Some Christmas' Tales

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Christmas Dinner ***
Capitolo 2: *** Last Christmas ***
Capitolo 3: *** Christmas Tree ***
Capitolo 4: *** Can I have this dance? ***
Capitolo 5: *** Happy Birthday ***
Capitolo 6: *** Letters to Santa ***
Capitolo 7: *** Advent Calendar ***
Capitolo 8: *** Secret Santa ***
Capitolo 9: *** Ice Skating ***
Capitolo 10: *** Holiday sleepover ***
Capitolo 11: *** Christmas Marathon ***
Capitolo 12: *** Christmas photoshoot ***
Capitolo 13: *** Christmas Eve of an extended family ***



Capitolo 1
*** Christmas Dinner ***


Some Christmass Tales
 
 


I. Christmas Dinner 

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24 Dicembre 2008, Londra, 6:30 pm

 
Audrey Simmons, AudreyHenry Simmons Henry
e Erik Murray Erik
 
 
La morbida sciarpa rossa di cashmere che si era avvolta con cura attorno al collo prima di uscire le solleticava dolcemente il mento, e i suoi stivali neri affondavano nella soffice coltre di neve creando delle impronte sul marciapiede.
Audrey Simmons abbassò lo sguardo con un sorriso colmo di tenerezza mentre guardava il bambino che teneva per mano saltellare sulla neve per creare più impronte possibili lungo la strada, un berretto blu con pompon in testa e sciarpa abbinata che gli copriva metà del visino sorridente.
“Ti piace la neve, mi amor?”
Sì, non è male, ma preferisco guardarla da una finestra, al caldo, invece che stando per strada…”
 
“Non stavo parlando con te, Murray.”
L’espressione dolce della strega mutò rapidamente, facendosi improvvisamente torva mentre scoccava un’occhiata eloquente al ragazzo che stringeva l’altra manina guantata del bambino.
Erik, i corti capelli biondi pieni di piccoli fiocchi di neve, si sistemò la sciarpa nera con la mano coperta dal guanto di pelle scoccando all’amica un’occhiataccia, sibilando qualcosa che il piccolo Henry – impaziente di giungere a destinazione – non udì:
 
“Hai mangiato latticini a pranzo, Audrey?”
“No, perché?”
Chiedo, ti sento quasi più acida del solito… Henry, devi insegnare alla zia che se non si comporta bene Babbo Natale non le porterà neanche un regalo.”
“Ma Tia Odri è buona, quindi avrà sicuramente un regalo!”
Henry alzò lo sguardo sullo “zio”, così chiamava da che aveva imparato a parlare il migliore amico della donna che lo stava crescendo, mentre la suddetta strega sorrideva soddisfatta:
“Sentito? Sono buona, io.”
“Guarda che me la riprendo subito, la sciarpa che ti ho regalato.”
“Dovrai passare sul mio cadavere, fatti sotto.”
 
 
Nel frattempo, ad un paio di isolati di distanza
 
Maxine, MaxineHunter Hunter
e Penny
Penelope
 
 
Hunter infornò le lasagne e si pulì le mani sullo strofinaccio che la sua “assistente” – così aveva battezzato la fidanzata per la serata – gli passò con un sorriso carico di soddisfazione: anche quella era fatta. Forse sarebbe davvero riuscito a superare il cenone illeso mentalmente.
“Bene, il dolce è pronto, l’arrosto e le patate li mettiamo in forno mangiando le lasagne… gli antipasti?”
“Pronti chef.”
Penelope, in piedi accanto al ragazzo con i lunghi capelli biondi legati sulla nuca e un grembiule bianco allacciato in vita sopra alla minigonna in tartan, sorrise allegra e accennò ai piatti pieni di tartine e alle ciotoline di salse che aveva allineato sul tavolo.
“Bene. Non ci resta che preparare le verdure e la purea… MAX! Cosa stai facendo?! Ti ho bandita dalla cucina!”
Hunter si era voltato su se stesso per prendere la bacchetta e riordinare – con gli ospiti in arrivo, di certo non aveva tempo di pulire manualmente – quando aveva colto in flagrante la sorella maggiore: Maxine, avvicinatasi quatta quatta al tavolo con una ghirlanda rossa attorno al collo a mo’ di boa di struzzo, stava per portarsi alle labbra un cucchiaino di salsa al tonno e cipolla rossa. Il mago sbuffò e indicò perentorio la “linea” che aveva tracciato sul pavimento usando una ghirlanda argentea tre ore prima, ordinando alla sorella di non oltrepassarla mentre cucinava.
 
“Ma ho fame! E c’è tutto questo buon profumino…”   Maxine, inghiottita in fretta la salsa, si affrettò a sorridere speranzosa al fratello e a sfoggiare il tono più lacrimoso di cui era capace. Lanciò anche un’occhiata implorante a Penny, che sorrise debolmente mentre si rivolgeva al fidanzato trattenendo una risatina:
“Dai Hunter, dalle almeno un crostino…”
“Penny, tu non sai di cosa è capace questa strega. Appena entra in una cucina in qualche parte del mondo c’è un cataclisma.”
“Non è vero, ho solo fatto esplodere delle cose un paio di volte, ma sono certa che capiti a tutti!”
“E a chi?!”

 
“Oh, non è affatto giusto, tu e Erik mi… mi bistrattate, ecco cosa. Me ne vado in camera mia, finchè non arrivano.”
Maxine alzò la testa e si allontanò a grandi passi e col naso per aria, sdegnosa, mentre Penelope cercava di non ridere e di fa ragionare il fidanzato:
 
“Posso portarle uno spuntino, almeno?”
“Penny, te lo dico sempre, sei troppo buona. Tranquilla, farà la vittima per venti minuti, quando impiatterò la cena correrà qui per sfamarsi.”
 
*
 
 
“Pensi che la gente smetterà mai di prenderci per un’allegra famigliola quando usciamo con Henry?”
“No, penso proprio di no. Di certo quando tu mi insulti in mezzo alla strada e informi le persone sconvolte di passaggio che sono un marito adultero non aiuta…”
“Cosa vuol dire adultero?”
“Te lo dirò quando avrai sei anni, mijo.”
 
Henry aggrottò la fronte, si guardò la manina sollevando tre dita mentre saliva le scale tenendo l’altra stretta in quella della zia. Sollevate le altre due per cercare di capire quanto tempo ci sarebbe voluto il bambino, non potendo contare sull’altra, dopo essersi scervellato per qualche istante si rivolse disperato allo zio, chiedendogli quanto tempo mancasse ai suoi sei anni.
“Quasi tre anni, campione.”
“Io voglio saperlo oggi!”
“Te lo dirà la zia Max, allora. Forza, vai a bussare.”
 
Giunti sul pianerottolo giusto Audrey indicò la porta coperta da ghirlanda e festoni natalizi al nipotino, che sorrise allegro e trotterellò verso la porta prima di bussare.
Fu Penelope ad aprire, sorridendo allegra al bimbo prima di invitarli ad entrare.
 
“Avete nascosto i regali, vero?”       Audrey si sfilò la sciarpa rossa e mormorò quelle parole in un sussurro quasi minaccioso mentre Henry, sorridendo, schizzava verso l’albero chiedendo quando sarebbe arrivato Babbo Natale. Penelope, chiusa la porta alle spalle di Erik, annuì e sorrise, accennando alla porta della stanza della “cognata” quando si rivolse ad Erik:
“Ma certo. Max è in isolamento in camera sua, comunque… Vuoi pensarci tu?”
“Che cos’ha?”
“Si è offesa perché Hunter l’ha severamente bandita dalla cucina… Sai com’è.”
Audrey ridacchiò, sfilandosi il cappotto nero mostrando un tubino rosso carminio prima di raggiungere Hunter in cucina. Solo all’ora Erik notò che i suoi stivali erano diventati delle vertiginose decolletè nere a spillo, ma preferì non farsi domande – era ormai fatto noto che la sua amica in fatto di scarpe avesse poteri straordinari persino i canoni magici – e fece cenno al bambino di avvicinarglisi con tono serio:
“Ci penso io. Henry, vieni qui, ho una missione da darti.”
“Che cosa?”   Henry, ancora bardato con sciarpa, guanti, berretto e giubbotto, corse da lui con gli occhi scuri luccicanti, emozionato.
 
“La zia Max è triste, devi andare a consolarla, intesi?”
Erik gli sfilò berretto, sciarpa e guanti, e lo aiutò a togliersi il giubbotto prima di arruffargli i riccioli castani. Il bimbo, che indossava un maglione dello stesso colore del vestito della zia con un orsetto ricamato sopra, il colletto bianco di una minuscola camicia che spuntata sotto di esso, annuì con la stessa serietà che avrebbe avuto un Auror in procinto di accettare un incarico.
“Sì. Tià Maaaaaaaax!”
 
“Bene, tornerà allegra come sempre in cinque minuti. Ehy, ma dov’è il musone?!”
“Erik, non chiamarlo così.”
 
Audrey, appoggiata al divano con cucchiaino e ciotola di salsa in mano, lo rimbeccò senza alzare lo sguardo su di lui mentre Penny apparecchiava magicamente il tavolo allungato affinchè ci stessero tutti.
“Sì, va bene, come ti pare… Cosa mangi? Fammi assaggiare.”
Raggiunta la strega, Erik cercò di sottrarle il cucchiaio con scarsi risultati, scatenando un’espressione scandalizzata sul bel volto della ragazza, che si ritrasse con una prontezza di riflessi dovuta ad anni di addestramento:
“E molla la mia salsa, avvoltoio!”
“Mollala tu, ingorda! Guarda che se ti ingozzi poi non ti entreranno più, i tubini.”
 
Il bel volto di Erik venne trasfigurato da un sorrisetto malandrino, gli occhi azzurri luccicanti mentre un’espressione offesa si faceva largo sul viso di Audrey, che lo colpì sulla spalla:
 
“COSA HAI OSATO DIRMI? Brutto cafone!”
“Egoista in tacchi a spillo!”
 
Penelope stava mettendo i segnaposti quando alzò gli occhi al cielo, ringraziando mentalmente che Hunter fosse in bagno mentre i due si contendevano la ciotolata con ardore.
Per fortuna aveva messo quei due seduti ai capi opposti del tavolo, come saggiamente suggerito da Max poco prima.
 
“Ma che succede… Ehy! Non dovete mangiarvela adesso, quella!”
Hunter, uscito dal bagno, incrociò le braccia al petto e rivolse uno sguardo truce ai due, che si bloccarono di scatto proprio quando Erik era appena riuscito ad appropriarsi dell’ambita salsa.
Audrey, dopo un istante si esitazione, si ridestò e scosse la testa muovendo le morbide onde lunghe fino alle spalle, lanciando all’amico la sua occhiata più sprezzante:
Ma insomma Erik, ti pare il modo? Vai ospite a casa altrui e ti metti a mangiare di soppiatto prima di cena? Insomma, un po’ di creanza! Uomini…”
 
Penelope si premette una mano sulla bocca, cercando di trattenere le risate mentre Erik guardava, umiliato e offeso, l’amica fare il giro del divano con nonchalance e sedervisi sopra accavallando elegantemente le gambe.
“Ma… ma… Tu, brutta…”
Il mago assottigliò pericolosamente lo sguardo, giurandole vendetta mentre Hunter, sbuffando, gli prendeva la ciotola dalle mani:
“Questa ma le riprendo, se non ti dispiace. Mi sembra di gestire un asilo, e dire che c’è n’è solo uno, di bambino. A proposito, dov’è Henry?”
“In missione, che domande.”
 
 
“Tia? Dove sei?”
Henry aprì la porta timidamente, facendo cigolare i cardini prima di scorgere la strega distesa sul piumone blu del suo letto.
“Feliz Navidad, Tia!”
Il volto dalla pelle olivastra del bambino si illuminò mentre correva verso il letto, salendoci sopra con un enorme sorriso rivolto alla strega:
“Grazie tesoro, anche a te. Sei pronto per i regali?”
“Sì, Tia Odri dice che sono stato bravo quest’anno, quindi avrò di certo qualcosa.”
“E’ ovvio, che domande, sei il bambino più bravo del mondo.”
 
Maxine sorrise, dandogli un pizzicotto sulla guancia prima di abbracciarlo. Henry si lasciò piacevolmente coccolare per qualche istante ma poi, rimembrando qualcosa, si affrettò a parlare di nuovo con la dolce vocina squillante che conquistava chiunque incontrasse:
“Tia, che cos’è adultero?!”
“Chi l’ha detto?”
“Tia Odri a Tio Erik.”
“Come sarebbe a dire?! Vieni piccolo.”
 
Maxine scattò in piedi e allungò, seria in volto, una mano per prendere quella del bambino, che innocente e incurante si lasciò trasportare fuori dalla stanza con un sorriso allegro sulle labbra.
Henry adorava gli amici di sua zia. Erano tutti un po’ strani, ma molto divertenti.
 
 
“MURRAY!”
“Ciao Max, finalmente sei uscita.” Erik si era alzato dal divano con un sorriso, pronto a salutare la fidanzata con un bacio che, però, non arrivò: Maxine, seria in volto, lo raggiunse con sguardo fiammeggiante e poi lo colpì alla spalla sinistra, facendolo gemere di dolore: ancora gli doleva la destra, dopo il manrovescio donatogli generosamente da Audrey poco prima.
 
“AHI! Smettetela di picchiarmi, dannate streghe!”
“Mi spieghi perché Audrey ti da dell’adultero?! Non che siamo sposati, ma comunque… parla, Murray!”
“Ma io che c’entro… lo sapevo che dovevo starmene a casa, stasera.”
 
 
HazeHaze
 
 
Haze salì le scale due gradini alla volta e lanciando occhiate preoccupate all’orologio: Audrey non era mai in ritardo e teneva molto alla puntualità. Non poteva far altro che pregare che la fidanzata non attentasse alla sua vita sotto al vischio, invece di baciarlo.
 
Fu Penny ad aprirgli la porta e ad accoglierlo con un sorriso, ma la pace durò ben poco: aveva appena messo piede nell’appartamento con la cassa di bottiglie in mano quando scorse Maxine ed Erik a litigare vicino all’albero mentre Audrey, seduta beatamente sul divano con Henry vicino ad abbracciarla, sorseggiava del vino con nonchalance ed eleganza innata, facendo dondolare debolmente una gamba.
 
“Emh… che succede, esattamente?”
Penelope sospirò mentre prendeva il suo cappotto, mormorando che preferiva starne fuori mentre Hunter imprecava contro chiunque avesse saccheggiato gli antipasti.
“AUDREY, puoi dire a Max che scherzavi, quando mi davi dell’adultero?”
“Oh, come vorrei, ma proprio non ricordo…”
“Tia, c’è Heiz!”
 
Henry saltò giù dal divano e corse da lui sollevando le braccia nella sua direzione, facendolo sorridere mentre lo prendeva in braccio:
“Ciao campione… che cosa fanno questi matti?”
“No sè, Tia dice che sono scemi, ma che gli vuole bene comunque.
 
Henry sorrise, e il mago ricambiò mentre Audrey, alzatasi in piedi e sistematasi la gonna rossa, si dirigeva verso di loro con un largo sorriso sulle labbra:
“Alla buon’ora… ti perdono solo perché è Natale e perché non mi arrabbio mai di fronte ad Henry. Ora ho finalmente le mie persone preferite sotto lo stesso tetto.”
 
La strega si sporse, dandogli un leggero bacio sulla guancia per non sporcarlo di rossetto mentre Haze la guardava aggrottando la fronte:
“Non vedi tua madre?”
“Domani andiamo da abuela a pranzo, vero piccolo? Insieme ad Erik, ovviamente, lo invita sempre perché preferisce lui a me, anche se non lo ammeterà mai.”
 
Audrey roteò gli occhi e accennò all’amico che, dopo averla convinta, stava finalmente abbracciando Maxine, accarezzandole la schiena con le dita mentre la strega lo stringeva per il petto.
 
“Scusa se ti ho picchiato…”
“Tranquilla, non importa.”
Erik alzò gli occhi al cielo e, intercettato lo sguardo della storica migliore amica, le rivolse uno sguardo truce che giurava vendetta. Audrey, dal canto suo, gli mandò un bacio aereo con la mano e poi si diresse con passo disinvolto verso la cucina.
 
 
“Bene, iniziamo per favore, mi sta per andare in pappa il cervello…”
Hunter sospirò, accendendo le candele disseminate per tutto il tavolo imbandito mentre Penny, sorridendogli teneramente, lo abbracciava e gli dava un dolce bacio sulla guancia:
“Sei stato bravissimo. Mio eroe dei cenoni.”
“Sarà sempre così ogni anno? Dimmi di no…”
“Ho idea che sarà sempre peggio, tesoro, e domani vengono Rafe, Larisse e Lud.”
 
“Porca Morgana.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Per questa OS devo ringraziare una certa persona che mi ha provvidenzialmente ricordato quanto questi OC fossero meravigliosi. Grazie Chemy <3
Spero che intanto abbiate gradito questa, ma presto ne arriveranno delle altre XD
 
Signorina Granger

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Capitolo 2
*** Last Christmas ***


 
II. Last Christmas


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“La cena è pronta, ti stiamo aspettando per tagliare il tacchino. Vuoi scendere?”

Loki annuì e si alzò con un sospiro, anche se prima di seguirla fuori dalla stanza decretò di dover prendere una cosa. Ebe lo guardò cercare qualcosa con la fronte aggrottata e la strega sgranò gli occhi scuri quando lo vide mettersi degli straccali rossi che lei conosceva molto bene.

“Immagino non sia necessario sottolineare che il primo che farà una foto o un commento farà una brutta fine, vero?”

Ebe non rispose, ma in compenso lo abbracciò appoggiando la testa sul suo petto, lasciandolo di stucco. Per qualche istante il mago non si mosse, poi alzò gli occhi chiari al cielo e le diede qualche colpetto sulla schiena, sibilando che tutto quell’affetto lo commuoveva ma che non era affatto necessario.

“Taci per una volta, elegantone. Forse un giorno ti vorrò anche bene. Ma non oggi.”
“Che sciagura… Ahia!”

 
Un anno dopo
 
 
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Una canzone così terribile da far venire voglia di nascondere la testa sotto la sabbia a qualsiasi struzzo riempiva il salotto del cottage completamente immerso nell’atmosfera del Natale.
Qualsiasi cosa trasudava Natale, in quella villetta di mattoni dove viveva da ormai quasi un paio d’anni: le luci all’esterno, le renne finte di legno che una stramba nanetta aveva montato con gioia disarmante, l’enorme albero decorato nel salotto, le ghirlande ed i festoni, il profumo di tacchino e di biscotti alla cannella che stuzzicava l’appetito di tutti provenienti dalla cucina.
Persino i suoi abitanti sembravano più felici e allegri del solito, ciascuno con qualcosa di rosso o con renne e fiocchi di neve addosso.
 
O meglio, quasi tutti.
Louis Murray, Loki, il Peccato della Lussuria con il simbolo dell’ariete tatuato sul corpo, stava cercando di restare immune a tutta quella roba isolandosi sulla sua poltrona, vestito di scuro come sempre e con un libro pieno di versi francesi in mano.
Le gambe accavallate, un paio di occhiali dalla montatura circolare sul naso, il mago stava cercando di contrastare l’aura natalizia con tutto se stesso, così come quella terribile canzone.
 
Non lo stupiva che la persona a cui si rivolgeva l’autore avesse gettato il suo cuore, lui a sentirsi dedicare una simile lagna avrebbe fatto molto di peggio.
 
“Laaaaaaaaaaast Christmas, I gave you my heart!”
 
Un sospiro appena percettibile lasciò le sue labbra sottili quando udì una voce. Non una qualsiasi, quella di una delle sue coinquiline, compagne e “colleghe”.
Colei che più di ogni altra cosa gli rendeva impossibile estromettersi completamente dal melenso e zuccheroso clima natalizio.
 
Sollevò appena la testa, Louis, e lanciò un’occhiata di sbieco da sopra gli occhiali alla fonte di quella voce. Se la canzone era terribile di per sé, l’aggiunta della voce di Ebe la rendeva degna di un girone infernale.
 
“Mi domando sempre perché tu lo faccia.”
But the very next day, you gave it away! Thiiiiiiiiiiiiis year… fare cosa, elegantone?”
 
Sorrise, Ebe, le morbide labbra carnose dipinte di un rosso abbinato al maglione che indossava. Un sorriso che sapeva riempire ogni stanza in cui la strega si trovava e arrivare ad ogni cuore. Forse persino al suo.
La strega, che stava sistemando il puntale dorato in cima all’albero in punta di piedi – Loki era pronto a vederla inciampare e crollare sul tappeto portandosi dietro albero e decorazioni da un momento all’altro – , saltò giù dallo sgabello con evidente soddisfazione mentre lui, tornando a guardare il libro, rispondeva cercando di ignorare le note che uscivano dal giradischi.
 
“L’impegno che metti nel rendere tutto così… natalizio. Lo fai perché ti piace il Natale o per farmi dispetto?”
“Oh, Loki, darti arie pensando che tutto ruoti attorno a te e al tuo sedere è molto… Beh, da te. No, amo il Natale e basta, e che c’è di male? Capita solo una volta all’anno!”
“Deo gratias…”
Il volto pallido del mago venne attraversato da una debole smorfia: la sola idea di subire quella roba più di una volta all’anno faceva sembrare Azkaban un villaggio vacanze.
 
“… to save me from tears, I'll give it to someone special! Avanti, datti una mossa Scrooge.”
 
La strega, i lunghi capelli scuri raccolti in una coda alta e una camicia bianca che faceva capolino da sotto il maglione scarlatto con delle renne bianche e fiocchi di neve ricamati – anche se, Loki doveva concederglielo, era comunque migliore rispetto a quello con la renna pelosa dell’anno precedente – sorrise di nuovo mentre porgeva una mano verso di lui.
Lui che la guardò, sinceramente perplesso – era una novità non comprendere la gente, ma quella strega era più imprevedibile del tempo atmosferico – e senza capire cosa volesse mentre sorrideva e muoveva i piedi a ritmo di musica.
 
“Cioè?”
“Pf, non sai che non si dice mai di no ad una signorina che ha voglia di ballare? Che razza di seduttore sei, tu?”
“Uno che non balla questa roba. Anzi, nessuno balla questa roba, solo tu.”
 
Ma la piccoletta non demorse. Non demordeva mai. Sorrise e lo prese per mano, costringendolo ad alzarsi e ad abbandonare Charles Baudelaire. Fece per togliersi gli occhiali, Loki, ma prima di rendersene conto era in piedi in mezzo al salotto con una mano sulla schiena di Ebe e l’altra che stringeva quella color caffelatte di lei, che era alta alcune spanne in meno e che gli arrivava al petto.
Sbuffò, ormai impossibilitato ad andarsene – tanto valeva accontentarla, così l’avrebbe lasciato in pace per un po’, come una bambina a cui badare – mentre Ebe ridacchiava e li faceva girare su loro stessi.
 
“Ovviamente non hai messo gli straccali dell’anno scorso, vedo.. tranquillo, ti ho comprato un maglione abbinato al mio!”
“Sai che non lo metterò mai, vero?”
 
Louis inarcò un sopracciglio mentre le faceva fare un giravolta, guardandola sorridergli e chiedendosi, in cuor suo, perché non lo chiedesse a Flagro, di ballare con lei.
 
“Magari non quest’anno, ma un anno fa avresti detto che ti avrei convinto a ballare con me? L’anno prossimo tutto sarà possibile, il mio Scroogie sta crescendo e sono fiera di lui.”
 
Loki alzò gli occhi al cielo, ma decise di non contraddirla mentre, sorridendo, lo faceva girare a sua volta.
 
“Siamo tornati, abbiamo preso quella maledetta melassa per la torta… Che succede?!”
Flagro, in piedi sulla soglia, strabuzzò gli occhi mentre Alanis, accanto a lui, quasi perdeva la mascella: Ebe e Loki, lui vestito di tutto punto e lei con calzini di lana a tema natalizio abbinati al maglione, ballavano scompostamente e tra le risate di lei, che lo abbracciava stringendolo per il petto mentre il mago la faceva girare sollevandola leggermente da terra.
 
“PORCA PRISCILLA…. MAC, CHIAMA UN’ESERCISTA!”
Alanis attraversò di corsa la stanza e raggiunse trafelata la cucina, con Flagro che cercava di non ridere: appoggiò tutto in un angolo e poi, dopo aver salutato i due sfilandosi il cappotto, seguì la strega sollevandosi le maniche del maglione sugli avambracci.
 
 
Loki si fermò, rimettendola sul pavimento prima di scuotere la testa, un accenno di espressione divertita sul volto pallido e dagli zigomi leggermente sporgenti:
 
“Sei impossibile, piccoletta.”
“E’ vero, ma l’anno scorso hai quasi calpestato il mio cuoricino… per fortuna quest’anno sei un po’ un altro Loki. Sempre noioso e vanesio, ma un po’ meno Grinch. Ti voglio bene, elegantone.”
 
Abbracciandolo e sollevando la testa verso di lui, ormai ferma sul tappeto mentre la canzone cambiava, Ebe sorrise. Di nuovo, il suo sorriso riempi la stanza più della musica che usciva dal giradischi, e forse arrivò persino al suo cuore.
 
 

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Capitolo 3
*** Christmas Tree ***


III. Christmas Tree 
 



 
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JudeJude e IsabelleIsabelle
 
 
“Jude… Jude, io ti ammazzo.”
 
Isabelle, in piedi davanti all’albero che aveva personalmente addobbato due settimane prima in compagnia delle bambine. Sospirò piano. Si passò una mano tra i capelli e poi, alla fine, si voltò. Jolly, il loro Border Collie, sonnecchiava sul divano mentre Beatrix e Audrey giocavano sul tappeto, facendo prendere il thè ai loro peluche.
Quel deficiente di suo marito, o meglio dire Jude, giunse proprio in quel momento in salotto sfoggiando il suo sorriso più strafottente, gli occhi divertiti e un bicchiere di liquore in mano mentre teneva una mano in tasca:
“Che cosa ha turbato la tua quiete, amore?”
“E me lo domandi?! Mi prendi per idiota!”


“Parolaccia!”
Beatrix sollevò la testa di scatto e indicò la madre con fare accusatorio, facendo sbuffare la strega mentre si avvicinava al marito a passo di marcia, parlando in un sussurro per non farsi sentire dalle bambine:
 
“L’albero, Jude. Il mio… mio bellissimo, prezioso albero! Ci ho messo un giorno intero a decorarlo, brutto coglione!”
“Ma non ha nulla che non vada, Belle!”
 
Jude, senza smettere di sorridere, sbattè le palpebre come la creatura più innocente del mondo mentre la moglie contava mentalmente fino a tre.
Non poteva Schiantarlo o eviscerarlo davanti alle bambine, le avrebbe traumatizzate per il resto delle loro vite.
 
“Le… le decorazioni! Le hai sostituite con… CON QUELLA ROBA!”
“Non usare quel tono sdegnoso, non è certo immondizia!”


“Jude, te lo chiederò una sola volta, UNA. Dove sono le mie decorazioni?! Rispondi, o giuro che dormi sul divano.”
“Non puoi farlo, quella è anche camera mia!”
“Vogliamo scommettere?”
 
Lo sguardo si Isabelle si fece improvvisamente più minaccioso che mai, e Jude – dopo anni e anni trascorsi a lavorare con il padre e ad avere a che fare con le persone meno raccomandabili del continente – si sentì vagamente intimorito. Ma solo per un piccolo istante, certo, poi l’ex Serpeverde alzò fieramente la testa e replicò mentre le bambine seguivano lo scambio di battute con interesse, chiedendosi perché la madre fosse così arrabbiata col padre.
 
“Vuoi metterti ad intavolare scommesse con me, Belle? Fa pure.”
“Fa sparire questi… obbrobri, Jude. O IO farò sparire TE ed ogni tua traccia da questa casa, parola mia.”


Fu con queste parole che Isabelle lo superò, le braccia strette al petto e un’espressione decisa sul volto.
Jude, dal canto suo, sospirò prima di rivolgere un sorrisetto alle figlie, strizzando loro l’occhio:
 
“Papà si diverte a far arrabbiare la mamma, lo sapete, no?”
“Sì Papino, ma se continui così Babbo Natale non ti porterà regali, lo ha detto la mamma prima.”
“Pazienza, sopravvivrò. Chi mi aiuta a rimettere le decorazioni noiosissime e convenzionali della mamma?”
 
Beatrix si alzò e corse con un sorriso a prendere lo scatolone che il padre aveva nascosto mentre Audrey si avvicinava all’albero, iniziando a togliere dai rami più bassi le carte da poker e le fiches che il padre aveva appeso nel pomeriggio, mentre la madre faceva compere.
 
“Papino, se vuoi bene alla mamma perché la fai arrabbiare?”
“Quando sarai sposata lo capirai, se sarai fortunata come noi, tesorino.”


 

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Capitolo 4
*** Can I have this dance? ***



Merry Christmas gente, per quanto anomalo questo Natale possa essere. <3 





IV. Can I have this dance?  


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24 Dicembre 1909, Londra

 


Neit Neite Caroline Cavendish Caroline

 
 
Sua madre aveva organizzato un suntuoso cenone per la Vigilia di Natale, e tutta la casa era stata addobbata con il contributo e l’impegno di tutti – in primis degli Elfi Domestici, che avevano anche cucinato abbastanza portate per un reggimento –, con ghirlande ovunque e un enorme albero riccamente decorato che faceva capolino accanto al caminetto.
Proprio vicino al camino, su una poltrona di pelle, sedeva Neit, un libro in mano.
La cena era finita da circa un’ora e tutti, ormai, stavano aspettando la mezzanotte ormai vicina per gli auguri e il tradizionale scambio dei doni.
Dopo aver stracciato a poker ogni uomo presente, sua nonna Gwendoline aveva asserito che fosse l’ora di mettere un po’ di musica, e degli strumenti apparsi dal nulla avevano iniziato a suonare riempiendo il grande salotto.
 
Se avesse alzato lo sguardo dal suo libro, Neit avrebbe potuto scorgere Estelle nascondersi il viso tra le mani quando Clio ed Egan, ballando giocosamente, quasi rovesciarono l’intero albero di Natale tra una risata e l’altra.
E mentre Ezra sfoggiava sorrisi di circostanza e passava da un ospite all’altro chiacchierando amabilmente con tutte le personalità di spicco presenti, una giovane e graziosa strega dai capelli color grano e un vestito rosso scuro addosso abbinato a dei lunghi guanti vagava stringendo il braccio della madre e rifiutando con sorrisi educati i numerosi inviti a ballare che stava ricevendo.
 
“Hai finito?”
“Di fare cosa?”


Neit alzò lo sguardo e intercettò così quello del fratello minore, che sbuffò e incrociò le braccia al petto mentre lo guardava con aria di rimprovero:
“Di fare l’imbecille! Vai e invita Caroline a ballare.”
“Ma se sta rifiutando tutti… Non vedo perché dovrebbe voler ballare con me.”
 
“E’ timida e si sente a disagio al centro dell’attenzione, non accetterà mai di ballare con mezzi estranei… spetta a te andare a salvarla. Devo dirtelo io? Sei tu quello che la conosce meglio, mi risulta.”


Egan lo guardò come se provenisse da un altro pianeta e alla fine Neit, borbottando che fossero solo sciocchezze, chiuse il libro e si alzò in piedi, sistemandosi la livrea prima di dirigersi verso la cugina con scarso entusiasmo: l’idea di ricevere un rifiuto davanti ad un pubblico non lo entusiasmava, ma sapeva che Egan non gli avrebbe dato pace.
 
“Chiedo scusa… Caroline, vuoi ballare?”


Il tono e l’espressione del ragazzo erano tutto fuorchè allegri, al contrario del viso della bella cugina che, invece, quasi si illuminò: contro ogni sua aspettativa – dovette ammettere di dover dar ragione ad Egan, per una volta – Caroline annuì, sorridendogli radiosa:
“Certo. Con permesso, signori. Mamma…”
“Vai pure tesoro.”
Penelope le sorrise con affetto e poi sorrise anche a Neit, che ricambiò debolmente mentre prendeva con delicatezza la mano guantata della ragazza.
 
“Ti ringrazio.”
Caroline sorrise, parlando con un mormorio mentre poggiava la mano destra sulla spalla del cugino, la sinistra stretta nella sua.

“Temo che tu non debba ringraziare me. Forse i miei fratello hanno ragione, per certe questioni non vedo al di là del mio naso. Lieto di averti soccorsa, comunque.”


“Potrò contare su di te ogni qualvolta in cui dovessi sentirmi soffocare, allora?”
“Certo. Non amo particolarmente ballare, ma per la mia cugina prediletta posso fare un’eccezione.”
Le labbra di Neit si incurvarono in un debole sorriso appena percettibile, ma a Caroline tanto bastò per sorridere di rimando e sentirsi molto più leggera mentre appoggiava la testa contro la guancia del cugino.
Intercettò gli sguardi di Egan e Clio e sorrise loro, ottenendo due smorfie molto soddisfatte di rimando.
 
Sì, forse non doveva ringraziare Neit, ma almeno era riuscita, indirettamente, a strappare un ballo al suo testardo e inscalfibile amato cugino.
   


 

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Capitolo 5
*** Happy Birthday ***


V. Happy Birthday 


 
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Charlotte Charlottee AuroraAurora

 
 
 
Quando, da lontano, scorse una figura in piedi davanti alla lapide che lei stessa voleva visitare, Aurora Temple non se ne stupì. Anzi, probabilmente l’avrebbe sorpresa il contrario.
 
Stringendo il mazzo di fiori, l’ex Corvonero si avvicinò finchè non poté scorgere chiaramente la strega che aveva davanti, guardando Charlotte chinarsi per sistemare l’enorme quantità di fiori, tra cui numerosissime Stelle di Natale rosse fiammanti che spiccavano in mezzo alla coltre di neve che aveva coperto il cimitero, che facevano sembrare la prossimità della tomba un piccolo giardino.
“Ciao Charlie.”
Un debole, piccolo sorriso increspò le labbra della maggiore, e Charlotte parve irrigidirsi per un breve istante prima di rimettersi lentamente in piedi e voltarsi verso di lei.
I penetranti e intensi occhi verdi dell’Auror quasi la trafissero, per un piccolo istante, ma poi l’espressione seria di Charlotte venne rasserenata da un sorriso:
 
“Ciao straniera, chi non muore si rivede. Torni nella desolata Inghilterra per le feste?”
“Come quasi ogni anno, del resto. Ti trovo bene, Charlie.”
“Me la cavo, sì. Nessuno mi chiama più Charlie da tre anni, sai?”
 
Aurora annuì e sfoderò un piccolo sorriso prima di sistemare i fiori accanto agli altri, sfiorando con affetto la fotografia di Sean e il suo nome inciso sulla pietra, sopra alle date che segnavano l’inizio e la fine di una vita troppo breve.
 
“L’ho sentito, ma non so se mi abituerò mai a chiamarti in un altro modo. Lui ti chiamava sempre così, mi sono abituata.”
“Nessuno mi chiama più così proprio perché era lui il primo a farlo. Ma per te posso fare un’eccezione.”
 
Charlotte sorrise debolmente mentre Aurora la prendeva sottobraccio, appoggiando la testa sulla sua spalla mentre entrambe osservavano la lapide di quello che era stato, per loro, un fratello, un amico e un fidanzato.
“Mi sei mancata. E mi manca anche lui.”
“Anche a me manca, come a chiunque l’abbia conosciuto. Soprattutto oggi. Il Natale non sarà più lo stesso, per me.”
 
“Oggi avrebbe compiuto 30 anni.”
Il sussurro di Aurora proferì un’ovvietà, dal momento che Charlotte sapeva benissimo quanti anni avrebbe compiuto suo fratello, deceduto tre anni prima. Eppure Charlotte annuì, sapendo che nessun altro al mondo poteva capirla meglio di Aurora, se si parlava di Sean. Forse era l’unica che sentiva la sua mancanza quasi quanto la sentiva lei.
 
“Sei felice in America?”
“Sì, certo. Ogni tanto penso a voi, ma sono felice. Tu lo sei, adesso?”
 
Aurora guardò l’amica d’infanzia, nonché ex compagna di giochi e di Casa, e si sentì pervadere da un’ondata di sollievo nel vederla annuire piano, gli occhi verdi sempre fissi sul nome del fratello.
“Immagino di sì. Credo che avrebbe voluto questo, per noi. Diceva che siamo state le persone più importanti della sua vita, quindi so che lo vorrebbe.”
“Certo che lo vorrebbe, aveva un cuore enorme. E’ una delle persone migliori che potrò incontrare in tutta la mia vita.”
 
Per qualche istante nessuna delle due donna parlò, finchè Aurora non spezzò il silenzio tornando a rivolgerlesi con un debole sorriso:
 
 
“Vai da tua madre?”
“Merlino, no, mi infiltro da Adela ed Hector per le feste, sei matta?”
Charlotte sfoderò un’espressione quasi schifata che fece ridacchiare Aurora, riconoscendo per pochi istanti la studentessa di Hogwarts turbolenta e senza peli sulla lingua che faceva dannare il fratello maggiore.
“Allora forse è meglio andare. Sono felice di averti vista, comunque.”
“Anche io.”
Charlotte ricambiò il sorriso, guardando con affetto quella che, pochi anni prima, era certa sarebbe diventata sua cognata. Ma così non era stato, insegnandole che non sempre le cose andavano per il verso giusto per tutti.
 
Solo, si domandava perché andassero per il verso sbagliato anche a persone così meravigliose come suo fratello.
 
Mentre Aurora si allontanava di pochi passi, Charlotte esitò continuando a fissare la fotografia del fratello, sorridente e splendido in tutto e per tutto come sempre, come lo era stato per tutta la sua breve vita.
Buon compleanno Sean.”
Dopodichè, dando le spalle alla lapide, si voltò e seguì Aurora verso l’uscita, camminando sulla morbida coperta di neve che si era poggiata sul cimitero proprio quella notte.
Lei e suo fratello avevano sempre amato la neve. Magari poteva considerarlo come un piccolo regalo per lui, dopotutto.

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Capitolo 6
*** Letters to Santa ***


VI. Letters to Santa 


 
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Michael Dome NataliaNatalia

 
 
 
“Mamy, sei sicura che Babbo Natale riceverà le nostre lettere, vero?”
“Certo, gliene spedirò personalmente, come ogni anno.”
 
Natalia, in piedi accanto al tavolo della cucina, sorrise alla figlia maggiore mentre lei e il fratellino, circondati da fogli e matite, stavano preparando le lettere per Babbo Natale.
Dorothy parve rincuorata e sorrise, allegra, prima di tornare a riflettere sui regali da chiedere mentre Dominik, guardando la madre con i grandi occhi azzurri pieni di curiosità, le domandava dove abitasse il grasso signore vestito di rosso più amato del globo:
 
“Beh, in Lapponia, ovviamente.”
“Ma dove, di preciso?”
“Tesoro, nessuno lo sa, altrimenti casa sua sarebbe piena di curiosi, no?”
“E come fanno ad arrivargli, le lettere?!”
“Babbo Natale è pieno di Elfi e di trucchetti, tesoro, non ti preoccupare, gli arriverà la tua lettera. Che cosa vuoi chiedergli?”


Natalia si avvicinò al bimbo, sfiorandogli i capelli biondi con una mano, per sbirciare ciò che stava scrivendo mentre Dorothy, allegra, asseriva di volere un castello giocattolo per le sue bambole, un panda di peluche e dei pattini per il ghiaccio.
“Io voglio dei trenini, una scopa giocattolo… e un fratellino.”
 
“Un fratellino? Dotty non ti basta?”
Natalia cercò di non ridere mentre accennava alla primogenita, che guardò offesa il fratellino mentre Dom, stringendosi nelle spalle, decretava di volere un fratello maschio.
 
“Beh, vedremo che cosa si può fare per il fratellino, forse Babbo Natale avrà qualche problema a procurarlo.”
Le labbra della strega si piegarono in un sorriso divertito mentre guardava il figlio adottivo scrivere malamente la sua lettera.
In realtà Natalia sapeva di essere incinta già da due settimane, ma lei e Michael ancora non lo avevano detto ai due figli.
 
 
“Ho finito le decorazioni esterne! Voi che fate?”
 
Michael, un largo sorriso dipinto sul volto e i lisci capelli color biondo fragola raccolti sulla nuca, scelse proprio quel momento per entrare in cucina sfilandosi il cappotto e intercettando lo sguardo della moglie, che gli sorrise mentre lui l’abbracciava da dietro:
 
“Lettere per Babbo Natale. Sai, Dom Jr vuole un fratellino.”
Fortunatamente Michael restò serio di fronte alle parole e al sorriso eloquente della moglie, e aggrottò ad arte le sopracciglia mentre guardava i figli adottivi disegnare renne e fiocchi di neve sulle loro lettere.
“Ah davvero? Non so se Babbo Natale potrà portarlo, dovremo telefonargli per chiederglielo.”
 
“Ohhhh! Anche io voglio parlargli!”
Dorothy sorrise, meravigliata e con gli occhi luccicanti, ma il padre scosse la testa e le rivolse un sorriso dolce:

“Impossibile, solo i grandi possono, altrimenti non porta i regali.”
“Ma voi come lo avete, il numero?”
Conosciamo un tipo che conosce un tipo che conosce un Elfo, ma non possiamo dire altro, è top secret.”


 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Salvo ispirazioni lampo dell’ultimo minuto tra oggi e domani penso che questa sia l’ultima OS… In ogni caso grazie infinite a chi ha letto e recensito, spero che abbiate gradito :D
Buon Natale ancora!
Signorina Granger

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Capitolo 7
*** Advent Calendar ***


VII. Advent Calendar


 


Asriel-Calendar


 
Londra, Ministero della Magia, Dipartimento degli Auror
23 Novembre
 
 
Il Dipartimento era in piena rivolta, tanto che James Jonah Hampton trasse un profondo sospiro di sollievo quando riuscì a raggiungere la sua scrivania facendosi largo tra la folla inferocita di colleghi, tutti in preda alle proteste.
Il giovane Auror si lasciò scivolare sulla sua sedia, raddrizzando stizzito il mini alberello di Natale che qualcuno aveva urtato e rovesciato sul ripiano della scrivania. Fortunatamente, le palline con la neve che sfilavano in una fila ordinata vicino al portapenne di latta rosso con disegnati bastoncini di zucchero erano intatte.
Harry Potter, dopo aver sganciato la bomba che aveva fatto insorgere l’ufficio, se l’era defilata in tutta fretta lasciando gli Auror a protestare tra loro: gli uffici erano diventati un unico vortice di proteste e battibecchi a proposito della decisione presa dal Capo del Dipartimento quando una figura dai brillanti capelli ramati decise di averne abbastanza. Clodagh Garvey, ormai satura di quel frastuono assordante, montò sulla sedia più vicina per poi arrampicarsi direttamente sulla scrivania, svettando sui colleghi e scrutandoli accigliata prima di emettere un fischio estremamente acuto.
“Garvey, scendi dalla mia scrivania!”
Clodagh ignorò l’esortazione indignata del proprietario della scrivania, limitandosi a rivolgergli un rapido cenno liquidatorio con la mano pallida prima di incrociare le braccia fasciate dal blazer verde smeraldo che indossava, gli sguardi di tutti puntati su di sé.
“Non ora, John. Ascoltatemi, litigare e lamentarsi non porterà a niente!”
“La cancellazione della festa di Natale del Dipartimento non rende felice nemmeno me, ma avete sentito il Capo. Pare che non ci siano i fondi quest’anno.”
“Stronzate! Li hanno spesi per il distributore di merendine Tiri Vispi Weasley che c’è all’ingresso!”
In cuor suo Clodagh non potè non dar ragione a Derek, e annuì mentre un brusio di consensi si faceva largo attorno al collega che aveva parlato.
“Anche se fosse, ormai non possiamo farci nulla. Se vogliamo la festa dobbiamo trovare i fondi da noi.”
“Stai dicendo che dovremmo sborsare il nostro stipendio?!”
Un coro di proteste si levò tra la folla, ma Clodagh, impassibile e calmissima, si limitò a sollevare una mano per riprendere la parola:
“Quella è un’opzione. La seconda, che ci costerebbe meno, è trovare i soldi per altre vie. Ma ho bisogno della collaborazione di qualcuno. Chi si offre per salvare il Natale di noi poveri Auror sfruttati 364 giorni all’anno?”
 
Fu come sentire la chiamata del Signore. James puntò gli occhi chiari dritti sulla collega e senza riflettere un attimo si alzò, levando il braccio: se c’era il Natale di mezzo, era disposto a fare qualsiasi cosa.
 

 
Il giorno dopo, Diagon Alley
 
 
“Clo, non so se è una buona idea… Asriel ci ammazzerà, e poi chissà cosa farà dei nostri cadaveri!”
Il sospiro di James si tramutò in una nuvoletta di vapore mentre l’Auror, una mano guantata infilata nella tasca del cappotto e l’altra stretta attorno al bicchiere di carta pieno di cioccolata calda bollente, camminava accanto a Clodagh a passo svelto.
“Rilassati, Asriel ha avuto l’influenza ed è in malattia fino alla fine della settimana, in più non verrà al lavoro né alla Vigilia ne è Natale, si è preso due giorni per andare dalla sua famiglia in Crucconia… se facciamo le cose per bene non lo saprà mai, non verrà nemmeno alla festa, e noi la scamperemo!”
James non era del tutto convinto dell’idea che Clodagh aveva avuto – per di più, aveva anche il sentore che non fosse pienamente legale –, ma si lasciò comunque pilotare dalla collega verso la loro meta. Attraversarono il marciapiede coperto da una soffice e candida coltre di neve, oltrepassando le vetrine addobbate per Natale con fiocchi, ghirlande, neve di cristallo e incantesimi pirotecnici stringendo i loro bicchieri di carta.
Il coro natalizio aveva cambiato canto, e si stava dedicando ad una versione dal tono particolarmente alto di “Joy to the World” quando una finestra al secondo piano dell’edificio che costituiva la loro destinazione venne brutalmente spalancata, e una strega dall’incarnato pallido quasi quanto la neve e lucenti capelli neri si sporse dal “Black Eye” per sbraitare contro il coro:
“L’AVETE FINITA CON QUESTO INQUINAMENTO ACUSTICO?! Qui c’è gente che lavora! Sciò!”
Quelli smisero immediatamente di cantare, sollevando gli sguardi verso la strega sopra di loro per guardarla storto e indirizzarle borbottii stizziti e pieni di sdegno. James li guardò allontanarsi in fila indiana per andare a cantare dall’altra parte della strada mentre Delilah li guardava di traverso, voltandosi verso qualcuno alle sue spalle che James non poté scorgere per dirgli di procurarle “un secchio d’acqua” prima di chiudere la finestra con un gesto brusco.
“Beh, mi sembra di ottimo umore.”
Se Clodagh percepì l’ironia cupa dell’amico non lo diede affatto a vedere, perché gli sorrise piena del suo solito entusiasmo prima di prenderlo a braccetto:
“Tranquillo, accetterà. Stanne certo.”

 
*
 

“Bene bene bene… quindi volete che io realizzi un calendario particolare.”
Delilah ruotò su se stessa e sulla sedia girevole di pelle nera dove si era accomodata con l’intento di posizionarsi frontalmente rispetto ai suoi nuovi clienti, ma finì col darsi una spinta troppo forte e compiere così un mezzo giro di troppo. Imprecando in un soffio appena percettibile, la strega si aggrappò al bordo della scrivania per riuscire a rimettersi dritta, dandosi tutto il contegno di cui era capace schiarendosi la voce prima di tornare ad appoggiare i gomiti sui braccioli imbottiti e a giungere le mani davanti al petto.
Clodagh, seduta di fronte alla scrivania della fotografa, annuì accennando un sorriso mentre James si guardava attorno pieno di curiosità, soffermandosi stranito sulla lunga fila di piante da vaso bizzarre poste davanti alle finestre a bovindo che si affacciavano direttamente sulla strada piena di maghi e streghe di tutte le età impegnati a fare compere.
“Sì, con le foto di un nostro collega.”
“Mh, sì, capisco. Ma manca un mese a Natale e sono pienissima di lavoro, devo anche andare a fotografare i ragazzini di Hogwarts tra due settimane… temo che sarà difficile.”
Delilah parlò carezzandosi il mento con movimenti studiati e fintamente distratti, utilizzando il tono più vago di cui era capace mentre faceva dondolare lentamente la gamba destra accavallata sulla sinistra e avvolta dai pantaloni aderenti e neri che indossava.
“Il collega in questione è Asriel Morgenstern.”
Oh tu guarda le casualità ho proprio qualche buco da riempire. Avete qualche foto o devo realizzarle io?”
Rilassando le labbra in un sorriso, Delilah si sporse leggermente sulla sedia verso i due Auror con un guizzo di energia mentre Clodagh si affrettava a tirare fuori dalla sua borsa a cartella di cuoio le foto che aveva racimolato:
“Ne abbiamo qualcuna, ma purtroppo per arrivare a 24 ne mancano dieci… eccole qui.”
Delilah raccolse le foto dalla sua scrivanie e le scorse, chiedendo con tono vago se potesse farne delle copie per lavorare con quelle e restituirle le originali.
“Quindi mancano 10 foto, più il calendario.”
“A dire il vero ce ne servirebbe più di uno… diciamo una ventina, per il momento.”
James scoccò un’occhiata timorosa alla collega, pregando che le sue previsioni si rivelassero veritiere: l’ufficio era stato concorde sul rifiutarsi di pagare la festa di tasca propria, ma ognuno aveva versato una piccola quota per pagare i calendari che Clodagh era certa di riuscire a vendere come pagnotte appena sfornate e di farci la somma sufficiente per organizzare e pagare la festa di Natale.
“Nessun problema… devo solo capire quando posso vedere Asriel per fargli le foto.”
“A dire la verità, emh… la cosa dovrebbe restare… riservata. È una sorpresa.”
Il sorriso di Clodagh, leggermente più forzato del solito, provocò un piccolo moto di delusione sul volto pallido di Delilah, che aggrottò le sopracciglia:
“Dovrei fotografarlo… di nascosto?”
“Sono sicura che sarà in grado di fare un ottimo lavoro in ogni caso. Ho solo una domanda, lui che ruolo ha in tutto questo?”
Delilah, James e Clodagh si voltarono sincronicamente verso Prospero, che si era sistemato su una sedia davanti all’angolo della scrivania più vicino a Delilah e sorrideva sornione stringendosi elegantemente il ginocchio sinistro, le gambe kilometriche accavallate.
“Ah, lui è il mio consulente. Ro, già che ci sei, mi prepari altro caffè mentre discuto dei dettagli coi signori? Volete del caffè?”
Clodagh, eternamente consacrata al tè verde, declinò con garbo l’offerta mentre James, pieno di cioccolata calda in corpo, faceva altrettanto.
Ro – assicurando all’amica che era disposto a prepararle il caffè solo ed esclusivamente perché si trattava di lei e perché gli inglesi non sapevano prepararselo –, si alzò senza fare il minimo rumore, abbottonandosi con gesti rapidi e precisi la giacca di un viola così scuro da risultare quasi nero prima di dirigersi verso i fornelli.
“In realtà è qui per il Black Friday, ci facciamo i regali di Natale in anticipo. Dicevamo, sulle foto di nascosto?”
“Sì, ecco, conosco molto bene Asriel, so in quali posti va più di frequente, posso farle una lista, appuntamenti settimanali inclusi… immagino che così sarà più facile.”
“Sì, sarebbe utile.”
 
“Laila, ma hai già consumato la Bialetti che ti ho regalato l’anno scorso?!”
La voce di Ro, che parlò con un sospiro mentre esaminava la bella moka rossa, uno dei regali più recenti che aveva fatto all’amica, leggermente ammaccata e usurata.
Che vuoi farci, sarà mal fatta!”
“Una Bialetti?!”
Delilah liquidò il discorso con un gesto della mano, tornando a discutere delle foto con Clodagh mentre i cantori intonavano “Jingle Bells” al di là della strada.
Cinque minuti dopo Prospero fece allegramente ritorno stringendo un lucido vassoio nero con due tazze e piattini dello stesso colore e un piattino pieno di frollini che profumavano di cannella.
“Servitevi pure, li fa mia nonna e ne ho portati due kg a Laila.”
I biscotti sparirono rapidamente, così come il caffè. Venti minuti dopo Delilah ruotò leggermente sulla sedia per rivolgersi all’amico sfoggiando un candido sorriso:
“Penso che sarà un lavoro davvero stimolante… che ne dici, vieni con me a caccia di fotografie?”
“E perdermi un simile spettacolino? Mai.”
Allo schiocco di dita di Prospero la moka versò altro caffè nelle tazze di entrambi, che le fecero tintinnare brindando alla salute del calendario Natalizio di Asriel Morgenstern.
 

 
*

 
Harrods, due giorni dopo

 
“Perché bisogna scegliere, perché? Non è possibile, non ci riesco!”
Il lamento di Delilah, che stava studiando il proprio riflesso nello specchio appoggiandosi sul braccio due borse nere, alternandole per cercare di capire quale le piacesse di più, giunse solo distrattamente alle orecchie di Prospero, seduto su un pouf imbottito ad un metro e mezzo di distanza.
Il mago, impegnato a togliersi del pelucchi dal costosissimo cappotto a doppio petto grigio antracite, parlò con tono vago mentre l’amica si lamentava delle difficoltà tremende che stava attraversando.
“Allora prendile entrambe, che problema c’è?”
“Davvero?”
“Naturalmente. Mi scusi, signorina? Le prendiamo entrambe, grazie.”
Alzatosi e prese le borse dalle mani dell’amica senza degnare di uno sguardo il prezzo, Prospero le consegnò con un irresistibile sorriso da divo alla prima commessa che passò loro accanto. La ragazza bionda sbattè le palpebre un paio di volte, guardò i cartellini, guardò le borse, poi guardò di nuovo Prospero e Delilah e rivolse loro un sorriso più che entusiasta, invitandoli caldamente a seguirla in cassa mentre le sue colleghe guardavano stizzite la coppia di clienti.
Quando i due ex Serpeverde uscirono dal negozio, Prospero con un braccio stretto attorno a quello dell’amica e Delilah con le buste luccicanti in mano e tubando felice, le commesse si esibirono in una serie di lamentele su quanto quella ragazza fosse immensamente fortunata.
 
“Clodagh dice che Asriel andrà a comprare qualche superalcolico molto costoso per i suoi zii, stiamo all’occhio. Oooh, è una vita che vorrei quel profumo!”
Gli occhi nocciola luccicanti come quelli di una bambina in un negozio di giocattoli, Delilah indicò la vetrina della profumeria più vicina che Prospero la pilotasse verso l’ingresso. Cinque minuti dopo uscirono con una borsetta in più e con un sorriso sempre più largo sulle labbra di Delilah.
 
“Ma non staremmo facendo troppo shopping?”
“Fogliolina, se Asriel ci vedesse avere buste in mano sarebbe la copertura migliore, non credi?”
“Hai proprio ragione, a volte bisogna sacrificarsi e fare shopping per una giusta causa! Ohhh, lo stand delle crepes!”
 
La macchina fotografica sottomano, Delilah sbuffò mentre cercava di ripulirsi il mento da una cascata di crema alla nocciola lanciando occhiate torve a Prospero, che stava sbocconcellando la sua crepes calda con la grazia di un Lord, senza sporcarsi minimamente.
“Che patto col diavolo hai stretto?! Tutti si sporcano mangiando crepes farcite, è la legge!”
“Non tutti, a quanto pare. C’è altro che ti piacerebbe, Fogliolina?”
Dopo aver rimuginato brevemente sulle parole dell’amico, continuando a camminare sul pavimento tirato a lucido dell’enorme centro commerciale gremito di gente in vena di fare acquisti, Delilah asserì che probabilmente aveva già approfittato abbastanza dell’immensa generosità del suo migliore amico. Stava per osservare distrattamente che dopotutto però avrebbero anche potuto andare a cena in qualche ristorante stellato al termine della loro sessione di shopping/lavoro sotto copertura, quando si sentì strattonare leggermente il braccio da Prospero:
“Eccolo! Cavolo, era un bel po’ che non lo vedevo, perché sembra diventare più attraente ogni volta?!”
“Già, e io invece sono sempre più pallida, che schifo di vita.”
Delilah scoccò un’occhiata piuttosto torva al proprio riflesso sulla vetrina del negozio a loro più vicino, sollevando una mano per lisciarsi stizzita la frangetta – l’aveva lavata solo quella mattina, com’era possibile che versasse già in quello stato pietoso? – mentre Ro, seguendo la direzione del suo sguardo, sospirava affranto prima di sfiorarsi i capelli neri e guardarsi con aria critica:
“E io ho proprio dei brutti capelli, oggi… sarà tutta questa tremenda umidità, poi ti domandi perché detesto il clima di qui.”
Udendo quelle parole la fotografa si irrigidì, voltandosi verso l’amico per trapassarlo da parte a parte con un’occhiata fulminante. Stava per inveirgli contro e indicare i suoi capelli assolutamente perfetti e lucenti per sottolineare il suo aspetto impeccabile e l’assoluta falsità delle sue parole, ma la consapevolezza di avere un figo assurdo da fotografare la convinse a lasciar perdere.
“Ne discutiamo dopo, adesso andiamo. Fa come se le vetrine ti interessassero.”
“Ma è così. Che bei mocassini!”
Le pupille di Ro si dilatarono alla vista di un paio di meravigliose scarpe di cuoio artigianali, ma vide l’opera d’arte sfilargli davanti agli occhi quando Delilah lo afferrò per costringerlo ad affrettare il passo e seguire Asriel, che invece si aggirava ignaro avvolto in un pesante cappotto grigio scuro, una sciarpa blu notte allacciata al collo e delle borsette in mano.
“Non abbiamo tempo per le scarpe Ro!”
“Adesso dici così, non quando ti ho regalato gli stivaletti nuovi!”
“Ma che significa, non c’entra nulla!”
 

 
*

 
27 novembre
 
 
Dopo tre giorni di estenuante lavoro e pedinamenti, Delilah poteva affermare che il suo lavoro era concluso: aveva raccolto tutte le foto necessarie per realizzare un Calendario dell’Avvento come si doveva.
Prospero, convinto dall’amica a trattenersi a Londra fino a che il lavoro non fosse stato portato a termine – in realtà Delilah non aveva dovuto insistere più di tanto e l’amico era parso piuttosto entusiasta di partecipare al progetto, approfittandone al contempo per passare del tempo extra con lei e Cecil – sorrise nel guardare l’amica raccogliere cucchiaiate e cucchiaiate di tiramisù, parlando tra un boccone carico di crema e caffeina e l’altro:
“Devo dire… che sono molto soddisfatta. Sono… venute tutte bene. Domani le consegno a Clodagh Garvey.”
“Era ovvio che avresti fatto un buon lavoro. Ed è stato molto divertente.”
“Sì, ho avuto lavori ben più complicati, dopotutto. Buono questo tiramisù…”
Ripulito il suo bicchiere da ogni traccia di dessert, gli occhi nocciola di Delilah scivolarono desiderosi sul carrello dei dolci che sfilava in mezzo ai tavoli della sala del ristorante dove lei e Ro stavano finendo di cenare.
Intuiti i pensieri e i desideri dell’amica, Prospero non si scompose e si voltò appena in tempo per fermare con un sorriso il cameriere giunto a portare via il piatto del dessert che Delilah aveva ripulito a velocità supersonica:
“Ce ne porterebbe un altro, per favore?”
“Sai che adoro averti qui, ma sono tre giorni che mangio sempre fuori… di questo passo non mi entrerà più un bel niente.”
Sospirando, Delilah si accasciò contro lo schienale della sedia certa che dopo le feste avrebbe dovuto rinnovarsi totalmente il guardaroba. Stringendosi debolmente nelle spalle, Ro fece per sollevare una mano per chiamare il cameriere e cancellare l’ordinazione, ma l’amica si affrettò a rimettersi seduta dritta e ad affermare che non ce n’era affatto bisogno.
Ormai farò questo sforzo e mangerò altro tiramisù.”
“Un vero sacrificio…”
“Puoi dirlo, ma detesto ritirare un’ordinazione. Allora, cosa potrei comprarmi con i soldi che mi devono gli Auror?”
Di fronte allo sguardo pericolosamente raggiante di Laila Prospero prese il calice semivuoto che aveva davanti e se lo portò alle labbra esalando un sospiro, gustandosi l’ultimo sorso di vino nella certezza che mai la sua cara amica sarebbe stata in grado di mettere da parte qualche risparmio.

 
*

 
“Perché devo farlo io?!”
“Perché tu sei il più adorabile, e lo sai benissimo! Andiamo, hai venduto 20 calendari in un giorno e ho già dovuto chiedere a Delilah Yaxley di farne altri 50… stanno andando a ruba, proprio come avevo previsto.”
Gongolando piena di soddisfazione per la riuscita del suo piano geniale, Clodagh sorrise mentre James, carico di calendari patinati e avvolto da una sciarpa e berretto rossi con fantasia di fiocchi di neve, sospirava poco convinto:
“Lo so, ma non mi sento molto a mio agio…”
“Ma hai un talento naturale! Avanti, sono sicura che ne venderai 10 solo questa mattina. Mi raccomando, mostragli un’anteprima di una foto di Asriel, così saranno molto più incentivati a comprarlo... E digli che il ricavato è per una giusta causa. In fondo è anche vero, la nostra festa s'ha da fare assolutamente!”
“Va bene, d’accordo… farò incubi finchè questa storia non sarà finita, tremo ogni volta in cui sento la voce di Asriel al lavoro!”
Da quando aveva iniziato a vendere calendari, il lavoro era diventato un incubo, constatò JJ con un sospiro tetro e chinando mestamente lo sguardo, guardandosi la punta delle scarpe: sobbalzava ogni volta in cui il collega gli rivolgeva la parola, temendo che avesse scoperto tutto e che volesse ridurlo in poltiglia.
“Rilassati, in caso mi prenderò la colpa al 100%, non preoccuparti di nulla JJ. Ci vediamo dopo, collega!”
 
Dopo avergli dato un’ultima pacca incoraggiante sulla spalla con la mano guantata, Clodagh si allontanò sorridendo allegra nel suo cappotto blu, certa della perfetta riuscita del suo piano e già facendo il conto dei futuri guadagni. JJ la guardò camminare lungo il marciapiede umido a causa delle recenti piogge del quartiere residenziale dove lo aveva trascinato quella domenica mattina mentre una parte di lui non poteva fare a meno di sentirsi in colpa nel racimolare denaro in quel modo non proprio dignitoso. Eppure Clodagh non faceva che ripetergli che era per una giusta causa, ossia salvare la festa di Natale del Dipartimento… e il pensiero di dover rinunciare alla festa di Natale era davvero troppo deprimente per lui, da sempre fan numero 1 delle festività.
Fattosi un po’ di coraggio e stampandosi un adorabile sorriso in faccia, JJ si avviò verso la porta d’ingresso più vicina, già addobbata con una ghirlanda verde e rossa. Clodagh gli aveva detto di avere “la perfetta aria di boy scout” e di essere il soggetto ideale per la vendita porta a porta, e James sperava ardentemente non solo che fosse un complimento, ma anche e soprattutto che quel “talento” appena scoperto non gli avrebbe procurato una fossa profonda in cimitero.
 
 
*
 
 
23 Dicembre, Dipartimento degli Auror
 
 
Una minuscola – o forse non così tanto – parte di lei si sentì un po’ in colpa mentre scrutava i frutti della venduta di calendari sorseggiando vin brulè bollente. Tutti sembravano entusiasti della riuscita della festa e sembravano divertirsi, ma di tanto in tanto i pensieri di Clodagh vagavano fino al suo burbero collega ignaro in partenza per la Crucconia.
“Ciao Clo, eccoti! Bel vestito.”
James interruppe il flusso di pensieri della collega raggiungendola tenendo un bicchiere in mano e un largo sorriso sulle labbra, evidentemente sollevato che Asriel fosse partito senza scoprire le loro macchinazioni e di averla passata liscia. Clodagh ricambiò il sorriso, lisciandosi compiaciuta la gonna verde con dettagli in oro del suo vestito prima di accennare al completo rosso del collega:
“Grazie JJ, anche il tuo.”
“Prima della pausa pranzo ho incrociato Asriel, stava andando via… mi ha detto di salutarti e di guardare nel primo cassetto della sua scrivania.”
“Oh, mi avrà fatto un regalo?”
Clodagh non amava scambiare i doni prima di Natale e aveva deciso di dare il proprio ad Asriel una volta che il collega avesse fatto ritorno dalla Germania e lei dall’Irlanda, dopo il 26, ma la prospettiva di avere un regalo da scartare la rallegrò non poco, e subito l’ex Tassorosso si diresse verso l’ufficio che condivideva col collega per raggiungere la sua scrivania con James, curioso, al seguito.
La strega appoggiò con attenzione il bicchiere di vin brulè mezzo pieno sulla scrivania del collega, premurandosi di non sporcare nulla per non turbare la pignoleria di Asriel prima di aprire il primo cassetto come indicatale da James.
Invece di trovarsi di fronte ad un regalo, Clodagh trovò solo una busta ad aspettarla, ma si affrettò comunque ad aprirla per leggere carica di curiosità le poche righe che Asriel le aveva dedicato nella sua grafia chiara, precisa e priva di fronzoli:

 
Buon Natale Clo, goditi la festa, dopo tutta la pena che ti sei data per organizzarla è il minimo
A
Ps. Per il nuovo anno aspetto la mia percentuale dei guadagni
 

 
“Porca pupattola, come ha fatto a scoprirci?!”
L’esclamazione della collega fece perdere totalmente colorito a James, che spalancò inorridito gli occhi chiari e si aggrappò alla scrivania di Asriel biascicando qualcosa a proposito di un trasferimento imminente.

 
*

 
“Vediamo un po’ quale foto ci aspetta oggi, Bolo… Ohhh, questa la adoro! Sì, ho fatto proprio un bel lavoro!”
Aperta la casellina del 23 e ritrovatasi l’ennesima foto dell’ex compagno di scuola davanti, Delilah gongolò felice mentre si lasciava sprofondare nel suo divano nero, una coperta sulle gambe e una tazza di cioccolata con panna fumante appoggiata sul tavolino e pronta per essere gustata.
Inizialmente titubante riguardo all’assenza di cioccolata nelle caselle, che si limitavano a contenere una foto dell’affascinante Auror ciascuna, la fotografa si vide costretta a ricredersi mentre osservava il risultato del suo lavoro:
“In effetti sono quasi meglio della cioccolata, dopotutto…”
 

 
*

 
25 Dicembre, Berlino
 
 
“Buon Natale, Amadeus. “
Impassibile e carezzando teneramente la piccola testa di Zorba che se ne stava accoccolato placidamente tra le sue braccia, avvolto com’era dalla morbidezza del maglione indossato dal padrone, Asriel guardò il cugino osservare perplesso il regalo che gli aveva appena porto. Non era loro abitudine scambiarsi regali.
Restando più serio che poteva, Asriel guardò il cugino strappare la carta rossa con decori dorati fino a trovarsi davanti, accigliato, l’involucro rettangolare e scarlatto di un calendario dell’avvento.
“Che cosa me ne dovrei fare di un Calendario dell’Avvento il giorno di Natale, esattamente?”
Amadeus portò seccato – certo di essere appena stato vittima di una burla del cugino – lo sguardo su Asriel aggrottando le folte sopracciglia scure e guardando l’Auror piegare dolcemente le labbra in un sorrisetto beffardo, gli occhi azzurri luccicanti:
“Oh, questo non è come tutti gli altri, è speciale… Dopotutto non ci vediamo mai, solo un paio di volte all’anno, e ho pensato che questo ti avrebbe aiutato a pensarmi spesso.”
Asriel si defilò insieme a Zorba in mezzo ai parenti proprio mentre Amadeus iniziava ad aprire le varie caselle di cartone, udendo distintamente le sue lamentele ed imprecazioni mentre spariva, ridacchiando, verso il tavolo dei dolci.
In fin dei conti con quello stupido calendario Clodagh e James gli avevano fatto un favore. Glie l’avrebbe fatta pagare in ogni caso, era ovvio, ma per il momento poteva anche pensare di perdonarli.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Mi rendo conto di essere vagamente in anticipo, sì, ne sono consapevole, ma in mia difesa tengo a sottolineare che lo speciale inizia proprio a fine Novembre, attorno al Black Friday, e dunque mi ritengo giustificata a pubblicare questa piccola sciocchezzina quando Dicembre ancora deve iniziare.
Con questo speciale dichiaro anche finalmente finita la mia pausa forzata dalla scrittura *mossa di ballo randomica* e vi assicuro che nelle prossime quattro settimane mi vedrete spesso in circolazione, perché il Natale è il mio periodo dell’anno prediletto, il che significa che stimola molto la mia creatività e che ho molte idee in mente.
Mi raccomando mangiatevi tutta la cioccolata del vostro calendario ma non imitate James e Clodagh, sono cose che non si fanno, anche se il soggetto su cui speculare è un figone, o Manzo, per citare una ragazza saggia, Apocalittico.
Bacioni!
Signorina Granger

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Capitolo 8
*** Secret Santa ***


VIII. Secret Santa



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13 Dicembre, 9 pm, Hogwarts, Sala Comune di Corvonero
 
 
“Posso sapere, di grazia, perché siamo stati convocati qui con urgenza? Devo ripassare per il test di domani di Antiche Rune.”
Seduta su un divano foderato di velluto blu, stretta tra Tallulah e Priscilla con le gambe fasciate dalle calze nere accavallate e le braccia incrociate sotto al petto, Lilian parlò portando istintivamente lo sguardo su Hiro, che sedeva sul tappeto reggendosi con la schiena al divano accanto e i gomiti fissati sulle ginocchia.
Tuttavia, anche se il luogo del ritrovo designato era stato la sua Sala Comune Hiro apparve confuso tanto quanto lei, e guardò la Grifondoro stringendosi nelle spalle e inarcando entrambe le sopracciglia:
“Non guardare me, è stato Malai a dirmi che dopo cena avremmo dovuto parlare di qualcosa.”
“Oh, Dio, è un’idea di Riccioli D’Oro… possiamo solo sperare che non sia una conferenza sui fossili di dinosauro.”
Lilian sospirò mentre si accasciava contro il morbido schienale imbottito del vecchio divano. Tallulah, seduta accanto a lei, si limitò a controllare lo stato in cui versavano le sue unghie asserendo che forse aveva a che fare con un nuovo business mentre Priscilla, sistematasi accanto al bracciolo con le mani strette al di sotto delle proprie cosce, sorrideva divertita:
“Chissà che cosa potrebbe inventarsi ancora Malai. A te ha detto qualcosa?”
Shou, seduto sul bracciolo del divano accanto a quello occupato dalle ragazze, scosse la testa tenendo le braccia strette al petto e lo sguardo che di tanto in tanto scivolava fino all’ingresso della Sala Comune, in attesa che il suo migliore amico li raggiungesse:
“No Prisci, solo che dopo cena ci saremmo dovuti vedere qui, così ho seguito te e Miss X…”
“Speriamo che non voglia ricreare A Christmas Carol come l’anno scorso, non ho nessuna intenzione di fare Scrooge.”
Udendo quelle parole Shou volse lo sguardo sulla cugina – che aveva parlato ricordando con astio il Natale precedente – sfoggiando un sorrisino che a Lilian non piacque affatto, specie quando il Serpeverde osservò angelicamente che diventava più simile al caro vecchio Ebenezer ogni anno che passava.
Lilian gli lanciò contro il cuscino cui si era sistemata Tallulah, strappando una lamentala all’amica e una risata al cugino proprio mentre Malai faceva finalmente la sua tanto agognata apparizione nella Sala Comune dal soffitto a cupola trapunto di stelle:
“Oh, siete tutti qui, buonasera!”   Dopo aver risolto l’indovinello postogli dal batacchio di bronzo Malai fece il suo ingresso con un largo sorriso sulle labbra, i ricci castani dai riflessi ramati che gli incorniciavano il viso e una scatola di cartone stretta tra le mani.
“Sai, è quello che succede di solito quando si dà appuntamento a qualcuno.”
Il Tassorosso ignorò il commento sarcastico di Lilian, avvicinandosi agli amici prima di sedersi sul basso tavolino sistemato davanti ai divani che i cinque avevano parzialmente occupato:
“Ho pensato che questo fosse il posto più comodo per vedersi visto che è la Sala Comune di tre di noi. Allora, vi ho chiesto di venire perché ho pensato di organizzare qualcosa di diverso per questo Natale!”
“Ci risiamo, ora ci assegna i ruoli di A Christmas Carol!”
Lilian si rivolse a Tallulah con un sospiro e un “sussurro” perfettamente udibile da tutti i presenti, e la Corvonero stava per puntualizzare che non avrebbe in alcun modo interpretato nessuno spirito, tantomeno quello dell’amico crepato del protagonista, quando Malai la precedette con uno sbuffo spazientito:
“Non si tratta di questo. No, sono venuto a proporvi di fare il Babbo Natale Segreto.”
“Non ci avevamo provato anche l’anno scorso?”
“Sì, ma Malai sclerò perché nessuno di noi riuscì a tenere il segreto e sospese l’idea.”
“Già, ma spero che l’anno trascorso vi abbia aiutato ad imparare come ci si comporta, soprattutto considerando che si tratta di un gioco e di niente di complicato. Ho già preparato i bigliettini per l’estrazione, non dovete fare altro che pescarne uno ciascuno.”
Malai tolse il coperchio dalla scatola e la allungò verso gli amici con un sorriso smagliante, gli occhi castani fissi su Tallulah. La bionda esitò guardando prima lui, poi la scatola, poi Lilian – che annuì come a voler dire che non aveva scelta – e infine di nuovo la scatola prima di allungare una mano e prendere uno dei sei bigliettini:
“Va bene, d’accordo…”
La Corvonero, dopo aver scelto un bigliettino, si rimise seduta dritta sul divano prima di spiegazzarlo con cura, leggendo il nome che Malai aveva scarabocchiato facendo attenzione a restare seria e a non indugiare con lo sguardo su nessuno dei presenti.
“Va bene. Lily, tocca a te.”
Seppur poco convinta Lily imitò l’amica e si sporse verso Malai e la sua scatola, pescando un bigliettino. Sperava ardentemente di estrarre Shou o Priscilla, che sarebbero stati i più semplici a cui trovare un regalo in poco tempo
Letto il nome sul suo bigliettino, la strega non riuscì a trattenersi dall’arricciare leggermente le labbra per la delusione nel vedere vanificate le proprie speranze, sbuffando quando Malai la rimbeccò e le ordinò di “restare impassibile e in silenzio”.
“Non siamo ad in interrogatorio dell’FBI, non stressarmi tanto! Tocca a te Prisci.”
Lilian afferrò la scatola dalle mani di Malai e la avvicinò all’amica ignorando le lamentele del Tassorosso, che si vide spodestato dal suo ruolo di gestore del Babbo Natale Segreto. La Grifondoro non ci fece caso, guardando l’amica prendere un bigliettino sperando che quella “riunione” finisse presto: non poteva assolutamente rovinarsi la media con l’ultimo test del semestre.
Una volta letto il nome scritto sul suo bigliettino Priscilla sorrise istintivamente, destando così altre lamentele e rimproveri da parte di Malai:
“Prisciiii, non devi sorridere!”
“Ma qui siete tutti miei amici, quindi sono felice di fare il regalo a ciascuno di voi, che cosa dovrei aver rivelato sorridendo?”
La Corvonero guardò l’amico sbattendo le lunghe ciglia scure, perplessa, e Malai rifletté per un secondo prima di sbuffare e borbottare che effettivamente non aveva tutti i torti.
“Allora va bene, ma non dire niente. Tieni Shou.”
Ripreso possesso della sua preziosissima scatola, Malai la porse a Shou, ma il Serpeverde tenne ostinatamente le braccia strette al petto imitando senza volerlo la posa della cugina e si limitò a lanciare un’occhiata quasi sofferente al contenitore di cartone:
“Devo proprio?”
“Sei così pigro che non riesci nemmeno ad allungare una mano adesso?!”
“Devi capirlo, si sarà stancata quando ha fatto il suo Red Carpet uscendo dalla Sala Grande e salutando tutte le sue ammiratrici, povero Shou…”
Lilian ridacchiò e Tallulah la imitò sotto lo sguardo torvo di Shou, che decretò di sperare ardentemente di non ritrovarsi a dover fare il regalo a nessuna di loro prima di prendere un bigliettino. Letto il nome che conteneva, il Serpeverde si sforzò di non spostare lo sgaurdo su nessuno dei presenti e fece cenno a Malai di continuare.
“Bene, tieni Hiro.”
Hiro allungò subito una mano senza alcuna protesta o lamentela, prendendo il primo foglietto che gli capitò a tiro e leggendone il contenuto prima di sorridere all’amico:
“Direi che resti solo tu.”
“Già, vediamo chi mi spetta…”
A Malai non restò che prendere l’ultimo biglietto rimasto, pregando silenziosamente che si trattasse di uno dei ragazzi.
Le sue speranze non trovarono alcun riscontro nella parola che lui stesso aveva scarabocchiato poco prima e che si ritrovò davanti, ma fece del suo meglio per restare completamente impassibile prima di intascare il biglietto, chiudere la scatola e rivolgersi severamente agli amici:
“Va bene, grazie per non esservi comportati come bambini, quest’anno. E ricordate, NON dovete assolutamente dire a qualcun altro a chi dovete fare il regalo, o si potrò risalire a tutti i mittenti. Quindi non dovete chiedere consigli a nessuno.”
“Che rottura di frasche però…”
 

 
*
 
Due giorni dopo, Hogsmeade
 
 
“Mancano 10 giorni a Natale, sarà meglio cercare di comprare i regali oggi.”
Lilian si fermò davanti ad un negozio di libri insieme a Tallulah e a Priscilla, scrutando pensierosa la vetrina. Oltre al regalo del Babbo Natale Segreto doveva prendere anche un regalo per suo padre, e come ogni anno si ritrovava totalmente sprovvista di idee.
“Io pensavo di prendere un libro per mia madre, ma sto ancora pensando per…”
Priscilla si interruppe, arrossendo e mormorando di non poterlo dire. Tallulah sospirò, asserendo che quella storia del Babbo Natale Segreto le avrebbe di sicuro procurato la gastrite:
“Mio padre adora le piume, ma non gliene prenderò una perché sarebbe come un invito a scrivere altri romanzetti del cribbio… gli prenderò qualcosa da Zonko, e a mia madre un set regalo da Mielandia.”
“E’ una bella idea, ma mia madre è sempre a dieta…. Però potrei prendere dei dolci per mio padre, lui adora il cioccolato.”
Lieta di aver risolto l’enigma del regalo per suo padre, il volto di Priscilla si illuminò mentre la ragazza sorrideva stringendosi le cinghie dello zaino di cuoio marrone che portava sulle spalle:
“Io a papà prendo un libro, poi andiamo da Mielandia.”
Le tre entrarono in fila indiana in libreria, uscendone una ventina di minuti dopo cariche di borsette di carta marrone piene di libri.
“Ho speso quasi tutta la mia paghetta, mi restano solo i soldi per i regali.”
Priscilla chinò mesta lo sguardo sui suoi acquisti, sentendosi quasi un po’ in colpa per tutto quello che aveva speso mentre Tallulah, prendendo la via per Mielandia, sbuffava piano:
“Ma perché i libri sono così cari? Non è giusto dover pagare tanto per acculturarsi, non credete?”
“Miss X, proprio tu dici così? Se i libri costassero poco tuo padre non avrebbe mai guadagnato tanto, no?”
“Piuttosto che essere perseguitata dalla sua fama del cavolo preferirei che mio padre non avesse mai guadagnato un centesimo… Forza, andiamo ad acquistare dolci per tirarci un po’ su.”

 
*

 
“Allora, abbiamo preso tutti i regali per i nostri genitori, ci manca il Babbo Natale Segreto.”
Dopo aver fatto il conto di tutto ciò che avevano acquistato, le tre ragazze si erano fermate davanti alla vetrina coloratissima di Zonko. Lilian scostò la manica del proprio cappotto color panna per lanciare un’occhiata al suo orologio, ancora indecisa su che cosa comprare:
“Abbiamo appuntamento con Qui, Quo e Qua ai Tre Manici di Scopa tra mezz’ora, dobbiamo darci una mossa.”
“Ma vedendo che cosa compriamo sarà piuttosto facile risalire ai destinatari dei regali, no? Tecnicamente ognuna di noi non dovrebbe sapere a chi è rivolto il regalo. E poi chi lo sente Malai…”
Tallulah, zainetto di pelle rosa pallido sulle spalle – con appeso un portachiavi di Sailor Moon – e  le mani guantate di bianco che stringevano le borsette di Zonko e Mielandia, sospirò stancamente mentre Lilian, accanto a lei, alzava gli occhi al cielo:
“Hai ragione. Quindi dovremmo andare da sole, in teoria…. Va bene, ci troviamo direttamente ai Tre Manici di Scopa tra mezz’ora. Buona fortuna ragazze.”
“Ci vediamo dopo!”
Le tre si divisero e Priscilla si congedò dalle amiche con un sorriso, agitando la mano coperta dal guanto beige nella loro direzione. Tallulah si incamminò sul marciapiede coperto di neve puntando decisa alla libreria mentre Lily, sbuffando, cercava di tirare fuori qualcosa di sensato dal vuoto che aveva in testa.
Mancavano 10 giorni a Natale e ancora meno all’inizio delle vacanze. Se non avesse trovato nulla ad Hogsmeade avrebbe dovuto setacciare tutti i cataloghi possibili per ordinare qualcosa via posta, ma il vero problema era costituito dalla carenza di idee.
Chiedendosi perché fosse così difficile trovare un regalo per un ragazzo, Lilian si incamminò senza meta maledicendo Riccioli d’Oro per la sua trovata natalizia.

 
*

 
“Che freddo, non ne potevo più di stare fuori al gelo. Hogsmeade con la neve è bellissima, ma solo per i primi cinque minuti.”
Shou scivolò sulla robusta panca di legno addossata alla parete sfilandosi il berretto nero dalla testa per appoggiarlo sul tavolo che lui, Hiro e Malai avevano occupato. Hiro sedette accanto a lui mentre Malai occupò il posto che gli stava di fronte, sfilandosi la sciarpa gialla e nera dei Tassorosso mentre lanciava un’occhiata impaziente in direzione dell’entrata del pub gremito di studenti.
Nell’angolo opposto della sala dei Tre Manici di Scopa sedevano anche Margot e sua madre impegnate a chiacchierare e con due boccali mezzi vuoti di Burrobirra davanti, e il ragazzo sollevò una mano nel saluto più rapido mai visto prima di affrettarsi a voltarsi verso gli amici borbottando qualcosa a mezza voce:
“C’è mia madre con Margi, ad ogni gita mi sento sempre osservato. No, che fate, non salutatela!”
Il Tassorosso si schiaffò una mano sul viso mentre quei due cretini dei suoi amici sorridevano e salutavano in direzione di Demelza, che ricambiò prima di tornare a discutere con Margot a proposito degli ultimi regali di Natale da comprare.
 
“Che diavolo compro a Elliott?! Che stress queste feste!”
“E che cosa regalo a Håk Bello? Per Freya è facile, è una bimba, ho già fatto i regali per tutti tranne che per lui!”
“Davvero? Per me che cosa hai comprato?”
“Pf, ti pare che te lo venga a dire?! Per Malai cosa hai preso?”
“Ha chiesto una nuova mangiatoia per Poldo, e poi ho spedito Elliott a comprargli un set da disegno nuovo.”
“Bello, io gli ho preso il set della LEGO di Jurassic World.”
“Magnifico, ci mancavano solo i pezzettini LEGO da calpestare in giro per casa…”
 
 
“Sarebbe stato maleducatissimo non salutarla. Piuttosto, non ti fa strano chiamare la Campbell “Margi”?”
“Ho il permesso di chiamarla così solo fuori dall’aula e quando non ci sono altri insegnanti o studenti nei paraggi, a meno che non siate voi o la mamma, naturalmente… Davanti a tutti devo chiamarla Professoressa, ordini di mia madre. Chissà se le ragazze stanno comprando i regali!”
Ritrovata la sua energia, le labbra di Malai si distesero in un sorriso allegro mentre il ragazzo, incapace di stare fermo, si agitava sulla sedia battendo allegro le mani.
“Tu hai preso il tuo?”
“Ho qualche idea, ma penso che dovrò ordinarlo per posta. Voi come siete messi?”
“Io ci sto lavorando.”
La risposta vaga di Hiro incrementò la curiosità di Malai, che però si vide costretto a mordersi la lingua e a non cercare di indagare per non infrangere le regole che lui stesso aveva stabilito. Shou decretò di averlo già ordinato, e Malai si stava scervellando per cercare di capire a chi potessero aver fatto i regali i suoi amici quando Hiro, salutandole, palesò l’arrivo delle ragazze, tutte cariche di borsette.
“Avete fatto shopping?”
Malai si sporse per cercare di sbirciare gli acquisti delle amiche, ma Tallulah lo fermò con un pizzicotto sulla collottola.
“No, in queste borse ci sono solo cose che abbiamo rubato.”
Lilian si sfilò sciarpa e berretto col pompon color panna per sedersi accanto a Malai e depositare le borse sul pavimento. Tallulah, sedendo a capotavola tra lei e Hiro, annuì seria mentre Priscilla faceva il giro del tavolo per occupare il posto tra Malai e Shou, di fronte alla compagna di Casa:
“Già, abbiamo intenzione di riproporre Occhi di Gatto. Io ovviamente sarei Kelly, quella matura e responsabile.”
“Allora Lily è Sheila e Prisci Tati, credo.”
Hiro spostò lo sguardo da Tallulah, a Lilian a Priscilla con un sorriso, le braccia appoggiate sul tavolo. Scorgendo l’espressione perplessa della compagna di Casa, che si sfilò il baschetto beige dalla testa guardando gli amici senza avere idea di che cosa stessero parlando, Hiro si affrettò ad assicurarle in labiale che le avrebbe spiegato più tardi.
“Impossibile, Sheila aveva il fidanzato.”
Shou prese a sghignazzare, guadagnandosi un’occhiata di mite rimprovero da parte di Priscilla e un doloroso calcio sotto al tavolo da Lilian, che lo trafisse con lo sguardo prima di suggerirgli caldamente di andare a fare le ordinazioni.
“Perché io?!”
“Perché di sì.”
L’occhiata truce della cugina convinse Shou ad alzarsi, e sbuffando il ragazzo si diresse verso il bancone districandosi tra i numerosissimi tavoli gremiti sotto lo sguardo torvo della cugina, che asserì seria di sperare che chiunque fosse a dover fare il regalo al cugino gli donasse del carbone.


 
*
 
 
23 Dicembre, 9 pm, Sala Comune di Corvonero
 
 
I regali impacchettati giacevano riuniti all’interno di una cesta infiocchettata mentre i loro destinatari, osservandoli curiosi, sedevano sui due soliti divanetti con berretti e cerchietti natalizi in testa, vicino al camino acceso. Prima di raggiungere la Torre di Corvonero Malai aveva fatto una breve sosta nelle cucine per chiedere agli Elfi di portare loro biscotti e cioccolata calda e le tazze vuote sfilavano sul tavolino dove, dieci giorni prima, Malai si era seduto per esporre la sua idea.
Malai, i ricchi scuri raccolti sulla nuca e tenuti indietro da un cerchietto da renna, sorrise e indicò impaziente la cesta dei regali, asserendo che dopo il loro “spuntino post-cena volto ad incrementare l’atmosfera natalizia” potevano iniziare a scartare i regali.
“Visto che l’idea è stata mia, inizierò io.”
Malai si chinò sulla cesta per cercare il suo regalo – tutti i pacchetti, come da indicazione del Tassorosso, riportavano una targhetta di cartoncino con il nome del destinatario –, sorridendo quando vide un pacchetto avvolto da una luccicante carta rossa e oro.
Il Tassorosso lo prese e tornò a sedersi per aprirlo, gli occhi di tutti fissi su di sé mentre lo tastava brevemente, chiedendosi curioso di che cosa si trattasse. Il pacchetto era leggermente informe – avrebbe avuto da ridire sulla tecnica di impacchettamento, ma decise di essere buono per Natale e di non dire nulla – e piuttosto morbido al tatto.
Un’espressione di gioia prese vita sul volto del ragazzo quando, finalmente, scoprì che cosa gli era stato donato: un pupazzetto verde a forma di dinosauro che, a giudicare dalle cuciture e dalle simmetrie non proprio perfette, doveva essere stato fatto a mano.
“Ma è carinissimo! Lo chiamerò Dino.”
“Che originale.”
“Cinese, scarta il tuo regalo invece di giudicare. Grazie a chiunque me l’abbia fatto, lo adoro.”
Felice, Malai spinse la cesta verso Lilian prima di abbracciare il suo pupazzo, non notando il sorriso soddisfatto che sfoggiò Hiro mentre la Grifondoro cercava il suo regalo.
Lilian capì che si trattava di un libro ancor prima di prenderlo in mano, e lo scartò chiedendosi curiosa di quale potesse trattarsi. La copertina che si ritrovò davanti, quella di un saggio sulle origini delle Rune che aveva già visto sulla scrivania del Professor MacMillan, la lasciò di stucco:
“È da un mese che dico di volere questo libro dopo averlo visto leggere a MacMillan, ma non pensavo che qualcuno mi ascoltasse! Grazie, a chiunque me l’abbia comprato.”
Sorridendo, il volto di Lilian si addolcì mentre faceva vagare lo sguardo sui presenti fino ad incontrare quello del cugino, che le strizzò l’occhio mentre Malai spingeva la cesta verso Tallulah:
“Miss X, tocca a te.”
Tallulah si raddrizzò dignitosamente il cerchietto con pupazzo di neve che aveva in testa e poi curiosa prese il suo regalo, il pacchettino più piccolo di tutti. Lo aprì senza fare commenti, anche se la precisione con cui era stato incartato le suggerì facilmente da chi provenisse. Tuttavia, la Corvonero mise da parte quei pensieri quando si ritrovò il suo regalo tra le mani: un portachiavi a forma di Vegeta, con tanto di espressione accigliata da parte del suo amatissimo Saiyan.
“Noooooo! È bellissimo! Grazie! Lo metterò sullo zaino insieme a quello di Sailor Moon!”
“Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Oh, cacchio…”
Malai si premette una mano sulla bocca, gli occhi spalancati, e mentre Lilian lo rimbeccò aspramente – dopo aver “scartavetrato le scatole” a tutti, alla fine quello a farsi sgamare era stato proprio lui – Tallulah si premurò di rassicurare l’amico: non aveva avuto alcun dubbio, visto come era stato incartato il portachiavi.
“Hai ragione, l’anno prossimo incarterò male, così mi confonderò con i vostri regali. Shou, tocca a te.”
Shou, seduto tra Hiro e il bracciolo del divano e con un berretto da Babbo Natale in testa, si allungò per prendere il proprio regalo dalla cesta. Era il più grande di tutti, di forma rettangolare, e a giudicare dalla rigidità era evidente che contenesse una scatola.
“Che cos’è…”
Strappata la carta marrone che riportava bastoncini di zucchero, fiocchi di neve e piante di vischio disegnati a mano, Shou si ritrovò tra le mani qualcosa che lo riempì immediatamente di meraviglia:
“Un set per la skin care?! Lo adoro! Volevo proprio provare la maschera riparatrice al latte di mandarla.”
Sorridendo entusiasta, Shou strinse a sé la scatola che conteneva crema, maschera e gel detergente mentre Priscilla faceva del suo meglio per stare zitta e non sorridere troppo.
“Prisci, questo è il tuo.”
Lilian, un cappello da Babbo in testa, prese uno dei due regali rimasti e lo porse all’amica, che lo prese con un sorriso mentre il cerchietto di velluto verde con le bacche di vischio ricamate le teneva indietro i ricci castani. A giudicare dalla forma e dalle dimensioni si trattava inequivocabilmente di un libro, e la cosa la rallegrò ancor prima di scoprire di quale si trattasse. Scartato il pacchetto, la Corvonero sorrise dolcemente mentre sollevava lo sguardo sui compagni, gli occhi verdi luccicanti e pieni di gratitudine:
“Grazie, era tanto che lo volevo. Per fortuna non l’ho comprato quando siamo state ad Hogsmeade.”
Priscilla sfiorò sorridendo la copertina rigida del libro su Antonio Vivaldi che teneva in mano mentre Tallulah faceva finta di nulla: quando, in libreria, aveva visto Priscilla lasciare a malincuore il libro sullo scaffale, non aveva esitato a tornare indietro per comprarlo.
“Allora rimango solo io, vediamo un po’…”
Hiro si chinò in avanti per prendere l’ultimo regalo del cestino, poco più grande di quello di Tallulah ma incartato con meno maestria.
 La reazione del ragazzo fu equivalente a quella di tutti gli altri, sorridendo e ringraziando entusiasta mentre stringeva il suo nuovo portachiavi di Goku.
“Ehy, ma è uguale al mio! Vi siete messi d’accordo?”
“Che nessuno risponda! E comunque no, io non mi sono messo d’accordo con nessuno. Anche se…”
Lo sguardo di Malai scivolò su Lilian, accigliandosi, mentre la Grifondoro controllava distrattamente lo stato delle sue doppie punte. In effetti, ora che ci pensava, mentre setacciava tutti i cataloghi che aveva racimolato con l’aiuto di sua madre e di Margot, Lilian non aveva fatto altro che ronzargli attorno per poi sedersi accanto a lui e chiedergli distrattamente se poteva dare un’occhiata.
Il ragazzo lasciò la frase in sospeso mentre Tallulah e Hiro confrontavano i loro portachiavi – “Chiaramente il mio è più bello, perché c’è Vegeta!” –, guardando pieno di soddisfazione i frutti della sua idea: si erano lamentati, ma come volevasi dimostrare alla fine sembravano tutti piuttosto contenti.
Malai afferrò uno dei pochi biscotti rimasti mentre stringeva Dino sottobraccio, addentandolo mentre Shou cercava di spiegare a Lilian i benefici del latte di mandorla e Priscilla sfogliava il suo libro nuovo.
Sì, aveva avuto proprio una bella idea.

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Capitolo 9
*** Ice Skating ***


IX: Ice Skating
 


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21 Dicembre, Londra, Città di Westminster

 
 
“Phiiiiiiiil!”
Philip MacMillan, chino sui libri alla luce di una lampada ad olio sistemata sul tavolo della biblioteca del padre, trattenne a malapena un’imprecazione quando udì suo fratello chiamarlo a gran voce.
Il ragazzo sollevò la testa dalla pagina che stava cercando di memorizzare per scoccare un’occhiata cupa alla porta chiusa della biblioteca, per nulla sorpreso nel vederla aprirsi appena un attimo dopo. Un bambino dai lisci capelli biondi fece la sua apparizione sulla soglia dell’ampia sala, il visino imbronciato e una mano stretta sulle estremità dei lunghi lacci di un paio di piccoli pattini che si stava letteralmente trascinando appresso.
“Voglio andare a pattinare al Museo! Papà me l’ha promesso!”
L’ex Corvonero, diplomatosi ad Hogwarts col massimo dei voti circa un anno e mezzo prima, sospirò rumorosamente mentre riportava lo sguardo sul suo libro illuminato dalla lampada, astenendosi dall’informare aspramente il fratellino che presto si sarebbe accorto di come il padre fosse un maestro nel fare promesse a vuoto.
“Quello che papà ti promette non è affare mio. Chiudi la porta, per favore, sto studiano.”
“No! Papà me l’ha promesso da un mese, e ancora non abbiamo pattinato! Voglio andare al Museo!”
Radcliff marciò deciso verso il fratello maggiore, gli occhi chiari fissi su di lui mentre Phil cercava di mantenere la calma: venire interrotto mentre studiava lo infastidiva tremendamente, ma valeva lo stesso anche per sgridare il fratellino, così decise di non alzare la voce prima di tornare a rivolgersi pacato al bambino di 8 anni:
“Ok, papà te l’ha promesso, ma lui adesso non c’è, quindi io che cosa posso farci?”
“Andiamo noi due!”
“Noi due? Non esiste Radcliff, devo studiare, non vedi?”
“Ma tu studi sempre, a Natale bisogna pattinare!”
All’improvviso Radcliff, entusiasta dell’idea che aveva appena avuto – in fondo andare con Phil sarebbe stato meglio che farlo con i suoi genitori, visto che la mamma sarebbe stata troppo apprensiva e il padre troppo impaziente di andarsene – sfoderò un largo sorriso euforico che finì col rallegrargli l’intero volto, prendendo a saltellare attorno alla sedia del maggiore chiedendogli ripetutamente di portarlo a pattinare.
“Sei insopportabile, la mamma ti ha viziato troppo.”
“Ma non è vero, dicono tutti che sono un bambino simpatico e adorabile.”
Phil scoccò un’occhiata truce al fratellino mentre chiudeva seccamente il libro, trattenendosi dal cancellare quell’espressione da finto angioletto con una bella strigliata prima di sporgersi serio verso di lui:
“Torniamo a casa prima di cena. Intesi?”
“Intesi.”
“E se quando ti dirò di andare via ti metterai a fare i capricci, dirò agli Elfi di servirti solo verdure al vapore per cena.”
Udendo quelle parole tanto minacciose Radcliff ammutolì, guardando preoccupato la mano che il fratello gli porgeva. Odiava le verdure al vapore con tutto se stesso, ma la voglia di andare a pattinare al Museo di Storia Naturale e di bersi una bella tazza gigante di cioccolata calda era troppa, così finì con l’annuire e con stringere con tutta la forza che aveva la mano di Phil.
“Va bene. Vado a mettermi le scarpe!”
“Non puoi andare a pattinare vestito cosi, nanerottolo, ti devi vestire di più. Vieni, andiamo in camera tua.”
Phil si alzò scostando la sedia e facendo grattare rumorosamente le gambe di legno sul parquet, spegnendo la lampada prima di mettere entrambe le mani sulle spalle del fratellino e pilotarlo verso l’uscita, ignorando i suoi lamenti mentre il bambino continuava imperterrito a trascinarsi dietro i piccoli pattini bianchi:
“Nooo, non il maglione di lana che punge della zia Mildred!”
Un lampo di terrore oltrepassò il visino di Radcliff, che sollevò implorante lo sguardo sul fratello mentre questi, invece, sfoderava un sorrisetto piuttosto sadico:
“E invece sì, è la punizione che ti spetta per aver intralciato il mio studio con le tue lagne, nanetto.”
“Non sono un nanetto, mamma dice che diventerò alto come te!”
Il ditino che il bimbo puntò offeso verso di lui non sembrò scalfire affatto il ragazzo, che fece spallucce fregandosene apertamente e parlando con il tono canzonatorio che usava sempre per divertirsi ad indispettire il fratellino:
“Sarà, ma intanto sei ancora un nanetto de facto e così vai chiamato.”
Radcliff non era certo di aver capito che cosa avesse detto Phil, ma si offese in ogni caso e, rosso in volto, gonfiò le guance evitando di replicare solo per paura che il fratello cambiasse idea e lo costringesse a restarsene a casa senza avere niente di divertente da fare.

 
*

 
“Si può sapere perché mi stai così appicciato? Non volevi pattinare?”
Phil, i pattini ai piedi e una mano guantata in tasca mentre l’altra stringeva il bicchiere di carta con ancora un po’ di cioccolata calda, abbassò perplesso lo sguardo sul fratellino che lo teneva stretto per la vita e che ancora non aveva mosso un passo verso il centro per la pista, guardandosi attorno timoroso.
Radcliff, il volto quasi del tutto coperto dal berretto di lana blu e la sciarpa coordinata, deglutì e arrossì prima di nascondere il faccino contro la vita del fratello prima di blaterare qualcosa che lasciò il maggiore letteralmente senza parole, missione molto ardua nella quasi tutti fallivano ma in cui il piccolo MacMillan era un vero portento a soli 8 anni di vita.
“Che cosa hai detto? Sono sicuro di aver capito male.”
La stretta del bambino si intensificò, e Radcliff seppellì ancora di più la faccia contro il cappotto del fratello mentre ripeteva, la voce soffocata, ciò che aveva appena detto. Sbalordito, Phil lo afferrò per una spalla con la mano libera e lo costrinse ad allontanarsi da lui per poterlo guardare in faccia, chinandosi leggermente:
“Mi stai dicendo che non sai pattinare? Mi stai prendendo per il… per i fondelli?!”
“No.”
“Ma allora perché mi hai stressato tanto, scemo di non nanetto!”
“Ma io voglio imparare, papà dice da due anni che mi insegna e poi non lo fa!”
Ancora rosso in viso, Radcliff puntò implorante gli occhi verdi sul fratello nella speranza che Phil non lo mandasse al diavolo per poi caricarselo in spalla e tornarsene a casa. Dal canto suo il ragazzo non sapeva se arrabbiarsi o altro, troppo sconcertato, ma dopo una breve riflessione decise che in fondo era solo un bambino e che, già che c’era, tanto valeva accontentarlo una volta per tutte.
Se non altro, insegnandogli a pattinare, poi avrebbe potuto finalmente levarselo di torno per cinque minuti e dedicarsi allo studio in santa pace.
“Va bene nanetto, cercherò di insegnarti, ma vedi di impegnarti e di non frignare troppo, sai che non lo sopporto. Su, dammi la mano, andiamo insieme.”
Vuotato il bicchiere di cioccolata, Phil lo lanciò con precisione dritto nel cestino più vicino prima di afferrare saldamente la manina guantata del bambino e iniziare finalmente a muoversi sulla pista, allontanandosi dalla ringhiera.
Radcliff moriva dalla voglia di imparare a pattinare da due anni, stanco di restare a guardare tutti quei bambini divertirsi sul ghiaccio insieme ai genitori o ai loro amici senza poterli imitare. Eppure, quando la stabilità della ringhiera venne meno il bimbo si sentì letteralmente prendere dal panico, stringendosi al fratello e implorandolo di non farlo cadere mentre incespicava sui pattini, restando in precario equilibrio solo grande al sostegno di Phil.
“Non ti faccio cadere, basta che ti tieni, scemotto! Ma se non sarò granché come insegnante prenditela con papà, è sua la colpa.”
 
Quando due ore dopo i due lasciarono la pista Radcliff aveva già iniziato a muoversi da solo, collezionando solo una caduta. Un record, a detta del maggiore.
“O hai un talento innato o io sono un ottimo insegnante. Propendo per la seconda, visto che di solito sei un imbranato.”
La mano di Phil scivolò sulla testa del fratellino per sfilargli il berretto e arruffargli i capelli biondi, ma per una volta Radcliff non prestò attenzione alle sue parole e nemmeno al gesto che, di norma, lo faceva indispettire parecchio. Era troppo felice e soddisfatto del suo pomeriggio mentre si allontanava dall’ampia pista di pattinaggio collocata fuori dal Museo di Storia Naturale, affiancata da un enorme abete addobbato e carico di luci, per prestare attenzioni alle bonarie prese in giro del suo fratellone.
“Sono felice che sei venuto tu e non papà, lui avrebbe perso la pazienza subito e si sarebbe arrabbiato.”
“Solo perché era la prima volta, la prossima non sarò tanto gentile.”
Dovendo attraversare la strada Phil si fermò sul bordo del marciapiede, allungando istintivamente una mano verso il fratellino mentre l’altra reggeva i pattini e gli occhi verdi vagavano sulle auto in movimento, controllando che il passaggio fosse libero. Radcliff la strinse con un sorriso radioso, ma evitò di fargli notare di aver menzionato una “prossima volta” per timore che potesse rimangiarsi le parole, limitandosi a seguirlo facendo dondolare con gioia i pattini non più immacolati.

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Capitolo 10
*** Holiday sleepover ***


X. Holiday sleepover

 

 
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26 Dicembre, Kent
 
 
 
L’organizzazione del loro “Pigiama party Natalizio” non era stata affatto semplice, considerando che vivevano ai quattro angoli della Gran Bretagna, ma Marley aveva dato prova di tenere così tanto ad ospitare brevemente i suoi migliori amici che Lance, Bel e Blodwel avevano finito con l’assecondarla cercando di far quadrare orari e punti di ritrovo.
I tre, dopo aver fatto ritorno a casa da Hogwarts un paio di giorni prima, si erano trovati al Paiolo Magico con ad aspettarli l’autista di Marley che avrebbe dovuto portarli nella casa di campagna del padre della ragazza, nel Kent. Blodwel, che viveva in Galles e senza sua madre a poterla accompagnare perché su un aereo per lavoro, aveva preso una Passaporta per Londra.
Era stata decisamente l’esperienza più traumatica della vita della giovane strega, che giurò a se stessa che mai ci avrebbe riprovato mentre sedeva stretta tra Bel e Lance nell’enorme berlina scura in movimento cercando di contenere la nausea.
Dispiaciuto nel vedere l’amica in difficoltà, Lance si pentì amaramente di non aver portato qualche gomma contro la nausea mentre Blodwel, sprofondata nel sedile, si stringeva a Bel tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
“Tutto bene Will?”
“Starò bene quando arriveremo… manca molto per questo dannato Kent?”
“No signorina, a breve arriviamo.”
 
Aveva sempre pensato che fosse ironico, considerando che sua madre faceva la hostess e non faceva altro che spostarsi da un Paese all’altro, ma Blodwel non aveva mai avuto modo di viaggiare e aveva speso praticamente tutta la sua vita tra la fattoria di nonna Dorothea in Galles e Hogwarts. Non aveva mai visto il Kent in vita sua, e stava ammirando le distese di vasta campagna che si stavano profilando davanti ai suoi occhi quando, finalmente, l’auto varcò la soglia di un gigantesco cancello in ferro battuto circondato da muri di cinta alti due volte lei.
“Grazie a Tosca, siamo arrivati! Sono proprio curiosa di vedere dove vive Marley.”
Ritrovato un po’ di sollievo, Blodwel si mise seduta dritta per guardare attentamente fuori dal finestrino, imitata dai due amici mentre l’auto imboccava la stradina sterrata che si snodava in mezzo agli alberi e ad un giardino immenso.
“Anche io, non fa che parlare delle sue esplorazioni per il parco e in questa fantomatica casa gigantesca.”
Mentre si guardava attorno a Bel non riuscì affatto difficile credere ai racconti dell’amica: a giudicare dalle dimensioni, era plausibilissimo immaginare una piccola Marley che vagava per ore e ore per il parco a piedi o cavalcando.  
Il tragitto attraverso il parco fu più lungo rispetto a quanto i tre – che morivano dalla voglia di scendere – si aspettassero, e Blodwel stava iniziando a domandarsi se la sua amica non abitasse in una sorta di Casa Bianca quando, finalmente, l’autista si fermò nel vasto piazzale di ghiaia situato davanti alla facciata dell’edificio di pietra.
“Siamo arrivati.”
“Ma va? Pensavo fossimo in Autogrill!”
Il commento sarcastico di Blodwel le fece guadagnare una leggerissima gomitata da parte di Lance, che però non riuscì comunque a trattenere un sorriso mentre i tre scivolavano rapidi fuori dall’auto, affrettandosi a recuperare i loro bagagli.
Troppo presa a prendere il suo zaino, Blodwel si soffermò sull’edificio che aveva davanti solo quando si era già sistemata le cinghie sulle spalle, restando letteralmente con la mascella snodata alla vista della sorta di maniero di pietra che aveva davanti, oltre il piazzale dove l’auto si era fermata.
“Mi state dicendo che Marley vive QUI?”
“Carina! Mi piace molto qui!”
Lance sorrise mentre si guardava attorno con curiosità e Blodwel, sempre più sconvolta, si voltò verso l’amico con la bocca ancora aperta e gli occhi castani fuori dalle orbite:
“CARINA?! Ah già, scordavo che sei ricco sfondato anche tu. Mi sento la Piccola Fiammiferaia del gruppo!”
“Ma non è quella che muore assiderata perché nessuno le compra i fiammiferi?”
“Già, visti i miei voti probabilmente la carriera da mendicante è ciò che mi aspetta tra qualche anno. Oh, ecco la nostra Duchessina.”
“Ciao Marley!”
Felice di vedere l’amica, Bel sfoderò un largo sorriso mentre la compagna – che aveva trascorso le due ore precedenti piantata con impazienza davanti ad una finestra in attesa dei suoi amici – varcava la soglia dell’edificio, scendendo di corsa i gradini del porticato con colonne per correre verso di loro con delle pantofole stivaletto Ugg ai piedi sopra a spessi calzettoni di lana color senape.
“Ragazzi! Sono felicissima che siate qui, non vedevo l’ora! Ciao Bloody!”
Felicissima che gli amici fossero finalmente arrivati, Marley si gettò a capofitto su Blodwel, stritolandola in un abbraccio che l’amica finse di sgradire prima di dedicarsi anche a Lance e a Bel senza mai smettere di sorridere, come se non si vedessero da due mesi e non tre giorni. Infine, mentre tre Elfi Domestici correvano fuori di casa preoccupati e lamentando lo stato poco vestito della padroncina vista la bassa temperatura, Marley si rivolse all’autista assestandogli un’affettuosa pacca sul braccio:
“Ciao Andrew, grazie infinite per averli portati.”
“Di nulla Signorina, è sempre un piacere servirla. Mi faccia sapere se le serve altro, a parte portare i suoi amici a Londra domani sera.”
“Certo.”
Marley salutò con la mano l’affezionato autista mentre l’uomo rimontava in auto dopo aver salutato Bel, Lance e Blodwel, guardando l’auto allontanarsi prima di tornare a rivolgersi entusiasta agli amici:
“Allora, loro sono i miei piccoli angeli custodi, Roxie, Chip e Tully. A dire il vero ne manca uno, dov’è Nesbit?”
“Sta finendo di rassettare le stanze degli ospiti, così i suoi amici potranno dormire comodi dove vorranno, Signorina Marley.”
Tully rivolse un inchino a Marley prima di fare altrettanto con Lance, Blodwel e Bel, imitato dai due “colleghi” mentre i tre ragazzi ricambiavano i saluti.
“Se avete bisogno di qualcosa chiedete a loro, e ovviamente fate come se foste a casa vostra… venite, fa freddino e dentro abbiamo litri e litri di cioccolata calda e tè di tutti i tipi.”
Sorridendo, Marley prese per mano Roxie e fece strada agli amici, invitandoli a seguirla attraverso l’enorme porta. Lance, Bel e Blodwel non se lo fecero ripetere, affrettandosi a seguirla per sfuggire al freddo mentre Blodwel non la smetteva di guardarsi attorno carica di stupore e di ammirazione.
Dopo che ebbero lasciato i bagagli sul pavimento dell’immenso ingresso coperto dal tappeto più morbido che Blodwel e Bel avessero mai toccato – mentre Lance, invece, lo indicò stupido decretando di averne uno uguale a casa – in modo che gli Elfi potessero sistemarli, Marley consegnò una tazza piena di cioccolata calda e panna montata a tutti e tre e iniziò il giro turistico guidandoli per un’immensa sala e l’altra senza mai smettere di sorridere.
“Vi faccio fare un giro, e poi ovviamente vi mostro camera mia… in effetti se volete possiamo spostare dei materassi e dormire tutti lì, c’è spazio per ospitare tutti i Tassorosso del nostro anno, praticamente.”
“Non è male come idea, basta che nessuno di voi due russi.”
Blodwel scoccò un’occhiata inquisitoria ai due amici, ma Bel si affrettò a giurare che nessuno dei due russava prima che l’amica, annuendo soddisfatta, si rivolgesse accigliata alla giovane padrona di casa:
“Ma dove sono i tuoi genitori? Cioè, scusa, tuo padre e sua moglie.”
“Oh, siamo soli, Hank e Cressida sono in vacanza in… non mi ricordo, comunque un posto dove c’è il sole, sabbia e tanti cocktail alla frutta.”
“Ma ieri era Natale, quando sono partiti?”
Dopo aver preso un generoso sorso di cioccolata calda – e finendo col sporcarsi di panna il mento, anche se non se ne accorse – Bel aggrottò le sopracciglia mentre guardava l’amica precederli salendo le scale due gradini alla volta, chiedendosi come potessero i suoi genitori essere andati in vacanza senza di lei proprio in quel periodo dell’anno.
“L’altro ieri, mi hanno salutata rapidamente e poi sono partiti… Ma non è un problema, ieri sono stata con Nesbit, Chip, Tully e Roxy e ho fatto una luuunga passeggiata a cavallo sotto la neve. E poi se sono sola posso mangiare tutte le schifezze che voglio.”
Marley si strinse nelle spalle e continuò imperterrita a salire le scale, iniziando a descrivere la casa in lungo e in largo mentre dietro di lei Lance e Bel si scambiavano un’occhiata perplessa e dispiaciuta al tempo stesso. A dare voce ai pensieri di entrambi ci pensò Blodwel, che sbuffò irritata e sibilò qualcosa a mezza voce, in modo che Marley non potesse sentirla:
“Difficile dire se sia più deprimente che siano andati in vacanza o il fatto che a lei sembri non turbare affatto, come se fosse perfettamente abituata alla cosa.”

 
*

 
Blodwel, Bel e Lance erano certi di non aver mai mangiato tanto in tutta la loro vita: i quattro elfi di Marley erano così felici che la loro amata padroncina avesse compagnia che si erano dati da fare per un giorno intero, cucinando ininterrottamente per ore e riservando ai quattro un vero e proprio banchetto fatto di schifezze di ogni genere e di tutte le loro cibarie preferite.
“Porca miseria, ho mangiato così tanto che l’auto non riuscirà a portarmi a casa… per inciso, odio le Passaporte.”
Blodwel si era infilata sotto le coperte dell’immenso letto di Marley che avrebbero diviso, mentre Lance e Bel si erano sistemati sui materassi e sulla miriade di sofficissimi cuscini di piume che Nesbit e Chip avevano collocato per loro sul pavimento della stanza, scaldati da un camino di marmo che, a detta di Blodwel, era grande quanto lo sgabuzzino di casa sua.
“La prima volta è tremenda, ma poi ci si abitua, fatti coraggio. Sono davvero felice che siate venuti.”
Il sorriso di Marley era visibile persino nella semi-oscurità, e Blodwel poté scorgere chiaramente la gioia sul viso dell’amica mentre le fiamme che ardevano nel camino creavano giochi di ombre sul suo viso. Anche la gallese accennò un sorriso, annuendo e parlando a bassa voce visto che i ragazzi si erano addormentati poco prima, dopo ore passate a mangiare, chiacchierare, guardare film natalizi sul computer che Lance aveva portato con sé e a fare partite alla sua Nintendo Switch.
“Lo sappiamo. Grazie per averci invitato, è stato bello vedersi tutti e quattro fuori da scuola, per una volta.”
“Sì, ed è stato bello avere compagnia. Questo posto è davvero enorme quando sono qui da sola… ci sono abituata, ma a Natale è sempre un po’ triste.”
“Posso chiederti perché sei tornata a casa se sapevi che i tuoi sarebbero partiti? Forse sarebbe stato meglio restare a scuola, no? Io sarei rimasta senza problemi, piuttosto di lasciarti sola.”
Blodwel aggrottò un poco le sopracciglia, osservando l’amica stringersi nelle spalle senza riuscire a capire perché Marley si ostinasse a tornare a casa per le vacanze. E lei, anche se tornare in Galles e salutare sua nonna e tutti gli animali della fattoria le faceva sempre piacere, non avrebbe avuto la minima esitazione a restare ad Hogwarts per il Natale se Marley avesse deciso di fare altrettanto.
“Ci ho pensato, del resto la scuola semi-vuota sarebbe stata il teatro ideale per una miriade di scherzi… ma sapevo che voi sareste tornati a casa e così ho pensato di invitarvi per vederci in ogni caso. E poi Nesbit, Chip, Roxie e Tully speravano tanto che tornassi per un paio di settimane, non volevo deluderli.”
Blodwel avrebbe voluto schiaffarsi una mano sul viso e sottolineare che non era del tutto normale che fossero gli Elfi Domestici ad attendere fremendo il suo ritorno e non la sua famiglia “umana”, ma evitò di far pesare la situazione all’amica mentre Marley, accarezzando distrattamente il bordo del copriletto e fissando il soffitto, mormorava qualcosa a proposito della madre:
“La mamma ha detto che dopodomani viene a trovarmi con Quinn e Kennedy. Spero che vengano.”
Blodwel non poté fare a meno di storcere il naso al pensiero di quelle che nella sua testa erano state battezzate tempo addietro “Lady Tremaine e le Sorellastre”, decretando ogni qualvolta le si chiedevano spiegazioni che anche se Quinn e Kennedy erano sorelle di Marley a tutti gli effetti paragonarle a Genoveffa e ad Anastasia rendeva perfettamente l’idea, e si sistemò accuratamente il copriletto fino al mento prima di borbottare qualcosa con fare sostenuto:
“Beh, conviene che lo facciano. Altrimenti fammelo sapere, ci penserò io. Buonanotte secchioncella.”
“Buonanotte Will. Domani facciamo un giro a cavallo per il parco? Così vi presento Titus, Ike e Ortensia!”
“Chi sarebbero, degli altri Elfi?”
“Ma no, sono i miei cavalli! Ti prego ti prego ti prego!”
Sorridendo, Marley prese ad agitarsi sul materasso mentre l’amica, accanto a lei, le scoccava un’ultima occhiata torva:
“Non potremmo poltrire e usufruire dei confort? No? Sei sempre la solita.”
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Christmas Marathon ***


XI. Christmas Marathon


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Scozia, Fort William
 

 
“Hai tutte le tue cose?”
“Sì!”
“Spazzolino?”
“Sì!”
“Mr Monkey?”
“Certo, non può dormire senza di me!”
Håkon camminava sulla stradina tenendo la mano stretta attorno a quella guantata della figlia, che gli trotterellava accanto tenendo sulle spalle il suo zainetto colorato. Prima di prendere la Passaporta per Fort William il mago aveva coperto a tal punto la figlia che l’unico tratto visibile del suo viso erano i vispi occhi castani che spuntavano tra la sciarpa rosa e il berretto con doppio pompon lilla.
Håkon scrutò la bimba, facendo mente locale di tutto ciò che aveva messo nel suo zaino. Si, non aveva scordato niente, ma come sempre non poteva fare a meno di provare almeno un briciolo di apprensione.
Ormai giunti a pochi metri dall’ingresso della casetta di pietra parzialmente coperta da edera che si stagliava in fondo al vialetto circondato erba coperta di neve, Håkon stava per chiederle di nuovo se fosse davvero sicura di voler dormire fuori casa quando la porta bianca si aprì e ne uscì la sua migliore amica:
“Eccovi finalmente! Ciao Scimmietta!”
“Ciao Zia!”
Sorridendo allegra Freya sollevò la manina guantata per salutare la strega, che ricambiò mentre li raggiungeva con le pantofole di Baby Yoda ai piedi sopra a spessi calzettoni bianchi e rossi e una tuta dei medesimi colori a tema natalizio addosso.
“Margi, sei impazzita?! Siamo parecchi gradi sotto lo 0 qui!”
“Che vuoi che sia, è solo questione di un momento. Su, entrate.”
Margot sorrise mentre allungava una mano verso Freya, che non esitò a prenderla e a seguirla dentro casa. Come al solito Håkon dovette chinarsi un poco in avanti per oltrepassare indenne l’ingresso, e aiutò Freya a liberarsi dell’impiccio di guanti, sciarpa, berretto e piumino mentre la padrona di casa chiudeva la porta alle loro spalle.
“Scommetto che papà orso ha cercato di convincerti a dormire a casa, non è vero Scimmietta?”
“Sì, lui si preoccupa.”
Håkon aprì la bocca per dire qualcosa a proprio favore ma venne anticipato largamente dall’amica, che sospirò rassegnata:
“Håk bello, sei sempre il solito, come se fosse la prima volta che la lasci sola con me, poi.”
Margot guardò l’amico scuotendo la testa con disapprovazione, e appese ad uno dei quattro ganci sistemati in fila vicino alla porta le cose della bambina prima di chinarsi leggermente verso Freya sfoderando uno dei suoi irresistibili sorrisi:
“Hai portato il pigiama natalizio, piccola? Sai che senza non possiamo fare il nostro pigiama party a tema.”
“Sì, guarda!”
Freya si prodigò per aprire il suo zaino, tirando fuori la sua scimmietta prediletta di peluche e il pigiama bianco, rosso e oro pieno di fiocchi di neve e bastoncini di zucchero per mostrarlo piena d’orgoglio alla “zia”, che spalancò gli occhi blu e le labbra carnose in un’immensa dimostrazione d’ammirazione:
“Ma è bellissimo! Lo metti subito, così stai più comoda?”
“Va bene!”
Håkon aiutò Freya a togliersi i minuscoli stivaletti e fece per accompagnarla in bagno per aiutarla a mettersi il pigiama, ma la bimba scosse la testa con vigore e gli ordinò di aspettarla fuori in quanto ormai “grande” e capace di vestirsi da sola.
“Ah, adesso saresti grande?!”
“Ho cinque anni!”
Freya sollevò la manina a palmo aperto e mostrando tutte e cinque le dita, piuttosto fiera dell’età che aveva raggiunto. Håkon si astenne dal farle sapere di essere perfettamente a conoscenza della sua età, dal momento che era presente il giorno della sua nascita, ma si limitò ad alzare gli occhi al cielo mentre la bimba trotterellava verso il bagno.
“Povero Håk bello… ma non temere, sarai ancora indispensabile e il suo principe azzurro ancora per qualche anno.”   Margi diede qualche pacca incoraggiante sul braccio dell’amico – la spalla le era troppo scomoda da raggiungere – cercando di non ridere mentre Håkon, non cogliendo la sua ironia, sospirava:
“Già, a meno che torni dalle elementari piena di piercing e di ragazzi… Sei sicura che può dormire qui?”
“Vuoi domandarmelo di nuovo? Andiamo, sono anche un’insegnante, pensi davvero che Freya corra qualche assurdo rischio stando con me? In più sono notoriamente bravissima con i bambini, e lei mi adora.”
Håkon era scettico, ma in cuor suo sapeva che il rischio peggiore nel lasciare la figlia con Margi era costituito dalla possibilità che Freya facesse ritorno a casa sparando a raffica citazioni da Star Wars e con un’ossessione per quella saga. Senza contare che aveva promesso alla figlia di darle il permesso di dormire da Margot prima di Natale.
Conscio di non potersi tirare indietro, all’astronomo non restò che sospirare e borbottare che dopotutto l’amica aveva ragione, aspettando insieme a lei che Freya uscisse dal bagno. Quando la bambina fece ritorno sorridendo e praticamente incapace di trattenersi dal saltellare preda com’era dell’entusiasmo, nessuno dei due ebbe cuore di farle notare di essersi infilata la maglietta al contrario.
 
“Freya, ti va bene se papà resta altri cinque minuti con noi?”
“Va beneeee, ma poi io e Zia Margi dobbiamo vedere i film che tu non vuoi mai vedere con me!”
Freya puntò accusatoria il ditino contro il padre, che borbottò di non voler sprecare il suo poco tempo libero alle prese con melensi e nonsense film natalizi dalle trame ridicole mentre chinava lo sguardo.
Margot, al contrario, sorrise e battè le mani tenendo i grandi e luminosi occhi blu fissi sulla bimba, piena d’entusiasmo quasi quanto Freya:
“Allora, chi è pronto a fare una maratona di film natalizi dove una tizia a caso finisce col sposare il Principe di uno Stato assolutamente inesistente?”
“Io io io! Ci sono anche i dolci?” 
“Tranquilla piccola, ho la dispensa piena di cioccolato, cookies e marshmallow…”
“Ehi, e le cose sane?!”
“Papinoooo daiiiii!”
“Sì Hak Bello, daiiii!”
 
 
Poco dopo Håkon uscì di casa lasciando amica e figlia comodamente stravaccate sul divano color panna di Margi, entrambe con calzini a fantasia di fiocchi di neve ai piedi, una tazza natalizia ciascuna che grondava cioccolata calda, panna e cannella e un piatto enorme pieno di biscotti davanti.
Sebbene Margi lo avesse convinto a lasciarle Freya asserendo che in quel modo “avrebbe potuto prendersi del tempo tutto per sé”, una minuscola parte di lui avrebbe anche pensato di auto-invitarsi alla serata: quando non era ad Hogwarts era talmente abituato ad avere la figlia attorno che nelle rare occasioni in cui lui e Freya non stavano insieme finiva sempre col sentirsi fuori posto, quasi gli mancasse qualcosa che puntualmente gli impediva di godersi quei momenti liberi. Disgraziatamente la sola idea di quei film orrendi e senza senso lo faceva rabbrividire, così aveva finito col decidere di lasciare amica e figlia alle loro storie d’amore farlocche e alla “Maratona Natalizia” per Smaterializzarsi di nuovo a casa.
 
La mattina dopo quando Håkon fece ritorno a Fort William, la cittadina scozzese dove era nata e cresciuta Margot, trovò Freya già vestita, pettinata e impegnata a fare colazione con biscotti e latte e cioccolato. Fu con una punta di sollievo che il mago appurò che la bambina stava benissimo e che, stando alle parole dell’amica, si era comportata egregiamente. Il danese era sicuro che Margot l’avrebbe detto anche se Freya si fosse appesa ululando al lampadario, ma conoscendo la bambina educata che stava crescendo non esitò a credere alle parole dell’amica, aiutando la bambina a radunare tutte le sue cose prima di salutare Margi e uscire di casa insieme a lei.
Stavano attraversando il vialetto circondato dagli ultimi residui della nevicata del giorno precedente quando Håkon, chinando lo sguardo sulla figlia, le chiese come fosse andata la notte fuori con un sorriso:
“Allora, che cosa ti ha fatto vedere la Zia?”
“C’era la pasticcera che andava a fare la gara col suo amico, ma lei e la Principessa erano uguali e allora si scambiavano, e allora lei si innamorava del principe e lei dell’amico, e alla fine si sposano. Ho mangiato tanti marshmallow, ma non te lo devo dire. Nooo, non dire alla Zia che te l’ho detto!”
Freya sollevò di scatto lo sguardo sul padre, gli occhi castani spalancati e preoccupati per il timore di deludere Margot. Alzati gli occhi al cielo ma decidendo di soprassedere, Håkon si limitò a sospirare prima di accennare un sorriso alla bambina:
“Per questa volta manterrò il segreto.”
“Grazie. Papino ma esiste la Belgravia?”
“No tesoro, Belgravia è un quartiere di Westminster, non uno Stato, non credere a tutto ciò che viene detto in quei film. Non sono realistici.”
Freya annuì, accigliata, ripensando attentamente a quando aveva domandato alla Zia come si facesse a sposare un Principe. Se era tanto facile come nei film, perché nella vita vera non succedeva mai?
“Lo ha detto anche la Zia, dice che nella vita vera è impossibile imbattersi in un principe e che al massimo incontri un “Phineas”. Chi è Phineas?”
“Un collega mio e della Zia.”
“Papino ma se tu eri un Principe la mamma restava con noi?”
“Chi lo sa. Forse sì.”
 
 

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Capitolo 12
*** Christmas photoshoot ***


XII: Christmas photoshoot


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10 Dicembre, Hogwarts, Sala Grande


 
Delilah Yaxley non aveva avuto la benchè minima esitazione ad accettare quel lavoro: l’idea di tornare ad Hogwarts dopo più di dieci anni era troppo allettante per declinare l’offerta, specie se considerato che si trattava proprio del periodo natalizio, il momento dell’anno in cui il castello raggiungeva il suo massimo splendore.
Tuttavia, l’emozione di rimettere piede ad Hogwarts e di varcare ancora una volta la soglia della Sala Grande, più accogliente che mai grazie alle decorazioni appena assemblate, stava presto scemando a causa dei ragazzini che la strega avrebbe dovuto fotografare e che non collaboravano nemmeno un po’.
Seduta su una delle lunghe panche del tavolo dei Tassorosso, che erano state spostate verso la parete insieme a quelle dei Corvonero per guadagnare spazio, Delilah masticava con lentezza estenuante un bastoncino di liquirizia. La macchina fotografica appesa al collo e poggiata sulle ginocchia e il piede sinistro che dondolava lentamente, la strega osservava annoiata la Preside sgridare gli studenti e i professori, oltre a spostarli di continuo per farli stringere nel minor spazio possibile davanti al caminetto.
“Signorina Smith, che cos’è quella roba?! Si era detto che dovevate indossare maglioni natalizi!”
Quel pomeriggio di Dicembre sembrava destinato a non finire mai. Moltissimi studenti avevano ben pensato di ignorare deliberatamente il dress code e di mettersi quello che gli pareva, regalando così alla loro Preside un triplice esaurimento nervoso quando mancavano ancora gli studenti del VI e VII anno da fotografare.
“Ma Professoressa, non dovremmo farci immortalare vestiti come pare a noi?”
La Corvonero indicò indispettita il suo maglione rosa fluo piuttosto corto e Minerva, quanto mai schifata da quel colore che le aveva già procurato mal di testa con un solo sguardo, non esitò ad alzare gli occhi al cielo prima di indicarle la porta:
“Non in questo castello, vada a cambiarsi! Vale anche per lei Burke, si levi quella roba leopardata o non entrerà nella foto!”
“Tutto ciò va contro la libertà di espressione!”
“È il suo maglione leopardato arancione che va contro il buon gusto, casomai!”
Delilah si trovò d’accordo, quella roba era davvero tremenda, ma evitò di esprimere i suoi pensieri a voce alta mentre lanciava un’occhiata all’orologio per controllare l’ora. Porco Salazar, quei ragazzini le stavano occupando un sacco di tempo!
Quando le ragazze e i ragazzi portatori di outfit incriminati fecero ritorno con i vestiti giusti, Minerva parve soddisfatta e informò la fotografa di poter procedere.
“Bene, ma devo far spostare qualcuno. Tu, ragazzo pertica. Sei troppo alto, vai dietro.”
Alzatasi in piedi, Delilah si posizionò con calma davanti ai ragazzini del VI anno e li scrutò attentamente uno ad uno, soffermandosi su un ragazzo dai lunghi ricci castani e i lineamenti delicati che svettava su tutti i suoi compagni.
“Ma così il mio maglione nuovo non si noterà!”
Malai si portò afflitto le mani al petto, implorante: ci aveva messo così tanto a trovare un maglione natalizio coi dinosauri, voleva che si vedesse nella foto.
“Probabilmente l’intento è quello.”
Accigliata, la ragazza asiatica con la frangetta e lisci capelli biondi che stava tra lui e una ragazzina minuta dal caschetto biondo che masticava un chewing gum rivolse un’occhiata di sbieco al Tassorosso e al suo maglione, ma prima che Malai potesse replicare offeso Delilah udì una perentoria voce femminile ordinargli di fare come gli era stato detto:
“Malai, stiamo impiegando più tempo a fare le foto che i Magi a trovare la stalla, vai dietro!”
L’insegnante di Volo, che osservava la scena accanto all’insegnante di Trasfigurazione alle spalle della fotografa, scoccò un’occhiata fulminante allo studente mentre Delilah si ritrovava a concordare silenziosamente. Nemmeno Ro, la peggior Drama Queen che avesse mai conosciuto, era così difficile da fotografare.
“Ma Maaaa’, il mio maglione!”
“Fa’ come ti dice la Signorina Yaxley, ti ho detto!”
“Grazie. Scusa, ma sei davvero troppo alto per stare davanti… Anche tu, occhioni blu, meglio se ti sposti dietro.”
A differenza di Malai Bel parve quasi felice di avere la scusa ideale per infilarsi in fondo alla foto, e seguì il compagno di Casa – che invece si spostò trascinando i piedi – con un largo sorriso mentre una ragazzina dai corti capelli lisci e neri e le mani in tasca sbuffava come una ciminiera:
“Posso andare dietro anche io?”
“Ma così non ti si vedrà.”
“L’intento è quello, specie perché a differenza dello spilungone io odio questo dannato maglione!”
Blodwel si strattonò il maglione rosso e bianco che le pungeva terribilmente, morendo dalla voglia di levarselo mentre Marley, offesa, ordinava alla migliore amica di non offendere il maglione stupendo che le aveva prestato apposta per fare la foto.
“Allora, voi due state bene davanti che siete basse… Voi due anche…”
Delilah scrutò le due Tassorosso, si soffermò su Lilian e Tallulah e poi passò in rassegna gli altri studenti messi davanti, controllando che tutti i ragazzi più alti fossero dietro e quelli più minuti davanti.
“Ragazza bionda con la frangia, sorridi che è Natale non il Dia de Los Muertos.”
“A dire il vero per i Messicani anche quella è una festa.”
Delilah ignorò deliberatamente la piccata replica di Lilian, ordinando seccata a Blodwel di non muoversi dal suo posto – la ragazza stava cercando di convincere Lance, che stava in mezzo accanto a Hiro e a Shou, a fare a cambio per non essere in prima fila –, e stava per iniziare a fare le foto quando la voce perplessa dell’insegnante di Trasfigurazione le impedì di procedere:
“Ma dov’è Eden? Non la vedo!”
“Priscilla, ti hanno beccata, vieni fuori.”
Tallulah parlò alzando gli occhi al cielo e Delilah, chiedendosi chi diavolo fossero Priscilla ed Eden, sospirò rumorosamente mentre abbassava la macchina fotografica, certa che di quel passo sarebbe rimasta ad Hogwarts fino alla Vigilia.
Quando una ragazzina minuta ed esile fece capolino dal fondo del gruppo di studenti, il viso normalmente pallido ma in quel momento dello stesso colore del maglione che indossava, Delilah le chiese gentilmente di mettersi davanti assieme alle sue compagne:
“Altrimenti non ti si vedrà.”
“Ma veramente a me va benissimo, Signorina Yaxley!”
Il pigolio della ragazzina, che si stava tormentando nervosamente le maniche del maglione, riuscì quasi a convincere Delilah a permetterle di mettersi dove voleva, ma la voce indispettita di Blodwel la precedette:
“Ehi, se io devo rendermi ridicola con questa roba addosso e fare la foto standomene in prima fila lo farà anche Eden!”
“Eden, andiamo, mettiti vicino a Tallulah.”
Alle spalle di Delilah, Margot sorrise gentilmente alla Corvonero e Priscilla, sospirando delusa per la non riuscita del suo piano, si allontanò da Malai per spostarsi a capo chino in prima fila, accanto a Tallulah.
“Possiamo fare in fretta, è quasi l’ora del tè!”
Lance parlò con un sorriso che Delilah non ricambiò, fulminandolo con lo sguardo mentre Shou, in piedi accanto al Tassorosso, sbuffava tenendo le braccia strette al petto:
“E io ho un allenamento di Quidditch!”
Perché secondo voi io non ho altro da fare?! I bambini dell’asilo sono più facili da gestire di voi. Adesso state fermi e sorridete pensando alle settimane di vacanza che vi aspettano.”
“Ma ricordatevi di studiare!”
“Professoressa McGranitt, sta rovinando i sorrisi che ci ho messo due ore a conquistare, la prego!”
 
 
*

 
Se Delilah era riuscita a finire di fotografare gli studenti era solo merito del grande, unico e vero amore della sua vita: il caffè. Gli Elfi ne avevano portate a gran quantità per lei e gli insegnanti – la fotografava aveva visto il ragazzo pertica cercare di sgraffignarne tre tazzine per poi finire cacciato a pedate dalla madre – e naturalmente non si era fatta pregare, finendo col berne ben tre.
“Non ho mai conosciuto nessuno che apprezzi tanto il caffè! Io preferisco il tè.”
In piedi accanto a lei, Margot le sorrise mentre stringeva la sua tazza piena di tè nero, e l’ex Serpeverde parlò stringendosi nelle spalle mentre Demelza, in un angolo, ne diceva quattro al figlio.
“Mia madre sostiene che devo averne bevuto accidentalmente quando ero piccola e di aver sviluppato una dipendenza. Come mai il ragazzino non beve caffè?”
“Chi, Malai? Oh, lui lo adora, ma Elza cerca di non fargliene bere troppo perché è già molto… spumeggiante di suo, diciamo.”
Margot parlò con un sorriso divertito che permise a Delilah di intuire che l’aggettivo “spumeggiante”, rivolto a quel ragazzo, fosse piuttosto riduttivo.
“Come fate ad averci a che fare tutti i giorni? Io penso che darei di metto dopo una settimana, con tutti questi adolescenti in giro.”
“Ci vuole solo parecchia pazienza, io adoro insegnare ai ragazzini, soprattutto ai piccolini del I e II anno, sono tenerissimi.”
Un sorriso addolcì i lineamenti di Margot e Delilah la guardò quasi fosse un alieno, anche se invidiò quel branco di ragazzini per la fortuna di avere un’insegnate così visibilmente tenera quando lei ancora conservava il ricordo delle lavate di capo della McGranitt.
“Mh, no, io dubito che ci riuscirei.”
Delilah si portò la tazza alle labbra per vuotarla mentre gli altri insegnanti, tutti pettinati e tirati a lucido per essere immortalati – Theobald appariva fierissimo del suo maglione rosso e verde che Eugenie gli aveva regalato molti Natali prima, offendendosi a morte quando la Preside gli fece notare che gli stava un po’ stretto – , facevano il loro ingresso nell’enorme sala magnificamente addobbata.
“Beh, per fortuna non siamo tutti uguali. Oh, pare che adesso tocchi a noi insegnanti per le foto… spero che ti faremo perdere meno tempo dei ragazzi, ma siamo un consiglio docenti un po’ bizzarro, ti avverto.”
Dopo aver finito il tè Margot sorrise e rivolse alla fotografava una strizzatina d’occhio che fece raggelare l’ex Serpeverde, che impallidì mentre l’insegnante trotterellava allegra verso Håkon per raddrizzargli la cravatta con i fiocchi di neve – Freya aveva intimato al padre che se non l’avesse messa nella foto di Natale non gli avrebbe parlato mai più – annodata storta.
Porco Salazar, che giornata…”

 
*

 
“Signori, con il dovuto rispetto, possibile che non riusciate a stare fermi? Sono venute tutte mosse, dobbiamo rifarle.”
Il coro di lamentele e gemiti degli insegnanti costò a Delilah un’enorme appello alla sua forza di volontà per non girare sui tacchi e andarsene, sibilando che da quel giorno avrebbe smesso di fotografare persone e si sarebbe dedicata solo ai vegetali, visto che quelli non si lamentavano, non si muovevano e non avevano crisi di esibizionismo o di timidezza acuta.
“La colpa è di Theobald, non fa che fare scherzi a tutti! Theobald, l’ho vista, tolga subito il ragno finto dal collo del maglione di Håkon!”
Ridacchiando, Margot aiutò Håkon a sfilarsi il ragno finto di dosso mentre Theobald, lisciandosi il maglione natalizio, sospirava afflitto e scuoteva la testa con disapprovazione:
“Minerva, insomma, sta rovinando tutte le mie burle innocenti!”
“Ma quali burle innocenti, prima mi ha messo la colla sulla sedia e ha lanciato un incantesimo su Neville facendogli crescere dei fiori in testa, degenerato!”
Stizzita, la Cooman si sistemò lo scialle carico di perline tintinnanti mentre Theobald, dietro di lei, le faceva le boccacce. Minerva, che disgraziatamente era costretta a fare la foto insieme a quel branco di bambini troppo cresciuti, sospirò rumorosamente sognando la pensione mentre Phil domandava cupo a Delilah se poteva spostarsi:
“Il tanfo del profumo della Professoressa Cooman mi sta mandando l’olfatto in malora!”
“Phineas, lei è proprio uno screanzato! Per fortuna c’è Beaumont, lui è così educato…”
“Io non mi chiamo Phineas!”
“Sì invece, pensa anche di prendersi gioco di me? Me l’ha detto Theobald che si chiama così!”
Phil avrebbe voluto dirle che se credeva a ciò che usciva dalla bocca di Watrous – che prese a sghignazzare insieme a Lumacorno – allora era ancora più idiota di quanto pensasse, ma Delilah lo precedette chiedendogli pacatamente di restare dov’era. Tuttavia, un po’ lo compatì visto che l’eccessiva quantità di profumo indossato dalla Cooman stava disturbando persino il suo, di naso.
 
 
Dopo aver fatto spostare Margot e Demelza davanti – le due però parvero molto più felici di trovarsi in prima fila rispetto alle studentesse e si misero in posa sfoggiando due smaglianti sorrisi da dive – e Beau, Håkon e un Phil felicissimo sul retro, Delilah asserì che poteva riprendere a fotografarli:
“Cercate di stare fermi, per favore! È stato più facile fotografare magnificamente un Auror che nemmeno sapeva di essere ripreso rispetto a voi che siete in posa!”
“Si vede che era molto fotogenico.”
Lumacorno parlò stringendosi nelle spalle e sistemandosi i baffi mentre Demelza, sistemandosi i lunghi capelli rossi sulle spalle, si rivolgeva all’amica con tono sostenuto:
“Anche noi siamo fotogeniche, vero Margi?”
“Chiaramente!”
“Ai miei tempi lo ero anche io, facile dirlo quando si è giovani e belli!”
Theobald sospirò nel ricordo dei bei tempi andati, e Minerva alzò gli occhi al cielo prima di sfoggiare il sorriso più finto di cui era capace: quel servizio fotografico le stava procurando un esaurimento ancor più fulminante del solito.
 

 
*

 
“Sono venuti bene in tutte le foto solo Håkon, Beaumont e Philip. Ammetto che è relativo considerato che sono tre gnocc- va beh insomma, gli altri dovrebbero sforzarsi di più. Come vorrei dover fotografare ancora Asriel…”
Rimpiangendo il soggetto più fotogenico in cui si fosse mai imbattuta, Delilah fece scorrere le foto che aveva già scattato mentre sentendo nominare l’Auror le antenne di Margot si rizzavano al punto di sfiorare l’altissimo soffitto della Sala Grande:
“Asriel? Ma allora era lui l’Auror di cui parlava! Ma non ci può mettere a paragone con lui, è ingiusto!”
“In effetti, non ci sono paragoni che tengano.”
Le due presero a sospirare con sguardo sognante e Demelza assestò una gomitata all’amica per permetterle di tornare alla realtà mentre Phil, invece, aggrottava le sopracciglia:
“Cioè lo ha fotografato di nascosto?”
“Non posso parlare degli incarichi che mi vengono assegnati da altri clienti, mi spiace. Le ultime non sono venute male, ne faccio un’ultima e basta.”
Finalmente un sorriso sincero si fece largo sul volto di Minerva, che sentì che il Natale era davvero arrivato mentre le campane prendevano a suonare nelle sue orecchie:
“Siano lodati i Fondatori! L’anno prossimo la sezione natalizia dell’annuario sarà abolita, siete tutti avvisati!”

 
*

 
Erano trascorsi pochi giorni dal servizio fotografico natalizio quando Margi, una mattina, ricevette della posta inaspettata da un gufo bruno che non aveva mai visto prima.
Curiosa, la strega prese la sottilissima busta priva di mittente dalle zampe del rapace, che volò rapidamente fuori da una delle grande finestre ad arco della Sala Grande mentre l’insegnante l’apriva.
Dentro c’erano un paio di fotografie, tutte e due ritraenti quello che a sua detta era “l’uomo più bello del mondo”. Oltre alle foto, solo un bigliettino con disegnata una faccina ammiccante e una D.
Sorridendo come se avesse ricevuto il più bel regalo del mondo Margot si avvicinò a Demelza per condividere con lei cotanta bellezza, decretando di essere appena diventata la fan numero uno di Delilah Yaxley.
“Dovremmo chiederle di fare anche le foto di fine anno, è proprio simpatica!”









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Angolo Autrice: 

Negli ultimi giorni il tempo per scrivere mi è proprio mancato e non ho altro di pronto, quindi salvo ispirazioni lampo tra oggi e domani questo potrebbe essere l'ultimo speciale natalizio di quest'anno. L'idea di Delilah ad Hogwarts che fotografa ragazzi e insegnanti mi ronzava in testa da parecchio, e ho pensato sarebbe stato un bel crossover tra MOTRE e il Camp, quindi spero che l'abbiate apprezzato <3
Grazie per aver seguito la Raccolta anche quest'anno e anche il Manzavvento su IG, il periodo natalizio passa sempre troppo in fretta, sopratutto quando hai dovuto lavorare/studiare come una scema fino a due giorni prima T.T 
Buona Vigilia e, se non dovessi farmi viva con nulla domani, Buon Natale <3 Sfondatevi di cibo anche per me. 
Un abbraccio, 
Signorina Granger 

 

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Capitolo 13
*** Christmas Eve of an extended family ***


XIII: Christmas Eve of an extended family
 


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Londra, Belgravia
24 dicembre

 
 
 
L’Inghilterra era fredda, grigia, umida e piovosa, in inverno più che mai: a Sabrina St John la nazione natia di suo padre non era mai andata a genio, troppo abituata alle estati caldi e agli inverni molto meno rigidi del Sud della Francia. Eppure, si ritrovava ad ammettere a se stessa ogni anno, quando a Natale raggiungeva suo padre per trascorrere insieme la Vigilia di Natale, c’era qualcosa di irrimediabilmente affascinante in un Natale pieno di neve, nel pattinare sul ghiaccio o in un camino scoppiettante accanto ad un albero addobbato.
Era proprio uno splendido camino di quarzite che Sabrina stava osservando in quel momento, sprofondata tra i cuscini di uno dei due comodissimi divani beige del soggiorno con una sofficissima coperta color crema adagiata sullo schienale a solleticarle il collo lasciato scoperto dai corti capelli scuri e un bicchiere di vin brulè in mano quasi momentaneamente dimenticato. La strega stava ripercorrendo mentalmente stralci di Natali passati, in particolari quelli della sua infanzia, mentre alle sue spalle sentiva suo padre e Joyce discutere giocosamente mentre sistemavano il tavolo di legno in stile scandinavo per l’estenuante sessione di rito di giochi da tavolo. Anche se non poteva vederli immaginava chiaramente sua madre seduta in silenzio, impegnata a sorseggiare vino rosso da un calice con quella grazia che solo lei possedeva, e Silas impegnato invece a sgranocchiare torrone, dolce verso il quale nutriva una debolezza fin da bambino. Erano pochissime le occasioni in cui la sua bizzarra famiglia allargata si riuniva, e il Natale era una di quelle, insieme al suo compleanno e a quello di Silas, una ricorrenza che Sabrina ricordava di aver sempre vissuto allo stesso modo: la Vigilia a casa di quella che un tempo era stata di suo padre e di Joyce, dove Silas era cresciuto e dove ormai Gideon non viveva più da anni, da dopo il divorzio. La casa, situata a Belgravia, era enorme, dormivano tutti lì e poi il giorno seguente si separavano: lei e sua madre facevano ritorno in Francia, per trascorrere il 25 con la famiglia di Sandrine, mentre Joyce, Gideon e Silas restavano a Londra.
Quei Natali erano sempre stati talmente tutti uguali – le miti discussioni tra sua madre e suo padre tra un bicchiere di vino e l’altro, Joyce che costringeva tutti ad indossare maglioni natalizi, le montagne di biscotti alla cannella, la cioccolata calda fumante e i giochi, il camino acceso e le decorazioni luccicanti, sua madre che inutilmente cercava di far masticare qualche parola di francese a Silas – che i ricordi si allacciavano e distendevano nella mente di Sabrina quasi emulando il movimento di una fisarmonica, rendendole difficile distinguere un anno dagli altri. Per quanto fossero una famiglia bizzarra erano comunque riusciti a costruirsi delle tradizioni, e suo padre riusciva persino ad andare d’accordo con entrambe le madri dei suoi figli: con Joyce non era difficile, avendo mantenuto un buon rapporto anche dopo il divorzio, con sua madre un po’ meno, ma facevano entrambi del loro meglio: Sabrina la conosceva meglio di quanto non conoscesse se stessa, e vedeva gli angoli delle labbra di Sandrine stringersi quando Gideon la provocava, o quando faceva qualcosa che andava oltre la sua approvazione. Eppure si sforzava, forse solo per lei, forse per tutta quella stramba famiglia.
Quando il fruscio delle carte e la voce ridente di Joyce, che accusava l’ex marito di barare ogni anno per vincersi i liquori messi in palio, venne brevemente sovrastata dal suono di una risata di Sandrine Sabrina si voltò per posare lo sguardo sulla madre, abbozzando un sorriso quando la vide parlare con Joël, che le si era seduto accanto e le stava dicendo qualcosa a bassa voce di rimando. Di nuovo Sandrine rise gettando appena percettibilmente la testa all’indietro, e Silas si lamentò del loro parlare in francese tra un pezzo di torrone e l’altro. Sabrina seppe che la sua famiglia stava parlando di lei quando Joël si sporse sul tavolo per avvicinarsi al “cognato”, bisbigliando complice qualcosa che destò un sogghigno divertito sul bel viso di Silas, il cui sguardo indugiò per un istante su di lei, lo sguardo di chi ritiene di saperla lunga.
“Che cosa state confabulando? Siete un trio molto pericoloso.”
Un sospiro che si sforzò di apparire amareggiato si librò dalle labbra dischiuse di Sabrina, che gettò un’occhiata di pigro rimprovero al fidanzato mentre si portava il bordo del bicchiere di vin brulè alle labbra e Joël si alzava per raggiungerla, raggirando il divano per sederlesi accanto, tra lei e una soffice pila di cuscini coperti da federe in tema con le feste.
“Lo scoprirai quando vedrai il mio regalo.”
Se le sue parole avrebbero dovuto rassicurarla, il sorriso malandrino che incurvò le labbra di Joël non lo fece affatto, e Sabrina sbuffò mentre lasciava che il musicista le avvolgesse le lunghe braccia attorno al busto, depositandole un bacio languido su una guancia.
“Dunque tutti sono a conoscenza del mio regalo tranne me. Lo trovo frustrante.”
Sabrina tornò a guardare le fiamme scoppiettanti nel camino prima di riportarsi il bordo del bicchiere alle labbra, lasciando che il calore della bevanda l’avvolgesse insieme alle braccia di Joël, che sorrise mentre le scostava i capelli dalla guancia, sistemando le ciocche color cioccolato dietro l’orecchio.
“So che non ne sei capace, ma abbi pazienza. Sono sicuro che ti piacerà.”
Se solo fosse stata meno orgogliosa, un poco più sentimentale, forse Sabrina sarebbe riuscita a dirgli quanto poco le importasse del regalo, e di quanto quel Natale fosse già diventato il più bello e dolce di sempre, potendolo passare con lui. Invece non disse nulla, detestandosi profondamente per l’incapacità di rivolergli parole dolci, limitandosi a rilassarsi nell’abbraccio di Joël adagiandosi contro il suo maglione blu coperto da fiocchi di neve, identico a quello rosso che Joyce le ha fatto trovare ai piedi del letto matrimoniale che li avrebbe ospitati per quella notte.
“Sei felice?”
Quando i suoi occhi scuri tornarono su quelli blu di Joël Sabrina annuì, trattenendosi dal rivelargli di desiderare che quel Natale non finisse mai, di restare seduta accanto a lui su quel divano, davanti ad un albero scintillante e ad un camino acceso, con la neve sulle strade e una dolce musica ad avvolgerli. Sabrina non si era mai sentita così felice, a Natale, mai così felice da sentirsi quasi male, qualcosa che non riusciva nemmeno a spiegare, né a parole, né a se stessa, forse per il timore di vedersi strappare quella felicità. Prima di Joël non aveva mai appreso quanto meraviglioso e spaventoso l’amore potesse essere, tanto che a volte si ritrovata ad abbracciarlo con tanta intensità da sentirsi quasi una bambina sciocca.
“Moltissimo. Adoro che tu sia qui.”   Sabrina quasi si detestò per quelle parole tanto banali, ma non riuscì a dirgli altro, di certo non con la consapevolezza di non essere soli. In qualche modo, per fortuna, Joël sembrò capirlo, perché le sorrise mentre la sua mano scivolava verso la sua, stringendole le dita con le proprie, lunghe e un poco callose, le dita che producevano meraviglie e che Sabrina spesso si ritrovava ad ammirare quando erano all’opera, incantata, o ad un accarezzarle affettuosamente con le proprie.
“Il nostro primo Natale insieme. E abbiamo già i maglioni abbinati.”
“Le manie di Joyce, ti ci abituerai.”
“Le adoro già. Sono felice anche io di essere qui.”
Joël sorrise, gli occhi blu luccicanti, e Sabrina capì che era sincero, che non avendo mai avuto una famiglia unita da quando suo nonno era morto poteva apprezzare davvero le loro piccole tradizioni.
 
“Piccioncini sbaciucchiosi, venite a giocare, dobbiamo fare fronte comune per impedire a papà di vincere. E vi ricordo ancora una volta che la mia camera è di fronte alla vostra, vedete di non fare niente di strano stanotte!”
Nessuno di loro due aveva mai portato un partner alla Vigilia di Natale prima di quell’anno, e Silas guardò la sorella e il fidanzato guardarsi con le teste vicine mentre sua madre sospirava mormorando quanto fossero splendidi insieme e Sandrine annuiva guardandoli in silenzio, gli affascinanti occhi scuri pieni di soddisfazione. Naturalmente Silas era felice per sua sorella, ma già tremava immaginando la tortura a cui l’avrebbero sottoposto a partire dall’anno successivo, interrogandolo su come e quando avrebbe portato a sua volta una fidanzata a casa.
Un commento un po’ troppo piccante in risposta a Silas risalì invece lungo la gola di Joël, Sabrina quasi riuscì a coglierlo solo dall’espressione del fidanzato mentre si alzavano dal divano, le mani strette l’una nell’altra, ma le parole si fermarono appena in tempo sulla lingua del musicista, che si limitò a sorridere beffardo e amabile come solo lui sapeva fare prima di assicurare angelico che avrebbero fatto i bravi.
“Non capisco proprio da dove abbiano origine queste orribili e vergognose accuse che mi rivolgete da anni. per fortuna ora c’è Joël e potrò finalmente avere un alleato.”
Gideon fece del suo meglio per fingersi offeso mentre tutti prendevano posto attorno al tavolo, accarezzando dolcemente la testa di Napoleon, che si era appoggiato sulle sue gambe, mentre Sandrine vuotava il bicchiere prima di sorridere e accennare a Joyce facendoselo dondolare lentamente tra le dita:
“Sei un illuso, Gideon, se pensi che non ce lo siamo già accuratamente lavorato.”
Joyce ridacchiò, Joël distese le labbra in un sorriso colpevole senza smettere di accarezzare il braccio di Sabrina con le dita, e Gideon subito si rabbuiò, scuotendo cupo la testa mentre mescolava le carte con gesti rapidi e precisi:
“Quest’idea del trascorrere il Natale insieme è pessima. Una volta era per il bene dei bambini, ma ormai i bambini sono cresciuti, direi che dovremmo finirla, così la finirete di fare comunella contro di me.”
Oui papà, sei proprio il ritratto di un uomo maltrattato, stanco e sciupato. Forza, dai le carte. Silas, lascia un po’ di torrone e arachidi anche agli altri!”
“In questa famiglia l’unico che non mi rimprovera è Joël, possibile?! L’anno prossimo accetterò l’invito di Meadow.”
All’udire il nome della ragazza subito gli sguardi di Sandrine e Joyce si illuminarono, voltandosi verso sognanti e speranzose verso il ragazzo. Gideon ebbe modo di sbirciare le carte mentre le distribuiva, ma Joël finse di non accorgersene e tacque reprimendo a fatica un sorriso mentre Silas, rassegnato, sospirava rumorosamente:
“Solo un’amica. Solo un’amica.”


 
Era da poco passata l’una quando Sabrina, dopo essersi infilata il pigiama, aver lavato i denti ed essersi cosparsa il viso di crema, aprì la porta bianca del bagno privato della sua camera da letto. il giorno seguente l’aspettavano ore ed ore con la famiglia di sua madre, e anche se tecnicamente il Natale era appena iniziato per lei, che non si era mai sentita particolarmente legata a quella parte della famiglia, si stava già affievolendo. Specie considerando che Joël avrebbe dovuto recarsi a Marsiglia per un concerto.
Quando uscì dal bagno vide Joël seduto sul letto, sopra allo spesso copripiumino bianco con i bordi blu abbinato perfettamente al resto dell’arredamento della camera. Gli occhi del mago la studiarono, la testa retta dal gomito piantato sul ginocchio, e un sorrisino si fece presto largo sulle labbra di Joël mentre Sabrina si chiudeva la porta del bagno alle spalle prima di dirigersi a piedi nudi verso il letto, impaziente di infilarsi sotto le coperte.
“Beh, non era proprio ciò che speravo.”
Lo sguardo di Joël indugiò eloquentemente sul pigiama di tartan di Sabrina, che sorrise e lo colpì giocosamente con uno dei cuscini decorativi di piume rammentando quando il fidanzato le aveva chiesto, giorni prima, se per Natale intendesse “fargli un regalo speciale”:
“A casa della mia ex matrigna non faremo un bel niente, stanne certo.”
“Peccato, ma se pensi di poter resistere al mio fascino ammiro la tua forza di volontà.”
Joël si strinse nelle spalle prima di sollevare le braccia per stiracchiarsi, guardandola infilarsi sotto il piumino rabbrividendo un poco per il freddo. Un sorriso si fece largo sul bel viso del mago mentre studiava la fidanzata, guardandola con una vaga traccia di impazienza che la incuriosì:
“Che cosa c’è?”
“Penso sia arrivata finalmente l’ora del mio regalo.”
All’udire quelle parole tanto attese Sabrina subito si sentì alleggerire da un’ondata di sollievo, desiderosa di poter porre la parola fine alla sua curiosità: quello era il loro primo Natale insieme, il regalo da fare a Joël l’aveva tormentata per settimane, così come la curiosità che il musicista, con i suoi sorrisetti beffardi, le aveva presto instillato. Immobile e in silenzio, seduta contro lo schienale bianco imbottito del letto, Sabrina guardò Joël darle le spalle, allungarsi verso il comodino e aprire il primo cassetto per poi richiuderlo subito dopo. Quando Joël le borse una busta rossa la curiosità di Sabrina si fece più acuta, ma la strega non disse nulla e si limitò a sollevare perplessa un sopracciglio mentre la prendeva, sollevando il lembo superiore per tirarne fuori due sottili strisce di carta stampata rettangolari. Per un altro istate la stanza rimase avvolta dal silenzio, mentre Joël la guardava sorridendo in attesa e Sabrina dava una rapida occhiata alle scritte nere in stampatello, finchè la strega non sollevò la testa di scatto per guardarlo incredula, le labbra dischiuse e gli occhi scuri spalancati:
“Vernier? Oggi? Ma tu non…”
“Non devo suonare, era una bugia per farti una sorpresa. Mi sono accordato con tua madre, naturalmente, affinché non ti dicesse nulla. Staremo in una baita a Vernier fino al 2 gennaio. Anjali e Alphard ci raggiungeranno per Capodanno, ora sono a Zurigo dalla famiglia di Anji e da lì arriveranno in un attimo.”
“Quindi domani niente famiglie?”
“Adoro la tua famiglia, non ci si annoia mai, ma no. Domani saremo solo tu, io e la neve.”
Anche Sabrina amava la sua famiglia, per quanto bizzarra fosse, ma Joël aveva ragione: avevano fatto il pieno di parenti, quel giorno, e l’idea di passare qualche giorno da soli, circondati dalla neve, dal silenzio e dalle luci natalizie, le scaldò piacevolmente il cuore. La strega distese le labbra in un dolce sorriso, allungandosi verso Joël per abbracciarlo stringendogli le braccia attorno al collo e poggiando il viso sulla sua spalla, mormorando qualcosa quando sentì le sue braccia cingerle affettuosamente la vita.
“Grazie. A vedervi ridacchiare ero preoccupata, lo confesso.”
“Lo so, ed è stato divertentissimo. Silas voleva che riprendessi la tua faccia quando avresti aperto la busta.”
Joël ridacchiò mentre Sabrina scioglieva l’abbraccio, allontanandosi leggermente da lui quel tanto che le bastava per poterlo guardare in faccia e scoccargli così una pigra occhiata di rimprovero: suo fratello e il suo fidanzato erano un duo potenzialmente pericoloso. Era una fortuna che Silas vivesse in Inghilterra, a molti chilometri di distanza, o non le avrebbero lasciato mai un attimo di tregua.
 



 
 
 
Quest’anno purtroppo il tempo che ho avuto da dedicare a piccoli speciali in occasione del Natale è stato molto poco, ma non potevo non pubblicare assolutamente nulla e lasciare questa Raccolta senza alcun aggiornamento fino a dicembre del 2023, pertanto ho deciso di scrivere qualcosa per alcuni dei personaggi dell’Hotel. Temo che per quest’anno questo speciale sarà il primo ed ultimo aggiornamento della Raccolta, ma per chi mi segue su IG lì nei prossimi giorni arriverà un’ultima, terza piccola flash in tema con le feste.
Buone feste e un abbraccio, ci rivediamo l'anno prossimo❤️
Signorina Granger  

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