A Christmas Carol

di Stillathogwarts
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Just Another Christmas Eve ***
Capitolo 2: *** The Ghost of Christmas Past ***
Capitolo 3: *** The Ghost of Christmas Present ***
Capitolo 4: *** The Ghost of Christmas Yet to Come ***
Capitolo 5: *** When Something Ends, Something New Begins ***
Capitolo 6: *** All I Want for Christmas ***
Capitolo 7: *** So, This Is Christmas ***



Capitolo 1
*** Just Another Christmas Eve ***


Disclaimer: I personaggi e il mondo di Harry Potter in generale non mi appartengono. Il concept di "A Christmas Carol" a cui mi sono ispirata appartiene a Charles Dickens, che ha scritto l'opera originale. Questa storia è frutto della mia immaginazione e non è altro se non un'opera di fanfiction, scritta senza alcuno scopo di lucro.




A Christmas Carol
 





PROLOGO

Just Another Christmas Eve
 
 
 
 
 
24 dicembre 2000
 
La guerra nel mondo magico è finita ormai da due anni e mezzo, ma nella mia testa imperversa più violenta che mai. Un’incessante lotta contro i miei demoni che sembra non giungere mai a una conclusione.
Combattere una minaccia esterna è quasi facile in confronto ad affrontare una battaglia interiore. Lotti, pianifichi, agisci, comprendi chi colpire e quando… ma come si sconfigge qualcosa che è dentro di te? Qualcosa che è così radicato in te da non lasciarti scampo?
È facile per i demoni interiori sopraffarti quando sei solo nella tua testa per tutto il tempo.
Potrei uscire dal Manor, direte voi, distrarmi.
Non è tra le mie opzioni.
È impossibile distrarsi all’esterno quando si è oggetto di continue occhiatacce di disgusto e sussurri di disprezzo.
Credetemi, ci ho provato.
Una sola volta, certo, ma mi è bastata per il resto della mia vita.
Non è solo per via del dolore da sopportare nel vedere la mia reputazione distrutta, o il rimpianto dei tempi in cui il mio nome era rispettato nella società magica, no; a sopraffarmi è soprattutto la vergogna di chi ha capito di aver sbagliato e nel più vile dei modi. Di chi sa di non poter tornare indietro e approfittare almeno dell’ultima occasione di fare la cosa giusta per fare ammenda per i propri errori.
La verità è che non ho mai pensato che un giorno avrei messo in discussione tutto, né tanto meno che sarei arrivato a comprendere che gli ideali con cui sono stato cresciuto sono errati; non ho mai riflettuto sulla possibilità che mio padre fosse nel torto, per cui ho agito di conseguenza ed ho capito di aver sbagliato quando ormai era troppo tardi.
La guerra avrà iniziato tutto il mio percorso, avrà innescato ciò che mi ha portato ad avere una profonda e sconvolgente epifania, ma è stato il mio anno di isolamento dopo il processo a ribaltare completamente la situazione; quando hai così tanto tempo per riflettere, analizzare e rivivere i tuoi errori, inevitabilmente, arrivi a riconoscerli. Hai tutto il tempo di pentirti e di tormentarti con i sensi di colpa, solo che quando sei un inguaribile codardo come me, non hai modo di uscire da questo circolo vizioso. Non troverò mai il coraggio di chiedere perdono a chi di dovere, come non sono stato in grado di ringraziare Potter per aver testimoniato a mio favore durante l’udienza finale del mio processo; mi ha salvato la vita tre volte, quando non mi doveva assolutamente niente, e io non ho avuto neanche la decenza di ringraziarlo per questo.
Alcuni di voi scambieranno la mia codardia per orgoglio, ma so perfettamente che non lo è.
Non c’è orgoglio nella mancanza di riconoscenza per la gentilezza ricevuta da parte di qualcuno che per tutta la vita non hai fatto altro che ferire. È solo codardia e vergogna.
Chi lo ha il coraggio di guardarlo negli occhi, con la consapevolezza della portata dei miei errori? Del peso che le mie azioni hanno avuto? Del dolore che ho provocato?
Un Grifondoro a caso potrebbe farlo, ma io… io sono quanto di più lontano possibile da ciò.
Però ho imparato le lezioni che potevo imparare da quella serie di terribili eventi e se crogiolarmi nei sensi di colpa, negli incubi delle cose orribili a cui ho assistito durante la guerra, se essere solo è la mia punizione, quella che il Wizengamot mi ha risparmiato di scontare ad Azkaban, la accetterò senza protestare. Me lo merito il dolore e merito persino la triste solitudine a cui sono stato condannato, ne sono consapevole.
Vorrei che anche per mio padre fosse stato così, ma non tutti impariamo dai nostri sbagli, a quanto pare. Il mio cambiamento di posizione ha reso i miei rapporti con i miei genitori tesi come corde di violino sul punto di spezzarsi. Avremmo potuto ricominciare, fare affidamento l’uno sull’altro, diventare persone migliori… ma a quanto pare è un desiderio “da deboli”, - così dice Lucius Malfoy -, che in famiglia nutro solo io. E così, ho perso anche l’appoggio delle uniche due persone che mi erano rimaste.
Vivo ancora al Manor, d’altronde è abbastanza grande da permettermi perfettamente di evitare di incontrarli; le mie giornate sono monotone, tutte uguali, ma ho stabilito un mio equilibrio: ricerche di Alchimia, ore trascorse in biblioteca, altre nel mio laboratorio di Pozioni.
Il difficile viene alla sera, quando torno nella mia stanza e la mia mente riavvolge il nastro della mia patetica esistenza, torturandomi senza remore.
Se ci sono stati momenti, durante la guerra, in cui ho pensato di trovarmi all’inferno, mi sono dovuto ricredere: è questo l’inferno, dover convivere con ciò che sono stato la mia condanna, rivivere ogni singolo evento traumatico in loop, la mia punizione eterna.

 
*

Un gufo trafelato picchietta contro il vetro della finestra della mia stanza; le tende sono tirate, le tengo sempre aperte da quando ho scoperto che si può trarre conforto dal calore della luce solare. Lo faccio entrare, lascio cadere delle monete nella sua saccoccia e lui mi ripaga con una copia della Gazzetta del Profeta di quel giorno; gli do da mangiare, poi l’uccello sfreccia via ed io sono di nuovo da solo.
I miei occhi si soffermano sulla data odierna, riportata sul giornale: è la Vigilia di Natale.
Per qualche ragione, sono sorpreso di scoprirlo; forse è la realizzazione improvvisa di aver preso l’abitudine di non contare i miei giorni, ma a che pro farlo, quando sono tutti uguali?
Il Natale al Manor è sempre stato tetro, comunque, ed è dal quarto anno che un albero non viene allestito nel salotto. Non che abbia possibilità di risentirmene, dato che io, in quel salotto, non ci metto più piede. Le urla di Hermione Granger mi tormentano abbastanza nei miei incubi, quasi ogni notte, non ho bisogno di rinfrescare ulteriormente la mia memoria.
Il Natale, comunque, ha un effetto logorante per chi conduce un’esistenza straordinariamente solitaria come la mia. È un booster per il dolore e per la tristezza. Questa sarà solo un’altra Vigilia come tante nella mia vita, uguale a tutte le altre, eccetto forse le poche che ho avuto modo di trascorrere a Hogwarts.
Cerco di distrarmi dalla questione sfogliando pigramente il giornale, finché non giungo a pagina 7 e tutto precipita inesorabilmente.  
Il mio ultimo errore, la mia ultima chance di avere una vita serena e potenzialmente felice, a cui ho voltato le spalle prima ancora di poterla considerare tale, lasciandomela scappare nonostante la sua fortuita comparsa, mi fissa dal giornale.
Astoria Greengrass sorride raggiante, con indosso un abito bianco, a braccetto con un giovane uomo che conosco benissimo: è Adrian Pucey e l’articolo riporta la notizia del loro matrimonio.
Una risata amara lascia la mia gola.
So che lui la renderà felice come io non sarei mai stato in grado di fare.
Vi ho già anticipato che una volta ho provato ad uscire di casa, dopo la guerra.
È stato quasi un anno e mezzo fa, quando mi sono illuso brevemente che almeno nell’ambiente Purosangue avrei potuto guadagnarmi un posto; ma un posto non c’è lì, per quelli che come me hanno abbandonato definitivamente gli ideali purosanguisti.
Astoria Greengrass era come me.
Credo mi abbia notato perché le mie conversazioni con gli invitati a quell’evento erano talmente brevi e fredde che dopo un’ora sono finito in disparte a bere vino elfico da solo, probabilmente con l’aria di chi non vedeva l’ora di dileguarsi, ma non poteva ancora farlo per educazione.
È inevitabile quando l’ostinazione della gente a non vedere la realtà per quello che è ti indispone così tanto da impedirti di relazionarti con essa. Il loro modo di parlare, come se non si rendessero conto di non essere veramente superiori a nessuno, come se continuassero a reputarsi in qualche misura nobili, come se fossero ancora assolutamente convinti della legittimità dei valori purosanguisti, mi ripugnava. Mi sentivo solo, diverso, tra le persone che avevo considerato i miei simili fin dall’infanzia.
E non mi dispiaceva per niente.
Non dispiaceva neanche ad Astoria.
Si era avvicinata a me e due secondi dopo avevo già capito che anche lei era una pecora nera in quel gregge. È stata una ventata d’aria fresca, sentirsi capito per la prima volta nella vita. Mi ha dato speranza in un primo momento, ma più le parlavo, più mi rendevo conto che, anche se lei aveva un tempo condiviso quegli ideali che eravamo giunti a odiare entrambi, io restavo su un altro livello. Mi ero macchiato di un’oscurità a cui lei non aveva mai concesso l’occasione di scalfirla; far parte della sua vita l’avrebbe contaminata. E per la prima volta, ho imparato il valore dell’altruismo: quando mi ha chiesto di vederci per un aperitivo, le ho detto che non era il caso, che doveva starmi lontana perché non ero capace di volere bene alle persone, di non ferirle.
Non so se sia vero, in realtà. So di aver desiderato amicizie reali per tutta l’infanzia, invidiando il Trio Miracoli più per il legame che condividevano che per la fama e la gloria che li seguivano, ma non ho mai avuto l’opportunità di scoprire se sono in grado di curare un rapporto così genuino e profondo o meno.  
Ora non lo saprò mai, ma almeno ho salvato Astoria Greengrass da me.
Come puoi pensare di poter rendere felice qualcuno, quando non sai neanche che sapore abbia la felicità? Quando sei troppo tormentato per fare spazio alle cose belle, quando hai troppa oscurità in te che tutta la luce del mondo non riuscirebbe ad annientarla?
Astoria ha quella luce, Adrian ha i mezzi per alimentarla.
Io non avrei fatto altro che spegnerla.
Ma una minuscola parte di me, guardando la gioia e l’amore nei loro sguardi, visibili anche in quel piccolo ritratto senza colore, non può fare a meno di desiderare di aver scelto un altro momento, per giocare ad essere altruista.
Perché l’uomo al suo braccio, con la prospettiva di una vita lunga e felice, avrei potuto essere io.
Mi sarebbe bastata, Astoria.
C’era qualcosa in lei che mi aveva fatto pensare che sarebbe stata in grado di curare le mie ferite o almeno di lenire il mio dolore, ma non ero pronto a lasciarlo andare. Non avevo ancora pagato abbastanza.
Ora so che dovrò pagare per tutta la vita, perché non avrò mai il coraggio di chiedere scusa e di lasciare la mia prigione eterna.
Sarò solo per il resto della mia esistenza.
Che differenza fa, vi chiederete.
Nessuna.
Sono sempre stato solo, in fondo.
Almeno, questa volta, ho i miei demoni a farmi compagnia.








________

Salve a tutti/e!

Eccomi qui con una piccola short story a tema natalizio sulla Dramione. 
Questa fanfiction prende spunto dal famoso classico di Natale A Christmas Carol, (tradotto: Cantico di Natale, forse alcuni/e di voi lo conosceranno così) scritto da Charles Dickens. Il concept segue la trama dei tre fantasmi che, la notte della Vigilia di Natale, appaiono in visita a Draco per guidarlo in un viaggio (presumibilmente) onirico che gli impartirà una lezione molto importante (chiaramente diversa da quella che doveva apprendere Ebenezer Scrooge nell'opera originale) e che cambierà significativamente il corso della sua esistenza, dandogli la spinta necessaria a riprendere in mano le redini della sua vita e la forza di lottare per garantirsi un futuro migliore per sé stesso.

Per la prima volta nella storia delle mie fanfiction da quando ho ripreso a scrivere, ho deciso di optare per una prima persona al presente (un'idea che ho in mente di sperimentare da un po', ma ogni volta che inizio a scrivere me ne dimentico e alla fine resto con la terza persona al passato) e sarà interamente pov Draco Malfoy (questa è la sua storia, il suo percorso e tutta l'attenzione sarà su di lui). 

Si tratta come ho già anticipato di una Dramione, ma ci saranno anche accenni Drastoria, perché volevo conservare il ruolo determinante e positivo che Astoria ha avuto su Draco e qui ho trovato il modo di farlo senza intaccare la Dramione in sé, anche perché il personaggio di Astoria, per quanto poco lo conosciamo dal canon, mi piace davvero tanto e lo reputo ricco di potenzialità inespresse. Qui ne approfondirò un po', dandole un ruolo fondamentale nel percorso di Draco. 

L'idea è quella di portare un po' di Dramione nelle vostre vacanze (facciamo finta che non ve ne porti già abbastanza normalmente), insieme a un po' di spirito natalizio, motivo per cui in questa storia troverete una percentuale di dramma tra Draco e Hermione molto bassa, con lei che si dimostra subito comprensiva e disponibile a lasciarsi il passato alle spalle (ha avuto anni per sbollire e maturare in tal senso). Tenete d'occhio le date, perché indicano i salti temporali e nei capitoli finali questo è significativo.

Inizialmente avevo pensato di pubblicare un capitolo di questa storia per ogni giorno di festa a partire dal 23 dicembre, ma poi ho realizzato che per farlo avrei dovuto saltare alcuni aggiornamenti delle altre storie in corso e credo che mi avreste odiata un po' tutti/e, per cui ho anticipato la pubblicazione ad oggi e programmato un capitolo per ogni giovedì e ogni domenica (praticamente, gli unici liberi che avevo). Saranno sette aggiornamenti totali e vi accompagneranno per tutto il periodo natalizio: prologo, 6 capitoli, epilogo (previsto per l'8 gennaio 2023).

N.b. ho dato un titolo anche al prologo e all'epilogo, quindi non sono indicati come tali, ma hanno questa funzione. Vi avviso inoltre che i vari capitoli mi sono usciti tutti di lunghezza diversa questa volta.

La storia è dedicata alla mia Parabatai, anappleformalfoy, senza la quale questa fanfiction non esisterebbe affatto.
(Parabatai che finalmente si è decisa a pubblicare la sua prima long Dramione.)

Ringrazio tutti voi che leggerete la mia storia, in particolare chi di voi mi lascerà un feedback; sapete ormai quanto tenga a sapere la vostra opinione su quello che scrivo.

Spero che abbiate trovato il Prologo interessante e che questa short story vi piaccia!

A presto e Buone Feste! 

 

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Capitolo 2
*** The Ghost of Christmas Past ***


A Christmas Carol
 





PARTE 1

The Ghost of Christmas Past
 



 

24 dicembre 2001
 
Toc, toc, toc.
Il rumore insistente si insinua nel mio sonno già disturbato dagli incubi, infastidendomi.
Afferro il cuscino, me lo porto sulla testa e premo con forza.
So già di cosa si tratta: è il mio molestatore seriale.
No, non è vero, al momento, quel gufo è la cosa più vicina a un amico che abbia.
Patetico, no?
Lo pago pure.
Ripensandoci, è perfettamente conforme all’andazzo consueto della mia vita fin da quando ero in fasce.
Mi costringo ad alzarmi, perché ormai so benissimo che l’unico modo per poter tornare a dormire è aprire quella maledetta finestra e prendere quell’odioso giornale. Disdirei l’abbonamento, ma è letteralmente il mio unico contatto con il mondo esterno, perdere anche quello mi sembra un po’ troppo.
La Gazzetta del Profeta mi concede una fuga di mezz’ora dalla mia vita monotona e solitaria, giusto prima che vada a rinchiudermi in laboratorio o in biblioteca.
Sono quasi certo che potrei costruire una Pietra Filosofale a questo punto, ma non lo farò mai e non solo perché non desidero assolutamente prolungare quest’esistenza tormentata, ma anche perché ho ormai compreso benissimo che quella roba porta solo guai.
Nessuno lo saprà mai, ma Draco Malfoy l’uomo sta cercando di essere migliore del ragazzino che è stato.
Per la cronaca, lo faccio per me stesso, dato che a nessuno fregherebbe niente.
Forse è stata la prima cosa su cui abbia avuto possibilità di scelta e con questo intendo dire che me la sono presa di forza la possibilità di scegliere. Fantastico, no? Posso fare le mie scelte ora, ma nessuna di queste avrà alcun impatto sulla vita di un altro essere umano, giuste o sbagliate che siano. Contano solo per me, quelle che hanno rilevanza per il resto del mondo sono state obbligate e, ovviamente, errate. Non che la gente lo sappia o creda alla mia parola, comunque.
Getto un rapido sguardo al giornale e mi accorgo che è la Vigilia di Natale, di nuovo.
Non riesco a capire se il tempo scorra velocemente o inesorabilmente lento, so solo che i miei giorni continuano a fondersi tra di loro.
E so già quello che accadrà questa sera; le mie Vigilie sono sempre uguali da tre anni a questa parte: ceno in camera, vuoto una bottiglia di vino e se non sono ancora abbastanza sbronzo da crollare addormentato, passo al Firewhiskey. Dopodiché, sono certo di crollare nell’oblio.
È l’unico modo per non sentire la mancanza delle cose che non ho mai avuto.
Il Natale, di solito, ne accentua il desiderio e la consapevolezza che non avrò mai ciò che voglio dalla vita intensifica il dolore.
Meglio berci sopra, no? Non giudicatemi, lo fareste anche voi se foste Draco Malfoy, credetemi.
E comunque, lo vedo come una sorta di regalo di Natale da me stesso per me stesso, ubriacarmi al punto da non poter sognare o da non ricordarmene al mattino: una notte priva di incubi, un sonno profondo e intenso.
È il meglio che posso avere.
I tempi in cui agognavo scope da corsa o costosi regali sono più che andati; i miei soldi, adesso, mi diverto a spenderli facendo ingenti donazioni anonime alle associazioni no profit della Granger.
Alcuni di voi lo considererebbero un modo per fare pace con me stesso e non avreste tutti i torti. Mi fa sentire un pelino meglio, aiutare la gente che ne ha bisogno e al contempo supportare lei. Nella mia testa sono tante piccole scuse per come l’ho trattata in passato. Non sono sicuro che abbia la stessa valenza, ma funziona, ogni tanto. Mi tira su di morale.
La mia giornata passa come tutte le altre.
La missione più importante? Evitare i miei genitori. E oggi più che mai, perché mia madre cerca sempre di convincermi a cenare in sala da pranzo, anche se sa benissimo che per due motivi io non ci metto piede. La sua insistenza aumenta esponenzialmente nei giorni festivi, perché spera di poter ricucire i rapporti in famiglia. Vorrei che capisse che per me non è possibile, non finché mio padre non si deciderà ad accettare la mia decisione di vivere secondo ideali più onorevoli. Non credo che lui abbia capito che non c’è nulla di dignitoso nell’essere stato un Mangiamorte, ma io non ho intenzione di scendere a compromessi. L’ultima volta che ci siamo ritrovati nella stessa stanza non è andata a finire bene, comunque. Non ci tengo a ripetere l’esperienza, grazie tante. Può criticare la mia mancanza di dedizione in merito ai doveri nei confronti della famiglia anche da lontano.  
L’ultima volta che mi ha fatto pressioni riguardo a matrimonio ed eredi, gli ho promesso che avrei sposato una donna Babbana. Ha smesso di insistere, ma so che prima o poi ricomincerà. Non accetterà mai che la linea dei Malfoy cessi con me, anche se il pensiero mi ha sfiorato la mente.
A che pro mandare avanti un casato che ha la reputazione sottoterra?
Potter può ereditare i miei soldi.
Credo sia il mio parente più vicino ancora in vita.
Lui o Teddy Lupin, fa lo stesso.
Sarebbe un risarcimento danni niente male per entrambi, no?
La cosa triste è che io una famiglia mia la vorrei pure, ma è difficile farsene una quando non si mette piede fuori dal perimetro della propria proprietà.
Potrei sposare il gufo che mi consegna la Gazzetta al mattino.
Niente eredi, ma almeno avrei compagnia.
Trascorro la mattina a lavorare a un paio di pozioni sperimentali; sto cercando di creare qualcosa che possa aiutare le vittime della Cruciatus a ritornare a una vita almeno vagamente normale. Questo è per Paciock, per sdebitarmi di ogni volta che insensibilmente l’ho punzecchiato sull’argomento. Se avessi successo e riuscissi a marginalizzare gli effetti della Cruciatus sulla mente, o a diminuirli, potrei permettere ai suoi genitori di essere presenti al suo matrimonio, o ad esserci in qualche misura per i suoi figli; ironico, Paciock ha più possibilità di costruirsi una famiglia di me.
Sarebbe un bel modo per scusarmi con lui, anche se non saprebbe mai che ci sarei io dietro l’invenzione. Me le faccio brevettare sotto un nome fittizio, le pozioni che creo; tipo quella per lisciare i capelli in maniera semi-permanente.  So che la Granger la usa, perché nelle foto più recente appare con i capelli perfettamente lisci. Odierebbe sapere che sono stato io a risolvere in maniera approssimativamente definitiva il problema della sua chioma indomabile.
La serata trascorre esattamente come avevo premeditato.
La mia mente è dura a soccombere all’alcol, questa sera.
Finisce anche il Firewhiskey e ancora non sono disteso faccia in giù sul pavimento, ma non ho le forze per procurarmi dell’altro, così barcollo fino al letto, senza preoccuparmi di togliermi di dosso i vestiti. Posso dormire nel mio letto, per un Natale.
Borbotto burberamente un «Buon Natale a me» e alla fine, credo, crollo.

 

Mi sveglio scombussolato e per qualche motivo mi ritrovo appollaiato su una poltrona, davanti al fuoco scoppiettante del camino, con addosso i miei abiti della sera prima.
Strano, ero convinto di aver dormito nel mio letto, questa notte.
E perché c’è un alberello di Natale sulla mia scrivania, interamente agghindato, con tanto di lucine colorate e intermittenti? Sono sicuro di non averlo sistemato io. Tendo a sopprimerlo l’entusiasmo per il Natale, perché so che mi farebbe solo male ricordare un calore che non proverò mai più nella vita. Il calore che avvertivo a Hogwarts e che mi convinceva a trascorrere le vacanze invernali al castello. Chi sarebbe così stupido da scambiare l’atmosfera magica di Hogwarts con quella cupa del Manor? Non che lo avrei mai ammesso a voce alta a quel tempo, ma trovavo sempre delle scuse improbabili per giustificare la mia permanenza a scuola.
C’è qualcos’altro di strano nella stanza, me ne accorgo mentre mi stiracchio le gambe e sbadiglio ancora mezzo assonnato.
C’è qualcuno con me.
E quel qualcuno è seduto sul mio letto e mangia dei muffin appena sfornati con voracità. Quel qualcuno, io lo conosco benissimo, solo che non può essere veramente qui.
«C-Crabbe?»
«I muffin dei tuoi elfi sono sempre stati migliori di quelli che facevano i miei», dice lui, senza attendere d’aver ingoiato prima.
Lo guardo perplesso per un po’, mentre lui si ingozza e io mi rendo conto di aver appena incontrato il suo fantasma, perché è leggermente… beh, di un trasparente grigio-bluastro. Ma Crabbe non sarebbe mai stato così sveglio da lasciare un’impronta della sua esistenza nel mondo dei vivi, non credo neanche che lo avrebbe desiderato.
Chi vorrebbe restare bloccato per l’eternità in un mondo dove si viene odiato?
La testimonianza del Barone Sanguinario è stata più che sufficiente a far scacciare l’idea dalla mente di tutti i Serpeverde un secondo dopo aver messo piede al castello.
«Sono morto?» chiedo titubante, la fronte corrugata, mentre cerco di razionalizzare quanto sta accadendo.
Forse, in realtà, ho bevuto fino a uccidermi ieri sera. Può succedere? Insomma, devo essere per forza morto. È l’unica spiegazione plausibile.
«No», mugugna Crabbe. «Non ancora. Hai la pellaccia dura, tu. Ma se non ti decidi ad uscire da qui, il mondo inizierà presto a crederlo.»
«Assumi che mi dispiacerebbe» commento, sollevando un sopracciglio. «La Skeeter scriverebbe un libro e io mi divertirei a fingermi una fonte a me vicina per screditare ogni sua versione dei fatti, scrivendone uno mio. In ogni caso, gli articoli con le loro meschine speculazioni sul mio conto cesserebbero in breve tempo, invece che tormentarmi per tutta la vita.»
Il fantasma mi guarda vacuo, poi scuote la testa. «Non sei cambiato molto», conclude alla fine.
«Neanche tu» ribatto io. «Anche da morto ti ingozzi come un maiale.»
Crabbe sbuffa sonoramente. «Pensavo che saresti stato più gentile con me, almeno da morto.»
«Non essere idiota, Crabbe.»
«Pensavo che avessi sentito almeno un po’ la mia mancanza.»
Ah, certo che l’ho sentita.
La sua morte mi ha colpito più di quanto riesca ad esprimere.
Non posso considerare Crabbe e Goyle dei veri amici, ma sono la cosa più vicina ad essi che abbia mai avuto la possibilità di avere.
Triste, considerando che erano semplicemente due tirapiedi che mi giravano attorno per il mio cognome e con cui era praticamente impossibile avere una conversazione arguta, seria o intellettuale che fosse.
Il fantasma di Crabbe sembrava un po’ meno stupido della sua versione da vivo, però.
«Ti penso ogni giorno, Crabbe.»
«Certo», esclama lui, scettico. «Ma considerando quello che sto per fare per te, fingerò di crederti.»
Arriccio il naso. «Cosa può fare per me un fantasma?»
«A parte darti modo di usare la tua voce, tanto per cambiare?» risponde piccato. «Da quanto è che non parli con qualcuno, Malfoy?»
D’accordo, decisamente il fantasma di Crabbe è più sveglio della sua versione corporea.
«Non sono fatti che ti riguardano.»
«In realtà sì, vista la mia missione», ribatte in tono piccato. «Dannazione, il tempo stringe. Ho perso troppo tempo a mangiare, ma questi muffin sono così deliziosi…»
Si rialza goffamente, - o meglio, si solleva dal letto goffamente -, e si posiziona di fronte a me.
«Perso tempo?» gli faccio eco, turbato. «Di che diavolo stai parlando, Crabbe?»
Risponde con un ghigno e vorrei mollargli un pugno, solo che ovviamente non si può colpire un fantasma. All’improvviso, comprendo la reazione della Granger al terzo anno. I ghigni sono davvero così indisponenti? Ero convinto di sembrare figo.
«Tieniti forte.»
E poi, senza preavviso, l’idiota mi afferra la mano, la finestra si spalanca, e lui schizza all’esterno, rapido come un fulmine, trascinandosi dietro anche me.
Il viaggio è un insieme confuso delle mie urla, delle mie minacce vane, - «Mettimi giù, Crabbe, o giuro che io ti uccido!», il che è stupido da intimare a un fantasma, perché, beh, è già morto -, oggetti fusi e sfocati che sfrecciano attorno a me, una strana luce verde e violacea e poi… poi un’enorme porta di legno pregiato, palesemente antica e solida.
«CRABBE! METTIMI Giù! IO NON POSSO ATTRAVERSARLA! AAAAAAAAAAAAAAAH!»
Eppure, dopo aver imprecato per la banalità dell’idea di morire ucciso dal fantasma di Crabbe ingozzato dei muffin dei miei elfi, l’ho fatto, sono passato attraverso la porta.
«Sei sicuro che sono ancora vivo?» grido cercando di farmi sentire dal fantasma, ma lui non mi risponde, continua a sfrecciare nel nulla, - o nel tutto, non saprei dirlo con esattezza -, senza dare alcuna spiegazione.
Quando mi rimette a terra, barcollo per un momento e mi guardo attorno, leggermente frastornato; corrugo la fronte, perplesso e sconvolto.
«Mi hai fatto fare il giro della morte per poi riportarmi al Manor?»
Crabbe scuote il capo. «Non è il Manor del tuo presente.»
Con un cenno del capo, indica un punto preciso del giardino innevato.
Un Draco Malfoy di otto anni se ne sta seduto in mezzo alla neve, infagottato in un pesante mantello, con guanti, sciarpa e cappello verdi. Piange, attorno a lui i resti di un pupazzo di neve fatto a pezzi. Le deboli luci dell’albero nel salotto si intravedono dalla finestra della villa.
Mi irrigidisco. Cosa diamine sta succedendo?
Me lo ricordo benissimo, quel Natale.
Mio padre doveva esser via per le feste, così avevo convinto mia madre a lasciarmi uscire per costruire un pupazzo di neve, ma Lucius era tornato prima del previsto e mi aveva scoperto. Aveva distrutto il mio amico, - il pupazzo, ovviamente -, con un colpo di bacchetta, rimproverandomi per essermi intrattenuto in frivole usanze da Babbani o per aver indugiato in insulsi sentimentalismi, qualcosa del genere. Ad ogni modo, giocare con la neve non rientrava nelle cose che si addicevano a un Malfoy, secondo il vecchio Lucius.
Credo sia stata l’ultima volta che ho provato a costruire un pupazzo di neve. Persino a Hogwarts non uscivo a giocare insieme agli altri, temendo che qualcuno potesse rivelarlo a mio padre anche solo per sbaglio.
Guardo quella versione più piccola e impertinente di me tirare su con il naso, rialzarsi e rientrare in casa a testa alta. Mi seguo, il fantasma di Crabbe che svolazza dietro di me, mi guardo informare mia madre che aprirò i regali la mattina dopo e risalgo nella mia cameretta, con aria indifferente, ma non appena varco la porta, scoppio a piangere.
Mi rintano sotto le coperte, pensando che fino a un attimo prima che mio padre ritornasse, quello era stato il miglior Natale della mia vita.
Quella notte, lo ricordo perfettamente, piansi fino ad addormentarmi.
In un certo senso, rivivo il senso di profonda tristezza e sconforto che provai allora, come se lo stessi rivivendo in questo preciso momento della mia vita e non mi sorprende più così tanto la mia rassegnazione in merito al Natale.
Mi osservo ancora, un fagotto raggomitolato nel mio letto, il petto che, nascosto sotto le lenzuola, si alza e si abbassa rapidamente, scosso dalle lacrime.
Ricordo perfettamente i pensieri che mi ronzavano in testa: ero di nuovo solo; avevo avuto un amico per la bellezza di dieci minuti.
Riposa in pace, Jack.

Crabbe riafferra la mia mano e la sua corsa mortale riprende, senza pietà e senza alcun avvertimento, di nuovo.
Il mio corpo è così insensibile che non riesco a capire se ho freddo o meno; la testa mi gira, sono sicuro che questa volta vomiterò. Sto per imprecare a voce alta e urlargli di rallentare, quando una nuova grande minaccia appare davanti a me: è Hogsmeade.
«SEI PAZZO? FAREMO SCATTARE L’ALLARME, NON HO L’AUTORIZZAZIONE, MI FARAI ARRESTARE! AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!»
Un attimo dopo, sono faccia nella neve, nei giardini della scuola.
L’allarme non è scattato, ma in tutta onestà, Crabbe mi sta più sul cazzo ora di quando ha appiccato il fuoco che lo ha ucciso nella Stanza delle Necessità, disobbedendo al mio ordine diretto di non mirare a uccidere.
«Sei un vero stronzo», gli dico, irritato. «Non posso credere che tu sia una spina nel fianco anche da morto.»
«Non posso credere che tu ti ostini ad essere sgarbato con me anche quando sono morto» mi scimmiotta lui e per un momento sento la mancanza del vero Crabbe, quello con cui potevo berciare qualsiasi cosa perché tanto si sarebbe stato zitto in ogni caso.
Mi rialzo in piedi a fatica, rendendomi conto di avere l’intero corpo intorpidito, e mi libero dalla neve impigliata sui miei abiti e tra i miei capelli. I miei vestiti sono stranamente asciutti, anche se a questo punto dovrebbero essere fradici. Sempre più strano.
«Questo completo è costoso, comunque», borbotto. «Gradirei che gli mostrassi più rispetto.»
«Non hai perso la tua verve drammatica, noto.»
Rispondo con un’occhiataccia. Da quando Crabbe è così impertinente?
«Cosa ci facciamo a Hogwarts?» chiedo in tono asciutto. «Percorriamo il viale dei ricordi infelici? O vuoi solo rubare qualcosa dal banchetto di Natale?»
Il fantasma ignora la mia frecciatina e si avvia sbandando verso l’ingresso del castello.
«EHI!» gli urlo dietro. «Non possiamo fare irruzione lì dentro! Possono vederci?»
Crabbe si volta e sbuffa. «Ti ricordavo più sveglio», commenta piccato. «Ancora non hai capito? Siamo nel passato! Nessuno può vederci!»
Lo fisso sbattendo le palpebre per qualche secondo. «N-nel p-passato?»
«Certo, avresti dovuto capirlo dalla tappa precedente», ribatte lui in tono asciutto. «Ripercorriamo il passato affinché tu possa imparare una lezione.»
Le mie sopracciglia scattano all’insù. «E cosa dovrei imparare? Che nella vita sono sempre stato miserabilmente infelice?»
Sinceramente, sono fermamente convinto di averne imparate abbastanza di lezioni e anche duramente, visto che è stato tutto a mie spese e sto ancora pagando per i miei sbagli.
Crabbe fa ruotare gli occhi, - e, credetemi, è davvero inquietante, perché le sue pupille sembrano ruotare in dei cerchi bianchi! Come fanno quegli stupidi pupazzi per bambini, avete presente? -, poi ringhia di frustrazione.
Non riesco a capire perché creda che sia tutto così ovvio.
Non è che capita tutti i giorni di essere rapito dal fantasma di un tuo amico morto, questo è troppo da metabolizzare perfino nel mondo dei maghi.
«Sono qui per farti capire cosa desideri dalla vita!» strilla Crabbe, ha l’aria spazientita.
La cosa mi irrita. Dovrei essere io quello indignato, qui!
«A me sembra che tu voglia solo tormentarmi con i miei ricordi tristi», replico, scocciato. «In che modo Hogwarts dovrebbe farmi capire cosa voglio? Ci sono stato per sette anni e non mi è servito a niente in tal senso!»
Vorrei solo tornare a casa, a crogiolarmi nella mia sofferenza, nel mio letto. Qualsiasi cosa voglia dalla vita, non posso ottenerla. A che pro quindi tentare di capire cosa diavolo desidero veramente?
Il fantasma sbuffa. «Guarda tu stesso.»
Ed eccomi lì, un me di dodici anni fermo all’ingresso della Sala Grande.
Mi guardo attorno, ho un’espressione vagamente disgustata da tutto quel sentimentalismo natalizio, ma in realtà so che il mio cuore esplode dalla meraviglia e dalla gioia; è il primo anno che resto al castello per Natale e indugio nel calore della scuola in festa, una sensazione completamente diversa da quella dei freddi Natali a cui sono sempre stato abituato al Manor.
Credo che, nonostante l’indifferenza da me mostrata verso ciò che mi circondava, quello sia stato uno dei migliori Natali che abbia mai avuto.
Raggiungo il tavolo di Serpeverde baldanzoso come sempre, Pansy mi guarda speranzosa di vedermi prendere posto accanto a lei.
Non lo faccio, per il semplice gusto di deluderla.
Ero veramente stronzo, anche con quelle poche persone che mi piacevano, ma mio padre mi aveva insegnato che dovevo esserlo, perché così tutti mi avrebbero rispettato.
Un mucchio di frottole, ovviamente. Non c’è un solo insegnamento di Lucius Malfoy che si sia rivelato utile alla fine, o che non abbia contribuito alla mia rovina.
«Quindi, la grande lezione è che desidero più addobbi natalizi?» chiedo sardonico, mentre guardo i Crabbe e Goyle del secondo anno sedersi ai miei lati e tirare fuori dalle tasche dei fuochi d’artificio Filibuster che, da quanto rammento, intendono sparare in giardino l’indomani.
«Una lezione potrebbe essere quella che ti conviene diventare un po’ più affabile, Malfoy» risponde Crabbe. «Guarda meglio
Sbuffo e mi avvicino al me stesso bambino.
Sto guardando verso il tavolo di Grifondoro e scuoto la testa, probabilmente pensando che la Granger dev’essere pazza per essere rimasta al castello con il Basilisco in giro a caccia di Nati Babbani da uccidere. In realtà, ho sempre ammirato il suo sangue freddo, forse più di quanto abbia mai fatto con Potter.
E poi lo vedo chiaramente, un baluginio di invidia attraversare i miei occhi mentre osservo il Trio Miracoli che ride, si stringe in un caloroso e dolce abbraccio. Mezza scuola pensa che Potter sia l’Erede di Serpeverde, ma lui non è solo, perché sa di poter sempre contare su Weasley e sulla Granger. Io non ho mai avuto niente del genere, nessuno che mi supportasse in quel modo. L’effetto di quel ricordo è immediato sul mio umore, una fitta dolorosa mi trapassa all’altezza del petto ed arriccio istintivamente il naso, mentre la sensazione di abbandono che ho provato durante il sesto anno riemerge dentro di me.
«D’accordo, possiamo andarcene ora?» sputo fuori, assottigliando le labbra e guardando il fantasma di Crabbe in cagnesco.
«Dipende, hai capito qualcosa?»
«Che mi sono sempre sentito profondamente solo e che ho sempre voluto un’amicizia come quella dei Grifondioti», mugugno riluttante. «Non dire che non sei tornato solo per rigirare il coltello nella piaga.»
Mi ignora. «E cosa hai intenzione di fare al riguardo?»
Lo guardo con un sopracciglio sollevato.
Non può fare sul serio, andiamo!
«Chiederò a Babbo Natale di portarmene una l’anno prossimo. Magari la troverò sotto l’albero che allestirò nella mia stanza.»
Crabbe grugnisce esasperato e finalmente sembra un po’ più sé stesso.
«Avevo dimenticato quanto fosse difficile interagire con te.»
Mi afferra per una mano e il giro mortale ricomincia.
Prego che non mi faccia rivedere il Natale del sesto e del settimo anno.
Ricordo vagamente di aver passato quello del sesto anno rintanato per la maggior parte sulla Torre di Astronomia o nella Stanza delle Necessità a piangere; quello del settimo, con la testa tra le mani a pregare che tutto finisse presto, nel bagno dei ragazzi, con la sola compagnia di Mirtilla Malcontenta, paradossalmente l’unica creatura in tutto il castello ad aver mostrato un po’ di empatia per me. Empatia che, chiariamolo, non meritavo minimamente.
Forse la lezione da imparare è proprio questa: vado d’accordo solo con i fantasmi, posso stare attorno solo a gente morta. I vivi hanno troppa luce e calore per uno come me.
Crabbe mi rigetta sul pavimento senza troppo riguardo e io, finalmente, vomito.
«Gentilissimo» sbotto, guardandolo accusatorio.
«Beh, sono di fretta», si giustifica lui, non sembra divorato dai rimorsi. «Sono in ritardo per il banchetto di Natale dei fantasmi golosoni.»
Fa per andarsene e io gli grido di fermarsi.
«Te ne vai così?»
«Non pensavi davvero che sarei rimasto a rimuginare sull’enorme quantità di stronzate fatte quand’eravamo ragazzini con te, no?»
Sì, per un momento l’ho pensato, ci ho sperato persino, perché è stato bello poter parlare con qualcuno che non fosse il mio riflesso nello specchio, per una volta.
«Il mio compito è finito, Malfoy», mi dice ancora. «Non so quanto sia stato bravo nel svolgerlo, ma sono sicuro che il Fantasma del Natale Presente farà un lavoro migliore.»
«Il cosa?» domando stridulamente, gli occhi sbarrati.
«Potrei aver dimenticato di dirti che riceverai due altre visite», afferma con nonchalance, lo sguardo catturato dai pochi muffin che ha lasciato sul letto prima di portarmi a fare un giro sulle montagne russe dei fantasmi psicopatici. Bizzarro, rifletto finalmente. I fantasmi non dovrebbero essere in grado di consumare il cibo dei vivi. Crabbe, però, si fionda di nuovo sul letto e si affretta a portare a termine il lavoro iniziato appena è arrivato qui.
«Il Fantasma del Natale Presente verrà dopo di me», mi spiega, masticando rumorosamente. «Poi riceverai la visita le Fantasma del Natale Futuro. Tutti hanno qualcosa da insegnarti.»
«Più che insegnarmi qualcosa, tu hai buttato sale sulle mie ferite, Crabbe» obietto io, accigliato.
«Un modo diverso di vederla, senza dubbio» commenta lui. «Vorrai forse rivedere la prospettiva con cui guardi il mondo. Dovresti aver appreso una cosetta o due su te stesso, durante questo viaggetto.»
«Mi sento più miserabile di prima!» gli urlo dietro. «Forse non volevo apprenderle queste cosette, non ci hai pensato?»
Davvero, chi glielo ha chiesto?
Fino a poco fa, - quanto tempo è passato in tutto ciò? -, non credevo neanche che si potesse stare peggio di come stavo! Eppure, eccomi qui, ora, ancora più triste e angosciato di quanto non lo fossi prima.
Il fantasma di Crabbe sospira, scuote il capo lentamente. «Non c’è niente dove mi trovo io, sai?» rivela tristemente. «Sono solo con il mio cibo e non per una vita, Malfoy. Questo è il resto dell’eternità per me.»
Deglutisco con forza, incapace di proferire parola.
«Ma tu sei ancora in tempo per rimediare ai tuoi sbagli», aggiunge. «Per non finire come me.»
Svolazza verso la finestra e poi si volta di nuovo a guardarmi. «Grazie per i muffin e per la compagnia. Al banchetto dei fantasmi golosoni ci sono solo io.»
Stringo il labbro inferiore tra i denti, mentre un moto di pena per lui mi assale.
Quindi, la sua punizione per i suoi errori in vita è solitudine eterna con la sola possibilità di mangiare per passare il tempo?
Deglutisco con forza. Chissà cosa spetterà a me, allora.
Non voglio finire come lui! Una vita di sofferenza non basta?
Sono destinato a soffrire anche da morto?
Crabbe dice che sono ancora in tempo per cambiare le carte in tavola, ma io continuo a non esserne molto sicuro.
Lo guardo e dal piccolo, mesto, sorriso sul suo viso capisco che sa perfettamente a cosa sto pensando. Fa davvero strano, vedere la faccia di Crabbe che sorride, comunque.
«Grazie a te» sussurro sottovoce, incerto se doverlo ringraziare per qualcosa di più specifico o meno.
«Buon Natale, Malfoy.»
Un secondo dopo, Crabbe non c’è più.
Mi dirigo verso il mio letto, scombussolato.
Non sono sicuro che ciò che ho appena vissuto abbia un minimo di senso.
Tornare nel passato in compagnia del fantasma di uno dei miei migliori amici d’infanzia morto… forse sto ancora sognando.
Eppure, le mie palpebre si abbassano pesanti.
Ci si può addormentare all’interno di un sogno?


 

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Capitolo 3
*** The Ghost of Christmas Present ***


A Christmas Carol
 





PARTE 2

The Ghost of Christmas Present
 







Apro gli occhi e sbadiglio a fondo, sgranchendomi le braccia.
«Ciao Draco.»
Sobbalzo e scatto a sedere.
«Astoria
Lei mi sorride, quel sorriso luminoso che mi ha colpito subito quella notte di due anni fa e per poco non dimentico che la sua presenza nella mia camera da letto è del tutto fuori luogo.
Lei è una donna sposata e io non sono quel tipo di uomo! Che diavolo ci fa nella mia stanza? Al Manor in generale? Che accidenti ho fatto ieri sera?
«Cosa ci fai qui?» chiedo confuso, stendendo un braccio per cercare la mia bacchetta e appellare degli abiti, ma poi realizzo che, come nel risveglio precedente, anche questa volta sono già vestito.
Strano.
«Crabbe non ti ha detto che stavo arrivando?»
Apro la bocca e la richiudo subito dopo.
Sta parlando di quell’assurdo sogno che ho fatto la scorsa notte?
«Non capisco», dico, chiedendomi se non debba stare al gioco. «Mi ha parlato di un altro fantasma.»
Lei sorride mestamente. «Già, eccomi qui.»
«Ma tu sei viva!», obietto, corrugando la fronte. «Come puoi essere un fantasma?»
Astoria non risponde e tutto a un tratto noto la semitrasparenza della sua figura.
«Oh», sussurro spiazzato e dispiaciuto.
«Sono morta questa notte, Draco» mi informa sottovoce, dopo una breve pausa di silenzio drammatico. «Giusto in tempo per essere qui per te.»
D’accordo, questo è solo un sogno, ma non fa che diventare più cupo e assurdo minuto dopo minuto.
Perché non riesco a svegliarmi?
«Non ho mai rinunciato all’idea di aiutarti», aggiunge ancora. «Non ho mai smesso di credere in te. Se riesco nella mia missione stanotte, avrò fatto un’ultima cosa buona prima di lasciare questo mondo.»
«Non puoi essere morta», mormoro con voce spezzata. «Non sei appena diventata madre?»
Astoria sorride triste. «Temo che la gravidanza abbia accelerato l’azione di una brutta maledizione del sangue che mi affliggeva» mi racconta. «Pare non ti sia andata poi così male, rinunciando a me. Avremmo avuto solo due anni insieme e forse ti avrei lasciato un vuoto più grande di quello che sarei riuscita a colmare standoti a fianco per un tempo così breve.»
Non riesco a guardarla in faccia. «Mi dispiace», è tutto ciò che lascia la mia bocca. La tristezza mi attanaglia lo stomaco e la gola.
«Altre persone racconteranno di me a mio figlio», risponde, rassegnata. «Spero che sapere come ho condotto gli anni finali della mia vita, lo porti sulla giusta strada.»
Annuisco, perché davvero non saprei cos’altro dirle.
«E spero di aiutarti a scegliere il vicolo giusto dove svoltare nella tua di vita, Draco.»
Mi tende la mano e io la guardo titubante.
«Vieni con me?»
La mia mano si muove in automatico, come se il mio corpo avesse preso il sopravvento e stesse agendo di sua spontanea volontà, e la afferra.

 

 
Il viaggio con Astoria è più piacevole dell’esperienza con Crabbe, ma non vuol dire che sia semplice. La nausea all’atterraggio è violenta come quella che ho sperimentato nel precedente sogno. Sempre che si tratti effettivamente di sogni.
Ed io che pensavo di non essere ubriaco fradicio, prima di mettermi a letto!
«Cosa mi aspetta questa volta?» le chiedo rassegnato. «Il ricordo di altro dolore?»
Astoria mi sorride dolcemente. «Io ti mostro il presente, Draco.»
È l’unica cosa che dice prima di iniziare a camminare; svolazza accanto a me con lentezza studiata, mi guida tra le vie di una cittadina che non conosco.
«Questa», rivela, «è Godric’s Hollow.»
Il nome mi è familiare; il villaggio magico di Godric Grifondoro… quello in cui è nato Potter e dove i suoi genitori hanno perso la vita.
«Non starai mica per mostrarmi il solo felice Natale che i Potter hanno avuto la possibilità di vivere prima che Tu-Sai-Chi li uccidesse, vero?»
Non sono sicuro di poterlo reggere.
Sono certo che nell’unico anno che Potter ha potuto vivere con i suoi genitori, sia stato profondamente amato; non voglio avere un termine di paragone che mi porterà inevitabilmente a odiare ancora di più il rapporto che io ho con i miei genitori.
Aver fatto questo pensiero mi fa sentire un po’ un verme. Come posso invidiargli un solo Natale felice, che probabilmente neanche ricorda? I suoi genitori sono morti! Non li ha mai conosciuti veramente!
«Come ti ho detto, Draco» ripete pazientemente Astoria, «io ti mostro il presente.»
C’è una villetta innevata poco prima del confine del villaggio; è grande, ma umile e accogliente, addobbata a puntino di decorazioni natalizie, le finestre illuminate da una luce calda.
Ci avviciniamo, spiamo dalla finestra.
È casa di Potter, nel presente.
«Non preoccuparti», mi tranquillizza Astoria. «Non possono vederci.»
Osservo la combriccola riunita nel salotto di casa Potter.
Ginevra Weasley ride con un bicchiere di vino elfico in mano, ha le guance arrossate; Potter le ha circondato le spalle con un braccio e la stringe a sé.
Ronald Weasley siede sul divano di fronte a loro e stringe la mano della sua compagna, Padma Patil. E poi Bill e Fleur Weasley che cantano un’allegra canzone natalizia, mentre George fa facce strane per far ridere il piccolo Teddy, che con il suo potere da Metamorfomagus lo batte a mani basse.
Una figura composta ed elegante attira la mia attenzione; il suo volto è dolce, ma terribilmente familiare: dalla somiglianza con Bellatrix Lestrange, e vagamente anche con mia madre, capisco che quella è Andromeda Tonks, mia zia, quella che non ho mai avuto il piacere di conoscere.
Sono quasi tentato di bussare alla porta, ma poi rammento che non sono veramente qui, in realtà.
«Perché mi fai vedere questo?»
È un’altra tortura, dopotutto, esattamente come mi aspettavo.
Questa volta, mi viene mostrato ciò che avrei voluto, ma che non ho mai potuto avere, per mia scelta inconsapevole o perché i miei genitori ci hanno messo lo zampino.
«È per mostrarti il vero spirito del Natale, Draco.»
Grugnisco spontaneamente. «Per quelli come me, il Natale è solo benzina sul fuoco della sofferenza, Astoria.»
La mia voce è più dura di quanto intendessi, ma è la verità: per chi è solo, il Natale non è altro che dolore e mancanza, freddezza disarmante.
Riporto lo sguardo sulla scenetta amorevole all’interno della casa; cerco di immaginare un contesto in cui avrei potuto avere un posto lì con loro, ma non riesco a farmi venire niente in mente.
Non sono mai stato destinato a niente del genere, qualcosa di così puro non è mai stato nelle carte, per me.
Poi, all’improvviso, individuo la nota stonata in quel quadretto altrimenti armonioso. «Dov’è la Granger?»
Mi sembra strano che non sia con loro.
Astoria mi sorride triste. «Credi di essere tu la persona più sfortunata, Draco?» mi chiede, poi mi tende nuovamente la mano. «Vieni con me, abbiamo un po’ di tappe da fare prima che il nostro tempo insieme giunga al termine.»
Deglutisco e afferro la sua mano, consapevole di stare nuovamente per sperimentare quel pazzo tipo di viaggio che i fantasmi sembrano adorare.
«Non potremmo, che ne so, Smaterializzarci?» le domando, trattenendo a stento i conati di vomito, una volta atterrati su un vasto campo imbiancato dalla neve.
Noto delle luci poco distanti, forse una piccola casa.
La Tana, credo.
«Sono un fantasma», mi ricorda lei, sghignazzando. «Fare magie non è più nelle mie capacità e non posso Smaterializzarmi congiuntamente.»
Annuisco distrattamente. Era ovvio, a dire il vero, ma non so quanto ancora posso viaggiare in quel modo senza vomitare sulle mie costosissime scarpe.
«Forza, questa sarà una breve fermata.»
Non so perché Astoria voglia mostrarmi come Molly e Arthur Weasley stanno trascorrendo il Natale, ma ciò che vedo mi colpisce con violenza alla bocca dello stomaco.
«Perché non sono con gli altri?» chiedo esitante.
«Perché Molly e Arthur piangono ancora il figlio perso in battaglia», mi spiega pazientemente Astoria. «Il lutto non è così facile da superare, specie quando coinvolge una persona che era così giovane, piena di vita e di luce, come Fred Weasley.»
Essere testimone inosservato del dolore dei Weasley è disturbante su molti livelli e senza dubbio scatena nella mia mente una miriade di riflessioni.
Li ho mai visti per come sono veramente?
Forse, ammetto finalmente a me stesso, sì.
E ancor più duramente, riconosco che il mio odio nei loro confronti non ha mai avuto a che fare con il loro essere “traditori del proprio sangue” o con la loro scarsa liquidità di denaro, no; ne invidiavo l’unità, il legame familiare che condividevano.
La famiglia è sempre stata la cosa più importante, per me, sapete? E ho sempre agito di conseguenza. Ma cosa fai quando realizzi che la tua, la stessa famiglia per cui eri disposto a sacrificare la tua vita pur di tenerla al sicuro, non meritava assolutamente niente da parte tua?
«Come vedi, anche nel dolore, l’amore può portare un po’ di conforto», mi dice Astoria. «E so che pensi che per te sia troppo tardi, ma non lo è. Sei vivo, Draco. Non puoi tornare indietro, ma puoi andare avanti.»
«Sto andando avanti» ribatto, ma so che non è propriamente vero.
«No, tu stai esistendo», mi corregge. «Ma non stai vivendo. Ti sei bloccato in un limbo, una sorta di via di mezzo che non ti conduce da nessuna parte. E non sei l’unico in questa situazione.»
Afferro di nuovo la sua mano e la seguo a malincuore.
Questo sogno mi sta facendo così male che forse avrei preferito rivedere l’enorme serpente di Voi-Sapete-Chi; almeno, in quel caso, mi sarei risvegliato subito, urlando dal terrore.
Questa volta, non posso fare altro se non proseguire.
Non ho la più pallida idea di dove mi trovi, quando atterriamo per la terza volta. Non credo di essere ancora nel Regno Unito, la struttura delle ville e delle case... tutto è troppo diverso e inusuale per essere ancora a casa.
«Dove siamo?» domando perplesso.
«Siamo a Ottawa», risponde lei. «In Canada.»
«E cosa ci facciamo in Canada?» indago ancora, sempre più confuso, ma non c’è alcun bisogno che Astoria risponda a quel quesito.
La vedo quasi subito, una figura seduta su una panchina; è disillusa, ma l’effetto dell’incantesimo deve starsi indebolendo, perché riesco a individuarla con facilità.
All’improvviso mi è chiaro perché la Granger non era a casa Potter insieme agli altri, prima. Lei è qui.
«Cosa ci fa la Granger in Canada?»
Se ne sta seduta, da sola, le guance rigate di lacrime e il dolore nello sguardo; fissa la finestra di una piccola casa, addobbata, ancora una volta, a puntino.
Un uomo e una donna stanno cenando insieme, si sorridono con affetto.
Lo stesso tipo di affetto che posso scorgere nell’espressione della Granger mentre li guarda.
«Sono i suoi genitori», mi spiega Astoria. «Ha dovuto obliviarli durante la guerra, per proteggerli. Non ricordano di avere una figlia, non sanno chi sono veramente.»
Mi volto di scatto verso di lei, la mascella a terra e gli occhi sbarrati. «La Granger si è rimossa dalla loro vita?»
Il fantasma annuisce, triste. «E poi ha mandati in Australia per tenerli alla larga dalla guerra. Li ha persi di vista per un anno o due, perché si sono trasferiti qui e lei li ha dovuti cercare.»
Guardo la Granger e un intenso moto di dispiacere per lei si leva dentro di me
«Non è mai riuscita a invertire l’incantesimo. Ovviamente, l’Oblivion non ha rimedio» prosegue Astoria, «Ma ogni anno, ogni Vigilia di Natale, Hermione viene qui e li osserva dalla finestra. Credo che lo faccia per sentirsi più vicino a loro in questo giorno che tutti dovrebbero trascorrere con i propri cari.»
Una strana sensazione mi attanaglia lo stomaco; è dispiacere, misto a senso di colpa. Io ero dal lato di quelli che hanno costretto tante persone a misure così drastiche, ero parte del problema; se la Granger si trova in questa situazione, se soffre così tanto, è anche colpa mia.
«Non eri tu a dar loro la caccia», mi tranquillizza Astoria, come se potesse leggermi nel pensiero. «Non addossarti anche questa colpa.»
«Ma lei… io…» le parole mi muoiono in gola e il mio avambraccio sinistro sembra pesare più del solito, come non pesava da tempo ormai.
«Dimmi, Draco, credi ancora che il Natale renda un po’ triste solo te?»
«Non mi rende un po’ triste» la contraddico io, sbuffando. «Mi rende inesorabilmente triste. Loro hanno un po’ di amore nella loro vita a bilanciare la sofferenza. Io sono solo.»
«E di chi è la colpa, Draco?»
La guardo cercando di scorgere l’accusa nel suo sguardo, ma non ve n’è neanche l’ombra.
«Scegli tu di restare rintanato tra le mura del Manor ogni giorno», prosegue lei. «Sei tu che ti punisci con la solitudine, non ti è stata imposta da nessuno.»
«Credi veramente che esista qualcuno che mi vorrebbe attorno?» soffio irritato. «Sono un reietto da entrambi i lati della società magica!»
«Io volevo starti vicino», mi zittisce. «Tu non me lo hai permesso. E non provando a ricercare altri rapporti umani, Draco, stai decidendo di isolarti. Stai togliendo alle altre persone la possibilità di scegliere se darti la loro amicizia o meno.»
Ahia, tasto dolente.
L’argomento “libertà di scelta” è molto delicato per me, dato che non ho mai avuto modo di farne una autonomamente.
O forse, è proprio quello che Astoria sta cercando di dirmi: appena ho potuto fare da me, ho scelto male. Forse ormai è un vizio, ma mi è chiaro cosa intende: sto scegliendo io di restare solo ed è, ancora una volta, un errore. Magari, provando a relazionarmi con gli altri sarei comunque solo, ma non così solo, non so se mi spiego. Deglutisco.
Quando Astoria mi tende nuovamente la mano, so già cosa devo fare. A questo punto, il volo è quasi piacevole. Il gelo di dicembre non sembra così problematico dopo aver assistito al dolore della Granger. Credo che sia la persona verso cui i miei sensi di colpa sono più intensi, dato che è quella che ho ferito di più. Quella con cui ho sbagliato di più. Il modo in cui l’ho trattata a Hogwarts, l’essere rimasto a guardare mentre Bellatrix la torturava in casa mia…
Hermione Granger è senza dubbio la persona a cui più mi interesso ultimamente, il nome che ricerco assiduamente tra le pagine della Gazzetta del Profeta; ho lo strano bisogno di accertarmi che stia bene, l’impulso di fare qualcosa per garantire il suo benessere, in caso contrario.
Non so da cosa nasca, esattamente, ma inizio a pensare che se desidero davvero perdonare me stesso, se voglio avere veramente la possibilità di farlo, un giorno, devo prima trovare il modo di ottenere il suo di perdono. Mi rendo conto che non ha importanza nemmeno ricevere l’assoluzione da parte di Potter, in confronto a quanto sento di dovermi sdebitare con lei.
La tenuta che mi appare di fronte, questa volta, la conosco bene.
«Villa Zabini?» esordisco, confuso. «Cosa ci facciamo qui?»
«Guarda tu stesso.»
Mi solleva leggermente per aria, in modo che possa vedere attraverso la finestra del salotto.
Pansy Parkinson siede sul divano, accanto a Blaise Zabini, ha il capo poggiato sul suo petto e un’espressione rilassata sul volto. Ha un anello di fidanzamento scintillante al dito.
«Sembra che abbia trovato la sua vera metà» commenta Astoria, studiandomi con la coda dell’occhio. «Sembra felice.»
La consapevolezza della trovata serenità romantica della mia ex non mi scalfisce minimamente. Non ha alcun effetto su di me. Il tempo in cui mi importava di Pansy è andato, ormai; sembra quasi un’altra vita.
«Facile esserlo, se vivi nell’ignoranza», ribatto caustico. «Non è quello che anche noi due abbiamo fatto a lungo?»
Il fantasma annuisce debolmente. «Non ha mai capito di aver sbagliato.»
«E non si è mai pentita delle sue azioni», aggiungo io. «Non ha mai compreso, né appoggiato, il mio cambiamento.»
Astoria si volta verso di me e mi sorride. «Non era quella giusta per te», mormora. «Tirava fuori solo il peggio di te. Ma se lei può essere felice, Draco, puoi esserlo anche tu.»
Le scocco un’occhiata scettica.
«Hai molta potenzialità inespressa, sai?» mi dice. «È quello che mi ha attirato in te. Qualcosa di nascosto, molto bene devo riconoscertelo, dentro di te che urla desiderio di migliorarsi. Non hai un animo malvagio.»
«Credo che il resto della popolazione magica dissentirebbe.»
«È davvero così rilevante, quello che pensa la gente?» mi domanda. «Non sarebbe meglio focalizzarsi su quello che pensano poche persone, ma giuste?»
«Chi sarebbe disposto a darmi un’occasione per dare prova di me stesso?» le chiedo esasperato. «Non c’è anima viva che mi reputi degno di una seconda possibilità!»
Mi rendo conto di quello che ho detto, così le porgo delle scuse farfugliate, a disagio, ma lei non sembra turbata dalla mia inopportuna e accidentale scelta di parole.
«Potter ti reputa degno di una possibilità», mi fa notare, invece. «Ha contribuito a farti scagionare o sbaglio?»
Non rispondo, perché non so cosa pensare in merito.
Non ho mai capito perché lo abbia fatto veramente.
«Probabilmente stava solo cercando di sdebitarsi con mia madre o qualcosa del genere.»
«La Granger ti perdonerebbe se le chiedessi scusa», riprova ancora e io deglutisco senza guardarla. «Perché sei cambiato Draco e chiunque ti abbia conosciuto a scuola, se ne accorgerebbe subito.»
Resto in silenzio per due, lunghi, istanti, poi glielo chiedo. «Voi fantasmi potete leggermi nella mente?»
«Non essere sciocco», mi ammonisce giocosamente. «Sei anche un Occlumante provetto. Nessuno riuscirebbe a oltrepassare quella barriera che tieni su così ostinatamente, Draco Malfoy.»
Mi riporta a terra subito dopo e poi sospira gravemente, abbozza un timido sorriso.
«Temo che il mio tempo stia per scadere», rivela con voce sommessa. «Ti dispiace se facciamo un’ultima tappa?»
Scuoto il capo, tanto ormai sono familiare con la questione.
So già in partenza che assisterò ad altro dolore; non fa che peggiorare, tappa dopo tappa, e ogni volta, sembro lasciare un pezzetto di me indietro.
Non appena atterriamo davanti all’ingresso di Villa Pucey, ne ho la conferma definitiva.
Questa volta, Astoria apre la porta e io la seguo in quella che è stata la sua casa fino a quel momento. Mi guida su per una lunga rampa di scale e poi svolta verso la zona notte.
Non se devo continuare ad accompagnarla.
«Puoi fare tu una cosa per me?» mi domanda debolmente. «Puoi restare con me, questa volta?»
Capisco che Astoria mi sta dando l’opportunità di correggere un mio errore passato, l’occasione finale di fare la cosa giusta per lei; quando ci siamo conosciuti, non ho voluto restare al suo fianco, intraprendere con lei il sentiero alla ricerca della pace interiore che non reputavo possibile raggiungere in prima persona e di cui non volevo privare lei.
Ora, però, posso farlo; posso esserci per lei e ripagarla per la speranza che ha acceso in me, la speranza di un futuro migliore.
Annuisco e la prendo per mano.
Come funziona questa cosa? Perché la mia mano non attraversa semplicemente quella dei fantasmi che mi portano scorrazzando in giro per il tempo e per lo spazio?
Tutto sembra avvalorare la mia tesi iniziale: sto solo sognando.
Un assurdo, bizzarro, sogno elaborato da una mente offuscata dall’alcol.
Non c’è altra spiegazione, ma la seguo ugualmente.
Pucey è seduto su una poltrona con il volto tra le mani. Piange, singhiozza disperato e ogni tanto il nome di Astoria scivola dalle sue labbra, supplichevole, ma al contempo consapevole che lei non tornerà mai da lui.
La scena mi spezza il cuore.
C’è il piccolo di pochi mesi che dorme incurante nella culla accanto al letto matrimoniale, troppo grande ora per Adrian. Quel bambino dall’espressione serena che non ha la minima idea di ciò che sta accadendo, che è completamente ignaro del fatto che vivrà la sua intera vita senza conoscere la madre.
Adrian si getta sul pavimento, si tira i capelli.
È disperato, non c’è altra parola per descriverlo.
Se lo avesse visto, Lucius lo avrebbe definito un debole; io sto sempre ben attento a non farmi scoprire da lui, quando piango. Lo faccio da quando ero piccolo, ho imparato la mia lezione in merito.
Astoria tira su col naso, gli si avvicina e prova ad accarezzargli il volto, ma non succede niente; la sua mano lo trapassa e basta.
Penso che non sia giusto: io posso toccarla, ma Adrian ha più bisogno di quel tocco di me.
Il fantasma torna al mio fianco e mi guarda con gli occhi colmi di lacrime.
Mi chiedo se possa piangere.
«Sai, forse hai fatto bene a rifiutarmi», mormora. «Altrimenti avresti potuto essere tu, quello intento a piangere per la mia scomparsa, ora.»
Non rispondo.
Per soffrire così tanto, bisogna aver amato altrettanto intensamente.
Io non so se ne sono capace.
Quando ritrovo il coraggio di incrociare il suo sguardo, lei sorride tristemente.
«Esatto, Draco» dice. «Vorrebbe dire che avresti conosciuto l’amore e credimi, viverlo vale quel dolore.»
Fa una pausa, cerca di lasciare un bacio sulla fronte del figlio in fasce, ma anche questa volta non accade niente.
Mi viene voglia di piangere.
È così doloroso ed io sono solo uno spettatore esterno.
Non oso pensare all’entità della sofferenza di Adrian in questo momento.
«So che desideri amore, Draco. Te lo leggo nello sguardo. L’ho visto nel tuo sguardo fin dal primo momento. Vuoi amare e vuoi essere amato. È una delle cose che nascondi bene, ma non puoi celare ciò che provi a qualcuno che è come te.»
«Non sei mai stata come me», le rispondo. «Io sono macchiato dall’oscurità in maniera irreparabile. Tu sei buona e non hai mai commesso azioni crudeli quanto le mie.»
Astoria sospira, dà un ultimo sguardo alla sua famiglia, poi inizia a ripercorrere la strada da cui siamo venuti e mi affretto a seguirla.
Non voglio più osservare quel dolore lancinante.
«La persona giusta per te è lì fuori, Draco» mormora il fantasma, risoluto. «E sono sicura che quella persona darà più importanza a chi sei oggi di quello che sei stato in passato. Ma devi essere coraggioso. Devi trovare la forza di rischiare, di aprirti all’amore.»
«La rovinerei», mormoro con voce spezzata. «La gente si fa male, quando è vicino a me.»
Astoria fa una pausa, poi corruga la fronte. «Buffo» commenta. «Potter diceva la stessa cosa.»
Dischiudo le labbra e un attimo dopo sono di nuovo in volo verso il Manor.
«Devi proprio andare?» le domando supplichevole non appena mi ritrovo nella mia stanza.
Non voglio dirle addio, so già che quella è l’ultima volta che la vedo.
È difficile da accettare. La prima persona che è riuscita a farmi sentire qualcosa di positivo, qualsiasi cosa fosse, è già andata, fuori dalla mia vita.
Mi sorride mesta, ma annuisce. «Questo non è più il mondo a cui appartengo, Draco. Ma è il tuo mondo e spero che lo sia per molto altro tempo», confessa. «Hai ancora molto da dare.»
Volta lo sguardo verso la finestra, fa un passo, ma prima di spiccare nuovamente il volo, si volta di nuovo a guardarmi.
«Sai, vorrei aver avuto più Natali con i miei cari» rivela sommessamente, «e un giorno, tu potresti desiderare di averne avuto almeno uno.»
Deglutisco, perché in realtà lo desidero da una vita.
Un Natale felice, sereno, circondato da calore e affetto.
Un tipo di contesto che non è mai stato presente nella mia vita, che i miei genitori non sarebbero mai stati in grado di darmi.
Persino Pansy e Blaise, nel loro piccolo e freddo Natale, avevano un po’ di calore.
Io sono e sono sempre stato circondato solo dal freddo.
«Non chiuderti in te stesso» mormora ancora, «ti farai solo del male, ti priverai di tutte le cose belle della vita e non potrai incolpare nessun altro, se non te stesso.»
Stringo il labro inferiore tra le labbra. Perché mi è così difficile ricorrere all’Occlumanzia in questo momento?
È davvero colpa mia la solitudine che mi circonda? Deriva davvero da un mio sbaglio recente e non da quelli del mio passato?
«Riflettici, Draco», mi incoraggia Astoria. «Ma se ti renderai conto che ho ragione, promettimi che farai qualcosa. Che troverai il coraggio di agire. Fammi andar via con la speranza di averti aiutato, alla fine.»
La guardo sbattendo le palpebre per un paio di secondi, poi annuisco.
L’ultimo sorriso che mi regala, lo ricorderò per sempre.
«Buon Natale, Draco Malfoy» mi dice. «Spero che questo sia l’ultimo che trascorri in una triste solitudine.»
E un attimo dopo, è come se Astoria non fosse mai stata lì.
Mi trascino nuovamente sul letto, mi disfo dei miei vestiti e mi rintano sotto le coperte.
A un certo punto, forse dopo ore trascorse a fissare il soffitto sentendomi indescrivibilmente spento e vuoto, Morfeo mi chiama finalmente a sé.

 

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Capitolo 4
*** The Ghost of Christmas Yet to Come ***


A Christmas Carol
 





PARTE 3

The Ghost of Christmas Yet to Come
 







Din, don. Din, don. Din, don.
Campane.
Perché sento il rumore delle campane se non ce ne sono nei pressi del Manor?
Din, don. Din, don.
Mi giro dall’altra parte, il cuscino premuto sulle orecchie.
Il suono è assordante. Sembra leggermente lugubre, come se stesse scandendo il ritmo delle mie ultime ore di vita o comunque, come se stesse preannunciando un funerale.
Din, don.
Sbuffo e mi metto a sedere.
È mattina; la debole luce solare filtra con prepotenza dalla finestra. Mi stropiccio gli occhi, poi mi trascino giù dal letto per chiudere le tende, vorrei solo tornare a dormire. Sono incredibilmente stanco.
Quando raggiungo la finestra e tendo le mani, però, mi accorgo di essere vestito.
Mi volto e scruto la stanza: ho gettato i miei abiti sul pavimento, ieri sera; perché, allora, li ho ancora addosso?
Forse, quel bizzarro sogno non è ancora finito.
Si è sempre così consapevoli di stare sognando, nel mezzo di un sogno?
Non credo, dev’essere una delle tante stranezze peculiari di questo strano sogno in particolare.
Se si fosse consapevoli della dimensione onirica mentre siamo al suo interno, di certo gli incubi non avrebbero alcun potere su di noi, no?
La mia attenzione viene attratta da una scura figura in avvicinamento all’esterno; onestamente, avverto l’impulso di fuggire a gambe levate, ma so di non avere alcuna chance di evitarla.
Apro il vetro, anche se so che potrebbe tranquillamente attraversarlo. Non mi sembra educato, però, così lo accolgo come meglio posso.
Il fantasma indossa un mantello nero, un velo a coprire il suo volto. Non riesco a riconoscere la sua identità, ma la silhouette è decisamente femminile.
«Buonasera, Draco», mi dice con voce calda e chiara, confermandomi che si tratta di una donna.
«Ehm, buonasera», biascico a disagio. Per qualche ragione, questo fantasma mi rende nervoso.
«Credo tu abbia capito come funziona questa cosa, ormai», continua lei. «Non mi è concesso molto tempo qui con te, dovrei essere altrove.»
«Cosa vorresti dire?» chiedo.
«Solo che il nostro sarà un viaggetto veloce», spiega brevemente.
«Perché hai il viso coperto?» indago ancora, curioso. «Gli altri fantasmi non lo avevano e io li conoscevo. Conosco anche te?»
«Non posso rispondere a questa domanda», replica e sono certo che vi sia del divertimento nella sua voce. «Vedi, nel tuo tempo, non sono ancora morta. Non puoi conoscere la mia identità. Sono stata mandata dal Futuro per impartirti l’ultima lezione che puoi imparare da noi.»
«Il Fantasma del Natale Futuro», rammento distrattamente. «Come puoi essere un fantasma, se sei ancora viva?»
«Consideralo uno dei misteri magici insolvibili» taglia corto lei. «Ora, sebbene normalmente io apprezzi la sete di conoscenza e non mi sottragga a una conversazione stimolante, temo di non aver il tempo di restare qui a fare congetture insieme a te.»
Mi tende una mano, coperta da guanti neri. «Come ho detto, mi è stato concesso solo un breve lasso di tempo con te.»
Esitante, afferro la sua mano.
È più difficile lasciarsi andare al flusso delle cose, quando non sai da chi ti stai facendo trasportare oltre i confini spazio-temporali, una cosa che è già spaventosa per definizione, comunque.
«Dove andiamo?» le domando con voce instabile.
«Oh, andiamo nel futuro, ovviamente» mi annuncia. «Un futuro molto, molto lontano. Ma tieni a mente una cosa: questo è il futuro che potrebbe essere. Il futuro non è definito come il passato o persino quanto il presente. Può essere cambiato. È tutto ancora nelle tue mani, davvero.»
Prima che possa ribattere in alcun modo, il fantasma schiocca le dita e in un baleno, mi ritrovo in un lugubre cimitero innevato, più precisamente all’ingresso dell’area destinata alle sepolture dei defunti Malfoy.
Sorpreso dal cambiamento nella modalità del viaggio, mi volto a rivolgere una muta domanda al fantasma. «Come ti ho detto», mi anticipa, «io non sono ancora morta nel tuo tempo. Posso attingere alla magia della versione di me che vive ancora.»
«Perché siamo qui?» chiedo, inquieto.
Il fantasma risponde con un cenno del capo che indica un punto in lontananza.
Un gruppo di persone molto esiguo avanza nella nostra direzione, una bara viene fatta levitare davanti a loro.
Sono un uomo, alto e slanciato, con i capelli biondi tendenti al bianco caratteristici del casato dei Malfoy, una donna dai folti capelli rossi e due bambini, un maschio e una femmina, che li seguono mogi. Per qualche motivo, non riesco a distinguere i loro volti.
Mi irrigidisco tutto d’un tratto, perché all’improvviso rammento le campane e mi subito è chiaro chi siano quelle persone e cosa ci facciano qui.
«È…» deglutisco con forza, «è il mio funerale?»
Il fantasma annuisce brevemente.
Che cavolo, non voglio morire durante il periodo natalizio!
«E quella è la mia famiglia?» chiedo ancora. «Mio figlio e sua moglie, i miei nipoti?»
Lei annuisce di nuovo.
Davvero non c’è nessun altro oltre ai parenti stretti che presenzierebbe al mio funerale? Neanche qualcuno che gioisca per la mia dipartita?
Deglutisco di nuovo, la mia gola è dannatamente secca e si rifiuta di reidratarsi.
La mia tomba, - rabbrividisco al pensiero -, viene messa a riposare subito dopo quella dei miei genitori, accanto a quella che suppongo appartenga alla mia ipotetica futura moglie.
Ignota Malfoy, recita la lapide.
«Non è dato sapere le cose con certezza», mi spiega il fantasma, prima che possa porgerle qualsiasi quesito in merito. «Il futuro, come ti ho spiegato prima di partire, non è definito.»
Annuisco, ma sono completamente raggelato da tutto ciò a cui sto assistendo.
Questo non è normale, nessuno dovrebbe poter partecipare al proprio funerale!
La funzione è breve e nessuno spende più di due parole per me; il mio ipotetico figlio mi ricorda come un uomo severo, tormentato dal suo passato e incapace di perdonare sé stesso, ma dedito alla famiglia.
Deludente, davvero.
Non mi sono trasformato in mio padre, ma non sono stato neanche il padre esemplare che desidero essere. La cosa non mi sorprende, tutta la mia esistenza non può essere definita in altro modo se non ‘fallimentare’. Perché dovrei pensare di riuscire a fare di meglio in futuro?
«Niente di definito», mi ricorda ancora una volta il fantasma, con fare incoraggiante.
Faccio un altro cenno del capo, cercando di farmi entrare in testa che posso ancora cambiare il mio destino.
Non sono sicuro di avere ancora la facoltà di parola.
Il fatto che la mia famiglia non stia versando neanche una lacrima per me, nemmeno i bambini, la dice lunga.
Sono stato rigido e freddo come i miei genitori, alla fine?
O forse sono stato distante? Troppo preso dal tenere a bada i miei demoni per esserci per mio figlio?
O ancora, gli ho impartito quella stupida lezione sul non mostrare le proprie emozioni in pubblico? Ma qui non c’è nessuno oltre loro. Gli ho insegnato che piangere è segno di debolezza?
O, semplicemente, non sono degno delle loro lacrime? Forse, la mia perdita, non ha alcun impatto sulle loro vite... né sulla vita di qualcun altro, a quanto pare.
E mia moglie? L’ho amata? Mi ha amato? O mi sono sposato solo per assecondare le pressioni di mio padre? Sono morto senza conoscere l'amore, alla fine?
Scuoto forte il capo.
Questa visione avrà delle terribili conseguenze sulla mia psiche, ne sono certo. Come se non avessi abbastanza immagini a tormentarmi!
«Niente di definito», ripete in un sussurro la mia accompagnatrice, mentre mi tende nuovamente la mano.
Un istante dopo, siamo nel mezzo di Diagon Alley.
Mi guardo attorno confuso; è cambiata, ma non poi così tanto.
I Tiri Vispi Weasley sono ancora in funzione e torreggiano sul resto dei negozi; hanno ampliato il locale a quanto pare e i colori sono forse ancora più sgargianti di come li ricordo.
«Hai saputo che è morto Malfoy Senior?» chiede una voce ruvida alle mie spalle; mi volto a vedere di chi si tratta.
È un vecchio mago dall’aria familiare, credo di averlo incrociato a Hogwarts, probabilmente. Dean Thomas, penso.
«Ma chi, Draco?» domanda un altro vecchio mago e anche questo solletica la mia memoria; mi sforzo di associare i suoi lineamenti a qualcuno con cui sono stato in classe a scuola e dopo un po’ ci riesco. Seamus Finnigan. Era il migliore amico di Thomas ai tempi, entrambi Grifondoro.
L’altro annuisce e Seamus fa spallucce. «Credevo fosse morto anni fa, in realtà», afferma con indifferenza.
«Oh, sì» commenta una voce stridula alle loro spalle.
Quella è una ex Serpeverde, ma non riesco ad associare il volto invecchiato a un nome. Credo fosse nell’anno di Astoria. «Non metteva mai piede fuori dal Manor. Se suo padre non gli avesse trovato moglie, probabilmente non si sarebbe mai sposato e sarebbe morto da solo in quel suo lussuosissimo castello» aggiunge meschinamente. «Chissà se prima o poi i pavoni lo avrebbero ritrovato.»
«Non essere crudele», la rimprovera una donna, appena unitasi al gruppetto. «Anche se si tratta di Malfoy.»
La riconosco immediatamente come Hannah Abbott, ex Tassorosso.
«Ha sofferto tanto nei suoi ultimi giorni, sai?» dice ancora. «Mia figlia si occupava di lui, perché nessuno nella sua famiglia voleva l’impiccio di stargli dietro. L’hanno pagata profumatamente.»
«Suppongo che abbandonare gli ideali purosanguisti, cosa che dev’essere vera visto che il figlio ha sposato una Mezzosangue, non significhi che sia diventato più facile da amare col passare degli anni» afferma Finnigan.
«Non ha mai fatto ammenda per i suoi errori giovanili», gli dà man forte la Serpeverde non identificata. «Ed è rimasto solo.»
«Non si è mai sciolto più di tanto. Suo figlio sembra reprimere tutto esattamente come faceva lui. Il vuoto, nei suoi occhi! Il vuoto!» esclama qualcun altro.
All’improvviso, mi sento male.
Ho rovinato anche mio figlio…
Hannah si acciglia. «Non siate così insensibili, a Natale poi! La mia Laura diceva spesso che era quasi un’agonia vederlo. Le uniche cose che diceva erano ormai “basta, ti prego, smettila”. Credo sia morto tormentato dai suoi demoni interiori.»
Capisco immediatamente quale vicenda del mio passato mi ha perseguitato fino alla morte.
Non voglio più ascoltare.
Inizio a correre, imboccando una stradina isolata, anche se non mi può vedere nessuno. Vomito, ma non ho niente nello stomaco per potermi liberare da quella sensazione nauseante.
«Se mi ripeti ancora una volta che niente è definito, distruggo qualcosa.»
Il fantasma, la cui presenza avverto alle mie spalle, resta in silenzio per un po’, mi lascia riprendere fiato.
«Temo che l’ambiente che ci circonda non possa essere scalfito dalle tue azioni, non in questa forma», mi informa. «Per cui, sentiti libero di sfogarti come meglio credi.»
Sbuffo e serro gli occhi. «Voglio andare via.»
«Comprensibile» conviene il fantasma. «Ma forse c’è un’altra cosa che dovresti vedere.»
«Voglio andare via», ribadisco, deciso. «Ho visto abbastanza.»
«Ne sei sicuro?» mi chiede. «Perché ti assicuro che è una cosa molto importante.»
Le rivolgo un’occhiata scettica, tiro su col naso. «E va bene.»
Tanto peggio di così non può andare, no?
Riappariamo nel cimitero e noto subito una donna, un’anziana signora, terribilmente familiare, che indugia davanti alla mia tomba.
Le mie labbra si schiudono quando la riconosco: è Hermione Granger… e sembra, per qualche assurdo motivo, dispiaciuta per la mia morte. Ma non può essere, vero? Non può essere così buona da provare veramente compassione per me. I suoi vecchi amici hanno detto che, com’era prevedibile, non ho in alcun modo cercato di rimediare ai miei sbagli, quale motivo potrebbe avere la Granger di rammaricarsi per la mia dipartita?
La guardo piegarsi con fatica, lasciare una rosa bianca sulla mia tomba.
Tira fuori la bacchetta, la punta contro la struttura marmorea impersonale su cui è stato inciso il mio nome. Rivolge un ultimo sguardo al complesso, poi si allontana.
Mi avvicino a guardare e leggo ciò che Hermione ha aggiunto al freddo “Draco Malfoy (1980-yyyy)”, - ovviamente, non mi è permesso sapere quando di preciso tirerò le cuoia -, “Figlio, padre, nonno”.
Noto che la Granger ha aggiunto l’epiteto “filantropo anonimo” dopo “nonno”.
La strega più brillante della nostra generazione.
Mi viene quasi da ridere. Mi prendo la briga di donare anonimamente, ma per qualche assurdo motivo lei sa già che sono io, ne sono certo.
Passo alla dedica e quello che recita mi dà il colpo di grazia:
“Che tu possa finalmente trovare la serenità che non hai avuto in vita.”
Mi volto e osservo la figura della Granger anziana trascinarsi verso l’uscita del cimitero e ricordo le parole di Astoria.
«La Granger ti perdonerebbe se le chiedessi scusa.»
E mentre la guardo sparire in lontananza, oggetto di un altro dei suoi gesti di gentilezza immeritati, scoppio a piangere, senza riuscire minimamente a trattenermi.
Il fantasma riappare alle mie spalle dopo avermi concesso appena qualche minuto per riprendermi, posa una mano sul mio braccio.
«Non devi essere per forza solo, Draco», mi dice. «Non devi diventare per forza questo. Puoi cambiare il tuo futuro, trovando finalmente il coraggio e la forza di agire.»
«È troppo tardi ormai» farfuglio tra i singhiozzi. «Non c’è speranza per me! Sono troppo in là per potermi salvare…»
«Draco» mi riprende lei. «Non sei una causa persa. E qualcuno disposto a vincerla insieme a te la tua causa, lì fuori, c’è. Fidati di me. Non condannarti a una vita triste e solitaria.»
Il fantasma mi prende per mano, schiocca le dita… e sono di nuovo al Manor.
«Il tempo a mia disposizione è finito», annuncia solennemente. «Spero che tu abbia fatto tesoro di questa esperienza, Draco Malfoy. Spero che tu abbia appreso le nostre lezioni.»
La vedo alzare la mano, avvicinare l’indice al pollice, ma un istante prima che schiocchi le dita e sparisca, le urlo dietro: «Aspetta!»
Lei si ferma e deglutisco forte, prima di dare voce ai miei dubbi.
«Dimmi un’ultima cosa! Tutto questo è reale o… sta succedendo nella mia testa?»
«Ma certo che sta succedendo nella tua testa» risponde lei, con ovvietà. «Deve forse voler dire che non è vero?»*
 
 
Mi sveglio a causa dell’incessante e familiare picchettare contro il vetro della finestra della mia camera da letto che annuncia la presenza dell’unico contatto che ho con il mondo esterno da anni: il gufo che consegna la Gazzetta del Profeta.
La testa sembra scoppiarmi e sono ancora stordito dall’assurdo sogno che ho fatto questa notte. Il me che ha vissuto l’esperienza non ne ha compreso la morale, ma io credo di averlo fatto: l’importanza di aprirsi alle possibilità, all’amore, di trovare il coraggio di chiedere scusa e di ricominciare.
Come se alle persone che ho ferito fregasse qualcosa delle mie scuse o del mio dispiacere per ciò che ho fatto!
Hanno le loro vite perfette con la gente che amano, cosa gli importa del Draco Malfoy che ha fatto di tutto pur di rendere un inferno la loro infanzia? Cosa può significare per loro il mio dolore?
Incolpo la bottiglia di Firewhiskey che ho svuotato ieri sera e che giace in pezzi da qualche parte nella stanza, ora. Ricordo vagamente di aver perso le staffe quando è finita, ma di non aver avuto la mobilità necessaria per andare a prenderne un’altra dalla dispensa o per appellarla.
Il gufo picchietta con più insistenza e non posso fare a meno di sbuffare.
Magari non lo volevo il giornale questa mattina, no? È Natale, maledizione!
Imprecando e valutando mentalmente l’idea di inviare una lettera anonima a Hermione Granger per supplicarla di intraprendere qualche altra assurda lotta come il diritto degli uccelli corrieri di avere i giorni festivi liberi, getto le coperte di lato e, barcollando, vado ad aprire la finestra. Il vento pungente contro la pelle nuda del mio petto mi fa rabbrividire all’istante.
L’uccello mi lancia uno sguardo torvo, lascia cadere il giornale sulla mia scrivania e vola via subito dopo aver preso i soldi.
«Peggio per te», borbotto, pensando al fatto che non ha neanche atteso che gli dessi qualcosa da mangiare. Ma è il giorno di Natale, per cui immagino che di gente che lo rimpingua ce ne sia in abbondanza.
Sono fermamente deciso a tornarmene a letto e a sprofondare nuovamente nell’oblio quando l’articolo in prima pagina attira la mia attenzione.
Dispiego il giornale con dita tremanti.
Una foto di Astoria Pucey ricopre l’intero foglio.
 
“ASTORIA PUCEY NATA GREENGRASS MUORE PREMATURAMENTE PER VIA DI UNA TERRIBILE MALEDIZIONE DEL SANGUE.
La triste nuova colpisce la comunità magica nel giorno di Natale, annunciando la perdita di una delle più grandi filantrope del Paese.”
 
Corrugo la fronte, le mie labbra si dischiudono per lo stupore.
Ho sognato Astoria questa notte, che mi diceva di essersi appena spenta. Come potevo saperlo in anticipo o in contemporanea, se la notizia della sua morte è divenuta pubblica solo questa mattina?
Lascio cadere il giornale e mi passo una mano sul viso.
Mentre mi trascino fino al bordo del letto, oltrepasso lo specchio appeso al muro: sono pallido come uno straccio. Mi siedo; vorrei riflettere, ma i miei pensieri sono confusi e frammentati.
«Aspetta! Dimmi un’ultima cosa! Tutto questo… sta succedendo nella mia testa?»
«Ma certo che sta succedendo nella tua testa. Deve forse voler dire che non è vero?»
Le parole dell’ultimo fantasma, o dell’ultima entità o quello che era, riverberano rumorose nella mia mente.
Non so davvero come spiegarmi quest’ultima assurdità capitolata nella mia vita, non richiesta e senza alcun preavviso.
Ripenso ad Astoria, al suo fantasma.
«Vorrei aver avuto più Natali con i miei cari. E un giorno, tu potresti desiderare di averne avuto almeno uno.»
Stringo il labbro inferiore tra i denti fino a farmi male, poi sospiro e, scuotendo la testa, perché davvero non ci credo che io stia per fare qualcosa del genere, tiro fuori un foglio di pergamena e una piuma. La intingo nella boccetta di inchiostro e inizio a scrivere.
 
PROPOSITI PER L’ANNO NUOVO:
  • Essere coraggioso (a piccoli passi)
  • Uscire di casa
  • Chiedere scusa (alla Granger)
  • Se ottengo il (suo) perdono, rendermene degno
  • Essere aperto alle possibilità
  • Ricominciare
  • Smetterla di autocommiserarmi/autopunirmi
  • Imparare ad amare (?)
 
Con un colpo di bacchetta, appendo il foglio alla parete.
Poi mi do dello stupido.
Cinque minuti dopo, un gufo plana nella stanza, la finestra ancora aperta.
Scuote le piume per liberarsi dalla neve e fa cadere una lettera con il sigillo di Hogwarts in ceralacca, poi corre via senza attardarsi oltre.
La apro con dita tremanti.
Cosa possono volere da me, adesso?
 
Gent.mo Sig. Malfoy,
con la presente La invitiamo a partecipare allo straordinario Ballo di Capodanno che si terrà nella Sala Grande di Hogwarts a partire dalle ore 21.00 del giorno 31 dicembre.
L’evento ospiterà un gran numero di ex studenti del castello e l’unico dress code d’obbligo è quello di indossare una maschera.
L’evento sarà simbolico e di augurio per quello che si spera possa essere un nuovo inizio per la società magica, il primo passo dovuto per avviare un percorso di guarigione e progresso che possa permetterci di lasciarci alle spalle il passato e il dolore causato dalla guerra, per ricucire i rapporti e costruire una società migliore e armoniosa.
Nell’auspicio che l’invito venga accolto positivamente, le porgo cordiali saluti.
La Preside,
Minerva McGranitt


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*Cit. Albus Silente, I Doni della Morte
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n.d.a.
Salve a tutti/e!
Scrivo questa breve nota per avvisarvi che aggiornerò questa storia ogni martedì e ogni sabato, mentre The Weight of Us passerà al giovedì; essendo i capitoli di quella storia molto lunghi, non sono riuscita a revisionarla tutta prima delle vacanze e non riesco a garantire il doppio aggiornamento durante le feste. Vi ringrazio per la comprensione e un grazie in particolare a chi di voi segue le mie storie, in particolare a chi dedica un attimo del suo tempo per lasciarmi delle recensioni, cosa che significa tanto per me. 
Vi auguro un Buon Natale.
A presto :)


 

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Capitolo 5
*** When Something Ends, Something New Begins ***


A Christmas Carol
 





PARTE 4

When Something Ends, Something New Begins
 







31 dicembre 2001
 
Picchetto con le dita sul pregiato legno della mia scrivania.
Non ricordo di essere mai stato così agitato per uno stupido evento sociale, ma non sono neanche mai stato un reietto tra i miei compagni di scuola, a dirla tutta. Posso anche aver indossato il mio abito migliore ed aver giurato di tenere un comportamento disteso e aperto, ma qualsiasi cosa io mi riprometta non cambierà mai i fatti. Non cancellerà le mie azioni passate, il giudizio negativo della gente.
Il sollievo viene automaticamente quando trasfiguro i miei capelli biondo platino in un nero pece e indosso la mia maschera. Mi guardo allo specchio e realizzo di essere irriconoscibile.
Dovrei sforzarmi di camminare goffamente?
Pansy diceva spesso che il mio portamento è la mia firma, molto più dei miei capelli o del mio ghigno marchio di fabbrica Malfoy.
Decido di abbandonare l’idea, dopo il terzo bicchiere me ne dimenticherei e dubito di riuscire ad affrontare la società restando sobrio.
Il fatto che sia un evento in maschera è positivo, credo. Fare questo passo senza che nessuno sappia che sono io aiuta.
Inizialmente non ho compreso l’idea della McGranitt, - cosa c’entra una festa in maschera per Capodanno? -, ma più ci rifletto, più la cosa ha senso: vuole che la gente interagisca senza alcun pregiudizio e quale modo migliore per farlo, se non obbligare le persone a celare il proprio volto? A conoscersi da zero, senza influenze di alcun tipo? La garanzia dell’anonimato può portare a buoni frutti, spingere a oltrepassare i propri confini. Mi domando quanti ex Serpeverde si troveranno in pista a ballare con dei Grifondoro, ignari dell’identità reciproca.
La McGranitt è semplicemente geniale. Si dice che il Cappello Parlante ci abbia messo un’infinità di tempo a stabilire se fosse meglio Smistarla in Grifondoro o in Corvonero e ne comprendo perfettamente il motivo.
Deglutisco, guardo l’orologio con insistenza. Finalmente, segna le 21.00.
Mi dirigo verso il punto di Smaterializzazione più vicino al Manor, stringo l’invito tra le dita e poi, avvertendo l’ansia iniziare a impossessarsi di me e volendo accertarmi di non cadere preda della mia codardia per l’ennesima volta, mi sbrigo a girare su me stesso.
Se non fosse stato per quell’assurdo sogno, avrei detto di aver dimenticato quanto fosse bella Hogsmeade in periodo natalizio. Il villaggio è caratteristico di per sé, ma quando è innevato e illuminato da luci colorate e intermittenti la visuale è ancora più suggestiva. Sono contento di aver deciso di presenziare a questo ballo. L’idea che la Hogsmeade cupa e tetra del settimo anno fosse il mio ultimo ricordo del villaggio è davvero orrenda.
A quanto ho capito, l’invito autorizza a entrare senza far scattare gli allarmi e permette di oltrepassare le protezioni Hogwarts; sospetto che la McGranitt abbia collaborato con la Granger e con gli altri professori per l’esecuzione di un Incanto di tale portata, ma non ne avrò mai la certezza.
All’ingresso, la Preside accoglie gli ospiti. La cosa mi sorprende, perché non avrei mai pensato che la McGranitt in persona avrebbe svolto un compito simile. Deve leggere la domanda nel mio sguardo, perché solleva un sopracciglio e mi guarda come se si aspettasse di più dal mio intelletto.
«Non credeva mica che avrei fatto accedere gente nella mia scuola senza sapere chi ci stesse entrando», dice soffiando. «Ci sono degli studenti che devo proteggere qui. Al contempo, devo garantire l’anonimato agli ospiti.»
Annuisco, perché ripensandoci era molto più che ovvio.
«Buona serata, signor M.»
Le rivolgo un piccolissimo sorriso tirato e la oltrepasso a testa alta; non sono sicuro di come dovrei sentirmi in merito alla compassione nell’espressione sul suo viso. Essere compatito mi ha sempre disgustato, ma al contempo, in questo particolare momento della mia vita, sapere che c’è qualcuno nel mondo magico che prova un minimo di empatia nei miei confronti significa davvero tanto. Forse qualcuno disposto a darmi una seconda occasione esiste veramente.
La verità è che dico spesso di non aver avuto scelta, ma ci sono giorni in cui non ne sono poi così sicuro. Non credo che avrei mai avuto la forza di rifiutarmi di prendere il Marchio, - seriamente, ci ho sempre tenuto alla mia pellaccia e Voi-Sapete-Chi me lo ha “offerto” in persona, rifiutare avrebbe significato solo una cosa: suicidio -, ma vorrei che non ci fosse mai stato un momento in cui io sia stato orgoglioso di accettarlo. Mi farebbe sentire meglio, ma non è andata così. Ho dovuto sbattere il volto contro il vetro ripetutamente, prima di iniziare ad accorgermi della realtà dei fatti, prima di rendermi conto che non ero come i Mangiamorte, che non lo sarei mai stato… perché non volevo esserlo.
Fino a che punto la ritrosia nel compiere delle azioni è amputabile alla mia codardia? È perché sono un codardo che non ho mai ricorso ad atti estremi, nonostante l’ascia che pendeva sulla mia testa e su quella della mia intera famiglia, o perché, per qualche strano motivo e in qualche fragile misura, ho sempre avuto una bussola morale che a mio padre, per esempio, è sempre mancata?
A conti fatti, il mio percorso interiore è iniziato veramente solo dopo il processo; fino alla fine della guerra, ho sempre vacillato nelle mie convinzioni, destabilizzato da ciò che vedevo, in bilico tra la realtà a cui stavo assistendo e quello che mi era stato insegnato e raccontato per tutta la vita. Restare confinato al Manor, isolato, ti dà modo di riflettere. Mi sono interrogato su quanto di quello che ho fatto nella mia vita fosse di Draco e quanto di Lucius e ho concluso che c’era veramente poco di mio da inserire in lista. E allora mi sono chiesto: «Chi è Draco Malfoy?», perché davvero non lo sapevo e continuo a non saperlo.
Forse il mio percorso non è finito. Forse, riconoscere l’erroneità dei principi con cui sono stato cresciuto, ammettere di aver sbagliato e ripromettere di fare meglio d’ora in avanti non è abbastanza, non è la conclusione della mia ricerca interiore. Forse è solo l’inizio, perché devo ancora riuscire a capire chi sia Draco, senza Malfoy a definirlo.
Il professor Flitwick, insieme a Gazza, mi scansionano per assicurarsi che non abbia addosso Artefatti pericolosi. La cosa mi riporta per un momento al sesto anno, ma mi affretto a scacciare via il ricordo. Se mi ci soffermassi troppo, potrei fare marcia indietro e fuggire con la coda tra le gambe. Sono bravo in questo, dopotutto.
Scuoto forte la testa, non è il momento di perdermi in monologhi interiori, sono in mezzo alla gente.
Veramente circondato da persone, - persone che possono vedermi e parlarmi e sentirmi, non è come la recente esperienza con i fantasmi -, ed è la prima volta in due anni e mezzo che ho l’opportunità di interagire con altri esseri viventi. Dentro di me si fanno strada due sentimenti contrastanti: eccitazione e terrore. Potrebbe andare tutto meravigliosamente, o orribilmente male.
Non credo che riuscirei a fare un terzo tentativo, se anche questo dovesse risultare infruttuoso come il primo.
Il pensiero che non incrocerò Astoria tra gli invitati mi fa male. L’ultima volta che sono uscito in pubblico, avevo lei accanto. Una sconosciuta che mi ha fatto sentire più compreso di quanto abbiano mai fatto le persone che mi sono state attorno per tutta la vita.
Mi guardo attorno e riconosco qualcuno che non ha fatto un buon lavoro nel travestirsi: Weasley, per esempio, Ronald la Donnola Lenticchiosa, che mangia al banchetto imbandito di leccornie, stringendo la mano della sua compagna, Padma Patil; Potter, per una volta riconoscibile solo per la testa rossa al suo fianco, la sua fidanzata Ginevra, e perché sta, di fatti, parlando con Ronald. Continuo a studiare l’ambiente circostante; so già che non incontrerò Adrian Pucey o Daphne Greengrass, che normalmente sarebbero stati qui, ma non a così poco tempo dalla scomparsa di Astoria. So già che non incapperò in Pansy e Blaise, perché ai loro occhi questo evento sarà sicuramente stucchevole e indegno di ricevere la loro attenzione, per non parlare del fatto che probabilmente a loro di un nuovo inizio non frega un bel niente, perché non ne hanno bisogno. So anche che Goyle non si prenderà il disturbo di farsi vedere; a quanto ne so, si è ritirato alla vita di campagna e ha tagliato tutti i rapporti con la società purosangue dopo la morte di Crabbe, accusando i fanatici per essa, - io ho la lucidità di ammettere che in realtà la colpa di quanto accaduto ricade su loro due, non sarebbe successo nulla se non avessero disobbedito al mio ordine o se avessero evitato di lanciare Incantesimi che non avevano la minima possibilità di gestire -, ma non avendone abbandonato gli ideali è in una posizione ancora più difficile della mia: se io non rientro e non sono accettato da nessun gruppo, - e credo sia una questione di fiducia e predisposizione al perdono pressoché inesistente, non che gli dia torto -, Goyle non ha speranze, perché non ne tollera nessuno. Luna Lovegood è l’altra figura riconoscibilissima nella Sala, non solo per il suo strambo modo di ballare in pista, da sola, ma anche per l’eccentricità tipica dei suoi abiti.
Non so se c’è qualcun altro che potrei identificare nonostante le maschere, perché la mia attenzione converge all’improvviso su un’unica persona; capisco immediatamente di chi si tratta, non ho bisogno neanche di studiarla con attenzione: Hermione Granger.
I suoi capelli sono raccolti in alto, ricadono in soffici ciocche ondulate che incorniciano il suo viso delicato e le sue labbra perfette, rosee, sono l’unica cosa, a parte gli occhi, lasciata scoperta dalla maschera bianca che indossa; fa un po’ strano notare che si è truccata, perché quando frequentavamo Hogwarts lo faceva raramente e, anche in quei casi, quasi impercettibilmente.
Si avvicina ai suoi vecchi amici, abbraccia Potter e la piccola Weasley, ma si scambia un saluto un po’ più freddo con Lenticchia; ricordo vagamente gli articoli sulla Gazzetta del Profeta circa la loro rottura, che aveva fatto molto scalpore ai tempi. Non ne ho mai capito il senso, insomma, quanto sono durati? Cinque mesi? Insomma, chiunque li avesse conosciuti un minimo a scuola, avrebbe potuto dire fin da subito che non erano fatti per stare insieme, la cosa non avrebbe dovuto sorprendere così tanto la gente. Sono troppo diversi per essere compatibili come coppia. Immagino che la loro storia abbia reso i loro rapporti leggermente tesi, però, specie a giudicare dalla faccia di Padma. Se la mia memoria non mi inganna, al Ballo del Ceppo, Weasley l’ha ignorata perché troppo distratto dalla Granger e da Krum. Ahia.
Lo so che vi state chiedendo cosa ne sappia io, ma Hermione era impossibile da non guardare quella sera. Adesso lo posso ammettere tranquillamente.
Mi viene quasi da ridere nel notare l’ironia di questo pensiero, comunque; la Donnola e la Granger erano troppo diversi per funzionare… e io sono qui a cercare di decidermi ad avvicinarmi a lei.
Devo essere impazzito, ma lo faccio veramente.
Mi accorgo di non aver pensato a cosa dirle solo quando le sono di fronte; non ha idea che sia io, probabilmente non lo immagina neanche lontanamente. Ci sono così tante cose che vorrei dirle.
 
Scusa.
 
Sono stato un coglione, ora me ne rendo conto.
 
Non so perché mi importi, ma puoi perdonarmi? Per qualche motivo senza la tua assoluzione non riesco ad andare avanti.
 
Dovresti ringraziarmi, la Pozione Lisciante Semi-Permanente l’ho inventata io.
 
Sei fottutamente bella.
 
Mi guarda sbattendo le palpebre, visibilmente perplessa, un sopracciglio leggermente sollevato.
«Mi concederesti l’onore di un ballo?»
La domanda sfugge dalle mie labbra incontrollata; quando ho deciso di invitarla? Non accetterà mai! Non sa nemmeno chi io sia… riflettendoci, ho più probabilità che dica di sì in questo caso rispetto all’eventualità opposta.
Le sue labbra si schiudono sorprese, ma poi si richiudono e gli angoli si sollevano in un timido sorriso. «Sì, certo.»
Deglutisco.
Cazzo.
Ha detto di sì.
Le tendo la mano, mi accorgo che trema leggermente, così mi impongo di darmi una calmata. Se mando tutto all’aria anonimamente, non riuscirò mai a parlarle faccia a faccia e farlo è una delle mie missioni più importanti per l’anno nuovo.
Posa le dita sul mio palmo aperto e io le stringo delicatamente tra le mie.
La sua mano è calda e il calore si propaga in tutto il mio corpo, come per magia.
Le sorrido, mentre le poggio la mano in vita e lei fa lo stesso con me.
È una strana sensazione, sentire le dita della Granger addosso; mi chiedo cosa sarebbe accaduto se le avessi permesso di toccarmi quando frequentavamo Hogwarts. Sarei rimasto colpito dal suo calore allo stesso modo? Avrei provato queste sensazioni bizzarre ugualmente o ero talmente plagiato dagli ideali di mio padre che le avrei comunque scambiate per repulsione?
«Balli spesso con gli sconosciuti?» le chiedo, cercando di mantenere attivo l’incantesimo che modifica leggermente la mia voce.
Lei ride. Ha una bella risata, di quelle contagiose.
«Mi piace il rischio.»
Per un momento sono tentato di fermarmi.
Sto flirtando con la Granger e lei… sta al gioco.
Quello strano sogno della notte della Vigilia di Natale non sembra più così assurdo in confronto a questo.
L’istinto di voltarmi e scappare nella direzione opposta è forte, ma mi costringo a restare qui. Non merita di essere lasciata sola in mezzo a una pista da ballo da uno sconosciuto testa di cazzo. Il me bambino e adolescente è stato uno stronzo con lei, io voglio… cos’è che voglio?
Forse solo comportarmi meglio con lei e in generale.
O forse, ambisco a qualcosa di più di questo: voglio che mi veda.
Che veda che sono maturato, che conosca chi sono diventato, anche se non lo so bene neanche io; magari, lei potrebbe aiutarmi a capirlo. Magari, se sapesse quanto ho capito di aver sbagliato, mi perdonerebbe.
Ma non se scappo ora. Non posso farlo.
Trasmettimi un po’ di coraggio da Grifondoro, Granger, insieme al tuo calore.
Per favore.
«Perché non mi sorprende?», commento, passandomi la lingua sul labbro inferiore.
Un’idea balza all’improvviso nella mia mente e prima che possa valutarne i pro e i contro, le sto chiedendo con tono di sfida: «Che ne dici di aumentare la posta in gioco?»
Lei solleva un sopracciglio e ricambia il mio sguardo, evidentemente intrigata.
«Una passeggiata, fuori» preciso, un angolo delle labbra sollevato in un mezzo sorriso provocatorio.
Se riesco a portarla all’esterno, lontano dalla musica e dagli sguardi curiosi, potrò parlarci.
«Fammi strada» concede, la sua voce bassa, ma risoluta. Se il mio tentativo di provocarla ha avuto un effetto su di lei, non mi dà la soddisfazione di saperlo.
Un secondo dopo, ho la mano sulla parte bassa della sua schiena e la sto guidando verso i giardini; di nuovo, se l’intimità di quel gesto la infastidisce, non lo dà a vedere. La Granger dev’essere un osso duro con cui provarci, tutto d’un tratto provo compassione per chi ha tentato prima di me.
Aspettate un attimo. Che sia chiaro, non ci sto provando con la Granger, sto solo flirtando innocentemente.
Credo.
Camminiamo in silenzio tra gli alberi così familiari, le nostre dita si sfiorano di tanto in tanto, accidentalmente da parte sua, ma non da parte mia. Mi manca già il suo calore. Tutto questo non è normale.
«Non credevo che avrei rivisto questo posto così presto» sussurra dopo un po’. «Mi manca.»
«Essere impegnata nella mirabile crociata per cambiare il mondo non è abbastanza per te?»
Lei si ferma, mi studia con gli occhi socchiusi. «Tu sai chi sono.»
Deglutisco. «Sì, so chi sei, Hermione
Annuisce, si porta la lingua sui denti davanti, le labbra arricciate.
«Vorrei sapere chi sei tu, se non ti dispiace.»
Sorrido amaramente. «Non credo sia il caso.»
«Ma non è corretto» obietta, rifilandomi il suo vecchio cipiglio alla McGranitt.
Faccio spallucce. «Ero a Serpeverde, dove la correttezza non è mai stata di casa.»
Ci impiega un istante a metabolizzare l’informazione, poi si lascia sfuggire una risata nervosa. «Wow. Capisco il voler simboleggiare un nuovo inizio, ma questo…»
«Va ‘Oltre Ogni Previsione’?» termino per lei e la guardo annuire impacciatamente, ridacchiare per la battuta, anche se è pessima.
«Posso sapere almeno se eri nel mio anno?»
La guardo per qualche secondo; sono contento di aver cambiato anche il colore dei miei occhi, tipico dei Malfoy… non sarebbero sfuggiti allo sguardo attento e analitico della Granger, che mi sta decisamente scansionando.
Rabbrividisco. Perché sto cercando l’approvazione per ciò che vede nei suoi occhi? Perché mi importa?
Maledizione, l’unica cosa di cui ero ancora sicuro fino a un secondo fa è che sono attraente!
«Sì» soffio sommessamente.
Hermione trattiene il respiro per qualche istante, poi sospira. «Ci rinuncio» dice, alla fine. «Non passavo molto tempo a guardare tra i banchi verde e argento, se non si contano le occhiatacce a Malfoy. Non ti riconoscerò mai.»
Deglutisco, mi mordo l’interno del labbro inferiore. Qualcosa nel mio stomaco protesta nel sentire quell’aneddoto, come se il mio intero essere mi stesse dando dell’idiota per come mi sono comportato con lei in passato. E ha ragione.
«A meno che tu non ti tolga la maschera o mi dia un indizio sul tuo travestimento?» chiede ancora, con finta innocenza.
Rido, poi scuoto lentamente la testa. «Non mi è proprio possibile farlo, mi dispiace.»
Mi rivolge un breve cenno d’assenso con il capo, ma continua a guardarmi come se sperasse che le rivelassi il mio nome. Non lo faccio. Non posso farlo, la farei scappare e rovinerei il ricordo di questa serata con lei.
Non sospetta minimamente che si tratti di me e questo mi rende audace, per cui, quando il vischio magico si apre sulle nostre teste, non ci penso due volte: faccio un passo avanti, poggio le mie labbra su quelle di lei e nell’esatto momento in cui entrano in contatto, lo so.
So che mi sono appena guadagnato un biglietto di sola andata per la dannazione eterna, perché mi è subito chiaro che non potrò mai più fare a meno di lei.
Le mie labbra sono già dipendenti del suo sapore.
Non so perché me lo sta lasciando fare, la Granger non mi sembra il tipo che si mette a baciare uno sconosciuto solo perché per puro caso ci è finita insieme sotto il vischio. Ma mi sembra il genere di persona che potrebbe essere attratta dal fascino dell’ignoto e del mistero, e in questo momento, sono l’enigma più grande che ha davanti. Ho scatenato in lei una sorta di attrazione per me? E perché ci sto sperando così tanto? Se togliessi la maschera, mi tirerebbe uno schiaffo e fuggirebbe via indignata. Quello che stiamo condividendo non vuol dire niente o perderebbe ogni significato una volta rivelatale la mia identità, è inutile costruire stupidi film romantici nella mia mente.
Mi viene quasi da ridere o da vomitare. Ci manca solo andare a scoprire che Draco Malfoy ha un lato romantico! Mi prenderei per culo da solo, onestamente.
I fuochi d’artificio esplodono di colore nel cielo sopra di noi; il punto è lo stesso su cui Bellatrix ha lanciato il Marchio Nero alla fine del nostro sesto anno a Hogwarts. La McGranitt si è proprio impegnata con questa storia del simbolismo, del portare la gioia laddove c’è stato dolore.
Entrambi alziamo il volto per guardarli e quando i nostri occhi si incastrano di nuovo, ci sorridiamo.
«Ai nuovi inizi», mormora lei, gli occhi illuminati dalle luci colorate.
Il mio sorriso diviene leggermente amaro. Per un momento vorrei averle detto chi sono, quelle parole avrebbero tutto un altro valore per me in quel caso.
«Buon anno, Granger», sussurro, lasciando un altro bacio sulle sue labbra.
Cavolo, non voglio andare.
Non voglio smettere di baciarla, le sue labbra sono un balsamo sulle mie ferite.
Poi lei si allontana leggermente, mi guarda quasi supplichevole. «Dimmi chi sei, per favore.»
Il cuore mi si stringe nel petto. Non avrei dovuto fare assolutamente niente di tutto quello che ho fatto questa sera.
La missione principale per il nuovo anno non era quella di essere migliore? Credo di aver già fallito in partenza. Le ho dato l’illusione di qualcosa che non sarà mai, una parentesi idilliaca che durerà solo una notte, ma senza dirglielo in anticipo.
Penso al primo punto della mia lista di buoni propositi: “essere coraggioso”.
Spero di avere l’occasione di spuntarlo più avanti, perché questa volta non ce la faccio. Mi sono spinto già troppo per una sera.
«Un giorno, spero di poterlo fare», soffio contro le sue labbra e lei chiude gli occhi, sospira rassegnata.
Le lascio un bacio sulla fronte e, prima che le sue palpebre si sollevino di nuovo, sparisco.
 
 
1 marzo 2002
 
Se vi dicessi che la storia termina così, che me ne sono tornato al Manor e non ho pensato mai più a quella notte, mentirei e probabilmente non sarei neanche credibile.
Ho pensato a lei ogni istante della mia patetica vita da quando l’ho lasciata sotto il vischio; mi sono tormentato domandandomi se si è sentita ferita dalla mia fuga improvvisa; ho rivissuto quei baci nella mia testa, ancora e ancora e ancora.
Quando si è abituati a pianificare prima di agire, una nottata di azioni impulsive può drenarti di tutte le energie e destabilizzarti significativamente. Se all’insolito quadro si aggiunge che, nel mezzo delle follie, si è avuta l’audacia di pomiciare con la persona che più si ha ferito al mondo e con cui si è in debito già per tutta la vita in partenza, la sensazione non può che intensificarsi.
Ho resettato il mio programma di propositi e ne ho stilato uno un po’ più dettagliato, ma graduale. Una lista di piccoli passi da spuntare piano piano.
Sono partito da me, ho fatto qualcosa per garantirmi una mia indipendenza. Prima di tutto, con l’eredità dei Black, entrata dritta nelle mie tasche qualche anno fa, mi sono comprato una villa tutta mia, per tenere il Manor e i brutti ricordi che racchiude quanto più a distanza possibile. Il che, ovviamente, ha il fantastico vantaggio di rendere significativamente più facile tenere mio padre lontano da me.
Secondo, ho investito nella produzione di Pozioni e ho creato un piccolo laboratorio nella tavernetta della mia nuova casa; per ora ho solo due collaboratori, Daphne Greengrass e Adrian Pucey. Non mi aspettavo veramente che qualcuno rispondesse al mio annuncio, ma la maggiore di casa Greengrass non ha tardato a presentarsi alla mia porta e si è trascinata dietro anche Adrian. Quando ho chiesto loro perché lo avessero fatto, mi hanno detto che, prima di morire, Astoria gli aveva parlato di me, del fatto che avevo abbandonato gli ideali purosanguisti e che, secondo lei, ero in cerca di un nuovo inizio, o che, comunque, consapevolmente o meno, avevo bisogno di un nuovo inizio; sapere che Astoria gli ha detto di credere in me e di aver visto le mie potenzialità quella notte di tanti anni fa, mi ha riempito di una sorta di gioia mista a tristezza. Mi hanno chiesto di accettare l’opportunità che in passato non ho permesso ad Astoria di chiedermi.
Questa volta ho detto di sì.
Per ora stiamo lavorando solamente a piccole pozioni sperimentali, non ci vediamo neanche tutti i giorni, ma è bello avere delle interazioni con qualcuno che non sia il gufo che consegna la Gazzetta del Profeta al mattino. Parlare con altre persone, oltre che con il mio riflesso.
Oggi, invece, sto facendo un altro passo.
Sono davanti all’ingresso del Ministero, mi faccio coraggio ed entro.
Potter ha una sua squadra di Auror, ora. Sono qui per incontrarlo.
Busso alla porta del suo ufficio e mi ci addentro non appena sento l’invito ad accomodarmi.
È sorpreso di vedermi.
«Malfoy.»
«Potter.»
Mi fa un breve cenno con la testa per incitarmi a sedermi sulla poltrona di fronte a lui, dall’altro lato della sua scrivania.
Quasi sbuffo quando vedo come ha addobbato il posto: c’è una foto del Trio Miracoli sul mobiletto dietro di lui, una che lo ritrae sorridente con Ginevra sotto la Tour Eiffel e una con la famiglia Weasley al completo; vi è una cornice con all’interno una vecchia foto che ritrae la sua versione da neonato, stretta tra le braccia dei suoi genitori. Ci sono delle fotografie delle svariate squadre di Quidditch di Grifondoro e un boccino conservato in una teca, probabilmente il primo che ha afferrato, o meglio, quasi ingoiato, nel suo caso.
«Posso fare qualcosa per te?» mi chiede per esortarmi a parlare.
Scuoto la testa, mi sono perso nei miei stessi pensieri. Non sono più molto abituato a stare con altra gente; mi chiedo se gli anni di solitudine mi condurranno ad estraniarmi dal mondo in maniera permanente, anche se per qualche miracolo divino dovessi riuscire a crearmi dei rapporti umani regolari e decenti.
«Sono qui per propormi volontario come consulente per la task force che si occupa di catturare i Mangiamorte ancora in libertà.»
Le sopracciglia del Prescelto scattano all’insù immediatamente. È palesemente sorpreso dalla mia offerta.
«Ma davvero?» commenta, cercando di simulare neutralità. «Hai delle informazioni che potrebbero esserci utili?»
«Onestamente, non lo so», rispondo. «Ma collaborerò in qualunque modo mi sarà possibile. E sono anche un ottimo Pozionista, nel caso in cui ve ne servisse uno.»
Potter si inumidisce le labbra, poi mi studia attentamente, con gli occhi assottigliati. «Perché?»
«Cosa?»
«Perché lo fai?» precisa. «Perché ora
Non mi aspettavo l’ultima domanda.
Cazzo.
«Sto cercando di fare pace con il mio passato, Potter» opto per l’onestà. «Questo mi sembra un buon modo per fare ammenda.»
«Draco Malfoy è in cerca di redenzione?»
Stringo le labbra tra i denti.
Non so cosa cerco.
Redenzione? Assoluzione? Una scusa per stare vicino alla Granger? Un palliativo per i miei sensi di colpa? La possibilità di dimostrare al mondo magico che sono cambiato?
Forse tutto quanto, forse niente.
«Qualcosa del genere.»
Potter annuisce. Non mi pone domande personali più specifiche, anche se so che prima o poi mi verrà richiesto di rendere conto di quali valori e ideali sostengo attualmente; sotto sotto, penso che lo abbia già capito.
«Puoi passare domani?» mi chiede invece, dopo una pausa di silenziosa riflessione. «Ti farò delle domande, poi cercheremo qualcosa da farti fare. Ovviamente non puoi ambire a una carica ministeriale per via del, ehm, lo sai. Ma non dovrebbero esserci problemi con un’assunzione da consulente o dipendente ordinario.»
Faccio un cenno d’assenso con il capo, mi alzo, gli tendo la mano.
Potter ride brevemente. «E siamo tornati al punto di partenza», esclama con una nota di divertimento nella voce. «Solo che in qualche modo, questa volta è diverso.»
Tende il braccio e afferra la mia mano.
«Sto cercando di ricominciare, Potter» ammetto. «Sto cercando di costruirmi una vita dignitosa.»
Lui annuisce comprensivo. Non sembra importargli di non aver ricevuto scuse da parte mia o ringraziamenti; vorrei riuscire a ringraziarlo, davvero, ma credo di necessitare un po’ più di tempo per questo: riconoscere appieno di dovergli gratitudine è un groppo enorme da mandar giù per il mio orgoglio.
«Ci vediamo domani, Malfoy.»
Lo saluto brevemente, esco dall’ufficio e la prima persona che incontro è proprio Hermione Granger.
All’improvviso, le mie mani iniziano a sudare. Deglutisco forte, tentando di racimolare un po’ di coraggio per dirle qualcosa, qualsiasi cosa, ma credo di averlo esaurito interamente la notte in cui ho commesso l’azzardo più grande della mia vita, ovvero baciarla. Le faccio un cenno con il capo a mo’ di saluto e lei lo ricambia, poi prosegue la sua camminata.
Chiudo gli occhi, respiro a fondo.
Fino a quel momento, il mio ultimo ricordo di lei era il sapore della sua pelle contro le mie labbra. Non può essere sostituito da questa fredda interazione distaccata.
«Granger, aspetta!» la chiamo e forse l’urgenza mista a disperazione nella mia voce è un po’ troppo. Perché è così difficile controllarmi, con lei? Lo è sempre stato, maledizione, ma ora sto raggiungendo livelli di impulsività, - o stupidità -, astronomici.
Si volta a guardarmi, fermandosi; ha un sopracciglio sollevato e l’espressione sul viso è interrogativa. Mi avvicino a lei, apro la bocca e la richiudo.
La sua aria si fa sempre più perplessa.
«Ti senti bene, Malfoy?»
Sbatto le palpebre. È una domanda che non mi sarei mai aspettato di sentirmi rivolgere da lei.
«Sì, io, ehm… mi chiedevo…» sospiro pesantemente, quasi scoraggiato.
Non posso credere di essere così patetico!
«Sì?» mi esorta Hermione.
Deglutisco, ho la gola secca. Devo inventare una Pozione che impedisca che accada, a quanto pare, se voglio avere anche solo la speranza di interagire con lei in futuro.
«Mi chiedevo se fossi libera, per un caffè» dico tutto d’un fiato. «Io… vorrei, ehm, parlarti.»
Sbatte le palpebre completamente spiazzata dalla mia proposta, come è giusto e comprensibile che sia, dopotutto.
«A-adesso?» domanda, incerta.
Inizio ad avvertire una punta di panico. «Sì, se puoi, cioè non voglio… non sei obbligata.»
Lei riflette per qualche momento, poi annuisce. «C’è una piccola caffetteria qui vicino, fanno un’ottima torta di mele.»
Non so se è un tentativo di fare una battuta, ma rido ugualmente.
Le mele verdi sono il mio punto debole in fatto di cibo. Non può ricordare veramente che a Hogwarts me ne andavo in giro con una mela in mano quasi ogni giorno.
«Fammi strada.»
Qualcosa balugina nei suoi occhi quando la frase lascia le mie labbra, ma è solo una frazione di secondo; la mia scelta di parole, che rievocano le sue di quella notte al ballo, è un riferimento troppo sottile perché lo noti, o almeno lo spero.
Ci incamminiamo verso la caffetteria, in silenzio.
«Se devi dirmi qualcosa ti conviene farlo prima di entrare», mi informa. «Di solito, il posto è molto affollato e qualcosa mi dice che Draco Malfoy non apprezzerebbe le orecchie indiscrete.»
«Io… ehm, sì, d’accordo» biascico in imbarazzo. Sono convinto di essere vergognosamente arrossito. «Io…»
Tiro un lungo respiro d’incoraggiamento. «Granger, mi dispiace.»
«Se hai cambiato idea…»
«No», la interrompo. «Intendo dire che… vorrei scusarmi per il modo in cui mi sono comportato con te in passato.»
«Oh», esclama, sbalordita.
Sbatte le palpebre una volta più del necessario, deglutisce. I miei muscoli si tendono indescrivibilmente e il tempo sembra dilatarsi a dismisura, rallentare fino quasi a fermarsi. Poi, inaspettatamente, il suo volto si illumina, le sue labbra si aprono in un sorriso genuino che fa fare una capriola al mio stomaco e per poco non provoca l’esplosione del mio cuore nel petto.
«Scuse accettate», dice semplicemente. «Ti consiglio di provare il cappuccino, quello che fanno qui è ottimo.»
Riprende a camminare, ma io, per un momento, non mi muovo.
È tutto qui?
Davvero, le basta questo?
Non può essere così semplice.
Mi riscuoto e la raggiungo a grosse falcate.
«Granger… non so se mi sono spiegato… insomma, ti sto chiedendo se puoi perdonarmi.»
«Ho capito», mi interrompe. «Va bene così, davvero. Ti perdono.»
«Così facilmente?» non riesco a frenare la lingua. Sono sbalordito.  
Lei sorride di nuovo. «La vita è troppo breve per restare attaccati al passato e al rancore, Malfoy», ribatte. «E ho giurato la notte di Capodanno di lasciarmi le cose brutte alle spalle.»
Mi tende la mano e la fisso per qualche secondo.
«Inoltre, non credo di aver visto ancora tutto di Draco Malfoy» aggiunge. «E io sono un’ottimista.»
Quella frase mi dà la spinta necessaria per tendere il braccio e stringere la sua mano nella mia. Il calore mi invade immediatamente, esattamente come la notte del ballo. Sono perso nei suoi occhi color cioccolato, quando la sua voce mi riporta bruscamente alla realtà.
«Ai nuovi inizi», sussurra, ampliando il suo sorriso luminoso.
Dischiudo le labbra e per un momento il tempo si arresta veramente; scrollo forte il capo. Non può essere un riferimento a quella notte, lei non ha la minima idea che fossi io. A meno che la McGranitt… no, non ci ha visti, non può averglielo detto lei.
La Granger deve averla presa davvero sul serio, la faccenda dei nuovi inizi.
Beh, tanto di guadagnato per me.
«Ai nuovi inizi», ripeto, risoluto.
Poi, finalmente, entriamo nel locale. È adorabile come lo ha descritto lei e la torta di mele è deliziosa; il cappuccino potrebbe diventare la mia nuova dipendenza, ma non c’è motivo di gonfiare il suo ego così presto dicendoglielo.
Parliamo per un po’ del più e del meno e per la prima volta dalla fine della guerra mi sento quasi leggero; poi, troppo presto a mio avviso, Hermione lancia uno sguardo fugace al suo orologio e l’espressione sul suo viso diviene colpevole.
«Beh, è stato un piacere, Malfoy» esclama, alzandosi con uno scatto. «Ma temo di essermi attardata un po’ troppo. Devo tornare a lavorare.»
Afferra la sua borsa, fa per tirare fuori il borsellino, ma mi rialzo d’impeto e la fermo posando una mano sul suo polso.
«Pago io» le dico. «Per favore.»
«Oh, non è assolutamente necessario…» ribatte lei e due minuti si perdono in uno scambio di battute sull’argomento: Hermione che protesta, io che insisto.
Alla fine, un’idea mi balena in testa e un minuscolo ghigno appare sul mio viso. «Potrai pagare tu la prossima volta, se proprio ci tieni tanto.»
Un trucchetto veramente banale, ma sembra funzionare.
«La prossima volta?» mi fa esco sorpresa. «Oh, beh… Sì, certo, bene» farfuglia stupita dalla mia proposta. «D’accordo.»
Si infila il giubbotto, ha le guance rossicce.
Adorabile.  
Mi mordo il labbro inferiore per impedirmi di sorridere come un ebete.
«Beh, grazie» mormora ancora, senza sapere bene cosa fare o dire. «Ci vediamo, allora.»
E poi qualcosa scatta dentro di me.
L’idea di non sapere quando la rivedrò mi manda nel panico e nello sconforto più assoluto.
«Domani, magari?» le grido dietro, tutto d’un fiato. «Stessa ora?»
Si volta a guardarmi e si blocca sul posto.
Poi sorride. «Magari.»

 

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Capitolo 6
*** All I Want for Christmas ***


A Christmas Carol
 





PARTE 5

All I Want for Christmas
 








 
19 settembre 2002
 
La grande sala è gremita di persone, ma non ha alcuna importanza per me.
Mi interessa solo di una e continuo a fissare la porta impazientemente, in attesa del suo arrivo.
Sorrido entusiasta quando la vedo e la raggiungo a passo spedito.
Hermione è raggiante, bellissima, in un lungo vestito nero, elegante e disarmante.
Allarga le braccia, felice, e mi lascio stringere da lei.
Chiudo gli occhi, inspiro il suo dolce profumo.
Merlino, la sua sola vicinanza è inebriante, essere tra le sue braccia… esiste sensazione più bella?
«Congratulazioni, uomo dell’anno!»
Sbuffo sardonicamente tra i suoi capelli. «Non esagerare.»
«Dico sul serio!», trilla lei, felice. «Sarai su tutti i giornali, domani.»
Come può essere così genuinamente contenta per il traguardo di un suo… non so neanche se definirci amici, in realtà. Abbiamo semplicemente un appuntamento quotidiano alla caffetteria sulla strada parallela all’ingresso per i visitatori del Ministero, che rispettiamo rigorosamente da mesi. Parliamo, ci portiamo il caffè quando sappiamo che l’altro è al Ministero… Vuol dire che siamo amici?
«Certo, quando mai finire sui giornali è stata una cosa buona, per me?»
Hermione fa ruotare gli occhi. «Guardati attorno! Pullula di gente!»
«Sono per lo più curiosi e pettegoli venuti a controllare l’ultima trovata dell’idiota che ha preso il Marchio a sedici anni, o a vedermi fallire…»
Mi guarda truce, socchiude gli occhi, poi sospira. «Sei nervoso.»
«Ovviamente» non ci penso nemmeno a negarlo. «So che anche una brutta reputazione può essere sfruttata per profitto, ma… questo è importante, per me. Non posso permettermi di rovinare anche questa cosa, che la mia vita vada a rotoli un’altra volta.»
«Andrà tutto bene», mi rassicura, ma non funziona più di tanto.
Non riesco più ad ingannarla neanche con l’Occlumanzia, ormai mi conosce troppo bene. Non so neanche come sia riuscita a farmi aprire così tanto, lo faccio senza rendermene conto ormai, anche se solo con lei. Con il resto del mondo ho gli stessi problemi di sempre, ma non posso dire che mi importi veramente. Voglio solo che lei mi conosca per quello che sono davvero, anche se sto ancora cercando di scoprirlo e in un certo senso è lei che mi sta aiutando a farlo; del resto dell’universo non mi interessa assolutamente nulla.
Il punto è che oggi inauguro la mia azienda di produzione di Pozioni.
Quando il mio rapporto con la Granger ha iniziato a dare nell’occhio, - dal momento che per mesi ci siamo frequentati all’esterno del Ministero, sebbene mai in contesti fraintendibili -, ho immaginato che mio padre sarebbe venuto a saperlo presto e che a ciò sarebbe seguito un ultimatum o una serie di minacce esplicite. L’eredità dei Black è sufficiente a mantenermi se dovesse decidere di disereditarmi, - perché col cavolo che rinuncio a Hermione, ho smesso di sacrificarmi per lui -, ma ho deciso ugualmente di investire in un’attività mia, di espandermi nel settore Pozionistico. Starmene a casa a rigirarmi i pollici non fa per me e sinceramente, sarebbe un vero spreco di potenzialità. Provare a spiegare a mio padre le lezioni che ho appreso grazie a tre fantasmi che mi hanno fatto visita in sogno, trascinandomi in un assurdo viaggio allegorico, non è di certo un’opzione. Se non ha mai capito perché ho deciso di abbandonare gli ideali purosanguisti, se non ha imparato niente dalla guerra, dubito che possa farlo da questo.
Ad ogni modo, ho deciso di aprire la mia azienda; si occupa di produzione di Pozioni commerciali, ma anche di ricerche sperimentali in questo ambito. Non ho mai abbandonato il desiderio di creare pozioni nuove e utili alla comunità magica. Alcuni di voi direbbero che ciò deriva dal mio desiderio di riscatto e di redenzione per il ruolo che ho avuto durante la guerra, ma non so dire se sia veramente così o se sia solo frutto della mia ambizione spropositata, del desiderio di riuscire laddove altri maghi e streghe hanno fallito.
Ad ogni modo, la faccia della Granger quando ho svelato il mio pseudonimo e reclamato la mia proprietà sulla Pozione Lisciante Semi-Permanente è stata grandiosa! Ma sono sicuro che quello che scoprirà questa sera la stupirà ancora di più. Annuncerò la Pozione di lancio dell’azienda a metà evento.
«Draco, se può tranquillizzarti» mi dice giocosamente, «sono molto brava con gli Incantesimi di Memoria. Se qualcosa va storto, posso sempre Obliviare tutti i presenti.»
«Lo faresti veramente?» chiedo, corrugando la fronte. «Per me?»
«Certo», risponde senza esitazione.
Le rivolgo un breve sorriso. Ne sono lusingato, anche se so che sta scherzando. «Che fine ha fatto la tua morale, Golden Girl?»
Hermione fa spallucce. «I Babbani hanno un detto, sai», mi sussurra nell’orecchio, oltrepassandomi. «In amore e in guerra, tutto è concesso.»
Resto immobile come una statua.
Cosa intende dire?
È un’allusione?
No, freno i miei pensieri, le mie speranze e il mio cuore in subbuglio.
Probabilmente l’ha usata in maniera metaforica. Non posso illudermi di avere una speranza con lei, ma posso amarla da lontano e trarre ugualmente gioia dalla sua presenza nella mia vita, le briciole sono sempre meglio di niente. Uno come me non merita molto più di questo, comunque.
Non posso perderla, non devo fare stronzate.
Me lo ripeto in continuazione, come un mantra.
«Granger, aspetta», la richiamo, correndo nuovamente verso di lei. «C’è una cosa che devo farti vedere.»
Ricambia il mio sorriso, afferra la mia mano e si lascia condurre nella saletta dietro il palco, che è ad accesso riservato per i membri dello staff.
«Voglio darti un’anticipazione sulla pozione di lancio» le dico, porgendole una busta.
Lei la prende curiosa, avida di conoscenza come sempre, la apre e poi la sua espressione si tramuta dall’entusiasta al commosso. I suoi occhi si riempiono di lacrime, due cadono solitarie, rigando le sue guance. Le copro con i palmi delle mie mani e le asciugo.
Hermione si stringe contro di me. «Draco…» sussurra con voce soffocata, il volto affondato nel mio petto.
La abbraccio con forza. «Stavo lavorando a una pozione per aiutare pazienti in condizioni simili a quelle dei genitori di Paciock», le racconto. «Ma poi tu mi hai parlato dei tuoi tremori e della difficoltà di concentrazione e… ho rivisto le mie priorità.»
Normalmente, lo so, Hermione obietterebbe che il suo problema non è nulla in confronto a quello dei Paciock, che avrei dovuto continuare a lavorare su quella pozione, ma non lo fa, perché sa che le probabilità di successo in quel caso sono piuttosto scarse, anche se non ho intenzione di arrendermi. Magari lei accetterà di concedermi delle consulenze, lavorerà con noi alla ricerca. Il suo contributo sarebbe preziosissimo, ci darebbe una possibilità in più di riuscire nella missione impossibile di ridare una parvenza di vita normale alle vittime più sfortunate della Cruciatus. O, comunque, una vita migliore di quella che conducono al momento.
«L’abbiamo testata in collaborazione con il San Mungo e funziona, l’hanno approvata» le rivelo. «Questo ti garantirà un ciclo completo di terapia», aggiungo ancora. «Gratuito, ovviamente.»
«Draco, non posso accettare…»
«Granger, non questa volta» la interrompo sul nascere. «Non è negoziabile. Devo fare almeno questo per te.»
La guardo implorante. «Per favore, lasciami fare questa cosa per te.»
Non c’è bisogno che le spieghi le mie motivazioni, perché è così importante per me aiutarla a guarire completamente, le sa perfettamente; ciò che non sa è che non si tratta solo del mio desiderio di rimediare a un errore passato, lo faccio anche perché la amo più di ogni altra cosa o persona al mondo e voglio che stia bene… se posso contribuire a garantirle questo, allora sarò felice, avrò fatto qualcosa di buono.
Hermione sospira e annuisce arrendevolmente. «Grazie», mormora, poi tira su col naso… e rieccolo, il suo sorriso meraviglioso, tornato a illuminarle il volto.
Sorrido di rimando, fremo di piacere quando mi abbraccia di nuovo.
È la cosa più bella al mondo, stringere Hermione Granger tra le mie braccia. Vorrei poterlo fare ogni giorno, per sempre.
Non riesco a capacitarmi del fatto che ci sia stato un periodo in cui la disprezzavo. Dove avevo gli occhi? Come ho potuto mai credere che questa creatura divina potesse essere inferiore a chicchessia? Come ho potuto considerarla sporca, quando è talmente buona e pura da essere riuscita a perdonare persino un essere rotto e macchiato dall’oscurità come me?
In pochi mesi, Hermione ha stravolto la mia esistenza, ha tirato fuori il lato migliore di me, quando io neanche sapevo che esistesse; è riuscita nell’impossibile: mi ha insegnato ad amare. Io, che neanche credevo di essere in grado di farlo, mi sono perdutamente innamorato di lei. C’è chi la considererebbe una punizione, ma per me è una sorta di salvezza, davvero. Anche se non potrò mai stare con lei, anche se tutto ciò che avrò con lei in quel senso sarà sempre e solo il ricordo di quei baci rubati durante un ballo di Capodanno in maschera.
«Grazie a te, Granger», mormoro, lasciandole un bacio sulla testa.
È il massimo che posso avere, ma me lo faccio bastare.
Ciò che conta è averla al mio fianco, in qualsiasi misura possa averla.
A volte, però, mi chiedo se si renda conto del fatto che le mie labbra indugiano sempre più del necessario sulla sua pelle.
 
 
23 dicembre 2002
 
La guardo circondare la sua tazza di cioccolata calda con entrambe le mani, come se volesse assorbirne il calore. Le sue guance sono arrossate dal freddo e si passa la lingua tra le labbra per assaporare il cioccolato dopo quasi ogni sorso. Vorrei smettere di guardarla, ma non ci riesco. Ha un effetto ipnotico su di me.
Come fa a non accorgersi del desiderio nei miei occhi? O del modo in cui cerco costantemente di finire il più vicino possibile a lei?
Come fa a non rendersi conto che le mie mani tremano ogni volta che la stringo a me? O che faccio sempre di tutto pur di stabilire un contatto fisico con lei, per bearmi del calore della sua pelle?
Domani sarà la di nuovo la Vigilia di Natale, la prima dopo la mia assurda esperienza con i fantasmi dei Natali.
Tanto è cambiato in un anno, forse la mia intera esistenza. Ho fatto molti passi avanti, a sentire Hermione; sostiene che ho ripreso in mano la mia vita, che… com’è che ha detto? Qualcosa sull’aver preso un limone amaro e averci fatto una buona limonata, credo; non è che abbia capito bene cosa intendesse dire, ma non volevo chiedere ulteriori spiegazioni per non fare la figura dello stupido con lei.
Insomma, a quanto pare ho degli amici, ora. Daphne e Adrian, Hermione, persino Potter si è ammorbidito molto nei miei confronti.
Mi ritrovo spesso ad andare a fare visita alla tomba di Astoria, le parlo; vorrei averla conosciuta meglio, ha avuto un’influenza positiva su di me e forse non lo sapeva neanche prima di morire. La prima persona ad aver avuto un impatto positivo su di me e ho sbagliato in toto anche con lei. Non me lo perdonerò mai. Ne ho persino parlato con Hermione una volta e mi ha detto di non essere troppo duro con me stesso, che sto ancora imparando e che devo essere orgoglioso dei miei progressi, che tutti hanno i propri tempi per metabolizzare le cose e fare passi avanti. Io penso che sia semplicemente troppo buona nei miei confronti.
Il problema fondamentale è che i miei tempi sembrano essere molto più lunghi di quelli degli altri e ho sempre il timore che quello che mi viene dato a disposizione sia troppo poco per i miei standard. Astoria ne è la prova più grande.
Mi schiarisco la gola per attirare l’attenzione di Hermione che, in questo momento, sembra persa nei suoi pensieri.
Con l’avvicinarsi delle vacanze di Natale, il suo umore è andato gradualmente precipitando; lei oggi non doveva lavorare, ha due settimane di ferie, ma si è presentata qui ugualmente. Ne sono stato contento. Non posso perdere i miei trenta minuti quasi giornalieri con lei. Mi tengono a galla.
«Tutto bene?»
Mi guarda sbattendo le palpebre una volta più del necessario. «Sì, stavo solo pensando», risponde in un sussurro. «Volevo avvisarti che domani non mi sarà possibile venire qui.»
Annuisco, avvertendo già una punta di tristezza farsi strada dentro di me.
«Hai qualche impegno?»
«Qualcosa del genere», afferma evasiva.
Inizio a temere che si stia vedendo con qualcuno; mi rendo conto di non aver mai riflettuto sul fatto che prima o poi succederà, che si troverà un ragazzo. Cosa accadrà a quel punto? Sarò in grado di sopportarlo? Di restare al suo fianco e guardarla amare qualcun altro, quando tutto ciò che desidero al mondo è essere amato da lei? Quando l’unica cosa che vorrei nella vita è poterla amare liberamente? La nostra strana amicizia passerà in secondo o addirittura in terzo piano? Si dimenticherà di me? Mi abbandonerà anche lei?
Come posso tornare a una quotidianità senza Hermione Granger?
Il panico inizia ad affiorare, per cui mi affretto a sopprimere quei pensieri, ma tutto il discorso sul tempo che la mia mente ha elaborato poco fa riemerge nella mia testa a gettare benzina sul fuoco.
«Cosa fai domani sera, Granger?» le chiedo impulsivamente, prima di ponderare bene cosa sto per dirle o proporle.
«Oh, io... è dal settimo anno che non festeggio il Natale» ammette, senza guardarmi negli occhi. «Immagino che quest’anno non faccia differenza.»
Stringo il labbro inferiore tra i denti. «Non pensi che sia arrivato il momento di ricominciare?» le domando esitante; in fondo, è passato molto tempo dalla fine della guerra… e se io, che ho sempre visto il Natale come il promemoria di ciò che non ho mai potuto avere e che mai avrò, sto valutando la possibilità di festeggiarlo, non potrebbe farlo anche lei? So che è un’idea stupida, ma magari potrebbe farlo con me, no?
«Ho una mia tradizione» mormora, «Una specie, almeno.»
La guardo interrogativo, perché forse ho capito il motivo per cui non le sarà possibile incontrarmi qui domani.
«Non sono ancora pronta a lasciarla andare.»
Ricordo quello che Astoria mi ha mostrato nel sogno e immagino Hermione, seduta da sola su una panchina, al freddo, intenta a guardare i suoi genitori dalla finestra, con i suoi occhioni color cioccolato colmi di lacrime; il suo modo di passare il Natale con loro, anche se da lontano.
Capisco che non è il caso di insistere, ma posso ancora offrirle il mio supporto.
«D'accordo, Granger», sussurro allora. «Ma sappi solo che ci sono, se hai bisogno di un… amico
L’ultima parola mi rimane incastrata in gola per un momento e poi viene fuori in una sorta di suono strozzato.
Non voglio essere davvero suo amico.
Non ho mai voluto esserlo.
Voglio molto di più di questo, ma non sono abbastanza audace da agire in merito, non quando sono perfettamente consapevole di non avere alcuna speranza di essere ricambiato da lei. Probabilmente mi ha dato la sua amicizia per pietà, cosa che normalmente non avrei neanche preso in considerazione di accettare, ma è lei ed è già tanto così.
Non posso fare alcun passo verso di lei, perché se lo facessi mi respingerebbe e la perderei. Farebbe fottutamente male e non sono sicuro di quale parte delle due mi ferirebbe con maggiore entità.
Hermione mi guarda con la fronte leggermente corrugata, come se stesse cercando di stabilire se so di cosa sta parlando o meno, ma deve decidere che non è possibile, per cui scuote impercettibilmente la testa e poi abbozza un piccolo sorriso.
«Cosa farai tu, Draco?»
Faccio spallucce; il mio unico piano prevedeva di invitarla a cena a casa mia. «Forse quest'anno farò l’albero» butto lì. «Magari mi darà speranza.»
Il sorriso sul viso di Hermione si allarga leggermente. «I tuoi genitori...»
Un grugnito misto a una sorta di risata sardonica sfugge al mio controllo. «Ti prego» le dico. «Mia madre mi ha invitato, ma ho rifiutato. I miei ultimi incontri con mio padre non sono stati esattamente piacevoli.»
Lei apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude subito dopo.
«A dire il vero, li definirei piuttosto degli scontri
«Mi dispiace, Draco», mormora lei e dal tono della sua voce comprendo perfettamente che è sincera.
Non capirò mai perché le importi così tanto di me o di cosa provo; probabilmente è solo la sua indole che la porta ad empatizzare con gli altri, chiunque essi siano.
«Non essere dispiaciuta» le dico. «Mi ha fatto di peggio.»
Hermione deglutisce, poi annuisce mestamente. «Quindi sarai solo?»
«Come ogni anno», ammetto, una semplice constatazione, quasi indifferente, anche se, in realtà, la cosa mi ferisce. Mi chiedo se sia in grado di carpire la differenza tra quando veramente non mi importa di qualcosa e quando fingo. «Va bene così. Ci sono abituato.»
Si morde l’interno della guancia sinistra, fissa la sua tazza di cioccolata ancora fumante e dall’espressione sul suo viso noto subito che sta riflettendo su qualcosa. Alla fine, mi guarda.
«Vuoi venire con me, Draco?» chiede esitante. «Non sarà allegro, ma suppongo che neanche il tuo Natale lo sia.»
Le mie labbra si schiudono per la sorpresa. Non mi aspettavo che me lo proponesse veramente. Devo metterci un secondo di troppo per risponderle, perché poi aggiunge: «Possiamo essere miserabili insieme», ridacchiando nervosamente, come a voler smorzare la tensione nell’aria. «O cercare di tirare fuori il meglio dal nostro Natale altrimenti solitario.»
Socchiudo leggermente gli occhi. «Come mai non trascorri la Vigilia con Potter o con i Weasley?»
Il sorriso sul suo viso svanisce. «Da quando Ron sta con Padma, l’aria è molto tesa quando ci sono anche io», rivela, triste. «Continuano ad invitarmi, ma preferisco evitare.»
Annuisco distrattamente. «Cosa non ha funzionato tra te e la Donnola?»
Hermione fa ruotare gli occhi. «Eravamo troppo diversi… e anche il fatto che ci conoscevamo troppo bene non ha aiutato. C’era troppo imbarazzo tra di noi perché potesse funzionare. Ci siamo lasciati di comune accordo e in buoni termini. Padma è convinta che potrebbero esserci ancora sentimenti latenti tra di noi, ma non è così.»
Annuisco distrattamente. «Capisco.»
Se Weasley era troppo diverso, io non ho davvero alcuna speranza, penso. Ma credo anche che tutte le differenze che ci separavano prima, ora non hanno più importanza. Non per me, almeno, e sono stato io ad iniziare. Forse… deglutisco, non riesco a impedirmi di non illudermi almeno un pochino di avere una possibilità con lei.
«Mi piacerebbe venire con te, Hermione.»
Lei sorride in risposta. «Sei mai stato in Canada?»
«No», ammetto. «Ma ho sempre voluto visitarla.»
«Bene», commenta, «ho una PassaPorta per domani, dopo pranzo. Se vieni a casa mia, ci possiamo andare insieme.»
Non riesco a fermare gli angoli delle mie labbra dallo scattare all’insù. «Mi sembra perfetto.»
Poi Hermione si schiarisce la gola. «Direi allora che se hai intenzione di aggiustare quell’albero, ti conviene farlo oggi. Non avrai il tempo domani.»
Si rialza, afferra il suo cappotto e la sua borsa. Mi rimetto in piedi anche io, con uno scatto talmente repentino che accidentalmente urto il tavolino.
Impreco, perché odio sembrare così impacciato, ma lei ride.
«Pago io», dico, risoluto. «Oggi tocca a me.»
Lei annuisce, mi sorride. «Grazie.»
Si incammina verso la porta, ma la raggiungo a grosse falcate.
«Hermione, aspetta!»
Si volta a guardarmi e attende che sia di nuovo davanti a lei.
«Ti va di aiutarmi con l’albero?»
Non ho idea da dove stia uscendo tutto questo coraggio, ma decido di approfittarne. Quante volte mi può andare di lusso in una sola giornata?
Hermione sorride di nuovo.
Giuro che potrei sciogliermi ogni volta che mi sorride in quel modo dolce e genuino. Posso illudermi che nasconda un po’ d’affetto nei miei confronti per la maggior parte delle volte.
«Mi farebbe molto piacere, Draco.»
Pago il conto, poi torno da lei, le poso una mano sulla schiena mentre usciamo dal locale; un brivido mi attraversa il braccio e si propaga in tutto il corpo a quel contatto.
Una vecchia signora, che di solito siede fissa al tavolino più vicino all’uscita del locale, - e lo fa ogni singolo giorno -, ci ferma sulla porta.
«Siete proprio una bella coppia, sapete?» esclama con aria trasognata. «Mi ricordate molto me e mio marito.»
Mi irrigidisco subito, ma resto in silenzio. Guardo Hermione, studio la sua reazione. È sorpresa in un primo momento, ma dopo l’ultima parte della confessione della donna le sorride dolcemente.
«Sono sicura che siete una bellissima coppia anche voi.»
Gli occhi della donna divengono lucidi. «Oh, mio marito è morto da due anni cara, ma lo eravamo» mormora. «Sapete, anche noi, quando non eravamo altro che due ragazzini innamorati, ci vedevamo qui ogni giorno per bere un caffè insieme. Come avrete sicuramente notato, è un’abitudine che non ho mai perso.»
Hermione si porta istintivamente due dita sulle labbra, poi prende le mani della donna tra le sue. «Mi dispiace molto per la sua perdita.»
«Oh, è solo la vita, cara» dice lei. «Abbiamo vissuto molti anni felici insieme. Ricordatevi di fare tesoro del tempo che vi viene concesso e di approfittarne il più possibile per godere l’uno della compagnia dell’altro.»
Sono così colpito dalla storia dell’anziana signora che in un primo momento non realizzo che Hermione non le ha mai detto che non siamo affatto una coppia; e anche se probabilmente non lo ha fatto solo per gentilezza, non vedo perché dovrei farlo io che con lei vorrei starci veramente.
«Passate un Buon Natale, ragazzi cari.»
«Buon Natale a lei», rispondiamo in coro e restiamo impalati a guardarla allontanarsi sul viale affollato dalla gente che si affretta ad acquistare gli ultimi regali per i propri cari.
Io ho solo una persona a me cara al momento e il suo regalo è già incartato, custodito in un cassetto nella mia villa. 
Ci guardiamo entrambi leggermente imbarazzati, lei ha le guance arrossate, ma non capisco se è dovuto al freddo pungente o alle supposizioni della donna in merito al nostro rapporto.
Mi schiarisco la gola e le indico la strada con un cenno della mano; lei mi segue fino al punto di Apparizione più vicino e, quando le tendo il braccio, vi si aggrappa.
«Pronta?»
«Pronta.»

 

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Capitolo 7
*** So, This Is Christmas ***


A Christmas Carol
 





EPILOGO

So, This Is Christmas
 
 
 
 
 

24 dicembre 2002
 
Mi presento a casa sua per l’ora di pranzo, una bottiglia di vino rosso in mano e una Stella di Natale magica nell’altra.
Hermione sorride quando vede la pianta e mi spiega che ne esiste anche una variante Babbana, - per inciso, sono praticamente uguali, solo che quelle magiche si muovono -, poi invita ad entrare in modo da poter mangiare insieme. Ancora non ci credo che mi abbia invitato.
La PassaPorta per il Canada partirà alle due.
Hermione non è loquace come al solito, ma c’è una sorta di rassegnazione nel suo sguardo; sorride ugualmente ed è sempre gentile e cordiale. Quando cerco di farla ridere mi asseconda, mi segue nelle conversazioni. Se non la conoscessi così bene, direi che stia cercando di dimostrarsi forte per non appesantire la tensione. Ma la verità è che lei, forte, lo è veramente. E credo che una parte di sé stessa sia ormai venuta a patti con la definitività della sua situazione.
Perché si ostina ancora a torturarsi in quel modo ogni Vigilia di Natale, allora? È un caso di autopunizione anche il suo? Si obbliga a guardare ciò che ha perso per causa sua stessa, anche se lei, in realtà, non ne ha alcuna colpa?
Vorrei riuscire a farla andare avanti, a darle abbastanza motivi per essere felice nella vita, come lei ha fatto con me. Forse, un giorno troverò il modo per farlo.
Il pomeriggio lo passiamo in giro per Ottawa.
Non so se Hermione abbia bisogno di prepararsi psicologicamente prima di rivedere i suoi genitori o se stia cambiando la sua routine per me, per consentirmi di visitare la città. Mi mostra i suoi luoghi preferiti, ci fermiamo in una piccola caffetteria per bere una cioccolata calda e poi, per colpa di una stupida scommessa, finiamo in uno stabilimento affollato a pattinare sul ghiaccio. Cado all’incirca cinque volte, ma imparo in fretta. Almeno l’ho fatta ridere e, comunque, qui non mi conosce nessuno. È bello stare in pubblico senza che la gente si volti a guardarmi o mi scruti di sottecchi cercando di stabilire se sono ancora uno stronzo o meno.
Verso le otto di sera, mi dice che è pronta per fare quello che è venuta fin qui a fare. Mi racconta tutto mentre passeggiamo verso la villa dove vivono i signori Granger, - ora Wilkins -, e sono sorpreso ugualmente nel realizzare che quelle cose le so già, perché Astoria me ne ha parlato durante il bizzarro sogno dello scorso anno. Ho smesso di interrogarmi sulla natura di quell’esperienza, comunque, quindi non mi chiedo come sia possibile essere venuto a conoscenza della storia segreta della famiglia della Granger in sogno, senza mai aver udito nulla al riguardo.
Questa volta, però, Hermione non siede sulla panchina a osservarli per ore.
Appena arriviamo, il suo sguardo si dirige alla finestra della casa in cui vivono i suoi genitori e qualcosa attira immediatamente la sua attenzione: il pancione della madre.
Barcolla leggermente, così scatto e la afferro prontamente, la stringo a me; lei posa il capo sul mio petto e mi permette di accarezzarle i capelli.
Sta piangendo.
Resta in silenzio per un po’, a guardarli e quasi mi sento di troppo, ma lei non toglie la sua mano dal mio fianco. Poi, alla fine, tira su con il naso e alza lo sguardo su di me. I suoi occhi sono ancora colmi di lacrime quando incrociano i miei.
Vorrei portarle via tutta la sofferenza che prova. Nella mia tormentata esistenza un po’ di dolore in più non farebbe differenza, ma lei non lo merita. La Granger dovrebbe solo essere felice, ha dato abbastanza per una vita intera.
Si asciuga le lacrime con il dorso della mano, poi sospira. «Credo che sia arrivato il momento di andare avanti anche per me» dice. «Ho quello di cui avevo bisogno per farlo. So che loro sono felici, ora.»
Non posso che annuire, comprensivo, anche se non ho idea di come faccia ad essere così forte, così altruista, anche quando sta male. Vorrei avere il potere di consolarla, di farla stare meglio.
E, soprattutto, vorrei essere abbastanza per lei, ma non lo sono. Allora la stringo semplicemente tra le mie braccia, il suo viso affonda nel mio petto e cerco di coprirla il più possibile con il mio corpo. Il bisogno che avverto di schermarla dal resto del mondo è all’improvviso più potente del solito. Lei ricambia la mia stretta.
«Draco, vorrei… vorrei andare via, ora», mormora infine, ritraendosi lentamente dal nostro abbraccio e lanciando un’ultima occhiata ai suoi genitori e ai loro volti felici. «Penso… penso di aver bisogno di una nuova tradizione. Questa fa troppo male, ormai.»
Le rivolgo un cenno d’assenso con il capo.
Dev’essere orrendo sapere che non conoscerà mai suo fratello o sua sorella, che non trascorrerà mai il Natale con loro, che non festeggerà il suo compleanno o il suo matrimonio, quando sarà, in loro compagnia; Hermione non riavrà mai più i suoi genitori, nonostante io sia assolutamente certo che, se avessero voce in capitolo, loro tornerebbero immediatamente da lei.
«La PassaPorta è ad attivazione manuale, vero?» le domando.
Hermione annuisce debolmente. «Sì, dobbiamo solo trovare un luogo appartato per azionarla.»
E poi mi viene in mente e, nell’impeto del momento, lo dico a voce alta: «Ho letto che c’è un ottimo ristorante nella Ottawa magica.»
Lei mi sguarda stupita, a corto di parole; il suo respiro accelera leggermente, lo noto dalle nuvolette bianche che si addensano vicino alla sua bocca.
«Potremmo provarlo prima di tornare» aggiungo goffamente, sfregando i palmi delle mani per riscaldarmi o giusto per fare qualcosa in modo da non soccombere all’imbarazzo. «Se ti va, intendo.»
Forse posso almeno riuscire a distrarla, a rendere un po’ meno triste questa Vigilia di Natale per lei.
È davvero ironico il fatto che la prima volta che non la trascorro da solo, la persona che è con me sta vivendo probabilmente una delle peggiori notti della sua vita.
Non voglio che ricordi così il nostro primo Natale insieme.
Non che nutra molte speranze in un bis o nell’essere incluso nella sua nuova tradizione, quando ne troverà una.
«Sarebbe bello, Draco» mormora alla fine e giuro che, per un attimo, credo che il cuore mi possa fuoriuscire dal petto.
«Bene, ehm» farfuglio, «mi sembra di aver capito che l’ingresso per la Ottawa magica è in un locale chiamato Il Grizzly Pub.»
Hermione ridacchia. «Per niente scontato e banale.»
Rido a mia volta, poi la guardo tirare fuori una mappa della città e il suo curioso artefatto Babbano che mi ha detto in passato chiamarsi “cellulare”. Dice che serve per chiamare le persone o per mandar loro dei rapidi messaggi, il che lo rende un mezzo di comunicazione migliore dei gufi. Sto valutando l’idea di acquistarne uno solo per poter parlare con lei più spesso. A quanto pare, la tecnologia Babbana funziona nelle case dei maghi perché non vi è la stessa quantità di magia che li rende inutilizzabili, per esempio, in luoghi come Hogwarts e il Ministero. Credo che non funzionerebbe neanche al Manor, è pregna di magia antica e, ahimè, in parte anche oscura.
«Credo di averlo trovato», mormora alla fine, poi mi tende la mano e io l’afferro.
«Come hai fatto?»
«Google Maps», risponde semplicemente. «Ti spiegherò più in là come funziona.»
Annuisco e il minuto dopo siamo di fronte all’ingresso del locale. Mi spiega come funziona quell’aggeggio, - che dice di chiamarsi “app” -, e che scagliando una particolare variante dell’Incantesimo Revelio contro la mappa cartacea i luoghi magici appaiono sulla cartina; quindi, le è bastato trovare il locale Babbano più vicino al Grizzly Pub e poi cercarlo su Google Maps. Infine, sottolinea anche che nel Regno Unito la comunità magica non è “così avanti con i tempi”, ma che pensa di elaborare una proposta in merito per presentarla al Ministro Shacklebolt. Secondo lei, renderebbe i rapporti internazionali più facili. Quando le chiedo se ha a che fare con Krum, lei scoppia a ridere e mi confida che si scambiano giusto una lettera al mese ormai, da quando lo ha rifiutato una seconda volta, a febbraio.
Per un istante, mi domando se stia aspettando che l’uomo del ballo si faccia vivo con lei. Ci sono stati molti momenti in cui sono stato tentato di dirglielo, ma non sopporterei di vedere la delusione sul suo viso nello scoprire che si trattava di me.
La cena passa tranquilla, trovano subito un posto per Hermione Granger; a quanto pare, dopo la guerra, il Golden Trio è finito sui giornali anche qui. Il che è perfettamente comprensibile vista l’entità dell’impresa che tre maghi diciassettenni sono riusciti a portare a termine, surclassando l’intero squadrone di Auror che è apparso quasi a battaglia finita e che, se l’incarico di sconfiggere Voi-Sapete-Chi fosse stato solo nelle loro mani, non sarebbe stato in grado di portarlo a termine.
Hermione sembra decisa a non affrontare il discorso dei suoi genitori, così la assecondo; so cosa significa non voler parlare di argomenti dolorosi e ho intenzione di ricambiare la sua pazienza e il suo rispetto dei miei tempi allo stesso modo. Se vorrà, me ne parlerà lei, quando sarà pronta.
Credo anche che non voglia appesantire l’atmosfera; sorride spesso e le sue guance si tingono di un colore più roseo dopo ogni bicchiere di vino elfico.
Parliamo del più e del meno, ride molto, anche se non sono sicuro che il merito di ciò appartenga a me e non all’alcol che comincia a fare effetto. Quando realizzo di sentirmi leggero e quasi felice, me ne sorprendo; forse avrò un buon Natale, dopotutto. Magari, Hermione accetterà di pranzare con me, domani. Ho tutta l’intenzione di chiederglielo dopo averla accompagnata sulla soglia di casa sua, ma quando iniziamo a battibeccare su chi dei due deve pagare il conto, decido di rispolverare la vecchia tattica che ha dato inizio al nostro rapporto.
«Facciamo così», le dico, sentendomi improvvisamente audace, - e questo sono sicuro che sia da amputare al vino elfico -, «Mi arrendo e ti lascio pagare il conto, se acconsenti di pranzare da me, domani.»
Lei schiude le labbra e mi lancia un’occhiata incuriosita. «Sai cucinare?»
Annuisco. «Sono un cuoco provetto.»
Mi guarda con gli occhi assottigliati per un secondo, come se stesse cercando di capire se sto bluffando o meno.
«Non ti sto prendendo in giro» le dico, ridendo. «Ho avuto molto tempo per fare pratica. E non ho elfi in casa.»
L’informazione le fa illuminare il viso. «D’accordo, allora», esclama e sembra davvero entusiasta del programma. «Non mi perderei un pranzo preparato da Draco Malfoy in persona per nulla al mondo.»
Rido insieme a lei e la accompagno in cassa; vi giuro che mi pesa lasciarla pagare, ma l’ultima volta che l’ho buttata sulla galanteria ha iniziato a chiamarmi maschilista e con una serie di altri epiteti che non sembravano molto carini, quindi ci ho rinunciato. Mi sono informato anche sull’argomento, comunque, - ho dovuto chiedere a Potter, niente di meno! -, e alla fine ho capito cosa intendesse dire, ma insomma, vorrei poterle offrire una cena senza che sollevi obiezioni, per una volta.
Ad ogni modo, quando usciamo dal ristorante, azzardo un altro passo avanti: le cingo le spalle con un braccio. Me lo lascia fare, anzi, si appoggia leggermente a me e ci incamminiamo per il viale innevato stretti l’uno all’altra, in silenzio. Il cuore mi martella violentemente nel petto.
E poi, tutto d’un tratto, non riesco più a stare zitto, non sopporto più il peso di quel segreto; sento quasi l’esigenza di urlarglielo. Prima che me ne renda conto, mi fermo con uno scatto improvviso. Lei fa un passo avanti, ma barcolla per un istante senza il mio sostegno.
«Scusa» mormoro, posando entrambe le mani sulle sue spalle per stabilizzarla.
Lei alza lo sguardo su di me e sorride imbarazzata. «Dovevo stare più attenta.»
No, ero io che non avevo capito quanto si fosse affidata a me, che non credevo che si fosse lasciata andare così tanto contro il mio corpo. Questa realizzazione mi manda leggermente su di giri.
«Hermione» mormoro, iniziando ad avvertire l’ardimento sfumare via.
«Sì?» mi incalza lei, corrugando la fronte.
«Devo dirti una cosa.»
Resta in attesa per qualche istante, ma io deglutisco e basta.
«Non può aspettare finché non saremo tornati a casa mia?» chiede. «Potrei mettere su il bollitore e…»
«No, potrei perdere il coraggio» taglio corto. «Non mi fido di me stesso in casi come questo.»
Hermione emette un piccolo sospiro. Posso scorgere la curiosità nei suoi occhi. «Avanti allora.»
Deglutisco, mi schiarisco la gola, traggo un respiro profondo.
«Ricordi il ballo di Capodanno a Hogwarts?» le domando, anche se so già la risposta. «Quello in maschera?»
Hermione, infatti, annuisce.
«Io…» cerco di ingoiare saliva per idratare la mia gola secca, ma non sembra funzionare. «Hermione, io… ero io, con te.»
Resta a fissarmi in silenzio per tre lunghissimi secondi che mi sembrano piuttosto delle ore. Poi, inspiegabilmente, sorride dolcemente e il suo sguardo si illumina. «Ce ne hai messo di tempo per dirmelo.»
Non sembra sorpresa, per niente. La sua reazione completamente opposta allo shock mi destabilizza.
«C-Cosa?» biascico, sbalordito, incapace di pronunciare anche solo un’altra parola per articolare meglio i miei dubbi.
Hermione si morde il labbro inferiore, il suo sorriso si allarga. «Lo sapevo fin dall’inizio che eri tu, Draco.»
Sbatto le palpebre, completamente spiazzato.
No, quello che sta dicendo non ha senso.
«Ma tu… tu hai accettato di ballare con me!» esclamo, sinceramente confuso.
«Ero curiosa», ammette, mordendosi il labbro inferiore. «Quando ti ho visto avvicinarti, mi chiedevo se sapessi che ero io. Mi hai detto quasi subito di saperlo. A quel punto, volevo capire perché fossi venuto da me.»
La fisso senza proferire parola, il mio cervello è sul punto di andare in tilt ed esplodere, ne sono certo.
«E poi, qualcosa mi diceva che tutte quelle donazioni alle mie associazioni no profit venivano dai tuoi caveaux alla Gringott. Sono poche le famiglie che possono permettersi di donare tali quantità di denaro. Ti dovevo almeno un ballo.»
Dischiudo le labbra, sempre più colpito dalla sua perspicacia e, a dirla tutta, anche dalla mia ingenuità. «Ma continuavi a chiedermi di dirti chi fossi» mormoro, perplesso. «E non mi hai mai detto niente in questi mesi...»
«Nemmeno tu», ribatte lei. «Ho solo… speravo che me lo dicessi tu, dato che quella sera non avevi voluto farlo. E dopo ho pensato che te ne fossi pentito, ma poi ti sei presentato al Ministero e allora ho capito che avevi solo bisogno di tempo… Così sono rimasta ad aspettare.»
Deglutisco con forza. «Sapevi che ero io fin dall’inizio» ripeto, incapace di convincermene veramente senza un’ulteriore conferma da parte sua e lei annuisce, decisa. «Come?»
«Ti sei impegnato tanto per nascondere la tua identità», ammette divertita, poi mi prende la mano e la solleva, fa scorrere lentamente l’indice sul mio anello. «Ma hai dimenticato un piccolo dettaglio.»
Non l’avevo tolto.
L’anello, lo avevo addosso.
Difficile non notarlo, dato che l’ho portato al dito sin dal primo giorno a Hogwarts.
Che errore da principiante!
«Perché?» le domando, sempre più a corto di parole, sempre più incredulo dalla piega che la conversazione sta prendendo. «Perché hai passato la serata con me, allora?»
«Ero curiosa», ripete pazientemente. «E poi, te l’ho detto anche quella sera, mi piace il rischio. Ammetto che il bacio sotto il vischio mi ha un po’ spiazzata, ma…»
Il bacio.
Sapeva che ero io e non mi ha tirato uno schiaffo, né mi ha respinto in alcun modo. E ha lasciato che la baciassi ancora, dopo la prima volta.
Non capisco, non ha senso. Ho bisogno di una spiegazione.
«Mi hai permesso di baciarti di nuovo», la interrompo. «Perché?»
Un angolo delle labbra di Hermione si solleva in un sorriso malizioso. «Il brivido del proibito, Draco.»
Sbatto le palpebre, sollevo le sopracciglia. Troppe informazioni, tutte in una volta, lei che mi rivela un aspetto della sua personalità che non conoscevo minimamente… come faccio a metabolizzare tutto questo in una manciata di secondi?
«E dopo che ti ho lasciata lì, tu… mi hai accolto nella tua vita quando sono tornato, dopo due mesi di silenzio stampa?» biascico con un filo di voce, il senso di colpa evidente nel mio tono.
Lei mi rivolge un sorriso condiscendente che mi fa quasi arricciare il naso. «Immaginavo che fosse un po’ troppo in una sola sera per qualcuno che ha passato la vita a reprimere le emozioni e gli ultimi tre anni in isolamento. Comprendevo la tua necessità di tempo per metabolizzare il tutto, o per capire cosa fosse successo, cosa fare in merito, magari anche per darmi una spiegazione» rivela sommessamente. «Io non avevo fretta.»
Mi passo una mano sul volto, poi tra i capelli.
Scuoto il capo, incredulo. Per tutto questo tempo, lei sapeva. Non ha mai detto niente, non ha mai cercato di farmi parlare, ha aspettato che fossi pronto a dirglielo, pazientemente. Non riesco a farmene una ragione.
«Perché mi hai aspettato, Hermione?» le chiedo e c’è una certa urgenza nella mia voce.
«Ti sei preso solo due mesi, Draco…»
«No, non è vero», la contraddico. «È passato un anno. Mi hai aspettato ben oltre un paio di mesi. Perché?»
Resta in silenzio per un po’, poi sospira pesantemente. «Non te l’ha mai detto nessuno?» mormora con un filo di voce. «L’adrenalina crea dipendenza, Draco Malfoy, e temo che quella sera tu mi abbia rovinata per sempre.»
Un gemito strozzato lascia la mia gola. «Non scherzare, Granger.»
«Non sto scherzando» obietta Hermione, sbuffando.
Deglutisco, un’altra domanda sorge spontanea nella mia mente. Gliela porgo, non voglio più trattenermi, lasciare cose non dette o al caso.
«Perché hai rifiutato Krum, quando ti ha invitata ad uscire a febbraio?»
Lei abbassa lo sguardo sulle sue mani quasi immediatamente.
«E Steeval dopo di lui?» continuo, visto che non proferisce parola. «Goldstain? Persino Baston?» 
Hermione apre la bocca, poi la richiude.
Credo che il mio cuore non abbia mai battuto tanto rapidamente in vita mia, neanche quando Voi-Sapete-Chi mi stava col fiato sul collo.
Mi avvino a lei, ormai troppo impaziente, poso un dito sotto al suo mento per far sì che mi guardi negli occhi; i suoi sono leggermente lucidi.
«Per favore», le soffio sul volto e so perfettamente di suonare implorante, ma non mi importa. Devo sapere. «Rispondimi.»
La vedo deglutire debolmente, poi tira su con il naso. «Credo che tu lo abbia già capito» sussurra con voce esile e tremante.
Il tempo sembra fermarsi dopo quell’ammissione implicita.
È sconvolgente, la consapevolezza che mi colpisce in pieno. Per tutti questi mesi ho pensato di non avere alcuna possibilità di conquistarla… e invece, in qualche modo, lo avevo già fatto un anno fa. In una sola, breve, serata. E per qualche assurdo motivo, Hermione mi ha aspettato fino ad oggi.
La mia mano scatta in automatico, raggiunge la sua nuca e la spinge più vicina a me; le cingo la vita con la mano libera e poi, senza indugiare oltre, azzero le distanze tra di noi.
Poterla baciare di nuovo è come tornare a vivere, rinascere dalle proprie ceneri, come le Fenici. Sentire le sue dita cercare di stringermi ancora di più a lei è come tornare a sperare di poter, un giorno, essere veramente felice; la sensazione appagante data dalla consapevolezza che anche lei mi desidera è inebriante.
Approfondisco il bacio e per un momento rimpiango di non aver aspettato di trovarmi in casa sua, come lei aveva proposto prima che iniziassi a vuotare il sacco.
«Draco» mugugna contro le mie labbra. «La PassaPorta.»
Capisco che lei sta pensando alla stessa cosa che sto pensando io in un baleno; la afferro con più decisione e attivo la PassaPorta.
Due secondi dopo, siamo nel viale appartato che dista solo cinque minuti dalla villetta in cui vive Hermione.
La vedo passarsi la lingua tra le labbra e, come tante altre volte prima, la trovo fottutamente sexy. Come ho fatto a impedirmi di baciarla, in passato?
«È mezzanotte», constata, sentendo le campane suonare. «Ti va di bere un bicchiere da me per festeggiare il Natale?»
Quasi scoppio a ridere. Crede sul serio che me ne andrei proprio ora che sono a un passo dal renderla la mia strega?
Il Natale non è esattamente la prima cosa che festeggerei questa sera, ma accetto ugualmente. Le cingo nuovamente le spalle con un braccio per tenerla il più vicino possibile a me e la seguo fino alla sua abitazione. Non voglio più lasciarla andare, allontanarmi da lei.
Non appena entriamo, si toglie il cappotto e lo appende all’attaccapanni all’ingresso; mi invita a fare altrettanto, poi si dirige immediatamente verso il salotto, dicendomi di seguirla e infine prende un pacco da sotto l’albero e me lo porge.
«Questo è tuo, comunque.»
«Mi hai fatto un regalo?» domando sorpreso e lei alza gli occhi al cielo. Ha ancora le guance arrossate.
«Certo che ti ho fatto un regalo», ammette ridendo.
Mi accomodo e lo scarto, mentre lei tira fuori due flûte e una bottiglia di Prosecco Babbano. Lo riconosco perché è della stessa marca che abbiamo bevuto la sera del compleanno di Potter e rammento che in quell’occasione mi è piaciuto parecchio.
«Un cellulare», commento, sorridendo entusiasta.
Hermione mi tende un bicchiere pieno, brindiamo, poi prende posto accanto a me, leggermente inclinata di lato, con le gambe una sotto l’altra.
Maledettamente sexy.
Mi sono impegnato a sopprimere ogni pensiero del genere per mesi e ora non riesco più a tenerli a freno; sto quasi pensando di ricominciare a odiarla per quant’è bella. Ma perché dovrei, quando sono finalmente libero di amarla?
«Avevi detto di volerne uno», dice, arrossendo visibilmente. «E mi sembrava un’ottima scusa per passare più tempo con te senza doverti chiedere niente. Cioè, avrei dovuto spiegarti come funziona, no?»
Rido. Per la Barba di Merlino, non so neanche perché trovi tutto così fottutamente ironico. Hermione cercava dei modi per passare più tempo con me e io credevo che l’appuntamento alla caffetteria derivasse da una sorta di pietà che provava nei miei confronti a causa della mia solitudine sconfinata.
Scuoto il capo, ancora incredulo, mi porto le dita sulla fronte. «Io non… davvero, non so cosa dire», mormoro. «Non mi sembra vero.»
Non riesco a stare fermo, né ad aspettare che lei proferisca parola, né ad articolare meglio i miei pensieri, così mi sporgo verso di lei e la bacio di nuovo, poso la testa contro quella di lei.
«Ti ho desiderata così tanto…»
Quando riapro gli occhi, lei è scarlatta, ma sorride e so che c’è del compiacimento in quel sorriso.
«Grazie», sussurro con un filo di voce. «Per avermi voluto conoscere. Per essere stata paziente. Per avermi perdonato. Per avermi dato una seconda possibilità. Per avermi aspettato.»
Il suo sorriso si allarga; non posso fare a meno di notare che le luci intermittenti del suo albero che si riflettono nei suoi occhi la fanno sembrare ancora più luminosa del solito e… maledizione, sembra commossa. Ha gli occhi lucidi, ma non come quando è triste e cerca con tutte le sue forze di non piangere. È bellissima.
«E grazie anche per il cellulare», aggiungo alla fine. «Non dovevi disturbarti.»
«Difficilmente lo definirei un disturbo, Draco», afferma lei, ridendo. «Al contrario, stavo cercando di manipolarti. Dovrei vergognarmene piuttosto.»
«Una manipolazione che avrei accolto di buon grado» la correggo, ridendo a mia volta. «Vorrei avertelo detto prima.»
Hermione prende un sorso di Prosecco, poi torna a guardarmi. «Te l’ho ripetuto mille volte» mormora. «Ognuno ha i suoi tempi e non c’è niente di male in questo.»
«No», convengo. «Ma mi sembra comunque di averne sprecato troppo.»
«Non sprecarne più, allora, no?» ribatte, seria.
Deglutisco con forza, accolgo di nuovo le sue labbra, ma prima che la situazione sfugga al mio controllo, rammento una cosa. «A-aspetta, Hermione» la fermo. «Devo darti il mio regalo.»
Adesso è lei quella sorpresa.
«Non credevo che…»
«Stupida», la blocco sul nascere.
Lei finge di accigliarsi, mentre si sporge per posare la sua flûte ormai vuota sul tavolino, ma è troppo entusiasta del pacco che ha appena preso tra le mani per tenere su la farsa. I suoi si ingrandiscono quando si libera dell’involucro e riconosce il volume.
«Tu sei pazzo», esclama meravigliata. «Questo libro è rarissimo!»
Sorrido soddisfatto; ero certo che le sarebbe piaciuto, più di qualsiasi altra cosa avrei potuto comprarle, comunque.
«Non sono pazzo, era il mio tentativo di manipolarti» butto lì casualmente. «Speravo che mi baciassi per l’entusiasmo.»
Lei scoppia in una fragorosa risata, poi riprende ad esaminare il libro con più attenzione. È bello vederla così contenta… e sapere che sono stato io a renderla felice è ancora più bello. È quello che voglio fare per sempre, no? Renderla felice. Questo farebbe felice anche me.
«Ed è anche una prima edizione!» aggiunge con un acuto stridulo che mi fa ridere ancora più forte. «Non posso-»
«Non dire che non puoi accettarlo perché me ne vado di testa», commento a metà tra il giocoso e il serio. «Accetta qualcosa senza protestare, per una volta.»
Hermione si zittisce, stringe le labbra tra i denti, poi posa il tomo sul tavolino e si fionda tra le mie braccia; lo fa con talmente tanto ardore, che il Prosecco nel mio bicchiere si versa sulla mia camicia.
«Oh, Merlino, scusami!» strilla dispiaciuta, arretrando con uno scatto. «Ci penso io, se la togli sistemo tutto in un attimo, giuro!»
È veramente rammaricata, così tanto da non accorgersi del ghigno sul mio volto; avvicino le labbra al suo orecchio.
«È un altro tentativo di manipolazione, Hermione?»
Lei arrossisce, apre la bocca, la richiude.
«Davvero, non c’era bisogno di rovinarmi la camicia per convincermi a spogliarmi.»
«Non l’ho rovinata», protesta lei con voce tremula, di nuovo scarlatta in viso, e quasi ricomincio di nuovo a ridere. «Posso davvero farla tornare come nuova!»
«Ti sto prendendo in giro», sussurro, poi l’attiro di nuovo a me. «Sulla camicia rovinata, intendo. Non me ne frega nulla, comunque.»
Hermione ride contro il mio petto e dannazione, anche solo sentirla ridere per qualcosa che ho detto o fatto mi rende felice. Basta così poco da parte sua.
La guardo a lungo, incurante del fatto che probabilmente sembro un ebete imbambolato in questo momento.
Quindi, penso osservando i suoi occhi luminosi di gioia e sentendomi leggero e lieto come mai prima d’ora, è questo il Natale.
«Hermione», mormoro, attirando la sua attenzione.
Lei alza il capo per guardarmi, in attesa.
«Mi piacerebbe iniziare una nostra tradizione.»
«Ovvero?»
«Trascorrere il Natale insieme per il resto della nostra vita.»
Un barlume di sorpresa attraversa il suo viso e mi chino a lasciarle un casto bacio sulle labbra. «Cosa ne dici?» sussurro ancora, deglutendo.
Sorride con dolcezza. «Mi sembra perfetto.»
Sorrido a mia volta e azzero nuovamente le distanze tra di noi.
Alla fine, la mia camicia finisce davvero da qualche parte sul pavimento di casa della Granger.
Desideravo trascorrere il Natale insieme a lei, ma non mi sarei mai aspettato che avrebbe voluto che restassi al suo fianco per la notte, né per tutte quelle a venire. Che mi avrebbe permesso di amarla e che mi avrebbe promesso amore a sua volta.
Poggia il capo sul mio petto nudo e dopo un po’ afferma di non avere ancora voglia di dormire; mi chiede se mi va di vedere un film di Natale con lei. Accetto, anche se deve spiegarmi cosa sia un film e cosa sia un televisore.
«Capito», annuncio brevemente. «Cosa vediamo?»
«A Christmas Carol», risponde Hermione. «È uno dei miei preferiti. È tratto da un classico della letteratura inglese Babbana, se ti interessa posso prestarti il libro.»
La osservo armeggiare con un dispositivo e un telecomando. «Di cosa parla?»
«C’è questo tipo, Ebenezer Scrooge, che odia il Natale ed è avidissimo», racconta distrattamente. «E la notte della Vigilia riceve la visita di tre fantasmi, che gli fanno imparare una lezione importantissima attraverso flashback e premonizioni.»
Mi irrigidisco di colpo. «Che cosa?» domando. «Tre fantasmi?»
Lei ride, ignara di ciò che sta accadendo nella mia testa. «Molte cose del mondo magico sono parte della letteratura fantasy Babbana, inclusi i fantasmi. C’è persino chi ci crede veramente, tra i babbani.»
Si lancia sul letto e mi sorride. «Pronto?»
Deglutisco. «Pronto», sussurro, accogliendola tra le mie braccia, una stranissima sensazione all’altezza del petto.
Sono sicuro di non aver mai sentito parlare prima di A Christmas Carol, non c’è modo che mi sia fatto suggestionare da esso.
Sono così spiazzato che non trovo nemmeno la forza di sorprendermi per le immagini in movimento sullo schermo di quella piccola, bizzarra scatola e per le voci che misteriosamente sembrano provenire dal suo interno.
Abbasso lo sguardo su Hermione e la scopro a studiarmi con aria incuriosita dipinta sul volto.
«Come può funzionare senza magia?» le chiedo, sperando che il mio viso non sia troppo pallido per essere l’effetto di una sorpresa così semplice, di sviare la sua attenzione da quello che sta accadendo nella mia testa e di cui potrebbe rendersi conto, ma lei si limita a ridacchiare divertita.
«Domani ti spiegherò come funziona, promesso.»
È una bella promessa, “domani”, allora le sorrido e la stringo forte a me, mentre la lascio accoccolarsi ulteriormente contro il mio corpo, in modo che stia il più comoda possibile.
Mentre il film viene riprodotto, non faccio che chiedermi se avessi la stessa faccia del protagonista alla vista del fantasma di Crabbe… e degli spiriti successivi.
Novanta minuti dopo, non so ancora se reputarlo un sogno o un avvenimento reale.
Centoventi minuti dopo, decido che non mi importa.
Perché Hermione è tra le mie braccia e mi sento felice e qualsiasi sia la verità in merito, non cambierà il fatto che quell’esperienza mi ha stravolto la vita e mi ha condotto all’amore.
.
.

Fine.








N.d.a.

Ciao! 
Scrivo questa breve nota solo per ringraziare chi di voi ha dato una possibilità alla mia storia ed in particolare chi mi ha lasciato un feedback di qualsiasi tipo, cosa che per me significa tantissimo.
Questa piccola storia era una fanfiction senza pretese, che forse alla fine è venuta fuori più drammatica di quello che intendessi originariamente (soprattutto il capitolo su Astoria), ma spero che vi sia piaciuta ugualmente e che vi sia stata di gradita compagnia durante le feste.
Ci risentiamo nei prossimi giorni con i capitoli finali della mia long Dramione "Salazar's Code", i capitoli successivi di "The Weight of Us" e presto con nuove OS e con le nuove storie che ho in cantiere; non arriveranno nel futuro immediato, però, perché comincerò a lavorarci su dopo una breve pausa che prenderò una volta concluse le storie in corso.

A presto!

Ps. Se vi siete chiesti/e perché il Canada e non l'Australia, era solo perché volevo che ci fossero le strade innevate a Natale.

 

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