Calendario dell'Avvento

di Koa__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una vacanza da ricordare ***
Capitolo 2: *** Una dolce sorpresa ***
Capitolo 3: *** Una proposta imbarazzante ***
Capitolo 4: *** Mr Frosty e il fiorellino canterino ***
Capitolo 5: *** Lo Shadowhunter gentiluomo ***
Capitolo 6: *** Guardarti con i miei occhi ***



Capitolo 1
*** Una vacanza da ricordare ***


Giorno 4 dicembre, prompt: neve





 

Una vacanza da ricordare

   





 

Quando Magnus espirò, emettendo uno sbuffo di fiato caldo, i vetri della finestra alla quale stava appoggiato si appannarono. Afferrò con le dita i lembi della manica della vestaglia di seta e li tirò così da poter improvvisare uno straccio, quindi ripulì la superficie. Non che servisse a qualcosa, non si vedeva più molto là fuori. Sebbene fossero a malapena le cinque del pomeriggio, a dicembre diventava buio presto e già a quell’ora il cielo era scuro. Quell’anno aveva fatto le cose per bene, d’altra parte era il loro primo Natale insieme. Aveva affittato uno chalet in Svizzera sperduto tra i boschi, incastonato tra le montagne e le nevi invernali. C’era un paesino da qualche parte, a cinque o sei chilometri di distanza. Non sarebbe mai stato capace di arrivarci a piedi, in effetti non c’erano ancora mai stati. Non che fosse difficile comprendere per quale motivo una giovane coppia innamorata non si decideva a uscire dalla camera da letto. Avevano oltrepassato il portale da tre giorni, ma ancora non avevano realizzato che fuori c’era effettivamente un mondo che non aspettava altro che d’essere visto. Eppure, a lui e ad Alec pareva non importare proprio. Mangiavano biscotti sul divano, sbriciolando tra i cuscini e intervallando baci a gocce di cioccolata. Facevano l’amore per ore e ore e ridevano come matti le volte in cui Alec improvvisava una zuppa con i pochi ingredienti di quel frigorifero. Per Lilith, avrebbe ricordato per secoli la vellutata di funghi di Alec Lightwood come una delle cose più abominevoli che avesse mai mangiato. Quando l’aveva sputata nel piatto, trattenendo per sé male parole, aveva temuto di offenderlo. Così non era stato, al contrario avevano riso entrambi. Cucinare insieme li divertiva. In effetti sarebbero dovuti uscire da lì e andare in un ristorante e mettere nello stomaco qualcosa che fosse effettivamente commestibile, pensò in quel tardo pomeriggio stirando un sorriso. Alec se la cavava, ma non era un cuoco fenomenale. Quel paese a cinque chilometri era anche un bel posto, aveva buttato lì Magnus quel mattino. Avrebbe potuto anche aprire un portale, aveva aggiunto. Non c’erano andati, si erano persi in una sessione intensa di massaggi che era finita con un’altrettanto intensa sessione di sesso.

 

Non era ancora Natale. Sarebbe arrivato tra un paio di giorni e Magnus aveva nascosto in valigia un regalo per Alec, ma non faceva che chiedersi se gli sarebbe piaciuto o meno. Non avevano neanche parlato di regali. Sospirò di nuovo, i vetri si appannarono ancora. Quella finestra gli piaceva, osservò. Aveva un ampio davanzale interno che avevano arredato con morbidi cuscini e anche una coperta. Erano troppo alti per stare sdraiati, ma se si rannicchiava riusciva a mettersi seduto godersi il paesaggio. Il vetro era freddo, gli dava quasi fastidio appoggiarci la fronte sopra. Eppure non riusciva a staccarsi da lì. Sebbene non ci fosse poi molto da vedere, se non un manto che si estendeva per chilometri tra le bianche colline, alberi innevati e fiocchi grossi come nocciole che si depositavano a terra. Non aveva mai realmente smesso di nevicare, ma andava bene così. A Magnus non era mai davvero piaciuta la neve, da piccolo non l’aveva conosciuta né ci aveva giocato e a un certo punto le meraviglie del mondo avevano perso ogni attrattiva. Avere attorno Alec voleva anche dire sospirare guardando un paesaggio invernale e pensare a quanto belle fossero le luci calde dell’abete decorato che si riflettevano sui vetri.
“Eccomi!” lo sentì dire tutto d’un tratto e allora si voltò di poco in direzione della sua voce. Alec era uscito dalla cucina reggendo un paio di tazze di cioccolata. Già riusciva a sentire il profumo nell’aria.
“Ci hai messo tantissimo tempo” notò, guardandolo di sbieco e osservando l’orologio a cucù appeso alla parete che segnava già le cinque e un quarto. Il suo fiorellino sbuffò nel sentirlo parlare in quel modo, secondo Magnus era ancora più carino quando fingeva esasperazione. Aveva addosso un buffo maglione natalizio con una renna dal naso rosso che lo faceva sembrare un elfo di Santa Claus. Era stata un’impresa convincerlo a metterlo, ma ne era valsa la pena.
“Il solito esagerato, saranno appena dieci minuti” replicò lui, divertito, posando entrambe le tazze sul davanzale. “Attento che scotta, conviene aspettare qualche minuto.”
“Mh, hai qualche idea di cosa potremo fare nel frattempo?” chiese, mordendosi il labbro con fare malizioso. Baciarsi era sempre un bel modo per passare il tempo.
“Non saprei” fece spallucce Alec. “Che facevi? Guardavi la neve?”
“Già” replicò Magnus portando di nuovo le proprie attenzioni là fuori. Niente baci per il momento, chissà magari avrebbero potuto tenerli in serbo per dopo. “Ti posso svelare un segreto? Adoro i pupazzi di neve, anche se non credo di averne mai fatto uno in tutta la vita.”
“Davvero?” replicò Alexander, spalancando i suoi occhioni blu. “Persino noi li facevamo, a New York, andavamo a Central Park appositamente. Max li adorava mentre con Isabelle e Jace trasformavamo le battaglie di neve e guerre vere e proprie.”
“Shadowhunters” sorrise scrollando il capo. “Chissà magari ne farò uno anch’io, prima o poi.” Vide Alec annuire e sorridere intanto che gli porgeva la tazza. Scoprì che ci aveva messo del peperoncino, il suo occhi blu non smetteva mai di sorprenderlo.

 

Il mattino lo trovò riposato e felice. Lui e il suo pasticcino avevano dormito abbracciati e si svegliava sempre di buonumore quando succedeva. Uscì dal bagno avvolto da una nuvola di vapore, stretto in un morbido accappatoio. Così come succedeva spesso di recente, venne attirato verso la cucina dal profumo del caffè. Non era solo per quello che affrettò i passi, Alec non si era fatto trovare a letto e a suo modo di vedere era una cosa gravissima. Come minimo lo avrebbe abbracciato e baciato per sette minuti e poi… Il disappunto si dipinse sul suo volto quando si rese conto che non c’era. Non era nemmeno in soggiorno né in camera e siccome uno chalet piccolo come quello non aveva altre camere, si chiese dove accidenti fosse andato. Magari era uscito a prendere della legna? Si chiese, salvo poi trovare subito la risposta. Il caffè era appena fatto, Alec aveva sistemato un bigliettino sotto a una tazza, la sua calligrafia appuntita era il segno che avesse scritto quel messaggio di fretta: Fai colazione, poi vestiti pesante ed esci. Il suo fiorellino gli aveva fatto una sorpresa? Oh, sì, gliel’aveva fatta eccome! Pensò, tutto eccitato. Non aveva mai amato le sorprese, ma quelle del suo pasticcino sì. Le sue erano speciali. Venne quasi tentato dallo spiare già fuori, ma non voleva deluderlo quindi ingurgitò una bella tazza di caffè, scottandosi la lingua perché non stava più nella pelle e poi volò in camera da letto, dove scelse i vestiti più pesanti che aveva. Specchiandosi, si ritrovò ad andare particolarmente fiero del cappellino rosa glitterato che aveva comprato apposta per l’occasione. Quindi indossò parka e stivali ed uscì. 

 

Lui lo vide tra la neve, poco più tardi, Magnus non era riuscito ad andare oltre il patio. Si era fermato sulla porta ancora aperta e fissava dritto avanti a sé con la bocca spalancata e il cuore che palpitava per l’emozione. Aveva smesso di nevicare, tanto per cominciare, e un pallido sole illuminava un paesaggio che pareva cristallizzato nel tempo. I rami degli alberi, appesantiti dalle abbondanti nevicate, erano spiacevolemente piegati all’ingiù e li facevano sembrare quasi affaticati. Alec era là tra la neve. Con le guance arrossate, gli occhioni blu e un sorriso dolce a tendergli le labbra. Attorno a lui decine di pupazzi di neve, forse venti o anche di più. Erano alti poco più di un metro ed erano tutti diversi, ognuno aveva dei rami al posto delle braccia, ma soltanto due erano davvero completi. Erano i soli ad avere delle carote al posto del naso. Uno aveva un cappellino sopra la testa e l’altro una sciarpa annodata al collo. Sorrisi sghembi fatti con dei sassolini e bottoni al posto degli occhi.
“I-io” lo vide balbettare, sempre più rosso. Sguardo basso e mani a grattarsi la nuca, imbarazzato. “I-io non avevo abbastanza carote” lo sentì mormorare. E allora Magnus rise, rise di cuore. Come mai aveva riso in tutta la sua lunga vita.
“Ti amo, Alec Lightwood, non sai neanche quanto” sussurrò sulle sue labbra, dopo essergli corso incontro e averlo abbracciato di slancio. Lo baciò una, due volte. Stringendolo a sé e di nuovo ridendo. Quella mattina, fecero quanti più pupazzi di neve poterono. Magnus si aiutò con la magia, materializzando davanti a loro almeno una trentina di carote, o forse di più. Tutti quegli omini di neve alti un metro o poco più avrebbero avuto sorrisi fatti con i sassi, bottoni al posto degli occhi, ma sciarpe e cappelli glitterati.




 

Fine

 


 

Note: All’inizio del mese di dicembre ho scoperto per caso su Wattpad questa iniziativa molto carina, un calendario dell’avvento a tema Shadowhunters. Con dei prompt davvero molto belli che hanno ispirato alcune fanfiction brevi, ovviamente Malec.

Non ho scritto tutti i giorni, non ce l’avrei mai fatta a farlo, ma quattro storie (per ora poi chissà) sono riuscita a scriverle. Pur essendo ben conscia che non riceveranno recensioni, o ne riceveranno molto poche, ho deciso di condividerle anche qui.

Intanto vi lascio il link all’iniziativa, e ringrazio tutte le persone che hanno letto fino a qui.
Koa

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Capitolo 2
*** Una dolce sorpresa ***


 

Una dolce sorpresa





 

Quando la porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle, Magnus vi si lasciò cadere contro, sospirando stancamente. Amava il Natale a New York, davvero, ma il freddo lo uccideva e la gente faceva cose ben peggiori al suo umore. Il fatto che fosse una scusa per indossare berrettini di lana glitterati o calde sciarpe di lana, per non parlare delle decine di cappotti colorati che aveva nell’armadio, era quell’in più che gli permetteva di sopravvivere ai mesi invernali di Brooklyn. Insomma lui era più tipo da calde spiagge di sabbia bianca o da abbronzarsi al sole mentre un paio di bei fusti gli portavano drink a ripetizione. E in effetti aveva passato Natali simili negli anni '80. Questo però era stato in un’altra vita, prima di Alec Lightwood per la precisione. Prima di Max e Rafe, i suoi figli. Prima che il Natale assumesse effettivamente un senso. Un abete decorato di calde luci bianche con un bel puntale dorato a forma di stella, tante palline scintillanti appese ai rami non era più un qualcosa di meccanico, da fare tutti gli anni perché lo facevano tutti. Era calore, risate e scherzi, era famiglia. La sua famiglia. Max e Rafe con la loro lista di regali, le carole da intonare tutti quanti assieme, con Alec puntualmente il più stonato di tutti. E poi anche i film da vedere stretti stretti sul divano sotto a una calda coperta e… stress! Tanto, tanto stress! 

 

Oh, Magnus amava da morire la sua famiglia e non avrebbe scambiato la vita che aveva ora con quella di nessun altro. Adorava anche lo shopping a dire il vero, ma New York era una città di pazzi. Di pazzi veri. Aveva deciso di iniziare per tempo con i regali, perché la riteneva una cosa saggia. Aveva quattrocento anni, avrebbe dovuto essere il più saggio di tutti da quelle parti. Lui e Alec avevano deciso fin da dopo il Ringraziamento che cosa regalare ai bambini, leggendo le loro letterine a Santa Claus e decidendo cosa tralasciare e cosa invece tenere. E non che avessero problemi di soldi, tutt’altro, ma Max aveva chiesto una renna e a nessuno era parso davvero il caso di regalargliene una. Però avevano programmato una gita in Lapponia, nel villaggio di Santa Claus, per il giorno della vigilia e immaginava che quello valesse come regalo. Alcune cose invece erano più materiali, i classici giocattoli da acquistare in negozio e le avevano già comperate insieme, approfittando di una mattinata in cui Catarina si era offerta di fare da baby sitter. Ovviamente, però, c’era anche il suddetto dolce fiorellino nell’elenco di persone a cui regalare qualcosa. E con lui anche tutta la sua famiglia: Clary, Isabelle, Jace, Simon… Magnus aveva passato un quarto d’ora indeciso se comprare a Maryse un profumo di Chanel o uno di Dior. Alla fine, stremato anche dall’insistenza della commessa che aveva deciso di mostrargli tutto il campionario, li aveva presi tutti e due. Sì, era solo il sette dicembre, ma Magnus Bane già non ne poteva più di girare per negozi. Il che era un’eresia bella e buona, lui che venerava il Dio dello Shopping! Ma New York e Natale, nella stessa frase, era troppo anche per i suoi nervi centenari. Era uscito verso le due e rientrava soltanto ora, che erano da poco passate le cinque. La porta di casa gli era apparsa davanti come l’oasi di un assetato nel deserto. Intirizzito, nervoso e stremato aveva varcato la soglia nella speranza di venire subito abbracciato dal suo delizioso cupcake. L’appartamento, però, era immerso nel silenzio.

 

Le lampade del soggiorno erano spente e l’albero illuminato si rifletteva nei vetri delle porte finestre. Si levò cappellino, guanti, sciarpa e cappotto, facendo sparire i regali nell’armadio con uno schiocco veloce delle dita. Aveva la punta del naso fredda come un pezzetto di ghiaccio, quindi la sfregò con le mani intanto che avanzava nel soggiorno. Soltanto allora fece caso al fatto che delle voci provenivano dalla cucina: Alec e i bambini si perdevano in risate di gioia. Procedette senza far rumore, appoggiandosi allo stipite e incrociando le braccia al petto. Stavano preparando dei biscotti, il profumo che impregnava l’aria era inconfondibile: pan di zenzero.
“Ti sento, è inutile che provi a fare piano. Vieni qui ad aiutare” borbottò Alec, senza alzare gli occhi dal lavoro certosino che stava facendo. All’inizio della loro convivenza si era dimostrato bravino a cucinare, però preparava per lo più piatti basici ovvero quelli atti a sopravvivere tra una missione e l’altra, con il tempo aveva fatto pratica e ora era un cuoco provetto. Sotto Natale, ricordò a se stesso, il suo fiorellino pasticcere dava il meglio di sé.
“Ti ho sentito anch’io, papi” intervenne Rafe, alzando lo sguardo in sua direzione e sfoggiando un gran sorriso. Ovviamente lo avevano fatto, pensò intanto che alzava gli occhi al cielo, non si poteva sperare di farla franca con due Shadowhunters in famiglia. E il piccolo Rafe, nonostante la sua giovane età, aveva comunque i sensi molto più sviluppati di quelli di uno stregone. Aveva anche quel modo di camminare felpato e aggraziato che delle volte, lo ammetteva, lo terrorizzava un tantino. Soprattutto quando gli arrivava alle spalle, appositamente per spaventarlo.
“Ma certo che sì” mormorò, facendosi avanti e oltrepassandoli di modo da dirigersi verso il frigorifero. Aveva bisogno di una bella tazza di cioccolata calda, magari avrebbe riportato la sua temperatura corporea a dei livelli normali. Un tempo avrebbe schioccato le dita e fatto una magia, ma aveva promesso ad Alexander di non usarla per simili sciocchezze. All’inizio gli era pesato, ma con il tempo aveva riscoperto la gioia nel fare le piccole cose, come lo spezzettare il cioccolato con un coltello, il dosare la quantità giusta di latte e, ovviamente, cucinare biscotti con Alexander le cui mani proprio ora erano sporche di farina e profumavano di burro. E forse era per il sorriso dolce che aveva, per quello sguardo rubato che gli aveva dedicato. O magari era per il maglione nero e bucato che indossava o ancora per l’aria arruffata, ma non era mai stato più bello di così.
“Che fai, papi?” domandò Max, riportandolo alla realtà. Il suo nasino blu, osservò, era impiastricciato di farina bianca.
“Preparo una cioccolata calda, qualcuno la vuole?” chiese, arricciando le labbra e trattenendo un sorriso, giocando come se già non sapesse che tutti avrebbero risposto di sì.
“Io!” dissero i bambini in coro, ridendo felici. Persino Alec annuì, entusiasta.
“Ce li metti i marshmallow, però?” aggiunse Max.
“Solo se mi dici che cosa state facendo di così importante che nessuno è ancora venuto qui a darmi un bacio.”
“Pan di zenzero” mormorò Alec, alzando il viso e mandandogli un bacio volante. Aveva le guanciotte rosse per l'imbarazzo ed era delizioso.

 

Soltanto allora, Magnus si concesse di guardare: sul tavolo, oltre al disordine, c’era una teglia di biscotti a forma di omini da infornare. Altri invece erano cotti a puntino e alcuni di questi erano già stati decorati. C’erano anche diverse ciotole contenenti glasse di zucchero di differenti colori: bianco, rosso, verde e blu, naturalmente. Facevano sempre omini di pan di zenzero blu per non far sentire Max escluso.
“Bambini, andate a lavarvi le mani che papi prepara la cioccolata per tutti” ordinò Alec, chinandosi sui biscotti e muovendo con abilità la sac-à-poche. Bottoni, occhi, un sorriso sghembo: quello era un omino di pan di zenzero perfetto! I piccoli erano letteralmente volati fuori dalla porta e Magnus ne approfittò per avvicinarsi a suo marito.
“Non mi hai ancora baciato, Bane” gli disse Alec, con tono scherzoso. Oh, beh, se era quello il suo problema… Lo costrinse ad alzarsi, afferrò il suo volto tra le mani e gli baciò le labbra velocemente.
“Contento?”
“Solo se inforni quella teglia e mi aiuti a pulire questo casino.”
“Altro?” chiese, facendo schizzare un sopracciglio verso l’alto.
“Dovresti, ecco, usare la magia per… sai… far apparire delle corna sugli omini blu. Le avevo fatte, ma si sono spezzate e Max c'è rimasto male.” Era chiaro che si sentisse in imbarazzo per quella richiesta, in effetti era insolita per un precisino come lui.
“Solo se mi dai un altro bacio.” Alec sorrise maliziosamente, lo afferrò per il maglione attirandolo a sé e baciandolo con ardore. Fu un bacio lungo, passionale, durante il quale si concesse di stringerlo a sé e mugolare di piacere quando lo sentì lasciarsi completamente andare.
“Quei biscotti hanno un’aria deliziosa, comunque” disse, agitando una mano e facendo apparire delle belle, piccole corna sugli omini già glassati di blu. Ne approfittò anche per dare una ripulita al tavolo e a terra e, quando i bambini tornarono, stava già mescolando la sua cioccolata intanto che Alec seguitava a decorare i biscotti. Amava il pan di zenzero, disse a se stesso intingendo un omino nella sua cioccolata, minuti più tardi. E amava anche la sua famiglia: Alec, arruffato e impiastricciato di farina, Max e Rafe eccitati per la loro cioccolata. E sì, amava anche il Natale.

 




Fine
 


 

Note: Altra storia scritta per il calendario dell’avvento di Shadowhuntersalliance su Wattpad, questa l’ho scritta il 7 dicembre e il prompt era “Pan di zenzero”. Come vedete sono tutte relativamente brevi, anche perché invece di prepararmi prima come avrei dovuto, le storie sono state scritte tutte in giornata quindi con poco tempo a disposizione. Le prossime due saranno forse le più corpose.


Intanto ringrazio coloro che hanno letto e recensito la prima storia.
Koa

 

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Capitolo 3
*** Una proposta imbarazzante ***


Una proposta imbarazzante





 

Si poteva morire d’imbarazzo? Alec se l’era chiesto spesso nell’ultimo periodo, per la precisione ogni volta che una situazione o una persona, Magnus Bane nello specifico, lo faceva arrossire così tanto che iniziava per davvero ad assomigliare a un pomodoro. Non che scoprire il sesso e avere una relazione stabile avessero migliorato le cose, anzi niente era davvero cambiato sotto quel punto di vista. Alec ancora si sentiva morire per la vergogna quando il suo ragazzo flirtava spudoratamente con lui, usando anche termini piuttosto espliciti. C’erano poi le volte in cui lo riempiva di complimenti, magari appellandolo con quelli che per lui erano stupidi e non appropriati vezzeggiativi. Si irrigidiva ancora quando lo chiamava “Fiorellino” mentre le annesse variazioni su tema come: fiorellino adorato e dolce fiorellino profumato, non miglioravano affatto il suo stato d'animo. Ciò che in quell’otto dicembre gli aveva proposto di fare, però, andava oltre ogni sua più fervida immaginazione. Era assolutamente inappropriato, aveva tentato di ribattere a un certo punto, sebbene inutilmente. Il suo balbettare non lo aveva aiutato, non lo faceva mai in effetti. E comunque sapeva che non sarebbe servito a niente, d’altra parte aveva promesso…


 

Era il giorno del compleanno di Magnus e Alec Lightwood aveva programmato una splendida giornata all’insegna del divertimento e del relax, oltre che delle coccole. Poteva non coccolare il suo amato pluricentenario stregone? Assolutamente no quindi aveva iniziato presto, poco dopo le otto, quando aveva preparato degli waffle belga che aveva servito su di un vassoio assieme a una tazza di cioccolata calda. Magnus aveva sorriso, stiracchiandosi pigramente tra le lenzuola di seta e allungandosi quel tanto da farsi baciare le labbra. Un cercarsi sin troppo rapido, a modo di vedere di un insoddisfatto Alec. Il suo ragazzo pareva attirato da altro e non soltanto dalla torretta malfatta di waffle pericolanti, che stavano sopra a un piattino e che erano ricoperti di sciroppo d’acero, minacciando di cadere. Era soprattutto per il pacchettino di una gioielleria che stava fra tazza e piattino. Una collana. Niente di relazionalmente impegnativo, per citare le parole di Isabelle, ma abbastanza importante da poter dire: “Ti amo tanto, buon compleanno”. Aveva scelto per lui uno stupendo pendente in argento con un brillante blu che grazie all’angelo gli era piaciuto. Poi, dopo aver fatto colazione e un po’ di sesso, perché a suo modo di vedere quello non guastava mai, Alec si era fatto scappare la promessa. Non sapeva se era stato per colpa delle endorfine date dall’orgasmo o perché era davvero impazzito, ma gli aveva giurato che fino a sera avrebbe fatto tutto quello che voleva, obbedendo senza fare storie. Sulle prime aveva pensato che glielo dovesse, già solo per tutte le volte in cui si negava perché riteneva una determinata cosa troppo strana o imbarazzante. Per esempio, non si era mai vestito di giallo come Magnus gli aveva chiesto né era andato in giro per New York con indosso una maglietta con una scritta del tipo: “Proprietà del Sommo Stregone di Brooklyn” ma per un giorno… O meglio, per il giorno del suo compleanno avrebbe anche potuto fare un’eccezione. E invece il suo ragazzo non aveva manifestato il desiderio fargli mettere strani capi di vestiario. Quasi aveva tirato un sospiro di sollievo quando gli aveva detto che, invece, preferiva addobbare la casa per Natale. Si era sentito fortunato per tutta la mattina intanto che andavano e tornavano dal vivaio, persino mentre usava tutta la sua forza Nephilim per trasportare un enorme abete su per le scale e poi fin dentro al loro appartamento, perché “Senza magia è più bello, no?” lo aveva provocato lui, ammiccando. Alec non si era lamentato neppure dopo che il suo ragazzo aveva dichiarato di volerlo addobbare di bianco e oro. Non lo aveva trovato poi così strano, Magnus era eccentrico, aveva gusti nel vestire e nell’arredare casa piuttosto particolari. E poi, pensò guardando le centinaia di palline che aveva recuperato da uno scatolone, erano decorazioni molto belle. Alcune buffe, dalla forma di un pacco regalo o con il viso di Santa Claus o quello di una renna dal naso rosso. Altre invece erano delicate e sottili come vetro, ma scintillanti al pari di stelle. Fu con il sorriso che iniziò il proprio lavoro, recuperando un filo di luci e poi anche un secondo. Stava già per cominciare a girare attorno all’albero, quando la voce di Magnus lo fermò: “Aspetta, fiorellino, non siamo ancora pronti!”
“In che senso non lo siamo?” aveva chiesto Alec, molto innocentemente. C’era l’abete, c’erano le luci e gli addobbi, che altro gli serviva?
“Voglio che mi aiuti a decorare l’albero di Natale, come ti ho detto stamattina, ma vorrei che lo facessimo nudi. Entrambi.”

 

Nu-nudi? Nudi? NUDI?

 

In un non poi così lontano futuro si sarebbe reso conto che c’era qualcosa di ben peggiore di quello, ma in quei frangenti si era detto che soltanto adesso sapeva cosa volesse dire morire d’imbarazzo. Le sue guance erano letteralmente andate a fuoco, le orecchie avevano preso a fischiare ed erano diventate tutte rosse, il collo invece non era in una condizione migliore. Faceva caldo là dentro, vero? Già e probabilmente avrebbe potuto cuocerci i biscotti, su quegli zigomi! Aveva anche boccheggiato, balbettando parole incomprensibili e forse aveva avuto bisogno di sedersi, ma comunque aveva cercato di non dar troppo a vedere sino a che punto fosse sconvolto. Fallendo miseramente, tra l’altro, lo stregone che aveva davanti e che sorrideva soddisfatto, leccandosi impunemente le labbra, ben sapeva cosa gli stava passando per la mente.
“Co-come? Co-cosa? I-io…” aveva balbettato ancora. Aveva capito bene? Aveva detto davvero nudi? Lui e Magnus nudi ad addobbare un albero di Natale? Ma questo era, ma questo… Non era tutto un sogno partorito dalla sua fervida immaginazione, giusto? Beh, a giudicare dal fatto che il suo ragazzo si stava già spogliando, ammiccando per altro in sua direzione in maniera maliziosa, facendo aumentare a dismisura il rossore sulle sue guance, no, non era un sogno. E poi nell’aria c’era ancora il profumo dei biscotti allo zenzero che aveva sfornato prima e quello più intenso del tè nero che avevano sorseggiato dopo aver preso tutto quel freddo al vivaio. Aveva ancora i muscoli intirizziti dal gelo invernale e dallo sforzo dell’aver trasportato a braccia un abete di tre metri dal peso, forse, sui duecento chili (se non di più). Non poteva davvero essere un sogno. Il mal di braccia non lo era mai.
“Oggi è il mio compleanno, mia deliziosa fragolina di bosco e hai promesso che avresti fatto tutto quello che ti avrei chiesto.”

“S-sì, ma…”
“Non vuoi esaudire i desideri di uno stregone centenario che, ti ricordo, il giorno del tuo compleanno ha invece soddisfatto, con molto piacere aggiungerei, tutte le tue più torbide fantasie sessuali compresa quella del…”
“D’accordo!” esclamò, interrompendolo. “Lo faccio.” Non era necessario ricordare quel giorno, grazie tante. Al pensiero aveva solo voglia di nascondersi e passare in un bunker il resto della propria vita. A distanza di mesi ancora non aveva idea di cosa gli fosse venuto in mente a chiedergli certe cose. E comunque, sapeva che prima o poi avrebbe usato il giorno del suo compleanno per metterlo in imbarazzo od ottenere quello che voleva.
“Grazie tante, tesoro, sarai ben ricompensato lo prometto” ammiccò lui, concedendogli un bacio sulla guancia e trillando poi, entusiasta, che non vedeva l’ora di iniziare. Alec non aveva osato chiedere come sarebbe stato ricompensato, non aveva nemmeno alzato il viso in sua direzione a dire il vero. Aveva semplicemente iniziato a spogliarsi, guardando una macchiolina del parquet come se fosse la cosa più bella del mondo. E nel mentre che lo faceva, continuava a ripetere a se stesso che alla fine non era poi così strano. Avevano fatto l’amore tantissime volte, era abituato a farsi vedere nudo da lui. Avevano anche fatto la doccia insieme, molte volte e quello Alec non l’aveva mai trovato perverso. O meglio, sotto le lenzuola un po’ lo erano, ma non si era mai sentito così in tanto in imbarazzo prima d’allora. Lo era soprattutto notando la maniera irritante in cui Magnus si comportava, sembrava in assoluta pace con se stesso. Era evidentemente molto più a proprio agio di Alec con la nudità, che al contrario aveva tutta l’aria di uno che a quello preferisce essere torturato. Lui però rideva ed era felice. Aveva un festone a fargli da sciarpa, il quale ricadeva lungo il suo corpo già senza vestiti. Un paio di palline dorate erano agganciate alle orecchie e portava un buffo cappello da elfo sopra la testa, questo aveva delle campanelle all’estremità che tintinnavano a ogni suo movimento. Aveva chiuso le tende, grazie al cielo e acceso lo stereo dal quale ora suonavano delle canzoni tipiche di quel periodo. Magnus ballava anche, vorticando su se stesso e canticchiando quelle carole come se fosse il giorno più felice della sua vita. Era già tanto che non avesse messo decorazioni anche sul suo… No, non doveva pensarci! E soprattutto non doveva guardarlo.


“Tesoro” gli disse, poco più tardi, appendendo una pallina con la scritta “Buon Natale” sopra a un ramo. Alec si rese conto che nonostante ne avesse tra le mani una scatola piena di addobbi, non aveva fatto poi granché. Lo aveva invece guardato per tutto il tempo, facendo vagare fin troppo i pensieri.
“So di essere una meraviglia di madre natura, ma potresti darmi una mano invece che guardarmi il sedere? Ci saranno trecento palline in queste scatole, non posso farlo da solo.”
“I-io, sì, sì certo” ribatté, dandosi dell'idiota. Doveva concentrarsi e basta. Darsi da fare insomma. Evitò di guardare di nuovo parti del suo corpo che avrebbero acceso la sua libido, anzi evitò proprio di fare una qualsiasi cosa che non fosse recuperare addobbi da una scatola e metterli tra i tantissimi rami verdi di quell’albero. A un certo punto iniziò anche a divertirsi, era sempre nudo come un verme, ma non importava più. Magnus non lo giudicava né rideva di lui, anzi era come se godesse della sua nudità. Era piuttosto perverso, Alec ne era ancora convinto e probabilmente avrebbero fatto sesso su quel tappeto molto presto, ma era anche intimo e piacevole. E comunque non lo avrebbe saputo nessuno, quindi che c’era di male? Nulla, a meno fino a quando non sentì sbattere la porta d’ingresso e la voce di Jace urlare un: “Tanti auguri!" A cui seguì un meno felice: “Oh, per l’angelo” che fece congelare Alec là dove stava. Non poteva essere successo realmente, o forse sì?

 

Izzy, Jace, Simon e Clary erano entrati all'improvviso nel loro appartamento di Brooklyn, senza bussare, senza suonare il campanello e senza nemmeno annunciarsi con una telefonata. Aveva detto loro almeno cento volte di non dare per scontato che fossero vestiti, ma a quanto pareva nessuno aveva mai voluto dargli retta. Erano sicuramente lì per il compleanno di Magnus, dato che avevano diversi pacchetti in mano, ma Alec non ci fece davvero caso e loro stessi sembrarono dimenticarsene all’istante. Se ne stavano impalati sulla porta come statue di sale e fissavano entrambi con occhi sgranati. Forse Izzy aveva ammiccato, ma se così era non aveva proprio voluto guardarla.
“Perché siete nudi?” si azzardò a chiedere la voce che in un secondo momento, perché sulle prime aveva il cervello completamente bloccato, avrebbe associato a Simon. Alec non rispose, non aveva una spiegazione plausibile per tutto quello. Il suo coprirsi le parti intime con un festone non servì di certo a cancellare quello che i loro amici avevano visto. Ed era vero che era da quando aveva quindici anni Isabelle gli diceva di aprirsi di più, ma senz’altro non intendeva così tanto. In tutto quello ovviamente il suo ragazzo non aiutò affatto, e quando mai? Lo vide ammiccare in loro direzione e poi forse anche dire qualcosa, Alec non lo seppe mai davvero. Lui urlò e basta. In maniera molto poco virile, ma in quei momenti scoprì che non gliene fregava davvero niente. Coprendosi con quando di più riusciva a trovare, tra un paio di festoni dorati e una scatola di palline, corse verso la camera da letto. Magnus lo seguì con tutta calma, quasi non si fosse fatto beccare ad addobbare un albero di natale senza niente addosso. Forse aveva anche fatto gli onori di casa, servendo loro qualcosa da bere schioccando semplicemente le dita. Probabilmente amava l’idea di essere guardato, ma in effetti Magnus era molto a suo agio con il proprio corpo. Lui invece no. Lui si sentì morire per almeno la successiva mezz'ora, impiegò tre quarti d’ora invece per uscire dalla camera e anche allora aveva tenuto lo sguardo basso. Iz e Jace l’avrebbero preso in giro fino alla fine dei tempi e Clary non riuscì a guardarlo negli occhi almeno per una settimana. Simon invece, imbarazzatissimo, aveva fatto quello che faceva di solito: parlare a vanvera. E per tutta la sera non aveva fatto altro che decantare le loro lodi, non smettendo di dire quanto fossero ben allenati. Alla fine Magnus lo aveva fatto tacere materializzando una mela nella sua bocca e minacciandolo di farlo arrostire nel forno. Sì, non era stata un’idea brillante accettare quella proposta indecente. Maledetto il momento in cui aveva accettato di addobbare l’albero di Natale… nudo!


 



Fine


 

Note: Come forse avrete intuito la storia è ambientata il giorno del compleanno di Magnus e quindi è stata scritta l’8 dicembre. L’anno scorso l’avevo mancato, ma perché non lo sapevo, e quest’anno volevo fare qualcosa. Questo calendario dell’avvento è arrivato a proposito. Il prompt dato da Shadowhuntersalliance era: “Addobbi”. Faccio notare che ne ho approfittato per usare un mio vecchio prompt, che avevo pubblicato su Instagram e Facebook l’anno scorso di questi tempi, lo linko nel caso qualcuno l’avesse visto e gli ricordasse qualcosa: https://www.instagram.com/p/CWqIbmmtmy3/?utm_source=ig_web_copy_link

 

Un grazie alle persone che sono arrivate a leggere fino a qui, sia su Efp che su AO3, e grazie anche a chi ha recensito.
Koa

 

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Capitolo 4
*** Mr Frosty e il fiorellino canterino ***


#MalecAU #Mondani






 

Mr Frosty e il fiorellino canterino 






 

Alec è consapevole di non avere una bella voce, è a malapena intonato e ogni volta che canta gli pare di essere sin troppo sgraziato nel mettere insieme una melodia decente. Se si lascia andare a qualche nenia per far addormentare il piccolo Max, lo fa se è sicuro che nessuno lo possa sentire. Suo figlio d’altronde pare apprezzare, ma certo che è così piccolo… Troppo per avere un senso critico a riguardo. Isabelle più di una volta si è coperta le orecchie per non ascoltarlo e Jace lo prende in giro quando si lascia appena un poco andare e canticchia qualcosina. Magnus sostiene il contrario, dice invece che è bravissimo e che dovrebbe farlo più spesso. Però c’è da dire che lui non lo vede come lo vedono gli altri. Dopo tutto questo tempo insieme non ha cambiato idea su nulla che lo riguardi, per esempio, pensa ancora che sia bellissimo. Questo, Alec di sé non l’ha mai neanche pensato e forse non è nemmeno così vero. L’opinione di Magnus Bane a riguardo non fa testo, tantomeno sul modo in cui Alec intona una ninna nanna.


«Canti bene» gli dice, rompendo il silenzio pur restando sulla porta della camera da letto di Max. È appoggiato allo stipite con le braccia conserte e le labbra arricciate, gli sta fissando il sedere, ne è sicuro. Alec arrossisce per il complimento, oltre che per le fin troppo evidenti intenzioni che ha in quell’atteggiamento volto principalmente a flirtare con lui, ma grazie all’angelo la penombra lo aiuta a mascherare l’imbarazzo. Le luci, nella cameretta di Max, sono spente. Ci sono le lampade del corridoio che emettono un alone caldo che illumina sino a metà della stanza e poi anche le stelle di luce blu proiettate sul soffitto. Max dorme nel suo lettino, placido come un vero angioletto. Oh, pare così innocente quando i suoi occhietti blu sono chiusi! E invece c’è voluta una favola e due ninne nanne perché crollasse. Ora, Alec gli rimbocca le coperte e accarezza il visino profondamente addormentato. L’amore che sente per quel bambino è così sconfinato che un sentimento dirompente gli sconquassa il petto.
«Mi senti, fiorellino?» 
«Shhh» lo rimprovera voltandosi in sua direzione con un dito premuto sulle labbra. Magnus annuisce, trattenendo una risatina. Ancora gli fissa il sedere e gli zigomi di Alec sono sempre più in fiamme.
«Resti comunque molto carino quando canti!» E non smette di parlare, ma almeno ha abbassato la voce. «Proprio per questo ti chiamerò: “Fiorellino canterino!”» Alec si volta di nuovo con uno scatto repentino, poi lo fulmina con lo sguardo. Vorrebbe sembrare minaccioso, e lo sarebbe per chiunque, ma davanti ha un uomo che non ha mai avuto paura delle sue espressioni taglienti. Alec ad ogni modo ancora tace, anche se avrebbe molte cose da dire non vuole svegliare Max. E poi è impegnato, deve trovare il peluche a forma di pupazzo di neve, il preferito di suo figlio, che hanno battezzato “Mr Frosty”. Max adora quel pezzo di stoffa a branelli che ha decisamente visto giorni migliori e che gli ha regalato la zia Clary. Senza non dorme, non mangia, non fa il bagnetto e nemmeno dorme tranquillo a dire il vero. Alec lo cerca dappertutto, sopra al letto e anche sotto, sulla credenza e dentro al comodino, ma di Frosty non c’è traccia. Forse l’ha dimenticato in soggiorno, medita.
«Dove vai, fiorellino canterino?» chiede Magnus, trillando con voce acuta intanto che gli corre dietro a passo veloce. Grazie al cielo hanno chiuso la porta. Alec sta facendo la strada a ritroso fino al salotto, si guarda attorno confuso, ma nel corridoio non lo vede. Sperava fosse caduto di mano a Max e invece nulla. Però prima di mettergli il pigiamino gli ha fatto il bagnetto, forse l’ha dimenticato lì!
«Cosa cerchi, tenero fragolino del mio cuore?» insiste Magnus e a giudicare dal modo di fare particolarmente allegro e loquace, Alec intuisce che vuole qualcosa da lui. Qualcosa che comprende dell’attività orizzontale dentro a un letto, per la precisione. E non che non voglia, ma gli orari della messa a letto del bambino sono momenti sacri fatti di silenzio assoluto e di: “Rimando a dopo ogni voglia mi venga”.
«Non trovo Frosty e se Max si sveglia e non l’ha con sé…» Alec non finisce la frase, non serve specificare quanto può piangere un bambino di un anno e mezzo senza il suo peluche preferito. Magnus d’altro canto pare aver afferrato al volo la radice di ogni problema. Resta quasi sorpreso nel vedere le espressioni di Magnus cambiare nel giro di un paio di secondi. Quasi, perché ormai sta facendo l’abitudine alla sua espressività dirompente e fortemente mutevole. Adesso, per esempio, è preoccupato. Max ha un suo zoo personale fatto di una decina di pupazzi, tutti regali di nonni e zii, con i quali fa ogni cosa durante la giornata. Basta perderne uno, perché la loro vita serena finisca all’improvviso. L’ultima volta che uno di loro, Mr Turtle, è finito per sbaglio in lavatrice è successa una catastrofe.
«D’accordo, fiorellino canterino, ecco come agiremo: tu guardi in bagno e in camera, io in soggiorno e cucina» gli ordina, improvvisamente serio.

 

«Va bene!» annuisce. Basta poco, aprire la porta e accendere la luce, per rendersi conto che là non c’è niente. Non a terra, non sopra a un mobile o abbandonato nella vasca. Non è nemmeno in camera, in cucina o in soggiorno. Un quarto d’ora dopo, di Mr Frosty non c’è nessuna traccia e Alec è nel panico. Magnus, al solito più ottimista, ancora sorride e lo incita a non perdersi d’animo.
«Io voglio assolutamente fare sesso stasera quindi, mio dolce fiorellino canterino, vedi di trovare quel dannato coso» sibila, rialzandosi da terra, prima di ripulirsi i pantaloni. No, Frosty non è nemmeno sotto al divano.
«Tu continua a chiamarmi in quel modo» insinua invece Alec «e non lo vedrai per almeno un mese.»
«Sei cattivo, Alexander» borbotta Magnus, braccia al petto e sguardo truce. Oh, può lamentarsi quanto vuole, tanto non cambierà idea. Di norma non sopporta quei nomignoli, sono ridicoli, ma fiorellino canterino è troppo.
«E tu sei lento, Bane, trova Mr Frosty e forse faremo sesso stasera, ma solo se nostro figlio avrà il suo amico pupazzo di neve.» Neanche fosse animato da una forza invisibile e potentissima, come una specie di magia, Magnus si anima. E gira come una trottola per tutta casa. Apre ogni armadietto e cassetto, sposta tutti i mobili, l’albero di Natale e i pacchetti che stanno impilati sotto. Sposta addirittura la cuccia di Presidente Miao che viene svegliato in malo modo, e che per questo lo fissa con odio per almeno dieci minuti. Dopo un’ora, però, di Forsty non c’è traccia.
«Dannazione!» impreca Alec cadendo a peso morto sul divano. Si massaggia la radice del naso, tentando inutilmente di scacciare un’ombra di mal di testa; è esausto! La giornata è stata lunga e impegnativa, con il Natale in arrivo i suoi impegni si stanno moltiplicando al punto che non ha neanche un minuto per un caffè, è sempre così, ma quest’anno è ancora più difficile riuscire a riposare o avere tempo per le coccole. Max risucchia tutte le sue energie e Magnus nonostante millanti tutta questa voglia di fare sesso, è più esausto di lui. Alec si lascia andare contro lo schienale, gemendo però quando impatta in qualcosa di duro. Si volta pensando di trovare un cuscino fuori posto e poi lo vede: Mr Frosty se ne sta incastrato tra i cuscini, conficcato dentro fino in fondo.
«Eccolo!» esclama, tirandolo fuori con una certa forza mentre Magnus si affretta a raggiungerlo. Alza le braccia al cielo in segno di vittoria.
«Evvai, allora si scop…»
«Non usare quei termini» lo interrompe Alec, rimproverandolo con lo sguardo. «Il bambino» sottolinea poi, facendo cenno di abbassare la voce.
«Sta dormendo in un’altra stanza e comunque non capirebbe.» Tecnicamente ha ragione, ma quando il piccolo Max è arrivato nelle loro vite si sono imposti di usare un linguaggio adeguato anche in sua assenza, per abituarsi gli ha detto Alec. Magnus se n’è subito detto d’accordo, ma d’altronde ai tempi la paternità lo aveva reso entusiasta per qualsiasi cosa. Nella pratica è stato più difficile e alla fine hanno circoscritto una sorta di area protetta per cui soltanto in camera da letto possono dire le parolacce. Ma quello è il soggiorno e… Ah, al diavolo: «Forza, andiamo» lo incita, percorrendo di nuovo il corridoio e aprendo pian piano la porta della stanza del bambino. Lascia che sia la luce delle stelline sul muro a guidarlo, un passo avanti all’altro ed è subito da lui. Prima gli scosta la coperta e poi sistema il piccolo peluche accanto al suo viso. Max si agita appena nel sonno, ma per istinto riconosce Mr Frosty e lo stringe a sé. Alec, scosso da un moto di tenerezza, si trattiene dal baciargli la fronte, non vuole davvero rischiare di svegliarlo e indietreggia piano chiudendosi infine la porta alle spalle. 
«E ora, fiorellino canterino, in camera da letto.»
«Oh e va bene!» sbuffa, come se la cosa gli desse fastidio. In realtà gli piace giocare e sa che questo battibecco porterà a qualcosa di ben più interessante. Mentre si incammina infatti, Magnus lo afferra da dietro, lo stringe per i fianchi attirandolo a sé.
«Stasera sto sopra io, tesoro» mormora iniziando a baciargli il collo. Alec vorrebbe replicare con un sarcastico: “E quando mai non ci stai?”, ma non dice niente, chiude gli occhi e si lascia andare a un gemito lieve. L’ultimo pensiero coerente è un ringraziamento all’angelo che gli ha fatto trovare quel benedetto pupazzo di neve.



 

Fine     


 

Note: La storia è stata scritta per il prompt: “Pupazzo” del 17 dicembre, sempre per Shadowhuntersalliance su Wattpad. Ho lasciato gli hashtag in alto così che poteste orientarvi meglio. In questa storia l’elemento AU Mondani è molto importante dato che altrimenti Magnus userebbe la magia per trovare Mr Frosty senza perdere così tanto tempo. In un certo senso possiamo considerarla come un sequel di “I Think I’m Falling For You”.  L’averla letta però è irrilevante, lo faccio notare solo perché ho pensato a quei Alec e Magnus intanto che scrivevo e pensavo che a chi la ricorda potesse far piacere saperlo. Se l’avete letta tenete presente che è ambientata dopo che Alec e Magnus, nell’epilogo, trovano Max in un cassonetto della spazzatura.

 

Di nuovo, grazie per aver letto e seguito questa raccolta e grazie a chi ha recensito.
Koa

 

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Capitolo 5
*** Lo Shadowhunter gentiluomo ***


Lo shadowhunter gentiluomo







 

Quando un refolo d’aria gelida che sferza da nord, porta con sé una folata di neve che turbina sopra le loro teste e subito se ne va, Magnus alza lo sguardo sino al cielo di Brooklyn. È scuro e per di più appesantito da una spessa coltre di nubi grigiastre che non promettono niente di buono. C’è aria di neve e un gelo polare che entra fin dentro le ossa. Nonostante stia cercando di non pensarci, non riesce a trattenere un brivido. È vestito fin tanto leggero per il diciotto dicembre, ma quando ha scelto l’outfit per quella serata romantica con Alec, la prima da soli dopo più di un anno dall’arrivo di Max, non ha troppo badato alla temperatura esterna. Avrebbe dovuto, si dice, perché la camicia viola sbottonata fino all’ombelico, la sua giacca preferita, quella con gli alamari d’argento, pantaloni di pelle e il misero cappottino nero che ha scelto, non scaldano proprio niente. Magnus è consapevole di essere uno schianto, lo ha capito anche dalla maniera in cui Alec è arrossito e ha distolto lo sguardo quando l’ha visto apparire in soggiorno e roteare su se stesso come in una piroetta. Lo è però anche del fatto che devono sbrigarsi a raggiungere il ristorante altrimenti congelerà vivo. E gli si stanno ghiacciando anche le parti basse, cosa che potrebbe seriamente minare il dopo-dopo-cena. Che sicuramente sarà a letto, o contro la porta d’ingresso, dipende come ci arrivano, a casa.

 

Cammina a passo svelto per scaldarsi, ma serve a poco. Ha trattenuto più di un brivido perché Alec, da brava mamma-chioccia qual è, lo ha rimproverato sostenendo che avrebbe avuto freddo e si sarebbe preso un malanno.
«Non ho due anni!» ha esclamato invece Magnus, con stizza, intestarditosi sin troppo a riguardo. Non li ha e basta. E quindi evita ancora adesso di dargli ragione, affondando le mani nelle tasche del cappotto con più forza. Si è materializzato addosso un paio di guanti di lana che poi farà sparire a tempo debito, ma non ammetterebbe mai di aver avuto torto marcio.
«Tu hai freddo» se ne esce Alec, a un certo punto. Hanno deciso di non usare la magia per arrivare al ristorante e di approfittare dell’atmosfera natalizia per godersi lo spettacolo delle strade illuminate e delle vetrine addobbate a festa. Hanno raggiunto il Rockefeller Center con la metro, ceneranno in un locale lì vicino e poi andranno a pattinare, prima di concludere la serata a letto. Il “Gran finale” come lo ha definito Magnus, con ottimismo. Max starà con la zia Isabelle e lo zio Simon almeno fino al mattino successivo, il che li renderà completamente privi dagli obblighi genitoriali. Ciò significa che romantico e speciale: si baceranno, parleranno di un qualcosa che non siano pannolini e pappe, ma soprattutto passeranno del tempo insieme. Per Magnus è bello anche così, realizza camminando al suo fianco. Riesce ad apprezzare la compagnia quieta di Alexander in ogni momento. Quando c’è lui neanche sente l’esigenza di riempire i silenzi. Ama il suo non parlare, i suoi respiri regolari, il profumo della pelle, diventato un po’ speziato da quando vivono insieme e ama anche il calore che emana il suo corpo. Adora, poi, notare i piccoli dettagli con cui ancora lo corteggia. La maniera con cui rallenta il passo per stare alla pari con il suo, come gli apre ogni porta e poi lo fa passare per primo. Le occhiate sfuggenti che lancia in sua direzione per accertarsi che sia bene, così come la premura di una mano sulla schiena e il corpo volto sempre a proteggerlo. Lo fa per istinto, lo fa perché lo vuole e perché in fondo è la sua indole. E Magnus lo ama ogni volta un po’ di più. Lo ama anche quando lo rimprovera con un’occhiataccia, come adesso.


«Non è vero, sto bene e poi tra poco saremo arrivati. Guarda, ecco il nostro ristorante» indica con un cenno del mento l’insegna del locale di cucina giapponese che hanno scelto. Poco natalizio, è vero. Avrebbero potuto scegliere un ristorantino in un qualche paesino sperduto della Svizzera o dell’Italia o ancora della Francia, se fossero stati dello spirito per vini e formaggio, ma volevano sushi a New York. E il Rockefeller Center, sì, volevano anche quello. Volevano ammirare l’enorme albero illuminato e ascoltare le canzoni di Mariah Carey e Michael Bublé sulla pista di pattinaggio. E quindi ora incedono sul marciapiede a passo sempre più svelto, Magnus fa per attraversare la strada, ma Alec gli si para davanti con una rapidità fulminea. Scrolla la testa e mormora un: «Bugiardo» abbozzando un accenno di sorriso prima di togliersi il giaccone, mettendolo sulle sue spalle. Magnus mentirebbe, soprattutto a se stesso, se dicesse di non provare nell’immediato un senso di benessere. La giacca di Alec è molto calda e ha il suo odore, un miscuglio di dopobarba e legno di sandalo che lo fa impazzire. Se le sue guance riprendono colore, a stento ci fa caso. Ciò che lo preoccupa ora è proprio il suo fiorellino, che veste con un misero maglione che ha visto giorni migliori.
«Ma così tu ora avrai freddo» fa notare, stringendosi al meglio che può la giacca addosso.
«Non ti preoccupare, ho la costituzione da Nephilim e noi non ci ammaliamo mai» dice, arrossendo sugli zigomi. Sa che non è del tutto vero, ma ha ragione quando dice di avere una costituzione resistente.
«Un Shadowhunter gentiluomo» mormora Magnus, abbozzando un mezzo sorriso e attirandolo a sé per baciarlo. Lo fa una e poi due volte in un bacio profondo, lungo e languido, fatto dei piccoli mugolii di Alec che si spengono nella sua bocca. Ama ancora il modo in cui lo bacia, dopo così tanto tempo non è cambiata la passione irruente e quella sincerità ingenua con cui ci mette tutto quanto se stesso.
«Di Shadowhunters ne ho incontrati molti nella mia vita, pare tu sia il primo a essere un vero gentiluomo con un povero stregone infreddolito.»
«Non è nulla» abbozza lui facendo spallucce e conficcandosi le mani nelle tasche dei jeans. Ma per Magnus… Oh, per Magnus è tutto. Riesce ancora a sorprenderlo e lo farà sempre. Non ha bisogno di prevedere il futuro per saperlo con certezza. Il suo fiorellino dagli occhi dolci sarà sempre gentile e buono con lui, lo guarderà con quegli occhioni dolci fino alla fine dei suoi giorni.
«È molto più di quanto pensi, Alexander.»
«Tu, e-ecco» balbetta e Magnus pensa sia adorabile. Non lo fa più così spesso come all’inizio, ma ogni volta che si parla di sentimenti viene fuori il suo lato più timido e goffo, quindi comincia a balbettare e ad arrossire. Sono i frangenti in cui lo fissa, estatico, senza voler davvero vederlo smettere. Lo guarderebbe balbettare, trasognante, per l’eternità.
«Tu?» lo incalza intanto che lo stringe per la vita, accarezzando poi i suoi fianchi stretti.
«Tu sei bello anche con addosso una delle mie felpe enormi o quei maglioni bucati che mi ripeti sempre siano da buttare» butta fuori in un fiato, a voce ben alta e tanto che quei pochi passanti che li superano lo guardano male. Alec pare non notarli neppure.
«Mags, tu sei bello anche con quel ridicolo pigiama di pile rosa con l’unicorno e le pantofole verdi da alieno. Sei attraente e sexy in ogni momento e non hai bisogno di prendere freddo per far colpo su di me.» Eccolo lì, il momento in cui capisce e anche quel piccolo pezzo di cuore che ha lasciato indietro, e che ora palpita e galoppa come un cavallo imbizzarrito, va a posto. Poche sono le persone che ha incontrato che sono state in grado di ammutolirlo. Magnus Bane non si è mai fatto zittire da nessuno in tutta la sua lunga vita da stregone. E poi un giorno ha incontrato un ragazzino dagli occhi blu, con la sua pelle bianchissima, quella runa sul collo che lo fa impazzire, le guanciotte rosse da pizzicare e l’animo gentile. Magnus non risponde con le parole, non ne ha davvero. Quattrocento anni di esperienza e niente da dire, ma invece sentirsi come un ragazzino innamorato di fronte al proprio idolo. Vorrebbe dirgli che lo ama da morire, che è l’uomo più meraviglioso e dolce che esista sulla faccia della terra, ma non lo fa. Lo abbraccia e spera che basti. Quindi lo bacia ancora e poi ancora, sino a che non raggiungono l’entrata del ristorante, incespicando e ridacchiando come due scemi. Si baceranno ancora, dopo, la serata è lunga. Condivideranno sushi e baci al sapore salato della salsa di soia e poi altri, invece, a quello più dolce della cioccolata intanto che pattineranno al Rockfeller Center. Sarà Magnus a finire col sedere a terra per primo, Alec impara alla svelta, maledetta costituzione da Nephilim! E Magnus lo guarderà dal basso, ridere di lui. Si innamorerà di Alexander a ogni suo respiro, a ogni risata, a ogni occhiata gentile. Il suo Shadowhunter gentiluomo che gli cede il passo e arrossisce per un nonnulla, che gli dona la propria giacca perché non abbia più freddo. Non smetterà mai di amarlo.





 

Fine     



 

Note: La storia è del 18 dicembre e il prompt era “Freddo”. Contrariamente alle altre storie di questa raccolta, in cui ho usato idee che avevo già e che non avevo mai usato o scartato da altre fanfiction che ho scritto, questa è nata esclusivamente per questo prompt. Come le altre, è una cosa piccola, in questo caso mi piaceva immaginare Alec come un uomo galante dai gesti semplici ma d’effetto. Faccio notare che Magnus con un pigiama di pile rosa con unicorno, è un mio headcanon presente anche in un’altra mia fanfiction dove viene citato da Alec in un modo molto simile a questo. Là, Alec diceva che lo trovava eccitante anche con quel pigiama di pile rosa e che avevano fatto sesso proprio quando Magnus aveva quello addosso perché a lui, Magnus piace sempre. La scena è contenuta nell’epilogo di “I Think I’m Falling For You”.


Un grazie a tutte le persone che hanno letto la raccolta sino a qui e a chi ha recensito. Grazie anche a chi ha lasciato dei Kudos su AO3. C’è di sicuro un’altra storia, che pubblicherò domani, ma il prompt di oggi l’ho saltato perché non mi ispirava, spero di avere qualche idea per domani. Il calendario dell’avvento continuerà comunque fino a sabato.
Koa

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Capitolo 6
*** Guardarti con i miei occhi ***


 

Guardarti con i miei occhi







 

«Non sono mai stato bello!» 

 

Un sussurro nella notte desta i tuoi sensi intorpiditi. Il suo sussurro, che ti strizza il cuore riducendolo a brandelli. Finora hai guardato affascinato le lingue del fuoco del camino che si proiettano sul soffitto, incantato dai giochi di luci e ombre, e soltanto adesso ti volti a guardarlo. 
 

«Non sono mai stato bello» ti sembra ripeta o forse è la tua immaginazione, i ricordi più recenti si intersecano al respiro affannoso che riempiva l’aria sino a poco fa. Non sai cosa sia vero e cosa no, hai la sensazione che la realtà ti sfugga dalle dita e il tempo si dilati sino a diventare un qualcosa di materiale che si può fermare e riprendere a tuo piacimento. Hai i sensi piacevolmente intorpiditi dall’orgasmo e non realizzi subito, quando lo fai strabuzzi gli occhi e ti sollevi su un gomito a guardarlo. Per te sarà sempre bellissimo, ti dici mentre allunghi una mano sino a sfiorare il suo addome nudo. Anche a novant’anni. Vedi la pelle incresparsi e rabbrividire, non è freddo e lo sapete entrambi. Non è necessario scorgere l’intensità del rossore delle sue guance per riuscire ad afferrare la radice più intima dei suoi pensieri. 

 

Il soggiorno è immerso nel buio, silenzioso. Illuminato dal fuoco che arde nel camino e che emana un piacevole tepore. Non ne hai mai voluto uno, chissà poi perché, ma Alec un giorno ha detto: «Sarebbe bello, non trovi?» e poi ha sorriso guardando, sognante, il vuoto. Un paio di sere dopo un camino è apparso sulla parete est del vostro soggiorno a Brooklyn. Un camino a legna, del pungitopo a correre lungo la mensola in legno che lo sovrasta. Perché è Natale ci hai messo anche una palla di vetro con la neve. C’è un minuscolo villaggio incastonato là dentro, piccoli omini di legno che pattinano felici e sorrisi senza tempo, ricoperti di sogni finti. Le palle di vetro, con la neve che scende non appena agitate rappresentano le tue speranze più infantili. Vorresti mettere te e Alec là dentro, incastonare anche il vostro amore in un ricordo senza tempo. Ami il Natale, ti sei detto, sistemandoci anche una candela rossa lì a fianco ed evitando di pensare così a quel futuro in cui lui non ci sarà e che ti rifiuti di considerare di già. Ti sei dato da fare, mandando via il brutture della tua mente malinconica e hai fatto altro. Hai cercato il miglior tappeto sopra al quale sapevi che vi sareste stesi, hai fatto una lunga ricerca usando anche internet e alla fine hai optato per uno bianco, a setole lunghe, molto morbido. Ci hai messo accanto un tavolino di cristallo sopra al quale, ora, stanno un paio di calici che prima contenevano Champagne. Avete bevuto, non molto, ma a sufficienza per sciogliere le inibizioni. Alec ha riso quando hai urlato “Sorpresa!” prima togliere la benda che copriva i suoi occhi e mostrare il tuo duro lavoro fatto di schioccare le dita a ripetizione fino a che non hai ottenuto un risultato soddisfacente. Quando Alec ti ha baciato di slancio hai capito d’aver fatto bene. Quando ti ha fatto suo su quel tappeto, legandoti le mani con la benda… Beh, ha capito invece d’aver fatto anche un’ottima scelta. 

 

E ora siete stesi su quel famoso tappeto bianco, davanti a un camino dentro al quale arde un ciocco di legno che scoppietta. Fuori nevica di fiocchi grossi, che si depositano per le strade di New York con uno stupefacente mantello bianco. È quasi Natale ed è perfetto, lui, voi. Casa vostra, l’albero illuminato di bianco e rosso. Tutto. Guardandolo hai sospirato e gli hai detto: «Sei bellissimo» affascinato, lo confessi, dai giochi di luci che i riflessi del fuoco creavano sulla sua pelle bianca. Lui è arrossito, nascondendosi tra le ombre a cui non hai concesso di inghiottirlo. Gli hai accarezzato il volto, ma lui è subito fuggito e poi ha scrollato il capo. Nonostante tutto, nonostante voi ancora non ci crede.
«Non sono mai stato bello» sussurra Alec. E fa male sentirlo parlare in quel modo. Non è la frase in sé a farlo, non quell’autostima su cui, va detto, stai facendo un gran lavoro, ma è per tutto il resto. Per le sbagliate convinzioni con cui è cresciuto. Per il modo in cui Robert e Maryse sembrano non averlo mai voluto valorizzare. Un po’ è per Jace e per il suo ego smisurato, per la cronica incapacità di Isabelle di dire ciò che va detto. È per la consapevolezza che il tuo fiorellino è cresciuto sentendosi un’ombra e vivendoci nel mezzo per tutta la vita. E un po’ è perché nessuno, prima di te, se n’è mai davvero reso conto.
«Lo sei molto più di quanto credi» dici, giocando con le linee degli addominali, sui quali passi ripetutamente le punte delle dita. La sua pelle è calda e liscia come seta.
«Dici così solo perché… beh, solo perché sei tu. E tu sei tu.» Questa volta, l’imbarazzo gli divora anche le orecchie. Lui e le sue goffe dichiarazioni d’amore. Non ti ci abituerai mai, questa è la verità.
«Oh, Alexander» mormori e quindi scrolli il capo come se non approvassi, e in un certo senso non lo fai. Ma lui deve capire, deve sapere. O impazzirai, impazzirete entrambi se non lo sa. E allora lo fai, colto da un impeto, gli sali sopra schiacciandolo sotto al tuo corpo. Percepisci le setole del tappeto cedere sotto di lui, i muscoli farsi rigidi in un primo momento e poi rilassarsi. Non c’è niente di erotico nel modo in cui lo guardi, non per come lo stai toccando e lui lo capisce nello sguardo che gli dedichi e dentro al quale ti perdi per quella che speri sia un’eternità. Perché non pensi al sesso, non adesso almeno.
«Delle volte vorrei che ti vedessi con i miei occhi.»
«Non so cosa potrei vedere» ammette, portando lo sguardo altrove. Al fuoco del camino che si riflette nelle sue iridi. A una realtà in cui non ci sei e nessuno gli ricorda quanto sia bello.
«Vedresti l’universo» dici, in un impeto furioso che ti accende lo sguardo di rivalsa. Perché tu sei universo e lo pensi, ma non lo dici. «Sei tutto, Alexander. Bellezza, grazia, dolcezza, erotismo. L’amore più puro. Sei tutte le parole che non riesco a dire.» E poi lo baci con intensità e ardore. Dove non arrivano le lingue che conosci c’è il tuo farlo capire con i fatti. C’è passione e una venerazione infinita nel modo in cui lo tocchi e poi lo abbracci, per come dopo lo prendi. Voi, nudi, davanti a un camino che arde e a una palla con la neve dentro la quale hai riposto tutte le tue più schiocche speranze. Voi e il tempo che non scorre, ancora affannati. Ancora a guardare l’infinito negli occhi dell’altro. Fuori ancora nevica, è quasi Natale.





 

Fine            

 

 

 

Note: Storia scritta per il 20 dicembre, il prompt era “Camino”. Forse è la migliore che ho scritto in questa raccolta, senz’altro la più introspettiva e nelle mie corde. Mi ricorda le cose che scrivevo prima che sbarcassi in questo fandom…

Per il momento è l’ultima, proverò a scriverne una proprio adesso per il prompt di oggi che è “Polo nord”, quello di domani mi ispira poco e non conosco ancora quello del 24. Vediamo, ora mi sbrigo e provo ad abbozzare qualcosa. Intanto grazie a chi ha letto e recensito fino a qui.
Koa

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