Hawk & Dove

di Gambitt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di nuovo assieme... per la prima volta! ***
Capitolo 2: *** I will survive ***



Capitolo 1
*** Di nuovo assieme... per la prima volta! ***


Hawk&Dove1

 

In un luogo che non è un luogo.

 

All’inizio è solo nulla, poi qualcosa cambia. In un punto che prima era assolutamente identico agli altri si scatena. Non è qualcosa di distinguibile, è una specie di tornado di suoni, forme, colori e odori che cambia aspetto e grandezza più velocemente di quanto ci metta a definirsi in ogni sua parte. Di contro, in un punto diametralmente opposto, appare un’altra anomalia. Il suo bianco accecante si staglia ferreo ed immobile contro l’oscurità dell’ambiente circostante, una entità fatta di linee e punti perfettamente simmetrici. Le due presenze si avvicinano, si studiano, poi la prima parla senza aprir bocca:

E’ dI nUov0 iL M0m3nt0?!?

SI.

QuAl3 E’ iL Lu0gO pr3sCElt0 StAvoLta?!?

Un’immagine si materializza tra i due, un pianeta sferico schiacciato ai poli e per una buona parte coperto d’acqua.

LA TERRA.

 

 

Hawk & Dove

#1

 

Di nuovo assieme... per la prima volta!

 

 

 

San Francisco.

Pizzeria Pauline’s Pizza Pie.

 

“Non si discute... la migliore era quella di Erotika.”

“Stai scherzando?! E Like a Virgin cos’è, un riempitivo?!”

“Bhe anche le ultime non erano proprio male...”

“Frozen! Per esempio prendete Frozen! Lì era splendida!”

“Sì sì, ma anche la versione più pop di Don’t tell me...”

“In ogni caso in Die another day è stata assolutamente grandiosa!”

Per la prima volta nella serata tutti e cinque concordano. Due ragazze, tre ragazzi, un tavolo circolare ed una pizza gigante al centro. Cosa volere di più?

“Certo non come gli anni ’80...” dice un ragazzo magro dalla voce squillante.

“Per te qualsiasi cosa proveniente dagli anni ’80 è oro puro, Arnie.” lo punzecchia una ragazza grassoccia dalle guance rosse sotto gli occhiali.

“Ma è vero, Dora! Gli anni ’80 ci hanno dato tutti i miti di oggi! Se proprio ti fa ribrezzo pensare al viso da zombie di Michael Jackson guarda Madonna e George Michael, senza contare gli Abba, i Village People... Gloria Gaynor!”

“Praticamente pop allo stato puro...” commenta un ragazzo biondo dagli occhi di un dolce azzurro.

“Eeeeexactamundo Jude bello! Tu sì che mi capisci!”

“...il che non è necessariamente una cosa positiva.”

Il viso di Arnie si rabbuia in un colpo solo. Approfitta del suo silenzio un altro ragazzo dai capelli neri che gli scendono lisci fino alle spalle.

“Sono d’accordo con Jude. Il pop di quei tempi era troppo eccessivo... troppo di cattivo gusto...”

“Si dice kitsch...” bofonchia Arnie. Il ragazzo continua:

“E ora come ora il pop ha fatto il suo tempo. Sai... è diventato troppo ripetitivo e banale, meglio altri generi...”

“Il tuo animo metal protesta, eh Markus?” ad aver parlato una ragazza magra dal sorriso trascinante, seduta accanto a Dora.

“Mi hai scoperto, Kimberly.” ammette il ragazzo con un sorriso.

“Sì... voi parlate così ma intanto andrete tutti a comprare il prossimo CD di Madonna...” protesta Arnie.

“Veramente avevo intenzione di scaricarlo da Internet...” dice Jude, ma vedendo l’espressione scandalizzata sulla faccia dell’amico si affretta ad aggiungere “Ehy ehy calmo stavo scherzando!”

“Attento Jude, amiche mie hanno picchiato gente per molto meno!” esclama Dora.

“Uffa non trattarmi male il mio Jude!” protesta scherzosamente Kimberly dando un pugnetto al fianco dell’altra ragazza.

“Non permetterò a nessuno di fare del male a questo povero ragazzo!” aggiunge con un sorriso Markus poggiando un braccio attorno alle spalle di Jude mentre gli scombina i capelli con l’altra mano.

“Almeno fino a quando resterà sotto la benedizione della Madonna...” conclude Arnie.

Le risate dei cinque ragazzi riempiono il locale.

 

 

Più tardi.

 

“Ragazzi è stato uno spasso, rifacciamolo appena possibile!” sta dicendo Kimberly con un gigantesco sorriso mentre saluta gli altri fuori dal locale.

“Oh... con te lo rifarei anche tre volte al giorno...” ribatte Jude lanciandole uno sguardo allusivo mentre le dà un delicato bacio sul dorso della mano.

“Adulatore...” gli fa eco Kimberly ricambiando lo sguardo.

“Va beeeeeeeene... si è fatto tardi!” li interrompe Dora afferrando l’altra ragazza per un braccio “E se non la riporto a casa entro mezzanotte l’auto mi si ritrasforma in una zucca!”

“Un po’ come la proprietaria...” commenta Arnie.

“Cosa hai detto?” chiede Dora con un’espressione di finta offesa.

“Solo che ti voglio bene!” si affretta a rispondere il ragazzo.

“Voglio ben sperare... Ciao vipera!” e gli piazza una forte pacca sulla spalla. Quindi le due ragazze salutano gli altri presenti e si avviano verso l’auto di Dora.

“E voi invece... avete bisogno di un passaggio?” chiede Markus ai due ragazzi rimasti “Ho la moto giusto qua dietro e...”

“Non preoccuparti per me, io abito proprio qua dietro.” risponde Arnie “E’ il principino azzurro qui che deve passare dal porto per arrivare a casa.”

“Oh no dai non ti faccio andare mica da solo Arnie.” si affretta ad aggiungere Jude “Casa tua è comunque sulla strada che devo fare, e per un piccolo fanciullo come te non è sicuro andare da solo...”

“Piccolo fanciullo a tua sore...”

“Posso venirti a prendere a casa di Arnie con la moto ed accompagnarti da lì...” lo interrompe Markus.

“Naaaaa, non voglio disturbarti.” risponde Jude.

“Lo faccio con piacere... davvero.”

“Voglio... fare una passeggiata, sarà per la prossima volta ok?”

“E quando sarà questa prossima volta...?”

Jude guarda Arnie in cerca di aiuto, e questo si sporge in avanti prendendo i due per le spalle mentre dice:

“Si sta organizzando una serata al Metropolis sabato sera e l’animazione è stata affidata al sottoscritto. Se non avete impegni vi faccio anche entrare gratis!”

“Per me va bene...” risponde Markus, e poi entrambi si voltano verso Jude, che ha l’espressione di un evaso messo con le spalle al muro.

“Io... uhm... ok si può fare.”

“Ci sentiamo in settimana per metterci d’accordo allora!” esclama sorridendo Markus mentre si avvia verso la moto “A presto!”

Arnie e Jude rimangono a guardarlo partire, poi si avviano verso casa del primo.

“Dora e Kimberly sono grandiose, vero?” chiede Arnie passeggiando con l’amico.

“Sì sì, simpaticissime. Kim poi è un amore!”

“Sapevo che ti sarebbero piaciute! E a proposito di incontri... Allora, com’è che ti sembra?”

“Bhe sì è sicuramente interessante, ma non credo sia il mio tipo...”

“Jude-barriera-emotiva torna alla ribalta! Quando troverai l’anima gemella quantomeno cadrà il settimo sigillo dell’Apocalisse...”

“Ehehehe dai non è vero, non sono poi di gusti così difficili.”

“Disse il ragazzo le cui relazioni non superano le due settimane...”

“Ma io ci provo!”

“Jude, hai sedici anni, non sei stupido e hai un disceto sex appeal, se lo volessi veramente a quest’ora saresti nel meraviglioso mondo delle relazioni stabili...”

“Non ho ancora trovato la persona giusta! Non è mica colpa mia!!”

“Sì certo...” Arnie alza gli occhi al cielo, poi li punta nuovamente su Jude accusandolo con lo sguardo “Ma cos’aveva che non andava! E’ intelligente, ha fascino è ha un’evidente cotta per te! Il che non guasta mai...”

“Non ho detto che non mi piace! E’ che penso che non sia il mio tipo, tutto qui.”

“Allora c’è ancora una speranza per il tenebroso Markus! Bene bene...”

“E ora che stai archittettando...?” nel suo tono di voce un leggero sospetto.

“Niente niente! Pensavo solo a farvi passare una bella serata sabato!”

“Arnie... lascia perdere. Se dovrà succedere qualcosa sarà spontaneo...”

“Ma non puoi continuare a scartare tutti i ragazzi che ti presento!”

“Finché non mi presenterai quello giusto posso fare come mi pare, non credi?” ribatte Jude accompagnando la frase con un sorrisone.

“Stronza.”

“Lo sai che ti amo...” e con la punta delle dita sulle labbra lancia ad Arnie un piccolo e bastardo bacetto.

 “Sì sì... ti prendi gioco dei miei sentimenti... sniff...” risponde Arnie facendo finta di mettersi a piagnucolare.

“Oddio ecco che ritorna la Rossella O’Hara che è in te...”

“Tu... tu oggi mi ferisci parlando in questo modo ma domani... domani è un altro giorno!”

“Ecco che ricomincia...” Jude si mette una mano scherzosamente sugli occhi facendo finta di non voler vedere l’imitazione di Rossella O’Hara in cui Arnie si sta esibendo. La vedono benissimo invece un gruppo di motociclisti fermi davanti un sudicio bar nei pressi del porto, uno dei quali esclama verso gli altri:

“Ehy guardate, una coppia di femminucce!”

“Ciao signorine!” grida un altro di loro rivolto ad Arnie e Jude “Cosa ci fate da queste parti, siete venuti a cercare dei veri uomini?!”

“Sì sì, e finora abbiamo trovato solo dei molluschi senza palle!!” ribatte Arnie con la sua voce squillante.

“Oh oh oh...” commenta un altro dei motociclisti “La checca è coraggiosa! Vieni qui e ti faccio scoprire se ce le ho!” e si afferra il pacco con una mano “Scommetto che ti piacerebbe pure!!”

“Mai quanto piacerebbe a te, caro, sono un professionista io!” è la risposta di Arnie.

“Ah davvero?! E scommetto che lo prendi pure!!”

“Certo! Tutto intero! Mi ha insegnato tua ma...!” ma la mano di Jude sulla sua bocca lo blocca.

“Dai andiamo...” tenta di dire mentre lo spinge indietro.

“Calma calma bellezze, non così in fretta!” i motociclisti hanno quasi circondato i due ragazzi “Credo che qui c’è qualcuno che ha bisogno di una lezione.” e si scrocchia le nocche delle mani guardandoli con aria minacciosa.

“Adesso basta, Rico.”

Ad aver parlato è un ragazzone grande e grosso, vestito con dei jeans strappati e una stretta canottiera che mette in bella mostra i suoi pettorali palestrati. Capelli castani arruffati cadono su una fronte corrugata e sulle folte sopracciglia che riparano grandi occhi scuri.

“Ehy andiamo Dan ci stavamo solo divertendo un po’ con questi due finocchietti!”

Dan guarda Arnie e Jude schifato, come se fossero un errore della natura, poi si rivolge di nuovo al suo amico:

“Lasciateli andare.” e poi, lanciando loro un’ultima sbirciata di sottecchi “Hanno già abbastanza problemi...”

“Ok ok, sei tu il capo!” risponde Rico un po’ seccato, e poi, rivolgendosi ai due “Avete sentito... andatevene!”

Arnie sta per dire qualcosa, ma Jude lo ferma subito e lo trascina via per un braccio. Così come i ragazzi, anche i motociclisti tornano verso il bar. Sulla strada resta solo Dan che guarda i due allontanarsi. Dopo circa un quarto d’ora, quando ormai sono scomparsi alla sua vista, fa per tornare dai suoi amici, ma qualcosa cattura la sua attenzione. Qualcosa di luccicante, al centro della strada. Si avvicina sull’oggetto e si china su di esso raccogliendolo tra le dita. Sono un paio di chiavi argentee, attaccate ad un portachiavi con una bandiera a strisce colorate. Guarda un’altra volta nella direzione in cui sono andati Arnie e Jude, quindi mettendosi in tasca le chiavi imbocca quella strada anche lui.

 

 

Altrove.

 

Il luogo è una tenuta di campagna. Una villa circondata da un alto e ripido muro sormontato da un’inferriata appuntita. Tutta l’area del giardino e del parco è sorvegliata costantemente da telecamere a circuito chiuso e fotocellule nascoste tra la vegetazione in modo tale da non essere visibili e non rovinare la bellezza mozzafiato delle statue e le fontane antiche disseminate in tutto il parco in maniera armonica con le piante rare e fiori provenienti da tutto il mondo. La villa stessa è un esempio di come si possano unire elementi di diverse correnti artistiche in modo tale da ottenere uno degli edifici più splendidi e particolari del mondo. All’interno di essa, in un ampio salone illuminato solo dal pallore di candele profumate alla vaniglia, si sta consumando una festa esclusiva in onore del padrone di casa. Uomini e donne dai fisici perfetti si stanno muovendo nudi sul pavimento, l’uno contro l’altro, l’uno dentro l’altro, celebrando un baccanale di orgiastica bellezza fatto di braccia, toraci, gambe, natiche, seni, organi genitali che appaiono e scompaiono nei corpi degli altri in un’amalgama densa e indefinita. Di qua un sospiro, di là un gemito, e al centro di tutto un uomo dai capelli neri tagliati alla foggia di un gladiatore romano, che sta abbandonando il suo fisico perfetto alle bocche, alle mani, ai corpi delle ragazze e dei ragazzi scelti per dargli il massimo piacere, di cui ora sta godendo appieno. La calda sensualità del salone non viene per nulla turbata dall’arrivo di un altro uomo in un completo nero, che come se quel che sta accadendo fosse la cosa più normale del mondo scosta le porte della sala con la massima attenzione e scandisce nell’aria le parole:

“Mr. Randall?”

L’uomo al centro di tutto apre gli occhi, quindi muovendosi con cautela, come non volendo disturbare l’armonia innata di quel posto, si sottrae ai corpi che ha intorno e si dirige verso il nuovo arrivato, il quale gli porge una lunga vestaglia di seta viola che indossa senza allacciarne il nastro adibito alla sua abbottonatura. Quindi chiude le porte del salone dietro di sé, e si rivolge all’uomo nel completo nero.

“Dimmi, Ewan.”

L’uomo, dalla pelle color del miele d’acero e dai lineamenti sottili come quelli di un egiziano, si riaggiusta di qualche millimetro gli occhiali sul viso intriso da un fascino esotico e al contempo professionale, prima di rispondere:

“Il suo infiltrato ci ha appena contattati. La cetra di Apollo, assieme agli altri manufatti, sta per raggiungere il porto di San Francisco esattamente come ci aveva detto. Fra qualche decina di minuti dovrebbero attraccare e cominciare le operazioni di sbarco dei manufatti, che verranno immediatamente portati al Museo di Arte Moderna. Se posso permettermi, suggerirei di agire durante lo sbarco, prima che possano spostare il carico all’interno dei furgoni portavalori.”

“Sì, hai ragione. Gli uomini sono già sul posto?”

“Sì, Mr. Randall, è tutto come prefissato.”

“Bene, allora dai l’ordine di iniziare l’operazione non appena la nave abbia scaricato tutto.”

L’uomo annuisce, e fa per andarsene, quando il primo aggiunge:

“E di’ loro che li riterrò personalmente responsabili se anche uno solo dei reperti viene danneggiato.”

Ewan si blocca e, senza girarsi, risponde:

“Lo farò, signore.” quindi se ne va, lasciando l’uomo in vestaglia da solo.

 

 

Nello stesso momento.

 

“Bhe allora ci vediamo.”

Jude è davanti la porta di casa di Arnie, e lo sta salutando prima di andare.

“Ciao Jude! Ti ringrazierei per avermi accompagnato a casa se non avessi l’atroce dubbio che l’hai fatto unicamente per non restare da solo con Markus...”

“La tua frase mi offende profondamente!” replica il ragazzo biondo “In realtà l’ho fatto solo per cavalleria nei confronti di una dolce fanciulla indifesa come te!”

“Bhe in effetti ti ci vedo in fuseaux, corpetto azzurro e cappello con il pennacchio. Solo che più che sopra al cavallo ti ci vedo sotto...”

“Fottiti!”

“Quando vuoi, sono a tua completa disposizione!”

“Ti piacerebbe!”

“Mi hai scoperto! E’ il mio sogno erotico da quando ci siamo incontrati!”

Jude sorride, poi alza la mano e:

“Starei ORE a parlare con te... purtroppo ho qualcosa di più divertente da fare, tipo un’operazione senza anestesia...”

“Buon viaggio a Casablanca allo...!”

“CIAO!” e voltando le spalle Jude torna verso il porto mentre ancora sorride per lo scambio di battute. Sentendo per la prima volta il vento freddo della notte di San Francisco, mette istintivamente le mani in tasca, ma si accorge subito che manca qualcosa. Per sicurezza controlla anche le tasche della giacca. Niente. Le sue chiavi di casa sembrano essersi volatilizzate. Jude si blocca e fa mente locale su quanto successo durante la serata. Subito dopo essere uscito dalla pizzeria si ricorda di aver controllato che ci fossero ancora, quindi... quindi devono per forza essergli cadute quando hanno incrociato quegli idioti omofobi giù al bar del porto. Imprecando mentalmente contro di loro, Jude comincia ad incamminarsi verso il bar. Proprio mentre sta percorrendo il molo 7, nel quale a quanto pare ferve grande attività attorno allo sbarco di alcune casse da una nave, lo vede. Adesso indossa un chiodo sopra la canottiera bianca, ma riconoscerebbe ovunque quella espressione corrucciata a metà tra un profondo pensiero filosofico e il vuoto mentale. Anche perché, circa una mezz’ora prima, quel ragazzo ha impedito che lui e Arnie venissero picchiati da un gruppo di bifolchi. Di cui comunque sembrava il capo...

Jude si blocca, ed anche Dan non appena lo vede. Rimangono a fissarsi a circa cinque metri di distanza per qualche istante, poi il primo dice:

“Che vuoi?”

Dan si gratta il naso un po’ imbarazzato, poi, evitando di guardarlo troppo negli occhi, infila la mano in tasca e ne tira fuori un oggetto lucente:

“Ho... ehm... trovato queste giù al bar e mi chiedevo se... sì insomma se fossero tue.” e lascia penzolare le chiavi nell’aria in modo che Jude lo possa vedere bene. Questo lo scruta per qualche altro secondo, diffidente, poi:

“Sì, sono mie.” e non aggiunge altro. Per i dieci secondi successivi i due rimangono zitti e immobili.

“Bhe... allora...” dice Dan in evidente difficoltà “...tieni.” e gli porge il palmo della mano, sulla quale sono poggiate le chiavi. Jude lo squadra per un altro decimo di secondo, quindi si avvicina con lentezza studiata e, una volta giunto a distanza di braccio, afferra il portachiavi dal palmo di Dan e ritrae la mano. Quindi, vedendo che in effetti non c’era dietro nessun tipo di trappola, il suo viso si rasserena tutto di un colpo, tornando quello del dolce ragazzo che è sempre stato.

“Grazie.” dice sorridendo. Per reazione, sul viso titubante di Dan, il labbro si increspa di qualche millimetro in un sorriso.

Ed è allora che succede.

Successivamente nessuno dei due ricorderà se sono cominciati prima gli spari o le urla. Quel che rammenteranno sarà solo un gran rumore e un secondo più tardi il porto trasformato in una zona di guerra, con uomini dai visi coperti da passamontagna scuri a sparare contro poliziotti e guardie armate. E loro due presi nel mezzo. Jude porta istintivamente le mani alle orecchie per coprire il rumore assordante degli spari, mentre comincia a correre dietro una cassa in cerca di riparo. Un paio di colpi vaganti gli sfiorano il piede mentre si lancia in quel nascondiglio improvvisato, e subito dopo un altro scheggia il muro sopra di lui. La polvere leggera che gli cade addosso lo riporta alla ragione. Jude spalanca gli occhi e, lucido come non mai, fa capolino dalla cassa quel tanto che basta per vedere cosa sta succedendo, stando attento ai proiettili vaganti. Adesso gli uomini con i passamontagna hanno quasi decimato gli agenti, e si preparano ad accerchiare e neutralizzare gli ultimi rimasti. Ma non è questo che colpisce Jude. Un dettaglio, un particolare, gli penetra nella retina e gli si imprime nel cervello, nitido come non mai. E’ il braccio di un poliziotto, disteso per lungo accanto la sua testa riversa sull’asfalto, la mano aperta a pochi centimetri da una pistola appena raggiunta dalla pozza di sangue che si sta allargando sotto di lui. Quell’uomo è caduto, e non si rialzerà più. Non è giusto, pensa Jude, non è così che deve andare. E’ in quel momento che giunge. Non una voce, non una presenza, ma più come un’armonia. Con un’offerta: la possibilità di portare ordine nel caos. Basta solo accettare. Basta solo dire...

“Dove” pronuncia Jude, ed un secondo dopo qualcosa in lui cambia. Non è tanto il costume bianco e azzurro che sostituisce i suoi vestiti, quanto la visione che ha sulla realtà che lo circonda. Non sa come, ma è consapevole di ogni proiettile sparato, della posizione di ogni uomo nel raggio di una cinquantina di metri e perfino della traiettoria che seguirà ogni pallottola. Tutto acquista un senso, tutto rientra nell’ordine. E Jude non si è mai sentito così sicuro di sé. Con un balzo esce fuori dal suo nascondiglio, e dopo una doppia piroetta in aria atterra al centro dell’azione. Non ha nemmeno bisogno di aprire gli occhi, sa da quale parte arriveranno le pallottole e come evitarle con una giravolta veloce che lo porta davanti ad uno dei criminali. Questo è troppo sorpreso dal suo arrivo per accorgersi del salto all’indietro di Jude che porta la punta dei suoi piedi a collidere violentemente contro la sua mascella. Gli altri due uomini immediatamente vicini al primo sono esterrefatti anche e quanto più di lui, ed è per questo motivo che Jude riesce ad tramortirne uno colpendolo alla nuca con le mani e contemporaneamente dandosi la spinta per gettare le gambe attorno al collo del secondo e ridurlo all’incoscienza con uno strattone. A questo punto però gli altri hanno cominciato a realizzare la sua presenza, e quindi abbandonano la sparatoria con gli agenti di polizia per concentrarsi su di lui. Mitra K9 di produzione tedesca scaricano su di lui decine di proiettili in una manciata di secondi, ognuno dei quali viene catturato e analizzato dalla sua mente. Velocità, accelerazione, traiettoria, tutte nozioni fisiche che a scuola aveva sudato per riuscire a comprendere, acquistano improvvisamente un senso logico e razionale, grazie al quale sa come le pallottole si muoveranno e come potrà usarle contro gli stessi aggressori. Muovendosi con una velocità sovrannaturale corre al centro di due di loro, i quali sono troppo impegnati a cercare di colpirlo per accorgersi che stanno per spararsi a vicenda. Tramortiti questi, Jude ne raggiunge un altro e gli salta sopra la testa usandola come trampolino per lanciarsi in aria. Compie tre eleganti giravolte, per poi cadere al centro del molo. Quando si rialza i rumori di almeno sette mitragliatori puntati su di lui da ogni direzione raggiunge le sue orecchie. Apre gli occhi, e vede altrettanti uomini dai visi coperti da passamontagna neri in circolo attorno a lui, le armi puntate e pronte a sparare. Jude sorride.

Intanto, da dietro un’auto, Dan ha visto tutto. Ha visto l’assalto dei criminali, ha visto il ragazzo biondo scappare dietro una cassa e l’ha visto trasformarsi in quella specie di acrobata che per qualche minuti ha dato loro del filo da torcere. E ora lo vede circondato ed inerme, pronto ad essere giustiziato. Una rabbia impetuosa gli sale addosso incontrollata e inarrestabile. Le sue narici cominciano a sbuffare pesantemente, gli occhi gli si appannano di rosso. Sa che può fare qualcosa. Quelle mille voci, quei mille odori, quelle mille sensazioni glielo stanno dicendo. Agisci, Dan. Colpisci, Dan. Uccidi, Dan. E tra quella miriade di percezioni un’idea ricorrente. Di’ la parola, Dan. Di’ la parola!

“Hawk!” urla Dan, e un vortice sensoriale lo avvolge. Sente il suo corpo più forte, più potente. Vede il bianco e il rosso del proprio costume che lampeggiano d’allarme come un mantello sventolato agli occhi di un toro infuriato. Avverte unghia affilate alle dita e un’espressione bestiale sul viso. Individua gli uomini con il passamontagna nero che stanno attorno a Jude, ed ha il suo bersaglio.

“RAAAAAAAAAAAAAARRRRGHHH!!!” grida Dan, ed esce dal suo nascondiglio caricando sui criminali come un rinoceronte infuriato. Tutti si voltano sorpresi verso di lui, Jude il primo. Ma mentre gli uomini rimangono a fissarlo come lepri immobilizzate dal terrore davanti all’auto che le sta per investire, i sensi di Jude gli permettono di analizzare il pericolo e di saltargli sopra le spalle un secondo prima essere travolto. Quando riatterra la situazione è nettamente cambiata. Dan, all’interno del suo costume bianco e rosso, sta lottando come un animale contro tutti i criminali così sfortunati da capitargli innanzi. Attorno a lui una spirale di violenza brutale, fatta di artigli che raggiungono impacabili il loro bersaglio e corpi martoriati che cadono. La situazione sembrerebbe sotto controllo, se non fosse per quella sensazione di pericolo alla base del collo. Jude si volta e ne individua subito il motivo. Un cecchino, l’ultimo rimasto, ha il fucile puntato su Dan e si prepara a sparare non appena trovi campo libero. Il cervello superpotenziato di Jude analizza immediatamente la situazione e gli fornisce almeno quattordici modi diversi per neutralizzarlo, ma quel che Jude sa già mentre si aggrappa all’argano usando la sua spinta per lanciarsi sul criminale è che nessuno di essi gli potrà permette di impedirgli di sparare. I suoi piedi raggiungono l’arma dell’uomo nell’esatto secondo in cui preme il grilletto, deviando la canna del fucile quei pochi millimetri che bastano per spostare il bersaglio dal cuore alla spalla. Dan urla per l’esplosione di dolore sulla spalla, e il contraccolpo lo scaraventa in acqua. Con un calcio al suo viso Jude si libera del cecchino, l’ultimo dei criminali rimasto cosciente, quindi percorre ad ampie falcate l’asfalto che lo separa dal mare e vi si tuffa dentro con uno slancio aggraziato. Sul molo 7, torna un’innaturale quiete.

Passano una trentina di secondi, poi gli agenti di polizia rimasti fanno capolino dalle loro auto per ritrovare i corpi degli assalitori sparsi lungo tutto l’asfalto.

 

 

Rossa. Non dovrebbe essere così rossa, l’acqua. L’acqua è trasparente, il mare è blu, di giorno, verde al massimo, e scuro, la notte, nera magari, ma non rossa. Non è questa la consuetudine, non è questo l’ordine naturale delle cose. E questo sapore metallico e salato che si è sepolto proprio dietro il palato...

Jude, ancora nel costume bianco e azzurro di Dove, sta lottando contro la corrente per raggiungere la riva e portare così in salvo l’uomo svenuto che a modo suo lo ha salvato dai criminali. Nonostante sia molto più grande di lui, e nonostante in condizioni normali non sarebbe mai riuscito a non cedere all’impetuosa corrente del mare di San Francisco, la perfetta visione delle cose di cui quell’armonia lo ha fornito gli permette di mettere a fuoco qualsiasi cosa abbia intorno in ogni istante, sfruttando così ogni piccolo mulinello d’acqua, ogni onda per lasciarsi trascinare nella giusta direzione. Passa qualche minuto, ed in una spiaggia un paio di miglia lontana dal porto una figura minuta emerge dall’acqua. Tra le sue braccia un uomo molto più grande di lui e completamente inerte, che viene trasportato per qualche metro sulla sabbia prima di esservi adagiato delicatamente. Jude guarda l’uomo sotto di sé, e qualcosa in lui avviene. Il costume bianco e rosso dai dettagli appuntiti e spigolosi scompare, cedendo il posto a quel ragazzo che gli aveva riportato le chiavi di casa al porto, il capo della banda di idioti che per poco non aggredivano sia lui che Arnie. Ma non è questo a preoccupare al momento Jude. Piuttosto, è la ferita sanguinante che fa capolino dalla sua spalla sinistra. Ha visto l’acqua rossa, ha visto quanto sangue è uscito da essa, ed improvvisamente, come un lampo, si ricorda di una nozione memorizzata durante il corso di biologia l’anno prima. Rivede il professore, in completo grigio e cravatta rossa, che aggiustandosi gli occhiali dice che il corpo umano ospita solo circa cinque litri di sangue, e che basta la perdita di una buona metà di esso per rallentare la pressione sanguigna in modo tale da non far più pervenire ossigeno al cervello, e morire. E’ solo un flash, ma basta a terrorizzare Jude quasi al punto di fargli perdere la concentrazione. E, non sa perché ma sa di esserne sicuro, perdere la concentrazione è l’ultima cosa che deve fare in questo momento. Facendo come in tutti i film d’azione che ha visto nella sua vita strappa un lembo dalla canottiera di Dan e lo usa come fasciatura attorno alla ferita, in modo tale da bloccare il sangue. Quindi lo osserva ancora una volta. E’ ancora immobile, ma dall’espressione sul suo viso sembra aver appena fatto un brutto sogno. Indice e medio di Jude raggiungono il suo collo, si sentono ancora i battiti, ma vanno rallentando. Impedendo ancora una volta alla disperazione di prendere il sopravvento Jude si china su di lui e lo guarda di nuovo, questa volta aperto a tutte le sensazioni che i nuovi poteri gli forniscono. Sente il suo battito che rallenta sempre di più, sente il suo respiro affievolirsi, sente i polmoni muoversi su e giù sempre più deboli. Ma sente anche quella sensazione, quell’armonia, che improvvisamente gli suggerisce cosa fare. Jude poggia le mani sul petto di Dan, poi cala il viso verso il suo, avvicinandosi lentamente. I nasi quasi si sfiorano, le labbra sono a pochi centimetri l’una dall’altra, ma Jude non interrompe il suo accostamento. Nello stesso tempo l’aria comincia ad illuminarsi. E’ una luce bianca, inizialmente, piccola e debole, che cresce sempre di più d’intensità fino ad avvolgere completamente entrambi. Sulla spiaggia deserta avviene una intensa esplosione di bianco, e in un istante tutto viene coperto e fuso all’interno di essa.

E poi...

 

Continua...

 

 

Una piccola nota da parte dell’autore: benvenuti al principio di un’avventura dai toni prettamente supereroistici, ma con qualcosa in più. Da un lato infatti, a livello dei concetti di base da cui questa serie prende spunto, l’ispirazione alle vecchie storie della DC è tangibile, ma dall’altro i protagonisti di questa sono tutte creazioni originali che introducono un tema che fino a qualche anno fa era completamente tabù, specie nei fumetti americani. Qualche anno fa infatti l’omosessualità di uno o un altro personaggio poteva solo essere vagamente accennata attraverso qualche frase ambigua, ma mai detta chiaramente. Ultimamente le cose stanno cambiando: in alcune serie sono stati introdotti comprimari gay (e il fatto che il fenomeno abbia fatto parlare così tanto di sé da finire al telegiornale non è molto rassicurante...) e stanno addirittura per uscire serie della Marvel e della DC con protagonisti dichiaramentente gay. Con questa serie voglio spingermi un po’ più in là. Non solo uno dei due protagonisti è gay, ma vive la propria diversità alla luce del sole, all’interno di quello che viene definito ‘l’ambiente’. Nonostante sia difusissimo e nonostante negli ultimi anni sia diventato di proporzioni non indifferenti, molti tendono ad ignorare che accanto alla società ‘normale e rispettabile’ esiste una realtà fatta di uomini e donne omosessuali che ogni giorno lottano non solo per i propri diritti, ma anche per non essere ignorata dal resto del mondo. Quel che voglio fare con questa serie è non solo dare una chiara visione di questa realtà, ma anche dimostrare che l’omosessualità non è un fenomeno così lontano dalle vite di nessuno. Esistono locali pieni di ragazze e ragazzi gay in tutte le città, e a giudicare dal numero di frequentatori posso permettermi di dire che probabilmente siete venuti a contatto con molti più omosessuali di quanti voi stessi immaginiate. E, per l’amor di Dio, svecchiamo questa credenza che solo il tipo effemminato di turno è gay! Una tendenza sessuale è una tendenza sessuale, e sebbene costituisca una parte importante della personalità di qualcuno, non ne è il fattore determinante. Spero di poter far capire anche questo.

Per commenti, suggerimenti o insulti il mio indirizzo è: gambittolo@hotmail.com .

 

 

Qualche nozione storica su Hawk & Dove: nonostante i personaggi di questa storia siano tutti originali ed alla prima apparizione, i concetti alla base di Hawk & Dove sono piuttosto vecchiotti, essendo stati creati nel 1968 da Dick Giordano, Steve Skeates e Steve Ditko. All’inizio la storia era piuttosto semplice: due fratelli, uno impetuoso e violento, l’altro di indole pacifica e riflessivo, venivano dotati da delle voci misteriose dei poteri del Falco e della Colomba, nei quali i loro caratteri si rispecchiavano. La serie si basava su una frase comparsa sulla copertina del primo numero: “In questo mondo, coloro che cercano giustizia spesso seguono vie differenti. Il DURO e il DOCILE! Lo SFIDANTE e lo SFIDATO! Questa è la nostra storia... una storia di due fratelli... IL FALCO e la COLOMBA!” e in effetti questo dualismo aveva finito per diventare l’unico tema dell’albo. Ragion per cui la serie fu chiusa, e dopo qualche comparsata tra i Titani i personaggi scomparvero per riapparire durante Crisis, in cui Hawk assisteva sconvolto alla morte del fratello Dove. Dopo qualche altra apparizione in vari albi DC, finalmente Karl e Barbara Kesel si ricordarono delle potenzialità del personaggio e dopo una miniserie molto ben riuscita (disegnata tralaltro da un Rob Liefeld ancora semisconosciuto e ancora bravo) cominciarono a scriverne la serie. Per l’occasione lo avevano dotato di un nuovo partner, di un nuovo Dove, che questa volta però era una ragazza che aveva ricevuto i poteri in circostanze simili a quelle degli originali. Man mano che si andava avanti nella serie veniva rivelato che le voci che li avevano dotati dei poteri erano quelle di T’Charr e Terataya, due signori rispettivamente del Caos e dell’Ordine, che essendosi innamorati avevano usato Hawk & Dove come un esperimento per dimostrare che le forze del Caos e quelle dell’Ordine potevano collaborare in armonia, e sempre per questo motivo avevano tolto i poteri al Dove originale e li avevano dati alla seconda sperando che i due potessero innamorarsi e dare alla luce un bambino, prova tangibile del loro successo. La storia cominciò a complicarsi quando i due fronteggiarono un supercriminale proveniente dal futuro chiamato Monarch, tornato indietro nel tempo per assicurarsi le proprie origini. Il villain infatti uccise Dove davanti agli occhi di Hawk, che impazzì letteralmente dopo aver scoperto che Monarch altri non era che una versione più vecchia di sé. Dopo aver assorbito il potere di Dove, Hawk accettò il suo destino e divennè Monarch, iniziando una carriera di criminale che lo portò infine a rubare la tecnologia cronale degli Uomini Lineari e a divenire il crono-criminale chiamato Extant, per poi scomparire nel limbo dopo un tentativo fatto assieme a Parallax di ricreare l’universo secondo i loro desideri.

Tutto questo fino ad ora.

 

 

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Capitolo 2
*** I will survive ***


HAWK & DOVE 2

 

HAWK & DOVE

#2

I Will Survive

 

 

San Francisco.

North Baker Beach.

 

Il Sole è già alto nel cielo, e illumina la spiaggia quasi perpendicolarmente. Ogni tanto l’ombra di un gabbiano passa veloce sulla sabbia, per poi tornare a disegnare agili traiettorie sull’acqua cristallina. Sebbene il freddo di Marzo sia ancora in agguato, in lontananza si intravede già qualche bagnante, probabilmente un turista, a tentare un tuffo nell’acqua gelida, ma per un raggio di almeno cento metri sono soli. Dan si sveglia con il rumore ritmico delle onde nelle orecchie, e con una sensazione confusa nella mente, come se si fosse appena ripreso dopo una sbronza di quelle pesanti. Apre gli occhi una volta, ma i raggi del Sole proprio sopra il viso glieli fanno chiudere di scatto. Di nuovo, con cautela, riprova ad aprirli mentre si massaggia le labbra con una mano, avvertendo la bocca impastata e pervasa da un vago sapore metallico. E’ allora che si accorge del leggero peso sulla spalla e sul braccio sinistri. Qualcosa di così lieve ed inconsistente da non poter essere stato percepito subito. Cercando di non muoversi troppo, sposta la testa quel tanto che basta per vedere cosa ha sulla spalla. Con gli occhi a mezz’asta e con la bocca contratta per lo sforzo, senza contare gli aghi nella testa una volta che ha provato ad alzarsi, lo vede. E’ un ragazzo, biondo, che riposa placido con la testa poggiata sul suo petto. Una sensazione di familiarità lo colpisce, mentre tenta di ricordare come è finito in quel posto. Si ricorda i suoi amici giù al bar, un po’ di bisboccia attorno al biliardo e poi quelle due checche là fuor...

“Ahhhh!!” esclama piano Dan mentre con un gesto brusco spinge via il ragazzo dalla sua spalla, come se fosse un ragno velenoso. Il viso di Jude atterra sulla sabbia soffice, e le sue sopracciglia si contraggono un minimo prima di tornare rilassate. Chi non è rilassato per niente invece è adesso Dan, il quale sta guardando il ragazzo con orrore, temendo di scoprire per quale motivo si è risvegliato assieme a lui dopo una notte di cui non ha molta memoria. Con uno sforzo incredibile la sua volontà ripercorre velocemente gli eventi della sera prima. Ricorda i due ragazzi, e ricorda di aver trovato le chiavi di uno dei due. Poi, non sa nemmeno lui perché, ricorda di aver deciso di riportargliele e di averlo incontrato a metà strada. Quindi era scoppiato l’inferno. Aveva visto il ragazzo trasformarsi in una specie di supereroe che dopo aver sconfitto un po’ di quegli uomini dai passamontagna neri si era fatto catturare e.... e poi tutto si era fatto confuso. Ricorda perfettamente i mitra puntati su di lui, e poi aveva pensato... aveva deciso... aveva fatto...

“No...” sussurra Dan mentre porta lo sguardo sulle proprie mani. Adesso ricorda tutto. Una volta si trovava in montagna. Aveva appena finito di aggiustare un enduro, ma prima di riconsegnarlo al proprietario voleva provare quella bellezza con le sue mani. Era andato a fare del rally in una foresta, su strade impervie addiritture per uomini a piedi. Per la prima mezz’ora era riuscito a darci dentro come un matto senza mai scivolare, e più andava avanti più si sentiva preso dall’euforia. Forse era stato per questo che non si era accorto in tempo del piccolo strapiombo oltre quel cespuglio, e forse era stato per questo che non era riuscito a girare in tempo per evitarlo. Lui e l’enduro vi erano caduti assieme, e avevano rotolato l’uno sull’altro per qualche secondo prima di rovinare sul terreno coperto di foglie secche. Durante il volo, che a Dan era sembrato durare un’eternità, nella sua mente erano comparse e sparite in nanosecondi una serie infinita di emozioni contraddittorie. L’euforia del rally si era mischiata al rammarico di non aver saputo evitare quel facile ostacolo, l’eccitazione del rischio si stava confrontando con la paura di morire, la sensazione di stare volando veniva combattuta dalla preoccupazione su quel che avrebbe detto al suo cliente quando avrebbe dovuto restituirgli la moto. Tutto questo in una massa indistinta di emozioni, pensieri, sensazioni, i quali in seguito non sarebbe riuscito a ricordarsi distintamente ma a cui globalmente ripenserà come ad una specie di uragano nella mente, sconnesso ed allo stesso tempo, forse proprio per questo, euforico. Ecco. Se adesso prendesse quell’evento e lo moltiplicasse almeno per mille, arriverebbe vagamente a descrivere quello che è successo la sera prima nella sua testa. Era come perdere completamente il controllo su sé stesso, come avere una tale rabbia dentro da non poter essere tenuta a freno, come non averne mai abbastanza di niente.

Si era gettato a capofitto, a testa bassa, contro quegli uomini e li aveva semplicemente spazzati via. I pochi in grado di rialzarsi erano stati finiti dai suoi artigli, dai suoi fendenti, dai suoi calci, fino a che... c’era stato il rumore dello sparo, e poi quel bruciore improvviso alla spalla sinistra. Era stato colpito ed era caduto in acqua, tra le mille sensazioni che aveva percepito ricorda perfettamente la gelida morsa del mare. Poi... qualcuno lo aveva preso, e lo aveva portato a riva. Lì, e non ricorda di averlo visto, sebbene sappia istintivamente che è successo, quel qualcuno si era calato sul suo volto e poi... la pace.

Automaticamente, Dan porta due dita della mano destra sulla spalla sinistra, scostando quel tanto che basta il giubbotto di pelle nera da poter vedere che la ferita che sa di avere riportato la sera prima è sparita. Poi guarda Jude, e senza rendersi conto razionalmente di come faccia a saperlo riconosce in lui il proprio salvatore. Ma non è a questo che sta pensando mentre lo osserva. Ogni sensazione in questo momento gli dice il contrario, ma lui ha bisogno di trovare un capro espiatorio per tutte le stranezze accadute, e Jude è la scelta più ovvia.

Cosa mi hai fatto... , pensa Dan tornando a guardare il proprio corpo con la stessa espressione di disgusto con cui prima guardava Jude.

In quel momento un rumore lo distoglie dai suoi pensieri. E’ solo un fremito, ma basta a farlo scattare sull’attenti. Individua subito in Jude il responsabile. Privato del calore del suo corpo, il ragazzo sta cominciando a tremare per il freddo. Una parte di Dan vorrebbe andarsene subito da lì, dimenticare tutta quella storia e tornare alla vita di sempre, ma un’altra parte, una piccola parte, non riesce a vedere Jude così vulnerabile ed indifeso. Il suo cervello raggiunge un compromesso. Dan si alza, e si toglie il giubbotto di pelle, che poggia delicatamente sulle spalle di Jude. Quindi, furtivo come un ladro, si allontana in fretta da lì, impegnandosi a non pensare più a quanto successo.

 

 

Periferia di San Francisco.

 

Il clima che si respira oggi alla villa del miliardario Malcom Randall è di pesante tensione. I suoi informatori alla polizia lo hanno avvisato durante la mattinata che gli uomini che la sera prima aveva mandato a rubare i manufatti greci destinati al Museo di Arte Moderna hanno fallito nel loro compito e sono stati arrestati, e Malcom non riesce ancora a capacitarsi di come i più navigati mercenari della scena criminale locale abbiano fatto un tale buco nell’acqua. Ma più di questo, più della loro vita o del loro destino, la sua preoccupazione è per quei reperti a cui tanto ha aspirato e per possedere i quali per il momento dovrà aspettare.

“Signore...”

La voce del suo attendente personale Ewan Kheera, in piedi all’ingresso del suo ufficio, lo distoglie dai suoi pensieri.

“Sì?”

“E’ appena arrivato uno dei mercenari che ha assoldato. E’ riuscito a fuggire dal molo in tempo per non essere preso in custodia dai poliziotti.”

“Fallo entrare.”

Ewan annuisce, e scosta il pannello della porta che ha alle spalle. Un uomo basso e tarchiato, dalla barba ispida e dall’aspetto malmesso, entra nella stanza.

“Mr. Randall...” esordisce, un po’ intimidito dalla magnificenza dell’ufficio “...mi... mi stanno cercando... deve farmi subito espatria-”

“Parlami di cosa è successo ieri notte.” afferma autoritario Malcom, con una voce che non ammette repliche. L’uomo invece, prendendo tutto il coraggio di cui è dotato, ispira profondamente e ribatte:

“Prima dobbiamo parlare del mio espatrio!”

Malcom alza un sopracciglio, quindi si avvicina all’uomo e, calandosi sul suo viso storcendo il naso per il forte odore di sudore che emana, gli alza il mento con pollice ed indice e gli risponde guardandolo fisso negli occhi:

“Avrai quello che ti spetta, ma ora ho bisogno di sapere cosa è accaduto ieri notte.”

L’uomo, un rude mercenario indurito da anni e anni di missioni nei fronti più disparati, si sente rimpicciolito davanti al suo sguardo penetrante.

“Ieri notte...” comincia a raccontare “...abbiamo attaccato appena quelli hanno finito di sbarcare la roba, come da piano, e c’è voluto poco per sistemare i poliziotti. Solo che dopo... dal nulla è comparso questo ragazzo. Ha presente uno di quei supereroi? Ecco, qualcosa del genere. Era bianco e azzurro, e si muoveva come un lampo tanto che non si riusciva nemmeno a prendere la mira. E poi è sbucato fuori quell’altro. Un tipo grande e grosso con un costume rosso e bianco che ha caricato sui ragazzi abbattendone almeno quattro in un solo colpo, una vera furia! Sono stati loro a farci tutti fuori.”

“E il carico?” chiede Malcom con un po’ di apprensione “Ha subito danni?”

L’uomo guarda in alto, come a volersi ricordare qualcosa di cui non è molto sicuro:

“Non... non credo... Quelli sono comparsi sul molo, ci hanno attaccato prima di raggiungere le casse...”

“Bene...” il viso di Malcom adesso sembra più rilassato. Voltandosi verso Ewan, aggiunge: “Occupati di quest’uomo.”

Ewan annuisce, quindi si avvicina al mercenario e fa per prenderlo per un braccio con una mano, mentre con l’altra sta estraendo qualcosa dalla tasca interna della giacca. Prima che il criminale possa accorgersi di qualcosa l’elettrostimolatore tocca la sua schiena, liberando nel suo corpo una scarica di circa 200 Volt. L’uomo non urla nemmeno. La sua bocca si spalanca nell’aria, più per la sorpresa che per il dolore, e un odore di carne bruciata si diffonde tutt’attorno, finché il suo corpo non cade sul pavimento semicarbonizzato. Ewan risistema l’elettrostimolatore in tasca, quindi da un’altra estrae un cellulare e dopo aver premuto un paio di pulsanti dice:

“C’è della spazzatura da far scomparire. Nell’ufficio di Mr. Randall. Sì, grazie.” e richiude con uno scatto il flip del cellulare.

“Supereroi...” sta dicendo intanto Malcom con un leggero tono di disapprovazione “Qui, a San Francisco. Si stanno diffondendo sempre di più, deve essere la moda del nuovo millennio...” abbassa lo sguardo ed espira una volta, quindi rialzandolo su Ewan, un tono più deciso nella voce adesso: “Ben venga, combatteremo il fuoco con il fuoco. Ci servono dei professionisti di questo campo.”

“Credo di sapere chi fa al caso nostro.” risponde Ewan “Mi lasci solo chiamare Los Angeles, se tutto va bene a fine giornata potranno già occuparsi del problema.”

Malcom Randall si avvicina al suo attendente, quindi gli porta una mano dietro la nuca e, delicatamente ma anche con decisione, lo avvicina al suo viso fino a baciarlo in bocca. Quando lo rilascia lo fissa negli occhi e:

“Professionale come sempre Ewan, cosa farei senza di te...”

 

 

Porto di San Francisco.

Casa Bouvier.

 

Il membro più piccolo della famiglia, il sedicenne - quasi diciassettenne, ci tiene a sottolineare lui - Arnold “Arnie” Bouvier, ha i suoi bei problemi a cui pensare. Non solo oggi il suo amico Jude Stevens si è assentato da scuola senza alcun preavviso, ma ha anche da ideare qualcosa di geniale per sabato sera. E’ sì un ragazzo giovane, ma frequenta locali e discoteche da quasi tre anni e conosce più gente lui che uomini con il doppio della sua età. Per questo ha cominciato a lavorare come PR per la discoteca Metropolis e per questo, finalmente, gli è stata data l’occasione di dimostrare veramente quel che vale quando gli è hanno affidato l’organizzazione della serata del sabato successivo. Solo che, come succede a tutte menti in continuo fermento creativo, una volta che si presenta la possibilità pratica di realizzare qualcosa ogni idea non sembra abbastanza bella o originale. 

Per questo motivo lo squillo del citofono è quasi una liberazione per lui.

“Rispondo iooooooo!!!” grida oltre la porta della sua camera ai suoi genitori, per poi afferrare l’apparecchio e chiedere “Chi è?”

“Sono io... Jude.” risponde la voce del suo migliore amico dal pianterreno.

“Sali!” esclama Arnie e riattacca il citofono aprendo il portone di giù. Dopo una manciata di secondi sente il suono del campanello dell’appartamento. Corre ad afferrare la maniglia e ne apre la porta, mentre sta dicendo:

“Dov’è che sei stata a battere stamattina brutta zoc-” ma l’espressione esausta di Jude lo blocca subito. Subito dopo, arriva il fetore “Ehy hai mica fatto giochi strani con dei merluzzi? Puzzi di pesce...”

“Arnie, non è il momento. Sto ancora cercando di capire se ricoverarmi in un istituto per malattie mentali o fare un colpo di telefono alla JLA...” risponde Jude un po’ infastidito, per poi stropicciarsi gli occhi e chidere a sua volta “Posso usare la tua doccia?”

“Sì certo fa pure...” risponde Arnie lasciandolo entrare e rimanenendo a guardarlo mentre si avvia verso il bagno “Ma non esibirti in nessun numero alla Psycho! Mia madre ha pulito stamattina e il sangue va via difficilmente!”

Una doccia rinfrescante dopo le idee di Jude si schiariscono. Sì, la sera prima si è imbattuto in un gruppo di criminali che stavano assaltando il molo e sì, una strana voce lo ha dotato di poteri con cui li ha sconfitti. E’ tutto vero. Il dramma era ora spiegarlo ad Arnie...

...

“Fammi capire bene... Sei finito in mezzo ad una sparatoria, e fin qui ci sono, e poi non solo hai cominciato a sentire le voci... ma hai anche dato di matto contro quei tipi buttandone a culo per aria una mezza dozzina grazie ad un’agilità e ad un senso radar che Ben Affleck si può solo sognare?!”

L’espressione sul viso di Arnie dice chiaramente quanto poco lui creda a questa storia.

“Sì... più o meno è andata così. Solo che poi al posto di Jennifer Garner è comparso questo altro tipo in costume grosso ed incazzato che ha decimato il resto dei criminali in più o meno mezzo millisecondo, per poi finire in acqua dopo essere stato colpito da un cecchino alla spalla che lo avrebbe ucciso se non gli avessi spostato il fucile all’ultimo secondo.”

“Altro?”

“Bhe... ah sì poi alla fine il tipo col costume bianco e rosso si è rivelato essere il capo di quegli idioti giù al bar del porto ieri sera...”

“Chiamo la Neuro?”

“Preferirei aspettare, in fondo non credo per me sia ancora il momento di lasciare il meraviglioso mondo della sanità mentale...”

“Non l’avrei mai immaginato a giudicare da cosa racconti....”

“Senti. So che quanto ti sto dicendo può risultare incredibile ma io c’ero, io so che è andata in questo modo, e...” una lampadina si accende nella mente di Jude “...e posso provartelo!”

“Bene... allora avanti.”

“Ok...” Jude respira un attimo, poi “Dove!”

Nulla succede nella stanza. Arnie lo guarda come se fosse un comico che finora non ha tirato fuori una barzelletta divertente.

“Sto aspettando...”

“Sì sì ok fammi concentrare! Ok, allora... Dove!”

Nuovamente, non accade nulla. Arnie sbuffa e guardando Jude gli dice:

“Serve a niente ribadirti che ti stai riempiendo di ridicolo?”

“Uh no... non credo... me ne rendo conto benissimo anche da solo...”

“E’ già qualcosa... Mi sa che ti sei fatto troppi flash su qualche sceneggiato televisivo nostalgico sui supereroi...”

“Che vuoi dire?”

“Come se tu non lo sapessi... Va bene lavorare d’immaginazione, ma sognare di essere uno degli eroi più sfigati mai apparsi è malato!”

“Vuoi dire che Dove esisteva già?!”

“Certo... Dove, di Hawk & Dove. Agivano a Washington, se non sbaglio, e per un po’ hanno anche fatto parte dei Titani. Pensavo che lo sapessi.”

“No no è la prima volta che ne sento parlare... e tu invece come mai ne sai così tanto?”

“Ehy un ragazzo deve pur tenersi informato! Non viviamo tutti chiusi nelle nostre Dove-caverne come te!”

“Pensavano non ti interessassero i supereroi...”

“Scherzi?! Sono una delle cose più gaie sulla faccia della terra! Cioè hai mai visto il costumino che portava Aqualad?! E i pettorali di Hawkman?!”

“Sì sì ok capito ma restiamo su quei due, eh? Che altro mi sai dire di loro?”

“Non molto, comunque adesso chiedo info in un forum, ok? Così ti tranquillizzi e torni il piccolo tenero ragazzino di sempre. Anzi...” ed Arnie si sposta davanti al PC, già collegato ad internet “siccome ti voglio bene ed ho paura che mi distruggi la stanza mando anche un’email a Dora chiedendo se può scoprire qualcosa dai terminali della polizia riguardo un attentato al porto ieri notte. Contento?”

“Sì... sì grazie.”

“E tutto questo nonostante il fatto che evidentemente mi stai nascondendo qualcosa...”

“Cosa?”

“Andiamo, lo sai che a me lo puoi dire... chi hai incontrato ieri sera?”

“Eh?”

“Mi credi davvero così idiota? Guarda che l’ho visto il chiodo che portavi quando sei entrato!”

“Il chiodo che...” ed in quel momento a Jude torna alla mente come una diapositiva Dan e il suo abbigliamento “E’ suo! Quello è suo!! Allora non sono pazzo!”

“Questo è un punto di vista...”

“Ascolta quando sono uscito da casa non avevo nessun... ommioddio!”

“Che c’è ancora?”

“I miei genitori! Mi sono completamente dimenticato dei miei genitori!!”

 

 

Sobborghi di San Francisco.

 

Entra piano, cercando di fare meno rumore possibile. Il che è molto difficile, quando ti muovi in una roulotte comprata di seconda mano tredici anni fa e le cui giunture saranno state oliate in tutto circa cinque volte. Dan avrebbe sicuramente preferito evitarlo. Avrebbe lavorato anche una settimana di seguito per evitare di tornare lì, ma quella maledetta chiave del 12 sembrava essersi volatilizzata dall’officina e l’unico altro posto in cui avrebbe potuto trovarla era...

“...allora ce l’hai una casa, bastardo!!”

Due mani cadono sopra la testa di Dan, cominciandolo a picchiare pesantemente.

“Ouch... ehy... no asp...!” fa per dire lui alzando le proprie mani a difesa, ma quegli schiaffi non si interrompono.

“Ti sei divertito ieri sera, eh?! Sei andato a fare casino con quegli altri coglioni del porto vero?!?!”

“No...! No posso spieg...!!”

“Non osare trattarmi come quelle troiette che frequenti, Danny!!! Guardati!! Chissà dove sei stato a sbronzarti! Sei tutto sporco e puzzi più di un cesso intasato!!”

“Ma io... io non...!”

“Tanto qui c’è l’hai la stupida che ti sfama e che ti lava le robe, che ti frega se sta in pensiero perché tu la notte devi andare a fare il teppista, eh?!”

“Lascia.... lasciami!” e le mani di Dan finalmente riescono a liberarsi delle altre. La sua proprietaria, una donna bassa e tarchiata, ma dalle braccia rese forti da anni e anni di duro lavoro, lo guarda come se fosse il suo più grande errore.

“Sei proprio come quel fallito di tuo padre...” dichiara sconsolata “Dovevo abortire quando ne avevo la possibilità.” ed esce dalla roulotte sbattendo la porta.

Grazie mamma... , pensa Dan osservandola uscire.

 

 

Casa Stevens.

 

Jude ed Arnie sono fuori dal portone di casa del primo, a ripassare la versione della serata precedente che hanno concordato prima di entrare.

“Allora ricapitoliamo... ieri sera siamo tornati dalla pizzeria e ti ho riaccompagnato a casa, ma c’erano dei brutti tipi per strada e allora ho deciso di passare la notte da te... Fila?”

“E perché non hai avvertito i tuoi?”

“Perché... perché era tardi, ecco perché! Non volevo svegliare nessuno.”

“Se vuoi farti rinchiudere in casa per aver violato il coprifuoco...”

“Bisogna sempre ammettere di aver fatto qualcosa di sbagliato per far funzionare una balla. Impara...”

“Sarà... ma allora perché non li hai richiamati nemmeno stamattina?”

“L’ho... l’ho... dimenticato?”

“Pfff...”

“Senti entriamo e fiondiamoci nella mia stanza, come va va. Ok?”

“Sono ai suoi ordini, mon capitan.”

Jude prende una bella boccata d’aria, quindi infila la chiave nella toppa e gira la maniglia. Guarda Arnie una volta e spalanca il portone.

“Mamma sono a casa!” grida imboccando il corridoio per la sua stanza, con Arnie al suo seguito. Arrivato a pochi metri dalla porta però qualcuno gli si para innanzi, sbarrandogli la strada.

“Ah sei qui finalmente!”

E’ una donna. Alta, capelli biondo cenere raccolti in una crocchia sulla nuca, espressione pratica e professionale sul volto sotto il quale si intravede un corpo atletico rivestito da un sobrio tailleur grigio.

“Mamma.... io...” fa per dire Jude, prontamente interrotto da lei:

“Oh figurati, capisco bene di cosa si tratta.” Jude lancia una fugace occhiata interrogativa ad Arnie, mentre sua madre, non notandola, tira avanti “Anche io quando uscivo da scuola mi fermavo un po’ con le amiche, solo che così il tuo pranzo si è freddato. Lo trovi nel microonde. E mangia tutto, che stamattina non hai nemmeno toccato la colazione che ti ho preparato prima di andare allo studio. E a proposito di lavoro vado di fretta, oggi c’è consiglio d’amministrazione e se non presento a quegli squali il mio piano d’azione mi si mangiano vivi e poi sì che possiamo dire ciao alla macchina nuova! Oh, ciao Arnie!” il ragazzo ricambia il saluto un po’ perplesso, ma la donna sta già frugando qualcosa nella sua borsa mentre si avvicina al portone. Con una mano afferra la maniglia e la abbassa, mentre con l’altra estrae le chiavi dell’auto. Quindi, prima di uscire, si volta di nuovo verso i due ragazzi e “A proposito, papà è stato chiamato ieri d’urgenza, c’è stata una brutta epidemia di influenza tra i piloti di linea ed è dovuto andare subito all’aeroporto. Se tutto va bene torna stasera. A dopo Jude e... ti voglio bene!” e dopo essersi concessa mezzo secondo per fargli un sorriso rilassato imbocca le scale chiudendo la porta dietro di sé.

Mentre ancora sente risuonare i tacchi che macinano nervosamente il marmo degli scalini, Arnie si volta verso Jude e:

“C’è ancora un posto disponibile come figlio da queste parti?”

 

 

Sobborghi di San Francisco.

 

Picchiarla, avrebbe dovuto picchiarla! Avrebbe voluto picchiarla! Avrebbe... oh andiamo, quella è sua madre! E’ la donna che lo ha tirato su praticamente da sola da quando quel pezzo di merda di suo padre li aveva abbandonati! Certo, ha un carattere difficile, ma in fondo Dan sa che fa tutto questo perché gli vuole bene, è solo che ha uno strano modo di dimostrarlo. Certo però che a volte... a volte...

Mentre pulisce le candele di una Subaru, Dan si convince che non l’aveva toccata solo perché era sua madre, perché se solo qualcun altro avesse provato a trattarlo così avrebbe fatto meglio a piantarsi un colpo in testa da solo. Nessuno può permettersi di mancare di rispetto a Dan Pearson...

“Oh cazzo...!” Dan alza d’improvviso lo sguardo, una rivelazione improvvisa nella mente. Il portafogli, quel cazzo di portafogli con tutti i documenti e i soldi dentro, era rimasto nelle tasche del suo giubbotto di pelle! Quello che aveva lasciato stupidamente al ragazzo!! Con tutto quello che era successo, con tutti i casini a cui stava pensando, non ci aveva fatto caso fino ad ora. E adesso stava davvero cominciando a credere di essere un idiota come sua madre gli ripeteva da una vita.

“Ohi grand’uomo tutto bene?”

Quella voce riporta la mente di Dan nella sua officina. Sull’ingresso, il suo amico Rico.

“Una bellezza...” commenta a bassa voce, quindi: “Te come butta?”

“Sai... la solita vita...” e in quel momento un urlo si sente provenire da un punto indefinito nel raggio di una cinquantina di metri. Rico si volta di scatto, poi sorride e torna a guardare nell’officina aggiungendo “... il solito schifo...” ma si accorge di stare parlando al vuoto. Dan non c’è più.

 

Sui tetti.

 

Non sa perché lo sta facendo. Non è la prima volta che qualcuno viene aggredito nel suo quartiere e non è la prima volta che ignora grida anche più forti. Adesso però qualcosa è cambiato. Non ha nemmeno avuto bisogno di pensarci, è scattato da solo, come se fosse un meccanismo automatico. E’ bastato quell’urlo, quella sensazione di pericolo mista ad una specie di senso del dovere che aveva sempre soffocato, a farlo correre fuori dall’officina e a fargli pronunciare la parola.

Aveva detto ‘Hawk’, e il mondo era diventato un turbine. Quel che aveva provato la sera prima, le stesse sensazioni che aveva bollato come sogni solo quella mattina, adesso tornano a vorticare nella sua mente senza direzione. Quasi non sente i suoi artigli, ora lunghi almeno tre centimetri, affondare nei mattoni del palazzo sul quale si sta arrampicando, né si rende conto pienamente di atterrarvi sopra con una doppia piroetta. La ricerca del crimine dura quei pochi attimi che gli permettono di focalizzare tre tipi che hanno sbattuto un ragazzo contro un muro e lo minacciano con dei coltelli. Si trovano circa una dozzina di metri sotto di lui, ma riesce a sentire ugualmente bene i loro discorsi.

“Volevi fare il furbo, eh cazzone?!” sta imprecando il primo poggiando il serramanico accanto all’occhio della vittima.

“Cos’è... la roba non ti bastava e hai voluto fare la cresta su quella che dovevi vendere?!” gli sta urlando un altro dritto nell’orecchio, mentre tiene i suoi capelli contro il muro così forte da strapparli.

“No io... io posso ripaga...”

“Tossico di merda!!!” scatta il terzo piazzando un ginocchio tra le costole del ragazzo, che urla dal dolore e crolla a terra stringendosi l’addome con le mani mentre le sue lacrime raggiungono il sangue e il fango sull’asfalto. Gli altri tre però non vengono impietositi da questa visione, e facendoglisi intorno cominciano a prenderlo a pedate gridando:

“Ecco cosa succede a chi tradisce Big One!!!”

“Lasciatelo”

La voce è calma, rilassata, ma il tono sembra richiamare alla mente una bomba in procinto di esplodere. I tre teppisti si voltano verso il punto da cui è arrivata la voce. C’è un uomo, parzialmente coperto dalle ombre del vicolo, di statura imponente e dai muscoli pronunciati e risaltati da un costume bianco e rosso. In qualunque altra occasione, al vedere un simile vestito addosso ad un uomo, i tre ragazzi avrebbero cominciato ad esibirsi in battute e scherzi pesanti, ma ora non riescono a spiccicare parola. Saranno i bicipiti tremanti, sarà la sagoma di grosse vene che percorrono il suo corpo, sarà lo sguardo minaccioso sopra occhi grandi e turbinanti di furia cieca, ma l’unica reazione che uno di loro riesce ad avere, il più coraggioso probabilmente, è avanzare di mezzo passo e gridargli contro con tutta la presunzione e la sfacciataggine che riesce a racimolare:

“E tu chi sei buffone?!”

Il suo sguardo si sposta di scatto verso di lui, un uragano nelle sue pupille. Con la stessa voce di prima, l’uomo risponde:

“Hawk”

E poi esplode.

Un artiglio affonda nell’addome del primo ragazzo, che non fa nemmeno in tempo a capire cosa è stato ad ucciderlo prima di accasciarsi a terra. La vista del loro compagno esanime scuote gli altri due, riportandoli violentemente alla realtà. Il primo, spinto da uno strano e alquanto oscuro senso dell’onore, si getta sull’assassino del suo compare, le mani unite a formare un unico pugno. Prima che possano calare sul loro obiettivo però vengono bloccate a mezz’aria da quella di Dan, che con un colpo secco ruota le dita spezzando entrambi i polsi del ragazzo. Noncurante del suo grido di dolore lo alza per aria sempre tenendolo per le braccia e lo scaraventa contro un cassonetto della spazzatura poggiato contro il muro, contro il quale il teppista collide brutalmente. L’altro intanto ha già cambiato direzione e sta correndo con tutte le forze per scappare dal vicolo, ma Dan, con velocità e precisione insospettabili per un uomo delle sue dimensioni, afferra il coperchio di un secchio della spazzatura e lo scaglia energicamente contro la sua nuca, la quale viene colpita in pieno. Il ragazzo si accascia a terra, e nei dieci secondi successivi l’unico rumore che si sente nel vicolo è il respiro pesante di Dan. L’ha fatto. L’ha fatto davvero. Ed è stato lui, nessun altro. Allora è tutto vero quello che ricorda della sera precedente, allora non era stato solo uno strano sogno. In qualche modo può fare cose a cui non riesce nemmeno a credere, e non può impedirsi in nessun modo di comportarsi così. Mentre si arrampicava sul palazzo, mentre guardava giù in cerca del crimine a cui fare giustizia, si rendeva conto di agire in un modo che gli era sempre stato estraneo, ma quella consapevolezza era stata sepolta dalla miriade di sensazioni e pensieri che si accavallavano nella sua psiche. Pensava a tutto, e non pensava a niente. E poi... ha perso completamente il controllo. Gli è piaciuto, anche se non ne è perfettamente conscio ad una parte non troppo remota del suo essere è piaciuto scatenarsi così, ma la sensazione principale che attraversa la sua mente in questo momento è paura. Una paura cieca, priva di motivi validi e dettata unicamente dall’istinto. Cosa è diventato? E chi... o cosa lo ha reso così? Poi, tra l’infinità di risposte che come un lampo si presentano al suo cospetto in quel momento, una diventa più solida, più nitida. E’ tutto cominciato quando ha deciso di riportare le chiavi a quel ragazzo, e quel ragazzo si è trasformato esattamente come ha fatto lui. Deve entrarci in qualche modo, deve essere colpa sua, deve...

Un fruscio alle sue spalle lo fa girare di scatto. Il ragazzo che i tre stavano pestando, lo spacciatore che aveva tradito la fiducia del proprio capo per spararsi una dose in vena, si sta rialzando lentamente, sempre spostando nervosamente gli occhi dai corpi esanimi dei teppisti a Dan.

“I-Io...” tenta di dire timidamente mentre si tiene le costole con un braccio “...volevo... volevo ringraziarti per...”

Ma non finisce la frase, dal momento che le nocche di Dan lo colpiscono violentemente al naso, rimandandolo al tappeto sull’asfalto sudicio. E’ in quel momento che arriva un ragazzino all’ingresso del vicolo, che, una volta visto cosa è successo, comincia ad osservare Dan con un’espressione terrorizzata. Come guidato da qualcun altro, lui si scopre a dirgli l’ultima cosa che credeva avrebbe mai potuto dire:

“Chiama la polizia”

 

 

Casa Stevens.

 

“Allora signor supereroe non esce a fare la sua ronda quotidiana oggi?”

Jude, seduto sul letto, guarda con odio Arnie che sta giocherellando con la sedia girevole del PC.

“Non mi hai già fatto sentire abbastanza stupido per questa storia...?”

“Sinceramente? No. Fra cinquant’anni ti additeranno ancora come quello che combatteva il crimine in tuta di lycra fucsia...”

“Azzurra...”

“Come?”

“Era azzurra... non fucsia. Bianca e azzurra.”

Arnie guarda di nuovo il suo amico, cominciando a pensare per la prima volta che sia davvero impazzito. Poi si volta verso lo schermo del PC ed inizia ad aprire pagine di internet dicendo:

“Mi controllo l’email, ok? Tu vedi se riesci a tirar fuori qualche camicia di forza dalle tue Calvin Klein...”

“Simpatico...”

“Lo stile prima di tutto, anche al manicomio... Ehy Dora mi ha risposto!”

Jude scatta verso Arnie, e in un attimo è accanto a lui.

“Che dice?”

“Leggi qua...”

Arnie apre l’email, e il messaggio compare sullo schermo:

 

>

>Sei fortunato che il nostro gruppo abbia crackato i terminali del PD* qualche giorno fa, dolcezza.

>Cmq sì, in effetti risulta che ci sia stato movimento ieri notte al porto. I primi rapporti parlano di un tentativo di rapina non riuscito e di una sparatoria. Alcuni agenti ci >hanno rimesso le penne :\ E’ sottolineato il fatto che i criminali fossero più dei poliziotti, e che li avessero sopraffatti, ma qui la cosa diventa più oscura. Non si capisce >bene cosa abbia fermato i criminali, alcuni agenti sostengono essere stati i loro colleghi, ma tutti affermano di non entrarci niente. Uno solo ha parlato di un paio di figure >che da sole, senza far uso di armi, hanno sconfitto tutti i criminali armati, ma mi puzza di shock post traumatico, anche perché li descriveva praticamente come >l’incrocio tra Bruce Lee e Green Arrow...

>Te piuttosto perché volevi sapere cosa è successo? Hai sentito i botti ieri sera e non sei riuscito a dormire?

>

>Fammi sapere J,

>Dora

 

“Allora è successo!! E’ successo davvero!!!” esclama Jude all’orecchio di Arnie, il quale si scosta per il tono della sua voce ma allo stesso tempo non riesce a distogliere lo sguardo dall’email.

“Fly down bello... Va bene, c’è stata una sparatoria al porto ma da qui a dire che ti sei trasformato in un supereroe e hai fatto il culo a tutti…”

“Ok... ok... hai ragione...” risponde Jude tornando con i piedi per terra “Ma non potresti dare un’occhiata a quel forum sui supereroi? Vedi se qualcuno ti ha risposto...”

Arnie fa finta di sbuffare, quindi apre la pagina e la scorre fino a trovare effettivamente una risposta.

“Qua un certo Delphi ha risposto che c’erano davvero due eroi che si facevano chiamare Hawk e Dove. A Washington, mi ricordavo bene.” gli occhi di Arnie scorrono velocemente il messaggio di risposta, pronunciando a voce alta le cose essenziali “Erano due ragazzi... sono stati tra i Titani per un po’ ma poi sono scomparsi dalla circolazione... Hawk si è rifatto vedere dopo un po’... ma - agh - il suo partner era stato sostituito da una ragazza... - non li capirò mai questi che vanno in giro in calzamaglia e vogliono spacciarsi per etero -. Comunque poi sono spariti nuovamente entrambi... Ah, qui Delphi ha anche postato l’URL di alcune loro foto.” il dito di Arnie clicca sull’indirizzo e una nuova pagina si apre davanti ai due ragazzi, mostrando un ragazzone muscoloso in un costume bianco e rosso ed una ragazza in un costume simile ma colorato di azzurro dove l’altro lo era di rosso.

“Erano questi!! Erano questi i costumi!! I dettagli sono un po’ sbagliati ma supergiù sono identici!! Quello aveva il costume rosso e io...”

“...e tu hai cominciato la cura ormonale per farti crescere le tette.” conclude Arnie.

“No no il mio era un costume maschile, ma era davvero simile a quello lì! Lo sapevo che... !”

Le sirene di un’autoambulanza e di qualche volante della polizia lo bloccano. Jude, come posseduto, si volta e va alla finestra, rimanendo immobile lì come se stesse cercando di captare qualcosa nella città.

“Ancora un meraviglioso giorno nella tranquilla cittadina di San Francisco...” dice Arnie commentando le sirene, poi, quando si accorge che il suo amico sta guardando da tutt’altra parte rispetto a quella da cui proveniva il loro suono, gli si avvicina e: “Guarda che se non vuoi perderti tutti quegli uomini in divisa mi sa che devi guardare dall’altro lato, verso i sobborghi, anche se dubito che da casa tua riuscirai a vedere qualcosa...”

“Shhhhh!” lo zittisce Jude poggiandogli una mano sulle labbra. Arnie rimane qualche millisecondo indeciso se protestare per quel comportamento brusco o fare come gli sta suggerendo il suo amico, poi è la seconda opzione a prevalere. Rimane a guardare Jude ancora davanti alla finestra, in ascolto di qualcosa che alla fine riesce a captare, visto che si volta verso Arnie e gli dice, con tutta la naturalezza del mondo: “Il Museo di Arte Moderna, sta per succedere qualcosa lì.”

“Eh?! Guarda che le volanti non stavano mica andando in quella direzione!!”

“Perché ancora non è successo niente, ma manca poco...”

Arnie guarda l’espressione estremamente seria sul volto del suo amico, poi, adesso davvero preoccupato per la sua sanità mentale, gli risponde:

“Senti forse non stai bene, è meglio che ti siedi e...”

“Non sono mai stato meglio.” lo interrompe Jude, e poi, fissandolo negli occhi, pronuncia: “Dove”

Improvvisamente i suoi vestiti cambiano, prendendo la forma di un costume attillato bianco e azzurro simile a quello che avevano visto nella foto in internet, sotto al quale compaiono dei muscoli che Arnie non si ricordava di aver notato tutte le volte che aveva visto Jude cambiarsi.

“Mi credi ora?”

“Ma che... ma che... FIGATA! Devi assolutamente dirmi come hai fatto a far comparire tutto quel ben di Dio là sotto!!” ed indica i suoi pettorali. Jude abbozza un sorriso, poi:

“Dopo, ora ho qualcosa da fare.” e si avvicina alla finestra, oltrepassandola prima che Arnie abbia il tempo di dire qualcosa. Con il cuore a tremila sia per la trasformazione a cui ha appena assistito sia per aver visto il proprio migliore amico buttarsi da una finestra del quinto piano, si affaccia al cornicione e guarda fuori. Jude è già una macchiolina bianca e azzurra sul tetto di un palazzo due strade più avanti.

“Wow....” sussurra mentre lo osserva allontanarsi saltando da terrazza a terrazza. Quindi, dopo averlo perso, rientra nella sua camera con uno sguardo sognante negli occhi e il rumore del lavoro delle rotelle nel suo cervello quasi percettibile nel silenzio della stanza. Tira fuori il suo cellulare e, dopo aver trovato un nome nella rubrica, lo chiama. Il cellulare squilla a vuoto un paio di volte, poi la voce di un uomo risponde alla chiamata.

“Davy!” esclama Arnie sovraeccitato “Ho trovato finalmente il tema per la serata al Metropolis sabato sera!!”

 

 

Nello stesso momento.

In un furgoncino nero poco lontano dal Museo di Arte Moderna.

 

“...una serata dedicata ai supereroi?! Davy... tesoro... questa è l’idea più intelligente che sia mai passata per il tuo cervellino!” l’uomo che ha in mano il cellulare, sui quaranta circa ma portati bene e con una fascia con uno smile giallo sotto dei capelli lunghi mossi e ogni tanto grigi, resta in ascolto per qualche altro secondo la risposta del suo interlocutore prima di ribattere: “Ah, volevo ben dire, mi sembrava strano che fossi stato tu a pensarci...” poi, dopo qualche altro secondo: “Comunque non me la voglio perdere per niente al mondo, così finalmente ti faccio conoscere il mio uomo.” e sorridendo ad un ragazzo di colore accanto a lui gli poggia la mano sulla coscia. Il ragazzo ricambia il sorriso calorosamente “E mi raccomando... sarà il grande ritorno della stella delle Killer Queen sui palchi di San Francisco, voglio almeno quattro ballerini palestrati per me! A presto caro!” e riattacca.

“Cos’è questa storia dei ballerini, Nick...?” chiede scherzosamente il ragazzo di colore piazzandogli un pizzicotto sul fianco.

“Ehy ehy sta’ calmo Raul, mi servono solo per esibirmi! Una diva vuole il meglio...”

“Voglio sperare...”

“Stupido lo sai che ormai mi sono dato alla monogamia...” e carezzandogli i capelli gli dà un bacio sulle labbra, prima di staccarsi ed aggiungere “E poi non ho più l’età per fare certe cose...”

“Vuoi scherzare? Te li porti benissimo i tuoi quarantaquattro ann...”

“Piccioncini quando avete finito di tubare qui ci sarebbe un lavoro da portare a termine!” esclama la voce di una ragazza da degli altoparlanti su una consolle ipertecnologica davanti ai due. Loro si staccano subito e prendono posto ai comandi indossando entrambi delle cuffie provviste di microfono.

“Scusa tesorino ma a volte il richiamo della natura è più forte...” risponde Nick con un sorrisone.

“Pensa piuttosto al richiamo dei soldi che quel signorone di Malcom Randall verserà sul nostro conto in Svizzera a missione finita, zio Nick.” interviene la voce di un’altra ragazza sempre dagli altoparlanti.

“Pratiche e dai sani principi... le ho tirate su bene vero?” dice lui rivolto al ragazzo di colore, che gli sorride e poi risponde al microfono.

“Carmen, Bonny, la vostra posizione?”

“Bello sentire che uno di voi due ha ancora un po’ di professionalità, Raul!”

“Dovresti fare un corso approfondito a zio Nick, tu che puoi!”

“Ehm... sì Carmen, prometto che lo farò. Ma ora... siete entrate nel museo?”

Oui, monsieur. Siamo nell’atrio.” risponde la prima ragazza.

“Oh Bonny, come sei colta!” le fa eco la voce dell’altra.

“Ho seguito un corso di giardinaggio! Ehy l’hai capita, Carmen? ‘Colta’ ... ‘giardinaggio’ ...”

“Risparmiale per i camionisti queste... vanno pazzi per le tettone decerebrate.”

“Ragazze posso richiamarvi alla realtà?” le interrompe Raul attraverso i microtrasmettitori.

“Oh scuuuuuuusa...” dicono le due all’unisono. Si sente uno sbuffo attraverso gli altoparlanti impiantati nei loro orecchini, quindi arriva loro la voce di zio Nick.

“Bhe allora che ne dite di procedere con il piano?”

“Piano?” dice la prima.

“Quale piano?” ribatte la seconda.

“Tu avevi pensato ad un piano, Bonny?”

“Io no, e tu Carmen?”

“No no... proprio no...”

“Allora cos’è che volevate fare, ragazze?”

Bonny Hoffman, top attillato bianco con un mirino disegnato dentro e jeans a zampa con delle margherite stampate alla base su stivali da cowboy marroni, il tutto coperto da un impermeabile di jeans i cui bordi sono rivestiti da un folto pellicciotto castano che circonda anche il cappuccio attorno ai lunghi capelli biondi modulati a formare due code sopra la testa, lancia un’occhiata d’intesa alla sua compagna Carmen Leno, i capelli ricci neri annodati dietro la nuca da uno spesso elastico rosso, in maglietta da marinaio attillata a strisce colorate su fuseaux rossi terminanti dentro due stivali dal tacco a spillo neri che quasi raggiungono il ginocchio, tutto completato dall’impermeabile bianco dalle rifiniture rosse e dal lecca lecca alla fragola che le spunta dalla bocca. Capendosi al volo, entrambe estraggono delle grosse armi futuristiche dagli impermeabili.

“Si pensava di fare un po’ di casino, prendere quello che siamo venute a prendere e tagliare la corda, zio Nick! Tutto in pieno stile Body Doubles!!!”

 

 

Continua...

 

 

Chi sono le Body Doubles: molti di voi, quasi tutti credo, non avranno la minima idea di chi siano le Body Doubles. Compaiono per la prima volta su Resurrection Man #1 (un supereroe non molto famoso della DC che per un po’ ebbe una serie regolare, con il potere di rinascere, ogni volta che moriva, con lo stesso corpo e con un potere sempre diverso -!!!- e che ha rivestito una parte piuttosto importante nel crossover DC ‘One million’) e continuano ad imperversare in quella serie fino alla sua chiusura. Quindi si sono viste un po’ in giro, dalla serie di Superman (compaiono nel TP #7 della Play) a Young Justice, fino ad ottenere una miniserie propria edita dalla Play in cui hanno il compito di catturare alcune delle più famose eroine del DC Universe (Wonder Woman compresa). La mini è molto divertente, e ha il pregio di essere disegnata da quel grande di Joe Phillips (www.joephillips.com). Finita la pubblicità, passiamo alle ragazze. Bonny Hoffman è la figlia di un sicario che desiderava un erede maschio ma che ha avuto solo lei. Per ottenere il rispetto del padre quindi Bonny si è data al crimine, facendosi aiutare dallo zio Nick, un tempo membro della banda criminale di Miami chiamata Killer Queen, all’interno della quale militava come drag queen. Carmen Leno invece era una spogliarellista che aveva imparato a combattere dagli svariati ragazzi di sua madre, che perdeva la testa davanti ai militari. Il suo sogno era di fare un remake porno de ‘Il mago di Oz’ (!!!), ma le mancavano i soldi necessari, e per questo si è unita a Bonny con cui ha formato le Body Doubles. Nel gruppo c’è anche Raul, un alieno nel corpo di un ragazzo di colore che si è innamorato di Nick durante la miniserie delle due ragazze e a cui ha fornito uno sproposito di armi e materiale ipertecnologici.

 

 

 

 



* Police Department

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