Sangue Nero

di Cladzky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Linaker's Diner ***
Capitolo 2: *** Patata bollente ***
Capitolo 3: *** Altarini ***
Capitolo 4: *** All hell's breakin' loose ***
Capitolo 5: *** Primi passi ***
Capitolo 6: *** Discussioni vivaci ***
Capitolo 7: *** Duogonisti ***
Capitolo 8: *** Disinfestazione a due corsie ***
Capitolo 9: *** Ghiaccio e fuoco ***



Capitolo 1
*** Linaker's Diner ***


Il Linaker’s diner era l’ultimo baluardo umano prima dell’infinità di un vuoto mai esplorato. Situato sopra di un piccolo planetoide privo d’atmosfera, offre una meravigliosa vista sulla colorata nebulosa di Yeaworth, ideale sfondo per mangiare il cibo offerto dalla gestione familiare della locanda. Quantomeno questa era quanto stava stampato sull’opuscolo che davano in omaggio all’ultimo distributore, circa cinque anni luce più indietro. Era proprio vero che cenare lì significava cenare sul ciglio del nulla. Un disco giallo canarino sorvolò il parcheggio senza peso, scendendo come una piuma giusto fra un cacciapattuglia della polizia di sistema e un aviobotte di un gelato sottomarca. 

All’interno del locale, lo sceriffo Dawn, alzò per un momento lo sguardo dal suo caffè per ammirare il riflesso dello specchio oltre il bancone. Alle sue spalle, al di là del vetro, era appena atterrato un velivolo che non aveva mai visto prima. 

―Serata movimentata oggi.

―Non vedevo tre clienti in una volta dall’ultimo anniversario del locale― Commentò la bionda tinta, ormai oltre la mezza età, mentre serviva una zuppa ribollente a un altro avventore dai capelli simili alle frange di un mocio.

―No, sono convinto che quel giorno ne avemmo addirittura quattro― Si espresse quest’ultimo, prima di infilare una cannuccia nella brodaglia e succhiare rumorosamente. Sputò poco dopo, facendosi aria alla bocca, agitando le mani.

―Dieci anni che ti servo la stessa roba e ancora non hai imparato a aspettare che si raffreddi― Mise i pugni sui fianchi la proprietaria, prima di sbuffare e andare a pulire con un panno la chiazza che aveva lasciato sullo specchio, giusto sopra il ripiano dei liquori. Vedendo quella macchia disgustosa, Dawn si girò sulla sedia, per proseguire a spiare il nuovo arrivato senza dover ammirare anche la saliva di Lee.

―Ma dicono che il succo Centauri porti fortuna solo se bevuto tutto d’un sorso appena cotto― Si giustificò l’autista dell’aviobotte, rigirando la robaccia semiliquida che aveva nel piatto.

―A meno che non diventi ignifugo sarà il caso che ti cerchi una stella cadente.

La fusoliera del disco sbocciò meccanicamente, rivelando una figura rivestita d’una sgargiante tuta bianca e casco oscurato. Si guardò un po’ attorno, sgranchendosi le giunture. Saltellò su una gamba sola, elevandosi ben oltre un metro. Annuì come soddisfatto, fletté le braccia avanti a sé, spiccò un balzo e si lanciò in un salto mortale in avanti. Atterrò di faccia.

―Giusto un altro citrullo ci mancava a questo maledetto posto― Dawn si tolse il cappello e tornò a bere il suo caffé.

―Se ti può consolare non mi sei mai sembrato un citrullo― Gli fece eco Lee qualche sgabello più in là.

―Per favore― Lo pregò la signora Linaker, risistemandosi l’uniforme ―Lo sai che quando lo sceriffo vede un viso nuovo si agita, e quando si agita non è in vena di scherzi.

―Quali scherzi?

―Oh, per l’amor del cielo…

L’estraneo si era rialzato, scosso la polvere di dosso e preso a saltellare come fosse la prima volta che sperimentava la bassa gravità. Si approcciò alla camera di decompressione, citofonò e aspettò che gli aprissero. Linaker premette un pulsante sotto il bancone e la porta esterna si aprì lentamente, ripiegandosi da un lato. L’uomo in tuta bianca fece un passo dentro il corridoio di transizione e quasi cadde dall’improvvisa attrazione della gravità artificiale installata nel locale. Chiusasi la porta alle sue spalle e riempita la camera a tenuta stagna di adeguato ossigeno, fu il turno della porta interna di aprirsi.

―Maledizione Lee― Rise Dawn, senza togliere gli occhi di dosso da quel ridicolo costume innevato ―La tua roba è talmente orrenda che manda in bancarotta i gelatai. Questo si è ridotto a vendersi come acrobata da circo.

―Fosse almeno bravo― Aggiunse la donna.

―Va al diavolo, io non gli ho venduto niente a questo― Si offese l’autista dell’aviobotte, prima di bere tutto d’un fiato il suo succo Centauri.

―Bah, se l’umorismo fosse un libro lo useresti per pulirti il culo― Perdette subito il sorriso Dawn, muovendo una mano come a scacciare una mosca. Poi si rivolse al nuovo arrivato ―Quanto a te benvenuto al Linaker’s diner, fiocco di neve.

Il pilota portò le mani al casco e lo sfilò dalla chiusura ermetica, rilevando un viso piuttosto giovane, poco sopra i vent’anni, capelli castani tenuti in una cresta da punk e una barba corta, fuori posto.

―Siete sempre così ospitali da queste parti?― Fu la voce del nuovo venuto, fin troppo acuta.

―Ma certo giovanotto, ci teniamo a dare una buona impressione. Infatti i nuovi clienti ricevono sempre un aperitivo in omaggio― Esclamò la bionda, prima di far volare una palla di carta stagnola per la stanza, dritta verso l’uomo all’ingresso, che la prese a fatica, colto di sorpresa. L’aprì confuso, rivelando la morbida sfera di un frutto rugoso, violaceo, quasi blu.

―Dove sta l’aperitivo?

―Dentro: Lo mordi e ti esplode in bocca― Spiegò lei, priva d’ogni interesse, andando a lavorare su un pannello di controllo. Il planetoide ruotava in fretta e si era fatta subito notte. Prima che potesse farsi completamente buio le luci del locale entrarono in funzione. 

―Occhio, è molto aspro― Lo avvertì il camionista, voltando le sue spalle larghe e guardandolo oltre le lenti dei suoi occhiali a specchio, ancora con il succo che gli colava dalla bocca ―Tipico della cucina di Poseidon. Da un po’ di tempo hanno chiuso tutte le frontiere e commerci con l’esterno, dunque è difficile reperirne qualcuno.

―Grazie, ma non rientra nei miei gusti― Declinò l’uomo in bianco, rigirandoselo fra le mani.

―Dallo a me allora, odio il cibo sprecato.

Titubante glielo lanciò come avevano fatto con lui. Lee lo prese al volo, ma con i denti. Subito chiuse la mandibola e il frutto gli esplose per davvero in bocca come un gavettone pieno di liquido bianco. Una quantità non differente gli fuggì dalla bocca. Mandò giù e si leccò i resti sulle labbra. Il tutore della legge, dai capelli ormai radi, si coprì il viso per volgere lo sguardo e nascondere la sua reazione disgustata.

―Sei un vero animale― Rise la proprietaria, andando a prendere il necessario per pulire il pavimento a scacchiera sul retro, sparendo dietro una porta rossa con oblò in vetro. Confuso da questa accoglienza, il giovane cosmonauta si avvicinò al bancone, mirando il sedile imbottito dello sgabello fra lo sceriffo e il camionista.

―È libero questo posto?― Chiese, alzando un dito verso la superficie in cuoio. Lee non rispose, ancora intento a pulirsi il viso. Dawn alzò uno sguardo sbigottito. Poi rise letteralmente sotto i baffi.

―No, ci stanno le mie pulci ammaestrate là sopra.

Il ragazzo si chinò per ispezionare lo sgabello. Lo sceriffo alzò gli occhi al cielo. Gli diede una sonora pacca sulla spalla quasi da fargli affondare il viso nella copertura in cuoio.

―Siediti scemo― Grugnì irritato, mentre quello si ricomponeva, poggiando sullo sgabello con le mani che si stringevano l’un l’altra e incassando la testa fra le spalle. Dawn lanciò un occhio al camionista, oltre di lui ―Incredibile Lee, ne abbiamo trovato uno peggio di te.

―Ah― Alzò le braccia al cielo il ricevente, dopo essersele leccate per bene ―Delizioso, l’ideale per mandare giù il succo Centauri.

Dawn scosse la testa, non troppo sorpreso che quello non stesse seguendo affatto la discussione.

―Dopo l’inferno che ti sei bevuto prima anche la candeggina risulterebbe gradita― Finì il suo caffè, per poi dare un pugno sulla spalla del pilota in bianco, facendolo scivolare giù dal sedile a momenti ―Ma tu hai lo stomaco indistruttibile al contrario di questo palato delicato.

―Ma si può sapere qual è il tuo problema?― Sbottò il pilota tutto d’un tratto, dandogli uno spintone ―Non sopporto queste prese in giro. Cos è, sei ubriaco?

Di tutta risposta quello abbassò le sopracciglia, assottigliò gli occhi, contrasse una smorfia da deformargli i baffi e tirò fuori un distintivo dorato che gli piantò in faccia.

―Non bevo mai in servizio. Dimmi, sai leggere ragazzo?

Il giovane dai capelli castani ingoiò un groppo di saliva.

―Ma certo signor… Vincent Dawn.

―Solo gli amici mi chiamano Vincent― Replicò il tutore della legge, rimettendo a posto la placchetta sotto la giacca da borghese e lisciandosi i baffi ―Tu puoi chiamarmi signor sceriffo.

―Oh, non ci far caso ragazzo― Li interruppe la voce della proprietaria, che sbucò dalla porta cremisi armata di secchio e scopettone. Uscì da dietro il bancone e si mise a strofinare il pavimento ai piedi del camionista, ancora sporco di aperitivo ―Il nostro sceriffo adora la vita di paese e non vede di buon occhio novità nel suo sistema stellare. Qua ci conosciamo tutti, quindi è normale essere sensibili alla presenza di stranieri.

―Oh, ma io adoro gli stranieri, soprattutto a pranzo― Esclamò allegro il pilota dell’aviobotte, pulendosi il muso con un tovagliolo rosa e tendendogli una mano ancora unta ―La loro cucina intendo. Anthony Lee, per servirti. L’aviobotte là fuori è il Generale Lee, la più veloce di tutta la contea.

―Nonché distributore del miglior gelato artigianale di tutta la contea― Aggiunse la donna.

―E l’unico, purtroppo ― Concluse lo sceriffo, sghignazzando.

―Oh mi fate arrossire con questi complimenti― Ringraziò il camionista., soffiandosi il naso con lo stesso tovagliolo rosa sporco.

―E io sono Kay Linaker, proprietaria dell’ultimo diner umano prima della nebulosa di Yeaworth. Ottima vista non trovi?― Le dita callose della donna indicarono fuori dalla vetrata. Se prima che il debole sole del sistema tramontasse erano visibili costellazioni familiari, ora che la faccia del planetoide su cui si trovavano volgeva in senso opposto, sul cielo appariva solo una sfumatura di rosso fragola dai riflessi verdi, gemmata di sferette bianche. La palette cromatica, tutto sommato, si intonava perfettamente con l’interno del locale, ammobiliato alla moda degli anni ’50.

―L’opuscolo non mentiva affatto― Constatò il pilota. Dawn mugugnò.

―Ora che siamo meno estranei di prima― Continuò Linaker, portando via secchio e scopettone dietro il bancone con sé ―Spero non disturbi lo sceriffo se ricevo la tua ordinazione, signor…

―Cladzky. Solo Cladzky― Meditò il ragazzo, grattandosi il mento e studiando il menù stampato sopra la sua testa.

―Ti consiglio la costola di brontoschiato― Gli suggerì all’orecchio il camionista ―Una delizia locale, non la trovi da nessuna parte.

―Vada per quello. E da bere una bottiglia d’acqua, naturale.

Detto fatto, la donna si appuntò il tutto su un blocco note e sparì di nuovo sul retro. Lee prese a ingurgitare olive da un piattino di spuntini lì vicino. Dawn invece riprese a parlare con tono investigativo.

―E così è stato un opuscolo a portarti qui― Pensò ad alta voce ―Certo che ti ha portato lontano. Non è proprio una località turistica questa. Devi avere una gran bella motivazione per esserti spinto fino ai margini dell’universo conosciuto.

―Oh, una grandissima motivazione― Sorrise Cladzky, gesticolando ―Alle volte mi guardo attorno nella carlinga del mio disco e guardo le stelle. Allora mi chiedo chissà fino a quanto lontano posso andare e parto, lasciando tutto ciò che conosco alle spalle. Lo spazio è infinito e nessuno ha il tempo di vederlo tutto. Meglio approfittarne ed esplorarlo il più possibile almeno, no?

―Oh, anch’io lo farei― Lee sputò un nocciolo d’oliva dritto nel cesto dei rifiuti all’ingresso, circa cinque metri più in là ―Quanti piatti che vorrei assaggiare! Ma non posso abbandonare l’attività di famiglia, perché nessun altro ne prenderebbe l’eredità.

Cladzky lo squadrò. La grossezza del suo aspetto non tradiva il suo amore per il cibo. A sua volta Dawn squadrò il giovane castano. Gli pose una mano sulla spalla e lo costrinse a voltarsi e fissarlo nei suoi occhi di vetro.

―Non ho idea di cosa tu sia venuto a fare qui, bamboccio, ma nel mio sistema non ci sono mai stati problemi; mi piace così com’è e non ti permetterò di cambiare le cose. Dunque, se anche solo ti vedessi buttare una cartaccia per terra, stai sicuro che sarò lì per infilare nel tuo sfintere da vagabondo il mio stivale per intero da quanto forte ti prenderò a calci nel culo. Chiaro?

―Limpido, signor Dawn.

―Sceriffo Dawn.

Il campanellino del citofono suonò la sua elettronica sinfonia di quattro note. I due si voltarono immediatamente, ma non potevano vedere niente dietro quella paratia interna d’acciaio lucente. Potevano però vedere che nel parcheggio nessun altro velivolo era atterrato.

―E adesso chi diavolo è?― Gracchiò Dawn.

―Ci penso io― Squillò Lee, sporgendosi sopra il bancone fino a premere il pulsante dall’altro capo per l’apertura.

―Ma sei impazzito?― Gli urlò contro il balivo.

―La signorina Kay non poteva certo aprirgli― Si scusò l’omaccione, inforcando gli occhiali.

―Potrebbe essere chiunque, maledizione.

―Un ladro non busserebbe di certo― Fece notare Cladzky.

―Taci, che fosse stato per me potevi pure restartene fuori a fargli compagnia.

Il suono della camera di decompressione sibilò nell’aria, mentre, al di là della porta, la stanza si riempiva d’ossigeno. Lo sceriffo strinse la mano attorno il folgoratore nella fondina della cintura. La paratia slittò di lato. Una figura molto bassa apparve. Era una macchina cingolata, piccola, argentata, dalla cui base ricoperta di cavi e sensori, si alzava un antenna e un braccio artificiale. Avanzò lentamente sopra le piastrelle del pavimento, lasciando una breve scia di detriti rocciosi.

―Mark, ti avevo detto di restare a bordo!― Si lamentò il pilota in bianco.

―Conosci quella roba?― Alzò un sopracciglio lo sceriffo, togliendo le dita dall’arma.

―È il mio computer di bordo― Spiegò, prima di sobbalzare per l’arrivo improvviso della sua costoletta, servitagli alle spalle sul bancone da una appena giunta Linaker.

―E che ci fa fuori bordo allora?― Chiese quest’ultima, poggiando anche la bottiglia d’acqua minerale che aveva ordinato.

―Mah, l’automazione non la sopporto― Mormorò fra sé Lee, stavolta ingoiando un’oliva tutta intera col nocciolo ―Non sopporterei che il mio gelato fosse prodotto da una macchina.

―Prego, continuate a parlare come non ci fossi― Uscì scherzoso il tono sintetizzato da Mark, fin troppo cordiale per essere frutto di una bobina e magneti. Alzò una delle sue tre dita di plastica verso il suo pilota ―Quanto a te lo sai che non mi fido a lasciarti solo, e fare la muffa non mi piace.

―E tu lo sai che la tua unità mobile consuma troppo carburante per i miei gusti― Gli gridò di rimando Cladzky, tagliandosi la carne nel piatto.

―Fosse per te resterei per tutta la vita dentro quel maledetto disco. E poi, dopo l’ultimo trasporto che hai fatto, credo che tu possa permetterti questa spesa.

Dawn si grattò il mento, poggiandosi di peso sul bancone, mentre si faceva portare il conto. Lee, disinteressato a faccende così veniali, si alzò per andare in bagno. Kay Linaker si sporse, tirando fuori il taccuino.

―E tu vuoi ordinare qualcosa, signor…?

―Mark, Mark Zero. Dovrei cambiare l’olio se non vi dispiace.

―L’autocisterna che ci rifornisce passerà tra un’oretta. Spero non ti dispiaccia aspettare.

―Per nulla.

―Ti ricordo che i soldi sono miei― S’intromise Cladzky, portandosi la forchetta alla bocca.

―Ti ricordo― Replicò decisa la sua cassa audio, mentre il suo braccio si allungava a prendere un fazzoletto per togliersi la polvere di dosso ―che sono stato io a guidare per tre giorni di fila. Tu non vedresti un soldo senza il mio aiuto.

―E così ti occupi di trasporti― Affermò con voce interessata lo sceriffo, poggiando i soldi per il caffé ―Dalle dimensioni del tuo disco non si direbbe.

―Oh― Trasalì Cladzky, allontanando il pezzo di carne dalla bocca ―Nulla di grosso. Si tratta più di un favore che altro.

―Quando ti ho chiesto perché eri qui non mi hai detto nulla riguardo questa consegna― Si alzò in piedi, sistemandosi il cinturone. Quanto ad altezza faceva impressione, senza contare che Cladzky stava per giunta seduto.

―Ma che cos è, un interrogatorio?― Ridacchiò il pilota.

―Una specie― Dawn prese a camminare verso il suo robot. Lo scrutò dall’alto al basso, ridendo ―Dunque, signor Mark, questa non è una visita di piacere.

―Una cosa non esclude l’altra― Replicò il computer, mentre si ripuliva i cingoli. La fronte di Cladzky cominciò a imperlarsi di sudore.

―Quindi, questa consegna a cui voi avete accennato e che il vostro padrone mi ha tenuto nascosto, di cosa si tratta?― Si lisciò i baffi.

―Voi volete sapere che consegna abbiamo fatto?― Ripeté confuso il robot.

―Sì, è quello che ti ho chiesto!― Lo incitò impaziente Dawn ―Rispondimi subito. E ricorda che mentire è contro le leggi della robotica.

―Lo so meglio di voi caro il mio sceriffo Vincent Dawn― Si sentì uno spicchio di fastidio in quel diaframma artificiale, che apparve corrisposto da un eguale riflesso negli occhi da biglia del tutore della legge ―Solo non pensavo rientrasse nella vostra giurisdizione sapere se il mio padrone avesse o meno consegnato tre pacchi di preservativi alla scorsa stazione di servizio per fare un favore al gestore che non trovava una taglia abbastanza grossa nelle farmacie del vostro sistema.

Vincent Dawn si ritrasse un poco indietro stralunato. Poi rise.

―È proprio vero che i robot non mentono.

―Se volete telefonare per avere una conferma…― Insistette Cladzky, ma venne interrotto da un indice agitato in aria.

―Lasciamo perdere, ho già capito che avete un alibi di ferro per trovarvi qui. Finite le vostre costolette e vedete di filare, intesi?― Detto questo diede un calcio alla macchina, smuovendosela da davanti, ed entrò nella camera stagna, rivestendosi con la sua tuta per uscire dal locale. La porta si richiuse alle sue spalle, giusto mentre infilava il suo berretto da sceriffo sotto il casco.

―Testa di cazzo― Esclamò Mark, mirandosi il segno sulla fiancata lasciato dallo stivale. Cladzky ingoiò finalmente il primo pezzo di carne, insieme alla sua anima che era lì dal vomitare per la tensione.

 

***

 

Anthony Lee, dopo aver scaricato la vescica, uscì dalla cabina del cesso e si apprestò a lavarsi alacremente mani e viso. Poteva anche essere un maiale a tavola, ma aveva sempre cercato di tenere una buona igiene. Detestava che mani sporche potessero infettare il suo buon gelato. Già che c’era volle dare un occhiata al Generale Lee giusto fuori l’oblò dei servizi igienici che dava sul parcheggio. Da quando l’aveva appena riverniciata, la nave era molto più in tinta con la nebulosa che si affacciava a giusto qualche miliardo di chilometro dal loro sistema. Gli dava un aspetto decisamente più unico e accattivante con quella tinta magenta, che lo amalgamava con il paesaggio. Stava pensando anche di cambiare il nome del prodotto allo stesso modo. Anche se “gelato Lee” era stato portato avanti per generazioni dalla sua famiglia, non diceva nulla a chi abitava fuori dal sistema. Ma al di là del vetro non vide altro che il buio. 

“Strano”, Fu tutto ciò che poté pensare, mentre si asciugava le mani con l’irradiatore di calore lì vicino, nel mentre che un ticchettio prese a rimbombare per le pareti. Si avvicinò e all’oblò e di conseguenza anche al rumore, ma continuava a vedere solo uno strato nero perfetto, se si eslcudeva il suo riflesso. Ora era giusto a pochi centimetri. Il ticchettio proveniva giusto da dietro il muro. Qualcosa sbatteva contro la superficie del locale, là dove non c’era aria. Lee strizzò gli occhi. Là, nel buio, altri due occhi in penombra lo scrutarono a sua volta.

Colto dallo spavento fece un balzo indietro. Lo stesso fece l’individuo dall’altro versante. Quel buio era il casco oscurato di una tuta spaziale che stava sbirciando dentro i bagni. Smise di bussare sul muro e così cessò il ticchettio.

―Che razza di maniaco― Riprese fiato il camionista, indietreggiando verso la porta. Ma l’uomo nella tuta azzurra sollevò qualcosa. Una lavagnetta con scritte a pennarello due righe a caratteri storti.

DÌ A CLADZKY CHE LO ASPETTO FUORI

SUBITO

Lee guardò quel messaggio confuso, non avendo molta voglia di fidarsi di quello stramboide. Senza molte altre alternative però annuì. L’uomo in tuta azzurra gli mostrò un pollice alzato e saltò, sparendo verso l’alto. Il suo corpo divenne tutt’uno con il cielo stellato, deformandolo dietro di sé.

 

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Capitolo 2
*** Patata bollente ***


―Oddio, sto a morì! Oddio, sto a morì!

―Non andare in iperventilazione ragazzo― Gli verso un altro bicchiere di latte la signora ―È giusto un po’ piccante.

Cladzky bevve in un istante, fece un po’ di risciacqui e mandò giù, ma la sensazione di bruciore gli stava ancora torturando le papille gustative. Con la bocca aperta si faceva aria con le mani.

―Dai qua, lo finisco io― Saltò sullo sgabello al suo fianco Lee, rubandogli il piatto di costolette e cominciando a mangiare quella fornace come fosse insalata a mani nude ―Avrei dovuto dirti che aveva un forte sapore.

―Nient’altro che devi dirmi?― Si appoggiò esausto al bancone l’uomo in tuta bianca ―Magari che mangiate mattoni al posto del pane? Avete cibo normale in questo posto?

―Qualcos’altro ci sarebbe― Disse fra una masticata e l’altra l’omone, infilando già la prossima forchettata ―Dovresti uscire in questo istante.

―Cos è, non sono più il benvenuto adesso?

―Non ti azzardare a farmi perdere di nuovo clienti con le tue maniere, Tony― Lo riprese la donna, portandogli via da davanti il piatto che aveva già finito.

―No, è una faccenda seria, devi uscire a prendere aria.

―Ma fuori non c’è aria...― Cladzky ragionò un momento. Poi si alzò di scatto, quasi dimenticando di infilare il casco, dirigendosi verso la camera di decompressione per uscire.

―Un momento! ― Gli gridò dietro Linaker, alzando uno scontrino ―Solo l’aperitivo era in omaggio, mi dovete pagare il resto!

―Torno subito, non mi sento benissimo― Disse trafelato, infilandosi dietro la porta d’acciaio che andava già a chiudersi ―Tenetemi d’occhio il robot, è molto delicato.

La porta si chiuse. DI nuovo si udì il rumore dell’ossigeno essere risucchiato dalla stanza di transizione e la porta esterna aprirsi. Pochi secondi dopo, una tuta bianca come le neve, vagava di fretta sulla superficie polverosa del planetoide, dirigendosi verso il parcheggio, inciampando e rotolando più volte, lasciando una scia di sassi che non avevano alcuna fretta a ricadere verso il suolo. La notte era finita. Un freddo sole si alzò oltre l’orizzonte curvilineo, mentre la nebulosa ne cadeva oltre. La proprietaria sbuffò, togliendosi un ciuffo da davanti il viso.

―Senti chi parla, sacco di carne― Si risentì Mark, per poi voltarsi al bancone ―Dite, almeno dell’acqua distillata per il radiatore ce l’avete?

 

***

 

La fascia d’asteroidi sopra cui era edificata la loro contea non offriva molte possibilità di crescita economica. Una leggenda popolare diceva che il fondatore, un industriale minerario con troppi soldi in tasca, avesse edificato la prima cava di sale, e relativi caseggiati, solo per potersi vantare che le sue proprietà si estendevano fino ai confini dell’universo. Le miniere si esaurirono presto e, terminato il sale, rimasero solo stabilimenti vuoti, operai disoccupati e un nome calzante: Dryriver. Chi non abbandonò il posto dovette reinventarsi e così vennero a galla i veri tesori di quella fascia: Non il sale, ma le persone. Per quanto suonasse sdolcinato, lo sceriffo Vincent Dawn la pensava così. Non vi erano grandi risorse di territorio da poter sfruttare a livello industriale, ma abbastanza terreni coltivabili, territori da pascolo e asteroidi scavabili per mettere su una piccola impresa locale. Gli piaceva sentirsi orgoglioso di Dryriver, specie in situazioni di noia come questa.

―Radio del cazzo― E giù un’altra sberla. Ma niente da fare, lo strumento di comunicazione della sua pattuglia non si accendeva neanche. Aprì la scatola dei fusibili ma parevano intatti. Doveva essere proprio un problema dell’alimentazione. Certo, aveva ancora la radio interna della sua tuta, ma non poteva connettersi sulle sequenze criptate del suo dipartimento. Si sdraiò sul proprio sedile, mani nei capelli, occhi al cielo buio, dominato da un sole lontano e insanguinato. L’officina di Carpenter si trovava a un’ora di lì. Se si fosse sbrigato forse…

Un movimento sospetto lo destò dai suoi calcoli. Qualcosa vagava nel parcheggio e la sua ombra era appena strisciata sotto la fusoliera del suo stretto velivolo. Si rigirò agitato nel suo sedile in pelle, mettendo mano al folgoratore. Anche sporgendosi per vedere oltre il vetro qualunque cosa fosse era fuori dal suo campo visivo, sotto o dietro la sua nave. Un paio di luci lo accecarono. Il disco giallo canarino al suo fianco era stato attivato elettronicamente, ma la copertura della cabina non si mosse per accogliere nessuno al suo interno, né si alzò in volo. Poteva vederne solo il brutto muso affilato, eppure era sicuro che qualcuno stesse operandolo.

Se quel qualcuno fosse uscito dal locale non ne aveva idea. L’assoluto silenzio dovuto alla mancanza d’atmosfera aveva permesso a quella figura di sgattaiolargli sotto il naso. Eppure, per quel breve frangente che l’aveva vista, era certo che non fosse umana. Non intravide alcun senso di camminata, quanto piuttosto di slittare sul terreno, né ne aveva l’aspetto, tozza, bassa e scintillante com’era. Spense le luci, indossò il casco, lo assicurò magneticamente e mise mano al folgoratore. Un attimo dopo la carlinga scattò ad aprirsi e lui balzò fuori con un salto di qualche metro in verticale. 

E lì, più in basso, oltre il mirino della sua arma, stava la cosa che aveva visto. Non era umano di certo, no, era una macchina. Era l’unità mobile di Mark Zero, immobile sul retro del disco di Cladzky, lancia termica chiusa nel pugno a tre dita. Atterrò sul disco stesso, sovrastando la macchina poco dopo, ma non se la sentì di posare ancora l’arma. Alzò invece il distintivo, sotto cui stava stampato un codice. Se l’intelligenza artificiale di Mark fosse stata abbastanza intelligente avrebbe ricevuto un contatto in pochi secondi.

―C’è qualche problema agente?― Fu la domanda sintetizzata che ricevette subito dopo dalla sua radio interna alla tuta.

―Cosa vai a fare in giro senza il tuo padrone?

―Revisionavo il disco dopo che ho finito di revisionarmi da solo. Costituisce un illecito tale da puntarmi addosso una pistola?

―Il pilota del disco, Cladzky, è ancora dentro?

―Si è sentito male. È uscito a sgranchirsi le gambe e vedere il tramonto. E quando il sole tramonterà si sposterà un poco più avanti verso l’orizzonte per vederlo daccapo.

―Hai detto che revisionavi il disco, non è vero?

―Certo.

―Hai pratica da elettrauto?

―Qualunque problema abbiate posso aiutarvi. E voi sapete che un robot dice sempre il vero.

L’agente infilò l’arma nella fondina e fece cenno di seguirlo sotto la pancia della sua pattuglia, dove si chinò e smontò un pannello, rivelando la centralina elettrica.

―La radio di bordo non funziona e non riesco a venirne a capo. Riusciresti a metterla a posto?

Il piccolo cingolato d’argento si avvicinò per esaminare la faccenda più da vicino.

―Se questo ti porterà a smettere di prendermi a calci e spararmi a vista, puoi starne certo. Ho solo bisogno della mia cassetta degli attrezzi, la trovi sul retro del disco.

Dawn andò a cercare quanto richiesto. Circolò attorno la figura sferica del mezzo e trovò un boccaporto aperto che dava su una piccola stiva all’interno del velivolo. Tirò fuori la torcia d’ordinanza e diede un'occhiata, sporgendosi all’interno. La prima cosa che illuminò era un contenitore metallico, dall’aspetto pesante e dalla superficie ferrosa. A grandi caratteri spigolosi e neri stava scritto su un fianco “Mantenere congelato”. Considerando che quella piccola stiva sembrava essere mantenuta a temperatura ambiente, ovvero lo zero assoluto di ogni materiale nello spazio tenuto all’ombra, si poteva star sicuri che rimanesse congelato a lungo. Accanto stava la cassetta degli attrezzi.

 

***

 

Cladzky azzardò un altro passo. Non l’aveva trovato all’entrata, né sul retro del locale. Que silenzio assoluto non lo aiutava di certo a mantenere la concentrazione. Come se non bastasse, dacché il sole, quando era uscito, si trovava allo zenit, sfarfallando sulla sua testa con un colorito da ghiaccio secco, verdognolo, ecco che era tramontato di nuovo, lasciandolo nel buio più completo. Fu tentato di accendere i fanali del suo casco, ma non voleva attirare l’attenzione di nessuno là dietro. Si spinse allora verso quell’orizzonte buio, inseguendo un sole che correva più forte di lui. Avanzando tremolante a passi lenti si guardò indietro. Pensava di aver percorso una gran distanza e invece si era portato a neanche cento metri dal Linaker’s diner. Nel parcheggio al fianco Est del locale, illuminato da due grossi faretti montati su pali, nessun veicolo si era mosso. Anche il cacciapattuglia era rimasto al suo posto, nonostante lo sceriffo si fosse congedato e pagato il conto da un quarto d’ora. Uscendo dall’ingresso poco fa lo aveva visto l’ultima volta dentro la sua piccola nave ad armeggiare con la radio di bordo.

―È una trappola dello sceriffo― Ragionò ad alta voce, tranquillo che per quanto potesse urlare nessuno l’avrebbe sentito. Tanto valeva allora tenersi compagnia parlando da soli ―Il bastardo e quell’altro tizio, Lee, devono essere in contatto a distanza e mi hanno adescato fuori sapendo che stavo aspettando qualcuno e, per non attirare sospetti, uno di loro è andato ad aspettare in macchina mentre l’altro lo contattava dal bagno, per non farmi accorgere di nulla.

Era possibile, ma perché avrebbero dovuto farlo? Se veramente lo sceriffo nutriva così grandi sospetti verso il carico che Mark Zero, quell’imbecille, si era lasciato sfuggire che trasportavano, avrebbe potuto benissimo chiedere di perquisire il velivolo. Ma se non sospettava di nulla, d’altra parte, perché diavolo non si levava dai coglioni una volta per tutte, invece di rimanersene ancorato nell’area di sosta?

Qualcosa gli afferrò un piede. Ci fu uno strattone e fu trascinato a terra e ancora più in basso. Guardò a terra, piantandosi il mento nel petto dalla sua posizione reclinata, e vide nero, lo stesso immacolato nero tipico della più completa assenza di luce. Ma vide qualcos’altro. Il nero si gonfiava oltre la superficie del pianeta e lo ricopriva. Presto quella stretta morsa gli risalì fino al braccio destro. Scalciò. Udì il nero vibrare dal dolore. Vide il riflesso di occhi sotto la suola che aveva piantato con decisione e poi più nulla. Sprofondò nelle viscere rocciose del planetoide, gettato come una bambola.

Rinvenne subito dopo, libero dalla presa dell’aggressore, ma vittima di una continua discesa e rotolamento lungo un piano inclinato che andava sempre più giù. Infine toccò il fondo dissestato con una botta sorda. La gravità era aumentata tutta d’un colpo. Sdraiato di schiena vide quell’ombra che l’aveva trascinato in quella buca scendere, nera macchia contro un cielo stellato. Gattonò fino ad allontanarsi ma toccò un muro di roccia contro cui si schiacciò contro. La figura era sparita di nuovo, confusasi nel buio della caverna. Ma l’aveva vista contro il cielo, non era una massa informe, era qualcosa che indossava una tuta spaziale come la sua.

Fu abbaiato da due fanali, quelli alle tempie di un tipico casco. Decise di accendere i propri. Davanti a sè apparvero pareti bianche di pietra scavata dall’uomo, tubature, pozzanghere d’acqua, pilastri di cemento, cavi elettrici, casse impolverate, fusti di latta, strumenti da scavo, batterie al litio e una tuta completamente nera, in piedi davanti a lui. Alzò un braccio, mostrandogli il palmo sinistro. Fu tentato di dargli un pugno, prima di notare sulla superficie guantata un numero a cinque cifre stampato sul tessuto. Riprendendo fiato, Cladzky alzò a sè il polso, su cui stava istallato un piccolo tastierino e inserì quel codice.

―...ora? Puoi sentirmi ora? Puoi sentirmi…

―Sì― Rispose a fatica, con la gravità aumentata che gli impose un fiatone da quanto faceva fatica a sollevare il diaframma. Ma fu sollevato in fondo. Lee non l’aveva ingannato.

―Sei tu Cladzky?

―E tu devi essere Russel.

―Piacere di conoscerti. Hai la roba?

Quel pugno, il pilota in bianco, lo diede davvero. Non andò a segno, perché ancora disabituato alla nuova gravità fu più lento del dovuto e Russel ebbe tutto il tempo di scansarsi.

―Ma c’era bisogno di assalirmi in questo modo?― Gridò il pilota in bianco nelle orecchie di quello in nero. In retrospettiva Russel avrebbe dovuto abbassare il volume della propria radio interna. Questa destabilizzazione permise a Cladzky di saltargli addosso e buttarlo contro il ripiano inclinato dal quale erano scesi.

―Certo che ce n’era bisogno, idiota!― Replicò l’altro, tossendo per il gomito sul collo. Poi puntò un indice verso l’alto ―Guarda.

Cladzky alzò lo sguardo. Sopra di loro stava l’apertura da cui erano entrati nella caverna. Le stelle sembravano essere sparite di colpo, sostituite da un’aura verdognola. Era sorto di nuovo il sole. Russel lo spinse via con un calcio allo stomaco che lo mandò in terra. Si sostò la polvere di dosso e lo aiutò a rialzarsi.

―Ascolta, mi spiace averti dovuto trattare così, ma saremmo rimasti allo scoperto in quella piana di giorno. Questo è l’unico punto dove possiamo trattare in pace― Si toccò un comando alla base del casco e la sua tuta sbiancò come le pareti di cui erano circondati. Ora due cosmonauti vestiti di latte s’aggiravano in quell’antro buio. Cominciò ad incamminarsi verso l’interno della grotta e fece segno al ragazzo castano di seguirlo.

―Si può sapere dove mi hai infilato?

―Una miniera di sale abbandonata. Questo è poco più che un condotto d’aerazione e uscita secondaria. Ho parcheggiato la mia nave all’ingresso, nell’emisfero opposto. Ma ritornando alla questione, hai la roba?

―Non con me, è rimasta nella stiva.

Russel si girò. Come molti seleniti la sua anatomia era simile a quella umana, ma percettibilmente diversa. Il suo casco, per esempio, si allungava come una piccola proboscide per accomodare un muso quasi equino da quanto era lungo, per non dimenticare il numero eccessivo di dita e l’anatomia digitigrada delle gambe. Sebbene non poteva vederli oltre il casco oscurato, sapeva che due occhi composti e tre ocelli lo stavano adocchiando furiosi.

―Anche lo sceriffo si trova piantato nel parcheggio. Come lo recuperiamo adesso?

―Ho mandato qualcuno di più discreto. Ho contattato Mark Zero via radio e gli ho detto di revisionare il disco così da non attirare alcuna attenzione. A questo punto non mi resta che contattarlo, ordinargli di rintracciare la mia posizione attuale e portarti il frammento. Quindi è meglio se mi paghi adesso mentre aspetti perché io devo andarmene subito― Fece per tornare da dove erano venuti ma gli si piantò davanti Russel.

―Dove vorresti andare?

―A pagare il conto. Sono uscito di fretta perché non avevo un soldo: contavo che ci saremmo incontrati dentro al locale e potessi darmi lì il compenso, ma la presenza di quello sceriffo ci ha scombussolati i piani, vedo.

―Mai dire “gatto” se non ce l’hai nel sacco― Rise Russel, spingendolo verso l’ingresso della cava, via dal condotto per cui erano scesi. Cladzky si dimenò animatamente.

―Andiamo, che ti costa?

―quattromilacinquecento rubli, ecco cosa mia costa.

―Ma quel campione è praticamente già nelle tue mani, te lo porterà Mark. Dammi almeno i soldi per pagare quanto devo alla signora, così da non attirare sospetti.

―Non penserà che sei scappato senza pagare finché il tuo disco rimarrà ben parcheggiato sul planetoide.

―E che mi dici dello sceriffo allora?

―A meno che non abbia dei sospetti su di te non verrà a cercarti. E lui non ha sospetti, vero?

Cladzky meditò bene prima di rispondere. Russel gli diede una spinta che lo mandò a gambe all’aria. Sbatté un braccio contro un pannello in metallo. Avevano raggiunto la nave selenita, ferma sotto la volta dell’ingresso alla cava. Il cielo stava tramontando su quell’emisfero.

―No, non credo― Disse, rimettendosi in piedi e alzando le mani ―Ho dato un buon alibi per…

―Ti ha fatto delle domande?

―Sì. Mi ha chiesto che ci faceva uno straniero qui.

―E tu che hai risposto?

―Non sono un idiota.

―Gli hai detto questo?― Chiese stranito Russel, poggiandosi sul tettuccio.

―No, intendo dire che ovviamente ho trovato una buona scusa. A cinque anni luce si trova la stazione di Cronenberg, una mia vecchia conoscenza.

―Quanto vecchia?

―Discutevamo da anni di filmacci horror su un forum quando ancora andavano di moda.

―E cosa centra tutto questo?

―Centra che ho fatto a Russel un favore oggi. Una piccola consegna innocua di modo che non sembrasse immotivata la mia presenza in questo luogo dimenticato da dio. Lo sceriffo ha anche chiesto conferma al mio computer di bordo e se c’è qualcuno di cui ti puoi fidare nell’universo sono i robot. Per lui non sono venuto a fare altro che riempirmi lo stomaco prima di tornare da dove sono venuto e sparire dalla sua contea.

Russel rifletté. Si grattò una gamba contro l’altra e alzò le spalle.

―Te la sei giocata bene allora. Ma se è così cosa sta facendo ancora nel parcheggio?

―E io che ne so? Noie al motore forse.

Il selenita si passò una mano sul casco. Avrebbe voluto asciugarsi la fronte se avesse potuto. 

―Va bene, voglio fidarmi. Chiama qui il tuo robot e i quattromila e passa rubli sono tuoi.

Cladzky non attendeva altro. Mise mano al tastierino, digitò la frequenza di Mark e aspettò. Il collegamento fu subito impostato.

―Mark, triangola la mia posizione. Porta con te il campione.

―Sono già qui― Un terzo fascio di luce sovrastò i fanali dei loro caschi. Dall’ingresso della miniera una figura in penombra si imponeva sul cielo notturno. Voltandosi di scatto puntarono i loro fasci sul nuovo arrivato. Lo sceriffo Dawn li stava stava puntando, torcia in una mano e il folgoratore nell’altra. Ai suoi piedi stava il cingolato dell’unità mobile di Mark ―Dice di tenere le mani bene in vista e seguirlo senza fare mosse avventate.

 

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Capitolo 3
*** Altarini ***


Quattro figure fecero il loro ingresso nel locale, sotto lo sguardo attonito del camionista Anthony Lee e la proprietaria Kay Linaker.

―Spero che almeno qualcuno di voi possa pagare il conto― Sospirò la bionda, guardando Russel, Cladzky, Mark Zero e Vincent Dawn entrare in fila indiana, diretti dalla pistola spianata dello sceriffo. I due in tuta bianca si sedettero mesti al bancone, mentre Mark si limitò a fermarsi ai piedi dello sgabello del proprio pilota. Dawn mantenne una distanza di sicurezza, girandogli attorno come uno squalo ―Vincent, sbaglio o siete tornati con uno di troppo?

―Di stranieri ce ne sono sempre troppi― Replicò laconico l’agente, togliendosi il casco e poggiandolo sull’apposito gancio che pendeva dal muro. Cladzky fece lo stesso, piantandolo sul ripiano in legno davanti a sé, voltandosi verso Lee, che gli sedeva a fianco.

―Ciao Lee.

―Ma in che guaio ti sei cacciato?

―Già, in che guaio ci hai cacciato?― Venne la voce di Russel, ovattata dal casco.

―Sarò lieto di spiegare ogni cosa― Esclamò sardonico Dawn, lisciandosi i baffi.

―Ho proprio voglia di sapere il motivo di questo arresto. Sono un libero cittadino selenita, ho i miei diritti…

―Zitto muso lungo, questa è la mia contea― Gridò, colpendogli la nuca con la canna della pistola ―E togliti quel casco. Cos'è, sei timido?

―Non può respirare la nostra atmosfera, lo lasci...― Intervenne Cladzky, meritandosi un violento manrovescio.

―Silenzio, d’ora in poi parlerete solo se interpellati. E ringraziate che non stiamo avendo questa discussione giù al dipartimento.

―La mia riserva di idrogeno si sta esaurendo― Spiegò Russel, battendo i pugni sul tavolo ―La scorta è rimasta nella mia nave, bisogna che torni a prenderla o…

Il calcio della pistola collise con il suo fianco scoperto, accartocciandolo come un foglio di carta.

―Motivo in più per confessare immediatamente―

―Ma si può sapere che hanno fatto questi ragazzi?― Chiese Linaker, buttando a terra lo straccio con cui puliva i bicchieri.

―Colti in flagrante a mettere piede nella vecchia miniera di sale. Sono ancora proprietà del fondatore, seppure la sua azienda abbia levato le tende anni or sono.

―In quelle miniere ci vanno cani e porci, sceriffo― Controbattè Lee, togliendosi gli occhiali e rivelando due occhi molto scavati ―Coltivatori di funghi, allevatori di artrosalme, anche i bambini ci giocano ormai. Non mi sembra così grave.

―La violazione di proprietà privata è più che sufficiente per imporre lo stato di arresto a questi due. 

―E vorreste arrestarli per questo?

―Tutt’altro. Voglio solo tenerli sotto torchio finché non arriveremo al fondo di questa faccenda.

“Non so di cosa stiate parlando” Avrebbe voluto gridargli in faccia Cladzky, ricordandosi all’ultimo del dolore lacerante che quel dorso di mano gli aveva impresso sulla guancia. Russel rimase a capo chino sul bancone.

―Il nostro amabile vagabondo― Riprese Dawn, picchiettando sulla chioma di Cladzky con l’impugnatura dell’arma ―Pensava di avermi bello che intortato con la faccenda della consegna. Buona l’idea del favore al vecchio Cronenberg, ma quelli non erano gli unici pacchi che dovevi consegnare oggi, dico bene?

―Immagino che non vedi l’ora di spiegare nei particolari il tuo processo investigativo― Sospirò la donna.

―Ė stato molto semplice in realtà― Stavolta lo sceriffo si chinò verso Mark, giocherellando con la sua antenna ―La radio del mio cacciapattuglia non accennava ad accendersi. Fortuna che il nostro amico cibernetico, che passava a revisionare il proprio disco, è stato così disinteressato da darmi una mano per rimetterla a posto. Guarda il caso, proprio in quell’istante, sulle frequenze criptate passava un’allerta interessante.

―Venga al punto per favore― Esclamò la cassa audio di Mark, arida come un deserto, prima di ricevere un calcio che gli ammaccò anche l’altra fiancata.

―Anche tu hai il diritto di rimanere in silenzio, pezzo di latta― Lo sceriffo si sistemò il cappello, alzandoselo con la canna della pistola. Poi si diresse alle spalle del selenita, poggiandogli una mano sul casco oblungo ―Una nostra vecchia conoscenza, che tenevamo sott’occhio da tempo, era stata avvistata entrare, da una pattuglia, nella nostra contea. Nientemeno che Ken Russel, sospettato di creazione e spaccio di droga, ma sopra cui avevamo raccolto solo prove circostanziali. Almeno finora― Fece qualche passo, sino a sedersi su un tavolino. Tirò fuori un vaporizzatore e se lo cacciò in bocca, aspirando fumi al gusto di cannella ―Ci fu un pedinamento, ma niente da fare. I miei uomini lo hanno perso di vista e in un sistema grosso un centinaio di unità astronomiche è come il proverbiale ago in un pagliaio. Ma io non ho mai creduto ai proverbi e neppure alle coincidenze e se due stranieri entrano in questo buco semisconosciuto chiamato Dryriver, io non me la bevo che si tratti del caso. Era chiaro che fossero collegati in un qualche modo e infatti era così― Esalò un cerchio di fumo dal proprio vaporizzatore a forma di calumet. Chiuse un occhio, vedendo i suoi due sospettati incorniciati dalla nuvola, quasi a prendere la mira ―Nossignore, io non credo alle coincidenze, ma alla sfortuna quella sì e porco cane se vi è andata male quest’oggi. Il destino ha fatto sì che atterraste sullo stesso planetoide in cui passo la mia pausa pranzo e di certo, il nostro selenita, non aveva modo di andarsene a cercare un altro posto per lo scambio, in un sistema pieno di poliziotti sulle sue tracce e che non aveva mai esplorato, dovendo dunque limitare i propri movimenti al minimo e restare nascosto fino a che non si sarebbero calmate le acque. Vi siete proprio presi un’inculata, ragazzi miei.

―Ora basta!― Esplose Russel, alzandosi di scatto e voltandosi a fronteggiarlo, con una voce gutturale che tradiva le sue origini, il suo volto esoscheletrico e umido dal sudore perfettamente visibile, gli occhi più spenti del solito ma ben aperti e fuori dalle orbite, la bocca fremente e la lingua irsuta a penzoloni a leccare il vetro del casco. A esplodere subito dopo fu una scarica del folgoratore di Dawn. Ci fu un lampo, un ronzio e l’istante dopo, la bottiglia di latte, ancora sul bancone dal pasto di Cladzky, era esplosa a sua volta, riversando schegge di vetro e contenuto giallognolo per l’aria, insozzando il bancone, la specchiera e i presenti. Russel non  mosse un muscolo. Linaker emise un grido strozzando, afferrandosi la gola. Lee scappò verso le paratie in acciaio, spingendovisi contro e urlando per lo stress. Cladzky cadde a terra dallo spavento, abbracciando Mark.

―Ma siamo tutti impazziti oggi?― Strillò isterico il camionista. In tutta la sua vita non aveva mai assistito a una giornata così fuori dall’ordinario, meno che mai aveva mai visto un folgoratore sparare ―Ma che cazzo vi prende, dio cristo?

―Sceriffo, metta giù la pistola o...― Osò biascicare Kay Linaker con la voce rotta, prima di essere zittita.

―Silenzio!― Gridò Dawn, saltando giù dal tavolino e puntando la pistola ancora fumante prima a sinistra, verso il pilota umano disteso a terra, e poi al selenita ―Sono io che do gli ordini qui, sono io che ho la pistola, sono io la legge!― Il braccio gli fremeva. Era passato molto tempo dall’ultima volta che dovette usare il folgoratore. Il colpo era partito per un riflesso incondizionato e non aveva affatto puntato alla bottiglia. Afferrò Cladzky per il colletto della tuta, lo strappò dal suo robot a cui si teneva aggrappato come avesse mai potuto proteggerlo e lo buttò sopra il suo sgabello dal quale era caduto. Subito dopo, la canna ancora calda di un folgoratore, gli venne spinta in fronte con violenza, quasi a trapassargli il cranio. Si congelò, balbettando ―Siediti e non ti muovere. E lo stesso vale per l'altro sacco di merda.

―Sceriffo― Continuò inamovibile Russel, fissandogli addosso lo schermo oscurato del suo casco sopra cui si riflettevano le luci piantato nel cartongesso sul controsoffitto. Pareva una pozza di petrolio luccicante ―La mia riserva di idrogeno si sta esaurendo, il riscaldamento elettrico della mia tuta è scarico e in questo locale fa un caldo micidiale. Quindi mi dispiace interrompere il suo monologo da investigatore dei miei coglioni, ma la prego di tagliare corto e lasciarmi andare.

―Non avere fretta adesso, abbiamo quasi finito― Dawn si passò la punta dell’arma sui baffi. Dopodiché la picchiettò sopra la carrozzeria di Mark ―Quando ho messo due e due insieme mi è bastato farmi dare ancora una mano dal nostro Zero per  triangolare la vostra posizione. Di un robot ci si può sempre fidare.

―Mark...― Mormorò Cladzky, abbassando lo sguardo al suo computer di bordo ―Perché?

―Perché mi ha puntato una pistola contro e credo che tu sappia bene cosa si provi in una situazione simile― Il fastidio della macchina era palpabile nella sua voce ―Per la legge di questo sistema, uccidere un robot, non è un reato penale e per la legge dei robot io sono autorizzato a difendere la mia esistenza.

―Potevi avvertirci via radio― Piagnucolò, abbassando la voce, mentre la pistola tornava a premergli sulla tempia, imponendogli il silenzio ―Avremmo escogitato qualcosa...

―E così sareste scappati, lasciandomi solo con questo bounty killer, bella roba. Non sono stato io ad accettare questa consegna quindi accettane anche le conseguenze.

Delle luci sciamarono nella notte e due oggetti posarono la loro massa ferrigna sul parcheggio. Voltandosi, i presenti videro, oltre la vetrata, un altro cacciapattuglia toccare terra davanti a un’aviobotte dorata, con a scritto, a caratteri cubitali sulla fiancata curva del cilindro che trasportava, “Cronenberg”. Non era difficile capire di chi si trattasse.

―Il tuo olio è arrivato, robottino― Rise amaramente Linaker.

―Dev’essere la mia giornata fortunata.

 

***

Beware of the blob, it creeps

And leaps and glides and slides

Across the floor

Right through the door

And all around the wall

A splotch, a blotch

Be careful of the blob

    Il signor Cronenebrg canticchiò per tutto il tempo che indossò la tuta dorata per scendere e continuò allegro anche quando mise piede giù dalla scaletta. Si vide venire incontro, cordiale come sempre, il giovane vicesceriffo. Ormai conoscevano la propria frequenza a memoria.

    ―Buongiorno!

    ―Buonasera vorrete dire― Lo corresse l’altro, saltando giù dalla propria pattuglia e indicando il cielo stellato, invaso dalla nebulosa rossa.

    ―In un planetoide che fa una rotazione ogni venti minuti penso non conti gnanché. Dite che ci fate qui?

    ―Lo sceriffo dice di aver messo le mani su un pericoloso criminale.

    ―Davvero?― Saltò letteralmente dalla sorpresa il benzinaio, ricadendo a terra come una foglia ―Che bella notizia.

―Peccato che la cronaca nera possa invadere anche la nostra contea.

―Oh, sciocchezze. Quando si invecchia vedi le cose con più distacco e capirai che il peggior nemico dell’uomo è la noia― Ma Dave non era al suo fianco. Si era fermato a raccogliere qualcosa dal retro di un disco giallo, parcheggiato accanto l’aviobotte di Lee ―E ora che fate?

―Lo sceriffo mi ha dato la direttiva di prelevare qualcosa da questo mezzo.

―Demonio cane, ma io lo conosco quel mezzo!

 

***

 

Quando si aprirono le paratie, Anthony Lee, si spostò per fare spazio ai nuovi arrivati. Dalla camera stagna uscirono due individui. Il primo era Cronenberg, che portò in scena la sua stazza ben piantata di ben un metro e cinquanta, racchiusa in una salopette di jeans e coronata da un cappello con visiera che gli nascondeva un pelo matto in cima la testa. Alle sue spalle c’era il vice sceriffo, a giudicare dall’uniforme khaki che si era premurato di indossare, a differenza del suo superiore.

―Buongiorno a tutti― Salutò con un mezzo inchino e abbozzando un sorriso quest’ultimo. Lo perse quasi subito quando lesse meglio la stanza, passandosi una mano sulla chioma rossa e giù fino al mento appena sbarbato. Cercò di assumere un’espressione seria, poggiando le mani sul cinturone e schiena al muro.

―Alla buon’ora, Dave― Esclamò Dawn, senza guardare il collega, continuando a puntare l’arma e a rigirarsi la saliva in bocca.

―Dio mi fulmini, ma qua abbiamo mezza contea― Gridò Cronenberg, poggiando la tuta che si era rimosso prima di entrare ad un gancio. Prese a contare i presenti uno per uno. Arrivò poi il turno del pilota castano, che salutò con una bella strizzata di guance ―Cladzky, sono contento che ti sia fermato un po’ dalle nostre parti!

―Non posso dire lo stesso― Soffiò il ragazzo.

―A te invece non t’ho mai visto prima― Si perplesse il benzinaio, fissando il selenita e levandosi il cappello per salutare e al contempo grattarsi il capo confuso. L’altro si limitò a fissarlo con il suo viso sbiancato ―Vi conoscete voi due?

―Già, muso lungo― Digrignò i denti Dawn ―Tocca a voi, ora, spiegare come stanno le cose― Per la prima volta si voltò verso il vice sceriffo, senza voltare però la pistola ―Hai prelevato quello che ti ho chiesto?

―Sì, signor Dawn― Replicò l’altro, mordendosi la lingua subito dopo e chinando il capo a guardare gli stivali del superiore ―Volevo dire, sceriffo Dawn.

Il vice non doveva raggiungere i trent’anni, ma le rughe, frutto di tensione sulla fronte e guance, lo facevano apparire ben più scavato dal tempo. Si rannicchiò per togliersi il pesante zaino che teneva agganciato alla tuta spaziale e lo poggiò sul pavimento piastrellato di bianco e nero. Maneggiò il lucchetto a fatica a causa dell’impaccio dei guanti. Li tolse e si rimise al lavoro. Apertolo vi infilò le mani dentro, sotto gli occhi curiosi di tutti. Aveva quasi paura a tirarlo fuori. Infine lo estrasse lentamente, rivelando, centimetro per centimetro di lunghezza, un contenitore cilindrico color manganese. Lettera per lettera sbucò la stampa nera “mantenere congelato”.

―No!― Gridarono Cladzky e Russel all’unisono, invitando l’indice di chi li teneva sotto mira a stringere appena di più il grilletto. L’uomo si mise le mani alla bocca, pietrificato e con due occhi iniettati di sangue. Il selenita non si scompose, facendo un passo verso il giovane dai capelli rossi e mostrandogli da vicino il proprio schermo nero come inchiostro.

―Torna al tuo posto― Dawn cominciava a perdere la pazienza con questa insubordinazione. Puntare la pistola stava perdendo efficacia con quello straniero. Doveva ricorrere a misure più efficaci per farsi ascoltare.

―Quel contenitore deve rimanere a una temperatura sotto lo zero― Ogni parola di Russel usciva più veloce della precedente. Era un miracolo che non gli si sciogliesse la lingua ―Non deve essere scongelato, è pericoloso!

Il vice alzò una mano per intimargli di stare indietro, per si sentiva investito di ben poca autorità inginocchiato com’era. A investire il viso di Russel fu invece il calcio della pistola di Dawn, dritto sul vetro. Fu rispedito indietro, dritto sul proprio sgabello. Lo schermo nero era diventato una ragnatela.

―Ti ho detto di stare al tuo posto, figlio di puttana!― Dawn stava ruggendo. Cladzky si pose davanti al compagno stordito, troppo impaurito per dire una parola. Lo sceriffo alzò le sopracciglia un momento, per poi abbassarle più di prima, coprendo gli occhi con la loro ombra ―Togliti dai piedi se non vuoi raccogliere i denti dal pavimento.

―Comincio a sentirmi di troppo― Ponderò Cronenberg, dando una gomitata a Lee.

―Non dirlo a me― Replicò il il camionista al benzinaio, scuotendo la testa. Dopodiché si frugò in tasca e pose un mucchio di soldi a casaccio sul bancone. Prese a infilarsi la sua tuta ―Pago io per il pranzo del ragazzo. Io me ne vado, ne ho abbastanza di questa roba. Buona giornata a tutti.

―Ehi, ma dove vai?― Lo inseguì il gestore della stazione di rifornimento ―Guarda che lo spettacolo è appena cominciato.

―Dave― Strillò paonazzo lo sceriffo, con le mani che gli sudavano da quanto stringeva il folgoratore ―Levami questo pazzo da davanti prima che gli spari.

―Non osi sparare un altro colpo nel mio maledetto locale― Gridò Kay Linaker, senza essere ascoltata da nessuno. Poi abbassò gli occhi.

―L’idrogeno...― Singhiozzò Russel, reclinato con la schiena sul bancone, portandosi le mani alla gola, tossendo, boccheggiando e sbavando. Il soffocamento era giunto a un livello tale che non poteva più nasconderlo e stava perdendo conoscenza sotto gli occhi della donna. Il basico istinto di empatia le fece vagare il cervello impazzito alla ricerca di una soluzione. Dove diavolo poteva trovare dell’idrogeno? Eppure la sostanza più abbondante nell’universo, era ovunque, era aricsicura di averlo usato giusto oggi. La griglia alle sue spalle funzionava a gas e il tubo di gomma che la riforniva partiva giusto da una bombola di un arancione appariscente, in acciaio inossidabile, fissata sotto lo strumento. “Infiammabile, esplosivo” dicevano gli adesivi, ma anche “Idrogeno”.

―Dave!― Chiamò ancora lo sceriffo, folgoratore all’altezza del naso del ragazzo castano. Il vice appoggiò il pesante contenitore su uno dei tavolini, si tirò su le maniche e si diede da fare.

―Ecco, ora se le danno― Strinse i pugni eccitato il signor Cronenberg, sventolando il cappello come stesse per assistere a un rodeo. Anthony Lee alzò un momento lo sguardo, solo per riprendere a mettersi la tuta di tutta fretta. Il vicesceriffo Dave Hanson fu rapido. Subito si portò al fianco sinistro di Cladzky, lo avviluppò in una presa da orso intorno la cintola, costringendogli le braccia ai fianchi, e lo sollevò, scalciante, via verso un paio di sgabelli più in là. Cronenberg scosse la testa deluso.

―Non rendere la cosa più difficile del dovuto― Lo pregò l’ufficiale dai capelli rossi.

―Sta soffocando― Seguiva a strepitare Cladzky, divincolandosi ―Bisogna riportarlo alla sua nave!

―Dave, fallo tacere e torna qui― Tuonò la voce di Dawn. Il rosso sbuffò,lo costrinse a sedere per terra e gli bloccò il polso nel primo cerchio di un paio di manette. Il secondo finì invece attorno a una gamba di uno dei tavoli ben inchiodati nel pavimento. Portata questa pacificazione tutt’altro che pacifica, il vicesceriffo tornò da chi lo aveva chiamato, asciugandosi la fronte, mentre Cladzky fu lasciato a contemplarsi il polso destro, coperto ancora dal materiale gommoso della tuta bianca, stretto sotto quel pesante pezzo metallico. Dave fu subito accanto il proprio superiore. La sua voce era ora più fredda e dal tono abbassato ―Questo insetto dalle gambe storte rischia di morire prima che possa dirci tutto quello che ci serve. Te la senti di fare una corsa fino alla vecchia miniera e recuperare delle riserve di idrogeno dalla sua nave?

―Buona notte, questo è già svenuto― La voce gli tremava ―Non farò mai in tempo.

―Lee!― Gridò la voce di Kay Linaker. La testa bionda sbucò da dietro il bancone, dov’era accovacciata. Il camionista si voltò confuso, indicandosi con il pollice  al petto. La donna annuì ―Sì, proprio tu, vieni a darmi una mano, che questo affare pesa.

Goffamente l’uomo si portò da lei, scavalcando, con poca grazia, il ripiano in legno. Vide la donna chinata, intenta a cercare di staccare una bombola arancione dal muro, fissata da da due morsette d’alluminio. Con una chiave inglese in mano, Kay cercava di disincastrare i bulloni che li reggevano, con pochi risultati a causa di un incrostazione.

―Che aspetti? Aiutami a liberarla!

Un’altra esortazione e Lee scosse la testa come a svegliarsi. Si tolse gli occhiali, si sfregò le mani e si chinò sotto la griglia. Kay gli porse la chiave inglese, ma rifiutò con garbo. Afferrò con una mano la testa e con l’altra il fondo della bombola, tirò, strinse i denti, espose le vene del collo e infine venne via, facendo saltare i fascetti metallici, bulloni e intonaco. Con il fiatone, la poggiò sopra il ripiano, attirando con quel fracasso gli occhi di tutto il locale.

―Ma che diavolo combinate anche voi?― Sbraitò Dawn, disgustato da questo pandemonio.

―Porco Asimov, ci mancava che impazzissero anche loro― Fu il tono sconsolato di Mark Zero,, che scosse il braccio quasi fosse la sua testa. Si era portato coi suoi cingoli accanto a Cladzky, che si era messo a gambe incrociate a mordersi le dita sul pavimento ―Questa è una gabbia di matti.

―Sceriffo― Richiamò l’attenzione la gestore del locale, dando uno schiaffo al pezzo d’acciaio e sollevando il tubo di gomma collegato la cima ―Ecco l’idrogeno.

―Voi siete un angelo― Brillarono gli occhi al vice, che reggeva intanto la testa al selenita perché non la buttasse indietro e annegasse nella propria bava.

―Siamo sicuri che sia l’isotopo giusto?― Si fece dubbioso Vincent Dawn, pistola nella fondina e testa inclinata, dato ogni pericolo neutralizzato.

―Non è tempo per queste domande, uno varrà l’altro ormai!― Sbattè i piedi per terra Cladzky, inavvertitamente dando uno schiaffo al braccio articolato di Mark da quando roteava la mano ―Almeno provateci a salvarlo, sta morendo!

―Una parola― Esclamò la donna, armeggiando con il tubo di gomma in mano e ispezionando la tuta di Russel, protendendosi dal bancone ―Un’armatura come questa non l’ho mai vista. Dove diavolo si infila per ricaricarla?

―Prego, modestamente mi intendo di rifornimenti― Rise Cronenberg, chiudendo gli occhi e gesticolando di abbassare i toni ai presenti. Si approcciò all’individuo svenuto, gli afferrò il collo, lo piegò verso il basso e indicò con il palmo aperto una strana apparecchiatura al centro delle scapole, simile ad un ragno che chiudeva le sue zampe in fibra di carbonio lungo il petto del selenita e poggiando il proprio capo sulla schiena. Respirava quasi fosse una cosa viva, ma lentamente ―Un tipico bocchettone di come li fanno su Selene. Certo, se solo avessi una brugola del 12 per aprirla…

―Non dica altro― Esclamò cordiale Mark Zero, scivolato fra le gambe dei presenti e alzando giust’appunto l’attrezzo richiesto. Senza farsi domande Cronenberg lo accettò, girandosi il cappello al contrario per mettersi al lavoro. Sfilò il coperchio ermetico e immediatamente assicurò sopra l’apertura il tubo della bombola, voltandone la valvola ―E ora speriamo bene.

 

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Capitolo 4
*** All hell's breakin' loose ***


Trascorse qualche minuto di silenzio. Lo sceriffo Vincent Dawn si schiarì la gola, consumata a forza di gridare. Dave Hanson, chinato sul corpo, controllava se il viso di Russel avesse delle reazioni. Anthony Lee augurò a tutti una buona serata e decise di lasciare il locale una volta per tutte, partendo poco dopo con il suo aviobotte refrigerato. Kay Linaker e il signor Cronenberg trasportarono sul retro il carburante per il gruppo elettrogeno del locale, contrattando nel frattempo sul prezzo costantemente in mutamento del kerosene. Mark Zero, intanto, si era approcciato di nuovo a Cladzky, non proprio vivace per la sua situazione ma comunque sollevato dal non aver visto il proprio cliente morirgli di fronte.

―Ehi― Cinguettò a bassa voce l’unità mobile del computer di bordo ―La Guida Galattica afferma che lo strumento indispensabile per togliersi d’ogni impiccio sia un asciugamano.

―Oh, peccato che abbia lasciato il mio a bordo― Replicò con una smorfia scema il pilota ―Altrimenti saremmo già fuori di qui immagino.

―beh, io sono sempre stato in disaccordo con il signor Adams― Mark reclinò il braccio, aprì un compartimento dalla sua schiena e tirò fuori un oggetto familiare ―Credo che una lancia termica possa fare più al caso nostro.

―Ma da dove…?

―La nostra cassetta degli attrezzi. È un vantaggio che si fidino tanto di un robot da non perquisirlo.

―Si sta riprendo― Sorrise Dave. Appena in tempo, sbucarono anche Linaker e Cronenberg dal retro. Russel si moose lentamente, ma riuscì a rimettersi seduto composto. Cladzky poté trattenere a stento l’eccitazione.

―Buono― Lo ammonì Mark sottovoce e da sotto il tavolo, con la torcia coronata di fiamme azzurrine ―Vuoi forse che ti fonda il braccio?

―Bentornato nel mondo dei vivi, Ken Russel― Gonfiò il petto lo sceriffo.

―Mi sveglio da un incubo per trovarmi davanti la tua faccia― Abbozzò un espressione sardonica l’interessato, strascicando le parole ―Qualcuno mi rimetta letto.

―Appena sveglio e già bello pimpante vedo. Avrei dovuto lasciarti annegare nel tuo vomito, ma ho bisogno di risposte: Spero saprai dirmi cosa diavolo vi stavate trasportando tu e il tuo amico.

―Ve la prendete con me solo perché sono un selenita― Il tono si fece serio, ma sempre mezzo addormentato ―Perché non interrogate il mio collega?

Gli occhi si puntarono su Cladzky, all’altro angolo del locale, seduto sotto un tavolino, testa appoggiata sul sedile di un divanetto in pelle. Lui si gelò sul colpo, mentre Mark era già fermo, torcia ben nascosta. Dawn si leccò i baffi.

―Perché è un mentecatto― Fu la risposta annoiata dello sceriffo ―Il robottino ne sa più di lui e abbiamo avuto una bella discussione prima di arrestarvi.

―E un robot dice sempre il vero― Confermò Mark, per poi voltare il proprio apparato visivo verso il volto del ragazzo castano ―Inteso, mentecatto?

―Ma piantala― Replicò quest’ultimo.

―E così è saltato fuori che ha accettato alla cieca― Continuò lo sceriffo ―Senza sapere nulla sulla sostanza che stava trasportando nel bagagliaio fino ai confini dell’universo, se non con una sola condizione: Non lasciarla scongelare.

―Proprio così― Sollevò una mano Russel, come per afferrare il contenitore poggiato a qualche metro da sé, su un tavolo ―Non va scongelato per nessuna ragione. Mettelo in un frigo o nel compartimento da dove l’avete preso.

―Altrimenti ti si rovina la merce, non è vero? Cosa sono, cristalli d’Urano forse? Ho sentito che sono una materia prima molto buona da lavorare per produrre allucinogeni di questi tempi, con il solo difetto che sublimano a temperature sopra lo zero.

―No, nulla di tutto questo― Scosse il capo l’interrogato.

―E allora illuminaci Russel, artigiano degli psicotropi; cosa ti premeva di acquistare da questo stoccafisso vestito da gelataio?

―È un...― Esitò, leccandosi le labbra secche ―Un solvente.

―Un’aggiunta alla tua collezione da piccolo chimico.

―Acido o basico?― Chiese interessato il signor Cronenberg, avvicinandosi e inforcando degli occhiali da vista. Prima che Dawn potesse zittirlo giunse una risposta.

―Non è una singola sostanza. No, è molto più complessa delle molecole. Sono cellule, cellule che interagiscono fra di loro, legano assieme, formano un tessuto, la massa di un corpo vivo. Che poi essa contenga acido, questo sì, un acido molto corrosivo per la materia organica, posso confermarlo. Un acido che stipa nel suo corpo ma che trasuda dalla sua pelle gelatinosa, luccicante… completamente nera.

―Quindi ti sei trovato un grazioso animaletto da compagnia e direi che ti si addice― Affermò Dawn, carezzando la capsula ―Non temere, è composta di un isolante termico. Ci vorrà ancora un po’ perché sbrini. Certo, è curioso che qualcuno metta in frigo il proprio cucciolo.

―È il metodo più sicuro per tenerlo sotto controllo. Congelato, ogni suo processo si arresta e le cellule non possono legarsi insieme, divenendo cristalli.

―Non rischia di morire?

―Dorme― Bisbigliò Russel, accasciandosi lui stesso. Dovette sorreggerlo Dave perché non cadesse ―E appena finirà il suo letargo riprenderà ad avere fame.

―E che mangia di bello?

―Ogni cosa che può digerire― Sospirò ―E mangiando trasforma il cibo in parti di sè, aumentando la sua massa, seppure ovviamente parte del materiale viene dissipato in calore. La sua digestione è talmente rapida e dunque il lavoro così grande, che produce temperature molto elevate.

―Beh, è necessario che ogni bambino mangi tanto e cresca forte― Rise la Linaker, mano sulle labbra.

―Ma questo campione non smetterà mai di crescere, né di avere fame.

―Campione?― Chiese esterefatto Dave Hanson, allontanandosi dal selenita e togliendosi il berretto per stringerlo nella mano ―Vuol dire che ce ne sono altri?

―Questo non lo so. Forse è l’unico rimasto o forse è solo l’unico che sono riusciti a trovare. Dite, voi avrete sentito degli esperimenti che hanno effettuato nella luna esterna di Selene?

Tutti gli abitanti della contea scossero la testa, ad eccezione di Dave.

―Vuoi dire―Disse il rosso, indicando il contenitore ―Che questo è il risultato?

―No, tutt’altro. È la dimostrazione che hanno fallito. Tutto quell’arsenale atomico detonato in orbita aveva un solo scopo: La completa disintegrazione di qualunque forma di vita da cui si è staccato questo pezzo così minuto. Non è frutto dell’uomo e della sua scienza, è qualcos’altro di estraneo alla nostra comprensione.

―Fischia― Squillò sorpreso Croneneberg, strabuzzando gli occhi, mani in tasca nella salopette di jeans ―E quell’affare sarebbe sopravvissuto alle armi nucleari?

―Termonucleari― Precisò ―Ordigni a fusione dell’idrogeno. Dozzine di ordigni non inferiori al centinaio di megatoni.

―Maledizione― Saltò giù dal tavolo dal quale era seduto Dawn, a pochi passi dal contenitore, allontanandosi. Gli altri fecero lo stesso ―E tu volevi portarti a casa quell’ammasso di radiazioni?

―Ogni sua contaminazione è sparita― Li rassicurò Russel, mani sulle ginocchia ―Dopo il bombardamento ordinato dal governo del mio pianeta contro la massa, quel pezzo infernale ha continuato a vagare nel vuoto della nostra orbita, prima di essere raccolto. Studiandolo con attenzione si è rivelato che ogni sua componente si era come rinnovata, uccidendo le cellule infette e risanando i tessuti danneggiati.

―Raccolto hai detto― Si mostrò dubbioso Dawn ―Perché il tuo governo avrebbe dovuto recuperare qualcosa che aveva tentato di distruggere?

―E perché voleva distruggerlo, soprattutto?― S’intromise Dave.

―Una domanda per volta, pelle molla― Rise Russel, mettendosi a gambe incrociate sullo sgabello e iniziando un discorso convinto ―Il mio governo non sa ancora che questo rimasuglio esiste, anzi, è convinto di averlo distrutto una volta per tutte. Un sollievo, perché si dice che sia stata quella massa, nera come la morte, ad aver distrutto il sistema di Poseidon.

―Poseidon― Rifletté Linaker, poi schioccò le dita ―Mi arrivava della merce da quel posto, ma da un po ‘di tempo avevano imposto la legge marziale e chiusi i rapporti con l’esterno.

Anche Cladzky se ne ricordava. Quell’aperitivo che gli aveva servito la signora all’entrata era dunque l’ultimo manufatto di una civiltà scomparsa? Ingoiò la propria saliva.

―Certo― Confermò Russel ―Gli indigeni di Poseidon erano un popolo orgoglioso e non gli sarebbe piaciuto informare i propri vicini della crisi che stavano attraversando. I profughi che sono riusciti a scappare dal sistema non parlano di ciò che è successo, ma qualcosa ha sopraffatto la loro civiltà guerriera millenaria. Qualcosa che ha poi tentato di uccidere la mia amata Selene.

―E tu vorresti farmi credere che dentro questo barattolo del tonno ci sta qualcosa capace di distruggere interi pianeti― Alzò le mani, esasperato, Dawn, dando poi un pugno sulla cima del cilindro.

―Se non vuoi credere alle mie parole sei libero di aprirlo e guardarci dentro― Il viso di Russel fece una smorfia, assottigliando gli occhi composti, fremendo le piccole antenne e mostrando la bocca priva di denti ma di solido esoscheletro ―E sai che cosa vedrai? Una massa nera come il buio che dorme un sonno indisturbato. Tanti piccoli cristalli in attesa di scongelarsi e fare qui lo stesso che hanno fatto a Poseidon e Fleed. Anche il piccolo sistema di Dryriver sarà ricoperto da quella massa informe e insaziabile se non vi apprestate a metterlo in un luogo a temperature glaciali, maledetti idioti.

Dawn esitò,grattandosi la gola, incapace di parlare per qualche minuto. Dave si rese conto di aver inutilmente stropicciato il berretto e procedette a rimetterlo a posto. Cronenberg aveva negli occhi una scintilla di fascinazione.

―Dimmi di più― Esclamò il benzinaio, aggiustandosi gli occhiali e con un sorriso che gli dipanava le rughe come tende ―E questo cataclisma vivente chi mai si è preso la briga di raccorglielo?

―Dei commercianti lo hanno ritrovato per caso durante uno dei loro viaggi― Giunse la voce flebile di Cladzky ―C’è stata un’asta e il mio compagno è riuscito ad assicurarsi il pezzo, ma non si è presentato di persona. Ha mandato me a contrattare, a sue spese, per poi recapitarglielo quaggiù.

―Un’asta clandestina immagino― Ragionò Dawn ―Ma perché mandare un allocco come te?

―Diciamo che non sono il benvenuto nei traffici del mio pianeta― Rise Russel ―Ecco perché viaggio in continuazione.

―Tutti i nodi stanno venendo al pettine infine― Si lisciò i baffi Vincent Dawn ―Per te è finita Ken Russel. Forza Dave, portali entrambi in macchina. Ci tocca stilare il verbale al dipartimento.

―Un momento sceriffo― Esclamò il selenita, scacciando la mano del vice come una mosca fastidiosa ―Di quale reato avete intenzione di incriminarmi?

―Prima ci spieghi tutto e poi pretendi che ti ripetiamo quanto detto? Cos’è, una verifica a sorpresa?― L’uomo si calmò, si mise a posto i vestiti da civile, il cinturone sotto la giacca e infine espresse un viso affabile, contando con le dita ―Hai confessato di aver partecipato a una compravendita clandestina, anche se a fare le tue veci è stato il tuo piccolo contrabbandiere lì in fondo.

―Che l’asta fosse clandestina non l’ho mai detto.

―Ci vuoi far credere che c’è stato un regolare contratto e fatturazione? Che hai anche pagato le dovute imposte? Che il ricettatore aveva una licenza?

―Licenze, imposte, contratti, fatture… Nulla di tutto ciò, solo una stretta di mano da parte del mio collega e trentaduemila rubli in meno nel mio portafogli.

―Riciclaggio di denaro sporco guadagnato con il tuo spaccio immagino.

―Parole tue, non mie.

―Ma le tue bastano e avanzano. Hai detto di aver acquistato questa… cosa, che da come hai descritto non è mai stata studiata prima d’ora e dunque non regolamentata per essere venduta sul mercato, oltretutto spostando una quantità di denaro non dichiarata ben oltre il limite consentito.

―Come siete egocentrici― Russel si toccò la tempia ―Nel vero senso della parola. Il pianeta di Selene avrà anche firmato gli accordi per la legge universale a cui anche il vostro sistema ubbidisce, ma l’asta si è tenuta sul pianeta privato di Larry Hagman, nel sistema di Delta Serpentis, che come saprete non vi ha aderito.

―Il fondatore?― Fu la reazione incredula di Linaker ―Che c'entra con questa maledetta storia?

―Di che vi stupite? È tutto alla luce del sole: Aste, prostituzione, ricettazione, spaccio, tutto esce dalla sua villa. Fare solo l’industriale del sale non gli andava a genio. Un uomo necessita di accomodare i propri vizi.

―Ci manca solo che infanghi il suo nome, maledetto― Sbraitò Dawn, stringendo i pugni, ma volendo stringergli il collo.

―Sceriffo― Si espresse a voce franca Dave ―Avevamo già sospetti sul conto del signor Hagman. Lei stesso diceva che era un individuo… “eccentrico”.

―Certo, ma si tratta sempre del fondatore di Dryriver, una figura storica del nostro sistema. E non lascerò che sia proprio un muso lungo come lui a parlarne male. Tu non potresti capire ragazzo, non c’eri quando venne fondata la contea― Finita la ramanzina con tanto di dito al cielo, Dawn, si girò nuovamente verso il selenita, ma fu Dave a parlare.

―A sentirvi, signor Russel, si direbbe che non avete fatto nulla di male.

―Certo, perché voi state agendo al di fuori della vostra giurisdizione, signor Dave― Fu la risposta pacata del selenita.

―E per quanto riguarda il trasporto?― Si approcciò a Cladzky, che lo fissò confuso. Dave non restituì lo sguardo, ma si limitò a indicarlo a gesti ―Quattromilacinqucento rubli per la consegna del campione.

―Nessuno fa regali a questo mondo― Sintetizzò con indifferenza Mark, girandogli attorno le gambe.

―Certo, ma avete la licenza per trasportare del materiale così pericoloso? Una bolla di accompagnamento?

―Licenze, bolli, non fatemi ridere― Proferì Cladzky, con un volto di sicumera ―Non esiste burocrazia per qualcosa del genere. È una forma di vita mai studiata prima.

―Ma...― Dave si fece aria con il cappello ―Quella… quella cosa è corrosiva. Non puoi portartela in giro senza…

―Ecco a lei singor Dave Hanson― Fu dura per Cladzky non sorridere quando tirò fuori di tasca della carta stampata. Li tenne in aria, offrendoli al rosso ―Vuole una licenza? Eccola: Il mio mezzo è idoneo al trasporto di esplosivi e sostanze chimiche.

―Se vuole anche patente e libretto basta chiedere― Addizionò Mark, estraendo i succitati documenti da un suo scompartimento.

―Rimane comunque la faccenda del pagamento in nero― Obiettò ancora il vice, drizzando la schiena e alzando la voce ―Quattromilacinquecento rubli di compenso per il trasporto vanno dichiarati.

―Ma questo è uno scandalo― L’unità mobile si spinse verso Dawn, che guardò allibito quel basso corpo cingolato venirgli incontro ―Signor sceriffo, mi stupisco di lei. Adesso arrestate onesti cittadini prima ancora che essi commettano un reato?

―Ma che vai vanverando, pezzo di latta?― Sbraitò l’uomo. Prima un selenita, e adesso un robot, stavano mettendo in dubbio la sua autorità ―Tu non sei ammesso come testimone, ma come prova, quindi non ti permetto di intrometterti in questo arresto.

―Ma se è stata la sua lingua lunga a farci arrestare― Stavolta, Cladzky rise apertamente ―Lo avete ascoltato fino adesso e ora gli negate di deporre quando vi viene comodo?

―E se volete un testimone― Anche Russel si attaccò al discorso. Gli occhi dei due tutori della legge vagavano da un capo all’altro della stanza ormai, dipendentemente da chi degli arrestati stava parlando. Linaker aveva rinunciato a capirci qualcosa e si era messa a pulire la cappa d’aspirazione sul retro. Cronenberg si stava quasi a scompisciare ―Posso assicurarvi che nessun pagamento è stato ancora effettuato, sia esso nero o bianco. Certo, l’ipotesi di retribuire il mio collega con quattromilacinquecento rubli sembrava allettante. Ma dato che vi siete premurati di farmi notare quanto questo costituisca un illecito credo proprio che ho cambiato idea.

―Mi spiace Cladzky, non vedrai il becco d’un quattrino― Fischiettò Mark, prima di ricevere una sberla sulla sommità da parte del imbronciato pilota in bianco. Dave era sbigottito, con un’espressione persa. Dawn fumava, ma non più con il nebulizzatore, bensì di rabbia.

―Avete comunque messo piede in una proprietà privata― Gridò disperato ―Avete messo piede nella vecchia miniera del signor Hagman.

―Portateci pure in dipartimento, mettete tutto nero su bianco, sarò ben lieto di deporre a vostro piacere, passare una notte in cella e lasciarvi come ricordo una foto segnaletica firmata. Uscirò su cauzione e ci saluteremo calorosamente. Ovviamente ci vedremo in tribunale fra qualche mese, se mai la procura avrà voglia di perseguirmi per essere entrato in un terreno completamente abbandonato. Non temete, non mi verrebbe mai la voglia di abbandonare la contea nell’attesa e far cadere tutto in prescrizione, sono un onesto cittadino io.

La faccia di Vincent Dawn doveva essere vista per capire il furore che ne scaturiva. Il sangue gli saliva alla testa, i denti gli digrignavano e le dita gli si contorcevano. Ci mancava solo che gli uscisse il fumo dalle orecchie. Dave si calò il berretto sugli occhi per non dare spettacolo e mise una mano sulla schiena del suo superiore. Un fragoroso sghignazzo provenenne dalla bocca ingiallita di Cronenberg. Si sbatteva il cappello a visiera sul ginocchio e mulinava in aria l’altra mano.

―Non c’è niente da fare― Proseguiva, senza contegno ―Vi hanno proprio inculato.

―Che ne direste di lasciarci andare ora?― Reclamò Cladzky.

―Credo ci convenga...― Ma la supplica di Dave venne tagliata dalla risposta di Dawn.

―Non ne vale la pena di avervi ancora fra i piedi― Proclamò lo sceriffo, allargando le braccia con fare misericordioso. Dopodiché si voltò verso il contenitore e vi si poggiò sopra con il gomito, chiando il cappello con fare provocatoriamente gentile a Ken Russel ―Sarete liberi di andare ma requisiremo questo campione.

―Che cosa?― La domanda uscì dalle labbra e casse audio dei tre indiziati con legittima sorpresa.

―Lo sceriffo ha ragione― Dave era egualmente sorpreso dalla risoluzione che aveva appena inziato a comprendere ed elaborava man mano parlasse ―Dopotutto si tratta di una creatura mai studiata ed è più che legittimo ch’essa venga sequestrata e mandata a dei laboratori competenti per farla analizzare. Non possiamo permettere che un cittadino qualunque vaghi in giro con un reperto tanto pericoloso e unico.

―Farà prima un salto alla nostra scientifica― Continuò Dawn ―E poi, diffusasi la notizia del ritrovamento, è probabile che i laboratori di tutto il paese richiedano di studiarla. E se davvero è la responsabile dello spegnimento di Poseidon e Fleed il governo terrestre difficilmente renderà accessibile il suo commercio al pubblico. Anzi, per le pressioni del governo selenita, potrebbero giungere alla stessa conclusione di nuclearizzare anche questo frammento.

―Complimenti ragazzi, avete reso un gran servigio alla scienza.

Nessuna bocca osò replicare per qualche secondo. Russel s’immobilizzò, il volto invisibile dietro il vetro incrinato e oscuro. Cladzky aveva gli occhi spenti e non stringeva neppure i pugni, limitandosi a lasciarsi scivolare per terra, quasi sdraiato sulle fredde piastrelle. Mark ebbe dei movimenti meccanici ai suoi arti, come dei piccoli spasmi di collera. I due tutori della legge si diedero il cinque. Scattò qualcosa nella mente così solitamente fredda di Russel. Il suo sistema respiratorio non lavorava come doveva. Convinti di averlo salvato, Linaker, Lee e Croneneberg avevano inserito puro idrogeno nelle riserve pressurizzate della tuta, inconsci che, come un essere umano non respira puro ossigeno, così, al selenita, mancavano le altre sostanze necessarie perché il suo cervello, alla lunga, potesse continuare a ragionare lucidamente.

―Non ci credo― Rimase sconcertato il benzinaio, stringendosi il viso fra due mani, godendosi questo spettacolo in continuo ribaltamento. Questa serata non se la sarebbe mai scordata ―Che colpo di scena ragazzi.

―Ho portato un insaccato fino in culo all’universo solo per farmi prendere a calci gratis― Borbottò Mark, passandosi il braccio sulle fiancate. Poi puntò il visore su Cladzky, egualmente deluso ―Al ritorno guidi tu.

Cominciò. Russel puntellò le mani sul bancone alle sue spalle, si sollevò e come una molla protese le gambe in avanti, proiettandosi, atterrando con le suole sul petto dello sceriffo Dawn. Ci fu un istante di confusione nei suoi occhi, prima di chiuderli e venire spinto indietro, finendo oltre il tavolino sul quale si poggiava e precipitando a terra dall’altro capo del mobile, raggomitolato e dolorante, con una fitta che si propagava sullo sterno, quasi dovesse schiacciargli il cuore. Dave fu colto egualmente di sorpresa e si trasse indietro, sbiancando. Una vera colluttazione non l’aveva mai avuta in tutta la sua carriera. Ricordò allora le basi dell’accademia sul placcaggio e si portò avanti con un balzo. La figura del selenita non si trovava però più alla stessa altezza, si era come messa in una difesa da pugilato, chinandosi in avanti. Il rosso strinse l’aria sopra il casco bianco di Russel, mentre quest’ultimo gli cinse le braccia intorno le coscie. Incapace di cambiare la propria direzione una volta in aria, Dave scivolò sopra la schiena dell’avversario e, presto, si ritrovò la propria spinta adoperata contro di sé quando il figlio di Selene flettè i muscoli e si rimise dritto, trabuccandolo alle sue spalle e spingendo con le proprie braccia. Il mondo si trasformò in acquazzone di acrilico per il ragazzo, prima di atterrare giusto sulle scapole, evitando all’ultimo di rompersi il collo. Per Russel, invece, il mondo era impazzito di violenza e non sentiva altro modo per rispondere.

―Orcaloca!― Croneneberg fece spazio perché la sua presenza non turbasse la lotta che si era scatenata e prese a fischiare per incitarli a proseguire ―Ci mancava giusto un bel rissone da saloon!

―Cosa aspetti pusillanime, vai ad aiutarlo!― Ordinò Mark, punzecchiando il proprio pilota con la lancia termica spenta, ma dalla punta ancora calda.

―Fossi matto, ahia!― Gemette quando si sentì bruciacchiare il fianco ―Sono riuscito a non farmi incriminare finora, ci manca solo che faccia a cazzotti con John Wayne e pel di carota.

―Pensa ai quattromilacinquecento rubli che ci attendono, idiota!

―Ah, beh, se la metti così…

Dave Hanson stava giusto per rimettersi in piedi, ancora troppo preso dall’adrenalina per sentire dolore, quando una forbice alle gambe lo troncò giusto dietro il ginocchio e davanti la caviglia, facendolo crollare di nuovo disteso a pancia in giù. Voltandosi vide Cladzky ben lontano dal tavolino a cui l’aveva legato e troppo vicino per i suoi gusti, con ancora gli arti inferiori attorcigliati ai suoi.

―Ma come diavolo...― Mormorò incredulo da questo tornado d’eventi.

―Non le fanno più come una volta― Fece spallucce il ragazzo castano, esibendo il polso a cui era ancora legato uno dei fasci delle manette, ma dalla catenina fusa.

Frattanto Russel corse a mettere le mani sul prezioso cilindro in manganese, ma non ve le chiuse sopra. A chiudersi fu invece un gancio che si abbatté all’altezza del naso,fermato solo dal vetro. Sbattuto all’indietro, vide riemergere la spessa figura fremente dello sceriffo Dawn, mani alzate e pronte ad essere lanciate. Aveva addosso ancora la sua tuta, meno il casco, a differenza di Dave che se l’era rimossa del tutto.

―Forza, dammi una motivazione per ucciderti!― Gridò livido in viso l’uomo, mettendo in mostra ogni suo singolo poro, pelo, neo e ruga che lo rendesse umano.

Poco più indietro, Cladzky e il vice si fronteggiavano. Il pilota si leccò il palmo e passò la mano sulla cresta, raddrizzandola, dopodiché si strofinò il naso neanche fosse Bruce Lee. Dave attese, Cladzky no. Saltò in aria e sparò un calcio verso l’alto, mancando appena con la punta del piede il mento del rosso, che si trasse indietro di scatto. Atterrato, il ragazzo in bianco, saltellò sul posto. Lo sguardo del vice saltava a sua volta dai piedi alle mani del suo rivale, indeciso su quale avrebbe colpito, in attesa di un’apertura. Il ginocchio di Cladzky fu percorso da un fremito e saltò di nuovo. Dave spostò la guardia per parare il calcio, ma non arrivò mai, essendo una finta per nascondere una backfist dato con il dorso della mano sinistra e dritto in fronte. Fu più sorpreso che ferito e piuttosto che rintronato ebbe abbastanza riflessi da evitare per un soffio un calcio laterale al collo. Non ebbe abbastanza previsione, però dall’impedire che ancora spinto dal calcio, Cladzky, roteasse su sè stesso e protendesse la gamba opposta, nuovamente addosso a lui.

―Kyaaah!― Strillò il castano, mentre il suo tallone affondava lateralmente nel fianco dell’avversario. Il vice gemette, il corpo divenne crema, ma s’indurì all’istante, stringendo il braccio sinistro attorno la gamba ancora incastrata nel suo costato e con l’altra mano che si chiudeva su un polso del pilota.

―Anche a te e famiglia― Replicò, poco prima di scaraventare Cladzky oltre il bancone come un sacco di patate. Sbattè sul ripiano dei liquori, tirando giù tutta la mensola ovviamente, in un baccano di vetri rotti e polvere di intonaco. A debita distanza, Cronenberg era come un bambino la mattina di Natale. Chi se lo sarebbe mai aspettato un regalo del genere proprio al suo compleanno?

Vincent Dawn scrutò il selenita oltre i propri pugni. Voleva proprio vedere cosa sapesse fare. L’altro non si fece attendere e avanzò un diretto, ben semplice da schivare, constatò lo sceriffo, per poi impattare con jab destro alla bocca dello stomaco, sempre che quell’essere ne avesse uno. Toltogli il fiato, seguì con un gancio sinistro laterale nuovamente al viso e un poderoso montante finale al mento della figura accartocciata dai precedenti colpi. Russel incespicò ma non cadde. C’era bisogno di un’altra spintarella. Caricò un altro bel diretto, con tanto di rincorsa e lo scaricò verso il suo grugno, desideroso di frantumargli quel vetro in mille pezzi. Invece trovò il proprio colpo deviato e afferrato per l‘avanbraccio e sotto l’ascella da due mani velocissime e precise. Cos’era, un clinch? No, perché si trovò presto caricato sulle sue spalle e proiettato oltre di lui. Anche Dawn, come il suo sottoposto, vide una tavolozza di colori confusi, prima di atterrare disastrosamente sulle piastrelle dopo quel seoi nage. Cominciava a diventare troppo vecchio per quella merda.

―Mi spiace esser dovuto ricorrere a tanta forza― Dave Hanson, poco più in là, saltò agilmente il bancone poggiandovi con una mano. Per terra stava il ragazzo, ancora tutto acciacato e disteso sulla schiena in mezzo a schegge di vetro e legno, occhi chiusi. Dave si preoccupò, chinandosi sul corpo, l’esitazione necessaria perché il pilota sbirciasse, facesse la linguaccia egli legasse le gambe attorno al collo, tagliandogli l’aria.

―Syke!― E detto questo, il castano prese il naso del rosso e glielo torse. Appena il tempo di lamentarsi dal dolore che Cladzky sciolse la sua morsa e un calcio al mento mandò il vice a gambe all’aria. Togliendosi la polvere di dosso, il pilota si rimise in piedi, bevve un sorso di vodka liscia da una bottiglia ancora intatta, la buttò e alzò le mani come stesse reggendo due tazzine invisibili ―Il tuo errore è stato metterti contro un praticante del kung fu dell’ubriaco.

―Ma chi ti credi, Jackie Chan?― Dave non sapeva se massaggiarsi il mento o il naso. Si rimise quasi in piedi, quando il pilota avanzò di nuovo protendendo un pugno. Il giovane ufficiale lo intercettò, chiudendolo nel suo stesso pugno, gli colpì di taglio, con l’arto libero, il gomito e da lì risalì il braccio dell’avversario fino a colpire subito dopo la mandibola. Afferratagli poi la cintura multiuso della tuta bianca, lo sollevò di peso sopra il bancone e lo lanciò con tutta la forza che aveva, facendolo slittare lungo tutto il ripiano in mogano, facendosi strada fra ciotole e tazze. La spiacevole corsa fu arrestata quando la nuca di Cladzky impattò con il registratore di cassa del locale che, ovviamente, trillò al contatto.

―Ma che ti succede?― Mark lo incitava poco più sotto, facendogli aria con un fazzoletto ―Non conoscevi il kung fu dell’ubriaco?

―Evidentemente non ho bevuto abbastanza― Rantolò Cladzky, rotolando giù dal bancone, tornando nell’area clienti. Dave lo seguì presto, sgranchendosi le nocche.

―Ti arrendi o riprendiamo?

―Questa è una decisione che va fatta di testa― Lo avvertì Cladzky. Sentì qualcosa nelle mani. Mark gli stava allungando un oggetto pesante. Senza pensarci troppo lo alzò e sbatté contro il viso dell’avversario. Dave, senza  un lamento e socchiudendo gli occhi, crollò a terra. Cladzky si guardò il palmo. Era il suo stesso casco che stringeva in mano.

―Muoviti, indossalo e andiamocene alla svelta― Fu il tono autoritario di Mark, dal basso del suo mezzo cingolato ―Kung fu un cazzo. Tu sai solo essere ubriaco e basta.

 

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Capitolo 5
*** Primi passi ***


Ho riscritto l’ultimo segmento del precedente capitolo, sicché non mi convinceva, per dargli una risoluzione più soddisfacente alla schermaglia fra Cladzky e Dave. Non ci sono altri cambiamenti, godetevi pure il quinto capitolo.


***


―Ma che ti succede?― Mark lo incitava poco più sotto, facendogli aria con un fazzoletto ―Non conoscevi il kung fu dell’ubriaco?

―Evidentemente non ho bevuto abbastanza― Rantolò Cladzky, cercando di rialzarsi. Scosse la testa che gli ronzava e gli si chiarì la vista. Con un balzo, Dave, saltò anch’egli sopra il bancone, giusto di fronte a lui, schioccando le nocche.

―Ti arrendi?

―Se mi arrendessi ora― Il pilota sputò un fiotto di saliva e sangue ―Di certo finirei in galera. A questo punto mi tocca ballare.

Saltò contro la figura che lo torreggiava, ma le recenti batoste lo avevano indolenzito per bene e non fu rapido quanto pensava, ergo, Dave ebbe tutto il tempo di carezzargli  la guancia con un calcio fulmineo del suo stivale. Mark vide il suo insaccato preferito innalzarsi in aria, piroettare con grazia sopra di sè e atterrare dolcemente su di un tavolino un paio di metri più in là, sfondandolo in un mare di frammenti. Un atterraggio fortunato, perché se la sua schiena avesse direttamente impattato con il duro pavimento piastrellato più in basso, senza quel legno flessibile ad ammortizzargli la caduta, sarebbe finita anche peggio; ma Cladzky non se la sentiva di considerarsi fortunato adesso. Assordato da tutte quelle botte, e con il sangue che gli riempiva la bocca, non poté fare altro che rimanere immobile a guardare alla rovescia il suo degno rivale. Adesso fu il suo momento di strofinarsi il naso.

―Meglio che cambi idea prima che ti cambi i connotati.

Ottimo, una bella battuta ad effetto da parte del novello Walker Texas Ranger, ci mancava questa per umiliarlo del tutto. Senza sprecare fiato a rialzarsi e aprire bocca, si limitò a sbuffare e alzargli il dito medio, ancora riverso per terra. D’un tratto gli parve che una scia bianca andò a mordere le caviglie di Dave Hanson. L’uomo perse l’equilibrio e cadde in avanti, finendo di pancia sul bancone e la testa che sporgeva, sollevandola ancora sgomento e trovandosi davanti il nuovo aggressore. l’unità mobile di Mark Zero gli stava davanti, reggendo con il proprio braccio il casco del proprio pilota, bianco come la neve. Ancora incredulo, Dave sperò di uscire da quella situazione a parole.

―Un robot non può ferire un umano― Ma il computer non esitò neppure un secondo. Nuovamente il casco compì un arco e si abbattè sull’agente, colpendolo giusto all’occipite e ribaltandolo giù dal bancone.

―Allora arrestami― Senza inveire oltre il corpo irrigidito, la macchina si volse verso il proprio pilota, che stava risollevandosi. Mark mosse di nuovo il braccio, stavolta per lanciare il casco in aria, che atterrò con precisione millimetrica sopra la testa di Cladzky, ancora esterefatto da quello che era successo. Dirigendo i propri cingoli verso l’uscita, Mark si spazientì per il ritardo del proprio umano ―Alza il culo e allacciatelo, altrimenti ti lascio qui.

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Scattò in piedi, saltò il corpo esanime di Dave e assicurò magneticamente il casco al collo della tuta, inseguendo l’unità mobile con un sorriso insanguinato. Ecco un altro favore che non sarebbe mai riuscito a ripagare alla sua intelligenza artificiale preferita. Si rese però conto di poterne fare uno giusto a Russel, che non pareva passarsela benissimo.

Subito dopo aver atterrato lo sceriffo, il selenita aveva posto la propria attenzione sul contenitore. Non poteva permettere che gli fosse portato via dopo tutto quello che aveva passato. Vi strinse le mani attorno e lo sollevò. Finalmente lo aveva in pugno.. Era più leggero di quanto si aspettasse onestamente, molto meno dei progetti che aveva in mente. Si mosse verso le paratie e premette il bottone a fianco. La camera stagna cominciò ad adattarsi per accogliere il cliente in uscita. Un’attesa snervante. Uno scalpiccio di piedi lo fece voltare, giusto in tempo per essere afferrato al collo da due mani nerborute. Aprì la bocca per urlare, ma uscì solo un sibilio strozzato. Gli occhi di vetro dello sceriffo puntavano nei suoi.

―Non abbiamo ancora finito, muso lungo― Lo sbatté contro le paratie ancora chiuse, serrando le sue dita sempre più forte. Sembrava che gli avrebbe spezzato il collo prima di riuscire a soffocarlo da quanta violenza imprimeva. Erano incollate, non c’era modo di liberarsi. Il respiro gli si fece difficile.

Cladzky corse per dargli supporto, ma non lo ricevette mai. Un oggetto metallico entrò nella sua visuale da sinistra, gli oscurò la vista e arrestò la sua corsa, schiantandoglivisi in faccia. La parte inferiore del suo corpo continuò il tragitto per un secondo buono, lasciando indietro la testa, prima che tutto insieme cadde a terra sulle spalle, ripiegato come un origami, ginocchia ai lati della testa. Fortuna che aveva il casco. Fra le sue gambe all’aria vide sporgersi la testa bionda della Linaker, con in mano una padella antiaderente. Era una situazione decisamente meno comica quando ci si ritrovava dal lato sbagliato dell’utensile.

―Mi state demolendo il locale, razza di scalmanati!

―Grazie signora― Si affrettò Dave, zompando verso la figura abbattuta del fuggitivo e aiutandolo a rialzarsi solo per cingerlo di nuovo, forzandogli le braccia dietro la schiena. Poi rivolse un sorrise smagliante alla signora, che se ne stava a braccia conserte ―Non si preoccupi, sarà risarcita di ogni danno.

―Lo spero per voi― Diede un’occhiataccia a tutti quanti, poi si mise una mano sugli occhi ―Fate quello che dovete, basta che lo facciate in fretta.

―Russel, tieni duro― Si divincolò Cladzky, ma quando si trattava di pura forza bruta non era l’individuo a cui fare riferimento. D’altro canto, il selenita, non aveva alcuna intenzione di sopportare quell’asfissiamento un secondo di più. Dawn aveva preso a scuoterlo e sbattergli la testa sulla parete d’acciaio. Smise di provare a schiodarsi le dita dello sceriffo dalla gola e, piuttosto, cingendo bene ambo le mani al cilindro in manganese, lo sollevò di colpo contro il mento dell’avversario che gli stava davanti. Funzionò, la presa si allentò, tornò a respirare e la pesante massa arretrò quasi sul punto di cadere una terza volta, ma non lo fece. Per quanto potesse percuoterlo, lo sguardo di decisione nello sceriffo non si sarebbe mai spezzato. Le porte, con un soffio di vapore, finalmente si aprirono.

―Smettila di giocare, ecco la nostra uscita!― Niente da fare, notò Mark Zero. Cladzky, per quanto si dimenasse, non sarebbe mai riuscito a scrollarsi di dosso quel pelo rosso. Il suo visore inquadrò le porte che stavano aprendosi, poi di nuovo il suo pilota, trattenuto da quell’agente. Non c’era più tempo. Il suo braccio saettò in uno scompartimento dell’unità per estrarne la famigerata brugola del 12. Si approcciò alle gambe dei due lottatori, l’alzò e la schiantò contro il piede di Dave. Come per una reazione immediata, l’arto ferito ebbe una convulsione e finì per dare un calcio al piccolo mezzo cingolato senza bisogno di mirare, aggiungendo già un’altra ammaccatura alla lamiera argentata.

―Hai trasgredito la legge, ragazzo― Era l’ultima voce che Cladzky si aspettava di sentire in quella baruffa. Davanti a sè stava il vecchio Cronenberg che si aggiustava le bretelle della salopette, facendole schioccare, per poi abbassarsi la visiera del berretto ―Sarai pure mio amico, ma ciò non ti salverò dal calcio volante della giustizia.

―Per l’amor di dio, Cronenberg, non anche tu!― Ma le suppliche non impedirono al benzinaio cinefilo di corrergli incontro e saltare, sfrecciando come un siluro nell’aria, con i suoi piedi ad aprire la strada. Cladzky, con un colpo di reni disperato, riuscì ad abbassarsi in avanti in tempo, ma non a liberarsi.

―Togliti di mezzo, rottame!― Finì di urlare Dave verso i resti di Mark che aveva martellato di calci fino a renderlo immobile, riportando la sua attenzione al prigioniero che stava contenendo. Non realizzò neppure cosa lo avesse colpito, quando un metro e cinquanta di uomo sulla sessantina, gli atterrò con le sue scarpe sporche d’olio sul petto. Cladzky sentì le sue braccia nuovamente libere e un tonfo alle sue spalle. Si raddrizzò e voltò un momento, vedendo il vicesceriffo privo di sensi sul pavimento pulito e Croneneberg a gattoni di fianco che scuoteva la testa, piuttosto suonato.

―Ops― Sorrise il vecchio, come non fosse successo nulla di importante ―Ho sbagliato mira.

Cladzky ringraziò a sua buona stella che gli fosse andata bene anche questa volta e cercò dove diavolo fosse finito Mark. Lo urtò per sbaglio con il piede e lo vide. Non aveva mai visto quell’unità mobile conciata così male. Il braccio meccanico gli era stato divelto dalla base, i suoi cingoli erano spezzati e la carrozzeria era piena di crateri. Si precipitò a sollevarlo e se lo porse davanti come se agitandolo lo avrebbe fatto rinvenire.

―Mark, dì qualcosa!

―La porta, idiota!― Replicò il sintetizzatore, che ancora funzionava a dovere, impartendogli un urlo. Scombussolato il pilota in bianco si voltò. Russel stava giusto ora entrando nella camera stagna camminando all’indietro. Lo sceriffo ancora lo confrontava. Cladzky si mosse troppo tardi. Dawn corse, prese il casco dal gancio a cui l’aveva appeso e si gettò di testa sullo stomaco del selenita, proprio mentre le porte presero a chiudersi. Il castano corse a sua volta, o almeno ci provò. L’unità mobile di Mark era dannatamente pesante, ma non poteva lasciarla indietro, sopra ci stava il suo intero programma. Ci provò, ma sapeva anche lui che era impossibile. Le paratie gli si chiusero proprio davanti il naso, celandogli la lite furibonda che era scoppiata dentro la camera di decompressione. Sbatté sulla superficie protettiva, ma solo per scaricare la tensione. Dopodiché premette furiosamente il pulsante di apertura, ma non c’era verso di smuovere quel blocco finché la procedura di decompressione non fosse terminata. Allora si sporse alla vetrata di fianco.

Dopo pochi secondi, le paratie esterne si aprirono. A saltare fuori per primo fu Russel, rotolando nella sabbia e alzando un polverone da sembrare nebbia. Ripreso l’equilibrio, corse freneticamente, ma la bassa gravità faceva sì che i suoi passi lo spingessero più verso l’alto che davanti a sé. Dawn spuntò poco dopo, apparendo in mezzo alla nube di detriti sollevata dal fuggitivo, ma non pareva avere alcuna intenzione di inseguirlo.  Il pilota crestato capì subito perché e ricominciò a premere freneticamente il tasto di apertura interna, ma ancora nulla poteva muoversi finché le porte esterne non si fossero chiuse e la camera stagna si fosse nuovamente riempita di ossigeno. Non poté fare nulla se non guardare, mentre lo sceriffo Vincent Dawn estraeva con calma il folgoratore dal cinturone, si metteva in ginocchio, prendeva la mira e sparò. Il lampo stracciò il velo di notte dominato dalla nebulosa sanguigna sopra le loro teste, schiarendo ogni cosa nitidamente nel parcheggio di fronte., dal generale Lee al piccolo disco giallo canarino.

Ken Russel teneva il contenitore di manganese sopra la propria testa, colto all'apice del suo ultimo salto, in maniera celebratoria. I suoi occhi puntavano verso l’orizzonte, il cuore ci era già. Lì fioriva l’ultima stella conosciuta, la sua stella, la stella rosa di Selene. Ancora convinto di essere libero, fu questa l’ultima immagine che registrò il suo cervello. Ci fu un altro lampo, non bianco stavolta, ma il rosso di un fiore che sprigionò i suoi petali dal corpo in espansione del selenita. Scoppiò senza rumore in una palla di fuoco priva di fumo o contraccolpo, larghissima, che tendeva i suoi lembi sempre più lontano. Poi, così com’era sbocciato improvviso, quel fiore si richiuse su sé stesso, svanendo nel vuoto. Una pioggia di ceneri scese sul cemento del parcheggio. Ken Russel non esisteva più.

Cladzky si trasse indietro dalla vetrata. Si trovò alle spalle il viso del vicesceriffo Dave Hanson, pieno di lividi, ma, soprattutto adesso, di terrore. Forse intendeva placcarlo di nuovo, ma dopo quella visione sembrava aver perso ogni stimolo. Non lo guardava neppure, fissava il paesaggio di fuori, dove un, attimo prima, un uomo in tuta spaziale vagava allegro come un bambino. 

―Mi spiace per il tuo amico― Fu l’unica cosa che riuscì a dire, passandosi una mano nella chioma rossiccia.

―È stato un piacere conoscerlo― Arretrò, prese posto su una poltroncina, mise con cautela il corpo di Mark Zero sul tavolo, si levò il casco e affossò il viso nei palmi delle mani.

―Quel tizio era pieno d’idrogeno― Commentò Cronenebrg, togliendosi il cappello e poggiandoselo sul petto ―Lo sceriffo ha fatto bene ad aspettare di uscire prima di sparare.

―Addio a quattromilacinquecento rubli― Sospirò la voce di Mark da sotto le lamiere.

―Addio alla mia vita da incensurato― Aggiunse Cladzky, lasciandosi sprofondare nella soffice pelle del sedile.

―Addio al campione― Puntualizzò Cronenberg ―Dove fallirono le bombe ci riesce il nostro sceriffo.

Cladzky si destò dai suoi pensieri mesti da un secondo peso che prese posto accanto a lui. Dave gli si era seduto accanto, mani intrecciate sopra le ginocchia che battevano l’una sull’altra.

―Ascolta― S’interruppe la voce dell’agente, che si schiarì la gola ―Qualora fossi turbato per quanto successo, voglio che tu sappia che noi siamo qui per aiutarti.

―È la prima volta che vedi qualcuno morire?― Lo paralizzò il castano. Dave boccheggiò un attimo, si grattò la guancia e poi rispose con una risata nervosa.

―No, ma… ecco, ho già perso delle persone, ma nessuna di loro era mai stata… uccisa. Sì, una persona morta ammazzata non mi è mai capitata.

―Va bene, ho capito. Dai, vieni qui― Lo fermò sbuffando Cladzky. Gli mise le mani attorno il corpo e lo strinse a sé. Dave ebbe dapprima un moto di agitazione a quell'abbraccio, dovuta alla frenesia precedente, ma si sciolse subito quando sentì il calore dell’altro corpo. Stranito, ma più rilassato, Dave ricambiò la stretta.

―Mi fa... piacere esserti d’aiuto― Mormorò il vice.

―Non c’è di che―Replicò Cladzky, dandogli pacche sulla schiena.

―Dio mio― Si asciugò la fronte con un fazzoletto la signora Linaker, portandosi accanto a Cronenberg ―Voglio sperare che questa storia sia finita ora.

―È dura che prosegua― La rassicurò lui, prendendole una mano ―Il protagonista è morto.

Le porte interne si aprirono di nuovo, rivelando la tuta indossata dallo sceriffo, piena di polvere e cenere, che la gravità aumentata del locale gli faceva cadere di dosso. Avanzò e subito Dave saltò sull’attenti, lasciando Cladzky, che gli si appoggiava, cadere sul cuscino del divanetto. Lo sceriffo gli fu davanti prima di rimuovere il casco, tenerlo sotto braccio e parlare con tono autoritario alle quattro persone, più un robot, che lo circondavano.

―È tutto finito― Soffocò un moto di tremarella e riprese ―Ci scusiamo per ogni inconveniente. Andiamo tutti in centrale ora, dobbiamo raccogliere le vostre deposizioni e sbattere in cella un sovversivo. Dave, ricordati di contattare anche Anthony Lee. Ci serve ogni testimone di questa serata.

―Giornata― Lo corresse il sottoposto, indicando il sole appena sorto. Ma non aveva il viso gioviale con il quale aveva corretto Cronenberg all’arrivo.

―Fermi un momento― Alzò la voce Kay Linaker, armata con un mocio e  indicando con il manico la scia di distruzione seminata dalla rissa appena conclusasi ―Come intendete risarcirmi per questo disastro?

―Oh― Sorrise Dawn. Avvicinò la figura seduta di Cladzky alle spalle, gli strinse un orecchio e lo costrinse ad alzarsi fra gemiti e volgarità ―Sono sicuro che il qui presente contrabbandiere sarà lieto di ripagarle ogni cosa.

―Ma se è stato il vostro lacchè a lanciarmi in giro come giocasse a flipper. Pagatele voi le spese― Protestò il ragazzo. Il volto dello sceriffo si contrasse in una smorfia d’imitata sorpresa.

―Credo tu non sappia che pena sia prevista in questa contea per aggressione a pubblico ufficiale.

―No, ma guardi, a me garberebbe assai ripagare la signora, però…

―Siamo al verde― Completò schietto la frase Mark, dal tavolino su cui era appoggiato ―Altrimenti perché ci saremmo ridotti ad accettare un lavoro del genere?

―Possiamo sempre pignorarti il disco― Propose Dawn, mollando la presa dal padiglione dell’arrestato rimasto, per scagliarlo all'uscita e spiaccicarvelo contro contro le porte sigillate.

―Ci sarebbe bisogno del vecchio Carpenter per stimare quanto vale― Ragionò Cronenberg ―Ma secondo me è il robot che vale una fortuna.

―Certo più di te, tesoro― Replicò con nonchalance il computer, venendo raccattato dalle mani tremanti di Dave Hanson.

―A me non importa come ma, dei soldi dovranno pur saltare fuori― Si rimboccò le maniche, tirò su mocio e secchio e si diresse verso l’area devastata.

―Sceriffo― Dave passò la carcassa dell’unità mobile al suo rispettivo pilota, per poi tirare il suo superiore per una manica ―Per quanto riguarda…

―Non adesso― Lo liquidò, smuovendo il braccio con uno strattone e dirigersi verso la Linaker.

―Ti ha proprio conciato male― Constatò Cladzky, sollevando il mezzo da sbarco di Mark e cullandolo.

―Se avessi ancora un braccio gli avrei cavato gli occhi quando mi ha preso in mano― Replicò il computer. Non poteva sentire dolore, ma il fatto non poter muovere più una fibra del suo corpo lo disgustava e, finché non ne avrebbe avuto un altro in cui inserire la propria coscienza, era intrappolato in quel guscio.

―Ma sceriffo― Insisté Dave, inseguendolo. Vincent Dawn si voltò con uno sguardo di ghiaccio.

―Ti ho detto non adesso, Dave― Gli gridò contro ―Tieni d’occhio quel contrabbandiere, prima che provi a scappare anche lui.

―Sceriffo, avete appena ucciso una persona― Forse non avrebbe dovuto dirlo con un tono tanto accusatorio, o dirlo affatto, ma ormai aveva aperto bocca e dovette continuare ―Non possiamo fare come se niente fosse successo.

―Ken Russel ha fatto solo la fine che merita gente come lui. Sapeva a cosa andava incontro mettendosi dal lato sbagliato della guerra alla droga.

―Ma non aveva droga addosso. Stava scappando, avete sparato a un uomo disarmato.

―Ascoltami bene, precisino dei miei coglioni― Gli intimò lo sceriffo, afferrandolo per il colletto e sputandogli in faccia da quanto parlava a denti stretti ―Ken Russel non si sarebbe mai fatto beccare con della droga addosso, ma era un segreto di pulcinella il suo traffico nei sistemi vicini. D’accordo, non avrò seguito il manuale alla lettera, ma quando credi che mi si sarebbe ripresentata l’occasione di regolare i conti con lui? Se noi fossimo i primi a seguire la legge alla lettera, certi criminali non pagherebbero mai per le loro azioni. E a chi vuoi che importi se è stata legittima difesa o meno? A nessuno mancherà quel muso lungo. E ora ripigliati e vedi di scortare quell’altro babbeo in macchina.

Lo lasciò andare, gli rassettòla camicia spiegazzata e sostituì la sua faccia di furia con una più goliardica. Dave rimase un momento sul posto, scorato.

―Signora, lasci stare― Dawn prese prese sottobraccio la Linaker, prima di essere allontanato da un affondo del mocio, che lo tenne a distanza ―Si calmi e venga con noi a deporre in centrale. Se ne occuperà dopo di rimettere a posto il locale.

―Veda di stare calmo lei, grilletto facile― Abbassò lo scopettone, ma non lo sguardo torvo, puntando un pollice alle sue spalle, verso il tavolo e il ripiano dei liquori sfondati ―Non ce la faccio a vedere la mia attività in questo stato. Vi raggiungerò dopo per il dettato.

―Si potrebbe chiamare la cara Lambert― S’immischiò Cronenebrg, camminando in mezzo a loro due e guardando la donna da sotto il suo mento ―Lei e la Lupino ci sanno fare con la carpenteria.

―Ma bene e conosci anche qualcuno che sappia rimuovere macchie come questa?

Gli occhi di David Cronenberg, Vincent Dawn e Dave Hanson si abbassarono verso il punto sul pavimento indicato dal dito raggrinzito di Kay Linaker. Sulle piastrelle stava riverso qualcosa di liquido, ma compatto in un’unica pozza dal diametro d’appena una decina di centimetri. L’illuminazione al neon del soffitto si rifletteva in linee spezzettate ocra sulla sua superficie perfettamente nera.

―Si direbbe sangue da quanto è vischioso― Commentò il benzinaio.

―È tuo per caso?― Chiese Dawn, mostrando un ghigno al suo agente. Quello lo guardò stranito, poi si asciugò un taglio in fronte, da cui ne usciva giusto una goccia, e se la studiò sul pollice. Cremisi. Dave scosse la testa.

―Chi lo ha perso dev’essere anemico― Pensò ad alta voce Cronenebrg. Si volsero tutti verso il pilota in bianco, intento a pettinarsi la cresta, specchiandosi nella vetrata. Quello li guardò confuso, prima di realizzare il significato di quegli sguardi.

―Non guardate me, è dura abbronzarsi nello spazio― E per dimostrare le sue parole si portò una mano in bocca e ne estrasse un dito macchiato di rosso.

―Appena usciamo di galera ti faccio fare un giro sulle spiagge di Venere― Rise Mark Zero, che gli stava ai piedi.

―Ma che sangue― Sbottò la Linaker ―Guardate qui.

Fece segno a tutti di allontanarsi e strinse lo scopettone come un fucile, puntandolo verso la macchia nera. Cladzky si avvicinò per capire di cosa stessero parlando tutti quanti e poggiò Mark su un tavolo lì a fianco, di modo che potesse vedere anche lui, giusto in tempo per la dimostrazione. La donna pose i capelli del mocio a terra e spinse in avanti. Il liquido fu spinto indietro come qualunque altra sostanza acquosa avrebbe fatto. I quattro uomini si chiedevano cosa sperasse di mostrare. Dopodiché sollevò l’utensile, lasciando quel liquame diviso in tante piccole gocce spezzate da una più grande e resa di forma ovale dopo quella spinta. Ci fu un tremolio nel liquido, come una vibrazione impercettibile che ne increspava la superficie e ne deformava i riflessi. Ecco, tutti i vari frammenti si mossero. Il pezzo più grande assorbì ogni goccia, dalla più piccola alla più grande, e ritornò alla sua forma inziale di un cerchio nero, buco sul nulla.

―Mi venga un colpo― Fu la franca reazione di Dawn, che, come gli altri, rimase a bocca aperta.

―Il signor Lee― Provò a ipotizzare Dave ―Una volta mi ha spiegato che certi alcolici fermentano grazie a colonie di batteri al loro interno. Forse sono loro a muoversi.

―Non essere ridicolo― Lo ammutolì Dawn, facendogli saltare il berretto con uno scappellotto ―Dei batteri non possono spostare un peso così grande. Deve essere stata una comune scossa di assestamento a farlo tremare. Le cave di Hagman, dopotutto, corrono giusto sotto di noi.

―Io non ho sentito alcun terremoto― Ammise Cronenberg.

―Non è finita― richiamò l’attenzione la donna, sollevando la testa del mocio verso di loro ―Guardate in che stato mi ha ridotto lo scopettone.

Le lunghe setole entrate a contatto con la sostanza avevano perso il loro colorito bianco, tingendosi di  marroncino, quasi scorresse linfa rossa sotto quella fibra. I segmenti interessati presero a girare su loro stessi e ad allungarsi. Il tessuto andava a lacerarsi e a cadere sotto il proprio peso. Si stavano liquefando sotto i loro occhi. Del fumo cominciò ad esalare dai colli lacerati delle strisce, che ciascuno si premurò di non respirare, tirandosi indietro. Cladzky, avendo il tavolo giusto alle sue spalle, inclinò il proprio baricentro, poggiò la mano sinistra e poi la destra, ma quest’ultima non toccò il legno, sprofondando nell’aria e tirandosi dietro il resto del corpo. Cascò riverso sul ripiano fino alla spalla, dove sbatté, arrestandosi. Si rialzò immediatamente e verificò cosa fosse successo. Aveva inavvertitamente infilato un braccio attraverso un foro grezzamente scavato nel mobile, che lo attraversava da parte a parte. Alzò uno sguardo profondamente angosciato verso il proprio robot, che giaceva sullo stesso tavolo. Lo stesso tavolo dove era stato poggiato il contenitore in manganese fino a poco fa. Lo stesso contenitore con dentro il campione. Mark non dovette aspettare una domanda perché potesse rispondere, bastava che leggesse la faccia sconcertata del ragazzo castano.

―È libero.

Cladzky fu costretto a voltarsi quando il braccio dello sceriffo gli diede uno spintone.

―Ma che ti devo dire, Kay?― Esclamò esasperato Dawn, allontanandosi da lei e al contempo trascinando per le bretelle anche Cronenberg affinché lo seguisse. Non aveva proprio voglia di perdere altro tempo. La proprietaria aveva gettato con furia l’utensile a terra, giacché la testa era ormai corrosa del tutto in una poltiglia sul pavimento simile a fanghiglia vermiglia, calda, fumante e al gusto di uova marce ―Sarà una perdita di candeggina o che so io, non mi riguarda. Ti aspettiamo in stazione, raggiungici quando ti pare.

―Sceriffo, lei mi deve ascoltare― Esplose Cladzky, puntandogli un dito al naso. Dawn si pietrificò un attimo, stupito da una così improvvisa baldanza. Non durò a lungo e gli torse le falangi in quella tenaglia che aveva per mano.

―Hai il diritto di rimanere in silenzio e farò in modo che ne faccia ampio uso, siamo intesi? Voglio solo finire il mio turno su una nota positiva e me ne hai già combinate abbastanza per oggi.

―Voi non capite― Cadde in ginocchio il ragazzo, mentre sentiva le ossa della sua mano scriocchiolare in maniera preoccupante. Battere a terra in segno di resa non servì a nulla ―Quella è la roba che ho trasportato. È il solvente che ho comprato per Russel.

―Balle!― Con un repentino strattone della mano, Dawn caprioleggiò Cladzky per terra, per poi spolverarsi i palmi ―Abbiamo visto tutti quanti che Russel aveva con sè il solvente quando è esploso e non è rimasta che cenere del manganese, figuriamoci dell’ameba all’interno.

―Questo perché il solvente non si trovava all’interno del contenitore― Era stato Mark a intervenire, noncurante come sempre. Come un eremita, sedeva in cima il tavolino, in un’immobilità che trascendeva il confine fra la noia e la contemplazione di essere in un corpo senza vita ma cosciente. I presenti gli si raccolsero attorno. Dave aiutò Cladzky a rialzarsi e raggiunsero gli altri tre.

―Vuoi forse dire che mi hai mentito?― Restò di sasso l’omone dal baffo bianco e fremente ―Che quel contenitore non trasportava la creatura?

―Tutt’altro, è lì che noi due lo abbiamo contenuto fino ad oggi e non ci ha mai dato problemi durante il trasporto. Ma voi lo avete fatto scappare.

―Scappare? Ma per piacere, ti sei fuso un relè, obsolescenza arrugginita. Sono stato io l’ultimo a dare una buona occhiata al barattolo e ti posso assicurare che il tappo era ancora bello che sigillato.

―Voi umani, come i seleniti, avete un ragionamento così lineare che non vi accorgete dei dettagli. Ricordate dov’era posizionato il cilindro di contenimento, prima che venisse preso dal defunto signor Russel?

―Proprio dove ti trovi tu adesso― Affermò Dave, che ce lo aveva messo di persona.

―Ebbene― Ci fu uno stridio metallico di marchingegni che si urtavano in maniere cui non erano programmati. Le ruote, i cui cingoli erano spezzati, faticarono a fare presa sul ripiano in legno, ma con una lentezza insostenibile, infine, smossero il corpo di Mark in retormarcia. Quella pietosa visione lasciò il posto a una ben più bizzarra. Un buco circolare, rozzamente scavato nel tavolo, come attraversato da una punta incandescente che ne aveva bruciato le pareti man mano che scendeva ―Ecco la via di uscita della nostra bestiola.

―Ma come avrebbe fatto a…― Protestò lo sceriffo.

―Ricordate che trasuda un forte acido― Cladzky puntò di nuovo un dito al naso di Dawn, sorridendo del fatto che stavolta era costretto a prestargli ascolto. Già che c’era ne approfittò per premergli la punta ben benino ―Deve aver corroso la base del contenitore e di seguito il tavolo, proprio come ora ha dissolto lo scopettone della signora Linaker.

Dawn tirò uno schiaffo al dito che lo indicava, per poi puntare il proprio.

―Avevate detto che era ibernato.

―Era ibernato, ovvio, fino a quando sarebbe rimasto a temperature inferiori lo zero― Si approntò a spiegare Cladzky, nascondendosi dietro Dave ―Vi avevamo detto di metterlo in freezer.

―Che cosa ne facciamo, capo?― Chiese Dave?

―Beh, dopotutto sarà una prova fondamentale quando si aprirà l’inchiesta per la morte di Ken Russel― Ragionò l’altro, lisciandosi i baffi ―Certo, bisognerebbe trovare un mezzo per recuperarla in sicurezza, noi non abbiamo l’attrezzatura necessaria. Forse dovremmo andare a chiedere aiuto alla stazione antincendio.

―Non potete lasciarmi con questa cosa nel mio locale!― Strepitò la Linaker, alzando, la testa arrossata e lacerata del mocio sopra la propria e sbattendola con violenza sulla massa scura. L’impatto non sollevò un mare di schizzi come ci si sarebbe aspettati da una sostanza acquosa, tutt’altro, la macchia nera rimase integra e divenne più densa al contatto, assorbendo dentro di sé la punta dell’arma. La donna provò a tirarla indietro, ma incontrò resistenza. La creatura informe si allungava, senza mollare la presa dall’utensile in legno e neanche dal pavimento, rimanendovi appiccicata. Infine si scollò dalle piastrelle, rivelando un alone ossidato sulla superficie occupata dal solvente, e facendo barcollare la donna di colpo, prima di essere aiutata dal signor Cronenberg a riprendere l’equilibrio. Ora, la massa nera, giaceva sulla punta di quel bastone di legno e sfrigolante, serrandovisi attorno con il proprio corpo. La donna sghignazzò, dando un colpetto sulla spalla dello sceriffo ―Ecco l’attrezzatura necessaria Vincent. Puoi portarla via ora?

―E dove la metto? Non abbiamo un reparto refrigerato a bordo delle nostre pattuglie, finirà per sciogliere anche quelle.

―Qui ci vorrebbe il Generale Lee― Si portò un dito al mento Dave.

―Anthony non acconsentirà mai― Dismise l’idea con un gesto di noia la singora ―Direbbe che gli contamina l’aviobotte. Hai idea di quanto sia germofobico quando si tratta della sua attrezzatura.

―Occhio― Cronenebrg strappò lo scopettone dalle mani della Linaker, lasciandola perplessa. Il benzinaio indicò la sostanza, che si era spostata verso l’impugnatura, lasciando la testa come una massa arrossata, porosa, sfrigolante, mezza corrosa insomma ―Finché tenevate il bastone verso l’alto questa roba vi stava scivolando verso le mani. E non vogliamo certo che qualcuno di noi ne sia colpito.

―Ci deve essere qualcosa che possiamo fare per renderla innocua― Chiese agitato Dave.

―Io direi di spararle― Esclamò Dawn, mettendo mano al folgoratore.

―Direi che ha già sparato abbastanza per oggi―Esclamò la bionda, abbassandogli l’arma. Di controvoglia, l’agente accettò.

―Cladzky― Quella voce sottile come una lama lo distrasse dallo stupore di quel sangue nero, riportandolo verso il cadavere dell’unità mobile. Si poggiò sul bancone con tutta la parte superiore del corpo, poggiando l’orecchio alla cassa. La laringe elettronica di Mark proseguì ―Ti ricordi le raccomandazioni del signor Hagman?

Cladzky scosse la testa. Ci fu un sospiro afflitto da parte dell’intelligenza artificiale. Ogni giorno che passava diveniva sempre più umana, anche in queste piccole azioni. Paziente, la voce profonda di Mark, ripeté quanto gli era stato detto al termine dell’asta a cui si era aggiudicato la creatura.

―Non farla scongelare in nessun caso. Una volta scongelata riprederà a mangiare.

―Questo lo sappiamo tutti, vai avanti.

―Per mangiare secerne un forte acido dalla sua pelle che scioglie e le permette di assimilare ogni cosa gli è necessaria.

―Questo lo stiamo vedendo adesso, dimmi di più.

―Mangiando cresce e crescendo sviluppa strutture più complesse. Si evolve a piacimento, in base a cosa gli serve. Crea organi e  tessuti.

―Orcaloca, questo è grave.

―Ogni sua evoluzione la rende più difficile da uccidere e l’unico modo per ucciderla è la completa morte di ogni sua cellula, o potrà ricominciare daccapo.

―Nient’altro?

―Nient’altro.

―Cristo!― Fu l’urlo lacerante che attraversò il locale. Cladzky si voltò di colpo. Il bastone, dalla punta rossa e sciolta in una massa quasi terrosa, era stato lasciato cadere a terra. Colse Cronenberg nel cadere all’indietro, reggendosi dolorante il polso di una mano. Atterrato si dimenò, agitando il proprio arto. La massa nera gli ricopriva indice, medio e scendeva sulle nocche, inamovibile. Linaker e Hanson lo aiutarono a rimettersi in piedi, raccogliendolo da sotto le ascelle e sdraiandolo sul bancone.

―È saltata― Fu la reazione isterica di Dave, che si coprì la bocca ―Ha risalito il bastone e gli ha coperto la mano!

―Dannazione, vi avevo detto che avremmo dovuto sparargli!― Imprecò Dawn, estraendo la pistola e puntandola. Ma si rese conto che non c’era modo di colpire la creatura senza far saltare un paio di falangi al povero Cronenberg, che ancora si reggeva disperato l’arto contaminato. Linaker aveva subito estratto uno straccio e provato a rimuovere la sostanza a forza, ma la stoffa fece la stessa fine del mocio, arrossandosi e lacerandosi in un mare di fumo bianco. Lo buttò a terra stizzita, rendendosi conto dell’inutilità del suo gesto e guardandosi le mani, per paura che si fossero bruciate anche loro. Dave era corso a riempire un bicchiere dal rubinetto d’acqua dietro il banco, raggiungendolo e zampilandone appena sulla macchia, prima che il pilota castano gli corse addosso e gliela fece cadere di mano, frantumando il vetro sul pavimento. La proprietaria si mise le mani nei capelli a quell’ennesimo, seppur minore, atto di distruzione. Dawn corse subito in aiuto del suo sottoposto, atterrato sotto la figura di Cladzky, afferrando il contrabbandiere per il bavero.

―Ma che ti prende adesso?

―Non possiamo versargli acqua addosso, peggioriamo la cosa― Fu la risposta affrettata di Cladzky, quando uno scoppiettio prese a sprigionarsi dal sangue nero, che prese a ribollire di schiuma verde. Il pilota si svincolò come un anguilla, buttandosi a terra. Dawn si abbassò il cappello sulla faccia al vedersi venire addosso quegli schizzi, voltandosi. Cladzky e Dave rimasero nascosti sotto il bancone, mentre la Linaker sparì dietro la porta che dava alla cucina, osservando il tutto dall’oblò. Questo si macchiò presto di un paio di gocce, esplose dalla reazione che l’acqua aveva avuto sulla sotanza. Altre piovvero sul retro della cosmotuta di Dawn, mentre la maggior parte precipitò sulla salopette dell’agonizzante Cronenberg, squarciandogli la fibra di jeans, con sibilo da rosolio.

―Porca puttana!― Piagnucolò il benzinaio, quando un’altra gli ferì la guancia, sbucciandogli la pelle e spegnendosi. La reazione era finita. Tutti quanti sbucarono dai propri nascondigli.

―Ma cosa diavolo è successo?― Chiese lo sceriffo.

―Buttare acqua su un acido concentrato non è mai una buona idea― Puntualizzò Mark, cui gli schizzi non potevano impensierire ―Quella massa sta sprigionando molto calore per corrodere in fretta la carne del nostro amico e di conseguenza, l’acqua versataci sopra, è andata immediatamente in fase di ebollizione, liberando in tutte le direzioni un’eruzione di acqua mista ad acido diluito in essa.

―E allora che dovremmo fare?― Chiese la Linaker, sporgendosi dalla porta, ma non del tutto per la paura che il disastro potesse ricominciare.

―Signore― Dave si fece accanto il suo superiore ―Questi due sono gli unici rimasti che sanno come trattare questa creatura.

―Dunque dovremmo affidarci a loro― Chiese con tono incredulo, grattandosi il mento e dando un'occhiata penetrante a Cladzky, che si portò una mano alla gola, e Mark, che rimase impassibile per ovvie ragioni. Poi guardò di nuovo la figura misera di Cronenberg, che aveva ormai perso conoscenza mentre la Linaker gli teneva la testa sollevata e gli faceva aria con un ventaglio. La sostanza nera era come divenuta semitrasparente da quanto si era allungata per comprendere, adesso, l’intero dorso e palmo sinistro del benzinaio, e si poteva vedere la pelle sottostante, ormai completamente corrosa e i muscoli che si contorcevano sotto lo stesso trattamento. Esalò un respiro di rabbia ―E sia. Trovate un modo per liberarvi di quella cosa.

―Ma fate in fretta― Li pregò la bionda.

―Prima di tutto― Ragionò Cladzky, spettinandosi la cresta e camminando intorno. Di situazioni folli da risolvere ne aveva avute nelle sue avventure, doveva avere una soluzione. Inoltre, se fosse risucito a salvare il signor Cronenberg, magari, per riconoscenza, lo avrebbero rilasciato. Ecco che, senza bisogno di pensare troppo, la soluzione gli apparve davanti. Corse verso una parete, dove stava affisso un estintore ad anidride carbonica, giusto sotto un cartello d’alluminio che avvisava di adoperarlo in caso d’emergenza. Lo strappò dai morsetti e lo lanciò verso Vincent Dawn, che lo prese al volo, sgomento.

―Ma certo― Realizzò Dave ―Possiamo congelarlo con quello.

―No― Li fermò Mark ―Quell’affare ha un getto che scende settantotto gradi sotto lo zero. Uno sbalzo di temperatura come quello rischia di fargli implodere il braccio.

―Ma se non facciamo qualcosa in fretta dovremo amputarglielo lo stesso― Fece notare la Linaker.

Cladzky ragionò ancora, mentre il pandemonio di voci aumentava e così l’effetto dell’acido sul poveretto, che biascicava sbavando dalla bocca. Acido? Cronenberg? Gli tornò in mente una domanda che fu proprio lui a porre nei riguardi del solvente.

“Acido o basico?”

―Signora!― Proruppe nuovamente Cladzky, saltando oltre il bancone e mettendolesi davanti ―Avete della soda casutica?― Lei parve non capire. Dovette utilizzare il termine di un derivato ―Candeggina.

―Gliela volete versare addosso? Non vi basta com’è ridotto?― Sbottò lo sceriffo.

―Sceriffo, si fidi un momento― Lo esortò Dave, che aveva preso il posto della donna per fare aria e reggere la testa al disgraziato. La pelle continuava a crepitare. La donna annuì e gli fece cenno di seguirlo sul retro. Attraversarono la piccola cucina tirata a lucido, per porsi  poi davanti a una piccola porta di servizio in plastica, giusto accanto la cella frigorifera. La bionda faticò un attimo a trovare la chiave giusta da un mazzo che teneva in tasca, ma infine gli riuscì di sbloccare la serratura. Apertala si trovarono in una stanzetta adibita a sgabuzzino, con i più svariati prodotti per la pulizia che un locale abbisogna. La linda faccia di un uomo calvo gli faceva l’occhiolino dall’etichetta stampata e affissa sopra un fusto di ipoclorito di sodio. Lo afferrò e corsero indietro. Ritrovarono gli altri in attesa, con Cronenberg che aveva ripreso a urlare, ora che la sostanza aveva superato il polso. Dave gli aveva ripiegato la manica della camicia, cosicché non si fondesse insieme la pelle già sciolta.

―Prima che gliela versiate addosso posso sapere cosa intendete fare?― Richiese Dawn, con ancora l’estintore in mano.

―Gli acidi e le basi si annullano a vicenda, fermando così il processo di corrosione di entrambe― Spiegò rimuovendo il tappo e preparandosi ad annaffiare la creatura ―Una volta fermato l’acido, sarà la creatura a corrodere a sua volta per la candeggina. Quando succederà tenterà di scappare, quindi si tenga pronto con il getto per congelarla.

Lo sceriffo annuì, deciso. Cladzky si sporse sopra la massa vibrante. Aveva quasi raggiunto metà dell'avambraccio da quanto mangiava rapidamente. Le dita erano ormai fuse insieme, sciolte sotto la furia carnivora di quella roba e l’osso si mostrava sotto muscoli spezzati. Inclinò il recipiente. Ci fu una reazione peculiare. Invece di continuare a sfrigolare, colta da quello zampillo azzurro, la superficie mucosa della creatura si polverizzò in un composto salino, mentre il corpo sottostante brillava di verde sotto il proprio manto. Si contrasse di scatto, via dalla pelle, che lasciò scarnificata dietro di sé, saltando via, un movimento innaturalmente improvviso al contatto con l'ipoclorito di sodio. Dawn attivò il getto dell’estintore, mentre Cladzky, Linaker e Dave si fecero indietro perché non gli saltasse in faccia. Ma non fu la loro quella cui l’organismo puntava, precipitando invece su quella del povero Cronenberg, coprendo naso, occhi e bocca. La sua massa era di molto aumentata dopo quel pasto. La scarica d’anidride carbonica colpì con un momento di ritardo, investendo il sangue nero che saltò via di nuovo, lasciandosi dietro, in una nube di fumo, il volto surriscladato del povero benzinaio. Quella macchia solcò l’aria fino a cadere per terra, si fece spazio fra lo scalpiccio di piedi del pilota in bianco e la gestore e s’infilò dietro la porta semichiusa del retro, non prima che la donna provasse a colpirlo una seconda volta con un mestolo di acciaio inox, ma fu come colpire il pavimento sottostante. Il sangue nero era sparito. Cladzky ebbe l’impulso di seguirlo immediatamente, ma si rese conto che nessuno aveva fretta di darsi alla caccia della creatura. Cronenberg giaceva rantolante sul banco, agitando la mano sinistra per aria, ridotta a uno scheletro insanguinato, con ben poca carne sopra e cosparsa di macchie verdi, il tutto deformato dal calore che ancora sollevava nubi tossiche dai resti. Il viso, seppure a breve contatto con l’essere, aveva subito un’immediata liquefazione dei tessuti e ora, il miserabile, si tastava con la mano destra il viso sfregiato solo per rimanervi attaccati pezzi di pelle come mozzarella filante. Gli occhi si erano arrossati, mentre le labbra si spaccavano e rilasciavano copiose quantità di sangue che si mischiava con la saliva. I peli delle sopracciglia si erano come bruciati, cadendo in polvere poco a poco. Le guance si squarciavano da quanto la bocca le stirava nel cercare di urlare con una lingua sbiancata. Odore di carne bruciata si levò da quel relitto umano.

―Uccidetemi― Fu tutto quello che riuscì a proferire, prima di sputare un incisivo sul viso di Dawn e le labbra gli si fusero insieme.

―In nome di dio, chiama un medico― Esclamò lo sceriffo con un volto di disgusto e paura, mentre si toglieva quell’osso bollente dallo zigomo con gesti scomposti. Ma Dave non lo ascoltava. Il suo sottoposto era svenuto sul pavimento. Cladzky ci provò ma proprio non gli riuscì di trattenere il vomito.

Infine anche il naso si sciolse come crema, liberandosi di ogni cartilagine e lasciando scoperta la cavità nasale. Un volto da teschio continuava a sputare e dimenarsi in smorfie sempre più irriconoscibili. Quel macello di sangue e carne verdognola non era più il signor Cronenberg.

“Uccidetemi” Avrebbe voluto ripetere, ma proprio non gli riusciva. Forse perché la punta della lingua gli si era staccata e precipitata in gola. Cominciò a soffocare. Fu attraversato da fremiti. Infine non si mosse più. Dawn estrasse il folgoratore, ma era troppo tardi. Quando quella testa scoppiò come un palloncino pieno di sangue, frammenti d’osso e carne verdognola, Cronenberg era già morto per potergli essere grato.

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Capitolo 6
*** Discussioni vivaci ***


    ―Dawn!

    ―Ho dovuto, va bene? Ho dovuto farlo!― Fu l’affannata risposta che uscì dalle labbra secche dello sceriffo dai baffi tremolanti. Si versò un altro bicchiere di whisky, per poi berlo d’un sorso. Si passò il dorso della mano sul mento bagnato e riprese a discutere con l’altrettanto agitata Linaker, intenta a trascinare il corpo di Cronenberg giù dal bancone, assistita da Cladzky ―Non ce la facevo a vederlo in quelle condizioni e comunque non sarebbe sopravvissuto a lungo.

    Dave respirava a lente boccate, sdraiato su uno dei divanetti, sotto lo sguardo vuoto dei sensori di Mark. La donna e il ragazzo sdraiarono il cadavere sul pavimento, cercando di ignorare il continuo gocciolare di fluidi corporei da quella massa rigida, calda, ma decisamente morta. La reazione fra la candeggina e l’acido della creatura stava rilasciando una quantità di cloro gassoso nell’aria piuttosto irritante, che costrinse i due a indossare le loro tute per non inalarlo e rovinarsi le cornee. 

    ―E ora dove diavolo lo mettiamo?― Cladzky si pulì le mani per l’insopportabile sensazione di immondezza che provava dall’aver toccato qualcosa che era vivo fino a cinque minuti fa. Diamine, per mesi aveva comunicato con Cronenberg senza mai vederlo in faccia e ora non ce l’aveva neppure. Ma in fondo fu grato che fosse stata fatta saltare, aveva già dato dimostrazione di non poter reggere quella scena, quel continuo strappo di strato dopo strato di carne ridotta in poltiglia fino a scoprire l’osso di un teschio dalle orbite piene di bulbi disciolti come latte. 

    ―Buttalo fuori!― Fu l’ordine dello sceriffo, che distolse un momento i suoi occhi di vetro dal tastierino di un apparecchio a muro giusto accanto il ripiano dei liquori sfondato.

    ―Ma fuori il suo corpo...― Tentò di controbattere la bionda, dalla voce sempre più debole, ma il vocione dello sceriffo la sovrastò.

    ―Ho detto fuori! Quell’affare sta rilasciando esalazioni tossiche a causa della trovata di quell’incompetente e presto comincerà anche a puzzare di merda come ogni maledetto cadavere. Per il bene di tutti, ti ordino di portarlo fuori. Ormai è morto, niente lo può disturbare.

    Con una bocca semiaperta, sempre pronta a rispondere, ma mai a fiatare, la donna si limitò a chinarsi e prendergli le cosce. Cladzky stava per sollevarlo a sua volta per le braccia, evitando accuratamente di sfiorare il polso sbrindellato, che andava a dissolversi in scheletriche falangi rosse fuse insieme, quando Mark lo fermò.

    ―Copritelo con qualcosa― Gli suggerì la voce ―Senza un’atmosfera, le radiazioni solari, renderanno il corpo ancora più irriconoscibile.

Lo rinfilarono nella stessa tuta con la quale si era presentato mezz'ora fa, sigillandola ermeticamente. Quando Cladzky si approcciò per premere il bottone di apertura dell’uscita, un ben conosciuto folgoratore si allineò con la sua testa.

―Niente scherzi tu― Lo redarguì Dawn, con mano ferma tanto quanto la paralisi che aveva colto chi teneva sotto tiro. Avere una parete a specchio per controllare cosa si architettava alle sue spalle non era stata una posizione casuale da parte dell’agente. Con movimenti leggeri dell’arma lo invitò a scostarsi dalle porte e mettere le mani sul bancone ―La signora può benissimo occuparsene da sola. Credi che sia tanto stupido da permetterti di uscire dove non ti possa vedere?

Kay si mosse con estrema lentezza. Non tanto perché il peso fosse molto, considerando di quanta massa era stato alleggerito il già minuto Cronenberg, quanto piuttosto per un senso di stanchezza che la scavava e la faceva sentire più vecchia di quel che era. Con una gamba sotto braccio e le coperte nell’altra, la donna sparì dietro le paratie d’acciaio, riservando un ultimo sguardo a muso lungo verso il suo locale ridotto a uno sfascio. Dawn stabilì il collegamento a lunghe distanze.

    ―Stazione antincendio, qual è la vostra emergenza?― Lo accolse una voce da fumatrice all’altro capo della cornetta.

    ―Craven, dovete venire subito al Linaker’s diner.

    ―Vincent, sei tu?

―No, la fata turchina. Ascolta, non c’è tempo da perdere, abbiamo ritrovato Ken Russel.

―E che ti aspetti che facciamo? Noi siamo pompieri, sei tu lo sceriffo della contea.

―Non è questo il punto. Ken Russel è morto e ho sotto custodia il suo complice, ma quello che trasportavano non è niente di conosciuto. È un essere vivente, ma amorfo, più liquido che solido e ha fame di carne umana. Ha già ucciso un cliente, dovete…

―Frena, frena. Chi ha ucciso?

Dawn tirò su un gran respiro.

―Cronenberg, David Cronenberg. E ora…

―Ma sei serio? Quel Cronenberg?

―Ne conosci altri?― Gridò l’uomo verso il ricevitore, quasi a farselo cascare dalle mani. Guardò verso la porta che dava sul retro. Era chiusa a chiave e barricata, certo, ma aveva l'impressione che non sarebbe bastato a fermare quell’animale. Prese a stropicciare il piede sul pavimento sbiancato dal contatto della massa nera, quasi a voler cancellare quei segni, per poi riprendere con più calma e un fiatone immotivato da alcuno sforzo fisico ―Ascoltami attentamente: Questa cosa è molto pericolosa, ma è possibile congelarla e contenerla. Bisogna che portiate tutti gli estintori ad anidride carbonica che avete in centrale, ma probabilmente ne basteranno pochi. Non è molto grossa, ma se continuasse a mangiare ancora, come ha fatto con Cronenberg, diventerà un problema ben più serio. Mi hai sentito?

―Tutto chiaro, ho capito― RIspose una voce esitante dopo un silenzio imbarazzante. Dawn tirò un sospiro di sollievo ―Saremo lì in mezz’ora. Voi allontanatevi, ce ne occuperemo noi.

Dawn riattaccò, tirò su con il naso, chiuse gli occhi e tornò a puntarli verso Cladzky, che lo scrutava a sua volta, mani congiunte sul bancone, con uno sguardo di sfida. Fece il giro, gli piombò addosso e lo costrinse ad alzarsi, afferrandolo per un braccio e lanciandolo verso l’uscita. Ancora con il volto fumante si diresse al divanetto dove Dave stava in uno stato di dormiveglia, mano sulla fronte e viso sudato. Lo prese per i capelli rossi e lo forzò a sedere, fra i suoi strilli, per poi dargli un colpetto al diaframma che gli mozzò il fiato, ammutolendolo.

―Rimettiti in piedi, pelandrone, leviamo le tende. Il nostro compito è finito.

―Cronenberg...― Biascicò il sottoposto, stropicciandosi gli occhi ―Il sangue nero…

―Non è più un nostro problema. Sta arrivando Craven con i suoi uomini e in mezz’ora saranno qui. Saranno loro a occuparsi di tutto. Noi invece dovremmo occuparci di stilare tutte le carte e trovare un posto dove far dormire questo scavezzacollo e il suo ammasso di circuiti.

―Vi sbagliate― protestò il succitato scavezzacollo ―Non possiamo lasciare sola quella creatura neanche un secondo.

―Basta accampare scuse, è tempo per te di andare in cella e non mi farai cambiare idea.

―Sceriffo― Intervenne Dave, afferrandosi alla sua manica per non cadere di nuovo riverso sul divanetto ―Non sappiamo di cosa sia capace quella cosa.

―Eh già― Cantilenò Mark ―Chissà cosa potrebbe fare una bestia dalla fame infinita in una cucina? Certo, sarebbe un peccato se crescesse a livelli tali da diventare ingestibile anche per il vostro amico Craven.

―Proprio così― Si accodò il suo compare umano, scuotendo forte la testa ―Dobbiamo combatterlo in un ambiente confinato, di modo che non possa nascondersi e fuggire. Nello stato in cui si trova possiamo ancora sperare di distruggerlo, ma voglio ricordarvi che si tratta della stessa creatura che ha divorato Poseidon e Fleed. Vuol dire, che in un modo o nell’altro, può viaggiare nello spazio e qualora, nella nostra assenza, riuscisse sgattaiolare via dal planetoide, auguri a ritrovarla in cento unità astronomiche!

―Prima che la individuate avrà già divorato pascoli, foreste, persone. Bisogna fermarla finché è debole.

Dawn ponderò a lungo. Dave lo strattonò perché lo guardasse nei suoi occhi azzurri. Quando vide l’abisso della preoccupazione quasi non servirono le seguenti parole a smuoverlo.

―Craven non sa a cosa va incontro, potrebbe essere un massacro. Noi invece abbiamo un vantaggio, perché abbiamo già visto il suo modus operandi, e questi due conoscono le sue debolezze.

―Esatto Dave― Obbiettò il superiore, alzando lo sguardo verso Cladzky e stringendo la presa sulla la pistola. Prese a camminargli incontro, costringendolo ad arretrare con le spalle alla paratia d’acciaio ―Conoscono entrambi la creatura e possono aiutarci a distruggerla, quindi uno di loro è perfettamente sacrificabile. La scelta pende dunque su un criminale che alla prima occasione tenterà la fuga o un affidabile intelligenza artificiale ben più sveglia di tutti noi messi insieme.

―Dico― Balbettò Cladzky ―Non vorrete spararmi come avete fatto con Ken.

―Perché no?― Rise lo sceriffo, premendogli l’arma sullo stomaco e accarezzando il grilletto. Il ragazzo castano rammentò in rapida successione gli effetti che quel folgoratore aveva avuto sulla materia e di cui era stato testimone. Dall’ultimo colpo, quello che fece saltare il cranio di Cronenberg, gli era ancora rimasto del sangue bluastro sulla fronte. Se avesse sparato ora, considerò, gli avrebbe aperto un buco in pancia ―Dopotutto perché dovresti aiutarci? Non hai nulla da guadagnarci, se non sentirti una persona migliore, la qual cosa dubito sia un attributo che vai cercando, o non ti saresti mai messo in affari con un narcotrafficante in primo luogo.

―Avevo bisogno di soldi― Lo supplicò il ragazzo, singhiozzando da quanto faticava a respirare. Quella canna gli stava premendo sotto il petto come un punteruolo ―Nessuno si sarebbe fatto male, dovevo solo consegnare un campione a Russel per le sue ricerche.

―Nessuno si sarebbe fatto male, eh?― Vincent Dawn tirò indietro l’arma, solo per sbatterla di punta giusto sulla pancia del pilota in bianco, accartocciandolo come un origami, esalando un soffio di dolore ―E chi mi dici di Cronenberg? Che mi dici di tutte le altre persone che ora sono in pericolo per la presenza di quell’affare? Sei stato tu a portarlo nella nostra comunità e se Ken  Russel è già morto per le sue colpe non vedo perché tu non dovresti fare la stessa fine.

―Sceriffo― S’intromise Dave, levando la testa rossa ―Non potete. Che cosa ne è della giustizia che difendiamo? Dell’innocenza fino a prova contraria e del giusto processo?

―Le prove contrarie le abbiamo già, mi sembra― Non si degnò di guardarlo neppure, premendo l’arma sulla schiena del ragazzo, alla base del collo ―E per cosa mai lo porteremo in tribunale? Non certo per contrabbando o spaccio di droga, perché quello che ha trasportato non è nulla di mai classificato prima e non esistono leggi per incriminarlo. L’unica è l'aggressione a pubblico ufficiale, ma anche lì se la caverebbe con una pena infima e sarebbe presto a piede libero per buona condotta, pronto a delinquere di nuovo. Stranieri come lui li conosco. I vagabondi non hanno un cuore, perché non hanno una patria da amare e chi non ama la propria patria non può amare niente al di fuori di sé. Non ha un cuore come il nostro, cresciuti a credere in qualcosa di più grande e a servirlo. Lo ha detto lui stesso che l’unico motivo per cui ha aiutato quel malnato selenita è per soldi. Come puoi fidarti di qualcuno come lui? I miei metodi non ti piaceranno ragazzo e neppure ai nostri recenti politici, che si fanno sempre più indulgenti con questi migranti, ma io credo che sia l’unico modo per far abbassare la cresta a bastardi con cui non si può ragionare di cuore. Diremo che è stato, come per Russel, ucciso di legittima difesa durante un tentativo di fuga. Oppure, ancora meglio, potremmo usarlo come esca per la creatura, lasciare che lo corroda lentamente mentre troviamo un modo per ucciderla.

―Sceriffo― Ritentò nuovamente di farsi sentire Dave, stavolta mettendosi in piedi, seppur in maniera traballante. Vincent Dawn alzò lo sguardo dall’accasciato prigioniero castano, solo per ritrovarsi la punta di un altro folgoratore puntatagli contro dal suo sottoposto ―Butti via l’arma o sparo.

―Non fare sciocchezze ragazzo, ti avverto― Lo sceriffo tentò di alzare la pistola verso il vice, ma di risposta ci fu un lampo, un boato e una cascata di calcestruzzo dal soffitto. Dave riposizionò la canna verso il proprio superiore.

―Le ho detto di gettare l’arma― Esclamò, rosso in viso, Dave Hanson, con il folgoratore fumante.

―Cerchiamo di calmarci ora― Chiese, imperturbato, l’uomo dai folti baffi, pulendosi dai detriti che gli erano atterrati sulla spalla e rinfoderando la propria arma ―Cosa speri di ottenere?

―Non voglio che altre persone muoiano oggi― Parlò Dave, alzando visibilmente il petto per respirare a grandi boccate con la bocca. Dawn , senza mutare espressione, gli camminò incontro. Dave arretrò ―Fermo o…

―Non mi sparerai― Allargò le braccia lo sceriffo, come a invitarlo ―Lasciamo perdere ora questa ridicola commedia. Vuoi davvero rischiare la tua posizione per questo?

―Siete voi che rischiate la vostra posizione. Non vi permetterò di uccidere due persone disarmate in un giorno solo.

―Hai ragione, quello che ho fatto sarebbe malvisto da ogni giudice che si rispetti, ma ti invito a ragionare su un piano più pratico che teorico. Supponiamo che sia tu a spararmi e allora cosa succederà? Avrai salvato la vita di un contrabbandiere che non avrebbe mai fatto la stessa cosa per te e avrai ucciso un’importante figura nella nostra contea. Forse ti assolveranno per omicidio e tradimento alle istituzioni, ma cosa credi che diranno tutti i nostri concittadini? Dubito che ti permetteranno di mantenere la carica da sceriffo che avrai ottenuto col mio sangue, o anche di lasciarti vivere una vita normale.

―Non ha importanza― Sussurrò Dave, ma in quel silenzio era perfettamente udibile ―Mi hanno insegnato che tutta la vita è sacra e io la proteggerò, indipendentemente da quanto mi costerà.

―Sei solo un cialtrone― Gridò Dawn a voce tantò ruvida, quasi le sue parole scolpissero l’epitaffio sulla lapide di Dave ―Un ingenuo che segue il manuale senza sapere per cosa combatte. Non hai alcun senso di giustizia o umanità. Non conosci i nemici del nostro paese.

―Voi mi parlate di umanità!― Esclamò a sua volta Dave, avanzandogli contro ―Quando si sazierà la vostra sete di sangue? Quando credete che ne sarà stato versato abbastanza perché ritorni la pace nella nostra contea?

―Quando ogni singolo straniero sarà eliminato, ecco quando. Non erano mai successe certe cose prima d’oggi e voglio che smettano subito.

―Allora dovrete cominciare da me, signor sceriffo― Li interruppe una voce elettronica. I due sfidanti sciolsero la tensione, guardando verso il computer. Mark riprese a parlare ―Voi diceste che di un robot ci si può sempre fidare, ma non è così. Non potete uccidere il mio pilota in virtù della sua inaffidabilità se io stesso ho rotto le leggi della robotica.

―Tu cosa?

―È vero― Si affrettò a confermare Dave ―Mark Zero è intervenuto durante la lotta di poco fa fra me e il suo padrone. Mi ha aggredito.

―Un robot― Rise Mark e avrebbe tanto voluto avere gli organi necessari per farlo ―Non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. Era così la prima legge, o sbaglio?

―Allora neanche tu sei affidabile― Sentenziò Dawn ―Dovrò distruggerti come ogni robot sovversivo.

―Certo, e dopo aver ucciso anche il mio padrone non avrete più nessuno a cui far affidamento contro quella massa nera. Bella situazione vero?

―La Linaker...― Boccheggiò Cladzky, mettendosi a gattoni e reggendosi lo stomaco ―Non è ancora tornata.

Tutti guardarono istintivamente fuori dalla vetrata. Anche Cladzky si trascinò e si rimise in piedi, afferrandosi all’impavesata che correva lungo il muro e issandosi a osservare il paesaggio desertico. Fuori, sotto il sole freddo e insanguinato, due tovaglie di stoffa coprivano un corpo sdraiato sul cemento del parcheggio. Della donna nessuna traccia.

―Ma dove diavolo è sparita?― Dave diede voce alla questione che si ponevano tutti, abbassando l’arma. Un fracasso di stoviglie smosse il collo dei presenti, che mossero il capo verso la porta rossa che dava sul retro, ancora chiusa e barricata per imprigionare la creatura. Ma adesso sembrava che qualcuno si fosse chiuso dentro con lei.

―Immagino non ti piacerà la risposta― Commentò Mark.

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Capitolo 7
*** Duogonisti ***


Non riuscivo a scrivere il settimo capitolo per la terribile sensazione di aver sbagliato qualcosa in quello precedente. Finalmente, oggi, 4 Dicembre (allegria!) ho scoperto cos’era. Nel sesto, lo sceriffo Vincent Dawn, prende la cornetta del telefono e fa uno squillo a Craven, come niente fosse. La mia fantascienza sarà pure profondamente irrealistica, ma neanche io posso scrivere baggianate del genere. Il sistema di Dryriver è detto esplicitamente essere largo cento unità astronomiche, ovverosia cento volte la distanza fra il sole e la terra. Considerando che le onde radio viaggiano alla velocità della luce nel vuoto e che il sole si trova a otto minuti luce dalla terra, è più che palese che la trasmissione, per quanto veloce, non possa essere istantanea. Solo per percorrere un’unità astronomica, il segnale avrebbe un ritardo di otto minuti fra la domanda e la risposta, mentre se la stazione antincendio si trovasse dall’altro capo del sistema, impiegherebbe circa un’ora e venti. Ma scusa, direte voi, che ce ne frega? Frega, perché il senso d’isolamento è importante in questa storia, dunque tenete a mente questo fattore di ritardo nelle comunicazioni. Adesso l’apparecchio viene descritto essere specificatamente per le lunghe distanze, rendendolo ora un’elemento indispensabile per comunicare con l’esterno, al contrario delle normalissime radio apparse finora nel resto del racconto. In secondo luogo, il corpo del povero Cronenberg viene trascinato fuori il locale privo di tuta spaziale, lasciandolo cuocere sotto il sole e congelare durante i quarti d’ora di notte del planetoide. Non viene fornita una spiegazione e, se avrete voglia di rileggere il precedente scritto, vedrete modifiche a questa svista grossolana e anche a quella precedente. Per ora posso solo dirvi buon proseguimento.

    

***


    Non è che odiasse Vincent, credeva davvero nella propria missione di difendere la contea da ogni minaccia esterna, ma ciò aveva il caro prezzo che si mettesse a infilare il naso in ogni faccenda sospetta. Da quando Lee aveva progettato di espandere il suo commercio al di fuori di Dryriver, lo sceriffo continuava a dissuaderlo ad ogni loro incontro; la interrogava saltuariamente sui clienti che si fermavano alla sua locanda, anche se mai troppo insistentemente per il rispetto che le nutriva, e lo stesso faceva con… Oh, povero Cronenberg. E dire che l’aveva visto entrare con le proprie gambe mezz’ora fa, vivace come un bambino nonostante avesse consumato più di metà della propria vita, canticchiare le sue canzonette da vecchi filmacci e saltare eccitato per ogni dramma fuori dal quotidiano. Mentre l’aiutava a rifornire il gruppo elettrogeno del locale le aveva pure sistemato una tubatura che perdeva con le sue dure mani callose. Un omaggio della ditta, si era spiegato, e si erano pure dati appuntamento per mettere a posto anche l’impianto d’aerazione, appena infestato da una colonia di ferioni tigrati, trasportati dall’ultima consegna da Galileo. Dio, si erano dati appuntamento fra due giorni.

    Perse la presa e il corpo cadde sull’asfalto del parcheggio, senza neppure un botto sordo quando il casco rimbalzò sulla dura superficie bollente, irradiata dalla stella sopra le loro teste. Kay espose la gola e quasi cadde all’indietro da quanto tentò di centrare lo sguardo con l’apice del cielo, in continua rotazione. Gli girava la testa. Croneneberg era morto ai suoi piedi, nel locale che lei gestiva sin da quando l’aveva fondato. Molta gente che conosceva, come tutti immaginava, era deceduta, ma erano sempre cause ordinarie, cause che lei reputava inevitabili, come la malattia e la vecchiaia, ma vedere un uomo morire così l’aveva destabilizzata, non a causa del loro legame, ma era qualcosa che, si sentiva, si sarebbe potuto benissimo evitare, ma con che mezzi? Era una completa rottura del mondano, un’invasione della routine ch’era proseguita sicché era nata. Avrebbe potuto fare qualcosa?

    Se avesse tenuto lei lo scopettone in mano invece di farselo rubare da Cronenberg? Se avesse avuto una reazione più rapida invece che esitare a prendere la candeggina? Se avesse inseguito la creatura invece che lasciarla scivolare in cucina e chiudercela dentro? Era colpa sua? Forse era colpa di Vincent. Dopotutto avrebbe dovuto prestare attenzione agli avvertimenti e mettere quel maledetto cilindro dove l’aveva preso o nella cella frigorifera del locale. Ma era il suo locale e sapeva di avere il rispetto di Vincent: allora perché non era intervenuta? Avrebbe dovuto imporsi e allora non sarebbe successo nulla di tutto questo. I due stranieri sarebbero finiti in galera e lei sarebbe potuta tornare alla vita di tutti i giorni ad aspettare giovedì, quando Cronenberg sarebbe passato a sistemarle i condotti d’aerazione e avrebbero parlato di motori, viaggi nei sistemi vicini o di quale strano nuovo credo avesse abbracciato il signor Fulci. Ma ora non era più possibile rimediare, qualunque cosa sarebbe dovuta essere fatta prima. Era rimasta come un’idiota bisbetica a lamentarsi per tutto il tempo. Certo, aveva salvato la vita a Ken Russell, ma anche lì si trattava di semplice empatia, il minimo indispensabile di ogni uomo credeva, e poi non lo salvò certo quando lo sceriffo prese a sparargli dietro. 

Non aveva idea di cosa sarebbe potuto succedere. Ma no, certo che ce l’aveva! I due balordi continuarono ad avvertirli per tutto il tempo di trattare con cura il solvente. Che fosse colpa dei due? Forse, in fondo erano stati loro a portare il seme della loro distruzione, ma non sarebbe potuto crescere se li avessero ascoltati. Anzi, lei stessa aveva permesso che crescesse, sottostimando quelle confessioni come stronzate dette da chiunque pur di togliere le spalle dal muro e ci aveva pure scherzato sopra.

“È necessario che ogni bambino mangi tanto e cresca forte”, aveva detto. Che razza di frase del cazzo. I suoi occhi quasi caddero sul vetro inscurito di Cronenberg, giusto mentre il sole gli passava sopra, illuminando quell’antro buio, stretto e pieno di metano espulso dal corpo fresco. Tolse gli occhi appena in tempo, sbirciando per un momento il ghigno di un teschio verdognolo e ricoperto di brandelli di muscoli. Era completamente sfigurato. Quel sangue nero gli aveva avidamente divorato il viso, come a prendersi gioco della sua ironia.

Della polvere nera si sparse per l’aria. Non capì immediatamente, ma quando si guardò gli stivali della tuta si rese conto di star camminando su un deserto d’inchiostro fuligginoso. Erano brandelli inceneriti che si alzavano in aria, urtati dai suoi piedi. Una striscia bianca rivelava il parcheggio sottostante, creatasi quando, inavvertitamente, ci aveva trascinato Cronenberg in mezzo. Erano i resti di Ken Russel. Fu presa da un morso allo stomaco. Due uomini erano morti e se non aveva salvato un suo amico come ci si sarebbe potuti aspettare che salvasse un completo sconosciuto, per quanto bisognoso? Forse era causa del suo lavoro, il fatto di farsi servizievole con chiunque attraversasse le paratie del diner da ormai tanti anni, che le aveva istillato l’idea di soddisfare chiunque, dare un buon servizio, renderli felici, aiutarli e ora? Aveva fallito sia come amica che come gestore del Linaker’s Diner.

Aveva passato la sua intera esistenza senza particolari sorprese, quantomeno comparabili a questa. Che stesse sognando? Che questo orrore fosse esterno alla sua vita normale proprio come i due stranieri? Che dovesse solo svegliarsi e ritornare nei confini della propria realtà, della propria contea? Era tutto così assurdo che faticava a credere a quello che le era capitato sotto gli occhi, non poteva inserirsi nel suo mondo fatto di friggitrici, sgrassatori per fornelli, tasse, dichiarazione dei redditi, mance, le solite facce, fiere di contea, contrattazioni per la merce, allergia al pelo di gatto, quell’idiota di Craven che si porta sempre dietro il suo Mr. Miao e pirografia. Era roba degna delle pellicole per cui Cronenberg smaniava, fantascienza bella e buona, non roba che poteva capitare a un cittadino comune come lei, pensò, appoggiandosi al disco volante giallo canarino lì parcheggiato. Si portò una mano sul vetro del casco. Avrebbe tanto voluto toccarsi il viso a mani nude, mettersi una mano sugli occhi, stringere il pollice e l’indice sulla cima del naso, grattarsi la fronte. Non era qualcosa che poteva affrontare lei.

Che dovesse lasciare questa minaccia a qualcun altro, dopo che le aveva scombussolato ogni aspettativa sul futuro? Non era la persona adatta per affrontare la cosa, era la stessa cosa che aveva distrutto Poseidon e Fleed, eppure era apparsa direttamente nel suo locale quel giorno. Il locale che era la sua quasi unica preoccupazione e che ora aveva ricevuto centinaia di rubli di danni. Il locale che lei stessa aveva fondato ancora che era viva sua madre rendendola orgogliosa. La sua adolescenza. Il giorno che era diventata adulta. Quel giorno si sentiva allo stesso modo, vero? Si sentiva persa, ogni sua certezza sfasciata. Non era più una bambina, era una donna, ma ancora con gli stessi sogni ma senza la possibilità di poter avere qualcuno che badasse a lei. Doveva badare a sè stessa, prendere il rischio di fallire e cercare di non deludere sua madre tornando da lei. Era un nuovo ostacolo e l’aveva superato. Allora perché ora, che di nuovo la vita le scuoteva le radici sotto i piedi, doveva essere diverso? Perché non affrontare questo ostacolo ora che si era presentato nel suo locale, lo aveva messo a soqquadro, aveva attaccato i suoi clienti, ucciso i suoi amici e, in generale, rovinarle la serata?

Le sue palpebre si strizzarono, lasciando uscire appena due lacrime a rigarle il viso di sale e caderle sul petto, prima di riaprire gli occhi e vedere la cenere sparita, confusa al terreno. Guardò verso il cielo. Il sole era tramontato e ora aveva solo la sanguigna nebulosa di Yeaworth sopra la testa.


***


    Aveva freddo, molto freddo, penetrante, non superficiale, completo. Non riusciva neppure a pensare razionalmente, erano solo sensazioni, non figure, ma colori e neppure accesi, ma di quell’apaco e tenue tipico dell’infermità, della malattia. Si sentiva male, ma non era un dolore fisico, bensì qualcosa che non funzionava correttamente nel suo organismo e non capiva cosa a causa delle sue sensazioni limitate, né aveva memoria di cosa gli fosse successo. Non aveva memoria di niente. Dove si trovava? Percepiva come qualcosa che lo stringesse appena, prima, ai lati del suo… corpo? Stava toccando qualcosa o la percepiva in un qualche altro modo? Con che organi? Era dotato davvero di sensi? E se si stesse immaginando tutto?

    Cercò di tornare indietro con la mente e non ci riuscì. Non aveva passato sembrava o forse, in questo stato sgradevole, non poteva ricordare niente. Provò con un processo inverso, guardando al futuro. Di cosa aveva bisogno? Cosa voleva? Niente, nessun desiderio fisico sembrò fare eco dal suo corpo. Ma come poteva essere sicuro di avere un corpo ora  che non poteva sentirlo? Ma in che stato si trovava? Si sentiva imprigionato, incapace di ogni cosa. Stava dormendo? O era questa la sua condizione naturale, una voce nel buio. No, non era buio, il buio sarebbe un nero, mancanza di luce, ma lui vedeva il nulla, neanche un colore e così anche l’odore nell’aria era assente e ferma, priva di suoni da captare. Sentiva solo freddo.

Che fosse morto? Questa è la morte? Un limbo privo di materia, solo lui e i suoi pensieri per l’eternità, privo di ricordi a tenergli compagnia, desideri d’agognare, la noia più completa. L’angoscia lo colse, ma una completamente mentale, priva di morse allo stomaco e mal di testa, solo l’atterrimento di fronte alla gigantesca bestia che era l’eterno nulla davanti a lui. Che questa condizione potesse durare per l’eternità? Che non potesse fare nulla? Si sentiva impotente. Fare qualcosa, questo era l’unico desiderio che aveva in mente, uscire da quell’abisso senza fondo e entrata. Pianse nell’animo, al pensiero di non poter far nulla ma sopportare, sopportare e sopportare fino alla fine dei tempi, ovvero mai. E pensava, avanti la sua mente andava a sfoltire fra le dita i secoli e i millenni e gli eoni passare senza modo di contarli, privo di qualunque riferimento. Non esisteva nulla se non lui? E se la sua mente non sentiva nulla forse anch’essa non esisteva. Non esistere, che pensiero terribile, farsi spegnere la coscienza, essere privati di pensare. 

Ma lui pensava. Si stava ponendo dubbi e preoccupazioni, lui stava ragionando. Era una voce, una volontà, un’entità capace di provare paura. Paura, certo, paura della non-esistenza, dell’oblio, la mancanza di ogni pensiero, e allora, se poteva preoccuparsene, voleva dire che esisteva per forza, che non era morto, che aveva avuto esperienza del mondo sensibile perché, seppur privo di memorie specifiche, era familiare con certi termini. D’accordo, forse non sapeva chi fosse, che aspetto avesse o chi lo avesse generato, ma conosceva il significato di "morte”, sapeva che era l’antitesi della vita, ecco, un secondo concetto che conosceva. Allora  aveva avuto modo di sperimentare qualcosa al di fuori di questo vuoto, di toccare la vita e la morte fuori da quel pozzo privo di colore. E perché qualcosa fosse vivo aveva bisogno di una mente, un supporto solido, un corpo. Lui aveva un corpo, non poteva venire dal nulla, era impossibile. Il suo pensiero, che giungeva già lontano a lui stesso, era collegato a un cervello da qualche parte. E soprattutto sentiva il freddo che lo circondava, lo turbava e dunque non era uno spazio veramente vuoto, solo la sua mente era momentaneamente incapace di riconoscersi.

Il freddo andava calando e i pensieri si fecero più liberi, in guisa di atomi in sublimazione. Ah, atomi, supporto della realtà fisica, gli pareva quasi di sentirli vibrare. Che il suo ragionare gli stesse aprendo la strada verso il risveglio? O che un agente esterno lo stesse liberando? In ogni caso ne stava uscendo e continuò a pensare. Il passato si faceva meno nebuloso. Lui non era solo, no, c’era qualcun altro nei suoi ricordi, un essere senziente come lui, diverso, ma inseparabile. Dov’era? Cominciava a percepire la sua massa, ma nient’altro, al di fuori di un anello che la imprigionava, immboile, compatta, soffocata. Era solo nelle immediate vicinanze. I suoi desideri andavano a delinearsi. Si sentiva piccolo. Non era mai stato così piccolo, non lo rammentava e voleva porvi rimedio. Doveva crescere, tornare in forze e questo era il primo obiettivo, ma come? Si mosse ancora un po’ e finalmente riuscì a spostare una specifica parte del suo corpo, rispetto ad un inconsulto sussultare. Era un dito? Un braccio? Sapeva di aver sollevato qualcosa. Che fatica. Il movimento genera calore, quindi proseguì per sbrinarsi, ma spende energie. Dove diavolo trovava delle energie?

Giunsero nuovi stimoli. Rumori. Il suo udito percepiva un brusio sommesso, irregolare, che si fermava insopportabilmente e poi riprendeva più forte. Suoni fatti di note, suoni non di cose, erano voci, erano esseri pensanti che esprimevano un pensiero come lui! No, non era solo, ma non erano neppure l’individuo che voleva al suo fianco, quest’ultimo era ancora lontano. E gli crebbe una voglia smisurata al sentir quei toni in continuo cambiamenti, che si rispondevano l’un l’altro come zufoli nella nebbia. Una voglia di avvicinarsi a loro. Una voglia di prenderli. Una voglia di… Zittirli. Prendere il loro spazio nell’universo, ottenere la loro massa, insomma, il concetto che cercava, finalmente tornatogli in mente era mangiarli. Aveva fame, era senza forze, dove consumare qualche altro essere e rubargliele per sopravvivere o il freddo sarebbe tornato e si sarebbe consumato lui.

Si mosse e si sentiva circondato, sia dalle voci, ma anche da una parete che li separava. Una bolla resistente lo separava dal mondo esterno, una bolla, che, al contrario suo, non si muoveva, anche se vi si premeva contro con tutte le forze. Doveva rinunciare? No, se lo avesse fatto nessuno l’avrebbe salvato. Forse non era solo nell’universo, ma era certo solo dentro quella bolla. Faticò e faticando creava calore e così il sudore. Sudore? No, era più bava, schiumata al desiderio di saziarsi finalmente. Ma questa non era semplice bava, vero? No, gli scaturiva il ricordo che non lo fosse, che avrebbe potuto aiutarlo, anche se non sapeva come. Allora s’impuntò sempre di più, spinse con tutte le sue forze contro quella parete, non di testa o braccia, ma con tutto il corpo, e continuò a generare saliva. Gli apparvero scintille di fronte il muso. La vista gli stava tornando. Nero. Finalmente era tornato a vedere un colore. Era sulla strada giusta per uscire da quella caverna senza luce.

Il lavoro procedette per un tempo che non calcolava. Forse erano passati secondi, forse secoli, non aveva alcun modo di comparare il suo trascorso a quello di nient’altro. La sua percezione era l’unica che possedeva. Eppure, là fuori, il brusio continuava e finché continuava lui avrebbe spinto per raggiungerlo. Anzi, questo andò incrementando come a invogliarlo a proseguire.

Si riposò. La parete non si spostava e ormai, di saliva, ne era uscita così tanta da farlo rinsecchire e bagnargli la base del corpo. Non avrebbe dovuto fermarsi, ora tutta la stanchezza accumulatasi gli piombò addosso e sprofondò nuovamente in quel sentore di malattia precedente. Non riusciva a muoversi. Aveva consumato tutto quello che poteva dare e non c’era più nulla dentro di lui, letteralmente. Anche quelle poche ombre ch’era la sua vista si spense, come anche il sentore e i limiti della sua bolla gli sparirono dalla percezione, mentre essa stessa vagava nuovamente nel vuoto. La fame andava a spegnersi,schiacciata dalla stanchezza e l’ultimo ricordo a cui potè aggrapparsi, mentre gli altri andavano a scoppiare in bolle di sapone, fu uno solo. Quello del suo compagno, lontano, che, indubbiamente, lo stava cercando come lui faceva nei suoi riguardi. Lo stava pensando. Avrebbe potuto dire che gli fischiava un orecchio se solo se lo sentisse ancora.

E poi il mondo gli esplose di fronte. Cadeva, senza rendersene del tutto conto, e toccò un piano fatto di un materiale diverso. Ovunque lo assediarono luci, ombre indistinte, colori! Altro che nero, tutta la gamma cromatica gli si formava davanti agli occhi e andava a formare dei disegni, delle figure, oggetti solidi, oggetti che si muovevano, come lui. E poi il rumore, assordante, della vita al di fuori di sè, dell’universo, finalmente non era più un brusio, ma lo circondava e lui poteva ascoltarlo senza filtri. Era fuori, era di nuovo nell’universo! E la fame gli tornava, così il desiderio, la voglia di muoversi e i ricordi. Ma di questi solo uno non tornò, perché era sempre stato con lui. Il compagno che lo aspettava. Doveva raggiungerlo, in questo universo smisurato, familiare ma labirintico. Doveva e l’avrebbe fatto. Ma per farlo aveva bisogno di mangiare, terminare esistenze altrui per alimentare la propria, riprendere le forze, crescere, diventare ciò che era prima. Allora, ne era sicuro, l’avrebbe trovato e lungo la strada, forse, avrebbe capito anche tutto il resto riguardo la sua esistenza nebulosa. Ma di una cosa era sicuro. Lui esisteva e aveva uno scopo in quell’universo gigantesco. Era il protagonista della sua storia. Riprese a strisciare verso quei bagliori sfumati in movimento. Avrebbe divorato qualsiasi cosa pur di tornare al suo compagno, al suo passato e alla sua forma originaria.

“Bravo figliuolo”

Una voce lo raggiunse, ma non era un pensiero astratto come i suoi. No, erano suoni che rimbombavano nella sua mente e lui li aveva capiti. Quello era il logos, la sua origine, la materia prima da cui era stato creato, ovvio che la riconosceva, che la capiva, era lui in un certo senso, prima di mutare aspetto, ma non sostanza. Generato, non creato, della stessa sostanza del padre.

“Szymon” Pensò lui di risposta. La sua prima parola di senso compiuto.


***


    Kay sbirciò da dietro l’angolo. I rivoltanti rumori di deglutazione non l’avevano preparata al disgustoso spettacolo che gli si presentò nell’angolo della cucina. Ebbe la sensazione di voltare le spalle e scappare, come le dettava il suo spirito di sopravvivenza, ma la porta di servizio si sigillò alle sue spalle con un sibilo da gatto meccanico e lei riacquistò coraggio, come non ci fosse altra strada.

    Il sangue nero si era sparso, come un grossa bolla di resina d’albero, sopra le riserve di carne appena lasciata a scongelare sul tagliere. Non era difficile capire che strada avesse percorso, seguendo la scia bianca di corrosione che aveva lasciato lungo tutte le superfici che avesse toccato con il suo corpo di medusa, che partiva dalle piastrelle e seguitava su per la dispensa in acciaio. In un gorgogliante gonfiore da ferita pulsante, la creatura era cresciuta. Dacchè era una macchia da sogliola, sufficiente a coprire il viso di un uomo, ora doveva raggiungere le dimensioni di un cagnolino, prendendo spessore in altezza. Aveva ancora un aspetto semitrasparente e, come con Croneneberg, poteva vedere quei filetti essere succhiati nel suo corpo colloso e apparire dietro la membrana da palloncino colorato di nero e gonfiato di pus. Qui, l’ombra del filetto, andava a dividersi da sola in parti più piccole, sciogliendosi fino a sparire, sfumando nel liquido. Un rumore di sfrigolatura e odore di bruciato si sollevarono dal tagliere in legno, insieme a una nuvoletta di fumo bianco, lenta e sottile ma che presagiva un freddo da piombo fuso.

    ―Ti piace mangiare, figlio di puttana― Corse decisa verso la candeggina. Poi ci ripensò. Avrebbe avuto tutto il tempo di scappare via e magari saltarle addosso, abbracciandola nella sua morsa, come aveva già dato prova di fare. Allora si allontanò dallo sgabuzzino e verso la cantinetta piena di liquori per le grandi occasioni. Attenta a non far rumore, sfilò una bottiglia di rum, che soffiò sul legno prima di essere trascinata via con cautela. Si diresse verso una coltelliera, tagliò via il tappo di sughero con una lama per sventrare i pesci ed estrasse di tasca un fazzoletto che imboccò per bene nel collo della bottiglia ―Allora ti farò mangiare. Benvenuto nella mia cucina.

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Capitolo 8
*** Disinfestazione a due corsie ***


―Kay, esci fuori!― Vincent cercò di sporgersi dall'oblò, ma il suo torso impattò contro una delle sedie accatastate sulla porta chiusa a chiave. Tutto quello che riusciva a vedere era la porta di servizio dall’altro capo dell’isola al centro della cucina. Un’ombra umana, chinata in avanti e dagli sciolti capelli ciondolanti, si proiettava sul muro, deformato dallo spigolo di un angolo che portava alla dispensa. Seguì i suoi movimenti circolari, ingrandendosi e impicciolendosi sulle piastrelle, circolando intorno qualcosa, entrambi troppo a sinistra per poterli scorgere. Mosse le braccia senza guardare, puntando a rimuovere un grosso cestino dei rifiuti in alluminio, ma toccò invece un altro paio meno venoso. Voltò il viso e s’incontrò con quello pallido di Dave. Nei suoi occhi non c’era più l’esitazione con la quale gli minacciava di sparargli e, nel guardarlo, Vincent Dawn non provò alcun senso di minaccia, specie non da parte sua in questo momento. Senza neppure un annuire d’intesa, afferrarono entrambi il bidone da sessantaquattro galloni e lo gettarono al di là del bancone, atterrando con un clangore metallico accanto Cladzky, perdendo parte del proprio organico contenuto. Il ragazzo si gettò di lato più dallo spavento che per evitarlo, finendo con la schiena punta da un ammasso di lamiere. Si voltò a gattoni verso quel rottame di Mark, incapace di muoversi su quei cingoli senza provocare un leggero stridore. Non gli diede il tempo di scusarsi che il braccio articolato mozzato si smosse spasmodicamente nell’aria, molto più meccanico di prima.

―Apri il portellone― Raspò la laringe elettronica, sforzandosi di non farsi sentire, nonostante l’urgenza ―Non hanno il tempo di badare a noi ora.

―E lasciare qui il campione?― Si accucciò, coprendosi la testa con le mani, quando uno sgabello gli volò sopra e rimbalzò sul vetro.

―Premi il pulsante, non hai più modo di guadagnare nulla da quella trappola.

―E loro…?― Non terminò la frase, rimanendo con il labbro a penzolare un destino già chiaro.

―Oh, proprio adesso devi avere una morale?

Vincent Dawn scorse, con la coda dell’occhio, il movimento rapido di un dito, il luccichio di un pannello al LED e una porta pressurizzata scorrere. Non era neppure allarmato che quello straniero stesse vigliaccamente scappando ora che li vedeva distratti, anzi, ne provava quasi gusto di aver avuto ragione. Però a ripensarci, l’idea di lasciarlo andare impunito lo prevalse un po’, ma non abbastanza da fargli mollare il suo lavoro. Colse il suo limone, la bombola semivuota dell’idrogeno, e ci fece una spremuta, proiettandola con le sue braccia stanche, ma non meno laboriose, a rendere il cranio del pilota in bianco tappezzeria. Quell’idiota era tutto istinto e niente cervello, perché aveva combinato un bel casino, ma quando si trattava di schivare oggetti contundenti era bravissimo. Abbassò il capo come la tartaruga che era, lasciando che la bombola si schiantasse sullo stipite della paratia con riverbero, ma gli ricadde addosso, facendo appena in tempo a contrastarle i suoi palmi nel vano tentativo di prenderla al volo, venendo schiacciato a terra. Cladzky strizzò gli occhi e alzò lo sguardo annebbiato per la mancanza d’aria in quei polmoni compressi fra il pavimento e la tanica oblunga. Buttato fuori dal mondo, potè constatare il pannello interno d’apertura in frantumi che ancora faticavano a staccarsi da quanto erano stati incavati nel muro. Forse sarebbe stato meglio se la bombola lo avesse centrato in pieno.

―Occupati del ragazzo, basta uno ad aprire la porta― Ordinò Vincent, scalciando via l’ultimo scatolone e portandosi le mani alla fibbia, mentre il suo vice si ritirava, senza riuscire a staccare del tutto gli occhi dall’oblò. Dove diavolo erano le chiavi, si domandava lo sceriffo, studiando un gancio libero dalla parete.

―In piedi, vuoi peggiorare la tua situazione?― Dave cercò di persuadere il ragazzo, strattonandolo sotto le ascelle a rimettersi in piedi, con meno pazienza di quanto gli era consueta, ma incontrò una certa resistenza nel movimentato puntellamento dell’altro sul pavimento sui contorni della soglia.

―Già, vuoi peggiorare la situazione?― Insistè ai piedi dei due il robot. La paratia andava a chiudersi. L’imbiancato scalciò e scalciò fino a mandarne uno a segno, spingendo la scalcinata unità mobile di Mark dentro la camera di depressurizzazione, prima che le due metà metalliche si ricongiungessero.

―Maledizione― Imprecò appena il vice, mollando il pilota, che ripiombò a terra, nuovamente letargico nei movimenti e saltando a premere un pulsante che ritrovò disintegrato sotto il proprio polpastrello. Era impossibile aprire la porta da questo lato ora. Si voltò verso il contrabbandiere, mentre il sibilo dell’aria risucchiata andava a farsi più forte oltre la superficie impenetrabile dal riflesso opaco della sua stessa prigionia, portando le mani davanti a sé e muovendo dal nervoso le dita ―Che cosa lo hai mandato a fare là fuori?

―Alamo ha bisogno della sua cavalleria― Si rimise in piedi Cladzky, non riuscendo a ridere come si era promesso di fare dopo aver sollevato lo sguardo al viso tremante del ragazzo, dalla mascella rientrata e le gote a spingere le cornee.

―Perché hai bloccato la porta?― Si trattenne da strangolarlo, ridirezionando all’ultimo le braccia a scuoterlo per le spalle.

―Io non ho bloccato alcuna porta, siete voi che…― Cercò di ricomporsi dopo essersi tolto i capelli dagli occhi, ma Dave era già tornato a premere di nuovo il pulsante senza risultati e sbirciare fuori dalle vetrate. Sotto un sole la cui luminosità era superata dai faretti del parcheggio, in ombre nitidisse ritagliate con la forbice e sdoppiate per le direzioni simultanee dei lampioni, arrancava l’unità mobile, lasciando una scia segmentata sopra le dunette di sabbia rossiccia e un bagliore cromato all’occhio, sotto il cielo nero terso. Sorpassava ora il sarcofago umanoide ch’era la tuta di Cronenberg.

―Al diavolo, non ci serve quel barattolo― Il vicesceriffo lo spinse, con le mani e le parole, verso il suo superiore, facendolo sdrucciolare con le suole sul pavimento già corroso dalla sostanza mefitica ―Oltre a lui e Ken rimani tu che sai come fermare quella roba, no?

―Ancora credi di cavar del buono da lui?― Sputò Vincent senza guardarli, dando un’altra spallata alla porta senza smuoverla. Schiacciò il naso contro il vetro per vederne un’altro, più sottile, premere dal lato opposto, di un viso scavato dal terrore che continuava a lancettare lo sguardo prima allo sceriffo e poi la sua destra ―Kay!

―Vincent, t’imploro― Giunse ovattata la voce rauca della donna al di là, respirando a fatica, accigliata, ancora vestita della tuta cosmonautica, fuor del casco, i capelli biondi scompigliati ―Credo d’averla messa in trappola, ma non fare rumore che si agita.

―Dico, credi di avere a che fare con un’infestazione di ferioni?― Si batté la tempia col dito lo sceriffo ―Quell’affare ha già ucciso una persona, esci fuori!

―È il mio locale, Vincent― Niente da fare, Kay tornò fuori dal suo campo di visione, alzando le mani a scusarsi. Vincent cercò di seguire vanamente la vicenda, ma non volle perdere ulteriore tempo dopo l’ennesimo rumore di scodelle rovesciate. Mise mano al cinturone e sfilò il folgoratore. Si volse ai due appena arrivati gli alle spalle.

―Forse ve lo siete scordati tutti quanti…― Sbuffò, agitando i baffi, prima di solleticare il grilletto con la canna spasimante di pungere in avanti.

―Occhio con quella― Ingoiò il cuore Cladzky, facendosi scudo con il vice.

―Sceriffo, le ho già detto che…― Tentò di gridare in protesta, prima di essere tagliato corto da uno scatto fulmineo dell’arma verso la maniglia, seguito da un secondo scoppio vero e proprio che la scardinò aperta in un boato. Fra il fumo e l’odore di metallo fuso, Dawn fece il primo passo dentro la cucina, pronto col secondo colpo.

―…Ma tutto quello che voglio fare è proteggere e servire.

Kay tossì vistosamente ancora prima che il fumo le potesse salire ai polmoni, quando il cuore le mancò un battito. Si voltò, a malapena senza far cadere la confezione che teneva in mano e si ritrovò Dawn tirarla indietro verso l’uscita.

―Tutto bene?― Chiese, addolcendo il tono e guardandola solo di sfuggita negli occhi, controllando ogni ombra della stanza.

―L’hai fatta saltare!― Replicò lei con uno spintone, ma incapace di staccare quella morsa.

―Dov’è?

―Bella domanda.

Dopo un momento di esitazione, anche Dave entrò cauto, mentre Cladzky rimase sulla soglia impietrito. In ghirigori di movimenti erratici sulle piastrelle impallidite dalla corrosione, gli occhi dei presenti si perdevano a seguire scie di lumaca, sperando di trovare la medesima medusa spiaggiata. Le stoviglie inossidabili erano state ribaltate dai fornelli spenti, mestoli rimossi dai loro ganci, la coltelliera sparpagliata nel lavandino e diversi barattoli di vetro in frantumi, implosi su loro stessi nelle schegge, ma dal contenuto mezzo integro. Il nebulo di bruciato recente si mescolava a uno più chiaro a formare un banco, coprendo il controsoffitto.

―Che cosa avevi intenzione di fare?― Calò il tono Dawn, tentando un passo verso l’uscita, ma Kay rimase impervia al suo posto.

―È cieco, Dawn― Replicò lei ad un volume ancora più basso, decisa a riconoscere in qualche angolo quel tipico rumore di carta moschicida spostarsi da un angolo all’altro.

―Cosa?

―Quando sono entrata dalla porta sul retro…

―Era questa la domanda, Kay, che volevi fare da sola?

―Ho mandato questo locale avanti per decenni, mi sento in dovere morale di intervenire, capisci?― Prese una pausa per respirare, spostandosi un ciuffo dagli occhi.

―No, non capisco né la tua nè la voglia di tutti quanti oggi che hanno deciso di non darmi ascolto.

―Vincent, è una faccenda che ci riguarda tutti…

―No, maledizione, sono io il tutore della legge, io ho il dovere di proteggervi, non siamo più solo amici, c’è una faccenda di responsabilità in gioco― Gli si spezzò la voce sulle ultime note, inclinando la testa per sperare di vedere una distensione nello sguardo contratto di Kay.

―Vincent, sei sempre stato un bravo ragazzo― Sorrise la donna, quasi dimenticando di dove si trovava, lasciando il posto per dei luoghi passati ―Ma tu capirai che mi piange il cuore a veder distrutto il mio paradiso.

―Non verrà distrutto, proprio ora sta arrivando la camionetta di Craven― Indicò un punto imprecisato nel vuoto, dove l’immaginazione lo portava a credere essere la direzione da cui stava venendo la squadra dei vigili.

―E magari faranno lo stesso disastro che avete combinato di là― Affossò le sopraccigglia e voltando il capo ―Lo so che è infantile affezionarsi tanto alle cose materiali, ma non posso farne a meno.

―Ti risarciremo tutti i danni― Le carezzò il volto per farla tornare a guardarlo.

―Non è una questione di soldi ma di ricordi― Gli tolse la mano dalla guancia per stringerla ―Queste cose sono state con me sin dalla fondazione di trent’anni fa. Potrò sostituire tutto, ma non voglio che le cose cambino.

―Neanche a me― Sospirò, senza stringere a sua volta la mano di lei ―Ma ti assicuro che sono professionisti, non ci saranno danni collaterali.

―Non è solo questo― Si guardò intorno con sguardo vuoto, facendo due passi lontana dal gruppo prima di ripensarci ―Per trent’anni ho gestito un locale alla perfezione. Ogni cliente ha avuto ciò che ha chiesto, ogni normativa è stata rispettata, ogni guasto riparato, ogni tassa pagata. Avrei potuto abbandonare l’attività come il signor Hagman ha abbandonato Dryriver, ma non l’ho fatto. Il Linaker’s Diner è la dimostrazione che io valgo qualcosa. La mia missione è assicurarmi che vada avanti nonostante tutto. Questa cosa sta rovinando l’impresa per cui ho lavorato.

―Non puoi occupartene da sola.

―Devo― Gli si fecero rossi gli occhi ―Non ho mai fatto altro in vita mia.

―Stai avendo una crisi di nervi― Scosse la testa Vincent.

―Tu parli― Lo guardò con lo stesso sorriso di trent’anni fa, quando erano entrambi biondi ―Sei sempre stato così serio, e ora sono proprio come te.

―Mi dispiace Kay.

Cladzky aveva difficoltà a capire la scena. Forse il fatto di essere piombato così improvvisamente nella loro vita non gli dava la visione d’insieme per capire perché una coppia di persone che fino a prima se ne urlavano di ogni ora si scambiassero sguardi d’intesa dolci come miele. Volò con l’immaginazione a un’amicizia sbocciata trent’anni fa e quante ne avessero passate, lei, Dawn e il vecchio Cronenberg, chiusi nella loro bella sfera di periferia cosmica. Ma ora era arrivato lui a portare il letterale seme della discordia, rovinando tutto. Era proprio destino distruggere tutto quello che toccava. Forse avrebbe fatto bene a non affezionarsi a loro.

―Certo che è cieco, non ha ancora sviluppato un apparato visivo― Ragionò ad alta voce Cladzky, non resistendo più e fattosi vicino agli altri tre.

―Spiegati meglio― Gli fece eco Dave, mentre giravano tondo, l’uno con le spalle all’altro. Lo sceriffo si ammutolì in un borbottio sommesso.

―Cos’è successo quando è entrata, signora Linaker?― Chiese di rimando il pilota, frugandosi in tasca, ma trovando ben poco per difendersi.

―L’ho trovato a consumare la carne ancora mezza congelata sul tagliere― Spiegò la donna, staccandosi dal gruppo e avanzando lungo l’isola con una mano a sfiorarne il bordo ―Era cresciuto e continuava a farlo. Respirava, credo, si gonfiava e deglutiva, però non si muoveva verso di me. Mi sono messa a fare qualche esperimento prima che arrivaste, per vedere cosa funzionava contro di lui. Così ho prima preso del rodenticida dalla dispensa e gliel'ho dato. Ma quello lo mangiava, come se niente fosse…

Un chiassoso sgocciolare interruppe la spiegazione. Qualcosa cadeva sulla piastra attaccata al muro, facendola sfrigolare pur essendo fredda e spenta. Kay, lì di fronte, vide come una chiazza trasparente e vischiosa che bolliva sollevando una leggera nube dalla superficie in vetroceramica nera. Parlando di fumo, quello dell’esplosione si era ormai diradato e la vide. Lì, piccola, racchiusa nel riflesso di una bolla di quella saliva, stava la cosa. Alzò lo sguardo ed eccola, appesa come un insaccato al basso soffitto, nell’angolino buio offerto fra la credenza delle spezie e dove due muri s’incrociavano, pendevano quei tessuti come stracci bagnati, la visione di un’alga che si dimena sott’acqua ma vista al contrario, in un riflesso bianco sotto il neon della stanza molto più opaco rispetto a come l’avevano vista prima, più solida nella forma, meno acquoso, più molliccio e dall’aspetto di filetto di carne, stirato com’era dal proprio peso verso il basso. Doveva superare il mezzo metro, nella sua posizione attuale da stalattite.

―Cristoddio, guarda com’è cresciuta― Giunse la voce flebile di Dawn. Kay fece un salto indietro, spingendo il gruppo dietro le sue spalle. Si sentì il maneggio metallico della pistola d’ordinanza dello sceriffo ―Perché l’hai lasciata mangiare?

―Aspetta, non sparare― Tentò di abbassarle l’arma Kay.

―Perché vuoi lasciarla vivere?

―Io la voglio morta quanto te, ma voglio essere sicura che muoia. Ricordi cosa aveva detto Ken?

―Qualunque cosa Ken abbia detto lo ha fatto per spaventarci, farsi credere indispensabile.

―Eppure molte delle cose che ha detto erano vere― Fece notare Dave.

―Aveva detto che quella cosa continuerà a vivere fintanto che un solo pezzo ne rimane. Cosa succederà se le spari e un solo colpo non bastasse? Salterà dappertutto come ha fatto prima― Si riempirono d’orrore le orbite annerite di Kay.

―Posso regolare la carica come ho fatto per la porta. Non rimarrà niente di quell’affare.

―Ma non c’è il rischio si crei uno squarcio anche nel muro, aprendolo allo spazio esterno?― S’intromise Dave.

―Allora dovremo fermarci a controllare che non si schiodi da lì fino che non arriva Craven e i suoi.

Neppure il tempo di terminare quella frase che l’essere cadde come un sacco di carne, con uno schianto terribile, sgusciando rapidamente verso il muro più vicino sopra il bancone, rotolando uno strato sopra l’altro e lasciando una scia mefitica dietro di sé. Nello sbigottimento generale attecchì all’intonaco, tentando di issarsi spingendo verso il basso e rilasciando un muco colloso che s’intravedeva in mille filamenti salivari ogni volta che alzava un lembo per portarlo avanti. Sbigottite, quattro paia di pupille seguirono la faticosa e surreale scalata di quella cosa che sembrava dovesse colare e invece si arrampicava come una lumaca, fino a raggiungere una credenza e scivolarci sopra, rimanendovi appollaiata, a osservare i presenti ipnotizzati con le sue mille scintille di pelle bagnata che sembravano occhietti. Non era del tutto ferma, i bordi di quel velo nero si alzavano in un moto ondoso, con un suono di strappo nel distacco dalla superficie.

―Che cosa vuole?― Domandò Dave a nessuno in particolare.

―Non ci vuole molta immaginazione― Sbuffò il suo superiore ―Mangiare, dormire, stare lontano dai rumori, come qualunque animale.

―Signora― Chiese Cladzky, tendendo la mano ―Che tipo di rodenticida avete usato?

La donna staccò gli occhi da quella danza, lo guardò, sbattè le palpebre un paio di volte e poi sfilò un barattolo dalla tasca, porgendoglielo nel palmo. Il ragazzo ispezionò l’etichetta bianca.

―Bocconcini al gusto di tallio― Rise ―Distruggerebbe il sistema nervoso di chiunque.

―Chissà se quell’affare ha dei nervi― Borbottò Dave.

―In un modo o nell’altro si deve pur muovere― Passò davanti a tutti Vincent.

―Sicuramente qualcosa deve avergli fatto― Ragionò Kay ―Prima era molto più pigro.

―Avete quasi finito la confezione― Si lanciò il barattolo fra una mano e l’altra il pilota in bianco ―Un essere del suo peso sarebbe già dovuto morire di arresto cardiaco, edema polmonare o disidratazione.

―Continui a ragionare supponendo che abbia degli organi― Si scrocchiò il polso lo sceriffo.

―Quando era trasparente non si vedeva niente dentro― Confermò Kay.

―Può comportarsi come un’ameba, ma non può esserlo davvero― S’impose Cladzky, versandosi gli ultimi bocconcini tossici di metallo insapore sul palmo della tuta ―Prima era un essere più semplice, ora lo vedete voi stesso che è cambiato. Le analisi del signor Hagman hanno dimostrato che si tratta di più cellule, quasi autonome, è vero. In effetti anche dividendola in frammenti microscopici questi continuano a muoversi.

―Come possiamo star certi di ucciderne ogni cellula?― Alzò la voce Dave, regolando la sua arma accanto lo sceriffo.

―Potrebbe essere più semplice di quanto sembri― Li rassicurò Cladzky ―Kay ha avuto la bella idea di avvelenarlo.

―Ha senso― Si estasiò Dave ―Finché è cieco non può sapere che è una trappola!

―Possibile che sia così stupido da mangiare ogni cosa che gli tiriamo contro?― Obiettò lo sceriffo ―Quell’affare è sopravvissuto allo zero assoluto, la candeggina e ha ingoiato quattro etti di tallio e mi sembra in ottima salute. Bisogna trovare un sistema più radicale.

―Fintanto che non salta da tutte le parti conviene non farlo agitare― Gli consigliò Kay ―Se non muore per il tallio proveremo con altro.

―Sì, perché non la naftalina?

―Anche quella. E se non funziona andremo di formaldeide oppure di alcol etilico.

―Ecco, quello è una bella idea: Forse può digerire il tallio, ma non ho mai sentito parlare di animali a cui fa bene prendere fuoco.

―Credi non ci avessi pensato?― Kay esibì una fila di bottiglie disposte su un bancone alle sue spalle, tutte con un fazzoletto infilato per il collo e ne prese una ―Ma teniamo per ultima quest’idea. Hai visto che è successo appena le abbiamo versato la candeggina addosso.

Cladzky tese il braccio. Lanciò la prima zolletta rosa che rimbalzò vistosamente sulla superficie tesa di quell’unico stomaco in espansione, colpì il muro e le cadde alle sue spalle. Attese, forse temendo di averla disturbata. Kay stava con un piede verso le paratie e un dito sul pulsante per scappare, l’unico dei cinque che non stringeva la molotov. La creatura ebbe un sussulto, come la schiena di un gattaccio nero, s’irruvidì, si fece meno chiara e si contrasse di nuovo, agitandosi sulla base, girando su sè stessa. Temendo che stesse per saltare di nuovo trattennero il fiato e abbassarono il capo, ma non lo fece. Si mosse infine più decisa a recuperare l'esca a due pollici di distanza e prolungò un bordo della sua base nel tremolio di una bocca affamata, aperta nella terminazione di uno pseudopodo. Si adagiò sul pezzo schiacciandolo a terra e non si gonfiò neppure tanto era misero il boccone per assumerlo, inglobandolo nella pelle gelatinosa e trascinandoselo verso il centro del corpo, facendo rientrare l'arto improvvisato. Non vi furono altre novità. Cladzky lanciò i restanti pezzi, ma non rimbalzarono più sul droso dell’animale, ma vi aderivano come carta moschicida prima di sprofondare. Una leggera nuvoletta di vapore salì dalla schiena della massa che pulsava, da uno sfiatatoio multiplo, fischiando una nota grave ed emanando un odore di piombo che appestava la stanza. Il colorito era cambiato. La pelle dell’essere non brillava più tanto intensamente le lampade al neon, quasi fosse coperta di un guscio a specchio, era cupa, prendendo un colorito violaceo, forse rosso al centro.

―È come un interruttore― Mormorò il pilota, poggiando la confezione vuota e lui stesso al bancone dell’isola, sfregandosi le mani ―Prima era come in una posizione di difesa, ora lascia che qualunque cosa entri dentro di lei.

―Il vostro piano non sembra funzionare― Si lisciò i baffi lo sceriffo.

―Forse ha bisogno di un po’ di tempo― Insistè la Linaker, guardando con desiderio che quella cosa si afflosciasse priva di vita.

―Sceriffo― Tossì Dave, avvicinandoglisi all’orecchio ―L’intero motivo per cui siamo entrati qui era per evacuare la signora Linaker dalla cucina. Torniamo fuori e lasciamo la faccenda a Craven.

Dawn lo guardò con la coda dell’occhio, poi si voltò quasi del tutto verso di lui con palpebre mezze calate. Mostrò i denti in un’espressione stanca e rispose.

―Temo di essere d’accordo con questo contrabbandiere. Se ce ne andassimo dovremmo trovare un modo per portare via anche tutto il cibo qui dentro. Se in così poco tempo è diventato tanto grosso pensa a quando arriverà Craven. E poi non credo più che lei e i suoi possano risolvere la questione tanto facilmente. Possiamo anche metterli in guardia, ma non sanno incontro a cosa vanno coi loro estintori.

―Perché, noi sì?

Uno scoppio li fece saltare istintivamente a terra. Senza fiato per lo spavento, in mezzo al grido isterico di Dave, le bestemmie di Dawn e il grugnito della Linaker, Cladzky si buttò dal bancone in tempo per evitare il getto esalato dalla creatura, rotolò e si stese di schiena dietro l’angolo del mobile, puntellando i gomiti per osservare quell’eruzione di polvere d’argento. Il fianco della bestia si era come crepato, non nella maniera impercettibile e lenta di come aveva assorbito il suo cibo, ma in un buco dai bordi spezzati che tentavano di ricucirsi. La pioggia di granelli ricopriva di un leggero strato sabbioso ogni cosa. Il rigurgito si spense a singhiozzi, fino a terminare, riannodando le proprie membra con stridore gommoso e così cessò il gorgoglìo metallico. Sentendosi la roba cadergli addosso, cercò di scrollarsela dalla tuta bianca, per poi riallacciarsi il casco prima che gli andasse in faccia. Respirò a fatica, temendo di averla inalata. Non aveva la conferma, ma intuiva cos’era.

―Che diavolo fa?― Strillò Dave, che era corso dietro lo stipite della porta che dava alla sala.

―Il diavolo mi porti, ci vomita addosso― Sbucò da dietro la porta della dispensa Dawn, facendo spazio per far uscire anche Kay.

―Ora lo sputa anche l’acido?― Strabuzzò gli occhi la donna, infilando anche lei il proprio elmetto integrale.

―Credo sia il tallio di prima― Si rialzò facendo pressione sul ginocchio il pilota in bianco, coperto d’argento.

―Che cosa?― S’indicò l’orecchio Dawn. Cladzky alzò il vetro dell’elmo imbottito.

―Sta sputando il tallio!― Il ragazzo si strofinò dei rimasugli ghiaiosi fra le dita ―È riuscito a separarlo dal composto e mangiare solo le esche.

―È più furbo di quanto credessi― SI rammaricò la Linaker, prendendosi la fronte.

―L’idea di avvelenarlo è fallita, dunque― Sbattè nervoso il piede a terra lo sceriffo. Anche lui e il sottoposto si calarono il casco, per evitare di respirare le esalazioni inodori. I quattro preferirono non fare ricorso alle bombole d’ossigeno per ora, come ogni buona guida galattica insegnava ad evitare sprechi, sperando che la faccenda non richiedesse più tempo di quanto la loro aria riciclata permettesse.

―Forse si è intossicato ugualmente― Alzò il dito Dave, speranzoso ―Per fargli avere una reazione simile bisogna che gli abbia fatto male davvero.

―Giusto― Rimuginò Cladzky, dandogli una pacca sulla schiena ed esibendo un’espressione contrita dall’allegria. Bisognava essere ottimisti come la testa rossa ―Ma anche se fosse è impossibile che ogni singola cellula sia stata avvelenata, visto quanto poco il metallo è stato in circolo. Bisognerebbe ritentare.

―Rischieremmo nuovamente una reazione simile― DIgrignò i denti Dawn, scalciando la polvere tossica ―Vuoi contaminare tutto il locale?

―Che colore ha il tallio puro?― Chiese Dave, chinato sul pavimento a passare una mano fra le polveri.

―Argento― Rispose il ragazzo in bianco, allargando le braccia sul paesaggio innevato.

―Ossida all’aria?

―Sì, dagli un po’ di tempo.

―E allora cosa sono questi?― Il vice si alzò di scatto, esibendo un paio di perlette color rame dall’aspetto essiccato. Strizzandole si schiacciavano appena come cisti.

―Altra roba che non avrebbe dovuto mangiare, immagino― Replicò veloce la donna, prima di voltarsi contro la bestia che aveva ripreso a pulsare dopo un attimo di pausa. Cladzky si avvicinò e ci pose il suo bulbo bianco abbastanza vicino da riflettere l’immagine nere delle due scorie, esempi di una sostanza che si trovava mischiata dappertutto nella polverina grigia. Quale materiale poteva avere un aspetto simile? Non c’era nulla nella carne della Linaker che non fosse digeribile da un’entità simile. Cercò di tornare indietro, a un’altra situazione simile che sapeva essere avvenuta e ci arrivò.

“Ogni sua componente si era come rinnovata” Rimbombò la voce di Ken nei suoi pensieri “Uccidendo le cellule infette.”

La cosa aveva fatto la stessa identica cosa. Aveva isolato ed espulso ogni cellula intossicata dal metallo prima che la necrosi si ampliasse.

―Kay, dove vai?― Chiese lo sceriffo, vedendo l’amica sparire nella dispensa e tornare di nuovo. Aveva un’identica confezione di rodenticida in mano. Prima che potesse fermarla aveva già lanciato  una manciata di esche all’animale. La strinse forte in un abbraccio disperato ―Ferma, abbiamo già visto che non funziona, non farla arrabbiare.

―Funziona!― Gridò la donna, abbastanza forte da far risentire la creatura e farla attaccare al muro ―Hai visto come soffre, dobbiamo insistere.

I bocconi avvelenati giunsero il bersaglio e rimbalzarono contro la sua pelle lucida, ma stavolta non si scomodò ad aprire il suo guscio e fagocitare le zollette rosa. A malapena trasalì. Kay, vedendo oltre le spalle dell’uomo, si lasciò andare a un moto di sconforto.

―È furbo maledizione― Scosse la testa e si resse al suo coetaneo ―Troppo furbo. Ora ha imparato a distinguere il tallio.

―Forse non ha fame― Fece spallucce il vice oltre lo sceriffo, indicando la bestia con un sorriso beffardo ―Riprenderà dopo e allora vedrai.

Disse questo guardando la bionda, ma non riuscì a smuoverle un senso di fiducia, anzi, le si scavarono gli occhi nelle orbite e alzò le rughe della fronte, aprendo la bocca in un verso strozzato. Dave si girò e cacciò un urlo. L’essere era diventato una sorta di tappezzeria all’intonaco, rimanendo appesso come una pelle di tigre colante e risalendo verso il soffitto, in direzione di una presa dell’aria. Kay si discostò violentemente da Dawn premendogli sul collo e lui quasi la trattenne per paura che potesse mettersi ancora in pericolo. Ma lo spavento di vedere quella roba in moto verso un punto di fuga attraverso la quale sarebbe stata irraggiungibile per tutti lo convinse che erano già in pericolo. La donna corse a un pannello accanto le paratie che davano sull’esterno, all’altro capo della stanza, sullo stesso muro dell’orrenda massa e indugiò un attimo, timorosa che le sarebbe potuta scattare addosso come un serpente, ma quei due secondi di panico le fecero osservare con minuzia quanto alacremente l’essere strisciava verso il bocchettone. Scattò decisa e girò la manopola del pannello. Il bocchettone si chiuse di scatto, ma troppo tardi. Vincent Dawn lanciò un urlo funesto al vedere un bordo nero del mostro rimanere schiacciato sotto le persiane metalliche e restare dall’altra parte. Era finita. Un pezzo microscopico, ma ciononostante vivo era entrato nel condotto dell’aria e si sarebbe perso nei metri e metri di circuito, forse nutrendosi della colonia di ferioni e sarebbe cresciuto di nuovo, separatamente. C’era solo una cosa da fare. Kay poteva trovarlo eccessivo e gli doleva fare del male al suo locale un’altra volta, ma doveva. Alzò il folgoratore, aumentò la carica quasi al massimo e tirò il grilletto, sotto l’urlo negativo del suo vice. Potevano lamentarsi di lui quanto volevano, potevano dirgliene di ogni, ma ottenne quello che voleva. Un terzo della parte superiore dell’animale, insieme a tutto il bocchettone, fu carbonizzato in un’esplosione da fuoco d’artificio che illuminò l’intera stanza di rosso, facendo vibrare le pareti e i timpani dei presenti, facendo perdere un battito e saltare. Il resto della massa nera cadde pesante sulla credenza, sfondandola di netto e cascando con tutto il legno sul bancone di sotto, fumando da una serie di tizzoni accesi sul bordo strappato.

―Preso!― Esclamò di tripudio, inquadrandolo subito nel mirino una seconda volta, ma la pigrizia era passata del tutto al suo avversario e forse, merito del suo peso ridotto, saltò, formando un pistone fibroso con il suo ventre molle. Il suo volo piombò contro il corpo del povero Dave, che ne fu abbattuto dal peso. Sentendosi cadere, con le luci del neon appena visibile oltre il vetro a causa dell’artiglio carnoso che gli ghermiva il volto, il giovane dai capelli rossi si credette già morto, vedendosi come Cronenberg in meno di un minuto. Schienato, si rimise in piedi immediatamente grazie all’inerzia del colpo, con quel polipo d’inchiostro che si era avvinghiato al busto e collo. Con le mani provavava a staccarlo ma le sentiva scivolare su quella schiena lucida. Tentava di affondare le dita, ma lo strato esterno si era solidificato in una membrana elastica, opposta al ventre liquido, poggiato sul suo torso. Fu fortunato ad avere indosso la sua tuta, perché offriva una discreta resistenza contro l’acido rilasciato subito da quell’affare, ma la presa si faceva via via più stretta, come se avesse delle unghie per davvero.

―Oddio!― Si mise a gridare inconsistentemente, scalciando e dimenandosi da ogni lato. Il primo moto di scansarlo per paura di essere divorati a loro volta dalla massa nera trattenne Kay e Cladzky dall’intervenire. Dawn abbassò la pistola contro il proprio vice ma non poté far nulla. Infilò l’arma nel cinturone e si precipitò ad aiutarlo. Afferrò quella sostanza così  fra le sue dita tozze e tentò con tutte le sue forze di staccarla. Nei suoi palmi stringeva un gozzo gommosso pieno di liquido al tatto. Strattonò, stendendo quella ventosa come una corda di violino. piantò i talloni sulle piastrelle e sul corpo stesso di Dave. Quest’ultimo, si voltò nella sua ennesima preghiera, inavvertitamente dando una gomitata al superiore all’altezza della tempia, ma Dawn non mollò la presa un secondo pur cadendo di lato. Quando si ritrovò a terra aveva una piccola massa pulsante che gli ricopriva le dita, perdente un liquido verdognolo alla base recisa che gli scendeva lungo le braccia, un liquido caldo. Era questo il sangue del mostro? O il suo acido? Forse non c’era differenza. Lo strappo sul fondo si agitava di piccoli tentacoli agitati che andavano a intrecciarsi fra loro, cercando di ricucire la ferita grossa quanto l’intero diametro che esponeva l’anatomia interna, che osservò brevemente. Le pareti della membrana erano coperte di tendini intrecciati in sequenze geometriche frattali, una sorta di muscolatura senza dubbio, che lasciavano cavo un interno citoplasmatico trasparente tinto di violetto. Lì in mezzo galleggiavano organuli simili a mitocondri e ribosomi, connessi fra loro da un reticolo di arterie, se così si potevano chiamare, tutti affianco un nucleo che colava in poltiglia marroncina ai suoi piedi, prima di ricomporsi in una forma sferica al centro. Fu una visione che gli fece dubitare delle sue reali dimensioni. Stava vedendo faccia a faccia processi che dovrebbero essere microscopici. Il buco si chiuse e l'emorragia verde dell’animale cessò, ritrovandosi con una copia in miniatura della cosa orrenda. Provò a dividere le sue mani ma era impossibile

I restanti due presenti intervennero. Da una parte Kay Linaker non perse un secondo a fare con più fretta quello che avrebbe salvato la vita a Cronenberg. In una questione di secondi, aveva afferrato la candeggina, già precedentemente attaccata con un moschettone alla sua tuta e rimosse il tappo. Vincent Dawn la guardò con fare spaventanto ma chiuse gli occhi e offrì i polsi, sperando che finisse in fretta. Kay annuì, versando una secchiata azzurrina sopra le mani dell’uomo, generando subito un deterioramento della membrana che si accartocciò bruciata. Quando entrò a contatto con l’interno della spora, una reazione schiumosa, un brillamento verde del nucleo e un’ondata di cloro gassoso si liberarono dallo scontro con il suo acido digestivo.  Aperta la falla, il globo stava corrodendo dall’interno. Per difendersi perse consistenza e scivolò dalle dita del paonazzo sceriffo, cadendo a terra in più frammenti, abbandonando la sua forma solida unitaria per un attimo, tentando di allontanarsi come un trio di piccole lumache nere, lasciandosi dietro ciò che rimaneva di sè in un mucchio bianchi e i guanti della tuta di Vincent Dawn sbiancati ma ancora integri. Libero, subito estrasse l’arma dalla fondina, regolò al minimo e disintegrò senza esitazione una delle unità fuggite, che si disperse come una mina di cristalli bianchi fra le scintille. Ringraziò il cielo che fra tutti i possibili obiettivi, il sangue nero avesse scelto di puntare contro loro: fra tutti erano gli unici a indossare tute progettate per resistere a vari tipi di assalto, dai folgoratori a sostanze caustiche. Non indistruttibili chiaramente, quello era impossibile, ma sapeva di poter lasciar mordere a quella cosa il povero Dave, mentre rincorreva le altre due unità scampate. In tutto il disastro notò che il contrabbandiere era sparito. Figurarsi.

Cladzky, tornò in cucina un attimo dopo con lo stesso estintore adoperato in sala. Scansò un paio di macchie nere che gli corsero sotto i piedi e fuori dalla stanza, per poi essere spintonato via dalla grossa figura di Dawn, che riconobbe a malapena da quanto correva. Raggiunto Dave, che calmato un poco restava in piedi in un angolo davanti le paratie, con le ginocchia che tremavano, cercando di afferrare quella massa e strapparla via come aveva fatto il suo capo.

―Dave!― Gridò il ragazzo. L’altro alzò lo sguardo e si strinse in sé stesso, sudando per il calore che l’animale gli stava generando addosso. Il pilota in bianco puntò la manichetta, strinse il grilletto e un getto di anidride carbonica sotto lo zero investì parassita e corpo ospite. La schermata termica della tuta servì fino a un certo punto, facendo annaspare il vice non per il terrore ma lo sbalzo termico. Si sentiva schiacciare i polmoni e la gola gli si chiudeva. La massa nera si era aggrappata troppo forte nel tentativo di sciogliere il tessuto dell’armatura e quando saltò non fu in grado di alzarsi in aria ma cadde al suolo, cambiando colorito. Presto perse la colorazione nera, in favore di una più violacea, quasi turchese. Se poteva soffrire di ipotermia erano sicuramente i sintomi. Provò a sganciare una parte del proprio corpo, ma fu troppo lento e subito il getto investì l’emanazione prima che si staccasse. Cladzky continuò il lavoro fin quanto non si assicurò di avere irrorato sufficiente quantità di diossido di carbonio a rendere immobile l’intera creatura in un ammasso indaco, scintillante, solido e informe per terra, come ghiaccio. Poggiò a terra lo strumento alleggerito e tirò un sospiro di sollievo. Davanti a lui, il pel di carota se ne stava con un’espressione inorridita, gambe allargate e mani aperte a osservare il mostro caduto ai suoi piedi e la macchia di corrosione lasciata sull’intera parte frontale della propria uniforme. Cladzky gli si fece vicino, tendendogli la mano ―Tutto a posto?

―Attento!― Dave lo placcò, buttandolo a terra ma facendogli scudo con la propria schiena. Sopra le loro teste, un sibilo metallico passò per l’aria, schiantando con riverbero contro le paratie dell’uscita esterna in un piccolo ammasso nero. Dawn li raggiunse subito dopo, torreggiandoli, pistola in pugno, ma non sparava. Non poteva permettersi di danneggiare le porte che davano sul retro del locale, ora che erano rimaste le uniche funzionanti. Dave lesse le sue intenzioni nel volto corrugato e si rialzò nonostante tutto, prese l’estintore e finì il lavoro. Una folata dopo, un piccolo solido indaco rimbalzava sul pavimento.

―E il terzo…?― Chiese Kay, sporgendosi in tutte le direzioni.

―L’ho colpito― Abbassò l’arma lo sceriffo, alzando un palmo per tranquillizzare i presenti. Poi osservò il buco che aveva fatto nella parete poco fa ―Per scalfirlo ho dovuto usare quasi un’intera carica. Se avessi voluto eliminarlo per intero dovrei sventrareil locale, ma grazie a dio l’abbiamo bloccato.

―È una soluzione temporanea― Avvertì il pilota, osservando la carcassa congelata, abbassandosi e specchiandosi nella sua lucentezza, mani sui fianchi e imbronciato ―Temo non durerà prima che arrivino Craven e i suoi.

―Quanto manca ancora?― Chiese Kay, col fiatone, stringendo il braccio dell’amico.

―Avevano detto che ci avrebbero mezz’ora precisa. Lo sai che il tuo locale è in completa periferia di sistema.

―Dalla chiamata ne sono passati appena dieci di minuti― Strabuzzò gli occhi il vice, studiando l’orologio.

―Abbiamo poco tempo per pensare a una soluzione― Cladzky si studiò la cucina, in tutti i suoi fornelli, lavabi, credenze, frullatori, bombole, frigoriferi e forni ―Ma abbastanza materiale con cui lavorare.

―Ehi― Dave lo prese per la mano, concludendo quella stretta interrotta poco fa ―Grazie.

―Grazie a te― Chiuse gli occhi il pilota in bianco, sorridendo appena.

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Capitolo 9
*** Ghiaccio e fuoco ***


―Evitiamo complicazioni― Propose lo sceriffo, caricando un’altra batteria nel folgoratore ―Continueremo a irrorarlo con l’estintore finché non arriveranno Craven e i suoi.

―L’estintore è scarico― Kay sollevò la capsula, premette il grilletto e non ne uscì che un sibilo.

―Prendine un altro, li avrai superati i controlli di sicurezza in questo locale, cristo!― Sbottò di rimando l’omone, sempre camminando attorno alla massa violacea incollata a terra, fumante di candido bianco.

―Ne ho solo due― Si grattò la guancia lei ―Il locale non ha una grande metratura.

―Si muove!― Gridò Dave, indicando un punto preciso. La massa sotto zero pulsava e ad ogni battito si allungava più verso l’esterno fino a formare uno pseudopodo dalla superficie rigida e tastare il terreno. Vincent fece quasi per sparare un’altra salva, ma si rese conto che il calore generato nel distruggere quella piccola parte avrebbe risvegliato il resto. Decise dunque di sollevare il piede e prendere a pestoni quel protendimento, appiattendolo tanto da lasciarci impresso il disegno della suola, ma sapeva che non avrebbe funzionato molto. Il tentacolo si contorceva, si accorciava ma non dava segni di morire ―Portatemi l’altro, accidenti!

―Dov’è?― Gridarono quasi all’unisono il pilota e il vice. Kay indicò uno sportello sotto il lavabo e quei due vi fecero a gara per raggiungerlo. Lei, intanto, recuperò nuovamente la candeggina e procedette a versarne un’altra dose massiccia sull’ospite. Quello ebbe la solita teatrale reazione di seccarsi, spezzarsi, rivleare l’interno liquido e rilasciare un’altra nuvole venefica. I due coetanei tossirono quasi i loro polmoni da quanto la stanza stava diventando pregna di quell’orribile presenza, ma dietro gli occhi umidi riconobbero che un’altra sezione dell’animale era morta stecchita come un ramo d’inverno, prima di essere ricoperta da un’altra spruzzata, stavolta solfato d’ammonio.

―L’abbiamo fermato?― Chiese Dave.

―Non a lungo― Replicò Cladzky ―Ho un altro estintore nel mio disco, posso andare a prenderlo.

―Tu non esci di qui se non in manette― Replicò secco lo sceriffo.

―Ehi, fuori è notte!― Osservò Dave, eccitato ―Portiamolo fuori dal locale e lasciamolo congelare a temperatura zero.

―Certo e fra cinque minuti arriva l’alba e lo scioglie― Scosse la testa il suo superiore. Si lustrò i baffi sperando gli venisse qualche idea.

―Il sole di Dryriver è quasi una gigante rossa― Insistette il rosso, stringendo i pugni ―La luce solare potrebbe anche carbonizzarlo e se la temperatura non è sufficiente le radiazioni lo ucciderebbero.

―Ti ricordo che quest’affare è sopravvissuto a un bombardamento atomico― Gli mise una mano sulla spalla Cladzky ―Ken lo ha già detto: è in grado di sostituire le cellule danneggiate.

―Lo hai detto, cellule danneggiate― S’intromise Kay, pigliandolo per un braccio. Aveva un’espressione stanca da quanto stava elucubrando ―Quindi le radiazioni lo danneggiano e lo hanno rimpicciolito di molto: Vuol dire che se lo esponessimo ancora potrebbe non essere in grado di riprendersi una seconda volta.

―Vi ricordo che quelle erano testate nucleari― Volle alzare gli occhi al cielo Vincent, ma non potè distrarsi un secondo che dovette nuovamente raffreddare la materia pulsante ―Mentre il vostro sole è lontano milioni di chilometri e dubito che la temperatura lo possa cuocere se è abituato a spostarsi nello spazio aperto. Se lo portiamo fuori e questo sta meglio di prima non credo avremo il tempo di provare un’altra splendida idea, specie a gravità ridotta.

―E allora che facciamo?― Chiese Dave, prima di farsi lanciare le chiavi per l’astropattuglia del suo capo.

―Tu, corri a prendere gli estintori dai kit d’emergenza dei nostri velivoli. Nel frattempo ci faremo venire in mente un’idea.

―Prendi anche il mio― Dave si vide lanciare le chiavi dal contrabbandiere ―Si trova sotto il sedile.

―Volo, signore― E così fece, a grandi falcate, infilandosi così in fretta nell’uscita sul retro da schiacciarsi fra le paratie ancora in apertura. Lo sceriffo squadrò il pilota in bianco per bene. Quello ricambiò lo sguardo, sperando in uno d’intesa e sotto sotto sperava di averlo visto. Dawn si passò una mano sulla faccia, mentre la stanza cadeva in dieci secondi di silenzio e i muscoli cominciavano a dolergli da quanto stava in tensione da più di un’ora.

―Qualcuno ha qualche idea?― Chiese infine, schioccando le labbra.

―La cella frigorifera!― S’illuminò Kay ―Possiamo chiuderlo lì dentro!

―Buona idea, spostiamolo!― I tre si chinarono sul sangue nero, ma lo sceriffo fermò la Linaker, porgendole la manichetta ―Tu resta a vedere che non si muova. Se dovesse provare qualcosa congelalo.

Lei annuì e i due uomini si misero a spingere quel grumo dal metro di diametro.

―Dio, o pesa un quintale o s’è attaccato per bene― Si lamentò Cladzky, puntellando i piedi a terra e abbassando la testa fra le braccia, curvando la schiena. Vincent, che invece spingeva buttandosi in avanti con tutto il corpo come un Sisifo moderno, lo redarguì.

―Risparmia il fiato, con Dave sarei già riuscito a smuoverlo.

Ci fu uno schiocco e il blocco di ghiaccio si ribaltò come un macigno, esponendo una parte diversa dell’animale, quella che era stata fino ad allora in contatto con il pavimento, ben più lucida e colorata rispetto al resto della scorza, attraverso cui si poteva dare uno sguardo all’interno dell’ameba. Allora, contemporaneamente, i tre si resero conto che non solo il guscio era ghiacciato, lasciando l’interno ancora sveglio, ma il cosiddetto ventre, non esposto, era ancora caldo. Provarono a ritrarsi, ma subito uno pseudopoda afferrò Cladzky per la mano, stritolandogliela. Il ragazzo urlò, mentre la Linaker, con la stessa rapidità, diede un spolverata di bianco fino a che l’apertura non fu coperta da uno strato solido, tagliando la radice della protuberanza che si staccò arrotolandosi al braccio del pilota che nel panico indietreggiò fino a inciampare nella penisola e cadere a terra, reggendosi la mano che si sentiva scomporre nella morsa.

―Fammi vedere― Gridò lo sceriffo, pistola in pugno. Il ragazzo fece di no con la testa, nascondendo la mano. Spazientito, lo atterrò con un calcio, costringendolo e esporre la mano, che immobilizzò piantandogli a terra il braccio con un piede. Allora nella sua sinistra, comparve il contenitore dell’ipoclorito di sodio e presto ne riversò quanto ne rimaneva sul filamento, ferendolo in crepitio tossico. Osò strisciar via, ma troppo lento per il folgoratore di Dawn. In un ultimo spettacolo pirotecnico fu cancellato come gli altri che avevano tentato di scappare. Vincent dovette farsi i complimenti da solo, perché non ne aveva mancato neanche uno. Il ragazzo corse a sciacquarsi il guanto nel lavandino freneticamente, sia per togliersi di dosso la candeggina e i brandelli sfrigolanti di mostro ma anche per togliersi la sgradevole sensazione di morte che gli aveva intorpidito il braccio. Non riusciva a chiudere le dita da quanto gli faceva male.

―Presto― Gridò la donna, mentre, abbandonato l’estintore a terra, spingeva con sforzo il blocco informe ―Datemi una mano!

―L’estintore…― Obiettò lo sceriffo, ma non servì che Kay gli dimostrasse che fosse ormai scarico. Forse restava ancora della candeggina o qualche altro composto chimico nella dispensa, ma sperava che arrivasse prima il suo vice a dare manforte. I due, essendo spezzata la crosta che delimitava la base, spinsero il blocco fin davanti la cella frigorifera. Qui Kay si alzò verso il pesante portone ermetico, tolse il chiavistello, sbloccò la porta con uno strattone e Dawn ce lo spinse dentro che stava già pulsando. Scapparono dietro la porta, richiudendola con una spallata e bloccandola subito mentre l’ammasso già sbriciolava lo strato solido che lo imprigionava. I due si allontanarono per prevenzione dalla porta blindata, mentre rumori di scoppio già si sentivano dentro la camera isolata. Si accasciarono al suolo, contro la parete opposta. Cladzky li raggiunse, massaggiandosi il braccio.

―Fa abbastanza fresco là dentro?

―Ci conservo i gelati di Lee là dentro. Meno quindici gradi centigradi― La donna si alzò e raggiunse il termostato, testandone i limiti ―Ora meno venti.

―Ce l’abbiamo fatta, perdio!― Sorrise Dawn, come non si era visto fare da quando aveva messo piede nel locale, mettendo un braccio sulle spalle della Linaker. Per combinazione Dave tornò dentro in quell’istante. Il suo superiore corse ad abbracciarlo e questi non capì bene il contesto, restandosene immobile con i due estintori lungo i fianchi e il casco ancora indosso.

―Ce l’abbiamo fatta?― Chiese e la donna accennò, dando un colpo ai cardini inamovibili.

―Hai visto Craven?― Chiese lo sceriffo, mollando la presa.

―Ho intravisto delle luci di posizione verso l’interno.

―Non possono essere altri che loro!― Rise Dawn ―Accendere le luci in un sistema così spopolato!

―Che storia, non riesco a credere che sia successo qualcosa del genere― Mormorò la Linaker guardandosi spaesata attorno, sentendosi la testa leggera e il fiato corto.

―È tutto finito― Chinò la testa Cladzky. Lo sceriffo gli diede una grossa pacca sulla schiena.

―Grazie per l’aiuto ragazzo― Chiuse gli occhi con solennità ―Come ricompensa ti porto fuori e ti sbatto dentro.

―Speravo in un minimo di riconoscenza.

―Non sarai un tipo cattivo, ma la tua dabbenaggine stava per dare quella macchina di morte nelle mani di un pazzo e dio solo sa cosa sarebbe successo se quella roba non l’avessimo fermata qui. Guarda cosa diavolo è successo― E lo costrinse a voltarsi verso la cucina messa a soqquadro, le macchie sbiancate lasciate dal muco, la polvere salina dell’acido a contatto con la candeggina, la polvere di tallio argentato e così via ―Tutti danni che qualcuno dovrà ripagare. E che ne dici del poveretto là fuori? Era il minimo che ci dessi una mano.

―D’accordo, ho capito l’antifona― Alzò le mani ―Buttami in gattabuia, non ho più voglia di sentirmi dire quanto ho sbagliato.

La donna gli fece cenno di non urlare.

―È strano― Continuò la Linaker, passando un dito sull’isola della cucina ―Forse è perché abbiamo sconfitto il mostro, ma non riesco a essere triste per il locale. Scocciata, certo, per tutte le riparazioni che dovrò fare, ma non mi sembra di esserci attaccata più di tanto.

―Dev’essere la stanchezza, cara― Sospirò Dawn ―Devi riposarti. Domani tornerai coi piedi per terra.

―Mah― Bofonchiò lei, calciando via una lattina ―Mi sembra così assurdo essermi impegnata tanto per queste quattro pietre.

―Non posso credere che sia io a dovertelo ricordare― Si passò una mano fra i capelli l’uomo ―Ci hai speso tutta la vita per queste quattro pietre! Hai il diritto di arrabbiarti, essere triste.

―Un po’ triste lo sono― Afferrò una delle molotov che aveva preparato ―Forse per tutto il tempo che ci passato dietro. Non mi sembra un buon investimento.

―Kay, non dire queste cose, ora non ragioni!― S’innervosì Dawn, quasi ci tenesse più lui all’attività ―Questo locale ha fatto la storia per noi. Sei un simbolo di Dryriver, una certezza dove venire ogni sera. Non puoi non rendertene conto.

―Lo so Vincent, lo so― Chinò la testa lei ―Ma è come se avessi visto qualcosa di diverso oggi. Come guardare dentro l’eternità, capisci? Per tutta la vita ho vissuto in questo piccolo sistema, convinta di valere qualcosa e ora questa goccia nera arriva e mi dimostra che c’è qualcosa di molto più grande là fuori. Mi sento un po’ persa.

―Siamo tutti dei piccoli sistemi― Cercò di buttarla sul ridere Cladzky ―D’accordo, là fuori c’è dio e allora? Si può passare tutta la vita a ignorarlo e coltivare il nostro orticello. Le cose sono importanti solo se gli diamo importanza no? Per me Dryriver non ha alcun valore.

―Per me invece sì!― S’indispettì lo sceriffo.

―Ecco, appunto― Allargò le braccia e si appoggiò allo stipite che dava sul salone, braccia conserte ―Ognuno si preoccupa di qualcosa nello specifico pur sapendo che c'è dell'altro. I nostri cervelli sono limitati, ognuno si preoccupa di un problema per volta. È inutile che si preoccupi tanto per tutto l'universo, la mente umana è troppo limitata e le verrà un gran mal di testa. Si limiti a ciò che preferisce.

―Ma come posso tornare indietro?― Lamentò la Linaker, passandosi un mano sulla guancia come ad assicurarsi che fosse ancora tutto vero.

―Devi smetterla di preoccuparti― Insistette con vice melliflua Vincent, parlando con un tono raramente mostrato in pubblico ―Domani sarà tutto uguale a prima. Niente più mostri, gente strana, distruzione. Solo la tranquilla Dryriver e il tuo bel locale di periferia.

Kay alzò la testa prima per abbozzare un sorriso, poi per un rumore che sembrava provenire da una presa d'aria sopra di lei. Ma certo, ragionò di scatto: l'infestazione di ferioni tigrati nelle condutture. Avevano rovinato il filtro della cella frigorifera, impedendogli di chiudersi del tutto. Quando la massa nera si riversò con l'impeto di una cascata su di lei fece appena in tempo ad accendere la sua molotov.

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