LA SVOLTA

di Chevalier1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CASA JARJAYES ***
Capitolo 2: *** Un dialogo in punta di fioretto ***
Capitolo 3: *** UN NUOVO CORSO ***



Capitolo 1
*** CASA JARJAYES ***


Marie, l’anziana governante di casa Jarjayes, sentì il pendolo suonare le sette e trotterellò in preda all’agitazione verso la stanza di madamigella Oscar, sperando che fosse finalmente rientrata, mentre lei si trovava impegnata nelle cucine. Bussò alla porta. Nessuno rispose. Riprovò con maggiore energia. Niente. Il silenzio indusse la donna a socchiudere la porta e ad affacciarsi alla penombra azzurrina della camera.

Constatò quanto dentro di sé aveva già intuito: lo stupendo abito da sera che aveva preparato per il ballo era rimasto esattamente dove lo aveva lasciato nel primo pomeriggio, intatto, perfettamente stirato. Con ogni evidenza nessuno, a parte lei stessa, era più entrato in quella stanza da quando la legittima proprietaria ne era uscita la mattina. Né André, né la figlia del generale si erano ancora palesati a casa, benché fosse già tardi per arrivare a Versailles in tempo per l’inizio della festa.

«Benedetta ragazza – sospirò la donna, incapace di adirarsi davvero con quella che lei sola a casa chiamava ancora “la mia bambina” - come penserà di riuscire a cambiarsi in così poco tempo, tanto più che non è pratica? Chi lo sente suo padre adesso: arrivare tardi a un ballo in suo onore, non troverà mai marito di questo passo... E André, sciagurato! Possibile che non l’abbia ancora accompagnata a casa...».

Un pensiero molesto le sovvenne: «Non sarà successo qualcosa di grave?». Sapeva che le strade di Parigi da tempo non erano tranquille. Cominciava a preoccuparsi.

I minuti correvano a precipizio. Di Oscar e André a casa neppure l’ombra. Eppure entrambi avevano preso con il generale Jarjayes l’impegno di recarsi al ballo: e per quanto la governante avesse capito a pelle, lei che più di ogni altro in casa leggeva nel pensiero della figlia del generale, che madamigella Oscar era tutto meno che entusiasta all’idea di essere la reginetta di una festa per trovarle un buon partito, cosa che, nella posizione che ricopriva, doveva metterla in un comprensibile imbarazzo, sapeva anche che Oscar non era tipo da trasgredire platealmente un ordine paterno. Tanto più che a offrirsi di organizzare quel ballo in suo onore era stato il generale Bouillé, di lei diretto superiore in grado.

Le aveva usato questa cortesia, un po’ per andare incontro ai desideri dell’amico e collega Jarjayes preoccupato per la figlia, un po’ – di più – perché se Oscar François de Jarjayes avesse trovato un marito e lasciato la vita militare, si sarebbe risolta la grana dei soldati della Guardia, che si erano detti indisponibili a prendere ordini da una donna: un’insubordinazione che in tempi diversi sarebbe finita con un deferimento alla Corte marziale, ma che nella tensione sociale del momento, agli occhi di Bouillé, andava gestita con diplomazia, in modo da evitare che l’imposizione di una donna al comando diventasse un pretesto perché i soldati, tutti popolani, si schierassero con i fuochi rivoluzionari, ogni giorno meno fatui, che covavano sotto la cenere a Parigi. L’anziana governante nulla sapeva di tutti i risvolti politici che si nascondevano dietro l’improvvisa pressione al matrimonio, né che Oscar si trovasse tra due fuochi, ma la conosceva e sapeva che in genere al padre finiva per obbedire e che, se disobbedienza doveva essere, non sarebbe giunta al punto di disertare il ballo, perciò temeva che qualcosa di più grave si fosse messo di mezzo.

Erano passate da poco le nove di sera quando la vide rientrare a palazzo Jarjayes da sola, in uniforme, con un’aria che non sembrava turbata, semmai sollevata e risoluta. Marie le andò incontro, trafelata e preoccupata: «Madamigella Oscar...». Oscar la interruppe facendole segno di abbassare la voce posandosi l’indice in verticale sulle labbra, accompagnando il gesto con il sorriso rassicurante che sempre le riservava: un privilegio raro, diretto a lei sola, frutto della confidenza che le legava da quando Oscar era piccola e la governante si occupava di lei con un affetto che nessun altro in famiglia sembrava riservare all’ultimogenita di casa Jarjayes, quasi temessero che anche una sola carezza potesse scalfire l’armatura del cucciolo di soldato che il generale stava allevando in lei da quando era nata.

La governante, che aveva preso servizio giovanissima nell’antico palazzo nobiliare e aveva visto crescere anche il Generale, non aveva mai fatto mistero neppure con lui di non aver mai condiviso l’educazione maschile che da padre aveva imposto alla bambina e che Marie considerava un capriccio, una violenza contro natura. Non essendo nella posizione, però, di contrastare le decisioni dell’autoritario padrone di casa, che tutti gli altri per altro sembravano determinati ad assecondare, aveva sempre provato a “rimediare” cercando di limitarne i danni – per così dire dietro le quinte - , dando alla bambina, poi alla ragazza, infine alla donna la quota di tenerezza che nessun altro le concedeva, approfittando delle occasioni di esclusività e solitudine che la quotidianità del servizio dava loro fin da quando Oscar era nata.

Oscar le fece segno di seguirla, avviandosi verso la propria stanza come se avesse bisogno di qualcosa, con uno sguardo complice che lasciava intendere un: «Poi ti spiego». La governante aveva capito al volo che l’invito a tenere basso il volume significava che Oscar voleva prendere tempo ed evitare che il padre fosse subito informato della sua presenza in casa, cosa in quel momento resa più semplice dalla circostanza che vedeva il generale temporaneamente a riposo a letto, in seguito a una ferita rimediata in un attentato.

In fondo alle scale Oscar chiese a Marie la cortesia di una tisana calda e di qualcosa da mangiare, sarebbero andati benissimo dei biscotti o una porzione di dolce avanzata dalla cena, e si avviò verso la propria stanza, cercando di alleggerire l’abituale passo marziale per non far rumore.

Giusto il tempo di lanciare al sontuoso abito da sera azzurro inutilizzato lo sguardo di sollievo che si sarebbe riservato a uno scampato pericolo e di liberarsi dell’uniforme per mettersi più comoda e sentì bussare. Violando le consuetudini vigenti in casa con la servitù, andò ad aprire la porta alla governante immaginandola in difficoltà con le mani occupate, la invitò con un cenno a entrare e a posare il vassoio sul tavolino, chiudendole subito la porta alle spalle per garantirsi la massima riservatezza. Anticipando la domanda che le leggeva negli occhi, le disse con dolcezza: «Non ho disertato il ballo, ci sono andata».

-«Così?!», - domandò la donna stupita, gettando un’occhiata all’uniforme ordinaria appena dismessa abbandonata sulla poltrona.

«Così», rispose Oscar calma e subito dopo, vestendo il sorriso di una sfumatura birichina, aggiunse: «Non mi dici sempre che sono bella anche così? Almeno se c’era tra i presenti uno che proprio non può fare a meno di chiedere la mia mano a tutti i costi ora saprà che tra i costi c’è che mi deve prendere così: pacchetto completo!», rise.

«E quello sciagurato di André, non ha fatto nulla per impedirti di andare al ballo in tuo onore in divisa? Aveva preso con tuo padre l’impegno di accompagnarti. Quando torna se la vede con me».

Oscar sapeva che vedersela con sua nonna per André, anche adesso che era un marcantonio di un metro e 90, implicava l’essere raggiunto da una gragnuola di mestolate fino alla resa e non riuscì a trattenere una risata, immaginando la scena che conosceva a memoria. Poi si fece seria: «André non ha colpa, ha fatto di tutto per convincermi a tornare in tempo per cambiarmi, ma sono il suo comandante e gli ho impedito di accompagnarmi. È stata una scelta solo mia, lui neanche sa che cosa ho fatto stasera, l’ho lasciato in caserma».

«Oooscar...!». Il tono dell’esclamazione era una cosa a mezzo tra un sospiro esasperato e un rimprovero bonario. Quando erano sole nel chiuso di una stanza, la governante si concedeva la libertà di lasciare da parte i formalismi e di chiamare la figlia del Generale soltanto per nome, tralasciando l’appellativo di “madamigella” che sempre ricordava ad André di adoperare: era il suo modo di ridurre le distanze, di far sentire a Oscar tutto l’affetto che nutriva per lei, per accudirne, anche adesso che era ormai adulta, la solitudine che intuiva dovesse provare nella rigidità militare che la circondava anche dentro casa.

Oscar andò incontro all’anziana donna, chinandosi un poco verso di lei per compensare i tanti centimetri con cui la sovrastava, e le prese entrambe le mani tra le sue, guardandola con infinita dolcezza: «Nanny non devi preoccuparti per me, io so che non hai mai apprezzato la scelta di mio padre e il fatto che io mi vesta e sieda scomposta come un soldataccio. So che vorresti che fossi una brava ragazza e che saresti più tranquilla se mi accasassi come fanno tutte le brave ragazze» – le disse dando un accenno autoironico alle proprie parole senza togliere alla voce una sfumatura di tenerezza che normalmente con il resto del mondo non aveva - «e so che lo pensi perché mi vuoi bene. Ma io adesso sono anche un Colonnello e da tutta la vita mi insegnano che da soldati è vile scappare quando le cose si fanno difficili. Nessuno, neanche mio padre, può pretendere ora, così da un giorno all’altro, di darmi in moglie al primo che capita per coprirmi la fuga. Sono sicura che anche tu sai che non sarei felice così. E poi tradirei me stessa e anche i miei soldati: non dimenticare che tra loro c’è André che si è arruolato per proteggermi. Farei del male anche a lui se fuggissi ora lasciando tutti con il cerino, sposandomi con il primo che mi danno. E poi chi lo vuole un maschiaccio come me, Nanny?».

L’anziana donna le sorrise preoccupata, capiva anche lei che non sarebbe stato molto verosimile un cambiamento tanto repentino, anche perché l’aveva vista crescere e conosceva bene il prezzo della sua educazione, sapeva con quanta determinazione Oscar fosse stata tenuta, per tutta l’infanzia, a distanza di sicurezza da qualunque cosa le potesse ricordare il suo essere nata femmina. Eppure si sarebbe sentita rassicurata nel vedere la “sua bambina” diventare finalmente una donna come tutte, cosa che l’avrebbe almeno tenuta lontana dai pericoli della guerra oltreché da quella dura responsabilità che le era stata presto imposta e che ora si vedeva che la preoccupava e l’affaticava ogni giorno di più, anche se faceva di tutto per nasconderlo sotto un’apparenza di risolutezza. D’altro canto l’idea di quel matrimonio, pur “giusto” secondo i suoi canoni, preoccupava Marie perché avrebbe fatto soffrire André, l’amatissimo nipote, che in segreto – ma non per lei – era innamorato perso della “sua bambina” bellissima ma impossibile per lui per ragioni di rango.

«E come farai con tuo padre, Oscar, chi lo sentirà adesso?».

«Io, Nanny, lo sentirò io, come sempre», rispose calma. «Mi prenderò gli strali che verranno, stavolta però almeno mi scamperò gli schiaffi: dal letto non può darmele almeno», sorrise Oscar ironica, l’anziana donna pensò che non sembrava troppo preoccupata di affrontare l’ira funesta del padre, che pure sapeva essere molto duro.

«Oscar, non scherzare sulla ferita di tuo padre...», la rimproverò implorante, anche se sapeva quanto in realtà la figlia si fosse preoccupata per il Generale che amava profondamente nonostante la severità con cui la trattava: «Povera bambina mia, quanti ne hai presi, fin da piccolina senza una lacrima...», sospirò la donna avvicinandosi a Oscar che nel frattempo si era seduta e aveva sorbito la sua tisana. Non si trattenne dall’accostarsi ancora un poco per cingerla in un abbraccio stringendosi al petto i suoi riccioli biondi per scompigliarli come faceva quand’era piccola a consolarne il pianto muto, pietrificato dentro, ogni volta che il padre la puniva con la mano pesante.

Oscar si lasciò andare in quel calore buono e nel profumo di bucato di quel grembiule sempre impeccabile – non accadeva da anni -, concedendosi un istante in cui tornare bambina, nell’unico rifugio segreto permesso alla sua vita, oggettivamente in quei giorni particolarmente dura: un po’ per scelta sua, dato che come mai prima aveva voluto mettersi alla prova accettando un reggimento tra i più complessi e lontani dalla bolla di agio di Versailles; un po’ perché la situazione sociale all’esterno si stava complicando, di una complicazione, ogni giorno più pericolosa per i nobili, che adesso preoccupava suo padre al punto da spingerlo, un po’ inverosimilmente, a rimangiarsi tutta l’educazione militare che, con rigore da uomo d’armi, le aveva imposto fin lì.

Oscar si disse che stavolta gli avrebbe tenuto testa, che non gli avrebbe più permesso di eterodirigere la sua vita, mentre si abbandonava all’abbraccio, augurandosi che non fosse l’ultimo.

«Grazie, Nanny. Ne avevo bisogno. È stata una giornata dura e domani mi sa che lo sarà di più. Ma tu mantieni il segreto, mi raccomando: che nessuno abbia mai a sapere che anche all’algido Colonnello de Jarjayes ogni tanto accade di desiderare un abbraccio: là fuori sono un uomo tutto d’un pezzo e lo devo rimanere», rise. Poi seria: «Domattina andrò prestissimo in caserma, se mio padre ti chiede di me gli dirai che non mi hai incontrata al ritorno e che ho lasciato detto che sarei uscita presto per urgenze di servizio. In questo modo mi risparmierò almeno l’imbarazzo di fronteggiare per prima le domande di mio padre e non dovrò essere io a dirgli com’è andata stasera. Ci penserà sicuramente qualcun altro nel corso della giornata, con tutti i pettegoli che ci sono a corte non gli faranno certo mancare i dettagli della succulenta notizia. A sera, quando tornerò, affronterò la bufera, quale che sia».

«Sarà fatto, che Dio ti benedica, bambina. Buonanotte». La governante si staccò da lei, non prima di averle stampato un bacio al centro della testa come faceva quando Oscar aveva cinque anni, quasi a darle la forza di affrontare la tempesta che doveva venire e lasciò la stanza in punta di piedi. (continua)

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Capitolo 2
*** Un dialogo in punta di fioretto ***


Il mattino dopo Oscar uscì a cavallo mentre la casa dormiva ancora.

Poche ore più tardi, la governante, mentre stava lasciando la stanza del Generale, reggendo il vassoio con i resti della colazione, nella penombra del corridoio vide venirle incontro Girodelle, il Colonnello che era succeduto a Oscar come comandante della Guardia Reale quando lei aveva chiesto il trasferimento, e che poche settimane prima l’aveva chiesta in sposa. Il giovane chiese a Marie di annunciarlo al Generale scusandosi per l’ora della visita, un po’ troppo mattutina per le consuetudini.

Ottenuto il permesso bussò alla porta, trovando il Generale Jarjayes semiseduto nel letto, la giacca sulle spalle a coprire la camicia che lasciava intravedere una vistosa fasciatura tra la spalla sinistra e il petto.

«Buongiorno Colonnello Girodelle, a che cosa devo questa vostra visita così di buon’ora?», domandò il generale la cui mente corse veloce al ballo della sera prima.

«Buongiorno Generale Jarjayes, come vi sentite?».

«Non troppo male, la ferita si va rimarginando senza particolari complicazioni, mi occorrerà un altro po’ di riposo per tornare a muovermi agevolmente, ma sembra che io abbia scampato anche questa».

«Me ne compiaccio Generale, vi faccio i migliori auguri, sono davvero tempi terribili. Parigi per i nobili sta diventando pericolosissima. Il ballo è finito presto Generale Jarjayes, per questo non mi costa fatica essere mattiniero. Vostra figlia vi si è presentata indossando l’uniforme ordinaria, ironizzando sul fatto che non ci fosse neppure una dama da invitare a danzare. Non vorrei mai che aveste fatto il vostro lavoro troppo bene, Generale, che l’educazione maschile che le avete impartito fosse andata al di là delle intenzioni». Concluse il colonnello in borghese con un sorriso che sotto l’amabilità studiata non seppe, e forse neanche voleva, nascondere la sfumatura di sarcasmo che la frase conteneva.

Lo sguardo del Generale, nel giro di pochi secondi, era virato dall’indispettito, alla notizia del comportamento della figlia, al gelido sulla chiusa maliziosa del suo interlocutore. Replicò anch’egli mantenendo una cortesia troppo affettata per essere bonaria come sarebbe potuta sembrare a un orecchio distratto.

«Girodelle, ve ne prego, abbiate riguardo della mia imperfetta forma, non costringetemi a rammentarvi che state parlando di un Colonnello, nonché vostro ex comandante, e che lo state facendo con un Generale: usateci l’eleganza almeno di non farvi latore di insinuazioni di dubbio gusto. In fondo il fatto di non essere stato l’unico pretendente respinto tutela il vostro onore di cavaliere meglio che se il ballo avesse sortito la scelta di qualcun altro. Capisco la vostra amarezza, ma mi corre l’obbligo suggerivi di accontentarvi del mal comune mezzo gaudio, per quanto sia magrissima consolazione. Vi prego, lasciate alle malelingue le maldicenze: non renderebbero giustizia prima di tutto a voi, che siete una persona a modo e portate il nome di un nobile casato: fareste un torto a voi stesso nel non mostrarvi superiore».

«Che cosa intendete fare, con vostra figlia ora, Generale?».

«Niente, Girodelle, non farò niente», rispose calmo il Generale, «come vi ho detto avrei visto di buon occhio la vostra unione, ma mia figlia non è una fanciulla appena uscita dall’educandato delle monache che si possa condurre per mano a una decisione per il suo bene. Ha vissuto una vita insolita per scelta mia, non sono nella posizione di imporle ora un matrimonio non voluto, Girodelle, né con voi né con nessun altro. Se non capite questo mi mettete nella condizione di dovervi far notare che la conoscete poco e che non sarebbe per voi un buon affare sposarla soltanto contando su un accordo tra me e voi, cosa che, tra le altre cose, senza l’assenso di lei non mi sentirei mai di sottoscrivere. Con la sortita di ieri sera, Oscar vi ha dimostrato che sarebbe capace di dirvi di no sull’altare qualora insistiate. Permettetemi di non mettere alla prova né lei né voi fino a quel segno. Converrete con me - consentitemi di fare dello spirito visto che ve lo siete permesso voi per primo - che non potrei mai reagire all’impossibilità di coartarne la volontà, chiudendo in convento un Colonnello. Sono costretto a consigliarvi di mettere il cuore in pace, Girodelle, per quanto mi possa dispiacere. Sono sicuro che troverete presto un buon partito adatto a voi, soddisfacente e magari meno complicato».

«Non insisterò oltre Generale, anche se il mio cuore si spezza» - l’espressione fece alzare un sopracciglio al Generale che la trovava troppo enfatica e frivola per addirsi a un cavaliere, per di più nel corso di una conversazione tra due alti ufficiali - «farò come dite, ma mi duole avvisarvi: la corte mormora e temo che non smetterà».

«Girodelle», tagliò corto il Generale, suadente per non apparire brusco, ma lasciando intendere di non aver apprezzato l’avvertimento: «frequento Versailles da oltre quarant’anni, conosco la corte meglio di voi, credetemi: mia figlia ha spalle forti, non saranno pettegolezzi di quart’ordine a spaventarla a questo punto, soprattutto ora che non frequenta più il Palazzo quotidianamente. Presumo che, per la vita che ha condotto, abbia fatto il callo alle maldicenze più di me e di voi messi insieme e a Parigi di questi tempi ha certo ben altro di cui occuparsi che prestare orecchio a qualche lingua malevola. Ora, vi debbo chiedere la cortesia di concedermi un altro poco di riposo. Sto migliorando ma parlare a lungo mi affatica ancora molto».

«Con permesso, Generale, abbiate cura di voi».

«Buongiorno colonnello, grazie per la vostra gentilezza».

Il Generale sentì l’altro tirarsi dietro la porta e provò sollievo al colpo secco del battente: più che l’emissione della voce gli era costato fatica il tono di quella conversazione, così sulle uova, pieno di trappole. Desiderava restare solo, a riflettere su quanto aveva appreso.

Scosso, cercò di mettere ordine tra sé ai propri pensieri in tumulto.

«Dunque Oscar si è presentata a quel ballo in uniforme, è probabile che abbia ragione lei e torto io, non mi resta che rispettarne le decisioni per la sua felicità, troverà da sola la forza e le risorse per uscire da questo difficile momento...

...Ho paura per te, figlia mia, sono il solo responsabile dei pericoli che corri. Ho sbagliato con te quando sei nata, pensavo che la corte sarebbe stata un luogo abbastanza protetto, volevo un figlio e me lo sono preso illudendomi che non saresti mai stata esposta come sei ora. Ma il mondo è cambiato adesso e tu ti sei scelta una strada ancor più impervia di quella che io ti avevo dato, perché Oscar?

Ora io temo per te la sorte terribile riservata alle donne in guerra, Oscar: sei bella, figlia mia, troppo bella anche in quell’uniforme da ufficiale. Ma ora è tardi, non posso più importi di cambiare la tua vita: ha ragione Girodelle, mi sei riuscita troppo bene anche come soldato, ma non nel senso delle volgari insinuazioni che si è dato la briga di riferirmi. Sei un ufficiale di valore, Oscar, e una figlia ormai adulta e responsabile di sé. È così che devo trattarti, Oscar, il nostro dialogo nel mio studio, il tuo comportamento di ieri sera mi costringono a prendere atto di quello che nella mia ottusità non avevo ancora capito: ho voluto crescere un figlio e ora mi devo misurare con una figlia cresciuta che mi tiene testa come un figlio. Come biasimarti: è il costo che devo sostenere per il mio assurdo capriccio, mi tengo il mio senso di colpa, pregando Dio che non sia tu a pagarne il prezzo più alto. Rispetterò la tua volontà e le tue scelte. Non è più tempo di schiaffi, Oscar».

Si prese un’ora per ricomporsi, per ritrovare il cipiglio consueto e poi si fece portare una penna, un calamaio e un biglietto: scrisse due formali righe di scuse al Generale Bouillé per l’intemperanza della figlia ma assumendo su di sé la responsabilità della cattiva riuscita del ballo, spiegando di essere stato troppo precipitoso nel valutare la situazione e che il Colonnello Oscar François de Jarjayes intendeva restare al proprio posto.

(continua)

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Capitolo 3
*** UN NUOVO CORSO ***


Oscar dal canto suo dall’ufficio in caserma fece la stessa cosa: scrisse al suo diretto superiore un’asciutta missiva, scusandosi per i modi, ma ribadendo con fermezza l’intenzione di restare al proprio posto e l’impegno a risolvere, come da regolamento e come si conveniva a un comandante, i problemi disciplinari che si fossero presentati.

Poi con una scusa mandò a chiamare «Il soldato Grandier», come se dovesse impartirgli un ordine. Invitò André a entrare nell’ufficio e, facendo il massimo sforzo per non tradire emozione alcuna, gli disse che la pratica del matrimonio era definitivamente archiviata e che avrebbe dovuto obbedire ai suoi ordini un altro po’, mettendo su un’ariaccia più austera del consueto per trattenere un sorriso mentre lo diceva, a costo di sembrargli più sbrigativa di quanto avrebbe dovuto e voluto essere. Aggiunse che quella sera sarebbe tornata a casa prima, pronta ad affrontare da sola la reazione del padre.

Gli chiese come andassero i lividi, memore del pestaggio che aveva subito nell’armeria e se la situazione fosse tranquilla tra i soldati. Lo era, ma lei già lo sapeva: quella volta, dopo avere soccorso André personalmente, turbata dalle sue lacrime e dalla frase di Alain - che ogni tanto le tornava in mente- : «Credo che vi ami, comandante. Vi lascio soli, occupatevi voi di André», aveva usato il pugno di ferro con l’intera caserma, per mettere in chiaro che non tollerava risse nei locali di servizio. Quindici giorni di consegna di rigore per quelli che avevano messo in atto il pestaggio e per quelli che li avevano sostenuti senza sventarlo, una sanzione più simbolica per quelli che se l’erano presa comoda facendo finta di non sentire, per Alain e per André: il primo perché aveva tardato un attimo a sedare la rissa e il secondo ufficialmente perché non l’aveva fatta spegnere cedendo al primo colpo, in realtà perché non voleva aggravare la posizione di lui agli occhi degli altri, già sospettato com’era di tenere bordone a un comandante mal sopportato da quasi tutti.

Congedato André, andò ad avvisare il suo vice, il Colonnello d’Agouille, che si sarebbe avviata con un poco d’anticipo e montò in sella diretta a palazzo Jarjayes pronta ad affrontare la tempesta.

Rientrò a casa prima del solito, trovò ad accoglierla come sempre la governante, che non le disse come si sarebbe aspettata che il padre l’attendeva con urgenza. Oscar la guardò con aria interrogativa. Marie memore della sera precedente parlò per prima: «Stamattina presto il Conte Girodelle ha parlato con tuo padre, dunque tuo padre sa. Eppure sono stata più volte nella sua stanza durante la giornata e non mi è sembrato torvo come altre volte quando ce l’ha con te. Non mi ha chiesto di mandarti di filato da lui al rientro come fa di solito. Mi è parso assorto quando mi ha chiesto carta, penna e calamaio, ma non adirato».

Oscar non nascose un moto di stupore, si chiese che cosa avrebbe dovuto fronteggiare: «Andrò io da lui, con la scusa di vedere come sta...». Lo scenario che s’era prefigurata, identico a quello vissuto decine di volte, sembrava mutato e il non sapere in che modo la faceva sentire incerta, come se stesse per avventurarsi in una terra incognita.

Prese un respiro profondo prima di bussare alla porta degli appartamenti paterni, preparandosi ad affrontare l'incertezza di quell'incontro.

«Avanti»

«Buonasera padre, come vi sentite?»

«Buonasera Oscar, non c’è male. I movimenti sono quelli che sono, molto cauti, ma se rimango fermo non sento quasi dolore. I Jarjayes hanno la scorza dura, come ben sai», le rispose sorridendo.

«Già e non posso che esserne fiera, padre».

«Come va con i soldati della Guardia?».

Oscar si stupì per la domanda, ma non lo diede a vedere, si chiese se come la volta precedente il padre la stesse prendendo alla larga per tornare alla carica con la faccenda del matrimonio, se fosse solo una captatio benevolentiae per abbassare le sue difese e poi arrivare a propinarle di nuovo la proposta dell’azzimato Conte Girodelle. Fece finta di niente e rispose con calma e sincerità: «Situazione sempre molto tesa, sul filo del rasoio, ma comincio a vedere qualche minuscola breccia nel muro della loro diffidenza. Stanno cominciando a capire che so usare il bastone quando necessario - : la scorsa settimana ho spedito tutti in consegna per una rissa che avevano scatenato in armeria - , ma che non baro al gioco e non mi nascondo dietro modi gratuitamente autoritari. Ancora non li ho portati a fidarsi di me, ma ci arriverò padre, è una sfida per me ormai».

«Hai le qualità per risolvere questa difficile situazione Oscar, solo sii prudente: andiamo incontro a tempi bui».

«Me ne rendo conto, padre, starò attenta. Fatelo anche voi, finora siete voi ad avere rischiato davvero».

«Già, - sorrise amaramente il Generale – ma è molto probabile che quell’uomo abbia sbagliato persona, presumo fosse convinto che il generale Bouillé fossi io, era lui che volevano colpire. Potresti sistemarmi il cuscino, per favore? Non riesco più a stare in questa posizione».

«Certo, padre. Va bene così?».

Il movimento strappò una smorfia al Generale

«Scusate, padre, vi ho fatto male».

«Niente di grave e tu non c’entri, Oscar, sono io che tendo a dimenticare che i miei movimenti sono ancora limitati. A proposito di questo vorrei chiederti un’altra cortesia».

«Prego padre, a Vostra disposizione».

«Vorrei che mi aiutassi tu a medicare la ferita. Vedi, il personale di servizio è assai premuroso, è stato istruito a dovere e sa quello che deve fare, ma tende a essere o troppo delicato per timore di far danni o a esserlo troppo poco e temo che il trattamento non corrisponda esattamente quello che i medici hanno consigliato, non vorrei brutte sorprese alla fine. Mi sentirei più sicuro se questa volta, in attesa che il dottore venga nei prossimi giorni, fossero la lucidità e la pratica di un militare a occuparsene, dato che parliamo di una ferita d’arma da fuoco, per quanto non troppo grave».

«Come desiderate, padre. Datemi qualche minuto per procurarmi il necessario e sarò da voi».

Oscar uscì dalla stanza interrogandosi sul silenzio del padre a proposito del comportamento che aveva tenuto al ballo della sera prima, di cui certamente era al corrente. Lo conosceva abbastanza per sapere che mai avrebbe impiegato così tanto per entrare in argomento. In un momento diverso sarebbe montato su tutte le furie per un gesto di sfida così manifesto, invece ora era calmo e Oscar ormai era certa che non era stata la menomazione fisica a evitarle lo schiaffo ma una disposizione d’animo differente dal solito da parte del padre: la piega che aveva preso la conversazione la induceva a pensare che il Generale non si sarebbe più messo di traverso rispetto alla sua carriera né avrebbe più tentato di parlarle di matrimonio: in tutto quel dialogo non aveva fatto altro che dirle tra le righe che la stimava come ufficiale.

Mentre tornava con catino, acquavite, garze e una lunga benda per fasciare il tutto alla fine, non poté far a meno di considerare che, dopo aver esibito per tutta la vita una solidità tetragona che sfiorava l’alterigia, per la seconda volta in breve tempo il Generale si mostrava a lei nella propria fragilità: lo aveva fatto, pochi giorni prima, commuovendosi in sua presenza mentre le chiedeva scusa per la vita che le aveva imposto. E lo stava per fare in quel momento, affidando il proprio corpo ferito alle sue mani. Ne provò un lieve turbamento. Capiva che quegli attimi stavano imprimendo una svolta al loro modo di relazionarsi. Si chiese se il Generale lo stesse facendo consapevolmente o se fosse solo la vita che faceva il suo corso.

Rientrò nella stanza e con perizia e asciuttezza, come avrebbe fatto con qualunque soldato da soccorrere, aiutò il padre a togliere la giacca e la camicia che il Generale aveva già sbottonato in sua assenza, un po’ per facilitarle l’operazione e un po’ per evitarsi il disagio di compiere quel gesto davanti a lei che, soldato o no, era pur sempre una figlia.

Oscar rimosse con mani sicure e con delicatezza la fasciatura.

«Non è un bel vedere, padre, ma si direbbe che sia tutto a posto, non sembra ci siano segni di infezione. Volete uno specchio per constatare di persona?».

Quella domanda, che solo a un militare rivolto a un altro militare sarebbe venuto in mente di fare, fugò definitivamente l’imbarazzo del Generale, gli diede la netta sensazione di trovarsi tra colleghi.

«Grazie, Oscar, sì».

Il generale gettò un’occhiata attraverso lo specchio, che la figlia gli aveva porto, alla ferita non troppo profonda e lontana da organi vitali ma parecchio estesa: «Diciamo pure che mi è andata bene».

«Non occorre che vi avvisi che non sarà un piacere, già lo sapete», osservò Oscar più che altro per avvertirlo che stava per procedere, perché il dolore non lo cogliesse di sorpresa: «Vediamo di fare tutto presto e bene. Solo fermatemi se fa troppo male».

Il generale annuì. E lasciò fare fino in fondo, inspirando una boccata d’aria tra i denti stretti.

«Va tutto bene, padre?».

«Sì, grazie Oscar».

«Dovere, padre. Sono in debito con Voi. Quante volte negli anni avete fatto questo per me!».

Oscar alludeva alle occasioni in cui da bambina si era ferita durante l’allenamento con la spada. Erano i momenti in cui il padre provvedeva personalmente ad assisterla, dal momento che era il suo istruttore. Diversamente, quando accadeva durante il gioco, era Nanny a occuparsi delle sue sbucciature e di quelle di André. Il Generale pensò con rammarico al fatto che, a differenza di quanto aveva fatto lei in quel momento senza darlo a vedere, in quei frangenti egli si era sempre preoccupato più di formare il carattere del futuro Colonnello che di aver riguardo del dolore che doveva provare sua figlia bambina. Ne provò un intempestivo rimorso. Ma pensò che non fosse il caso di mostrare le proprie incrinature al punto da esplicitare a voce quel pensiero. Troppo tardi anche per questo, disse tra sé.

«Quando mi alzerò di qui, sarò del tutto fuori forma. Mi servirà un avversario per rimettermi in allenamento con la spada, Oscar. Conto su di te».

«Anche per quello sono in debito, Padre e di gran lunga. Vi rimetterò a nuovo, promesso. Vi lascio riposare ora, non vi voglio affaticare oltre».

«Grazie, Oscar. Buona serata».

«Buonasera, padre. Se avete bisogno fatemi chiamare».

Oscar si chiuse la porta alle spalle e si lasciò attraversare dal brivido di una imprecisata emozione per quel momento così nuovo tra loro che sapeva di cesura con il passato: capì che il padre aveva accettato la sua presa di posizione e che tacendo quella sera le aveva, implicitamente, ma definitivamente consegnato le chiavi del suo destino: ogni decisione di lì in poi l’avrebbe presa da sola e ne avrebbe portata intera la responsabilità.

Altri scontri sarebbero venuti nella profonda e complessa relazione tra Oscar e il padre, ma sarebbero stati di lì in poi a un altro livello: confronti anche più drammatici, perché destinati a consumarsi tra due persone mature, tra un Colonnello e un Generale sull’orlo di una rivoluzione, se possibile all’interno di un codice d’onore ancora più severo di quello vigente in casa fin lì, ma senza più la subalternità a legittimare uno schiaffo.

Da quel momento in avanti ogni conflitto tra loro avrebbe significato un fossato più profondo e un prezzo più alto che avrebbero pagato senza sconti tutti e due, ciascuno a proprio modo.

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