Inaspettatamente

di bulmasanzo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riconsiderazioni ***
Capitolo 2: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 3: *** La nascita ***
Capitolo 4: *** Tre (quattro) diversi tipi di padri ***



Capitolo 1
*** Riconsiderazioni ***


Peach uscì sul balcone della propria camera, dopo aver spalancato furiosamente la porta finestra.
Era arrabbiata, non riusciva più a sopportare quella situazione.
Era ormai da qualche tempo che Haru-ōji, il suo fidanzato principe del regno di Flower-Koku, era cambiato. Stava diventando insopportabilmente geloso. Era invadente quasi al limite dell'oppressivo. Le chiedeva in continuazione dove andasse, cosa facesse, a che cosa (o meglio a chi) pensasse, la controllava, la seguiva ovunque.
Inizialmente la cosa non le aveva dato troppo fastidio, pensava che in una coppia un minimo di gelosia potesse essere normale, quasi necessaria. Ma un pizzico.
Da quando questa era diventata eccessiva beh, ovviamente non le era più piaciuta. Ed era quello che stava diventando, una ossessione opprimente.
Peach si sentiva inoltre insultata, perché la percepiva come una mancanza di fiducia.

 Mancavano pochi giorni al matrimonio e stava riconsiderando tutto. Voleva veramente sposare quell'uomo? Era questa la vita che voleva davvero?
Il suo comportamento aveva iniziato a non piacerle più dal giorno in cui lei aveva soccorso Mario, precipitato dal cielo dopo la distruzione della sua casa. Peach aveva un grande debito di riconoscenza verso l'idraulico, che l'aveva salvata da un rapimento più di due anni prima, la loro era una grande amicizia, non aveva esitato a portarlo a palazzo per farlo riprendere.
E durante la sua degenza, lo aveva accudito come una brava infermiera…
Le attenzioni rivolte all’idraulico però erano risultate sgradite al principe.
Aveva dato per scontato che lui comprendesse il loro rapporto, ma invece era rimasta delusa perché lo aveva completamente travisato. Le sue accuse erano ovviamente false. Però, a qualcuna di queste non aveva saputo come replicare.

 Sì, era vero, Mario le piaceva, e come poteva non piacerle?
 Fosse stato per lei, i suoi sentimenti per lui sarebbero volentieri andati oltre la semplice amicizia, ma non si sarebbe mai sognata di provare a superare quel confine, semplicemente perché entrambi erano già impegnati e questo lo sapevano tutti. Mario aveva già la sua bella Rosalinda che un giorno sarebbe sicuramente tornata a riprenderselo. Mentre lei aveva Haru.
Lui sapeva che le cose stavano così, eppure osava essere geloso di lei a livelli patologici e, soprattutto, pensava veramente che lei fosse capace di tradirlo.
Questa sua presunzione l'aveva offesa oltre ogni limite.
"Se voglio sposare qualcuno, voglio che questa persona si fidi di me! Mi stai dimostrando il contrario, perciò adesso devo riflettere sulla nostra storia." aveva urlato in faccia al principe, prima di ritirarsi indignata nelle proprie stanze.

 E ora ci stava pensando per davvero. Pensava al matrimonio imminente, rammaricandosi per lo spreco enorme di soldi, di tempo, di energie che ne sarebbe conseguito se avesse deciso di mandare tutto all'aria. Per non parlare del dispiacere che avrebbe dato al proprio padre, che tanto l'aveva pressata per trovarsi finalmente un buon partito…
 Tra tutti i suoi pretendenti, Haru era stato il candidato perfetto finché Mario non era tornato, scatenando le sue infondate gelosie. Non avevano mai avuto altri problemi, erano sempre andati d'accordo. Lo aveva scelto come sposo perché lo aveva trovato galante, simpatico, genuino e divertente. Non lo aveva mai visto prima in quella nuova veste e ora si chiedeva se lo avesse mai conosciuto davvero.
 Si sentiva anche molto sfortunata. Perché non poteva restare nell'illusione? Perché doveva scoprire per forza la sua vera natura?
Nella sua rabbia, Peach si trovò anche a biasimare lo stesso Mario, seppur consapevole del fatto che non avesse colpe per il cambiamento di Haru. Ma se c'era qualcosa da rimproverargli, era sicuramente di essere ricomparso nel momento sbagliato.

 Appoggiata alla ringhiera, Peach guardava sconsolata il giardino che circondava il castello, rimuginando sull'idea che annullare le nozze potesse essere la cosa giusta da fare. Eppure aveva ancora tanti dubbi.
Stava raggiungendo la conclusione che sarebbe stato saggio almeno rimandarle finché Mario non si fosse ripreso quando, improvvisamente, percepì uno spostamento d'aria intorno a lei.
Sollevò lo sguardo e la sua bocca si atteggiò a una piccola 'O' di stupore.
Di fronte a lei, da dietro una nuvola, fece la sua comparsa la nave-flagello di Bowser Koopa.

Si trattava di un galeone volante ed era inconfondibile. La sua gigantesca, maestosa e minacciosa mole riempiva tutto il cielo.
Fissandola, Peach poté vedere un portellone aprirsi sul ventre dell'imbarcazione fluttuante. Ne venne fuori un veicolo molto più piccolo a forma di tazza, con una piccola elica sotto e una faccia da clown dipinta sopra. La clown car discese con grazia e si avvicinò a lei.
Peach era molto colpita, ma la cosa più sorprendente fu constatare di non esserne affatto spaventata, piuttosto ne era affascinata.
"Peach! Ciao!" un giovane e sorridente koopa, dalla testolina sormontata da un pennacchio di capelli blu e due occhi molto spiritati, fece capolino dal veicolo.

 "Larry!" esclamò stupefatta la principessa, riconoscendolo all'istante.
Non si era aspettata di vedere lui, quanto piuttosto suo padre.
 Il piccolo bowserotto si lanciò letteralmente su di lei e le si attaccò come un piccolo koala.
 "Era da tantissimo tempo che volevo venire a trovarti!" le disse con gioia, stringendola forte "Mi sei mancata!"
Peach non poté resistere dal ricambiare il suo affettuoso abbraccio.
Le circostanze in cui la loro amicizia era nata si sarebbero potute definire quantomeno singolari, in quanto era successo proprio durante il famoso rapimento ai suoi danni ad opera dello stesso genitore del piccolo koopa, il quale in tale occasione l'aveva aiutata a fuggire.
"Anche tu mi sei mancato" disse sinceramente.

Una seconda clown car, più grande, discese dalla nave-flagello e li raggiunse. Dentro, c'era proprio Bowser Koopa in persona.
 Peach trattenne il fiato, intimorita, nel fissarlo.
Non era certo la prima volta che lo rivedeva, dopo essere stata liberata dalle segrete della Terra Oscura, ma seppur sapendo che ormai per lei non costituiva più una minaccia, tuttavia non riusciva a impedirsi di avere qualche legittima esitazione, prima di accoglierlo.
 Gli occhi rossi del re scintillavano di avidità, ma allo stesso tempo pareva che lui stesse cercando di frenare i propri entusiasmi. Da come si era impettito, in una maniera così innaturale per uno come lui, si poteva intuire benissimo che stesse sforzandosi di mostrare un'aria dignitosa e un contegno il più possibile nobile. Sembrava anche che avesse cercato di impomatarsi la criniera, senza però aver riscontrato molto successo.
 "Ossequi, mia cara" disse, con la voce gutturale e cavernosa che Peach ricordava tanto bene e che aveva in passato temuto.
 Larry saltò giù dalle sue braccia e la principessa fece un piccolo inchino per ricambiare la cortesia di quel saluto galante.

 "Perdona il mio essere arrivato senza avvisare. Suppongo che tu non sia particolarmente felice di vedermi..." continuò il drago.
"Al contrario" ribatté Peach, che vide gli occhi del suo interlocutore sgranarsi un po' per la sorpresa "Le cose sono cambiate in questi anni e io non ti serbo alcun rancore per quello che è successo" spiegò.

 Ed era vero. Dopo la sconfitta di Bowser e il conseguente ritorno a casa di Peach, il Regno dei Funghi e le Terre Oscure avevano dichiarato una tregua e avviato una lunga serie di negoziazioni che erano di recente culminate nel raggiungimento di alcuni accordi di collaborazione. Ovviamente, ad adottare la linea della diplomazia era stato re George Toadstool, il padre di Peach, il quale saggiamente non aveva ritenuto necessario continuare quella inutile guerra.
La pace era stata dunque firmata ed entrambe le fazioni ne avevano tratto beneficio.
Quello che Peach aveva di fronte non era più dunque un nemico, ma un alleato e un partner commerciale. E in quanto alleati, erano già state numerose le volte in cui avevano avuto modo di rincontrarsi.

Durante tutte quelle volte, Peach aveva avuto modo di assistere a un suo graduale ma radicale cambiamento. L'orribile mostro che l'aveva rapita in passato non c'era praticamente più, si era ridimensionato, si era ingentilito, perdendo la sua aura spaventosa e mostrandosi in qualcosa di molto simile a una umanità che non gli era mai appartenuta.
 "È acqua passata." concluse, fissandolo, quasi sfidandolo. Era consapevole del suo mutamento caratteriale. Ma in fondo al cuore si chiedeva ancora se potesse davvero fidarsi.

Bowser sembrò improvvisamente rilassarsi, abbandonò i toni formali e non poté impedirsi di guardarla con un'aria di ammirazione adorante, seppure sembrasse come frenato.
"Mi fa piacere sentirtelo dire." disse "Mi rammarico molto per i problemi che ti ho procurato in passato, ma credo che possiamo entrambi essere d'accordo sul fatto che sarebbe controproducente rivangare quella brutta storia, soprattutto alla luce dei recenti eventi... Perciò dimentichiamocela."
 La principessa non poteva essere più d’accordo e riscoprì ancora una volta di apprezzare quei nuovi toni gentili nel drago, anche se immaginò che in fondo lottasse contro l'istinto di saltarle addosso; pertanto, decise saggiamente di fare rientro nella propria dimora, per evitare di mostrarsi un bersaglio facile.

"Avete voglia di accomodarvi? Tra pochi minuti la mia domestica avrebbe dovuto comunque servire il tè, se volete potete essere miei ospiti." li invitò, in tono molto cortese.
 "Sìii" esultò Larry "Davvero ci stai invitando?"
"Certamente, lo sto facendo" confermò Peach, sorridendo dolcemente al ragazzino koopa. Larry le era sempre piaciuto più dei suoi fratelli, anche del piccolo Bowser Junior, era il bowserotto con il quale aveva trovato una maggior connessione.
"Servirai anche i biscottini?" azzardò un po' timidamente il koopottolo, e Bowser lo guardò con aria di rimprovero.
 "Ma certamente" fece lei ridacchiando al suo indirizzo "Prendo sempre il mio tè al ciclamino con dei biscotti al burro con goccine di cioccolato. Sono deliziosi, ricetta segreta di nonna Toadstool..."
Un po' frastornato, il re koopa si diede una veloce scrollata, si impettì un'altra volta e insieme al figlioletto la seguì all'interno della sala da tè.
Una volta dentro, si guardò intorno, studiando le pareti rosa e gli arazzi. Sembrava che non fosse molto a proprio agio lì, ma che ci tenesse a fare una bella figura. "Gradevole arredamento" borbottò.

Quando Toadette, la dama di compagnia di Peach, si presentò, la videro sbiancare terrorizzata.
"Va tutto bene" si premurò di tranquillizzarla la ragazza "Servi il tè anche per loro, sono miei ospiti" le ordinò.
La povera micete si avviò, confusa, a obbedire, probabilmente pensando che la sua padrona fosse impazzita ad accogliere quei due così tranquillamente in casa propria.
Ma Peach sapeva cosa stava facendo.

 Da quel momento in poi, qualsiasi tensione si sciolse e pochi minuti dopo Peach e Bowser stavano conversando affabilmente come dei vecchi amici, mentre Larry saltellava in giro, in preda a una scarica di zuccheri dopo aver mangiato qualcuno di quei dolcissimi biscotti decantati poco prima dalla principessa. Era felicissimo di essere lì.
I due adulti ridevano nel vedere l’entusiasmo del bambino, erano allegri e a proprio agio. Peach considerò sorprendente la cosa, erano mesi che, dovendo star dietro alle terribili e spossanti crisi di gelosia di Haru, non si faceva delle risate così spontanee. Era come se il famoso rapimento non fosse mai avvenuto. Era strano, ma anche così naturale.

Bowser raccontò a Peach tutto ciò che era successo dall'ultima volta che si erano visti, le raccontò di come avesse ripreso a viaggiare nello spazio con la nave-flagello, dei luoghi misteriosi che aveva visitato con la sua prole e del modo in cui stesse coinvolgendo i fratelli di Larry nelle sue nuove avventure. Le parlò anche di una persona in particolare, una certa capitan Maple Syrup, una piratessa spaziale che sosteneva di aver assunto per governare la nave-flagello durante i suoi vagabondaggi.
Ci tenne a precisare però che quella donna non gli piaceva, ma che la teneva con sé poiché la rispettava per la sua grande esperienza e abilità. Specificò di essere rimasto single e che aveva infine abbandonato il desiderio di dare una nuova madre ai propri figli, poiché alla fine ciò che aveva capito era che questi non ne desideravano affatto una, o per lo meno quella non era la loro priorità. Ciò che loro stavano cercando di recuperare era il loro rapporto con lui. E Bowser stava finalmente mettendo da parte i sogni di conquista per dedicarsi al lavoro di padre a tempo pieno.

Peach ne fu sollevata e scoprì di ammirarlo sinceramente, in lui vedeva nel concreto una persona nuova. E già lo vedeva con occhi diversi da un tempo.
Ma a un certo punto, si rese conto che forse avrebbe dovuto annunciargli le sue nozze programmate con Haru, cosa che aveva accuratamente evitato di fare per tanti mesi, incerta della sua reazione. Ma questa intenzione restò in sospeso perché effettivamente non aveva ancora preso una decisione in merito.
Mentre stavano lì in salotto, bevendo tè, mangiando biscotti e ridendo tra loro, sull'uscio comparve improvvisamente proprio Haru, nei suoi insopportabilmente ordinati abiti di seta rosa e blu, i capelli verdastri a spazzola e la spada al fianco.

"Peach!" esclamò sconvolto "Cosa sta succedendo? Cosa ci fa quel mostro qui?"
 "Haru" rispose lei di rimando "Gradirei che evitassi di rivolgerti al mio ospite con quel poco riguardoso appellativo"
 "Ospite?" ripeté l'uomo, allibito "Bowser Koopa sarebbe un ospite?"
 "Precisamente" il tono di voce di Peach diventò freddo "Hai qualcosa in contrario?"
 Haru annaspò due o tre volte, sembrava incredulo.
 Poi improvvisamente sbottò: "Oh, ho capito quello che stai facendo!"
"Che cosa?" chiese la ragazza, senza batter ciglio.
"Molto maturo, Peach. Sai, l'età delle ripicche adolescenziali dovrebbe essere passata da un pezzo per te. Stai cercando di farmi irritare perché sei arrabbiata con me... Io secondo te avrei fatto il geloso, quando ho il diritto di esserlo visto che tra poco sarai mia moglie, e tu ti fai trovare insieme a un nemico... Beh, è un tentativo patetico, sappilo!"
Il viso della principessa si imporporò per l'ira "Come ti permetti..." cominciò, ma fu interrotta da una sorta di ruggito rabbioso che proveniva da Bowser, il quale non aveva potuto resistere al tono villano del principe e si era alzato di scatto per fronteggiarlo.
Il drago aveva abbandonato in un attimo la maschera da gentiluomo che aveva indossato fino a quel momento e si erse in tutta la sua mole, sbuffando fumo dalle fauci aguzze.
"Piccola pulce insignificante e maleducata" grugnì "Non sono questi i modi di rivolgersi a una principessa. Fossi in te le chiederei immediatamente scusa."
 Haru si sentì intimidito, ma la sua mano andò come istintivamente ad afferrare la spada al suo fianco. "Come ho detto, questa principessa sarà mia moglie tra qualche giorno e ho il diritto di parlarle come credo." dichiarò ostinatamente.
Bowser fece un passo incontro a lui, guardandolo con un odio palpabile, mentre Larry si stava allarmando e si guardava intorno senza sapere cosa dire.
A questo punto, Peach si alzò decisa e si interpose in mezzo ai due.
 "Non voglio scontri dentro la mia sala da tè" disse, autoritaria.
 "Peach, non capisci che..."cominciò Haru, ma lei lo interruppe subito, decisa a porre fine a tutto.
 "Non ti permettere di dire che io non capisco. In realtà sei tu che non capisci. Ne ho le scatole piene di te. Non sei quello che credevo. Sei fastidioso, presuntuoso e... E ti stai illudendo di poter decidere tu per me! Ma sono IO quella che decide! " ormai aveva perso ogni remora, era partita per opporsi a quell’intollerabile comportamento e non si sarebbe fermata "Ti comunico che il nostro matrimonio è annullato. Non mi importa dell'unificazione dei nostri regni e non mi importa di ciò che dirà mio padre. Voglio che tu te ne vada via."
 "Ma-" tentò lui
 "E intendo ADESSO!" ribadí lei, alzando la voce. Il suo viso si era arrossato per la rabbia.
 Bowser grugnì un'altra volta, soddisfatto, esultando segretamente dentro di sé.

"Seriamente, Peach? Non ti rendi conto che stai sbagliando?" tentò ancora il principe.
 "Non sto sbagliando affatto. In casa mia io accolgo chi voglio e faccio quello che mi pare e tu non sei e non SARAI mai nessuno per impedirmelo!" urlò stavolta la principessa, esasperata "Non farmi ripetere il mio ordine. Vattene!"
"L'hai sentita!" sogghignò Bowser "Vuoi per caso che te lo ripeta io? Posso farlo. Di solito però non ci fanno una bella fine, quelli a cui IO mi rivolgo..." aggiunse con una minaccia velata, sbuffando del fumo nero dalle narici.
"Uh..." fece il principe, risentito, resistendo un altro po', ma infine sembrò arrendersi, rinfoderò la spada, rivolse a tutti i presenti uno sguardo sprezzante e fece dietrofront. "Al diavolo" sbottò, e se ne andò tutto impettito e rigido, doveva essere veramente molto offeso, ma anche probabilmente spaventato.
Quando fu finalmente fuori dalla porta e fuori dalla sua vita, Peach tirò finalmente un grosso respiro. Era agitata ed emozionata. Lo aveva fatto per davvero, lo aveva infine mandato via. Aveva messo in atto la decisione che aveva preso, lo aveva fatto così, su due piedi, senza quasi pensarci e non provava rimorso perché sapeva che era stata la mossa giusta.
 Si sentiva strana, però, su di giri. Stava ansimando, e nella foga si appoggiò con una mano al guscio di Bowser.
"Peach? Ti senti male?" si allarmò questi. Anche Larry assunse la sua stessa espressione.
 "Sto... Bene" fece lei, premendosi una mano sul petto. Sollevò la testa e li guardò, notando vera preoccupazione nei loro occhi. "Ero già sul punto di farlo, volevo mandarlo via, ma non mi aspettavo che sarebbe successo... così" cercò di spiegarsi "Però ora mi sento meglio." sorrise e anche Bowser le sorrise, snudando i denti acuminati.
Larry invece la abbracciò un'altra volta, erano fieri di lei.

Poi Peach sbiancò improvvisamente, ricordando un particolare che fino a quel momento le era sfuggito. "Oh!" fece "Mio padre mi ucciderà… Tutto il regno si aspetta che io mi sposi tra pochi giorni. Come farò a spiegare questa cosa? Deluderò tutti! Povera me!" strillò.
…Ma due secondi dopo, trovò la propria preoccupazione alquanto esilarante e si mise saporitamente a ridere di se stessa.
"Ma forse... Forse non dovrò annullare nulla... Non se trovo subito un altro marito per rimpiazzare quello che ho appena mandato via..." mormorò sollevando leggermente lo sguardo su Bowser, il quale la fissò con tanto di occhi e cominciò ad annaspare e ad andare in confusione.
Intendeva forse dire che...? Ma no, non era possibile. Eppure, non aveva mai visto quell'espressione così stranamente furbesca sul viso soave della principessa.
Guardò Larry, che gli restituì uno sguardo smarrito, incerto.

"Tu puoi aiutarmi" disse Peach.
 "Io?" bofonchiò Bowser, disorientato.
 "Tu sei un re, dico bene? Un tempo io... Ti piacevo" fece lei, innocentemente.
"Sì. Mi piacevi." replicò Bowser "Ma adesso io ho cambiato vita..."
 "E non ti piaccio più?" continuò lei.
 "Ma CERTO che mi piaci ancora!" gridò, scandalizzato, poi crollò "Io... Io non ho mai smesso di amarti! Ho sbagliato in passato, lo so, ora però sono un'altra persona..."
 "L'ho notato!" disse Peach, con una luce molto calda negli occhi e le guance che ora le arrossivano non più per la rabbia, ma per il desiderio "Sei diverso da come eri prima, sei garbato, galante, simpatico e... affascinante. E, soprattutto, sei ancora un re. E io sono una principessa. E ho bisogno di un re. Credevo che il principe che avevo scelto fosse un buon partito per me, ma adesso inizio a vedere le cose in modo molto diverso. È come se si stesse ribaltando tutto. Bowser Koopa... " si inginocchiò improvvisamente di fronte a lui "Vorresti sposarmi tu?"

 Dal fondo della gola del koopa esplose un ruggito di esultanza.
 "È tutto come nei miei sogni più reconditi!" gridò, gli sembrava di essere veramente all'interno di un sogno, non riusciva a crederci "Certo che ti sposerò, Peach. Un tempo credevo di volerti principalmente per dare una madre ai miei figli, ma adesso..." si interruppe e guardò di nuovo Larry, chiedendosi se lui approvasse.
 Fu tranquillizzato nel vedere che il ragazzino gli stava sorridendo in modo incoraggiante.
 "Te lo meriti, papà reale" gli disse "Questo ti renderà felice".

Bowser distolse lo sguardo dal figlio, per vedere Peach che si rialzava e si avvicinava lentamente a lui, chiudendo gli occhi.
Allora si chinò su di lei e ricevette con molta gioia il suo bacio, quello che aveva tanto sognato, quello che aveva aspettato da anni. Fu un momento bellissimo, perfetto, che lo riempì di una felicità tale che non avrebbe mai potuto esprimerla coerentemente a parole.
Ma non ce ne era veramente bisogno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Piccolo spazio autrice: son passati anni letteralmente da quando ho scritto una fanfiction in generale e in particolare su questa sezione, ma la visione del trailer del film prossimamente in uscita mi ha infine riportato qui. Spero che a qualcuno piaccia questo mio piccolo delirio. So che Peach può sembrare OOC ma ok, l'ho pensata così. :)
 

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Capitolo 2
*** Faccia a faccia ***


Quando alla fine si riprese, Mario non riuscì immediatamente a ricordarsi cosa fosse successo.
Era molto confuso e in preda a un forte mal di testa che gli annebbiava la mente e gli confondeva i ricordi.
Aprendo lentamente gli occhi e recuperando innanzitutto la vista, la prima cosa che notò, stranamente, fu che le pareti intorno a lui, così come il soffitto sopra la sua testa, erano tinteggiati di rosa confetto. Un colore parecchio inusuale per ciò che lui era abituato a vedere.
 In genere, non appena sveglio, i toni che avevano immediatamente modo di saltargli all'occhio erano il blu oltremare del cielo notturno e il giallo brillante delle stelle, colori che caratterizzavano il soffitto dell'osservatorio in cui abitava. Li aveva associati in maniera automatica al lieve rumore del respiro regolare della moglie, che giaceva addormentata accanto a lui. Tale correlazione, pertanto, gli venne a mancare, ma solamente a livello inconscio, in quanto non riusciva ancora a focalizzarsi con attenzione.
Il successivo senso che si attivò fu invece l'olfatto, quando un gradevole e un po' pungente aroma di fiori freschissimi gli solleticò il naso.
 Si sollevò a sedere, tirando leggermente le lenzuola, anche queste, notò, di un rosa appena un po' più intenso di quello che aveva visto sui muri.
Quel minimo movimento però gli provocò un improvviso dolore lancinante al petto.
Ricadde con un sospiro esausto, mentre voltava leggermente la testa a individuare il mazzo di petunie rosa da cui proveniva quel profumo che aveva avvertito, posto all'interno di un vaso rosa, sopra un comodino rosa, accanto al letto rosa in cui giaceva.
 "Dove mi trovo?" si chiese silenziosamente, troppo esausto per riuscire ad articolare quelle parole a voce, cercando di concentrarsi, ignorando il dolore alla testa e al corpo.
 Poi nella sua mente, la presenza quasi invasiva di quel colore, il rosa, si collegò in maniera automatica all'unica persona che conosceva che lo potesse amare così tanto.
"Sono forse... nel castello di Peach?" si domandò "Perché mi trovo qui? Cosa è successo? Non comprendo..."
Si sentiva molto debole e malato.
Sollevò un braccio a sfiorarsi la fronte e si accorse solo in quel momento della fasciatura che gli avvolgeva la testa.
Provò ancora a ricordare cosa potesse essere successo, ma tutto ciò che gli sovvenne alla memoria fu la vaga eco di uno schianto, qualcosa che si frantumava, una sensazione di risucchio e di vuoto, ma nient'altro.
Constatato che sforzare il cervello non faceva altro che aumentare la sua emicrania, rimase per un po' abbandonato sul letto con gli occhi serrati, nella speranza che il dolore si attenuasse, lamentandosi debolmente e pacatamente.
Stava quasi per lasciarsi andare al torpore e riprendere sonno, quando udì il rumore di una porta che si apriva e i passi leggeri di qualcuno che si muoveva di fretta.
 Schiuse un occhio e scorse così la sagoma di una personcina tutta affaccendata a girargli intorno, la quale si fermò di colpo quando si accorse che era sveglio.
 "Oh. Finalmente sei rinvenuto." fece, con la voce gracchiante tipica dei toad, cosa che confermò la sua precedente supposizione.
 Lei si avvicinò a lui, che aprì entrambi gli occhi, cercando di metterla a fuoco.
Si trattava appunto di una ragazza toad, con due simpatiche treccine sbatacchianti che le scendevano da sotto il cappello, ed era anche lei, nemmeno a farlo apposta, tutta rosa. Mario la riconobbe vagamente, l'aveva già vista da qualche parte, ma non ricordava bene dove.
Cercò di rivolgerle la parola, ma si accorse che ancora gli mancava il fiato per farlo.
"Non fare sforzi, sei ancora convalescente, ma stai tranquillo, sei in buone mani" gli disse gentilmente la micete "Oh cielo. Devo avvisare la principessa. Mi aveva detto di avvisarla subito qualora ti fossi ripreso!" esclamò poi, dandosi un colpetto sulla guancia con la manina e subito gli diede le spalle, correndo via.
"A-a... Aspetta!" riuscì a biascicare Mario, prima che raggiungesse la porta "Mi puoi... Mi puoi spiegare... Perché... mi trovo qui?"
Ogni parola gli costava una grande fatica, era come se la sua lingua gli si fosse gonfiata e gli impastasse tutta la bocca, lasciandogliela arida e facendogli desiderare di bere.
La ragazza esitò sull'uscio, poi sembrò avvilita, si volse e tornò da Mario.
"Sei probabilmente stato vittima di un brutto incidente" gli disse, a bruciapelo "Non sappiamo molto di cosa sia successo nel dettaglio. Sappiamo solo che sei come precipitato sulla Terra dal cielo, ed eri abbastanza malconcio.
La principessa Peach ti ha trovato e ti ha portato qui, ti ha curato le ferite e ti ha accudito. Sei rimasto in uno stato di incoscienza per molti giorni, hai una commozione cerebrale e anche qualche osso rotto... Insomma, non sei messo benissimo, ecco" concluse.
 "Mi... sono accorto di questo" Mario strinse i denti per l'insorgere di un'altra fitta al costato.
 "Beh, ma adesso dovresti essere sulla via di guarigione" lo rassicurò lei, sorridendogli "La principessa ti ha riservato delle cure particolari, ci teneva moltissimo…
 Ha fatto intervenire i migliori dottori per te, devi esserle grato... Ha perfino rimandato le sue nozze, nell'attesa che ti riprendessi, pensa!"
Mario sobbalzò "Rimandato le sue..." ripeté, allibito da quell’ultima informazione. Era sul serio arrivata a tanto per lui?
 "Sì, beh, anche se..." la funghetta esitò e abbassò la voce a un sussurro, assumendo un'aria divertita e vagamente maliziosa "... per me, ha semplicemente sfruttato l'occasione."
 Mario suppose ci fosse qualcosa sotto quell'ultima frase, ma non riuscì a cogliere l'allusione.
 Respirò pesantemente. "Suppongo comunque di doverle la vita. Tu... Com'è che ti chiami, scusa?" chiese.
"Uh, io sono Toadette." rispose lei incerta, come se ritenesse strano che lui glielo stesse chiedendo "Sono la dama di compagnia di Peach e... Devo proprio andare a chiamarla, scusami..." si allontanò di corsa e stavolta Mario evitò di fermarla.
 "Toadette..." restò a gustarsi quel nome sulla bocca come un gelato "Peach... Toadette... " le immagini mentali delle due donne si fondevano insieme, come se non riuscisse a distinguerle seppur fossero palesemente molto diverse.
Poi, improvvisamente, sgranò gli occhi, quando un terzo volto si affacciò alla sua memoria, stavolta distaccato e nitido. Sofferente. Triste.
 "Oddio... Rosalinda!" esclamò, impallidendo "Dov'è Rosalinda? Eravamo insieme, ricordo che c'era anche lei quando... Quando lo schianto... La casa dell'osservatorio... distrutta... L'asteroide... Anche lei è rimasta ferita? Cosa le è successo?"
Incominciò ad agitarsi, mentre immagini terribili gli si ripresentavano adesso tutte quante insieme a tormentarlo.
L’effetto fu che gli esplose un mal di testa ancora più forte.
Si tenne la testa con le mani e serrò gli occhi con forza. Si rese conto anche che faticava a respirare. Gli girava tutto...
 
"Oh, Mario! Sono così contenta che tu abbia ripreso conoscenza!" sulla soglia della camera era comparsa la principessa Peach Toadstool, che con la sua voce acuta e dolce lo distolse dai suoi nefasti pensieri.
Mario sollevò la testa di scatto e si puntellò sulle mani per tirarsi su, ma quel dolore perforante non smetteva di tormentarlo
"Peach... Ro... Rosalin..." abbozzò, senza riuscire a esprimersi.
Lei gli venne vicino con le braccia tese, impugnando un funghettino di colore verde.
 "Povero caro. Sei ancora scombussolato, vero? Ecco. Prendi questo, ti farà star meglio" disse, offrendoglielo.
Mario guardò il power up e, sentendosi come in una sorta di trance, lo afferrò e ne staccò un morso, masticando meccanicamente, dimenticandosi del suo istintivo disgusto per gli organismi saprofiti...
Ma ben sapeva che l'effetto miracoloso sarebbe stato quasi istantaneo, e infatti il dolore si attenuò e lui riuscì finalmente a reggersi a sedere completamente.
 In preda a una fame improvvisa, consumò tutto il fungo con voracità. Da quanto tempo non aveva più mangiato nulla? Preferiva non rispondere a tale domanda.
Infine, si concesse un lungo e profondo sospiro.
"Peach" sussurrò alla fine "Non so bene cosa mi sia successo, ho le idee un po' confuse, ma ciò che ho capito è che tu in qualche modo mi hai salvato la vita e… ti ringrazio enormemente."
"Non c'è alcun bisogno di ringraziare" sorrise la principessa "Avevo un debito da ripagare con te e in realtà, adesso che tu sei qui... ne ho uno ancora più grande."
 Mario non capì a cosa si riferisse, ma non fece in tempo a chiederglielo perché alle spalle della principessa era apparsa una figura massiccia e minacciosa che lo mise in allarme.
Sbiancando, si mise istintivamente sulla difensiva, ma notò subito che Peach lo stava tranquillizzando.
"È tutto a posto" cinguettò lei "Non devi preoccuparti."
"Come sarebbe che non devo preoccuparmi?" fece lui, incerto, guardando il bestio dal basso verso l'alto.
 Il suo cervello aveva ovviamente ignorato la negazione iniziale della frase.
Bowser si esibì in un ghigno, divertito dalla sua confusione.
 "Ciao, baffetto" lo salutò "Ci sono delle novità che ti lasceranno a bocca aperta!" la sua voce era come sempre beffarda, ma mal celava una certa emozione.
 "Bowser è qui... per mio piacere." continuò Peach, arrossendo.
"In che senso?" chiese Mario perplesso, fissando il drago con una punta di timore. Non era mai riuscito a fidarsi di lui, nonostante tutto.
"Le cose sono molto cambiate da qualche tempo e... beh, per farla breve, io e Bowser stiamo per sposarci."
La notizia, data così inaspettatamente, lasciò Mario senza parole per qualche secondo.
Bowser lo guardò e snudò le zanne in un aperto sorriso intimidatorio.
 "Proprio così, idraulico. Puoi crederlo? Alla fine, contro tutte le vostre previsioni, la principessa si è innamorata di me. Ma d'altra parte... Come poteva essere altrimenti?
Finora, io sono stato l'unico ad averla trattata veramente come la futura regina che è destinata a essere... Era solamente una questione di tempo!"
Mentre pronunciava queste parole, una delle sue manone artigliate andò a posarsi sul fianco della principessa, cingendola in un modo possessivo ma allo stesso tempo discreto.
 E lei non si ritrasse, anzi lo assecondò con un risolino imbarazzato, al quale lui rispose con un ruggito basso di soddisfazione.
 
Mario non riusciva a credere a ciò che stava vedendo.
Non se lo sarebbe mai aspettato nella vita.
"Peach... Ma sei... Sei sicura?" sbiascicò.
"Io sono sempre sicura quando prendo una decisione" confermò la ragazza, con semplicità.
E in effetti, nei suoi occhi azzurri c'erano una sicurezza e una sincerità che sembravano impossibili da falsificare.
"So che può sembrare un po' strano, ma Bowser è... molto cambiato in questi anni e io mi sono accorta di aver sviluppato... Un certo debole per lui" si voltò a guardarlo con fare adorante, sentimento che il drago ricambiava palesemente allo stesso identico modo.
"In tal caso... Beh, le mie congratulazioni." disse Mario. Era stato indubbiamente colpito da quella notizia inattesa, ma l’aveva già in parte accettata.
 "Peach, potrei... Ehm... parlarti in privato?" aggiunse dopo pochi secondi, esitante.
La ragazza si voltò verso Bowser e gli chiese cortesemente di lasciarli soli.
Il koopa se ne andò sghignazzando, evidentemente il disorientamento di Mario lo aveva divertito molto. Sembrava che si fosse preso una piccola rivincita su di lui e questo Mario glielo concesse, in fondo non se ne sentiva disturbato.
 Fu quando furono soli che Mario espresse ciò che non aveva detto prima.
 "Peach, ma... Ma tu non stavi per sposare quel tizio... Come si chiamava... Haru?"
"Sì, ma l'ho mandato via" fece lei, con noncuranza.
 "Ehm... E come mai?"
 "Non lo amavo più. Non era quello che credevo. Aveva iniziato a rompere tantissimo e non aveva più nessuna fiducia in me e io non potevo assolutamente costruire un matrimonio su queste basi... Mi capisci, vero?" aggiunse, facendo gli occhioni da cerbiatta.
"Non voglio contestare la tua scelta, Peach, ma... Te lo ricordi che Bowser voleva farti trasformare in una dragonessa dai suoi magikoopa?"
 "Oh, non c'è più questo pericolo, tranquillo. Ne abbiamo parlato, non mi costringerà a cambiare aspetto." assicurò lei "Gli ho spiegato che ciò non è necessario. Anzi, la nostra unione sarà ancora più significativa in virtù delle nostre differenze, anche fisiche."
 "M-Ma..." non era ancora del tutto convinto.
 "Mario, ascolta." iniziò lei, con pazienza "Le persone possono cambiare. Ok? In molti modi. Haru ne è stato la prova in negativo. Bowser ne è la prova in positivo. Io avevo bisogno di un marito e lui si è rivelato il candidato migliore.
Credimi, la capisco la tua perplessità, è stato inaspettato anche per me, ma io sono davvero convinta di questo. Sono una principessa, il mio regno si aspetta che io sposi qualcuno di nobile e lui è nobile... Ed è sinceramente interessato a me, non vuole solo il mio regno, cosa che invece sospetto volesse Haru... E inoltre, dal nostro matrimonio deriveranno molte cose buone, il Regno dei Funghi e le Terre Oscure saranno unificati e toad, umani, goomba e koopa e tutti gli altri abitanti potranno finalmente, veramente, vivere in armonia. È la soluzione migliore per tutti. E anche per me."
Il viso della principessa si era illuminato durante questo discorso e il suo sguardo era carico di una determinazione particolare.
"D'accordo" si arrese infine Mario, dopo aver considerato le sue parole "Hai pensato a ogni cosa, vedo."
 "Sì, l'ho fatto." confermò Peach.
Lo guardava orgogliosamente, sorridendo ma anche con una vaga aria di sfida, come se gli stesse suggerendo di non azzardarsi a fare altre obiezioni.
Ci teneva a non far passare la propria scelta come un capriccio, a dimostrare che non lo era.
Mario però ci tentò solo una ultima, estrema volta. Come prova del nove.
 "Solo una domanda. Tu... quindi lo ami?"
 
Vide Peach avere una microscopica esitazione, ma poi la udì tirare fuori un secco "Sì."
 E questo poneva fine a tutta la discussione.
Mario quindi si rilassò. Aveva conosciuto la principessa abbastanza per credere in lei, e tanto gli sarebbe bastato.
Forse in passato avrebbe messo in dubbio i suoi propositi, in quanto sapeva che si era lasciata andare alle frivolezze, ma sapeva anche che era cambiata da un pezzo, quindi non lo avrebbe fatto adesso.
Ma in conclusione a quel dramma, gli tornò di nuovo in mente la questione relativa alla sua, di principessa, sperduta chissà dove.
Peach lo avrebbe sicuramente aiutato a ritrovarla, su questo non c'erano dubbi.
Ma ci sarebbero riusciti?
Peach stava per congedarsi, quando la porta si aprì per l’ennesima volta.
E senza alcun preavviso, sull’uscio comparve qualcuno che Mario non aveva più visto da anni.
“Ah, dimenticavo” fece la principessa. “Ho pensato di mandare qualcuno a prenderti.”
 
---
 Rosalinda in quel momento si trovava a una distanza considerevole dal luogo in cui si stava svolgendo quella bizzarra scena.
Era stata dispersa nello spazio, ma aveva infine smesso di vagare in modo incoerente, aveva fatto un grande sforzo per ritrovare l'orientamento e aveva infine assunto una direzione.
Gli Sfavillotti l'avevano aiutata in questo ed erano stati indispensabili per il suo successo, ne percepiva l'energia luminosa espandersi tutto intorno a lei, come un abbraccio caloroso.
Era loro profondamente grata.
Da fuori sarebbe potuta sembrare una regina, portata in trionfo dai propri sudditi. Ma non ci si sentiva minimamente.
Le sue, di energie, le aveva già belle che esaurite tutte quante, quando aveva spinto via Mario lontano da sé nella speranza di salvarlo.
Aveva dovuto concentrarsi molto per arrivare a toccarlo, nonostante la spiacevole posizione in cui si era ritrovata.
 Tale sforzo l'aveva completamente sbalzata via, ma non avrebbe esitato, né ne avrebbe avuto rimorso, in quanto si era trattata dell'unica possibilità che aveva avuto.
Gli aveva dato una possibilità di scampare al destino terribile che invece era sembrato dover toccare a lei.
Ma per fortuna, quello spavento era passato e ora stava recuperando lentamente il controllo.
Riprendeva fiato, attirando a sé le poche molecole di ossigeno disperse nel vuoto.
La pressione del sangue che le aveva gonfiato le vene del collo iniziava infine a regolarizzarsi.
Non aveva più la vista annebbiata, non sentiva più le vertigini.
La direzione che ora aveva assunto le permetteva di percepire una distante e vaga presenza e la seguiva come una guida.
Sfrecciava attraversando tutto il cosmo.
Non sapeva chi, o come, o cosa, ma qualcuno le aveva detto che non si poteva arrendere.
 Lo spazio era immenso, poteva vedere le stelle fisse che esplodevano in diretta successione, come una catena, a milioni e milioni di anni luce di distanza, disperdendosi in minuscoli frammenti di asteroide e di detriti spaziali che precipitavano sulla superficie dei pianeti che, ignari della devastazione che questi avrebbero causato, continuavano a girare lentamente attorno alle loro orbite e attorno alle stelle.
E alcuni di quei detriti si ricompattavano, si congiungevano tra di loro e si univano alle polveri cosmiche e così i nuclei si ricostituivano e davano vita a nuovi corpi celesti.
Rosalinda osservava tutto ciò, affascinata e commossa dalla vastità inesplicabile dell'Esistenza, si sentiva in comunione con la rinascita e il rinnovamento continui dell'universo, riscoprendo di trovarsi in compenetrazione perfetta con esso.
 Assistere a quello spettacolo meraviglioso era un privilegio di pochissimi eletti, la sua essenza di umana non le era di intralcio, forze superiori le avevano concesso un tale onore e non avrebbe mai smesso di ringraziarle per questo.
Tuttavia, il non sapere esattamente cosa ne fosse stato di suo marito le procurava un grande senso di angoscia e di malessere che dal ventre le salivano fin dentro la gola.
"Mario. Arriverò da te." pensava, cercando di combatterli con la determinazione "Aspettami. Non ti ho abbandonato. Non lo farei mai. Non lo farò mai."
Non sapendolo, seguiva il suo spirito e andava spedita verso il luogo in cui era nata, che era anche il luogo in cui lui ora si trovava, il Regno dei Funghi.
Ma le capitò giusto una piccola deviazione di percorso.





Spazio autrice
scusate il ritardo mostruoso nell'aggiornamento di questo capitolo. Non mi veniva mai come volevo io e ho perso un sacco di tempo... alla fine mi sono decisa a pubblicarlo lo stesso così com'era, tanto non sarà mai perfetto. Spero comunque vi sia piaciuto. kisses

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Capitolo 3
*** La nascita ***


Sarasaland era in piena primavera.
 Il deserto era fiorito. Dalla sabbia, apparentemente arida, erano spuntati fuori dei verdissimi rampicanti, addobbati da meravigliosi boccioli che si aprivano, disperdendo nell'aria i loro mille petali colorati, oltre che i loro pollini. Una manna per gli allergici…
 Sotto il sole caldissimo e spietato, spossati, sudati e affaticati, arrancavano un uomo e una donna.
Lei era incinta di nove mesi, ma si teneva su il pancione con una mano, andando avanti con un'aria determinata in volto.
Lui le camminava accanto, porgendole gentilmente il braccio per appoggiarsi e riparandole allo stesso tempo la testa, grazie a un ombrellino bianco.
Indossavano entrambi abiti di tela, leggeri e comodi, scarpe da ginnastica adatti alle lunghe camminate. Lui, inoltre, portava sulle spalle un grosso zaino.
 
"Manca ancora molto?" le chiese, aveva il viso un poco arrossato.
"No. Ci siamo quasi." rassicurò lei.
 
 A ogni loro passo, le impronte che lasciavano sulla sabbia venivano ricoperte quasi istantaneamente dai germogli, che continuavano a crescere sempre più rigogliosi.
 L'aspetto di quel particolare tipo di terreno sarebbe senza dubbio sembrato insolito a chi non fosse abituato, ma ormai Luigi ne aveva viste e sentite abbastanza per non stupirsi più di nulla.
Aveva sposato quelle stranezze, nel senso più letterale possibile: era infatti proprio da lì che proveniva sua moglie.
Giunti ai piedi di una gigantesca duna, si fermarono.
 "Eccoci" disse la donna, liberando la mano per portarla ad asciugarsi la fronte e poi schermandosi gli occhi, e indicò delle piccole piante che spuntavano dal terreno e che stavano allungando i propri rami, intrecciandoli tra di loro.
I tralicci crescevano a dismisura e si posizionavano in una forma precisa, incastrandosi e piegandosi per un tratto e poi scendendo di nuovo giù, come a formare una specie di grosso quadrato.
 
 Daisy si staccò dal braccio di Luigi e si avvicinò ad esso. Lo sfiorò con le dita e immediatamente esso si ricoprì fittamente di un letto di piccolissimi fiorellini color fucsia e bianchi e assunse definitivamente la forma di una specie di porta, ma non c'era una maniglia.
Daisy la aprì spingendola. La sabbia che c'era dietro iniziò a crollare, rivelando quello che sembrava un vero e proprio tunnel, scavato nella sabbia, che scendeva giù sotto la duna in posizione leggermente verticale.
Nonostante ormai fosse diventato difficile impressionarlo, Luigi guardò l'apertura con una punta di timore.
"Daisy, do... dobbiamo proprio farlo?" chiese, balbettando un po', lanciando nervose occhiate alternativamente al buco e alla cima della duna.
 "Siamo arrivati fin qui, non ti vorrai tirare indietro adesso?" fece lei, con gli occhi fissi sul fondo del corridoio.
 "No, non... Ehm, non è questo" arrossì "Però… Non è che questa duna di sabbia... Insomma, non è che ci crolla sulla testa?"
 "Mica avrai paura?" chiese lei, in un tono canzonatorio che però non ebbe l’effetto sperato.
"Certo che ho paura." confermò lui "Ho paura... per te. Per me. Per... Per il bambino."
 "Non ci crollerà sulla testa, stai tranquillo. Ha retto per secoli, da generazioni la mia famiglia si è recata in questo posto per dar seguito alla propria discendenza. E nessuno ci è mai restato sepolto vivo."
 “Beh”, obbiettò lui "Si dice che c'è sempre una prima volta per tutto..."
 "Eddai, non portare sfiga!" si alterò leggermente lei.
"Ma non è per portar sfiga è che, ehm, non… non è che sembri molto… sicuro. Guardalo... Un corridoio costruito sotto la sabbia…!"
 
 Lei lanciò uno sguardo verso l'alto, incerta "Beh, non hai proprio torto..." ammise.
 "Non bastava, insomma, venire qui in questo regno? Voglio dire, siamo GIÀ sul suolo di Sarasaland, cosa cambia se il bambino nasce fuori o dentro quella stanza che mi dicevi...?"
 "No." negò Daisy, tornando a guardare in fondo "Bisogna farlo lì dentro, se voglio fargli ottenere pieni poteri. È importante. Se non mi trovassi esattamente lì al momento del parto, avrebbe molte più difficoltà per svilupparli. Ci vorrebbero anni…"
 "Beh, ma in fondo, che fretta c'è?" tentò un'ultima volta Luigi, stringendosi nelle spalle, ma stavolta Daisy gli lanciò uno sguardo talmente assassino che lui perse di colpo tutta la voglia di controbattere.
 A quel punto, la donna attraversò la soglia senza ulteriori indugi.
Luigi sospirò, chiuse il parasole e lo appoggiò per terra, si assestò meglio lo zaino sulle spalle, si fece coraggio e si addentrò nel corridoio dietro di lei, pregando che andasse tutto bene.
 
Naturalmente, era buio. Più avanzavano, più diventava buio.
Luigi si fermò per prendere la torcia che si era portato dietro, nello zaino.
Ma ovviamente, essendo buio, ebbe difficoltà a trovarla.
"Daisy, aspetta un secondo. Non trovo la torcia..." borbottò, mentre frugava.
Daisy lo ignorò e invece continuò a camminare nell'oscurità, sembrava come attratta da qualche cosa. Si muoveva in fretta nonostante il pancione.
 "Aspetta, Daisy, aspettami ho detto. Daisy?" Luigi accese la torcia appena in tempo per vederla sparire dietro un angolo.
 "Ehi! Ma dove stai andando?" urlò e le corse dietro, ma poi non riuscì a trattenersi, indirizzò la luce qua e là per esplorare il corridoio che attraversavano.
 C'erano radici di piante intricatissime che ricoprivano tutte le pareti e che trattenevano la sabbia.
Sulla sabbia stessa stava assurdamente crescendo del muschio, da qualche parte si sentiva l'acqua gocciolare.
 Angoli oscuri da ogni parte, Luigi si sentiva sempre più inquieto.
 Senza accorgersene, stava correndo come all'impazzata, preda di un timore crescente.
 Aveva i brividi, la pelle d'oca, una sensazione di gelo su tutta la pelle.
 "Daisy dove sei?" urlò spaventatissimo.
 E poi andò a sbattere contro qualcosa. La torcia gli sfuggì dalle mani e rotolò al suolo, mentre anche lui finiva per terra, sbilanciato all'indietro dal peso dello zaino sulle spalle.
 Sentiva vicino a sé una indefinita presenza, ma non riusciva a vederla.
 Raspò freneticamente con le dita, cercando di riprendere la torcia.
 In quel momento una mano si posò sulla sua.
 "Daisy, santo cielo, perché sei corsa via in quel modo, non avresti dovuto..." iniziò, mentre si rialzava, ma si bloccò quando si accorse che quella non poteva essere Daisy.
 Non aveva la forma di Daisy e nemmeno il suo profumo.
 "AAAAHHH! Chi diavolo sei?!" gridò.
 Strinse la torcia e la puntò di fronte a sé, spaventato dall'idea che laggiù ci potesse essere qualcuno insieme a loro.
Ciò che scorse fu la sagoma inconfondibile di un uomo dalle spalle larghe, vita sottile, portamento elegante e... una bizzarra pettinatura a spazzola.
 L'istinto di Luigi fu quello di urlare di nuovo, ma gli mancò il fiato per farlo quando sentì qualcuno abbrancarlo per le spalle, cosa che lo spaventò e lo fece agitare ancora di più.
 "Accidenti a te! Vuoi far crollare per davvero questo posto? Abbassa la voce!"
 Luigi si quietò un po', riconoscendo la voce di Daisy.
"Eccoti, ma… ma dove eri finita?" le chiese e, senza darle tempo di rispondere, si buttò addosso a lei per abbracciarla.
 "Luigi, sono sempre stata qui, dannazione. Ma si può sapere che cosa stai cercando?"
 "Qui? Ma..." Luigi si era messo a setacciare con la torcia, sicuro di rivedere l'uomo che gli era comparso di fronte, ma sembrava sparito.
 "C'era... C'era un tizio... Dove è andato? Deve essersi dileguato nell'ombra."
 "Luigi, ci siamo solo noi due qui" lo contraddisse lei. "Per favore, ora andia..."
 
E si interruppe, cacciando uno strillo più forte e acuto di quello che aveva lanciato Luigi poco prima.
"Oddio, cosa... " fece lui, confuso.
 "Ci siamo. Porca puttana, ci siamo!" gridò Daisy.
 Alla luce della torcia, Luigi vide le sue gambe aprirsi. Poi il suolo si impregnò di umori viscidi e bagnati...
 Fortunatamente, essendo buio, nessuno si sarebbe accorto del colorito bluastro che assunse la faccia del povero Luigi.
 Si sentiva sul punto di svenire, ma le urla di Daisy lo scossero.
 "Forza." disse meccanicamente, prendendola per il braccio e conducendola in avanti "Dobbiamo raggiungere quella maledetta stanza."
 E si misero a correre goffamente, lui cercando di far luce e lei arrancando, in preda alle doglie.
 
 Raggiunto finalmente il fondo del corridoio, Luigi scorse un'altra porta, questa volta una vera, provvista di una maniglia.
Attraversato da mille emozioni, la abbassò con impazienza e spalancò la porta.
 La luce improvvisa lo accecò, istintivamente chiuse gli occhi e portò il braccio a schermarseli.
 Ciò che vide, quando ottenne di riaprirli, mise veramente alla prova la sua incapacità di reagire.
 Si trovavano in quella che sembrava in tutto e per tutto la sala d'attesa di un pronto soccorso.
C'era tutto. Pareti verdi, sedie e panchine, perfino una macchinetta del caffè in fondo.
 Nell'aria aleggiava un acre odore di disinfettante, uomini e donne in camice dall'aria professionalmente indaffarata andavano qua e là e chiamavano a turno i pazienti nervosi, seduti o in piedi.
 E Luigi, che ormai credeva di non potersi stupire più di niente, restò senza parole.
 Però non era il momento di cercare di capire COME quel corridoio sotterraneo fosse sbucato all'interno di un ospedale, ormai poco importava. Daisy stava gridando e imprecando in tutte le lingue del mondo…
 "Sta per partorire!" gridò "Aiutateci! Per favore!"
 
Quello che doveva essere un infermiere si avvicinò, spingendo una sedia a rotelle vuota, e si rivolse a Daisy.
 "Sapevamo che sarebbe arrivata. Da questa parte, principessa, prego, si sieda, la portiamo immediatamente in sala parto" e, insieme a Luigi, la aiutarono a salire.
Luigi poi fece per seguirli, ma l'infermiere lo bloccò gentilmente con una mano.
 "Lei si sieda, per favore, e attenda. Non può venire in sala parto, mi spiace. Solo il dottore può"
"Ma io sono il padre!" protestò lui.
 "Mi rincresce, a nessun familiare è permesso di presenziare al parto. È la politica dell'ospedale." Disse in tono categorico l'infermiere, e si accinse a portar via Daisy.
 Luigi guardò meglio quell'uomo e si accorse che aveva le spalle larghe, la vita sottile e i capelli a spazzola... E che la sua pelle appariva di un insolito colorito verdastro.
 "Tu... tu sei... " abbozzò, credendo di riconoscerlo, ma quello se ne era già andato via.
 "Daisy!" chiamò "Andrà tutto bene, io ti... ti aspetto qui."
 Lei, di rimando, cacciò un altro strillo.
 Frastornato, Luigi abbandonò torcia e zaino per terra, si sedette su una delle panchine e si mise le mani tra i capelli.
 E ci rimase per un po', cercando di assimilare tutto quello che era successo.
 Gli era parso che andasse tutto molto veloce. Solo adesso aveva un momento di tregua.
 "Ci stavano aspettando" mormorò, dopo qualche minuto "Noi non abbiamo detto a nessuno che saremmo venuti qui. Solo Mario sapeva che ne avevamo intenzione, ma nemmeno a lui avevamo detto quando..."
 Sollevò la testa di scatto quando una mano gli si pose sulla spalla.
 Era l'infermiere di prima, che aveva dipinta sul viso un'aria di compassione.
 "Signor Mario, non tema. Sua moglie è in buone mani, il dottore è uno dei più esperti di tutta Sarasaland, porterà a compimento la sua gravidanza con successo, glielo garantisco."
Luigi ebbe modo di riguardare per bene l'uomo e constatò che veramente la sua pelle era di colore verde, non era stata solo una sua impressione.
 Ciò non doveva sembrare poi così strano, negli ultimi tempi aveva visto tante di quelle creature diverse, ma di solito le ritrovava catalogate nel libriccino di istruzioni che Daisy gli aveva regalato anni prima.
 Questo però, nonostante la bizzarria del colore della pelle e le dimensioni della testa un po' più grandi del normale, aveva un aspetto indubbiamente molto umano. Ma ovviamente non lo era. Non era plausibile. Al di fuori della famiglia reale, la popolazione umana in quei luoghi era molto limitata.
 Comunque, registrò da qualche parte nel cervello l'istruzione di andarselo a cercare per bene nel suo libro, quando ne avesse avuto occasione. Magari gli era semplicemente sfuggito.
 
"Tu eri con noi prima, nel tunnel..." disse, e non si trattava né di una domanda né di una accusa.
 Quello annuì "Come ho detto prima, vi stavamo aspettando. Ci eravamo immaginati che sareste venuti qui per perpetrare la tradizione. Tutti i membri della famiglia reale lo hanno fatto, partorire qui in questa clinica è fondamentale per loro, anche la principessa Daisy deve aver sentito il bisogno irresistibile di farlo…"
 Luigi si diede mentalmente dell'idiota, pensando che avrebbero dovuto aspettarsi di non essere gli unici a essere a conoscenza di quelle cose.
 "Mi presento, mi chiamo Peasley" continuò l'uomo verde, e si chinò leggermente verso di lui.
Luigi fece istintivamente per stringergli la mano, ma poi si accorse che in realtà non gli stava porgendo quella. Ciò che gli tendeva era una rosa dai bellissimi petali gialli.
 "Questa è per lei." disse Peasley "Dalle mie parti è un simbolo... Di speranza e di rinnovamento. La si regala ai padri per augurare loro buona fortuna."
 Molto colpito e anche piuttosto perplesso da quel gesto, Luigi prese in mano la rosa.
 "Grazie" abbozzò. Stava per aggiungere un istintivo “Di dov’è lei?” ma qualcosa lo fece sentire leggermente a disagio, quindi cambiò argomento. "Ma lei, ehm, non può proprio fare niente per farmi assistere al parto? Io... ecco, è il mio primo figlio e ci tenevo a esserci..."
 "Glielo sconsiglio, sinceramente." disse Peasley, in tono secco "Non si immagini tutta questa poesia. È uno spettacolo molto peggiore di come lo si dipinge. Le donne strillano da perforare i timpani, c'è tanto sangue... E un sacco di robe schifose che vengono fuori dalla... beh, ha capito.
 Nove padri su dieci si sentono male durante il travaglio e il dottore si trova impossibilitato a soccorrerli perché impegnato con la madre."
 Il discorso ebbe l'effetto sperato su Luigi, che sbiancò e si irrigidì, restando fermo al suo posto, a giocherellare con la rosa tra le dita.
Non si era aspettato di certo che gli venisse detto questo, ma adesso si accorgeva di non essere preparato affatto. Si biasimava per non averci pensato abbastanza.
 
 Peasley si sedette accanto a lui sulla panchina che aveva occupato e, con scioltezza, gli tirò una pacchetta sulla schiena, come a volerlo incoraggiare.
"Le donne..." lo sentì sospirare "dispensatrici di gioia, di vita, ma anche di immondi orrori..."
 "Ma cosa sta dicendo?" fece Luigi, sobbalzando.
 "Dico che tutto questo figliare, per cui il corpo femminile è predisposto, disgusta piuttosto che regalare buone emozioni." continuò Peasley "Il figlio, nascendo, esaurisce tutte le energie della madre, le succhia via le risorse insieme al latte materno, le sottrae la bellezza, la giovinezza, la linea, finanche la personalità, poiché tutta la sua vita, da quel momento, sarà orientata unicamente verso di lui. Quale spreco…"
 "Beh, ehm" Luigi non capiva il discorso "Mi sembra che stia un po' esagerando..."
 "Una donna smette di essere donna nel momento in cui diventa madre" insistette Peasley "Non sarà altro che quello, per sempre. Non comprenderò mai perché vi ostiniate a metterle incinte. È il modo migliore per perderle!"
 "Mi scusi... non mi pare che sia la cosa migliore da dire a qualcuno che sta per diventare padre..." obiettò Luigi, sbalordito.
 "No. Ha ragione. Le chiedo scusa." Peasley si ricompose, guardò Luigi negli occhi in modo triste "Il fatto è che lei mi sembra una brava persona e mi dispiace per lei."
 "Le dispiace?" ripeté Luigi "Ma io sono felice. Anzi, sono molto felice."
 "È ciò che dicono tutti, all'inizio, ma poi si rendono conto di quello che comporta... Ed è troppo tardi."
 Avevano decisamente idee contrastanti.
 Luigi ora si sentiva decisamente non a suo agio, perciò tacque, cercando di evitare il dialogo.
 Lui quella gravidanza l'aveva voluta. Era stata sì inaspettata, ma non c'era mai stato un secondo in cui l'avesse rifiutata.
 Sì, gli faceva paura. Sì, aveva devastato il fisico e soprattutto la psiche di Daisy. Sì, non aveva idea se sarebbe riuscito a essere un bravo padre.
 Ma sapeva che avrebbe fatto del suo meglio.
 L'idea di avere generato un figlio lo riempiva di felicità e di orgoglio.
 E, sotto sotto, era anche soddisfatto di averne generato uno prima di suo fratello.
 D’altra parte, Mario arrivava sempre primo in tutto, non c’era mai stata partita.
 Luigi era sempre stato l’eterno second player. Seppure non gli fosse mai pesato troppo, non avrebbe potuto negare che fosse indubbiamente bello batterlo finalmente in qualcosa…
 No, le considerazioni di Peasley non lo avevano convinto.
Anche nei panni di madre, la sua Daisy sarebbe tornata a essere quella di sempre, ne era fermamente convinto.
 Quella rappresentava semplicemente un'altra delle prove a cui la loro vita li sottoponeva.
Ne avevano affrontate già parecchie, e questa era una delle più grandi.
L'avrebbero superata insieme.
 
 Immerso in questi pensieri, trasalì quando Peasley parlò di nuovo.
 "Senta, le posso dare del tu?" Gli stava sorridendo.
 "Certo, sì, non c'è problema" rispose Luigi, riprendendosi.
 "Bene." fece l'altro, tutto contento "Sai, ti devo dire che sei diverso da come ti avevo immaginato. Tutti hanno parlato della vostra impresa e ammetto che avevo pensato che, visto che tua moglie è una principessa, tu fossi un tipo un po' snob"
 "Daisy non è più una principessa, ha rinunciato al proprio titolo" precisò Luigi "E io sono un umile idraulico, ho poco da tirarmela, non sono di certo un principe…"
 "Peccato" fece Peasley "Perché io, invece, lo sono."
 
 In quell'istante, dalla direzione della sala parto provenne un urlo straziante, una specie di ululato.
 Luigi balzò in piedi "È Daisy!" esclamò "Ma è normale che gridi in questo modo?"
 "Piuttosto normale, direi" fece Peasley, in tono annoiato.
 Si alzò e gli mise una mano sulla spalla, invitandolo a risedersi.
 Ma si udì di nuovo la voce della donna, che stavolta scandì delle parole precise:
 "NO! NON POTETE, NON POTETE, QUALCUNO LI FERMI!"
 Luigi si sentì come mancare, percependo in tali parole un pericolo e una chiara richiesta di aiuto.
 "È normale... " ripeté Peasley, ma stavolta Luigi reagì, scuotendoselo bruscamente di dosso e compiendo uno dei suoi proverbiali salti in avanti.
 "Aspetta, non puoi andare lì dentro!" tentò di fermarlo, ma fu inutile.
Incurante del divieto, Luigi spalancò la porta della sala parto.
 E vide che dentro non c'erano solamente il dottore e Daisy, come gli avevano detto, ma anche due estranei che non erano certamente degli infermieri.
 Erano due martelkoopa.
 Uno di loro stava trattenendo giù Daisy sul letto con la forza e cercava di zittirla.
 La poveretta era in lacrime e si dibatteva ferocemente, gridando disperata, aveva il volto rosso e dei graffi sul viso.
 L'altro aveva preso in braccio il piccolo appena nato.
 Il dottore giaceva sul pavimento, stordito e con un bernoccolo sulla testa.
 Daisy girò la faccia verso Luigi, con gli occhi spalancati e iniettati di sangue, la sua espressione sfinita era di terrore puro "Vogliono portarselo via. Non permetterglielo. NON PERMETTERGLIELO!" lo supplicò.
 Quella scena, totalmente inaspettata, sconvolse e fece arrabbiare moltissimo Luigi.
 Suo figlio aveva appena visto la luce e già qualcuno tentava di rapirlo.
 Si diede uno slancio e si gettò addosso a quello che lo aveva preso, atterrandolo.
 Iniziò a lottare furiosamente, pazzamente, cercando di strapparglielo dalle braccia, ma era impacciato perché allo stesso tempo doveva cercare di non colpire il bambino e di non farlo cadere.
 Il secondo martelkoopa lasciò stare Daisy e andò ad aiutare il suo compare, afferrando Luigi da dietro e tirandolo via, facendogli poi passare un braccio possente sotto il collo per trattenerlo, ma quello non smise di tirare pugni.
 "Cavolo, che furia" commentò il primo.
 
 Sulla porta si stagliò la figura elegante di Peasley.
 "Ebbene" disse, aveva cambiato totalmente espressione "Che succede?"
 "Peasley, aiutaci, questi due vogliono..." cominciò Luigi.
 "Peasley?" ripeté Daisy sgranando gli occhi "Oh... Porca miseria!" e si batté una mano sulla fronte.
Lui guardò la donna e le rivolse un cenno.
 "Toh. Mi hai riconosciuto." fece con un mezzo sorriso, ma mantenendo uno sguardo di ghiaccio.
 Luigi li guardò alternativamente, senza capire.
Peasley si rivolse ai due koopa, rimproverandoli.
 "Dovevate far tacere la partoriente, siete due incompetenti, non riuscite mai a fare le cose per bene!"
 "Ci scusi, principe, ci abbiamo provato…" si scusarono i due, in tono contrito.
"Ma questa bestia di donna mi ha morso!" disse quello che tratteneva Luigi, mostrando un grosso segno di denti sulla mano.
L’idraulico approfittò del momento per tirargli un calcione e liberarsi dalla sua stretta.
 "Peasley, che cosa significa?" chiese poi, andandogli incontro furioso "Sei in combutta con loro?"
 "In combutta? Ma come parli? Loro lavorano per me.”
“Cosa?” fece, digrignando i denti.
“Come ti ho anche detto, ci aspettavamo che sareste venuti. Era l'occasione perfetta per tendervi una trappola"
 "Che cosa avete intenzione di fare?" lo minacciò con un pugno.
 "Oh, tranquillo. Vogliamo solo il vostro bambino" disse Peasley, con noncuranza.
 "No!" e il pugno partì, colpendo la faccia del principe, che si deformò.
 "Daisy. Tu conosci questo tizio?" chiese poi.
 La povera donna annuì. "Ricordi quando ti dissi che i miei genitori avevano scelto per me un fidanzato? Beh, eccolo. È lui. Il principe Peasley, il sovrano di Fagiolandia. Il partito perfetto per una principessa capricciosa come me. Quello che mi avrebbe rimesso in riga riportandomi sotto l’autorità paterna..."
 "Li avresti dovuti ascoltare" fece Peasley da terra, tenendosi la guancia con una mano "Avessi accettato di essere mia moglie, ora ci saremmo risparmiati questa scena pietosa"
 "Oh, ma per favore, ma se a te nemmeno piacciono le donne." lo rimbeccò Daisy.
 "Non capisco... Perché sta cercando di prendere nostro figlio?" chiese Luigi.
"Sono pronta a scommettere che lo sta facendo per conto dei miei genitori" ipotizzò Daisy, in tono sia amaro che accusatorio.
 "Supponi bene." confermò Peasley, rialzandosi.
 "Ah, ma certo! Che stupida!" continuò lei "Come poteva essere altrimenti? Avrei dovuto saperlo che non avrebbero rinunciato a loro nipote!"
 Peasley rise. "È l'erede al trono. Tu ci avrai anche rinunciato, ma non hai nessun diritto di decidere per lui. È il momento di farla finita. Dammelo." ordinò al martelkoopa che ancora stringeva il piccolo.
 "Nemmeno per sogno!" Luigi si interpose tra loro "Non ve lo lascerò prendere!"
E, come a compimento della sua minaccia, mise una mano in tasca e ne tirò fuori una super stella.
Portava sempre addosso una piccola scorta di power up, era un'abitudine che aveva preso da un po' di tempo, non si poteva mai sapere quando avrebbero potuto essere utili.
 Il secondo martelkoopa gli fu addosso nel tentativo di non fargliene assorbire il potere, ma Luigi fu più veloce di lui, la luce lo avvolse.
 Gli bastò dargli un colpetto per mandarlo a schiantarsi contro il muro.
 Si rivolse quindi a quello che ancora teneva il bambino.
 "Ti conviene riconsegnarlo alla madre" gli consigliò a denti stretti "Se non vuoi fare la fine del tuo amico."
 "Non ascoltarlo, sei ai miei ordini." gli intimò Peasley.
 "Dallo a me" supplicò Daisy.
 "Zitti, state zitti tutti e tre!" berciò il koopa, adesso confuso, continuando a stringere a sé il piccolo.
 "Come ti permetti?" lo rimbrottò Peasley facendosi avanti, ma non riuscì a raggiungere il suo sottoposto perché Luigi fece uno scatto fulmineo e, sfruttando nuovamente il potere della stella, lo spostò di lato.
 Ma come tutti sappiamo, l'effetto di questo particolare power up è veramente limitato, e pertanto si esaurì lì.
Vedendo sparire il brillio che aveva avvolto il suo nemico, l'energumeno ne approfittò, gli diede una spallata e corse fuori dalla stanza, portandosi appresso il piccino.
 "Mio figlio! No, no, ti prego. Prendilo! Salvalo!" Daisy strillò un'ultima volta, prima di accasciarsi sulle lenzuola, esausta.
 Rintronato per la botta, Luigi si costrinse a riprendersi e partì all'inseguimento.
 Erano tornati di colpo la pesantezza del corpo, il dolore alle membra, il batticuore.
 Ma non crederete che la scorta nelle sue tasche fosse finita?
 No, infatti comprendeva ancora una foglia tanooki, che in determinate occasioni si era guadagnata un posto tra i suoi potenziamenti preferiti.
 Il resto era ancora nello zaino che aveva abbandonato in sala d'aspetto.
 Assorbendone il potere, si sollevò a mezz'aria, roteando la coda di procione che gli era istantaneamente cresciuta.
 Intercettato il koopa, che stava tentando di svignarsela dalla porta principale che riportava al tunnel, gli saltò sulla schiena a piedi uniti.
 In tal modo riuscì a fermarlo, ma il risultato inaspettato fu che il fagottino gli sfuggì dalle braccia e volò via. Un errore fatale.
 
 "OH NO!" strillò, tendendo inutilmente le mani verso di lui.
Realizzò, ancor prima di vederlo sparire dal suo campo visivo, che non sarebbe mai riuscito a prenderlo prima che si schiantasse a terra.
 La sua avventura di padre così era finita ancor prima di cominciare.
 Suo figlio, venuto al mondo da pochissimi minuti, era irrimediabilmente perduto, come sarebbe mai potuto sopravvivere a quel volo?
Non se lo sarebbe mai perdonato.
Crollò sulle ginocchia, contemplando il proprio fallimento.
 Il dolore era così intenso da schiacciarlo. Non osava alzare la testa perché non voleva assistere a un simile disastro, sarebbe stato troppo per il suo povero cuore che, già così a lungo straziato, questa volta non avrebbe retto e si sarebbe infine spezzato. E di sicuro anche la sua salute mentale sarebbe finalmente venuta meno...
Ma poi udì un singolo vagito.
 Sollevò lo sguardo, con il cuore in gola.
 Lo spettacolo raccapricciante che si era affacciato alla sua mente non si presentò.
 Al suo posto, apparve una figura umana, illuminata da un'aura azzurra.
 Una donna molto alta, dai lunghi capelli biondo-argentei con un ciuffo che le copriva un occhio.
Indossava un lungo abito color celeste, dall'ampia gonna tutta sgualcita, come se fosse appena ritornata da un lungo viaggio, e una minuscola coroncina malconcia sulla sommità della testa.
 Ed era lei ad aver arrestato la fuga del piccino, che ora piangeva disperatamente, al sicuro tra le sue forti braccia.
 Luigi rimase instupidito a fissarla, completamente senza fiato, senza voce, con le lacrime di terrore che gli colavano giù per le guance.
 "Mio caro cognato" disse Rosalinda, con una faccia stupita "Cosa sta succedendo?"
 Chiaramente era capitata lì per un caso fortuito. Oppure... era stato destino?
 Luigi si rialzò lentamente, carico di ringraziamenti che non riusciva a esprimere a parole e si affrettò a prendere dalle braccia di lei il bambino che ancora strillava, se lo strinse al petto pulsante e chiuse gli occhi, mormorando un debolissimo "Grazie". Era la personificazione del sollievo.
 Il martelkoopa si alzò a propria volta, imprecandogli addosso.
 Rosalinda comprese dunque la situazione, serrò gli occhi, la sua faccia divenne di marmo.
 Poi una sorta di onda di energia partì da lei e si scaraventò tutta addosso al nemico.
Ciò che venne detto dopo suonava come attutito nella testa di Luigi, che non riusciva a processarlo nel dettaglio, si era come bloccata.
 Fu vagamente consapevole di ciò che vide.
 Vide i martelkoopa che battevano scompostamente in ritirata; Peasley che li prendeva a pedate urlando insulti circa la loro incapacità; Rosalinda che non smetteva di scusarsi e che cercava di spiegargli in maniera del tutto inefficace come li avesse seguiti lì in quel mondo, come le loro anime gli avessero fatto involontariamente da guida verso la civiltà, fino a raggiungerli, spinta dalla propulsione delle luci degli Sfavillotti nello spazio; Daisy che sopraggiungeva cercandoli, sorretta da quei pochi ex sudditi che non l’avevano in fondo mai biasimata per le sue decisioni o che semplicemente avevano avuto pietà di lei…
 Tutto questo accadeva, sì, ma perdeva di significato, poiché Luigi riusciva a focalizzarsi unicamente su suo figlio.
Una microscopica creatura, con due iridi brillanti già di un colore verdissimo, pieni di una luce abbagliante, calda e paterna.
Un essere così minuscolo e innocente, già così carico di tantissime responsabilità.
Di fronte a lui, al suo corpicino piccolo e insudiciato, ma vivo, sano e pulsante, il mondo sarebbe potuto anche precipitare. Niente aveva importanza, nessunissima di fronte alla consapevolezza che fosse vivo, che fosse salvo.
La vita di Luigi era cambiata, allo stesso modo in cui la vita di qualsiasi genitore cambia nel momento stesso in cui si rende conto che il proprio figlio non è altro che un vero e proprio essere vivente in miniatura.
 Non una bambola, non un fantoccio. Un essere umano a tutti gli effetti.
Mortale, dunque in grado di morire.
Da quel momento, la sua vita sarebbe stata sconvolta dalla prospettiva di perderlo per sempre.
Una paura devastante, ma necessaria.
Piangendo di fronte alla grandezza spaventosa di una tale cognizione, Luigi sapeva che non gli avrebbe mai potuto chiedere scusa abbastanza volte per averlo lasciato in quello stato di vulnerabilità.
Decise che non sarebbe mai più ricapitato. Se lo impose come missione.
 Sarebbe stato suo compito assicurarsi che suo figlio restasse al sicuro.
Ma in fondo, non è proprio questo il ruolo di un papà?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice:
Passano gli anni, ma le cose non cambiano… Quando racconto di Luigi, la narrazione assume toni tragici e surreali. Le situazioni in cui si ritrova sono sempre parecchio assurde. Una sorte a cui non scampa mai, nemmeno nel film. Chissà se avrà mai pace, sto pover’uomo.
Spero che il capitolo non sia risultato troppo pesante. 😊 grazie per aver letto, se qualcuno volesse farmi sapere cosa ne pensa con una recensione ve ne sarei grata.
 

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Capitolo 4
*** Tre (quattro) diversi tipi di padri ***


1)
Anche se non gli faceva molto piacere ricordarselo, doveva ormai arrendersi al fatto inconfutabile di avere da tempo raggiunto la mezza età.
Per tutta la sua lunga vita, aveva bilanciato il proprio lavoro manuale con le proprie naturali inclinazioni artistiche, cercando spesso di porre le seconde al servizio del primo.
Non si poteva dire che i risultati fossero stati del tutto soddisfacenti, ma lui ci aveva comunque provato.
 
 Di corporatura massiccia, leggermente basso e corpulento, sovrappeso di un paio di chili o forse qualcuno in più, era ormai diventato quasi completamente calvo sulla sommità della testa.
Ma i capelli rimanenti, che gli scendevano dalle tempie fino ai lati delle guance, fondendosi con le basette, erano ancora ricci, folti e scuri, non presentavano nemmeno un filetto bianco, esattamente come i suoi baffoni, i quali erano diventati il marchio distintivo di tutti i membri maschi di quella sua grande e variegata famiglia italo-americana.
 
Il suo nome era da poco stato reso pubblico.
 Adesso che poteva definirsi veramente vecchio aveva smesso di farsi chiamare con il suo antico pseudonimo e si era riappropriato della sua identità.
Aveva voluto che tutti sapessero che la persona che si era nascosta dietro l'identità fittizia del Padretherno dei videogames, in realtà aveva un nome comunissimo.
 
Pio Mario. Semplice e conciso.
 
Pio era un nome senza dubbio importante, che evocava un senso di integrità morale e di affetto filiale, enfatizzando la virtù del rispetto e della devozione, mentre Mario era il cognome, a cui tante imprese gloriose erano state associate.
 Ma il merito di ciò non era certamente suo. Erano i suoi figli coloro i quali avevano compiuto tali fatiche, e Pio ne era orgoglioso.
 
Il problema è che non aveva mai avuto modo di dirglielo esplicitamente.
Il suo progetto di videogioco era stato un tributo in tal senso, ma non era sicuro che fosse stato sufficiente e che fosse passato il messaggio.
 
Pio aveva delle grosse mani callose e villose al pari del resto del corpo, tra le quali la matita da disegno spariva, quasi del tutto nascosta, quando la impugnava nel realizzare i bozzetti per il suo lavoro.
 
In questo momento, però, esse erano strette sul volante dell'auto, talmente tanto che parevano restringersi a vista d'occhio.
Sollevò gli occhi cerulei e guardò nello specchietto retrovisore, per poter sbirciare il riflesso della persona che stava trasportando.
Non poté non notare la sua aria enormemente afflitta, sofferente.
 
Mario era abbandonato sui sedili posteriori, seduto scomposto e noncurante, guardava fuori dal finestrino con una malinconia palpabile, le palpebre abbassate per metà a coprire uno sguardo che vagava nel vuoto.
La testa fasciata, i lividi sul mento ancora visibili, i cerotti che celavano i pochi graffi rimanenti, facevano intuire l'inferno che doveva aver passato.
 
 Avrebbe tanto desiderato udire la sua voce, avrebbe adorato sentirlo di nuovo parlare con lui. Ma doveva rispettare il suo silenzio.
 
 Quando aveva ricevuto la notizia dell'incidente, si era precipitato in tutta fretta, senza nemmeno pensarci, in quel mondo che ancora non conosceva bene, ma che da anni era divenuto come una seconda casa.
Aveva già avuto modo di incontrare la famosa principessa e quando si era trovato di fronte al suo cospetto aveva stentato a credere a ciò che suo figlio si era perso.
 Perché, effettivamente, nessuno avrebbe potuto negarlo, si trattava davvero di una donna stupenda.
Affascinante nell'aspetto, elegante nei modi, determinata nello sguardo e straripante di una dolcezza materna incredibile.
 
Lui non aveva ancora avuto modo di conoscere la consorte del figlio, ma si augurava caldamente che non fosse da meno di lei... Questo pensiero lo scosse, facendolo immediatamente sentire in colpa. A quanto aveva capito, Rosalinda doveva essere rimasta vittima dell'incidente e la sua sorte era ancora incerta. Mario se l'era cavata con qualche graffio mentre lei era sparita, non poteva nemmeno lontanamente immaginare quanto si sentisse male per questo.
 
Non aveva mai compreso appieno la decisione di suo figlio, era vero, ma aveva sempre cercato di rispettarla.
 
Il volto di Pio era solenne e attento mentre guidava e guardava il figlio di sottecchi, i suoi occhi mostravano una mescolanza di preoccupazione e di delusione, oltre che una vaga ansia.
 
Eppure, nonostante ciò, continuava a sentirsi sollevato che almeno non fosse morto. Era forse sbagliato? Mario era sangue del suo sangue. La prospettiva di perderlo sarebbe stata devastante.
 
Il suono del motore e il rumore degli pneumatici sulla strada creavano un sottofondo costante, ma il silenzio tra padre e figlio era assordante. All'interno dell'abitacolo c'era un'ombra di tristezza e dolore. Anche nel cuore di Mario però si stava consumando un conflitto.
 
Dopo quelle che sembrarono ore, finalmente fu lui a prendere la parola.
 "Papà…" iniziò.
 "Sì, figlio, dimmi pure." ribatté subito Pio.
 
Ci fu un altro secondo di silenzio e Pio se ne chiese il motivo, forse Mario era rimasto frastornato da quella risposta così fulminea?
 Era così contento di avergli sentito formulare proprio quella parola, che non gli aveva più sentito pronunciare da anni.
 Ma Mario continuò. Sembrava imbarazzato "Ehm. Ti volevo ringraziare per... Per essere venuto a prendermi."
 "Ah! Non c'è bisogno di ringraziarmi." Pio cercava di suonare rassicurante, ma di nuovo calò il silenzio, un'altra risposta troppo veloce?
Iniziò a farsi prendere dall'ansia. "Sei mio figlio. Non potevo lasciarti lì, dico bene?"
 
Mario non rispondeva, e Pio si sentiva a disagio.
"Mario, figlio mio, non posso nemmeno immaginare il dolore che stai provando in questo momento. Ho sentito dell'incidente, di Rosalinda. Mi dispiace così tan..."
 
 "Come sta la mamma?" la domanda di Mario lo interruppe così repentinamente che a Pio fu chiaro che non voleva essere compatito.
 "La… mamma, uh, sì, lei sta bene, ci aspetta a casa insieme a tutti gli altri."
 "Ah, già… come stanno gli altri? Zio Tony? Zio Arthur? Zia Marie?... " Mario elencava i nomi dei familiari con un tono piatto, che non sembrava veramente interessato alla risposta.
Pio colse questa sfumatura e si allarmò tantissimo. Non era da lui.
 
Allora gli rigirò la domanda, per provocarlo "Piuttosto TU come stai?"
 "Come dovrei stare?" ribatté, ora con tono brusco, Mario.
 Pio colse un tono di cocciutaggine in quella risposta. E se la ricordò.
Non poté fare a meno di sorridere, poiché gli riportò alla mente i tempi di quando Mario era un bambino già molto precoce e di come fosse stato difficile crescerlo e guidarlo nelle sue convinzioni e con la sua testardaggine.
 
 Guardandolo negli occhi attraverso lo specchietto retrovisore, Pio decise di affrontarlo.
 "Scommetto che in questo momento ti senti umiliato. Vero? Puoi dirlo."
 "Papà, per favore, non iniziare..." si mise sulla difensiva lui.
 
"Io ti conosco, Mario, sei mio figlio. Sono addolorato per la tua situazione, capisco che tu sia arrabbiato con te stesso, ma voglio che parliamo apertamente. Siamo entrambi adulti, ma non siamo due estranei. Possiamo superare questa cosa solo col dialogo. Ti chiedo di parlarci da uomo a uomo." con questa ultima richiesta sapeva di averlo punto sul vivo.
 
 Mario restò con lo sguardo congelato a fissarsi i piedi per pochi secondi.
 Sembrava che il suo cervello avesse subìto dei danni e che faticasse ad articolare un pensiero.
 Parlò lentamente, scandendo tutte le sillabe, la velocità però aumentava man mano che andava avanti. "Io… non so… come affrontare tutto questo" ammise "Non ci vediamo da anni. Abbiamo tagliato i ponti. Ho abbandonato la casa, la famiglia, tutti quanti... Non vi ho nemmeno mai invitato a conoscere mia moglie e ora lei è..." si interruppe, perché non riusciva a dirlo "... E ora che ho avuto bisogno di aiuto, nonostante questo mio comportamento... così… DEPLOREVOLE, tu sei lo stesso venuto qui per me. Non è giusto… Non dovresti sentirti in obbligo di venire da me solo perché sono tuo figlio. Ti ho trattato male, vi ho fatti soffrire... Io… Non me lo merito."
 
 Pio a questo punto decise di fermare la macchina.
 Si accostò a una piazzola di sosta, spense il motore, si slacciò la cintura di sicurezza e restò a fissare il volante.
 Poi si voltò leggermente verso suo figlio, si sentiva commosso da quanto aveva sentito.
 
"Ti ho sempre voluto bene, Mario, anche quando hai preso quella decisione. L'ho accettata. Siamo tutti umani, facciamo errori, ma è importante imparare dai nostri errori e cercare la pace."
 
Mario si agitò sul sedile, senza guardare il padre, continuando a tenere lo sguardo basso.
 
"Tuttavia, io non penso affatto che tu abbia sbagliato." riprese Pio, addolcendosi "Questa Rosalinda devi amarla davvero tanto. Non è colpa tua quello che le è successo, e non devi rimpiangere le tue scelte, se ti hanno reso felice. Sì, è vero, mi ha addolorato la tua partenza, e puoi solo immaginare quanto abbia fatto male a tua madre. Ma noi eravamo lo stesso felici, perché ci bastava sapere che tu lo fossi. Per questo non ti abbiamo mai chiesto di ritornare indietro. Noi ci siamo e ci saremo sempre per te, non smetteremo mai di essere i tuoi genitori, questo te lo devi ricordare. Perciò..." e qui cercò un contatto fisico con Mario, poggiandogli una mano sulla spalla e sollevandogli il mento con l'altra, per farsi guardare in faccia "Per favore... Non ti vergognare."
 
 "È più forte di me, papà" disse Mario, con un filo di voce "Non so come farmi perdonare..."
 "Non devi farlo. Hai vissuto la tua vita, come era giusto che facessi, ma non è ancora finita. Avremo tempo di recuperare. Di ricostruire. Questo però lo possiamo fare solo se tu sei d'accordo. Okay?"
 
 Mario fu sopraffatto dall'amore che quelle parole del padre dimostravano.
 Suo padre non lo biasimava per averlo ferito e anzi lo riaccoglieva senza problemi, nonostante ciò che gli aveva fatto. Sembrava troppo. Eppure, ne aveva un bisogno così disperato.
 
Si lasciò finalmente andare. Mise le mani sulla faccia e nascose le lacrime che iniziarono a scorrere giù per le sue guance come un torrente.
 Poi sentì che Pio lo stringeva in un abbraccio forte e massiccio, e non si ritrasse.
 
 Ma continuava a vergognarsi terribilmente, sentendo la propria virilità svilita, unita a un grande e profondo senso di colpa. Non seppe quanto tempo passarono in quella stretta, ma si sentiva sostenuto e sentì che un briciolo di coraggio riusciva a ritornare a lui, nell'abisso della sua disperazione.
 
 Poi aprì un occhio. E dal finestrino, dietro la mole del padre, vide un lampo illuminare il cielo.
 
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2) (3)
 
Bowser se ne stava spaparanzato sul suo trono fiammeggiante, con le zampone accavallate e la testa poggiata sul pugno, con un sorriso sornione disteso sulle fauci. Nonostante la posizione comoda, si sentiva in fibrillazione ed era agitato, stava fantasticando sulle nozze imminenti.
Osservava di sottecchi i magikoopa intorno a lui che correvano frenetici, trasportando materiali per l'allestimento della sala.
 
Avevano concordato con Peach di sposarsi all'interno delle Terre Oscure, nel suo castello, per rimarcare la loro unione e la volontà di vivere insieme.
Alcuni servitori trascinavano metri di tessuto che sarebbero serviti per confezionare il suo abito nuziale e continuavano a fargli domande circa il suo gradimento della stoffa, del taglio, del modello.
 
Ma Bowser dava solo risposte affrettate e distratte. Aveva aspettato quel momento per anni e finalmente stava accadendo. Peach aveva finalmente ceduto al suo corteggiamento. Non riusciva a credere che una simile realtà si stesse infine concretizzando, ci aveva quasi rinunciato.
 
La sua vita era andata avanti dopo il suo iniziale rifiuto e lui si era concentrato sulla crescita e sulla educazione dei suoi figli, ma la verità era che non aveva mai smesso di sperarci.
 
Dalla nascita di Bowser jr non aveva più amato nessun'altra.
Quando ripensava a tutte le sue ex mogli, gli sembravano solo delle estranee, arrivate nella sua vita per momenti brevi e fugaci, giusto il tempo di dargli un piccolo piacere momentaneo, restare incinte e scodellargli un potenziale piccolo erede. Tutte quante alla fine erano andate via.
 Bowser aveva sicuramente fatto degli errori con loro, ma non era il solo.
Nessuna aveva avuto il coraggio di provare semplicemente a restare con lui, a dargli fiducia.
 Lo avevano fatto sentire tremendamente incompreso e inadeguato.
 
 Ma adesso, con Peach tutto sarebbe stato diverso. Doveva andare diversamente. Ci aveva impiegato fin troppo tempo per permettere che anche questa volta finisse male.
Aveva abbassato di molto le proprie aspettative. Inizialmente, la sua idea era stata quella di continuare la propria discendenza, mescolando il suo sangue koopa con quello umano, blu, dolce e delicato, ma con il passare del tempo si era reso conto di non volere altri figli da Peach. O per lo meno, non glieli avrebbe imposti.
 
 Si era chiesto cosa gli servisse veramente e la risposta non era così scontata.
Ma era ugualmente semplice. Ciò che davvero aveva desiderato era una compagna di vita che non lo abbandonasse come avevano fatto tutte le altre, che lo comprendesse e che lo aiutasse nel difficile compito di crescere i suoi bambini.
Anche se di bambini effettivamente ormai gliene restava solamente uno, Junior, che aveva circa sette anni ed era entusiasta di questa novità.
Gli altri, più grandi, erano felici per lui, anche se ormai abituati all'assenza di una madre.
Tra tutti, Larry in particolare, pur essendo ancora giovane, era quello che più ne aveva sentito la mancanza.
Bowser sapeva che Peach si era molto affezionata al ragazzino, forse questo era stato un incentivo per accettare quel matrimonio che addirittura era stata lei a proporre.
 Non aveva dubbi su questo, ma lo considerava un elemento in più a suo favore.
 Sì, Peach sarebbe stata una madre perfetta e una moglie adorabile. Era esattamente quello che entrambi volevano.
 
Kamek si materializzò all'improvviso davanti lo sguardo distratto del sovrano, attirando la sua attenzione. "Sire" disse, in tono lievemente affannato "Il re Toadstool è giunto qui per parlare con lei. Lo faccio entrare?"
 
Bowser spalancò gli occhi, sorpreso "Re Toadstool? Quel vecchio bacuc- ehm, il padre di Peach, certo. Ma di cosa diavolo vuole parlare?"
 
"Forse vuole semplicemente congratularsi con il suo futuro genero" suppose Kamek.
 
Bowser sbuffò "Certo, come no. Sicuramente verrà a cercare di dissuadermi dall'impalmare la sua preziosa figliola. O a minacciarmi, chissà. Ma si sbaglia se pensa che io mi lasci intimidire da un simile omuncolo, anche se indossa quella cavolo di corona..." si stava già infervorando.
 
"Non penso che lo faccia sire." tentò di placarlo il mago "Ma, d’altra parte, nemmeno lui può opporsi alla vostra decisione."
 
 "Figuriamoci!" il tono di Bowser si fece sprezzante "Fallo entrare, dai, vediamo cosa si permette di dirmi..."
 
 Il magikoopa non discusse oltre, si allontanò ossequioso e andò ad aprire la porta.
 Re George fece il suo ingresso, scortato da tre Toad, disposti intorno a lui come delle specie di piccole guardie del corpo. Tutte le volte che Bowser lo aveva incontrato durante i loro precedenti scambi commerciali, lo aveva sempre visto circondato da quei tre individui in particolare e aveva imparato perfino i loro nomi, che Peach stessa si era premurata di insegnargli in nome di chissà quale concetto di rispetto.
Il primo era Toadsworth, il più anziano, con capocchia marroncina e baffi bianchi, occhialini e bastone, che aveva l'aria di essere il suo consigliere più fidato. Gli altri due, più giovani, erano Toadoberto, un toad blu con gli occhiali e Toadorica, una toad rosa con grandi orecchini. Entrambi stringevano in mano una picca, come se fossero pronti a difendere il loro sovrano.
Mentre le quattro figure avanzavano, Bowser immaginò di utilizzare quelle loro ridicole armi per infilzarci tutti e tre i funghetti, arrostirli con il suo alito di fuoco e divorarli davanti agli occhi del re, dichiarando uno alla volta i loro nomi…
 
 Ma si riscosse in fretta da questa fantasia, doveva pur sempre comportarsi bene di fronte al suo futuro suocero.
"Ma buonasera, Re Toadstool" esordì, simulando un rispetto che non provava veramente "Sono onorato della vostra visita. Come posso esservi utile?"
 
 Ma George sollevò lo sguardo intuendo il suo insulto velato, e Bowser si accorse di quanto fosse gelido. Questo lo colpí, non gli aveva mai visto fare quella espressione così apertamente ostile.
 
L'anziano monarca scandì le sue parole con durezza: "Vedi di non fare l'ipocrita, Bowser. So benissimo che hai plagiato la mente di Peach per convincerla a sposarti. Ma non lascerò che giochi con la sua felicità."
 
 Quel tono inaspettato ebbe il potere di mandare Bowser su tutte le furie.
Si era aspettato una opposizione da parte sua, ma non un confronto così diretto.
Le sue narici fumarono di rabbia.
 "Come osi accusarmi di una cosa del genere? Peach ha scelto di sposarmi perché mi ama, non perché io l'ho manipolata. Non hai alcun diritto di interferire nella nostra relazione!" grugní.
 
"Relazione! Quale relazione?" ripeté George, con sarcasmo "Ti sembra normale che una principessa come Peach si possa essere innamorata di un mostro come te? Sei stato e sarai per sempre nient'altro che il suo rapitore."
 
Bowser si alzò dal trono e fece un passo avanti.
 I magikoopa e gli altri servitori intorno si mossero allarmati, i tre Toad serrarono la figura del re, come per proteggerlo.
 Il re koopa si erse minacciosamente, la sua voce era carica di furore trattenuto a stento. "Tu, maledetto... Non hai idea di quanto mi sono sforzato per cambiare, per dimostrarle che posso essere un marito amorevole e fedele. Lei se ne è accorta e ha fatto la scelta giusta in totale autonomia. Io non l'ho costretta. Sei TU quello che invece sta cercando di manipolarla, e c'eri quasi riuscito a farle scegliere quel principe da strapazzo che lei ha tanto odiato."
 
Toadorberto e Toadorica incrociarono le loro picche per impedire a Bowser di avvicinarsi ulteriormente a George, ma lui rise delle loro difese, era deciso a dirgli esattamente tutto quello che pensava.
"Quell'imbecille di Haru. Lo aveva scelto solo per farti un piacere. E stava per commettere l'errore più grande della sua vita, ma a te cosa te ne importava? L'importante per te era che facesse bella figura, accompagnandosi a quella sottospecie di damerino pomposo approvato da te, no? Tu... Sei solo un padre egoista che vuole tenerla sotto il suo controllo! Non azzardarti mai più a dire che sono io che ho voluto manipolarla, quando è evidente come la luce del sole che sei stato tu."
 La tensione nella sala stava raggiungendo il suo apice, ma re George continuava a sostenere il suo sguardo.
 "Pensi di riuscire a nascondere la tua vera natura?" disse "Non sei cambiato affatto, sei solo un malvagio e io ti giuro che se farai del male a mia figlia te ne farò pagare le conseguenze."
 
"E cosa farai? Mi sguinzaglierai contro i tuoi funghettini trifolati?"
 
A quell’insulto, Toadoberto sollevò la picca, puntandola contro il collo di Bowser.
Con una risata di scherno, la mano artigliata del koopa afferrò l'asta e la torse, spezzandola con una facilità impressionante. "Patetico" disse, prima di strapparla dalle mani del toad e di scagliarla via. Toadorica tentò di usare la propria picca per tenerlo lontano, ma anch'essa fece la stessa fine.
 
George guardò Bowser indignato, mentre Toadsworth gli si parava di fronte.
 "Non è il metodo migliore, questo, per cominciare un rapporto di famiglia." osservò, stringendo i denti.
 
 "Parli di famiglia, eh? Però ti stai dimenticando di una cosa" fece Bowser, rendendosi sempre più inquietante "Quando la figlia si sposa, la sua famiglia diventano suo marito e i suoi figli. Il papà resta solo un parente." - mise un particolare disprezzo sulla parola ‘parente’. - "un parente che deve farsi da parte."
 
 "Non permetterò che rovini la vita di mia figlia!" incalzò George, testardamente.
 
 "Sei tu quello che gliela vuole rovinare, di certo non io. Io ho a cuore la sua felicità."
 
 Re Toadstool osservò attentamente Bowser, scettico, cercando di cogliere qualsiasi indizio di falsità nelle sue parole.
 
 Inaspettatamente, Bowser si rilassò, sentendo di dover chiarire il proprio punto. "Dico sul serio" continuò "Ho imparato a rispettare e ammirare Peach per la sua forza e gentilezza. Ho visto il suo coraggio nel fronteggiare le mie minacce e ho capito che non volevo ferirla, ma che desideravo renderla felice. So che tu non mi credi, forse non mi crederai mai, ma io sono disposto a impegnarmi ogni giorno per dimostrarle che la amo e che voglio solo il suo bene. Farò di tutto per farle vivere una vita felice e sicura. E non credere che permetterò a te di impedircelo." puntò un artiglio contro il suo petto, ignorando i tentativi delle guardie di bloccarlo. "Lasciala libera di perseguire quello che vuole. È un consiglio." concluse.
 
Poi si rivolse a Kamek, che era rimasto sull'uscio a osservare la scena in un silenzio nervoso.
 "Trasporta il nostro regale ospite fuori dal castello, sarà riammesso qui dentro unicamente il giorno delle nozze, per assistere alla gioia della figlia."
 
"No, aspetta..." tentò di protestare George, ma la bacchetta di Kamek si era già sollevata in aria per rispondere all'ordine del koopa, e il sovrano del Regno dei Funghi, insieme alle sue tre guardie, venne trascinato via da una forza invisibile.
Bowser li salutò sarcasticamente con la zampa.
"Ciao ciao, caro suocero" fece, mentre la porta si chiudeva sulle loro facce.
 
 Dopo, il silenzio calò su tutta la sala.
Kamek e gli altri magikoopa si guardavano tra loro, incerti.
 Bowser li riprese "Beh, che cosa avete da guardare? Tornate alle vostre mansioni"
 
"Capo, ma... Non penso che quello che ha appena fatto sia stata una buona idea per mantenere i rapporti di pace con il Regno dei Funghi" biascicò Kamek, in tono spaventato.
 
"Me ne importa assai poco di questo." sbottò Bowser. "Ormai Peach sarà incoronata regina. Quel vecchio potrà fare il gradasso, ma non ha più l'autorità e lo sa benissimo."
 
 "Però… in questo momento è ancora lui il re" precisò Kamek "Potrebbe benissimo..."
 
 "Stai ZITTO!" ruggì Bowser, stavolta scattando infuriato.
 
 Il magikoopa si ritirò nel suo guscio "Perdono, sire" emise, soffocato.
 
 Bowser tornò a sedersi imponentemente sul proprio trono. Il suo carattere focoso e impulsivo era tornato evidente.
 
Kamek si allontanò di corsa, evitando altri consigli e commenti, e nel suo percorso si scontrò con Larry Koopa. Gli bastò solo uno sguardo per accorgersi che il bowserotto aveva evidentemente assistito a ogni cosa. Non disse niente ma la tensione era evidente. Bowser aveva sicuramente ragione, ma solo in parte. Possibile che re George non avesse a cuore il bene di sua figlia?
Ciò che lo preoccupava era l’idea che ciò che era appena accaduto avrebbe potuto compromettere le nozze.
 
"Testardo di un papà reale." mormorò Larry, mordendosi le labbra.
 
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4)
 
Luigi si era tirato fuori dalle coperte e aveva appoggiato i piedi al suolo.
Restava seduto sul letto a fissare il buio davanti a sé.
Daisy riposava sfinita accanto a lui, sdraiata su un fianco. Gli dava le spalle, girata verso il lettino accanto, sul quale c'era il bambino che dormiva.
Luigi ascoltava i loro respiri regolari sincronizzati, madre e figlio sembravano essere perfettamente in simbiosi, complementari. A differenza loro, Luigi non era ancora riuscito ad addormentarsi, si sentiva troppo agitato.
 
Continuava a ripensare al pericolo scampato, continuava a tornargli in mente quella orribile scena del figlio che, per una sua distrazione, aveva rischiato di finire la sua vita nello stesso giorno in cui era cominciata.
Cercava di convincersi che non fosse stata veramente colpa sua, che comunque il peggio fosse ormai passato e che suo figlio fosse al sicuro, ma questo pensiero non lo rassicurava per niente.
 I potenziali rapitori erano ancora in agguato da qualche parte e Luigi si tormentava con i sensi di colpa per non averli saputi fermare.
 
 Tentando di non fare rumore, si alzò e lasciò la stanza in punta di piedi.
 Mentre era diretto verso la cucina, passò di fronte al salotto e si soffermò a sbirciare l'ospite che riposava sul loro divano.
Rosalinda era profondamente addormentata, abbandonata tra i cuscini, circondata da cinque sfavillotti luminosi e colorati che la abbracciavano da ogni parte.
Luigi vide le loro tiepide luci illuminare debolmente la penombra e ne ammirò la bellezza che si rifletteva sul viso della principessa, creando delicati giochi di ombre e riflessi sulle sue linee eleganti.
 
Era profondamente grato alla cognata per il suo intervento tempestivo, ma ancora non aveva ricevuto da lei informazioni coerenti. Non aveva ancora compreso il motivo per cui si fosse trovata lì, nel posto giusto e al momento giusto. Sembrava un miracolo, ma probabilmente si era trattato di un semplice caso fortunato.
 
 Luigi si sedette al tavolo e appoggiò i gomiti, a guardare la donna, preso da tanti pensieri. Si chiedeva se Mario fosse al corrente di dove si trovasse ora sua moglie. E si chiedeva dove fosse Mario.
 L'unica cosa chiara che era emessa dal racconto confuso della donna era che erano stati separati dopo un qualche evento spaventoso di natura indefinita.
 Luigi aveva cercato di chiamare il fratello al cellulare, ma quello squillava a vuoto finché non partiva la voce registrata della segreteria.
La cosa un po' lo preoccupava, ma non aveva avuto tempo di indagare, con Daisy in agitazione per ciò che era successo al loro bambino.
L'aveva vista molto provata dalla situazione, ed era stato sollevato quando alla fine, grazie anche alla presenza di Rosalinda, si era calmata. La sua priorità al momento era lei, comunque sia Luigi si era ripromesso di tornare a far luce sul mistero riguardante il fratello.
Tutto sommato, aveva il presentimento che Mario stesse bene, e che presto sarebbe tornato a dare spiegazioni e a riprendersi sua moglie.
 
 Con la coda dell'occhio, Luigi vide Rosalinda muoversi leggermente nel sonno, allungando un braccio, come se cercasse di abbracciare qualcosa di invisibile accanto a lei, oltre le piccole tondeggianti masse degli Sfavillotti. Immaginò che stesse cercando proprio Mario.
La delusione del non trovarlo accanto a sé si dipinse attraverso la cortina degli occhi chiusi della donna, una espressione di tristezza e di perdita evidente anche attraverso il velo del sonno.
 Notarla fece venire un groppo in gola a Luigi. Non riuscì a sopportarne la vista. Gli metteva troppa tristezza.
 
 Si alzò bruscamente e uscì in fretta in balcone.
La luce pallida della luna rischiarava le fronde delle piante ornamentali che Daisy aveva posto sul davanzale come decorazioni. Agli inizi di quella difficile gravidanza, a causa dell'influenza negativa del suo umore nero, le loro foglie erano quasi del tutto rinsecchite, ma ora si stavano finalmente riprendendo e qualche fiore stava timidamente iniziando a sbocciare.
 Questo per Luigi era un segno che il peggio fosse passato. Durante quella notte insonne, il giovane uomo si fece tante domande che non avrebbe mai espresso a parole.
 
Stava iniziando a prendere sul serio il suo ruolo di capofamiglia.
 Il carattere di Daisy era indubbiamente forte, ma aveva comunque bisogno di contare su qualcuno che la proteggesse. Luigi non era sicuro di poter essere all'altezza di un tale compito, ma voleva imparare a esserlo, soprattutto ora che era nato il loro bambino, nei confronti del quale sentiva una responsabilità crescente.
 
 Mentre il sole sorgeva e la penombra della notte si affievoliva sempre più, Luigi cercava di accettare il suo futuro compito di padre, si ripeteva di non comportarsi da vigliacco, di smetterla di lasciarsi vivere, di affrontare quella nuova sfida in modo attivo e determinato.
 "Ma sono in grado di riuscirci?" si chiedeva, tremando. La sua naturale insicurezza era sempre in agguato.
 
  Mentre era immerso in questi pensieri, avvertì una presenza dietro di lui.
Due mani sbucarono fuori all'improvviso e si avvolsero sulle sue spalle.
 Un iniziale senso di spavento lasciò in fretta il posto a una sensazione di pace, mentre Daisy si stringeva contro il suo corpo.
Lentamente, Luigi sollevò le proprie braccia e accolse la moglie in un abbraccio, mentre lei si spingeva verso di lui con la testa, appoggiandogliela sul petto.
Aveva gli occhi chiusi e i capelli tutti arruffati. Luigi glieli accarezzò distrattamente.
 
"Ti chiedo scusa per la mia impotenza nel proteggere nostro figlio" sussurrò "Avrei voluto fare qualcosa di più, ma credo che se non ci fosse stata Rosalinda, io... "
 
 Daisy lo fermò dal continuare, poggiando le proprie labbra contro le sue.
"Non dirlo. Non devi dirlo" mormorò, con voce roca.
Una singola lacrima le scorse giù dall'occhio, brillò giù per la guancia e raggiunse le labbra.
 
Poi le loro bocche si aprirono e le loro lingue si incontrarono, i loro occhi si chiusero e i loro respiri si fusero insieme in un anfanare convulso...
 
 Luigi non era abituato a questi slanci da parte della moglie, ma ogni volta che gli erano concessi sapeva bene come assecondarli.
Restarono così per qualche secondo, Luigi sentiva il battito del cuore che gli pulsava nelle vene, poi si staccarono.
 In quel frangente, per qualche ragione, gli tornarono in mente le parole deliranti di Peasley circa la perdita di femminilità di una donna che diventa madre e capì che no, non aveva avuto ragione.
Daisy era ancora la sua donna e lo sarebbe stata ancora per molti anni a venire.
 
"Hai scelto un nome per nostro figlio?" le chiese, finalmente.
"Ho pensato a lungo" rispose Daisy "Volevo il nome di un fiore, ma visto che Rosalinda ci ha dato una mano, mi sembra giusto sceglierne uno anche in suo onore" gli occhi grandi e profondi della donna scintillavano di decisione "Perciò, visto che lei è la principessa delle stelle, ho deciso che il bambino verrà chiamato Aster. Aster è il nome di un fiore, molto simile alle margherite. Ma significa anche stella. Ti piace?"
 Luigi sorrise. "Mi sembra perfetto. Le farà molto piacere..."
 
 "Che cosa mi farà molto piacere?" chiese Rosalinda, uscendo anche lei lì fuori in balcone. Sbadigliava vistosamente, ma aveva sentito pronunciare il suo nome e ciò l’aveva attirata lì.
 
 Daisy si voltò verso di lei e le prese le mani tra le sue. "Rosalinda, cara cognata! Ti ringrazio per l'aiuto con il nostro bambino. Ti voglio fare una proposta e ti prego di rispondere di sì. Vuoi essere la madrina di nostro figlio?" le chiese solennemente.
 
La donna batté le palpebre più volte, sembrava perplessa.
 Poi fece un gran sorriso imbarazzato.
 "Ehm... Non ho idea di cosa significhi, sinceramente" rivelò con semplicità.
 
Daisy rise e abbracciò la principessa con trasporto.
 
 Luigi si sentì alleggerito dalla tensione accumulata e fu contagiato dall'allegria del momento.
 Si unì alle due donne, che lo accettarono nel circolo delle loro braccia.
Quello per Luigi era il momento in cui si definiva il concetto di famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice: ultimamente mi sto interrogando molto sulla figura paterna. Ho avuto un meraviglioso rapporto con mio padre, ma ho sempre avuto il dubbio di essermi persa alcune sfumature del suo carattere, probabilmente perché non essendo io un uomo, certe cose non le capisco tanto. Spero che questo capitolo sia riuscito a rendere bene alcune caratteristiche positive e negative in tal senso. Ah, ovviamente l’aspetto del papà di Mario è stato adattato da come è apparso nel film. Mi è piaciuto moltissimo il suo design, non potevo lasciarmelo scappare 😊 Inoltre, la presenza muta di Toadswort, Toadoberto e Toadorica è semplicemente un omaggio che ho voluto inserire. Metterci Yvan e Wolley qui avrebbe un po’ stonato.

 

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