il coraggio di amarti

di Fran Det
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Prologo
 
 
 
 
Londra, 1842
 
In quei giorni in Inghilterra non si parlava d’altro che della fine della guerra contro la Cina e tutti si rallegrarono perché ben presto sarebbero rientrati in patria i molti inglesi partiti anni prima.
Uno fra i tanti era lo sfortunato contrammiraglio Edward Cavendish, secondogenito del V duca di Devonshire, decaduto in quelle terre lontane in solitudine, abbandonato non solo dalla sua patria, ma persino dalla sua stessa famiglia. Le circostanze che hanno spinto i Cavendish ad assumere tale comportamento risalgono alla decisione di Edward di unirsi in un matrimonio sconveniente anni prima.
La donna ad aver rapito il suo cuore era Lilian Wood. Lily, che così amava farsi chiamare dalle persone più care, era stata coinvolta in uno scandalo molto sconveniente. Lo stesso duca di Devonshire l’aveva reputata in più occasioni una donna senza freni inibitori e per questo inadatta a far parte della famiglia.
Malgrado l’ingiusta opinione, Lily possedeva un buon cuore. La verità era che il disprezzo del duca nasceva molto prima che Edward la sposasse. Infatti non fu l’unico ad invaghirsi di lei. John, l’erede del ducato, ebbe l’ardire di sfidare la propria famiglia per amor suo avendo in cambio però, solo dolore. Lily era una donna indomabile che desiderava per sé la libertà e l’indipendenza, e seppur trovasse in John uno degli uomini più interessanti ed affascinanti che avesse mai conosciuto rifiutò la sua proposta di matrimonio portando il giovane alla più grande disperazione.
Ferito decise di sposarsi, convincendosi che quello era l’unico modo per chiudere definitivamente con i suoi sentimenti. Ma allora non aveva ancora fatto i conti con il destino.
Edward invece tenne per sé il segreto, persino al suo amato fratello, e incapace di trovare via d’uscita da quell’amore infausto si arruolò nella marina per cercare di dimenticare.
Nel frattempo, Lily si trasferì nella capitale presso la sua adorata zia, lady Lamb, vedova di un barone. Qui venne continuamente corteggiata e ammirata dagli uomini più rispettabili di tutta Londra, ma nonostante ciò ogni notte era tormentata dalle immagini di un amore impossibile.
Lily era convinta che non avrebbe mai più fatto ammenda agli errori del passato e che doveva ormai accettare quella vita. Ma non era a conoscenza della vera natura della baronessa, finché una notte uno dei suoi amici più intimi non la stuprò con violenza. Invece di proteggerla, lady Lamb la cacciò via rinfacciandole di essere stata una poco di buono. Non perse tempo ad infangare il suo buon nome in tutta Londra rovinandole per sempre la reputazione, allontanandola persino dalla sua famiglia che per la vergogna dello scandalo si rifiutò di aiutarla.
Fu allora che per caso conobbe Eleonor Cowper, una donna dall’ossatura piccola e dal sorriso gentile che le diede riparo e fece anche di più, le offrì un lavoro nel suo atelier. Per i primi mesi Lily cercò di ritrovare la serenità, ma una nuova scoperta la sconvolse. Scoprì di essere incita e il panico la divorò. Ma Eleonor le promise che avrebbero cresciuto quella creatura insieme.
Trascorsero due anni e per la prima volta nella sua vita, Lily si sentiva appagata. Finalmente aveva trovato il suo vero amore. Sara.
Quella bambina, dai suoi stessi occhi nocciola, rendeva la sua esistenza speciale. A volte però, si sentiva sola. Le mancava il calore di un uomo e quella sensazione di sentirsi desiderata e protetta. Un giorno Edward Cavendish entrò nell’atelier di Eleonor in compagnia di una signorina dall’aspetto esile e cagionevole, ma dai modi delicati. Mary Clarke era l’ereditiera più corteggiata a quel tempo, non perché godesse di grande bellezza, ma per le sue sole 20 mila sterline l’anno.
Subito dopo il suo ritorno in Inghilterra era stato assalito da donne in età da matrimonio e la sua famiglia aveva cominciato a fargli pressioni, ma quando rivide Lily riaffiorarono quei sentimenti del passato e non riuscì più a rifiutarsi a quell’amore ancora vivo in lui. Così ruppe il fidanzamento con la signorina Clark con non poca indignazione da parte della sua famiglia e sposò Lily.
Sarebbe stato saggio da parte sua rifiutare quella proposta visto che la sua reputazione era stata violata in tutti i modi possibili ed Edward non meritava di affondare con lei. Inoltre era anche consapevole del fatto che non avrebbe mai potuto ricambiare i suoi stessi sentimenti, ma l’egoismo la portò ad accettare. Era una proposta invitante, soprattutto per sua figlia che avrebbe così avuto un padre. Ma questa scelta la famiglia Cavendish non avrebbe mai potuto accettarla. Mai.
Solo due mesi dopo le nozze Lily si ammalò gravemente.
- La febbre non smette di scendere. Se supererà la notte, allora sarà salva. Altrimenti… – disse il medico ad Eleonor.
Il suo primo pensiero fu rivolto alla bambina. Avrebbe perso per sempre sua madre. Quella notte, mentre il cielo era in tempesta, un’ultima lacrima accarezzò il viso stremato di Lily e la sua vita scivolò in un sonno eterno.
Eleonor aveva provveduto a Sara in tutti quegli anni come fosse figlia sua facendola crescere tra chiffon, pizzi e lustrini. Era una bambina dolcissima e tutti l’adoravano. Mentre Edward accettava sempre nuovi incarichi per stare lontano da Londra, finché non tornò più a casa.
Qualche giorno dopo aver appreso la notizia sulla sua scomparsa giunse a Covent Garden un uomo alto, dalle spalle robuste e dal volto serio, ma dolce.
– Chi siete? – domandò Sara con due grandi occhi curiosi e una vocina flebile, attirando l’attenzione di quell’uomo che lentamente le si avvicinò porgendole una scatola contenente dei cioccolatini. Lei ne prese uno.
- Bambina mia, è giunta l’ora che ti prepari – le disse Eleonor con dolcezza, baciandole la fronte. Le spiegò che sarebbe andata via da Londra per ricevere un’educazione adeguata, ma soprattutto la vita che avrebbe dovuto spettarle. Sara però, non voleva staccarsi dall’unica donna che considerava un familiare.
- Sara, zia Eleonor sarà libera di recarsi nel Derbyshire ogni volta che vorrà – le disse quell’alto signore accarezzandole teneramente la guancia e Sara sentì l’odore aspro della pelle fresca del guanto che le invase le narici.
Eleonor si accovacciò, portandosi dirimpetto il volto piccolo e tondo di Sara - Questo non è un addio, sappilo. Io e te saremo sempre l’una vicino all’altra. Te lo prometto –
Pochi minuti dopo Eleonor la vide allontanarsi su una grande carrozza trainata da due magnifici cavalli bianchi che nitrirono allo schiocco della frusta.
Sara non lo sapeva, ma quello era l’uomo che le avrebbe cambiato per sempre la sua vita.
L’uomo era John Cavendish, VI duca di Devonshire.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Derbyshire, ottobre 1862
 
La vita in quei giorni a Derwent House era in gran subbuglio. Stavano per giungere i figli del duca.
Tutto fu curato nei minimi dettagli. La casa fu messa a soqquadro, vennero ripulite più affondo tutte le camere, rinfrescate le biancherie per gli ospiti e lucidata l’argenteria. Persino il giardino, seppur già in perfette condizioni, fu sistemato. Il duca era estremamente ansioso o almeno fu quello che percepì Sara vedendolo osservare, dalla finestra del salotto da tè il viale d’accesso della tenuta di campagna. Si rese conto che il duca non stava osservando le bellezze del parco bensì stava aspettando di vedere le carrozze con a bordo i suoi figli che mancavano da casa ormai da diverso tempo. In particolare Spencer Cavendish, il futuro erede, la cui ultima volta che era stato visto presso la dimora di campagna fu poco più di un anno e mezzo prima. Sara in quella occasione non era stata presente poiché si era recata a Londra per far visita alla sua adorata Eleonor. Constatò con una certa curiosità che erano tre anni che non lo vedeva, ma ciò che ricordava di lui non gli faceva affatto onore. Non era mai stato gentile con lei e l’aveva sempre trattata con insufficienza. Ricordava ancora quando la chiamava maschiaccio per il suo corpo minuto e non ancora sviluppato. Non credeva di esserlo, ma questo non aveva certo aiutato la sua autostima nei successivi anni. Aveva sofferto molto per il suo aspetto, ma un giorno si accorse finalmente di essere una ragazza piacevole e attraente.
Da quando Spencer aveva espresso il furente desiderio di conoscere il mondo, la vita di Sara era migliorata. Almeno uno dei due fratelli era lontano.
Elisabeth, più grande di Spencer di soli due anni, era una donna elegante e ambiziosa. Non era cattiva, ma ostentava la sua superiorità nei confronti degli altri e probabilmente fu il suo animo ribelle a spingerla ad accettare la mano del facoltoso Charles Herbert, IV conte di Carnarvon, pur non amandolo.
Negli anni a venire entrambi i fratelli si erano visti ben poco presso la tenuta di campagna, dove i genitori avevano deciso di trascorrere gli ultimi anni di vita.
Rimasti soli, Sara fu l’unico vero appoggio per i coniugi Cavendish e seppur la duchessa l’avesse considerata sempre di troppo, quando si ammalò ebbe bisogno delle sue cure.
– Cara Sara – la chiamò – io e voi non abbiamo mai avuto modo di instaurare un rapporto familiare. Mi ricordavate costantemente il motivo per cui mio marito non sia mai riuscito ad amarmi. Ma adesso vi ringrazio per tutto quello che fate e ci tengo a scusarmi per l’amore che non vi ho mai saputo dare. Spero che in mia assenza possiate occuparvi del duca perché avrà bisogno di voi. Promettetemelo –
Sara annui e la perdonò.
Nei giorni successivi non poté avvicinarsi al suo capezzale, venendole proibito da quegli stessi figli che erano giunti troppo tardi. Dopo la confessione di lady Cavendish, Sara rimase a pensare alle sue parole per giorni. Perché era un ostacolo e cosa ricordava alla duchessa la sua presenza? Con il passare degli anni quelle parole furono dimenticate, ma il tempo non dimentica e un giorno avrebbe scoperto la verità.
 
Erano trascorsi tre anni da quell’infausto giorno e Sara aveva pienamente adempito alla promessa fatta alla duchessa. Era stata accanto al duca e lo aveva accudito con amore anche nei momenti più difficili.
Ricordava ancora perfettamente le sere in cui si chiudeva in sé stesso, rifiutandosi di mangiare e di uscire dalla stanza. Se non ci fosse stata lei quell’uomo sarebbe sicuramente impazzito dal dolore.
Era comprensibile.
Era stato abbandonato dalla donna che era stata la sua compagna di vita per anni, ma soprattutto dai suoi figli. Sara invece, era un vero e proprio toccasana per la sua esistenza. Trascorreva tanto tempo in sua compagnia, ritrovandosi spesso in vivaci rimpatriate con amici di vecchia data del duca.
Sara li considerava uomini d’altri tempi che portavano a Derwent Hause una ventata di energia. Gregory Taylor, il padre della sua migliore amica Amanda, anche lui cresciuto nel Derbyshire come lord Cavendish. Si conoscevano fin da bambini e la loro amicizia era riuscita a superare tutti quegli anni. Da sempre amante della letteratura, gestiva un giornale a Londra, il News Journa.
Ma il suo preferito era sir Nathaniel Curzon, di Kedleston Hall. Spesso si recava, su invito o senza di esso, presso Derwent Hause dove trascorreva intere giornate con il suo miglior amico di tempi e marachelle passate. Nonostante si conoscessero sin da bambini, l’amicizia scoppiò solo durante la stagione del 1834 e da allora non avevano fatto a meno della propria compagnia.
Sara e lord Cavendish avevano una passione in comune: le passeggiate. Ne facevano di lunghe e piacevoli, durante le quali rimanevano in silenzio godendosi il grande spettacolo della natura. La bellezza del Peak District era senza pari. Il loro momento preferito era poco prima del tramonto. Entrambi amavano il cielo variopinto di colori caldi e freddi che si intrecciavano tra di loro sembrando una vera opera d’arte o almeno così lo definì il duca un pomeriggio.
Non avrebbe dimenticato mai quel momento perché da allora non smetteva di dirle che le voleva bene. Non che non glielo avesse mai detto, ma quel giorno sembrava ci fosse una punta di tristezza nelle sue parole. Come se la stesse preparando per un addio.
Sara ricordava ancora di aver provato un forte senso d’angoscia. Non sarebbe mai riuscita a separarsi dall’uomo che l’aveva amata incondizionatamente come un padre senza chiedere nulla in cambio. E proprio come un padre e una figlia, litigavano in continuazione! Per gli scarponi sporchi di terra, per i ritardi soliti di lord Cavendish quando avevano un appuntamento, litigavano per la sua svogliatezza o per il suo temperamento impetuoso. Ma ciò che Sara odiava principalmente in quell’uomo era la sua ostinazione di voler vincere su tutto. Nonostante questo non potevano fare a meno l’uno dell’altra.
Sara bussò lentamente la porta, tanto da sembrare quasi un sussurro, ma il duca la sentì comunque e si voltò nella sua direzione. Quando la guardò, lei si rese conto che nei suoi occhi nascondeva qualcosa che lo turbava.
– Caro duca, va tutto bene? –
– Sara siete voi, che piacere! Si va tutto bene, sto aspettando i miei figli. Mancano da casa da troppo tempo che sento la loro mancanza – alzò il volto verso il cielo e infine sospirò. Sara gli si avvicinò e lo prese sotto braccio.
– Anche loro saranno felici di rivedervi – ma nello stesso momento in cui lo disse se ne pentì. In duca sembrò ancor più angosciato.
– Mio piccolo tesoro – così amava chiamarla – penso stiano venendo solo perché credono che stia per morire –
Solo un mese prima il duca era stato poco bene, i medici le avevano detto che era stato un colpo al cuore e che sarebbe dovuto stare in assoluto riposo. I figli furono avvisati ovviamente, ma scrissero a Sara di non poter giungere prima a Derwent House.
– Sapete che non è così, non siate sciocco! – lo ammonì - nessun figlio vuole davvero assistere alla morte del proprio padre, neanche il peggiore. Godetevi questo momento felice, finalmente verranno a farvi visita – ma il duca sospirò di nuovo.
Quando lo odiava in quei momenti di autocommiserazione, ma non gli si poteva dar torto. Sia Elisabeth sia Spencer non avevano fatto nulla per accelerare i tempi di visita al proprio padre. Sara cercò nuovamente di tirarlo su.
– Presto vi ritroverete a giocare con i vostri nipotini, ricordate il piccolo William e la furbetta di Georgiana? Sono così affettuosi con voi – il duca la guardò con affetto.
– Georgiana mi ricorda voi quando eravate più piccola, una vera forza della natura. Non stavate mai ferma –
Quando cominciava a parlare dei suoi ricordi diventava un fiume di parole in piena. Sara gli strinse forte il braccio e lui lo interpetrò come un incoraggiamento per andare avanti.
– Ricordo ancora quel giorno in cui voleste cavalcare insieme a me, potevate avere dieci anni circa – Sara rise e rabbrividì a quel ricordo.
– Ne avevo nove in realtà, caro zio –
– Eri irremovibile dalla tua posizione. Dovevi cavalcare come me! E poi ti spaventasti a tal punto dell’altezza del cavallo che da quel giorno non lo hai più voluto rifare – rise a tale ricordo.
Sara lo strattonò affinché finisse di prenderla in giro, ma alla fine anche lei si ritrovò a ridere sommessamente.
– Non vi salirò mai più nella mia vita! –
Il duca provò a convincerla che avrebbe dovuto affrontare quella ridicola paura. Ora non aveva più nove anni, ma ben ventiquattro. Era una zitella, pensò Sara con una punta di amarezza. Aveva avuto in quegli anni ben tre proposte di matrimonio da gentiluomini rispettabili, che erano stati rifiutati con garbo; il primo per essere troppo giovane per convolare a nozze, il secondo perché troppo vecchio per lei e infine l’ultimo perché era troppo occupata ad accudire il duca.
Si erano trattate solo di scuse. Lei non li amava e non li avrebbe mai amati. Ma non si disperava come le altre fanciulle, pensava invece che quella sua condizione le avrebbe offerto una certa indipendenza. Inoltre quando il duca non ci sarebbe stato più, avrebbe ricevuto una modesta rendita per condurre una vita tranquilla nel cottage di famiglia o magari sarebbe andata a Londra dove avrebbe portato avanti l’attività di Eleonor. Era brava abbastanza nel cucito, anche se le sue creazioni non erano poi così brillanti.
I pensieri trovarono una fine quando il duca tornò a parlarle.
– Tu sei stata per me una rinascita, sei per me come una figlia – quelle parole le fecero pizzicare gli occhi. Anche quella volta, si rese conto Sara, aveva pronunciato quelle parole con una strana malinconia.
Lo odiava per questo.
 
All’improvviso sentì pronunciare il suo nome da una voce stridula che proveniva dal corridoio. Era Bessie, la governante.
– Signorina Wood! Signorina Wood! –
Si signorina Wood! Lady Cavendish aveva ritenuto che fosse sconveniente farle portare lo stesso nome dei propri figli nonostante Edward l’avesse riconosciuta come figlia sua. In qualche modo l’avrebbero messa al loro pari e questo non avrebbe mai potuto accettarlo.
Inoltre sarebbe stato un oltraggio, per una delle più antiche famiglie d’Inghilterra, dare il proprio nome ad una ragazza senza un passato rispettabile. Così riuscì a persuadere suo marito affinché non rovinasse la reputazione dell’intera famiglia e in cambio di tale favore non si sarebbe opposta ad accudirla e considerarla come una parente. Lord Cavendish aveva acconsentito per quieto vivere, ma soprattutto per potersi occupare della piccola ancora spaventata da quel cambiamento.
Sara tornò a concentrarsi sul frastuono che quella donna stava producendo e si girò proprio nel momento stesso in cui Bessie entrò nella stanza con il fiatone.
– Cosa diavolo è successo da fare così tanto frastuono! – infierì verso la governante lord Cavendish.
 – Un disastro! – disse la povera Bessie rossa in viso per aver corso tanto velocemente dalla cucina alla sala da tè - Abbiamo un problema! Il povero Jack è rimasto ferito –
Sara non riuscì a trattenersi – Buon Iddio! Bessie, ma cosa è successo devi essere più chiara! – così la governante prese fiato e regolatosi il battito del cuore tornò a parlare rivolgendosi alla signorina Wood.
– Signorina il ragazzo stava sulla groppa del cavallo pronto per andare al villaggio di Bakeweel per alcune commissioni quando l’animale è come impazzito, ma non sappiamo come. Oddio povero Jack per poco non si è spezzato l’osso del collo! –
- Cosa è accaduto al ragazzo? – chiese più gentilmente lord Cavendish.
- Ha una gamba rotta! Povero ragazzo, povero ragazzo –
Terminò così quel lungo monologo pronunciato con tutto il respiro che la donna possedeva in corpo. Lord Cavendish disse in quello stesso momento – Ora basta! Bisogna fare qualcosa e non indugiare oltre –
Sara si sentì in qualche modo responsabile poiché era stata lei a chiedere al povero Jack di recarsi al villaggio dalla signora Ficher per procurarsi le sue speciali confetture così che la cuoca avesse potuto cucinare delle crostate per bambini.
Così decise di andare in soccorso alla povera Bessie. Non era proprio la più eccellente delle governanti, visto che chiedeva sempre il suo aiuto su qualsiasi questione, ma le erano profondamente affezionati. Quando il duca non era stato presente nella grande casa di campagna, era stata lei che a starle vicino in ogni momento.
– Lord Cavendish il dovere mi chiama, dovete scusarmi ma Iddio non voglia che Elisabeth come prima cosa debba rinfacciarmi della mancanza di attenzioni verso la servitù della nostra dimora – il duca non potette trattenersi dal ridere.
Quel momento di grande panico si stava trasformando in una scenetta comica. La signora Bessie addolorata da un lato (forse anche troppo) e dall’altro Sara che sapeva come sempre sdrammatizzare per rendere la situazione meno pesante. In effetti Elisabeth poteva essere davvero tediosa portando qualsiasi persona allo sfinimento. Ma quando Sara si avvicinò alla porta, con Bessie che la richiamava a gran voce, il duca le urlò scherzoso – Figlia mia armatevi di pazienza –
Prima di uscire lei lo sorrise.
 
La situazione era abbastanza tranquilla. Come sempre Bessie aveva esagerato. Jack, che in un primo momento si era spaventato da quella caduta, si stava riprendendo pian piano anche se la gamba continuava a dolergli. Tutti presunsero che fosse una semplice slogatura, ma per averne certezza sarebbe dovuto accorrere il medico.
Sara si offrì dunque di andare lei stessa al villaggio e condurlo a Derwent House. Doveva rimediare a tutto quel trambusto. Il prima possibile, si disse tra sé.
Si avviò per Beeley, uno dei villaggi più vicini a Derwent Hause, dove avrebbe trovato il dottor Robbinson.
Non se ne accorse nemmeno, ma arrivò in fretta al villaggio agevolata dal tempo che in quei giorni era stato clemente, per cui le strade erano facilmente percorribili a piedi.
Quando il dottore le propose di salire sul suo calesse per far ritorno a casa, Sara rifiutò. Non sapeva bene il perché, ma quella giornata era iniziata in modo strano e aveva bisogno di rilassarsi.
Era successo di tutto: c’era stato un litigio fra la cuoca Agathe e il nuovo vice-cuoco, Jacob, scelto in vista dell’arrivo degli ospiti, le cameriere erano più agitate del solito e avevano temuto di non concludere tutte le faccende e poi c’era stato il duca con le sue paranoie sempre più frequenti e in fine questo. Ed erano solo le dieci del mattino!
Per l’affaticamento accumulato in quei giorni di preparativi non aveva avuto il tempo di passeggiare, così considerò che quella fosse un’ottima occasione per provvedere. L’andata al villaggio non era stata affatto piacevole a causa della preoccupazione, ma adesso poteva rilassarsi e godersi lo spettacolo della natura.
Era ormai autunno e la brughiera sembrava un quadro dipinto dalle mani esperte di un pittore. Si mostrava a lei in una varietà di colori che andavano dal rosso al giallo e dall’arancione al verde in contrasto con l’azzurro del cielo. È da sempre risaputo che l’Inghilterra fosse, in gran parte dell’anno, fredda e piovosa. Straordinariamente quel periodo si era presentato nel migliore dei modi.
L’aria, seppur non più calda, era gradevole e il sole lasciava un bel tepore sui volti. Quella era la stagione dell’anno che preferiva perché adatta alle passeggiate, ma finiva sempre troppo presto, infatti tra pochi giorni si sarebbe avvicinato l’inverno che l’avrebbe costretta in casa. Avrebbe sicuramente occupato le sue giornate con letture e al pianoforte. La musica le dava un gran piacere quanto le passeggiate all’aperto. Poteva affermare con assoluta certezza di possedere un grande talento. Il duca la incoraggiava ad esercitarsi sempre di più per poi godere delle sue ottime doti dopo cena.
Sara amava tanto anche la stagione primaverile, soprattutto in quegli ultimi anni. Prima della morte di lady Cavendish si recava con la famiglia a Londra per la stagione ogni anno. Fortunatamente non era più così, infatti non aveva partecipato a nessuna delle ultime tre. Tanto sarebbe stato inutile. Se non fosse per Eleonor, Londra sarebbe diventata un vano ricordo.
La soave tranquillità che stava accompagnando Sara in quella lunga passeggiata fu improvvisamente interrotta da un rumore estraneo alla campagna circostante. Una carrozza correva spedita sullo sterrato proprio verso la sua direzione. Fortunatamente non fu travolta da quel mezzo, ma sporgendosi di lato finì per cadere a terra. Vide con gran stupore che quella stessa carrozza, che pochi minuti prima aveva rischiato di ucciderla, si era fermata non lontano dal punto in cui lei era caduta.
Così lo vide.
Un uomo scese dalla carrozza e le andò incontro. Il sole batteva troppo forte sul volto dello sconosciuto per poterlo vedere con nitidezza, ma ad ogni falcata sembrava meno estraneo. Finché non la raggiunse.
– Signorina con mio più grande dispiacere vi porgo le mie scuse, ma avevamo fretta di...- quella voce, conosceva quella voce.
– Venite fatevi aiutare. Sono uno sciocco, continuo a parlare mentre voi siete ancora seduta a terra – 
Di certo doveva trattarsi di lui, ma non l’aveva ancora riconosciuta? Pensò lei, mentre quell’uomo continuava a starle dirimpetto con una mano tesa. Sara decise che non l’avrebbe presa e così si alzò da sola.
Lui la guardò tra lo sgomento e la meraviglia. Nessuna donna aveva mai avuto l’ardire di negarsi alla gentilezza che lui dimostrava per il gentil sesso. A colpirlo non era stata solo la sfrontatezza di quella donna, ma i suoi occhi lo lasciarono senza fiato. Non che avessero un colore particolare, anzi erano di un nocciola molto comune, ma trasparivano qualcosa. Il modo in cui lei lo guardava, in cui nessuno lo aveva mai guardato, gli mozzò il fiato.
– Signorina credo che a questo punto sia mio dovere presentarmi. Sono Spencer Cavendish, futuro duca di Devonshire. Abito a Derwent House, forse la conoscete. È poco più distante da qui –
Lei continuava a guardarlo, sorridendo tra sé e sé, per il modo in cui si pavoneggiava di fronte ad una donna.
– Voi siete di queste parti? Non mi sembra di avervi mai vista prima – Sara non riusciva a crederci. Davvero non era stata riconosciuta? È mai possibile che in tre anni fosse cambiata così tanto? Ma prima che poté rispondere, lui parlò di nuovo.
– Scusatemi forse siete indisposta e io sono qui a chiedervi il vostro nome – dopo una pausa aggiunse con fervore - mi piacerebbe davvero saperlo –
Sara rimase sbigottita tanto da spalancare gli occhi e lui la guardò con aria interrogativa. Così decise che era arrivato il momento di finire quella farsa.
– Signore se mi lasciaste parlare, anche solo per un secondo avrei modo di dirvi che…- ma la frase rimase sospesa perché lui subito si scusò. Di nuovo.
Appurato che il suo monologo fosse finito, Sara riprese a parlare con grande padronanza di sé.
– Volevo solo dirvi che in realtà abbiamo già fatto conoscenza, direi almeno venti anni fa –
Lui parve disorientato e a Sara quella situazione piacque molto. Per la prima volta, dopo anni, lo aveva lasciato ammutolito. Seppe solo dire – Non puoi essere tu! – a bassa voce, poi di nuovo silenzio. Da lontano si sentì la voce di un altro uomo.
– Cavendish! Cosa diamine è successo perché non rientri più in carrozza, le mie povere gambe stanno soffrendo e puzzo come un cane, ho bisogno di un… - anche quest’ultimo tacque. Per la gloria del cielo, Sara non ne poteva più.
Quella giornata aveva preso una piega inaspettata. Pensava di incontrare quell’odiato cugino una volta tornata a casa, dopo essersi sistemata e aver indossato un abito migliore di quello che portava in quel momento. Eppure, pensandoci su, lui era rimasto ammaliato da lei tanto da non riconoscerla nonostante quell’abito non facesse onore alla sua femminilità.
L’uomo alle spalle di Spencer si avvicinò dopo essersi accorto della presenza di Sara. Quest’ultimo le rivolse un sorriso carico di entusiasmo e fece subito per scusarsi della gaffe precedente.
– Vi prego accettate le scuse di un povero uomo –
Lei pensò subito ecco un altro che si sta scusando. Oggi non è proprio giornata, cercando subito dopo di concentrarsi sullo sconosciuto.
– Mi presento, sono James Morrison, caro amico del signor Cavendish che in questo momento mi sembra assente – disse rallentando la sua parlantina vivace.
Infatti era proprio così. Sembrava che il corpo fossi lì in bella mostra, ma l’anima fosse dissolta. Non curandosene, Sara subito prese a rispondere al signor Morrison.
– Felice di fare la vostra conoscenza. Penso che passeremo lieti giorni in compagnia. Almeno spero – lui la guardò sorpreso – sono Sara Wood, abito a Derwent House. Sono una sorta di parente, alla larga s’intende, di lord Cavendish –
Spencer non poteva crederci. Si stava autodefinendo sua parente? Quella ragazzina impudente. Quando si riprese, senza perdere tempo, ribatté a quella affermazione avventata – Morrison la ragazza vive con noi da quando mio padre l’ha presa sotto la sua protezione –
Mise in chiaro, con poche e brevi parole, la realtà della situazione, ma soprattutto che non la considerasse una parente.
Morrison parve disorientato dal comportamento del suo amico e decise di allentare quella freddezza che arieggiava intorno a loro.
– Meraviglioso! È sempre un gran privilegio fare nuove conoscenze – detto questo chiese a Sara se volesse essere accompagnata a casa in carrozza, così almeno non si sarebbero dati pena nel caso in cui le fosse accaduto qualcosa.
Era tentata di accettare, almeno uno dei due sapeva cosa significasse essere un vero gentiluomo, ma declinò l’offerta. Tanto ormai valeva godersi quella passeggiata e nessuno glielo avrebbe negato. Ne aveva assoluto bisogno. Doveva far sbollire la rabbia che Spencer aveva provocato in lei. Ancora una volta si era dimostrato lo stesso di sempre. I due uomini salirono in carrozza e si diressero verso Derwent House. Lei rimase lì per altri minuti, pensando a come Spencer l’avesse lasciata senza degnarla di uno sguardo. Mascalzone.
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
Appena Sara tornò a casa, fu travolta dalle cameriere che le vennero incontro ansiose.
– Signorina finalmente siete arrivata! – parlò la prima.
– Il signor Cavendish è arrivato già da una ventina di minuti – disse la seconda.
– Dov’eravate finita? – disse la terza.
– Ha portato con sé un ospite inaspettato! Cosa dobbiamo fare? – disse la quarta.
Ma Bessie dov’era! Sara respirò con calma, poi cominciò a rispondere alle mille domande.
– State tranquille non è successo nulla di grave. Si tratta di un solo ospite in più rispetto a quanto stabilito. Jane tu andrai a preparare la camera del signor – come aveva detto di chiamarsi? Ah Morrison – il signor Morrison e tu Olga avvisa Matt e digli di portare sui bagagli del nostro ospite. Per quanto riguarda le vivande ne abbiamo a sufficienza per sfamare un intero reggimento –
Con grande padronanza di sé lasciò nel vano d’ingresso posteriore della dimora le quattro cameriere che si affrettarono a compiere quei compiti.
Fece per salire le scale e prepararsi all’incontro dell’ultima dei Cavendish in arrivo, quando Bessie la bloccò all’improvviso.
– Signorina avete sentito? – disse lei preoccupata.
– Lo so Bessie abbiamo un nuovo ospite –
La donna si ammutolì, sorpresa della tranquillità di Sara che subito riuscì a rasserenarla.
– Ho già avuto modo di fare la sua conoscenza mentre stavo tornando da Beeley, ma non c’è davvero nessun problema come ho già riferito alle cameriere che mi hanno accolto all’ingresso. Non corriamo nessun pericolo di fare brutte figure, siamo bene attrezzati – disse con soddisfazione.
– Signorina sapete che non sono molto brava come governante e ringrazio il cielo che lord Cavendish mi tenga ancora qui con lui, ma soprattutto che ci siete voi – Sara si riempì di orgoglio. Quella donna era così amabile. Le era stata sempre vicino quando lady Cavendish coglieva l’occasione di escluderla dalle attività di famiglia.
Rimasta finalmente sola chiamò Alene, la sua cameriera personale, una ragazza alta e snella dai capelli biondissimi. Oltre ad Amanda Taylor, la sua migliore amica, Alene era l’unica altra sincera amica che aveva. Appena entrò, Sara le rivolse un enorme sorriso e lei subito le si avvicinò.
 – Signorina Wood, come si sente Jack? –
Oh, Jack! In tutto quel trambusto non aveva avuto il tempo di chiedere a Bessie come stesse.
- Sono appena tornata dal villaggio, sono andata personalmente ad avvisare il medico, ma non so adesso come stia –
Alene sembrò dispiaciuta. Aveva la convinzione, già da tempo, che l’amica nutrisse un sincero affetto nei suoi confronti.
- Se per te va bene, appena mi avrai preparata potrai andare da lui - Alene ritornò a sorridere e le mostrò l’abito che le aveva preparato.
- La vasca è pronta signorina. È stata riempita con acqua e olio di lavanda come lei desidera – era proprio quello di cui aveva bisogno. Amava quell’essenza profumata che le ricordavano le calde estati trascorse nel Hertfordshire in visita ai familiari di lady Cavendish.
Sara raggiunse la sala da bagno e si lasciò trasportare da quel profumo inebriante. Ma quando la sua mente ripercosse gli ultimi avvenimenti di quella mattinata divenne irrequieta. Cosa sarebbe successo d’ora in poi? Era quasi certa che la sua serenità fosse finita nel momento stesso in cui i suoi occhi avevano incrociato quelli di lui.
Era il solito. Arrogante e Presuntuoso! Tutti quegli anni non avevano fatto altro che aumentare il suo ego. Era rimasto lì, immobile dopo avergli rivelato il suo nome.
Ma un sorriso si stampò sul suo volto. Prima di scoprire la sua vera identità si era comportato in modo gentile, da vero gentiluomo, e sembrava anche attratto da lei.
Senza sapere perché, si ritrovò a pensare ai suoi occhi. Erano di un azzurro diverso da quelli di Elisabeth, i suoi erano di un blu intenso come quelli di uno zaffiro.
Si rinsavì subito quando si rese conto che stava indugiato troppo sulla sua immagine. Tornò a concentrarsi sul suo bagno.
Iniziò a strofinarsi la pelle con delicatezza, eliminando ogni impurità e una volta finita quella minuziosa pratica fu avvolta in un morbido telo. La cameriera l’aiutò a indossare un meraviglioso abito glicine che scese morbido sulla crinolina dal rigonfiamento posteriore e decorato da balze, mentre il corpetto era stretto sulla vita e le maniche a pagoda.
Sara non era mai stata una di quelle ragazze che seguivano la moda, le importava semplicemente essere a proprio agio come quando indossava quegli abiti senza alcuna formalità che le scendevano morbidi sul corpo, privi di quella gabbia che bloccava ogni movimento. Per non parlare poi del corsetto che le rendeva la vita ancora più piccola e stretta di quanto fosse già, rendendole difficile respirare. Sara era abituata alla comodità e a sentirsi libera con il proprio corpo, ma in quelle rare occasioni in cui era costretta all’ufficialità, doveva essere impeccabile. Almeno questo era quanto sosteneva la sua amata Eleonor.
Mentre Alene la vestiva, si accorse che Sara era turbata da qualcosa e ne chiese il motivo.
– Nulla ho già avuto il grande onore di incontrare il signor Cavendish, tutto qua – si zittì subito dopo, ma Alene non si sentiva soddisfatta così esortò la ragazza a continuare.
– Ebbene, cosa è successo? –
– Non puoi capire, è un uomo impossibile, spocchioso e borioso. Appena ha saputo chi fossi mi ha guardata con disprezzo. Mi sono sentita così mortificata, pensavo che dopo tutti questi anni quegli occhi non mi incutessero più alcun timore –
Alene non conosceva bene il figlio di lord Cavendish poiché solo da tre anni viveva in quella casa come cameriera personale della signorina Wood.
Vedendola in quello stato, Alene non potette fare a meno di dire – Voi non siete di minor valore rispetto a quelle persone. Anzi potrei dire che siano più loro a non essere alla vostra altezza –
Sara fu felice di aver udito quelle parole, aveva bisogno di tutto il coraggio possibile per superare con successo quelle settimane. Alene continuò in silenzio a preparare Sara. Le sistemò i capelli sulla nuca avvolgendoli in uno chignon bello grosso. Una delle cose che Sara apprezzava del suo corpo erano i capelli, di cui era gelosissima. Erano i capelli più lunghi che Alene avesse mai visto. Non solo erano lunghi, ma anche molto folti e ondulati. Il colore poi era molto particolare. Castano scuro con venature rossastre. Decorò i capelli con un’iris di stoffa con fondo bianco e una leggera sfumatura tra il rosa e il viola per darle un tocco di eleganza. Non indossava nessun gioiello tranne una sottile collana su cui era appeso un medaglione dorato a forma di cuore sul cui retro vi era la seguente frase: Al mio unico, vero amore J.C.
Il piccolo ciondolo era appartenuto a sua madre, ma non sapeva dove l’avesse preso. Sapeva soltanto che lo teneva sempre al collo senza toglierselo mai.
Sara lo teneva con sé dal giorno in cui era andata via e per lei aveva un valore inestimabile.
Tornò a concentrarsi sul suo aspetto. Voleva essere bella, elegante, ma anche semplice. Una volta pronta fece andar via Alene, la quale prima di scomparire dietro la porta le disse che era bellissima.
Bellissima.
Sara non sapeva se lo fosse davvero. Accettabile, carina forse. Ma bellissima?
Si guardò meglio nello specchio e dovette ammettere che era proprio così. Dopo aver indugiato qualche secondo di troppo davanti alla sua immagine, si decise di andare a controllare come di sotto stessero andando le cose.
Scendendo le scale però, si trovò improvvisamente di fronte a lui. Spencer stava lì a fissarla. Ma cosa diavolo mi guarda a fare pensò lei.
Lui rimase immobile, senza fare nient’altro che guardarla. Sara decise che non poteva starsene ad aspettare che andasse via così decise di scendere quei maledetti scalini, mentre Spencer non smise di toglierle gli occhi da dosso, muovendoli ad ogni suo passo. Quando lei gli passò di lato, finalmente proferì parola.
– Sono sinceramente dispiaciuto per l’incidente di stamattina e anche per non avervi riconosciuta, ma dovreste scusarvi anche voi con me –
Sara non capiva cosa intendesse.
– Non credo che dovreste considerarvi una mia parente – continuò lui, senza darle modo di rispondere - visto che nelle vostre vene non scorre lo stesso sangue. Solo perché zio Edward ha sposato vostra madre non significa che voi siate una Cavendish. Inoltre sono convinto che dobbiate la vostra fortuna solo a mio padre, perché per quanto riguarda il resto della famiglia siete un’approfittatrice –
Così dicendo aspettò che Sara si scusasse, ma lei non gli avrebbe mai dato questa soddisfazione. Era rimasta sopraffatta da quelle parole e prima che potesse formulare una risposta adatta sentì che stava giungendo Elisabeth dal vocio delle cameriere che stava aumentato vicino alla porta d’ingresso.
Per il momento il silenzio e lo snobismo sarebbero state le armi migliori per ferirlo. Così, con un sorriso sornione, si allontanò.
 
Spencer rimase in fondo alle scale per altri minuti, solo con il suo sgomento. In quel momento si sentì sconfitto, forse per la prima volta. Non potette non notare quanto fosse bella in quell’abito che le risaltava le forme voluttuose del corpo.
Ne fu incantato.
Si meravigliò di non aver trovato nessuna parola adatta da rivolgerle. Lui, che le donne sapeva come farle sciogliere con una semplice parola, un semplice gesto.
Alla fine, non trovando nulla di meglio, aveva deciso di rivolgersi a lei in modo brusco. Vedendola, quasi perfetta, la rabbia era risalita al cervello e con la mente annebbiata aveva dato sfogo ai pensieri suscitati dall’incontro precedente.
Ma adesso si sentiva impietrito, inerme. Quel profumo la rendeva irresistibile. Doveva trattarsi della lavanda, rifletté. I suoi ricordi lo portarono lontano nel tempo, ad un’infanzia felice e al ricordo di una gita di campagna con la sua famiglia.
Gli anni prima di lei!
Quella donna era brava ad agitare i suoi nervi. Constatò con amarezza.
Dopodiché si decise di raggiungere il salotto del tè dove il padre lo stava attendendo.
Quando sentì la sua voce, ormai invecchiata, rabbrividì. Da piccolo era stato per lui un vero e proprio eroe. Lo attendeva sempre con grande fervore dai suoi viaggi e quando era a Derwent House si recava nel suo studio sedendosi sulle ginocchia per ascoltare, con orecchio attento, le storie e le descrizioni di luoghi straordinari. Tutto era magico in quel periodo, ma poi la sua vita era cambiata con un battito di ciglia. Fu in quegli anni che fece la conoscenza di un nuovo sentimento.
La gelosia.
Era geloso di Sara perché aveva allontanato suo padre da lui. Ed era convinto che ancora fosse così.
Spencer si avvicinò alla chaise league rossa dove il duca stava riposando. Appena gli fu di fronte lo sorrise con difficoltà.
– Figliolo finalmente ti rivedo. Quando è stata l’ultima volta che ci siamo visti? –
– Sembra una vita fa. Ho lavorato molto in questi mesi a Londra padre e poi ho ricevuto diversi inviti a casa di amici che mi hanno portato in Italia e in Francia. Certe persone bisogna sempre tenerli nella propria cerchia di amici –
Il padre annuì, sapendo bene che la vita in società comportava grande sacrificio.
– Certo, saprai benissimo come fare il tuo lavoro, ma mi sei mancato – disse con dolcezza, tanto che Spencer si stupì di quella dimostrazione di affetto.
– Ora sono qui e penso che mi intratterrò per qualche settimana, così possiamo cercare di recuperare il tempo perso. Ma ditemi come vi sentite? –
Il vecchio duca disse che stava meglio nonostante avesse trascorso dei giorni terribili. Raccontò all’adorato figlio che dopo un colpo al cuore, la sua vita aveva improvvisamente voltato pagina. Non faceva altro che prendere medicine e stare a riposo tutto il giorno.
Gli erano state proibite diverse attività e si lamentò di questo. Raccontò anche che Sara aveva fatto di tutto per persuaderlo ad abbandonare l’idea di cavalcare. Sapeva benissimo che sarebbe stato difficile convincerlo, ma lo faceva solo per il suo bene.
Quelle proibizioni lo facevano sentire troppo vecchio. Non che fosse più tanto giovane, aveva infatti raggiunto la bellezza di sessant’anni, ma fino ad allora aveva svolto la sua vita come sempre.
– La povera Sara si è data un gran da fare. Sono stato pietoso nei suoi confronti che invece mi ha accudito con grande amorevolezza – soddisfatto aspettò una risposta dal figlio, la quale non tardò ad arrivare.
– Per fortuna che c’è stata la signorina Wood! –
Pronunciò quelle parole in tono sarcastico che il padre finse di non aver udito.
Spencer non voleva che la loro prima conversazione, dopo tanto tempo, avesse come oggetto quella signorina Wood.
Fortunatamente parlarono di altri argomenti e si rilassò riuscendo ad avere una conversazione serena con il proprio padre.
 
Sul versante opposto della sala da tè, negli appartamenti riservati agli ospiti, vi era un giovane abbastanza curioso.
James Morrison.
Secondo la sua più modesta conoscenza sugli arredi di una dimora signorile, era convinto che gli fosse stata riservata una delle camere più belle della dimora.
Tutto in quella stanza richiamava il colore del verde e del bianco. Al centro vi era un letto a baldacchino con un curioso telo bianco arricciato a ventaglio e sul pavimento uno scendiletto verde. Sul lato sinistro, invece, vi trovava spazio un camino in marmo bianco, probabilmente originario di Carrara, al cui interno ardeva un grosso ceppo che rendeva quell’ambiente caloroso e accogliente.
Lungo le pareti trovò una decorazione in stile pompeiano che affascinava sempre di più lo stile europeo in quegli anni.
La sua indole da sognatore romantico lo spinse a pensare che la scelta della camera fosse stata premura di quella donna travolgente che aveva avuto il piacere di conoscere quella mattina. In carrozza aveva tempestato di domande il suo povero amico che incurante della sua fervida curiosità, non aveva risposto con la cordialità che si sarebbe aspettato. Aveva capito che c’era dell’astio fra i due e si chiedeva il motivo di tale distacco.
Quando era sceso dalla vettura perché il proprio amico tardava a rientrare, non era stato in grado di capire cosa stesse succedendo, ma era certo che Spencer stesse parlando con qualcuno. Quel povero essere aveva avuto la sfortuna di trovarsi nel momento sbagliato lungo il loro cammino.
Solo nell’avvicinarsi si era reso conto che quell’essere fosse una donna, una creaturina piccola dagli occhi pieni di candore che guardava l’amico con aria sconcertata. Non ebbe modo di sentire cosa si stessero dicendo, ma qualsiasi cosa fosse aveva avuto uno strano effetto su Spencer che somigliava ad un soldatino freddo e assente.
Quella mattina erano arrivati a Comford con la locomotiva delle nove e trenta e durante l’attesa della carrozza avevano approfittato per bere un boccale di birra in una vecchia locanda. Annoiati, avevano trovato un modo per movimentare il tempo che li divideva da Derwent House.
Solo dopo capì che erano stati imprudenti.
Da sempre amanti del pericolo e delle scommesse, avevano deciso di testare la velocità e la resistenza dei cavalli. James era convinto che i cavalli fossero troppo vecchi per farcela mentre Spencer, che non era mai stato un buon scommettitore da quando lo conosceva, pensava il contrario. Come perdere quell’occasione di divertimento, soprattutto per schernire Spencer? Così avevano esortato il povero cocchiere, ignaro della personalità furente dei due passeggeri, a spronare i cavalli in cambio di una lauda ricompensa.
Non se lo è fatto dire due volte.
Pensandoci bene due erano le possibili motivazioni dell’assenso: o quell’uomo possedeva un’anima assennata come la loro o era solo uno sciocco in cerca di denaro facile. Ma indipendentemente dalle motivazioni che avevano spinto a quella scempiaggine, la scommessa sarebbe potuta finire in malo modo.
Per loro fortuna quella ragazza si era spostata in tempo.
Questo era quello che il signor Morrison stava pensando nella stanza verde e bianca, steso sul letto, pregustando il prossimo incontro con quella giovane fanciulla.
Senza indugiare oltre si alzò dal letto deciso a rivederla, ma doveva prima rendersi presentabile affinché potesse avere una migliore considerazione della sua persona.
Andò alla ricerca del campanello che si trovava sul lato destro del baldacchino mentre la sua attenzione fu attratta da un quadro posto sulla parete laterale. Esso raffigurava una donna assopita su una roccia immersa all’interno di un parco. Pensò che fosse molto adatto a quell’ambiente. Avanzò per leggere cosa ci fosse scritto sulla parte bassa. Archer J.
Ci pensò su e il soggetto gli ricordò un altro pittore, un certo Eastlake che era solito dipingere ambientazioni sull’antica Roma. Doveva trattarsi probabilmente di una copia. Si ritrovò a soffermarsi, un secondo di troppo rispetto a quanto richiesto dal decoro, sulla figura femminile.
Fu in quel momento che si trovò ad immaginare di stare sdraiato su un letto in compagnia di una donna, magari colei che da quella mattina, non faceva altro che tormentarlo.
Sognò la sua nudità innocente e si ritrovò ben presto ad ardere di desiderio per lei. Come poteva essere così eccitato dopo averla vista solo una volta e per così poco?
Eppure prima di chiamare il cameriere fu costretto a stare solo con il suo membro.
Si stava avvicinando l’ora di cena, il che significava che ben presto l’avrebbe rivista.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


La bellissima lady Elisabeth Herbert, contessa di Carnarvon, stava viaggiando da alcuni giorni in preda all’ansia per l’imminente incontro con la sua famiglia che non vedeva dal Natale precedente. Sedeva in una scomoda carrozza assieme ai suoi figli, Georgiana e William, che erano stati tanto irrequieti da farle scoppiare un tedioso mal di capo. Appena sarebbero tornati a Rockwell Hall avrebbe dovuto licenziare quella bambinaia incompetente. Sul lato opposto c’era suo marito, Charles Herbert IV conte di Carnarvon, che stava dormendo beato con la testa rilassata all’indietro e la bocca mezza aperta.
Come sempre! Puntualizzò Elisabeth. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che avesse fatto un viaggio decente. Ogni volta suo marito si presentava come una compagnia infelice. Non aveva mai nulla da raccontarle e si sarebbe potuto affermare, con assoluta certezza, che questo valesse anche per lei. Una coppia di soggetti più diversi tra loro non si erano mai visti fino ad allora. Quell’uomo era privo di carattere, secondo Elisabeth. Non era né simpatico né brillante e nessuna delle sue qualità (se ne avesse posseduta alcuna) era degna di nota. In compenso era tedioso e stucchevole, il tutto accompagnato da una voce fastidiosa e squillante. Tutto sommato si potrebbe considerare quasi una fortuna per lady Herbert trascorrere quel viaggio con il marito addormentato. Si era così risparmiata una noiosa conversazione. Non amava il teatro, né la musica per non parlare della pittura (la più grande gioia di Elisabeth) in altre parole non era interessato a nessuna forma d’arte. Solo dopo il matrimonio si era resa conto che il marito era troppo timido e non sarebbe stato in grado di acquisire le giuste amicizie. La verità era che lei era molto ambiziosa, mentre lui non lo era affatto.
Elisabeth puntava ad arrivare alle persone che contavano davvero in quella società per crearsi una buona posizione.
Anche questo toccò farlo a lei.
Si intratteneva con chiunque ne valesse la pena e anche se in molte occasioni fu costretta a soffrire in silenzio, resisteva pur di raggiungere il suo obiettivo.
Trovava tutte quelle persone poco interessanti e mai alla sua altezza. Potevano anche possedere un titolo superiore al suo, ma le rimanevano pur sempre inferiori per eleganza e intelligenza. Non si poteva certo dire che Elisabeth Herbert fosse una donna modesta.
Doveva pur esserci qualcos’altro in quella vita, qualcosa che l’avrebbe potuta risollevare. Pensandoci su, un motivo che le aveva dato la forza di sopravvivere a quella unione mal assortita c’era stato, ma ora? Ora non più. Questa fu la triste risposta che seppe darsi la povera Elisabeth mentre osservava il marito.
Mansueto e mite per carattere, tanto da far venire i brividi alla signora Herbert, Charles era il più buono fra gli uomini. Certo talvolta mancava di spirito e possedeva modi grossolani che non confacevano ad un uomo del suo lignaggio. Mancava anche di un’adeguata cultura e interessi apprezzabili dalle signore e signorine della società. L’unica cosa che interessava al povero Charles erano i cavalli. Per questo gli era sempre stato di grande giovamento discorrere con il suocero, il quale gli forniva terreno fertile per impiantare innumerevoli discorsi attorno alla figura dei cavalli, delle corse e del polo. Lord Cavendish, seppur amasse tanto cavalcare anch’egli, talvolta si trovava ad annoiarsi durante quelle discussioni così accese e piene di emozione da parte di suo genero.
Se solo avesse parlato così con Elisabeth, se solo avesse avuto un briciolo di passione. Forse sarebbe stato diverso. Forse Elisabeth avrebbe potuto amarlo o quanto meno affezionarsi a lui.
Ma questo non sarebbe mai accaduto. Seppur Charles, secondo il giudizio di parenti e amici fosse l’uomo migliore del mondo grazie al suo buon carattere, non si poteva dire di certo che fosse un amante devoto e passionale. Era un uomo normale che adorava stare a letto con la propria moglie, ma allo stesso tempo gli mancava qualcosa.
Se solo avesse avuto lo stesso fanatismo ed esaltazione nella vita coniugale come nel guardare una corsa di cavalli, forse gli si potevano perdonare le sue mancanze.
La carrozza degli Herbert viaggiava nella proprietà di Derwent House ad una modesta velocità. Elisabeth aveva dato chiare, ma semplici disposizioni.
Arrivare il più tardi possibile.
In quel modo avrebbe potuto stare in minor tempo in compagnia della sua famiglia. Almeno per quel giorno.
Era stata costretta da Charles ad andare. Non che non volesse vedere suo padre, ma l’idea di stare in compagnia dell’intera famiglia la rendeva irrequieta.
Inoltre non si era più trovata bene in quella dimora dalla morte della madre. Le era stata sempre affezionata, l’amava. Erano due amiche prima di essere madre e figlia.
Le fu però, impossibile assistere la madre durante i suoi ultimi giorni. William aveva avuto un brutto raffreddore costringendola a stare al suo fianco. Fortunatamente si era rianimato presto, ma allo stesso tempo Elisabeth non volle lasciarlo. Forse per paura che potesse ammalarsi di nuovo oppure, semplicemente perché temeva di vedere con i suoi stessi occhi che anche la madre, che le era sempre stata alleata, si stava avvicinando ad una certa signorina durante la sua malattia.
Questo non poteva sopportarlo! Dalla madre non poteva proprio.
La carrozza saliva e scendeva lungo il viale, seguendo il profilo dolce delle colline ed Elisabeth si perse in quella visione bucolica finché tra le fronde degli alberi non comparì l’elegante dimora con la sua imponente facciata neoclassica.
Mentre si avvicinavano, sul lato sinistro, fu possibile intravedere l’arcata che dava accesso alle stalle. Sicuramente Charles avrebbe dato istruzioni dettagliate allo stalliere per accudire i propri cavalli. Come se uno stalliere non sapesse cosa fare!
Neppure con i propri figli sapeva essere così amorevole. Al compleanno di Georgiana, lo scorso anno, era stato per quasi tutto il tempo della festa isolato in un angolo senza rivolgere la parola a nessuno dei loro amici fuorché a qualche stretto familiare. Non aveva considerato né sua figlia né tantomeno lei. Aveva preferito rimpinzarsi di dolci.
Stava diventando grasso ed Elisabeth non era stata in grado di fargli rispettare un’adeguata dieta per più di una settimana. Nemmeno negandogli i rapporti coniugali Charles ebbe la forza di evitare i dolci. Il problema era uno solo. Lei non lo amava.
Ma la vera domanda era: lo aveva mai amato?
Quando si era sposata, ormai diversi anni fa, non lo aveva fatto per amore. Era stato semplicemente un modo per ribellarsi alla monotonia della propria vita. Voleva una sua indipendenza. Una casa da gestire. Essere una padrona rispettata.
Non desiderava una famiglia, ma fu quasi inevitabile una volta consumata l’unione. Rimase incinta dopo un paio di mesi e la prima a nascere era stata Georgiana, che avrebbe compiuto a breve dodici anni. Aveva sperato che quella creatura potesse rescindere il suo cuore di pietra, ma si rese conto ben presto che sarebbe stato impossibile.
Cominciò ad essere veramente felice solo cinque anni prima. Le persone che la circondavano la consideravano arida e altezzosa, forse anche la propria famiglia, ma lui no. L’aveva amata, in tutti i modi possibili. L’aveva penetrata non solo nel corpo, ma anche nella mente e nell’anima, soprattutto nel cuore, fino a quando circa sei mesi prima l’aveva lasciata.
Allora il mondo di Elisabeth crollò.
Lui era stata la via per la redenzione e adesso non c’era più. Si chiese come avrebbe fatto ancora a vivere, ora che lui l’aveva abbandonata. Si era consolato a guardarlo a Londra ai balli, in teatro e durante le serate in compagnia di amici, dove ebbe l’occasione di scambiare poche e semplici parole con lui stando però, accanto al marito e struggendosi di dolore ogni volta che lo vedeva in compagnia di altre donne.
Perché gli aveva insegnato ad amare, perché? La sua vita precedente, seppur insignificante, era pur sempre una vita accettabile. Ora invece tutto le sembrava impossibile. Aveva tentato di suicidarsi in preda alla disperazione, ma ne era stata incapace, convincendosi che sarebbe stato meglio vederlo senza mai toccarlo piuttosto che non vederlo mai più.
Quei mesi erano trascorsi tra una vita coniugale insoddisfacente e l’insofferenza di vivere senza di lui. Ma non si sarebbe data pace, di questo ne era certa, avrebbe trovato il modo di riavvicinarsi a quell’uomo, sentiva che le motivazioni che lo avevano spinto a troncare quella loro stupenda relazione erano vane. Ad Elisabeth non importava se aveva altre esigenze, le importava solo stare con lui. Elemosinare anche solo delle briciole era abbastanza per sentirsi appagata.
Ricordava ancora con chiarezza la prima volta che si erano incontrati in casa di William Gladstone. Aveva dato una festa con tutta la società inglese e ovviamente non potevano mancare gli Herbert che erano diventati così popolari in quegli ambienti, ma a dispetto di quel che potesse pensare Elisabeth, la gente si interessava a loro più per i pettegolezzi che per la loro rispettabilità.
Quell’evento modano si presentò come l’occasione giusta per intrecciare nuovi rapporti e soprattutto per entrare nelle grazie di quell’uomo. Purtroppo Elisabeth si rese conto che non era affatto un uomo avvicinabile e contro ogni sua aspettativa si ritrovò in un angolo annoiata.
Stava attraversando piccole sale debordanti di persone accalcate l’una vicino all’altra finché non fu attratta da un quadro. Si ritrovò ad ammirare una copia della Venere di Urbino di Tiziano Vecellio. La donna appariva in un’immagine provocante, ma allo stesso tempo pura come un angelo.
Improvvisamente uno sconosciuto le si avvicinò – Bella non trovate? Penso che esprima una grande forza sensuale –
Visto che lei non lo degnava di uno sguardo ricominciò a parlare.
– Non avete nulla da dire a riguardo? –
Finalmente Elisabeth si girò e lo guardò. Rimase per un breve secondo senza fiato. Era meraviglioso. Alto e muscoloso, possedeva due grandi occhi verdi come uno smeraldo, capelli scuri e leggermente allungati sulla nuca in boccoli ben definiti. Il volto leggermente abbronzato e insipido.
Dopo averlo squadrato di tutto punto si decise a parlare – Penso solo che sia volgare in una sala pubblica, forse sarebbe più adatto in una stanza come – ci pensò su e dichiarò - una camera da letto forse. Non trovate? –
Si stava allontanando, quando sentì una forte pressione sull’avambraccio. Quel gesto la stupì. Non aveva mai avuto un tale approccio con un uomo. La cosa la indispettì in un primo momento, ma poi le piacque.
– Dove cercate di scappare, la conversazione non è ancora finita – ma lei subito lo attaccò.
– Non possedete la facoltà di decidere se una conversazione sia finita o meno, al contrario di me che posso ritenere opportuno per la mia incolumità di allontanarmi da voi –
Quella dichiarazione lo divertì così tanto da farlo scoppiare a ridere forse un po' troppo forte. Molte delle gentildonne e dei gentiluomini presenti nella sala si voltarono a guardarli. Elisabeth arrossì come un pomodoro maturo, nonostante questo non riusciva a togliere gli occhi dai suoi.
Una volta tornato serio le disse – Signorina avete una lingua biforcuta. Mi piace –
Mi piace? Cosa voleva dire?
Le si avvicinò tanto da accarezzarle l’interno del braccio scoperto dal guanto, procurandole dei piccoli brividi che la percorsero per tutto il corpo e con grande esperienza riuscì a farlo senza che il resto del circondario se ne accorgesse.
- A presto - si voltò e andò via.
Chi era quell’uomo? Si chiese Elisabeth. Non si era nemmeno presentato, ma lo scoprì dopo poco.
Fu la signora Scott, aggiornata su tutti gli uomini bersaglio di donne in età da marito, a rivelarle il nome dello sconosciuto.
– Lady Herbert, vedo che vi siete intrattenuta con un bel giovane. Vostro marito ne sarà geloso – questo era l’ultimo dei pensieri di Elisabeth.
- Sapete chi sia? -
- Non lo conoscete? – disse sorpresa.
Ovviamente no! Altrimenti non si sarebbe scomodata a parlare con quella insulsa donna.
– Allora toccherà a me colmare il vostro vuoto. Ebbene l’uomo in questione, altro non è…- ad Elisabeth sembrava che quella frase non terminasse più – L’uomo d’affari, James Morrison -
 
Giunti all’ingresso della dimora, Elisabeth si trovò ad attendere che qualcuno accogliesse lei e la sua famiglia.
- Come sempre la puntualità in questa casa viene rispettata a dovere - lamentandosi davanti al marito che ancora non era riuscito a riprendersi del tutto dal suo sonnellino.
Cominciò a sentirsi irritata.
Secondo Elisabeth la gestione dei propri inservienti andava considerato un lavoro minuzioso, senza ammettere neppure il più piccolo errore.
Impeccabile, questa era la parola d’ordine. Soprattutto quando si attendevano degli ospiti. Invece da quando Sara aveva preso in mano le redini di Derwent House, tutto le sembrava indecente.
Il tempo trascorreva lentamente e lei continuava a stare in piedi di fronte agli scalini in pietra con i bambini che non smettevano di strillare. Sentì il bisogno di chiudersi in camera al buio, lontana da tutto e tutti, per tranquillizzare i propri nervi.
Finalmente apparve qualcuno che si indirizzò verso di loro. Era il maggiordomo, Mason, seguito dall’odiosa Sara Wood.
– Benvenuti a Derwent House, i valletti si occuperanno dei bagagli, mentre voi potete seguirmi dentro. Le cameriere vi condurranno di sopra nelle vostre camere –
Elisabeth era convinta che si sentisse la padrona di casa e questo era solo colpa di suo padre.
Non per molto! Pensò lei.
Quel suo atteggiamento la rendeva ancora più irritabile ai suoi occhi. Il suo sguardo si posò, subito dopo, sull’abito che indossava. Considerò che il glicine non era affatto il suo colore, per non parlare di quelle gonne. La facevano sembrare una grossa caramella.
Molti uomini avrebbero sicuramente apprezzato le sue forme abbondanti, ma lei non era un uomo e riteneva che un corpo snello fosse di gran lunga più allettante.
Appena la videro, Georgiana e William corsero al suo cospetto, aspettandosi un abbraccio caloroso.
Elisabeth avvampò per la gelosia.
Prima di partire aveva detto ai propri figli di comportarsi in modo ineccepibile e soprattutto dare poca confidenza a Sara, ma evidentemente la sua parola non valeva nulla.
Elisabeth guardò torva la piccola Georgiana che ricordandosi il “discorsetto” della madre cercò di darsi un contegno.
- Mary – chiamò la bambinaia con la sua solita altezzosità – prendi Georgiana e William e conducili nella nursery –
- Certo milady – rispose, abbassando gli occhi in terra.
Sara sentì quasi pena per quella povera ragazza. Non avrebbe mai voluto ritrovarsi nei suoi stessi panni.
Prima di sparire però, Georgiana si voltò verso Sara e riuscì a dire con il labiale che avrebbe voluto giocare con lei più tardi. Con discrezione, riuscì a ricambiare con un occhiolino. Quei due bambini l’adoravano, e lei adorava loro.
Sara credeva che avessero bisogno di maggior affetto. Era sicura che fossero amati, ma Elisabeth li guardava con insufficienza.
Non erano mai troppo perfetti.
Soprattutto Georgiana. Voleva che diventasse una signorina aggraziata, invece era una piccola selvaggia. Dava la colpa di tutto all’influenza di Sara. Questa volta non avrebbe rovinato sua figlia, come aveva già fatto con il padre. Per questo si recava sempre il meno possibile a Derwent House. Con William invece, era più accondiscendente e gli voleva quel poco in più di bene. Ma in generale non si poteva di certo dire che Elisabeth fosse la migliore madre di questo mondo.
Giunsero all’interno della maestosa abitazione. Seppur Elisabeth mancasse da almeno un anno quella casa rimaneva sempre la stessa imponente, prestigiosa e sfarzosa. L’ingresso presentava un lungo pavimento a scacchiera, con stucchi bianchi che coprivano interamente le pareti riproducendo piccoli puttini e festoni di frutta.
Salirono l’imponente scalone mantenendosi alla ringhiera di ottone, giungendo così fino alle camere da letto al secondo piano, nell’ala ovest.
Finalmente i suoi nervi avrebbero ritrovato la propria pace.
 
Qualche minuto prima che andasse ad accogliere gli Herbert, Sara si assicurò che tutto fosse in ordine.
L’agitazione delle cameriere, procurata dall’arrivo inaspettato del signor Morrison (manco fosse arrivato il principe consorte in persona!) la rendeva irrequieta.
Sperò, in cuor suo, che le cose sarebbero andate per il meglio.
Sapeva bene che, per raggiungere un buon risultato, avrebbe dovuto porre fine a quelle tiritere inutili che stavano durando fin troppo. Dopo aver dato una strigliata a quelle fanciulle cercò di ricomporsi. Appena la vide non poté non notare il suo stupendo abito da viaggio. Quella fredda tonalità azzurrina metteva in risalto i suoi splendidi occhi. Una cintura le stingeva la minuscola vita già compressa nello stretto corpetto, mentre le gonne scendevano morbide senza nessun fronzolo. Sembrava semplicemente perfetta. 
Così cercò il suo coraggio e dopo un minuto di indugio si diresse in direzione della cugina. Avvicinandosi vide che Elisabeth si stava innervosendo sempre di più, tanto che il suo lungo collo si era arrossato. Aveva cercato di essere gentile in modo da dare loro un cordiale benvenuto. Se non fosse stato per Charles e per i bambini, Sara sarebbe stata accolta dal puro gelo. Elisabeth non proferì quasi nessuna parola, tranne i convenevoli di rito.
– Cara, siamo felici di essere qui, ma vorremmo rinfrescarci prima di incontrare il resto della famiglia – aveva detto Charles e Sara aveva cercato di accontentarlo.
Si convinse che neppure Elisabeth era cambiata. Rimaneva esattamente la stessa di sempre.
Arrivate in camera, Sara presentò alla contessa la sua cameriera personale. Margareth era una ragazzina timida che si apprestava per la prima volta a quel compito.
Agli occhi di Elisabeth apparve come un piccolo topolino acerbo. Sara si sentiva preoccupata, conosceva bene Elisabeth e non era certa che quella ragazza (raccomandata da Bessie) fosse pronta a sopportare tutti i suoi capricci.
- Per qualsiasi evenienza basta che chiamate me oppure Bessie –
Elisabeth non si degnò neppure di parlare, limitandosi ad un accenno del capo. Quando si chiuse la porta alle spalle ricominciò a respirare regolarmente. Erano tutti riuniti in quella casa e adesso cosa sarebbe successo?
Una volta sola, Elisabeth cacciò via la sua nuova cameriera.
- Esci fuori, ti chiamerò io quando ne avrò bisogno –
Non appena si assicurò che quella ragazza era sparita, si stese sul letto e chiuse gli occhi.
Dopo pochi minuti, non riuscendo a riposare, si alzò avvicinandosi alla toeletta situata vicino alla finestra.
Una volta davanti allo specchio, si soffermò sulla sua immagine. La prima cosa che notò furono i suoi occhi gonfi, ma nonostante questo si vedeva bella.
Viaggiare in carrozza non le era mai piaciuto, lo considerava troppo gravoso per la sua bellezza.
All’improvviso avvertì uno stato di sconforto che le strinse il cuore. Quanto in quel momento desiderava stare fra le braccia dell’uomo che amava, soltanto lui riusciva a renderla viva.
La sua vita era un pieno disastro!
Se non fosse stato per il titolo nobiliare che la rendeva una donna rispettabile, si sarebbe sentita una vera fallita.
Perché nessuno la capiva?
Lei voleva solo essere apprezzata e amata. Nulla le avrebbe ridato la gioia perduta.
Angosciata da quei pensieri si voltò leggermente verso la finestra cercando di trovare conforto in qualsiasi altra cosa. Il panorama che si stagliava davanti a sé presentava un curioso dettaglio che la colpì. Dritta al cuore.
C’era un uomo laggiù che passeggiava tranquillamente per la proprietà e per un istante sembrò di riconoscerlo.
Poteva mai essere lui?
– Mi sto sbagliando – si disse - adesso ho anche le allucinazioni –
Non poteva essere lui.
Sapeva con assoluta certezza che si trovava aldilà dell’oceano, sul continente americano, per un affare importante. Era inutile continuare a trafiggersi in quel modo, così decise di prepararsi per l’imminente incontro con la sua famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
Dopo aver lasciato la stanza di Elisabeth, Sara incontrò il povero Charles vagare disorientato nel bel mezzo del corridoio.
– Lord Herbert – 
Appena lui la vide, le andò incontro - Signorina Wood! Che piacere rivederla così presto, ma sapete che per voi sono soltanto Charles –
Sara gli sorrise e gli chiese cosa stesse cercando.
- Oh, la stanza di mia moglie –
Sara fu così gentile da indicargliela e lui la ringraziò porgendole un sorriso luminoso. Si chiedeva cosa avesse nella mente quell’uomo. Sembrava sempre al di sopra della realtà, tanto che a volte credeva che vivesse in un mondo tutto suo. A lei era sempre piaciuto, sin dalla prima volta. Molti si burlavano di lui per la sua timidezza e la sua goffaggine, ma lei sapeva che era fatto a modo suo. Lo apprezzava per questo.
Lo considerava un vero e proprio fratello, una persona che sarebbe andato sempre in suo soccorso, ma sapeva anche come irritarla, soprattutto quando cercava di convincerla a cavalcare. In più occasioni si era offerto di aiutarla, ma Sara garbatamente declinava ogni sua proposta.
Era certa che Elisabeth non provasse stima nei suoi confronti e trovava ingiusto che lo mortificasse in continuazione. Forse Charles avrebbe dovuto meritare una donna diversa.
Senza curarsene troppo si recò nella nursery. Ad attenderla c’era una Georgiana sprizzante di gioia che appena la vide le corse tra le braccia.
William la imitò e ben presto si ritrovò con avvinghiate due piccole creature appiccicose. Si abbracciarono per lunghi minuti prima di lasciarsi e andare a giocare.
Georgiana le riferì di aver preparato un mantello e tre spade. La spada più piccola era per William, mentre quelle più grandi erano per loro due. Finalmente iniziarono i giochi.
Nonostante Georgiana si apprestasse ad un’età che richiedeva ben altro da lei, rimaneva sempre una bambina. Sara lo trovava naturale e non credeva che dovesse già preoccuparsi del matrimonio. Trovava ingiusto che sua madre la costringesse a comportarsi come un’adulta.
Mary avrebbe dovuto fare la principessa, mentre Georgiana e William sarebbero stati i suoi cavalieri. A Sara invece, avrebbe dovuto spettare il ruolo del cattivo.
– Cos’è tutto questo baccano? – urlò una voce maschile sul fondo della stanza. I bambini appena lo videro gli saltandogli in braccio.
– Zio, sei tu! –
Non si sarebbe mai immaginata che Spencer fosse tanto affettuoso con i propri nipoti. Sembrava quasi tenero.
Subito dopo avvertì una morsa allo stomaco non appena si accorse che la stava guardando.
– Ah, ci siete anche voi – le disse con stupore irritandola ancor di più, ma Sara cercò di mantenere la calma.
Georgiana non smetteva di assillarlo dicendogli che desiderava giocare insieme a lui e Mary approfittò subito del momento per dire che avrebbe lasciato il suo posto volentieri. Non si poteva certo dire che fosse di grande compagnia, ma Sara non poteva immaginare cosa avrebbe proposto Georgiana.
– Zio volete essere voi il principe? –
Spencer sembrò pensarci su – Se sarai tu la mia principessa, allora va bene –
Ma Georgiana aveva in mente un piano ancora più ingegnoso.
– Io vorrei che la principessa fosse Sara, mentre io e William la terremmo rinchiusa nella torre –
Sara considerò quella situazione di grande pericolo, ma come avrebbero dato un no come risposta? Per questo l’accontentarono.
Sara fu messa a sedere con i gomiti legati dietro la schiena, mentre Spencer prese la spada blu e il mantello.
Finalmente iniziò il combattimento.
Una volta sconfitti, Georgiana gli disse che avrebbe dovuto salvare la principessa.
Così si avvicinò a lei e quando la toccò sui polsi nudi Sara avvertì un brivido. Georgiana ostinata, propose che ballasse con la principessa.
Nonostante la resistenza di entrambi si ritrovano in un secondo l’una nelle braccia dell’altro.
Quel contatto la fece tremare, facendola sentire inerme.
Solo in quel momento si rese conto di stare tra le braccia del suo nemico. Non riusciva neppure a guardarlo negli occhi.
Non per timore, ma per imbarazzo.
Era imbarazzata dalla sua presenza e ancor di più dal modo in cui la stringeva a sé. Era una presa vigorosa, come se volesse farla sua.
Sara sentiva la sua mente annebbiata, inconsapevole di ciò che stesse accadendo.
Ma quell’uomo non conosceva il pudore? Perché si stava comportando così con lei? Prima rivolgendosi con modi gentili, poi ignorandola e umiliandola e adesso la stava abbracciando con dolcezza. Sentì che gli occhi di Spencer stavano indugiando un po' troppo su di lei.
Le mancò il respiro.
Continuarono ad ondeggiare sempre nello stesso punto della sala mentre i bambini stavano lì a guardarli estasiati come se fossero davvero una principessa e un principe.
Cercò di pensare ad altro, ma non ci riuscì.
Si sentiva come se esistessero solo loro due al mondo. Per un momento sperò quasi fosse interminabile quella danza, ma sapeva che non sarebbe durata a lungo. Così chiuse gli occhi per goderne ogni sfaccettatura.
Sentì il suo odore. Odore di uomo.
Non si era mai interessata al profumo di un corpo maschile. Forse perché non si era mai trovata tanto vicino ad un uomo come in quel momento.
Quell’odore la mandava quasi in estasi
Si mantenne a lui stringendo forte il morbido cotone della sua giacca nera, finché lui non si staccò lasciandola sola al centro della sala. Ebbe all’improvviso una sensazione di vuoto.
Non lo vide, ma udì i suoi passi veloci che lo stavano portando verso la porta.
E senza una parola, Spencer fuggì via.
Dopo pochi istanti Georgiana parlò, ma Sara non la udì poiché le parole venivano coperte dal pulsare del suo cuore, così le si avvicinò costringendola a riaprire gli occhi. 
– Sara, tu e lo zio eravate così belli insieme –
In quel momento le sorrise, inconsapevole che non sarebbe più riuscita a dimenticarlo.
 
Dopo essersi congedato da suo padre, Spencer aveva avvertito uno strano bisogno di andare a far visita ai propri nipoti.
Dovevano trovarsi sicuramente nella nursery.
Non appena svoltò nel corridoio adiacente udì le urla scampanate dei bambini. Avvicinandosi sempre di più alla porta sentì che oltre alla loro vi erano anche due voci femminili: una era quella della bambinaia, sottile e delicata; un’altra invece era suadente.
Era la sua.
Quando entrò nessuno se ne accorse e rimase lì, fermo vicino alla porta, a guardare quello spettacolo. La vide dimenarsi con una spada rosa e un ridicolo mantello rosso. Dovevano sicuramente appartenere ai nipoti. Era stupenda.
Ma cosa diavolo stava pensando!
Senza accorgersi si ritrovò a fissare il suo viso tondo e piccolo su cui comparvero delle strane smorfie.
Sentì William dirle – non fare così – la picchiò più forte.
Se non fosse intervenuto chissà cosa le sarebbe accaduto. Sarebbe stato un eroe.
Il suo eroe.
Decise di entrare e appena i nipoti si accorsero di lui lo assalirono saltandogli addosso e riempendolo di baci.
Poi Georgiana aveva avuto quella stramba idea. Visto che non poteva fare la principessa per ovvi motivi, aveva deciso di interpetrare il principe.
– Zio perché sei così bello – gli aveva riferito Georgiana. Era stata così dolce, come poteva deluderla.
Lo faceva per lei o per Sara?
Quando si ritrovò a tenerla fra le braccia, sentì il suo copro bruciare e sudare. Perché sentiva quella sensazione di desiderio? Lei non lo guardava, anzi era rimasta per tutto il tempo con gli occhi chiusi. Forse provava disgusto per lui. Oppure era imbarazzata? Si chiese.
La tenne a sé stringendola sempre di più. Sembrava quasi che non volesse lasciarla andare.
Mai.
Sentì il bisogno di proteggerla. Che assurdità penso tra sé.
Quella donna era la signorina Wood, la donna che gli aveva rovinato la vita rubandogli l’amore di suo padre. Aveva ripromesso a sé stesso che gliela avrebbe fatta pagare trattandola come un essere inferiore a lui. Ma in quel momento il suo istinto portava la sua mente e il suo corpo a desiderare quella donna come non aveva mai desiderato nessuno prima di allora.
Nello stesso momento in cui le cose cominciarono a farsi sempre più eccitanti, ritenne che fosse più giusto andare via altrimenti l’avrebbe baciata lì stesso, davanti ai propri nipoti che li guardavano con occhi sognanti come se avessero voluto proprio vedere quello.
Probabilmente avevano sentito la madre discutere con lui riguardo al matrimonio in una di quelle occasioni che si erano incontrati a Londra. Tutti credevano che avrebbe dovuto sposarsi. Ormai aveva raggiunto la bellezza di trent’anni e poi era l’erede.
Il matrimonio era un passo necessario affinché la generazione dei Cavendish potesse andare avanti.
Tutti gli stavano con il fiato sul collo.
Ma lui trovava la sua vita piacevole così com’era. Perché rovinarla con una moglie che non avrebbe neppure amato? E poi non aveva ritenuto nessuna candidata veramente adatta al titolo di duchessa.
Forse Georgiana stava pensando che Sara fosse la prescelta, ma non lo era. Non lo sarebbe mai stata.
Stava solo mentendo a sé stesso.
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Era calata la sera nel Derbyshire e tutti gli abitanti di Derwent House si stavano preparando per la cena. L’orologio rintoccò le otto e uno per volta scesero in salotto. Il primo fu lord Cavendish.
Era vestito di tutto punto con un bellissimo abito da sera, nero e grigio. Indossava una camicia di cotone bianco e uno stretto panciotto al di sotto di una giacca lunga. Come al solito non aveva stretto molto la cravatta per non rischiare di soffocare. Non l’aveva mai potuta sopportare, purtroppo per lui senza sarebbe risultato ridicolo agli occhi delle nobildonne e dei gentiluomini.
Possedeva un viso pulito, con poche rughe e capelli argentei riuniti in un codino. Veniva considerato un uomo molto affascinante, soprattutto tra le signore più mature e non solo. Molte lo ritenevano ancora uno scapolo d’oro.
Assorto nei suoi pensieri non si accorse dell’arrivo di suo figlio e del signor Morrison. Non lo aveva ancora incontrato da quella mattina, ma dalle voci che aveva udito doveva trattarsi di un uomo tanto affabile nella vita quanto assennato sul lavoro. Si diceva che avesse fatto una lunga gavetta prima di avere la possibilità di emergere.
Era originario della Scozia e grazie ad un’eredità inaspettata era riuscito a creare un impero industriale senza pari. I suoi affari riguardavano il campo ferroviario che negli ultimi decenni era diventato sempre più proficuo.
Aveva fondato la Machine & Co. con la quale era riuscito ad estendere il suo dominio in diverse parti del mondo, dall’Europa fino all’America e in poco tempo era diventato uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra. Gli mancava solo un titolo.
Se non fosse interessato ad averlo, al contrario di tanti borghesi, forse avrebbe potuto prenderlo in considerazione come pretendente per Sara.
Tutto sommato si trovava al cospetto di un buon partito.
Nel momento stesso in cui lord Cavendish stava facendo progetti su quell’amabile gentiluomo, egli cominciò a parlare.
– Lord Cavendish, è un vero piacere per me fare la vostra conoscenza. Non ho avuto ancora occasione di presentarmi. Sono il signor Morrison e sono lieto di essere ospite nella vostra dimora –
– Figliolo non vi preoccupate. Vi auguro che possiate trascorrere giorni spensierati qui a Derwent House –
James rispose che sarebbe stato sicuramente così. Disse al duca di aver passeggiato per i dintorni della dimora e si congratulò con lui per la sistemazione del parco. Ritenne opportuno riferire che fosse uno dei più belli che avesse mai visto.
Lord Cavendish li fece accomodare sul divanetto accanto al camino di porfido rosso, sul quale si trovava un magnifico ritratto del V duca di Devonshire.
- È vostro padre? – chiese timidamente James.
Lord Cavendish annuì.
In vita suo padre era stata una persona schiva che aveva dato importanza solo al titolo e alla propria ricchezza. Non lo aveva mai visto sorridere, se non in rare occasioni. In passato si era chiesto spesso se fosse veramente felice.
Un ricordò balenò alla sua mente. Suo padre era davanti a lui, fiero come sempre, e insieme ammiravano l’intera proprietà, l’unica cosa che lo rendesse soddisfatto. Il duca scelse quel momento per parlargli da uomo a uomo e lui non avrebbe mai potuto dimenticare le sue parole.
- Figliolo, un giorno tu sarai il duca e nulla sarà più importante dell’onore della tua famiglia –
Quando parlava di famiglia, non faceva altro che riferirsi alla sua integrità e non al suo bene. Il suo unico compito avrebbe dovuto essere quello di portare onore al proprio ducato. Ogni volta che pensava a quell’uomo, la tristezza lo avvolgeva, anche in quel momento, finché non iniziarono a discutere dell’aumento delle malattie che stava colpendo la parte più disagiata di Londra. Solo allora si dimenticò del passato e ritornò al presente.
Poi la porta si aprì.
Sara entrò, sfoggiando un magnifico abito indaco che metteva in risalto il seno prosperoso. Non aveva mai avuto l’ardire di indossare quell’abito per non guastare il suo pudore, ma quella sera voleva mostrare a Spencer che anche lei era una donna, anche lei era bella. Quell’uomo sapeva come farle fare cose che non si sarebbe mai aspettata di fare.
Entrambi i giovani rimasero entusiasti e senza fiato. Lord Cavendish se ne accorse e rimase fisso a guardarli, sogghignando nel vederli così imbambolati.
Ogni giorno di più quella ragazza assomigliava a lei. Lily.
Avrebbe voluto che Sara conoscesse un brav’uomo che potesse amarla e desiderarla. La sua speranza era quella di vederla sistemata.
Sara si avvicinò con il suo passo lento e deciso. Il primo ad alzarsi fu il duca che tenne le braccia tese per abbracciarla.
– Siete stupenda mia cara. Non trovate signor Morrison? –
Lui sobbalzò sentendosi chiamato in causa.
– Certo lord Cavendish. È una donna meravigliosa –
Sara arrossì e divenne paonazza – Siete troppo gentili miei signori, ma non sono più bella di molte altre – poi si rivolse a James – a Londra avrete sicuramente conosciuto tante donne affascinanti –
- Mai belle quanto voi – poi le baciò il dorso della mano coperto da un guanto bianco.
Un secondo dopo udì una voce a lei conosciuta.
– Si può quindi affermare che la signorina Wood sia in possesso di giudizio - disse in tono ironico. Sara e gli altri due uomini lo guardarono attoniti, mentre continuava a parlare – non che voglia sminuire la signorina Wood, ma concordo con quanto ha appena sostenuto. Al mondo esistono donne in possesso di una bellezza straordinaria –
- Spencer! – lo ammonì suo padre. Non poteva pensare che il figlio fosse tanto maleducato– La bellezza è sicuramente oggettiva, ma quando a questa si accumuna un buon carattere, la donna in possesso di tali caratteristiche diventa una creatura sublime. Concordate con me, figliolo? –
Davvero il padre gli si era rivolto in quel modo? Ormai non era più un ragazzo, ma un uomo. Precisamente il futuro duca, accidenti! Poteva essere libero di esprimere un proprio giudizio?
 – Certamente – rispose con stizza.
Fortunatamente qualcun altro stava entrando nel salotto. Sull’uscio della porta si materializzò prima lord Herbert e poi sua moglie, Elisabeth.
Appena entrarono, lady Herbert salutò suo padre che ancora non l’aveva vista da quel giorno.
– Caro padre sono felice di rivedervi, spero che adesso stiate molto meglio. Ci avete procurato una gran pena. Mi dispiace non essere potuta venire prima, ma Charles insisteva di voler venire anche lui e non ho potuto negarglielo, visto che per lui siete come un padre. Così abbiamo atteso che terminasse le sue incombenze –
Il marito la guardò incredulo perché le sue parole non corrispondevano certo al vero. Charles in realtà avrebbe voluto andare molto prima, pur sapendo di lasciare i suoi compiti in sospeso.
Era stata lei ad esortarlo nel tardare il viaggio per motivi totalmente futili quali, il riscuotere il denaro dai fittavoli o assistere i lavori del nuovo laghetto. Cose a cui avrebbero potuto provvedere in un secondo momento. Charles si rese conto che non avrebbe mai potuto comprendere sua moglie.
 – Tesoro i bambini dove si trovano? – Elisabeth rispose che avevano già cenato e che in tarda serata li avrebbero raggiunti.
Come sempre era impeccabile.
Indossava un elegante abito di mussola bianco, animato da balze e da diversi ricami sul corpetto. Per non parlare poi, della scollatura.
Sara aveva ritenuto la sua troppo sconveniente per una semplice rimpatriata di famiglia, ma quella di Elisabeth era tutta un’altra storia.
Seppur non avesse dei seni grossi, sapeva certamente come metterli in mostra.
Improvvisamente si sentì piccola e insignificante accanto a lei.
Quando finalmente Elisabeth si avvicinò a suo fratello, si accorse che alle sue spalle c’era una persona che non aveva ancora riconosciuto.
– Cara Elisabeth lascia che ti presenti il signor James Morrison – disse suo padre, ma a lei non servivano certo le presentazioni.
- Ci conosciamo padre, da diversi anni ormai – si bloccò.
- Signor Morrison, è un vero piacere avervi fra noi – disse Charles, avvicinandosi ad Elisabeth – credevamo foste a New York –
- In effetti sarei dovuto andare, ma i miei clienti mi hanno preceduto e quindi abbiamo risolto tutto a Londra –
Elisabeth non poteva credere ai suoi occhi. Era lì, davanti a lei. Era la realtà o semplicemente un’allucinazione?
Non riusciva né a muoversi né a parlare, finché non si accorse che tutti la stavano fissando. Vide che suo marito la stava oltrepassando per salutarlo, quindi lei fece lo stesso. Gli porse con calma la mano affinché la baciasse e nonostante indossasse il guanto, riuscì a sentire attraverso la stoffa il calore della sua bocca e la morbidezza del suo tocco.
Il suo corpo palpitò.
Ritrasse la mano con grande velocità. Dopo i vari convenevoli, quel piccolo gruppo si avviò verso la sala da pranzo, dove sarebbe stata consumata una lauda cena.
 
La tavola era bandita a festa. Il vero protagonista era un incantevole centrotavola d’argento addobbato con della frutta di stagione, mentre la candida tovaglia era ricamata con deliziosi merletti che le domestiche avevano cercato di mettere in evidenza disponendo i tovaglioli all’interno dei piatti.
Furono usate le porcellane Sevres magnificamente decorate da motivi floreali e di lato delle preziose posate d’argento. I bicchieri invece, erano un esempio del raffinatissimo cristallo di murano. Indimenticabili i candelabri che avrebbero fornito una maggiore luce.
Il banchetto ebbe inizio come di consueto con la tradizionale zuppa di carne di manzo e porto, a cui seguirono innumerevoli portate. Non mancò il vitello arrosto, accompagnato da patate e la spalla d’agnello all’arancia. La cena si concluse con dolci di vario genere.
Tutto andò per il meglio.
La cuoca ebbe l’assenso generale e ne fu entusiasta. Dopo aver rimpinzato le proprie pance giunse l’ora per gli uomini di ritirarsi come di consueto.
Sara ed Elisabeth invece, furono raggiunte da Bessie e da Mary che condusse i bambini in salotto.
Georgiana entrò per prima seguita da William. La piccola, appena vide Sara sorrise e le corse accanto, ma sua madre le lanciò uno sguardo torvo. Con amarezza si allontanò sedendosi accanto a suo fratello.
Sara notò che gli occhi di Georgiana erano della stessa sfumatura di quelli di Spencer. Perché non riusciva proprio a dimenticarli?
Bessie cercò di intrattenere le signore con una conversazione, ma ottenne l’effetto contrario. Elisabeth infatti, sembrava ancora più annoiata. Così Sara prese le redini in mano.
– Come sta la signora Herbert? –
Lei sembrò quasi infastidita da quella domanda. Torse il labbro e la guardò con superiorità.
- Oh, sta bene. Ben presto si recherà a Edimburgo da sua sorella. Sapete, si sente così sola –
- Riesco ad immaginare il suo sconforto. È terribile perdere la persona amata –
Calò di nuovo il silenzio.
Sara pensò velocemente ad un altro argomento che potesse aprire una discussione piacevole, ma non ve ne trovò. Elisabeth non si poteva certo considerare una loquace interlocutrice. Per sua fortuna, Georgiana si mise al centro dell’attenzione. Mostrò a lei e Bessie i suoi bellissimi acquerelli che raffiguravano paesaggi. Nonostante la sua giovane età doveva ammettere che possedeva un grande talento.
Sarebbe potuta diventare una vera pittrice. Sara apprezzò il modo in cui aveva usato il colore, equilibrando il pigmento e la quantità dell’acqua creando una sfumatura delicata sulla carta. Inoltre ebbe la sensazione di essere su quel verde prato e di sentire gli odori della campagna dello Hampshire.
Vide che Georgianara era sul punto di chiederle qualcosa. Spronandola, ottenne una risposta.
- Vorrei imparare a suonare il piano e voi siete così brava. Mi chiedevo se avreste voluto aiutarmi –
Sara ne fu entusiasta e decisero che l’indomani mattina avrebbero iniziato. Fattasi coraggiosa, la ragazzina riuscì a sedersi accanto a lei, dove rimase per tutto il tempo.
Finalmente gli uomini giunsero e il primo ad entrare fu lord Cavendish, seguito da Charles, James e infine Spencer.
I bambini appena videro il nonno corsero ad abbracciarlo. Non lo aveva mai visto così felice. Sapeva essere un nonno molto premuroso.
La stanza si riempì di gioia.
Spencer però, rimase l’unico a non sorridere, lasciando sul suo volto la solita espressione burbera.
Mentre tutta la famiglia stava accanto al camino, Spencer aveva scelto di starsene per conto suo in fondo alla sala. Sara notò che stava osservando qualcosa oltre la finestra, nonostante fosse buio.
Chissà che cosa starà facendo?
Ma la sua curiosità fu interrotta da James che si stava sistemando proprio accanto a lei. Nonostante la presenza di quell’uomo, non riuscì a togliere la sua attenzione da Spencer. Con la punta degli occhi vide che la stava guardando e lei distolse subito lo sguardo arrossendo.
Cosa voleva quell’uomo borioso? Perché si interessava a lei?
Cercò di ricomporsi e di concentrarsi sul nuovo arrivato.
 
Elisabeth si trovava sul divano opposto a quello dove Sara e James sedevano.
Stava lì a guardarli non riuscendo a togliere il proprio sguardo da James. Era aitante e galante come sempre.
Si sentiva infastidita che l’uomo della sua vita stesse volgendo la sua attenzione alla donna sbagliata. Sara Wood le aveva già rubato il padre, non si sarebbe appropriata anche di James. Durante il pranzo aveva avvertito uno strano stato di angoscia. Lui l’aveva completamente ignorata e questo non riusciva a sopportarlo.
Non che si aspettasse alcunché, ma almeno una parola avrebbe potuto scambiarla con lei. Invece si stava divertendo accanto a quella donna. 
Probabilmente era già a conoscenza del suo ampio patrimonio e un’approfittatrice come lei non si sarebbe mai lasciata sfuggire un succulento futuro accanto a lui. Ma Sara non sapeva una cosa, James era suo e lo sarebbe stato di nuovo. Doveva solo pensare a trovare un modo per vincere quella guerra. Così cercò aiuto in suo fratello che stava appostato davanti ad una delle grandi finestre del salotto.
– Caro fratello, questo è il modo di accogliere vostra sorella? –
- Dovete scusarmi, ma sono stato molto impegnato. Stamattina con nostro padre e poi con James che mi ha assillato affinché lo portassi a vedere la tenuta. Ovviamente solo una parte, domani andremo a visitare il resto –
- Sicuramente avete trovato anche il momento di trastullarvi. Ma siete perdonato. Anche io ho avuto una giornata piena –
- A fare cosa? – la stuzzicò - dare ordini alla cameriera affinché disfacesse le valige in modo impeccabile? –
- Oh! Non osate burlavi di me – gli tirò un piccolo schiaffetto sull’avambraccio, senza fargli veramente del male – Bevete ancora? –
- Ne ho bisogno, soprattutto per superare queste settimane –
Elisabeth sospirò – Avete proprio ragione, ma non dovreste bere o ne nuocerà la vostra salute –
- Al diavolo! –
- Non imprecate! Sarò anche vostra sorella, ma sono pur sempre una nobildonna –
Spencer disse ridendo – Voi? Voi siete peggio di me. Non trascorrete forse, le vostre giornate criticando ogni singola persona? –
- Adesso siete proprio cattivo, fratello – fingendosi offesa dalle sue parole.
- Non offendetevi, sto dicendo solo la verità, ma continuerò a volervi bene –
Spencer almeno, era rimasto il solito di sempre. Il suo amato, ostinato, arrogante fratello.
– Vi voglio dare un consiglio – disse improvvisamente Elisabeth avvicinandosi di più a lui.
- Ditemi, sorella cara – rispose divertito Spencer, continuando a bere brandy.
- State attento al vostro amico. Temo che possa cadere nella trappola della signorina Wood -
Spencer si meravigliò di tanta premura. James era grande e grosso e certamente non toccava a lui difenderlo. Soprattutto da una donna.
- Non ignoratemi, se volete bene al vostro amico –
Spencer rifletté, giungendo alla conclusione che i suoi piani erano totalmente diversi. Voleva solo rilassarsi e recuperare il tempo perduto con il padre. Quando aveva invitato James, non aveva certo pensato di fargli da balia.
- Non credo tocchi a me decidere chi frequenti e neppure a voi –
- Conoscete anche voi Sara e sapete che sta solo cercando una migliore posizione. Soprattutto ora –
Ma Spencer era irremovibile. Non voleva immischiarsi in nulla di assurdo e sapeva che Elisabeth lo avrebbe spinto a farlo.  Doveva avere in mente un piano per mettere in ridicolo Sara, ma lui non aveva nessuna voglia di partecipavi.
- Neppure se fosse in pericolo? – insistette lei.
- Non conoscete bene James, non si lascerà catturare da due occhi nocciola – non sapendo bene il motivo per cui avesse sottolineato il colore dei suoi occhi, sperò che sua sorella finisse di tormentarlo.
Elisabeth si sentì afflitta. Lei lo aveva amato profondamente e lo amava ancora, chi meglio di lei lo conosceva. Ma questo non avrebbe potuto dirlo a suo fratello.
– Seppur James abbia la tendenza di innamorarsi subito, non credo proprio che si possa interessare ad una donna come Sara. È molto ambizioso sapete? –
Spencer sapeva bene che James era alla ricerca di un titolo e che Sara non avrebbe mai potuto offrirglielo. Quindi cercò di rasserenare la sorella.
- Forse avete ragione, ma avete veduto come la guarda? –
In questo le donne erano più perspicaci. Sapeva, per sua esperienza, che erano grandi osservatrici. Forse in fondo aveva ragione. James gli era caro quanto un fratello e non avrebbe mai voluto vederlo abbattuto per amore. Soprattutto se a farlo soffrire fosse stata Sara.
Spencer si chiese il motivo per cui sua sorella si fosse tanto intestardita sull’argomento. Certo erano conoscenti da diversi anni e in più occasioni erano stati tutti a Rockwell Hall, ma non credeva si fosse tanto affezionata. Così glielo chiese.
– Come mai vi preoccupate tanto per James? –
Lei divenne paonazza, ma subito ritrovò la giusta compostezza.
– Oh è naturale! Odio Sara Wood. So che il signor Morrison è una bravissima persona e che voi ci tenete tanto come amico, dunque volevo mettervi solo in guardia –
- Siete così gentile, ma qualcosa non mi quadra. Non siete mai stata così altruista –
Ironicamente Elisabeth rispose - Perché non mi conoscete bene – ma Spencer non era affatto convinto di quella affermazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Rimasto di nuovo solo, cominciò ad osservare Sara mentre parlava con James. Da quella posizione vedeva benissimo il suo volto truccato con leggerezza. Non riusciva però a capire perché continuasse a pensare a lei.
Maledizione!
Erano trascorsi alcuni anni dall’ultima volta che l’aveva vista, e allora non era affatto affascinante come ora. Era più esile, quasi emaciata e i tratti del suo volto non erano mai stati tanto perfetti. Non l’aveva mai vista così elegante neppure durante le poche stagioni che aveva frequentato a Londra su implorazione della madre. Per lui era sempre stata imperfetta, e invece adesso…
Cosa era mai potuto accadere da farla sbocciare in questo modo? Si rese conto che nessuna donna lo aveva ammaliato quanto lei. Eppure ne aveva frequentate molte.
Non riusciva ancora a credere a ciò che era accaduto quel pomeriggio. Sua nipote gli aveva giocato un bello scherzo, ma almeno l’aveva tenuta stretta fra le braccia e avvertito il calore del suo corpo morbido e sensuale. Il profumo di lavanda sulla sua pelle lo aveva completamente stregato. Lo sentiva anche da quella posizione. Comprese che sarebbe stato difficile dimenticarlo.
All’improvviso si decise ad andare verso gli altri e vedendo una chaise league libera si sedette.
Sara si accorse immediatamente del suo arrivo, ma si impose di non guardarlo, fino a quando lui non si intromise nella sua conversazione con James.
– Non so se la signorina Wood vi ha già parlato del boschetto segreto. Fu chiamato così dal mio bisnonno per la tendenza degli arbusti di nascondere il suo interno dove è possibile ammirare una piccola cascata confluente in una fontana decorata da una trentina di sculture classicheggianti che ricordano il ratto delle sabine. Sapete, ogni scultura è stata realizzata da un diverso scultore italiano. Credo proprio che domani ti ci porterò –
- Oh, non me ne aveva ancora fatta menzione. Sembra interessante. Ora capisco da chi hai preso la passione per la storia antica –
Sara ne fu sorpresa, non sapeva che Spencer fosse amante di storia. Certo lo aveva sempre visto chino suoi libri in passato, ma la verità era che non sapesse affatto quali argomenti lo interessassero davvero.
- Se è vostro piacere, ci accompagnereste anche voi? Sempre che a Spencer non dia fastidio? –
- E perché no! – disse Spencer – sarà interessante trascorrere una mattina tutti insieme -
Ecco come rovinare una bella giornata! Ma il signor Morrison sembrava guardarla come se non si aspettasse un rifiuto.
- Sarà un vero piacere per me accompagnarvi in questa piccola gita –
- Bene! Allora farò preparare a Gilbert i cavalli per domani mattina subito dopo colazione – disse Spencer con entusiasmo, mentre James lo seguì subito dopo.
Sara si sentì subito in pericolo. Lei aveva una paura matta dei cavalli! Come avrebbe fatto? Ma non poteva dare a quell’uomo la soddisfazione di vederla sconfitta. Sarebbe riuscita a cavalcare, costi quello che costi. Quella era una promessa che faceva a sé stessa.
 
La mattina seguente arrivò in un battibaleno.
Si sarebbe dovuta incontrare con James per colazione, ma aveva chiesto alla domestica che le fosse portata in camera. Il tavolo era imbandito con deliziose portate. Dolci e salate. Ma lei non sentiva affatto la fame.
Subito dopo Alene l’aiutò a indossare il suo completo da amazzone, mai indossato fino ad allora e che beatamente era rimasto chiuso nel baule.
Sarebbe scesa nelle stalle prima dei gentiluomini per testare quanto fosse forsennata. Sapeva bene che quella era una pazzia, ma in fondo era convinta di potercela fare. Tutto sommato quell’episodio faceva ormai parte del passato e adesso lei era una donna adulta. Cosa mai sarebbe potuto accadere?
Quando entrò nella stalla però, vide che James era già accanto al suo cavallo, un magnifico Hannover corvino come il colore dei suoi capelli.
-Signorina Wood, benvenuta. Vi stavo aspettando –
La stava aspettando? Per qualche strana ragione quelle parole la fecero sorridere. Che si fosse interessato a lei in così poco tempo?
Improbabile.
Eppure sembrava proprio così. Lei non era mai stata quel tipo di ragazza che attraeva un uomo al primo sguardo. Forse con il signor Morrison le cose avrebbero potuto essere diverse.
Subito dopo vide Spencer, sul suo Purosangue inglese. Sembrava un eroe greco e per un secondo le si mozzò il fiato.
Perché doveva essere in possesso di tanta bellezza? E perché solo adesso lo vedeva così? Sapeva molto bene che ogni donna a Londra lo considerava un uomo attraente e lei stessa aveva confermato più volte che lo fosse. Ma adesso sentiva qualcosa di diverso. Un dolore sulla bocca dello stomaco ogni volta che lo vedeva.
Cercò di rimanere concentrata, ma lo sguardo penetrante di lui era insostenibile.
- Signorina, il suo cavallo –
Gilbert le si avvicinò molto discretamente, portandole uno splendido esempio di Andaluso. Era una femmina e sentiva che sarebbero andate d’accordo.
Spencer le si avvicinò in groppa al cavallo e le disse – È molto agile ed elegante, spero che sappiate come cavalcarla –
Sara annuì, pur sapendo di essere una gran bella menzogna. Gilbert l’aiutò a salire in groppa, ma l’animale ne sembrò infastidito.
Quando fu sistemata a dovere, il piccolo gruppo si avviò verso l’esterno a passo lento. Sara si sentì per un momento vittoriosa. Era riuscita a salire su un cavallo! Stavano trottando lentamente in fila indiana, quando James le si affiancò.
- Sono molto felice che abbiate accettato. Sarà per me una piacevole passeggiata con voi al mio fianco –
- Siete così tanto premuroso. Sono io ad essere grata per l’invito. Se fosse stato per Spencer, non mi sarei mai trovata qui -
Visto che l’amico era distante da loro, James ne approfittò per chiederle cosa fosse successo tra loro.
- Nulla, solo che non ci tolleriamo. Siamo due spiriti opposti –
James per il momento si accontentò della sua breve risposta, soprattutto perché non voleva essere beccato da Spencer. Sapeva bene quanto odiava qualcuno che ficcanasava troppo nei sui affari personali.
- Cosa fate lì dietro? – disse Spencer.
James allora, si rivolse a Sara – Il mio comandante mi chiama. Tornerò subito – prima di lasciarla indietro, le rivolse un sorriso luminoso.
Si sentì, dopo tanto tempo, desiderata.
Giunsero, finalmente al boschetto. Erano anni che non vi andava e fu come vederlo per la prima volta.
Le acque della cascata erano così limpide ed il cielo luminoso si specchiava al suo interno. Un filo di vento smuoveva le fronde degli arbusti, trasformandoli in abili danzatori.
Scesero dai cavalli e si avvicinarono allo specchio d’acqua. Lì Sara potette ammirare le splendide sculture di marmo. Si sentì all’improvviso una di esse, temendo di essere anche lei rapita e condotta lontano dalla sua terra. Se fosse dipeso da lei non avrebbe mai voluto lasciare Derwent House.
Mai.
Sapeva che il duca covava piani diversi per lei e avrebbe voluto vederla sposata, ma come avrebbe fatto a lasciare quel posto. Era stata lì per molti anni e andarsene sarebbe stato come spezzare le proprie radici. Quello era il suo nido, la sua casa.
- È un luogo incantevole, non trovate – James le si era avvicinato senza far rumore.
- Sembra un luogo creato dagli dei –
- Bella osservazione. Io rimarrei qui per sempre –
- E come faresti? – si intromise Spencer – non riusciresti a sopravvivere senza del buon cibo –
- Mi ciberei di ciò che la natura ha da offrire –
- Quindi mi stai dicendo che riusciresti a stare lontano da quei magnifici arrosti, alle salsicce, al pesce cotto alla brace o alle magnifiche torte che sa preparare la tua cuoca? Bene, mi meraviglio di te –
James ci pensò su e poi modificò l’affermazione precedente – Credo che vi rimarrò solo per qualche giorno –
- Lo sospettavo –
Spencer gli si avvicinò afferrandolo con le braccia e una volta tenuto fermo con un pugno lo colpì delicatamente. Entrambi caddero subito sul prato, senza smettere di ridere.
Non aveva mai visto Spencer divertirsi in quel modo, neppure in passato. Dovevano volersi davvero un gran bene.
 
Trascorse circa un’ora dal loro arrivo, quando James propose di tornare indietro.
Eccoci di nuovo, io e te!
Anche quella volta Sara era riuscita a salire in groppa al suo Andaluso e ad ogni passo diventava sempre più facile cavalcarlo, fino a quando Spencer non propose di fare una corsa, approfittando del campo aperto.
- Al mio via? –
- Certo Cavendish –
Dopo pochi minuti sparirono aldilà dell’orizzonte. Lei invece, era rimasta sola con la sua cavalla.
Andò nel panico.
A poco a poco cominciò a sudare sempre di più e il respiro le si fermò in gola. Si vedeva disorientata e temeva che la cavalla potesse sbizzarrirsi all’improvviso.
- Aiuto – cominciò a dire, ma nessuno la stava ascoltando. Deglutì e lentamente diede un colpo sul fianco del cavallo. Lei dapprima camminò a passo lento, sembrando che la situazione fosse sotto controllo, ma poi…
La cavalla si agitò e non riuscendo a gestirla, Sara cadde a terra su un fianco.
Urlò.
Improvvisamente avvertì un forte dolore alla caviglia destra. Probabilmente nella caduta si era slogata. O peggio rotta! Provò ad alzarsi, ma le fu impossibile.
- Aiuto! – provò ancora ad urlare, ma nessuno la sentiva – Aiuto – provò ancora e ancora. Dopo alcuni minuti vide comparire James che non appena la raggiunse, scese da cavallo gettandosi ad aiutarla.
- Signorina, cosa vi è successo? Siete ferita? –
- Il cavallo è come impazzito, ma credo di non essermi fatta nulla di grave. Spero solo una slogatura alla caviglia –
Poi si rese conto che non erano più da soli. Spencer era adesso vicino a lei.
- Spencer aiutatemi ad alzarla – lui ubbidì senza proferir parola.
Molto strato.
Aggrappata ad entrambi, vide che la stavano conducendo sul fianco del Purosangue.
- Andrete insieme a Spencer – si premunì James ad avvisarla – è molto più veloce del mio cavallo. Starete a Derwent House in un batter d’occhio –
Sara annuì, lasciandosi guidare da entrambi gli uomini. Quando fu in groppa al Purosangue, si sentì protetta accanto a Spencer.
Di nuovo quella sensazione.
La teneva stretta fra le braccia per il timore che potesse cadere di nuovo, senza farle del male. La tenne quasi teneramente a sé.
Per tutto il tempo non parlarono di nulla. Lei preferì così, non avrebbe sopportato una conversazione con lui in quel momento.
Senza rendersene conto si appoggiò al suo petto. Non lo vedeva, ma lo percepiva. Era ampio e duro.
A poco a poco cadde in un profondo sonno e improvvisamente si ritrovò a sognare due occhi blu che la fissavano nei propri e un uomo che prendeva il viso tra le mani per baciarla teneramente. Solo dopo si rese conto che l’uomo era Spencer.
Quando si svegliò era già nella sua camera da letto. D’istinto guardò la sua caviglia che era stata fasciata. Il dolore era diminuito rispetto ai primi istanti. Forse era davvero solo una slogatura.
Si rigettò sul cuscino di piume d’oca e non smise di pensare a Spencer e a quei suoi maledetti occhi blu che non le davano tregua.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
Solo dopo il suo risveglio, Sara seppe che era stato Spencer a condurla nel suo letto.
Che imbarazzo!
Per sua fortuna era addormentata. Non avrebbe potuto sopportarlo.
- È stato molto attento a non farvi del male – le riferì Alene.
- E questo dovrebbe farmi rendere la cosa sopportabile? Non è entrato mai nessun uomo in camera mia e il primo avrebbe dovuto essere proprio lui? –
Tornò a disperarsi.
- Signorina, importa solo che stiate bene. Per vostra fortuna è solo una slogatura e ben presto ritornerete a camminare come sempre –
- Non riuscirò a guardarlo in faccia – disse lei con lo sguardo perso nel vuoto. Alene continuava a stare accanto a lei, sopportando le sue lamentele.
- Non credo che lui si stia facendo tanti problemi – le disse prendendosi gioco di lei – ah, il signor Morrison ha chiesto di voi –
- Davvero? –
Alene annuì. Sara si sentì tutto ad un tratto felice. Che sia davvero interessato a lei?
- Cosa avete da sogghignare? –
- Oh, nulla Alene. Dite al signor Morrison che oggi pomeriggio è invitato a prendere un tè con me –
Alene si meravigliò e prima di lasciare la stanza le disse – Signorina, fino a ieri sera nessun uomo era mai entrato nelle vostre stanze private e adesso ben due? Mi meraviglio di voi –
Sara trovò un cuscino accanto al suo letto e glielo scagliò contro, senza colpirla.
- Smettila di burlarti di me –
Alene chiuse la porta dietro di sé e Sara rimase sola in quell’enorme stanza illuminata dai raggi del sole del mattino.
Forse il signor Morrison poteva essere un buon amico per il momento, e forse un giorno…un giorno si sarebbe mai potuta innamorare di lui?
 
Prima dell’incontro con James, Sara ebbe la visita di lord Cavendish.
- Siete stata avventata e Sara. Non credevo lo foste – l’ammonì con voce roca.
- Ho solo cercato di abbattere le mie paure come mi avete consigliato voi, ma alla fine sono state loro ad abbattere me -
Ma il duca non accompagnò la sua risata con quella di Sara.
- Non potete giustificarti dietro le mie parole, dovevate fare attenzione. Siete stata fortunata che sia stata solo una slogatura e se fosse stato altro? Non si può andare a cavallo senza una preparazione. Lo sapevate? –
In fin dei conti meritava quella strigliata. Era stata davvero incosciente. Doveva essersi spaventato tanto e dunque non poteva altro che biasimare quell’atteggiamento. Poteva davvero accaderle qualcosa di molto grave, ma lei aveva pensato solo al suo orgoglio.
- Mi dispiace, la prossima volta non accadrà –
- Se vorrete ancora cavalcare, lo farete con me –
Sara capì che non ce l’aveva più con lei, per questo si rasserenò.
- Voi non salirete mai più su un cavallo. Sapete bene che può nuocere alla vostra salute –
- Alla fine vincete sempre voi –
Era la prima volta che faceva qualcosa di veramente stupido, ma in fondo quell’episodio poteva essere considerato anche una vittoria. Grazie a Spencer era riuscita a cavalcare.
Grazie a Spencer?
Si rese conto che doveva ringraziare proprio lui. Se non fosse stata così caparbia dal mostrargli il suo coraggio, non lo avrebbe mai fatto.
- Cara Sara, non fatemi prendere più uno spavento simile –
- Non dovete più curarvene. Sarò più giudiziosa –
L’abbracciò calorosamente, quasi come se non volesse che andasse via. Il bene che li legava era qualcosa di straordinario che nessuno avrebbe mai spezzato.
- Non posso credere che mio figlio sia stato tanto incosciente da farvi cavalcare –
- In realtà non credo sapesse delle mie paure –
Lord Cavendish la guardò torvo. Sara non poteva far altro che stare in silenzio, se davvero teneva alla sua vita.
- Per fortuna ora siete qui, accanto a me –
Sara annuì felice.
- So che avete invitato il signor Morrison a prendere del tè –
Ebbene, la notizia aveva già fatto il giro dell’intera casa.
- Si, l’ho invitato a prendere il tè. Verrà a momenti, se volete potete partecipare anche voi –
- Oh, meglio di no. Cosa potrei offrire ad una conversazione tra giovani. Nulla! Adesso andrò a leggere un libro, così non dovete preoccuparvi per la mia salute –
Sara sapeva perfettamente che si stava prendendo gioco di lei. Odiava leggere e aveva cominciato a farlo solo su sua insistenza.
Andato via, così Sara si preparò a ricevere James Morrison.
 
Per l’incontro Sara si fece trovare nel proprio salottino sul divanetto di broccato verde.
- Signorina Wood, sono lieto di aver ricevuto il vostro invito –
- Accomodatevi signor Morrison –
- Chiamatemi James – le disse, sorprendendola. Non si sarebbe aspettata tanta confidenza dopo troppo poco tempo.
- James, sono desolata di accogliervi in questo modo, ma sono davvero felice che siate qui –
- Non dovete scusarvi per nessuna ragione al mondo. Siete indisposta e non chiedo di meglio che starmene qui, in questa stanza, a prendere del buon tè inglese con voi –
- E a rimpinzarci di dolcetti e stuzzichini – continuò lei la frase.
James prese subito un piccolo tramezzino e lo stesso fece Sara subito dopo.
Era un uomo molto elegante, oltre che di buone maniere. Aveva nello sguardo una scintilla che l’attirava fortemente. Gli chiese come fosse diventato amico di Spencer.
- Ci siamo conosciuti in Italia. Sapete, io ero andato a Roma per i miei affari mentre Spencer per visitarne le bellezze. È stata improvvisa la nostra amicizia. Spencer come al solito si trovava nei guai –
- Cosa mai gli era accaduto? – chiese lei con curiosità sorseggiando a tratti il liquido caldo nella tazza di porcellana.
- Come posso dire –toccandosi il mento leggermente increspato dalla barba – è sempre stato un uomo dagli appetiti voraci –
Sara capì al volo di cosa stesse parlando. Seppur la sua esperienza amorosa equivalesse al nulla, sapeva che c’erano persone in Inghilterra che non riuscivano a fare a meno di accoppiarsi.
- Spencer ha sempre avuto la sfortuna di intrattenersi con donne sposate e di incappare in mariti vendicativi – rise di cuore – io mi trovai nel posto giusto e al momento giusto. Da allora Spencer non fa altro che ringraziarmi –
- E così siete diventati inseparabili –
James annuì – Spero non pensiate male di lui, è un brav’uomo e il migliore amico che potessi trovare, ma a volte vorrei trovasse la vera felicità –
Quelle parole destarono la sua bramosia di sapere tutto sul suo nemico.
- Credo abbia bisogno di essere amato. Va alla ricerca dell’amore, senza trovarlo mai –
Doveva essere frustrante per un uomo, come per una donna, non trovare l’anima gemella e accontentarsi di qualcuno dal ricco patrimonio.
-  E voi? Non siete alla ricerca di una donna? –
- Siete molto diretta – rispose James guardandola con grande stupore facendola arrossire. Quella donna sapeva come meravigliarlo – ebbene si. Sarò sincero con voi, vorrei un titolo, ma se trovassi il vero amore vi giuro che abbandonerei ogni mia ambizione –
Sara capì che James Morrison non era un uomo come tanti altri. Se lei fosse stata la prescelta cosa avrebbe fatto, avrebbe accettato la sua proposta?
- Invece cosa mi dite di voi? State cercando un uomo? –
- Ci sono persone che tengono a me che vorrebbero mi sposassi, ma potrei farlo solo se incontrassi la persona giusta per me –
- E se non lo trovaste? Vi accontentereste del poco che lord Cavendish può darvi? –
Anche lui era molto diretto. Lo guardò con occhi sorpresi.
- Scusatemi, forse ho usato troppo –
Sara lo tranquillizzò dicendo che non era affatto offesa dalle sue parole, visto che corrispondevano alla verità. Gli disse che quella condizione non la spaventava affatto e che sarebbe stata felice anche così.
- Spero riuscirete presto a camminare. Vorrei poter passeggiare con voi finché il tempo è ancora benevolo –
- Presto lo faremo –
Il tempo trascorse velocemente senza che nessuno dei due se ne rendesse conto.
- Ho visto lord Cavendish molto preoccupato –
- Si, come dargli torto. Non ho mai cavalcato in vita mia, se non una volta quando ero bambina. I cavalli, fino a questa mattina, mi facevano una gran paura –
- Cosa? State dicendo sul serio? E Spencer ne era a conoscenza? – il suo viso divenne pallido.
- In realtà, credo proprio di no – cercò di rimediare Sara, ma senza successo.
- Sarebbe stato incosciente da parte sua –
- Anzi credo che debba ringraziarlo. Se non fosse stato per lui non sarei mai salita su un cavallo – si azzardò a riferirgli Sara, ma era più ostinato di un mulo.
- Questo non giustifica che avrebbe dovuto saperlo –
- Ma sono stata io a non dirlo, davvero non dovreste preoccuparvene –
Ma sapeva che James non avrebbe lasciato quella situazione in sospeso.
 
- Spencer! Dove accidenti sei! –
Spencer balzò dal divanetto del proprio salotto non appena udì la voce di James.
– Cosa hai da urlare Morrison – gli disse in tono irritato.
- Lo sapevi? Rispondimi – James indicò Spencer con un dito accusatorio mentre l’uomo cercava di riprendersi dal sonno interrotto.
- Calma, calma ti dirò tutto, ma dimmi prima cosa avrei dovuto sapere? –
- Dimmi che non eri a conoscenza della paura della signorina Wood e che si è trattato solo di un caso sfortunato! –
Allora Spencer ripensò alla caduta, ripensò a Sara - Cosa dovrei dirti, ammetto di sapere della sua paura, ma non immaginavo che non l’avesse superata. Credevo appartenesse al passato ormai. Avrebbe anche potuto rifiutare –
- Avresti dovuto curartene di più, non avevi notato la sua incapacità nel condurre l’animale o il suo tentennamento prima di salirvi sopra? –
Spencer rimase immobile sul divano dove poco prima stava beatamente sonnecchiando. Solo in quell’istante si rese conto di essersi spinto troppo oltre in quella situazione. Ritornò in lui la paura che aveva provato nel vederla ferita a terra. Il suo istinto lo aveva spinto a scendere immediatamente da cavallo e correre verso di lei. Se le fosse capitato qualcosa come avrebbe potuto sopportare quel terribile macigno. Si odiava per averla sfidata in quel modo, ma non pensava certo che lei si spingesse fino a quel punto. Invece era venuta all’appuntamento e non solo, aveva risposto con grande coraggio alla sua provocazione. Gli aveva dimostrato di essere una donna forte. Entrambi però, erano stati incauti e non avevano considerato le eventuali conseguenze. Suo padre non lo avrebbe mai perdonato se le fosse accaduto qualcosa. Ma se non fosse stato per quella caduta non l’avrebbe tenuta di nuovo fra le proprie braccia stretta a sé. Quando l’aveva condotta sul letto della sua camera da letto aveva cercato di starle vicino. Lui non si era mai prodigato per gli altri tranne che per sé stesso eppure in quel momento Sara era la sua unica preoccupazione. La sua vita gli era sempre piaciuta così com’era, ora invece, tutto stava cambiando. Sentiva che qualcosa gli mancava, si sentiva incompleto. Cosa mai gli mancasse però, non lo sapeva ancora. Nel frattempo James continuava a rimproverarlo.
- E per di più lei dice di doverti ringraziare. Assurdo! –
Cosa aveva appena detto? Spencer si soffermò su quelle parole.
- Non immagini il motivo? Ti ringrazia per averle fatto passare la paura che la teneva lontana dai cavalli –
Quella ragazza era sorprendente. Invece di essere infuriata con lui non solo lo perdonava, ma lo ringraziava anche. In quel momento Spencer non sentì più nessuna parola di James perché con la mente era occupato a sognare il dolce viso di Sara Wood.
Avrebbe dovuto dimenticarla, invece non smetteva di pensarla.
 
Elisabeth stava comodamente sdraiata sul divano del salotto privato intenta a leggere il romanzo di Goethe, Le affinità elettive.
Il personaggio in cui ella s’immedesimava di più era quello di Edoardo, un uomo che avrebbe dato tutto se stesso per amore della sua Ottilia. Lei avrebbe fatto lo stesso per James se solo lui avesse voluto. Se Charles avesse trovato l’amore altrove, lei sarebbe stata libera e la colpa di uno scandalo non sarebbe stata sua. Invece lui era ostinato, l’adorava e la rispettava, ma allo stesso tempo non dava nessun tipo di dimostrazione affettiva. A volte si chiedeva se fosse stato ragionevole seguire l’istinto oppure la ragione?
Improvvisamente sentì un forte baccano provenire aldilà della sua porta. Si alzò irritata e andò fuori. Vide alcune cameriere correre verso il basso e incuriosita si avvicinò alla ringhiera di ottone del gran scalone. In basso vide Bessie e alcune delle cameriere che si agitavano come tante piccole oche. Da lì scorse anche suo fratello che sembrava portare qualcuno tra le braccia. Si accorse poco dopo che la donna dai capelli lunghi e scuri, era quella sciocca di Sara Wood.
Tanto baccano per niente.
Prima di voltarsi per tornare al suo libro lo vide. James. Ripensò al suo sguardo glaciale, alla sua indifferenza. Come poteva trattarla in quel modo dopo tutti i loro incontri, dopo i sentimenti messi in gioco in quei giorni di passione.
Era come se non fossero mai stati amanti, ma due sconosciuti.  Con tali pensieri Elisabeth tornò nel suo salotto.
Dopo alcune ore di beatitudine, entrò nella stanza suo marito.
– Cara Elisabeth, avete saputo? – chiese lui in tono sinceramente preoccupato.
- Cosa mai avrei dovuto sapere – rispose con indifferenza senza smettere di leggere il libro - illuminatemi, marito mio –
Visto che Charles non proferiva parola, Elisabeth posò il libro al suo fianco guardandolo fisso nei suoi occhi verdi aspettando che le parlasse.
– Mia cara, Sara è caduta da cavallo, ma fortunatamente il dottore le ha diagnosticato solo una lieve slogatura. Presto ritornerà a camminare –
- Bene, allora non vi è motivo da fare tanta preoccupazione, tutto si è risolto per il meglio – guardò un’ultima volta il marito poi, riaprì il libro con la speranza di poter ritornare ad uno stato di silenzio come pochi minuti prima.
Non fu accontentata.
Suo marito finì per provocare in lei maggior irritazione, soprattutto perché l’oggetto della conversazione era Sara.
- Cosa volete marito? Che ne sia dispiaciuta? Non ne ho motivo, maledizione –
- Non imprecate in mia presenza, sapete che a me non piace quando vi esponete in tal modo –
- A voi non piace nulla di me, perciò – continuò a dare attenzione alle pagine ingiallite del suo libro dalla copertina blu scuro.
- Perciò cosa? – Charles, si stava irritando. Era quasi un piacere per Elisabeth vederlo in quel modo. Erano rare quelle sue reazioni. Dunque anche lui poteva essere infastidito in qualche modo.
– Cosa intendete dire? – ripeté e lei fece spallucce senza rispondere alla sua domanda - Rispondetemi! –
- Non urlate, marito. Vi risponderò, se è questo che desiderate – si alzò finalmente dal divano che le aveva indolenzito le gambe e si avvicinò al viso ben curato del marito.
- Io faccio ciò che voglio, siamo nel nostro privato e se mi va di parlare come un uomo di fogna, lo faccio. Non mi sembra che vi abbia mai fatto sfigurare in pubblico! Almeno quando siamo soli possiamo fare ciò che vogliamo? –
Lui non la guardava, ma dopo un po' le disse – Abbiamo visioni differenti delle nostre vite, questo l’accetto, ma l’educazione è la prima cosa e poi viene il rispetto. Voi non vi state comportando in modo rispettoso nei confronti di vostra cugina e anche solo per cortesia dovreste fingere di preoccuparvi del suo stato di salute -
Così dicendo Charles andò via, senza darle il tempo di rispondere.
Appena la porta si chiuse, Elisabeth gli gettò contro il libro che teneva tra le mani con tutta la rabbia che tratteneva in corpo.
Si sentì ferita dalle parole dette dal marito.
Prima di tutto la Sara non era una sua parente e non lo sarebbe mai stata. Inoltre lei non avrebbe mai potuto compatirla in quello o in un altro momento. Come si permetteva di affrontarla in quel modo? Lui che non era stato in grado di farsi giuste amicizie, lui che veniva sbeffeggiato da tutti restando inerme alle offese arrecatoli, lui che non pensava ad altro che ai suoi stupidi cavalli.
Era uomo inetto e infantile.
Per placare la sua ira decise di fare una passeggiata ristoratrice, ma non avrebbe mai immaginato di incontrare James lungo il suo tragitto. Il cuore cominciò a martellarle nel petto all’impazzata, respirando a fatica. James, accortosi della sua presenza, alzò gli occhi dagli scalini posandoli sulla figura di lei e deglutì imbarazzato.
L’uomo sapeva di non doversi trattenere nonostante la tentazione che sorgeva in lui. Lei era bella come sempre. Ricordava ancora il sapore delle sue labbra, l’odore della sua pelle, il corpo magro e slanciato sotto il suo, ampio e grosso. Ricordava con nitidezza i loro incontri di passione nell’appartamento in Mayfair. L’aveva desiderata molte volte nel suo letto e forse ancora adesso. Lei gli aveva fatto conoscere cosa significasse desiderare una donna. Ciò che aveva provato per lei era un meraviglioso, instancabile, ardente appetito delle sue carni, ma questo non gli bastava.
Lui ambiva al potere, desiderava un titolo e lei non poteva offrirglielo.
Era stato questo il motivo che lo ha spinto mesi prima a troncare quella loro relazione. A volte provava del rimpianto. Non aveva mai più desiderato una donna come aveva desiderato lei.
Ma forse le cose sarebbero cambiate.
Non conosceva bene la signorina Wood, ma aveva la capacità di sorprenderlo e di divertirlo. In sua compagnia aveva trovato la pace dei sensi. Non gli importava affatto che non portava nulla in dote, voleva solo lei. Se avesse saputo giocar bene le sue carte, forse le sarebbe appartenuta. Forse era troppo egoista, ma voleva che fosse lei la donna della sua vita. In quel momento James si stava recando da Spencer e non si sarebbe mai aspettato di trovarsi Elisabeth dirimpetto. Non poté ignorarla come aveva fatto precedentemente.
– Lady Herbert, ora è così che dovrò chiamarvi –
Erano trascorsi quattro mesi dalla morte del III duca di Carnarvon ed Elisabeth avvertiva ancora lo stesso piacere della prima volta, quando udiva l’appellativo lady al proprio nome.
- Signor Morrison – rispose seccatamente lei.
- Vi trovo in gran forma. Stavate per andare a fare una passeggiata? La giornata non sembra essere molto clemente con noi quest’oggi –
Lui continuava a blaterare del tempo, ma ad Elisabeth questo non importava di certo. Quando era irritata il suo bel collo, lungo e sottile, diventava un fuoco ardente.
– Ora devo andare. Scusatemi per la fretta – disse lei, con un tono pacato. Se qualcuno l’avesse vista qualche secondo prima, non avrebbe mai potuto credere che quella fosse la stessa donna.  Calma e razionale.
James inarcò le sue labbra in un mezzo sorriso – Lady Herbert, dovreste indossare il cappotto. Non sembra, ma l’aria si sta rinfrescando –
Elisabeth, garbatamente lo ringraziò – Avete ragione, sono una sciocca. Andrò subito a prenderlo –
Prima che potesse tornare in camera, lui la bloccò.
– Posso porvi una domanda? – dopo una pausa lunga mille secondi le chiese sorridendo – Siete felice? –
Ma che domanda era mai quella? Pensò Elisabeth. Certo che non era felice, ma non glielo avrebbe mai detto.
- Lo sono, grazie per l’interessamento –
Lui sarebbe stato di nuovo suo, ma senza che il suo orgoglio ne fosse uscito ferito. Voleva vederlo ritornare da lei strisciando.
Quando Elisabeth andò via, James ripensò a quella sera di sei mesi prima, quando la relazione fra loro era finita per sempre. Non avrebbe mai dimenticato la sofferenza che Elisabeth aveva provato in quel frangente. Ne era stato male anche lui, ma aveva degli obblighi verso sé stesso e nessuno lo avrebbe fermato.
 

 
Elisabeth era nuda sulle bianche lenzuola del letto, rendendo le cose per James ancora più difficili. La sua pelle candida era un vero stupore per gli occhi di un uomo affamato.
- Mia cara Elisabeth sono così in difficoltà, ma devo dirvi una cosa importante – le disse non appena mise piede nella stanza del loro nido d’amore. Lei, senza sentire ciò che le aveva appena detto gli saltò addosso baciandolo ovunque. Lui cercò di dimenarsi, riuscendo alla fine a staccarsi dal suo corpo costringendola a guardarlo in volto.
– Cosa avete mio caro, siete così freddo e distaccato. C’è qualche grave problema? –
La preoccupazione che leggeva negli occhi di Elisabeth gli toglieva la forza di continuare.
– Non ci riesco – disse, girando il volto nella parte opposta alla sua.
- Parlate maledizione, ditemi ciò per cui siete venuto? –
Elisabeth si sentiva davvero risentita. Il suo petto si gonfiava e sgonfiava a ritmi incessanti mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime avvertendo un brutto presentimento. Aveva saputo dalla signora Clarke che il giovane Morrison era alla ricerca di una moglie. Inizialmente non le aveva creduto, ma adesso...
- Mia cara, non so come dirvelo, ma io… -
- Non parlate, ho capito – lei cercò il proprio autocontrollo, ma le fu terribilmente difficile domare le sue emozioni.
- Elisabeth, io…-
Ma Elisabeth lo fece tacere prima con uno sguardo glaciale e poi con le sue parole controllate.
– Signor Morrison, non chiamatemi mai più in quel modo. Da oggi per voi sarò soltanto la signora Herbert, futura contessa di Carnarvon –
James rimase impietrito dalla sua glacialità, pensando che poco prima era stata così affettuosa. Si sentiva sinceramente afflitto da tutto ciò, non avrebbe mai voluto ferirla in quel modo, ma non poteva continuare quella relazione. Lei era di certo meravigliosa e gradevole, purtroppo però non era ciò di cui lui aveva bisogno per il futuro. Doveva sposarsi se voleva acquisire uno status elevato e per questo doveva avere al suo fianco una donna perbene che desse alla sua persona un maggior rilievo. Seppur Elisabeth gli piacesse, non era adatta al ruolo di moglie poiché era già di qualcun altro. Sarebbe stato uno scandalo se avesse lasciato suo marito e lui non poteva permettere di rovinare la sua ascesa sociale.
- Elisabeth, vi prego ascoltatemi – le disse, supplicandola.
- No! Non voglio sentire nessun’altra parola dalla vostra bocca in merito a questo argomento. Ho capito da me che preferite avere un’altra donna al vostro fianco, volete avere una moglie immacolata. Bene, vi accontento andandomene via in questo preciso istante –
Elisabeth si allontanò, con le lacrime agli occhi e lui sentì una forte morsa allo stomaco. Non poteva andare via in quel modo, senza nessuna spiegazione.
– Elisabeth, vi prego, vi supplico ascoltatemi – le disse, prendendola per il braccio e facendola voltare verso di sé.
– Ho detto di lasciarmi! Se non mi lasciate adesso, urlerò –
James la bloccò per le braccia facendo in modo che non potesse più muoversi – Ho detto di lasciarmi! –
- State ferma, calmatevi. Vi devo spiegare quali sono le ragioni che mi spingono a rompere ogni relazione con voi –
- Non servono! – sbraitò Elisabeth – conosco già le vostre motivazioni, mi sono ben chiare –
James la lasciò andare e mentre la guardava negli occhi color del mare le disse con affetto – Carissima Elisabeth, se ci fossimo conosciuti molto tempo prima sarebbe stato tutto diverso, voi sareste stata… -
- Tacete! – strillò lei – non voglio ascoltare oltre le vostre parole, è già difficile staccarmi da voi così, non dovete infliggere oltre al mio cuore spezzato. Non provate ad avere per me nessun rimpianto, dovete dimenticarmi come io mi dimenticherò di voi! –
- Smettetela di dire così, io non vi dimenticherò mai, sarete per me sempre una persona speciale, ma non quella giusta in questa vita. Dovete sapere che vi ho desiderata tanto, ma adesso è giunto il momento di chiudere e di andare avanti senza nessun rimpianto. Ricorderemo per sempre questi momenti, li porteremo nel nostro cuore e ci riscalderanno l’anima negli anni a seguire. Siete stata importante per me, dovete saperlo Elisabeth –
Lei lo guardò un’ultima volta e poi andò via senza mai voltarsi. James rimase a domandarsi se quella fosse stata una scelta giusta, ma come avrebbe fatto ad innalzare il suo stato sociale con una donna compromessa? Sospirò e prese il suo soprabito e uscì chiudendo a chiave l’appartamento con la consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima volta.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Sara aveva trascorso le sue ultime giornate rimpinzandosi di dolci che Agathe preparava appositamente per lei.
– Mia povera signorina Wood, questo è per voi – le disse un pomeriggio, mostrandole un ottimo pudding ripieno di marmellata alla fragola. Come piaceva a lei.
- Così mi farai ingrassare Agathe e tutti i miei abiti non mi andranno più! –
- Piccola non curatevene, la signora Cooper ve ne procurerà sicuramente degli altri. Non pensateci e mangiate, dovete rimettervi in forze così la caviglia guarirà e voi potrete tornare a fare ciò che facevate prima –
- D’accordo, lo mangio solo per farvi contenta –
La caviglia stava migliorando e ormai riusciva a camminare seppur con l’aiuto del bastone che il duca aveva acquistato. Dal giorno della caduta non lo aveva più visto. Per questo decise che sarebbe andata a fargli visita.
In compenso era stato molto presente il signor Morrison. Lui sapeva essere tanto gentile e premuroso, così diverso da Spencer. Come potevano essere amici lei non lo capiva, ma dovevano volersi davvero bene.
Con l’aiuto di Alene e del bastone, Sara era riuscì ad arrivare fino alla porta dello studio di lord Cavendish. Bussò e sentì una lieve voce che la invitava ad entrare.
- È permesso? –
Lui era seduto dietro la scrivania impegnato a leggere dei documenti, ma quando la vide le rivolse tutta la sua attenzione.
– Cara, venite e sedetevi. Come vi sentite? Vedo che camminate molto meglio, ma avete ancora bisogno d’aiuto. Appoggiatevi al mio povero braccio – le disse mentre le si avvicinava – Alene cara potete andare, adesso ci penserò io. Così, reggetevi a me – la guardò con tanta dolcezza che il cuore di Sara sembrò sciogliersi.
– Sedete qui accanto a me, sul divanetto – entrambi si sedettero su un comodissimo divano in broccato blu e il duca le passò un piccolo puffo che aveva lì accanto per far riposare la sua debole caviglia.
– Volevo scusarmi con voi per il mio comportamento. Non avrei mai dovuto… - la zittì.
– Mi sono preoccupato molto, siete come una figlia per me e non avrei mai sopportato la vostra perdita. Per fortuna è andato tutto bene, ma che vi sia di lezione. Da adesso pensate alle conseguenze di ogni vostra decisione. Sono io che devo scusarmi con voi, non sono venuto a trovarvi in questi giorni. Mi potete perdonare? –
Nessuna parola sarebbe servita perché Sara non avrebbe mai potuto non perdonarlo.
- Oh certamente, ma non dovete scusarvi per questo – subito dopo si sentì stringere da due braccia molto forti., quelle del duca.
Lui tornò a fissarla come se volesse sapere qualcosa.
– Cosa avete? Perché mi guardate in quel modo? –
-  Oh nulla, ma mi è stato riferito che un certo giovane si è recato spesso da voi per farvi compagnia –
Sara lo guardò con un’espressione divertita - Ditemi, cosa vi hanno riferito queste voci? -
- Oh, mi hanno solo riferito che è un uomo molto gentile ed educato e che è pazzo di voi –
– Vi hanno informato bene sulla prima parte –
- Cara Sara, io voglio che siate felice –
Sara lo guardò preoccupata perché quelle parole avevano un retrogusto amaro – Ma io lo sono –
Lord Cavendish continuò – Sara, non starò per sempre al vostro fianco. Io ho accettato la vostra decisione di non sposarvi finché non avreste incontrato l’uomo giusto, ma il mio desiderio più grande sarebbe quello di vedervi sposata. Io farò in modo che possiate vivere senza problemi se non troverete l’amore, ma non sarà mai la stessa cosa. Almeno provateci! Avete i mezzi per farlo. Statemi a sentire mia cara, vedete se il signor Morrison può essere un buon candidato –
Sara lo guardò con affetto e gratitudine per tutto ciò che aveva fatto in quegli anni e per ciò che avrebbe continuato a fare. Forse aveva ragione, era ora di decidere cosa fare della sua vita. James era così cordiale e generoso, dall’animo buono e anche molto spiritoso, sarebbe stato un marito fedele e premuroso, ne era certa, ma era davvero ciò che desiderava? Un matrimonio fondato sull’amicizia e sulla fiducia? Avrebbe rinunciato per sempre all’amore? Forse si sarebbe innamorata di lui con il tempo. Tutti sostenevano che James fosse adatto al suo animo spensierato. Quando era con James era serena, felice e si divertiva moltissimo, ma mancava quel trasporto ardente che di solito provavano gli innamorati. Forse era troppo presto. in fondo erano trascorsi solo pochi giorni dal loro primo incontro. In quel momento le ritornò in mente Anthony, il suo primo amore. Allora era troppo ingenua, aveva scambiato la sua gentilezza per un affetto più profondo. Dopo il suo rifiuto non era più riuscita ad innamorarsi. Nessun uomo possedeva i giusti requisiti. Forse James sarebbe riuscito a sciogliere il suo cuore. Solo il tempo però, le avrebbe dato una risposta. Doveva cercare solo di tenere Spencer lontano. Non poteva permettergli di intromettersi come nel passato. Era, infatti, stato lui ad informare Anthony del suo tenero amore, rendendola ridicola ai suoi occhi e quelli di tutto il Derbyshire. Da allora lei lo aveva odiato e non aveva più provato pietà per lui.
 
Non appena Sara lasciò lo studio di lord Cavendish, le parole del duca le ritornarono alla mente. Il suo futuro sarebbe stato davvero con James? Non ebbe tempo di riflettere sulla risposta perché una visita inaspettata l’attendeva a pochi passi dallo studio del duca. Spencer se ne stava con le spalle al muro fissandola intensamente mentre lei gli si avvicinava. Dopo alcuni secondi, che sembrarono così tanto lunghi da farla fremere, gli fu vicino. A Sara cominciò a battere il cuore e pregò Dio di aiutarla a smettere di guardarlo in quegli occhi così limpidi e tenebrosi.
– Signorina Wood volete accettare il mio aiuto? – le disse notando la sua difficoltà nel muoversi nonché il bastone a cui era aggrappata. Sara ne fu talmente sorpresa da alzare di scatto lo sguardo dal pavimento.
– Siete molto premuroso, signor Cavendish – pronunciò timidamente lei.
Spencer le porse il braccio e lei si aggrappò ad esso con timidezza. Camminarono in silenzio per gran parte del tragitto, ma per sua fortuna non mancava molto ad arrivare alle sue stanze.
- Come sta la vostra caviglia quest’oggi? – chiese lui con freddezza.
– Oh, molto meglio. Non mi sono ripresa del tutto ancora, ma riesco a passeggiare da sola. In realtà mi aiuto ancora con il bastone, ma non sento più tanto dolore quando poggio a terra il piede –
- È davvero una grande notizia –
Quella loro, strana, conversazione terminò all’istante. Non le rivolse più la parola per il resto del tempo che mancava per raggiungere la stanza, ma continuò a tenere la mano su quella di Sara. Emanava un calore intenso, così benefico, che quando la tolse lei si sentì mancare. La salutò, ma prima di voltarsi la guardò ancora. Era come se le volesse dire qualcosa, senza però riuscirci. 
Poi…
– Volevo chiedervi scusa per ciò che è accaduto. Non avrei dovuto proporvi una tale follia – facendo riferimento alla cavalcata.
Sara rimase basita e incredula per ciò che aveva appena udito. Davvero Spencer Cavendish le aveva porto le sue scuse? Era stato talmente fulminio che quasi sembrava tutto frutto della sua immaginazione. Non le aveva dato neanche il tempo di rispondere che era sparito dalla sua vista. Quando Alene fece ritorno per sistemare l’abito che avrebbe indossato Sara quella sera, la trovò ancora fuori la porta.
– Signorina Wood, vi sentite bene? State male? –
- No, no va tutto bene – le disse, fissando il vuoto intorno a lei.
Alene la condusse fino al divano situato in fondo al salotto, accanto alla porta finestra.
– Alene, puoi dire a Jane di portarmi un tè? Anche se non è ancora arrivata l’ora ne sento il bisogno –
 
Dopo qualche ora giunse a Derwent House la fedele amica della signorina Wood. Amanda Taylor.
- Amica mia, ho saputo solo adesso ciò che ti è capitato. Perché non mi hai scritto prima? – disse non appena oltrepassò la porta.
- Perché non volevo farti preoccupare – rispose Sara sorridendo e tentando di alzarsi per abbracciarla.
–  No cara, non alzarti, vengo io da te -
- Sarei venuta a trovarti in questi giorni, ma come puoi vedere tu stessa sono stata indisposta –mostrandole la fasciatura alla caviglia.
– Se lo avessi saputo sarei giunta molto prima da Londra –
Sara non poté far a meno di sorriderle per rincuorarla.
- Dai raccontami, com’è la nostra capitale in questi mesi? –
- Come al solito, nessuna novità – sbuffò.
Amanda si recava a Londra ogni metà del mese per aiutare suo padre alla direzione del suo giornale, mentre quando tornava nel Derbyshire accudiva sua madre che odiava profondamente la città.
- Quindi non mi sono persa nulla –
- Oh, no Sara. Londra sembra non cambiare mai, al contrario la campagna sembra offrire maggiori pettegolezzi –
Amanda era una ragazza solare e coinvolgente, in sua compagnia non ci si stancava mai. Si erano conosciute tanti anni prima quando erano solo delle bambine e da allora non si sono mai più separate. Suo padre frequentava spesso Derwent House e fu quasi impossibile che non nascesse quell’amicizia.
- Di quali pettegolezzi stai parlando? –
Amanda le si avvicinò come se ciò che stava per raccontarle fosse un gran segreto di stato.
- Ho saputo che Caroline Stanley ha tentato di fuggire con un uomo che secondo alcuni è un libertino. Un certo Oliver Fisher. Un uomo dalle tasche vuote –
- Immagino sua madre come si sia sentita – disse Sara sogghignando. Amanda sbuffò come faceva sempre ogni volta che parlavano degli Stanley.
- Non avrei voluto essere nei panni di Caroline, questo è sicuro –
- Neanche io se per questo –
Sulla soglia comparve Jane che portò alle giovani tè caldo e pasticcini di ogni genere. Amanda ne prese subito uno.
- Agathe diventa ogni giorno più brava – disse l’amica gustando un bignè alla crema pasticcera.
- La informerò del complimento, ne sarà certamente felice –
Erano circa due settimane che non la vedeva e Sara notò che era diversa dal solito.
- Non hai più nulla da raccontarmi? –
Amanda sembrò desistere, allora Sara le diede un pizzicotto sull’avambraccio.
- Va bene! Non ti posso nascondere nulla. Ho conosciuto un uomo –
Cosa le aveva appena detto? Amanda aveva conosciuto un uomo?
- Devi raccontarmi tutto. Come si chiama? –
- David Percy -
- Il duca di Northumberland? – chiese Sara con stupore. Non lo conosceva bene, ma Eleonor le aveva raccontato che non era affatto un uomo di cui fidarsi.
- Perché quella faccia Sara? –
- Non è nulla Amanda – non avrebbe rivelato ad Amanda le sue preoccupazioni, almeno per il momento. Per quanto ne sapeva potevano anche essere delle dicerie, inoltre l’amica sembrava così raggiante.
- Devi dirmi come lo ha conosciuto –
Amanda arrossì.
- L’ho conosciuto per caso. Mi ha accompagnata a casa un pomeriggio di pioggia, non portavo con me l’ombrello così si è offerto di condividere il suo con me –
- Sembra così romantico. Proprio come accade nei libri! –
- Non so se potrà mai esserci qualcosa, ma… – le parole trovarono difficoltà ad uscire.
- Sei innamorata? –
- Non lo so, mi sono mai sentita così –
 
Dopo cena tutta la famiglia si riunì nel grande salotto come ogni sera. Anche in quell’occasione fu permesso ai bambini di stare tra i parenti. Scelsero di trascorrere la maggior parte del loro tempo in compagnia di Sara e James. Quando le stava così vicino Sara non riusciva a rimanere tranquilla. Sentiva su di sé gli occhi di tutti i presenti, ma quelli che più la terrorizzavano e infiammavano erano quelli di un uomo freddo e brusco, Spencer. A volte Sara, voltandosi verso la sua direzione, lo guardava a sua volta facendo attenzione che non se ne accorgesse. Aveva ripensato molte volte a ciò che era accaduto quello stesso pomeriggio. Era stato così gentile da parte sua scusarsi, ma non le aveva dato modo di rispondere. Anche lei avrebbe dovuto porgere le sue scuse.
Solo quando i bambini furono riportati nelle proprie camere e James si allontanò per parlare con Lord Cavendish, Sara trovò un momento per avvicinarsi allo scrittoio dove Spencer stava scrivendo una lettera.
Chissà a chi starà scrivendo? Pensò. Era stato seduto lì per tutta la sera, senza mai partecipare a nessuna conversazione. Quando gli fu di fronte, Sara sfoggiò il suo sorriso migliore che ovviamente lui non colse, continuando a tenere la testa china sul foglio. Si fece coraggio e disse – Signor Cavendish non vorrei disturbarvi, ma avrei da dirvi una cosa importante –
Lui alzò solo in quel momento il suo sguardo posandolo sulla siluetta perfetta di Sara.
– Signorina, sedetevi pure – disse indicando la poltrona lì accanto. Apparve stranamente galante.
- State scrivendo una lettera importante? –
- Oh, questa? – le mostrò il foglio di carta – sto scrivendo al primo ministro, il visconte Palmerston –
-  Di cosa scrivete? Se mi è possibile chiedere –
Spencer sorrise divertito. Quella donna era più caparbia di quanto avesse immaginato. Era suo pensiero (condiviso dal resto degli uomini) che una donna avrebbe dovuto occuparsi solo della casa e della famiglia, ma c’era qualcosa di straordinariamente affascinante in una donna che andava oltre a ciò che le era concesso di sapere. Così le rispose.
- Io e Gladstone siamo in disaccordo con Palmerston a causa delle grandi spese previste per la fortificazione dei porti della Royal Navy
- E perché vuole spendere così tanto? – continuò Sara incuriosita da quell’argomento.
- Perché è un uomo ottuso e non ascolta i consigli altrui –
Spencer ripose la lettera in un cassetto della scrivania e portò tutta la sua attenzione a quella magnifica donna seduta sul lato opposto.
- Cosa vi ha spinto a venire fin qui? –
Era giunto il momento di parlare, ma Sara si sentì intimorita a causa del suo sguardo così diretto, così provocante che non proferì parola.
Spencer scoppiò a ridere.
- Cosa avete da ridere? – gli disse indignata.
- Nulla, ma almeno adesso parlate – il suo sorriso la fece arrossire, così in preda all’imbarazzo gli rivolse le sue scuse. Spencer ne rimase stupito.
- Siamo stati entrambi incauti – le disse con sincerità - la prossima volta potrei insegnarvi a cavalcare, se lo vorrete –
Sara si sentì improvvisamente felice, tanto da porgli un meraviglioso sorriso. Quella felicità però affievolì in poco tempo.
- Cavendish! – urlò James mentre si avvicinava a loro.
- Morrison – rispose lui seccato per quella interruzione. Sara lo guardò con attenzione. Sembrava quasi afflitto dalla presenza del nuovo arrivato, come se volesse starsene solo con lei.
- Sei stato solo fin troppo a lungo –
- Come vedi adesso non lo sono più – puntualizzò Spencer.
- Vedo! La signorina Wood può rivelarsi una compagnia molto piacevole –
Spencer annuì.
- Cosa stavate facendo Cavendish di così importante? –
- Scrivevo al primo Ministro –
James sbuffò – Sempre lavoro – poi si rivolse a Sara – l’uomo che vi sta di fronte non fa altro che pensare alla sua amata Inghilterra –
Sara sorrise appena.
- È sempre molto impegnato – James lo disse posando un braccio sulle spalle dell’amico.
- Qualcuno di noi due deve pur occuparsi dei propri affari –
James rimarcò – I nostri affari sono completamente differenti. Occupandomi dei trasporti, mi preoccupo affinché donne e uomini possano muoversi liberamente nella nostra bellissima Inghilterra. Invece tu pensi solo al tuo tornaconto –
- Se non mi occupo delle mie ricchezze come faremo a permetterci tutto questo. Sono gli uomini come te che stanno distruggendo gli uomini come me –
- Oh, ecco era qui che ti volevo. Lo sapevo che eri geloso di me –
- In che modo? – chiese all’improvviso Sara, meravigliando entrambi gli uomini con quella domanda.  Fu James a rispondere - Semplice, ormai in tutto il Paese le campagne sono sempre più vuote, al contrario delle città che si stanno popolando. Oggi gli uomini sono alla ricerca di nuove possibilità –
- E questo non è un bene per voi – disse Sara rivolgendosi a Spencer quasi come se fosse un’accusa.
- No, assolutamente no! –
Spencer guardò Sara con disappunto. Se i loro braccianti fossero scappati dalle campagne per lavorare nelle industrie, chi avrebbe lavorato quelle terre? Ma soprattutto che fine avrebbe fatto la loro ricchezza? Le donne questo non potevano capirlo.
- Dunque se una persona cerca di migliorare la propria condizione è un male per voi? Ditemi! –
Spencer le si avvicinò con fare quasi minaccioso – Se tutti facessero in questo modo, voi non potreste vivere nel lusso –
- Prima del lusso, io penserei al bene comune –
- La vita non gira in questo modo, signorina Wood –
James cercò di deviare la conversazione, ma gli fu impossibile.
- Quindi per voi chi non possiede un titolo non ha il diritto di avere migliori prospettive nella propria vita? –
- Sostengo che ognuno di noi ha un ruolo ben preciso da adempiere a cui non si può venire meno –
- Siete un uomo egoista –
James dovette sovrapponendosi tra i due cugini. Ma questo non fece smettere Sara di portare aventi la sua causa. Così continuò.
- Londra pullula di gente che svolge umili lavori sottopagati. Persino i bambini lavorano e molti muoiono a causa delle pesanti fatiche. Loro non hanno scelto quella vita, le è stata imposta, non da Dio, ma dalla società in cui viviamo. Anche loro sono esseri umani –
- Signorina, potreste essere un bravo parlamentare. Non trovate Cavendish? – osservò James scherzosamente, ma nessuno dei due sembrò divertirsi a quelle parole.
- Certamente vivono in pessime condizioni e credetemi a volte provo un gran dispiacere per questa loro condizione. Ma se non fossero corsi nelle città, in cerca di una vita migliore come voi avete sottolineato poco prima, avrebbero potuto vivere una vita dignitosa qui nelle campagne –
Sara lo guardò meravigliata. Ogni giorno centinaia di bambini erano privati della loro infanzia, facendosi carico di enormi responsabilità, crescendo prima del dovuto e tanti non riuscivano a vedere l’età adulta e l’unico pensiero di Spencer era la propria posizione?
Sara lo guardò in cagnesco – Forse perché è meglio essere considerati merce avariata in città, piuttosto che uno schiavo qui in campagna –
Spencer si liberò della presa di James e andò via prima che potesse dire qualcosa di cui pentirsi. Quella donna non andava sottovalutata affatto. Forse Elisabeth aveva ragione. Forse poteva essere un pericolo per James.
 
Quella donna era esasperante. Ammise Spencer quando tornò nelle sue stanze. Era rimasto così sorpreso nel vederla accanto a lui. Per un attimo aveva intravisto una vita felice, una vita accanto a quella donna. Aveva immaginato di trascorrere intere giornate in sua compagnia senza stancarsi mai della sua voce e quando sarebbe calata la sera l’avrebbe abbracciata a sé nel loro letto e l’avrebbe amata. Ma quella era solo una fantasia e la discussione successiva ne era la dimostrazione.
Non avrebbe mai dovuto discutere di tali argomenti con una donna. Dovette ammettere però che era riuscita a tenergli testa come nessun uomo aveva mai fatto. Solo in quel momento riflesse su quanto Sara gli aveva detto e cercò di vedere la vita da quella stessa prospettiva. In fondo quelle persone non si meritavano di essere trattate come bestie.
All’improvviso il sonno lo pervase e avvertì la presenza di qualcuno. Quando si voltò, la vide. Indossava un abito rosso, tanto stretto da evidenziare le sue forme voluttuose su cui scendevano i boccoli scuri dalle venature ramate.
Vagava sola, proprio come lui.
Aveva un gran desiderio di avvicinarsi a lei, ma non poteva nonostante tutti gli sforzi. C’era qualcosa che lo tratteneva. Lui era troppo diverso da lei. Non per classe, ma per educazione. Lei era sempre pronta a dare una mano a chiunque, mentre lui era pregiudizioso e sempre sulla difensiva.
La verità era che Sara rappresentava un pericolo per lui. Doveva allontanarla, ma lei lo trattenne all’improvviso, finché Spencer non si abbandonò completamente a lei donandosi con tutto il suo corpo e la sua anima.
Senza volerlo sì svegliò di soprassalto ritrovandosi ansimante e completamente sudato.
Cosa era successo?
L’aveva sognata, ancora una volta. Durante le ultime notti veniva tormentato sempre dallo stesso sogno. Faceva l’amore con lei e nel momento esatto del culmine si svegliava rimanendo insoddisfatto e ancora desideroso del suo corpo.
Non riuscendo più a chiudere occhio, Spencer si alzò e si indirizzò verso la finestra che affacciava sull’immensa campagna del Derbyshire. Quei paesaggi erano stati il palcoscenico della sua infanzia, il periodo più felice della sua esistenza.
All’improvviso udì una musica. D’istinto prese la vestaglia e si spinse fuori dalla camera da letto.
– Chi starà mai suonando il piano a quest’ora? – si chiese incuriosito.
Aprì lentamente la porta e vide una figura esile e delicata seduta davanti al piano. Quella figura smise immediatamente di suonare appena si accorse della sua presenza.
– Siete voi? –
Sara non riusciva a credere che quell’uomo era lì davanti a lei. Si alzò dalla seduta in stoffa bianca e andò a riporre nel tiretto i suoi spartiti poi, si diresse verso la porta senza prestargli alcuna attenzione, ma Spencer la bloccò.
– Fermatevi, non vi farò nulla. Voglio solo sentirvi suonare ancora –
Sara ne fu stupefatta e lui si intenerì dal modo in cui lei lo guardava.
– Non volete suonare per me? –
- Magari un’altra volta, adesso sento freddo e ho le mani intorpidite –
Spencer si accorse che indossava solo una vestaglia molto leggera così si tolse la sua e gliela passò. Fortunatamente aveva indossato i pantaloni prima di scendere.
– Tenetela in modo che possiate stare al caldo – lei lo sorrise appena.
– Vi prometto che un giorno suonerò qualcosa per voi –
- Aspetterò con ansia –
Sara ricambiò il suo sorriso e Spencer si sentì al settimo cielo. Tutta la sua collera sembrava essere svanita in un soffio di vento. Sì avviarono verso la camera di Sara in assoluto silenzio. L’imbarazzo fra loro era palpabile.
Sara lo guardò, un’ultima volta, cercando di decifrare quel suo modo di essere. A volte sapeva essere così dolce, mentre in altre occasione sapeva essere insopportabile.
– Buonanotte, signorina Wood –
- Signor Cavendish, aspettate! –
Spencer si girò di scatto – Ditemi signorina –
Ma Sara non riuscì a dire nient’altro fuorché - Buonanotte signor Cavendish -
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


- Signorina le scarpe – Alene l’aiutò ad indossare dei graziosi stivaletti in pelle blu. - Non stringerle troppo forti Alene o non riuscirò a camminare! – - Se stesse ferma, forse potrei fare tutto ciò che desiderate – si lamentò la cameriera. Quella sera erano stati invitati a cena da Frederick Arthur Stanley, conte di Derby, ma Sara si sentiva parecchio agitata. Le maniere gentili del conte erano cosa riconosciuta in tutto la contea, ma lo stesso non si poteva dire di sua moglie. Lady Constance Stanley era una donna ambiziosa e pettegola. Ciò che amava di più al mondo era la sua unica figlia Caroline Stanley che credeva fosse la più bella e la più amabile ragazza d’Inghilterra. Quell’anno avrebbe fatto il suo debutto in società e si prospettava un matrimonio già alla fine di quella stessa stagione. Se non fosse stato così chi avrebbe potuto sopportare le lamentele di lady Stanley per un intero anno? Per questo il suo umore era tutt’altro che tranquillo. Le prime persone a cui lady Stanley si rivolse quella sera furono ovviamente i due giovani ospiti, gli scapoli più ambiti di Londra. - Signor Cavendish, siamo lieti di avervi qui questa sera e voi dovete il signor Morrison. Abbiamo sentito parlare molto di voi in queste settimane – - Siete nel giusto Milady. Lasciate che vi porga i mie più sentiti ringraziamenti per il suo invito – rispose gentilmente James baciandole delicatamente la mano. Appena furono lontani dalle orecchie indiscrete di lady Stanley, Spencer ne approfittò per ammonire l’amico. - Vi consiglio di dare, il meno possibile, le attenzioni a quella donna Morrison, o presto vi ritroverete ad essere suo genero – Ma James scoppiò a ridere - Sembra una donna graziosa, sapete che non posso fare a meno di elogiare il sesso femminile – - Presto rimangerete ogni singola parola – La cena fu deliziosa mentre il seguito terrificante. Sara avrebbe voluto avere accanto a sé Amanda per poter ridacchiare dei goffi tentativi della padrona di casa di accalappiare uno dei due gentiluomini per sua figlia. - Caroline, sono così felice di vedervi – disse Elisabeth – sono trascorsi anni dall’ultima volta che ci siamo incontrate ed allora eravate poco più che una bambina. Vedo che siete sbocciata in modo meraviglioso – Sara non aveva mai visto Elisabeth essere tanto gentile con un altro essere umano. Forse nascondeva qualcosa, forse degli scopi ben precisi. Poco dopo vide James parlare nuovamente con lady Stanley, ma riuscì a cogliere solo alcuni frammenti della loro conversazione. Ciò che le fu chiaro quella sera, era che la contessa stava cercando di mettere in evidenza Caroline come se si trattasse di un oggetto in vendita. Caroline non perse tempo e sfoggiò le sue doti al piano. Appena iniziò a suonare tutti rimasero entusiasti della sua performance. - Siete bravissima Caroline – disse Elisabeth non appena la ragazza ebbe terminato la sua esibizione – spero possiate ancora deliziarci con le vostre dita incantevoli. Non concordate con me, Spencer? – Lui annuì, senza fiatare. - Siete troppo gentili. Sono brava, ma ho ancora tanto da imparare – rispose Caroline timidamente. All’improvviso sentì pronunciare il suo nome. - Signorina Wood – era lady Stanley che dall’altro lato della stanza la stava chiamando. – Vorreste suonare per noi? – Cosa? Sara entrò in panico, non aveva mai suonato davanti a nessuno, eccetto lord Cavendish. Come avrebbe fatto? Sarebbe stato un disastro. All’improvviso Spencer le si avvicinò porgendole una mano. – Signorina, io vi ho udito e siete meravigliosa – Sembrava la stesse incoraggiando e Sara rimase a fissarlo come se intorno a loro non ci fosse più nessuno. - Avanti signorina Wood, ci faccia sentire qualcosa – disse ancora Lady Stanley. Sara si avviò lentamente al pianoforte e prese il primo spartito che trovò. La sinfonia n 40 di Mozart. Appena si sedette davanti lo strumento, le dita le si irrigidirono e il respiro le divenne affannoso. Stava per alzarsi e scappare via, quando James le si avvicinò e la spronò a suonare. Grazie alla sua presenza si sentì improvvisamente più tranquilla e così cominciò a suonare. Mentre pigiava i tasti bianchi e neri, alzò il capo per un frammento di secondo e lo vide. Spencer la stava guardando dall’altro lato della stanza, solo in un angolo. La guardava così profondamente come se fosse ammaliato da lei. Invece di incuterle timore, le diede la forza di dare il meglio di sé. Quando finì tutti rimasero stupefatti. Neppure lady Stanley fiatò. - Sara, siete stata magnifica. Non ho mai udito tanta grazia – disse James senza curarsi della presenza di Caroline accanto a lui. - Grazie – rispose lei accogliendo la mano che James le porse e insieme si incamminarono sul fondo della sala mentre Caroline riprendeva il suo posto naturale davanti al pianoforte. Lungo il tragitto però, non smise di guardare Spencer. Per fortuna lord Cavendish la lasciò ritornare prima a casa. Non era brava a mentire, per questo sospettava che il duca sapesse la vera ragione per cui voleva andare via. Lo avrebbe ringraziato, se non fosse stato per la sua idea. - Spencer, credo che fareste meglio ad accompagnare Sara fino a casa – Sara sperò che non accettasse quell’assurda richiesta, invece le sue speranze furono vane poiché Spencer l’accompagnò. Saliti sulla vettura, Sara pregò che il viaggio fosse più breve del previsto così non avrebbe dovuto rivolgergli nessuna parola. Lui le sedeva dirimpetto con le braccia incrociate sul petto e con lo sguardo perso nel vuoto. Nonostante quella oscurità riusciva a vedere i suoi occhi brillanti che sembravano due grosse pietre preziose. Erano così affascinanti. - Perché mi guardate? – disse lui, rompendo quel silenzio. Sara sussultò, ma fu sincera - Vi osservo – - E cosa avete dedotto dalla vostra osservazione? – chiese con un sorriso quasi malizioso. Sara avrebbe voluto dirgli che non c’era nulla di buono nel suo atteggiamento altezzoso e arrogante. Invece… - Credo che vi sentiate molto solo – Spencer la guardò incuriosito – Siete in torto. Ho tutto ciò che un uomo possa desiderare – - Davvero? – rispose lei senza vergogna. Spencer distolse lo sguardo e disse – Siete stata brava questa sera. Vorrei ascoltarvi ancora, in fondo me lo avete promesso. Ricordate? – Certo ricordava! Ricordava il suo imbarazzo. Quella sera l’aveva colta di sorpresa, ma non sarebbe accaduto di nuovo. - Forse – disse lei, distogliendo lo sguardo. Lui si limitò a sorriderla - Siamo arrivati – le disse. Per sua fortuna erano già davanti all’imponente facciata di Derwent House e con grande sorpresa Sara si sentì amareggiata. - Lasciate che vi aiuti – Quella volta accettò e appena le loro mani si toccarono, Sara avvertì una morsa allo stomaco. - Credo che sia ora di andare. Buonanotte signor Cavendish – Appena Sara si allontanò ricordò a sé stessa che doveva smetterla di provare quelle sensazioni per quell’uomo che l’aveva trattata sempre con sufficienza. Spencer non sarebbe mai cambiato, nemmeno per lei. Qualche giorno dopo quella terribile cena, Spencer organizzò una battuta di caccia a cui parteciparono James Charles, Elisabeth e Caroline. - Che ne pensate della signorina Caroline, Cavendish? – gli disse quando furono soli. - Mmm, non capisco – Spencer cercò di eludere l’argomento. - Dai Cavendish, lo notate anche voi – - Di grazia, cosa dovrei notare? – Spencer voleva evitare quell’argomento, ma James non avrebbe demorso molto facilmente. Lo conosceva bene. - Volete davvero farmi credere di non averla notata? – Spencer spronò il suo cavallo al trotto, ma James lo raggiunge bloccandolo. - Cavendish non vi capisco. Abbiamo sempre parlato di donne perché adesso siete così suscettibile? – - Non voglio parlare della signorina Stanley, tutto qua – James non riuscì a comprenderne il motivo. L’amico in quelle settimane era diventato così schivo e irascibile. - Spencer, perché non ti confidi più con me? – - Morrison, non dovete preoccuparvi di nulla. Non voglio certo scaricarti – - Non potresti mai, non troverai un uomo altrettanto affascinante – Spencer sorrise. - Cavendish – disse seriamente – credo di essermi innamorato – Spencer aveva intuito già da tempo che i sentimenti dell’amico nei confronti di Sara si stavano trasformando in qualcosa di più profondo. Come avrebbe fatto a dirgli che anche lui si stava innamorando di lei? - Chi è la fortunata? – - Cosa vuoi fare, lo spiritoso? È la signorina Wood – Spencer deglutì. Sentirlo dalla sua bocca era terribilmente fastidioso, tanto che il suo corpo rabbrividì. Sentì il desiderio di urlargli contro e dirgli che non avrebbe dovuto toccarla. Ovviamente non lo fece. - Presto le farò la proposta – Questa confidenza era ben peggiore della prima, ma cos’altro avrebbe potuto fare se non congratularsi? - Spero tanto che mi dica di sì. Spencer non credo di essermi mai innamorato così – - E Audrey Williams, Gwen McAdams o Grace Wilson? Non eri innamorato anche di loro? – - No, questa volta è diverso Spencer. Credimi – Spencer credeva alle sue parole, non lo aveva mai visto tanto appassionato come in questi giorni. Lui stesso sapeva cosa significasse essere guardato da quei due splendidi occhi nocciola. - Spencer! Spencer! – - Elisabeth, va tutto bene? – Sua sorella si avvicinò ai due giovani in tutta fretta – Caroline non si sente bene – - Cosa le è accaduto? – chiese James. - Non so, all’improvviso ha detto di soffrire di un terribile mal di capo. Forse per il freddo – - James – lo chiamò Spencer, e l’amico si girò immediatamente nella sua direzione – prendi il suo cavallo e riportalo alle stalle. Io la condurrò a casa il prima possibile – Spencer sparì in un secondo, lasciando James ed Elisabeth da soli. - Starà bene la vostra amica, non preoccupatevi – - Lo so, all’apparenza può sembrare fragile, ma in realtà è molto forte. Sarebbe la duchessa perfetta per Derwent House – Così dicendo si allontanò. Quella stessa sera, James ripensò all’affermazione di Elisabeth. Se Spencer avesse notato la signorina Caroline, avrebbe lasciato in pace Sara. Non era ceco e nonostante l’amico gli avesse negato di provare qualcosa per lei, lui si era accorto di come la guardava. Da quando lo conosceva non lo aveva mai visto fissare in modo tanto penetrante una donna. Forse Caroline sarebbe stata il diversivo perfetto. Georgiana aveva chiesto a sua madre di poter far visita alla signorina Sara, ma la risposta di Elisabeth fu un deciso no. - Georgiana devi imparare a portare rispetto. La signorina Wood è ancora indisposta e non bisogna starle troppo addosso – Ovviamente Georgiana ne fu amareggiata. Non la vedeva da giorni e le mancava. A volte desiderava che sua madre fosse più clemente e affettuosa con lei, invece non lo era affatto. Ovviamente Georgiana non era il tipo da arrendersi e grazie alla complicità di Mary si recò nel salotto dove Sara trascorreva gran parte delle sue giornate dall’incidente. Sara stava leggendo un libro che ripose immediatamente quando si accorse della sua presenza. - Georgiana! Siediti qui, accanto a me – Lei non se lo fece ripetere due volte. Subito dopo si materializzò anche Mary che scelse di sedere su una comoda poltrona accanto al camino ardente. – Cosa vuoi fare? – Georgiana sembrò pensarci un po' e poi rispose che avrebbe voluto mangiare qualcosa, così Sara ordinò un vassoio di leccornie. - La mamma mi ha detto che avrei dovuto studiare il francese – - Sai che non devi disubbidire agli ordini di tua madre – l’ammonì Sara con dolcezza. - Ma io lo odio! E odio tutti i francesi – - Non dovresti odiare nessuno. Non è bello sai, provare tali sentimenti per chi non si conosce neanche – Georgiana sembrò risentita da quel rimprovero. - Perché invece non provi a vedere il lato positivo? – La ragazzina la guardò chiedendosi cosa ci fosse di positivo nello studiare una lingua che non amava. - Devi sapere che più cose sai e più nessuno ti potrà schernire. Poi è sempre affascinante ascoltare una donna che parla in francese – - Davvero? A me non piace proprio. Preferisco lo spagnolo – - Allora dovresti impararlo – Dopo un po' Georgiana le chiese quale lingua preferisse – Io vorrei imparare l’italiano. L’Italia mi ha sempre affascinato. Vorrei poterci andare un giorno, sai? – - Potresti andare con zio Spencer! Ci è andato già molte volte – All’improvviso s’immaginò al fianco di Spencer mentre passeggiavano a braccetto per le strade di Roma. Sospirò. Sara ritenne che Spencer aveva avuto davvero tanta fortunata. Così ripensò alla sua condizione. Lui poteva andare ovunque volesse senza dover chiedere niente a nessuno mentre la sua posizione era completamente diversa. Forse se fosse nata uomo la sua vita sarebbe stata più vantaggiosa. Si rendeva ben conto che il genere femminile aveva troppe limitazioni nonostante fossero nel 1862. Ad un tratto entrarono nella stanza Charles e William. - Georgiana, per fortuna ti ho trovato! Tua madre ti sta cercando. Credo che sia ora di andare – Lei mise subito il broncio. Suo padre che possedeva un gran cuore, non poteva vederla così sofferente. - Va bene Georgiana, tua madre può attendere – In quello stesso momento sul viso della piccola apparve un sorriso splendente. Qualche minuto più tardi Georgiana e William si trovavano a giocare accanto a Mary. - Come vi sentite quest’oggi? - chiese educatamente Charles, avvicinandosi a lei. - Molto meglio, credo che fra pochi giorni tornerò a camminare come prima – Charles le si sedette accanto e insieme presero il tè. Sara lo guardò di sottecchi e si rese conto che era davvero un bell’uomo. Dei boccoli dorati scendevano sulla fronte alta incorniciando due grandi occhi scuri. Sin da quando lo ricordava, aveva sempre portato i baffi. Benché lei non li amasse, doveva ammettere che a lui stavano davvero bene. Non solo, aveva anche dei modi gentili ed era ben educato. Sapeva sempre come esprimersi senza arrecare nessuna offesa. Invidiava quasi la sua pacatezza, ma era convinta che soffrisse. Probabilmente per Elisabeth. - Devo porvi una domanda Sara – Si sorprese di udire quel tono fermo, così lontano dalla sua personalità gioiosa. Posò la tazza del tè sul tavolino di legno intarsiato e rivolse tutta la sua attenzione a quell’uomo. - Ditemi pure Charles – - Vi interessa il signor Morrison? – Sara rimase a fissarlo sorpresa per quel suo improvviso interessamento. Benché il suo rapporto con Charles fosse di sincera amicizia, fino ad allora non le aveva mai rivolto domande tanto personali e lei non gli aveva mai fatto tali confidenze. Allora perché proprio adesso? - Non posso negare che mi affascina, ma non sono interessata sentimentalmente. Almeno non per ora – Sara non capiva invece il suo silenzio. Cosa voleva trarre da quella domanda? - Sara – continuò dopo un sospiro - non mi piace molto il signor Morrison. In questi anni ha avuto molte donne e non vorrei che voi foste la prossima vittima – - Non dite sciocchezze e poi non dovreste preoccuparvi per questo. So badare a me stessa – - So che siete molto giudiziosa – Sara fu colpita da quel complimento. La conversazione si interruppe con l’arrivo di William che si avvicinò a suo padre porgendogli alcuni soldatini di stagno. – Vuoi giocare con me papà? – Sara si intenerì di fronte allo sguardo pieno d’amore di Charles. – Oh d’accordo, ma dovresti chiederlo prima alle signore – Così il piccolo William porse la stessa domanda a Sara che rispose entusiasta – Come potrei rifiutare la proposta di un gentiluomo? – Più tardi, le parole di Charles continuarono a ronzare nella mente di Sara. Sapeva di dover affrontare quella situazione con cautela, ma quando guardava negli occhi James non sembrava affatto che la stesse prendendo per i fondelli. Toccava solo a lei giudicarlo e una volta conosciuto affondo avrebbe potuto capire se quell’uomo potesse andare bene per lei o meno. Elisabeth era andata alla ricerca di suo fratello. Doveva assolutamente parlargli di una questione importante. Durante quei giorni, passati ad osservare ogni atteggiamento di James, si era resa conto che avrebbe dovuto agire prima che fosse troppo tardi. Lo trovò in biblioteca impegnato a leggere un grosso libro. – Caro fratello, vi ho trovato finalmente – Spencer si voltò verso di lei con sguardo torvo. – Avete una bruttissima, cosa vi è mai successo? – continuò sua sorella. – Prego milady – Elisabeth fece una smorfia. – Avete trascorso una notte insonne? – - Cosa importa? – le rispose scocciato. – Non parlatemi in questo modo, volevo solo essere cortese con voi fratello – gli fece notare lei sedendosi sulla sedia posta dirimpetto all’uomo biondo dorato che la fissava con occhi penetranti. – Ditemi il motivo per cui siete venuta qui, mia amata sorella – - Deve esserci per forza un motivo per parlare con mio fratello? – Spencer la guardò con un’espressione quasi divertita – Perché vi conosco mia cara, parlate adesso perché non ho tanto tempo da riservarvi – Elisabeth allora si fece coraggio – Sapete ciò che penso della signorina Wood – - Cosa ha fatto questa volta? – - Il problema siete voi! – Spencer si stupì di quella affermazione e chiese – Perché di grazia? Cosa ho combinato? – - Perché non state facendo nulla per allontanarla dal vostro amico – - Mi dite perché siete così ossessionata da James? – - Io sono ossessionata da Sara Wood, sta catturando nella sua rete anche la mia povera figliola. La sta trasformando in una povera sciacquetta – - Quanto odio provate nei suoi confronti! – - Sai quanto me cosa ha portato alla nostra famiglia, solo disgrazie. Cosa vi sta succedendo? Non starete mica cambiando opinione, spero! – - Cosa dite! – rispose Spencer distogliendo lo sguardo da Elisabeth e spostandolo verso la legna ardente del camino – avete ragione quando dite ciò, non ha fatto altro che rovinare la nostra famiglia – Spencer non pensava davvero a ciò che aveva appena detto. Certo in passato aveva provato anche lui odio nei suoi confronti, ma adesso…adesso era tutto diverso. Era combattuto fra l’amore e l’odio. Nonostante avesse detto a James di non provare nulla se non rabbia nei confronti di quella donna, non poteva negare a sé stesso di essere attratto da lei. Forse sarebbe stato un bene per lui che James si allontanasse da quella casa. - Elisabeth cosa vuoi che faccia? – – Dobbiamo ostacolarli in tutti i modi. Potresti cercare di stare tutto il tempo con lui, intrattenendolo in qualsiasi altro modo – - Non sarà facile, ma ci proverò – sapendo quanto l’amico poteva essere assennato. Dopo alcuni istanti Elisabeth gli chiese cosa gli avesse fatto cambiare idea. - Mi annoio sorella, forse in questo modo avrò qualcosa da fare – Mentì. Elisabeth avvertì una sensazione vittoriosa. Con l’aiuto di Spencer, Sara non avrebbe più interferito nella sua storia con James. - Cosa stavate leggendo, caro fratello? – chiese subito dopo e Spencer le mostrò il romanzo che teneva fra le mani. – Fratello, leggi Dickens? Non credevo che ti piacesse quel pomposo. Non fa altro che parlare di povertà – ripose disgustata. - È molto interessante invece, denuncia l’insensibilità degli uomini e la scarsa attenzione dei sovrani sui veri problemi dei propri sudditi – - Non credevo foste così tanto altruista nei confronti degli inetti – - Non me ne sto interessando, mi piace solo il suo modo di scrivere e poi ho già letto tutto ciò che c’è in questa biblioteca – La verità era che dopo le accuse di Sara, la sua posizione su ciò che era giusto nella loro società stava venendo meno. - Se foste voi il primo ministro fareste costruire soltanto biblioteche – - È la mia più grande passione, la lettura – Quando era piccolo Spencer trascorreva le sue intere giornate curvo sui libri, riuscendo a leggerne anche due in una sola giornata. Amava profondamente la lettura e ancora adesso era l’unica attività che gli offrisse un vero conforto. - Sapete fratello, sembrate così cambiato – Spencer la guardò e fece spallucce. Non rispose, ma neppure replicò a quell’affermazione poiché lui stesso si sentiva diverso. – Ditemi, quando vi trattenete questa volta? – Elisabeth provò a farlo parlare con un’altra domanda. Era sempre stato un tipo introverso. Preferiva starsene da solo piuttosto che con i suoi coetanei. Però aveva sempre avuto intorno a sé tanti amici. Crescendo, Spencer era diventato un uomo brillante ed interessante, per non parlare della sua bellezza. Aveva ereditato i tratti felici della famiglia Cavendish, Ma la sua parte migliore erano gli occhi. Non erano come i suoi o come quelli del loro padre. Erano di un azzurro più scuro, più cupo. Elisabeth sapeva che a Londra ogni fanciulla di buona famiglia avrebbe fatto di tutto pur di sposarlo. Eppure, nonostante avesse tutto, sembrava insoddisfatto. – Credo che rimarrò un po' di più questa volta, vorrei stare vicino a nostro padre – - Buon Dio, Spencer avete la febbre? State delirando! Siete sempre stato uno spirito libero, incapace di provare affetto per un altro essere umano e adesso vi ritrovo a leggere Dickens e a desiderare di stare più tempo con nostro padre? Per non parlare della vostra malleabilità nei confronti di quella bastarda di Sara Wood – - Smettetela! – urlò contro sua sorella, la quale rimase allibita dalla sua reazione. – Non dovete mai più definirla a quel modo, sarà stata cattiva con noi rubandoci l’amore di nostro padre e facendo soffrire nostra madre, ma non sta a noi giudicare il suo passato – - Perché la difendete in questo modo? – - Non sono affari vostri. Vi aiuterò a fare vendetta, ma non parlate più di lei in questi termini così volgari – Elisabeth rimase stupefatta, non riuscendo a proferire parola. – Adesso sarebbe meglio se andaste via, devo finire la mia lettura – Elisabeth si alzò dalla sedia senza neppure sospirare e lo lasciò da solo nella Biblioteca. Quando richiuse la porta dietro di sé cercò di capire cosa fosse appena successo in quella stanza. Spencer intanto, aveva perso la sua concentrazione così ripose il libro al suo posto e si spostò alla finestra. Ripensò a due occhi nocciola. In quel momento avrebbe voluto stare con lei e godere della sua dolce compagnia invece di starsene lì, da solo con il silenzio. Charles se ne stava chiuso in camera sua leggendo le ultime novità sulle corse di cavalli. La scorsa estate aveva puntato sullo stallone Thormanby e il suo fantino Mathew Dawson che lo avevano portato alla vittoria. Adesso invece la sua attenzione era attratta da Sabreur, il cavallo del II conte di Zetland. Amava le corse, erano il suo unico svago. La sua era una vita mediocre. Era sposato con una donna che lo disprezzava ed era preso in giro da metà della nobiltà per i suoi modi affabili e poco mascolini. Gli unici a rendere quella vita meno insopportabile erano i suoi figli. Georgiana e William sapevano renderlo felice come nessuno, eppure non riusciva ad esprimere loro i propri sentimenti. Elisabeth in più occasioni gli aveva fatto notare che la sua influenza era dannosa, per questo preferiva starsene alla larga. Ma li vedeva soffrire così tanto di solitudine che aveva deciso che le cose sarebbero cambiate. Charles si ripromise di essere più caloroso con i suoi figli e di stare con loro più tempo, così salì su nella nursery. Quando entrò nell’ampia sala color oro e azzurro trovò il piccolo William steso a terra intento a giocare con i soldatini di stagno insieme al signor Morrison. Accanto a loro vide Sara e Georgiana sedute su di un divanetto dalla stoffa azzurra imbottita. Tutti si divertivano molto, la stanza era piena di risate e la sola voce di William rallegrava gli animi. Sul fondo della sala invece, c’era una figura minuta e sottile con una dei riccioli rossi che fuoriuscivano dalla cuffietta. Se ne stava da sola in un angolo a fissare ciò che vi era aldilà della finestra. Sembrava così timida e impaurita. – Charles, benvenuto! – disse Sara, distraendolo da quella dolce creatura. – Sono felice di vedervi Sara – le disse, senza rivolgere la parola all’uomo che teneva compagnia a suo figlio. Neppure un saluto. - Volevo stare un po' con i miei bambini – - Oh, è così premuroso da parte vostra – rispose Sara – venite qui e guardiamo insieme i nuovi acquerelli di Georgiana – Charles si avvicinò a lei, avvertendo su di sé gli occhi indiscreti di Mary. - È davvero molto brava, non trovate Charles? – Lui annuì, continuando a lanciare occhiate fulminee alla donna affacciata alla finestra. Mary era una persona molto timida che non amava stare al centro dell’attenzione, al contrario di Elisabeth. Lui in più occasioni le aveva dimostrato gentilezza, ottenendo gratitudine da parte sua. Aveva trascorso in sua compagnia alcuni pomeriggi a Rockwell Hall durante i quali le aveva dato modo di parlare del suo passato. Gli aveva raccontato di essere la terza di otto figli e che la sua era una famiglia modesta. Nonostante ciò suo padre era riuscito a darle un’istruzione. Lavorava già da cinque anni come bambinaia e tutti l’adoravano per la sua fedeltà. Mary era giunta in casa loro solo un anno prima, ma sin dal primo momento Charles era rimasto affascinato dalla sua pacatezza. Era così tanto simile a lui che a volte avrebbe desiderato trascorrere più tempo con lei. - Padre, padre! – urlò William, mostrandogli i soldatini. - Smettila William, mi stai stonando! – disse Georgiana, otturandosi le orecchie. - Siete bravissimo figliolo, quasi mi dispiace per voi signor Morrison – Non sapeva bene il motivo per cui si era rivolto a quell’uomo che tanto odiava. Sapeva ciò che era accaduto con sua moglie e nonostante questo non aveva alzato un dito per difendere l’onore di Elisabeth. Il dolore per quel tradimento lo aveva distrutto e da allora James era diventato il suo peggior nemico. Non avrebbe mai permesso a Sara di rovinare la sua vita per quell’uomo. – Avete un figlio molto astuto, lord Herbert – rispose lui, accarezzando la testolina di William ricoperta da una folta chioma bruna. - Padre! – lo chiamò Georgiana – domani la signorina Sara mi darà altre lezioni di piano, Vero? – disse voltandosi verso di lei. – Certo, la mia promessa è ancora valida – la piccola ridacchiò, portandosi le mani alla bocca. – Georgiana Elisabeth Herbert! – Charles cercò di essere intimidatorio, ma non lo sembrò affatto eppure riuscì a zittire Georgiana. – Non devi disturbare la signorina Wood, è ancora convalescente a causa dell’incidente – - Ma lei me lo ha promesso! – - Non essere insistente – ripeté Charles, ma Sara intervenne immediatamente prima che fosse troppo tardi. – Su Charles, per me non è affatto un disturbo sono contenta di renderla felice e almeno così avrò qualcosa da fare – - D’accordo – rispose Charles rassegnato e con lo sguardo continuò a guardare sua figlia con rimprovero, ma Georgiana aveva già dimenticato quello che le aveva appena detto suo padre e si indirizzò verso Mary per darle la buona notizia. - Signorina Wood sono costernato, ma devo lasciarvi – disse James all’improvviso, distraendola dal suo ricamo. - Così presto? – - Spencer mi ha promesso di fare una cavalcata e non posso rifiutarmi adesso – James, mentre parlava, non smise di guardarla con ardore. Quando era con lui si sentiva così importante, così attraente. - Capisco, allora non rifiuterete un tè per domani pomeriggio – - Non potrei mai, signorina Wood – Dopo i convenevoli, James sparì. Sara pensò a quanto fosse generoso, ma soprattutto gentile ed educato. Non aveva mai conosciuto un uomo così. Sapeva farla ridere e sapeva farla sentire Donna. Al contrario di Spencer. Con lui si sentiva sempre a disagio e non riusciva ad essere sé stessa. Quando si rivolse nuovamente a Charles, vide che stava guardando con occhi attenti Mary. – Va tutto bene? – - Oh, sì non vi preoccupate – poi si guardò intorno – ma il signor Morrison è andato via? – Sara non trattenne il sorriso – È andato via da ben cinque minuti. Non ve ne siete reso conto? – - Temo proprio di no – sospirò e Sara comprese che c’era qualcosa che lo affliggeva. – Caro Charles, se avete qualcosa da dirmi sapete che con me potete parlare – - Lo so, siete come una sorella per me, ma non dovete darvi pena. Mi sento solo molto stanco – - Forse fareste meglio a riposarvi – Charles annuì e andò via. A Sara non sfuggì lo sguardo che rivolse a Mary, la quale ricambiò con altrettanta confidenza. Non riusciva a credere che potesse esserci qualcosa fra loro, era convinta che Charles amasse profondamente Elisabeth! Poteva anche trattarsi solo di un’amicizia, ma quello sguardo sembrava celare altro. Invece di starsene lì a pensare, forse avrebbe fatto prima a chiedere a Charles, ma subito si pentì della scelta. Avrebbe dovuto decidere lui se parlarle o meno. Così si avvicinò al piccolo gruppo che ancora rimaneva in quella stanza e dimenticò i suoi pensieri.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 
Lord Cavendish decise di ricambiare l’invito degli Stanley, questo significava che Sara avrebbe dovuto sopportare nuovamente le moine di lady Constance e sua figlia Caroline. Per sua fortuna l’invito fu esteso anche ai Taylor, così Amanda sarebbe stata la sua spalla per quella sera. Ma prima di cena, Bessie diede a Sara una lettera su cui lesse l’indirizzo di Covent Garden ed intuì subito il mittente. Appena arrivò in camera, non riuscendo ad attendere oltre, estrasse dalla busta la lettera e la lesse tutta d’un fiato.
 
Carissima Sara,
spero stai bene, è passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo viste. A Londra la vita procede sempre allo stesso modo. Frenetica. Il mese scorso ho acquistato il locale di Bob Harris, così ho potuto ampliare la mia esposizione. Sai cara, ti sto confezionando un magnifico abito e appena sarà finito te lo invierò. Mi raccomando dovrai indossarlo in un’occasione speciale. Conosco così bene le tue misure che posso prepararlo anche senza averti qui. Ho solo chiesto ad Amanda se fossi ingrassata o dimagrita, ma mi ha riferito che sei sempre la stessa. Questo mi fa davvero piacere. Spero che potrai venire al più presto a Londra. Mandate i miei sinceri saluti a lord Cavendish, e spero che mi risponderai al più presto.
E.C.
 
Doveva rispondere subito. Non la vedeva dal mese di giugno e ormai era già fine ottobre. I mesi trascorrevano così velocemente che lei quasi non se ne rendeva conto. Andava sempre di fretta e spesso non si godeva quei momenti.
Cominciò a scrivere la lettera.
Avrebbe potuto parlarle di James, ma cosa avrebbe scritto? Lo conosceva appena. Forse avrebbe potuto descriverle il suo dolce sorriso e di tutte le volte che la faceva ridere. Avrebbe potuto raccontarle di quella volta che era andato a piedi fino a Bakewell solo per prenderle un Pudding perché aveva saputo che li adorava, oppure poteva raccontarle del tempo che trascorreva con lei per darle conforto. In quel momento il suo cuore palpitò al solo pensiero di come la guardava. Nessuno l’aveva guardata mai con tanto desiderio.
Nessuno, tranne Spencer.
Sara non capiva perché ogni suo pensiero alla fine ricadeva sempre su di lui. A lei non piaceva affatto, era vanesio e dispotico, per non parlare poi della sua arroganza. Eppure c’era qualcosa che l’attraeva, non poteva negarlo a se stessa. Ma non sapeva cosa.
Cercò di cancellare dalla sua mente il suo volto e tornò a concentrarsi sulla lettera, dedicando un paio di righe al signor Morrison.
Quando udì il rintocco dell’orologio, Sara si affrettò ad uscire dalla stanza, ma per sua sfortuna si imbatté in Spencer.
– Oh! Fate attenzione – le urlò contro lui mentre era intento a sistemare la sua giacca.
- Scusatemi davvero –
Appena i loro sguardi si incrociarono, il cuore di Sara cominciò a battere forte nel petto.
– Siete voi! – gli disse Sara – scusatemi non vi avevo visto –
– Me ne sono reso conto. Perché andate così di fretta? –
- Ho sentito l’orologio e temevo di essere in ritardo – era la verità, ma Spencer non sembrava convinto.
- Non credo che una signora debba assumere tali comportamenti. Scorrazzare come una bambina in corridoio –
Cosa aveva appena detto? Sara s’infuriò – Non credo che i miei comportamenti vi riguardino. Buona serata, signor Cavendish –
Sara gli lanciò un ultimo e sguardo infine si allontanò da lì il prima possibile.
Era odioso e insopportabile, lei non avrebbe mai potuto innamorarsi di un uomo simile.
 
In quei giorni James aveva cercato in ogni modo di avvicinarsi a Sara, ma ogni volta c’era sempre qualcuno che s’intrometteva fra loro. Aveva cercato di alleviarle il dolore alla caviglia giocando a Whist o parlando di musica e di tanto in tanto anche di politica. Le aveva detto che a Londra la povertà stava diventando un problema sempre più insostenibile e che la regina Vittoria sembrava non interessarsene davvero e lei ne era rimasta delusa. Sara era una donna singolare, mite e allegra, con cui discutere di qualsiasi cosa. Era la donna giusta per lui. Tranne per un particolare.
Non possedeva un titolo. Aveva lavorato tutti quegli anni per acquisirlo, ma gli era impossibile immaginare una vita senza di lei.
- Signor Morrison –
Sara si era avvicinata a lui che se ne stava comodo accanto al camino situato sul lato opposto del salotto.
- Sara, le ho detto che può chiamarmi James –
Lei si affrettò a scusarsi – Mi è difficile abituarmi a questa nuova confidenza –
- Non dovreste – rimarcò lui – siamo amici vero? –
Sara annuì con un sorriso.
- Sembrate triste, signor Morrison. Scusatemi, James –
- Si, è così Sara. È molto probabile che ben presto lascerò il Derbyshire. Gli affari richiedono la mia attenzione, ma credetemi non sono mai stato tanto felice quanto in queste settimane trascorse con voi. Siete una persona eccezionale –
- Non esagerate con i complimenti, anche io sono stata bene in vostra compagnia. Mi dispiacerebbe lasciarvi andare proprio adesso. Grazie a voi sono riuscita a superare la convivenza con Elisabeth e Spencer –
Quelle settimane erano trascorse molto velocemente e senza neppure accorgersene stavano per entrare nella stagione invernale. Sapeva di dover ringraziare solo James, perché se non ci fosse stato lui la vita a Derwent House sarebbe stata noiosa e stressante.
Ad un certo punto, James si fece coraggio e le domandò - Se vi ricordate, vi chiesi tempo fa cosa fosse successo tra voi e Spencer. Allora mi accontentai di una breve risposta da parte vostra, ma sarei davvero interessato a saperne di più –
Sara sospirò.
- Sicuramente saprete che Lord Cavendish mi ha preso sotto la sua tutela quando ero solo una bambina e forse conoscete anche le circostanze che lo hanno spinto a prendere questa decisione –
James annuì. Spencer gli aveva raccontato che Sara era stata adottata da suo zio, Edward Cavendish e che dopo la sua morte era rimasta orfana, così suo padre l’aveva portata con sé a Derwent House.
- Non ho nessun ricordo della gentilezza di mia zia, di Elisabeth o di Spencer. Mi hanno sempre trattata con insufficienza –
- Cosa potevate mai fare, eravate solo una bambina? –
- Non saprei –
- Invece la duchessa? Perché non vi ha amato? – chiese James perplesso. Come si poteva odiare una persona come Sara, la donna più genuina che abbia mai incontrato.
- Forse mi vedeva una minaccia per Elisabeth. Durante le stagioni a Londra trovava sempre il modo di metterla in risalto, mettendo me in ombra e una volta trovatole marito gradualmente non partecipammo più ad una stagione. Non che me ne dispiaccia, ma non ho mai compreso questa differenza tra noi due –
- Forse sapeva quanto foste bella, e non solo esteriormente –
Sara apprezzò quel complimento formulato con tanto entusiasmo.
- Eppure dopo tutto quello che vi ha fatto siete rimasta accanto a lei ogni giorno fino alla morte –
- Non avrei potuto fare altrimenti –
Sara decise in quel momento di chiedere a James qualcosa della sua vita privata.
- Non ho molto da raccontare. Ho perso entrambi i genitori quando avevo solo vent’anni –
- È terribile –
- Voi sola potete comprendere la sofferenza che si prova nel perdere persone così importanti –
Sara annuì. Ogni giorno ripensava a sua madre. Avrebbe voluto trascorrere con lei più tempo, ma la vita era stata crudele con loro.
- Io e mia sorella siamo cresciuti da soli -
- Avete una sorella? Ne ho sempre desiderata una – gli confidò.
– Si chiama Abby ed è la mia vita – le disse con occhi lucidi. Era davvero così. Le voleva un gran bene e non avrebbe permesso a nessuno di farla soffrire.
- Quindi siete un fratello protettivo? –
- Non proprio – disse facendola sorridere. La trovava ancora più bella quando era raggiante.
– Le lascio tutta la libertà che vuole, ma non deve mai disubbidirmi –
- Cosa le fareste, se lo facesse? –
- È meglio che non ve lo dica – risero all’unisono. Era così bello parlare liberamente.
- Vorrei tanto che la conosceste –
- Magari un giorno, ne sarei lieta, ma continuate la vostra storia –
- In realtà non è molto entusiasmante. I primi anni sono stati molto duri, facevo diversi lavori perché mio padre aveva perso tutto al gioco e non ci lasciò nulla –
Sara si portò una mano sulle labbra e lo guardò con tristezza.
- Non preoccupatevi, per fortuna tutto è cambiato in breve tempo. I miei sforzi sono stati ripagati –
- So che avete ricevuto un’eredità –
- Sì, il fratello di mia madre non si è mai sposato e ha deciso che alla sua morte tutto il suo patrimonio sarebbe stato mio e di Abby –
- Cosa è accaduto in seguito? – chiese Sara incuriosita da quel racconto affascinante. Si rese conto che le era molto simile. Non aveva mai provato con nessuno quella sensazione di uguaglianza, non solo caratteriale, ma anche sociale.
- Siamo andati via dalla Scozia, non la sentivamo più casa nostra e ci siamo ricostruiti una vita a Londra –
- E adesso siete uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra – puntualizzò lei.
- Mai quanto Spencer –
- Gli volete un gran bene, si vede lontano un miglio –
- Certo, è come un fratello. In questi ultimi anni è stato la mia spalla. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza –
Alcuni passi si fecero sempre più pesanti e dopo poco si materializzò Spencer accanto a loro.
- Morrison, cosa ci fai qui lontano da tutti? La signorina Stanley mi ha chiesto più volte di giocare a Whist. Cosa ne dite? –
- Volete giocare con noi Sara? –  chiese James, ma Spencer rispose prima che potesse farlo lei.
- Credo che alla signorina Wood faccia molto più piacere trascorrere la sua serata in compagnia della signorina Taylor –
Sara lo guardò in preda alla rabbia. Quell’uomo superava sempre ogni limite.
- Amanda mi sta aspettando, magari più tardi – disse lei rivolgendosi a James che sembrò dispiaciuto, poi seguì il suo amico verso il tavolo da gioco.
 
Lord Cavendish, Charles, lord Stanley e il signor Taylor stavano discutendo di politica sul fondo della sala. Spencer, Elisabeth, Caroline e James erano impegnati in una partita di Whist, mentre Sara ed Amanda erano con il resto delle signore davanti al camino, le quali non facevano altro che discutere dei possibili matrimoni dell’imminente stagione e dei pettegolezzi più piccanti che provenivano dalla capitale.
- Avete sentito cosa è accaduto a lord Clinton? – disse lady Stanley suscitando la curiosità delle signore.
- Cosa avete saputo Constance? – chiese la signora Taylor. Sara osservò il viso di lady Stanley contorcersi in una strana smorfia mentre scuoteva la testa. Dopo alcuni secondi finalmente parlò.
- Anne, non potreste immaginare cosa gli sia accaduto. Povero! –
- Lady Stanley, mia madre è curiosa di sapere di quale succulento pettegolezzo siete a conoscenza –
La signora Taylor guardò sua figlia con rimprovero. Non per le parole usate, bensì per il suo comportamento. Sapeva benissimo che lei e Sara la tolleravano poco, ma era pur sempre una contessa e per tanto meritava rispetto.
- Oh, Amanda il povero lord Clinton è stato abbandonato da sua moglie, la quale è fuggita con il suo amante. Un giovane contadino –
- Non vi trovo nulla di entusiasmante – continuò Amanda – al giorno d’oggi sono cose che accadono spesso –
- Sì ma è fuggita un mese fa e lui continua a sostenere che si trova a casa allettata. Povero, si vergogna così tanto di ciò che la moglie gli ha fatto, ma allo stesso tempo la vuole coprire dai pettegolezzi che ne sarebbero suscitati –
- Come alla fine è accaduto – concluse Amanda.
- Mi dispiace per lord Clinton, deve essere doloroso essere abbandonato dalla propria moglie – continuò la signora Taylor, la nonna di Amanda che stranamente aveva deciso di accettare l’invito.
- Non credo sia per amore, piuttosto per la vergogna di sé stesso. Sappiamo tutti che agli uomini non interessa nulla di noi donne, tranne che nel letto -
- Amanda! – l’ammonì sua madre, ma a lei non importò perché diceva sempre ciò che pensava. Per questo Sara l’ammirava.
Mentre le altre signore parlavano, Sara era attratta da tutt’altro. Sul lato opposto c’erano i quattro giocatori seduti intorno al tavolo verde. Caroline si trovava tra i due uomini e ciò la innervosì profondamente. Caroline non solo era giovane e bella, ma portava in eredità un ambito titolo, al contrario di lei che non avrebbe potuto offrire nulla se non una piccola dote.
Era forse gelosia quella che stava provando?
– Sara? Ci sei? – Amanda, con la sua voce destò Sara dai suoi pensieri.
– Tutto bene, dove dovrei essere? –
- Questo devi dirmelo tu. Questa sera ti sento così assente –
Sara sbuffò, in modo poco elegante – Non lo so Amanda, la presenza di Caroline e sua madre nella medesima stanza è insostenibile –
- Hai ragione, è da quando siamo arrivati che lady Stanley non fa altro che parlare di sua figlia, del nuovo guardaroba che le ha acquistato per la prossima stagione e della speranza che trovi un buon partito prima della fine di essa –
- Sto cercando di non sentirla – esclamò sinceramente Sara, ritornando con lo sguardo su James.
- Sara, dimmi la verità perché sei così distratta? – ma Sara non le rispose. Sentiva che in quel momento non avrebbe potuto dire la verità ad Amanda a causa di Lady Stanley che le lanciava continue occhiate di disapprovazione.
All’improvviso Amanda si alzò e annunciò alle altre donne – Vorrete scusarci, ma io e Sara abbiamo bisogno di sgranchirci le gambe. Voi continuate pure a conversare senza di noi, ci allontaneremo solo per pochi minuti –
Tutte le guardarono incuriosite, chiedendosi quale fosse il reale motivo per cui due giovani donne preferissero la loro intimità invece della loro compagnia. Raggiunte il lato opposto della sala, Sara ed Amanda si soffermarono di fronte alla quadreria.
– Guarda Sara! Guarda questo quadro, ricordi? –
– Si lo ricordo –
Entrambe ritornarono per un secondo bambine, quando la loro vita era fatta solo di sogni – Ricordi volevamo avere un amore come il loro e invece oggi non li invidiamo affatto –
- Allora la loro storia ci sembrava la più romantica al mondo – si affrettò a dire Sara, osservando lo sguardo innamorato di Paolo rivolto a Francesca.
- Venivamo di nascosto in questa stanza solo per osservarlo – dichiarò Amanda tenendo a braccetto l’amica – adesso siamo cresciute e non crediamo più che l’amore sia un sogno –
- A volte ci penso, a loro due. Vorrei ancora trovare una persona che mi ami come Paolo ha amato Francesca –
- Amor, ch’al nullo amato amar perdona, mi prese costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona… - Amanda recitò alcuni versi della Divina Commedia.
– Ancora ricordi? – le chiese Sara stupefatta.
– Come dimenticare le lezioni della signorina Thomas! Amava profondamente Dante! –
Dopo aver riso e ricordato la loro infanzia, Amanda le chiese - Adesso che sei a tuo agio vuoi parlare? –
Sara la guardò e sospirò – Può sembrare stupido, ma…- tacciò improvvisamente.
- Ma, cosa? Parla altrimenti ti costringerò e sai che posso farlo –
- Non oserai! –
- Si vede che non hai imparato a conoscermi in questi anni – disse Amanda scherzosamente, rivolgendole un sorriso dolce.
– Guardali Amanda – indicando il tavolo da gioco di fronte a loro.
- Cosa succede Sara? – le chiese Amanda, cercando di capire cosa volesse dirle l’amica.
- Caroline sta cercando di conquistare James, è così chiaro –
Amanda fu sorpresa di vedere Sara gelosa di quell’uomo. Le era piaciuto sin dall’inizio ed era convinta che fosse adatto al carattere mite dell’amica.
- Non essere paranoica, James non la sta guardando nello stesso modo in cui guarda te. Si vede che ti ama –
- Non prendermi in giro Amanda –
- È vero, se solo aprissi gli occhi te ne accorgeresti –
Non poteva essere vero, lei non era la protagonista di un romanzo, lei non avrebbe mai conquistato il cavaliere dall’armatura argentata.
- Forse sarebbe meglio che tu vada vicino al tavolo –
- Non credo proprio! –
- Tu credi? – rimarcò Amanda con convinzione, trascinandola con sé. 
 
Giunte al tavolo da gioco Sara e Amanda si posizionarono in modo che James potesse vederle. Il suo intento era far capire all’amica quanto quell’uomo la desiderasse. E secondo lei l’amasse. Appena le vide infatti, gli occhi di James brillarono.
- È come dicevo io. Si è accorto immediatamente della tua presenza e sicuramente adesso non smetterà di guardarti –
Sara alzò gli occhi al cielo, convinta che l’amica esagerasse, e invece…
- Morrison stai perdendo –
Spencer aveva sul suo viso un sorriso soddisfatto come se la vittoria ad una partita di Whist fosse un traguardo importante.
- Non è ancora finita Cavendish, sai bene che ho sempre un asso nella manica –
- Vi siete dimenticati di me, sarò io a vincere tutto –
Elisabeth aveva uno sguardo di vendetta che metteva quasi i brividi. Caroline invece, sembrava quasi un agnellino indifeso fra tre leoni.  All’improvviso si levò un grido di vittoria.
- Ho vinto! – disse con soddisfazione James – non mi avete ascoltato Cavendish e la sconfitta è la punizione che meritate. Non è ancora giunto il giorno in cui riuscirete a sconfiggermi –
Sara fisso per lunghi secondi il volto rammaricato di Spencer e nonostante avesse vinto l’uomo che adorava rimase dispiaciuta per lui.
Assurdo!
- Andiamocene Caroline, sono stufa di giocare –
- Ve ne andate sorella solo perché siete stata sconfitta –
Elisabeth non rispose alla provocazione del fratello che sogghignava per il semplice gusto di prendersi gioco di lei. Decise invece, di alzarsi e condurre al suo fianco Caroline.
- Signorine volete giocare? – chiese James ad Amanda e Sara che erano rimaste a guardarli.
- Avanti, una sola partita – Spencer le stava incitando? Sara non avrebbe mai rifiutato una sua sfida. Così per il puro gusto di vederlo sconfitto accettò.
- Sara io non so giocare bene quanto te – le disse Amanda, accostandosi all’orecchio per non farsi udire dai due uomini al tavolo.
- Non importa, fai solo del tuo meglio –
Sistemate al tavolo, James alzò il mazzetto di carte e Sara si rese conto che la sorte non era affatto dalla sua parte. Amanda fece coppia con James, mentre lei capitò con Spencer. Amanda proseguì poi, al taglio del mazzetto e infine furono distribuite a ciascuno di loro le carte.
Per tutto il tempo, Spencer non smise di guardare Sara per un secondo, mettendola in uno stato di insopportabile agitazione.
- Cavendish, credo che anche questa volta sarai sconfitto – riferì James con compiacimento. Sara si era resa conto, in quelle poche settimane, che James era una persona competitiva soprattutto con Spencer.
- Io non canterei vittoria così presto –
- Mi state forse minacciando? –
- Finito! – disse Sara deponendo l’ultima carta sul tavolo, lasciando tutti a bocca aperta.
- Siete stato solo fortunato Cavendish, se non ci fosse stata la signorina Wood non avreste vinto –
- Tu credi? – alzandosi dal tavolo senza neppure un saluto, ma prima di lasciarli guardò ancora una volta Sara, la quale si sentì quasi mancare. Per sua fortuna era seduta ancora sulla sedia.
- Siete stata molto brava, Cavendish ha vinto solo grazie a voi –
- Smettetela di elogiarmi o mi mancherete ancora di più quando andrete via. Non oso immaginare la mia vita senza i vostri mille complimenti –
- Quindi vi mancherò? –
James rimase lì ad attendere una sua risposta, che sembrava non giungere mai. Alla fine lei rispose semplicemente – Certo, siamo amici –
 
Elisabeth se ne stava seduta sul divano da sola ascoltando i suoi pensieri. A Londra era riuscita brillantemente a gestire la sua gelosia nonostante lo avesse incontrato ai ricevimenti mondani in compagnia di magnifiche dame, ma adesso era tutto diverso. Sapeva che Sara non era una semplice dama.
Lo conosceva bene da capire quando fosse innamorato. Li aveva osservati bene e James non aveva occhi se non per Sara. Quegli stessi occhi che una volta guardavano lei. Senza volerlo s’immaginò James baciare il corpo immacolato, morbido e lucente di Sara.
Doveva smetterla! Lui l’aveva dimenticata, aveva già fatto la sua scelta tempo fa e le cose non sarebbero ritornate come prima. Nonostante l’aiuto chiesto a Spencer, quei due non facevano altro che starsene insieme.
Ripensò agli ultimi anni trascorsi insieme, all’amore che li legava e alla sofferenza provata dopo, poi il suo pensiero si spostò sul piccolo William. Ogni volta che lo guardava le ricordava James. Era l’unica prova concreta del loro amore. In più occasioni aveva avvertito il desiderio di dirglielo, ma ogni volta ritraeva. Non meritava di sapere che William era suo figlio. Lui l’aveva abbandonata per proseguire le sue ambizioni. Aveva sepolto il loro amore per un titolo.
Ciò che la faceva più rabbia era che Sara non possedeva nulla, eppure lui l’aveva scelta. Giurò che un giorno si sarebbe vendicata per un tale affronto.
Improvvisamente giunse James.
- Non sapevo ci fosse ancora qualcuno qui –
Elisabeth era rimasta da sola nel salotto a meditare sul suo passato e cercare di trovare una via di fuga dalla sua malinconia, quando James vi entrò.
- Stavo salendo in questo preciso momento – disse lei affranta dal suo sguardo privo di emozione.
- Elisabeth – la chiamò James, prima che lei sparisse – vorrei che sappiate che sono stato felice di rivedervi. Vi trovo molto bene. Devo confessarvi che mi mancate –
Elisabeth non si sarebbe mai aspettata tale affermazione, ma continuò a tacere ascoltandolo attentamente.
- Non fraintendetemi, mi mancate come amica. Siete stata importante per me –
- Vedo che mi avete sostituita bene con la signorina Wood –
- Elisabeth, lei è più di un’amica – tenne a precisare.
- Congratulazioni, la signorina in questione ne è al corrente? –
- Non ancora, ma ho intenzione di dichiararmi –
Il cuore di Elisabeth si spezzò ancora una volta. Doveva andare via, non poteva mostrare le sue lacrime a quell’uomo.
- Vi esorto di farlo al più presto, così potremmo gioire con voi –
In pochi secondi James rimase solo. Prima di poter parlare con Sara dei propri sentimenti doveva essere certo che Elisabeth non rappresentasse un ostacolo. Sara faceva parte di quella famiglia e se fosse diventata sua moglie l’avrebbe incontrata anche in altre occasioni. Forse avrebbe fatto meglio a raccontarle tutto. Non avrebbe potuto perdere quella felicità per la gelosia di un’altra donna. Non era sciocco, sapeva bene che Elisabeth provava ancora lo stesso trasporto di mesi prima. Lo aveva percepito anche a Londra, ma adesso le cose erano cambiate. Adesso aveva Sara. Dunque decise che al più presto le avrebbe parlato.
Elisabeth e James ritornarono nelle proprie stanze ignari di essere stati oggetto di interesse di due occhi indiscreti e curiosi. Caroline Stanley era ritornata nel salotto dei Cavendish per riprendere il suo ventaglio e mai si sarebbe aspettata di ascoltare una conversazione così tanto interessante. Lei non era come sua madre, non avrebbe mai rivelato ciò che aveva scoperto, almeno se non fosse stato necessario. Nel totale silenzio prese il suo ventaglio e ritornò alla vettura che la stava attendendo.
 
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


James poteva affermare di essersi divertito molto quella sera e per la prima volta, dopo mesi, era riuscito ad aver una conversazione normale con Elisabeth. Non era più la donna sicura che aveva lasciato. Sembrava avvolta da insicurezze e timori, gli era sembrata fragile. I suoi pensieri ritornarono su Sara. Perché aveva detto che erano amici? Lui non la vedeva affatto come un’amica. No, lui la considerava qualcosa di più.
- Morrison! –
- Oh, Spencer cosa ci fate qui? –
- Potrei chiedere lo stesso a voi – rispose lui, avvicinandosi a James affacciato alla ringhiera della grande terrazza mentre fumava un sigaro.
- Ne vuoi? – chiese James, porgendogli il sigaro che aveva tra le dita, ma Spencer scosse la testa. Aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai più fumato dopo aver visto i polmoni di un cadavere.
- Scusa, mi sono dimenticato che non fumi più. Martin non avrebbe dovuto mai mostrarci quell’oscenità –
- Vedo che a te non ha procurato nessun effetto –
James non avrebbe mai rinunciato alla sensazione di benessere che un sigaro sapeva infondere nel suo corpo. Soprattutto quando si sentiva nervoso.
L’aria quella sera era insolitamente mite. Non tirava un alito di vento e il paesaggio era completamente immerso nell’oscurità. Se non fosse stato per i raggi della luna Spencer non avrebbe notato l’espressione rattristata dell’amico.
- Cavendish fra qualche giorno partirò per Londra. Devo occuparmi di un cantiere e non so per quanto tempo starò via –
- Verrò con te – annunciò, senza guardarlo negli occhi.
- Perché mai Spencer? – chiese James con incredulità, ispirando un alito di fumo
– non volevi rimanere qui per un altro mese? –
- Ho delle responsabilità a Londra e sono mancato per troppo tempo. Quando ritornerò in parlamento non oso pensare cosa mi diranno quei vecchi volponi – una smorfia comparve sul suo volto lievemente increspato dalla barba.
- Non vorrei ritrovarmi nei tuoi panni Cavendish –
Spencer gli sorrise, ma fu per poco. Ritornò ad assumere la sua solita espressione seria – Inoltre l’aria di casa mi ha stancato –
- Siete un nomade. Non appena ritornerete a Londra, partirete per una nuova meta, magari con qualche incarico importante – James lo colpì con un lieve pugno senza ottenere un sorriso da parte sua.
- Non sarebbe male lasciare l’Inghilterra per anni –
Ciò che Spencer aveva appena detto, non era la pura verità. Certo, doveva occuparsi dei suoi affari e mantenere alta la sua posizione in parlamento, ma il vero motivo di quella decisione era Sara. Non riusciva più a sopportare di averla così vicina, ma allo stesso tempo lontana. Doveva dimenticarla e in quella casa non lo avrebbe mai fatto.
Avvolto nei suoi pensieri, Spencer non si era reso conto della sofferenza dell’amico finché quest’ultimo non parlò.
- Io credo che ritornerò presto. Devo parlare con Sara o non sarò mai pronto ad occuparmi del lavoro– disse cupo.
- A volte sei così sciocco, hai degli obblighi verso la tua società e tu perdi il tempo verso una donna? –
- Non è una perdita di tempo l’amore, forse a te non importa, ma a me sì. Non sai cosa significa vivere senza amore ogni giorno –
Spencer conosceva bene le pene dell’amico. Dalla morte dei suoi genitori aveva cercato perdutamente, in ogni piccolo angolo della terra, l’amore. Aveva avuto molte donne, ma nessuna lo completava interamente.
- Lei è quella giusta e non voglio farmela scappare –
- Non ho detto che non devi perseguire i tuoi desideri, ma devi occuparti anche delle tue responsabilità con impegno –
James sapeva che Spencer aveva pienamente ragione, avrebbe dovuto compiere i suoi doveri e non trascurarli come stava facendo. Sarebbe andato a Londra e non avrebbe affrettato le cose, in fin dei conti era un cantiere importante quello che lo aspettava. Appena sarebbe stato il momento sarebbe ritornato.
- Possiamo partire fra due giorni –
- D’accordo Morrison, adesso riconosco l’uomo ambizioso che è in te. Allora andrò ad annunciare la notizia a mio padre – Spencer non avrebbe mai lasciato che l’amico cambiasse idea, non avrebbe sopportato che rimanesse solo con Sara.
 
- Sara vogliamo fare una passeggiata nel parco? – le chiese Georgiana un pomeriggio.
Sara diede un’occhiata al cielo che per tutta la mattina non aveva fatto altro che piovere. Le disse di sì, con la certezza che Bessie le avrebbe massacrate al loro ritorno, ma in fondo cosa sarebbe stato un po' di fango?
Ovviamente William non andava da nessuna parte senza sua sorella, così Sara si ritrovò ad accudirli entrambi. Per sua fortuna James le aveva proposto di passeggiare con loro.
- Georgiana, non allontanarti con tuo fratello – l’avvisò Sara, ma la ragazzina era troppo impegnata a divertirsi.
James, ormai solo con lei ne approfittò di quel momento per annunciare la sua imminente partenza.
- Tra una settimana? –
- Non posso dilungarmi oltre, mi aspettavano già la settimana scorsa e adesso non posso più deluderli –
- Oh, questo mai. Spero che al più presto possiate tornare a Derwentt House. Il duca vi trova una persona interessante e avrà anche lui il piacere di rivedervi –
- Tornerò qui con immenso piacere e con un vostro invito riuscirò ad andarmene con più tranquillità, soprattutto perché so che la mia presenza è a voi gradita -
Continuarono a passeggiare mentre i dorsi delle loro mani si sfioravano appena per la vicinanza. Sara non avvertì però, nessun brivido.
Perché?
- Vorrei tanto vedervi a Londra questa stagione –
- Non so se vi parteciperò, mi sento così fuori luogo in quella situazione, tra donne giovani e belle –
- Anche voi lo siete. Giovane e bella –
Sara arrossì per il complimento fattole con tanta gentilezza, ma soprattutto perché l’uomo a porgerglieli era un vero gentiluomo.
- Vi ringrazio –
- Siete in cerca di una moglie, giusto? –
- Ve lo hanno riferito allora –
Sara annuì, un po' amareggiata. Non credeva affatto che James potesse essere interessato a lei come in tanti sostenevano.
- Credo di averla trovata, sapete? –
Sara lo guardò in modo interrogativo. Sicuramente non era lei, no affatto! Non ebbe il coraggio di chiedere oltre, così cambiò argomento.
- Io preferisco rimanere qui, Londra è troppo caotica per i miei gusti. Non so come facciate ad amarla –
- Io adoro il caos, ho paura di essere inghiottito dalla solitudine. Prima di poche settimane fa, non avrei mai detto che la campagna fosse così rilassante –
- E cosa vi ha fatto cambiare idea? – chiese ingenuamente Sara mentre si sistemava una ciocca sfuggita dall’acconciatura.
- Voi – rispose semplicemente James, rendendo Sara così tanto nervosa da non riuscire a sistemare quella ciocca.
- Venite qui, vi aiuterò a sistemarla –
Quando si avvicinò a lei, poté sentire il suo odore forte e speziato, un profumo insolito, sicuramente non inglese. Doveva aver viaggiato molto grazie al suo lavoro e lei lo avrebbe seguito molto volentieri.
- Signorina Wood, posso farvi una domanda indiscreta? –
- Ditemi –
- Vi manca vostra madre? –
A tutto avrebbe pensato tranne che potesse porle quella domanda. Eppure lo aveva fatto. Ma perché?
- Scusate se ve lo chiedo, ma ho visto come guardavate lady Stanley. Penso sia per il rapporto che ha con sua figlia e ho pensato che questa cosa vi manchi terribilmente. A volte penso che se mi sposassi Abby potrebbe avere una figura di riferimento femminile su cui poggiarsi. Per quanto mi riferisca tutto, ci sono cose che non può dirmi visto che ormai è una donna –
- Capisco la vostra angoscia, ma credo che siate un buon punto di riferimento per lei. Per quanto riguarda la vostra domanda, sì mi manca molto – poi divenne improvvisamente cupa.
- Ho sbagliato a porvi quella domanda –
- No, affatto, ma quando penso a lei mi sento sola – disse con rammarico.
- Vuoi non siete sola, avete il duca, Amanda e la signora Cooper che secondo lord Cavendish è come una madre per voi –
- Si è così – sorrise – lei mi ha salvato due volte –
James era attento a non perdere neppure il più piccolo particolare di quelle confidenze. Quando conversavano era come se si conoscessero da tempo.
- in che modo vi ha salvato? –
- Quando mia madre è morta e quando…- le si mozzarono le parole in gola – quando mia madre è rimasta incinta. Lei non l’ha cacciata via, come ha fatto la sua famiglia –
- Avete mai incontrato i vostri parenti? –
- No, mai – gli rispose con un filo di voce.
Solo in quel momento comprese quanto si sentisse sola quella meravigliosa ragazza e nonostante questo era affabile con chiunque.
Così si sentì di chiedere - Ma lo desiderate? –
Quella domanda la stupì. Si, certo che lo desiderava, ma non avrebbe mai avuto l’iniziativa di andarli a cercare e poi, se non l’avessero accolta? Si sarebbe sentita ancora più umiliata.
- Non credo che vogliano vedermi, altrimenti lo avrebbero già fatto –
- E se non sapessero della vostra esistenza? –
Una motivazione plausibile, ma sicuramente non corrispondente al vero. Tutta Londra sapeva che Lily Wood aveva partorito il figlio di chissà chi.
- Sto bene così, ho intorno a me persone che mi amano e questo mi basta –
- Non mentite a voi stessa, voi desiderate sapere perché hanno abbandonato la loro figlia e voi. Quel vuoto rimarrà incolmabile –
Aveva ragione, assolutamente ragione.
- Io non ho il coraggio di scoprire dove sono –
James non demorse e le accennò il suo più grande desiderio di vederla felice.
- Lo farò io per voi –
 
Elisabeth Herbert si sentiva sempre più annoiata. Quelle giornate trascorrevano lente e sempre allo stesso modo. Aveva bisogno di un po' di svago, così invitò per un tè la signorina Caroline Stanley. Come si conveniva, la ragazza arrivò all’appuntamento puntualissima. Appena la vide, Elisabeth giudicò il suo abito troppo sfarzoso per un incontro pomeridiano.
- Caroline, se volete vi aiuterò a sistemare il vostro guardaroba per l’ingresso in società – le propose, mentre le versò una tazza di tè.
- Oh, siete molto gentile, ma mia madre si è già occupata di tutto –
- Per caso si è occupata anche dell’abito che indossate oggi? –
Elisabeth sapeva essere davvero una donna maligna. Caroline arrossì per l’imbarazzo perché la contessa era nel giusto. Fino a quel momento non aveva mai criticato le scelte di sua madre, ma adesso era tutto diverso. Adesso avrebbe potuto essere la nuova duchessa di Derwent House.
- Quest’anno entrerete in società e dovete cercare di distinguervi dalle altre fanciulle che come voi sono in cerca di un marito –
La ragazza annuì. Elisabeth continuò a parlarle di moda e di etichetta finché non le chiese le disse - Un uomo preferisce sempre una donna illibata, perché la considera una moglie più attenta e più rispettosa –
- Certo, ma…. –
- Cosa vi succede? –
Fu allora che Caroline si confidò sulla questione di Oliver Fisher.
- Lo vedete ancora? – chiese subito Elisabeth.
Caroline non rispose subito a quella domanda ed Elisabeth si accorse della sua espressione triste. Lei conosceva bene le pene d’amore e in questo era molto vicino a quella povera ragazza.
- No, lady Herbert. Da quando mio padre ci ha trovato a Dover dove volevamo prendere un transatlantico per fuggire a New York, non l’ho più rivisto –
- Cosa è accaduto? Se non sono indiscreta –
Elisabeth non si interessava mai dei problemi altrui, ma in quel caso aveva percepito in Caroline le giuste qualità per assumere il ruolo di duchessa. Era una ragazza timida che col tempo avrebbe saputo gestire sia la casa sia Spencer. Avrebbe portato al ducato un grande lustro. Certo sua madre era una pettegola ed Elisabeth poco la tollerava come chiunque altro, ma oltre questo quella ragazza era decisamente perfetta. Voleva solo capire se la cotta per questo Fisher faceva ormai parte del passato.
- Quando mio padre è giunto a Dover insieme ai miei cugini era infuriato e mi ha trascinato con la forza fuori dall’alloggio. Invece Oliver… -
- Cosa gli hanno fatto? –
Elisabeth diede l’impressione di essere davvero interessata a quelle confidenze così che Caroline potesse aprirsi totalmente a lei.
- I miei cugini lo hanno picchiato ed io non ho potuto fare nulla per salvarlo – lo disse mentre una lacrima che le cadde dalle ciglia. A questo punto c’era un altro dettaglio da considerare.
- Caroline, non consideratemi inopportuna, ma siete ancora vergine? - era una domanda delicata, lo sapeva, ma Spencer non avrebbe potuto sposare una donna compromessa.
- Oh, posso rispondervi tranquillamente. Non ho mai condiviso i piaceri coniugali con Oliver. Ci saremo dovuti sposare a New York e solo allora avrei accettato di donarmi a lui –
- Bene, allora non ci sono motivi per cui vi preoccupiate. Io sosterrò la vostra causa siatene certa. Voi dovete solo imparare ad essere ciò che un uomo desidera ed io posso aiutarvi –
Caroline ne fu felice. In cuor suo sperò di essere finalmente notata da Spencer e forse grazie all’appoggio di Elisabeth lui se ne sarebbe innamorato, ma fu troppo timida da esporre quel suo desiderio a quella donna. Come le aveva detto sua madre, adesso doveva solo diventare una buona amica di Elisabeth.
 
 
La conversazione avuta con James qualche giorno prima fu d’aiuto per Sara per comprendere che in lei c’era un vuoto e che lo avrebbe colmato solo se avesse incontrato i suoi parenti.
– Agathe mi avete fatto venire l’acquolina in bocca! Posso averne un pezzo? –
La cuoca posò davanti ai suoi occhi un gustoso Orange Fool – Certo che potete mangiarlo, l’ho preparato appositamente per voi signorina –
Sara mise in un piatto di finissima porcellana una porzione di quella prelibatezza
– Sapete quanto sono golosa e voi ne approfittate per viziarmi. Alla fine diventerò grassa –
- Non avete nulla di cui lamentarvi. Inoltre con un po' di grasso sarete anche più piacente –
Conosceva Agathe da molti anni ormai, era sempre stata generosa con lei e le dimostrava il suo affetto attraverso la sua cucina.
- Smettila Agathe, lasciate in pace la signorina Wood. Il problema è che voi siete ossessionata dal grasso –
Frank strigliò sua moglie dal lato opposto della cucina, ponendo sul pavimento delle grosse casse di verdura.
- Smettila tu brontolone! – 
Agathe si avvicinò alle casse senza smettere di lamentarsi con il marito che sbuffando se ne andò così come era arrivato.
- Signorina Wood –
- Jack! Come vi sentite? Mi scuso per essere stata assente, ma in casa c’è molto da fare e non solo con essa – lanciando un’occhiata di approvazione da Bessie che stava lì in silenzio gustando ciò che Agathe aveva cucinato. Erano sorelle, ma anche tanto che erano diverse. Agathe era estroversa, mentre Bessie aveva paura di qualsiasi cosa intorno a lei.
- Gli è passato tutto! Sono bastati alcuni giorni di riposo e le premure di una certa signorina – rispose Agathe strizzando un occhio.
Il ragazzo, rosso in viso, sparì come un filmine dalla cucina per l’imbarazzo.
- Alene dimostra chiaramente il suo affetto per Jack – ripose Bessie mentre aiutava sua sorella a pelare le patate.
- Me ne sono resa conto anche io –
- Credo anche che Jack ricambi quei sentimenti – si affrettò a dire Agathe.
Dal giorno della caduta da cavallo Alene non smetteva di fargli visita ogni volta che poteva. Sara sapeva che Jack era davvero un bravo ragazzo. Sarebbe stato adatto per Alene.
- Dovete escogitare un modo affinché quei due giovani possano dichiararsi signorina! – continuò Bessie.
Ma come farlo? Alene era così timida che non si sarebbe lasciata manipolare in nessun modo. Ma ci avrebbe almeno provato.
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
Tornando dalla sua solita passeggiata pomeridiana, Sara decise di andare in visita dai Taylor. Per sua fortuna Amanda era in casa.
Le due amiche presero il tè e all’improvviso Amanda le rivelò di essersi scritta in quelle settimane con il duca di Northumberland.
- Davvero? E tu così me lo dici –
- Mi sento molto in imbarazzo. È la prima volta che mi innamoro così –
A differenza di Sara, Amanda si innamorava molto velocemente degli uomini, ma si trattava sempre di futili innamoramenti che durava più o meno una settimana. Invece adesso, Amanda sembrava fare sul serio.
- Oh, ma non dovrei! Mio padre vorrebbe farmi sposare con il vicedirettore del giornale e mia madre appoggia la sua decisione –
Jacob Evans era gran lavoratore e un uomo di piacevole aspetto, se non fosse per la sua indole impacciata. Dopo diversi tentativi era riuscito ad ottenere l’assenso di Amanda per una passeggiata in Hyde Park e in quell’occasione aveva deciso di portare con sé il proprio cane, forse per addolcire il cuore duro della sua accompagnatrice. Fu la domenica peggiore della vita di Amanda. Quella palla di pelo aveva iniziato improvvisamente a correre velocemente tra la folla e Jacob, nel tentativo di afferrarlo, era finito per far cadere Amanda sul viale davanti a mille occhi indiscreti. Dopo averle porto le sue più sentite scuse, le promise di fare ammenda. Nei giorni successivi non c’era una sola persona in società che non parlasse di quel momento imbarazzante. 
- Perché non dovrebbero accettare un duca? –
- Perché non crederebbero mai in noi! Mi direbbero che è una cosa impossibile –
In effetti i Taylor erano una coppia molto realistica. Sapevano di non aver un titolo e di possedere una discreta somma di denaro da poter offrire alla loro ultima figlia. Per loro i matrimoni tra i sangue blu avvenivano solo per convenienza e nessun duca, conte o principe avrebbe mai sposato Amanda solo per amore.
- Credi che Percy si stia comportando seriamente con te? –
- Certo Sara, parliamo tanto e mi ha detto di non essersi mai aperto con nessuna donna come con me –
Amanda era davvero innamorata, Sara glielo leggeva negli occhi verde smeraldo.
- Se è così, non puoi tacere questo sentimento –
Amanda la guardò impaurita – Mi ha detto che vuole condividere con me le gioie coniugali–
- Davvero? E cosa hai risposto? – era una notizia entusiasmante, ma allo stesso tempo preoccupante. Sapeva bene che Amanda era ancora vergine e non le avrebbe mai permesso di essere tanto avventata.
- Ovviamente ho risposto che non posso, ma in verità lo vorrei tanto –
Sara comprendeva perfettamente quella sensazione. Sentiva che la sua mente desiderava un uomo come James, mentre il suo corpo un’altra persona. La voglia di essere tra le braccia di Spencer, mentre la baciava teneramente sul collo, sui seni e sulle cosce era straziante. Cercava di celare quella voglia, ma le era impossibile da sopportare.
- Hai ragione, ma non fare nulla di cui puoi pentirti –
- Lo so Sara. Tra qualche giorno ritornerò a Londra e sicuramente lo rivedrò, ma non mi lascerò trasportare dai sentimenti. Te lo giuro –
 
Di ritorno a casa Sara si soffermò ad osservare il paesaggio che stava cambiando sempre di più. La radura sembrava un mondo magico, silenzioso e tranquillo. Quando raggiunse il tratto di strada dove aveva incontrato James e Spencer, si fermò.
Spencer.
Ogni qual volta si trovava a pensarlo sentiva una stretta allo stomaco. Così chiuse i suoi occhi e lo immaginò con il suo splendido sorriso e i modi gentili avuti quel giorno nei suoi confronti. Magari si comportasse sempre a quel modo. I suoi ricordi però, furono interrotti da una voce familiare.
– Signorina Wood! –
Quando riaprì i suoi occhi, riconobbe il marchese di Kedleston che si avvicinava a lei.
- Lord Curzon, vi trovo in ottima forma –
- Non smetto mai di passeggiare. È questo il mio segreto –
Era un uomo gentile e premuroso, sapeva sempre come farla ridere di cuore. Nei suoi ricordi il marchese è sempre stato accanto a lord Cavendish in ogni momento della loro vita. Erano inseparabili.
- Vi trovo bene Sara. Ditemi come sta quel brontolone di lord Cavendish? Sono giorni che non sento sue notizie –
- Sta bene, non curatevene troppo –
- È forte quanto una roccia, non esiste nulla al mondo che possa abbattere quell’uomo – rispose lord Curzon, ormai di fronte a lei.
- Potrei dire lo stesso di voi – disse Sara, felice di averlo rivisto.
Lo conosceva sin da bambina e per lei era stato un punto di riferimento. Era un uomo devoto a sua moglie e alla sua famiglia, un compagno fedele e un buon ascoltatore e molte volte lei stessa si era confidata con lui.
- Come sta lady Curzon? – gli chiese e immediatamente i suoi occhi cominciarono a brillare. Nonostante fossero sposati da tempo, guardava sua moglie sempre con lo sguardo di un giovane innamorato.
- Molto bene Sara, dovreste venire a Kedleston Hall. Conoscete i suoi problemi di salute, ma ha espresso il desiderio di vedervi –
- Verrò sicuramente – lui le sorrise teneramente, facendole segno di proseguire verso casa visto che il sole stava per calare e il freddo d’autunno si faceva sempre più pungente.
– Mi hanno detto che a Derwent House vi è un giovanotto interessato a voi – Sara per l’imbarazzò preferì guardare il sentiero di ciottoli.
- Cosa vi succede Sara? Tutti noi saremo felici di vedervi sposata –
- E se io non lo volessi? – disse dopo una piccola pausa.
Lord Curzon la guardò meravigliato come se non avesse compreso le sue parole.
- Perché dovreste volerlo? –
- Perché mi sento confusa – gli disse la verità. Avrebbe voluto amare profondamente James, ma la presenza di Spencer complicava ogni cosa.
- Quando sarete pronta farete il vostro passo. Lord Cavendish desidera vedervi sposata, ma non vorrebbe mai vedervi infelice –
Era davvero così, lo sapeva. Quando sarebbe stata pronta avrebbe percorso quella strada a testa alta e con il cuore gonfio d’amore.
 
In quelle settimane Derwent House si era dipinta di un altro colore. Un colore allegro, lontano dal grigio di tutti i giorni.
Eppure in quel momento, lord Cavendish se ne stava da solo nella stalla a guardare quei meravigliosi cavalli che nitrivano per la voglia di essere lanciati al galoppo.
Sbuffò.
Lui non avrebbe più potuto cavalcare, il suo corpo era ormai invecchiato e i tempi in cui poteva farlo erano lontani. Erano indimenticabili le corse con Lily, quando insieme sfidavano il vento cercando di essere più veloci di esso. La sua memoria lo provocava con i ricordi di una donna dai capelli corvino che lo incoraggiava a superare i propri limiti.
Lily era straordinaria. Lily era meravigliosa. Lily era diversa da chiunque altro. L’aveva tanto amata ed era stato ricambiato con estremo dolore. Eppure non l’aveva mai dimenticata e stava ancora lì, in quella stalla, ad aspettarla come quando erano giovani. Lei però, non sarebbe arrivata. Né in quel momento, né mai. Era andata via tanti anni fa, ma rammentava ancora i suoi splendidi occhi castani, gli stessi di sua figlia.
Sara.
Se l’aveva accolta nella sua famiglia, era stato per perdonare se stesso per aver abbandonato Lily al suo crudele destino. Si odiava ancora per questo, ma avrebbe fatto ammenda con Sara.
- John, sei qui! Non riuscivo a trovarti da nessuna parte e nessuno aveva la più pallida idea di dove fossi –
Il buon vecchio duca rizzò i suoi occhi avvizziti sulla figura alta e bilanciata dinanzi a lui.
– Qual buon vento George è da tanto che non ti vedo –
- Chissà per quale motivo! –
- È un tono canzonatorio quello che sento? – chiese sorpreso lord Cavendish – non mi sembra di meritarlo o sbaglio? –
Lord Curzon sospirò alzando le spalle – Non vi rendete conto di nulla, siete troppo distratto per accorgervi di un vostro amico? –
Lord Cavendish parve ricordare di una certa corrispondenza a cui non aveva dato molta attenzione in quelle settimane.
– Mmm ora che ci penso mi sono macchiato dalla colpa dell’infamia. Potrai perdonarmi? –
- Certo che ti perdono. Lo sai che non posso lasciare Clarissa da sola e questo mi impedisce di venire qui ogni volta che voglio. Speravo di mantenermi in contatto con te attraverso le lettere –
- Hai ragione George, ma sai ora ci sono i miei figli e i miei nipoti –
- E sei occupato con loro, lo so – lord Curzon concluse la frase guardando il volto rattristato dell’amico.
- Come sta Clarissa? Ormai ha sempre bisogno di te da quando il dolore alle gambe è peggiorato –
- Per nostra fortuna non è nulla di grave, ma deve stare a riposo. Credo proprio che quest’anno non parteciperemo alla stagione – disse con amarezza. Sarebbe stata la prima volta da quando erano entrati in società. Nonostante fosse sposata da tempo, Clarissa adorava assistere alla nascita delle nuove coppie e scommettere su chi durasse di più.
- Io invece credo di andarci –
Il marchese rimase stupito da quella confessione. Negli ultimi anni, precisamente dalla morte di lady Cavendish, John aveva fatto di tutto per tenersi lontano dagli avvenimenti mondani di Londra.
- Lo vuoi fare per Sara? – gli chiese, incuriosito da quella decisione e lord Cavendish annuì.
- Credo ci sia del tenero fra lei e il signor Morrison –
- E non vuoi spegnerlo proprio ora che il giovane va via suppongo – come sempre George terminava le sue frasi brillantemente.
- Esattamente – rispose John, rimanendo seduto su una panchina di legno.
- Come sta il nostro Spencer? –
George lo aveva visto nascere, crescere e diventare uomo. Gli voleva davvero un gran bene e sapeva che sarebbe diventato un perfetto duca.
- Lui è quello che mi procura più pena. Ha trent’anni e ancora non si è sposato! Deve capire che ha un compito da adempiere –
- Quando parli così sembri tuo padre –
- Se fossi come mio padre tremerebbero al mio cospetto –
Entrambi scoppiarono in una risata fragorosa. Il vecchio William Cavendish era stata una spina nel fianco per John per moltissimi anni.
Non gli aveva lasciato un margine di scelta. Tutto andava fatto secondo i suoi piani. Se avesse avuto il coraggio di buttare all’aria quel maledetto titolo forse sarebbe stato più felice, forse avrebbe avuto per sé Lily.
- Stai sereno amico, Spencer è diventato un uomo con la testa sulle spalle. In parlamento parlano tutti molto bene di lui. Ha una mente brillante ed è ostinato. Tutte qualità eccellenti per un uomo politico. Inoltre mi sembra che amministri molto bene la proprietà –
- Sono molto orgoglioso di lui non fraintendermi, ma deve pensare anche al ducato e agli obblighi verso di esso –
- Non avrà ancora trovato la persona che gli fa battere il cuore – gli fece notare George – lascia che s’innamori e non fare gli stessi errori di tuo padre –
Lord Cavendish non rispose per alcuni secondi, immerso tra i suoi pensieri. Forse l’amico aveva ragione, avrebbe dovuto lasciare che Spencer trovasse la donna giusta per lui.
- Sai, a volte ancora penso a lei – disse all’improvviso, prendendo in contropiede il marchese che si stava avvicinando ad uno stallone bianco.
- Mmm, di chi stai parlando John? –
- Di Lily –
George sospirò. L’aveva conosciuta tanti anni orsono ed era rimasto anche lui affascinato dalla sua bellezza e dalla sua forte personalità. Era certo che non esistesse donna migliore per il suo amico. Aveva cercato in tutti i modi di persuaderla ad accettare la proposta John, ma Lily era decisa nella sua scelta. Niente e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. Provò pena per l’amico che allora sembrava non voler più vivere, finchè non entrò Sara nella sua vita.
- Il tempo trascorre velocemente, gli anni passano e noi cambiamo – disse il duca malinconico.
- Forse tu John, io sono il giovane di sempre –
- Ti piacerebbe, purtroppo anche sul tuo viso sono comparse delle piccole rughe –
- Nonostante tutto siamo sempre qui – gli fece notare George, sedendosi accanto a lui.
- Avrebbe potuta esserci anche lei –
- La vita ha deciso per noi, non devi farti una colpa. Dopo tutti questi anni non sei riuscito a dimenticarla? –
Come avrebbe potuto? Era la donna della sua vita, nessuna l’avrebbe mai sostituita, neppure le amanti che aveva avuto in tutti quegli anni erano riusciti a fargliela dimenticare.
- Tu sei stato fortunato, hai sposato Clarissa -
- Ma sai che non l’amavo quando l’ho sposata –
- Però sei riuscito ad amarla, io invece non ho mai amato Grace e l’ho fatta solo soffrire –
Grace era stata una donna paziente, aveva aspettato e sperato che un giorno l’avesse amata come George aveva fatto con Clarissa, ma aveva atteso invano.
- Non pensarci amico fa tutto parte del passato. Devi solo goderti ciò che ti dona il presente –
- Spero che un giorno Grace mi perdoni per non essere riuscito ad amarla, ma non potevo proprio. Lily è stata troppo importante per me e lo è ancora oggi nonostante il mio comportato non sia stato da vero gentiluomo –
- Perché dici così è stata lei a rifiutare la tua proposta e nonostante tutto hai preso con te Sara donandole una vita dignitosa. Hai fatto tutto ciò che potevi –
- Forse hai ragione –
Forse…
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Alene si sentiva stanca così si recò in cucina per cenare, ma appena arrivò trovò Agathè indaffarata. Cercò di darle una mano, ma la donna l’allontanò.
- Cara, stiamo per servire la cena, siediti accanto al tavolo e gusta anche tu questa buona zuppa di carne –
Alene non se lo fece ripetere due volte e fece come Agathè le aveva proposto. Dopo alcuni minuti vide entrare Jack e arrossì di colpo.
Era bello come sempre, anche se il suo viso non era completamente pulito. Lei avrebbe fatto di tutto per baciare quelle labbra che sembravano essere scolpite dagli angeli.
- Alene, non sapevo che foste qui è un vero piacere rivedervi –disse lui con voce imbarazzata.
- Anche per me – rispose timidamente, sprofondando con lo sguardo nella zuppa. Anche Jack prese un po' di quella gustosa pietanza e la consumò accanto a lei.
- Guarda Agathè – disse suo marito – sembrano due fidanzatini –
- Lasciali stare, vecchio volpone. Perché non andiamo fuori? Ormai la cena è stata servita e così rimarranno un po' da soli –
Alene si rese conto, solo dopo un po', di essere rimasta sola con Jack nella stanza. Per l’imbarazzo ammutolì.
- Va tutto bene Alene? –
- Oh, certo va tutto bene – disse lei, in preda al panico - sono felice che siete qui con me, cioè di parlare con voi -
Jack si alzò e si sedette ancora più vicino a lei, poi poggiò una mano sulla sua con delicatezza – Anche io sono felice di essere qui. Quando sono con voi, il mondo diventa più colorato –
Alene era senza fiato. Non era mai stata tanto vicina ad un uomo come in quel momento. I loro sguardi si persero l’uno nell’altra, pronunciando parole per troppo tempo taciute.
- Forse sarebbe meglio che io vada – ma Jack non le permise di andare da nessuna parte, trattenendola per un braccio. Alene sentì il suo cuore palpitare più forte che mai e quando lui le sorrise non riuscì più a trattenersi e si avvicinò alle sue labbra, ma sul più bello Olga entrò.
- Jack sei qui! –
Alene, nel tentativo di spostarsi da lui inciampò nel suo stesso vestito, cadendo all’indietro sul pavimento.
- State bene? Non vi siete mica fatta male? –
Alene scosse la testa, mentre un piccolo dolorino alla schiena cominciava a farsi sentire.
- Mi dispiace, ma adesso devo proprio andare –
Sparì prima che Jack potesse aggiungere dell’altro. Olga rimase a guardarli incredula – Jack, cosa è successo ad Alene? –
- Non lo so – disse il ragazzo confuso.
Alene salì le scale di corsa, con il cuore che le martellava all’impazzata nel petto. Si diede un contegno solo quando raggiunse la propria camera. Lo amava, adesso lo sapeva ed era convinta che nessuno sarebbe mai stato tanto perfetto per lei.
 
Spencer aveva ricevuto una lettera da Londra in cui si richiedeva la sua presenza nella capitale. Aveva già preparato ogni cosa, doveva solo attendere James che sembrava non volesse mai fissare la data della partenza. Mentre sedeva comodamente sulla poltrona del suo studio, ripensò a Sara.
Una volta partito non avrebbe più potuto vederla. Le sarebbe mancata? Non lo sapeva, ma se pure fosse stato così non poteva più sopportare l’angoscia di non poterla possedere. Quella donna continuava a tormentarlo con il suo profumo irresistibile che era diventato una vera e propria droga per i suoi sensi. La fame che aveva di lei era tutt’altro che affievolita in quei giorni, per questo doveva allontanarsi da lì al più presto.
All’improvviso comparve Elisabeth a distrarlo dai suoi pensieri.
- State bevendo brandy a quest’ora? –
- Buon pomeriggio sorella, cosa vi ha spinto fin qui? –
Elisabeth gli si sedette dirimpetto su un comodo divanetto – Devo parlarvi di una questione importante, che sembra sfuggirvi di mano. Visto che nostro padre non trova il coraggio di affrontare questa situazione, sarò io a farlo –
Spencer la guardò infastidito.
- Io mi occupo sempre dei miei affari –
- Non mi sembra –
Perché gli parlava in quel modo? Certo era sua sorella maggiore, ma era lui ad ereditare il titolo.
- Su quale questione vi sembra che venga meno? – chiese con curiosità.
- Dovete trovare una moglie, avete da poco compiuto trent’anni e siete ancora scapolo. Non potete continuare in questo modo –
- Avete già in mente una candidata? –
Era certo che sua sorella avesse già una lunga lista di giovani di buona famiglia da sottoporgli.
- Certo, ne ho diverse, ma credo che la più adatta sia la signorina Caroline Stanley –
- Caroline Stanley? No, non credo proprio –
Di tutte le giovani che avrebbe potuto proporgli, quella era la più inadatta.
- Perché no? È una ragazza molto dolce e di buona famiglia –
- È una bambina e sua madre, oh, sua madre! – la guardò con rimprovero - io non sposerò mai Caroline Stanley, neppure se fosse l’ultima donna rimasta sulla faccia della terra –
- Siete troppo ingiusto, è una ragazza adorabile e migliore di molte altre sotto ogni punto di vista. Altri uomini accetterebbero subito di corteggiarla –
- Non io sorella e poi c’è uno scandolo che la riguarda –
- È vergine, me lo ha detto lei stessa – affermò con decisione Elisabeth. Era sicura che quanto Caroline le avesse detto corrispondesse alla verità.
- E vi fidate davvero della sua parola? –
- La sottoporremo ad un controllo, ovviamente – Elisabeth avrebbe richiesto lo stesso il parere di un medico per non mettere in imbarazzo suo fratello e la sua famiglia. Gli Stanley non avrebbero avuto nulla da ridire visto che la loro unica figlia sarebbe diventata la duchessa di Devonshire.
- Questo è assurdo –
- A Londra ve ne sono tante ad aver già consumato i piaceri coniugali e sono state considerate ottimi partiti, perché Caroline non dovrebbe? –
- Perché non è la donna adatta a me! Non voglio un matrimonio infelice come quello di nostro padre o come il tuo! –
Elisabeth lo guardò indignata. Non poteva affermare il contrario, ma il matrimonio era un contratto di interessi dove l’amore era solo una fantasia per alleviare l’angoscia di una vita noiosa.
- Non mi sembra però, che tu ti stia impegnando molto –
Non poteva permetterle di parlargli in quel modo – Da oggi in poi non voglio più sentirvi parlare di questa questione. Sono affari miei –
Tagliò corto, lasciandola sola nella stanza. Aveva bisogno di aria fresca, quella conversazione lo aveva reso nervoso. Doveva prima dimenticare il suo desiderio per Sara e solo dopo avrebbe pensato a trovare una moglie, ma Caroline Stanley non sarebbe mai diventata sua moglie. Non sarebbe mai diventata lady Cavendish.
 
- Caroline devo parlare con te – le disse sua madre, avvicinandosi al piano dove la ragazza si stava esercitando.
- Dimmi pure mamma –
- Caroline, ora che lady Herbert è diventata tua amica devi recarti a Derwent House più spesso –
Caroline la guardò sottecchi – Sei proprio sicura che sia la cosa migliore da fare? –
- Certo bambina mia! Metti in dubbio le parole di tua madre? Come credi che abbia conquistato tuo padre? Di certo non ho atteso che fosse lui ad accorgersi di me–
Caroline però, non era come lei, era timida e ancora troppo innocente. Sarebbe stata in grado di affrontare Spencer Cavendish?
- Ho già inviato una lettera a lady Herbert e l’ho invitata a prendere un tè per questo pomeriggio –
- Non dovevo andare io a Derwent House? –
Constance la guardò con tenerezza – Bambina mia, se invitiamo lady Herbert qui da noi, ben presto riceveremo un invito a Derwent Haose. È così che funziona da queste parti –
Caroline sospirò, certa di non capire le tattiche di sua madre. Sarebbe stato meraviglioso sposare un duca, ma lo avrebbe mai amato? E sarebbe stata amata a sua volta? Questo a sua madre non poteva dirlo, lei considerava l’amore solo una bugia messa a disposizione degli sciocchi. Non avrebbe mai compreso le sue ragioni.
- Sarebbe meraviglioso se si fidanzasse prima di entrare in società, non credete Arthur? –
Suo padre era appena entrato in salotto – Di cosa parlate moglie cara? –
- Dovete ottenere un invito da lord Cavendish, dobbiamo fare in modo che Caroline possa stare del tempo da sola con Spencer. Altrimenti come farà a chiedere la sua mano? –
- Credete davvero che Spencer possa guardare nostra figlia? –
Caroline abbassò gli occhi dispiaciuta, mentre Constance infierì come una furia contro suo marito – E perché no? È bella, di buona famiglia e si occuperà con la cura richiesta dei figli e della casa. Cosa ha che non va? In pratica ha tutto ciò che un uomo può desiderare –
- Gli uomini dicono di volere una donna simile, ma in verità cercano tutt’altro –
Adesso Constance era davvero irritata e istericamente cominciò a parlare senza nessun senso, finché non andò via.
- Padre, perdonatela per i suoi comportamenti, vuole solo il mio bene –
- Lo so Caroline, conosco bene il carattere di vostra madre da tempo oramai, tanto da sapere che fra pochi istanti le passerà tutto –
- Eppure non smettete mai di stuzzicarla – gli fece notare Caroline procurandogli una grande risata – sembrate quasi divertirvi di tutto ciò, ma non credo che sia giusto -
- Cara Caroline, il matrimonio è un duro lavoro che non smette mai di sorprenderti. Devi essere preparato, altrimenti soccomberai. Io e tua madre abbiamo lavorato insieme per tutti questi anni affinché non ci annoiassimo mai. A volte la prendo in giro, ma so quando devo comportarmi da vero gentiluomo. Ora dimmi, desideri sposare Spencer Cavendish o è solo un’idea di tua madre? –
Caroline annuì, era quello che voleva. Spencer era ricco ed affascinante e viveva non lontano dai propri affetti. Inoltre, tutte le altre donne a Londra l’avrebbero invidiata. Una semplice debuttante che accalappia uno degli scapoli d’oro d’Inghilterra, sarebbe stata una vittoria per lei e sua madre.
- Bene, allora farò in modo che tu possa vedere Spencer Cavendish e conquistare il suo cuore –
Caroline baciò la guancia di suo padre e in prede alla felicità si chiuse in camera sua a fantasticare.
 
Per una strana ragione Sara si diresse verso le stalle e lì incontrò James che non appena la vide le andò incontro.
- Signorina, è un vero piacere vedervi –
James le disse che era andato a cavalcare alle prime luci dell’alba con Spencer.
- Non si congela a quell’ora? – chiese meravigliata, ma James le disse che a Spencer piaceva il freddo pungente.
- Ora capisco perché è così tanto gelido – ma se ne pentì subito. Non era quella l’impressione che aveva avuto quando le era stato vicinissimo. Forse quando c’erano altre persone intorno a loro, ma quando erano soli Spencer emanava un calore meraviglioso.
- Dovete sapere che non è sempre così. Può essere una persona davvero piacevole, quando vuole ovviamente –
- Certo –
- Cosa avete? Sembrate triste – le fece notare James, ma Sara riuscì a dissuaderlo da quella situazione di angoscia che stava provando. Non era stato giusto ciò che aveva detto su Spencer, era una cosa crudele.
- Sara devo dirvi una cosa –
- Ditemi –
James le disse che sarebbero partiti fra due giorni, ma le promise che sarebbe ritornato al più presto a Derwent House. A Londra avrebbe acquistato un anello e appena sarebbe ritornato le avrebbe dichiarato il suo amore.
- Non dovete preoccuparvi, tornate quando volete e quando potete. Noi vi aspetteremo con grande gioia –
Perché aveva detto “noi”? Non era affatto ciò che voleva udire. Sara si accorse della sua espressione rattristata.
- James, ho detto qualcosa di sbagliato? –
- A me importa che a voi faccia piacere il mio ritorno. Se non è così ditelo adesso –
Il cuore di Sara cominciò a palpitare più forte. Quell’uomo era così passionale e così affascinante.
- Vorrei tanto che tornaste a Derwent House al più presto –
Senza contegno l’abbraccio. Era così calda, così morbida e i suoi seni formosi contro il petto esaltarono i propri desideri più nascosti.
- Allora è un arrivederci? –
- Sì, signor Morrison lo è –
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Prima della partenza di Spencer, Lord Cavendish invitò i suoi più cari amici per un piccolo ballo privato. Anche Charles sarebbe partito fra alcuni giorni e quale miglior occasione sarebbe stata nel vedere la sua famiglia al completo. Non mancarono i Taylor, i Curzon e ovviamente gli Stanley.
- Caroline sembra raggiante stasera – disse lady Curzon, seduta su una comoda poltrona davanti al camino.
- Mia figlia è un fiore così raro. Non esiste al mondo una ragazza più graziosa di Caroline –
Lady Curzon annuì, altrimenti si sarebbe ritrovata in un’accesa discussione con lady Constance e i suoi acciacchi non l’avrebbero sopportato, per questo preferì tacer.
- Come sta Amanda? – chiese Sara alla signora Taylor che stava scegliendo quale tramezzino sacrificare.
- Sta molto bene, ah Sara devo darvi una sua lettera. Purtroppo è giunta a casa mia. Il servizio postale è davvero incompetente –
- Avete ragione Anne – si intromise lady Constance - una volta inviai una lettera a mia cugina che vive a Buxton e sapete quando è giunta? –
Tutte le donne presenti risposero di non saperlo affatto.
- Dopo tre mesi, incredibile – lady Constance si sventolò con il ventaglio più velocemente ricordando tale incompetenza.
Sara si guardò intorno e la sala da ballo era più splendente che mai. Quella era la sala usata dalla famiglia per i ricevimenti più intimi e di certo non eguagliava la grandezza e la bellezza il Gran Salone che non veniva aperto dalle nozze di Elisabeth. Per molti anni aveva sognato di celebrare lì il proprio matrimonio, ma ormai aveva perso le speranze.
- È davvero un bel giovanotto quel signor Morrison – le fece notare Curzon.
- Avete ragione, un uomo colto ed affascinante – rispose timidamente Sara.
- Anche molto ricco – rimarcò Constance con uno sguardo pungente, come se lei non avesse diritto di innamorarsi di un uomo benestante, come se dovesse già ringraziare per ciò che aveva. Quella donna era fastidiosa.
- Non importa la sua ricchezza, mi solo della sua anima –
- Belle parole davvero – le disse Anne Taylor che amava Sara come se fosse la sua terza figlia.
- Ricco o meno, il signor Morrison è davvero un bell’uomo – affermò Clarissa Curzon.
- Anche tuo marito lo è Sophie – disse lady Constance rivolgendosi a Sophie, la sorella maggiore di Amanda, venuta nel Derbyshiare per far visita a sua madre che non vedeva da tempo ormai.
- A proposito di vostro marito, dove si trova adesso? Come mai non vi ha accompagnata? – le chiese Constance con curiosità, più che interesse.
Il signor Elliot era un avvocato di Edimburgo e gli era difficile spostarsi per il Paese poiché era pieno di lavoro per questo Sophie tornava nel Derbyshire quasi sempre da sola.
- Purtroppo gli impegni gli impediscono di muoversi dalla capitale. Sara, vi va se ci sgranchiamo un po' le nostre gambe indolenzite? – le disse Sophie indignata per l’affronto di lady Constance.
Sara accettò volentieri quello che era un palese grido d’aiuto. Sapeva con certezza che anche Sophie non sopportava lady Stanley.
- Adesso sì che va molto meglio, non trovate Sara? –
- Avete perfettamente ragione Sophie, non riesco a stare con quella donna per più di cinque minuti –
Sophie la guardò ridendo – Non siete l’unica credetemi. È sempre alla ricerca di un qualche pettegolezzo –
- Su di me ha molto materiale su cui lavorare –
- Credo sia infastidita dal fatto che qualcuno sia interessato a voi. Io e Amanda avevamo sperato che quel qualcuno fosse nostro fratello, ma così non stato. Anche allora, quella donna aveva avuto a che dire sulla questione –
Sara ricordava perfettamente il giorno in cui Spencer, pubblicamente, aveva rivelato ad Anthony i sentimenti che le provava, mettendo non solo in imbarazzo lei, ma quel povero ragazzo. Allora Sara aveva solo quindici anni, un’età troppo ingenua per difendersi dalla cattiveria di Spencer che l’aveva ingannata offrendogli il suo aiuto. Le parole recitate ad alta voce nel bel mezzo del salone dove si stava svolgendo il ricevimento di Sophie rimbombavano ancora nelle sue orecchie.
- Come biasimarla, Spencer le ha dato materiale a sufficienza sul mio conto –
- Mi dispiace Sara, probabilmente avevi dimenticato l’accaduto ed io te l’ho ricordato –
Ma Sara non avrebbe mai potuto e forse era un bene che glielo avesse ricordato. Quello era Spencer, quello era il motivo per cui lo odiava profondamente.
- Spencer è un uomo crudele e senza cuore che si prende solo gioco delle persone che gli sono vicine –
- Sei sicura? A me non sembra che sia più così –
Sara rimase senza parole, era la prima persona che la contraddiceva sul suo conto.
- È stato per alcuni mesi a Edimburgo e mio marito lo ha aiutato in una causa. Solo lì ho capito chi fosse davvero –
- E che cosa hai capito? –
Ma Sophie non riuscì a rispondere perché si materializzò al loro fianco Caroline.
- Signorina Stanley, è un vero piacere rivedervi dopo così tanto tempo. Siete meravigliosa –
- La ringrazio signora Elliot –
Caroline quella sera era splendida, indossava un magnifico abito color crema che la faceva risplendere di luce propria. A confronto, lei sembrava un grosso limone. L’abito giallo che aveva scelto non era affatto adatto a lei.
Mentre Caroline e Sophie parlavano, vide Spencer tutto solo accanto al piano. Senza pensarci si recò al suo cospetto.
- Volete suonare? – gli disse tutta d’un fiato.
- Oh, non ne sono in grado –
- Forse un giorno potrei insegnarvelo? – lo guardò con intensità, come se fosse in uno stato di transizione. Il suo corpo non seguiva più la ragione, ma i propri sensi. Il respiro le si fermò in gola e le labbra le si spalancarono come se stesse attendendo da lui un bacio.
Spencer rimase a guardarla senza toccarla, ma con il desiderio di farlo, di stringerla fra le proprie braccia davanti a tutti.
- Sara, apriamo le danze –
Lord Cavendish si avvicinò e Sara si destò dal suo sogno. Solo in quel momento si rese conto di ciò che aveva fatto. Si era avvicinata solo per salutarlo visto che sarebbe partito e invece aveva complicato ancora di più le cose.
I balli furono aperti e Sara ballò prima con Lord Cavendish, poi con Charles e infine con James. Anche lord Curzon le chiese un ballo e lei non seppe negarglielo.
- Mi raccomando Sara non fategli perdere la testa – le disse scherzosamente Clarissa. Quella donna era straordinaria e sapeva bene come quell’uomo ne fosse perdutamente innamorato.
Alla fine del ballo, anche Spencer le si avvicinò.
- Permettete di avere l’onore di un ballo con voi? –
Sara lo guardò senza pronunciare una parola e lui capì che era un assenso. Quando più tardi risuonò la musica del piano, Sara si ritrovò a ballare un romantico walzer con l’uomo che odiava di più al mondo.
Non una parola fu pronunciata fra loro, non riuscivano neppure a guardarsi per l’imbarazzo. Sara temeva di avvicinarsi troppo per paura che sentisse il suo battito accelerato.
La musica fu lunga ed esasperante e Sara combatteva fra la voglia di scappare e quella di rimanere fra le sue braccia. Di tanto in tanto alzava lo sguardo verso di lui e notò le sue guance arrossate, convinta che fosse una naturale conseguenza della temperatura troppo alta della stanza. Appena terminò la musica, Caroline si avvicinò a loro.
- Signor Cavendish, sareste così gentile da accompagnarmi alla finestra? Ho bisogno di aria fresca –
Senza smettere di guardare Sara, Spencer annuì e dopo pochi secondi si allontanò.
- Sara, vi sentite bene? – le chiese James preoccupato.
- Cosa avete detto? – disse lei, ancora immersa nei suoi pensieri.
- Venite con me, sarà meglio che vi sediate –
Sara lo seguì, senza mai togliere lo sguardo da Spencer. James era così gentile, ma non aveva lo stesso fascino misterioso di quell’uomo. Era sempre più curiosa di conoscere l’anima di Spencer che le sfuggiva in continuazione.
 
Caroline era diventata una vera spina nel fianco, ma per sua fortuna sarebbe partito presto. Tutti i bagagli erano pronti, ma aveva promesso a Caroline di accompagnarla per una cavalcata mattutina. Era una bellissima ragazza, su questo aveva ragione Elisabeth, ogni uomo le sarebbe caduto ai piedi. Tutti, tranne lui. Lui desiderava un’altra donna, una donna che non avrebbe mai potuto avere. Non solo perché era così diversa da lui, ma anche perché James l’amava e lui non avrebbe fatto un torto ad un amico caro.
- È così bello passeggiare tranquillamente nella radura desolata. Non trovate? –
- Mmm, concordo con voi – disse con svogliatezza. Caroline cercava di conversare, ma Spencer era altrove con la mente.
- Vi siete mai legato ad un luogo? – provò ad attirare la sua attenzione, ma senza successo.
- No, mai – Spencer continuava a rispondere senza nessuna voglia.
-Io sì. Questo posto è più bello di Londra, Parigi o Roma –
- Le avete mai viste? – le chiese. Come poteva affermare che il Derbyshiare potesse essere più bello di città ricche di storia e di arte.
- No, oltre Londra intendo, ma non amo particolarmente la città –
- Quindi preferite una vita di campagna? –
Caroline annuì – Certo, è molto più suggestiva, non trovate? –
Spencer trovava Caroline ancora acerba e nulla era in confronto a Sara.
- La campagna ha il suo fascino, non lo metto in dubbio, ma io preferisco di gran lunga ciò che l’uomo ha creato con le proprie mani, con il suo sudore –
Caroline rimase in silenzio e chiuse gli occhi ascoltando il solo cinguettio degli uccelli posati sui rami.
- Io preferisco la natura, ma quest’anno dovrò andare a Londra per la stagione –
- Capisco, avete il dovere di fare un buon matrimonio. Troverete sicuramente un uomo adatto a voi. Ne sono sicuro –
-E se lo avessi già trovato? –
Di chi diavolo stava parlando quella ragazza. Pregò che non dicesse il suo nome, ma le speranze furono vane.
- Non so cosa vi abbia detto vostra madre, ma voi non siete adatta a me –
Il volto di Caroline mostrò a Spencer quanto fosse rattristata da quella affermazione.
- Perché non mi date una possibilità, potremmo scriverci ora che andrete a Londra, potrei essere la donna che meritate –
- Potreste anche esserlo, ma non siete la donna che voglio –
Spencer cercò di aizzare il suo cavallo per allontanarsi da lei, da quel posto e dai suoi sentimenti che provava per Sara, quando Caroline parlò di nuovo.
- Lo so chi volete, forse gli altri sono troppo ciechi per vederlo, ma io vi ho veduto bene. Mi dispiace per voi però –
- Per cosa dovrei dispiacermi? Sentiamo –
- Vedo che adesso ho tutta la vostra attenzione. Bene, perché state sbagliando a riservare i vostri puri sentimenti verso una donna che non li merita affatto –
- Cosa ne sapete voi –
Adesso Spencer era nervoso, come mai prima d’ora. Sara le aveva fatto delle confidenze sul suo conto? Ma sapeva per certo che Caroline non era amica di Sara, allora cosa la faceva sentire tanto sicura?
- Ho udito con le mie stesse orecchie, che vi considera un uomo freddo e senza cuore. Un uomo crudele! Queste sono state le sue esatte parole signor Cavendish –
- Spencer le rise in pieno volto – siete una brava ragazza Caroline. Andate a casa e preparatevi per la vostra prima stagione –
Spencer non aveva intenzione di perdere altro tempo con lei, ma le parole che susseguirono dopo lo ferirono come una pugnalata al petto.
- Non prendetevi gioco di me, io so più cose di chiunque altro riguardo la vostra famiglia. So per certo che il cuore di vostra sorella è impegnato per un altro gentiluomo. Il signor Morrison –
Spencer rimase impietrito e subito dopo corse via. Caroline, invece, rimase sola nel bel mezzo della radura.
 
Elisabeth, ignara di quello che era appena accaduto, stava terminando la sua lettura nel salottino privato, quando le voci di Spencer raggiunsero il suo orecchio. Era il suo nome quello che pronunciava ad alta voce, così si spinse fuori dalla stanza.
- Spencer perché urlate in questo modo! –
- Dentro! – la intimidì.
- Cosa è accaduto Spencer? Così mi spaventate –
- Esigo una spiegazione –
Nel frattempo girovagò nella stanza senza sosta con un’espressione inorridita sul volto.
- Mi spiegate cosa vi succede? – chiese Elisabeth, senza capire il comportamento di suo fratello, ma Spencer senza curarsi dell’etichetta le chiese brutalmente - Siete l’amante di James? –
Lei rimase in silenzio, così Spencer capì.
– Sono stato uno sciocco, per tutti questi anni. Ora capisco il vostro interessamento sulla sua vita amorosa e la vostra insistenza nell’allontanarlo da Sara –
- Basta, basta! – riuscì a dire Elisabeth – non sono più la sua amante, ma sì io lo amo ancora –
Spencer la guardò con un misto di orrore e pietà, tanto da far sentire Elisabeth una nullità.
- Non sapete quanto siate stata sciocca? E se lo scoprisse qualcuno in società? –
Solo allora Elisabeth si chiese come avesse fatto Spencer a scoprire la verità.
- È stata Sara a dirvelo? –
- Sara? Oh no, la vostra cara amica Caroline, la donna che volete diventi la duchessa di questa casa. Adesso devo trovare un modo per farla tacere, e credo che non sia molto difficile convincerla visto i tanti debiti di lord Stanley, per non parlare poi della sua vita dissoluta –
Lo guardò rassegnata. Aveva sempre pensato di essere una brava osservatrice e invece aveva fallito. Caroline non era affatto una ragazza dolce e gentile. Per fortuna Spencer si sarebbe prodigato ad aiutarla nonostante tutto.
- Spero per voi che da oggi stiate più attenta e spero che quella sciocca tenga a freno la lingua – così dicendo andò via.
- Dove stai andando? –
Ma Spencer non la sentì perché era ormai lontano.
 
Spencer stava salendo in fretta le scale. Non poteva essere stato tanto cieco per tutto quel tempo. Si sentiva tradito da sua sorella e dal suo migliore amico e poi…poi c’era Sara. Perché doveva desiderare una donna che lo disprezzava, che non riusciva ad andare oltre i suoi pregiudizi? All’improvviso fu colpito da un forte capogiro e per fortuna riuscì in tempo ad aggrapparsi alla ringhiera di ottone del gran scalone.
- Signor Cavendish! – una voce melodiosa lo destò dal dolore che lo aveva colpito. Quando riaprì gli occhi, vide due grandi occhi nocciola che lo guardavano impauriti.
- Signorina Wood, sto bene. Devo solo riprendermi –
- Lasciate che vi aiuti – senza aspettare il suo permesso, Sara infilò il suo braccio sotto quello di lui e lo aiutò a salire gli ultimi gradini.
- Devo farvi portare un bicchiere di acqua e zucchero? –
- Non curatevene troppo, è già passato –
Spencer si staccò violentemente dal braccio di Sara. Il proprio corpo stava reagendo a quel contatto e non sarebbe riuscito a nasconderle il suo ardente desiderio per altro tempo.
- Siete sicuro di non aver bisogno di un aiuto? –
- Sicurissimo, lasciatemi in pace – le urlò quasi sbranandola. Non era quella la sua intenzione, ma non poteva averla ancora accanto a lui.
Sara rimase a guardarlo confusa e ferita da quell’ennesimo atteggiamento noncurante di Spencer così gli disse - Siete un uomo crudele –
- E senza cuore – terminò lui quell’affermazione guardandola con occhi pieni di rabbia.
Sara fu colpita da quelle parole vergognandosi di se stessa. Forse qualcuno l’aveva sentita o forse era stato lui stesso ad udire la sua crudeltà. Senza scusarsi, Sara rispose al suo affronto.
- Voi non aprite il cuore a nessuno. Sembrate sempre in aguato, in attesa di difendervi da una buona parola, da un gesto d’amore –
- Non sapete proprio nulla di me, quindi vi esorto a tacere –
Era la verità, ma ogni volta che cercava di scoprire qualcosa su di lui veniva proiettata fuori dal suo mondo e così desiderava scoprire sempre di più.
 - Voi non siete certo migliore – continuò lui dopo una pausa - vi siete approfittata della bontà di mio padre vivendo alle sue spese per tutti questi anni –
Quelle parole la ferirono come se l’avesse colpita con uno stiletto dritto al cuore. Stanca di quella prepotenza, Sara trovò il coraggio di dirgli cosa pensava realmente di lui.
- Siete un uomo arrogante e altezzoso. Credete che tutto vi sia dovuto solo per la vostra posizione in società, ma non avete la minima idea di cosa sia la solitudine, l’essere abbandonati dal mondo intero –
Gli occhi di Sara si riempirono di lacrime che poco alla volta caddero giù bagnandole le guance accalorate. Non aveva mai conosciuto un uomo tanto offensivo e indelicato. Quella conversazione stava diventando sempre più surreale.
- Ecco chi siete davvero, vi siete nascosta per troppo tempo dietro la vostra maschera, ditelo che desiderate un buon matrimonio visto che mio padre non vivrà ancora per molto -
- In tutti questi anni non avete fatto altro che insultarmi e adesso venite a dirmi che sono un’approfittatrice? Voi non mi conoscete, credete di conoscermi, ma non è così –
- E voi credete di avere il diritto di giudicarmi e di sentirvi migliore di me? –
- A differenza vostra, io vi ho portato sempre rispetto ma adesso basta –
Fu in quel momento che Spencer la spinse lungo la parete e Sara colse nei suoi una scintilla.
- Dovete tacere! –  le disse, ma questo comando non fece smettere Sara di confessare il suo risentimento nei suoi confronti.
- Non siete un uomo, ma un bambino capriccioso che crede di avere il diritto di possedere tutto ciò che vuole –
Sara però non si sarebbe mai aspettata di essere colta dalla passione. Due morbide labbra sfiorarono le sue e come il divampare di un fuoco il suo corpo fu travolto da un calore infernale. Fu così avido da non lasciarle un attimo di respiro. Ma dopo l’incredulità, abbandonò completamente le sue membra sul corpo di lui, rimanendo avvolta nel suo violento abbraccio. Il sapore della sua bocca era estasiante. Quel bacio era frenetico, insidioso e avvolgente. La sua lingua esplorava in modo esperto la sua bocca violandola con ardore. Sara si lasciò trasportare da quella magia, ma quando riaprì gli occhi si rese conto di quello che stava realmente accadendo cercò di respingerlo. Non riconosceva più se stessa. Si stava donando all’uomo sbagliato.
Sentendosi abbracciare più forte gli morse un labbro così Spencer la lasciò andare.
– Ma cosa vi prende? Siete impazzita? -
- Siete solo un’animale – gli urlò lei in faccia – come avete potuto farlo, come? –
Presa dalla collera scoppiò in un pianto disperato e poi corse via, lontano da lui.
Spencer la vide allontanarsi e in poco tempo sparì. Non riusciva a credere a ciò che aveva appena fatto.
L’aveva baciata.
Per quanto tempo aveva desiderato farlo in quelle lunghe settimane e adesso che era accaduto se ne pentiva amaramente. Lo aveva immaginato tante volte e in modi diversi, ma nessun sogno equivaleva la realtà. Ma aveva visto sofferenza nei suoi occhi e sapeva di aver violato la sua intimità. Doveva essere stato sicuramente il suo primo bacio. Si sentì disperato perché sapeva di averla perduta per sempre.
 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


La sua speranza di parlare con Amanda risultò vana. L’amica infatti, si era recata ad Edensor per una commissione, ma la signora Taylor sì premunì a riferirle che con ogni probabilità era già sulla strada del ritorno. Così decise di aspettarla.
– Carissima Sara è da tempo che non vi vedo – le disse la signora Taylor mentre le versava del tè.
- Avete assolutamente ragione, ma sono stata molto impegnata – si affrettò a dirle.
Era la verità. Dopo gli ultimi avvenimenti che l’avevano coinvolta erano cambiate molte cose a Derwent House.
James l’aveva lasciata con la promessa di ritornare il prima possibile e Sara contava i giorni che la tenevano lontana da quel momento.
Solo qualche giorno dopo anche Charles era stato costretto a lasciarli a seguito dell’arrivo di una lettera dalla Scozia. Sua zia era deceduta e spettava a lui ricevere la sua eredità. Così adesso era costretta non solo a badare alle paranoie del duca, ma anche ai malumori di Elisabeth.
Inoltre non riusciva a dimenticare quello che c’era stato tra lei e Spencer.
- Vi credo, su di voi aggravano tutti i problemi di Derwent House, se solo Spencer si decidesse a sposarsi voi non sareste più costretta ad occuparvi di tutto – le confidò la signora Taylor, sperando di darle conforto. In realtà Sara avvertì come un senso di forte dispiacere. Se Spencer si fosse sposato avrebbe dovuto cambiare completamente la sua vita. Ma era pronta a farlo?
– Vi trovo in gran forma, signora Taylor – decidendo di cambiare argomento della conversazione.
- Siete troppo gentile, ma ho la testa che mi scoppia e i piedi gonfissimi –
Era risaputo che la signora Taylor soffrisse di ogni dolore o malanno conosciuto su questa terra.
- Vi rimetterete presto. Lo fate sempre –
- Lo spero. Mio marito vorrebbe che andassi a Londra per la stagione ed accompagnare Amanda, ma come potrei lasciare il Derbyshire, dove mi sento al sicuro. Magari se veniste anche voi Sara sarebbe un sollievo per me. Non dovrei preoccuparmi di presenziare ad ogni ricevimento perché ci sarebbe lord Cavendish ad occuparsi di voi –
Ma Sara non aveva nessuna intenzione di recarsi a Londra per la stagione. Né in quell’anno né mai. Sapeva che quello era un mero tentativo di persuaderla dalla sua decisione. Aveva discusso in qualche occasione della possibilità di parteciparvi con il duca, ma Sara era convinta che quello non era un luogo adatto a lei.
Subito dopo Elle Taylor madre del signor Taylor, entrò in salotto - Signorina Wood, è un vero piacere rivedervi –
– Madre, avete finito di riposare? – chiese la signora Taylor con garbo.
- Come vedi sono qui. Dunque mi sembra una domanda senza senso la vostra –
Sara sperò che gli animi non si surriscaldassero proprio in sua presenza. Dopo la morte del marito, Elle Taylor si era trasferita di sana pianta in casa del suo unico figlio provocando malumori in Susan. Agli inizi di quella convivenza ci si svegliava la mattina solo per venire a conoscenza di qualche nuovo pettegolezzo che vedeva protagoniste le due donne.
- Amanda sei arrivata! Ho cercato di tenere compagnia alla nostra ospite, anche se fremeva dalla voglia di vederti – le disse la madre appena Amanda entrò in salotto.
–Scusami tanto, ma mia madre ha sempre bisogno che le faccia qualche commissione – le riferì Amanda sbuffando.
- Sono solo scuse, per non fare nulla tutto giorno – rispose Elle Taylor riferendosi ai malanni dell’altra donna.
- Non sono affatto scuse. Farei stare voi, almeno un giorno, con questo assurdo dolore –
Subito dopo anche Sophie entrò nel salotto, ma in compagnia di suo marito che era giunto lì da poco facendole una grande sorpresa.
- Signor Elliot è un vero piacere rivederla – gli disse Sara, prima che la signora Taylor s’intromettesse – Il povero Jason è giunto fino a qui a causa del signor Cavendish, il quale è partito senza avvisarlo. Villano! –
La signora Taylor aveva cominciato a criticare Spencer dal giorno in cui il suo amato figlio Anthony tornò a casa con un bel occhio nero.
- Mamma non essere ingiusta, almeno ho potuto rivedere Jason –
-  Rimango della mia opinione. Non ci si può fidare affatto e non fa altro che allontanarsi dai suoi doveri –
- Madre – disse Sophie – sappiamo perché non riuscite a tollerarlo – guardando Sara che divenne paonazza.
- Non potrò mai perdonargli ciò che ha fatto ad Anthony e a te, cara Sara. Se lui non si fosse frapposto fra voi, forse oggi sareste sposati – disse allora la signora Taylor con tristezza.
Certo, anche lei allora si era disperata. Era stato imperdonabile metterla in imbarazzo davanti ad Anthony e tutti gli altri presenti, ma crescendo Sara aveva maturato la consapevolezza che era solo un amore adolescenziale e che lui non l’avrebbe mai sposata. Con o senza l’intervento di Spencer.
- Amanda io adesso dovrei andare. Ci vedremo in questi giorni –
- Certo Sara, ma non eri venuta qui per dirmi qualcosa? –
- Ci vedremo domani e parleremo, ma adesso si è fatto tardi –
Scappò via. Doveva allontanarsi da quella casa, doveva allontanarsi da chiunque. Necessitava di starsene per conto suo e riflettere.
 
I giorni trascorsero apparentemente tranquilli, ma un pomeriggio qualcosa cambiò.
Sara era come al solito in giardino con Georgiana e William per godere dell’aria stranamente mite di gennaio.
- Georgiana prendi questo pennello e intingilo nel colore. In questo modo brava –
Stava cercando di aiutare Georgiana a dipingere, nonostante lei non avesse mai brillato in quella disciplina. William cercò di fare lo stesso, ma creò solo un pasticcio.
- Georgiana! –
Sara sentì la voce squillante di Elisabeth alle loro spalle. Era alla ricerca di sua figlia e urlava come una forsennata.
- Oh, eccoti –
- Mamma cosa è successo – rispose Georgiana, intimorita. Elisabeth si avvicinò a sua figlia e le disse che il maestro di pianoforte era giunto da più di venti minuti e che l’attendeva.
- Ma, mamma io voglio dipingere! –
Elisabeth odiava i capricci e talvolta agiva nel peggiore dei modi invece di comprendere i bisogni della propria figlia.
- Devi andare, subito! –
La bambina con le lacrime agli occhi seguì la domestica che la condusse nella sala da musica.
Prima che Elisabeth potesse andare via però, Sara la richiamò.
Lei si voltò con disinvolta irritazione, esortandola a parlare – Sbrigatevi, ho delle cose da fare e non posso trattenermi –
- Invece rimarrete qui finché non avremo chiarito un punto –
Elisabeth odiava essere affrontata, soprattutto se a farlo era Sara – Cosa avete da rimproverarmi? –
- Sono stata in silenzio fin troppe volte, ma adesso vi chiedo di trattare con più amorevolezza i vostri figli –
- Non vi permetto di insultarmi in questo modo –
- Non vi sto insultando, vi sto solo dicendo che Georgiana e William non meritano di essere maltrattati dalla vostra insoddisfazione –
Quelle parole colpirono duramente il cuore di Elisabeth che si spezzò in due. Purtroppo quella era la verità, ma fino ad allora nessuno, neppure suo marito era stato in grado di fargliela comprendere.
- Adesso devo andare via – disse Elisabeth con voce roca e in preda alla collera, raccolse le gonne e si lasciò alle sue spalle Sara.
Cosa le faceva davvero male? Aver avuto quell’affronto e di essere stata sconfitta, o sapere di non essere una buona madre per i suoi figli?
Sara ritornò a respirare regolarmente solo quando si accertò che Elisabeth fosse andata via. Non era mai riuscita a trovare il coraggio di parlarle liberamente, ma quella volta sì. Era riuscita a dire finalmente ciò che pensava.
- Sara – la chiamò il piccolo William – vieni a dipingere con me? –
Sara sorrise e annuì, ancora incredula per ciò che era appena accaduto.
Quella sera Elisabeth finse un capogiro e non si unì con la famiglia né per cena né in salotto. Le parole pronunciate da Sara le ronzavano ancora nella mente. Stava perdendo la padronanza di sé, ma forse era ancora in tempo per salvare la propria anima.
 
Il mattino seguente, Elisabeth si recò presso la serra di sua madre dove poteva sentirne l’odore e avvertirne la presenza e forse trovare un po' di pace.
- Elisabeth –
- Padre, mi avete spaventata –
- Non era mia intenzione, cosa ci fate qui? –
Elisabeth non voleva parlargli dei suoi problemi così si limitò a confessargli che aveva bisogno di impegnarsi in qualcosa, e prendersi cura di quelle piante le era sembrata una buona idea.
All’improvviso il duca le disse - Vostra madre trascorreva intere giornate qui dentro –
Elisabeth annuì rimanendo in silenzio. Sua madre era stata la sua spalla per anni e ora era sola e avvertiva un senso di vuoto, di malinconia.
- Non ho mai capito perché vostra madre amasse tanto queste piante. Solo oggi forse ho una risposta –
Elisabeth lo guardò senza capire. Posò allora le forbici sul tavolo e rivolse la sua completa attenzione a suo padre. Dallo sguardo rattristato capì che qualcosa lo stava tormentando.
- A volte vorrei tornare indietro e rammendare alle mie mancanze. Non sono stato né un buon marito né un buon padre –
Elisabeth non riusciva a capire perché le stava parlando in quel modo, era confusa da quelle parole. In quel momento era così umano, così vulnerabile. Non era l’uomo che lei conosceva.
- Padre, non dovete…-
-Silenzio, lasciate che parli io per una volta. Non so cosa vi stia accadendo, a voi e a Spencer, non voglio che mi parliate dei vostri segreti, ma io sono qui, sono vostro padre e ci sarò sempre –
Gli occhi di Elisabeth si riempirono di lacrime che a poco a poco bagnarono le sue gote scendendo giù per la gola lunga ed esile. Il duca le si avvicinò e con un bacio gliele asciugò. Mai prima di allora, suo padre era stato tanto affettuoso. Per la prima volta si sentì davvero amata.
- Adesso promettetemi di essere felice. Potete farlo? –
- Certo padre, lo farò -
Quando fu di nuovo sola, Elisabeth comprese di aver sbagliato tutto. Nella sua vita non aveva fatto altro che giudicare chiunque la circondasse, compreso suo padre che invece l’aveva cercata e dato conforto. Questo non lo avrebbe mai dimenticato. Per tutti quegli anni era stata cieca e solo adesso le era chiara la verità. Lei era amata.
C’era una cosa sola da fare per ritrovare sé stessa, e doveva farla subito.
 
Sara era di ritorno dalla sua solita passeggiata mattutina. L’aria intorno a lei era in fibrillazione. Sentiva che quel giorno sarebbe accaduto qualcosa.
Amava vagare per la campagna isolata durante le prime ore del giorno, lasciandosi riscaldare il volto dai raggi del sole. Tra le fronde degli alberi scorse la magnifica Derwent House. La sua casa.
Un pensiero le balenò nella mente. Cosa ne sarebbe stata della sua vita se Spencer si fosse sposato come aveva detto la signora Taylor? Lungo il cammino però, scorse una figura e mai si sarebbe immaginata di incontrare proprio Elisabeth, poiché non era da lei passeggiare in quelle prime ore del giorno.
 - Eccovi, vi ho trovato finalmente –
Meravigliata da quelle parole, un pensiero la terrorizzò - Elisabeth, è forse accaduto qualcosa? –
Ma Elisabeth scosse subito la testa – Oh no, per l’amor del cielo non è accaduto proprio nulla. Non preoccupatevi –
Sara sospirò per il sollievo.
Elisabeth le si avvicinò di più e le disse – Sara volevo parlare con voi in privato –
Sara annuì.
- Mi prenderete per pazza, ma…mi sono resa conto di essermi sbagliata su tutto. Anche su di voi - improvvisamente scoppiò in lacrime – Vorrei tanto che mi perdoniate -
- Oh, certo che vi perdono. Ma adesso smettetela –
Sara le si avvicinò e l’abbracciò. Elisabeth, inizialmente rigida, si sciolse e la strinse più forte.
- Avevate ragione, io non sono una buona madre, non ho mai voluto esserlo! Credevo che sposandomi la mia vita sarebbe cambiata e invece non è stato così –
Quella confessione era straziante. Sara capì allora che Elisabeth era solo una donna tormentata, insoddisfatta della sua vita e in cerca di felicità.
- Sono stata una stupida e per colpa mia hanno sofferto anche altre persone – stava dicendo lei quando Sara intervenne – Siete una donna caparbia, ho visto con quanta determinazione raggiungete i vostri obiettivi. Non siete una sciocca o una sprovveduta. Siete solo un essere umano -
- Perché siete così buona con me? – le chiese Elisabeth, meravigliata da quella donna straordinaria che nonostante le sue cattiverie continuava a farle del bene.
- Ho sempre desiderato una sorella e forse non è troppo tardi per averla -
Quelle parole riscaldarono il cuore stanco di Elisabeth. Anche lei aveva desiderato una sorella e mai si sarebbe immaginata che un giorno Sara lo diventasse.
 – Adesso andiamo, fa molto freddo – le disse Sara avvolgendola nel suo caldo scialle.
E insieme ritornarono a casa.
 
Elisabeth da quel momento divenne più amabile, trascorrendo maggior tempo con i propri figli e con suo padre. In alcune occasioni si ritirava in privato con Sara recuperando il tempo perduto. Ad Amanda questo atteggiamento risultò strano, ma per Sara era semplicemente straordinario.
Una mattina, potando le rose per la nuova fioritura, Elisabeth rivelò a Sara di sentirsi in debito con lei.
- Non dovete neppure dirlo Elisabeth. Io amo questa famiglia e faccio solo la mia piccola parte –
- Vi occupate della casa, di mio padre, e vi siete anche occupata di… mia madre. Siete stata sempre presente, anche nei giorni della sua malattia –
Sara ricordava bene le cure che aveva riservato a lady Cavendish e alla promessa fattale.
- Non dovete recriminarvi di nulla, il passato è ormai lontano. Dobbiamo pensare solo al presente –
Elisabeth sembrò subito più tranquilla, ma qualcosa l’affliggeva, Sara lo percepiva.
- Sara, fate attenzione! – le urlò Elisabeth. Avvolta nei suoi pensieri, stava per ferirsi una mano con le forbici.
- Cosa vi succede Sara, sembrate distratta -
Lo era a causa di Spencer. Perché aveva dovuto baciarla? Da quel pomeriggio non smetteva di pensarci.
- Va tutto bene, sono solo stanca – tagliò a corto lei.
- Elisabeth, vorrei dirvi una cosa –
- Mmm, ditemi pure –
- Dovreste dare una possibilità a vostro marito –
Elisabeth in quel momento si fermò.
- Charles è un brav’uomo, non sarà spiritoso come altri uomini, ma so per certo che vi ama tanto –
- Non credo visto come guarda la bambinaia –
- Siete forse gelosa? – affermò Sara tagliando lo stelo di una rosa.
- E perché mai dovrei –
Ma Sara non le rispose.
 
Qualche settimana dopo, Elisabeth e i bambini tornarono a Rockwell Hall in vista del ritorno di Charles dalla Scozia. Dopo quella strana conversazione avuta con Sara nella serra, Elisabeth si era soffermata molto su ciò che pensava di suo marito. Nonostante lo trattasse male, quell’uomo era sempre al suo fianco. Non lo aveva mai considerato prima di allora e forse si stava sbagliando?
Quando Charles arrivò, dopo un lungo viaggio, tutto era come al solito. La casa era in ordine, i domestici impeccabili, i giardini ben tenuti. Eppure sentiva che qualcosa era cambiato.
Elisabeth non era più la stessa donna che aveva lasciato settimane prima. Finalmente rivide sul suo volto quel dolce sorriso malizioso che da tempo era scomparso.
Si chiese cosa fosse accaduto in sua assenza da apportare quel cambiamento così repentino in sua moglie. Lo stupore crebbe quando la vide trascorrere del tempo con i suoi figli.
Era la prima volta che la vedeva in quel modo e aveva quasi paura di fare domande, temendo che quello fosse solo un meraviglioso sogno.
Qualche ora dopo il suo ritorno, Charles si ritrasse nello studio per sistemare dei documenti, quando percepì qualcuno nella stanza.
- Frank – chiamò il suo maggiordomo con il capo chino su un grosso libro mastro – meno male che sei qui. Ho bisogno di te. Dovresti recarti a Newbury e inviare questa lettera a Clarence Brooks –
- Non sono Frank – rispose una voce femminile. Quando Charles alzò il capo vide che accanto alla porta d’ingresso c’era Elisabeth che lo fissava con due splendidi occhi azzurri.
- Ah, siete voi Elisabeth – rispose un po' in imbarazzo, richiudendo subito il libro e depositandolo sulla sua scrivania. Più tardi avrebbe ridato un’occhiata ai movimenti finanziari sulle sue proprietà, ma adesso doveva occuparsi di sua moglie.
- Non sembrate molto felice di vedermi –
- Non è così – disse Charles, grattandosi la fronte – sono solo molto stanco per il viaggio e ci sono ancora tante cose da sistemare –
- Riguardano la nostra recente eredità? –
Charles annuì. La sua permanenza in Scozia era stata tutt’altro che tranquilla. Prima i funerali, poi gli incontri con il notaio. Inoltre mancava da Edimburgo da così tanto tempo che era suo dovere far visita ai parenti. 
- Come sta vostra madre? –  la signora Herbert era rimasta ad Edimburgo, ancora scossa dalla perdita della sua amata sorella.
- Si riprenderà –
Elisabeth aveva sperato in una frase più lunga e invece suo marito era tornato ad ignorarla mettendosi a sistemare alcuni documenti sulla scrivania.
- Charles, vorrei chiedervi una cosa –
- Mmm…ditemi pure milady. Sapete che a me potete chiedere qualsiasi cosa ed io cercherò di esaudire i vostri desideri –
Elisabeth in questi giorni non faceva altro che tormentarsi con una domanda e impiegò più del tempo necessario per formularla.
- Siete innamorato di Mary? –
Fu così diretta che quella domanda sorprese Charles come mai nessuno vi era riuscito prima. Dopo alcuni secondi di silenzio si alzò e le andò vicino. Da quella posizione si accorse che stava tremando. Dunque non si stava burlando di lui. Era seria!
- Elisabeth, non vi nascondo che ho provato dell’attrazione per lei –
Il volto di lei s’incupì. Aveva immaginato quelle parole un milione di volte nella sua testa, ma non credeva potesse dirgliele per davvero. Poi una piccola fiamma si riaccese in lei quando Charles ritornò a parlare.
- Ma devo confessarvi che non sono mai andato oltre ad un pensiero. Con il cuore sono legato a voi, e sarà per sempre così. Io vi amo e necessito di voi. Dipendo completamente da voi –
Per l’emozione Elisabeth scoppiò in lacrime. Non meritava quell’uomo, lo sapeva, ma voleva essere felice e voleva esserlo con lui.
Charles rimase a guardarla ammutolito attendendo che lei parlasse, ma Elisabeth sembrava non trovare le parole giuste per chiedere ciò che desiderava.
- Charles – gli disse con voce tremante - volevo chiedervi se vi andrebbe di condividere il letto con me stanotte – pronunciò quelle parole tutto d’un fiato.
Davvero glielo stava chiedendo? Si chiese Charles, ricordando bene le parole di sua moglie dopo la nascita di William “Adesso avete il vostro erede. Non serve più che entriate nel mio letto” mentre era ancora su un letto pieno di sangue. Sembrava davvero che le sue preghiere fossero state ascoltate.
Charles annuì soltanto, senza riuscire a trovare nessuna parola adatta per descrivere la sua immensa felicità.
 
Quella notte fu la più magica di sempre per i coniugi Herbert. Dopo molti anni avevano fatto qualcosa che si avvicinava al puro amore. Elisabeth sapeva di non amarlo, ma averlo dentro di sé quella volta le procurò un piacere immenso, un piacere che non aveva mai provato prima di allora. Neppure James era mai stato così tanto dolce quanto suo marito.
Lui l’accarezzava e la baciava su tutto il suo corpo di porcellana, sussurrandole dolci parole piene d’affetto e di stima. Quella notte, mentre rimaneva accoccolata tra le braccia di suo marito, Elisabeth Herbert pianse. Pianse perché non sapeva amarlo come lui meritava. Pianse perché si rese conto solo allora di aver sprecato la sua vita in aspettare di un uomo che non l’avrebbe mai amata. Pianse perché avrebbe potuto essere felice anni prima.
- Elisabeth – la chiamò suo marito alzandosi su un gomito nel pieno silenzio – perché stai piangendo? –
Elisabeth lo guardò stupefatta. Quell’uomo che aveva per anni considerato un inetto e un incapace era in realtà l’uomo migliore del mondo.
Lo guardò nei suoi occhi verde smeraldo e capì finalmente che sarebbero giunti tempi migliori. Avrebbe fatto fatica a cancellare James dal suo cuore, forse avrebbe impiegato mesi o anni prima di farlo, ma sentiva che con l’aiuto di suo marito sarebbe alla fine riuscita a farlo.
- Va tutto bene, piango perché sono felice –
- Lo sono anche io Elisabeth. Ti ho amata dal primo momento, ho giurato a Dio di proteggerti per il resto della vita. Insieme riusciremo a superare ogni difficoltà –
- Charles è una promessa? – chiese Elisabeth esitante.
- Sì lo è –
La baciò con dolcezza e delicatezza. Le loro lingue si intrecciarono fino a diventare un tutt’uno. I loro respiri erano ansimanti, e la voglia di donarsi l’una all’altro cresceva sempre di più. Ma Charles si staccò.
- Devo confessarti una cosa. Mi sentirei meschino se te la nascondessi –
- Cosa devi dirmi Charles –
Elisabeth era preoccupata, sperò che non le nascondesse qualcosa di orribile. Non sarebbe stato facile per lei superare un ostacolo, soprattutto ora che finalmente sembrava aver trovato la felicità.
- So tutto – disse lui, abbassando gli occhi sul piccolo seno ansimante di Elisabeth, vergognandosi per quel segreto.
- Cosa sai Charles? – gli chiese in preda al panico, ma lui non trovava il coraggio di guardarla.
– Charles, guardami e rispondimi – disse allora Elisabeth con più forza, temendo il peggio.
- So di te e il signor Morrison –
Elisabeth si portò le mani alla bocca, soffocando dentro di lei un urlo di disperazione. Le lacrime riempirono i suoi occhi e lentamente sgorgarono giù tra le ciglia dorate.
- Mi dispiace Charles, avrei voluto dirtelo, ma…-
Charles la zittì portandole un dito sulle sottili, ma eleganti, labbra rosee.
- Non dire nulla Elisabeth. So tutto da anni ormai e quando ho visto che Spencer lo aveva condotto con sé a Derwent House sono andato in panico. Ho cercato di tenervi lontano, ma…-
- Ma cosa? – invogliandolo a continuare. Voleva sapere tutto, doveva sapere tutto.
- Mi sono arreso. Mi sono detto che non saresti mai stata mia se io ti avessi costretto a rimanere con me –
- Probabilmente no – rispose lei, odiando tutta sé stessa per essere stata così stupida.
- Ho deciso che saresti stata tu a scegliere. Quando Spencer è uscito dalla tua stanza, prima della sua partenza, ho capito tutto. Aveva dovuto scoprire la verità, così ho aspettato e pregato che tu rimanessi con me e con i nostri figli –
- Non me ne andrò via e mai più lo penserò. Credimi Charles, io voglio te, voglio questa famiglia più di ogni altra cosa –
Charles allora l’abbracciò, e riversandosi sul morbido letto la portò su di sé senza smettere di baciarla con grande passione.
- Io ti voglio, ora e per sempre – dichiarò lui con grande ammirazione all’orecchio di sua moglie. La stuzzicò fino ad eccitarla e fu lei a chiedere di più.
Si unirono ancora una volta, e infine si addormentarono con le mani giunte. Si erano giurati che mai nessuno li avrebbe separati e da quella notte Charles trovò spazio nel cuore di Elisabeth, desideroso di essere amato.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Mancavano ormai poche settimane all’apertura della stagione e tutti nella contea si stavano preparando all’imminente partenza. Quella mattina Sara aveva deciso di fare visita ad alcuni fittavoli e il duca le aveva chiesto di accompagnarla.
-  I signori Crowford sono sempre molto gentili - le stava dicendo, quando ad un tratto vide Caroline e sua madre in calesse.
- Lord Cavendish è un vero piacere rivederla. Dovete assolutamente venirci a trovare, presto partiremo per Londra e non ci sarà più occasione fino all’estate –
- Oh, credo invece che non ce ne sarà bisogno –
Sara lo guardò incuriosita e lo stesso fece lady Stanley. Con grande soddisfazione il duca disse – Quest’anno saremo anche noi presenti a Londra –
Sara avrebbe voluto urlare. Aveva affrontato l’argomento con il duca qualche giorno orsono e ora, senza confidarsi con lei, aveva deciso?
Lei ovviamente si sarebbe opposta! Ma lord Cavendish sembrava irremovibile. Cosa avrebbe fatto tra le giovani debuttanti con una dote più invitante della sua e con titolo? Inoltre questo avrebbe dovuto significare affrontare Spencer e non era affatto pronta.
- Non è ancora sicuro Lady Stanley – si affrettò a dire lei.
- Davvero? Sarebbe bello per Caroline avere un’amica a Londra –
Un’amica? Aveva detto davvero così? Sara la guardò con stupore.
- Con ogni probabilità saremo presenti quest’anno. Spencer ha bisogno d’aiuto e quindi si necessita della mia presenza a Londra. Con me verrà ovviamente Sara –
Disse Lord Cavendish e lady Stanley sembrò soddisfatta. Quella donna doveva avere in mente qualche piano diabolico per metterla a disagio. Ma il peggiore di tutti era il duca. Gli aveva esposto la sua riluttanza, eppure aveva dichiarato pubblicamente che sarebbero andati a Londra! La verità era che le voleva trovare marito, la sua vita però, era bella così com’era e se proprio si sarebbe dovuta sposare, lo avrebbe fatto solo con l’uomo che amava.
Più tardi, Sara lo affrontò.
- Come avete potuto, sapete che io non voglio partecipare a nessuna stagione –
- Credo invece sia opportuno. Avete visto il signor Morrison, è pazzo di voi. Sarebbe ingiusto tenervi lontano –
- Quindi deduco che abbiate già deciso che debba essere lui a sposarmi! –
Il duca sospirò. A volte era ottusa fino al midollo.
- Sara io voglio vedervi felicemente sposata, che sia il signor Morrison o qualche altro gentiluomo va bene. Ma non voglio vedervi soffrire. Siete ancora giovane e non sapete cosa significhi una vita senza amore –
Quelle parole la colpirono. Sapeva che la decisione era ormai stata preso e cos’altro avrebbe mai potuto fare?
- Allora che così sia – furono le sue sole parole prima di lasciare lo studio.
Sarebbero partiti per Londra qualche giorno prima dell’apertura della stagione per risolvere alcune questioni, ma non era tanto per questo che si sentiva agitata, la vera ragione per cui non smetteva di preoccuparsi era una sola. Nonostante non lo vedesse da mesi ricordava ancora con quanta rabbia l’aveva spinta lungo la parete e al contempo con quanta enfasi l’aveva stretta a sé. Il cuore le cominciò a battere forte. Cosa avrebbe fatto una volta ritrovatasi al suo cospetto? Di sicuro Spencer l’avrebbe ignorata, e le come avrebbe reagito?
 
Il viaggio fu lungo ed estenuante. Il suo tormento non l’abbandonò nemmeno per un secondo. Il duca l’aveva invitata a riposare, ma neppure quella volta riuscì a farlo. Londra era ormai vicina e da quella distanza riusciva a scorgere il Great Bell.
Quando entrarono in città, Sara fu ammaliata dai grandi palazzi e dal caos che animava la capitale. In quel momento capì quanto fosse diversa dalla campagna. Da ogni angolo sbucava gente che urlava e gesticolava ad alta voce. Vide alcune donne con grossi panieri sulle braccia, altre sporche di farina mentre altre ancora tenevano in braccio bambini urlanti. Si rese conto di quanto fossero autentiche soprattutto rispetto alle donne dell’alta società che si nascondevano dietro fronzoli e merletti.
Finalmente la casa in Bon Street si mostrò a loro ed era elegantissima, più di quanto ricordasse.
Sul vialetto privato erano cresciuti meravigliosi fiori colorati che lei a malapena ricordava. Non appena la carrozza si fermò davanti al portone blu, il cuore di Sara cominciò a tamburellare nel petto. Sperò che ancora non fosse in casa, ma sapeva che le sue speranze sarebbero state vane.
Ad accoglierli fu il maggiordomo Charley che lavorava per i Cavendish da molti anni da diventare più di un domestico.
– Lord Cavendish è passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati –
- Oh, vecchio mio è passata un’eternità –
Erano ormai tre anni che il duca non si recava a Londra. Dopo la morte di lady Cavendish era caduto nella più profonda disperazione, scegliendo come protezione la sua casa di campagna. Nonostante non l’avesse mai amata, Grace era pur sempre sua moglie e la sua migliore amica.
- Signorina, benvenuta – Charley si rivolse a lei con una particolare attenzione. Non la vedeva ormai da anni, per questo era curioso di scoprire come fosse diventata.
- Siamo stati così impazienti di rivedervi – ammise.
– Siete sicuro che tutti siano impazienti di avermi in questa casa? –
Charley si accorse dell’allusione al signor Cavendish e le rivolse un sorriso di conforto.
- Sono certo che tutti siano felici di avervi qui signorina – le disse, cercando di rasserenarla. Sara però, continuava a credere che sarebbe stato più saggio rimanere a Derwent House.
All’improvviso avvertì una stretta allo stomaco e quando si voltò lo vide. I suoi grandi occhi azzurri che un attimo prima guardavano lord Cavendish, si posarono su di lei. Sara non riuscì a sostenere quello sguardo tanto penetrante, tanto insopportabile. Sembrava un puma in attesa di assalire la sua preda. Scese quei gradini con grande lentezza e il cuore di Sara palpitò ad ogni suo passo.
- Benvenuto a casa – disse, rivolgendosi a suo padre – signorina Wood, è un piacere rivederla –
Fu così veloce che non le diede il tempo di rispondere. Subito si rivolse a Charley.
– Fa che gli ospiti si sentino a loro agio e chiama Marcus per i bagagli. Io tornerò per cena, fino ad allora sarò impegnato -
Prima di varcare la porta però, Spencer si voltò a guardarla profondamente per poi sparire.
 
Sara fu condotta in una stanza meravigliosa. Le pareti colorate di azzurro le ricordarono il cielo del Derbyshire e si sentì subito a suo agio, poi il suo sguardo fu attratto da un grande dipinto posizionato sul camino di marmo bianco.
– Sapete cosa ritrae? – le chiese Charley, osservando il suo sguardo indagatore, ma lei fece cenno di non sapere cosa fosse.
– Il signor Cavendish lo ha portato con sé da Roma. Mi disse che doveva essere sistemato in questa camera, non chiedetemi il motivo, a volte quel ragazzo si comporta in modo così strano. Ad ogni modo quello che vedete è il Colosseo –
- Oh! È meraviglioso, mi piacerebbe avere la possibilità di vederlo un giorno –
Charley la guardò e le disse - Potreste chiedere al signor Cavendish di portarvici –
Ma per lei sarebbe solo un sogno.
L’ora di cena arrivò presto. Riuscì a stare nella stessa stanza con Spencer, ma con grande dispiacere dovette ammettere che per lui, era completamente inesistente.
Non l’aveva degnata né di una parola né di uno sguardo.
Quando si fece troppo tardi per lord Cavendish il piccolo gruppo si sciolse per recarsi nelle proprie camere.
Il mattino seguente fece visita alla cara signora Cooper e quando entrò nell’atelier, notò lo sguardo indagatore delle signore presenti.
- Sara, siete voi! Non posso crederci – Eleonor lasciò la cliente che stava servendo per andarla ad abbracciare.
- Non ho voluto dirvi niente proprio perché volevo che fosse una sorpresa –
Eleonor si recò con Sara nel retrobottega, lasciando la clientela alla sua assistente presa dal panico.
 - Ho una notizia da darvi. Lord Cavendish vuole che io partecipi alla stagione e… -
- Davvero? Ho per te tante idee su abiti meravigliosi, ma ne ho uno speciale. Vi ricordate che ve ne ho fatto un accenno? Dovete indossarlo il prima possibile - disse in preda alla gioia.
- È per questo che sono venuta, ma posso aspettare – facendole notare che molte dame erano lì prima di lei per gli acquisti.
- Adesso devo occuparvi di voi, mia cara –
Eleonor la trattava sempre con tanta dolcezza, tanta da non riuscire mai a contraddirla.
- Cara ho conosciuto il signor Morrison, che uomo elegante. Si è presentato qui qualche giorno fa –
Quindi anche lui era lì. Sara trovò premuroso da parte sua voler conoscere la donna che l’aveva cresciuta, ma non capiva perché farlo con tanta fretta. Tutto lasciava supporre che fosse davvero innamorato di lei e infatti i suoi amici erano convinti che si sarebbe presto dichiarato.  
- Mi farebbe molto piacere rivederlo, sicuramente ci incontreremo a qualche ricevimento –
A quel punto Eleonor la guardò sorpresa – Cara, non avete certo l’entusiasmo di una donna innamorata –
- Oh, certo che sono felice di rivederlo, ma…-  
Eleonor comprese la sua difficoltà così cambiò argomento.
- Venite con me, vi mostro dei modelli –
Sara si lasciò convincere, ma con la mente continuò a pensare ad un quesito. Lei era mai stata innamorata di James?
 
Dopo aver preso le misure per ben sei abiti nuovi rientrò a casa e all’ingresso udì delle voci provenienti dal salotto. Avvicinandosi ad esso sbirciò dalla porta semichiusa per vedere chi ci fosse al suo interno. Fu allora che vide una donna molto elegante in compagnia di Spencer. Elisabeth era lì.
- Spencer dovete lasciarmi spiegare –
Udì, ma la conversazione si interruppe quando Spencer la vide tra la fessura della porta semiaperta. Allora si immobilizzò.
– Sara, siete voi? – disse Elisabeth appena si accorse della sua presenza.
- Siamo arrivati solo ieri- si affrettò a spiegarle Sara.
Spencer continuava a fissarle con incredulità visto che non era a conoscenza degli ultimi avvenimenti.
Rimasti soli, Sara si affrettò a scusarsi e a sparire il prima possibile. Aveva sbagliato a curiosare in quel modo, stavano discutendo di qualcosa di privato e lei li aveva interrotti. Era stata una vera sciocca. All’improvviso sentì sul suo braccio una forte presa.
– Sara – sentendo pronunciare il proprio nome da quell’uomo, il suo respiro si spezzò a mezz’aria – dove state andando così di fretta? -
- Dovete scusarmi, non avrei mai dovuto ficcanasare –
Lui annuì.
- Eppure lo avete fatto –
Lo aveva infastidito, lo sapeva.
Lei pensò di meritare quella strigliata, ma la voce dura di Spencer mutò in un tono più dolce.
- Ditemi – ora si trovava così vicino, tanto che Sara cominciò a temere che potesse udire il rumore del proprio cuore – perché stavate ascoltando una conversazione privata? –
Sara cercò di formulare una scusa adeguata, ma finì solo per farfugliare parole senza nessun senso.
- Tranquilla, ma fate in modo che non ricapiti mai più –
- Certo, signor Cavendish -
- Sara – la richiamò di nuovo a sé. Lei si voltò e lo guardò nei suoi occhi blu zaffiro. Per fortuna era ad una debita distanza.
- Riguardo a ciò che è accaduto mesi fa a Derwent House, io…-
Cosa le stava per dire? Si stava forse scusando?
- Facciamo come se non fosse mai accaduto. Io ho assunto il compito di accompagnarvi durante gli eventi di questa stagione e non voglio che tra noi ci sia il minimo imbarazzo siete d’accordo? –
Sara annuì e corse su per le scale chiudendosi in camera sua. Perché doveva essere tanto villano? Non poteva scusarsi per ciò che le aveva fatto? Era insopportabile, ma…
Nessuno l’aveva baciata in quel modo. Nessuno l’aveva mai baciata! Ricordava ancora il sapore della sua bocca e forse non lo avrebbe ma scordato. Aveva assaggiato un frutto proibito e adesso era perduta. Non poteva negare che le fosse piaciuto, più del dovuto. Cercò di non pensarci più e di trovare la sua solita compostezza, così chiamò Alene per prepararsi. Quella sera era importante perché avrebbe segnato il suo futuro.
 
L’ultima stagione a cui aveva partecipato fu un totale fallimento. Ricordava ancora quei balli infiniti in cui veniva messa in disparte dagli uomini. E adesso, come sarebbe andata? Temeva di non farcela, ma tutti le ripetevano quanto il fascino della maturità l’aveva aggraziata.
Per quella occasione aveva deciso di indossare un delizioso abito color crema con uno scollo merlettato e ci vollero ben due ore per prepararsi. Lord Cavendish, nonostante sarebbe rimasto a casa, si recò all’ingresso insieme ad uno Spencer impaziente che non smetteva di guardare l’orologio da taschino.
– Anche voi siete in fermento Spencer? È questo che si prova quando si aspetta una donna – disse suo padre burlandosi di lui.
- In realtà guardo l’orario per non arrivare molto presto. Vorrei entrare nella sala assieme agli altri invitati per evitare di attirare troppo l’attenzione su di lei. Non voglio esporla al giudizio di tutti i presenti. Almeno non subito – Spencer lo disse sinceramente. Poteva anche odiarla, ma era pur sempre un membro della sua famiglia. Che lo volesse o no.
- Sarà improbabile che non accada. Tutti sapranno già della sua presenza, ma non preoccupartene troppo. Presto tutti gli uomini di Londra se ne invaghiranno –
Quella era l’ultima cosa che avrebbe voluto udire. Non riusciva a capire come quella donna provocasse in lui emozioni così contrastanti. Un momento prima provava avversione e un momento dopo la desiderava con ardore. All’improvviso vide suo padre voltarsi e lo stesso fece anche lui.
Sara era meravigliosa, non aveva mai visto una donna da un portamento tanto elegante. Il cuore di Spencer cominciò a battere sempre più forte. Indossava un magnifico abito color crema con lo scollo pronunciato decorato da merletti e le maniche a sbuffo le coprivano le spalle. Sulla gonna scendevano delle balze mentre la vita era decorata da una fascia stretta di colore azzurro
- Siete molto bella mia cara – le disse con sincerità lord Cavendish andandole incontro e porgendole una mano per aiutarla a scendere gli ultimi scalini.
- Siete incantevole questa sera – le disse Spencer una volta di fronte a lei.
- Grazie – rispose lei timidamente.
Insieme si avviarono verso la vettura che li stava già attendendo e appena vi salirono il cocchiere animò i cavalli che presero subito il passo. Man mano che si avvicinavano alla grande dimora dei Churchill, l’ansia aumentò in Sara.
- State tranquilla, andrà tutto bene –
- E se non sarà così? Ormai sono troppo vecchia per trovare marito –
Sara sprofondò sul morbido siedile imbottito, come una bambina impaurita.
– Smettetela! Siete bella, spiritosa e intelligente per non parlare che su di voi si può sempre contare. Gli uomini capiranno ben presto che siete la moglie ideale –
Sara non riusciva a credere alle sue parole. Quello era il primo complimento che le avesse mai rivolto.
All’improvviso chiese a Spencer se quella sera fosse accorso anche James. Non voleva parlare di lui, ma aveva bisogno di sapere se ci fosse stato. Doveva comprendere i suoi sentimenti.
- Forse, visto che sua sorella debutterà quest’anno –
- Sì, naturalmente –
Spencer la guardò cercando di cogliere qualche espressione che gli facesse capire cosa provava per l’amico, ma non vi trovò nulla. Forse era un buon segno, non sembrava una donna innamorata e non aveva dimostrato grande entusiasmo quando le aveva detto che forse ci sarebbe stato. Quindi si rilassò e si concentrò sul suo obiettivo. Difendere Sara da qualsiasi pettegolezzo.
Quando la carrozza si fermò capì che era giunto il momento di scendere.
 
La sala era abbastanza ampia da accogliere tutta quella gente dell’alta società e tra di esse Sara riconobbe alcune vecchie conoscenze. Stretta al braccio di Spencer, come se in qualche modo potesse proteggerla, avanzava lentamente tra la folla. Sara per tranquillizzarsi cercò di concentrarsi sui dipinti che adornavano il lungo corridoio che collegava l’ingresso alla sala da ballo. Nel frattempo Spencer la trascinò velocemente come se non volesse che la gente indugiasse con lo sguardo troppo a lungo su di lei.
Quando finalmente entrarono nella sala da ballo, Sara alzò il capo verso l’alto e ammirò un grandioso affresco raffigurante il Dio Dioniso circondato dalle Menadi che danzavano sfrenatamente. Poi lo sguardo si posò sui tre enormi lampadari di cristallo che illuminavano la pista da ballo con luce soffusa, quasi romantica. Mentre lungo le pareti ricoperte da stoffe damascate si trovavano fila di specchi con console riccamente decorate da simpatici puttini. Si soffermò con lo sguardo sul suo riflesso e notò che tutte le altre dame erano bellissime nei propri abiti sfarzosi. Si sentì inferiore. Spencer si rese conto che la sua dama era in difficoltà così le disse - Datemi il vostro carnet –
- Perché? – chiese lei ingenuamente.
– Voglio segnare il mio nome per i primi due balli –
Sara si stupì di tale generosità ed apprezzò il suo gesto.
– Credo che due balli siano sufficienti a farvi notare. Non credete? –
- Credo di sì, ma non volevate il contrario poco fa? –
Spencer le sorrise.
– Voglio che vi si guardi solo per quella che siete. Una donna forte ed estremamente affascinante. Le malelingue dovranno tacere al vostro cospetto –
Era strano il suo comportamento. Perché ad un tratto voleva aiutarla? Ma Sara si promise che ci avrebbe riflettuto l’indomani. Quella sera doveva concentrarsi su altro, così si limitò a ringraziarlo con un sorriso sereno.
 
Dopo poco iniziò la musica e si formarono le prime coppie, Spencer l’accompagnò al centro della pista per ballare una quadriglia. Stranamente quel ballo ebbe il potere di tranquillizzarla. Spencer vedendola finalmente serena, riuscì anche lui a godersi quella serata. Alla fine del secondo ballo, Spencer condusse Sara accanto ad Amanda che fino ad allora non aveva ancora avuto occasione di danzare. Non appena furono lasciate sole, Amanda non perse l’occasione di chiederle cosa stesse succedendo tra loro.
- Nulla Amanda, questa sera è stranamente cordiale –
- Spero che adesso non ti affezioni anche lui. Già l’dea di te ed Elisabeth mi è intollerabile, figuriamoci con Spencer! –
Sara vagò con la sua mente a mesi prima e di nuovo il ricordò del tocco delle sue labbra, il calore sprigionato dalla sua bocca e la frenesia del suo corpo l’avvolsero in una forte eccitazione. All’improvviso scorse un uomo dai capelli corvini con occhi scuri e penetranti che con un andamento fiero si recò verso di loro.
- Signorina Wood, signorina Taylor è un vero piacervi incontrarvi qui stasera –
James Morrison era più bello che mai e tutte le donne le guardavano con occhi infuocati dalla gelosia e dalla bramosia. Eppure Sara non provava nulla di tutto ciò.
- Il piacere è tutto nostro – rispose Amanda - siete solo? –
- No, ho accompagnato mia sorella. Questa è la sua prima stagione e devo fare molta attenzione con lei –
- Temete che sia ingannata da qualcuno? –
Si intromise improvvisamente Sara. James scoppiò a ridere per tale affermazione.
– Signorina Wood, mia sorella è giovane e non conosce ancora le regole di questo mondo. È compito mio badare a lei –
- Credo che dobbiate essere più indulgente, lasciate che faccia le sue esperienze. Solo in questo modo può formare il proprio carattere, i propri interessi e i propri pensieri. Saprà così scegliere il suo futuro nel migliore dei modi –
– Avete ragione, tuttavia non mi fido molto degli altri uomini – le disse mantenendo un sorriso e poi le chiese – posso avere il piacere del prossimo ballo? – lei annuì, seguendolo con lo sguardo finché non si allontanò.
La serata stava trascorrendo in modo tranquillo a dispetto delle sue supposizioni ed ebbe anche il piacere di ballare con diversi gentiluomini. C’era stato il signor Fischer che trovò molto simpatico, poi il signor Robinson, un uomo elegante e ancora il signor Green la cui dolcezza dei modi erano affascinanti. Tra i gentiluomini non mancò James Morrison, con cui ballo ben due volte. Ad un certo punto della serata si rese conto che tutti gli occhi delle donne presenti in sala erano puntati nella stessa direzione.
- Sara – le bisbigliò Amanda – ecco Caroline e sua madre –
Sara si voltò verso le due donne, vestite in modo impeccabile, che stavano rubando la scena a tutte le altre e dovette riconoscere che Caroline era straordinaria quella sera.
– Spero non si avvicinino a noi – confessò ad Amanda, ma era troppo tardi.
– Buonasera signorina Taylor e buonasera anche a voi signorina Wood, siamo così felici di avervi qui – rivolgendo tutta la sua attenzione su Sara - Siete un esempio per tutte noi, partecipare ad una stagione nonostante la vostra età – disse lady Stanley nascondendo una risata dietro il ventaglio aperto.
- Siamo molto felici di vedervi anche noi– si affrettò a risponde Amanda, mentre Sara non smetteva di fissarla, odiandola con tutta sé stessa per il modo insufficiente con cui la guardava.
– Dovete assolutamente venire a prendere un tè a casa nostra. Siete invitata anche voi signorina Taylor – entrambe si sforzarono di sorridere e accettarono con un accenno del capo quell’invito. Sarebbe stato scortese non accettare.
- Avete visto la mia Caroline? Possiede una bellezza senza pari – quella donna parlava ad alta voce apposta per farsi udire dalle persone circostanti - sicuramente domani riceverà molte visite. I gentiluomini non smettono di guardarla. Ho notato che anche voi avete ballato con diversi di loro. Tutti molto rispettabili –
“Rispettabile” significava che aveva attratto solo uomini insignificanti, vanificando tutto il suo lavoro per piacersi.
- Se volete la prossima volta che porterò Caroline dalla modista porterò anche voi. Vi farò conoscere la signorina Durand, le sue mani sono fatate –
La stava umiliando davanti a tutte quelle persone. Se ci fosse stato qualcuno a Londra a non conoscerla, adesso non sarebbe stato più così.
- Sapete signorina Wood, se veniste con me la signorina Durand riuscirebbe a risaltare il vostro tenero faccino –
Sara si immobilizzò. Come si permetteva! Offenderla in quel modo sul suo aspetto. Per fortuna le si avvicinò una donna.
Era Elisabeth.
– Signorina Wood è proprio voi che stavo cercando. Vogliate seguirmi, ho bisogno di parlare con voi – e senza rivolgere un solo sguardo a lady Stanley, la quale naturalmente si infuriò per tale scortesia, condusse Sara con lei.
Finalmente lontana da quella donna insopportabile, Sara tornò a respirare ad un ritmo normale.
- Quella donna è così maleducata –
- Sapevo che sarebbe stata il mio tormento –
- E pensare che avevo sfiorato l’idea che Caroline potesse essere la giusta duchessa di Devonshire –
- Davvero? – chiese Sara con incredulità. Non poteva immaginare sorte peggiore per il ducato. Provò quasi pena per Spencer.
- Ora smettetela di pensare a quello che vi ha detto quella donna. Andiamo da Charles, lui saprà tirarvi su di morale parlando di corse e destrieri –
Entrambe scoppiarono a ridere. Charles era un brav’uomo, ma a volte sapeva essere davvero irritante.
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Il giorno seguente, ancora combattuta per quanto accaduto, Sara rimase chiusa in camera fino al pomeriggio, dopo di che si costrinse a scendere in biblioteca cercando di impegnare la sua mente con altro. C’erano così tanti volumi, ma nessuno che stuzzicasse la sua curiosità. Giunta alla fine del primo scaffale si spaventò vedendo un paio di gambe accavallate.
- Sara, siete voi? Non spaventatevi – disse Spencer, alzandosi e andando verso di lei.
– Siete così silenzioso che pensavo di essere sola. Scusatemi se ho interrotto la vostra lettura – cercò di andare via, ma lui la fermò.
- Non dovete scusarvi, anzi era voi che volevo vedere. Quando sono giunto qui stamattina Charley mi ha riferito che vi stavate intrattenendo nelle vostre stanze –
Sara si limitò ad annuire. Di cosa voleva mai parlarle?
- Ho saputo – si fermò prima di continuare – ho saputo ciò che è accaduto. Quella donna si è spinta oltre. Un conto è parlare in un salotto privato, un altro nel bel mezzo di una sala da ballo –
Sara notò che Spencer era sinceramente dispiaciuto per non aver fatto nulla per evitare quello spiacevole episodio.
– Voi non dovete recriminarvi di nulla, quella donna è andata oltre con grande facilità perché io glielo ho permesso, ma non sarà più così. Temo però che abbia influenzato le altre persone. Da stamattina non ho ricevuto nessuna visita –
- Se è così come dite, gli uomini che si definiscono gentiluomini sono dei veri idioti –
Sara scoppiò a ridere e si sentì stranamente felice. Era bello non essere in continuo contrasto con lui.
- Sara, troveremo l’uomo giusto per voi – le confessò alla fine, avvertendo uno strano groppo alla gola. Era deciso a trovarle marito perché solo in quel modo avrebbe potuto spegnere quell’ardente desiderio che cresceva in lui.
- Forse avete ragione – fu la sola risposta di Sara, ancora insicura di tale decisione.
 
- Quella… -
- Per favore non spendete nessuna parola offensiva per quella donna. Non merita neanche questo – disse Sara alla signora Cooper che non tollerò il comportamento inadeguato di lady Stanley.
- Certo, perché si scredita da sola. Vi giuro che se entrerà qui dentro non le confezionerò nessun abito –
Se fosse stata presente quella sera, Eleonor non sarebbe riuscita a rispondere delle sue azioni. Non solo aveva offeso Sara, la sua piccola e dolce ragazza, aveva offeso anche le sue creazioni.
- Ancora non vi ho consegnato tutti gli abiti, apporterò delle modifiche così sarai più bella di sua figlia che è magra come un chiodo –
Sara quasi si divertì a vederla in quel modo. Eleonor prese il suo blocco da disegno e cominciò a schizzare alcuni modelli. Solo per lei.
- La signorina Durand! Pettegola e stupida. Tutti pazzi per queste modiste francesi, ma anche qui a Londra c’è ne sono di altamente qualificate –
- Smettetela, i vostri abiti sono sempre stati molto apprezzati. Amo la vostra manifattura e se qualcuno è contrario che andassero al diavolo – non era sua abitudine imprecare, ma era stufa di subire offese dalla signora Stanley - da oggi voglio essere me stessa e non pensare a ciò che le altre persone dicono di me –
- Brava mia cara, è così che dovete agire –
Ormai aveva deciso. Non si sarebbe lasciata più intimidire da nessuno.
 
Londra era stranamente soleggiata, così Lord Cavendish ebbe l’idea di fare una passeggiata in Hyde Park.
Lord Cavendish sembrava più felice, Londra lo aveva rinvigorito però non era più l’uomo di una volta. Stava invecchiando e la sua malattia al cuore nascondeva numerosi pericoli. Appena vide un grosso Salice, il duca decise di riposare sotto la sua ombra.
 

 
Londra era nel pieno della stagione mondana, mentre la natura svolgeva rigorosamente il suo compito di rinascita. 
Allora John era solo un giovane gentiluomo, membro di una delle più antiche famiglie della società londinese ed erede di un’immensa fortuna. In lui si aspirava piena fiducia nel portare avanti una dinastia secolare.
John era un uomo affascinante e tante di quelle adorabili fanciulle avrebbero voluto essere sua moglie, ma lui amava una sola, adorabile e straordinaria creatura. Quel pomeriggio aveva invitato la signorina Lily Wood a passeggiare con lui in Hyde Park. Con ancora il bel sole alto in cielo, John e Lily chiacchieravano del più e del meno, finché non si appostarono sotto un grosso Salice mentre di fronte a loro si stagliava un immenso specchio d’acqua. Seduti a guardare il magnifico spettacolo della natura, Lily ruppe quel delizioso silenzio.
– Non credete che sia favoloso il luccichio del sole sulle acque? –
- Siete così romantica, io vedo solo un semplice evento naturale e nulla più – le disse sarcastico.
- Lo so che anche voi lo trovate stupefacente tanto quanto lo trovo io. Sapete non mi ingannate – lo conosceva ormai troppo bene da sapere che non amava esternare i suoi sentimenti.
- So cosa state facendo, ma io non sono romantico quanto voi. Almeno non lo dimostrerò mai –
- Dovreste lasciarvi andare di più. Di me potete fidarvi – gli disse Lily guardandolo sorridente.
- Ho visto come Lord Wright vi ha guardato ieri sera a teatro –
- Siete geloso per caso? –
- Sì lo sono, lo sapete bene –
- Smettetela di esserlo, sapete che io amo solo voi – lei lo amava davvero. Lui le aveva promesso che avrebbe parlato con la sua famiglia e che la sua vita sarebbe cambiata per sempre. John era l’unico uomo che avrebbe mai amato nella sua vita.
- Allora stasera ballerete con me quattro balli, siete d’accordo? –
- Certo che lo sono, io amo rompere le regole della società. Lasciamo spettegolare quelle vecchie signore pompose –
- Vi amo Lily come non ho mai amato nessuna in vita mia –
Lily lo guardò e approfittando della solitudine del momento si scambiarono un bacio casto, ma ricco di passione.
John adorava quella donna ed era convinto di poter vivere una vita felice solo al suo fianco.
 

 
 
Lord Cavendish constatò con amarezza che erano trascorsi tanti anni dal giorno in cui aveva incontrato Lily proprio sotto quel salice. Erano entrambi giovani e inesperti della vita, ma tanto desiderosi di viverla a pieno. I suoi piani però, erano stati messi a repentaglio da incombenze più grandi di lui, legate al pesante nome della sua famiglia. Se avesse potuto decidere per conto suo avrebbe scelto Lily e insieme a lei avrebbe creato la sua famiglia. Continuava a vivere nel totale rimorso di non averla aiutata, di non aver rispettato quei suoi sentimenti che non lo hanno abbandonato neppure per un secondo della propria vita. Nonostante non vedesse Lily da più di venticinque anni, nonostante lei non ci fosse più, l’amava ancora come se fosse la prima volta. 
 
Sara quella sera era raggiante, come mai prima di allora. Indossò un magnifico abito color pesca con merletti riccamente decorati sul taglio della scollatura e i capelli decorati da rose bianche mentre sul viso aveva un leggero filo di trucco. Quando Spencer la vide, il suo respiro si fermò per un breve secondo.
Sara scorse dal finestrino della vettura il Royal Drury Lane, il teatro più antico di Londra e da molti considerato la casa di spaventosi fantasmi.
Quando scesero dalla carrozza, Sara si mise al fianco di Spencer, sentendosi protetta. Notò lo sguardo delle altre donne e dei gentiluomini che la fissavano, ma non se ne curò per niente. Lui le sorrise e lei lo ricambiò con grande piacere.
In quei giorni qualcosa era cambiato. Nonostante non vivessero sotto lo stesso tetto, Spencer trascorreva le sue giornate nella casa di Bond Street. Anche se per la maggior parte del tempo era chiuso nel suo studio. Aveva notato come si rivolgeva a lei, era più educato e meno altezzoso.
Spencer aveva occupato per loro uno dei palchetti e si sedettero l’una accanto all’altro.
Erano soli, lei e lui.
Il sipario si alzò e gli attori apparvero sul palcoscenico. Lo spettacolo fu un enorme successo come Sara potette notare dall’applauso euforico del pubblico. Le ambientazioni sceniche erano state curate nei minimi dettagli e gli attori avevano recitato in modo sensazionale, tanto da coinvolgerla per l’intero spettacolo. Verso il finale, Sara dovette trattenere quasi le lacrime e vide Spencer allungare la mano e poggiarla sulla sua stringendogliela forte per consolarla. Per un breve istante, Sara riuscì a incrociare i suoi occhi notando che anche lui si stava emozionando. Quando tutto finì seguì Spencer nel grand foyer illuminato da enormi lampadari di cristallo.
- Mi sembra di essere catapultata in un mondo lontano – disse Sara guardando le colonne lungo le pareti.
- Ricordano l’architettura romana – le confidò – Charley mi ha detto che sarebbe vostro desiderio visitare Roma -
Sara si sentì in imbarazzò – Mi piacerebbe, sì –
Da lontano udirono una voce a loro conosciuta. Lady Stanley si stava avvicinando rompendo quell’intimità tra loro.
- Andiamo via – lo supplicò, ma Spencer la prese per il braccio trattenendola e Sara divenne paonazza. Tutti avrebbero potuto vederli!
- Signor Cavendish siamo felici di vedervi qui stasera. Signorina Wood, anche voi qui che enorme piacere –
Sara sapeva che quella donna non faceva altro che guardarla solo nel tentativo di disprezzarla e sentiva il suo sguardo andare su e giù sulla propria figura.
– Lady Stanley, non vedo vostro marito –
Spencer lo aveva fatto apposta. Sapeva bene che lord Stanley aveva un’amante (come il resto dei gentiluomini di Londra) e voleva metterla in difficoltà. Il timore più grande di lady Stanley era quello di apparire per ciò che era. Questo Spencer lo sapeva benissimo.
- Oh, purtroppo questa sera era indisposto, ma siamo in compagnia del signor Walker. Eccolo lì, accanto alla mia bellissima Caroline. Questa sera non è stupenda, signor Cavendish? –
Sara provò di nuovo quella sensazione di soffocamento, ma aveva promesso a sé stessa che non si sarebbe fatta sopraffare. La risposta di Spencer fu inaspettata.
– Bella, ma ci sono tante altre dame ad essere meravigliose, come la signorina Wood. Non concordate con me? –
Sara lo guardò con due occhi spalancati. Voleva ammonirlo, ma non poteva certo farlo in quel momento.
Lady Stanley invece, riuscì solo a sorridere, poi si voltò e andò via. Sara cercò di trattenere il riso, ma non ci riuscì. Dopo un po', un’altra risata si mescolò alla sua. Spencer le disse di non aver mai visto quella donna tanto in imbarazzo.
– Uno spettacolo come pochi direi –
- Concordo con voi. Siete stato coraggioso a parlarle in questo modo. Non so se vorrà ancora imparentarsi con voi –
Spencer ricordò i tentativi di Caroline di avvicinarsi a lui e fu percorso da un brivido di disgusto. Neppure se fosse stata l’ultima donna sulla terra l’avrebbe scelta.
Dopo quella magnifica serata, era giunta l’ora di tornare a casa. Spencer e Sara non smisero di parlare lungo tutto il tragitto di ritorno e all’arrivo da vero gentiluomo, Spencer la riaccompagnò fino alla porta dell’abitazione in Bond Street.
– Siamo arrivati – disse lui, tralasciando un moto di tristezza nella sua voce che colpì profondamente Sara.
- Sì, lo siamo – ripeté lei.
Era chiaro che Spencer fosse in imbarazzo, tanto quanto Sara. Preferì darle la buonanotte piuttosto che starsene al suo fianco senza aggiungere nessuna parola.
– Sono stato molto bene questa sera –
- Anche io, signor Cavendish. Buonanotte –
- Buonanotte -
Quella notte nessuno dei due dormì.
 
Durante quelle settimane Sara ed Elisabeth divennero sempre più intime.
- Spencer avrebbe bisogno di una spinta – disse Elisabeth – ma non so quale sia il tipo di donna che gli interessa -
Sara ripensò a quando Elisabeth le aveva confidato che aveva pensato a Caroline come ad una perfetta candidata. Spencer era così diverso da lei, di certo non sarebbero stati felici insieme.
- Sono convinta che Spencer debba scegliere una donna più adatta a lui, è facile ad annoiarsi di fronte a ragazze che lo adulano. Per questo Caroline non è la donna giusta per lui –
- Avete perfettamente ragione, siete molto perspicace –
Sara si rese conto che Elisabeth era afflitta da qualcosa, così le chiese se c’era qualcosa che non andava.
- Sono qui a discutere con voi sul futuro di Spencer e del ducato, quando lui non mi degna neppure di uno sguardo –
Sara non sapeva cosa fosse accaduto tra i due fratelli, ma aveva la certezza che entrambi ne soffrissero molto. La conversazione fu interrotta quando Charley entrò nel salotto.
- Signorina, è giunta questa per voi –
Le porse una lettera e sul dorso lesse il nome di James Morrison. Non lo aveva più visto dal ballo dei Churchill. Non sapeva ancora come affrontarlo. In quei giorni aveva compreso che per lei non era altro che un amico e sperava davvero che rivedendola non avesse risvegliato in lui un qualche tipo di sentimento da spingerlo a farle una proposta.
- Cosa vi scrive il signor Morrison? – le chiese Elisabeth, cercando di tenersi impegnata sul suo lavoro da cucito.
- Mi ha invitato a casa sua per conoscere sua sorella –
- E voi ne siete felice? –
Sara ci pensò prima di rispondere – Il signor Morrison è un uomo gradevole e sono felice che abbia un’alta considerazione di me, ma…-
- Cosa avete Sara? A Derwent House credevamo tutti che vi piacesse –
Un ricordo balenò alla mente di Elisabeth. Notti trascorse a piangere per l’indifferenza di quell’uomo che porgeva tutta la sua attenzione verso una donna che non era lei. E adesso Sara le stava confessando che non provava nulla?
- Considero il signor Morrison un uomo fantastico e un buon amico –
Con quelle parole Sara interruppe la conversazione in quello stesso momento. Non aveva voglia di parlare di James così cambiò argomento e tornarono ad occuparsi dei propri lavori da cucito.
 
Più tardi, quella sera stessa, Sara si recò nello studio di Spencer con la speranza di parlargli. Non sapeva come affrontarlo, ma sentiva che era suo dovere aiutare Elisabeth a riconciliarsi con lui.
Quando arrivò bussò per diverse volte alla porta, ma nulla, dall’altra parte non c’era altro che silenzio. Incautamente, il suo istinto la spinse ad entrare.
La stanza era ampia e ben arredata, e il suo sguardò si posò lungo le pareti dove si trovavano i ritratti di famiglia illuminati dalla luce fioca del caminetto acceso e da alcune candele poste sulla scrivania. Fu lì che Sara vide Spencer immerso in un sonno profondo, chino su diversi fogli sparsi.
Sara aggirò la scrivania con la speranza di essere silenziosa come una piuma e rimase ad osservarlo attentamente. Lo trovò così innocente da farle venire voglia di accarezzare le sue guance appena rasate. Profumava di fresco.
Avvicinandosi però, i suoi capelli stuzzicarono il collo nudo di lui facendolo svegliare all’istante. Quando riaprì gli occhi, Spencer si ritrovò a pochi centimetri dal grazioso naso di lei, la quale si spostò all’indietro così velocemente da barcollare.
Per fortuna Spencer riuscì a prenderla in tempo afferrandola per un braccio e attirandola a sé. Sara, imbarazzata, si scostò immediatamente da lui spostandosi vicino al camino ardente.
– Scusatemi per avervi svegliato, non era mia intenzione –
- Siete una donna incauta, entrare nel luogo privato di un uomo. Siete stata fortunata che ci sia io e non un bell’imbusto pronto a sedurvi –
Sara si morse un labbro pentendosi subito di averlo svegliato e abbassò lo sguardo sulle sue magnifiche scarpette di seta celeste per non affrontarlo. All’improvviso lo sentì ridere, così alzò di nuovo lo sguardo su di lui.
– Perché ridete? – ma lui non rispose, troppo impegnato a sogghignare, beffandosi di lei.
– Volete darmi una risposta una volta per tutte? - 
- Ero già pronto ad essere insultato e invece siete in imbarazzo –
Sara divenne paonazza e ovviamente non si trattenne più.
– Siete uno stolto –
- Appunto -
Sara avvertì la sua presenza sempre più vicina, così il suo cuore cominciò a batterle più forte. In sua presenza non riusciva mai a controllare il proprio corpo, desideroso di un contatto con quell’uomo aitante. Il suo petto saliva e scendeva ad un ritmo incontrollato e la sua bocca si aprì inconsapevolmente, pronta ad accogliere la sua lingua umida e calda. Una volta accanto a lei però, Spencer allungò la mano verso il suo viso accarezzandone con un dito i tratti dello zigomo, raggiungendo il collo affusolato e poi la clavicola. Quando allontanò la mano, Sara si ritrovò insoddisfatta. Sapeva che c’era di più e lei lo voleva tutto.
- Sara, cosa vi ha spinto ad intrufolarvi nel mio studio come una delle più esperti amanti? –
Sara deglutì prima di rispondere – Non sono certo venuta per farmi sedurre da voi, se è quello che avete in mente – Spencer scoppiò di nuovo a ridere.
Sara cercò di non curarsi delle sue risate e provò di nuovo a parlargli andando direttamente al nocciolo della situazione.
- Sono venuta per parlarvi di Elisabeth –
Il voltò di Spencer mutò in un batter d’occhio, preannunciando a Sara un proseguimento poco piacevole della conversazione.
– Perché non parlate? Ditemi qualcosa – lo esortò Sara.
- Non vi immischiate, per favore. Questa situazione non vi riguarda –
La passione che fino a poco tempo prima trasudava dai loro corpi era svanita, lasciando spazio a un inevitabile caos.
– Voi non dite a me cosa mi riguarda o meno, e tantomeno non avete nessun diritto di dirmi di tacere –
- Mi scuso se vi ho offeso, ma vi esorto a non affrontare mai più questo argomento -
- Quando vi comportate in questo modo non riesco a comprendervi. Vi posso assicurare che Elisabeth sta soffrendo del vostro distacco. Tanto quanto voi –
Spencer la guardò torva chiedendosi come faceva, quella dolce e irritante ragazza a comprendere i suoi sentimenti. Nessuna donna vi era mai riuscita. Neppure sua madre.
Dato il suo silenzio, Sara continuò a parlargli con voce calma e sincera.
- Basta guardarvi. Anche se non volete ammetterlo, voi amate vostra sorella e trovo che sia un’assurdità starle lontana –
Elisabeth e Spencer erano sempre state due persone orgogliose, ma non si poteva negare l’amore fraterno che li legava. Per questo Sara credeva che un giorno sarebbe riuscita a fargli cambiare idea.
- Non so cosa sia accaduto e nemmeno voglio saperlo, ma per favore trovate un modo per risolvere –
Spencer continuava a darle le spalle. In silenzio.
Lei gli parlò ancora.
- Mi deludete, davvero. Credevo foste diverso – poi si allontanò, ma nel momento stesso in cui pose la mano sulla maniglia, Spencer parlò.
- Mi ha tradito, non si è fidata di me e io non posso perdonarglielo –
- Avrà avuto le sue ragioni. Voi le volete bene e so che troverete un modo di risolvere la situazione –
Solo in quel momento Spencer capì che l’amore fa compiere atti irragionevoli. Lui stesso si stava donando poco alla volta a quella donna, pur sapendo che se ne sarebbe pentito.
Sara diede un ultimo sguardo a quell’uomo, chiedendosi come poteva comportarsi in quel modo con sua sorella, come se lui fosse perfetto, ma non lo era e lo sapevano entrambi.
Nessuno al mondo lo è.
Forse il tempo lo avrebbe aiutato a superare quel torto e alla fine sarebbe riuscito a perdonarla. Almeno era ciò che sperava.
 
Il Conte di Granville aveva organizzato un meraviglioso ricevimento a cui tutte le nobildonne e gentiluomini in città vi parteciparono.
La sala era stracolma di persone con abiti eleganti e gioielli scintillanti, impegnate in balli e conversazioni.
Molti furono a notarono la bellezza di Sara. Il suo Carnet, nonostante fosse buona regola lasciare spazio per gentiluomini dell’ultimo momento, era già pieno. Tra i nomi c’era anche quello di Spencer.
Fu però, un sollievo per Sara quando Amanda la prese in disparte conducendola in un piccolo disimpegno lontano dalla sala da ballo.
- Sara, non mi ha guardato neppure per un attimo – le confidò l’amica delusa.
- Chi? –
- Ma David, chi altro –
- Non ti merita Amanda, devi capirlo. Tu sei più di quello che credi e se lui non lo apprezza non è un tuo problema –
David Percy si era rivelato un uomo vigliacco. Dopo solo poche settimane aveva rotto il fidanzamento con Amanda, gettandola nel peggiore degli sconforti. Le aveva riferito che per questioni familiari non era ancora pronto ad ammogliarsi. Ma la verità era che stava cercando un soggetto dalle finanze più ampie.
C’era stata Sara ad asciugarle le lacrime per lo struggimento di lui, e per questo lo odiava profondamente.
– Dovrei stargli lontano, dovrei dimenticarmi di lui –
- Esatto, è la cosa migliore da fare –
Quando rientrarono nella sala da ballo, Amanda vide David Percy impegnato con Caroline Stanley in un romantico valzer e si accorse del modo in cui la stringeva a sé. 
- Quella ragazza è insopportabile, tutti i gentiluomini le vanno dietro. Questo quando non sono impegnati con te –
- Con me, stai scherzando? – le disse perplessa Sara.
- Sei diventata molto popolare, soprattutto dopo il tuo affronto a lady Stanley –
In effetti, a seguito di quell’incontro avvenuto una settimana prima, aveva ricevuto le visite di diversi gentiluomini e una marea di composizioni floreali con bigliettini che decantavano la sua bellezza. Sara aveva sperato che tutti si dimenticassero dell’accaduto, ma dalle parole di Amanda deduceva che così non era.
Non lo aveva fatto di proposito, ma dopo l’ennesimo insulto da parte di quella donna, Sara aveva perduto ogni briciola di pazienza.
Tutto era accaduto alla partita di polo, a cui Sara aveva partecipato con Charles ed Elisabeth. Aveva indossato un meraviglioso completo color prugna, con cui aveva catturato l’attenzione di più di un giovane. Nonostante questo quella donna aveva trovato un modo per offenderla. Sara, ormai stanca, le aveva detto che nonostante i suoi consigli preferiva seguire il suo stile. Sapeva di aver sbagliato, di averle mancato di rispetto, avrebbe dovuto acconsentire per una serie di ragioni, ma non sopportava più quella donna. Durante i successivi incontri ebbe la fortuna di essere ignorata, e sperò che sarebbe stato così anche in futuro.
- Ora hai una maggiore scelta – le stava dicendo Amanda - e credo che dovresti iniziare a pensare a qualche gentiluomo. Anche se…ho notato come ti guarda James –
- Amanda per favore, lo sai che siamo solo amici –
Sara le aveva raccontato tutto. Le aveva detto di essere stata baciata da Spencer, tanto che l’amica fu sconvolta dalla sua avventatezza. Le aveva detto anche di non provare nulla per James tranne un affetto sincero, ma Amanda continuava ad essere convinta che lui era l’uomo più giusto per lei.
- Sei una sciocca, non dirmi che preferisci Spencer a James! –
Sara rimase colpita da questa affermazione. Poteva mai essere che lei, proprio lei fosse interessata a Spencer?
- Ssh, qualcuno potrebbe sentirti – l’ammonì Sara, guardandosi intorno – non è vero e lo sai. Ma devo ammettere che non è più lo stesso uomo che conoscevamo –
- Spencer non cambierà mai, neppure per te –
– Signorina Taylor, Sara – Spencer si avvicinò alle due fanciulle con cautela per non disturbare la loro conversazione. Amanda ricambiò con un gesto del capo, mentre Sara gli rivolse un sorriso carico di emozione.
- Sara, volevo tornare a casa, se per voi va bene –
Sara annuì.
Spencer poggiò la mano sulla sua schiena con delicatezza, provocando in lei dei piccoli brividi lungo la spina dorsale. In carrozza fu molto silenzioso, e fu lei a parlare per prima.
– Spencer, va tutto bene? –
Lui a malapena la guardò, preso da altri pensieri, ma riuscì a risponderle che andava tutto bene. Sara, allora, rimase in silenzio volgendo il suo sguardo fuori dal finestrino. Le strade erano ormai desolate e le luci delle case spente.
Londra dormiva profondamente.
All’improvviso, sentì Spencer sederle accanto – Sara, mi dispiace se sono distante. Questa sera ho rivisto una persona che mi ha turbato –
- Di chi si tratta? – ormai curiosa dell’argomento, ma Spencer fu irremovibile nel tacere.
- Nessuno di importante – le disse seccamente.
Sara avvertì un presentimento che la fece tremare. Spencer se ne rese conto, così cercò di tranquillizzarla.
- Non è nulla, davvero. Raccontatemi invece della vostra serata –
Cosa avrebbe mai dovuto dirgli? Non era stato altro che l’ennesimo ricevimento a cui partecipavano.
– Tutto sommato è stata una serata tranquilla, fortunatamente lady Stanley non ha avuto il coraggio di avvicinarsi a me. Quindi sono stata risparmiata dai suoi commenti acidi. Purtroppo non ho potuto evitare di assistere al trionfo di Caroline. Era meravigliosa e ha avuto tanti gentiluomini ai suoi piedi – lo guardò riferendosi anche a lui.
- Credo che mi stiate canzonando, o sbaglio? –
- A buon intenditore, poche parole – disse, tagliando a corto lei.
- Amo il vostro punzecchiarmi in continuazione, ma tengo a precisare che il mio è stato un semplice gesto di cortesia. Ci conosciamo ormai da tanti anni, che sarebbe risultato come un altro affronto verso la loro famiglia. Dopo il vostro intendo dire – disse, nascondendo una risata che infastidì Sara.
- Ah, quindi avete ballato con lei per non aggravare oltre i nostri rapporti con la loro famiglia? –
- Questa vostra lingua biforcuta, non sbaglia un colpo. A mia discolpa, posso dire che ho già rifiutato una volta le avance di Caroline. Quindi potete stare tranquilla. Non è nella lista delle candidate –
Aveva addirittura una lista? E aveva già rifiutato Caroline? Lo guardò con curiosità.
Spencer, questa volta non trattenne la sua risata vedendo l’espressione meravigliata di Sara.
– Oh Sara, siete così innocente – e maledettamente eccitante, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.
- Caroline vi ha mostrato delle avance, davvero? –
Spencer annuì - Sarà stata sua madre a convincerla che io potessi diventare suo marito. Non accadrà mai – continuò a dirle Spencer e Sara si sentì sollevata.
Finalmente giunsero nella casa di Bond Street.
– Qualsiasi cosa abbiano da dire su di voi, non credete a una singola parola, perché si sbagliano – le disse, prima di lasciarla andare.
- Spencer – lo richiamò Sara e lui si voltò carico di aspettative.
- Sono felice che siamo diventati…-
- Amici? – continuò lui e lei annuì con un sorriso. Spencer risalì i gradini del portico e la baciò delicatamente sulla guancia, poi andò via.
Appena ritornò in camera, Sara con la mano accarezzò la guancia che Spencer le aveva appena baciato e socchiuse gli occhi per imprimere nella sua mente ciò che era appena accaduto. Una domanda le balenò nella mente. E se Amanda avesse ragione, e se lei fosse innamorata di Spencer Cavendish?
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Sara veniva corteggiata continuamente da uomini insulsi, e Spencer non riusciva a sopportare nessuno di loro, ma più di tutti odiava James. Nella sua mente era ancora impressa l’immagine di Sara che danzava con lui al ballo di Ralph Seymour. Secondo alcuni formavano davvero una bella coppia, ovviamente lui non era dello stesso pensiero. Ogni volta che incrociava lo sguardo di lei sentiva la voglia di dirle tutto ciò che provava, ma un dovere più grande glielo impediva. Doveva trovare una moglie. Non che fosse la sua priorità, ma non avrebbe potuto rimandare ancora per molto. Prima di rientrare in casa si concesse un bicchiere di brandy al suo solito club.
All’improvviso la sua attenzione fu attirata da una voce conosciuta. James Morrison era lì. Per qualche ragione, Spencer rimase a guardarlo. Non avrebbe mai creduto che un giorno quell’amicizia sarebbe finita. Quando anche James si rese conto della sua presenza gli andò vicino.
- Spencer, perché non vi unite a noi? Siamo tra amici, beviamo un po' e scambiamo qualche chiacchiera. Cosa dite? –
- Dico che oggi non mi va ed è ora che torni a casa –
Ma prima di lasciarlo andare gli disse - Come state Spencer? Non ci vediamo da molto ormai! – disse ad alta voce, tanto che altri gentiluomini si voltarono fissandoli incuriositi.
- Come avrei potuto altrimenti, dopo aver scoperto che avete avuto una relazione con mia sorella. Dannazione! Tra tutte le donne che potevate avere, siete dovuto andare a letto con mia sorella –
- Venite con me, non possiamo discuterne qua –
Insieme si allontanarono riuscendo a trovare un luogo appartato nel club. James era in imbarazzo, ma era ora di chiarire quella situazione.
- Io l’amavo, e se fosse stata libera l’avrei sposata. Devi sapere che l’ho lasciata per il suo bene –
- Se le volevi bene, non dovevi intrattenere con lei una relazione –
Ma James non avrebbe potuto, lui la desiderava troppo e solo oggi riusciva a capire di aver sbagliato. Spencer fece per andare, ma lui lo fermò.
- Sara come sta? Non la vedo da giorni. È una delle donne più dolci che io abbia conosciuto, ed ho intenzione di sposarla. Voglio che tu lo sappia –
Spencer stava per dargli un pugno in pieno viso, ma si trattenne. La gelosia lo rendeva nervoso e James lo sapeva, così continuò a parlargli.
- Spencer, credo che dovresti dirmi la verità sui tuoi sentimenti. Non sono cieco, ho visto come la guardi. Dimmi, l’ami? –
Spencer sapeva solo di desiderarla ardentemente e allo stesso tempo di odiarla profondamente. Eppure non sopportava che qualcun altro la guardasse, la desiderasse o la volesse. Senza rendersene conto rispose - L’amo più della mia stessa vita e non ti permetterò mai di sposarla. Ti do la mia parola -
- Bene! Mi dispiace dirtelo, ma io non posso rinunciare a lei. La sfida è aperta, che vinca il migliore – sapendo che ormai era impossibile ricucire quella ferita tra loro.
Adesso le cose fra loro erano chiare. Non sarebbero ritornati mai più amici perché erano rivali.
 
Qualche giorno dopo James decise di portare Abby e Sara ai giardini Reali di New Gardens, nel sud di Londra. Si trattava di un complesso di serre e giardini realizzati da Decimus Burton circa una decina di anni prima ed ospitava una collezione di piante esotiche.
In breve tempo raggiunsero la Temperature House, che ospitava numerose specie di piante provenienti da tutto il mondo. Sentieri e passerelle condussero quel piccolo gruppo in una magnifica esperienza, consentendo loro un’osservazione privilegiata. Ad un certo punto Abby si fermò per allacciarsi una delle scarpette lasciando da soli Sara e James. 
- Sara, sono così felice che abbiate conosciuto Abby. Non fa altro che parlare di voi - le disse e lei ne fu entusiasta. Continuarono a passeggiare fianco a fianco, fino a quando non li raggiunse nuovamente Abby. La gita fu piacevole più di quanto si aspettasse e ritornò a casa con tanti bei ricordi.
James si era comportato da vero gentiluomo e Sara si convinse che per lei era solo un caro amico e nulla di più. Quello stesso pomeriggio Sara andò a far vista ad Elisabeth che non vedeva da giorni. Prima di essere presentata udì una voce famigliare. Spencer era lì.
- Sara, che piacere vederti. Con noi c’è anche Spencer che purtroppo non vuole restare per cena. Magari voi sarete più brava di me nel convincerlo – disse Elisabeth.
Sara ricambiò con un sorriso quella provocazione e provò a dissuaderlo, ma senza successo.
Quando furono sole Elisabeth le confessò – Credevo che sareste riuscita a convincerlo, per qualche strana ragione siete l’unica a cui dà ascolto –
- Cosa intendete? –
- So perfettamente che è solo a voi che devono andare i miei ringraziamenti più profondi. Da sola non sarei mai riuscita a fargli cambiare idea –
Sara arrossì. Era eccitante l’idea che era stata lei a ricongiungerli.
- Mi ha parlato di voi e mi ha confessato che prova grande stima. Se solo ripenso a qualche mese fa. Non mi sarei mai immaginata che io e voi diventassimo amiche, e tantomeno che Spencer provasse tali sentimenti per voi –
Sara di colpò non respirò più. Di quali sentimenti stava parlando Elisabeth?
- Sara va tutto bene? – le chiese preoccupata – prendete del tè, vi farà bene –
Ma il tè non sarebbe servito a niente, ormai era curiosa, doveva scoprire quali verità celassero le parole di Elisabeth e ci sarebbe riuscita.
 
Qualche giorno dopo Spencer decise di trascorrere la serata in Bond Street. Suo padre ne fu felice e anche Sara aveva voglia di rivederlo.
- Sono felice che abbiate parlato con Elisabeth – gli disse quando furono soli.
- Questo merito va attribuito esclusivamente a voi. Mi avete a aiutato a fare chiarezza nel mio cuore –
Di questo Sara ne fu estasiata. Avrebbe voluto chiedergli cosa pensava di lei, ma non trovò il coraggio.
Spencer le chiese come fosse andata la gita ai giardini Reali e Sara gli raccontò tutto. Gli disse che Abby era una ragazza straordinaria, ed era convinta che avrebbe fatto presto un buon matrimonio. Gli descrisse nei minimi dettagli tutte le cose che aveva visto.
Mentre il duca dormiva beatamente sulla sua poltrona preferita accanto al camino, Spencer condusse Sara nel proprio studio per mostrarle la sua collezione di reperti archeologici acquistati a Roma.
- Ho intuito da alcune conversazioni che abbiamo avuto che siete interessata alle antichità romane. Perché non me lo avete mai detto esplicitamente? –
- Forse per imbarazzo – rispose Sara, guardando delle meravigliose monete.
- Sapete che non dovete imbarazzarvi di nulla con me, siamo amici –
Certo che erano amici, anche se lei stava cominciando a sentire che era molto di più. Le mostrò magnifici reperti che aveva acquistato da diversi antiquari. Spille, utensili da cucina e statuette votive erano solo alcuni degli oggetti della sua collezione. Per la prima volta Sara si sentì catapultata in un mondo lontano che da sempre l’aveva affascinata. S’immaginò di stare tra le strade di Roma, alla scoperta delle antichità e magari insieme a lei Spencer. Doveva ammetterlo, era un uomo affascinante e intelligente, e non solo. In più occasioni le aveva dimostrato di essere umile e pronto a salvarle la vita, come quando aveva affrontato lady Stanley a teatro o quando aveva ballato con Caroline per dimostrare pubblicamente che non c’era dell’astio tra le due famiglie. Sara sentiva di poter contare su di lui.
All’improvviso Sara si rese conto che Spencer la stava guardando meravigliato.
– Perché mi guardate in questo modo? –
- Nulla, guardavo come vi affascina tutto questo –
Lei gli rivolse uno dei più dolci sorrisi e lui si emozionò. La sorrise a sua volta e continuò a mostrarle la sua collezione soddisfatto di aver trovato una creatura tanto simile a lui.
 
La presenza di Sara alla vita mondana era sempre più richiesta. Tutti si aspettavano che partecipasse agli eventi, ed era diventata la donna più ricercata dagli uomini.
L’unica a tenerle testa era Caroline. Aveva da poco conquistato l’amicizia di un certo duca, che però tentennava nel chiederla in moglie, rendendo lady Stanley impaziente.
Era trascorso più di un mese e sua figlia non era ancora stata chiesta in moglie da nessuno di rilevante, ed era ancor più insopportabile sapere che la signorina Wood fosse considerata la più bella della stagione. Doveva escogitare un modo per portare l’attenzione di tutta Londra sulla sua unica, bella figlia. Era stata umiliata abbastanza dalla famiglia Cavendish e questo non poteva più permetterlo.
Il ballo in casa del duca Richmond fu elegantissimo. Sara non aveva mai assistito a tanta sfarzosità. Non smise di ballare per tutta la sera. Ballò con quasi tutti gli scapoli. La sua attenzione però, fu rivolta esclusivamente a Spencer. Erano giorni ormai che non faceva altro che pensare a lui. Prima lo vide discutere con diversi gentiluomini, e poi ballare con alcune fanciulle. Finché non lo vide più nella sala da ballo. Pensò che si fosse riunito con gli altri uomini per un sigaro e un bicchiere di brandy. James per fortuna, quella sera era assente. Non riusciva a guardarlo senza pensare di tradirlo, non che fossero fidanzati, ma le era sempre più chiaro che per lui era qualcosa di più che una semplice amica. Lo aveva dimostrato in più occasioni, ma solo ora se ne rendeva conto.
Sara si avvicinò al tavolo delle bevande dove un cameriere gentile le versò un bicchiere di ponch. Poco distante da lei però, sentì due donne spettegolare. Udì solo alcuni frammenti della loro conversazione, nonostante parlassero a voce bassa.
- Ho sentito dire che il duca spera che si sposi presto –
- Posso capirne il motivo, quel povero uomo è stato costretto a badare a lei per tutto questo tempo – disse l’altra donna, sbattendo il suo ventaglio merlettato con forza.
- Purtroppo credo che adesso sarà difficile che possa farlo –
- Perché, cosa sapete? –
- In tutta Londra si sono diffusi dei pettegolezzi davvero interessanti su sua madre e sono certa che lei ha la sua stessa indole. Si dice che voglia sposare il duca –
A quel punto capì che si stava parlando di lei. Udire il nome di sua madre dalla bocca di quelle donne maligne la fece rabbrividire, ma la sua curiosità la spinse ad ascoltare ancora.
- Se quello che mi stai dicendo è vero, allora una donna così non la farei mai sposare a mio figlio –
- Io ho persuaso il mio affinché allontanasse ogni speranza nei suoi confronti. Gli ho detto che sarebbe stato diseredato se si fosse opposto alla mia richiesta –
- Ben fatto Sofia -
Inorridita da tali ingiurie percorse la sala da ballo in gran fretta senza rendersi conto della presenza di lord Cavendish dall’altro lato della stanza. Non credeva a quelle donne, non potevano dire la verità. Erano solo crudeli pettegolezzi. Ma chi li aveva diffusi? In lacrime riuscì a raggiungere la carrozza e appena tornata a casa si chiuse in camera, dove per giorni decise di non vedere nessuno.
 
- L’ho cresciuta come una figlia e si permettono di dire che è sconveniente che viva insieme a me – disse il duca infuriato, dopo aver scoperto la natura delle maldicenze che circolavano in città. Spencer cercò di calmare i nervi di suo padre, ma fu impossibile.
- Forse sarebbe meglio che Sara vada a stare con Elisabeth –
- Giammai! – rispose lui con fermezza – non darò credito a quei pettegolezzi -
Spencer cercò di fargli capire che si doveva trovare una soluzione. Fece notare al padre che Elisabeth sarebbe stata una chaperon perfetta e nessuno si sarebbe più permesso di dire nulla sulla questione. Nonostante fosse restio, il duca acconsentì.
In quei giorni Sara si era sentita così avvilita e sconfortata. Ovunque andava la osservavano ridacchiando e a casa non arrivarono più né fiori né gentiluomini.
Ma ciò che la faceva davvero male erano le cattiverie su sua madre. Lei l’amava, ma non la conosceva bene. Sapeva solo che era rimasta incinta ed era rimasta sola al mondo. Sola con lei in grembo. Per quanto ne sapeva quei pettegolezzi potevano essere veri. Dopo alcune settimane di assenza dalla vita mondana, Sara in compagnia del duca, Elisabeth e Charles presero parte ad un concerto di musica lirica. Come avevano immaginato, la loro presenza fu percepita da chiunque in quella grande sala e Sara cercò di nascondersi dietro le spalle, ancora ben diritte, del duca. In lontananza vide Caroline vittoriosa accanto a sua madre che la osservava divertita, e alla sua nuova conquista, il marchese di Dorset.
La musica risuonò nella sala, ma il vocio alle spalle di Sara era più forte di qualsiasi altro suono. Ancor prima della fine della musica, Sara si alzò e corse via nella speranza che quell’incubo finisse.
 
Qualche settimana dopo Sara si trovò a scegliere un nuovo modello per l’abito da indossare al ricevimento che lord Cavendish aveva voluto insistentemente organizzare per far capire a tutti che si sbagliavano sul conto di Sara. I Cavendish erano pur sempre una delle famiglie più influenti in Inghilterra e per tanto nessuno si sarebbe permesso di rifiutare un loro invito.
Lei però, si sentiva così nervosa.
Alzò gli occhi dai modelli e vide quella donna che tanto l’aveva amata come una madre, impegnata con alcune fanciulle intente ad acquistare nuovi abiti.
- Isla, va ad occuparti di quelle clienti – la donna ubbidì immediatamente.
- Cosa ti preoccupa, bambina mia? –
Era così premurosa con lei, che a volte si chiedeva cosa avesse fatto per meritarla.
- Nulla di importante –
- C’entra per caso l’imminente ballo? –
Sara annuì.
- Non preoccuparti, ti ritornerà presto il sorriso. Ultimamente eri sempre sorridente. Ecco proprio così. Credo che dobbiamo attribuirlo al signor Morrison, o sbaglio? –
Sara stava per dirle che si sbagliava, non era lui a provocarle quell’emozione, ma un altro uomo, quando all’improvviso la voce di una donna risuonò nella stanza e Sara capì immediatamente a chi apparteneva.
- Lady Stanley, signorina Stanley benvenute – disse cordialmente Isla.
Con la loro solita arroganza chiesero di Eleonor, che subito si mostrò a loro.
- Signora Cowper, vorrei che confezionaste un nuovo abito per la mia Caroline. È un’occasione importante – tenne a precisare.
Sara aveva saputo da Amanda, che Caroline era stata invitata dal duca di Bedford al ricevimento, ed erano diverse settimane che il duca si mostrava in pubblico con lei. Forse finalmente lady Stanley avrebbe visto sua figlia sposata.
- Certo, vi mostro dei modelli –
Sara sapeva che era andata lì apposta per farle dispetto. Aveva decantato la maestria di modiste francesi e ora si serviva della mano di Eleonor? Quando lady Stanley si accorse della presenza di Sara, sul suo volto comparì una smorfia.
- Signorina Wood, che piacere vedervi. Sono settimane che non partecipate a nessun evento – tenne a precisare.
- Sono stata al concerto all’Operà la scorsa sera e presto mi rivedrete anche ai prossimi eventi –
- Ne sono felice. Oh, signora Cooper datemi questi modelli –
Dopo circa mezz’ora, le due donne andarono via.
- Odio quella donna – si sfogò Eleonor.
- Non lasciatevi andare a tali giudizi. Pensate solo che si tratta di lavoro –
- Non con quella donna, che ti ha fatto tanto soffrire – affermò decisa, ma Sara le disse che non le importava di nulla. Non le importava più di nessuno. Si era promessa di pensare solo a sé stessa e così avrebbe fatto.
 
Charles andò con sua moglie, il duca e Sara all’ippodromo per assistere alla gara dei cavalli. L’euforia della gente che tifava per i concorrenti era coinvolgente.
- Elisabeth, dovreste contenere la vostra esaltazione. Non posso negare che mi faccia piacere aver trovato un altro animo sensibile, ma…-
- Ma cosa, marito mio? Noi donne non possiamo incitare? –
Charles le prese una mano e la baciò.
 - Moglie mia, ancora una volta vi devo dare ragione –
Alla fine delle corse, Charles invitò Sara a prendere il suo braccio e lei accettò con grande piacere. Elisabeth e il duca erano poco più davanti a loro.
La folla era molto fitta, così Charles condusse Sara lungo un corridoio meno affollato.
– Li ritroveremo sicuramente all’ingresso – la stava rassicurando – il duca ha un passo svelto – ammise.
Sara annuì sorridendo.
Mentre Charles cercava di trovare una via d’uscita, venne incontro loro James Morrison.
- Lord Herbert, sono felice di rivedervi. L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato alla festa di Lord Manners. In quell’occasione non abbiamo avuto il piacere di scambiare neppure due chiacchiere tra gentiluomini. Dovremmo rifarci, non trovate? –
- È stato un vero peccato non essere riuscito a trovare un momento per rilassarmi tra i gentiluomini, ma mia moglie aveva bisogno della mia presenza. Non so se ne siete già a conoscenza, ma la mia stupenda moglie mi regalerà nuovamente la gioia di essere padre –
Elisabeth aveva dato la notizia solo qualche giorno prima rendendo tutti felici. Stranamente James si incupì e Sara se ne rese conto.
- Signorina Wood, vi trovo molto meglio –
Fu un modo discreto per chiederle come si sentisse dopo aver saputo dei pettegolezzi che la vedevano protagonista.
- Vi ringrazio per l’interessamento –
- Sto organizzando una gita presso la mia dimora di campagna e mi farebbe davvero molto felice che voi tutti accettaste un mio invito –
- Ci penseremo signor Morrison adesso dobbiamo andare – aggiunse in modo frettoloso Charles. Senza aggiungere altro, James Morrison si congedò baciandole la mano.
Qualche minuto dopo Charles si rivolse a lei con dolcezza - Sara, vi do un consiglio. Come vi dissi tempo fa, credo dovreste stare lontana da quell’uomo. C’è qualcosa in lui che mi insospettisce. Non credo sia davvero sincero –
- Di cosa state parlando Charles? –
- È solo un presentimento, ma voi seguite il mio consiglio –
Perché parlava di James in quel modo? Cosa poteva mai fare? Ma Charles non le disse più nulla. Lei lo aveva conosciuto e non le sembrava una cattiva persona. No Charles si sbagliava certamente.
 
Amanda non riusciva a credere a ciò che Sara le stava raccontando.
- Invece ha detto proprio così –
- Non credo che James potrebbe mentire su qualcosa. È James! Charles si sta sbagliando–
Spencer entrò in quell’esatto momento in salotto, e Sara cercò di cambiare subito argomento.
- Signorine mi spiace interrompere la vostra conversazione. Non sapevo che foste qui, Charley non mi ha informato. Sono solo venuto a recuperare un libro che ho dimenticato –
- Sarebbe questo? – disse Sara, mostrando un libro dalla copertina verde
- Proprio questo –
Spencer si avvicinò a lei per recuperare il libro che aveva cercato invano di leggere la sera precedente per cercare di dimenticare i propri istinti.
La coscienza gli diceva di dichiararsi, ma come avrebbe potuto? Non avrebbe sopportato un suo rifiuto.
Per sbaglio sfiorò le sue dita affusolate, e al tocco della pelle morbida tremò. Aveva così tanto bisogno che fosse sua, anima e corpo.
- Signor Cavendish – disse Amanda, interrompendo quel dolce momento - è vero che siete interessato alla signorina Crawford? Vi hanno avvistati in più di un’occasione in sua compagnia. Lady Morton mi ha detto che siete andato in Hyde Park ieri pomeriggio per una romantica e tranquilla passeggiata –
Spencer la fulminò con gli occhi.
- Signorina Taylor, la gente chiacchiera troppo. In questo momento non sono interessato a nessuna donna in particolare. Quando accadrà, sarò il primo ad informare la mia famiglia – rispose seccamente, ricordandosi del pomeriggio precedente. L’aveva invitata solo per dimenticare i propri tormenti e non era certo sua intenzione quella di rimanere solo con lei, ma quella ragazza era più furba di quanto sembrasse. Sapeva di essere il bersaglio di tutte le donne nubili della capitale, ma a lui interessava una sola donna. L’unica che lo vedeva come amico.
- Se volete scusarmi. Signorina Taylor, signorina Wood –
Fece il suo inchino e andò via.
Appena sparì, Sara ammonì l’amica.
- Perché gli hai parlato in quel modo? –
- Calmati Sara, non ho detto nulla di irrispettoso. Ho solo riportato ciò che mi è stato riferito. Non è lui che sta cercando una moglie? È normale che le persone si chiedano chi sia la fortunata –
Era vero.
Tutti gli occhi erano puntati su di lui, chiunque si chiedeva chi fosse la fortunata e la prima era lei. Non capiva perché improvvisamente sentiva dei sentimenti così profondi nei suoi confronti. Era straziante sapere che non l’avrebbe mai presa in considerazione. Aveva una lista e il suo nome purtroppo non c’era.
 
Il ballo dei Cavendish si sarebbe dovuto svolgere quella sera, e Sara era ansiosa di parteciparvi.
- Tesoro, sei incantevole con l’azzurro. È il tuo colore. Stasera neppure Caroline ti ruberà la scena – le stava dicendo Eleonor.
- La gente verrà soltanto per verificare se i pettegolezzi sono fondati –
- Non credere a nulla, tesoro. Sei uno splendore –
- Cosa so di mia madre? Nulla! –
Eleonor si sedette sul letto, guardandola negli occhi – Cara, anche io so molto poco. Tua madre non parlava quasi mai della sua vita precedente. So solo che era innamorata e che è stata abbandonata –
Forse si trattava di suo padre.
- Bambina mia, tua madre ed era la donna più dolce e rispettosa del mondo. Non posso credere a queste cattiverie, e neppure tu dovresti. Importa solo che ti ha amato dal primo giorno che ti ha avuta dentro di sé. Questo non devi mai dimenticarlo –
- Hai ragione – disse con le lacrime che scendevano sul volto. Posero fine a quell’argomento e Sara si preparò ad affrontare la serata. Le parole di Eleonor furono un balsamo per la sua anima. Non importava ciò che gli altri dicevano, lei amava sua madre, e così sarebbe sempre stato.
Mezz’ora dopo Sara si mostrò agli invitati, e tutti sussultarono per la sua bellezza. L’abito che le aveva realizzato Eleonor era uno dei più belli che avesse mai avuto. Di un tessuto broccato di un azzurro lucente con piccole trame dorate e un corpetto che mostrava una profonda scollatura, estremamente sensuale.
Appena la vide, Elisabeth l’affiancò. Indossava un magnifico abito bordeaux con la gonna ricca di balze. Una collana di perle marcava il suo collo affusolato e i capelli erano raccolti in un morbido chignon. Era semplice, ma elegante
- Mia cara, fatevi ammirare –
Sara, avvezza di complimenti si fece contemplare.
- Sei meravigliosa. Questa sera i gentiluomini faranno a gara per stare insieme a te –
- Non riesco a credere che il duca abbia invitato tutti gli scapoli più ambiti di Londra – le confidò impaurita.
- Questa sera dovrai trovare per forza un marito! –
Elisabeth la prese in giro e Sara fece una smorfia, perché era l’ultima cosa che voleva.
 
Ormai tutti gli invitati erano giunti. Le sale erano stracolme di gentildonne e gentiluomini e quando raggiunse il giardino, ammirò con quanta cura erano stati preparati i tavoli con tovaglie di lino bianco e coppe di fiori. Piccole lanterne erano state depositate lungo il viale di ciottoli, creando un’atmosfera incredibilmente romantica.
All’improvviso Sara sentì di essere osservata da qualcuno. Le bastò voltarsi verso sinistra per vedere due magnifici zaffiri blu che l’ammiravano. Il sorriso si fece strada sul suo volto. Quell’uomo era maledettamente bello.
- Signorina Wood, vi trovo in splendida forma –
-Signor Cavendish, non fatemi arrossire. Questa sera sono tutti pieni di complimenti –
Spencer la guardò serio.
- Di chi state parlando? Vi prometto che assaggeranno il mio micidiale destro – facendola sorridere. Se fosse dipeso da lui, avrebbe mandato via tutti, persino suo padre, e avrebbe portato Sara nella sua camera da letto per strapparle quello strumento di tortura da dosso e l’avrebbe amata, con passione e dolcezza.
- Per favore non vorremo mica dare scandalo? – Sara era cercò di essere ironica, ma Spencer avvertì lo stesso il suo nervosismo - Ma vi ringrazio –
Spencer la guardò meravigliato, così lei si affrettò a dire - Per volermi proteggere sempre –
Entrambi sorrisero e in silenzio rimasero ad osservare gli altri che si divertivano.
Ma la verità era che gli infastidivano gli occhi indiscreti degli uomini puntati su di lei, sulla sua maledetta scollatura, sulle sue labbra piene.
All’improvviso la piccola orchestra, allestita in giardino, cominciò a suonare una ballata e tutti gli invitati si spostarono sulla pista da ballo.
- Signorina Wood, finalmente vi ho trovato – disse una voce a lei conosciuta.
- Signor Morrison, benvenuto. Speravamo di vedervi –
- Non sarei mancato per nulla al mondo – poi si rivolse verso Spencer. I due uomini si guardarono con sfida. Sara non riusciva a capire cosa fosse successo di così terribile da causare la rottura di quella splendida amicizia. Ma né Spencer né James le avevano detto nulla.
- Approfitto per estendere l’invito anche a voi, Spencer. Un piccolo gruppo di amici, compresa la signorina Wood, parteciperà ad un raduno a Green House. Spero che possiate raggiungerci? –
Spencer la guardò sorpreso. Non sapeva nulla di quella decisione e per un attimò si infuriò.
- Sarò presente anche io – disse, mantenendo la calma.
A questo punto James la salutò con un inchino, e amareggiato si avviò verso la pista. Avrebbe voluto chiederle di ballare con lui, ma Spencer la teneva a sé come fosse il suo padrone. Ma non sarebbe stato tutta la sera accanto a lei, doveva solo attendere l’occasione giusta.
 
- Perché non mi avete detto nulla – le disse Spencer con voce quasi irritata una volta che James si allontanò.
- Non c’è stato modo di farlo, ne abbiamo parlato soltanto ieri, quando è venuto per un tè su invito di vostro padre. Per il resto del giorno siete stato impegnato nel vostro studio –
- Dunque lui ne è a conoscenza? – la guardò sul punto di esplodere. Più desiderava che James si allontanasse, più lui faceva in modo di intromettersi.
Sara annuì.
Per fortuna Spencer non continuò quella conversazione e la lasciò libera di ballare con diversi gentiluomini anche se avvertiva su di sé il suo sguardo.
Più tardi, James riuscì ad avvicinarsi a lei che gli concesse due balli. Poco prima di andare via però, le disse che aveva delle notizie importanti da rivelarle.
- Non è stato facile, ma alla fine li ho trovati –
James capì dalla sua perplessità, che non aveva compreso di chi stava parlando.
- I vostri nonni, Sara! – esclamò con gioia.
Sara, incredula, non riuscì a chiedere come avesse fatto. Rimase in silenzio.
- Nel Derbyshire mi avete parlato di vostra madre, e io vi dissi che avrei trovato i vostri nonni. Finalmente potete rispondere alle vostre domande e sapere la verità sulle vostre origini –
- Grazie James, sono stupita – le mancavano le parole per l’emozione e la paura.
James le passò un biglietto, e andò via. Da lontano Spencer aveva assistito a tutto e per la gelosia si gettò fra le braccia di lady Morton, cercando di dimenticare.
 
La festa era volta al termine e finalmente Spencer poté godersi il suo meritato silenzio. La serata era stata un vero successo. Si era ballato fino allo sfinimento e gradito l’ottimo cibo. Le sale di quella casa si erano riempite di brusii e risate.
Lui però, non era riuscito a divertirsi.
La gelosia lo stava divorando.
Spencer stava gustando un bicchiere di porto, il migliore che avesse mai bevuto, quando nel salotto sentì un rumore provenire dietro le sue spalle.
- Sara, siete voi? – si voltò per guadarla, e notò il suo sguardo perso nel vuoto.
- Vi stavo cercando – confessò. Il cuore di Spencer cominciò a battere più forte. Lo stava cercando.
- Spencer leggete – porgendogli il biglietto. Lui lo prese e lesse su un indirizzo.
- Di cosa si tratta? –
- Qualche mese fa dissi a James che avevo voglia di conoscere i miei nonni – rimase in silenzio, poi continuò - non credevo affatto che riuscisse a trovarli, ma lo ha fatto. Voglio che abbiate voi il biglietto. Potete anche brucialo. Hanno abbandonato mia madre, non voglio conoscerli. Non ho aperto il biglietto, quindi non so e non voglio sapere dove sono –
Andò via lasciandolo di nuovo solo senza una parola, senza un sorriso. Spencer teneva tra le mani il suo destino. Sentì nelle sue parole una richiesta di aiuto. Si chiese, nelle ore successive, come fosse meglio agire. Alla fine prese la decisione migliore.
 
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


La stagione volgeva ormai al termine e la campagna cominciava a richiamare a sé dame e gentiluomini che lasciarono gli svaghi della città. Il duca annunciò a Spencer che avrebbe preferito restare ancora qualche giorno a Londra e che non li avrebbe raggiunti a Green House.
- Padre siete stato così tanto lontano dalla città che ora non volete andarvene? –
- Caro figliolo, ci sono cose che non si possono spiegare –
Spencer non comprese il significato che si nascondeva dietro a quelle parole.
- Come volete padre, volevo dirvi che io e Sara stiamo per partire –
Presto si sarebbe ritrovato sotto lo stesso tetto con James, e la cosa lo infastidiva parecchio. Spencer non avrebbe mai lasciato che Sara andasse da sola. Per sua fortuna anche Elisabeth era stata invitata. In fondo non sarebbe stato così spiacevole, pensò.
Charley aveva ormai ordinato che i bagagli venissero posizionati sulla vettura, così Sara indossò il suo cappotto verde mela e si recò dal duca per il congedo.
- Sara, spero vi divertiate durante il soggiorno nel Berkshire. Non spezzati molti cuori. Mi raccomando – la fece ridere il duca.
- Sapete che non ho questo potere –
- Dovreste credere molto di più in voi – le disse sorridendole con affetto.
L’ora era giunta e Sara lo guardò per un’ultima volta dalla vettura con occhi pieni di gioia.
- Ci vediamo presto a casa –
Stavano viaggiando ormai da un paio d’ore, e l’aria era fresca come di consueto in quel periodo dell’anno. Sara non staccò per un secondo il suo sguardo dal paesaggio che cambiava forma e aspetto ad ogni miglio che percorrevano. Vide, alto nel cielo, un gabbiano. Non lo aveva mai visto né sulle sue terre né a Londra. Dunque dove stavano andando?
- Spencer dove siamo? Avevate detto che partendo prima saremo arrivati in tempo nello Berkshire – ricordandogli le parole esatte.
– So cosa vi ho detto Sara, non dovete ripetermelo. Presto scoprirete dove stiamo andando – rispose in modo vago Spencer.
Il cielo era splendente, non c’era una nuvola a macchiarlo. Era una giornata serena e tranquilla. La carrozza si fermò e la sua curiosità aumentò, ma Spencer rimase in silenzio facendola fremere.
Lui, una volta fuori dalla vettura, le porse la mano per aiutarla a scendere e lei l’accettò volentieri. Quel contatto tra loro le procurò un intenso brivido di piacere che si fermò sulla bocca dello stomaco.
Un dolce venticello fece sventolare il nastro di satin verde del suo grazioso cappello beige.
Appena mise i piedi sullo sterrato, le sue narici furono investite da un odore salmastro. Si sporse in avanti, fino alla fine del terreno, e vide un’immensa distesa di acqua.
- Spencer è l’oceano? –
- Esattamente. Vi avevo promesso che un giorno lo avreste visto –
- Per questo facevate il misterioso – Spencer non riuscì a nascondere la sua soddisfazione.
Scesero fino alla spiaggia, e Sara non poté fare a meno di recarsi vicino la riva, dove tolse le scarpe e le calze mettendo i piedi nell’acqua gelida. Invece di fuggire, cominciò a saltare felice spuzzando l’acqua da tutte le parti come una bambina.
Urlò – Spencer grazie! Grazie mille –
Il cuore di Spencer si riempì di gioia nel vederla così raggiante. Dopodiché si sedettero l’una al canto all’altro sulla spiaggia.
- È così granulosa – evidenziò lei.
- Esistono diverse tipologie sapete? –
- Mi piacerebbe vederle tutte – espresse Sara, estasiata per quella sorpresa. La più bella che avrebbe potuto mai farle.
- Forse un giorno sarà così –
Verso l’orizzonte, il sole si stava alzando sempre di più in cielo. Spencer staccò lo sguardo da quello spettacolo naturale per rivolgere la sua totale attenzione su di lei.
- Sara, dobbiamo andare adesso. Ci aspettano alla locanda e poi vi porterò a fare un giro a Southampton -
Sara gli sorrise, felice per quell’idea.
 
John Cavendish aveva assistito alla partenza di due delle persone che amava più al mondo. Si guardò intorno, in quella stanza ancora in penombra, riflettendo sulla sua vita.
Non era più giovane come un tempo, le forze cessavano ogni giorno di più. Si sentiva sempre più affaticato e anche alzarsi per prendere il giornale gli costava fatica.
Che fine aveva fatto la forza d’un tempo? Si sentiva come un leone chiuso in gabbia, e la gabbia era il suo corpo.
Era costretto a starsene lì, su quella maledetta sedia che gli lasciava il tempo di vagare tra ricordi lontani.
Provava l’amarezza per una vita che continuava a rimanere solo nei suoi ricordi. Una vita al fianco della donna della sua vita.
Quante volte aveva pensato a lei in quegli anni; il giorno del matrimonio con una donna che non era lei; la prima notte di nozze, e tutte quelle che seguirono; durante tutte le cene, i balli e le feste a cui aveva partecipato.
E continuava a pensare a lei ancora adesso. Pensava a lei ogni volta che si ritrovava chiuso in una stanza con Sara, la sua copia perfetta.
Aveva amato quella bambina sin dal primo giorno, come se fosse stata il frutto del loro amore.
I suoi occhi si colmarono di lacrime amare e il suo volto si inumidì, dedicando quelle lacrime solo a lei. Lily, la donna che ha avuto sempre le chiavi del suo cuore.
 

 
Estate 1839
 
L’aria era afosa, ma a John non importava perché quello sarebbe stato il giorno migliore della sua vita. Quando arrivò alle stalle salutò Franck, lo stalliere, che rispose con tono amichevole.
- Signorino John siete così elegante quest’oggi –
E lui non si trattenne nel dire – Non potevo essere da meno Franck, per ciò che mi appresterò a fare –
- Cosa state tramando signorino? – ma John non rispose, lasciando in sospeso quell’interrogativo.
Prese il suo cavallo, Black, e corse via come il vento. Appena arrivò al vecchio capanno, teatro di giochi infantili e ben più, di ricordi che gli facevano vibrare l’anima, scese da cavallo e andò in cerca di lei.
Era il loro luogo segreto. Suo e di Lily. Si incontravano lì ogni pomeriggio per progettare stupide marachelle o per leggere libri, fantasticando su un mondo diverso. Un mondo tutto loro.
La conosceva ormai da tanti anni. Troppi.
John non avrebbe mai creduto possibile che quella ragazzina magra e dalla pelle scura sarebbe sbocciata in un fiore esotico, unico al mondo.
Già allora aveva capito che lei sarebbe stata l’unica donna che avrebbe amato per il resto della sua vita. Erano fidanzati in segreto e ancora gli era impossibile pensare che lei lo amasse.
Quando la vide, bella come il sole, impegnata a osservare simpatici cigni che sguizzavano nel fiume, si avvicinò.
La luce metteva in chiaro il suo profilo greco e il suo fiato si mozzò. Come farò a dirle che voglio sposarla? Pensò John, strofinandosi le mani sudate sulla stoffa del pantalone. Prese un lungo respiro e si fece coraggio.
- John! – disse Lily appena lo vide arrivare – venite a guardare quanto sono belle –
John rallentò sempre più il suo passo, per la paura che stava prendendo il sopravvento. Appena le fu vicino, il respiro accelerò e non gli fu più facile controllarsi.
- Lily, come fanno a piacervi? Odio tutti i pennuti –
- Non capite nulla, signor Cavendish –
Quando lo chiamava in quel modo, sapeva che si stava burlando di lui.
Lily continuò a guardare quei magnifici uccelli mentre John cercava di trovare il modo giusto per dichiarare le sue intenzioni.
- John non credete che sarebbe bello essere degli uccelli – ma lui dissentì, ricordandole che odiava quegli animali e che mai avrebbe desiderato essere uno di loro.
- Non vi piacerebbe essere libero di essere chi si vuole, volare via quando le cose intorno a noi sono così oscure? –
John allora, non riuscì a comprendere ciò che voleva dire esattamente con quelle sue parole. Pensò invece che si sentisse affranta, e per questo doveva sapere di non essere sola e che qualsiasi cosa le fosse accaduta, l’avrebbero risolta insieme. Dimenticò per un secondo le parole di suo padre che sdegnavano quell’unione, e si fece avanti.
- Lily, devo parlarvi –
Lei non lo stava guardando, si limitò ad un verso gutturale. Lui lo prese come un accenno per andare avanti. Deglutì a fatica, ma alla fine le parole sgorgarono come un fiume in piena.
- Lily, devo dirvelo. Non esiste donna migliore su questa terra che possa custodire il mio cuore. Siete una perla rara, un prezioso dono che la vita mi ha regalato. Siete per me un’amica, una sorella e un’amante. Vi amo dal giorno che ci siamo conosciuti, ma allora ero troppo ingenuo per rendermene conto. Vi prego Lily, lasciate che vi ami con tutto me stesso. Lasciate che vi protegga da ogni male di questo mondo e in cambio vi darò tutto ciò che volete. Sposatemi Lily, è inutile indugiare oltre. Siamo fidanzati da tempo –
- In segreto – aggiunse lei.
Aveva trovato quelle parole con cura, aveva provato e riprovato quel discorso un centinaio di volte. E lei diceva solo questo?
Se ne stava ferma, immobile, nella stessa posizione in cui l’aveva trovata. Ora il sole si trovava in un’altra posizione, mettendola in una lieve penombra. Con sangue freddo provò a rivolgersi di nuovo a lei, che sembrava assorta nei suoi pensieri. 
– Lily? – dopo un attimo di silenzio, finalmente tornò a parlargli. Lei lo guardò con amarezza e John capì. Capì che non avrebbe mai ottenuto una risposta favorevole.
- Lily, vi prego ditemi perché? Mi avete rivelato il vostro amore. Cosa vi induce a rifiutarmi? –
- Mi dispiace – disse soltanto. Quella risposta fu una pugnalata che lo colpì nel profondo del cuore.
- Perché? – trovò la forza di chiederle, ancora incredulo da quelle parole fredde e vuote.
- Perché siamo diversi! – esclamò lei con decisione. John non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Pensò che fosse tutto uno scherzo, si burlava spesso di lui. Era convinto che anche lei lo amasse. Certo sapeva che non era come le altre, era imprevedibile, indomabile, ma mai una bugiarda. Sapeva con certezza che teneva a lui, ma in quel momento quasi non gli sembrò la sua Lily.
No, la sua Lily sarebbe stata dolce, amabile e affettuosa con lui. Quella che aveva datanti era una donna calcolatrice e meschina. Sembrava un corpo senza anima, senza sentimenti.
- Non è vero e tu lo sai – provò a scuoterla da quella corazza che l’avvolgeva, ma nulla cambiò, anzi peggiorò.
- Voglio la libertà, voglio vivere la vita che desidero e ciò che non voglio è essere imprigionata in un matrimonio indesiderato –
Quelle parole lo ferirono a morte come gli se avesse conficcato una lama affilata nel cuore.
- John – disse lei con più calma - voglio che tu sia felice. Troverai una donna che ti amerà per come sei. Io andrò a Londra da mia zia, Lady Lamb. Partirò domani mattina. Ha detto che mi porterà in giro per l’Europa e forse anche in America. Visiterò il mondo John, quello che ho sempre desiderato –
John non disse nulla, rimase lì a guardarla. Non una parola uscì dalla sua bocca. Con il pensiero impresse la sua immagine nella sua mente.
I suoi capelli scuri, mossi dal lieve vento. La sua carnagione lucente. La sua bocca carnosa e suadente.
Ricordò a sé stesso il privilegio avuto per essere riuscito a renderla donna, proprio lì, in quel capanno, quando tutto era diverso.
La guardò negli occhi un’ultima volta e non vide più quella luce che destinava soltanto a lui. Nonostante quello che gli stava facendo, non fece altro che provare amore per lei.
Non era un uomo che supplicava. Non lo aveva mai fatto e non lo avrebbe fatto con lei. Lily aveva preso la sua decisione e non era intenzionata a tornare indietro.
Con un ultimo sguardo si accinse a osservarla, poi si voltò e andò via.
Per sempre.
 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 
Southampton era una cittadina deliziosa, pensò Sara. C’erano delle abitazioni molto graziose, dai mille colori e immerse nel verde. Inoltre lì, poteva sentire l’odore del mare. Non era affatto come lo aveva immaginato. All’inizio non le era stato gradevole, ma con il tempo si stava abituando. Più le diventava familiare, più si sentiva rinvigorita. Solo ora capiva perché molti medici consigliavano di recarsi presso le località di mare per curare i propri malanni. Anche il loro medico aveva fornito lo stesso consiglio al duca, ma lui aveva categoricamente rifiutato dicendo – Se dovrò morire lo farò qui, in casa mia –
Lord Cavendish era irremovibile e quando prendeva una decisione era quella. Non si discuteva. Avrebbe voluto averlo con lei in quel momento. Si sentiva agitata, e la sua presenza le sarebbe stata di conforto. Spencer le aveva confidato che il vero motivo per cui erano lì, era che sarebbero andati a far visita ai signori Wood. Sara si era opposta, ma Spencer era riuscito a farle cambiare idea. Almeno una volta.
Spencer sapeva cosa stava provando Sara durante quei minuti, lunghi e inesorabili. Sapeva che non sarebbe stato facile per lei scoprire la verità sul suo passato.
- Sara – lei si voltò per guardarlo, e Spencer rimase affascinato di fronte alla sua bellezza. Le posò una mano sulla sua.
– Ci riuscirete, ne sono certo –
- Non credo possano riconoscermi e temo che…-
- Cosa temete? – ripeté lui.
- Temo che possano respingermi –
Spencer vide in lei l’afflizione e lo sconforto. Così prese entrambe le sue mani e le portò sul proprio petto.
- Vi prometto Sara che starò sempre al vostro fianco e qualsiasi cosa succederà, io vi proteggerò –
Sara non riuscì a ringraziarlo per quella promessa, scoppiando in lacrime. Così si adagiò contro il suo petto e lui l’avvolse in un tenero abbraccio.
Nel frattempo la vettura avanzava lentamente su quella strada lastricata, facendo sembrare il percorso lungo e tortuoso. Quando finalmente giunsero al capolinea, Sara guardò fuori dal finestrino e vide una scalinata in pietra grigia che conduceva ad una porta verde. Aveva paura perché sapeva che da lì in poi avrebbe conosciuto il suo passato.
 
Sara scese a fatica dalla vettura. Fortunatamente Spencer era lì per sostenerla e rendendosi conto del suo tremore le si avvicinò all’orecchio dicendole – Siete la donna più forte che io conosca, potete superare tutto se lo desiderate –
Quelle parole, pronunciate con voce seducente, le infusero coraggio. Spencer bussò alla porta e Sara sentì lo stomaco restringersi, ma le bastò guardare negli occhi Spencer per ritrovare la calma.
Ad aprire la porta giunse una graziosa signora dal sorriso confortante che si presentò come la governante. Fu lei ad informare i due visitatori che i signori non erano in casa, ma che a breve la signora Wood sarebbe rientrata. Spencer si presentò, facendo bene attenzione a non pronunciare il nome di Sara.
- Entrate pure, spero perdoniate la mia poca educazione. Vi ho fatto attendere fin troppo sulla soglia di casa – dopo essersi scusata, la governante condusse Sara e Spencer in un piccolo salottino. Le pareti erano avvolte da una carta da parati verde, che faceva da sfondo ad un mobilio in mogano. La tappezzeria era ben tenuta e il color crema delle tende e dei divanetti donavano luce alla stanza.
La donna, che un attimo prima li aveva accolti, portò loro tè accompagnato da pasticcini, tramezzini e dolci alla crema.
- La signora arriverà subito, ho mandato un ragazzo a chiamarla. Sarete sicuramente stanchi per il lungo viaggio, vi esorto a mangiare -
Loro annuirono.
Era tutto squisito, ma in quel momento Sara si sentiva troppo agitata per gustare quelle prelibatezze. Ad un certo punto la domestica chiese a Spencer – Come sta vostro padre? –
Conosce il duca? Pesò Sara perplessa.
Spencer non lasciò che il silenzio si impadronisse della stanza – Sta abbastanza bene, grazie a Dio –
La signora rivolse a Spencer alcune domande sulla sua famiglia e sulla tenuta, riferendogli che conosceva bene il duca perché da giovane aveva spesso frequentato la casa dei signori Wood quando abitavano nel Derbyshire.
- Lo ricordo bene – sospirò - è sempre stato un ragazzo vivace, non smetteva mai di correre o di parlare, ma soprattutto era un gran burlone. Lui e la signorina...- ma lasciò quella frase a metà e Sara se ne rese conto. La donna cominciò a balbettare, finché non le chiese – Signorina, non credo che il signor Cavendish vi abbia presentata –
Sara non sapeva come rispondere a quella domanda. Lo sguardo indagatore della donna non rendeva le cose più facili.
– Sapete assomigliate tanto ad una persona che ho conosciuto -
- Si tratta di mia cugina– rispose subito Spencer, salvando Sara da ogni imbarazzo.
- Credevo fosse la vostra fidanzata –
Sara non riuscì a non arrossire. Anche le guance di Spencer si colorirono di rosa, e questo la divertì. Non credeva di riuscire a ridere in una situazione simile.
- Mi dispiace deludervi – rispose immediatamente Spencer, con sguardo rattristato.
Fu proprio in quel momento che udì dei passi frettolosi in corridoio. La porta si spalancò e Sara la vide. Sua nonna era lì, proprio di fronte a lei.
Vera, viva.
In quel momento, gioia e rabbia si alternarono nel suo cuore.
- Lily? – esclamò quella donna, ancora sulla soglia del salotto. Il viso dolce della donna era tracciato dal tempo e da qualcos’altro. Forse malinconia, forse rimpianto, forse…dolore. Le caddero sul pavimento le borse che teneva nelle mani e scoppiò in lacrime quando riconobbe in quella ragazza gli occhi di sua figlia.
La somiglianza era evidente.
Si avvicinò a lei lentamente, senza smetterla di guardarla e si portò una mano sulla bocca per l’incredulità.
- Lily – ripeté – sei tu? –
Sara non si mosse dal proprio posto. Da una delle finestre filtrava una luce luminosa e il canto degli uccelli accompagnò quel momento di grande intensità. Guardandola, Spencer si convinse che non sarebbe mai riuscita a reagire. Così intervenne.
 – Signora Wood, ci dispiace essere sopraggiunti in casa vostra senza un preavviso, ma… -
- Nonna siete voi? – si intromise Sara con voce tremante.
La signora Wood abbracciò Sara, stringendola forte al proprio petto, come se volesse colmare la sua sofferenza. La scena trasudava tenerezza e amore e il cuore di Spencer si riempì di gioia. Finalmente Sara aveva ritrovato la sua famiglia.
 
Insieme presero il tè e quando Sara si tranquillizzò, le chiese se fossero stati informati sulla sua nascita. La sua interlocutrice, terrorizzata, chiuse gli occhi e quando fu pronta rivelò a Sara tutta la verità.
- Sara, credimi se ti dico che il mio cuore non credeva di poter provare una simile felicità. Non sai quanto mi sia pentita di non essermi presa le mie responsabilità a suo tempo –
Sara ascoltava attentamente ogni singola parola e sapeva che stava dicendo la verità.
- Non sai quanto abbiamo sofferto per aver perso la nostra unica figlia femmina. Certo ho avuto la gioia di avere bene tre figli maschi, che voglio un gran bene, ma Lily era diversa.
Io non riuscivo a comprenderla, nessuno di noi lo ha saputo fare. La giudicavo male perché non si comportava come le altre ragazze e quando ha espresso il desiderio di vivere con mia cognata, io mi opposi alla sua richiesta, ma suo padre che aveva sempre avuto un’inclinazione nei suoi confronti, le ha dato il permesso. Lo sbaglio più grande che abbia mai fatto – sospirò, ripensando a quei ricordi dolorosi.
- Cosa è accaduto? – chiese Sara, fremente. Voleva venire a conoscenza della verità.
- Quando l’affrontai e le chiesi perché aveva deciso di allontanarsi, lei mi mostrò una parte rabbiosa e delusa. Doveva essere accaduto qualcosa, ma non ho mai capito cosa –
La signora Wood si bloccò, non riuscendo a raccontare il momento più doloroso del suo passato. Sara allora allungò la mano verso la sua e quel tocco fu gioviale per la sua emotività. Così, la vecchia signora, riuscì a trovare le parole per continuare.
- Per un anno intero non seppi nulla di lei, tranne che si trovava a Londra, poi un giorno giunse alla nostra porta. Quando la vidi, mi accorsi che era incinta. La cacciai di casa senza avere da lei nessuna spiegazione. Seppi solo successivamente che viveva in Covent Garden. Una donna l’aveva presa con sé, offrendole un tetto e un lavoro. Ne fui felice, sinceramente, ma non riuscivo a perdonarle tutto il dolore che aveva provocato a me e a suo padre. Mi dissero che Edward, caro ragazzo, l’aveva voluta sposare. Odiai mia figlia per aver rovinato anche la sua vita perché sapevo che il suo amore era destinato ad un altro. Era diventata un’opportunista - le parole le morirono in bocca. La signora Wood la guardò con vergogna e il suo sguardo si soffermò sulla collana che Sara indossava.
- Quella è di Lily –
- Mia madre ha voluto regalarmela mentre giaceva sul letto di morte, patendo le proprie sofferenze. Io non ricordo nulla è stata Eleonor, la donna che ci ha salvate, a raccontarmi qualcosa –
La signora Wood si sentì in colpa. Non aveva abbandonato solo sua figlia, ma anche sua nipote.
 – Questa è l’unica cosa che ho di lei e speravo di scoprire qualcosa di più su mia madre venendo qui –
- Ricordo bene che la indossava sempre, ma davvero non so chi possa avergliela regalata – mentì.
All’improvviso Sara trovò il coraggio di farle la domanda a cui teneva di più
– Sapete, per molto tempo mi sono chiesta chi fosse mio padre, a Londra si dice che fosse un uomo sposato. Voi sapete chi sia? –
- No, mia cara – disse distogliendo lo sguardo da lei – Anne mi disse solo che si intratteneva con diversi gentiluomini. Ho lasciato che la mia bambina si rovinasse la vita –
Scoppiò in lacrime.
Spencer si intromise e le chiese con garbo – Signora Wood raccontate tutto ciò che sapete. Il cuore di Sara è abbastanza forte da reggere qualsiasi verità –
Spencer aveva fiducia in lei, forse troppa.
- Io seppi la verità solo dopo diverso tempo, perché mio marito aveva deciso di tenermi all’oscuro. Quando ho saputo ciò che le aveva fatto, ho interrotto immediatamente i rapporti con Anne. Lily è stata una sua vittima –
Sara in quel momento comprese quanto sua madre avesse sofferto.
- È stata violentata la mia piccola e quella donna l’ha cacciata via senza ritegno, infangando il suo nome per tutta Londra. Persino in casa mia. Anne disse che era stata una sfacciata e che aveva infranto la sua fiducia. Io come una sciocca le credetti. Non riconoscevo più mia figlia e per me quello che lei diceva poteva essere la verità –
- Ma quando avete saputo che Lily era innocente perché non siete venuti a cercarci –
Il viso della signora Wood si fece paonazzo.
- Perché non avevo più il coraggio di farmi vedere né da te né da tua madre. Lo so che mi sarei dovuta prendere le mie responsabilità, ma sono stata…sono una codarda –
Quell’anziana donna scoppiò di nuovo in lacrime e Sara sentì il bisogno di starle accanto. Spencer si alzò, così come la governante che era rimasta lì per tutto il tempo e insieme uscirono dal salotto, lasciando loro quel momento di riavvicinamento.
Nonostante tutto, Sara non riusciva ad odiarla. Era sangue del suo stesso sangue.
- Ho peccato e la mia anima non troverà mai pace – disse in preda alla disperazione, ma Sara la tranquillizzò.
- Io vi perdono e sento di volervi già bene –
 
Sara decise che avrebbe trascorso qualche giorno con la sua famiglia ritrovata così Spencer scrisse una lettera indirizzata a Green House per avvisare del loro ritardo.
Sara si sentì fremere perché a breve avrebbe conosciuto il resto della sua famiglia che fino a quel momento era stata a lei negata.
- State tranquilla. Il passo più difficile lo avete superato, adesso dovrebbe essere una passeggiata per voi – le disse Spencer con amorevolezza.
- Che impressione potrei fare? Non mi hanno mai visto prima d’ora, potrebbero pensare che sia un’approfittatrice –
- E di cosa? I Wood sono sprovvisti di titolo e a meno che non nascondino una fortuna non navigano nell’oro – le fece notare Spencer e Sara si rese conto che stava esagerando.
- Vorrei solo piacere –
- Sarà così, non vi preoccupate – le si avvicinò con passo deciso e il respiro di Sara cominciò ad accelerare. Da quella distanza riusciva a percepire la sua Eau de Cologne che le invadeva le membra. A stento riuscì a trattenere un mugolio di piacere. Il suo corpo traditore le diceva di avvicinarsi a lui e di premere le labbra contro le sue, ma qualcuno fece capolinea nel salotto e quella magia sfumò in un attimo.
- Ho interrotto qualcosa? – disse una voce brontolante.
- No nonna, io e il signor Cavendish stavamo solo parlando –
L’anziana signora li guardò come se non fosse affatto convinta da quelle parole.
- I miei figli stanno arrivando, li ho visti dalla finestra. Tra non molto busseranno alla porta e vorrei che venissi con me Sara a dare loro il benvenuto. Ovviamente vale anche per voi signor Cavendish. Sapete è un onore avervi qui con noi –
La donna si sbrigò a lasciare la stanza, mentre Sara tornò ad essere sola con Spencer.
- Sii felice Sara, finalmente hai ritrovato la tua famiglia –
La sua voce era piena di commozione, ma qualcos’altro la coloriva. Rimpianto forse?
Spencer temeva che la donna della sua vita lo abbandonasse per poter godere di quelle persone meravigliose. Era egoista da parte sua, visto che per tutto il tempo che la ragazza era stata sotto il suo stesso tetto non aveva fatto altro che prendersi gioco di lei.
Adesso però, era tutto diverso. Lui era sicuro di amarla e non l’avrebbe mai più abbandonata.
 
Fu un giorno indimenticabile. Sara conobbe i fratelli di sua madre e i suoi cari cugini, e tutti furono entusiasti di conoscere la figlia dell’indomabile Lily.
Il signor Jasper Wood, il primogenito, era un uomo simpatico e molto amabile. Sara trovò con lui sin da subito una sintonia speciale. Aveva i suoi stessi occhi color nocciola e le somigliava anche nelle espressioni. Sua moglie Jennifer, era altrettanto cordiale. Trascorse con lei molto tempo e la donna ne approfittò per riempirla di domande.
- Jennifer, ti prego, lasciale un attimo di respiro – disse suo marito, provando compassione per Sara.
- Non sto facendo nulla, marito mio. Non è vero? – rivolgendosi a Sara che si sentì di mancarle di rispetto se avesse detto la verità, così decise di stare dalla sua parte.
La donna le presentò i suoi figli, che avevano più o meno la sua età.
C’era Joffrey e Simon, e poi Ellen, nata nel suo stesso anno a due giorni di distanza.
- Sento già che diventeremo molto amiche! – disse con clamore quella giovane donna dai capelli biondi e ricci.
Poi le fu presentato Marcus, il secondogenito dei Wood. Era diverso da Jasper, più taciturno, ma dal sorriso dolce. Aveva dedicato la sua vita a Dio ed era diventato il pastore della città.
L’ultimo era Julian, il fratello minore, quello più affezionato a Lily, e quando la vide non riuscì a trattenere le lacrime.
-Sei proprio uguale a lei –
Fu per Sara una giornata memorabile. Aveva conosciuto una arte di sé, una parte che per anni le era stata negata.
Ebbe modo di meditare su tutto quello che la nonna le aveva raccontato sul passato di Lily. Sua madre doveva aver sofferto molto, ed era convinta che mancava ancora qualcosa in quel quadro complicato. Si chiese chi fosse l’uomo di cui era stata innamorata. Era forse l’uomo che l’aveva tradita? Forse le iniziali della sua collana corrispondevano al nome di costui. Doveva indagare sulla questione e avrebbe scoperto la verità.
 
Qualche giorno dopo Spencer stava nella piccola, ma accogliente biblioteca dei Wood cercando un libro che suscitasse il suo interesse, ma che soprattutto lo distrasse dai suoi pensieri.
Sara era felicissima e comprendeva perfettamente il suo stato d’animo. Doveva essere stato difficile trascorrere gli anni senza conoscere la propria famiglia, e adesso era inondata da quell’affetto negatole. Allo stesso tempo avanzava sempre di più, nei suoi pensieri, l’idea che Sara decidesse di trasferirsi dai suoi nonni.
Non aveva nulla da ridire su quelle persone, che riteneva amabili, ma l’idea di separarsi da lei, proprio adesso che le loro anime erano diventati così affini, non riusciva ad accettarlo.
Finalmente un titolo catturò la sua curiosità. Ivanhoe di Walter Scott. Prese il libro avvolto in un morbido cartoncino di seta e si diresse in direzione della poltrona posta nell’angolo della stanza di fronte il caminetto in pietra.
Nel momento stesso in cui aprì il libro sulla prima pagina sentì bussare alla porta. Il signor Wood si materializzò subito dopo.
- Signor Cavendish, vi ho trovato finalmente –
Spencer si rassegnò a leggere quel libro, chiudendolo immediatamente. Sospettò che il signor Wood volesse discutere con lui di una qualche questione.
- Entrate pure, qui l’ospite sono io, non voi – facendo sorridere quell’uomo alto e snello dalla barba appena accennata e capelli bianchi raccolti in un codino – mi stavate cercando? –
- Esatto, signor Cavendish. Volevo chiedervi se voleste accompagnarmi per una passeggiata –
Spencer accennò di buon grado quell’offerta e i due uomini si incamminarono lungo la strada fino a raggiungere il porto.
Nonostante fosse quasi il mese di giugno, il tempo non sembrava ancora voler aprire le sue porte al torpore estivo. Un venticello calmo fece ondeggiare le onde del mare sugli scogli e gli spruzzi di mare sembravano piccole scintille luminose.
In quell’istante gli tornò in mente Sara.
Se avesse potuto scegliere la propria vita, avrebbe voluto trascorrerla con lei e magari avrebbero vissuto proprio lì. Con la mente fantasticò di passeggiare ogni mattina con lei aggrappata al suo braccio lungo il porto.
Quel pensiero gli riscaldò il cuore.
- Signor Cavendish, volevo ringraziarvi per aver avverato il nostro sogno. Noi non saremo mai riusciti a superare la nostra vergogna. Grazie –
Spencer vide quell’uomo vacillare per la prima volta da quanto lo aveva conosciuto. Provando tristezza e compassione.
- Pensavo che non sarei mai riuscito a conoscerla e adesso comprendo di essere stato uno stolto. Spero non mi condanniate per ciò che ho fatto. Allora pensavo di agire nel migliore dei modi. Se solo penso a quanto abbia sofferto la mia piccola Lily –
Pianse.
- Al contrario, penso che siate stato raggirato da una donna senza scrupoli –
L’uomo annuì e poi continuò a conversare - Assomiglia molto a mia figlia. Avrei voluto starle vicino, mi credete vero? –
- Certo, confesso che io stesso ho trascurato la dolcezza di quella donna che per tutti questi anni. Solo adesso ho compreso i miei errori e…- lasciò la frase a metà.
- Adesso è troppo tardi? – chiese l’uomo.
Spencer annuì.
-Voi l’amate, è così? –
Spencer non era preparato a rispondere a quella domanda. Rimase in silenzio.
- Non ne avevo dubbi. Sapete, mi vanto di essere un osservatore attento. Nei vostri occhi brilla quella stessa scintilla che ho io quando guardo mia moglie –
Spencer continuò a stare in silenzio ascoltando le confessioni di quell’uomo.
- Voglio raccontarvi la mia storia. Mia moglie non mi amava quando mi ha sposato. In realtà avrebbe dovuto sposare mio fratello, ma il povero Simon morì prematuramente a causa di una caduta da cavallo e la sua famiglia preferì spostare il suo interesse su di me invece di cercare un altro pretendente. Fu molto difficile per mia moglie accettarlo. I primi anni furono i peggiori della nostra unione –
Spencer cercò di immaginare cosa avessero passato durante quei lunghi mesi, ma gli risultò difficile.
- Il primo anno di matrimonio trascorse in un modo orribile. Io amavo quella donna, pur sapendo che il suo cuore sarebbe sempre appartenuto a mio fratello. Catherine non voleva mai parlarmi e quando provavo a rivolgerle qualche domanda scoppiava a piangere, così decisi di concentrami sul lavoro. Fu proprio in quegli anni che cominciai a lavorare per vostro padre – dopo un sospiro gli rivelò - non vi nascondo che mi feci un’amante –
Spencer lo guardò con compassione. Non sapeva cosa significasse non poter condividere il letto con la propria moglie, visto che era ancora scapolo, ma poteva supporre che fosse insopportabile.
- Cosa successe poi? – chiese Spencer, con grande rispetto.
- Passò un po' di tempo prima che aprisse il suo cuore a me. Era il giorno del mio ventiquattresimo compleanno quando mi disse che i suoi sentimenti erano mutati. Non voleva che andassi più con la mia amante e promisi che da quel momento avrei avuto solo lei – concluse con occhi lucidi - Ragazzo, perché non vi dichiarate? -
- Perché non posso sposarla. Erediterò un ducato e ho delle responsabilità verso di esso. Se la sposassi, verrebbe allontanata dalla società e non posso permettere che un giorno dia la colpa a me per averle rovinato la vita. E poi non credo ricambi i miei stessi sentimenti –
- Sciocchezze! Della società non vi dovrebbe importare di nulla e ho veduto come è affezionata a voi. Forse ancora non lo sa, ma vi ama. Di questo ne sono sicuro –
Ma Spencer sapeva che Sara non avrebbe resistito al suo fianco, privata dei divertimenti e degli amici. Nessuno l’avrebbe più accettata nei salotti, o alle feste. Per lei desiderava un futuro diverso. Voleva che fosse felice e inoltre, era certo che il signor Wood si sbagliava.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Era trascorsa circa un’ora da quando lei e Spencer avevano lasciato Southampton.
Era stato più difficile di quanto avesse previsto. Sua nonna si era dimostrata una donna premurosa e attenta, ma anche affettuosa.
Aveva amato quelle persone sin dal primo momento.
Poco prima di salire sulla vettura, non le sfuggì l’occhiata del nonno rivolta a Spencer. Quei due avevano qualche segreto, e lei era tremendamente curiosa di scoprirlo. Durante quei giorni aveva notato che trascorrevano spesso del tempo insieme.
Mentre si dirigevano verso Green House, Sara si rivolse all’uomo seduto al suo fianco – Non mi è stata indifferente la sintonia fra voi e mio nonno –
Spencer la guardò vago.
- Siete gelosa che abbia trascorso più tempo in mia compagnia? –
- Non posso negare di aver provato un leggero fastidio, visto che tra me e voi, la nipote sarei io –
- Potrei dire lo stesso di mio padre. Adesso siamo pari – disse, burlandosi di lei.
Sara fece finta di non sentire.
– Dovete sapere che ne sono stata molto felice – ammise invece lei.
- Felice di cosa? – le chiese, sapendo bene a cosa si riferisse.
- Perché non lo avete considerato un uomo crudele, ma lo avete biasimato e perdonato–
Spencer le sorrise, sgranchendosi le braccia e le gambe intorpidite dal viaggio.
– Come avrei potuto non perdonarlo? Hanno sofferto così tanto. Ci si rende conto sempre troppo tardi di aver sbagliato. Avevano bisogno di una seconda possibilità –
Sara non lo sapeva, ma Spencer in quel momento si stava riferendo anche alla sua stoltezza e al suo stupido orgoglio che gli impediva di esprimere i suoi sentimenti.
Sara gli rivolse il suo solito sorriso dolce e Spencer d’istinto posò le mani sulle sue, piccole e fragili. In quel momento nessuno dei due indossava i guanti e costatò che la sua pelle era liscia e morbida. Poi se le portò alle labbra per posarvi un tenero bacio, dove annidò tutto l’amore che provava per lei.
Spencer, non la lasciò andare, tenne quelle mani strette tra alle sue e lei non mostrò nessun segno di disprezzo.
Il silenzio si impadronì di entrambi, ma sembrava che a nessuno dei due dispiacesse. In quel momento esistevano loro due soli e nessuno avrebbe mai potuto compromettere quella forte comunione di anime.
 
James Morrison aveva riunito una bella compagnia. C’erano i suoi amici più intimi e alcune delle dame più belle di Londra, nonché accompagnatori e chaperon per le fanciulle nubili. Ne invitò a sufficienza per i suoi amici scapoli, raccomandando loro che solo una sarebbe stata intoccabile.
Sara Wood era solo sua e aveva deciso che, alla fine del soggiorno, sarebbe diventa la sua fidanzata.
Sara però, ci stava impiegando troppo ad arrivare. Nel frattempo cercava di trascorrere il tempo con i propri amici.
Stava giusto chiedendo alle signorine Brant se volessero unirsi alle altre dame e gentiluomini per una cavalcata, quando lady Stanley approfittò di quell’opportunità per mettere in evidenza sua figlia.
- Signor Morrison, siamo lieti di essere qui. La casa è davvero deliziosa. Caroline, dillo anche tu –
Caroline diventava sempre più bella, ogni giorno che passava. James, come tanti altri gentiluomini, se n’era reso conto ed era sicuro che quella ragazza avrebbe potuto avere qualsiasi uomo. L’ammirava per la sua forza e la sua tenacia e forse, se non si fosse innamorato di Sara, avrebbe fatto di tutto per averla.
- Signor Morrison la casa è splendida, e sono molto curiosa di visitare il giardino –
- Mi fareste l’onore di farvi da Cicerone? Sarebbe un vero piacere –
Caroline soddisfatta, accettò il suo braccio mentre a James non dispiacque affatto divertirsi un po' con lei nell’attesa.
Appena Sara sarebbe arrivata le avrebbe mostrato la sua casa, e le avrebbe parlato dei suoi ricordi. Era rimasto però deluso dal suo comportamento. Era stato lui a scoprire l’indirizzo in cui vivevano i suoi nonni e lei aveva scelto di condividere quel momento con Spencer.
Fortunatamente non aveva eclissato l’invito, ma allo stesso tempo temeva che la presenza di Spencer fosse pericolosa. Si promise di mantenere la calma con la certezza che tutto si sarebbe concluso a suo favore.
 
Sara si trovava su un terrazzo dalla vista mozzafiato su Hyde Park. La brezza primaverile accarezzava delicatamente la pelle delle sue spalle scoperte.
Era sola.
Cosa ci faceva lì? Non riusciva a ricordare come vi fosse arrivata. Si voltò e vide un uomo. Una figura che conosceva bene e che sarebbe riuscita a riconoscerla anche nell’ombra.
- Spencer, cosa ci facciamo qui? – ma lui rimase in silenzio e lentamente le si avvicinò. Ad ogni suo passo il cuore di Sara tamburellava sempre più forte. Era talmente bello che si perse in quei enormi occhi blu e quando quel volto celestiale le fu vicino, Sara sentì il suo corpo fremere dal desiderio di poggiare le labbra sulle sue, morderle e leccarle. Più era vicino a lei e più si sentiva accaldata. Ma proprio quando stava per appagare i propri appetiti ecco che…
- Sara, Sara – si sentì chiamare. Balzò a sedere spaventata.
- Cosa è successo? – disse lei, guardandosi intorno. La terrazza e il panorama erano scomparsi e si ritrovò di nuovo nella vettura che li stava conducendo a Green House.
Quando vide Spencer accanto a lei che la guardava confuso, capì che era stato solo un sogno.
- Scusatemi tanto –
- Per cosa? – chiese lui dolcemente, mentre le accarezzava la schiena.
- Per essermi addormentata sulle vostre spalle – disse Sara imbarazzata.
- Siamo quasi arrivati. Vi ho svegliato solo per questo motivo. Non mi avete arrecato nessun fastidio –
Sara si rese conto che Spencer era a corto di parole e che respirava a fatica. Cosa gli stava accadendo? Ma non riuscì a darsi una risposta.
Spencer, vedendola così vulnerabile, aveva sentito una frenesia crescergli dentro. Aveva accolto il suo capo sulla spalla per gran parte del viaggio e assopita gli sembrava una tenera bambina. Ma in realtà era una giovane donna nel fiore della sua bellezza. Dolce e fedele. Se fosse dipeso da lui, avrebbe continuato quel viaggio a lungo, nonostante le membra indolenzite. Averla così vicino lo faceva sentire bene.
Purtroppo il cocchiere gli aveva fatto segno di essere quasi a destinazione, costringendolo a svegliarla.
- Chissà se troveremo qualcuno in casa –
- Io spero di no, vorrei prima darmi una rinfrescata. Sono stremata – disse lei strofinandosi gli occhi ancora addormentati.
Quando la vettura si fermò fuori all’ingresso, Spencer scese per primo e aiutò Sara a fare lo stesso. Dopo essere stati accolti dal maggiordomo entrarono in un grande ingresso completamente bianco tappezzato da quadri.
Per fortuna in casa non c’era nessuno. Tutti gli uomini erano andati a giocare a cricket mentre le donne erano nel giardino romano a prendere il tè.
-Signor Cavendish, se lei e la sua accompagnatrice vogliate seguirmi vi condurrò nelle vostre stanze – disse cordialmente l’uomo dal viso simpatico.
Mentre risalivano lo scalone, Sara si guardò intorno. Di solito, le famiglie benestanti usavano la quadreria per mettere in evidenza la propria genealogia, ma quelli che lei stava ammirando raffiguravano solo paesaggi. Fu in quel momento che si rese conto che James non le aveva mai parlato realmente della sua famiglia, tranne che del loro incidente.
- Signorina Wood – la chiamò il maggiordomo.
Udendo la sua voce, si riprese dai propri pensieri e lo seguì in una meravigliosa camera che affacciava sui giardini del parco. Solo in quel momento fece un lungo sospiro e decise di prepararsi per la cena.
 
James ritornò a casa con i suoi compagni e il maggiordomo lo informò immediatamente dell’arrivo di Spencer Cavendish e Sara Wood. Erano settimane che non la vedeva. Desiderava con ardore rivedere il suo bel viso e godere della sua ironia,
La sera calò e tutti gli ospiti si fecero trovare puntuali nel grande salone dorato in attesa che il padrone di casa li conducesse nella sala da pranzo.
Sara era felice di essere lì. Non appena Elisabeth ed Amanda la videro le andarono incontro per salutarla.
- Sara finalmente sei tra noi – disse Amanda, accorgendosi solo dopo della presenza di Spencer.
- Signor Cavendish, lieta di rivederla – disse, con una punta di disprezzo che sarebbe stata colta da chiunque.
- Ci siamo annoiate senza di voi – intervenne Elisabeth rivolgendosi al fratello.
– Mi state forse prendendo in giro? –
- Ovvio che no. Vi abbiamo atteso con impazienza, spero che possiate trovare la donna adatta a voi – fece notare Elisabeth.
- Vedo che lì c’è lord Richmond. Forse sarebbe meglio che vada a salutarlo – disse Spencer imbarazzato.
- Scappate pure Spencer, così parleremo male di voi –
Elisabeth sapeva sempre come irritarlo e Spencer senza degnarle di uno sguardo andò via. In quello stesso momento nella sala si levò un brusio che catturò l’attenzione di Sara. James aveva appena varcato la porta e Sara avvertì il suo sguardo su di sé, ma fortunatamente si avvicinò a lady Crawford e insieme si avviarono verso la sala da pranzo.
 
Il mattino seguente quel piccolo gruppo partì per una gita all’aria aperta sulle sponde del Tamigi. Alcuni uomini avevano portato con sé le canne per pescare, mentre altri avevano deciso di provare a conquistare i cuori palpitanti delle fanciulle presenti. Sara notò, con un certo imbarazzo, che non tutti sapevano come corteggiare una donna, paragonandoli ovviamente agli unici due uomini che aveva conosciuto.
James aveva modi affabili e raffinati. Metteva dolcezza in ogni sua parola ed esprimeva i suoi sentimenti con moderazione, ma intensità. Sapeva essere un ottimo ascoltatore e un buon confidente. Era sempre educato e con modi squisitamente gentili.
Spencer, invece, era l’opposto. Era impetuoso e diretto, a tratti vulnerabile. Ma era anche l’uomo più colto che conoscesse. Sara non sapeva mai come comportarsi in sua presenza, ma sapeva di poter contare su di lui. Sempre.
Era anche un uomo affascinante, e bastava un suo sguardo per farla accalorare.
- Sara, cosa state facendo immersa nei vostri sogni? Vi sto chiamando da un po' – le disse James, che approfittando dell’assenza di Spencer, si era unito al loro gruppo.
- Oh, non è nulla. A volte mi perdo nei miei pensieri e non mi rendo conto che lo faccio in pubblico. Ditemi – lo esortò Sara, guardandolo con curiosità.
- Stavo proponendo di andare a raccogliere delle fragoline selvatiche - Amanda aveva già accettato e quando anche Sara stava per acconsentire fu interrotta da Spencer che nel frattempo le si era avvicinato.
- La signorina Wood ha già promesso di passeggiare con me. Vi accompagnerà un’altra volta -
Lei lo seguì senza replicare.
 
Come aveva previsto Elisabeth, Spencer aveva condotto Sara lontano, così che nessuno li avrebbe rintracciati.
James era apparentemente deluso e per tutto il pomeriggio non fece altro che lamentarsi del comportamento irrispettoso di Spencer.
- Non dovrebbero trascorrere così tanto tempo da soli. Potrebbero aggiungersi altri pettegolezzi a quelli esistenti. Sappiamo come l’aristocrazia ami spettegolare –
- Vi preoccupate troppo, James. Conoscete Sara, non farà nulla che possa nuocere alla sua reputazione – disse Amanda.
Elisabeth era divertita dai suoi tentativi per tranquillizzarlo. Quando finalmente James decise di unirsi ai suoi amici per la pesca, Amanda si avvicinò a lei e disse preoccupata - Non riesco proprio a capirla –
- Cosa intendete dire Amanda? – le chiese a quel punto Elisabeth, mentre si chinava per raccogliere una piccola fragola. Sapeva di non piacere a quella ragazza, ma voleva scoprire cosa stesse pensando.
- Ovunque si trova Spencer, c’è anche Sara. Credo che James sia più affine al suo buon carattere –
- Al cuore non si comanda – le sottolineò Elisabeth. Comprendeva la sua mancanza di fiducia in Spencer, ma in più occasioni aveva dato prova di tenere davvero a Sara. Perché non se ne rendeva conto?
- Caroline ora gli sta appiccicata come una cozza -
- Quella ragazza corteggia gli uomini spudoratamente – fece notare Elisabeth. Ne aveva viste tante come lei. Era una ragazza di bell’aspetto, ma frivola.
- È colpa di su madre – le disse Amanda – sin da quando era piccola le ha fatto credere di essere speciale. Ma non lo è affatto –
Eloise scoppiò a ridere per le facce buffe di Amanda.
- Chissà se riuscirà ad avverare il desiderio di sua madre –
 
- Permettete? – le disse Spencer, porgendole una fragolina. Sara lo guardò stupita.
- Non è la prima volta che mi accosto alle vostre labbra. Non ricordate più? –
Lo ricordava fin troppo bene, tanto che al solo pensiero il suo corpo vibrò.
- Come potrei dimenticare la vostra sconsideratezza – lo incolpò con un sorriso malizioso. Quel sorriso che Spencer adorava.
Quante volte lo aveva immaginato nella sua mente e ora desiderava ardentemente un nuovo bacio.
- Ricordo solo che avete agito come un animale -
- E? – le fece eco.
- E cosa? – disse Sara, fingendo di essere infastidita.
- Voglio solo sapere, se vi è piaciuto –
Spencer portò il pollice su un angolo delle sue labbra, fingendo di pulirla.
- Stavate dicendo – la esortò, vedendola in imbarazzo.
- Che siete uno sciocco. E il bacio è stato uno sbaglio – continuò lei, ma Spencer continuava ad essere convinto del contrario. Di una cosa era sicuro, poteva non amarlo, ma quel bacio aveva significato qualcosa per lei. E sentiva che quando lo guardava era attratta da lui.
– Sapete, non dovremmo stare qui da soli – disse Sara guardandosi intorno – si potrebbe pensare che siamo amanti. Se ci vedesse qualcuno sarebbe uno scandalo –
- Che lo pensassero pure, se fosse necessario io vi sposerò – disse lui sbuffando.
Sara tremò. Davvero lo avrebbe fatto?
- Perché mi guardate in quel modo? Credete che venga meno alla mia parola? –
Sara continuò a fissarlo senza parlare.
- Non preoccupatevi, nessuno avrà nulla da ridire. La gente sa che siamo cugini – continuò a dire lui, ma in verità erano molto di più.
- Passatemi un’altra fragola – disse infine Sara cambiando argomento.
Quella richiesta lo esaltò.
No che avesse detto qualcosa di particolarmente eccitante, ma il modo in cui glielo aveva detto era appassionante ed esitante. Il cestino gli sembrava tanto lontano, dove diamine è finito pensò Spencer e quando finalmente lo trovò prese una fragolina selvatica tra le dita e con calma la porse a lei.
Nonostante la sua ingenuità, Sara capì che Spencer era entusiasmato da quel gioco e sentì improvvisamente la paura, tipica della sua inesperienza. Così di scatto prese la fragolina fra le sue mani e la mangiò. Spencer sembrò deluso, ma lei non avrebbe saputo come gestire quella situazione.
Lui le sorrise con calore e prese a sua volta una fragolina per gustarla mentre erano distesi in riva al fiume.
- Credo che dovremmo andare. A quest’ora tutti si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto – continuò a dire lei.
- Sara, avete paura di me? -
- Non ho paura di voi –
- Allora rimaniamo ancora un po'. Non ho voglia di stare tra la gente. Non trovate che sia molto più bello starcene qui da soli? –
I raggi del sole scintillavano tra i rami degli ippocastani come piccoli diamanti e graziosi cardellini intonavano un suono melodioso. In quel luogo regnava la pace e se fosse dipeso da lei sarebbe rimasta lì per sempre.
-Siete felice? – le chiese improvvisamente Spencer.
Prima di rispondere, lo chiese a sé stessa. Fu sorprendente constatare che lì, in quel momento, lo era immensamente. Non esisteva nulla di più bello che stare in quel regno incanto con quell’uomo.
Così rispose con sicurezza – Sì, lo sono –
 
Era ormai pomeriggio inoltrato e tutte le dame e i gentiluomini si radunarono alle proprie vetture per ritornare a Green House.
- Sara, che piacere vedervi. Non abbiamo ancora avuto il tempo di parlare – disse James appena la raggiunse.
- Mi dispiace tanto, è colpa mia –
- Oh no, certo che no. Sono io ad essere sempre molto occupato, ma spero che presto possiamo riuscire a trovare un momento per noi –
Sembrava una richiesta intima e questo la turbò, così Sara si limitò a sorridergli salendo subito dopo sulla vettura.
Ormai lontana, James sperò che presto avrebbe tenuto fra le sue braccia quel corpo voluttuoso e meraviglioso che sognava ogni notte da quando l’aveva conosciuta. Doveva essere sua, ad ogni costo.
Giunti a Green House, le donne scesero dalle proprie vetture ed entrarono in casa mentre i gentiluomini portarono i propri destrieri nella stalla. James ne approfittò per parlare con Spencer.
- Spero che il soggiorno sia di vostro gradimento –
Spencer annuì.
James si affrettò a dire – È da tanto che io e voi non parliamo. Sono successe così tante cose in questi mesi. Mi sono mancate le nostre serate – alludendo ai capricci dell’amico, ma Spencer non sembrò interessato ai suoi tentativi di innervosirlo.
- Non è stato certo per colpa mia, se i nostri rapporti si sono interrotti –
- Siete ancora in collera con me per vostra sorella? Aventi Spencer, anche voi avete avuto delle avventure – cercò di pungerlo sul vivo.
- Non è lo stesso, e lo sapete. Non sarei mai andato a letto con Abby –
- Certo, non mi avrebbe fatto piacere sapere che mia sorella fosse nel vostro letto, ma…-
- Nessun ma – disse Spencer con decisione.
- D’accordo, avete ragione anche io sarei arrabbiato con voi, ma vorrei che almeno ci fosse meno tensione tra noi, soprattutto sé…- e la buttò lì, sapendo di attirare la sua attenzione. E quando ne fu certo continuò.
- Voglio essere chiaro con voi, in onore della nostra vecchia amicizia –
Spencer stava fremendo dalla rabbia mentre attendeva le sue parole.
– Già vi ho detto una volta che amo Sara e ho intenzione di chiederle di sposarmi e se lei accetterà la mia proposta diventeremo parenti –
Spencer era così furioso con lui.  Non conosceva ancora i sentimenti di Sara e già si preoccupava del loro rapporto in futuro. Certo aveva coraggio da vendere e avrebbe potuto ammirarlo se fossero stati in altre circostanze, ma la donna che voleva sposare era la sua Sara…
- Lo avevo capito, ma sarà lei a decidere –
- Credo che non ci vorrà molto, sono sicuro che mi dirà di sì – lo stava provocando, per dimostrare a Sara il vero Spencer. Furioso e pericoloso.
- Non ve la lascerò prendere con così tanta facilità. Credo che voi non siate l’uomo che faccia per lei –
A quel punto James si meravigliò del controllo di Spencer, mesi prima lo avrebbe massacrato a pugni, ma non se ne curò. Aveva in serbo altri modi per screditarlo agli occhi di Sara.
Infatti quando uscì dalla stalla, Spencer riconobbe una vettura nero corvino con bordature dorate che si avvicinava sempre di più alla dimora. Da essa scese una donna, la cui figura gli fu impossibile non riconoscere.
James, alle sue spalle disse con soddisfazione - Farò di tutto affinché scelga me -
 
Più tardi a cena, Sara fece la conoscenza di lady Juliette Hamilton.
Non appena entrò nel salotto fu notata da tutti per la sua bellezza. Era alta e dal corpo perfetto, occhi da cerbiatta dell’azzurro del cielo e meravigliosi boccoli dorati. Sara rimase ammaliata.
Per qualche strana ragione, quella donna le si avvicinò.
- Signorina Wood, vero? –
Sara si sorprese per tale considerazione. Chiunque in quella sala, donne e uomini, avrebbero desiderato essere oggetto delle sue attenzioni.
- Sì, sono io signorina…- solo in quel momento Sara si rese conto di non conoscere il suo nome. Nessuno le aveva mai presentate prima, eppure quella donna la conosceva.
– Lady Hamilton, ma chiamatemi Juliette –
Sara annuì
- Juliette è un vero piacere fare la vostra conoscenza –
- Spero che avremo la possibilità di conoscerci meglio. A Londra si dice che siete l’unica donna a eguagliare la perla della stagione – facendo riferimento a Caroline che in disparte stava osservando tutto - Avremo tanto di cui parlare -
Ancora ignara del vero motivo per cui quella donna le dava attenzione, Sara fu felice di fare una nuova conoscenza.
– Spero che mi perdoniate signorina Wood, magari più tardi potremmo parlare un po' da sole –
Sara accettò ben volentieri quella richiesta poi vide quella donna allontanarsi con James. Finalmente al tavolo in confidenza Juliette gli rivolse la parola.
- Dunque è quella la ragazza di cui mi avete parlato –
Lui si limitò a grugnire. Se non fosse stato necessario, non avrebbe mai chiesto il suo aiuto. Quella donna era maledetta.
Aveva sposato tre uomini e tutti andati all’altro mondo prima della fine del primo anno di matrimonio. Era una donna calcolatrice ed egoista.
Ricordava bene come aveva reagito quando Spencer l’aveva lasciata. Era spietata.
I suoi pettegolezzi avevano fatto il giro di tutta Londra, e ancora oggi erano oggetto di battute sgradevoli.
Non era stato facile per Spencer metterli a tacere, tanto che alla fine aveva smesso di farlo. Non doveva essere bello essere screditato sulla propria sessualità. Se fosse accaduto a lui, avrebbe umiliato quella donna pubblicamente, invece Spencer l’aveva ignorata.
- Perché siete così taciturno? Non siete felice che io sia qui. Grazie a me sposerete quella povera ragazza che presto renderete infelice –
- Ciò che faremo io e la signorina Wood non vi riguarda. Voi siete qui solo su mia richiesta per svolgere un arduo compito –
- E per vendicarmi, ricordate? –
James annuì e guardò Sara, troppo lontana da lui. Sperò che presto non fossero più così distanti. Tutto doveva funzionare, altrimenti non sarebbe mai stata sua.
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Sara rimase colpita da lady Hamilton. Era bella e molto elegante, e sapeva come flirtare con gli uomini facendoli cadere letteralmente ai suoi piedi. Solo Spencer sembrava immune alla sua seduzione.
Sara era curiosa di sapere di più sul conto di quella donna, ma visto che Spencer era rimasto in disparte per tutta la sera, decise di chiedere ad Elisabeth.
- Sara, se proprio vuoi saperlo, lady Hamilton è stata sposata con lord Churchill e alla sua morte con lord Hamilton, ma il suo primo marito è stato un certo Philippe d’Orleans, un duca francese – fece una piccola pausa, per evitare che orecchie indiscrete ascoltassero la loro conversazione, poi aggiunse - ha solo trentadue anni ed ha vissuto la vedovanza per ben tre volte. Tre, ci credi! Per questo è stata soprannominata la vedova nera –
- La vedova nera? – fece eco Sara.
- Perché riesce ad accalappiare più prede di qualsiasi altra donna, proprio come i ragni –
- Oh! – seppe solo pronunciare Sara, inorridita da quel racconto. Come poteva una donna sposarsi così tante volte, e altrettante rimanere vedova?
- Nessuno vuole sposarla, credimi! – disse Elisabeth, che poi aggiunse con un sussurro leggerissimo – ora conosci la sua storia, ti consiglio di starle lontano più che puoi -
Non sfuggì a Sara lo sguardo che Elisabeth lanciò a Spencer. Forse non le aveva raccontato tutta la verità. Dopo alcuni secondi, lui si avvicinò.
- Spencer, va tutto bene? – gli chiese Elisabeth.
Il suo volto però, era così pallido che preoccupò entrambe. Non le rispose nemmeno, accennò ad un lieve sorrise e aggiunse queste parole - Scusatemi, ma ho bisogno di riposo. Ci vedremo domani – in poche falcate sparì dietro la porta dorata. Sara percepì che qualcosa aveva turbato la sua tranquillità e sperò che Elisabeth la illuminasse sulla questione.
- A cosa ti riferisci? – le rispose stupita.
- Non trovi che il comportamento di Spencer sia alquanto misterioso? –
- Non vi trovo nulla di che. Lo conosci anche tu, quando è pensieroso diventa scontroso con chiunque. Gli basterà stare un po' per conto suo per riprendersi, puoi stare tranquilla Sara -
Lei però non smise di crogiolarsi nei suoi pensieri, tanto che quella notte non riuscì a dormire al pensiero che qualcosa turbava talmente Spencer tanto da allontanarlo persino da lei.
Dopo una notte insonne si alzò e andò alla finestra.
L’alba era quasi all’orizzonte e portava con sé un nuovo giorno, ma l’inquietudine notturna non cessava di tormentarla. Prese il primo abito che trovò nel baule di legno di noce e si vestì in fretta, poi prese il cappotto e scese di corsa lo scalone portandosi nel fitto boschetto di faggi seguendo il percorso di ghiaia. Il bisogno di allontanarsi era così forte che in poco tempo, alle sue spalle, la casa era sparita del tutto. L’aria umida la inebriava e una leggera nebbiolina, che si andava allargando, si aprì in un magnifico paesaggio naturale.
Si rese conto che l’orlo del suo abito era completamente umido e sporco di fango. Se qualcuno l’avesse vista in quello stato si sarebbe fatto un orribile giudizio su di lei, così si affrettò a tornare alla dimora. Sperò di raggiungere le proprie stanze senza farsi notare, ma le fu impossibile.
- Sara? Cosa fate? –
Rimase immobile, imprecando tra sé. Non voleva essere vista in quello stato da nessuno! Ma quando riconobbe la voce dell’uomo che l’aveva chiamata, le sue guance si colorirono.
- Spencer, cosa ci fate qui? – riuscì a dire balbettando.
- Vi ho posto la stessa domanda senza ottenere risposta, quindi non ve lo dirò – burlandosi di lei.
Sara si rinvigorì, percependo il suo buon umore. Questo poteva solo significare che Elisabeth aveva avuto ragione.
- Avevo bisogno di sgranchirmi le gambe – si affrettò a dirgli, poiché Spencer stava ancora attendendo la sua risposta.
- Non dovreste allontanarvi da sola nel bosco – la ammonì dolcemente. Sara impallidì perché era convinta che nessuno l’avesse vista.
- Non vi dovete preoccupare. Come vedete sono qui, di fronte a voi –
Lui le sorrise, e poi le si avvicinò.
– Lo vedo Sara. Nessuno può sperare che ubbidiate alle regole perché voi non siete fatta per rispettarle – mentre le parlava, il suo sguardo scese verso il suo petto che si gonfiava ad ogni respiro. In quel momento avvertì il desiderio di strapparle quegli abiti da dosso per godere della sua piena bellezza.
- Non prendetemi in giro, sono stanca e impresentabile, come potete vedere voi stesso – indicando il suo abbigliamento. Spencer, solo allora se ne rese conto e scoppiò a ridere.
- Smettetela Spencer, non mi piace essere vista in questo stato –
- Non dovreste vergognarvi di nulla. Siete così viva –
Lei gli sorrise e inconsapevolmente alimentò quei desideri che opprimevano Spencer da tempo.
Aveva trascorso la sera precedente nel totale silenzio, tenendosi lontano da chiunque, persino da lei. Aveva osservato Juliette per tutto il tempo per scoprire quali fossero le sue vere intenzioni. Solo Dio sapeva cosa sarebbe accaduto con quella donna nei paraggi. Per questo, alla fine giunse alla conclusione che doveva essere lui ad informare Sara sulla sua relazione con Juliette.
- Sara – iniziò, cercando le giuste parole. Dannazione, imprecò tra sé, perché deve essere tanto complicato. Fece un lungo respiro e continuò – Avrei bisogno di parlare con voi –
- Certo, ma preferirei che fosse in un altro momento. Se permettete andrei a togliere quest’abito –
Glielo chiese con così tanta dolcezza, che non poté rifiutare.
- Allora a più tardi –
- A più tardi…Spencer –
 
Juliette fu l’ultima a scendere, ovviamente nulla era lasciato al caso quando si trattava di lei. Sapeva che tutti sarebbero stati presenti a quell’ora nel salone, e in quel modo l’avrebbero ammirata.
Era bella e ricca, e sapeva che le altre donne la invidiavano mentre gli uomini la desideravano.
Aveva avuto ottenuto tutto dalla vita. Mariti facoltosi e amanti focosi. Fortune e indipendenza. Sembrava essere stata baciata dalla fortuna.
Se ripensava alla sua vita, poteva sentirsi gratificata. C’era però, sempre qualcosa che le mancava. Desiderava tutto ciò che non poteva essere suo. Per carattere era combattiva, e per questo avrebbe fatto di tutto per ottenere ciò che ambiva.
Quando James le aveva chiesto di aiutarlo, in un primo momento aveva declinato l’offerta. Non si sarebbe mai abbassata a tanto, detestava Spencer e aveva promesso a sé stessa che mai più lo avrebbe rivisto!
Ma quando le aveva spiegato la sua idea nei minimi dettagli, qualcosa era scattata in lei. Vendetta.
Quello sarebbe stato il modo perfetto per ferire l’uomo che si era azzardato a rifiutarla.
Il piano era semplice e conciso.
Doveva dimostrare a quella sciocca ragazza che uomo fosse Spencer Cavendish, in modo che James avesse tutta la sua attenzione. Era pronta a tutto pur di veder strisciare ai suoi piedi Spencer. Per giorni non aveva fatto altro che fantasticare su come fosse Sara Wood, ma non era affatto come l’aveva immaginata. Carina, ma scialba e secondo lei non era proprio il tipo di donna da far innamorare un uomo perdutamente di lei. Eppure, era proprio così.
Pensava che Spencer fosse semplicemente affezionato a quella ragazza, perché era certa che lui non riuscisse a provare un briciolo di sentimento verso nessun essere umano, invece quando lo aveva osservato con più attenzione aveva capito. Ne era innamorato! Questo avrebbe reso la sua vendetta ancora più gustosa.
Quando entrò nel salone, tutti gli uomini si voltarono verso di lei incantati e anche molte donne la osservarono con ammirazione. Juliette amava il potere che esercitava sulle altre persone e per nulla al mondo ne avrebbe fatto a meno. Era stato grazie a questi mezzi se oggi si trovava lì come vedova del duca Hamilton. Di una cosa era assolutamente certa, era nata povera, ma sarebbe morta ricca.
Era stato facile ammaliare quegli uomini stolti, soprattutto Alexandre. Le era bastato poco per passare da semplice dama di compagnia della sua vecchia madre, a moglie focosa e attenta. Da allora la sua vita era stata una continua salita.
Sapeva che tutti li uomini desideravano soddisfarla a letto. Tutti tranne lui, Spencer Cavendish.
Ricordava ancora bene il giorno in cui le aveva detto che non sarebbe più stata la sua amante. Nessuno l’aveva affrontata così tanto, ma adesso sarebbe riuscita a fargli provare ciò che aveva provato lei.
Sara entrò nella sala poco dopo Juliette e cercò di passare inosservata e per sua fortuna nessuno si accorse di ei. Nessuno tranne lui.
- Sara, mi stavo giusto chiedendo dove foste – le disse James, facendola sussultare.
- Non volevo spaventarvi – si affrettò a scusarsi con lei - spero che siate pronta per i giochi di questa mattina –
- Lo sono, però fate attenzione al mio carattere competitivo – mettendolo in guardia. Odiava perdere ai giochi e spesso dimenticava che era ormai una donna e non più una bambina. James le rivolse un sorriso sorpreso e poi si affrettò a chiederle - Avete mai giocato a croquet? –
Sara gli fece notare che non conosceva affatto quel gioco.
- Non preoccupatevi, è molto semplice – la rassicurò James – bisogna colpire delle bocce con una mazza facendole attraversare dei piccoli archi. È tutta una questione di equilibrio –
- Sembra facile –
- Lo è, non preoccupatevi. Andiamo? – insieme si avviarono verso i calessi.
- Sapete, domani giungerà mia sorella. Le ho scritto che eravate anche voi qui. Non vede l’ora di rivedervi –
- Sarà un vero piacere rivederla. L’ultima volta che l’ho vista è stato a Londra e sembrava preoccupata per qualcosa –
- O per qualcuno – si affrettò a dire James, porgendole un meraviglioso sorriso.
- Allora dobbiamo preoccuparci? –
Quel noi lo fece sorridere. Erano legati da una orza incredibile e presto se ne sarebbe resa conto anche lei. Giunti al calesse, l’aiutò a salire e da lì Sara aveva una visuale privilegiata sui dintorni e subito andò in cerca di Spencer, ma nulla. Non c’era da nessuna parte.
Proprio in quel momento al suo fianco comparve Elisabeth che la seguì all’interno del calesse.
– Sapete dove sia Spencer? – le chiese Sara.
- No mia cara, non lo vedo da ieri sera –
Giunti in ampia campagna, gli ospiti si divisero in diversi gruppi. Da un lato si sistemarono le signore intente a spettegolare, dall’altro i gentiluomini che preferivano trascorrere una mattinata tranquilla. Poi c’erano i giocatori.
– Ci divertiremo – la incitò James.
Sara si rese conto che solo lei e la signorina Amalia Brant avevano deciso di mettersi in gioco, mentre le altre dame avevano preferito essere attente osservatrici, ma a lei non importava perché non era come tutte le altre.
- Non fatevi intimorire da nessuno. Pensate solo a divertirvi Sara – le disse James.
Tutti si sistemarono nelle proprie postazioni e il gioco ebbe inizio.
 
Quando ebbero finito, Sara si rese conto che Spencer era in mezzo ad un piccolo gruppo di gentiluomini accanto al tendone del rinfresco.
Sistemati gli attrezzi del gioco si avviò verso di lui, quando fu bloccata da Juliette.
- Signorina Wood, è possibile godere della vostra compagnia ora che i giochi sono terminati? – Sara non aveva nessuna voglia di stare con quella donna, ma le sembrò scortese rifiutare. In un attimo si ritrovò a passeggiare all’ombra di enormi querce, che con le grandi chiome ad ombrello sembravano proteggerla.
- Ho notato che siete un’abile giocatrice –
- Non sono più brava di tanti altri – si affrettò a dirle Sara. Avvertiva una strana sensazione quando quella donna era nei paraggi. Era socievole e piacevole, anche se troppo civettuola, eppure non si sentiva a suo agio con lei.
- Sicuramente più di alcuni uomini – su questo le diede ragione. Nonostante fosse la sua prima volta a quel gioco era riuscita a fare più punti di tanti altri.
- Io non avrei mai potuto giocare –
Sara la guardò con aria interrogativa.
- Intendo dire che li trovo tediosi, come ci si può divertire in questo modo? –
- Io li trovo un bel passatempo. Tutto ciò che viene svolto all’aria aperta ha la mia piena approvazione – le disse semplicemente.
- Io preferisco il teatro, i caffè e in particolare i salotti dove poter dare sfoggio della propria bellezza. Il gioco è un modo rozzo che hanno gli uomini per mettersi in mostra, e noi donne abbiamo il solo compito di compiacerli. Questo è il segreto per ottenere qualsiasi cosa noi vogliamo. Più li viziamo e più sono ai nostri piedi –
Sara non si trovò d’accordo con la sua affermazione. Era convinta che anche gli uomini dovevano elevare le proprie donne, e non solo il contrario, ma preferì tacere.
- Lady Hamilton, signorina Wood – Spencer si inchinò ad entrambe e Sara fu felice di vederlo.
– Lady Hamilton, mi dispiace interrompere la vostra conversazione, ma la signorina Wood adesso verrà con me –
Sul volto di Juliette comparve una smorfia di disgusto che divertì profondamente Sara. Era la prima volta che vedeva quella donna sorpresa.
- Certamente, non vi ho mai rifiutato nulla prima d’ora –
Sara riconobbe lo sguardo di Juliette, era uno sguardo di desiderio. La rabbia le salì per tutto il corpo e le disse seccata – Lady Hamilton, è stato un vero piacere – si inchinò e andò via, Spencer la seguì.
Finalmente lontani dalla folla, sulle sponde del Tamigi, Sara chiese a Spencer spiegazioni sull’affermazione di Juliette.
- Come conoscete lady Hamilton? –
Sapeva che il suo comportamento era ingiustificato, lei non era né la fidanzata né la moglie di Spencer, e lui non le doveva nessuna spiegazione. Ma qualcosa la stava infiammando. Forse la gelosia?
- Sara, volevo parlartene stamattina –
- Ditemi solo da quanto tempo la conoscete – si affrettò a dire lei.
- Ho fatto la sua conoscenza due anni fa –
Spencer attese invano che gli facesse un’altra domanda, ma Sara continuò a stare in silenzio in attesa che continuasse – Sara, dovete sapere che io non ho più nulla a che fare con lei, può essere una donna pericolosa e voglio che stiate attenta –
A Sara non piaceva quando le si diceva cosa fare o non fare. Così rispose in malo modo, provocando la sottile pazienza di Spencer.
- Questo lo deciderò io. Se riterrò che lady Hamilton è pericolosa, allora prenderò le distanze –
- Sara, voi non capite che quella donna pensa solo al proprio tornaconto e usa le persone intorno a lei solo per i propri scopi –
- Di cosa avete paura? – gli chiese ad un certo punto.
A quella domanda, Spencer tacque improvvisamente. Doveva dirle di cosa era capace quella donna.
- Ditemi la verità – esortò lei – siamo amici vero? Potete fidarvi di me -
Dopo una lunga esitazione si lasciò andare - Abbiamo avuto una relazione per diverso tempo –
I suoi presentimenti erano esatti. Era così difficile sopportare il suo passato. A Londra aveva incontrato molte delle sue amanti, ma Juliette sentiva che era diversa.
- Siete stato innamorato di lei? – sapeva di non aver nessun diritto di chiederglielo, ma quella donna adesso era lì e non riusciva a reprimere quella sensazione di tristezza che la stava invadendo. Forse era venuta per lui, forse voleva riconquistarlo.
- Dannazione Sara – imprecò di fronte a lei – credete davvero che possa essere innamorato di lei? Che possa volere una donna così? –
Per quanto ne sapeva, Spencer poteva desiderare qualsiasi donna e questo era un terribile pensiero da sopportare. Si era resa conto da tempo che gli era affezionata e forse anche di più.
- Sara – le disse con voce dolce e calda – ho solo paura che possa ferirvi. Juliette è una donna vendicativa. Ho già subito la sua collera e temo che possa ferire anche voi in qualche modo, solo per colpire me -
Dunque voleva solo proteggerla? Era questo che lo preoccupava tanto?
- Raccontatemi perché vuole vendicarsi –
Spencer prese un bel respiro e trovò così la calma per raccontarle tutto quello che era successo.
- Sono stato io a lasciarla e quando l’ho fatto non l’ha presa affatto bene. Ha cominciato a spargere cattiverie sul mio conto, parlando di cose che una donna per bene come voi non dovrebbe neppure udire –
- Parlate – lo esortò con i suoi grandi occhi nocciola. Spencer la guardò con entusiasmo. Sara gli stava dimostrando di non avere paura di nulla.
- Ha sparso ingiurie sulla mia sessualità –
Spencer rise amaramente al pensiero che tutti a Londra ne parlavano ancora adesso. Fu in quel momento che Sara lo sorprese. Gli si avvicinò e lo abbracciò.
- Non importa ciò che ha detto o fatto. Sapete chi siete e per questo non lasciatevi intimorire da lei –
In quel momento Spencer capì quanto Sara fosse diversa da chiunque altra. E lui l’amava per questo.
- Adesso dobbiamo andare, o presto verranno a cercarci – le disse imbarazzato, e insieme raggiunsero i loro amici.
 
Sara non riusciva a credere a ciò che aveva scoperto.
Sapeva che aveva avuto delle amanti molto belle, ma quella donna era bellissima, e lei non avrebbe mai retto il confronto. Non era bionda, non aveva gli occhi azzurri, non era né alta né snella e non era neppure tanto sfacciata. Questi erano i pensieri di Sara mentre stava scegliendo l’abito da indossare per quella sera. James aveva deciso di dare un ballo per concludere quel magnifico soggiorno, invitando anche tutti i vicini. Sarebbero stati una bella compagnia e avrebbero ballato per tutta la sera, almeno questo era l’intento di Amanda.
- Spencer mi ha raccontato tutto e sono certa che sia la verità – affermò lei con convinzione.
Amanda però, stava continuando a rovistare nel baule di Sara cercando di trovare qualcosa di adatto da indossare, poi le mostrò un magnifico abito blu di Prussia - Che ne dici di questo Sara? -
- Credo che questo vada bene – esclamò lei pensierosa.
- Spencer mi ha anche detto che ottiene sempre ciò che vuole. Anche se questo vuol dire far soffrire gli altri. È una donna subdola e viziata -
 Amanda le portò l’abito e poi le confidò di aver chiesto in giro informazioni su quella donna – Ho scoperto che Lady Hamilton è nata da una relazione clandestina tra un mercante inglese e una duchessa francese, la quale è stata diseredata dalla sua famiglia per essere fuggita con un uomo senza titolo. Ma non è finita qui, perché suo padre ha perso tutto in un naufragio diventando improvvisamente povero. Juliette non poteva sopportare quella vita di miseria, così si trasferì in Francia senza mai più rivedere la sua famiglia. La sua speranza era quella di trovare un’ancora di salvezza presso i suoi parenti francesi, ma non è stato così –
- È terribile ciò che mi stai raccontando – esclamò Sara, provando pena per la sua sfortuna.
- Non è finita qua! Si è occupata per diversi anni di un’anziana duchessa, la quale aveva un figlio, Alexandre, duca d’Orleans che ovviamente si innamorò di lei così perdutamente da sposarla non appena l’anziana donna morì, e fu allora che iniziò la sua vendetta verso chiunque le intralciasse la strada. Di sicuro non vorrei che diventasse una mia nemica. E dovresti fare attenzione anche tu –
Amanda aveva ragione. Se ciò che le aveva raccontato rispondeva al vero allora doveva fare molta attenzione.
 
La sala da ballo pullulava di giovani donne e uomini impegnati in diversi balli. L’aria festosa coinvolse tutti gli invitati e anche Sara accettò l’invito di alcuni gentiluomini, ma con lo sguardo era sempre attenta a ciò che la circondava.
- Stai aspettando lui? – le chiese Elisabeth non appena ebbe finito di danzare. In quei giorni era particolarmente taciturna. Qualcosa la stava opprimendo, ma non sapeva cosa.
- Come fate a saperlo? –
- Il vostro sguardo è così trasparente che chiunque riuscirebbe a leggervi dentro. E per questo vi aiuterò a trovare il vostro duca – Sara arrossì non appena udì l’aggettivo vostro.
- Non è il mio duca! Siamo solo amici – riuscì a replicare.
- Allora non vi interessa sapere che si trova nella sala del biliardo con gli altri gentiluomini? –
Non potendo replicare le disse con fermezza – Se mi scusate io andrei a prendere un po' d’aria –
Elisabeth si era resa conto da tempo che tra Spencer e Sara era nata una particolare amicizia. Non poteva dire di essere contraria, ma non era certa dei sentimenti di suo fratello. Era sempre stato un uomo silenzioso e non sempre disponibile ad aprire il suo cuore verso gli altri, ed era contenta di sapere che Sara lo avesse ammorbidito. Ma lo era a tal punto di chiederle finalmente di sposarlo? Ne dubitava.
Da lontano vide James. Era strano come quell’uomo non le provocasse più nessun turbamento. Certo rimanevano i ricordi, ma non erano nulla a confronto di quello che stava vivendo. Voleva sinceramente che Charles fosse lì con lei, ma aveva dovuto abbandonarla per questioni legate alla tenuta e lei doveva stare accanto a Sara che sapeva ancora coinvolta dalle attenzioni di James e poi c’era Juliette. Non la conosceva bene, ma sapeva quale affronto aveva arrecato a suo fratello e questo non la spingeva ad esserle amica. Anzi, doveva esserci un motivo per cui si trovava lì.
- Lady Herbert, è un vero piacere per me che vi siate potuta aggiungere a questa umile compagnia –
- Io sono qui solo in veste di chaperon. Nelle ultime settimane siamo stati al centro di molti pettegolezzi. Dobbiamo dimostrare la nostra integrità e quale migliore occasione di farlo se non aggiungersi ad una così allegra e variopinta compagnia –
- Non dovete preoccuparvi di nulla. Qui non sarà mai macchiata né l’integrità vostra né quella di Sara. Vi do la mia parola. A proposito l’avete vista? –
Elisabeth colse quell’occasione per parlargli francamente – James, in nome della nostra vecchia amicizia vi esorto ad abbandonare qualsiasi progetto che la coinvolge –
James la guardò con grande irritazione – Non credo di comprendervi lady Herbert –
- Vi sto solo dicendo che riceverete un rifiuto da parte sua e malgrado ciò che mi avete fatto voglio mettervi in guardia –
- A voi non è mai piaciuta l’idea che sposassi Sara, ma non avete più nessuna influenza su di me Elisabeth. Ho deciso che sarà lei mia moglie e così sarà –
Così dicendo andò via lasciando Elisabeth in mezzo alla sala da ballo. Temeva che James potesse persuadere Sara a scegliere lui, e non voleva che l’amica compisse un terribile errore. Lo conosceva troppo bene ormai da sapere che James Morrison era l’uomo più libertino che avesse mai conosciuto.
 
In quegli ultimi giorni, Sara non aveva avuto modo di vederlo. Era ormai da diverso tempo che si era fatta strada dentro di lei una strana sensazione a cui non sapeva ancora dare un nome.
Quando entrò nella sala da biliardo però, Spencer non c’era e delusa ritornò nella sala da ballo avvicinandosi ad Amanda.
- Cosa state guardando? –
- Juliette –
Quella sera era davvero bellissima. Indossava un magnifico abito di broccato verde con delle balze sulla gonna. Neppure Caroline reggeva il suo confronto. Sara la vide pavoneggiarsi con alcuni uomini, sventolando con agitazione il suo delizioso ventaglio merlettato.
- Avete trovato Spencer? – chiese Elisabeth avvicinandosi alle due giovani, attirando l’attenzione dei presenti che sembrarono interessati alla loro conversazione.
- Elisabeth, abbassa la voce – l’ammonì Sara.
- Chissà dove si nasconde il nostro Spencer. Oh eccolo! –
Il respiro di Sara si fece più ansimante, in modo incontrollato. Appena la vide, Spencer le si avvicinò. L’aveva sempre considerata una donna bellissima, ma quella sera la trovò magnifica. Mentre le si avvicinava, i dettagli del suo corpo diventavano sempre più nitidi facendo nascere in lui il desiderio di farla sua. Quell’abito la rendeva molto attraente. Notò con stupore che si sentiva come un ragazzino alle prime esperienze. Desiderava sfiorarla con le proprie mani, toccarla dappertutto e gustare ogni angolo della sua pelle al profumo di lavanda. Quando finalmente le fu vicino, Spencer si inchinò a lei.
- Vi ho trovato finalmente – le disse, e lei arrossì.
- Mi stavate cercando? –
Spencer stava per risponderla quando udì la sua voce - Lady Hamilton, buona sera – Spencer si inchinò per buona educazione e nulla più. Anche Sara, Elisabeth ed Amanda fecero lo stesso.
- Signor Cavendish, siete già impegnato per il prossimo ballo? –
L’impudenza di quella donna fece infuriare Sara e inorridire Spencer, che non poté rifiutare quella richiesta per non essere ritenuto un maleducato. Era suo dovere mantenere alto il nome della sua famiglia. Se non avesse danzato con lei, avrebbe confermato quei pettegolezzi che da tempo animavano Londra.
Appena Sara li vide danzare, provò una forte gelosia. Quella donna era perfetta e Spencer non sembrava affatto disgustato da lei.
- Sono una bellissima coppia non trovate Sara? – le chiese James appena la raggiunse. Anche Sara pensava lo stesso. Lei non ne sarebbe mai stata all’altezza.
- Credo che in fondo Spencer ne sia ancora invaghito. Lo conosco bene da capire cosa desidera –
- Voi credete davvero che…-
James annuì.
I suoi occhi si riempirono di lacrime. Doveva accettarlo, lui non l’avrebbe mai scelta, non se poteva avere una donna come Juliette Hamilton.
- James, mi dispiace ma vi devo lasciare –
- Sara! -
 
- Spencer? – lo chiamò Juliette, mentre volteggiando nella sala sfoggiava la sua incantevole figura – dimostrate almeno un po' di interesse, dannazione! –
- Siete sempre così elegante, milady –
- Smettetela di fare il moralista, so che non siete neanche voi un esempio di raffinatezza, quindi non prendetemi in giro –
Appena la musica si fermò con un inchino la lasciò al centro della sala da sola, ma lei lo seguì.
- Spencer – gli disse appena lo raggiunse - devo parlarvi di una questione di grande importanza –
- Io e voi non abbiamo nulla di cui parlare –
- Invece sì, e fareste meglio ad ascoltarmi –
Spencer, stufo di tutto ciò la invitò a farlo in fretta, ma lei gli disse che sarebbe stato opportuno spostarsi in un luogo appartato. Non si fidava di Juliette, ma decise comunque di seguirla. Giunti sul terrazzo, Spencer le ringhiò conto – Parlate e fate in fretta! –
Juliette si avvicinò a lui lentamente con il timore che potesse aggredirla, poi guardandolo profondamente negli occhi gli disse - Spencer, è difficile per me parlarvi dopo tutto quello che vi ho fatto, ma la vostra presenza qui mi ha fatto capire che ho sbagliato –
Spencer non riusciva a credere a quelle parole. Aveva visto fin dove si era spinta ed ora era troppo facile riparare tutto con delle banali scuse. Dopo una pausa però, Juliette continuò - Vi devo confessare che non vi ho mai dimenticato –
Spencer non riuscì più a trattenersi e andò via, non voleva ascoltare più una singola parola dalla bocca di quella donna.
- Avete ragione ad andare via, mi sono comportata da sciocca, ma non era mia intenzione ferirvi. Volevo solo che non mi lasciaste –
Ritornò indietro indignato e pronunciò tali parole con grande enfasi - Siete solo una ragazzina viziata. Siete incontentabile e non sapete perdere. Io non sono uno di quei cani che vi lasciano fare ciò che volete. Vi dò un consiglio, dimenticatemi –
Juliette però, non mollò la presa dal suo braccio e si avvicinò sempre di più al suo volto.
- Sono qui a chiedervi perdono – lo supplicò.
Spencer provò disgusto davanti ai tentativi di quella donna - Lasciatemi! – ringhiò.
In quel momento Juliette si dimenticò del vero motivo per cui era lì e desiderò ardentemente di essere baciata, così posò le labbra sulle sue.
Lei era Juliette Hamilton, la donna più desiderata al mondo.
 
Sara si sentiva soffocare in quello stretto corpetto e l’aria fresca non giovò la sua condizione, ma proprio quando decise di tornare in camera vide James andarle incontro.
- Sara, vi sentite poco bene? Ho per caso detto qualcosa che vi ha ferito? – le chiese preoccupato.
- Oh no James, ma temo che per me il ballo sia finito –
Dispiaciuta, gli permise di farle compagnia passeggiando per i lunghi corridoi.
- Mia sorella ha danzato con così tanti gentiluomini che ho perso il conto –
- Presto riceverete una proposta di matrimonio –
Sara sapeva quanto fosse geloso di sua sorella, e scoppiò a ridere quando vide la sua espressione inorridita.
- Vi ho fatto ridere, ora va meglio? –
 Sara annuì. Per qualche strana ragione si sentiva rinvigorita, il suo respiro era ritornato normale e il corsetto non le dava più fastidio. James le propose di andare verso la terrazza e vedere il cielo stellato. Sara avrebbe accettato qualsiasi cosa per non rivedere Spencer in compagnia di altre donne, così lo seguì. Era sempre più difficile per lei accettare che presto si sarebbe sposato, mentre a lei toccava guardarlo solo da lontano.
All’improvviso Sara fu catturata da alcune voci provenienti dal terrazzo e si bloccò appena le riconobbe. Poco dopo vide che Spencer era avvinghiato a Juliette in un bacio appassionato.
- Sara cosa avete? –
- Mi dispiace James, ma ho bisogno di andare – disse, fuggendo via lasciandolo da solo. Appena Spencer si rese conto che Sara aveva assistito a tutto provò a raggiungerla. Nonostante il pesante abito, lei sembrava correre più veloce.
- Sara! – la chiamò – Sara! –
Lei si fermò di colpo.
- Sara per favore, lasciate che vi spieghi –
- Non siete tenuto a spiegarmi niente, ma adesso vi prego di lasciatemi andare in camera. Sono stanca e vorrei riposare – gli disse dandogli le spalle.
- Sara vi prego, è stata lei a…-
- Spencer, se è lei che avete scelto mi congratulo con voi. Porterà prestigio al ducato, ne sono sicura – prima di andare via però aggiunse – volevo comunicarvi che ho deciso di andare via da Derwent House. Farò i bagagli e mi trasferirò dai miei nonni così che possiate preparare il vostro matrimonio. Buonanotte –
Andò subito via senza lasciarlo rispondere.
Spencer era stato colto di sorpresa. Quella donna si era presa gioco di lui ancora una volta. Quando udì la voce di James, Spencer provò una forte rabbia e se avesse potuto lo avrebbe preso a pugni.
– Spencer, dovresti lasciarla andare. È per il suo bene, lo capite? Sapevo che non sarebbe mai stata felice con voi e adesso ne è consapevole anche lei –
Spencer gli si avvicinò e lo prese per il colletto della sua camicia tirandolo su.
– Non vi lascerò mai vincere è una promessa –
James ebbe per la prima volta paura e gli disse con voce strozzata - Spe…Spencer, lasciatemi andare –
Spencer però, non lasciò subito la presa, desiderando di vederlo su quel pavimento sanguinante. Poi l’immagine di Sara attraversò i suoi pensieri, così lasciò la presa.
- Dove state andando! – riuscì a pronunciare James con voce strozzata, ma Spencer non rispose e lo lasciò da solo ad imprecare.
 
 
Più tardi, in uno studio illuminato da poche candele, James incontrò Juliette.
- Siete stata molto efficiente –
- Grazie – rispose lei seccamente.
- Il vostro lavoro è terminato – le disse tenendole le spalle. Preferiva non guardarla, poiché si vergognava del suo comportamento. Era diventato esattamente come quella subdola donna, ma sapeva che solo in quel modo sarebbe riuscito a separare Sara da Spencer.
- Sulla scrivania c’è un documento, firmatelo! Si tratta dell’atto di proprietà delle mie fabbriche in Inghilterra. Da domani voi deterrete il 35% -
Juliette non disse una parola e dalla sua bocca non udì neppure il respiro, tanto che James credette di stare da solo. Quando sentì il rumore della penna sul foglio capì che era fatta.
- Adesso avete tutto ciò di cui avevate bisogno per vivere una vita dignitosa –
Senza un saluto, la donna andò via. Dopo alcuni minuti, James vide una carrozza allontanandosi da Green House, e lasciò un sospiro di sollievo. Da quel momento sarebbe ritornato tutto alla normalità e lui non sarebbe più stato costretto a mentire a Sara.
In carrozza, Juliette ripensò a ciò che era accaduto. Aveva promesso a sé stessa che più nessuno l’avrebbe trattata con insufficienza, invece quella sera lo aveva permesso molte volte.
Aveva accarezzato l’idea di riconquistare Spencer, ma dopo averla baciata era fuggito per ricorrere quella sciocca ragazzina. Per non parlare di James, che l’aveva trattata come la peggiore delle puttane. Ebbene si sarebbe vendicata anche di lui, in fondo nessuno al mondo si poteva prendersi gioco di Juliette Hamilton.
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Sara non riusciva a credere a ciò che aveva visto. Juliette e Spencer insieme! Le aveva detto che non l’aveva mai amata, eppure era proprio lui che la stava baciando.
All’improvviso qualcuno entrò nella sua stanza, così urlò
 – Andatevene! Voglio stare sola– ma appena si accorse che si trattava di Amanda le si gettò tra le braccia piangendo a dirotto. L’amica le chiese cosa fosse accaduto e Sara riuscì a pronunciare a malapena qualche parole, ma bastò per aizzare la sua furia. Odiava quell’uomo, lo aveva sempre odiato, ma adesso aveva superato ogni limite.
- Sara sfogati e promettimi di non pensare mai più a Spencer – nonostante il tentativo di consolarla, la sofferenza di Sara non cessò.
- Credevo che fosse diverso dagli altri – riuscì a dire tra i singhiozzi. Amanda le accarezzò il viso rovinato dal pianto e poi la costrinse a guardarla.
- Sara, mi dispiace che tu abbia dovuto scoprire la verità in questo modo, ho cercato di avvisarti. Non ci si può fidare di lui. Spero che riuscirai a dimenticarlo una volta per tutte –
Sara capì che quella sarebbe stata l’unica cosa da fare, anche se era una scelta dolorosa.
Amaramente ammise a sé stessa che lui non le aveva mai fatto nessuna promessa e non le aveva mai parlato d’amore. Era stata una sciocca a sperare che qualcosa sarebbe cambiato. In compenso lui è sempre stato un buon amico e quello sarebbe sempre stato. Doveva accettarlo.
- Amanda voglio andare via da qui. Verresti con me? –
- Oh Sara, non devi neppure chiederlo –
Così l’aiutò a sistemare il baule e dopo alcuni minuti fu chiamato il maggiordomo per farlo sistemare sulla vettura. Nonostante l’ora, l’uomo fu gentile e si preoccupò in prima persona di tutto.
Quando furono avvisate che i bagagli erano ormai sistemati, Sara ed Amanda lasciarono la dimora con gli ospiti assopiti nelle proprie camere. Sara si chiese a quel punto se Spencer stesse dormendo o stesse pensando a Juliette. Si rimproverò e disse a se stessa che non avrebbe mai più lasciato che la sua mente le ricordasse i dolci momenti trascorsi con lui. Doveva andare avanti e superare quell’infatuazione.
- Sei sicura Sara di andare via? – le chiese Amanda una volta salite sulla vettura.
Sara senza guardarsi indietro rispose con un decisivo – Sì –
Senza aggiungere altro le due ragazze si allontanarono per sempre da Green House, e da Spencer.
 
 
- Qualcuno è così gentile da dirmi cosa diavolo è accaduto a quella ragazza? – chiese indignato il signor Wood a cena. Sara ed Amanda erano giunte lì nel pomeriggio con grande sorpresa dei coniugi Wood. Sin dal primo momento il comportamento della loro nipote aveva destato loro preoccupazione, ma la signora Wood aveva preferito darle del tempo al contrario del signor Wood che era impaziente.
- Tesoro, Sara non si sente molto bene – rispose la signora Wood, cercando di giustificare i comportamenti della nipote.
- Non prendermi in giro, ho ancora due occhi che funzionano bene. La ragazza si sta disperando per altro, e vorrei sapere per cosa –
Il signor Wood guardò sua moglie che teneva gli occhi fissi sul suo piatto. Visto che nessuno parlò più, salì in camera da Sara.
- Sara, disturbo? – la ragazza disse di no, con voce flebile.
- Ti ho portato un po' di zuppa, è molto buona e hai bisogno di riprendere le forze –
- Grazie nonno, ma non ho fame – gli rispose Sara, seduta su una poltrona davanti al camino ardente.
Il signor Wood posò la ciotola sul tavolino al suo fianco e prima di andare via le disse - Sara, non voglio vederti così –
- Lo so nonno, passerà – gli disse, tornando a guardare il fuoco che consumava a poco a poco il grosso ceppo. Visto che non gli dava più attenzione il signor Wood la lasciò sola, avendo però la certezza che qualsiasi cosa sia successa centrasse Spencer Cavendish.
I giorni passarono e Sara continuava a starsene chiusa nella propria camera. Nonostante i suoi nonni e Amanda andassero a tenerle compagnia non riusciva a trovare la forza di ricominciare a vivere.
Due giorni dopo giunse in casa Wood, lord Cavendish. La signora Wood, che non si aspettava certo il suo arrivo, non smise per un attimo di occuparsi di lui. Ordinò alla domestica di portargli tè e pasticcini vari.
John Cavendish aspettò che Sara scendesse in salotto e quando la vide si rese conto che un’ombra si era impossessata del suo bel viso.
- Sara, sono felice di vederti – le disse avvicinandosi a lei e abbracciandola - vogliamo uscire per una passeggiata? Solo io e voi? -
Sara annuì.
Passeggiarono lungo il porto, accarezzati dalla brezza marina e solo quando vide che la ragazza era al proprio agio cominciò a parlare.
- Mi fa piacere che abbiate ritrovato i vostri nonni, ma non tenetevi troppo lontano –
- No, certamente. Volevo trascorrere del tempo con loro, ma presto ritornerò a Derwent House - riuscì a dire Sara guardando le onde del mare. Il sole stava tramontando e lo spettacolo che le si presentava era incantevole.
- Chiunque vi abbia fatto soffrire, non dovete pensarci. Siete una donna forte, lo so –
Sara con le lacrime agli occhi guardò quell’uomo meraviglioso. L’aveva accolta in casa sua e trattata sempre con rispetto, così lo abbracciò.
- Io sarò a Londra per alcuni giorni, non appena vorrete tornare a casa basta che mi scriviate – le disse sorridendole.
- Certo. Vi ringrazio di aver capito il mio bisogno di stare qui per ora -
 
Amanda ogni mattina si alzava presto per attendere l’arrivo del postino. Diceva alla domestica di aspettare una lettera importante, invece controllava le lettere solo per nascondere quelle di Spencer.
Un giorno però le lettere arrivarono prima del previsto e con una scusa convinse Sara a porgliele. L’amica non si rifiutò, ma notò il suo strano comportamento - Amanda, va tutto bene? –
- Certo. Vogliamo andare? Compreremo abiti meravigliosi -
Fortunatamente non c’era nessuna lettera e Amanda ne fu felice. Sara aveva ripreso a sorridere solo da poco e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di impadronirsi di nuovo di lei.
I giorni trascorrevano lenti e non accadeva mai nulla di nuovo, ma Amanda continuava a sperare che si sarebbe presto ripresa. Purtroppo fu costretta a ritornare nel Derbyshire e quando giunse il giorno della partenza si raccomandò con lei - Sara non abbatterti, ci rivedremo presto –
- Certo amica mia. Non vedo l’ora che arrivi quel giorno –
Quando Amanda andò via, Sara si sentì un po' sola, ma quella era la sua famiglia e lei li adorava.
Un pomeriggio si recò in camera della nonna e la vide davanti alla toilette. In quel momento Sara pensò che fosse ancora molto bella nonostante la sua età.
- Nonna potresti raccontarmi di mia madre, è da tanto che vorrei sapere qualcosa su di lei, ma ho sempre temuto di esser indelicata –
Sua nonna si stupì, ma le raccontò di quando era bambina e di tutti i casini che combinava. Le disse che non riusciva mai a stare ferma, che amava essere libera. Le disse che era molto intelligente e che voleva diventare una pianista. Sara, a quel punto non riuscì a trattenere le lacrime.
- Tua madre era una donna stupenda e sono sicura che sarebbe orgogliosa di te –
La signora Wood all’improvviso si alzò e prese da un piccolo baule qualcosa. Quando le si avvicinò le mostrò una vecchia foto un po' ingiallita, su cui vide una ragazza che assomigliava a lei.
- Sara questa è tua madre – le disse sua nonna sorridendole.
Sara prese fra le sue mani la foto guardandola attentamente e la studiò nei minimi particolari per non perdere nulla di quell’immagine. Era la prima volta che la vedeva e si rese conto che le somigliava tantissimo.
- Nonna, ti ringrazio. È bellissima la mia mamma –
- E tu sei bella quanto lei, anzi ancora di più –
Sua nonna la tenne fra le braccia, stringendola forte al petto come faceva con Lily quando era bambina. A quei ricordi entrambe piansero.
 
James si stava dirigendo a Southampton con la speranza che Sara, libera dall’influenza di Spencer, fosse pronta a rispondere favorevolmente alla sua proposta. Erano trascorsi ormai due mesi e da allora non l’aveva più vista. Era riuscito però, a mantenere una fitta corrispondenza con lei che lo teneva informato sulla sua salute. Si rallegrò quando lesse, in una delle sue lettere, che si era ormai ripresa dal malore che l’aveva costretta ad andare via da Green House. Nonostante questo, James percepiva ancora del dolore in lei. Aveva atteso tutto quel tempo con impazienza, riuscendo a sopravvivere solo grazie al pensiero che l’avrebbe rivista molto presto, infatti nell’ultima lettera che Sara gli aveva inviato, lo invitava a raggiungerla per il compleanno della nonna. Ora era lì, nella sua vettura, mentre pregava Dio di dargli la forza per confidare a quella meravigliosa donna quanto l’amasse. Quando giunse fu accolto da due signori anziani dal sorriso allegro. Riconobbe subito i tratti felici del volto di Sara e capì che si trattava dei suoi nonni.
Quando lo vide, Sara lo salutò calorosamente facendogli battere il cuore velocemente. Sentiva che adesso era tutto diverso, perché lei era diversa.
Dopo i dovuti convenevoli, James le propose di fare un giro in città. I signori Wood ne furono entusiasti, mentre Sara si limitò a un mezzo sorriso, ma lui non si scoraggiò.
Dopo circa un’ora, la signora Wood disse che si sentiva davvero dispiaciuta perché non riusciva a proseguire oltre a causa del suo dolore al ginocchio.
- Mia cara, saresti così gentile da proseguire da sola con il signor Morrison? Non credo proprio di farcela –
In pochi secondi, Sara vide i suoi nonni sparire tra le vecchie case di Southampton. In quei mesi aveva trovato in James un amico sincero e prezioso, che l’aveva aiutata ad alleviare il suo dolore.
Giunsero al porto e insieme guardarono l’oceano disteso di fronte ai loro occhi.
- Non è meraviglioso? – le chiese James.
- Questo è il momento della giornata che preferisco, c’è qualcosa di estremamente romantico nel crepuscolo marittimo –
Quei tramonti le ricordavano che si stava allontanando sempre di più dal suo dolore, si stava allontanando da Spencer.
- Sara – la chiamò improvvisamente e lei si voltò, guardandolo con i suoi grandi occhi nocciola. James, intimorito cercò di ritrovare la calma guardando il sole sull’orizzonte - Vorrei parlarvi di una cosa che mi sta davvero a cuore –
- Ditemi –
- Sara, io non riesco più a trattenere ciò che provo per voi. Vi amo e vi ho sempre amata. Siete la mia fonte di vita eterna. Siete l’unica al mondo che potrei mai amare e se accettaste la mia proposta mi rendereste l’uomo più felice al mondo –
Era riuscito finalmente a dare voce a quei sentimenti che da tempo l’opprimevano. Lanciò un sospiro, attendendo la risposta di quella piccola creatura davanti a lui.
Con il vento che le scompigliava i capelli e la luce del sole che metteva in evidenza i suoi occhi, Sara rifletté. Sapeva che prima o poi si sarebbe trovata in quella situazione, e senza più indugiare rispose freddamente – Sì, accetto la vostra proposta –
 
James non riusciva ancora a realizzare che tutto quello che aveva sempre desiderato si sarebbe presto realizzato. Anche i signori Wood ne furono sorpresi, ma allo stesso tempo entusiasti. Ancora incredulo partì per Londra dove avrebbe chiesto a lord Cavendish il permesso di sposarla. Sara aveva insistito affinché il matrimonio si svolgesse da lì a poche settimane. Quindi doveva sbrigarsi.
Quando giunse in Bond Street, sperò che l’incontro andasse bene, ma Sara lo aveva rassicurato sul suo successo. Il duca aveva sempre dimostrato una propensione verso di lui, per questo non si sarebbe mai opposto. James però, non temeva il duca, bensì Spencer. Rassicurato da Charley sulla sua assenza, la preoccupazione svanì.
Charley, lo fece accomodare in un vecchio salotto che dava sul retro della casa e attese il duca con ansia, immaginando che presto sarebbe stato sposato con Sara.
Quando il vecchio duca entrò, si accomodò di fianco al giovane e conoscendo già il motivo della sua visita, gli fece segno di parlare.
- Lord Cavendish, sono qui per parlarvi delle mie intenzioni di sposare la signorina Wood – disse tutto d’un fiato.
Lord Cavendish rimase in silenzio, continuando a guardare il volto preoccupato di James.
- Bene, era quello che desideravo. Un brav’uomo che si predi cura di lei, ma vorrei comunque prima consultare Sara –
- Ovviamente, anche io come voi non farei nulla senza il suo consenso. Arriverà qui domani –
- Allora rimanderemo la nostra conversazione a domani pomeriggio –
Amareggiato, James andò via contando le ore che lo speravano da lei.
L’indomani giunse e Sara attese l’arrivo del duca in casa di Elisabeth. Quando fu annunciato, i suoi occhi cominciarono a brillare. Non lo vedeva da settimane ed era bello vederlo tanto in forma.
L’argomento fu affrontato solo quando rimasero soli. Fu il duca a parlare per primo.
- Quindi avete deciso che sarà il signor Morrison, l’uomo con cui volete trascorrete il resto della vostra vita? – le chiese.
- Sì, è così –
Sara tenne gli occhi puntati in basso. Se avesse guardato il volto del duca, che la conosceva meglio di sé stessa, sarebbe scoppiata in lacrime. Non aveva ancora cancellato del tutto i sentimenti che provava per Spencer, ma sperava che col tempo e con l’amore di James ci sarebbe riuscita.
- Allora non c’è altro da aggiungere – disse semplicemente Lord Cavendish.
- Voglio solo dirvi che non verrò mai meno alla mia promessa. Mi prenderò cura di voi – gli disse improvvisamente, ma il duca la zittì e prese il suo bel viso fra le mani
– Cara Sara, vi ho voluto bene immensamente e anche se mi sarà difficile separarvi da voi, è quello che devo fare per il mio e per il vostro bene. Sarò felice se lo siete anche voi –
Il duca cercò di indagare nella sua anima e si rese conto che gli nascondeva qualcosa. Così ebbe un’idea.
- James mi ha detto che è vostro volere quello di sposarvi fra due settimane, ma lasciate che organizzi una grandiosa festa di fidanzamento e poi penseremo al matrimonio –
Sara stava per opporsi, ma si convinse che fosse la cosa migliore da fare.
 
 
 
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Spencer si sentiva ferito.
Suo padre gli aveva comunicato che Sara aveva deciso di sposare James e le sue speranze erano crollate. In quelle settimane aveva cercato di mettersi in contatto con lei, ma non aveva mai ricevuto risposta alle sue lettere.
Era rimasto chiuso nella sua stanza per giorni, senza toccare cibo e nel buio più totale. Finché un giorno suo padre non lo costrinse a rialzarsi.
- Spencer, sembrate un bambino. Dannazione! Domani ci sarà il suo fidanzamento –
- Lasciate che si sposi padre, era quello che voleva fin dall’inizio. Ora ha trovato l’uomo che può renderla felice –
- Siete uno sciocco! Pensavo foste più intelligente. Lo so cosa provi per lei! Se la ami davvero, devi dirglielo –
Spencer fu sorpreso. Come faceva suo padre a sapere dei sentimenti che nutriva per lei? Ma non gli importò, ormai lei aveva deciso.
- Cosa cambierebbe? – gli domandò – non vuole neanche parlarmi! Non ha risposto a nessuna delle mie lettere. Maledizione – disse, passandosi le mani fra i capelli riccioluti. Allora suo padre lo guardò serio negli occhi. Conosceva quella sofferenza, lui per primo l’aveva provata.
- Voglio che leggete questa – il duca gli porse una vecchia lettera, macchiata da lacrime.
Spencer la prese e cominciò a leggere ogni singola parola. Solo allora capì. Sapeva che suo padre aveva amato una sola donna nella sua vita e solo in quell’istante tutto gli fu chiaro.
- Per questo avete accolto Sara in casa nostra? –
Lord Cavendish annuì, sedendosi accanto al figlio. Per la prima volta il padre si spogliò della sua autorevolezza e si aprì completamente al figlio. Gl raccontò che il dolore che aveva provato in passato era stato troppo forte. Non aveva mai più cercato Lily e l’unica occasione in cui l’aveva rivista era stato a Londra per caso. Giorni dopo giunse quella lettera, ma ferito com’era aveva rifiutato di leggerla. Solo anni dopo ne lesse il contenuto pentendosi di non averlo fatto prima.  Perché capì il vero motivo per cui l’aveva rifiutato.
- Perché non mi avete mai raccontato nulla padre? – chiese Spencer.
- Perché temevo che mi avresti giudicato male. Avevo già perso vostra madre. Se anche voi lo aveste saputo, vi avrei perso per sempre –
Spencer si accorse del tremore nella voce del padre. Poco dopo scorse una lacrima scendergli sulla guancia. Era la prima volta in vita sua che vedeva suo padre così vulnerabile. Non gli era sembrato mai così tanto umano come in quel momento.
- Sara non sa nulla? –
- No, e non dovrà mai saperlo finché avrò respiro in corpo –
Spencer apparì perplesso da quella richiesta assurda. Sara avrebbe dovuto saperlo, era un suo diritto conoscere la verità sul motivo per cui era entrata a far parte delle loro vite.
- Spencer, te ne ho parlato solo perché a causa delle mie paure ho perso per sempre Lily. Non commettere il mio stesso errore –
Adesso lo guardava dritto negli occhi, supplicando di trovare la forza per salvare quell’amore puro e sincero che non tutti hanno la possibilità di vivere.
- Tu la ami davvero, figlio mio e lei contraccambia, ma ha paura di vivere questo sentimento. Devi farle capire che siete uguali e che dovete stare insieme –
- Ho rovinato tutto padre – nascondendo le sue lacrime.
Il duca gli si avvicinò e lo abbracciò, come non aveva mai fatto prima.
- Vivi questo amore, non lasciartela scivolare fra le dita –
- Vi ringrazio padre – gli disse sorridendogli.
Spencer si alzò dal letto e chiamò Charley.
– Figliolo, Sara è dalla signora Cooper –
Spencer annuì, cercando di trovare il coraggio di riparare agli errori del passato.
 
- Signorina Wood, siete bellissima – si sentì dire Sara mentre indossava il suo abito da sposa. Un meraviglioso capo all’ultima moda.
- Sembrate quasi una principessa –
- Tu ragazza! – disse Eleonor alla sua aiutante – vai a prendere altri merletti -
Sara era stata costretta dalla nonna a seguirla avanti e indietro per i negozi di Mayfaire per il suo corredo da sposa.
In quei giorni viveva insieme ad Elisabeth e Charles, e ovviamente ai nonni che l’avevano accompagnata. Charles le aveva detto che potevano festeggiare il loro fidanzamento in casa sua, ma il duca era stato fermo nella sua decisione.
Invece di essere al settimo cielo, si sentiva frustrata e malinconica, ma riuscì ad apparire agli occhi degli altri imperterrita.
- Mia cara, preferisci del merletto sullo scollo? – le stava chiedendo Eleonor mostrandole alcuni campioni di diversa tonalità di bianco.
Sara si riprese giusto in tempo prima che la donna di fronte a lei riuscisse a perscrutarla.
– Forse sì, che ne dite nonna? –
Sua nonna era rimasta ferma in un angolo, in pieno silenzio, mentre osservava con attenzione tutto l’atto del vestiario. Quando fu richiamata dalla nipote, la signora Wood si alzò avvicinandosi a lei. Sara le allungò la mano e lei gliela strinse.
– Li trovo tutti meravigliosi, bambina mia –
Così si rivolse ad Eleonor, dicendo con convinzione – Merletti siano – Sara non riuscì a trattenere un sorriso, il primo sorriso sincero dopo tanta tristezza.
Nonostante quella proposta di matrimonio, il desiderio di avere Spencer accanto a sé non era sfumato dal suo cuore. Non smetteva di sognarlo durante le notti e ne sentiva la mancanza durante il giorno. Provava un vuoto incolmabile dentro di sé, come se qualcosa le fosse stato strappato brutalmente dal petto, ma l’immagine di Juliette avvinghiata a lui era impossibile da cancellare. Perché allora lo amava ancora? Perché il suo cuore aveva deciso di aprirsi proprio a lui? 
Ripercorsero la via di Covent Garden fino a svoltare l’angolo dove una vettura le stava attendendo, quando Sara vide sua nonna fermarsi.
- Nonna? Cosa succede? – solo dopo si accorse dell’uomo che le era ormai vicinissimo.
- Signor Cavendish è un piacere incontrarla. Ci è dispiaciuto molto non rivederla prima. Seppur siamo giunte pochi giorni fa abbiamo avuto un grand da fare. Credo siate al corrente delle ultime novità – disse la signora Wood.
Spencer si limitò ad annuire, poi si rivolse completamente a Sara, la quale pronunciò il suo nome sottovoce.
- Mi dispiace interrompervi, ma dovrei parlare urgentemente con la signorina Wood – rivolgendosi questa volta alla signora Wood.
Sara però non voleva. Sapeva di non essere pronta ad affrontarlo, inoltre era indignata perché non le aveva scritto neppure due righe in tutto quel tempo, e adesso voleva che gli parlasse?
- Signor Cavendish, parleremo stasera al ricevimento se ne avremo il tempo. Mi farebbe davvero piacere che vi partecipaste –
Spencer avvertì un improvviso vuoto dentro di sé. Quelle parole erano fredde e insensibili. Quasi non la riconosceva.
– Ora devo proprio tornare a casa –
La lasciò andare per il momento, ma non si sarebbe mai arreso. Mai.
Sara salì sulla vettura senza mai voltarsi indietro e Spencer rimase inerme sul ciglio della strada, guardandola andare via.
Quando finalmente Spencer tornò a casa, Charley lo avvisò che c’era una persona ad attenderlo in salotto. Non riusciva a immaginare chi volesse vederlo a quell’ora e quando vide quella donna la cacciò con furore dalla propria casa.
Juliette però non si mosse.
- Calmatevi Spencer, nemmeno io sono felice di rivedervi, ma ho una questione da chiarire con voi –
Quelle ultime parole accesero la sua curiosità e fece segno di proseguire.
- Sono venuta da voi con la consapevolezza che mi avreste negato la vostra attenzione, ma sono piacevolmente sorpresa di vedere che per la prima volta mi state ubbidendo come un bravo segugio –
- Juliette, dovreste ringraziare Dio che non vi cacci con le mie stesse mani, quindi sbrigatevi e ditemi perché siete qui –
Juliette sinuosamente si avvicinò a lui. Troppo per i suoi gusti.
 – Dovete allontanarvi da me – le disse brutalmente Spencer, ma lei non retrocedette.
- Tranquillo Spencer, non accadrà di nuovo – riferendosi al bacio che gli aveva dato precedentemente – non siete più nulla per me, mi sono divertita abbastanza con voi – accarezzandogli la pelle nuda del collo, increspata dalla barba.
Ma Spencer le prese le mani bloccandole.
- Dunque si è trattato solo di uno sporco gioco? –
Juliette rise.
- Non siete divertente Juliette – le annunciò Spencer infuriato.
- Spencer, non sapete quanto la vostra vulnerabilità mi diverta. Siete stato un ottimo rivale, ma nessuno riesce a vincere una guerra contro di me – disse Juliette, tornando a sedersi sul comodo divano accavallando le gambe in modo sensuale.
- Non ho più nessun potere su di voi? – chiese amareggiata.
- Juliette io vi ho desiderata, ma mai amata –
- Lo so, l’ho visto nei vostri occhi la sera in cui Sara ci ha sorpresi – e vide calare un’ombra sul viso del suo interlocutore.
- Non sono una donna romantica, non so neppure cosa significa amare, ma ho visto cosa vi unisce a quella ragazza e provo un po' di dispiacere per quello che vi ho fatto –
Era difficile credere a quella donna dal cuore di pietra, ma sapeva che stava dicendo la verità.
- Devo confessarvi che non è stata solo una mia idea, quella di separarvi –
Cosa significavano quelle parole? Cominciò a chiedersi Spencer.
- James Morrison mi ha voluta coinvolgere in questo piano perché voleva Sara a tutti i costi e sapeva che era innamorata di voi –
Spencer quasi barcollò quando udì il nome di quell’uomo. Non poteva essere vero, lo conosceva e non lo avrebbe mai immaginato un uomo tanto crudele. Quella non era la stessa persona che aveva voluto bene come un fratello. Non lo riconosceva più.
- Spencer, volevo solo vendicarmi di voi per essere riuscito a sopportare tutto quello che vi ho fatto –
- Perché me lo state dicendo? –
Juliette sbadigliò prima di rispondere – Per noia suppongo. Inoltre James avrebbe dovuto pagarmi di più per contenere il mio silenzio –
- James vi ha offerto del denaro? – ripeté Spencer e Juliette annuì alzandosi lentamente dal divano per andare via, ma prima di uscire si rivolse nuovamente a lui.
- Andate da lei, capita una volta nella vita di essere amati con tanto ardore e sincerità. Non dovete farvela sfuggire –
E Spencer si convinse più che mai di dover salvare Sara da quella pazzia. Chiamò Charley, che venne subito dopo, e gli ordinò di preparare l’abito migliore.
Una serata importante lo attendeva.
 
Sara notò con stupore che al suo fidanzamento erano accorsi in tanti. La stagione era terminata e le famiglie si ritiravano in campagna in quel periodo dell’anno, ma dovette ammettere che un matrimonio attirava sempre la curiosità altrui.
In fin dei conti si stava sposando uno degli scapoli più ambiti di tutta Inghilterra, un uomo che si era fatto strada da solo nella società londinese nonostante la mancanza di un titolo nobiliare. Era un esempio per molti borghesi che lo ammiravano.
Erano sempre più le famiglie di rango, entrate in crisi a causa dei progressi industriali e dell’impoverimento delle terre, ben accette a far sposare le proprie figlie con uomini come James Morrison. Non era certo il caso di Sara. Il duca le avrebbe permesso di sposare chiunque a patto che lei fosse felice. Ma lo era davvero?
Abby le stava vicino, supportandola come una vera sorella e non mancò di esprimere il suo assenso alla loro unione.
- Sara, avete bisogno di qualcosa? –
- Abby ti ringrazio, ma va tutto bene –
Era molto accorta nei suoi confronti e Sara l’apprezzò per questo. In poco tempo erano già entrate in confidenza ed era certa che su di lei poteva contare.
Tutto era stato organizzato nei minimi dettagli e Sara era una delle donne più belle in quella sala da ballo quella sera con il suo abito color cremisi e merletto macramè sullo scollo vertiginoso.
Un occhio attento però, si sarebbe accorto della verità.
James era raggiante come non mai, mentre Sara appariva irrequieta e nervosa. Sorrideva, ma dentro di sé era un vulcano pronto ad esplodere.
L’incontro con Spencer non l’aveva certo tranquillizzata, anzi l’aveva resa ancor più sofferente. Si era trattenuta in presenza della nonna, ma quando si era ritrovata sola nella propria stanza aveva sfogato tutta la sua rabbia, la sua disperazione e la sua frustrazione che provava nei confronti di quell’uomo.
Elisabeth, dall’altro lato della sala e la guardava con interesse. Sara ipotizzò che volesse parlarle, ma non poteva in quel momento. Se solo le avesse parlato ancora di Spencer, Sara avrebbe potuto annullare tutto. Non poteva. Non poteva fare questo a sé stessa. La sua inquietudine era insopportabile e aumentava sempre di più, perché sapeva che lo avrebbe presto rivisto.
Era giunto il momento dei brindisi e fu lord Cavendish a parlare.
- Che la vita possa sorridere sempre a questa nuova coppia – e tutti alzarono i calici al cielo.
Furono poche e semplici parole, senza entusiasmo, ma sincere. Almeno fu quello che Sara percepì. Perché le altre persone, compreso il futuro marito, sembravano non accorgersi di quello che provava?
Sara era lì con il corpo, ma con la mente era altrove. Si sentiva oppressa e stanca per quella finzione, così andò a cercare un luogo dove poter respirare aria fresca.
Giunse al primo piano e trovò una piccola terrazza che affacciava sui giardini del retro.
Fu lì che una lacrima amara sgorgò dai suoi occhi stanchi, ma quando sentì dei passi si affrettò ad asciugarla. Sperava non fosse nessuno di sua conoscenza, ma il fato non le fu amico.
- Sara, non dovete spaventarvi. Voglio solo parlare con voi – disse Spencer, avvicinandosi a lei.
- Spencer siete voi, perché non siete con gli altri? -
- Non posso rimanere a guardarvi mentre compite l’errore più grande della vostra vita. E visto che avete rifiutato di rispondere alle mie lettere…-
- Quali lettere? Voi non mi avete mai scritto! –
- Non le avete ricevute? – le chiese, ma Sara negò nuovamente.
- Io vi ho scritto una lettera al giorno, eppure voi non mi avete mai risposto. Ho pensato che non voleste mai più vedermi –
Sara non si lasciò ingannare. Era solo una scusa per avvicinarsi a lei, ma rimase ferma sulla sua decisione.
- Comunque sia andata vi ho già detto che siete libero di decidere chi sposare e io farò lo stesso –
- No, io non sceglierò mai quella donna e nessun’altra, mentre voi non dovreste sposare James. Vi devo dire che siamo stati entrambi vittima di un uomo che ha avuto l’ardire di separarci –
Sara appariva confusa da quelle parole pronunciate con fermezza, ma nonostante questo continuava a non credergli.
- Spencer, mi staranno cercando, lasciatemi andare – disse, quando lui provò ad avvicinarsi. Spencer però, stufo di quella situazione, colmò quella distanza in poche falcate e la strinse forte fra le sue braccia.
– Spencer lasciatemi! – urlò Sara, ma lui non accennava a farlo.
- Devo dirvi la verità sull’uomo che avete deciso di sposare! Lui e Juliette ci hanno ingannati in modo che voi credeste che io fossi un farabutto. Ci sono riusciti, ci hanno allontanato –
No, non poteva essere! Non le avrebbe mai fatto questo, James era puro e gentile. Era lei che lo stava sposando solo per dimenticare di essere stata rifiutata da un altro uomo.
- E non è tutto! Ha già ingannato mia sorella una volta e non lascerò che inganni anche voi –
Elisabeth? Cosa c’entrava lei? Lo guardò spaventata, ma Spencer continuò – È stato il suo amante, questo non ve lo ha detto? -
- Smettetela Spencer, basta! Non mentitemi più –
Fu in quel momento che Spencer scoppiò in lacrime.
- Non ho mai voluto che accadesse. Mai! -
- Allora perché l’avete baciata? – disse lei all’improvviso, guardandolo con rabbia.
- Perché quella donna è meschina, si è avvinghiata a me senza la mia approvazione. Vi amo Sara. Vi amo più di ogni altra cosa al mondo dovete credermi -
Finalmente aveva trovato il coraggio di dirle ciò che covava nel suo cuore da ormai troppo tempo.
Sara lo guardò meravigliata e con le lacrime agli occhi, eppure non si mosse da quella posizione, né gli rivolse un sorriso.
Era forse tutto perduto? Spencer non doveva demordere. Non in quel momento.
- Sara vi amo. Siete l’unica che valga qualcosa per me e da qui – portandosi la mano sul petto, indicando il suo cuore – non uscirete mai più, comunque vadano le cose tra noi. Vi amerò per il resto della mia vita –
Sara scosse la testa e gridò – È troppo tardi, non vi credo più. Nulla di ciò che avete detto ha un fondo di verità. Pensavo foste un uomo diverso, invece siete il peggiore di tutti. Adesso lasciatemi andare –
Spencer non voleva che si staccasse da lui, così la strinse ancora più forte, senza permetterle di farle muovere un muscolo.
- Sara, credetemi! Vi amo – e la baciò.
Quel bacio era pura magia, ma Sara non doveva lasciarsi incantare. Trovò la forza di divincolarsi così Spencer si staccò e lei riuscì ad allontanarsi.
Quando fu ad una considerevole distanza disse – Io non vi ho mai amato, siete un uomo orribile e mai cambierò idea sulla questione. Dovete sparire dalla mia vita – disse, con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Spencer non le era mai apparso tanto in collera, che quasi Sara avrebbe voluto rimangiarsi ogni singola parola e buttarsi tra le sue braccia per perdersi in quella meravigliosa passione, invece rimase lì a guardarlo fino a quando non sentì qualcuno dietro di lei.
James era lì.
- James non è nulla, Spencer stava andando via –
- Ho sentito delle urla e sono accorso immediatamente. Cosa ci fa qui quest’uomo? – chiese infuriato alla donna davanti a lui.
- Voi, infame! Ditele la verità –
Un destro colpì il volto di James che ricadde all’indietro, così Sara andò subito in suo soccorso, poi si rivolse nuovamente a Spencer - Siete un mostro, allontanarvi prima che chiami qualcuno per farlo –
Spencer rimase lì inerme a guardare la donna della sua vita accanto ad un altro uomo. Si rese conto che l’aveva persa e nulla ormai poteva più fare. Così lasciò quel terrazzo in preda al dispiacere e Sara lo guardò finché non sparì nell’ombra, poi si rivolse a James - Vi siete messo d’accordo con lady Hamilton? –
Per la prima volta l’uomo non si sentì così sicuro di sé - Mia cara, non avrei mai potuto fare una cosa simile. Lungi da me questi diabolici trucchetti. È palese che si tratti di una disgustosa accusa. Vuole farvi tornare alla sua mercè –
James le chiese aiuto per rialzarsi e solo allora Sara si accorse che gli stava sanguinando una ferita vicino l’occhio sinistro.
- È un animale – sbraitò James.
Poco dopo Sara tornò in sala e annunciò che James si sentiva poco bene e chiese a Charles di poter avere il permesso di ritirarsi. Ovviamente le fu accordato e sparì dalla festa.
Corse invece alla vettura e appena giunse in camera si gettò sul suo enorme letto coprendo il viso con il cuscino di piume d’oca.
Ripensò alle parole di Spencer. E se fosse stato tutto vero? Solo in quel momento realizzò che Spencer le aveva detto di amarla e il cuore cominciò a martellarle nel petto.
Quando James le aveva fatto la proposta non si era sentita così. Invece con Spencer era stato diverso. Era tutto diverso con lui.
Aveva bisogno di fuggire. Così prese il soprabito e si avviò lungo le strade isolate di Londra.
 
Il mattino seguente la signora Wood trovò sua nipote sui gradini dello scalone centrale.
- Tesoro, perché sei ancora vestita così? Cosa ti è accaduto? – chiese preoccupata, mentre Sara la guardava con il volto livido, dovuto al pianto, implorando la sua riservatezza. Allora la signora Wood la esortò a rialzarsi e risalire in camera da letto.
- Hai rivisto Spencer? – chiese la nonna, incapace di starsene in disparte ad osservarla mentre soffriva.
Sara annuì e infine si liberò delle sue preoccupazioni condividendole con lei - Nonna non so che fare, mi ha detto delle cose orribili su James – e Sara riportò ogni sua singola parola. Quando finì l’anziana signora portò una delle sue mani alla bocca, sorpresa.
- E inoltre non riesco a dimenticarlo. Continuo a provare gli stessi sentimenti che provavo mesi fa –
All’improvviso sentirono bussare alla porta, e subito dopo vi entrò Elisabeth. Appena la vide, Sara disse a sua nonna che desiderava stare sola con lei.
- Sara, ho saputo cosa è accaduto ieri sera e sono venuta per dirti la verità. James non è l’uomo per te –
- Cosa ne sai Elisabeth? –
- Perché io conosco la sua natura. È un uomo vizioso e libertino –
- Lo sai perché è stato il tuo amante giusto? –
Elisabeth riconobbe lo sguardo di disprezzo di Sara e ammise la sua colpa.
- Sì, e mi vergogno a dirlo che lo è stato per diversi anni e che il piccolo William è suo figlio –
Sara la guardò con freddezza e crollò sul letto in preda allo sgomento. Le era impossibile crederci. Per tutto quel tempo era rimasta all’oscuro di tutto. Le persone intorno a lei la stavano ferendo, ma doveva trovare un modo per risolvere quella questione.
- Mi odierai per questo, l’ho fatto anche io, ma devi credermi se ti dico che non ti puoi fidare di lui –
Ora che i tasselli mancanti del puzzle erano emersi, tutto le fu più chiaro. Non conosceva affatto James ed era un uomo capace di nasconderle un simile segreto!
- Tu mi hai aiutato quando ero infelice, adesso lascia che faccia lo stesso per te –
Sara scoppiò in lacrime.
- Ami mio fratello, te lo si legge negli occhi. Non essere stupida e segui il cuore. Spencer non ha mai voluto farti del male. Credimi –
- Come fai a saperlo, l’ho visto baciare lady Hamilton -
- Perché lo conosco. In questi mesi siamo stati molto in pena per la sua salute, tanto che nostro padre è corso nuovamente a Londra per assisterlo personalmente. Si trovava in uno stato pietoso. È stato per diverse settimane in perenne ubriachezza -
La pelle di Sara si accapponò. Fino ad allora aveva tenuto conto solo della sua di sofferenza.
- Ieri sera è venuto da me e mi ha aperto il suo cuore – rivelò Sara ad Elisabeth che ne fu soddisfatta.
- Ma non riesco a perdonarlo – ammise mentre le lacrime la pervasero. Ma se era vero ciò che Spencer le aveva raccontato, se non poteva fidarsi della parola di James, allora forse Elisabeth aveva ragione e c’era una possibilità di essere felice con lui.
C’era una cosa sola da fare, parlare con lady Hamilton.
 
Spencer continuò ad avere nella mente, per le ore successive, l’immagine di Sara che gli urlava in pieno volto di non volerlo vedere più in vita sua. Era stato proprio in quell’istante che il suo cuore si era spezzato ed era certo che non sarebbe mai più tornato come prima. Dopo una lunga meditazione aveva deciso di tuffarsi nel lavoro quando per sbagliò urtò contro la sua scrivania dove erano depositati una pila di documenti.
- Maledizione! – sbraitò. Fu allora che si ricordò di lord Hudson e del suo viaggio in Italia. Gli aveva chiesto di accompagnarlo per gestire alcuni affari perché si fidava del suo buon senso, ma Spencer aveva rifiutato poiché dei doveri importanti lo trattenevano a Londra. Adesso però non c’era nulla che gli impedisse di partire e forse non era troppo tardi per acconsentire. Così alle sette del mattino, Spencer inviò una lettera all’ambasciatore e dopo meno di un’ora arrivò la risposta.
Hudson gli aveva assicurato che sarebbero stati via dall’Inghilterra per diversi mesi e lui ne fu immensamente sollevato. Prima di dirigersi al porto, salutò suo padre che stava in veranda come ogni altra mattina.
- Padre –
- Mmm…- rispose il duca, guardando le meravigliose rose rosse di fronte a lui.
- Sto partendo –
- Charley mi ha avvertito. Credi che sia la cosa migliore che tu possa fare? –
Lord Cavendish continuava a dare le spalle al figlio, non voleva che vedesse le sue fragilità.
- Padre, devo andare. Lei non mi vuole, me lo ha detto chiaramente ieri sera. Non posso continuare a vivere in questo modo. Ho bisogno di dare una scossa alla mia vita –
– Ti auguro di fare buon viaggio figliolo –
- Ci rivedremo presto padre –
Prima di allontanarsi sperò che suo padre lo guardasse almeno una volta, ma non lo fece. Capiva il suo dolore, aveva sperato anche lui in un lieto fine, ma Sara aveva scelto e ora toccava farlo a lui.
Una volta imbarcato, Spencer trovò il coraggio di guardarsi indietro. Vide Londra sparire a poco a poco tra la nebbia finché non riuscì più a vederla. Solo allora una lacrima gli rigò una guancia. Sara era ormai lontana e presto sarebbe stato solo un dolce ricordo.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Sara continuava a rimuginare sulle parole di Spencer e su quanto le aveva detto Elisabeth quella mattina. Nonostante i suoi sforzi non riusciva a trovare il motivo che spingesse James a mentire in quel modo. Perché nasconderle di Elisabeth e perché progettare quel piano con lady Hamilton e negarglielo? Doveva fare chiarezza su quella questione. - Nonna, devo uscire – disse Sara improvvisamente, alzandosi dal divanetto dove stava prendendo il tè. - Dove vai Sara, è quasi sera e fra poco sarà qui anche James – ma non la udì, poiché era già sparita dietro la porta. Quando si ritrovò di fronte alla porta d’ingresso della dimora di lady Hamilton, Sara si pentì di essere lì. - Non ripensarci Sara – disse a sé stessa e così suonò il campanello. Ad aprirla giunse un uomo molto alto e giovane che molte donne avrebbero considerato discretamente bello. L’uomo la condusse nel salotto privato della duchessa. Era una stanza molto accogliente e il calore che emanava il fuoco dentro il caminetto era avvolgente. Sara notò che le pareti erano tappezzate di quadri a tema principalmente mitologico. Riconobbe la storia di Apollo e Dafne. - Bello vero? È il mio preferito – disse una voce alle sue spalle. Juliette era perfetta, come sempre. La guardava con curiosità e dopo un’attenta osservazione quella donna la raggiunse. - Sapete perché amo questo quadro? – Sara disse di no, allora Juliette le spiegò che si rivedeva in Dafne, perché come lei non si lasciava intrappolare da nessuno. - Forse è un po' melodrammatico trasformarsi in una pianta d’alloro, ma chi di noi non è un po' melodrammatica. O sbaglio? – - Lady Hamilton, non mi interessa ciò che pensate su questa questione, voglio sapere la verità – - Quale verità? – Fece finta di non capire. - Voglio sapere perché James vi ha chiesto di sedurre Spencer – - Dritta al punto, signorina Wood. Non vi credevo così decisa. Ebbene, perché non accontentarvi – le disse, avvicinandosi al caminetto. - Il vostro fidanzato è venuto qui qualche ora fa a dirmi che mi sarei dovuta tappare la bocca, ma non ci riuscirà mai sapete? – - Parlate – Juliette le raccontò tutto e Sara rimase in silenzio senza fare nessuna domanda. Finalmente capì di aver sbagliato a giudicare James, non era un uomo gentile e onesto, era bensì un farabutto. Alla fine si sentì come se fosse stata colpita da una freccia, proprio nel petto. Dritta al cuore. Si alzò e scappò via mentre quella donna la guardò uscire senza dirle nulla. Una volta in strada Sara cercò di respirare, ma le sembrava così tanto difficile. Si sentiva tradita, non da James, ma da sé stessa. Non era stata in grado di comprendere la verità. Corse a casa e come le aveva annunciato la nonna, James era in salotto. Quando la vide le andò incontro per baciarla, ma Sara lo respinse. - Cosa succede Sara? – le chiese impaurito. Lei non lo guardava. - Dobbiamo parlare – così James la seguì nel salotto a lei riservato. Lì sarebbero potuti stare da soli. - Di cosa volete parlarmi Sara? – - Perché siete stato da lady Hamilton? – e solo allora riuscì a guardarlo. Vide il volto di James cambiare completamente colore e lo sentì rispondere a monosillabi. - James so tutto! – - Vi hanno mentito, non sono mai stato da lady Hamilton e non ho mai cospirato con lei – - Smettetela, vi avevo chiesto di non mentirmi e invece continuate a farlo – gli urlò in faccia. - Avete ragione, sono stato uno stupido, ma credevo di perdervi – - Per questo avete avuto questa brillante idea? – James annuì. Provò ad avvicinarsi a lei, ma Sara si scostò. - James, voglio rompere il fidanzamento – disse lei tutto d’un fiato. - No, vi prego! Io vi amo – - Io non provo nulla per voi James – - Mi dovete perdonare Sara, non è nulla la mia vita senza di voi – - James, non vi renderei mai felice perché amo un altro uomo – James a quel punto, comprendo la distanza tra loro, le afferrò le braccia e iniziò a strattonarla – Quell’uomo non fa per voi, siete solo un giocattolo per lui – - Voi non lo conoscete e non conoscete l’amore che ci unisce. Adesso voglio che andate via e spero che le nostre strade non si incrocino mai più – Sara non aspettò che andasse via, fu lei a lasciare la stanza per prima con la convinzione che quella era la scelta più giusta. Non riuscendo a trattenersi fino a sera, Sara si decise di andare in Bond Street e chiarire quella questione con Spencer. - Mi dispiace Sara, è partito questa mattina insieme a lord Hudson. È andato in Italia – Quando Sara udì quelle parole di lord Cavendish, le crollò il mondo addosso. Non poteva credere che Spencer era scappato via. Non lo credeva un codardo. - Perché è partito così velocemente? – gli chiese in preda alla collera. - Non riusciva a sopportare una vita infelice – furono le uniche parole del duca prima di avvicinarsi a lei e darle un abbraccio. Sara si sentì una stupida, sapeva che le sue parole lo avevano ferito. - Le cose si sistemeranno Sara, fidatevi di me – le disse il duca accarezzandole la nuca affettuosamente. - Voglio tornare a casa – esclamò Sara tra i singhiozzi. - Ma lo siete già – - No, voglio tornare a Derwent house – James aveva cercato di parlare ancora con Sara nei giorni successivi, ma era decisa a non volerlo vedere più. Era stato uno stupido, non avrebbe dovuto ricorrere a quegli stupidi stratagemmi. Riprovò a tornare al 19 di Mayfair, ma quella volta fu Elisabeth ad accoglierlo. - James, dovete lasciarla andare se davvero l’amate – - Neppure voi siete riuscita a lasciarmi andare – ribatté lui con decisione. Elisabeth a quel punto s’infuriò. - Ho impiegato del tempo è vero, ma alla fine l’ho compreso. Io vi sto dando solo un consiglio, è inutile soffrire invano perché lei è decisa a rompere il fidanzamento. Vi esorto a comunicarlo prima che lo faccia mio padre – Ma James non sembrava voler ascoltare la sua richiesta e prima di ribattere qualcuno bussò alla porta. Era Mary in compagnia di William. - Lady Herbert, il piccolo William si è tagliato un dito – - Oh, vieni dalla mamma – non appena il piccolo si avvicinò, Elisabeth se lo portò sulle ginocchia e con tanta dolcezza lo tranquillizzò. In quel momento James si rese conto della verità. Quel bambino gli somigliava davvero tanto. Perché non lo aveva notato prima? Ricordò allora che William nacque l’anno successivo alla sua rottura con Elisabeth. Così tutto gli fu chiaro. Quando il bimbo andò via con Mary, James ebbe il coraggio di porre quella domanda ad Elisabeth. - Ditemi la verità. William è mio figlio? – Elisabeth lo guardò spaventata. Aveva taciuto quella verità per così tanto tempo, che persino lei credeva non fosse vero. Nessuno se ne era mai accorto, mentre adesso… James non ricevette nessuna risposta e allora capì, così si alzò dalla sedia e con garbo salutò Elisabeth. Fuori da quella casa un sorriso gli si stampò sul volto perché Sara sarebbe diventata sua moglie. Sara non smetteva di pensare alle parole di Spencer. Se aveva detto la verità su Juliette e James, allora anche le lettere dovevano essere state spedite. Allora che fine avevano fatto? Quello stesso pomeriggio Sara si ritrovò nel salotto con la nonna intenta a ricamare quando mise al proprio posto i ferri e si rivolse alla donna seduta di fronte a lei. - Nonna devo chiederti una cosa – La nonna, che stava leggendo un opuscolo, alzò gli occhi sulla nipote che la guardava insistentemente - Cosa è successo Sara? – Quando la sera precedente aveva comunicato la sua decisione di rompere il fidanzamento, i nonni non ne furono sorpresi. Sua nonna confessò di aver intuito le sue intenzioni già da tempo e Sara l’abbracciò, cercando di raccogliere tutto il suo amore per trovare la forza di andare avanti. Temeva che la giudicassero una donna viziata, invece avevano capito che il matrimonio con James era una banale scusa per fuggire dalla verità, ovvero che amava Spencer. Non furono però felici dell’improvvisa partenza del giovanotto, soprattutto la nonna che le disse testuali parole. - È uno stolto quel ragazzo, ora che hai capito cosa sia davvero accaduto, scappa. Uno vero stolto – Suo nonno invece, era dispiaciuto che Sara fosse giunta alla verità troppo tardi, e riusciva perfettamente a comprendere il dolore che aveva mosso Spencer a tale decisione. Sara aveva comunicato il suo desiderio di ritornare a Derwent House poiché tutti quegli avvenimenti l’avevano stordita. Aveva fatto promettere loro di raggiungerla nel Derbyshire il prima possibile, ma Lord Cavendish aveva avuto una brillante idea. Sarebbero partiti tutti insieme e i coniugi Wood sarebbero stati ospiti a Derwent House finché ne avessero avuto desiderio. Sara aveva bisogno di loro per ritrovare sé stessa. - Nonna, Spencer ha accennato all’esistenza di alcune lettere. Tu non ne sai nulla? – La donna non sembrò affatto sorpresa da quella domanda. Si alzò e scomparve nel corridoio. Tornò dopo pochi minuti con un malloppo di lettere tra le mani e il volto di Sara inorridì. - Nonna, non dirmi che tu…- Sara perplessa, pensò che la nonna fosse responsabile, in parte, della sua infelicità. - No tesoro, le ha trovate Bonnie e me le ha consegnate prima che partissimo per Londra. Le ha trovate per caso, nascoste in un cassetto di una scrivania – disse sua nonna, porgendo quelle lettere a Sara. - Di quale stanza? – chiese lei, senza togliere lo sguardo dalla prova che Spencer non l’aveva affatto dimenticata in quei mesi, ma che con tutto sé stesso aveva provato a riavvicinarsi a lei. - Tesoro, forse sarebbe meglio lasciar stare. Hai le lettere adesso – - Nonna, ti prego, non dovete nascondermi nulla – La nonna esitò, ma alla fine cedette alle suppliche dell’amata nipote. - Erano nella stanza occupata da Amanda – Sara guardò costernata sua nonna, sperando che quelle parole fossero frutto della sua immaginazione. Si alzò lentamente dalla poltrona, dirigendosi verso la finestra dove chiuse gli occhi nella speranza che quella non fosse la verità. - Sara – la chiamò sua nonna, ma lei era troppo occupata a immergersi nella sua collera. Senza dire una sola parola prese il proprio cappotto e si diresse, a passo spedito, fin dove alloggiava Amanda. Appena raggiunse Regent Street, la rabbia che covava dentro di sé si era affievolita, facendo strada al dolore per il tradimento della sua più cara amica. Il maggiordomo, che la conosceva molto bene, la fece entrare senza avvisare i Taylor. Attese l’arrivo di Amanda nel salotto privato della famiglia in preda all’ira e al rancore. Non smise di andare su e giù per la stanza cercando di calmare i propri nervi, ma nulla riusciva a placare ciò che sentiva. Finalmente udì dei passi e capì che presto sarebbe entrata da quella porta di noce scuro. Bastò uno sguardo, per far comprendere ad Amanda il motivo che aveva spinto Sara lì. - Perché lo hai fatto? – le chiese Sara con voce tremante. Amanda la guardò e non ripose, spingendo Sara a ripetere la domanda ancora una volta con voce più forte. - Sara, lascia che ti spieghi – cercò di avvicinarsi, ma Sara la respinse. - Sono venuta proprio per questo, ma fa che sia la verità – le sottolineò Sara. - Le ho nascoste perché ti aveva ferito abbastanza – - Amanda, doveva essere una mia decisione non tua! Hai contribuito alla mia sofferenza – Quelle parole ferirono Amanda a tal punto che non riuscì più a parlare. - Non conosci la verità, James è un manipolatore. Ha fatto in modo che mi separassi da Spencer con l’aiuto di lady Hamilton – Amanda, spiazzata da quella confessione disse - Nella mia vita non ho fatto altro che difenderti – - Non te l’ho mai chiesto Amanda. Io volevo che fossi semplicemente dalla mia parte, che mi appoggiassi – Dopo una pausa Amanda cercò di parlarle di nuovo - Sara, io non volevo mentirti, credevo solo che la tua vita sarebbe stata migliore senza Spencer – - Ci sei riuscita ad allontanarlo da me. Lui è andato via, per sempre – le comunicò Sara, cercando di trattenere le lacrime. Preferì guardare la stanza inondata di luce piuttosto che il volto dell’amica che l’aveva tradita. Di chi si sarebbe dovuta fidare d’ora in poi? Sapere che le persone che ritenevi amiche sono state le prime a tradirti era frustante. - Adesso devo andare – - Sara, ti prego devi ascoltarmi – la supplicò Amanda, ma lei agitò la testa e fuggì via da quella casa più velocemente che poteva. Doveva allontanarsi da tutte e tutti, allontanarsi da Londra, allontanarsi da quella vita che le aveva dato tanto e che ora le aveva tolto tutto. Appena arrivò a casa però, giunse il maggiordomo che le consegnò una lettera. Era firmata James Morrison. Non voleva neppure aprirla, ma la curiosità la spinse a farlo. Lui voleva vederla ancora una volta perché doveva parlarle di una questione di massima urgenza. Lei non sapeva cosa fare, ma alla fine decise di accettare. Cos’altro poteva nasconderle? Quando giunse fuori dalla chiesa di San Paolo in Covent Garden, vide il suo aguzzino aspettarla sotto il portico. - Eccomi, di cosa volevate parlarmi? Fate in fretta, ho ben altre cose da fare che starmene qui – - Lo so che siete arrabbiata con me, ma io vi desidero più di ogni altra cosa. Perdonatemi e sistemeremo tutto. Non ho ancora rotto il fidanzamento – - Ma io sì e non voglio più avere nulla a che fare con voi – Sara fece per andarsene, ma lui le bloccò il passaggio con il bastone da passeggio. Non avrebbe voluto farlo, ma lei lo stava costringendo. Contro la sua volontà le disse con voce dura - Non credo che dovreste andare via così in fretta. Se decidete di farlo dovrete sapere quali saranno le conseguenze – Ma di cosa stava parlando, quest’uomo viscido e calcolatore che una volta credeva amico. - Se non accetterete di diventare mia moglie, dirò a tutti che William è mio figlio – No, nessuno gli avrebbe creduto! Ma James le fece capire che era impossibile non notare la somiglianza se si guardavano insieme. Lei stessa mesi prima lo aveva notato, senza essere a conoscenza della verità. Quei pettegolezzi avrebbero distrutto la sua famiglia. Non poteva crederci che l’aveva messa di fronte ad un’orrenda scelta. La vita di Elisabeth dipendeva completamente dalla decisione che avrebbe preso in quel momento. Non poteva essere l’artefice della sua infelicità. - Mi sposerete adesso? – riuscì a dirle, sperando in una risposta affermativa. - Siete un uomo subdolo e crudele – disse lei, guardandolo negli occhi con rabbia. - Voglio solo essere felice accanto a voi. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto, ma io vi amo – - Parlate davvero di amore? Voi non conoscete affatto il significato della parola amore – quel commentò lo colpì in pieno petto, ma non poteva fare altrimenti. Sapeva che quella era una mossa sbagliata, ma avrebbe fatto di tutto pur di averla per sé. Sara lo attraversò, ma prima di allontanarsi gli disse dandogli le spalle – Vi sposerò, ma sappiate che con me non sarete mai felice come io non lo sarò con voi. Il mio cuore apparterrà sempre ad un altro uomo – Una lacrima bagnò il suo viso impallidito e corse nella sua vettura. Voleva sparire da lì, anche la morte sarebbe stata una scelta migliore di quella. Cosa avrebbe dovuto fare? Avrebbe dovuto vedere Elisabeth precipitare in una voragine di vergogna? Non poteva farle questo. Lei non sarebbe mai stata felice, lo sapeva, ma Spencer era andato via e non l’avrebbe mai perdonata per aver creduto a James invece che a lui. Tanto valeva sottoporsi a tale sacrificio. L’indomani mattina Sara raccontò tutto ai suoi nonni, almeno qualcuno doveva saperlo e loro erano le persone migliori. L’avrebbero sostenuta in quella decisione e si sarebbe sentita meno sola. Trascorse un mese e Sara fino ad allora era riuscita a rimandare il matrimonio dicendo a James di avere bisogno di riordinare le proprie idee, e lui era stato obbligato a dirle di sì, soprattutto dopo tutto quello che le aveva fatto. Ma rimandare non sarebbe servito a niente. Aveva sperato che Spencer tornasse a casa e che l’aiutasse a risolvere quella situazione. Ma Spencer non sarebbe mai ritornato. Almeno non per allora. - Tesoro mio, va tutto bene? – le disse Eleonor, giunta lì per la prova dell’abito da sposa. - Certo, perché non dovrebbe – In poco tempo aveva perso molto peso e proprio mentre si guardava allo specchio, Sara fu colpita da un malore al petto e con calma Eleonor la aiutò a sedersi. - Sara, ditemi cosa vi sta succedendo? So che c’è un problema – Ma la ragazza scuotendo la testa le disse che non era nulla. - Non sarà per quello che si dice su Spencer? - - Cosa? Parlatemi per favore – - Forse sarebbe meglio non saperlo – ma ormai aveva attirato la sua attenzione così le raccontò che a Londra stavano girando dei pettegolezzi sul futuro duca di Devonshire. - Si dice che sia fidanzato con un’ereditiera italiana – Sara non riusciva a credere a quelle parole, lei credeva che l’avrebbe aspettata. Ma era davvero convinta che Spencer fosse pronto ad aspettare una donna che lo aveva rifiutato e considerato un bugiardo? - Non importa Eleonor. Lo sapevamo che sarebbe finita così – disse sedendosi sul letto, sentendosi su di sé un macigno pesante e insopportabile da trascinare. - Ma non credevo che sarebbe successo così presto – rispose Eleonor meravigliata. Lei era stata la prima a credere in quell’amore e la decisione che stava prendendo Spencer la rattristava molto. - Forse sono solo dicerie. Probabilmente qualcuno si è divertito ad ingrandirlo fin troppo – disse infine cercando di tranquillizzarla, ma Sara non rispose. Forse era così che le cose dovevano andare. Spencer avrebbe sposato la donna giusta e lei avrebbe salvato la vita ad Elisabeth. Ormai non poteva più tirarsi indietro, quello sarebbe stato il suo destino. Mancavano ormai poche ore al matrimonio e in quei giorni Elisabeth non faceva altro che chiederle di lasciare James, ma Sara senza darle spiegazioni aveva rifiutato di acconsentire. Avrebbe voluto parlarle e dirle la vera ragione per cui lo sposava, ma ritenne che fosse meglio tacere. - Cara, come stai? – disse sua nonna mentre stavano cenando. Se sua nonna era stata così forte da superare la morte di una figlia, lei lo sarebbe stato altrettanto per quell’unione infausta. - Sì nonna, va tutto bene. Non preoccuparti – - Lord Cavendish è stato qui stamattina – Sara si meravigliò che sua nonna non l’avesse chiamata per incontrarlo. - Ha voluto parlare con tuo nonno. Vuole darti la dote che ti spetta – - No, non deve darmi nulla – affermò con fermezza. - Sei stata come una figlia per lui e non si tirerà certo indietro proprio adesso. Tuo nonno stesso ha cercato di persuaderlo, ma nulla. Si è intestardito – Tipico del duca! - Devo parlare con lui – - Sara, dove vai? – ma era già lontana dalla sala da pranzo. Quando Sara arrivò, Charley l’avvisò che il duca non era in casa, ma che anche un’altra donna lo stava attendendo. Sara si chiese chi fosse, ma non ebbe il tempo di chiederglielo che Elisabeth si mostrò a lei. - Cosa ci fai qui Sara? Ti ho lasciato a casa pensando che ti stessi preparando per le nozze – L’aveva brillantemente evitata, pur vivendo nella stessa casa, e adesso la incontrava lì? - Oh, le nozze. Certo, ma dovevo parlare con lord Cavendish – Così Elisabeth, le propose di attenderlo insieme. Sara si sentiva in imbarazzo, non riusciva a guardarla negli occhi. Come poteva nasconderle una cosa tanto grave. E poi, perché glielo aveva tenuto nascosto. - Domani sarà un grande giorno per te – disse Elisabeth con un falso sorriso. - Spero tanto che tu possa venire – era sincera. In quei mesi aveva riconosciuto in lei più di un’amica, era una sorella e le voleva bene. Elisabeth annuì. - Lo farò per te. Anche se non sono felice della tua scelta – Non poteva stare lì ancora per molto, doveva andarsene in quel preciso istante. - Devi scusarmi Elisabeth, ora devo andare – - Ma, Sara! – Elisabeth si rese conto che stava per piangere. Perché una sposa prossima al matrimonio, avrebbe dovuto piangere? Non era mai stata convinta dalla sua confessione di ritornare con James. Perché sposare un altro uomo solo per essere stata abbandonata? - Devi dirmi cosa ti sta succedendo – In quel momento Sara non riuscì più a stare in silenzio e le raccontò la verità. - Perché non me lo hai detto, avrei potuto aiutarti – Sara scoppiò in lacrime, singhiozzando. - Ormai è troppo tardi, Elisabeth – - Nulla lo è, me lo hai insegnato tu. Io e Charles ti aiuteremo – - Charles? – chiese Sara. Come poteva aiutarla. -Sì Charles. Ha scoperto delle cose sul conto di James. Forse è ora che anche il resto del mondo lo sappia – Di cosa stava parlando? - Non posso lasciarti a marcire in questo matrimonio. Non sai come ci può sentire. Tu non farai questa fine, te lo prometto – Elisabeth sapeva che James non si sarebbe fermato se non fosse stato minacciato a sua volta, così cercò suo marito. Quando lo trovò gli raccontò tutto e si avviò all’alloggio di James Morrison. Quando giunse finalmente al 43 di Kensington, Charles Herbert respirava a fatica. Disse a sé stesso che sarebbe riuscito a salvare Sara e avrebbe usato qualsiasi mezzo per farlo. James Morrison era occupato, o almeno fu quanto gli disse il maggiordomo. Ma Charles insistette. James stava provando il suo abito da sposo e nessuno al mondo avrebbe rovinato quel momento. L’indomani Sara Wood sarebbe diventata sua moglie presso la chiesa di Santa Maria Aldermaria. Il maggiordomo entrò nella camera da letto del padrone avvisandolo dell’arrivo di Charles – Credo che sia meglio che vi sediate – disse Charles non appena James entrò nel salotto. Non poteva trattarlo con insufficienza in casa sua, così cerò di rimettere apposto le loro posizioni. - Caro Charles, se posso chiamarvi così, cosa vi conduce nella mia umile dimora? – - Devo parlarvi di una questione importante – disse seriamente Charles, mentre beveva un sorso di brandy. James lo esortò a parlare. - Domani non sposerete Sara Wood – - State scherzando, non è vero? – una risata amara risuonò nella stanza. Ma Charles era serissimo in volto. - Io la sposerò, o dirò a tutti che vostro figlio in realtà…- - Non è affatto così, e lo sapete. William è mio figlio, il mio erede – - Allora non sapete che ho scopato vostra moglie, più e più volte in passato – Charles mantenne la calma più che poté, stringendo le mani a pugno. Non era quello il momento di vendicare sua moglie. Doveva salvare Sara e così andò fino in fondo. - Se voi sposate Sara Wood, dirò cosa avete fatto - - Di cosa parlate? – rispose James spavaldo. - Perché siete scappato dalla Scozia? – In quel momento James tacque. Perché gli stava parlando della Scozia. - Ho diversi parenti che ricordano l’omicidio di un certo James Morrison avvenuto quindici anni fa – - State bleffando. Non c’entro nulla con quanto state dicendo – - Non ho mai detto che c’entravate qualcosa – Charles si sentiva soddisfatto e James si rese conto di essersi tradito da solo. - So cosa avete fatto. Avete rubato l’identità di un povero uomo. Avete rubato la sua vita. Non è vero Oliver Wilson? – James impallidì. Era stato scoperto da un uomo che credeva inferiore a lui. Charles lo guardò con aria di vittoria, convinto che dopo tanto tempo quell’uomo avrebbe meritato la fine che gli spettava. - Avete rubato i suoi averi e vi siete costruito una vita qui. Quando avete cominciato la vostra carriera, nessuno in Inghilterra conosceva il vero James Morrison. Siete un criminale e se tenete alla vostra ricchezza non sposerete Sara Wood – Charles si stava godendo quella scena, mentre James era disperato. - Non è assolutamente vero! Sono infamie belle e buone – - Ho i documenti che dimostrano il contrario. Dovete lasciare Sara stasera. Non le ho raccontato nulla, quindi potete inventare qualsiasi bugia. Basta che la lascate in pace. È ora che sia felice – - Voglio vedere prima i documenti – rispose James sicuro di sé, ma Charles lo colpì nuovamente. - Eccoli, potete leggerli e farne quel che volete. Non sono l’unica testimonianza del vostro crimine – James impallidì. - Vi dimenticate di Ralph Crawford, il vostro alleato nel crimine. Lo state pagando profumatamente per il suo silenzio e ho la prova anche di quello – A quel punto James tacque e da uomo codardo qual era acconsentì ad annullare il matrimonio.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Tutta Londra parlò per le successive settimane di quel matrimonio mancato.
Ma a lei non importava. Finalmente era in viaggio verso il Derbyshire, e al suo fianco c’era il duca.
Era trascorso solo un mese dal ritorno a Derwent House e pian piano, era ritornata alla vita tranquilla di sempre. Aveva ripreso a passeggiare per i suoi meravigliosi paesaggi anche se era stato difficile riprendere il suo solito ritmo.
Durante le giornate di pioggia rimaneva chiusa per giornate intere nella sala da musica, seduta davanti al pianoforte a studiare i nuovi spartiti che aveva acquistato a Londra.
I suoi nonni erano rimasti nel Derbyshire per circa tre settimane, per poi partire con la promessa di ritornarvi il prima possibile.
Una sera, non riuscendo a dormire, accese una candela e andò a sedersi sul davanzale della propria finestra. Fuori era ancora tutto avvolto dall’oscurità, ma con gli occhi era in cerca di qualcosa. In quel momento le ritornarono in mente le ultime settimane a Londra.
Da allora non aveva più avuto notizie di Amanda e nonostante le avesse scritto molte lettere non ne aveva aperta nemmeno una. Era troppo in collera con lei. Non avrebbe dovuto fare ciò che aveva fatto.
Per quanto riguardava James era ormai un lontano ricordo.
E poi c’era Spencer.
Non trovava il coraggio di scrivergli. Temeva che gli potesse recare fastidio e allo stesso tempo non credeva fosse giusto affrontare quella situazione attraverso una missiva. Aveva chiesto a lord Cavendish di non dire nulla del matrimonio rimandato così quando Spencer sarebbe ritornato dal suo viaggio in Italia avrebbe colto l’occasione per parlargli una volta per tutte.
Illuminata dalla luce roca di una candela Sara si ricordò delle lettere, così le andò a prendere. Dovevano essere una cinquantina in totale, datate con poca distanza tra loro.
Sara ne aprì alcune.
Riusciva a percepire la sua sofferenza, la sua malinconia e il dispiacere. Le parlava d’amore e di mancato coraggio. Anche lui, come lei, sapeva che la società non li avrebbe mai accettati, ma si reputava uno sciocco nel credere a tali idiozie.
Se lei ricambiava i suoi sentimenti, perché non avrebbero potuto amarsi?
Se solo avesse saputo prima che lui teneva a lei così tanto, non si sarebbe lasciata abbindolare da James.
Le giornate trascorrevano tranquille e Sara era sempre impegnata con le faccende di casa, mentre il duca si rintanava nel suo studio.
– Signorina Wood, il menù? La conoscete bene la cuoca, se non riceverà in tempo la lista dei piatti da preparare me la farà pagare amaramente –
- Dio non voglia – disse scherzosamente Sara, prendendo carta e penna per stilare la lista – non voglio avervi sulla mia coscienza –
- Fate bene, sono molto ingombrante –
Sara rise di cuore, Bessie era una della donna più amabile che conosceva.
- Bessie, sei mai stata innamorata? – le chiese improvvisamente Sara, facendo arrossire le guance paffute della signora al suo fianco.
- Vi conosco da sempre, eppure non vi siete mai lasciata trapelare nulla. Sappiamo entrambe che nulla sapete tacere, tranne che i vostri sentimenti –
La donna la guardò sospirando – Perché è una questione di vita o di morte –
Sara cominciò a pensare cosa ci fosse di tanto rovinoso, e le venne in mente che l’uomo in questione potesse essere di un’altra classe sociale o peggio, sposato.
- Forse siete vicina alla verità, ma non vi dirò nulla –
Sara voleva sapere di più, così provò a sfinirla, come quando era bambina.
- Quanto sapete essere petulante, signorina Wood – facendola sorridere, così lei disse – Era quello l’intento –
La donna sospirò, rinunciando alla pace che tanto avrebbe desiderato.
- Signorina, in questo mondo non c’è posto per quelle come me – allora capì. Nessun’altra parola fu pronunciata. A quel mondo c’erano tante vittime della società. Non bisogna lasciarsi ingannare quando si dice che l’essere umano è libero, perché non lo è affatto. Esisterà sempre qualcuno che deciderà della vita altrui.
Quella conversazione fece riflettere Sara, che più tardi si trovò finalmente a passeggiare dopo diverse giornate di pioggia.
A volte si chiedeva come gli esseri viventi cercassero di sopravvivere in un mondo che non dà pace, che ti mette sempre in difficoltà.
Lei stessa era messa in continua tensione, sempre ad affrontare nuove sfide e quando la vita le aveva donato uno spiraglio di felicità aveva fatto in modo che sparisse come un soffio.
 
Aldilà dell’Inghilterra, Spencer si sentiva solo e affranto. Andava avanti con la sua vita, o almeno provava a farlo cercando di tenere la mente occupata. Di giorno era facile, ma il vero problema era di notte dove lei appariva in tutti i suoi sogni.
La sognava nuda nel suo letto, mentre le accarezzava il corpo sinuoso.
La sognava mentre ridevano e scherzavano insieme.
La sognava mentre ballavano un valzer, loro due soli in una grande sala da ballo. Lui le accarezzava la schiena avvolta in un morbido abito di raso, mentre lei si avvicina a lui posando le sue labbra piene e soffici sulle sue.
La sognava mentre facevano l’amore su un grande letto.
Quando apriva gli occhi però, la sua immagine si dissolveva, gettandolo nel più totale sconforto.
Le mancava e non poteva negarlo.
Torino era affascinante, ma senza di lei nulla aveva più lo stesso valore. Si guardava intorno e non provava più nessuna emozione.
Aveva trascorso molto tempo con la società locale, aveva conosciuto gli uomini più influenti della città e donne di elevate bellezza, ma la sua sofferenza non sembrava placare.
Ogni volta che una donna lo guardava o lo sfiorava, lui ripensava a Sara e si richiudeva nel suo dolore.
Una sera ad un ballo, a cui partecipò tutta l’elitè di Torino, riconobbe un uomo. James Morrison era in Italia! Probabilmente era lì per qualche affare. Voleva evitarlo, ma il pensiero che Sara fosse con lui lo infiammò e si spinse ad avvicinarsi. È inutile Spencer, lei è ormai sposata ammonendosi per quella decisione.
- Spencer, cosa ci fate qui? – disse James, quasi spaventato. Spencer si accorse del suo atteggiamento preoccupato, ma non se ne curò.
- Sono qui da tre mesi –
- Per questioni politiche, ovviamente – calcando la voce su ovviamente perché era ovvio che fosse scappato come un codardo.
Spencer annuì.
- Io invece sono venuto per affari. Ho intenzione di stabilire qui la mia prossima sede e presto mi raggiungerà anche la signora Morrison -
Spencer annuì ancora, deluso per aver saputo che Sara non era ancora lì.
- Lei sta bene? – riuscì a chiedergli e James non perse l’occasione per ferirlo.
- Molto. Non ho voluto stressarla inutilmente, una donna in quello stato deve solo riposare, ma ha insistito così tanto che non ho potuto negarle il desiderio di raggiungermi –
- Capisco –
Spencer non chiese altro. James era stato molto chiaro. Sara lo aveva dimenticato, aveva sposato un altro uomo e adesso aspettava un bambino. Lo salutò con garbo e si avviò verso casa.
Rimasto solo con un bicchiere di brandy ricordò l’odore della sua terra e sentì un vuoto incolmabile. Capì che era giunto il momento di tornare in Inghilterra.
 
- Lord Cavendish – urlò Sara, trovando il duca steso a terra sul prato e quando gli si avvicinò vide che era lucido - riuscite ad alzarvi? –
- Sì Sara, ma dovete aiutarmi – poggiandosi alla sua spalla - riuscite ad arrivare fino all’ingresso? Da lì chiamerò Jack –
Così facendo riuscirono ad arrivare fino a Derwent House dove Jack arrivò in loro soccorso.
Lord Cavendish fu portato nella propria camera e poco dopo giunse il medico che rimase per una lunga mezz’ora. Quando vi uscì, Sara notò un’ombra sul suo volto.
Temette il peggio.
- Signorina Wood, il duca deve rimanere a riposo senza fare alcuno sforzo. Passeggiate e cavalcate sono escluse, inoltre deve seguire una rigida dieta. Riuscirete a non farvi impietosire? Lo conosciamo bene e sapete meglio di me quanto possa essere cocciuto, ma se vuole sopravvivere deve essere collaborativo –
Sentirlo parlare in quel modo, le vennero i brividi. Non avrebbe mai potuto separarsi da lui, ma sapeva che era forte, lo era sempre stato.
- Certo dottore, la ringrazio – e quando andò via, Sara entrò nella stanza.
- Come vi sentite? –
- Oh, Sara fatemi portare un tacchino ripieno. Ho una gran fame –
- Non potete più mangiare tutto quello che volete. Dovete stare attento – lo ammonì dolcemente.
- Smettetela di parlare in questo modo. Il medico ha già provveduto a recitarmi una lunga ramanzina –
- Tengo molto a voi e non vorrei…- riuscì a dirgli tra le lacrime.
- Shh, silenzio. Pensiamo solo al presente e smettetela di piangere.  Sentite bene ciò che ho da dirvi. Vorrei scriveste ai miei figli, perché ho voglia di vederli ma non ce la faccio da solo –
- Provvederò io stessa – gli disse rassicurandolo.
Sara si accorse di una luce luminosa che brillava forte nei suoi occhi e comprese che quello era più di un desiderio, era un bisogno.
Si sedette davanti allo scrittorio, prese carta e penna, raddrizzò le spalle e cominciò a scrivere la prima lettera indirizzata a Rockwell Hall.
Terminata, prese un nuovo foglio e iniziò scrivendo Caro Spencer, ma subito si bloccò. Pensò che non fosse adeguato rivolgersi in quel modo, forse avrebbe fatto meglio ad essere più formale.
Stropicciò il foglio e lo gettò nel cestino sotto lo scrittoio, prese un nuovo foglio niveo e ricominciò a scrivere, ma questa volta la lettera le sembrava troppo formale. Ancora titubante, stropicciò anche quel foglio e riprese a scrivere. Trascorse un’ora e ancora nulla, non riusciva a scrivere una buona lettera per Spencer.
Stanca, decise di scriverne un’ultima, scegliendo uno stile più familiare. Quando finalmente terminò, emanò un lungo sospiro, sperando che Spencer la leggesse e accettasse di ritornare presto.
Durante i giorni successivi, Sara aveva visto un duca raggiante che sembrava più accondiscendente a seguire la dieta del medico. Elisabeth era giunta subito dopo aver ricevuto la lettera di Sara e ora la aiutava nelle cure del duca. Sara la ringraziava ogni momento per essere lì, accanto a lei, ma il suo volto le ricordava tremendamente quello di Spencer ed era ogni volta una pugnalata nel petto.
I giorni trascorrevano e ancora nessuna notizia da Spencer. Ogni mattina chiedeva a Jack della posta, e ogni volta le doveva dire che non c’era nessuna lettera del Signor Cavendish, finché una mattina tutto cambiò.
 
Spencer giunse alla stazione durante la mattinata impaurito da ciò che sarebbe capitato nel momento in cui Sara gli fosse stata di fronte. Non era riuscito a dimenticarla, e forse non lo avrebbe mai fatto. Era troppo importante per lui.
Lo aveva cambiato ed è stata l’unica a credere che ci fosse del buono in lui, difendendolo davanti a tutti e a trattarlo come un suo pari, non come l’uomo altezzoso che era diventato negli anni. Lei era riuscita a togliere il velo che teneva coperto i suoi sentimenti, quelli che lo rendevano una persona speciale. Nessuna era entrata in lui più di quanto avesse fatto lei in poco tempo. Nessuna era riuscita ad amarlo completamente. Nessuna lo guardava come faceva lei.
Semplicemente nessuna era come lei.
I bagagli furono sistemati sulla vettura, ma Spencer decise di non salirvi. Diede invece disposizioni al cocchiere di condurli a Derwent House.
Lui affittò un cavallo e sulla sua groppa si spinse al galoppo. Corse più veloce che poté, scegliendo il percorso più lungo. Aveva bisogno di prepararsi prima di incontrarla.
Passò, involontariamente, dove un anno prima l’aveva vista sul ciglio del viale, tremante come una piccola foglia. Ricordava ancora il suo sguardo accigliato che lo fece impazzire. Allora dovette prenderlo per matto. Come aveva fatto a non riconoscerla? Ma sembrava un’altra persona.
Non si poteva cancellare il passato, e lei non sarebbe mai più potuta essere sua. Doveva rassegnarsi.
Nel frattempo a Derwent House, Sara venne avvisata da Jack che i bagagli del signor Cavendish erano giunti, ma che lui non era presente.
- Come? – chiese impaurita Sara, temendo quasi che lui non arrivasse.
- Tranquilla Sara – intervenne Elisabeth – è tipico di Spencer. Deve sempre farsi attendere. Arriverà presto –
Trascorsero due ore e di Spencer neppure l’ombra.
Sara rimase a fissare la finestra del salotto con la speranza di riuscire a vederlo da lontano.
- Sara, vieni a sederti. La notizia del suo arrivo ci verrà data da Jack – le disse Elisabeth che stava leggendo un giornale di pettegolezzi.
- Sapevi che lady Stanley è rimasta a Londra? Non la vedrai per un bel po' di tempo – le stava raccontando Elisabeth, ma Sara sembrò non interessarsi minimamente a ciò che le stava dicendo.
- Sara, mi ascolti? – le disse di nuovo Elisabeth, ma Sara continuava a rimanere ferma davanti alla finestra.
- È qui – pronunciò Sara all’improvviso. Parlò con una voce così flebile che costrinse Elisabeth a chiederle cosa stesse dicendo così lei ripeté con tono più alto - Spencer è qui! –
 
Non appena l’imponente Derwent House si mostrò ai suoi occhi il suo cuore cominciò a battere sempre più freneticamente.
Non si fermò davanti l’ingresso, ma proseguì sul retro raggiungendo le stalle. Lì trovò lo stalliere che si preoccupò di sistemare il cavallo e Spencer lo informò che sarebbe dovuto ritornare l’indomani mattina presso la stalla dei Gordon.
Quando entrò in casa nessuno stava lì ad attenderlo. Meglio così pensò tra sé. Da lontano riconobbe Jack, il quale si avvicinò poco dopo.
- Signor Cavendish, siete finalmente arrivato. Benvenuto! –
Dopo le formule di rito, Spencer chiese di vedere suo padre e che quella sera avrebbe mangiato da solo nella propria camera.
Non si sentiva ancora pronto a vederla felicemente sposata con un altro uomo. Quando aveva ricevuto la sua lettera sulle condizioni del padre aveva percepito la sua freddezza. Sicuramente non era felice di incontrarlo e sarebbe stato meglio per lui che quell’incontro fosse rimandato il più tardi possibile. Finalmente entrò nella stanza, in parte al buio e sentì una voce flebile che chiedeva chi fosse entrato.
- Padre sono io, Spencer –
Suo padre stava a letto e a fatica riuscì ad alzarsi, così Spencer lo aiutò a sedersi sulla poltrona e aprì le tende.
- Finalmente sei qui. È così bello rivederti figlio mio, ma ti trovo dimagrito –
Parlarono del più e del meno, risero e si abbracciarono come mai prima d’allora.
Prima di congedarsi, Spencer riuscì a chiedergli – Sara, come sta? –
- Molto bene, è un aiuto prezioso per me –
- Ho capito padre, adesso mi ritirerò nelle mie stanze. Mi sento molto stanco per il lungo viaggio –
Prima di lasciare la stanza suo padre lo fermò – Aspetta! –
Spencer si bloccò con la mano sulla maniglia.
- Non sprecare quest’ultima possibilità per essere veramente felice. Non fare come ho fatto io –
Ma Spencer cosa poteva fare ormai? Nulla.
 
Sara lo vide solo il giorno successivo al suo arrivo. Era dimagrito, ma il suo fascino era rimasto lo stesso. Si sentì accaldata e quasi temeva che potesse sentire il rombo del suo cuore che batteva all’impazzata.
Non credeva di farcela e invece riuscirono addirittura a parlare civilmente. Non era stato affatto scortese, ma gentile e amorevole, come se non fosse accaduto nulla tra loro e si convinse che avrebbe potuto trovare un modo per farsi perdonare.
Un pomeriggio, Sara stava in biblioteca totalmente immersa nella lettura tanto da non udire i passi che si facevano sempre più vicini.
Quando un libro cadde sul pavimento, creando un tonfo assordante, Sara lanciò un gridolino che attirò l’attenzione del nuovo ospite, spingendolo ad oltrepassare lo scaffale pieno di libri. Solo allora Sara vide Spencer che la guardava incuriosito.
 – Perché mi guardate in quel modo? – apparendo brusca – credevo di essere sola –
- Non avete sentito la porta aprirsi? – le domandò scioccamente, visto che era ovvio che non avesse sentito nulla.
Si sentiva in imbarazzo, come non lo era mai stato. Cercò di riprendere il controllo chiedendole cosa stesse facendo tutta sola in quel piccolo angolo della biblioteca, ma anche quella domanda era piuttosto banale visto che poteva capirlo anche da solo e lui stesso era andato lì per lo stesso motivo. Voleva perdersi in qualche lettura piacevole e dimenticare i problemi della sua vita. Dimenticare lei.
Riformulò la domanda nella sua mente e le chiese – Cosa state leggendo? – riferendosi al libro dalla copertina color mattone che Sara aveva tra le mani.
- Jane Eyre di Charlotte Bronte –
- Mmm…non ditemi che avete intenzione di nascondere vostro marito e sposare un altro uomo, come il nostro amato Rochester? –
 Era lì da due settimane e ancora non aveva mai visto James Morrison. Forse era ancora in Italia, o chissà in quale altro angolo della Terra, ma non aveva mai udito parlare Sara di suo marito e inoltre… aveva notato che non aveva al dito la fede, cosa alquanto singolare soprattutto per una fresca sposa. Non era possibile che ancora non fossero sposati, lui stesso lo aveva confermato e aveva letto su alcune copie del Times che il loro matrimonio era stato definito “memorabile” e “inaspettato”.
- Tacete, non sono ancora arrivata a quel punto – rispose Sara, rimanendo particolarmente colpita dalle sue parole che cominciarono a risuonare nella sua testa “nascondere vostro marito”, chi mai avrebbe dovuto nascondere?
- Siete una lumaca, se la memoria non m’inganna quel libro lo stavate leggendo quando eravamo a Londra –
- Non sono stata in vena di letture ultimamente – rispose Sara, quasi risentita.
- Eravate molto impegnata? – disse lui, continuando a stuzzicarla.
- Vostro padre non mi ha dato tregua – diceva il vero. Sara non si lamentava mai, ma quel vecchio brontolone le dava sempre un gran da fare.
- Non vi ho mai ringraziato per tutto ciò che fate per lui – proruppe all’improvviso Spencer.
Sara lo guardò incredula.
- Non dovete, per me è come un padre lo sapete –
Calò il silenzio tra loro e Spencer decise di darle le spalle e andare via.
- Spencer! – lo chiamò Sara, ma quando si voltò a guardarla con occhi pieni d’amore una terza voce si intromise.
- Spencer, sei qui? –
Era Elisabeth che possedeva il dono di materializzarsi nei momenti meno opportuni, così lei non riuscì, neppure quella volta, a dirgli la verità.
 
Trascorse una settimana dopo il loro ultimo incontro e da allora Sara non aveva più avuto la possibilità di rimanere sola con lui.
Spencer sembrava più rilassato di prima, ma sempre restio a stare solo con lei. Un paio di volte, Sara gli aveva proposto di fare una passeggiata, ma aveva sempre una scusa per rimandare.
Spencer comunicò alla famiglia che sarebbe ritornato a Londra per occuparsi dei suoi affari visto che suo padre stava molto meglio, ma un pomeriggio prima della sua partenza, vennero a far visita loro lord e lady Stanley.
Raggiunsero la dimora in carrozza, ma Elisabeth riconobbe immediatamente lo stemma.
- Sta per entrare la lady Stanley, sarà venuta a raccontarti del grande evento che ha coinvolto l’adorabile Caroline negli ultimi mesi – disse lei, rivolgendosi al fratello che incuriosito, richiuse il libro che stava leggendo.
- Di cosa stai parlando? –
Quella domanda stupì Elisabeth, ma Spencer non ne capì il motivo, così la sorella gli rivelò che Caroline si era sposata con James. Lo sguardo di Spencer si posò immediatamente sul volto di Sara che aveva deciso di non dire una sola parola a riguardo, punendo sé stessa per non aver trovato il coraggio di dirglielo prima facendo così la figura della sciocca, o peggio della parte offesa da un uomo senza scrupoli.
Subito dopo si alzò dichiarando di sentirsi stanca.
- Non lo sapevi Spencer? Sara non te ne ha parlato? – chiese Elisabeth avvicinandosi, ma prima che potesse risponderle Jack entrò annunciando gli ospiti.
Quella notte Spencer non era riuscì a dormire, tormentandosi con quella rivelazione. Perché non ne era a conoscenza? E perché James non aveva sposato Sara? Non riuscì a darsi una risposta e aspettò che le luci dell’alba risvegliassero la casa. Doveva parlare con lei.
Giunta mattina Spencer scese in salotto e si avvicinò ad una bottiglia di brandy, ne versò un po' in un bicchiere di cristallo e ne bevve alcuni sorsi. Quando Jack lo avvisò che tutti i suoi bagagli erano stati sistemati sulla vettura accolse la famiglia per il congedo. Fino ad allora non aveva avuto modo di discutere con Sara per saperne di più sulla questione e si rese conto, suo malgrado, che lei non era scesa con il resto della famiglia a salutarlo.
Elisabeth fu la prima ad avvicinarsi, abbracciandolo teneramente, seguita da Georgiana e William, e ovviamente Charles. Suo padre lo salutò per ultimo.
– Torna appena puoi e questa volta non far trascorrere troppo tempo –
- Certo padre, appena avrò sistemato alcune questioni ritornerò da voi. Questa è una promessa –
Suo padre inoltre lo informò che Sara era costretta a letto per un mal di capo e percepì il suo sguardo rammaricato - Ti manda i suoi più cari saluti –
- Farete altrettanto? –
- Certo, figlio mio –
Detto questo, Spencer si avviò verso l’uscita e salì sulla vettura che lo stava attendendo. Non riusciva a credere che per la seconda volta andava via senza vederla, ma forse era meglio così. Poteva solo immaginare quanto avesse sofferto, ora odiava ancora di più James per averla illusa e poi abbandonata. Aveva capito in quella settimana che lei desiderava soltanto esserle amica, non aveva dimostrato nulla che potesse spingerlo a supporre che volesse di più. Doveva rassegnarsi per ora, e forse un giorno sarebbero ritornati amici.
 
Per tutto quel tempo Sara non aveva trovato nessun modo per fargli sapere che non si era più sposata, aveva invece deciso di tacere e ora se ne stava chiusa nella sua stanza a piangere. D’altro canto aveva visto freddezza nei suoi occhi, ma come biasimarlo. Non gli aveva creduto e ormai nulla poteva più fare per cambiare le cose.
Certa che fosse andato via si cambiò di abito, prese la sua mantella e si diresse nella brughiera. Il paesaggio aveva perso quasi del tutto il suo colore verde smeraldo diventando di un giallo dorato e mentre passeggiava gli alberi accompagnavano la sua tristezza con una pioggia di foglie,
Anche quel giorno il sole aveva deciso di nascondersi dietro una nuvola grigia. Sembrava quasi che la natura sapesse cosa stava provando dentro di sé e voleva a suo modo confortarla.
Una lacrima scese sul suo viso, facendo seguito a innumerevoli altre. Quando le fu impossibile piangere oltre, trovò un comodo tronco riverso su cui accomodarsi. Si ripromise che tutto sarebbe stato più semplice da allora e che lei sola avrebbe potuto ricostruire la sua felicità.
A pochi chilometri di distanza, Spencer aspettava che giungesse il treno. Per l’intero tragitto non era riuscito a fare a meno di pensare a Sara. Non poteva lasciare il Derbyshire senza averle detto che non l’aveva affatto dimenticata in quei mesi. Così con un impeto di coraggio prese un cavallo e corse in direzione di Derwent House, quando la vide riposarsi su un tronco. Solo quando era ormai vicinissimo, Sara si rese conto della sua vicinanza.
- Spencer, cosa ci fate qui? – disse alzandosi, e andando verso di lui a passo svelto. Spencer scese da cavallo, e riempì il vuoto che si frapponeva tra di loro con lunghe falcate.
- Non potevo tornare a Londra senza avervi salutato –
Sara lo guardò imbarazzata con le guance infuocate. Si guardò e vide il suo abito sgualcito, rendendosi conto solo allora del suo aspetto trasandato. Chissà cosa stava pensando Spencer in quel momento vedendola così? Si chiese.
Ma lui le disse con voce rotta dall’emozione come se le avesse letto nella mente – Siete bellissima Sara e non m’importa cosa indossiate, a me importa solo di voi –
- Spencer, io…- sperando che quelle parole uscissero dalla sua bocca, ma non fu così. Alla fine riuscì solo a dire – Vi auguro buon viaggio –
Spencer sembrò deluso, forse si aspettava altro, e quando anche lui la salutò, Sara capì che non avrebbe avuto un’altra occasione per dirgli tutto.   
- Spencer, aspettate! Vorrei tanto che sappiate che in questi mesi mi sono sentita un’amica crudele. Ho capito troppo tardi le vostre intenzioni. Voi volevate solo proteggermi quella sera. Spero che possiate perdonarmi un giorno –
Spencer vedendola piangere sentì un’improvvisa stretta allo stomaco e si riavvicinò a lei abbracciandola, stringendola forte fra le sue braccia. Non poteva credere che lei stesse implorando il suo perdono?
- Anche io ho tanto da farmi perdonare. Sono stato un vero stupido a cedere alle lusinghe di Juliette – le disse lui tenendola stretta a sé.
- Vi perdono, ma sono stata troppo ingiusta con voi. Vi ho trattato come se foste la persona peggiore su questa terra, invece mi sbagliavo –
Spencer rimase in silenzio mentre ascoltava la sua dolce voce interrotta da singhiozzi. All’improvviso gli disse - Devo ringraziare voi soltanto per avermi salvato da un matrimonio che mi avrebbe reso infelice –
Spencer si scostò da lei per guardarla in viso e la baciò. Un bacio dolce e lento. L’incontro delle loro lingue fu una vera esplosione di piacere. Si intrecciarono, l’una nell’altra delicatamente, danzando all’unisono.
Spinse il corpo di lei contro il suo, tenendola ferma tra le sue braccia e impedendole di muoversi. Non era la prima volta che la baciava, ma quello era un bacio diverso, voluto e sperato da entrambi.
Lei, mentre lo baciava, scoppiò in lacrime e gli disse stando ancora sulle sue labbra
– Ti amo Spencer – quelle parole lo fecero andare fuori di testa, spingendo ancora di più la sua lingua nella calda bocca di lei e all’improvviso quel bacio si tramutò in un vortice di lussuria e di desiderio. Non sarebbe riuscito ad aspettare ancora, la voleva lì in quel momento. Ad un certo punto, Sara si fermò e lui ebbe paura che quello fosse solo un magico sogno.
- Spencer devi dirmi che mi perdoni, non riuscirei a sopravvivere se ti allontanassi di nuovo da me –
- Non lo permetterò mai più, oh mia dolce Sara. Mai più. Ti amo come non ho mai amato nessuna, sei mia e di nessun altro –
Sara strinse forte le sue braccia intorno al suo collo, felice come quando era una bambina.
- Non ho potuto sposare James, non lo amavo e quando ho saputo che aveva cercato di separarci sono andata su tutte le furie. Mi sembra impossibile ammetterlo, ma devo ringraziare Juliette –
Spencer non riusciva a credere a quella confessione. Juliette sapeva come sorprenderlo ogni volta.
- Dovevo crederti appena me lo hai detto – disse Sara dispiaciuta.
- Non importa cosa sia successo, basta che stiamo insieme. Quell’uomo è stato crudele, non ha avuto il coraggio di dirmi che lo avevi lasciato, vigliacco! –
Sara lo guardò senza capire, ma Spencer le spiegò di averlo incontrato durante il suo soggiorno in Italia.
- Mi dispiace per Caroline, non meritava un uomo simile nonostante il suo carattere –
- Cosa intendi amore mio? -
Sara gli raccontò tutto.
- Non posso crederci. Ma che razza di persona è diventato – Spencer non riusciva a credere che fosse arrivato a tanto. Lui stesso aveva ipotizzato che William fosse suo figlio, preferendo non immischiarsi in quella faccenda. Ma arrivare a minacciare una persona che si diceva di amare era troppo anche per lui.
- Non deve importarci più, adesso siamo insieme – gli disse lei tornandolo a baciare.
- Sara devi sposarmi, io non posso vivere senza di te – le disse disperato, prendendole la testa fra le mani. Sara non rispose, ma si gettò fra le sue braccia e Spencer capì che anche lei voleva ciò che desiderava lui.
Tra un bacio e un altro le disse – Sara ho bisogno di te, di essere dentro di te, non posso aspettare. Ho aspettato già troppo a lungo –
Sara capì a cosa facesse riferimento e anche lei lo voleva. Spencer la condusse nel vecchio capanno di famiglia, dove un tempo altre due anime avevano conosciuto la grandezza dell’amore. John e Lily.
Era malmesso, ma Sara lo trovò ugualmente perfetto per quello che da lì a poco avrebbe fatto con l’uomo della sua vita.
- Vieni Sara – indicando un mucchio di paglia secca sul lato sinistro del capanno.
- Venivo qui da ragazzo. Era il covo delle mie marachelle –
La fece sorridere. Ritornò a tanti anni indietro, quando odiava quell’uomo, quando aveva promesso che non si sarebbe lasciata ingannare da quegli occhi blu cielo, mentre adesso…
Spencer la prese per la vita attirandola a sé, e cominciò a baciarla di nuovo. Sulle labbra, sul collo, sulla clavicola.
– Come ho fatto a non accorgermi di te prima – le disse e Sara rispose, solo dopo un lungo bacio.
- Sei stato troppo occupato ad osservare altrove – prendendolo in giro come faceva di solito.
- Invece la felicità era a portata di mano – disse a occhi chiusi, continuando a baciarla in modo sempre più avvolgente, sempre più intimo.
- Spencer, forse dovremmo andarci piano, io…- disse lei, lasciando la frase a metà, ma Spencer seppe come calmare le sue più intime paure.
- So che per te sarà un’esperienza del tutto nuova, ma sono sicuro che ti piacerà. Non ti farò del male Sara –
- Non temo per me – ribatté subito Sara – ma per te –
In che modo lei gli avrebbe fatto del male, se era proprio ciò di cui aveva bisogno?
- Temo di non essere in grado di darti piacere –
Spencer scoppiò in una risata - Sei una sciocca se pensi questo amore mio, non sai quanto io ti desideri – le disse rannicchiandosi con lei su un mucchio di paglia - tu non sei come tutte le altre donne che hanno condiviso il mio letto. Tu sei speciale. Sei l’unica donna che io abbia mai amato –
Sara credette alle sue parole. Cecamente.
Spencer la sentì più rilassata, così le cominciò a sbottonare quei piccoli bottoncini che le tenevano chiuso l’abito dietro la schiena, poi sciolse il nodo della crinolina. Finalmente poté godere del suo corpo avvolto in una biancheria trasparente.
Molto lentamente si scostò da lei, si tolse la giacca e infine la camicia. Si rese conto che il respiro di Sara si faceva sempre più ansimante.
- Non hai mai visto un uomo nella sua nudità? –
Sara annuì. Non si sarebbe mai immaginata che un corpo maschile fosse così attraente. O solo Spencer lo era?
- Come mi trovi? - le chiese incuriosito, senza smettere di guardarla.
- Siete…sembri perfetto –
- Vuoi toccare? –
Prese le sue mani e le potò sul petto. Fece scivolare le sue dita affusolate fino al bordo dei calzoni leggermente sbottonati da cui fuoriuscivano alcuni peli pubici biondo dorati e il respiro di Sara si bloccò non appena li sfiorò. In quello stesso momento apparse, sotto i calzoni, una protuberanza. Sara capì subito di cosa si trattasse, ma non aveva idea di come fosse realmente.
Lo vide contorcersi e questo le provocò uno strano desiderio, diverso da tutte le altre volte. In quel momento sentì di desiderare qualcosa che non conosceva e sapeva anche che la sua voglia sarebbe stata soddisfatta. Lui si chinò in avanti e posò le labbra sulla fronte di lei, fino a scendere sulle labbra dove la baciò teneramente, poi continuò a scendere giù per il collo raggiungendo la clavicola.
La riempì di baci facendola fremere sotto il suo tocco esperto e i suoi baci la eccitavano. Quando si staccò da lei, Spencer si rese conto dai suoi occhi che ne voleva ancora.
Sara aveva bisogno di lui come lui aveva bisogno di lei.
Piano, Spencer le scostò dalle spalle la camicia di seta che la copriva interamente e fece emergere i suoi morbidi seni. Erano proprio come li aveva immaginati, sodi e prosperosi. Affondò nuovamente sulla sua pelle, ma questa volta non perse tempo.
Cominciò a stuzzicarle i capezzoli turgidi, provocando in lei un piacere intenso che sfociò nel suo primo grido d’eccitazione.
I suoi mugolii non smisero di risuonare nelle orecchie di Spencer che non riusciva più trattenere la sua erezione chiusa nei pantaloni.
Quando finalmente si liberò di ogni indumento, Sara lo guardò entusiasta. Non riusciva a immaginare che fosse così. Si disse che in fondo non era nulla di spaventoso, e se avesse soddisfatto i suoi desideri allora non c’era nulla da temere.
- Prima di entrare dentro di te, lascia che ti prepari – le disse, ma Sara non riusciva ad immaginare a cosa si riferisse, ma poco dopo lo scoprì e quell’idea che le dapprima le era sembrata strana le divenne subito dopo piacevole.
Lo vide tra le sue cosce e poi si sentì mordicchiare la pelle morbida e scendere sempre di più fino al suo bocciolo, dischiuso solo per lui.
Ci volle un po' affinché si abituasse, ma capì che non ne avrebbe più fatto a meno. All’improvviso sentì qualcosa penetrarla, e balzò improvvisamente.
- Tranquilla, non sono ancora entrato del tutto. Rilassati – disse guardandola negli occhi.
Ricominciò a baciarla.
- Sara – le disse ansimante Spencer – sei pronta? –
Sara annuì, non sapendo però a cosa.
- Cercherò di non farti male e di farti godere la nostra unione –
Sara si irrigidì, rendendo più difficile il suo ingresso.
- Sara, rilassati – le disse di nuovo – guardami negli occhi. Lo faremo insieme –
Sara percepì che l’amore che quell’uomo provava per lei era immenso e una lacrima le cadde sul viso.
- Ti sto facendo male? – le chiese in preda al timore che stesse correndo troppo.
Sara scosse la testa.
- Sono felice, felice che tu sia qui –
- Non andrò mai più da nessuna parte amore mio, e adesso sarai mia per sempre –
- E tu mio –
Molto lentamente Spencer entrò in lei, e questa volta Sara si tirò indietro di scatto, cercando di afferrare qualcosa. Le spinte divennero sempre più veloci, acquisendo un ritmo regolare. Le loro voci si unirono in una sola, intonando un canto d’amore.
Spencer non aveva mai provato quella sensazione di calore che gli arrivava fino al cuore. Quella donna lo aveva stregato e non avrebbe mai più potuto fare a meno di lei. Capì che l’amava alla follia.
Lui tornò a baciarla, con procace desiderio, esplorando la sua bocca con la lingua e procurandole piacere. Entrambi sentirono crescere l’estasi, fino a che non esplosero all’unisono. Coronando così il proprio amore.
Rimasero l’uno nell’altra per alcuni lunghi istanti finché i loro respiri non si placarono.
Si staccò da lei quel poco da poter vedere il suo dolce viso mentre con la mano libera accarezzò i tratti del suo viso accalorato. Con il pollice allargò il suo labbro inferiore, spingendosi nuovamente dentro la sua bocca con la lingua.
Fu un lungo bacio, un bacio che reclamava ancora il suo corpo per placare un nuovo desiderio che sopraggiungeva.
- Com’è stato, amore mio? – provò a chiederle in preda alla curiosità. Credeva che le fosse piaciuto tanto quanto lui, ma forse poteva sbagliarsi.
- È stato…è stato bellissimo, non lo immaginavo così –
- E ogni volta sarà diverso, sarà più bello –
Sara lo baciò di nuovo, prendendo l’iniziativa per la prima volta. Spencer la spinse su di sé.
Prese il suo viso tra le mani e le pronunciò le seguenti parole – Sara Wood non ti lascerò mai più, io e te siamo una sola persona. Ti amo e ti amerò per tutta la vita –
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


 
Finalmente per la prima volta dopo tanto tempo, Sara era davvero felice. Spencer le aveva detto che avrebbe parlato con lord Cavendish per chiedergli il permesso di sposarla.
Per tutti era stata una sorpresa rivederlo a Derwent House, ma non per il duca che aveva immaginato il motivo del suo ritorno. Sara era in preda all’ansia, sperò che il duca fosse magnanimo con loro e non ostacolasse il loro sogno d’amore.
- Sara vedrai che andrà tutto bene. Mio padre non si opporrà di certo – le disse Elisabeth cercando di calmare i suoi nervi.
Dopo pochi minuti, Spencer uscì dallo studio dove si trovava il duca, e quando gli si avvicinò lui le disse che non poteva rivelarle nulla, ma che sarebbe stato lord Cavendish stesso a darle la notizia.
Sara entrò esitante nella stanza, quasi senza fare rumore.
- Sara, avvicinatevi alla scrivania –
Di fronte al duca, Sara sembrava impotente ed esitante. Tremava come una foglia, pronta a ricevere una risposta negativa.
Il duca si alzò e le andò incontro.
– Sara, sapete che vi voglio bene, non vi ho mai fatto mancare nulla, ma quello che mi state chiedendo… –
- Vi prego, lo so che non era quello che speravate per me e Spencer, ma è stato più forte di noi. Ci amiamo così tanto e abbiamo sprecato fin troppo tempo –
- Shh. Comprendo perfettamente ciò che state provando, quali sono i sentimenti che si agitano dentro di voi, e seppure non sia ciò che la società si aspetti da Spencer, sarò lieto di darvi la mia benedizione –
Gli occhi di Sara cominciarono a brillare e sormontando le regole della buona educazione, gli si gettò fra le braccia come quando era bambina, esprimendo parole di ringraziamento.
- Suvvia Sara, non avrete mica pensato che mi rifiutassi? –
Vergognandosi, Sara ammise che era proprio ciò che temeva, ma lord Cavendish l’ammonì affettuosamente.
- Non avrei mai potuto ostacolarvi, anche se devo confessarvi di essere stato sorpreso quando ho capito che Spencer era innamorato di voi –
- Neanche noi ci siamo resi conto e per questo abbiamo fatto tanti errori, privandoci di vivere questo sogno molto prima –
Il duca le accarezzò una guancia, rivedendo in lei sua madre. Se solo quella volta anche lei avesse accettato di sposarlo, sarebbe andato tutto diversamente, ma il destino era stato contrario. Quando Sara uscì dallo studio, Spencer l’attendeva in preda all’ansia. Sapeva cosa le avrebbe detto suo padre, ma temeva che lei potesse aver cambiato idea. Aveva troppa paura che qualcosa andasse contro il loro amore. Ma non appena lo vide Sara lo strinse a sé.
Adesso sarebbero stati felici.
Decisero che le nozze si sarebbero celebrate la settimana successiva, lì a Derwent House, dove tutto era cominciato.
Più tardi Spencer condusse Sara nella sala da musica, dove lei suonò per lui.
- Quando ti sei reso conto di essere innamorato di me? – gli chiese Sara incuriosita.
- Il giorno in cui sono ritornato a Derwent House, quando per poco non ti stavamo travolgendo con la carrozza –
- Ricordo bene, sono stata fortunata –
- Ogni giorno mi convincevo che fosse solo una semplice infatuazione, ma…-
. Vi sbagliavate –
Spencer annuì con un sorriso.
– Io mi sono resa conto dei miei sentimenti dopo il nostro primo bacio. Più passavano i giorni e più mi capivo che nessuno mi avrebbe mai fatto sentire così, ma non credevo di essere ricambiata –
- Per quale motivo? –
- Conoscevo i tuoi obblighi, ed io non sono certo la donna giusta per te -
- Invece sei tu l’unica donna per me – disse sorridendo – e cosa ti ha fatto innamorare di me? – le chiese ancora Spencer ma con un tono più deciso mentre si avvicinò a lei, tanto da poterle sfiorare il viso.
- Ho visto in te qualcosa che prima non c’era, ho visto un uomo che voleva essere salvato. Gli occhi sono lo specchio dell’anima sai? Ma vedo che ora non è più inquieta, ora splende –
- Sei tu che mi illumini con il tuo bagliore, sei tu la ragione della mia esistenza. Nessuna donna mi ha mai fatto sentire così bene con me stesso e con il mondo come fai tu –
 
Quella notte, Spencer si recò nella camera di Sara e fecero ancora una volta l’amore, infine si addormentarono accucciolati l’uno nell’altra in un tenero abbraccio.
Per la prima volta dopo tanto tempo furono veramente felici, ma quella quiete non sarebbe destinata a rimanere tale per molto.
Derwent House era avvolta nella notte buia, tutti i suoi ospiti dormivano tranquilli nella morsa di Morfeo. Solo un uomo era ancora sveglio.
Il duca di Devonshire, John Cavendish, si trovava nel suo studio, luogo di tanti ricordi. Non avrebbe mai potuto dimenticare lo scontro avuto con suo padre tanti anni fa, quando era solo un giovane uomo perdutamente innamorato di una della più belle donne che avesse mai conosciuto.
- Non sposerai mai quella poveraccia! Va solo in cerca di una posizione e io non ti permetterò di rovinare il nome dei Cavendish –
Non la sposerai mai gli aveva detto, e così era stato. Lily aveva rifiutato la sua proposta, forse perché era consapevole che suo padre non l’avrebbe mai accettata in famiglia. Allora aveva creduto a quella ipotesi, ma col tempo aveva compreso le sue vere ragioni e ancora adesso non riusciva a perdonarsi le pene che le aveva fatto patire. Se si fosse opposto a suo padre, se avesse insistito invece di arrendersi al primo rifiuto, Lily starebbe lì con lui.
Aveva invece riversato la sua collera e la sua sofferenza su Grace, l’aveva odiata con tutto sé stesso come se la colpa della sua infelicità fosse sua. Non meritava ciò che le aveva fatto. Quella povera donna era stata costretta a sopportare i suoi capricci per non essere riuscito a combattere contro il vero nemico. Sé stesso.
Quando aveva saputo della morte di Lily, era stato tentato dal desiderio di accogliere in casa sua quella piccola bambina, frutto di un terribile evento, ma suo padre glielo impedì e solo quando anche Edward, il suo povero fratello, era morto aveva trovato il coraggio di prendersi cura di Sara. Per fortuna per allora era ormai il duca e nessuno avrebbe potuto impedirgli di prendere le proprie decisioni.
Si continuava a flagellare per non aver dato ascolto ai suoi sentimenti, ma al pensiero della donna che era diventata Sara, il suo cuore si riempì d’orgoglio. Lei era l’essenza del suo amore per Lily e la luce nei suoi giorni bui.
Sapeva che il tempo che gli rimaneva su questa terra era ormai agli sgoccioli, ma almeno lasciava i suoi figli con una vita piena di gioia.
Elisabeth era stata a lungo una donna viziata ed egoista, ma adesso era una persona nuova e aveva una splendida famiglia. Con Spencer il rapporto era sempre stato difficile, ma grazie a Sara avevano imparato a conoscersi e ad amarsi.
Adesso era pronto a ricongiungersi con la sua amata Lily, il tempo di stare separati era volto al termine. Si sarebbero potuti riabbracciare ed amare come avevano fatto tanti anni prima.
All’improvviso udì una voce. La sua voce.
- Amore mio, è ora che tu venga con me. Ti avevo promesso che un giorno saremo ritornati a sorridere insieme. Ho mantenuto la promessa. Dammi la tua mano –
John quando la vide scoppiò in lacrime, era giovane e bella come quando l’aveva vista l’ultima volta al capanno, mentre guardava i cigni sullo specchio d’acqua. Fece quanto detto dalla sua amata e quando le fu vicino la baciò con passione e desiderio.
- Lily sono qui, devi perdonarmi –
- Ti ho perdonato, tanti anni fa. Ti amo John –
- Ti amo Lily -
 
 
 
Il mattino seguente accolse il risveglio fu animato da un forte temporale che non smetteva di cessare.
Spencer era ancora a letto con Sara. Non gli importava che fosse visto dai domestici. Da lì a pochi giorni sarebbero diventati marito e moglie.
- Buongiorno amore mio – le disse accarezzandole i capelli bruni sciolti sul cuscino.
- È così bello averti qui, accanto a me – gli disse timidamente Sara.
- Sarà così per tutta la vita – si chinò a baciarla teneramente sulle labbra pronte ad accogliere la sua calda lingua.
Con le mani scese giù, sempre di più fino a prendere tra le mani un seno scoperto poi con le dita passò a stuzzicarle i capezzoli turgidi.
- Sei così bella – le disse mentre passava il viso sulla pelle delle spalle nude e inspirò il suo buon profumo di lavanda. Quel profumo che gli risvegliava ogni senso e gli faceva perdere il controllo.
Si spostò sopra di lei, allargandole le gambe e infilandosi tra le cosce poi con il suo membro la penetrò, spingendolo lentamente dentro di lei finché quel movimento non divenne più energico.
Cercò di ritardare il suo orgasmo, aspettando che anche lei fosse pronta, ma non ci riuscì. Quella donna lo eccitava come nessuna, e più facevano l’amore e più quel piccolo angolo di paradiso diventava accogliente, provocando in lui un piacere immenso.
- Mi dispiace – le disse, ma Sara non sembrò capirne il motivo.
Spencer glielo spiegò.
- Non importa, a me basta sentirti –
La baciò di nuovo, ringraziando il Dio che quella donna fosse nata soltanto per lui e per nessun’altro.
Un tuono improvvisamente squarciò nel cielo ombroso e Sara sobbalzò.
- Non ho mai avuto molta paura, ma per qualche strano motivo mi ha fatto sentire irrequieta come se qualcosa stesse accadendo –
- Non preoccuparti - tornando a baciarla.
Caddero nuovamente nel sonno, ma Sara non smise di rigirarsi nel letto e al risveglio qualcosa la turbò, così si alzò e andò in cerca della sua vestaglia, trovandola solo qualche minuto dopo su una sedia. Alene aveva avuto chiare disposizioni di non entrare nella camera finché lei non l’avesse chiamata, quindi era sola. Certo Spencer era nel suo letto, ma dormiva come un ghiro.
Quando entrò nel salotto privato per vedere se la colazione fosse stata portata, si meravigliò quando vide il tavolo ancora disfatto e il camino spento. Qualcosa stava accadendo e lei e Spencer ne erano all’oscuro. Si sentì nel panico, così andò di corsa da lui.
- Spencer, Spencer – urlò invano, poiché era talmente assopito che neanche la campana della chiesa l’avrebbe svegliato.
Tentò ancora una volta, scuotendolo più forte e finalmente aprì i suoi meravigliosi occhi blu.
- Cosa è accaduto Sara, ti senti male? –
- No, Spencer. Sto bene, ma c’è qualcosa di strano –
Spencer le chiese cosa la preoccupasse e lei gli disse che aveva un brutto presentimento.
- Tranquilla, non sarà nulla di cui preoccuparci – ma nello stesso momento Alene entrò nella stanza.
- Signorina Sara! – uscendo subito dopo imbarazzata. Non credeva che Spencer fosse ancora lì.
Sara uscì dalla camera da letto con indosso solo la vestaglia e andò nel piccolo salottino dove Alene le disse che Elisabeth l’attendeva per parlarle di una questione urgente. Pensò al peggio.
Forse era accaduto qualcosa a Georgiana o a William! Oppure…
Lei e Spencer corsero immediatamente nella camera da letto di lord Cavendish, dove Elisabeth li attendeva.
Quando entrarono trovarono il duca steso a letto con indosso l’abito migliore e le palpebre chiuse. Solo dopo pochi istanti Sara si rese conto della presenza del reverendo.
- No! No! – cominciò ad urlare, accasciandosi sul pavimento. Spencer cercò di tirarla su invano, mentre le sue urla coprirono il pesante tuono che cadde lì vicino.
Non riusciva a credere che l’aveva abbandonata. Non lui! Non poteva essere vero, dovevano stare insieme ancora per molto tempo.
Era così pallido in volto, tanto da sembrarle una statua di marmo. Non poteva trattarsi di lui, non dell’uomo che aveva amato come un padre.
- Perché siete andato via senza dirmi nulla. Perché? - ma nessuna risposta riuscì ad udire. Spencer si avvicinò per allontanarla da quel dolore, ma lei fu restia ad andarsene.
- Devo stare qui accanto a lui. Lasciami! – urlò.
Lui annuì e la fece sedere su una poltrona, mentre si mise alle sue spalle per confortandola. Lei si era presa cura di lui per tutti quegli anni, avevano condiviso tutto e adesso doveva imparare a vivere senza di lui.
Mi mancherai disse nei suoi pensieri, sperando che almeno quelli lo raggiungessero.
Più tardi, Sara si chiuse nella sua camera da sola, continuando a pensare che la vita era stata ingiusta con lei. Le aveva tolto sua madre, l’aveva fatta soffrire per l’uomo che amava e adesso il duca l’abbandonava.
Spencer entrò nella camera silenziosamente.
- Sara devi mangiare, ti ho fatto portare la cena –
- Non ho fame Spencer –
Lui riusciva a gestire il suo dolore, ma vedere lei ridursi in quello stato, era soffocante.
- Sara, guardami – sedendosi sul letto accanto a lei – guardami amore. Mancherà tanto a tutti noi, non sai quanto mancherà a me. Pensare che da poco avevamo trovato il modo per andare d’accordo e lui mi abbandona così – anche Spencer scoppiò finalmente in lacrime.
Era la prima volta che lo vedeva piangere e Sara asciugò quelle lacrime con le sue labbra, tenendolo stretto fra le braccia.
- Lui starà sempre con noi. È così Spencer? –
- Sempre Sara. Veglierà su tutti noi –
Rimasero abbracciati a lungo, trovando la forza l’uno nell’altra.
La loro vita, da quel momento, sarebbe cambiata per sempre.
 
Le nozze furono rimandate al mese seguente, anche se molti avevano avuto da ridire.
Derwent House era un po' più silenziosa da quando il duca era scomparso, ma si cercava di andare avanti. La signora Wood si era trasferita lì con suo marito, per aiutare Sara e Spencer nella preparazione del matrimonio. Anche Elisabeth aveva deciso di rimanere con i propri figli e a breve sarebbe andata a Londra con Sara per acquistare l’abito da Sposa.
In quell’occasione Spencer decise di occuparsi dei suoi affari, che erano decisamente aumentati con la sua nomina a duca di Devonshire.
Per la prima volta Sara si sentì amata e dall’affetto dei suoi cari trovava la forza per superare quel tremendo lutto, ma c’era una persona che le mancava profondamente. Amanda.
Dopo il funerale l’amica aveva cercato di starle accanto per confortarla, ma lei era ancora restia per aver contribuito alla sua sofferenza, ma adesso sentiva il desiderio di riabbracciarla e condividere le sue gioie con lei. Così si recò al suo appartamento. Appena la vide, la signora Taylor l’accolse a braccia aperte. Parlarono del più e del meno, quando finalmente la signora Taylor si complimentò con lei.
- Devo dirvi Sara, non credevo fosse vero! Non mi sarei mai immaginata che il signor, oh dovete scusarmi lord Cavendish, si sarebbe mai deciso a sposarsi e soprattutto non avrei mai creduto possibile che voi, carissima Sara ve ne sareste invaghita –
Le faceva ancora uno strano effetto sentir chiamare Spencer con il titolo di duca
- Anche per me è stata una sorpresa. Forse l’ho sempre saputo, ma non me ne sono mai resa conto –
Finalmente Amanda entrò e i coniugi Taylor trovarono una banale scusa per lasciarle sole.
- Sara ti trovo molto bene –
- Anche tu sei meravigliosa, come sempre –
Rotto l’imbarazzo iniziale ritrovarono la loro sintonia e il passato sparì in un istante. Amanda trovò il coraggio di rinnovare le sue scuse, pur sapendo di rattristare l’amica con quei ricordi.
- Sara mi dispiace tanto per quello che ti ho fatto. Non avrei dovuto nascondere le lettere, non ne avevo il diritto –
- Devi stare tranquilla, ho capito che lo hai fatto per il mio bene, anche se da oggi dovrai essere sempre sincera con me –
Amanda si alzò dalla poltrona di broccato oro e si sedette accanto a Sara sul divanetto dove si abbracciarono teneramente ed entrambe scoppiarono in lacrime come due ragazzine.
- Mi sei mancata Sara –
- Anche tu –
 
Il giorno in cui Sara e Spencer convolarono a nozze, parenti e amici si radunarono a Derwent House per festeggiare insieme al neo duca e la sua duchessa. Dopo la cerimonia religiosa nella cappella di famiglia, un corposo banchetto diede il benvenuto ai sposi novelli.
Dopo il ricevimento, Spencer condusse Sara nel vecchio capanno, dove si erano amati la prima volta.
- Perché mi ha portato qui Spencer? – ma lui non rispose subito e tenendola per mano la condusse di fronte al fiume Derwent.
- Perché siamo qui? – ripeté Sara, ma anche a quella domanda non ci fu risposta o almeno non subito.
La fece sedere comodamente sulla riva.
- Siediti amore mio, devo raccontarti una storia –
Sara incuriosita obbedì e lo stesso fece anche lui, sedendosi accanto a lei.
- Ti ho portata qui perché tanto tempo fa questo luogo è stato teatro di una grande storia d’amore. Una storia che adesso hai diritto di conoscere anche tu Sara –
Suo padre non c’era più e quindi la promessa era spezzata. Adesso Sara poteva conoscere tutta la verità sul suo passato.
- Avevo promesso di non dirtelo finché non fosse andato via per sempre, ma ora che ho mantenuto fede a quella promessa, posso dirtelo Sara. Mio padre era innamorato di Lily, tua madre –
Sara rimase a guardarlo in modo glaciale e con gli occhi che si riempivano di lacrime.
 – Non è vero, non è possibile – disse con voce flebile.
- Sara, saputo che zio Edward non era riuscito a sopravvivere alla guerra, mio padre ti rintracciò e corse a Londra per prendersi cura di te. Mio nonno ha impedito che sposasse tua madre, convincendola a rifiutare la proposta di matrimonio. Questo ha causato tanto dolore in John che si è sposato con la prima donna disponibile e per tutta la vita ha sofferto per questo amore. Mia madre non ha mai potuto volerti bene, perché credo che sapesse a verità –
Allora Sara si ricordò delle parole di lady Cavendish. Era questo che aveva cercato di dirle sul letto di morte?
- Mio padre si è distrutto di dolore per non aver salvato te e tua madre quando eravate in difficoltà, non ha avuto il coraggio di opporsi a suo padre e alla società. Tu per lui sei stata davvero come una figlia, perché gli ricordavi l’amore della sua vita –
Sara, tremante, rifletté sulle parole di Spencer. Non riusciva a credere che il vero motivo per cui John Cavendish l’avesse accolta in casa sua era che amava sua madre come lei amava Spencer.
- Prendi, questa devi tenerla tu –
Spencer le mostrò una lettera che lei prese e un attimo dopo si allontanò. Aveva rispettato le volontà del padre ed ora toccava a lei decidere se aprire o meno quella lettera.
 
Rimasta sola, Sara continuò a fissare quel pezzo di carta che teneva fra le mani, stringendolo forte. Ciò che le aveva appena detto Spencer aveva dell’incredibile, non avrebbe mai potuto immaginare che lord Cavendish fosse stato innamorato di sua madre e che per amor suo si era spinto ad adottarla.
Perché, se l’amava tanto, non le aveva mai parlato di Lily, pur sapendo che lei aveva sempre cercato di sapere qualcosa su sua madre? Sara non riusciva a spiegarsi il motivo che lo aveva spinto a tenere tutto dentro di sé. Forse la risposta era in quella lettera, così si decise di aprirla.
La carta era ingiallita, l’inchiostro leggermente sbiadito e l’odore del tempo inebriò i suoi sensi. Era la prima volta che vedeva la scrittura di sua madre e il cuore cominciò a palpitare freneticamente. La curiosità la spinse a leggere, con la consapevolezza che attraverso quelle parole avrebbe conosciuto una parte segreta di sua madre.
 
Caro John,
sono stata lieta di averti rivisto questo pomeriggio. Mi sei sembrato diverso, forse per colpa del tempo, ma nello sguardo ho riconosciuto lo stesso ragazzo di sempre. Il mio migliore amico.
Mi è dispiaciuto sapere quello che pensi di me, io per te ci sono sempre stata e sappi che ci sarò anche in futuro. È per questo che ho deciso di scriverti.
La mia decisione di lasciarti e di rifiutare la tua proposta di matrimonio è stata dettata solo dal mio bene per te, ma è ora che tu sappia la verità!
Tu sei stata l’unica persona che mi abbia davvero capita e amata sinceramente e anche io ti amavo, tanto.
Quando sei venuto a dirmi che avresti voluto sposarmi, il mio cuore ha cominciato a palpitare per la felicità e per la sofferenza che ti avrei inflitto, ma sono stata costretta a reprimere il mio entusiasmo e devi credermi se ti dico che ho dovuto lottare contro me stessa per poter trovare la forza di rifiutare. Ho dovuto promettere che ti avrei lasciato sposare la donna giusta. Quando tuo padre ha capito che potevo essere una minaccia per te e il tuo futuro, ha deciso di parlarmi. Credimi, ho cercato di fuggire alle sue minacce, ma avrebbe potuto rovinare la tua vita. Tu meritavi di diventare duca.
Per questo ho deciso di allontanarmi, compiendo lo sbaglio più grande che avrei mai potuto fare. Non avrei mai dovuto perderti, se non fossi stata tanto debole oggi avremo potuto essere marito e moglie, e Sara sarebbe stata nostra.
Devi sapere che ti ho amato tanto e che nei mesi in cui sono stata distante, non ho fatto altro che pensare a te, amare te soltanto. E solo ora trovo il coraggio di dirtelo di nuovo. Ti amo John, ti amo come non ho mai amato nessun altro prima d’ora.
Devi sapere che ho deciso di sposare Edward, è un uomo gentile e premuroso e si prenderà cura di mia figlia.
Non sono come tanti mi decantano, sono una donna fragile che ha paura della vita. Non sono stata io a cercare la mia sciagura, quell’uomo mi ha presa come se fossi un’animale, procurandosi piacere con il mio corpo, assalendomi senza il mio permesso.
 
Sara mise giù la lettera in preda allo sconforto e alla rabbia. Odiava tutte quelle persone che avevano parlato male di sua madre.
Nessuno l’aveva mai capita.
Adesso sapeva chi era Lily Wood, ed era fiera di essere sua figlia.
Raccolse un lungo respiro e riprese a leggere le ultime righe.
 
Voglio solo dimenticare quella brutta notte, ma sappi che sono riuscita a sopravvivere in questi mesi solo grazie all’amore che provo per te.
In questa vita abbiamo goduto solo di un breve attimo di felicità, ma sono sicura che avremo una seconda possibilità e attendo con esitazione che avvenga quel momento.
Ti aspetterò per sempre.
Spero tu possa perdonarmi, per aver deciso il nostro futuro e per non aver avuto il coraggio di essere felice con te.
So che ti chiederò troppo, ma devi promettermi che se accadrà qualcosa a me o ad Edward ti prenderai cura di Sara e che le porterai sempre rispetto.
Sei un uomo buono e saggio e so che rispetterai la mia richiesta.
Non ho altro da dirti, tranne che augurarti una vita felice e piena.
Addio, amore mio.
Tua Lily 
 
Le lacrime sgorgarono come un fiume in piena sciogliendo il suo trucco leggero. Ora capiva perché il duca l’amava così tanto, al pari dei suoi stessi figli.
J.C. le iniziali della collana. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Era lui l’amore di gioventù di sua madre. Ecco svelato il mistero. Comprese che nella vita nulla era lasciato al caos, ma tutto era collegato secondo un disegno divino.
Avrebbe voluto saperlo prima. Avrebbe voluto ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lei.
Spencer si avvicinò e quando lo vide Sara si gettò fra le sue braccia - Da quanto tempo lo sapevi? –
- Da prima che partissi per l’Italia. È stato lui a spronarmi a non rinunciare ai miei sentimenti. A non rinunciare a te –
- Perché non voleva che lo sapessi? – si chiese ancora lei.
- Perché temeva che lo avresti giudicato male per aver abbandonato tua madre –
Stupidaggini! Lo amava più di prima.
- Non penso affatto che sia stato per una sua volontà, semplicemente non ha potuto. Penso solo che non stati fortunati come noi –
Sara annuì.
- Ti amo Sara – le disse, per poi baciarla con passione.
- Ti amo anche io Spencer –
 
 

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


 
- Spencer, dove sei finito? – lo chiamò Sara in preda al panico, senza trovare suo marito da nessuna parte.
Era ormai sera e gli ospiti erano giunti presso la loro casa di Londra per festeggiare la nomina di Lord Cancelliere di Spencer. Si trattava di un avvenimento senza pari che avrebbe messo la sua famiglia al centro dell’attenzione di tutte e tutti. Sara non era abituata a gestire tutte quelle persone, per questo era andata alla ricerca del marito.
Quando finalmente lo trovò nella nursery, stava quasi per dirgli che era un uomo ingrato verso di lei e quelle persone accorse per congratularsi con lui, ma quando lo vide con i loro figli in braccio, Sara si sciolse.
John e Lily erano giunti in un freddo dicembre, rompendo quel silenzio con un pianto acuto. La gravidanza era stata difficile e il parto insostenibile, ma c’era riuscita. Due bambini in una volta sola!
Il medico le disse alla fine del parto che era stata coraggiosa e che aveva dato alla luce due creature straordinarie.
- Cosa ci fai qui tesoro, ti sto cercando per tutta casa. Chissà gli ospiti cosa penseranno della nostra scomparsa –
- Lascia che pensino ciò che vogliono – senza smettere di guardare quei due fagottini che dormivano beatamente tra le sue braccia.
Sara si avvicinò a loro e porse un bacio sulla fronte di Lily e poi su quella di John.
- Sono i nostri figli, la prova del nostro amore – gli disse Spencer avvicinando la bocca alla sua e baciandola.
- Aiutami a metterli nelle loro culle –
Sara prese in braccio John e lo portò nella sua culletta di pizzo bianco, mentre Spencer sistemò Lily.
- Andiamo? – disse sorridente alla sua adorata moglie che annuì felicemente.
Quando tornarono nella sala da ballo, l’aria di felicità e spensieratezza li avvolse. Dopo alcuni minuti Sara era di nuovo sola, poiché il marito fu portato via da alcuni gentiluomini.
Sara si guardò intorno e gioì di felicità per la vita che aveva. All’improvviso William Ewart Gladstone, conte di Granville si avvicinò a lei.
Era stato lui il primo a comprendere il grande potenziale di Spencer e a rendere i suoi sogni realtà.
- Lady Cavendish, finalmente vi ho incontrata –
Sorpresa, Sara lo salutò con un inchino – Spero che sia tutto di vostro gradimento, Spencer tiene molto alla vostra considerazione –
- Il duca è molto abile e credo che ci aiuteremo molto in un futuro non molto lontano -
L’uomo era affabile e ben educato, ma c’era qualcosa in lui che la turbava.
La musica iniziò a suonare e il conte le propose di danzare con lui. Sara non poteva certo rifiutare l’invito, anche se avrebbe preferito danzare con suo marito. Indossava un abito troppo seducente che la metteva in forte imbarazzo di fronte a quell’uomo.
Quando furono al centro della sala da ballo tutti si soffermarono ad osservare quella coppia che volteggiava in modo armonioso.
- Non siate in imbarazzo lady Cavendish, non voglio certo approfittare di voi –
Tutti a Londra sapevano che il conte aveva molti appetiti e temeva che potessero crearsi dei pettegolezzi sul suo conto.
- Oh, lord Gladstone non sono certamente una ragazzina, non mi faccio prendere dalle mie emozioni –
- Siete arguta lady Cavendish e colgo in voi una scintilla particolare. Siete una donna forte e sicura, la moglie ideale. Spencer è molto fortunato –
Sara colse nella sua voce un tentennio, come se fosse emozionato. Eppure conosceva a malapena quell’uomo, quella era la terza volta che lo incontrava. Finalmente arrivò Spencer che si avvinò alla coppia.
- Gladstone siete qui? Vi stavamo cercando per bere un po' di brandy – disse all’uomo che ancora teneva tra le sue braccia Sara.
- Adesso vi lascio soli, raggiungerò gli altri e se non dovessimo vederci vi aspetterò in parlamento, abbiamo tanto di cui parlare -
Quando finalmente furono soli, Spencer le chiese cosa le aveva detto quell’uomo visto che era turbata. Ma lei non gli confessò che aveva la sensazione che quell’uomo la conoscesse più di quanto credevano. Aveva colto qualcosa nella sua figura, una somiglianza che non aveva mai percepito con nessuno prima di allora.
- Nulla Spencer, abbiamo parlato di quanta stima provi nei tuoi confronti –
- Non avrà avanzato delle avance? –
Sara lo sorrise con emozione e ribadì che non era accaduto nulla. Spencer era l’uomo migliore che avesse mai potuto incontrare ed era la parte migliore di lei. Si sarebbero amati per tutta la vita terrena e così anche dopo.
Nesssuno si sarebbe più frapposto tra loro. Erano rinati insieme dalle ceneri e ora erano più forti che mai.
- Tesoro, adesso vorrei andare via e stare sola con te –
- Andiamo allora, non c’è nulla che mi trattenga a questa festa -
- Quindi non credi sia rilevante che la festa sia in tuo onore e in casa nostra? –
Spencer scoppiò a ridere - Sei tu e i nostri figli quello di cui ho bisogno –
Sara lo baciò a lungo sigillando per sempre il loro amore.
 
Qualche ora più tardi, in una vecchia sala da gioco lord Gladstone incontrò una sua vecchia conoscenza.
- Cosa ne pensate? Adesso mi credete? –
Glandstone annuì.
Lui, che non aveva mai avuto figli, provò qualcosa di straordinario. Si sentì improvvisamente protettivo nei confronti di quella ragazza che gli somigliava tanto. Lady Lamb aveva avuto ragione. Era lei, sua figlia, la sua unica erede. Forse un giorno le avrebbe rivelato la verità, le avrebbe raccontato che aveva amato sua madre e per il rifiuto l’aveva aggredita. Forse l’avrebbe capito, o forse no. Ma era deciso, lei sarebbe stata la sua erede e lui si sarebbe occupato di lei e della sua famiglia.
 

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