Ruggine

di MollyTheMole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Londra, un giorno imprecisato nell'anno 1934, notte. ***
Capitolo 2: *** Parte 1, capitolo 1: Danielle ***
Capitolo 3: *** Parte 1, capitolo 1: William ***
Capitolo 4: *** Parte 1, capitolo 1: Carl ed Eveline ***
Capitolo 5: *** Parte 1, capitolo 1: Richard e Jodie ***
Capitolo 6: *** Parte 1, capitolo 1: Joseph ***
Capitolo 7: *** Parte 1, capitolo1: Mercedes ***
Capitolo 8: *** Parte 1, capitolo 1: Mariah ***
Capitolo 9: *** Parte 1, capitolo 1: Christopher ***
Capitolo 10: *** Londra, un luogo imprecisato, tramonto, 1934. ***
Capitolo 11: *** Parte 1, capitolo 2: William e basta ***
Capitolo 12: *** Parte 1, capitolo 2: Anche perché, mia cara, se quel poliziotto è morto, è stato solo per colpa della sua presunzione. ***
Capitolo 13: *** Parte 1, capitolo 3: Non sono invalida, capitano. E' soltanto una vecchia ferita. ***
Capitolo 14: *** Parte 1, capitolo 3: Credo che sia curioso, invece, il fatto che io abbia provato a mettermi in contatto con lei, e che Scotland Yard mi abbia detto di non sapere dove si trovasse. ***
Capitolo 15: *** Londra, 20 febbraio 1934. ***
Capitolo 16: *** Parte 1, capitolo 4: Sono stati altri elementi ad aver preso le decisioni sbagliate. ***
Capitolo 17: *** Parte 1, capitolo 4: Eric Nicholson. Si chiamava Eric Nicholson. ***
Capitolo 18: *** Parte 1, capitolo 5: Non sarò mai in grado di prendere Gordon Van Allen! ***
Capitolo 19: *** Parte 1, capitolo 5: Sei proprio uguale a mia madre, devo dire. ***
Capitolo 20: *** Londra, alba del 16 marzo 1934. ***
Capitolo 21: *** Parte 2, capitolo 6: Ogni contatto lascia una traccia. Conoscete Edmond Locard? ***
Capitolo 22: *** Parte 2, capitolo 6: Vediamo che sai fare. ***
Capitolo 23: *** Parte 2, capitolo 7: Conoscevo il suo alias, ma io puntavo più in alto. ***
Capitolo 24: *** Parte 2, capitolo 7: Codardo un corno. Quest'uomo ha più fegato di tanti altri. ***
Capitolo 25: *** Parte 2, capitolo 7: Era un uomo odioso, e io lo odiavo, come molti altri, del resto. ***
Capitolo 26: *** Parte 2, capitolo 7: Non ho testimoni, naturalmente. ***
Capitolo 27: *** Parte 2, capitolo 7: Sinceramente, non era una persona amabile. ***
Capitolo 28: *** Londra, 17 marzo 1934 ***
Capitolo 29: *** Parte 2, capitolo 8: Se pensate che questo sia abbastanza, è perché non avete ancora visto le truppe di Franco in azione. ***
Capitolo 30: *** Parte 2, capitolo 8: No, ma ne avevo sentito parlare. Il cognome mi era sembrato fin da subito familiare. ***
Capitolo 31: *** Parte 2, capitolo 8: Mi sono salvata solo io. ***
Capitolo 32: *** Parte 2, capitolo 8: Sono sicura che troverai un modo per risolvere tutto questo gran caos. Se c'è qualcuno che può farlo, quello sei tu. ***
Capitolo 33: *** Parte 3, capitolo 9: Se così fosse, l'ipotesi del crimine organizzato acquisterebbe un minimo - e bada bene, minimo - senso logico. ***
Capitolo 34: *** Parte 3, capitolo 9: Mi dia un motivo per cui io non dovrei arrestarla seduta stante. ***
Capitolo 35: *** Parte 3, capitolo 9: Il professor Moore lo stima molto, e francamente anche io. Ha un grande talento. Si chiama Edwin Sutherland. ***
Capitolo 36: *** Parte 3, capitolo 10: Sciocca, stupida e avventata ***
Capitolo 37: *** Parte 3, capitolo 10: Un esperimento scientifico. Con i proiettili. ***
Capitolo 38: *** Parte 3, capitolo 11: In fondo, la protezione non è nient'altro se non una sfumatura dell'amore. ***
Capitolo 39: *** Londra, ore 06:30 ***
Capitolo 40: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Londra, un giorno imprecisato nell'anno 1934, notte. ***


RUGGINE
 

L’unico vero giudice della verità è il tempo.

(Pindaro)

 
 

Londra, un giorno imprecisato nell'anno 1934, notte.

 

Era notte fonda ormai su Londra. Leggere nuvole di nebbia e vapore crescevano negli angoli del vicolo deserto. La strada lastricata riluceva alla luce dell’unico lampione, bagnata dalla pioggia battente. 

Era un orario strano, per andarsene in giro. L’acqua che scrosciava dal cielo non permetteva alle signore facoltose di mostrare la pelliccia nuova, e le strade erano quasi del tutto deserte. Solo qualche taxi e qualche Rolls Royce ritardataria scheggiavano nelle strade sgombre dal traffico, trasportando probabilmente il loro prezioso carico di gioielli e portafogli gonfi di banconote, di ritorno da qualche evento mondano. 

Poi, vicino ad un bidone della spazzatura, c’era lui, in piedi nel buio, in attesa, solo la luce del sigaro ad illuminargli il volto, al riparo dalla pioggia sotto un cornicione in pessimo stato.

L’uomo sbuffò una nuvola di fumo che si mescolò prontamente alla nebbia e all’umidità, mentre si domandava se fosse saggio restare lì sotto ad aspettare che il cornicione, inzuppato d’acqua e fragile, gli cadesse in testa. 

Aspirò di nuovo una boccata di fumo ed espirò, calcandosi bene il cappello sulla fronte.

 Era un orario strano, per l’appunto, e lui non si sarebbe dovuto trovare lì. Sapeva che presto si sarebbero accorti della sua assenza, anche se a casa aveva detto di non aspettarlo alzati. Sicuramente avevano pensato ad una puntata al pub - che aveva effettivamente fatto - o a qualche partita di bridge o poker al circolo.

C’era di buono che lui non aveva mai rivelato quando quel circolo fosse aperto, così nessuno avrebbe potuto controllare.

Il vicolo era fatiscente e puzzava di spazzatura. L’uomo sbuffò, domandandosi quanto tempo ci volesse ancora. Comprendeva la necessità di muoversi con cautela, ed era stato molto attento a non esser seguito, tuttavia non si capacitava di come una persona potente come l’uomo che stava per incontrare potesse nascondersi a quel modo, come un coniglio dentro la tana. 

Aveva in mano l’intera Londra, eppure viveva come un recluso.

Forse, era colpa del nuovo ispettore capo.

Sulle prime, aveva preso la cosa con una risata, quando lo aveva letto sul giornale.

Poi, aveva dovuto smettere di ridere. 

Un rumore improvviso lo fece sobbalzare, e perse definitivamente la pazienza quando si rese conto che un grosso gatto fulvo aveva colpito con la coda un barattolo di latta abbandonato mentre giocava con un topo morto.

- Chi è là?- chiese, la voce resa aspra da anni di fumo. 

Un sonoro "miao", quasi fosse la risposta alla domanda, rimbombò nel vicolo.

- Ah, stupidi gatti.-

E una bottiglia di vetro scheggiata si infranse, atterrando vicino al gatto che, spaventato, se ne andò soffiando e abbandonando il topino al suo destino. 

L'uomo nel vicolo prese a camminare avanti e indietro, nervoso. L'orario indecente poteva creare sospetti e non aveva prove del fatto che quelle case brutte e fatiscenti fossero effettivamente abbandonate. L'aria gelida che entrava nei polmoni gli rendeva ogni passo sempre più doloroso, ma doveva aspettare. 

Se tutto fosse filato liscio sarebbe stato il più grosso affare della sua vita.

- Dico, hai intenzione di farci scoprire?-

Un uomo dal volto immerso nell'oscurità, tarchiato, con gli abiti sporchi forse di olio, era comparso sulla porta. Attaccato alla maniglia, quasi dovesse evitare che l'uscio cadesse, lo stava fissando. Non poteva dirlo con certezza, dato che non riusciva a vederlo in volto, ma sentiva il suo sguardo addosso, pronto a notare qualsiasi dettaglio. 

Come un'arma, ad esempio, ma si era guardato bene dall'indossarla. 

Sapeva che un simile oggetto avrebbe potuto mandare a monte tutto.

- Suppongo che lei non sia…-

- Taccia!-

La veemenza del sibilo con cui l'uomo grasso gli aveva risposto lo aveva fatto sussultare.

- Mio padre è dentro. Prego, venga.-

Sapeva che "padre" era probabilmente un modo per parlare di lui e non destare sospetti.  Seguì l'uomo all'interno dell'edificio più brutto e cascante che avesse mai visto. Scese una scalinata di legno, completamente buia, a cui mancavano delle assi, e dovette appoggiarsi al muro per evitare di mettere un piede in fallo. Il corrimano, spezzato in più punti, non era decisamente affidabile. L’unico lume era la vecchia lampada a cherosene che l’uomo grasso ed unto teneva nella mano destra, mentre con la sinistra si appoggiava al muro, non tanto per reggersi, quanto per distanziarsi da esso ed evitare che la grossa pancia lo facesse rimbalzare nella direzione del corrimano. Dalle travi sottili - forse troppo sottili, pensò, guardandole criticamente - pendevano ragnatele talmente grosse da sembrare zucchero filato.

Ancora una volta l’uomo si chiese come fosse possibile essere così potenti e vivere in un simile tugurio.

O forse non ci viveva e quel luogo era solo una copertura, un ritrovo per concludere affari lontano da occhi indiscreti.

Un tonfo sordo gli fece supporre che la porta, già in bilico sui cardini, fosse caduta definitivamente mentre loro due scendevano le scale, diretti ad un seminterrato. Una porta un po' più curata ed ornata di un lucido pomello di ottone, dipinta di fresco con una lucente vernice verde mela del tutto inadatta alla casa, fu aperta con un leggero cigolio.

- Capo, è arrivato.-

- Lasciaci, Tibbs. Signore, finalmente la conosco di persona.-

- Il piacere è mio, signor…-

- Silenzio. Qui anche i muri hanno orecchie, non so se mi spiego.-

Si toccò il naso, guardandolo astutamente.

Tutto sommato non se lo era aspettato così. L’ambiente di certo non aveva contribuito a dare l’idea del signore che aveva davanti. Non aveva saputo se aspettarsi un completo sciatto o un raffinato signorotto, e quello che aveva di fronte era esattamente una via di mezzo tra i due. Era un bell’uomo, niente da dire, dai capelli ramati finemente pettinati e dalla barba fatta di fresco. Emanava un leggero profumo di acqua di colonia e i suoi abiti erano di eccellente fattura, ma non era appariscente, stravagante, opulento. 

Pensò che, se fosse stato in lui, con tutti i soldi che aveva, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato comprarsi un orologio da centinaia di sterline. Una bella patacca dorata da mettere in mostra, ogni volta che aveva bisogno di leggere l’ora, o magari anche qualche volta in più. 

In fondo, a che serve essere ricchi se non lo si dimostra?

Lo osservò fare un cenno piuttosto perentorio ad un secondo uomo, vestito meglio del primo e dall’aria più raffinata, anche se dava l’impressione di essere talmente grosso da strappare le cuciture del vestito, ed osservò questo versare placidamente del liquido ambrato in un bicchiere.

- Mi hanno detto che vuole mettersi in affari con me.-

- Esattamente.-

Lasciò che l’uomo lo scrutasse con il suo sguardo indagatore. Si era aspettato una valutazione del genere. In fondo, è normale per un uomo come lui soppesare i propri collaboratori prima di renderli tali. 

Una mossa sbagliata, e tutto il suo impero crolla.

E lui finisce sulla forca.

Lasciò che le sue iridi color caramello scivolassero sulla sua persona e continuassero a scrutarlo. Certo, il colore era caldo ed accogliente, ma la sua espressione, il suo sguardo era tutto fuorché amichevole. C’era qualcosa, nei suoi occhi, che tradiva un animo di pietra ed una spietatezza fuori dal comune.

- Per quale motivo un uomo come lei, dalle grandi possibilità, vuole mettersi in affari con un mascalzone come me?- disse, e rise, come se la cosa lo divertisse.

- Per lo stesso motivo per cui lei è diventato un mascalzone, per dirla con parole sue.-

Si fissarono negli occhi. 

L'uomo si era aspettato quella risposta. Aveva sentito molto parlare dell'individuo che gli stava davanti. In generale, gli avevano fatto un gran bel ritratto. Spregiudicato, aggressivo. Uno che non si fa troppi scrupoli, quando si tratta di risolvere i problemi. 

Però sapeva costruire, e, soprattutto, sapeva nascondere bene i materiali scadenti che acquistava dietro ad una bella struttura architettonica. 

Sembrava promettente.

Talmente promettente da non avere bisogno di lui, forse.

Quando si è così intraprendenti, il rischio è di trovare concorrenza.

E la concorrenza, si sa, è sempre meglio averla come amica che come nemica. 

- No, lei è qui perché teme di pestarmi i piedi.-

- Sa com'è, cerco di trarre profitto dalle situazioni di svantaggio.-

Spudorato ed avventato. Si trovava nel suo territorio, nel suo covo, e si permetteva di fare il gradasso, come se tutto il mondo fosse ai suoi piedi. Narcisista e prepotente, proprio come glielo avevano descritto. Insomma, un vero mascalzone. 

E sapeva per certo che due mascalzoni, narcisisti e prepotenti, alle lunghe finivano per scontrarsi. 

In altre circostanze, avrebbe dato ordine al Macellaio di fare fuoco seduta stante.

Tuttavia, di tutte le esperienze che gli mancavano, costruire era una di quelle da cui non voleva assolutamente esimersi. Certo, avrebbe potuto mettersi in proprio, e quell’ometto prepotente lo sapeva. Così, era venuto da lui, prima che lo usasse come prestanome dopo. 

Apprezzava l’intraprendenza, e, nonostante stesse subodorando la fregatura, non poteva non scorgere la possibilità di acquisire un ottimo partner nel mondo del crimine.

E lui aveva un'arma che il suo interlocutore non possedeva.

La fama. 

E decise di sfruttarla.

- L'affare che lei è venuto a propormi… Si tratta di…-

- Semplice.-  fece, interrompendolo. 

Dovette trattenere il Macellaio con un cenno malcelato della mano sotto il tavolo.

- Io metto la firma, l'assistenza tecnica, legale… Copro l'affare sul piano burocratico, insomma, e faccio passare i suoi dipendenti, chiamiamoli così, come miei.-

- E che ci guadagno io con questa cosa?-

- Dividiamo a metà le spese e i proventi della vendita. Nessuno saprà nulla del nostro accordo e lei farà soldi facili.-

A metà? 

Si mise a ridere.

Ma che, era matto?

- Se lo scordi.-

Il suo interlocutore rimase di sasso. 

Gli era sembrato un affare promettente, quando lo aveva progettato, e non gli era nemmeno passato per l’anticamera del cervello che, a quell’uomo, la metà non sarebbe bastata, nemmeno lontanamente. 

- A queste condizioni faccio prima a mettermi in proprio.- e lasciò che i suoi occhi color caramello indugiassero sull’espressione di malcelato stupore sul volto di quel piccolo mascalzone in erba.

- Voglio i due terzi, e una percentuale sugli appalti. Il resto è suo.-

- Non mi ci resta praticamente niente.-

L’uomo allargò le braccia e si dondolò sulle gambe posteriori della sedia.

- Allora, ognuno per la sua strada. Ci vedremo tra qualche mese, quando mi sarò deciso a mettermi in proprio.-

L’imprenditore rimase a fissare quel farabutto patentato. Che cosa si era aspettato? Del resto, era di lui che si stava parlando, mica di qualche picchiatore da bisca clandestina. Questo qua era un pezzo grosso, ed era normale che da pezzo grosso volesse essere trattato.

Stava a lui scegliere il modo migliore per non pestargli i piedi e continuare a lavorare, magari traendo qualche profitto.

E pensò che in fondo avrebbe guadagnato abbastanza risparmiando sui materiali e gestendo tutte le gare di appalto che avrebbe vinto, adesso che c’era qualcuno a truccargliele. 

Con quel terzo che gli restava, avrebbe fatto dei gran bei soldini, e come inizio non era di certo male.

Appunto, come inizio.

Chissà che dalla collaborazione non potesse nascere un rapporto un po’ più fiducioso, e che per lui non ci potesse essere “un terzo” un po’ più grosso.

E poi, lui era furbo. Era bravo. Con questa proposta, aveva fatto un colpo da maestro. 

Poteva quasi diventare più bravo di quel mascalzone ordinario.

Con un orologio d’oro massiccio in tasca.

- Andata.-

Gli occhi caramello si illuminarono, convinto di averla spuntata.

- Bravo. Vedo che è un uomo ragionevole.-

Seduti l'uno dirimpetto all'altro, i due si stavano scrutando, avvolti nella penombra. Il terzo uomo grosso e muscoloso, che fino ad allora era rimasto seduto in un angolo, al suggerimento del capo si alzò dalla sedia e si diresse verso un tavolino sgangherato alla parete di fondo. 

- Doe.-

L’uomo annuì, prese i due bicchieri di whisky, ne porse uno con garbo al proprio capo e tese l'altro all’uomo. 

- Spero che le piaccia il whisky.- fece questo, gli occhi brillanti come il liquido ambrato nel suo bicchiere.

- Non mi dispiace.-

- Purtroppo è tutto quello che ho. La vita del mascalzone non concede molti lussi.- e rise di nuovo. 

Il suo compare sembrava divertirsi, e l’imprenditore pensò che fosse meglio sfruttare l'occasione, finché riusciva. Sorrise e bevve un sorso. Il sapore forte del whisky invecchiato gli riempì la bocca e una sensazione di piacevole bruciore scese lungo la gola. Schioccò le labbra soddisfatto.

Era vero, pensò. La vita del mascalzone non concedeva molti lussi, ma un buon whisky a portata di mano, evidentemente sì.

- Sa che cosa succede se lei cerca di alzare la testa, vero?-

Eccome se lo sapeva, ma aveva deciso di relegare quella conversazione ad un momento successivo. In fondo, se giocava bene le sue carte, poteva anche fregarlo, quel damerino ordinario dagli occhi color del whisky.

- Non mi interessa rompermi l’osso del collo.- fece dunque, abbassando il bicchiere ancora mezzo pieno sul tavolo ed ammiccando all’uomo pieno di muscoli dietro di lui.

- I suoi picchiatori sono ben allenati. Pugilato?-

Quel Maciste digrignò i denti.

- Anche io ho dato qualche pugno, tempo addietro. Qualcuno lo sferro anche adesso, ma di solito devo stare attento a non farmi prendere. Il pugilato è molto più divertente. Ci si può spaccare la faccia autorizzati per legge. Non c’è niente di meglio. Forse, nemmeno la polizia può prendersi più libertà!- e rise mentre vuotava il bicchiere di whisky.

Il mascalzone rimase a guardare quel poveretto, perché in nessun altro modo poteva essere definito.

L’avrebbe sfruttato, finché gli avesse fatto comodo. Poi, gli avrebbe dato il benservito. Non era il primo pallone gonfiato che pretendeva di mettersi in affari con lui, e tutti avevano avuto la stessa, pessima idea.

Provare a fargli le scarpe.

E lui, invece, aveva fatto loro la festa.

- Contento lei. Mi basta che sappia che cosa l'aspetta.-

- Ne sono perfettamente al corrente, grazie. Temo però che ci sia un ma.-

All’uomo venne da ridere.

- Pure?-

- Certo. Mi giunge voce che è ricercato da Scotland Yard.-

Il capo rise di un riso sussultorio ed evidentemente molto divertito. Batté entrambe le mani sul tavolo e rispose:

- E se ne preoccupa?-

- Da quando c'è il nuovo ispettore capo, sì.-

Già, il nuovo ispettore capo. Un elemento niente male, davvero, anzi, osava dire che si era trattato di un acquisto eccellente. Da quando era arrivato, aveva risolto un bel po’ di grane che Scotland Yard si stava portando dietro da anni, come il furto irrisolto dai Mason, o l’avvelenamento all’Embankment. Tutti avevano un unico filo conduttore.

Il veleno l’aveva fornito lui, e la refurtiva dei Mason era stata in bella mostra sopra il camino di casa sua, almeno fino a che non aveva deciso di farla ritrovare, pur di togliersi quella zecca infernale dai piedi. 

Fin dal primo momento in cui l’aveva intravisto, l’aveva associato ad una volpe. Pelo rosso, volto affusolato, occhi penetranti. E un cervello da far paura.

Sapeva che era soltanto un caso se il nuovo ispettore non aveva fatto ancora due più due, e sapeva anche che, se voleva preservare la sua posizione privilegiata all’interno della malavita di Londra, doveva guardarsi da quella volpe e prendere delle contromisure, affinché non nuocesse più ai suoi affari.

- So perfettamente di cosa è capace il nuovo ispettore. Ci sto già pensando io.-

- Ah, sì?- chiese all'improvviso l’altro, poco convinto.- E come, se posso?-

Il capo abbozzò un sorriso sarcastico.

Aveva una mezza idea, in effetti, un embrione di piano che contava di mettere ben presto in atto. Gli era giusto capitato un nuovo elemento tra le mani, un soggetto che prometteva bene tanto quanto quel piccoletto antipatico, solo meno tronfio e pallone gonfiato. 

Se rendeva bene tanto quanto prometteva, avrebbe avuto a breve un incarico molto interessante, che, nemmeno a dirlo, aveva a che fare con il nuovo ispettore capo di Scotland Yard. 

L’avrebbe sistemato per benino.

Col cavolo, però, che l’avrebbe detto al suo nuovo amico.

Gli lanciò un’occhiata eloquente. 

L’uomo comprese che non avrebbe mai avuto una risposta a quella domanda, e la cosa quasi lo divertiva.

Il grande capo voleva avere dei segreti. 

L'uomo prese il bicchiere e lo sollevò.

- Allora un brindisi alla nostra alleanza. Che ci frutti come deve.-

Il capo afferrò il suo bicchiere e fissò intensamente l'uomo che gli sedeva davanti.

- Che frutti come deve.-

Era infine giunto il momento di separarsi. L’uomo unto e grasso aprì la porta e fece per scortare l'ospite di sopra. 

- Un momento!-

I due si fermarono sulla soglia verde mela.

Non riusciva proprio a togliersi quella sensazione di amaro in bocca che, forse, cercava di suggerirgli che aveva concluso un affare non così buono. 

- Si ricordi che la riuscita dell'accordo dipende solo da lei.- aggiunse, con lo sguardo più freddo che potesse esprimere. 

L’ammonimento fu liquidato con un cenno di assenso e l’uomo fu scortato fuori, nel vicolo buio, umido e nebbioso.

Con sua grande sorpresa, la porta non era ancora caduta, e neppure le mani nerborute della sua scorta riuscirono a demolirla, quando la chiuse definitivamente. 

Aveva smesso di piovere.

 

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Capitolo 2
*** Parte 1, capitolo 1: Danielle ***


PARTE I

 

 

 

Mi nutristi, mia terra,

perché luce io fossi all’Ellade 

e di morire ora non ricuso.

[…]

Fiamma del giorno,

bagliore di Zeus,

altra esistenza altra sorte

vivremo.

Addio, luce amata!

 

Euripide, Ifigenia in Aulide. 

 

 

1.

 

Londra, 1936

 

Danielle. 

 

Si passò una mano sugli occhi con un sospiro. 

Per quale motivo dovevano scrivere gli annunci con caratteri così minuscoli?

Rinunciando a contare sulla propria vista e con gli occhi che bruciavano come se ci fosse colata dentro l’acqua di mare, afferrò la lente di ingrandimento da tavolo e la lasciò cadere senza troppi complimenti sulla pagina delle offerte di lavoro.

Le sue finanze non avevano di certo bisogno di qualcuno che se ne occupasse a tempo pieno, e lei non poteva restare ad ammuffire in casa per l’eternità, anche se, tutto sommato, il pensiero la allettava. 

Avvicinò la lampada al giornale, come se ciò servisse ad ingrandire i caratteri, o a vederci meglio, ma il risultato non fu dei migliori. Si sentiva la testa pesante e le palpebre arrossate le bruciavano per averle sfregate troppo. 

Si lasciò cadere con la schiena sulla poltrona, ad occhi chiusi, cercando di distendere i muscoli tesi del viso.

Maledetta insonnia.

Due anni. Erano già passati due anni. Sulle prime non se ne era accorta. Aveva avuto troppe cose a cui pensare. Il funerale, innanzitutto. Poi, annullare tutti gli inviti, avvisare il parroco che il matrimonio non si sarebbe celebrato, cancellare le convocazioni, e soprattutto rispondere ad una marea di telegrammi. 

E’ incredibile quanti ipocriti ci siano in circolazione. Aveva ricevuto le condoglianze da persone che non vedeva da una vita, alcune di esse non erano di conseguenza state invitate al matrimonio e non avevano nemmeno avuto la decenza di esentarsi dal manifestarle il proprio risentimento per tale mancanza, seppur tra le righe. 

Nessuno tra questi, nemmeno a dirlo, si era presentato al funerale. 

Grazie al cielo sua madre e suo padre si erano assunti l’arduo incarico di rispedire altrettanto educati telegrammi, dove per lo meno l’invito ad andarsene a quel paese seguiva il registro dei mittenti, e non quello più diretto e forse volgare di Danielle.

Insomma, era di certo più educato rispondere con un allusivo spero di rivederVi presto. Del resto è così tanto che non ci incontriamo che con un più diretto Grazie e a mai più rivederci

Quando era stato tutto finito, poi, era calata la notte. 

Non aveva più avuto un motivo per alzarsi dal letto, per mangiare, per dormire, neppure per lavarsi. La sua carriera era finita esattamente come la sua vita privata. Lei era finita. I primi due mesi li aveva passati chiusa al buio dentro la sua casa, mangiando quando aveva fame, bevendo quando aveva sete, senza soluzione di continuità. La spesa, gliela consegnava l’ortolano sulla porta, a cui lei lasciava una piccola busta con gli spiccioli sotto lo zerbino. Dopo mesi di assoluto silenzio, i suoi genitori erano venuti a trovarla, preoccupati, e lo stato in cui l’avevano trovata di certo non aveva contribuito ad alleviare le loro pene. 

Due anni d’inferno, ed era dire poco. 

Adesso, Danielle era seduta alla sua scrivania, nel suo studiolo nel piccolo appartamento di Queen Victoria Street, nuovamente spolverato ed apparentemente in ordine, alla ricerca di un annuncio che potesse soddisfare le sue esigenze.

Anche lei sembrava perfettamente in ordine. Aveva da tempo rinunciato alla veste da camera per un più comodo e composto abbigliamento domestico. Si pettinava tutte le mattine. Faceva colazione ed in generale attendeva i pasti come tutte le persone normali. 

Se l’apparenza, però, poteva essere normale, dentro di lei la ferita era tutt’altro che richiusa. 

Con i polpastrelli poggiati sulle tempie, osservò la pagina di annunci, parole piccole come tante formiche. 

Un posto da cameriera sull’Embankment. Non che la cosa la facesse impazzire di gioia, ma almeno sarebbe uscita di casa e avrebbe guadagnato due soldi per sé. Non avrebbe potuto gravare per sempre sulle spalle dei suoi genitori.

Ecco, quella invece sembrava una buona occasione. Un posto da bibliotecaria. Niente male. Chiusa in archivio tra libri muffosi, sola e con qualche topo avido di inchiostro a cui lei avrebbe ben presto dichiarato guerra. 

Nascosta alla vista, lontano dagli occhi indagatori della gente.

Ci aveva provato, oh, sì, che ci aveva provato. In un estremo tentativo di riprendere in mano la sua vita, era uscita di casa ed aveva chiesto lavoro in una pensione come donna delle pulizie. La proprietaria l’aveva guardata perplessa, e poi era scoppiata a ridere.

- Tu? Adesso ti comporti come tutti i comuni mortali, eh? Ma guardatela, qua a chiedere un comunissimo lavoro, come tutti noi pezzenti che hai sempre criticato!-

Danielle avrebbe tanto voluto avere la forza di protestare. Non aveva mai avuto da ridire sulle occupazioni delle altre persone. Non gliene era mai importato nulla. Semplicemente, lei non si sentiva adatta a svolgerle, ed aveva preferito cercare la propria strada altrove. 

Non aveva detto nulla di tutto ciò, però. Le parole le erano morte in gola, così come la sua speranza di poter ricominciare, di poter fare una vita normale.

- Vattene.- le aveva detto invece il proprietario, togliendosi gli occhiali dalla punta del naso camuso e guardandola con gli occhi carichi di odio. - Di spostate, qua dentro, non ne vogliamo!-

Sua nonna aveva avuto ragione, ancora una volta. Ricordati, Danielle le aveva detto tanto tempo prima, mentre sferruzzava attenta sulla sua sedia a dondolo, più in alto volerai, più male ti farai quando cadrai.

Lei non era caduta, era precipitata, schiantandosi al suolo come un meteorite e bruciando tutto l’ambiente circostante.

Che cosa le faceva credere che le cose sarebbero cambiate, adesso? Poteva veramente contare sulla memoria corta della gente? Se fosse uscita di casa, sarebbe stata un’estranea agli occhi degli altri, o si sarebbero tutti ricordati di lei?

In quei due anni, era passata dall’intorpidimento alla disperazione, poi, in ultimo, aveva vissuto una fase di fluttuazioni morali poco salutari, ed era stata capace di passare dalla più sincera tranquillità alla rabbia più violenta. In quel momento, un moto di stizza le colpì la bocca dello stomaco, spingendola a chiudere con forza il giornale e a gettarlo senza troppi complimenti nel cestino della carta straccia, assieme ad altri che erano incorsi nella stessa sorte. 

Non cambierà mai niente.

Si assestò sulla sedia, convinta di esservi rimasta seduta talmente a lungo da aver scavato un solco nell’imbottitura. 

La posta. Poteva lasciare perdere il lavoro, le persone e la società, ma le casse dei contribuenti, quelle no, era un suo dovere civico riempirle. 

Sorrise. In fondo, una parte di lei credeva ancora nelle istituzioni.

Sfogliò il plico di lettere che giaceva in bell’ordine sulla scrivania. C’era la corrente elettrica da pagare. Aprì la busta con un tagliacarte e si fermò per un momento ad osservare la lama sottile con occhi vitrei. Poi, scosse la testa e conficcò il coltellino con troppa grinta dentro la busta.

Aveva tutte le ragioni per diffidare dei soggetti preposti alle istituzioni. In fondo, chi l’aveva aiutata?

E’ stata tutta colpa loro.

Era colpa loro se lei ancora si svegliava sudando e gridando a gran voce il suo nome. Era colpa loro se ancora vedeva la luce infondo ai suoi occhi spegnersi, ogni notte. 

O forse, era solo un modo come un altro per ignorare il fatto che, invece, era stata tutta colpa sua. 

Osservò la cifra sulla bolletta, mentre si accarezzava il polso sinistro con noncuranza. Vi era ancora la cicatrice, un segno bianco largo e diseguale, come se avesse preso il sole con un orologio da polso. Forse non sarebbe mai andata via, e tutto sommato non le importava. 

Gettò la bolletta da parte e riprese a scorrere la posta. Una lettera da un suo amico del college. Quando mai aveva avuto amici, a Cambridge? Un buono del parrucchiere. Tanto non ci sarebbe mai andata comunque. Il conto dell’ortolano. Ecco, questo doveva saldarlo, anche se doveva chiedergli di aumentare il quantitativo di patate. Ultimamente era stato un po’ restio a consegnargliele.

Il Times del giorno. Un’altra pagina di annunci.

Ancora.

Cercò di farsi forza, ma non appena aprì il giornale alla ricerca della pagina giusta una striscia di carta colorata le cadde fluttuando sulle ginocchia. 

Danielle alzò un sopracciglio, pensierosa, mentre leggeva la pubblicità. 

Stando ai caratteri cubitali con cui aveva provveduto a far stampare il volantino, l’agenzia di viaggi Sanders, fresca di apertura, stava promuovendo un viaggio in Scozia, in un posto chiamato Loch Awe. Con un’ultima esortazione, il cui linguaggio sembrava a Danielle di cattivo gusto, l’agenzia invitava a partecipare e a prenotare la propria stanza in fretta, prima che i posti fossero esauriti.

Danielle osservò il biglietto alla luce della lampada, stringendolo tra le dita.

Con tutta la carta che aveva appena cestinato avrebbe potuto ripiantare la metà dei boschi dell’Essex. 

La striscia di carta colorata stava quasi per raggiungere le altre sue infelici compari nel cestino della carta straccia quando qualcuno suonò alla porta.

Scocciatori, contro i quali Danielle aveva una tecnica consolidata. 

Prima o poi, si stancheranno.

Lo scocciatore di turno, però, non sembrava avere intenzione di darsi per vinto. Dopo ripetute scampanellate senza ottenere risposta alcuna, era passato alla combinazione di campanello e leggeri colpi alla porta. Quando vennero ignorati anche quelli, i colpi si fecero più intensi e sonori e il campanello prese a trillare troppo a lungo per i gusti dell’inquilina. Infine, esasperata, una voce di donna prese a chiamare, mentre suonava e bussava a ripetizione, minacciando di mettersi ad urlare se non le avesse aperto.

Danielle sospirò e si alzò dalla sedia.

Non c’era niente da fare. Quando Ruth Marston si metteva in testa una cosa, non c’era verso di farle cambiare idea.

- Danielle cara! Finalmente! Pensavo che tu non mi avessi sentito!-

Ruth Marston era il tipo di persona con cui, di norma, Danielle non sarebbe mai andata d’accordo. Frivola, amante del lusso e delle cose belle, assidua lettrice delle peggiori riviste patinate, aveva un bel corpo e tanto fascino, e lo sapeva usare bene. Era civettuola e non brillava di certo per intelligenza, tuttavia, aveva la dignità e la decenza di saperlo. Ruth era genuina, spontanea e solare, mai falsa o doppiogiochista, non fingeva di essere qualcosa che non era per piacere alla gente. Forse parlava a sproposito, e per qualcuno poteva essere ottusa, ma era sincera, e questa era una dote che Danielle apprezzava più di tante altre qualità. 

Si sentì in dovere di farle un sorriso, e per una volta non le pesò. 

- Hai una cera pessima, lasciatelo dire.- le disse, entrando in casa e spostandola dalla soglia senza troppi complimenti.- Io però ho la cura giusta! Una bella sessione di acquisti! Mettiti qualcosa di carino ed usciamo, vuoi? Ho visto uno splendido vestito rosso ai grandi magazzini, sono convinta che ti starà benissimo!-

Danielle borbottò una piccola obiezione a proposito del fatto che il rosso non era il suo colore, ma Ruth parve non sentirla, mentre la trascinava in camera da letto per il polso sano.

- E’ una vita che ho voglia di rinnovare il tuo guardaroba. Non fai altro che indossare abiti color pastello… No, non dirlo!- disse, alzando l’indice per aria ed interrompendola all’improvviso.- Il pastello dovrebbe essere dichiarato illegale, cara mia. Sembri mia nonna! Largo ai colori vivaci! La moda cambia e le signore con lei!- 

Ruth era invadente, ma sapeva portare il sole con sé. Danielle aveva capito che la sua amica aveva preferito entrare in casa sua come un battaglione di cavalleria piuttosto che adeguarsi alla buona educazione e vedersi respinta alla porta. Capì che le voleva bene, e che lo stava facendo per lei. Apprezzò ancora di più la sua schiettezza e la sua sincerità, ed accettò di buon grado l’abito rosa pastello che le aveva offerto. Non protestò nemmeno quando Ruth commentò con una smorfia che sembrava un confetto.

Mentre si cambiava d’abito e si sciacquava il volto, Danielle scrutò per l’ultima volta la sua immagine riflessa nello specchio. Gli occhi blu pervinca erano cerchiati da profonde occhiaie scure. I ricci rossi le cadevano scomposti lungo il volto. Le guance erano attraversate da profondi segni, indice del dimagrimento improvviso che l’aveva colpita e da cui si stava lentamente riprendendo. Persino la spruzzata di lentiggini che aveva sul naso sembrava una grossa macchia scura a confronto con il pallore della sua pelle.

Chiuse delicatamente il suo abito e si disse che quella, per lei, sarebbe stata l’ultima possibilità.

Avrebbe dato alla vita un’altra occasione, l’ultima. Si sarebbe lasciata guidare dal destino su una rotta diversa. Per una volta, avrebbe mollato il timone della sua nave e si sarebbe fatta trascinare dalla corrente.

Forse, quella pubblicità non era arrivata per caso. 

- Io non riesco proprio a capire che cosa hai contro i colori pastello. Questa sfumatura di rosa fa parte di alcuni dei tramonti più belli del mondo. Che ci sarà mai di male?-

- Semplice, cara. E’ démodé.-

- Démodé, e sia.- fece, infilandosi le scarpe senza troppa grazia ed afferrando una borsetta dall’attaccapanni. - Però io l’abito rosso non lo compro.-

- Ma ti starebbe così bene, cara! Un bel tocco di colore…-

- Sono già abbastanza rossa di capelli, grazie, Ruth.- disse, troncando l’argomento.- Ma posso prendere in considerazione un bel verde, o blu.-

Quelli non erano di certo i colori che la sua amica intendeva proporle, e poteva leggerglielo in faccia. Tuttavia, Ruth realizzò, evidentemente, di aver già compiuto un’impresa convincendola ad uscire di casa, ed annuì, persuasa.

- Benissimo.- disse, prendendo a questo punto Ruth sotto braccio ed avviandosi verso la porta. - Tuttavia, devo chiederti un favore.-

- Tutto quello che vuoi!-

- Ti scoccia tanto se facciamo una piccola deviazione in agenzia di viaggi?-

***

La Tana della Talpa
 

Salve a tutti!
Non ho intenzione di tediarvi, quindi lascio qua giusto qualche indicazione per chi tra voi avrà voglia di continuare a leggere.
Di solito, mantengo la parola data: se pubblico una volta di sabato, allora pubblicherò sempre di sabato. Tutti i sabati. Fino alla fine della storia.
La Tana della Talpa non sarà sempre presente: di solito aggiungo dei commenti ai capitoli che scrivo, ma questa volta ho una mezza idea di farne una vera e propria appendice alla fine di tutto. Considerate, quindi, questo angolino come un'anticipazione dello spiegone che arriverà alla fine.
Vi basti sapere che, in questa storia, i protagonisti sono solo uno strumento per un narratore più grande: la Storia, quella con la esse maiuscola, un contesto predefinito dove i nostri eroi si muovono, si adattano, cadono, sopravvivono e si rialzano. 
Tutti, o quasi.
E con la Storia, il vero protagonista è l'essere umano nella sua essenza. 
Siamo le scelte che facciamo.
Spero sinceramente che questa storia vi piaccia. Questa volta sono qua con una storia originale! E' la prima volta che ne pubblico una, e mi farebbe davvero piacere ricevere un vostro feedback ogni tanto. 

Ringraziandovi per la vostra cortesia ed augurandovi una buona lettura,

sempre vostra,

MollyTheMole. 
 

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Capitolo 3
*** Parte 1, capitolo 1: William ***


William.

 

Quando era successo, la prima cosa che aveva pensato era stata che avrebbero sentito le sue rimostranze. 

Aveva passato tre anni, non uno, ma ben tre anni, in Spagna. Aveva dovuto calibrare ogni passo, ogni mossa, ogni notizia era stata ponderata ed esaminata per almeno tre volte. E lui era stanco, molto stanco. La sua stessa missione si era conclusa in modo ambiguo, senza un vero vincitore, né un vero vinto, lasciandogli dentro un profondo senso di insoddisfazione. Era convinto di aver lasciato un paese sull’orlo dell’implosione, una vera e propria bomba ad orologeria solo apparentemente pacificata. 

Qualcuno lo aveva ascoltato, e dopo tutto il suo impegno avevano proposto di promuoverlo ad ammiraglio. Ne era stato contento. Il suo lavoro sarebbe cambiato, avrebbe passato più tempo a terra, avrebbe avuto modo di impiegare il suo talento strategico in modo più sostanziale. C’era stato solo quel piccolo inconveniente, quella strana indagine su un marinaio affiliato alla malavita, conclusasi in modo spiacevole, ma niente di tutto ciò era dipeso da lui.

Gli errori capitano, e lui, per quanto avesse cercato di rimediare, non aveva potuto farci nulla.

Già assaporava la sua promozione. 

Tutto, però, era esploso come una bolla di sapone.

Niente ammiraglio. Capitano era e capitano sarebbe rimasto. 

Non solo, ma sarebbe dovuto partire subito, secondo i loro calcoli. Immediatamente distaccato, non in Spagna, stavolta, ma sulle coste del Mar Baltico. 

Era stato a quel punto che il capitano aveva detto di no. Aveva chiesto un periodo di congedo prima della partenza, e soprattutto aveva voluto maggiori dettagli sulla sua missione. Era un capitano, lui, e se volevano che restasse capitano non potevano affidargli incarichi superiori al suo rango. In Spagna, era arrivato praticamente a scatola chiusa e si era trovato con una suprema gatta da pelare. Non aveva la benché minima intenzione di ripetere l’esperienza.

In fondo, non chiedeva molto, solo il rispetto per sé e per la sua professione. Erano arrivate le lusinghe: se ti usiamo per incarichi importanti è perché ti stimiamo. Certo, aveva risposto lui, peccato che non si veda mai un riconoscimento e l’unica attestazione di stima sia essere spedito nel Mar Baltico senza nemmeno passare da casa, dopo tre anni lontano.

Alla fine aveva gettato la spugna. Era consapevole che non avrebbe mai ottenuto niente, però aveva preteso quel periodo di congedo, che anche grazie al suo amico Morris era riuscito ad ottenere.

Sbadigliò, mentre il treno per Bristol dondolava con energia sulle rotaie. Si sentiva logorato nel corpo e nell’anima, di una stanchezza profonda che in parte lo spaventava. 

Tornare a casa non avrebbe di certo aiutato. Sua madre era quello che era. Suo padre, forse lo avrebbe visto per qualche ora al massimo prima che sparisse dietro ai suoi affari. Suo fratello era l’unico essere vivente per cui valesse la pena trascorrere del tempo a Bristol. Sentiva il profondo bisogno di pace e serenità, ma sapeva che con i Collins non l’avrebbe trovata. Aveva accettato, a suo tempo, la vita militare con gioia, con la speranza di poter stringere amicizie profonde con i suoi compagni, e così era stato. Soprattutto, era partito con il profondo desiderio di allontanarsi da uno stile di vita che non condivideva, che trovava noioso, antiquato ed in particolare appariscente. 

I baronetti Collins cercavano in ogni modo di scalare i ranghi dell’alta società, presenziando a tutte le cene importanti, stringendo amicizie - se così si potevano definire - con i principali lord del paese. Tutto quello che però William riusciva a vedere era una fitta rete di relazioni interessate, scevre di ogni lato umano ed emotivo, dove un legame valeva fintantoché era utile, per poi scaricare il malcapitato amico senza scrupoli nel momento in cui non poteva più elargire i favori per cui era stato contattato.

William provava una profonda repulsione per quello stile di vita. Viaggiare per mare gli aveva aperto gli occhi su culture che non aveva mai visto, popoli che non aveva nemmeno sentito nominare. Aveva accresciuto se stesso e la sua persona, tuttavia quel sinistro senso di vuoto che si portava nel cuore lo aveva accompagnato dovunque, per terra e per mare. 

Aveva trentotto anni, molti amici, ma nulla di stabile. 

A quel senso di vuoto che faceva parte di lui da che aveva memoria, si era sommato un senso di spossatezza e profondo disagio che lo aveva preoccupato.

Non vedeva più le cose come le vedeva un tempo. Forse era solo l’età, forse la stanchezza e lo stress a cui aveva sottoposto la sua mente in Spagna.

Aveva bisogno di cambiare aria. 

Avrebbe tentato un periodo di pace a casa sua. Se non avesse funzionato, se ne sarebbe andato da qualche parte. 

Il capitano poggiò la testa sul sedile, chiudendo gli occhi. Giocherellò con un riccio biondo, mentre pensava a che cosa avrebbe potuto fare con suo fratello al suo ritorno. Teatro? O si sarebbe accontentato di una semplice pinta al pub? 

Forse anche quella sortita con il fratello sarebbe stata un disastro. Se solo avesse potuto contare su un po’ di privacy! Era pronto a scommettere che sarebbero stati assaltati in un lampo dai giornalisti di cronaca rosa, pronti a scrivere a bizzeffe sul bel baronetto marinaio che assomigliava a Gary Cooper.

La solitudine gli stava stretta, ma in fondo l’isolamento non era male. 

Il suo stomaco brontolò. Aprì un occhio e lanciò uno sguardo all’orologio da tasca. In effetti era l’ora di pranzo, e lui non aveva mangiato nulla da quella mattina presto. 

Forse una puntatina nel vagone ristorante non era una pessima idea.

Si trova sempre un sacco di gente interessante, in treno. Persone che viaggiano per lavoro, coppie che vanno a trovare i parenti. Studiarli è un divertimento. Era facile, bastava sedersi in un angolo con le proprie pietanze e far spaziare lo sguardo sulla gente seduta assieme a lui. Una volta aveva incontrato una giovane ragazza madre con la bambina, in fuga, evidentemente, da un marito violento. Era stato straziante, povera ragazza. Un’altra volta, invece, aveva visto un agente di cambio scappare da dei tipi loschi con cui aveva, chiaramente, debiti di gioco. 

Quello che le persone non dicevano per convenienza, decenza o semplice norma sociale costituiva la vera vita delle persone, e William, da questa verità, era affascinato. Era bravo, in questo gioco, e lo sapeva. Era una delle doti che avrebbero dovuto condurlo alla promozione, o almeno così gli avevano sempre detto.

Erano state dette - e disattese - molte cose, purtroppo.

Fu con questi pensieri in mente che giunse placido nel vagone ristorante, pronto a mangiare un boccone. Si sedette a tavola, distese le gambe con soddisfazione ed aveva appena impugnato il menù con gusto quando udì una voce petulante prorompere in un grido stridulo che lo fece sobbalzare.

Eh, no. Non serviva nemmeno guardare per capire che genere di persona avesse appena cacciato un urlo del genere.

- Oh, giusto cielo! Mildred! Mildred, vieni qua!- 

Una signora con troppo rossetto e un’improbabile pelliccia di visone chiamò la sua amica, che doveva aver fatto un abbondante uso di lacca e bigodini. 

E’ finita la pacchia.

- Guarda, c’è il capitano Collins!-

Nel vagone ristorante esplose un antipatico chiacchiericcio.

- Collins! Ma non era sulla sua nave, da qualche parte nel Mediterraneo? Sai, gira voce - me lo ha detto la cugina della zia del portinaio della parrucchiera- che dovessero promuoverlo ammiraglio, ma che gli sia andata male.- 

E via di questo passo.

Con grande disperazione di William, era chiaro che il suo pranzo, ormai, era saltato e che la situazione stava precipitando.

- Sono una giornalista di Lady Pink! Due parole, la prego!- disse una donna, afferrandogli la mano con dita lunghe e munite di artigli laccati di rosso.

William sorrise con eleganza, cercando di cavarsi d’impaccio, ma ormai l’unica via d’uscita che aveva era quella di filare di corsa giù per il corridoio. 

Sfrecciò senza ritegno in direzione della sala caldaie, ma quando aprì la porta ebbe la peggiore sorpresa che potesse immaginare. 

Sospirò e scosse i ricci biondi, amareggiato. Poi, chiuse la porta e prese a scalare le montagnette di carbone fino alla porta della sala caldaie. Ruzzolò giù per aver messo un piede in fallo, e all’improvviso gli vennero in mente le parole del suo amico Morris.

Bravo, bravo Collins! Non si sposi mai! Non faccia come me! Sono entrato nell’Esercito proprio per star lontano da mia moglie! Quella donna è peggio di una palla di cannone legata ad un piede!

Non che la vita da scapolo concedesse molti agi, almeno a giudicare dalla sua situazione in quel momento.

Bussò educatamente, dopo l’ultimo capitombolo, alla porta della sala caldaie.

Un uomo sporco di polvere gli aprì e sgranò gli occhi.

- Ma, scusi, lei che ci fa qui?-

- Scappo. Lei permette?-

Il macchinista lo lasciò entrare, senza sapere come obiettare. 

- Sa, non è esattamente una cosa comune che io lasci entrare gente in sala caldaie.-

- Evidentemente, io non sono gente comune.-

L’uomo lo squadrò, mentre si grattava il grosso testone calvo e sporco di nero.

- Ma scusi, lei non è quel tipo che sta in Marina?-

William scoppiò a ridere, non seppe dire se per disperazione o per una vera e propria simpatia nei confronti di quel signore tracagnotto e zozzo come pochi altri che avesse mai incontrato.

- Lo vede che mi conosce anche lei?-

L’uomo prese una cassetta di legno che doveva aver contenuto molto carbone in passato, la ribaltò e fece segno al capitano di sedercisi sopra.

- Non sa quanto è fortunato. Che darei io per avere qualche bella pollastrella che mi viene dietro! Invece c’è solo mia moglie, ad inseguirmi con il matterello in mano!-

William finse di solidarizzare con lui, anche se aveva qualche dubbio sulla reputazione del macchinista. A meno che la moglie non fosse gelosa patologica, con molta probabilità aveva più di un motivo per inseguirlo con il matterello sguainato. Tuttavia, non disse niente.

- Se vuole gliene presto qualcuna.- rispose, ammiccando verso la porta da cui era entrato.- Là fuori ce n’è a frotte, se vuole favorire.-

L’uomo sorrise mettendo in mostra il grosso buco di un incisivo mancante.

- Nah, in fondo la mia povera Margaret è una santa donna insostituibile. Dica un po’, dove va di bello?-

William gli spiegò senza dovizia di dettagli che sarebbe andato a casa sua, anche se ne aveva poca voglia.

- Eh, lei è un giramondo, casa sua le va stretta!- disse, gettando una grossa pala di carbone dentro la caldaia.- Le ci vorrebbe una vacanza, eh? Perché non prende questo?- e gli passò una piccola striscia di carta colorata che sponsorizzava un viaggio in Scozia.

Era stato spesso da quelle parti, da bambino, a casa dei nonni. I più bei ricordi delle sue scorrazzate con il fratello erano tutti circondati del verde delle Highlands. 

La proposta era allettante, senza dubbio.

Con fare disinteressato, chiese educatamente come mai non ci andasse lui con la sua Margaret.

- Eh, lavoro io, capitano!- fece, battendosi una mano sul grosso pancione rotondo intabarrato in una salopette troppo stretta.- Questo stomaco va mantenuto, in qualche modo! Tenga pure quella pubblicità, io non me ne faccio niente!-

William ringraziò con un cenno del capo, ed intascò rapidamente la pubblicità.

Considerato che a casa, nel migliore dei casi, sarebbe sopravvissuto per tre giorni al massimo, quel lago cristallino forse sarebbe stato una valida alternativa.

 

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Capitolo 4
*** Parte 1, capitolo 1: Carl ed Eveline ***


Carl ed Eveline.

 

Il suo ufficio era un capolavoro dello stile moderno. Ricordava ancora quando aveva comprato quella casa in pieno centro. Era una mezza catapecchia, all’epoca, non aveva nemmeno le porte e le finestre, ma grazie al suo fiuto per gli affari era riuscito ad accumulare abbastanza denaro non solo per spingere il proprietario a mutare l’affitto in vendita, ma anche per arredarlo di nuovo, dalla testa ai piedi. Erano arrivati i pezzi migliori da tutto il mondo, persino dal Bauhaus. Sulla scrivania di legno scuro e pregiato, in bella vista, aveva messo una lampada art nouveau che spandeva luce colorata tutto intorno. 

Non riusciva a capire che cosa ci fosse di interessante in quelle lampade. Gli sembrava di firmare documenti su carta arcobaleno e la cosa lo infastidiva, ma come ben si sa, un oggetto non vale tanto per la sua praticità, ma per lo status che conferisce. Chi se ne importa se una lampada così infastidisce la vista, l’importante è che dimostri che vale tutti i soldi spesi per acquistarla.

Per terra aveva messo un tappeto persiano. Vero. La sedia in un angolo invece era un vero e proprio pezzo di design Bauhaus, appunto. 

Ovviamente, era riservata agli ospiti. 

Scriveva con una stilografica d’epoca e possedeva un certo numero di armi storiche, in bella mostra nell’armadio nel salone. Sapeva che quelle pistole miravano malissimo, per cui si sentiva abbastanza tranquillo, per non parlare del fatto che le chiavi le aveva al collo e non se ne liberava mai. 

Non si sa mai quale gente può capitare in casa.

Ultimamente aveva fatto in modo che i suoi guadagni aumentassero ancora di più. Aveva messo le mani su un paio di grossi appalti, che gli avevano fruttato un bel gruzzolo che aveva intenzione di mettere da parte per comprare qualche altro pezzo d’arte. 

Seduto alla sua scrivania, stringeva il quotidiano tra le mani cercando di cavare qualcosa di interessante dagli annunci nonostante le luci colorate che venivano dai vetri della lampada. Amava quel momento, in completa solitudine e silenzio, solo lui e i suoi affari, i suoi interessi. Non leggeva mai altro, non riteneva utile né interessante leggere notizie di politica estera o di cronaca nera. Solo la mano, che di tanto in tanto raggiungeva la tazza di tè posata sulla scrivania, era indice della sua presenza. 

Tuttavia, alle volte le notizie di cronaca potevano essere inevitabili. Così, quando aveva scorto una delle notizie riportate a caratteri cubitali sulla prima pagina, e che proseguiva a pagina sette, non aveva potuto fare a meno di leggere. 

Il giornale prese a vibrare violentemente, prima di infrangersi senza ritegno contro la porta del suo studio.

Almeno, là dove avrebbe dovuto esserci la porta. In verità, il giornale colpì dritto in faccia un uomo, alto, allampanato, dall’aria placida e dai capelli perennemente spettinati. Con l’aria di chi sa che queste scene sono solite ripetersi sovente, si tolse le pagine del giornale dal volto con la punta delle dita. Scorse la prima pagina, che era rimasta impigliata nella cravatta, ed intuì il motivo per cui Carl ce l’avesse tanto con il quotidiano del giorno.

- Northwood.- disse, avanzando con le sue gambe lunghe dentro l’ufficio.

- Webber. Bussare è buona educazione, lo sai?-

- Anche consegnare il giornale in mano agli ospiti.- disse, sottolineando il fatto che, invece che un normale passaggio di mano in mano, il giornale gli era arrivato in faccia.

Il contrasto tra i due non poteva essere maggiore. Tanto Carl Northwood era minuscolo e rotondo, tanto Richard Webber era alto e smilzo. Tanto era scuro il primo, tanto era chiaro l’altro. Solo una cosa avevano in comune, ovvero una certa antipatia l’uno per l’altro.

Il destino aveva fatto in modo che le loro strade si incrociassero, e adesso non potevano fare altro che sopportare la presenza del proprio compare, anche se, soprattutto negli ultimi tempi, questo poteva trasformarsi in un compito estremamente arduo.

- Tappeto nuovo?-

- Arrivato qualche settimana fa. Sei pregato di non poggiarci sopra i tuoi sudici piedi.-

Webber si passò una mano nei capelli color paglia perennemente spettinati.

- Sei consapevole del fatto che tua moglie ha fatto mettere uno zerbino all’entrata, e un’altro prima di entrare in sala, vero?-

- Certo. Non so se tu sei capace di usarli, però.-

Webber incassò il colpo con maestria e soffocò un sospiro pesante. 

- Carl?-

- Che vuoi?-

- Eveline.-

Al nome della moglie, Northwood parve cambiare espressione, come se si fosse improvvisamente ricordato come mai quello scocciatore di Webber si trovasse lì. Del resto, anche se la donna aveva avuto diversi problemi di salute in quel periodo, era pur sempre sua moglie, e Carl, da qualche parte nel profondo del suo cuore impietrito, l’aveva amata molto e l’amava ancora. Non amava suo cognato, ma doveva riconoscere che era un buon medico, e l’unica persona che in quel momento potesse offrire ad Eveline tutto l’aiuto di cui aveva bisogno. 

Non che credesse molto nell’attività di Webber, ci mancherebbe altro. Per lui, tutti quei discorsi sull’Io e sulla coscienza erano fesserie, un modo come un altro per scroccare soldi alla gente ignara di essere andata lì a farsi fregare. Sulle prime aveva ingaggiato suo cognato per motivi ben più pragmatici, ma dopo diversi esperimenti - come si dice? Ah, sì, psicologici-  che l’uomo aveva condotto su sua moglie il miglioramento era stato evidente. Northwood, quindi, aveva acconsentito a lasciarlo continuare, nella speranza che il cambiamento divenisse perpetuo.

Non ne poteva più di vederla girare per casa come un fantasma. Era inquietante.

La parcella di suo cognato, però, aveva l’incredibile tendenza a lievitare, e questo Carl non poteva di certo tollerarlo.

Se lo chiamavano come lo chiamavano, un motivo c’era. Come sapeva far lievitare i guadagni lui, non sapeva farlo nessun altro.

- Quali novità?-

- Purtroppo nessuna rilevante. Sta ancora molto male. Le ho prescritto delle gocce di tranquillante, ma deve usarle con criterio. Dovrà assumerle regolarmente e lontano dalle fonti di calore. Il sole potrebbe farla stare male. Inoltre, sarebbe opportuno che te ne occupassi tu. Non vorrei che in un momento di crisi potesse fare delle stupidaggini.-

- Eveline non farebbe mai niente di simile.- proruppe questo, improvvisamente toccato all’idea che la moglie potesse avvelenarsi.- Non è nelle sue corde. E’ una donna forte, o non sarebbe mia moglie. E’ più che in grado di farcela da sola.-

Richard Webber sapeva che quella sarebbe stata una conversazione ardua. Carl non aveva la benché minima intenzione di rassegnarsi all’idea che sua moglie fosse malata a tutti gli effetti e, soprattutto, non contemplava assolutamente l’ipotesi che la causa di tutto quel malessere potesse essere lui.

- Eveline- continuò, tirando su sul naso diritto gli occhiali di corno.- ha un profondo bisogno di attenzione e di affetto, Carl. Non le basta più ciò che il denaro può comprare. Ha bisogno di sentirsi amata, considerata. Tu le hai offerto una vita splendida, ma, lascia che te lo dica, la tratti come una serva.-

- Non sta a te sindacare sul modo in cui io tratto mia moglie!- proruppe il piccoletto, balzando in piedi dalla poltrona ed avvicinandosi a Webber con fare minaccioso.- Questi sono affari miei in cui tu non devi assolutamente entrare!-

- Dico soltanto- continuò l’altro, imperterrito, lo sguardo fisso sul tappeto persiano del cognato.- che forse le farebbe bene un po’ di tempo lontano da ciò che le ricorda la sua famiglia e tutto ciò che ha perso. Ad esempio, perché non le permetti di vedere Jodie? Sono molto legate, le farebbe bene spettegolare un po’, smettere di rimuginare…-

Northwood odiava ammetterlo, ma sapeva che sua moglie aveva bisogno di una tregua. Solo, non voleva concedergliela. Domestici ficcanaso, non ne aveva mai voluti. In casa faceva tutto Eveline, ed era dannatamente brava. Sapeva cosa poteva toccare e cosa no, e quando non lo sapeva imparava rapidamente. Lui non poteva sostituirsi a lei, o non sarebbe più riuscito a fare affari. Assumere qualcuno pro tempore, specialmente in quel frangente, era fuori discussione. Anche un’infermiera in casa sarebbe stata di troppo.

No, Eveline avrebbe dovuto cavarsela da sola.

Vedere la sorella, però, poteva essere una valida alternativa ad una dama di compagnia.

- E sia.- disse quello, tornando a sedersi sulla sedia.- Potrà vedere Jodie ogni tanto, ma bada bene che tua moglie tenga le mani in tasca. C’è roba di valore qui.-

- Jodie ha tanti difetti, ma non è una ladra. Nessuno di noi lo è.- e lo squadrò da sotto gli occhiali di corno, per interpretarne la reazione.

Scherno.

- A giudicare dall’ammontare delle tue parcelle avrei da ridire.-

- Pago un affitto alto. Non posso lavorare gratis.-

Il gelo calò nella stanza, mentre gli occhi di Northwood mandavano lampi e quelli di Webber non si staccavano dal pavimento.

- Se vuoi un consiglio, quando leggi il giornale, buttalo via personalmente. Non darlo a lei. Eveline sa leggere, sai.-

- Eveline non deve leggere, e lei lo sa.-

Webber afferrò la prima pagina che aveva tenuto piegata in grembo per tutto il tempo. 

- Con questi titoli è un po’ difficile non catturare l’attenzione anche del cane più devoto e fedele.- rispose quello, tendendo di nuovo la pagina al suo compare, che esplose in un'eruzione rabbiosa di sputi.

- Chiudi la bocca, razza di demente!-

- Via, Carl, ti si alza la pressione.-

Northwood era traboccante di rabbia, e lo si leggeva anche nelle nocche dei suoi piccoli pugni chiusi. Webber non era uno stupido, e sapeva che tirare troppo la corda con Carl era controproducente. Era piccolo, era vero, ma sapeva essere temibile.

Meglio interrompere la loro diatriba.

- Consiglio l’assunzione di questo- e scrisse una prescrizione su un foglio bianco preso dalla sua borsa.- al bisogno, due gocce. E questo, invece, per dormire e quando ha le crisi più gravi. Dieci gocce, anche meno se possibile. Non di più, può essere pericoloso. La parcella è la solita.- 

Northwood non vedeva l’ora di liberarsi della presenza ingombrante del cognato. Non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia. Quell’uomo era un ricettacolo di ricordi dolorosi che non voleva assolutamente rievocare, ed allo stesso tempo un grandissimo uccello del malaugurio. 

Oh, sì, era convinto che Webber gli avrebbe causato grossi guai, a tempo debito. 

Avrebbe fatto meglio a trovare un modo per liberarsi di lui, ed in fretta.

Per conto suo, Webber non vedeva l’ora di andarsene. Aveva accettato quell’incarico per Eveline, non di certo per Carl, e meno restava alla presenza del cognato, meglio si sentiva. Era un uomo che lo disgustava su tutti i fronti, ed era certo che anche lui provasse una forte antipatia verso i coniugi Webber. 

Non era così stupido da illudersi che sua moglie Jodie, solo per il fatto di essere sorella di Eveline, fosse esclusa dalla lista nera di Carl Northwood.

In questi casi, il suo istinto protettivo gli diceva di filarsela, e fu esattamente quello che fece, inforcando la porta con un cenno educato del capo e sgattaiolando fuori a tutta birra prima che Carl cambiasse idea.

Contento di essersi tolto quell’impiccio, Carl si sedette di nuovo alla scrivania e raccolse i fogli del giornale precipitati a terra. Stava giusto per mettere mano ai conti della società quando udì un leggero bussare alla porta.

- Eveline.-

- Carl.- disse la donna, con un vassoio colmo di utensili per il tè vuoti.- Sono venuta a prendere la tua tazza.-

- Preparamene dell’altro, per cortesia.- fece, allungandole il piattino senza nemmeno guardarla in faccia ed inforcando gli occhiali da lettura.

Eveline, con la sua magrezza spettrale avvolta nell’abito nero, prese la tazza, ma invece di andarsene, rimase in piedi di fronte alla scrivania del marito. L’uomo la intravide con la coda dell’occhio, ma non era intenzionato a distogliere l’attenzione dai suoi conti.

- Che vuoi?-

- Parlarti un poco.-

- Lo sai che non voglio scocciature quando lavoro.-

Eveline sospirò, gli occhi grigi persi nel vuoto. Le mani le tremarono quando poggiò il vassoio sulla scrivania ed andò a sedersi titubante sulla sedia Bauhaus. 

Northwood sospirò, ma si sentiva magnanimo.

- Parla.-

- Richard mi ha consigliato di passare un po’ di tempo all’aperto, con altre persone. Mi ha detto che, se mi dai il permesso, posso vedere Jodie.-

- Ti do il permesso.-

- Davvero?- disse lei, gli occhi brillanti per un attimo, prima di tornare vitrei e grigi.

Northwood squadrò la moglie, con sospetto.

- Che cosa c’è, Eveline?-

- Sai, caro, mi domandavo… Richard mi ha portato questo, ecco, dice che lo ha trovato fuori dalla porta, che deve essere caduto con la posta. Si chiama Loch Awe, in Scozia. Non sarebbe bello andarci, Carl? Potrei passeggiare, respirare un po’ di aria buona, e…-

- E lasciare gli affari incustoditi?- sbottò Northwood, cestinando con un gesto secco della mano la pubblicità.- Giammai, scordatelo. Fai una passeggiatina in giardino con tua sorella, se proprio hai bisogno d’aria. E poi, costa troppo.-

- Ma è un’offerta, i prezzi sono…-

- Ho detto di no, Eveline.-

E tornò a guardare i suoi conti.

La donna, però, non era pronta a ricevere un no come risposta. Abbassò il capo, mesta, e il labbro inferiore prese a tremare visibilmente. Carl, che, da qualche parte dentro il suo cuore di pietra, provava effettivamente dei sentimenti per la moglie, fu profondamente infastidito da quel labbro tremulo.

- E va bene, andiamo. Ma solo per una settimana! Non posso lasciare i miei affari troppo a lungo!-

Per un attimo, Eveline distese un tenue sorriso sulle labbra. Ritenendo di aver ottenuto abbastanza da suo marito quel giorno, afferrò il vassoio delle tazze sillabando un grazie e fece per andarsene quando, in un impeto di coraggio, gli chiese di bere il tè con lui.

- Solo una tazza. Possiamo parlare un po’, ti va?-

- No.- fece quello, tornando ai suoi conti. 

Eveline sospirò, gli occhi freddi e vitrei, mentre portava via le tazze.

Carl Northwood alzò un occhio dai conti e, con fare mellifluo, gettò il giornale nel cestino, non visto dalla moglie.

 

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Capitolo 5
*** Parte 1, capitolo 1: Richard e Jodie ***


Richard e Jodie

 

- Allora? Com'è andata con Evy?-

La faccia di suo marito parlava da sola. 

Carl Northwood aveva il potere di trasformare Richard in un morto che camminava. Lo sfiniva profondamente. Una volta aveva provato ad analizzarlo, a fargli un profilo psicologico, se così poteva essere definito, ed era stata una lotta impari. Davide contro Golia, dove, a dispetto delle dimensioni, il medico era un ragazzino con la fionda e l’imprenditore un gigante armato fino ai denti. Carl ribatteva sempre, colpo su colpo, l’ultima parola era sempre la sua e, soprattutto, sapeva essere di una maleducazione e di un’aggressività inaudite, quando gli faceva comodo.

Accarezzò con delicatezza i ricci scuri della moglie, appuntati come sempre, con fare modaiolo. Jodie aveva il potere di riportare la felicità in una giornata uggiosa, quando voleva. Amava tutto di lei, dalle piccole civetterie che si concedeva spesso ai suoi pessimi tentativi di essere una brava donna di casa. I suoi piatti erano disgustosi e i suoi ricami diseguali. Le violette che in quel momento stava cercando di ricamare somigliavano di più a crochi rinsecchiti, ma la sua buona volontà era un tratto distintivo, di cui si era innamorato. 

Era per lei, che continuava. Era per lei, che restava in piedi, nonostante tutto. 

Jodie, impetuosa come sempre, batté un piede per terra con stizza.

- Quell’uomo mi rivolta lo stomaco, ogni volta che ne sento parlare!-

- Non è carino, Jodie.-

- Fa vivere Eveline come una reclusa! Sono mesi che non la vedo, ed ogni volta che ci incontriamo mi guarda come se fossi una spia tedesca!-

Richard lasciò andare una piccola risata.

- Ancora con i romanzi a puntate, Jojo?-

Jodie arrossì.

- Che male c’è?-

Suo marito fece spallucce e si sedette accanto a lei sul divano. Era sfinito e si vedeva. Jodie non dubitava delle sue grandi capacità. Era uno psichiatra, del resto, un medico all’avanguardia, e molto bravo nel suo mestiere. Sapeva che aveva tutti gli strumenti per gestire quell’indomito bisbetico che era suo cognato, ma la situazione la preoccupava comunque. Il malessere di Eveline, che era sempre stato latente, adesso era scoppiato come una bomba, ed aveva molta paura per sua sorella. Jodie temeva che potesse farsi male, che potesse diventare un pericolo per se stessa. La reclusione forzata a cui Carl l’aveva costretta dopo gli ultimi avvenimenti non aveva fatto altro che intensificare l’odore di bruciato che il naso sopraffino di Jodie percepiva in tutta la faccenda. Aveva tentato più volte di vederla, con pessimi risultati. Il più delle volte, aveva ricevuto solo un secco no, che non aveva ammesso replica alcuna. In altre occasioni, invece, si era sorbita le sfuriate del cognato, corredate di vari sputacchi e brutte parole. 

Jodie non era una psichiatra, ma reputava di non aver bisogno della laurea per capire che Northwood sapeva essere un uomo pericoloso.

Nessuno meglio di lei poteva saperlo.

- Carl ti ha trattato ancora una volta come una suola da scarpe, vero?-

- Oh, non preoccuparti per me, cara.- disse suo marito, passandosi una mano, di nuovo, nei capelli stopposi.- Ormai so come prenderlo. A volte mi diverto persino a fargli saltare i nervi di proposito.-

- Non scherzare troppo con lui.- disse lei, improvvisamente seria.- Lui non scherza mai fino in fondo. Mai.-

La tensione nel salotto era palpabile. I due coniugi si stavano guardando intensamente negli occhi, e tutto ciò che c’era di non detto, di ambiguo, di inespresso fluì nei loro sguardi e si capirono.

No, era meglio non scherzare con Carl Northwood.

- Tua sorella è una donna molto piacevole, quando lui non c’è.- disse Webber, abbracciando le spalle di sua moglie.- Persino gentile ed affabile. Quando lui è nei paraggi, invece, diventa apatica, guarda il mondo attorno a sé ma non lo vede, mi spiego?-

- Benissimo.-

- Sono convinto, però, che anche Carl stia migliorando, seppur a modo suo. Sai, oggi si è quasi scusato per avermi colpito in faccia con il giornale!-

Le sopracciglia disegnate di Jodie schizzarono fino all’attaccatura dell’acconciatura modaiola.

- La cosa dovrebbe rendermi felice?-

Richard ridacchiò e strinse sua moglie al petto ancora di più.

Jodie, in verità, dubitava molto che Carl potesse evolvere. Fin da giovane aveva sempre avuto quell’aria da gradasso, come se non avesse paura di niente e fosse il padrone del mondo. Le avevano insegnato a diffidare di persone come lui, e anche adesso temeva moltissimo per il futuro.

Quando aveva bisogno degli amici, Carl sapeva dove trovarli. Quando non gli servivano più, invece, era tutto un altro paio di maniche.

Che fine avrebbero fatto loro, quando Carl si fosse stufato di giocare allo strizzacervelli con suo marito?

Se solo Richard non avesse mai accettato quell’incarico! Jodie era fermamente convinta che da quel momento il loro destino fosse segnato. Da quel giorno, era stato Carl a cercarli, ma più ci pensava, più si convinceva che si trattasse solo di un modo per tenerli d’occhio, più che un reale bisogno. 

A Carl importava ben poco di Eveline, dopo tutto. 

- Qualcuno dovrebbe fargli capire che è l'ora di piantarla con i suoi stupidi giochetti.-

Webber non ci mise molto a capire di che cosa stesse parlando sua moglie, e cercò di sviare il discorso da quel terreno scivoloso.

- Jodie, so che sei sempre stata l'unica vera amica di tua sorella,  ma non possiamo farci nulla, e lo sai anche tu.-

La donna sbuffò, liberandosi dal braccio del marito e puntando i gomiti sulle ginocchia, pensierosa.

- Abbiamo sbagliato. Dovevamo tenerci alla larga.-

- Sai anche tu che non avrei mai potuto rifiutare, Jodie.-

E la conversazione finì. Jodie riprese a ricamare le sue violette simili a crochi e Richard rimase con gli occhi bassi, circondati dagli occhiali di corno sporchi e leggermente appannati, intento a guardarsi le scarpe.

Sua moglie aveva ragione, ma era difficile dire all’impiccato di non suicidarsi.

- Ho paura per Eveline. Se Carl non le da un po’ di tregua, e soprattutto, se non si decide a prendersi dignitosamente cura di lei, ho paura che possa compiere gesti estremi.-

- Oh, sono certa che Eveline è troppo assennata per fare una cosa del genere. Conoscendola, mi aspetterei di più che la piantasse con Carl e se ne tornasse nella nostra vecchia casa! Quanto mi manda in bestia quell’uomo! Mi viene voglia di mettergli le mani addosso!-

E i due coniugi tornarono ad abbracciarsi, ma nella mente di Jodie, ormai, i pensieri avevano preso il sopravvento, e non avrebbe trovato pace fino a che non fosse riuscita a scovare un modo per cavarsi  d’impaccio ed aiutare sua sorella contemporaneamente.

Siamo in guai seri, e Richie lo sa. Qualcuno deve far capire a Northwood che deve piantarla, con le buone o con le cattive.

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Capitolo 6
*** Parte 1, capitolo 1: Joseph ***


Joseph.

 

Fece girare il liquore nel bicchiere e ne bevve un sorso, mentre scaldava i piedi vicino al camino acceso. 

L’Inghilterra era un paese bellissimo, ma terribilmente umido. Pioveva sempre, mentre al suo paese nevicava spesso e il freddo era secco. Anche se il clima, in quel momento, era mite, il dottore poteva sentire l’umidità infiltrarsi nelle ossa. Il camino acceso faceva in modo che le sue articolazioni, non più giovanissime, ne risentissero di meno. 

Anche il liquore rappresentava un’eccezione alla regola. Non beveva praticamente mai, anche se non disdegnava un bicchierino ogni tanto con gli amici che aveva là, in Germania. Praticamente non aveva più contatti con nessuno, nella sua madrepatria, e i suoi compagni di bevute erano tutti disseminati in giro per il paese, con incarichi più o meno conformi alla loro formazione medica. C’era anche chi si era buttato in politica, con suo grande rammarico. 

Meglio, qualcuno che si era buttato in politica nella fazione opposta alla sua.

Chi era lui per poter fare la morale, in materia di professione, quando era stato il primo a lasciare la sua carriera in ospedale, anche se aveva avuto un buonissimo motivo?

Osservò la foto sul tavolo da tè davanti al camino e sospirò. Quello era stato il punto preferito di Ute. Si metteva sempre lì, sulla sua sedia, meglio se a dondolo, e leggeva,  o ricamava, o mescolava qualche salsa che non voleva saperne di addensarsi prima di metterla a cuocere. Gli sembrava ancora di vederla, con la sua grande treccia bionda e la veste da notte, la pelle di marmo, le occhiaie e il respiro sincopato. 

Non ce l’aveva fatta a restare dentro la loro casa, a continuare a vivere con la solita routine. La politica e l’apporto che aveva dato al governo l’avevano fatto sentire vivo, come se avesse avuto ancora un motivo per andare avanti. 

Lo smacco era stato grande, e la delusione di dover lasciare il suo paese, senza poter fare più niente, era stata bruciante. 

In fondo, poteva ancora combinare qualcosa, anche dall’Inghilterra. Certo, se si fosse venuto a sapere avrebbe rischiato grosso, ma quello era un affare che riguardava lui stesso e le persone con cui aveva a che fare. Nessun altro doveva sapere. 

Finché la sua cortina di fumo fosse rimasta in piedi, nulla sarebbe cambiato e lui sarebbe stato al sicuro.

Per il momento, si sarebbe limitato a svolgere il suo lavoro all’ospedale, anche se non lo trovava esaltante. Era un chirurgo dotato, lui, e si sentiva sprecato a svolgere analisi post mortem. La carriera di medico legale, inoltre, languiva. A parte qualche caso interessante quando si presentava Scotland Yard a chiedere aiuto - caso raro, perché di solito avevano il loro fidatissimo medico che interveniva-  il massimo che poteva trovare era qualche vecchietto morto per cause naturali da dover aprire per conto del nipote deluso dall’eredità, che millanta avvelenamenti inesistenti. 

E poi, c’era stato lui.

Quella richiesta era stata inaccettabile, come mille altre che gli erano state fatte in precedenza. Durante i suoi primi tempi in Inghilterra, era stato solo un immigrato che parlava qualche rudimento di inglese, non aveva niente e nessuno che potesse aiutarlo, ed aveva pensato che trovare lui fosse un colpo di fortuna. Sulle prime, aveva creduto che la loro amicizia fosse sincera, ma si era accorto ben presto di essersi sbagliato, e di gran lunga, anche. Le sue richieste erano diventate sempre più pressanti, sempre più esagerate. Soldi, soldi ed ancora soldi, sempre di più. In ultimo gli aveva chiesto persino farmaci, di rubare sostanze dall’ospedale. 

Joseph aveva mille difetti, ma il furto e il disonore che ne derivavano non rientravano sicuramente tra questi. 

Aveva risposto con un secco no, e le carte in tavola si erano voltate con rapidità. Dall’amicizia, dalle promesse, dall’inserimento nella società inglese, così come aveva detto il suo interlocutore, si era passati a minacce, aggressività, specie verbale, e diffamazione in pubblico. Aveva rischiato il suo posto in ospedale, che a fronte delle accuse mossegli aveva chiesto dei chiarimenti, e dopo aver subodorato che l’aria non era ancora una volta propizia per lui, si era dedicato anche alla libera professione, visitando a domicilio.

Almeno finché, qualche giorno prima, non aveva trovato qualcuno ad aspettarlo sulla porta.

Erano in tre, ad essere del tutto onesti, e grossi come armadi, ma Dietrich aveva da tempo capito che più grossi erano, più erano anche impacciati e goffi, e la cosa di solito si accompagnava ad una buona dose di stupidità. Tanta forza e poca strategia.

Era un tedesco, immigrato e politicante, per non dire medico. Le domande che riceveva più di frequente erano se fosse fuggito perché ebreo oppure se fosse parente della famosa attrice Marlene Dietrich. All’inizio aveva risposto con calma, ma alla fine aveva perso la pazienza e la sua personalità algida e scorbutica aveva preso il sopravvento. No, non era ebreo, anche se in Germania era il modo migliore per diffamare qualcuno, e no, Marlene Dietrich non era nemmeno sua lontana parente. Sapesse la gente quanti Dietrich ci sono in tutto il territorio tedesco, la smetterebbe di fare domande stupide. 

Per questa e per molte altre ragioni, non c’era da stupirsi se Joseph Dietrich sapeva fare a pugni in modo decente. 

La fasciatura alla mano era stata l’unica conseguenza. In fondo, una sbucciatura sulle nocche era inevitabile, quando si centra il naso di tre energumeni di sessanta chili per gamba, per di più picchiatori di professione.

Il fuoco illuminava il profilo quasi albino del dottor Dietrich, lanciando bagliori fieri nei suoi occhi chiarissimi. Bianchi i capelli, bianchi i baffi, bianchi i denti e bianca la pelle, bianche le unghie che sfioravano con inaspettata delicatezza il bordo del bicchiere. 

No, non è così che si trattano gli amici.

La fiammella, lentamente, si ridusse, mentre l’ultimo pezzo di carta bruciava allegramente nel fuoco, con sua massima soddisfazione. Quel biglietto era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, la summa dello squallore di quell’uomo.

 

Ho bisogno del tuo aiuto. Vieni subito. Sarai lautamente ricompensato.

 

Aveva ignorato quel biglietto, sulle prime. Poi, aveva letto i giornali ed aveva capito di che genere di aiuto avesse avuto bisogno. 

Ringraziò il cielo di non essersi prestato a quella sceneggiata. 

Ci sono tanti modi di uccidere una persona. Si può farlo fisicamente, o si può annientare qualcuno nella sua esistenza, nella sua personalità. Ebbene, era proprio quello che gli era stato chiesto di fare. E Joseph Dietrich non uccideva.

Osservò la carta bruciare ed arricciarsi tra la cenere. 

Anche gli oltraggi, come i rischi, si pagano cari, prima o poi.

Joseph sapeva nascondere bene la sua personalità. Nessuno avrebbe mai intuito che cosa gli passasse nella mente. L’apparenza scorbutica contribuiva a renderlo indesiderato alle persone. Tutto sommato, quello era il tratto della sua personalità che apprezzava di meno, ma che gli era tornato più utile.

Nessuno faceva domande su qualcuno che non gli interessava.

E poi, fingersi scorbutico e non creare legami era un modo piuttosto conveniente di ridurre a zero il potenziale degli altri di ferirti.

Gli era bastata Ute, ed ancora non l’aveva dimenticata. Forse, non l’avrebbe fatto mai.

Poggiò il bicchiere vuoto sul tavolino da tè e si appoggiò alla finestra, guardando la pioviggine grigia che si spandeva per le strade di Londra. Scorse con la coda dell’occhio il postino, che frugava incessantemente nella borsa alla ricerca della posta che avrebbe dovuto consegnargli.

Già, la posta. Quella che gli era stata aperta innumerevoli volte, in Germania. Quella che non gli era mai stata recapitata a Londra.

Odiava le Poste.

Insopportabili impiccioni piantagrane.

Il campanello trillò, e lui si dipinse sul volto la sua migliore aria da becchino.

- Signore?-

Nei suoi anni trascorsi in Inghilterra, il dottor Joseph Dietrich aveva imparato anche un’ altra tecnica per tenere fuori dai piedi le persone. 

Parlare un’altra lingua. 

- Ja?-

Specialmente se tale lingua, considerato il periodo, era proprio il tedesco. 

Il postino lo guardò, stranito. Incassò la testa nelle spalle, come se stesse aspettando gli inservienti con la camicia di forza pronti a legare il dottore, che se ne stava fermo immobile sulla soglia come una salma.

- La posta.-

- Noch? Gut, danke.-

Il postino, evidentemente in difficoltà, non aveva ben capito l’antifona e cercò di fare conversazione. Il dottore pensò che, a volte, l’aria intimidatoria confondeva talmente tanto le persone da sortire l’effetto contrario a quello voluto. Paralizzarli, invece che farli scappare a gambe levate.

Si disse che gli sarebbe risultato più utile continuare con il tedesco. 

- Ultimamente ne arriva tantissima! Avete tutti da scrivere, durante l'estate?-

- Ja, alles zusammen im Sommer! Danke, Herr Postbote, danke. Guten Tag!-

Il postino rimase sulla porta, guardandolo con occhio da tonno sul banco del pesce.

- Ah, verdammt! Ich habe nur gedankt dir! Guten Tag, Herr Postbote!-

Allora il Postbote, ovvero il povero postino, annuì, sorrise, mormorò un sottile anche a lei, forse e se ne andò.

Chiuse la porta, gettò la posta sul tavolino da tè ed osservò dalla finestra il postino che se ne andava scuotendo il capo ed imprecando contro la leggera pioggerella che era ricominciata a cadere. 

- Regnet es Immen in London.- disse, scontento. 

Un po’ di sole non avrebbe fatto male ogni tanto. 

E accidenti al suo maledetto difetto di non riuscire a cambiare lingua, dopo aver parlato in un’altra!


TRADUZIONE DAL TEDESCO:

- Sì?-

- Di già? Bene, grazie.- 

- Sì, tutti assieme in estate! Grazie, signor postino, grazie. Buona giornata.-

- Ah, accidenti! L'ho già ringraziata! Buona giornata, signor postino!-

- Piove sempre a Londra.- 

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Capitolo 7
*** Parte 1, capitolo1: Mercedes ***


Mercedes.

 

Si vergognava come una ladra mentre, chiusa nella sua cabina, cercava di non vomitare guardando le onde fuori dall’oblò. 

Era spagnola, lei, di Barcellona, era cresciuta con il Mediterraneo, che conosceva come casa sua. Che, di tutti, proprio lei soffrisse il mal di mare era bella davvero.

Ricordava la prima volta in cui era andata a nuotare. C’era stato Pablito con lei. Più grande, più alto, più forte, e Mercedes aveva sempre avuto un debole per lui, per il suo disprezzo del pericolo, l’aria sicura, come se tutto vicino a lui dovesse per forza andare bene. 

Vieni, Mercedes, le aveva detto, trascinandola verso gli scogli per il polso, e lei gli era andata dietro come un cagnolino fedele. Si erano tuffati in acqua, e lui le aveva insegnato a nuotare tenendole la testa in superficie. 

Le aveva insegnato tante cose, Pablo. Anche quando si era iscritto a filosofia, le aveva insegnato le parole dei grandi della storia, soprattutto Marx. Lui adorava Marx. Mercedes lo aveva ascoltato pendendo dalle sue labbra, ed aveva condiviso quasi tutto quello che aveva detto. 

Quasi, sì. C’erano alcuni passaggi, quelli sulla dittatura del proletariato, che proprio non le piacevano.

- E’ come se tu cacciassi i padroni per metterci altri padroni.-

- Ma saranno padroni più giusti, Mercedes! Hanno provato che cosa significa essere sfruttati!- 

- Davvero? Quanti ne conosci che dopo una promozione in fabbrica diventano più tiranni dei padroni? Non ne sono così sicura, Pablito, non mi piace.-

Lui pensava che lei fosse socialista, ma in verità nemmeno Mercedes sapeva che cosa fosse davvero. Ad essere sincera, le sembrava di non appartenere a nulla di politicamente esistente. 

Si sentiva indipendente, libera di pensare, e le piaceva da morire.

Conoscere Federico le aveva cambiato la vita. Era un uomo molto più grande di lei, ma i suoi occhi scuri e tormentati l’avevano conquistata fin dal primo momento in cui l’aveva incontrato. Non ne era mai stata attratta - come lo era stata da Pablito - ma ne aveva subìto il fascino. 

L’aveva incontrato una volta durante uno dei suoi spettacoli itineranti, mentre osservava con interesse la sua compagnia teatrale rappresentare uno dei classici spagnoli. 

Era avvolto nella sua tuta azzurra, l’aria assorta. 

Era il Trentuno, o forse il Trentadue. 

Erano passati pochi anni da allora, ma erano bastati a rendere Mercedes una persona d’interesse.

Ne aveva viste tante, nella sua giovane vita. Era nata nel 1916, nel bel mezzo della Prima Guerra, aveva passato l’influenza Spagnola nel 1918 e la crisi del 1929. Si poteva dire che era nata con la guerra, l’inflazione e con la modernizzazione spinta dall’industria bellica, che però nei suoi amati campi fuori città non era mai arrivata del tutto. La sua famiglia era sempre stata in difficoltà economica da che aveva memoria e lei aveva visto il suo futuro seriamente compromesso, ma Mercedes non era una di quelle povere ragazze che restano sedute ad aspettare che il loro destino si compia. 

Mercedes era una di quelle persone che prendono in mano la loro vita e la portano dove desiderano, o almeno ci provano, e le sue energie e la sua inventiva l’avevano portata ad appassionarsi alla letteratura e alle lingue straniere.

La sua famiglia era sempre stata fiera di lei. Anche se istruire una donna era molto inusuale, avevano assunto un’insegnante privato. Mercedes lo aveva sempre considerato un noiosissimo bigotto, ma era quanto di meglio i suoi genitori si potessero permettere e quanto di meglio una ragazza povera potesse desiderare.

Studiare era stata una delle tante iniziative che aveva intrapreso sotto l’influenza e il consiglio di quell’uomo avvolto in una tuta azzurra. 

Per colpa della sua fervente attività politica, però, Mercedes aveva dovuto compiere qualche miracolo di giocoleria per non ficcarsi nei guai, senza mai pentirsi di aver sventolato la bandiera quando il re Alfonso XIII se ne era andato in esilio ed era nata la Seconda Repubblica.

Aveva solo quindici anni, all’epoca. 

La nave rollò forte e si domandò come mai l’oceano, quel giorno, non potesse essere clemente con lei. Anzi, sembrava accanirsi, come se non volesse farle lasciare il suo paese.

Si sentiva in colpa, oh, sì. Lasciare la Spagna era una necessità, e lo riconosceva, ma lei lo aveva vissuto come un vero e proprio tradimento, anzi, un duplice tradimento. Se ne stava andando, abbandonando la sua nazione al suo destino. Qual era, però, il suo destino? Quale sponda del grande fiume della Storia la Spagna avrebbe scelto per il suo futuro? Mercedes sapeva che il suo paese era come una pentola di fagioli messa sul fuoco. Borbottava, borbottava, sotto il coperchio, e di tanto in tanto usciva uno sbuffo di vapore da un angolo, ma il problema vero era dentro il pentolone. 

Il tempo di sollevarlo e il contenuto sarebbe schizzato fuori da tutte le parti.

A lei era bastato udire i borbottii. Un richiamo del precettore, poi un avvertimento nemmeno troppo velato. La perdita della clientela nel negozio dei suoi genitori. Il gruppo di ragazzi che l’aveva seguita verso la sua casa. Il fienile in fiamme. La giacca stracciata di suo padre dopo essere andato a pescare. Sono caduto, le aveva detto, ma lei non ci aveva creduto. 

Gli scogli non lasciano i segni dei polpastrelli sul collo. 

I suoi lavoretti di sartoria ridotti al minimo, le ripetizioni praticamente scomparse, e il poco che era rimasto non bastava per permetterle di mantenersi. Soltanto le sue performance di flamenco continuavano ad essere apprezzate, anche se con esse erano aumentati anche commenti che avrebbero meritato un paio di calci dove sapeva lei, meglio se coi tacchi per ballare. 

Il gruppo di ragazzi l’aveva seguita persino in quell’occasione, e mai Mercedes aveva avuto più paura in vita sua. Bastava guardare le loro facce per capire che non avevano buone intenzioni. Pablito l’aveva aiutata, ma a differenza delle altre volte, in cui lui le aveva parlato come una sua pari, i suoi commenti avevano rasentato il biasimo. 

- Che ti sei messa in testa? La politica non è per donne. Devi conoscere la filosofia, per creare la nuova società, ma il tuo ruolo è in casa. Lascia agli altri la diplomazia. Non è cosa, non si può fare. Pensi davvero che qualcuno ti darebbe retta? Questa non è la tua macchina da cucire, Mercedes. Non stupirti, poi, se ti accade qualcosa. Te la sei cercata.-

Le sarebbe piaciuto tanto vederlo, lui, il grande politico, seduto alla sua macchina da cucire.

Quello che l’aveva spaventata di più, però, era stata la tremenda somiglianza di quelle affermazioni con le idee dell’estrema destra, quelle che gente come Pablito, in teoria, avrebbe dovuto combattere.

La stessa estrema destra che aveva fatto male a Federico. 

Pablito aveva commesso un grosso errore trattandola in quel modo, ma soprattutto Mercedes sapeva che lui l’aveva apertamente sottovalutata, e che se ne sarebbe pentito. Aveva sempre pensato che le donne fossero di gran lunga peggiori degli uomini. Più subdole, più pettegole, più vipere. Un uomo poteva anche essere fisicamente forte, ma non aveva alcun potere contro la maldicenza e il pregiudizio. Quella è la forma più grande di potere. Basta che qualcuno pensi male di te per perdere tutto. Una parola piazzata nel momento giusto e puf! Il tuo lavoro scompare. La tua famiglia si autodistrugge. Lei lo sapeva bene, era quello che le avevano fatto. Le avevano scavato il vuoto intorno, ma Mercedes era altrettanto brava. Non avrebbe reso loro pan per focaccia, no, non era il tipo. Avrebbe giocato un’altra partita, molto più efficace, forse, della mera vendetta. 

Lei sapeva perfettamente quando era il momento di ritirarsi. 

Che il nemico pensi pure di avere vinto. Mercedes aspetterà dall’altra parte del fiume, pronta ad attaccare il ponte. 

Chi ha detto che la diplomazia è roba da uomini, quando le donne sono molto più brave con le parole?

I suoi obiettivi adesso erano principalmente due: mettere al sicuro la sua famiglia e restare a guardare, sparendo discretamente alla vista. Suo padre era stato un liberale, amico di liberali. Forse era per questo che Mercedes si sentiva così, senza confini politici, senza il bisogno di appartenere per forza ad uno schema predefinito. Il suo povero papa aveva da tempo abbandonato la politica, che lui giudicava un errore di gioventù - la politica dovrebbe essere alta, Mercedes, ricordatelo sempre. Peccato che ad oggi sia tutto l’opposto, diceva sempre il suo papà - ma non tutti i suoi compagni avevano compiuto le stesse scelte. Uno, in particolare, le aveva fornito un contatto in Francia, che l’aveva reindirizzata presso un suo amico in Germania, che l’aveva rimandata a sua volta presso un altro liberale in Inghilterra. Pareva un soggetto burbero, dal nome strano, che le ricordava qualcosa, ma non sapeva bene che cosa. 

Le aveva scritto personalmente, offrendole una grandissima possibilità. 

Mia cara Mercedes, ti ammiro molto, le aveva scritto, con la sua grafia fitta fitta e un poco disordinata. La tua determinazione nel perseguire il tuo obiettivo di imparare le lingue straniere è ammirevole. Sono certo che, un giorno, le tue traduzioni faranno il giro del globo. In particolare, la tua idea di perfezionare l’inglese è audace, e non sai quanto io apprezzi l’intraprendenza. Sarò ben lieto di aiutarti in questo. Mi piacerebbe se tu volessi trascorrere un qualche periodo qua con me, a Londra. Potrai parlare inglese quanto vorrai, ed avrai accesso a tutta la mia biblioteca. Ti suggerisco anche, per approfondire i diversi dialetti e lingue locali, di seguirmi in un viaggio che ho intenzione di compiere in Scozia. Ti spiegherò tutto non appena ci vedremo. Si fa qualunque cosa per la famiglia, lo sai.

In pratica, quell’uomo le stava fornendo un’occasione per lasciare la Spagna a tempo indeterminato con la perfetta copertura: uno scambio culturale. Poco importava se i suoi studi l’avevano portata piuttosto lontano dalla letteratura inglese. La storia di imparare lo scozzese, poi, era una gran bella trovata. Era chiaro che non aveva alcun interesse a parlarlo. Era un modo per dire che lui sarebbe partito, e che lei lo avrebbe seguito, in che termini, glielo avrebbe fatto sapere.

Non sapeva molto di lui, ma quell’uomo le piaceva. Aveva acquistato tramite amici fidati dei biglietti di sola andata per l’Inghilterra. Il suo viaggio era stato approvato persino dal suo insegnante privato, che non aveva individuato un’opportunità migliore per liberarsi di lei, in ossequiosa conformità alle idee che il nuovo governo aveva riguardo le donne. 

Mercedes aveva fatto le valigie ed era partita, di notte, su una nave che avrebbe attraversato la Manica per portarla verso un paese straniero, senza avere la più pallida idea di quando avrebbe potuto fare ritorno. 

Da quando la voce della sua partenza si era diffusa, gli affari della sua famiglia erano tornati alla normalità. Era più che evidente che era lei l’elemento di disturbo. Mercedes non se ne fece un cruccio. Probabilmente, quando sarebbe tornata il suo nome e le maldicenze sul suo conto sarebbero state dimenticate. 

Le persone hanno la memoria più corta di quanto piaccia loro credere.

Il senso di colpa per la sua fuga improvvisa la faceva stare male, come se avesse commesso un crimine, un enorme tradimento, ma Mercedes sapeva che non avrebbe mai potuto fare altrimenti. Forse, avrebbe avuto un controllo migliore della situazione dall’estero, dove avrebbe avuto un quadro completo dell’andamento politico del continente. A Londra, avrebbe incontrato altri che, sicuramente, le avrebbero fornito gli strumenti utili per poter combattere quella strana guerra intestina, quel convulso gioco di correnti che il suo paese stava attraversando. 

Era tutto il resto, che bruciava. Il tradimento ulteriore di essere stata abbandonata, ferita, denigrata da chi le aveva offerto la propria amicizia. Per quale paese stava combattendo, lei? 

Lei avrebbe combattuto per la Spagna, avrebbe dato la vita per essa, ma la Spagna, avrebbe mai combattuto per lei? L’avrebbe protetta o l’avrebbe ricacciata nell’ombra, ignorata, denigrata, magari perseguitata? La Spagna avrebbe mai riconosciuto il suo impegno, o l’avrebbe trattata come tutti la stavano trattando in quel momento? Torna alla tua macchina da cucire sei stata brava ma non è cosa non si può fare?

Sospirò, cercando di non vomitare sulla branda.

Federico lo aveva detto al Sol, al giornale, poco prima di morire. Mercedes aveva annotato le sue parole su un taccuino, per non perderle, portarle sempre con sé.

Quando gli avevano offerto asilo politico in Colombia e in Messico, Federico aveva risposto:

Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient'altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l'uomo che si sacrifica per una idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il Cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica.

Lo aveva detto prima di sparire, avvolto nella sua tuta azzurra, e l’aveva ispirata ancora una volta.

Con molta probabilità, prima di morire, Federico nemmeno ci aveva pensato, alla ragazza tutta ricci neri con cui aveva scambiato due parole a teatro.

Mercedes aprì l’oblò. Gocce d’acqua entrarono in cabina, mentre respirava l’aria di mare, nella speranza di non vomitare.

Se solo la smettesse di piovere e di tirare vento, una buona volta!

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Capitolo 8
*** Parte 1, capitolo 1: Mariah ***


Mariah.

 

La aspettava un viaggio lunghissimo ed ininterrotto. Da Londra fino a Glasgow, e da lì fino alla stazione di Loch Awe. Aveva deciso di occupare quel tempo nel solito modo, così aveva estratto i ferri da calza e si era messa a sferruzzare. 

Erano ore, che andava avanti così. 

Del resto, che altro voleva fare? Fuori pioveva, nemmeno a dirlo, ed il tizio che era entrato nel suo scompartimento si era messo a leggere il giornale senza badare troppo a lei.

Decisamente, non aveva niente di meglio da fare.

Il gomitolo girava incessantemente dentro la borsa. Si srotolava con l’impulso dei suoi strattoni, senza mai annodarsi, con un incedere sempre uguale, come il suo ritmo mentre lavorava. Mai un nodo, mai uno strappo, mai che il filo giungesse alla fine. Quando comprava la lana faceva sempre in modo di trovare dei gomitoli enormi, e a volte, pressati dentro la borsa, formavano un grosso rigonfiamento. 

I suoi ragazzi avevano detto che ci metteva dentro i sassi per picchiarli meglio con la borsetta, e le avevano riso dietro.

Ah, monellacci. Prima o poi, il destino li punirà.

Alzò lo sguardo dal suo lavoro a maglia. Il destino, sì, quella strana cosa che, le avevano insegnato, distribuiva il bene e il male. Fai qualcosa di male, e ti capiterà qualcosa di male. 

Ma lei era cattolica, non ci credeva nel destino, no no, lei lo chiamava Dio. Era tutta opera sua, tutto ciò che avveniva nel mondo. Era lui che distribuiva la buona e la cattiva sorte. Il bene ai buoni e a chi crede in Lui, il male ai cattivi e a chi adora Satana. 

Lei era stata molto cattiva, sì. Lo sapeva. Non era stata poi così osservante, da ragazza, anche se la sua famiglia lo era. Era di famiglia irlandese, lei, per parte di madre, e la fede andava osservata, anche se riceveva il biasimo di suo padre, fervente anglicano. Poco importava, alla fine, che si credesse al Papa o al Re, l’importante era pregare, e lei, quando aveva potuto, se l’era svignata. Così, era stata punita con una lunga serie di mali. 

Alzò lo sguardo dal suo lavoro a maglia per controllare quanto la sua sciarpa si fosse allungata. Il lavoro le si stendeva in grembo fino a ripiegarsi, ma Mariah Rogers sapeva che non sarebbe stato abbastanza. 

Poteva fare molto freddo, sulle Highlands. 

Lei non era più giovane, ed anche se era una bella stagione, doveva partire premunita. Avrebbe completato il lavoro nel giro di poco, o almeno così credeva.

Fuori pioveva ancora. Il suo Ned diceva sempre che le gocce di pioggia erano le lacrime degli angeli. Quanto era buono, il suo Ned. Sapeva sempre avere una parola gentile per lei. Anche adesso, seduto accanto a quell’uomo nascosto dietro il giornale, guardava fuori con aria annoiata e malinconica. Aveva sempre quel viso, da tanti anni, ormai. L’ultima volta che lo aveva visto aveva quello sguardo, perso nella nebbia del mare, e così lo vedeva adesso, mentre lei continuava a sferruzzare in una carrozza maleodorante di umidità, fuori pioveva e si alzava la foschia, e un uomo girava di malavoglia la pagina del giornale.

Era davvero lì, il suo Ned? 

Del resto, le sembrava di vederlo così bene, che forse era reale.

Sorrise, osservando il profilo di suo marito, ma quello non si voltò a guardarla e a dirle che le lacrime degli angeli sono pioggia. Non si voltava più. Erano anni che lei provava a parlargli, ma lui pareva non sentirla. Lo chiamava, e lui non la guardava. Fisso, con lo sguardo nel vuoto fuori dalla finestra, seduto su una sedia, su una poltrona, sulla soglia stessa, ma mai un occhio per Mariah. 

Doveva essersi comportata molto male per meritarsi quello strazio.

Sospirò, rallentando il suo lavoro a maglia e perdendo il ritmo fino a che le mani non le si arrestarono in grembo.

- Ned?- disse, provando a catturare la sua attenzione. Suo marito non fece una piega, e non si voltò a guardarla. 

Forse aveva parlato troppo piano.

- Ned?- ripetè ancora, provando ad alzare la voce. 

L’uomo seduto dietro al giornale sollevò lo sguardo, per un secondo, cercando di capire con chi la donna stesse parlando, per poi scomparire di nuovo dietro le pagine.

Mariah capì che doveva trattarsi di qualcosa di diabolico. Sì, sicuramente un qualche diavolo le stava facendo vedere suo marito, per farla impazzire, sì, oppure per farle male, farle credere che avrebbe potuto rivederlo, toccarlo, ma Ned era morto, e lei lo sapeva, da qualche parte all’interno di quella sua buffa testolina grigia e confusa lei sapeva che non avrebbe più rivisto Ned.

Nè lui, né gli altri.

Doveva scacciarlo. Era pericoloso restare da soli in balìa del maligno. Doveva pregare.

Mise da parte il lavoro a maglia e guardò l’orologio. Incredibile quanto il diavolo sappia essere puntuale. La sua giornata, ormai, era scandita dai momenti in cui pregava per mandarlo via. Lei, però, aveva la sua arma segreta. Aveva il rosario di sua madre, quell’anello che i suoi studenti avevano provato a nascondere mandandola in escandescenze, ma adesso ce l’aveva di nuovo lei, ben saldo al collo, e poteva sgranarlo quando voleva, per cacciare i fantasmi. 

Prese a dire la prima preghiera, in latino, giocherellando con una delle protuberanze dell’anello.

Ned continuava a restare fermo dov’era.

Doveva pregare più intensamente.

Strinse i grandi occhi opachi e cominciò a dondolare al ritmo della sua salmodia. Non aveva tempo. Prendere fiato e fermarsi il minimo indispensabile, ma non di più. Doveva pregare, doveva cacciarlo via.

Ancora, ancora.

Il capitano William Collins si chiese se la signora seduta di fronte a lui fosse pazza o meno.

Prima, si era messa a parlare da sola. Sulle prime non ci aveva fatto caso, ma la seconda volta che la donna aveva parlato aveva distinto un nome. Aveva lanciato un’occhiata in tralice da sopra il giornale, e solo un secondo gli era bastato per capire che la donna stava fissando intensamente il posto vuoto accanto a lui e che nello scompartimento non c’era nessuno. 

Non c’era da fidarsi. 

Da quel momento aveva costantemente monitorato la signora e il suo terrificante dondolio. Quella donna aveva sicuramente qualcosa che non andava. Poteva capirlo, al di là di ciò a cui aveva appena assistito, dal modo in cui cercava di non sbattere le palpebre, o respirava con inalazioni brevi e affannose per non interrompere il suo salmodiare in latino. 

Deve essere cattolica. 

Provò ad ignorarla. Prese a leggere con finto interesse gli articoli sportivi, ma il crescente biascicare in latino lo distraeva, e purtroppo in modo non piacevole. C’era qualcosa di contorto, di fuori controllo in lei, qualcosa che gli ricordava enormemente ciò che aveva visto in guerra. Aggrottò le sopracciglia e abbassò lentamente il giornale, per trovarsi a fissare terrorizzato gli occhi scuri della donna mentre, persi nel vuoto, fissavano lui o almeno così sembrava, e un piccolo rivolo di bava le imbrattava il mento e le labbra violacee. 

Il capitano si trincerò nuovamente dietro il giornale. Si guardò alle spalle, come per capire se ci fosse qualcosa, o se la donna dondolasse seguendo il ritmo del treno, ma non ottenne alcuna conferma. 

Sospirò e chiuse il giornale definitivamente, cercando di venire a patti con ciò che aveva davanti. Una parte di lui provava una profonda pietà per quella donna disturbata, ma perché doveva toccare proprio a lui?

- Ehm, signora?- chiese educatamente, azzardando un gesto cortese della mano.

Non parve rendersi conto nemmeno della sua presenza.

Il capitano tossicchiò, a disagio. Nell’insieme, la donna sembrava davvero malata, e William cominciò a domandarsi se non fosse preda di una qualche crisi epilettica, o che ne sapeva lui?

 - Signora?- le disse con delicatezza, sfiorandole il polso.- Si sente bene?-

Mariah Rogers fu come svegliata da uno stato di trance. Sbatté le palpebre per un secondo, cercando di mettere a fuoco la bella figura dell’uomo che le stava parlando. Comprese che le stava chiedendo se si sentisse bene. Fu tentata di rispondere di sì, ma ciò che le diede fastidio fu il tocco sul polso. 

Come osava, lui, toccarla! Nessuno poteva, solo Ned! Ned, che era lì a guardare!

- Non mi tocchi!- abbaiò, fissando il capitano con occhi cattivi. 

William si schiacciò contro lo schienale del sedile, ritirando le mani in grembo.

Ne aveva visti, durante la guerra, di attacchi del genere, e sapeva che era meglio assecondare chi ne soffriva.

- Chiedo scusa, signora, temevo che si stesse sentendo male. Posso fare qualcosa per lei?-

In tutta risposta, la donna si mise a sbraitargli contro, sputacchiandogli in faccia tutta la saliva che era rimasta a gocciolarle sul mento. 

- Si può sapere perché lei, benemerito idiota, mi ha interrotta mentre stavo pregando? Non capisce che ora devo ricominciare tutto da capo?-

Al capitano cadde la mascella, sbalordito.

E lei, quello, lo definiva pregare?

- Signora, sono desolato, ma…-

- Sono desolato… bah! Dovrebbe pregare anche lei!-

La mano di William era scivolata verso l’interno della giacca, dove di solito teneva l’arma di ordinanza, ma essendo in congedo non l’aveva portata addosso. Giaceva dove l’aveva riposta, credendo che non gli sarebbe servita in albergo, là dove le competeva in quel momento di svago, ovvero in valigia, assieme a tutti i suoi averi. 

Non aveva nulla da temere da quella vecchietta. Aveva trascorso troppo tempo all’erta. 

Almeno, era ciò che provava a ripetersi. 

Cercò di calmarsi.

- E, se posso chiedere, vi è un qualche motivo specifico per cui dovrei farlo?-

- Perché?- la donna sembrava fuori di sé.- Come perché? Non vede come sta andando il mondo? Tutto a rotoli! Sì, sissignore, tutto a rotoli! Preghi, signore, preghi, per salvarsi, perché il mondo non può andare avanti così! Ne pagheremo le conseguenze, grosse conseguenze!-

Il capitano Collins annuì educatamente, mormorò un ci farò un pensierino e tornò a leggere il Times. Certo, ne aveva viste di tutti i colori, e non esitava a credere che al peggio non ci fosse mai fine, ma da lì a bersi le predizioni di una signora funerea che pregava in lingue strane su un treno ce ne correva. Per quanto lo riguardava, la signora non solo era matta, ma pure fanatica religiosa, e la combinazione non prometteva di certo bene. 

Nel frattempo, la signora aveva ripreso il suo impressionante dondolio.

Andò avanti così per lungo tempo. Il capitano stava diventando sempre più nervoso. C’era qualcosa di irrazionale nel suo movimento, qualcosa di inquietante nella sua voce roca e soffiata, in quella lingua che gli ricordava tempi lontani e perduti, nella sua pelle grigiastra e in quelle vene azzurrognole vicino alla bocca.

C'era qualcosa in lei, una luce nello sguardo che proprio no, non gli piaceva. 

Si alzò lentamente e uscì dallo scompartimento, pregando che la signora folle non lo accompagnasse fino a Loch Awe.

Sospirò, pronto a dirigersi nell’unico posto in cui sapeva avrebbe potuto trovare un porto sicuro, ovvero il vagone ristorante. 

In corridoio, incrociò una donna al braccio del marito, ed udì il primo sconcertato santo cielo non ci posso credere guarda chi c’è.

William alzò gli occhi al cielo, sospirando.

Forse gli sarebbe toccato accamparsi in sala caldaie un’altra volta.

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Capitolo 9
*** Parte 1, capitolo 1: Christopher ***


Christopher

 

Che gran fatica, il peso della cultura.

Seduto sotto il portico, osservava i suoi compagni mentre, carichi di libri, attraversavano il cortile diretti alla lezione del professor Moore. Un grande penalista, tra le eccellenze dell’Inghilterra, ma che lo aveva preso profondamente in antipatia. A lezione era il bersaglio preferito delle sue domande trabocchetto a cui lui, puntualmente, non sapeva rispondere. Si erano mal tollerati per un bel periodo, e lui l’aveva ripetutamente bocciato all’esame. Fino a quella mattina, in cui Christopher si era presentato nel suo studio per dirgliene quattro. Il professor Moore l’aveva fatto entrare e gli aveva offerto una scatola di biscottini da tè per affrontarlo di petto.

- In verità, è molto semplice, signor Kendall, e credo che, in fondo al suo cuore, anche lei conosca la risposta. Io credo che lei non sia adatto per la legge.- gli aveva detto, sedendosi sulla poltrona dietro la sua scrivania ed invitandolo ad accomodarsi.- Lei conosce gli istituti, ma non è portato per questo genere di studi. Fatica troppo con la casistica e non riesce a trovare un metodo per selezionare i precedenti giusti nelle simulazioni. Con tutto il rispetto, signor Kendall, ma ho la sensazione che lei stia intraprendendo questo tipo di carriera controvoglia. Biscotto?-

A quel punto, Christopher aveva capito che, in verità, il professor Moore gli aveva sempre voluto bene. 

Seduto nel suo studio, gli aveva raccontato tutto, o meglio, tutto ciò che poteva raccontargli. C’erano cose che non avrebbe mai potuto confessare al suo professore. Non avrebbe mai potuto dirle a nessuno, ad essere proprio sinceri.

- Lei sarebbe un gran giornalista d’inchiesta, signor Kendall.- gli aveva detto allora, annuendo ed approvando quanto gli stava dicendo il suo studente.- Sono contento che lei sia consapevole delle sue lacune. Nonostante la mia fama, non mi piace bocciare i miei studenti, mi creda. Spero che, entro il prossimo appello, lei avrà deciso che cosa fare del suo futuro. Se però deciderà di ripresentarsi, nonostante questa conversazione illuminante che abbiamo appena avuto, temo che dovrò trattarla come tutti gli altri. Mi auguro di trovarla più preparato.-

La verità era che Christopher non aveva la più pallida idea di che cosa fare di più, per potersi preparare meglio. Aveva passato le nottate sul suo grosso manuale di penale, l’ultimo esame che gli era rimasto prima della laurea. Una vera e propria faticaccia, e nonostante tutto non era riuscito a superare il rigido standard del professor Moore. Aveva pensato che lo detestasse, ed invece, forse, aveva solo provato ad indirizzarlo verso la giusta strada.

Christopher aveva sempre odiato lo studio mnemonico che comportava la legge. Suo padre, però, l’aveva obbligato. Devi fare qualcosa della tua vita, Chris, guadagnarti il pane come ho fatto io, gli aveva detto, gonfiando il petto come un pavone, stretto dentro il suo panciotto di tartan. Gli aveva manifestato la sua intenzione di lavorare nell’editoria e nel giornalismo, e in tutta risposta, il giorno dopo, gli era arrivata una lettera di ammissione alla facoltà di legge nella più prestigiosa università del Massachusetts. Aveva protestato, ma suo padre era stato irremovibile. Ci serve un avvocato, gli aveva detto. Procuratene uno!, gli aveva risposto, ed aveva puntato i piedi. Avrebbe studiato in Inghilterra, il paese di sua madre, avrebbe visto l’Europa. Gli era sembrato il giusto compromesso, a fronte di una carriera che non aveva mai voluto. 

Suo padre aveva acconsentito, e ad essere del tutto sinceri, il periodo in Inghilterra era stato molto produttivo. Aveva appreso molto, tra un esame e l’altro. Dicevano sempre che aveva il viso da roditore perché passava troppo tempo in biblioteca, e forse avevano ragione. Anche il professor Moore glielo aveva rinfacciato. La vedo sempre in biblioteca, Kendall, aveva aggiunto durante il loro colloquio, mentre lo scrutava da dietro gli occhiali rotondi, come se stesse cercando di leggere dentro ad un imputato. Se passa tutto quel tempo a studiare, e questo è il rendimento, dovrebbe capire da solo che si tratta di un risultato discutibile

Christopher sapeva che Moore aveva capito. Era uno dei più grandi penalisti della storia della legge, che si aspettava? Era certo che avesse intuito la verità, che la sua ricerca aveva uno scopo, che non trascorreva i suoi pomeriggi - e a volte anche le notti, lontano dagli occhi della bibliotecaria - in mezzo ai vecchi giornali e alle riviste di cronaca nera per niente. 

Del resto, a suo padre serviva un avvocato, e per un buon motivo. O trovava un modo per aiutarlo, o la sua industria sarebbe fallita, o peggio, acquisita da quel terribile trust che si stava allargando sul mercato americano. Al suo paese, la malavita sapeva radicarsi bene dentro la società imprenditoriale, e a volte i mezzi che gli imprenditori stessi utilizzavano per produrre economia erano molto discutibili. Un grande fastidio, per chi cercava di rispettare le regole, ma, ahimè, nel suo paese vigeva la teoria per cui il mercato era libero e seguiva le sue regole, ed ogni regolamentazione, dal diritto di sciopero al salario, rischiava semplicemente di ostacolare la crescita economica della grande e democratica America. 

Un grande problema per i produttori onesti.

Nel frattempo, si era tolto qualche soddisfazione. Aveva inviato degli articoli di politica estera ai principali giornali americani, ed aveva avuto delle ottime recensioni. Addirittura il New York Herald, finché era stato attivo, lo aveva incoraggiato a scrivere, definendolo una gran bella penna. Il Chicago Tribune, invece, lo considerava il suo corrispondente dal Regno Unito, mentre il Philadelphia Inquirer pubblicava i suoi articoli commerciali, e tutti accettavano senza troppi problemi lo pseudonimo di Brooke Thompson.

Immaginò la faccia che avrebbe fatto suo padre, quando avrebbe scoperto che l’uomo che metteva alla berlina sui giornali gli imprenditori che cercavano di infastidirlo era proprio suo figlio. Forse, avrebbe accettato il suo lavoro nell’editoria, ne avrebbe riconosciuto l’importanza.

Quanto sarebbe stato felice, a quel punto.

Christopher, però, era stanco. Doveva ancora sostenere l’esame del professor Moore, di nuovo. Era consapevole che ormai era troppo tardi per ritirarsi. Un ultimo esame, e il suo corso di studi sarebbe finito, dopo tante fatiche, tanta pazienza e tanto sudore. Le sue energie, però, erano arrivate all’esaurimento. Non sarebbe riuscito ad aprire un altro libro se non si fosse preso un periodo di pausa.

Il vento vorticava nel cortile, sollevando polvere e vari pezzi di carta che gli studenti avevano incivilmente lasciato per terra. Pensò che sarebbe potuto tornare in America, anche se questo significava seguire la sua famiglia a Milwaukee per andare a trovare lo zio Herbert. 

Non poteva essere meno interessato, e poi probabilmente il transatlantico ci avrebbe impiegato una vita, e lui sarebbe arrivato nel momento in cui, invece, avrebbe dovuto di nuovo essere ad Oxford. Probabilmente, sarebbe rimasto a Londra, prendendosi qualche giorno di svago da trascorrere in riva al Tamigi o dentro all’ippodromo, a scommettere con gli amici. 

Il vento sollevò un pezzetto di carta colorato, che si appiccicò alla sua gamba mentre lui, indifferente, osservava le foglie volare lungo il cortile. Solo quando lo sentì scivolare sotto la sua scarpa lo prese in considerazione. 

Si sedette di nuovo sul muretto di quel chiostro, poggiando di malavoglia la borsa dei libri, e si mise a leggere. 

Tutto ciò che era carta, per lui, aveva la stessa forza di attrazione di un magnete.

Scozia. Loch Awe. Vacanza. Non aveva bisogno di sentire altro, anche se significava portare con sé i libri del professor Moore. 

 

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Capitolo 10
*** Londra, un luogo imprecisato, tramonto, 1934. ***


Londra, un luogo imprecisato, tramonto, 1934.

 

Si nettò le unghie con la punta di un taglierino. Il carbone del camino lasciava troppe tracce, per i suoi gusti. Accanto a lui, sul tavolo, c’era il consueto bicchiere di liquore ambrato. Aveva un buon sapore, soprattutto quello lì. Veniva dai Caraibi, dal centro America. Gli ci era voluta tutta per farsene arrivare una bottiglia senza essere scoperto. Aveva dovuto passare attraverso un prestanome, aveva dovuto sborsare un bel po’ di quattrini e minacciare qualcuno, ma alla fine quella bottiglia era arrivata. Aveva un sapore dolce, zuccherino, che gli lasciava un poco la bocca impastata, ma per una sera come quella ci voleva proprio.  

Come si era immaginato fin dall’inizio, quel suo compare imprenditore, pieno di boria, si era dimostrato una grandissima spina nel fianco. Non lo aveva mai perso d’occhio, fin da quando la loro collaborazione era cominciata. Conosceva quelli come lui, e sapeva che, prima o poi, trascinati dal loro ego smisurato, avrebbero tentato di fare il colpo del secolo. Nessuno di loro, però, era un genio del crimine, e puntualmente finivano per fallire, e lui invece finiva con un altro cadavere sulla coscienza.

Nessuno poteva battere il suo ingegno. Pensava che ormai fosse un fatto risaputo. Purtroppo, aveva dovuto constatare che non era così.

Il piccoletto aveva rigato diritto per un po’ di tempo. I patti erano stati chiari, e per un po’ gli affari avevano fruttato parecchio. Come d’accordo, lui si intascava i due terzi e una percentuale sugli appalti, il resto rimaneva al suo amichetto narcisista. I guadagni erano cresciuti talmente tanto che si era guadagnato l’appellativo di Fornaio, perché i soldi, con lui, lievitano come il pane prima di essere infornato. 

Un giorno, però, quando l’Esattore era andato a riscuotere, il Fornaio aveva cominciato ad addurre una serie di scuse, dicendo che era andato in perdita con le ditte a cui aveva subappaltato certi lavori, che aveva guadagnato meno del solito, e così anche la sua fetta si era ridotta. Aveva quindi intensificato i controlli da parte dei suoi scagnozzi, ed era rimasto positivamente colpito dalla sfacciataggine del suo piccolo amico. Incredibile come pretendesse di fare quello che voleva e di riuscire a fregarlo allo stesso tempo. Altro che perdite: l’attività dell’impresa edile continuava a pieno ritmo, semplicemente aveva avuto la brillante idea di tenersi quella quota per sé, e di comprarsi una patacca di orologio d’oro, una terribile macchina di lusso e una villa in Cornovaglia.

Mi freghi una volta, sei bravo tu. Mi freghi due volte, sono fesso io. 

E nessuno lo faceva fesso. Mai.

Nessuno poteva battere il suo ingegno, nel settore del crimine.

Non poteva, purtroppo, dire lo stesso nel settore giudiziario. 

Quella stramaledetta volpe aveva colpito nel segno.

Non avrebbe mai capito come avesse fatto, ma un giorno, con un tempismo che aveva dell’incredibile, l’Esattore si era buscato una bella multa per sosta vietata da uno degli ausiliari del traffico di Londra, che aveva fatto rapporto all’ispettore capo.

E da quel momento quell’essere maledetto non aveva fatto altro che perseguitarlo.

Il colpo di fortuna avuto con il furto in casa Mason e l’avvelenamento all’Embankement gli si era rivoltato contro, e l’ispettore aveva lentamente unito tutti i puntini e serrato una trappola attorno a lui che si faceva pericolosamente sempre più vicina.

Non era mai stato una persona dotata di grande pazienza, e per questo motivo, adesso, aveva una ragione in più per andare per le spicce. 

Se la questione Fornaio poteva dirsi poco spinosa e, di conseguenza, risolta, la questione ispettore capo invece meritava un approfondimento. Il suo piano, fino a quel momento, aveva  funzionato e, fino a poco tempo prima, poteva dirsi praticamente certo del suo successo. 

Poi, come al solito, quella volpe aveva trovato il modo di girare il coltello nella piaga. 

Davanti a lui sedeva un ometto dall’aria innocua. Piccolo e smilzo, con un paio di grossi occhiali che lo facevano assomigliare moltissimo ad un burocrate ad incorniciargli gli occhi cerulei ed acquosi. I capelli scuri cominciavano ad arretrare, lasciando spazio alla fronte, alta e attraversata da una ruga perenne di quello che appariva come stupore.

- A questo pensiamo dopo.- disse, troncando di netto la conversazione con quello strano ometto.- Il Macellaio ben presto sistemerà il Fornaio. Un colpo e via, ci toglieremo quella zecca di torno. E’ altro, ciò di cui voglio discutere stasera.- 

Il piccoletto sbatté le ciglia dietro le lenti rotonde come il fondo di una bottiglia, in attesa. 

- Fammi capire.- disse, passandosi la lingua sulle labbra per assaporare l’ultima goccia di rum rimasto.- Il Giardiniere è morto.-

L’ometto annuì.

- Sì, signore. Se posso permettermi - proruppe, con fare untuoso - questo posto è inquietante e malsano. Lo dico per lei e per la sua salute, forse sarebbe meglio cercare qualcosa di più adatto, non so, di certo meno umido e pieno di spifferi…-

- Alla mia salute ci penso io, grazie.- 

L’ometto non fece una piega. Così leggero da essere portato via da una folata di vento, non mosse un muscolo, nemmeno nel viso. Restò impassibile, con la stessa aria stupita che lo contraddistingueva, a fissare il suo interlocutore.

- Quindi.- continuò quello, osservandosi soddisfatto l’unghia appena nettata.- Il Giardiniere è morto.-

Voleva spiegazioni ulteriori, naturalmente.

- Sì, signore, così come è stato detto di fare, signore. Il Ragioniere è entrato in carcere a fare visita con una delle divise che ha pescato dal cesto della lavanderia, e gli ha offerto un caffè corretto al cianuro, signore. Come ha suggerito di fare. Ha lasciato la capsula a terra, signore, simulando il suicidio.-

L’uomo tamburellò le dita sul tavolo, approvando.

- Mh. Poi?-

- Non capisco, signore, proprio non…-

- Peters, Dixon.-

A quel punto il piccolo ometto si spinse gli occhiali sul naso, una goccia di sudore che scorreva lenta lungo la tempia.

- L’ispettore non è convinto, signore.-

Un pugno ben assestato scosse violentemente il tavolo.

- Signore, non è stata colpa mia, ho eseguito le istruzioni…-

- Silenzio.- sibilò, caricando tutto il suo peso sulle braccia.

Peters era una vera e propria spina nel fianco, e in quel momento ringraziò il cielo che i suoi pensieri non fossero udibili, o l’intera Londra sarebbe impallidita nell’apprendere che cosa veramente pensasse sul suo conto e quante belle cose augurasse anche a tutta la sua famiglia. 

- Vai avanti.- disse, alzandosi definitivamente in piedi e cominciando a vagare qua e là, pensieroso.

- Il Ragioniere ha detto che appena ha visto la scena ha lanciato uno sguardo a quel tizio, quello che va dovunque vada l’ispettore, e ha detto qualcosa, a bassa voce. Non ha capito tutto, ma di una cosa è certo.-

- Tipo?-

- Ha detto chiaramente: “Questo di sicuro non si è suicidato”.-

Dannazione.

Inferno e dannazione.

Adesso basta. 

- Signore, comincio a pensare che forse ammazzare il Giardiniere non sia stata una buona idea…-

- Era un idiota.- sbottò quello, un ringhio nella voce, mulinando irosamente le braccia.- Mai ammazzare la moglie e gettare via l’arma, senza buttare via anche il cadavere. Si è meritato la fine che ha fatto, o scemo com’era ci avrebbe tradito tutti per uno sconto di pena. Non potevamo rischiare. I nostri rinchiusi in gattabuia poi avranno capito che cosa succede a chi collabora con gli sbirri. Per quanto riguarda Peters, voglio sapere vita, morte e miracoli di quel tizio, sempre alle calcagna. Com’è che si chiama?-

- Nicholson, signore.-

- Nicholson, certo. E piantala di chiamarmi signore. Torna qua con le informazioni che mi servono e sarai lautamente ricompensato. E’ giunta l’ora che anche l’ispettore riceva un messaggio da parte mia.-

L’ometto annuì, si alzò, fece un inchino ossequioso e falso come una banconota da un penny e uscì silenziosamente dalla stanza. 

In verità, si era aspettato quell’esito fin dall’inizio. Peters era perfettamente consapevole del fatto che i detenuti in isolamento venivano privati di ogni effetto personale, vestiti inclusi, e che non c’era stato alcun modo per il Giardiniere di tenersi una capsula di cianuro a portata di mano. Troppo comodo, soprattutto troppo poco tempestivo. Avrebbe impartito l’ordine prima, se lo avesse saputo in tempo. Qualche suo informatore doveva aver bevuto troppo la notte in cui il Giardiniere aveva ammazzato la moglie e quello, a cui l’ispettore era risalito proprio dopo aver beccato l’Esattore in sosta vietata, aveva rischiato di avere il tempo di spifferare tutto. 

Troppo strano che uno disposto a collaborare con la giustizia si avveleni poco prima del colloquio, e di sicuro Peters non era così imbecille da cascarci. 

Per questo aveva chiesto informazioni sull’ispettore, fin dal principio. 

Voleva avere un’arma da usare contro quell’essere infernale, prima che fosse troppo tardi. 

Tuttavia, Peters era un osso troppo duro. Avrebbe potuto far eliminare l’ispettore da qualcuno dei suoi, ma entrambi sapevano benissimo che l’uno sapeva che l’altro sapeva. Sapeva che il supremo signore dei mascalzoni di Londra era sulle sue tracce e avrebbe trovato un modo per proteggersi. Anzi, suddetto mascalzone era certo che l’ispettore non aspettasse altro che una sua mossa per incastrarlo definitivamente. 

No, Peters doveva pagare, ma non nel modo tradizionale.

La morte è breve. Un colpo e via, al massimo un po’ di dolore, ma per gente come l’ispettore non basta, non è sufficiente. Persone come quella devono capire che devono stare al loro posto, che, in certe questioni, non si devono immischiare. Queste cose si pagano a caro prezzo, un prezzo più alto della morte. Il prezzo della tortura, del dolore. 

E non c’è tortura più grande del rimorso.

Peters avrebbe capito che, se non avesse smesso di cercarlo, se non avesse preferito le retrovie, ritirandosi a vita privata, quella stessa vita privata sarebbe scomparsa. Uno dopo l’altro. Parente dopo parente.

Sarebbe rimasto solo, e a quel punto, forse, l’avrebbe ucciso.

Non era vendicativo, no. Non gli piaceva uccidere. Lo faceva solo per necessità, ma l’ispettore aveva passato ogni limite, ogni segno. 

La sua lezione sarebbe stata esemplare.

Vuotò il bicchiere in un sorso deciso e lo sbatté sul tavolo.

Quello che lui chiamava il Ragioniere non sapeva di essere una pedina sacrificabile, o forse era un altro di quelli che credeva di poterlo fregare. Erano in tanti a pensarci, ma lui, beh, lui era infallibile. 

Non avrebbe fallito nemmeno questa volta, anche se sarebbe costata la vita del piccolo Ragioniere.

Indossò il soprabito, pronto ad uscire, e si infilò un sigaro in bocca.

Nel giro di poco, Eric Nicholson sarebbe morto.

Di Peters non avrebbe più visto nemmeno l’ombra.

E lui non avrebbe più avuto problemi.

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Capitolo 11
*** Parte 1, capitolo 2: William e basta ***


2.

Loch Awe, 5 settembre 1936.

 

William e basta. 

 

Scese alla stazione di Loch Awe e sospirò, sfinita. 

Viaggiare le aveva sempre fatto venire sonno. Il treno, per lei, equivaleva ad una dose di laudano ben assestata. Appena salita alla stazione di Londra, aveva cominciato a sbadigliare, ed avrebbe finito con l’addormentarsi se una giovane ragazza dall’accento straniero non fosse piombata nel suo scompartimento solitario, chiedendole di potersi sedere, perché il resto del treno era pieno. 

Di mala voglia e con una certa circospezione, le aveva fatto posto, spostando la valigia che aveva abbandonato sul sedile di fronte. La ragazza si era seduta ed aveva cominciato a guardare fuori, lasciando Danielle a sbadigliare, nemmeno troppo silenziosamente, sul sedile. Quando la testa aveva preso a ciondolarle, la ragazza le aveva rivolto la parola con un fortissimo accento spagnolo. 

Trascinava le s e le e in un modo tutto suo, che la rendeva incredibilmente simpatica ed affascinante, esotica. 

- Anche io dormo siempre in treno.- 

Danielle aveva sorriso, svogliatamente, ma la ragazza aveva evidentemente voglia di chiacchierare. Sulle prime se ne era rammaricata, ma con il passare del tempo dovette ammettere che la compagnia della giovane Mercedes Estravados era divertente, e fu soltanto grazie alla sua presenza e ai suoi spumeggianti commenti sul pessimo clima anglosassone se Danielle riuscì ad arrivare alla stazione di Loch Awe cosciente.

Da quello che aveva capito quando aveva prenotato il viaggio in agenzia, gli ospiti avrebbero soggiornato in un castello. A quel punto, Danielle aveva storto il naso, poco convinta. Amava le vecchie architetture, ma avevano per lei qualcosa di sacrale. Non era sicura di volerci dormire dentro. Quella era stata la dimora di antichi signori, che avevano dominato su un vasto territorio, molte persone erano nate, vissute e morte tra quelle mura, e lei avrebbe dovuto intrufolarvisi. Le sembrava di trasformare qualcosa di nobile in oggetto di commercio. 

Ruth, invece, ne era rimasta entusiasta ed aveva cercato di convincerla ad andare a caccia di fantasmi. 

Un’ultima possibilità per riprendere possesso della sua vita, e l’avrebbe colta con tutte le sue forze, castello o no. Fantasmi o no.

Così, era partita lo stesso. 

Accanto a lei, Mercedes poggiò i propri effetti personali a terra senza troppi complimenti, sbuffando e brontolando in spagnolo. Danielle abbozzò un sorriso, mentre ascoltava tutti i suoi borbottii. Parlava benissimo il francese, che aveva imparato a scuola e con lunghe ore di conversazione con la sua cara nonnina, e mescolando ciò che sapeva di francese con la sua conoscenza della lingua latina non aveva avuto troppe difficoltà a comprendere lo spagnolo. Questa era anche una delle ragioni per cui le piaceva particolarmente Mercedes, che non si faceva scrupoli a sacramentare come uno scaricatore di porto nella profonda convinzione, evidentemente, che tanto non l’avrebbe mai capita nessuno. 

Le aveva parlato della sua Barcellona, della sua passione per le lingue, della sua voglia di migliorare l’inglese. Non che ne avesse bisogno, la sua grammatica era buona, ma la pronuncia lasciava molto a desiderare, e manteneva ancora troppe inflessioni ispaniche per poterla definire accurata. Le si erano illuminati gli occhi, quando si erano messe a giocare con le parole, e la ragazza aveva provato a svelarle tutti i segreti di quella bellissima lingua così musicale. 

Era una gran bella fanciulla, dagli occhi scuri e grandi come due abissi, le sopracciglia folte e un cespo immenso di ricci neri corvini su una pelle candida, ma perennemente abbronzata, propria di chi è solito spendere gran parte del proprio tempo all’aria aperta e - soprattutto - in un luogo assolato, ben più luminoso della sua Londra.

In fondo, costituivano un bel paio. Mercedes, scura e mediterranea, Danielle invece rossa, con gli occhi pervinca e soprattutto con la pelle bianca come le pareti di casa sua. 

Si diressero assieme, cariche come somari, verso l’esterno della stazione. Era un posto piccolo, con un porticato per ripararsi dalla pioggia, ma prevalentemente aperto. Da sotto gli archi della biglietteria, poterono scorgere un gruppo di carrozze tipo berline scure, sulle cui portiere laterali era stato scritto con una vernice rossa brillante O’Brennon Hall, Loch Awe.

Anche quel dettaglio le era stato fatto presente in agenzia. Danielle aveva cercato di obiettare che le berline erano nate solo nel Seicento, ma Ruth glielo aveva impedito, squittendo che le sarebbe piaciuto tantissimo viaggiare in carrozza e che doveva essere contenta di potersi sentire una principessa per una volta. 

- Non me ne entiendo- le disse Mercedes, arrancando sotto il peso di una valigia e di una cappelliera.- Ma non mi siembrano molto medievali.-

- Perché non lo sono.- ammise Danielle, che invece aveva preferito avvalersi dell’aiuto di un facchino e di un carrello per il suo baule, la valigia e la cappelliera. 

In quel momento, una coppia vestita di scuro le travolse, filando via veloci come se stessero scappando da qualcosa. Danielle finì bocconi sul suo baule, e Mercedes rischiò di cadere e calpestò il povero facchino, che strillò e finì col reggersi la caviglia dolorante per qualche minuto.

Danielle lanciò loro un’occhiata di fuoco, mentre Mercedes borbottava brutte parole di cui Danielle intuiva il senso anche senza essere fluente in spagnolo.

L’uomo non si girò neppure, mentre trascinava spedito la donna attraverso la stazione. Lei, invece, si voltò verso di loro e chiese scusa, con un gesto rapido della mano.

Danielle preferì prenderla a ridere.

- Mia nonna diceva sempre che si parla veramente bene una lingua quando si sanno le parolacce.- disse, cercando di trattenere le risate.

- Se vuoi, te le insegno. Quello che ho detto è l’equivalente di brutto figlio di…- 

- Me ne sono fatta un’idea, Mercedes. Grazie.- 

L’aria delle Highlands era fresca. Il verde dell’estate stava declinando gentilmente verso l’oro e l’arancione dell’autunno. L’area era singolarmente boscosa, nonostante l’altitudine, e Danielle apprezzò particolarmente la foresta di conifere che si sviluppava fuori dalla stazione ed attorno al sentiero che le avrebbe condotte a Loch Awe. I grossi cavalli attaccati alle carrozze sembravano irrequieti, muovendo le orecchie da sopra il paraocchi e raspando la terra con gli zoccoli. Danielle li trovava possenti, con il muso coperto di pelo biondiccio e i muscoli abituati al traino che si muovevano al ritmo delle loro zampe. Mercedes, al contrario, chiacchierava di cavalli andalusi, e sembrava conoscere molto bene l’argomento.

- In Espana abbiamo una scuola molto avanzata, per i cavalli. Li abbiamo sempre amati, sono quasi un simbolo nazionale. I nostri hanno le criniere molto più folte di questi, e anche le code, toccano quasi per terra.- 

- Un giorno, se avrò la possibilità di venire a trovarti, mi farai salire su un cavallo andaluso.-

E Mercedes andò in visibilio. 

Sulle prime, pensò che la sua affermazione ne fosse la causa, ma la ragazza la sorpassò correndo per poggiare di nuovo la valigia sull’erica fresca e saltare al collo di un uomo così bianco da sembrare albino. 

Danielle lo scrutò, sollevando un sopracciglio, perplessa, e si diresse, facchino al seguito, verso la sosta delle carrozze, dove Mercedes stava chiacchierando animatamente con il suo conoscente.

- Lui è il nostro carissimo amico di famiglia, Joseph Dietrich.- disse la ragazza, una volta che Danielle le fu vicina. - Fa il medico legale.-

Danielle sogghignò.

- Lo so.-

Il dottore si irrigidì impercettibilmente, ma non abbastanza per sfuggire all’occhio acuto di Danielle. Mercedes sembrò non capirci niente, ed il suo volto cambiò. All’improvviso si fece sospettoso e i suoi profondi pozzi neri divennero quasi minacciosi. 

Danielle indicò con garbo la piccola etichetta apposta sulla valigia.

- E’ scritto lì.- disse. 

Il dottore gettò un’occhiata alla sua valigia e parve rassicurato. Abbozzò un curioso sorriso sornione e posò gli occhi così chiari da sembrare bianchi su Danielle, che proseguì, indicando l’altra borsa del dottore, piuttosto rovinata e chiusa con un lucchetto.

- E quella è una valigetta per i farmaci, forse di primo soccorso. Per averla ridotta così, deve essere in servizio da molto e deve anche usarla spesso. -

Il dottore sembrava divertito, ma Danielle poteva intuire che era ancora guardingo. Senza distogliere lo sguardo da lei, si rivolse a Mercedes, con un’inflessione leggermente tedesca non molto accentuata.

- Chi è la tua amica, Mercedes?-

- L’ho conosciuta in treno. Si chiama Danielle Peters.-

L’uomo pallido come la cera proruppe in una fragorosa risata. 

Istintivamente, gli scudi emotivi di Danielle si sollevarono. Era così abituata a sentire la gente ridere di lei che non si era minimamente attesa quella che pareva genuina felicità al solo pronunciare il suo nome. 

Ad essere del tutto onesta, il tipo non le era sembrato esattamente cordiale sulle prime, per cui la sua sorpresa quando questi le andò in contro e le strinse calorosamente la mano raddoppiò.

- Frauerin Peters - disse, la e pronunciata come una e, alla tedesca, e non come una i, all’inglese - sulle prime credevo che si trattasse solo di una donna che si fingeva una seccante ficcanaso numero uno, ma ora che so che lei è la ficcanaso numero uno in circolazione, beh, le porgo le mie scuse. Non capita tutti i giorni di incontrare la prima donna ispettore capo di Scotland Yard.-

Ficcanaso numero uno?

Immaginò che fosse il suo modo di farle un complimento e ricambiò la stretta di mano con un sorriso.

- Ex ispettore capo.- fece Danielle.- Ho lasciato da tempo Scotland Yard.-

- Ne ho avuto la notizia dai giornali.- le disse, senza mollare la presa sulle sue dita. 

I due rimasero a fissarsi per un momento, ed ebbe la sensazione che il medico la stesse studiando. 

Ritrasse la mano, senza alcuna scortesia, e ne approfittò per congedare il facchino, che nel frattempo aveva caricato i suoi effetti sulla carrozza.

Strinse istintivamente il polso sinistro, mentre cercava di intavolare una conversazione con i due. 

Il dottor Dietrich aveva mille difetti, ma era tutto meno che stupido, e aveva molta poca stima della carta stampata. Sapeva benissimo che i giornali riportavano le notizie così come stavano, come venivano loro comunicate. Erano troppo pochi, almeno a suo parere, i giornalisti che si dedicavano ad inchieste importanti, serie, come quella che, secondo lui, andava aperta sul conto di Danielle Peters. 

Quella donna, nella Londra dei ruggenti anni Venti, aveva fatto decisamente parlare di sé. Contro di lei era stato detto di tutto: era stata accusata di non essere una vera donna, di avere problemi psicologici dovuti alla mancata maternità nonostante fosse molto giovane, le era stato consigliato di farsi curare e i più diretti le avevano detto chiaro e tondo che stava rubando il lavoro a degli uomini più capaci di lei solo in quanto uomini, e quindi di andarsene a casa. Le voci in suo favore invece l’avevano descritta come una donna straordinaria, intelligente, coraggiosa, buona e cordiale, ma furba come una volpe, e il dottore non aveva potuto fare a meno che sposare questo secondo orientamento. 

In primo luogo, perché molte di queste lodi venivano regolarmente intessute da persone che avevano avuto l’onore di conoscerla personalmente. 

In secondo luogo, perché quello che aveva visto e vedeva tuttora gli pareva confermare questa teoria. 

A quanto ne sapeva lui, Danielle Peters era stata una delle prime a chiedere una riforma dell’organico della polizia, la modernizzazione degli apparati a loro disposizione, corsi di aggiornamento di alto livello scientifico - poteva confermare la preparazione degli agenti, nonostante le poche volte in cui ci aveva avuto a che fare all’obitorio -  e, soprattutto, si era apertamente schierata contro il sistema carcerario vigente, da lei ritenuto obsoleto. 

Per non parlare delle sue opinioni contro la pena di morte, che agli occhi del dottore non avevano fatto altro che incrementare la stima che, a suo tempo, aveva nei suoi confronti.

Le sue dimissioni puzzavano quanto un barile di aringhe affumicate.

A giudicare dalla breve occhiata che aveva potuto lanciarle, la lieve chiusura delle spalle e le mani intrecciate, le poche parole scambiate nel vano tentativo, forse, di non apparire socialmente imbarazzante, tutto ciò gli faceva intendere che nel passato di quella donna c’era molto di più di quanto avessero riferito i giornali. 

Il segno sul polso, poi, era in odore di ferita da arma da fuoco.

Intuendo che non era il caso di toccare l’argomento, dirottò la conversazione sul viaggio in carrozza e sul fantomatico O’Brennon Hall, di cui nessuno, evidentemente, aveva mai sentito parlare al di fuori delle pubblicità invadenti dell’agenzia Sanders. 

Un fischio segnalò l’arrivo di una seconda locomotiva, ed un nugolo di persone si riversò sulla banchina. Il terzetto lanciò un’occhiata distratta nella direzione dei binari. Il dottor Dietrich e Mercedes ripresero immediatamente a chiacchierare per conto loro, invece Danielle rimase a fissare quella piccola folla, domandandosi in quanti, tra di loro, sarebbero andati ad O’Brennon Hall con lei. 

Il suo istinto di conservazione ancora una volta le consigliava di sfuggire alle grinfie della massa, ma sapeva bene che avrebbe dovuto liberarsi di quella insulsa paura. Si aggrappò al fatto che il dottor Dietrich l’aveva accolta con entusiasmo e sembrava sincero. 

Mercedes, in quanto straniera, non conosceva la sua storia e non poteva giudicare. 

Non potè trattenere, però, un sospiro di sollievo quando si rese conto che erano ben pochi coloro che si stavano dirigendo verso le carrozze per il castello, mentre la maggior parte della folla si era dispersa rapidamente in diverse direzioni. Danielle individuò un venditore con la sua valigia piena di oggetti, una nonna con il nipotino, un ragazzo con l’aria da pastore ed un tipo curioso, fermo sulla banchina con la valigia stretta tra le mani come se stessero per portargliela via, l’aria stanca, quasi spaventata, mentre si guardava attorno con circospezione.

Quell’uomo la insospettì. Le sembrava quasi strano che un esemplare di così bell’aspetto potesse avere qualcosa da temere in un luogo sperduto e quasi dimenticato come Loch Awe. 

Alto, biondo, la schiena diritta e l’aria pulita, composta, quasi marziale. 

L’uomo lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle mentre usciva dalla stazione, l’aria sollevata. Con la valigia stretta in pugno, individuò con lo sguardo le carrozze e stava per dirigersi verso di esse quando si bloccò nel mezzo al percorso e rimase a fissarla, immobile.

Danielle si sentì profondamente a disagio. Arrossì, allontanando lo sguardo da lui e fingendo interesse per la conversazione di Mercedes e del dottor Dietrich, che aveva virato di nuovo sui cavalli. Cercò anche invano la propria cappelliera, seguendo l’istinto improvviso di coprirsi il volto scegliendo un cappello, senza rendersi conto che ne stava già indossando uno. 

Fu la sua stessa reazione ad indignarla. Era uscita di casa per riprendere in mano la propria vita, e soltanto uno sguardo riusciva a ricacciarla nella sua tana? 

Giammai. 

Se voleva guardare, canzonarla, facesse quello che voleva, lei non aveva intenzione di piegarsi.

Si voltò verso di lui e lo guardò con quella che avrebbe dovuto essere un’aria di sfida. 

In quel momento, però, uno strillo acuto raggiunse le sue orecchie. L’uomo biondo sobbalzò, si guardò alle spalle con aria rammaricata e filò definitivamente fuori dalla stazione.

Un piccolo gruppo di persone si era radunato attorno alle carrozze e gli ospiti si accingevano a prendere posto. Mercedes le confidò che desiderava proseguire il viaggio con Dietrich, e Danielle non la prese a male quando salì con lui, lasciandola ad occupare un’intera carrozza da sola. Chiuse lo sportello, si accomodò la gonna e prese a guardare il bosco di conifere fuori dal finestrino, le rocce coperte di erica e muschio, le poche latifoglie che tendevano ad ingiallire. 

Il paesaggio le piaceva molto, e già pregustava le belle passeggiate che avrebbe fatto attorno al lago quando la carrozza ebbe uno scossone e fu travolta da una figura bionda armata di valigia, che si spinse più forte che potè contro il sedile, schiacciandola contro la parete, e chiuse la portiera tenendola ferma con un piede. 

Danielle maledisse lui e il contatto fisico, e finse di dargli un calcio per un disgraziato incidente. 

Solo a quel punto l’uomo la guardò, parzialmente stupito dalla sua presenza, e si spostò prontamente non appena la carrozza si mise in movimento.

- E’ salito a bordo appena in tempo, non c’è che dire.- bofonchiò lei, ancora senza fiato per essere stata schiacciata come una formica sotto una scarpa.

- Non so come chiederle scusa, mi avrà preso per matto, ma ero inseguito da…- sembrò pensarci su, mentre si passava le dita tra i folti ricci biondi.- Lasciamo stare. Mi perdoni, le ho fatto male?-

Danielle scosse la testa con cortesia e riprese a guardare fuori. 

Il suo piano era chiaro e nemmeno troppo difficile. 

Non c’era voluto molto per scoprire chi lui fosse, anche perché si era trovata la valigia con le sue iniziali praticamente in faccia. Da uomini come lui, Danielle si aspettava sempre un certo tipo di comportamento: fare leva sul fascino dell’avventura, sul sorriso smagliante e sull’abbronzatura presa a suon di stare sul ponte. Insomma, il belloccio di buona famiglia che passa la vita solcando i sette mari nemmeno fosse il capitano Nemo. 

No, lei non faceva minimamente per lui e voleva che il messaggio fosse chiaro.

Inoltre, aveva un ottimo motivo per non volergli rivolgere la parola.

L’uomo, però, non pareva averlo colto.

- Credevo che la carrozza fosse vuota.- aggiunse, sistemandosi nervosamente i ricci biondi. 

Danielle pensò che non era mai stata detta una bugia più grande di quella dopo la terra piatta. 

- Si sistemi pure come ritiene giusto, Sir William.-

Una delle cose che aveva odiato di più del suo periodo a Scotland Yard era stato fare incetta di cronaca rosa. Tizio che sposa Caia che poi lo tradisce con Sempronio, o Tizio che la tradisce con Mevia, il servo Stico che se ne va portando con sé i segreti della famiglia e via di questo passo. Aveva dovuto farlo, nel caso in cui fosse avvenuto un qualche delitto, e prontamente era avvenuto, e Danielle aveva risolto tutto con successo.

In qualche modo, aveva avuto notizie di questo capitano Collins. Proveniva da una famiglia di baronetti che, secondo lei, era disdicevole per l’ostentazione che faceva del proprio titolo. Il giovane rampollo se ne era andato in Marina, nella quale aveva fatto una discreta carriera. Per il resto, non c’era niente di meritevole di essere ricordato a suo carico. Qualche foto con qualche ragazza, sempre diversa, neanche poi così tante come altri del suo genere. 

Se non fosse stato dunque per altre vicende che l’avevano riguardata personalmente, Danielle non avrebbe provato avversione per lui, ma nemmeno interesse. 

C’era una cosa, però, che William Collins non dichiarava mai, ovvero le sue origini altolocate. 

Danielle ricordava distintamente che ogni volta in cui il suo nome era apparso accanto al titolo di baronetto, in qualche modo c’era sempre entrata la sua famiglia. La cosa l’aveva incuriosita, a suo tempo, ma non vi aveva dato un grande peso. 

Il fatto che lui la stesse guardando con l’aria da tonno sul banco del pesce le fece capire che, usando quell’informazione, aveva ottenuto l’effetto sperato. 

- Come, scusi?-

- Avete tutti l’abitudine di scrivere chi siete sulla valigia. Immagino che la sua famiglia abbia ritenuto opportuno esporre il titolo.-

Il capitano abbozzò un sorriso ebete, mentre la osservava perplesso. Danielle stava facendo di tutto per rendersi antipatica, per fargli capire che lei non sarebbe stata un altro nome sulla lista delle fidanzate del capitano Collins, poco importava che lui fosse lo scapolo più ambito d’Inghilterra o il figlio del fornaio. 

Mi dispiace, ma non sono il tuo tipo.

- Se le dicessi che sono stato io, invece, a farlo incidere sulla valigia?-

- Non le crederei, nemmeno se mi pagasse.-

Nella carrozza calò il silenzio, con Danielle che si rassettava la gonna un’altra volta e il capitano che giaceva sul sedile in modo scomposto, la valigia tra le gambe e la giacca stropicciata. Aveva intuito che non si trattava di una donna qualsiasi, e sapeva di doversi guardare bene dalle domande stupide. 

Motivo per cui virò verso argomenti più classici. 

- William John Collins, capitano a tempo pieno e baronetto quando devo.- disse, tendendole la mano.

Danielle gli porse la sua e sollevò un sopracciglio quando lui fece per baciargliela. Si voltò verso il finestrino, guardando il paesaggio scorrere lungo il loro percorso.

- Danielle Peters.-

Il capitano Collins non aveva molta stima delle donne. Non perché le ritenesse inferiori o incapaci, no, semplicemente perché tutte quelle che aveva incontrato avevano fatto di tutto per sembrare tali. 

Aveva visto donne sognare l’amore e sprecarsi dietro ad un matrimonio di comodo o ad un patrimonio ingente. Aveva visto ragazze rinunciare ai loro talenti per convenienza, o non apprezzarli e svilupparli in virtù di convenzioni sociali poco condivisibili. 

La risposta alle sue perplessità era sempre stata la stessa: è la società, è così che funziona, non ci si può fare niente, perché, che altro vuoi? Che altro dovrebbe essere una donna?

Semplicemente non le capiva, erano troppo distanti da lui per suscitare il suo interesse. Soltanto poche avevano catturato la sua attenzione, e puntualmente si era preso delle gran belle batoste quando aveva scoperto che, in fondo, non erano poi tanto diverse dalle altre.

Non gli ci era voluto molto per capire che la donna che divideva la carrozza con lui non era una qualsiasi. L’aveva notata immediatamente, fin da quando era uscito dalla stazione, e ciò che l’aveva colpito maggiormente era stata la sua apparenza ordinaria. Era alta, chiaramente sopra la media, ancora giovane e molto sottile, quasi nervosa. I ricci rossi erano nascosti sotto un bel cappellino blu, assolutamente ordinario. Abito ordinario, di un bell’azzurro cielo. Viso pulito, senza trucco, che qualcuno avrebbe potuto giudicare poco curato, zigomi marcati. Gli occhi, però, quelli erano unici. Blu pervinca, brillanti come fari nel buio, intelligenti e carichi di emozioni. 

Come avesse potuto vedere tutto ciò dalla stazione, distanti com’erano, lo sapeva solo lui, ma checché ne dicesse, non aveva scelto quella carrozza del tutto per caso.  

Non poteva di certo dire che la signorina Peters corrispondesse ai moderni canoni di bellezza, ma per il capitano, in quel momento, non esisteva donna più intrigante di lei.

- Peters? Vuole dire la prima donna ispettore capo che Scotland Yard, nella sua lunga storia, abbia mai avuto?-

Danielle annuì, cercando un accenno di biasimo sul volto del bel capitano dei sette mari, ma non ne trovò alcuno. 

- Sì.-

- L’onore è mio, signorina Peters.-

La ragazza, però, tornò a guardare fuori. 

Intrigante, ma inaccessibile. Il messaggio era chiaro.

Tossicchiò, cercando di trovare un argomento di conversazione che non fosse il tempo.

- Se permette, che cosa fa in un posto sperduto come questo?-

- Desidero cambiare aria, signore.- aggiunse, in apparenza ancora inaccessibile. Poi, ammiccò con la testa in direzione della stazione. 

- Lei è qui per lo stesso motivo, vero?- disse.- Lontano dal pollaio.-

A William venne da ridere, ma si trattenne. 

- Il pollaio?-

- Il mucchio di allegre signore in cerca dello scapolo d’oro.-

Il capitano sorrise, e sognò che in qualche modo la superba signorina Peters potesse essere gelosa dei suoi successi. 

Illudersi, in fondo, non costa niente.

- Lei non si interessa a certi argomenti?-

- Sinceramente no, quando posso farne a meno.-

- Dote ammirevole, come tutto il resto di cui lei è capace, signorina.- 

Danielle emise un sospiro divertito. 

Il capitano non voleva proprio saperne di desistere!

- Ci conosciamo da cinque minuti scarsi, Sir William.-

- Per l'amor del Cielo, signorina Peters, mi chiami William e basta.-

Danielle rise sarcastica.

- William e basta!-

- William e basta, signorina Peters.-

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Capitolo 12
*** Parte 1, capitolo 2: Anche perché, mia cara, se quel poliziotto è morto, è stato solo per colpa della sua presunzione. ***


Anche perché, mia cara, se quel poliziotto è morto, è stato solo per colpa della sua presunzione. 

 

Sapeva di non poter essere acida per sempre. In fondo, il capitano Collins, per quanto lei lo giudicasse farfallone e superficiale, si stava comportando bene. Insomma, avrebbe potuto ridere apertamente di lei e della sua storia, come molti altri. Se lo faceva, almeno aveva la delicatezza di non farsi vedere, per cui si sentì in dovere di ricambiare la cortesia.

- Danielle.-

- Come preferisce, Danielle.-

Calò un silenzio imbarazzante. Danielle guardava i boschi a destra, e William la brughiera a sinistra.  Le ruote scricchiolavano sul sentiero, mentre i cavalli facevano caracollare la carrozza sempre più in alto.

Fu Danielle, per non dover sopportare oltre, a riprendere la conversazione con le classiche domande di rito.

- Ha fatto buon viaggio, William?-

- Decisamente no, Danielle. Sono sbarcato a Dover, poi ho dovuto prendere un treno per Bristol sul quale, a causa del pollaio, come lo chiama lei, ho dovuto dormire in sala caldaie. Da Bristol ho dovuto prendere una coincidenza per Londra, perché la diretta per Loch Awe non era disponibile. A Londra è salita una donna, una signora piuttosto anziana, completamente pazza, che ha cominciato a pregare dondolandosi in modo grottesco, e quando ha preannunciato la fine del mondo ho deciso di ritirarmi nel vagone ristorante da dove, sempre a causa del pollaio, sono dovuto fuggire per concludere il mio percorso chiuso in bagno.-

Danielle scoppiò a ridere, con grande compiacimento del capitano. Avrebbe dovuto ricordarsi, in futuro, che le sue ridicole disavventure la facevano divertire. 

- Bene. Terrò a mente di non viaggiare mai con lei, William.-

- Lo sta facendo adesso.-

In quel momento la carrozza subì un violento scossone e il sentiero cominciò a discendere. La brughiera si estendeva tutt’attorno all’altopiano roccioso, e sotto di loro il lago si ergeva in tutto il suo splendore. Limpido e pulito, rifletteva il cielo, azzurro quel giorno, e le nubi bianche, che filavano veloci mosse dal vento.  

Danielle batté la testa contro il finestrino, e guardò storto il capitano, come se fosse colpa sua. L’uomo sorrise di nuovo, ebete, mentre si domandava come mai gli occhi della donna brillassero più del cielo. 

Si sentì stupido e gradì particolarmente lo scossone che lo distolse dai suoi pensieri. 

Si affacciò.

- Questa strada è peggiore del viale di casa mia.- 

- Ha un viale che sembra un groviera?- domandò Danielle, reggendosi alla portiera mentre la carrozza dondolava senza ritegno. 

- Non sono quasi mai a casa.- concluse lui, facendo spallucce. 

Era forse la conversazione più insulsa che avesse mai fatto in tutta la sua vita, ma tutto sommato Danielle ne era uscita divertita. L’immagine del capitano chiuso in bagno ancora la faceva sorridere. 

Una parte della sua mente le diceva che era un marinaio, un uomo in divisa, che sa di avere fascino con le donne, ma qualcos’altro nel suo comportamento, forse la mancanza di compiacimento che traeva dalle attenzioni che le signore gli rivolgevano, le faceva pensare che il suo primo giudizio potesse essere stato affrettato. 

Decise di concedergli il beneficio del dubbio. Poi, si ricordò delle valide motivazioni per cui non voleva minimamente saperne di lui, e cambiò un’altra volta idea. 

Quando la carrozza rallentò la sua corsa, avvicinandosi al lago, poterono scorgere O’Brennon Hall più da vicino. 

Il castello non era esattamente come Danielle se lo era immaginato. 

Aveva pensato di trovarsi a dormire in una dimora medievale, con antiche cianfrusaglie e tutto ciò che ne consegue. Invece, il castello era stato visibilmente ristrutturato, e di medievale conservava solo l’aspetto, in alcuni punti chiaramente imitato e ricostruito con materiali troppo moderni. La donna non se ne intendeva molto, ma si sentì di dichiararlo un restauro fatto abbastanza male, senza criterio. Nell’insieme, con le sue due torri asimmetriche e le pareti di pietra, era un bel castello, ma si poteva percepire un senso di finzione che rovinava completamente l’atmosfera.

Danielle sospirò, un velo di delusione sul volto, ma pensò che il paesaggio fosse talmente bello che avrebbe anche potuto soprassedere sulla questione restauro. 

La diligenza si fermò nei pressi di un piccolo molo, a cui era ormeggiato un grosso battello, dove i cocchieri stavano già ammonticchiando i bagagli dei passeggeri. Il capitano e Danielle misero nuovamente piede sulla terra ferma, e si stavano giusto avvicinando all’imbarcazione quando William si portò una mano al volto e mormorò un sottile no, che stava quasi per sfuggire anche all’orecchio acuto di Danielle. 

La donna si guardò intorno e si rese conto ben presto che l’origine della disperazione del capitano era una signora, attempata, ma non troppo vecchia, che stava procedendo con veloci falcate verso di lui, sotto braccio la piccola borsetta di velluto nero sgonfia, da cui spuntavano due grossi ferri da calza. Nell’insieme, ricordò a Danielle un grosso rospo vestito di grigio, dai capelli grigi e dagli occhi grigi. 

- Non avrà paura di una tenera vecchietta, voglio sperare.-

- Aspetti di conoscerla. Mi creda, è tutto fuorché tenera!-

- Si rende conto che non è una gran bella cosa da dire ad una signora, specie della sua età?-

William la guardò, scrollando il capo.

- Quando non parla da sola seduta in carrozza, è una semplice istitutrice in vacanza, o almeno così pare. Dia tempo al tempo.-

Danielle aveva cominciato a chiedersi come un simile cuor di coniglio potesse aver fatto carriera in Marina, e i suoi pregiudizi nei confronti degli uomini - del tutto inesistenti fino a che non aveva avuto a che fare con i suoi superiori - in quel momento erano talmente radicali da farle pensare ad una raccomandazione bella e buona.

Non sarebbe stata né la prima, né l’ultima volta, del resto. 

Tuttavia, quell’ultima affermazione l’aveva insospettita. Il capitano non sapeva che la donna era un’istitutrice in vacanza, o non avrebbe usato la locuzione almeno così pare. Doveva, di conseguenza, averlo dedotto. In effetti, c’erano alcuni dettagli, dal callo della penna sulla mano destra, saldamente ancorata alla borsetta, alle tracce di gesso sulla suola delle scarpe, che evidentemente non aveva ripulito di recente, che sostenevano questa impressione. 

Tuttavia, erano tutti elementi talmente insignificanti che si stupì del fatto che il capitano li avesse notati.

Cuor di coniglio o no, la materia grigia dentro la sua scatola cranica funzionava a dovere. 

Come poteva essere, quindi, che, a suo tempo, avesse sbagliato tutto?

La signora in questione si accorse di lui e, puntandolo con grossi occhi da rospo, leggermente opachi per la cataratta, si diresse con piccoli passi precisi e pedanti verso di lui, reggendo la tracolla della borsetta con una mano come se fosse un’arma.

- Ah, così anche lei è qua!-

Il capitano fece un sorriso di circostanza.

- Che coincidenza!- aggiunse lui, con affettata cortesia.- Come ha trascorso il viaggio, signora Rogers?-

La donna cominciò ad agitare in aria il pugno che reggeva la tracolla, con aria minacciosa.

- Vile screanzato!-

Danielle sgranò gli occhi, mentre la signora sputacchiava tutto il suo risentimento in faccia al capitano. 

- E adesso che ho fatto?-

- Non si aiuta una signora?-

Il capitano si guardò intorno, stupito. Aiutarla per cosa? I suoi bagagli erano già sul battello, e per salire era stata predisposta una comoda pedana. 

- Certamente, ma…-

- So chi è, l'ho riconosciuta!- fece poi, abbassando la mano chiusa a pugno e sollevando l’altra, col dito puntato. - Lei è il capitano Collins! Capisco perché è scapolo! Nessuna donna può volere uno screanzato come lei!-

Danielle non sapeva se mettersi a ridere meno. Certo, il giudizio del capitano era stato piuttosto lapidario, ma anche l’atteggiamento della signora non prometteva niente di buono. 

Forse era accaduto qualcosa sul treno che lei non sapeva e che aveva portato la signora ad essere così arrabbiata?

Decise che, forse, era il caso di intervenire.

- Mi scusi, signora…-

In compenso, la signora Rogers si voltò verso di lei con il suo migliore ringhio.

- Io non l’ho interpellata!- sibilò, il dito accusatore dritto contro il petto di Danielle, che cercò di mantenere la calma e di mostrarsi cordiale.

- Lo so, ma, vede, se lei non aveva chiesto niente al capitano… Insomma, ci sono tanti signori in giro: c’è il dottor Dietrich, e quella coppia laggiù…- 

Si fermò, giusto in tempo per riconoscere la coppia in nero che aveva travolto lei e Mercedes alla stazione.

Un gran bel raduno, non c’è niente da dire. 

- Come poteva sapere il capitano che lei voleva proprio il suo aiuto, senza una richiesta ufficiale?-

Al ché, la donna strabuzzò gli occhi, come se avesse appena sentito la più grossa ovvietà del pianeta, e rispose, con aria incredula:

- Gliel’ho appena fatta, la richiesta!-

Fu il turno di Danielle di sgranare gli occhi.

Beh, dal suo punto di vista non fa una piega.

La signora Rogers cambiò espressione e il suo sguardo si fece maligno.

- Ho riconosciuto anche lei, sa?- fece la vecchietta, sempre con il dito accusatore rivolto verso il petto di Danielle.- Lei è Danielle Peters!- 

Ed esplose in una fragorosa risata.

- Queste donne al giorno d'oggi non sanno più fare il loro mestiere! Invece di stare a casa a badare al marito e ai figli, pensano ad andarsene a zonzo a ficcare il naso negli affari altrui! Come lei!-

Non seppe perché, ma in quel momento si sentì assolutamente solidale con il capitano Collins. Quella donna era veramente una megera maleducata, che aveva pure la pretesa di dare del maleducato a qualcun altro. Per quanto incassare il colpo le costasse molta fatica, si ripropose di lasciarla parlare, annuire cortesemente e salutarla con la mano una volta finito tutto come se niente fosse successo. Non valeva nemmeno la pena di arrabbiarsi.

O almeno, così credeva.

- Ho sentito che è stata coinvolta in uno scandalo, di recente, talmente grosso che non ha avuto più il coraggio di farsi vedere a Scotland Yard! Ah! Mi domando come sia possibile che lei non ci sia arrivata prima! E’ ovvio che non è tagliata per quel tipo di lavoro, non ne ha la capacità!-

Solita storia, trita e ritrita, sentita centinaia di volte. Danielle si stampò il faccia il suo miglior sorriso strafottente e lasciò che la signora parlasse.

- Vuole un consiglio? Mi faccia un favore, lo accetti, detto da chi ha più anni di lei! Vada a farsi curare i suoi problemi ed impari l’educazione e il rispetto che si conviene ad una signorina, una volta per tutte!-

Danielle era convinta che la requisitoria fosse finita, considerato che la signora Rogers aveva apparentemente esaurito tutto il repertorio di insulti e luoghi comuni che di solito le venivano rivolti. 

La donna, però, vedendo che non sortiva l’effetto sperato, sfoderò l’asso che aveva tenuto nella manica fino a quel momento.

- Anche perché, mia cara, se quel poliziotto è morto, è stato solo per colpa della sua presunzione.-

- Si fidi, signora.- aggiunse a quel punto Danielle, senza nemmeno cambiare espressione.- Non mi sta dicendo niente che io non sappia già.-

La signora Rogers ammutolì, evidentemente a corto di cose offensive da sputarle addosso. Così, spostò di nuovo l’attenzione sul capitano Collins.

- E’ naturale che due persone come voi vadano d'accordo, ma non venga a mettere il naso nei miei affari, signorina, o non avrò la stessa pietà che ho avuto fino ad adesso! E lei, sia gentile, mi accompagni alla passerella!- 

Alla faccia della pietà!

Il capitano fissò la donna al suo fianco con profondo rammarico. La signora Rogers era stata davvero crudele nei suoi confronti, ma ciò che l’aveva colpito di più era stata la calma, almeno apparente, con la quale Danielle Peters aveva incassato tutti gli insulti che le erano stati rivolti. L’ex ispettore capo di Scotland Yard aveva continuato a muoversi in direzione del molo, silenziosa come aveva sempre fatto, con lo stesso volto impassibile, ma c’era qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che si era spento, e una piccola ruga di preoccupazione le aveva solcato la fronte, come se una tempesta stesse per scoppiare dentro di lei e cercasse di non darlo a vedere. 

- Sono desolato.- le disse, mettendole una mano sul braccio e provando a consolarla. 

Danielle, ancora apparentemente calma, si sottrasse al tocco con aria risentita, e prese ad accarezzare il polso sinistro, assente, dove una strana cicatrice orizzontale riluceva sotto la luce di fine estate.

Non era mai venuto a capo di ciò che era successo a Londra in quel periodo, anche se si era trovato a dover risolvere alcune questioni spinose riguardo al caso a cui aveva fatto riferimento la signora Rogers. Quello che era certo era che lui non aveva mai e poi mai incolpato Danielle Peters per quello che era successo, anzi, le aveva pure spedito una lettera di encomio da parte della Marina tutta per la magistrale gestione dell’emergenza. 

Evidentemente, lei non l’aveva pensata allo stesso modo, o non avrebbe dato le dimissioni.

Ad essere sinceri, aveva l’aria di non pensarla come lui nemmeno in quel momento, ed ebbe la sensazione che, da qualche parte, Danielle Peters covasse del risentimento nei suoi confronti. 

Quella, poi, sembrava una cicatrice da ferita da arma da fuoco. 

Decise che sarebbe venuto a capo anche di quel mistero, con il tempo. Aveva tantissime domande da farle e non voleva essere indiscreto. Soprattutto, aveva la pessima sensazione che qualcosa fosse andato storto, molto storto, e che non si trattasse semplicemente del fallimento dell’operazione che Scotland Yard aveva messo in campo. Ad essere del tutto sincero, un’operazione del genere sarebbe andata a rotoli sotto qualunque altro funzionario di sua conoscenza, e solo Danielle Peters poteva essersene uscita con un’idea come quella riuscendo a portarla quasi a termine. 

Ho tutte le vacanze per capirci qualcosa.

Un uomo in kilt saltò giù dal battello, dopo aver fissato l’ultimo baule. Aveva l’aria giovale, serena, i denti bianchi come la neve che splendevano al sole e le gambe nude come quelle di un bambino. La signora Rogers ne fu scandalizzata e, con gli occhi fuori dalle orbite, estrasse l’anello del rosario dal colletto della camicia e prese a pregare, dondolandosi incessantemente, nemmeno avesse visto il mostro di Loch Ness.

William si coprì il viso con le mani e questa volta Danielle soffocò a stento un commento caustico.

- Benvenuti!- disse il tizio in gonnellino, allargando le braccia, come a volerli abbracciare tutti. - Il mio nome è Steven O'Brennon e sono il proprietario di O'Brennon Hall, il luogo in cui ho l'onore di farvi trascorrere le vacanze. Mi sono personalmente impegnato a ristrutturare questo splendido castello che avevo la fortuna di possedere sulla mia proprietà - e sorrise, conscio del suo potere. La cosa fece torcere il naso di Danielle - e i lavori sono appena terminati. Questo significa che voi - e fece un plateale gesto con la mano - siete i primi clienti, i primi a darmi un giudizio sulla qualità della vostra vacanza! Vi accompagnerò personalmente in barca fino all'entrata, dove i domestici vi aspetteranno, vi illustreranno le regole dell'albergo e vi condurranno alle vostre camere.-

Al ché, li fece salire tutti sul battello. O'Brennon Hall si stagliava maestoso davanti a loro, avvolto da una leggera nebbiolina causata dall'umidità dovuta alla presenza del lago. 

Sulla barca, nemmeno a dirlo, il capitano si sedette accanto a lei.

- Adesso è convinta? Quella donna è pazza o no?-

Il sorriso sornione di Danielle parlava da solo.

- In effetti. Rogers, vero?-

- Mariah. Mariah Rogers.-

- Credo che avesse ragione, William.- disse Danielle, osservando di nuovo la signora che continuava a pregare dondolando. Mercedes, seduta accanto a lei, la squadrò con occhi perplessi e si spinse sempre di più verso Dietrich, che borbottò qualcosa e le passò un braccio protettivo attorno alle spalle. - Istitutrice. Decisamente.-

- Contenti i ragazzi che dovranno avere a che fare con lei.-

Danielle volse lo sguardo, curiosa, su tutti i presenti.

- A parte la signora Rogers, conosce qualcun altro?-

Il capitano scosse la testa, sconsolato.

- No. Lei?-

- Io conosco Mercedes, la ragazza mora che siede accanto al signore con la valigetta, il dottor Dietrich.-

- Dietrich… Come l’attrice?-

- Come l'attrice. Poi, conosco lei e la signora Rogers. Mi è sconosciuta l'identità della coppia in nero, anche se io e Mercedes abbiamo avuto l'onore di essere travolte alla stazione da loro.-

Oltre a lei, il capitano, Mercedes, il dottor Dietrich e la signora Rogers, gli altri ospiti erano dunque tutti sconosciuti a Danielle. La coppia vestita di nero che aveva incrociato alla stazione se ne restava seduta in disparte, senza mescolarsi con gli altri. La donna aveva l’aria triste, di un triste quasi malsano, mentre l’uomo sembrava perennemente arrabbiato. Un’altra coppia, una donna con i capelli scuri e un uomo altissimo biondo cenere, spettinato come se fosse stato colpito in pieno dall’elica di un aeroplano, chiacchierava allegramente a fianco a loro. In mezzo, un ragazzino con gli occhiali che sfogliava un libriccino dall’aria consunta; ogni tanto lanciava occhiate curiose in giro, per poi sprofondare di nuovo nella lettura. 

Tutte persone che non sembravano avere la minima voglia di confondersi con gli altri.

La cosa non la stupì poi più di tanto.

La traversata fu piuttosto breve e il battello attraccò alla sponda opposta del lago dopo averlo tagliato in diagonale. I passeggeri furono fatti scendere. Il capitano corse ad aiutare la signora Rogers, che ebbe da ridire, perché lei non aveva chiesto nulla a nessuno. 

Il capitano guardò Danielle. Danielle guardò il capitano.

Sospirarono e sbarcarono a loro volta. 

- Everard!-

Steven O'Brennon aveva fatto un cenno eloquente all'uomo che era sulla porta, che corse a prendere le valigie degli ospiti.

- Everard, dov'è Emily?-

- E’ dentro, signore.- rispose l’uomo, azzimato e pulito fino all’ultimo capello.- Aveva dimenticato il grembiule, signore.-

- Bene. I signori Smith, cioè il qui presente Everard…-

Una donna uscì di corsa dall'albergo mentre si legava un grembiule bianco in vita.

- … ed Emily saranno i vostri domestici. Penseranno a tutte le vostre necessità. Adesso, vi saluto, gentili ospiti!- e si inchinò, quasi fino a strusciare il naso contro il tartan, se solo fosse stato abbastanza flessibile.- Vi lascio ai miei zelanti domestici e vi auguro una felice permanenza.-

 

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Capitolo 13
*** Parte 1, capitolo 3: Non sono invalida, capitano. E' soltanto una vecchia ferita. ***


3. 

 

Non sono invalida, capitano. E’ soltanto una vecchia ferita.

 

La stanza che le era stata riservata era ampia e luminosa. Affacciandosi alla finestra, in posizione centrale sulla facciata dell’edificio, il lago si estendeva sotto di lei, fino a perdita d’occhio. L’aria muoveva un paio di candide tendine bianche, mentre le pareti, chiare ed intonacate di fresco, riflettevano la luce che entrava attraverso i vetri. Alcuni mattoni originali, antichi come solo il tempo sapeva scolpirli, erano stati lasciati a vista, con sua grande gioia. 

Non c’era granché nella sua camera. Il letto era ampio e spazioso, e le lenzuola bianche profumavano di bucato fresco. Era tutto molto pulito e si sentiva un leggero aroma di fiori per profumare l’ambiente. La struttura del letto, il comò, lo scrittoio, le sedie, l’armadio, tutto era stato ricavato da legno scuro, forse castagno. Alcune candele erano state sparse in giro per la stanza e un grosso lampadario di vetro pendeva dal soffitto, illuminando l’ambiente e riflettendo la luce ancora di più. Sul suo comò era stata messa una bella lampada, che Danielle apprezzò, soprattutto per leggere un poco prima di dormire. 

In bagno, le bastò notare la bella vasca con acqua corrente per essere pienamente soddisfatta e ringraziare l’insistenza di Ruth Marston, che l’aveva fatta partire nonostante tutte le sue remore e la sua pignoleria. 

Quello che aveva scambiato per un tavolo, vicino alla parete, in verità era un giradischi, e nello sportello sottostante vi era un vasto assortimento di musica. Non si stupì di trovare una buona collezione di musica scozzese e cornamuse, anche se era certa che, per gusti personali, non ne avrebbe mai ascoltato nemmeno un pezzo, e scorse con il dito le copertine di vari dischi di musica classica, chiedendosi, invece, quale avrebbe messo su per primo. 

La vera stranezza, però, era il leggio, delicatamente disposto accanto a quel meraviglioso pezzo di ingegneria.

Un leggio in un albergo?

Perché, si può suonare uno strumento in albergo senza essere presi a pedate dal vicino della stanza accanto?

Un tossicchiare leggero alle sue spalle la distrasse.

Everard Smith era il classico maggiordomo che chiunque si sarebbe aspettato di incontrare in un albergo o in una casa lussuosa. Raffinata divisa bianca e nera, un farfallino nero al collo. Alto e allampanato, con i capelli castani sempre in ordine, gli occhi rotondi e tranquilli, e un paio di spessi occhiali a fondo di bottiglia che gli ingrandivano le iridi. Nel complesso, aveva l’aria di un insetto lungo e magro con gli occhi grandi.

- Il suo baule, signora.-

Il buon costume avrebbe voluto che lei lo correggesse, definendola signorina, ma Danielle si era sempre infischiata dell’etichetta e preferì aiutarlo mentre quel poveruomo arrancava da solo sotto il peso dei suoi bagagli, armeggiando con la maniglia del baule. 

- Può lasciarlo qua, lo sistemerò io con tutta calma.-

Il maggiordomo insistette un poco, e Danielle ebbe la sensazione che l’uomo non fosse lì semplicemente per il baule. 

C’era anche un’altra categoria di persone, un terzo gruppo che non includeva né chi la canzonava o la derideva, né chi la stimava, ovvero il mucchio dei curiosi. Buona parte della gente che aveva incontrato non aveva espresso alcuna opinione su di lei, non aveva discusso quanto le era accaduto. Si era semplicemente limitata a puntare il dito e a dire guarda c’è Danielle Peters. Di per sé, non facevano niente di male, ma Danielle si sentiva comunque a disagio, come un fenomeno da baraccone. 

All’improvviso, di fronte a quel maggiordomo che si dondolava sui talloni, forse in attesa di dire qualcosa, la sua stanza le sembrò troppo grande, il letto enorme per una persona sola, e lei piccola piccola in quel grande vuoto che la circondava. 

Inspirò ed espirò, cercando di non perdere il controllo. C’erano momenti in cui aveva paura della folla e detestava il contatto fisico. C’erano altri attimi, come quello, in cui invece le prendeva l’horror vacui. Non era sempre stata così, e sarebbe tornata volentieri ad essere una persona normale, sana. Avrebbe solo dovuto credere in quella possibilità che si era data. Crederci fino in fondo.

Al diavolo il maggiordomo.

Everard Smith, però, era pronto a sorprenderla. 

- Chiedo scusa, il signor O’Brennon mi ha detto che lei è Danielle Peters.-

Eccoci qua. 

Sapevi che te lo avrebbero chiesto tutti una volta uscita dal tuo buco sull’Embankment, quindi smettila. 

- Sì, signor Smith.-

Il viso del maggiordomo si riempì di orgoglio.

- Nostra figlia Serena vuole fare proprio quello che ha fatto lei!-

Non era esattamente ciò che si era aspettata di sentire. 

Rimase a fissare il maggiordomo, senza sapere che cosa dire, con la bocca semiaperta per lo stupore. 

- Io sono senza parole, signor Smith.-

- Se non è chiedere troppo, signora, avrei tanto piacere di farle incontrare mia figlia, così potete parlare un po’ di questa cosa, di Scotland Yard.-

- Si aspetta che io la dissuada?-

- Oh, no, assolutamente!- disse quello, scuotendo le mani come se avesse sentito una enorme assurdità.- Mia figlia deve fare quello che le piace, ma vorrei che si rendesse conto di quello che significa essere quello che è stata lei. Sa, sui giornali è tutto bello, ma il lavoro vero è diverso.-

I suoi genitori avevano provato a convincerla del contrario. Sotto sotto, forse avevano avuto ragione, a quel tempo. I Peters avevano sempre creduto in lei, o non le avrebbero mai permesso di studiare, ma sapevano che il prezzo da pagare sarebbe stato caro, forse troppo alto per poterlo sopportare. Una parte di sé si era sempre domandata se non sarebbe stato meglio crescere in una famiglia di vedute più ristrette, che non ammettesse deroghe allo status quo. 

Avrebbe sofferto meno? Oppure tutta la sua energia repressa l’avrebbe travolta, facendole vivere una vita infelice ed insoddisfatta?

Nonostante le conseguenze, che ancora stava pagando, non rimpiangeva un solo giorno passato a Scotland Yard, e non lo avrebbe cambiato nemmeno per la luna. 

Che cosa avrebbe dovuto fare con la piccola Smith? Avrebbe dovuto dirle l’amara verità, che il mondo, forse, non era ancora pronto per una donna al comando? Avrebbe dovuto dirle una bugia a fin di bene, dissuaderla, o lasciare che inseguisse il suo sogno? 

Chi era lei, in fondo, per impedirle di fare le sue scelte?

- Scotland Yard non è facile, signor Smith. Per niente. Un lavoraccio. Bello, ma un lavoraccio.-

- Lo so, ma lei è testarda come un mulo, e non vuole sentire ragioni!-

- Forse, se è così convinta, allora è la sua strada. Se si presenterà l’occasione, le parlerò volentieri.-

Il maggiordomo si profuse in mille moine, garantì che le avrebbe fatto trovare i panini dolci appena tolti dal forno quando lei fosse venuta a trovarli e che la moglie Emily avrebbe preparato la sua tisana speciale ai frutti di bosco, che faceva essiccare proprio con le sue mani. Danielle sorrise, leggermente in imbarazzo, e guardò la schiena di Everard Smith allontanarsi dopo diversi inchini con un certo sollievo. Poi, come ricordandosi all’improvviso di qualcosa, tornò sui suoi passi e fermò il maggiordomo.

- Ah, signor Smith, prima che vada, due domande!-

L’uomo si fermò sulla soglia.

- Esattamente, dove dovrei raggiungervi?-

- Al piano inferiore, vicino alla sala da pranzo, ci sono le nostre poche stanze private. Sarò ben lieto di accompagnarla e…-

- Grazie, signor Smith. Infine, perché c’è un leggio nella mia stanza?-

Sul volto del maggiordomo esplose un sorriso sornione.

- Ce n’è uno in ogni stanza, nel caso in cui gli ospiti fossero dei musicisti ed intendessero suonare. Alcuni hanno addirittura richiesto degli strumenti musicali ben precisi.-

Danielle aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

- Non credevo che fosse possibile, in un albergo.-

- Mia cara signora - disse, abbassando lo sguardo a metà tra l’imbarazzato e l’impertinente.- Imparerà a sue spese che il signor O’Brennon è un tipo assai curioso.-

Detto questo, uscì dalla sua stanza e tornò ad occuparsi degli ospiti.

Danielle si guardò in giro, le mani posate sui fianchi e il cappellino appeso scompostamente alla testiera del letto.

Come inizio non era di certo niente male.

Spinse il baule contro il muro, infilò la valigia e la cappelliera dentro l’armadio vuoto, senza nemmeno disfare i bagagli se non per togliere l’essenziale per la toeletta. Al resto, avrebbe pensato dopo. 

Sporse la testa fuori dalla porta giusto in tempo per vedere il signor Smith portare i bagagli di Mercedes nella stanza accanto, alla sua destra.

Ne fu molto lieta. Almeno, durante le sue serate vuote, avrebbe potuto parlare con qualcuno e divertirsi un po’. 

Alla sua sinistra, invece, c’era Mariah Rogers, le braccia conserte e l’aria imbronciata, che batteva il piede contro il pavimento in attesa del suo bagaglio.

La cosa la convinse ancora di più ad evitare musica tradizionale scozzese e cornamuse. Dopo la scenata al molo, Danielle non aveva intenzione di confondersi troppo con la signora. Era chiaro che le era antipatica, e anche lei provava un certo sentimento di repulsione nei confronti dell’istitutrice. Era certa che Mariah Rogers non avrebbe avuto nulla in contrario se non le avesse rivolto la parola, né in quel momento, né mai, e se invece la cosa l’avesse indispettita, poco importava. 

Proprio davanti a lei, il dottor Dietrich stava sistemando i suoi effetti personali. Le altre due stanze, invece, erano occupate rispettivamente alla sua sinistra dalla coppia vestita di scuro e alla sua destra da quello che Danielle riteneva essere uno studente. Una sottile scala a chiocciola di ferro battuto a destra, in fondo al corridoio, portava alle due stanze rimanenti, situate nella torre, ovvero quella dei due signori distinti e del capitano Collins. 

La donna vestita di nero stava portando da sola su per le scale un grosso baule. Faceva i gradini a ritroso, trascinando con le braccia esili quella grossa cassa rivestita di cuoio. 

A dire la verità, agli occhi di Danielle la donna sembrava una canna da giunco, cava e senza peso. Era sottilissima, magra tanto da sembrare malata. Le lunghe dita aguzze artigliavano la maniglia del baule come un naufrago si attacca al salvagente. Aveva l’aria di essere molto pallida, e i suoi bellissimi capelli neri, lucidi ed intrecciati con eleganza dietro la nuca parevano leggermente fuori posto. Il baule era un oggetto di gran classe, decisamente, rivestito di un ottimo materiale scuro e rinforzato da borchie qua e là, ma doveva pesare una tonnellata, mentre la povera donna sembrava potersi librare in volo alla prima folata di vento, e la gonna ampia la impacciava nei movimenti. 

Danielle provò pietà per lei e decise di aiutarla, anche se le restava un mistero il motivo per cui non avesse aspettato il celere signor Smith.

Così, si avvicinò a lei e le sfiorò la spalla per catturare la sua attenzione. 

La donna sobbalzò, colta di sorpresa. Sembrava quasi spaventata e smarrita. 

Danielle si sentì in colpa. Non era quello l’effetto che avrebbe voluto suscitare.

- Chi è?-

Il volto della donna gelò il sangue nelle vene di Danielle. Era molto peggio di quanto avesse intravisto fino ad allora. Non solo era pallida, ma estremamente scavata in viso, le guance svuotate e le borse sotto gli occhi gonfie, scure e violacee. Le labbra erano sottilissime, continuamente nascoste tra i denti e spellate dal troppo mordere. Aveva uno sguardo intenso, profondo, buono e molto emotivo, di una tristezza infinita, che quasi la commosse. Non aveva mai visto delle iridi così grigie, messe in risalto dal lieve rossore delle palpebre e dalle ciglia lievemente appiccicate.

Sembrava che avesse pianto.

Danielle pensò che una donna così dovesse aver subìto un dolore indicibile e ne ebbe ancora più pietà. Guardarla le dava quasi fastidio, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco. Abituata a vedere se stessa allo specchio tutti i giorni, non riusciva a percepire la differenza che gli altri avevano notato in lei, tanto tempo fa. Si domandò se il volto disperato della donna che aveva davanti era stato anche ciò che i suoi genitori avevano visto quando l’avevano trovata sola, in casa sua, in condizioni che preferiva non immaginare. 

Le ricordava tanto se stessa fino a poco tempo prima. 

La donna posò gli enormi occhi buoni sul volto di Danielle, quasi dispiaciuta di aver reagito in quel modo.

- Chiedo scusa.- si affrettò a dirle, ritirando la mano dalla sua spalla.- Mi dispiace di averla spaventata. Volevo soltanto aiutarla.-

La donna distese le labbra in un sottile sorriso senza gioia e scosse il capo, tornando a guardare la cassa con aria pensierosa.

- Mi chiamo Danielle Peters.- continuò, stendendo la mano.- Piacere di fare la sua conoscenza.-

Gli occhi della donna saettarono di nuovo sul suo volto ed improvvisamente si accesero di una luce che Danielle non seppe identificare. Rimase a guardarla, come incantata, per un lasso di tempo che le parve interminabile, occhi grigi dentro occhi pervinca. 

- Peters, ha detto?-

Danielle annuì, cercando di sorridere cordialmente.

La donna parve riaversi dall’improvviso stupore e si affrettò a stringerle la mano con quella libera, restando in equilibrio sulle scale e reggendo miracolosamente il baule con una mano sola. 

- Piacere, il mio nome è Eveline Northwood e tra breve farà la conoscenza anche di mio marito Carl. E’ molto gentile a volermi aiutare!- disse, mentre Danielle afferrava la maniglia e cercava di tirare quell’oggetto pesantissimo su per l’ultimo gradino, prima che trascinasse Eveline con sé giù dalle scale. - Mio marito è un po’ suscettibile e proprio non ne voleva sapere di aspettare il maggiordomo. Inoltre, dovrà fare su e giù per le scale con così tanti bauli che quasi mi dispiaceva lasciargli pure il mio!-

Danielle commentò positivamente la sua presenza di spirito, e con Eveline trascinò il pesante baule fin dentro la stanza dei signor Northwood. 

Come aveva ipotizzato inizialmente, era stata assegnata loro la stanza vicina alle scale, la prima accanto al dottor Dietrich e di fronte alla signora Rogers. 

Si accorse che le stanze non differivano molto le une dalle altre. Anche l’ambiente dedicato esclusivamente ai signori Northwood era uguale al suo. Armadio, letto, comò - due, questa volta - scrittoio, giradischi, un leggio, qualche sedia, e candele a non finire. Lampadario, tende, lampade da tavolo al loro posto, e Danielle azzardò l’ipotesi che anche il bagno fosse uguale. In fondo, Steven O’Brennon si era dimostrato ragionevole. Stanze simili, adattabili con poche modifiche all’inquilino, singolo o coppia che si volesse, senza troppi sforzi da parte del personale. 

L’unica differenza era un vasto assortimento di liquori, là dove lei, invece, aveva stivati i dischi di musica scozzese. 

Eveline, nel frattempo, si era messa a girare per la stanza, esplorando l’ambiente e chiacchierando a ruota libera.

- E’ stata così gentile! Posso offrirle qualcosa per ricambiare il favore? Mio marito è un appassionato di liquori, sono certa che troverà qualcosa di suo gradimento!-

Danielle scosse la testa, gentilmente.

- La ringrazio, ma declino l’invito. Non sono un amante del bere, soprattutto a stomaco vuoto.-

- Nemmeno un bicchiere d’acqua?-

- Se proprio insiste, all’acqua non si dice mai di no.- 

Danielle in verità aveva avuto sete sin da quando era scesa alla stazione, ma non era così scortese da approfittare della gentilezza della signora. Tuttavia, la donna accorse a versarle un bicchiere d’acqua e glielo consegnò con sollecitudine. Sembrava contenta di avere qualcuno con cui fare due chiacchiere, e Danielle pensò che non le sarebbe dispiaciuto dare una mano a quella creatura persa, se solo lei fosse stata forte abbastanza da poter dispensare buoni consigli. La riteneva una persona davvero molto dolce.

- Sa, l’ho riconosciuta.- le disse, mentre le porgeva il bicchiere colmo d’acqua. Danielle pensò subito al peggio, ma Eveline pareva non riferirsi alle stesse cose.- Mi dispiace molto di averla colpita, oggi, alla banchina, lei e quella ragazza. Carl sa essere molto, come posso descriverlo? Trascinante.-

Danielle si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito.

- Direi che l’aggettivo è calzante.-

- E questa chi è?-

La sua voce era acuta e fastidiosa, quasi gracchiante, e Danielle ne fu disturbata. Si voltò a guardare il piccolo uomo vestito di scuro, fermo sulla soglia, l’aria di chi aveva appena beccato un ladro nella sua proprietà. L’atmosfera distesa che si era creata tra le due donne divenne all’improvviso fredda ed indisponente. Danielle dovette attendere un poco per essere certa che fosse stato proprio lui a parlare. Tutto sommato le ricordava un carlino, grasso e con quello stridulo modo di abbaiare, tipico dei cani piccoli. Era davvero un ometto curioso, piccolo e rotondo, che sostava con le braccia conserte sulla soglia della stanza. Era stempiato, ma per coprirlo aveva creato un ridicolo riporto, nero come la pece e impomatato. Un folto paio di baffi neri, perfettamente curati, trovavano il loro posto sotto un piccolo naso a patata sproporzionato rispetto al resto del volto. Occhi scuri, anche quelli piccoli e porcini, saettavano da un lato all’altro della stanza, quando non erano fissi su Danielle, guardandola con odio.

Osservò attentamente la pelle, scura, come se fosse stata esposta al sole, e segnata in più punti. Per un uomo come lui, che, per quanto ridicolo, ostentava un tenore di vita molto alto - almeno a giudicare dalla patacca dorata che portava al polso al posto dell’orologio - era un fatto molto inusuale. 

Più che un ricco signore londinese, sembrava un operaio arricchito. 

Forse non aveva avuto una vita facile. 

Danielle decise che non era dell’umore giusto per tenere il broncio e decise di scusarlo per la scortesia dimostratale.   

- Oh, Carl caro, voleva solo aiutarmi con il baule.-

- Mi scusi per l’intrusione.- disse Danielle, cercando di togliere Eveline dagli impicci. - Se preferisce, me ne vado subito. -

- Preferirei, grazie.-

Vita difficile o no, la scortesia può anche tenerla per sé.

Danielle, mentre si dirigeva verso la porta, fu lì lì per dirglielo, ma si trattenne dal farglielo notare. 

Non aveva voglia di litigare e per quel giorno le era bastato quanto già aveva ricevuto dalla signora Rogers. 

- Danielle Peters.- disse, tendendo la mano verso l’uomo, in un estremo tentativo di essere cordiale. - Sono qua in vacanza anche io.-

L’uomo divenne rosso come un peperone mentre la rabbia montava dentro di lui, e si rivolse alla moglie, abbaiando, il graffio nella voce tipico di chi fuma da anni sempre più acuto.

- Quante volte te lo devo dire!- disse, sputacchiando saliva ovunque.- Quante volte ti devo dire di non lasciar entrare nessuno! La gente non viene ad aiutarti, Eveline, viene solo a curiosare! A nessuno importa delle tue crisi isteriche, hai capito?-

La donna ribatté qualcosa che Danielle non riuscì a carpire, e Carl Northwood si gonfiò talmente tanto che credette di vedere saltare i bottoni del piccolo panciotto.  

- Ma quale baule e baule! Hai presente chi è questa qui?- disse, puntandole il dito al petto e calcando bene il questa, con disprezzo. 

- Questa è quella spostata che ha fatto l’ispettore capo a Scotland Yard!- abbaiò di nuovo, muovendo il dito accusatore verso il volto di Danielle.- Pensi davvero che le importi di te, Eveline? O forse le importa solo ficcare il naso negli affari altrui?-

Danielle, esasperata, si chiese - con buona pace di Ruth e di chi l’aveva aiutata - se fosse venuta in vacanza in Scozia o se l’avessero fatta ricoverare a tradimento in un ospedale psichiatrico. 

Pensò che fosse meglio troncare la discussione.

- Mi dispiace molto se la mia presenza ha creato tanto scompiglio. Tolgo immediatamente il disturbo. Vi auguro una buona giornata, signori.-

Carl Northwood, però, non sembrava assolutamente intenzionato a lasciarla perdere. 

- Dove pensi di andare tu! Devo dirti due paroline.-

Danielle sostò sulla porta e sospirò. Il tu non prometteva niente di buono, significava non avere rispetto per una persona che non si conosce. Un registro a cui si era abituata, ed era già pronta a recitare lo stesso copione utilizzato con la signora Rogers.

Carl Northwood si rivolse di nuovo alla moglie e con un gesto sgarbato le gettò un flacone.

- Ecco qua, prendi le tue gocce e vattene a dormire! Smettila di frignare!-

A quel punto, Danielle aveva soltanto voglia di dargli un pugno e schiacciargli ancora di più quel naso a patata, ma si trattenne. 

Inspira, espira. Il copione della signora Rogers, preparati a recitarlo.

- Tu.- le disse, avanzando con falcate decise verso di lei, per quanto glielo permettessero le sue tozze gambe striminzite.- Sarà bene che non ti faccia più vedere da queste parti, carina.-

Non fu tanto la minaccia, ma essere chiamata carina a farle perdere la bussola definitivamente. 

- Prego?-

- Hai capito benissimo. Qui non siamo a Scotland Yard. Va a giocare al poliziotto da qualche altra parte.- 

Le venne da ridere.

- Tutta questa storia per un baule? Non si preoccupi, signor Northwood, non succederà più. Mi auguro solo che la prossima volta se lo porti su per le scale da solo, invece che appiopparlo a quella povera donna di sua moglie.-

- Non osare mai più parlarmi in questo modo!- disse, afferrandole il polso ferito e premendo con le dita tozze sul nervo.

Danielle avrebbe tanto voluto urlare di dolore, ma non aveva intenzione di dargliela vinta. Strinse i denti e cercò di non cambiare espressione, fissando intensamente con i suoi occhi pervinca il piccoletto, che continuava a stringere con forza crescente il polso.

- Mi lasci andare. Adesso!-

Carl Northwood, a quel punto, non solo non l’ascoltò, ma la apostrofò con dei termini che Danielle non avrebbe mai avuto il coraggio di ripetere. Urlava quelle parole, scuotendole il braccio, come se lei avesse commesso chissà quale sgarbo a suo carico.

Infine, arrivò la minaccia.

- Puoi ritenerti fortunata se qualcuno non ti ha ancora fatto sparire, carina, ma prima o poi qualcuno ti troverà e ti darà quello che ti meriti.- 

Danielle non poteva credere alle proprie orecchie. Le minacce di morte non erano nuove, nella sua vita, e dopo la sua disavventura in polizia molti si erano sentiti autorizzati ad augurarle tanti mali per il semplice fatto di essere Danielle Peters e di esistere, ma mai le era capitato che qualcuno la minacciasse di morte per un baule

- Per un baule? Sta scherzando?-

Northwood non sembrava intenzionato a demordere. 

- E’ l’ora che qualcuno ti riporti su questo pianeta e ti dimostri la forza e la virilità di un uomo.-

- Quindi, di certo non lei.-

La voce baritonale del capitano interruppe il fluire di parole scurrili del signor Northwood.

William si trovò davanti una situazione surreale. Danielle, decisamente più alta di quell’uomo volgare, sovrastava il piccoletto, che però la teneva in scacco torcendole dolorosamente il polso. I due si guardavano in cagnesco, con la donna che sovrastava Northwood con tutta la testa. L’una meravigliata ed oltraggiata, l’altro imbestialito oltremisura. In mezzo, acquattata sotto la finestra con la testa tra le mani, c’era la povera Eveline, pallida come la cera, che piangeva disperata e borbottava parole incomprensibili, con il flacone di tranquillanti poggiati poco lontano da lei.

Gli occhi color miele di William, di solito grandi e pacifici come quelli di un cerbiatto, adesso erano severi ed accigliati, conferendogli un’aria incredibilmente perentoria che parve travolgere anche Carl Northwood. 

- Le consiglio, signore- disse il capitano, senza scomporsi, ma con un velo di minaccia nella voce.- Di lasciare andare immediatamente la signorina Peters.-

Tuttavia, Northwood non era tipo da lasciarsi sottomettere, e tentò un’estrema difesa.

- Questa donna ha invaso la mia libertà personale!- disse, e le torse il polso ancora una volta. Una smorfia di dolore trattenuto tradì Danielle.

Il capitano alzò un sopracciglio.

- Anche sua moglie la pensa così? Da quello che riesco a capire dai suoi balbettii, l’aveva semplicemente aiutata a portare in camera il baule.-

Carl Northwood guardò con astio la moglie. 

- E di grazia, chi saresti tu, biondino, per farmi la morale?-

- Sir William John Collins, capitano della Reale Marina di Sua Maestà Re Giorgio.- disse, inchinando lievemente la testa.- Al vostro servizio, signori.-

Alla menzione della sua carica ufficiale, Carl Northwood parve ricomporsi definitivamente. Lasciò andare - non senza un ultimo sguardo di odio - il polso dolorante di Danielle e indietreggiò di un passo.

- Resta il fatto che non voglio più vederla in giro.-

William sorrise beffardo.

- Da questo punto di vista, signore, temo che dovrà farci l’abitudine.- disse, scortando Danielle fuori dalla porta.- La signorina è in vacanza qui.-

Poi, con una mano sulla maniglia, lanciò un ultimo sguardo dentro la stanza. Northwood era ancora furente di rabbia, ed Eveline giaceva ancora disperata sul pavimento, i capelli scomposti e gli occhi gonfi di pianto. 

- Signore.- disse, inclinando lievemente la testa con aria di disappunto.- Buona permanenza.-

Poi, lasciò che il suo sguardo scorresse sulla figura piagnucolante di Eveline Northwood. I suoi occhi nocciola incrociarono quelli grigi ghiaccio e arrossati della donna.

- Signora.-

E chiuse la porta.

In corridoio, tutti, inclusa la signora Rogers, si erano affacciati per guardare la scena. La cosa la infastidiva un poco, sentendosi ancora una volta un oggetto posto sotto i riflettori. Cercò di mantenere la calma e comportarsi come se niente fosse successo, ma evidentemente non ci riuscì. Il capitano le aveva passato un braccio attorno alle spalle, e lei non era riuscita a liberarsene in tempo. Mercedes aveva preso a borbottare qualcosa in spagnolo e Danielle non era certa di voler sapere il significato di quelle parole, mentre la testa bianca del dottor Dietrich aveva fatto capolino da dietro lo stipite della porta. 

- Was ist los?- chiese in quella sua lingua dura e gutturale. 

Il capitano non capì, mentre Danielle, invece, desiderosa di scrollarsi di dosso tutte quelle attenzioni non richieste, fu celere a rispondere. 

- Nichts Ernstes. Eine unhöfliche Person.-

Il fatto che parlasse tedesco fluentemente non fece altro che incrementare il comune stupore. Anche il dottor Dietrich sembrò sorpreso. Annuì, pensieroso, per poi concentrare la sua attenzione sul polso che la donna reggeva il modo malcelato.

- Fa male?- chiese, con l’accento ancora tedesco, ma in lingua inglese.

- Solo un po’. Del ghiaccio risolverà il problema.- concluse lei, gli occhi bassi e il capo chino per non vedere quelle facce che la osservavano assiduamente. 

- Aspetti!- proruppe il capitano, illuminandosi.- Lei è medico, giusto?-

- Medico legale, sì.-

- Potrebbe darle un’occhiata? Non sono sicuro che sia sincera.- disse, guardandola in tralice.

Danielle non sapeva se William stesse facendo tutta quella commedia perché era convinto di doversi accertare della sua salute o semplicemente per infastidirla. Più lei cercava di sottrarsi a quelle attenzioni non richieste, più lui trovava un modo per lasciarla alle luci della ribalta. 

Sbuffò, contrariata.

- Non sono invalida, capitano. E’ soltanto una vecchia ferita.-

- Che tipo di ferita, se posso chiedere?- fece il dottore, guardandola di sottecchi e prendendo il polso tra le dita delicate.

Danielle non voleva e non poteva mancare di rispetto a nessuno, se non voleva peggiorare la situazione. Così, rispose, sospirando:

- Ferita da arma da fuoco.- disse.- Smith and Wesson.-

Il capitano e il dottore si guardarono, intendendosi.

- Quanto vecchia?- fece questo, calcando pesantemente il suono gutturale.

- Quasi due anni.-

Il dottore le mosse la mano, giusto per fare ancora qualche accertamento. Poi, dopo aver scambiato quello che pareva uno sguardo d’intesa con il capitano, disse:

- Penso anche io che trenta minuti di ghiaccio possano bastare.-

Poi, allontanandosi, aggiunse, di nuovo in tedesco:

- Ich erinnere mich gut. Es tut mir sehr leid.-

Danielle sorrise.

- Sie sind sehr nett. Danke.-

 

TRADUZIONI DAL TEDESCO

 

Che sta succedendo?

Non è niente. Solo una persona maleducata.

Mi ricordo bene. Mi dispiace molto.

Lei è molto gentile. Grazie.

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Capitolo 14
*** Parte 1, capitolo 3: Credo che sia curioso, invece, il fatto che io abbia provato a mettermi in contatto con lei, e che Scotland Yard mi abbia detto di non sapere dove si trovasse. ***


Credo che sia curioso, invece, il fatto che io abbia provato a mettermi in contatto con lei, e che Scotland Yard mi abbia detto di non sapere dove si trovasse.

 

Se non altro, il pesce servito dai signori Smith era fresco di sicuro, e non solo perché veniva conservato nella ghiacciaia. 

Osservò la grossa trota salmonata, su cui la signora Smith, dietro l’insistente consiglio del capitano Collins, l’aveva costretta a poggiare il polso. Era un gran bella trota, luminosa, con gli occhi ancora brillanti.

Avrebbero mangiato bene, almeno a giudicare dalla materia prima.

Per il resto, si sentiva una perfetta idiota. Si trovava seduta al tavolo in cucina, nel regno dei signori Smith, fra piume di gallina, spezie e conigli ripieni. Il tavolo era così lungo e uniforme da indurla a pensare che fosse stato ricavato da un unico grande tronco, senza bisogno di aggiungere altre assi. Il soffitto a volta era ancora interamente di mattoni, senza essere stato intaccato con orribili stucchi ed intonaco bianco. Danielle si disse che l’area che Steven O’Brennon non aveva personalmente restaurato era di gran lunga più bella, caratteristica e pittoresca del resto. 

La signora Smith si aggirava per la cucina, intenta a preparare la cena. Il capitano Collins, dal canto suo, si era seduto di fronte a lei, il volto affossato dentro il palmo della mano, cercando di nascondere la noia. Danielle non aveva spiccicato parola da quando l’aveva condotta dentro le cucine, se non per chiedere l’ora ogni cinque minuti.

- Posso toglierlo, adesso?-

- No. Il dottor Dietrich ha detto mezz’ora, e mezz’ora deve essere.-

- Ma è già passata!-

- Non dica sciocchezze, Danielle. Erano trascorsi solo dieci minuti, l’ultima volta che me lo ha chiesto.- 

Cioè, cinque minuti prima, ma il capitano evitò di infierire. 

I due rimasero fermi a contemplare la trota, in silenzio.

- Mi dica, piuttosto, va meglio?-

- Esattamente come andava cinque minuti fa, capitano.-

A William prudevano le mani per sapere che cosa si fossero detti il dottore e la sua compare. Gli era sembrato che l’uomo sapesse qualcosa sul suo conto, o se non altro lo supponesse, e Danielle sembrava apprezzare la sua compagnia e il suo giudizio. 

Se il dottor Dietrich era riuscito a conquistare  la fiducia di quella donna diffidente, avrebbe dovuto scoprine i segreti. 

O almeno, credeva che fosse diffidente. Che tutta quella ritrosia fosse dovuta al contatto che avevano avuto in precedenza? Che lo ritenesse colpevole di qualcosa?

Non sapeva come fare a chiederlo senza diventare invadente. 

- La prego, capitano!- sbottò Danielle, poggiando la schiena contro la grossa panca su cui era seduta.- Mi sento un’idiota con questo pesce imbalsamato sotto la mano!-

William fece un sorriso sornione.

- Allora facciamo conversazione.-

Danielle si sentiva in trappola, ma non aveva vie d’uscita. Si accomodò meglio sulla panca dura e scomoda, con il pesce ancora avvolto in uno strofinaccio di fronte a lei, pronta per essere sottoposta a tortura. Siccome non aveva nessuna voglia di lasciare che il capitano la interrogasse - perché era evidente che voleva sapere che cosa si erano detti lei e il dottor Dietrich - preferì attaccare per prima.

- Come va con la signora Rogers?-

Evidentemente non era ciò che William si era atteso. La guardò perplesso, sbattendo le palpebre, e poi la sua espressione si fece davvero mortificata.

- Non so nemmeno come definire quella povera donna.- disse, scrollando il capo.- Ho già visto qualcosa di simile, ma non ne sono certo e non voglio fare illazioni. Ciò di cui sono sicuro è che non è molto sana di mente, e lo manifesta in tanti modi, cattiveria inclusa.- 

- Ha detto che parlava da sola, in treno?-

- Era convinta che nello scompartimento ci fosse qualcun altro, oltre a me e lei, ma non era così. Deve essersi accorta di aver avuto un’allucinazione, per cui si è messa a pregare in modo ossessivo, dondolando come se fosse in una specie di stato di trance. E’ stato orribile.- 

- L’ho vista sulla barca. Credo che abbia spaventato Mercedes.-

Il capitano la guardò con aria eloquente. In effetti la povera signora Rogers poteva spaventare anche i sassi, e sia per William che per Danielle era assolutamente inconcepibile che una donna con simili problemi potesse lavorare quotidianamente a contatto con dei ragazzi e riuscire bene. 

Emily Smith, nel frattempo, era accorsa con una teiera colma di tè fumante, e ne versò un poco nelle due tazze che aveva disposto di fronte ai signori. Si giustificò dicendo che lo aveva preparato per far loro ammazzare il tempo e chiese se Danielle avesse bisogno di un pesce un po’ più freddo, che ne avrebbe tirato subito fuori un altro dalla ghiacciaia. 

Era evidente che la donna era imbarazzata, per un qualche motivo a loro oscuro, e Danielle colse l’occasione per trarla d’impaccio e declinare l’invito con un gesto cortese. 

Ci mancava solo un altro pesce.

- Perché non mi fa andare a riposare, capitano? Le ho detto che sto bene! Si fidi di me!-

- Danielle, lei è una di quelle donne che direbbero di stare bene anche in punto di morte, se necessario, pur di non mettere da parte l’orgoglio. Northwood è stato un vero e proprio villano con lei, avrebbe scosso anche le bianche scogliere di Dover, non dica di no.-

Danielle sospirò. Doveva ammettere che il capitano aveva ragione. Era stata insultata molte volte, ma mai si era sentita così in pericolo come in presenza di quel piccolo demonio. Era abituata alle aggressioni verbali, qualcuno l’aveva anche minacciata di morte, ma nella sua reclusione forzata aveva evitato il contatto umano, e non aveva avuto modo di essere aggredita per il solo fatto di chiamarsi Danielle Peters. 

L’arroganza di Carl Northwood e la disinvoltura con cui aveva minacciato di farle del male le aveva fatto intendere che la sua posizione non era così sicura come lei credeva che fosse. Per alcuni che la giudicavano colpevole, farle fisicamente male era del tutto legittimo, e persone come Northwood non avrebbero avuto nessun problema a mettere in pratica le loro minacce.

Sì, l’evento l’aveva scossa.

- Non posso cambiare le cose. Sono più abituata di quanto sembri.-

Il capitano la osservò, incuriosito. Certo, ce ne voleva di fegato per dover fare fronte a tutto quell’odio, se era questo ciò che aveva passato in quegli anni in cui era sparita dalla circolazione.

Dopo le sue dimissioni, William aveva provato a chiedere a Scotland Yard il suo indirizzo, per poterle spedire una lettera, ma gli era stato detto che non sapevano dove fosse, nemmeno se vivesse ancora a Londra. Il fatto gli era sembrato strano, ma non aveva insistito. 

- Il tedesco lo ha imparato per questo? Insultare gli altri senza essere compresi?-

Danielle dovette ammettere che il capitano sapeva arrivare dove voleva senza nemmeno sforzarsi troppo, e comprese come mai fosse stimato in Marina. Se questo era ciò che aveva combinato in Spagna, per raccogliere informazioni, non vi era dubbio alcuno che l’operazione fosse andata a buon fine. 

La spia, se la sono scelta bene.

- No, il tedesco l’ho imparato per comunicare con mia nonna, che era svizzera e faticava ad imparare l’inglese.-

- Pensavo che se ne fosse andata in vacanza da qualche parte sul continente per un po’.-

- No. Helga Kalin, la madre di mio padre. E’ venuta nel Regno Unito dopo che i miei genitori si sono sposati, e non si è mai del tutti integrata. Le mancava Ginevra.-

Si sentiva completamente nuda sotto lo sguardo del capitano. Il suo tentativo di cambiare argomento era andato completamente a vuoto. Non voleva parlare di quegli anni, non con lui, per lo meno, ma cominciava a temere di non poterla spuntare. 

Quanto sapeva essere fastidioso quell’uomo. 

- Non mi sono mossa da Londra. Sono rimasta chiusa in casa, per la precisione. Contento? La mia vita non è così interessante come lei crede che sia.-

- Credo che sia curioso, invece, il fatto che io abbia provato a mettermi in contatto con lei, e che Scotland Yard mi abbia detto di non sapere dove si trovasse.-

Danielle spalancò gli occhi, imbambolata come se avesse preso una botta in testa. Aveva provato a cercarla? E perché mai? 

Forse era stato meglio così, che non l’avesse trovata. Nel tentativo di farle un dispetto, i suoi superiori le avevano fatto un favore. Non vedeva alcun motivo per cui avrebbe dovuto parlare con lui.

Il primo ad intuire che il passo in avanti era stato compiuto e che non c’era bisogno di osare oltre fu proprio William, che saltò di palo in frasca con estrema rapidità. 

- Ora che mi ci fa pensare, effettivamente ha dei tratti somatici molto continentali.-

Danielle fece spallucce e sollevò il polso dal pesce congelato, saggiandone la mobilità.

- Mi hanno sempre detto che sembro inglese fino ad un certo punto.-

Era chiaro che William non aveva intenzione di lasciarla andare prima della mezz’ora pattuita, ma il comportamento di Danielle aveva reso altrettanto evidente il fatto che non aveva minimamente voglia di prolungare la loro conversazione. Così, svogliatamente, il capitano prese a girare il cucchiaino nella tazza di tè e contemplò il piccolo vortice ambrato che lentamente andava esaurendo la sua propulsione. 

- Mi ha chiesto che cosa stesse succedendo, e io gli ho risposto che non era niente di importante, soltanto una persona maleducata.-

Il capitano la squadrò. 

- Il dottor Dietrich. Tanto lo so che le prudevano le mani. Una conversazione abbastanza insulsa ad essere sincera.-

William sperò che lei continuasse senza essere incalzata, e lo accontentò. In fondo, non aveva nulla da nascondere e non c’era motivo per continuare a tenerlo sulle spine. 

- Quando ha capito che si trattava di una vecchia ferita da arma da fuoco mi ha detto che si ricordava dell’episodio e che gli dispiaceva molto. Gli ho risposto che è una persona molto gentile e l’ho ringraziato.-

Il sospetto gli era venuto fin dall’inizio. Sapeva riconoscere i segni di un colpo esploso a bruciapelo, e l’atteggiamento protettivo che la donna aveva acquisito non appena si era accennato alle circostanze in cui si era fatta quella cicatrice gli aveva fatto capire che si trattava di un ricordo doloroso, che non desiderava rivivere. Ciò di cui non era certo, era che la ferita le fosse stata inferta proprio nelle circostanze che avevano portato alle dimissioni. 

Nessuno gli aveva mai detto che l’ispettore era rimasto ferito in azione. 

Tra l’indirizzo che non gli avevano mai dato e quell’omissione, il caso Peters stava cominciando a farsi davvero complicato. Che cosa c’era sotto? Per quale motivo l’ispettore aveva dato le dimissioni? Lo aveva fatto spontaneamente, od era stata costretta?

Una parte di lui, inoltre, non si sentiva del tutto a suo agio in sua presenza. Sapeva perfettamente che la morte di quel poliziotto, di cui non ricordava il nome, non era attribuibile a lui, non ne era il responsabile. L’errore era partito da altri uffici, e a questo punto si domandò se fosse davvero stata colpa dell’ispettore capo Peters, come avevano cercato di insinuare a suo tempo, o se non facesse tutto parte di una enorme trama per farla fuori. Se così fosse, il gravissimo piano di questo fantomatico qualcuno - che il capitano avrebbe tanto voluto acciuffare - era andato a buon fine, dal momento che Danielle Peters aveva comunque lasciato il corpo di polizia di Londra. 

E lui?

La conosceva da poco e poteva dire di esserne stregato. La sua presenza lo intossicava, come un profumo troppo forte. Non sapeva che cosa lo inebriasse così tanto. Forse erano quegli occhi pervinca, così brillanti e carichi di emozioni. Era bella agli occhi di William, più di molte altre Venere che aveva incontrato nel suo peregrinare in giro per il mondo. 

Poteva dire, in buona sostanza, di essersi preso, nel giro di poche ore, come un adolescente, una bella sbandata per quella donna singolare, che lo intrigava come nessun’altra.  

Avrebbe comunque dovuto dirle, prima o poi, la parte che aveva avuto nell’operazione di Scotland Yard,  ma non sapeva se sarebbe stato saggio. 

Va bene che sto parlando con Danielle Peters, ma il mio lavoro è… ehm, diciamo così, singolare. 

Non voleva perdere la stima che sperava di aver acquisito ai suoi occhi, anche se sapeva di non avere colpe. 

Tuttavia, si fece coraggio e decise che vuotare il sacco era comunque la cosa migliore da fare. 

- Mi dispiace molto. Deve avere fatto molto male.-

Gli occhi di Danielle si fecero distanti ed oscuri. Il capitano non seppe dire se si fossero inumiditi, o se fosse solo la sua impressione. 

- Sì. Molto.-

La donna era talmente triste che il capitano si sentì stringere il cuore.

No, non adesso. 

Glielo avrebbe detto più avanti.

- Sa che si può suonare?- disse, cambiando di nuovo argomento. 

La donna parve risvegliarsi dal suo torpore. La sua mente tornò a concentrarsi sullo scorrere del tempo presente, giusto in tempo per rendersi conto che il polso non le faceva più male ed il pesce era diventato molle e tiepido.

- No. Devono avermelo detto in agenzia, ma io non credo di aver ascoltato adeguatamente. L’ho scoperto solo quando ho trovato il leggio nella mia stanza.-

- Non lo sapevo nemmeno io, me lo ha fatto notare l’addetto alla sala caldaie, che era scritto sulla pubblicità.-

Danielle ci mise qualche secondo per assimilare quell’informazione ed essere sicura di aver capito bene. 

- No, mi scusi… In che senso glielo ha detto l’addetto della sala caldaie?-

Sul volto del capitano si dipinse un’espressione gioiosa e allo stesso tempo furbetta. Forse aveva trovato il modo di farla divertire di nuovo con una delle sue ridicole avventure. 

- Non le ho raccontato come sono finito in vacanza qui?-

- Solo in parte, temo.-

Il capitano si sistemò meglio sulla sedia, l’ombra di un sorriso sul volto, e prese a raccontare con i gomiti piantati sul tavolo. 

- Allora, da dove comincio? Stavo scappando dal solito mucchio di signore pettegole…-

Con sua grande sorpresa, Danielle già rideva. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del bellissimo e celeberrimo capitano Collins, così somigliante a Gary Cooper, mentre scappava a gambe levate non tanto dal fuoco di linea o dalle granate, ma da una signora imbellettata e con la pelliccia di visone. 

- … Sono uscito dallo scompartimento, sono saltato sul vagone successivo e mi sono arrampicato sul vagone della sala caldaie della locomotiva. Ho vinto una estenuante battaglia contro delle insidiose montagne di carbone, sono saltato dall’altra parte e ho educatamente bussato alla porta della caldaia, fermo sul predellino. Quel poveruomo tutto sporco di fuliggine mi ha aperto, tanto ormai ero nero come il carbone pure io, e mi ha fatto entrare, suggerendomi di andarmene in vacanza. Mi ha anche descritto per filo e per segno la sua rocambolesca vita sentimentale con la moglie che, a quanto pare, è solita inseguirlo con il matterello sguainato.-

Danielle si sentiva strana. Il risentimento nei confronti del capitano era forzato, e lei se ne stava accorgendo. Non che non sapesse, s’intende. Era consapevole del fatto che lui aveva giocato una parte, forse nemmeno troppo marginale, nella disfatta della sua operazione, ma non riusciva a credere che quella persona, all’apparenza così pacifica e tranquilla, potesse aver avuto un ruolo attivo in quel disastro. Tuttavia, l’opinione che si era fatta di lui mentre lavorava a Scotland Yard era completamente diversa da quello che poteva vedere con i suoi occhi in quel momento. La sua compagnia, per quanto cercasse di disdegnarla, le piaceva. Non rideva così da tempo, ormai. Lo trovava divertente, e simpatico, e come ogni essere vivente sulla faccia del pianeta non era immune al suo fascino, ai capelli biondi, agli occhi da cerbiatto e, perché no, anche all’abbronzatura da marinaio e alle piccole rughe attorno agli occhi. 

Doveva avere circa dieci anni più di lei, a quanto poteva vedere, portati benissimo. 

Quell’uomo era capace di farla sentire strana, sì, e la cosa non le piaceva, però era anche vero che, da diverso tempo a quella parte, Danielle si era abituata a non sentire più niente. Persino provare imbarazzo o fastidio era in qualche modo piacevole, e si era stupita, in corridoio, mentre si reggeva il polso e con il braccio del capitano attorno alle spalle, di cogliersi a domandarsi se i suoi capelli fossero abbastanza in ordine, se sembrasse carina o meno. Erano cose a cui non pensava più da tempo, e a cui credeva non avrebbe pensato mai più.

E’ così che ci si sente ad essere vivi, dunque. 

- Non so che dire, capitano.- aggiunse lei, dopo aver smesso di ridere.- Lei è una delle persone più sfortunate che io abbia mai visto.-

Il capitano fece spallucce. Sentì che, dopo tutte le informazioni che aveva provato ad estorcerle e che lei gli aveva volontariamente fornito, le doveva qualche piccola confidenza. 

- Non riesco a capacitarmi di come alcuni possano volere tutto quello che ho io. Non è piacevole, tutt’altro.-

Lo sguardo di Danielle si addolcì. In fondo, se non fosse stato proprio il capitano Collins e se lei non fosse stata proprio Danielle Peters, avrebbe anche potuto definire tenero un uomo così.

Lei, che definiva tenero qualcuno. Tenero. 

Accidenti, era proprio da ricovero.

- Dipende tutto da come si vive. Lei ha avuto la sfortuna di nascere in un luogo in cui l’ostentazione è d’obbligo.-

- Purtroppo, a volte, l’oro diventa una condanna.-

- Lo status sociale, certo. E la bellezza? E’ la condanna del capitano Collins come l’oro lo era per Mida?-

Il capitano abbozzò un sorriso, cercando di non apparire troppo compiaciuto.

Era il suo modo, molto contorto, di dirgli che lo trovava bello?

- Lei va sempre dritta al punto, vero, Danielle?-

- Lo considero un mio pregio.-

- Io non mi ritengo tutto questo granché.- disse il capitano, finendo il suo tè con un sorso.- Ma evidentemente gli altri la pensano diversamente. Darei volentieri una bella fetta del mio patrimonio per avere un qualche difetto agli occhi della gente.-

Danielle non replicò e finì il tè a sua volta. Sarebbe stato difficile dire alcunché, doveva ammetterlo. 

Trovare un difetto al capitano Collins era impresa ardua.

Ciò non voleva dire che le piacesse.

Non allarghiamoci troppo.

- Dicevamo che si può suonare uno strumento musicale per stanza.-

- Una delle tante stranezze di questo posto, assieme alla ristrutturazione.-

- L’ha notato anche lei, capitano?-

- Di certo non passa inosservato.- disse, alzando lo sguardo sulla volta di mattoni, che parve apprezzare particolarmente. - Ho approfittato della cosa per farmi portare in camera un pianoforte.-

Danielle sgranò gli occhi.

- Addirittura un pianoforte?-

- Che ci vuole fare?- disse il capitano, facendo spallucce.- E lei, invece? Suona uno strumento?-

Danielle sentì le sue guance diventare rosse porpora e si vergognò perché stava arrossendo senza motivo.

Che accidenti le stava prendendo?

- Strimpello l’arpa.- aggiunse, senza staccare gli occhi dal tavolo.- Ma non sono brava. Da quando sono rimasta ferita, ho suonato poco e ho le dita di legno.-

- Sono certo che sia troppo dura con se stessa, Danielle.- disse quello, afferrando improvvisamente la zuccheriera, come se dovesse occuparsi le mani in qualche modo. 

O forse aveva puntato alla mano che lei aveva improvvisamente ritratto dal tavolo?

- Potremmo cogliere l’occasione per suonare insieme qualche volta, che ne dice?-

Danielle non trovò un vero e proprio motivo per dire di no. 

- Mi piacerebbe molto, anche se non vedo come. Un’arpa è bella ingombrante.-

- Sono sicuro che il signor O’Brennon saprà risolvere il problema. Quanto si fermerà?-

- Due settimane.-

- Ah, allora c’è tempo!-

Un silenzio imbarazzante calò tra i due. Danielle giocò con il panno che avvolgeva la trota del tutto decongelata, sentendola molliccia e flaccida sotto il polso, che ormai aveva smesso di fare male da un pezzo. Il capitano continuava a gingillarsi con la zuccheriera, come se fosse il massimo oggetto del desiderio di ogni essere umano.

Per un attimo pregò che qualcuno, come Mercedes e il dottor Dietrich, venisse loro a fare compagnia. Danielle aveva pure ipotizzato di fare un salto a parlare con la piccola Serena Smith immediatamente, ma sarebbe stata scortese nei confronti del capitano. 

Che fare?

- Ha per caso scoperto qualcosa di più sul conto degli ospiti?- chiese ad un certo punto, senza preavviso. 

Qualunque cosa sarebbe andata bene, pur di attaccare bottone.

- Non molto.- rispose il capitano, l’aria contenta per essere uscito da quel silenzio di piombo. - So che la signorina Estravados è amica di vecchia data del dottor Dietrich…-

- Questo lo so già.-

- … e che la coppia si chiama Northwood.-

Danielle annuì, con un cenno eloquente del capo. 

Anche quella era una cosa che aveva scoperto a sue spese, e i due si scambiarono un sorriso comprensivo. 

- C’è qualcosa che non riesco a capire.- aggiunse, pensierosa. 

- Le sembra di aver già sentito quel nome?-

Gli occhi di Danielle si fecero improvvisamente più stretti e vividi, come un animale che punta una preda. Sulle prime, aveva pensato che si trattasse soltanto della sua fervida immaginazione. Doveva aver letto un nome simile da qualche parte. Un romanzo, forse, oppure un articolo di giornale, tra i tanti che aveva letto mentre era rimasta murata in casa come una mummia. Non necessariamente doveva trattarsi di qualcosa di speciale, eppure fin da quando li aveva incontrati aveva avuto quella strana sensazione, come se le stesse sfuggendo qualcosa di importante, forse importantissimo. 

Il fatto che il capitano condividesse questa sensazione accendeva le sue cellule grigie. 

- Sì.-

- Anche a me, ma non so dove.- aggiunse il capitano, grattandosi il mento con la mano e mettendo in evidenza un sottile velo di barba bionda.

- Il resto, sia la coppia che il giovanotto, sono un completo mistero.-

- C’è qualcos’altro.- aveva detto Danielle, spingendo via definitivamente quella povera trota dal suo polso.- Eveline Northwood.-

- Povera donna. Ha l’aria di qualcuno che ha dei grossi problemi di salute.-

- Quella donna ha subìto un trauma bello grosso, qualunque esso sia, e suo marito non la sta di certo aiutando.- aggiunse Danielle, facendo una smorfia di disgusto alla sola menzione di quel piccoletto maleducato. 

- Ha ragione. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, quando ho chiuso la porta.- concluse il capitano, e questa volta fu il turno dei suoi occhi di farsi cupi, profondi come pozzi color nocciola.

Danielle ne fu rapita. Sembrava che riuscisse a scrutare dentro l’anima delle persone, dentro i loro segreti più personali. 

- Non ci ho fatto caso. Paura?-

- No.- e William si era fatto davvero serio.- Non c’era niente. Nemmeno quello che ci si aspetterebbe di trovare negli occhi di una persona viva.-

Il signor Smith si avvicinò loro e li informò che la cena sarebbe stata pronta nel giro di poco tempo. 

A quel punto, sia Danielle che il capitano preferirono ritirarsi per rendersi presentabili. In particolare, William aveva accennato a certi residui di carbone che avrebbe dovuto rimuovere, suscitando l’ilarità della donna. La accompagnò diligentemente fino alla porta della sua stanza e poi si diresse, con le mani nelle tasche dei pantaloni, verso la scala a chiocciola che l’avrebbe portato verso la sua camera. Danielle si vergognò di essere rimasta a guardarlo sparire in corridoio, e si vergognò due volte quando si rese conto che era esattamente quello che lui si era aspettato da lei, e che non era di certo passata inosservata. 

Sapeva riconoscere benissimo i segni di un corteggiamento serio ed intenso quale quello che stava mettendo in atto il capitano. Aveva deciso di smettere di vivere nei ricordi e di darsi una seconda possibilità, certo, ma non sapeva ancora se era realmente pronta per questo. 

E poi, di motivi per portargli rancore ne aveva più di uno.

E’ solo un farfallone.

Decise però che tutti i suoi dubbi non le avrebbero comunque impedito di vestirsi bene, più per un ritrovato amor proprio che per il bisogno di farsi notare. Così, si rinfrescò dopo il lungo viaggio e decise di indossare l’abito verde bottiglia che aveva comprato durante la sua ultima giornata di shopping con la sua amica Ruth. Era un bel vestito, con le maniche lunghe e una fibbia dorata in vita. La sua amica era una benedizione, quando si parlava di spese. Sapeva trovare un abito decente nel mucchio come un segugio fiuta il tartufo.

Infine, scese per la cena.

I signori Smith si dimostrarono degli ottimi cuochi. Quando gli ospiti arrivarono, la sala da pranzo era stata appositamente imbandita: le pietanze erano le più varie, dal pesce alla carne alle specialità locali, come gli haggis, sui quali sia lei che il capitano preferirono glissare. In un angolo, Danielle poté distinguere un grosso piatto da portata coperto di verdure, con quella che sembrava una altrettanto grande trota salmonata arrostita, e si chiese se quello non fosse il pesce che aveva suo malgrado medicato il suo polso dolorante nel pomeriggio.

Approfittò della cena per osservare meglio i suoi commensali, tutti seduti alla lunga tavola nella sala ed intenti a mangiare avidamente. Danielle prese posto sul lato lungo, assieme a Mercedes. Con sua grande sorpresa, la tavola era unica e lunga, come quella in cucina, ma invece di essere circondata da due panche altrettanto lunghe, il proprietario aveva optato per delle più comode sedie. Si era chiesta la ragione di quella scelta. L’albergo non era grande e poteva contenere pochi ospiti, che però potevano avere comunque un minimo desiderio di privacy. In quel modo, invece, erano costretti a mangiare tutti assieme, e la cosa la lasciava perplessa. Sembrava quasi che il signor O’Brennon volesse farli socializzare per forza, e non seppe dire quanto quell’idea riscuotesse il favore dei clienti. 

Di fronte a lei sedeva, nemmeno a dirlo, il capitano Collins, che pareva condividere i suoi stessi pensieri, mentre lasciava girare lo sguardo sugli ospiti.

Il dottor Dietrich aveva intavolato una conversazione molto densa con il signore sconosciuto dai capelli perennemente spettinati. La moglie di quest’ultimo, invece, sembrava molto intima con la signora Northwood, e parlavano in modo tanto fitto da non permetterle di carpire nemmeno una parola, le teste vicine così tanto che quasi si toccavano. A loro non pareva importare molto di dover condividere il tavolo con altri, mentre Carl Northwood, seduto a capotavola accanto alla moglie, squadrava con aria scontrosa il dottor Dietrich e il marito dell’amica di sua moglie. Nel suo sguardo cresceva un livore talmente marcato da far pensare che non si trattasse della solita rabbia repressa che animava il volto del piccolo ometto. 

Danielle appuntò mentalmente questo fatto, anche se non era assolutamente intenzionata a rovinarsi la cena, e mantenne viva la conversazione con Mercedes, che spettegolava di vestiti. 

Anche il capitano aveva notato quel siparietto tra le due coppie, ma il suo sguardo era prevalentemente attratto dalla donna che gli sedeva di fronte. 

Aveva visitato il Vietnam, la Polinesia, l’India, tanti paesi dell’Africa. Aveva viaggiato lungo le coste del Sudamerica e si era perso tra i ghiacci dei mari del Nord. Aveva incontrato donne così belle da non avere paragoni nel mondo. Il raffronto tra Danielle Peters e queste ultime non era nemmeno possibile. Non si poteva di certo dire infatti che Danielle fosse una donna particolarmente bella, almeno secondo i canoni classici. Aveva un bel viso e degli occhi straordinari, non c’erano dubbi, ma alcuni dei suoi tratti spigolosi, come gli zigomi marcati, potevano essere considerati un difetto dai più. Come quel piccolo segno sull’orecchio destro, dovuto forse ad una caduta da bambina. O quella macchiolina scura, una piccola voglia sulla nuca parzialmente nascosta dai capelli rossi. O le lentiggini sul naso. Con le sue imperfezioni e con i suoi tratti distintivi, si poteva dire che fosse una donna normale, ed era proprio per questo che William la trovava estremamente bella. Lo sguardo vivido mentre parlava, poi, denotava una singolare intelligenza che poteva essere più fatale per lui di qualunque dote fisica. 

Udì la giovane spagnola fare un commento a proposito dell’abito verde bottiglia che indossava, e il capitano non poté fare a meno che dirsi d’accordo con Mercedes. L’aveva notata fin dal primo momento in cui l’aveva vista, scendendo le scale. Quel colore le donava molto. 

Perso nei suoi pensieri, non si rese conto che Danielle l’aveva colto in fallo. William non mosse un dito, ignaro, fornendole così l’occasione perfetta per incastrarlo. Dopo un rapido occhieggiare attorno al tavolo, infatti, Danielle troncò con garbo la conversazione con la sua amica e, con un battito di ciglia in più, si rivolse direttamente a lui, dritto negli occhi:

- Ho qualcosa di strano in faccia?-

Il capitano fece finta di non capire. Abbassò lo sguardo nel piatto e prese un nuovo boccone, masticando con calma e nel frattempo pensando a cosa dire. 

- Non saprei. Mi pare di no. Perché?-

Danielle, stavolta, aveva poggiato bellamente i gomiti sul tavolo e deposto il mento sulle dita intrecciate, curiosa.

- Mi sta fissando. Da un bel po’. E’ imbarazzante, lo sa?-

Panico.

- Ma che cosa dice, Danielle!- cercò di difendersi, scacciando il pensiero con un gesto della mano,  e si finse, cercando di recitare al meglio, molto interessato al resoconto medico del dottor Dietrich, seduto al suo fianco. 

La donna non ci cadde e continuò a folgorarlo con i suoi enormi occhi blu.

Imbarazzato, il capitano spinse senza rendersene conto la schiena contro la sedia.

- Oh, va bene. Se proprio devo essere onesto, è tutta colpa sua, Danielle.-

La donna alzò un sopracciglio in segno di sfida.

- E perché mai?-

Il capitano ammiccò in direzione del suo vestito.

- Quell’abito catturerebbe l’attenzione di un cieco, signorina.-

Danielle parve soppesare le parole. Non sapeva se mangiarselo vivo o se tenerlo ancora sulle spine.

Optò per la seconda.

- Non vedo per quale motivo. Mi sembra un abito molto carino.-

- Se lo indossa lei, non è semplicemente carino, ma estremamente bello.-

Si era aspettata il classico giudizio tipico di quei casi, troppo per una donna perbene, e si era già preparata il discorso su nessuno può sindacare sugli abiti che dovrebbe indossare una donna. Era già pronta per attaccare, quando si rese conto che, in quel modo, il capitano le aveva appena fatto uno dei più grossi complimenti che avesse ricevuto da un pezzo a quella parte e si sentì profondamente cinica per aver pensato male senza motivo.

- Ammesso che mi sia permesso dirlo.-

E per la seconda volta in quel pomeriggio Danielle si trovò a pensare, con sua grande vergogna, a quanto fosse tenero quell’uomo.

- Permesso accordato.- aggiunse, guardandolo senza malizia alcuna e spostando il volto sul palmo aperto della mano.

- Ammesso che mi sia permesso dirlo.- aggiunse poi, fissandolo con il sorriso sulle labbra.- Anche lei sta particolarmente bene questa sera.-

Insomma, non esageriamo. E’ che devo pur dirgli qualcosa, povera stella. 

Altra spinta da parte di William contro lo schienale della sedia. 

- Permesso accordato.- rispose, ma era certo di avere stampato sulla faccia il miglior sorriso da ebete che potesse sfoderare e si sentì un cretino.

- La mia amica, Mercedes - riprese la donna.- è una sua grande ammiratrice, ma dice che capisce, e non intende chiederle l’autografo.-

- Ed io le sarò eternamente grato per questo.- e ringraziò con un cenno del capo. 

Cercando di disporsi in modo da sentirsi più a suo agio, William mosse la sedia all’indietro ed urtò senza volerlo il povero signor Smith, rischiando di farsi il bagno con la ciotola del brodo. Rinunciando quindi all’idea di mettersi comodo, tornò a fissare Danielle, con quell’orribile sorriso idiota che si sentiva sul volto e la terribile sensazione di avere fatto una figura deplorevole. Danielle, impietosita, decise di non infierire, ricambiò il sorriso ed abbassò lo sguardo. Accanto a lei, Mercedes, con le sopracciglia folte inarcate per lo stupore, cercava di coprire con la mano il suo sogghigno malizioso nell’osservare lo scambio di battute tra i due.

Nè Danielle, né William, si consideravano tipi da smancerie e il loro disagio traspariva in maniera quasi comica.

Per una qualche congiunzione astrale favorevole, tuttavia, Emily Smith urtò con il carrello da portata un attaccapanni, buttando all’aria tutto ciò che vi era appeso. Quello scompiglio li distrasse, e Danielle, essendo la più vicina, si alzò per aiutare la domestica che, mortificata, chiedeva scusa ogni cinque secondi, china sul tappeto a raccogliere tutto quanto. 

Il capitano, nel frattempo, continuava a vergognarsi come il peggior ladro di polli della contea perché, invece di provare pena per la signora Smith, non riusciva a staccare gli occhi da un certo vestitino verde bottiglia.

 

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Capitolo 15
*** Londra, 20 febbraio 1934. ***


Londra, 20 febbraio 1934.

 

Aveva aperto il suo piccolo orologio da tasca e lo aveva guardato ticchettare sulla sua postazione. 

Le diciotto e trenta sembravano non arrivare mai. 

Aveva cominciato a tamburellare con le dita sulla scrivania, poi, non paga, aveva cominciato a camminare avanti e indietro per la stanza. Consapevole che se avesse continuato così avrebbe scavato un solco nel pavimento, aveva deciso di procedere anche con movimenti circolari, per accorgersi di aver trascorso in quel modo soltanto venti minuti.

Non vedeva l’ora di scoprire l’esito del suo piano.

Non era stata un’idea geniale, però aveva pensato che avrebbe comunque potuto funzionare. In fondo, bastava solo dare notizia di un appalto privato di grossa entità, la cui gara era aperta, e aspettare che qualcuno dei suoi si presentasse. 

O meglio, non si presentasse. 

Già, perché se le cose fossero andate secondo i suoi piani, quella persona avrebbe riferito del tranello e avrebbe fatto in modo che Gordon Van Allen la scampasse un’altra volta. 

Le lancette continuavano a girare. In quel momento quella dei secondi stava passando veloce sopra il numero nove e proseguiva imperterrita verso il numero dodici, anche se per Danielle il tempo stava scorrendo comunque troppo lentamente. 

Il piede sotto la scrivania cominciò a ballare e le dita ripresero a tamburellare nervosamente sul legno consunto.

Un leggero bussare alla porta la risvegliò dal suo ansioso torpore.

- Avanti!-

Un poliziotto dallo sguardo delicato e il volto giovane e liscio come quello di un bambino entrò e richiuse immediatamente la porta. Scambiò un’occhiata con lei, e la donna improvvisamente sentì di aver fatto un colossale passo in avanti nella sua indagine.

- Allora, Evans?-

- E’ andata, ispettore. E’ andato deserto.-

Il cuore di Danielle fece un salto di gioia. 

La sua idea, in fondo, era stata molto semplice. Per attirare Gordon Van Allen in una trappola, aveva bisogno di una buona esca, e considerato che il mercato edilizio stava andando a gonfie vele e che l’Esattore si era fatto spesso vedere presso le imprese private che erano risultate recentemente titolari di grossi appalti, era molto probabile che quella gran faina della malavita potesse essere interessata ad un nuovo bando. Così, aveva simulato la costruzione di una bella villetta appena fuori Londra, con requisiti talmente complicati da restringere incredibilmente il campo delle imprese edili disposte ad accettare una tale commissione.

Ovvero, soltanto quelle che quel vecchio volpone di Gordon Van Allen controllava direttamente.  

Se Danielle avesse avuto ragione - e, considerato com’era andato l’appalto trabocchetto di quel giorno non aveva motivo di dubitarne - sarebbe stata la prova che Van Allen era riuscito ad accaparrarsi col tempo la collaborazione di buona parte delle piccole imprese edili, che altrimenti non avrebbero avuto di che lavorare, e una fetta delle imprese medie, che stavano cercando di fare il salto di qualità. Creando un appalto complicato avrebbe escluso a priori le prime, che al massimo avrebbero potuto svolgere altre mansioni in subappalto, e avrebbe invece invitato quelle imprese medie in odore di progresso a tentare la sorte. Quella che avrebbe offerto il maggior numero di prestazioni e, soprattutto, il minor prezzo, consueto in una gara al ribasso, sarebbe stata la principale indiziata per il coinvolgimento di Gordon Van Allen. 

Da quell’impresa edile, la giovane ispettore capo avrebbe tallonato quel mascalzone fino ad incastrarlo.

Stando ai suoi progetti, la presentazione dell’offerta si sarebbe dovuta svolgere alla presenza di un funzionario privato, che lei aveva provveduto immediatamente a rimpiazzare con l’agente Evans, sotto copertura. Tutto sommato, per lui sarebbe dovuto essere un lavoretto semplice: poche imprese, pochi incartamenti, rendersi conto se era presente qualche volto amico del casellario giudiziario e tanti saluti. 

Si sarebbe dovuta svolgere così, appunto. Il condizionale era d’obbligo.

Perché l’appalto era addirittura andato deserto!

- Splendido, Evans. Una notizia veramente meravigliosa!- disse, alzandosi in piedi e mettendogli una mano sulla spalla. 

Il ragazzo non sembrava contento quanto lei.

- Io sinceramente avrei quasi preferito che venisse qualcuno. Questo ha delle implicazioni enormi.-

- Lo so, ragazzo. Lo so.-

E certo che lo sapeva. 

Danielle non faceva mai niente per niente. Quella era una trappola potenzialmente efficace per incastrare il boss della malavita di Londra, ma, per una volta e soltanto per quell’occasione, non era esattamente a lui che Danielle era voluta arrivare. 

E, se quel testone di Turner si fosse deciso ad essere puntuale, con molta probabilità avrebbe scoperto presto se la sua intuizione era stata azzeccata o meno.

- E adesso che si fa?-

- Tu intanto te ne vai a casa, giovanotto. Hai finito per oggi.-

- Veramente io avrei delle carte…-

- Le carte possono aspettare domani. Hai fatto un ottimo lavoro, ragazzo. Sono fiera di te.- e continuò a dargli pacche sulle spalle mentre lo accompagnava alla porta.

Voleva molto bene al giovane Evans. Era un ragazzo dalle mille potenzialità, dotato di una materia grigia pensante e dinamica e, soprattutto, di un cuore d’oro. Era uno dei più giovani del gruppo, e nonostante tutto era più valido di tanti altri. 

Sapeva che frequentava la figlia del panettiere di Piccadilly, e sperava che un giorno gliel’avrebbe presentata. 

- Fatti un bel riposino e domani porta… Com’è che si chiama?-

- Susan.-

-  Porta Susan a prendere un bel gelato! Offro io!-

Il ragazzo divenne rosso fino all’attaccatura delle orecchie e si passò una mano sul collo, imbarazzato. 

- Mi chiamerà se dovessero esserci novità importanti?-

- Puoi giurarci, figliolo.- e con un ultimo affettuoso scappellotto lo cacciò fuori dall’ufficio proprio mentre un altro giovane agente, dallo sguardo fiero e con una brutta cicatrice sul labbro superiore, si precipitava di corsa verso di lei.

- Ah, Turner.- disse, con cipiglio severo, mentre Evans se la svignava.- Imparerai mai il valore della puntualità?-

- Chiedo scusa, ispettore, ma sono praticamente finito dall’altra parte della città. Ci ho messo una vita per tornare indietro.-

Lo fece accomodare e gli porse un tovagliolo di carta per asciugarsi il sudore. C’erano ancora dei residui di panna, dopo avervi posato sopra il bignè che aveva mangiato a metà pomeriggio per consentire al suo cervello di carburare, ma l’agente Turner parve non farci caso. 

- Ebbene?- aggiunse lei, congiungendo le dita sotto il mento.

- Quello non voleva saperne di fermarsi. Ad un certo punto ho pure pensato che si fosse accorto di me e volesse seminarmi, ma grazie al cielo non è stato così.-

- Probabilmente è prassi, cerca di far perdere le proprie tracce in ogni caso, anche quando sa di non essere seguito.-

- Ci ho pensato anche io.- disse, gonfiando il petto e annusando con aria circospetta il tovagliolo con cui si era appena asciugato la fronte.- In ogni caso, si è incontrato in un pub davanti ad una pinta di birra con il nostro uomo. Non crederà mai alle sue orecchie.-

- Spara, Turner.-

- Rodney Cook.-

Danielle rimase per un momento interdetta, calcolando mentalmente le conseguenze di quell’affermazione.

Poi, le balenò in testa l’idea più folle che le avesse mai attraversato la mente.

Ovvero cogliere due piccioni con una fava. 

- Perfetto, Turner.- gli disse, alzandosi e riservandogli lo stesso trattamento che aveva ricevuto l’agente Evans.

Evans e Turner erano quanto di più diverso potesse esistere. Agli antipodi. Il diavolo e l’acqua santa. Tanto Evans era tranquillo e pacato, forse troppo per un agente di polizia, tanto Turner era focoso e impulsivo, fin troppo per un uomo di legge. Se Evans aveva una naturale inclinazione per la riflessione e l’introspezione, Turner aveva imparato quella lezione nel modo più duro, e la cicatrice sul labbro lo dimostrava. Il suo passato difficile e indisciplinato ancora lo tormentava, ma Danielle aveva visto in lui un ottimo elemento, dal cuore d’oro soffocato sotto strati di scorza dura, e molto intelligente. Lo stimava, anche se aveva dovuto richiamarlo qualche volta. Eppure, quel ragazzo indisciplinato che sembrava l’archetipo della disobbedienza la ascoltava e la seguiva come un cagnolino. Lui, che per definizione avrebbe dovuto avere il sopravvento su una donna; invece era proprio una donna quella che rispettava di più. 

Ogni volta che lo incontrava, Danielle si chiedeva quanto male potesse fare l’assenza, fisica o affettiva, di un genitore, e nei suoi confronti provava una genuina quanto pericolosa forma di affetto, come per un fratello minore problematico. 

- Adesso? Quando lo andiamo a prendere?-

- Calma e sangue freddo, ragazzo. Abbiamo fatto un ottimo lavoro, oggi, vediamo di non mandarlo al diavolo. Abbiamo bisogno di una strategia fatta bene e ti garantisco che ne sarai informato non appena l’avrò definita nei dettagli. Per il momento, acqua in bocca!- e aprì la porta, facendogli l’occhiolino.- Adesso, da bravo, vai a casa. E fammi il favore di mandarmi Nicholson, quando passi dall’ufficio.-

Non appena fu sola le rotelle nella testa di Danielle cominciarono a girare furiosamente.

Hai capito Gordon Van Allen. 

Il James Moriarty del Ventesimo secolo. 

Danielle lo stimava, come si può stimare la propria nemesi, il proprio nemico prediletto. Quell’uomo senza forma e senza volto aveva tessuto una tela fitta come quella di un ragno, fatta di denaro, paura, sangue e morte. Prepotente, ma quasi mai letale, se non quando gli conveniva, era stato scaltro e violento a sufficienza da scalzare gli italiani e prendere gradualmente il posto fino a dominare l’intero mercato della mala inglese. 

Non c’era un solo settore in cui non avesse le mani in pasta.

Lei stessa riteneva che gran parte degli omicidi a lui attribuiti in verità fossero farina del sacco dei suoi scagnozzi, più pazzi, sanguinari e senza scrupoli di lui. Van Allen se ne stava ben rintanato nell’oscurità e mandava avanti i suoi sodali, avanzi di galera, disposti a tutto pur di guadagnare una misera sterlina. 

La strategia, oh sì, quella era il pezzo forte di Van Allen. Lui era la mente dietro i pugni, la droga, le prostitute, le estorsioni e gli appalti truccati. Ed era quella mente, così perversa ma così geniale al contempo, che Danielle aveva imparato ad ammirare.

Non stimava l’uomo, che le rivoltava lo stomaco ogni volta con le azioni scellerate che commetteva o che spingeva i suoi a commettere, ma ne apprezzava le doti intellettive.

Così, quella vecchia faina aveva trovato il modo di aggirare il suo più grande ostacolo, ovvero lei. 

Era stata una trovata audace, non c’era niente da dire, ma se Danielle avesse avuto ragione, il piano di Van Allen stava per colare a picco definitivamente. 

Puoi fregarmi una volta e passarla liscia, perché sei stato bravo. Fregarmi due volte, però, da parte mia è idiozia.

Così aveva creato una trappola. La sua squadra era stata interamente coinvolta nella creazione di quel falso appalto, ed Evans era stato scelto di comune accordo tra gli agenti per sostituire il funzionario privato che avrebbe dovuto gestirla. 

L’incarico di Turner, però, quello era stato confidenziale. 

Il povero ragazzo aveva zompato in giro per Londra per tutta la settimana, tenendo d’occhio un farabutto di sua conoscenza. Lo aveva beccato una volta in una circostanza sospetta, e da lì erano partite le indagini. Quella sera, evidentemente, il suo sozzo amico aveva deciso di fare una puntatina dal suo compare per informarlo che l’offerta, come da copione, era andata deserta.

Non l’avrebbe fatta franca.

Un leggero bussare alla porta la distrasse, e potè scorgere gli occhi azzurri di Eric sbirciare dentro il suo ufficio.

- Sì può?-

- Avanti.-

L’uomo entrò con aria formale. Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, lontano da occhi indiscreti, il suo volto si rilassò, mentre lasciava scivolare lo sguardo sull’ispettore capo.

Ci fu un attimo di silenzio, mentre i due si preparavano a dire esattamente - ed inconsapevolmente - la stessa cosa.

- La talpa è James Mill.- dissero entrambi in coro.

Danielle sorrise e gli fece cenno di accomodarsi.

- Che hai scoperto?- gli chiese, aprendo un cassetto con la chiave ed estraendo la sua segreta scorta di biscottini da tè al burro.

- Ho fatto un giro in archivio, come mi avevi chiesto.- disse lui, mettendosi comodo ed addentandone uno. - Ed ho trovato un soggetto che assomiglia molto al nostro Mill, solo che va sotto il nome di Jeremiah Cole.-

Danielle guardò i muscoli della sua mascella mentre si contraevano per sminuzzare ciò che restava del biscotto. Adorava i suoi zigomi, ed in generale il suo viso delicato, i suoi occhi azzurri e i capelli neri come le piume di un corvo. 

- Congedato con disonore dalla Marina Britannica per aver ricettato tanta di quella roba da poterne campare di rendita.- aggiunse poi, aprendo un fascicolo davanti a lei.- Pare anche che l’arresto l’abbia condotto un illustrissimo nome delle nostre forze marittime. Guarda un po’ chi è?-

Danielle occhieggiò il mandato d’arresto ed inarcò un sopracciglio.

- William Collins?-

- Niente meno del bel capitano scapolo di cui è piena la cronaca rosa. E’ un ottimo elemento, a quanto pare.-

Danielle sfogliò distrattamente il fascicolo, cercando informazioni utili alla loro ricerca.

- Ha ricettato una carica di profondità?-

- Incredibile, vero?-

- E non è passato dalla corte marziale?-

- Pare che ci abbiano provato, ma che abbiano preferito rimettere il caso alla giurisdizione ordinaria.-

Danielle scosse il capo, sconsolata. Certo, quel tipo era un papabile candidato per le fila di Gordon Van Allen, anzi, praticamente garantito. Ci voleva una bella faccia tosta per trafugare una carica di profondità alla Marina e passarla pure liscia.

- Turner l’ha pedinato, l’ha visto mentre si incontrava con Cook.-

- Il banchiere?-

- Stando a quanto mi ha riferito il Giardiniere prima che Van Allen lo suicidasse in carcere- e mise parecchia enfasi sull’ossimoro - Rodney Cook potrebbe corrispondere sia al Notaio che all’Avvocato, anche se, date le conversazioni che ha intrattenuto con Cole, propenderei di più per la seconda.-

Eric si passò una mano sul mento appena velato di barba non fatta. 

- Quindi Gordon Van Allen, dopo numerosi tentativi, ha messo le mani dentro gli appalti edili, e per toglierti di mezzo dopo la storia della multa in sosta vietata, ha deciso di infiltrare uno dei suoi scagnozzi dentro Scotland Yard. Cole gli ha passato, attraverso Cook, l’informazione sull’ appalto falso, e così è andato deserto.-

Questa volta fu il turno di Danielle di intervenire.

- Ho fatto delle ricerche nel personale della penitenziaria. Ti avevo detto che il nome su quel registro non mi convinceva.-

- Parli del Giardiniere?-

- Del secondino che, quella mattina, gli ha offerto un caffè corretto al cianuro.-

- E?-

- Non esiste nessun John Stewart tra le fila della penitenziaria. Però l’uomo di guardia è disposto a testimoniare in tribunale di avere visto un tizio che assomigliava, e soprattutto puzzava moltissimo come il nostro Mill, mentre entrava ed usciva dal carcere il giorno della morte di Ward.-

Gli occhi di Eric brillarono di consapevolezza. 

Danielle si sentiva molto poco professionale a notare quanto fosse bello il suo fidanzato, in quel momento, mentre entrambi erano in divisa e sul posto di lavoro e la loro relazione era più proibita che mai, ma non potè farci niente. 

Eric, dal canto suo, appollaiato nella poltrona, la guardava come solo lui sapeva guardarla, e Danielle doveva fare di tutto per non arrossire, o ridere.

- Che cosa vuoi fare?-

Danielle congiunse le dita sotto il mento ancora una volta, l’aria pensierosa. 

- Abbiamo due possibilità. Provare ad arrestare Jeremiah Cole, creando l’occasione per coglierlo con le mani nella marmellata, oppure tentare il colpo grosso.-

- Vorresti incastrare anche Cook?-

- Potrebbe essere la nostra occasione per scalare la piramide ed arrivare in casa di Gordon Van Allen.-

L’uomo ammiccò, l’ombra di un sorriso sul volto. 

- Ambizioso.-

- Quando ci ricapita?-

- Hai ragione. E’ un’occasione da non sprecare. Come intendi procedere?-

- Innanzitutto, credo che scriverò una lettera a questo bellimbusto della Marina, per capire se ci sfugge qualcosa a proposito di Cole. Hai l’indirizzo?-

Eric fece una strana faccia.

- A dire il vero, no. Ho provato a chiedere, ma mi hanno risposto che il bel capitano dei sette mari è “fuori dalla nostra portata” e che dovremo scrivere al centro di comando.-

Danielle e l’uomo si scambiarono occhiate sospette.

- Dici che le voci su di lui sono vere?-

- Ah, non ne ho la più pallida idea. So per certo, però, che la comunicazione mi è arrivata su carta intestata, e non è quella della Marina.-

Le porse un foglietto ripiegato accuratamente in quattro, che Danielle aprì con cautela.

Oltre alla fredda risposta che Eric le aveva riferito, sulla carta intestata c’erano solo due iniziali.

G.H.

- Se tanto mi dà tanto, quelle sono le iniziali di Gordon Hastings.-

- Il sodale del Ministro dell’Interno con delega ai servizi. Ci hanno scritto dal suo ufficio.-

Eric fece spallucce.

- Quindi, sempre se tanto ci dà tanto, il nostro bel capitano è una spia.-

Danielle sospirò.

- Chissà dov’è in questo momento.- ed afferrò un foglio di carta pulito, penna e calamaio.

- Oltre alla grana di rintracciare il capitano Collins, credo che dovrò delineare un piano ben preciso. Dovremo ripetere l’esperimento dell’appalto, o qualcosa di simile, e cogliere sul fatto Cole e Cook al momento dello scambio di informazioni. Ci vorranno mezzi e, soprattutto, uomini. C’è anche la possibilità che ci mandino qualcuno direttamente dalla Marina, visto che sono coinvolti. Ammesso che riesca a contattare Collins.-

- Avrai bisogno del sostegno di tutti, e non dubito che lo avrai.- disse il poliziotto, fissandola intensamente.- Almeno, di sicuro quello di Evans e Turner. Sul mio, ci puoi mettere la mano sul fuoco. Su Baldwin West, beh, non credo che tu ci abbia mai contato.-

- Nemmeno sotto tortura!- disse lei, alzando le mani e lasciandosi sfuggire un sospiro al pensiero di quel piccoletto antipatico che le faceva i versacci dietro le spalle quando passava in corridoio.

Prese la stilografica e la ricaricò, macchiandosi le mani di inchiostro nero sul bordo del calamaio. Si pulì con noncuranza ed osservò pensierosa il foglio pieno di vecchi appunti che avrebbe usato per scrivere la bozza della sua lettera, sul retro intonso. 

Avrebbe dovuto comunicare con un uomo d’armi di un certo livello, che da lei si sarebbe aspettato sicuramente un livello altrettanto alto. Col mestiere che faceva, poi, non aveva margine di errore.

Erano necessari forma, tatto, e tante, tante regole. 

Alzò lo sguardo su Eric, che se ne stava seduto sulla poltrona in beata contemplazione. Lei lo scacciò con una mano, ma lui non parve muoversi.

- Da me o da te?-

Danielle strabuzzò gli occhi.

- Eric, non qui!-

- Ti avviso, sono a corto di viveri.-

Danielle sbuffò e scosse la testa con fare contrariato, anche se, sotto sotto, apprezzava quella conversazione.

- Allora da me.- replicò, senza staccare gli occhi dal foglio bianco.- Lefferts mi ha consegnato le verdure fresche stamattina.-

- Chi arriva prima, come al solito?-

- Mi sa che arrivi prima tu.- gli disse.- Al momento sono a corto di idee e questa è una lettera estremamente delicata da scrivere.-

- Intendi telegrafarla stasera?-

- No, ma voglio finire la bozza. Più tardi mi dirai che cosa ne pensi.-

Eric si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta con fare professionale.

- Devo essere geloso?-

Danielle gli lanciò un’occhiata eloquente.

- Spero allora che una semplice frittata sia di suo gradimento, ispettore.-

- Mi accontenterò, Nicholson. Adesso leva le tende, o dormirò qua, stanotte.-

 

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Capitolo 16
*** Parte 1, capitolo 4: Sono stati altri elementi ad aver preso le decisioni sbagliate. ***


4.

 

Sono stati altri elementi ad aver preso le decisioni sbagliate.

 

La cena era andata avanti per diverso tempo. I commensali non avevano mandato indietro nemmeno una portata preparata dai signori Smith, che si erano rivelati - a parte appunto qualche piccolo incidente - degli eccellenti padroni di casa. 

Era ormai sera inoltrata quando tutti ebbero finito il dolce e si decisero ad alzarsi da tavola. Danielle sentì avvicinarsi il capitano, che aveva ancora l’aria di uno che si sente un perfetto imbecille, e si domandò come mai non ostentasse una maggiore sicurezza. 

Era ovvio che lei non fosse la sua prima conquista, specialmente con tutti i viaggi che aveva sostenuto attorno al globo. Non riusciva proprio a comprendere come mai fosse così imbarazzato, e a quanto pareva non ci riusciva nemmeno lui. 

William tossicchiò, come per schiarirsi la gola, e le parlò, avvicinandosi forse un po’ troppo.

- Credo che le sorprese non siano finite.- le disse, sussurrando ed ammiccando in direzione dei signori Smith.

In effetti, i due si stavano scambiando sguardi sospetti e bisbigliavano sottovoce tra di loro. 

Danielle si chiese se non li stesse attendendo una qualche sorpresa di Steven O’Brennon. In fondo, Everard, al suo arrivo, era stato molto chiaro. 

Mia cara signora, imparerà a sue spese che il signor O’Brennon è un tipo assai curioso.

Provò pena per i due dipendenti, che evidentemente non sapevano bene come comunicare loro la pessima notizia. Danielle si lasciò sfuggire un risolino divertito e fece cenno direttamente ai signori di farsi avanti.

- Tanto l’abbiamo capito. Che dobbiamo fare?-

Everard ed Emily Smith si guardarono e sembrò che Danielle avesse tolto loro un grosso peso dal petto. Sentendosi autorizzato, a quel punto, ad interloquire con gli ospiti, il signor Smith si fece avanti:

- Signori, potrei avere la vostra cortese attenzione?- 

C’era qualcosa di affettato, di costruito nella voce del povero maggiordomo, che non potè fare a meno di divertirla ancora di più. I due sembravano perfettamente consapevoli delle stramberie del loro padrone di casa, e sembravano molto a disagio nel doverle riferire, per cui si trinceravano dietro ad una finta aria di formalità e cortesia che non faceva altro che renderli leggermente ridicoli.

- Grazie.- disse poi, quando tutti i commensali gli ebbero rivolto l’attenzione.

- Come tutti voi avrete probabilmente notato, il signor O’Brennon è un ottimo padrone di casa. In virtù di ciò, e del numero esiguo di ospiti presenti in questo castello, al fine di evitare spiacevoli inconvenienti, gradirebbe che vi conosceste tutti.-

Silenzio di tomba.

- Mi rendo conto dell’eccentricità della richiesta, di cui io sono un mero ambasciatore…-

Sua moglie, al suo fianco, aveva tenuto gli occhi bassi, incollati alle scarpine nere, muta come un pesce, e le sue guance avevano assunto una bizzarra sfumatura porpora. A quel punto, diede di gomito al marito e gli mormorò qualcosa di incomprensibile.

- E mia moglie pure.- aggiunse, annuendo convinto.- Tuttavia vi prego, in virtù della professionalità e della serietà del signor O’Brennon, che tutti noi possiamo garantire…-

Danielle aveva dei dubbi, ma lasciò che quella tortura finisse, per la salute dei poveri domestici.

- … vi prego dunque di adempiere a questa richiesta. Se vorrete accomodarvi nel salone, io e mia moglie attenderemo alle nostre incombenze e vi forniremo tutto ciò che desiderate. Una caraffa di tisana calda è già al suo posto. Buona serata.-

Detto questo, i due conclusero quel pietoso balletto e sparirono di corsa dietro la porta della cucina.

Danielle, William e Mercedes si lanciarono a vicenda occhiate divertite e sbigottite allo stesso tempo. 

Certo, questo O’Brennon era curioso, e anche assai. Quale sarebbe stata la prossima richiesta? Il coro dell’albergo? Mosca cieca? Nascondino? 

Nemmeno a dirlo, la signora Rogers non fu d’accordo. Brontolò qualcosa a proposito dell’ora tarda e dei fantasmi, del bisogno di pregare, ed era seriamente tentata di andarsene se non fosse rimasta incastrata tra i signori Northwood, la coppia di sconosciuti e il dottor Dietrich. Con grande disappunto, si era voltata e si era diretta assieme agli altri verso il salone, dove i signori Smith avevano allestito un piccolo dopocena per gli ospiti. 

La sala era bella e c’era una splendida atmosfera. Le ampie finestre vetrate lasciavano filtrare la luce notturna, e l’illuminazione impregnava la stanza di una piacevole e calda luce gialla. Le poltrone foderate di un pregiato tessuto rosso erano comode e soffici. Un grosso tavolo di legno scuro e massiccio riempiva lo spazio al centro della sala, e sotto di esso era disteso un ampio tappeto arabescato, decisamente prezioso, anch’esso sui toni del rosso. Vecchi stendardi colorati con scritte incomprensibili, alcuni grandi fino al soffitto, tappezzavano le pareti. Solo in alcuni angoli si intravedevano i ritratti di un qualche vecchio proprietario, vissuto diversi secoli prima. 

Sulla parete di fondo, un bancone ricoperto di alcolici e bicchieri, pronti per essere serviti.

Austero ed accogliente a sufficienza, anche grazie all’efficiente presenza dei domestici, che si stavano nuovamente affrettando attorno al tavolo per portare della nuova tisana e qualche liquore.

Sul tavolo era stato poggiato un vassoio fumante, che mandava un buon profumo di frutti rossi. Mercedes non aveva esitato a versarsene una tazza e ne aveva offerta una anche a Danielle, che aveva accettato di buon grado. Si era seduta su un bel pouf rosso, comodo e morbido, vicina ad un angolo del tavolo, mentre il capitano si era accomodato sulla poltrona accanto alla sua. Le aveva fatto un gesto cortese della mano, invitandola a sedersi al posto suo, ma lei aveva declinato l’offerta, trovandosi bene lì dove stava. Attorno al tavolo si erano seduti tutti gli altri, chi più vicino, chi più lontano, chi reggendo un bicchiere, chi semplicemente conversando. 

- Io credo di doverle delle scuse, Danielle. Non so esattamente perché mi stia comportando come un cretino, questa sera.- disse William, nascondendo il naso dentro la tazza per non far vedere la sua vergogna. 

- Non c’è problema, capitano. Mi spiace di averla fatta sentire a disagio.-

- Oh, no, al contrario!- proruppe, quasi strozzandosi con il tè.- Dicevo sul serio, a proposito del vestito. Lo so che lei non ci crede, ma è davvero così!-

Danielle avrebbe tanto voluto scavare una buca e nascondervi la testa dentro come gli struzzi pur di non farsi vedere mentre arrossiva come un’adolescente, ma ormai la frittata era fatta e lasciò che il capitano si godesse quella piccola vittoria sul suo glaciale controllo. Come sempre, William, le corse in aiuto, cambiando immediatamente argomento per toglierla dall’iniziale imbarazzo. 

- Lo ha notato anche lei, vero?-

Danielle intuì il significato delle sue parole e annuì.

- Pensavo che i Northwood e l’altra coppia fossero amici, e invece mi sbagliavo.-

- Secondo me, non del tutto.- disse il capitano, offrendole la poltrona.- Le due donne sembrano molto unite, sono i due uomini che non si sopportano.-

In effetti, Danielle dovette ammettere che William era un ottimo osservatore. Le due donne erano ancora intente a chiacchierare fitto fitto tra di loro, mentre i due uomini sembravano non calcolarsi nemmeno.

- Desiderate qualcos’altro, signori?- chiese Everard Smith, attento, in piedi sulla porta della sala come una sentinella, la moglie che sbirciava da sopra la sua spalla, con ancora il vassoio in mano. 

Ci fu un rapido scambio di sguardi, senza che nessuno avesse il coraggio di prendere la parola. 

Infine, fu il capitano a sollevare i signori Smith da ulteriori solleciti.

- No, grazie, Everard.- 

Una volta rimasti soli, i commensali si scambiarono nuovamente delle occhiate interlocutorie. Era chiaro che nessuno aveva la benché minima voglia di cominciare. Tuttavia, restare in silenzio a quel modo era una vera e propria tortura, per cui, dal momento che erano tutti chiusi nel salone e non potevano fare niente per evitare la bislacca richiesta di Steven O’Brennon, Danielle pregò che qualcuno prendesse infine l’iniziativa. 

Di certo non sarebbe stata lei. Sarebbe stata una mossa poco intelligente da parte sua, avrebbe attirato gli sguardi e i commenti della gente. Non aveva nessuna prova del fatto che tra gli ospiti non ve ne fossero altri come Carl Northwood. 

Presentarsi era qualcosa a cui si sarebbe sottratta volentieri.

Fu la sodale di Eveline Northwood a rompere il silenzio per prima.

- Scusate se, beh, ecco, non so come dire… Lei è chi penso io?- fece, fissando intensamente il capitano, che aveva l’aria di volersi nascondere sotto il tappeto e non emergere mai più.

- Capitano William Collins. Onorato.-

- Oh, beh, allora prima della fine di questa vacanza dovrà firmarmi un autografo!- disse, un bel sorriso esuberante disteso sul volto.- Se proprio nessun altro vuole cominciare, allora lo faccio io! Mi chiamo Jodie Webber, e questa è mia sorella Eveline.-

All’improvviso, sia per il capitano che per Danielle l’unità tra le due donne si spiegò. Non amiche, ma parenti, anzi, sorelle, ed evidentemente anche in stretto rapporto.

- Questo invece è mio marito.- disse, indicando l’uomo esageratamente alto e allampanato, con i capelli perennemente spettinati, in piedi vicino a lei.- Richard Webber. Lui invece - e Danielle non poté fare a meno di notare una piccola vena di freddezza nella sua voce.- è mio cognato, Carl Northwood.-

Il piccoletto emise un grugnito indifferente e chinò leggermente il capo, mandando giù un sorso di liquore scuro. 

Oltre alla signora Webber, nessuno ebbe il coraggio di aprire bocca. Danielle si sentiva come in una classe di studenti terrorizzati dal preside, senza il coraggio di esprimersi. Mercedes fu la prima, in un segno di pietà e comprensione nei confronti della signora Webber, a riprendersi dall’imbarazzo, sospirando.

- Mi chiamo Mercedes Estravados. Vengo da Barselona. Questo invece è il dottor Joseph Dietrich, un caro amico della mia familia.-

- Dietrich, ha detto?- fece il giovanotto col viso da furetto.- Come l’attrice?-

Le guance del dottore si colorarono di un intenso rosso porpora.

- Come l’attrice, ma non la conosco, né siamo parenti.-

- Oh, che peccato.- disse il ragazzo, scuotendo la testa.- Il mio nome è Christopher Kendall e studio legge ad Oxford. Niente di speciale, quindi.-

Tuttavia, il ragazzo aveva lanciato un’occhiata in tralice alla giovane Mercedes che non lasciava spazio a dubbi. Danielle sogghignò, maliziosa.

- Kendall ha detto?- chiese, incuriosita.- Non è un cognome molto comune.-

- Mio padre è americano. Mi sono sempre diviso tra l’Inghilterra e il Nuovo Mondo.- disse, facendo spallucce. Sembrava molto timido, poco interessato alle attenzioni altrui. Infatti, cercò di dirottare immediatamente la conversazione su Danielle.

- Lei invece è?-

- Danielle Peters.- disse a malincuore, aspettandosi una qualche reazione.

Infatti, non tardò ad arrivare.

- Peters, ha detto?- l’uomo allampanato non aveva proferito mezza parola fino a quel momento. La guardava con un interesse che sembrava crescere ogni secondo.

- Lei è chi penso io?-

Danielle stava facendo una gran fatica. Non aveva minimamente voglia di dare spiegazioni alla gente. Sospirò, accomodandosi meglio e cercando un modo per evadere la domanda. 

- Dipende.-

- La scostumata e malata di mente che ha preteso di fare un lavoro da uomo.-

Gli occhi di tutti si posarono sulla signora Rogers, seduta in disparte a sferruzzare la sua orribile sciarpa color topo. 

Danielle sospirò, scuotendo il capo sconsolata. William le lanciò un’occhiata preoccupata, ma fu Mercedes, stavolta, a prendere fuoco come un fiammifero. 

- Come ha detto, prego?- sbottò la ragazza, incredula.

- Non che tu sia da meno, ragazzina.- rincarò la dose la signora, senza alzare gli occhi dal suo lavoro a maglia.- Fare un viaggio da sola, dalla Spagna, per una ragazza per bene è praticamente impossibile. Per non parlare poi del tuo paese. Come minimo sei una spia dei fascisti.-

- Quelli sono in Italia, signora.-

- Come se non sapessimo tutti quanti come stanno le cose.-

Mercedes strabuzzò gli occhi e stava per dirgliene quattro, quando il dottor Dietrich la fermò con un cenno rigido, ma compassionevole del capo. Il capitano, dal canto suo, consapevole delle curiose inclinazioni della signora Rogers, cercò di mettere pace nell’unico modo che conosceva, ovvero usando la diplomazia per sviare il discorso dalla brutta piega che aveva preso. 

- Signora, dal momento che ci siamo presentati tutti, sarebbe così cortese da…-

- Per me questa è una follia. Non dirò il mio nome a nessuno e non intendo condividere alcunché, specie con gli elementi di questa comitiva. Buonanotte.- 

Intascò i ferri da calza nella sua orribile borsa floscia e se ne andò sbattendo la porta, lasciando la stanza in un assoluto silenzio.

- E questa chi è?- fece sottovoce Jodie Webber alla sorella, stupita.

- Mariah Rogers.- concluse il capitano, certo di non essere più alla portata dell’orecchio della signora.- E penso che non ci sia bisogno di dire nient’altro, vero?-

Il gruppo annuì come un sol uomo, per una volta d’accordo. 

- Diceva di essere cresciuto in America?- fece Danielle, cercando di introdurre un nuovo argomento e distogliere l’attenzione da se stessa.- Non ci sono mai stata. Il viaggio è troppo lungo per i miei gusti, anche se devo ammettere che l’idea di fare visita a Washington mi ha sempre intrigata.-

- Sarebbe la benvenuta. Siamo di Chicago, ma mio padre commercia tessuti, ed una delle sue industrie si trova proprio a Washington. Fa arrivare stoffe da tutto il mondo, anche se si è specializzato nella lana e nel tartan, che ha imparato ad apprezzare attraverso mia madre, che è di Edimburgo.- poi il giovane arrossì ed abbassò il capo, anche se una luce brillante d’ambizione gli si era accesa negli occhi.- Il mio professore di diritto penale non fa altro che parlarci di lei, signorina. Dice che ha rivoluzionato la prassi investigativa. E’ un piacere, per me.-

Danielle fece un sorrisetto divertito.

- Mi faccia indovinare: Moore?-

- Come lo sa?-

E’ stato uno dei pochi ad avermi difesa. 

Preferì fare spallucce e non parlarne.

- Il caso è stato clemente, allora. Magari posso aiutarla con diritto penale.-

- Volentieri.-

- Pare che alla signorina piaccia molto rendersi utile.- bofonchiò Carl Northwood, sotto i baffi, guardandola malevolo. 

Danielle finse di non aver sentito, mentre William, senza perdere il suo aplomb, lo folgorava con un’occhiataccia delle sue. 

- Abbiamo due celebrità, che bello!- fece ancora Jodie Webber, eccitatissima. 

- Oh, Ja.- le fece eco il dottor Dietrich, con il suo pesante accento tedesco.- Abbiamo recentemente avuto un assaggio delle potenzialità di Herr Collins.- disse, lanciando un’occhiata gelida in tralice al signor Northwood.- e devo dire che la sua fama lo precede, e a ragione.-

- Quella missione in Spagna, di cui si sa pochissimo.- disse con un filo di voce, gelido come il ghiaccio, la signora Northwood.- Dev’essere stata infinitamente complessa.-

Il marito sembrava sul punto di abbaiarle contro qualcosa, ma Jodie strinse forte il braccio della sorella e lo guardò con aria di sfida, cosa che lo spinse a desistere. 

Il capitano, dal canto suo, era in grande difficoltà. 

Quando era partito per la Spagna, non aveva potuto dire nulla a nessuno. I suoi genitori erano stati convinti per lungo tempo che il loro figlio cadetto si trovasse su una nave diretta negli Stati Uniti. Poi c’era stata una fuga di notizie e i suoi superiori avevano provato a metterci una pezza. 

E forse la pezza era stata peggio del buco, dal momento che erano stati costretti a metterci il segreto di Stato. Un modo semplice ed efficace per evitare che la Spagna si sentisse coinvolta e salvaguardare le relazioni internazionali, ma ormai il danno era fatto a livello di politica interna.

Il segreto c’era ancora, e forse non sarebbe mai stato sollevato. Inoltre, non poteva parlarne di fronte a Danielle. Aveva la pessima sensazione che discutere della sua situazione in Spagna avrebbe condotto la conversazione sulla missione fallita di Scotland Yard, mettendola in difficoltà. 

- Mentirei se dicessi il contrario, ma temo, signori, di non poter essere molto loquace in proposito. C’è ancora il segreto di Stato su quella missione, cercate di capirmi.-

- Naturalmente, capitano.- ribatté allegramente il signor Kendall, che sembrava essersi ripreso dall’imbarazzo iniziale.- Si dice anche che abbia dovuto gestire contemporaneamente il problema dell’infiltrazione della malavita in Scotland Yard, assieme alla signorina Peters. Sicuramente vi conoscevate prima di venire qua.-

Eccoci qui. 

Il capitano, adesso, era davvero molto a disagio. Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, pensando a come svicolare senza creare problemi a Danielle, che sembrava ancora più agitata di lui. Era chiaro che quella era una parte della storia che non voleva sentire, o se non altro non voleva affrontare l’argomento davanti a tutti, e la capiva. 

Riusciva a prevedere che, una volta lanciato il sasso nell’acqua, i cerchi concentrici non si sarebbero mai fermati. Una conversazione funzionava allo stesso modo. Senza un commento netto, non ci sarebbe più stato verso di fermare il fiume di parole degli ospiti. 

- No, in verità non ci siamo mai visti prima.- tagliò corto, ed aprì la bocca per rivolgere una domanda al signor Kendall, per cambiare l’argomento. 

Danielle, però, non lo seguì. Nella sua testa vorticavano mille domande senza risposta, che non era pronta ad affrontare. Era stata lei stessa, a suo tempo, a mettersi in contatto con il capitano per avere informazioni sulla talpa che Gordon Van Allen aveva infiltrato a Scotland Yard, ed era con lui che avevano concordato la strategia per agire. 

O almeno così aveva creduto, dal momento che aveva sempre parlato con il quartier generale e mai direttamente con lui. 

Da allora in poi, i suoi contatti con William Collins erano stati inesistenti. Era stato come se lui fosse sparito dalla circolazione, tranne per soffiarle i rinforzi e farseli mandare in Spagna a suo piacimento. 

Cioè, questa era la conclusione che lei aveva tratto. 

Poi, c’era stato quello strano fatto che lui le aveva raccontato, ovvero di aver provato a cercarla, e di non essere riuscito a rintracciarla tramite Scotland Yard.

Che cosa significava tutto questo? Perché avrebbe dovuto cercarla? Perbenismo? O c’era qualcosa sotto?

Non che avesse cercato le risposte alle sue domande, anzi, le aveva sempre evitate come la peste. 

Ed adesso, nel peggior momento possibile, quel ragazzino tirava in ballo la sua storia, di fronte a un nutrito gruppo di curiosi. 

Inoltre, Danielle sapeva che la curiosità agiva come un sasso lanciato in acqua. Il capitano aveva provato a sviare la conversazione, ma le probabilità che quella domanda inopportuna avesse delle conseguenze erano molto alte, nonostante il suo intervento.

E, in effetti, fu esattamente quello che accadde. 

- Se non erro, si trattava di un marinaio congedato con disonore che aveva servito sotto di lei, non ricordo come si chiama…-

- Sì, lo avevo congedato io.- annuì il capitano, che mai come in quel momento aveva avuto l’aria di volersi tirare fuori dalla conversazione il prima possibile. - Altro infuso?-

- No, grazie.-

- Sono così dispiaciuta per l’esito tragico di quella vicenda. Quel povero poliziotto morto. Dev’essere stato orribile.- concluse la signora Webber, scuotendo il capo.- Non ho mai capito il motivo per cui non sono arrivati rinforzi. Insomma, per un caso così difficile…-

- Nicholson.-

La voce di Danielle fu come il rintocco di una campana nel silenzio assordante.

- Quel poliziotto aveva un nome. Si chiamava Eric Nicholson.-

Il capitano la guardò con l’aria di uno che avrebbe preferito cento volte trovarsi da un’altra parte.

- Vi sono state molte complicazioni.- aggiunse, vago, fissando Danielle con l’aria di un cane bastonato e pregando che capisse. - Si può dire che ci sono stati molti errori di gestione e difficoltà logistiche. Nel caso in questione, ci tengo a sottolinearlo, la signorina Peters qui presente non ha sbagliato nulla. Sono stati altri elementi ad aver preso le decisioni sbagliate.-

Nel frattempo, Danielle aveva sentito una granata precipitare all’altezza del suo stomaco ed esplodere. 

L’uomo che le faceva una corte serrata sapeva la verità dietro al suo caso. Sapeva di Eric. Sapeva delle dimissioni. Sapeva tutto. 

Era a conoscenza di tutti gli errori, di tutti gli sbagli, di rinforzi richiesti e mai arrivati. 

Soprattuto, però, era l’uomo che aveva congedato con disonore un marinaio, che invece avrebbe potuto arrestare e sottoporre alla legge marziale. 

Se aveva avuto una flebile speranza di poter riprendere in mano la sua vita, anche in parte grazie alle attenzioni che il capitano le aveva rivolto - le stesse che lei si era razionalmente ostinata a classificare come mere smancerie che non avrebbero mai avuto un seguito - quella stessa speranza si era estinta come una fiammella senza ossigeno. 

Con la lucidità sotto i tacchi delle scarpe, Danielle credette che William fosse responsabile di tutte le colpe che lei gli aveva sempre attribuito. 

E decise che non intendeva restare un minuto di più in quella stanza, improvvisamente troppo soffocante per i suoi gusti.

- Se non vi dispiace- disse, alzandosi.- Il viaggio mi ha sfinita. Buonanotte a tutti voi. Sono certa che mi aggiornerete domani mattina.-

- Danielle, la prego, mi lasci spiegare.- le bisbigliò il capitano, mentre si alzava dalla poltrona per congedarla. 

- Non c’è niente da spiegare.- 

Detto questo, se ne andò a passo spedito verso la porta, sgusciando via dalle attenzioni di William.

Lo lasciò lì, da solo, a guardare il legno scuro dal quale lei era appena sparita, con un profondo senso di colpa e rimorso all’altezza dello stomaco, senza poter fare niente per attenuarlo.

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Capitolo 17
*** Parte 1, capitolo 4: Eric Nicholson. Si chiamava Eric Nicholson. ***


Erich Nicholson. Si chiamava Eric Nicholson.

 

Il soffitto candido le sembrava infinitamente interessante. Giaceva in quella posizione da diverso tempo, ore, forse anni, per quanto ne sapeva. Il tempo si era fermato dabbasso, in quella grande sala dove tutti, incuranti di lei e del suo dolore, si erano messi a discutere la sua storia. Solo il capitano aveva provato a soprassedere, ma non poteva fare a meno di pensare che anche la sua posizione non fosse dovuta al rispetto che nutriva per lei, ma solo al bisogno di svicolare, di non fare una brutta figura di fronte a tutti quanti e alla donna che stava corteggiando da quando era arrivato all’albergo. 

Le valigie erano ancora dentro l’armadio così come le aveva scaricate, non disfatte, se non per la veste da camera che aveva estratto per cambiarsi dopo la cena. 

L’indomani sarebbe ripartita. Andarsene da casa era stato un grosso errore. 

Era troppo presto, e lei non era pronta.

Aveva sperato di potersi lasciare il passato alle spalle, di poter ricominciare a vivere e chiudere la sua vita dentro una grossa scatola, come sua madre aveva fatto da bambina per i suoi giocattoli. 

Giacevano ancora là, chiusi in soffitta. 

Il tempo, però, il tempo è spietato. I ricordi non restano chiusi in una scatola. Sarebbe molto bello, se fosse così. Avrebbe potuto vivere senza fantasmi, senza rimorso, senza dispiacere. No, il tempo era inesorabile. Continuava a scorrere e ad usurare, deteriorare, senza riguardo dell’oggetto su cui agisce, anche se questo è una persona. Danneggia ed ossida, arrugginisce, e con il tempo rompe, spezza, uccide. 

Il tempo crudele, forse, l’avrebbe uccisa, piuttosto che aiutarla a tornare alla vita. 

Con la sua veste da camera di seta rosa indosso, presa alla rinfusa dal baule, senza rimettere a posto gli altri capi di abbigliamento che aveva estratto, si era gettata sul letto ed aveva pianto tutte le sue lacrime. Si era rotolata sul materasso, senza trovare una posizione confortevole in quello spiazzo troppo largo per una persona sola. Aveva aperto la finestra ed aveva guardato fuori, il bosco buio ed il lago nero, mentre il freddo le pervadeva le ossa. 

Alla fine aveva chiuso la finestra, poggiato la fronte contro il vetro freddo e pianto di nuovo, appannando la superficie con il vapore del suo respiro. 

Adesso, da tempo immemore, giaceva sul letto a contare i granelli del soffitto, il fazzoletto fradicio stretto in pugno, come se al mondo non ci fosse niente di più entusiasmante. Aveva freddo, si era coperta, ma la sensazione del lenzuolo le risultava molesta. 

Così, giaceva lì, scomposta e svuotata, quando un leggero bussare alla porta la distrasse dal suo incubo ad occhi aperti. 

Decise che il soffitto era molto più interessante.

Il leggero bussare ritmico non si interruppe.

Prima o poi si stancheranno.

Il capitano Collins, però, sembrava di diverso avviso. 

- Danielle, se non apre questa porta giuro che la sfondo.-

- Se ne vada.-

Il capitano sospirò, poggiando la fronte sulla porta.

Non è come pensa lei. Assolutamente no.

Non aveva alcuna intenzione di andarsene finché non avessero chiarito il malinteso.

- Danielle, per favore! Dormirò sul pavimento se non mi farà entrare!-

- Si accomodi pure.-

Ma la mente di Danielle era insaziabile. Per quanto volesse soltanto annegare dentro le lenzuola del letto e dimenticarsi del resto del mondo, il suo cervello vagava per conto proprio. 

Aveva un’occasione imperdibile. Il tempo, per quanto le impedisse di dimenticare il passato, le aveva offerto un’opportunità incredibile per farci i conti. Il capitano Collins era fuori dalla sua porta, con le risposte a buona parte - se non a tutte - le sue domande, e lei lo stava lasciando lì, ostinata a non volersi alzare dal letto e ad annegarvi dentro in un mare di lacrime. 

Forse il tempo era crudele, ma non era il carnefice che credeva. Insomma, quante probabilità c’erano che uno se ne andasse in vacanza e vi trovasse la personificata soluzione di tutti i propri problemi? 

Certo, il primo giorno ad O’Brennon Hall non l’aveva fatta rinascere, ma forse quello era il primo passo per mettere definitivamente una pietra sopra il suo passato, per chiudere la porta a chiave a doppia mandata. 

Il capitano, seduto contro la porta e fermamente convinto che Danielle non gli avrebbe mai aperto, capitombolò dentro la stanza e finì a pancia all’aria sopra i piedi della donna, che lo guardava, perplessa. 

Giusto in tempo per notare la sua lingerie.

Ennesima figura da ebete. 

Aveva cose più importanti a cui pensare in quel momento. 

- Danielle la prego, credo che ci siano molte cose di cui lei non è al corrente e molte altre di cui invece non sono al corrente io.- disse, mentre si alzava in piedi e cercava di chiudere la porta con un piede, cosa a cui Danielle stava opponendo una certa resistenza.- Non avrò pace fino a che non avrò capito che accidenti è successo il quindici marzo del Trentaquattro.-

- C’è poco da spiegare.- sbottò lei, l’espressone sfinita, ma allo stesso tempo illuminata da una luce furibonda. - Hai ucciso un membro della mia squadra e hai anche la faccia tosta di farmi la corte. Sai che sei un grandissimo…-

L’impropero che seguì, il cervello del capitano non lo registrò.

Io ho ucciso chi?

Quindi, era così che l’avevano raccontata?

- Ucciso chi? No, perdiana, nemmeno per sogno!-

Lo sguardo di Danielle, adesso, sembrava confuso e pensieroso. Aveva gli occhi leggermente arrossati, come anche la punta del naso. Il fazzoletto che stringeva in pugno era la conferma che aveva appena smesso di piangere. La stanza giaceva in un completo caos. L’armadio era aperto e il baule al suo interno traboccava di vestiti. L’abito da sera che aveva indossato giaceva scomposto sulla sedia dello scrittoio. Le tende della finestra erano spostate e stropicciate, una tendina era rimasta chiusa nell’anta dopo che lei l’aveva richiusa. Il letto era un ammasso di lenzuola appallottolate, con sprazzi di quella che sembrava seta rosa, forse ciò che si poteva scorgere di una vestaglia da notte.

Danielle era in piedi davanti a lui, in camicia da notte rosa e nient’altro che quella, scalza e scompigliata, indecisa se saltargli addosso e suonargliele di santa ragione nonostante le forze la stessero abbandonando, o starlo ad ascoltare. 

Si spostò dalla soglia, per farlo entrare, con un gesto automatico, come se non stesse nemmeno pensando più.

Il capitano osservò quel disastro. Sembrava che lì dentro fosse passato un uragano, e probabilmente era stato così. Nella sua furia e disperazione, Danielle doveva aver messo a soqquadro la stanza cercando il necessario per la notte, non curandosi di rimettere a posto. 

Aveva l’aria disperata e sconvolta.

Si sedette sul letto, sgonfiandosi come un pallone. Il momento di raccontare la sua versione dei fatti era arrivati fin troppo presto, e tutto per l’invadenza di quei signori al piano di sotto e per l’assurdo programma che Steven O’Brennon aveva previsto per loro. 

- Quando Jeremiah Cole si è presentato alla Marina, non aveva esattamente l’aria del bravo ragazzo, anzi. Avevo espresso delle riserve sulla sua persona fin dall’inizio. Quando poi ho scoperto che trafficava ogni genere di beni, dal cibo ad oggetti rubati e ricettati, ho sottoposto il caso al mio superiore. Concordavamo entrambi sul suo allontanamento, ma mentre io avrei preferito un processo in piena regola, i mie superiori si sono accordati per il semplice congedo con disonore, rimettendo la questione alla giurisdizione ordinaria e non a quella militare. Secondo loro, si trattava di reati minori che potevano risolversi con un’altra giurisdizione. Forse avevano anche ragione.- disse, guardando la donna di sottecchi.- In effetti, è finita sotto la sua giurisdizione, Danielle. Si sarebbe potuto evitare? Probabilmente sì, ma in quel momento la procedura sembrava invincibile, così hanno deciso di seguirla, ed io non ho potuto oppormi.-

Danielle fissava di nuovo il nero vuoto fuori dalla finestra, assorta. Il capitano cominciava sinceramente a preoccuparsi per il suo comportamento, e cercò di mettere insieme tutte le informazioni che aveva sia per darle l’esauriente spiegazione che cercava - e che meritava - sia per comprendere il motivo di quella disperazione troppo profonda.

- Quando l’ho visto nel fascicolo che mi aveva inviato, Danielle, l’ho riconosciuto subito, e da subito ho sostenuto la sua pista e la sua posizione. Eravamo così vicini a prenderlo, vero?- disse, cercando di percepire la sua reazione.- Eravamo ad un passo dal prendere Gordon Van Allen, ed è stato proprio quando mancava tanto così che tutto è andato a rotoli.-

La donna emise un sospiro, che lasciò una piccola nuvola di vapore sul vetro della finestra.

- Ho assecondato la sua richiesta di rinforzi. Ero ancorato in Spagna quando un gruppo di uomini si è presentato sulla banchina. Mi sono messo immediatamente in contatto con il questore Somerset, affinché altri uomini venissero mandati subito al suo servizio, ma temo che a quel punto fosse tardi. Non ho ricevuto risposta, se non un secco sissignore. Dopodiché, non ho più avuto alcune notizie. Non so che cosa sia successo. So soltanto che avete preso Cole e che quel poliziotto è morto.-

- Erich Nicholson. Si chiamava Eric Nicholson.-

- Eric Nicholson. Ho capito.-

 

Londra, tardo pomeriggio del 15 marzo 1934.

 

- Non ce la faremo mai in queste condizioni, signor questore. Senza uomini il nostro piano rischia di saltare, anzi, di essere addirittura pericoloso.-

- L’idea è stata sua, ispettore Peters.-

- La mia idea era di procedere con venticinque uomini, non con dieci. Quei quindici uomini fanno la differenza. E’ di Gordon Van Allen che stiamo parlando, i suoi scagnozzi girano armati fino ai denti, potrebbero addirittura avere delle guardie del corpo. Non ho intenzione di mandare i miei uomini al macello.-

Il questore Godwin Somerset le era sempre stato antipatico. Il buon Armitage, prima di lui, era un vecchietto arzillo, buono ed intelligente. Al momento di andare in pensione, l’aveva presa da parte e le aveva confidato che non tutti apprezzavano la sua presenza a Scotland Yard, che avrebbe dovuto guardarsi le spalle costantemente, dopo che lui se ne fosse andato. 

Non poteva esserne certa, ma il suo istinto le faceva supporre che forse era proprio da Godwin Somerset che aveva cercato di metterla in guardia. 

L’aveva sempre trattata con freddezza e poca confidenza. Con Armitage parlavano di tutto, e lui le forniva sempre un sacco di informazioni. Lo aveva considerato il suo mentore. Somerset, invece, era già tanto se le rivolgeva la parola. Quando la guardava con i suoi occhi serpentini aveva sempre un sopracciglio inarcato in modo scettico, ed aveva la sensazione di essere soppesata, come su una bilancia. 

In quel momento, sentiva la fortissima pulsione di prenderlo per il colletto della camicia e scuoterlo fino a che non gli fosse entrato in quella testa vuota che non c’era verso di prendere il Ragioniere e l’Avvocato assieme con numeri così risicati.

Somerset si alzò dalla scrivania e si diresse verso di lei, con l’aria di chi aveva capito tutto. 

- Mia cara Danielle, posso chiamarla Danielle?-

- Con tutti il rispetto, signor questore, preferirei ispettore. Ho faticato tanto per avere questo posto.-

- Non ne dubito.- e Danielle non seppe dire se era ironico o meno.- Vede, Danielle, io non dubito che lei abbia a cuore la vita dei suoi uomini, le fa onore, davvero. Tuttavia, Gordon Van Allen è una vera spina nel fianco, e non possiamo lasciarci sfuggire un’occasione di questo genere. Dobbiamo prenderli. Lei capisce, vero?-

Eccome se capiva, ma preferiva cento volte doversi spremere le meningi per mettere insieme un altro piano, piuttosto che veder morire qualcuno. 

- Dove sono i rinforzi? Mi aveva detto che aveva preso contatti, che sarebbero arrivati questa mattina, ma non sono ancora qua, e tra poco dobbiamo andare. Il capitano Collins…-

- Il capitano è al corrente della cosa, e sono certo che si è adoperato affinché i rinforzi stiano arrivando. Saranno qua a momenti, non si preoccupi. Lei vada pure e prepari i suoi uomini. Stasera arresteremo due pezzi dell’organizzazione di Van Allen. Non è contenta?-

Non solo non era contenta, non era nemmeno convinta, per nulla. Poteva addurre mille scuse, dal ritardo nei treni alle comunicazioni congestionate, ma ventiquattr’ore di ritardo non erano concepibili. 

Danielle, dentro di sé, sapeva perfettamente che i quindici uomini in più che aveva richiesto non sarebbero mai arrivati.  

Era per questo motivo che non era rimasta con le mani in mano.

- C’è un’altra possibilità.-

Somerset la squadrò come si squadra uno yeti sull’Everest. Evidentemente, non si era aspettato che Danielle avesse un secondo piano. Quel diavolo di donna aveva davvero intenzione di dargli del filo da torcere. 

Danielle si fece avanti, anche se una parte del suo cervello le diceva che avrebbe speso parole a vuoto, e che la decisione, Somerset l’aveva già presa.

- Ci sarebbe la possibilità di arrestare solo il Ragioniere, e non l’Avvocato, o viceversa. Ci appostiamo come stabilito e lasciamo che la transazione vada a buon fine. A quel punto, ne seguiamo uno e lo arrestiamo con i mezzi che abbiamo, senza bisogno di ulteriori uomini che non ci sono.-

Somerset sembrò soppesare le sue parole con malcelato disprezzo. 

Il piano, effettivamente, era ragionevole. 

- Signor questore, francamente non mi piace l’idea di dover lasciare andare uno dei due, ma è tutto quello che possiamo fare al momento. Mi permetta: secondo me sarebbe meglio arrestare Rodney Cook. Jeremiah Cole, per Gordon Van Allen, sarà assolutamente inutile. Ha già appreso da lui tutto quanto avrebbe potuto apprendere. In caso di arresto dovremo sottoporlo alla massima sorveglianza in carcere, o sono certa che farà la stessa fine del Giardiniere. L’Avvocato, invece, avrebbe tutto il tempo di fuggire e di cancellare le prove a suo carico. Non lo prenderemmo più, o ci metteremmo il triplo del tempo. Van Allen, ormai, sa come lavoriamo.-

- E’ esattamente per questo che non possiamo fallire. Dobbiamo prenderli tutti e due.-

Danielle sospirò.

- Mi creda, non mi fa piacere lasciare andare una talpa, ma so che, delle due cose, è il male minore. Jeremiah Cole, il Ragioniere, per Van Allen è sacrificabile, anche se lui questo non lo sa. Non è un pericolo per noi, almeno non nel breve termine. Avremo tempo di riorganizzarci con il capitano Collins, se è un problema…-

Ma Somerset non la fece nemmeno finire. Con un simpatico ghigno paternalista, si avvicinò lei e le si rivolse con un tono viscido che le fece accapponare la pelle. Purtroppo, però, era il suo superiore, e le toccava sopportarlo.

- Lei ha paura, ed io la capisco.-

Danielle sorvolò sull’implicazione di quella frase.

Povera donna, è normale che sia spaventata.

Inspirò ed espirò, cercando di mantenere la calma.

- Se è una questione di responsabilità, stia tranquilla, me l’assumo io. Può andare, adesso. Mi raccomando, informi bene i suoi sottoposti. Terrò d’occhio il procedere della missione. Intanto, io proverò a mettermi in contatto con la squadra di rinforzo che lei ha richiesto, vediamo di scoprire dove sono.-

Danielle era sempre stata diffidente, e una parte di lei sentiva che Somerset la stava prendendo in giro. Non aveva nessuna garanzia che, se qualcosa fosse andato storto, lui si sarebbe effettivamente preso la responsabilità. La cosa peggiore, però, era che non avrebbe mai nemmeno avuto alcun modo per ottenere tale garanzia da lui. Ogni atto scritto sarebbe stato nullo. 

La sua parola contro quella del questore, e non c’era possibilità alcuna che l’avrebbero ascoltata.

Doveva fidarsi di Somerset, anche se il suo stomaco la invitava ad alzarsi e fuggire lontano, magari trascorrere il resto dei suoi giorni in una bella isola del Pacifico pur di non incontrarlo mai più.

- Signore, vorrei che fosse ben chiaro che io non approvo…-

- E’ un ordine, ispettore. Fino a prova contraria, qua dentro comando ancora io. La responsabilità è mia. Adesso vada a prendere Cole e l’Avvocato. Subito.- e sibilò particolarmente quando le indicò la porta.

Danielle sospirò ed uscì.

Fuori dallo studio del questore, apparentemente intento nella lettura di un fascicolo, c’era il suo Eric. Gli aveva chiesto di andare con lei. I suoi incontri con il questore non erano mai stati piacevoli, e per una volta avere un sostegno morale non le era sembrato sconveniente. Eric l’aveva guardata e Danielle dedusse di avere una faccia da funerale, dal momento che lui aveva capito immediatamente che l’incontro era andato non male, anzi, malissimo. Le si accodò, senza parlare, e la seguì fuori dallo studio del questore dritto dritto dentro il suo ufficio.

Lì, Danielle si permise di afflosciarsi su una sedia, spossata e demoralizzata.

Eric l’aveva guardata come solo lui sapeva guardarla, fermo sulla soglia con la mano sulla maniglia della porta appena chiusa.

- Quell’uomo è veramente un imbecille.-

- O è molto stupido o molto furbo.- disse, passandosi una mano nei capelli rossi aggrovigliati per la tensione. Non riusciva a togliersi di dosso quel gran senso di trappola, di pericolo. 

- Non ha accettato nemmeno il piano b?-

- Niente piano b.-

Eric si lasciò cadere sulla sedia come un sacco di patate. Stese le lunghe gambe sotto la scrivania, accavallando i piedi e contraendo i muscoli della mascella mentre pensava. Danielle lo adorava quando faceva così, lo trovava affascinante ed estremamente forte, anche se non faceva nulla per sembrarlo. La sua presenza, in quel momento, la confortava.

Gli raccontò tutto l’incontro con Somerset e la discussione che avevano avuto. Eric era indignato, a dir poco, per il trattamento che lei aveva ricevuto. Purtroppo, capitava di frequente che il suo Eric si indignasse per le parole che le rivolgevano. Le aveva imposto, o almeno ci aveva provato, di non comprare più i giornali, per risparmiarle la sofferenza di leggere alcuni titoli scandalistici che lascivano davvero poco spazio all’immaginazione quando parlavano di lei. 

Povero, non aveva capito che nessuno poteva proibirle alcunché, ma aveva fatto in modo di leggerli lontano da lui, ed aveva imparato a dissimulare l’amarezza quando le parole tagliavano come lame di coltelli.

In questo caso, non solo il trattamento riservato a Danielle era stato molto freddo, ma la decisione presa interessava direttamente Eric e tutti i suoi compagni, che si sentivano trattati come carne da macello. 

Sì, aveva decisamente tutti i motivi per andare fuori dai gangheri.

- Ha detto che si prenderà lui tutte le responsabilità.-

- E tu gli credi?-

Danielle sbuffò, i nervi a fior di pelle.

- Non lo so. E’ la mia parola contro la sua, se decide di rimangiarsi tutto. Spero solo che il suo odio per me non sia tale da spingerlo a sacrificare dei poliziotti. Spero che abbia agito con giudizio.-

- E’ tutto quello che abbiamo? Speranza?-

- Sembrerebbe.-

- Vallo a dire ad Evans, o Turner. Quando saranno nella tomba, va’ a spiegare loro che tutto ciò che avevamo era la speranza!- sbottò, alzandosi in piedi e cominciando a girare per la stanza, gesticolando infuriato. 

Eric aveva tutte le ragioni di questo mondo, lo sapeva. Danielle era però anche perfettamente consapevole che non avevano altre alternative. Purtroppo, non esisteva ancora una clausola che permettesse loro di disobbedire ad ordini criminali. La decisione di Somerset era discutibile, ma era un ordine, e se lei avesse deciso di sottrarsi sarebbe incorsa in un procedimento per insubordinazione, ed avrebbe trascinato con lei l’intera squadra.

Il che significava lasciare tutto nelle mani di quell’idiota di Baldwin West.

Se invece avesse deciso di mandare a monte tutto, Danielle avrebbe dovuto dare le dimissioni e il risultato non sarebbe cambiato per niente.

Peggio, forse Somerset avrebbe messo a capo della missione proprio quel piccoletto con le cellule grigie del tacchino induttivista di Bertrand Russell. 

Già vedeva Baldwin West e la sua bombetta verde ridacchiare contento.

- Sai anche tu che non possiamo ribellarci.-

- Ed è la cosa che mi fa più arrabbiare! Siamo per strada tutti i santi giorni, sottopagati, ed abbiamo a che fare con il peggio che l’umanità possa produrre, eppure non ci ascolta nessuno!-

Si accasciò di nuovo sulla sedia, triste.

Danielle era mortificata quanto lui. Voleva trovare un modo per consolarlo, ma non sapeva come. C’era davvero il rischio che qualcuno morisse, quella sera. Era più che probabile che gli uomini di Van Allen, percependo di non avere così tanti poliziotti addosso e di poter tentare la fuga, avrebbero opposto resistenza. C’era un grosso rischio che scoppiasse un violento scontro a fuoco. Non c’era nulla da dire di fronte ad una simile eventualità, eppure il suo lavoro era anche questo. Incoraggiare i suoi ragazzi, farli sentire protetti, spingerli a dare il meglio di sé.

Doveva pensare a qualcosa.

Con gli altri, sarebbe stato molto difficile, ma con Eric, sapeva come prenderlo, o almeno poteva provarci.

- E’ solo una possibilità, Eric. Può darsi che nessuno esploda un colpo questa sera. Potremmo avere fortuna. In fondo, Rodney Cook è un banchiere, a quanto ne sappiamo non possiede nemmeno una pistola e non gira accompagnato. L’unico armato potrebbe essere Cole, ma sapremo neutralizzarlo, probabilmente anche senza sparare. Siamo bravi, in questo.- gli disse, allungando una mano per stringere la sua.

Eric la guardò, gli occhi stanchi ed insoddisfatti. Tese la mano in avanti, prese quella di Danielle e la strinse. Poi, si protese verso di lei e la scrivania, e le prese anche l’altra mano. 

- Se stasera dovesse andare bene…-

- Siamo già d’accordo, lo sai.- e gli strizzò l’occhio, sorridendo.

Eric parve rincuorato.

- Se invece dovesse andare male…-

- Non voglio nemmeno pensarci.- tagliò corto Danielle, coprendosi le orecchie e scuotendo il capo in modo infantile, facendolo ridere.- Andrà tutto bene, torneremo a casa e ci faremo un’altra frittata per cena, perché con tutto questo caos non ho avuto il tempo di fare la spesa. E tante coccole. Promettimi soltanto che farai di tutto per restare vivo, ed io ti prometto che farò altrettanto.-

Eric sorrise ed annuì, mentre si stringevano di nuovo le mani e i loro piedi si sfioravano di nascosto sotto la scrivania.

- Adesso dobbiamo andare.- gli disse, alzandosi in piedi ed aggirando la scrivania verso di lui.

Eric la abbracciò stretta, come solo lui sapeva fare, cercando di darle conforto e di farsi forza a vicenda. 

Danielle ne avrebbe avuto un gran bisogno, per dare la cattiva notizia ai ragazzi.

Stavano già per uscire dallo studio quando Danielle, in un attimo di incertezza, lo trattenne per la mano.

- Lo sai che ti amo, vero?-

Eric le sorrise come solo lui sapeva sorriderle.

Era unico, il suo Eric. 

- Certo che lo so, che razza di domanda è?- e le diede un bacio sulla fronte prima di uscire.

 

- Non sarebbero mai arrivati in tempo.-

Il capitano, seduto sul suo angolo in fondo al letto, rimase a guardarla, senza capire.

- Come scusi?-

- Non sarebbero mai arrivati in tempo. Tra l’effettuare una nuova richiesta e ottenere una nuova squadra, seguendo tutto l’iter burocratico, non ce l’avremmo fatta in ogni caso. L’unica cosa da fare sarebbe stata annullare l’operazione o ridimensionarla, ma il questore Somerset, quando glielo proposi, non ne volle sapere.- e le venne da ridere. - Se poi la squadra in questione la si prende da Tarragona, la cosa diventa ancora più complessa. Praticamente impossibile.-

Sulle prime, William Collins non registrò quell’affermazione. Lo colpì come un pugno in faccia, improvvisamente. Sbatté le palpebre, stupito.

Danielle Peters non avrebbe mai dovuto sapere di Tarragona. 

Decise che alla questione spagnola avrebbe pensato successivamente. 

Del resto, non ci si poteva aspettare niente di meglio da lei. 

C’era qualcosa negli occhi della donna, ancora ferma di fronte alla finestra a fissare le cime nere degli alberi, una luce che aveva visto molte volte e che non avrebbe mai dimenticato.

Sospirando, si alzò in piedi e fece qualche passo verso di lei.

- Non voglio essere indiscreto, ma questo Nicholson, era solo un poliziotto?-

Danielle emise una risatina sarcastica e lanciò un’occhiata alle sue spalle, dove il capitano la stava fissando intensamente.

- Io ed Erich Nicholson avremmo dovuto sposarci.-

Fu come se la stanza stesse riverberando il suono di una campana a morto. 

Non era solo rabbia e disperazione per una carriera rovinata, o per una vita persa. Era devastazione. 

Adesso il capitano capiva per quale motivo Danielle aveva perso il lume della ragione e la comprendeva.

Si sentì un verme. Per quanto le sue responsabilità fossero limitate e la razionalità lo rendeva consapevole di ciò, quella morte lo aveva toccato profondamente, come se fosse stato un suo fallimento personale. 

E quel fallimento, di tutti gli esseri viventi sulla faccia del pianeta, aveva ferito proprio lei, che adesso era lì con lui e di cui si era invaghito come un ragazzino.

Gli scherzi del destino.

- Danielle, non so che cosa dire.-

- Non c’è niente da dire. Tutto quello che doveva essere detto, non è stato detto, ed ormai è troppo tardi per rimediare.- ribatté amara, cercando di fargli capire che la conversazione era conclusa.

Il capitano, invece, aggrottò la fronte, deciso ad andare in fondo a quella storia. 

- Che cosa intende con ciò? Le ho scritto un telegramma in cui la informavo che avrei spedito a Scotland Yard, a suo nome, una lettera di encomio per l’incredibile lavoro che aveva svolto, e per congratularmi con lei dell’arresto di Cole.- 

Stavolta, Danielle si voltò a guardarlo, perplessa.

- Un telegramma?-

- Esatto.-

- Quando?-

- Subito. Il sedici marzo, non appena ho saputo.- 

Danielle scosse la testa, lo sguardo perso nel tempo passato, mentre ripercorreva ogni minuto di quei terribili giorni alla ricerca di un telegramma dimenticato, senza trovarne, però, nemmeno uno.

- No, io non ho mai ricevuto nessun telegramma.-

- Ho inviato comunque la lettera a Scotland Yard, anche se temo che al suo arrivo lei non lavorasse più lì. A quel punto ho chiesto il suo indirizzo, ma come le ho già detto, mi hanno detto di non sapere dove lei fosse, né dove vivesse.-

- Chi ti ha risposto?-

- Il nuovo ispettore capo, Baldwin West.-

Danielle esplose in una risata amara, quasi di scherno, ma pur sempre una risata.

- Non otterrai mai niente da quel piccolo lavativo. Ha sempre voluto il mio posto. Ecco risolto il mistero.-

William era ancora in piedi al centro della stanza, con Danielle di fronte a lui. Improvvisamente, si ricordò dell’abbigliamento della donna. Sulle prime, troppo preso dalla foga di raccontare e dalla premura di sapere come stesse, non vi aveva dato peso, ma adesso il rosa di quella seta gli sembrava abbagliante, e distolse lo sguardo.

Anche Danielle parve riprendere consapevolezza del tempo, delle circostanze e di se stessa, mezza nuda in piedi in mezzo alla stanza e per giunta di fronte ad un uomo.

Sua nonna si sarebbe rivoltata nella tomba.

Fingendo la massima nonchalance, afferrò la vestaglia in tinta, la districò senza troppa grazia dalle lenzuola e si coprì, senza riuscire a celare l’imbarazzo.

Il capitano tossicchiò. 

- Danielle, capisco se non vorrà più rivolgermi la parola, tuttavia mi sento di dirle che farò in modo che quell’errore non si ripeta più. Se le mie mani sono legate all’interno della Marina, non lo sono fuori. Farò quanto in mio potere per assicurarmi che, d’ora in avanti, per lei le cose volgano al meglio.-

- Non è colpa tua, William. Non potevi. Non sei responsabile.-

Si voltò a guardarlo, e per la prima volta il capitano vide comprensione invece che rabbia nei suoi occhi.

- Non hai niente da farti perdonare. Per quanto riguarda me, ormai non ho intenzione di fare niente di cui potrei pentirmi.- ed abbozzò persino un sorriso, anche se triste.

- E’ passato tanto tempo. E’ l’ora di andare avanti, non credi?-

Il capitano annuì, sospirando e sentendosi un poco sollevato.

 

Aveva sperato che parlare con la signorina Peters avrebbe risolto ogni problema, e invece non aveva fatto altro che aumentare le domande che gli frullavano per la mente.

Punto primo: Jeremiah Cole era riuscito in un’impresa quasi impossibile: infiltrarsi all’interno di Scotland Yard senza farsi scoprire, anche se all’epoca si era presentato come James Mill. 

Come aveva fatto?

Certo, Gordon Van Allen, in quanto delinquente numero uno in tutta l’Inghilterra, aveva avuto sicuramente i suoi assi nella manica da giocare, ma qualcosa in tutta quella storia sembrava sfuggirgli. Forse, era sfuggita a tutti, inclusa Danielle, che era stata, nonostante tutto, l’unica ad essersi accorta di qualcosa e l’unica ad aver provveduto immediatamente a diramare l’identificazione con la massima priorità e segretezza alle persone giuste. Come aveva fatto a capire il tranello e, soprattutto, come aveva fatto a collegare tutto a quel gran farabutto che era Gordon Van Allen?

Punto secondo: quanto era coinvolto il questore Somerset in tutta la faccenda?

Non era certo che Van Allen e il superiore di Danielle fossero stati in combutta, ma di sicuro, se non era stato così, Somerset si era comunque approfittato dell’indagine dell’ispettore capo per creare l’occasione per eliminarla dalle file della polizia. Era praticamente certo che, se non aveva fisicamente contribuito ad organizzare la trappola, aveva favorito l’insorgere dell’errore sull’invio dei rinforzi, e forse anche tutte le reticenze successive alle dimissioni di Danielle Peters. 

Il fatto stesso che avesse dato ordine di proseguire con la sortita rischiando deliberatamente la vita dei suoi uomini era sufficiente a dipingerlo agli occhi del capitano come un poco di buono.

Certo, erano comunque sue illazioni. Non aveva nessuna prova.

Punto terzo, e forse il più importante: nessuno sapeva di Tarragona.

Proprio nessuno. Aveva fatto in modo, assieme ai suoi superiori e al commodoro Morris, di essere protetto al massimo. Inutile istituire il segreto di Stato, se poi si faceva in modo che chiunque sapesse come raggiungerlo. Per contattare Danielle dalla Spagna, il capitano aveva dovuto usare un intermediario, un centralinista della Marina che potesse comunicare con lei ingarbugliando, di conseguenza, le comunicazioni e coprendo il suo attuale distaccamento. Dal canto suo, era stato attentissimo a non far trapelare niente. 

Non c’era assolutamente modo che lei avesse appreso di Tarragona dai loro brevi scambi. 

I pochi che erano al corrente del suo distaccamento sulle coste spagnole, pensavano che avesse avuto origine da un improvviso guasto ai motori che lo aveva bloccato per manutenzione. 

Come poteva Danielle Peters averlo scoperto? E soprattutto, quanto sapeva?

In mezzo, poi, c’era tutto il resto. Non aveva mai creduto ai pettegolezzi della cronaca rosa, in particolare di quel terribile giornale, Lady Pink. Avevano scritto un sacco di spazzatura anche sulla sua persona, motivo in più per non credere ad una parola, anche e soprattutto quando tali discorsi erano riferiti da terzi. Per cui, quando qualche giornalista aveva insinuato che tra l’ispettore capo Peters e il poliziotto morto - si chiamava Erich Nicholson, rammentò - ci potesse essere molto di più di un semplice rapporto di lavoro, non ci aveva badato minimamente.

Nella sua testa, posata sul cuscino del suo comodo letto, continuavano a vorticare nuvole di capelli rossi, sprazzi di seta rosa e occhi pervinca gonfi di pianto. 

Oh, e anche un’altra cosa.

Non è colpa tua, William. Non potevi. Non sei responsabile. Non hai niente da farti perdonare.

Non è colpa tua.

Tua.

Sperò che dormirci su lo avrebbe aiutato a chiarirsi le idee.


LA TANA DELLA TALPA

A causa di impegni personali che mi impediscono di pubblicare questo sabato, per farmi perdonare non solo pubblico in anticipo, ma vi regalo addirittura un capitolo intero.
Un grazie sentito a tutti quelli che seguono questa storia.

A presto,

Molly. 

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Capitolo 18
*** Parte 1, capitolo 5: Non sarò mai in grado di prendere Gordon Van Allen! ***


5.

 

Loch Awe, 6 settembre 1936.

 

Non sarò mai in grado di prendere Gordon Van Allen!

 

La notte non gli aveva minimamente portato consiglio, anzi. Si era girato e rigirato nel letto fino ad avvolgersi nelle lenzuola. La pioggia aveva cominciato a battere, violenta ed improvvisa, contro i vetri della sua stanza, e il vento nella torre ululava come un branco di lupi. 

Incredibile. Il giorno prima era stata una bellissima giornata di sole e in meno di ventiquattro ore il tempo era cambiato e si era trasformato in una buia notte invernale.

Bentornato in Inghilterra, William

Il capitano era stato tormentato da terribili incubi. Non appena era riuscito a chiudere occhio, si era ritrovato in un vicolo buio e denso di nebbia. Un uomo senza volto e coperto di sangue si era scagliato contro di lui, mentre una donna dai capelli rossi, disperata ed in ginocchio per terra, non faceva altro che urlargli contro di averlo ucciso, e tutta una serie di altre colpe che lui cercava di razionalizzare, ma che emotivamente sentiva come sue. 

L’eco del suo l’hai ucciso tu! ancora risuonava nella sua mente, mentre cercava di indursi ad attaccare le sue uova.

Aveva provato a convincersi che una certa rossa della camera al primo piano non c’entrava nulla e che quella era soltanto la sua coscienza che lo redarguiva per tutto ciò che il suo lavoro lo aveva spinto a fare nel corso degli anni.

Inutile dire che non c’era riuscito. 

Considerato che non c’era stato verso di dormire, il capitano si era alzato prestissimo, in preda ai morsi della fame nonostante avesse mangiato molto la sera precedente. Si era vestito ed aveva pregato che i signori Smith fossero svegli, per poter mettere qualcosa sotto i denti. 

- Ho una fame che non ci vedo.- aveva detto dopo aver bussato alla porta delle cucine, con i suoi migliori occhi da cucciolo. Emily Smith non aveva resistito, lo aveva fatto accomodare e gli aveva servito uova, pancetta, pane tostato imburrato a puntino e una tazza bollente di English Breakfast, assieme ad una indicibile varietà di panini, marmellate e cereali. Fece anche la conoscenza della graziosa figlia dei signori Smith, Serena, una simpatica creatura dagli occhi verdi brughiera e dai capelli coloro dell’ebano. 

Mentre il suo cervello cominciava a macinare le sostanze nutritive che gli stava procurando e pur di non pensare al suo lavoro, William provò a mettere insieme, di nuovo, tutti i pezzi del puzzle che Danielle gli aveva offerto su un piatto d’argento la sera prima. 

Era davvero una storia complicata. Gordon Van Allen aveva infiltrato Jeremiah Cole, con il nome di James Mill, allo scopo di ottenere informazioni su Scotland Yard o su di lei? L’omicidio di Eric Nicholson era stato un tragico incidente, oppure si era trattato di un omicidio premeditato? Che ruolo aveva avuto il questore Somerset nella dipartita di quel poliziotto? Aveva solo approfittato degli eventi per cacciare Danielle da Scotland Yard?

Dalle finestre poteva percepire il fresco dell’alba ed osservò le splendide nubi cristalline sopra Loch Awe. La vista aveva un poco calmato la sua mente irrequieta, ma non il suo stomaco.

Così, quando arrivò l’ora di colazione, il capitano era già bello ristorato, e decise di sedersi comunque a tavola ad attendere l’arrivo dei vari commensali e socializzare un poco. 

Eventualmente, anche per servirsi una seconda volta.

Era consapevole che si trattava di una scusa razionale per attendere solo una di loro, ma era ben felice di assecondare quell’istinto. 

La signora Rogers - non richiesta, ma sempre presente - si era seduta a mangiare in disparte, l’aria improvvisamente diversa dal solito cipiglio brontolone che sfoggiava sul volto. Sembrava quasi spaventata, fragile e ferita, una foglia nel vento, mentre si guardava intorno inzuppando biscottini nel tè. L’aria sembrava spaccarsi attorno a lei e farle posto, lasciandola come sospesa nel vuoto. 

Il capitano non aveva mai visto nessuno emanare così tanta solitudine. Si chiese quale potesse essere la storia di quella donna, così strana e così sola, che cosa, nel corso della sua vita, l’avesse portata a diventare quello che era diventata. Considerata la sua personale esperienza, se ne era fatto un’idea, ma piuttosto che fare illazioni aveva preferito tenersene fuori. 

Le persone come lei avevano già sofferto abbastanza senza che lui le facesse ricordare l’orrore che aveva passato. 

La sua attenzione fu però catturata dall’arrivo della giovane Estravados, in un simpatico completo rosa e una nuvola di sfavillanti capelli neri. La salutò con un educato cenno del capo e la invitò a sedersi a tavola.

- Sa, i signori Smith sono davvero degli ottimi padroni di casa.- le disse, mentre Mercedes si sedeva davanti a lui con un leggero rossore sulle guance. - Le consiglio la crostata. Una delle più buone che abbia mangiato negli ultimi tempi.-

Mercedes si servì abbondantemente, pensierosa.

- Lei non mangia, senor?- 

- Ho già dato questa mattina presto, ma se proprio desidera, le faccio compagnia con un pezzo di crostata.-

Mercedes attaccò il suo piatto con grinta, come se non mangiasse da giorni. Al capitano quel genere di comportamento era sempre piaciuto. Era cresciuto in una casa dove si mangiavano porzioni piccolissime che costavano quanto l’ira del Padreterno e in cui le ragazze erano sempre a dieta, anche se non ne avevano bisogno. Vedere una bella signorina come Mercedes mangiare di gusto faceva soddisfazione anche a lui, che era già sazio. 

- Mi dispiace, ma la cucina inglese non me gusta.- sentenziò, pulendosi il viso con il tovagliolo e mangiando le ultime briciole che aveva nel piatto.- Le uniche cose che mi piacciono sono i dolci e il salmone scozzese.-

- Credo che abbia ragione. Ho sviluppato una profonda passione per la cucina mediterranea, durante i miei viaggi. Dopo aver assaggiato un ragù di cinghiale italiano o una paella spagnola i pasticci di rognone non piacciono più!- disse sorridendo, e Mercedes non potè fare a meno che approvare.

Tuttavia, il capitano aveva la sensazione che quella conversazione non fosse del tutto casuale. La ragazza lo aveva individuato subito, come se lo stesse appositamente cercando, ed anche in quel momento William aveva la sensazione che stesse prendendo tempo. 

- Così lei è stato in Espana?- pronunciò la parola con una inflessione particolare, che al capitano era sempre piaciuta.

- E’ una parola grossa. Sono rimasto ancorato per un po’ di tempo in porto a causa di un problema ai motori. Non ho visto granché.-

La ragazza sbatté le lunghe ciglia con eleganza, ma i suoi grandi occhi scuri dardeggiavano, intelligenti

- Questo è quello che le è stato detto di dire?-

Ovviamente. Non c’è motivo di mettere il segreto di Stato su una nave con i motori rotti. Lo aveva fatto presente a suo tempo, ai suoi superiori, ma evidentemente la cosa non era interessata loro poi più di tanto. Vivevano in un mondo tutto loro, dove esistono gli ordini e l’obbedienza, e non le domande. 

Quelle, quando ci sono, si aggirano. 

Mercedes, però, era sveglia, ed anche parecchio. Il capitano sorrise sornione ed allargò le braccia, come a dirle che non poteva né confermare né negare quello che avrebbe voluto sapere. 

La ragazza sorrise a sua volta, come se si aspettasse quella risposta. 

- Non è un problema, capitano.- Poi, lo guardò dritto negli occhi nocciola, facendolo sentire piccolo piccolo in quel mare nero come la pece. - Abbiamo tutti dei segreti, qui.-

Il capitano ponderò per un secondo le sue parole, perplesso. Tutto quello che Mercedes gli era sempre sembrata era una graziosa ragazza in vacanza con il suo vecchio zio adottivo, ma quell’affermazione gli aveva fatto sorgere dei dubbi. 

Altro che vacanza! La sua permanenza in Scozia si stava rivelando una vera e propria miniera di informazioni, e purtroppo anche un passatempo non troppo rilassante per il suo cervello già stanco. Cominciava ad avere la sensazione che, alla fine di quella vacanza, avrebbe avuto bisogno di farne un’altra per riposarsi dalla prima. 

Mentre continuava a sorridere a Mercedes, spostò lo sguardo su Danielle Peters, che scendeva le scale agilmente, forse grazie all’aiuto dei pantaloni color crema, con l’aria di essere una persona molto più felice rispetto alla sera prima. Salutò con rispetto e la donna automaticamente si sedette assieme a loro, addentando senza nemmeno imburrarla una fetta di pane tostato.

- Mercedes! Anche tu già sveglia?- le disse, passandole una mano sulle spalle in segno di affetto. 

- Oh, sì. Il capitano ed io stavamo discutendo della cucina inglese.-

Il capitano abbozzò un sorriso.

- Per quel poco che me ne intendo.-

Danielle si riempì il piatto e spazzolò tutto di gusto, come se non avesse mangiato da mesi. Il capitano cominciava a chiedersi se l’aria delle Highlands stimolasse l’appetito, dal momento che gli ospiti dell’albergo sembravano tutti affamati. Ciò che gli premeva di più, però, era scambiare due parole da solo con Danielle, dopo la chiacchierata confidenziale che avevano avuto la sera precedente. 

Aveva bisogno di capire se si fidasse di lui, se avrebbe avuto ancora modo di restarle accanto, cosa che voleva più di ogni altra cosa. Gli erano bastate ventiquattr’ore per invaghirsi di lei, e la prospettiva che Danielle non volesse più rivolgergli la parola lo turbava nel profondo. 

- Non avevo così fame da tempo.- disse soddisfatta dopo essersi pulita la bocca.

- Dunque, oggi che programmi avete, signorine belle?- disse il capitano, sfregandosi le mani e già pronto per uscire in giardino. - Passeggiatina intorno al lago?-

- Oh, no.- fece Mercedes, scuotendo le mani.- Io torno in camera a studiare.- 

Aveva un modo molto strano di pronunciare la i, quasi come se fosse una e, che il capitano apprezzava molto. Le conferiva un’aria esotica e la rendeva simpatica.

- Che cosa, se posso chiedere?-

-Studio lingue straniere. Sono venuta a trovare il mio amigo dottor Dietrich per poter migliorare il mio inglese. Adesso devo leggere Shakespeare. Riccardo Terzo.-

- Ottima scelta! Una delle mie preferite.- fece Danielle, il sorriso sulle labbra.

Si rese conto che i due la stavano guardando curiosi, non aspettandosi la sua passione per il sommo poeta inglese. 

- Sono nata a Stratford upon Avon, a scuola ci facevano recitare alcune opere di Shakespeare.-

- E come andava?- chiese curioso il capitano.

- Per me, male.- fece Danielle, sorridente.- La recitazione non ha mai fatto al caso mio.-

- Per lei, invece, Danielle?- azzardò William con gli occhi bassi, sperando di non ricevere un pugno sul naso.- Passeggiatina?-

La donna comprese che William stava cercando di restare solo con lei e di concludere la discussione che avevano avuto la sera prima. 

- Perché no?-

Ci aveva pensato, quella mattina. Si era svegliata, gli occhi fissi sul soffitto come la sera precedente, ma una sensazione di leggerezza sul cuore che non provava da tempo.

Danielle era una donna intelligente, con delle notevoli capacità introspettive. Era facile per lei entrare nella mente degli altri, lo era sempre stato. Se, però, riusciva a capire se qualcuno soffrisse d’ansia soltanto osservandogli le scarpe, non era mai stata capace di fare lo stesso su di sé. Il suo carattere era l’ostacolo più grosso. Non riusciva mai ad ascoltarsi, a capirsi fino in fondo, così, quella mattina, aveva deciso di provare a fare l’opposto di ciò che faceva sempre ed aveva provato a comprendere come si sentisse. 

Ferma sul letto, aveva avuto modo di elaborare tutto ciò che era accaduto il giorno prima, a cominciare dal suo arrivo ad O’Brennon Hall, ed aveva concluso che, per quanto fosse stato uno dei giorni più duri della sua vita, non era andato poi così male. Era convinta di essere detestabile agli occhi di tutto e di tutti, ed invece aveva trovato diverse persone che la apprezzavano. Il dottor Dietrich le aveva attestato la sua stima, Mercedes stava benissimo in sua compagnia e il capitano Collins sembrava essersi preso una gran bella cotta per lei. Persino il signor Kendall - per quanto inopportuno fosse stato il suo intervento - e il maggiordomo sembravano ammirarla, per non parlare del buon vecchio professor Moore, ed era qualcosa a cui lei non era più abituata da tempo. 

A parte Carl Northwood - che però le era parso di intendere che fosse sempre di animo scontroso e violento - e Mariah Rogers, che non sembrava starci tutta con la testa, il bilancio non poteva che essere positivo. 

Inoltre, come aveva avuto modo di comprendere la sera precedente, il fatto che il capitano Collins fosse nello stesso edificio in cui alloggiava lei rappresentava una incredibile opportunità per chiudere per sempre la porta del suo passato, farvi luce una volta per tutte. Certo, non sarebbe stato semplice, però ne sarebbe valsa la pena. 

E lei? Aveva ancora intenzione di volersene andare quel pomeriggio stesso?

Al momento, propendeva per un no. 

Inoltre, l’insistenza del capitano poteva essere molto produttiva. Parlare con lui durante una gita nelle Highlands le avrebbe chiarito definitivamente le idee, anche se per un secondo aveva pensato di chiedere al giovane Kendall di accompagnarla, in modo da soddisfare la sua curiosità in materia di diritto penale. Tuttavia, in quel momento, seduta a tavola con William, l’idea di avvicinare il giovanotto non le era nemmeno passata per l’anticamera del cervello, ed aveva acconsentito senza battere ciglio. 

In men che non si dica, si trovò fuori al fianco del capitano, in quella bella e rara giornata soleggiata. Soltanto qualche nube dall’aria minacciosa all’orizzonte ricordava loro che la pioggia non era ancora del tutto passata, e che quella parentesi di sereno era soltanto passeggera. Un refolo di vento sembrava presagire il cambiamento atmosferico, e il capitano sollevò il bavero della giacca per evitare che l’aria si insinuasse fin sotto i vestiti. 

Danielle, dal canto suo, attentissima a dove metteva i piedi, stava cercando di non fare una pessima figura e sfracellarsi al suolo, mentre il suo compagno sembrava incredibilmente divertito dalla sua premura.

- Sa, si dice che più giù della terra non si possa andare, quando si cade.-

- Anche la terra per me è sufficiente, grazie, William.-

- Se posso permettermi…-

- Ho scelto le scarpe sbagliate. Me ne sono accorta.- brontolò, cercando di combattere con le zolle erbose e la suola di cuoio delle sue scarpe francesi. 

La riuscita della sua impresa però non fu ottimale, perché mise un piede in fallo e dondolò pericolosamente, in equilibrio su una gamba sola, prima di recuperare la stabilità.

- No, va bene, è stata una scelta pessima.-

Il capitano decise di osare e le offrì la mano. Era già pronto per un secco so cavarmela da sola grazie tante, quando la donna gliela strinse e lasciò che la sorreggesse almeno nel passaggio che le risultava più difficile. Sentì una grossa farfalla librarsi in volo dalle parti dello stomaco, e si chiese se non si stesse innamorando sul serio. 

Comprendendo che il pericolo era scampato, William pensò che sarebbe stato corretto lasciarla camminare da sola, ma con sua grande sorpresa, Danielle gli passò un braccio sotto il suo, continuando a guardare per terra più per non fissarlo negli occhi che per il bisogno di controllare i suoi passi. Il capitano, anche se preso alla sprovvista, non si fece sfuggire l’occasione e trattenne il suo braccio. Poi, traendo un profondo sospiro, cercò di condurre la conversazione dove voleva che arrivasse.

- Vorrei scusarmi con lei per ieri sera. E’ stata una lunga serie di indelicatezze nei suoi confronti, da parte di ogni membro della comitiva. In particolare il giovane Kendall è stato incredibilmente inopportuno.-

Danielle fece spallucce, l’aria noncurante.

- E’ giovane ed appassionato di cronaca, è normale che commetta errori. Non gli porto rancore. Mi stupisce però che frequenti la facoltà di legge. Mi sembra più portato per il giornalismo d’inchiesta che per il diritto.-

Il capitano aggrottò le sopracciglia, cercando di dare un senso a tutti i dubbi che lo avevano assalito fin dalla mattina presto. In particolare, ce n’era uno che l’aveva lasciato proprio perplesso, e per quanto ci avesse rimuginato sopra durante la sua notte quasi insonne, non era riuscito a trovare una spiegazione plausibile. 

- Posso chiederle una cosa, Danielle?-

- Naturalmente.-

Deglutì, sperando di scegliere bene le parole. Non aveva di certo intenzione di causare un’altra esplosione come quella della sera prima.

- Non che voglia tornare sull’argomento, ma ieri sera ha detto una cosa che mi ha lasciato sinceramente di stucco. Come fa a sapere che la squadra che aveva richiesto era arrivata da Tarragona, esattamente?-

Sul volto della donna si stese un sorriso furbetto.

- Oh, molto semplice. Si tratta di una missione sotto segreto di Stato, e il che significa che c’era qualcosa di importante che dovevate tenere sotto controllo, forse più importante di quanto credevamo all’epoca. Persino le nostre comunicazioni erano controllate, e non sono mai riuscita a scoprire dove tu fossi ancorato. Credimi, ci ho provato - gli disse, dondolando la testa come se stesse confessando un piccolo reato.- ma avete fatto un ottimo lavoro. Inoltre, la Marina ha detto che la vostra nave aveva avuto un guasto nel Mediterraneo, e che vi eravate ancorati al porto più vicino per delle riparazioni. Ha anche detto che si era trattato di un guasto ai motori che vi ha tenuto fermi per molto tempo. Ora, a parte il fatto che nessuna nave sta ferma in porto per anni per via di un guasto, di per sé mettere il segreto di Stato su una nave in riparazione non ha senso. Volendo comunque perderla per buona, in quel caso avreste avuto bisogno di numerosi mezzi di sostentamento, dal carburante per la nave ai pezzi di ricambio per il motore, per non parlare poi dei viveri per i vostri marinai. Essendo una missione segreta, probabilmente avreste avuto bisogno anche di tutta una serie di mezzi di comunicazione, e i contatti con altre navi inglesi devono essere stati assolutamente limitati. Avevate bisogno di un porto grande, con numerose risorse. Escluse quindi le varie città minori, quelle sull’Atlantico per ovvi motivi, e Madrid, che non ha sbocchi sul mare, l’unica che resta è Barcellona, e il porto di Tarragona è il più vicino.-

Il capitano sbatté le palpebre, senza sapere che cosa dire.

Avrebbe dovuto riferire a Morris che la loro copertura era stata una mezza disfatta?

- Vi siete prodigati così tanto per nascondere le tracce, che ne avete create di evidenti. Questa, poi, era solo la via più difficile. Ce n’è anche una più facile, sai?-

Pure?

- Ah, davvero? E qual è?-

Danielle rise divertita. 

- Chiedere agli uomini che mi hai mandato.-

Giustamente.

- Che domando a fare?- fece il capitano, ridendo.- Prova semplicemente che non mi ero sbagliato sul suo conto, nemmeno a suo tempo.-

Danielle sentì le guance colorarsi leggermente. 

- Sei stato uno dei pochi, evidentemente. E’ un merito che non ti nego.-

Continuarono a camminare in riva al lago, in silenzio. Era così bello, così trasparente e così brillante. Danielle poteva scorgere le rocce che lentamente digradavano verso il fondale, profondo e buio. Si chiese se fosse troppo freddo per poterci fare il bagno, e si chiese fin dove si spingesse, giù in profondità, ed immaginò che procedendo verso il basso sarebbe potuta arrivare fino al centro della Terra. 

Ah, Verne. Avrebbe dovuto rileggerlo, una volta a casa.

- Immagino che non sia stato facile.- fece il capitano, sperando di non essere indiscreto così tanto da meritarsi quel famoso pugno sul naso.- Voglio dire, un caso risolto, certo, però la difficoltà di una perdita così grande, il giudizio delle persone, la cattiveria, sono tutte cose molto difficili da gestire. Devo ammettere che è stata molto brava. Qualcun altro al posto suo avrebbe completamente perso la lucidità.-

Danielle lasciò che lo sguardo vagasse sull’acqua cristallina del lago. Sicuramente era troppo freddo per i suoi gusti, altrimenti si sarebbe volentieri tuffata per fare un bagno. 

- Ho rischiato di perderla, più di una volta, e più di una volta sono stata convinta di averla persa. Forse, non sono nemmeno riuscita a recuperarla del tutto, persino in questo momento. Per quanto riguarda il caso, invece, non c’è assolutamente niente di risolto. Jeremiah Cole era solo la punta di un iceberg troppo grosso per essere scoperto senza una testimonianza diretta, e, considerato che è morto, la possibilità di riuscirci è ridotta ai minimi termini. Per non parlare poi del fatto che, prima di morire, avrà sicuramente spifferato tutti i metodi di indagine di Scotland Yard a Gordon Van Allen. Ormai, sa come lavorano. Per prenderlo ci vorranno anni, e forse non ce la faranno mai.- 

Poi, la donna sospirò, come se un dolore sordo fosse risorto dalle profondità del suo cuore.

- Non sarò mai in grado di prendere Gordon Van Allen!-

Il capitano non aveva mai avuto bisogno di vendicarsi. Non sapeva provare rancore, nemmeno per il suo più acerrimo nemico. Fu però sorpreso di scoprire che ciò che brillava negli occhi di Danielle non era sete di vendetta. Sarebbe stato comprensibile che provasse quel sentimento, in un caso come il suo. Sembrava, più che altro, un gran bisogno di giustizia, come se arrestare Van Allen fosse l’unica possibilità per mettere a posto le cose, per evitare che tutto ciò che era successo a lei succedesse di nuovo a qualcun altro. 

- Chi lo sa.- fece il capitano, cercando di tirarla su di morale.- Non tutto è perduto!-

Danielle apprezzò il tentativo, ma da tempo, ormai, aveva preso la sua decisione. 

- Anche se fosse, non ho intenzione di rimettere piede a Scotland Yard. Quella parentesi, per quanto bella, è chiusa da un pezzo, ormai.-

L’ora di pranzo si stava avvicinando, ed i due decisero che sarebbe stato meglio tornare verso il castello per tempo, così avrebbero avuto modo di chiacchierare ancora un po’ prima di mangiare. 

Fu a quel punto che il capitano decise di togliersi un ultimo sassolino dalla scarpa, un tarlo che lo aveva perseguitato da quella mattina.

- Danielle, scusi se chiedo, ma la sua amicizia con la signorina Estravados, come è nata?-

La donna aggrottò le sopracciglia, pensierosa.

- L’ho conosciuta in treno. E’ una ragazza solare, di grande talento.-

- Non ha avuto la sensazione che ci fosse qualcosa in lei? Qualcosa di diverso?-

Questa volta la donna lo guardò con una luce sorniona negli occhi e un sorriso malizioso sul viso.

Tutto sommato, lei e il capitano si intendevano davvero, ed abbastanza bene, anche. 

- Se trovo sospetto che una giovanissima spagnola che studia lingue sia amica di famiglia di un tedesco purosangue che ha sempre vissuto di medicina? Naturalmente. Se trovo sospetto che una spagnola e un tedesco vengano proprio in Scozia per migliorare l’inglese? Altrettanto. Sono due persone che non condividono niente, nemmeno la lingua, almeno in apparenza. E poi, mala tempora currunt. Sicuramente, se me lo chiedi, devi aver trovato qualche indizio che ti ha convinto di questo.- 

Non sapeva se fosse tutto merito di William o meno, ma in quelle poche ore che aveva trascorso in sua compagnia aveva sentito risvegliarsi in lei l’istinto di caccia, quella che l’aveva spinta a diventare ispettore. Un istinto che aveva erroneamente ritenuto sopito da tempo, perduto come molte altre emozioni che aveva provato una volta e che adesso sembravano annebbiate, coperte da un velo che le impediva di vedere correttamente. 

Danielle Peters, la volpe, era ancora lì da qualche parte, come ferro sotto la ruggine, ed adesso cominciava a fare nuovamente capolino, a svegliarsi dal suo torpore.

Quanto le piaceva quella sensazione. 

- Mi ha fatto parlare della mia missione in Spagna, per poi aggiungere che non sono l’unico ad avere dei segreti, qua dentro.-

Ah, quella sì che era una notizia!

Una luce brillantissima si accese negli occhi della donna.

- Ah, interessante. Davvero interessante.-

William cercò di cogliere la palla al balzo. Se avesse potuto trascorrere tutta la vacanza con lei, in sua compagnia soltanto, sentiva che sarebbe stato l’uomo più felice del pianeta. 

- Potremmo indagare insieme.- azzardò, tenendole stretto il braccio anche con l’altra mano libera, mentre l’albergo torreggiava sopra di loro ed era pronto ad accoglierli per il pranzo. 

Danielle sogghignò, cogliendo con celia malcelata le implicazioni della proposta del capitano.

- Perché no. Potrebbe essere divertente. La risposta corrisponde alle tue aspettative, William?-

Questa volta fu il turno del capitano di ghignare.

Anche lui aveva i suoi assi nella manica.

- Non avevo dubbi, Danielle. Non so se si è resa conto, ma mi sta dando del tu da un pezzo, ormai.-

La donna aprì la bocca per rispondere e la richiuse, senza parole. 

Questa volta l’aveva presa con le mani nella marmellata, decisamente.

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Capitolo 19
*** Parte 1, capitolo 5: Sei proprio uguale a mia madre, devo dire. ***


Sei proprio uguale a mia madre, devo dire.

 

Con la bocca piena, Danielle si chiese se i signori Smith fossero in qualche modo intimiditi o spaventati dal proprietario dell’albergo, Steven O’Brennon. Niente, se non paura o un’incredibile ospitalità, giustificava la loro solerzia nel servire gli ospiti, e se non fosse stato per la spontaneità dei due, probabilmente avrebbe optato per la prima. 

A tavola i commensali si erano riuniti, come la sera precedente, e tutti, proprio come durante la cena del giorno prima, sembravano apprezzare la cucina della signora Smith. Seduta tra il capitano e il signor Webber e con una punta di curiosità, Danielle notò l’assenza apparentemente ingiustificata dei coniugi Northwood. Jodie Webber in particolare ne sembrava turbata, e continuava a richiamare l’attenzione del marito, chiacchierando a voce talmente bassa che Danielle, pur essendogli seduta accanto, non riusciva a cogliere una singola parola. Perplessa, scambiò un’occhiata furtiva con il capitano, che ricambiò e tornò a concentrarsi sul suo controfiletto.

Danielle non poteva dirlo con certezza, ma poteva immaginare che il nome Northwood facesse girare gli ingranaggi della mente del capitano tanto quanto li stesse facendo girare a lei.

Dove accidenti aveva già sentito quel nome?

La curiosità continuò a tormentarla per tutto il pasto, e solo quando il pranzo fu ultimato, Danielle ebbe l’occasione di incrociare Jodie Webber nel salone per un digestivo, e le chiese che fine avesse fatto sua sorella.

- Mi dispiace di non averla vista a pranzo. Spero che vada tutto bene.-

La donna sospirò. Danielle pensò che agli occhi di un uomo dovesse sembrare molto bella. Era sottile e modaiola, sempre inappuntabile ed ordinata, l’acconciatura sempre ornata di simpatici accessori brillanti e luminosi. La sua espressione, però, tradiva un certo tormento, a dispetto della sua apparenza perfetta.

- Mia sorella non sta bene. Ha dei seri problemi da quando sua figlia è morta.-

All’improvviso, Danielle ricordò tutto.

Quello che era strano, era che lo sapesse proprio lei.

Tu guarda, la coincidenza! 

Decise comunque di tenersi sul vago.

- Immagino. Un genitore non è mai felice di sopravvivere ai figli. Dev’essere stato un duro colpo.-

- Lo è stato per tutti. Non immagina quanto.-

Fu raggiunta dal marito, che reggeva un bicchiere di liquore per mano, e ne porse uno alla moglie, che lo prese e lo svuotò in un colpo solo. 

Danielle ammirò la sua tolleranza all’alcol.

- Amore, stavo dicendo alla signorina Peters di Johanna.-

Fu solo la sua impressione, o sul volto del signor Webber si era stesa un’ombra di sospetto?

- Capisco.- fece l’uomo, questa volta con quella che sembrava una punta di rimprovero negli occhi. 

- Credete che Eveline apprezzerebbe compagnia?-

Jodie scosse le mani e la testa contemporaneamente, i bei ricci color mogano che dondolavano da tutte le parti.

- Assolutamente no! Carl glielo impedirebbe, e lei, purtroppo, ha già avuto modo di scoprire di che pasta sia fatto mio cognato. Se fossi in lei, signorina Peters, lascerei perdere.-

Non aveva tutti i torti, e Danielle non si prese la briga di chiedere ancora.

Tuttavia, ed in modo del tutto inaspettato, il signor Webber diventò loquace e cominciò a descrivere nei dettagli la circostanza della scomparsa della piccola Johanna. Danielle avrebbe tanto preferito tirarsi indietro, tuttavia il suo istinto ancora una volta la spinse a restare. 

- Povera bambina, era così bella, entusiasta e curiosa. La conoscevo bene, era mia nipote del resto, e veniva spesso a trovarci. Proprio una cara bambina. Ha avuto un malore, e non sono riusciti a salvarla.-

Danielle ribadì il proprio dispiacere con grande delicatezza e si congedò, con la scusa di ritirarsi nelle sue stanze. In verità, il suo primo pensiero era stato cercare il capitano Collins per spiegargli finalmente il motivo per cui ricordava quel nome. 

La conversazione aveva acceso un faro nei meandri della sua memoria.

Johanna Northwood. 

Quella vacanza non voleva proprio saperne di andare come avrebbe dovuto. Continuava a far risorgere un sacco di ricordi e lei, ormai, aveva capito che non poteva fare altro che assecondare la sorte.

E, perché no, condividerla con William, dato che la sorte stessa l’aveva messo di nuovo sulla sua strada.

Lo trovò mentre saliva le scale, diretto alla sua stanza nella torre. Lo afferrò al volo per il fondo della giacca, facendolo sobbalzare per la sorpresa.

- Problemi?- chiese quello. 

Danielle, con il fiato corto per l’arrampicata sulle scale, gli fece cenno di attendere un momento.

Accidenti, se sono fuori forma!

- Ancora il signor Northwood? Ah, giuro che questa volta gli faccio vedere i sorci verdi a quel…-

- Johanna! Johanna Northwood!-

Gli occhi di William si illuminarono.

- Mi dia un minuto. Recupero le mie cose e ci vediamo in giardino.-

Detto questo, sparì alla vista.

Danielle ne approfittò per rinfrescarsi, cambiarsi quelle mefistofeliche scarpe e godersi la sensazione inebriante di essere riuscita a far luce sulla verità.

Anche se, come tutte le verità, apriva una lunga serie di misteri e domande senza risposta. 

Oh, non si era mai sentita così viva da due anni a quella parte!

Scese le scale rapidamente ed in un attimo fu fuori, al sole, a cercare con lo sguardo il capitano. La attendeva seduto su una sedia da giardino sotto il piccolo portico antistante quelle che, Danielle comprese, dovevano essere le scuderie del maniero. A metà strada tra il lago e il bosco retrostante, verso est, le scuderie erano esposte al sole, nel verde della brughiera. Quella era un’ala del castello che Danielle non aveva ancora esplorato ed era estremamente curiosa di sapere come il capitano facesse ad avere così tanta dimestichezza con l’ambiente. 

- Non avevo ancora visto questo lato del castello.- gli disse, accomodandosi sulla sedia accanto a lui.

- Eppure mi ha trovato comunque.-

Già, grande verità. L’istinto l’aveva portata lì, come se avesse sempre saputo dove trovarlo. 

Cercò di non pensare al legame mentale che stava crescendo tra di loro e preferì andare dritto al punto.

- Finalmente mi sono ricordata dove ho già sentito quel cognome! Il caso della piccola Johanna Northwood!-

William distese le gambe sotto il portico, godendosi il fresco. 

- Non lo rammento.-

- Era sulla mia scrivania, il giorno in cui ho dato le dimissioni. Uno di quegli orribili giornali scandalistici parlava della morte per malore della figlia di un noto imprenditore edile che aveva costruito nella zona di Mayfair.- 

Il capitano aggrottò le sopracciglia, come faceva sempre quando era pensieroso, e prese ad accarezzarsi il mento, dove cresceva un sottile velo di barba non fatta.

- Non capisco. Che cosa ci faceva un caso del genere sulla sua scrivania? Non si è trattato di morte naturale?-

- Questo non lo so nemmeno io.- disse, lo sguardo perso nella brughiera di fronte a loro.- Sulle prime non vi diedi peso. Avevo altro a cui pensare, per cui ho rimosso il caso fino ad oggi, quando la signora Webber e suo marito me lo hanno ricordato.-

Lanciò un’occhiata in tralice a William e dovette ammettere che, se la cronaca rosa gli stava alle calcagna, c’era un motivo più che giustificato. Aveva un profilo perfetto, da tracciare col pennello; un naso dritto e perfetto; un mento lineare e perfetto, con una piccola fossetta sotto la bocca; labbra piene e perfette; ciglia lunghe e perfette, quasi femminili; occhi grandi, vividi e perfetti, che ricordavano incredibilmente quelli di un cervo. Persino le orecchie non avevano un difetto, e i ricci biondi, che per alcuni potevano sembrare poco ordinati, erano invece quanto contribuiva a renderlo più affascinante che mai. 

Si poteva dire che il capitano Collins fosse la perfetta rappresentazione del canone di bellezza classico.

Tutta la sua figura, immersa nel sole del primo pomeriggio, con le sue lunghe gambe distese sotto il portico, aveva proprio un qualcosa di ellenistico e profumava di sandalo. 

Lei adorava il sandalo. 

Se non fosse stata del tutto razionale - ma proprio molto razionale - lo scorrere dei suoi pensieri in quel momento avrebbe potuto essere paragonato a quello di una ragazzina che si innamora per la prima volta.

Solo paragonato, ovviamente. 

Il capitano dovette accorgersi che lo stava guardando, e le sorrise. Danielle si sentì una perfetta idiota e pensò che adesso sapeva come mai William si era comportato come un cretino per tutta la sera precedente senza riuscire a concentrarsi.

Johanna Northwood. 

- Direi che è più che comprensibile. In questo modo, si spiega anche lo stato di salute della povera Eveline. Perdere la figlia deve essere inaccettabile per lei, soprattutto se le circostanze non sono così chiare come sembrano.-

- C’è di più.- disse Danielle, accomodandosi meglio sulla sedia. Sapeva che non aveva le prove per dimostrarlo, ma fin dall’inizio quella conversazione le era sembrata sospetta.- Il signor Webber si è lanciato in una dettagliata spiegazione non richiesta della morte della nipote. Non saprei, mi è sembrato quasi apologetico, come se…-

- Come se si stesse giustificando?-

- Esatto!-

William si stava facendo sempre più serio, mentre fissava l’erica con gli occhi contratti. 

- E’ una storia complessa, su cui non abbiamo gli elementi per trarre le nostre conclusioni. Tuttavia, non fa altro che rinforzare la mia prima impressione, ovvero che Carl Northwood non sia una persona perbene, nonostante quella povera donna di sua moglie. Sarebbe meglio che lei gli stesse alla larga, Danielle.-

La donna fece un mezzo sorriso.

- Siamo tornati al lei, adesso?-

- Non ho mai smesso, credo, al contrario di qualcuno di mia conoscenza.- rimarcò William, anche se questa volta stava apertamente ridendo.- Se vuoi, possiamo passare a modi meno convenzionali, e, per quanto tali, fraintesi dalla maggior parte della società civile. Sono convinto, però, di stare parlando con un esemplare a sé stante o sbaglio?-

Danielle dondolò la testa e si perse per un secondo a contare le ciglia del suo occhio sinistro.

- Non sbagli.-

Detto questo, William balzò in piedi e le tese una mano. 

- Considerato però che l’ispettore e il capitano sono in vacanza, direi che potremmo lasciar perdere il passato per, diciamo, un paio d’ore? E goderci un bel giro attorno al lago. Un’altra volta, ma tant’è, non è che abbiamo molta scelta.-

Danielle gli prese la mano con delicatezza e lasciò che la aiutasse a mettersi in piedi. Poi, i due si diressero di nuovo verso il lago, lontano dalle scuderie e dal portico sotto il quale avevano preso il sole del primo pomeriggio.

- Come si vive nella torre?- fece Danielle, provando a riprendere la loro conversazione e dirigendola verso argomenti più frivoli.- Immagino che sia molto luminosa.-

- Oh, lo è. Mi sento un po’ una principessa, a dire il vero. E’ anche la stanza più rumorosa, ne sono convinto. Il vento fischia come se fosse sempre bufera, e credo che una famiglia di merli acquaioli abbiano fatto il nido proprio sopra la mia finestra.-

Fuori, all’ombra di una grossa quercia, scorsero Mercedes e il dottor Dietrich seduti su una terribile tovaglia a quadri, intenti in una fitta conversazione. I due si guardavano spesso attorno, accertandosi di non essere né visti, né sentiti, e quando gli occhi del dottore incrociarono lo sguardo di Danielle l’aria divenne improvvisamente tesa e sospesa, almeno finché Mercedes non proruppe in un sonoro strillo, agitando la mano ed invitandoli a raggiungerli sotto l’albero. I due si avvicinarono, e Danielle non poté fare a meno di notare il leggero scambio di parole sussurrate tra i due, sotto voce, così rapidamente da renderle impossibile leggere le labbra. 

C’era davvero qualcosa di misterioso nel comportamento di Mercedes, ed adesso era evidente anche per lei.

- Joseph mi sta insegnando il testo della Regina della Notte.- disse la ragazza, invitandoli a sedersi vicino a loro. 

- Il flauto magico di Mozart.-

- Lo conoscete, capitano?-

- Sì, dottore.- confermò, annuendo.- Sono un discreto pianista, mi intendo un poco di musica.-

- Mercedes parla qualche parola di tedesco, la sto aiutando a perfezionarlo.-

- Niente di meglio di un insegnante madrelingua!- disse Danielle.- Mia nonna era svizzera, il mio tedesco è contaminato. Quello del dottore è certamente migliore del mio.-

La conversazione, però, tendeva a languire, e dopo alcuni ulteriori scambi di battute di pochissima rilevanza, salutano il dottore e la giovane ragazza per riprendere il loro giro attorno al lago.

Era più che evidente che non avevano intenzione di continuare ad interagire, né con lei, né con il capitano, e che volevano riprendere l’argomento che il loro arrivo aveva lasciato in sospeso.

Danielle, il volto coperto dall’ombra del suo cappello a tesa larga, aveva l’aria cupa.

- Avevi ragione su di loro.- disse, alla fine.- Nascondono qualcosa. Non so se stia a me indagare o giudicare. Spero solo che non sia niente di male.- 

Continuarono a passeggiare in silenzio sulla riva del lago. Danielle stava cercando un argomento di conversazione che fosse leggero ed adeguato, ma, persa com’era nel filo dei suoi pensieri, non ne trovò nemmeno uno.

Non poteva sapere che, mentre lei si scervellava per non risultargli noiosa, William in verità stava apprezzando quella passeggiata come poche altre che avesse fatto nella sua vita. Danielle era una persona con cui si stava bene anche in silenzio, o almeno questo era quello che credeva il capitano. La sua presenza era fonte di compagnia e lui amava il silenzio. C’era qualcosa di incredibilmente sincero, nel silenzio. Quando non c’è niente da dire, significa che va tutto bene, almeno in linea di massima. Si era sempre chiesto se fosse assolutamente necessario fare conversazione. A volte, si poteva percepire nell’interlocutore il fatto che stesse parlando per forza. Era stata una delle cose che aveva odiato di più della vita sociale della sua famiglia. Costretti a parlare di cose assolutamente inutili con altre persone, il cui sport preferito è collezionare avvenimenti ed aneddoti completamente inutili quanto le loro chiacchiere. 

Un po’ di sano silenzio è il toccasana per ogni male.

Il braccio che, lentamente, si era infilato di nuovo sotto al suo non appena erano stati lontani da sguardi indiscreti era ancora meglio di qualsiasi balsamo. 

Il silenzio può essere imbarazzante, però. O spaventoso. O triste. Ecco, vedere Danielle così immersa nei suoi pensieri, che sicuramente non erano belli, lo rendeva triste. Certo, gli permetteva di capire molto sulla sua personalità. Una donna testarda, caparbia e allo stesso tempo incredibilmente leale e giusta. 

Vatti ad aspettare qualcosa di diverso dalla prima donna ispettore capo di Scotland Yard.

- Posso chiederti come ti è venuto in mente di diventare ispettore?- le chiese a bruciapelo, sperando di distrarla. 

Danielle si svegliò dal suo sogno ad occhi aperti. Non lo avrebbe mai confessato a William, né l’avrebbe mai ammesso a se stessa, ma il vagare dei suoi pensieri si era spostato dai Northwood a Mercedes, e da questa alle lunghe gambe del capitano stese al sole.

Quella verità l’avrebbe tenuta per sé.

- Non ne sono certa. Da piccola volevo fare l’arpista. Con il tempo, però, ho capito chi ero. Prendevo le parti dei più deboli, rispondevo alle ingiustizie. Sono stata cresciuta in un modo molto libero. Mio padre mi ha sempre portata a fare cose che lui trovava divertenti, cose che per una bambina perbene sono assolutamente sconvenienti, come andare a pesca. Mia madre, da una parte, mi insegnava l’educazione tradizionale. Mio padre, dall’altra, voleva che fossi libera di esprimermi senza essere condizionata dal giudizio degli altri. Ho scoperto che quella libertà mi piaceva, così me la sono presa.-

Non faceva una grinza, e William ne approfittò per immaginarsela in tenuta da pesca.

Sogghignò, divertito.

- Pesca con la mosca?-

- Pesca al luccio.-

William fece tanto d’occhi e scoppiò a ridere. Danielle si associò ed arrossì.

- Ci vuole coraggio.-

- Per la pesca al luccio o per entrare a Scotland Yard?-

William continuò a ridere. 

- Tutte e due.-

Danielle fece spallucce. 

- La gente giudica troppo e si fa troppo poco i fatti propri. Con il tempo ho imparato a trascurare l’opinione degli altri e ad accettare solo ed esclusivamente la mia, almeno negli ambiti della mia vita in cui non è giusto che gli altri interferiscano, da come devo vestirmi al marito che devo scegliermi. Il lavoro è uno di quelli. L’università mi era praticamente preclusa, sia per l’onere economico che per il fatto di essere una donna. Alla fine mi hanno ammessa con una borsa di studio, tanto sarei stata una di quelle donne che non avrebbe mai fatto niente della propria istruzione. Dopo la laurea, ho capito che la vita in tribunale non mi bastava, così ho scelto Scotland Yard.-

- Interessante.-

Non esattamente, ma apprezzò che William almeno ci provasse.

Che per lui fosse davvero così, non le passò nemmeno per l’anticamera del cervello.

- E tu? Come sei diventato l’uomo più perseguitato dalla cronaca rosa di tutti i tempi?-

Il capitano sospirò. Anche il suo sorriso malinconico era bello, e Danielle pensò di avergli fatto la domanda sbagliata.

- La mia famiglia ama molto la notorietà, ma suppongo che questo tu lo sappia già.- disse, alludendo alla loro prima chiacchierata in carrozza.- Io e mio fratello siamo molto diversi. Siamo cresciuti entrambi sotto i riflettori, con la differenza che mentre io ne avrei volentieri fatto a meno, lui sguazza di buon grado nelle attenzioni che tutto il resto del mondo gli dedica. Siamo più simili di quanto sembri, a dire il vero, solo che lui sa fare buon viso a cattivo gioco e vi trova dei lati positivi. Per me, invece, è soffocante. Edward ha seguito la strada tracciata dalla mia famiglia, io ho preferito allontanarmi dal palcoscenico. Sono entrato in Marina, ma non è servito a granché. Dicono che sia il fascino della divisa. Certo, la cosa ha anche i suoi lati positivi.-

Danielle fece una risatina divertita.

- Immagino, tra cui uno stuolo di donne ai propri piedi.-

Il capitano rise.

- Male non fa, di sicuro. Il problema è trovare qualcuno di interessante in mezzo al mucchio, e a volte la cosa è veramente difficile. La giusta combinazione, la giusta dose di intelligenza, capacità, sensibilità - anche bellezza, non lo nego -  e via di questo passo. Non voglio cadere nella banalità e restare invischiato nuovamente in una rete di apparenze, come quella intessuta dalla mia famiglia. Sarebbe il mio peggiore incubo. Non voglio nemmeno privarmi del contatto con una mente e una personalità di qualità.-

Si trattava di una conversazione bizzarra. Nessuno dei due voleva dire apertamente che cosa pensava dell’altro, eppure William, ad ogni modo, aveva il bisogno di farle capire tutto senza cercare inutilmente il coraggio che gli mancava. La trovava intelligente ed anche molto bella, ed aveva trovato un modo originale per dirglielo. 

Sperò solo che non la prendesse male. 

- Per farla breve - disse lei, ridendo.- Non te ne va bene una.-

- Mettiamola così.- fece William, una risata gorgogliante che gli saliva dalla gola.- Non ho ancora trovato una persona che mi faccia cambiare idea.-

Poi la guardò, più serio, ed aggiunse:

- Forse.-

Danielle sentì le guance imporporarsi e voltò lo sguardo verso il lago, fingendo di apprezzare il panorama per non farsi vedere. Per quanto fosse piena di sottintesi, la conversazione era stata ben chiara. Si sentiva lusingata ed in quel momento si rese conto che ogni suo proposito di partire nel pomeriggio si era dissolto come nebbia al sole. Non sapeva se quella che il capitano aveva messo in atto fosse una vera e propria campagna di sabotaggio oppure se lo avesse fatto inconsapevolmente, rendendole il tempo piacevole. Optava per la seconda ipotesi, visto che non aveva confidato le sue intenzioni a William, tuttavia non poteva di certo escludere del tutto la prima, dato che il capitano aveva dimostrato di essere capace di leggere nell’animo delle persone. 

Allo stesso tempo, non sapeva se stesse facendo la cosa giusta. Non sapeva, infatti, se dopo tutto quello che aveva passato fosse davvero pronta per innamorarsi di nuovo. La compagnia di William era bella e piacevole, e doveva ammettere che il legame con lui cresceva di minuto in minuto. 

La cosa la spaventava e la elettrizzava al tempo stesso.

Già, il tempo. L’aveva messa a dura prova, e forse adesso tutti i sacrifici stavano cominciando a dare i loro frutti. 

O forse era solo la sensazione che l’adrenalina le stava suscitando? 

Buttati, Danielle.

Le grosse nubi grigie che avevano notato in mattinata si stavano addensando e sembravano dirigersi proprio sopra il castello. 

Forse avrebbero fatto meglio a rientrare.

- Non sono poi così speciale.- aggiunse, cercando di schernirsi.

- Hai ragione.- aggiunse William, l’espressione sarcastica.- Non ti interessa l’opinione degli altri, abbracci pienamente il libero arbitrio, hai scorrazzato in giro per l’Inghilterra a caccia di criminali e ci sei riuscita molto bene. Ti si fatta una schiera di nemici che Riccardo Terzo a confronto è un dilettante e anche quando sei caduta hai avuto la forza di prendere in mano la tua vita e trascinarla altrove. Non ti sei mai presa la gloria della risoluzione di un caso, e quando è stato il momento ti sei sapientemente dileguata. Ami pure i pantaloni. Sei proprio uguale a mia madre, devo dire.-

Danielle si lasciò sfuggire una risata e pensò che, forse, sarebbe dovuta andare più spesso a fare acquisti con Ruth. Prima l’abito verde bottiglia e adesso il tailleur pantalone color crema con la camicia di seta grigio perla sembravano aver avuto un’ottimo effetto sulla sua compagnia. 

Un tuono in lontananza li distrasse.

- Forse è il caso di tornare al castello.- disse Danielle, osservando il capitano, che annuì.- Prima di prenderci tutto il temporale.-

 

Quando rientrarono, il pomeriggio era ormai tardo e tutti gli ospiti del castello, cercando di sfuggire all’acquazzone imminente, si erano rifugiati nel salone, chiacchierando e bevendo le tisane della signora Smith. Mariah Rogers continuava a lavorare alla sua terribile sciarpa color topo, mentre Mercedes sembrava aver abbandonato il dottor Dietrich per la più avvenente compagnia del signor Kendall.

Di Carl ed Eveline Northwood, ancora nessuna traccia.

Danielle si avvicinò circospetta a Jodie Webber.

- Ha per caso avuto notizie di sua sorella?-

- No. Non l’ho vista né sentita per quasi tutto il giorno. Abbiamo passato la mattina insieme, ma mi ha detto di non sentirsi molto bene e di voler tornare in camera. Sono andata a bussare subito dopo pranzo, ma non mi ha risposto nessuno. Probabilmente stava dormendo. Sa, quelle pillole che prende per la sua malattia sono molto forti. Dorme spesso.-

Danielle annuì. Non era comunque normale che saltasse sia il pranzo che la cena.

- Lungi da me intromettermi, ma sarebbe il caso di chiedere ai signori Smith se desiderano portarle la cena in camera. Se non si sente bene, è giusto che resti a riposarsi, ma dovrà pur mangiare qualcosa nell’arco della giornata. Sono certa che ad Everard, o ad Emily, non dispiacerà affatto.-

- Mia sorella salta spesso i pasti. Fa parte della sua malattia. A volte fa un pasto al giorno e non mangia per i due giorni successivi. Sono sinceramente preoccupata per lei, ma so di non poterla costringere a fare ciò che non vuole.-

Ciò che però insospettì di più Danielle fu l’occhiata inquisitoria del dottor Dietrich. Se ne accorse per caso, cercando con lo sguardo William nella sala. L’uomo la guardò con i profondi occhi verdi, freddi come il ghiaccio, per poi rivolgerli di nuovo fuori dalla finestra. La luce di un lampo lì illuminò intensamente per un secondo, e il rumore secco di un tuono scosse il castello fin nelle fondamenta. 

La signora Rogers, intenta a sferruzzare, sobbalzò e lanciò un grido strozzato, dondolando ossessivamente sulla sedia.

- La fine del mondo, il demonio, la fine del mondo, prega, prega, dov’è l’anello, dov’è? la fine del mondo, la fine, Satana, il demonio, la guerra, oh, cielo, oh, Signore…-

Danielle sgranò gli occhi e guardò il capitano che, invece, fissava serio la signora Rogers, come se fosse una cavia da laboratorio da studiare il più possibile.

- Signora.- le disse, pacato, sfiorandole la spalla con le dita.- E’ soltanto un temporale estivo.-

La donna parve cogliere, se pur in ritardo, le sue affermazioni.

  • Il demonio, la fine, pregare, pregare sempre, il demonio… Un temporale.- disse, fissando le prime gocce che si infrangevano sulle vetrate del castello.- Solo un temporale. Grazie, giovanotto.- 

Quella era forse la prima volta che la signora Rogers era gentile con lui, o con qualcuno in generale, tant’è che tutti gli ospiti si stupirono del suo comportamento. Rimasero ad osservarla, mentre si allontanava in silenzio, la sua borsa sotto il braccio e i ferri da calza che ne uscivano come da un puntaspilli.

- Sono stanca. Tanto stanca. Devo andare. Dobbiamo andare tutti, prima o poi, sì. Io vado a letto, ora. Sono stanca. Grazie. Grazie.- e si diresse verso le sue stanze.

Gli ospiti, colpiti, faticarono un poco prima di riuscire a recuperare la favella. Poi, il chiacchiericcio riprese come di consueto.

Danielle aveva notato la raffinatezza di William, che sembrava avere intuito qualcosa.

- Questa poi?-

- E’ una reazione molto comune in chi ha visto la guerra.- disse il capitano, sospirando.- Ogni deflagrazione assomiglia allo scoppio di una bomba. Anche un lampo può ricordare un’esplosione, o un tuono può destabilizzare a causa delle vibrazioni. E’ un trauma diffuso in chi ha combattuto. Mi sembra strano vederlo in una donna della sua età. Probabilmente ha servito in qualche ospedale da campo e ha subìto lo stesso trauma. Povera donna.-

Danielle annuì. Anche suo padre era stato chiamato a servire l’Inghilterra in guerra e non era più stato lo stesso. C’era voluto molto tempo affinché tornasse l’uomo di sempre ed ancora, a tratti, il soldato riemergeva in lui. 

Ancora una volta provò un’infinita pietà, sia per la signora Rogers che per suo padre, per se stessa e per la signora Northwood. 

- E tu?- chiese istintivamente al capitano, seduto su uno sgabello, il gomito appoggiato al bancone.- Hai qualche brutto fantasma che ti perseguita?-

- Meglio non dire che cosa ho visto io.- fece lui, improvvisamente cupo.- E’ sufficiente dire che non può e non deve succedere di nuovo.-

Un altro lampo, un altro tuono e un suono diverso, spaventoso, terrificante, proveniente dal piano di sopra, frantumò il lieto chiacchiericcio del salone. Un urlo profondo, cupo, disperato e strozzato, accompagnato da un rumore pesante di qualcosa gettato sul pavimento. 

Poi, il silenzio.

Jodie fu la prima ad urlare.

- Eveline! Richie, era la voce di Evy!-

William e Danielle non ebbero nemmeno bisogno di guardarsi. Scattarono in avanti, spalancarono la porta del salone e filarono su, di corsa, facendo le scale dell’ingresso due a due per raggiungere il primo piano. William, con le gambe più lunghe e decisamente più atletico di Danielle, arrivò per primo e prese a gettarsi senza sosta sulla porta della stanza dei Northwood, cercando di aprirla. Danielle gli si affiancò, e attaccando con grinta riuscirono a squarciare la serratura e ad irrompere nella camera. 

A terra c’era Eveline Northwood, pallida come un fantasma, ancora vestita con gli abiti da giorno, i capelli sparsi sul pavimento e impigliati in un mare di cocci, qualche goccia di sangue che colava sul viso dalla fronte tagliata. Non riusciva ad alzarsi da terra e continuava a guardarsi intorno, gli occhi sbarrati, evidentemente sconvolta, mormorando il nome del marito.

- Signora!-

Eveline, però, pareva non rispondere, immersa nella sua litania. Solo quando la sorella si fece largo tra i due e si gettò su di lei, parve riacquistare lucidità e riconoscerla. Incrociò lo sguardo di Danielle, gli occhi terrorizzati, ma sembrò non vederla. Si aggrappò alla sorella con tutte e due le mani.

- Ha preso Carl… Ha preso Carl…-

- Chi ha preso Carl, Evy?-

- Non l’ho… Non l’ho visto.-

- E’ stato lui a colpirti?-

- Io… Sì, credo di sì.-

- Dov’è andato?- chiese Danielle.

La donna la guardò, gli occhi di ghiaccio vuoti più che mai mentre indicava la finestra aperta, da cui il vento fischiava ininterrottamente ed entrava la pioggia battente.

Si erano radunati tutti in corridoio, molti facendo domande, cercando di capire che cosa fosse successo. Danielle non ci pensò due volte. Non pensò che non era più un ufficiale in carica, non pensò che il compito sarebbe dovuto spettare al capitano. 

Non pensò a niente. 

Quella era una caccia, e lei sapeva cacciare.

- Signor Webber, si occupi della signora con sua moglie. Non toccate nulla di indispensabile, o cancellerete le poche prove che abbiamo a disposizione.-

Prima che potesse proferire parola, la signora Rogers uscì dal mucchio, si chinò sulla donna stesa a terra e con gesti delicatissimi la aiutò a sedersi. 

La cosa la stupì molto, ma non c’era tempo per le distrazioni.

- Dottor Dietrich, signor Kendall, signor Smith, esplorate il limitare del lago. Fate attenzione ad eventuali nascondigli o impronte. State molto attenti, con questi fulmini è estremamente pericoloso.

    - Mercedes, tu invece resta con la signora Smith. Ci sarà bisogno di qualcuno che rimanga qua a coordinarci e ad aiutare le persone che rientrano dalle ricerche. Sarete il nostro tramite e ci aiuterete a comunicare. Io e il capitano esploriamo il retro della tenuta. Buona fortuna a tutti.-

Il capitano parve non avere niente da obiettare. La folla si disperse e William e Danielle uscirono fuori nella pioggia battente.

Si addentrarono nella nebbia e tra le gocce d’acqua, incuranti del freddo e dell’umidità. Svoltarono l’angolo giusto in tempo per vedere le torce del dottor Dietrich, del signor Kendall e del maggiordomo allontanarsi nel buio. Attraversarono di corsa il portico, cercando di non scivolare, e si riversarono nel prato retrostante. Lì, poterono vedere le luci nella stanza della signora Northwood, e Jodie Webber, affacciata alla finestra, intenta a richiuderla.

Non va bene. Rischia di cancellare le prove.

Pregò che avessero davvero l’accortezza di non toccare nulla e seguì il capitano nel folto del bosco. L’erica e le sterpaglie erano scivolose come alghe e i due faticarono a tenersi in piedi. Non c’era assolutamente niente di rilevante attorno a loro, non un’orma o un segno tangibile della presenza umana. La pioggia stava lavando via tutto quanto, e questo complicava le cose. Condurre un inseguimento in quelle condizioni era desolante e improduttivo, ma c’era un uomo in pericolo di vita, e non potevano demordere in quel momento. 

Non c’era nessuna traccia del signor Northwood, da nessuna parte. 

La pioggia si infittì, mentre il cielo rovesciava acqua a catinelle sopra le loro teste. I tuoni si fecero più forti ed un fulmine cadde a poca distanza dal lago, illuminando tutto attorno.

Sperò che i tre uomini avessero avuto più fortuna di loro e fossero già di ritorno. 

Si erano addentrati nel bosco da un po’, e Danielle era stanca. Si guardò intorno, bagnata fradicia, alla ricerca della luce di una torcia che le desse una direzione, un indizio. 

- William!-

Un lampo illuminò di nuovo il sentiero, e questa volta, nel fango, un’orma apparve chiara ed intelligibile. 

I due si scambiarono uno sguardo d’intesa e proseguirono.

Le orme si inerpicavano su per un sentiero secondario e ad un tratto si persero nel nulla. Danielle e William si arrampicarono sulle rocce, dove probabilmente Northwood e il suo rapitore erano saliti nel tentativo di disperdere le proprie tracce.

Danielle, però, aveva una strana sensazione.

Non ci si arrampica in alto, su uno sperone di roccia, con un tempo del genere, con il rischio di attirare i fulmini, o più semplicemente di cadere e sfracellarsi al suolo.

William sembrò del suo stesso avviso, quando finalmente poterono guardarsi in volto dopo la loro arrampicata. 

Proseguirono dirigendosi allo sperone di roccia, cercando di individuare la presenza di rapito e rapitore, o di avere una migliore visuale dall’alto. I loro abiti da giorno e la pioggia battente non facilitarono il percorso. Scivolarono più volte nelle foglie umide e nel fango, rischiando di contaminare le tracce e di perdersi tra gli alberi, fino a che lo sperone di roccia non apparve sopra le loro teste. I due si arrampicarono senza sosta, nella speranza di arrivare in tempo e trovare il signor Northwood, possibilmente assieme al suo aguzzino.

Sulla cima della scarpata, però, non vi era anima viva. 

Danielle poteva vedere giù a valle le luci delle torce del dottor Dietrich, del signor Kendall e del signor Smith mentre esploravano i territori davanti al castello, e sperò ancora una volta che avessero avuto più fortuna di loro, anche se cominciava a dubitarne. 

Non c’era niente nel bosco, sul picco.

Un fulmine colpì il centro del lago, con un’esplosione fragorosa. Danielle si coprì gli occhi con le mani e rischiò di rovinare al suolo. William l’afferrò al volo e la sorresse per il gomito.

- Qui non c’è niente, Danielle, e sta diventando troppo pericoloso! Dobbiamo tornare indietro!- urlò nel fragore della pioggia.

Ma gli occhi della donna erano altrove, fissi sul fondo della scarpata.

Era stato quel lampo a farglielo notare, mentre si riparava gli occhi dalla luce accecante. Aveva guardato in basso, giù nella scarpata, ed aveva perso l’equilibrio. 

Scosse il capo, guardando il capitano, che pareva non capire.

Poi, indicò giù, nel vuoto. 

Un altro lampo, impietoso, illuminò il corpo scomposto e senza vita del signor Northwood, gli occhi fissi e bianchi rivolti in alto, contro quel cielo spietato.


LA TANA DELLA TALPA

Anche Molly va in ferie, amici miei. Questo sabato, vigilia di Natale, mi prenderò una pausa per stare, come è giusto, in famiglia. Anche perché, dove andrò non c'è il wi-fi, quindi pubblicare sarebbe doppiamente difficile. Mi farò perdonare il sabato successivo, promesso.
Ringraziando tutti voi per il sostegno che date a questa storia e facendovi i migliori auguri di buone feste,

A presto,

Molly. 

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Capitolo 20
*** Londra, alba del 16 marzo 1934. ***


Londra, alba del 16 marzo 1934. 

 

Si era aspettata una sfuriata, ed invece Somerset era perfettamente calmo. La cosa non la turbò più di tanto. Non c’era niente che potesse turbarla più, in quel momento.

Nonna Helga lo diceva sempre.

Ricordati, cara: quando ti sembrerà che tutto vada a rotoli, quando penserai che niente potrebbe essere peggio di così, quando crederai di aver toccato il fondo, non potrai fare altro che risalire. Lentamente, ma risalire. Tornerai felice, tesoro, da’ tempo al tempo.

Se non era il fondo quello, Danielle si chiese che cosa potesse esserci di peggio.

Già guardarla in quel momento, probabilmente, avrebbe dato l’idea dell’inferno che aveva appena passato. Il polso sanguinava ancora, bendato alla meno peggio, e doleva moltissimo, ma lei non lo sentiva. Era sporca, spettinata e macchiata di sangue rappreso, anche se non era il suo. 

Era stata una catastrofe.

Somerset, invece, a parte l’aria annoiata, era bello pulito, apparentemente sereno, seduto alla sua scrivania.

- Cole è in carcere. L’Avvocato è fuggito. Nicholson è morto, ed io ho bisogno di cure mediche. Turner ha un graffio sul fianco sinistro, ed Evans ha preso una brutta botta in testa. Li ho fatti visitare da Scott, ma credo che abbiano bisogno di un medico…-

- L’operazione è fallita, ispettore.- fece quello, prendendo la penna e mettendo una firma su un foglio, senza nemmeno guardarla in faccia.- Che cosa ha da dire a sua discolpa?-

Danielle aggrottò le sopracciglia, cercando di controllare la rabbia e di restare lucida.

Si sentiva svenire.

- Ho richiesto quindici uomini. Non sono mai arrivati. Ho proposto un piano alternativo, più sicuro, in cui prevedevo di arrestare solo Rodney Cook. Lei lo ha rifiutato. Ho fatto quello che potevo con quello che avevo. Nicholson è morto.-

- Ed era sotto la sua responsabilità, ispettore.-

- Responsabilità da cui lei mi ha sollevato.-

Somerset si alzò in piedi e si avvicinò a lei, sorridendo. Si appoggiò alla scrivania e la squadrò, i suoi occhi serpentini pieni di falso buonismo.

- Come, scusi?-

Danielle aveva freddo, un freddo che non va via con una coperta, o una carezza. Un freddo dentro che ti gela le ossa, quella sensazione che significa che stai sprofondando nell’abisso, che il peggio che lei si potesse aspettare stava accadendo, e che lei, per una volta, aveva le armi spuntate.

- Lei mi ha detto che si assumeva ogni responsabilità dell’azione, che si sarebbe svolta sotto la sua autorizzazione, che si sarebbe impegnato per sapere dove fossero finiti i rinforzi.-

Ma Danielle, dentro di sé, ormai sapeva che non aveva più senso parlare.

- Lei farnetica, signorina.- le disse, con tono mellifluo.- Non avrei mai detto niente di simile. Deve aver frainteso le mie parole. A volte alle signore sotto pressione questo capita. Deve essere molto alterata, povera cara, dopo tutto quello che ha dovuto vedere. Sì, credo che le chiamerò un medico, su questo ha perfettamente ragione.-

La mente di Danielle sembrava congelata, ma in verità stava annotando ogni singola parola che il questore stava dicendo. Quella voce avrebbe tormentato i suoi sogni in futuro, quelle parole avrebbero risuonato nel suo cervello come grida, negli anni venturi, ma lei, questo, non poteva saperlo. 

Restò immobile in piedi, di fronte a Somerset, incapace di spiccicare parola. 

- Ci saranno delle conseguenze, non serve che glielo dica.- le disse, dandole la schiena e tornando alla scrivania a firmare carte, come se lei non fosse nemmeno lì.- Quel poliziotto è morto, del resto. Qualcuno dovrà pur risponderne, e l’idea è stata sua, ispettore.-

- Nicholson. Si chiama Eric Nicholson.-

Somerset la guardò di sottecchi, come se fosse una recluta alle prime armi che gli stesse dando molto fastidio.

- Certo. Come vuole. In ogni caso, è morto.-

Gli occhi di Danielle erano fissi e vitrei, fermi su Somerset, una parte di lei incredula per ciò che stava sentendo. 

- Veda lei come intende rimediare alla situazione. Io non ho intenzione di allontanarla, ma sappia che, dopo questo fallimento, non ritengo che i suoi servigi siano ancora necessari, e l’opinione è condivisa da molti, a cominciare dai suoi uomini. Credo che vi siano elementi ben più validi di lei, e questa occasione lo ha dimostrato. Se deciderà di restare, io non la sosterrò, glielo dico chiaramente e in completa amicizia. Adesso vada a riposare. Ha bisogno di cure. Il medico sta arrivando. Si faccia trovare nel suo studio. Arrivederci, signorina Peters.-

Danielle uscì, senza nemmeno ribattere. Non avrebbe mai saputo se non dopo molto tempo che, in quel momento, un telegramma da parte del capitano Collins stava bruciando dentro al cestino della carta straccia del questore Somerset. 

Non aveva nemmeno la forza di immaginarselo.

Era chiaro, ormai. 

Era tutto finito.

 

- Attenti, sono armati!-

Spuntarono come funghi. Li presero alle spalle. Danielle e i suoi uomini si trovarono compressi tra l’Avvocato e il Ragioniere, armato di pistola, e un manipolo di uomini di Van Allen, che li avevano rinchiusi in una sacca, con armi da fuoco piuttosto pesanti. A poco erano servite le perquisizioni e gli appostamenti di quel pomeriggio. Erano troppo pochi per poter controllare tutte le vie di accesso, e Danielle aveva dovuto lasciare praticamente sguarnite le retrovie. Quando aveva udito il fischio di allarme, era stato troppo tardi.

Erano spuntati persino un fucile da caccia e una grossa mannaia. Il Macellaio doveva essere stato tra di loro.

Accidenti. 

  • Alle spalle, ispettore!-
  • State giù! State giù!-
  • Spostati, Evans, mettiti al riparo!-
  • Turner, via di lì!-

I proiettili rimbalzavano da tutte le parti. Un colpo di fucile distrusse una pietra d’angolo sopra la testa di Evans, mandando schegge ovunque. Il ragazzo rimase stordito, reggendosi il casco da poliziotto, ma continuò a sparare in direzione dei malviventi. Turner, invece, aveva ingaggiato una lotta corpo a corpo con il Macellaio, o almeno pensava che fosse lui, a giudicare dalla sua destrezza con le lame. Evitò per un soffio di essere colpito al fianco, ma la punta della mannaia gli tranciò i pantaloni e la pelle, lasciandolo piegato a sanguinare per un secondo, prima di riprendersi e ricominciare il combattimento. 

Danielle stava facendo fuoco sul Ragioniere, provando a disarmarlo. Eric, dietro di lei, le copriva le spalle cercando di colpire il tizio con il revolver nascosto dietro l’angolo del vicolo. 

Poi, tutto andò sottosopra. 

Le grosse casse di legno dietro le quali Danielle era nascosta caddero sotto un colpo di rimbalzo del fucile, che la mancò per miracolo. Precipitò a terra, ma si riebbe giusto in tempo per prendere la mira con la mano sinistra e sparare un colpo in direzione del Ragioniere, che nel frattempo aveva puntato la pistola contro di lei. 

Il proiettile di Cole la colpì al polso, e la vista si offuscò per il dolore.

Era a terra, inerme e ferita, la pistola che rimbalzava lontano da lei. 

- Danielle, no!-

Fu in quel momento che Cole, con un ghigno tremendo, alzò la pistola, mirando oltre il corpo di Danielle, e sparò.

Uno, due, tre colpi.

 

Se sapeva che avrebbero provato ad attaccarli?

Sì.

Se sapeva che non erano in numero sufficiente per un’operazione del genere?

Sì.

Se sapeva che la responsabilità era tutta sua?

Sì.

I suoi superiori, il capitano Collins, la gente avrebbe saputo che era stata costretta a farlo, eseguendo gli ordini?

No, e non l’avrebbero saputo mai.

E se lei si fosse difesa? Se avesse lottato, ancora una volta, per ribadire un principio di verità e giustizia?

Non avrebbe mai funzionato.

Non era sciocca, sapeva perfettamente che Somerset l’aveva messa con le spalle al muro. Avrebbe dovuto fare di testa sua. Avrebbe dovuto arrestare l’Avvocato, come aveva programmato fin dall’inizio, seguendolo e prendendolo quando ormai sarebbe stato solo. Dieci uomini sarebbero bastati. 

Avrebbe però perso il Ragioniere, Somerset le avrebbe chiesto spiegazioni, l’avrebbe messa in cattiva luce un’altra volta. Avrebbe rischiato un procedimento per insubordinazione e avrebbe dovuto dare le dimissioni comunque.

Almeno, però, Eric sarebbe sopravvissuto.

Forse. 

Tornerai felice, tesoro, da tempo al tempo.

Mai come allora quelle parole le erano sembrate inverosimili.

Prese in mano la penna e la caricò. Mise da parte tutti i suoi giornali e tutti i fascicoli che aveva sparsi sulla scrivania e si ricavò uno spazio d’ordine in mezzo al caos delle ultime ventiquattro ore. 

La decisione era una sola. 

Il foglio bianco giaceva intonso davanti a lei. Posò la penna, e cominciò a scrivere.

 

"Io, Danielle Peters, non essendomi dimostrata all'altezza delle aspettative della Signoria Vostra, essendo stata la morte del poliziotto Eric Nicholson causata da un mio errore di valutazione, non ritengo di dover prestare ulteriormente i miei servigi alla polizia di Sua Maestà il Re. Intendo quindi con la presente inoltrare alla S.V. le mie dimissioni dalla carica di Ispettore Capo di Scotland Yard…”

 

- NO!-

Non sentiva più niente. Il polso non le doleva. I proiettili filavano sopra la sua testa e  lei nemmeno se ne accorgeva. Raccolse la pistola di Eric dal terreno, mirò e sparò, dritto al petto dell’uomo armato di revolver che in quel momento stava puntando proprio a lei. 

L’uomo cadde a terra con un tonfo, oppure era il suono delle sue ginocchia che impattavano contro il suolo accanto al corpo di Eric. 

Non aveva mai ucciso, prima.

In quel momento, non se ne accorse nemmeno.

Il caos lentamente finì. I rumori si attutirono. I passi si fecero più vicini, e presto tutti furono attorno a lei. 

Ciò che non avrebbe mai dimenticato, però, fu tutto quello che accadde in mezzo.

Lo sollevò e lo prese in braccio, lasciandolo riposare sulle sue ginocchia. 

Si guardarono, come solo loro due sapevano guardarsi. 

Era unico, il suo Eric.

E non potevano nemmeno dirsi addio.

Gli strinse forte le mani, gli parlò, cercando di dargli un motivo per non andarsene, per restare con lei, ma sapeva che non avrebbe mai funzionato. La guardava con i suoi occhioni azzurri, belli come il cielo d’Irlanda, macchiati della cianosi tipica di chi non ha ossigeno. Cercava di parlare e di respirare, ma il sangue gli ostruiva la gola ed usciva lento, un rivolo vermiglio dalle labbra che Danielle aveva tanto amato. 

- Ella.- riuscì a dire. 

Una lacrima scivolò via dai suoi occhi, prima che la luce si spegnesse per sempre.

Lo chiamò. Lo scosse. Lo implorò, ma ormai era finita. Non c’era più nulla da fare.

Una mano si posò sulla sua spalla, e Danielle urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

 

Appallottolò il foglio sbavato dalle lacrime e cominciò a scriverne un’altro dopo essersi asciugata gli occhi. 

Aveva troppe cose da fare. Doveva chiamare il fioraio. Prenotare la chiesa per il funerale. Doveva chiamare il dottor Scott, il medico legale, e chiedergli di andarci piano, anche se sapeva che di lui si sarebbe potuta fidare. 

Eric non aveva nessuno. Avrebbe dovuto fare tutto lei. 

Non aveva tempo di pensare al domani, a che cosa sarebbe accaduto una volta a casa, sola, quando avrebbe realizzato tutto quello che era successo. Il pensiero la terrorizzava. Non voleva fermarsi. Aveva troppe cose da fare.

Sì, dare le dimissioni era l’unico modo per uscire bene da quella storia. Se avesse ingaggiato un braccio di ferro con i suoi superiori, l’avrebbero distrutta. Se ne sarebbe andata a testa alta, ferita, ma non umiliata. Chissà se, forse, qualche animo buono avrebbe inteso quello che le era davvero successo. Non ci credeva molto, ma la speranza era l’ultima a morire.

Eric avrebbe saputo consigliarla bene. Lo faceva sempre. Era i suoi occhi e le sue orecchie, le stava vicino e le riferiva quanto lei non poteva sapere. I pettegolezzi tra i ragazzi del suo gruppo, l’invidia di Baldwin West e le sue boccacce, e grazie a lui Danielle sapeva sempre comportarsi di conseguenza. Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire una lacrima, un’altra ancora, che asciugò subito con il polso bendato.

Qualcuno bussò alla porta. 

Danielle non rispose. Non voleva vedere nessuno.

Un altro sonoro colpo alla porta.

Doveva ricomporsi. Era a Scotland Yard, non a casa sua. 

- Avanti.-

Evans, la testa bendata e la divisa impolverata, si fece avanti con una terribile faccia da funerale.

- Mi dispiace disturbarla in questo momento, ispettore, ma temo che ci sia qualcosa che deve vedere.-

Danielle alzò un sopracciglio. Non aveva voglia di indovinelli.

L’agente Evans si fece da parte e lasciò che nell’ufficio entrassero almeno una decina di uomini, se non di più, in condizioni pietose. Uno più pallido dell’altro, uno con gli occhi più pesti di quello accanto. 

Se avesse avuto un po’ di senso dell’umorismo in quel momento, Danielle avrebbe detto ad alta voce quello che pensava, ovvero che avevano sbagliato indirizzo ed avevano spedito i panda a Scotland Yard e non allo zoo. 

Evidentemente, però, era la realtà ad avere del senso dell’umorismo.

- Non me lo dite.- disse, sollevando una mano come per farli tacere.

Evans tacque, osservando la donna mentre affondava la testa in una mano e cercava di trattenere l’esplosione di rabbia distruttiva che la stava assalendo. 

- Ci dica che cosa dobbiamo fare, ispettore.- disse uno di quegli uomini, così stanco che sembrava aver dormito su una balla di carbone almeno tre notti prima. 

- Come sarebbe a dire che cosa dovete fare?-

- Come, non ci ha chiamati lei?- fece un altro, evidentemente spazientito.

- Se vuole il mio parere - si era fatto avanti un uomo massiccio, dall’aria navigata, uno che era in polizia da anni e si vedeva.- le consiglio di rimandare qualunque cosa voglia fare a domani mattina. Non stiamo in piedi dal sonno.-

L’indomani mattina.

Danielle rise amaramente.

- Mi dispiace avervi fatto fare un viaggio a vuoto, ma è stato deciso che l’operazione dovesse farsi lo stesso, anche in vostra assenza. Sono desolata, ma siete arrivati troppo tardi. Potete andare a riposare, adesso, almeno voi, che ci riuscite.- 

Quei poveri disgraziati si guardarono, perplessi, ma preferirono imboccare l’uscio ed andarsene prima che l’ispettore cambiasse idea. 

- Un secondo solo. Lei, sì, lei. Mi dica, da dove venite?-

- Da Tarragona, signora. Ci hanno mandato lì, ma ci deve essere stato un errore, e siamo stati riportati a Londra.-

Fu la coltellata finale.

Danielle congedò con un cenno del capo anche l’ultimo poliziotto e rimase da sola, chiusa dentro il suo ufficio come in carcere. 

Il suo istinto autolesionista la spinse ad afferrare il tagliacarte e a farsi male, ma le sue mani, che ancora rispondevano alla ragione, afferrarono il calamaio vuoto sull’angolo della scrivania e lo lanciarono con tutta la forza che avevano contro la parete di fondo, mandandolo in frantumi ed accompagnando nella sua rovina, senza volerlo, anche un ritratto di Buckingham Palace. 

Voleva solo scomparire. Raggiungere Eric. Andarsene da quel luogo crudele e senza cuore. 

Era sopravvissuta così a lungo in quel posto, lottando con le unghie e coi denti. 

Era tutto finito. Non era rimasto niente. 

La sua carriera, la sua vita privata. 

Tutto distrutto. 

Si prese la testa tra le mani, disperata, e con l’ennesimo moto di stizza scaraventò a terra con una mano sola tutto ciò che giaceva sulla sua scrivania. 

Le pagine del giornale della sera fluttuarono in aria. Il volto di una bambina sorridente ingombrava la prima pagina, che ne dichiarava la morte. Danielle non guardò, o almeno credette di non guardare. Ricadde sulla sedia, esausta. 

Un bussare metodico e preciso la distrasse di nuovo.

- Fuori dai piedi!- urlò.

In tutta risposta, la porta si aprì e rivelò il dottor Scott, il buon medico legale che avrebbe dovuto aiutarla a martoriare il meno possibile il corpo del povero Eric. 

- Scott, stavo per chiamarla.-

- Mi ha chiamato Somerset. Mi ha detto che c’erano ancora un paio di punti da dare. Mi vuole spiegare che cosa ci fanno tutti quei giornalisti là fuori? Mi hanno detto che vuole dimettersi. Mi dica che non è vero!-

Dopo la sparatoria, lei stessa aveva chiesto a Scott di prestare ai suoi uomini il primo soccorso. Lei stessa lo aveva chiamato, per aiutarla con Eric. Le aveva fasciato il polso, prima di andarsene e di lasciarla da sola nell’ufficio di Somerset.

Lo stesso Somerset che aveva detto di volerle chiamare un medico, e che invece aveva semplicemente richiamato Scott. 

E i giornalisti, a cui aveva detto che si stava dimettendo dalla sua carica, anche se lei non glielo aveva confermato. 

Danielle scoppiò a ridere, scuotendo il capo, come se tutto fosse molto divertente.

Scott entrò e chiuse la porta alle sue spalle. A chiave. 

Si avvicinò, prese una sedia dalla scrivania e si sedette accanto a lei, lasciando che Danielle, che piangeva e rideva allo stesso tempo, si sfogasse sulla sua spalla.

 

LA TANA DELLA TALPA

 

Molly chiede venia, ma è una perfezionista. 

Purtroppo si è trattato di un periodo umanamente molto intenso, che non mi ha lasciato lo spazio necessario per dedicare alla pubblicazione di questa storia il tempo che meritava. Così, ho dovuto decidere per una sospensione momentanea delle pubblicazioni, che mi permettesse di rivedere con coscienza il contesto storico in cui è calata la narrazione, per non scrivere fesserie.

Sarà davvero molto complesso per me cercare di rendere al meglio tale contesto, ma spero di non disattendere, date le circostanze, le aspettative di ognuno.

Grazie mille per la vostra pazienza e l’entusiasmo che mi avete manifestato. Riprenderò a pubblicare ogni sabato come in precedenza. 

Colgo l’occasione per augurare a tutti voi Buona Pasqua. 

Ci vediamo prossimamente,

 

Molly.

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Capitolo 21
*** Parte 2, capitolo 6: Ogni contatto lascia una traccia. Conoscete Edmond Locard? ***


PARTE II

 

[…] Ma una sola nave, 

a stento reduce dall’incendio,

ridimensionò la sua follia

e Cesare ricondusse a fondati timori

quella mente resa folle dal vino di Alessandria,

incalzando con i remi lei, che volava via dall’Italia,

come un avvoltoio afferra le colombe tenere 

o il rapido cacciatore afferra una lepre 

nei campi innevati della Tessaglia, 

per dare alle catene il fatale mostro. 

 

Orazio, Carmina I, 37, Cesare contro Cleopatra.

 

 

6.

 

Loch Awe, tra il 6 e il 7 settembre 1936

 

Ogni contatto lascia una traccia. Conoscete Edmond Locard?

 

Quando varcarono la soglia di O’Brennon Hall, trovarono Mercedes e la signora Smith che riscaldavano asciugamani. La giovane spagnola era tutta intenta ad asciugare le spalle del dottor Dietrich, che brontolava in tedesco e scuoteva il capo. Emily, invece, si precipitò verso di loro con gli asciugamani caldi. Danielle ringraziò. Erano fradici come pulcini e mentre camminavano sciabordavano come marinai, con le scarpe piene d’acqua. 

Avevano il cuore pesante quanto i loro abiti inzuppati. 

Come potevano dire ad una donna che aveva già perso la figlia di avere perso pure il marito?

Il primo a rendersi conto del loro arrivo fu il signor Kendall, che gocciolava ancora, e si era gettato l’asciugamano attorno alle spalle per tamponare l’acqua.

Mercedes, date le circostanze, cercava di non guardarlo troppo, ma Danielle notò comunque lo sguardo che lanciò nella sua direzione. 

Pensò che fosse un sentimento molto bello in tutto quel caos. 

Il dottor Dietrich si era seduto di fronte al camino, su una sedia di legno che non avrebbe corso il rischio di rovinarsi. Everard Smith, invece, aveva il viso tirato come la moglie e sembrava attendere da loro la buona novella. 

Peccato che non ne avessero alcuna.

- Mi dispiace.- disse il signor Kendall, evidentemente sconfitto.- Abbiamo cercato ovunque, ma non siamo riusciti ad ottenere niente. Non c’era nessuno fuori, e non è stato possibile notare alcuna traccia utile con questo tempaccio. La vostra ricerca è andata meglio?-

I due si lanciarono uno sguardo d’intesa.

Emily Smith si portò le mani al volto, terrorizzata.

- Non c’è più niente da fare. Mi dispiace.-

- Cielo, volete dire che…-

William Collins stava già puntando con gli occhi verso le scale.

- E’ precipitato giù da un dirupo. Non aveva possibilità di sopravvivere ad una caduta del genere. La signora è ancora nella sua stanza?-

La domestica si accasciò sulla sedia, tremante ed impaurita. Mercedes, colta alla sprovvista, si guardò attorno per un attimo prima di afferrare la prima cosa che le capitò a tiro. Le gettò un asciugamano caldo sulle spalle e le offrì la tazza di infuso, sperando che si calmasse. Anche Everard Smith aveva cambiato colore, eccessivamente, a dire il vero, per i gusti di Danielle. Appuntò nella mente questo dettaglio - assieme a decine di altri che non quadravano - e passò ad analizzare rapidamente gli altri due uomini. 

Il signor Kendall sembrava non sapere che cosa fare. Era un giornalista molto portato, ma era evidente che non era mai stato sulla scena di un crimine. Si occupava probabilmente di altro quando scriveva, perché scriveva per qualche testata, magari americana, Danielle ne era certa. Aveva visto come prendeva appunti metodicamente e li rileggeva, su quel suo quaderno che si portava sempre dietro. Certo, avrebbe pur sempre potuto fare pratica, ma Kendall era ambizioso ed intraprendente, non era il tipo da restare con le mani in mano. 

Aveva visto tutte e tre le luci, dalla cima del picco, ed era certa che i tre uomini avessero effettivamente setacciato le sponde del lago, quindi Kendall non si era allontanato dal gruppo. Era inzuppato esattamente come gli altri due. 

Il dottor Dietrich, sicuramente più abituato alla morte di chiunque altro in quella stanza, non aveva battuto ciglio. Aveva scrollato appena la testa, mormorando qualcosa in tedesco a proposito di Frau Northwood. Seduto sulla sua sedia, fradicio, evidentemente infreddolito ed infastidito, non aveva meno acqua o fango addosso del signor Kendall. Eppure, alla notizia della morte di Northwood, aveva lanciato un’occhiata in tralice a Mercedes, che aveva cercato di ricambiarla, sperando di non essere vista. I due erano apparentemente convinti di averla fatta franca e non a torto. Se Danielle non avesse volutamente cercato quello scambio di occhiate, non se ne sarebbe mai accorta.

- La signora Northwood?-

- Al piano di sopra. Ci sono i signori Webber con lei.- poi, Mercedes si avvicinò a Danielle e la prese da parte.  - Sai, la signora Rogers è stata una vera e propria sorpresa.- 

Danielle aveva cominciato a farsi un’idea di ciò che stava tormentando il sonno - e anche la veglia - della signora e tendeva a concordare con le deduzioni del capitano. Date le sue competenze, le sembrava evidente che avesse fatto l’infermiera da qualche parte durante la guerra e che ne avesse viste di tutti i colori. 

Quello, tuttavia, era un problema che avrebbe dovuto affrontare successivamente. 

Era contenta che la donna avesse ancora un lato umano. 

- Qual è la centrale di polizia più vicina?- chiese William, frizionandosi i capelli con l’asciugamano.

- Si trova a Cairndow. Non è molto distante, ma ci vorrà del tempo e, con questo temporale, sicuramente raggiungerci sarà più difficile.- disse il signor Smith, che cercava di mantenere comunque un’aria professionale. 

Il capitano si affrettò a raggiungere il telefono e ad avvisare la centrale di polizia, mentre Danielle, sconsolata e bagnata fradicia, saliva le scale e raggiungeva i signori al piano di sopra per dare loro la terribile notizia.

La signora Rogers era seduta su una sedia fuori dalla porta della camera dei Northwood, i fedeli ferri da calza sotto il braccio mentre sferruzzava velocemente la sua sciarpa color topo. Quando la vide, posò lo sguardo inquisitore sul suo viso. 

Per un momento, Danielle si chiese se stesse per abbaiarle contro alcuni dei suoi commenti al vetriolo. Mariah Rogers, però, rimase a guardarla con fare perplesso, quasi si aspettasse delle risposte, in silenzio.

Danielle scosse il capo, mesta. 

La donna abbassò lo sguardo sul pavimento, muta come un pesce. Mise via i ferri da calza e si mise a pregare, snocciolando il suo anello e dondolando paurosamente. 

Danielle cercò di non guardarla e di non farsi impressionare, bussò piano sulla porta e ad aprire fu una tesissima Jodie Webber, con aria speranzosa.

- Allora? L’avete preso?-

Quando aveva lavorato a Scotland Yard, sotto il buon Armitage, le era stato insegnato a rendersi utile. In fondo, all’epoca era stata soltanto un cadetto e per di più donna. Il suo questore preferito l’aveva avvisata: se riesci a superare questi primi anni, nulla ti potrà fermare. In effetti, sopportare il riso dei compagni, le minacce (anche pesanti), chiedere aiuto e ritrovarsi da sola, non era stato semplice. Non aveva mai detto di no. Copia questo fascicolo, prendi appunti, portami un caffè. Oppure, vai a dare la notizia ai parenti. 

La cosa peggiore che avesse mai dovuto imparare.

Non si era mai pronti a questo. Non si era mai preparati per vedere crollare una madre o un padre, o un fratello, o una moglie. Una volta aveva dovuto dire ad un nonno molto anziano, l’unico parente in vita, che il nipote era morto. Aveva usato tutta la delicatezza possibile, ma aveva comunque visto il volto rugoso di quel povero vecchio spaccarsi come terra arida. L’aveva guardata e le aveva detto: Adesso è finita davvero. 

Danielle non aveva mai dimenticato quelle parole. 

Quando era diventata ispettore, l’aveva sempre fatto di persona. Non aveva mai delegato altri, nemmeno una volta. Sentiva che era suo dovere. Lei, che doveva assicurare la giustizia a quelle persone, non poteva venire meno a quell’obbligo. Tuttavia, ogni volta lo detestava, e capiva come mai molti suoi colleghi, se potevano, si risparmiavano quello strazio. 

- Non c’è stato niente da fare. Mi dispiace.-

L’espressione sul volto della signora divenne indecifrabile. A tratti, sembrava profondamente rammaricata e spaventata per la sorella. Poi, sembrò essere attraversata da un brivido di panico e improvvisamente un lampo simile a sollievo negli occhi.

Danielle lo trovò strano e fece attenzione a non tradire nessuna emozione. 

Era lei a dover cogliere i dettagli, non gli altri a capire che lei aveva capito, a meno che ciò non le convenisse. 

- Posso parlare con suo marito?-

Jodie si fece da parte. Richard Webber era seduto vicino al letto della signora Northwood, a prenderle il polso e la pressione. Quando la vide, si avvicinò alla porta e cominciò a parlare talmente sottovoce da mettere a dura prova l’udito di Danielle.

- Com’è andata?-

- E’ morto.- 

Anche in quel momento sul volto apatico del dottor Webber comparve una venatura di angoscia frammista ad altre emozioni.

Danielle continuò:

- E’ precipitato giù dalla scarpata. Non abbiamo potuto fare niente per aiutarlo. Quando siamo arrivati era già tardi.-

Sapeva per esperienza che Carl Northwood non era stato un uomo amabile e soprattutto - adesso che il caso di sua figlia le era tornato alla mente - era sempre più convinta che nella sua vita ne avesse combinate delle belle, ma che razza di crimini poteva aver commesso se nemmeno i suoi parenti più stretti riuscivano ad amarlo?

- Eveline non la prenderà per niente bene.- disse Webber all’improvviso, passandosi una mano nei capelli spettinati. - Era già malata per la morte di Johanna, temo che la perdita di Carl non farà altro che peggiorare le cose.- 

Danielle pensò che il dottore aveva un modo tutto suo per affrontare l’ansia, se di questo si trattava. L’agitazione sembrava farlo diventare chiacchierone e la donna provò ad assecondarlo e a farlo parlare, sperando di cavargli di bocca qualche informazione in più. 

Ammiccò verso Eveline, che giaceva inerme sul letto. 

- La signora come sta?-

Il dottore sospirò.

- Sa, Carl non era un angelo, anzi. Lei stessa, da quanto ho capito, ha potuto assistere ad uno dei suoi accessi di rabbia. Sapeva anche essere un uomo pericoloso, e non posso esimermi dal dire che maltrattava la moglie, a volte in modi veramente intollerabili. Mia moglie Jodie si arrabbiava spesso per questo, ma Eveline lo amava, nonostante tutto. Credo che questa notizia non farà altro che peggiorare lo stato mentale in cui lei si trova. Sono seriamente preoccupato.-

Danielle guardò la donna, avvolta in una vestaglia e distesa sul letto, ad occhi chiusi, con del ghiaccio sulla testa. Sul comodino poté scorgere un flacone ed un bicchiere con dei residui di acqua, segno che, con molta probabilità, era stata sedata. I lunghi capelli neri e lisci erano cosparsi dovunque sul cuscino e sul letto.

Aggrottò le sopracciglia, pensierosa. 

- Com’è andata la dinamica?-

- Eveline non ricorda molto, e quel poco che ho capito lo ha farfugliato in preda al panico. Dice di aver visto un uomo, ma di non essere riuscita a vederlo in volto. Aveva appena finito di preparare la vasca quando ha sentito la porta aprirsi e richiudersi. Quando è uscita, quel tizio l’ha colpita alla testa con un vaso di porcellana, ha preso Carl ed è scappato dalla finestra, per poi gettarlo nella scarpata, evidentemente.- 

Continuò a fissare il bicchiere vuoto, pensierosa. L’impronta traslucida delle labbra della signora Northwood che ancora marchiava il bicchiere là dove aveva bevuto il suo sedativo. 

- Le dispiace se entro a dare un’occhiata? Questa è la scena del crimine, dopotutto.- 

Il signor Webber le fece un ampio gesto con la mano, invitandola ad entrare. Danielle ringraziò con un cenno del capo e si fece avanti.

Fortunatamente la combriccola non sembrava aver toccato molti oggetti. Si concentrò principalmente sul vaso rotto, che ancora giaceva in cocci disteso sul pavimento, una grossa macchia d’acqua mista a gocce di sangue che si era allargata quasi fin sotto al letto. 

Osservò le piccole schegge bianche disseminate tutt’intorno, alcune calciate lontano dai piedi dei presenti mentre soccorrevano Eveline Northwood. Qualcosa era rimasto anche impigliato nei suoi capelli. Danielle poteva ancora scorgere i pezzettini aggrovigliati in quella matassa nera.

Scavalcò la macchia con passo sicuro e si diresse alla finestra. Fuori, la tempesta infuriava e non si vedeva ad un palmo dal viso. La serratura era rotta e Jodie Webber aveva dovuto legare le ante tra di loro con un nastro, forse proveniente da un cappello. I vetri erano intatti. C’era qualche scheggia di legno sul davanzale, ma niente di rilevante. 

C’era anche una piccola impronta di scarpa, mezza lavata dalla pioggia, che faceva capolino sulla soglia esterna. 

Il tavolo con i liquori era intatto. Lo scrittoio era in disordine, forse per colpa del vento, ma valeva la pena controllare. La carta da lettere era sparsa ovunque. Una tenda era strappata e giaceva in malo modo gettata sul baule. 

Azzardò un’occhiata dentro il bagno. La vasca era ancora piena d’acqua e gli oggetti da toeletta della signora erano disposti in bell’ordine su un portaoggetti là vicino. 

Danielle aggrottò le sopracciglia sempre di più, pensierosa.

- Avete lasciato la stanza come l’avete trovata?-

- Esatto, signorina.- rispose Jodie, seduta sul letto accanto alla sorella, che ancora stentava a riprendersi.- Come ha detto lei. E’ probabile che qualcosa sia stato spostato, ma il grosso è rimasto com’era quando siamo entrati.-

- La tenda era già lì?-

- No, quella era per terra, là, sotto la finestra.- disse Jodie, puntando il dito.- L’ho spostata per non calpestarla quando ho chiuso le ante.-

- Oltre alla tenda, ha toccato altro?-

Jodie Webber sembrò pensarci su.

- No, non direi. Forse ho calpestato l’acqua, o qualche pezzo di porcellana.-

- Questo è solo in parte rilevante, e temo inevitabile, date le circostanze. Vorrei sapere, più che altro, se lo scrittoio era già così, oppure se il tavolo fosse altrove, o il bagno a soqquadro. Ad esempio, qualcuno si è arrampicato sulla finestra, tentando di chiuderla?-

- Oh, no, assolutamente!- disse il dottore, scuotendo le mai e la testa come se fosse un cane intento a scrollarsi l’acqua di dosso.- Quello era già così. Abbiamo toccato solo piccole cose, come la tenda e i cocci nei capelli di mia cognata. Porcellana, proprio come quella del vaso, sì.-

Di nuovo chiacchierone. Danielle ne approfittò.

- La signora è ferita gravemente?-

- Grazie al cielo no!- fece Jodie, stringendo istintivamente la mano della sorella.- Solo qualche escoriazione, vero, Richie?-

L’uomo annuì.

- Le è andata bene. Qualche taglio e un bernoccolo, niente di serio. La sua salute fisica non è compromessa. Come ho già detto, è quella mentale il problema, se capisce che cosa intendo.-

- Perfettamente.- tagliò corto Danielle. 

Aveva visto abbastanza, ed in più aveva freddo, fame e un bisogno incredibile di silenzio per mettere in ordine le idee.

Poi, la realtà delle cose la colpì in faccia come uno schiaffo.

Non sono più l’ispettore capo, ormai.

Io non ho nessuna competenza, qui.

- Forse è meglio che diate voi la notizia alla signora, se non vi è di troppo disturbo. Sicuramente avrete una delicatezza e una confidenza maggiore della mia. Se ritenete giusto chiamare il capitano Collins, sono certa che presenzierà volentieri, e credo che le farà anche qualche domanda, se sarà abbastanza in forze da rispondere.-

Il dottore annuì, sconsolato.

Danielle si congedò e lasciò che il dottore le chiudesse la porta alle spalle. 

L’asciugamano era ormai freddo, e Danielle vi asciugò dentro i capelli per un’ultima volta, prima di gettarlo alla rinfusa dentro la sua stanza e scendere a cercare il capitano Collins. Quando ridiscese le scale, trovò gli ospiti di O’Brennon Hall radunati a consiglio intorno a William, e pareva che stessero aspettando proprio lei. 

Con aria perplessa, Danielle si affrettò verso di loro giusto per rendersi conto che qualcosa, come del resto quasi tutto ciò che era accaduto in quella giornata confusa, non andava.

William Collins, l’aria pensierosa mentre dondolava avanti ed indietro sulle gambe, si prese la briga di darle la notizia.

- Il maltempo ha abbattuto molti alberi e bloccato gli accessi a Loch Awe.- annunciò, con un sospiro di sconforto.- Quindi, per il momento, siamo isolati. Sembra che, con l’aiuto dei taglialegna e di qualche mezzo eccezionale, una pattuglia potrà raggiungerci in due o tre giorni.-

Danielle si massaggiò le tempie, pensierosa.

- Questo non è un bene. Non possiamo lasciare il corpo dove si trova. Al di là della pietà umana che ce lo impedisce, si altererà, o se lo mangeranno gli animali, ed addio prove. Allo stesso modo, non abbiamo mezzi sufficienti per spostarlo da lì e conservarlo a dovere. Forse ci potremmo riuscire solo  se i signori Smith ci mettessero a disposizione la ghiacciaia, ma questo comporta comunque un sacco di problemi. Se lo rimuoviamo, rischiamo di alterare la scena del crimine, complicando le indagini della polizia. Se non lo facciamo, in ogni caso la scena verrà modificata dal transito degli animali.-

William, Dietrich, Kendall, Mercedes, Everard ed Emily Smith rimasero in silenzio, a guardarsi l’uno con l’altro, pensando. 

- Un bel pasticcio.- fece William, e Danielle era talmente intenta a ragionare che si era fatta sfuggire il piccolo sorriso speranzoso sulle labbra del capitano. 

- Esatto.-

- Che credo di avere risolto.-

Danielle inarcò un sopracciglio, curiosa. William, dal canto suo, contento di aver attirato la sua attenzione, gonfiò un po’ il petto, fiero. 

E non le aveva ancora detto la parte più bella.

- E’ evidente che non possiamo attendere la polizia locale senza alterare la scena del crimine in alcun modo, con tutte le conseguenze che questo comporta. E’ chiaro, quindi, che dobbiamo agire. Ora, la linea telefonica andava e veniva, tuttavia sono riuscito a farmi passare dal centralino non solo la polizia di Cairndow, ma anche la sede della Marina, dove sono riuscito a farmi passare Albert Morris, commodoro di prima classe. In quanto unico ufficiale presente sulla scena del delitto, sono stato autorizzato a coadiuvare le indagini della polizia locale e a sostituirli fino a che non arriveranno gli ufficiali competenti.-

Danielle fece un sorrisetto soddisfatto.

- E bravo capitano Collins.-

E adesso, il colpo da maestro.

- Il commodoro è anche stato informato della presenza del già ispettore capo di Scotland Yard Danielle Peters sulla suddetta scena del delitto, ragione per cui, considerato che, sebbene non sia più in carica, costei è comunque la massima esperta del sistema di polizia del Regno Unito, niente meno che gli alti papaveri della Reale Marina di Sua Maestà Re Giorgio l’hanno autorizzata a supervisionare le mie indagini in attesa dell’arrivo del predetto ufficiale competente.-

Danielle aveva sempre sofferto di dolori al collo. La cervicale poteva essere una vera e propria tortura. Le bastava uno spiffero d’aria o un leggero contraccolpo perché le girasse l’intera stanza attorno. Ne era consapevole ed era la ragione per cui non vedeva l’ora di andarsi ad infilare in una bella vasca di acqua calda e restarvi a riscaldarsi. 

Tuttavia, mai era arrivata a sentirsi così male in tutta la sua vita. 

Forse era la cervicale. O forse l’umidità. O forse la fame. Certo, doveva avere le traveggole. 

Aveva pure sentito distintamente il capitano affermare che lei avrebbe dovuto indagare sul caso Northwood.

Restò lì, pensosa, a riflettere su quanto la cervicale potesse creare problemi a chi ne soffriva.

Bastava una goccia d’acqua, accidenti!

Il capitano, per parte sua, non ci stava capendo niente. Rimase a guardarla mentre fissava l’aria, sbigottita, in quel momento non molto dissimile dalla signora Rogers. 

- Danielle?-

- Sì?-

- Hai sentito?-

- No, scusa, sai, la cervicale…-

Il capitano aggrottò le sopracciglia.

Forse aveva sbagliato qualcosa.

- Ho detto che, in soldoni, sei stata autorizzata ad indagare con me.-

Due volte. Alla faccia, doveva essersi presa una bella botta di freddo.

Urgeva un accertamento immediato.

- Ma sei serio?-

Il capitano non sapeva più che pesci pigliare, ed allargò le braccia, perplesso.

- Certo che sono serio. Perché non dovrei?-

Se avesse seguito il suo istinto, sarebbe saltata al collo di William e probabilmente l’avrebbe coperto di baci, mai così inadeguati come in quel momento, considerato che le aveva appena messo un bel caso di omicidio tra le mani. 

Inappropriato, decisamente.

Se invece avesse seguito l’etichetta, avrebbe rischiato di apparire fredda ed ingrata agli occhi del capitano, che invece si era prodigato così tanto per lei. Era certa che convincere l’esercito e la Marina a farla collaborare con lui non doveva essere stato uno scherzo, ed aveva fatto tutto questo per lei

Una cosa era certa. Non avrebbe più guardato William Collins con gli stessi occhi, dopo quell’occasione. 

Quell’uomo aveva visto in lei molto di più di quanto avesse fatto lei stessa.

- Io non so che cosa dire, William.- fece, gli occhi brillanti per l’emozione e cercando di reprimere il forte istinto di ringraziarlo a profusione.- Grazie.-

Il capitano, rasserenato, capì e scrollò le spalle, un sorriso sghembo sul volto.

- A quest’ora, il telegramma con i nostri dati personali deve essere già arrivato alla centrale di polizia di Cairndow. Siamo ufficialmente in pista, Danielle.-

E pensò che non l’aveva mai vista così bella in quei due giorni come in quel momento, con gli occhi brillanti e l’intelligenza che guizzava dentro le iridi pervinca, come una fiamma che tornava ad ardere dopo essere stata spenta per troppo tempo. 

Si chiese se, ai tempi d’oro, fosse stata così, e tutto sommato ringraziò di non averla conosciuta allora.

In quel momento, era convinto che, per lei, avrebbe buttato all’aria il mondo intero.

Smielato? Sì, ma in fondo faceva parte dei tanti poteri di Danielle Peters, quello di trasformarlo in un essere che avrebbe giudicato melenso e disgustoso in ogni altra circostanza. 

- Bene.- disse Danielle, distogliendolo dai suoi pensieri.- Allora credo che dovremo cominciare ad organizzarci. Intanto, andiamo ad asciugarci e a cambiarci d’abito. Vi prego, signori, di conservare i vostri indumenti, non piegarli, sciacquarli o lavarli. La pioggia avrà già cancellato buona parte delle tracce, ma forse riusciamo ancora a ricavarne qualcosa.-

I presenti si lanciarono un’occhiata furtiva.

- Come, scusi?-

- Ogni contatto lascia una traccia.- ribadì Danielle, passeggiando svelta verso le scale.- Conoscete Edmond Locard?-

Tutti - ad eccezione del dottor Dietrich, che ghignava soddisfatto, e di William Collins, che non si era aspettato niente di meno - scossero il capo, confusi.

- Vi basti sapere che la scienza può venire molto spesso in aiuto alla polizia. Se qualcuno di voi ha anche solo toccato il signor Northwood, noi lo scopriremo.-

E svanì su per le scale, con la gran voglia di togliersi quelle scarpe piene d’acqua.

 

William fece presto a bussare alla porta della sua stanza per informarla che tutti gli abiti dei presenti erano stati raccolti, imbustati e chiusi a doppia mandata dentro uno degli armadi a muro del salone. Per fare questo, purtroppo, avevano dovuto trasferire le armi da fuoco d’epoca dentro l’armadio dei signori Smith, ma Emily era stata celere nello spiegargli che quelle armi non venivano più caricate da un pezzo, e che quindi non potevano contaminare i vestiti con tracce di polvere da sparo. 

Danielle poté dirsi contenta.

Considerato che nessuno aveva fame, i signori Smith si stavano dando da fare per preparare una cena frugale, che avrebbero consegnato in camera di ciascun ospite. Danielle si sentì quasi sbagliata, considerato che il suo stomaco nonostante la situazione faceva un rumore pare al frastuono dei massi che rotolano giù da una frana, ma lo trovò un giusto compromesso. 

Meno gli ospiti vanno in giro, meglio è. 

Aveva congedato il capitano, non senza notare il piccolo indugio che aveva avuto di fronte alla sua vestaglia rosa, e scosse il capo, chiudendosi la testa alle spalle.

Ruth avrebbe detto che era cotto e rosolato a puntino. Lei, invece, più diffidente ed analitica, preferiva ancora prendere tempo. 

Tra un boccone e l’altro si chiese se, forse, il capitano non stesse fingendo. Una parte di lei era ancora convinta che Danielle Peters sarebbe stata una gran conquista di cui ridere con i commilitoni, anche se, non negava, stava cominciando a sviluppare del genuino affetto per quell’uomo socialmente imbarazzante dall’aria buona. 

Chiuse i rubinetti della vasca e scelse un disco. Escluse le cornamuse e musica da orchestra, forse un po’ troppo forte per l’ora e la circostanza. 

Escluso Wagner per lo stesso motivo, optò per Chopin. 

Aveva sempre amato i notturni, ed in particolare il numero due, in mi bemolle maggiore. Le aveva sempre infuso un gran senso di pace.

Si spogliò, mentre le note cominciavano a fluire nella stanza, e si immerse nella vasca. 

L’acqua calda bruciava a contatto con la pelle nuda ed infreddolita, e Danielle, sentendosi protetta, si lasciò scivolare fin sotto la superficie, immergendo la testa e la folta chioma di ricci ribelli. Riemerse strofinandosi gli occhi. La schiuma aveva un buon profumo e questo l’aiutava a pensare. 

Certo che questa storia è veramente assurda. 

La stanza, in particolare, l’aveva lasciata perplessa. Si era aspettata una colluttazione. In fondo, Northwood era violento ed aveva i mezzi per farsi valere, anche contro una persona più grossa di lui. Non era il tipo di uomo che gettava la spugna, eppure, a parte lo schianto del vaso contro la testa della povera Eveline e la serratura della finestra distrutta, non c’era niente.

Nulla di ciò che si era aspettata di trovare. 

Avrebbero dovuto procedere in modo metodico. Innanzitutto, sarebbero dovuti andare con il dottor Dietrich a prelevare il corpo. Considerata la posizione non sarebbe stata un’impresa facile, ma era necessario riuscirci. Inoltre, avrebbero dovuto prendere nota della scena del crimine prima che la fauna locale intervenisse ad alterarla. Poi, avrebbero dovuto ascoltare tutti i presenti, e in mezzo controllare i vestiti.

Non era certa di che cosa avrebbero scoperto.

Innanzitutto, c’era da voler credere alla versione della signora Northwood.

Perché non crederci?

In verità, Danielle non ne aveva un motivo evidente. Un uomo si era arrampicato fino alla finestra, o era entrato non visto dal portone principale, aveva afferrato Carl Northwood e lo aveva trascinato via dalla finestra, con sé, nel bosco, senza che questo opponesse la minima resistenza, per poi gettarlo di sotto dalla scarpata nel mezzo ad un temporale che avrebbe spaventato anche il dio del tuono. 

Tuttavia, la porta era chiusa dall’interno.

La stanza era relativamente in ordine.

Eveline Northwood non si era accorta di niente fino a che non si era buscata un vaso in testa.

Non un grido, non una voce, non un rumore, non un suono.

In quella storia c’era un silenzio di piombo. 

E Carl Northwood era un farabutto, e Danielle sapeva benissimo che, coi farabutti, non era proprio così che funzionava.

E poi c’era l’affaire Johanna, un caso che avrebbe dato un movente a più di una persona tra gli ospiti del castello, che sembravano voler fare di tutto pur di attirare i sospetti. 

Tutti gli ospiti avevano qualcosa da nascondere. I coniugi Webber non amavano Carl Northwood. Dietrich e Mercedes non facevano altro che confabulare tra loro. Kendall ficcava il naso dovunque. La signora Rogers poteva avere fatto qualcosa di stupido durante uno dei suoi attacchi di follia. 

Nella vasca l’acqua gorgogliava e fumava. Guardandosi allo specchio, Danielle si chiese se i suoi abiti sarebbero mai stati recuperabili. La sua amica Ruth avrebbe davvero perso le staffe se avesse saputo che il tailleur pantalone che le aveva regalato aveva resistito meno di ventiquattro ore.

Il calore dell’acqua le dava una bella sensazione di protezione e ci si immerse dentro ancora, fino al collo, una spugna a portata di mano, mentre le note del notturno continuavano a diffondersi nell’aria.

Nessuno avrebbe dovuto conoscere i suoi pensieri ad eccezione di William, che era al di sopra di ogni sospetto.

Certo, buona parte delle persone a cui aveva accennato era stata con Danielle al momento del fatto. 

Chiuse gli occhi, inspirò ed espirò con calma, cercando di spegnere il cervello sulle note del notturno di Chopin. 

 

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Capitolo 22
*** Parte 2, capitolo 6: Vediamo che sai fare. ***


Vediamo che sai fare. 

 

Il cielo era ancora plumbeo al mattino, ma il tempo era stato clemente ed aveva concesso loro una tregua dalla pioggia. Probabilmente sarebbe piovuto ancora nel pomeriggio, e Danielle, mentre masticava la colazione al suo solito posto nella sala da pranzo, completamente sola, pensò che avrebbero dovuto fare in fretta, molto in fretta, per poter racimolare quante più prove possibili prima che andassero distrutte. 

Il capitano la raggiunse un po’ più tardi del suo solito orario e sbadigliando della grossa. 

- Hai dormito bene?-

- Come un sasso. Dovevo recuperare una notte di sonno agitato.- disse, mentre si riempiva la bocca col pane imburrato. 

Poi, accomodandosi meglio sulla sedia, cercò di fare il punto assieme a lei. 

Il primo problema che si posero fu chi portarsi dietro per recuperare il corpo. Era abbastanza chiaro che loro due da soli non sarebbero mai riusciti a rimuovere la salma e a riportarla indietro. Era necessaria una terza persona, se non addirittura una quarta, ma stabilire di chi fidarsi era molto complicato. 

- Sia Richard Webber che il dottor Dietrich sono medici. Meglio scegliere tra di loro.-

Danielle dondolò la testa, mentre deglutiva il suo tè.

- Credo che il dottor Dietrich, in quanto medico legale, sia la scelta più ovvia. Poi, credo che il dottor Webber abbia da fare con la signora Northwood ed è meglio che la segua, considerato che è il suo medico curante. Non penso che abbiamo molte alternative.- 

Per non parlare del rancore personale che nutriva nei confronti di Northwood.

Dietrich è pur sempre sospetto, ma non così tanto come Webber. 

William era assolutamente d’accordo, ed attesero che gli ospiti scendessero dalle loro camere per poter prendere accordi. Decisero di portare con sé anche il signor Kendall; per quanto fosse inesperto e alle prime armi, Danielle avrebbe messo la mano sul fuoco sul fatto che avesse una buona macchina fotografica e un discreto spirito di osservazione, oltre alla capacità di prendere appunti. 

Quando il dottore sopraggiunse, i due lo braccarono sulla soglia della sala da pranzo.

- Dottore?-

- Ja, Ich komme gleich. Nach dem Frühstück.- fece quello, scacciandoli con la mano e dirigendosi con passo marziale verso la tavola, pronto ad attaccare la sua colazione. 

Il capitano sospirò, fissando speranzoso Danielle.

Accidenti alla mania del dottore di parlare metà in tedesco e metà in inglese. 

Danielle evitò di scoppiare a ridere e tradusse all’orecchio.

- Ha detto che ci segue. Immediatamente dopo colazione.- Poi, aggiunse: - Danke, Doktor Dietrich! Sehen Sie bald!-

Anche il signor Kendall, tra un pezzo di uovo strapazzato ed un altro, si disse d’accordo, anzi, sembrò entusiasta della proposta. Danielle decise di approfittarne per dargli qualche nozione di procedura penale, ma preferì sincerarsi che il giovanotto avesse tutte le carte in regola per poter stare su una scena del crimine senza combinare disastri.

- Mi scusi se le manco di rispetto, signor Kendall, ma lei ha mai visto un cadavere?-

Il sorriso sul viso del giovane si spense un po’. 

Quando Danielle lo lasciò, il signor Kendall era visibilmente agitato e non necessariamente in senso positivo. Preservare la scena del crimine era fondamentale e questo lei lo sapeva. Meglio un Kendall agitato che un Kendall troppo a suo agio, liberamente a spasso, con il rischio di combinare un bel pasticcio. 

Aveva inoltre scoperto che la signora Smith e Mercedes, incapaci di dormire, si erano date da fare nottetempo ed avevano costruito una barella con delle lenzuola e delle lunghe assi di legno, grazie all’aiuto di Everard. Danielle e William ne furono contenti e informarono il dottore, pronto a partire sulla soglia, che senza troppe remore afferrò l’oggetto e se lo caricò in spalla.

Fu così che, quando si imbarcarono per un’impresa che sembrava tutt’altro che facile, si trovarono al seguito il vecchio brontolone ed il giovane studente. La pioggia aveva dissodato il terreno e c’era fango dappertutto. Il lago era pieno oltremisura e l’acqua era alta. Il terzetto faticò non poco per  aggirare il castello e raggiungere l’imbocco del sentiero, dove avevano visto le impronte per la prima volta. L’erica era scivolosa più che mai e Danielle, consapevole che avrebbe rischiato di fare fuori anche l’unico completo di riserva, aveva deciso di indossare il solito tailleur pantalone della sera prima. 

La scelta si rivelò azzeccata quando, messo un piede in fallo su un mucchio di foglie particolarmente scivolose, rovinò pesantemente con il sedere per terra.

Il capitano la aiutò a rialzarsi, cercando di non ridere mentre la sentiva borbottare parole che non capiva, ma che poteva di certo intuire.

- Colpa mia.- fece lei, scuotendosi per quanto poteva il fango di dosso.- Mai stata un tipo particolarmente agile, e avevo pensato di venire qui in vacanza, non per fare arrampicata libera.-

Anche il dottore sembrava non approvare, tanto che l’intero percorso fu costellato da una serie di “Nein” e “mein Gott”, piuttosto ripetitiva. Il signor Kendall, invece, procedeva a rilento, terrorizzato di rompere la sua preziosa macchina fotografica. 

In verità, quella scampagnata sarebbe dovuta essere utile anche per studiare meglio le due persone di cui si stava servendo. Certo, non era molto lusinghiero definirli così, ma, non conoscendoli, non aveva altro modo per poterne apprezzare le qualità. Inoltre, in quel momento, aveva un omicidio da risolvere ed aveva bisogno, al di là della stima e del rispetto personali, di collaboratori fidati, che potesse ritenere validi e soprattutto senza un movente per il delitto.

Notando che la donna era diventata più stabile sulle gambe, il capitano si era strategicamente disposto in ultima fila, tenendo d’occhio alle spalle sia il dottor Dietrich che il signor Kendall. Danielle non potè fare altro che approvare la scelta. 

Aggrottando le sopracciglia, lanciò una lunga occhiata all’impronta pilota, che li aveva condotti allo sperone di roccia e alla scarpata. 

Non poteva fare altro che pensare che, effettivamente, in quella storia c’era qualcosa che non tornava, qualcosa di estremamente strano. Puntò il dito verso il suolo, mentre il ragazzo si avvicinava con la sua macchina e cominciava ad aggiustarsi per scattare la sua fotografia. Nel frattempo, i due esplorarono i dintorni alla ricerca di altre prove, mentre il dottor Dietrich prendeva fiato, seduto su una roccia. C’era moltissima umidità quella mattina e sotto gli alberi il quartetto stava cominciando a sudare. 

Dopo la loro piccola pausa, seguirono la fila di impronte fino al picco, camminando sulle rocce nude per evitare di contaminarle e fotografandole là dove ne trovavano alcune. Danielle potè distinguerne chiaramente di due tipi, dove la pioggia non aveva cancellato le tracce. 

Alcune, le sembravano leggermente più piccole delle altre, ma non poteva dirlo con certezza. 

In cima al picco, il povero dottore si passò le mani nei capelli bianchi come la neve, scuotendo il capo.

- Fatemi capire.- disse, con l’accento tedesco particolarmente marcato.- Io dovrei scendere fin laggiù?-

- Esatto. Non sarà semplice, ma lei è l’unico competente a fare un esame del corpo direttamente sulla scena.- disse il capitano.- Se ha bisogno, sono qui per aiutarla.-

L’uomo borbottò, inviperito. 

- Ich bin kein Steinbock!

- Non ne dubito.- fece il capitano, scuotendo il capo.- Resta il fatto che deve scendere. Vuole una mano con la barella?-

Il medico, con un secco Nein e bofonchiando parole in tedesco si accinse a ridiscendere il sentiero e ad inerpicarsi nel bosco per raggiungere il cadavere. 

Quando fu fuori portata, il capitano chiese a Danielle:

- Che ha detto?-

- Non sono uno stambecco.-

- Ah.-

Mentre il dottore si accingeva a ridiscendere lungo la china, Danielle e il capitano rimasero ad osservare il picco roccioso. La presenza di alberi ed umidità aveva fatto in modo che la maggior parte delle impronte impresse nelle foglie fangose si fossero conservate, con loro grande gioia. Osservarono attentamente le tracce, con il signor Kendall che li tampinava, il naso incollato all’obiettivo della sua preziosa macchina fotografica, a distribuire flash lungo il sentiero. Le impronte erano molte, ma si accavallavano e si sovrapponevano, confondendosi le une con le altre. 

Ad un tratto, la voce del dottor Dietrich echeggiò dabbasso. 

- Herr Kapitän? Kommen Sie, Bitte.-

I due, incuriositi, discesero lungo il sentiero per avvicinarsi la dottore, che fissava il terreno con aria pensosa. 

- Qualche problema, dottore?-

- Guardi lei, Frauerin.-

Il pendio costellato di foglie declinava dolcemente e si perdeva nel bosco. Il dottor Dietrich non era ancora arrivato al corpo ed aveva disceso la parete rocciosa con grande lentezza, seppur con agilità. 

Là dove i tre si trovavano, una fila di impronte seguiva tutto il declivio inoltrandosi nel bosco perdendosi tra le foglie. 

Danielle e il capitano presero a seguirne la scia, dopo aver chiamato a gran voce il signor Kendall. La donna, in particolare, sembrava avere un’idea ben precisa di ciò che era successo, e William, che invece per il momento aveva dei dubbi, decise di seguirla senza fare troppe domande. 

Il gruppo si inoltrò nel bosco e seguì le impronte, una fila singola che zigzagava lungo il sentiero punteggiato di massi. Ad un tratto, Danielle si fermò a guardare, seria ma con una luce di entusiasmo negli occhi, una freccia di legno alla sua sinistra, nascosta tra i rami cadenti degli alberi.

- Inverinan?-

- Esatto. Un bel po’ di miglia da qua.-

Il signor Kendall sbuffò.

- Atletico, il nostro assassino. Se è scappato verso Inverinan, non lo prenderemo mai!-

Il dottor Dietrich rimase in silenzio a fissare Danielle.

- Oh, no.- disse la donna, sorridendo e scuotendo il capo.- Gli piacerebbe che lo pensassimo, ma non è così. L’assassino è ancora tra noi.- 

Il dottore aveva l’aria soddisfatta, il capitano condivise con lei un’occhiata sorniona, mentre il signor Kendall spalancò la bocca in cerca d’aria.

- Come sarebbe a dire, mi scusi?-

- Eravamo tutti fuori ieri sera, a cercare Northwood. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che razza di tempo da lupi si è abbattuto sull’albergo. Era assolutamente impossibile percorrere la strada per Inverinan, è troppo lunga per passarla liscia. In più, se avete osservato quando siamo arrivati, parte del terreno è franato in quella direzione e la strada potrebbe essere ostruita. Non ci sono altri ripari, o almeno sembra, nemmeno una tana di coniglio. No, c’è un modo più semplice per spiegare che cosa sia successo.-

- E’ andato avanti per un pezzo, per dare l’impressione di aver preso la strada per Inverinan. Invece, è tornato indietro camminando sui massi, per non lasciare impronte.- le fece eco William, concludendo il ragionamento al suo posto.

Il signor Kendall aveva messo da parte la macchina fotografica per prendere appunti forsennatamente sul suo taccuino gualcito. 

- Sono certa che, se proseguiamo in questa direzione per un pezzo, le orme scompariranno dietro la prima curva.-

Effettivamente, proseguendo per un tratto, le impronte scomparvero. Addirittura, ne trovarono una chiaramente orizzontale, che indicava che l’assassino era tornato sui propri passi. 

Il signor Kendall scattò fotografie all’impazzata ed i quattro tornarono indietro. Il dottore si diresse verso il cadavere, portando a termine la sua scalata, mentre gli atri tornarono sul picco dove si era consumato il delitto alla ricerca di altre prove. 

William non era di certo ingenuo ed aveva compreso che Danielle aveva capito molto di più di quanto avesse fatto lui. 

- Hai un’idea, Danielle.-

- Certo che ce l’ho, ma al momento non ho prove, soltanto indizi. Posso farmi un’opinione, ma non ho modo di dimostrare definitivamente la mia teoria.-

Rimasero a guardare il dottore, che si avvicinava al corpo con aria circospetta, misurando cautamente i suoi passi per non danneggiare i reperti e allo stesso tempo per non farsi male. Il signor Kendall, silenzioso, li guardava con la penna pronta e la macchina fotografica al collo, ansioso di vederli in azione.

- Vediamo che sai fare.- disse Danielle, aprendo le braccia ed indicando a William la scena del crimine.

Date le circostanze, ridere sarebbe stato sbagliato e il capitano si trattenne. 

Lo stava davvero sfidando?

Avrebbe trovato pane per i suoi denti.

- Benissimo. Abbiamo due serie di impronte e un terreno accidentato. Trasportare la vittima sarebbe stato impossibile. E’ chiaro dunque che Northwood ha raggiunto questo picco sulle sue gambe, camminando assieme al suo assassino fino a questo punto, dove hanno litigato. A quel punto, Northwood ha avuto la peggio ed è precipitato di sotto. Non è chiaro se sia stato spinto o se abbia perso conoscenza e sia stato scaraventato giù dal suo assassino. Infine, il nostro ricercato ha percorso la strada per Inverinan, sperando di depistarci, per poi tornare indietro camminando sulle rocce e nascondersi da qualche parte nei pressi di O’Brennon Hall.-

Danielle ammiccò, soddisfatta.

- Bravo, ragazzo, ti do un bel buono.-

William sgranò gli occhi.

Buono? A lui?

Quasi ci restò male. Non c’era molto altro da dire, ed era veramente curioso - con una punta di arroganza - di sapere che cosa avrebbe aggiunto Danielle alla sua descrizione. 

- Sono certo che tu sappia fare di meglio.-

Danielle si spostò più vicino alla scena della colluttazione, indicando le impronte.

- Sono venuti alle mani, come era nell’indole della vittima. I due dovevano essere più o meno uguali, in corporatura e statura. Sappiamo che Northwood sapeva essere violento, per cui è molto difficile che la morte sia dovuta ad una spinta, che richiede una certa forza fisica. E’ più probabile che sia stato stordito e gettato di sotto. Magari, l’assassino ha utilizzato qualcosa che ha trovato qua nei dintorni per commettere il delitto. Come questa.- disse, e si avvicinò ad una grossa pietra lì vicino. 

La sollevò e una macchia di sangue misto a terra apparve nella parte inferiore.

- Qua c’è anche l’impronta di una mano. Il nostro aggressore deve aver avuto la peggio ad un certo punto della rissa.-

Il signor Kendall scriveva come un forsennato, pendendo dalle labbra di Danielle e del capitano. 

William, invece, dovette ammettere a se stesso, con una piccola ferita nel suo orgoglio, di aver tralasciato alcuni particolari.

Niente che comunque cambiasse il quadro che avevano. Pietra o meno, Northwood era morto secondo la dinamica che aveva descritto e non riusciva a capire dove Danielle volesse arrivare con tutto ciò.

- Non è finita qui, in ogni caso.- disse ancora la donna, avvicinandosi di nuovo alle impronte e riponendo la pietra per terra.- Questa impronta è più profonda delle altre. E’ un dettaglio particolarmente interessante. Che cosa ne deduci?-

William ci pensò un poco su.

- Credo che l’assassino, dopo aver stordito Northwood, se lo sia caricato in spalla e lo abbia gettato di sotto, per questo l’impronta è più profonda. Deve aver fatto leva sulla gamba.-

- Vero.- Danielle annuì.- Poi?-

Poi

C’era pure un poi?

William aprì la bocca per rispondere, e la richiuse.

Danielle sorrise.

- Questa te la passo, è difficile. Venite con me.- 

Li condusse in un luogo più appartato, lontano dalle impronte, per evitare di contaminarle. Poi, si posizionò di fronte al capitano, sguardo dritto in volto.

- Bene. Supponiamo, adesso, che tu sia l’assassino e che io sia Carl Northwood. Supponiamo ancora che tu ti sia appena rialzato da terra e che tu mi abbia colpito con la pietra. Io ho perso i sensi e sto precipitando a terra. Adesso, tu mi carichi in spalla e mi getti di sotto.-

Si accasciò con eleganza tra le braccia del capitano. William la prese al volo e con un gesto abile e deciso, senza sforzo, se la caricò in spalla.

- Complimenti, adesso so che sei destro.-

Non le era mai piaciuto mettersi in mostra, ma quel piccolo gioco con il capitano la stava divertendo parecchio. Aveva continuato a canzonarlo per un po’, rendendosi conto che lui non se la stava prendendo più di tanto, e con quel colpo sapeva di aver fatto centro. Una creatura dalle parti del suo stomaco, sia per l’entusiasmo di star svolgendo di nuovo il suo lavoro, sia - per quanto il suo cervello cercasse di negarlo - perché si trovava a contatto con il corpo del capitano, si stava contorcendo felice. 

Dal canto suo, William si era dato del perfetto idiota. Non ci aveva proprio pensato. Per l’assassino, sollevare Northwood significava avere la forza di alzare un peso quasi uguale al suo, ed era più che normale che facesse leva sulla sua gamba più forte per fare ciò. Certo, sia lui che Danielle erano perfettamente consapevoli che non era una prova risolutiva e che la gamba più forte di una persona non corrisponde necessariamente alla mano con cui si scrive, ma c’era una buona probabilità, nel loro caso, che l’assassino fosse mancino.

- Accidentaccio, è vero!-

Immerso nei suoi pensieri, non si era reso conto di aver mollato la presa sul corpo di Danielle, che scivolò pericolosamente verso il suolo, trattenendo uno strillo e cercando di aggrapparsi con le mani al gilet del capitano.

- Perdiana! Mi dispiace!- disse, recuperandola all’ultimo minuto e accomodandola a sedere sul terreno, mortificato.- Non ci avevo minimamente pensato, ma è verissimo! Ci sono alte probabilità…-

- … Che l’assassino sia mancino, lo so.- fece lei, rialzandosi e scuotendosi il fango dai pantaloni ormai ridotti malissimo.

Tuttavia, era chiaro per entrambi che la ricostruzione aveva delle grosse lacune. Secondo quanto sapevano, un uomo si era introdotto ad O’Brennon Hall, non visto, e si era intrufolato nella stanza dei Northwood, sempre non visto, fino a che non aveva aggredito Carl e stordito Eveline. Poi, era saltato giù dalla finestra nel mezzo di un temporale infernale, aveva condotto la vittima celermente alla rupe senza che questa opponesse resistenza, se non quando aveva capito che era giunta la sua fine. Solo a quel punto Northwood si era difeso fino ad essere gettato nella scarpata. 

Poi, l’assassino era sceso di nuovo dal picco, si era inoltrato nel bosco con la pioggia battente ed i fulmini che cadevano ovunque, aveva seminato le tracce verso Inverinan ed era tornato indietro.

Il tutto mentre gli ospiti erano fuori con le torce a cercare Northwood. 

E nessuno aveva visto niente.

Per non parlare del fatto che, per portare a compimento il suo piano, il malfattore doveva conoscere perfettamente l’ubicazione della camera dei Northwood ed avere una certa conoscenza dei luoghi, per scappare dalla finestra ed avere la lungimiranza di andare fino al sentiero che portava ad Inverinan. 

 Il tutto era molto sospetto. 

- L’assassino, quindi, è ancora nei paraggi di O’Brennon Hall.-

- E, considerato il livello di pianificazione, forse è uno di noi.- 

Ineccepibile.

Adesso William capiva come mai molte persone all’interno di Scotland Yard, tra cui il nuovo ispettore capo Baldwin West, non riuscivano a sopportarla. Era effettivamente molto competente nel suo settore. Non aveva individuato prove - e si sarebbe stupito del contrario, dal momento che non ce ne erano, se non il sangue sulla pietra - ma aveva colto degli indizi, alcuni più o meno probabili di altri, che avrebbero contribuito moltissimo a tracciare un profilo dell’assassino. Alcuni di questi, poi, erano talmente ovvi da spingere il capitano a chiedersi come avesse fatto a non vederli prima. 

Non restava altro da fare che raggiungere il dottor Dietrich vicino al cadavere, per capire che cosa avesse scoperto. I tre, così, ridiscesero di nuovo il sentiero e si avvicinarono non senza difficoltà al dottore, che li aspettava seduto su una roccia a godersi il vento. Quando sopraggiunsero, il tedesco li guardò stortissimo.

- Mi auguro che abbiamo finito.-

- Quasi, dottore. Può già dirci qualcosa in proposito?-

L’uomo non si prese nemmeno la briga di alzarsi, anzi, si aggiustò meglio sul masso.

- E’ difficile. La caduta ha rotto diverse ossa e il cranio è sfondato nella parte posteriore. Non posso dire con certezza quale sia la causa della morte senza un esame autoptico serio. Ho trovato tracce di legno, foglie e vario materiale all’interno delle ferite, ma non so dire di più ad un esame esterno. Ho percorso il corpo con la lente di ingrandimento e non ho trovato nulla di specifico. Se c’era qualcosa, la pioggia deve averlo lavato via. Tuttavia, non mi aspetto molto, quando avrò la possibilità di aprirlo. Se rileverò un osso integro, credo che i signori Smith dovranno tirare fuori il vino buono.- 

Con grande delicatezza, il capitano aiutò il dottor Dietrich a mettere il corpo sulla piccola barella che avevano improvvisato con l’intuito di Mercedes e della signora Smith. Danielle rimase colpita. Il dottore non era vecchio, ma nemmeno più così giovane, eppure era riuscito a scalare la nuda roccia e a scendere verso il basso con quell’arnese sulle spalle, e non aveva voluto nessun aiuto. 

Doveva essere stato un giovanotto aitante, in passato. 

Così, i quattro tornarono indietro, con il signor Kendall che aveva dato il cambio al dottore. Danielle era contenta che il giovane non avesse dato segni di cedimento di fronte al suo primo cadavere, se non un leggero pallore che però non aveva anticipato ulteriori disturbi. Tuttavia, poteva individuare una certa fissità dello sguardo che le faceva capire che il giovane ragazzo stava cercando di non guardare il corpo con tutte le sue forze. 

- Pensi che l’assassino sia uno degli ospiti?- disse William, avvicinando Danielle.

- Non ne sono certa. In ogni caso, dovremo interrogarli, almeno quelli che erano più vicini alla vittima, per riuscire a capire che cosa sia successo, se avesse dei nemici che potrebbero aver compiuto un atto del genere.-

Il capitano si disse d’accordo, tuttavia le cellule grigie di Danielle continuarono a lavorare per tutto il tragitto a ritroso fino in albergo. 

La morte era sospetta. Le modalità lo erano anche di più e Danielle non poteva fare altro che domandarsi se la morte di Carl Northwood non fosse in qualche modo legata al caso della piccola Johanna.

C’erano un bel po’ di dettagli che non aveva rivelato al capitano e che ancora la lasciavano perplessa. 

Aveva una vaga sensazione di familiarità, come se quella fosse una pellicola che aveva già visto al cinematografo, che non riusciva a togliersi dalla mente e più ci pensava, più quel pensiero la tormentava.

Dal canto suo, invece, William pensò che non avrebbe potuto avere una fortuna più grande di quella. Capitare nello stesso albergo della signorina Peters era un vantaggio enorme di fronte ad un delitto. Con ciò che era successo, Danielle aveva dato prova di grande acume e competenza, e il capitano era sempre più convinto che ciò che era successo anni prima a Scotland Yard potesse essere definito come un vero e proprio complotto ai suoi danni.

Non poteva fare altro che togliersi il cappello di fronte a Danielle Peters.

E poco gli importava della figura meschina che gli aveva fatto fare su quel picco. 



TRADUZIONI DAL TEDESCO:
Danke, Doktor Dietrich! Sehen Sie bald!: Grazie, dottor Dietrich. A dopo!
Ja, Ich komme gleich. Nach dem Frustuck: Sì, vengo subito. Dopo colazione.
Nein e Mein Gott: No e Oh mio Dio.
Ich bin kein Steinbock!: Non sono uno stambecco!
Herr Kapitan? Kommen Sie, bitte: Signor capitano? Venga qui, per favore.

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Capitolo 23
*** Parte 2, capitolo 7: Conoscevo il suo alias, ma io puntavo più in alto. ***


7.

 

Loch Awe, 7 settembre 1936

 

Conoscevo solo il suo alias, ma io puntavo più in alto.

 

Dopo aver mangiato un boccone - e soprattutto dopo essersi cambiata d’abito - Danielle si sentiva molto più in forma e pronta ad affrontare gli interrogatori. Era consapevole del fatto che non sarebbe stato semplice e alcuni ospiti avrebbero potuto rivelarsi poco collaborativi. Una volta che il dottor Dietrich e i signori Smith - Everard, in particolare, con un brutto colorito in viso - ebbero sistemato Carl Northwood nella ghiacciaia, e il signor Kendall ebbe allestito in cantina la sua camera oscura per sviluppare le foto, lei e il capitano chiesero agli ospiti di ritirarsi nelle proprie stanze e di attendere lì. 

Danielle pensò che, al di là dell’utilità per le indagini, sarebbe anche stato un esperimento sociale interessante: alcuni, legati in modo molto stretto tra di loro, se a conoscenza della colpevolezza di un altro, avrebbero potuto accordarsi sulla versione da riferire in interrogatorio. Danielle aveva lasciato correre lo sguardo su Emily ed Everard Smith, che sembravano molto tesi e spaventati, e poi su Jodie e Richard Webber, che avevano l’aria strana, quasi contrariata. I due si parlavano a malapena, evitando persino di incrociare gli sguardi. Al contrario, in sala da pranzo Mercedes e il dottor Dietrich chiacchieravano anche troppo, fitto fitto in spagnolo. Danielle fu sorpresa da quel cambiamento di linguaggio. Qualche occhiata di troppo rivolta nella sua direzione le fece sospettare che fosse qualcosa di programmato, dal momento che entrambi erano ben consapevoli che lei parlava tedesco fluentemente. 

Che cercassero di non essere capiti?

Danielle si voltò dall’altra parte, per non essere influenzata da quella brutta sensazione di sospetto. 

Se c’era una cosa di cui andava fiera, era la sua praticità. Si era fatta un’idea della scaletta che avrebbero seguito durante i loro interrogatori. Era necessario ascoltare innanzitutto la moglie della vittima, per capire esattamente come si erano svolti i fatti, e poi procedere con i parenti più stretti, ovvero i signori Webber. Infine, avrebbe lasciato gli altri, e l’ordine sarebbe stato deciso in base a quello che avrebbero scoperto durante quelle conversazioni. 

Di sicuro il dottor Dietrich avrebbe avuto bisogno di tempo per svolgere un’indagine preliminare più accurata sul corpo e per cercare indizi sui vestiti che tutti loro avevano messo da parte. Salvo cambiamenti di programma - e pregando che la sua decisione non si traducesse nell’inquinamento delle prove - si riservava di sentirlo più avanti.

Si avvicinò alla signora Smith, che era già stata avvisata del suo ruolo di piccione viaggiatore fra lei, William e gli altri ospiti. Gli interrogatori - non le piaceva molto quella parola, sapeva di inquisitorio e preferiva svolgere conversazioni serene con chi non riteneva ancora un sospettato - si sarebbero svolti nel salone, di solito un luogo di festa, dove avevano bevuto il bicchiere della staffa e chiacchierato nelle sere precedenti e che adesso, invece, si era trasformato in un luogo teso e nervoso. 

- E’ pronta?-

- Sì.- la donna annuì, ma aveva l’aria di un cucciolo smarrito ed era incredibilmente lugubre. Danielle sospettò che c’entrasse Steven O’Brennon, ma non disse niente.

- Allora, con la massima attenzione, ci chiami la signora Northwood.-

Poi prese posto accanto a William. Il tavolo era stato spostato per potersi frapporre tra loro e l’ospite di turno. Il capitano vi aveva poggiato sopra il proprio taccuino, la fodera di cuoio arabescato cotta dal sole e gualcita dal salmastro, tenuto chiuso e stretto da un paio di singolari lacci di cuoio. 

Danielle lo guardò interrogativa, e lui rispose, laconico:

- Medio Oriente.-

Poi, stirando le lunghe gambe anchilosate per l’umidità, chiese:

- Come hai intenzione di procedere?-

Danielle fece tanto d’occhi.

- Io? Sei tu il capo, qui.-

Convennero che, forse, Danielle poteva essere meno intimidatoria nei confronti della signora Northwood, una figura con la quale la donna avrebbe preferito confidarsi. Così, il capitano, per strategia, preferì fare tappezzeria per gran parte dell’audizione, lasciando l’onere alla sua compare. 

In realtà, pensò che sarebbe stato estremamente utile osservarla mentre lavorava. Riteneva che potesse essere una grande fonte di informazioni sul suo conto, osservare il suo metodo. 

Una volta, diversi mesi dopo le sue dimissioni da Scotland Yard, aveva incontrato un trafficante d’arte, con cui aveva avuto a che fare per una rapina a casa di un collega. Quando aveva provato ad interrogarlo, quello gli aveva riso in faccia, con la scusa che, dopo essere stato torchiato dall’ex ispettore di Scotland Yard, avrebbe anche potuto affrontare la forca senza timore. 

Avrebbe visto la Volpe di Londra in azione.

Tutto sommato, William aveva aspettato quel momento per anni. 

Un leggero bussare alla porta, discreto, annunciò l’arrivo della signora Northwood. 

- La signora Smith mi ha detto che volevate vedermi.-

William fu stupito dalla totale assenza di cambiamento nel comportamento e nell’atteggiamento generale della signora. Era sempre pallida, sempre magrissima, sempre con gli occhi cerchiati di nero e lo sguardo di ghiaccio particolarmente penetrante, ma vuoto, come se avesse di fronte un guscio senza contenuto alcuno. L’unica differenza era la medicazione sulla sua fronte, là dove il vaso l’aveva colpita.

Pensò che non avesse ancora realizzato che il marito era morto.

La fecero accomodare sulla sedia di fronte al tavolo ed attesero che si fosse sistemata come meglio credeva.

- Signora, ci tengo a sottolineare che, se per un qualunque motivo non si sente in grado di continuare questa conversazione, può dircelo in qualsiasi momento e la lasceremo andare. Non deve sentirsi obbligata.- le disse Danielle, sporgendosi lievemente verso di lei con l’accenno di un sorriso empatico sul volto.

William apprezzò molto l’uso del termine conversazione. Molto informale, pacato, tranquillo, adatto allo scopo di togliere la pressione dalle spalle di una donna in quelle condizioni.

Eveline annuì leggermente, senza muovere un muscolo.

- Innanzitutto, come sta?-

Una lieve contrazione indicò che la donna si era irrigidita sulla sedia.

- Senza offesa, ma avrebbe un’altra domanda?-

Legittimo, pensò Danielle.

- Sarò più diretta, allora: ricorda che cosa è successo?- chiese a quel punto, cercando di esprimersi con quanto più garbo possibile. In fondo, quella donna l’aveva quasi protetta e difesa durante il suo primo incontro con Carl Northwood, e si riconosceva particolarmente nella sua fragilità. Cercò, tuttavia, di non farsi influenzare nel suo giudizio.

Eveline cominciò a raccontare.

- E’ stata una giornata difficile. Non mi sentivo bene e mi sono svegliata tardi, così siamo scesi a colazione in ritardo rispetto alla maggioranza degli ospiti. Ho passato la mattina con mia sorella Jodie, ci siamo sedute fuori per prendere un po’ d’aria, ma le medicine che prendo devono avermi dato fastidio con l’esposizione al sole e ho cominciato a sentirmi male. Sono rientrata nella mia stanza e ho aspettato che mi passasse. Ho saltato il pranzo, ma sono abituata. Mi ero appena ripresa, stavo meglio e volevo scendere a cena, così avevo deciso di farmi un bagno, quando ho sentito un rumore curioso alla porta prima di entrare nella vasca. Sono uscita dal bagno e ho trovato la porta aperta. Carl era per terra e si stava azzuffando con qualcuno, mi ha gridato di andarmene, ma io non sono stata veloce a sufficienza e l’uomo mi ha colpita alla testa con il vaso di ceramica che era sopra il cassettone. Non ricordo molto, poi. So di essere caduta, e ho visto l’uomo caricarsi mio marito in spalla e saltare dalla finestra. Non riuscivo a reagire.-

Danielle aveva appoggiato il mento sul palmo della mano, pensierosa. 

La storia, di per sé, era curiosa. Molto.

- E’ sicura che fosse un uomo?-

- Io… Sì, direi di sì.-

- E saprebbe descriverlo?-

La signora Northwood parve pensarci un poco su.

- Non l’ho visto bene in faccia, ma era grosso.-

- In che senso?-

- Massiccio, ecco. Ben piantato. Carl era piccolo, ma sapeva essere molto forte. Per sopraffarlo, ci voleva qualcuno di più voluminoso di lui. Sono certa che fosse più largo. Più alto, non saprei. Più o meno. Forse, qualcosa di più. Riempiva la finestra, questo sono sicura.-

- Qualche segno particolare? Vestiti, scarpe, un gioiello?-

Eveline rimase a guardare fisso il tavolo da fumo con i suoi occhi vuoti. 

- No, non mi pare. Era vestito di scuro, sono sicura. E indossava una giacca. Il classico capo di abbigliamento maschile, insomma, niente di particolare.-

Il racconto era piuttosto vago. 

Danielle si domandò se quella della signora Northwood non fosse reticenza. In tal caso, doveva avere i suoi motivi per non rivelare l’identità dell’assassino, qualora lo avesse riconosciuto, per cui affrontarla di petto non avrebbe condotto a nulla, solo ad un muro contro muro che si sarebbe tradotto in un mutismo ancora più risoluto da parte di Eveline.

Così, cambiò tattica.

- Di quale malattia soffre, signora?-

- Non so se la si possa definire una malattia. Richard la chiama melanconia. E’ uno stato in cui sono caduta da quando mi ha lasciato mia figlia Johanna.-

Non era esattamente a questo che Danielle aveva puntato cambiando argomento, ma lasciò che fosse la donna a condurre la conversazione dove voleva lei. Se da una parte era un esperimento interessante - per riuscire a capire se stesse mentendo o meno, o avesse un piano per guidarla da qualche parte - dall’altra, tutto ciò che viene detto in un caso di omicidio fa sempre comodo, anche quando sembra irrilevante.  

- Richard Webber, il marito di sua sorella?-

- Sì. Fa il medico e si occupa in particolare del cervello e della mente. E’ molto bravo, anche se a detta di Carl è un incompetente. In verità, a me piace: è un uomo buono e di ottima compagnia, e mi permette di vedere mia sorella molto più spesso del solito. Dice che mi fa bene.-

William lanciò un’occhiata a Danielle e si intromise.

- Mi dispiace molto per la vostra bambina. Che cosa è successo, se posso chiedere?- domandò cortesemente, con un tatto singolare per un uomo d’armi. 

Eveline lo fissò, come se lo vedesse in quel momento per la prima volta. Poi, immobile con i suoi occhi di ghiaccio fissi su di lui, rispose:

- L’ha ammazzata Gordon Van Allen.-

Nella stanza calò il gelo. 

Danielle non era convinta di aver capito bene. Forse era stata di nuovo la cervicale. Eppure le era sembrato di sentire distintamente quel nome, quello che aveva tormentato il suo sonno per anni e che ancora le rivoltava lo stomaco ogni volta che ci pensava. 

William dovette controllarsi per non spalancare la bocca dalla sorpresa.

- Come, mi scusi?-

- Gordon Van Allen. Le ha sparato una sera, mentre guardava il tramonto con mio marito.-

Danielle si grattò un sopracciglio, le dita tremanti, mentre riprendeva le redini del discorso. 

- Mi scusi, ma avevo capito che era morta di malore.-

Eveline abbozzò un sorriso.

- Jodie, vero? Lo dice a tutti, crede in questo modo di evitarmi domande scomode da parte della gente. Apprezzo il suo tentativo, ma non è andata così. Lo dicono Jodie e Richard, per proteggermi dalle malelingue, ma Carl non era un uomo buono, purtroppo. I suoi affari lo avevano portato a percorrere delle strade che sarebbe stato meglio non avesse mai imboccato, e a farne le spese è stata la mia bambina.-

Danielle provò una pietà ancora più profonda per quella donna che condivideva con lei un dolore così grande da non poter essere spiegato a parole. Tuttavia, non aveva la presunzione di aver provato lo stesso strazio della signora Northwood. 

La perdita è sempre dolorosa. Perdere un compagno di vita ti lascia un vuoto dentro incolmabile, ma perdere un figlio è devastante, specie se muore per un motivo del genere.

- Signora, mi perdoni, ma ho bisogno di ogni dettaglio di cui lei dispone. Mi parli di suo marito e di come è morta sua figlia, se riesce.-

La signora Northwood spostò lo sguardo di ghiaccio e vuoto come un guscio di noce su di lei. Sembrava immune a qualsiasi emozione, e allo stesso tempo sembrava sgretolarsi sotto i suoi occhi. 

- Carl faceva l’imprenditore edile. Era nato da una famiglia povera e si era arricchito con le sue mani e molto impegno. Mi avevano avvertito, all’epoca, che si trattava soltanto di un arrampicatore sociale, ma mi faceva la corte, e sia io che mia sorella Jodie non disponevamo di un cospicuo patrimonio. Pensai che il suo interesse fosse genuino, e probabilmente lo era. Già a quel tempo faceva l’imprenditore, costruiva nella bassa Londra, niente di interessante. Dopo esserci sposati, nulla cambiò, fino a qualche anno fa, quando riuscì ad ottenere un grosso appalto in pieno centro. Non mi disse mai come fece, ma da allora i soldi continuarono ad aumentare, a crescere in modo esponenziale. Mi insospettii. Un giorno un uomo si presentò alla porta. Io mi nascosi in una stanza vicina e origliai la conversazione con mio marito. Parlavano in modo strano, pensai che fosse un codice. Nominavano dei banchieri, mi pare, o forse dei notai, o un avvocato, ma di una cosa sono certa. Quell’uomo chiamò mio marito Fornaio. Mi insospettii ancora di più e sbirciai. Vidi un passaggio di mazzette. Capii che si trattava di Gordon Van Allen e affrontai mio marito. Da allora, il nostro rapporto non è più stato lo stesso. Non parlava più di affari con me.-

Danielle sapeva con certezza che Gordon Van Allen effettivamente gestiva delle gare di appalto truccate. Aveva indagato approfonditamente sulla questione, durante il suo periodo a Scotland Yard, provando a creare una breccia nel muro di omertà che circondava quel farabutto. Era stato lo stratagemma finale, quello che l’aveva portata alle dimissioni, cercare di incastrarlo usando delle false gare d’appalto. 

Aveva scoperto anche che quello non era l’unico settore in cui operava. Era attivo nel campo delle scommesse clandestine, nel riciclaggio di denaro, nelle estorsioni, nel traffico di esseri umani e di immigrazione, nel traffico di stupefacenti e di armi. Non c’era settore della malavita inglese in cui il nome di Gordon Van Allen non passasse di bocca in bocca. 

Danielle lo aveva definito il James Moriarty del ventesimo secolo, e, a suo tempo, gli aveva giurato guerra. 

Una guerra che aveva vinto lui e che aveva causato la morte del suo fidanzato. 

- Una sera mio marito portò mia figlia a vedere il tramonto, ma un uomo li aspettava ed ha sparato a Johanna. Ogni soccorso è stato inutile.-

Il salone era immerso in un silenzio quasi religioso. Di fronte ad un trauma del genere, non c’erano parole.

- Non sa quanto ci dispiace, signora.- sussurrò William, cercando di non interrompere quell’atmosfera sacrale. 

La donna non fece una piega. La voce era controllata perfettamente, come il resto del corpo e del viso. Soltanto grosse lacrime scendevano sulle sue guance, rendendo i suoi occhi arrossati ancora più grigi e penetranti.

- Carl è sempre stato un uomo singolare. Aveva frequenti accessi di rabbia, soprattutto con me, ma mai con Johanna. Da quando è mancata, siamo diventati due estranei sotto lo stesso tetto. A volte poteva essere violento, è vero, ma io lo amavo. L’ho amato tanto. So che, in fondo, anche lui mi amava. Aveva solo uno strano modo di dimostrarlo.-

Danielle trasse un profondo sospiro e si trattenne dal distruggere anche l’ultimo sogno che quella povera donna ancora coltivava dentro di sé.

- Senta, signora, proviamo a tornare indietro e a ricostruire la sua giornata, vediamo se riusciamo a trovare qualche dettaglio che ci possa aiutare. Si è alzata tardi ed è scesa con suo marito a fare colazione, poi ha passato il resto della mattina con sua sorella. E’ corretto?-

- Sì.-

Danielle aggrottò le sopracciglia.

- Suo marito era con lei?-

- No.- disse, senza muovere un muscolo. - Mio marito era andato a fare una passeggiata lungo il lago con Richard. Credo che abbiano discusso. Lo fanno spesso. Quando è tornato, Carl era di pessimo umore. Pensavo che se la sarebbe presa con me, come sempre quando mi sento male, invece mi è rimasto vicino, ed era abbastanza tranquillo.-

- Quando è tornato?-

- Poco prima dell’ora di pranzo. Jodie mi stava già accompagnando in camera.-

Il capitano annuì, concentrato, e si inserì nell’interrogatorio.

- Poi, siete rimasti in camera tutto il pomeriggio fino all’ora di cena, quando lei aveva deciso di prepararsi per scendere, e questo è stato il momento in cui è avvenuta l’aggressione, è corretto?-

- Sì.-

- Suo marito è stato tutto il pomeriggio con lei?-

- No. E’ uscito una volta, ma solo per pochi minuti. Non so dove sia andato, e lui non me lo ha detto.-

- Quando?-

- Poco prima. Non ricordo l’ora. Poco prima che mi alzassi dal letto.-

I due si guardarono, lo stesso pensiero che attraversava la loro mente.

- Ha detto poi di essere uscita dal bagno e di aver visto suo marito per terra. Dove, di preciso?-

- Tra il letto e la finestra.-

Danielle non disse niente, ma appuntò quel dettaglio nella sua mente.

- La finestra era aperta?-

- No, pioveva troppo forte.-

- Suo marito le ha urlato di andarsene?-

- Sì, di scappare, ma io ero intontita dalle medicine e non ho capito perché. Sono rimasta ferma dov’ero.-

William, pensoso, appuntò qualcosa sul suo piccolo taccuino scuro e annuì.

- Un uomo l’ha colpita alla testa con un vaso di ceramica.-

- Sì. Ce n’era uno sopra il cassettone contro il muro.-

Danielle s’intromise.

- Sa per caso se suo marito avesse dei nemici giurati, a parte Gordon Van Allen? Qualcuno che avesse più volte manifestato il bisogno di eliminarlo?-

Eveline Northwood ci pensò su, fissandola con quei suoi occhi di ghiaccio.

- Non saprei. Non mi viene in mente un nome preciso, ma Carl non era un soggetto amichevole. Sono certa che, se controllaste la sua agenda, trovereste almeno una trentina di nomi papabili per le vostre indagini.-

Danielle e William si accordarono con la signora per avere quell’agenda, e così decisero di porre fine a quella conversazione, convinti di aver tratto tutto quello che potevano da quel dialogo. 

- Grazie, signora Northwood.-

La donna fece un sorriso sbilenco e senza gioia. 

- Suppongo a questo punto di dovermi definire vedova Northwood, o tornare al mio cognome da nubile.-

Sia Danielle che il capitano la stavano guardando curiosi.

- Rice. Mi chiamo Eveline Rice.-

- Naturalmente.- disse Danielle. Quella donna aveva accettato il suo nuovo status come se non fosse cambiato assolutamente niente nella sua vita. Provò pietà per lei: quando avrebbe realizzato, l’avrebbe presa molto male.

- Grazie, signora.- disse il capitano, stringendole la mano. - Ci dispiace molto per le sue perdite. Se avesse bisogno di aiuto, o le venisse in mente qualcos’altro, siamo a sua disposizione.- 

Poi, con grandissima delicatezza, le porse un foglio bianco ed una penna. 

Precedentemente, sia lui che Danielle avevano ritenuto utile provare a cercare qualcuno che corrispondesse alla descrizione che avevano provato a fare dell’assassino. Forse, trovare una persona mancina tra gli ospiti avrebbe semplificato loro il lavoro, e, per convincerli a firmare, si erano inventati l’elenco degli interrogati, per non perdere il conto.

- Potrebbe cortesemente firmare questo foglio?-

- Fate l’elenco degli interrogati?-

Danielle apprezzò di non dover dare delle spiegazioni.

- Già.-

La donna impugnò la penna con la mano sinistra, cambiò mano e poi firmò. In posizione eretta, aveva i piedi molto piccoli, un folletto, come del resto tutta la sua figura.

Stava per andarsene, ferma sulla soglia, quando si fermò e si guardò alle spalle, verso di loro. 

- Io fossi in voi cercherei tra i brutti ceffi che frequentava mio marito. Chissà a quante persone avrà pestato i piedi, nella sua carriera di imprenditore.-

- Nessuno dei presenti potrebbe aver avuto motivi di risentimento nei suoi confronti?-

La donna stese il primo sorriso amaro della giornata.

- Al contrario. Come vi ho già anticipato, Carl era solito farsi tutti nemici alla prima battuta, ma tra gli ospiti conosceva solo Jodie e Richard, e il dottor Dietrich. Dubito che qualcuno di loro avrebbe provato ad ucciderlo. -

Detto questo, diede loro le spalle definitivamente e se ne andò.

 

Il salone rimase avvolto in un silenzio di piombo.

- Gordon Van Allen.- mormorò il capitano, gettando il taccuino sul tavolo e passandosi una mano nei ricci biondi, stupefatto. - Rendiamoci conto. Gordon Van Allen.-

Danielle, dal canto suo, era ancora sconvolta. 

Fin dall’inizio di quella maledetta vacanza aveva sentito l’ombra di Van Allen stendersi di nuovo su di lei, o forse non l’aveva mai abbandonata. Adesso, non solo si trovava a fronteggiare i fantasmi del suo passato assieme al capitano Collins, ma addirittura le era capitato tra le mani l’omicidio del Fornaio.

William sembrava essersi accorto della sua confusione, e guardò Danielle mentre, con le dita che ancora tremavano leggermente, afferrava la tazza di infuso gentilmente offerta dalla signora Smith e se la portava alle labbra senza nemmeno guardarla.

- Ti prego, illuminami.-

- Gordon Van Allen ha un’organizzazione molto vasta.- cominciò, accomodandosi meglio sulla poltrona e sentendosi il fiato corto. - Ha cominciato con le rapine in banca e con gli assalti ai furgoni portavalori, come gli italiani. Poi ha preso a farsi un nome in altri settori, seguendo il tragitto dei soldi che prima rubava. Ha imparato che è più conveniente guadagnarli in modo disonesto, che stare nell’ombra e mandare avanti i suoi scagnozzi paga di più che agire in prima persona, così ha creato una vera e propria piramide, uno schema ben preciso, una tela dove tutti rispondono a lui, ma nessuno sa davvero chi sia. Mi spiego?-

- Perfettamente.-

- Per fare in modo di essere ancora più irreperibile, ha imposto ai suoi collaboratori un nome in codice, con cui vengono comunemente identificati. Non sai che incubo possa essere risalire ad una persona nota solo come il Giardiniere e che, magari, si è contattato solo per lettera!-

- In tutto questo, Carl Northwood interpretava il ruolo del Fornaio.-

- Esattamente.- continuò Danielle, accoccolandosi sulla sedia e guardando dritto in faccia il capitano. - I nomi non sono mai scelti a caso, hanno un significato ben preciso, in modo tale da essere immediatamente riconoscibili dagli affiliati. Il pane lievita, e il fornaio prepara, fa lievitare e poi cuoce il pane. Van Allen era nuovo al giro degli appalti, si era inserito solo da pochi anni, e il sodalizio con Northwood doveva avere fatto lievitare i suoi guadagni come un fornaio fa lievitare l’impasto.- 

- Lo conoscevi?-

Danielle scosse il capo, mesta.

- No, anche se sapevo della sua esistenza. Conoscevo solo il suo alias, ma io puntavo più in alto.-

William si grattò il mento sbarbato, su cui già cominciavano a spuntare alcuni peli biondi. 

- Mi pare di ricordare un certo Avvocato.-

- Certo, l’Avvocato. Uno dei bracci destri di Van Allen. Preso lui, minata la piramide alla base. Sarebbero stati tutti nostri nel giro di una settimana, Van Allen incluso, ma è andata com’è andata. Quello che è interessante, è tutto il resto. Northwood deve averla combinata grossa per costringere il capo a fargli fuori la figlia.-

- Magari contava di eliminare lui stesso e la bambina c’è finita in mezzo.-

Danielle scosse il capo, poco convinta.

- Forse, ma Van Allen, in ogni caso, non si sporca mai le mani per nulla. Northwood deve aver osato un po’ troppo, e lui gliel’ha fatta pagare. Quello che non si spiega, però, è come mai il caso sia finito sulla mia scrivania. Ricordo bene che cosa era stato scritto di lei, anche se pensavo di non aver memorizzato quel dettaglio.-

- Morte naturale?-

- Non può essere solo una voce che mettono in giro i signori Webber, deve esserci qualcosa di più.-

C’era anche un ulteriore dettaglio che aveva lasciato Danielle perplessa. Secondo la signora Northwood, infatti, il dottor Dietrich e la vittima si conoscevano. Doveva essere sincera: al di là dei simpatici borbottii in tedesco del dottore e della fiducia che le aveva dimostrato, era più che chiaro che l’uomo avesse qualcosa da nascondere. Durante la loro scampagnata nella scarpata, non lo aveva perso di vista un secondo. Se fosse successo qualcosa, se ne sarebbe accorta. Avrebbe visto un’espressione di rammarico, di disappunto, o di odio, o rabbia. Invece, niente. Il buon dottore aveva mantenuto una faccia di bronzo, salvo cominciare a parlare in spagnolo con Mercedes nel tentativo mal riuscito di non essere inteso da Danielle.

- Che mi dici di Dietrich?- fece il capitano, dando voce ai suoi pensieri.

- Dico che è meglio cambiare programma e sentirlo, prima che inquini le prove.- 

William aprì di nuovo il suo taccuino ed andò alla porta per chiamare la signora Smith.

- Pensi che sia stato lui?-

- Sai quanto me che non è possibile. Era con noi, ed è andato a cercare Northwood assieme agli altri due. Non so bene che cosa pensare, ma prendendo per buona la versione della moglie della vittima, qui stiamo cercando, più che un esecutore materiale, un mandante, e il dottor Dietrich potrebbe essere uno di questi.-

William scosse il capo, sconsolato.

- Perché c’è qualcosa che non mi quadra, in tutta questa vicenda?-

- Tutto non quadra, in questa storia.- concluse lei, alzandosi. 

Si avvicinò a lui con la scusa di sgranchirsi le gambe e lanciò un’occhiata sbilenca alla signora Smith, fuori dalla porta.

Non c’erano dubbi sul fatto che stesse origliando.

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Capitolo 24
*** Parte 2, capitolo 7: Codardo un corno. Quest'uomo ha più fegato di tanti altri. ***


Codardo un corno. Quest’uomo ha più fegato di tanti altri.

 

Seduto di fronte ai due, con le mani appena lavate dopo aver maneggiato il cadavere della vittima e i capelli un po’ stropicciati per il pisolino che doveva appena aver schiacciato in camera sua, il dottore sembrava a suo agio, ma Danielle poteva scorgere alcuni piccoli difetti nel suo comportamento che le facevano pensare che, come al solito, si trattasse di una farsa.

 I piedi rivolti verso l’interno, le mani nascoste sotto le cosce. 

- Guten Tag, Doktor. Haben Sie gut geschlafen?-

- Ja, danke.-

D’accordo con il capitano, sarebbe stata lei, ancora una volta, a condurre quella conversazione. In verità, era stata una scelta abbastanza obbligata. William non capiva una parola di tedesco, e lei era l’unica che potesse fornire una traduzione attendibile senza interrompere il flusso del discorso. 

Nonostante ciò, Danielle cercò, per correttezza nei confronti del capitano, di mantenere la conversazione per quanto possibile in inglese: il dottore, infatti, tendeva inconsciamente a tornare ogni tanto nella sua lingua madre, ma con una piccola guida e una parola ben assestata, Dietrich sapeva ritornare all’inglese con estrema semplicità. In più di un’occasione, Danielle fu costretta ad offrire comunque la propria traduzione al capitano, ma le andava bene così. In fondo, quello che voleva era che il dottore si sentisse a proprio agio per snocciolare la verità.

- Ha già dato un’occhiata al povero signor Northwood?-

- Sì. L’esame esterno è l’unico possibile, qua non ci sono i mezzi né l’ambiente per poter svolgere un’autopsia completa. Posso dire che il suo corpo ha subìto grosse alterazioni per la caduta. Salvo ulteriori indizi, è praticamente impossibile stabilire se sia stato ucciso prima di precipitare, o se fosse soltanto stordito al momento della caduta. Non vi sono però segni di armi.-

- Quindi niente pistole, né coltelli.-

- E nemmeno veleno. Non ve ne sono tracce evidenti. Tuttavia, non posso escludere che sia stato usato per stordirlo.-

- Interessante ipotesi.- fece Danielle, aggrottando le sopracciglia. - Spiegherebbe perché non ha reagito.-

- Non posso giurarci. Ad occhio, però, direi che non vi sono segni compatibili.-

Il quadro si stava complicando a vista d’occhio. Aveva sperato - anche se una parte di lei conosceva già l’esito dell’esame del dottore - che venisse trovato qualcosa di più sostanzioso, un indizio che potesse portare loro nella giusta direzione. La testimonianza della signora Northwood sembrava aver aperto uno squarcio in quella fitta nebbia in cui stavano brancolando, ma ecco che Dietrich tornava a gettare acqua sul fuoco.

Niente armi, niente veleno, e niente prove. 

- Sa, dottore, tutta questa faccenda è assurda.- disse la donna, appoggiando la schiena contro la poltrona con aria stanca. - Abbiamo un uomo che è stato rapito, eppure non si è divincolato, però non era sedato. Abbiamo un altro uomo, con le abilità di un funambolo, che salta dalla finestra del primo piano con un uomo del peso di Carl Northwood in spalla e non lascia traccia alcuna.-

Il dottore annuì, piano, una scintilla strana che scoccava nelle sue iridi. Il capitano non seppe capire se si trattasse di sospetto, disagio o semplice curiosità, ma intuì che Danielle aveva un piano e la lasciò fare.

- Sono d’accordo con lei, Frauerin. La cosa, però, non mi stupisce per niente. Northwood era un uomo potente, a Londra. Doveva sicuramente avere molti nemici, specie quando un uomo si fa strada nel settore dell’imprenditoria edile, come lui.-

Danielle si finse stupita, e William capì immediatamente che cosa avesse intenzione di fare. Era incredibile constatare con quale facilità avesse fatto cadere il dottore nella sua trappola e ne rimase affascinato. 

Adesso capiva come mai i criminali di Londra avevano paura di essere interrogati da lei. 

- Vi conoscevate, dunque?-

- No.- disse un po’ troppo in fretta, ma ancora in inglese. - Ma mi sposto molto quando visito a domicilio, e ho visto molte delle sue opere in costruzione.-

Gli occhi della donna, invece, si fecero volpini.

- Mi scusi, temo di non aver capito. Io credevo che lei fosse un medico legale.-

- Lo sono.- rispose quello, annuendo visibilmente.

- E per quale motivo visita a domicilio?-

Il medico si irrigidì impercettibilmente sulla poltrona e si aggiustò un poco.

- Sono medico legale, ma qua in Inghilterra esercito come medico generico.-

- In Germania esercitava come medico legale?-

- Ja. Aber, Nein.-

Primo cambio di lingua e con una evidente contraddizione. Poteva essere un segnale interessante. Forse valeva davvero la pena di battere il ferro finché era caldo.

- Ovvero?-

- Ero medico chirurgo, ma ho esercitato anche come medico legale.-

- E perché qua non esercita la sua professione originaria?-

- Ich wollte den Beruf wechseln.-

Volevo cambiare professione.

Danielle alzò un sopracciglio. 

Troppo facile.

- Capisco. I morti non devono essere di grande compagnia, così ha cambiato di nuovo?-

- Già.- concluse il dottore, e si accomodò meglio nella sua seduta.

Ritorno all’inglese. Singolare.

- Spero che mi perdonerà se la tedio con questa storia, dottore, ma abbiamo bisogno che anche lei, come tutti gli altri, ripercorra la sua giornata.-

L’uomo sbatté le palpebre in segno d’assenso. Tutto bianco come era, sembrava un saggio aristotelico sopravvissuto fino al Trentasei.

- Mi sono alzato piuttosto tardi per i miei gusti, e sono sceso a colazione. Ho passato tutto il giorno con Mercedes, per aiutarla con l’inglese. Abbiamo chiacchierato tutta la mattina in riva al lago. Poi, siamo andati a pranzo. Infine ci siamo seduti sotto l’albero, quando voi ci avete incontrato, e le stavo insegnando un po’ di tedesco, anche se lo parla già in modo abbastanza comprensibile.-

- Il flauto magico di Mozart. Ricordo.-

- Poi siamo rientrati per un bicchiere nel salone, quando abbiamo sentito un grido. Ho lasciato Mercedes con la signora Smith e sono uscito con il domestico e lo studente per cercare Northwood, ma non lo abbiamo trovato. Pioveva tanto e non si vedeva niente. Abbiamo abbandonato le ricerche poco prima che rientraste voi due con la cattiva notizia.-

Danielle annuì, apparentemente concorde. Poi, poggiando i gomiti sul tavolo con un’aria sempre apparentemente sconsolata, continuò:

- Siamo in una situazione terribile, dottore. Non abbiamo nulla. Non abbiamo l’esatta causa della morte, non abbiamo un movente, né un indiziato. Di una cosa, però, sono certa.-

William Collins sedeva sull’attenti, col fiato sospeso, perché questa volta la furbizia sul volto della donna si era fatta evidente.

- Io vivo a Londra da molto più tempo di lei, e non ho mai visto un cartello con un’impresa che facesse capo direttamente al signor Northwood.-

Il dottore sembrava molto a disagio adesso. I suoi occhi avevano acquisito una mobilità curiosa, come se stesse osservando ogni singolo movimento dentro la stanza. Il capitano lo trovò estremamente interessante. 

- Inoltre, so per certo che lei non ha fatto colazione con Mercedes, e che la ragazza ha passato la mattina a studiare Shakespeare da sola nella sua camera.-

Le mani del dottore si erano strette convulsamente al gambale dei pantaloni. 

- Le dirò di più. E’ stato fatto il suo nome…-

Pericoloso, pensò il capitano. Logicamente, l’unica che poteva averlo fatto era la signora Northwood. Per quale motivo Danielle aveva implicato la signora di fronte ad un potenziale assassino?

- … Assieme a quello di Gordon Van Allen.-

Questa volta il dottore attraversò una serie di fasi, tutte visibili sul suo volto bianco come la neve. All’improvviso divenne grigio come un topo, poi sbottò in una serie di sfumature di rosso per poi esplodere in un turbinio di baffi bianchi e saliva.

- Nein!- gridò, dondolandosi avanti e indietro sulla sedia e strusciando le mani sui pantaloni di velluto. Sembrava volersi alzare, o battere i pugni sul tavolo, ma non fece né l’una, né l’altra cosa.- Ich bin ein guter und ehrlicher Mann!- aggiunse, enfatizzando la frase con il moto delle mani.- Mein Name sollte niemals mit dem Morder zusammengehen!- e continuava a mulinare le mani per aria con movimenti bruschi.  

Danielle non si scompose.

- Sono felice che lei si definisca un uomo buono ed onesto, ma perché, allora, sta mentendo ad un pubblico ufficiale?- concluse, indicando con un gesto eloquente il capitano. 

Il dottore scuoteva il capo ed anche i capelli bianchi cominciarono a scomporsi.

- Io con quel farabutto non ho niente a che fare!-

- E con Northwood, invece?-

Joseph Dietrich la guardò male.

- Vorrei non averlo mai incontrato.-

Danielle si accomodò sulla sedia, una penna e un foglio pronti per essere usati. Il capitano, taccuino alla mano, non vedeva l’ora di prendere appunti.

Il dottore, per parte sua, consapevole che ormai aveva perso completamente la battaglia, abbassò le spalle in segno di resa e riprese fiato:

- Mi sono laureato in medicina e chirurgia a Colonia. Ero giovane, all’epoca, e la guerra mi ha colto non appena ho cominciato ad esercitare la professione. Ho fatto il medico in trincea, un’esperienza che non dimenticherò mai. Non è stato piacevole. Si può dire che il conflitto abbia distrutto le nostre vite. La mia e quella di Ute. Era mia moglie, l’avevo conosciuta all’università. Era auditrice alla facoltà di astrofisica e finché è vissuta ha insegnato e fatto ricerca, ma la guerra può fare ammalare. E’ morta nel Ventidue.-  

Danielle fece un paio di conti. Se la guerra aveva colto il dottore fresco di laurea e nuovo all’esercizio della professione, significava che doveva aver avuto di certo meno di trent’anni. Questo significava che, ad occhio e croce, nell’anno corrente il dottor Dietrich doveva avere circa cinquant’anni, anno più, anno meno.

Un età che purtroppo non dimostrava.  

- Ho sempre amato il mio paese, anche se non mi ha dato molte soddisfazioni. La guerra è stata un disappunto che mi ha quasi fatto allontanare dalla cosa pubblica. Quando è finita, però, avevamo tutti una gran voglia di rinascere e lasciarci il passato alle spalle. Così, mi sono riavvicinato a certi movimenti politici moderati, anche se non mi piaceva per niente il loro atteggiamento nei confronti di alcuni, soprattutto generali.-

Danielle ricordava distintamente di aver approfondito l’argomento a tavola con suo padre, tanti anni prima. Edgar Peters era stato chiamato al fronte sotto l’Inghilterra, nonostante avesse la doppia cittadinanza elvetica. Era rimasto ferito ad una gamba e, siccome non era più giovanissimo, era stato rispedito a casa, congedato, con il compito di provvedere agli approvvigionamenti per il fronte.

Lei e sua madre avevano passato orribili nottate insonni cercando di calmare i suoi incubi, quando ancora credeva di essere chiuso in trincea sotto il fuoco tedesco, stringendo i pugni così forte da farsi male, convinto di star reggendo la baionetta.

Suo padre aveva sempre avuto simpatie socialiste, nemmeno troppo moderate. Per questo motivo, quando aveva avuto notizia delle rivolte successive all’arresto dei marinai della Flotta d’alto mare tedesca, ammutinatisi dopo aver ricevuto l’ordine di portare a compimento un’azione militare senza speranza che avrebbe interrotto inutilmente le trattative per la pace, ne era stato ben contento ed aveva accolto con favore l’insediamento dei consigli dei lavoratori.

Che poi un borghese orologiaio svizzero tifasse per i socialisti, era stato motivo di dileggio durante le loro chiacchierate a casa. 

Era stato un po’ meno felice del passaggio di poteri - giuridicamente discutibile - tra il Principe Massimiliano e Friedrich Ebert, capo dei Socialdemocratici Maggioritari, e del successivo patto stretto con il Comando Supremo dell’Esercito, guidato dal Capo di Stato Maggiore Paul Von Hindenburg, dal suo collega Erich Ludendorff e dal suo successore Wilhelm Groener. Il patto stabiliva che il governo non avrebbe cercato di riformare l'esercito fino a quando l'esercito avesse giurato di difendere il governo. 

Se da una parte questo accordo aveva simboleggiato l'accettazione di un nuovo governo da parte dei militari - fatto che, la storia le aveva insegnato, non era mai del tutto scontato - e mitigato il nervosismo del ceto medio, dall'altra parte era stato considerato dai movimenti di sinistra un tradimento degli interessi dei lavoratori. 

Suo padre, poi, le aveva anche fatto notare che con quell’accordo l’Esercito sarebbe divenuto un gruppo indipendente e conservatore all'interno dello Stato, in grado di influenzarne il destino.

Il dottore continuò.

- Nonostante avessi una visione diversa della società da quella dei Socialdemocratici, ho partecipato a diverse manifestazioni, che non sempre sono finite bene. Avete mai sentito parlare di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg?-

- Gli Spartachisti?-

- Sì. Con loro non c’entravo, ma quel giorno mi trovavo comunque là. Qualcuno tra i membri dei Freikorps forse si ricorda ancora di me. - e sogghignò, guardandosi le mani, come a dire che gliele aveva suonate. - Quello è stato anche il giorno in cui ho capito che non c’erano affinità elettive tra me e i movimenti socialisti. Mi sono allontanato, ancora, e mi sono tenuto fuori dalla politica, salvo qualche saltuaria partecipazione, fino a che non è arrivato un uomo di grande valore morale che, posso dire con onore, è stato mio amico. Gustav Stresemann.- 

Danielle e William si lanciarono uno sguardo perplesso.

La storia del buon dottore stava diventando davvero complessa ed intrigante e, se le circostanze non fossero state così difficili, avrebbero ascoltato a non finire.

Entrambi infatti conoscevano bene i Freikorps, gruppi armati irregolari che, dopo la fine del conflitto, si erano trasformati in milizie composte da ex-soldati e volontari solitamente di estrema destra. Quei corpi armati, ingaggiati dallo stesso Ebert, avevano sedato nel sangue i tentativi di instaurare uno Stato socialista, scontri conclusisi e culminati con il duplice omicidio degli spartachisti Liebknecht e Luxemburg. 

- Mi sono avvicinato al Partito Popolare di Stresemann poco prima del colpo di Stato di Wolfgang Kapp. Lo conoscete?-

Danielle e William annuirono.

Kapp era il giornalista di estrema destra che, nel Venti, proprio grazie all’aiuto dei Freikorps che il dottore diceva di aver ripetutamente percosso, aveva preso Berlino, salvo poi trovarsi a dover gestire gli stessi Freikorps, che gli si erano rivoltanti contro, preferendogli la creazione di uno Stato autoritario come l'Impero del 1871.

Era stato in quel periodo che avevano cominciato a mettere in giro la voce che i principali partiti protagonisti della neonata Repubblica di Weimar fossero complici della sconfitta bellica tedesca, la famigerata pugnalata alla schiena che aveva convinto tanti a cercare vendetta, sostenendo successivamente un piccoletto baffuto di loro conoscenza che, in quel momento, era Cancelliere del Reich da qualche anno. 

- Ebert aveva spostato il governo da Berlino a Dresda ed indetto uno sciopero generale, che aveva paralizzato letteralmente l’economia e costretto Kapp, già minato nel sostegno politico, al collasso. Nel Ventuno conobbi Stresemann casualmente ad un comizio. Aveva viaggiato tanto ed era stanco, ebbe un calo di pressione assolutamente innocuo, ma allarmò i suoi, che cercarono un medico in sala. Gli offrii qualcosa da bere e del cibo e cominciammo a chiacchierare delle spese insostenibili imposte dal Trattato di Versailles, delle bugie della destra estrema, che continuava a pestare i manifestanti e a sedare le rivolte senza ricevere ordini da parte del governo. Era chiaro che prima o poi sarebbe successo qualcosa che avrebbe fatto esplodere il paese, e c’era bisogno di un piano. Un piano che lui aveva e che mise in atto nel Ventitré, quando divenne cancelliere. Mi chiese se volessi lavorare per la Repubblica, e così feci. Mi occupavo delle comunicazioni, anche se non erano esattamente la mia specialità.-

Danielle conosceva Stresemann di fama. Leader del Partito Popolare Tedesco, democratico liberale, era stato Cancelliere nel Ventitré e Ministro degli Esteri fino alla morte, nel Ventinove. La sua politica aveva ottenuto discreti risultati: aveva arginato l’inflazione e dilazionato i debiti di guerra, ma era stato soprattutto in politica estera che aveva dato il meglio di sé. Ricordava il suo grande successo con gli Accordi di Locarno del Venticinque, riconoscendo la perdita dell’Alsazia e della Lorena e la smilitarizzazione della Renania. Con quella decisione, aveva trasformato la Germania da vinto a interlocutore internazionale, portandola addirittura all’interno della Società delle Nazioni voluta dal presidente americano Woodrow Wilson.

Si poteva dire che avesse fatto un solo errore, se di errore si poteva parlare. 

Ovvero, sottovalutare un certo ometto baffuto in una birreria, che aveva fondato il Partito Nazionalsocialista tedesco dei Lavoratori, al momento noto come Partito Nazista, e che aveva goduto dell’appoggio di nientemeno che del summenzionato Generale Ludendorff. 

Se Danielle ricordava bene, infatti, il giovane Hitler era finito in carcere, condannato a cinque anni per aver tentato di prendere Monaco a capo di tremila rivoltosi, scontandone nei fatti solo uno. 

Chissà come sarebbero andate le cose, se il giudice avesse stabilito altro. 

- Ma Stresemann era malato e la sua salute è peggiorata. E’ morto e tutto è finito. Per i gruppi politici come il Partito Nazionalsocialista, le persone liberali e democratiche come noi sono il vero e proprio male della società. Praticamente chiunque sia diverso da loro è un cancro da estirpare. Per non parlare degli ebrei. Loro odiano gli ebrei. Guardate che cosa fanno e dicono adesso che sono al governo. Inqualificabili.-

Danielle e William si guardarono, consapevoli di non potergli dare torto, e lo lasciarono proseguire.

- Molti di loro mi conoscevano per il mio attivismo politico. Altri mi evitavano semplicemente perché per loro ero ebreo.-

- E lo è?-

- Cambierebbe qualcosa?- disse, guardandoli male. 

William e Danielle scossero la testa come un sol uomo.

- No, non lo sono.- concluse il medico, sospirando. - Ma dicono che ho l’aspetto da giudeo, e la mia Ute era di stirpe ebraica.- concluse.

 Il dottore sembrava riluttante a parlare di lei, e i due preferirono non interrompere il suo racconto, così gli fecero cenno di continuare.

- Quindi?-

- Per loro sposare un’ebrea è praticamente un crimine. Dopo il governo di Stresemann ho lasciato la politica ad alti livelli per ricominciare ad esercitare. Sono stato il suo medico fino alla fine. Poi, gli estremisti hanno fatto in modo di farmi perdere il lavoro all’ospedale. Ho provato ad esercitare come medico generico, ma per me e per molti altri come me, ormai, l’unica strada resta l’emigrazione. Così me ne sono andato, prima che fosse troppo tardi. Sono stato un codardo, lo so. Non c’è bisogno di dirlo.- disse, fissando il capitano, intensamente.

- Non mi sarei mai permesso, dottore.-

Ed era sincero.

- In molti lo pensano. Io per primo. Anche Northwood la pensava così. L’ho conosciuto appena arrivato in Inghilterra, nel Trentatré. L’ho incontrato in un pub, davanti ad una pinta di birra. Mi offrì un locale per esercitare la professione. Per me era un momento molto difficile ed accettai. Quel piccolo appartamento mi ha salvato la vita, ma presto capii che affidarmi a Northwood era stato un enorme errore.-

- Per quale motivo, dottore?-

- Cominciò a chiedermi soldi, sempre più spesso, sempre di più. Sono sempre stato parsimonioso, ho risparmiato fino al centesimo per affittare un altro appartamento, così un giorno gli ho dato il benservito. Non la prese bene. Mi minacciò. Mi puntò un coltello alla gola. Poi ha mandato qualcuno dei suoi amici durante il trasloco, hanno rotto un po’ di cose e volevano rompere anche le mie ossa. Ci sarebbero anche riusciti, se non fossi stato preparato.-

William sollevò le sopracciglia e il dottore abbozzò un sorriso mesto. La sua figura, da algida, austera e rigorosamente composta si era piegata sotto il peso dell’interrogatorio, come una canna da giunco nel forte vento. 

- Insomma, ho fatto a botte contro i Freikorps. Non sono proprio gracile come sembro.-

Poi, continuò:

- Mi sono trasferito e ho perso ogni contatto con lui. Mi ha ricercato un’altra volta. Ci siamo dati appuntamento in un caffè. Voleva propormi di fare pace in cambio di un nuovo affare. Qualcosa a proposito della vendita di medicinali ospedalieri. Non lo ascoltai nemmeno. Gli dissi che non volevo entrarci, e che anche lui avrebbe dovuto finirla, o prima o poi qualcuno gliel’avrebbe fatta pagare cara. Se ne andò, arrabbiatissimo. Poi, mi ha cercato un’ultima volta, in preda alla disperazione. Voleva che falsificassi un rapporto d’autopsia. Non l’avrei mai fatto, ma quando mi resi conto che si trattava di una bambina, della sua bambina, che aveva pagato per i suoi sbagli, persi il lume dagli occhi. Quell’uomo non aveva un briciolo di rispetto nemmeno per sua figlia. Lo lasciai da solo.-

William e Danielle non sapevano che cosa dire. 

La storia del dottore era molto affascinante. Sostanzialmente era un rifugiato politico. Immaginarsi Joseph Dietrich nel bel mezzo di una rissa con gli estremisti della destra nazionalista era quasi impossibile, data la sua corporatura magra e sottile. Riusciva loro ancora più difficile immaginarselo come l’ebreo stereotipato della propaganda, dal momento che era talmente bianco da sembrare albino e dal loro punto di vista non c’era quindi niente di più nordico. 

Un medico che aveva tenuto testa ai sodali di Gordon Van Allen e l’aveva pure avuta vinta.

Niente male, per un laureato in medicina.

Inoltre, il buon dottore aveva appena risolto il mistero della morte di Johanna.

Altro che morte naturale. Qualcuno aveva falsificato il suo rapporto d’autopsia, ed era, probabilmente, proprio la ragione per cui avevano voluto assegnare quel caso a Danielle anni prima, se lei non avesse dato le dimissioni da Scotland Yard. 

- Anche se Carl Northwood ne aveva combinate di tutti i colori, non avevo motivo per ucciderlo.- proseguì il dottore, finalmente rilassato, come se si fosse tolto un peso dal petto. - Era antipatico e senza scrupoli, certo, ma aveva più da perdere di me, se fosse circolata la voce della sua richiesta di falsificare il rapporto d’autopsia della figlia, ad esempio. Io non ho niente da nascondere. Ce lo avrei- disse, facendo una strana pausa e lanciando occhiate significative ai due.- Se mi trovassi, ipoteticamente, ad aiutare altri fuggiaschi come me.-

- Ipoteticamente.-

- Natürlich.-

Danielle e William si guardarono e sogghignarono.

- Quindi come sono andate veramente le cose, dottore?- chiese il capitano.

L’uomo sospirò.

- Sono venuto in vacanza qua per aiutare Mercedes, e sono sincero. Non avevo la più pallida idea che Carl fosse qui. Sono sceso a colazione e mi sono successivamente riposato su una sedia sdraio vicino al lago. Non so se qualcuno mi abbia visto. Poi, dopo pranzo, io e Mercedes ci siamo intrattenuti sotto l’albero, come voi sapete, fino al calar del sole. Eravamo nel salone assieme a tutti gli altri.-

- Per curiosità - chiese Danielle, furbescamente.- Anche Mercedes conosceva Northwood?-

Il dottore scosse il capo.

- Non che io sappia.-

- E allora di che cosa parlate così spesso?-

Questa volta, fu il turno del dottore di fare il furbo.

- Credo che questo dovreste chiederlo a lei. Del resto, è spagnola.- disse, rivolgendosi al capitano.- Giusto?-

Il capitano, questa volta, sorrise.

- Giusto.-

Comprendendo che, sotto questo profilo, il dottore aveva la bocca cucita, Danielle gli porse il foglio.

- La lista degli interrogati.-

L’uomo prese la penna con la mano sinistra e firmò agilmente. I suoi piedi erano grandi, ma proporzionati con il resto del corpo.

Il medico prese la porta e se ne andò, lasciando i due soli dentro la stanza

- Hai capito il dottor Dietrich.- sbuffò Danielle, passandosi una mano tra i ricci folti.

- Che avrei dato per vederlo in azione.- disse il capitano, finendo di appuntare qualcosa sul suo taccuino. - Codardo un corno. Quest’uomo ha più fegato di tanti altri.-

- Cos’era quell’allusione alla Spagna?- chiese Danielle, curiosa.

Il capitano fece un sorriso furbetto.

- Credo che la nostra Mercedes non sia solo una studentessa di lingue, o una ballerina di flamenco.- disse, sistemandosi meglio sulla poltrona.- Ma non ho ancora le prove per dimostrarlo, e non vedo l’ora di interrogarla.-

- Non credo che sia coinvolta nell’omicidio.- disse Danielle, dondolandosi lentamente sulla sedia.- Mi sembra che, di tutti, sia l’unica veramente estranea. Non c’entra niente con la figura che ha visto la signora Northwood.-

- Tendo a concordare con te.- disse il capitano, mentre si avviava a chiamare la signora Smith un’altra volta. - Considerata però la posizione dei coniugi Webber, credo che sia meglio parlare con loro, prima di interrogare lei.-

 

TRADUZIONI DAL TEDESCO

Guten Tag, Doktor. Haben Sie gut geschlafen?: Buongiorno, dottore. Ha dormito bene?

Ja, danke: Sì, grazie.

Ja. Aber, Nein: Sì, cioè, no.

Ich wollte den Beruf wechseln: Volevo cambiare professione. 

Nein! Ich bin ein guter und ehrlicher Mann! Mein Name sollte niemals mit dem Morder zusammengehen!: No! Io sono un uomo onesto e probo! Il mio nome non deve nemmeno essere associato a quello di quell’assassino!

Natürlich: Naturalmente.

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Capitolo 25
*** Parte 2, capitolo 7: Era un uomo odioso, e io lo odiavo, come molti altri, del resto. ***


Era un uomo odioso, e io lo odiavo, come molti altri, del resto.

 

Jodie Webber comparve sulla soglia, il sorriso sul volto, ma l’aria tirata. Si sedette sulla sedia e cominciò subito a ballare. I piedi saltellavano contro il pavimento, le gambe tremavano e le mani, rigide come stoccafissi, erano nascoste sotto le cosce. 

Danielle trovò il tutto estremamente interessante, specie dal momento che a mettere in atto quel comportamento era niente meno che la sorella di Eveline Northwood.

- Come sta, signora?- le chiese, cercando di farla rilassare un poco, ma la donna sembrava non volerne sapere.

- Bene, grazie.- la risposta era arrivata velocemente, con le sillabe pronunciate una accanto all’altra.

Era chiaro che non vedeva l’ora di uscire da lì.

- Perché non ci parla un po’ di lei, signora? La sua vita, il suo rapporto con la sorella, per esempio.-

Jodie si schiarì la voce, scostando la testa a destra.

Un discorso preparato, forse.

- Io e mia sorella siamo sempre state molto legate. La nostra famiglia ha un modesto patrimonio, non particolarmente grande. Quando lei ha conosciuto Carl è stato subito considerato un buon partito e il matrimonio è stato molto caldeggiato dalla nostra famiglia. Io ero contraria. Carl non mi piaceva. C’era qualcosa di falso nel suo comportamento, e per me, che passavo molto tempo assieme a lui e a mia sorella, era molto evidente. Si è realizzato quello che temevo. Lui la picchiava. Era un gran mascalzone. Credo che fosse incapace di volere bene a qualcuno. Era un uomo odioso, e io lo odiavo, come molti altri, del resto. Volevo che smettesse di fare male a mia sorella, ma io non avevo voce in capitolo.-

Non in modo onesto, di certo.

- Ha mai trovato il modo di manifestare il proprio dissenso nei confronti di suo cognato?- aggiunse il capitano, senza alcuna insinuazione intenzionale, ma Jodie Webber, evidentemente, non la prese allo stesso modo ed andò ancora di più nel panico.

- Non l’ho ucciso io! Non avrei mai potuto! Non sono capace! Eveline, poi, anche se era un gran farabutto, lo amava. Non farei mai del male a mia sorella!-

Danielle sospirò, cercando di battere il ferro finché era caldo, anche se, a volte, odiava il suo lavoro.

- Ci dica che cosa ha fatto nella giornata di…-

Ma la signora non la fece nemmeno finire. 

- Siamo scesi a fare colazione verso le otto, io e mio marito. Poi siamo usciti. Io sono rimasta con mia sorella, che si è sentita male per via delle pillole e del sole. Volevo accompagnarla in camera prima di pranzo, ma Carl ha insistito per far da solo. Dopo pranzo sono rimasta con mio marito tutto il pomeriggio, abbiamo fatto una piccola passeggiata attorno al lago. Poi mi sono assopita sulla sedia sdraio. Quando è calato il sole siamo rientrati. Siamo rimasti sempre con Eveline, la signora Rogers può testimoniarlo.-

- Mariah Rogers?-

- Non credo che ve ne siano altre, lei che dice?- rispose al capitano, stizzita. Poi, consapevole che non era nella posizione giusta per fare del sarcasmo, sospirò ed abbassò la testa. - Sì, è un’infermiera provetta.-

Danielle dovette ammettere che il capitano era molto bravo a leggere le persone. Pensò anche che Jodie Webber dissimulava male la propria tensione. Fin dall’inizio lei e il marito erano sembrati particolarmente agitati, e la cosa le aveva subito fatto pensare che i due avessero qualcosa da nascondere. Della coppia, l’osso più duro sembrava Richard Webber, tuttavia l’uomo si era tradito il giorno prima, entrando troppo nei dettagli della morte per malore di Johanna Northwood, cosa che le aveva subito fatto dubitare della veridicità delle sue dichiarazioni.

Forse avrebbe potuto giocare bene le proprie carte, sfruttando il rapporto tra moglie e marito.

- Mi dica, signora, come ha conosciuto suo marito?-

Jodie, evidentemente, non si era aspettata la domanda e parve rilassarsi un poco, sorridendo al ricordo.

- Io lavoravo come cameriera nel caffè di fronte all’università. Lui era appena uscito e aveva sostenuto un esame. Era solo e mi chiese un cappuccino. Avevo quasi finito il turno. Mi chiese di restare a fargli compagnia.-

- Da allora siete rimasti sempre insieme?-

- Oh, sì. E’ successo molto prima che Eveline incontrasse Carl. Io sono la più piccola delle due, ma sono sempre stata la più precoce. La nostra è una famiglia molto religiosa, ed Eveline è stata quella che ha subito di più l’influenza dei nostri genitori. Io sono sempre stata quella ribelle.-

Anche lei parlava con dovizia di dettagli, forse per nascondere qualcosa. 

- Anche ieri è sempre stata assieme a suo marito?-

- Sì.- 

La risposta, secca e perentoria, era arrivata un po’ troppo velocemente, e la mobilità degli occhi della signora non ispirava molta fiducia. 

C’era inoltre un piccolo dettaglio che Danielle aveva notato, durante i suoi interrogatori a Scotland Yard. Spesso, i suoi sospettati davano una risposta e si contraddicevano con i cenni del capo. Anche in quel caso, la donna aveva profferito un secco , per poi fare cenno di no con la testa.

Interessante.

Danielle ipotizzò che fosse il caso di utilizzare l’informazione che aveva loro fornito la signora Northwood. Le versioni delle due sorelle, infatti, non concordavano, almeno in un punto.

Ovvero, il ruolo di Richard Webber ed il probabile litigio con Carl Northwood.

- A noi risulta, signora, che suo marito sia andato a fare una passeggiata con la vittima lungo il lago, mentre lei è rimasta con la signora. E’ vero?-

Jodie sbiancò ed annaspò in cerca d’aria.

- Sì.-

- Allora perché lo ha omesso? Le ricordo che la falsa testimonianza è un reato, signora.- la redarguì il capitano, pur rimanendo delicato. 

La signora Webber sembrava disperata. 

- Mio marito è innocente!-

- Questo lo lasci decidere a noi.-

- Lo so che sembra colpevole, ma non lo è! Avevo chiesto ad Eveline di aiutarmi, ma è troppo sconvolta e non capisce! Richard è andato a fare una passeggiata con Carl, che è tornato da solo, furibondo. Mio marito è tornato più tardi. Avevano litigato per via di Johanna e del suo malore.-

- Perché?-

Il ritmo delle domande di Danielle era incalzante, e sembrava tutto meno che accomodante, a differenza di prima. William notò il cambiamento e se ne chiese il motivo. Jodie Webber sembrava una donna normale, per bene, ed era molto difficile considerarla colpevole. Anche l’atteggiamento terrorizzato che stava manifestato in quel momento non corrispondeva con un profilo da assassino. Certo, poteva essere un’abile bugiarda, ma l’opzione più probabile era che stesse proteggendo il marito, e probabilmente era esattamente a questo che Danielle puntava. 

- Perché è stato lui a prestare i primi soccorsi! Carl lo ha accusato di non aver fatto bene il suo dovere, ma non è vero! Richard non c’entra niente!-

- Ci dica la verità. Suo marito è rimasto sempre con lei?-

Jodie Webber sembrava sull’orlo delle lacrime.

- No.-

William e Danielle si guardarono, intendendosi.

- Vada avanti.-

- La mattina l’ha passata con Carl. Il pomeriggio l’ha passato con me, ma quando mi sono svegliata dal mio pisolino, lui non c’era. E’ tornato poco dopo. Non mi ha detto dove sia andato. Vi prego, è innocente!-

Il capitano sospirò e porse il foglio alla signora.

- Firmi qua, poi potrà andare.-

La donna prese la penna con la destra e firmò. I suoi piedi erano piccoli e proporzionati, come quelli della sorella.

Si alzò e si affrettò a raggiungere la porta, quando Danielle la fermò.

- Mi ripeta, signora Webber. Johanna è morta di malore?-

La donna non si voltò nemmeno a guardarli.

- Sì.- disse, affondò la maniglia e uscì di corsa dal salone.

 

- Però.- fece il capitano.- Che fretta.-

- Diamo loro un po’ di tempo, prima di chiamare il dottor Webber. Sarà interessante vedere che cosa succederà, dopo aver gettato il sasso in acqua.-

William, la mano sulla maniglia della porta, si fermò e si appoggiò con la schiena al muro.

- Hai agito da agente destabilizzante.-

- Si sono messi d’accordo su qualcosa, e Webber è a conoscenza della vera causa della morte di Johanna. Sospetto che sia stato lui a falsificare il rapporto d’autopsia.-

Il capitano parve pensarci su.

- In fondo, ha senso.- concluse, giocando con i bottoni della camicia.- E’ un medico, avrebbe avuto le competenze per farlo, e poi Northwood era un gran mascalzone, magari lo ha minacciato.-

- O lo ricattava, come ha provato a fare con Dietrich.-

William le sorrise, di un riso bello e sereno, che per un momento la distrasse dal caso e dalle loro deduzioni.

- Immagino che questo sia un interrogatorio tranquillo, rispetto a quelli che facevi a Scotland Yard.-

Danielle abbozzò un sorriso mesto.

- Fisicamente, non avevo la stazza, ma sapevo entrare nella loro testa.-

- Pensi che menta?-

- No.- concluse Danielle, sdraiandosi sullo schienale della poltrona e stirandosi come un gatto.- Credo che dica la verità, a parte sulla morte di Johanna.-

 

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Capitolo 26
*** Parte 2, capitolo 7: Non ho testimoni, naturalmente. ***


Non ho testimoni, naturalmente.

 

Quando Richard Webber sedette sulla sedia del salone, aveva l’aria molto contrariata, per quanto potesse esprimere il suo volto apparentemente svampito.

Danielle aveva imparato a diffidare di quelli come lui. Dietro l’aria innocua, spesso nascondevano un animo calcolatore, capace di macchinare i peggiori stratagemmi. Webber non aveva di certo l’aspetto dell’assassino, e i suoi capelli, che sembravano dotati di vita propria, non passavano di certo inosservati. Tuttavia, era un uomo intelligente, un medico innovativo e brillante che nascondeva uno sguardo vivido dietro le palpebre pesanti e gli occhiali di corno. 

Richard Webber costituiva un esempio chiaro di come l’abito non facesse il monaco.

E’ uno psichiatra. Questa volta potrebbe essere una battaglia impari. 

- Come sta, dottore?-

- Starei meglio se non faceste venire a mia moglie una crisi isterica.-

William e Danielle si guardarono. Il dottore non aveva mosso un muscolo, né aveva cambiato espressione, ma il tono passivo aggressivo della frase aveva reso loro chiare molte cose.

- Suppongo - andò avanti il capitano.- Che sua moglie le abbia riferito che ha mentito spudoratamente per proteggerla.-

Webber annuì.

- Jodie ha sbagliato. Vi avrei raccontato comunque tutta la storia.-

I due si fecero tutti orecchie. 

- Dopo aver fatto colazione con mia moglie, siamo usciti in giardino, assieme a Carl ed Eveline. In più di un’occasione ho fatto presente a mio cognato che la presenza di Jodie avrebbe potuto aiutare Eveline a guarire, e quella mattina ha acconsentito a lasciarle assieme. Credo, però, che volesse principalmente parlare con me, ed avesse bisogno di qualcuno che facesse da balia - almeno così Carl era solito dire - a sua moglie. Mi ha invitato a fare una passeggiata attorno al lago e mi ha attirato lontano dall’albergo. Lì mi ha preso a male parole, dicendo che io avevo messo in giro la voce che sua figlia Johanna era morta per un colpo d’arma da fuoco e non per un malore. Io ho negato tutto, ma Carl non ne voleva sapere. Abbiamo discusso per un po’, lui ad accusare ed io a negare. Alla fine, se n’è andato, furibondo. Io l’ho tallonato e sono tornato da mia moglie.-

- Ed è così?-

Il dottore guardò Danielle, un guizzo negli occhi sotto le palpebre pesanti.

- Che cosa?-

- Ha messo lei in giro la voce?-

- Assolutamente no. Johanna è morta per un malore, lo dice il rapporto d’autopsia ed io non traggo alcun vantaggio dal mettere in giro una voce del genere. Ammetto che detestavo mio cognato, ma ogni azione intrapresa contro di lui è un danno a mia cognata, e non farei mai del male alla sorella di mia moglie, nonché mia paziente.- 

Webber, forse perché era specializzato in psichiatria, era difficile da leggere. Sembrava avere un notevole controllo di sé, le sue espressioni facciali erano ridotte al minimo ed anche il suo corpo era perfettamente controllato. Sembrava una sfinge, senza tradire il minimo movimento del piede o tensione nelle dita delle mani. 

Danielle era brava, ma non fino a quel punto. 

Lanciò un’occhiata in tralice a William, che ricambiò lo sguardo di sottecchi.

- Continui.-

- Quando siamo tornati, Eveline si sentiva già male ed abbiamo provato a portarla in camera sua. Carl si è opposto ed ha voluto fare da solo. Era prevedibile, del resto. Le pillole che prende sono forti, ed è probabile che il sole le abbia abbassato la pressione. Dopodiché, sono rimasto sempre con Jodie, tranne - e fermò Danielle, con un cenno della mano.- Nel pomeriggio, quando io e lei siamo usciti a prendere il sole, ed io ho avuto un piccolo problema. L’ho lasciata che dormiva in giardino, mentre io sono andato in bagno. Credo che sia stato qualcosa che ho mangiato ieri sera. Sono tornato a prendere mia moglie in giardino, che nel frattempo si era svegliata e, siccome stava per piovere, siamo rientrati. Non ho testimoni, naturalmente.-

William sembrava infastidito. Non aveva motivo di non credere al dottore, ma il suo atteggiamento da quando era entrato nel salone gli era sembrato antipatico. Aveva dimenticato, forse, che non era lui a condurre la conversazione e che, se volevano, potevano metterlo molto in difficoltà. Danielle, ad esempio, avrebbe potuto usare uno dei suoi trucchi da maestro e prenderlo in castagna con la questione del rapporto d’autopsia. 

Era un uomo abituato a dominare, ad avere sempre l’ultima parola sui suoi pazienti.

Uno che dava lezioni e non ne riceveva da altri. 

Danielle, tuttavia, sembrava non avere la benché minima intenzione di sfoderare gli artigli. Continuava a studiare il dottore, senza ricavarne alcun dettaglio utile, ed in quel momento stava maledicendo l’intero ordine degli psichiatri.

- Successivamente, invece?-

- Sono stato vicino ad Eveline per tutta la sera, con Jodie e la signora Rogers. Incredibile quanto sia brava. Deve aver fatto l’infermiera, o magari lo è ancora. So che non è molto loquace - e quando parla si rimpiangono i suoi silenzi - ma è una donna molto competente. A giudicare da quello che ho visto, deve soffrire di qualche male di trincea. Deve aver visto la guerra.-

William annuì e per la prima volta si rese conto che il dottor Webber aveva provato a dirottare la conversazione sulla signora Rogers. Quello, forse, era il primo indizio di disagio che aveva mostrato dall’inizio del colloquio. 

A pensarci bene, era lampante che Danielle avesse ragione. I loro interventi erano ridotti al minimo, ed era stato il dottor Webber a condurre la conversazione. Evidentemente, tendeva a diventare loquace solo quando era sotto pressione. 

- Che cosa pensava di suo cognato?-

Il dottor Webber spostò lo sguardo sul capitano, e questa volta una luce di sospetto attraversò i suoi occhi.

- Non lo odiavo e non lo amavo. Quando Eveline lo ha conosciuto, io avevo già sposato Jodie. Era un uomo curioso, un tipo strano e senza scrupoli, uno che se aveva problemi sapeva sempre come risolverli, o scomparivano magicamente, non so se mi spiego. Eveline, però, lo amava, e credo che, da qualche parte nel suo cuore di pietra, anche Carl la amasse. Dopo qualche tempo, mio cognato ha cominciato a fare un sacco di soldi. Non so come abbia fatto, ma è diventato improvvisamente ricco, ed i rapporti con sua moglie si sono raffreddati. I rapporti con noi non erano mai stati molto calorosi, per cui non ne abbiamo sofferto più di tanto. Tuttavia, Eveline era diventata il suo bersaglio preferito. La maltrattava, ed ho ragione di credere che la picchiasse. Poi è morta Johanna, e sono diventati due estranei sotto lo stesso tetto. Mi sono permesso di suggerirgli una terapia e lui, benché non credesse nella psichiatria, ha deciso di acconsentire. Così sono diventato il medico personale di mia cognata, e la cosa le ha permesso di rivedere Jodie dopo tanto tempo. Carl aveva isolato Eveline dal mondo. Povera donna.-

Danielle rimase a fissare il dottor Webber, e lui rimase a fissare lei. William rimase ad osservare lo scambio, muto, tra i due. Poi, con sua grande sorpresa, Danielle afferrò la lista degli interrogati e gliela porse.

- Firmi qua, per favore.-

L’uomo firmò con la destra rapidamente, ringraziò, si alzò e se ne andò, il rumore dei suoi grossi piedi trascinati lungo la sala da pranzo che scompariva lentamente. 

 

- E’ stato…-

- Da manuale. Uno psichiatra magistrale. Difficilissimo da interpretare, ma di una cosa sono certa. Richard Webber ha qualcosa da nascondere, anche se non so che cosa.-

William si passò le mani nei capelli ed allungò le gambe per sgranchirsele, stanco. 

- Tutto ciò che ha detto collima con le ricostruzioni che abbiamo e con le altre testimonianze.-

- Anche troppo. E’ stato perfetto. L’uomo che spiega tutto, che mette tutto a posto, mi spiego?-

William annuì e dette un’occhiata all’orologio. 

Era tardi e non avevano ancora cenato. 

- Questo caso è curioso, molto curioso.-

Il capitano aggrottò le sopracciglia, sorpreso, anche se non poteva fare a meno che concordare con Danielle.

- Ovvero?-

- La signora Northwood ha l’alibi solo per mezza giornata, finché è rimasta in compagnia della sorella, ma per il resto l’unico testimone sarebbe il morto, che, ovviamente non può provare nulla.  Dietrich aveva il movente, dopo tutti gli screzi che aveva avuto con la vittima. I coniugi Webber si difendono a vicenda. Jodie aveva un valido motivo per fare fuori il cognato, con tutto quello che aveva fatto alla sorella, ed ho il sospetto che anche Webber abbia qualche scheletro nell’armadio, oltre a ciò che ci ha appena raccontato.-

- Perché non lo hai torchiato di più, allora?-

- Con che cosa? Le mie sarebbero state solo illazioni. L’istinto mi dice che è dentro fino al collo nell’affaire del falso rapporto autoptico della nipote, ma non posso provarlo.-

William sapeva perfettamente che Danielle aveva ragione.

- Per non parlare di tutta questa storia, che ha dell’incredibile davvero.- continuò la donna, scuotendosi delicatamente i ricci rossi, come se così facendo volesse mettere ordine nei suoi pensieri.- Northwood che si fa seguire fino in vacanza dal suo assassino, che probabilmente agisce su commissione. Si fa portare via da un uomo corpulento che salta la finestra senza lasciare traccia, si fa trascinare senza fare uno strillo e si lascia buttare simpaticamente di sotto dall’unico strapiombo di tutta la valle. Senza opposi e senza essere drogato, vedi bene.-

- In effetti è tutto molto strano.-

- C’è anche qualcos’altro, e secondo me è la cosa più importante.- aggiunse Danielle, pensierosa.- Sia io che te abbiamo avuto a che fare con Gordon Van Allen e con i suoi sicari, e sia io che te possiamo dire che sono soliti avere il grilletto facile. La piccola Johanna concorderebbe.-

Il capitano annuì, intuendo la domanda.

- Com’è che Carl Northwood non è morto per un colpo di pistola?-

- Converrai con me che questa non è la modalità utilizzata di solito per le esecuzioni.-

Questo, però, complicava le cose. William stava per replicare, quando Danielle anticipò la sua conclusione.

- L’esecuzione non era programmata, ma questo contraddice l’ipotesi di un assassinio su commissione. Insomma, mi sembra davvero molto strano che un sicario di Gordon Van Allen, vista la mala partita, preferisca uccidere con una pietra piuttosto che con un colpo di pistola.-  

Danielle continuò ad arruffarsi i ricci, pensando.

- Forse Northwood aveva altri nemici.-

- Sono assolutamente d’accordo.- disse il capitano, alzandosi.- E sono anche convinto che mettere qualcosa sotto i denti non sarebbe una cattiva idea.-

- Ricordati che ce ne preparerebbe la signora Smith, potenziale indiziata.-

Il capitano rise di cuore.

- Amo correre il rischio di morire avvelenato. La verità è che ho fame.-

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Capitolo 27
*** Parte 2, capitolo 7: Sinceramente, non era una persona amabile. ***


Sinceramente, non era una persona amabile.

 

Gli ospiti cenarono ciascuno nelle loro camere, per loro libera scelta. Solo la signora Rogers e il dottor Dietrich azzardarono una sortita in sala da pranzo e consumarono il loro pasto in silenzio. 

Danielle e il capitano stavano ancora consumando la loro cena parca, seduti a tavola, quando tutti gli altri si ritirarono nelle loro stanze. 

Data la loro completa solitudine, Danielle si chiese se non fosse il caso di fermarsi a parlare per qualche secondo con i signori Smith. Immaginò che, essendo in casa per tutto il girono ed indaffarati con gli ospiti, sapessero un po’ tutto di tutti e potessero fornire delle conferme sugli alibi dei presenti. 

Così, chiesero ai coniugi Smith di avvicinarsi al salone ed accomodarsi con loro. Per una volta, l’ambiente fu reso meno formale. Il tavolo rimase in mezzo a loro, ma William e Danielle si appollaiarono, stanchi, sulle poltrone, con una tazza di infuso in mano e l’aria di voler solo fare conversazione. 

Danielle era consapevole che, nella situazione vigente, gli unici che potevano essere lontani da qualche sospetto erano i coniugi Smith. Non era così ingenua da farsi abbindolare, cadendo nello schema da romanzo per cui l’assassino non è mai il maggiordomo o il domestico. Semplicemente, aveva la sensazione che i segreti sulla storia di Carl Northwood si trovassero altrove. 

Il signor Smith, per la cronaca, non la prese granché bene. Si irrigidì, divenne scuro in volto ed entrò nel salone con passo cadenzato, quasi come un condannato a morte, visibilmente a disagio.

- Vi ringrazio per la vostra disponibilità, signori.- esordì il capitano, cordiale.- Avremo bisogno della collaborazione di tutti per risolvere questo caso.- 

Danielle lo lasciò parlare. Aveva avuto la sensazione che il capitano avesse maggiore confidenza con i signori Smith rispetto al resto degli ospiti, e si chiese se non avesse avuto modo di avere a che fare con loro in altre occasioni, magari per accordarsi per avere il pianoforte. Senza contare il fatto che, in ogni caso, lui era l’ufficiale incaricato di condurre le indagini e Danielle solo un suo secondo, un aiuto. Era giusto che anche lui avesse il suo spazio, e guardarlo lavorare era per lei interessante tanto quanto osservarla lo era per lui. Si era accorta di essere stata studiata per tutto il giorno dal suo compare e decise che avrebbe colto la palla al balzo per approfondire la conoscenza della personalità e della mente di William.

- Avrei bisogno che mi diceste - proseguì il capitano, protendendo il busto verso i domestici, attento. - che cosa avete fatto per tutta la giornata di ieri. Nel dettaglio, per favore.-

L’uomo era rigido come un pezzo di ghiaccio, ma rispose per primo, forse nel tentativo di proteggere la moglie, che sembrava ancora atterrita dopo gli eventi della sera prima. 

- Ho svolto le mie solite attività di domestico, signore. Alle cinque mi sono svegliato per preparare la colazione con mia moglie. Alle sei meno un quarto lei è sceso a fare colazione, capitano. Successivamente sono stato impegnato ad imbandire la colazione per tutti gli altri ospiti. Attorno alle dieci, quando se ne sono andati tutti, ho pulito la sala da pranzo e questo salone. Alle undici ho cominciato a preparare il pranzo con mia moglie. Ho servito a tavola. Verso le tredici e trenta ho sparecchiato e rassettato con mia moglie. Ho spaccato la legna per tutto il pomeriggio e l’ho sistemata nelle stalle. Alle cinque ho preparato la cena con mia moglie. Ero in cucina e stavo per servire quando è successo il fattaccio.-

Poi, William si rivolse alla donna, con voce morbida.

- E lei, signora?-

La domestica parve risvegliarsi e sbatté le palpebre, confusa. Poi, prese a raccontare.

- Mi sono svegliata alle cinque, per preparare la colazione con mio marito. Alle sei meno un quarto ho sentito bussare alla porta e sono venuta ad aprirle, capitano, e le ho offerto la colazione. Successivamente ho imbandito la tavola per la colazione anche per tutti gli altri ospiti. Attorno alle dieci, dopo aver sparecchiato, mi sono dedicata alla pulizia delle camere mentre mio marito puliva gli spazi comuni. Alle undici ho cominciato a preparare il pranzo, sempre con mio marito. Ho servito a tavola con lui. Verso le tredici e trenta ho sparecchiato e rassettato. Everard ha poi spaccato e sistemato la legna, mentre io passavo un po’ di tempo con Serena, mia figlia. Alle cinque mio marito è tornato e abbiamo preparato la cena. Ero in cucina e stavamo per servire quando abbiamo sentito la signora Northwood gridare.-

E le tremò impercettibilmente il labbro.

Danielle e il capitano si scambiarono un’occhiata perplessa. 

- Danielle?-

La donna friggeva sulla sedia. 

La meticolosità del domestico era alquanto sospetta.

- Signor Smith, lei è di una precisione singolare. Una dote notevole.-

L’uomo, se possibile, divenne ancora più grigio.

- Per quale ragione ricorda così nel dettaglio la sua giornata?-

L’uomo si morse le labbra e abbassò gli occhi. Teneva le braccia rigidissime lungo i fianchi, il palmo premuto sulla sedia, la mano ruotata verso le cosce.

Diamine, se era nervoso.

- Signor Smith?-

L’uomo emise un sospiro tremolante, ma sua moglie lo tolse d’impaccio, scoppiando a piangere a dirotto.

- Signora Smith, che le succede?-

La donna non accennò a rispondere. Le mani strette in grembo e la scarpina nera dondolante sul tappeto, teneva lo sguardo basso sulle gambe, persa in un pianto dirotto.

- Abbiamo perso tutto!-

Continuò a singhiozzare senza ritegno, con il viso coperto dal palmo delle mani. Danielle e il capitano si guardarono, senza sapere che cosa dire. 

- Signora, sono certo che vi sia una soluzione…-

- Voi non conoscete il signor O’Brennon!- strillò la signora Smith, nel panico più completo. - Ci licenzierà seduta stante! Non abbiamo sufficientemente vegliato sui suoi clienti, e ieri siamo pure arrivati in ritardo con la cena!-

Danielle sbuffò. Lavorare per un uomo così doveva essere davvero stancante. 

Chi è quel perfezionista malato che licenzia i domestici per una cena in ritardo di qualche minuto?

- Con il signor O’Brennon parliamo noi.- tagliò corto Danielle, ma la donna proprio non voleva saperne di smettere di piangere.

- Quei soldi servivano per pagare la scuola a mia figlia!-

- E avrà quei soldi.- disse ancora Danielle.

- Voi non potete saperlo.- intervenne Everard, accarezzando piano la schiena della moglie, cercando di calmarla. - Il signor O’Brennon tiene un registro con tutte le nostre attività. La nostra vita è scadenzata al minuto. Dobbiamo rispettare degli standard molto alti e non c’è spazio per gli imprevisti.-

Danielle sollevò le sopracciglia, stupita

- Dopo questa cosa- continuò il signor Smith. - Dopo questo omicidio, io e mia moglie, responsabili della vostra tutela agli occhi del signor O’Brennon, perderemo il lavoro.-

A Danielle scappò uno sbuffo sarcastico.

- Mi scusi, Everard, ma non vedo la ragione per cui voi dovreste pagare per una situazione che non avete creato. Non potevate sapere che qualcuno avrebbe ucciso il signor Northwood.-

L’uomo la guardò male.

- Noi abbiamo lasciato entrare un estraneo dentro l’albergo, nessuno se ne è accorto e noi pagheremo per non aver vigilato.-

Danielle guardò il capitano.

- Capisco.-

- Fossi in lei - aggiunse William.- Non mi fascerei la testa prima di essermela rotta. Non posso dirle molto, signor Smith, ma posso dirle che le indagini sono ancora in corso e che niente, a questo punto, è quello che sembra. Se mai vi è stato un estraneo qui dentro, non è detto che sia entrato dal portone, non so se mi spiego.-

Il capitano porse alla domestica un fazzoletto, con la quale la donna si soffiò sonoramente il naso.

Diedero ai coniugi un minuto per ricomporsi. La signora aveva grosse borse sotto gli occhi e sembrava stanca e trascurata. Danielle si chiese quale accidenti di mostro fosse Steven O’Brennon per incutere così tanta paura ai suoi dipendenti, e per la prima volta da quando era giunta in quel posto rimpianse di aver azzeccato una deduzione. Aveva intuito fin dall’inizio che si trattava di un datore di lavoro rigido, ma non avrebbe mai immaginato che potesse rappresentare un così grosso problema per i domestici, che sapevano fare il loro lavoro alla perfezione e non avevano bisogno di un simile cerbero a tenere loro il fiato sul collo. 

Quando Emily Smith ebbe smesso di piangere e bevuto un poco del suo infuso, sempre pronto e sempre caldo, il capitano azzardò a chiedere se potevano proseguire. 

I due annuirono.

- Conoscevate Carl Northwood?- chiese a bruciapelo. 

Il domestico sembrò sinceramente stupito da quella domanda

- Avrei dovuto?-

- Era un noto imprenditore.- disse Danielle, facendo spallucce.

- Non lo avevo mai sentito nominare, però non lo avevo simpatico. Nel poco tempo che è stato qua ha creato diversi problemi. Aveva richiesto un intero assortimento di liquori, così dettagliato che alcuni sono risultati irreperibili. Si è infuriato non poco quando non ha trovato una certa varietà di whisky che adesso non ricordo. Non mi piace bere e non me ne intendo. Per questo motivo, la sera del giorno in cui è arrivato, dopo cena, ci ha convocato nella sua stanza. Ha maltrattato mia moglie e l’ha insultata pesantemente. L’ho anche visto dare uno scappellotto sulla nuca alla signora Northwood in quell’occasione, colpevole di aver preso le nostre difese. Sinceramente, non era una persona amabile.-

- Che cosa ha detto esattamente, signor Smith?-

Ma Everard divenne livido e bofonchiò qualcosa che i due non capirono. Fu sua moglie, il fazzoletto in mano, ad intervenire. 

- Quando è arrivato ha fatto una scenata per una bottiglia di whisky mancante. Gli ho detto che non ero riuscita a trovarla, anche se ero andata fino ad Aberdeen per procurargliela. Ha cominciato ad urlare e mi ha quasi colpito. E’ andata bene che quella povera donna della moglie si è messa in mezzo e lo ha fermato. Mi ha detto, però, che sono una…- e tossì un poco, imbarazzata. - Una poco di buono, insomma, e che in certi ambienti quelle come me, se non obbediscono, muoiono.-

William e Danielle si lanciarono un’occhiata eloquente.

La cattiveria di quell’uomo sembrava non finire.

Danielle, in particolare, trovava singolare che una donna apparentemente amabile come Eveline Northwood potesse legarsi ad un simile mostro. Non stava a lei cercare di comprendere i motivi personali che l’avevano spinta al matrimonio con la vittima, tuttavia una parte di sé non si sentiva del tutto soddisfatta con ciò. Forse si erano davvero voluti bene, o forse no, o forse, con il tempo, era cambiato tutto. 

Non avrebbe mai avuto una risposta alla sua perplessità e lo sapeva. 

 - Quindi, ricapitolando: non conosceva il signor Northwood e il giorno in cui è arrivato, la sera, dopo cena, ha minacciato lei e sua moglie per l’assenza di una bottiglia di whisky.-

- Esatto, signorina.-

- Nella giornata di ieri avete svolto le vostre mansioni regolarmente. Avete annotato tutto quanto?-

- Sì, è tutto sul registro.-

- Sarebbe un’ottima cosa se ce lo consegnasse, signor Smith.-

L’uomo annuì al capitano.

- Sarà fatto, anche se il signor O’Brennon non sarà contento.-

Danielle però voleva saperne di più. Se era quasi tutto annotato su quel registro, probabilmente sarebbe stato utile utilizzarlo per incrociare i dati che avevano in loro possesso con quanto scritto dai signori Smith.

- Parliamo un attimo di questo registro. Quando dite che contiene tutte le vostre attività, che cosa intendete?-

- Tutte le mansioni che siamo tenuti a svolgere per poter tenere in piedi l’attività.- disse la signora Smith, tirando su con il naso.

- Nulla quindi che riguardi gli ospiti, immagino. Pulizie e quant’altro, ma se io avessi una richiesta particolare questa non verrebbe annotata?-

- No, rispettiamo la riservatezza dei nostri clienti.- concluse Everard, scuotendo il capo. 

Parte dell’utilità di quel registro, dunque, era vanificata, anche se Danielle ne comprendeva e ne apprezzava il motivo. Eppure, poteva ancora essere utile per intercettare alcuni lassi di tempo in cui l’assassino poteva aver operato indisturbato, lontano dagli occhi vigili dei signori Smith.

- Ci parli ancora di questo registro, signora. E’ solita tenerlo ogni giorno?-

Emily Smith tirò su con il naso, asciugandosi gli occhi pesti con il dorso della mano.

- Siamo obbligati. Se non è tutto scritto lì, il signor O’Brennon si arrabbia.-

- Da quanto tempo lavorate per lui?-

- Sono anni ormai. Eravamo i domestici di sua madre, pace all’anima sua. Una gran brava donna.-

E tirò su con il naso un’altra volta. Poi, si alzò e si assentò per andare a prendere il registro.

I due rimasero soli con Everard Smith. 

- Dunque ha passato gran parte del tempo con sua moglie?- chiese Danielle. 

In verità, sapeva già la risposta, ma era interessata a studiare la reazione dell’uomo una volta da solo. Certo, fino a quel momento non aveva avuto alcun motivo per ritenere i signori Smith coinvolti nel caso, anche se le loro ricostruzioni collimavano alla perfezione e il registro poteva fornire un alibi un po’ troppo comodo. 

- Per la maggior parte del tempo, sì. Mi sono allontanato da lei solo quando sono andato a spaccare la legna nel retro. Ecco, a proposito, è avvenuto un fatto curioso, che non so spiegare.-

Danielle e il capitano, gli occhi accesi di curiosità, si protesero con il corpo in avanti sul tavolo.

- Dopo aver spaccato la legna per il camino, una parte l’ho riposta dentro casa, una parte l’ho messa a posto nelle vecchie stalle, che oggi sono una specie di magazzino. Ho chiuso la porta a chiave, doppia mandata, ma quando sono uscito a cercare il signor Northwood con il dottor Dietrich e il signor Kendall, la porta era aperta. Spalancata.-

Questo era un dettaglio curioso che né Danielle né il capitano seppero qualificare. 

Significava che qualcuno si era nascosto lì dentro? 

Era la deduzione più ovvia.

- Ha notato altro mentre cercava? Una figura, un’ombra?-

- No, niente. Non si vedeva granché, e sia io che gli altri due siamo tornati a mani vuote. Mi sono affacciato dentro le scuderie, ma non c’era nessuno, solo un po’ di confusione portata dal vento. Ho anche guardato per terra, ma c’era troppa acqua, e sulla pietra non sono riuscito a vedere se qualcuno si fosse introdotto o meno all’interno. Mi dispiace. Successivamente sono tornato da mia moglie e da mia figlia e non mi sono più mosso.-

- Oh sì!- disse la signora Smith, di ritorno con un grosso libro tra le braccia e il volto evidentemente rinfrescato. - Mio marito è rientrato in casa tutto agitato ieri sera. Ha detto che le scuderie erano aperte, e mi ha chiesto se le avessi aperte io, che però non mi ero mossa di qua, stavo aspettando che tornaste dalla vostra ricerca. Mi ha detto che lui era certo di aver chiuso a chiave, doppia mandata, come è solito fare. Ha fatto avanti e indietro per tutta la sera, convinto che potesse essere successo qualcosa nelle scuderie, che potesse aver fatto un errore. Io mi fido di mio marito e so come è fatto. E’ un uomo scrupoloso, se lui dice di aver chiuso, è vero.-

Il capitano annuì.

- Ne sono certo, signora, ma una distrazione capita anche ai migliori.-

- Lo escludo categoricamente. Everard ha chiuso quella porta. Le chiavi vengono appese ad un quadro vicino alle nostre stanze. Sono esposte in bella vista, chiunque avrebbe potuto prenderle. Difficile, senza essere notati, ma io ed Everard siamo sempre molto impegnati. Non è impossibile.-

Danielle e William si guardarono, pensierosi. I due sembravano essere perfettamente d’accordo l’uno con l’altro. Effettivamente, lavoravano nello stesso posto in cui vivevano ed era normale che conoscessero ogni singolo dettaglio della vita dell’altro. La paura che provavano per il loro datore di lavoro era un altro dei fattori che spingevano Danielle ad escluderli dal novero dei sospettati, oltre ogni cliché. Le mansioni domestiche erano la loro unica fonte di sostentamento, e mettersi contro il proprietario non era esattamente il migliore dei modi per guadagnarsi il pane, a meno che non volessero vendicarsi di anni di vessazioni - ed il lato più malvagio di Danielle avrebbe anche apprezzato il gesto - e fargli chiudere bottega.

- Un’ultima cosa, signori.- concluse William, passandosi una mano sui begli occhi stanchi.- Ricordate se gli ospiti sono tutti scesi per colazione?-

I domestici annuirono con forza.

- Siete scesi tutti, signore. Soltanto a pranzo i signori Northwood non si sono presentati.-

Così, anche ciò che le aveva raccontato Jodie Webber sembrava confermato.

- Bene, signori, vi ringraziamo per il vostro tempo. Avremmo bisogno di una firma qua, per ricordarci chi abbiamo interrogato.- 

La donna prese agilmente la penna con la mano destra e firmò con una grafia un po’ stentata. Aveva i piedi piccoli, notò Danielle, guardandola allontanarsi mentre tirava su con il naso. 

Everard firmò con la mano destra, si alzò e si allontanò, e Danielle lanciò una lunga occhiata ai suoi piedi, prima che entrambi i domestici, l’uno al fianco dell’altra, imboccassero la porta.

 

Finalmente sola con William nel silenzio del salone, gli lanciò un’occhiata, mentre l’uomo osservava il registro e sfogliava le pagine con aria nauseata.

- Quasi mi sono pentito di essere venuto in vacanza qua.- disse, facendo vorticare le pagine.- Quest’uomo è disgustoso. Nella prima pagina, tra le disposizioni, ha calcolato persino il tempo da dedicare alla figlia, che lui ritiene sufficiente. Roba da pazzi.-

Danielle allargò le braccia, rassegnata.

- Magari la sua famiglia faceva la stessa cosa con lui. Tutto sommato, mi fa pena. Dev’essere un uomo molto solo.-

E sbirciò da sopra il suo braccio. In effetti, i movimenti dei domestici erano annotati in modo disgustosamente pignolo, ma ciò che la scandalizzò di più fu una nota vergata a mano, molto sottile, con una grafia regolare, ma scritta da un pugno poco abituato alla penna. 

Giocato con mia figlia. 

Dalle quindici e trenta alle diciassette.

Bontà divina, quell’uomo è maniacale.

- Questo caso sta diventando più difficile di quanto credessi. - fece il capitano, pensieroso.- E il caratteraccio di Northwood peggiora solo le cose. Era capace di farsi nemici solo respirando.-

- Non credo che un uomo potrebbe uccidere soltanto perché gli hanno insultato la moglie, o buona parte della popolazione mondiale sarebbe già stata decimata. Credo che il signor Smith sia sincero, ed anche Emily sembra onesta. Il fatto delle scuderie, invece, è un dettaglio decisamente più interessante.-

Quel particolare aveva soltanto confuso di più le sue idee, che già erano particolarmente intricate. Anche se non aveva ancora riferito i propri sospetti a William, considerata la scarsità di prove, se ciò che aveva detto Everard Smith era vero - e Danielle non trovava una ragione per non credergli - tutte le sue certezze, se di certezze si poteva parlare, crollavano.

- Dici che qualcuno potrebbe essersi nascosto nelle stalle?-

- Probabile. Dobbiamo ricordarci di perquisirle, in caso vi fossero degli indizi utili.-

- Emily Smith ha detto che le chiavi sono in bella vista, e che Everard è solito chiudere ogni giorno, a doppia mandata. Carl Northwood si assenta per qualche minuto prima che scoppi il temporale e poi torna. Perché? Le due cose sono collegate?-

William aggrottò le sopracciglia.

- Dici che stesse aspettando qualcuno?-

- Potrebbe essere. Urge una visita alle scuderie il prima possibile. Prima, però, direi che possiamo fare una bella visita al letto, che ne dici?- fece Danielle, alzandosi e stiracchiandosi per non sbadigliare in faccia al capitano. - Non so tu, ma io sono stanca morta.-

William si alzò a sua volta e le aprì la porta per farla uscire dal salone.

- Anche io casco dal sonno. Non siamo stambecchi, ma ci siamo comportati come tali.-

Danielle sorrise di fronte alla citazione che il capitano aveva fatto del dottor Dietrich. 

- Allora dormi bene. Ci vediamo domani mattina presto, per proseguire con le nostre conversazioni.-

William, però, la trattenne sulla porta di camera, stringendole inavvertitamente il polso. Danielle sobbalzò. Là dove Northwood le aveva stretto il braccio, la ferita le faceva ancora male. William se ne accorse e ritirò immediatamente la mano, scusandosi.

- Mi dispiace, non ci ho pensato.-

Danielle scosse le spalle, noncurante.

- Mi raccomando, controlla la stanza e chiuditi dentro a chiave. Se veramente c’è uno scagnozzo di Gordon Van Allen nei paraggi, non deve sapere che sei qui. Sei armata?-

Certo che sì. Peccato che la sua Smith and Wesson fosse rimasta nel cassetto della biancheria nella sua casa a Londra. 

- Temo di no, ma se ti può consolare perquisirò l’armadio prima di dormire e chiuderò tutte le serrature a doppia mandata.-

William si fece serio.

- Non sto scherzando, Danielle. Questa non è una storia di mostri sotto al letto. Se non fosse sconveniente, ti cederei un po’ di spazio nella mia stanza nella torre.-

Sì, in effetti era un tantino sconveniente, e la donna apprezzò che il capitano la rispettasse abbastanza da non trattarla come una delle sue solite conquiste di porto. 

- Nemmeno io scherzo. Ti assicuro che so badare a me stessa. Domani mattina scenderò le scale con le mie gambe, promesso.-

Così, salutò William e lo guardò scomparire, ancora una volta, su per la scala che portava alla torre. Poi, come aveva promesso, controllò la finestra, gli armadi, il bagno ed ogni anfratto in cui un uomo potesse nascondersi. 

Nemmeno a dirlo, dentro la sua stanza non c’era nessuno.

Chiuse la porta a doppia mandata e si mise a letto per rimuginare con calma su quanto aveva appreso quel giorno.

Invece, chiuse gli occhi e crollò sul cuscino, sognando cose che non avrebbe ricordato al mattino, ma che includevano dei capelli biondi e un buon profumo di legno di sandalo.

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Capitolo 28
*** Londra, 17 marzo 1934 ***


Londra, 17 marzo 1934

 

La sua famiglia aveva protestato. Le aveva chiesto di pensarci su, ma Danielle era perfettamente consapevole di non avere scelta alcuna. Aveva rassegnato le sue dimissioni di fronte ai suoi superiori, che avevano tentato l’ultima umiliazione. Di fronte a lei infatti c’era stato il nuovo ispettore capo Baldwin West, bell’e che pronto, con un sorrisetto perfido sulla faccia rotonda e la firma già apposta sul contratto, uno scatolone pieno di roba di fianco a lui, pronto a trasferirsi in quell’ufficio che, tecnicamente, era ancora di Danielle.

Dal momento che tutto le sembrava vano e senza senso, la donna non ci aveva nemmeno fatto caso. 

Voleva andarsene così come era arrivata, in silenzio, ma, evidentemente, la sua squadra e il resto di Scotland Yard non l’aveva pensata così. Li aveva trovati tutti insieme, in fila sull’attenti in corridoio presso l’uscita, dove i flash delle macchine fotografiche dei giornalisti avevano già cominciato a lampeggiare. C’erano tanti poliziotti, anche membri di altri settori con i quali lei aveva collaborato più raramente, tutti impettiti e fieri, alcuni di loro disposti anche sulle scale, all’uscita, fino all’auto che l’avrebbe accompagnata a casa. Qualcuno, Danielle non sapeva chi, aveva intonato God Save the King, e tutto il resto lo aveva seguito. Era stato commovente, ma no, lei non avrebbe pianto. Non voleva darla vinta a chi tra di loro l’aveva sempre definita una debole.

Aveva attraversato il corridoio stringendo mani, mentre i volti sfilavano davanti ai suoi occhi senza che ne riconoscesse alcuno. Soltanto ad un certo punto aveva sentito la voce di Baldwin West ordinare di cessare quella pagliacciata e di tornare ai loro posti. Uno di loro, forse Turner - un ragazzo davvero coraggioso, Danielle sperò che  facesse carriera - aveva obiettato che quello era il loro posto.

Poi il taxi l’aveva presa con sé fino al suo appartamento vicino al Tamigi.

Adesso era lì, sola, seduta sul divano in salotto, senza sapere che cosa fare. Doveva assolutamente occuparsi le mani, prima che la sua testa si rendesse conto veramente di che cosa fosse successo. 

Per prima cosa, andò in camera da letto e frugò tra gli indumenti di Eric alla ricerca della sua divisa migliore. La trovò nascosta nell’armadio, piegata scrupolosamente su una gruccia di legno, impeccabile come sempre. 

Sarebbe stato l’abito per il suo ultimo viaggio. 

Poi, presa dalla disperazione, si mise a frugare nei cassetti e in tutte le scatole, alla ricerca di qualcosa che il suo Eric avrebbe voluto portare con sé per l’eternità. Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo, dal momento che lei non era mai stata né particolarmente credente, né praticante, ma lui ci credeva, e Danielle voleva che fosse tutto perfetto.  

Come avrebbe voluto che lo fosse il suo matrimonio.

Già. Quello era un piccolo dettaglio che aveva trascurato.

Si convinse che ci avrebbe pensato più tardi.

Poi sparì in soffitta, alla ricerca di bauli e scatoloni da poter utilizzare per riporre tutti gli effetti personali del suo defunto fidanzato, che non avrebbero più potuto ingombrare la sua casa. Del resto, se qualcuno fosse entrato e avesse trovato lì la biancheria di Eric Nicholson, nel tentativo di ferire Danielle avrebbe infangato la sua persona, e questo lei non lo avrebbe mai concesso. Il lavoro si rivelò faticoso e decise di rimandare la questione al pomeriggio più tardo, dopo una tazza di tè.

Scese a mettere l’acqua sul fuoco e si trovò a guardare le bollicine sul fondo del bollitore, senza sapere che cosa fare.

Se in precedenza le era sembrato che il mondo si stesse muovendo a rallentatore, adesso le pareva che tutto stesse viaggiando alla velocità della luce. L’assalì una fastidiosa frenesia che le risultò difficile da controllare. 

Il campanello dell’ingresso suonò.

Danielle sussultò. C’erano ancora troppe cose da fare. Quella casa sapeva ancora troppo di lui. 

Niente ospiti.

Il campanello suonò nuovamente. 

Danielle rimase in silenzio, fingendo che non ci fosse nessuno.

Prima o poi si stancheranno. 

Il giovane agente Evans, però, non mangiò la foglia.

- Ispettore, so che è in casa. Apra o sfondo la porta, adesso!-

Un emisfero del cervello cercava di impedirle di farlo, un altro invece le diceva che di Evans si poteva fidare. Così, lasciò il bollitore sul fuoco ed andò ad aprire.

- Ispettore!- disse quello, senza fiato, come se avesse corso.- Certo che ne deve fare di scale prima di mettere piede sulla strada, eh?-

Ah, sì, era vero. C’erano le scale.

- Sì, sono un po’.- disse, senza forze. - C’è qualcosa che devi dirmi, Evans?-

Il giovanotto indicò un pacco che teneva stretto sotto il braccio.

- Ha dimenticato alcuni appunti sulla mia scrivania e ho pensato che le avrebbe fatto piacere riaverli, prima che West ci metta le zampe sopra. Ah, e le ho portato la posta che ho trovato fuori!-

Danielle annuì leggermente.

- Grazie, Evans.-

Calò un silenzio imbarazzante, durante il quale il giovanotto non aveva minimamente accennato a porgerle il pacco e Danielle non aveva nemmeno fatto l’atto di lasciarlo entrare.

Il ragazzo si tolse il cappello e si passò una mano tra i capelli sudati e scompigliati, dove la benda non c’era.

- Ispettore, senta, lo so che forse sono invadente, ma…-

Danielle inarcò un sopracciglio, attendendo che concludesse la frase.

- Insomma, ha una pessima cera, e mi domandavo se, magari, gradisse un po’ di compagnia. Se vuole, dico. Non si senta obbligata. Ho solo pensato che le potesse far piacere, che ne so, un tè. No, un caffè! Lei forse è più tipo da caffè! Posso andarglielo a prendere e glielo porto, lei che dice? Anzi no! Un succo di frutta!-

Questa volta le sopracciglia di Danielle si erano sollevate, entrambe, in segno di stupore.

Il giovane agente sembrava non sapere più che pesci prendere.

- Acqua?-

- Evans?-

- Un goccetto? Dicono che il liquore faccia bene a volte!-

- Evans?-

Il giovanotto si rigirava imbarazzato il cappello tra le mani.

- Ho appena messo su il tè. Vuoi entrare?-

Un quarto d’ora dopo erano seduti entrambi, in silenzio, al tavolo della cucina, con le tazze di tè che fumavano di fronte a loro. 

Evans avrebbe voluto dire molte cose, Danielle non voleva dirne nessuna. La conversazione si era fatta così affettata e banale da dare sui nervi ad entrambi.

- Questo tè è molto buono. English Breakfast?-

- Earl Grey.-

- A mia nonna piace molto. L’Earl Grey. Oh, chiedo scusa, non volevo dire che assomiglia a mia nonna, anzi. Solo che avete gli stessi gusti. Non volevo offendere i suoi gusti, era un complimento, insomma, mia nonna è una gran donna e…-

- Evans?-

- Sì?-

- Che cosa vuoi dirmi?-

- Solo che lei mi ricorda mia nonna e non è un insulto è un complimento perché…-

- Evans. Seriamente.-

Il ragazzo sembrò farsi d’un tratto piccolo piccolo. Poi, con un bagliore di maturità che Danielle non si sarebbe aspettata di vedere negli occhi di un agente così giovane, Evans raddrizzò le spalle e la guardò dritta in volto.

- Io non sono un agente navigato e di talento come lei, Danielle, ma qualche cosa la so. Ho imparato dalla migliore, del resto.- disse, e le fece uno scherzoso occhiolino.- Quando impari da gente così, cresci, cambi, migliori. Gli alti papaveri potranno dirmi quello che pare a loro, ma io non la bevo, né ora né mai.-

Dire che la cosa aveva stupito Danielle sarebbe stato un eufemismo. La spontanea dichiarazione dell’agente Evans le aveva scaldato il cuore e le aveva instillato un’oncia di speranza. Aveva creduto di essere sola, di essere stata abbandonata, ed era abbastanza confusa da aver rimosso completamente dalla mente l’esempio di stima e fedeltà che le aveva dimostrato tutto il dipartimento quella mattina. 

Davanti a decine di giornalisti.

Qualcuno sapeva che era stata vittima di un enorme oltraggio.

- Gli altri - proseguì l’agente, giocando con il cucchiaino. - potranno anche continuare a vivere la loro vita tranquilla, o a sguazzare nella loro mediocrità. Mi asterrò dal fare nomi. Sto parlando di Baldwin West. Non io. Non potrò fare niente per lei, ma ho pensato che le avrebbe fatto piacere sapere che io so. E non lo dimenticherò mai.-

Danielle abbozzò un sorriso.

- Turner?-

- E’ una testa calda. Già gli risultava difficile digerire West prima, si immagini adesso. Però, quello che ha detto stamani è stato corretto. Nessuno oserà prendere dei provvedimenti contro di lui. Tutti gli hanno dato ragione.-

Così, era stato il giovane Turner a dichiarare che era doveroso salutarla.

Che caro ragazzo.

Se li sarebbe portati tutti nel cuore. Uno per uno.

- Voglio dirle che li ho letti, i suoi appunti. Quelli che le ho portato. Sono geniali. Non capirò mai come lei abbia fatto ad identificare quel farabutto da una multa in sosta vietata.-

Parlare di lavoro le aveva reso parzialmente la lucidità. Ricordava perfettamente quell’occasione e ricordava di avere fatto uno schema rapido al giovane agente per aiutarlo a memorizzare tutti i dettagli delle indagini prima che scoprissero di avere una talpa a Scotland Yard. 

Sfogliarono gli appunti insieme, e Danielle lesse di nuovo la copia della multa, scritta a penna, che aveva inserito nel mucchio per fornirgli un quadro completo.

Dieci sterline per sosta vietata in pieno centro città. 

E una corsa infinita a caccia di Gordon Van Allen, che adesso non avrebbe mai visto il traguardo.

Danielle sospirò.

- E’ un peccato che tutto questo vada sprecato.-

- Dispiace anche a me.-

- Come, diffidi del tuo nuovo ispettore capo?-

Evans sbuffò.

- West è un incapace. Risponderò ai suoi ordini, non tradirò mai Scotland Yard e l’Inghilterra. Farò sempre il mio dovere, ma per me, l’ispettore capo è uno solo, e non è Baldwin West.-

Danielle sentì gli occhi bruciare e la gola stringersi in un nodo.

Abbassò gli occhi sul tavolo, sulla prima cosa che le capitasse a tiro. Il caso volle che fosse un telegramma dei genitori, incluso nella posta del giorno.

Abbiamo saputo. Stop. Stiamo arrivando.

Presto avrebbe potuto piangere. Lontano dagli occhi di tutti. Anche da quelli di quel caro ragazzo che era l’agente Evans.

Si alzò e gli poggiò una mano sulla spalla.

- Credo che adesso sia meglio che tu vada, prima che West si chieda dove tu sia finito.-

Il ragazzo fece una smorfia di disgusto, si alzò e si diresse verso la porta, rigirandosi il cappello tra le mani e ringraziandola per il tè.

Poi, giusto quando Danielle era sul punto di chiudere la porta, l’agente si voltò a guardarla e aggiunse:

- Lo so che non dovrei impicciarmi, e mi perdoni se mi intrometto. Non posso capire quello che lei sta passando adesso, ma posso farmene un’idea, e già quella è sufficiente. Detto tra noi, perdere i propri cari fa schifo, e se perdessi Susan, io… Darei di matto, ecco.-

Danielle rimase a guardarlo, improvvisamente svuotata di ogni energia che aveva ritrovato.

- Lo so che ci si sente male, e si pensa a tutti gli errori che avremmo voluto rimediare e vorremmo solo raggiungerli, ma è sbagliato. Per ogni errore, ci sono stati centinaia di momenti belli per cui vale la pena di vivere ancora, per le persone che abbiamo perso, che vivranno assieme a noi, attraverso i nostri ricordi. Lo so che sembrano le solite frasi fatte, ma senza di noi, la loro memoria sparirà per sempre.-

Abbassò lo sguardo, improvvisamente timido.

- Avevate già una data?-

Danielle sorrise, mesta.

Aveva sempre sottovalutato quel ragazzo, per la sua giovane età, ma aveva anche riposto grandi speranze in lui.

Non l’aveva mai delusa, nemmeno quella volta. 

- L’anno prossimo. Ti avremmo invitato.-

- Diamine. Mi spiace. Avrei tanto voluto esserci.-

- Io più di te, ragazzo mio.-

Silenzio.

- Lo sa che non è sola, vero?-

Quanto era dolce quel ragazzo.

- Lo so, Evans. Grazie.-

Le sfiorò una spalla e le diede la schiena, accingendosi a scendere quel mare di scalini fino alla strada. 

- Ah, ispettore!- disse, qualche rampa più in giù.

- Dimmi, Hugo.-

- Per quello che vale, io le voglio bene.- 

Danielle chiuse la porta alle spalle e vi si poggiò contro, sola, a piangere tutte le sue lacrime.

 

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Capitolo 29
*** Parte 2, capitolo 8: Se pensate che questo sia abbastanza, è perché non avete ancora visto le truppe di Franco in azione. ***


8.

 

Loch Awe, 8 settembre 1936

 

Se pensate che questo sia abbastanza, è perché non avete ancora visto le truppe di Franco in azione.

 

Al mattino dopo il gruppo si riunì in sala da pranzo per fare colazione. Danielle e il capitano erano già lì, a rifocillarsi prima degli altri nelle cucine dei signori Smith. Riconsegnarono il grosso registro con i loro ringraziamenti. Emily Smith sembrava più stabile, anche se ancora provata, mentre Everard continuava a scervellarsi per venire a capo del mistero delle scuderie. 

- Non si preoccupi, signor Smith, non appena avremo finito di sentire tutti i presenti provvederemo a dare un’occhiata. Lei se ne tenga fuori finché può.-

- Oggi pomeriggio devo spaccare la legna, temo di dovervi entrare. Il signor O’Brennon non tollererà un altro sgarbo!-

Danielle e William si lanciarono un’occhiata in tralice.

Sgarbo?

Ma questo O’Brennon aveva una vaga idea di che cosa significasse svolgere un’indagine per omicidio?

Decisero, però, di non tirare in mezzo ancora di più i poveri signori Smith. 

- Poco male, vorrà dire che passeremo a controllare prima che ci entri lei.-

Per quanto Danielle cercasse di convincersi che tutti erano potenziali indiziati fino a prova contraria, proprio non riusciva a capire come i domestici potessero essere coinvolti. Certo, erano tesi, ma chi non lo sarebbe con un principale come Steven O’Brennon?

Quando Danielle e William si erano ritirati nelle cucine per sgranocchiare qualcosa, avevano trovato tutta la famiglia seduta a tavola. Insieme ad Everard ed Emily c’era anche Serena, una bambina meravigliosa con i capelli scuri e gli occhi cristallini. 

La bimba aveva guardato Danielle con curiosità. Poi, con un lampo di realizzazione, aveva abbassato gli occhi ed era diventata rossa come un peperone. La cosa l’aveva fatta sorridere ed aveva intenerito il capitano, e i due si erano seduti volentieri per scambiare due parole con la piccola tra un boccone e l’altro.

- I tuoi genitori mi hanno detto che vuoi fare il poliziotto.- aveva detto Danielle, passandole un braccio attorno alle spalle. 

- Non voglio fare il poliziotto!- aveva ribattuto la bambina, decisa.- Voglio fare l’ispettore!-

Danielle aveva riso di gusto. 

Che bambina deliziosa.

- Sai, tesoro, è un lavoro molto difficile e terribilmente spaventoso.-

- Lo so, ma è affascinante.-

Come darle torto.

- Vorrei che tu ti rendessi conto che ci vuole il carattere giusto per fare un lavoro del genere, e una forza interiore sovrumana. Io non credo di averla avuta, almeno non del tutto. Le circostanze che potrebbero farti smettere di crederci sono molteplici.-

La bambina ci aveva pensato un po’ su, poi, però, l’aveva guardata con una fierezza e una determinazione che l’avevano stupita. 

- Io non mi fermo mai!-

Che cosa avrebbe potuto dirle di più?

- Allora ti auguro tutta la fortuna del mondo.- 

Anche William le aveva scompigliato i capelli con fare affettuoso.

I coniugi Smith avevano lanciato ai due un’occhiata perplessa, poi si erano guardati tra di loro e avevano sorriso maliziosamente, rivolti a William e Danielle. 

I due erano rimasti stupiti. Compreso poi l’equivoco ed arrossendo fino alla punta delle orecchie, avevano lasciato sola la famiglia, borbottando scuse ed imboccando la porta di filato.

Preferivano decisamente continuare con gli interrogatori che sottostare allo sguardo malizioso dei due domestici. 

 

Per fortuna, le conversazioni - chiamiamole così - più interessanti erano state condotte il giorno prima. Restavano da affrontare la follia della signora Rogers e lo sfuggente signor Kendall. 

E Mercedes Estravados.

Se non fosse stato per la curiosità lancinante che la pervadeva sulla vera attività della giovane spagnola, Danielle sarebbe stata pressoché convinta che ormai non avrebbero acquisito niente di più di quanto già non avessero ottenuto. 

Fu con quell’umore poco propenso alle indagini e freschi di imbarazzo di fronte ai coniugi Smith che affrontarono la giovane Mercedes.

Nonostante fosse la sodale del dottor Dietrich, William aveva ritenuto di non doverla ascoltare immediatamente, perché si era fatto l’idea che qualunque cosa nascondesse, fosse condivisa solo con il dottore e che nulla avesse a che fare con l’omicidio Northwood. 

Danielle aveva deciso di associarsi alla sua decisione. Man mano che il momento di incontrare la giovane ragazza si avvicinava, il capitano si faceva sempre più scuro in volto, pensieroso, e si rigirava il taccuino mediorientale tra le dita come se fosse stato rovente.

Era un comportamento estremamente rivelatore. Danielle non sapeva quasi nulla della missione che aveva intrapreso, tranne che i superiori del capitano avevano fatto un bel pasticcio ed avevano rischiato di mandare a monte tutto cercando di metterlo a posto. Come avesse fatto William a non perdere la copertura e a non mandare a monte qualsiasi cosa stesse facendo, causando un mezzo incidente diplomatico - e forse neanche mezzo - con tre quarti dell’Europa continentale era ancora un mistero per lei.

Era certa soltanto di una cosa: qualsiasi cosa avesse fatto, William si trascinava dietro i fantasmi tipici del rimorso. 

Era forse per questo che sembrava temere il confronto con Mercedes?

Avevano fatto di tutto affinché gli ospiti si consultassero tra di loro il meno possibile, nel caso in cui avessero voluto aggiustare le loro testimonianze, ma erano certi che per la giovane spagnola la regola non aveva funzionato. Era sveglia, furba ed aveva qualcosa da nascondere. Erano praticamente certi che avesse torchiato il povero dottore il giorno prima per farsi rivelare qualsiasi informazione utile a chiamarsi fuori dalle indagini.

Quindi, avevano deciso di andare dritti al punto. 

Quando la ragazza, trotterellando, si sedette sulla poltrona nel salone, sembrava completamente ignara di tutto quanto era avvenuto il giorno precedente.

Una brava attrice, non c’è che dire. 

Danielle decise di restituirle la cortesia e cominciò prendendola alla larga, giusto per dare il tempo a William di ingranare la marcia giusta. In fondo, era giusto che questa conversazione la intrattenesse lui. Aveva sicuramente più elementi da scambiare con la ragazza di quanto potesse fare lei. 

Mercedes, almeno a giudicare dalla conversazione che aveva intrattenuto con il capitano due giorni prima a colazione, aveva qualcosa da dirgli a proposito della sua missione in Spagna, e forse aveva preso contatto con il medico tedesco per un motivo che probabilmente esulava dal semplice omicidio.

- Buongiorno Mercedes, come va?- fece Danielle, accomodandosi meglio sulla poltrona. 

- Molto bene, grazie. Avete già scoperto qualcosa?-

I due scossero la testa come un sol uomo.

- E purtroppo, anche se fosse, non potremmo dirle niente.- fece William, sorridendo.- Le indagini sono ancora in corso.-

- Naturalmente.-

- Sa perché è qua, signorina?-

- Sì. Per dare la mia versione sull’omicidio Northwood.-

- Più o meno.- commentò William, sempre accomodante.- Vorremmo sapere che cosa ha fatto due giorni fa, dall’inizio alla fine.-

Mercedes si appollaiò sulla sedia in modo scomposto, completamente a suo agio. Tuttavia, un piedino ballava in un modo un po’ troppo convulso per essere completamente rilassata.

- Mi sono alzata presto e sono scesa a fare colazione, dove ho trovato lei, capitano. Abbiamo chiacchierato per un po’ e poi mi sono unita al dottor Dietrich per tutta la mattina. Sono andata a pranzo e sempre con il dottore ci siamo fermati sotto l’albero, dove ci avete incontrato voi. Quando è calato il sole, come tutti gli altri, siamo rientrati e poi abbiamo sentito l’urlo. Io sono rimasta con la signora Smith, mentre voialtri siete usciti a cercare il signor Northwood.-

Il capitano annuì, serio.

Danielle immaginò che il bello stesse soltanto per arrivare.

- Signorina, posso farle un’altra domanda?-

- Naturalmente.-

- Perché lei sta mentendo ad un pubblico ufficiale?-

Mercedes aggrottò le folte sopracciglia scure, poi si lasciò sfuggire un sorriso tra il furbetto e lo stanco. 

- Joseph è un brav’uomo, sapete? Davvero, un grande hombre, più di quanto crediate, ma ha un difetto muy grande: non regge la pressione. Ho tentato di tutto per farmi raccontare come fosse andato l’interrogatorio, ma non ha tradito la vostra fiducia. Non so per quale motivo gli piacciate tanto, ma se lui si fida, penso di poterlo fare anche io. Sono sicura che abbia già vuotato il sacco, quindi mi domando: che cos’altro volete sapere da me? -

William e Danielle si guardarono.

Per una volta la donna si trovò a corto di parole.

- Diciamo che vuotare il sacco non è esattamente la locuzione giusta. Ci illumini, la prego.-

Mercedes incrociò le gambe sulla poltrona e - Danielle non seppe perché - nonostante fosse sempre apparsa rilassata e a suo agio adesso sembrava libera da un peso.

- La mia famiglia è borghese di Barcellona. Siamo commercianti. Mio padre non ha mai dimenticato le sue origini, in tempi in cui lavorava nei campi, e mia madre non ha mai dimenticato le notti insonni passate a ricamare per arrotondare i guadagni della vendita degli ortaggi che producevamo. Con la Grande Depressione abbiamo perso quasi tutto. Da che ho memoria, la mia famiglia ha sempre affrontato difficoltà economiche, ma questo non ha impedito ai miei genitori di investire su di me. Sono figlia unica, non ho fratelli maschi, e a differenza di molte altre famiglie ben più agiate della mia, i miei genitori hanno speso tutto quello che era loro rimasto nella mia istruzione. Avevo appena cominciato l’università quando abbiamo sfiorato il lastrico. Mi sono ingegnata come potevo, ho fatto ogni tipo di lavoro onesto, dalle ripetizioni alla riparazione degli abiti e sì, anche la ballerina di flamenco. Ho vinto una borsa di studio e ho potuto continuare a frequentare la facoltà di lingue straniere.-

William si complimentò, anche se faticava a comprendere il nesso di tutto quell’antefatto con la guerra civile e con l’omicidio Northwood.

- E’ una scelta inusuale per una giovane ragazza come lei, quella di frequentare l’università.- 

Mercedes alzò le spalle e una luce triste le attraversò le iridi scure.

- Ho avuto un’eccellente ispirazione.- 

- Hai una famiglia molto progressista.- fece Danielle, sentendosi particolarmente vicina a lei. - E’ un vantaggio, soprattutto in un contesto come quello spagnolo…-

La ragazza, però, interruppe il suo discorso sventolando la mano in aria, come a cacciare una mosca fastidiosa.

- La mia famiglia non c’entra niente. Per loro avere un’opinione è più un problema che altro. Mio padre è stato un fiero liberale, prima di restare deluso dal partito e dalla politica tutta, che ha sempre considerato un errore di gioventù. Non posso dargli torto, devo dire. Giusto, senor Collìns? Con il tempo i conservatori e i liberali hanno adottato gli stessi metodi. Brogli elettorali e quant’altro. Mio padre è un uomo integerrimo, non avrebbe mai potuto accettarlo. No, l’ispirazione mi è venuta da una terza persona. In ogni caso, a coinvolgermi nella politica del mio paese è stato Pablo. Era… Molte cose, Pablito. Un caro amico, innanzitutto, ma anche un eccellente studente di filosofia, e un comunista. Ho vissuto la dittatura di Miguel Primo de Rivera e sono stata una fervente oppositrice, anche se ero meno radicale di lui. Non ho molto a che fare con i comunisti, io.- 

Danielle osservò il capitano annotare il nome di Pablo sul taccuino, ma Mercedes lo fermò alzando un dito.

- Non serve, senor. Pablito non potrà più dirle niente. E’ morto durante la rivoluzione delle Asturie. Ha saputo della repressione, immagino. L’ha ammazzato Francisco Franco.-

William abbassò il capo, sconsolato.

- Sono desolato.-

Mercedes sembrò apprezzare e continuò.

- Il mio rapporto con Pablito si era interrotto da tempo, anche se gli ho sempre voluto bene, non lo nego. Era rivoluzionario soltanto per quello che gli pareva e non ha voluto interpretare i segnali. C’erano tutti, erano sotto i nostri occhi, ma lui era folgorato dalla lotta di classe e non ha capito. Anche se nel Trenta abbiamo cacciato De Rivera, bastava poco per rendersi conto che qualcosa non quadrava. Avevo combattuto per la libertà, e il nostro governo usava spesso la Guardia Civil per soffocare le manifestazioni di pensiero, dagli scioperi ai comizi, persino contro la religione. Non sono molto credente, ma non ho mai avuto niente contro chi lo è. Ho cominciato a rendermi conto che la mia Spagna si stava trasformando in qualcosa per il quale io non avevo combattuto.-

Danielle studiava la ragazza con grande interesse. L’Inghilterra non affrontava più da tempo agitazioni politiche di tale portata, e si era sempre chiesta come ci si sentisse a vivere in un Europa continentale dilaniata dal conflitto. Il punto di vista di Mercedes era interessante: lottare per qualcosa in cui uno crede e vedere il proprio pensiero completamente stravolto in quel periodo instabile sembrava una costante.

- La politica si è radicalizzata sempre di più, estrema destra contro estrema sinistra. Largo Caballero ha continuato per lungo tempo a soffiare sul fuoco della lotta di classe senza rendersi conto di star facendo il gioco di una destra molto più forte di lui e che, a differenza sua, gode di un ampio consenso internazionale. Si è appropriata di numerosi riferimenti nazisti, ha ricevuto persino il beneplacito di Mussolini. Anche Primo De Rivera aveva preso ispirazione dalla Marcia su Roma, ma questo va ben oltre la semplice ispirazione. Vero, capitano? Sia io che lei sappiamo bene che Mussolini non si è limitato a strizzare l’occhio alla destra spagnola.-

William sospirò profondamente e guardò Mercedes negli occhi. La ragazza ricambiò e per Danielle fu chiaro che i due stavano avendo una conversazione privata che lei non poteva capire. 

Certo, se Mercedes era veramente a conoscenza dei dettagli della missione spagnola del capitano, questo la metteva ancora di più in pericolo. 

- Mi dispiace tanto.- le disse William e sembrava molto sincero.

Mercedes sorrise, scuotendo la testa.

- Non è colpa sua, capitano. Non era nemmeno il suo compito.- aggiunse poi, guardandolo di sottecchi.- Credo.-

William ampliò il suo sorriso sornione.

- Crede bene. Non c’entravo niente con la politica né con le elezioni, e non è mai stato il nostro scopo influenzare gli equilibri interni del vostro paese. Il mio scopo era cercare di mantenerli, quegli equilibri. Invece è saltato tutto.- concluse, passandosi una mano nei ricci biondi con aria rammaricata. 

Mercedes sembrò grata per questo, e Danielle capiva. Del resto, le avrebbe dato davvero sui nervi se qualche ufficiale di un paese straniero fosse venuto a dirle come dover votare. 

- Mi sono avvicinata sempre di più all’area di Anazena e Prieto. Ho sempre avuto stima dei Repubblicani, di Prieto in particolare. E’ stato l’unico a capire che la lotta di classe di Largo Caballero non avrebbe portato a nulla senza riforme. Avrebbe ottenuto soltanto di spingere la borghesia tra le braccia dell’estrema destra, e in effetti così è stato. Questo, però, implicava attirarmi addosso non solo le ire della destra - di cui facevano parte altri commercianti di Barcellona amici della mia famiglia - ma anche della sinistra che avevo tradito. Che poi, diciamocelo, io non ho tradito proprio alcunché, ho semplicemente cambiato idea, ma vaglielo a spiegare!- commentò facendo spallucce. 

- Quando l’aria è diventata irrespirabile, ho capito che era il momento di andare via. Che la mia vita fosse in pericolo poteva anche andarmi bene, ma coinvolgere la mia famiglia non era nei miei piani. Così, ho cercato di prendere contatto con qualcuno che mi aiutasse a fuggire dalla Spagna senza perdere tutto. Mi sono avvicinata ad alcuni amici di mio padre. Uno di essi è un liberale che aveva anche fatto una discreta carriera, prima di abbandonare ogni progetto, deluso dalla politica. Ha mosso qualche contatto. Ho incontrato delle persone. Qualcuno mi ha indicato il dottor Dietrich. Joseph ha un amico professore a Cambridge, mi ha offerto la copertura perfetta. Sono stata aiutata con i documenti e ho trovato un posto con una borsa di studio. Pensate che si è persino offerto di assumermi come domestica. Ci guadagneremmo entrambi: Joseph è solo e in casa si sente che manca una donna. Credo che sia vedovo, ma non ho indagato. In ogni caso, il buon dottore tedesco ha bisogno di una segretaria e di qualcuno che gli spazzi casa, e la studentessa spagnola ha gratuitamente un ottimo posto dove poter studiare. Nel frattempo, io e lui abbiamo modo di dedicarci anche ad altre attività, chiamiamole così, umanitarie.-

Danielle era molto dispiaciuta per Mercedes, ma, allo stesso tempo, ne ammirava il coraggio. C’era qualcosa di diverso in quella generazione. Anche lei aveva il ricordo nitido della Guerra, di suo padre, delle difficoltà economiche. I ragazzi come Mercedes volevano veramente cambiare il mondo, erano attivi, consapevoli, si schieravano e combattevano per le loro idee. Una condizione che lei era stata troppo piccola per vivere nel Quattordici.

Il racconto di Mercedes si era fatto vago proprio sul più bello, quando agli occhi di Danielle era stato evidente che la ragazza aveva cominciato ad intrattenere contatti con gente di cui era meglio non fare il nome. Cominciava a sospettare che quel folletto con un casco di ricci neri in testa fosse davvero molto, molto di più di una semplice attivista politica, ma Mercedes era brava a non far trapelare nulla della sua condizione. 

Almeno, non al momento e non in sua presenza. 

- So che Joseph passerebbe dei brutti quarti d’ora se si venisse a sapere che mi sta aiutando. Ho solo cercato di proteggere anche lui raccontando una bugia. A quanto ne so, Joseph ha passato la mattina ad oziare in riva al lago, quel pigrone. Io sono rimasta a studiare Riccardo Terzo, come vi avevo detto, in camera mia. I programmi di Cambridge sono molto avanzati su Shakespeare, come è giusto che sia, e io sto cercando di mettermi in pari, altrimenti salta tutta la copertura. Nessuno dei due aveva un alibi per la mattina e lui conosceva Northwood. Immagino, però, che questo voi lo sappiate già.-

I due annuirono.

- Il resto corrisponde al vero. Sotto l’albero discutevamo delle ultime novità quando voi siete arrivati, e ci siamo inventati la storia di Mozart di sana pianta. Posso garantire che nessuno di noi due ha ucciso Northwood. Mai visto prima, anche se lo trovavo un grandissimo hijo de…-

- Abbiamo capito, Mercedes.- la bloccò Danielle, sorridendo.

- Va bene, signorina. Ha qualcos’altro da dirci?-

La ragazza alzò un sopracciglio e fece un sorriso sornione.

- Da dirvi, direi di no. Non conoscevo Northwood. Colazione con voi. Riccardo Terzo in camera. Pranzo con Kendall. Pomeriggio con Joseph. Serata nel salone. Soccorsi con la signora Smith. Notte. E sono una perseguitata politica.-

William prese un piccolo appunto. 

- Pranzo con Kendall, ha detto?-

- Oh, sì. E’ molto intelligente e studia legge ad Oxford. Mi piace la sua compagnia, non è mai banale.-

Scambio un’occhiata furba con Danielle e inclinò leggermente il capo, forse cercando di nascondere il tenue rossore sulle guance. 

- Allora potresti mettere una firma qua, Mercedes?- le disse la donna, cercando di toglierla dall’imbarazzo. 

- L’elenco degli interrogati?-

- Eh, sì.-

Mercedes impugnò la penna con la destra e tracciò uno stupendo ghirigoro. I suoi piedi erano medi, proporzionati per una ragazza della sua costituzione.

- Grazie cara. Puoi andare.-

La ragazza sorrise, ma non sembrava avere alcuna intenzione di allontanarsi. Si accomodò meglio sulla sedia e piantò gli occhi in faccia al capitano, che ricambiò lo sguardo con aria poco tranquilla. 

- Senta, senor Collìns: è a conoscenza degli ultimi fatti, vero?-

William aggrottò le sopracciglia, pensoso.

- Parla di Merida e Bajadoz? Sì, sono stato informato.-

Mercedes lo guardò, una curiosa aria di compatimento sul volto. 

- Allora no, non è stato informato.-

E come poteva? Danielle si chiese come fosse possibile avere le ultime novità con le comunicazioni interrotte. La radio non funzionava, le lettere non arrivavano e le strade erano bloccate. Nemmeno la polizia poteva venire in loro soccorso. 

La cosa curiosa, davvero curiosa, era come Mercedes fosse riuscita ad averle, le ultime notizie. 

- Le fila di Franco sono cresciute ed anche parecchio. Già con la caduta di Merida e Bajadoz si potevano contare circa diecimila italiani e diversi aerei della Luftwaffe, ma questo lo sa già. Quello che non sa è che c’è una grossa guarnigione nei pressi di Alcazar, che la resistenza ha intenzione di tenere sotto assedio. Franco si sta organizzando. Sappiamo che ha una grossa colonna che vuole dirigere su Madrid, ma forse devieranno da Maqueda per Toledo, con lo scopo di vincere la battaglia ad Alcazar e rinvigorire gli animi delle truppe. Non sappiamo con certezza se lo farà o meno, ma da un certo punto di vista, c’è chi ci spera, per poter guadagnare tempo e proteggere Madrid. Se così non sarà, la capitale sarà in suo potere nel giro di pochi giorni.-

Gli occhi di William mandavano lampi e i suoi pugni si erano stretti in grembo, sotto il tavolo, là dove Mercedes non poteva vederli. 

- So che sono impegnati sul fronte basco. Ci sono ancora Irùn e San Sebastian…-

- Le piacerebbe, senor Collins. Piacerebbe anche a me. Purtroppo Irùn è caduta la settimana scorsa. Il 3 settembre, per la precisione. Non so quanto ancora potrà resistere San Sebastian, soprattutto se italiani e tedeschi continueranno con i bombardamenti aerei. I guerriglieri repubblicani non sono equipaggiati né sufficientemente addestrati. E’ soltanto questione di ore, temo.

- C’è di più. Come lei ben sa, a Burgos si è insediata a luglio la giunta di difesa nazionale, con Cabanellas, Mola ed altri colonnelli, a cui si è aggiunto Franco in agosto. Pare che stia tramando per ottenere pieni poteri, e sappiamo che c’è anche chi vorrebbe che diventasse Generalismo de los ejércitos.-

Danielle aveva gli occhi sgranati e fissava Mercedes con aria stupefatta. La ragazza, facendo girare lo sguardo tra i due, lanciò la bomba finale.

- Ovvero, Hitler.- 

William inspirò ed espirò sonoramente.

- Anche Mola è d’accordo? In teoria…-

- Agli occhi di Hitler e Mussolini è Franco l’unico interlocutore. Da quando lui e Mola si sono messi in testa di prendere Madrid, è stato quest’ultimo a cercare sostegno internazionale. Parlano prevalentemente con lui.- 

William sembrava già a conoscenza di quel dettaglio, mentre il cuore di Danielle sprofondò da qualche parte nella zona dei tacchi delle sue scarpe francesi. 

- Sta suggerendo un intervento?-

- Queste sono valutazioni che deve fare lei, non trova? Io, le mie, le ho già fatte. Mi permetta, però, di darle un consiglio, capitano: non dormite troppo. Altrimenti di noi amanti della libertà non resterà più nessuno.- 

William annuì, l’aria grave. La tensione nella stanza era palpabile anche per Danielle, che pur non avendo compreso quanto c’era stato di non detto nella conversazione, aveva capito a sufficienza da avere gli incubi per le nottate a venire.

- Sarebbe molto utile, in questo senso, avere un contatto.- fece William, guardandola di sottecchi.

Mercedes contrasse un angolo della bocca.

- I contatti si trovano. I suoi superiori sicuramente sanno dove trovarli. Perché vuole proprio i miei, senor?-

- Temo che i loro contatti non siano poi così stretti.-

- Non lo sono, o non vogliono che lo siano? Immagino che sia stato un enorme caso, vero, che Jerrold vi sia passato sotto il naso.- 

Questa volta William aveva l’aria di uno che aveva appena preso un pugno in faccia e Danielle lo vide mordersi l’interno della bocca senza troppe cerimonie. 

Pensò che se non fosse stato l’essere mite che aveva conosciuto e se non avesse avuto di fronte una ragazza indifesa, fosse sul punto di fare a pugni.

- Che cosa pretendeva che facessi? Ero solo e…-

- Ha detto bene, senor Collìns: era solo. Dovrebbe domandarsi perché. Per quanto riguarda me, io non le rimprovero nulla, così come non rimprovero nulla ai combattenti di Irùn che non ce l’hanno fatta. Mi perdoni, però, se non spiffero i miei contatti al rappresentante di un Paese che sta un po’ troppo alla finestra a guardare. Io penso che lei sia mio amico. Non so dire lo stesso delle persone con cui lavora.- 

William inspirò ed espirò di nuovo e Danielle vide il suo volto rilassarsi, anche se la mascella era rimasta contratta.

Era evidentemente deluso ed arrabbiato, ma non con Mercedes.

I fantasmi del rimorso.

Mercedes si alzò e si diresse verso la porta ad ampie e decise falcate. Evidentemente considerava chiusa la discussione.

- Sapete - continuò la ragazza, mentre prendeva la porta.- La mia decisione l’ho presa proprio quando ho conosciuto lui.-

- Pablito?-

- Oh, no. Io parlo di Federico. Lui e la sua tuta azzurra.-

Scosse i ricci neri, persa in un ricordo.

Questa volta, Danielle si risvegliò. 

- Aspetta.- disse, lanciandole un’occhiata ammirata.- Parli di quel Federico?-

Mercedes le fece un largo sorriso.

- Chi altri?-

Salutò con un cenno del capo, lasciando William con le sopracciglia aggrottate ed un brutto colorito sul volto. 

Si bloccò sulla porta un’ultima volta e si rivolse di nuovo al capitano.

- Si fidi di me, Guillermo. Il mio paese è una polveriera. Se prenderà fuoco, esploderà in modo devastante.-

- Temo che abbia già preso fuoco.- commentò il capitano, chiudendo gli occhi e abbassando il capo.

Mercedes si mise a ridere.

- Voi credete davvero che questo sia il culmine degli eventi? Pensate sul serio che non possa andare peggio di così? No, capitano, questo è soltanto l’inizio. Se pensate che questo sia abbastanza, è perché non avete ancora visto le truppe di Franco in azione. C’è ancora tempo per recuperare. Intanto, Madrid non deve cadere. Se dovesse succedere, allora sarà davvero tardi.- 

E se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.

 

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Capitolo 30
*** Parte 2, capitolo 8: No, ma ne avevo sentito parlare. Il cognome mi era sembrato fin da subito familiare. ***


No, ma ne avevo sentito parlare. Il cognome mi era sembrato fin da subito familiare

 

Danielle scrutò il capitano. 

Durante tutto l’interrogatorio di Mercedes, l’aria si era fatta grave e pesante come non mai. Ciò che era stato detto era di per sé di estrema gravità, ma la donna aveva la sensazione che quanto c’era stato di non detto fosse ancora peggio. Almeno, lo credeva a giudicare dalla faccia disperata del capitano seduto accanto a lei.

L’uomo continuava a rigirarsi disperatamente tra le mani il suo taccuino mediorientale, su cui aveva appuntato qualche parola qua e là. Se Danielle avesse mai avuto dubbi sul fatto che il bel capitano dei sette mari fosse una spia - e non ne aveva mai avuti - in quel momento ne aveva avuto l’assoluta certezza. Gli appunti che aveva preso erano per lo più incomprensibili: parole vaghe appuntate senza un ordine logico che evidentemente avevano un senso soltanto per lui. Danielle aveva notato la parola calzature appuntata accanto al nome del compositore Gustav Mahler e a quello di un certo Albert, circondato da diverse frecce che chiaramente lo rendevano una persona di interesse.

Danielle cercò di richiamare silenziosamente la sua attenzione, ma William sembrava disperatamente perso nei suoi pensieri.

- Un penny per i tuoi pensieri.-

Il capitano parve risvegliarsi dal proprio torpore e fece una smorfia.

- Vorrei poterteli dire, i miei pensieri.-

- E’ così grave come sembra?- chiese ad un tratto, cercando di scuoterlo. 

William la fissò, una luce profondamente triste negli occhi.

- No, Danielle. E’ molto peggio.-

La donna sospirò e si guardò le punte delle dita intrecciate in grembo.

Non può essere peggio dell’ultima volta.

Mi rifiuto di credere che possa esistere qualcosa di peggio dell’ultima volta.

- Ci sarà un’altra guerra?-

- Non possiamo dirlo con certezza.- disse il capitano, guardandola dritto negli occhi.- Ma se ci sarà, temo che sarà peggio dell’ultima volta.-

Non era esattamente ciò che Danielle aveva voluto sentire.

La guerra aveva fatto migliaia di morti. Non ricordava il numero preciso, ma era quasi certa che si potesse addirittura parlare di milioni. Non aveva mai conosciuto nessuno che non annoverasse almeno un morto in quel conflitto insensato dove potenze incancrenite nella conservazione del loro potere avevano mandato una generazione intera al macello, e  per di più senza mezzi adeguati. 

Sua madre le aveva chiesto spesso perché non avesse fatto l’infermiera. Era un lavoro socialmente accettabile per una donna e le avrebbe permesso comunque di studiare. Avrebbe anche potuto fare medicina, se proprio avesse voluto frequentare l’università. Mica come la legge, quello era un lavoro da uomini. Anche se Danielle non avrebbe mai potuto fare il medico, in quanto donna, avrebbe comunque potuto fare ricerca e lavorare per la scienza.

Le ragioni per cui aveva rifiutato erano state molteplici. 

Una tra queste era certamente che Danielle, per quanto amasse la scienza, non era portata per essa. Era naturalmente curiosa e le piaceva scoprire i segreti dell’universo, della matematica e della chimica, ma ahimè non era proprio capace di stare loro dietro. Se i suoi compagni risolvevano le espressioni in cinque minuti, lei aveva bisogno di usarne dieci perché, se avesse saltato i passaggi come gli altri, avrebbe sbagliato i conti e tanti saluti. Lei era così. Bella la scienza, ma da lì ad avere la pazienza - e il talento - per sviscerarla ce ne correva.

No, Danielle era nata con una mente umanistica e avrebbe coltivato la scienza solo come una mera passione. La legge, in questo senso, le aveva offerto il connubio perfetto. 

La principale causa che l’aveva spinta verso un altro mestiere, però, era che i morti non parlavano. I morti erano lì, fermi, immobili, muti come pesci. Parlavano con i loro resti, con le tracce che trasportavano sui loro corpi, nei ricordi dei familiari che Danielle aveva incontrato. Con i morti non c’è più nulla da fare se non dare loro giustizia, e questo era qualcosa che lei poteva fare. Poteva, aveva gli strumenti per rimettere ordine. Per fare qualcosa. 

Era stato proprio con la guerra che Danielle aveva scoperto il dolore, quello vero, anche se all’epoca era stata soltanto una bambina. Il dolore che la gente si porta dentro e che trascina dentro le mura di casa, quello che vorrebbe nascondere e che invece esplode quando meno se lo aspetta, lasciandoti lì, impotente, a non sapere che cosa fare o cosa dire, a stringere la mano ai tuoi cari e ad aspettare che passi. 

La medicina ti mette quotidianamente di fronte al fatto che l’Uomo non è Dio, e che di fronte all’ineluttabilità della morte può solo assecondare la natura, arrendersi ad essa. Senza fare niente.

Danielle aveva scoperto di non saper gestire il senso di impotenza.

Tra le famiglie di Stratford Upon Avon non c’era stato nessuno che non avesse perso qualcuno nel conflitto, tranne lei. Incredibilmente e contro ogni aspettativa, suo padre era tornato a casa, vivo e soprattutto intero.

Non si poteva dire lo stesso di molti altri.

Le cicatrici di suo padre Edgar c’erano, ma non si vedevano. Erano tutte dentro la sua testa, e di notte i suoi demoni avevano preso vita per molto tempo, lasciando Danielle, bambina, seduta sul letto a tenergli la mano mentre lui gliela stritolava gridando e piangendo nel sonno, alla ricerca di un fucile che non c’era. 

Poi, con il passare dei mesi e degli anni, Edgar aveva smesso di piangere, di gridare, di cercare il fucile, ma non di svegliarsi la notte dopo qualche ora di sonno. Di norma non riusciva più a riaddormentarsi, così andava in cucina, si faceva un tè con un goccio di latte, accendeva la pipa e si metteva sulla poltrona che era stata di sua madre, davanti al camino acceso, a leggere o a intagliare qualche pezzettino di legno, o ad aggiustare l’orologio da camino che non aveva mai voluto saperne di funzionare a dovere. Continuava così fino a che il sonno non s’impadroniva di nuovo di lui, e al mattino lei e sua madre lo trovavano sempre che dormiva a bocca aperta sulla poltrona di nonna Helga. 

Per Danielle, il vero tributo della guerra non erano stati i caduti. Almeno, non erano stati soltanto loro. Per i morti la guerra era finita. Erano là, sepolti sotto la terra, sotto l’erba e centinaia di fiori di campo, là dove la natura aveva ripreso lo spazio che l’Uomo, sconsiderato, aveva martoriato. 

I morti non hanno più paura, non urlano, non piangono, non chiedono pietà, non chiamano la mamma. I morti non portano più sulle loro spalle il peso del dolore.

C’erano famiglie per cui la guerra, invece, non era mai finita. Persone che ancora attendevano invano figli, padri, mariti che tornassero dal fronte. C’erano uomini che ancora vivevano in guerra nella loro testa. I più fortunati erano a casa con i loro cari, anche se avevano qualche arto in meno, o faticavano a respirare, o avevano gli incubi. I più sfortunati, con la mente sfigurata dall’orrore, non sapevano più chi fossero o dove si trovassero, a casa propria o al manicomio non faceva differenza, chiusi in un loro mondo di fantasia oppure ancora là, dentro le trincee, in una guerra che non sarebbe finita mai.

Questo, per Danielle, era stato il vero tributo che quella guerra aveva richiesto.

Non poteva esserci di peggio. 

- Niente può essere peggio dell’ultima volta.-

William emise un sospiro triste. 

- Credimi, Danielle.- concluse il capitano, una luce lontana negli occhi, come se i ricordi riaffiorassero lentamente, vividi, nella sua memoria.- Tu non sai quanto l’uomo possa diventare bestia.-

William avrebbe tanto voluto dirle tutto. Avrebbe voluto dirle che per lui Danielle era stata un’ispirazione, che aveva fatto con i fascisti quello che lei aveva fatto con Van Allen: seguire i soldi. 

Suonava così banale, eppure nessuno l’aveva fatto prima. A nessuno era mai venuto in mente che un’organizzazione criminale poteva stare in piedi solo finché aveva i mezzi per comprare le armi. Le organizzazioni politiche funzionavano alla stessa maniera. Vivevano finché c’erano i fondi, i finanziatori a stampare i volantini. 

Era stato così, da un volantino e da un colloquio con i suoi superiori, che William Collins era diventato una spia. Chi ha pagato? aveva detto. Come sarebbe a dire? avevano risposto quelli. Beh, per stampare i volantini si saranno rivolti ad una copisteria di Londra, e sicuramente di questi tempi non hanno fatto il lavoro gratis.

Ed era stato così che si era messo in moto un meccanismo mostruoso che l’aveva portato fin sulle coste della Spagna, ad inseguire i soldi. Soldi e solo soldi. Il suo non sarebbe mai dovuto diventare un ruolo attivo. Monitorare e riferire. Controllare il flusso di denaro e da dove venivano i finanziamenti. Fare rapporto sulla situazione politica senza interferire e nulla di più.

Era stato in quel momento che il capitano si era accorto che c’erano uomini, tra i suoi superiori, a cui non dispiaceva il barbaro e violento modello di Mussolini, Hitler e Franco. 

Aveva parlato con pochi colleghi fidati. Il commodoro Albert Morris era una persona integerrima e votata alla democrazia. Li aveva avvisati, che qualcuno dall’Inghilterra avrebbe provato a portare Franco in Marocco, partendo dalle Canarie, un fatto che avrebbe innescato la guerra civile. 

Aveva nome e cognome. Douglas Francis Jerrold, assieme a quello di un altro paio di agenti dell’intelligence inglese.

Non era bastato. 

Gli occhi del capitano si erano fatti così scuri da sembrare quasi spaventosi. 

Danielle decise di non chiedere oltre e deviò la conversazione.

- Ti sei reso conto che la nostra Mercedes conosceva Federico Garcia Lorca?-

William sorrise.

- L’ho intuito. La sua morte è stata un orribile campanello d’allarme. La signorina Estravados potrebbe avere ragione. Se chi lotta per la libertà nel mondo non si sveglia, non resterà più nessuno vivo per lottare, né in Spagna, né altrove.-

Danielle non ne poteva più e cercò di stemperare l’ambiente.

- Qualcuno potrebbe avanzare contestazioni anche sul Commonwealth e sul concetto di Impero.-

William le lanciò un’occhiata in tralice.

- Attenta, mia cara. Potrebbero considerarti una traditrice.-

- Nulla che non abbiano già fatto.-

La faccia del capitano però le suggerì che potesse esserci molto, molto di più e che le implicazioni del suo scherzo potessero essere ben più gravi di quanto credeva. Intuì ciò che c’era da intuire e lasciò cadere l’argomento.

Gli versò una bella tazza di infuso calda e gliela porse. William la accettò di buon grado. A suon di chiacchiere con Mercedes, si era già fatta mattina inoltrata, e loro avevano altre due persone da ascoltare. 

- Credo che sia il momento di chiamare Emily e farci mandare il signor Kendall.- disse Danielle, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta. 

- Penso anche io.- concordò il capitano.- E penso anche che se continuiamo così non arriveremo vivi a stasera.-

Mentre Emily trottava diligentemente su per le scale, Danielle si sedette accanto a William e provò ad essere di un qualche conforto, anche se sapeva di non poterne fornire alcuno.

- Ti senti bene?-

Il capitano fece un sorriso mesto.

- Sinceramente, starò meglio quando tutta questa guerra sarà finita.-

- Ma noi non siamo in guerra.-

- Per ora, Danielle.- disse, e sospirò ancora, passandosi le dita nei ricci biondi.- Per ora.-

La donna posò una mano sulla spalla di William cercando di confortarlo, e l’uomo ne approfittò per ricambiare la stretta con una carezza in segno di ringraziamento. 

 

Grazie al cielo il signor Kendall arrivò giusto in tempo per interrompere quella conversazione deprimente. Bussò e si infilò dentro la stanza, l’aria serena, come se il delitto non lo riguardasse per nulla. 

- Allora, signor Kendall, a che punto sono le nostre foto?-

- In serata dovrebbero essere pronte. Credo che i signori Smith ci odieranno alla fine di questa vacanza: tra la ghiacciaia trasformata in obitorio e la cantina usata come camera oscura…-

- A meno che non ci odino già. Che cos’ha da dirci?- disse il capitano, facendogli cenno di accomodarsi sulla poltrona.

Danielle notò che William era stato piuttosto sbrigativo.

Dev’essere davvero di pessimo umore. 

Il ragazzo sedette, apparentemente senza fare troppo caso alle circostanze della conversazione. 

La donna rimase ad osservare con attenzione il comportamento del giovanotto. Anche in quel caso il dialogo l’avrebbe condotto William, per il quale il signor Kendall sembrava avere una certa predilezione. E come dargli torto? Per un aspirante giornalista d’inchiesta un uomo come il capitano era una miniera di risorse. 

- Assolutamente niente, capitano. La mia vita è monotona. Ho passato la giornata di ieri a studiare in giardino. L’ultimo esame di diritto prima della laurea, ed è enorme. Il mio professore non mi ama, dice che la carriera forense non è la mia strada, e in tutta onestà ha ragione. Volevo fare giornalismo, io, ma mio padre ha voluto per me qualcosa di diverso. L’unico spiraglio di luce in quella giornata noiosa è stata la signorina Estravados, con cui ho condiviso il pranzo e un bicchiere prima del fattaccio. Un gioiello di fanciulla.-

Danielle si domandò se avrebbe pensato la stessa cosa anche dopo aver scoperto che in realtà era una rifugiata politica parzialmente coinvolta in una missione segreta della Marina Militare, ma si trattenne.

- Le è americano, mi diceva?-

- Oh, sì!- disse il ragazzo, l’aria di chi finalmente poteva togliersi un peso dal cuore.- Sono venuto qua per seguire le orme di mia madre, che è di origini scozzesi. Importiamo il tartan e la lana proprio dalle Highlands, qui sono di casa. Inoltre, volevo studiare in un posto che mi permettesse di approfondire i mie interessi.-

Danielle non era sciocca. Le bande criminali erano forse più presenti sul suolo americano che su quello inglese. Là, il contrabbando di alcolici ed altre sostanze proibite era stato all’ordine del giorno, per non parlare delle guerre di supremazia nei quartieri poveri, in particolare tra etnie diverse. Il signor Kendall aveva da scrivere a bizzeffe senza uscire dalla porta di casa, e non aveva nessun motivo per attraversare l’oceano per studiare questo genere di argomenti. 

Decise, per il momento, di tenere queste osservazioni per sé e vedere dove andava a parare la conversazione. 

- Conosceva la vittima?- continuò William.

- No, ma ne avevo sentito parlare. Il cognome mi era sembrato fin da subito familiare, e infatti mi sono ricordato di aver letto di una bambina morta in circostanze sospette, mi pare si chiamasse Johan.-

Danielle sospirò. Quel caso, evidentemente, aveva avuto molta risonanza e cominciava a chiedersi che cosa sarebbe successo se si fosse concentrata su di esso invece che rassegnare le dimissioni. 

Avrebbe potuto prendere il Fornaio e creare un altro contatto per sgominare la banda di Gordon Van Allen?

- Johanna.-

Kendall appuntò il nome sul taccuino sdrucito. 

Decisamente un ottimo giornalista investigativo.

- Quindi lei ha passato l’intera giornata a studiare?-

- Ieri come oggi, signorina Peters. Spiacente.-

- E’ stato visto da qualcuno a colazione o pranzo?-

- La signorina Estravados. Ieri come oggi.-

- Nient’altro?- insistette Danielle.- Proprio nient’altro?-

All’improvviso, Kendall si fece rigido. 

- No.-

Un po’ troppo secca come risposta per essere credibile, e Danielle si convinse definitivamente che il giovanotto avesse qualcosa da nascondere. 

Diede un piccolo calcio sotto il tavolo a William per attirare la sua attenzione. 

- Aspetti, sì! Le scuderie! Il signor Smith era molto agitato, ieri sera. Non riusciva a capire il motivo per cui le scuderie fossero aperte. Diceva di essere convinto di averle chiuse a chiave, doppia mandata.- 

William appuntò l’informazione e congedò il signor Kendall prima che facesse domande inopportune.

- Può firmare l’elenco, per favore?-

- Certo! A che conclusione siete giunti?- disse, mentre firmava agilmente con la mano sinistra. 

- No possiamo rivelare niente.-

Il ragazzo sembrava poco convinto.

- Nemmeno un dettaglio piccolo piccolo? Non avete nemmeno un sospettato?-

- Se lo avessimo, temo che non potremmo rivelarlo ad altri se non alla polizia, signor Kendall. La prego, non insista ulteriormente.-

Il ragazzo fece spallucce, si alzò, strinse la mano ai due e se ne andò, i piedi proporzionati alla statura media che strusciavano leggermente contro il pavimento mentre lasciavano la stanza.

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Capitolo 31
*** Parte 2, capitolo 8: Mi sono salvata solo io. ***


Mi sono salvata solo io.

 

- Per quale motivo mi hai dato un calcio?- disse il capitano, massaggiandosi la caviglia urtata.

- Perdonami.- gli rispose, incassando la testa nelle spalle, dispiaciuta.- Ma credo che abbia qualcosa da nascondere. Non ti sembra strano che un americano, circondato di guerre tra bande e proibizionismo, venga in Inghilterra per approfondire gli studi sul crimine?-

William ci pensò su.

- Forse la tua fama ha attraversato l’oceano.-

Ci scappò una risata. 

- Sono seria, William.-

- Ce ne ricorderemo. Sono certo che prima della fine delle indagini dovremo risentire qualcuno, magari in forma più ufficiale.-

Un leggero scalpiccio di piedi si udì vicino alla porta. Nessuno dei due, però, si era avvicinato per chiamare Emily, che stava attendendo alle sue mansioni in cucina per preparare il pranzo. 

C’era solo una possibilità.

- Ci diamo il colpo di grazia?- chiese retoricamente Danielle.- Il tacco che sta arrivando non è di certo della signora Smith.-

William sgranò gli occhi e si passò una mano tra i ricci biondi.

- No!-

- Esattamente.-

- Mi ero dimenticato che c’era anche lei!-

- E’ tutta tua.-

Mariah Rogers bussò, aprì ed entrò senza attendere la risposta. Si sedette, con gli occhi bassi, sulla poltrona, la borsetta stretta in grembo, coordinata al suo completo anonimo grigio. La sciarpa color topo adesso le circondava le spalle, finalmente finita, mentre i ferri da calza ancora spuntavano seminascosti dal tessuto floscio della borsa. 

Sembrava aver ripreso, purtroppo, la sua solita attitudine scostante.

- Buongiorno signora.- disse il capitano, sperando visibilmente di non essere assalito.

- Non è un buon giorno.- disse lei, secca.- C’è un morto nella ghiacciaia.-

Il capitano emise un piccolo sospiro esasperato.

- Chiedo scusa, volevo solo essere gentile. Come lei ben sa, stiamo indagando sulla morte del signor Northwood…-

- Non vedo come.- ribatté, forse ancora più cattiva di prima.- Lei non è della polizia e questa qui…- aggiunse, puntando il dito nodoso e l’unghia appuntita verso di lei.- Non so nemmeno che cosa sia, questa qui.-

- Sono un pubblico ufficiale e ho ricevuto l’incarico dalla Marina. La signorina mi sta dando una mano ufficialmente. Avremmo bisogno di alcune informazioni a proposito della sua giornata, signora Rogers.-

Ma Mariah Rogers, da quell’orecchio, non ci sentiva proprio.

- Mi rifiuto. Non ho niente a che fare con questo delitto e non ho intenzione di dire niente a nessuno. C’è una donna al piano di sopra che ha bisogno di aiuto.-

Altro piccolo sospiro. Danielle non aveva avuto il tempo di concordare alcuna strategia con il capitano e un po’ se ne rammaricava, per via dell’atteggiamento che la signora aveva nei suoi confronti. Il colloqui con Mercedes, poi, lo aveva lasciato visibilmente segnato e non si meritava minimamente anche gli insulti gratuiti della signora Rogers.

Dall’altra parte, però, vederlo così confuso era un divertimento. Faceva tenerezza, poveruomo. Pacifico d’animo e riservato, schivo e, se non fosse stato un militare, Danielle l’avrebbe definito completamente all’oscuro della malignità del mondo. Pareva non sapere che cosa fossero odio, rancore e altri sentimenti negativi, e per questo non capiva il motivo per cui Mariah Rogers era, o sembrava, sempre, perennemente arrabbiata come una bestia. 

Date le circostanze e nonostante la ferrea solidarietà nei confronti di William, il fatto che la signora non avesse alcuna intenzione di rivolgerle la parola non la toccava minimamente, anzi, era ben lieta di delegare il compito al capitano.

- Mettiamola in questo modo.- disse William, poggiando i gomiti sul tavolo, con pazienza. - La signora al piano di sopra ha bisogno di aiuto. Le hanno ammazzato il marito. Compito nostro è cercare di dare giustizia a lei e al morto. Vorrebbe cortesemente essere così gentile da darci una mano?-

Mariah Rogers sembrò pensarci su. 

Forse, prendendola in questo modo, l’aveva convinta. 

- Va bene. Che cosa volete sapere?-

- Principalmente, tutto della sua giornata. Parliamo dell’altro ieri. Avremo bisogno di tutti i dettagli, signora, tutto ciò che si ricorda. Potrebbe rivelarsi molto utile.-

Mariah Rogers annuì e i ricci grigi si mossero piano sulla testa curata.

- Mi sono svegliata molto presto, albeggiava appena. Ho pregato. Sono scesa a fare colazione. Ho pregato in giardino. Ho lavorato a maglia e ho finito la sciarpa. Ho pregato prima di pranzo. Ho pranzato. Ho pregato dopo pranzo. Ho fatto un pisolino dopo pranzo. Sono uscita a fare una passeggiata in riva al lago. Quando è calato il sole sono rientrata. Ho lavorato a maglia nel salone, ho cominciato dei calzini. E’ scoppiato il temporale. Ho pregato. Abbiamo sentito urlare. Ho prestato soccorso alla signora Northwood assieme al dottor Webber e sua moglie. Ho bevuto una tazza di latte per cena e ho pregato. Ho dormito. Mi sono svegliata questa mattina presto, albeggiava appena. Ho pregato.-

- Va bene, signora.- fece il capitano, prima che ripartisse con il libro delle ore anche per la giornata odierna.- Non ha notato niente di particolare?-

- Io noto tutto, capitano.- gli disse, un lampo di luce quasi maligna negli occhi.- L’ho sentita scendere a fare colazione mentre pregavo. Mi ha disturbata. In giardino il signor Northwood e il signor Webber sono andati a fare una passeggiata in riva al lago, mentre le mogli prendevano il sole. La signora Northwood si è sentita male. Il morto è tornato per primo e ha portato la moglie in camera. Sembrava arrabbiato. L’altro invece sembrava disperato, ed è tornato più tardi. Quella spagnola non si è vista, mentre il dottore, quel tedesco ebreo, ha dormito sulla sdraio in riva al lago. Il giovanotto, invece, ha studiato un libro enorme, non so che cosa fosse. Voi due siete andati in giro a fare le tortorelle.-

Danielle si sentì avvampare e il capitano si aggiustò impercettibilmente sulla sedia.

Quella donna era una specie di telegrafo: percepiva ogni bisbiglio.

- A pranzo c’eravamo tutti tranne i Northwood. Dopo pranzo voi due avete ancora dato scandalo, il tedesco e la spagnola si sono messi a chiacchierare sotto un albero, il giovanotto continuava a studiare e aveva l’aria di uno condannato all’oblio perpetuo mentre i signori Webber sono andati a fare una passeggiata, poi si sono accomodati sulle sedie sdraio in riva al lago. La signora si è addormentata, mentre il marito ad un certo punto si è alzato ed è andato via. E’ stato lontano per poco, ma è tornato in tempo perché la moglie si svegliasse e per rientrare al calar del sole. Poi stavate tutti bevendo allegramente, ignari dei segnali.-

Danielle pensò che definire scandalo una passeggiata in riva al lago era decisamente eccessivo, tuttavia, le informazioni della signora risultarono preziose. 

In generale, tutte le ricostruzioni sembravano collimare. Danielle annotò mentalmente il fatto che William, come già aveva capito, si era svegliato prima degli altri ed era sceso per primo, con l’intento di chiedergli informazioni in seguito.

- Mentre voi eravate fuori sotto il temporale a cercare il morto, io, il dottore e la moglie siamo rimasti con la signora Northwood. E’ stata lavata e medicata. Le sue ferite non erano gravi né troppo profonde. Aveva dei cocci nei capelli. Il dottore le ha dato dei calmanti. Ha dormito.-

- Bene.- disse il capitano, finendo di prendere appunti.- Come mai è rimasta con la signora Northwood? Devo dire che la sua perizia ci ha positivamente stupito. E’ stata molto brava.-

Lo sguardo della signora si fece lontano.

- Io… Ho fatto l’infermiera.-

Era evidente che il capitano voleva approfondire. Danielle ricordava distintamente di quando aveva calmato l’anziana signora durante una delle sue crisi causate dai lampi e dai tuoni. William aveva accennato ad una reazione comune in chi aveva visto la guerra, e Danielle suppose che quella rappresentasse per lui l’occasione giusta per venire a capo degli strani comportamenti dell’istitutrice. 

- Davvero? Mestiere molto nobile, mi congratulo con lei. Ho qualche parente che esercita la professione medica al Saint Bartholomew’s Hospital, magari avete lavorato insieme.-

- No.- disse la donna, improvvisamente pallida.- Ho fatto l’infermiera negli ospedali da campo, in guerra. Ero sulla HMS Indefatigable, nello Jutland.-

Danielle vide la luce morire definitivamente negli occhi del capitano.

La battaglia dello Jutland era stata la battaglia navale più importante della guerra. I giornali ne avevano parlato per mesi. Entrambi i fronti avevano subito grosse perdite, e la Indefatigable era stata una di queste, colata a picco dopo essere stata colpita dal fuoco nemico. I proiettili della Von Der Tann avevano colpito i serbatoi e si era verificata una terribile reazione a catena. 

Danielle si sentiva impotente. Non poteva fare nulla per aiutare William, la cui giornata era evidentemente destinata ad andare storta, e se ne rammaricava. Si sentì stupida per non aver fatto prima quell’associazione: un uomo della sua età, e per di più marinaio, aveva quasi sicuramente prestato servizio durante la battaglia dello Jutland. 

Rimase ferma a guardarsi le scarpe mentre si domandava che cosa il capitano dovesse avere visto o subìto durante quello scontro. 

- Come si è salvata, signora?-

Il tono della sua voce era profondo, come se stesse emergendo dagli abissi del mare.

Abissi che forse aveva visto in prima persona. 

- Sono andata a fondo. Un oblò si è rotto. Sono uscita e mi sono attaccata ad un barile. Mi ha salvata lo stesso Jellicoe. Mi ha raccolta in mare. Sulla Indefatigable c’erano mio marito Ned e mio figlio. Sulla Queen Mary c’erano mia sorella e mio fratello. Mi sono salvata solo io.-

- Ricordo l’esplosione della Queen Mary. Mi dispiace molto.-

- Lei era là, capitano?-

Lo sguardo dell’uomo era grave, oscuro e lontano.

- Sì.-

Il silenzio calò nella stanza. 

William non chiese altro. Danielle non proferì parola. La signora evidentemente non aveva altro da aggiungere. 

Prese la penna con la mano destra e firmò. I suoi piedini scalpicciarono contro il pavimento mentre se ne andava. 

Quando fu sulla porta, si voltò verso William e disse:

- Lei prega mai, capitano?-

L’uomo scosse la testa, senza parlare.

- Dovrebbe.- disse lei, fissando il pavimento e parlando forse più a sé stessa che agli altri.- Dovrebbe. Ci sono i fantasmi. Fantasmi ovunque.-

E se ne andò, bofonchiando.

 

Vedendo che il capitano non aveva scritto una riga oltre il minimo indispensabile, Danielle, seduta in silenzio sul suo scanno al suo fianco, si era presa la briga di prendere appunti. Non appena posò la penna, si rese conto che William non aveva mosso un muscolo da quando la signora Rogers aveva lasciato la stanza. Continuava a fissare il tavolo, con lo sguardo assente, percorrendo le venature del legno in silenzio, perso in ricordi che forse avrebbe preferito dimenticare.

- William?- gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla.

- Sai quanti si erano imbarcati sulla HMS Indefatigable?-

- No.-

- Mille e diciannove. Sai quanti se ne sono salvati?-

Danielle scosse la testa.

- Due.-

Il silenzio nella stanza si era fatto palpabile. 

- Arrivavano da tutte le parti. Non ho mai visto niente di simile.-

Danielle aveva sempre pensato che lavorare in Marina fosse molto affascinante, ma allo stesso tempo terribile. Ci aveva pensato diverse volte e si era detta che, se si fosse un giorno trovata a scegliere tra volare e navigare, avrebbe cento volte scelto di volare. Non perché non le piacesse il mare - anzi, lo adorava - ma perché era terrorizzata dall’idea di morire annegata. 

Fare la fine del topo chiusa in una scatoletta piena d’acqua non le piaceva per niente. Non che precipitare le piacesse di più, ma delle due, le sembrava la fine più rapida. 

In ogni caso, meglio coi piedi per terra.

Per questo trovava la scelta del capitano molto coraggiosa e non poteva fare altro che ammirarlo. Rivedeva in lui gli stessi occhi che suo padre aveva avuto quando era tornato a casa dopo le trincee. 

Era proprio vero che la guerra lasciava ferite insanabili. La signora Rogers più di altri aveva perso qualcuno. Si poteva dire che aveva perso tutto: suo marito, i suoi figli, i suoi stessi familiari, ed era perseguitata dai loro fantasmi, che altro non erano che i suoi stessi ricordi, dalle esplosioni, dal sangue, dall’acqua e dal dolore. 

Il capitano non riusciva a dimenticare chissà quale disastro.

Chi era rimasto aveva pagato le conseguenze della crisi economica, dell’assenza dei cari, fosse essa fisica o mentale, della paura in generale. 

Di fronte a certe tragedie, si sentiva fortunata. 

- Sono desolata, William. Mi dispiace molto.-

L’uomo si stirò, cercando di riprendersi. Danielle pensò che forse un po’ d’aria gli avrebbe fatto bene.

- Hai preso tu gli appunti per la signora Rogers? Mi dispiace, io avevo la testa altrove.-

Danielle abbozzò un sorriso empatico.

- Non c’è problema. E’ tutto scritto qua.- e mostrò la sua fedele agenda aperta sulle sue gambe. 

- Se non ti dispiace, io prenderei una boccata d’aria, prima di continuare.- disse il capitano anticipandola, alzandosi in piedi sulle lunghe gambe e spostando la poltrona con garbo. - Oggi è davvero una pessima giornata.-

Danielle si chiese se volesse compagnia o se preferisse stare da solo. 

Nessuno dovrebbe soffrire in silenzio, se qualcuno può ascoltare. 

Decise di tentare.

- Vuoi che venga con te?-

L’uomo la guardò, l’aria un po’ stupita.

- Volentieri. Credo, però, che non sarò di molta compagnia.-

- Non è la compagnia che cerco.-

William pensò che se tutti fossero stati in grado di ascoltare come Danielle, il mondo sarebbe stato un posto migliore.

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Capitolo 32
*** Parte 2, capitolo 8: Sono sicura che troverai un modo per risolvere tutto questo gran caos. Se c'è qualcuno che può farlo, quello sei tu. ***


Sono sicura che troverai un modo per risolvere tutto questo gran caos. Se c’è qualcuno che può farlo, quello sei tu.

 

Le piogge dei giorni precedenti avevano reso l’aria fresca, ma umida. Una nebbiolina densa si sollevava dal lago, e avrebbe reso il paesaggio incredibilmente spettrale e sconsolato se non vi fosse stato il sole a splendere nel cielo. 

Danielle si strinse nella giacca, mentre spifferi gelidi si infilavano dappertutto sotto i tessuti. Pensò che, con tutta quella umidità, i suoi capelli sarebbero gonfiati fino a trasformarsi in una spugna. 

L’ultima volta che aveva dato peso al suo aspetto estetico era stato molto tempo prima, e si compiacque per essere tornata ad avere un poco di amor proprio. Forse non era stato tutto merito suo.

Lanciò un’occhiata in tralice all’uomo che le stava accanto. 

William si stava annodando pensoso un ascot attorno al collo e si stringeva a sua volta nella giacca. 

- Fa fresco.- disse, cercando di fare conversazione. Ne sentiva in dovere, verso quella donna che si era offerta di stargli vicino, e cercava almeno di non essere muto come un pesce.

- Non devi parlare per forza, se non vuoi.- gli rispose, trotterellandogli accanto.

Era estremamente difficile che William si confidasse con qualcuno. Aveva imparato presto che le persone non amano sentire le disgrazie degli altri. Che si trattasse dei problemi della sua famiglia o della guerra, erano questioni che dovevano restare personali. 

I panni si lavano in casa e non si chiede aiuto, perché infastidisce. 

La cosa divertente, però, era che quel principio cadeva dalle labbra di quelle persone che non vedevano l’ora di sguazzare in quei medesimi panni sporchi. 

Danielle era diversa e forse valeva la pena tentare. 

Nei limiti della riservatezza che gli imponeva la sua professione, ovviamente.

Ammesso che non se ne esca con una delle sue deduzioni, in stile Tarragona.

In tal caso, alzo le mani e mi arrendo.

- Sono partito quando ero solo un ragazzo. La mia famiglia non mi andava a genio, come avrai capito, ormai, ed io volevo vedere il mondo. La guerra in questo mi ha aiutato, perché sono stato distaccato nel mare del Nord, in Danimarca. Un luogo bellissimo. Non sono finito in un sottomarino per puro caso e l’avrei rimpianto, perché non avrei mai visto il sole di mezzanotte.-

Continuarono a camminare al fresco e nella foschia, Danielle accanto a lui, in silenzio. William apprezzò che lo lasciasse parlare e le offrì il braccio. La donna accettò di buon grado.

- Lo Jutland è stato solo l’inizio. La mia prima vera battaglia. Rimasi ferito ad una gamba e finii in una nave ospedale ancorata a Portlethen. Guarii in poco tempo, ma la degenza fu lunga abbastanza affinché mi ammalassi di febbre.-

- Febbre spagnola?-

William annuì.

- Nel mio reparto si ammalarono in trenta. Morirono in venti, quattro si salvarono, tra cui io. Gli altri hanno avuto conseguenze invalidanti gravi. C’è stato chi non si è più svegliato.- 

Danielle sospirò e strofinò le dita sul braccio del capitano.

- E’ stato un inizio traumatico.-

- Che mi fece rimpiangere di aver voluto fare il militare, ad essere del tutto onesti. Tuttavia, conclusosi il conflitto, ho visto tanti di quei paesi, luoghi così belli, che non cambierei il mio lavoro con nessun'altra professione. Da quel momento, ho sempre lavorato per la pace, per evitare che si ripetesse di nuovo quello che era accaduto nel Sedici. Inutile dire che, stando così le cose - ed allargò le braccia mentre faceva chiaramente riferimento alla conversazione avuta con Mercedes - ho fallito clamorosamente.-

Danielle si strinse ancora di più al suo fianco.

- Non dire così. Non tutto è perduto. Sono sicura che troverai un modo per risolvere tutto questo gran caos. Se c’è qualcuno che può farlo, quello sei tu.-

William sorrise.

- Lo pensano anche i miei superiori. Peccato che non vogliano saperne di promuovermi.-

Danielle aggrottò le sopracciglia.

- Come? Pensavo che dopo la tua bella scampagnata in Spagna saresti diventato ammiraglio.-

Il capitano scoppiò a ridere di gusto.

- Credimi, lo pensavo anche io, ed evidentemente lo pensano in molti, ma no. Niente ammiragliato.-

Danielle scosse il capo, pensando che i superiori, in fondo, erano tutti uguali. 

Per adempiere al suo scopo primario e distrarlo, però, scoprì di non avere argomenti veri e propri.

Fu William stesso ad intercettare il suo sguardo e a dirottare la conversazione. 

- Sei stata molto brava.- disse, ammiccando verso l’albergo. Danielle fu contenta che qualcuno apprezzasse il suo modo di interrogare le persone. - Una volta ho assistito ad un interrogatorio di polizia. Urla, pugni sul tavolo, un sacco di confusione, e non hanno cavato un ragno dal buco. Tu sei diversa.-

Danielle abbozzò un sorriso.

- E’ molto semplice, in realtà. Ci sono persone che si intimoriscono di fronte alla violenza, altri che sono abituati. Non con tutti funziona lo stesso metodo. Una volta mi è capitato di interrogare un trafficante di oppio, grosso come un armadio. I miei colleghi avevano provato di tutto e quello non aveva detto una parola, alla fine ho deciso di provarci io. Mi risero in faccia.-

- E tu che cosa hai fatto?-

- Sono uscita a comprare tutti i giornali disponibili, sono entrata dentro la stanza, ne ho aperto uno a caso e mi sono messa a leggere. Dopo dieci minuti quello friggeva come un uovo al tegamino. Mi ha chiesto che cosa stessi facendo e io gli ho esposto la questione. Ti abbiamo beccato con quindici libbre di oppio. Sto aspettando che tu confessi, gli ho detto. Ha vuotato il sacco nel giro di mezz’ora.-

Il capitano rise divertito. 

- Credimi, non vorrei essere nei panni dello sfortunato che capita sotto le tue grinfie. Cioè, non voglio dire questo, voglio dire che farsi interrogare da te deve essere un’esperienza non da poco, cioè…-

- William?-

- Sì?-

- Ho capito.-

Calò il silenzio. 

Un leggero colpo ritmico si udiva in lontananza. I due si guardarono e seguirono quel suono, sperando di individuarne la fonte. Aggirarono il castello e si trovarono di fronte al bell’edificio di pietra delle scuderie, che si estendeva più in lunghezza che in altezza. Le finestre e le porte, molto frequenti, erano circondate da splendidi archi. 

Danielle ripetè a se stessa che le scuderie erano davvero la parte che preferiva della struttura, dal momento che, sicuramente, era più originale e non danneggiata dal restauro pittoresco intrapreso su tutto il resto dell’albergo. 

La porta era aperta. 

I due si avvicinarono e bussarono timidamente.

- C’è nessuno?- chiese il capitano, sbirciando dentro.

- Sono io.-

Everard Smith non si trovava all’interno, bensì alle loro spalle, piuttosto sudato e coperto di schegge di legno. 

- Sto spaccando la legna per il camino. Avete bisogno di qualcosa?-

- Salve, signor Smith.- disse Danielle, sorridendogli.- Volevamo solo capire che cosa fosse il rumore che sentivamo. Sta spaccando legna, ha detto?-

L’uomo dondolò la testa da una parte e dall’altra, come se gli facesse male il collo.

- Sì, ma con questa umidità credo che smetterò presto. Sa, la cervicale.-

Danielle capiva, eccome se capiva. 

Poco lontano dalle scuderie, poterono constatare l’operato del domestico. Grossi pezzi di legno giacevano scomposti sull’erba. C’erano trucioli ovunque, compatibili con quelli che l’uomo aveva sulla sua terribile camicia di tartan. Un’ascia si confondeva con l’erba e quella che Danielle suppose essere la base di un grosso albero tagliato molto tempo prima fungeva da supporto.

- Ha bisogno di una mano, signor Smith?-

- Oh, no, grazie, capitano, è molto gentile, ma ho quasi finito.-

- Ha aperto lei le scuderie?-

- Sì, signorina, ma solo per prelevare la carriola. Attenderò che vi abbiate fatto la ricognizione per mettere in ordine la legna, come d’accordo.- e indicò una carriola tutta arrugginita alla sua sinistra. - A questo proposito, tra poco è ora di pranzo e mia moglie ha preparato un ottimo pasticcio di carne. Se volete, potete passare da qua. Entri pure, capitano. Ormai lei è di casa.- 

William sorrise e tenendo stretto il braccio di Danielle la condusse sotto il portico dove avevano conversato il giorno prima. Lì, imboccò una porticina di legno da cui penzolavano un paio di grosse chiavi di ferro scuro, e fece strada dentro quelli che parevano i quartieri dei signori Smith.

- Questo è il retro dell’accettazione!-

- L’altra mattina, sono sceso presto a fare colazione, avevo una fame che non ci vedevo. Ho mangiato con i signori Smith, che mi hanno mostrato quest’uscita per raggiungere il portico. Un luogo incantevole ed un passaggio molto pratico.-

- Mi domando se non ci sia passato anche il nostro assassino.-

William non lasciò il suo braccio nemmeno mentre attraversava l’accettazione e la sala da pranzo. Le scostò la sedia per farla accomodare e Danielle si sedette, lanciando sguardi in giro. Emily, sempre più nervosa, stava già portando in tavola il pasticcio di carne a cui aveva accennato Everard. 

Tra i commensali c’era anche Eveline Northwood, algida e pallida come un fantasma. I coniugi Webber videro Danielle, ma si voltarono dall’altra parte. Il dottor Dietrich salutò con un cenno del capo e la bocca piena. Il signor Kendall e Mercedes chiacchieravano tra loro. La signora Rogers sedeva da sola e guardava fuori dalla finestra, assorta. 

- Credo che tu abbia ragione, Danielle.- concluse William, accomodando la sedia.- Sarebbe la via più breve per entrare ed uscire, e come hai visto tu stessa le chiavi sono appese sopra la scrivania, bene in vista. Dobbiamo assolutamente dare un’occhiata alle scuderie.-

Fu così che, dopo pranzo, i due si presero di nuovo sottobraccio e percorsero a ritroso il corridoio da cui erano venuti. Incontrarono Everard, che li stava aspettando solerte sotto il portico. Era ancora coperto di schegge di legno, e il capitano, mosso a compassione, si offrì di aiutarlo a portare la carriola piena. 

- Dove raccoglie la legna di solito, signor Smith?-

L’uomo indicò la boscaglia.

- Là, a volte qualche albero cade, o si ammala, e noi lo tagliamo e lo usiamo per il camino. Se possiamo, ne piantiamo un altro.- 

Everard li condusse nel suo boschetto, presso le piante che amava tanto. C’erano al limitare del bosco alcuni alberelli bassi, quasi arbusti, che William e Danielle non avevano notato durante il loro inseguimento. 

Il retro era decisamente diverso dalla parte frontale, soprattutto adesso che lo vedevano alla luce del sole. Non vi erano tracce di acqua, solo bosco, e questo diminuiva grandemente la foschia. Un piccolo tratto brullo, quasi un piccolo cortile, separava il castello dalla prima fila di alberi. 

Danielle si accigliò.

- Scusami, William, ma qualcosa non torna. Passando di qui l’assassino sarebbe stato allo scoperto, e noi siamo sopraggiunti quasi subito. Avremmo dovuto vedere qualcosa, a meno che non sia un velocista. La finestra dei signori Northwood, poi, dà sul retro del castello, eppure l’assassino, che aveva a disposizione tutto il bosco per compiere il delitto e sparire, si è preso la briga di arrampicarsi in cima ad un picco di roccia. Perché?- 

William soppesò la domanda.

- Non ne ho idea.-

Un forte scoppio e un fischio vicino all’orecchio la destarono dai suoi pensieri e tutto cominciò a muoversi molto velocemente. Everard Smith urlò. Il capitano la prese per le spalle e la gettò a terra senza cerimonie, mentre altri proiettili si schiantavano al suolo, sollevando piccole zolle d’erba. Poi, prima che lei stessa potesse suggerirlo, William la sollevò di peso e la fece nascondere di corsa dietro la prima fila di alberi, al riparo dai colpi del loro sicario.

La schiacciò contro il tronco e la protesse con il suo corpo, prima di lasciarla andare non appena gli spari cessarono.

- Da dove venivano?- chiese Danielle, respirando furiosamente e guardandosi intorno, confusa. - Chi è stato a sparare?-

Il capitano, però, non le rispose. 

Danielle sporse piano la testa fuori dal tronco e un nuovo proiettile filò diritto vicino alla sua tempia e colpì la corteccia, facendola riparare di nuovo dietro l’albero. 

 

- State giù! State giù!-

- Spostati, Evans, mettiti al riparo!-

- Turner, via di lì!-

 

Chiunque fosse, li stava tenendo sotto tiro.

Danielle cercò di pensare rapidamente. Stava sparando vicino - o meglio dentro - ad un luogo abitato, e questo significava che aveva poco tempo prima di essere scovato. A giudicare dalla frequenza dei colpi, probabilmente si trattava di un’arma moderna e meccanica, capace di sparare diversi proiettili uno dietro l’altro. Danielle era certa che la pistola avesse sparato quasi tutti i colpi. Di sicuro, ne aveva esplosi almeno cinque. 

Gliene restava solo uno.

Forse.

 

- Attenti, ha un fucile!- 

- A terra! A terra!-

 

Danielle si sporse di nuovo e l’ultimo colpo andò ad infrangersi contro l’albero opposto. Poi, nonostante fosse ancora a portata di tiro, nessun proiettile venne più esploso.

O il loro tiratore stava ricaricando, oppure se l’era battuta. 

- Che cosa sta succedendo?- 

La voce del signor Kendall giunse come una salvezza. 

Il ragazzo si era affacciato alla finestra e il dottor Dietrich si era invece precipitato a dare manforte al signor Smith, ancora accucciato per terra. Poteva udire Mercedes brontolare in spagnolo dalle finestre aperte della sala da pranzo.

Solo in quel momento realizzò che il capitano era fermo a terra.

 

- NO!-

 

Sul mondo calò la notte. L’unica cosa che Danielle poteva distinguere era una sensazione di freddo e di buio. Rimase, per un arco di tempo che per lei sembrava infinito, a fissare il corpo del capitano Collins a terra, con gli occhi spaventati che le si aprivano sempre di più senza che lei potesse controllarli. 

Poi si lanciò.

Non sapeva che cosa stesse facendo e nemmeno che cosa stesse dicendo. Sapeva di aver aperto la bocca e, forse, di aver urlato. L’aveva voltato sulla schiena ed aveva cominciato a scuoterlo convulsamente. Una, due, tre volte. Continuava a sbatterlo contro l’erba umida, sperando di farlo riprendere. 

 

- Eric! Eric, guardami!- 

- Eric! Resta con me, ti prego, non andare via!-

- Ti prego, ti scongiuro! Non mi lasciare! Resta con me! ERIC!-

 

Non di nuovo.

- Danielle, Danielle! Sono sveglio!- disse William, dopo l’ennesima botta sull’erba, ma la donna pareva non sentirlo. 

Dopo averlo sbatacchiato per benino, non paga, cominciò con gli schiaffi.

- William! WILLIAM!-

- Danielle… Sono…Vivo!- provò a dire, mentre lei continuava a suonargliele come se non ci fosse un domani con lo scopo di farlo rinvenire. 

Fu merito del dottor Dietrich se, tenendola per le spalle, la fece indietreggiare e gli consentì di alzarsi.

- Was ist los?- disse il dottore, cercando di trattenere la donna, che tremava visibilmente. 

Il capitano non capì granché, ma poté supporre che volesse delle spiegazioni.

- Ci hanno sparato addosso. Non ho capito bene da dove venissero i proiettili, ma chiunque fosse, ci era alle spalle. Abbiamo fatto appena in tempo a nasconderci prima che arrivaste voi.-

 

- No, ti prego…-

- El…-

- Ti prego…-

- …la, Ella…-

 

Danielle si sentiva la testa come una boccia per pesci rossi piena d’acqua. Annuì, dando conferma della versione del capitano, ma si guardò bene dall’aprire bocca.

- Direi che forse è il caso di tornare dentro e medicarle quel braccio, Herr Collins.-

Il capitano si guardò e prese coscienza della sua manica sporca di sangue. Aveva anche un discreto mal di testa. Si toccò i ricci biondi e scoprì che anche la sua mano si era tinta di rosso.

- Mi sa che dovrà medicarmi un po’ ovunque, dottore.- concluse, alzando le spalle.- Credo di aver battuto la testa cadendo.-

- Vediamo che cosa si può fare. Torniamo nel castello.-

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Capitolo 33
*** Parte 3, capitolo 9: Se così fosse, l'ipotesi del crimine organizzato acquisterebbe un minimo - e bada bene, minimo - senso logico. ***


PARTE III

 

Mi sembra pari agli dèi 

quell’uomo che siede di fronte a te 

e vicino ascolta te che dolcemente parli

e ridi un riso che suscita desiderio. 

Questa visione mi ha veramente turbato

il cuore nel petto: appena ti guardo per un breve istante,

nulla mi è più possibile dire,

ma la lingua mi si spezza e subito

un fuoco sottile corre sotto la pelle 

e con gli occhi non vedo nulla

e rombano le orecchie

e su di me sudore si spande

e un tremito mi afferra tutta

e sono più verde dell’erba 

e sembro a me stessa poco lontano dal morire.

Ma tutto si può sopportare […]

 

Saffo, Poesie.

 

 

9.

 

Loch Awe, 8 settembre 1936, primo pomeriggio.

 

Se così fosse, l’ipotesi del crimine organizzato acquisterebbe un minimo - e bada bene, minimo - senso logico.

 

Danielle era furibonda. 

Non c’erano altri aggettivi per definirla. Avrebbe volentieri spaccato la faccia a chiunque avesse loro sparato, se solo lo avesse preso. Quel viscido verme, pendaglio da forca, non solo aveva avuto la splendida idea di attaccare alle spalle, ma aveva avuto anche il fegato di farlo in pubblico, sebbene fosse stato abbastanza codardo da non farsi vedere. Per non parlare poi di come si era comportata lei stessa, anzi, di come quel viscido verme l’aveva spinta a comportarsi. 

Danielle si vergognava profondamente. Non era di sicuro il suo primo conflitto a fuoco e, per quanto odiasse ogni genere di arma, anche lei aveva esploso i suoi colpi. Il trauma dell’ultima volta però era ancora vivo in lei, evidentemente. Se quel poco di buono non avesse sparato, si sarebbe risparmiata di comportarsi come una qualsiasi signorina terrorizzata - cioè, come era permesso comportarsi ad ogni persona normale tranne che a lei - quasi in attesa che il dottore tedesco la facesse riprendere dallo shock.

Per non parlare poi del fatto che quel figlio di buona donna aveva colpito William.

Oh, no, gliel’avrebbe fatta pagare cara. Si sarebbe per sempre ricordato di Danielle Peters.

Sin da quando erano rientrati in albergo, scortati dal dottor Dietrich e dal signor Smith, aveva rifiutato categoricamente ogni coperta, scialle, lenzuolo che le venisse offerto, ma aveva accettato di buon grado un bicchiere di whisky, lei, che non beveva praticamente mai. Mentre gli altri se ne erano rimasti atterriti in sala da pranzo, domandandosi che cosa fosse accaduto, Danielle era salita nella torre, in piedi di fronte alla porta della camera del capitano Collins, facendo avanti e indietro, ad aspettare che il dottor Dietrich finisse il suo lavoro e a meditare la sua vendetta.

Aveva dei sospetti. Eccome se ce li aveva. Certo, sarebbe dovuta tornare fuori a fare alcuni rilievi, ma la sua memoria era sempre stata buona e aveva sempre funzionato meglio sotto pressione. 

Danielle ricordava tutto, anche i dettagli. Persino l’angolo, l’inclinazione della traiettoria del proiettile.

E aveva tratto le sue conclusioni.

Il dottore uscì dalla camera e lasciò la porta aperta.

- Allora?- chiese la donna, senza troppe cerimonie.

- Niente di grave, qualche punto al braccio e qualche punto alla testa. Ha perso i sensi perché, cadendo, ha sbattuto contro una roccia.- la guardò di sottecchi, sorridendo sotto i baffi.- I suoi modi, Frauerin, non sono sicuramente molto delicati, ma efficienti. Non ha peggiorato la ferita alla testa sbatacchiandolo in quel modo contro l’erba. Stia tranquilla.-

Danielle sentì le proprie guance imporporarsi ed abbassò lo sguardo.

- Grazie, dottore.-

Il tedesco rimase a scrutarla, con i suoi occhi verdi così chiari da sembrare ghiaccio. Danielle sostenne lo sguardo, cercando di non dare a vedere il suo disagio. 

- Lei ha bisogno di riposo, Frauerin.-

Danielle sbuffò, acida.

- Solo perché sono una donna.-

Il dottore scosse il capo, sospirando. 

- Solo per il trauma che ha subìto tempo fa. Non ne so molto e non mi interessa sapere nulla, ma credo che sia giusto che il suo corpo si riprenda. Ne avrebbe bisogno chiunque.-

Danielle emise un sospiro. Che avrebbe dato per sdraiarsi sul letto con qualche goccia di sonnifero e dormire da lì all’indomani mattina, ma non poteva permetterselo! Scosse il capo, sconsolata.

Il dottore parve capire e annuì.

- Soltanto, cerchi di non far alzare la pressione ancora di più. Mantenga la calma.-

Danielle la vedeva difficile, visto che vedeva ancora rosso, ma si ripromise che ci avrebbe provato. 

- Dottore, per favore, prima che succeda qualcos’altro, potrebbe cominciare ad esaminare gli abiti degli ospiti, quelli chiusi nell’armadio dei fucili?-

- Quelli che abbiamo repertato la sera del delitto?-

- Esattamente.-

Il dottore parve sgomento.

- Wonach soll ich suchen?- 

- Alles was nützlich sein konnte.- 

L’uomo alzò un sopracciglio bianco come la neve.

- Almeno sarò autorizzato ad usare una lente di ingrandimento?-

- Deve usare una lente di ingrandimento. Per qualsiasi cosa intendo letteralmente qualsiasi cosa. Capelli, polline, corteccia, differenza nella composizione dell’acqua…-

- Quello va un po’ oltre le capacità di una semplice lente di ingrandimento…-

- Intendo dire che dovrà fare quello che potrà, magari anche di più. Voglio prenderlo, dottore. Questa farsa finisce adesso. Per questo motivo ho bisogno di chiederle un ulteriore favore.-

- Ovvero?-

- Il proiettile. Voglio vita, morte e miracoli di quell’aggeggio. Striature, qualità di polvere da sparo. Tutto ciò che una lente di ingrandimento può permetterle di fare. Prove, dottore.-

Non appena il dottore se ne fu andato scuotendo il capo con ironia, la donna si avvicinò alla porta, la trovò leggermente aperta e non potè fare altro che complimentarsi con l’acume del buon tedesco, che aveva sicuramente intuito il suo desiderio di intrufolarsi e non l’aveva chiusa. 

Fece capolino e scorse il capitano di fronte allo specchio intento a tamponarsi il taglio sulla fronte. A parte il braccio destro fasciato e la fronte ammaccata, sembrava intero.

Cercò di non badare al fatto che fosse nudo dalla cintura in su. 

- Sono stato peggio, credimi.- le disse, senza staccare gli occhi dallo specchio. 

Bel tentativo, capitano.

Danielle era Danielle e una volta convinta di una cosa difficilmente la si poteva distogliere. Fumava di rabbia e si vedeva, e a William non sfuggì nemmeno il tremito delle mani e le spalle strette, come per proteggersi. 

- Se lo becco io giuro…-

- Buona.- aggiunse stavolta, guardandola e sorridendole per calmarla un poco.- Giurare è maleducazione.-

- Anche sparare.- sbottò, muovendo qualche passo dentro la stanza. 

William la squadrò con vivo interesse. Era un gran bel ritratto. Sul tailleur di tweed c’erano polvere e tracce d’erba. Aveva dei pezzi di foglie tra i capelli e stralci di corteccia sul colletto della giacca. Sullo zigomo sinistro c’era un piccolo graffio, sangue misto a terra. 

Bella, era bella, ma non era sicuro che lei avrebbe condiviso il suo punto di vista.

- Poco male. E’ andata bene.-

- Poteva andare molto peggio.-

Difficile non essere d’accordo. Se non fossero stati di riflessi abbastanza pronti, probabilmente non avrebbero potuto raccontarlo. 

- Che dice il dottore?- disse Danielle, appoggiandosi allo scrittoio per non cedere all’istinto di sedersi.

Era una bella stanza semicircolare. Il letto prendeva la luce del pomeriggio direttamente dalle finestre di fronte, che lasciavano entrare l’aria fresca dal lago. Un nido di merli acquaioli pigolava allegramente sopra la finestra ad occidente. Il pianoforte, lucido come uno specchio, risiedeva proprio in fondo alla stanza, sopra un tappeto che sembrava originale, un poco stipato tra gli altri suppellettili. Il mobilio era uguale a tutte le altre stanze. 

Davanti allo specchio vicino al letto, c’era il capitano. 

Nudo dalla cintura in su.

- Un paio di punti al braccio e sulla fronte, il resto è tutta scena.-

La benda sul braccio sinistro era leggermente striata di sangue, e Danielle pensò che gli facesse male. Vedendolo in difficoltà con la mano sinistra, si avvicinò, cercando di non farsi distrarre dalla porzione di superficie del suo corpo rimasta nuda. Quando gli fu accanto, prese un batuffolo di cotone e cominciò a tamponare la fronte che, nonostante i punti, continuava a sanguinare.

- Il dottore dice che potrebbe smettere tra un po’. Credo che la signora Smith dovrà scongelare un’altra trota.-

Danielle abbozzò un sorriso, mentre continuava a tamponare. A quanto pareva, da quando erano giunti ad O’Brennon Hall avevano deciso il menù quasi tutti i giorni. 

- Brucia?-

- No.-

Danielle lo guardò male.

- Bugiardo.-

- Se lo fai tu, non brucia.- le rispose, strizzandole l’occhio.- Adesso, però, calmati.-

- Sono calma.-

- Neanche per sbaglio. Ti tremano le mani.-

Danielle provò a negare, ma alla fine si diede per vinta. Abbandonò il batuffolo di cotone, emise un sospiro e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.

- Io odio le armi da fuoco.- fece, mordendosi il labbro inferiore.

Si sentiva piccola e sola, con una gran rabbia dentro ed una grande voglia di rompere qualcosa. Gli echi della sparatoria e di quella terribile notte di due anni prima ancora le rimbombavano nella testa. 

William le strofinò le mani sulle braccia, cercando di calmarla.

- Lo so, e hai tutte le ragioni per farlo.- 

Poi, guardandola fisso negli occhi, aggiunse:

- Stai bene?-

Danielle era già pronta per dire di sì, ma quando aprì la bocca il suo corpo non le obbedì.

- No.-

E prima che potesse pensarci si ritrovò stretta tra le braccia del capitano, a frignare sulla sua spalla come una persona normale. William le accarezzò la schiena, cercando di placare i suoi singhiozzi e apprezzando - nemmeno troppo segretamente - il contatto con lei, che profumava di agrumi, di terra, muschio e sudore, il più buon odore del mondo. 

Danielle piangeva, ma non aveva del tutto perso la lucidità. Sapeva che era a contatto con William, e inaspettatamente si sentì a casa. 

Era tanto che non percepiva più una sensazione così familiare. L’ultima volta che qualcuno l’aveva abbracciata al di fuori dei suoi genitori, era stato in quel maledetto giorno di marzo in cui aveva perso tutto. Adesso che lo aveva così vicino, che poteva contare i pori della sua pelle, Danielle si accorse che non era perfetto soltanto fisicamente. C’era molto di più in lui, qualcosa di più perfetto del resto. E poi, aveva un buon odore. Sapeva di sapone, legno di sandalo, un qualche profumo per tessuti, e qualcos’altro di inconfondibile, che era solo suo, mescolato ad un forte odore di disinfettante e residui di polvere da sparo.

- Il dottore ti ha dato qualcosa per calmarti?-

Danielle scosse la testa, strofinando inconsapevolmente il naso sulla sua spalla, e sentì i brividi correrle lungo la spina dorsale quando lui le sussurrò all’orecchio.

- Avrebbe dovuto.-

- No.- concluse, spostando il volto dall’incavo della sua spalla e scuotendo il capo. - Non sarei lucida e voglio prendere quel figlio di…-

- Va bene, va bene.-

Cercò di asciugarsi gli occhi di nascosto, mentre William le lasciava un bacio sulla fronte accarezzandole i capelli, per poi dirigersi a mettersi la camicia pulita. 

Almeno, ci provò.  Sollevare il braccio infatti si rivelò più difficile del previsto, ed ebbe bisogno di un piccolo aiuto da parte della donna per infilare la manica nel modo giusto. Danielle poi, tirando su con il naso un’ultima volta, estrasse un foulard colorato dalla borsetta e gli legò il braccio attorno al collo.

- A meno che tu non ti vergogni a girare con un sostegno rosa fenicottero.-

- Mi piacciono i fenicotteri.- le disse, facendo spallucce.

 

Non persero ulteriore tempo prezioso.

Con grande sorpresa del capitano, Danielle chiese al signor Smith la cassetta degli attrezzi.

- Ha grossi chiodi, viti e perni, vero?-

L’uomo aveva fatto cenno di sì con la testa senza sapere esattamente che pesci pigliare.

Così, le aveva consegnato la cassetta degli attrezzi. Al contempo, sua moglie aveva messo a disposizione il suo voluminoso cesto del cucito e confabulava fitto fitto con la donna.

- Possiamo cominciare.-

William, ferito al braccio, fu esonerato dal portare gli attrezzi, mentre Danielle, saldamente al suo fianco, si era diretta spedita con la fedele cassetta del maggiordomo verso l’area posteriore del castello, il bello spiazzo brullo sul limitare del bosco che portava ancora i segni della sparatoria di qualche minuto prima. 

Non ci volle molto prima che i due riuscissero ad identificare il luogo dove il proiettile si era schiantato nel terreno, sollevando piccoli sassi e zolle d’erba tutto attorno.

Danielle piantò un lungo chiodo nel terreno ed osservò l’inclinazione.

Si grattò la testa rossa ancora piena di pezzi di corteccia.

- Pensi che i signori Smith abbiano anche un goniometro, o una squadra?-

- Che vorresti farci?-

- Misurare l’angolo con precisione. Forse la piccola Serena lo usa per la scuola, a geometria.-

Il caso volle che la bambina non tradisse le loro aspettative, e ben presto squadra e goniometro furono consegnati nelle mani del capitano.

- Hai mai fatto rilievi di questo tipo?- chiese Danielle, sdraiandosi a pancia in giù nell’erba. 

Il capitano rimase ad osservarla senza credere ai propri occhi.

- No, direi proprio di no. Non riesco a capire che cosa tu voglia fare.-

- E’ rudimentale. Molto rudimentale. Dobbiamo adattarci, però. Non abbiamo altri strumenti, la polizia è lontana e dubito fortemente che ad Aberdeen abbiano la stessa formazione degli agenti di Londra.- 

Il capitano si trattenne dal commentare che nemmeno gli agenti di Londra avrebbero avuto una formazione simile se lei non si fosse impuntata.

Sotto sotto, era curioso di vedere che razza di coniglio stesse per tirare fuori dal cilindro. 

Venne fuori che la bislacca idea di Danielle era quella di utilizzare degli strumenti rudimentali - come, appunto, il goniometro e la squadra di legno di una bambina - per riuscire ad identificare correttamente il luogo da cui il colpo era partito.

Centimetro più, centimetro meno. 

C’era di buono, poi, che O’Brennon Hall sorgeva nel bel mezzo del niente.

Dunque, a rigor di logica, se tutti gli ospiti erano nel castello al momento del fatto e se era vera la teoria in base alla quale il colpevole del delitto Northwood era tra essi, se era altrettanto vera l’ipotesi per cui l’assassino aveva loro sparato per evitare che vedessero qualcosa di importante, era possibile restringere il campo a due luoghi precisi, seppur generici.

Infatti, il colpo poteva esser partito o dalle scuderie, o da una delle finestre del primo piano e della torre.

Danielle, mentre escogitava la sua stramba dimostrazione balistica, era stata molto chiara: 

- Il nostro assassino ha fatto uno strano percorso e, a meno che quel picco non avesse un significato preciso per la vittima e il suo aguzzino, deve esserci un’altra ragione per cui sono andati là. Ci hanno sparato vicino alle scuderie e vicino al punto in cui dovrebbero essere balzati dalla finestra. Suppongo quindi che l’assassino ci ritenesse un pericolo. Pensava che stessimo per scoprire qualcosa.-

- Forse.- disse il capitano.- Hai capito da dove hanno sparato?-

- No, ma di una cosa sono certa.- disse, gli occhi brillanti e furenti di rabbia.- La traiettoria del proiettile aveva almeno un angolo di circa quarantacinque gradi. Ho sentito qualcosa quando mi è passato vicino, ma soprattutto l’ho visto schiantarsi al suolo. Quello che è certo è che ci ha sparato da un punto sopraelevato, e le uniche camere che danno su quel lato del castello sono la stanza della signora Northwood, del dottor Dietrich e del signor Kendall.-

- C’è anche la torre. La mia stanza e quella dei coniugi Webber.-

Danielle, però, aveva già i suoi sospetti. 

- Cerchiamo di usare la logica. La signora Northwood sarebbe mai stata in grado di compiere un gesto del genere? Sopratutto, è armata?- 

- Non saprei dire. Non abbiamo ancora idea di chi, tra gli ospiti del castello, si sia portato dietro un’arma da fuoco. Non abbiamo mai avuto motivo di approfondire.-

- Indagare su questo punto sarà necessario anche per capire la dinamica. Forse uccidere Northwood con un sasso è stato un ripiego ad un malfunzionamento di un’arma da fuoco, oppure ad un intoppo nel piano dell’assassino. Se così fosse, l’ipotesi del crimine organizzato acquisterebbe un minimo - e bada bene, minimo - senso logico.-

Il capitano aveva giusto cominciato a studiare la struttura del castello quando vide Emily Smith affacciarsi dalla finestra della stanza della signora Northwood.

- Emily, è pronta?-

La donna fece cenno di sì con il capo.

Un grosso nastro rosso si srotolò lungo la facciata posteriore del castello. 

Danielle prese l’estremità libera e ringraziò il fatto che la buona domestica fosse solita fare incetta di metri e metri di nastri e tessuti per soddisfare tutte le bislacche idee del suo datore di lavoro, mentre legava l’estremità al chiodo conficcato nel terreno.

Il colpo non poteva essere partito da quella finestra.

L’angolo era piuttosto schiacciato, ma comunque plausibile. La cosa assurda, però, era che il proiettile giaceva piantato in orizzontale, quando il nastro arrivava quasi in verticale verso la loro posizione e poi era costretto a fare una stretta curva a gomito per seguire l’ipotetica traiettoria del colpo.

William ringraziò il caso. Se avessero sparato da lì, né lui, né Danielle avrebbero avuto scampo.

Emily Smith arrotolò di nuovo il nastro e scomparve alla vista per qualche secondo, solo per ricomparire alla finestra del dottor Dietrich.

Danielle ripetè l’operazione.

Questa volta la traiettoria era un po’ più lineare, anche se il nastro ben teso continuava a curvare. 

Così, Emily Smith fece un ultimo tentativo dalla stanza del signor Kendall.

Il nastro era ben teso, in linea retta con il foro nel terreno. L’inclinazione era ancora un po’ bassa, ma considerando un certo margine di errore e gli strumenti rudimentali con cui stavano lavorando, era comunque plausibile che lo sparo fosse partito da lì. 

La signora Smith ricomparve un’ultima volta alla finestra dei signori Webber, la cui stanza nella torre dava proprio sul retro del maniero.

Questa volta, per coprire l’altezza della torre, aveva legato più nastri assieme.

Danielle era consapevole che questo poteva compromettere l’esattezza delle loro misurazioni e non consentire di tenere il nastro in tensione a sufficienza, ma ci provò lo stesso.

Osservò il goniometro e la squadra un’ultima volta, poi guardò William.

- Direi che abbiamo elementi sufficienti.-


TRADUZIONI DAL TEDESCO:

Wonach soll ich suchen?: Che cosa dovrei cercare?
Alles was nutzlich sein konnte: Tuttto ciò che possa essere utile. 
 

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Capitolo 34
*** Parte 3, capitolo 9: Mi dia un motivo per cui io non dovrei arrestarla seduta stante. ***


Mi dia un motivo per cui io non dovrei arrestarla seduta stante.

 

- Suppongo tu abbia già pensato a come procedere.-

Pensare al lavoro la distraeva dal tumulto di emozioni che aveva nel cuore. 

Si accigliò.

- C’è una domanda a cui non riesco proprio a dare una risposta. Il dottor Webber è stato probabilmente l’ultima persona a vedere vivo Carl Northwood, si è allontanato mentre la moglie dormiva e non si sa dove sia andato, cosa che ha fatto anche la vittima. Carl non era un santo, ha chiesto al dottor Dietrich di falsificare l’autopsia della figlia quando suo cognato fa il medico. Perché?-

Quella era esattamente la stessa domanda che si era posto William.

- Sarebbe un gran bel movente.-

La strategia da seguire fu delineata in quattro e quattr’otto. 

I due indiziati principali erano, fuori da ogni dubbio, i coniugi Webber e il signor Kendall. Danielle era consapevole che il fatto che il colpo fosse partito da una di quelle stanze non era garanzia di colpevolezza. Chiunque, con un po’ di destrezza, sarebbe potuto entrare nella stanza forzando la serratura o impadronendosi di uno dei passe-partout dei signori Smith.

Il giovanotto americano e lo psichiatra, tuttavia, erano stati parecchio vaghi nel rilasciare le loro dichiarazioni e fin dall’inizio erano rientrati nella lista dei loro principali sospettati. Soprattutto uno dei due.

Di comune accordo, dunque, questa volta sia Danielle che il capitano gettarono l’aplomb fuori dal maniero. 

Se Danielle avesse programmato un’entrata in scena teatrale, non sarebbe comunque riuscita a rendere la sua rabbia tanto bene. Scese le scale come una furia con il capitano malconcio che le trotterellava a fianco e imboccò la sala da pranzo come se stesse per affrontare un drago. 

Con un’unica occhiata gelida concentrata su un ospite, sibilò due parole, tenendo aperta la porta del salone.

- Webber. Dentro.-

Il dottore sbiancò. 

La moglie prese a strillare, la voce acuta come l’ultima nota di uno strumento a fiato.

- Non penserete mica che sia stato Richard! Non è vero! Richie, diglielo! Non c’entri niente! Richard!-

Danielle però non mosse un muscolo e continuò a tenere la porta aperta, fissando il medico, perentoria.

- Ho detto dentro.-

- Cattiva!- le gridò contro la donna, sputacchiando saliva ovunque, in preda al panico.- Sei cattiva! E pazza! Mi fai schifo!-

L’uomo, trattenuto per un braccio dalla moglie completamente fuori di senno, cominciò a camminare verso la stanza, trascinandosela dietro. Alla fine, con un tocco leggero, riuscì a convincere la donna a staccarsi ed entrò con aria da funerale dentro il salone. 

Danielle si chiuse la porta alle spalle, sbattendola senza riguardi.

- Mi dia un motivo per cui io non dovrei arrestarla seduta stante.- disse il capitano, sedendosi cautamente sulla poltrona.

- Di cosa state parlando?-

- Perché ci ha sparato, signor Webber?-

Il dottore impallidì.

- Sparato? Io?-

Danielle se ne stava in piedi a gambe larghe sulla porta, braccia incrociate ed aria minacciosa.

- Non ci prenda per i fondelli, dottore. Il proiettile si è conficcato nel suolo con un angolo di circa quarantacinque gradi. Significa che chi ha sparato lo ha fatto da un punto sopraelevato, e in quella posizione l’unico accesso è la torre.-

L’uomo la guardò come se avesse appena detto la più grossa assurdità del secolo.

- Io non ero nemmeno nella mia stanza! Lo giuro!-

- Qualcuno lo può testimoniare?-

Il dottore parve pensarci un poco prima di rispondere al capitano.

- C’è il segreto professionale.-

- Non deve dirci che cosa ha fatto, ma chi l’ha vista.-

- I signori Smith. Ero lì per la signora. Non è giusto! Mi state trattando come un criminale! Non ho fatto niente!-

- Ah, davvero?- disse Danielle, ancora piantata sulla porta come un gendarme.- Vogliamo parlare del falso rapporto d’autopsia di Johanna Northwood?-

Che azzardo. 

Eppure, la strategia di Danielle parve funzionare. Il dottore, una luce di consapevolezza negli occhi, sembrava sull’orlo delle lacrime.

- Non so di che cosa stia parlando.-

- Glielo spiego io.- aggiunse la donna, sorridendo sardonica e camminando in cerchio verso il tavolo come un predatore.- Gordon Van Allen uccide Johanna per vendetta nei confronti di Carl Northwood. Suo cognato le chiede aiuto a modo suo - ovvero la minaccia - e lei, per il bene di tutta la sua famiglia, adempie alle sue richieste. Semplice semplice.-

- Non avete prove!-

- Ne è sicuro?- aggiunse lei.- Perché il fascicolo di sua nipote era sulla mia scrivania a Scotland Yard, signor Webber.-

Le spalle dell’uomo cedettero e quello scoppiò in lacrime come un vitello.

- Sa che cosa succede adesso, vero, dottore?-

William guardò Danielle in tralice. Era chiaro che stava cercando di convincerlo a vuotare il sacco, intimorendolo. 

Il capitano intuì quello che Danielle aveva sempre saputo: Webber si mostrava in controllo perché non era in alcun modo disposto a perderlo. Se lo avesse fatto, non sarebbe stato in grado di controllarne le conseguenze. Se la sua capacità di adattamento era limitata, dunque, Webber era tutto fuorché l’uomo forte e in comando che aveva voluto dimostrare.

Era tutto l’opposto.

Di per sé non meritava un simile trattamento, ma, in quella condizione, aveva moltissimo da perdere, e per sopravvivenza anche il più mite degli uomini può trasformarsi in animale. Webber avrebbe perso tutto: sarebbe stato radiato dall’ordine dei medici, la sua situazione economica sarebbe precipitata così come tutti i sogni di sua moglie. 

- Mi ricattava!- borbottò il dottore, grosse gocce che gli cadevano dagli occhi.

- Vada avanti.- 

- Quando Carl ha conosciuto Eveline aveva già una certa fama. Io frequentavo Jodie da diverso tempo, eravamo fidanzati ufficialmente quando si sono incontrati. Non mi è mai piaciuto. Aveva un modo di fare che io giudicavo pericoloso. E’ il genere di persona che risolve sempre tutti i problemi, e come fa, non si sa, non so se mi spiego.-

William incrociò lo sguardo di Danielle, che si era fatto meno truce.

- Chiarissimo.-

- Avevo difficoltà dopo la laurea ad aprirmi uno studio tutto mio. La psichiatria è una branca nuova, molti diffidano. Non è per tutti. La guerra e la crisi hanno rovinato la mia famiglia, rialzarsi è stato molto difficile. Carl mi ha offerto un posto dove poter esercitare la mia professione. Ho accettato subito, la nostra vita poteva cambiare, ma mi sono pentito poco dopo. Carl era un aguzzino, cominciò a chiedermi soldi, sempre di più. Ne aveva a palate, non bastavano mai. Un giorno minacciò di dire a mia moglie che non lavoravo, che sperperavo il denaro in gioco e alcol.-

- Ed è vero?- chiese il capitano, un sopracciglio inarcato.

- No! Non ho mai giocato in vita mia! Mi piacciono gli alcolici, ma non ne bevo di frequente! Non ho mai fatto niente di male!-

In effetti il dottore non presentava i chiari segnali del giocatore d’azzardo e soprattutto le caratteristiche fisiche tipiche dell’alcolista, o almeno quelle più comuni rilevabili a vista. Danielle lo studiò bene: nessun segno di rossore eccessivo sul volto e sul naso, nessun capillare dilatato, nessun segno di incuria, pancia alcolica del tutto inesistente. 

L’aspetto del dottore era coerente con quanto dichiarava.

- I soldi che guadagnavo erano pochi perché ne davo la metà a Carl, e mi avrebbe chiesto di più se non fosse morto prima.-

William gli lanciò un’occhiata seria, ma calma.

- Ci dica tutto, dottore. Come siete arrivati qua e quali sono stati i suoi rapporti con Carl Northwood negli ultimi giorni?-

L’uomo si passò una mano tra i capelli ispidi che con lo stress, se possibile, lo erano diventati ancora di più.

- Sono venuto a conoscenza di questo castello da una pubblicità arrivata per posta, per caso. Ho pensato che ad Eveline avrebbe fatto bene prendersi una pausa e frequentare sua sorella per un po’. Carl l’ha allontanata da tutto e da tutti. Jodie non lo dice, ma soffre della distanza della sorella, perché sa che non è stata lei a deciderlo. Le ho proposto di venire in vacanza con noi, anche se avrei dovuto prevedere che Carl avrebbe voluto partecipare. Così siamo finiti qua. Mio cognato ce l’aveva con me perché era convinto che io avessi spifferato ad Eveline di Johanna per vendicarmi di lui e dei suoi interessi da usuraio, ma in verità non ho mai detto niente. Eveline ha sempre saputo, non aveva bisogno che la informassi.-

Danielle si appoggiò allo schienale della poltrona e continuò a studiare il dottore.

- E’ di questo che avete parlato quella mattina, attorno al lago?-

Idea intelligente, pensò il capitano, anche se rischiava di dargli l’imbeccata. Il dottore, però, sembrava non avere più voglia di inventare frottole.

- Sì. Abbiamo lasciato Jodie ed Eveline da sole a prendere aria e io e mio cognato abbiamo fatto una passeggiata. Quando siamo stati abbastanza lontani, Carl mi ha accusato di essere un traditore e di aver detto cose che non avrei dovuto rivelare. Principalmente avevano a che fare con la morte di Johanna. Non sapevo nemmeno di che cosa stesse parlando. Ad un certo punto ha minacciato di uccidermi: un tuffo nel lago e sarei sparito, tanto non se ne sarebbe accorto nessuno. Non ho abboccato, mi minacciava un giorno sì e l’altro pure. L’ho lasciato tornare indietro indispettito e io mi sono fermato per un po’ a sbollire la rabbia. Quando sono tornato era quasi ora di pranzo e mia moglie mi stava aspettando. Mi ha detto di Eveline ed ho pensato di visitarla, ma quando ho bussato non ha risposto nessuno. Non ho insistito. Spesso dorme quando ha queste crisi, non volevo disturbare.-

- Sua moglie ci ha riferito che si è allontanato nel pomeriggio. Perché?-

L’uomo si fece improvvisamente timido.

- Ho detto il vero quando vi ho confessato di aver avuto qualche problema con qualcosa che i domestici hanno servito a pranzo. Sono rimasto con mia moglie e poi sono scappato in bagno.-

Danielle gettò un’occhiata al capitano, che sembrava condividere i suoi pensieri. 

- Lei è in possesso di una pistola, dottore?-

- No, non so sparare.-

La donna tendeva a concordare. Meglio, tendeva a credere che non avesse sparato di recente. Aveva osservato bene le sue mani e non vi erano segni. La polvere da sparo spesso non lasciava tracce evidenti, ma considerato il poco lasso di tempo trascorso tra l’attentato e l’interrogatorio, si aspettava almeno qualche dettaglio fuori posto, come del rossore sulle dita. 

Invece, non aveva trovato niente. 

La cosa la lasciava perplessa.

Il proiettile aveva avuto sicuramente un angolo di quarantacinque gradi, se non di più. Il colpevole doveva aver sparato dal primo piano o dalla torre, non c’era alternativa. 

Se Webber non era stato nella sua stanza e non aveva sparato, restava soltanto un’altra persona. 

- Sua moglie?-

- Che c’entra Jodie?-

- Sua moglie dov’era, durante la sparatoria?-

- Con me e i signori Smith. Per Emily, mi ha dato una mano.-

Quindi la stanza era rimasta vuota.

Danielle e William si guardarono.

- Può andare.- gli disse il capitano, ammiccando in direzione della porta. - Se scopriamo che sta mentendo, lei sarà il primo ad essere arrestato, sono stato chiaro?-

L’uomo fu scosso da un brivido e annuì, sconsolato. 

I due poterono ascoltare i sonori tonfi dei suoi grossi piedi mentre il dottore si allontanava con la testa tra le nuvole.

Fuori dalla porta, Jodie Webber aveva ripreso a strepitare.

Sotto un certo profilo, Danielle la capiva. Non c’era molto altro che potesse fare se non proteggere il marito ed aiutarlo a nascondere la verità sul falso rapporto autoptico. Se Webber fosse stato radiato dalla professione, avrebbe potuto dire addio a tutti i suoi sogni: una casa tutta sua, dei figli, persino i suoi accessori modaioli che amava tanto.

Eppure.

Dentro Danielle stava cominciando ad insinuarsi il sospetto che tutto ciò che stavano facendo fosse del tutto inutile. Una parte di lei era stata spinta dagli eventi a credere che non avrebbe trovato assolutamente nulla di rilevante neppure nella testimonianza di Kendall.

Perché la verità risiede altrove.

Le era stato insegnato che i crimini violenti avevano di solito una triplice origine: patologica, economica, sentimentale.

Il loro assassino ben poteva essere un pazzo. Date le caratteristiche di Northwood, ben poteva essere in difficoltà economiche. Eppure Danielle era tentata a credere che il cervello o il denaro in quella storia c’entrassero poco.

In fondo, la protezione non è nient’altro se non una sfumatura dell’amore. 

Che lei fosse disposta ad accettarlo, o meno.

 

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Capitolo 35
*** Parte 3, capitolo 9: Il professor Moore lo stima molto, e francamente anche io. Ha un grande talento. Si chiama Edwin Sutherland. ***


Il professor Moore lo stima molto, e francamente anche io. Ha un grande talento. Si chiama Edwin Sutherland.

 

- Per quanto possa sembrare incredibile, non credo che ci abbia sparato lui.- disse il capitano, accomodandosi contro lo schienale e massaggiandosi lievemente la spalla ferita.

- Anche io lo credo.-

Restava una sola cosa da fare: sentire che cosa aveva da dire il signor Kendall.

Danielle sospirò, consapevole che stava per fare la parte della cattiva di nuovo, e forse inutilmente. Desiderava davvero che Kendall fosse colpevole, fosse anche soltanto per non dover fare i conti con ciò che aveva realizzato e che non voleva accettare. Lanciò un’occhiataccia al suo collega, che adesso si divertiva a fare il falso ferito per vederla di nuovo tirare fuori gli artigli da tigre.

- Sei serio?-

William la canzonò con lo sguardo.

- Assolutamente. Ti prego, sono ferito. Come potrei essere minaccioso?-

- E io sono una donna, quindi indifesa e fragile di fronte a tutto il genere umano!-

- Indifesa tu?- rise il capitano, fingendo di reggersi il braccio.- Fesserie.-

Quando entrò nella stanza, accompagnato dagli occhi di ghiaccio di Danielle, l’americano sembrò profondamente a disagio e divenne ben presto evidente che il giovanotto nascondeva qualcosa. 

Invece che sedersi incuriosito, come aveva fatto la prima volta che era entrato nel salone, prese a camminare avanti e indietro come un’anima in pena.

- Si sieda, signor Kendall.-

- Se non le dispiace, capitano, preferirei restare in piedi.-

William si adeguò alla sua richiesta e si alzò in piedi a sua volta, lanciando uno sguardo di intesa alla sua compare, ferma sulla porta. 

- Comprendo la sua agitazione, giovanotto, e non posso darle torto. Immagino che ci abbia visto condurre i nostri esperimenti di balistica. A lei non sfugge mai niente.-

- Sì, signore, ma posso garantirle che non sono stato io a sparare!-

- Davvero, signor Kendall? Perché la sua è l’unica altra stanza, oltre a quella del dottor Webber, ad essere compatibile con l’angolo del foro d’entrata del proiettile nel terreno. Ora, lei nega tutto, il dottore pure, che cosa dovremmo pensare? Che il colpo si è esploso da solo?-

Il signor Kendall rispose prima di sì, poi di no, poi si contraddisse ancora e si mangiò le parole mentre si scorticava con l’unghia l’interno del pollice. 

Danielle pensò che come avvocato o come pubblico ministero il giovane avrebbe davvero fatto schifo.

- Credo che, a questo punto, la domanda sia ovvia, non trova?-

- Non ho…-

- E’ certo di non avere nient’altro da dirci, signor Kendall?- chiese la donna, cercando di dimostrarsi nuovamente minacciosa.

Il giovanotto piantò i piedi per terra e guardò con occhi offesi Danielle.

- Adesso, siccome sono americano, secondo voi dovrei portarmi dietro delle armi? Come i cowboys? Siete mai stati in America?-

Danielle serrò gli occhi.

- No, ma non mi serve andarci per capire che lei è un damerino, un figlio di papà che non è mai salito su un cavallo in vita sua. Altro che cowboy. Non è qua per le sue origini, Kendall. E’ qua perché la scienza ci ha suggerito che il colpo è stato esploso probabilmente dalla sua stanza. Dov’era… Non mi interrompa, Kendall. Dove si trovava quando hanno cercato di ucciderci?-

- Nella sala da pranzo. Se fossi stato io, non avrei mai fatto in tempo ad affacciarmi per controllare che cosa stesse succedendo. Mi avete visto. O forse no. Beh, gli altri ospiti mi hanno visto! Non sono salito nella mia stanza, posso giurarlo su qualsiasi cosa! Ditemi voi su che cosa volente che…- 

Danielle, però, aveva smesso di ascoltarlo. 

C’era qualcosa di estremamente sincero nel suo comportamento. Nascondeva qualcosa, ma non in senso negativo. Ebbe la sensazione che il giovanotto volesse proteggere la propria privacy, piuttosto che mentire alla polizia per aver sparato dei colpi contro degli agenti di forza pubblica.

In un certo senso, il suo comportamento era di una sincerità disarmante.

Se non è stato lui, allora chi è stato?

- L’ho vista, sì, vi ho visto entrambi rotolare, e ho visto lei, capitano, col braccio ferito. Avete fatto un bel capitombolo. Vi siete fatti molto male? Cioè, ovvio che vi siete fatti male, quello che voglio dire è che…-

- Kendall…-

- Cioè, forse avreste bisogno di un’ambulanza, di soccorso medico appropriato…-

- Kendall!-

Il giovanotto tacque, ma continuò a martoriarsi il pollice con l’unghia.

Il capitano aveva l’aria di aver capito e parve più morbido nei confronti del giovane americano, dopo aver scambiato l’ennesima occhiata d’intesa con Danielle.

- Posso dire di aver visto giorni migliori, ma anche peggiori di questo, signor Kendall. La ringrazio per la premura. Tuttavia, lei non ha ancora dato una spiegazione esauriente a tutte le nostre domande, quindi insisto. Si sieda, Kendall. -

Il ragazzo fece qualche passo verso la poltroncina e si sedette, sconsolato. Estrasse il suo fedele taccuino sdrucito, ma non lo aprì. Rimase a giocherellare con il bottone della chiusura.

Danielle alzò un sopracciglio, pensierosa, e decise di tentare un’altra carta.

Anche perché era evidente che, così, non sarebbero andati da nessuna parte.

- Signor Kendall, mi ripeta ancora, per favore: lei è Americano, di dove?-

- Chicago, signora, ma ho origini scozzesi e parte della mia famiglia vive nel Wisconsin.-

Danielle cominciò a camminare in cerchio verso il giovanotto, seduto come un sacco di patate sulla sua poltroncina.

Lanciò un’occhiata di muta intesa al capitano.

Se si calma, forse riesco a spillargli qualche informazione in più.

- Chicago è una città affascinante, sa. Ne ho sentito parlare molto. Un luogo effervescente, con una grande storia di studi sul crimine. Conosce la Scuola di Chicago, immagino.-

- Sì, signora, ne ho sentito molto parlare, e bene, anche.-

- Immagino che il professor Moore l’abbia edotta riguardo ai nuovi progressi della sociologia in campo criminale.-

Per la prima volta da quando aveva cominciato l’interrogatorio, Kendall abbozzò un sorriso.

- Oh, sì. Non fa altro che parlare di progresso. Finalmente qualcuno che supera quelle bislacche teorie sull’ereditarietà del crimine!-

- Ah, certo. Non è mai stato un amante di Lombroso.-

Il capitano non riusciva proprio a capire dove stesse andando a parare la conversazione tra Danielle e il giovane Kendall. Sapeva che la donna era astuta a sufficienza da trovare un legame tra l’americano e i suoi bei ricordi degli anni trascorsi a Cambridge sotto l’egida del professor Moore, e non vedeva l’ora di scoprirlo.

Non dovette attendere molto.

- Sa, Kendall, la sua scelta è nobile. Ammiro molto l’intraprendenza di voi nuove generazioni. Andarsene dal proprio paese, soprattutto in un periodo teso come questo, per me sarebbe davvero difficile. Lei e la signorina Estravados, invece, avete una gran sete di conoscenza, ed io vi stimo entrambi. Tuttavia, non capisco proprio le ragioni che l’hanno spinta a scegliere Londra come epicentro dei suoi studi. Mi perdoni, Kendall, ma date le sue attitudini e le sue origini, avrei optato per la celeberrima Scuola di Chicago, che lei aveva a portata di mano. Il professor Moore, per quanto rinomato e un luminare del diritto di common law, non è di sicuro all’altezza della fama della sua città natale. Sicuramente - ed alzò una mano per impedire al giovane di parlare - Lei avrà avuto le sue buone ragioni, e in tutta sincerità, mi piacerebbe proprio sentirle.-

Kendall estrasse un fazzoletto e se lo passò sulla fronte sudata.

- Perché, signor Kendall, io sono assolutamente sicura che lei abbia una ragione ben solida per attraversare l’Atlantico e mettere alla prova l’infinita pazienza del professor Moore. Una ragione che deve avere radici in Inghilterra. E quale altra ragione potrebbe essere, se non la presenza nel nostro amato regno di un fantasma del crimine, di qualcuno che, ad un giovane giornalista in erba come lei, non può fare altro che stuzzicare la fantasia?-

- Lei pensa che io sia legato a Gordon Van Allen?-

- Non lo è?-

Kendall sospirò un’altra volta e William vide le sue spalle sprofondare sempre di più verso il basso.

Quando alzò lo sguardo, però, c’era una certa luce fiera nei suoi occhi, qualcosa che fino a quel momento non c’era mai stato.

- Sì e no.-

Al capitano sarebbe venuta voglia di mettersi a ridere.

Ci ha messo cinque maledetti minuti, mentre io ho chiacchierato per mezz’ora e non ho concluso un accidente.

- Sa, signorina Peters, l’America è un paese bellissimo. E’ libero e votato al progresso, allo sviluppo tecnologico, all’industria e al mercato. Chiunque può fare fortuna, in America, anche un’immigrata scozzese che si sposa con un nativo di Milwaukee. Che poi, non è che Milwaukee sia poi tutto questo granché. Cioè, a me non piace, con tutto il rispetto parlando. Chicago è un’altra cosa. E’ effervescente, come dice lei, e mette in mostra il meglio di ciò che la società americana ha da offrire: università, bei centri abitati, attività economiche fiorenti e splendidi eventi culturali. Parimenti, però, mostra anche il rovescio della medaglia: crimine, guerre tra bande, traffico di sostanze ed alcool e, perché no, una buona dose di spregiudicatezza e sprezzo del pericolo. In America puoi arrivare molto in alto, ma puoi anche cadere immensamente in basso nello stesso lasso di tempo che uno ha impiegato per arrivare in cima, mi spiego? Si deve essere molto bravi per difendere la propria posizione. Oppure, si deve essere molto spregiudicati.-

William e Danielle tornarono a sedersi di fronte al giovanotto per ascoltarlo meglio.

Avevano già capito dove volesse andare a parare.

- Qualcuno sta mettendo in difficoltà lei e la sua famiglia, signor Kendall?-

- In difficoltà è dire poco. Questo tizio, Hale, ha fondato un vero e proprio cartello. Ha preso il controllo di quasi tutti i centri di produzione del tessile nella zona di Chicago e in periferia, e controlla anche tutti i rami d’azienda al di fuori dello Stato.-

- E ha messo gli occhi sul commercio di tessuti d’importazione della sua famiglia.-

- Vuole acquisirci, o farci chiudere. Per lui le vie di mezzo non esistono. E’ il mercato, o almeno così dice. L’autoregolamentazione. Chi è forte a sufficienza da restarci dentro, sopravvive. Gli altri, finiscono sotto a un ponte a chiedere l’elemosina e a provare a non farsi ammazzare dalle bande di immigrati nei quartieri poveri.- 

Danielle conosceva l’argomento e pensò che il professor Moore doveva essere fatto santo.

Quell’uomo era stato illuminato a sufficienza da incentrare una parte del suo corso sulle più recenti teorie criminologiche e - Danielle non lo aveva mai negato - l’aveva stregata.

Evidentemente, aveva stregato anche il povero signor Kendall, che di diritto non capiva un accidente, ma aveva il buon senso di rendersi conto che l’autoregolamentazione del mercato perfetto aveva dei limiti pazzeschi. 

- So che i tentativi di riformare il salario e il diritto di sciopero non sono andati a buon fine.-

- E perché mai avrebbero dovuto? Ostacolano l’impresa.-

E garantisce il diritto della gente di morire di fame. 

Danielle fece un sospiro.

- Mio padre vuole che diventi avvocato per rappresentarlo e difenderlo, ma la verità è che io non sono portato, e la legge americana non mi offre gli strumenti per combattere in suo nome. Così, ho deciso di tentare un’altra strada. Se avessi studiato il crimine qua, dove esercita la più grande mente criminale della storia, forse sarei riuscito a venire a capo delle strategie criminali di certi industriali. La Scuola di Chicago non ha fatto molto al riguardo. Nel frattempo, scrivo per diversi giornali, sotto pseudonimo. Se riuscissi nell’intento, potrei esporre a mezzo stampa Hale e quelli come lui, così mio padre non sarebbe costretto a fallire. Siamo sopravvissuti al Ventinove per miracolo, non siamo pronti a reggere un altro colpo.-

William e Danielle si guardarono.

- Conosco Gordon Van Allen solo di fama. Non l’ho mai visto, né incontrato. Non avevo idea di chi fosse Northwood. Non sono stato io a spararvi. Io l’ammiro, signorina, non le avrei mai fatto del male! Mi creda, la prego! Volevo solo fare qualche giorno di vacanza prima dell’ultimo, famigerato esame di diritto!-

Danielle e William si guardarono di nuovo.

Sarebbe loro piaciuto molto che il signor Kendall fosse stato colpevole. Sarebbe stato tutto molto più facile. 

Perché se fosse stato uno tra Kendall e Webber, la questione si sarebbe chiusa. 

Se invece nessuno dei due aveva premuto il grilletto, Danielle e il capitano si trovavano punto e a capo, con l’inquietante ipotesi che qualcuno avesse sparato da una delle due stanze dopo essere entrato con uno dei passe-partout dei signori Smith.

E questo implicava che i sospettati erano, ancora una volta, tutti gli ospiti del castello.

E la coscienza di Danielle mordeva come un tarlo nel legno. 

- Va bene, signor Kendall, le crediamo.- concluse Danielle, protendendosi verso di lui, sul tavolo, in segno di distensione.- Le faccio un’ultima domanda: lei possiede una pistola?-

Kendall fece un risolino.

- Sono terribile con le armi. Mio padre ha provato a insegnarmi a sparare. E’ mancato poco che gli sparassi su un piede. Da allora, non ho più impugnato un’arma. Non ne ho, mi spiace.-

Poi, guardò malizioso Danielle.

- Se me lo aveste chiesto subito, vi sareste risparmiati il resto dell’interrogatorio.-

- Lo so, signor Kendall, ma non avrei mai avuto l’onore di conoscere la sua storia personale, che lei ha nascosto molto bene da quando è arrivato qua. Non creda che non mi sia accorta di niente, durante la nostra prima chiacchierata.-

Consapevole di essere stato definitivamente incastrato, il giovane americano abbassò gli occhi sulle scarpe.

Dopo attimi di silenzio che parvero eterni, William si alzò ed invitò Kendall a congedarsi.

- Aspetti un attimo, signor Kendall!-

Il ragazzo, affranto, si voltò un’ultima volta a guardare Danielle, che scriveva frettolosamente su un pezzo di carta strappato dalla sua fedele agenda.

- C’è una persona, in America, un uomo che ho avuto il piacere di conoscere mentre studiavo per la mia tesi di laurea. Il professor Moore lo stima molto, e francamente anche io. Ha un grande talento. Si chiama Edwin Sutherland. E’ di origini scozzesi, proprio come lei.-

Il ragazzo parve interessato e Danielle continuò.

- Ha ragione quando dice che la Scuola di Chicago non si è mai occupata molto dei cosiddetti white collars, colletti bianchi. Ha sempre avuto una predilezione per le teorie che vedono il comportamento umano determinato da fattori ambientali e sociali, in aperto contrasto con il determinismo scientifico e altri fattori ereditari. Sutherland, però, pur intendendosi di queste cose, ha delle teorie tutte sue, e ciò che ha già dato alle stampe è particolarmente buono. Le consiglio di leggere il suo manuale, Criminology. E’ stato pubblicato attorno al Ventisei, non ricordo l’anno preciso, mi spiace. So che era a Chicago l’anno scorso. Ora credo che lavori per l’Università dell’Illinois. Penso che potrebbe essere un valido elemento che la aiuterà a trovare le risposte che cerca.- 

E gli porse il pezzo di carta scarabocchiato con il nome del criminologo e l’indirizzo dell’Università dell’Illinois. Sotto, aveva scritto tra parentesi Moore, nella certezza che il suo vecchio professore sapesse a chi si stava riferendo ed avesse informazioni più affidabili delle sue.

Kendall le fece un bel sorriso, ringraziò con il capo e sparì dietro la porta, improvvisamente più sereno. 

 

Danielle si afflosciò nella poltrona e sbuffò. 

- Uffa.-

- Non hai idee?-

- Possibile che sembrino tutti innocenti? Qualcuno mente, ma non si capisce chi. Nemmeno i loro movimenti tradiscono niente. E il fatto che tutti quanti abbiano più o meno qualcosa da nascondere non aiuta.-

Il capitano si grattò i capelli.

- Cerchiamo di fare un bel riassunto di tutto quello che sappiamo o supponiamo. Northwood non è stato drogato e il nostro uomo - ammesso che sia un uomo - non ha doti soprannaturali tali da caricarsi una vittima recalcitrante in spalla sotto il diluvio e gettarla giù da un dirupo. Che ne deduciamo?-

- Che Northwood conosceva il suo aggressore e che l’ha seguito di sua spontanea volontà.-

- Questo ci fa propendere per uno degli ospiti.-

- Quasi sicuramente lo è. Non possiamo escludere, però, che conoscesse qualcuno del giro di Van Allen e se ne fidasse a sufficienza da seguirlo spontaneamente.-

William sospirò.

- Per avere un’idea precisa della sua stazza dovremo aspettare le fotografie del signor Kendall, che adesso ci odia.-

- Spero di no. Gli ho dato un contatto davvero prezioso.-

- Se partiamo dal presupposto che l’assassino è uno degli ospiti, è possibile che si trattasse di qualcuno che lo conosceva. Questo inserisce nella lista il dottor Dietrich, la moglie, i coniugi Webber. Tutti loro avevano un motivo per odiare la vittima.-

- Il problema è che tutti loro hanno un alibi, più o meno a prova di bomba, e se non ce l’hanno non avrebbero avuto, almeno apparentemente, la possibilità di ucciderlo. Webber e sua moglie hanno assistito la malandata signora Northwood assieme ai domestici, Mercedes e la signora Rogers. Dietrich è stato sempre vicino a noi ed è andato nella direzione opposta al dirupo quando è uscito a cercare Carl Northwood.-

- Allora, forse, qualcuno di loro mente.-

- Sicuramente qualcuno mente, il problema è capire chi. Quanti ne abbiamo di mancini?-

Il capitano sfogliò svogliatamente con una mano sola il suo taccuino di fattura orientale.

- Soltanto Dietrich e Kendall.-

- Che apparentemente, però, non c’entrano niente.-

- Non so se basta, sai?- fece William, accomodandosi meglio e sistemandosi la sciarpa rosa fenicottero.

- Non basta per nulla. Non abbiamo niente.-

Danielle chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa sullo schienale della sua seduta. Aprì le palpebre e prese a fissare il soffitto.

In tutta questa storia c’è un silenzio assordante. 

Tutti erano nel posto giusto al momento giusto per dare l’impressione che qualcuno sia entrato dall’esterno ed abbia rapito Northwood.

La soluzione a questo problema è semplice.

Il problema è come? E soprattutto, quando ha trovato il tempo di fare tutto ciò che ha fatto e non essere visto?

- Non ho ancora preso il farabutto che ti ha sparato, maledizione.- si alzò dalla poltrona e percorse la stanza ad ampie falcate, fino ad affondare senza troppe cerimonie la maniglia della porta e spalancarla.

- Possiamo andare, non abbiamo più niente da fare, qui.-

Il capitano la seguì, facendo un po’ di fatica ad alzarsi in piedi. 

Il braccio gli faceva male e la testa gli girava un po’, ma non voleva interrompere l’indagine né mostrarsi debole di fronte a Danielle.

Aveva la sensazione che fosse fin troppo fragile senza aggiungere anche i suoi problemi. Naturalmente, non le avrebbe mai detto nulla di tutto ciò. Ci teneva alla pelle. 

Fuori dalla porta trovarono tutti gli ospiti al completo, che aspettavano con ansia una risposta.

- Allora?- fece Mercedes, il cipiglio serio, che non perdeva mai, rivolto ai due.

- Allora cosa?- fece Danielle, cercando di trattenere la frustrazione. 

- Chi ha sparato?-

Danielle sospirò, stanca. 

- Tutti e nessuno.- disse lei, accorgendosi del lieve giramento di testa del capitano e afferrandolo per il braccio sano. 

Lo condusse su una sedia e chiese al signor Smith di portargli un bicchiere di acqua fredda. 

- Quindi Van Allen è ancora in circolazione.- disse la signora Northwood, fredda e dissociata come sempre.

- Van Allen?- proruppe il gruppo intero come un sol uomo.

- Come sarebbe a dire Van Allen?-

- Quel Van Allen?-

- Quello ci ammazza tutti!-

- Signori adesso basta!- la voce nitida e baritonale del capitano rimbalzò sulle pareti di pietra del castello.- Non ci sono prove definitive del fatto che Gordon Van Allen sia coinvolto nel caso, né che, comunque, sia coinvolta una terza persona nei fatti odierni.-

- Insomma- disse il signor Kendall, l’aria sorniona e leggermente vendicativa dopo l’interrogatorio subìto.- Brancoliamo nel buio.-

Il capitano fece spallucce, mentre svuotava il bicchiere d’acqua.

- Un po’ brutale da dire, ma vero.-

- Inutile dirvi che fino a che non avremo la certezza dell’identità del colpevole, nessuno di voi potrà allontanarsi da questa residenza, e preferirei anche che non usciste di casa, nel caso in cui un terzo elemento abbia sparato e sia ancora a piede libero. Per quanto riguarda me, credo che darò un’occhiata alle scuderie, se i signori Smith vorranno farmi la grazia di darmi le chiavi.-

- Le scuderie? Perché?- 

Danielle non si degnò di rispondere e tese la mano al signor Smith, che vi depositò la chiave.

Il capitano fece per alzarsi, ma la donna lo fermò.

- Dottor Dietrich, il capitano non si sente molto bene. Insisto affinché lei lo sorvegli. Faccia in modo che non mi segua.-

- Naturalmente.-

- Danielle, mi oppongo a questa…-

Ma la donna non ascoltò. Con un gesto educato del capo si congedò dalla massa e si diresse speditamente verso la porta sul retro. La attraversò, richiudendola piano, ed afferrò la piccola chiave che apriva la porta della scuderia.

Non mi fermerò finché non avrò visto chiaro in questa storia. 

Sapeva, però, di aver commesso una leggerezza: uscire con la possibilità che la persona che aveva loro sparato facesse nuovamente fuoco, su una donna sola e senza alcuna protezione se non un grosso ciottolo di fiume contenuto nella borsa. 

Quel ciottolo, che sua nonna Helga le aveva portato dalla Svizzera quando era solo una bambina, le aveva salvato la vita molte volte, correttamente assestato sullo zigomo di qualche malintenzionato anche attraverso l’imbottitura della borsetta, ma contro un proiettile sarebbe stato assolutamente inutile. 

La chiave girò agevolmente nella toppa e la donna si immerse nella penombra di quell’ambiente umido e che odorava di pioggia, legno e muffa. Si guardò intorno, mentre i suoi occhi cercavano di abituarsi al buio. Danielle era frustrata, infastidita. Il suo respiro era irregolare e superficiale e i suoi occhi stavano faticando ad ambientarsi. Puntini bianchi e viola saettavano davanti alle sue iridi e la cosa le dava sui nervi. 

Adesso sono diventata anche fotosensibile.

Si sforzò di vedere bene, ma per quanto ci provasse non riusciva a notare niente di strano. Le vecchie stalle erano state riutilizzate come deposito dei più disparati attrezzi: strumenti e utensili da giardinaggio, legna da ardere, paglia, carburante, riserve di cibo che non potevano stare in cucina, sacchi di farina, riso e scatolame vario. 

Sembrava tutto in ordine. 

In quel posto cominciò all’improvviso a fare molto caldo. Nonostante fuori la temperatura fosse normale, quel luogo si era trasformato in una serra.

Forse è colpa delle finestre e dei vetri spessi.

Danielle si passò un dito dentro il colletto della camicia e lo sentì madido di sudore.

Brontolò, mentre si avvicinava ad osservare la legna accatastata in modo ordinato contro la parete di fondo. 

Quei maledetti puntini bianchi non volevano proprio andarsene. 

Si strofinò gli occhi mentre scoprì di stare faticando a respirare.

Udì uno scalpiccio di piedi, ma non se ne curò.

Sarebbe potuto essere l’assassino, pensò, ma il suo cervello era quasi annebbiato, stordito, mentre la sua vista faticava a mettere a fuoco il mondo attorno a lei.  

Una luce si aprì sul fondo, là dove Danielle ricordava esserci una porta. Individuò una sagoma nella luce, e si accorse di aver abbassato troppo la guardia. 

Attorno a lei, poi, tutto divenne nero. 

 

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Capitolo 36
*** Parte 3, capitolo 10: Sciocca, stupida e avventata ***


10.

 

Sciocca, stupida e avventata.

 

- Non avrei mai dovuto lasciarla andare!-

Fu la prima cosa che udì dopo aver perso i sensi. Danielle sgranò gli occhi e sobbalzò, trovandosi a pochi centimetri dal dottor Dietrich e dai suoi freddi occhi verdi.

- Non è colpa sua, Herr Collins. L’avevo avvisata, le avevo detto che non doveva affaticarsi.-

Solo in quel mentre si accorse di essersi accasciata a sedere con la schiena poggiata contro la catasta di legna, e che il dottore le stava studiando attentamente le pupille.

- Non è niente di grave, si riprenderà, ma sarebbe opportuno se oggi sospendesse le attività.-

Danielle si sentiva confusa. Non riusciva a ricordare come era finita per terra e chi o che cosa fosse entrato dentro le scuderie. L’unica cosa che ricordava era una gran paura e l’amaro in bocca della consapevolezza di aver fatto una stupidaggine.

Da una donna come lei, che aveva affrontato innumerevoli pericoli a Scotland Yard, uscire da sola sulla scena di un delitto - con un potenziale assassino nascosto dietro la porta - era stata una gran fesseria, e non sapeva capacitarsi di come potesse essere giunta a compiere una leggerezza del genere. 

Il capitano sembrava altrettanto confuso, un misto tra l’arrabbiato e il desolato. 

- Avrei dovuto seguirla.-

- Era finito l’effetto della morfina, capitano, era stordito tanto quanto lei.-

L’uomo sospirò, avvicinandosi a lei e inginocchiandosi accanto alle sue gambe distese scompostamente sulla pietra dura.

- Come ti senti?-

Danielle si passò una mano nei capelli. 

- Sciocca, stupida e avventata.-

Il volto del capitano si fece più comprensivo.

- Riesci a camminare? Io non riesco a prenderti in braccio.-

La donna annuì e si rimise in piedi. La testa le girava e vedeva ancora i puntini bianchi nel suo campo visivo, ma era certa di riuscire ad arrivare fino alla cucina ed elemosinare qualcosa da mangiare alla signora Smith. 

Mosse i primi passi, barcollando e reggendosi alla spalla del dottore.

- Qua dentro non c’è niente, o almeno credo. Ho visto qualcuno aprire la porta ed entrare, ma non so chi fosse. Sono svenuta. Credo.-

- Eravamo noi, Danielle.- le disse il capitano, avvicinandosi all’altro braccio.- Ti abbiamo vista mentre ti accasciavi a terra. Fortunatamente eri già china ad osservare la legna. Io e il dottore individueremo i revolver, poi torneremo qua dentro e cercheremo degli indizi, dopo averti lasciata alle cure della domestica. Per il momento, qui non c’è altro da vedere.- 

Fu così che Danielle finì di nuovo nelle cucine, distesa sulla panca e con un altro pesce congelato per riprendersi, stavolta posato sulla testa. 

Ne dedusse che quella sera avrebbero cenato con il salmone. 

Osservò attentamente i suoi piedi e le sue calze sporche di polvere e terra là dove era caduta, e si ritrovò a pensare alla delicatezza che aveva avuto William Collins nei suoi confronti. Piuttosto che evidenziare l’amara verità, ovvero che si era comportata come una novellina appena entrata in polizia, si era dato la colpa, assumendosi una responsabilità che non era sua. 

Aveva apprezzato il suo gesto, anche se non era stata completamente lucida quando l’aveva compiuto. 

Sgranocchiò un pasticcino gentilmente offertole dalla signora Smith, che continuava a fare qua e là per la cucina, indecisa se lasciarla sola o meno. 

La visita della signora Rogers giunse inaspettata. Si affacciò alla porta con il suo bagaglio di riccioli color topo, lo sguardo vuoto e vitreo mentre stringeva tra le dita il rosario.

- Come sta la signorina Peters?-

- Sto bene, signora Rogers.- le disse, agitando una mano da dietro il tavolo per farsi notare.- Solo un po’ di stanchezza.-

La donna aveva la voce dura, ma lo sguardo assente. La fissava apatica, forse senza nemmeno vederla del tutto.

Il primo incontro con la signora non era di certo stato amabile. Aveva snocciolato contro di lei tutti i luoghi comuni che potesse immaginare. Aveva però cambiato atteggiamento da quando aveva chiacchierato con loro nel salone. 

Era stato in quel momento che Danielle aveva compreso che la signora Rogers non era cattiva. Era squilibrata, ferita, pervasa dalla paura che i suoi fantasmi sapevano suscitarle, ma cattiva, quello no. 

La sua frustrazione nasceva da un disperato bisogno di dare un senso ad un mondo che di senso ne aveva ben poco.

Sotto questo profilo, non poteva darle del tutto torto.

Bastava guardarsi attorno o leggere la prima pagina di uno qualsiasi tra i giornali di Londra per capire che non tirava una bella aria. 

- Sì lo so.- disse Danielle, prima che la signora potesse ripartire con la filippica.- Una donna certe cose non le dovrebbe fare, dovrei stare al mio posto eccetera eccetera. Non è successo niente, quindi a posto così.-

La signora Rogers non l’ascoltò nemmeno. Rimase a guardarla con gli occhi vitrei, girandosi l’anellino tra le dita, l’ombra vaga di quella che pareva compassione sul suo viso. 

- Non dovrebbe andare in giro. Le hanno sparato. Dovrebbe riposare.-

E per una volta Danielle non se la sentì di essere acida con lei. Qualcosa stava lentamente riemergendo nella signora, l’infermiera che era stata a bordo della Indefatigable, forse. Qualcosa che ricordava molto la donna che era stata prima di essere spaventata dai suoi stessi fantasmi.

- Grazie.- le disse, con l’abbozzo di un sorriso sul viso.- Credo che seguirò il suo consiglio.-

- Ho sentito il capitano Collins parlare al telefono con la polizia di Cairndow. Pare che stasera saranno qua, al più tardi domani mattina.-

- La ringrazio per l’informazione.-

La guardò allontanarsi con le spalle curve sotto il peso del suo cardigan nero, e pensò che la vita era strana davvero.

Qualche tempo prima aveva creduto che fosse tutto finito. Era stata convinta che la sua vita sarebbe dovuta procedere per forza d’inerzia fino a che Dio o chi per lui non avesse deciso di riprendersi ciò che aveva donato. 

La signora Rogers, come lei, aveva perso tutto e stava vivendo in una mente infestata dai ricordi. 

La signora Northwood ed anche tutti gli altri ospiti del castello avevano dei conti da chiudere con il passato, conti che, con molta probabilità, credevano già saldati o avevano perso la speranza di farlo.

E’ incredibile come il tempo sappia sistemare le cose. 

E ne aveva ancora un bel po’, di cose da sistemare. 

C’era un corpo nella ghiacciaia pronto per essere esaminato dal dipartimento di medicina legale di Cairndow. 

C’era un assassino a piede libero, legato a doppio filo con il passato degli ospiti del castello.

E il tempo avrebbe potuto spazientirsi e decidere di non aiutarli, facendo scomparire gli ospiti alla spicciolata non appena il loro periodo di vacanza fosse finito.

E lei non avrebbe mai risolto il caso.

Il senso di frustrazione le salì di nuovo alle tempie e ringraziò il salmone della signora Smith per il suo effetto refrigerante. 

Una delle cose sorprendenti di quella vacanza era stata la riscoperta della sua fragilità. Beninteso, aveva sempre saputo di essere fisicamente fragile. Era scomparsa per anni dalla vita pubblica, troppo spaventata dal giudizio della gente per poterlo affrontare e condurre un’esistenza dignitosa. Aveva avuto anche lei, come la signora Northwood, quella che dottori come Richard Webber chiamavano melanconia. 

Aveva imparato a temerla con tutta sé stessa.

In un certo senso, però, era sempre rimasta in controllo di sé. C’era stata una fredda e consapevole presa di coscienza della sua situazione e dei modi in cui la stava gestendo. Lei era fragile, lo aveva capito e lo aveva gestito.

Da lì ad accettare di apparire fragile agli occhi della gente…

Beh, quella era tutta un’altra storia. 

Cercò di ricordare quando era stata la prima e l’ultima volta in cui si era sentita fragile.

Sempre.

Cercò di individuare anche quando era stata l’ultima volta in cui si era mostrata fragile.

Scoprì di non ricordarlo.

Fu costretta a sbattere la testa contro la dura ed amara verità. Per anni aveva cercato di dare sempre il meglio di sé stessa, senza permettersi di perdere un colpo. In un mondo fatto solo ed esclusivamente di uomini - come quello del Trenta, in cui aveva avuto la bellissima e allo stesso tempo pessima idea di entrare a Scotland Yard - non perdere un colpo significava non mostrarsi debole. 

Essere deboli è umano, ma non è socialmente accettato. In un uomo è un segno di scarso valore. In una donna è la normalità, perché una donna è di scarso valore. 

Se desidera affermare l’opposto, da essa ci si aspetta l’impossibile, un livello di perfezione che si può ottenere soltanto ad un prezzo estremamente alto. 

Se Danielle avesse mostrato anche un minimo segno di debolezza, empatia, sensibilità, qualcosa che esulasse dal mero intento freddo e calcolatore, avrebbe perso credito agli occhi degli uomini sui quali aveva il comando. Aveva dovuto conquistare la loro stima mettendo a tacere una parte di lei. 

E questo comportava anche la consapevolezza di un’altra, amara verità.

Si passò una mano sugli occhi e scansò il salmone sulla panca mentre ne prendeva clamorosamente atto.

Il capitano Collins le piaceva.

E le piaceva proprio perché le aveva permesso di essere ciò che per anni aveva nascosto, senza perdere la stima nelle sue capacità e nel suo valore. Le piaceva perché con lui non si sentiva a disagio a mostrarsi fragile. Le dava sicurezza. Forse perché lui stesso doveva fare i conti con le sue fragilità e con la paura di apparire ciò che non era, sentiva nei confronti di William un’affinità elettiva che da tempo aveva creduto perduta.

Disse a sé stessa che avrebbe tanto voluto un mondo in cui una donna poteva benissimo avere gli attributi senza dover rinunciare alla sua personalità. Anzi, sognava un mondo in cui chiunque sarebbe stato considerato per il proprio capitale umano, con pregi e debolezze, senza che questo costituisse un motivo di ostracismo o derisione. 

In Italia c’era Mussolini, che pensava esattamente l’opposto di ciò che pensava Danielle.

In Germania c’era Hitler. Il che la diceva lunga sull’andamento della situazione mondiale. 

In Spagna aveva preso il potere Francisco Franco, che non era da meno degli altri due.

In Russia c’era Stalin. 

Pensò che, se avesse continuato a rimuginare sulla terribile piega che stava prendendo il mondo, sarebbe stata assalita di nuovo dalla melanconia e decise di concentrarsi sul caso.

Le forze stavano lentamente tornando, complice il cibo e la frescura del salmone sulla fronte.

Le sue conclusioni non erano cambiate molto. Tutta la storia non aveva il benché minimo senso. 

La vittima si arrampica in cima ad una rupe con il proprio assassino e cade di sotto. 

Tutti gli ospiti, o quasi, potrebbero avere un movente. 

Il silenzio.

La protezione non è nient’altro se non una sfumatura dell’amore.

In tutto questo si inserisce il mistero del cecchino, che con molta probabilità è l’assassino stesso che ha fallito nel tentativo di eliminarci. 

Anche questo aspetto, però, era strano. 

Aveva imparato che chi aveva la visuale migliore di solito vinceva un conflitto a fuoco. Dal basso, era più facile avere degli ostacoli: un parapetto o un terrazzo, per esempio. Dall’alto, invece, il campo era pressoché libero. 

William e Danielle, al momento dello sparo, si trovavano in uno spiazzo brullo ed erboso.

Come accidenti aveva fatto il cecchino a mancarli?

A meno che non avesse mai avuto intenzione di ucciderci.

Vero era che il maltempo li aveva isolati dal resto del mondo, ma se il capitano Collins fosse morto mentre indagava sulla scena di un crimine, di certo la Marina tutta si sarebbe mobilitata per trovare il suo assassino. 

Quindi, perché sparare in quel modo?

E poi, c’era il mistero delle scuderie aperte.

Danielle non aveva di certo escluso la possibilità che il signor Smith si fosse dimenticato di chiudere, per quanto zelante fosse e per quanto i due poveri domestici potessero essere terrorizzati dal loro datore di lavoro. Anche un malfunzionamento della serratura era probabile, data l’antichità dell’edificio. Tuttavia, c’era un elemento che l’aveva fortemente colpita.

Anche quando avevano sparato le scuderie erano aperte, ma c’era Everard Smith che accatastava la legna. 

Danielle si fece un paio di domande, e si diede anche un paio di risposte.

La soluzione al caso era una sola, e la chiave di tutto era il silenzio assordante che aveva dominato quella vicenda. 

Una soluzione a cui non sarei mai voluta arrivare. 

Peccato che non avesse ancora uno straccio di prova a sostegno della sua tesi.

La signora Smith continuava a trotterellare avanti ed indietro per la cucina, senza sapere che cosa fare per lei. Ne ebbe pietà e decise di toglierla dagli impicci.

- Sto bene, signora Smith. Vorrei mettermi seduta. Se desidera, può riprendersi il salmone. Immagino che sarà la cena di stasera.-

- Pensavo di farlo in crosta, visto che ormai è caldo.-

Danielle le tese il pesce e lodò le sue scelte culinarie. 

- Può farmi una cortesia, signora Smith?-

- Naturalmente.-

- Potrebbe chiamarmi il capitano?-

La donna si dileguò all’istante e la lasciò di nuovo sola con i suoi pensieri.

Un’idea cominciava ad acquistare concretezza nella sua mente, e forse con il suo gesto avventato aveva avviato una serie di eventi che avrebbero potuto portare alla risoluzione del caso. 

Sulla porta comparve il capitano, con al seguito il dottor Dietrich.

- Ti senti male?- le chiese, non appena la vide. 

- No, ma mi è venuta in mente un’idea, una cosa che, se confermata, potrebbe risolvere tutti i nostri problemi. Innanzitutto, abbiamo capito chi ha un revolver?-

Il dottor Dietrich alzò una mano. 

- Certo che ce l’ho. Una Luger Parabellum calibro nove, ben nascosta sul fondo della mia valigia. La porto sempre dietro, per abitudine, dopo il periodo di Weimar.-

Danielle guardò il capitano da sotto in su, seduta sulla panca.

- Ho l’arma di ordinanza, ma è al sicuro qui.- disse, sollevando un lembo della giacca e mostrando la fondina con la pistola.- Questa volta son voluto partire preparato.-

Danielle guardò ancora i due con un’occhiata inquisitoria.

Per favore, non fatevi cavare le parole di bocca.

- Abbiamo anche il dottor Webber, quel gran bugiardo. Ci abbiamo fatto una chiacchierata e, a dispetto di quanto dice, gira armato di una Colt Browning del 1911, mentre la cara signorina Estravados possiede niente di meno che una Star calibro nove.-

I tre si scambiarono occhiate furtive. Se Danielle e il capitano cercavano una risposta al fatto che la piccola Mercedes possedesse una pistola militare, il dottor Dietrich cercava di far capire loro nel silenzio più assoluto che forse era meglio non chiedere.

Danielle alzò le mani.

- Mi arrendo e non indago oltre. Quello che mi interessa è il dottor Webber. Hai detto, a dispetto di quanto dice?

William annuì.

- Ho reperito l’informazione dalla signora Northwood. Il nostro amico allampanato non spiccica parola.-

Danielle chiuse gli occhi e sospirò.

- Ci siamo sempre lamentati del fatto che il delitto non sembrava un vero e proprio regolamento di conti proprio per l’assenza di un’arma da fuoco.- fece William, grattandosi il capo con la mano libera. - Adesso ce l’abbiamo.-

- Non ha senso.- disse il dottore.- Se è stato davvero Gordon Van Allen, perché non ha usato subito la pistola e kaputt?-

Danielle e il capitano si guardarono.

- E’ quello che ci domandiamo anche noi, dottore.- 

Danielle si stiracchiò ben bene, seduta sulla panca, ed addentò un altro pasticcino.

- Bene. A questo punto, direi di andare a controllare di nuovo nelle scuderie. Erano aperte all’inizio di tutta questa storia ed erano aperte anche quando ci hanno sparato addosso.-

Il capitano aggrottò le sopracciglia.

- Effettivamente Everard Smith stava spaccando legna in quel momento. Chiunque potrebbe aver approfittato del caos generale per nasconderci qualcosa dentro.- 

Poi aggiunse, pensieroso:

- Hai qualcosa in mente, vero? E’ questo il motivo per cui sei andata prima a perlustrare le scuderie?-

Danielle proruppe in un sorriso sornione. 

- Sì, ma non ho le prove per dimostrarlo. Potresti aiutarmi?-

Che domande.

- Se ho ragione, le cose stanno andando esattamente secondo i piani dell’assassino.-

- Mica tanto.- osservò il capitano, alzando un sopracciglio.- Fosse per me, Webber sarebbe già in manette.-

- Appunto. Dottore, a che punto è l’analisi dei vestiti?-

I due sembrarono non capire, ma evitarono di fare domande.

- La sto ultimando, ma non si aspetti granché, Frauerin. La maggior parte di noi si è inzuppato d’acqua ed è molto probabile che eventuali tracce siano andate perdute.-

- Ne sono consapevole. Per favore, non si perda d’animo.-

Il capitano la prese alla lettera e, con un cenno del capo, si congedò ed uscì dalla stanza.

- Dottore, forse sarebbe il caso che lei lo accompagnasse. E’ ferito e non è in grado di difendersi da solo, e per quanto dubiti che l’assassino colpisca di nuovo, preferisco che abbia le spalle coperte.-

L’uomo fece per seguirlo, ma William fu categorico.

- Mi farò aiutare da Everard. Ho ragione di credere che sia l’unico davvero estraneo a tutta questa faccenda. Lei resti qua, dottore, e le faccia la guardia.-

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Capitolo 37
*** Parte 3, capitolo 10: Un esperimento scientifico. Con i proiettili. ***


Un esperimento scientifico. Con i proiettili.

 

Il buon medico si sedette vicino alla donna su una vecchia sedia impagliata. 

- Wie geht’s?-

- Ich bin ein bisschen mude, aber ich bin gut, danke.-

Per un attimo il dottore sembrò sorridere.

- L’avevo avvertita di non fare sforzi. Se desidera, adesso le do un tranquillante. Molto blando, non si preoccupi. So che deve lavorare.- ma il suo volto le trasmetteva un giocoso rimprovero.

- Solo qualche goccia, magari.-

L’uomo si alzò ed uscì dalla stanza. Quando rientrò, teneva stretta la sua borsa del primo soccorso sotto il braccio.

- Quando mi trasferii al seguito del governo, soprattutto nell’ultimo periodo della Repubblica, avevamo tutti paura del veleno. Tenevamo i nostri effetti sempre lontani dal cibo, per evitare, come dire, casuali contaminazioni. In particolare io, che avevo una formazione medica, tenevo sempre lontano la mia borsa. Alcuni dei miei strumenti potrebbero essere pericolosi.-

- Come i tranquillanti.-

- Esatto.- le disse, e le versò in un bicchiere d’acqua qualche goccia di un liquido scuro dall’aspetto poco invitante.

- E’amaro.-

Danielle riconobbe il flacone come laudano, la stessa sostanza che aveva usato per dormire subito dopo aver perso Eric. Nei suoi momenti più bui, in cui aveva pensato seriamente di raggiungerlo, quella boccetta aveva esercitato su di lei un’attrazione formidabile, che l’aveva spaventata al punto tale da spingerla ad uscire di casa e gettarla con un moto di stizza nel Tamigi. Ne riconobbe poi l’odore, e anche il sapore, e fu contenta che il dottor Dietrich avesse mantenuto la parola e non avesse usato la dose standard, che l’avrebbe addormentata nel giro di poco.

Ora che ci pensava, erano mesi che aveva rinunciato ad assumere qualunque tipo di farmaco simile. Preferiva restare insonne tutta la notte.

Forse era da mesi che, senza accorgersene, stava provando a riprendere in mano la sua vita. 

Dopo aver vuotato il bicchiere, chiuse gli occhi ed attese che il farmaco facesse effetto. Sentì in breve i suoi muscoli distendersi, il suo respiro allungarsi e diventare sempre più profondo, stabile, controllato. 

Il medico le prese il polso, osservando attentamente le lancette dell’orologio da tasca. Poi lo richiuse e lo ripose nel panciotto, soddisfatto.

- Mi dica, dottore, che cosa ha scoperto sul proiettile?-

Dietrich si accomodò meglio sulla sua seduta.

- Non molto. Quelli che si sono schiantati contro gli alberi sono accartocciati e inutilizzabili. Quello che si è conficcato nel terreno, invece, è sporco di terra, ma si è mantenuto abbastanza bene. Ho trovato qualcosa sulla superficie, delle striature molto particolari. Dovrei confrontarle con altre, però, e senza la pistola, temo che non potremo fare granché.-

Danielle si grattò la testa.

Avevano due possibilità: agire direttamente, spaventando l’assassino, o muoversi dietro le quinte.

Per quanto la riguardava, era più che disposta a fare l’ariete e sfondare le difese del loro aguzzino.

Tuttavia, questo avrebbe esposto persone come Mercedes, che - di questo era certa - non c’entravano assolutamente nulla con l’affaire Northwood. 

Però, la ragazza aveva un’arma importante ed andava controllata, come tutti gli altri. 

- Ha voglia di fare un esperimento, dottore?-

- Che cosa significa?-

- Un esperimento scientifico. Con i proiettili.-

Il dottore comprese e gli venne da ridere.

- Ne inventa sempre una, vero, Frauerin?-

- O non mi chiamo più Danielle Peters, dottor Dietrich.-

Così, la donna decise di passare al contrattacco, ma a modo suo.

Per prima cosa, prese da parte la signora Smith e le sussurrò qualcosa all’orecchio.

La donna sbiancò, ma annuì e sparì nelle cucine.

Poi, spedì il dottore a chiamare il capitano Collins.

- Ci servirà quando sequestreremo le pistole. Qualunque cosa stia facendo, è meglio che la interrompa.-

Infine, Danielle entrò nel salone ed incontrò gli altri. 

Seduto su una poltrona accanto alla moglie, tenendole stretta la mano, c’era il dottor Webber. Mercedes, invece, sedeva sotto una finestra con il suo consueto tomo a far finta di studiare. Il signor Kendall, poggiato sul tavolo sul quale avevano precedentemente condotto gli interrogatori, aveva l’aria disperata, chino su un libro, e di tanto in tanto guardava Mercedes sfogliare svogliatamente le pagine. 

La signora Rogers sferruzzava, affondata in una poltrona.

Degli altri, non c’era traccia. 

Danielle versò due tazze di infuso e si avvicinò a Mercedes.

Quando le fu vicina, le tese la tazza e sussurrò:

- So che sei in possesso di una pistola militare. Devo chiederti di dimostrarmi che la pistola non ha sparato.-

La ragazza non staccò nemmeno gli occhi dal libro e annuì. Chiuse il tomo mettendo il segno, prese la tazza, si alzò in piedi e le fece segno di seguirla. 

Quando furono sole sulle scale, Mercedes si voltò verso di lei con sguardo grave.

Danielle si guardò attorno per essere certa che non ci fosse nessuno. 

- Immagino che tu voglia delle spiegazioni.-

- No.- si affrettò a dire Danielle, scuotendo le mani.- Se devi dire qualcosa, dillo al capitano, non a me. A me basta sapere che quella pistola non ci ha sparato.-

Mercedes sollevò il sopracciglio, poco convinta.

- Davvero, Mercedes. Lui sa cose che io non so. Non ci faccio niente con le tue informazioni. Devi promettermi, però, che parlerai con lui e gli dirai quello che sai. Immagino che si possa cavare qualcosa di buono per l’Inghilterra e per la Spagna dalla tua conoscenza.- 

La ragazza abbozzò un sorriso e parve apprezzare la mancanza di interesse di Danielle. In verità, alla donna prudevano le mani e avrebbe tanto voluto saperne di più, ma pensò che forse sarebbe stato meglio estorcere quelle informazioni al capitano in seguito piuttosto che immischiarsi in questioni che non la riguardavano con persone che, in fondo, non conosceva davvero.

Il mondo del capitano e di Mercedes Estravados sapeva essere tremendamente pericoloso.

La ragazza la condusse nella sua stanza. Danielle dovette riconoscere che l’albergo non prevedeva una grande varietà di arredi. La stanza era praticamente uguale alla sua, se non fosse che Mercedes l’aveva lasciata in modo molto spartano. Non aveva nemmeno disfatto le valigie. Solo sullo scrittoio c’erano dei fogli sparsi e qualche appunto nascosto sotto un altro librone. Per il resto, niente di rilevante. Danielle non avrebbe saputo dire chi avesse vissuto in quella stanza nemmeno se si fosse messa ad osservare attentamente. 

L’idea che si era fatta della giovane ragazza, con questo, divenne sempre più chiara. 

Mercedes frugò un poco nel baule, spostò pile di effetti personali ed estrasse dal doppio fondo la sua Star calibro nove. Danielle notò subito che il caricatore non era stato inserito e che la pistola sembrava intonsa. Toccò la canna non appena la ragazza gliela porse e si rese conto che non era calda. Non c’era alcun residuo nel caricatore, che Mercedes le mostrò pur non essendo inserito in modo da dimostrare che i proiettili c’erano tutti.

Nemmeno una traccia superficiale di polvere da sparo.

Non che Danielle avesse mai veramente creduto che Mercedes fosse coinvolta, ma sentiva il bisogno di escluderlo del tutto.

Nel nostro mestiere, la diffidenza è la prima regola.

Prendere un abbaglio è estremamente facile, e a pagarne il prezzo sono coloro che non ricevono giustizia.

Le restituì l’arma e le due donne rimasero per un attimo a guardarsi. Pur non sapendo molto l’una dell’altra, si stimavano, e proprio per questa ragione la loro chiacchierata - ne avevano la certezza - sarebbe rimasta privata. 

- Non è del tutto vero che non sai nada de nada, sai, Danielle?-

- Davvero?-

- Sì. Immagino ti piaccia leggere. Mi sembri il tipo che ama i libri.-

- Certo.- 

- Oppure andare a teatro.-

Mercedes le lanciò uno sguardo eloquente e Danielle le rispose con un sorriso e gli occhi brillanti.

Perché vuoi proprio farmi prudere le mani, ragazzina?

- Tu sai la verità, vero?-

- Sulla muerte di Federico Garcia Lorca? Sì. Almeno credo.-

Si guardarono un’ultima volta, con un’occhiata di rinnovato rispetto e solidarietà.  

Poi, ridiscesero nel salone, dove trovarono il capitano ed il dottor Dietrich ad attenderle. 

O meglio, trovarono il capitano parecchio su di giri.

- Danielle, dobbiamo parlare.-

- Possiamo andare a vedere l’arma del dottor Webber, da già che ci siamo. Credo che Mercedes voglia scambiare qualche parola con te.-

La ragazza guardò il capitano e annuì.

- Non abbiamo tempo per questo. Con tutto il rispetto, si intende.- e fece un inchino di cortesia a Mercedes. - Andiamo.- 

Le fece cenno di salire al piano superiore e Danielle lo seguì. 

Quando furono nella stanza del dottor Dietrich - che sfoderò la sua Luger giusto per dimostrare di averla e di non avere sparato - il capitano aprì la borsa del pronto soccorso del dottore ed estrasse un involto di stoffa rosa fenicottero.

- Che cosa hai fatto alla mia sciarpa?- gli chiese, inarcando un sopracciglio.

- Mi dispiace, ma è stata un’emergenza.- 

E con grandissima sorpresa di Danielle, estrasse una Colt Browning del 1911, sporca e con un caricatore praticamente vuoto. 

- L’hai trovata nella legnaia?-

- Sì, nascosta alla meno peggio dietro ad una catasta di legna. Credo - disse, soppesando la Colt.- che dovremmo procedere all’arresto del dottor Webber.-

Danielle rimase per un attimo a fissare prima il capitano, poi il dottore. 

Infine, si mise a ridere. 

I due uomini rimasero di sasso a guardare la donna che sogghignava.

Voglio dire, gli elementi ci sono tutti.

C’è il movente.

C’è la stazza fisica, visto che è molto più grosso di Northwood, indipendentemente da quello che dice la vedova.

C’è un grosso buco temporale nel pomeriggio.

C’è la sua arma, che ha chiaramente sparato.

Quindi che c’è di ridicolo?

- Che c’è da ridere?-

Danielle scosse la chioma di ricci rossi.

- Il nostro assassino è un gran furbacchione, ma non è bravo come sembra. Si è appena incastrato da solo.-

- Lo credo bene!- fece il capitano, ammiccando alla pistola.

Danielle, però, continuò a ridacchiare.

- Temo di non capire.- disse il dottore, passandosi una mano sulla testa bianca.- Sta cercando di dire che questa non è la pistola che ha sparato?-

- Non ho detto questo. Ho detto che non ha sparato Webber.-

Silenzio.

William e Dietrich si guardarono, perplessi.

- Io ancora non capisco.-

- Credo che stasera potremo dimostrare chi sia l’assassino. Mi ha quasi presa per il naso, ma la soluzione era così ovvia, così banale! Il problema era dimostrare il tutto. Non ci vorrà molto, adesso. Dottore, vogliamo dare il via al nostro esperimento scientifico? Sono sicura che troveremo delle belle sorprese!- 

 

Fu così che il terzetto finì a congelare nella ghiacciaia.

Anzi, sarebbe meglio dire il quartetto, considerato che a loro si era unito anche il povero Everard Smith.

Di fronte a loro, c’era un bel maiale appeso, pronto per essere cucinato.

La sua sorte, purtroppo, sarebbe stata un poco più cruenta di quella per cui era stato ucciso.

Il capitano prese accuratamente la mira, mentre Danielle, il dottore e il domestico si tappavano le orecchie.

Fece fuoco con la Luger del buon dottore ed attese che il rumore cessasse di rimbombare sulle pareti di pietra.

Il dottore si avvicinò alla carcassa dell’animale ed estrasse accuratamente con il bisturi la pallottola incastrata nella carne molle.

La ripulì con un panno asciutto e poi si mise ad esaminarla con la lente di ingrandimento.

- Come potete vedere, Frauerin, Herr Kapitan, non ci sono le stesse striature. Anche le dimensioni sono diverse. Il proiettile non è assolutamente quello della mia Luger.-

- La Star non ha sparato.- commentò Danielle, rivolta al capitano.- Ne sono assolutamente sicura.-

William pensò che avesse ragione. Se Mercedes era davvero quello che lui sospettava che fosse, attirare l’attenzione sparando ad un uomo - per quanto odioso come Northwood - con un’arma come la sua sarebbe stato altamente stupido.

- Resta la Colt.- 

Il capitano ripetè l’operazione. 

Mirò e sparò.

Il dottore estrasse di nuovo la pallottola, la ripulì e la controllò. 

- Non c’è dubbio alcuno. Questa è la pistola che ha sparato.-

A maggior ragione, William era sempre più convinto della colpevolezza del dottore, mentre Danielle sembrava aver appena trovato la risposta a tutte le sue domande. 

- Io continuo a non capire.-

- Capirete a breve. Se ho ragione, il fallimento del primo tentativo da parte dell’assassino lo convincerà a provarci di nuovo. E’ necessario intervenire prima che accada qualcos’altro.-

Il dottore, il capitano e il maggiordomo non ci capirono niente.

- Il primo tentativo di farci fuori?-

- No, di incastrare Webber, ovviamente. Che cosa non si fa per amore!- 

Fu a quel punto che la vide, una scintilla fugace negli occhi da cerbiatto di William.

La scintilla della consapevolezza.

Il dottor Dietrich, invece, continuava ad essere confuso.

Danielle sorrise ad entrambi, finalmente certa della sua deduzione.

- Vogliamo andare? Non voglio far attendere oltre i nostri ospiti, immagino che desidereranno una risposta. E poi, il nostro dottore ha ancora dei vestiti da esaminare.-

 

I tre si separarono. Il dottore andò di nuovo a rintanarsi nelle sue stanze, tra i pochi abiti che ancora doveva passare al setaccio, mentre Danielle e il capitano si diressero verso il salone con tutta l’intenzione di ingaggiare Emily Smith per radunare gli ospiti. 

Nel tragitto, la donna gli aveva spiegato per filo e per segno la sua teoria

- Insospettabile, vero?- gli chiese, con un sorrisetto sornione sulle labbra. 

- Incredibile. Ci sono cascato come un fesso.-

- Non sei l’unico, sai. Anche io, prima di giungere a questa conclusione, ho cercato di trovare qualcos’altro, qualsiasi cosa che mi dicesse il contrario. Non ci volevo credere.-

William dondolò il capo, sornione.

- E’ questo il punto. Tu l’hai sempre saputo, ma non hai voluto crederci. Io non l’ho mai capito.- 

- Se ci pensi, il colpevole era l’unica persona che aveva modo di girare indisturbata all’interno di questa struttura senza che nessuno facesse domande, ed aveva ogni ragione per uccidere Carl Northwood.-

Danielle si fermò sulla porta del salone e fronteggiò William, l’aria contrita.

- Non sai quanto mi dispiace. Se avessi dato retta al mio istinto fin dall’inizio, non ti avrebbe sparato, non saresti ferito e forse ci saremmo goduti tutti qualche giorno di vacanza in più.-

Il capitano la consolò come potè.

- Mia cara Danielle, è già tanto così. A quanto ne so, sei l’unica che è arrivata alla soluzione del caso, e siamo ad un passo dal prevenire qualcos’altro. Da quello che ho capito - e a questo punto non stenterei a crederlo - tu pensi che l’assassino sia disposto a qualsiasi cosa pur di portare a termine il suo piano.-

- Sì. Voglio fermarlo prima che peggiori le cose. Aspetta un attimo, cos’è questo suono?- 

Fuori dalla porta del salone si udiva un leggero tintinnio, come di bicchieri e bottiglie. 

Danielle e William si guardarono. 

Aprirono la porta e trovarono la signora Smith vicino al bancone in fondo alla stanza, con al suo fianco un carrello pieno zeppo di coppette di cristallo. 

In una mano, la povera domestica reggeva un vassoio di tartine, mentre nell’altra stringeva il fondo di una bella bottiglia di quello che sembrava champagne.

- Il signor O’Brennon aveva deciso di farvi questo omaggio e non abbiamo ricevuto alcuna istruzione per cambiare programma. Quindi, salute!- fece, cercando di mostrarsi felice e spensierata.

Peccato che, nel farlo, ruppe una coppetta di cristallo.

Danielle fece del suo meglio per non alzare gli occhi al cielo.

Se c’è una cosa che non mi mancherà di questo posto, sarà proprio la mania di controllo del proprietario.

Nel salone c’erano tutti. La signora Rogers era seduta su una poltrona e stava rammendando un paio di pesanti calze di lana. I coniugi Webber sedevano appartati sul divano, assieme, stringendosi le mani, le teste vicine. Mercedes, invece, aveva chiuso il libro e stava chiacchierando con il signor Kendall. Danielle pensò che il giovanotto dovesse aver finalmente preso coraggio e rivolto la parola alla giovane spagnola.

Povero ragazzo, sapessi con chi hai a che fare.

La signora Northwood fissava con algida fermezza la signora Smith mentre continuava a versare champagne nelle coppette senza provare a far cadere le tartine. 

Il capitano pensò che, per una volta, il perfezionismo del signor O’Brennon avesse giocato a loro favore. Gli ospiti si erano radunati spontaneamente tutti nello stesso posto, tranne Everard Smith, che stava ancora ripulendo dopo il loro esperimento nella ghiacciaia, e il dottor Dietrich, alle prese con l’esame degli ultimi capi d’abbigliamento rimasti. 

- Ha bisogno d’aiuto, Emily?- chiese la signora Northwood, alzandosi dalla poltrona.

La povera domestica cercò di protestare, ma il suo corpo non le obbedì e finì col mettere in mano ad Eveline il vassoio delle tartine prima ancora di finir di rifiutare l’offerta. 

Dopo pochi concitati secondi di cordiale discussione, le due donne finirono con lo scambiarsi i ruoli. Emily avrebbe distribuito le tartine, mentre Eveline avrebbe consegnato le coppette di champagne.  

Il capitano e Danielle, appollaiatisi vicino al bancone, ne approfittarono per discutere fitto fitto del caso senza staccare gli occhi dai loro compagni di viaggio.

La donna, in particolare, emise un flebile sbuffo di soddisfazione quando ebbe finalmente trovato ciò che cercava.

- Finalmente, anche l’ultima prova. Guarda la mano.-

- Lo vedo anche io. Ingegnoso, davvero!- ammise infine il capitano, scrollando il capo e rigirando il liquido chiaro nella coppetta.- Ammetto che non avevo preso in considerazione questa idea.-

- Troppo in buona fede, William. Non si conosce mai una persona del tutto, e quando te ne accorgi, potrebbe essere tardi.-

Il capitano sorrise.

- Quanta amarezza, ma anche tanta verità. A volte mi chiedo se tu non sia stata troppo precipitosa nel lasciare Scotland Yard.-

Danielle sospirò, quasi ipnotizzata dal moto circolare del liquido nel bicchiere. Il capitano gliene offrì un poco, ma Danielle rifiutò, per non mescolare l’alcol con le poche gocce di laudano che aveva in corpo.

- Le circostanze me lo hanno imposto.-

William abbassò gli occhi.

- Me ne rendo conto e non voglio tornare sull’argomento. Indagare però ti piace, e devo dire che sei davvero brava nel tuo lavoro. Perché non trovi una qualche forma di investigazione o che so io, qualcosa che possa permetterti di esercitare anche fuori dal corpo di polizia?-

- Sì, per poi comprare casa in Baker Street.- e si mise a ridere.- Ammetto che mi piacerebbe giocare a Sherlock Holmes, ma dubito che la mia clientela sarebbe florida, e io ho bisogno di un lavoro con il quale potermi mantenere.-

Il capitano fece spallucce.

- Io ci verrei, a chiederti aiuto.-

- Tu sei tu, William. La maggioranza delle persone là fuori mi vede come una specie di usurpatrice, una malata di mente che si comporta come un uomo.-

Il capitano bevve un sorso e fece schioccare le labbra, soddisfatto.

- Buono, ottima annata. Sai, una volta sono finito con la mia nave in Cina e ho incontrato una tribù che viveva lungo un fiume di cui non ricordo il nome. Lì vige il matriarcato. Quando ci ho parlato, lo sai che mi hanno detto? Perché non fate come noi?-

Danielle si lasciò sfuggire l’ennesima risata, e si chiese se il dottore non avesse condito il laudano con un po’ di alcol. 

Si sentiva inebriata, una sensazione bellissima che non provava più da tempo. Di certo la compagnia migliorava il suo umore, ma il senso di consapevolezza, di conoscenza tipico di chi ha finalmente capito, per chi è abituato al mistero è ineguagliabile, la massima soddisfazione che si possa ottenere. Era quasi un senso di sollievo, quello che si prova dopo aver messo ordine dentro un gran caos.

Ancora pochi istanti e sarebbe stato tutto finito. Dovevano solo aspettare che la polizia di Cairndow arrivasse. 

Il capitano aveva ragione. Le mancava davvero tanto l’indagine. 

Prima di procedere con l’annuncio, Danielle aveva ancora un paio di cose da controllare. Puntò il signor Kendall, seduto assieme a Mercedes, ed incrociò lo sguardo della giovane ragazza. Quella diede di gomito al suo compare, che non appena si avvide della circostanza scattò in piedi e si diresse verso di lei

Mercedes le fece l’occhiolino, accennò un brindisi e ficcò il naso nella sua coppetta di champagne.

- Signorina Peters, finalmente! L’ho cercata in lungo e in largo! Devo consegnarle queste!- ed estrasse dalla giacca una busta rigonfia.

- Sono le fotografie scattate sulla scena del crimine. Spero che vi saranno d’aiuto.-

- Grazie mille, signor Kendall. Ci serviranno sicuramente.-

Non appena il ragazzo si fu allontanato, Danielle sciolse lo spago attorno al pacchetto e cominciò a passare in rassegna le fotografie assieme a William.

- Che ne dici?-

- Dico che abbiamo completamente sbagliato prospettiva. Certo, che ci fosse un ribaltamento del genere, sfido chiunque a pensarci!-

- Logica stringente avrebbe voluto qualcosa di diverso, effettivamente, ma la realtà a volte supera la fantasia e anche le leggi della fisica, soprattutto quando il movente è forte come questo. Adesso, manca soltanto il dottore e…-

Danielle, però, non fece in tempo a finire la frase che la bianca figura del dottor Dietrich emerse dalla porta del salone con alle spalle il maggiordomo, l’aria trafelata di chi aveva appena capito tutto.

- Ah Frauerin, lei è un vero e proprio demonio! Adesso ho capito tutto!- 

- Ha trovato qualcosa di importante, dottore?-

- Sì, cioè, no, ed è proprio questo l’importante. Non ci avrei mai pensato se lei non mi avesse messo la pulce nell’orecchio.-

Il dottore prese una coppetta dal carrello e se la portò alle labbra.

- In buona sostanza… Ah, sehr gut! Dicevo, non ho trovato assolutamente nulla, nemmeno sugli ultimi vestiti rimasti. Allora mi è venuto il dubbio di aver trascurato qualcosa. Ho passato di nuovo in rassegna tutto l’abbigliamento che avevamo repertato ed è stato in quel momento che mi è caduto l’occhio su qualcosa. Uno degli abiti era sporco di sangue.-

Danielle sorrise al dottore.

- Com’era prevedibile.-

- Sì, esatto. Per questo non ci ho fatto caso. Il problema era la quantità. Decisamente troppa per la circostanza!-

La donna si voltò verso il carrello ed afferrò l’ultima coppetta rimasta.

- Bene, signori, a questo punto propongo un brindisi, alla fine delle indagini e…-

Un grido acuto, uno strillo altissimo si levò dal gruppo di ospiti. 

Danielle, William e il dottor Dietrich si voltarono di scatto alla ricerca della fonte di quel grido disperato.

Il signor Kendall sedeva accanto a Mercedes, scomposto, mentre le stringeva la mano disperato.  

- Aiuto! Si sente male!- 

Danielle si guardò intorno e si accorse con orrore che la giovane ragazza si era accasciata sulla poltrona, sussultando spasmodicamente.  

Il dottor Dietrich le si avvicinò immediatamente, preoccupato. Danielle si accorse con orrore del movimento degli occhi della ragazza, che cercarono quelli dell’anziano dottore con una disperazione sempre crescente, mentre il suo corpo non la smetteva di tremare e sussultare convulsamente sulla poltrona. 

Danielle si rese conto di stare sbraitando ordini da un pezzo, ormai. Aveva spedito senza troppe cerimonie il dottor Webber a prendere la sua borsa del pronto soccorso, mentre il dottor Dietrich cercava di fermare le convulsioni. 

Si avvicinò al medico nel tentativo di dargli una mano, e vide gli occhi di Mercedes cercare i suoi, il panico crescente nelle sue iridi. 

La consapevolezza di che cosa fosse successo attraversò Danielle come un fulmine e cercò conferma nel volto stravolto del dottor Dietrich. 

Non appena il dottor Webber fu di ritorno con la sua borsa, il buon medico tedesco si lanciò alla ricerca di quello che lui definiva un emetico specifico. Lo trovò, stappò la boccetta con foga e ne versò una dose massiccia nella bocca di Mercedes, che - a differenza di quanto Danielle si era aspettata - deglutì il liquido senza conseguenze. 

Come per magia, le convulsioni rallentarono fino a cessare, ma le sue labbra divennero viola e la ragazza cominciò a sudare freddo. 

- La crisi forse è passata.- disse il medico, alzandosi in piedi e prendendola in braccio con una facilità sorprendente per un uomo della sua struttura fisica.- La porto nella sua stanza, potrebbe aver bisogno di assistenza.-

E sparì fuori dalla porta con l’agilità di un gatto. 

 

Danielle rimase a guardare la poltrona vuota, un senso di rabbia profonda che risaliva dalle sue viscere.

Adesso ha davvero esagerato.

La cosa peggiore era che si sentiva in colpa. Nonostante avesse la ferma consapevolezza che non avrebbe potuto fare nulla di concreto senza le prove fornite dal dottore e dal giovane americano - e soprattutto senza il supporto della pattuglia di Cairndow - una parte del cervello di Danielle continuava a ripeterle che, se si fosse impuntata per svelare immediatamente il colpevole non appena entrata nel salone, nulla di tutto ciò sarebbe successo.

La verità, però, era che aveva sottovalutato l’assassino. Il fatto che avesse utilizzato - seppur senza perizia - un’arma da fuoco nella precedente occasione l’aveva indotta a pensare che avrebbe creato ancora un diversivo analogo. 

Al veleno, non c’aveva minimamente pensato.

Una terza modalità, diversa da quella usata per uccidere Carl Northwood e per attentare alla sua vita e a quella del capitano Collins.

Questa volta non avrebbe atteso oltre.  

- Bene, signori, temo che non ci sia altro tempo da perdere. Se Mercedes non dovesse riprendersi, siamo di fronte al secondo omicidio, oltre a quello tentato ai danni miei e del capitano. Attenderemo il resoconto del dottor Dietrich e cercheremo di capire se la ragazza si riprenderà, anche se è troppo presto per dirlo.-

- Omicidio?- disse Jodie Webber, torcendosi le mani violentemente.- Non capisco. La ragazza ha avuto una crisi, tutto qua.-

- Oh, no, signora Webber.- fece Danielle, lo sguardo truce posato su di lei.- A giudicare dalla reattività oculare e dallo stato di coscienza, temo che si tratti di una forma di avvelenamento da stricnina, e suo marito potrà confermarlo.-

Il dottore si passò ancora una mano nei capelli spettinati.

- Purtroppo ha ragione.- ammise. 

- Potrebbe cortesemente controllare la sua borsa, dottor Webber? So che la stricnina ha effetti terapeutici, se usata in dosi leggere.-

- Sì, in effetti è un dispositivo di uso medico. Controllo, ma non capisco come…-

Aprì la borsa e sbiancò.

- No.- disse, farfugliando.- Non sono stato io.- E scosse il capo convulsamente.- Lo giuro! Sono stato derubato di tutta la stricnina che avevo. Non sono stato io!-

Danielle fece un sorriso sghembo.

- Ah, ma lo sappiamo, dottore.-

Gli astanti erano ammutoliti.

- Attendiamo un resoconto sulle condizioni di Mercedes. Intanto, pregherei i signori Smith di sospendere le attività per la cena.-

Estrasse dalla tasca il suo fermaglio e legò i ricci corti dietro la nuca. 

- E’ ora di finirla con questa farsa, una volta per tutte.-

 

TRADUZIONE DAL TEDESCO

 

Wie geht’s?: Come va?

Ich bin ein bisschen mude, aber ich bin gut, danke: Mi sento un po’ stanca, ma sto bene, grazie. 

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Capitolo 38
*** Parte 3, capitolo 11: In fondo, la protezione non è nient'altro se non una sfumatura dell'amore. ***


11.

 

In fondo, la protezione non è nient’altro se non una sfumatura dell’amore.

 

Quando il dottor Dietrich ridiscese, aveva la faccia di un uomo che aveva appena visto un fantasma.

- Come sta?- si affrettò a chiedere Danielle, la schiena poggiata contro il muro e le braccia conserte, mentre tutti i presenti sedevano in un silenzio carico di attesa.

- Avvelenamento da stricnina. Sapremo se sopravviverà o meno nelle prossime ventiquattro ore, ma l’abbiamo presa in tempo, e sono fiducioso che abbia espulso ogni traccia di veleno dal suo corpo. E’ giovane e forte. Ci sono buone possibilità che se la cavi. Mi domando, però - e il suo accento tedesco tornò a farsi sentire in modo evidente.- chi sia quel mentecatto che se ne è portato dietro una fiala e che l’ha lasciata in giro.-

Il volto del dottor Webber si tinse di rosso carminio.

- Come osa, dottore? Anche lei ha della stricnina…-

- Che però non è finita nel bicchiere di nessuno! Du bist hirnlos! - 

- Se volete scusarci- esordì Danielle, staccandosi dal muro e dirigendosi al centro della stanza.- Abbiamo delle spiegazioni da darvi.-

Lanciò un’occhiata al capitano, domandandosi se volesse intervenire, ma lui le sorrise e le indicò il centro del salone, facendole intendere che il palco - se poteva essere definito tale, date le circostanze  -  era tutto suo. Danielle annuì e cominciò la sua spiegazione, percorrendo la stanza con ampie falcate.

- Penso che sia ora di chiudere questa faccenda definitivamente. E’ una storia che è andata avanti per troppo tempo. Le vite di alcuni tra di voi, in questa stanza, sono come ferro vecchio. Incrostato dalla ruggine, e il centro di tutti questi ricordi, la causa scatenante di tutto questo rancore, è stato il defunto Carl Northwood. Non era un brav’uomo, Northwood. Me lo avete confermato quasi tutti durante le conversazioni che abbiamo intrattenuto nei giorni precedenti. Ciascuno di voi è stato in qualche modo minacciato, o si è sentito in pericolo in presenza della vittima. Avevate ragione, sia ben chiaro. Accidenti se avevate ragione. Adesso è giunta l’ora di spiegarvi il perché. 

- Che ci crediate o no, signori miei, il tempo è proprio strano. Il tempo, se gli si lascia carta bianca, è capace di risolvere le cose o di metterti nella condizione di poterlo fare. Sta a noi scegliere che strada percorrere. Fino a poco tempo fa, ad esempio, ero fermamente convinta che non avrei più rimesso il naso fuori dalla mia abitazione. Non avrei mai immaginato che mi sarei trovata a risolvere un caso di omicidio, e soprattutto questo caso. Sì, perché per quanto incredibile possa sembrare, la storia della mia vita è legata a doppio filo alla storia di alcuni tra voi.-

Fece una pausa, facendo girare lo sguardo su tutti i presenti.

Nel salone non volava una mosca.

- Naturalmente, mi riferisco al morto, a sua moglie e alla loro defunta figlia, e per mezzo di questo collegamento, anche a voi, signori Webber.- 

Jodie Webber strinse forte il braccio del marito, piccata.

- Lei è una spostata! Si è fissata con noi e vuole rovinarci la vita a tutti i costi, ma…-

Danielle alzò una mano e troncò la sua polemica sul nascere.

- Sa, signora, è stato proprio il suo comportamento a darmi la chiave di lettura giusta per chiudere questo caso. Lei è molto protettiva e la cosa le fa onore. Ama molto suo marito, e che cos’altro è la protezione se non una sfumatura dell’amore? Ecco, questa è stata la chiave di tutto: che cosa potrebbe fare un essere umano per amore, per proteggere ciò che ama di più? Le cose più folli, sicuramente. Potrebbe spingersi fino alle più estreme conseguenze. Anche ad uccidere. Sì, uccidere: il movente, qui, non è economico e non c’è nemmeno vendetta. In questa storia la malavita organizzata non c’entra nulla. O meglio, c’entra, ma solo in parte. Essa è solo la cornice del torbido passato della vittima, un passato che, come la ruggine, ha incrostato le vite di tutti coloro che ruotavano attorno a lui. 

- Per chiarire esattamente che cosa è successo, è necessario che tutti voi facciate un piccolo sacrificio. Sarò breve, ve lo prometto. Ometterò tutti i dettagli inutili al nostro scopo. Abbiate la pazienza dunque di ascoltare una storia che comincia diversi anni fa. Quasi quattro, per la precisione, ed esattamente il venticinque maggio del Trentatré, quando un ausiliare del traffico mi consegnò la copia di una multa in sosta vietata fatta quella stessa mattina.

- A suo dire, il soggetto che aveva multato aveva qualcosa di losco. Pur essendo vestito dignitosamente, aveva una stazza fuori dal comune. Era grosso come un armadio ed aveva una brutta ammaccatura sul naso storto, come se avesse fatto a pugni di recente. L’uomo aveva beccato il nostro ausiliare mentre lasciava la ricevuta della multa sotto il tergicristallo ed aveva avuto qualcosa da ridire al riguardo. Il nostro era riuscito ad andarsene, ma aveva avuto la netta sensazione che i rigonfiamenti sotto la giacca non fossero soltanto muscoli.-

Danielle fece una pausa e fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti.

- L’ausiliare aveva ragione. Quell’uomo, infatti, va tutt’ora sotto lo pseudonimo di Esattore, l’agente di riscossione della malavita, incaricato da niente meno che da Gordon Van Allen in persona.- 

Tra i presenti si diffuse un mormorio di stupore. 

Danielle non si fece distrarre e proseguì. 

- La multa era stata fatta in pieno centro città, nei pressi di una villa di tutto rispetto ristrutturata di recente ed intestata ad una persona di nostra conoscenza: Carl Northwood. All’epoca conoscevo soltanto il suo alias: il Fornaio, colui che faceva lievitare i guadagni come il pane. I racconti della signora Northwood hanno finalmente colmato una lacuna vecchia di anni. All’epoca, io avevo il desiderio di catturare persone molto più in alto di lui. Puntavo allo stesso Van Allen. La mia ambizione, purtroppo, mi ha portata dove sono adesso. Il tempo, però, è stato galantuomo. Ha fatto sì che io tornassi sui miei passi e risolvessi almeno una piccola parte del puzzle, quella che avevo sempre trascurato. Il tempo ci aveva già provato in passato, quando mi ha messa per l’ultima volta sulle tracce del Fornaio, prima di dimettermi. Il caso della piccola Johanna Northwood finì sulla mia scrivania, ma non ebbi mai l’occasione di occuparmene. Oggi, il corpo del Fornaio giace nella ghiacciaia. Non posso fare altrimenti che dare ascolto al tempo, questa volta.

- Abbiamo riconosciuto tutti che Northwood non era un uomo amabile. Non aveva mai problemi, né se ne creava. Quando capitava che ne avesse, questi sparivano magicamente senza che nessuno capisse come facesse a sbrigarsela. Era un soggetto ambiguo, violento, con un’ambizione smisurata. Northwood non sapeva mai quando fermarsi. Complice un’infanzia difficile, bramava il denaro e la ricchezza, lo status sociale che essa porta con sé. Così, si è dato all’imprenditoria edile, senza però fare grossi guadagni. Per cambiare le cose ed acquisire finalmente la fama che credeva di meritare, ha tentato il grande salto. La vittima frequentava ambienti ambigui, dove deve essersi messo in contatto con qualche scagnozzo di basso rango di Van Allen, un pesce piccolo che deve avere cantato un po’ troppo di fronte ad una pinta di birra. Gli ha rivelato l’intenzione del capo di espandersi nell’industria del mattone. Northwood, colta la palla al balzo, si è offerto di fare da prestanome per Van Allen in cambio della vittoria di appalti truccati. Entrambi avrebbero fatto soldi facili, e così è stato. Almeno, lo è stato fino a che l’ambizione di Northwood non l’ha spinto a fare qualcosa di stupido.

Nel suo delirio di onnipotenza, Carl Northwood deve essersi convinto di poter fregare Van Allen. Dopo una serie di sgarri, quel farabutto si è stufato. Dopo aver fatto pedinare Northwood ed aver raccolto informazioni sulle sue abitudini, Van Allen ha dato ordine ad uno dei suoi - non mi stupirei se si fosse trattato del Macellaio, ma non ho prove per dimostrarlo - di dargli una lezione che lo sistemasse per sempre. Così, il boia si è recato al parco dove Northwood aveva portato la figlia ed ha sparato contro di lui. Non so se per errore o per intenzionalità, ma il proiettile ha colpito la bambina, che, purtroppo, è morta. In un estremo tentativo di salvare la faccia, Northwood si è rivolto ai suoi conoscenti - che ricattava sistematicamente - per ottenere un falso certificato di morte che attestasse un malore improvviso. Inizialmente, ha chiamato il dottor Dietrich, che aveva aiutato in precedenza dopo la sua fuga da una Germania sempre più illiberale ed intollerante.- 

La fierezza del dottore vacillò per un momento sotto lo sguardo dei presenti, ed abbassò gli occhi sulle scarpe sdrucite.

- Il dottore ha poi preso le distanze e tengo a sottolineare che è completamente estraneo a qualunque vicenda riguardi la vittima, ma questo a Northwood non importava. Dietrich era un medico e gliene serviva uno. Di fronte alla terribile proposta, il dottore però ha rifiutato, e per questo sarebbe rimasto vittima di una spedizione punitiva nei giorni a venire. Disperato, Northwood si è allora rivolto ai parenti, ai suoi familiari, che ricattava non meno degli estranei e dei conoscenti. Il dottor Webber, impossibilitato a fare altrimenti, ha così falsificato il certificato di morte della bambina. Qualcuno negli uffici comunali, però, deve essersene accorto e deve aver fatto una segnalazione, che è prontamente finita sulla mia scrivania a Scotland Yard. Peccato che l’agente Eric Nicholson fosse appena morto ed io, quel giorno, avessi appena dato le dimissioni.-

Nella stanza era calato un silenzio di piombo. Il dottor Webber piangeva seduto sul divano, mentre sua moglie faceva di tutto per consolarlo.

Danielle gli lanciò un’occhiata algida e continuò.

- Sono trascorsi due anni da quel terribile giorno. Due anni in cui mi sono messa l’animo in pace. Non prenderò mai Gordon Van Allen, né mi troverò mai più ad avere a che fare con il caso che ha segnato la mia vita. Almeno, questo era quello che credevo prima di raggiungere O’Brennon Hall, prima che qualcuno, dopo aver meditato per lungo tempo, non decidesse di uccidere il Fornaio proprio sotto al mio naso. Ed è quasi riuscito a farmela. Una parte di me non riusciva ad accettare il fatto che le cose fossero davvero andate come avevo ricostruito. Cercavo un scusa per credere che non fosse vero, forse perché quella stessa parte di me pensa di poter capire. Di condividere un dolore altrettanto grande. Per amore faremmo qualsiasi cosa, noi esseri umani. Anche uccidere. Questo è infatti il movente di questo delitto. Non la vendetta, non l’odio, non i soldi: l’amore. E quale amore più grande può esistere al mondo se non quello di una madre?- 

Si fermò di fronte alla signora Northwood, che la guardava fredda, immobile, algida e vuota come solo lei sapeva essere.

- Ha mentito su tutto, tranne che sulla morte di sua figlia. Non è vero, signora Northwood?-

I presenti trattennero il fiato.

William osservò per un momento lo scambio di occhiate tra Danielle ed Eveline. Mentre la prima sembrava desiderare di entrare nella testa del colpevole, scrutandola con gli occhi pervinca alla ricerca di un qualsiasi segno che rivelasse le sue intenzioni, l’altra era ancora un guscio vuoto. I suoi occhi grigi erano assolutamente inespressivi e il suo corpo immobile come una statua.

Se non fosse stato sicuro che avesse capito, William avrebbe avuto dei forti dubbi che Eveline stesse ascoltando. 

- Lei è folle! Che accidenti sta dicendo? Eveline non sarebbe mai in grado di fare una cosa del genere! Lei ce l’ha con noi! Prima mio marito, adesso mia sorella!- sbraitò Jodie Webber, completamente fuori di sé. 

- Come le ho detto, signora Webber, è stato il suo stesso comportamento a farmi comprendere il movente. Certo, se il coinvolgimento di suo marito fosse emerso lei avrebbe perso tutto: una casa, il sogno di una famiglia, il denaro necessario. Non c’è soltanto questo, però, e lei lo sa. Suo marito, infatti, ben potrebbe essere scagionato per aver agito contro la sua volontà, di fronte alla minaccia di un male insanabile nei confronti propri e dei suoi cari, a cominciare da sua sorella, signora. Perché è per sua sorella che lei mente dall’inizio, vero? Una parte di lei è sempre stata consapevole che Eveline c’entrava qualcosa. E se era disposta a perdere tutto, non era disposta a perdere sua sorella. Non così.-

Jodie si afflosciò sulla poltrona e cominciò a singhiozzare sulla spalla del marito. 

- In questa storia c’è troppa approssimazione. Troppa confusione. Un sodale di Gordon Van Allen non avrebbe mai fatto gli errori che sono stati fatti in questa sede. Non sbaglierebbe mai la mira in uno spiazzo brullo, trovandosi a sparare da un punto sopraelevato. Non avrebbe mai ucciso Northwood gettandolo giù da un dirupo. No, le cose sarebbero andate diversamente, a meno che qualcuno non abbia mentito. Su tutto, tranne che su una cosa, sull’unica che davvero interessava all’assassino, ovvero far emergere la verità sul caso della propria figlia morta.

- Sulla scena del delitto sono stati rinvenuti alcuni elementi che ci hanno concesso di chiarire come sono andate le cose. Adesso, in particolare, si sono aggiunti alcuni dettagli che ci permettono di stabilire con esattezza la sua colpevolezza, signora Northwood. Ciò che mi ha colpito sin dall’inizio, però, è l’immenso silenzio che regna in questa storia. Ma andiamo con ordine. Partiamo dal principio, dalla diagnosi di melanconia.

Mi creda, è una malattia che conosco molto bene. Io non ho perso un figlio, per fortuna, ma ho sofferto a modo mio. Posso capire che cosa prova, anche se non posso essere compartecipe della sua perdita. Lei, però, era stanca. Era stanca delle botte di Carl Northwood. Era stanca di tutto, della sua vita, della sua casa, del suo isolamento. Era stanca di vedere sua sorella e suo cognato sotto scacco, di sentirsi colpevole e soprattutto era stanca di vivere, perché non aveva avuto modo di proteggere il suo bene più grande, sua figlia. Johanna per lei, rinchiusa nella sua prigione dorata, era tutto ciò che le importava davvero, ed è l’unica cosa che ancora le importa. Io non ho dubbio alcuno che abbia cercato in passato di raccontare la verità, di far capire a qualcuno come erano andate davvero le cose. Il funzionario che ha dato notizia di reato è un suo amico o conoscente?- 

Eveline non rispose.

Danielle continuò.

- In ogni caso, ad un certo punto lei si è persuasa del fatto che l’unico modo per fare chiarezza sulla morte della figlia, per dare a Johanna quella giustizia che nessuno era stato in grado di darle, fosse liberarsi di suo marito, di quell’uomo che le aveva fatto molto male per tutta la vita. C’erano altri, però, che avrebbero dovuto pagare. Uno fra tutti suo cognato, un uomo di cui lei non aveva più alcuna stima. Doveva soltanto attendere il momento giusto per mettere in atto il suo piano. Anche lei ha atteso che il tempo le presentasse l’occasione su un piatto d’argento, e non appena Webber le ha proposto di andare in vacanza in Scozia con la sorella, lei ha colto la palla al balzo.

- In verità, nemmeno sapeva che cosa fare. Non si era organizzata. Sapeva soltanto che avrebbe ucciso suo marito e che avrebbe esposto suo cognato. Ha messo insieme un piano confuso, all’ultimo secondo, che però ha in parte funzionato. Mi sono chiesta per quale motivo, nonostante avesse la visuale completamente libera, lei ci abbia mancato, quando ha esploso i suoi colpi dalla stanza dei coniugi Webber. Sono giunta alla conclusione che lei non volesse ucciderci. Lei voleva attirare la nostra attenzione su suo cognato. Ma andiamo, ancora una volta, con ordine.

- La mattina del sei settembre, lei ha fatto quello che fa sempre quando si sveglia. Si lava, si veste, fa colazione, prende le medicine: le forti gocce che suo cognato, nonché suo medico personale, le somministra regolarmente per curare la sua melanconia. Quelle gocce, però, sono davvero molto forti, ed è sconsigliato l’uso quando si è costretti ad esporsi al sole, perché possono causare problemi di pressione. Nonostante ciò, lei ne ha assunte un po’, e poi si è appartata con sua sorella Jodie mentre suo marito e Richard Webber passeggiavano attorno al lago. Com’era prevedibile, ha cominciato ad accusare degli effetti collaterali, e non appena suo marito ha fatto ritorno, si è ritirata in camera, attendendo di regolarizzare la pressione sanguigna. Questo era soltanto il primo passo del suo piano confuso, un piano che l’ha portata a gettare suo marito giù da una scarpata.-

Fra un singhiozzo e l’altro, Jodie Webber tentò di intervenire.

- Insomma, Evy, dille qualcosa!-

Ma Eveline Northwood non faceva una piega. Osservava quasi incuriosita Danielle, in piedi al centro del salone, che camminava avanti e indietro esponendo i risultati delle indagini.

- Vorrei poter dire che non è così, signora Webber, che sua sorella non si è macchiata di alcuna colpa e che tornerà a casa sana e salva. Mi creda, lo vorrei davvero, ma temo di non poterlo fare. Sfortunatamente, abbiamo le prove scientifiche di ciò che stiamo dicendo. 

- Per riprendere da dove sono stata interrotta: Eveline recupera le forze rapidamente. Finge di voler andare a fare una passeggiata con il marito. Northwood è strano, è un uomo aggressivo e violento, ma una parte di lui è ancora indiscutibilmente legata alla moglie, e cede alle sue richieste. I due, nel bel mezzo del pomeriggio, attraversano il castello vuoto ed escono, dirigendosi nella vegetazione fino al sentiero per Inverinan. Sfruttando la naturale diffidenza del marito, Eveline lo convince ad uscire da retro, da dove nessuno li avrebbe mai visti passare. E’ là, nella direzione di Inverinan, che la signora Northwood mette in atto il suo piano, che però va storto. Che cosa è successo davvero, signora? Avete litigato? Lei lo ha affrontato mettendolo di fronte all’evidenza delle sue azioni, lui ha reagito con rabbia? E’ stata legittima difesa? Oppure non è riuscita a spingerlo giù dalla rupe, Carl Northwood si è difeso. Comincia una breve colluttazione, in cui lei, signora, ha la peggio. Cade, finisce su una roccia, la afferra e la usa per difendersi, colpendo il marito alla testa? Il mezzo usato come arma del delitto sembra uno strumento fortunoso, rimediato, non premeditato. E’ andata così, non è vero?-

Eveline rimase a guardarla con occhi di ghiaccio, senza dare alcuna spiegazione.

Danielle si sentì autorizzata ad andare avanti.

- Comunque sia andata davvero, Northwood perde i sensi. Ora, c’è da dire che la vittima non aveva una corporatura imponente, anzi, era abbastanza piccolo, poco più alto di sua moglie. Eveline è sottile, ma a differenza di suo marito, è animata dalla disperazione. Per sua figlia farebbe qualunque cosa. Così, in un ultimo scatto d’ira, si carica in spalla il corpo del marito e lo scaraventa di sotto, nella scarpata. E’ in quel momento che, senza saperlo, lei ha cominciato a disseminare le prove della sua colpevolezza.- 

Sfilò alcune fotografie dal pacchetto che le aveva dato il signor Kendall.

- Queste sono le immagini del terreno della scena del crimine, scattate al mattino immediatamente successivo alla dipartita del signor Northwood. Come potete vedere, vi sono due serie di impronte. Sono entrambe piccole, alcune più delle altre. Entrambi indossano comodi scarponi da escursione. In un primo momento, sia io che il capitano Collins siamo stati depistati da un fattore fisiologico: era logico pensare, infatti, che a gettare Northwood dalla scarpata fosse stato qualcuno con una stazza superiore a quella della vittima. Ci sbagliavamo. Per conoscere la verità basta confrontare queste fotografie con quelle scattate sul sentiero per Inverinan. Dopo aver ucciso suo marito, Eveline, lei ha cominciato ad improvvisare. Non aveva idea di che cosa fare ed è discesa fino al sentiero, ha proseguito per un po’, salvo poi trovarsi in campo aperto, nel bel mezzo delle Highlands, con un terribile temporale all’orizzonte. Credendo che la pioggia avrebbe cancellato le impronte a tempo debito, è tornata indietro camminando sulle rocce. Peccato che il terreno fangoso, trasformato in una poltiglia, abbia trattenuto alcune delle sue impronte più profonde. Come potete vedere, sono della stessa dimensione.- disse Danielle, mettendo a confronto le due fotografie in modo che tutti potessero vederle. - Da ciò discende che i piedi più grandi, che noi credevamo essere dell’assassino, sono in verità della vittima e quelli più piccoli dell’assassino. Piccoli, come piccola era anche l’impronta falsa che lei ha lasciato sul davanzale della sua finestra per farci credere che Gordon Van Allen fosse venuto a farle visita. Mi dica, Eveline, ha fatto tutto questo per depistarci? Conosceva quel sentiero oppure, presa alla sprovvista e incapace di pensare, ha cercato di fuggire, salvo poi tornare sui suoi passi?-

Ancora silenzio. Ogni affondo di Danielle sembrava rimbalzare contro un muro di indifferenza.

- Non solo, è necessario aggiungere anche un altro particolare. L’assassino ha caricato il peso del proprio corpo, appesantito dal fardello del cadavere, sulla sua gamba più forte, ovvero la sinistra. Questo indica che, con molta probabilità, la persona in questione è mancina. Quando lei ha firmato il registro degli interrogati, signora, ha impugnato la penna con la sinistra, e poi ha cambiato mano. Questo perché lei, Eveline, è una mancina corretta. La sua famiglia l’ha obbligata a scrivere con la destra, anche se l’istinto la porta ancora a muoversi con maggior disinvoltura con la sinistra.-

Jodie Webber aprì la bocca per rispondere, ma rimase senza fiato.

- Sì, Evy… Ma che c’entra? Queste sono illazioni! Dove sono le vostre prove?-

- La più incontrovertibile è quella sui suoi abiti. Sulla scena del crimine abbiamo trovato una pietra sporca di sangue. Parecchio sangue. Sangue che è rimasto anche sulle mani dell’assassino, che se le è pulite sui capi di vestiario che indossava quel giorno. Eveline è tornata in fretta e furia ad O’Brennon Hall dopo aver ucciso il marito. E’ rientrata di corsa in camera sua, prima che qualcuno potesse vederla. Lì ha messo in atto la seconda parte del suo piano. Nella sua totale disorganizzazione, il suo scopo, come detto, era quello di attribuire tutta la colpa a Gordon Van Allen, un facilissimo capro espiatorio. Poco importava che fosse assolutamente inverosimile. Lei stessa sapeva bene che Van Allen non uccide con un sasso, ma creare una storia verosimile e farla franca non era il suo scopo. Non le importava più di nulla, nemmeno di sé stessa. La sua vita era solo un utile strumento per spingere qualcuno a scoprire la verità sulla losca attività del marito e su sua figlia, e Van Allen fa parte di quella verità. Se qualcuno l’avesse vista sporca di sangue, avrebbe inventato di aver provato a salvare il marito dal suo misterioso aguzzino. Nessuno l’ha vista, così ha dovuto inventarsi qualcos’altro e ha finto un aggressione. Ha preparato il bagno, ha aperto le finestre della stanza, ha preso il vaso di ceramica e se l’è rotto sulla testa, attirando l’attenzione di tutti. A quel punto, ha finto il rapimento. Se qualcuno l’avesse colpita davvero, magari con l’intenzione di eliminarla, le avrebbe causato dei danni ben peggiori di quelli che Eveline ha riportato. Le sue erano soltanto ammaccature. Ha perso pochissimo sangue. Quello che aveva sui suoi vestiti, invece, era fin troppo, come ha potuto dimostrare il dottor Dietrich dopo aver effettuato un’attenta analisi delle nostre prove. Sono certa che, se sottoponessimo l’abito ad un esame di laboratorio per individuare il gruppo sanguigno, troveremmo oltre al suo, signora, anche quello di suo marito.-

Questa volta Eveline Northwood chiuse gli occhi. Jodie balzò in piedi nel tentativo di convincerla a dire qualcosa, ma la signora le fece cenno pacatamente di rimettersi a sedere.

Jodie Webber riprese a singhiozzare disperatamente.

- A questo punto, lei ha raccontato la sua versione dei fatti. Un uomo si è introdotto in camera ed ha avuto la premura di precludersi un’eventuale via di fuga chiudendo la porta a chiave dall’interno. Già questo ha poco senso, ma andiamo avanti. Ha poi avviato una colluttazione con suo marito, che le ha gridato di mettersi in salvo. Lei, però, è rimasta ferita lo stesso nel tentativo di proteggerlo. L’uomo è saltato giù dalla finestra assieme a Carl Northwood, e lei non l’ha più visto. Premesso che è altamente improbabile che un uomo appesantito da un ostaggio poco collaborativo come Northwood possa effettivamente saltare giù dal primo piano e passarla liscia, per poi condurre la vittima in cima ad un dirupo e buttarla di sotto senza troppe conseguenze, ci sono molti elementi che non quadrano nella sua ricostruzione, signora. E lei lo sa. Come ho detto, non le interessava propinarci una storia credibile. Le interessava catturare la nostra attenzione e svelare il mistero della morte di sua figlia. Quindi, ci ha detto chiaramente che un uomo grosso è saltato giù dalla finestra con suo marito in spalla, quando le impronte di scarpa contraddicono la sua versione dei fatti. Ci ha detto che c’è stata una colluttazione nella stanza, quando tutto all’interno lo smentisce. Scrittoio in ordine, vetri intatti, bottiglie accuratamente riposte nel mobile. Ci ha detto di aver visto suo marito lottare con l’uomo, disteso sul pavimento tra il letto e la finestra, esattamente dove noi abbiamo trovato lei, signora, distesa in un lago d’acqua e cocci di ceramica. Mi dica, Eveline, lei e suo marito vi siete scambiati di posto? Altrimenti come dovrebbe aver fatto l’assassino a colpirla e a mandarla a tappeto, si se stava rotolando in quel punto cercando di tenere fermo Carl Northwood? No, la sua versione fa acqua da tutte le parti, ma ciò che più non quadra in tutta questa storia è l’assordante silenzio che c’è. Lo chiedo a tutti i presenti: qualcuno di voi ha sentito urlare Northwood, mentre intimava alla moglie di mettersi in salvo?-

Tutti fecero cenno di no con la testa, come un sol uomo.

- Considerata la sua condizione, signora, nessuno era disposto a farle domande, a chiederle dove stesse andando o che cosa stesse facendo. Si è trovata improvvisamente ad avere carta bianca, piena libertà di agire. E’ stato in questo momento che, nel suo disperato bisogno di attirare l’attenzione sul caso di sua figlia, ha cominciato a commettere tutta una serie di errori che hanno rivelato, infine, la sua colpevolezza.

- Mentre tutti noi eravamo fuori a cercare suo marito, lei deve aver sentito Everard Smith parlare con la moglie e lamentarsi del fatto che aveva trovato le scuderie aperte. Il fatto, di per sé, non aveva rilievo alcuno. Semplicemente, Everard nella fretta doveva essersi dimenticato di chiudere, o aveva inserito male il chiavistello. Io e il capitano, però, abbiamo preso coscienza del caso di sua figlia. Esattamente ciò che lei voleva. Quando abbiamo considerato - errando - le scuderie come un possibile indizio per risolvere il caso di suo marito, lei ne ha approfittato. Webber era il prossimo sulla sua lista. Considerato il bellissimo rapporto che intrattiene con la sorella e le sue precarie condizioni di salute, lei aveva libero accesso alla stanza dei coniugi, nella torretta. Sapeva che suo cognato era in possesso di una pistola, una Colt del 1911, e che ben presto ci saremmo accorti, passando sotto la sua finestra, che nessuno era saltato giù dal primo piano la notte prima, poiché non c’erano impronte. Così, ha aperto la finestra e ha fatto fuoco. Non voleva ucciderci, vero, signora? Se fossimo morti, nessuno avrebbe mai più parlato di sua figlia, che sarebbe rimasta per sempre morta di malore agli occhi del mondo. Non voleva ucciderci, ma ha accettato il rischio che potesse succedere pur di incolpare Richard Webber. Poi, ha approfittato della confusione generale per uscire. Everard Smith stava spaccando legna e le scuderie erano aperte. Quasi tutti gli ospiti del castello sono venuti in nostro soccorso o si sono spostati nel salone per vedere che cosa stesse succedendo. Nessuno l’avrebbe mai notata mentre sgusciava via dal retro, passando vicino ai quartieri dei domestici. E’ entrata nelle scuderie e vi ha nascosto la Colt, è rientrata nel castello e non si è più rimossa. E’ rimasta a guardare, in attesa di capire le nostre prossime mosse, ma non è riuscita a cogliere alcun indizio. Così, ha deciso di darci l’imbeccata, segnalando al capitano Collins la reticenza del dottore ed indirizzandolo sulla ricerca della Colt.- 

Questa volta fu il turno del signor Kendall di intervenire.

- La vostra ricostruzione ha senso, tuttavia, dove sono le prove per poter affermare che la signora Northwood ha sparato?-

- Acuta osservazione, Kendall. Innanzitutto - continuò Danielle - abbiamo condotto un esame balistico, seppur rudimentale, sui fori di proiettile. Uno in particolare è entrato nel terreno con un angolo ben preciso, misurabile tenendo conto di un piccolo margine di errore. Può essere stato esploso o dalla sua camera, signor Kendall, o da quella immediatamente sopra la sua, ovvero quella dei coniugi Webber, a cui la signora aveva, appunto, libero accesso. Inoltre, la signora Northwood presenta chiaramente i segni di un colpo di pistola, ancora una volta sulla mano sinistra. Ha mai sentito parlare del guanto di paraffina o del segno di Felc?-

L’intera combriccola - ad esclusione del dottor Dietrich - fece cenno di no con la testa. 

- Il guanto di paraffina è una tecnica inventata nel Quattordici, che consente di rilevare le tracce di polvere da sparo sulle mani del colpevole, nel momento in cui le particelle si incollano alla paraffina secca. Inoltre, il rinculo dell’otturatore di un’arma come la Colt 1911, sulle mani di una persona non del tutto esperta può lasciare ferite ed escoriazioni tra il primo e il secondo dito. Se fosse così gentile da mostrarci le sue mani, signora, potremmo sapere subito se ha effettivamente sparato o no.-

Eveline Northwood, all’improvviso, scosse la testa.

- Non vale niente. Potrei essermeli fatti cadendo sui cocci di ceramica.-

- No davvero, Eveline.- disse il dottor Webber, la luce della disperazione negli occhi. - Ti ho visitata per bene e non avevi nulla sulle mani!-

- Indipendentemente da quello che dice il dottore - disse Danielle, riprendendo il controllo della situazione.- anche io posso confermare che è altamente improbabile. Si ricordi che io l’ho fatta firmare, signora, e le ho osservato bene le mani in quell’occasione. Avrei visto un taglio da rinculo. Sapesse quanti me ne sono fatti, mentre imparavo ad usare l’arma di ordinanza.-

A quel punto, Eveline tacque di nuovo. Sospirò, accomodandosi meglio sulla poltrona, e rimase a fissare Danielle, inespressiva, con i suoi occhi di ghiaccio. 

- Quando ha capito che non avevamo nulla di certo, ha deciso di tentare il tutto e per tutto. Se non fosse riuscita a mandarlo in carcere per aver falsificato il certificato di morte, e nemmeno per il nostro tentato omicidio, l’avrebbe mandato a morte per un omicidio vero e proprio. E non era quello di suo marito.

- C’era un altro strumento a cui lei aveva libero accesso, ovvero la valigetta di suo cognato. Ha rubato lei, infatti, le fiale di stricnina. Mi dica, aveva una vaga idea di come le avrebbe usate? Le avrebbe assunte personalmente, sacrificandosi? Le avrebbe fatte assumere a qualcun altro? Sapeva della serata programmata da Steven O’Brennon?-

- No, non lo sapevo.- rispose Eveline, ancora fredda ed algida, ma presente a sé stessa.

Danielle si chiese se non fosse il principio di una confessione e si sentì stringere il cuore.

- Ha portato le fiale con sé e le ha usate alla prima occasione utile, dunque. Questa sera, quando ha visto Emily Smith in difficoltà, si è offerta volontaria per distribuire le coppette agli ospiti. Non le importava di colpire qualcuno in particolare. Le bastava creare il caso. Ce l’ha quasi fatta. C’è soltanto da ringraziare il dottor Dietrich se tutto è - forse - finito bene. Se ho ragione, lei non ha ancora avuto il tempo di buttare via le fiale di stricnina. Non si faccia perquisire, signora. Per favore.- 

Jodie Webber tentò un’ultima, disperata difesa, ma il dottor     Webber fu più rapido e trattenne la moglie con aria incredibilmente afflitta.

- Mi spiace, Jodie, ma questo spiegherebbe anche come abbia fatto a sparire la stricnina dalla mia valigetta, considerato che era in camera, al sicuro, tra i nostri effetti personali, e che è sempre stata chiusa quando l’ho portata altrove. Eveline ormai conosce bene la mia borsa e sa dove mettere le mani in caso di necessità.-

La donna sgranò gli occhi e scosse la testa in una nuvola di ricci scuri e modaioli. 

Danielle si sentiva divisa in due. Da una parte era consapevole che la giustizia doveva per forza prevalere. Era un principio di ordine sociale. C’era qualcosa dentro di lei che non poteva fare a meno di essa. Johanna doveva avere giustizia per ciò che le era capitato, vittima innocente di colpe di altri. I coniugi Webber per le malefatte del cognato. La vedova Northwood per le angherie del marito. 

Una parte di sé, però, non poteva fare a meno di domandarsi se quella fosse davvero giustizia.

Johanna non sarebbe tornata in vita.

Senza un giudice clemente i coniugi Webber avrebbero perso tutto.

Eveline Northwood probabilmente sarebbe stata sottoposta alla pena capitale.

E Danielle sapeva quanto il dolore - e l’amore - potesse spingere le persone nell’abisso. Era stato un miracolo se non era capitato anche a lei, di caderci dentro.

Istintivamente voltò lo sguardo nella stanza e lo posò su William, un’espressione di profonda pietà dipinta sul volto, e pensò che qualcosa di simile dovesse trovarsi anche nel proprio, in quel momento.

Chissà perché, poi, aveva sentito il bisogno di cercarlo con quel turbinio di pensieri in testa. A pensarci bene, però, quella era una domanda che aveva una banalissima risposta. 

E per una volta Danielle l’accettò senza riserve.

 

- Diglielo, che non è vero, Eveline!- proruppe Jodie Webber un’ultima volta, un mugolio flebile e sconnesso. 

Eveline, però, continuava a restare seduta composta, senza muovere un muscolo, gli occhi grigi ghiaccio fissi su Danielle. 

Poi, ad un tratto, la signora Northwood si spinse meglio sulla seduta della poltrona, sospirando. 

- Lei è veramente brava, sa? Non stento a credere che sia andata così vicina a prendere Gordon Van Allen. Non ha sbagliato assolutamente nulla, nemmeno il coinvolgimento di mio marito all’interno della sua organizzazione criminale. Io non ho di certo il merito di essere una brava assassina, ma non mi importa, sa? Non mi importa proprio. Non mi interessava farla franca, come ha detto lei. Non mi è mai interessato. Carl e Richard, insieme, hanno ucciso la mia bambina due volte. Qualcuno doveva saperlo, capisce? Dovevo dirlo a qualcuno. Ci ho provato, ma non ho ottenuto nulla. Quell’ometto fastidioso di Scotland Yard, com’è che si chiama? Baldwin West, credo. Mi suggerì di farmi ricoverare. Vede perché io credo che lei sia brava? Lei ha visto per caso mia figlia Johanna da qualche parte anche se aveva appena dato le dimissioni, e si ricorda di lei. Lei vuole bene alle persone. Gli altri no. Sono certa che anche il capitano ha molti meriti. E’ un uomo valoroso. L’ho visto da come l’ha protetta mentre vi sparavo addosso. Non vi avrei mai centrato. Non volevo, e poi la mia mira è pessima. Non ho mai sparato in vita mia. Avete ragione. Hanno ragione, Jodie. Ho ucciso io mio marito, e se mi concederete un secondo, prima di arrestarmi, risponderò a tutte le vostre domande.-

Danielle le fece cenno di proseguire mentre nella stanza regnava un religioso silenzio.

- All’agenzia di viaggi ci avevano fatto una descrizione dettagliata del posto, per convincerci a prenotare. Così è stato. Avevo visto il lago e il promontorio. Erano posti ideali e solitari, idonei ad assassinare mio marito. Questo era l’unico proposito definito che avevo. Uccidere Carl. Ero stanca. Sono stanca. Mi sento vuota come una canna. Non ho più nulla dentro. Richard mi cura per la melanconia, ma se ce l’avessi davvero dovrei sentire qualcosa, no? Dolore, tristezza, che ne so. Invece non sento niente. Assolutamente niente. A me non serve quella cura. Per curare i suoi sensi di colpa Richard continua a curare me, ma non mi serve più nulla, ormai. Le mie funzioni vitali vanno avanti, ma il resto di me è morto con mia figlia quel giorno. Mi sono chiesta molte volte per quale motivo Dio non spegnesse il mio interruttore come si spengono le luci, perché non ha più senso per me andare avanti. Eppure doveva essercene uno. Quale, se non Johanna? Darle giustizia, questo era il mio scopo. Ci ho provato, nessuno mi ha ascoltato. Carl e Richard continuavano ad uccidere me e Johanna giorno per giorno. Se non li aveste presi voi, allora li avrei presi io, o avrei fatto in modo che voi li catturaste tramite me.-

- E Mercedes?- chiese il dottor Dietrich, rivolto a Danielle, mentre osservava attentamente le mani segnate della signora Northwood.

- Temo che sia solo una vittima incolpevole.- concluse la donna, cercando conferma negli occhi di Eveline.

- Mi dispiace.- disse la donna, fissando con gli occhi vitrei il dottore.- Lei non c’entra nulla, ma Johanna è tutto per me. Non importa che cosa succederà e a chi. Lei deve riposare in pace. Ho improvvisato tutto. Ho provocato Carl sul promontorio. Se fosse morto cadendo, qualcuno avrebbe indagato. Se fosse sopravvissuto e mi avesse denunciato, o qualcuno lo avesse fatto per lui, sarebbero stati costretti, capite? Costretti ad indagare sulla fine di Johanna. Costretti a fare giustizia. Quella che nessuno ha mai voluto fare prima. Ero persino disposta a gettarmi giù con lui, ma la pietra era a portata di mano e così l’ho usata. In questo modo sarei vissuta abbastanza da trascinare Richard dove si meritava di stare, in prigione. Portare la Colt nelle scuderie è stata l’ennesima improvvisazione, come improvvisato è stato il veleno. La coppetta era casuale. Ho gettato la stricnina in un bicchiere a caso e poi ho rimescolato alcune coppette e girato il vassoio. Nemmeno io sapevo più quale fosse il bicchiere incriminato. Avrei potuto berla io, o Jodie, o lei, Danielle. Purtroppo è toccato a Mercedes. Peccato. Si salverà, vero? E’ una cara ragazza.-

Il dottore si morse il labbro, nervoso. Alla fine, chiuse gli occhi e annuì.

- Ecco.- fece la donna, tirando fuori dalla tasca del vestito una fiala di stricnina aperta. - Questa è l’ultima prova che vi serve. Ci crede che non ho mai cercato vendetta? Sì, lei ci crede, perché lei capisce. Non so che cosa le sia accaduto, girano tante voci al riguardo, ma io so che lei conosce il dolore. E anche l’amore, sì, o non capirebbe altrimenti. Io so che cosa mi aspetta, adesso. Sono ingenua, ma non fino a questo punto, sa? So che cosa c’è dopo il processo. Eppure, signorina Peters, capitano Collins, credetemi quando vi dico grazie. Per mia figlia. Grazie di averle dato giustizia.- 

Il capitano Collins si fece avanti, affiancando Danielle al centro della stanza.

Eveline Northwood aveva ragione. Era vuota come una canna. Non sentiva più nulla, aveva la mente annebbiata, talmente tanto da giustificare i mezzi con cui aveva raggiunto il proprio fine. 

Qualcosa che Danielle non avrebbe fatto mai.

In quel momento, la donna si rese conto che il discrimen tra lei ed Eveline Northwood non era il dolore, l’amore, le sfumature di esso. L’unica differenza era che la signora aveva perso la testa quando Danielle aveva avuto sufficiente fermezza da restare fedele a sé stessa e non tradire l’unica cosa che le rimaneva: la sua stessa natura.

E per questo Danielle fu contenta, per la prima volta nella sua vita, di rendersi conto che no, lei non capiva Eveline Northwood, nonostante tutti i punti di contatto tra la storia della signora e la sua. 

- Lei confessa quindi di essere colpevole dell’omicidio di Carl Northwood, dell’omicidio tentato nei miei confronti e di quelli della signorina Danielle Peters, nonché del tentato omicidio di Mercedes Estravados?- concluse il capitano, mentre cercava di mantenersi impassibile e professionale.

Eveline si alzò in piedi con la freddezza di un ghiacciaio.

- Sì.-

Il capitano, lo sguardo fermo, ma il capo leggermente chino, evidentemente dispiaciuto per quel pasticcio brutto e doloroso, formulò infine l’ultima frase.

- Allora temo di doverla arrestare, signora.- 

 

TRADUZIONE DAL TEDESCO

 

Du bist hirnlos!: Zucca vuota!

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Capitolo 39
*** Londra, ore 06:30 ***


Londra, ore 06:30

 

La cappella era vuota. Ne aveva scelta una piccola, sobria e luminosa dove celebrare le esequie. 

Eric non aveva più una famiglia da tanto tempo. Da quando era rimasto solo, aveva seriamente cominciato a pensare alla morte. Ricordava ancora il giorno in cui le aveva detto di avere fatto testamento. Era una splendida domenica, uno di quei giorni piovosi, freddi ed umidi, che Danielle aveva cominciato ad apprezzare da quando lui era entrato nella sua vita. Era uno di quei giorni che passavano da soli, chiusi nel suo appartamento, di fronte al camino, a scaldarsi bevendo cioccolata calda, a leggere libri e ad ascoltare musica. A volte le aveva chiesto di suonare. Altre volte, avevano passato tutto il giorno a farsi le coccole, ed erano stati così impegnati da non rendersi nemmeno conto che il tempo passava, e che non ce ne sarebbe stato abbastanza né per la musica, né per il fuoco o la cioccolata.

Del resto, i momenti che passavano insieme non erano di certo pochi, condividendo il lavoro, ma quelli che potevano dire di essere veramente vissuti insieme si contavano sulla punta delle dita. Eric odiava vivere in quella clandestinità tanto quanto lei, e per questo, un giorno, Danielle aveva preso la decisione.

- Ci ho pensato.- gli aveva detto, mentre affettava una patata per il pranzo.- Ho avuto i miei giorni di gloria. Sono arrivata dove volevo arrivare. Sono all’apice della carriera e non potrei chiedere di meglio. Ho fatto qualcosa per il mio paese, posso dire di essere soddisfatta. Adesso, voglio la mia vita, e voglio viverla con te. Quale momento migliore per ritirarsi?-

Eric aveva insistito così tanto, ma non era riuscito a farla desistere. Per la prima volta nella sua vita, Danielle si era sentita piena, appagata.

- Chiuderò questa indagine, sbatterò in cella quella spia e ci sposeremo, come vuoi tu.- gli aveva detto. Poi si erano abbracciati, un bacio aveva tirato l’altro e al diavolo le patate al cartoccio.

Erano già d’accordo quando, un giorno, il suo Eric si era presentato alla porta con un piccolo plico di fogli in mano. Danielle era inorridita quando aveva letto quelle parole, ma lui era stato irremovibile.

- Non ho più nessuno, Danielle, soltanto te. Per questo volevo dirti che ho cambiato il mio testamento. Voglio che, nel caso in cui mi accada qualcosa, e con il nostro lavoro può succedere, sia tu a pensare al mio funerale, e che tutti i miei averi passino a te. Mi dispiace, non è molto, ma ti prego, fammi felice.-

Quel giorno l’aveva preso in giro, dicendogli che erano tutte fesserie e che non gli sarebbe accaduto niente.

Mai avrebbe pensato di doversi trovare a rispettare le sue volontà.

Il notaio era un uomo buono, che aveva acconsentito ad assecondarla nel divulgare una versione annacquata del contenuto del testamento. Così, Danielle si era fatta carico delle esequie, onorando la richiesta non del suo fidanzato, ma di un ottimo poliziotto e uomo di legge, fedele e ligio alle regole, che aveva richiesto l’intervento del proprio ispettore capo. I presenti sarebbero stati pochi. Il corpo di polizia al completo, che gli avrebbe riservato un dignitoso saluto, come si deve ad un uomo onorevole. Danielle non aveva voluto nemmeno i suoi genitori. La loro presenza sarebbe stata sospetta.

Era arrabbiata. Covava dentro un dolore immenso, che non riusciva a sfogare con le lacrime. Non aveva avuto il tempo di farlo. Troppe cose a cui pensare, troppe persone con cui fingere. 

Qualcuno, sicuramente, lo aveva capito. Di Evans era certa. Forse, pure Turner. 

Era arrabbiata perché non era libera di essere se stessa nemmeno al funerale del suo fidanzato. Doveva fingere, ancora, per fare contenti gli altri.

Avrebbe dovuto parlare, di lì a poco, come rappresentante di Scotland Yard e suo diretto superiore, ma non aveva parole. Aveva provato a scrivere qualcosa, ma tutto suonava vuoto, vano, senza senso. Suo padre era stato così gentile da scrivere il discorso per lei. 

Il suo Eric era anglicano. Ci teneva tanto, forse perché aveva perso così tanti cari da avere bisogno di credere. Danielle era indifferente nei confronti della religione, eppure aveva accettato di sposarsi in chiesa, con rito anglicano, come voleva lui. Per lei, non sarebbe comunque cambiato niente, ma lui era troppo buono, e non le avrebbe mai chiesto un simile sacrificio. Era stata lei a scacciare ogni paura, anche quella volta.

- Ma smettila, sciocco! Ci sono cose più importanti delle discussioni su formule diverse con cui i preti dicono le stesse cose!-

Che bel sorriso le aveva fatto, quel giorno. 

Uno degli ultimi.

La panca era fredda. L’aria tutta era fredda, ma a Danielle non importava. Era seduta accanto alla bara, ferma, immobile, a guardare l’altare e il crocifisso appeso al muro, i crisantemi bianchi lungo le scale. Aveva fatto aggiungere dei nontiscordardimé, i preferiti di Eric, quel piccolo tocco di blu, il colore dei suoi occhi, che rendeva la stanza meno asettica. L’unico sfizio che si era concessa. 

Poteva considerarlo il suo modo per dirgli che non l’avrebbe mai dimenticato.

Avevano discusso anche di questo, e Danielle quella volta si era arrabbiata parecchio. Era stata una giornata particolarmente brutta, in cui avevano dovuto raccogliere i resti di un operaio caduto sotto una locomotiva. Una vista che aveva scosso tutti, incluso il suo Eric.

- Danielle, che succederebbe se domani io non ci fossi più?-

Ricordava distintamente di averlo schiaffeggiato e di avergli intimato di non dirlo nemmeno per scherzo. Era stanca e con i nervi a pezzi, e quello che lui aveva detto dopo, risentito per quel gesto sgarbato, l’aveva ferita ancora di più.

- Se succedesse a me, io vorrei che tu continuassi ad essere felice. Sei quanto ho di più caro al mondo e questo è il mio unico desiderio. Sarei anche disposto a lasciarti andare, se questo facesse la tua felicità. Ecco, voglio che tu faccia proprio questo: se io dovessi morire, vai avanti. Dimenticami. Vivi la tua vita e il tuo futuro. Torna ad amare, anche se ciò significa che quel qualcuno che avrai accanto non sarò io. Non avrei mai la coscienza in pace se sapessi che, per colpa mia, hai smesso di sorridere.-

Ricordava di essergli corsa in contro, di averlo abbracciato forte e di avergli detto che non voleva nemmeno pensarci, e che non doveva farlo nemmeno lui perché non gli sarebbe mai successo niente. 

Non finché lei fosse stata in vita.

 

Quante parole, tutte vuote.

Quella sera, era stata una di quelle piene di coccole, in cui non c’era stato tempo per nient’altro.

E adesso lui era chiuso in una bara e tutto quello che le restava era una manciata di ricordi che riaffioravano nella solitudine e nel freddo di una cappella vuota.

Guardava impassibile l’altare apparecchiato e il crocifisso in legno dipinto appeso alla parete. Non aveva mai capito perché le persone avessero un bisogno così profondo di credere nella vita oltre la morte. Danielle era una mente scientifica e razionale, riteneva lecito dubitare di ciò di cui non si hanno le prove tangibili, proprio non riusciva a condividere la posizione di chi riteneva i dogmi della religione e la vita eterna un dato di fatto, un assioma certo, innegabile, assoluto.

L’aveva visto, fino ad un secondo prima che chiudessero la bara. Si era arrabbiata perché chi si era occupato del corpo non gli aveva pulito bene la bocca, che in parte era ancora sporca di sangue. Si era arrabbiata perché non si erano nemmeno degnati di chiudergli gli occhi. 

Lo aveva fatto lei.

Aveva preteso che indossasse la sua divisa migliore. Poi, di nascosto, aveva chiuso nella sua tasca una delle piccole croci di legno che il suo Eric teneva dentro il portamonete, e il suo bracciale di perle di fiume, per restare sempre con lui. 

Ad Eric erano sempre piaciute le perle. 

L’aveva visto, e lo aveva riconosciuto. Era il suo viso, i suoi capelli neri e i suoi occhi chiari, ma non era più lui. Quello era solo un guscio vuoto. Aveva perso la parte più bella, che sapeva veramente di Eric. 

Quella non c’era più, ma doveva pur essere finita da qualche parte.

E in quel momento Danielle aveva capito perché la gente aveva bisogno di credere nella vita oltre la morte, nel paradiso, negli angeli, nella resurrezione e via dicendo. Tutto ciò che di bello il suo Eric era stato, non poteva semplicemente essere sparito, volatilizzato con la rapidità di un colpo di pistola. Doveva pur essere da qualche parte. Non aveva ancora finito di fare del bene in questo mondo storto. 

Forse, o forse no.

Sentiva gli occhi bruciare, mentre guardava quella croce dipinta, e il solco delle lacrime, freddo nell’aria gelida e solitaria della cappella. 

Forse il suo Eric non era in quell’aldilà che tutti si immaginano. Nessuno sa che cosa sia la vita oltre la morte, e in quel momento a Danielle non interessava sapere i dettagli, ma era certa che, da qualche parte, lui ci fosse ancora, magari in quel posto per il quale aveva sempre pregato, con la sua famiglia, in pace e felice, e sperava che continuasse a fare del bene, come aveva sempre fatto in tutta la sua vita.

E a lei? Che cosa sarebbe toccato a lei?

Niente. Nemmeno il denaro. Del resto, non le era mai interessato. Aveva fatto in modo che quel patrimonio che lui le aveva lasciato venisse destinato a qualcosa di utile. 

I bambini dell’orfanotrofio di San Patrizio, forse, avrebbero detto una preghiera per lui.

Per sé aveva tenuto solo il suo orologio da tasca, a carica, e un mare di ricordi, splendidi, che l’avrebbero accompagnata fino al momento in cui sarebbero stati di nuovo insieme da qualche parte, in qualche modo, in qualche forma.

- Non so se riuscirò a mantenere quella promessa, sai?- disse, d’un tratto. 

Le giunse l’eco della sua stessa voce che rimbalzava sulle pareti candide. Si sentiva una sciocca a parlare da sola, ma, in fondo, non era poi così sicura di essere sola.

Non ancora.

- Ti avevo promesso che sarei andata avanti, che non avrei mai smesso di sorridere. Non so se riuscirò a mantenere quella promessa. Ad oggi, mi sembra che niente possa farmi sorridere di nuovo. Eri la mia vita. Non può esserci altro là fuori di così interessante da farmi cambiare idea. 

Ti avevo anche promesso che avrei chiuso l’indagine e sbattuto in galera la talpa, assieme a Gordon Van Allen. Ti avevo promesso che niente ti sarebbe accaduto finché io fossi stata in vita. Ho chiuso l’indagine, la talpa è morta e non potrà più dirmi niente per prendere Van Allen, e tu non sei più qui con me. Non so che cosa tu sia, ma non ci sei più. Sono pessima a mantenere le promesse. 

Tu illuminavi il mio mondo. Tu sapevi farlo brillare perché avevi la speranza, il sogno di qualcosa di bello, in questa vita e nell’altra, e io non posso fare altro che fare ciò in cui tu speravi. Tu volevi che io fossi felice, e ti prometto che ci proverò, che farò di tutto per esaudire il tuo desiderio. Ma non ti dimenticherò. Questo no, mi dispiace. So che te lo avevo promesso, ma era una bugia detta a fin di bene, per farti smettere di parlare di cose che non volevo nemmeno sentire. Non ti posso dimenticare. Non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme. Tu sarai sempre con me. Anche quando sembrerà che non ti pensi, in verità sarai sempre presente in un angolo della mia mente e del mio cuore, e tutto il bene che farò nella mia vita, sarà solo perché tu mi hai insegnato che cosa significa amare.-

Si era alzata senza rendersene conto e si era avvicinata alla cassa di legno chiaro coperta di fiori. La luce delle finestre la illuminava delle prime luci dell’alba. 

Poggiò le mani ai piedi della bara e fissò il crocifisso di legno dipinto. Pensò che se ci aveva creduto il suo Eric poteva farcela anche lei, anche se a modo suo.

- Però oggi ti voglio promettere un’altra cosa. Ti voglio promettere che non permetterò a nessun altro di provare quello che sto provando io oggi. Non lascerò che venga strappato il cuore dal petto ad un altra persona, una donna, una mamma, una moglie o una figlia, un figlio o chi altri per loro. Non so quando e non so come, ma io non avrò pace fino a che non avrò incastrato Gordon Van Allen e non gli avrò dato quello che si merita. Non è vendetta, no. Non l’avresti mai voluto e io non intendo farlo, ma non posso permettere che questa persona continui a decidere della vita degli altri. Non posso restare a guardare mentre decide chi vive o chi muore, come se fosse Dio. Non è vendetta. Lo sarebbe se volessi metterlo a tacere per sempre perché lo odio. Non lo negherò, lo odio profondamente, ma non lo faccio per soddisfare il mio istinto. Lo faccio per te. Perché eri tanto buono e non ti meritavi niente di tutto questo, e molte altre persone come te, forse, non se lo meritavano, ma l’hanno subìto lo stesso. Questo deve finire.-

Stingendo forte le mani attorno agli angoli della bara, Danielle pronunciò la promessa che, lo sapeva, l’avrebbe accompagnata per tutta la vita.

- Io troverò Gordon Val Allen, e non avrò pace fino a che non l’avrò consegnato alla giustizia.-

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Capitolo 40
*** Epilogo. ***


“Perché capitano molte avversità agli uomini buoni?” 

Nessun male può capitare all’uomo buono: non si mescolano i contrari. 

Come tanti fiumi, tanti rovesci di pioggia dal cielo, tanta abbondanza di fonti minerali non alterano il sapore del mare, e neppure lo mitigano, allo stesso modo l’assalto delle avversità non smuove il cuore dell’uomo forte: rimane com’era e ogni avvenimento lo assimila a sé, perché è più potente di tutte le cose esterne. 

Non dico che non le sente, ma le vince, e, normalmente pacifico e tranquillo, insorge contro ciò che lo assale.

 

Seneca, De Providentia. 

 

 

 

 

EPILOGO

 

Serva me, servabo te.

Salvami, ed io ti salverò.

(Gaio Petronio Arbitro)

 

Piccole gocce di pioggia si schiantavano irrefrenabili sul vetro appannato. 

Il treno fischiava nel vento freddo delle Highlands, diretto di nuovo verso Londra. 

Danielle fissava assonnata le goccioline intrecciare righe acquose sul finestrino. Il rumore della locomotiva e il dondolare della vettura sulle rotaie le conciliavano il sonno. Viaggiare in generale la invitava a dormire. Aveva preso soltanto una volta il traghetto sulla Manica, diretta a Calais, per andare in vacanza in Svizzera tra le verdeggianti montagne che i suoi genitori avevano conosciuto da piccoli. Non aveva sofferto il mal di mare, se non durante una brutta tempesta. Sua madre aveva passato tutto il viaggio chiusa in cabina. Lei, invece, aveva creato un sacco di problemi, non perché si sentisse male, bensì perché aveva avuto la splendida idea di prendere un po’ d’aria per far passare la nausea e si era addormentata sul ponte, e nessuno era più riuscito a trovarla.

Quel giorno aveva fatto impazzire suo padre e mezzo equipaggio.

Danielle era fermamente convinta che, se un giorno si fosse trovata a salire su un aereo, sarebbe stata capace di addormentarsi pure lì, seduta sul sedile. 

La sua compagnia non sembrava meno assonnata di lei. Forse complice la giornata uggiosa e l’aria stantia del vagone, il capitano Collins sedeva malinconico con la testa poggiata contro il finestrino, l’aria di uno che stava trattenendo a stento uno sbadiglio da fin troppo tempo.

Erano state le due settimane più intense della sua vita. Il buon capitano era abituato allo stress. In fondo, le sue mansioni e il suo lavoro contemplavano quel genere di stato d’animo. L’aveva accettato, ormai da diverso tempo, che per lui non sarebbero mai esistite giornate del tutto tranquille. 

Non si era aspettato, però, di trovarsi a dover risolvere un così tragico caso di omicidio, e men che meno di doverlo fare al fianco di Danielle.

Se avesse potuto dare un penny per i pensieri della donna accigliata di fronte a lui, era certo che avrebbe indovinato. 

Quanto si era arrabbiata.

Non era stata colpa sua, però. Danielle aveva dato delle chiare disposizioni agli agenti sopraggiunti da Cairndow. 

Perquisizione personale sulla signora espletata dalla sottoscritta.

Trovare la stricnina rimanente mediante perquisizione della stanza e sequestro dei beni personali.

La signora sarà trattenuta fino a che non avrete raccolto tutte le informazioni necessarie, dopodiché verrà portata via per essere chiusa in cella a Cairndow in attesa del provvedimento dell’autorità giudiziaria. 

E’ fondamentale che la teniate d’occhio in ogni momento. E’ un pericolo per sé stessa.

Il capitano aveva sempre sospettato che, tutto sommato, Danielle provasse un debole per Eveline Northwood. Il lato più razionale di lei, quello devoto alla legge, pretendeva di trattarla come ogni altro criminale. La signora si era resa colpevole di essersi fatta giustizia da sé e questo era inaccettabile. Era anche vero, però, che la sequela di reati di cui si era macchiato il marito era davvero ripugnante.

Infatti, durante la spontanea confessione della signora, rilasciata di fronte alla polizia nella sua stanza d’albergo, era emerso di tutto. Violenza, percosse, abuso di alcol, gioco e chi più ne ha più ne metta.

Eveline aveva sopportato per una vita.

William intuiva che Danielle le era solidale. La parte più privata di lei si riconosceva in Eveline. Comprendeva che cosa significasse chiedere aiuto ed essere ignorate. Sapeva che cosa voleva dire quando il sistema non proteggeva chi avrebbe dovuto. 

Chissà quante ne aveva viste, nella sua carriera.

Aveva anche avuto la sensazione, però, che la giovane donna provasse qualcos’altro. Sentiva che Danielle rispettava Eveline anche sotto un altro profilo, che aveva individuato facilmente nella malattia.

Melanconia, l’aveva chiamata Webber.

Chissà se, dopo l’arresto, gli permetteranno di continuare ad esercitare la professione medica.

Le due donne avevano sofferto della stessa cosa per due motivi diversi. Danielle era riuscita a trovare uno scopo per vivere, Eveline no. Perdere la figlia le aveva tolto l’unica ragione di vita.

In un certo senso, Danielle ed Eveline erano due facce della stessa medaglia, l’una il rovescio dell’altra.

Danielle era rimasta fedele a sé stessa nonostante tutto, forte abbastanza da non confondere il bene e il male. 

Eveline si era spenta come una candela senza ossigeno.

Quando avevano ricevuto la terribile telefonata, Danielle era diventata una bestia. 

Non che cambiasse molto le cose. Sotto un certo profilo, lasciarle la possibilità di togliersi la vita dignitosamente piuttosto che finire sulla forca era stato quasi un atto di pietà. 

Pena di morte a cui - era il caso di sottolinearlo - Danielle era fermamente contraria. 

William l’aveva ammirata moltissimo, perché aveva intuito che Danielle aveva voluto salvare Eveline. Non la pena di morte, né il consiglio del suicidio. Nonostante la sua indubbia colpevolezza e la spregiudicatezza con cui aveva messo in atto il suo piano, coinvolgendo anche persone che non c’entravano niente con Gordon Van Allen, il Fornaio, Johanna e tutti gli altri, Danielle provava pietà per la follia della donna ed era convinta che Eveline Northwood dovesse essere salvata.

Non avevano impiegato molto tempo a risolvere il caso. Erano rimasti loro una dozzina di giorni da trascorrere insieme, per conoscersi meglio, e il capitano aveva scoperto esattamente quello che sospettava. 

- La signora è stata chiara. Aveva chiesto aiuto, ma nessuno l’ha ascoltata. Quell’idiota di Baldwin West - scusa il francese - le ha addirittura consigliato di chiudersi in manicomio. A quanti altri Scotland Yard non presta orecchio? Noi rappresentiamo - cioè, io rappresentavo, adesso lo fanno altri… oh, insomma, hai capito - il sistema, quello che servi, quello a cui paghi le tasse, quello che ti permette di essere libero, ciò in cui credi. Se ciò in cui credi ti abbandona, allora fallisce. Con Eveline Northwood è il sistema ad aver fallito. Sostanzialmente le è stato detto questo: sei una donna, tuo marito è un mostro, sono affari tuoi, la cosa non ci riguarda. Tua figlia è morta ammazzata, ma un medico - che bada bene, è rigorosamente uomo - dice il contrario, poco importa se è tuo cognato e tuo marito è un mostro, il problema è tuo, noi ci facciamo i fatti nostri. Non ti sta bene? Fai come vuoi, il cappio è lì, attaccatici pure. Oppure ti ci attacco io. Dipende da come ti comporti. Ciò non la rende meno colpevole, beninteso. Eveline Northwood ha sbagliato sotto tutti i punti di vista. Ha ammazzato il marito, ci ha sparato addosso, ha quasi avvelenato Mercedes, che grazie al cielo è giovane ed ha una fibra clamorosamente forte. Insomma, ha perso completamente la testa. Eveline è colpevole, eppure non riesco a non vedere che in tutto questo è stata anche una vittima.-

E tra un bofonchio e l’altro, aveva concluso:

- Il nostro modo di vedere i rapporti familiari è profondamente sbagliato. Ipocrita, oserei dire. Questo sistema non mi rappresenta. Ho provato a cambiarlo. Se questo è il risultato, vuol dire che ho fallito miseramente. La morte di Eveline Northwood è una sconfitta per tutti, un fallimento per il sistema e soprattutto un fallimento per me.-

Oh, quanto l’ammirava.

Anche in quel momento, in cui stava per addormentarsi con la testa reclinata verso il finestrino, William non poteva fare altro che pensare che quei quindici giorni erano stati davvero intensi. Non soltanto aveva risolto un caso di omicidio che lo aveva riportato indietro nel tempo e che lo aveva costretto a porsi mille domande e scrupoli morali, ma aveva anche incontrato persone a loro modo straordinarie. 

Soprattutto una.

- Un penny per i tuoi pensieri.-

Danielle sollevò un sopracciglio e parve un tantino più sveglia.

- Regnet es Immen in London.- 

Fissò William mentre sospirava, sconfitto, e le venne da ridere.

- A Londra piove sempre. Lo dice il dottor Dietrich, e non posso dargli torto. Non che fuori da Londra sia meglio. Dove pensi che siamo?-

- Non saprei. Con questo tempaccio non si leggono nemmeno i cartelli delle stazioni.-

- Fortunatamente il clima ha retto per tutta la durata del nostro soggiorno. Un altro temporale come quello che ci ha isolati ad O’Brennon Hall non l’avrei sopportato.-

William sogghignò.

- Ci ha permesso di fare delle gran belle passeggiate.-

- Quando non sono piovute disgrazie, sì. Mi sono divertita. Non credevo che l’avrei detto, sia per come stavo quando sono partita, sia per come è cominciato il soggiorno, ma devo dire che è stata una bella esperienza.- 

- Condivido. Adesso me lo dici?-

- Che cosa?-

- Ciò che ti passa davvero per la testa. E’ per Eveline, vero?-

Danielle si fissò la fibbia delle scarpe.

- Non è stata colpa tua. Sei stata molto chiara con gli agenti della polizia di Cairndow.- 

- Forse non mi hanno ascoltato.-

- E’ un loro problema se preferiscono ascoltare un Baldwin West qualunque soltanto perché porta i pantaloni. Tu sei stata chiara. E poi, sei sicura che saresti riuscita a salvare Eveline?-

- No, e la cosa mi fa ancora più rabbia.-

William cercò di buttarla sul ridere.

- Dovrebbero farti ministro.-

- Non tentarmi. Potrebbe essere il mio prossimo record. Prima donna ministro. Sai che direbbero i giornali?-

- Ti vedrei bene. Il più grande traguardo politico dopo il voto alle donne del Ventotto.-

- Non lo farò. Almeno, non volontariamente. Voglio riprendermi la mia vita. Non voglio rinunciare a quello che sono solo perché gli altri mi vogliono diversa, di una perfezione quasi irraggiungibile. Mi ci mancherebbe anche la politica!-

Avevano parlato molto di simili argomenti, durante il loro soggiorno in Scozia. 

Di tutti i pregiudizi e le stupidaggini in cui era immersa la società moderna. 

Per la prima volta in vita sua, William si era sentito compreso, non per ciò che era - un nobile, lo scapolo d’oro, il capitano misterioso, un uomo, un potenziale capofamiglia - ma per chi era. 

Gli era parso di capire che Danielle provasse lo stesso.

In cuor suo, era ciò che sperava di più. 

- Hai parlato con Mercedes, alla fine?-

Danielle aveva abilmente cercato di sviare il discorso e c’era riuscita. Se, tuttavia, aveva sperato di condurre la conversazione su temi più allegri, aveva ahimè sbagliato di grosso.

- Sì. E’ stata una conversazione illuminante che, purtroppo, non posso dirti.-

- Ti ha detto chi ha eliminato Federico Garcia Lorca?-

William fece un bel sorriso e non le rispose.

- E’ una ragazza molto giovane, ma estremamente intelligente. Alcune ricostruzioni potranno anche sembrare pittoresche, ma credo che nella sostanza abbia indovinato la trama principale di ciò che sta accadendo in Spagna. E ripeto, Danielle, non è una bella cosa.-

- Sarà davvero come hai detto? Peggio dell’ultima volta?-

William non rispose e Danielle lo prese per un sì.

- Che faremo, allora?-

Il capitano si illuse che Danielle stesse parlando del loro futuro assieme, ma si tenne sul vago.

- Quello che siamo sempre stati bravi a fare. Sopravvivere. E, nel mezzo, proveremo a cambiare le cose.- 

La guardò sospirare mentre poggiava di nuovo la testa sul finestrino, quasi a voler cercare contatto con la frescura della pioggia.

- Ora capisco perché molte persone hanno bisogno di credere alle favole. Come tutte quelle frottole sulla cronaca rosa. E vissero per sempre felici e contenti è una realtà che non capita a tutti.-

- Oserei dire a nessuno. Una vita senza problemi sociali ed economici, un rapporto indissolubile ed infrangibile. E’ ciò a cui servono i sogni, no? Creare un illusione di perfezione.-

- Che è irrealizzabile, William. Soprattutto se al governo ci sono Hitler, Mussolini, Franco, Stalin… Quante migliaia di persone non avranno mai un lieto fine?-

- E’ per questo che esistono i sogni. La perfezione è irraggiungibile, ma ci offre un ideale a cui aspirare. Non potremo mai ottenerlo, ma potremo fare tutto ciò che è in nostro potere per creare qualcosa che ci si avvicini. E’ ciò che ci fa andare avanti. Combattere ogni singolo giorno.-

Danielle gli sorrise.

- Il migliore dei mondi possibili.-

- Non ci avevo pensato, ma anche Leibniz può andare.-

I due rimasero in silenzio per un poco ad ascoltare il ticchettare della pioggia.

- Certo che le nostre conversazioni sono sempre molto allegre, eh?-

William si mise a ridere. 

- Cambiamo argomento, allora. Mi è dispiaciuto molto non poter suonare assieme a te.-

- Te l’ho detto, un’arpa era un po’ troppo anche per Steven O’Brennon, soprattutto dopo la grana che gli abbiamo piantato in albergo.-

- Chissà quanta pubblicità negativa.- 

- Gli saremo costati una stagione intera.-

- Però hai una bellissima voce da contralto. Hai cantato Summertime divinamente.-

Guardò Danielle arrossire mentre si fissava ancora la fibbia delle scarpe.

- Non so cantare, ma mi piace Gershwin. Dicono che anche Billie Holiday l’abbia cantata. L’ha sentita il signor Kendall alla radio.-

- Dev’essere meravigliosa. Vedrai che la manderanno in onda anche qua in Inghilterra, uno di questi giorni.- 

Nello scompartimento calò di nuovo il silenzio mentre il treno si avvicinava alla stazione. Un filare di pali metallici emerse dalla nebbia e dalla pioggia, mentre le luci artificiali illuminavano un nugolo di persone infradiciate e scure sulla banchina, pronte per salire.

Il capotreno scese e Danielle percepì distintamente un impropero con un forte accento scozzese mentre la pioggia lo lavava da capo a piedi.

La sosta durò pochi minuti. Poi, il capotreno fischiò. Il sibilo del fischietto si disperse nel rombo della pioggia e del vento. Il treno dondolò un poco e partì di nuovo nella nebbia, nella pioggia e nel vapore. 

Fu a quel punto che il capitano si rese conto che non avrebbe avuto più tempo per scoprire l’ultimo, grande mistero che quella vacanza gli aveva affidato.

Un mistero chiamato Danielle Peters.

- Danielle?-

- Mh?-

Chissà se l’avrebbe mai più rivista.

- Come sono andate davvero le cose?-

La donna non rispose.

Certo, William l’avrebbe rivista molto volentieri.

La sentì sospirare, mentre si accomodava meglio sulla seduta, le mani sotto le cosce per tenerle calde, o forse per proteggersi.

- In verità, parte della storia già la sai. E’ cominciato tutto proprio con il Fornaio, ed è finito come sai. Eric Nicholson è morto, io ho perso tutto, ma ho la sensazione che tu voglia sapere di più. Tu vuoi la verità sul caso Ward, vero?-

William non aveva idea di chi fosse questo Ward, ma decise di lasciarla parlare.

Non avevano più molto tempo, ormai. Il viaggio in treno sarebbe finito, lui avrebbe proseguito per Bristol dopo averla lasciata a Londra, e Danielle Peters sarebbe stata, probabilmente, soltanto uno splendido ricordo.

Forse.

- Un giorno un ausiliare del traffico mi avvicinò per caso a Scotland Yard. Era un ragazzo giovane, appena assunto, che mi disse di aver assistito ad una scena curiosa. Era di turno a Piccadilly, quando aveva visto un’auto parcheggiata in sosta vietata di fronte ad una palazzina ristrutturata di recente. La ricordava perché gli piaceva molto l’ingresso con le vetrate colorate e i fregi liberty sulle scale. Aveva già disposto la multa e stava per metterla sotto il tergicristallo della macchina quando il proprietario dell’auto era uscito dalla palazzina a passo spedito. Sembrava quasi indispettito. Sulle prime, il povero ausiliare aveva creduto che ce l’avesse con lui e si era spaventato. Poi, si era reso conto che, in verità, l’uomo era assorto nei suoi pensieri. Seppe descriverlo bene: era un uomo distinto, ma l’abito che indossava era vecchio e aveva gli orli sciupati. Soprattutto, era grosso come un armadio, scoppiava dentro le cuciture del doppio petto, ed aveva il naso storto ed ammaccato, come se avesse fatto di recente a pugni con qualcuno. Quando si era accorto della sua presenza, aveva cominciato a guardarlo male e l’ausiliare si era sentito in pericolo. L’uomo lo aveva preso a male parole, e per un momento il ragazzo aveva avuto la sensazione che stesse cercando qualcosa dentro la giacca. Poi, fortunatamente, il tizio aveva deciso che non era il caso di attaccare briga e se n’era andato. A quel punto, l’ausiliare si era accorto che l’auto aveva qualcosa di strano: la marmitta non funzionava bene. Scoppiettava e fumava eccessivamente, e il rombo del motore era insolito.

- Qualche tempo prima, si era presentata a Scotland Yard una donna di nome Edna. Era una prostituta, come ce ne sono tante nell’East End. Era venuta a denunciare un cliente perché era stata derubata. In poche parole, la signora, dopo aver svolto il suo mestiere, aveva scoperto di aver lasciato il suo avventore insoddisfatto, e questo, agli occhi di quell’uomo discutibile, era stato sufficiente per riprendersi i propri soldi e anche il resto dell’incasso della settimana a titolo di risarcimento. I miei colleghi la presero in giro. Non sapeva come si chiamasse l’uomo, e per questo motivo la denuncia non ebbe seguito, però aveva saputo identificarlo con il suo nome d’arte. L’Esattore, così lo aveva conosciuto, e sapeva che lavorava per lui, quello che tutti conoscono, ma che nessuno chiama mai per nome. L’uomo aveva una macchina dal motore truccato e dalla marmitta scassata.- 

- Così hai unito i puntini.-

- Partendo dall’Esattore, ho cominciato a ricostruire la piramide, cercando un appiglio che conducesse a Gordon Van Allen in persona. In verità, l’aggancio lo trovai. L’Esattore stesso era uno dei suoi bracci destri, colui che riscuoteva i conti, il suo picchiatore preferito nel giro del racket. Da lui sono partita per cercare tutti gli altri. Mai avrei pensato che la villetta in Piccadilly fosse un luogo d’interesse. Tra gli inquilini, l’unico rilevante era proprio l’impresario edile che l’aveva restaurata, Carl Northwood. Apparentemente, però, si comportava come tutte le famiglie altolocate residenti: collezionava arte, faceva soldi con le gare d’appalto, ed aveva tenuto per sé l’attico della palazzina di Piccadilly, in cui viveva con la moglie e la figlia. Era un imprenditore minore, magari corrotto, sì, faceva certamente parte del giro, ma che fosse il Fornaio? No, ce n’erano altri che avevano catturato la mia attenzione, meno furbi e più spregiudicati di lui. Northwood era un gran furbacchione, anche se nel suo narcisismo tendeva a fare il passo più lungo della gamba. L’alias del Fornaio era noto alle forze dell’ordine. Il mio errore fu credere che fosse qualcun altro, ancora più narcisista di lui. 

- Poi, un giorno, mi piovve in testa il colpo di fortuna del secolo: Ernest Ward ammazzò la moglie.-

William ammiccò.

Alla faccia del colpo di fortuna.

- Dorothy Ward si arrabattava per sbarcare il lunario. Viveva nell’East End assieme al marito, Ernest, un muratore saltuario senza arte né parte, un poco di buono che ne aveva combinate di tutti i colori. Era finito al fresco per spaccio di sostanze stupefacenti un paio di volte. Commerciava prevalentemente in oppio. Era sempre stato un pesce piccolo, uno spacciatore di poco conto. Poi, è sparito dalla circolazione per un po’, fino a che non è stato arrestato per ubriachezza molesta. Affermò di essere uscito dal giro. E’ sparito di nuovo, e l’abbiamo ripescato solo dopo l’omicidio della moglie. Aveva bevuto, si era drogato, Dorothy si era arrabbiata, e quella volta aveva fatto le valigie con tutta l’intenzione di tornare dalla madre. Figli, non ne avevano, e oserei dire per fortuna. Il fatto era che Ernest dipendeva completamente dalla moglie, non sapeva sopravvivere da solo. Guadagnava bene, come avremmo scoperto in seguito, ma alla casa destinava poco o nulla. La maggior parte del ricavato lo sperperava per sé in ambienti discutibili.-

- Bische?-

- Anche. Prevalentemente il pub o il bordello. Dorothy doveva fare tutto da sola, e l’idea di perdere il controllo su di lei ha fatto andare fuori di testa il nostro Ward, che, in preda ai fumi dell’alcol e della droga, ha deciso di ucciderla a colpi di tavolino. O meglio, di una gamba di tavolino.-

- Gesù, che mostro.-

- Poi è andato in crisi. Non sapeva che cosa fare né del corpo, né dell’arma, così ha abbandonato Dorothy a casa ed è uscito per buttare via la sola gamba di tavolino. Lo ha colto un agente di pattuglia che aveva sentito gli schiamazzi, preso con le mani nella marmellata.-

- Immagino il clamore sollevato da un omicidio così barbaro.-

Danielle sorrise come può sorridere un gatto quando fa le fusa.

- Sei stato fuori molto, vero, William? Tra il Trentatré e il Trentaquattro eri già in Spagna, non è così?-

Il capitano annuì.

- Lieta di sapere che il controspionaggio inglese è sempre attivo per proteggere il nostro paese, ma forse ti sei perso diversi passaggi in patria. Omicidi del genere, cruenti, nei quartieri malfamati accadono continuamente. Molte di loro sono donne. A nessuno importa un granché. Erano dei disperati, gente senza arte né parte. Chissà che cosa hanno combinato per fare quella fine. Che vuoi aspettarti? Questo è solo un assaggio di quello che la gente pensa quando a morire è un poveraccio, o qualcuno che conduce una vita discutibile agli occhi della società. Per Dorothy non è stato diverso. No, il clamore non è stato sollevato dalla morte di quella povera donna, ma dalla clamorosa scoperta che abbiamo fatto quando abbiamo perquisito la casa.-

- Ovvero?-

- Nella sua follia omicida, Ernest Ward aveva ripetutamente colpito una parete ed aveva fatto saltare parte del rivestimento, rivelando dei mattoni rossi di laterizio. Nulla di speciale, se non per il fatto che nessuno di essi era fissato con la malta. Nell’intercapedine, una volta rimossi uno per uno, abbiamo trovato la bellezza di un milione e mezzo di sterline in contanti. L’ultima, grande beffa per Dorothy, che aveva sempre dormito vicino ad un vero e proprio tesoro senza saperlo, conducendo una vita di stenti per avere di che comprare il pane.-

William strabuzzò gli occhi.

- Scherzi? Un milione e mezzo?-

- E’ stato lì che ho compreso che Ernest Ward non era mai uscito dal giro, anzi, l’aveva allargato. Il pesce piccolo era diventato un pesce bello grosso, e non puoi sopravvivere a Londra guadagnando quelle cifre se qualcun altro non te lo consente.- 

- Gordon Van Allen.-

Danielle alzò le mani come ad indicare che William aveva fatto centro.

- E dopo, che cosa hai fatto?-

- L’ho fatto rinchiudere in una cella di massima sicurezza. Mi hanno presa in giro, ovviamente. Credevano che fosse una vendetta, da donna a donna. Altro che vendetta. Io volevo i nomi. Ho scoperto che Ward trafficava oppio su larga scala da diverso tempo. Prima di essere arrestato per spaccio l’ultima volta, aveva incontrato un grosso fornitore, si era dimostrato volenteroso ed aveva fissato un appuntamento col capo di quel tale, in un vicolo appena fuori il centro città, nella vecchia periferia operaia. Non ci abita più nessuno, lì, il suo interlocutore non era chiaramente il proprietario, bensì qualcuno che sfruttava la zona ormai deserta per i suoi traffici. Un dedalo di cunicoli ideali per nascondere il boss dei boss. Insomma, dopo quell’incontro, i suoi traffici erano aumentati a dismisura. Aveva acquisito il nome di Giardiniere. Quale altro nome, per un uomo che traffica in oppio, una pianta esotica? Quelle, però, erano spontanee dichiarazioni, dette in circostanze che Scotland Yard non avrebbe mai accettato. Una chiacchierata informale non aveva alcun valore probatorio. Mi avrebbero accusato di avergliele estorte, svuotandole di ogni valore giuridico. Così, ho fatto disporre un interrogatorio formale, d’accordo con Ward: lui avrebbe parlato, noi gli avremmo fornito il massimo della protezione.-

- Scotland Yard era d’accordo?-

- Si trattava di sgominare la più ampia organizzazione criminale sul territorio inglese e un pentito stava collaborando con noi. Potevamo trovare il giusto compromesso, magari evitando la pena di morte. Chissà quante altre informazioni ci avrebbe potuto fornire su Van Allen. Il gioco valeva la candela. In ogni caso, la mia idea non è andata in porto. L’abbiamo trovato morto in cella, avvelenato, con una capsula di cianuro gettata ai piedi. Il direttore dell’istituto lo ha qualificato presto come un suicidio, stabilendo che Ward si era ammazzato per mantenere alto il suo onore di criminale incorrotto piuttosto che collaborare con la giustizia.-

- Ma tu la pensavi diversamente.-

- Un detenuto in cella di massima sicurezza viene privato di tutto. Io stessa avevo fatto in modo di accertarmene. Persino la visita medica non aveva rilevato nulla di interessante. Il cianuro, in carcere, c’era stato portato. Qualcuno gli aveva offerto un caffè avvelenato. Avrebbe anche potuto farla franca, se non avesse lasciato quella capsula per terra. Quello era un simbolo, un avvertimento.-

- Questo è ciò che succede a chi parla.-

- E mai come in quel momento ho avuto la certezza assoluta che Van Allen aveva qualcuno a cui mandare il messaggio all’interno del carcere. Mi sono messa a scartabellare nel casellario giudiziario e sono venuti fuori un paio di nomi. Non erano niente di speciale. Mi è stato d’aiuto un ex minatore, un uomo che era stato arrestato per aver ammazzato un compagno col piccone. Soffriva di una cosa chiamata schizofrenia.-

- E che sarebbe?-

- Una psicosi cronica con dei sintomi molto invadenti e limitanti: allucinazioni uditive, disordine del pensiero e del linguaggio, deliri e paranoie. Il nostro minatore credeva di essere perseguitato da una società segreta volta a fare del male alle persone povere. Alla fine, dopo un colloquio molto faticoso, mi sono spacciata per una persona che lottava contro questo tipo di società segrete, e lui mi ha creduto. Mi ha detto che una volta aveva lavorato in un cantiere a Mayfair assieme a Ward. Ho verificato, era vero. In quel posto veniva sempre un tizio che tutti chiamavano Fornaio, ma non portava mai il pane. Mi sono insospettita, ho fatto delle verifiche ed ho avuto la conferma assoluta che Van Allen si stava impicciando anche in uno dei pochi mercati da cui era rimasto estraneo fino ad allora: quello edile. Come ti ho detto, ho sbagliato completamente ad identificare il Fornaio, ma quella conversazione mi ha dato l’idea per l’assalto finale: la gara d’appalto andata deserta.-

William si grattò i ricci biondi.

- Scotland Yard si è fidata di uno schizo…-

- Schizofrenico? Assolutamente no, le sue dichiarazioni erano completamente inattendibili. Pensa che, dopo quell’indizio, mi ha detto che una voce nella sua testa gli aveva detto di non fidarsi del capo cantiere, perché il fornaio senza pane era solo un modo per torturare loro, poveri muratori che avevano fame e non ricevevano nulla da mangiare. Erano tutti complici della sua condizione, secondo lui.-   

- Una voce nella sua testa.-

- Già. Ho preso la dichiarazione con le molle, e se non avessi scoperto che il cantiere era esistito davvero e, soprattutto, che era crollato in corso d’opera per l’utilizzo di materiali scadenti nelle fondamenta, facendo tre morti tra i dipendenti, avrei gettato tutto alle ortiche ed avrei cercato qualcos’altro. Quello, però, era il tipo di affare che poteva interessare Van Allen, così mi sono messa a cercare. Ho trovato altro a supporto delle mie ipotesi. Il crollo di Mayfair non era stato un caso isolato, e mi sono inventata la gara d’appalto falsa. 

- Per attirare Van Allen in trappola, mi sono creata una buona esca. Ho fatto tallonare l’Esattore, che era tornato a riscuotere da diversi imprenditori edili. Quello è stato il primo indizio. Poi, con l’aiuto dei miei colleghi e la complicità di un funzionario, abbiamo simulato la costruzione di una bella villetta appena fuori Londra, con requisiti talmente stringerti da impedire la partecipazione di molte imprese con risorse minori. Abbiamo ristretto il campo a quelle che fatturavano di più. Alcune erano a posto, altre - soprattutto quelle di medie dimensioni - avevano lavorato in diversi cantieri con problematiche. Sostanzialmente, erano le imprese che Van Allen controllava direttamente. Quella che avrebbe offerto il maggior numero di prestazioni, anche in subappalto, a costi minori sarebbe stata la principale indiziata, e da lì avrei tallonato i movimento dell’impresa fino ad incastrare Van Allen. E’ stato un grande successo, perché la gara è andata addirittura deserta.-

William si mostro platealmente confuso.

- Parallelamente, avevo avviato un’indagine interna. Erano pochi coloro che sapevano della collaborazione di Ward con la giustizia. In particolare, ne erano a conoscenza gli uomini della mia squadra. Così, mi sono convinta che ci fosse qualcuno tra noi che passava le informazioni all’esterno. La finta gara d’appalto era un doppio test: se fosse fallita, avrei raggiunto Van Allen per altre vie, ma avrei scoperto almeno la talpa. Ho dato molta visibilità a quell’operazione, che è giunta alle orecchie di tutti, ed in particolare di uno: James Mill. Un uomo simile a lui era stato visto entrare in carcere, vestito da guardia carceraria. Tu lo conoscevi come…-

- Jeremiah Cole.-

- Esattamente. Gordon Van Allen è in grado di fornire una falsa identità credibile ai suoi collaboratori, talmente perfetta da poter passare inosservato all’interno di un’area controllata come il carcere, uccidere un detenuto e fuggire senza che nessuno se ne accorgesse. Date le circostanze, era estremamente probabile che la sua prossima mossa fosse rivolta contro di me. In fondo, mi aveva fatto fuori un collaboratore, ed io potevo già sapere troppo. Ed in effetti, sapevo già troppo.-

- Che vuoi dire?-

- Che avevo quasi tutti i loro alias. Il Macellaio, il Fornaio, l’Esattore, ce n’erano di altolocati, come l’Avvocato, e di pesci più piccoli, come il Ragioniere. Avevo persino un Lustrascarpe.-

- Si è sentito braccato.-

- Ho fatto di peggio. L’area fuori Londra, la periferia dove si incontrava con i suoi scagnozzi, ben presto gli è diventata inservibile. Ho trovato il retrobottega dove teneva gli incontri. Pensa che aveva fatto ridipingere la porta di un lucentissimo verde mela. L’ ho costretto a restituire la refurtiva rubata a casa dei Mason, ti ricordi, il furto di diamanti? Praticamente ce li ha lanciati in testa lungo l’Embankment. E’ stato costretto a restituirla pur di liberarsi di me, ma la cosa peggiore era che, a differenza di altri di cui sapevo solo l’alias, conoscevo il nome dell’Avvocato. Mi sarebbe bastato tanto così - ed avvicinò il pollice e l’indice per indicare una quantità minuscola - per prenderli tutti. A quel punto, Van Allen si è stufato ed ha deciso di sguinzagliarmi contro l’artiglieria pesante, infiltrando il Ragioniere tra le mie fila. Meglio sacrificare un pedone per difendere il re, piuttosto che permettere all’avversario di dominare la scacchiera, non trovi?-

William era rimasto a bocca aperta.

- Aspetta, tu sapevi chi era l’Avvocato?-

- Non sapevo.- fece Danielle, gli occhi grandi e tristi.- Io so.-

Il capitano trattenne il respiro.

- E…-

Danielle prese a guardare fuori.

- Cook. Rodney Cook.-

William trasecolò.

- Rodney Cook il banchiere?-

- Quello della pubblicità, che durante la guerra, nel Sedici, finanziò a fondo perduto quella fabbrica di proiettili, ricordi?-

- Diamine, ti sei messa contro un pezzo grosso anche a livello statale! Quello ha agganci con tutti, ce l’aveva persino col Primo Ministro!-

- Ci mancherebbe altro, che un pezzo grosso della finanza come lui non intrattenga rapporti con il Primo Ministro! Ma no, Lloyd George non c’entrava assolutamente niente con Van Allen. Sono praticamente certa che non sapesse nulla dei traffici del suo viscido amico.-

William non sapeva che cosa dire.

Adesso, tutti i sospetti che aveva sempre avuto sul caso Danielle Peters erano diventati granitiche certezze.

- Ti hanno fatta fuori.-

- Grazie, questo lo so.-

- No, intendo il questore, come si chiama…-

- Somerset. Sì, ci teneva particolarmente a che io levassi le tende. Dicono che odi le donne, io ci credo.-

- No, come minimo ha ricevuto ordine da qualcuno! Danielle, ti rendi conto in che razza di ginepraio ti sei infilata? Rodney Cook, dannazione!-

- Ricordati, Danielle, più in alto volerai, più male ti farai quando cadrai. La nonna aveva ragione. Ho giocato una partita più grande di me, e nella mia rovina ho trascinato anche il mio Eric.- 

William rimase a guardare Danielle mentre fissava la pioggia battente fuori dal treno, l’aria depressa e triste, persa in pensieri cupi del suo passato. L’aveva costretta a rievocare qualcosa che l’aveva profondamente ferita, ma se non altro, adesso, tutto era venuto alla luce. 

- Sai.- riprese, all’improvviso, la donna.- Le tue informazioni mi sono state molto utili. Su Cole, intendo. Non so che cosa avrei fatto senza. La tua disponibilità, nonostante tu fossi oltremanica, è stata un onore. Ti rispettavo molto, anche se non ti conoscevo. Grazie.-

- Non ho fatto granché.-

- Per averci provato.-

Fu il turno di William di abbassare gli occhi, mentre continuava ad ascoltarla.

- Abbiamo organizzato una sortita. Li avremmo colti in flagranza, Cole e Cook assieme. Sapevamo che si sarebbero incontrati in quella famosa periferia. Avevamo creato le circostanze affinché l’incontro avvenisse. L’ennesimo depistaggio. Era più che probabile, però, che Cook non sarebbe stato solo. Avevo pochi uomini a disposizione, così ne ho chiesti di più. Il questore Somerset ha acconsentito, mi ha detto che si sarebbe assunto la responsabilità di ogni fallimento. Poi, all’ultimo minuto, i rinforzi non c’erano ancora. Somerset mi ha imposto di continuare, anche se io volevo far saltare la missione. Era troppo pericoloso, c’era il rischio concreto che morisse qualcuno. Ancora una volta, mi ha promesso che si sarebbe preso ogni responsabilità.-

- Promesse da marinaio. E sono io a dirlo.-

Danielle sorrise.

- Lo so, ma non avevo altra scelta. Avrei dovuto rassegnare le dimissioni in ogni caso. Mi ha messo con le spalle al muro. West era pronto a prendere il comando e a guidare la sortita, così ho deciso di restare. Almeno i miei ragazzi avrebbero avuto accanto qualcuno con una coscienza. Ci abbiamo provato, ed è stato un disastro.

- Non mi aspettavo una simile potenza di fuoco. E’ stata una vera e propria imboscata. Ci hanno braccato. In molti sono rimasti feriti, me compresa. Cook è scappato. Abbiamo preso Cole, ma è durata poco. Lo hanno suicidato in cella, proprio come Ward. Come ti ho detto, sacrificare un pedone per impedire all’avversario di controllare la scacchiera, ma con me, oh, con me hanno fatto di peggio.-

Nel vagone era calato un silenzio di piombo.

- Io ero certa, William, sono certa che Cole abbia volutamente mirato ad Eric. Ero stesa a terra, sanguinavo, disarmata e sulla linea di tiro, eppure l’ho visto distintamente mentre alzava lo sguardo da me, lo puntava su Eric e faceva fuoco. Uno, due, tre colpi. L’ha ucciso, e l’ha ucciso per colpa mia. Uno dei tanti messaggi di Van Allen: togliti dai piedi, o farò in modo di portarti via tutto ciò che ami, fino a che non mi implorerai di ucciderti.- 

- Somerset dovrebbe vergognarsi.- 

- Ha Eric sulla coscienza tanto quanto me.-

- Ben più di te! Tu hai fatto di tutto per salvargli la vita!-

- E non è servito a nulla. Somerset è ancora dove sta. Io sono qui.-

William sospirò. Danielle lo seguì a ruota.

- Per quello che vale, William, la morte di Eric, probabilmente, era già stata decisa. Lo avevo reso un bersaglio mobile, nonostante tutte le cautele che avevamo intrapreso. Farci scoprire non era nei nostri piani. Chissà come hanno fatto a sapere che ci amavamo. Forse Cole ci ha seguiti.-

- Per quanto tu possa essere attenta, non puoi avere il controllo di tutto. Sono certo che anche Nicholson lo sapeva, sin dal primo momento in cui aveva deciso di frequentare te.-

- Ti sei ricordato il suo cognome.-

- Non dovrei?-

Danielle rimase a fissarlo per un momento, sperando che capisse quanto apprezzava la sua discrezione e la sua attenzione per i dettagli.

Eveline Northwood aveva detto che stimava Danielle perché teneva vivo il ricordo delle persone, anche di quelle che conosceva poco come sua figlia Johanna. 

Sentire pronunciare da William il nome di Eric la faceva sentire esattamente come si doveva essere sentita Eveline.

Rimuoveva il senso di solitudine.

- Sai - continuò, sfilandosi le scarpe ed accovacciandosi meglio sul sedile dello scompartimento - Sono passati due anni da quando l’ho perso. Fino a che non sono partita, mi sembrava che fosse successo ieri. In un certo senso, è successo ieri. Continuavo a crogiolarmi nel dolore, nella solitudine, come se questo fosse l’unico modo per non perderlo. Come se vivere fosse un modo come un altro per mandarlo via. Non lavoravo. Non uscivo di casa. Talvolta era difficile persino alzarmi dal letto. Le attenzioni dei miei genitori, non le sopportavo. L’unica che tolleravo era Ruth, un’amica di vecchia data, che ogni tanto compare sulla soglia, scombussola la mia vita e poi sparisce. Il giorno che l’ho sepolto, gli ho fatto una promessa: non avrei avuto pace fino a che non avessi consegnato Gordon Van Allen alla giustizia. Come potevo? Come potrei? Non sono nessuno, a Scotland Yard ci sono Somerset, che forse è colluso, forse no, di certo mi vuole fuori dai piedi, e Baldwin West, che Dio solo sa che cosa ci stia a fare lì, se non ha voglia di lavorare. La battaglia contro Van Allen è finita, ed io ho perso. Volevo dare giustizia a tutte le Eveline, le Johanna, a tutti gli Eric del mondo. Non ci riuscirò mai.-

William la osservò mentre si appallottolava come un gatto sul sedile, le scarpine con le fibbie d’ottone allineate sul pavimento.

- Sai che non è vero. Hai scovato il Fornaio, nonostante tutto.-

- E’ questo l’incredibile di tutta questa storia. Quante probabilità c’erano che finissi in un albergo con il Fornaio e sua moglie, che mi dovessi trovare a risolvere proprio il suo omicidio, che in quell’occasione ci fossi tu, con cui avevo un bel conto in sospeso?-

La risposta era semplice ed univoca.

- Infinitesimali.-

- Esattamente. Eppure è successo. Pensare che, quando sono partita, nemmeno sapevo perché. Un’ultima possibilità, mi sono detta, ma un’ultima possibilità per cosa? Dare una chance alla vita per fare che cosa?-

- E’ semplice.- fece William, facendo spallucce.- Togliere la ruggine da quel ferro vecchio che era la tua vita.- 

Danielle si mise a ridere.

- Questa è una metafora ricorrente, vero? La lettura filosofica, la stessa che, all’epoca, mi sono data anche io. Forse il nostro amico Leibniz avrebbe apprezzato. No, la risposta è un’altra, e ci sono arrivata dopo giorni di estenuante vacanza.- 

Lo guardò fisso negli occhi color miele, e William ebbe la certezza che Danielle stesse cercando di dirgli qualcosa di importante. 

- Non sopportavo l’idea che nessuno sapesse che esistevo. Non sopportavo l’ipotesi di morire da sola dentro casa, senza che nessuno si accorgesse di me. Non riuscivo a concepire l’idea che nessuno conoscesse l’inquilina di Queen Victoria Street, numero ventiquattro.- 

- Ti ricorderanno tutti per le tue eroiche gesta a Scotland Yard.-

- Io non credo. Il mondo non è ancora pronto ad una donna ispettore capo. Penso che il ricordo di me finirà perduto nelle pieghe della Storia, quella scritta in maiuscolo, ed ho la sensazione che le sue pagine più buie, quelle che oscureranno definitivamente le mie eroiche gesta, come le chiami tu, debbano ancora essere scritte. No, il mio era un bisogno più egoistico. La parte più irrazionale e distruttiva di me voleva che credessi che ero finita, quella più razionale e realista continuava a dirmi che avevo ancora qualcosa da dare. Non mi importava di essere importante per il mondo, almeno non più. Volevo esserlo almeno per me, e magari anche per qualcun altro.-

E William si permise di sognare, di immaginarsi che gli stesse dicendo quelle parole per fargli capire ciò che c’era da capire. 

- Ci sei riuscita?-

- Non saprei. Forse. Non mi ero resa conto di quanto mi mancasse il contatto con l’esterno.-

- E adesso, che cosa farai?-

- Non so. Dovrò trovare un modo di riprendere in mano la mia vita, stavolta definitivamente.-

- Io voto per Baker Street.-

- Vedo che il mio amico Watson ha poche idee limitate, ma tenaci.-

Ci scappò una risata. 

- Oppure Scotland Yard.-

- Sì, a fare la segretaria di Baldwin West. Piuttosto mi butto nel Tamigi.-

Un lampo squarciò l’aria e li fece sobbalzare.

- E tu, che farai adesso? Ti imbarcherai di nuovo?-

William annuì.

- Purtroppo sì, ma tra due settimane. Dopo aver saputo della mia vacanza rovinata, il mio superiore mi ha prolungato il congedo.-

- Albert?-

Il capitano sbatté le palpebre.

- Credo di aver pronunciato il suo nome solo una volta di fronte a te. Te lo sei ricordato? Anzi, no, non ti chiederò come lo sai. Ci rinuncio.-

La pioggia prese a scrosciare più forte. Il treno rallentò la sua corsa.

- Com’è la vita della spia?-

William fece il vago.

- Non la chiamerei proprio la vita della spia. Non sono una spia, sono…-

- Un normalissimo capitano. Lo so. E’ per questo che non ti hanno promosso. Nessuno deve vederti come un pezzo grosso, altrimenti non si fideranno più di te.-

- Grazie per aver appena affondato con disarmante semplicità tutti i miei sogni di gloria.-

Rimasero a guardarsi sorridere per un secondo.

Poi, Danielle poggiò la testa contro il finestrino e prese di nuovo a fissare il grigio della nebbia, densa come zuppa di piselli.

E William pensò che di lei si poteva fidare. In fondo al suo cuore era consapevole che Danielle aveva intuito molto più di quanto avrebbe dovuto ed aveva comunque mantenuto il segreto. Aveva rispettato la sua professione e con ciò aveva salvaguardato il proprio paese, nonostante - e di questo era certo - la sua bruciante curiosità.

Danielle era una donna integerrima, che non avrebbe parlato mai. Ne era sicuro al cento per cento. E poi, lei si era fidata. Gli aveva rivelato gli aspetti più privati della sua vita, il suo dolore, la straordinaria storia che l’aveva coinvolta. Anch’essa del tutto segreta, considerato il coinvolgimento di Rodney Cook.

Diamine, doveva ancora riprendersi da quella scoperta.

Non c’era nulla di male, dunque, nel metterla a parte di alcune cose. Solo di alcune, mica di tutte. 

Sarebbe stato processato per alto tradimento. 

- Io ti devo molto, Danielle.-

La donna alzò un sopracciglio, perplessa, distogliendo per un momento lo sguardo dalla nebbia.

- Non vedo come.-

- Sei stata un’ispirazione per me. La pista dei soldi è stata geniale.-

- Vorrai dire banale. Come pensi che possa mantenersi un’organizzazione come quella di Van Allen senza denaro?-

- Sei troppo dura con te stessa. Nessuno ci aveva mai pensato prima, quindi banale non è. Tu ci hai pensato, così ci ho pensato anche io, quando abbiamo trovato quella cassa piena di propaganda fascista tradotta dall’italiano all’inglese. Qualcuno doveva pur averla pagata, no?-

Questa volta vide una scintilla di interesse attraversare le iridi di Danielle.

- E’ stata la scelta giusta da fare, ma mi ha cambiato la vita. Non so se me l’ha cambiata in meglio, sai? Spero che tu capisca che io non posso dirti più di questo. Se sei arrivata a scoprire che mi trovavo ancorato a Tarragona, sono sicuro che sarai in grado di fare due più due e capire per quale motivo mi sento in colpa, per tante cose.-

Era una sua impressione o c’era molta tristezza e un velo di lacrime negli occhi della donna?

Sì, Danielle aveva capito. Forse non poteva sapere di Jerrold e degli altri, ma aveva intuito ciò che c’era da intuire. 

Anche lei sentiva quella fredda mano nera. E sapeva che c’era, anche nella sua amata Inghilterra.

- E’ una vita strana.- continuò. - Non è di sicuro la vita che avevo scelto per me. Volevo allontanarmi da casa, vedere il mondo. Avrei dovuto capirlo fin dall’inizio che mi ero sbagliato. Insomma, volevo scoprire cose nuove e sono finito ad affondare navi nello Jutland. Cielo, ancora lo sogno. Sono quasi morto, poteva esserci di peggio? No, o almeno così credevo. Dopo quella battaglia ho viaggiato parecchio, è vero, ma la sorte… Hai ragione, sai, la sorte è davvero strana. Le cose accadono, uno ci si trova dentro senza nemmeno volerlo, e l’unica cosa che può fare è seguire il flusso del tempo, il corso delle cose. Fai del tuo meglio nella situazione in cui sei, qualcuno ti nota e improvvisamente diventi una spia. E perdi tutta la tua autonomia. La mia famiglia non sa davvero chi sono e cosa faccio. Cioè, lo sa mio padre perché gli piace spacciarsi per un pezzo grosso della diplomazia, anche se ormai fa parte della vecchia guardia, ma anche lui conosce soltanto le briciole di quello che faccio, delle informazioni che raccolgo. E’ difficile mantenere l’integrità, ricordarti chi sei. Io ho avuto la fortuna di non perdermi. Sono ancora il ragazzo sognatore che ero quando sono partito, l’avventuriero, l’idealista. Forse è per questo che faccio bene il mio mestiere. Ho ancora degli ideali che non ho sacrificato alla causa di forza maggiore, nonostante il buio che abbiamo all’orizzonte possa costringermici. Tu credi di essere fragile? Tutti noi lo siamo. C’è chi lo accetta, chi no. Chi forse non può. Tu hai saputo trasformare la tua fragilità in una forza. Tu sei più forte di me, Danielle. Ti sei persa e ti sei ritrovata. Io ho il terrore di perdermi in quello che sta arrivando. Perché se dovessi perdermi, non saprei conviverci. Mi capisci, vero?-

Danielle non replicò, la testa poggiata contro il finestrino e l’ombra di un triste sorriso sul volto stanco. William pensò di aver parlato troppo e di averle scaricato del peso inutile sulle spalle. 

Trascorsero attimi di assoluto silenzio in cui William rimase a rimuginare sugli eventi fino a che il suo stomaco non brontolò.

- Ti va uno spuntino? Il vagone ristorante non è lontano.-

Ma William Collins ormai stava parlando da solo. 

Quando Danielle riaprì gli occhi, convinta di averli riposati solamente per qualche minuto, si rese conto di aver dormito per quasi un’ora. Il capitano, anch’esso assopito di fronte a lei, fischiava leggermente con il naso, cullato dal movimento delle rotaie. 

- Accidenti, per me viaggiare è come prendere il laudano.- disse fra sé. 

Poi, concedendosi un momento di leggerezza, rimase a guardarlo dormire, accarezzando con gli occhi i bei lineamenti del viso e i riccioli biondo grano. 

 

Giunsero a Londra a sera inoltrata. 

Il treno rimase fermo alla banchina per permettere il carico e scarico dei bagagli. 

I passeggeri andavano e venivano, le ruote dei carrelli dei facchini fischiavano sul lastricato bagnato. 

William e Danielle erano fermi di fronte al predellino, l’uno in attesa di proseguire il suo viaggio verso Bristol, l’altra incapace di voltargli le spalle e prendere un taxi. 

- Sei arrivata, quindi.- le disse, mentre il vapore del treno e dell’umidità della pioggia li avvolgeva.

- Già.-  rispose Danielle, a corto di parole. 

Il silenzio era quasi imbarazzante.

- Sono sicuro che ci rincontreremo presto, Danielle.- le disse il capitano, cercando di essere di conforto e tendendole la mano per salutarla. - In fondo, se il destino ci ha fatto incrociare, non è detto che non accadrà ancora.-

- Speriamo senza cadaveri.-

- Questa l’ho già sentita!- e William rise di cuore. 

Il capotreno fischiò una prima volta, invitando tutti a risalire sul treno.

- Adesso è davvero ora di andare.- le disse, dondolandosi sui talloni, a disagio. 

- Potrei scriverti.- azzardò Danielle, in un moto d’entusiasmo. - Ma temo che dovrei scrivere direttamente alla Marina ed aspettare che ti consegnino la posta dovunque ti manderanno. Magari sarai a Timbuktu.-

- Riceverei volentieri una tua lettera, nonostante le lungaggini burocratiche. Se vuoi scrivermi, posso fare in modo di creare un canale di comunicazione con te.-

- Non compromette la tua attività di spia internazionale?-

- Così mi fai sembrare una specie di mostro!-

- Anche volendo, sarebbe difficile trasformartici!-

Il capotreno fischiò una seconda volta.

Non avevano più molto tempo, ormai.

William si fece coraggio, le prese le mani e le baciò.

Si era quasi aspettato che le ritirasse, come aveva cercato di fare all’inizio del loro percorso verso la Scozia. Invece, con suo grande stupore, non solo la donna gli permise di baciarle, ma addirittura strinse le dita attorno alle sue, guardandolo con i suoi occhi grandi color pervinca e spedendo un brivido dritto dritto dalle parti del suo stomaco.

Rimasero a guardarsi per quelli che sembrarono secondi interminabili, fino a che il capotreno non fischiò una terza ed ultima volta.

Il treno, ormai, stava per partire.

- Vieni a trovarmi!- gli disse Danielle, mentre il treno prendeva a muoversi.

Con un balzo agile il capitano saltò sul predellino.

- Non mancherò, promesso!- le disse, sporgendosi e salutandola con la mano, mentre il treno riprendeva la sua corsa.

- Ah, Danielle!- gridò William, mentre la locomotiva acquistava velocità. - Guarda nella cappelliera!-

- Come, scusa?- fece quella, stringendo gli occhi. - Non ti sento!-

- Guarda nella cappelliera! Cappelliera!- le disse, gesticolando.

Osservò la donna osservare curiosa dentro il bagaglio, sollevando piano il coperchio.

William sogghignò e decise di entrare finalmente dentro il vagone, adesso che aveva fatto quello che doveva fare. 

Trovò immediatamente posto in uno scompartimento vuoto ed umido e si accomodò. Fuori aveva smesso di piovere, ma il vetro era rimasto appannato.

Rimosse la condensa con la mano e rimase a guardare la figura esile di Danielle Peters mentre lanciava un’ultima occhiata verso il treno. Restò un secondo ferma lì, nella foschia, stringendo qualcosa tra le dita. 

William la contemplò mentre si incamminava, sola, verso l’uscita della stazione. 

La vide scomparire nella nebbia, assorbita dall’umidità, come in qualche film in bianco e nero che aveva visto al cinematografo in uno dei suoi tanti viaggi.

Oh, e che film!

Albert Morris infatti lo aveva portato a vedere Estasi agli inizi del Trentatré, in compagnia di alcuni colleghi americani. Erano sbarcati negli Stati Uniti, all’epoca, per una visita di rappresentanza. I suoi compagni erano tutti agitati per la scena in cui Hedy Lamarr compariva nuda sullo schermo. William non era rimasto innocuo al fascino della bella attrice, ma aveva preferito seguire la storia. Era piuttosto triste, in verità. Il film finiva con la protagonista che partiva da sola verso il proprio destino, lasciando il compagno assopito alla stazione, con solo un biglietto a ricordargli di lei.

William sorrise al paesaggio cupo fuori dal finestrino.

Danielle somigliava un poco ad Hedy Lamarr. 

Non sapeva se avesse visto Estasi o meno. Per quanto ne sapeva, in Inghilterra il film non era stato distribuito. 

Quel viaggio gli aveva insegnato che le coincidenze, quando esistevano, sapevano essere davvero incredibili.

Era stato anche per questo motivo che aveva fatto quello che aveva fatto. Sapeva di aver tecnicamente violato la legge, ma era certo di potersi fidare di Danielle. Le aveva lasciato un ultimo regalo, infilato di soppiatto dentro la cappelliera, sperando che potesse servirle a…

Aspetta, com’era che aveva detto?

Ah, sì, togliere la ruggine da quel ferro vecchio che era la sua vita.

E poi, lui aveva con sé uno di quei taccuini mediorientali che le piacevano tanto, uno di riserva, che si era casualmente portato dietro. Non aveva trovato un motivo valido per non farne buon uso, così aveva impegnato soltanto la prima pagina con poche parole, giusto una piccola spiegazione nel suo contenuto, salvo poi dedicare il resto ad argomenti più pregnanti.

Ci teneva davvero a rivederla. Chissà che questo non finisse col fornirgli l'occasione.

 

Carissima Danielle,

Sperando di farti cosa gradita, ti lascio questo taccuino annotato con il contenuto dell'agenda di Carl Northwood. Mi perdonerai se non te l’ho dato personalmente, ma come tu ben sai si tratta di una copia illegale di materiale probatorio inerente all'omicidio che ci ha occupati in questi giorni, che almeno in teoria non dovrebbe uscire dalle segrete stanze della polizia di Cairndow. Spero che possa aiutarti a trovare tutte le risposte che cerchi. Il contenuto di questo taccuino è la riproduzione integrale di quanto era appuntato nell'agenda del Fornaio, in cui indica nomi, date, orari e luoghi degli incontri. 

Spero che questo ti aiuti a rendere giustizia all’uomo che amavi e a scrivere il finale della tua storia. 

 

Si accoccolò per bene sul sedile e si guardò attorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno.

Danielle era una donna piena di sorprese, estremamente difficile da prendere in castagna o da cogliere impreparata. Per questo era fiero del fatto che la sua sorpresa fosse riuscita, ma si era illuso che la giovane donna, per una volta, gli avrebbe consentito di avere l’ultima parola.

E invece l’aveva lasciato ancora una volta perplesso. 

Rigirò sospettoso il biglietto accartocciato che lei gli aveva passato, segretamente stretto tra le dita mentre William si prendeva la briga di baciarle la mano.

Forse, non era stato l'unico a voler tentare il colpo di teatro, e all'improvviso una parte di lui ebbe paura di leggere il contenuto di quella nota. Sentì forte dentro di sé il desiderio di rivederla e rifuggiva l’ipotesi che Danielle con quel biglietto avesse voluto in verità dirgli addio, proprio come la protagonista di Estasi mentre si accinge ad abbandonare il suo amato alla stazione. 

Ma no, Danielle era pragmatica. Non era tipo da melodramma. 

Ed infatti, vergato in una calligrafia raffinata dietro quella che sembrava una ricevuta di pasticceria, Danielle Peters aveva scritto il proprio indirizzo. 

 

Queen Victoria street n°24.

Nel caso in cui tu te lo fossi già dimenticato.

 

A quanto pareva, Danielle era ghiotta di bignè alla panna.

William appoggiò la testa sul sedile, pensando a quanto fossero strani i casi della vita, e immaginò che, tutto sommato, avrebbe anche potuto fare una puntatina a Londra, da lì a qualche giorno.

 

 

La Tana della Talpa

 

Grazie.

Grazie a tutti voi per il supporto che mi avete dato durante la lunga pubblicazione di questa storia.

Grazie a chi ha letto, a chi ha seguito, a chi ha preferito e a chi ha recensito.

Grazie anche a chi leggerà, seguirà, preferirà e recensirà questa storia dopo che questo ultimo capitolo sarà pubblicato.

Non mi intendo di numeri. Anzi, si può dire che con i numeri faccia molto più schifo che con le parole. Per me - e soprattutto di fronte ad una storia originale con personaggi del tutto inventati e non appartenenti a nessun fandom - questo è in ogni caso un grandissimo traguardo.

Sono felice che questa storia vi sia piaciuta, e se non vi è piaciuta, pazienza. Si impara. Si cresce. Si critica. Essere costruttivi è sempre positivo.

Con quest’ultimo capitolo si chiude un cerchio. Uno, sì, perché c’è ancora un’altra storia da raccontare. C’è un gangster a piede libero. Un capitano avvinghiato nella morsa della Storia, con la S maiuscola. C’è una protagonista che deve ancora trovare un proprio posto nel mondo.

Spero di rincontrarvi di nuovo, dunque. Prossimamente, su questi canali. 

C’è ancora un’avventura da raccontare.

 

Grazie ancora, e a presto.

 

MollyTheMole.

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