cominciasse ad odiare quella nuova estensione di se stessa. Lui in primis sapeva cosa significava odiare il proprio potere e non voleva che sperimentasse gli stessi sentimenti negativi. Si sarebbe dimostrato un maestro migliore di quelli che Godefroy e Freya erano stati per lui; migliore di zia Berenilde.

Le lezioni, dunque, entrarono a far parte della loro routine e, sebbene certi giorni Ofelia avesse solo voglia di scappare e tagliarsi di nuovo le dita — sebbene queste non avessero in realtà nulla a che fare con il potere di un Drago — non poté nemmeno negare i miglioramenti che arrivavano giorno dopo giorno, grazie soprattutto alla perseveranza del marito. Era un insegnante intransigente, il tono che utilizzava non era per nulla quello tenero del mattino quando la aiutava a infilare i guanti. Eppure negli sguardi che le riservava, nei gesti e soprattutto nell’impegno che ci metteva, Ofelia ebbe ogni volta l’ennesima dimostrazione di ciò che lui provava per lei.

Thorn l’amava, tanto quanto lei amava lui e il modo in cui glielo dimostrava giorno dopo giorno era l’unico incoraggiamento di cui l’Animista avesse davvero bisogno.




 


 


N/A: C'è chi dice che durante le vacanze sia riuscito/a a portarsi avanti con la scrittura, io mi sono portata avanti con la lettura — come dimostrato dalla mia assenza prolungata. Vi dovevo un capitolo prima di Natale che non è mai arrivato 🙈. La buona notizia è che il capitolo 11 è già scritto e sto già iniziando a scrivere il 12 quindi per i prossimi rispetterò senza ombra di dubbio la pubblicazione bi-settimanale. 

Intanto, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vi prometto sviluppi ancora più interessanti per i prossimi 🙊. 
E prima che l'epifania si porti definitivamente via tutte le feste, vi auguro un anno ricco di soddisfazioni in ritardo. Un abbraccio 🧡.

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Capitolo 11
*** Abbraccio ***


 

Abbraccio



Contemporaneamente alle lezioni, Ofelia e Thorn non dimenticarono le loro piccole esplorazioni giorno per giorno né rubarono il tempo ai loro rituali del mattino che erano sacri.  Quest’ ultimi erano i momenti durante i quali si lasciavano andare a qualche effusione accettata da entrambi, nonostante nessuno dei due osasse esprimere a parole quanto fosse importante. Ma, poi, ce n’era davvero bisogno? I gesti erano così espliciti che le parole sarebbero stato sprecate.

Thorn imparò ad essere anche un po’ meno rigido in presenza di Octavio e Ofelia lo convinse a risparmiargli i mal di testa. Ciò, ovviamente, non diminuì la gelosia dell’ex-intendente né la sua possessività nei confronti della moglie. Anzi, se le occhiatacce diminuirono, furono compensate da gesti più plateali che prima sarebbe stato impossibili e che lo stesso Visionario osservava incredulo.

Infatti, ogni volta che si trovavano tutti e tre nella stessa stanza, Thorn teneva accanto a sé la moglie, cingendole la vita con un braccio o tenendole una mano, sfiorandole la gamba o le dita. Era così poco da Thorn che la stessa Ofelia ne era rimasta interdetta la prima volta che era successo. Tuttavia, aveva evitato di esprimere la sua sorpresa a voce per paura che potesse ferire il marito o — gli Antenati potessero risparmiarla — fargli pensare che non desiderasse certe espressioni d’affetto, soprattutto davanti a Octavio.

Abituarsi poi non l’aiutò comunque: le guance e gli occhiali le diventano ogni volta scarlatti e doveva sempre trattenere le risate quando guardava l’espressione allibita dell’amico che continuava a vedere in Thorn l’ombra di Sir Henry. Non si poteva negare, d’altronde, che l’uomo rigido e di ghiaccio che Thorn era sempre stato rendeva impossibile pensare che potesse lasciarsi andare a certe effusioni davanti ad altre persone, in pubblico.

Eppure era lì il segreto.

Nessuno assisteva davvero a certe scene. Nessuno conosceva davvero quella parte gelosa di Thorn. Nessuno a parte Ofelia e Octavio, il quale era il recipiente delle sue minacce velate. Infatti, quella maggiore espansività era tutta a beneficio di Octavio e, in quel modo, Thorn trovava anche il coraggio di osare con la moglie e dimostrarle di più l’enormità del proprio sentimento.

Durante le loro gite, Ofelia portò il marito a incontrare anche il professore Wolf e Blasius, spiegandogli in che modo entrambi le erano stati d’aiuto, che il primo era un Animista come lei e il secondo un Olfattivo una volta impiegato nella Biblioteca, ugualmente vittima dell’osservatorio delle Deviazioni. L’incontro andò più liscio di quel che Ofelia avrebbe mai potuto sperare — se i suoi nervi a fior di pelle erano un modo per constatare quanto si era preoccupata. Non era tanto Blasius a impensierirla, essendo l’amico una persona abbastanza mite e anche un po’ fifona per certi versi, ma piuttosto il carattere più irascibile del professore.

Non ricordò a Thorn di non usare i suoi artigli — non credeva lo avrebbe fatto e, soprattutto, non voleva dargli modo di pensare che non avesse fiducia in lui perché non c’era nulla di così sbagliato —, ma lo pregò comunque di evitare litigi, mettendolo in guardia sul caratterino del professore. Il marito aveva creduto, per un momento, che quei due potessero essere altri due rivali e arrivò a chiedersi perché mai sua moglie avesse avuto solo amici di sesso maschile durante la sua permanenza a Babel, ma per fortuna i suoi dubbi furono subito dissipati.

Nonostante al Polo la pratica fosse fortemente scoraggiata e i colpevoli ostracizzati, non gli ci volle molto a comprendere che ciò che univa i due uomini davanti a lui era lo stesso sentimento che univa lui e Ofelia. Uno sguardo attento gli rivelò tutto ciò di cui aveva bisogno di sapere. A ripensarci poi, non capiva nemmeno come avesse potuto mai sentirsi minacciato da quei due. Quando infine si salutarono, dopo che Ofelia ebbe promesso a Blasius di tornare a trovarlo presto, Thorn li ringraziò a nome suo e di sua moglie. E mentre i due coniugi percorrevano il vialetto di casa Wolf a ritroso, il professore si voltò a guardare il compagno con occhio scettico e scuotendo leggermente il capo; Blasius aveva ancora un sorriso sul volto mentre osservava l’amica e il marito andar via.

“Come un’Animista possa stare così bene insieme a un Drago del Polo non potrò mai capirlo,” gli disse.

Blasius sorrise ancora di più. “Però sono molto carini insieme, vero?”

“Pff, carini… non chiamerai mai un Drago carino. Però, insomma, non avrei mai immaginato un uomo così rigido e freddo accanto a quella ragazzina. Eppure, per tutti gli Antenati, non ho mai visto nessuno più perfetto per l’altro.” Scosse un’ultima volta la testa mentre si voltava e rientrava in casa, seguito dal compagno.

Era così che apparivano a un occhio esterno Ofelia e Thorn: due persone agli antipodi che chiunque avesse avuto modo di modo di osservare solo per qualche secondo o di sfuggita avrebbe giudicato incompatibili. E, d’altronde, avevano ricevuto occhiate strane sin dalla loro prima esplorazione su New Babel. Eppure, così com’era successo al professor Wolf, e ancor prima a Octavio che li aveva visti nel momento del maggior bisogno, per chiunque potesse guardarli un po’ più attentamente i due non potevano essere più perfetti l’uno per l’altra. Si incoraggiavano nei piccoli gesti e nelle parole, si rialzavano grazie all’altro e si guardavano come se non esistesse nessun altro al mondo se non loro. La cosa sarebbe parsa addirittura diabetica.

E litigavano — oh, sì che litigavano, le loro personalità si scontravano così come aveva predetto una volta il prozio di lei —, ma ogni diverbio era motivo per migliorarsi, conoscersi e ritrovarsi. I contatti ormai abbondavano, sebbene mancassero ancora quelli più approfonditi, ma entrambi sapevano di non essere guariti del tutto per arrivare a quello stadio e che il momento si sarebbe rivelato a loro quando lo sarebbero stati.

Si accontentavano degli abbracci, le carezze, quegli sguardi che accendevano tanti piccoli fuochi in Ofelia e scioglievano il ghiaccio negli occhi freddi di lui. I sorrisi che lei gli rivolgeva lo svegliavano dagli incubi e dai momenti più negativi, e ogni volta che lui prendeva l’iniziativa e l’abbracciava, Ofelia si sentiva come la donna più felice di ogni arca. Nel complesso, il ritratto che offrivano ai passanti era peculiare: come riusciva quella figura così minuta a trovare rifugio in quelle braccia troppo lunghe, in uomo così grande e grosso? Ma per loro era tutto perfetto. Si sentivano sicuri nonostante la strada che ancora doveva percorrere.

Erano insieme. Tanto bastava. Di nuovo insieme. Anche un po’ di più.

 

***
 

A quel punto della loro storia, Ofelia e Thorn sapevano di aver compiuto grandi passi e che, nonostante ci fossero ancora questioni importanti da risolvere, altrettante grandi ferite erano state curate. Ora molte cicatrici erano sbiadite, bianche e non si notavano nemmeno se non le si cercava accuratamente. E, conseguentemente, cominciarono a guardarsi attorno e a notare altre cose che non andavano, cose che avrebbero potuto intralciarli nel lungo percorso che li attendeva. Soprattutto, capirono quanto grande fosse la casa nella quale vivevano adesso, quanto i ricordi negativi cominciassero a sovrapporsi a quelli positivi, rischiando di rigettarli nel baratro. La stanza nella quale si erano dati l’uno all’altra rimaneva chiusa e nessuno dei due osava entrarci; ciò che importava lo conservavano nella memoria e nel cuore e non avevano bisogno di un letto per ricordarlo.

Invece, quelle singole nelle quali continuavano a dormire la notte sottolineavano le persone rotte che erano state in quei primi sette giorni in cui si erano ritrovati; ricordavano loro le tante cose che sarebbero potute andare male se non avessero deciso di provarci. E i piccoli oggetti che parlavano dei vecchi abitanti rappresentavano la memoria dei momenti peggiori della loro vita, quelli che li avevano separati e spezzati nel profondo.

Era arrivato il momento per Ofelia e Thorn di lasciare la casa di Lazarus, ma, allo stesso tempo, concordarono che non erano ancora pronti a lasciare l’arca che era stata di Helena e Polluce e, quindi, cercarono un’altra soluzione che potesse adattarsi meglio alla loro situazione.

Fu cercando e riflettendo che l’Animista si ricordò di un documento che aveva letto un po’ di tempo prima riguardante una nuova legge volta a incentivare i giovani a sposarsi e creare una famiglia nei primi mesi di ricostruzione. Per il nuovo governo, famiglia e amore rappresentavano stabilità ed era quello che volevano offrire agli abitanti di New Babel, quindi leggi del genere non erano nemmeno inusuali in quel periodo. Fioccavano una dopo l’altra e offrivano un sacco di incentivi ai giovani e a coloro che avevano perso le proprie abitazioni.

Tra di queste, c’era la nuova legge che stabiliva la costruzione di piccole villette e appartamenti in blocchi, offerti in particolare a coloro che erano da poco sposati o il cui nucleo familiare consentiva di vivere in spazi più ristretti. Per Ofelia e Thorn che avevano vissuto in quella casa enorme per tutto quel tempo sembrò l’ideale. Liberando un edificio che invece sarebbe stato più comodo ad altre famiglie più larghe, e con l’aiuto di Octavio, si ritrovarono in breve gli affittuari di un piccolo appartamento al piano terra in uno di quei complessi appena costruiti.

 

***
 

Poche settimane dopo, i coniugi si trasferirono nel loro piccolo, nuovo, stabile costituito da una camera da letto, un bagno e una singola, più grande, stanza che fungeva al tempo stesso sia da cucina che da sala da pranzo.

Per Thorn che non aveva mai vissuto in un luogo così ristretto la cosa fu nuova, ma fin quando i soffitti erano abbastanza alti da permettergli di camminare senza curvarsi la nuova sistemazione non comportò lui alcun problema. Ofelia, invece, era cresciuta in una famiglia numerosa per la quale lo spazio personale era sopravvaluto e, messo piede nella nuova casa, esalò un sospiro di sollievo. Non era enorme, quindi non le trasmetteva il senso di oppressione e solitudine che aveva imparato ad associare a quella di Lazarus, ma era abbastanza per la vita di due persone sposate. E anche se non avrebbe avuto la comodità di una biblioteca per i suoi studi, poco importava. Era quello che faceva al caso loro.

La nuova sistemazione oltre a fornire l’aria nuova del cambiamento, li mise di fronte anche a una nuova scelta, una che presero senza rifletterci troppo e alla quale si abituarono subito, come se fosse la cosa più normale del mondo — e lo era.

In quel piccolo appartamento Ofelia e Thorn non potevano più scappare l’un dall’altra e, soprattutto, non potevano più allontanarsi arrivata la notte. La decisione fu presa ma, al tempo stesso erano divisi tra paura e desiderio; paura di spaventare il consorte facendo un passo di troppo, desiderio di non separarsi quando il buio arrivava e li sopraffaceva.

Ma quando entrambi si trovarono sulla soglia della camera da letto quella prima notte nessun incubo divenne realtà. Si prepararono per la notte senza proferire alcuna parola — come se anche una sola avrebbe potuto interrompere quel sogno — e, infine, raggiunsero il proprio lato del letto come se stessero semplicemente attuando un rituale vecchio come il mondo; come se ogni cosa fosse già accaduta milioni di volte e nulla fosse nuovo. Eppure, l’aria era più tesa del solito e la buonanotte che si scambiarono fu meno calorosa del solito.

Quando al mattino si svegliarono scoprirono che ognuno era rimasto a dormire dal proprio lato, sul bordo del letto per paura di poter invadere lo spazio dell’altro e compiere chissà quale errore. Anche i movimenti di quella giornata furono più impacciati e alla sera entrambi ne avevano abbastanza, soprattutto Ofelia il cui animismo nervoso sembrava aver preso possesso dell’abitazione dopo appena due giorni.

A letto, quindi, quando fu il momento di chiudere gli occhi, capirono che qualcosa andava cambiato e che a nessuno dei due quel “buonanotte” mezzo sospirato e mezzo sussurrato andava bene. Sempre rimanendo un po’ rigidi nella loro metà, come se un confine invisibile li dividesse e gli impedisse di raggiungere l’altro, allungarono le mani e se le sfiorarono, come a voler aggiungere a quella formula neutra il calore che la loro voce non aveva dato. Sembrò loro così tanto, eppure il giorno dopo il loro umore non migliorò ed era evidente che entrambi anelavano a qualcosa di più — qualcosa che dentro erano consapevoli di volere, ma per il quale mancava loro il coraggio.

Com’erano diventati d’un tratto così codardi?

La terza notte, quindi, le mani si fecero più coraggiose e si strinsero, rimanendo unite per tutta la notte. In quella posizione per nulla confortevole chiunque avrebbe detto che nessuno dei due poteva riposare bene e che, certamente, nel tentativo di sistemarsi ed essere più comodi, si sarebbero prima o poi divisi ritrovandosi di nuovi ai lati opposti. E al sorgere del sole sarebbero stati ancora più scontrosi, consci di un altro fallimento. L’alba portò, invece, due volti più riposati e un paio di mani ancora collegate. E il sorriso che Ofelia sfoggiò appena sveglia, quando pronuncio quel “Buongiorno” più vivace dei giorni scorsi, illuminò anche i suoi occhi, donando allo stesso tempo più colore alla casa e più buonumore alla sciarpa e a qualsiasi mobilio. Di conseguenza, quello stesso sentimento si trasferì all’ex-intendente che ormai viveva dei sorrisi della moglie.

Spente le luci la sera del quarto giorno, fu Ofelia a osare di più, rinvigorita dai momenti più positivi che aveva trascorsi. Dunque, non si fece problemi a invadere lo spazio di Thorn, dormendogli accanto, su un fianco, per tutta la notte, e il calore che il suo corpo emanava donò all’uomo una notte di sonno continuo e un risveglio senza occhiaie. Ma fu il quinto giorno da quando si erano trasferiti a rappresentare il vero cambiamento, la nuova tappa nella loro nuova vita e che, allo stesso tempo, stabilì una percentuale ancora più bassa di fallimento. A quel punto, fare passi indietro era pressoché impossibile.

Ofelia era stata un po’ nervosa per tutta la sera e quando si era preparata per la notte si era data un piccolo discorso di incoraggiamento davanti allo specchio. Se Thorn non aveva dato segni di essere disturbato dalla sua presenza quel mattino, allora non gli sarebbe dispiaciuto se avesse di nuovo invaso il suo spazio quella notte, vero? Si era resa conto che era stata la prima volta, da prima che quell’arca avesse aggiunto il prefisso “New” al nome Babel, in cui aveva dormito veramente bene, senza svegliarsi o fare incubi. Non si era mai sentita così a suo agio e tranquilla al risveglio. Tutto ciò poteva — doveva — significare qualcosa.  

Determinata, raggiunse dunque il marito che era già sotto le coperte, un libro di calcolo in mano e l’orologio da taschino nell’altro — forse controllando quanto tempo la moglie impiegasse in bagno e quanti secondi avrebbe dovuto aspettare prima di cominciare a preoccuparsi e chiamarla per sincerarsi che stesse bene.

Gli sorrise e fece il giro per salire dal suo lato. Poi, tirata la cordicella della lampada, poggiò con attenzione gli occhiali e la sciarpa sul comodino e si girò verso la figura ora meno nitida del marito. Superò il confine invisibile e si sistemò di nuovo su un fianco; inspirò profondamente, trattenendo il fiato come aspettandosi chissà quale diniego da parte sua, e quando niente di ciò avvenne, esalò e si avvicinò ancora di più. Quella parte del letto sembrava scottare ancora di più e Thorn lontanissimo sebbene li separassero solo pochi centimetri. Lui, intanto, rimaneva rigido, libro e orologi dimenticati, in attesa di una mossa, incapace di fare altro se non contare il numero dei loro respiri e tentare di calcolare di quanti gradi la temperatura si era inspiegabilmente alzata.

L’animista continuò ad avvicinarsi fin quando non incontrò quel muro costituito dal marito, il suo corpo immobile. A quel punto la conta dei respiri si interruppe per entrambi e sembrò che un’eternità passasse prima che riprendessero a respirare normalmente. Infine, accadde solo quando il braccio di lui cinse la vita di lei e la strinse più a sé, così forte e così teneramente, come se avesse paura che potesse scappare da un momento all’altro, come se Ofelia potesse ripensarci e tornare da quell’altro lato che sembrava ora così poco invitante e freddo. Quando la giovane esalò ancora, il suo fu un sospiro felice. Appoggiò il capo su di lui e ascoltò il suo cuore battere più veloce del solito, finché non tornò alla normalità e l’alzarsi e l’abbassarsi del suo petto non divenne regolari.

Si addormentarono subito dopo. Due persone diverse e al tempo stesso le stesse di sempre.



 



N/A: Salve a tutti ❤. Lo so che questo capitolo è poco dialogato, ma a volte sono del parere che alcune cose sono meglio descritte che dette, quindi spero che la cosa non vi sia dispiaciuta. 
Come vi avevo promesso l'ultima volta ci sono grandi cose all'orizzonte e questa era una di quelle. Ma non finisce qui, ovviamente 😌. 

Spero il capitolo sia stato di vostro gradimento e di leggervi nei commenti. Un abbraccio e presto! ❤

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Capitolo 12
*** Lettera ***


Lettera

 

Quel tardo mattino il piccolo appartamento al piano terra era più disordinato e movimentato del solito.

La mobilia fremeva d’ansia e di energia mal distribuita, le stoviglie chiacchieravano incessantemente come a voler consigliare un abitante in particolare e i pezzi di carta stropicciati, pieni di inchiostro ormai sprecato, sguazzavano per terra come pesci senza acqua. Infine, la sciarpa sbuffava e si annodava, schiaffeggiando con vigore la sua amica di sempre a intermittenza per renderle chiaro quanto il suo umore non le andasse a genio.

Il motivo di tanto trambusto era infatti l’ansia e l’indecisione di Ofelia che quel giorno aveva deciso di portare a termine un compito che da tempo rimandava: scrivere una lettera ai genitori.

Il fatto che attorno a lei vigesse il caos, però, dimostrava che niente stava andando come avrebbe voluto e l’esasperazione aveva influenzato ogni oggetto in quello spazio, prima fra tutti la sciarpa che quasi la strozzava nel tentativo di colpirla.

Il tutto, ovviamente, stava mettendo a dura prova i nervi saldi — e gli artigli — di un certo ex-intendente che era sul punto di prendere delle forbici e sminuzzare la sciarpa colpevole nei confronti della moglie. In realtà, a ben dire, Thorn avrebbe già volentieri distrutto quell’ammasso uniforme di lana colorata se non fosse che le forbici da cucina facevano parte di quel gruppo di stoviglie che stava cercando di consigliare Ofelia. Si agitavano così tanto che l’uomo aveva ormai capito che, a meno che non avrebbe voluto ritrovarsi con qualche falange in meno, doveva rinunciare ad afferrarle. Aveva dunque preferito continuare a osservare quell’indumento pestifero con due occhi gelidi ridotti a fessure mentre, contemporaneamente, elencava nella mente tutti gli altri modi in cui avrebbe potuto finirla.

L’immagine paradisiaca di un mondo senza sciarpa, però, gli sembrava troppo bella per essere vera e aveva abbandonato quella fantasia quasi subito perché lui era un uomo pratico e razionale che non si lasciava andare a sogni irrealizzabili.

Ma quello scenario li riportava, soprattutto, a una figura incurvata sulla piccola scrivania in legno al centro del salotto.

Ofelia continuava a fissare il foglio di fronte a sé come se si aspettasse di ricevere un segno divino dagli antenati. Aveva la penna alzata a metà e, accanto, il calamaio che continuava a danzare da un posto all’altro, lasciando schizzi di inchiostro un po’ ovunque nel tentativo di dimostrare il suo entusiasmo e la voglia di essere messo a lavoro. Era ormai il quinto che la giovane utilizzava — gli altri, ormai spenti e delusi, si erano suicidati tempo addietro e giacevano a terra insieme alla carta stropicciata e sporca — e il marito si chiese dove avesse nascosto quella scorta fino a quel giorno e quanto ancora sarebbe durata quella pantomima.

“Hmph,” sbuffò Ofelia. “Abbiamo deciso che ‘Cari mamma e papà,’ è perfetto come inizio, giusto?” gli chiese tutto d’un tratto.

“No,” rispose perentorio Thorn. “Continuo a essere dell’idea che un ‘Egregio signor Padre e signora Madre’ sia una formula più adatta al tipo di missiva che vuoi inviare.”

Ofelia sbuffò ancora. “È troppo formale, Thorn, te l’ho già detto! Se scrivessi così mia madre si accorgerebbe subito che qualcosa non va e noi non vogliamo suscitare dubbi non necessari, vero? Già l’intera situazione è ingestibile così com’è.” Si spostò un ciuffo ribelle dagli occhi e, inavvertitamente, lo macchiò dell’inchiostro in più rimasto sui guanti metallici.

L’uomo fece una smorfia, come se solo l’idea di utilizzare una formula così poco aggraziata come quella scelta da Ofelia fosse inconcepibile. “Per lo meno, considera invertire i due nomi,” concesse infine. Non voleva nemmeno pronunciare le parole ‘mamma’ o ‘papà’ per quanto inappropriate.

Di rimando, Ofelia rabbrividì. Se avesse davvero fatto come il marito le suggeriva, avrebbe solo scatenato l’ira della madre. Non voleva nemmeno immaginare che cosa avrebbe urlato se, dopo più di due anni, avesse finalmente ricevuto una lettera dalla figlia e quella cominciasse con ‘Cari papà e mamma’.

“Bene,” proruppe di nuovo Thorn, anche se nulla andava bene, “per lo meno abbiamo deciso di utilizzare questa formula? Possiamo proseguire?” Era già da un’ora che la donna andava avanti così solo per scegliere l’intro della sua lettera e lui, abituato a svolgere il tutto in tutt’altro modo, sentiva l’esasperazione aumentare di secondo in secondo. E infatti, in parte era anche lui colpevole dell’agitazione dell’intero appartamento, sebbene il suo animismo non facesse guai quanto quello della moglie.

“Ehm… ecco,” provò a dire Ofelia, mordendosi un’altra pellicina del labbro inferiore e ritraendosi di scatto a causa dell’ennesimo schiaffo della sciarpa.

Thorn spostò allora il suo sguardo gelido verso di lei e la sfidò a dire che era ancora indecisa. Ofelia sussultò e si affrettò ad annuire. “Sì, certo, va bene; possiamo andare avanti.”

“Bene,” ripeté lui. “Ora, credo che sia doveroso proseguire con una frase che esprima tutto il tuo pentimento e dispiacere per avere fatto preoccupare i tuoi genitori ed essere stata la causa del loro struggimento interiore. Se ti mostri sufficientemente affranta ci sono più possibilità che tua madre ne rimanga così colpita da dimenticarsi, per il momento, di tutto il rancore che sicuramente ora prova a causa della tua assenza.” Ofelia era convinta che niente e nessuno avrebbero fatto dimenticare a sua madre di come la figlia degenere era scomparsa per due anni, ma lo fece comunque continuare. “Introdurrei il problema con ‘comincio questa mia missiva mandandovi le mie sentite scuse per la condotta deplorevole che ho condotto sino a questo momento e-”

“Thorn!” esclamò lei, interrompendolo.

“Cosa?” volle sapere il marito. “Non ti sembra adeguato? Hai ragione, forse non è il miglior modo per cominciare. Sarebbe meglio ‘chiedendo venia per-”

“No, Thorn!” lo interruppe ancora, poggiando sulla scrivania la penna e girandosi a guardarlo, allibita. “Non posso scrivere nulla del genere; non ho mai parlato in questo modo. Se cominciassi con frasi del genere chiunque riconoscerebbe la tua firma!”

Thorn arcuò un sopracciglio. “Credo che sia alquanto improbabile. Nessuno della tua famiglia è abbastanza familiare con il mio modo di scrivere.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Ma hanno familiarità con il mio! E ti assicuro che cominciassi chiedendo venia, due domande se le farebbero. Inoltre, chiunque ti abbia incontrato almeno una volta può immaginare che è proprio il modo in cui parleresti tu.”

In realtà, se Ofelia avesse davvero scritto qualcosa del genere, la madre e la sorella avrebbero probabilmente pensato che fosse ammattita definitivamente e non avrebbero fatto alcun collegamento con Thorn. Ma era piuttosto buona la sua conoscenza del marito da pensare che chiunque avrebbe subito riconosciuto determinati vocaboli come quelli di Thorn.

“Cercavo di aiutarti ed evitare che questo,” indicò l’ennesimo foglio che si era appallottolato da solo e stava conducendo insieme agli altri una partita di calcio, “andasse avanti ancora per giorni,” sbottò in parte offeso.

A quel punto la donna non resistette più e, guardando l’espressione seria sul volto del marito, scoppiò a ridere. L’intera stanza si immobilizzò e tutti i sentimenti negativi dati dalla frustrazione sparirono. Continuò a ridere di cuore, pensando a quanto fosse carino l’uomo con quell’espressione accigliata dedicata solo a delle palle di carte. Per un attimo, Thorn fu preso in contropiede come ogni oggetto della stanza e non seppe più come comportarsi. Poi la fissò ammaliato, ammirando il modo sereno e libero con cui si stava lasciando andare. Gli angoli delle labbra si incurvarono in su e cercò di ricordare l’ultima volta che l’aveva vista così felice e spensierata. Non ci riuscì; era passato così tanto tempo.

“Oh, Thorn, ha ragione,” gli disse infine, tra un singhiozzo e l’altro dato dalle risate, “hai perfettamente ragione.” Si rigirò ancora verso la scrivania e mise il tappo sul calamaio che tentò inutilmente di scappare. “Credo che per oggi sia abbastanza,” decretò, il tono gioioso.

L’intendente di una volta sarebbe stato oltraggiato da tale risoluzione, soprattutto dopo tutto il tempo sprecato senza concludere niente e perché lui non lasciava mai un compito inconcluso o lo rimandava. Però, il Thorn di oggi, quello che rinasceva giorno dopo giorno a New Babel, lasciò perdere la cosa.

D’altronde, era abbastanza intelligente da constatare quanto quell’attività stesse logorando i nervi di entrambi. Avrebbe preferito mille volte sentire la sua risata cristallina e ammirare quel sorriso luminoso.

Annuì e insieme a lei cominciò a raccogliere ogni pezzo di carta che sovrastava il pavimento del loro soggiorno-cucina.

 

***  

 

Il giorno dopo, di buon’ora, Ofelia decise di chiamare ancora la zia Roseline alla quale aveva promesso di non sparire di nuovo e di tenerla costantemente aggiornata. In più, voleva assicurarla che era sulla buona strada — beh, non proprio buona — per scrivere ai genitori e che, quindi, a breve non avrebbe più dovuto preoccuparsi di ricevere pacchi bomba dalla sorella.

“Ofelia, cara,” esordì una voce squillante che non era quella di Roseline. “Ho immaginato subito fossi tu. L’ho detto a Roseline questa mattina e il mio istinto non sbaglia mai; le ho detto che oggi ci avresti chiamate.”

L’Animista e il marito accanto a lei furono presi alla sprovvista, soprattutto quest’ultimo che improvvisamente sentì il senso di colpa invaderlo.

“B-Berenilde,” rispose Ofelia, schiarendosi poi la voce. “È un piace sentirvi,”

“Oh, ovviamente, cara Ofelia, ovviamente è un piacere,” continuò l’altra come se fosse, per l’appunto, normale che la giovane trovasse piacere nel risentirla. “Quando hai chiamato la prima volta non potevo credere alle mie orecchie; sapessi quanto dolore ci hai causato,” disse ancora portandosi una mano al petto. “Eravamo entrambe così in pena per te! Saremmo venute a trovarti molto prima se non fosse per i mille impegni che ci trattengono e, poi, non volevo imporre alla mia piccola Vittoria un viaggio così lungo ed estenuante. Spero che tu possa capire, cara Ofelia. Sapessi quanto stressante è già la vita qui al Polo ora che molte cose sono cambiate,” sospirò spostandosi la mano alla fronte. “L’ansia che io e tua zia provavamo per te non ha fatto che aumentare il nostro malessere interiore,” aggiunse, apparentemente ignara dell’effetto che quelle parole avevano sul senso di colpa della coppia. “Ma, fortunatamente, questa tua inaspettata chiamata ci ha risollevati tutti d’animo. Persino il signor Archibald che ormai ha più giornate no che altro ha dato subito segni di miglioramento non ha appena ha sentito il tuo nome. Ovviamente, per farlo contento gli abbiamo detto che avevi chiesto di lui; spero non ti dispiaccia, cara Ofelia. Saresti così gentile da mandargli un saluto? Sai che non mi piace mentire, e faresti davvero un’opera di bene ad averlo nel tuo cuore ora che la malattia lo sfinisce giorno dopo giorno.”

Sembrava che il monologo della donna non volesse proprio concludersi e Ofelia non sapeva dove mettere bocca, colpita così com’era dalla valanga di informazioni.

“Ah, ma sarai contenta di sapere che non rischia grandi cose, cara Ofelia. La malattia lo deperisce, ma il medico ci ha assicurato che non morirà tanto presto. Certo giorni mi affliggo per lui, povera anima. Dopo essere stato tagliato dalla Rete ne ha passato di tutte. Però la mia dolce Vittoria gli risolleva ogni giorno l’animo; sarebbe difficile altrimenti visto quanto è preziosa. Non è vero, Ofelia? Certamente concorderai con me,” le disse, nonostante Ofelia non vedesse la propria figlioccia da più di due anni, quasi tre. “Ma ora che anche tu sei resuscitata da questa fase di negazione, Archibald ne sarà sicuramente contento. Inoltre—Ofelia? Cos’è stato quel rumore?”

“Oh, nulla, Berenilde, nulla,” si affrettò a dirle Ofelia mentre lanciava un’occhiataccia al marito colpevole del ringhio che la donna aveva sentito. Evidentemente, la gelosia nei riguardi di Archibald non era stata scalfita da quella provata per il Visionario. A quanto pare, Thorn aveva abbastanza spazio nel suo cuore per odiare entrambi allo stesso modo, anche se forse Archibald meritava di più quel sentimento rispetto a Octavio.

“Avrei giurato di aver sentito un suono… oserei dire… maschile.”

Cosa?” Ofelia sentì chiaramente lo squittio acuto proveniente dalla zia Roseline. “Cara, dai a me questa cornetta, perdindirindina! Hai parlato anche abbastanza,” continuò strappandole il telefono di mano. E Ofelia era sicura glielo avesse strappato, perché in sottofondo sentì anche le due donne litigare per l’oggetto. Alla fine la zia vinse, ma senza uscirne indenne. “Ah, Ofelia, cosa mi tocca sentire! Un uomo? Cosa ci fa un uomo in tua compagnia e senza chaperon? — Oh, insomma, Berenilde! Non posso nemmeno pensare con questo mal di testa! Smettila di fare la bambina.”

Ofelia sbuffò. Quella telefonata continuava da quasi venti minuti e non aveva ancora avuto modo di parlare. Per quanto ancora le due donne avrebbero mandato avanti una conversazione tra loro senza darle spazio? “Zia,” la interruppe, “prima che voi possiate dire altro vi confermo che non c’è nessun uomo con me la cui compagnia possiate giudicare inappropriata.”

Mezza bugia. D’altronde, Thorn era suo marito e la zia non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla.

“Ah, tu non me la racconti giusti, Ofelia. E quel ragazzaccio che continua a darti tanto lavoro da fare? Spero che tu non l’abbia mai incontrato da sola o in luoghi poco consoni al tuo stato,” la redarguì. “Lo sai che queste cose sono importanti, nipotina. Quante volte devo dirtelo?” La giovane Animista immaginava anche l’occhiata di disapprovazione che la zia indossava al momento, accompagnata al tono.

La stessa che le stava lanciando Thorn accanto a lei, al solo pensiero della moglie sola con il Visionario.

“Ma n-no, zia, che dite,” balbettò per un attimo, sotto il peso di quello sguardo. Poi si schiarì la voce. “Pensate che potrei infangare così la buon’anima di mio marito?” esclamò, oltraggiata, e giocando sui sensi di colpa — e non le dispiacque nemmeno, considerando le volte in cui le due dall’altra parte della cornetta avevano utilizzato la stessa tattica su di lei.

La domanda zittì subito Roseline, la quale sussultò come colpita da uno schiaffo — o da una sciarpa particolarmente animata. “Oh, Ofelia, non avrei mai! Oh, certo che no, nipotina mia. Non mi permetterei mai.”

“Oh, no, zia, non aggiungete altro,” continuò la ragazza, tirando su con il naso per finta, “non vorrei portare avanti l’argomento.” Thorn la guardò ancora con disapprovazione.

“Certo, Ofelia, cara, ma certo. Ne hai già passate tante e ora ti sento così rinvigorita. Sentire la tua voce più gioiosa è come un balsamo per la mia anima — non quello che Gertrude, la figlia della cugina Penelope, si ostina a utilizzare ancora. Non vuole proprio capire che con quello sporco nido di uccelli che si ritrova in testa nemmeno i fantastici esperimenti del cugino Geremia avrebbero mai effetto.” Ofelia alzò gli occhi al cielo e si chiese quanto ancora sarebbe durata. “Ma non preoccuparti, non riaprirò l’argomento, soprattutto ora che sembra tu abbia po’ superato la cosa.”

La giovane digrignò i denti e ricordò che la zia era ancora convinta che Thorn fosse disperso e, per quanto ne sapessero gli altri, morto.

“Grazie, zia,” annuì nonostante tutto. “E mi rallegra sapere che anche voi state bene — voi e Berenilde, ovviamente.” E prima che Roseline potesse cominciare l’ennesimo discorso strappalacrime su quanto fosse lieta di risentirla più felice, aggiunse: “Oltre a farvi avere mie notizie come vi avevo promesso l’ultima volta, la mia chiamata ha anche un altro scopo.”

“Oh? Cosa mai sarà successo?”

“Ho cominciato a scrivere ai miei genitori. Non appena la mia lettera sarà pronta, la spedirò da voi al Polo. Spero che vogliate farmi il favore di mandarla ad Anima da lì e di non essere un peso.”

“Ofelia,” cominciò la zia con tono più ferreo di prima, quello che di solito utilizzava quando voleva riprenderla. “Non voglio sentirti dire che sei un peso, è chiaro? Non ti racconto mica di tua madre per farti sentire in colpa. Per chi mi hai preso?” sbottò, oltraggiata.

Ma per quanto dicesse, Ofelia era sempre convinta che sia Roseline che Berenilde volessero farla sentire un po’ in colpa. Ciò nonostante, apprezzò quanto detto. “Va bene, zia, mi dispiace avervi offesa.”

“Quisquilie! Ora, sono molto contenta di sentire che stai scrivendo ai tuoi genitori. Cos’altro mi racconti? Stai respirando aria pulita? Sei ancora in quella vecchia causa opprimente e cupa? Quando ti deciderai a tornare al Polo?”

Alzò di nuovo gli occhi al cielo e ponderò se fosse saggio rivelare alla zia del suo trasferimento senza farsi scappare altro. “Faccio lunghe passeggiate ogni giorno, zia,”

“Bene, bene, mi fa piacere. Hai almeno un’accompagnatrice? Mi duole il cuore pensarti tutta sola laggiù. Se ora fossi qui al Polo potremmo farle insieme.” Sospirò.

“Ci penserò, zia,” tagliò corto Ofelia che ormai stava cominciando a scocciarsi. Thorn, lì accanto, ci aveva già rinunciato. “Ora devo lasciarvi: il lavoro mi chiama e sì,” aggiunse prima che Roseline potesse raccomandarle di chiedere a Octavio di ridurle il carico, “parlerò con il mio amico per poter lavorare di meno. Buona giornata; saluti anche a Berenilde.”

Posata la cornetta, emise un lungo sospiro esasperato e afflosciò le spalle, come se la telefonata l’avesse stancata anche fisicamente — com’era vero, d’altronde.

“Deve andare per forza così ogni volta che chiami tua zia?” chiese Thorn, altrettanto esasperato.

Ofelia scoppiò a ridere nonostante tutto, poi fece spallucce. “Almeno adesso siamo ancora in due arche separate. Pensa a quando torneremo al Polo,” scherzò.

Non avevano ancora parlato della cosa né sapevano quando sarebbe accaduto, ma erano consci del fatto che prima o poi il momento sarebbe arrivato.

Non avrebbero potuto continuare a scappare dai loro parenti per sempre.

 

*** 

 

Da quando si erano trasferiti, Thorn aveva continuato a insistere nel darle un mano laddove possibile, nonostante non fosse per nulla abituato a compiere certi compiti. Il più volte l’aiuto glielo dava in cucina ma, a differenza di quella che avevano nella vecchia casa di Lazarus, questa nuova era molto piccola e spesso e volentieri i due sposi finivano per scontrarsi. Il corpo dell’uomo, infatti, per quanto magro, risultava sempre un po’ ingombrante — non che a Ofelia dispiacesse davvero scontrarsi con lui. In realtà, apprezzava il fatto che non si ritraesse, ma cercasse sempre di più il contatto.

Era così appagante vivere quella nuova vita e, talvolta, si chiedeva quale sarebbe stato il prossimo passo. Dentro di sé aveva qualche speranza, ma non osava contemplarla troppo per paura di rimanere delusa. Non sapeva quando certe cose sarebbe successe, per quante volte potesse sognarle o immaginarle.

Una di quelle sere, Thorn e Ofelia avevano le braccia affondate nell’acqua piena di schiuma e, per disappunto di lui, molta era finita anche addosso a loro, bagnandoli dalla testa ai piedi. A un certo punto, l’Animista ci aveva anche preso gusto e aveva aumentato il numero degli incidenti, consapevole che, a parte qualche occhiataccia, il marito non si sarebbe lamentato poi troppo. Stava giusto ridendo di cuore alla vista dei suoi ciuffi biondi bagnati e quegli occhi di ghiaccio che cercavano di ammonirla, quando accadde.

Thorn si immobilizzò di nuovo nel vederla ridere di gusto e trattenne il fiato, godendosi quella vista. Poi, come colto da un fulmine, il suo corpo si piegò e un attimo dopo la stava baciando. Chiuse gli occhi e premette saldamente le sue labbra fredde contro quelle calde e semiaperte di lei, pregando che quel suo gesto avventato avesse un riscontro migliore del loro primo bacio.

E mentre riversava tutto il sentimento che provava per la moglie in quel contatto e ripensava ad eventi che sembravano vecchi di secoli, Ofelia rimaneva paralizzata.

Non era oltraggiata né arrabbiata, solo scioccata.

Fino a quel momento, era sempre stata lei a fare il primo passo, a spronare Thorn ad aprirsi, a dimostrargli quanto ci tenesse ad aiutarlo e a guarirlo, ad abbracciarlo. E aveva avuto dannatamente paura di fare proprio questo passo. Era una cosa così grande, come poteva sapere in che modo avrebbe reagito lui? Era pronto per passare a questo livello di intimità? Quelle domande l’avevano assillata e fatta desistere così tante volte. E invece…

E, invece, ora a sentire quelle labbra sulle sue in modo così inaspettato fu presa dal panico, tanto da non accorgersi nemmeno qual era l’effetto di quella sua immobilità sul marito.

In tutto erano passati solo un paio di secondi.

Proprio nel momento in cui Thorn, affranto e con una nuova cicatrice sul cuore, stava per allontanarsi da lei, le dita metalliche di Ofelia si strinsero a pugno sulla sua camicia bianca e ormai bagnata. Strinse la presa con una mano, costringendolo a piegarsi ancora di più verso di lei, e ricambiò il bacio. Le sue labbra premettero con altrettanta pressione su quelle di lui, mentre la sinistra si alzava e andava a nascondersi nei suoi ciuffi chiari.

Fu la volta di Thorn di restare paralizzato, ma si riprese quasi subito, rincuorato dalla risposta di lei, portando entrambe le braccia alla vita di Ofelia e avvicinando di più i loro corpi. A quel punto, non c’era più spazio tra di loro e quel contatto — quasi — completo riportò alla loro mente così tanti dolci ricordi che sperarono di non doversi più separare.

Schiudendo leggermente la bocca, Ofelia cercò di approfondire il bacio, testando prima la reazione di lui. Nel giro di pochi secondi, divenne molto di più: le loro lingue si incontrarono, i respiri si mischiarono e i battiti accelerarono.

Quando, senza fiato, i due furono costretti a rompere il contatto, Ofelia sentì la voglia di scoppiare nuovamente a ridere per la felicità. Il suo sorriso ampio, però, mentre Thorn le scostava dolcemente un ricciolo bruno dalla fronte, parlava da solo.

L’uomo ricambiò il sorriso e tra sé e sé e pensò che, dopo tutto, quel bacio si era rivelato nettamente migliore di quello che le aveva rubato la prima volta.

Decisamente migliore.

 


N/A: Un paio di appunti per questo capitolo:

  • Non posso sapere con certezza in che modo Ofelia scrive le proprie lettere ai genitori perché sono sicura che non ci viene mostrato nella saga. Ho provato a ricercare il passaggio in cui è la sorella o la madre a scriverle, ma non l’ho ritrovato. Quindi per qualsiasi errore perdonatemi. Penso di essere andata comunque sul sicuro dicendo che Thorn scriverebbe una lettera molto più formale di Ofelia.
  • E rimanendo sul tema della formalità, c’è la questione del ‘voi’ usato praticamente con tutti nella traduzione italiana. Avrete ormai notato al capitolo 12 che non l’ho usato in questa mia storia finora se non nel capitolo in cui Ofelia chiama la zia, nemmeno con Octavio. Ho intenzione di lasciare le cose così per quel che riguarda i due e gli amici stretti — se Octavio ora non può considerarsi tale, non so cos’altro è —, ma probabilmente continuerò a utilizzare la seconda persona plurale per membri della famiglia e persone più estranee.
  • Sempre io che non ritrovo mai il punto esatto in un libro quando lo cerco, se la memoria non mi inganna sulla malattia di Archibald l’autrice è stata abbastanza vaga. Da qui, quindi, ho deciso che Archibald non morirà in questa storia — l’angst data da questi due ‘piccioncini’ credo sia abbastanza —, quindi mi sono limitata a dire che la malattia lo debilita molto. Lo incontreremo sicuramente in capitoli successivi — no, non vi dico quando — e probabilmente troverò il modo di affrontare meglio questo punto.

E credo sia tutto! Non sapete che difficoltà scrivere questo bacio tra loro; ne ho avuta meno nello scrivere smut in altre storie 🤣. Quindi spero vi sia piaciuto nel complesso e vogliate farmelo sapere! Apprezzo sempre ogni vostro commento e osservazione che mi fate ^^.

Eh, sì, siamo a buon punto se non l’avete ancora capito. Ora corro a concludere il prossimo. A prestissimo!

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Capitolo 13
*** Fiducia ***


 

 Fiducia


 

Il bacio che Ofelia e Thorn si scambiarono quella sera scandì l’inizio di una nuova fase delle loro vita, l’ultima per quel che riguardava la loro guarigione.

Entrambi erano consapevoli che mancava poco.

Nonostante i ricordi e le cicatrici non sarebbero mai scomparsi del tutto, sapevano che quel viaggio lungo e tortuoso era quasi giunto al termine e che la strada davanti a loro non faceva più così paura.

L’insicurezza e il tormento che li avevano caratterizzati appena si erano rincontrati erano in parte spariti e sapevano qual era la chiave per ritrovarsi davvero — insieme e singolarmente. Si erano dimostrati che senza l’altro non sarebbero potuti andare avanti, che soli non aveva senso cercare di affrontare ciò che li aspettava e che, soprattutto, accettare l’aiuto che l’altro porgeva era parte fondamentale di quella guarigione e non una debolezza.Erano anche consapevoli che c’erano ancora dei punti da esplorare e ne presero atto, senza però parlarne esplicitamente. Sapevano che anche quelli si sarebbero risolti con il tempo e affrettare il tutto non avrebbe avuto senso. 

Nel frattempo, quando Ofelia finalmente concluse la lettera destinata ai genitori, decisero che era giunto il momento di rivelare a Berenilde e Roseline la verità. Dunque, quando la donna avrebbe chiamato la zia per riferirle che stava per mandarle la lettera, avrebbero anche annunciato il ritorno di Thorn.

Inizialmente, Ofelia aveva pensato di mentire e dire che era una cosa relativamente nuova, ma Thorn l’aveva guardata così male che lei si era fatta piccola piccola e aveva ritratto tutto. Capiva che per il marito era una questione di principio e che già aver mentito alla zia per tutto quel tempo era stato uno sforzo. Rassegnata, si era preparata alla ramanzina che avrebbe ricevuto.

Avevano anche discusso insieme il modo in cui spiegare la cosa e convincerle che non era arrivato il momento per loro di tornare al Polo. Senza entrare nei dettagli — perché ciò che era accaduto era estremamente personale e non volevano assolutamente contaminare l’esperienza condividendola con chicchessia, figurarsi parenti che non sapevano tenere un segreto — avrebbero spiegato la necessità di restare ancora un po’ a New Babel.

D’altronde, come avrebbero potuto lasciare tutto nel giro di qualche giorno? Oltre le questioni personali, ci sarebbero state anche quelle pratiche da risolvere. Quindi, si armarono di pazienza sapendo già che entrambe le donne sarebbero state abbastanza testarde. Ma Ofelia era più testarda, dichiarò sicuro Thorn un mattino, mentre parlavano. Non c’erano dubbi che qualsiasi cosa la coalizione Roseline-Berenilde avesse tentato per costringerli a tornare subito al Polo non avrebbe funzionato contro la determinazione e testardaggine dell’ex-lettrice. Eppure,  di quel discorso, a colpire maggiormente Ofelia fu la sicurezza con cui Thorn pronunciò quelle parole.

Le venne in mente che per quanto lei potesse affermare di conoscere Thorn in tutte le sue mille sfaccettature, lo stesso poteva dirsi del marito. Quest’ultimo, dunque, non ci aveva dovuto nemmeno pensare prima di dire qualcosa del genere. Ciò nonostante, ne fu così felice che gli rubò un bacio a stampo facendolo arrossire e poi tossire per dissipare l’imbarazzo.

Tuttavia, la sicurezza che avevano nell’altro doveva ancora trasformarsi e diventare in tutto e per tutto sicurezza in se stessi, ed era ciò che mancava a quel processo di guarigione. Quando quel nuovo viaggio era cominciato nessuno dei due aveva saputo dire più chi era, i dubbi avevano affollato la loro mente ed entrambi si erano convinti di essere arrivati al capolinea, senza più speranza per rialzarsi. Quelle persone che erano state circa un anno prima non avrebbero mai creduto di poter raggiungere determinati traguardi, anche solo ricostruire una routine così speciale. Mentre Ofelia aveva perso i propri punti di riferimento e, soprattutto, l’essenza del suo essere, Thorn era rimasto fermo nell’oblio che aveva conosciuto dall’altro lato. Entrambi avevano creduto di non essere più utili e sicuramente non ciò di cui l’altro aveva bisogno: inutili e un peso, rotti e senza speranza.

Con un po’ di incoraggiamento e a piccoli passi, si erano riappropriati di gesti quotidiani che avevano ridato loro pian piano la fiducia e il coraggio di continuare a muoversi in avanti. Ora entrambi sapeva che erano fondamentali all’altro, che il loro sostegno e la loro presenza era utile e necessaria. Ma chi erano da soli? Erano ancora quelle persone spezzate, delle bambole rotte?

A quel punto era necessario riacquistare fiducia in se stessi non solo come marito e moglie, ma come esseri individuali. Bisognava rendersi conto che quelle qualità che prima della separazione li avevano resi speciali erano sempre lì, solo un po’ cambiate, trasformate, così come era successo a tutto il resto.

 

*** 

 

Poiché non era nello stile di Thorn essere una persona inattiva e nullafacente, anche lui con il tempo aveva cominciato a lavorare, principalmente aiutando la moglie, la quale sfruttava ben volentieri la memoria portentosa dello Storico. Ovviamente, ciò rendeva il risultato nettamente migliore e Octavio aveva notato quel cambiamento, al punto da fare un’offerta direttamente all’ex-intendente.

Thorn non era riuscito a nascondere alla perfezione la sua espressione sorpresa il giorno in cui il giovane gli aveva proposto di svolgere un compito tutto suo, se aveva così tanta voglia di lavorare. A quel punto, Octavio era ben conscio di chi era colui che una volta chiamava Sir Henry e quali erano le sue doti familiari; a New Babel avrebbero trovato senza ombra di dubbio un lavoro adatto a lui, uno dove poter sfruttare a pieno le sue qualità. Ciò nonostante, Thorn aveva mantenuto i soliti toni neutri e la postura impeccabile quando aveva risposto che era disposto a valutare la proposta, a patto che offrisse un contribuito in linea con ciò che lui metteva a disposizione e una posizione di buon grado in quella società. Infatti, nonostante in quell’arca nessuno lo conoscesse davvero o lo additasse come ‘bastardo’, Thorn non aveva perso quella voglia di riscattarsi e, soprattutto, ricevere ciò che gli era dovuto; in quel senso le abilità di ottimo negoziatore gli erano sempre utili. E anche se sapeva che non avrebbe vissuto per sempre su quell’arca e che prima o poi avrebbe dovuto affrontare i fantasmi del passato in quella natale, non gli era dispiaciuto acquistare una posizione di maggior spicco a New Babel. Non perché ricercava fama o ricchezza, per nulla. Il suo obiettivo era sempre quello di permettere a sua moglie una vita benestante e degna di lei fin quando sarebbero stati residenti lì. Questo voleva dire cominciare a rimboccarsi le maniche e non lasciare che fosse solo lei a occuparsi delle entrat, di permetterle di essere più rilassata con il carico e le scadenze. Che marito era altrimenti se lasciava che facesse solo lei il lavoro duro? Senza considerare, ovviamente, che l’inattività dei primi mesi, sebbene fosse stata necessaria, era diventata un peso non indifferente per lui.

Ciò era accaduto tempo addietro e nonostante nell’accettare la proposta di Octavio Thorn fosse stato un po’ altezzoso, in realtà gliene era molto grato. Aveva cominciato pian piano a vedere l’uomo anche sotto una luce diversa, fino a che anche l’inutile gelosia che provava nei suoi confronti non era un po’ scemata. L’uomo riprese dunque a sfruttare seriamente le sue doti naturali, la passione per i numeri e, allo stesso tempo, riscoprì la sua utilità, non solo come marito di Ofelia — che per lui continuava comunque a essere la cosa più importante — ma come individuo singolo.

Octavio aveva messo a sua disposizione anche un ufficio tutto per lui che Thorn aveva accettato di buon grado perché spesso necessitava silenzio e tranquillità per svolgere il suo lavoro. Tuttavia, non lo occupava ogni giorno. Non gli piaceva l’idea di Ofelia che restava da sola per gran parte della giornata e che, oltre ai propri compiti, doveva anche occuparsi della casa e fargli trovare il pasto pronto la sera, al suo ritorno. Lì, purtroppo, non c’erano servitori pronti a darle una mano o zie che potevano tenerle compagnia. Dunque, avevano trovato un accordo e alcuni giorni l’uomo restava a casa a lavorare insieme a lei, nonostante lo spazio limitato. Parte del soggiorno era diventata il loro personale ufficio ed era proprio in uno di quei momenti che Thorn aveva ostentato tanto sicurezza nei riguardi della moglie, sottolineando la sua testardaggine.

“Credi che non avremo problemi, allora?” le chiese lei, sorridente e sollevata.

Lui arcuò un sopracciglio. “Le mie parole non sono state queste. Infatti, ricordo di aver detto che, sebbene mia zia e la tua hanno dimostrato negli anni di essere orrendamente insistenti, ho imparato che la tua irremovibilità concorre con la loro. Ne consegue che dovresti riuscire a imporre la tua volontà sulla loro senza grandi difficoltà. Se anche ciò non funzionasse — ma non credo in questa evenienza — farò risuonare la mia voce.”

In realtà, Ofelia credeva che avrebbero risparmiato molto più tempo se Thorn fosse stato il primo a imporsi, considerando anche che zia Roseline avrebbe potuto farle minacce subdole, ma a quanto pare il marito era di un’opinione diversa. Come sempre.

Tuttavia, capiva anche perché insistesse sul fatto che doveva essere lei a imporsi senza il suo aiuto: voleva farle capire che non c’era motivo per lei di sottostare alle richieste delle due donne né di aver paura di loro. Ofelia non aveva bisogno di nessuno in quel frangente; era una donna risoluta e capace di risolvere inezie come quelle. E cos’erano i minuti persi durante quelle telefonate se riuscivano a ridarle un altro po’ di sicurezza che non faceva mai male? Thorn era ormai consapevole delle sue priorità e sapeva riconoscere quando il tempo era sprecato e quando no.

Ofelia annuì. “Va bene, vorrà dire che domani mattina di-”

“No,” la interruppe lui. “Non c’è motivo per rimandare a domani. Le chiameremo ora.” E per l’appunto, quella era una di quelle occasioni in cui capiva che non c’era motivo di perdere altro tempo.

“A-adesso?” balbettò la donna. “Ma, Thorn, ecco… io non so se sono pronta.”

Thorn le riservò un’occhiata penetrante, sfidandola a contraddirlo. “Lo sei,” pronunciò con ancora tanta sicurezza.

“M-ma,” boccheggiò ancora, “Ma saranno sicuramente arrabbiate quando dirò loro che sei stato con me tutto questo tempo.”

“Com’è giusto che sia, Ofelia, ma sono sicuro che il successivo senso di sollievo che proveranno alla notizia farà dimenticare loro il torto subito,” anticipò. Poi, visto che lei non dava segno di volersi muoversi, aggiunse: “Prendi la cornetta, Ofelia.”

La giovane deglutì e poi guardò di nuovo il marito, mentre il nervosismo si impossessava di lei come della sciarpa che aveva sviluppato la tremarella e si stava aggrappando come se lei  fosse la sua àncora.

“Bene,” annunciò l’Animista. “Allora compongo il numero.” Thorn le lanciò un’altra occhiataccia per farle capire che non era impietosito dal teatrino che stava inscenando e spinse l’apparecchio più vicino a lei di modo che non potesse perdere ancora più tempo.

“Devo comporlo io per te?” le chiese con un accenno di ironia che fece strabuzzare gli occhi alla moglie.

“No-no,” mormorò, ancora incredula. “Lo faccio io,” dichiarò alzando infine la cornetta.

Il rumore del dispositivo mentre aspettava che dall’altra parte qualcuno ricevesse la chiamata sembrò durare un’eternità, non qualche secondo. Ofelia aveva i palmi sudaticci che stava usando per spostare i riccioli insistenti che le cadevano sugli occhi come un tic e il cuore che batteva impazzito nel petto. Quando finalmente risposero, Ofelia trattenne il fiato nello stesso momento in cui Thorn le afferrava la mano e la stringeva tra le sue per farla smettere e anche tranquillizzarla. Ma non fu né Roseline né Berenilde a risponderle, bensì una domestica che promise di andare a chiamare una delle due signore immediatamente.

Furono entrambe a presentarsi, come previsto, non appena vennero a sapere che era Ofelia ad averle chiamate. La giovane rilasciò il fiato che aveva trattenuto quando la zia si annunciò, non per volontà, ma perché era già passato fin troppo tempo.

“Ofelia, che sorpresa,” la salutò Roseline.

“Buongiorno, zia, come state?” chiese lei di rimando, deglutendo e sbirciando Thorn accanto a lei con la coda dell’occhio.

“Di ottimo umore, cara, ora che mi hai chiamato. Sono contenta che tu stia mantenendo la tua promessa chiamandomi più spesso,” le confessò senza alcun problema e tirando su con il naso tra una parola e l’altra. Ofelia si chiese come avrebbe reagito alla notizia del marito se già ora era commossa per una cosa così semplice. “Come procede la lettera ai tuoi genitori?”

“Oh, mi fa molto piacere sentirlo, zia,” rispose sincera. “Chiamo appunto anche per dirvi che ho spedito la lettera e dovrebbe arrivarvi entro breve. Se potete farmi il favore di mandarla ad Anima ve ne sarei grata.”

“Hmph, per ora che vada così, Ofelia. Per quanto tempo dovrei continuare questa messinscena?”

“Non avete detto anche voi che mi sentivate migliorata, zia? Beh, ho bisogno di procedere a piccoli passi e voi siete la persona di cui mi fido maggiormente per questo compito,” continuò. Ed era vero: a parte il prozio ad Anima, la zia Roseline era il parente a cui era più legata e le avventure degli ultimi anni avevano certamente rinsaldato il legame. Si rendeva conto con molta chiarezza che senza il suo aiuto non ce l’avrebbe mai fatta, a partire dal suo primo soggiorno a Chiardiluna sotto le sembianze di Mime.

Roseline sembrò rincuorata dal quel commento, e anche un po’ lusingata, tant’è che dall’altra parte della cornetta le guance le erano diventate scarlatte e aveva cominciato a darsi un po’ di arie con Berenilde lì accanto, la quale aveva agitato il proprio ventaglio in risposta in modo del tutto disinteressato. In realtà, la cosa la toccava eccome. “Molto bene, vorrà dire che aspetterò questa lettera. C’è qualcos’altro di cui vorresti parlarmi, cara? Come proseguono le tue giornate?” le chiese sinceramente interessata.

A quel punto l’ansia per Ofelia tornò con insistenza e guardò spaventata il marito. Thorn le strinse la mano e le fece un cenno del capo, incoraggiante, nonostante con gli occhi le stesse dicendo di non osare rimandare o sviare il discorso. Lei deglutì di nuovo e poi balbettò: “E-ecco, zia Roseline, Berenilde, avrei qualcosa di molto importante da dirvi.”

Dall’altro lato, furono le due donne a trattenere il fiato, spaventate chissà da quale novità la donna volesse rivelare. Il suono di un uomo che si schiariva la voce le sgomentò ancora di più: era andata oltre Thorn? Aveva intrattenuto rapporti con un uomo senza nessuno accanto a salvaguardarle la rispettabilità? Allora la scorsa volta avevano davvero sentito qualcuno accanto a lei! Stavano giusto per chiedere spiegazioni quando una voce che pensavano non avrebbero più sentito in vita loro li interruppe. “Zia, signora Roseline, buongiorno,” le salutò Thorn, austero e con voce atona, sebbene dentro di sé percepisse in minor misura l’agitazione che scuoteva la moglie.

In risposta giunse un suono strozzato.

“O-Ofelia, cara, chi c’è accanto a te?” volle sapere Berenilde che al momento temeva di avere le traveggole. Era sicura avrebbe riconosciuto quella voce così autoritaria, e per alcuni intimidatoria, anche tra dieci anni perché non l’avrebbe mai dimenticata, ma non era possibile. Thorn era ormai perso.

“Berenilde, è lui… Thorn,” confermò invece l’Animista.

“Oh, oh,” si sentì da parte di Roseline mentre Berenilde rimaneva senza parole. “Oh, credo proprio che avrò bisogno di sedermi.” Una domestica subito la raggiunse, sventolandole dei sali sotto al naso prima che la donna potesse perdere del tutto coscienza, ma questo i due coniugi non poterono saperlo. Sentirono solo una seconda domestica chiedere a Berenilde se si sentisse bene senza ricevere risposta.

“Zia?” chiese Thorn con un accenno di preoccupazione nella voce. Sapeva che la notizia avrebbe avuto un certo effetto sulle due donne, ma non aveva immaginato fino a quel punto. Certo, era anche vero che talvolta Berenilde fosse incline ai melodrammi, ma era sicuro che in situazioni come quelle potesse usare senza problemi il suo buonsenso.

Nel risentire la voce del nipote che tornava letteralmente dall’aldilà, Berenilde finalmente si riscosse. “Thorn?” chiese, incredula, un filo di voce. “Thorn, sei proprio tu?”

“Sono io, zia. Ofelia mi ha trovato e portato in salvo.”

A sentire quelle parole, anche Roseline rinvenne. “Per tutti gli antenati, Ofelia! Avevi detto di aver smesso di viaggiare tra gli specchi. In che guai ti sei cacciata per ritrovare tuo marito?”

“Non ho mai mentito, zia: è ormai un anno che non attraverso uno specchio,” confermò la ragazza, senza però confessare che non ne era più in grado.

“Ma… ma allora come?” volle sapere.

“Ofelia mi ha riportato da questo lato da poco più di un anno fa,” chiarì infine l’ex-intendente. “Abbiamo deciso insieme di tenere segreta la cosa.”

“Ah! Nipote sciagurata!” urlò Roseline.

“Intendete dire che mi avete tenuta nascosta una notizia del genere per un anno? Come hai potuto farmi questo, Thorn?” pretese offesa Berenilde.

Era evidente che era appena arrivata la parte più difficile della conversazione.

L’uomo si schiarì una seconda volta la voce per richiamare il silenzio. “Il motivo di tale scelta è estremamente personale. Vi pregherei di rispettare la decisione mia e di mia moglie e non percepirla come un torto alla vostra persona.”

“Ma, Thorn, come puoi anche solo pensare che…?” I due sentirono chiaramente la sua voce che si incrinava per un momento, ma Berenilde riprese come se nulla fosse. “Come puoi pretendere che non rimanga ferita da una decisione di questo genere?”

“Come ho già detto, zia, il motivo è privato e vorrei che onoraste la cosa. Posso solo assicurarvi che nessuno di noi ha agitato con sentimenti negativi nell’animo nei vostri confronti. Questo tempo è stato necessario a entrambi ed è anche grazie a questo che oggi abbiamo deciso di contattarvi e darvi la notizia.”

Thorn,” sibilò Berenilde che non era pronta a lasciar perdere la discussione, “ti abbiamo creduto morto per tutto questo tempo. Come osi?”

“Avrei creduto che foste sollevata, zia, al punto da mettere da parte discussioni inutili,” ribatté Thorn stringendo gli occhi in direzione della cornetta.

“Certo che sono sollevata,” rispose scottata lei. “Ma non credo che questa sia una discussione inu-”

“Lo è,” tagliò corto Thorn, più duro. “Fidatevi della mia parola e archiviate piccolezze di questo tipo.”

La donna sussultò, poi entrambi la sentirono chiaramente stringere i denti mentre sibilava ‘piccolezze’. “Molto bene,” disse in un tono che suggeriva che nulla andava bene. Ofelia non aveva assistito a molte discussioni tra i due, ma era pronta a scommettere che solitamente non erano così tranquille e che nessuno era mai disposto a lasciar perdere. E infatti… “Ne riparleremo non appena sarete arrivati qui al Polo. Cercherò il primo dirigibile che possa partire e venire a prendervi.”

A quel punto, Thorn guardò Ofelia e le passò senza dire una parola il ricevitore. “In realtà,” cominciò lei con voce troppo flebile.

“Sì?” chiesero contemporaneamente le due donne.

“Non torneremo subito al Polo,” cacciò tutto d’un fiato la ragazza.

“Come sarebbe a dire che non tornerete?” domandò esterrefatta Berenilde.

“Ofelia, credo che tu abbia perso definitivamente il senno!” dichiarò Roseline.

“Abbiamo ancora molte cose di cui occuparci,” chiarì Ofelia alzando la voce per contrastare quello delle due, “non possiamo lasciare quest’arca su due piedi. Sono sicura che entrambe comprendiate l’importanza della parola data e il tempo necessario per organizzare una partenza di questo tipo.”

“Nessun tempo,” rimbeccò Berenilde. “Non appena avrò parlato io, non ci saranno più problemi per un rientro immediato.”

“Nessuno a parte la nostra approvazione,” continuò Ofelia, tagliente, e con un terribile cerchio alla testa di certo non dovuto agli Artigli del marito. Quello che aveva preventivato per quella telefonata non l’aveva preparata a ciò che stava accadendo.

La donna sembrò colpita dal tono della giovane e questo diede a Ofelia il tempo di riprendere da dove si era fermata: “Come vi abbiamo già detto, saremo di ritorno al Polo non appena avremo portato a termine i nostri doveri e tutto ciò che ci ha trattenuto finora. Avete la nostra parola che torneremo e non staremo ancora via per molto.”

“Ofelia! Non credi che questa storia sia stata andata avanti abbastanza?” le chiese Roseline, combattuta tra il fare la vittima o cacciare l’artiglieria pesante.

“Pensavo ne avessimo parlato prima, zia. Sta procedendo tutto secondo i piani. Preferisco fare le cose ad un passo più lento.” Guardò il marito mentre lo diceva, con un mezzo sorriso, e lui glielo restituì insieme a un altro cenno della testa per incoraggiarla a continuare

“Questo era prima che rivelassi di aver nascosto tuo marito per un anno,” la rimproverò oltraggiata.

“Qualunque siano i vostri sentimenti ora, zia, li comprendo. Tuttavia, il mio stato d’animo attuale è dovuto principalmente al tempo che ho avuto da sola con Thorn. So che siete lieta di sentirmi per un certo verso rinata, non più quella ragazza spenta che ero diventata. Sappiate che se vi avessi informata subito, le cose non sarebbero andare allo stesso modo. Preso atto di tutto ciò, me ne fate una colpa?”

Per qualche secondo si sentì solo il respirare della zia in risposta e Ofelia pensò di essere andata oltre — la zia Roseline, d’altronde, sapeva essere molto permalosa quando voleva, cioè spesso. Tuttavia, dopo averla sentita soffiarsi il naso un paio di volte e litigare ancora con Berenilde per la cornetta, la donna rispose: “Capisco, Ofelia. Non preoccuparti per me. Promettimi solo…” tirò ancora su con il naso, “promettimi solo che ritornerete entrambi.”

“Ma certo, zia!” esclamò subito, rincuorata, Ofelia.

“Molto bene. Sono stata estasiata di sentirvi entrambi, ma non fatemi più scherzi di questo genere; il mio vecchio cuore ne risentirebbe.” Si schiarì la voce e poi concluse: “Sarò io stessa a richiamare quando riceverò la lettera da mandare ai tuoi genitori, Ofelia. Vi salutiamo entrambe, fate ciò che dovete fare e state sereni. A presto.”

Detto ciò, si sentì qualche altro urletto concitato di Berenilde, ma la telefonata si interruppe immediatamente dopo.

Ofelia alzò gli occhi verso Thorn, non sapendo se essere contenta o dispiaciuta e infine posò il ricevitore.

“Tua zia ha dimostrato sicuramente più buon senso della mia,” esclamò il marito prima di portarla verso il divano e farla sedere. L’intero affare aveva decisamente stancato psicologicamente la giovane e lui ritenne che avesse bisogno di riposare almeno per qualche minuto. Ofelia annuì con il capo. Thorn le sistemò i capelli e poi andò immediatamente a prenderle da bere. “Stai bene?” le chiese preoccupato una volta accanto a lei.

Lei ci mise qualche secondo prima di rispondere, poi rialzò la testa e sorrise sincera. “Mm, molto bene.” Ed era vero: sentiva che la zia avesse percepito tutte le sue emozioni e il non detto in quelle parole che Ofelia aveva pronunciato, preso coscienza per la prima volta del viaggio che la nipote aveva dovuto affrontare. Aveva capito che qualsiasi cosa era accaduta tra lei e Thorn era stata necessario e il silenzio e l’assenza parte di essa. Ofelia era certa che anche Berenilde avrebbe compreso non appena avesse messo da parte un po’ del suo egocentrismo; d’altronde, anche lei voleva veramente bene a Thorn, sebbene avesse i suoi modi per dimostrarlo.

L’Animista sollevò un braccio e sfiorò con le dita la guancia del marito, senza interrompere per un momento il contatto visivo. Thorn non diede nemmeno segno di percepire il freddo dato da quel contatto, anzi lo accolse pienamente e strinse con le proprie dita quelle artificiali della moglie.

“Grazie,” mormorò infine Ofelia. Di tutto.

 

 

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Capitolo 14
*** Ritrovarsi ***


 

Ritrovarsi


 

I giorni che seguirono la confessione furono più tranquilli di quel che Thorn e Ofelia avrebbero mai immaginato. La loro routine continuò come se nulla fosse, tranquilla e confortevole; portavano avanti i loro compiti sia in maniera individuale che insieme, gravitavano l’uno attorno all’altra, consci di ogni loro bisogno e si appropriavano dei propri spazi laddove ce ne fosse bisogno. In breve, avevano trovato l’essenza stessa del convivere, dell’essere una coppia, così come non avevano mai avuto l’opportunità di fare quando erano stati ancora sposini novelli.
 Era una consapevolezza rinfrescante, avrebbe detto Ofelia, perché la faceva sentire in pace con se stessa e, soprattutto, le diceva che entrambi avevano finalmente trovato il loro posto che non era qualcosa di fisico, no, piuttosto l’essere accanto alla persona amata e trovare la propria libertà accanto a essa senza toglierle nulla.

Che fossero giorni tranquilli, comunque, non voleva dire che la zia Roseline non aveva trovato il modo di inserirsi con le sue frequenti e puntuali chiamate – divenute ancora più frequenti da che le era stato detto che Thorn era vivo e vegeto. Dall’entusiasmo che dimostrava, Ofelia avrebbe detto che fosse lei sua zia e che avesse ritrovato il figlio da tempo perduto. Per certi versi, era strano osservare questo straboccante affetto, ma per altri, Ofelia capiva benissimo che era dovuto non soltanto al ritorno del marito – del quale Roseline era sinceramente contenta –, ma anche al fatto che fosse altrettanto contenta per lei. La sua madrina aveva decisamente compreso il motivo dietro il suo miglioramento, così come la ragione per la quale avevano deciso di nascondere la cosa per tutto quel tempo; avrebbe addirittura detto che approvava la loro scelta, perché era ciò che aveva permesso a entrambi di superare i loro traumi senza dover considerare gli altri. Per essere lei in primis una parente asfissiante, Ofelia dovette riconoscere che la zia Roseline era alquanto percettiva certe volte.

Sta di fatto che questo suo essere positiva e comprensiva nei confronti dei due sposi fu anche il motivo per cui Berenilde riuscì ad uscire la sua preziosa bolla, smettendo di fare l’offesa e riuscendo finalmente ad avere una conversazione umana con il nipote. Ofelia era convinta che la sua madrina aveva dovuto lavorare parecchio per convincerla, ma ce l’aveva fatta e il giorno in cui Thorn spese ben 57 minuti a telefono con la lei, fu anche il giorno in cui ogni rancore fu lasciato da parte. Anche se entrambe le signore continuavano a ricordare loro che prima o poi sarebbero dovuti tornare – come se avessero davvero potuto dimenticarlo.

Quando l’uomo posò infine la cornetta, Ofelia non chiese i dettagli di ciò che si erano detti – anche se Thorn sarebbe stato perfettamente in grado di sciorinarli in perfetto ordine – le bastò l’espressione sul suo volto. A chiunque altro sarebbe sembrata neutra e anche un po’ fredda, ma gli altri non erano lei e soprattutto non conoscevano e amavano Thorn come lei: Ofelia aveva visto la scintilla nei suoi occhi di ghiaccio e gli angoli della bocca leggermente incurvati, aveva osservato il modo in cui il suo corpo era meno rigido e contato sulle dita di una mano le poche volte in cui il marito aveva avuto bisogno di controllare l’orologio da taschino per rilasciare un po’ di nervosismo. Erano piccoli dettagli che per lei significavano tanto, ma soprattutto le dicevano che zia e nipote avevano avuto il momento di cui entrambi avevano bisogno da tempo.

Quella sera, a letto, prima di spegnere la luce e chiudere gli occhi per la notte, Thorn le aveva confessato che la voce di Berenilde si era incrinata in più punti, anche se entrambi avevano fatto finta di nulla. Invece, aveva un significato il cui valore non poteva essere attribuito a parole. L’animista ricordò di aver pensato, prima di lasciarsi andare definitivamente a Morfeo, che il giorno in cui sarebbero finalmente tornati al Polo, anche il rapporto tra Thorn e Berenilde si sarebbe finalmente sanato in ogni sua piccola giuntura.
 

***

 

Quel pomeriggio tardi, la giovane animista stava aspettando il ritorno del marito e, come spesso capitava quando si ritrovava da sola nel piccolo appartamento, si trovò a riflettere su stessa e su ciò che era cambiato in quegli ultimi dodici mesi.

Ricordava benissimo quella persona rotta che era stata, quella che non riusciva a capire nemmeno chi fosse e che si riusciva a definire solo attraverso un aggettivo che la rimandava a un’arca in cui era nata ma dalla quale da tempo era scappata. In breve, una persona svuotata e senza più una coordinata. A ripensarci ora quelle tante paure che l’avevano sommersa ancora la spaventavano – come non potevano? D’altronde, i traumi da lei sperimentati non erano da sottovalutare – eppure lei, quel giorno, era lì, di nuovo in piedi, come mai avrebbe creduto fosse di nuovo possibile.

Mentre si guardava allo specchio, il suo sguardo si soffermò su ogni piccolo e grande dettaglio, il modo in cui le spalle erano dritte, la scintilla nei suoi occhi che prima mancava, la presenza dei suoi nuovi guanti che erano ormai diventati una costante e parte di sé; persino il colore meno pallido della sua pelle e la lucentezza dei riccioli le diceva che stava meglio. Non aveva bisogno di una parola in più di Thorn al mattino – per quanto dolce e affettuosa – per sapere che era bella e stava meglio: Ofelia ora lo vedeva, lo sentiva dentro di sé.

Poteva non essere più una lettrice, ma non si sentiva incompleta. Era forte, fiera di ciò che aveva raggiunto; era amata e si amava. E soprattutto, per quanto consapevole del fatto che solo la presenza di Thorn l’avesse aiutata a guarire, Ofelia sapeva che il suo essere non era definito solo dalla parola moglie.

Era la sposa di Thorn, ma non solo. Era lei a scegliere e aveva scelto di non sentirsi più in difetto, inferiore o spezzata; di utilizzare ciò che le era capitato come monito della donna forte che era diventata nonostante tutto; di non definirsi più sulla base dell’arca in cui era nata o di un potere familiare. E tutto ciò che le donava una carica non indifferente, la faceva sentire rinvigorita e, soprattutto, si piaceva.

Lo specchio le rimandò indietro uno sguardo carico di determinazione quando infine allungò il braccio, pronta a sfiorare la superficie riflettente e affrontare la sua ultima paura – una delle più grandi. Tuttavia, prima che potesse farlo, un movimento dietro di lei catturò la sua attenzione. Spostando lo sguardo dal proprio riflesso, incrociò gli occhi con quelli del marito che stava ora entrando nella stanza.

Non si scambiarono parole di benvenuto, invece, Ofelia continuò a osservarlo mentre Thorn si dirigeva a grandi falcate verso di lei per fermarsi soltanto quando ormai i loro corpi si toccavano e la schiena di lei era schiacciata contro il petto di lui. Sentì, anziché vedere, le braccia del marito cingerle la vita e chiuse gli occhi colta da un brivido che non aveva nulla a che vedere con la temperatura nella stanza; li strinse per evitare di lasciarsi andare a suoni che l’avrebbero imbarazzata. Quando finalmente li riaprì e incrociò quelli di Thorn, questi possedevano uno fuoco che prima non avevano avuto, una passione che era quasi certa di aver dimenticato, un desiderio che minacciò di toglierle il fatto.

Senza interrompere il contatto visivo, l’uomo le spostò i capelli e, delicatamente, le poggiò le labbra sulla pelle nuda del collo. A Ofelia sembrò che quel contatto la infiammasse dentro e, questa volta, non fu capace di trattenere un gemito di piacere. Però, dal modo in cui Thorn si era irrigidito, capì subito che il suono era stato mal interpretato, non che potesse davvero biasimarlo visto tutto quello che avrebbero dovuto re-imparare l’uno dell’altra per quel che riguardava quella sfera del proprio rapporto. Non voleva però che il momento venisse ulteriormente rovinato, e sapeva che le parole avrebbero fatto proprio quello. Quindi, rimandandogli attraverso lo specchio uno sguardo altrettanto carico di desiderio, Ofelia gli sfiorò la mano che era ancora stretta attorno alla sua vita, pregandolo di non fermarsi.

Lui non la deluse, comprendendo anche la sua seconda richiesta, quella di parlare attraverso i gesti e non le parole. Ma, per evitare che l’istinto prendesse il sopravvento sulla ragione, eliminò la possibilità prendendole il mento tra due dita e coprendole le labbra con le sue. In quelle ultime settimane, Thorn aveva scoperto che baciarla gli era mancato più di quanto avesse mai creduto, di esserne ormai assuefatto e di non riuscire più a smettere di contare i minuti che mancavano dal momento in cui avrebbe potuto baciarla di nuovo, ancora e ancora.

Ofelia si rigirò nel suo abbraccio e, schiudendo la bocca, premette ancora più saldamente il suo corpo contro quel del marito, infilò le dita nei suoi capelli chiari. Poi rabbrividì quando percepì la lingua di lui lambirle il labbro inferiore e unirsi alla sua; accolse il suo fiato caldo e gemette nel sentire il sapore che ormai conosceva fin troppo bene.

Le parole non erano necessarie, non lo erano mai state in quel frangente: i loro corpi erano sempre stati in sintonia, anche prima di mostrarsi nudi, anche dopo tutto il tempo in cui erano stati separati. Quindi, quando arrivò il momento di riacquistare familiarità tra di loro tutto avvenne in modo naturale.

Fu semplice spogliarsi dei vestiti e lasciarli cadere a terra, accumularli ai propri piedi mentre le labbra ancora non volevano separarsi e la mani percorrevano frenetiche lembi di pelle per troppo tempo rimasti nascosti. Fu logico per Thorn rimuovere i guanti di lei e per Ofelia carezzare e baciare tutte le cinquantasei cicatrici di lui – cinquantasei più tutte le nuove che baciò una volta in più. Le labbra della moglie gli bruciarono la pelle, ma Thorn accolse quel calore come un uomo assetato nel deserto, lo desiderava, gli fece stringere gli occhi, inarcare la schiena e ansimare.

Fu naturale trasformare quella spontaneità che li aveva contraddistinti in quelle ultime settimane in passione che era mancata ad entrambi, sciogliersi in quegli abbracci e incastrare i propri corpi. Ma le parole non sarebbero mai bastate ad esprimere il sollievo che entrambi provarono nel momento in cui ogni pezzo di loro tornò a combaciare e, finalmente, si unirono.

Avevano trascorso gli ultimi anni separati e persi, affrontato paure sepolte sotto cumuli di insicurezze e, soprattutto, il vuoto aveva ancora una volta preso residenza nella loro anime. Ora, dopo averle nuovamente fuse, abbracciato ogni piccolo pregio e difetto che li rendeva quelli che erano, erano finalmente completi in tutto e per tutto. Ofelia e Thorn si erano ritrovati e, questa volta, erano certi che nulla e nessuno avrebbe più potuto dividerli.


 

***


 

Ofelia si svegliò nuda qualche ora dopo. Qualsiasi cosa avesse pensato nell’aprire gli occhi scomparve nel momento in cui sentì delle labbra premere saldamente sulla sua nuca, lasciarle una scia di baci nell’incavo tra collo e spalle, sulle scapole. Un lungo e pallido braccio le cinse i fianchi e la spinse contro un altro corpo altrettanto nudo e a quel punto non le fu nemmeno difficile percepire quanto il marito ancora la desiderasse – e neanche adesso poteva biasimarlo né mentire dicendosi che non provavo lo stesso. Non poté impedire comunque al rosso di imporporarle le guance cogliendo la foga con la quale Thorn la stava ora baciando o ripensando al modo in cui si erano amati non molto prima, maldestri e, al tempo stesso, audaci ed esperti, come se le loro mani e le loro bocche ricordassero a memoria i luoghi che avrebbero dovuto marchiare per suscitare gemiti e brividi.

Sospirò di piacere nel momento in cui lui le graffiò leggermente – e volontariamente – la pelle con i denti, prima di leccare e baciare quello stesso punto. Poi le fece segno di girarsi su un fianco e, faccia a faccia, le prese a coppa il viso e si riappropriò delle sua labbra perché era passato già troppo tempo dall’ultima volta in cui le aveva fatte sue e Thorn sapeva essere un uomo molto ingordo quando si trattava della moglie.

Qualche secondo dopo, entrò di nuovo in lei e ricominciarono ad amarsi con rinnovato trasporto. Qualsiasi cosa andava detta avrebbe aspettato ancora un po’.


 

***


 

Il sole trapelava già attraverso le tende la seconda volta in cui Ofelia sollevò le palpebre. Il braccio del marito era saldo attorno alle sue spalle e lei aveva una guancia premuta sul suo petto nudo. Alzando lo sguardo, notò che Thorn era già sveglio e la stava guardando – anche se i suoi occhi ora erano privi di quella passione che avevano più volte consumato nel corso della notte.

Qualsiasi traccia di imbarazzo o di riserva era già sparita quando lo baciò, dopo aver mormorato un veloce buongiorno a un centimetro dalle sue labbra. Separatosi, Thorn esalò un grosso respiro e Ofelia osservò il suo petto alzarsi e abbassarsi, le sue spalle rilassate, le rughe del volto più distese. Tutto il suo essere trasudava serenità e contentezza e lei non poté fare a meno di sorridere.

In quella stanza, tra lenzuola sgualcite, crogiolati dal calore che i loro corpi abbracciati offrivano, i loro respiri furono ancora per un po’ gli unici a spezzare il silenzio.

Se Ofelia solo il pomeriggio precedente era rimasta incredula nell’osservare il proprio riflesso, era sicura che quella mattina avrebbe trovato qualche altra sorpresa. Il sorriso non voleva saperne di lasciarle le labbra e le dita del marito che continuavano a scorrerle sulle braccia le regalavano l’ennesimo brivido mentre rifletteva su quanta strada avessero fatto e quanta di quella strada le era sembrava tortuosa e impraticabile solo qualche mese prima.

Le sue riflessioni furono interrotte dall’improvviso vociare del suo stomaco che si fece sentire prepotentemente. Con orrore la donna si rese conto che troppo presi a saziare un altro tipo di appetito, nessuno dei due aveva mangiato e che, dunque, un pasto era più che necessario.

Imbarazzata oltremodo, Ofelia osò alzare ancora lo sguardo verso il marito. Seppure ancora immobile, egli aveva una nuova e birichina scintilla negli occhi che, insieme agli angoli della bocca incurvati in su, le diceva esattamente quanto Thorn stesse ridendo internamente. Avrebbe voluto arrabbiarsi – o per lo meno far finta di arrabbiarsi visto il modo in cui lui non si stava per nulla contenendo –, ma era una visione così rara che sarebbe stata una stupida a non bearsene.

“È un buon giorno,” le disse infine prima di lasciarla andare e sedersi a bordo letto. Quando le porse poi le lenti che la sera prima le aveva sfilato per baciarle anche le palpebre, la moglie vide con più chiarezza quel suo sorriso divertito, ma anche tutta la contentezza che il suo essere trasudava.

Quell’immagine le provocò un moto di gioia mentre il calore andava annidandosi nella pancia, distogliendo ancora di più i muscoli. “È un buon giorno,” ripeté lei, raggiungendolo da quel lato. Quando si alzò in piedi, superava a stento il marito in statura, nonostante quest’ultimo fosse ancora seduto. Ciò nonostante, provò soddisfazione nell’essere, per una volta, quella a doversi chinare per rubargli un bacio. Thorn la incontrò a metà strada, bramoso di assaggiarla, affamato, ma Ofelia cambiò idea all’ultimo e premette invece la bocca sulla sua guancia un po’ ispida a causa della corta barba che stava ricrescendo.

Fu lei a ridere allora, osservando l’espressione scioccata del marito che qualcun altro avrebbe definito più come un broncio. Tuttavia, non gliela diede vinta, invece, dopo essersi rimessa velocemente i guanti, gli afferrò la mano sinistra e lo trascinò dietro di sé, continuando a lanciargli occhiate divertite. “Vieni, lascia che soddisfi un altro tuo tipo di appetito per il momento,” gli disse solo prima di dirigersi verso la cucina con l’uomo al seguito. E Thorn non se lo fece ripetere. Aveva l’impressione che il resto della giornata sarebbe stata anche più soddisfacente di questo inizio – nonostante l’ultimo bacio che gli era stato negato.



 


N/A: Salve a tutti, chi non muore si rivede!
Causa malattia e altri impegni sono scomparsa per questo mesetto, ma spero che gli avvenimenti di questo capitolo mi abbiano in parte scusata per l’assenza.
I dialoghi qui sono praticamente non esistenti, ma per una giusta casa: talvolta le parole rovinano i momenti – come anche ribadito nel testo stesso – e ci sono cose che sono meglio descritte che dette/dialogate.

Ho riflettuto a lungo, da quando ho cominciato la stesura di questa storia il luglio scorso, su come avrei voluto che questo momento fosse e l’idea è sempre stata quella di considerarlo come punto di arrivo nel processo di guarigione di Thorn e Ofelia. Il problema per me risiedeva più nel fatto che le scene intime nella saga non solo si contano sulle dita di una mano, ma non sono più lunghe di un paio di righe e, da fanwriter, avevo paura di non rendere giustizia ai nostri due protagonisti avendo poco su cui basarmi.
Detto ciò, ammetto che sono abbastanza soddisfatta di ciò che è uscito e spero sia lo stesso per voi. Quello che avete letto è la mia personale interpretazione di come sarebbero andate le cose basata sull’analisi dei due personaggi, quindi se non siete d’accordo ci sta; le prospettive – entro certi limiti – cambiano per ognuno di noi.

Non per ultimo, in questo capitolo è stato messo il focus anche sull’individualità di Ofelia, la sua crescita personale, come nello scorso mi ero soffermata invece su quella di Thorn. Ma se avete letto bene capirete che non è finita con lei.

Concludo dicendo che la storia non è ancora finita, anche se Thorn e Ofelia sono finalmente in un punto positivo e sereno della loro vita, ma non prevedo di superare i venti capitoli. Il capitolo 15 – sempre perché voglio farmi perdonare per l’assenza – arriverà tra sette giorni, quindi spero di leggervi sia nei commenti a questo che al prossimo.

Un abbraccio 💖.

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Capitolo 15
*** Attraversaspecchi ***


 

Attraversaspecchi


 

Dal primo momento in cui l’aveva visto, quel giorno piovoso in cui era venuto a prenderla su Anima, Ofelia aveva cominciato un viaggio che l’aveva portata a conoscere tutte le mille sfaccettature del suo fidanzato e poi sposo, nonostante l’iniziale e illusoria animosità che sembrava impedire qualsiasi tipo di contatto o rapporto cordiale tra i due. Prima di quanto avrebbe mai sperato, aveva fatto crollare i muri attorno alla sua glaciale apparenza e imparato che le apparenze era sono quelle: apparenze. Thorn era un uomo a due facce, ma questa caratteristica non nascondeva alcuna accezione negativa.

Per tutti era sempre stato solo il freddo e misantropo intendente che preferiva nascondersi nel suo piccolo ufficio invece di mischiarsi alla folla; i numeri e la logica erano tutto ciò bastava a dare ordine alla sua vita e non gli interessava altro. Tuttavia, sotto quella superficie rude e gelida, nascondeva un senso del dovere e un istinto protettivo che nessun altro avrebbe potuto eguagliare. Inoltre, aveva dimostrato di desiderare una cosa più di tutte: la felicità e la sicurezza della moglie.

Detto questo, dunque, era facile comprendere come, una volta che i due si erano ritrovati, gli fosse ancora più difficile negarle qualcosa, qualunque essa fosse, anche se si scontrava con i principi che aveva seguito lungo il corso della sua solitaria esistenza. Allora, il secondo giorno dopo l’essersi amati per la prima volta dopo tanto tempo, quando Ofelia insistette affinché lui non tornasse in ufficio com’era previsto dai suoi turni prestabiliti, Thorn fece fatica a dirle di no.

“Ho promesso di essere un impiegato diligente, Ofelia, e io tengo sempre fede alla parola data,” le rispose, inflessibile, quando lei gli ripeté per la seconda volta i piani che aveva fatto per la giornata — piani che prevedevano anche lui, a casa e non in un ufficio.

“Non mi ci vorrebbe nulla a chiamare Octavio e informarlo di un disguido,” tentò ancora lei mentre gli versava un po’ di latte nel tè bollente.

Thorn arcuò un sopracciglio e strinse le labbra in una linea dritta, dimenticando anche di ringraziarla tanto era sconcertato da quella proposta. “Non c’è stato alcun disguido,” la contraddisse con voce apparentemente dura. Ofelia però aveva notato che stava cominciando a vacillare.

“Lo so,” concordò Ofelia, sedendogli accanto e carezzandogli le dita che stringevano la tazza. “Ma sono sicura che per lui non ci sarebbero problemi considerando il lavoro svolto da te in queste ultime settimane.” Poi, prima che lui potesse ancora ribattere, continuò: “Non ho detto che devi abbandonare i tuoi doveri — non mi permetterei mai; so quanto significa per te portare a termine un compito che ti sei prefissato. Tuttavia… che male ci sarebbe nello scambiare un turno e farmi compagnia quest’oggi? D’altronde, Octavio ti ha lasciato carta bianca per quel che riguarda i giorni in cui devi presentarti in ufficio,” gli ricordò.

“Hmph,” borbottò l’uomo, improvvisamente incapace di fornire una risposta migliore, distratto dalle dita di lei che stavano percorrendo lembi di pelle lasciati scoperti dalle maniche arrotolate della camicia.

Ofelia notò con piacere il suo pomo d’Adamo fare su e giù un paio di volte mentre l’ascoltava e sperò che si arrendesse quanto prima. Non era facile per lei interpretare quel ruolo di ‘tentatrice’ perché mai aveva creduto di essere attraente agli occhi di qualcuno al punto da poter avere quel tipo di effetto; meglio ancora, mai avrebbe immaginato che avrebbe mai voluto esercitare un simile potere su un uomo. Ma, come già capitato, questa era solo un’altra delle prime volte da sperimentare con Thorn. Eppure, se non fosse riuscita a strappargli un sì a breve, era sicura che il rossore sulle guance e sugli occhiali — che stava trattenendo a fatica — l’avrebbe presto tradita. “Lavoreresti da casa e domani saresti nuovamente in ufficio, diligente come sempre. Intanto, io potrei godere di una lenta e piacevole colazione con mio marito questa mattina.” Si sporse per sfiorargli le labbra ancora strette in una linea dritta che si ammorbidì non appena si toccarono. “Ti ho convinto?”

Thorn si schiarì la voce e poi si aggiustò leggermente sulla sedia. “Forse… forse non è una cattiva idea. Potrei completare ogni mio compito anche da casa e assicurarmi ugualmente che tutto sia in ordine. Non mi sentirei a mio agio nel lasciarti qui da sola ed è mio dovere come tuo marito offrirti la mia protezione e il mio aiuto, soprattutto quando senti di averne bisogno,” aggiunse più per proprio beneficio che per quello di Ofelia.

“Perfetto! Chiamo subito Octavio; avevo già intenzione di farlo per-”

“No, lo chiamerò io,” la interruppe bruscamente lui, serrando la mascella. Ofelia sollevò un sopracciglio in risposta a quel cambio di atteggiamento. “Non c’è alcun bisogno che tu ti prenda il disturbo. Inoltre, non sei capace di mentire,” dichiarò secco dopo essersi schiarito una seconda volte la voce.

Ofelia lo guardò a bocca aperta. “Non è vero! Voglio ricordarti che ho mentito per anni ai miei genitori e per mesi a tua zia e alla mia?”

“Ricordo con estrema minuzia di dettagli le difficoltà presentate dalle varie telefonate effettuate in mia presenza,” confermò Thorn bevendo finalmente il suo tè.

Fu Ofelia a sbuffare questa volta, dopo aver rimosso la mano da quella di Thorn, per grande disappunto di quest’ultimo. “Va bene, chiamalo pure tu. Ma non c’era bisogno di addurre come scusa la mia incapacità di mentire. So benissimo il motivo per cui non vuoi che sia io a chiamare Octavio,” disse infine, concludendo la discussione.

 

***

 

Trascorsero giorni di pura beatitudine, sebbene Ofelia non avesse tentato di trattenere a casa un giorno di più Thorn, ben conscia che anche solo chiederglielo di nuovo non sarebbe stato corretto nei suoi confronti. Rientrarono senza problemi nella loro routine e la sera, stanchi ma appagati, andavano a dormire dopo essersi persi ancora in un altro abbraccio, a volte più passionale e impetuoso, altre più lento e dolce. C’era, però, una piccola vocina che continuava ad assillare la giovane ogni volta che rimaneva da sola, come a volerle dire che qualcosa era stato messo da parte e meritava la sua attenzione. Non riusciva a capire cosa e spesso, con il trascorrere dei giorni, si scervellò tentando di ricordare, tanto che anche Thorn una sera a cena le chiese il motivo di certe smorfie.

Infine, un fulmine a ciel sereno la colse una mattina in cui era rimasta più a lungo sotto la doccia. Thorn l’aveva già salutata e lei, sentendosi le ossa più indolenzite, aveva deciso di lasciare che l’acqua calda risolvesse in parte il problema. A routine completata, colse di sfuggita il suo riflesso nel lungo specchio che tenevano in camera da letto — lo stesso che, solo una settimana prima, le aveva rimandato la nuova immagine di sé — e comprese ciò che aveva dimenticato.

La sua relazione con Thorn era definitivamente completa e guarita da quando avevano ritrovato il coraggio di donarsi l’uno all’altra, tuttavia in lei mancava un ultimo tassello ed era questa consapevolezza che aveva continuato a turbarla. Infatti, quando il marito l’aveva salutata quel pomeriggio, l’aveva interrotta proprio mentre stava per affrontare la sua ultima e più grande paura.

Il padrino le aveva sempre detto che essere un’Attraversaspecchi richiedeva tanto coraggio, la capacità di riuscire a guardare il proprio riflesso e riconoscersi, essere consapevoli di chi si era e accettarsi. Ma queste erano tutte qualità che le erano mancate un anno prima e, di conseguenza, non era stata più in grado di specchiarsi, soprattutto perché non sapeva più chi era. Per mesi era scappata da ogni superficie riflettente e aveva ignorato quel peso al petto che la opprimeva ogni volta che ne incontrava una. Tuttavia, ora sapeva che se non avesse affrontato quest’ultima sfida, non avrebbe potuto definirsi soddisfatta o anche solo completa; ci sarebbe stata sempre una mancanza o, come quegli ultimi giorni avevano dimostrato, una vocina che le avrebbe ricordato un’assenza importante.

Non aveva più paura di ciò che avrebbe visto e sapeva chi era quel giorno. Le mancava solo riappropriarsi di quel pezzo di anima che le era sfuggito.

Si fermò a un passo dallo specchio e la sua immagine sembrò annuire con il capo, come a dirle di non avere paura, infonderle altro coraggio. Con cautela allungò le dita artificiali e le appoggiò una a una sul vetro, non credendo nemmeno per un attimo che avrebbe fallito. Quando un secondo dopo nulla accadde, non riuscì a trattenere un singhiozzo. Strinse gli occhi, sconfitta, non riuscendo a capire il motivo dietro il suo fallimento; non aveva già, d’altronde, attraversato altri specchi da quando aveva perso le dita? Cosa le impediva ancora di tuffarsi nel proprio riflesso?

Stringendo gli occhi, rifiutò di piangere, nonostante le lacrime che si stavano già accumulando agli angoli degli occhi, e appoggiò tutto il contorno della mano alla superficie – palmo caldo, dita fredde – aspettandosi di scontrarsi ancora con la durezza di essa. Tuttavia, fu ancora una volta sorpresa quando percepì una sensazione familiare che le era mancata, una con la quale aveva convissuto tutta la vita. Sgranò allora gli occhi e osservò il vetro ora liquido inghiottirle prima la mano e poi il braccio. Non riuscendo a contenere la sorpresa mista a gioia, allungò la gamba e poi fece lo stesso con la parte sinistra che era rimasta immobile. Infine, anche il naso si tuffò e con esso portò tutto il resto del corpo.

In un altro luogo, ove risiedeva uno specchio complementare a quello nella camera da letto di Thorn e Ofelia, un uomo era intento a leggere con attenzione dei fascicoli. Era del tutto immerso nella lettura, sopracciglia aggrottate e labbra increspate, come se qualunque cosa ci fosse scritto non fosse di suo gradimento. Non si accorse, dunque, di ciò che stava avvenendo fino a che la luce proveniente dalla finestra non si scontrò con il metallo di quelle dita artificiali, facendolo luccicare.

Thorn alzò di scatto la testa e, perdendo per un attimo qualsiasi compostezza, osservò a bocca aperta gli arti della moglie farsi avanti, seguiti poi dal naso, gli occhiali e i capelli ancora umidicci. Ma ciò che lo colpì maggiormente fu il sorriso di lei e gli occhi che scintillavano di lacrime non versate e gioia pura.

Un secondo dopo era scattato in piedi; la raggiunse appena in tempo per evitare che inciampasse nella sciarpa saldamente aggrappata alla caviglia che, agitandosi, aveva rischiato di mandarla a terra. Thorn mantenne le dita strette attorno alle sue spalle, esercitando con i polpastrelli più pressione del necessario e l’aiutò a raddrizzarsi. Poi, senza dire una parola e non riuscendo a cancellare lo stupore dal proprio viso, la interrogò con gli occhi.

In risposta, ricevette solo un altro sorriso — uno dei più belli che Ofelia gli avesse mai regalato, se non il più bello. “Scusami, sai, com’è,” mormorò lei, indicando la sciarpa. “Era appoggiata alla sedia accanto allo specchio e deve essersi attaccata a me quando si è resa conto di ciò che stava accadendo.”

Thorn scosse la testa. “Ofelia…” sussurrò, non riuscendo a completare la frase.

Lei annuì, mentre finalmente le lacrime le rigavano il volto. “Sì, sì, Thorn. È perché sono un’Attraversaspecchi.”

Infine, contagiato dalla gioia che Ofelia trasudava, l’uomo curvò le labbra in su. “No, siamo Attraversaspecchi.”

 

***

 

Non passò molto tempo prima che un’altra importante decisione fu presa. Ofelia affermò una mattina a colazione che New Babel non aveva più nulla da insegnare loro e Thorn si dichiarò concorde, dimostrando anche di non temere niente di ciò che avrebbe potuto attenderlo al Polo. , Intanto, sarebbero sempre stati grati a quest’arca — e alla nuova società che vi risiedeva — per l’opportunità e lo spazio che aveva donato loro. Vi erano giunti per la prima volta da soli e persi, in momenti diversi, quando ancora l’aggettivo New non era stato aggiunto e il nemico da affrontare si nascondeva dietro tante insidie. Ora l’avrebbero lasciata con nuove cicatrici come prova di ciò che avevano superato; erano più spesse e grandi, e talvolta prudevano o davano fastidio come quelle volte in cui ti rivelano che fuori sta per piovere. Era però una sensazione che spariva facilmente in sottofondo perché era sovrastata da altre più felici, e in nessuno modo la memoria si sarebbe trasformata in dolore.

Una mattina, mentre procedevano con la tabella di marcia, Thorn rimase qualche minuto di più ad osservare il profilo di Ofelia o la sua espressione concentrata. Era raro per lui distrarsi, ma c’era una domanda che aveva rischiato di togliergli il sonno per alcune notti ormai e doveva porgliela. “Ti mancherà New Babel?”

Ofelia si immobilizzò, presa in contropiede, e poi voltò la testa di scatto mostrando la bocca semi aperta; la chiuse prima di tranquillizzare la fedele amica sulle sue spalle e bloccare un cassetto della cucina che si ostinava a volersi aprire e a colpirla sul fianco. “No,” rispose infine, sincera. “Per quanto sia felice dello spazio che ci è stato dato, porta molti ricordi tristi. I più felici sono contenuti tra queste quattro mura, quindi si potrebbe dire che mi mancherà questo nostro angolo privato.”

Thorn annuì in silenzio, ma Ofelia poté leggere chiaramente nelle sue rughe d’espressione che non era contento della risposta. Infatti, poco dopo proseguì: “Sei sicura di voler vivere al Polo?” Non poteva capire come potesse essere tanto ansiosa di tornare in quel luogo gelido che era ugualmente detentore di brutti ricordi. In più, non poteva dimenticare le difficoltà che aveva avuto nell’ambientarsi.

Il cipiglio profondo tra le due sopracciglia fu quanto bastò a Ofelia per comprendere la natura di quella domanda e si affrettò a cancellare subito qualsiasi dubbio o insicurezza in lui. Si avvicinò e gli prese le mani mentre alzava il volto per incontrare il suo sguardo perplesso. “Come posso spiegarti che, per certi versi, il Polo è stata casa mia tanto quanto lo è stata Anima? Non sono mai riuscita a sentirmi a casa qui, a parte questi mesi che abbiamo trascorso felici in questo appartamento, ma… il Polo è così diverso. New Babel prima di te è stato un… rifugio?” la frase le uscì più come una domanda che un’affermazione. “Era il posto dove potevo scappare per non impazzire, nascondermi e non dover spiegare ogni volta perché viaggiavo tra gli specchi visto tutti gli altri non approvavano la mia scelta. Ma il Polo è ancora oggi il luogo dove mi sono innamorata di te — conserverò sempre questo ricordo — e ci sono ancora tante cose che dobbiamo fare. Restare mi sembrerebbe come non andare più avanti, immobile; il nostro compito qui è concluso.”

“Non capisco,” ripeté Thorn aggrottando la fronte. “Che ne è del clima inospitale e dei clan a me ancora ostili? Della tua famiglia e del mio stato di bastardo? Logicamente i motivi per scoraggiarti nel prendere una decisione di questo tipo superano i lati positivi.”

Ofelia gli strinse le mani prima di rispondergli. “Il clima non è niente altro che un ostacolo facilmente superabile e ora che il mondo attorno a noi è cambiato, mi aspetto di trovare una società differente anche al Polo; senza contare che le nostre zie ce l’hanno già accennato. I miei parenti posso sempre andare a trovarli, mentre, per l’ultimo punto… Faruk ti ha affrancato di quello stato quando ancora gli spiriti di famiglia detenevano un ruolo importante.”

“Non voglio che in futuro te ne penta e me ne faccia una colpa,” chiarì lui, secco.

Lei scosse la stessa. “Non potrei mai.” Si aggrappò alle sue braccia e poi si alzò in punta di piedi, Thorn comprese ciò che voleva fare e chinò la grossa spina dorsale per venirle incontro. Ofelia gli baciò la cicatrice sulla guancia e poi gli angoli della bocca. “Quando mai abbiamo scelto la strada più facile io e te? Ma sapere che faremo ogni cosa insieme mi basta. Non ricordi cosa ci siamo promessi? Se necessario, te lo rammenterò ancora,” sussurrò e non gli sfuggì nemmeno l’ironia di quella frase.

Il marito si schiarì la gola. “Non ce n’è bisogno,” affermò mentre tentava di nascondere in quanti modi il suo corpo era ancora affetto da quel contatto. Ofelia lo trovava tenerissimo, ma Thorn insisteva nel dire che al di fuori della loro camera da letto era rigoroso essere sempre il ritratto della compostezza e non indulgere in determinate sensazioni se non per qualche secondo. Sembrava che, man mano che la partenza per il Polo si avvicinava, più ripeteva il concetto.

Ofelia annuì. “Bene. C’è altro che vorresti chiedermi?” A un cenno negativo della testa, lei riprese. “Ottimo, perché credo dovremmo muoverci a sbrigare le ultime pratiche.”

Thorn aggrottò di nuovo la fronte. “Abbiamo esattamente sette giorni, quindici ore e ventitré minuti prima della nostra partenza. Secondo i miei calcoli, lavorando cinque ore e diciassette minuti al giorno non avremo problemi a concludere il tutto senza alcun affanno.”

“Lo so, credo di ricordare i tuoi piani. Ma, intanto, mi è venuta in mente un’altra questione importante che dobbiamo risolvere prima di lasciare New Babel e ci impegnerà i prossimi sette giorni,” affermò lei.

Il marito non sembrò molto contento di questo repentino cambiò di piani e non esitò a mostrare il suo disappunto. “Perché non me l’hai riferito prima?” volle sapere. “In questo modo ci restano solo quindici ore e ventuno minuti per ultimare tutti i processi restanti,” pronunciò atono facendo scattare l’orologio.

Non aveva tutti i torti, pensò Ofelia, ma il fatto era che quell’idea le era venuta solo quel giorno, osservando l’uomo in giro per l’appartamento e il modo in cui quest’ultimo rispondeva a lui. Il suo animismo aveva contagiato il loro porto sicuro così come quello di lei ed era impossibile non notarlo insieme al fastidio di Thorn ogni volta che i bottoni di una camicia facevano di testa loro o i lacci delle scarpe creavano nodi impossibili da districare. Tuttavia, era sicura che i suoi piani per la restante settimana avrebbero alleggerito la tensione della partenza e la tristezza degli addii.

Con te che dirigi tutto sono sicura che non avremo problemi,” annunciò prima di tornare a chiudere una valigia che si era riaperta di sua spontanea volontà.



 


 

N/A: Buon giovedì a tutti! Anche questa volta abbiamo un capitolo importante. Inizialmente volevo inserire questo risvolto nello stesso capitolo in cui Ofelia e Thorn si ritrovavano ma poi ho pensato che avendo entrambi tanta importanza era meglio dividerli. Quindi eccoci qua. Ve lo aspettavate? Ora, però, finalmente anche Ofelia ha davvero piena consapevolezza di sé. E le frasi finali di lei e Thorn sono un chiarissimo riferimento al finale della saga. 

Alcune idee su cosa quest'ultima cosa a cui Ofelia si riferisce potrebbe essere? Lo scopriremo solo al Polo e quindi non nel prossimo capitolo, che verrà pubblicato tra due settimane. 

A presto e spero di sentirvi! 💖

 

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Capitolo 16
*** Promessa ***


 

 Promessa

 

“E così avete preso la vostra decisione? Partirete?” le chiese finalmente Octavio mentre controllava insieme a Ofelia la revisione degli ultimi articoli che le aveva commissionato.

Lei annuì senza alzare gli occhi dalla pergamena.

Well, non posso affermare di esserne sorpreso,” aggiunse il Visionario, aggrottando la fronte mentre cercava di acchiappare un documento birichino che si stava divertendo a scappare dalla fila ordinata in cui era stato inserito. Appoggiò la mano con tutto l’avambraccio su di esso mentre alzava lo sguardo verso Ofelia, ma non servì a nulla. Sbuffò e poi continuò la conversazione con l’amica. “Ho sempre saputo che New Babel non sarebbe stata la tua casa per sempre, ma sono molto contento di ogni progresso che hai fatto. Da quando ci siamo incontrati la prima volta ho avuto modo di conoscere molte versioni di te, dear Ofelia, ma posso affermare con sicurezza che questa è quella che più ti si addice.”

Ofelia arrossì leggermente prima di incontrare finalmente il suo sguardo. “Grazie, Octavio. Devo ringraziare anche te per tutto l’aiuto che mi hai dato. Sei stata una risorsa incredibile e non potrei mai dimenticare il tempo passato insieme.” Poi agitò le dita che impugnavano la piuma e ridacchiò. “Di certo non mi mancheranno i ricordi,” affermò riferendosi al fatto che era stato proprio il Visionario a fornirle i guanti che avevano sostituito quelli da lettrice.

“Non dimenticare che prima ancora di tutto ciò, sei stata tu ad aiutare me,” le disse lui in riferimento al periodo in cui Babel era regolata da istruzioni più ferree e loro due erano apparentemente rivali.

Ofelia annuì. “Ci siamo aiutati nel momento nel maggior bisogno senza nemmeno rendercene conto all’inizio. Ed è per questo che la tua amicizia avrà sempre un valore incommensurabile per me,” confermò. “E non so dove sarei oggi se non mi avessi spronato in questi ultimi anni. Mi hai aperto gli occhi più di una volta e posso affermare sia per me che mio marito che il tuo aiuto è stato un alleato prezioso.”

Octavio le era stata accanto quando ancora Ofelia viaggiava tra uno specchio all’altro alla ricerca di ciò — o meglio chi — che tutti avevano già dato per perso; le avevo offerto il proprio supporto quando aveva pensato che non ci fosse  alcuna speranza o ragione di vivere; le aveva fatto vedere con chiarezza i punti deboli del suo rapporto con Thorn grazie alla sua prospettiva di persona esterna; le aveva fornito i mezzi necessari a superare il lutto rappresentato dalla perdita dell’Ofelia lettrice. In breve, Octavio era l’amico migliore che lei avrebbe mai potuto desiderare nel periodo peggiore della sua vita, e anche se ora l’avrebbe lasciato dietro di sé, era stata sincera nel dire che non le sarebbero mancati i riferimenti al ruolo importante che aveva avuto.

Sebbene con il ritorno di Thorn i due amici avessero cominciato a incontrarsi di meno e, di conseguenza, anche l’aiuto di Octavio fosse risultato non più così necessario, non avrebbe potuto dimenticare il primo periodo passato a New Babel e l’aiuto genuino che aveva ricevuto.

Thorn le aveva re-insegnato a vedersi sotto una nuova luce, a riprendere coscienza di sé e ricordare chi era e amava, ma Octavio l’aveva aiutata a mantenersi in piedi nell’attesa che il marito potesse tornare e compiere i passi più importanti. E per quanto quest’ultimo potesse essere geloso del rapporto stretto che determinate circostanze aveva formato tra i due, Ofelia sapeva che ne era eternamente grato. La gelosia non gli avrebbe mai annebbiato la mente al punto da negare una verità simile.

Ofelia non sapeva se e quando sarebbe ritornata su quest’arca, poiché al momento questioni più urgenti richiedevano la sua attenzione, ma sperava che, per lo meno, l’affetto che li univa non sparisse, anche se avessero continuato a scambiarsi solo semplici missive senza più rivedersi.

“Lo rifarei ancora, my friend,” le assicurò Octavio. “La tua amicizia mi è preziosa e spero che questo non sia il nostro ultimo incontro.” Senza saperlo, aveva formulato a parole il desiderio che Ofelia aveva espresso giusto qualche secondo prima.

Recuperò per l’ennesima volta il documento che continuava a scappare, lo immobilizzò tra alcune graffette e, infine, si alzò. Poi fece un cenno a Thorn, il quale era apparso nella stanza richiamato dal rumore della sedia che graffiava il pavimento; in cambio, l’ex-intendente gli lanciò il solito sguardo severo che, però, non conteneva alcuna traccia di animosità.

“No, Octavio. Non verrai a salutarci alla nostra partenza?” gli chiese lei mentre gettava un’occhiata al marito per chiedere conferma.

“Se per voi va bene,” rispose lui con gli occhi che correvano dall’uno all’altra, “sarebbe un onore per me salutarvi prima che dobbiate lasciare New Babel.”

“Il nostro dirigibile partirà il prossimo giovedì alle 9.15. Fatevi trovare all’aerostazione per le 8.45; non un minuto più tardi,” fornì Thorn.

“Ma certo, immagino che non vogliate assolutamente fare tardi e, in questo modo, potrete dedicare il tempo necessario ai saluti.”

“Anche Blasius e il professore ci incontreranno lì,” aggiunse Ofelia. “Sono già stati informati. Voi tre siete le uniche persone che devo ringraziare per il tempo trascorso a New Babel e le uniche delle quale serberò sempre un ricordo felice.”

Detto ciò, i tre si salutarono e Octavio portò via con sé gli ultimi lavori che Ofelia avrebbe mai svolto per lui. Era un impiego che l’aveva occupata durante i momenti più solitari e le aveva permesso di continuare a vivere modestamente anche senza marito e famiglia alle spalle, ma non poteva dire che era tra le cose che le sarebbero mai mancate. Giunta al Polo sperava di poter cominciare un progetto che l’avrebbe entusiasmata molto di più e le avrebbe ricordato in parte la sua vecchia professione, quella a cui le era impossibile tornare. Prima, però, l’aspettavano mille altri problemi da risolvere.

Alzò lo sguardo su Thorn, il quale ancora seguiva con occhi di falco, dalla finestra, la figura di Octavio che diventava sempre più piccola. Allungò la mano e strinse quella di lui, il quale si voltò di scatto e poi si piegò per rubarle un bacio.

“Torniamo alle nostre mansioni,” ordinò, senza fare riferimento alla conversazione e all’addio tra Ofelia e l’amico. Per quanto era ormai conscio che la gelosia che provava nei confronti di quest’ultimo fosse immotivata, preferiva non soffermarsi con la mente su ciò che si erano detti e l’affetto che entrambi provavano reciprocamente. Aveva imparato quanto quell’amicizia fosse importante per la moglie e preferiva tenere pensieri più amari per sé per non rovinarle quella giornata.

Ofelia gli sorrise, grata della comprensione di Thorn e annuì. “Andiamo, c’è ancora qualcosa da concludere,” ridacchiò. Erano ancora impegnati nell’ultima missione a cui la giovane aveva fatto riferimento qualche giorno prima, ma non poteva dire che non le stesse fornendo divertimento; era sicuramente un’attività perfetta per sollevare gli spiriti un po’ tristi a causa della partenza imminente. Inoltre, le reazioni di Thorn la ripagavano di tutto. Chissà cosa avrebbero detto la zia Roseline e Berenilde quando avrebbero scoperto in che modo avevano occupato i loro ultimi giorni a New Babel.

 

***

 

Quel giovedì mattina si trovarono pronti alle otto in punto; con un uomo come Thorn accanto era pressoché impossibile fare ritardo o anche solo dimenticare qualcosa. Quindi, quando le loro valigie erano pronte e accostate all’ingresso, i due sposi si trovarono in piedi nel piccolo soggiorno dell’appartamento che aveva fatto da sfondo ai mesi più ricchi della loro nuova relazione.

Come aveva già detto, Ofelia sapeva che quel piccolo paradiso le sarebbe mancato molto di più dell’arca che stavano per lasciare. Mentre si soffermava con gli occhi su ogni angolo dell’appartamento illuminato dalla luce che trapelava attraverso le tende chiuse, provò più di un sentimento dolceamaro. Dolce perché ogni piccolo riferimento le riportava alla mente momenti felici e i traguardi raggiunti con Thorn, amaro per l’impossibilità di mantenere quello spazio e portarlo con sé.

Thorn, accanto a lei e meno sentimentale, le strinse la mano e seguì lo sguardo di lei. “Qualsiasi emozione questo appartamento ti suscita riusciremo a ricrearla nella nuova casa che ci accoglierà,” le assicurò nel tentativo di confortarla. Ofelia annuì, anche se dentro di sé pensava che non sarebbe mai stato lo stesso. Tuttavia, comprendeva che rimanere lì sarebbe stato come non andare mai avanti e che lasciare quel posto era la scelta giusta; contaminarlo con pensieri diversi da quelli felici che avrebbe portato sempre dentro di sé non lo sarebbe stata.

Il marito prese allora la maggioranza delle valigie poste accanto a loro mentre Ofelia ne afferrava una più piccola e, insieme, dopo aver chiuso per un’ultima volta la porta dietro di loro, si avviarono.

 

***

 

Quando arrivarono all’aerostazione le nuvole avevano ormai ricoperto il sole e il cielo si era inevitabilmente scurito. Ofelia aveva tirato fuori il grosso ombrello per ripararsi dalla pioggia che era caduta prima leggera e poi più prepotente sopra di loro; la differenza di altezza, però, faceva sì che non potesse offrire lo stesso riparo al marito. Ma Thorn sembrava imperturbato dall’acqua che gli aveva appiccicato i biondi cappelli alla fronte e si preoccupava solo di portare quanto più velocemente la moglie al coperto. Mentre lo faceva, pensava a quanto sarebbe stata utile, in quel momento, la vecchia pelliccia che aveva indossato durante il suo primo viaggio ad Anima.

Senza saperlo, entrambi stavano ripensando a quell’incontro. Sarebbe stato difficile, d’altronde, non farlo, dati i vari riferimenti che erano stati loro forniti in quel giorno piovoso. Il tempo all’improvviso più cupo rammentava, infatti, quella prima fatidica presentazione.

Ofelia fece fatica a ricordare quel mix di emozioni che aveva provato quando le era stato detto del fidanzamento con Thorn e che aveva continuato a seguirla anche quando si era recata alla stazione per accoglierlo. Ansia, rabbia, timore, erano sentimenti che l’avevano fatta sentire smarrita lì in attesa di un destino che le era stato imposto e al quale non avrebbe mai voluto prendere parte volontariamente. Si chiese cosa avrebbe pensato l’Ofelia di qualche anno fa se le fosse stato anticipato tutto ciò che le sarebbe accaduto a breve, ma soprattutto quanto quei sentimenti sarebbero stati stravolti.

Con chiarezza, però, fu contenta di constatare che avrebbe rifatto tutto d’accapo pur di arrivare a quel momento. Era stato un viaggio ricco di dolore – del tipo che oscurava spesso anche i brevi ricordi felici – eppure il risultato superava ogni lacrima che aveva versato. In più, non era così ingenua da pensare che, se anche avesse avuto la possibilità di cambiare qualcosa o non lasciare mai Anima l’Altro non l’avrebbe mai trovata.

In compenso, aveva trovato un amore che non aveva mai creduto possibile, non nell’arca natale dove tutti erano considerati parenti e le venivano proposti matrimoni con un cugino dopo l’altro. La verità era che la vita che sua madre e sua sorella Agata conducevano non faceva per lei; ecco perché nella sua famiglia aveva sempre provato un po' disagio, quella sensazione di non trovarsi davvero dove doveva essere. Forse quindi, rifletté mentre le tornava alla mente l’immagine dell’uomo-orso – la prima che aveva avuto del marito –, il destino che aveva tanto rifiutato all’inizio non era poi stato così cattivo con lei. Forse, lei e Thorn erano sempre stati destinati ad incrociarsi ed entrambi avrebbero dovuto sconvolgere le loro vite monotone e insoddisfacenti che si svolgevano su un percorso non del tutto adatto a loro. Lei e Thorn, si disse, erano stati come una tempesta improvvisa nella vita dell’altro e ora che il sole era sorto a seguito di essa, il panorama appariva decisamente più interessante di prima.

Nello stesso istante, la mente di Thorn stava riproducendo la sorpresa che quel viaggio verso Anima aveva rappresentato per lui. Tutta la sicurezza in sé e nel piano che aveva architettato, la determinazione con la quale era giunto e la consapevolezza che quello non era altro che il primo passo erano svaniti nel giro di un’ora una volta posati gli occhi sulla sua bassa e maldestra fidanzata.

Com’è ironica la vita: nonostante tutti i programmi e gli schemi ben delineati che possiamo preparare, le regole che si seguono e i libri che si studiano, basta poco a far saltare tutti i principi della logica e della razionalità.

Nel caso di Thorn, era bastata un’ora, un’ora per rendersi conto che quel fidanzamento non sarebbe andato come previsto. Di fronte all’animosità che lei gli aveva rivolto – in netto contrasto con un sentimento sbocciato in lui così d’improvviso da non sapergli dare nemmeno un nome – aveva preparato tutto il suo arsenale di uomo misantropo e freddo per non soccombere e mostrarsi nudo. Quell’imprevisto, si era detto, era soltanto un piccolo intoppo nel grande schema delle cose e non avrebbe lasciato che stravolgesse il suo obiettivo finale. Lui, d’altronde, era abituato ad incidenti anche più pericolosi.

Ma ancora una volta, il fato gli aveva dimostrato il contrario.

In quel momento, però, mentre ripensava a quella scoperta, si disse che non era per nulla dispiaciuto di come erano andate le cose. E per qualcuno che era abituato a programmare ogni minuto del suo tempo, significava dire molto.

Avrebbe solo preferito che il mondo attorno a lui non pianificasse sempre qualche congettura per strappargli ciò che aveva di più prezioso. E per ‘mondo’ intendeva anche ex Ambasciatori che erano abituati a veder cadere ai loro piedi stole di donne. Ma no, non avrebbe permesso a quest’ultimo di contaminare i suoi ricordi o la sua giornata.

Fece scattare l’orologio da taschino solo per sentirne il tac-tac confortante, sistemò il colletto della camicia già perfettamente ordinato e strinse la presa sull’impugnatura delle valigie. Ofelia alzò lo sguardo verso di lui, attratta dal rumore dell’orologio, e gli sorrise. Lui aggrottò le sopracciglia nel vederla tutta bagnata nonostante l’ombrello che le aveva procurato e si affrettò a percorrere i pochi metri che mancavano dall’ingresso dell’aerostazione.

Portata in salvo la moglie e tentato di salvaguardare quanto più possibile la sua salute in quelle condizioni, tirò un grosso sospiro e controllò l’orario. Erano le 8.44.

Le rughe d’espressione si accentuarono ancora di più sul suo viso, l’umore peggiorò per un millesimo di secondo nel constatare che, salvo gli impiegati, l’interno era vuoto. Eppure, gli era sembrato di essere stato chiaro: non apprezzava particolarmente i ritardatari, anzi per nulla.

Ma il fastidio sparì subito non appena notò il sorriso di Ofelia accendersi nonostante l’essere bagnata fradicia non dovesse essere esattamente quello che Thorn definiva confortevole. Seguendo la traiettoria di lei, notò tre figure che non aveva scorto in precedenza a causa dei loro abiti scuri e della posizione non centrale.

Octavio, Blasius e il professor Wolf erano già lì.

Tirò nuovamente fuori l’orologio dal taschino del proprio cappotto – nonostante la stazione fosse fornita di un esemplare più grande e comodamente appeso alla parete – e controllò le due lancette più veloci.

Erano le 8.45.

 

*** 

 

Fu un saluto breve, perché Thorn aveva dichiarato necessario imbarcarsi sulla vettura almeno 15 minuti prima della prevista partenza. Ofelia rassicurò gli amici che si sarebbe tenuta in contatto con loro, anche se magari all’inizio la corrispondenza sarebbe potuta essere più lenta a causa dei tanti impegni che avrebbero sicuramente riempito le prime giornate, e si fece promettere che l’avrebbero tenuto aggiornata sulla vita a New Babel. Tuttavia, tutti furono d’accordo sul fatto che l’intero addio fu una delle esperienze più imbarazzanti che avevano mai vissuto.

Thorn non faceva testo; per lui gli addii o qualsiasi tipo di saluto erano sempre un evento da evitare risolutamente. Oltre che uno spreco di tempo. Il fatto che questa volta dovesse, poi, assistere a tre uomini che tentavano di trattenere sua moglie non aiutava la circostanza.

I tre sopracitati, invece, soffrivano di diverse forme di disagio causate proprio dall’impazienza di Thorn e dall’aria tesa che circondava il loro piccolo circolo. In realtà, parlare di disagio per il professore era sbagliato, ma i palmi sudaticci di Blasius e le occhiate nervose che continuava a lanciare a Thorn mentre tentava di parlare con Ofelia valevano anche per il compagno.

E per quel che concerneva Ofelia... avrebbe voluto sospirare, ma in realtà si era già messa l’anima in pace. A dirla tutta, poi, non biasimava davvero Thorn: comprendeva benissimo che fosse un tipo di situazione in cui non si era mai trovato a suo agio e aveva annuito di buon grado quando lui aveva comunicato l’orario in cui avrebbero dovuto salire sul dirigibile.

Alla fine, Blasius riuscì a trovare il coraggio per abbracciare Ofelia, la quale restituì impacciata il gesto, ma non si poté dire lo stesso di Octavio. Lui le riservò un sorriso timido e a Thorn un addio breve e informale. Il professore, invece, colse di sorpresa la giovane Animista raccomandandole di restare fuori dai guai – anche se il vero significato di ciò che le aveva detto Ofelia lo capì soltanto quando era ormai sul veicolo. Il tutto era stato nascosto all’interno di una frase come suo solito burbera.

Poco dopo, la donna si ritrovò a scrutare attraverso i vetri obliqui della sua stanza le tre figure che diventavano più piccole man mano che lasciavano la stazione. Sospirò e poi volse il proprio sguardo altrove, proprio nel momento in cui Thorn rientrava e sistemava le loro valigie in modo tale che occupassero quanto meno spazio possibile – e soprattutto, dove non c’era pericolo che Ofelia vi inciampasse. Lo osservò, senza dire una parola, mentre piegava il proprio corpo per sedersi accanto a lei sul letto matrimoniale. Che differenza abissale, pensò ancora, rispetto al loro primo viaggio.

Il corpo di lui rimase immobile e perfettamente rigido per qualche secondo, poi Thorn allungò il braccio e afferrò la mano di lei, facendo più pressione del solito. In quella stretta, Ofelia lesse ansia e preoccupazione. Trattenne il fiato nell’attesa delle parole che le avrebbe detto a breve; era evidente che non sarebbe stato nulla di semplice – non lo era di certo per lui.

Thorn si schiarì la gola e poi la fissò con i suoi occhi di ghiaccio. “Non posso farti tornare lettrice, Ofelia,” esordì. “Anche se è mia prerogativa farti felice e sarei disposto a tutto per renderlo possibile, ne so abbastanza da non sprecare le mie energie in qualcosa di impraticabile.”

Ofelia fece per rispondergli che la rendeva già felice così, ma lo sguardo penetrante che le lanciò le fece capire che avrebbe dovuto ascoltare tutto fino alla fine.

“Non posso ridarti il potere a cui eri tanto legata, ma...” le strinse ancora la mano, “ma posso farti un’altra promessa, una alla quale posso adempiere. Ti aiuterò a riparare quella tua parte di te, soprattutto, farò sì che la mancanza possa essere sostituita con altro; ti sarò accanto mentre costruirai nuove memorie che possano ugualmente soddisfare il tuo animo. Anche se non potrai più essere quella lettrice, fin quando sarai mia moglie, mi assicurerò che tu non possa mai sentirti insoddisfatta o infelice della vita che conduci. Anche un po’ di più.”

Lei rimase a guardarlo con la bocca semi-aperta, le guance che prendevano colore e gli occhi che le si inumidivano. Il senso di colpa che aveva sentito in ogni sua parola l’aveva colpita profondamente, ma ancora di più la risoluzione con la quale le aveva appena promesso il mondo – a suo modo.Si sollevò di slancio dal letto e gli gettò le braccia al collo, prendendolo così alla sprovvista da farlo cadere di schiena. Si ritrovarono entrambi distesi, Ofelia sopra di lui che piangeva lacrime di gioia nell’incavo del suo collo.

Dopo un attimo di esitazione, lui la strinse altrettanto a sé – le sue braccia la inghiottirono completamente – e poi affondò il viso nei suoi capelli ricci per inspirarne l’odore. Entrambi assorbirono quanto più conforto da quell’abbraccio e, infine, i singhiozzi di Ofelia si smorzarono. Quando rialzò il viso, il sorriso le illuminava il volto e Thorn sentì quasi il fiato mancargli di conseguenza.

“Non ho dubbi,” affermò, convinta. “Non ho dubbi che riuscirai ad adempiere a questa e qualunque altra promessa vorrai farmi, così come io ti assicuro che mi impegnerò altrettanto per rendere te felice.” Poi allungò le dita artificiali verso di lui e gli carezzò la guancia. “E fin quando mi resterai accanto, non sentirò la mancanza della me lettrice. Le mie dita sono un prezzo che pagherei ancora e ancora perché non ne esiste uno troppo alto da pagare se in cambio ho te. Ho scelto te, Thorn; ho scelto te e lo rifarei.”

Le mani di lui, ferme sui fianchi di Ofelia, premettero sulla sua pelle e la strinsero a sé. In seguito abbassò il viso in modo tale che le loro fronti si sfiorassero.

Restarono per quel che sembrarono ore in quella posizione – anche se in realtà erano secondi – a sentire i loro respiri che si mischiavano, prima di separarsi. Poi, Thorn le baciò di sfuggita le labbra una volta, due volte, fino a quando Ofelia non si decise ad approfondire il contatto. Si baciarono a lungo e si staccarono solo quando respirare divenne inevitabile. Thorn le spostò alcune ciocche ribelli dietro l’orecchio e le rivolse un sorriso solo accennato che, però, da parte sua ne valeva mille smaglianti. Le infuse così tanta sicurezza che, all’improvviso, attendere la durata del viaggio prima di giungere al Polo le sembrò impossibile.

Non vedeva l’ora di cominciare la loro vita insieme per davvero perché, dopo tutto, quella che avevano vissuto a New Babel era stata solo un’altra prova – sebbene la più difficile. E ora che Thorn le aveva rivolto quelle parole, che le sembrarono tanto belle quanto quelle che le aveva detto in fretta in una cella buia, si sentiva in grado di affrontare tutto.


 



N/A:  

Ebbene, cosa ne pensate di questa promessa? Era una vita che volevo scrivere questo pezzo perché è, in realtà, una delle cose a cui ho pensato mentre stavo solo abbozzando la trama di questa storia. Ho sempre creduto che, in effetti, Thorn potesse sempre sentirsi in colpa per il modo e il motivo per cui Ofelia ha perso le dita, tuttavia, è anche un uomo razionale che sa quanto sia inutile piangere sul latte versato. Ora che sono entrambi guariti sa che può rendere la moglie felice anche senza darle l’impossibile, che è perfettamente in grado di esserle utile e viverle accanto. L’idea che possa proporsi di sostituire quella mancanza con nuovi ricordi, riempire quel vuoto, è una possibilità che ho pensato si addicesse tanto al suo lato pratico – oltre al fatto che è assolutamente dolce e consono al suo bisogno di soddisfare Ofelia.  

Spero vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me immaginare la scena mentre la scrivevo. 

Nel prossimo capitolo si va al Polo – finalmente direte 😜. Siete emozionati? Io anche un po’ nervosa perché ci sono un po’ di cose da risolvere anche lì. Ci leggiamo come di consuetudine tra due settimane.  

Spero di leggervi nei commenti perché le recensioni sono tante buone come uovo di cioccolato a Pasqua! (E tanti auguri in anticipo a chi la festeggia). 

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Capitolo 17
*** Il Polo ***


 

 Il Polo
 


Roseline restò ad ascoltare il rumore proveniente dalla cornetta per qualche secondo anche quando dall’altra parte avevano ormai attaccato; l’apparecchio le rimandò indietro il suono del suo respiro pesante insieme al classico tu-tu che proclamava la linea caduta. Infine, inspirò ed espirò un’ultima volta e poggiò il ricevitore al suo posto. Non aveva ancora completato del tutto il gesto che una voce particolarmente acuta e agitata le risuonò nelle orecchie — troppo acuta.

“Allora? Che hanno detto? È durata tremendamente poco la telefonata. Avresti potuto passarmeli; ho diritto quanto te di parlare con mio nipote!” Berenilde le stava parlando da dietro le spalle, rischiando di spaccarle i timpani a causa del tono elevato. Roseline si accigliò e poi la ignorò, andando a sedersi subito sulla poltrona a lei più vicina. O sarebbe stato meglio dire che si accasciò come un peso morto su di essa, sentendosi incredibilmente pesante e leggera allo stesso tempo. Forse stava per svenire. In effetti, a un occhio esterno appariva estremamente pallida e sudaticcia. Riconoscendo i sintomi — e conoscendo ormai la signora — una domestica si affrettò a raggiungerla, agitandole un ventaglio davanti al viso e, subito dopo, dei sali sotto il naso. Erano due oggetti che gli aiutanti di quella dimora erano ormai abituati a portare sempre con sé in quell’ultimo periodo, soprattutto da quando i nipoti delle due dame avevano cominciato a condividere notizie destabilizzanti e scioccanti.

“Ebbene?” la interrogò ancora Berenilde, la quale non parve accorgersi dello stato dell’amica, troppo presa dalla propria impazienza — che richiamava anche quella del nipote, per certi versi.

Roseline finalmente rialzò il capo verso di lei e le lanciò un’occhiata carica di disapprovazione. “Per tutti gli antenati! Non può una vecchia signora avere il tempo di rallentare il proprio cuore impazzito in questa casa? Preferiresti che io mi accasciassi a terra svenuta prima di avere il tempo di rispondere alle tue domande insistenti?” Si raddrizzò tutta impettita, cercando di darsi un minimo di contegno e far dimenticare lo spettacolo un po’ penoso che aveva appena dato. Se avesse potuto, avrebbe sistemato i vestiti ora tutti sgualciti così come faceva con la carta che tanto amava riparare.

“Suvvia,” le ripeté la padrona di casa sventolando la mano, “non fare la melodrammatica; non è da te, Roseline.” Berenilde si sistemò accanto a lei, poi si rivolse alla domestica. “Un caffè per me e una tisana per distendere i nervi alla signora, grazie.” Quando la giovane se ne andò, si voltò ancora verso l'Animista, impaziente, e lo sguardo penetrante che le lanciò le fece intendere che se non avesse cominciato a parlare a breve avrebbe dovuto aspettarsi un’emicrania.

“Hmph,” sbuffò Roseline. “Io sarei la melodrammatica? Sembra di sentir parlare il cugino Giacomo,” borbottò tra sé e sé. “Ebbene, non arruffare troppo le tue penne, Berenilde, ma sembra che i nostri nipoti siano finalmente pronti a tornare a casa.” E come se non avesse detto nulla di particolare — o qualcosa che aveva rischiato di farla svenire solo poco prima — cominciò a bere la propria tisana placidamente.

L’amica restò a bocca aperta, poi si voltò a guardare la figlia che aveva osservato il dibattito combattuta tra l’essere divertita o scocciata, come a volerle chiedere conferma di ciò che aveva appena udito.

“Torneranno?”

Roseline si limitò ad annuire, non smettendo per un attimo di sorseggiare la bevanda.

Calò il silenzio nella stanza, così opprimente che sembrava dovesse protrarsi all’infinito. Quando infine si spezzò, fu il caos e niente e nessuno avrebbe potuto assicurare che sarebbe finito presto.

 

***

 

I preparativi lanciarono l’intera dimora in uno stato di fervente attesa ed eccitazione. Berenilde era così contenta di sapere che il nipote un tempo creduto morto sarebbe tornato che non si risparmiò. Per fortun  non aveva nemmeno un briciolo di sangue animista, pensava Roseline, ugualmente stremata da quell’organizzazione, perché altrimenti avrebbe dovuto aspettarsi di vedere la casa alzarsi in punta di piedi e cominciare a ballare o, peggio, darsela a gambe levate!

Ma non fu soltanto quell’abitazione l’obiettivo di tali preparazioni; tutt’altro. Siccome Thorn non stava tornando da solo, bensì con la moglie, bisognava preparare un luogo consono alla loro vita matrimoniale. Non potevano, d’altronde, aspettarsi che continuassero a vivere scortati dalle zie, vero? Senza considerare che la loro vita intima avrebbe potuto risentirne e Berenilde era pronta a scongiurare subito quell’evenienza. Il nipote e la moglie avrebbero dovuto farsi da fare per ripopolare quanto prima il loro clan caduto in disgrazia e, per farlo, avrebbe messo a disposizione un luogo tutto loro. Ordinò, dunque, che uno dei tanti castelli di Thorn — quello più vicino, ovviamente — fosse riportato all’antico splendore e modernizzato cosicché potesse ospitare la coppia e le loro abitudini senza problemi. Dopo un po’, cominciò a essere soddisfatta dei risultati, sebbene pensasse che i domestici fossero troppo lenti, e tutta la fibrillazione che ruotava attorno alle due dimore richiamò inevitabilmente l’attenzione di gran parte della popolazione.

In quei giorni, il Polo non avrebbe potuto definirsi l’arca ordinata e tranquilla che era diventata New Babel. E, veniva da pensare, se non lo era stata ancora prima del riemergere delle vecchie terre, non c’era nessuno motivo di credere che i nuovi sviluppi avessero potuto cambiare in positivo quella verità.

I clan che erano stati al vertice della società, quelli pretenziosi, attenti solo alle apparenze e affamati di potere, non avevano preso di buon grado il necessario rimodellamento dell’arca né l’aggiunta di cittadini non classificati. Nessuno degli abitanti del vecchio mondo apparteneva a una famiglia prestigiosa perché, dunque, ammetterli tra le loro file? Per loro, la soluzione più accettabile — anzi, quella naturale — era confinarli ai margini, dove i senza poteri e i decaduti erano tenuti a restare. In pratica, non volevano nessun cambiamento, nonostante le ultime traversie avessero cambiato già tutto. Ciò, però, non era stato logisticamente possibile e l’Intendenza aveva subito deciso che gli spazi e i beni sarebbe stati meglio distribuiti. Se avessero davvero confinato tre quarti della nuova popolazione nei bassifondi, non ci sarebbe voluto molto affinché una rivoluzione scoppiasse — e una rivoluzione era l'ultima cosa che desideravano in quel momento.

Ahimè, l’ordine era ancora ben lontano dall’essere ottenuto, anche tre anni dopo la riunificazione e il caos era proprio ciò che attendeva Thorn e Ofelia. Soprattutto ora che quei vecchi clan erano stati informati del ritorno della coppia.

Infatti, l’aver attirato l’attenzione aveva anche portato a delle domande a cui Berenilde, con l’aiuto di Archibald e ignorando le lamentele di Roseline, non aveva esitato a rispondere. Così fiera era del nipote che volle proclamare a gran voce il suo ritorno, aggiungendo che Thorn sarebbe ritornato per essere un uomo libero e d’onore, insieme a una moglie che lo aveva aiutato a sventare piani destinati a portare la distruzione del mondo conosciuto. Loro due, insisteva, avrebbero riportato in auge il Clan dei Draghi. Quell’orgoglio, unito all’esibizionismo di cui nemmeno Berenilde era esente, aveva minacciato di far svenire più di una volta la povera Roseline, la quale avrebbe preferito che l’arrivo dei due ragazzi fosse rimasto segreto ancora per un po’. Non voleva, infatti, che fosse messa troppa pressione su di loro appena giunti al Polo e — gli Antenati lo impedissero! — si causasse un cambio di idee nei loro cuori.

Purtroppo, però, quello che l’Animista ancora non capiva dopo tanti anni passati al Polo, era che non era in linea con le tradizioni di quell’arca fredda fare tutto in sordina, sebbene Thorn fosse riuscito in precedenza a farla franca. Dunque, il grande arrivo divenne subito di dominio pubblico e ciò portò alla luce problemi che erano stati messi inizialmente da parte: il vecchio processo e lo stato familiare di Thorn.

 

***

 

“Sono sicura che mio nipote fosse ben consapevole di ciò che lo aspetta a casa quando ha preso la decisione di tornare al Polo,” proclamò Berenilde tutta fiera, calcando con cura la parola ‘casa’. “Ricordo benissimo la determinazione di Ofelia nel momento in cui si è trattato di salvarlo dal pericolo della mutilazione; non sono mai stata così orgogliosa di poter dichiarare qualcuno parte della mia famiglia. Ma soprattutto, non dimentichiamo ciò che accadde dopo: quel giorno Ofelia è riuscita a strappare parole importanti a Faruk che, all’epoca, deteneva ancora la sua importanza e il suo aiuta-memoria. Ciò significa che quanto detto è stato riportato esattamente nei suoi diari. Se Thorn non fosse scomparso, la questione sarebbe già stata risolta, anche perché già all’epoca la situazione su quest’arca stava cambiando.”

“Oh, Berenilde, io comprendo come tu possa sentirti, ma non credi che dopo tutti questi anni sia un po’ impossibile recuperare quanto appuntato dall’aiuto-memoria?” la contraddisse Roseline che mancava di tutta quella fiducia e cominciava a preoccuparsi della sorte dei due sposi una volta giunti al Polo.

“Voi dimenticate la mia presenza, cara Roseline,” annunciò Archibald entrando spavaldo nella stanza con il suo cilindro sbrindellato in mano. I pallidi capelli, tutti disordinati, gli caddero sugli occhi quando si chinò per baciare galantemente il dorso della mano dell’Animista, lasciandovi le labbra per qualche secondo in più di quel che si sarebbe definito appropriato. Quando, infine, raddrizzò la schiena e spostò i ciuffi chiari dal viso, il rosso sulle guance di Roseline era diventato ormai scarlatto. “S-signor Archibald,” lo salutò lei, imbarazzata, “non potrei mai!”

“Suvvia, madama, non vi biasimo mica. Tuttavia, nonostante gli sfortunati eventi che mi hanno inseguito negli ultimi anni, conservo ancora il mio carisma e gran parte delle mie risorse.” Ammiccò e poi prese posto tra le due donne. Subito una domestica si affrettò a portargli il solito, una bevanda che aveva cominciato a bere a seguito del suo ritorno al Polo.

Roseline lasciò che il suo sguardo vagasse un po’ di più sulla sua figura e notò che, nonostante avesse mantenuto i suoi modi di fare e cercasse di nascondere il suo stato deperito dietro di essi, la malattia aveva decisamente fatto il suo corso. Le guance scavate e rosse dallo sforzo, il petto che si alzava e abbassava più velocemente, la lentezza dei suoi gesti glielo ricordavano. Si affrettò a riportare gli occhi sulla propria tisana quando Archibald arcuò leggermente un sopracciglio. Non voleva essere sorpresa a fissarlo; non era un atteggiamento consono a una signora della sua età.

“Ora che ho finalmente raggiunto voi signore, lasciate che riprenda da dove la cara Berenilde si è interrotta.” Regalò un sorriso smagliante alla domestica che abbassò il capo e scomparve dalla loro vista non appena ebbe posato l’intruglio sul tavolo da tè, poi si schiarì la gola. “L’aiuta-memoria deve aver segnato ogni parola del vecchio Faruk e con quelle il caro ex-intendente non avrà alcun tipo di problema,” esclamò, sicuro.

“Come avete intenzione di fare?” lo interrogò Roseline visto che non si decideva ancora a essere chiaro.

“Recuperare il diario ovviamente!” rispose lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Credete che in questa corte abbiano cancellato anche solo un oggetto appartenuto al vecchio spirito di famiglia?” Scosse la testa. “Anche se Faruk non detiene più alcun potere, i clan hanno ritenuto una scelta saggia conservare i suoi averi, credendo che potesse tornare utile un giorno. Vi devo ricordare ciò che è accaduto quando si è inizialmente saputo che lo spirito di famiglia era tornato bambino? Hanno cominciato a litigare come poppanti per la sua custodia, tentando di diventare i prossimi ad avere potere su tutta l’arca. Senza dubbio, quelle stesse persone hanno considerato saggio salvare i suoi beni per poterne usufruire in seguito. Peccato che sarà qualcun altro a sfruttarli al posto loro.” Ammiccò, sfoggiando un altro sorriso, più malizioso questa volta.

“Gli appunti dell’aiuta-memoria saranno utili, certo, ma non come avevano immaginato coloro che li hanno conservati. In quelli, è scritto che Faruk ha non solo affrancato Thorn dal suo stato di bastardo, ma gli ha anche concesso un titolo nobiliare e la possibilità di un processo onesto,” aggiunse Berenilde. “Questo è ciò che mi disse Ofelia prima di ripartire per Anima. E non importa se tutto ciò è stato detto anni fa: all’epoca Faruk era al potere e contava la sua parola. Ciò vuol dire che Thorn è diventato un nobile di questa corte e, con lui, anche la nostra Ofelia.”

“Credevo che i titoli nobiliari non contassero più di tanto ora,” si accigliò Roseline, facendo riferimento a uno dei tanti cambiamenti in atto. “In più rimane sempre la questione del processo.”

“Una cosa alla volta, cara Roseline, una cosa alla volta,” la tranquillizzò Archibald prendendole sfrontatamente una mano tra le sue e carezzandogliela. “Nel frattempo, che ne dite di lasciare a me il compito di recuperare quegli appunti? Che sia cambiata o no quest’arca, il disordine vige ancora tra la popolazione e l’odio non esiterà a riversarsi di nuovo sul nostro sfortunato ex-intendente. Chiarire la sua posizione, anche se di poco, aiuterà di certo il suo rientro.”

Roseline lo guardò con accenno di sospetto, facendo rimbalzare lo sguardo tra lui e Berenilde. “E come mai vi state tanto affaccendando per nostro nipote?” Non voleva ricordare esplicitamente l’animosità — per non utilizzare un termine più rozzo — che aveva sempre unito l’ambasciatore e l’intendente, ma era nella sua natura dubitare in certe circostanze.  

“Oh, che domande, mia cara signora,” esclamò Archibald, sventolando il cilindro bucato. “Non credete che in tutto questo tempo io abbia sviluppato un affetto sincero per il nostro Thorn?” Ridacchiò, non credendo nemmeno per un secondo alle sue stesse parole. Non odiava l’uomo né poteva dire di volergli sinceramente bene, tuttavia un sentimento, per quanto blando, era nato. Lo divertiva da matti punzecchiarlo, scatenare in lui una reazione — e il fatto che fosse un obiettivo così facile e prevedibile aveva assicurato che Archibald vi si affezionasse a suo modo. Non vedeva l’ora di rivederlo, pensò mentre una scintilla contemplativa gli brillava negli occhi. “Non dimentichiamo, poi, che voglio solo il meglio per la nostra cara Ofelia,” si affrettò ad aggiungere. “E qualunque sia la posizione di Thorn si rifletterà su sua moglie.” Detto ciò, riprese a bere la sua bevanda per nascondere il rinnovato affanno dovuto al lungo discorso e l’ennesima risatina che gli stava nascendo in petto.

“Mmm, non vogliate scambiarmi per ingrata; apprezzo qualsiasi cosa farete e mi fido del buon senso di Berenilde quando si tratta dei nostri nipoti. Ovviamente, voglio che la situazione sia quanto più possibile pacifica al loro arrivo. Tuttavia, desidero anche ricordarvi che Ofelia è, appunto, una donna sposata e dovete fare attenzione a come vi rivolgete a lei o a come ne parlate. Anche il vostro comportamento si rifletterà su di lei e non vorrei che la sua condotta ne risentisse,” concluse con una nota di disapprovazione. Non aveva dimenticato le abitudini di Archibald, sebbene ogni tanto i suoi gesti tendessero ad annebbiarle per un attimo la mente. E se si stava discutendo del rientro in società dei due giovani e della possibilità di offrir loro una vita quanto più tranquilla possibile, allora bisognava prendere in considerazione tutto.

Berenilde allungò la mano e le diede un colpetto affettuoso. “Non ti preoccupare, cara; Archibald sa benissimo cosa deve e non deve fare.” Lanciò uno sguardo penetrante all’ex ambasciatore i cui occhi azzurri si illuminarono per un attimo prima di ridacchiare.

“Bene, quindi dobbiamo a questi famosi appunti la nostra sicurezza? Voi pensate a recuperarli, al resto ci penserò io. Se quelle parole sono state scritte su carta, non c’è nulla che possa danneggiarle una volta che saranno nelle mie mani,” affermò sicura.

“Non avevamo dubbi, cara signora; le sue doti, d’altronde, sono famose al Polo tanto quelle della vostra figlioccia,” la lodò Archibald prima di balzare in piedi con tutta l’energia che non possedeva più e sparire dalla vista delle due, il suo compito ormai concluso. Ora ne aveva uno ancora più importante da portare a termine. Bisognava preparare quella società troppo vecchia all’arrivo dell’ex intendente e Archibald intendeva farlo per bene. E il suo entusiasmo non era per nulla falso come le illusioni dei Miraggi; ci teneva davvero a vederlo tornare con quanti meno intoppi possibile. D’altronde, l’averlo di nuovo tra loro gli avrebbe assicurato una nuova fonte di divertimento e ultimamente le sue giornate erano diventate troppo noiose per lasciarsela scappare.

 

***

 

Se il caos vigeva sul Polo, i cui abitanti d’élite non riuscivano a tenere testa ai tanti cambiamenti che avevano visto protagonista l’arca, dire lo stesso per l’Intendenza sarebbe stato un eufemismo.

Nel momento in cui la posizione era diventata vuota, gli uomini avevano cominciato a sfilare fuori e dentro quell’ufficio una volta occupato da Thorn, tentando inutilmente di svolgere il lavoro meglio di quanto avrebbe potuto fare lui. In realtà, avevano solo causato un problema dopo l’altro: non solo erano generalmente persone poco competenti od opportuniste, ma non sarebbero state nemmeno in grado di eguagliare l’ex intendente, figurarsi superarlo. E questo influiva su tutto il resto; la mancanza di una figura adeguata alla mansione di certo non rendeva facile mantenere un contegno tra la popolazione abituata a lamentarsi e richiedere — e richiedere. 

Quando poi lo spirito di Famiglia era tornato al Polo come un bambino, la situazione era degenerata. Si trattava, a quel punto, di ricostruire la società dalle sue fondamenta e per farlo, avevano bisogno di una figura autoritaria che non si facesse mettere i piedi in testa da quei clan arrivisti. Per fortuna, in quel periodo ne era appena subentrato uno che si era dimostrato abbastanza tenace e testardo, appartenente a uno dei clan che nella vecchia società detenevano zero potere. In pratica, non aveva alcun interesse a farsi comandare da certe persone dispotiche, semmai il contrario. Purtroppo, però, gestire l’Intendenza in seguito a così tanti sviluppi si era rivelato un lavoro impossibile anche per lui che di determinazione ne aveva avuta tanta. E nei giorni in cui il vociare tra le strade si erano fatto ancora più assordante a causa del ritorno imminente di Thorn e Ofelia era più che pronto a dimettersi.

Udire che l’ex intendente, colui che era riuscito a governare quella massa di deficienti pur non detenendo alcun titolo o valore ai loro occhi, sarebbe tornato presto fu la migliore notizia che avesse mai potuto ricevere.

Quel giorno, molti poterono notare una nuova luce nei suoi occhi, spesso arrossati dalla stanchezza e dalle lacrime nervose, e un colorito migliore sulla sua pelle normalmente giallastra. Sì, il solo venire a conoscenza della lieta notizia aveva migliorato la salute che quel lavoro aveva deteriorato. Si prospettavano giorni sereni e lui aveva ogni intenzione di renderli ancora più allettanti.

Se il suo predecessore sarebbe tornato al Polo — e se i suoi calcoli e ricordi erano corretti — lui aveva in mente giusto il piano perfetto per far procedere tutto liscio come l’olio. Nessuno lo avrebbe intralciato, nemmeno dei Miraggi le cui menti erano state rovinate dalle loro stesse illusioni. 

 

 

***

 

Faceva freddo il mattino in cui era previsto l’arrivo della coppia e le due zie, con l’aiuto di Archibald, si erano assicurate di non far trapelare quella notizia. Volevano scongiurare una stazione affollata di gente a cui non interessava per nulla il benessere di Thorn e Ofelia. Quando, però, si avviarono, richiamarono inevitabilmente l’attenzione; Roseline sperava non al punto da spingere le persone a seguirli.

Faceva freddo, così freddo che lo si poteva sentire trapelare sotto la pelle, conficcarsi in essa come tanti aghi appuntiti grazie anche alla complicità del vento che sferzava forte. Il consueto strato di neve, però, non era poi così alto e non arrivava all’altezza degli stivali che si era soliti indossare per gran parte dell’anno in quell’arca. Berenilde si era assicurata di avvolgere come si deve la figlia in diversi strati caldi, facendo sì che apparisse comunque al suo meglio, e quando aveva concluso, Roseline aveva ritenuto opportuno apportare le proprie modifiche. Vittoria ci era più o meno abituata: per il modo in cui si comportavano le due donne, talvolta le sembrava di avere due madri che non potevano essere una più diversa dall’altra.

Partirono una volta che furono raggiunti da Archibald, il quale aveva fatto loro sapere la sera prima che mai, per nulla al mondo, sarebbe mancato al party di benvenuto dei giovani sposi. A nulla erano valse le raccomandazioni di Roseline che gli aveva ricordato quanto non  facesse bene alla sua salute. No, l’ex ambasciatore l’aveva graziosamente ignorata e si era presentato al maniero vestito come suo solito e dando l’impressione che fuori ci fosse un clima degno del Deserto e non del Polo. Tuttavia, ognuno di quei pensieri svanì dalle loro menti nel momento in cui raggiunsero ’aerostazione. L’eccitazione era ormai palpabile e Roseline aveva già le guance solcate dal lacrime di gioia che il freddo aveva ghiacciato. Non mancava molto, ma per tutti quegli ultimi secondi di attesa furono sicuramente i più insopportabili.

Ferme sulla banchina, con Archibald lì accanto che intratteneva la sua figlioccia e si beava della sua risata cristallina, le due dame si guardarono negli occhi e sorrisero. Non si sentivano così felici da tempo e, sebbene la compagnia reciproca era stata come un balsamo e le aveva salvate in più di un’occasione, ora avrebbero finalmente riempito un vuoto che era sembrato incolmabile fino a poco prima.

Thorn e Ofelia stavano per tornare e occupare il posto a loro riservato. Null’altro importava.



 


N/A: 

Eccomi, puntuale come un orologio svizzero!
Vi aspettavate Thorn e Ofelia? Mi spiace se vi ho deluso, ma narrativamente parlando, penso fosse più ordinato spostare il focus sul Polo e coloro che hanno continuato ad abitarlo. Non c'è bisogno di dire che, data la società di prima, l'arca abbia subito non pochi cambiamenti, anche poco accetti. Consideriamo poi, che già prima della guerra con l'Altro già l'aria stava cambiando. Ho tentato quindi di dare una panoramica di ciò che aspetta i nostri due protagonisti - e spero di esserci riuscita - oltre ad accennare ai principali problemi di cui bisognerà occuparsi.

Spero di non aver fatto confusione, ma comunque molto ancora verrà spiegato nei prossimi capitoli, e che vi sia piaciuto un pov diverso dal solito con le due dame e Archibald. Per qualsiasi dubbio, comunque, non esitate a farmelo sapere!
Infine, nel caso in cui non lo sapeste già, questa storia viene aggiornata anche su Ao3. Siccome ultimamente Efp dà problemi un giorno sì e anche l'altro, per qualsiasi evenienza, controllate anche lì!

Ci vediamo tra due settimane con il capitolo che vedrà l'effettivo ritorno dei fidanzati - ora sposi - dell'inverno. Vi abbraccio tutti e vi ringrazio per il sostegno continuo! 💖

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Capitolo 18
*** Ritorno ***


 

 Ritorno

 

Quando scesero dal dirigibile, Ofelia fu attaccata da una corrente d’aria fredda che subito le fece lacrimare gli occhi dietro le lenti; si aggrappò immediatamente al braccio di Thorn che, nel frattempo, la teneva per la vita, vicinissima a sé. A terra era così scivoloso che voleva evitare di cadere e farsi male. Intanto la sciarpa, influenzata dallo stato d’animo più cauto dei due, si era stretta attorno ad entrambi per precauzione. I lampioni erano già accesi, ma la luce — anche quell’artificiale — era così poca che per un attimo la donna mise in dubbio il fatto che fosse ancora giorno, nonostante l’orologio da taschino del marito le avesse detto il contrario. 

Giunsero al riparo con estrema fatica perché Ofelia rischiò più di una volta di essere portata via o di inciampare, ma neanche quel benvenuto gelido poté smorzare il fuoco che si era acceso nei loro animi nel constatare che erano davvero tornati. Anche Thorn, che esternava i suoi sentimenti sempre con un po’ di difficoltà, aveva sviluppato una serie di tic che tradivano il suo nervosismo. Era contento di essere a casa e, soprattutto, attendeva impaziente il momento in cui si sarebbe riunito al resto della famiglia.

Scorsero per prima la figura più colorata e meno scomposta di Roseline, la quale sembrava avere qualche problema a restare ferma. Non appena li notò, corse verso di loro invadendo del tutto il loro campo visivo. Senza esitare, cominciò a far scorrere, frenetica, le sue mani lungo il corpo della nipote, tastandola e infilzandola, fino a che non le strinse il viso e ne incrociò gli occhi ancora lacrimanti. A quel punto, Ofelia poté notare la sua espressione felice, lo sguardo pieno di sollievo e tutta la paura che aveva covato dentro di sé da che si erano separate. L’abbracciò forte non curandosi di ciò e chi le stava intorno e, sebbene non fosse mai stata imponente o forte come la sorella, la stritolò tanto era il suo entusiasmo. Infine, quando si riprese, non parlò come tutti si erano aspettati. Si schiarì la gola e quello fu l’unico avvertimento che Thorn ricevette prima di essere vittima dello stesso trattamento. Tanto fu lo shock che le valigie che ancora teneva in mano gli caddero andando a creare un frastuono che si diffuse per il locale e ogni suo muscolo si irrigidì, mentre le braccia gli cadevano penzoloni lungo il corpo. Lì accanto, Ofelia se ne stava a bocca aperta, pensando solo a quanto fossero fortunati perché gli Artigli di Thorn non erano più instabili a causa del suo animismo.

Solo quando Roseline lo ebbe liberato dalla sua morsa si decise a parlare. “Ofelia, Thorn,” esclamò mentre si soffiava rumorosamente il naso, “che sollievo rivedervi finalmente sani e salvi! Non ci ho creduto, non ci ho creduto fino a questo momento che sareste tornati!” Abbracciò ancora la nipote, tastandola un po’ di più e, infine, aggiunse: “Certo, ti vedo un po’ dimagrita, mia cara, ma non ti preoccupare, ci penserò io a mettere un po’ di carne su queste ossa,” la rassicurò, pur essendo lei la più gracilina tra le due. Fece per continuare il suo discorso quando fu interrotta da qualche colpo di tosse dietro di lei.

Berenilde, Archibald e Vittoria, finora rimasti in disparte ad osservare la scena, si erano fatti avanti e, tra i tre, l’uomo sembra quello più smanioso di intromettersi con quel suo scintillio pazzo negli occhi e il sorriso abbagliante. Ofelia notò subito gli indumenti come sempre smessi, ma anche il fisico più deperito dall’ultima volta che si erano visti.

La signora, invece, teneva per mano la figlia, che sorrideva sia al cugino che alla madrina e non sembrava aver per nulla intenzione di distogliere il proprio sguardo da quello di Thorn. I due si stavano lanciando occhiate intense, probabilmente scambiandosi chissà quali parole e sentimenti e sarebbe stato un peccato interrompere il momento.

Tuttavia, Archibald aveva atteso abbastanza e sembrava aver altri piani. “Che meraviglia rivederla, moglie di Thorn!” esclamò a gran voce e avvicinandosi senza esitazione alla giovane. Era a un passo dall’abbracciarla quando trovò la propria strada spiazzata dal marito che per un attimo aveva dimenticato del tutto la zia. Gli dedicò uno sguardo che lo penetrò e passò oltre, lo scosse e lo rese per un attimo instabile sui piedi; sembrava che i suoi occhi da rapace volessero dilaniarlo come se fosse una bestia, anche se in realtà si limitarono ad attaccargli semplicemente il sistema nervoso. Alla fine, Thorn strinse la mascella e i pugni ancora vuoti e si costrinse a lasciar andare Archibald, conscio anche del suo stato di salute; se non fosse stato per quello, probabilmente avrebbe fatto di più.

Chiunque a quel punto avrebbe cominciato a tremare dalla paura, ma non Archibald. No, lui scoppiò a ridere fragorosamente. “Signor Thorn, che piacere, che piacere rivedere anche voi!”

“Archibald,” rispose l’altro con un’inflessione dura e irrigidendosi ancora di più, non scostandosi.

“Ebbene? Non mi date la possibilità di accogliere anche la vostra bellissima moglie?” gli chiese come se nulla fosse e sfoggiando un sorriso malizioso. In risposta, si sentirono i denti di Thorn digrignare.

“Fareste bene a controllarvi ora che siamo di ritorno, Archibald, e a restare al caldo quanto il più possibile. Nessuno vorrebbe che la vostra salute deteriorasse,” lo consigliò. Infine, si spostò, portandosi di nuovo accanto alla moglie ma facendo intendere all’ex ambasciatore che quel suo benvenuto era più che abbastanza.

Archibald sbuffò, togliendosi il cilindro e agitando la mano libera. “Suvvia, non mi dite nient’altro? Mi aspettavo ben altro da voi, ex intendente.” Il bagliore nei suoi occhi rese noto a tutti che lo stava semplicemente provocando, ma a Thorn non importò molto e non esitò a sferrare di nuovo gli Artigli, se pur solo per causare un’emicrania.

“Ora basta,” annunciò Roseline che cominciava ad averne abbastanza di quel teatrino. “Prima che cominci a battere i denti come la dentiera del mio prozio, gradirei tornare a casa. Questi due giovani sono reduci da un viaggio, non credete anche voi che sia il caso di condurli al caldo e al riposo?” si rivolse direttamente ad Archibald per fargli capire che lo riteneva il solo responsabile del loro ritardo.

Archibald le fece un leggero inchino, prima di rimettersi il cappello e offrirle il braccio. “Ha assolutamente ragione, madama; permettete che vi scorti alla nostra carrozza.” E così, dopo aver fatto segno ad alcuni facchini di sistemare tutte le valigie, i due si avviarono verso il mezzo di trasporto, lasciando gli altri da soli.

“Thorn,” disse infine Berenilde, riuscendo a prendere parola. “Ti trovo molto bene.” Sorrise e Ofelia giurò di aver visto una lacrima nascondersi agli angoli dei suoi occhi. Poi la donna si voltò verso di lei con lo stesso sorriso sulle labbra. “Anche tu, Ofelia, stai meravigliosamente. Ti vedo più in forma dell’ultima volta che ci siamo incontrate. Sono molto contenta della cosa.”

Ofelia annuì, ricambiando il gesto, prima di rivolgersi a Vittoria e osservarla. La bambina, che doveva avere all’incirca sette anni se i suoi calcoli erano corretti, emanava serenità e contentezza; le sue guance erano colorate da un sano rossore ed incorniciate dai lunghi capelli bianchi tenuti a bada dalla sciarpa e il cappello. Allungò silenziosamente la mano verso di lei e Vittoria la afferrò senza esitazione, abbandonando quella della madre e avviandosi con la madrina fuori dall’aerostazione, cosicché Berenilde e Thorn potessero restare soli.

L’uomo seguì per un attimo le due con lo sguardo e fu soddisfatto di notare che si fermarono sulla soglia, non uscendo dal locale né avvicinandosi ad Archibald, poi riportò gli occhi sulla zia che non aveva smesso per un attimo di controllare il suo aspetto. “Anch’io vi trovo bene,” le disse infine. “E sono lieto di rivedervi.” Il modo in cui restava fermo ma maneggiava il suo fedele orologio da taschino denotava un nervosismo che durante l’alterco con Archibald era mancato. Era evidente che Thorn non riuscisse a capire come comportarsi dopo tutto quel tempo o anche solo esternare le proprie emozioni. Nonostante avesse fatto passi da gigante con Ofelia, gli costava fatica riuscirci con la zia con la quale, nonostante l’ammirazione e l’affetto sincero che aveva sempre serbato, aveva sempre intrattenuto una relazione basata su determinati parametri. A  essa era legata tanta insicurezza e sebbene si sentisse diverso dal bambino che era stato, in quell’istante era come trovarsi davanti a un’impasse con la paura di fare la prima mossa.

Dopo tutto ciò che era accaduto, gli anni passati lontani, qual era la cosa giusta da fare? L’atteggiamento più consono?

Fu Berenilde a toglierlo dall’impaccio. Senza più esitare e spinta dalla gioia di averlo di nuovo di fronte a sé a seguito del dolore causato dalla sua perdita — che le aveva portato alla mente anche quella dei figli — la donna lo strinse in un abbraccio. Thorn rimase immobile per un attimo, tentando di ricordare l’ultima volta che aveva avuto quel tipo di contatto con lei. Poi lentamente, e sempre un po’ impacciato, la imprigionò tra le sue braccia.

Non durò a lungo, ma per loro fu abbastanza. Quando si staccarono, Berenilde si tamponò le poche lacrime scese con un fazzoletto ricamato e poi si ricompose. “Spero che stavolta resterai,” gli disse. “Sei mancato molto a Vittoria; non vede l’ora di conoscere meglio il cugino.”

Thorn non la contraddisse, pur leggendo nelle sue parole ciò che non aveva detto esplicitamente — cioè che era stata lei, per prima, a sentire la sua mancanza — e si limitò ad annuire. Per un attimo, tornò quel bambino che era stato e percepì come qualcosa di molto lontano il desiderio sempre irrealizzabile di riuscire in qualunque cosa solo per essere benvoluto dalla zia. Gli sembrava così strano analizzarlo adesso perché comprendeva che, in realtà, anche se a modo suo, lei lo aveva sempre amato ma loro due non erano mai riusciti a comunicare. Vedeva che non c’era alcun ostacolo reale alla relazione chi era stata la sua unica madre. Con quella nuova consapevolezza, le porse il braccio e, infine, si avviarono dove gli altri li stavano aspettando.

Raggiunta Ofelia, notò che aveva un sorriso ancora più largo sulle labbra mentre ascoltava tranquilla Vittoria che le parlava e fu sicuro che la moglie avesse assistito alla loro riunione. Poi, una volta nella carrozza e partiti in direzione del maniero di Berenilde, Ofelia gli strinse la mano e incrociò il suo sguardo; le sue lenti erano particolarmente colorate e limpide, nonostante il freddo che li appannava. Gli occhi dietro di esse gli lanciarono un messaggio altrettanto chiaro: siamo a casa.

Thorn non poté essere più che d’accordo.

 

***

 

Il viaggio durò molto di più di quanto Thorn ricordasse e ben presto l’uomo arcuò un sopracciglio e volse un’occhiata interrogativa alla zia che stava osservando Roseline spogliare Vittoria ora che erano al riparo. Berenilde gli rimandò indietro uno sguardo identico, conscia di ciò che il nipote gli stava implicitamente chiedendo. Agitò il polso e poi sorrise. “Non preoccuparti, caro. Abbiamo organizzato una piccola sorpresa per voi due non appena abbiamo saputo che sareste tornati.”

Ofelia cominciò ad agitarsi e Thorn, percependolo e condividendo in parte l’emozione, le prese la mano e poi controllò l’orologio prima di riprendere il discorso. “Avrei preferito che ci consultasse prima.” Le sorprese non erano esattamente delle cose a cui i due reagivano bene, soprattutto dopo tutte le traversie degli ultimi anni.

“Che sciocchezze,” si intromise Roseline ora che Vittoria era un po’ più libera. “In quel caso non sarebbe più stata una sorpresa, no?”

“L’idea è stata vostra, zia?” chiese Ofelia aggiustandosi gli occhiali, incredula.

“Figurarsi!” rispose al suo posto Berenilde. Avevano per caso sviluppato l’abitudine di parlare al posto dell’altro? “Conosci bene tua zia e me. Sono stata ovviamente io la prima a pensarlo, ma Roseline si è subito detta d’accordo quando le ho esposto i vantaggi della mia proposta. D’altronde, era la più naturale.” Sulle labbra aveva un sorrisino malizioso che fece deglutire Ofelia più di una volta e insospettì Thorn che assottigliò lo sguardo.

“Ciò non toglie che, soprattutto dati gli ultimi eventi, sarebbe stato appropriato informarci,” ribadì.

“Suvvia, siamo quasi arrivati; non ti preoccupare troppo.” E come se il cocchiere avesse aspettato solo un segnale, la carrozza si fermò e Archibald balzò immediatamente fuori, facendo quasi urlare Roseline perché lasciò la portiera aperta. Il ventò li colpì tutti inevitabilmente, scompigliando capelli e vestiti, ma l’Animista si preoccupò piuttosto di coprire la piccola Vittoria che non aveva ancora rindossato il suo capottino.

Archibald non parve accorgersi di tutto ciò e mandò solo un sorriso birichino in direzione dei due coniugi. “Ex-intendente, moglie di Thorn, eccoci arrivati nella vostra nuova dimora. Sono sicuro che due giovani sposi come voi avranno modo di approfittare dello spazio e della privacy.” E detto ciò, scomparve prima ancora che qualcuno avesse potuto contraddirlo e si avviò verso l’edificio dove venne fatto entrare come se fosse il padrone di casa. Dietro di lui, lasciò due animiste con i volti scarlatti e due Draghi arrabbiati; Berenilde perché non aveva potuto annunciare la sorpresa come avrebbe voluto e Thorn perché l’uomo aveva avuto l’ardire di fare riferimento alla vita privata sua e di Ofelia.

Bisognava proprio dire che Archibald non stava sprecando nemmeno un secondo; per lui ogni occasione era buona per divertirsi.

 

***

 

Ofelia rimase a bocca aperta nell’osservare i lunghi corridori e gli alti soffitti, le enormi finestre e i colori caldi. Il castello non sembrava eccessivamente grande — la cosa la rincuorava — e appariva piuttosto accogliente. Era diverso da qualsiasi abitazione che aveva visto finora al Polo e, per come era decorato, sembrava si confacesse più a New Babel.

Se Berenilde aveva voluto sorprenderli, ci era sicuramente riuscita.

Accanto a lei, Thorn osservava tutto e confrontava ciò che aveva davanti agli occhi con ciò che ricordava: nulla era come era stato e non sapeva se essere arrabbiato per il fatto che la zia avesse apportato quei cambiamenti senza consultarlo o grato per avergli fatto trovare una dimora che fosse più congeniale a coloro che lui e sua moglie erano ora.

“Mi sono presa la briga di sistemare il maniero più vicino al nostro,” esordì Berenilde. “Sebbene sia certa che avrete bisogno dei vostri spazi e tempi,” altro sorrisino malizioso, “così potrete godere della nostra compagnia ogni qualvolta vorrete; spero spesso. Thorn non avrà più tanti castelli come una volta — una delle tante nuove leggi ci ha imposto di riorganizzare i nostri beni a favore dei tanti che ancora abitavano ai margini della società; avremo modo di parlarne —, ma per fortuna i migliori sono ancora a sua disposizione. Oltre questa, ho avuto l’occasione di sistemare un’altra dimora che potremmo utilizzare tutti per le vacanze, quando opportuno, o se avrete mai bisogno di respirare un po’ di aria fresca. Sappiamo tutti com’è la vita qui, no?” Cominciò a fare un tour delle sale, indicando i vari cambiamenti e illustrando a Ofelia i vari spazi.

“È davvero ben tenuta. Sono decisamente sorpresa e grata della vostra considerazione, Berenilde. Non avremmo voluto causare alcun disordine nella vostra routine o intrometterci. Di certo le vostre abitudini saranno cambiate, soprattutto con una bambina nel pieno del suo sviluppo,” commentò Ofelia tentando anche di dimostrare quanto fosse veramente contenta di quella soluzione. Sarebbe stato duro anche per lei ritornare improvvisamente a vivere con le due dame, le quali talvolta sapevano essere più che invadenti. Ma, immaginava, ormai non avevano più bisogno di comportarsi in quel modo dato che lei e Thorn erano sposati. Si chiese, per un secondo, come avrebbe reagito la zia Roseline quando... scosse la testa e tornò a guardare ciò che Berenilde stava segnalando, lasciando certi argomenti per i giorni seguenti.

“Oh, Ofelia, non dirlo nemmeno. Non avrei voluto nemmeno avere una coppia di neo sposi in giro per casa.” Roseline coprì le orecchie di Vittoria capendo subito dove Berenilde si stava dirigendo con quel discorso. “So benissimo cosa significa essere giovani e, visto che i primi anni di matrimonio vi sono stati preclusi, ora dovete approfittarne.” Parlò come se non avesse detto nulla di particolare, ma non nascose la scintilla negli occhi mentre osservava Ofelia diventare tutta rossa fino al collo, continuando fin dove i vestiti la coprivano, e il nipote tossicchiare nervoso.

Caso volle che arrivarono davanti alla camera padronale proprio in quell’istante. “Siete stati tranquilli quando vivevate a New Babel e scommetto che non avete sprecato il vostro tempo,” continuò non curante, non potendo sapere che Thorn e Ofelia non erano decisamente saltati a letto appena il primo era stato ritrovato. “Ma ora che siete a casa potreste anche cominciare a farvi una famiglia; Thorn è l’ultimo discendente dei Draghi in età fertile ed è vostro dovere ripopolare il nostro clan. Sono sicura che tra i suoi poteri e i tuoi, Ofelia, presto lo riporteremo in auge. Ovviamente, quando Vittoria sarà abbastanza grande, mi occuperò io stessa di sceglierle il candidato adeguato cosicché anche lei possa adempiere al suo compito.” Aprì la porta della stanza e mostrò loro com’era stata ammobiliata. Così concentrata era nel descrivere le tende che avrebbero evitato di svegliarli troppo presto la mattina o il comodo letto scelto per le loro attività che non si accorse che i due ragazzi si erano bloccati sulla soglia e non avevano ascoltato nemmeno una delle sue ultime parole.

Ofelia era sbiancata e stava cercando a fatica di ingoiare il groppo che le era salito in gola e Thorn non sapeva se lanciare occhiate piene di odio alla zia per aver introdotto l’argomento o consolare la moglie. Alla fine, scelse la seconda.

Afferrò la mano di lei e gliela strinse forte, tentando di trasmetterle tutto ciò che non poteva a parole — non dovevano, d’altronde, far capire alle due donne impiccione cosa li aveva disturbati — e sperando, di nuovo, di poter fare di più. Quell’incidente era un altro ricordo di ciò che gli era impossibile dare alla moglie e della sua incapacità.

Ma nessuno si accorse dei loro turbamenti interiori. Quando Roseline, che aveva notato per prima quanto fossero rimasti indietro, si voltò pronta a riprenderli. Vide il pallore della nipote e pensò fosse dovuto in qualche modo all’imbarazzo o a una vecchia paura. “Insomma, Ofelia, non ti sembra il caso di iniziare a comportarti un po’ da adulta? Sei una donna sposata, perdindirindina! Non hai più bisogno di me per certe cose e, anzi, sei più che spronata a lasciarti ad andare a certi atteggiamenti — quando non c’è nessuno presente!” puntualizzò. Poi, siccome nessuno le rispondeva e restavano, anzi, bloccati nella stessa posizione, sembrò ripensarci. Gonfiò le guance e strabuzzò gli occhi. “Non mi direte che non avete ancora consumato il matrimonio!” Si aggrappò al mobile più vicino e cominciò a sventolarsi il viso con la mano mentre, finalmente, Berenilde si voltava verso di loro.

“Thorn! Spero che sia solo un altro dei vaneggi di Roseline!” esclamò, ugualmente scandalizzata.

Il nipote tentò di incenerirla con lo sguardo e trattenne a fatica gli Artigli che mai avrebbe pensato di utilizzare su di lei. “Non che siano affari vostri, zia,” sibilò gelido facendo rabbrividire anche Ofelia, “ma se non avessimo consumato il matrimonio la nostra unione sarebbe già stata considerata nulla. Ora, vorrei che questa fosse l’ultima volta che venga fatto alcun riferimento alla nostra intimità poiché è un argomento destinato a noi due e nessun altro.”

Roseline sembrò riprendersi dopo quest’ultime parole. “Oh, meno male. Ofelia, non aveva un quasi mancamento del genere da quando siamo giunti per la prima volta al Polo in seguito al tuo fidanzamento. Ti sembra il causo di farmi quasi morire di crepacuore a causa di un po’ di imbarazzo?” lanciò un’occhiata severa alla figlioccia che, però, era troppo occupata a trattenere le lacrime per poterle dare una risposta.

“Insomma, cara, dovrai abituarti. L’intimità di una coppia e i figli che ne seguono sono le tematiche più gettonate nei fumoir; le dame amano impicciarsi delle vite altrui. Thorn ricorderà ancora tutte le voci che si diffondevano ogni volta che Irina, la moglie di Godefroy, aveva un aborto spontaneo.” Scosse la testa, quasi incredula. “Se vuoi essere ben accetta in questa società, soprattutto dopo che il titolo nobiliare di Thorn verrà confermato, dovrai frequentarli ed essere parte attiva delle nostre conversazioni.”

“Vorrà dire che Ofelia non parteciperà; non è comunque qualcosa a cui è mai stata interessata,” tagliò corto Thorn che stava seriamente cominciando a scocciarsi. Voleva restare quanto prima solo con Ofelia e liberarsi delle due donne che stavano solo peggiorando la situazione. “Avete detto voi stessa che la società è cambiata e che certe cose non hanno più importanza — non che ne avessero davvero prima —, dubito che sentiranno la mancanza di mia moglie.”

Berenilde trattenne il fiato. “Non vorrai dire sul serio, Thorn. C’è tanto di cui dobbiamo occuparci ora e-”

“Avete ragione, c’è tanto da fare e sapete bene quanto non mi piaccia sprecare tempo in inutili chiacchiere. Mi sembra di averlo fatto già abbastanza per oggi. Vi ringrazio per il piccolo tour, ma ora io e Ofelia vorremmo riposare prima di essere richiamati per la cena. Vi chiederei di lasciarci da soli per darci modo di rinfrescarci prima del pasto. Grazie,” concluse con finalità e continuando a lanciare occhiatacce minacciose alla zia.

Vittoria ridacchiò nel sentire il cugino così serio, per nulla spaventata, e poi prese per mano sia la madre che Roseline, strattonandole e spingendole verso l’uscita. Entrambe sbuffarono impettite e sconvolte. “Sono contenta di notare che non sei poi cambiato così tanto,” proclamò Berenilde che era infastidita da quell’atteggiamento, “ma immagino che il lungo viaggio e il cambiamento abbia influenzato i vostri nervi e il vostro umore. Dimenticherò, dunque, questa piccola discussione e vi lascerò il tempo per riprendervi prima della cena. Farò sì che una domestica venga a chiamarvi quando tutto sarà pronto.” E detto ciò si lasciò portare via dalla figlia.

Era chiaramente un’altra di quelle discussioni in cui zia e nipote non volevano darla vinta all’altro. Era un peccato, pensò Thorn, perché questa volta Berenilde avrebbe difficilmente ottenuto ciò che pretendeva.

Quando le porte si chiusero dietro di loro e i passi non furono più udibili da dentro la stanza, Ofelia si accasciò sul letto e portò le mani alle labbra, esibendo due occhi colmi di lacrime che rifiutavano di cadere. Thorn l’affiancò immediatamente e la strinse in abbraccio, rimanendo in silenzio fino a che lei non fu pronta a parlare. I singhiozzi silenziosi di Ofelia riempirono per un po’ la stanza mentre la gioia che i due avevano provato nel tornare a casa si affievoliva e i dubbi che avevano a lungo lottato riaffioravano. Senza saperlo, entrambi stavano riflettendo sulla propria incapacità di dare all’altro ciò che pensavano desiderasse, abbattuti all’idea di non essere davvero abbastanza.

“Io-” cominciò Ofelia, “Io mi ero dimenticata che le nostre zie avrebbero potuto presto riportare a luce questo particolare. Sono stata troppo presa da questa bolla in cui abbiamo vissuto finora, un’ingenua. Era ovvio che non tutto sarebbe stato così perfetto. Non volevo metterti subito di fronte a questa eventualità e ricordare che io non posso-” Ingoiò il resto della frase, incapace di terminarla e chiuse gli occhi, tentando di non farsi prendere dal panico.

Nel sentirla, Thorn si irrigidì. Cosa voleva davvero dire? Intendeva che non aveva mai creduto di poter essere davvero felice con lui? “Mi stai dicendo che tutto ciò è accaduto e abbiamo affrontato finora è stato una bugia?” le chiese subito, diretto.

Ofelia sussultò in risposta. “No, io... no!” riaprì gli occhi e sollevò il viso per incrociare quelli del marito. “Solo che... mentre eravamo presi da altri problemi, questo è passato in secondo piano. Ma ora dobbiamo riprendere la nostra vita, crearci una quotidianità e io non posso nemmeno darti ciò che dovrebbe essere normale, scontato!” esclamò arrabbiata con sé e non riuscendo più a trattenere le lacrime mentre un tremito la scuoteva tutta. Thorn la strinse di nuovo tra le braccia per controllarlo.

“Mi sembra di aver ripetuto più volte, prima e poi dello scontro con l’Altro, che ho a cuore una sola cosa: te, Ofelia. Non ho mai...” si schiarì la gola e cercò di ricomparsi per evitare che le emozioni potessero interrompere quel discorso. “Non ti ho mai dato modo di pensare che non fossi abbastanza per com’eri. Ho fatto di tutto per rendermi indispensabile e darti ciò che mi era possibile; ti ho promesso, prima di partire, che questo sarebbe stato il mio obiettivo. Non mi importa di ciò che non puoi darmi — perché non è l’essere in grado di avere figli ciò che mi ha fatto innamorare di te o a dirmi che sei la persona che voglio accanto. Ma quando crolli così, davanti a me, credendo di sapere cosa io davvero desideri o che io possa ritenerti colpevole per una cosa del genere mi ferisci, Ofelia. Il solo chiedermi scusa mi ferisce. Pensavo avessimo stabilito che siamo abbastanza l’uno per l’altro così come siamo e di affrontare ciò che la vita ci manda insieme per non replicare gli errori del passato.” Era così serio mentre parlava che se non lo avesse conosciuto così bene Ofelia non avrebbe potuto riconoscere il dolore che nascondeva nei suoi occhi chiari.

E senza nemmeno volerlo, nel tentativo di scusarsi per qualcosa che, in fondo, sapeva non era colpa sua, Ofelia lo aveva ferito e aveva anche smentito promesse che si erano fatte. Alzò le braccia più che poteva e con le mani gli prese a coppa il viso, costringendo lui ad abbassare il suo così che fossero ancora più vicini. “No, no, perché dobbiamo sempre fraintenderci quando ciò che vogliamo è sempre la stessa cosa? Mi dispiace aver dimenticato qualcosa del genere e averne date per scontate altre. È solo che il discorso di tua zia mi ha preso in contropiede e mi ha destabilizzata. Ma io voglio solo renderti felice, Thorn.”

Lui strinse la presa sui suoi fianchi e la guardò intensamente. “È ciò che più desidero anch’io; più di qualsiasi altra cosa. Non mi interessa altro.”

“Non lascerò che i bisogni degli altri interferiscano con i nostri. Ma, ti prego, semmai qualcosa non ti andrà bene, se avessi bisogno di altro... io voglio saperlo.” Un’ultima lacrima solitaria le solcò la guancia, ma avendo le mani occupate, Ofelia non se ne curò.

Thorn annuì. “E tu? Lo farai? Me lo dirai quando il desiderio di essere madre ti renderà triste o fingerai che non sia nulla solo per paura di ferirmi?” I suoi occhi le diedero l’impressione di scrutarle direttamente nell’anima.

Trattenne il fiato. “Non succederà,” assicurò.

Lui la guardò serio, infastidito dalla sua testardaggine. “Promettilo.”

“Io-”

“Ofelia,” ripeté suonando più severo che mai.

Infine, lei annuì. “Io sto bene con te, Thorn; non ho bisogno di altro.” L’uomo prese un grande respiro, tentando, allo stesso tempo, di lasciar perdere qualsiasi insicurezza avesse a riguardo e poi replicò il cenno del capo. “Ma questa conversazione oggi, tra me e te, ci ha ricordato che non sempre tutto andrò bene e che vecchie paure riaffiorano quando meno ce lo aspettiamo. Grazie, Thorn, grazie per aver capito subito ciò di cui avevo bisogno.” Si avvicinò ancora — quanto più poteva senza diventare un tutt’uno — e lo baciò, lasciando che gli incubi si dissolvessero mentre entrambi avevano gli occhi chiusi.

“L’ho fatto,” disse lui, più a sé che a Ofelia.

“Spero solo che la nostra famiglia reagisca bene a questa notizia quando saremo pronti a rivelarla.” Si mordicchiò il labbro, contemplativa, sapendo già che era una battaglia persa in partenza.

“Impareranno,” commentò duro Thorn, il quale non aveva ancora superato la rabbia data dall’intromissione della zia. “Questa è una cosa che riguarda me e te, non un clan ormai morto che non mi ha mai accettato. Ora, non lasciamo che l’argomento ci rovini il resto di questa giornata e non sprechiamo altro tempo in questioni che non siamo pronti ad affrontare.” Le passò il pollice sulla guancia bagnata, asciugandola, e poi la lasciò andare, alzandosi un secondo dopo. Raddrizzò la lunga schiena dorsale e poi si diresse verso le loro valigie non ancora disfatte. “Sarà presto ora di cena e vorrei aver tempo di fare anche ciò che ho detto avremmo fatto,” le ricordò, pratico, mentre le porgeva una borsa.

E Ofelia sorrise, nonostante la tristezza data da ciò che avevano appena discusso aleggiasse ancora un po’ nell’aria. Entrambi avevano imparato a essere percettivi dell‘altro, attenti ai propri umori e bisogni. Aveva detto bene: ci sarebbero stati giorni più tristi e altri in cui avrebbero dubitato di se stessi. Tuttavia, adesso avevano a disposizione i dadi giusti per ribaltare la partita e assicurarsi il risultato desiderato.



 


N/A: Buon giovedì!
Vi chiederete come mai oggi abbia tardato, ma vi dirò che inizialmente mi ero dimenticata di dover aggiornare 🤣 poi tra mancanza di sonno e mal di testa ho impiegato una vita a fare l'ultima revisione, visto anche che continuavo a cambiare cose. Spero di non essermi lasciata refusi per la strada; tornerò a controllare, ma nel frattempo, chiedo venia.
Tornando al contenuto del capitolo, non tutto è andato liscio come l'olio e nemmeno io mi aspettavo alcune cose che sono accadute, ma ricordiamoci che Thorn e Ofelia pur avendo fatto molto, sono sempre umani con un passato alla spalle, passato che può sempre tornare a tormentarli quindi l'ultima scena è da considerarsi normale. Detto questo, ci sono ancora un po' di cose che devono accadere e, ovviamente, non riuscirò più a finire tutto entro due capitoli come mi ero prefissata; per il momento posso assicurarvi almeno cinque capitoli.

Vi abbraccio come sempre per essere arrivati fin qua e per l'affetto che lasciate dietro. A prestissimo! 💖

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Capitolo 19
*** Lacci ***


Lacci


Messi da parte i problemi che avrebbero affollato la loro mente in quel giorno altrimenti felice, Ofelia e Thorn si rifrescarono, cambiarono e furono pronti giusto in tempo per sentire la domestica che bussava alla porta e annunciava la cena.

Era un’altra cosa a cui avrebbero dovuto abituarsi: Ofelia non era mai stata a suo agio con degli aiutanti attorno a lei e Thorn era sempre stato rinchiuso nell’Intendenza per farci davvero caso. Forse ne avrebbero dovuto discutere e ridurre l’aiuto a un minimo non appena Berenilde e Roseline li avrebbero lasciati da soli. D’altronde, non potevano nemmeno pensare di gestire l’intera abitazione senza; era troppo grande per riuscire a starci dietro.

Quando giunsero in sala pranzo, il lungo tavolo era già imbandito a festa e i quattro che erano venuti a prenderli in stazione era seduti, in attesa, e Thorn pensò che sarebbe stato fin troppo bello se Archibald se ne fosse tornato a casa — ovunque questa fosse — lasciandoli almeno desinare in pace.

Mentre si sedevano, Ofelia gli scoccò un’occhiata preoccupata, sperando che la compagnia non gli facesse passare l’appetito e poi salutò gli altri commensali. Davanti a lei i lucenti piatti di porcellana aspettavano solo di essere riempiti di cibo e i bicchieri di cristallo erano già colmi di champagne versato in precedenza dagli stessi domestici per ordine di Berenilde.

“Bentornati, ex-intendente, moglie di Thorn, aspettavamo solo voi per il brindisi celebrativo,” annunciò squillante Archibald prima di ammiccare in direzione di Ofelia facendo infuriare Thorn. “Oh, non siate così teso; la pausa in camera con la vostra consorte non vi ha aiutato a rilassare un po’ i nervi?” L’ex-ambasciatore non si fece scappare l’occasione per continuare a provocarlo. “Certo che vostro marito non vi merita proprio,” commentò infine rivolto alla giovane animista, andando però a colpire un tasto debole per Thorn. “Per nulla divertente,” aggiunse poi — in realtà molto soddisfatto di se stesso — mentre prendeva il fazzoletto da sopra le gambe e si asciugava qualche gocciolina di sangue che usciva dal naso. Tutto sommato gli era andato bene e ridacchiò contento.

“Come Archibald stava dicendo, abbiamo aspettato voi per il brindisi; spero non vi dispiaccia se ho già fatto riempire i bicchieri. Credo che l’occasione ne meriti uno.” Nella voce di Berenilde non vi era più traccia del fastidio di poco prima ed era tornata la gioia data dall’aver di nuovo accanto a sé il nipote. Fu la prima ad alzare il proprio calice e tutti gli altri seguirono il suo esempio, anche Thorn, suo malgrado.

Ofelia notò che il contenuto di quello di Archibald era molto meno limpido e invitante degli altri e se ne chiese il motivo. L’uomo si accorse del suo interesse e trattenne la smorfia che gli veniva naturale ogni volta che qualcuno adocchiava la sua bevanda speciale — e tutt’altro che gustosa. Tuttavia, non voleva rovinare l’atmosfera, quindi preferì spiegare quanto prima e mettere da parte l’argomento. “Ne vorreste un po’, moglie di Thorn? Mi spiace deludervi, ma credo di essere l’unico prescelto. È un piccolo toccasana per la mia salute e sono sicuro che ve ne priverete volentieri — anche se a malincuore — pur di assicurarvi la mia compagnia questa sera e quelle che seguiranno.”

Thorn borbottò qualcosa che assomigliava a ‘ne farei anche a meno’ e Ofelia sussultò rendendosi conto di essere stata colta in fragrante. “Non volevo essere invadente, signor Archibald.”

“Sciocchezze, sciocchezze,” rispose l’altro, agitando la mano libero e cominciando a sentire il braccio un po’ stanco. “Allora, questo brindisi?”

“A Ofelia e Thorn,” esclamò soddisfatta Berenilde mentre posava lo sguardo sulla coppia. “Alla famiglia al completo.”

 

***

 

La cena era stata meno imbarazzante di quanto Ofelia si era aspettata e Thorn aveva mangiato più di quanto avrebbe fatto in precedenza in compagnia di altri, in particolare di Archibald. Soprattutto, lei fu felice di notare le interazioni tra lui e la cugina e il modo in cui la piccola Vittoria pendeva dalle sue labbra o lo guardava curiosa. Sperava che quello fosse l’inizio di un ottimo rapporto e che vecchi dolori fossero dimenticati; ricordava bene ciò che il marito gli aveva raccontato del suo passato con la zia e la gelosia nei riguardi della bambina. Eppure, sapeva anche che erano sentimenti superati e, per come la vedeva, non vi erano più ostacoli. Quando, infine, si spostarono nel salotto e venne servito loro caffè, tè e dolci, Ofelia ricordò come aveva impiegato i suoi ultimi giorni a New Babel con Thorn osservando il cucchiaino che girava in modo perfettamente circolare senza l’ausilio di alcuna mano. Nessun altro lo notò, troppi presi da altre discussioni, e pensò che l’atmosfera ora rilassata era l’ideale per rivelare una notizia più positiva dell’altra che avrebbero ancora nascosto.

Nemmeno Thorn si era accorto di ciò che aveva indirettamente iniziato e dimostrava quanto avesse imparato a controllare il proprio animismo, facendolo suo e senza rifiutarlo o avere paura che potesse un giorno tornare a interferire con il suo potere familiare da parte di padre. Ofelia ricordava che, sin da subito, il marito aveva dimostrato di saper utilizzare senza problemi quella nuova abilità che si era modellata attorno al suo essere rigoroso e ordinato: i fogli si impilavano e raddrizzano da soli — laddove con Ofelia, invece, creavano il caos; le coperte erano sempre perfettamente spiegate, le scarpe sempre in fila. Eppure, le era venuto in mente, nessuno aveva davvero mai insegnato a Thorn come gestirlo e la naturalità con cui lo utilizzava qua e là non sempre bastava, tanto da infastidirlo e metterlo di cattivo umore. Dopo tutto, aveva sempre saputo che un potere così imprevedibile come quello degli Animisti non si sposasse troppo bene con un uomo metodico e ordinato come Thorn. Ma loro due erano l’eccezione e se la loro vita non lo aveva già sufficientemente provato, i loro poteri che si intrecciavano e completavano a vicenda lo confermavano.

L’animismo di Thorn era ora in tutto e per tutto ciò che ordinava il caos di Ofelia e, viceversa, quando ce n’era bisogno, la confusione creata da lei interrompeva l’ordine di lui. Erano come lacci che si legavano, slacciavano e intersecavano in continuazione, all’infinito, senza mai fermarsi o accontentarsi.

Quei sette giorni erano stati molto impegnativi, anche se Thorn si era rivelato uno studente molto diligente — cosa che non aveva davvero sorpreso Ofelia — e il risultato era lì sotto i suoi occhi. Aveva addirittura provato a proporgli di costruire un proprio totem, ma aveva rinunciato non appena aveva visto la sua smorfia e l’occhiata che aveva riservato alla sciarpa, la quale si era pesantemente offesa visto che, a suo modo, era molto affezionata a lui e non credeva di meritare tanto astio. D’altronde, entrambi avevano a cuore la salute di Ofelia; non era colpa sua se ogni tanto era lei stessa a causarle problemi!

Ora era sicura che la stessa zia Roseline ne sarebbe stata fiera. E, infatti, come se richiamata da quel pensiero, la dama si voltò verso Thorn e notò la sua tazza di caffè. “Per tutti gli Antenat, quel cucchiaino è più preciso del metro della cugina Ludmilla quando ci prende le misure!”

Ogni occhio puntò verso la posata incriminata che, riflettendo l’improvviso imbarazzo di Thorn, si immobilizzò e poi schizzò fuori dalla bevanda calda, posandosi in maniera perfettamente angolare lungo il piattino, non lasciando nemmeno una macchia sulla tovaglia. Anche in ritirata, l’ordine di Thorn era formidabile. Si schiarì la gola e poi prese la tazzina per bere un lungo sorso, ignorando gli sguardi concentrati su di lui.

Ofelia sembrava brillare di gioia pura, tanto era fiera della figura che il marito aveva fatto e poi si voltò verso la zia Roseline. “Avete visto? Thorn potrebbe essere un diretto discendente di Artemide per quanto è a suo agio con l’animismo!” Due sbuffi gemelli — provenienti da Thorn e Berenilde — dimostrarono quanto poco d’accordo alcuni fossero con quell’affermazione.

“E così due poteri familiari non vi bastavano, vero, ex-intendente? Dovevate ereditarne altri due da vostra moglie! Ma questo è il bello della cerimonia del Dono, no?” si intromise Archibald. L’uomo stava per fare riferimento al vecchio desiderio di Thorn di diventare lettore, ma ci pensò bene due volte dopo essere stato colpito dal luccichio delle dita metalliche di Ofelia — non era così insensibile dopo tutto!

“E tu, Ofelia?” volle sapere immediatamente Berenilde. “Hai fatto qualcosa per controllare il nostro? Io ho già cominciato a insegnare alla mia Vittoria qualcosa, ma lei ha una predisposizione innata,” si vantò, carezzandole dolcemente i capelli argentei. “Con un padre come il suo.”

Ofelia avrebbe voluto ribadire che Vittoria non sembrava tanto contenta dei suoi artigli, ma pensò fosse meglio evitare. “Ah, beh, sì, Thorn mi ha insegnato tutto.”

“Eccellente! Dovrai darmene una prova prima o poi.”

“C-cosa?” balbettò la ragazza, presa in contropiede. “No, non credo sia il caso.”

“Sciocchezze. Sei o non sei un Drago per acquisizione?”

“Zia,” le interruppe Thorn. “Non sono mai stato un Drago o, per lo meno, non sono mai stato accettato e lo sono solo per metà; perché mai dovrebbe esserlo mia moglie?”

“Ne abbiamo già parlato, caro. Ora siete gli ultimi e dovete-” un’occhiataccia più gelida del solito la bloccò e, per quanto strano, Berenilde non finì la frase né riprese il discorso cominciato nella camera padronale.

“Non ci sarà bisogno di una dimostrazione; non vi fidate delle mie doti di insegnante? Ofelia ha imparato per il proprio bene e per non scatenare problemi accidentalmente. Non utilizzerà mai questo potere di sua spontanea volontà e vorrei che non le faceste pressioni.”

“È sempre così protettivo nei confronti di sua moglie; non credo che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei assistito a qualcosa di simile. Nonostante tutto la nostra Ofelia è davvero fortunata,” commentò Archibald finendo il suo intruglio.

“Anche Thorn lo è ad aver trovato mia nipote. Ricordiamoci che è stata lei — con la sua testardaggine che solitamente definirei un difetto — a ritrovarlo e per questo ne siamo tutti grati,” volle enfatizzare Roseline.

“Ma certo, madama. Perché non concludiamo sottolineando che bella coppia affiatata sono?” Le uniche a non aver colto il doppio senso furono Roseline, che annuì fiera della figlioccia, e Vittoria.

Ofelia scosse la testa: Archibald si era messo piuttosto d’impegno e non erano arrivati nemmeno da un giorno. Si chiese se, ora che non poteva più minacciare Thorn di deflorarla prima del matrimonio, non decidesse di fare dei doppi sensi e dei riferimenti sessuali il proprio cavallo di battaglia. Sperava di no; non credeva che sarebbe potuta sopravvivere con le guance e gli occhiali perennemente scarlatti.

 

***

 

La calma e la gioia che si respirava in quel castello si dissipò del tutto la mattina dopo quando vennero annunciati dei visitatori inaspettati alle prime luci dell’alba. Nessuno reagì bene alla notizia e se Ofelia cominciò ad agitarsi, aspettandosi chissà cosa, Thorn cominciò a borbottare, irritato, della mancanza di rispetto e di buone maniere. La situazione precipitò quando si rifiutò di dare il consenso per far entrare quegli ospiti non desiderati e cominciarono a sentirsi delle urla provenienti dall’uscio che non fecero nulla per migliorare l’umore di coloro che erano al tavolo a fare colazione.

Venne fuori che Ofelia aveva ben più di un motivo per preoccuparsi perché quando si recarono alla porta trovarono dei rappresentati del clan di Miraggi in compagnia di uomo calvo e tarchiato il cui capello sbrindellato avrebbe potuto competere con il cilindro di Archibald. Non ci volle molto a capire il motivo per il quale si trovavano lì perché, anche se le loro urla sconclusionate non avevano dato a nessuno modo di parlare, la rabbia e qualche parola più comprensibile qua e là erano bastate: non apprezzavano il ritorno di Thorn e volevano che fosse quanto prima imprigionato.

Berenilde rimase sconvolta dalla loro audacia, ma mantenendo la calma e la compostezza che le si addicevano fece loro sapere cosa pensava del loro arrivo tutt’altro che educato. “Vedo che voi Miraggi continuate a perdere grazia giorno dopo giorno, non che quella che avete ostentato fino a poco fa fosse reale. Possiamo vedere tutti che fine ha fatto il vostro clan,” concluse stringendo gli occhi e alzando il naso con aria altezzosa.

In effetti, dei vecchi clan più in auge nella loro arca negli ultimi anni quello dei Miraggi aveva più sofferto e i loro servigi erano sempre meno richiesti di conseguenza. La cosa ironica era che, tra tutti, erano stati proprio loro a insistere che le persone inferiori rimanessero ai margini della società, non rendendosi conto che presto avrebbero potuto essere superati proprio da quest’ultimi. E ora si permettevano anche di arrivare da loro, di prima mattina, inscenando un teatrino che nemmeno i loro trucchi migliori avrebbero potuto far passare come raffinato.

“Sei sicura di star parlando del nostro, Berenilde? A quanto ricordo sono i Draghi ad essere caduti in disgrazia,” commentò l’unica donna presente, esibendo un sorriso falso quanto la pelliccia che portava sulle spalle. “Ah, che sbadata. Il vostro nemmeno esiste più. Sei o non sei l’unica sopravvissuta? Il bastardo che abita questa dimora non conta né quella bambina disagiata che chiami figlia.”

“Almeno io dei figli sono riuscita ad averli. O forse dovrei dire che più di un uomo si è dimostrato più che disposto ad averne con me, Clementine? Il nubilato forzato e la mancanza di eredi ti rende ancora abbastanza acida a quanto pare. Ma non devi invidiare coloro che ne hanno o le giovani coppie innamorate. Non tutti siamo nate avvenenti e desiderabili; non fartene una colpa.” Berenilde ghignò nel vedere la donna diventare tutta rossa, incapace di mantenere un contegno — non che si aspettasse diversamente. La prossima volta ci avrebbe pensato più di una volta prima di offendere la sua famiglia.

“Signore, signore, vi prego; non c’è bisogno di litigare. Veniamo in pace,” si intromise l’uomo tarchiato asciugandosi contemporaneamente la lucida pelata.

“Beh, il modo in cui i vostri accompagnatori si sono annunciati dice tutt’altro, signor Intendente,” lo contraddisse Archibald, che si era precipitato ugualmente alla porta, indicando con il cappello Clementine e il fratello Bertrand.

Le teste di Ofelia e Thorn scattarono nella sua direzione non appena udirono la parola ‘intendente’ e i loro occhi osservarono con attenzione la sua figura in apparenza debole e malaticcia, chiedendosi come avesse potuto gestire il caos del Polo, tanto meno mantenere la carica così a luogo.

Ora che aveva tutta l’attenzione su di sé, e soprattutto quella di colui che lo aveva preceduto, Emmanuel cominciò a sudare ancora più copiosamente, non sapendo più a chi rivolgersi per prima. Si tamponò di nuovo la fronte per poi rivolgersi a colui che lo aveva interpellato, cercando di mantenere una presa salda sui nervi che non gli stavano facendo esattamente fare una bella figura. E dire che prima di accettare quell’incarico era stato l’invidia della sua famiglia per i suoi folti capelli.

“Ho tentato di avvertire il gentiluomo e la dama che questo non era l’approccio migliore,” chiarì schiarendosi la gola e lanciando ai due Miraggi un’occhiataccia. “Ma non hanno voluto sentir ragione né le mie spiegazioni.”

“Questo perché non sei in grado di fare il tuo lavoro e continui ad appigliarti a certe buffonate. Dì quello che devi dire e arresta questo bastardo!” urlò spazientito Bertrand, lanciando fulmini e saette in direzione di Thorn, buttando il petto in fuori e cercando di far capire chi tra i due fosse superiore. Tuttavia, l’uomo era ancora più basso e tozzo dell’attuale intendente e l’immagine che dava non era molto brillante. Archibald, vedendolo, scoppiò a ridere così forte che dopo un po’, per mancanza d’aria, le risate si trasformarono in tosse e Roseline dovette prestargli aiuto.

“Oh, scusatemi,” disse infine asciugandosi gli occhi. “Procedete pure se i vostri accompagnatori ve lo permettono.”

Emmanuel scoccò un’altra occhiataccia in direzione dei Miraggi prima di riprendere la parola. “Avrei volentieri dato ai nuovi arrivati più tempo per sistemarsi e riprendersi, ma come vedete la situazione non lo permette. In qualità di Intendente, sono dunque venuto a informare il signor Thorn del processo al quale è tenuto a partecipare per investigare le accuse sul presunto omicidio del barone Melchior e-”

“Nessun processo! Pensavo che fossimo d’accordo sul fatto che non c’è bisogno di alcun processo. Quest’uomo deve essere incarcerato e condannato per i suoi misfatti!” sbraitò ancora Bertrand, sputando goccioline di saliva qua e là ed esibendo un viso tanto rosso quanto quello della sorella precedentemente umiliata da Berenilde.

L’Intendente drizzò le spalle e indurì l’espressione nel sentirsi ancora una volta interrotto da quegli scostumati, cominciando anche a pentirsi di averli portati con sé. Ma, si disse, non che gli fosse stata data chissà quale scelta: quei due si erano presentati fuori casa sua quando era ancora buio, urlando e colpendo la porta, esigendo che fosse immediatamente fatto qualcosa per evitare che un criminale del genere girasse a piede libero sulla loro arca. “E io,” cominciò lentamente, alzandosi in punta di piedi e troneggiando — anche se di poco — sull’altro, “pensavo fossimo d’accordo che non siete voi o vostra sorella a dettare legge e che al signor Thorn è stato concesso da niente di meno che Faruk il diritto a un regolare processo. Ora, se non volete essere voi a ritrovarvi accusato di intralcio all’amministrazione e trascorrere più di una notte in cella, vi suggerisco di chiudere finalmente la bocca e starvene in silenzio. Ci siamo capiti?”

Il silenzio scese su tutti loro, ma nessuno avrebbe potuto essere più scioccato dei due coniugi che avevano appena incontrato l’Intendente e, dall’apparenza, non avrebbero mai immaginato potesse reagire in quel modo e gestire sapientemente la situazione. Forse, dopo tutto, non era poi così debole; ma per loro era ancora troppo presto farsi un’idea definitiva.

Quando lo shock diminuì e ci si assicurò che Bertrand non osasse più parlare, Berenilde e Ofelia pensarono fosse finalmente arrivato il momento di dire la propria. Non sembrava appropriato che Thorn fosse a malapena ritornato a casa e trascinato in aula. Certo, avevano considerato che una cosa del genere potesse succedere — anzi, ne erano state certe considerando quanto fosse amato Thorn — tuttavia, avevano almeno sperato che gli fosse dato un po’ di tempo.

“No, non c’è alcun bisogno di rimandare oltre. Io preferisco sempre risolvere ogni problema quanto prima e non rimandare,” proferì stoico e con aria di finalità Thorn, lasciando di stucco moglie e zia, ugualmente preoccupate.

“Non avevo dubbi, signor Intendente. Ehm, voglio dire, signor Thorn,” si impappinò Emmanuel, rendendosi conto che quel titolo era ancora suo e non più dell’altro. “Risolveremo la questione quanto prima e vorrei poi la sua opinione su altre pratiche rimaste in sospeso e che la riguardano.”

Thorn arcuò un sopracciglio mentre Archibald ricominciava a ridacchiare a causa della gaffe dell’uomo. “Bene, visto che siamo tutti d’accordo, immagino quindi ci rivedremo più tardi nel luogo da voi stabilito per il processo.”

Emmanuel strabuzzò gli occhi e si tamponò di nuovo la pelata — un tic sicuramente nervoso, osservò il Drago — e spalancò la bocca. “O-oggi?”

“Certo. Non avevate intenzione di completare tutto oggi? Abbiamo parlato di tempi quanto più celeri. Non vorrete mica mettere in dubbio la mia memoria?” Strinse gli occhi e lo sfidò a contraddirlo.

“No, no. Non mi permetterei mai. Dunque,” tossicchiò e si sistemò la cravatta che ora gli sembrava strettissima. “Entro oggi pomerig-”

“Mezzogiorno,” lo interruppe Thorn brusco. Aprì l’orologio da taschino e poi annunciò: “Fate arrivare una carrozza qui per le 11.30. Sono sicuro che arriveremo con estrema puntualità e che voi avrete tutto il tempo per preparare ogni necessità burocratica e informare chiunque voglia assistere. Per correttezza.”

L’Intendente deglutì, sentendo improvvisamente la bocca piena di saliva e il cervello troppo vuoto per dire qualcosa di intelligente. Seppe solo annuire perché, si rese conto, non avrebbe mai potuto dirgli di no, non dopo quel tono autoritario che aveva utilizzato — quello di chi era abituato a dare ordini, indifferente al modo in cui venivano recepiti. Capiva ancora di più perché quell’uomo alto e magro fosse riuscito a governare la loro arca di matti e lui ci teneva particolarmente a non fare una brutta figura.

Dopo tutti, i suoi piani non erano per nulla cambiati. Bisognava solo metterli in atto molto prima di ciò che aveva preventivato.

 


N/A: Eccoci qua!
Spero stiate bene e il caldo non vi stia dando alla testa - come succederà a breve a me 😆❤.
Forse qualcuno di voi si stava chiedendo quando sarebbero cominciati i guai e hanno trovato la loro risposta in questo capitolo. Nel prossimo verranno risolti un po' di problemucci e vedremo anche qual è il famoso piano dell'Intendente. Nel frattempo abbiamo anche visto come avevano impiegato il loro ultimo tempo a New Babel prima di partire. Mi piace molto l'idea dei poteri familiari dei due che si completatono come loro stessi 🥰.

Spero la lettura sia stata di vostro gradimento. Vi auguro buon weekend e a presto!

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Capitolo 20
*** Liberi ***


 

Liberi

 

“Sei sicuro sia stata la mossa giusta?” chiese Ofelia, esitante, una volta che furono rientrati, l’appetito ormai perso.

Thorn la guardò con tenerezza ma senza abbandonare del tutto l’espressione determinata e poi annuì. “Sono preparato per questa evenienza, ricordi? Qualche giorno in più non fa la differenza e preferisco risolvere la questione quanto prima.”

“Sì, ma li hai visti; sembrano abbastanza agguerriti e sappiamo di cosa sono capaci.”

“Moglie di Thorn, forse state sottovalutando un po’ le persone che vi sono accanto.” Dall’altro lato della tavola, dove aveva preso posto non appena era stato possibile, Archibald ammiccò. “Non credete mica che avremmo lasciato vostro marito in balia di certi individui,” continuò con finta disapprovazione.

“Ma veramente-” provò a dire ancora per poi essere interrotta.

L’ex ambasciatore scosse la testa e poi le rivolse il sorriso che gli aveva sempre garantito una conquista sicura. Subito dopo, come se fosse un trucco di magia e lui un abile prestigiatore, sollevò il cilindro dal capo e ne tirò fuori un taccuino che aveva visto giorni migliori da una tasca interna — Ofelia si domandò se fosse sempre esistita o come potesse anche solo esistere in mezzo a tante toppe.

Roseline trattenne il fiato, Berenilde batté le mani soddisfatta e i due coniugi osservarono l’oggetto constatando una certa familiarità — nel caso di Thorn, assolutamente certa. Non c’erano molti dubbi su chi fosse stato il precedente possessore, la vera domanda era perché mai fosse Archibald ad esserne in possesso ora.

“Questa, miei cari, è l’arma che zittirà del tutto i dissenzienti. E abbiamo visto quanto disturbo possono creare. Con questo il processo del signor Thorn è assicurato, anche se ho avuto l’impressione che il nostro Intendente non si sarebbe fatto intralciare dai Miraggi in ogni caso. Per essere un senza poteri, la sua fermezza mi stupisce ogni volta. Forse è questo il suo potere familiare: sfruttare l’essere sempre sottovalutato a proprio favore,” concluse divagando verso la fine del discorso.

“Perché qualcosa del genere è nelle vostre mani?” chiese Thorn stringendo gli occhi. La situazione si prospettava più facile con quel taccuino, ma non lo avrebbe certo ammesso di fronte ad Archibald.

“Ho i miei mezzi,” ammiccò ancora l’altro, ma prima che Thorn potesse ribattere e giudicarlo sulla base dei suoi cosiddetti mezzi, Berenilde si intromise.

“Abbiamo preso anche noi le nostre precauzioni, cosa credi!” esclamò oltraggiata, come se il nipote dubitasse dell’interesse che lei aveva per le sue sorti o quelle del processo a cui sarebbe stato sottoposto a breve. “Non dimenticare che io ho continuato a vivere in quest’arca e, nonostante tutti i cambiamenti a cui siamo andati incontro, è sempre stato chiaro che qualora tu fossi tornato nessuno avrebbe mai rinunciato alla propria vendetta.”

“Sono certo che molti avrebbero preferito che non tornassi affatto,” affermò impassibile Thorn. “Che bella sorpresa deve essere stata per loro la notizia del mio ritorno.”

Gli occupanti della stanza — a parte Ofelia e Vittoria — lo guardarono strabuzzando gli occhi mentre un silenzio imbarazzante calava su di loro. Infine, fu Archibald a spezzarlo con quella risata che lo contraddistingueva. “Ah, anche voi sapete cos’è l’ironia; questa sì che è una sorpresa.”

In risposta, l’ex Intendente lo guardò fisso negli occhi azzurri che ancora scintillavano di malcelata allegria e con un’espressione neutra recitò: “La dissimulazione del proprio pensiero con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con tono che tuttavia che lascia intendere il vero sentimento.”

Archibald batté le palpebre una, due volte mentre Thorn continuava a guardarlo senza che un solo muscolo facciale si muovesse e, infine, scoppiò a ridere. “Touché. Questa volta devo proprio darvela vinta.” Poi si rimise il cilindro sul capo e scattò in piedi. “Non mi resta che aspettare e vedere cosa l’accoppiata tra voi e l’attuale Intendente ci porterà. Non mi deludete, vi raccomando. Ah,” aggiunse quando ormai era ormai sulla soglia, “fossi in voi mi abituerei presto al vostro nuovo status sociale; non vi sarà più facile nascondervi d’ora in poi.” E ridendo se ne andò e lo rividero solo nella sala del Grande Tribunale Interfamiliare che era stata scelta per il processo — e allestita di fretta all’ultimo.

 

*** 

 

Nel momento in cui le porte vennero chiuse al pubblico e nella stanza rimasero solo pochi testimoni e coloro che erano riusciti a strappare un permesso, anche il ronzio della folla che si era riunita fuori si spense. Ma il cambiamento maggiore non riguardò il suono, piuttosto l’Intendente già seduto davanti a tutti.

Era scomparso l’uomo nervoso e sudaticcio che Thorn e Ofelia avevano incontrato quella mattina e al suo posto vi era una persona determinata con l’espressione dura e per nulla intransigente resa ancora più efficace dalle labbra strette in una linea dritta. I suoi occhi chiari avrebbero potuto competere con il vento gelido che ancora imperversava fuori da quelle mura e continuavano a lanciare fulmini in direzione dei Miraggi che borbottavano rumorosamente. La pelata era perfettamente asciutta e il fazzoletto che aveva utilizzato in precedenza per asciugarla scomparso del tutto; al suo posto ve ne era uno nuovo nel taschino della giacca pulita e stirata. Le sue spalle dritte lo rendevano più alto di quel che era in realtà e Ofelia si chiese anche se quell’effetto ottico non fosse dovuto in realtà a qualche cuscino che loro non potevano vedere.

Qualunque fosse il motivo di quella trasformazione, nessuno accanto a loro era sorpreso, il che fece capire ai coniugi che era quella l’immagine abituale che dava e non l’altra, forse una casualità dovuta alle circostanze. Il tutto aveva senso, rifletté Thorn, il quale era sollevato di sapere che a dirigere il tutto ci sarebbe stata una persona un minimo competente e non l’essere debole che aveva incontrato sulla soglia di casa sua. Non che gli avrebbe comunque permesso di interferire negativamente sulla sua vita.

Quel processo avrebbe avuto solo un possibile verdetto, ma ciò che Thorn non aveva predetto era che, per una volta, il suo operato non sarebbe stato davvero necessario. Era un risvolto che l’uomo, abituato a cavarsela sempre da solo e a non fare affidamento su nessuno, non aveva nemmeno preso in considerazione. Certo, da quando aveva conosciuto Ofelia parte di quell’atteggiamento era cambiato perché aveva imparato a fare entrare un’altra persona nella sua vita — l’aveva accolta e ora aveva un posto fisso che lui non avrebbe più sopportato vedere vuoto. Tuttavia, ciò non significava che fosse più incline ad aprirsi a individui che a malapena conosceva o, addirittura, ad affidarsi a qualcuno che non fosse lui stesso e la moglie. In generale, quindi, il risvolto lo prese in contropiede e fu una fortuna che, invece, l’Intendente avesse del tutto abbandonato la maschera debole e fosse sicuro della propria vittoria.

Quest’ultimo chiuse le porte, si schiarì la gola e lanciò l’ennesima occhiataccia ai Miraggi intimandogli di fare silenzio il che — senza troppe sorprese — funzionò a meraviglia. Poi il suo sguardò si posò su tutti i presenti e infine sull’oggetto tra le sue mani che l’ex ambasciatore gli aveva fornito poco prima lontano da sguardi indiscreti.

Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme,” lesse a voce alta senza troppi preamboli. “Queste sono le parole che l’aiuta-memoria scrisse quando il sire Faruk le enunciò all’epoca dei fatti. E questo tra le mie mani è il taccuino sul quale è stato anche appuntato l’accordo che il signor Thorn aveva stretto con il nostro spirito di famiglia ed è stato poi onorato da lui e da sua moglie – l’allora sua fidanzata -, la signora Ofelia, figlia di Artemide. Su queste si baserà l’intera udienza che andrò a guidare quest’oggi; c’è chi ancora dubita o ha qualcosa da contestare?” Bertrand borbottò e fece per parlare, ma una gomitata della sorella gli tolse il fiato e chiuse immediatamente la bocca. “Molto bene, iniziamo.”

“Ho studiato bene questo caso quando è stato sottoposto alla mia attenzione qualche settimana fa e con esso gli eventi che portarono all’incarcerazione del qui presente imputato. Non gli fu concesso un regolare processo e il tutto durò così poco che i giudici non ebbero nemmeno il tempo di sedersi — converrete con me che è un trattamento al quanto barbaro. Ma divago; d’altronde, non che vi interessa la mia opinione sui clan che il signor Thorn aveva aiutato e che gli hanno poi voltato le spalle.” Si aggiustò gli occhiali e tossì lievemente. “Ora, da quel che leggo nei miei appunti e sui vecchi verbali, fu lui stesso a consegnarsi alla giustizia per essere colpevole di aver ucciso il barone Melchior, il ministro dell’Eleganza, in difesa della sua fidanzata, ma al contrario, non vi è alcuna-”

“Sono fandonie,” urlò Bertrand scattando in piedi. “Quel bastardo è pazzo come la madre e ha causato quei disordini per poi uccidere nostro cugino e tentare di far cadere ogni colpa su di lui!”

Emmanuel scattò verso di lui e lo incenerì con lo sguardo. “Signor Bertrand, non approvo questo linguaggio né il vostro comportamento in quest’aula e, a meno che non vogliate essere sbattuto fuori, vi suggerisco di fare silenzio. Signorina, se non siete in grado di tenere sotto controllo vostro fratello manderò via anche voi con lui. Ah, e se non fosse stato chiaro finora, la parola ‘bastardo’ in riferimento all’imputato non ha alcun valore. Non sono stato io a deciderlo, ma il sire Faruk quando aveva ancora ruolo di spirito di famiglia. Ritorneremo su questo punto dopo, ma vi prego di non utilizzarla più né oggi né mai.” Tossicchiò e riprese i documenti che aveva in mano.

“Prima di essere ancora interrotto,” ricominciò con tono minaccioso e con un’ultima occhiataccia diretta ai Miraggi, “stavo dicendo che, appunto, non vi è alcuna prova che il signor Thorn fosse il responsabile delle scomparse che si sono verificate a Chiardiluna subito prima della morte del Barone. Questa mancanza va attribuita a coloro che non hanno fatto il loro lavoro durante il primo processo e non hanno ritenuto necessario verificare queste accuse. Detto questo, come Intendente, non posso razionalmente accusare l’imputato di questo reato. Inoltre, ho la testimonianza di una delle vittime, la quale afferma con totale sicurezza che il signor Thorn non fosse il responsabile dell’attacco alla sua persona.”

Clementine si schiarì la gola per attirare l’attenzione su di sé ma senza fare una scenata come il fratello. “Se permettete. Le vittime non erano in grado di intendere e di volere e il vostro stesso testimone si trovava in uno stato letargico che ha costretto i suoi stessi familiari a interrompere il suo collegamento con la Rete. Di certo non vi aspettate che la sua parola possa bastare per assolvere il traditore.” Poi si voltò indietro, dove era seduto Archibald con un sorrisetto sulle labbra e per nulla preoccupato, e lo guardò di traverso.

“Signorina, come ho già detto, non sono state lasciate prove concrete che possano attribuire la colpa dei rapimenti al signor Thorn e questo è già abbastanza per me per cancellare del tutto questa accusa dalla lista. Tuttavia, se avete intenzione di mettere in discussione la testimonianza della vittima, sono disposto a venirvi incontro a patto che rispondiate ad alcune delle mie domande.”

La dama, tutta tronfia, annuì, convinta di aver finalmente imboccato la strada della vittoria.

“Molto bene.” Emmanuel rovistò tra le sue carte, pile infinite di fogli in disordine che stavano causando non poco disturbo al precedente Intendente, e infine trovò ciò che stava cercando. “Volete rammentare a tutti a che clan appartenete e quali sono, tipicamente, i vostri poteri?”

“Il clan dei Miraggi,” rispose subito, fiera. “Ci occupiamo di illusioni.”

“E quali sono invece i poteri dell’imputato?” Il silenzio seguì quella domanda. “Non ve lo ricordate? Vuole che vi aiuti? Molto bene,” ripeté una terza volta acchiappando un foglio volante. “Il signor Thorn è figlio di un Drago, dal quale ha ricevuto in dotazione degli artigli in grado di causare danni sia fisici che mentali, e di una Storiografa, la quale gli ha donato una memoria eccellente e senza falle — il che gli permette di ricordare avvenimenti che non trovano spazio nemmeno sui documenti sui quali stiamo basando l’intero processo. Vi ho rinfrescato i ricordi?”

“Beh, sì, ma non vedo come questo possa avere a che fare con i suoi delitti,” ribatté Clementine, ora non più così sicura di sé.

Emmanuel sorrise. “Oh, ma io sì, non vi preoccupate. Ora, lasciate che vi faccia un’ultima domanda. Dati i vostri poteri familiari, chi dei due, tra voi e l’imputato, sarebbe più in grado di far ricadere la vittima in quello stato letargico e illusorio di cui si parlava prima?”

La donna rimase a bocca aperta per un secondo, per poi riprendersi a causa delle risatine di Archibald che arrivarono alle sue orecchie e l’Intendente non fermò. “Mi state forse accusando?” Era tutta rossa e stava facendo del suo meglio per non alzare la voce.

“Assolutamente no, signorina. Sto semplicemente mostrando a tutti l’evidenza, basandomi proprio sulle vostre parole. Se tutte le vittime sono state rapite nello stesso modo, mi sembra alquanto difficile che il signor Thorn – mezzo Drago e mezzo Storiografo – abbia potuto esserne il responsabile. E questo,” aggiunse con tono accondiscendente e un sorriso ancora più ampio sulle labbra, “ci fornisce un’ulteriore prova del fatto che questa accusa è infondata.”

Mormorii di dissenso provenienti dal lato dei Miraggi si innalzarono mentre Clementine prendeva di nuovo posto sconfitta, ma si placarono con un altro colpo di tosse da parte di Emmanuel. “Qualche obiezione?” chiese ironicamente, non aspettandosi alcuna risposta.

“Ottimo, andiamo avanti.” Rovistò ancora tra le pile disordinate di documenti, suscitando in Thorn dubbi su come avesse potuto davvero mandare avanti l’Intendenza in quel modo, e infine interpellò proprio lui. “Signor Thorn, ho qui la vostra deposizione. Vi dispiace, comunque, raccontare a tutti le circostanze che vi hanno portato a porre fine all’esistenza dell’ex ministro dell’Eleganza?”

Thorn annuì, alzandosi meccanicamente dalla sedia e ignorando gli sguardi d’odio e i sussurri che provenivano dalla parte opposta. Ofelia lì accanto era l’unico supporto di cui aveva bisogno. Con l’eccellente memoria che la madre gli aveva lasciato in eredità, Thorn riportò nei minimi dettagli i disordini causati dai rapimenti a Chiardiluna e i risultati a cui la sua indagine aveva portato. Scioccò tutti rivelando il coinvolgimento di Dio e la partecipazione del Barone come suo discepolo — e dopo quelle parole bisognò portare nuovamente ordine nel tribunale e Bertrand fu cacciato dopo aver accusato Thorn di infangare la memoria del cugino. Infine, descrisse l’illusione di cui Ofelia era stata vittima, spiegando il suo funzionamento e la reticenza che il vecchio ministro aveva dimostrato quando gli aveva chiesto di annullarla. Da lì, tutto era precipitato in breve tempo. 

In seguito, Emmanuel chiese a Ofelia di confermare o negare la versione di Thorn e di descrivergli il comportamento del marito in seguito all’accaduto e la sua conversazione con il Barone Melchior. “Al di là di quanto è accaduto e sta accadendo, spero mi permetterete di lodare la vostra onestà e il vostro onore. Non tutti avrebbero confessato le proprie azioni,” aggiunse non riuscendo più a contenere l’ammirazione che provava per il suo predecessore. “E questo mi porta a dire che se il qui presente fosse stato colpevole anche degli altri crimini non avrebbe esitato prima di ammetterli quando si è consegnato alle mani della giustizia. E a voi tutti dico che a seguito di quest’altra testimonianza, avallata dalle parole della signora Ofelia, la situazione appare decisamente diversa da setti anni fa.”

“Signor Intendente.” Un terzo miraggio aveva preso il posto di Bertrand e Clementine ora che erano stati cacciati fuori, ma per fortuna stava dimostrando modi più consoni al luogo nonostante il suo evidente odio nei confronti di Thorn. “Ho stima del vostro lavoro e di ciò che ha fatto per la nostra arca fino ad oggi, ma sarete d’accordo con me che non è possibile basare il verdetto di questo processo su quanto detto dalla moglie dell’imputato. C’è un chiaro conflitto di interesse.” Lanciò un sorrisetto nella direzione dei due coniugi e poi si sedette a seguito di un cenno di Emmanuel. Nessuno avrebbe potuto obiettare quanto detto.

Ofelia stava cominciando ad agitarsi: nonostante l’uomo non avesse fatto segreto della sua adorazione per Thorn e stesse anche osando molto per far procedere tutto secondo i suoi piani, era evidente che i Miraggi non erano disposti a rinunciare tanto facilmente. Le prove dell’assassinio del Barone erano schiaccianti perché lo stesso Thorn aveva confessato. In quale modo avrebbero potuto assolverlo? La motivazione che era stata data non era bastata all’epoca e non sarebbe bastata oggi. Continuò a mordicchiarsi le labbra, cercando di capire come potesse Thorn essere così tranquillo o l’Intendente sicuro di ciò che stava facendo. Ai suoi occhi tutto appariva tetro. Che avesse mal interpretato le azioni di quest’ultimo e non avesse in realtà alcuna intenzione di liberare il marito dalle accuse? Non era sicura che avrebbe potuto sopravvivere a un verdetto a loro sfavore. 

“Sono d’accordo, non posso scagionare l’incriminato sulla base di quanto detto finora,” annuì Emmanuel facendo perdere un altro paio di battiti alla giovane Animista. “Tuttavia, un processo equo presuppone che vengano ascoltati sia colui che accusa che l’accusato. Mi sbaglio?”

“No, assolutamente no,” rispose immediatamente il Miraggio, piegandosi in un inchino fin troppo basso e ricominciando con le sue perfide tecniche di adulazione.

“Quindi non avevate motivo di interrompermi, in quanto non vi avevo dato alcun motivo di pensare che avessi intenzione di utilizzare la testimonianza della signora Ofelia come prova schiacciante dell’innocenza dell’imputato.”

Ofelia giurò di aver visto gli angoli della bocca del marito sollevarsi, ma vero o no, bisognava ammettere che Emmanuel sapeva il fatto suo. Era stato in grado sia prima che ora di far credere ai Miraggi di aver ragione prima di intrappolarli utilizzando le loro stesse parole. Era un senza poteri, su quello non c’erano dubbi, ma era evidente che si fosse educato cercando di sfruttare altre qualità che gli avevano permesso, infine, di ricoprire una carica così importante. Forse aveva avuto proprio ragione Archibald quella mattina: l’uomo sfruttava la poca fiducia che gli altri avevano in lui a suo favore.

Una volta che il silenziò calò nuovamente sulla stanza, si rivolse a tutti. “Ora che abbiamo ascoltato le varie testimonianze e mostrato alcune prove, spero che la situazione sia più chiara a ognuno di voi. Forse tutto questo vi sembrerà inutile quando che vi avrò detto in che modo intendo procedere, ma credo fosse importante mettere i puntini sulle i e i trattini sulle t. Escluse le accuse dichiarate infondate prima, è venuto il momento di giudicare il signor Thorn, ex Intendente del Polo e unico superstite — insieme alla signora Berenilde e sua figlia Vittoria — del clan dei Draghi. In caso di colpevolezza, in questo stesso luogo verrà discussa la sua pena, al contrario, se fosse dichiarato innocente, il suo nome verrà immediatamente affrancato dall’onta e si procederà ad analizzare anche la seconda parte dell’affermazione del sire Faruk.”

Ofelia trattenne rumorosamente il fiato, allungando le dita artificiali verso il marito, ancora immobile e seduto più ordinato che mai accanto a lei. Il suo volto non mostrava alcuna emozione, neppure a lei, e per la prima volta da che si erano ritrovati le risultò impossibile leggerlo. Alle sue spalle sentì le zie bloccarsi e sussultare allo stesso modo, ma la sua attenzione era divisa solo tra Thorn e colui che aveva ora nelle sue mani il loro futuro. Non voleva pensare a un verdetto negativo, ma in quei secondi sembrava impossibile scacciare dalla testa quell’evenienza. Solo, lei non sarebbe stata in grado di affrontarla.

“Il crimine è stato commesso in un momento di grave confusione per quest’arca e, da allora, molto è cambiato — non solo per noi. Io stesso mi sono ritrovato a dover ordinare questa società che sembrava aver perso i suoi punti cardine e, non nego, è stata un’impresa per nulla semplice.” I suoi bellissimi capelli, andati così come lo era il barone Melchior, ne erano la prova. “Non posso certo sapere in che modo qualcun altro al posto mio avrebbe affrontato questo processo, posso solo prestarmi alla giustizia — come ho fatto finora — e assicurarmi che i diritti di ogni persona che la abita vengano rispettati e assicurati, che siano essi parte di un clan in auge o di uno decaduto, dotati di poteri o senza. Fatto questo preambolo, mi pare evidente che ognuno di noi si sia adeguato al cambiamento in maniera diversa — chi meglio e chi peggio. Eppure, se anche non si è d’accordo con queste novità, non si può andare contro la legge — sia vecchia che nuova — e dimenticarla non è una giustificazione.”  Stava ormai tirando il discorso per le lunghe e nel tribunale molti stavano cominciando a scocciarsi, quindi si affrettò a trovare l’ennesimo documento importante che aveva rischiato di perdere e riprese. “Il reato commesso dal qui presente signor Thorn è caduto in prescrizione due anni fa o meglio — se vogliamo proprio essere pignoli — 712 giorni fa. Dunque, non è più perseguibile e, di conseguenza, l’imputato è libero di vivere in qualsiasi arca egli desideri purché rispetti le leggi vigenti. Aggiungo inoltre, reiterando quanto concesso da Faruk stesso, che egli è da oggi ufficialmente in possesso di un titolo nobiliare e non più un bastardo, al di là delle circostanze dietro la sua nascita.” Poi si aggiustò gli occhiali e si rivolse direttamente a Thorn. “L’aspetto domattina presto all’Intendenza per discutere di questioni della massima importanza. Confido nella sua puntualità.” Aggiustò finalmente quella fila di carte disordinate, le infilò sotto le braccia e augurò una buona giornata tutti, prima di scendere di fretta dalla sedia e scomparire per non sottomettersi alla tiritera arrabbiata dei Miraggi per nulla contenti di quel verdetto. 

Ofelia e Thorn si guardarono negli occhi, ignorando le urla degli astanti e l’entusiasmo delle zie che pian piano divennero solo rumore di sottofondo, e sorrisero. Quello dei lei era smagliante, quello di lui più mite, ma non importava perché la loro felicità avrebbe potuto abbagliare chi stava loro intorno se non fosse stato che era, appunto, solo loro; non avrebbero permesso a nessuno di contaminarla o di esserne parte. Comunicarono con gli sguardi, ma nessuno seppe cosa si dissero veramente e solo dopo quella che sembrò un’eternità interruppero il contatto e Ofelia gli saltò addosso. Fu un’impresa per lei, tanto bassina, ma il marito l’aiutò e non si curò di essere in mezzo a tanta altra gente che avrebbe potuto vederlo o dei fischi imbarazzanti di Archibald. Lo sfondo di quel momento non aveva tanto importanza, ma solo colei che stringeva attualmente tra le braccia e gli stava bagnando il colletto con le proprie lacrime. Per una volta non nascose le sue emozioni e mostrò a tutti come il freddo e misogino ex Intendente era più che capace di amare; di più, era innamorato di sua moglie, dei suoi difetti e dei suoi pregi, e per lei avrebbe fatto di tutto. Era felice e il suo passato non aveva più importanza né coloro che avevano cercato di mettergli i bastoni tra le ruote.

E loro due erano finalmente dove dovevano essere: uniti, a casa, liberi, innamorati e, soprattutto, insieme.

 


 

N/A: La percepite la fine che si avvicina? Io sì *piange* ma meglio se lascio frasi di commiato per l’ultimo capitolo. Ieri stavo scrivendo il 21 e dovrei riuscire a concludere il tutto in 23 capitoli – ovviamente nulla è certo fino a quando non scrivo la parola Fine, ma sono sicura al 99% che questa volta le mie scalette non mentano.

Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Avevo un po’ di dubbi perché gran parte è dedicata al processo stesso e alle parole di Emmanuel — alias l’Intendente — ma converrete con me che era necessario. Ciò nonostante, ho cercato di renderlo quanto più interessante possibile. Ovviamente, non ci sarebbe da specificarlo ma lo faccio lo stesso: l’intera cosa è di finzione, non mi sono affidata a nessuna norma di legge reale. Ho utilizzato l’Intendente anche se nel secondo libro in quella farsa che è il primo processo sono altre persone a fare da giudici perché ho pensato: se lo stesso Intendente all’epoca era sotto accusa come avrebbe potuto condurre il proprio processo? Spero vi sia stata chiara la mia scelta e, ancora, che vi sia piaciuto il tutto.

Grazie come sempre per il sostegno e ci leggiamo puntuali tra due settimane. Un abbraccio!

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Capitolo 21
*** Marito ***


 

Marito

 

Thorn si recò di prima mattina all’Intendenza, da solo, e mentre prendeva strade che mai avrebbe potuto dimenticare e percorreva corridoi più che familiari fu sorpreso di non provare alcuna amarezza. Aveva immaginato che tornare nel luogo che l’aveva ospitato per una parte importante della sua vita avrebbe riportato sensazioni sgradevoli a galla, una certa gelosia o rabbia perché non era più il suo posto. Eppure, ora si sentiva più soddisfatto che allora, felice, e non gli mancava nulla, anche se quel lavoro sarebbe rimasto sempre quello più adatto alla sua persona.

Gli fu concesso passare senza troppe cerimonie o attesa e quando entrò nell’ufficio fu sorpreso di vederlo spoglio e privo di personalità. Dietro la scrivania, in piedi, vi era Emmanuel tutto sudaticcio e nervoso, oltre che in ansia di portare a termine il suo attuale compito: riempire una vecchia borsa già strapiena di ogni oggetto personale che aveva decorato l’ufficio negli anni in cui era stato suo.

Thorn si bloccò in mezzo alla stanza, si schiarì rumorosamente la gola per attirare l’attenzione dell’uomo e alzò un sopracciglio quando questo alzò il volto verso di lui.

“Ah, signor Thorn, siete qui. Ottimo,” lo accolse l’Intendente, tamponandosi la fronte con un fazzoletto e ricordando colui che era stato durante il loro primo incontro. Fece per recuperare il proprio orologio e controllare l’ora, ma Thorn lo precedette.

“In perfetto orario.”

“Ma certo, sapevo che non mi avreste deluso. Venite, non state lì impalato, accomodatevi.”

Thorn, tuttavia, sembrava avere qualche difficoltà a seguire quell’ordine soprattutto perché lo stesso Emmanuel non dava segno di volersi sedere e continuava, insistente, a voler infilare in quella borsa cose che non sarebbero mai entrate e a rendere nervoso il suo ospite a causa del disordine.

“Ah, capisco. Molto bene.” Tossicchiò e poi ignorò quelle cose poche rimaste. “Vi starete chiedendo cosa avevo urgentemente bisogno di discutere con voi. Bene. Non vi tratterrò a lungo perché immagino che avrete molto da fare – tra poco anche di più –, ma ho un compito da affidarvi. Credo che sia il minimo che possiate fare dato l’aiuto che vi ho dato.”

Thorn si irrigidì mentre, allo stesso tempo, un’espressione gelida trovava posto sul suo viso e riduceva gli occhi a due fessure. Una conclusione del genere non era inaspettata per uno come lui: le persone – nei rari casi in cui lo aiutavano – volevano sempre qualcosa in cambio. Tuttavia, non era più l’uomo che era stato e non avrebbe fatto il gioco di questo individuo. E fu proprio per quello che le successive parole che lasciarono la bocca di Emmanuel lo lasciarono particolarmente di stucco.

“Ho svolto questo lavoro con entusiasmo – più all’inizio che alla fine – e vi posso assicurare che ciò che vedete ora non è nulla in confronto al caos che vi era allora. Vi ho spianato la strada, per così dire, ma non reggerei un giorno in più né potrò riavere la chioma lucente che avevo una volta. Quindi, fatemi il piacere e sedetevi al posto mio su questa sedia; questa massa di imbecilli è a briglia sciolta e nonostante la società in cui vivevamo all’epoca non era l’ideale, non ricordo nessuno che è mai stato in grado di mantenere l’ordine e la giustizia come facevate voi. Da questo momento in poi passo a voi il testimone.” Si chinò sulla scrivania e trovò quasi subito un documento che poi spinse verso Thorn, il quale era anche più rigido del solito, se possibile. “Qui trovate tutto il necessario per questo cambio; ho passato tutta la notte a redarlo e nessuno troverà una virgola fuori posto. È tutto in ordine e il titolo di Intendente è già di nuovo vostro. Fiuu, che sollievo non dover più rispondere a esso.” Detto ciò chiuse incredibilmente la valigia, ma quando fece per alzarla e portarla via con sé riuscì solo a rovesciarsi il tutto addosso.

A quel rumore – e quella scena – Thorn si mosse finalmente, ma le labbra erano ancora strette in una linea dritta e l’espressione dura come il ghiaccio dei suoi occhi. Osservò l’uomo a terra mentre si sollevava a fatica e non fece nemmeno un cenno per aiutarlo. “Vedo che avete pensato a tutto,” disse.

Quando Emmanuel riuscì a rialzarsi, più sudato e affaticato di prima, si asciugò il volto rosso dall’affanno e poi sorrise nervoso. “Ovvio. So quanto amavate questo luogo e so per certo che non avrete problemi a riabituarvi. Vedete, vi ho anche portato l’ufficio allo stato iniziale. In più, non vedo l’ora di vedere le facce dei Miraggi e di quegli altri idioti come loro non appena sapranno di questo cambiamento.” Rise contento poi si accigliò e un’espressione di dolore sostituì l’allegria mentre si accarezza la pelata. “Potrei direi che è valsa la pena anche perdere i capelli per vederla, ma mentirei. Bene, Intendente, avete qualche altra domanda?”

Thorn fece una smorfia nell’osservare gli abiti bagnati di sudore dell’uomo, ma fu sorpreso di sapere che non aveva alcuna domanda da porgli. Non era quello che si era aspettato né apprezzava poi così tanto che avesse fatto tutto senza consultarlo, ma dovette ammettere che c’era un che di ironico in tutto ciò.

Era giunto lì sapendo che quel luogo – pur essendogli mancato – non avrebbe mai potuto sostituire l’importanza che Ofelia aveva nella sua vita. Ora, invece, avrebbe potuto riprendere il ruolo che per il quale aveva studiato e che era riuscito a ricoprire nonostante il suo stato di bastardo odiato dalla società – rendendo orgogliosa anche Berenilde. Non sarebbe più stata la sua priorità numero uno né il centro dei suoi pensieri, eppure, sapere di avere già un lavoro a pochi giorni dal suo ritorno dava un senso in più a ciò che era diventato.

E lo avrebbe sicuramente svolto molto meglio di chi lo aveva preceduto – e succeduto – in quegli anni, visto il caos che regnava ovunque. Sì, c’era una certa ironia nel tornare e poter dettare legge su coloro che prima avevano sempre ritenuto necessario fargli sapere che erano superiori a lui. Non si definiva un tipo vendicativo e le cose che a cui aveva data importanza prima di conoscere Ofelia erano state poche, ma ora non poté evitare di sollevare le labbra in un sorrisetto soddisfatto.

Emmanuel, osservandolo, deglutì nervoso e avrebbe tanto voluto sapere cosa gli passava per la testa, ma poi scrollò le spalle, dicendosi che dopo tutto quello stress era giunto il momento di una meritata vacanza. Sarebbe rimasto giusto in tempo per poter guardare le reazioni di qualcuno in particolare e poi sarebbe scomparso; cosa succedeva lì in città non era più problema suo.

Infine, il Drago scosse la testa ed Emmanuel annuì.

“Direi che è tutto. Le auguro buona fortuna, Intendente.” Sorrise allegro mentre attraversava la stanza e si trascinava via la borsa – o forse sarebbe stato meglio dire che veniva trascinato dalla borsa – e quando fu fuori dall’edificio respirò contento l’aria prima di essere travolto da una crisi di tosse e chiudersi sbrigativamente il cappotto.

Chissà se quelle terme di cui il cugino gli aveva parlato avrebbero potuto far miracoli sulla sua calvizie anticipata. Tentare non gli sarebbe costato nulla.

 

*** 

 

Quando il nuovo Intendente tornò a casa fu stupito di trovare solo Ofelia, a parte le domestiche impegnate in chissà cosa e chissà dove. Berenilde e Roseline erano state così presenti – anche troppo – in quei giorni che gli risultava difficile credere che fossero andate via presto. Quando chiese spiegazioni la moglie prima scrollò le spalle e poi ammiccò.

“Diciamo che potrei avere avuto una mano da Vittoria. Per quanto è silenziosa, a volte sembra scomparire, ma ho imparato che sfrutta bene quei momenti ed è molto brava a interpretare la situazione attorno a lei. Ha convinto di sua iniziativa tua zia e la mia a portarla via. Non credere, però, che questo momento di pace durerà troppo. Salteranno fuori di nuovo prima di quanto vorremmo e se non loro, allora Archibald. Com’è andato l’incontro con l’Intendente, piuttosto?”

Thorn fece una smorfia nel sentire nominare l’antico rivale, ma l’attimo passò in fretta grazie alla domanda di lei. Non c’era bisogno di includere più del necessario l’ex Ambasciatore nelle loro conversazioni – o nei loro pensieri.

“Interessante,” fornì prima di sedersi al tavolo in cucina e bere un sorso di caffè che la moglie gli aveva appena versato.

Ofelia lo osservò attentamente e fu contenta di vedere che non era scocciato o arrabbiato, quindi qualsiasi cosa fosse accaduta non era negativa. Eppure, c’era qualcosa che non le stava dicendo.

“Di cosa voleva parlarti? Ieri sembrava abbastanza insistente.”

“Dirmi che da oggi sono di nuovo l’Intendente del Polo e che si è già occupato di ogni pratica necessaria,” rivelò infine tranquillo, continuando a bere il caffè. Lei lo guardò strabuzzando gli occhi e schiudendo le labbra mentre la stessa sciarpa al suo collo si immobilizzava. Thorn alzò il viso su di lei e ricambiò lo sguardo. “Sei sorpresa?”

“Sì, no… ecco, io,” balbettò incapace di esprimere cosa avesse per la testa. In effetti la cosa giungeva come un fulmine a cielo sereno, però, allo stesso tempo, non era nemmeno così sorprendente.

“Capisco senza alcun problema,” le rispose lui prendendo un altro sorso della bevanda calda. “Ho avuto la stessa reazione,” rivelò, nonostante Ofelia facesse fatica a immaginare il marito che strabuzzava gli occhi e spalancava la bocca. Poi un pensiero la colpì e sorrise birichina, incuriosendo Thorn che arcuò un sopracciglio. “Quindi sei già di nuovo Intendente?”

Lui annuì. “In teoria dovrei già stare a lavoro, ma sono tornato per avvertirti visto che oltre il mio assistente nessun’altro ne è ancora a conoscenza.”

“Ottimo,” esclamò Ofelia, alzandosi e raggiungendolo dalla parte opposta del tavolo per abbracciarlo e poi prendendo posto sulle sue gambe. Slanci del genere non lo sorprendevano più così tanto e, anzi, li accoglieva sempre con piacere. Eppure, la donna aveva ancora un asso nella manica e un attimo dopo Thorn allargò davvero gli occhi e si immobilizzò, sbigottito. “Questo vuol dire che non avrai problemi ad annullare il nostro matrimonio. Credo che sia proprio ora, tu no?”

“Pensavo te ne fossi dimenticata,” sussurrò mentre le sue dita la stringevano ancora più a sé come se parlare di divorzio gli facesse sentire il bisogno di tenerla vicina.

“Non avrò la tua memoria, ma le cose importanti le ricordo… ogni dettaglio,” concluse ammiccando.

Thorn le sorrise di rimando e poi avvicinò i loro volti per baciarla, pensando fra sé e sé che nulla avrebbe rovinato quella giornata. Eppure, non sapeva che presto la tranquillità di quei giorni sarebbe svanita, sostituita dalla frenesia della loro nuova routine così diversa da quella che avevano avuto a New Babel. Le svolte portavano sempre cambiamenti, alcuni più sconvolgenti di altri e per altri ancora c’era bisogno di particolare pazienza e fiducia per non essere completamente travolti e uscirne illesi.

 

***

 

Le prime settimane al Polo passarono troppo velocemente, ma non per Thorn, occupato a organizzare il disastro che era l’Intendenza nonostante il suo predecessore non fosse stato uno scansafatiche — il che la diceva lunga su chi era venuto prima di lui. E sebbene si fosse prefissato di non passare mai troppo tempo a lavoro o trascurare Ofelia, inevitabilmente la situazione lo richiese e, senza rendersene conto, iniziò a tornare sempre più tardi e lasciare casa presto — troppo presto.

Dal canto suo, la moglie cominciò a sentire la solitudine come non le capitava da tanto, sola in quella grande dimora senza nessuno a parte le domestiche che pur non erano di grande compagnia, ora che anche zia Roseline e Berenilde erano tornate alla loro routine abituale salvo le visite occasionali.  Non aveva mai pensato agli orari che Thorn faceva quando ancora erano fidanzati, sebbene ne avesse avuto un’idea e avesse sperimentato la cosa anche nella vecchia Babel all’epoca in cui si faceva chiamare Sir Henry. Tuttavia, non aveva considerato che potesse tornare a quei ritmi e la cosa la feriva ancora di più — se possibile. Che bisogno c’era di attardarsi tanto? Da cosa doveva scappare? Quali doveri erano più importanti di ciò che si erano ripromessi? Forse la cosa che la feriva più di tutte era l’idea che questo sviluppo potesse portare a una ricaduta e che tutti i passi avanti che avevano fatto potessero annullarsi.

Non poteva sapere dell’epifania che aveva colto Thorn quando si era incontrato con Emmanuel, che lei avrebbe sempre avuto il primo posto nella vita del marito, e perciò soffriva la solitudine e l’assenza dell’uomo. Non poteva leggere nella mente di lui e, quindi, i fraintendimenti nacquero e portarono con sé il malcontento e il risentimento. Aveva avuto così tanti piani e, invece, non era riuscita nemmeno a fargli la proposta come si era ripromessa; e forse non era corretto chiamarlo marito nella sua mente dato che l’annullamento, almeno quello, era andato in porto.

L’errore di Thorn era dovuto a una semplice ingenuità — per quanto sembrasse strano —, ma non si era reso conto di ciò che le sue azioni avevano causato e non l’avrebbe fatto da solo. Soltanto quando Ofelia lo avrebbe confrontato, una sera in cui era rimasta invano ad aspettarlo davanti a una cena fredda e con la rabbia che era andata aumentando di conseguenza, avrebbe compreso l’errore e i rischi corsi.

 

*** 

 

Thorn tornò a casa esausto e provato quella sera e siccome il cielo del Polo non era un ottimo indicatore del trascorrere delle ore, solo quando ebbe il tempo di controllare l’orologio da taschino si accorse del proprio ritardo. Allungò il passo verso il salotto e lo trovo vuotò, ogni luce già spenta a parte una piccola proveniente dalla cucina. Sperò che fosse una domestica che si era attardata e che Ofelia lo stesse già attenendo in camera da letto — per quanto il pensiero di lei che desinava da sola non lo consolasse poi tanto —, ma non ebbe quella fortuna.

La giovane era china sul tavolo, le braccia a farle da cuscino, e la cena ancora intatta davanti a lei, a testimoniare che era rimasta invano ad attenderlo. Per un attimo, sentì rabbia immotivata invaderlo al pensiero che Ofelia non avesse mangiato, ma realizzò presto che non sarebbe stato corretto nei suoi confronti visto che non ricordava nemmeno quando e cosa aveva mangiato lui l’ultima volta. Quando poi lei alzò il viso su di lui, lo sguardo duro e la bocca in una linea tesa, realizzò che il digiuno sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi.

Ofelia era arrabbiata e se la sciarpa che si dimenava impazzita così come tutti i soprammobili e le stoviglie nella stanza erano un segno, lo era tanto.

“Vedo che sei stato trattenuto… ancora,” disse a mo’ di benvenuto, la voce priva di inflessione.

“La situazione è disastrosa, lo sai bene,” spiegò lui impassibile senza muoversi o tentare di sedersi davanti a lei per paura che la sedia potesse giocargli qualche brutto tiro.

“La situazione è sempre stata disastrosa, Thorn. Lo era quando ho messo per la prima volta piede in questa arca, lo è ora; lo era anche a New Babel! Vuoi forse dirmi che questo è ciò che devo aspettarmi d’ora in poi?” chiese andando dritto al punto.

Thorn strinse gli occhi e la fissò di rimando. “Pensavo di averti fornito tutto il necessario per una vita agiata. Certo, capisco anche che vorresti tenerti ugualmente occupata, ma sto lavorando anche su quello, no?”

“Al diavolo l’occupazione e le prospettive di vita, Thorn,” sbuffò saltando in piedi. “Che ne è di quello che mi hai promesso quando siamo partiti a malapena un mese fa? Come hai intenzione di starmi accanto se non ti vedo mai? Non voglio un marito che non c’è mai, non voglio che tu ricada nelle vecchie abitudini che avevi quando io e te non esistevamo nemmeno come coppia.”

L’uomo si irrigidì comprendendo i propri errori, ma ciò che colse maggiormente la sua attenzione furono le ultime parole di lei; le accuse bruciarono ancor di più perché in quell’istante credette lei gli stesse rinfacciando di non essere abbastanza nonostante le rassicurazioni precedenti. Tuttavia, nascose ogni paura e debolezza dietro una maschera ben collaudata e, chinandosi verso di lei, sibilò: “Non credo ci saranno problemi, Ofelia. Non avrai un marito che non è presente perché, attualmente, io e te non siamo sposati.”

Ofelia si ritrasse di scatto, come se Thorn avesse appena azionato gli artigli per schiaffeggiarla, rimanendo a bocca aperta. Attorno a sé calò il silenzio, inquietante, e poté solo rimanere impalata a osservare il compagno fare dietro front e sparire. Il rancore, ma anche la debolezza che non era riuscito a celare, erano stati così chiari in quelle poche parole da sconvolgerla più del loro significato.

Non seppe per quanto restò a fissare il punto in cui era rimasto fermo Thorn, ma quando andò finalmente a dormire, la camera padronale era vuota. Si coricò sentendosi più sola che mai — anche più dei giorni scorsi, di quella sera — e si piegò su stessa, dimenticando anche di togliere occhiali e guanti, mentre lacrime silenziose le rigavano le guance.

Non si rese conto di essersi addormentata fino a quando un movimento accanto a lei la destò d’improvviso e delle braccia lunghe e familiari le avvolsero la vita da dietro, spingendola verso un petto duro e stringendola in abbraccio che le scatenò un pianto ancora più isterico e al tempo stesso liberatorio.

Thorn le baciò i capelli mentre le mormorava scuse nelle orecchie e le ricordava quanto l’amasse, per una volta il primo dei due a iniziare il contatto e a portarlo avanti. Se Ofelia aveva avuto dubbi che il marito potesse tornare alle vecchie abitudini, rinchiudersi in se stesso, questi scomparvero nel momento in cui si ritrovò stretta al suo corpo.

“Sei sempre stata al primo posto, Ofelia. Il mio errore risiede nel non essere riuscito a dimostrarlo in modo adeguato, lasciandomi inghiottire da vecchie modalità e peccando di ingenuità. Ma sei sempre stata la mia priorità numero uno e lo sarai sempre.” Le spostò i riccioli e le baciò il collo. “Non dubitare di me,” sussurrò, una nota supplichevole nella voce.

Lei si rigirò immediatamente nell’abbraccio e poi alzò le mani per prendergli a coppa il viso e guardarlo fisso negli occhi che mai le erano sembrati così feriti e pieni di rimorso. Si avvicinò ancora e unì le loro labbra delicatamente. “Promettimi che anche qui, al Polo, la nostra routine sarà equilibrata come lo era a New Babel, che abbiamo fatto la scelta giusta nel venire qui, che non accadrà più.”

“Concesso,” rispose solo, l’ombra di un sorriso che si faceva strada sul suo volto.

“E non voglio più andare a dormire dopo un litigio del genere, dopo esserci scambiati quelle parole.”

“Concesso,” ripeté allora lui, chinandosi di nuovo su di lei e rubandole un altro bacio.

“Sarà una regola importante del nostro matrimonio,” chiarì, seria. “E sì, questa è anche la mia proposta, Thorn. Voglio che tu mi sposi e non voglio più attendere né pensare ancora che tecnicamente non sia corretto chiamarti mio marito.” Non le interessava che non fosse la proposta più romantica del mondo ed era sicura che fosse lo stesso per lui — non erano mai stati dei tipi romantici e avevano l’abitudine di dichiarare le cose più importanti nei momenti meno opportuni — quello che contava era essere stata finalmente in grado di chiederglielo e non avrebbe accettato un no come risposta.

La reazione di lui, però, la sorprese. Non ebbe nemmeno il tempo di pronunciare le ultime parole che la travolse, baciandola con impeto e lasciando che le sue mani vagassero frenetiche sul corpo di lei. Ofelia non si lasciò pregare e dopo il breve attimo di sorpresa si abbandonò a lui, partecipando con eguale fervore.

L’intimità tra loro, pur essendo passata la novità, non conosceva fasi di stallo o monotonia: si davano l’uno all’altro con passione, traducendo le parole in gesti per esprimere ciò che a volte ancora faticavano a dire; veneravano sempre il corpo dell’altro come se fosse la prima volta che facevano l’amore e si davano piacere senza fare sconti. Era un momento per amarsi incondizionatamente e dimenticare qualsiasi dubbio o paura.

Fu così anche quella sera in cui, però, la passione sembrò solo intensificarsi, probabilmente a causa dei sentimenti negativi che avevano sperimentato poco prima, della rabbia e dell’incertezza che volevano annullare e sostituire con quella sensazione di unità che percepivano solo quando si amavano e si incastravano come tasselli di un puzzle atipico e quindi unico.

Nella stanza risuonarono presto i loro ansiti e gemiti, il rumore della pelle contro pelle e le parole urlate e poi sussurrate, ma in mezzo a quella cacofonia di suoni Ofelia non dubitò neanche per un istante della risposta affermativa di lui. Non avrebbe udito un sì tanto forte nemmeno se Thorn lo avesse urlato dal piano più alto di Città-cielo. E per quel che le importava, anche ora — e soprattutto in quegli istanti — avrebbe continuato a chiamarlo suo marito perché non c’era al mondo verità più autentica di quella.




 

 


N/A:

Salve a tutti ed eccomi tornata con un nuovo capitolo. 
Spero sia stato di vostro gradimento e aver quietato i dubbi di coloro che temevano che il ritorno di Thorn all'intendenza potesse portarlo a cadare in vecchie e cattive abitudini. Diciamo che ci è caduto, ma è stato davvero un errorino da principiante visto che Ofelia rimarrà sempre al primo posto. 

Ringrazio come sempre tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite/seguite/ricordate e tutti quelli che vorranno lasciarmi un commento. Vi comunico inoltre che non riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo tra due settimane perché sarò in vacanza quindi ci leggiamo il 14/07 se tutto va bene. 

Un abbraccio e buon proseguimento di settimana 💕.


06/10: Non sono del tutto sparita e ho ancora intenzione di finire la storia (secondo i miei programmi dovrebbero mancare 2 o 3 capitoli), ma ho avuto problemi e impegni personali che mi hanno reso difficile andare avanti. Attualmente sto rileggendo e rivedendo ciò che ho pubblicato finora e una volta completata la revisione (che non dovrebbe durare molto) riprenderò la scrittura dei restanti capitoli. Spero di ritrovarvi sempre qui quando accadrà, ma in ogni caso vi ringrazio per essere giunti fin qui. Spero a presto, vi abbraccio ❤.

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Capitolo 22
*** Sorprese ***


 

 

Sorprese



Ofelia non avrebbe mai potuto dimenticare i giorni successivi al loro primo vero litigio da quando si erano ritrovati e sebbene il cuore ancora le dolesse al ricordo delle parole di Thorn, dall’altro lato era consapevole di quanto i diverbi fossero stati necessari così come ogni altro passo che avevano fatto finora. Riconosceva più che mai, ora, che il loro viaggio non era finito nel momento in cui avevano lasciato New Babel ma che, come coppia, avevano di fronte a loro una lunga vita aperta a tanti sbagli, lacrime e rabbia. Eppure, la cosa non le dispiaceva, ma anzi sorrideva, perché a sostituire i sentimenti negativi ci sarebbe sempre stata la certezza dell’amore e del sostegno reciproco, amore che mai come adesso la coppia stava consumando.

A vederli, gli abitanti del vecchio mondo avrebbe parlato di una luna di miele anche se, forse, non bastava a descrivere l’euforia, l’entusiasmo e la passione che li contraddistinse in quelle settimane.

Pur continuando a svolgere il suo lavoro con la sua tipica diligenza, Thorn non era più così sciocco da ripetere l’errore di una volta e aveva compreso che i benefici del trascorrere più tempo a casa erano maggiori; senza contare che, semmai, avrebbe potuto portarsi il lavoro a casa e intanto approfittare di qualche pausa ben calcolata con la moglie. E sebbene questa bolla in cui attualmente vivevano non lasciasse entrare alcuna interferenza esterna, permetteva intanto al loro umore di contagiare e attirare l’attenzione altrui. Era impossibile, infatti, vivere accanto a Thorn e Ofelia e non notare come i due stessero sperimentando un aumento della passione e del sentimento che li legava. Se fossero stati più attenti e non troppo presi l’uno dall’altra, avrebbero anche notato le voci che stavano cominciando a girare nel castello e nelle residenze accanto, ovvero che presto ci sarebbe stata sicuramente una nuova aggiunta — e chi avesse diffuso certe idee non era un mistero.

Un certo pomeriggio l’Intendente tornò eccezionalmente prima e trovata la moglie a leggere, le chiese con l’usuale tono che non accettava repliche di vestirsi e uscire con lui per una questione della massima urgenza.

Ofelia, già sconvolta dal suo arrivo non programmato — Thorn non tornava mai in anticipo senza aver avvisato —, rimase immobile nel tentativo di captare ogni segreto di quella richiesta appena udita. Nel vederla ferma, l’uomo aggiunse: “Andremo a fare una passeggiata in centro.”

E perché avesse pensato che una frase del genere avrebbe potuto tranquillizzarla Ofelia non l’avrebbe mai capito, ma di fatto ebbe l’effetto contrario. “La tua questione della massima urgenza riguarda una passeggiata nel centro?”

A quel punto lui assottigliò lo sguardo. “Ofelia, sai bene che prediligo i fatti alle parole; preferirei non indugiare troppo e affrontare il tutto là dove sarebbe più consono e immediato.” E detto ciò, la spinse a seguire i preparativi necessari affinché potessero lasciare la dimora quanto prima, aprendo e chiudendo il fedele orologio con un sonoro tac più per trasmettere un messaggio che per reale bisogno.

“E il centro, brulicante di gente impicciona e fastidiosa, sarebbe questo luogo ideale?” sbuffò tra sé e sé Ofelia mentre si dirigeva in camera da letto, scocciata più dal fatto che non avesse idea di quali fossero i piani del fidanzato che dal resto. Dopo tutto, non che le dispiacesse passare del tempo in più con Thorn, ma ormai le sorprese non erano ben accolte da nessuno dei due e questo la portò a chiedersi come mai lui avesse deciso di ricorrere proprio a queste modalità. Però, aggiunse, se aveva ritenuto necessario farlo, sicuramente c’era un motivo valido dietro; Ofelia ne era certa.

Dunque, assicuratasi di essere ben coperta — sicuramente più di Vittoria quando era la madre a vestirla ma meno di quando, invece, se ne occupava la zia Roseline — e avvolta la fedele sciarpa al collo, si avviò con un sorriso eccitato in direzione del marito, dove nella stessa posizione di prima egli l’attendeva.

Giunti in centro, si avviarono a passo moderato lungo le viuzze più affollate, quelle dove incontrarono nobili più frivoli e abituati a sprecare le loro giornate e occhiate poco gentili a cui però  non fecero nemmeno caso. D’altronde, non avevano tempo da dedicare a simili inezie. Solo dopo aver camminato per un po’, quando Ofelia stava ricominciando a chiedersi il motivo dietro quella passeggiata, Thorn si bloccò di colpo, portandola a guardarsi attorno con ancora più attenzione.

Erano poco fuori dal centro e gli edifici, pertanto, mostravano ancora tutta la loro eleganza e il loro sfarzo, tutti tranne uno. Questo era vecchio, molto, ma ciò che colpì Ofelia e le fece dimenticare ogni altra cosa attorno a sé fu l’aura che emanava. Fra tutti — nonostante avesse evidente bisogno di essere ristrutturato — le appariva come il più bello e riuscì subito a discernere l’architettura originale, ignorando l’usura che lo circondava.

Un cancello in ferro battuto si apriva per rivelare un lungo viale che conduceva verso un largo cortile che un tempo doveva essere stato ben curato; l’entrata era costituita da un portone decorato con arte che non era originaria di nessuna delle loro arche e lei ricordava di aver visto soltanto in libri proibiti, e le grandi e alte finestre che si stagliavano su entrambi i lati — inquadrate dallo stesso decoro dell’ingresso — le dissero che l’ambiente all’interno sarebbero stato ben illuminato se il Polo avesse avuto una fonte di luce naturale maggiore. Sentì l’immediato impulso di investigare la bellezza che sicuramente si celava al suo interno.

Accanto a lei, Thorn osservava ogni sua reazione senza però far trapelare ciò che stava accadendo nel suo animo, fiero però di aver ancora soddisfatto la moglie. “Questa è una delle cose a cui stavo lavorando durante le mie lunghe giornate all’Intendenza.”

Quelle parole riscossero finalmente Ofelia che, distolti gli occhi dall’edificio, incontrò quelli del marito. “Non capisco,” mormorò con un filo di voce.

Lui in risposta si schiarì la voce e lei poté vedere l’insicurezza che nascose dietro quei pochi gesti a cui si lasciò andare prima di dichiararle finalmente l’intento di quell’escursione. “Ho acquistato questo edificio per l’Intendenza e da domani esponenti del vecchio mondo cominceranno a lavorare per riportarlo all’antico splendore — ho immaginato che fossero i più qualificati e quelli da me scelti si sono detti più che entusiasti una volta preso atto del progetto. Nel frattempo, ho intrapreso collaborazioni con i dirigenti delle altre Arche così che potessimo avviare quanto prima lo scambio di materiali: in questo modo, non appena l’archivio sarà pronto non dovrà restare a lungo vuoto e tu potrai prenderne le redini quanto prima.” Raggiunsero l’ingresso — Ofelia seguendo lui come un robot senza essere consapevole di dove stava mettendo i piedi — e Thorn tirò fuori dal taschino una chiave altrettanto vecchia che permise loro di entrare. Immediatamente furono investiti dall’aria stagnante e la polvere che si era accumulata da chissà quanto tempo, ma dopo qualche colpo di tosse si abituarono e Thorn riprese a parlare mentre Ofelia lo guardava a bocca aperta, volendo sentire in modo chiaro, dalla sua bocca, quale sorpresa le avesse organizzato. “Legalmente è già tutto in perfetto ordine e come puoi vedere,” indicò con un braccio gli alti soffitti, il largo ambiente che si affacciava su altrettante enormi stanze, “l’edificio è più che adatto al fine che gli ho destinato.”

A quel punto smise di parlare e si concentrò finalmente sulla moglie che stava trattenendo a fatica le lacrime e le parole. “Sarà la tua biblioteca, Ofelia, e anche se in essa si terranno letture diverse da quelle a cui per anni ti sei dedicata, non ho dubbi che farai un eccellente lavoro. Questo archivio diventerà luogo di cultura e riscoperta e sarai proprio tu a dirigerlo, non permettendo più a niente e nessuno di essere cancellato dalla memoria generale.”

Nell’udire quelle ultime frasi, chiare e dirette, Ofelia infine abbandonò ogni freno e lasciò che le lacrime le appannassero la vista e le rigassero le guance mentre si lanciava verso il marito e gli stringeva il collo in una morsa stretta; Thorn si piegò verso di lei per permetterle di abbracciarlo ancora più forte, accogliendo il gesto e percependo dietro di esso ogni sentimento, ma rifiutando di commuoversi a sua volta.

“Thorn, i-io... Io non so cosa dire.”

“Non devi dire nulla, solo accettare questo mio dono e perdonarmi per aver mantenuto il segreto fino ad adesso pur sapendo quanto detesti le sorprese.”

Lei tirò il fiato. “Perdonarti? No, non hai nulla da perdonarti. Semmai sono io che-”

“No,” la interruppe lui, secco. “Non merito delle scuse.”

“Ma, Thorn! Se penso a quel litigio, al motivo per cui ero così arrabbiata e invece tu ti stavi solo prodigando per permettermi di avere questo.” Si separò per un secondo da lui solo per riportare gli occhi sulle innumerevoli stanze in attesa di essere riempite di tesori.

Scioccandola, lui sorrise in risposta. “Non è l’unica cosa che mi tratteneva, Ofelia, e non voglio che pensi di aver sbagliato. Ne avevo bisogno; era necessario che io sentissi ciò che avevi da dire affinché potessi aprire gli occhi prima di ricadere in abitudini malsane. Non tornare sui tuoi passi cancellando i nostri progressi.” Lei annuì e poi tornò ad abbracciarlo, godendosi il momento mentre il silenzio li inghiottiva.

Un po’ dopo, sulla via di casa, gli animi ancora più sereni, fu presa da un’improvviso dubbio e gli chiese: “Se hai avviato contatti con ogni arca, mi stai dicendo anche che hai chiamato Octavio?” L’espressione scettica la diceva lunga su quanto fosse stupita da quello scenario.

“Hn,” fu l’unica risposta che il Drago fornì, facendole intendere lì e ora che l’argomento non sarebbe più dovuto essere riesumato e Ofelia rise, contenta. Thorn non sarebbe mai cambiato sul fronte gelosia, ma a lei, dopo tutto, non dispiaceva.

 

***

 

La vita, in seguito, proseguì abbastanza frenetica per tutti tra i preparativi del matrimonio e quelli lavorativi. Sia Thorn che Ofelia, in realtà, stavano impiegando più tempo per quest’ultimi che per la cerimonia in sé visto che non desideravano nulla di appariscente, solo poter ridiventare moglie e marito, questa volta in modo più appropriato e senza alcuna minaccia incombente. Il tutto restava, però, una formalità considerando che, di fatto, vivevano come se il divorzio non avesse mai avuto luogo.

La zia Roseline era rimasta senza parole quando avevano rivelato i loro piani e aveva insistito che, dati gli ultimi avvenimenti, Ofelia tornasse a vivere con loro fino a quando non sarebbero ritornati a essere sposati. Tuttavia, Berenilde aveva ribattuto affermando la necessità di non far trapelare alcuna notizia: sarebbe stata una tragedia se qualcuno avesse scoperto cosa quei due avessero combinato. Se fossero riusciti a far passare tutto in sordina, nessuno avrebbe potuto dire che avevano vissuto sotto lo stesso tetto da nubili. Ed era stato proprio il litigio tra le due donne a permettere a Thorn e Ofelia di andar via con tutta tranquillità, senza subire poi grandi lamentale e continuare come previsto dai piani.

Forse, però, si erano adagiati un po’ o, magari, quella felicità che stavano sperimentando li aveva influenzati, al punto da farli diventare eccezionalmente fiduciosi. Infatti, se credevano che le zie sarebbero rimaste tranquille senza intromettersi stavano per avere la sorpresa più grande di tutte.

“Non capisco come vorresti far passare tutto questo,” alzò il braccio per indicare il salotto sommerso da tulle, centrini, centrotavola e quant’altro, “in sordina. Insomma, sarà una cerimonia di tutto rispetto e la lista degli invitanti non è di certo magra — non se contiamo tutti i cugini in arrivo da Anima. Se ne accorgeranno tutti e vorranno sapere il perché. Dopo tutto, qui al Polo sono più impiccioni della cugina Gertrude!” sbottò Roseline mentre Berenilde elogiava un particolare tessuto che secondo lei sarebbe stato perfetto per l’abito di Ofelia.

“Suvvia, Roseline, per chi mi hai preso?” Berenilde alzò finalmente lo sguardo su di lei e le sorrise. “È ovvio che il nostro sarà solo un festeggiamento per celebrare il matrimonio e il ritorno di Thorn e Ofelia.  Piuttosto, hai spedito gli inviti?”

La dama annuì, riprendendo in mano la lista e stendendo allo stesso tempo alcune pieghe che si erano formate sulla carta. “Mia sorella arriverà qualche giorno prima,” le lanciò un’occhiata eloquente, “quindi prepariamoci ad ospitarli.”

Berenilde, dal canto suo, gliene lanciò una arcigna. Non sarebbe mai stata preparata per quella nidiata di persone bizzarre e indisciplinate, ma tenne per sé quel commento per evitare l’ennesimo litigio con la compagna. Piuttosto, avrebbe dovuto addestrare Vittoria a dovere; non voleva in alcun modo che i loro modi di fare influenzassero sua figlia. Scosse la testa mentre accarezzava dell’altro tessuto e pensò che suo nipote era proprio fortunato ad averla nella sua vita; era proprio disposta a tutto per amor suo, anche sopportare un’intera arca di Animisti!

“È inutile bofonchiare tra te e te,” la castigò Roseline mentre stringeva gli occhi e cominciava a spiegare ogni foglio di carta che aveva stropicciato dal nervoso nel frattempo. “So meglio di te cosa ci aspetta dalla mia famiglia, ma piuttosto che lamentarti pensa a come far proseguire questa faccenda senza che i nostri nipoti se ne accorgono. Io sarei in grado ancora di tenere all’oscuro Ofelia, ma Thorn...” Sbuffò, contrariata. Era proprio da sua nipote mettersi in testa idee tanto oscene e poi lasciare a lei il compito di sistemare tutto. Un giorno sarebbe stata in grado di fare entrare qualcosa nella sua testoccia dura e lasciargliela lì, ma non era quello il giorno. “D’altronde, sei stata tu ad assicurarmi che tutto sarebbe filato liscio!” E detto ciò, si alzò più scocciata che mai, lasciando dietro di sé una serie di borbottii che superavano anche quelli di una teiera animata. 

“Sempre a dubitare di me quella donna, incredibile! Con chi pensa di star parlando? Sono pur sempre un Drago, dopo tutto!” Berenilde lanciò un’altra occhiataccia in direzione dell’Animista ormai scomparsa – che così facendo aveva evitato anche un’emicrania – e poi si alzò a sua volta, chiamando a sua voce una delle nuove domestiche di modo che potesse impartirle l’ennesima sfilza di ordini necessari per completare tutti i preparativi.

 

*** 

 

Infine, il giorno prima delle nozze arrivò, ma Thorn e Ofelia erano degli sposi atipici e dunque se ne stavano seduti in tutta tranquillità nel salotto di casa, sorseggiando bevande calde e consultando i libri più disparati, ognuno per conto proprio ma consci della persona accanto a sé.

Eppure, nonostante fossero più che calmi, erano consapevoli di ciò che avrebbero raggiunto il mattino dopo. Avrebbero potuto fingere che gli anni della separazione non erano mai esistiti, e così anche l’Altro, i suoi burattini, gli Echi, e che alla fine stavano solo rispettando i progetti fatti insieme, come una qualunque coppia affiatata. Da domani in poi, Ofelia era anche decisa a chiamare la madre e, perché no, organizzare un viaggio ad Anima; Thorn, da parte sua, era disposto ad accompagnarla, anche se dentro di sé non era tanto soddisfatto dei parenti acquisiti. Nessuno dei due, però, sapeva cosa davvero li aspettava. Ma lo avrebbero scoperto a breve, proprio quando una domestica sarebbe andata ad aprire la porta che qualcuno stava insistentemente bussando.

Thorn chiuse di scatto il libro di matematica che stava leggendo, facendo così saltare Ofelia dalla sorpresa che, troppo presa dalla sua lettura, a differenza di lui non aveva percepito alcun rumore. La smorfia pronunciata sul volto del marito, però, la mise in allarme e solo allora si accorse del rumore continuo.

“Sono le 20.13,” annunciò Thorn, contrariato. “Ero certo di aver messo in chiaro cosa pensassi di chi si presenta non invitato o senza annunciarsi a qualsiasi ora del giorno e, soprattutto, che non si tollerano visite a quest’ora della sera.”

Lei gli sorrise mesta. “Lo so, Thorn, ma conosci anche tua zia e—”

Thorn si irrigidì, facendola bloccare di conseguenza. Se ancora quell’uomo si era permesso di presentarsi da loro, proprio quella sera, non avrebbe avuto alcuna remore a mostrargli quanto apprezzasse la sua improvvisata. Tuttavia, il suono di numerosi passi che attraversavano il corridoio smentì quel suo pensiero e, un attimo dopo, entrambi rimasero sbigottiti nel vedere entrare in salotto l’intera famiglia di Ofelia guidata da due zie particolarmente sorridenti e soddisfatte del loro operato. Un’istante e comparì dietro di loro, trafilata, anche la domestica che era andata ad aprire la porta; sconvolta tanto quanto i padroni di casa da quella visita inaspettata e per nulla preventivata.

Non ci fu, però, il tempo di pensare né di riprendersi dallo shock perché tra i nuovi arrivati ce n’era qualcuno in particolare che aveva aspettato fin troppo per far sapere a Ofelia cosa ne pensasse del suo atteggiamento.

“Per tutti gli Antenati, Ofelia, è così che ripaghi la tua povera madre dopo tutto quello che ha fatto per te?” La donna comparve da dietro la sorella — che, magra come uno stuzzicadenti, non era riuscita comunque a nasconderla — e investì la figlia come un ciclone. Da quel che poco che aveva potuto vedere, Ofelia rifletté che non era cambiata per nulla, nonostante gli anni passati, sia caratterialmente che fisicamente. E mentre faceva quelle osservazioni, mutava nella sua testa i suoi lamenti incessanti, per nulla pronta a quell’incontro, nonostante avesse sentito la sua mancanza, le tante parole che avrebbe voluto dirle o i rimorsi che celava. Rivedere la madre — tutta la sua famiglia — non era qualcosa a cui voleva essere sottoposta così, come un fulmine a ciel sereno, ma si rese anche conto che mai, con loro, le cose erano andate come previsto.

Lei, però, non era più quella ragazza di una volta e sebbene avesse sempre avuto una personalità abbastanza forte da scontrarsi con quella del genitore, da allora era cambiato tanto e Ofelia era cresciuta. Tuttavia, la prospettiva di un dibattito durante il loro primo incontro dopo tanto tempo non la allietava e così, andando contro se stessa, decise di spegnere la mente e ogni replica. Lasciò che la madre la punzecchiasse e riprendesse, mentre Agatha si avvicinava e cominciava la stessa pantomima, pensando che, dopo tutto, glielo doveva. Sicuramente erano state molto in pena per lei e non avrebbe dimostrato la sua gratitudine se si fosse comportata come avrebbe voluto davvero. E poco importava se non era stata preparata all’incontro — che la zia Roseline aveva complottato contro di lei — o che quella era la sera prima del suo matrimonio con Thorn. Tutto sarebbe andato liscio comunque.

Alzando infine lo sguardo, incrociò quello del prozio che le era mancato più di tutti e sentì gli occhi inumidirsi dalla felicità. Lui scosse la testa, sorridendo, e la pregò implicitamente di tenere testa a tutta la famiglia, ma in quella sua espressione ciò che la colpì più di tutte fu l’orgoglio che provava per lei e, nel rendersene conto, le lacrime che aveva finora trattenuto caddero andando a bagnarle le guance e preoccupando il marito che in mezzo secondo aveva scacciato via suocera e cognata per occuparsi di lei.

Ofelia alzò il braccio e si asciugò gli occhi prima con una manica del vestito e poi con il fazzoletto ricamato che le passò Thorn.

Andava tutto bene, nonostante gli imprevisti o i parenti opprimenti; andava tutto bene.

E domani anche un po’ di più.




 


N/A: Che bello riuscire finalmente a pubblicare questo capitolo **
Spero innanzitutto che sia valsa la pena aspettare, ma soprattutto che vi sia piaciuto. 
Nel prossimo - che è già scritto per metà - i due fidanzati saranno alle prese con tutti parenti e finalmente ci sarà l'atteso matrimonio 😉. 

A prestissimo, vi abbraccio tutti. 

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Capitolo 23
*** Matrimonio ***


N/A: Ed eccoci al penultimo capitolo della storia - non sembra vero! 
Spero vi piaccia e, soprattutto, che vi piaccia l'Ofelia che andrete a leggere 😉. 
Un piccolo appunto da farvi, invece, riguarda il modo in cui ho continuato a riferirmi a Ofelia e Thorn come moglie e marito anche dopo l'annullamento del matrimonio. Penso sia abbastanza chiaro che l'ho fatto perché i due continuano a considerarsi tali - dopo tutto, ora si risposano - ma volevo precisare nel caso qualcuno avesse avuto dubbi. 

Detto ciò, vi auguro buona lettura e spero di tornare presto con l'epilogo. Un abbraccio!







Matrimonio 

 

 

La mattina del matrimonio, Thorn si svegliò di buon’ora sentendo i rumori insoliti che si diffondevano nell’ambiente, sicuramente causati da ospiti indesiderati che avevano deciso — di loro sponte e senza alcun permesso — di occupare le stanze libere del suo castello. La sera prima aveva lasciato correre, preoccupato per lo stato d’animo di Ofelia, ma in quel momento non riuscì a trattenere il malumore.  

Accanto a lui, la moglie si svegliò captando subito ciò che gli passava per la testa. Gli cinse l’addome da dietro e lo baciò tra le clavicole a mo’ di buongiorno, pensando che quel giorno importante non doveva essere macchiato da certi pensieri e che, dunque, era suo dovere distrarlo e calmarlo.  

Ci riuscì senza problemi.  

Poco dopo, infatti, nella mente di Thorn non rimase altro che la sensazione della pelle calda di lei contro la sua, del suo corpo che si muoveva sotto il suo, delle braccia che lo stringevano ancora più a sé e di quel calore che lo stringeva fino a soffocarlo e poi fargli provare il piacere più intenso. Si mosse in lei ancora e ancora, accogliendo quelle sensazioni meravigliose e grato a Ofelia per avergli ricordato cosa fosse davvero importante. Le sue grandi mani percorsero tutto il suo corpo, le dita affondarono nella carne, le labbra la marchiarono e non solo alla ricerca di uno sfogo per quel desiderio che lo bruciava dentro, ma anche dell’ennesima rassicurazione che tutto fosse reale, solo per lui. Il modo in cui gli rispondeva, poi, lo lasciava sempre senza parole, ma non dubitava più delle proprie capacità e poteva solo essere grato del modo in cui facilmente riusciva a soddisfarla. E ogni ansito, preghiera o mormorio la rendeva ancora più bella ai suoi occhi; ogni volta che apriva le labbra in un grido muto o inarcava la schiena gli ricordava quanto fosse fortunato ad averla tutta per sé, ad averla ritrovata.  

Tuttavia, quel benessere non durò a lungo perché presto, mentre erano ancora preda della passione, la porta della camera padronale si aprì, cogliendoli impreparati e rivelando la fonte di ogni loro guaio dalla sera precedente.  

“Ofelia, per amore di ogni Antenato. È tardissimo, dobbiamo-” 

I due amanti cessarono ogni attività all’istante e se Ofelia non poté far altro che rimanere pietrificata mentre sua madre irrompeva in un momento tanto delicato e intimo, lo shock per Thorn durò molto di meno. Reagì immediatamente.  

“Fuori!” urlò, imbestialito, la voce bassa e letale, gli occhi ridotti a due fessure e il corpo in posizione d’attacco. Interruppe la suocera senza remore – proprio come avevano fatto qualche secondo prima lei e la figlia maggiore – e la fulminò con lo sguardo, sicuro che quel poco sarebbe bastato a intimidirla. Non avrebbe mai creduto le due donne capaci di un’azione simile e ora non riusciva più a contenere la propria rabbia né a tenere a freno gli Artigli. Questa volta, nemmeno Ofelia avrebbe potuto aiutarlo.  

“Ma insomma, come vi permet-” 

“Ho detto: fuori!” Se avesse potuto – ovvero, se non fosse stato nudo – Thorn avrebbe provato non poca soddisfazione nel troneggiare sulla donna bassa e grassoccia e incuterle timore senza nemmeno dover utilizzare gli Artigli. Ma se non fosse scomparsa dalla sua vista a breve, non sapeva nemmeno lui cosa sarebbe stato in grado di fare. 

Attratte dalle urla, giunsero anche le zie, scioccate, che si accorsero subito della situazione osservando l’espressione furiosa di Thorn e quella imbarazzata di Ofelia. Roseline si portò le mani alla bocca e poi cominciò a pregare un qualche Antenato, mentre Berenilde allontanò di peso le due Animiste colpevoli, il tono autoritario e per nulla contenta di ciò che era accaduto. Prima di sparire, la dama si voltò un’ultima volta verso i due per offrire un sorriso contrito, ma non servì a nulla perché lei stessa era consapevole di quanto la situazione fosse improvvisamente precipitata. 

Non appena la porta fu nuovamente chiusa, Thorn scacciò via le lenzuola e come un tornado, cominciò a vestirsi di tutto punto, avendo raggiunto il limite, pronto a impartire più di una lezione a quei parenti invadenti. Ofelia, sapendo di non poter evitare ciò che sarebbe accaduto a breve, seguì il suo esempio e si vestì.  

“Thorn, mi spiace. Io-”  

La testa di lui scattò nella sua direzione mentre le dita continuavano ad allacciare i bottoni in modo automatico; lo sguardo che le lanciò le fece intendere che non avrebbe dovuto concludere la frase.  

Ci mancava solo che ora lei si scusasse per avere parenti del genere.  

Ofelia non tentò, dunque, nemmeno di confortarlo in altro modo, riconoscendo che era inutile, soprattutto perché lei stessa stava facendo fatica a controllarsi. Ma le sorprese non erano finite e quando svoltarono il corridoio che si affacciava nel salotto, udirono chiaramente quali erano i piani che erano stati loro nascosti finora.  

“Cosa mai vi è saltato in testa?” stava sbraitando Roseline che non poteva credere alle azioni della sorella e della nipote. Certo, viveva da tanto al Polo, ma non aveva mica dimenticato le usanze della sua arca natale, anzi, e ciò che avevano appena fatto di sicuro non rientrava tra quelle.  

“Questo dovrei essere io a chiederlo a te, Roseline!” sbottò Sophie. “Non importa cosa abbiano mai pensato quei due, ma da sua chaperon non avresti dovuto permettere a Ofelia di restare in questa casa una volta che il matrimonio era stato annullato. Dov’è finito il decoro? Dormire nello stesso letto, intrattenere un uomo che non è suo marito. Ahi, ahi, cosa ho fatto mai per meritarmi tutto questo?” 

Berenilde, che stava cominciando a comprendere i suoi errori così come Roseline, vedeva ora tutto più chiaro e si imbestialì nel sentire certe parole. “Se non avete capito il motivo per cui i nostri figli hanno fatto quel che hanno fatto, non è un mio problema, ma non vi permetto di offendere così Thorn e Ofelia davanti a me né di arrogarvi certi diritti. Ciò che avete fatto è vergognoso ed esigo delle scuse in loro vece.” 

Sophie tirò il fiato, scioccata, portandosi le mani al petto. “Io non-” 

“Devo ricordarvi della cerimonia imminente?” la interruppe Agatha, rivolta a Berenilde, per lei l’unica che in quella situazione potesse rinsavire e risolvere tutto. “Sarebbe meglio non scandalizzarci troppo e sbrigarci. Gli invitati saranno qui a momenti e gli sposi non sono minimamente pronti. Che figura faremmo?” Ma se si aspettava un qualche tipo di aiuto da parte della dama si sbagliava di grosso.  

Eppure, Berenilde non ebbe modo di castigarla perché a quel punto Thorn ritenne necessario intervenire, schiarendosi la voce per portare l’attenzione delle quattro su di sé. Lui e Ofelia avevano ascoltato tutto e fu proprio quest’ultima, la cui rabbia ora prevaleva su quella del marito, a prendere parola.  

I pugni stretti lungo i fianchi, il corpo che tremava, il capo calato e la sciarpa arrampicata attorno a lei che si agitava furiosa rivelarono loro lo stato d’animo della giovane. “Sono consapevole dei miei sbagli in questi anni in cui non avete avuto mie notizie ed ero pronta a scusarmi con voi per ogni pena, tuttavia mai... mai vi avrei creduto capaci di arrivare a tanto.” Alzò il volto e mostrò loro gli occhi pieni di lacrime e l’espressione ferita. “Questo giorno per me e Thorn significava molto ma, ancora una volta, nel tentativo di avere l’ultima parola e impicciarvi di cose che non vi riguardano, avete rovinato tutto.” Poi si rivolse alle zie. “Berenilde, Roseline, sapete bene cosa io provi per voi e avevo ingenuamente creduto che aveste capito cosa desiderassimo, ma mi sbagliavo.” Lui allungo la mano per schiuderle il pugno sinistro e poi intrecciare le loro dita, non volendo interromperla ma, allo stesso tempo, cercando di darle forza.  

“È il nostro giorno, e questa volta vorremmo un matrimonio che segua le nostre preferenze. Dimenticate ogni cosa che avete organizzato e ritirate ogni invito. Se voi volete ancora esserne parte ce lo farete sapere entro mezzogiorno.” E, detto ciò, fece dietrofront portando con sé il rumore dei suoi singhiozzi. Thorn la seguì un secondo dopo, non prima di avere lanciato a tutte un’occhiata omicida per far capire loro cosa pensasse di quel che avevano fatto, ma soprattutto incollerito per il dolore che tutto ciò aveva causato alla moglie.  

Tra coloro che erano rimasti nel salotto, Berenilde e Roseline si guardarono negli occhi, le loro espressioni contrite identiche, e si scambiarono un messaggio muto. 

Avevano involontariamente causato quel problema e sarebbe stato dunque loro dovere risolverlo.  

  

*** 

 

Quando Thorn raggiunse Ofelia, la donna stava cercando di tenersi occupata armeggiando con vari oggetti della stanza da letto che, però, contagiati dal suo turbamento interiore, le scappavano in continuazione contribuendo a loro volta al suo malumore. Le si avvicinò piano, poggiandole le mani sui fianchi, e solo allora lei si bloccò. Si irrigidì, poi lentamente inspirò ed espirò come nel tentativo di darsi un contegno, ma Thorn non la lasciò nemmeno per un attimo. A quel punto, come se avesse ricevuto il permesso di crollare, riprese a piangere, voltandosi verso di lui e rifugiandosi nel suo petto.  

Lui continuò ad abbracciarla per qualche minuto, non trovando le parole adatte e lasciando che sfogasse il dolore dato da quell’ultima delusione, anche se desiderò poterle dare più del silenzio; avrebbe voluto ricordarle che in realtà era molto amata e che quelle intromissioni era proprio frutto di quel sentimento, ma era difficile anche per lui crederlo in quel momento. Per di più, era Ofelia che di solito forniva consolazioni simili.  

“Ho vissuto a lungo con loro e ancora non capiscono che non desidero fronzoli o cerimonie; ancora si ostinano a voler imporre i loro dogmi su di me. Non devo mica impressionare qualcuno né temere che il mio fidanzato mi molli perché non sono adeguata,” bofonchiò irritata, interrompendosi solo nel sentire la risata quasi silenziosa del marito. Sorrise di conseguenza. “Ti diverte la cosa?” 

Thorn scosse la testa. “Nemmeno la prima volta che ti ho vista avresti dovuto sforzarti per fare una buona impressione.” 

“Perché ero un caso perso?” lo stuzzicò lei, conoscendo già la verità.  

“No,” la contraddisse chinandosi, “perché anche impegnandoti, la percentuale di vittoria nel caso avessi voluto impedirmi di innamorarmi era uguale a zero. Ero io il caso perso.” Poi le rubò un bacio per nulla casto che ottenne l’effetto desiderato, quello di farle dimenticare ogni tristezza.  

“Ero proprio una sciocca.” Rise ricordando la prima impressione che aveva avuto di Thorn e a come aveva pensato che, fortunatamente, lui non l’avrebbe mai amata. E invece...  

“Siamo in due. E oggi ci sposeremo come avremmo dovuto fare la prima volta, anzi, come entrambi abbiamo sempre voluto fare. Non mi importa se saremo solo noi due e colui che ufficerà la cerimonia: ho bisogno di te, nessun altro.” E al contrario di ciò che aveva inizialmente pensato, aveva appena trovato le parole giusto per consolarla, proprio come gli disse lei poco dopo.  

Si alzò in punta di piedi, gli cinse il collo con le braccia e lo baciò a stampo. “Non so cosa farei senza di te. Dici sempre ciò che ho bisogno di sentirmi dire.” 

 

***  

 

In seguito, quando tornarono in salotto per annunciare la decisione presa, trovano le due zie alla presa con la testardaggine di Sophie e Agatha e quel poco bastò a Thorn per fargli capire da chi la moglie avesse preso quel tratto. Fu sollevato nel sentire le voci di Berenilde e Roseline alzarsi in loro difesa – soprattutto considerando che erano la causa principale di quello scompiglio –, ma non avrebbero ottenuto nulla pur continuando per ore.   

Si schiarì una seconda volta la gola e lasciò ancora che Ofelia parlasse per entrambi. “Mamma, come ho già detto prima, sono dispiaciuta per il mio comportamento degli ultimi anni ed è per questo che ieri sera, nonostante il vostro arrivo sia stato improvviso, ho accettato questa vostra sorpresa. Tuttavia, vorrei ricordarvi che non sono più quella ragazzina ribelle di un tempo, ma una donna adulta e responsabile che sa prendere le sue decisioni. Per questo motivo, la vostra iniziativa mi ha profondamente offesa e non sono più disposta a farmi trattare in questo modo.”  

“Ofelia.” Sophie si alzò tutta impettita e la raggiunse, guardandola dal basso verso l’alto con la sua tipica espressione seria e a tratti scandalizzata. “È facile dirsi responsabile, tuttavia le tue azioni da quando hai messo piede su quest’arca dimostrano il contrario.” 

Nonostante Sophie fosse ancora sul piede di guerra, Ofelia le sorrise. “È normale, mamma, non trovarsi d’accordo anche se si è madre e figlia e, dopo tutto, le nostre personalità si sono sempre scontrate. Ma ciò che forse non vi è chiaro è che non vi sto chiedendo alcun permesso; non ne ho più bisogno.” Alzò il volto e incrociò gli sguardi degli altri presenti. “Sono qui, invece, per informarvi che nonostante gli attuali attriti, il mio affetto per voi non ne ha mai risentito. Per questo, vorrei avervi tutti presenti quando, questo pomeriggio, sposerò una seconda volta mio marito nel cortile di casa nostra. Sarà una cerimonia intima e destinata solo ai familiari stretti – veramente stretti.” 

“Ofelia, non capisci,” cercò di farla ragionare la sorella. “Questo è un momento importante e proprio perché la prima volta ci sono stati dei disguidi,” tutti tranne Sophie storsero la bocca per l’uso di quell’ultima parola, come se il fatto che Thorn fosse stato incarcerato e condannato all’epoca potesse essere definito un disguido, “è fondamentale che adesso tutto vada come programmato.” Come Sophie, anche lei cercava di mostrarsi autoritaria e sicura di sé, come se stesse spiegando a un bambino dove questo aveva sbagliato.  

E così come aveva fatto con Sophie, Ofelia sorrise, ogni forma di collera dimenticata. Non poteva, d’altronde, sperare di cambiare le due donne, come loro non l’avrebbero mai spuntata su di lei. “Hai ragione: tutto deve andare come abbiamo programmato io e Thorn.”  

La voce risuonò nella stanza con tale finalità da interrompere anche il flusso delle lacrime di coccodrillo di Sophie. “Non dirai sul serio, figliola!”  

Ofelia annuì. “Ovviamente mi spiacerebbe se non foste presenti, ma la cerimonia si terrà in ogni caso. A voi la scelta. Ora, se volete scusarci, vorremmo prepararci così da essere perfetti per il nostro matrimonio.” 

E mentre andavano via, a nessuno sfuggì il mormorio di Thorn – più serio che mai – a che le ricordava come lei non avesse bisogno di prepararsi per essere perfetta.  

Era chiaro più che mai che quei due avevano davvero fatto passi da gigante.  

 

***  

 

Da quel momento in poi, tutto proseguì a gonfie vele, proprio come aveva predetto Ofelia la sera prima e nessuno ebbe più nulla da ridire. Dopo tutto, chiunque avrebbe avuto anche solo l’intenzione di farlo sarebbe stato zittito dai sorrisi sinceri e appagati sui volti degli sposi e dall’aria che si respirava in quel piccolo gazebo allestito per l’occasione nel cortile del castello.  

Al suo interno, in modo molto semplice e immediato, Thorn e Ofelia tornarono a essere marito e moglie per la legge. Non ebbero occhi per nessun altro durante l’intera cerimonia e l’Intendente non si lasciò distrarre nemmeno dalle provocazioni di Archibald, il quale aveva addirittura abbandonato i vestiti malconci, ma non il cilindro rattoppato con il quale la figlioccia aveva cominciato a giocare quando l’evento aveva perso per lei ogni attrattiva. A un certo punto, interruppe a gran voce il magistrato per chiedergli di lasciargli ripetere anche la Cerimonia del Dono, sebbene fosse impossibile, ma poi quando cominciò a colargli sangue dal naso scoppiò semplicemente a ridere mentre prendeva un fazzoletto per tamponarsi. Non era stato Thorn a ferirlo, però, bensì Berenilde accanto a lui, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che piangere, mandando all’aria ogni decoro. Non capitava tutti i giorni, d’altronde, di vedere il proprio figlio sposarsi – a tutti gli effetti questo era Thorn per lei. 

In seguito, tutti si accomodarono alla lunga tavola imbandita per ospitare i pochi commensali e gli Animisti si mischiarono agli abitanti del Polo. Ogni differenza e discordia sparì, rimasero gli abbracci, le risate e non mancarono gli scherzi – sia da parte delle persone che dagli oggetti. Per quella sera, fu facile dimenticare i dolori e le perdite degli anni trascorsi o coloro che non potevano essere presenti e anche se i ricordi non sarebbero mai spariti del tutto così come le conseguenze, sia buone che cattive, andava bene così.  

Domani tutto sarebbe tornato alla normalità e ognuno alle sue responsabilità, ma nel frattempo Thorn e Ofelia si godevano il momento a lungo desiderato.   

  

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