As Soothing As Snow

di Princess Kurenai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Every cloud has a silver lining ***
Capitolo 2: *** 2. Into the Unknown ***
Capitolo 3: *** 3. Fortune favors the bold ***
Capitolo 4: *** 4. A change of heart ***
Capitolo 5: *** 5. Weather the storm ***
Capitolo 6: *** 6. The best of both worlds ***
Capitolo 7: *** 7. Must be Snow ***
Capitolo 8: *** 8. A Black Abyss ***
Capitolo 9: *** A blessing in disguise ***
Capitolo 10: *** 10. On Thin Ice ***
Capitolo 11: *** 11. Once in a blue moon ***
Capitolo 12: *** 12. Kintsugi ***
Capitolo 13: *** 13. Actions speak louder than words ***
Capitolo 14: *** 14. We're getting out of here together ***



Capitolo 1
*** 1. Every cloud has a silver lining ***


As Soothing As Snow

Capitolo 1
Every cloud has a silver lining


»--•--«


Il tramonto aveva portato con sé i primi fiocchi di neve, annunciando in quel modo l’arrivo dell’inverno.

Ad Akaza piaceva la neve, pur non conoscendone l'esatto il motivo - così come non riusciva a comprendere del tutto il perché gli piacessero anche i fuochi d’artificio -, ma come per ogni cosa della sua esistenza si limitava ad accettarla per concentrarsi sul suo unico obiettivo: allenarsi per diventare più forte.

D’altro canto, oltre che per un'insita soddisfazione e necessità personale, per lui allenarsi era anche l’unico modo per placare la fame e i suoi pensieri che, talvolta, correvano velocissimi e si rivelavano essere troppo fastidiosi per essere controllati o compresi.

Quella notte però, gli risultò sin da subito impossibile riuscire nel suo intento, perché le sue orecchie captarono un qualcosa di molto più irritante delle sue solite domande senza risposta: le urla di una donna.

Un brivido familiare gli attraversò la schiena, distogliendolo dai suoi allenamenti, e quando a quelle urla si aggiunse anche l’odore del sangue, Akaza non poté fare a meno di iniziare a correre con il pensiero, sciocco e insensato, del: “Non farò mai in tempo!”

Non avrebbe fatto in tempo… per che cosa?

Una sensazione di rabbia, mista all’impotenza, lo spinse a correre più rapidamente, aiutandolo al tempo stesso ad ignorare quella domanda che portava con sé innumerevoli e ormai familiari dubbi.

Il demone balzò sui rami di un albero per darsi un'ulteriore spinta, mentre nelle sue orecchie iniziò a crescere un fischio che lo rese sordo a tutto tranne che alle suppliche e ai lamenti della donna.

Gli occhi di Akaza, abituati all’oscurità, scorsero subito una piccola casa al limitare della foresta. Provenivano da lì l’odore del sangue e i gemiti di dolore e paura, e quello lo portò a non esitare nello sfondare con noncuranza una finestra con il suo corpo, interrompendo ciò che stava accadendo all'interno di quelle quattro mura.

Tre occhi verdi, dalla nera pupilla allungata, si posarono sui suoi. Dapprima sorpresi e arrabbiati, e infine spaventati.

«T-terza Luna Crescente!» balbettò il demone, dopo aver notato i kanji che Akaza portava nei suoi occhi.

Aveva la bocca, al cui interno erano visibili dei lunghi canini acuminati, sporca di sangue. Quello stesso liquido gli imbrattava un kimono liso e rovinato, che un tempo doveva essere stato di un tenue verde chiaro.

In mano, il demone stringeva un pallido arto umano, dal quale altro sangue stava sgorgando copioso.

Akaza gli rivolse uno sguardo di disgusto, che si tinse di rabbia nel vedere i corpi che giacevano ai piedi dell’altro demone.

Il primo, un po’ più distante e vicino alla porta, era quello di un uomo con il collo chiaramente spezzato data la posizione innaturale del capo. Mentre il secondo, che attirò tutte le attenzioni della Terza Luna Crescente, era quello di una giovane donna dai capelli neri che le ricadevano scomposti sul viso. Il kimono azzurro pallido che indossava era insanguinato, e quella macchia rossa aumentava a dismisura partendo dal braccio destro che le era stato strappato.

L’odore del sangue era ancor più forte all’interno della casa.

Era dolce e invitante - era probabile che quella donna fosse una marechi -, ma Akaza non sentì la salivazione aumentare, né l’istinto di affondare i denti su quella carne. Sentì solo il disgusto e l’ira, soprattutto quando il corpo della donna, scosso da dei sobbalzi di dolore, divenne lentamente immobile. Il respiro pesante svanì, lasciando ad Akaza solo l'assordante fischio nelle orecchie e un pesante nodo allo stomaco.

Ancora una volta non era arrivato in tempo.

Strinse i pugni e il suo sguardo lampeggiò colmo di rabbia nel rivolgerlo di nuovo al demone.

«Sparisci dalla mia vista,» sibilò e il demone, privo di qualsivoglia spirito combattivo o di utilità, si mostrò subito terrorizzato all’idea di aver offeso in qualche modo la Terza Luna Crescente.

Bofonchiò infatti delle scuse e saltò all'istante fuori da un buco nel tetto, probabilmente creato in precedenza proprio da quello stesso demone per causare disordine e panico nella famiglia che aveva attaccato.

Akaza rimase fermo sulla sua posizione, occhi improvvisamente chiusi e le mani strette a pugno. Tentò di calmare la cieca furia che aveva iniziato a bruciargli in corpo, portandolo a provare un'assurda sete di vendetta immotivata.

Era una rabbia strana, quasi anomala, che non sembrava avere una vera e propria origine, eppure era lì a farlo tremare. A farlo sentire un fallimento .

Non aveva senso, ma più fissava il cadavere della donna, più quella sensazione cresceva facendogli torcere lo stomaco. Aveva bisogno di sfogarsi, in quel momento più che mai, ma al tempo stesso sentiva di doversi calmare come prima cosa.

Riaprì le mani chiuse a pugno, provando a lasciar scivolare via la tensione, e prese infine un profondo respiro.

Il fischio che lo aveva reso sordo fino a quell'istante svanì lentamente, permettendogli di sentire il silenzio della casa spezzato da un nuovo rumore, improvviso e inaspettato.

Akaza si irrigidì e il suo sguardo si puntò subito verso il fusuma[1] che fungeva da ripostiglio della camera, e dal quale erano ormai udibili dei versi soffocati.

Si accostò all’anta scorrevole e, con attenzione, la aprì. Un piccolo ammasso di lenzuola si mosse sotto il suo sguardo - ormai più incuriosito che arrabbiato come qualche momento prima -, e infine un forte pianto iniziò a riempire la stanza.

Un neonato.

La Terza Luna Crescente storse il naso e si voltò per osservare ancora una volta il cadavere della donna riverso per terra.

Una nuova ondata di rabbia lo investì nel posare lo sguardo sulla donna, ma quello non gli impedì di ricostruire in parte ciò che era accaduto all'interno di quella dimora.

L'attacco del demone e la famiglia che si rinchiudeva in una delle stanze più interne della casa. La donna che nascondeva il bambino per cercare di proteggerlo nell’unico modo che le era venuto in mente, e infine la morte. Akaza però sapeva bene che qualsiasi azione si sarebbe rivelata inutile contro un demone.

Si allontanò di qualche passo, decidendo di ignorare quella creatura che, scalciando, stava continuando a piangere con crescente intensità.

Quello non era affar suo.

Così come in realtà non doveva esserlo l’intervenire per cercare di salvare quella donna , considerò, ma come ogni volta il suo corpo si era mosso senza poterlo fermare, guidato da un bisogno che cullava nel suo essere sin da quando aveva memoria.

Quel neonato però era tutt'altro discorso. Non gli importava di lui.

Saltò fuori dalla finestra e con altri lunghi balzi salì su uno degli alberi lì vicini. La neve aveva ormai coperto il vialetto di quella casa e ad Akaza bastò sedersi su un ramo per vedere grossi pezzi di neve cadere verso il terreno.

Stava continuando a nevicare e, probabilmente, avrebbe proseguito per tutta la notte.

La neve gli piaceva ma era fastidioso allenarsi sotto quel tempo, quindi sarebbe stato più logico trovare un riparo, almeno fino alla fine della nevicata. Eppure la Terza Luna Crescente rimase ferma, con le labbra chiuse in una fine linea di disappunto e il naso arricciato in una smorfia.

Quante probabilità c’erano che quel neonato venisse ritrovato? , si chiese senza una reale ragione.

Faceva freddo e il demone che era entrato in quella casa, uccidendo prima l’uomo e poi la donna, aveva distrutto il tetto senza troppi problemi - lui aveva fatto lo stesso con la finestra, ma il danno maggiore era sul tetto.

"Qualcuno arriverà prima o poi ," si disse Akaza lanciando uno sguardo verso il buco sul tetto della casa - stava nevicando anche all’interno dell’abitazione.

Strinse i pugni, mentre alle sue orecchie giungevano ancora i lamenti del neonato.

Era una casetta isolata, estremamente povera, era chiaro che i suoi abitanti non navigassero nell’oro.

Quante persone si sarebbero rese conto dell'assenza di quella famiglia?

"Forse nessuno," considerò.

Perché i poveri non venivano mai notati dagli altri, dalle persone più fortunate e ricche.

Akaza imprecò tra sé e sé, innervosito da quel pensiero e dalla certezza di aver ragione. Quel neonato sarebbe morto lì, come i suoi genitori, perché nessuno sarebbe mai arrivato in tempo per aiutarlo. Nessuno si sarebbe ricordato di lui.

Inoltre, quanti si sarebbero avventurati all'aperto con quella nevicata che prometteva di durare anche tutta la notte? Nessuno.

Era fastidioso e ingiusto , ma dall'altra parte non spettava a lui preoccuparsene. Quella era solo l’inutile vita di un neonato.

Eppure, per quanto fosse pienamente consapevole dei suoi doveri e obblighi, Akaza non riuscì a muoversi dalla sua posizione. Rimase fermo su quell’albero, a torreggiare sulla casetta senza fare nulla: come se fosse realmente indeciso sull’intervenire o meno.

Per fare cosa?

Poteva ucciderlo ed evitargli l’inutile agonia del morire di freddo e fame, sarebbe stato un atto magnanimo perfino per un demone. Tuttavia il solo pensiero di toccare quel neonato, ferirlo o ucciderlo, faceva torcere fastidiosamente lo stomaco di Akaza perché non aveva mai ucciso nessun bambino.

Gli sembrava un atto vile e riprovevole , che gli causava nausea e dolore come quando aveva tentato di ferire delle donne, prima di ricevere il permesso di non ucciderle né divorarle da parte di Muzan.

Aveva tenuto per sé quel dettaglio e, per fortuna, non era mai stato coinvolto in missioni che prevedessero la morte di qualche bambino.

Si mise dritto sul ramo, perfettamente in equilibrio, poi ancor prima di poter continuare a ragionare per convincersi a lasciare quel luogo, i suoi piedi si mossero da soli portandolo a saltare di nuovo verso la casa, attraversando il buco sul tetto creato dall’altro demone.

Una leggera coltre di neve si era già formata sul pavimento, e per quanto Akaza non potesse essere disturbato dal freddo, non poté non notare l’aria gelida che si respirava all’interno di quelle quattro mura.

Il pianto del neonato era ancora forte e poteva vederne le manine chiuse a pugno agitarsi verso l’alto.

Aveva dei polmoni niente male, e da come stava strillando era chiaro che stesse cercando di attirare l’attenzione con il suo pianto. Sembrava voler combattere per sopravvivere, pur non possedendo alcun spirito combattivo.

Akaza si accostò di nuovo al ripostiglio per osservare più da vicino il neonato. Era avvolto da delle coperte ma poteva chiaramente intravedere una piccola veste arancione avvolgergli il corpo.

Aveva il volto rubicondo per il pianto e corti capelli neri come la notte. Non era un esperto di bambini, men che meno umani, ma di certo aveva più di qualche settimana di vita. In ogni caso, non aveva niente di speciale: era un neonato normalissimo. Akaza però non riuscì più a distogliere lo sguardo da quel corpicino.

Tentò di allungare una mano, sfiorando il pugno del neonato, sobbalzando quando la manina di questo si strinse istintivamente attorno ad un suo dito, stringendolo forte senza smettere di piangere.

«Sembra che tu non voglia morire, uh?» domandò a vuoto, conscio del fatto che non avrebbe mai ricevuto una risposta.

Sospirò. Si stava mettendo nei guai, in una situazione che non sarebbe stato in grado di gestire, perché stava realmente considerando di salvare quella minuscola vita.

Se avesse preso con sé il neonato, che cosa sarebbe successo in seguito?

Poteva lasciarlo in qualche altra casa, sperando che lo prendessero? Era possibile, ma rischioso. Nessuno faceva niente senza un tornaconto, e prendere una nuova bocca da sfamare come quella? Impossibile.

A cosa sarebbe servito salvarlo in quel momento, se alla fine le sue sorti sarebbero state le stesse?

Portarlo con sé era altrettanto fuori discussione. Non aveva né una dimora né le abilità per prendersi cura di un bambino. Per non parlare del fatto che era un demone, il quarto più forte al mondo, e per quello non poteva accollarsi quella seccatura.

Cercò di liberare il dito dalla presa del bambino che, continuando a piangere, sembrò non volerlo lasciare. Era difficile essere delicati, una mossa sbagliata e quel corpicino si sarebbe distrutto nelle sue mani.

Strinse le labbra in un’altra smorfia e, con un po’ di fatica, riuscì ad allontanare la mano con l’aiuto dell’altra.

Il tempo stava scorrendo inesorabile e se per un demone quel gelo non era fastidioso né mortale, per quel neonato poteva realmente essere fatale, e Akaza aveva sentito quanto fossero diventate fredde le sue piccole manine.

«Che cosa ne faccio di te?» chiese ancora nella solitudine di quella casa.

Tentare la fortuna con una qualche famiglia ben abbiente? Escluse quasi subito quell'ipotesi. Non si fidava delle persone ricche, era un qualcosa che Akaza sentiva ribollire nel sangue.

Doveva però essere onesto: non si fidava di nessuno .

Ricchi o poveri, umani o demoni. Si fidava, il più delle volte, solo di se stesso e quello lo stava rapidamente portando alla conclusione che non avrebbe mai trovato un luogo nel quale lasciare quel neonato che aveva ormai le ore contate.

Dove poteva portarlo? Da chi?

Aveva bisogno di qualcuno talmente buono da anteporre il benessere altrui al proprio, che non avrebbe mai lasciato un bambino in mezzo alla strada e che anzi: si sarebbe fatto in quattro per accudirlo.

Akaza non conosceva nessun umano del genere e, ovviamente, escludeva tutti i membri delle Lune Demoniache - il bambino non sarebbe neanche mai arrivato vivo all’interno del Castello dell’Infinito.

Quel pensiero però lo portò a fermarsi per un momento.

In realtà conosceva un umano , seppur non amichevole nei suoi confronti. Una persona che aveva attirato la sua attenzione per il suo spirito combattivo e per la sua sciocca ossessione sul proteggere i più deboli.

Akaza era certo che, se si fosse trovato davanti quel neonato, Rengoku Kyojuro lo avrebbe preso con sé senza troppe domande, perché Kyojuro era una persona buona .

La Terza Luna Crescente non riuscì ad impedire ad un sorriso di formarsi sulle sue labbra, un po’ eccitato all’idea di rivedere da vicino il Pilastro della Fiamma dopo quelle settimane.

Aveva spiato da lontano la sua lenta riabilitazione, sperando di poterlo sfidare di nuovo, e per un momento pensò seriamente di sfruttare quell’occasione per combattere ancora contro Kyojuro.

Il pianto del neonato però lo riportò alla realtà: prima di tutto doveva occuparsi di lui.

«Sei fortunato. Vivrai sicuramente per parecchio altro tempo,» commentò quasi allegro, allungando le braccia per coprire meglio il corpicino nel bambino. Lo prese poi in braccio, nel modo più delicato possibile. Si sentiva non poco impacciato, ma istintivamente strinse al petto quel fagottino, dondolando un po’ con il corpo per calmarlo.

Non servì a granché, forse perché il neonato avvertiva la sua tensione e per quel motivo non era possibile calmarlo. Inoltre, i bambini e gli anziani spesso erano i più recettivi quando si trattava di avvertire la presenza dei demoni. Era probabile che provasse un timore radicato nelle profondità del suo essere sin da quella tenera età.

«Almeno hai un po’ di cervello,» parlò ancora, continuando però a cullarlo goffamente.

Lo osservò con occhio critico per qualche momento. Non era certo fosse abbastanza coperto per affrontare il gelo esterno. La coperta che lo avvolgeva era morbida e calda ma non sarebbe bastata per proteggerlo dalla neve. Per non parlare del fatto che tenendolo vicino a sé, Akaza sapeva che il suo corpo non avrebbe mai emesso un calore abbastanza piacevole e rassicurante per un essere umano.

In quelle condizioni non poteva realmente proteggerlo, e sarebbe morto ancor prima di arrivare da Kyojuro.

Quel bambino si stava rivelando un continuo problema, ma ormai Akaza aveva preso la sua decisione e non intendeva tirarsi indietro.

Si mosse nella camera e, tenendo con un solo braccio il neonato, iniziò ad aprire le varie cassettiere alla ricerca di qualcosa di utile per il viaggio all’esterno - era notte e nevicava, aveva bisogno di qualcosa di davvero pesante.

Le sue ricerche lo portarono a trovare un haori maschile in cotone pesante e delle altre coperte. Erano le uniche cose utili che aveva trovato in quella breve ricerca, e con un po’ di difficoltà tentò di indossare l’indumento per evitare che il bambino fosse a diretto contatto con la sua pelle.

Il pianto nel neonato, con quel continuo movimento, si era infine calmato, e abbassando lo sguardo Akaza notò che il piccolo si era finalmente addormentato con i pugni vicini al viso arrossato e rotondo. Dei grossi lacrimoni erano appesi sulle sue folte ciglia scure e le labbra erano socchiuse in un respiro regolare e quasi rassicurante - era ancora vivo, quello era un buon segno.

Con le altre coperte che aveva trovato, Akaza avvolse il neonato e tentò di creare un supporto per trasportare il piccolo sul suo petto. Si trovò non poco in difficoltà, ma alla fine riuscì nel suo intento.

Il neonato dormiva appoggiato al suo petto, protetto da due coperte, compresa quella utilizzata come supporto per il trasporto, e dal pesante haori in cotone. Era pronto, e anche abbastanza ridicolo, per lasciare la casa.

Era impacciato, per nulla abituato a indossare tutti quegli strati di abiti, e soprattutto al dover prestare attenzione a un esserino così piccolo e fragile. Cercò comunque di non dare troppo peso al vestiario, e dopo essere uscito dalla finestra, lanciò un'occhiata al cielo coperto dalle nubi cariche di neve, per poter intuire quanto tempo avesse ancora a disposizione prima dell’alba.

Correndo alla massima velocità avrebbe raggiunto la dimora dei Rengoku in meno di un'ora, ma non poteva permettersi una corsa sfrenata, quindi… un'ora e mezza forse? Al massimo due.

Aveva abbastanza tempo?

Probabilmente sì, almeno era quello che il suo corpo, ormai abituato a fuggire dal sole, gli stava suggerendo, ma non aveva comunque tempo da perdere.

Con un braccio attorno al neonato addormentato, la Terza Luna Crescente iniziò a correre a velocità sostenuta, cercando di evitare sobbalzi troppo violenti.

Parecchie volte in quell’ultimo mese e mezzo aveva già percorso quella strada. In realtà i primi tempi si era diretto verso quella che aveva scoperto essere la dimora del Pilastro degli Insetti, e che fungeva da nosocomio per i Cacciatori, e solo dopo qualche settimana le sue attenzioni si erano spostate verso l'abitazione dei Rengoku, quando a Kyojuro era stato finalmente concesso di continuare la riabilitazione a casa sua.

In entrambi i casi, Akaza si era sempre tenuto lontano da Kyojuro, limitandosi ad osservarlo da lontano e a scoprire le strane dinamiche domestiche della famiglia del Pilastro della Fiamma quando questo era stato dimesso.

La prima cosa che aveva notato era stata la somiglianza tra tutti i membri della famiglia, che sembrava tuttavia limitata solo all’aspetto fisico. Mentre Kyojuro era una fiamma in grado di illuminare a giorno ogni stanza, quella del fratello minore era pressoché inesistente. Poi vi era il padre, che possedeva un notevole spirito combattivo, Akaza non poteva ignorarlo, ma era instabile e soffocato dall’alcol - la Luna Crescente non aveva bisogno di trascorrere le ore diurne nascosto nelle vicinanze della casa per sapere che quell'uomo consumava alcolici regolarmente.

Lo trovava riprovevole e privo di onore, e soprattutto cieco dinanzi alla perfezione e al talento del figlio maggiore. Infatti una notte, Akaza si era addirittura dovuto trattenere dall’entrare con forza in quella casa proprio a causa dell’atteggiamento del padre nei confronti di Kyojuro.

Il Pilastro stava cenando con suo fratello quando l'uomo li aveva raggiunti. Il demone era nascosto abbastanza lontano dalla casa, e per quello non poteva sbirciare al suo interno, ma le sue orecchie erano abbastanza sensibili da poter percepire ciò che stava accadendo.

C'era stato il rumore di un piatto rotto, Kyojuro che si scusava riguardo al fatto di doversi ancora abituare alla perdita dell'occhio sinistro, e l'uomo gli aveva rivolto delle parole aspre e crudeli che avevano messo a dura prova il controllo di Akaza.

Solo per non spezzare quella routine quasi giornaliera il demone era riuscito a restare in disparte, celando la sua presenza senza incorrere in incontri spiacevoli… forse complice anche il fatto che durante le sue visite non aveva mai avuto istinti omicidi o maligni, ma solo curiosità.

Akaza era però quasi certo che Kyojuro si fosse reso conto di essere spiato, ma non ne aveva fatto parola con nessuno né aveva cercato di agire. Era probabile che lo stesse studiando, esattamente come stava facendo la Luna Crescente nei suoi confronti.

In ogni caso quella tregua era sicuramente destinata a finire quella notte. Perché Akaza non aveva altro modo se non introdursi nella dimora dei Rengoku per consegnare quel neonato a Kyojuro.

Abbassò di nuovo lo sguardo sul fagottino che portava appeso al petto - sorretto sempre da un suo braccio. Le guance erano leggermente più pallide e stava continuando a dormire, il cuore batteva un po’ velocemente - doveva preoccuparsi o era normale nei bambini?

Strinse le labbra, e puntando di nuovo gli occhi davanti a sé cercò di aumentare un poco la sua andatura senza però svegliarlo.

Kyojuro avrebbe sicuramente saputo cosa fare. Non sapeva se avesse o meno avuto esperienze con i neonati, ma Akaza dava per scontato che una persona grandiosa come Kyojuro sarebbe riuscita a cavarsela anche in quella situazione, così come era riuscito a sopravvivere a lui d’altro canto.

Non poté non ripensare al loro scontro e a come la testardaggine del Pilastro della Fiamma lo avesse portato a sopravvivere… o meglio: a spingere Akaza a non sferrargli un colpo fatale.

Kyojuro non doveva morire. Doveva diventare un demone, e Akaza sapeva di poterlo convincere in un modo nell'altro. Sarebbe stato uno spreco di talento ucciderlo in quel momento.

Per quel motivo dopo aver assistito all'ultimo attacco del Pilastro - Akaza tremava per eccitazione anche solo al semplice ricordo -, la Luna Crescente aveva trattenuto l'istinto di affondare la mano nella debole carne umana di Kyojuro, preferendo invece rompere la spada del Pilastro per lasciarlo disarmato.

Lo aveva colpito poi con un calcio in pieno stomaco per mettere distanza tra di loro, e alla fine erano stati i primi raggi del sole a far concludere del tutto quello scontro.

Quella sua sciocca presa di posizione lo aveva portato a ricevere una dolorosa punizione da parte del suo padrone, ma alla fin fine Akaza non si era pentito.

Kyojuro, per quanto provato per le ferite riportate, era riuscito a guarire e stava ricevendo delle cure più che adeguate per poter riprendere il suo lavoro di Pilastro. Era per davvero una persona fuori dal comune e non ‘priva di talento’ come sembrava sostenere il padre.

Presto l’orizzonte innevato smise di mostrargli degli alberi per aprirsi sulla familiare zona nella quale si trovava la dimora dei Rengoku. Akaza rallentò il passo e in pochi minuti raggiunse la sua meta.

L’eccitazione lo portò a tremare e a sorridere in modo quasi stupido.

Tentò ugualmente di calmarsi per non agitare le persone più sensibili - o lo stesso Pilastro - con la sua presenza e, con estrema attenzione, saltò oltre il muro della proprietà dei Rengoku per poter raggiungere la stanza di Kyojuro.

Si sarebbe voluto dire sorpreso quando, in procinto di raggiungere l’ engawa[2] della casa, vide il riflesso di una katana… ma in realtà era proprio quello che si aspettava da Kyojuro.

Era ovvio che lo avrebbe percepito. I suoi sensi erano affinati dall’allenamento, attenti e pronti a tutto, non erano soffocati dall’alcol come quelli del padre.

Sorrise tra sé e sé, e salendo finalmente sull' engawa con un piccolo salto, si voltò per fronteggiare il Pilastro.

«Kyojuro~»

«Hai finalmente deciso di mostrarti, demone ,» sibilò il Pilastro della Fiamma, e Akaza inclinò il capo di lato, le labbra sempre piegate in un sorrisetto.

I suoi occhi percorsero il corpo del Cacciatore, studiandone l'aspetto con malcelata curiosità. In fondo lo aveva spiato solo da lontano, e quella era la prima volta che si trovava di nuovo faccia a faccia con lui.

Kyojuro indossava la sua veste da notte, che cadeva leggermente aperta sul petto - erano visibili le fasciature che il fratello lo aiutava a cambiare ogni sera, prima di ritirarsi per dormire. Si reggeva in piedi normalmente, ma il suo respiro non era regolare come il loro primo incontro. Sembrava avesse difficoltà a controllarlo, forse a causa delle ferite interne ancora in via di guarigione.

Quello però non stava impedendo al Pilastro della Fiamma di tenere fermamente in mano la propria nichirin appena riforgiata, con l’unico occhio sano che lampeggiava in un turbinio di sentimenti che andavano dalla rabbia al timore .

Kyojuro aveva paura , notò all'improvviso la Luna Crescente.

Era comprensibile , concesse Akaza subito dopo, senza poter nascondere un pizzico di delusione. Fino a quel momento aveva quasi idealizzato la forza e il coraggio del Pilastro , si era quasi convinto che Kyojuro non avesse paura di lui e che non temesse neanche la morte.

Si era sbagliato?

Non ne era certo, perché l’ira che vedeva ardere nello sguardo del Pilastro raccontava una storia del tutto diversa. Forse temeva che facesse del male a qualcuno in quella casa?

Akaza aprì bocca quasi per informarlo che non era sua intenzione attaccare gli abitanti di quel luogo, ma rimase muto quando notò la sorpresa balenare nell’occhio del Pilastro quando questo posò lo sguardo su ciò che il demone portava appeso al petto - e forse anche il modo nel quale si era vestito, sicuramente anomalo e stupido.

Kyojuro non abbassò la sua posizione di guardia, mostrandosi però ulteriormente sospettoso e spaventato al tempo stesso.

«Cosa… che cosa hai in braccio, demone?» domandò.

Il Pilastro aveva già una risposta, Akaza poteva intuirlo attraverso il suo tono di voce.

«Non riconosci neanche un neonato della tua stessa specie? Mi sorprendi, Kyojuro,» rispose, sciogliendo il supporto creato con la coperta per tenere il neonato più saldamente tra le braccia.

La rabbia e la paura crebbero d’intensità nell’iride fiammeggiante del Pilastro, e la sua presa sulla katana si fece molto più salda.

«Lascialo immediatamente! Non ti permetterò di ucciderlo!» ruggì, senza curarsi di tenere un tono di voce basso.

Akaza fece una smorfia disgustata, soprattutto quando il neonato - sobbalzando a causa dell’esclamazione irosa di Kyojuro - si svegliò e iniziò a piangere con tutta la forza che aveva nei polmoni.

«Non ho fatto tutta questa fatica per portarlo qui da te solo per ucciderlo,» esclamò Akaza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Inoltre… non mi nutro di bambini. E neanche di donne, se questo ti può aiutare a dormire la notte.»

Kyojuro non riuscì a rispondere, ma il suo occhio era ancora fisso sul demone e sul neonato che piangeva.

«Che cosa significa?» riuscì a dire con un pizzico di confusione nella voce, rimanendo immobile. Sembrava però pronto a scattare in avanti, forse stava calcolando i rischi dell'usare una qualche forma della sua Respirazione per cercare di strappargli il bambino dalle braccia.

Sembrava pronto a tutto pur di salvarlo.

Per un momento il demone fu quasi tentato dal lasciarglielo fare, incuriosito dalla forza di Kyojuro anche in quelle condizioni, ma al tempo stesso sapeva di non essere lì per combattere.

«Quello che vuoi che significhi,» Akaza scrollò le spalle, inginocchiandosi per posare con estrema cura il fagottino sull' engawa .

Stava nevicando anche lì, e un po’ lo preoccupava l’idea di lasciarlo per terra… ma era certo che Kyojuro sarebbe corso in suo aiuto in meno di un minuto.

Il viso del neonato era di nuovo rubicondo e le grosse lacrime scorrevano sul suo viso paffuto. Lo osservò per un momento per mettere a tacere dubbi, desideri e incertezze, poi si alzò in piedi, puntando lo sguardo su Kyojuro ancora fermo a pochi metri da lui.

All’interno della casa iniziarono a sentirsi dei rumori, era probabile gli abitanti si stessero svegliando a causa del pianto del bambino, e quello mise un po’ di fretta al demone, che non aveva alcuna intenzione di incrociare il padre del Pilastro.

«Te lo affido, Kyojuro,» disse solamente, e con un balzo si allontanò nella notte, permettendosi però di lanciare un ultimo sguardo alle sue spalle. Vide il Pilastro rinfoderare la sua katana e correre a soccorrere il neonato piangente.

Aveva fatto la scelta giusta. Sapeva che Kyojuro lo avrebbe protetto fino alla morte se necessario.


NOTE:
Fusuma:porte scorrevoli all'interno delle abitazioni giapponesi. Oltre a separare gli ambienti, i fusuma fanno anche da ante per armadi a muro e cabine armadio. In questo modo si crea uniformità tra porte e mobilio.[torna su]
Engawa: veranda giapponese di assi di legno che dà sul giardino.[torna su]

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Capitolo 2
*** 2. Into the Unknown ***


As Soothing As Snow

Capitolo 2
Into the Unknown


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Le mani di Rengoku tremavano ancora quando riuscì a prendere in braccio il fagottino che la Terza Luna Crescente aveva lasciato sull’engawa della sua abitazione.

Non capiva che cosa fosse accaduto, quella situazione era talmente assurda da non avere minimamente senso, e anche solo il cercare di farne un riassunto la faceva sembrare frutto della più fervida immaginazione di un folle.

Tuttavia, il peso del bambino e il suo pianto erano talmente reali da impedirgli di pensare a una qualche allucinazione, ma soprattutto al panico che la visita della Terza Luna Crescente aveva generato in lui.

Si alzò goffamente e lo shoji[1] della sua stanza si spalancò di colpo, mostrando l’adirata figura di suo padre.

«Che cosa sta succedendo?» ruggì l’uomo. L’odore di alcol era forte nella sua persona, e l’ira che sprigionava spinse Kyojuro a stringere più forte a sé il neonato - non sarebbe successo niente, ma il suo istinto lo stava portando a proteggere quella creaturina.

«Padre…»

Cosa poteva dirgli? Come poteva spiegare la presenza di quel neonato? Doveva dirgli che un demone lo aveva lasciato lì? Impossibile. Era fuori discussione.

«Q-qualcuno ha abbandonato… questo bambino…» riuscì a balbettare.

In genere era in grado di mantenere un certo controllo e contegno davanti al padre, mostrandogli solo la sua pazienza e ottimismo, ma in quell’istante era davvero troppo sconvolto per riuscire a capire cosa stesse realmente accadendo… e alla fine la sua risposta non era neanche una menzogna, ma una mezza verità, dato che stava solo celando l’identità di chi aveva lasciato quel neonato.

«Cosa?» ripeté Shinjuro adocchiando l’ammasso di coperte piangenti tra le braccia di Kyojuro.

La rabbia lampeggiò negli occhi dell’uomo insieme ad una certa dose di sorpresa.

«Fallo stare zitto e liberatene!» sbottò alla fine Shinjuro, per poi allontanarsi verso l’interno della casa senza dare modo a Kyojuro di tentare di ragionare con lui sull’assurdità di quelle affermazioni.

Quello però gli permise almeno di entrare a sua volta all’interno della casa - all'esterno c'era davvero troppo freddo. Chiuse lo shoji e abbassò lo sguardo sul bambino che stava continuando a piangere.

Come poteva farlo calmare? Di certo tutta quella agitazione non lo stava aiutando. Cercò di dondolare le braccia, cullandolo come facevano i suoi genitori con Senjuro quando era ancora un neonato.

«Shh… shh… ti prego stai zitto…» mormorò Kyojuro, tentando di mantenere un tono di voce più basso e calmo, provando al tempo stesso a controllare il filo dei suoi pensieri per poter affrontare un problema alla volta.

Prima di tutto doveva capire come placare quel pianto, poi avrebbe pensato al resto.

«F-fratello?» la vocina di Senjuro lo spinse ad alzare la testa.

Il ragazzino si era affacciato alla porta, era pallido e un poco spaventato, ma sembrava anche incuriosito dalla situazione. Teneva in mano una candela, che divenne presto l’unica vera fonte di luce della stanza.

Kyojuro si sforzò di sorridere, senza smettere di cullare il neonato.

«Perdonami per questo trambusto, Senjuro,» gli disse mentre l’altro si avvicinava e chiudeva alle sue spalle la porta scorrevole, sperando in quel modo di attutire un po’ il rumore del pianto - cosa che avrebbe fatto infuriare di più il loro genitore.

«Che cosa sta succedendo?» chiese il ragazzino, accendendo anche le altre candele.

«Hanno abbandonato questo neonato, e non so come calmarlo…»

Senjuro si guardò rapidamente intorno, cercando subito di essergli il più utile possibile. Si diresse infatti verso il fusuma e lo aprì, tirando fuori una coperta che distese accanto al futon sfatto di Kyojuro.

«Forse ha bisogno di essere cambiato… o ha fame. Ma può essere anche spaventato… o stare male,» Senjuro aggrottò le sopracciglia nell’elencare tutto quello che poteva spingere un bambino a piangere in quel modo. «Per ora controlliamo come sta poi… poi chiameremo un medico!»

Kyojuro ringraziò mentalmente suo fratello per l’immenso aiuto che gli stava donando prendendo praticamente il controllo della situazione, e con estrema attenzione fece distendere il fagottino sulla coperta presa da Senjuro.

Lo liberò lentamente dalle sue copertine, tremando impercettibilmente per il timore di trovare qualche ferita, o peggio, nel neonato. Fortunatamente non c’erano tracce di sangue né segnali riconducibili alla violenza.

La sua veste era arancione, palesemente rovinata da dei segni di usura che sembravano indicare una situazione familiare complicata, ma non per questo meno amorevole nei confronti di un neonato.

«Non sembra ferito,» confermò Senjuro, annusando poi il piccolo che ancora scalciava e piangeva. «E a parte i vestiti,  non credo abbia ancora bisogno che gli venga cambiato il panno. Forse ha solo freddo o fame… ma non abbiamo granché per lui. Forse un po’ di latte per il momento… e dovrei cercare i nostri vecchi honyuu bin [2]…»

Nel dire quelle parole Senjuro, forse completamente assorto da quelle mansioni che richiedevano il suo intervento immediato, scattò subito fuori dalla stanza per cercare tutti gli oggetti che, sicuramente, erano stati gelosamente custoditi in qualche angolo della casa.

Rimasto solo con il neonato, Kyojuro non poté far altro se non riprenderlo in braccio per tentare di calmarlo.

Gli fece posare il capo sul suo petto e, con una mano sulla schiena e l’altra sotto il sedere, iniziò di nuovo a cullarlo. Si sentiva ancora impacciato, non prendeva un bambino in braccio da anni ormai, ma in quel momento sapeva di dover solamente farlo calmare prima di poter pensare ad altro.

«Va tutto bene, piccolo… sei al sicuro qui…» mormorò tentando di suonare il più rassicurante possibile.

Mosse la mano sulla piccola schiena in lenti movimenti circolari e quel continuo dondolare sembrò placare un poco il pianto del neonato, che divenne prima un singhiozzo e poi un respiro più regolare, intervallato da piccoli e bassi lamenti.

Lo tenne ancora stretto a sé, iniziando a camminare attorno al futon per non arrestare il movimento che aveva portato il neonato a calmarsi.

Solo quando si sentì più sicuro della sua presa, e del fatto che il piccolino non sembrasse intenzionato a scoppiare di nuovo a piangere, Kyojuro si azzardò a uscire dalla stanza per andare a cercare Senjuro.

Stare da solo lo avrebbe portato di nuovo a pensare, e non era certo che sarebbe riuscito a mantenere quella calma che lui stesso aveva guadagnato con non poca fatica.

Trovò il fratello in cucina, e per un istante lo osservò muoversi avanti e indietro. Aveva iniziato a scaldare dell’acqua nel focolare domestico, nella quale aveva immerso un vecchio honyuu bin per lavarlo e disinfettarlo, e al tempo stesso stava controllando del latte e dei panni che aveva riposto sul tavolo. Sembrava instancabile.

«Senjuro,» lo richiamò e il ragazzino, senza mai fermarsi, gli rivolse uno sguardo e un piccolo sorriso. 

«Sei riuscito a calmarlo!» constatò sollevato Senjuro. «Io ho trovato anche dei vecchi abiti, così possiamo cambiarlo e mettergli addosso qualcosa di pulito!»

Kyojuro sorrise grato per l’impegno dimostrato sin da subito da suo fratello, che non sembrava realmente disturbato dalla situazione fortemente anomala.

«Grazie,» riuscì a rispondere.

Non sapeva cosa avrebbe fatto senza suo fratello in quel momento. Senjuro era abituato a muoversi in quella casa molto più di Kyojuro ormai. Era lui a sbrigare le varie faccende domestiche e a prendersi cura di loro padre quando il maggiore era in missione. Passava tutto il suo tempo lì, tra quelle quattro mura.

Il Pilastro aveva sempre provato una punta di dispiacere e tristezza nei confronti di suo fratello e del peso che portava sulle spalle. Una sorta di inadeguatezza che lo spingeva a domandarsi: "Lo sto davvero aiutando? Sto riuscendo a fare tutto il possibile per lui?"

Senza ombra di dubbio Kyojuro era fiero di Senjuro e lo sarebbe stato sempre, qualsiasi sarebbe stata la strada che avrebbe scelto di intraprendere… ma lo stava aiutando? Era davvero quella figura di riferimento che voleva essere per lui? O lo stava abbandonando a se stesso quando aveva più bisogno della sua presenza, vista l'assenza del padre?

«Come sta? E… che cosa è successo?» la voce un poco più seria di Senjuro, lo riportò al presente.

«Non lo so ancora sinceramente,» ammise il Pilastro. «So solo che… è stato lasciato qui e… potrebbe non avere più una famiglia per quel che ne sappiamo…»

Era un ragionamento più che naturale oltre che ovvio. Era tra le braccia di un demone quando era stato portato lì, era possibile che la Terza Luna Crescente avesse sterminato la sua famiglia! Ma allora perché non aveva ucciso anche il bambino? Perché lo aveva portato lì da lui?

Il demone però gli aveva detto che non toccava donne e bambini, e pur non avendo alcuna certezza sulla veridicità di quelle affermazioni… il bambino era apparso ugualmente illeso.

Più si dava delle risposte, più Rengoku si sentiva confuso.

«Che crudeltà…» mormorò Senjuro rabbuiandosi un poco. «E… perché lo hanno portato proprio qui? Hai visto chi è stato?»

Kyojuro detestava mentire al fratello, ma la sola idea di parlare della Terza Luna Crescente lo metteva a disagio e lo spaventava.

Non aveva ancora compreso il perché delle azioni del demone, così come non era stato in grado di capire il motivo della sua costante presenza nei confini della sua casa, dato che aveva avvertito il suo sguardo sin dal primo momento.

In quel mese e mezzo la Luna Crescente era diventata quasi un incubo per Rengoku.

Era lì per ucciderlo? Per ferire la sua famiglia?

La sua presenza, seppur mai realmente minacciosa, faceva rabbrividire Kyojuro portandolo a temere non solo per se stesso, ma anche per le sorti di Senjuro e di loro padre.

Non era in grado di proteggerli in quelle condizioni, e lui meglio di chiunque altro conosceva la forza distruttiva di quel demone. Era sopravvissuto per pura fortuna, e i danni e le ferite che aveva riportato ancora gli impedivano di riprendere gli allenamenti o di fare sforzi troppo prolungati.

Ne aveva paura e non poteva farne a meno… tuttavia, cercò ugualmente di concentrarsi sul presente e di rispondere alla domanda di suo fratello, mostrandosi calmo per non farlo preoccupare.

«Forse… sanno che siamo delle brave persone e… non lo so davvero, Senjuro,» concluse, incapace di inventare una qualche scusa credibile. «So solo che mi è stato detto di prendermene cura, poi quella persona è scappata prima di poter chiedere qualsiasi altra informazione.»

Quella, almeno, era un’altra mezza verità.

«Capisco,» accettò subito suo fratello senza dubitare per un secondo delle sue parole, prendendo l’honyuu bin per poterlo preparare per l’utilizzo. Si muoveva con apparente sicurezza, ma Kyojuro poteva vedere l’incertezza e i dubbi nei suoi occhi.

Utilizzando sempre il focolare della cucina, Senjuro iniziò a riscaldare il latte di mucca che aveva acquistato la mattina prima, controllandolo più volte per impedirgli di raggiungere una temperatura eccessiva.

«Ho letto che… non è consigliabile usare questo latte, ma per ora non abbiamo altro a casa,» spiegò Senjuro, preparando l’honyuu bin quando si ritenne soddisfatto della temperatura. «È una soluzione temporanea, ed è anche possibile che lo rifiuti se non ha fame.»

«Non credevo avessi letto tutte queste cose!» esclamò il Pilastro, onestamente sorpreso, trovando più facile concentrarsi su quel dettaglio che su quanto quella situazione fosse assurda.

Le guance di Senjuro si fecero un poco più rosse.

«N-ne parliamo dopo,» si affrettò a dire, porgendo al maggiore la bottiglietta in ceramica leggermente tiepida. Kyojuro annuì, accettando il desiderio del fratello di rimandare quella discussione, assumendo però un'espressione un po' confusa nel prendere in mano l’honyuu bin.

«Dovresti tenere il bambino… un po’ meglio. Per farlo mangiare intendo,» lo incoraggiò Senjuro, e Kyojuro strinse le labbra nervoso, incerto su come spostare il bambino senza farlo riprendere a piangere.

«Ammetto di avere bisogno di una mano,» mormorò e Senjuro, paziente, lo aiutò a spostare il neonato in una posizione più comoda per farlo mangiare.

Finalmente entrambi poterono osservare un po' meglio il suo viso, rilassato e non stravolto dal pianto. Il bambino aveva i capelli scuri come la notte, un poco arruffati, folte ciglia scure che abbracciavano due paia di grandi occhi rossi che sfumavano nel rosa, con la pupilla bianca.

“È così carino,” pensò Kyojuro trovando impossibile non sorridere nell’osservare il visino paffuto e ancora un po’ arrossato del piccolo.

«Probabilmente ha almeno cinque o sei mesi,» ipotizzò Senjuro, porgendo di nuovo l’honyuu bin al fratello. «Non credo sia più grande...»

Kyojuro annuì distrattamente, avvicinando il beccuccio dell’honyuu bin al bambino. Non era certo sul come tenerlo al meglio, ma grazie al supporto del fratello riuscì nell’intento, sospirando di sollievo quando il piccolo si attaccò al beccuccio iniziando a bere voracemente.

«Sembra davvero affamato!» sorrise Senjuro, osservando con dolcezza il piccolino. «Te la senti di tenerlo da solo per un po'? E magari di cambiarlo? In questo modo potrei andare a chiamare il medico,» propose poi.

Rengoku non era tanto sicuro di voler restare realmente da solo con il neonato. Senjuro era così calmo da essere in grado di trasmettergli altrettanta tranquillità - Kyojuro sapeva come gestire determinate situazioni a sangue freddo, ma quando si trattava di argomenti lontani dal lavoro di un Ammazza Demoni era un po' ottuso e impacciato -, ma dall’altra parte avevano davvero bisogno di un consiglio medico.

Pensò distrattamente a Kocho, era solito rivolgersi a lei per ogni problema, ma se da una parte non voleva mettere al corrente gli altri Pilastri della situazione nella quale si era cacciato, dall’altra non era neanche certo che la giovane donna sapesse come gestire un bambino. Contattarla era quindi fuori discussione, si sarebbero dovuti rivolgere per forza a qualcun’altro.

«Sì, posso farcela,» rispose annuendo. «Prima ci sinceriamo delle sue condizioni, prima… possiamo pensare al resto.»

“Pensare al resto,” ripeté mentalmente, abbassando di nuovo lo sguardo per osservare il bambino. Quali sarebbero dovute essere le sue prossime mosse?

Suo padre, non poteva dimenticarlo, gli aveva intimato di ‘liberarsi del neonato’. Ovviamente, o almeno così voleva credere Kyojuro, suo padre intendeva ‘liberarsi’ del piccolo dandolo in affidamento a qualcun altro, ma per qualche motivo il Pilastro non riusciva neanche a prendere in considerazione l’idea di abbandonarlo a sua volta senza sapere per quale motivo fosse stato portato da lui.

Che cosa era passato per la testa di quel demone? Quali erano le sue intenzioni?

Sarebbe… tornato? Era quasi certo di poter dare una risposta affermativa, perché la Terza Luna Crescente era sempre stata una costante presenza nei mesi precedenti… ed ora che il demone aveva superato il confine della proprietà niente lo avrebbe fermato.

E se il demone avesse reagito male in assenza del bambino? Quale era il loro legame? O era semplicemente un trovatello?

Era sciocco e pericoloso sperare che il demone si facesse di nuovo vivo, e Rengoku era certo che non sarebbe riuscito ad affrontarlo - sia fisicamente e che emotivamente -, ma aveva bisogno di risposte.

Sorgeva però un altro problema che doveva assolutamente risolvere: Kyojuro non poteva prendersi cura di un bambino.

Anche se per il momento non poteva prendere parte a nessuna missione - Kocho era stata categorica: doveva permettere al suo corpo di guarire del tutto prima di riprendere servizio -, lui era e rimaneva il Pilastro della Fiamma. Inoltre, non sapeva come occuparsi di un bambino!

Si impose di nuovo la calma, perché sapeva di non potersi lasciar andare al panico e all'agitazione. Non avrebbe portato a nulla di buono, e il neonato che aveva tra le braccia aveva decisamente bisogno di tranquillità e un po' di equilibrio.

Salutò suo fratello quando questo, con addosso un haori più pesante, lasciò la casa avvisandolo che sarebbe tornato presto con il medico. Rimasto di conseguenza da solo, Rengoku continuò a osservare il piccolo che, lentamente, aveva smesso di ciucciare l’honyuu bin, forse ormai sazio.

Allontanò la bottiglia per posarla sul ripiano della cucina, e dopo aver riportato il neonato con la testolina nell'incavo del suo collo - una posizione per lui decisamente più comoda per spostarsi -, afferrò con la mano libera i vestitini che Senjuro aveva procurato. Con movimenti tanto attenti quanto impacciati, tornò nella sua camera, sobbalzando un poco quando sentì il neonato fare un piccolo ruttino contro la sua spalla.

Si immobilizzò, ma non successe altro e quello lo portò, con estrema cura, a posare il neonato di nuovo sulla coperta stesa da Senjuro. Il piccolo lo fissò di nuovo con i suoi grandi occhioni innocenti.

Gli venne spontaneo rivolgergli un sorriso e accarezzargli il viso con dolcezza - era morbido e liscio, e soprattutto piacevolmente tiepido.

«Ora pensiamo a metterti addosso qualcosa di pulito e più comodo, d’accordo?» commentò con tono dolce, solleticando un po’ il pancino del bambino.

Sciolse i piccoli nodini che tenevano chiusa la veste arancione sul fianco del piccolo, e con non poca difficoltà riuscì a sfilargli l’abitino da sotto il sedere. Non sentì odori molesti, almeno per il momento, ma aveva la certezza di doversi aspettare un qualche disastro da lì a poco.

«Cerca di trattenerti, va bene? Avrò sicuramente bisogno dell’aiuto di Senjuro per pulirti,» mormorò.

Ricordava molto vagamente sua madre cambiare e pulire suo fratello, e non gli era mai sembrato difficile… ma non era un qualcosa che voleva affrontare da solo la prima volta.

Controllò le vesti che gli aveva procurato suo fratello. Alcune sembravano decisamente troppo grandi, ma per fortuna riuscì a trovare qualcosa che potesse andare al neonato. Senjuro era stato inoltre parecchio previdente, e aveva aggiunto tra gli indumenti anche delle strisce di stoffa morbida che avrebbe potuto usare come panno.

«Perdonami, piccolino,» parlò ancora, cercando di togliere il panno indossato dal neonato per mettergli le vesti pulite portate da Senjuro.

Trovò non poca difficoltà nel riuscire a spogliarlo - temeva di fare qualcosa di sbagliato o di fargli male -, ma alla fine riuscì nel suo intento, cosa che lo portò a scoprire il sesso del neonato.

«Oh! Ma quindi sei una femminuccia!» esclamò, allungando la mano per pizzicarle giocosamente il nasino.

La bambina scalciò e gorgogliò felice, forse divertita dal tono divertito di Kyojuro e quello lo incoraggiò a riprendere il suo complicato lavoro.

Cercò di riportare alla mente ogni suo ricordo d’infanzia e di visualizzare come era legato il panno fino a poco prima, e con le labbra strette in un’espressione seria e concentrata, Rengoku tentò di fasciare la neonata come meglio poteva.

Il risultato che ottenne non gli sembrò dei migliori, ma almeno la piccola aveva addosso un panno pulito.

Con lo stesso zelo, le fece indossare una veste rossa - probabilmente appartenuta a lui stesso -, e quando completò il suo lavoro si tirò in ginocchio per osservare dall’alto l’operato.

«Missione compiuta, piccolina!» dichiarò allungando le mani per sollevarla di nuovo e attirarla a sé.

La cullò in silenzio, tentando per l'ennesima volta di rimettere un po’ d’ordine in quella nottata folle.

Come aveva già più volte pensato, attacchi di panico o meno, Kyojuro era ormai tristemente abituato alla presenza della Terza Luna Crescente fuori dalla sua proprietà.

Era una minaccia costante e silenziosa che, tuttavia, non aveva mai mosso un dito per colpire o anche solo insinuarsi in quella casa.

Lo aveva notato sin dall’inizio - forse sin dal suo ricovero alla Casa delle Farfalle -, ma non era mai accaduto nulla.

Perché il demone si era limitato a spiarlo? Stava forse aspettando il momento giusto per attaccare? O qualcos’altro?

Era probabile che stesse attendendo di averlo in forze per combattere di nuovo contro di lui. D'altro canto la Luna Crescente gli era sembrata particolarmente interessata alle sue abilità, era quindi possibile che stesse attendendo la sua ripresa per attaccarlo?

Quella continua ‘attesa’ era snervante, tanto quanto lo era la pericolosa incognita rappresentata dagli atteggiamenti privi di senso del demone, tant'è che inizialmente Rengoku aveva pensato di contattare gli altri Pilastri e chiedere loro di pattugliare la sua zona… ma alla fine aveva accantonato quell'idea.

Non voleva mettere in agitazione Senjuro con la presenza degli altri Pilastri, né voleva mettere in pericolo i suoi compagni perché… sentiva che riguardava solo lui. Non voleva che fossero gli altri ad assumersi le responsabilità legate alla sua sconfitta e allo strano interesse della Luna Crescente nei suoi confronti.

Era un atteggiamento che sotto un certo punto di vista poteva essere interpretato come sciocco - gli altri Pilastri non si sarebbero mai tirati indietro e avrebbero protetto la sua famiglia senza batter ciglio -, ma Kyojuro preferiva essere lui stesso la vittima di quel demone al permettergli di ferire qualcun’altro.

Quella convinzione però non gli aveva impedito di agitarsi quando aveva sentito la presenza della Terza Luna Crescente molto più vicina.

Aveva pensato a un attacco, e nella sua testa si erano subito formate le cruente immagini di una carneficina che lo avevano spinto ad afferrare la sua katana per ergersi a difesa della sua famiglia.

Aveva sentito l’adrenalina percorrergli il corpo, infuocando le sue membra che al tempo stesso minacciavano di venire congelate dalla paura. Erano due sentimenti fortemente contrastanti, perché Kyojuro non poteva nascondere di provare timore nei confronti delle abilità di quel demone.

La sua carne portava ancora i segni della forza brutale del suo avversario - tutti i pugni della Luna Crescente avevano lasciato segni e danni ingenti sul suo corpo, dai quali stava ancora guarendo -, e sapeva di doversi ritenere fortunato per essere riuscito a sopravvivere fino all’alba, attimo in cui il demone era stato costretto a darsi alla fuga.

Eppure… la Terza Luna Crescente non era giunta lì per battersi. Non aveva sentito provenire da lui nessun istinto omicida o maligno, solo un’immensa calma che sembrava estranea all’essere violento e malizioso contro il quale si era scontrato.

Era come se in quello stesso corpo, marchiato da linee scure come l’inchiostro, stessero convivendo due personalità, e quella notte Kyojuro aveva avuto modo di scorgerne la seconda.

Inoltre, lo aveva visto tenere la bambina al petto con estrema cura, un riguardo che aveva utilizzato pure nel posarla per terra… e anche il suo vestiario raccontava una storia simile. Il demone era infatti vestito in modo ridicolo e quel dettaglio, unito a tutti gli altri, stava portando il Pilastro a pensare che la Terza Luna Crescente stesse cercando di proteggere la neonata dal gelo invernale.

La bambina era in qualche modo importante per il demone?

A Rengoku sembrava impossibile, ma al tempo stesso aveva visto l'affetto tra il giovane Kamado e sua sorella. Poteva essere un caso simile?

Poteva essere tutto o niente, concluse il Pilastro quasi infastidito, perché quel demone era un vero e proprio mistero, così come il fatto che avesse portato lì da lui quella bambina. Ma di una cosa era certo: aveva davvero bisogno di più risposte e l'unico che poteva dargliele era la Luna Crescente.

Kyojuro non sapeva davvero cosa pensare e quali conclusioni trarre, ma aveva la netta impressione che il demone si sarebbe fatto di nuovo vivo.

Doveva solo attendere, e sperare che quella sorta di tregua e di apparente pace resistesse, dandogli modo di ottenere delle risposte.

Sospirò, sentendosi decisamente più stanco e quasi abbattuto, poi abbassando il capo osservò la bambina che aveva iniziato ad appisolarsi - anche lei doveva essere esausta.

«Perché eri con quel demone?» le domandò piano, certo che non avrebbe ottenuto alcuna risposta.

Chiuse l’occhio per concedersi un momento di riposo, ma si ritrovò suo malgrado a raddrizzarsi qualche attimo dopo quando sentì la porta d'ingresso aprirsi: Senjuro doveva essere tornato.

Sperò che quel continuo andirivieni non disturbasse troppo loro padre, perché Kyojuro non si sentiva minimamente pronto ad affrontarlo.

Lasciò la stanza e raggiunse suo fratello, e il medico che lo aveva seguito, all’ingresso.

«Chiedo scusa per l’ora tarda, Hajime-san,» dichiarò subito. «Ma le circostanze hanno richiesto il tuo intervento,» proseguì indicando con un gesto del capo la neonata.

Il medico, Kazunari Hajime, era un uomo anziano dai modi gentili e professionali, da sempre amico della famiglia Rengoku. In passato era stato lui ad avere avuto in cura la madre di Kyojuro e Senjuro, e aveva fatto il possibile per aiutarla. Anche per quel motivo il Pilastro non poté non sentirsi vagamente rassicurato dalla sua presenza.

«Senjuro-kun mi ha spiegato a grandi linee che cosa è successo. Spero di potervi essere d’aiuto,» rispose, lasciandosi guidare poi dal più piccolo dei Rengoku verso la cucina, che era la stanza sicuramente più lontana da quella del padre e più calda della casa.

«Ho scoperto che è una femminuccia!» annunciò Kyojuro con orgoglio al fratello, mentre permetteva al medico di prendere la bambina assonnata per farla distendere sul tavolo.

L'uomo iniziò subito a visitarla. Le misurò la febbre e ne ascoltò i battiti del cuore, controllò la bocca e anche le orecchie, il tutto in silenzio e con estrema attenzione. Ogni sua mossa era stata seguita da entrambi i Rengoku, chiaramente curiosi ma anche un poco preoccupati.

La bambina si lamentò leggermente durante la visita, ma sembrò troppo stanca per riuscire a piangere come aveva fatto al suo arrivo.

Al termine del controllo, il medico si rivolse ai due con un sorriso rassicurante.

«Potete stare tranquilli, la bambina gode di buona salute. Ha qualche linea di febbre, ma nulla di preoccupante. Probabilmente ha all'incirca cinque mesi, visto che è visibile un puntino bianco sulle gengive, segno della dentizione.»

Kyojuro sospirò di sollievo per quelle parole, ringraziando subito l'uomo.

«Ho solo fatto il mio dovere,» rispose tranquillo Hajime, facendosi però più serio. «Non avete davvero idea di chi possa averla abbandonata alla vostra porta?» 

Senjuro scosse subito il capo e puntò poi gli occhi verso il fratello, cercando in lui delle conferme.

«Non conosco quella persona. Mi ha solo detto di prendermi cura di lei,» rispose Kyojuro, continuando a usare quelle mezze verità. Non gli piaceva mentire, ma gli sembrava la soluzione migliore vista la situazione.

«Chiedo scusa se posso sembrare invadente…» iniziò Hajime con tono cortese. «Comprendo possa essere una questione delicata e che vada trattata con il massimo riserbo, ma temo di doverti chiedere se la bambina è una figlia illegittima.»

Le guance di Kyojuro si colorarono subito di rosso per l'insinuazione. Non poteva dare torto al medico, quel dubbio era più che ragionevole, vista la situazione strana e le tante domande senza risposta, ma non poté non trovarlo imbarazzante.

«Lo escludo!» riuscì a rispondere.

«Immagino quindi abbiano scelto la vostra famiglia in quanto benestante… oggigiorno molte persone povere cercano di dare ai propri figli una vita più agiata affidandoli a famiglie più ricche,» spiegò con tono grave il medico. «Anche se in questo caso si tratta di abbandono più che di affido.»

«Che… che cosa succede a questi bambini?» chiese Senjuro, nervoso.

«Il più delle volte vengono portati in delle strutture specializzate, in attesa di adozione. Ma ormai non sono molte le famiglie che desiderano prendersi il peso di una nuova bocca da sfamare, soprattutto quando si tratta di un bambino senza cognome,» rispose. «Immagino vogliate fare lo stesso, affidarla a una struttura specializzata,» aggiunse Hajime.

Il medico conosceva benissimo la storia della famiglia Rengoku, era uno dei pochi civili a sapere dell'esistenza dei demoni e ad aver sempre fornito supporto alla famiglia, soprattutto quando ancora Shinjuro ricopriva il ruolo di Pilastro della Fiamma. Per quel motivo Kyojuro sapeva quanto quelle parole fossero assennate.

«Vorrei… prima provare a rintracciare la sua famiglia,» rispose però Rengoku. «Magari hanno bisogno di aiuto…»

Sentì lo stomaco contorcersi perché in cuor suo sapeva benissimo quale era stata la fine dei genitori della bambina. Non poteva averne la certezza più assoluta, ma stava ugualmente parlando di un demone… un demone che sosteneva di non uccidere donne e bambini, quindi… la madre poteva essere viva?

Valeva la pena fare un tentativo. Non voleva che quella bambina crescesse senza l'affetto della sua famiglia.

«Posso comprenderlo,» annuì Hajime. «Quindi intendete tenerla con voi per un tempo indeterminato?»

Gli occhi di Senjuro erano ancora puntati su Kyojuro. Il maggiore non era certo di sapere quali fossero i suoi pensieri - l'incertezza riguardo l’allevare una bambina? La presenza di loro padre che era tutt'altro che salutare? -, ma dall'altra parte il Pilastro era certo di aver bisogno di risposte, e sapeva che il demone sarebbe tornato lì.

«Esattamente,» rispose. «Sono consapevole del fardello, ma non intendo lasciare niente di intentato. Per questo chiedo il tuo aiuto e consiglio, Hajime-san.»

Vi erano due forti implicazioni in quella richiesta e Rengoku era certo che l'uomo le avesse colte entrambe.

Da una parte era necessario denunciare l'abbandono della bambina alle autorità, cosa che il Pilastro intendeva evitare almeno per il momento - non gli piaceva andare contro la legge, ma non poteva farne a meno -, e dall'altra aveva il disperato bisogno di consigli su come accudire nel migliore dei modi la piccola - Senjuro era bravo e anche portato per quel ‘genere di cose', ma era pur sempre un ragazzino.

Hajime si mostrò più serio, forse soppesando quelle implicazioni e le loro conseguenze, ma alla fine annuì.

«Chiederò a mia nipote di raggiungervi per aiutarvi appena possibile,» dichiarò. 

«Ti ringraziamo per il tuo sopporto,» commentò Kyojuro sincero e dopo gli ultimi convenevoli e qualche consiglio, entrambi accompagnarono il medico alla porta della casa, ringraziandolo ancora per la disponibilità.

Rimasti soli, si rintanarono nella stanza di Kyojuro con la bambina, che si era ormai addormentata.

«Sei davvero sicuro?» gli chiese a quel punto Senjuro, senza però articolare meglio la domanda, certo che il fratello sarebbe stato ugualmente in grado di afferrarne il senso.

Il Pilastro, che aveva fatto coricare la neonata sul suo futon come gli aveva spiegato il medico, si prese un momento prima di rispondere affermativamente. Stava facendo un salto nel buio sperando che il demone tornasse e che, cosa non meno importante, non fosse animato dal suo istinto omicida. Era pericoloso, ma sentiva di voler dare fiducia al suo istinto.

«Ti fa onore ma…» riprese Senjuro. «Non vorrei lo stessi facendo perché… non puoi andare in missione.»

L'insinuazione del più piccolo era tanto innocente quanto insidiosa. Era preoccupato per lui, quello era chiaro, ed era possibile che temesse di vederlo utilizzare quella bambina come una sorta passatempo o missione di ripiego. Senjuro non lo stava pensando con malizia, né dubitava delle intenzioni del fratello, ma erano entrambi consapevoli che quella fosse una situazione delicata e fuori dall'ordinario.

«No, non lo farei mai,» rispose sicuro Kyojuro, rassicurando. «Voglio aiutarla per davvero.»

Senjuro sorrise, decisamente più sollevato. I suoi occhi però erano di nuovo posati sulla bambina, vagamente tristi e nostalgici.

Non era difficile intuire i suoi pensieri, perché anche Kyojuro in quel momento di pace non poté non pensare alla loro situazione familiare. Era diversa, ma al tempo stesso Rengoku sentiva di provare una certa empatia nei suoi confronti. 

«Appena sorgerà il sole andrò a comprare ciò che ci ha consigliato Hajime-san!» annunciò Senjuro rompendo quel silenzio e Kyojuro annuì, portando lo sguardo prima verso la bambina e poi di nuovo su suo fratello.

«Se non ricordo male… dovevi parlarmi di ciò che hai letto?» commentò cercando di alleggerire l'atmosfera con quella domanda, sentendo un piacevole calore nel petto nel vedere Senjuro sorridere e annuire.

Era ormai chiaro che non sarebbe riuscito a prendere sonno e trovò immensamente più piacevole e rassicurante ascoltare suo fratello parlargli di come si fosse appassionato alla medicina e a tutti i suoi campi, da quello traumatologico fino a quello dedicato proprio alla cura dei bambini, che aveva in parte approfondito grazie alle giovani madri che vivevano vicino alla loro dimora - Senjuro era sempre stato amato da tutto il vicinato.

Probabilmente suo fratello aveva sviluppato quell'interesse a causa delle ferite che Kyojuro era solito riportare al termine delle sue missioni, e il resto era venuto da sé.

Forse, si disse Rengoku, Senjuro aveva finalmente trovato la sua strada e magari lo avrebbe anche potuto mettere in contatto con Kocho se un giorno avesse espresso il desiderio di diventare un assistente alla Casa delle Farfalle.

 


NOTE:
Shoji:Lo shoji è un particolare tipo di porta, usato comunemente in Giappone, nelle case tradizionali o nei dojo.[torna su]
Honyuu Bin: Biberon in giapponese. Suonava troppo male "biberon" o "poppatoio", sorry not sorry.[torna su]

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Capitolo 3
*** 3. Fortune favors the bold ***


As Soothing As Snow

Capitolo 3
Fortune favors the bold


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Akaza era rimasto lontano dalla Casa dei Rengoku per due giorni da quando aveva scaricato il neonato sull’engawa di Kyojuro.

Era stato tentato dal tornare a trovarlo la sera stessa, dopo il tramonto, ma le strane sensazioni che lo avevano portato a salvare il neonato gli avevano impedito di farsi vedere nell’immediato dal Pilastro.

Le conseguenze del suo gesto lo avevano infatti investito in pieno e quelli, per quanto gli costasse ammetterlo, erano gli effetti collaterali del suo tentare di salvare quella donna in pericolo.

Non era la prima volta che agiva in un modo simile. Ovviamente Akaza non aveva mai raccolto orfanelli, ma più volte era intervenuto in soccorso di una donna, ed era quello il vero problema.

Aveva il permesso di Kibutsuji Muzan di non mangiare donne e di non combatterci neanche contro… ma salvarle? Era ovviamente fuori discussione, e se quel suo atteggiamento fosse giunto alle orecchie del suo padrone, Akaza avrebbe subito più di un’umiliante punizione.

Eppure il suo corpo agiva ancor prima di poterlo controllare, e si lanciava verso il luogo dal quale sentiva provenire le urla e i lamenti di qualche donna.

Non accadeva sempre. Il più delle volte, soprattutto quando si trattava di qualche Ammazza Demoni donna, riusciva a voltare le spalle… ma c'erano dei momenti nei quali non era in grado di fare finta di niente.

In quegli istanti correva con l’assurdo pensiero del: “Non farò mai in tempo a salvarla”. Come se fosse un qualcosa di personale, come se il trovarsi lontano da una qualsiasi di quelle donne in pericolo riaprisse in lui una ferita mai cicatrizzata.

Spesso, come era accaduto con quel neonato, arrivava tardi, ed erano la rabbia e la frustrazione, mischiate a un senso di fallimento e di impotenza, a impossessarsi di lui, generando un’ira cieca che Akaza finiva per sfogare su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.

Alcune volte però era stato in grado di intervenire e di allontanare dei demoni inferiori o, addirittura, uccidere i mariti o i padri violenti che credevano di avere diritto di far ciò che volevano, ubriachi di potere e tronfi per la loro superiorità fisica.

Erano quelle le persone che più odiava.

Arrivare in tempo però lo lasciava con ulteriori sensazioni che non si sentiva mai in grado di affrontare. C’era sempre quel retrogusto di fallimento nonostante fosse stato in grado di salvare una donna. Era come se non fosse riuscito a intervenire quando avrebbe dovuto. Quando era stato davvero importante.

Con il neonato però era stato diverso. In secoli di vita come demone non si era mai trovato in una situazione simile.

Aveva visto neonati e altrettanti bambini morti quando interveniva in soccorso di qualche donna in difficoltà. Altrettanti ne aveva salvati insieme alle loro madri, ma era la prima volta che veniva investito dalla certezza che quel neonato sarebbe morto se lui non fosse intervenuto.

Akaza era lì presente, in tempo per salvare quella vita, e andarsene ne avrebbe decretato la morte… e per quel motivo era intervenuto, andando contro ogni singola goccia di sangue di Muzan che scorreva nel suo essere.

Quello che era successo, in seguito alla sua folle scelta di salvare il neonato, aveva creato un precedente che difficilmente Akaza sarebbe stato in grado di gestire… perché quel neonato si trovava nella casa del Pilastro della Fiamma, e il suo interesse e la curiosità nei confronti di Kyojuro erano già fonte di non pochi problemi.

Fino a quel momento era stato in qualche modo capace di mantenersi a una certa distanza dal Pilastro, ma nel mostrarsi a lui per consegnargli quel neonato. Akaza si era messo in una posizione complicata ed era certo che a quel punto non sarebbe più riuscito a guardare l’Ammazza Demoni da lontano.

Aveva superato quei confini e niente poteva più fermarlo. In realtà quel dettaglio non lo preoccupava tanto quanto avrebbe dovuto - era eccitato all'idea di incontrare di nuovo Kyojuro -, ciò che però lo faceva già sentire a disagio erano le sicure domande che il Pilastro gli avrebbe posto. Quesiti ai quali Akaza non sapeva come rispondere, ed era certo che al cacciatore non sarebbe bastato un: “L’ho fatto e basta.”

Se solo fosse stato in grado di stargli realmente lontano, forse non ci sarebbe stato bisogno di rispondere a nessuna domanda, però come una falena attratta dalla fiamma di una candela, Akaza voleva avvicinarsi al Pilastro.

Voleva combattere ancora con lui e convincerlo a diventare un demone, perché gli faceva davvero male pensare che quel suo sublime stile di combattimento si spegnesse come tutte le vite umane.

Di conseguenza, conscio che si sarebbe ritrovato a presentarsi di nuovo in quella dimora, aveva sentito il reale bisogno di trovare una spiegazione. Un qualcosa che servisse anche a lui per comprendere ciò che lo aveva portato a prendere in braccio quel neonato.

Ovviamente non riuscì a trovare nessuna risposta, e quando si fermò non lontano dalla dimora del cacciatore, Akaza sentì di aver di nuovo intrapreso una strada senza ritorno.

“In realtà… non ho bisogno di trattenermi, né di farmi vedere. Mi assicuro che il neonato sia al sicuro e che Kyojuro stia guarendo”, si disse.

Non era certo di voler dare una reale importanza al neonato, ma visto che era colpa di quell’esserino se si trovava in quella situazione sentiva di dovergli prestare almeno un po’ di attenzione.

Era certo che fosse ancora sotto le cure del Pilastro, perché Kyojuro non era quel tipo di persona in grado di abbandonare un bambino… anche se era possibile avesse trovato qualche famiglia degna di fiducia alla quale affidarlo.

Il pensiero gli fece stringere un po’ lo stomaco, come quando sentiva l’odore del sangue di qualche donna - come il tanfo che permeava Douma e che rimaneva nell’aria ogni volta che la Seconda Luna Crescente decideva di disturbarlo.

"No," si disse. "Kyojuro non lo farebbe mai."

Non avrebbe dato via il neonato senza avere prima delle risposte… e soprattutto non lo avrebbe affidato a qualcuno senza sapere la fine della famiglia del piccolo, anche se era ovviamente intuibile.

Akaza avanzò, saltando sui tetti rapido e silenzioso, fino a raggiungere l’ormai familiare dimora dei Rengoku. Si tenne a distanza, sopra uno degli alberi più alti vicini alla casa, portando subito lo sguardo verso le porte scorrevoli che nascondevano le stanze.

La camera di Kyojuro era illuminata da delle candele e poteva chiaramente vedere la sagoma del Pilastro muoversi avanti e indietro. Aveva probabilmente in braccio il neonato, e forse stava cercando di farlo addormentare.

Gli occhi di Akaza si allargarono per la curiosità trovando quasi impossibile non sporgersi ulteriormente verso la casa per catturare più dettagli possibili.

Ancora una volta si sentiva attratto da Kyojuro e da quell’assurda curiosità senza nome. Voleva andare da lui, voleva vedere più da vicino quello spirito combattivo così caldo e interessante… ma ciò che desiderava era estremamente pericoloso.

La sagoma a un certo punto si fermò. Rimase immobile, e Akaza non poté non scorgere esitazione in quella quiete.

Kyojuro riprese a muoversi qualche attimo dopo per farsi più vicino allo shoji. Lo aprì lentamente, portando il demone a interpretare quel gesto come un muto invito.

Akaza non avrebbe dovuto accettarlo, ma era chiaro che Kyojuro fosse consapevole della sua presenza, e quello lo aveva portato ad aprire ugualmente la porta della sua casa.

A un demone. Alla Terza Luna Crescente.

Era avventato e sicuramente sciocco, tanto quanto lo fu Akaza nell’accettare l'invito senza pensarci troppo.

Raggiunse l’engawa e, silenzioso, si introdusse nella stanza richiudendo la porta scorrevole alle sue spalle. Il piacevole calore della dimora lo abbracciò dandogli un vago senso di familiarità, ma lo ignorò per posare lo sguardo sull’Ammazza Demoni fermo a pochi metri da lui.

Si trovava in piedi accanto al ripiano dove era riposta la sua nichirin, e stava tenendo saldamente il neonato in braccio. Il suo volto era un dipinto di emozioni diverse e contrastanti, che andavano dalla paura al coraggio, dal disgusto alla curiosità.

Inoltre, non portava la benda sull’occhio, perso a causa delle ferite che Akaza gli aveva inferto durante il loro unico scontro. La pelle era ormai cicatrizzata ed era visibile il segno di una sorta di operazione. Forse avevano tentato di salvargli la vista, e quello portò il demone a chiedersi che cosa ci fosse dietro quella palpebra chiusa e quanto fossero stati pesanti i danni che gli aveva inflitto.

Entrambe le sopracciglia di Kyojuro erano aggrottate in un’espressione contrariata, e l’occhio sano lampeggiava animato dai sentimenti che gli attraversavano il viso.

Il suo spirito combattivo era brillante come sempre. Per quanto il suo corpo non fosse ancora in grado di sostenere un reale combattimento, sembrava ugualmente pronto a battersi contro la Luna Crescente.

Kyojuro era debole in quel momento, ma Akaza non riuscì a detestarlo per quello, anzi, se possibile arrivò ad ammirarlo ancora di più.

Solo in quel momento spostò lo sguardo sul neonato. Indossava una veste rosso scuro e stringeva tra le manine una piccola bambolina di stoffa. Il suo viso era rilassato e tranquillo, forse un poco assonnato, ma appariva in salute.

In quell'istante, Akaza si disse che sarebbe anche potuto andare via. D’altro canto aveva ottenuto quello che voleva e la sua presenza lì non era più richiesta, ma rimase ugualmente fermo a osservare i due.

«Sapevo che saresti tornato prima o poi,» mormorò Kyojuro, spezzando il silenzio che si era creato. Non aveva neanche provato a nascondere il suo disprezzo, e Akaza piegò istintivamente le labbra in un sorriso.

«Se avessi saputo di essere atteso, sarei arrivato prima,» ribatté, strappando nel Pilastro una nuova smorfia.

«Mi devi delle risposte, demone!» dichiarò.

Akaza, che già si aspettava quella situazione, non si scompose ma anzi, fu il primo a porgere una domanda.

«Il piccolo-umano come sta?»

La sorpresa attraversò per un momento il viso del Pilastro, poi Kyojuro abbassò per un momento lo sguardo sul neonato, che aveva già gli occhi socchiusi ed era pronto a dormire.

«Bene. Per chi ci hai preso? Pensavi forse che avrei abbandonato un innocente?»

«Al contrario,» ammise Akaza. «Proprio perché sapevo che l’avresti accolto, dandogli una casa, l’ho portato qui.»

«Come facevi a saperlo?»

Il demone scrollò le spalle.

«Perché sei una persona buona, Kyojuro~», rispose. «Non sei tu quello che mi ha detto che è il tuo compito proteggere i più deboli? E quel neonato è debole.»

Le labbra del Pilastro si strinsero. Teneva ancora la guardia alta e anche senza armi in mano - visto che la sua katana era rimasta nel suo ripiano -, il demone lo trovò ugualmente minaccioso. Era quella la forza di chi si voleva battere per proteggere qualcuno? O era solo Kyojuro a fargli quell’effetto?

«Hai dimostrato di odiare i deboli, li trovavi disgustosi. Eppure hai salvato questa vita, debole e indifesa. Perché?»

Quella era una delle domande che Akaza non avrebbe voluto ricevere. Quel ‘perché’ sfuggiva anche a lui, come avrebbe mai potuto dare una risposta.

«Preferivi che lo lasciassi a morire al freddo?» ritorse.

«No! Certo che no!», esclamò Kyojuro sgranando l’occhio, come se il solo pensiero fosse riprovevole. «Ma sei un demone!»

Akaza non poteva ovviamente dargli torto. Un qualsiasi altro demone avrebbe ucciso quel neonato - sicuramente quello che aveva attaccato la sua famiglia l’avrebbe fatto -, ma non lui. Akaza aveva agito diversamente.

Cercò comunque di sviare di nuovo la discussione, incapace di affrontare quella ricerca di risposte da parte del cacciatore.

«Quindi… lo terrai qui con te?» chiese.

«La sua famiglia. Dove si trova?» ribatté Kyojuro.

«Morta,» rispose impassibile.

Il Pilastro trattenne il respiro, lasciandolo poi scivolare fuori dalle labbra socchiuse in un sibilo.

«Li hai uccisi tu?»

«No. Quando sono arrivato erano già morti,» svelò Akaza. «Questo cambia qualcosa? Ora che sai che non ha una famiglia lo terrai tu? O lo darai via?»

«Questa bambina non è un oggetto che posso dare via così facilmente!» esclamò contrariato Kyojuro. «Ma magari qualcuno la sta cercando…»

«Bambina?» Akaza inclinò il capo, posando di nuovo lo sguardo sull'infante tra le braccia del Pilastro - si stava ormai per addormentare. «È una femmina?»

«Sì. Non sai proprio niente sul suo conto?»

«So solo che la madre era una marechi. Per quello è stata attaccata da un altro demone,» spiegò, soffiando poi un inconscio: «Non sono arrivato in tempo…», che gli fece torcere lo stomaco.

«Hai… cercato di salvarla?» chiese il Pilastro, sorpreso. Il suo occhio si era sgranato ulteriormente, l'incredulità aveva preso il posto di tutti gli altri sentimenti di dubbio e sospetto che fino a quel momento avevano reso tesi i tratti del suo viso.

Akaza strinse le labbra. Gli avrebbe voluto rispondere affermativamente, ma quelle parole rimasero impastate nella sua gola.

«Come ho detto…» riuscì infine a dire. «Non mi nutro di donne e bambini.»

Quell'affermazione non rispondeva per davvero alla domanda di Kyojuro, ma Akaza non aveva altro da dirgli.

Infatti gli venne spontaneo aprire di scatto lo shoji e lanciarsi fuori dalla casa del Pilastro, fuggendo letteralmente dal peso di quelle risposte che non poteva dare.

 

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L'improvvisa fuga del demone fece sobbalzare Rengoku, impreparato a una reazione così inaspettata.

Raggiunse subito la porta scorrevole rimasta spalancata, ma al suo esterno non vi era nessuno. Niente che potesse dargli anche solo conferma che la Terza Luna Crescente fosse stata lì.

Richiuse lo shoji, sospirando. Come la prima volta, anche quell'incontro con il demone lo aveva lasciato con addosso tantissima confusione e nervosismo.

Lo aveva atteso per due notti, chiedendosi se la Luna Crescente sarebbe per davvero tornata, e quando ne aveva avvertito la presenza aveva agito di conseguenza, invitandolo nella sua casa e fidandosi del suo istinto - ma restando ugualmente vicino alla sua nichirin.

Alla fine il demone non aveva agito in modo violento, né aveva mostrato atteggiamenti preoccupanti, anzi: gli era sembrato altrettanto a disagio per quella situazione.

Riprese a camminare per far addormentare la bambina - in quei due giorni aveva scoperto che per calmarla aveva bisogno di essere in continuo movimento - e si permise di mettere un po' ordine nelle informazioni che aveva ottenuto.

Non lo aveva sorpreso la conferma che i parenti della bambina fossero morti, e aveva provato un po' di sollievo nell'apprendere che non era stata la Terza Luna Crescente a uccidere la famiglia della piccola. Ciò che però lo aveva spiazzato più di ogni altra cosa, era stata la strana affermazione che, probabilmente, il demone si era lasciato sfuggire.

"Non sono arrivato in tempo…", aveva detto. Quelle parole implicavano che la Terza Luna Crescente avesse cercato di impedire la loro morte o, quanto meno, quella della madre.

Anche durante quell'incontro il demone aveva precisato di non toccare donne e bambini, ma da lì a cercare di salvarla? La differenza era sostanziale, ma soprattutto sembrava esserci un peso totalmente diverso in quell'affermazione.

Era come se la Terza Luna Crescente avesse un distorto senso dell’onore, il che non era totalmente negativo… ma Kyojuro trovava quasi più semplice affrontare i normali demoni, quelli che uccidevano e che agivano mossi solo dalla loro fame e crudeltà, che quelli all’apparenza ragionevoli.

Quel demone era strano e anomalo. Infatti nel ripensare al loro scontro, in seguito a quei ragionamenti, Rengoku non poté non pensare al fatto che Luna Demoniaca avrebbe potuto ucciderlo o trasformarlo in un demone anche senza il suo consenso, ma alla fine non lo aveva fatto. Aveva insistito, aveva cercato di convincerlo a cambiare idea, ma non era mai andato contro il suo volere.

Aveva per davvero un distorto codice d'onore.

Sospirò pesantemente, sentendo gli ultimi briciolo di tensione abbandonare il suo corpo.

Alla fine, grazie ai continui movimenti, Kyojuro era stato in grado di far addormentare la bambina e, con molta attenzione, la fece distendere nel giaciglio che aveva preparato insieme alla nipote del Dottor Hajime.

Senza la giovane donna non sarebbe mai riuscito a sopravvivere durante quei due giorni, pensò con un moto di gratitudine che allontanò vagamente le sensazioni cariche di confusione.

Shiho Hajime era di qualche anno più grande di lui e aveva avuto la sua prima figlia solo l’estate precedente - Kyojuro l'aveva vista qualche volta di rientro da delle missioni -, e si era mostrata sin da subito molto disponibile nei loro confronti. Aveva infatti portato ai Rengoku parecchi abitini che non stavano più alla sua bambina e anche degli oggettini che, probabilmente, sarebbero finiti nascosti in soffitta per non essere mai più utilizzati ma che con loro avrebbero avuto una nuova vita.

Aveva anche istruito come meglio poteva sia Kyojuro che Senjuro, mostrando loro come tenere correttamente in braccio la bambina, come darle da mangiare e perché fosse importante farle fare il ruttino. E soprattutto aveva spiegato ad entrambi come lavare la neonata e infine rivestirla senza causare… fastidiose perdite.

Il primo giorno, infatti, era stato tragico, dovette ammettere Rengoku con un pizzico di imbarazzo. Si era sentito realmente fiero del suo operato quando era riuscito a cambiare la piccola, e aveva ingenuamente pensato che il suo panno, seppur non perfetto, fosse in grado di fare il suo lavoro nel contenere le normali funzioni fisiologiche della bambina… ma si era sbagliato.

Il panno era messo talmente male che la piccolina si era sporcata del tutto, e l’intervento della nipote del medico era stato provvidenziale.

Sbuffò una bassa risata e, liberando i capelli dalla piccola coda che era solito farsi dietro la nuca, spense le candele che illuminavano la stanza per tenerne solo una accesa in mano.

Si approcciò di nuovo al futon e, dopo aver posato la candela per terra, si distese accanto alla piccola posandole delicatamente una mano sulla pancia per sentirne il respiro regolare e il battito del cuore. Era rilassante.

Era certo che, almeno per quella notte, il demone non avrebbe rifatto la sua comparsa - era sciocco pensarlo, ma si fidava del suo istinto -, di conseguenza sussurrò alla neonata un basso e sommesso “Buona notte, piccolina”, per poi spegnere anche l’ultima candela e lasciar cadere la stanza nell’oscurità.

 

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Kyojuro avvertì subito la presenza del demone non lontano dalla sua casa.

Erano trascorsi tre giorni dalla prima volta che il Pilastro aveva aperto la porta della sua camera per incontrare la Luna Crescente e avere delle risposte e pur avendo scioccamente pensato - e sperato - di non rivedere più il demone, non si sentì minimamente sorpreso dalla sua presenza.

Nervoso, prese posto accanto alla sua nichirin con la bambina stretta al petto. Attese con l’occhio puntato verso la porta scorrevole della sua camera, ma minuti trascorsero senza che il demone facesse solo un passo per muoversi, e Kyojuro si morse le labbra, incapace di trattenere l’inquietudine.

La Luna Crescente avrebbe continuato a spiarlo in quel modo? Perché lo stava facendo?

Erano sensazioni e domande che già conosceva ma che non lo avevano mai portato a niente e che anzi, avevano peggiorato il suo stato mentale di giorno in giorno. L’attesa di un qualsiasi attacco, o anche solo di una mossa da parte del demone, era snervante e Kyojuro si rendeva conto di detestare quel momento di incertezza molto di più del vero e proprio incontro con la Luna Crescente.

Attese ancora per un po’, poi decise di avvicinarsi allo shoji lentamente, dandosi dello stupido per aver di nuovo ceduto a quel nervosismo… ma gli era bastato vedere due volte il demone per avere la certezza di preferirlo davanti a lui all’averlo nascosto da qualche parte. Non gli piaceva la sensazione che gli dava essere spiato.

Fece scorrere la porta e tornò sulla sua posizione accanto alla spada, espressione seria in viso e la sensazione crescente di aver fatto un errore.

Il demone si mostrò poco dopo, atterrando con un balzo silenzioso a pochi metri dal fusuma. I suoi movimenti tradivano un pizzico di incertezza, forse anche la stessa Luna Crescente non si aspettava di essere invitata all’interno della casa una seconda volta, ma alla fine chiuse lo shoji alle sue spalle e rimase fermo in piedi accanto a quelle ante scorrevoli.

Gli occhi gialli del demone brillavano sinistri a causa delle candele accese e Kyojuro si permise di osservarlo quasi con più attenzione, cosa che non aveva fatto durante le due precedenti visite e durante il loro combattimento.

Il suo aspetto era sicuramente singolare, ma meno ‘demoniaco’ di tanti altri demoni. Sembrava giovane, ed era anche particolarmente muscoloso… e Rengoku sapeva benissimo quanto potesse essere forte e rapido. Sembrava non avere alcun punto debole e, nello studiarlo, il Pilastro ebbe quasi la certezza che non esistesse un’apertura per poterlo attaccare e colpire.

Continuò la sua ispezione alla ricerca di una qualsiasi informazione che potesse essergli utile, e seguì con lo sguardo le linee che percorrevano tutto il corpo del demone in marchi che non sembravano avere un reale significato. Sembravano essere blu con la luce delle candele.

«La bambina?» la voce della Luna Crescente spezzò il silenzio e Kyojuro, sobbalzando impercettibilmente, aggrottò le sopracciglia.

Era una strana domanda. Non anomala di per sé - era normale provare interesse per la salute di una bambina così piccola -, ma bizzarra se pronunciata da un demone.

«Sta bene,» rispose serio, senza però volergli dare altre informazioni.  «Perché sei qui?»

Le labbra del demone si piegarono in un sorriso.

«Sei tu che mi hai invitato, Kyojuro,» rispose e il Pilastro si concesse una smorfia irritata.

Era difficile mantenere il controllo davanti alla Luna Crescente, il suo corpo ricordava ancora la battaglia, e le ferite che gli erano state inferte erano ancora lì come un monito riguardante la letalità di quel demone.

«Hai spiato me e la mia famiglia per mesi,» precisò.

«Non potevo?» insinuò la Luna Crescente. Non sembrava volergli dare una risposta o forse, si disse Kyojuro, non ne era in grado. Era una situazione priva di qualsivoglia senso logico e ironicamente quella spiegazione lo aveva. Anche se in modo contorto.

«No,» tagliò corto, e il suo occhio corse per un momento alla sua katana. Aveva scelto di non impugnarla per evitare di apparire minaccioso e poter in quel modo avere una sorta di discussione con il demone, ma alle volte gli veniva quasi spontaneo pensare di prenderla. La sola presenza della sua nichirin gli dava sicurezza, anche se sapeva di non essere in condizione di battersi, sia fisicamente che con una bambina in braccio… era decisamente un errore l’aver invitato il demone di nuovo nella sua stanza.

«Stai pensando di attaccarmi, Kyojuro?»

Riportò lo sguardo sulla Luna Crescente che sembrava incuriosita dalle sue mosse.

«No,» rispose ancora e il demone alzò le spalle, mostrando di nuovo il suo sorriso affilato e malizioso.

«Te lo sconsiglio in realtà,» commentò con leggerezza.  «Vorrei tanto vedere ancora il tuo stile di combattimento, ma temo che sarebbe una delusione nelle tue condizioni fisiche.»

Kyojuro strinse le labbra sentendosi quasi costretto a dare ragione alla Luna Crescente, quello però non gli impedì di controbattere.

«Non mi tirerò mai indietro se servisse a proteggere gli innocenti,» dichiarò infatti senza mostrare esitazione alcuna e il demone inclinò un poco il capo.

«Perché?» chiese, mostrandosi sinceramente curioso - era strano per il Pilastro pensare che l’emozione su quel volto fosse ‘sincera’, come se un demone potesse davvero provare simili sentimenti. «Gli innocenti che vuoi proteggere sono deboli e ti avrebbero lasciato morire senza muovere un dito.»

«Non temo la morte, credevo si fosse capito,» ribatté.

«Eppure hai paura di me, Kyojuro,» insinuò la Luna Crescente.

«Non temo per me,» precisò prontamente Rengoku.

«Non ho interesse verso le persone che vivono qui,» disse il demone, scrollando le spalle. «Se hai paura che muoiano, potrei trasformare tutti in demoni. Così non avresti più il timore di perderli.»

La sola idea fece rabbrividire Kyojuro. La Luna Crescente aveva pronunciato con tale leggerezza quelle parole da suonare terrificanti. Non era una minaccia di morte, ma per Rengoku la sola idea di vedere Senjuro o loro padre trasformati in demoni… era peggio della morte.

«Non diventerò un demone e non ti permetterò di fare lo stesso con la mia famiglia!» dichiarò con ardore, e la sua agitazione fece svegliare la bambina che iniziò a piangere infastidita.

Abbassò lo sguardo, spaventato per la reazione della piccolina, e quando lo rialzò… scoprì suo malgrado che il demone era scomparso, chiudendo lo shoji come se non fosse mai stato in quel luogo.

 

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Quando Akaza vide lo shoji scorrere di lato non riuscì quasi a trattenere un sorriso trionfante e senza senso.

Ogni volta che si appostava lontano dalla casa di Kyojuro, quasi si aspettava di vedere quella porta rimanere chiusa. Sarebbe stato ovvio. D’altro canto, perché il Pilastro avrebbe dovuto continuare a invitarlo a casa sua?

In fondo, gli aveva dato tutte le informazioni che aveva sulla bambina e Akaza non aveva altro da 'offrirgli'... eppure Kyojuro continuava ad aprire quella camera e a permettergli di entrare all'interno della sua casa.

Era la quinta volta che accadeva e per quanto quelle visite fossero brevi e per lo più tese, Akaza trovava quasi interessante restare accanto a Kyojuro.

Certo, il Pilastro era sempre ostile nei suoi confronti, ma non poteva dargli torto.

Cercò comunque di non pensarci troppo mentre raggiungeva la stanza di Kyojuro e vi entrava chiudendo lo shoji alle sue spalle.

Il Pilastro era sempre accanto alla sua nichirin, che non aveva toccato in nessuna delle sue precedenti visite, e teneva la bambina tra le braccia.

Quel giorno le aveva fatto indossare una veste rosa, delicata e sicuramente confortevole. Almeno lo sembrava agli occhi di Akaza.

«Come sta?» chiese istintivamente, per poi cercare di convincersi che in realtà non gli importava della piccolina. Era solo un modo per avviare la conversazione, eppure gli bastò sentire che la bambina stava bene per lasciar scivolare via il respiro che neanche si era reso conto di aver trattenuto.

«Perché continui a venire qui?» gli chiese Kyojuro. La sua voce era carica di sospetto e la tensione era sempre ben presente, sia sulla linea seria delle sue labbra che nel modo nel quale stava in piedi - schiena dritta e spalle tese.

Akaza si era posto quella domanda più volte, senza però avere una risposta.

«Perché tu continui ad aprire la porta?» ritorse prontamente, notando subito il disappunto nel volto del Pilastro.

«Perché detesto sentirmi spiato e non sapere quale sarà la tua mossa,» rispose piccato.

«Non ho intenzione di fare nessuna mossa,» commentò Akaza. «L'avrei già potuta fare, no?  E invece non ho torto un capello a nessuno!»

«Perché? Perché non hai ancora cercato di uccidermi?» c'era un vago tono di disperazione nella voce di Kyojuro che fece rabbuiare il demone.

Kyojuro voleva morire? Perché gli stava chiedendo per quale motivo non lo avesse ancora attaccato? Non era felice per quella tregua?

«Dovrei?»

«Sei un demone,» rispose il Pilastro come se quello potesse spiegare ogni cosa, e Akaza - per l’ennesima volta - non poté dargli torto.

Lui era un demone. La sua natura non sarebbe cambiata solo perché non era intenzionato ad uccidere Kyojuro.

«E tu perché non hai cercato di uccidermi?»

«Non puoi rispondere a una domanda con una domanda,» ribatté il Pilastro, e Akaza non poté non mostrarsi vagamente divertito da quello scambio di battute, infatti gli venne spontaneo sorridere compiaciuto.

«So io perché non mi attacchi,» gli fece presente. «Perché sai di non potermi sconfiggere, non in queste condizioni e non restando un umano. Potrei però-»

«Credevo di essere stato chiaro: non diventerò mai un demone,» dichiarò con sicurezza, interrompendo la Luna Crescente. «Preferirei la morte!»

«Andrai incontro alla morte in ogni caso,» commentò Akaza, senza però arrendersi davanti alle parole di Kyojuro. Era deluso, non poteva negarlo, ma difficilmente si sarebbe arreso.

«Questo però non risponde alla mia domanda: perchè sei qui? Perché mi hai spiato per tutti questi mesi?»

«Perché non hai avvisato gli altri Pilastri?» rispose Akaza, continuando quel gioco fatto solo di domande che stava tanto irritando Kyojuro.

Si era onestamente chiesto il perché non avesse mai trovato nessun'altro Ammazza Demoni nei dintorni. Si era aspettato di vedere spuntare un qualche collega di Kyojuro e magari di poterci combattere contro - gli mancava il brivido della battaglia -, ma alla fine non era mai successo niente. Il Pilastro non aveva fatto nulla per denunciare la sua presenza.

Kyojuro rimase in silenzio ma il suo viso mostrò chiaramente il disagio e un certo nervosismo.

L'ambiente si era fatto più teso, e Akaza, sentendone il peso, decise di mettere la parola fine a quell'incontro lasciando di nuovo la stanza e chiudendo lo shoji dietro di sé.

Come ogni notte si disse che quella sarebbe stata la sua ultima visita ma era altrettanto certo che se Kyojuro avesse continuato ad aprirgli quella porta scorrevole, allora lui non sarebbe stato in grado di ignorarlo.

 

..••°°°°••..



Era la decima volta che la Terza Luna Crescente si presentava a Casa dei Rengoku e per quanto quelle visite fossero per lo più rapide e indolori - oltre che quasi giornaliere -, Kyojuro continuava a non sentirsi minimamente a suo agio in presenza del demone.

Come avrebbe potuto d’altro canto?

«Come sta la bambina?» chiese, come le volte precedenti la Luna Crescente, chiudendo alle sue spalle la porta scorrevole per non far disperdere il calore.

«Sta bene. Sta mettendo però su i dentini, quindi vuole sempre qualcosa da mordere. Le fanno sicuramente male le gengive,» spiegò Kyojuro quel giorno, incapace di nascondere quel dettaglio.

La piccola era stata particolarmente vocale durante tutto il pomeriggio a causa della crescita dei dentini, cosa che aveva fatto non poco adirare suo padre… ma alla fine l'uomo non aveva fatto granché, se non lamentarsi altrettanto rumorosamente. Per fortuna però non aveva accennato all'allontanarla da casa sua.

Il demone annuì occhieggiando la piccola che stava mordicchiando il braccio della povera bambolina di stoffa che Senjuro le aveva regalato.

Rimase comunque fermo, vicino allo shoji come le notti precedenti, pronto a scappare via alla prima domanda un po’ scomoda.

Rengoku stava riuscendo a costruire una sorta di modello comportamentale nel demone, aveva iniziato a mettere dei paletti che gli permettevano di capire su quali argomenti la Terza Luna Crescente diventava molto più chiacchierone, cosa che lo portava ad ottenere anche determinate informazioni, e su quali invece era più reticente - e Kyojuro detestava quando il demone rispondeva alle sue domande con altre domande.

Lo osservò per qualche momento, certo che non sarebbe stata la Luna Crescente ad avviare un qualche discorso. Era comunque fastidioso vederlo lì fermò, tant'è che Rengoku non riuscì ad impedire alla sua bocca di muoversi da sola.

«Se vuoi, puoi sederti,» lo invitò infatti cercando senza volerlo di mettere a suo agio anche il demone.

Non era certo del perché di quella proposta, ma sotto un certo punto di vista Kyojuro era quasi certo che se il demone si fosse seduto, abbandonando quella posizione eretta e chiaramente nervosa, forse anche lui sarebbe riuscito a rilassarsi almeno un poco - ma sarebbe comunque rimasto accanto alla sua nichirin per ogni evenienza.

Il demone sembrò non farselo ripetere due volte e scivolò per terra, sempre vicinissimo alla porta scorrevole, con le gambe incrociate. Il suo movimento, per quanto fluido, sembrò quasi meccanico agli occhi del Pilastro.

«Stai iniziando a voler fare gli onori di casa, Kyojuro?» insinuò la Terza Luna Crescente e Rengoku storse il naso, accomodandosi a sua volta sul tatami.

«Visto che ormai stai venendo a trovare la bambina quasi tutti i giorni, magari potremo cercare di sembrare… meno ostili

«Sono un demone e tu il Pilastro della Fiamma, siamo ostili per natura» commentò l’altro, sorridendo e mostrando i denti appuntiti, senza però sembrare minimamente minaccioso.

«Credimi: non posso dimenticarlo. Ma abbiamo già affrontato questo… discorso. Non hai cercato di uccidermi da quando sei qui, e non hai torto un capello né alla bambina né alle altre persone che vivono in questa casa. Quindi immagino che l'educazione mi imponga di fare un altro piccolo strappo alla regola.»

Fu la volta del demone di concedersi una smorfia.

«Come ho già detto, degli altri non mi importa,» sbottò. «Mi interessi solo tu. Quando guarirai potremo combattere di nuovo, aspetto solo quello.»

Un brivido percorse la schiena di Kyojuro. L’idea di combattere ancora contro la Terza Luna Crescente non era piacevole. L’adrenalina della battaglia non era una sensazione a lui estranea ma, anche a causa della sua prolungata degenza e del suo attuale stato di salute, quel familiare fremito veniva sovrastato da ben altre sensazioni come l'inferiorità e l'impotenza.

Lo aveva ripetuto più volte, e le sue convinzioni non erano venute meno: non si sarebbe tirato indietro nel caso di uno scontro. Quello però non gli impediva di certo di provare timore per la sua sorte e per quella delle persone che avrebbe lasciato indietro, senza uno scudo a difenderle.

«Vedremo…» mormorò. Avrebbe davvero preferito evitare un altro combattimento contro quel demone, ma aveva quasi l’assoluta certezza che quest’ultimo non gli avrebbe permesso di farlo.

«Potresti guarire in un battito di ciglia se-»

«Non diventerò mai un demone,» tagliò corto il Pilastro, ormai abituato a quella domanda che gli era stata posta anche durante le brevi visite precedenti.

Il demone non sembrò seccato dalla sua risposta, ma si limitò a continuare a mostrare quel suo sorriso affilato e tranquillo.

«E comunque,» aggiunse a quel punto Kyojuro, provando a sviare la discussione. «Vieni anche per la bambina. Quindi ti importa di lei.»

«Non è vero,» negò il demone aggrottando le sopracciglia, stringendo le labbra in una smorfia contrariata.

Sembrava quasi pronto a mettere il broncio, cosa che fece per un solo momento tremare le labbra di Rengoku nella minaccia di un sorriso. Un qualcosa che sapeva di non potersi permettere, non in compagnia di un demone.

«La prima cosa che mi chiedi appena entri in camera è: “Come sta la bambina?”, non credi che sia segno di una sorta di affetto o interesse nei suoi confronti?»

Il demone non rispose, e la sua espressione sembrò ancor meno minacciosa del solito.

«L’ho portata qui io, quindi… immagino sia anche una mia responsabilità,» commentò, aveva abbassato lo sguardo per puntarlo sui suoi piedi.

Fino a quel momento Kyojuro non aveva mai pensato di poter interpretare le visite della Terza Luna Crescente in quel modo.

Era davvero possibile che il demone vedesse la piccola anche come una sua responsabilità?

In quelle notti non si era neanche azzardato ad avvicinarsi a lei, occhieggiandola solo da lontano e rivolgendo al Pilastro solo delle brevi domande sul suo conto.

La domanda che però sorse spontanea lo lasciò per un momento spiazzato: lui avrebbe permesso alla Terza Luna Crescente di avvicinarsi?

Il demone era stato attento nei confronti della piccola, di conseguenza sapeva in cuor suo di non doversi preoccupare, ma il suo istinto di cacciatore gli suggeriva diversamente… poteva davvero permettersi quel salto nel buio?

Si morse le labbra e guardò la neonata.

«Vorresti… prenderla in braccio?» chiese, osservando attentamente le reazioni dell’altro. Gli occhi del demone, tornati su di lui, si allargarono per lo stupore e socchiuse la bocca come per voler rispondere all’istante, ma la richiuse subito mostrando non poca incertezza.

«No,» disse infine la Luna Crescente.

«L’hai portata qui, l’hai già presa in braccio. Che differenza fa?»

«Era una situazione complicata e di emergenza. Non credo che…» le parole gli morirono in bocca ma i suoi occhi sembrarono parlare molto di più e Kyojuro si sorprese nel rendersi conto di quanto il viso del demone e quelle iridi gialle fossero espressive.

Aveva quasi dato per scontato che nulla riguardante i demoni potesse meritare la sua fiducia ma quella situazione era particolare e il suo istinto in quei giorni non lo aveva mai tradito. Di conseguenza era certo di poter intuire i pensieri del demone, era chiaro che la Terza Luna Crescente temesse di ferirla o di spaventarla, e che non volesse neanche rischiare di avvicinarsi troppo.

Rengoku inoltre poteva solo immaginare quanto fosse pericolosa quella situazione per il demone, tanto quanto lo era per lui visto che stava infrangendo tantissime regole degli Ammazza Demoni.

Quei pensieri lo colpirono come una schiaffo in pieno viso, soprattutto nel rendersi conto di provare un qualcosa di simile all'empatia. Fu quasi tentato dal nasconderlo, ma alla fine gli risultò impossibile.

«Va bene così,» lo rassicurò infatti, rivolgendogli un sorriso - il primo da quando si erano ‘conosciuti’. «So che non le farai del male, se dovessi cambiare idea però… non mi troveresti contrario.»

Il demone non rispose e, come ogni altra volta, preferì scappare al continuare ad affrontare quell’argomento. Infatti si alzò di scatto aprendo lo shoji che, come le volte precedenti, venne richiuso alle sue spalle.

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Capitolo 4
*** 4. A change of heart ***


As Soothing As Snow

Capitolo 4
A change of heart


»--•--«


Akaza si era seduto, lasciando lo shoji alle sue spalle. Da quando Kyojuro lo aveva invitato a sedersi la prima volta, gli era quasi venuto spontaneo iniziare ad entrare nella stanza senza attendere il permesso del Pilastro e a prendere posto sul tatami con le gambe incrociate.

In una settimana era diventata… un'abitudine. Così come lo era il cercare subito con lo sguardo la bambina che, in quel momento, stava già dormendo nel giaciglio accanto al futon di Kyojuro. Quest’ultimo invece si trovava su un basso tavolino intento a scrivere qualcosa.

Per Akaza era stato strano trovarlo lontano dalla sua katana, ma Kyojuro non si era mosso per raggiungere la sua arma e, anzi, lo aveva accolto con naturalezza, aggiornandolo subito sulle condizioni della piccola - stava bene, il resto non contava.

Solo dopo quel breve scambio di battute il Pilastro aveva iniziato a riporre il kit di scrittura e il foglio da parte, forse per far asciugare l’inchiostro.

«Ti ho disturbato?»

La domanda uscì spontanea dalle labbra del demone, tant'è che anche lo stesso Pilastro si mostrò sorpreso nel sentire quelle parole.

Lentamente quelle visite stavano diventando una sorta di abitudine - ad essere sinceri, non era una cosa del tutto positiva -, ed era chiaro che Kyojuro stesso avesse iniziato a sentirsi un po' più a suo agio nonostante la presenza di Akaza.

«Uh? No, avevo finito,» rispose il cacciatore.

Akaza annuì e portò di nuovo lo sguardo sulla bambina, lasciando cadere il silenzio. Kyojuro non gli aveva più chiesto di prenderla in braccio, ma lui aveva continuato a pensarci.

Una parte di sé gli diceva che non avrebbe dovuto neanche avvicinarsi - e neanche essere in quella stessa stanza a dirla tutta -, ma un’altra sentiva un’assurda voglia di riprenderla in braccio e… basta.

«Posso chiederti cosa fai durante il giorno?» lo interrogò di punto in bianco il Pilastro, e Akaza alzò lo sguardo verso di lui.

Kyojuro aveva smesso di chiedergli il perché si trovasse lì - o del perché non ci fosse un bagno di sangue -, e durante le ultime visite gli aveva rivolto domande meno invadenti, alle quali Akaza aveva sempre cercato di rispondere.

Erano più curiosità che altro. Come a esempio quanto velocemente potessero correre i demoni, o quanto era rapida la loro rigenerazione. Erano davvero informazioni inutili e che, per fortuna, non riguardavano mai Muzan. Per quel motivo Akaza non aveva mai trovato difficoltà nel rispondere… forse quello era il suo modo per ringraziare il cacciatore dell’ospitalità e della mancata denuncia agli altri Pilastri.

Aveva più volte pensato a cosa sarebbe successo se gli altri membri degli Ammazza Demoni fossero venuti a conoscenza di quel rapporto, e gli scenari che gli erano venuti in mente non erano dei migliori.

Potevano essere due organizzazioni completamente diverse quelle guidate dagli Ubuyashiki e da Muzan, ma Akaza aveva la certezza che entrambe avrebbero decretato la loro morte, e la bambina sarebbe stata affidata a qualcun’altro.

"Un padrone è pur sempre un padrone,” pensò.

«Mi alleno,» rispose alla fine. «Cosa altro dovrei fare?»

Kyojuro fece una smorfia.

«Non lo so… non so cosa fate voi demoni a parte distruggere e uccidere gli innocenti. L’unico che conosco, a parte te, passa il tempo a dormire e-»

«Conosci un altro demone?!» esclamò Akaza sorpreso da quell’affermazione.

«Esattamente, e abbassa la voce!» lo riprese prontamente il Pilastro. Non c’era mai stato il bisogno di dirlo, ma entrambi avevano sempre parlato con un tono contenuto per non svegliare gli altri abitanti della casa.

«Ed è vivo?» insistette la Luna Crescente.

«Certo! Fa parte degli Ammazza Demoni!»

Il demone per un momento fu tentato dal dargli del bugiardo per via dell’assurdità di quelle affermazioni, ma non leggeva inganno negli occhi del Pilastro e, cosa non meno importante, lui stesso era vivo anche se la situazione era nettamente diversa.

«Quindi ora che fate? Accettate anche demoni nelle vostre fila? Siete davvero così disperati?»

Un lampo d’ira attraversò lo sguardo di Kyojuro.

«No, non siamo disperati. E la situazione che ci ha portato ad accogliere un demone come Ammazza Demoni è singolare, e credo irripetibile.»

“Un demone come Ammazza Demoni,” ripeté mentalmente Akaza. Quell’affermazione era assurda e assolutamente priva di senso.

«Del tipo?»

«Quel demone non ha mai mangiato nessun essere umano.»

Ancora una volta Kyojuro gli apparve talmente onesto e sicuro delle sue parole, che le convinzioni di Akaza tremarono come scosse da un terremoto.

«Lo sai benissimo che questa è un’assurdità. Nessun demone ci riuscirebbe!»

«L’ho vista io stesso. Era ferita, e ha rifiutato del sangue marechi che le stava venendo offerto sotto il naso.»

«Questo non significa niente! La madre della bambina era una marechi e non mi ha fatto nessun effetto! Nessun sangue marechi ha effetto su di me!» si sentì quasi stupido per aver pronunciato quelle parole, era come se il tono ammirato di Kyojuro lo avesse infastidito e si fosse sentito quasi in obbligo di mostrare che lui stesso fosse in grado di compiere quelle azioni che il Pilastro reputava speciali.

«Tu sei un demone da secoli immagino. Lei è stata trasformata poco più di due anni fa,» rispose Kyojuro.

Akaza rimase ancora interdetto. Incerto su come affrontare quelle rivelazioni. Gli sembravano assurde, delle menzogne, ma aveva imparato a conoscere il Pilastro: era un uomo sincero e onesto, non avrebbe mai mentito su un qualcosa di così delicato e importante.

«Mi sembra impossibile,» ammise però.

«Posso comprenderlo,» ribatté Kyojuro, comprensivo. «Nessuno voleva crederci all'inizio. Ero addirittura pronto a ucciderla senza pormi troppi problemi, ma l'ho vista sanguinare per proteggere gli indifesi… si è guadagnata la mia fiducia,» concluse con una nota di orgoglio e Akaza sentì lo stomaco contorcersi e la mente ancor più affollata di domande e dubbi.

Come tutte le volte precedenti, quando sentiva quelle sensazioni o quando capiva di non essere in grado di rispondere alle domande di Kyojuro, si preparò a lasciare la dimora dei Rengoku.

Scattò quindi in piedi ignorando il sobbalzo che causò nel Pilastro - poteva averlo accolto con più gentilezza, ma avvertiva ancora in lui il timore e il sospetto -, e prima di dimenticarsene, tolse dalla sua cintura un piccolo sacchetto che aveva tenuto gelosamente nascosto fino a quel momento. Quello era un altro dettaglio che gli fece sentire sempre più forte il bisogno di fuggire da quelle quattro mura.

Lo lanciò al Pilastro, il quale lo afferrò con un'espressione confusa.

«È per i denti della bambina. Facci un infuso e usa un panno imbevuto per le gengive,» sbottò Akaza, non incline a dare altre spiegazioni. Infatti aprì subito lo shoji per andare via senza neanche attendere un commento o quant'altro da parte di Kyojuro.

Si allontanò rapido dalla dimora dei Rengoku, le labbra strette in una smorfia e le sopracciglia aggrottate. Ogni volta che lasciava Kyojuro si ritrovava a dover affrontare dei sentimenti contrastanti e fastidiosi.

Prima di tutto non sapeva perché si fosse impegnato per trovare quelle erbe per le gengive della bambina, ma da quando Kyojuro gli aveva detto che stava poco bene a causa della crescita dei dentini, lui non era riuscito a fare a meno di muoversi alla ricerca della soluzione adatta - aveva messo lo stesso impegno che, in quei secoli, aveva riversato nella ricerca del dannato Giglio Ragno Blu per Kibutsuji Muzan.

Quello, ovviamente, lo portava a dover affrontare molte altre realizzazioni e altrettante conseguenze… ma ciò che in quel momento sembrò essere molto più pressante era l’esistenza di un demone che non si era mai nutrito di nessun umano.

Era realmente possibile?, si chiese per l’ennesima volta. Kibutsuji Muzan ne era al corrente?

Akaza era quasi certo che ne fosse all’oscuro, altrimenti avrebbe fatto in modo di… costringere quel demone a nutrirsi? L'avrebbe punito? Ucciso?

Lo scopo di tutti i demoni d’altro canto era quello di nutrirsi, diventare più forti e uccidere più umani possibili.

Gli sembrava una menzogna, ma al tempo stesso sapeva che Kyojuro non gli avrebbe mai mentito. Il Pilastro era più tipo da una verità scomoda che da una bugia a fin di bene. Di conseguenza doveva per forza essere la realtà… ma come era possibile?

Insistette con quella domanda, incapace di darsi una risposta, chiedendosi se sarebbe sembrato troppo sospetto chiedere ulteriori informazioni a Kyojuro riguardanti quel demone.

Più che sospetto, pensò poi, poteva anche risultare pericoloso, perché quell’informazione si stava andando ad aggiungere ai tanti segreti che la Terza Luna Crescente stava celando al suo padrone.

Akaza sapeva di star giocando con il fuoco con le sue continue visite al Pilastro della Fiamma. A Muzan sarebbe bastato uno sguardo nella sua mente per scoprire quello che stava succedendo, e Akaza temeva quel momento più di qualsiasi altra cosa.

L’ordine era quello di uccidere tutti gli Ammazza Demoni, soprattutto i Pilastri, ma lui non solo ne aveva lasciato uno in vita - cosa che gli era costata una dolorosa e umiliante punizione -, ma lo aveva spiato senza muovere un dito… e infine la bambina e quelle visite.

Muzan avrebbe ucciso la piccola senza troppi riguardi se ne avesse scoperto l’esistenza.

Quel pensiero lo costrinse a fermarsi.

La sua mente in subbuglio iniziò a gridare un “No, non gli permetterò mai di toccarla!” con ira e talmente tanta decisione che Akaza non poté non chiedersi da dove provenisse quella risoluzione.

Era davvero pronto ad andare contro il suo padrone per proteggere quella bambina? Mettere a repentaglio la sua stessa esistenza per quella inutile di un’umana?

«Assolutamente no,» sbottò a voce alta, cercando in quel modo di mettere a tacere un sussurro che, sempre con quella stessa decisione, dichiarava il contrario.

Ancora una volta si disse di dover mettere la parola fine a quelle visite prima che fosse troppo tardi. Prima che Kibutsuji tentasse di raggiungere la sua mente e andasse a frugare nei suoi pensieri. Prima o poi sarebbe accaduto, poteva stare il più lontano possibile dal suo padrone per proteggere la sua mente, ma sapeva di non poter continuare all’infinito.

Akaza poteva trascorrere le sue giornate allenarsi anziché uccidere e divorare umani, poteva correre in lungo e in largo senza una meta per trovare il fiore che Kibutsuji tanto anelava, ma alla fine la sua era solo una finta libertà.

Una felicità falsa ed effimera, e sarebbe bastato solo uno sguardo del suo padrone per vederla diventare cenere tra le sue dita… e per un momento, nel pensare a quell’eventualità, Akaza si rese conto di non volere che accadesse ancora una volta.

 

..••°°°°••..

 

Con un fruscio, lo shoji si aprì e il demone, silenzioso come sempre, si insinuò nella stanza attirando su di sé lo sguardo sorpreso del Pilastro.

Era… presto.

Il sole era calato relativamente da poco, e Kyojuro si era ritirato nelle sue stanze per dar da mangiare alla bambina. Era strano che la Luna Crescente si presentasse così presto, ma tutto di quella situazione poteva prendere a pieno diritto la descrizione di 'anomalia'.

Nonostante ciò, Rengoku non si mostrò particolarmente contrariato. Gli doleva ammetterlo ma erano passati più di venti giorni da quando la bambina era entrata a far parte della sua vita e, di conseguenza, anche il demone… e quelle visite notturne erano ormai diventate parte della sua routine quotidiana.

«Non ti aspettavo così presto,» lo accolse però, studiandone le reazioni.

Il demone scrollò le spalle e si lasciò cadere per terra, seduto sempre con le gambe incrociate.

«Ero nelle vicinanze,» ribatté, per poi pronunciare il solito: «La bambina?»

Kyojuro abbassò istintivamente lo sguardo sulla piccola che beveva il suo latte in formula - non potendo avere quello materno erano ricorsi a quell’ultimo ritrovato, importato dalla cultura occidentale che, lentamente, stava progredendo in tutto il Giappone.

«Sta bene,» rispose per poi rivolgere al demone un sorriso grato. «Ti ringrazio per le erbe che mi hai portato ieri. Sono state di grande aiuto oggi!»

Le labbra della Terza Luna Crescente tremarono un poco, sollevandosi in quello che sembrò essere un minuscolo sorriso, che tuttavia nascose quasi subito.

«Invece tu? Tra quanto potrai combattere di nuovo?» lo interrogò il demone. C’era una strana ombra nei suoi occhi che Kyojuro non riuscì del tutto a interpretare.

«Non lo so, ma presto potrò riprendere a esercitarmi con la respirazione,» disse, cercando di ignorare sia l’incertezza che aleggiava nello sguardo della Terza Luna Crescente e sia il timore che lui stesso provava ogni volta che pensava a un possibile combattimento contro il demone.

La Luna Crescente annuì con una piccola smorfia contrariata.

«Diventando un demone saresti già guarito,» affermò come era ormai solito fare.

«Non succederà mai. Se fossi diventato un demone mi sarei già buttato sotto la luce del sole,» ribatté Kyojuro con tono piccato, strappando un lamento alla bambina - era particolarmente sensibile ai cambiamenti d’umore di chi la teneva in braccio.

Con Senjuro infatti era raro sentirla piangere, mentre con Kyojuro la piccola si esibiva in lunghi pianti e lamenti, solo perché talvolta lui alzava senza volerlo la voce.

«I demoni non si lanciano sotto la luce del sole. Si chiama ‘istinto di sopravvivenza’, tutto il tuo corpo te lo impedirebbe. Soprattutto se ti fossi appena trasformato,» spiegò la Luna Crescente, come se fosse una cosa ovvia. «Da appena trasformato, il tuo unico desiderio sarebbe quello di nutrirti, non il suicidio.»

«In ogni caso, non diventerò mai un demone, credevo fosse chiaro,» sospirò Rengoku. Non era la prima volta che affrontavano quella discussione e, come ogni volta, l’umore di entrambi risentiva per quel discorso.

«Perché?»

«Perché il mio compito è quello di proteggere i più deboli, non di ucciderli,» spiegò per l’ennesima volta, per poi ritorcere la domanda al demone. «E tu? Perché vuoi tanto che io mi trasformi in un demone?»

Gli occhi come il vetro infranto del demone lampeggiarono per un momento le sue labbra si piegarono verso l'alto, facendosi improvvisamente più interessato.

«Stai pensando di prendere in considerazione la mia proposta a seconda di come risponderò, Kyojuro?» chiese il demone. Il suo tono era chiaramente eccitato, come se la semplice idea di aver convinto il Pilastro fosse per lui fonte di felicità e sollievo. 

«No mai!» ribatté prontamente Rengoku, fiero e deciso come la prima volta che aveva risposto a quel quesito insistente e assurdo. «Voglio solo sapere il perché.»

«Perché sei forte, Kyojuro. E sarebbe uno spreco di potenziale vederti morire senza raggiungere l'apice della tua potenza. Te l’ho già detto, no? Come demone non avresti eguali, potresti diventare più forte e guarire da quelle ferite,» spiegò la Terza Luna Crescente come se fosse un semplice dato di fatto. Apparve addirittura quasi annoiato dal dover ripetere quel concetto per l'ennesima volta.

«Vorrei diventare più forte, e anche guarire e recuperare la vista dal mio occhio,» ammise Kyojuro. «Ma non a discapito della mia umanità. Cerco la forza per proteggere i più deboli, e non per ucciderli.»

«Sbaglio o hai detto che c'è un altro demone nella vostra organizzazione. E se tu diventassi come questo demone?»

Rengoku aggrottò le sopracciglia.

«Non è stata una sua scelta diventare un demone. Nessuno lo sceglierebbe mai di sua spontanea volontà.»

«Ma ci sono molti fattori positivi! Saresti imbattibile e forte, potresti eguagliare anche le altre Lune Crescenti!»

«La forza non è tutto. A cosa serve essere più forte degli altri se non si ha un obiettivo? A cosa serve la forza se non per metterla al servizio del prossimo? Non voglio rischiare di perdere la mia umanità e le promesse che ho fatto,» rispose serio.

Il demone fece una vaga smorfia per quelle parole e a quel punto Kyojuro, non riuscì a trattenersi dal chiedergli: «Perché tu cerchi di essere il più forte?»

La Terza Luna Crescente rimase in silenzio come se stesse soppesando le parole della sua risposta, e sul suo viso passarono diverse emozioni che Rengoku faticò a riconoscere.

«Voglio essere il più forte e basta,» dichiarò infine il demone nervoso e in tono sbrigativo.

«Non ha senso,» lo incalzo invece Rengoku pur essendo certo di essere entrato in una strada che avrebbe portato solamente il demone a fuggire. «Essere forti senza un obiettivo non ha alcun senso. Devi avere una meta, un risultato da voler ottenere… e se non ora, magari in passato... quando eri umano avevi qualcuno da proteggere?» aggiunse, esponendo quel pensiero che aveva appena elaborato e che gli era sembrato tremendamente realistico.

Quelle domande sembrarono cogliere il demone impreparato, e Kyojuro comprese senza ombra di dubbio di essersi spinto un po' oltre con quei quesiti e che avrebbe visto la Luna Crescente scappare via come le notti precedenti - era possibile che quel demone non fosse in grado di gestire una semplice conversazione, per quanto fastidiosa, senza fuggire?!

«Non lo so!» sbottò infatti, scattando in piedi.

«Aspetta!» lo bloccò però Rengoku, tentando in qualche modo di ritardare la fuga del demone. «Prima di andare… che tu sappia, la bambina ha un nome?»

«Come?» la voce del demone suonò sorpresa e Kyojuro si grattò la guancia.

«È qui da ormai tre settimane e… non posso continuare a chiamarla ‘bambina’, deve sicuramente avere un nome. Hai per caso sentito la madre… chiamarla in qualche modo?» spiegò.

Era stato Senjuro a mettergli quella pulce nell’orecchio.

Quelle settimane erano state oltremodo caotiche, e solo con la pratica erano riusciti a trovare una sorta di ritmo nel prendersi cura della piccola. Con quella calma ritrovata, si erano resi conto di non sapere come chiamarla. Potevano darle un nome, non ci sarebbero stati problemi, ma dall’altra parte Kyojuro voleva sapere se ne avesse già uno e l’unico che poteva saperlo era quel demone.

«Non lo conosco,» rispose la Terza Luna Crescente, nervoso e stizzito. «Scegline uno e basta!» e con quelle parole lasciò la stanza, chiudendo per fortuna lo shoji alle sue spalle.

Kyojuro sospirò rumorosamente. Il demone aveva un umore decisamente troppo altalenante e sicuramente lui non doveva aspettarsi chissà cosa.

Guardò la piccola che ormai aveva smesso di bere per limitarsi a mordere il beccuccio dell’honyuu bin.

«Pare che debba trovarti un nome, quindi…» le disse.

 

..••°°°°••..

 

"Essere forti senza un obiettivo non ha alcun senso. Devi avere una meta, un risultato da voler ottenere… e se non ora, magari in passato... quando eri umano avevi qualcuno da proteggere?" 

Le parole di Kyojuro riecheggiavano nella mente di Akaza come una lenta litania. Ripetitive e prive di qualsivoglia malizia, pregne di una curiosità innocente.

Akaza, però, non aveva una risposta a quella domanda.

In quelle settimane aveva spesso pensato alle sue azioni e alle loro conseguenze, ma mai in tutta la sua esistenza da demone aveva rivolto dei pensieri alla sua vita passata come umano.

Non ricordava nulla del passato e non si era mai preso la briga di chiedersi il perché. In fondo, perché avrebbe dovuto?

Come umano era sicuramente stato debole per definizione, e come demone la sua esistenza era migliore. Non doveva temere malattie o ferite, la sua resistenza era pressoché infinita, e quello gli aveva permesso di allenarsi senza mai patire la stanchezza.

Da umano non sarebbe mai riuscito a raggiungere quei livelli. Perché Kyojuro non riusciva a comprenderlo?

Quella notte lo aveva raggiunto con l’intenzione di convincerlo a diventare un demone, un modo per proteggere entrambi dall’ira di Muzan che si sarebbe abbattuta su di loro se fossero stati scoperti… ma alla fine il Pilastro si era dimostrato ostinato come la prima volta che gli aveva fatto quella proposta - e anche le successive.

Perché tutti i Pilastri che aveva incontrato prima di lui avevano risposto nello stesso identico modo?

Non comprendeva come potessero preferire la morte al diventare dei demoni.

Doveva però ammettere che in quelle settimane Akaza aveva sentito più volte le sue convinzioni vacillare, perché Kyojuro lo aveva portato a pensare a ciò che non ricordava: alla sua insignificante e patetica vita come umano.

Era frustrante, ma non era certo di capire cosa stesse generando in lui un tale disagio.

Il rifiuto costante di Kyojuro ? Il non riuscire a rispondere? Il timore che Muzan scoprisse quelle visite? Il destino della bambina? I suoi ricordi mancanti?

Poteva essere tutto o niente, ma di certo quella sensazione lo stava rendendo inquieto.

"Perché?" si ripeteva, senza però sapere quale risposta stesse effettivamente cercando. "Perché?" 

 

..••°°°°••..

 

Erano trascorsi tre giorni da quando Rengoku aveva ripreso a esercitarsi con la respirazione, puntando come primo obiettivo il recupero della sua piena capacità polmonare.

Il suo corpo si era un poco infiacchito in quelle settimane di riposo forzato, e per quanto Kyojuro desiderasse riprendere subito in mano la sua nichirin, e svolgere gli allenamenti ai quali era solito sottoporsi sin da quando aveva memoria, fu costretto a imporsi un regime meno autoritario e pesante per permettere al suo corpo di riabituarsi allo sforzo della respirazione.

Era frustrante non potersi allenare come desiderava, ma aveva atteso tanto quel momento e non voleva strafare e ritrovarsi di nuovo costretto al riposo.

La fretta era una pessima consigliera e anche con quei piccoli passi, Rengoku sentiva di essere sempre più vicino a riappropriarsi della sua vita come Pilastro della Fiamma.

Voleva vedere solo il lato positivo di quella situazione, e forse anche per quel motivo il suo umore era nettamente migliorato. Non che in genere Kyojuro fosse cupo o scontroso - non credeva di esserlo mai stato in vita sua in realtà -, ma da quando aveva ripreso ad allenarsi gli sembrava di iniziare ogni giornata con una carica in più. 

Qualsiasi cosa pur di tenere la sua mente occupata su qualcosa di realmente importante e che, soprattutto, non avesse a che fare con il fatto che la Terza Luna Crescente fosse scomparsa da ormai giorni… cosa che puntualmente portava Kyojuro a sentire una fastidiosa una stretta allo stomaco.

Era strano non vedere il demone, doveva ammetterlo, ed era ancor più anomala era la sensazione di solitudine mista alla preoccupazione che Rengoku aveva iniziato a provare.

Forse quella situazione era riconducibile alla loro ultima discussione, che non si era conclusa nel migliore dei modi. Il Pilastro, infatti, era quasi certo di aver in qualche modo indisposto la Luna Crescente con le sue domande.

Gli avrebbe dovuto chiedere scusa quando l'avrebbe rivisto? O doveva fare finta di niente?

Stava ovviamente dando per scontato che il demone sarebbe tornato a fargli visita, ma se non fosse accaduto?

Sentiva di voler escludere quell’ipotesi, ma non poteva realmente sapere che cosa passasse per la mente della Terza Luna Crescente.

«Fratello!» la voce squillante ed eccitata di Senjuro lo distolse, per fortuna, dai suoi pericolosi e inconcludenti pensieri.

Il ragazzino lo aveva raggiunto sull'engawa della sua stanza, con la bambina - ancora senza nome - in braccio e un ampio sorriso emozionato in viso.

«Va tutto bene, Senjuro?» lo accolse, mettendo fine senza alcun problema alla sua sessione di meditazione - i polmoni bruciavano un po', ed era sicuramente una buona idea prendersi una meritata pausa.

«Abbiamo ospiti! Tanjiro-san è venuto a trovarci con i suoi amici!»

La felicità del ragazzino era quasi palpabile e lo stesso Kyojuro si sentì particolarmente contento per quella notizia.

 Era la prima volta che andavano a trovarlo nella sua dimora, e Kyojuro nel ripensare a quel gruppetto di giovani Cacciatori non poté negare di aver sin da subito nutrito un sincero affetto per loro.

L'ultima volta che li aveva visti, lui e i tre ragazzini si trovavano ricoverati alla Casa delle Farfalle in seguito alle ferite riportate durante la missione al Treno dell’Infinito. Erano rumorosi e parecchio strani, ma aveva visto del talento in loro, e anche se si era trattato di un sogno indotto dalla Prima Luna Calante, aveva pensato seriamente di poterli prendere sotto la sua ala protettiva e di farli diventare i suoi tsuguko.

Le ferite riportate, il successivo evolversi degli eventi e alcune questioni morali gli avevano impedito di seguire quella sua intenzione, ma quello non aveva di certo diminuito l'ammirazione e l'affetto per quei tre.

"Quattro," si corresse mentalmente, includendo anche Nezuko Kamado nel gruppetto.

«Fai pure gli onori di casa, vi raggiungo subito!» rispose il Pilastro, alzandosi dalla sua posizione inginocchiata.

Senjuro annuì subito, incapace di nascondere la sua esaltazione, e Kyojuro non poté non sentirsi quasi contagiato dal suo buon umore. Era bello vederlo così felice per una semplice visita, ed era chiaro che gli piacesse avere a casa degli altri ragazzi così vicini alla sua età.

Suo fratello, per quanto fosse il beniamino del vicinato, non aveva molti amici. Era un ragazzo serio e a causa della loro situazione familiare, non aveva mai avuto modo di frequentare i suoi coetanei. Per quel motivo Rengoku si sentiva felice e anche sollevato al solo pensiero che quel gruppo fosse piaciuto sin da subito a Senjuro.

Avevano infatti legato in un attimo quando suo fratello era andato a trovarlo durante la sua degenza alla Casa delle Farfalle, e sapeva inoltre che Senjuro e Kamado erano in qualche modo diventati ‘amici di penna’.

Senza smettere di sorridere, Kyojuro iniziò a cambiarsi per presentarsi ai suoi ospiti in modo più consono, e quando si ritenne pronto si affrettò a raggiungere Senjuro e i loro ospiti nel salottino dove lui e suo fratello erano soliti consumare il the pomeridiano o giocare a shogi.

Sentì sin dal corridoio degli schiamazzi provenire da quella stanza e ringraziò mentalmente che suo padre non fosse lì presente per lamentarsi del rumore.

Fece scorrere lo shoji annunciando in quel modo il suo ingresso che venne accolto da una scena tanto strana quanto adorabile.

Senjuro era seduto con la bambina sulle gambe, e accanto a lui vi erano Tanjiro e sua sorella Nezuko che, con in viso un’espressione felice ed estasiata, stava accarezzando con dolcezza la testa della piccolina.

Suo fratello stava comunque ridendo di cuore insieme a Kamado, mentre osservavano il ragazzo con l’haori giallo - Zenitsu Agatsuma - placcare fisicamente il ragazzo con la testa di cinghiale - Inosuke Hashibira.

Quest’ultimo aveva in mano delle ghiande e stava dichiarando a gran voce che lui, ‘il Grande Inosuke’, avrebbe preso volentieri Senjuro e la bambina come suoi nuovi sottoposti.

Kyojuro non sapeva che cosa fosse accaduto in quel brevissimo lasso di tempo nel quale lui era stato assente, ma nel sentire quelle risate - e le assurdità che stavano lasciando la bocca di Inosuke - non poté non sentire il cuore riempirsi di gioia. Era bello sentire quella casa così rumorosa e felice.

Il suo arrivo sembrò comunque calmare un poco gli animi, e poterono parlare con più calma di come stesse andando la riabilitazione del Pilastro - facendo una piccola deviazione per spiegare la situazione con la bambina -, e anche degli allenamenti e delle missioni che i giovani Ammazza Demoni avevano sostenuto in quelle settimane.

Erano appena tornati da degli incarichi individuali, e vista l’assenza di nuove chiamate, Kamado aveva deciso di andare a trovare i due Rengoku, e Zenitsu e Inosuke lo avevano seguito a ruota.

Sembravano un gruppo veramente affiatato oltre che strambo, ma l’altro canto chiunque sarebbe sembrato strano in compagnia di un ragazzo con testa di cinghiale e un demone che non mangiava esseri umani. Demone che, in quel momento, aveva assunto un aspetto minuto e quasi infantile per continuare a giocare con la bambina che, ancora tra le braccia di Senjuro, rideva ed emetteva dei versi senza senso.

Rengoku sorrise ancora, quasi intenerito da quella scena, poi riportò le sue attenzioni sui ragazzi.

«Sono davvero felice e orgoglioso dei vostri progessi!» ammise sincero, incrociando le braccia al petto.

«Uhm… Kyojuro-san, noi… siamo venuti a trovarti anche per farti una richiesta…» esordì imbarazzato Kamado.

«Dimmi tutto!»

Il ragazzo rivolse una rapida occhiata ai suoi amici, poi si lanciò praticamente per terra in un inchino scomposto e carico di nervosismo.

«Prendici come tuoi allievi! Per favore!»

Anche Zenitsu, seppur con meno convinzione, lo imitò subito dopo.

«Non ho bisogno di un maestro!» ululò invece Hashibira, gonfiando il petto. «Ma se è il desiderio dei miei sottoposti io, il grande Inosuke, lo accetterò!»

Iniziò un breve battibecco tra Agatsuma e il ragazzo con la testa di cinghiale, e i due Rengoku risero di gusto. Kyojuro però si costrinse a tornare serio.

Aveva già pensato a quell’eventualità. Anche quando Senjuro gli aveva annunciato l'arrivo del gruppo aveva rivolto un pensiero al poterli prendere come tsuguko, ma sentiva di non poter assumere il ruolo di maestro.

Avrebbe davvero voluto accettare quella richiesta, perché non solo quei ragazzi gli piacevano ma in cuor suo desiderava un erede al quale insegnare la Respirazione del Fuoco, ma dall'altra parte vi erano diversi fattori che continuavano a spingerlo verso il rifiuto.

Il suo desiderio, in fondo, non era poi così importante se messo a confronto con il resto.

«Temo di non poter accettare la vostra richiesta, almeno non nell'immediato a causa delle mie condizioni fisiche,» rispose Kyojuro. «Non sarei in grado di seguirvi come meritate e non vorrei rallentare i vostri progressi!»

Era la verità, ma dietro quelle affermazioni vi erano tutte le altre motivazioni ben più importanti, alcune delle quali voleva che rimanessero mute perfino nella sua mente.

In ogni caso, il fattore fisico era una valida motivazione tanto quanto lo era il possibile ritorno della Terza Luna Crescente.

«Fratello…»

Kyojuro sentì lo sguardo di Senjuro su di sé, e non poté non rivolgergli un sorriso rassicurante. Suo fratello era uno dei motivi per il quale desiderava un erede, ma al tempo stesso era anche il perché non sentiva di potersi permettere quel compito.

Le implicazioni erano tante ed erano proprio quelle che il Pilastro non voleva affrontare, non in quel momento e forse neanche nei giorni successivi.

Tanjiro si mostrò comunque dispiaciuto e Rengoku non poté non sentirsi quasi in colpa per essere stato costretto a rifiutare la sua richiesta.

Pensò subito a come poter aiutare quei ragazzi, perché non gli piaceva l'idea di averli delusi in qualche modo, e la sua mente elaborò in un attimo una soluzione che gli sembrò essere più che accettabile.

«Potrei però mettervi in contatto con una persona che si è allenata con me!» esclamò. «È l'attuale Pilastro dell'Amore, Kanroji Mitsuri! È molto qualificata e sono certa che vi prenderebbe volentieri come allievi fino a quando non sarò in grado di affiancarla di nuovo!»

Kanroji era stata una sua allieva e con lei al suo fianco Kyojuro aveva quasi pensato di aver trovato un erede, ma dall'altra parte aveva anche provato sollievo quando la giovane donna aveva creato il suo personale stile di Respirazione.

Tentò comunque di ignorare quei pensieri per osservare con un sorriso la sorpresa dipingersi sul viso dei ragazzi - non in quello di Hashibira, ma gli parve di percepire anche dalla sua parte un sobbalzo piacevolmente stupito -, ma ancor prima di poter iniziare a tessere le lodi di Mitsuri, la porta del salottino si aprì annunciando l'arrivo di suo padre.

L'uomo aveva in mano una bottiglia di saké e l'odore di alcol impregnò subito la stanza. Lanciò delle occhiate di sdegno ai presenti, e Kyojuro scattò subito in piedi per rivolgere a Shinjuro un sorriso accogliente.

«Bentornato padre! Ti presento-»

«È quello il demone che è stato accettato da Oyakata-sama?» sbottò Shinjuro, tenendo gli occhi puntati su Nezuko.

Il Pilastro avvertì un vago campanello di pericolo e fece istintivamente un passo di lato per coprire la visuale di suo padre.

«Esattamente. Si chiama Nezuko Kamado, e qui sono presenti suo fratello, Tanjiro Kamado, e-»

«Oltre che senza talento, fraternizzi anche con un demone che avresti dovuto uccidere.»

La frase fredda di Shinjuro fece calare il gelo nel salottino. Kyojuro avvertì chiaramente i presenti irrigidirsi e lui stesso sentì quelle parole penetrargli dentro come la lama di una spada. Non tanto per Nezuko, la cui lealtà e la capacità di resistere a che al sangue marechi di Shinazugawa erano state dimostrate davanti a tutti i Pilastri e al Capofamiglia, ma soprattutto per quello che accadeva di nascosto nella sua camera sin da quando la Terza Luna Crescente gli aveva affidato la bambina.

Il suo sorriso tremò per un momento ma, per pura abitudine, riuscì ugualmente a non lasciarsi abbattere dalle parole dell'uomo.

«Ha dimostrato la sua lealtà, padre,» dichiarò infatti, tenendo chiuso in un angolo della sua mente il rapporto che si stava lentamente formando con la Luna Crescente.

Forse innervosita dalla tensione che era andata a crearsi nella stanza, la bambina iniziò a piangere e Senjuro, che era rimasto teso come le corde di uno shamisen, balzò in piedi.

«Chiedo scusa!» esclamò congedandosi all'istante. Forse sia per non affrontare suo padre che per calmare la bambina, e Kyojuro non poté dargli torto: lui stesso avrebbe preferito essere altrove in quel momento.

«Sembra che tu stia inseguendo la morte in ogni modo. Sei diventato un Ammazza Demoni nonostante tu sia privo di talento, ti sei quasi fatto uccidere nella tua ultima missione e ora porti un demone in questa casa. Sei la disgrazia della famiglia, Kyojuro.»

Ogni parola era come una pugnalata nel petto del Pilastro, e per quanto fosse ormai abituato a quelle affermazioni, gli sembrava che facessero sempre male allo stesso modo.

Avvertì della tensione alle sue spalle e la stessa Nezuko, che fino a quel momento era rimasta calma e placida, si era irrigidita. Rengoku non poteva negarlo: per lui era fonte di non poco imbarazzo il dover mostrare la sua difficile situazione familiare a quei ragazzi.

Kyojuro prese un breve respiro, certo di dover in ogni caso mantenere il controllo della situazione. Aprì quindi la bocca per cercare di alleggerire la tensione, magari invitare suo padre ad andare a riposarsi nelle sue stanze mentre lui si sarebbe occupato di accompagnare gli ospiti all'ingresso, tuttavia fu Tanjiro a precederlo.

«Come si permette!» esclamò il ragazzo, balzando in piedi.

La voce di Kamado era acuta e sembrava quasi che le parole di Shinjuro l'avessero offeso personalmente.

«Kyojuro-san è un grandissimo Cacciatore! Non è privo di talento! Ha salvato tutte le persone presenti nel treno ed era pronto a sacrificarsi per loro!» proseguì il ragazzino.

«G-giusto…» pigolò Agatsuma per dargli manforte, seguito a ruota da Inosuke.

«BWAHAHA! Sento che sei forte! Se hai la faccia di dire queste cose a Occhi Ballerini devi avere anche il coraggio di batterti contro di me!!»

«Umf!!» sbuffò anche Nezuko con convinzione. 

La fiducia di quei ragazzi scaldò il cuore di Kyojuro, ma di certo non voleva vederli coinvolti in una rissa con suo padre, inoltre sapeva per certo che il loro intervento doveva aver irritato l'uomo.

«In ogni caso stavano per andare via!» dichiarò a voce alta, provando ad attirare l'attenzione su di sé, ma il controllo della situazione continuò a sfuggirgli di mano.

«Tu!» esalò Shinjuro lasciando cadere la bottiglia di saké per terra, aveva gli occhi sgranati e nelle sue iridi vi era dipinto sia stupore che ira. «Tu sei un utilizzatore della Respirazione del Sole! Vero? Ne sono certo!», esclamò additando Kamado che come tutti i presenti si mostrò subito confuso da quell'affermazione.

«Respirazione del Sole?» ripeté il ragazzo, guardando il Pilastro in cerca di aiuto. «Non so cosa sia…»

«Padre, forse è meglio se-»

Il corpo di Kyojuro si mosse ancor prima di poterlo controllare. Gli bastò avvertire i muscoli di suo padre scattare per afferrare l'uomo e impedirgli di avvicinarsi a Tanjiro.

Gli torse un braccio dietro la schiena, sperando che quello fosse abbastanza per placare quell'ira immotivata.

«Padre! Calmati!» cercò di riportare Shinjuro alla ragione ma l'uomo lo ignorò, continuando a sbraitare contro Kamado cose senza senso riguardanti la Respirazione originale

«Sei venuto qui per darti delle arie, eh moccioso? Solo perché utilizzi la Respirazione del Sole!»

Nulla di quella situazione aveva senso e Kyojuro, stringendo i denti, non riuscì a trovare neanche una soluzione per risolverla. Era veloce nel pensare in genere, ma con suo padre vi erano delle volte nelle quali si sentiva come un bambino sperduto e confuso.

«Torna in te, padre!» gridò per sovrastare gli insulti dell'ex Pilastro.

Era la prima volta che alzava la voce contro Shinjuro, ma d'altro canto non lo aveva mai visto tentare di colpire qualcuno. Suo padre si comportava in modo burbero, lasciava che fosse l'alcol a parlare per lui, ma non era mai stato violento.

Alle sue spalle Zenitsu aveva iniziato a strillare terrorizzato e Kyojuro, tenendo ancora suo padre bloccato, girò leggermente il capo per rivolgersi ai ragazzi.

«Andate,» disse solamente provando all'istante un moto di sollievo nel vedere che Tanjiro aveva indicato a sua sorella di tornare nella scatola, e che Agatsuma stesse effettivamente cercando di scappare trascinando via con sé Habashira - la cui presenza non era d'aiuto visto che sembrava intenzionato a menare le mani con l'ex Pilastro.

Shinjuro si divincolò e Kyojuro tentò di rendere più ferrea la sua presa, ma un'improvvisa gomitata nel mezzo del petto lo costrinse a liberare suo padre per riprendere il fiato che gli era venuto a mancare.

Le sue ferite erano ormai chiuse ma non poteva negare di sentire ancora determinate zone del suo corpo più sensibili, come se avessero bisogno di ulteriore tempo per guarire.

Era una situazione estremamente delicata. Shinjuro, nonostante tutto, era ancora un uomo forte e si era guadagnato il titolo di Pilastro della Fiamma grazie alle sue abilità e per quanto Kyojuro sapesse dentro di sé di poter rivaleggiare con suo padre, si era trovato davanti due muri all'apparenza invalicabili. Da una parte il suo corpo, che si era un poco infiacchito in quelle settimane di pausa forzata, e dall'altra la sua incapacità di privarsi di ogni riguardo nei confronti del padre.

Tuttavia era suo compito proteggere quei ragazzi e non si sarebbe tirato indietro. Si mise di nuovo tra Shinjuro e i tre giovani Ammazza Demoni.

«Padre, ragiona! Sono solo dei ragazzini! Non sanno neanche di cosa tu stia parlando!»

Lo schiaffo che ne seguì lo colpì nel punto cieco lasciato dalla perdita dell'occhio sinistro. Kyojuro, pur avendo avvertito quel movimento, non aveva neanche tentato di fermarlo, né provò a reagire. Se l'uomo si fosse concentrato su di lui in quel modo, avrebbe sicuramente dato abbastanza tempo a Kamado e ai suoi amici di allontanarsi.

Non aveva però calcolato la sete di giustizia di quei tre ragazzini che, al posto di fuggire, iniziarono a sbraitare contro Shinjuro.

«Battiti con me, vecchio di merda!» ululò Inosuke.

«C-come puoi trattare t-tuo figlio in questo modo?» strillò invece Zenitsu, nascondendosi però dietro Hashibira.

«Non ti permetto di parlare male di Kyojuro-san!»

A differenza degli altri due, Kamado, si rivelò una testa molto più calda e anche decisamente dura perché, sorprendendo sia Kyojuro che suo padre, attaccò quest'ultimo colpendolo con una testata in pieno mento che mandò l'uomo letteralmente al tappeto.

Calò improvvisamente il silenzio e il Pilastro non poté far altro se non osservare per qualche momento suo padre privo di sensi e Tanjiro con il viso rosso per l'imbarazzo per ciò che aveva appena fatto.

Inosuke scoppiò a ridere, sovrastando le lamentele di Zenitsu e anche le scuse che il giovane Kamado stava cercando di biascicare.

Kyojuro era sinceramente troppo confuso per riuscire a ragionare su quanto era accaduto e sulle conseguenze di quel breve scontro, e alla fine si lasciò andare a sua volta ad una risata liberatoria.

Non sapeva come avrebbe reagito suo padre al suo risveglio ma sapeva che le parole e le azioni dell'uomo lo avrebbero comunque perseguitato, creando nuove ferite su quelle che ancora non si erano cicatrizzate… ma in quel momento ridere gli sembrò la cosa migliore e far scivolare via la tensione, pensando al fatto che era stato onestamente comico vedere Shinjuro venire colpito da una testata.

Fu Senjuro, che li aveva raggiunti senza la bambina, a riportarli all'ordine. E nonostante avesse a sua volta rischiato di scoppiare a ridere - anche a causa di Inosuke che si era lanciato in un'imitazione della scena appena vissuta -, si fece aiutare da Kyojuro a portare loro padre nella sua stanza.

Non fiatarono durante quel breve tragitto e non lo fecero neanche quando accompagnarono i tre ragazzi fin sulla strada per salutarli.

Tanjiro, che si era ripreso dallo shock, tentò di scusarsi per l’inconveniente con entrambi i Rengoku, ma il maggiore scosse il capo.

«Non preoccupparti, Kamado,» lo rassicurò Kyojuro, «Non è stato fatto nessun danno irreparabile!»

«D-dispiace più a noi per quello che è accaduto...» commentò Senjuro con il capo basso.

Il ragazzo continuò però a mostrarsi combattuto e dispiaciuto, e il Pilastro gli rivolse un ampio sorriso. Non voleva far gravare sul ragazzo quel peso, era già troppo il fatto che avesse assistito alla scenata di Shinjuro.

«Andrà tutto bene, e che resti tra di noi: ma avrebbe meritato una testata da molto tempo!» tentò di scherzare.

Sia le labbra di Tanjiro che quelle di Senjuro vibrarono nel tentativo di nascondere un sorriso, ma alla fine Kamado annuì.

«Grazie, Rengoku-san,» mormorò grato e Kyojuro gli scompigliò affettuosamente i capelli, riservando poi lo stesso trattamento a Zenitsu e dando infine delle pacche affettuose sulla testa di cinghiale di Inosuke.

«Manderò subito un corvo a Kanroji, sono certo che sarà più che felice di affiancarvi con degli allenamenti!»

Venne ancora ringraziato dai tre e solo quando li vide allontanarsi il Pilastro si soffermò nell’osservare la scatola di legno nella quale Nezuko era solita viaggiare per restare con suo fratello.

Ancora una volta quel demone aveva dimostrato un forte controllo. L'aveva sentita chiaramente irritata per l'atteggiamento di Shinjuro ma non si era mossa.

Nezuko non attaccava gli umani.

Un leggero nodo si formò nel suo stomaco, nel rendersi conto che senza pensarci troppo aveva permesso alla sorella di Kamado di giocare con la bambina, come se fosse la cosa più normale al mondo - e lo stesso aveva fatto Senjuro.

I due Kamado godevano della sua più totale fiducia, in quel momento più che mai, ma non poté fare a meno di chiedersi se quel suo sentirsi a suo agio con un demone accanto alla bambina - un esserino delicato e indifeso - fosse in parte il risultato delle settimane trascorse con la Terza Luna Crescente… e se suo padre avesse avuto ragione nel dire che era lui era la disgrazia della famiglia?

Qualsiasi fosse la risposta, non poté evitare di stringere la mano di Senjuro quando suo fratello cercò la sua per un po' di supporto, e indossando il suo solito sorriso si rivolse al fratello.

«Facciamo una partita a shogi

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Capitolo 5
*** 5. Weather the storm ***


As Soothing As Snow

Capitolo 5
A change of heart


»--•--«


«Che ne dici di Sayuri?» domandò Kyojuro facendo inarcare il sopracciglio del demone.

Erano seduti sempre a debita distanza e la bambina stava dormendo pacifica sul suo giaciglio.

«Per il nome, è uno di quelli che piaceva di più anche a Senjuro. Scritto con i kanji di giglio e piccolo. Suona bene, no?»

La Terza Luna Crescente storse il naso e per un momento il Pilastro fu certo che gli avrebbe risposto di scegliere quello che voleva e che non gli importava. Eppure, quando il demone aprì la bocca, rimase quasi spiazzato dalle sue parole: «Non mi piace. Non voglio che abbia a che fare con i gigli.»

Rengoku annuì. Era onestamente sorpreso da quell'affermazione e anche un poco divertito. Il fatto che il demone non volesse nomi che 'avessero a che fare con i gigli' era ovviamente strano, ma dall'altra parte stava indirettamente dicendo di voler essere coinvolto nella scelta del nome.

Avrebbe voluto dirgli: «Quindi ti importa per davvero di lei,» e stuzzicarlo un po', ma alla fine preferì non infierire né indagare riguardo quell’affermazione. Perché la Terza Luna Crescente era tornata a trovarlo dopo quasi una settimana dalla sua fuga in seguito al loro discorso sulla trasformazione in un demone… e non voleva rischiare di infrangere quell'equilibrio.

Non poteva nascondere di aver provato sollievo nel rivedere il demone attraversare lo shoji della sua camera, e aveva sorriso quando lo aveva sentito chiedergli il solito: «Come sta la bambina?»

Aveva interpretato quell’atteggiamento, calmo e normale, come una muta richiesta di fare finta di nulla e Rengoku lo aveva accettato perché anche lui aveva bisogno di ignorare quello che era accaduto in quegli ultimi giorni.

Sin dalla visita di Kamado e dei suoi amici, con il successivo ‘incidente con Shinjuro’, la tensione si era fatta quasi palpabile nella casa. Kyojuro e Senjuro non erano stati in grado di parlare dell’accaduto, e loro padre li aveva ignorati, uscendo dalla sua stanza solo per lasciare la casa per pomeriggi interi.

Rengoku sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare la situazione sia con suo fratello che con suo padre, ma per quanto fosse degenerata non riusciva proprio a compiere quell’unico passo. Sapeva di essersi sempre comportato un po’ da codardo e temeva il momento nel quale le sue spalle non sarebbero più state in grado di sostenere quel peso.

E forse anche per quel motivo trovava la compagnia del demone piacevole, almeno sotto un certo punto di vista. Aveva un umorismo alle volte irritante e sapeva anche essere molto testardo, ma Kyojuro non poteva non trovare gradevoli le sue visite.

Se si escludeva il ben poco ignorabile dettaglio del tradimento che stava compiendo ai danni dell’organizzazione degli Ammazza Demoni e anche verso la sua famiglia, Rengoku trovava rilassante parlare con il demone… perché era la prima cosa che stava facendo contro le regole e contro ogni fibra morale del suo corpo.

Il suo era un comportamento egoistico… e lo trovava liberatorio.

Si accigliò un poco e, sentendosi imbarazzato delle sue stesse considerazioni, si impose di scacciare quei pensieri inconcludenti e pericolosi.

«D’accordo,» acconsentì per tornare sul discorso. «Hai per caso qualche suggerimento per il nome?» tentò però.

«No.»

Kyojuro sospirò: doveva aspettarselo.

«Eri molto più chiacchierone quando abbiamo combattuto,» gli fece presente, pentendosi subito di quell’affermazione nel vedere il demone sorridere.

«Non credevo ti piacesse così tanto chiacchierare con me, sono davvero colpito Kyojuro~»

«Non mi piace,» si difese. «Ma visto che sei qui cerco di fare almeno un po’ di conversazione.»

Il demone scrollò le spalle ma non smise di sorridere.

Era un sorriso strano quello, notò il Pilastro. Non era minaccioso né tanto meno realmente felice, sembrava un miscuglio di sentimenti e Kyojuro non riusciva ad afferrarne il vero significato.

«Potresti parlarmi… di nuovo di quel demone che dici che non mangia nessuno,» esordì la Luna Crescente, sorprendendo un poco Rengoku.

Onestamente, non si aspettava una richiesta simile.

«Solo se… se anche tu rispondi alle mie domande senza fuggire subito, come fai sempre. Non credevo che la Terza Luna Crescente avesse paura di qualche domanda innocente,» insinuò.

Aveva appena deciso di non stuzzicarlo per preservare quella sorta di equilibrio, eppure quel demone lo spingeva, senza rendersene conto, a fare l'esatto contrario di ciò che avrebbe dovuto fare - come l'ucciderlo o denunciarne la presenza agli altri Pilastri, per fare un esempio.

Era davvero liberatorio.

Il demone strinse le labbra, forse combattuto dalla risposta che avrebbe potuto dare, ma alla fine sembrò cedere.

«D’accordo,» acconsentì sembrando però ugualmente nervoso. «La tua domanda?»

Kyojuro sorrise trionfante, rendendosi però conto di non sapere realmente cosa chiedersi. Aveva così tante domande, molte delle quali sicuramente scomode, da non sapere da dove iniziare.

Escludeva ovviamente quelle riguardanti le altre Lune Demoniache e Kibutsuji - era certo che non avrebbe ottenuto risposte - e dal nervosismo del demone immaginava che anche altre domande di natura più intima dovevano essere escluse. Gli aveva rivolto già altri quesiti, riguardanti più che altro delle curiosità sui demoni, ma… cosa poteva chiedergli di più importante e utile che non spingesse la Luna Crescente a fuggire come sempre?

«… la tua Abilità Vampirica. Come funziona?»

Gli occhi del demone lampeggiarono improvvisamente, come se l'interesse per le sue abilità lo rendesse quasi felice.

«Me lo stai chiedendo per sapere come affrontarmi in futuro?»

Kyojuro storse il naso.

«Credevo volessi avere informazioni sul demone che sta tra i Cacciatori. Vuoi davvero cambiare la tua domanda?»

«Non hai messo limite alle domande!»

«Una domanda a testa. Casa mia, regole mie!» ribatté, riuscendo a sorridere. Era infantile da parte sua ma, come aveva ormai compreso, con quel demone gli veniva spontaneo comportarsi in quel modo.

L’espressione contrariata del demone lo spinse a sorridere ancora di più.

«Si basa su un'arte marziale, ma credo che questo tu l'abbia già intuito,» iniziò la Luna Crescente. «Ho sviluppato diverse tecniche ma… non credo che te le illustrerò tutte.»

«Perché?»

«Perché così potrò farti altre domande. "Casa tua, regole tue" no?» rispose furbo e Kyojuro non poté non ridacchiare.

«Mi sono messo in trappola da solo,» ammise il Pilastro, e il demone chiaramente compiaciuto riprese a parlare.

«Ho a disposizione una sorta di bussola,» svelò. «Riesco a percepire gli spiriti combattivi e le loro potenzialità, e mi indica anche gli attacchi in arrivo e dove colpire.»

Era una spiegazione breve ma parecchio esplicativa, che non aveva nulla a che fare con lo stile di combattimento del demone o con il resto dei suoi attacchi.

«È… davvero interessante…» concesse Kyojuro mentre la sua mente iniziava ad elaborare diversi scenari e utilizzi di quell'abilità - comprendendo anche il perché il demone avesse parlato tantissimo del suo spirito combattivo.

«Ora tocca a te, Kyojuro~»

Il Pilastro sospirò ma annuì. Un patto era un patto.

«D’accordo. Cosa vuoi sapere nello specifico?»

«Qualsiasi cosa su questo demone,» rispose l’altro aggrottando le sopracciglia. «Devo capire se mi stai imbrogliando o meno… o se stanno imbrogliando te con questa storia del demone che non mangia umani.»

«Sono più che certo che sia la verità!» esclamò Rengoku, soffermandosi poi a pensare a cosa avrebbe potuto dire al demone su Nezuko.

Non era certo di poter fornire così tante informazioni e, soprattutto non gli sembrava neanche corretto nei confronti di Kamado.

«La sua famiglia è stata sterminata da un demone, lei e suo fratello sono gli unici sopravvissuti. Lei si è trasformata, e sin dall’inizio pare che non abbia avuto alcun interesse verso gli umani e che anzi: abbia protetto suo fratello,» raccontò. Era stato Tomioka a raccontare quella storia e, in seguito, anche lo stesso Kamado aveva riferito le stesse identiche cose.

Sembrava una menzogna, Kyojuro lo ammetteva senza problemi, ma non aveva motivo di dubitare di tutte le persone che avevano giurato che Nezuko non avrebbe mai toccato un essere umano. Inoltre, l’aveva vista lui stesso combattere a difesa degli umani e rifiutare il sangue di Shinazugawa, e l’ultima visita a casa sua aveva confermato pienamente quei pensieri: Nezuko era degna di fiducia.

«E poi?»

«Ha dormito per due anni interi,» rispose Kyojuro, ricordandosi quel dettaglio e scrutando la reazione del demone che si mostrò particolarmente sorpreso.

Era estremamente espressivo, constatò Rengoku. In realtà lo aveva notato anche durante i precedenti incontri. Era stato sfiorato dal pensiero che quelle fossero delle reazioni false, volutamente esagerate per stuzzicarlo e prenderlo in giro, ma alla fine quelle sensazioni erano state sostituite dalla certezza che ogni emozione si dipingesse in modo genuino sul volto del demone, rendendolo quasi più umano e giovane.

Esitò su quel pensiero.

Sapeva che alcuni demoni erano capaci di mutare il proprio aspetto - Nezuko stessa era in grado di apparire come una bambina molto piccola -, e si chiese quale fosse il reale aspetto di quella Luna Crescente. 

Se si tralasciavano gli occhi e le linee blu scuro che percorrevano il suo corpo, il demone aveva ben pochi tratti demoniaci. Kyojuro aveva visto demoni con molteplici occhi o con nessuno, con più arti del normale, corna e altre appendici che un uomo non avrebbe mai dovuto avere. Era facile definirli mostri e dimenticare che un tempo erano stati umani anche loro.

Tuttavia con la Terza Luna Crescente non era così semplice, soprattutto da quando era iniziata quella sorta di tregua. Stava diventando complicato considerarlo un mostro.

«I demoni non dormono,» dichiarò la Luna Crescente, strappando Kyojuro dai suoi pensieri.

«Ci hai mai provato?» ritorse Rengoku e l’altro, con una piccola smorfia, scosse la testa.

«No. Non perdo tempo a dormire quando posso allenarmi!»

Kyojuro ridacchiò.

«Il fatto che tu non dorma non significa che non sia possibile per gli altri,» gli fece presente ricevendo in risposta un mezzo sbuffò che gli strappò un’altra risata.

Quando il demone se ne andò una decina di minuti dopo - si era trattenuto più del solito -, Rengoku non poté fare a meno di toccarsi il viso incredulo nel rendersi conto di non aver smesso di sorridere fino a quel momento e di non essersi minimamente sentito in pericolo o pronto a prendere la sua katana.

Era un cambiamento… piacevole.

 

..••°°°°••..

 

Furono le urla della bambina a strappare Kyojuro dal suo sonno, costringendolo ad alzarsi per prenderla in braccio e cercare di calmarla.

Era appena l’alba e, come ogni mattina, la piccolina si svegliava strillando e pretendendo attenzioni.

Non era una cosa strana, o almeno così era stato spiegato a Rengoku dalla nipote del dottore. Era possibile che i bambini piangessero anche nel sonno e bisognava essere molto pazienti in quei casi. Piangere era infatti il loro unico modo di comunicare e di esprimere bisogni o problemi, e Kyojuro lo aveva imparato a sue spese.

«Shhh… va tutto bene,» sussurrò diretto alla bambina, iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza, certo che quel continuo movimento sarebbe bastato per calmarla.

Presto, infatti, i lamenti diventarono bassi singhiozzi e infine la bambina si calmò del tutto, guardandolo con i suoi grandi occhioni innocenti come se non fosse accaduto nulla.

«Hai fame immagino,» commentò Kyojuro, rivolgendole un sorriso stanco e ricevendo in risposta una breve lallazione.

Da qualche tempo a quella parte aveva iniziato a biascicare sempre più sillabe a caso e presto, a detta di Senjuro, avrebbe iniziato con le sue prime vere parole.

Era un pensiero che faceva stringere il cuore di Rengoku. Quasi sempre la prima parola di un bambino era ‘mamma’, ma quella piccolina l’aveva persa ed era ovvio che non conservasse alcun ricordo di lei.

Era triste, e per quanto Kyojuro si stesse facendo in quattro per lei, sapeva che difficilmente sarebbe riuscito a sostituire la madre e il padre… d’altro canto, era già passato per quella strada con Senjuro, quando loro madre era morta, e non era certo di essere stato realmente all'altezza.

Sarebbe riuscito ad esserlo per lei?

Senjuro non aveva quasi nessun ricordo di loro madre e ogni volta che il nome di Ruka Rengoku veniva fatto tra quelle quattro mura, calava un velo di tristezza e di tensione. Con la morte di Ruka, Kyojuro e Senjuro non avevano perso solo una madre ma avevano anche perso un padre, perché da quel momento nulla era più stato lo stesso.

Strinse le labbra ma cercò di non lasciarsi abbattere da quelle incertezze. Fece di nuovo distendere la bambina sul futon per poter indossare una vestaglia, chiudendola in vita con un obi.

Riprese la piccola in braccio e, dopo averle sistemato con delicatezza i capelli neri con una mano, lasciò la stanza per dirigersi verso la cucina e prepararle il latte.

Era più presto del solito, notò lanciando un’occhiata fuori dalla casa, ed era probabile che Senjuro non si fosse ancora svegliato.

I primi tempi, Kyojuro aveva avuto il bisogno costante della presenza del fratello anche quando si trattava di piccoli gesti come il preparare il latte per la bambina, ma era ormai trascorso un mese e anche il Pilastro aveva iniziato ad abituarsi a quei piccoli gesti, trovandoli via via più naturali.

Si mosse infatti con sicurezza nella cucina, riuscendo a non bruciare nulla e a ottenere il latte della giusta temperatura - cosa che, qualche settimana prima, gli era risultata ancora complicata.

Sorrise trionfante e, sedendosi per terra con le gambe incrociate davanti al basso tavolino della cucina, iniziò a far mangiare la bambina che, affamata, si attaccò subito al beccuccio dell’honyuu bin.

La osservò incantato come ogni volta, trovando impossibile non riportare i suoi pensieri alla sua situazione familiare.

Ci pensava sempre più spesso a dirla tutta. Più ogni gesto diventava naturale, più i suoi pensieri finivano per soffermarsi su quel passato che continuava a lasciargli l’amaro in bocca, nonostante fosse stato uno dei momenti più lieti e felici della sua esistenza.

Prima della malattia di sua madre tutto era perfetto, e Kyojuro aveva dei ricordi ben precisi di come era la sua famiglia prima della morte di Ruka.

Ricordava la serietà e l’aspetto nobile ed elegante di sua madre. Ricordava l’umorismo di suo padre e il suono caldo e forte della sua risata. Ricordava l’affetto e la felicità che avevano avvolto quell’intera casa quando era nato Senjuro.

Era tutto perfetto… e Kyojuro ne sentiva la mancanza ogni giorno.

Più volte si era chiesto cosa sarebbe accaduto se sua madre non fosse morta. Suo padre sarebbe stato ancora il Pilastro della Fiamma o si sarebbe ritirato, lasciando a lui l’onore di portare sulle spalle l’haori fiammeggiante dei Rengoku? I suoi genitori avrebbero avuto altri figli o sarebbero rimasti solo lui e Senjuro?

Gli sarebbe piaciuto un altro fratello o anche una sorella.

Kyojuro sorrise triste, erano dei pensieri dolci e amari al tempo stesso, ed era piacevole rifugiarvisi al loro interno quando il peso della realtà diventava troppo anche per lui.

Perché per quanto la gente fosse abituata a vederlo sorridere e trovare sempre una parola buona per tutto e per tutti, anche lui alle volte si sentiva soffocare e avvertiva il crescente bisogno di respirare.

Spesso il suo sorriso era solo frutto dell’abitudine, un qualcosa che il suo corpo faceva più per memoria muscolare che per una reale gioia.

Di tanto in tanto si sentiva un bugiardo quando si rendeva conto di non aver fatto altro se non sorridere, quando in realtà avvertiva il bisogno di piangere ed urlare, di sfogare la frustrazione che aveva accumulato in tutti quegli anni… ma alla fine il suo sorriso, seppur finto, non feriva nessuno e anzi, più volte quell’espressione rilassata e ottimista era stata d’aiuto agli altri che si appoggiavano a lui alla ricerca di un supporto.

Era il suo compito, d’altro canto. Era più forte di tanti altri, si era allenato duramente per raggiungere quei risultati, e solo in quel modo poteva proteggere e aiutare i più deboli.

Ancora una volta, Kyojuro si chiese se sua madre sarebbe stata fiera di lui e delle sue azioni. Era un pensiero insistente e ricordava di aver addirittura sognato di parlare con lei al termine dello scontro contro la Terza Luna Crescente, quando era crollato per terra esausto.

Le aveva chiesto se era fiera di lui, se aveva fatto davvero del suo meglio, e Ruka nel suo sogno - che sembrava così reale - gli aveva rivolto un sorriso, rispondendo che era orgogliosa di avere un figlio come lui.

E a quel punto, Rengoku si era svegliato alla Casa delle Farfalle.

Non era un vero e proprio ricordo piacevole, concesse il Pilastro, ma sotto un certo punto di vista lo era.

Tuttavia non poté non chiedersi se sua madre avrebbe continuato a essere fiera di lui anche dopo aver accolto un demone tra quelle quattro mura.

Kyojuro strinse le labbra e, inconsciamente, si disse che probabilmente sua madre avrebbe accettato il demone e che avrebbe amato la bambina sin dal primo momento. Era un pensiero sciocco, ma il Pilastro aveva iniziato a vedere nella Terza Luna Crescente un qualcosa che non aveva mai notato in altri demoni, e pensava che anche sua madre - che era ben più saggia di lui - lo avrebbe visto.

Perché notte dopo notte, visita dopo visita, il demone si mostrava sempre più umano. Manteneva attorno a sé sempre quell’acuta aura di pericolo, e i suoi occhi gialli portavano con orgoglio il marchio del nemico, ma non aveva tentato di far del male a nessuno… almeno non in quella casa.

Era sciocco da dire, ma alle volte Rengoku si era trovato a paragonare la Luna Crescente a un animale cresciuto nella strada. Un essere selvatico e pericoloso che non aveva conosciuto altro se non pericoli e dolore, incapace di fidarsi del prossimo e di accettare la mano d’aiuto che gli veniva tesa.

«È decisamente un pensiero stupido,» bofonchiò Kyojuro, posando sul tavolo l’honyuu bin, ormai vuoto, e spostando la bambina per permetterle di fare il ruttino che, per fortuna, non tardò ad arrivare.

In ogni caso, riprese con il filo dei suoi pensieri, era sempre più convinto che anche sua madre avrebbe notato quanto la Luna Crescente fosse un demone anomalo. Non a livello di Nezuko, ma quasi.

Sospirò e tentò di concentrarsi di nuovo sul presente e non su quelle considerazioni che, probabilmente, non lo avrebbero portato da nessuna parte.

Si permise quindi di giocare un po’ con la bambina, facendola gattonare sul tatami - lo faceva sempre più spesso, mostrando una genuina curiosità per tutto ciò che la circondava.

Il rumore della porta scorrevole alle sue spalle lo fece però sobbalzare e, voltandosi, Rengoku incrociò lo sguardo di suo padre. Si irrigidì all’istante e il suo stomaco si contorse causandogli una vaga sensazione di nausea.

L’uomo indossava il suo solito yukata sgualcito e si era appoggiato alla porta con un’espressione assonnata e stanca in viso. Non sentì provenire da lui ira o altre sensazioni negative, ma gli avvenimenti di qualche giorno prima erano ancora fin troppo freschi per essere ignorati del tutto.

«Padre! Buongiorno!» cercò ugualmente di salutarlo con un sorriso. Tentando, come ogni volta, di mostrarsi tranquillo nei confronti di Shinjuro, ma in quel momento più che mai non era certo di riuscire a lasciar trasparire sicurezza e risolutezza.

Shinjuro lo guardò in viso e il Pilastro fu certo che gli occhi del padre si fossero soffermati sulla cicatrice che gli faceva tenere chiusa la palpebra sinistra. Non aveva pensato ad indossare la benda e per un momento, davanti alla smorfia dell’uomo, Kyojuro si pentì per quella sua mancanza.

Fu però la bambina ad interrompere quel momento, infatti si era praticamente coricata a pancia in su, a pochi passi da Shinjuro. Scalciando e ridacchiando per chissà quale motivo, tendendo le braccine verso l’alto come se volesse essere presa in braccio, balbettando una lunga serie di “Tatata”.

Lo sguardo di Shinjuro si abbassò su di lei e Kyojuro, istintivamente, si fece avanti per prenderla.

Escludendo la violenza incontrollata di qualche giorno prima, suo padre sin dall’inizio era stato contrario alla presenza della piccola, e aveva più volte espresso ad alta voce il desiderio che il figlio se ne liberasse. Per quel motivo l’istinto di protezione aveva fatto subito muovere il Pilastro, ma fu Shinjuro ad anticiparlo.

Kyojuro, incredulo, lo vide piegarsi in avanti per prendere la bambina da sotto le ascelle e sollevarla. Per un istante il Pilastro pensò che fosse sul punto di prenderla in braccio, come lo aveva visto fare con Senjuro quando ancora era un neonato, ma quel pensiero restò solo una sua fantasia perché suo padre la posò subito dopo tra le sue braccia.

«Non hai ancora trovato a chi lasciarla?» domandò l’uomo, spostandosi verso la dispensa.

«Sto… sto ancora cercando, padre!» mentì, sentendo un nodo formarsi in gola per quella menzogna.

Sapeva che avrebbe dovuto cercare una famiglia benestante, in grado di occuparsi della piccola… ma non aveva mai preso realmente in considerazione quell’ipotesi né aveva mai provato a parlarne con la Luna Crescente.

Era la cosa più giusta da fare, ma il demone si era chiaramente affezionato alla bambina e Rengoku stesso sentiva una fredda morsa allo stomaco all’idea di lasciarla andare per affidarla a qualcun’altro. Ma non potevano di certo prendersi cura di lei… insieme.

Era fin troppo folle e assurdo.

Shinjuro esitò, forse per dirgli qualcosa, ma alla fine sembrò preferire il silenzio. Infatti si limitó ad afferrare una brocca d’acqua e ad allontanarsi dalla cucina, lasciando il figlio da solo con la bambina.

Era stato uno strano incontro, quello Kyojuro dovette ammetterlo, ma almeno suo padre non era stato eccessivamente ostile nei suoi confronti e in quelli della bambina… e quella era una vera e propria vittoria. Piccola, ma che donò al Pilastro un sorriso più genuino di tanti altri e che lo accompagnò per il resto della giornata.

 

..••°°°°••..

 

«Stavo pensando ad un altro nome,» esordì Kyojuro, attirando su di sé lo sguardo di Senjuro, intento a cucinare. «Hina ti piace? Scritto con il kanji di Sole

Il ragazzino assunse un’espressione sorpresa.

«Ieri ti piaceva Megumi,» gli fece presente. «Cosa aveva che non andava?»

“Una certa Luna Crescente,” pensò Rengoku senza però dare voce a quel pensiero.

Nelle notti precedenti aveva proposto altri nomi al demone, ma nessuno era stato di suo gradimento - davvero fastidioso per uno che sosteneva di non ‘avere alcun interesse per la bambina’.

«Non… non le donava?» tentò con un sorriso di circostanza, sollevando poi la bambina - intenta a masticare la bambolina, che era ormai diventata il suo giocattolo preferito - per mostrarla al fratello. «Ha più la faccia da Hina, non trovi?»

Senjuro ridacchiò, soprattutto quando la piccolina, forse nel sentirsi interpellata, lasciò perdere la sua bambolina di stoffa per emettere un verso.

«Sì, forse Hina le starebbe bene,» concesse per poi pensarci un po’ su. «Ma anche Kiyoko è un bel nome, non trovi?»

Rengoku annuì pensieroso.

«Con il kanji di purezza… sì, anche Kiyoko mi piace! Ci penserò su!» rispose e Senjuro, facendosi un po’ serio, si allontanò dai fornelli.

«Fratello… non è che stai evitando di darle un nome perché stai ancora cercando la sua famiglia?» chiese, mostrandosi combattuto e incerto a causa delle parole che stava pronunciando. «Forse temi… di affezionarti troppo a lei dandole un nome non suo? E di..  di non riuscire a separarti da lei se dovessi trovare la sua famiglia?»

Le parole di Senjuro colpirono in pieno Kyojuro.

Ovviamente lui non stava cercando nessuna famiglia perché sapeva benissimo che fine avevano fatto i veri genitori della piccolina, ma era chiaro che il suo atteggiamento potesse apparire sospetto agli occhi degli altri.

Era trascorso poco più di un mese da quando la bambina era entrata a far parte della loro vita - l’anno nuovo era appena iniziato e con esso erano arrivati nuovi propositi con i quali affrontare i successivi dodici mesi - e non le aveva ancora dato un nome, se non degli appellativi affettuosi. Tuttavia, dovette ammettere che il pensiero di abbandonarla gli faceva davvero stringere il cuore.

Ci aveva già pensato, più volte in realtà, e più il tempo scorreva più gli sembrava impossibile riuscire a separarsi da lei, al punto di arrivare a pensare di… continuare a tenerla con lui.

Era la soluzione più ovvia, ma se si fosse presentato davvero qualcuno per la bambina? Sarebbe riuscito a lasciarla? E la Terza Luna Crescente come avrebbe reagito?

Non osava immaginarlo, ma sapeva che lui si sarebbe sentito… vuoto.

«Forse,» si costrinse ad ammettere, tentando poi di alleggerire un poco i toni. «Ma vorrei che fosse un bel nome. Un nome che piaccia anche a lei.»

«Non credo che lei possa decidere!» ridacchiò Senjuro, senza però perdere del tutto il disagio che lo aveva portato ad affrontare quel discorso.

«Dillo a questa adorabile faccina che non può decidere!» ribatté Kyojuro, usando di nuovo la piccola come scudo.

La bambina iniziò la sua solita lallazione, una lunga sequela di sillabe senza senso che sembravano renderla davvero felice.

Senjuro rise più forte e Rengoku non poté non sentirsi sollevato nel vedere il fratello così felice e rilassato.

Soprattutto negli ultimi anni lo aveva visto con un’espressione triste e ansiosa - Kyojuro gli aveva dato davvero tante preoccupazioni e la situazione con loro padre non era di certo dalla loro parte -, ma giorno dopo giorno sembrava quasi più deciso a voler lasciare alle spalle la negatività per dedicarsi al presente… forse complici le lettere che continuava a ricevere da Kamado - che era stato preso sotto l’ala protettiva di Kanroji insieme ai suoi amici - e anche il fatto di aver iniziato a leggere alcuni testi sulla medicina e di primo soccorso che gli aveva inviato Kocho.

“Quando vorrà, potrà venire alla Casa delle Farfalle”, aveva scritto il Pilastro degli Insetti in risposta a una lettera che Kyojuro le aveva scritto per aggiornarla sulle sue condizioni fisiche. “Le ragazze saranno felici di insegnargli qualcosa. Sono certa che Senjuro-kun sarà un ottimo allievo, nonché membro della squadra medica in futuro se mai esprimerà quel desiderio.”

Anche Rengoku lo pensava. Era convinto che suo fratello avesse davvero del talento ed era sollevato all’idea di poterlo indirizzare proprio da Kocho.

Quando la risata si spense, Senjuro si sporse verso di lui per prendere a sua volta in braccio la bambina.

«Sai… se tu non dovessi trovare la sua famiglia… non mi dispiacerebbe… continuare a prendermi cura di lei,» ammise sincero ma al tempo stesso insicuro.

Kyojuro si fece serio. Non era sorpreso dal fatto che anche Senjuro avesse iniziato a nutrire i suoi stessi desideri ma se nella sua mente Rengoku sentiva di poter fantasticare, nella realtà sapeva invece di dover mantenere i piedi ben piantati per terra.

Potevano realmente prendersi cura di lei durante tutta la sua crescita?

«Senjuro…»

«So che non sarà semplice ma… ha probabilmente perso la sua famiglia. Forse è sola al mondo e l'hanno affidata a noi. Non voglio che venga… mandata in altre famiglie… potrebbe essere traumatico per lei e credo abbia già subito fin troppi traumi,» spiegò prontamente il ragazzino, mentre la bambina gli tastava con le manine le guance e il mento - Senjuro di tanto in tanto le dava anche dei bacini sulle dita quando queste andavano a posarsi sulla sua bocca.

Rengoku lo ascoltò con la massima serietà, trovandosi pienamente d'accordo con i pensieri e i desideri del fratello.

«Ammetto che ci ho pensato anche io,» si costrinse a rispondere. «L'idea di separarmi da lei mi fa… stringere il cuore. Come se venisse strappato dal mio petto.»

«Non sarebbe un peso per me occuparmi di lei quando sei in missione,» precisò subito Senjuro, e Kyojuro non poté non sorridergli.

«Vediamo come si evolve la situazione, ma per ora la bambina non si muoverà da questa casa!» annunciò, facendo sorridere anche suo fratello, sollevato all'idea di non dover dire addio a quel piccolo raggio di sole che in un modo o nell'altro li aveva fatto avvicinare ulteriormente, facendoli di nuovo sentire una famiglia.

 

..••°°°°••..

 

«Ogni quanto tempo voi demoni dovete mangiare?»

Akaza, seduto con la schiena appoggiata alla parete della stanza del Pilastro, inclinò il capo.

«Ogni quanto tempo voi umani mangiate?» rispose con tono tranquillo. «Così come voi dovete nutrirvi, anche i demoni devono farlo se vogliono sopravvivere e diventare più forti. La maggior parte dei demoni quindi mangia ogni giorno.»

Era una delle serate nelle quali facevano quella sorta di gioco delle domande, e come sempre Kyojuro si mostrava particolarmente interessato alla natura dei demoni. Akaza non sapeva il reale motivo di quella curiosità, ma dall'altra parte la Luna Crescente non aveva ancora perso la speranza nel riuscire a farlo convincerlo a diventare un demone e rispondeva a quei quesiti senza mai tirarsi indietro.

«E non potete mangiare altro? Animali? Carcasse? Cibo umano?»

«Animali e carcasse sì,» assentì Akaza storcendo il naso. «Oppure bere sangue in casi estremi, ma sarebbe una dieta… priva delle fonti necessarie di nutrimento. Sarebbe come mangiare solo frutta e verdura: sentiresti la mancanza della carne o di altri alimentati.»

«Comprendo… ma comunque c'è chi vive con una dieta simile,» gli fece presente Kyojuro. «Mentre il cibo umano? Non credo di averti mai offerto qualcosa… potrei prepararti il tea la prossima volta!» esclamò quasi mortificato, come se il non aver mai fatto gli onori di casa fosse fonte di imbarazzo.

Akaza non poté non ridere nel notarlo. Non era la prima volta che il Pilastro si comportava in quel modo con lui. Lo trattava come un ospite, come se la sua presenza fosse davvero gradita. Era assurdo ma piacevole, tant'è che Akaza non riuscì ad ignorare un vago calore che andò ad abbracciargli il petto.

«Preferirei di no,» rispose alla fine. «Il cibo umano è tossico per i demoni.»

«Tossico? Come il glicine?»

«No, non è un veleno. Ma il nostro corpo non sopporta il cibo umano e lo vomitiamo. Non è uno spettacolo gradevole.»

Kyojuro aggrottò le sopracciglia, mostrandosi pensieroso per qualche momento. Strinse le labbra e assunse un'espressione seria e risoluta.

«La mia risposta non sarebbe cambiata in ogni caso ma con questo ne ho l’assoluta certezza…»

«Cosa?»

«Non diventerò mai un demone. Come potrei sopravvivere senza mangiare ramen? O patate dolci? O il riso?» spiegò il Pilastro, come se quella fosse una questione di vita o di morte, cosa che fece ancora ridacchiare Akaza.

«Non ti facevo una persona così… golosa,» ammise il demone senza però neanche tentare di spiegare a Kyojuro che, una volta trasformato, non avrebbe neanche voluto sentire l'odore di quegli alimenti e che la fame per la carne umana avrebbe cancellato tutto il resto.

«Lo saresti anche tu se ti ricordassi il sapore di certi piatti,» ribatté Kyojuro con un mezzo sorriso. «Per il nome! Che ne dici di Ichigo? Le sue guance sono rosse come le fragole!»

«Non darai alla bambina il nome di qualche piatto o frutto, Kyojuro!»

Il Pilastro rise ma poco dopo si fece di nuovo serio, come se si fosse reso conto di qualcosa che, forse, aveva ignorato fino a quel momento.

«Quindi tu… ogni giorno…»

Esitò nel pronunciare quelle parole, ma ad Akaza non servì sentire la frase per intero per comprendere ciò che il Pilastro stava tentando di chiedergli. Le spalle di Kyojuro si erano fatte improvvisamente tese e il suo spirito combattivo si era quasi illuminato al solo pensiero della scia di morte che la Luna Crescente lasciava alle sue spalle.

L'ambiente dietro quelle quattro mura era così rilassato che spesso lo stesso Akaza tendeva a dimenticare di avere davanti una persona che avrebbe dovuto uccidere. Era come entrare in un altro mondo, dove le rispettive fazioni non esistevano… ma la realtà era sempre pronta a far tornare entrambi con i piedi per terra.

«Che tu ci creda o no… non mangio poi così tanto come gli altri demoni,» svelò Akaza. «Se mi alleno, la fame passa quasi sempre.»

L'occhio sano di Kyojuro si allargò per la sorpresa e la sua espressione mutò dall'incredulità a una più pensierosa.

«Quindi… si può dire che per te l'allenamento serve a recuperare le energie e a rafforzarti al posto di mangiare?» domandò.

«Solo in questo modo so che la mia forza è solo mia, e non frutto del sangue di qualcun’altro,» ribatté Akaza con un pizzico di orgoglio nella voce.

Aveva ucciso un'infinità di persone, distrutto interi villaggi su ordine di Muzan, ma tra le Lune Crescenti era forse quello che aveva avuto meno bisogno del sangue del suo padrone. Per lui era una sorta di questione di principio.

«In pratica tu usi l'allenamento per praticare l’inedia, così come il demone che conosco io utilizza il sonno,» spiegò Kyojuro con un sorriso quasi soddisfatto per aver elaborato quel teoria.

Akaza strinse le labbra ma dovette ammettere che, in qualche modo, aveva senso.

«Questo implica che però quel demone, come me, dovrà mangiare prima o poi,» gli fece presente ma il Pilastro scosse la testa quasi fieramente.

«Sono certo che non lo farà. La sua forza di volontà è incommensurabile

Lo stomaco di Akaza si torse un poco, disturbato da quell'affermazione senza una vera e propria motivazione, e decise per quel motivo di mettere la parola fine a quella visita.

Solo quando si trovò distante dalla dimora dei Rengoku si permise di formulare un pensiero che fu in grado di sciogliere il nodo che si era formato nel suo stomaco.

"Ho abbastanza forza di volontà per fare la stessa cosa che fa quel demone, non sono da meno!"

 

..••°°°°••..

 

Sin da quando Akaza aveva memoria - ovvero per la sua intera esistenza da demone -, il tempo non aveva mai avuto una reale importanza per lui.

Certo, aveva la consapevolezza dell'alternarsi dei giorni e sapeva quantificare il tempo trascorso senza alcun problema, ma non aveva mai dato un reale peso a quei numeri.

Era un demone, e per definizione anche immortale. Di conseguenza 'contare i giorni' gli era sempre sembrato sciocco oltre che inutile: una vera perdita di tempo. Tempo che avrebbe potuto impiegare allenandosi.

Eppure non riusciva a non provare una sorta di fastidio misto alla nostalgia nel rendersi conto che erano passati ben cinque giorni dall’ultima volta che era stato a casa di Kyojuro. 

Non riusciva proprio a comprendere che cosa gli stesse accadendo, ma aveva iniziato a porsi delle domande sempre più frequenti e a desiderare di rendere Kyojuro fiero di lui.

Erano sentimenti e bisogni assurdi e pericolosi, e notte dopo notte la necessità di stare lontano dal Pilastro della Fiamma - per proteggere sia Kyojuro che la bambina - si scontrava con il sempre più crescente impulso di rivederlo, di sentire la sua voce e di ascoltare la sua risata.

Akaza non capiva. Non riusciva proprio a comprendere quei mutamenti, ma sotto un certo punto di vista era certo che la colpa fosse di Kyojuro.

Perché se il Pilastro non gli avesse posto quelle domande sul fine della sua continua ricerca della forza, se non gli avesse parlato di quell'altro demone e se soprattutto non lo avesse fatto sentire accettato in quella casa, probabilmente Akaza non avrebbe iniziato a mettere in dubbio nulla della sua esistenza.

All’inizio aveva sperato di poter ignorare quei dubbi, ma non ne era stato in grado. Neanche dopo essersi costretto lontano da Kyojuro per tutti quei giorni.

Gli sembrava impossibile poter controllare sia i suoi pensieri che quel susseguirsi di domande e sensazioni che lo rendevano inquieto. Cosa che, ironicamente, non accadeva quando era in compagnia del Pilastro.

Quando erano insieme non sembrava esserci spazio per quell’assordante rumore fatto dai suoi pensieri, era come se la sola presenza di Kyojuro gli facesse sentire di nuovo la terra sotto i piedi e non in balia di quelle onde che portavano con loro solo domande e frustrazione. 

Ovviamente Akaza aveva tentato di dare delle spiegazioni logiche, o quanto meno credibili, alla sua situazione. Un modo come un altro per non pensare a quelle che potevano essere le reali implicazioni della sua ossessione, e l’unica spiegazione che aveva trovato riguardava la sua voglia di combattere contro il Pilastro. 

Avrebbero combattuto di nuovo un giorno?

Ad Akaza sarebbe piaciuto, lo ammetteva senza il minimo imbarazzo e più volte aveva espresso quello stesso desiderio anche dinanzi a Kyojuro. Lo spirito combattivo del Pilastro era incredibile, non aveva mai visto nulla di simile in tutta la sua esistenza. Per non parlare della sua tecnica, la postura con la spada e la velocità con la quale reagiva, preparando una nuova strategia di attacco o di difesa.

Era l'umano più interessante e forte con il quale si fosse mai scontrato, e se da una parte provava una sorta di ammirazione proprio per il fatto che Kyojuro fosse un umano dotato di quelle capacità straordinarie, dall'altra… era proprio il suo essere un umano a lasciarlo ad un passo dalla perfezione.

Kyojuro sarebbe stato un demone perfetto e avrebbero potuto combattere insieme per sempre, migliorare e diventare sempre più forti.

Insieme.

Quel pensiero lo fece sorridere ma in un solo secondo le sue labbra si piegarono in una smorfia, perché per l'ennesima volta arrivò a chiedersi perché desiderasse così tanto che Kyojuro diventasse un demone.

Già in passato aveva fatto quella stessa proposta a innumerevoli Pilastri. Tutti avevano rifiutato e tutti, nessuno escluso, erano morti.

Ricordava tutti i loro nomi e il loro stile di combattimento, continuava a nutrire per loro il rispetto che era dovuto a dei guerrieri di un livello superiore e a provare delusione per come la loro testardaggine li avesse portati alla morte… ma con Kyojuro era stato diverso. 

Perché? 

Con lui aveva insistito ancora e ancora - e continuava a farlo anche durante le sue visite a casa del Pilastro. Aveva sentito il bisogno di convincerlo a diventare come lui. Fremeva ancora per il brivido di quel combattimento e per come anche le loro ideologie fossero arrivate a scontrarsi. Aveva desiderato per davvero di averlo come avversario per l'eternità, in una continua lotta che li avrebbe portati a essere sempre più forti di chiunque altro… forse per quel motivo non era stato in grado di ucciderlo? Per quel motivo Kyojuro era diventato speciale?

Cosa lo rendeva tanto diverso dagli altri Pilastri che aveva ucciso?

Di sicuro, era stato l'unico con il quale aveva parlato più a lungo, e di conseguenza anche il solo ad avergli chiesto il perché delle sue azioni. Come se fosse realmente importante avere avuto degli obiettivi quando era un umano.

Non riusciva a rispondere a quelle domande ed erano sicuramente le più fastidiose e insistenti, perché Akaza si allenava costantemente per diventare più forte, ma non si era mai realmente chiesto il motivo.

La risposta che alla fine aveva tentato di darsi, pur di cercare di zittire i suoi pensieri, riguardava il voler sconfiggere Kokushibo e Douma.

Si era già scontrato con le due Lune Crescenti di rango superiore al suo e ne era uscito sconfitto. Quella poteva già essere una motivazione più che valida al suo desiderio, ma dall'altra parte non poteva non chiedersi: perché batterli e cosa sarebbe successo dopo?

Voleva forse essere lui la Prima Luna Crescente? Ma a quale scopo? In fondo non gli era mai interessata realmente la sua posizione tra le Dodici Lune Demoniache, aveva sempre e solo desiderato affrontare degli avversari più forti… ma allora: perché quel desiderio? 

E la sua mente tornava di nuovo al punto di partenza, con la frustrazione di non aver concluso niente.

Sospirò, mentre le sue gambe iniziarono a muoversi verso la zona dove si trovava la casa dei Rengoku, e dove avrebbe sicuramente rivisto sia Kyojuro che la bambina. L’unico momento nel quale il suo corpo trovava di nuovo l’equilibrio perso.

Quel pensiero però, per quanto piacevole e rassicurante, fece stringere lo stomaco di Akaza.

Se Kyojuro fosse stato un demone, realizzò, non avrebbe mai accolto la bambina a casa sua e Akaza non avrebbe avuto nessuno al quale affidarla.

La bambina sarebbe morta.

Il demone sentì un forte cerchio alla testa. Lo stesso che di solito preannunciava l’assordante fischio che lo rendeva sordo a tutto, tranne che ai lamenti e alle urla di qualche donna in pericolo.

Era l’istinto di protezione che scalciava per costringerlo ad agire, ignorando ogni senso logico.

“L’avrei salvata ugualmente!” gridò a se stesso, come per allontanare quell’ipotesi. 

Era certo che l’avrebbe fatto, ma ci sarebbe riuscito? E se Kyojuro fosse stato un demone… l’avrebbe aiutato a salvarla? Oppure avrebbe cercato di divorarla?

Come avrebbe agito?

Immaginarlo come Douma, o come qualsiasi altro demone, fece torcere lo stomaco di Akaza facendogli provare una sensazione simile alla nausea.

Dentro di sé si ripeté che il Pilastro non sarebbe mai stato come Douma, ma poteva davvero escluderlo?

Akaza non amava particolarmente gli altri demoni. Non andava d'accordo con nessuno, men che meno li rispettava.

Quanto sarebbe cambiato Kyojuro nel diventare un demone?

Egoisticamente Akaza aveva sempre e solo pensato al fatto che sarebbero stati insieme, ma non alle conseguenze. La personalità del Pilastro sarebbe rimasta intatta? O si sarebbe trasformata con lui? Akaza avrebbe iniziato a detestarlo come detestava tutti gli altri demoni?

Non gli piaceva l'idea di Kyojuro senza il suo sorriso luminoso, la testardaggine e la positività. Senza quel calore che lo contraddistingueva e la dolcezza con la quale cullava la bambina… Kyojuro non sarebbe più stato Kyojuro senza quei piccoli dettagli che lo rendevano umano.

Era questo ciò che il Pilastro intendeva quando parlava della bellezza degli umani?

Gli umani erano deboli e fragili, ma Kyojuro non lo era. Lui era… perfetto anche da umano, e non doveva cambiare.

Quel pensiero lo colpì come uno schiaffo, che divenne ancor più violento quando sentì un forte odore di sangue femminile provenire da delle case sparse al limitare della foresta.

Le sue attenzioni si rivolsero subito verso la zona dalla quale sentiva provenire l’odore, e senza pensarci due volte le sue gambe si mossero verso quella direzione.

Il familiare fischio si fece sempre più forte, annullando i suoi pensieri e arrivando a renderlo quasi sordo a tutto ciò che lo circondava.

Individuò facilmente la dimora dalla quale sentiva provenire l’odore di sangue di una donna. La casa era silenziosa e piccola, non troppo povera o isolata dalle altre.

Sarebbe sembrata una normalissima casa, se non fosse stato per il forte e nauseabondo odore di morte.

Irruppe dalla finestra lasciata socchiusa, e lo spettacolo che lo accolse gli fece mancare per un momento la terra da sotto i piedi.

C’era una donna, forse poco più che ventenne, accasciata contro il muro. Indossava i resti di un kimono da notte chiaro che era stato strappato e aperto per mettere a nudo la sua pelle, sulla quale erano visibili innumerevoli segni di violenza.

Il sangue sgorgava, ormai lento, da una ferita all'altezza del collo, tagliato probabilmente da una lama.

Akaza si inginocchiò accanto a lei, i suoi pantaloni si sporcarono subito di sangue, ma li ignorò per allungarsi a prenderle con attenzione il polso e controllare, scioccamente, il battito.

La mano della donna era esile e fredda contro la sua, piccola e delicata. Le dita della giovane erano sporche di sangue e le unghie rovinate e strappate come se avesse combattuto, aggrappandosi al tatami o al corpo del suo assalitore. Aveva cercato di sopravvivere, ma non era stata abbastanza forte… e ovviamente il battito era assente.

Si sentì tremare e si morse la lingua per impedirsi di urlare tutta la sua rabbia e frustrazione in quel momento. Lasciò la mano, che ricadde senza vita lungo il corpo della donna, e scattò in piedi.

I suoi sensi si spostarono altrove, ignorando il tanfo nauseabondo del sangue della donna, per concentrarsi su un secondo odore presente in quella casa.

Quello di un uomo ed era lui, in quel momento, la sua preda.

Balzò di nuovo fuori dalla finestra, seguendo la traccia lasciata dall’assassino di quella donna e la sua caccia, ovviamente, non durò a lungo.

Fu infatti facile trovare l’uomo che aveva attaccato quella donna, da lui proveniva l’odore del sangue della sua vittima e anche un acceso senso di soddisfazione, come se fosse compiaciuto dalle sue azioni.

Come se la vita di quella donna gli fosse appartenuta. Come ucciderla fosse stato un suo diritto.

Era solo un codardo. Un essere vile e debole. Come quelli che avvelenavano i pozzi.

Quel pensiero fece ribollire ulteriormente il sangue di Akaza. Non aveva fondamento o un filo logico, ma la rabbia che sentiva di provare era così reale e forte da impedirgli di pensare a possibili spiegazioni.

Attaccò l'uomo senza neanche lasciargli il tempo di rendersi conto di essere stato raggiunto. Balzò davanti a lui, prendendolo per il collo e stringendolo con forza.

Nel silenzio della notte si sentì un violento e secco crack, che trasformò il principio di un urlo in un gorgoglio soffocato sempre più basso.

L'uomo si afflosciò senza vita e Akaza, saltando via, portò il corpo lontano dalla stradina che stava percorrendo per abbandonare la casa della sua vittima.

Raggiunse uno spiazzo tra gli alberi vicini, e lì lasciò cadere per terra il cadavere, guardandolo con disprezzo.

Erano uomini deboli come quello che accendevano in lui una cieca rabbia. Un disgusto che sembrava avere radici profonde e inesplorate nel suo animo. 

Animato da quell'ira, Akaza iniziò a colpire quel corpo, ancora e ancora, fino a quando nella fredda terra non rimasero altro se non brandelli irriconoscibili di quello che neanche cinque minuti prima era un uomo.

L'odore del sangue impregnava l'aria di quel piccolo spiazzo nella foresta, e gli schizzi avevano sporcato gli indumenti di Akaza, ma non se ne curò.

Rimase immobile mentre i suoi pensieri tornarono alla donna morta. L’ennesima.

“Non sono arrivato in tempo…” pensò, chiudendo gli occhi e lasciandosi avvolgere dall’oscurità.

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Capitolo 6
*** 6. The best of both worlds ***


As Soothing As Snow

Capitolo 6
The best of both worlds


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Akaza rimase fermo per qualche momento davanti allo shoji chiuso della camera di Kyojuro prima di farlo scorrere lentamente per poter lanciare un’occhiata all’interno della stanza avvolta dall’oscurità.

Era tardi, mancavano poco più di due ore all'alba. Le candele erano ovviamente spente, e sia il Pilastro che la bambina già dormivano nei loro giacigli.

Forse, si disse Akaza, era meglio così.

Non sapeva neanche perché si fosse presentato lì dopo aver ucciso quell’uomo… sapeva solo di essersi sentito vuoto, e di solito il Pilastro sembrava in grado di riempire quella sensazione con la sua sola presenza.

Tentò di richiudere lo shoji ma la voce di Kyojuro, assonnata e confusa, lo bloccò.

«Sei in ritardo,» bofonchiò e Akaza rimase immobile prima di cercare di sorridere anche se gli sembrò tremendamente difficile piegare le labbra verso l’alto e fingere che tutto andasse bene.

«Kyojuro,» lo salutò. La sua stessa voce suonò strana alle sue orecchie.

Osservò il Pilastro muoversi a tentoni, cercando l’acciarino per poter accendere la candela che teneva accanto al futon, e quando ci riuscì la tenue luce della fiammella illuminò un poco i contorni della stanza, permettendo anche all’Ammazza Demoni di scorgere del tutto la figura del demone.

«Non credevo saresti venuto oggi,» sbadigliò, ma le sue labbra si erano ugualmente piegate in un sorriso. «Anche se manchi da quasi una settimana.»

Kyojuro aveva iniziato a sorridergli molto più frequentemente, era uno strano cambiamento… ma piacevole. Ed era anche la causa del bisogno incoerente di Akaza che lo portava a desiderare di stargli lontano tanto quanto voleva la sua vicinanza.

«Ero… occupato altrove,» ammise con tono cupo.

«È successo qualcosa?» gli chiese il Pilastro, sollevandosi del tutto dal letto. Indossò sulle spalle un haori color panna, e aggirò il suo giaciglio per avvicinarsi alla porta scorrevole.

Akaza rimase spiazzato da quella domanda e anche dalla palesemente preoccupazione che si era dipinta sul volto dell’altro. Forse Kyojuro era ancora troppo confuso dal sonno per poter comprendere realmente quanto le sue azioni sembrassero ancora più anomale.

Si stava preoccupando per un demone. Per lo stesso demone che l'aveva quasi ucciso e che aveva tolto la vita a tanti altri Pilastri. Che aveva distrutto il corpo di un uomo quella stessa notte.

La Terza Luna Crescente aprì bocca per rispondere, pur non sapendo come dare voce ai suoi pensieri e sensazioni.

«Quello… è sangue?»

Il demone abbassò lo sguardo sui suoi pantaloni trovandoli sporchi. Fece un’altra smorfia ma annuì lentamente. Non sapeva neanche cosa dire a Kyojuro. Avrebbe fatto meglio a non presentarsi quella notte, a evitare di andare a vederlo… ma non aveva nessun altro posto dove andare, e i suoi pensieri gli avevano impedito di stare solo.

«Di chi è?» chiese il Pilastro della Fiamma con tono calmo, ma era palese che ci fosse tensione nella sua voce.

«Di una donna… e di un uomo… che ho ucciso,» rispose piano Akaza, sentendo Kyojuro irrigidirsi per la sua risposta.

«Perchè?» si stava chiaramente sforzando di tenere un tono di voce basso, forse per non turbare la bambina che dormiva o gli altri abitanti della casa… o più probabilmente per non agitare se stesso.

Akaza non osò sollevare il capo, continuando a osservare i suoi pantaloni sporchi.

«Aveva ucciso quella donna…» ammise.

«E questo ti ha dato l’autorizzazione di uccidere quell’uomo? Senza un giusto processo? Senza affidarti alle autorità?»

La voce del Pilastro si era alzata un poco, venendo animata da rabbia e forse anche delusione.

Il demone annuì, stringendo le labbra.

L’ottica di Kyojuro era ovviamente umana, si fidava della legge. Ma Akaza? No, lui non credeva nelle autorità, inoltre era un demone e per secoli si era mosso in un mondo senza regole, se non quelle di Muzan.

«Meritava di morire,» riuscì però a dire e il Pilastro sospirò.

Kyojuro sembrò volersi prendere un momento di silenzio per ritrovare il controllo e Akaza attese la sua sentenza. Il Pilastro non lo avrebbe mai perdonato per ciò che aveva fatto e quella certezza iniziò a gravare sulle sue spalle.

«Non è una tua scelta,» gli fece presente Kyojuro, ritrovando la calma.

«Lui però ha scelto di uccidere quella donna, Kyojuro!» esclamò Akaza senza riuscire a trattenersi, alzando il capo per guardare in viso l’altro. «Lei è morta…»

Quella frase gli fece torcere lo stomaco. Era come se non si stesse riferendo a quella donna che aveva trovato neanche qualche ora prima, ma ad un’altra.

Era un ricordo lontano che gli sfuggiva tra le dita come l’acqua. Cercò di afferrarlo e di capire, ma più quel ricordo gli sembrava vicino, più invece si allontanava in un continuo inseguimento.

«Lei è morta…» ripeté ancora. Il familiare fischio alle orecchie lo rese sordo, il cuore di nuovo in gola.

Si guardò le mani. Erano pulite, ma le vide ugualmente sporche di sangue. Le chiuse a pugno, come per trattenere qualcosa.

“Lei è morta. Lei è morta”, continuò ad urlare nella sua testa, mentre l’impotenza e la certezza di non essere arrivato in tempo - tornato in tempo, di essere rimasto lì per salvarla - gli rendeva la gola secca.

Una voce iniziò a chiamarlo, ma la ignorò.

Non voleva sentire, non voleva ricordare. 

Cercò di concentrarsi sulla sua respirazione e di non pensare.

“Lei è morta. Lei è morta.”

Doveva calmarsi, non doveva permettere a quei sentimenti di… di fare cosa?

«Akaza!»

La voce, improvvisamente più alta di Kyojuro, lo fece sobbalzare e lo riportò al presente.

Le mani del Pilastro erano sulle sue spalle per scuoterlo. Si trovavano entrambi in ginocchio sul pavimento, e Akaza neanche si era reso conto di essere scivolato sul tatami perdendo del tutto la forza nelle gambe.

«Prendi un bel respiro…» mormorò Kyojuro senza allontanarsi. Le mani calde del Pilastro sulla sua pelle erano rassicuranti e piacevoli, e il demone desiderò quasi di potersi aggrappare a quelle sensazioni.

Annuì incerto, sussultando ancora quando alle spalle di Kyojuro la bambina iniziò improvvisamente a piangere, forse svegliata dalla voce più alta del Pilastro.

Kyojuro gli lasciò le spalle qualche attimo dopo - Akaza ne avvertì subito la mancanza - e si spostò verso la bambina per prenderla in braccio e cullarla.

La Luna Crescente rimase ferma sulla sua posizione. Osservando il Pilastro con gli occhi sgranati, ancora troppo sorpreso per quanto fosse degenerata quella situazione e dalle sensazioni che avevano attraversato il suo intero corpo.

Kyojuro si riavvicinò a lui. Aveva un'espressione combattuta oltre che preoccupata.

«Sei più calmo?» gli chiese.

«Sì…» riuscì a mormorare Akaza in risposta, irrigidendosi quando Kyojuro, inginocchiandosi di nuovo davanti a lui, gli piazzò la bambina tra le braccia. «Cosa?» la tenne subito con sicurezza, sorreggendole la testa e tenendola vicino al petto.

«Non le farai del male, lo so,» spiegò il Pilastro tremendamente serio. «Hai bisogno di… questo contatto con la realtà credo, e penso che tenerla ti aiuterà a ritrovare l’equilibrio, quindi cerca di farla addormentare.»

Akaza boccheggiò, mentre tutta la tensione gli scivolò via dalle spalle come se non fosse mai esistita, lasciando spazio a uno strano calore.

«Ti fidi… davvero così tanto di me da… lasciarmela tenere in braccio?»

Le labbra del Pilastro si piegarono in un sorriso quasi enigmatico.

«Strano ma… ,» rispose, proseguendo poi con tono sempre calmo e serio, ma non disgustato o arrabbiato. «Non sono… felice per ciò che mi hai detto poco fa, non mi piace che delle persone vengano uccise. Anche se si tratta di criminali… ma comprendo che c’è qualcosa che ti turba quando si creano determinate situazioni, come quella che ti ha portato a salvare questa bambina.»

«Non so cosa sia…» ammise Akaza, cullando la piccola che lentamente iniziò per davvero a calmarsi, come se il restare in braccio a qualcuno la tranquillizzasse.

«Va bene così,» lo rassicurò Kyojuro. «Per ora mi va bene che tu… stia calmo e che non cerchi di uccidere nessuno qui… anche se mi piacerebbe poterti chiedere di non uccidere nessuno in generale,» ammise poi con una smorfia. La rabbia, insieme alla delusione, erano ancora presenti nelle sue parole e nei gesti.

«Lo farò

L’occhio del Pilastro si sgranò per quell’affermazione, e Akaza abbassò lo sguardo sulla bambina. Non era certo di cosa lo avesse portato a pronunciare quelle parole senza neanche pensarci due volte.

L'atto di fiducia di Kyojuro e il calore che stava provando, insieme a quella sensazione di familiarità, erano un qualcosa della quale Akaza non si era mai reso conto di sentirne la mancanza.

«Cercherò di non uccidere. Non dovrebbe essere difficile. Come… come ti ho detto, preferisco allenarmi al divorare qualcuno, perché voglio che la forza sia solo mia e non derivata dal sangue che mi scorre nelle vene… e tenterò di mantenere la calma nelle altre occasioni,» dichiarò senza guardare il Pilastro, cercando di convincere non solo Kyojuro ma anche se stesso. «Spero basti per… ripagarti della tua fiducia e di tutto questo…»

«Ti… ti ringrazio, Akaza,» mormorò il Pilastro della Fiamma. Il suo tono era davvero grato oltre che sorpreso, e Akaza non poté non sentirsi pronto a fare di tutto pur di mantenere quella sorta di promessa.

“Non la infrangerò come tutte le altre,” si ritrovò a pensare.

 

..••°°°°••..

 

Kyojuro era nervoso.

Ormai erano trascorsi quasi due mesi - sette settimane, per la precisione - da quando aveva accolto la bambina nella sua casa e, indirettamente, anche la Terza Luna Crescente… e in tutto quel tempo aveva tenuto la presenza della prima - e di conseguenza anche del secondo - gelosamente celata agli altri Pilastri e anche agli Ubuyashiki.

Rengoku temeva le loro reazioni e le domande inopportune, ma sapeva suo malgrado di non poter evitare a lungo la rivelazione, soprattutto quando Kanroji si presentò a casa sua, con dei dolcetti che aveva sicuramente fatto con le sue mani e un ampio sorriso sulle labbra.

Non era la prima volta che andava a trovarlo, e sicuramente non sarebbe stata neanche l’ultima, ma Kyojuro non poté non sentire un vago senso di intrusione che lo portò quasi a desiderare di nascondere la bambina agli sguardi estranei… come se la sua ex allieva potesse intuire il suo rapporto con Akaza e portargli via la piccola.

Per fortuna quegli assurdi pensieri svanirono subito, perché gli bastò chiacchierare per qualche minuto con Mitsuri per rilassarsi.

Kanroji era sicuramente una delle persone più dolci e altruiste che Rengoku avesse mai avuto l'onore di conoscere, e sapeva per certo che non avrebbe fatto alcun male alla piccola.

Infatti sorrise subito, senza alcun ombra o timore, quando il Pilastro dell'Amore emise un versetto adorante alla vista di Senjuro con in braccio la bambina - l'aveva appena lavata e la stanza si riempì subito con il delicato profumo dei sali che utilizzavano per pulirla.

«Lei è… la bambina che ti hanno affidato?» domandò Mitsuri con le mani al volto e le guance più rosse - era chiaro che Tanjiro e gli altri le avessero parlato della bambina.

Senjuro, sorrise imbarazzato e un po’ nervoso, e fu Kyojuro a dare una risposta.

«Sì, è proprio lei. L’hanno abbandonata quasi due mesi fa,» spiegò brevemente.

«Oh povera… quindi ve ne state prendendo cura voi? Da soli?» chiese preoccupata Kanroji.

Rengoku assentì.

«All’inizio ci ha aiutato la nipote di Hajime-san, il medico che vive qui in zona… ma al momento siamo noi ad occuparcene,» spiegò Senjuro con una piccola nota di orgoglio nella voce.

“E da qualche notte anche Akaza sta iniziando a prendersene cura,” aggiunse mentalmente Rengoku, non riuscendo a non sorridere nel pensare al demone.

In quell’ultima settimana tutto sembrava essere cambiato tra Kyojuro e la Luna Crescente, tant’è che il Pilastro aveva iniziato a sentire uno strano calore alla bocca dello stomaco quando rivolgeva i suoi pensieri al demone - Akaza, ormai aveva iniziato a chiamarlo per nome, e gli era sembrata per davvero la cosa più naturale da fare.

Akaza era tremendamente bravo con la bambina, cosa che lasciava davvero perplesso Kyojuro.

Solo la notte prima, la bambina si era sporcata talmente tanto che era stato necessario farle un bagnetto fuori orario per poi rivestirla di tutto punto, e Akaza era lo aveva raggiunto proprio in quel delicato momento.

Inizialmente il demone aveva preso un po’ in giro Kyojuro con un “Non si fa così, stai mettendo il panno nel modo sbagliato!”, e neanche qualche minuto dopo era stato proprio Akaza a muoversi per cambiarla con estrema sicurezza e tranquillità. Il tutto sotto lo sguardo incredulo del Pilastro.

Di certo non era quello ciò che Rengoku si era aspettato di vedere quando aveva risposto a tono con un: “Se sei così bravo, allora fallo tu!”

Era come se il demone si fosse già preso cura di qualcuno, come se sapesse come essere delicato anche con un corpicino così minuto e fragile.

Certo, Kyojuro aveva scorto del timore nello sguardo e nei gesti di Akaza, ma al tempo stesso lo aveva visto muoversi in modo molto meno impacciato del suo.

«E… non avete pensato a… qualche altra struttura o famiglia? Non è… pesante per voi?» domandò ancora Mitsuri, avvicinandosi però a Senjuro per giocare con i piedini della bambina.

«Non è così pesante,» rispose Senjuro. «Ma non abbiamo ancora ritrovato chi l'ha abbandonata…»

Lo stomaco di Kyojuro si strinse un po' a causa delle menzogne, seppur a fin di bene.

Suo fratello pensava ancora che lui stesse cercando chi l'aveva abbandonata, quando in realtà non aveva mosso un dito per quella ricerca… anche perché era già in contatto con chi aveva portato la bambina in quella casa e sapeva benissimo che non c'era nessuna famiglia, a parte la loro, per lei.

Non erano più tornati sul discorso dell'affidamento, forse per Senjuro era complicato affrontarlo, ma era sempre più chiaro che nessuno dei due volesse abbandonarla o affidarla a un'altra famiglia.

«Volete cercare di aiutare la sua famiglia, vero?» domandò ammirata e quasi commossa Kanroji.

«Certo! Se posso intendo aiutare chi me l’ha affidata!» rispose automaticamente Kyojuro, rendendosi subito conto che più che una mezza verità, quella era la realtà, e la cosa lo spiazzò non poco.

Voleva aiutare Akaza?

Non credeva che il demone avesse bisogno di qualche aiuto né di essere protetto, ma dopo il crollo emotivo al quale aveva assistito… Kyojuro aveva i suoi dubbi.

Forse aveva davvero bisogno di qualcuno.

Akaza gli era apparso sconvolto e distrutto quando era entrato nella sua stanza. Braccato da dei fantasmi, lontani e crudeli.

Rengoku non poteva negare di aver provato un’ondata di giustizia nel sapere che Akaza aveva vendicato la morte di una donna innocente uccidendo il suo assassino… ma dall’altra parte l'uomo che il demone aveva ucciso era un criminale che andava giudicato dalla legge prima di venire giustiziato.

Doveva essere un giudice a decretarne la sentenza e non un demone o un qualsiasi altro cittadino… ma meritava la morte.

Per quel motivo Kyojuro si sentiva meno incline all'ira e al lutto nei confronti di quell'uomo, cosa che in ogni caso era passata in secondo piano quando si era reso conto di quanto quell'evento avesse ferito il demone.

Lo aveva visto sbiancare e scivolare in ginocchio, il respiro farsi veloce mentre dalle sue labbra uscivano solo tre parole ripetute all’infinito, come se fosse in preda a una folle agonia: “Lei è morta.”

Rengoku era certo che la Luna Crescente non si stesse riferendo alla donna che aveva trovato, ma a qualcun’altro che, probabilmente, il demone aveva perso in passato.

Una ferita mai cicatrizzata, nascosta dietro quella piaga demoniaca.

L’atteggiamento di Akaza lo aveva preoccupato, tanto da averlo portato ad accantonare ogni pensiero e dubbio. Ad abbassare del tutto le sue difese per poter cercare di supportare quel demone che era diventato, suo malgrado, parte della sua esistenza.

«Ti aiuterò!» si propose subito Kanroji, i suoi grandi occhi verdi erano carichi di speranza e di buona volontà. «So cavarmela con i bambini!» aggiunse e Kyojuro portò di nuovo su di lei tutte le sue attenzioni.

Rengoku non poté non pensare al fatto che il Pilastro dell’Amore avesse dei fratellini piccoli e per quello sarebbe sicuramente stata più che in grado di dare loro una mano… e che la bambina si sarebbe trovata bene in un ambiente familiare come quello della famiglia di Kanroji.

Se Mitsuri si fosse trovata nella sua stessa situazione, avrebbe sicuramente accolto volentieri la piccola, e sapeva che la sua famiglia era davvero buona e gentile, non le avrebbero fatto mancare nulla… ma Kyojuro non voleva neanche pensare di separarsi da lei. Infatti accantonò quel pensiero nell’esatto istante nel quale era stato formulato.

«Ti ringrazio,» rispose con un sorriso. «Ogni aiuto è ben gradito!»

Senjuro ridacchiò nel sentirlo pronunciare quelle parole, permettendo al tempo stesso a Mitsuri di prendere in braccio la bambina, che sembrava particolarmente incuriosita dalla nuova arrivata.

«Soprattutto quando devi cambiarla,» insinuò furbo Senjuro, strappando una risata a Kanroji.

«Sto imparando!» si difese divertito Rengoku, occhieggiando però Mitsuri come per assicurarsi che la piccolina stesse realmente bene.

La bambina parlottava come al suo solito, e tendeva le manine verso l'alto per poter toccare il viso del Pilastro dell'Amore. Cosa che, ovviamente, non le venne negata.

«Non è difficile, ma serve pratica,» riuscì a commentare la giovane donna, dando dei bacini alle manine tese della bambina. «Non mi avete ancora detto come si chiama,» aggiunse poi, confusa per quel dettaglio mancante.

«Non ha ancora un nome,» svelò Senjuro, lanciando un’occhiata a suo fratello che ridacchiò quasi imbarazzato.

«Dobbiamo trovarne uno adatto. Ho pensato a Minako, che ne dite?»

Mitsuri divenne per un momento seria dopo quello scambio di battute e Kyojuro pensò che avesse colto qualcosa in più, qualcosa che lui stava cercando di nascondere, ma dallo sguardo che poi gli rivolse - compassionevole e un poco triste -, Rengoku comprese che la giovane donna aveva probabilmente sviluppato gli stessi dubbi di Senjuro.

«Minako è molto bello,» commentò il Pilastro dell’Amore, decidendo fortunatamente di non indagare oltre, e forse per non appesantire l’atmosfera decide di parlare del giovane Kamado e dei suoi amici, e di come stessero andando i loro allenamenti e le missioni.

Trascorsero il pomeriggio in quel modo, parlando e giocando con la bambina, e quando Mitsuri lasciò la casa dei Rengoku poco prima di cena, Kyojuro non poté fare a meno di pensare a ciò che lo avrebbe aspettato in futuro.

I suoi esercizi con la respirazione procedevano bene - riusciva di nuovo a mantenere la concentrazione anche per tutta la notte -, e attendeva con ansia che Kocho gli desse l’autorizzazione per riprendere gli allenamenti veri e propri. Nonostante la bambina gli desse molto da fare, sentiva la mancanza dell’allenamento costante al quale era abituato a sottoporsi… anche se doveva ammettere che l’idea di vedere il Pilastro degli Insetti - o gli altri Pilastri - non lo entusiasmava. Forse, si disse, non voleva che altre persone scoprissero della bambina.

Poche persone erano al corrente di quella situazione, ed era pressoché certo che a quel punto ci avrebbe pensato Mitsuri a raccontarlo agli altri Pilastri quando li avrebbe incontrati.

Kyojuro era sinceramente preoccupato: detestava più di ogni altra cosa mentire e nascondere la verità in quel modo… ma, d’altro canto, nessuno si stava facendo male, e Akaza si era rivelato una compagnia piacevole.

Certo, rimaneva il problema che fosse un demone - e una Luna Crescente -, ma avevano già accettato Nezuko…

Kyojuro scosse il capo, allontanando quel pensiero sciocco e irrealizzabile.

Akaza non poteva essere paragonato a Nezuko in nessun modo, e lui non poteva aver seriamente pensato che, fin quando il demone prometteva di non uccidere nessuno, allora potesse essere tutto perdonabile.

Era un’assurdità.

Ciononostante, quando quella notte Akaza lo raggiunse, non poté fare a meno di pensare che sarebbe stato tutto più facile se la Terza Luna Crescente fosse stato come Nezuko.

 

..••°°°°••..

 

Akaza si era reso conto di un qualcosa di diverso nella casa di Kyojuro sin da quando vi aveva messo piede.

Prima di tutto lo sguardo che il Pilastro gli aveva rivolto era… strano. Non aveva avvertito nessun sentimento negativo provenire da Kyojuro ma nel suo occhio aveva scorto tristezza e speranza, emozioni che non riusciva del tutto a comprendere.

In secondo luogo c'era stato l'odore. Akaza era molto sensibile ai profumi, ed era talmente abituato all'ambiente interno della casa dei Rengoku che gli era sembrato impossibile non avvertire una lieve fragranza di fiori.

Era un profumo dolce e anche piacevole, femminile… e che non apparteneva a quel luogo.

Kyojuro poteva aver avuto dei visitatori, e quello di per sé non era un problema, ma quando Akaza prese in braccio la bambina - un gesto che in una sola settimana era diventato quasi spontaneo per lui -, e sentì quello stesso profumo anche addosso alla piccola… non poté fare a meno di vederla come una minaccia.

«Che cosa è successo?» domandò subito, stringendo a sé la bambina.

La sua reazione fece sgranare l'occhio del Pilastro, sorpreso ma non agitato.

«Cosa?»

«L'odore di fiori! Chi è venuto qui? Chi ha toccato la bambina!»

Kyojuro si mostrò per un momento confuso poi si concesse un sorriso che, in parte, riuscì a placare Akaza - ancora non capiva come fosse capace di calmarlo solo piegando le labbra in quel modo.

«Non preoccuparti,» esordì subito.

«Non sono preoccupato!»

Le sopracciglia del Pilastro si alzarono e Akaza avrebbe voluto ripetere una seconda volta di non essere preoccupato, ma non era certo che sarebbe riuscito ad apparire convincente.

«Non ti facevo così geloso e protettivo. Comunque, è venuta a trovarci un'amica. Una vecchia allieva, il profumo che senti è il suo,» spiegò Kyojuro e Akaza ascoltò attentamente quelle parole.

«Allieva?» ripeté.

«Esattamente! L'ho allenata nella Respirazione del Fuoco qualche anno fa, Kanroji è un prodigio. In soli sei mesi ha completato l'allenamento e anche la prova per diventare un Ammazza Demoni. Ha creato la sua personale Respirazione ed è un Pilastro! Non è grandiosa?» esclamò Kyojuro, incapace di nascondere il suo orgoglio e la felicità.

Tuttavia Akaza non fu in grado di gioire realmente con lui, perché la presenza di un altro Ammazza Demoni - un Pilastro - in quella casa lo mise subito in allarme.

Fisicamente sapeva di poter eguagliare chiunque, e che neanche un altro Pilastro sarebbe riuscito a mettersi contro di lui… ma quelle convinzioni non gli impedirono di temere per la bambina.

L'avrebbero portata via? Gli avrebbero impedito di vederla?

E cosa sarebbe successo a Kyojuro?

«Akaza?»

Il demone sobbalzò, e puntò gli occhi su quello del Pilastro.

«Perché… era qui? Che cosa voleva?»

«Kanroji è solamente venuta a trovare me e Senjuro,» lo rassicurò Kyojuro facendosi più serio, forse aveva notato il suo improvviso disagio.

Quelle parole però non aiutarono Akaza ad abbassare la guardia. Si sentiva quasi minacciato, ma al tempo stesso sapeva di non poter agire come era solito fare, con violenza e con i pugni chiusi.

«Non voglio che altre persone abbiano a che fare con la bambina…» riuscì a dire, irrigidendosi non poco quando Kyojuro si avvicinò ulteriormente a lui.

«Nessuno la porterà via. Dovranno passare prima sul mio corpo,» dichiarò con tono sicuro e rassicurante. «E Kanroji è una cara amica, non farebbe mai del male alla bambina.»

«Questo lo so!» ribatté Akaza, riuscendo infine a elaborare alcuni dei suoi timori in una frase. «Ma quanti dei tuoi amici mi permetterebbero di vederla ancora?»

Era complicato parlare, ma alle volte con Kyojuro diventava quasi semplice.

Il Pilastro strinse le labbra, incapace di rispondere subito a quella domanda, cosa che permise al demone di riprendere la parola.

«So che quelli come te, si farebbero in quattro per lei,» precisò. «Ma gli altri cercherebbero di tagliarmi la testa, e sarei costretto ad ucciderli, perché non mi permetterebbero di vedere la bambina. Inoltre farebbero del male a te, per aver nascosto e fraternizzato un demone.»

Kyojuro lo ascoltò serio, sedendosi per terra ed invitandolo a fare lo stesso. Akaza lo imitò dopo un momento di incertezza.

«Non posso negare di avere i tuoi stessi timori,» ammise, nascondendo a fatica quella che Akaza interpretò come tristezza. «So quali sarebbero le conseguenze, e non credo di essere realmente pronto ad affrontarle, così come so che anche tu sei in pericolo. Se, scioccamente, penso di poter convincere Oyakata-sama ad ascoltare le mie ragioni… non credo che Kibutsuji Muzan possa essere incline all'ascolto.»

Akaza decise di non rispondere a quell'affermazione perché aveva già pensato più volte a cosa sarebbe potuto succedere, e l'unica soluzione che aveva trovato era la sua scomparsa dalla vita di Kyojuro e di quella bambina.

Solo in quel modo avrebbe protetto entrambi… ma era così difficile pensare di abbandonarli. Era certo che sarebbe riuscito a farlo nel caso di un pericolo immediato, ma dall'altra parte temporeggiava e continuava a ripetersi "Ancora un giorno, ancora un po' di tempo", perché non voleva perdere ciò che aveva conquistato in quelle settimane.

«Quindi che facciamo?» domandò infine, e Kyojuro gli rivolse un piccolo sorriso.

«Direi di aspettare,» rispose il Pilastro per poi assumere un tono più scherzoso e leggero, come se volesse lasciarsi alle spalle quei pensieri. «Inoltre devi cambiare la bambina! E dirmi se ti piace di più Minako o Momoka

Akaza trovò impossibile non sorridere, sentendosi pronto a lasciare alle spalle quel momento di timore e incertezza che, in qualche modo, lo aveva fatto sentire molto più vicino a Kyojuro.

 

..••°°°°••..

 

«Maemi è molto carino,» commentò Kyojuro scribacchiando su un foglio i kanji per formare il nome che aveva appena pensato. «E anche Chihiro, che ne pensi Senjuro?»

Il ragazzino ridacchiò brevemente.

«Penso che domani mattina non ti piaceranno più perché di notte avrai chissà quale illuminazione che ti farà cambiare idea,» commentò, chiudendo il libro che stava leggendo - riguardava l’erbologia ed era uno dei tomi che Kocho gli aveva inviato.

Rengoku sbuffò ma non perse il sorriso, cercando come era ormai abituato a fare di nascondere il vero motivo del suo continuo cambiare nome alla bambina.

«Deve starle bene. E nessuno per ora mi sembra realmente adatto,» disse, tracciando poi un altro kanji sul foglio - Anzu era carino, poteva scriverlo con lo stesso kanji del suo nome.

«Potresti…» esordì il ragazzino, prendendo in braccio la bambina che aveva iniziato a frignare un poco - alle volte lo faceva solo per essere presa in braccio.

«Potrei?» lo incoraggiò Kyojuro, alzando lo sguardo dal foglio.

«Pensare a un nome che suoni bene con… Rengoku…» le guance di Senjuro si erano colorate di rosso e quasi istintivamente sembrò cercare di nascondersi dietro la bambina. «Intendo… se vogliamo… ne abbiamo parlato, no?»

Il Pilastro posò la penna e strinse le labbra. Era vero, ne avevano parlato qualche settimana prima, ma alla fine non erano più tornati su quell’argomento… ma era chiaro che Senjuro ci tenesse particolarmente, e lo stesso Kyojuro sentiva di doverlo fare. Non tanto per chissà quale obbligo morale ma perché sapeva a prescindere di non volersi separare da quella bambina.

«Hai ragione,» ammise. «Siamo entrambi d’accordo con il fatto che vogliamo essere noi a prenderci cura di lei, alla fine… è quello che stiamo già facendo.»

Senjuro annuì.

«E quando riprenderai con le missioni, me ne occuperò io!» aggiunse, rendendosi subito disponibile senza la minima esitazione. «E quando andrò a studiare alla Casa delle Farfalle, la porterò con me. Potrà stare all’aria aperta e la terrei sempre d’occhio!»

«Non voglio però che tu ti prenda anche queste responsabilità,» gli fece presente Kyojuro. «Non sto dicendo che non voglia tenere la bambina, anzi, la sola idea di lasciarla mi riempie di ansie… ma non devi essere tu a prenderti questa responsabilità.»

«Per me non sarebbe di nessun peso. Sarebbe come avere una sorellina, così come tu ti sei occupato di me!»

Il Pilastro mise subito a tacere i pensieri che spesso lo portavano a pensare di non aver fatto del suo meglio nel crescere suo fratello, e cercò di analizzare come meglio poteva la situazione.

Per quanto gli costasse ammetterlo, non avrebbe preso parte a missioni realmente impegnative per ancora qualche mese. Se dall’esterno il suo corpo sembrava per lo più guarito, le ferite interne che aveva subito e la perdita dell’occhio erano sicuramente lo scoglio maggiore da superare per il suo reintegro come Pilastro della Fiamma.

Gli esercizi di respirazione lo stavano aiutando, ma doveva sicuramente intraprendere un percorso di riabilitazione fisica che non sarebbe stato facile - combattere con un occhio solo non era impossibile, ma abituarsi a farlo sarebbe stata una vera e propria sfida.

Di conseguenza la sua presenza a casa non sarebbe stata saltuaria come tante altre volte e di certo i pericoli sarebbero stati minori… sempre se non si fosse scontrato con un demone simile ad Akaza.

Si sorprese nel pensare di voler evitare il più possibile simili incontri. In passato non aveva mai temuto di morire, non aveva mai valutato la sua vita così importante da preferirla a quella delle persone che poteva salvare con il suo sacrificio… ma quei mesi di riposo forzato, la familiarità che aveva riconquistato nel passare tutto quel tempo con suo fratello, la presenza della bambina e anche quella di Akaza, lo avevano cambiato.

Anche se, senza ombra di dubbio, si sarebbe sacrificato ancora se fosse stato necessario per proteggere un innocente.

Sospirò. Quei pensieri tuttavia non stavano rispondendo alla domanda riguardante il futuro della bambina.

Che cosa voleva fare?

La risposta gli sembrò naturale.

«Cercherò un nome che suoni bene con il cognome Rengoku,» ammise alla fine, osservando il viso di Senjuro illuminarsi. «E temo che dovrai essere lo zio e non il fratello della bambina,» ironizzò poi cercando di affrontare quel dettaglio con più leggerezza.

«Perchè?»

Kyojuro si grattò la nuca.

«Perché dovrò dare le mie generalità per adottarla ufficialmente,» spiegò guardando suo fratello in modo più che eloquente.

Non avevano più parlato di Shinjuro, anche se avrebbero dovuto, ed era comunque chiaro che se mai avessero voluto riconoscere la bambina come una Rengoku, l’intenzione sarebbe dovuta venire da loro e non da loro padre.

Senjuro si rabbuiò un poco ma non sembrò realmente infastidito da quella situazione che invece per Kyojuro sembrava molto più importante di quanto volesse ammettere.

«Per me saresti un ottimo padre,» dichiarò infatti il ragazzino.

“Non ne sono certo,” pensò istintivamente il maggiore, ma tenne per sé quella considerazione che portava con sé tutti quei dubbi, le paure e le incognite che lo bloccavano ogni volta che pensava ad avere degli eredi - che fossero di sangue o semplici tsuguko.

«Fratello, non hai nulla per cui colpevolizzarti,» riprese Senjuro, forse intuendo i pensieri di Kyojuro… o forse li aveva sempre avvertiti ma non aveva mai cercato di affrontarli per rispettare il silenzio che il maggiore faceva calare su quell’argomento. «Hai fatto del tuo meglio e anche di più, non metterlo mai in dubbio. Sarai un padre fantastico per la bambina.»

Rengoku sentì il cuore mancargli un battito per l’affetto e la fiducia incondizionata di Senjuro. Avrebbe voluto credergli ciecamente, aggrapparsi a quelle parole e lasciare alle sue spalle ogni singolo accenno di negatività… ma non era così facile.

In quel momento sentiva quasi di averne la forza, infatti sorrise per ringraziare suo fratello, ma quello era solo un castello di carta: pronto a crollare al primo alito di vento.

«Allora… torniamo ai nomi. Sicuramente Maemi Rengoku e Chihiro Rengoku non mi piacciono come suonano. Ma Izumi Rengoku ha un bel suono!» esclamò facendo ridacchiare Senjuro.

«Anche Kotone Rengoku non è male,» aggiunse il ragazzino, rivolgendosi poi direttamente alla bambina come in genere era solito fare Kyojuro. «Che ne dici? Ti piace Kotone? O preferisci Ayame Rengoku

La bambina iniziò a parlottare come il suo solito, mettendo in fila altre sillabe senza senso solo per rispondere al tono giocoso di Senjuro.

Kyojuro si lasciò facilmente trascinare da quell’ilarità, prendendo a sua volta in braccio la piccola.

«Avevo pensato anche ad Anzu, con lo stesso kanji del mio nome. Sarebbe un nome appropriato per mia figlia, non trovi?» 

«Tua figlia,» la voce di Shinjuro fece calare improvvisamente il silenzio nella stanza - spezzato solo dalla bambina e dai suoi “lalala”.

«Padre, forse abbiamo alzato troppo la voce,» esordì Kyojuro ignorando la tensione che gli aveva fatto irrigidire la schiena e le spalle. «Ci dispiace!»

«Così hai deciso di adottarla?» domandò l’uomo.

Il Pilastro trattenne per un momento il respiro, poi annuì cercando di sorridere.

«Ormai è qui da mesi, e non intendiamo affidarla a un’altra famiglia,» rispose, tentando di dare alla sua voce un tono risoluto.

«Cosa ti fa pensare che sarai un buon padre? La lascerai orfana non appena riprenderai in mano la tua spada. Chi non ha talento come te non dovrebbe neanche tentare di combattere. Vuoi essere un buon padre? Lascia perdere i Pilastri e i demoni.» dichiarò Shinjuro, e Kyojuro sentì quasi qualcosa spezzarsi dentro di lui.

Come sempre le parole dell’uomo l’avevano ferito più di quanto volesse ammettere, non tanto per ciò che gli era stato detto, ma per il semplice fatto che era stato proprio suo padre a pronunciarle.

Dietro le sue insicurezze, il timore di prendere degli tsuguko o cercare di avere un vero erede, vi era la paura di diventare come suo padre.

“Impossibile,” si disse. Lui e Shinjuro erano due individui completamente diversi, ma quello non gli impediva di provare un timore radicato sin nel profondo della sua anima.

Trattenne il respiro e si alzò in piedi, tenendo la bambina stretta al petto. Aveva quasi voglia di gridare contro suo padre, di sfogare tutta la sua frustrazione e renderlo partecipe del dolore e dei traumi che in tutti quegli anni aveva fatto pesare sui suoi figli.

La voce però gli rimase incastrata in gola.

«F-fratello,» lo richiamò quasi spaventato Senjuro.

«Mi ritiro per la notte,» riuscì a dichiarare. «Non fare troppo tardi Senjuro, a domani.»

Non attese risposta e si diresse a passo spedito verso la porta per superare suo padre e lasciare la stanza.

Esitò solo un momento quando lo affiancò lasciandosi sfuggire un basso «Almeno sarò un padre,» che gli fece sentire un forte nodo alla gola e che lo costrinse ad allontanarsi ancor più velocemente.

Shinjuro lo chiamò con tono che Kyojuro non riuscì a interpretare.

Voleva insultarlo ancora? Chiedergli scusa? A Rengoku non importava in quel momento.

Sentì però anche Senjuro congedarsi dal padre, forse per cercare di seguirlo, ma sembrò comunque cambiare idea all’ultimo momento e i suoi passi non lo raggiunsero.

Kyojuro lo ringraziò mentalmente per aver deciso di rispettare il suo desiderio di stare da solo.

Suo padre era rimasto solo a quel punto, e solo dopo qualche momento lo sentì sbraitare qualcosa. Poi la porta scorrevole dell’ingresso venne aperta e richiusa, segno che l’uomo aveva deciso di andare chissà dove - erano poche le attività aperte dopo il tramonto, ma in quel momento il Pilastro non voleva assolutamente pensarci.

Rengoku si chiuse in camera, iniziando a camminare avanti e indietro per tentare di calmarsi. La voglia di urlare era ancora presente ma gli sembrava quasi di avere del cotone infilato nella gola che gli impediva di parlare e quasi di respirare. Si rese presto conto che non sarebbe riuscito a calmarsi del tutto in quel modo. Aveva bisogno di sfogare le sue energie e neanche tentare di rilassarsi con i suoi esercizi di respirazione sembrò funzionare.

Era talmente raro per lui arrivare quasi a perdere il controllo da non riuscire proprio a sapere come comportarsi, ma era certo di volersi trovare lontano da quella casa in quel momento.

Emise un verso infastidito e sobbalzò quando alle sue spalle sentì lo shoji scorrere, annunciando in quel modo l’arrivo di Akaza che si mostrò particolarmente sorpreso nel vederlo così agitato.

«State bene?» domandò il demone, inclinando il capo. Era la prima volta che si interessava direttamente a Kyojuro senza apparenti doppi fini - di solito lo faceva per chiedergli quando avrebbero di nuovo combattuto.

«Sì. Non mi va di parlarne,» sbottò il Pilastro, facendo aggrottare le sopracciglia di Akaza.

«A me sembra l’esatto contrario,» rispose la Luna Crescente, sedendosi per terra in tutta tranquillità.

Kyojuro si fermò per guardarlo. Per un momento desiderò quasi chiedergli di andarsene ma ancora una volta le parole gli mancarono costringendolo a stare in silenzio e a continuare a camminare per la sua stanza fino a quando la sua tensione non fu tale da far piangere la bambina.

«Dalla a me, Kyojuro,» mormorò Akaza tendendo le braccia.

Il demone non aveva fiatato fino a quel momento ma la sua presenza, in qualche modo, stava quasi diventando rassicurante anche in quell’istante di nervosismo per il Pilastro.

Si avvicinò ad Akaza che prese la bambina tra le braccia senza aggiungere altro.

Kyojuro li guardò per qualche istante prima di riprendere a camminare. Il pianto della bambina lo accompagno per pochi minuti e quel ritrovato silenzio lo spinse ad arrestare ancora i suoi movimenti.

«Io… non voglio diventare come mio padre,» ammise all’improvviso, sputando fuori quella paura che aveva tenuta nascosta anche a suo fratello e che non era mai stato in grado di esternare a voce alta.

Akaza lo guardò come se avesse appena detto chissà quale stupidaggine.

«Tu non sarai mai come tuo padre, Kyojuro!»

«Mio padre era il mio eroe! Sono cresciuto con il desiderio di essere come lui, il Pilastro della Fiamma, un Ammazza Demoni. Cosa ti fa dire che un giorno non diventerò come lui?» insistette.

«Intendi un alcolista che neanche si rende conto del talento del figlio?» ribatté il demone. «Perché tu sei migliore di lui, ecco perché.»

Lo aveva detto come se fosse un dato di fatto, come se Akaza non potesse neanche prendere in considerazione un cambiamento così radicale. Ma Kyojuro aveva conosciuto suo padre, ed era cambiato così tanto…

L’energia che lo aveva portato a camminare avanti e indietro fino a quel momento lo abbandonò e, con le spalle curve, si costrinse seduto davanti al demone.

«Lui non era così prima… volevo essere come lui da bambino,» ripeté. «E se un giorno… cambiassi anche io?»

Akaza si accigliò ma non rimase in silenzio a lungo.

«Perché dovresti cambiare e diventare come lui?» ritorse.

Non sembrava capire il peso che Kyojuro stava portando sulle sue spalle e forse anche per quello il Pilastro stava trovando così semplice parlare con lui. I suoi amici lo avrebbero compatito forse, suo fratello si sarebbe preoccupato… ma Akaza? Lui non lo avrebbe giudicato.

Si passò una mano sul viso e senza neanche volerlo iniziò a parlare. Gli raccontò di sua madre e della sua infanzia, della persona straordinaria che era suo padre prima di lasciarsi abbattere dal lutto. Gli raccontò di come i Rengoku fossero sempre stati i Pilastri della Fiamma e di come lui non avesse mai sentito quello come un peso ma piuttosto come un sogno e al tempo stesso come una paura.

Parlò di come si sentisse in colpa nei confronti di Senjuro e di come più volte avesse pensato di essere stato lui, con i suoi allenamenti, a impedire a suo fratello di diventare un Ammazza Demoni.

Arrivò a raccontargli anche della visita di Kamado e di come avesse rifiutato di averli come tsuguko, ammettendo per la prima volta ad alta voce tutti i suoi timori.

«Sarebbe dovuto essere Senjuro il mio erede, quindi… il dovere mi impone di tramandare la Respirazione della Fiamma a qualcuno e di avere degli allievi o dei figli… ma non ho mai voluto pensarci…» ammise tenendo il capo basso. «Avrei ferito Senjuro prendendo degli altri allievi? E se invece avessi avuto dei figli? Sarei diventato come mio padre. In fondo, sono diventato un Cacciatore come lui. Il Pilastro della Fiamma come lui… so che è impossibile e sciocco, ma questo non mi ha impedito di far crescere il seme di questa paura. E forse anche per questo motivo mi sono sempre sabotato quando trovavo qualcuno disposto a diventare un mio allievo. Ho fatto scappare tanti giovani talentuosi, spaventati dal mio regime d’allenamento ed ho sempre trovato… sollievo nel rimanere di nuovo da solo.»

Si sentì quasi svuotato al termine del suo racconto e solo alzando lo sguardo si rese conto che la bambina si era addormentata tra le braccia di Akaza e che quest’ultimo lo stava guardando serio, con le sopracciglia un poco aggrottate.

Kyojuro strinse le labbra e si sforzò di sorridere, cercando di aggrapparsi alla sua solita maschera per mettere la parola fine a quel momento di confessioni - fatte alla Terza Luna Crescente, il che era ancor più assurdo.

«Mi dispiace, non volevo sfogarmi in questo modo,» dichiarò infatti, ma la sua voce suonò meno convinta di quanto avrebbe voluto.

«Kyojuro…» lo richiamò il demone, guardandolo negli occhi con un’espressione seria, come se per lui non esistesse nessun’altra verità in quel mondo. «Per quel che importa, non credo che tu diventerai mai come tuo padre… perché tu non sei lui. Tu sei Kyojuro. E… credo che sia più probabile convincerti a diventare un demone al vederti diventare come tuo padre,» aggiunse infine nel chiaro tentativo di ironizzare un poco, infatti Kyojuro non poté non ridere trovando estremamente liberatorio concedersi quella risata.

 

..••°°°°••..

 

«Pensavo…» esordì Kyojuro attirando su di sé lo sguardo di Akaza. «Homura è un bel nome. Era il nome della mia tris-nonna! È stata un Pilastro della Fiamma!»

Il demone, che fino a quel momento era intento a giocare con la bambina, assunse un’espressione pensierosa e Rengoku non poté non trattenere il respiro.

«Non è male, ma non mi piace per la bambina,» decretò infine la Luna Crescente e Kyojuro sbuffò quasi rumorosamente.

«Potresti iniziare a pensare a un nome anche tu,» gli fece presente, e Akaza abbassò lo sguardo sulla piccola che stava giocando con le perle rosse che lui portava alle caviglie.

«Non conosco nessun nome,» ammise infine il demone. «Solo quelli delle altre Lune Crescenti e dei Pilastri che ho ucciso, e non credo che tu voglia uno di quei nomi.»

«No, decisamente no,» acconsentì Rengoku per poi restare un momento in silenzio. Spesso, soprattutto in quelle ultime settimane, si era soffermato a pensare all’evoluzione del suo rapporto con Akaza.

Solo qualche giorno prima, il demone lo aveva ascoltato mentre lui si sfogava ed era addirittura riuscito a farlo ridere, facendolo sentire libero e leggero come non mai. Era stato… dolce, se così si poteva dire.

Inoltre anche Akaza sembrava sempre più a suo agio con la bambina, tant’è che pure quest’ultima sembrava essersi affezionata a lui - forse, pensò il Pilastro, non sentiva alcun pericolo provenire dal demone o addirittura ricordava, seppur inconsciamente, di essere stata salvata da lui.

Kyojuro, infatti, non poteva non trovare quella scena quasi tenera e quello, suo malgrado, lo portava a pensare al discorso che aveva affrontato con Senjuro prima dell’arrivo di loro padre: l’adozione della bambina.

Non ne aveva ancora parlato con Akaza ma era chiaro che il demone pensasse che la piccolina sarebbe rimasta lì per sempre… e così sarebbe stato, visto che era il volere sia di Kyojuro che di suo fratello.

E in qualche modo, soprattutto dopo l’aiuto che il demone gli aveva dato nell’ascoltarlo qualche giorno prima, il Pilastro voleva dare quella sorta di conferma ad Akaza, un modo per dargli un'ulteriore sicurezza.

«Ho parlato con Senjuro qualche giorno fa,» iniziò, cercando di intavolare quel discorso.

La Luna Crescente gli rivolse uno sguardo divertito.

«Non parli con tuo fratello da giorni?» ironizzò e Kyojuro sbuffò una risata. Sempre più spesso Akaza si concedeva piccole battute come quella, era davvero un cambiamento piacevole.

«Abbiamo parlato del futuro della bambina,» precisò, osservando le reazioni del demone.

Akaza aggrottò per un momento le sopracciglia, apparendo confuso e combattuto.

«Avete deciso di… darla via?» chiese la Luna Crescente..

«Akaza… non ho mai iniziato a cercare un’altra famiglia affidataria,» gli fece presente.

«Vuoi iniziare a cercarla ora?»

«Io e Senjuro ci siamo affezionati a lei, e non vogliamo che ci venga portata via. Credevo fosse ormai chiaro. Fa parte della famiglia,» rispose rendendosi però conto che, per quanto quella situazione fosse chiara per lui, lo stesso non si poteva dire per il demone che forse aveva realmente bisogno di quelle conferme, molto più di quanto Kyojuro pensasse.

«Stavamo pensando di poterla rendere una cosa ufficiale,» aggiunse infine il Pilastro.

Pur non essendo la prima volta che lo diceva a voce alta, Kyojuro non poté nascondere un brivido.

Aveva ancora paura, certo, ma quella bambina sarebbe entrata a far parte della sua famiglia. Sarebbe diventata legalmente sua figlia.

«Diventerà una Rengoku?» domandò Akaza. Un peso sembrò quasi abbandonare le sue spalle a quella notizia e stava fissando il Pilastro con uno sguardo carico di curiosità.

«Lo diventerà,» confermò Kyojuro con un sorriso che andò a riflettersi anche sul viso del demone.

«Sapevo che non l’avresti abbandonata,» mormorò la Luna Crescente.

Rengoku ridacchiò per poi rivolgergli un sorrisetto quasi furbo, libero da ogni paura e da qualsiasi dubbio.

«E per diventare una Rengoku ha bisogno di un nome, quindi smettila di fare lo schizzinoso!»

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Capitolo 7
*** 7. Must be Snow ***


As Soothing As Snow

Capitolo 7
Must be Snow


»--•--«


Mancavano poche ore all’alba e Akaza, per quanto si sarebbe dovuto già allontanare dalla casa del Pilastro della Fiamma, era rimasto seduto con la schiena contro il muro ad osservare Kyojuro e la bambina dormire pacifici sul futon.

Come sempre, nulla di quella situazione poteva essere definita ‘normale’, perché nessuna persona sana di mente si sarebbe mai addormentata in quel modo con un demone nella stessa stanza… eppure Kyojuro si era alla fine appisolato sul futon mentre parlavano, e Akaza non aveva potuto far altro se non coprirlo e sperare che non si svegliasse.

Lo aveva osservato a lungo, studiandone i tratti rilassati e calmi nel sonno. La forma del naso e delle labbra, come le ciglia si posavano sulle guance e anche la cicatrice sull’occhio che gli sfigurava il volto fiero.

Kyojuro era bello.

Akaza non era un esperto di bellezza maschile, in realtà non era neanche così interessato ai canoni di bellezza umana che fossero maschili o femminili, ma sentiva di poter affermare con assoluta certezza che Kyojuro fosse stupendo.

Lo aveva già pensato nel guardare il suo spirito combattivo e lo stile di combattimento. Lo pensava riguardo alla sua personalità, calda e accogliente… e in quel momento stava rivolgendo i suoi pensieri a un mero valore fisico.

Gli piaceva la forma a cuore del volto del Pilastro e aveva iniziato a trovare irresistibile il modo nel quale arricciava le labbra, piene e all’apparenza morbide, quando rideva. Per non parlare poi del suono della sua risata.

Akaza sapeva che quello era l’ennesimo problema che avrebbe dovuto affrontare nel prossimo futuro, ma quello non gli impedì di restare in quella stanza anche quando sarebbe dovuto scappare via e… e comportarsi come gli altri demoni. Comportarsi come gli aveva ordinato Muzan.

Doveva, ma non voleva. Perché quella sensazione di accettazione e familiarità sembrava quasi alimentare in lui dei bisogni talmente profondi da sembrare radicati in quel passato che non ricordava.

Non che il suo passato avesse chissà quale importanza, ma alle volte il fugace pensiero di aver avuto una famiglia con qualcuno - o di aver fatto parte di una famiglia - gli faceva provare un sentimento sia di felicità che di amarezza.

Sospirò e si passò una mano sul viso come per allontanare quei pensieri, riuscendoci solo perché in quell’istante la bambina scoppiò a piangere, svegliando Kyojuro e facendogli emettere un basso lamento mentre nascondeva la faccia contro il cuscino.

«Kyojuro, la bambina sta piangendo,» gli fece presente Akaza per rendere palese la sua presenza.

Il Pilastro alzò il capo per guardarlo assonnato, poi crollò di nuovo contro il cuscino. Alzò un braccio e gli fece un vago cenno con la mano… non sembrava preoccupato dalla sua presenza a quell’ora così tarda.

«Prima dell’alba è una tua responsabilità…» bofonchiò Kyojuro, strappando una bassa risata al demone che, muovendosi rapido e silenzioso, prese subito in braccio la bambina per farla calmare.

La cullò fino a farla addormentare, rendendosi conto che poteva realmente abituarsi a quella vita e che voleva proteggerla ad ogni costo.

Non aveva un significato apparente, ma Akaza aveva sempre pensato che le sue promesse non valessero niente, che fossero solo parole lasciate al vento, ma da quando aveva conosciuto Kyojuro quella sua convinzione si era persa.

Aveva promesso, più o meno, di non ferire nessuno in quella casa e lo aveva fatto.

Aveva promesso di non uccidere più guidato dalla rabbia e dalla sete di vendetta, e ci stava riuscendo.

Poteva quindi permettersi un’altra promessa?

Strinse le labbra, poi sorrise ancora una volta.

“Prometto che nessuno vi farà mai del male. Sarò abbastanza forte per entrambi, lo prometto,” pensò, lasciando che fosse il suo animo ad accogliere quell’ultima promessa che sembrava essere la più importante di tutte.

 

..••°°°°••..

 

Non appena il sole era calato, Akaza aveva abbandonato il suo rifugio per prendere la strada verso la dimora dei Rengoku.

Sentiva i muscoli del viso tirare in quello che era certo fosse un sorriso. Non si sentì tanto sorpreso, in quegli ultimi tempi aveva spesso sentito le sue labbra piegarsi verso l’alto e notte dopo notte gli era sembrato sempre più naturale.

Continuava a farsi delle domande  - immancabili ed estremamente fastidiose -, ma puntualmente più la casa di Kyojuro si avvicinava, meno quei quesiti diventavano importanti. Infatti gli bastò aprire lo shoji per sentire ogni peso abbandonare le sue spalle e rivolgere un sorriso ancor più ampio al Pilastro.

«Kyojuro~»

Il Pilastro era semi disteso sul suo futon, intento a leggere un libro, e all’ingresso del demone si esibì a sua volta in un sorriso.

«Benvenuto,» lo accolse, chiudendo il suo libro e sollevandosi dal futon - sempre per quella sua sciocca fissazione con l’ospitalità e l’educazione che gli imponevano di alzarsi quando entrava un ospite, Akaza lo trovava stupido ma dall’altra parte anche interessante e divertente.

La Luna Crescente chiuse lo shoji alle sue spalle e si accigliò nel rendersi conto che, pur avvertendo il profumo di fiori della bambina e la sua presenza nella casa, questa non era lì presente con il Pilastro. Era strano e non poté non aggrottare le sopracciglia.

«La piccola Tsubaki è con Senjuro,» si affrettò a dirgli Kyojuro, forse notando subito il suo disappunto. «Si sono addormentati insieme… e non volevo disturbarli.»

Akaza annuì, mostrandosi sollevato da quella risposta.

«Sta bene?» chiese e Kyojuro annuì con un sorriso dolce che fece provare al demone un ulteriore e piacevole senso di sollievo… che tuttavia si spense quasi all’istante.

Erano soli.

Era la prima volta che Akaza si trovava all'interno della camera di Kyojuro senza la bambina, e per quanto il suo rapporto con il Pilastro fosse 'amichevole' - soprattutto dopo che Kyojuro si era mostrato vulnerabile ai suoi occhi parlandogli della sua famiglia -, l'assenza della piccola lo metteva in una strana posizione.

Non poteva negare di sentirsi a disagio e di vedere la sua presenza in quel luogo come ‘non necessaria’. Si mosse nervoso sul posto, poi rivolse lo sguardo verso lo shoji alle sue spalle, trovando come sempre in quella porta scorrevole una via di fuga.

«Forse allora è meglio che vada,» mormorò. Gli sembrava la cosa più giusta da fare, anche se gli sarebbe piaciuto trattenersi come le notti precedenti. Mosse un passo verso lo shoji ma la voce del Pilastro lo bloccò.

«Akaza! Aspetta! Non… mi disturba se resti,» esclamò Kyojuro, mostrandosi poi sorpreso dalle sue stesse parole. Anche Akaza si mostrò spiazzato da quell'invito ma non poté fare a meno di muovere il capo in un cenno affermativo.

Quella situazione era tremendamente strana, ma non per quello la trovò meno piacevole. Era talmente abituato alla presenza della bambina da trovare anomala la sua assenza, ma dall'altra parte sentiva di desiderare ardentemente stare con Kyojuro.

«Non pensavo ti piacesse così tanto la mia compagnia,» insinuò il demone a quel punto, forse per allontanare quei pensieri. Trovando più facile stuzzicare Kyojuro all'ammettere che lui stesso trovava piacevole trovarsi lì con o senza la bambina.

Tuttavia il Pilastro non sembrò voler cadere in trappola e gli rivolse un sorriso tra l'imbarazzato e il furbo.

«Credevo si fosse già capito,» commentò onesto e con un leggero accenno di disagio che gli fece colorare le guance di rosso. «Non ho tante occasioni per… parlare con qualcuno al di fuori della mia famiglia o del corpo degli Ammazza Demoni.»

Akaza si accigliò un poco nell'ottenere quell'informazione. Anche dopo aver ascoltato lo sfogo del Pilastro continuava a trovare strano il fatto che una persona luminosa e piena di talento come Kyojuro… non avesse tanti amici. Era impossibile non venire catturati dal suo aspetto e dalla sua personalità, Akaza stesso non era stato in grado di nascondere il suo interesse nei confronti del Pilastro.

Gli sembrava impossibile da accettare, ed era ancor più complicato leggere tra le righe di quell'affermazione. Kyojuro lo stava invitando a restare perché… si sentiva solo? Perché lo reputava un amico? Che cosa significava tutto quello?

Le risposte a quelle domande sembravano tanto semplici quanto complesse, e Akaza desiderò ardentemente riuscire sia a comprenderle che ad accettarle… ma alla fine si rivelò più facile lasciar scivolare via quelle informazioni e cercare di non darvi troppo peso.

Era la cosa migliore da fare per entrambi.

Sorrise e, allontanandosi definitivamente dallo shoji, assunse una posizione più rilassata.

«Quindi cosa proponi di fare? E comunque… Tsubaki? Serio? Non mi piace,» aggiunse, ridacchiando nel vedere il Pilastro alzare letteralmente l'occhio al cielo.

«Incontentabile,» si lamentò. «Possiamo parlare come sempre o… giocare a qualcosa? Qui dovrei avere una scacchiera da shogi!» aggiunse con un’espressione quasi esaltata, spostandosi poi verso un fusuma dal quale tirò fuori, trionfante, una scacchiera.

Akaza inarcò le sopracciglia, sorpreso da quella strana proposta. Sembrava quasi che Kyojuro, nonostante il disagio, stesse cercando in ogni modo di coinvolgerlo in qualcosa e che fosse… realmente felice nel farlo. Era chiaro che il Pilastro volesse trattenerlo per davvero lì a fargli compagnia, ma senza la bambina in mezzo sembrava davvero… imbarazzante.

La piccolina aveva aiutato entrambi ad avvicinarsi, quello era innegabile… ma sarebbe successo anche senza la sua presenza? Akaza, se proprio doveva essere sincero, aveva i suoi dubbi.

Senza il pretesto di portare al sicuro la bambina e poi di vederla, non si sarebbe mai avvicinato al Pilastro. Lo avrebbe osservato da lontano, attendendo di vederlo di nuovo in forze per combattere ancora contro di lui. Quindi… quella strana serata non solo non sarebbe mai dovuta esserci, ma era anche probabile che un qualsiasi tentativo di approccio da parte sua si sarebbe concluso nel sangue.

«Se non ti va possiamo fare altro,» aggiunse Kyojuro accigliandosi, forse a causa del silenzio del demone, e Akaza scosse il capo, allontanando quei pensieri per concentrarsi solo sul presente. 

Poteva provarci, si disse. E se le cose si fossero messe male avrebbe sempre potuto tentare la fuga.

«Possiamo giocare e parlare,» acconsenti sedendosi sul tatami con le gambe incrociate.

Il Pilastro si mostrò subito sollevato ma non riuscì a nascondere ancora quell’accenno di confusione che rendeva palese quanto fosse a sua volta nervoso per quella situazione.

«Hai mai giocato prima?» domandò, posizionando la scacchiera davanti ad Akaza  per prendere poi posto dalla parte opposta.

Il demone esitò un momento prima di rispondere. Non ricordava di averci mai giocato prima, ma era certo di conoscere le regole.

Gli sembrava una cosa naturale, così come il saper leggere e scrivere. Sapeva fare entrambe le cose ma non ricordava quando e come avesse fatto sue quelle capacità.

«Conosco le regole… ma non ricordo di averci giocato» rispose osservando poi Kyojuro iniziare ad estrarre le varie tessere per posizionarle sulla scacchiera di gioco.

«Davvero?» commentò sorpreso il Pilastro. «Io e Senjuro ci giochiamo spesso, lui è straordinario! Io me la cavo, ma non sono mai riuscito a batterlo.»

Kyojuro ridacchiò nel pronunciare quelle parole e Akaza sentì l'ormai familiare calore in petto che provava nell'osservare la bambina e il Pilastro. Gli sembrava naturale rivolgere quelle strane emozioni anche a Kyojuro, come se non fosse solo la bambina il fulcro di tutto… o che comunque lo fosse stata, ma alla fine si erano create talmente tante ramificazioni da rendere impossibile non provare qualcosa di così concreto anche per il Pilastro.

«Quindi lui è più forte di te in questo gioco?» domandò Akaza, strappado uno sbuffo divertito all’altro.

«L’abilità in questo gioco non si misura con la forza! Sei sicuro di voler giocare? Conoscere le regole è diverso dal giocarci… sai,  se ti batto potrò dire di aver sconfitto la Terza Luna Crescente,» aggiunse infine con un leggero accenno di malizia che fece quasi vibrare il demone - non era certo di cosa si trattasse ma in quel brivido riuscì distintamente a distinguere la sfida che gli era appena stata lanciata.

«Come ben sai: sono molto competitivo, Kyojuro,» ribatté Akaza mostrandosi a sua volta malizioso e divertito al tempo stesso.

I suoi occhi si erano subito spostati sulla scacchiera dopo quell’affermazione, osservandola con interesse e iniziando a studiare le tessere e la loro posizione.

Continuava a sentire una vaga sensazione di familiarità. Sapeva di dover attaccare il Re avversario e metterlo sotto scacco - tsumi, si chiamava in quel modo. Inoltre conosceva anche i nomi delle quaranta tessere, chiamate koma, il loro valore, i movimenti e le catture.

Più ci pensava, più quel gioco gli appariva chiaro, ma era pur sempre certo di non averci mai giocato.

Gli sembrava una cosa sciocca e senza senso, ma era possibile si trattasse di una conoscenza appresa inconsciamente durante la sua vita come demone?

Ricordava ogni avvenimento sin dalla sua trasformazione in poi, e non aveva mai visto qualcuno giocare. Di conseguenza, come aveva già pensato, doveva essere una nozione appresa prima: nella sua vita da umano.

Non si sentì poi così infastidito dal rendersene conto, e anzi: trovò ancor più facile ignorare quel dettaglio quando Kyojuro gli diede la possibilità di iniziare per primo. Con sicurezza e senza dare troppo peso alla cosa, scelse un’apertura classica, e si concentrò completamente sul gioco e sulle mosse successive di Kyojuro.

Era un gioco lento ma non per questo meno interessante. Il Pilastro aveva uno stile di gioco che rispecchiava la sua personalità, e lo stesso Akaza si ritrovò a compiere delle scelte discutibili, che si rivelarono essere utili solo turni dopo.

La partita, forse più per studiarsi l’un l’altro, durò all’incirca mezz’ora e si concluse con la vittoria del demone e con non poche lamentele da parte di Kyojuro.

«Facciamone un’altra,» esclamò il Pilastro. «Mi stavo trattenendo perché era la tua prima partita!»

Akaza iniziò subito a sistemare di nuovo i suoi koma, rivolgendo a Kyojuro un sorrisetto malizioso.

«Non trattenerti mai con me, Kyojuro~» dichiarò divertito e un poco eccitato.

«Se vinco la bambina si chiamerà Kureha. D’accordo?» propose il Pilastro.

Rengoku Kureha non suonava male, concesse mentalmente Akaza, ma non gli piaceva poi così tanto. C’era un nome nella sua testa, un nome che gli sfuggiva, e non sapeva neanche dare un indizio a Kyojuro per trovarlo. In ogni caso il demone accettò quella sfida, incapace di tirarsi indietro.

«Va bene. E se vinco io…»

«Non diventerò un demone!» esclamò prontamente Kyojuro e Akaza non poté non ridere.

«Non sarebbe leale,» rispose per poi riprendere a pensare a cosa avrebbe potuto chiedere.

La verità era che Akaza non sapeva cosa chiedere in cambio al Pilastro in caso di vittoria. Nello stare lì a casa sua, la Luna Crescente aveva già tutto quello che neanche sapeva di aver mai desiderato. Anche se… c’era qualcosa nel suo inconscio, quello non poteva nasconderlo.

C’era un desiderio che non riusciva a elaborare del tutto, ma alla fine gli piaceva semplicemente restare con lui.

«Se vinco io… mi dovrai un favore. Ma prometto che non sarà nulla di illegale o che vada contro la tua etica umana,» disse alla fine.

Kyojuro sembrò pensarci, stringendo le labbra e assumendo un’espressione combattuta, poi alla fine annuì.

«D’accordo. Ma vincerò io in ogni caso!»

Era l’ennesima prova della fiducia del Pilastro, notò Akaza con il cuore in gola e lo stomaco accartocciato su se stesso. Kyojuro aveva realmente accettato una sfida, nella quale avrebbe potuto perdere, dove la posta in palio era un favore qualsiasi da fare alla Terza Luna Crescente?

«Sei un tipo davvero strano,» commentò Akaza sinceramente stupito e anche ammirato.

Kyojuro rise e diede il via alla partita muovendo una delle sue tessere per l’apertura. Quella seconda partita, combattuta e un po’ più lunga, si concluse dopo un’ora e mezza con la vittoria schiacciante di Akaza… e anche le successive due sfide ebbero lo stesso epilogo.

Alla fine, Kyojuro aveva messo il broncio davanti alle sconfitte che aveva collezionato, ma nonostante tutto non nascose il suo divertimento per quella nottata di gioco.

Non avevano parlato granché - se non per prendersi rispettivamente in giro -, ma era stata davvero piacevole. Tant’è che Akaza non poté nascondere la sua eccitazione e felicità quando il Pilastro, palesemente stanco e ormai pronto per tornare sul suo futon a dormire, dichiarò un sincero e quasi speranzoso: «Dovremo farlo altre volte, Akaza.»

 

..••°°°°••..

 

«Non mi piacciono,» decretò Akaza dopo aver sentito i nomi proposti da Kyojuro, e quel rifiuto strappò nel Pilastro un verso contrariato.

«Sei incontentabile,» borbottò. «Non possiamo continuare a chiamarla ‘bambina’ o ‘piccolina’

«Ma è quello che è, no?» ritorse il demone.

Aveva la bambina in braccio in quel momento, e come sempre era intenta a divorare le braccia della povera bambolina di stoffa - alle volte Kyojuro si chiedeva se fosse la presenza di Akaza a farla agire in quel modo, ma sapeva che la sua era solo una sciocca impressione.

L'avrebbe dovuta mettere a dormire già da un po', constatò il Pilastro, ma Akaza sembrava così a suo agio che Rengoku non se la sentiva di privarlo di quel momento di quiete.

In realtà l’intera atmosfera nella stanza era calma e rilassata, ed era strana la vicinanza che si era creata tra di loro.

Notte dopo notte le distanze si erano annullate e in quel momento sembrava quasi naturale restare l’uno accanto all’altro, infatti si trovavano entrambi seduti molto più all’interno della camera di Kyojuro.

Le prime volte, ricordò Rengoku, Akaza era rimasto ostinatamente vicino allo shoji - pronto a fuggire al primissimo momento utile -, mentre in quel momento si trovava con la schiena contro il muro, accanto al Pilastro che aveva preso posto sul suo scrittoio, sul quale vi erano due lettere che Kyojuro non aveva neanche pensato a nascondere.

La prima era un ‘amichevole promemoria’ da parte di Kocho per la visita medica alla quale doveva presentarsi da lì a qualche giorno, e la seconda era un messaggio da parte di Kamado, che stava partendo in missione con il Pilastro del Suono, Uzui Tengen e Kanroji.

Sotto un certo punto di vista, la lettera più preoccupante era quella di Kocho. Perché Rengoku sapeva che avrebbe dovuto parlarle della bambina e sperava di riuscire a tenere nascosto ciò che stava accadendo tra lui e Akaza - alle volte gli altri pilastri gli avevano detto di essere come un libro aperto, ma aveva nascosto la Luna Crescente… quindi doveva per forza in grado di nascondere qualcosa quando necessario.

«Tu sei un demone, ma non per questo ti sto chiamando in quel modo,» ribatté alla fine il Pilastro, allontanando quei pensieri.

«L’hai fatto fino a qualche tempo fa… non hai usato il mio nome fino a quella notte,» gli fece presente Akaza. «Iniziavo a pensare che non lo ricordassi.»

Le guance di Kyojuro si colorarono un po’ di rosso.

«Abitudine,» si difese, per poi ammettere: «I demoni… a volte penso che non meritino un nome.»

Akaza lo guardò sorpreso, ma alla fine assunse un’espressione sia seria che consapevole. Era come se si aspettasse già una reazione simile da parte del Pilastro.

«Questo perché pensi che un nome li renda più umani e meno mostri?» insinuò e Rengoku, per nulla spiazzato dalla comprensione del demone, non poté non annuire.

«So quali sono i miei doveri e so che non avrei esitazioni nell'uccidere un demone,» spiegò sincero. «Però dare loro un nome mi fa pensare che abbiano avuto una famiglia, degli amici, una vita… forse nemmeno volevano diventare dei demoni. Preferisco immaginarli come mostri senza nome, senza un passato.»

«Quindi non sono più un mostro?» lo stuzzicò Akaza e Kyojuro arricciò il naso in risposta.

Si prese un momento prima di controbattere, ma anche dopo aver esitato le parole che avrebbe già voluto pronunciare uscirono dalla sua bocca senza filtri e cariche di onestà.

«Pensavo fosse ormai chiaro. Non ti considero più un mostro… non del tutto almeno. Solo un po'!»

Akaza rise ma Kyojuro notò ugualmente un scintillio sorpreso nei suoi occhi. Il Pilastro stesso era spiazzato dalle sue stesse parole, ma era la verità - e a dirla tutta neanche sapeva quando aveva smesso di considerare Akaza un 'mostro'.

Era forse l’ennesima volta che lo pensava ma… si trovava bene con lui.

«È il miglior complimento che tu mi abbia mai fatto, anzi: è l'unico,» commentò divertito il demone.

«Non abituarti!»

Risero insieme quella volta, tentando di mantenere comunque un tono sempre contenuto per non disturbare - o peggio, svegliare - gli altri abitanti della casa. Quando le risate si spensero, Akaza si mosse un po', allungando una mano sul suo fianco per prendere un piccolo pacchettino che aveva tenuto legato alla sua cintura.

Kyojuro lo guardò incuriosito, cercando di capire le intenzioni del demone. Infatti occhieggiò le dita scure di Akaza quando questo gli porse il minuscolo pacchettino.

«Ho… un regalo per la bambina,» spiegò. La voce del demone aveva assunto un tono incerto e un po' imbarazzato, come se neanche lui sapesse dare una spiegazione alle sue azioni.

«Dove l'hai preso?» chiese Rengoku, accettando il pacchettino.

«Da un mercante, ad est di qui,» rispose la Luna Crescente con noncuranza, chiaramente più interessato alle mani di Kyojuro che avevano iniziato a maneggiare pacchettino di carta.

Non era un vero pacchetto regalo, ma per lo più carta piegata su se stessa per nascondere il contenuto - era stato ovviamente Akaza a farlo.

Riuscì a scartarlo e all'interno vide un piccolo fermaglio per capelli. Era estremamente carino, pensò subito Rengoku piegando le labbra in un sorriso. Aveva la forma di due delicati fiocchi di neve.

Alzò lo sguardo sul demone con un ringraziamento sulla punta della lingua, che tardò ad uscire nel notare un lampo di nostalgia e tristezza nelle iridi di Akaza. Non era la prima volta che lo vedeva assumere quell’espressione, e per quanto avrebbe voluto fargli delle domande, indagare e sapere come aiutarlo, il Pilastro si sforzò di sorridere.

«È bellissimo,» gli disse sperando in quel modo di allontanare quella strana espressione dal volto di Akaza. «Le starà benissimo. Comunque… non credevo che i demoni avessero dei soldi né che andassero a fare compere!» ironizzò.

La Luna Crescente, riscossa dai suoi pensieri, alzò le spalle e accennò di nuovo un sorriso.

«Infatti non abbiamo bisogno di denaro. Almeno, io non ne ho mai avuto bisogno,» rispose come se fosse un qualcosa di normale.

Kyojuro, tuttavia, aggrottò le sopracciglia comprendendo all’istante le implicazioni di quell’affermazione.

«… questo fermaglio lo hai pagato, vero?»

Il sorrisetto malizioso del demone fu una risposta più che eloquente, che divenne una conferma incontrovertibile quando Akaza dichiarò: «Secondo te?»

«La bambina non indosserà un fermaglio rubato!»

«È solo un fermaglio, Kyojuro!» sbuffò il demone.

«Non è l'esempio che dobbiamo darle! Deve saper distinguere cosa è giusto da cosa è sbagliato! E rubare è sbagliato! Il tuo pensiero è dolcissimo ma…»

«Kyojuro, la bambina si sta infilando un piede in bocca. Per te capisce cos'è giusto e cos'è sbagliato?»

Il Pilastro, notando che effettivamente la piccolina aveva iniziato a succhiarsi il piede, faticò a trattenere un sorriso.

Certo, era indignato dal fatto che Akaza avesse rubato, ma sentiva di poter passare sopra quel piccolo crimine - almeno, nessun innocente era stato ferito o ucciso -, perché il gesto del demone era stato davvero dolce oltre che inaspettato.

«Questa è tutta colpa tua. Hai visto come morde le braccia della bambolina? Non ha preso questo comportamento da me!» commentò però Kyojuro, lasciando perdere l’indignazione.

Akaza alzò le sopracciglia, chiaramente divertito a sua volta, poi sollevò la bambina per guardarla in viso come per studiarla. La piccola iniziò subito ad emettere suoni e sillabe estasiate, consonanti e vocali che si mischiavano in una lunga serie che variava dal 'bababa' al 'kakaka'. 

«Ha già la stoffa per diventare un demone, allora,» commentò e Kyojuro si spinse verso di lui, braccia tese e una risata che gli vibrava in petto.

Riuscì, senza troppe difficoltà, a 'salvarla dalle grinfie del demone'.

«Non credo proprio! Diventerà un'Ammazza Demoni, perché un giorno sarà una Rengoku!» ribatté sorridendo e stringendo al petto la bambina - che continuò a vocalizzare con dei 'nanana'.

«Un demone che ammazza i demoni, allora,» propose Akaza a sua volta divertito e senza alcuna malizia o reale intenzione malvagia nella voce. «Ne avete già uno tra i vostri ranghi, no?»

«Sì, ma no grazie!» decretò Kyojuro continuando a ridacchiare.

Era davvero strana quella sensazione di libertà e, soprattutto, quella sorta di battibecco privo di minacce o di pericoli - cosa che lo portò distrattamente a pensare che, da qualche tempo a quella parte, Akaza aveva addirittura smesso di chiedergli di diventare un demone: era strano ma piacevole.

Si sistemò la bambina sulle gambe ascoltandola per qualche momento gorgogliare felice per i toni leggeri e divertiti di tutta quella discussione. Poi, con attenzione, le mise il fermaglio sui capelli, ritirando alcuni dei ciuffi ribelli che le circondavano il viso rotondo e morbido.

Era un po’ storto e sicuramente avrebbe potuto metterlo un po’ meglio con la dovuta attenzione, ma non gli importò granché: voleva solamente che Akaza la vedesse subito con addosso il suo dono.

Il bianco, con leggeri cenni azzurri, spiccava sui capelli neri della piccola, e le minuscole pietroline incastonate nei fiocchi di neve brillavano grazie alla luce della candela.

La stava bene, inoltre non poteva dimenticare che quando era stata portata a casa sua stava nevicando. Era un dettaglio importante che lo portò ad avere una piccola illuminazione.

«Il nome Kiyomi le starebbe bene,» propose all'improvviso. «Scritto con il kanji di neve.»

Speranzoso, Kyojuro puntò l’occhio sul viso del demone, ma rimase all’istante spiazzato e anche sorpreso nello scorgere un'espressione persa e lontana sul viso di Akaza. Come se la mente del demone fosse altrove.

Era quasi abituato alla nostalgia e al velo di tristezza che avvolgeva il volto di Akaza in determinati momenti, ma in quell’istante gli sembrò che ci fosse qualcosa in più: qualcosa che la Luna Crescente non era in grado di afferrare.

«Akaza?» lo chiamò sporgendosi istintivamente verso di lui.

La Luna Crescente si riscosse e lo guardò senza nascondere il suo disagio e la confusione.

«Va tutto bene?» chiese preoccupato Kyojuro, ed Akaza annuì alzandosi - palesemente pronto ad andarsene.

Il Pilastro non cercò di bloccarlo, limitandosi a seguirlo con lo sguardo - avrebbe voluto, ma sapeva per esperienza quando fosse necessario alle volte rispettare l’intimità altrui.

Il demone si fermò sulla porta scorrevole, quasi incerto se attraversarlo o meno.

«Il nome…» esordì, facendo poi una pausa come per soppesare le parole. «Dovrebbe avere a che fare con la neve…»

E con quell'affermazione la chiara necessità di fuga di Akaza sembrò divenire ancor più forte, spingendolo ad aprire lo shoji e a lasciare del tutto Kyojuro in preda alle domande e ai dubbi.

 

..••°°°°••..

 

Non era la prima volta che Akaza indugiava sui suoi passi poco lontano dalla proprietà dei Rengoku. Si era spesso sentito diviso tra il voler raggiungere subito Kyojuro e il voler invece mettere più distanza possibile tra di loro… e alla fine era sempre stato il primo desiderio a prevalere. Tuttavia, quella notte, la Terza Luna Crescente si sentiva diverso e strano.

Non era nuovo a quelle sensazioni senza nome, ma al tempo stesso le sentiva ancor più anomale e portatrici di ulteriori incognite e problemi. E la colpa era tutta del fermaglio che aveva rubato la notte prima.

Tra le tante assurdità che aveva collezionato in quegli ultimi mesi, Akaza aveva quasi trovato accettabile il pensiero di ‘trovare un dono per la bambina’. Non avrebbe dovuto farlo, non ne aveva una reale ragione, eppure gli era venuto quasi naturale nascondersi tra gli umani non appena calato il sole.

Si stava tenendo una qualche festa o ricorrenza in quel distretto, e molti mercanti, ambulanti e non, avevano messo in bella mostra la loro mercanzia per gli umani che, con addosso i loro ricchi kimono, si attardavano tra le strade illuminate.

Lo sguardo di Akaza era subito caduto su una bancarella piena di bambole - erano un regalo adatto ad una bambina, giusto? -, ma alla fine tutte le sue attenzioni si erano spostate su dei fermagli per capelli.

Erano tanti, di innumerevoli forme, colori e grandezze, ma gli occhi di Akaza si erano fissati su un fermaglio più piccolo e semplice. Meno appariscente degli altri.

Aveva la forma di due delicati fiocchi di neve, e da quando vi aveva posato lo sguardo sopra non era più riuscito a distoglierlo. Aveva sentito lo stomaco farsi pesante per un motivo che non era in grado di comprendere ma che, al tempo stesso, gli faceva piegare le labbra in un sorriso.

Lo aveva rubato senza pensarci due volte e, tenendolo stretto in mano - stando ovviamente attento a non rovinarlo -, era scappato lasciando alle sue spalle le urla del mercante che si era reso conto del furto.

Una volta lontano, al sicuro tra gli alberi, Akaza aveva osservato il fermaglio a lungo sotto il chiarore della luna crescente, continuando a sentire una sensazione che, a fatica, era riuscito a riconoscere come nostalgia.

Lo stomaco aveva continuato a torcersi e a rilassarsi al tempo stesso, era come se legati a quel fermaglio ci fossero dei ricordi sia positivi che negativi, che si alternavano in un ciclo infinito lasciandogli l'amaro in bocca e un sorriso.

Akaza aveva tentato di inseguire quei ricordi. Voleva più di ogni altra cosa afferrarli e dare un senso a quelle memorie così sfuggenti e confuse, ma alla fine era stato proprio Kyojuro a creare una sorta di apertura in quel muro di incognite.

Il fermaglio nei capelli neri della bambina, i fiocchi di neve e il nome con il kanji neve. Solo che… era un nome sbagliato. Non era corretto.

«Il nome dovrebbe avere a che fare con la neve…», aveva infatti detto al Pilastro mentre la necessità di ricordare si era fatta forte e si batteva contro il bisogno di scappare.

Se ne era andato quella notte, e in quel momento stava esitando a pochi chilometri dalla casa di Kyojuro, incerto su come comportarsi… ma alla fine gli era sembrato più complicato e fastidioso rinunciare a ciò che provava nello stare accanto al Pilastro che il stargli lontano a rimuginare.

Dei ricordi - o la loro assenza - non potevano tenerlo lontano dalla casa dei Rengoku, e quella convinzione era sicuramente più forte di ogni sorta di esitazione.

Se solo avesse potuto, considerò Akaza, sarebbe rimasto ben oltre l'alba insieme a Kyojuro e alla bambina.

Già da qualche tempo aveva iniziato a ritardare sempre di più la sua 'fuga', e altrettante volte aveva pensato a cosa sarebbe successo nell'utilizzare la casa del Pilastro come rifugio diurno.

Se ci fossero stati solo lui, Kyojuro e la bambina sarebbe stato… facile.

Probabilmente avrebbero parlato per tutto il giorno, si sarebbero presi cura della piccola, avrebbero giocato con lei e avrebbero fatto altre partite a shogi.

Sarebbero quasi stati come una famiglia, e per quanto quel pensiero fosse sciocco, gli sembrò al tempo stesso anche rassicurante. Facile da accettare.

Era un attimo di pace che Akaza sapeva di non meritare, ma al quale non poteva rinunciare.

Raggiunse la casa del Pilastro, e Kyojuro lo accolse come sempre con un sorriso nel momento in cui Akaza superò lo shoji. Gli permise di prendere in braccio la bambina per darle da mangiare - cosa che Akaza aveva fatto inizialmente con un po’ di incertezza, ma che alla fine era diventata una sorta di routine durante tutte le sue visite - e tutto sembrava essere al proprio posto.

«Ho pensato ad altri nomi,» dichiarò il Pilastro, togliendosi la benda sull’occhio come era solito fare prima di andare a letto. «Ieri hai detto che dovrebbe avere a che fare con la neve… e ho pensato anche a qualcosa che potesse avere a che fare con l’inverno!» aggiunse per poi iniziare a elencare i vari nomi che aveva raccolto.

Fuyuki. Samui. Fuyume. Yuki. Yukinari.

Aveva continuato per un po' e Akaza li aveva rifiutati tutti, perché nessuno gli era sembrato quello giusto.

«Shirayuki è troppo altisonante,» dichiarò il demone dopo l'ennesima proposta di Kyojuro, causando in quest'ultimo una smorfia quasi offesa.

«Per me lo fai di proposito,» decretò il Pilastro, mentre Akaza metteva a terra la bambina per permetterle di gattonare un po’ - era adorabile vederla tentare di muoversi tra di loro, rotolando talvolta sul tatami quando non aveva più voglia di spostarsi o esplorare.

«La verità è che hai pessimi gusti in fatto di nomi, Kyojuro! Rengoku Shirayuki, ha un suono orribile,» ribatté Akaza tenendo sempre d'occhio la piccolina che era riuscita a raggiungere il Pilastro per iniziare a cercare di arrampicarsi sulle sue gambe incrociate.

«Disse quello che non ha proposto nessun'altro nome,» dichiarò Kyojuro, senza però apparire realmente disturbato da quella situazione, anzi, sembrava davvero divertito oltre che un pizzico frustrato. «Ho altri nomi, ma sono sempre altre varianti con Yuki

«Non ti sto fermando!» concesse il demone con un vago cenno della mano e un sorrisetto compiaciuto, e Kyojuro riprese a parlare, mostrandosi ben deciso a trovare un nome per la bambina - che aveva nel mentre aiutato a prendere posto tra le sue gambe.

«Abbiamo Yukine, Koyuki, Yukiko e-»

Akaza sobbalzò senza rendersene conto, sentendo un vago eco lontano soffiargli qualcosa nelle orecchie.

«Cosa?» si guardò attorno, come alla ricerca di qualcosa o qualcuno, per poi puntare lo sguardo di nuovo su Kyojuro che si era fermato a causa della sua reazione. «Ripeti quei nomi.»

«Va tutto bene, Akaza?» gli chiese il Pilastro, facendo scendere la bambina dalle sue gambe quando questa iniziò a contorcersi per riprendere la sua esplorazione. Akaza annuì seppur incerto, aspettando con crescente apprensione che venissero ripetuti quei nomi.

Kyojuro sembrò esitare per un altro momento e Akaza si chiese distrattamente quale tipo di espressione gli si fosse dipinta in viso per far preoccupare il cacciatore in quel modo. Fortunatamente però, il Pilastro esaudì il suo desiderio e ripeté lentamente gli ultimi nomi che aveva proposto.

«Mi pare fossero Yukine. Koyuki…»

«Koyuki,» esalò la Luna Crescente sentendo un vetro iniziare a creparsi dentro di sé, un rumore del tutto nuovo che portò con sé timore e dolore, ma anche pace e completezza.

«Ti… piace quel nome?» domandò Kyojuro con tono incerto, forse stava cercando di capire che cosa gli stava passando per la testa… ma neanche il demone era in grado di comprenderlo.

«Sì, mi piace…» annuì.

Sentiva di amare quel nome, era come se lo avesse inseguito fino a quel momento. Era un nome che apparteneva a qualcuno. Una persona cara e importante, ma che il demone non riusciva ancora a ricordare.

Assentì ancora quando Kyojuro gli chiese se volesse dare quel nome alla bambina, ma non riuscì ad aprir bocca quando il Pilastro, con voce sempre più preoccupata, si interessò per la seconda volta della sua salute.

La bambina si sarebbe chiamata Koyuki.

Koyuki.

«Il suo nome… era Koyuki,» disse con lo sguardo perso, colto da un’improvvisa illuminazione. Come se la nebbia che era solita offuscare i ricordi del suo passato si fosse diradata un poco, permettendo a un volto giovane di apparire davanti ai suoi occhi.

Era il viso di una ragazza. La pelle era pallida e liscia, in netto contrasto con i capelli neri come le piume dei corvi, e vi era un fermaglio con tre piccoli fiocchi di neve incastrato tra quelle ciocche scure. Gli occhi erano dolci con una sfumatura tendente al rosa. 

“Chi sei? Tu… tu sei… Koyuki?” chiese Akaza, rivolto a quel ricordo così chiaro e quasi tangibile. Sentiva quasi di poter allungare la mano e prendere quelle della giovane ragazza. Era certo che le avrebbe sentite morbide e calde, piccole e lisce contro le sue ben più grandi e ruvide.

Strinse e riapri i pugni quasi istintivamente, abbassando lo sguardo sui suoi palmi vuoti, trovandoli però offuscati da qualcosa.

«Akaza? Che cosa succede? Stai… piangendo?» l’incredulità e l’improvvisa vicinanza di Kyojuro lo costrinsero a concentrarsi di nuovo sul presente, e solo in quell’istante il demone si rese conto di avere gli occhi carichi di lacrime.

Li sbatté, liberando quelle gocce salate che si erano incastrate nelle sue ciglia. Le sentì scivolare lungo le guance fino al mento, cadendo poi chissà dove.

Stava piangendo.

Non sapeva neanche perché, e non sapeva nemmeno che i demoni potessero piangere per davvero. Aveva visto Daki frignare e Douma commuoversi, ma era sempre una finzione o un'esagerazione. Quelle lacrime non erano mai state reali e Akaza stesso non aveva mai pianto.

Quelle che però scorrevano sulle sue guance erano vere, così come lo erano i singhiozzi soffocati che avevano iniziato a mozzargli il respiro.

Doveva calmarsi, si disse, ritrovare il controllo del suo corpo e delle sue emozioni, ma presto iniziò a sentire un qualcosa nel retro della sua testa. Un continuo tum tum tum che seguiva il ritmo incalzante del suo cuore.

Era come se qualcuno avesse iniziato a prendere a pugni un muro, intenzionato a buttarlo giù con la sola forza bruta. Ogni botta gli faceva mancare il fiato.

Akaza si alzò in piedi, senza riuscire a rispondere alla domanda preoccupata di Kyojuro.

Lo sentì chiamare ancora il suo nome, ma a quel punto Akaza si lanciò semplicemente fuori dalla stanza, senza curarsi di chiudere dietro di sé lo shoji.

 

..••°°°°••..

 

Kyojuro scattò fino in giardino nello sciocco tentativo di fermare Akaza e raggiungerlo, ma la figura del demone scomparve subito oltre il muro di cinta che circondava la casa, lasciando il Pilastro con lo stomaco contorto per la preoccupazione e per la confusione.

Aveva visto il volto di Akaza assumere innumerevoli espressioni sin da quando si erano scontrati la prima volta.

Lo aveva visto malizioso e maligno, ironico e divertito. Arrabbiato e poi pensieroso. Aveva visto sincerità e anche tenerezza quando guardava la bambina. Aveva avuto modo di vederlo sconvolto e quasi vulnerabile una volta… ma Rengoku non lo aveva mai visto piangere.

L’espressione che si era dipinta sul viso del demone era di dolore e quasi nostalgica, e il Pilastro aveva sentito il crescente bisogno di fare qualcosa pur di aiutarlo a superare quel momento, soprattutto dopo aver visto le lacrime iniziare a riempire gli occhi di Akaza, per poi scivolare lungo le guance tracciate dai quei marchi blu notte.

Akaza però non gli aveva dato modo di intervenire perché era fuggito, lasciandolo da solo al colmo della preoccupazione e con la bambina che aveva iniziato a strillare e a piangere - forse avvertendo la tensione che era andata a crearsi.

Richiuse lo shoji e raggiunse subito la bambina per poterla prendere in braccio.

Che cosa era successo?

Non ne era certo neppure lui, ma sapeva che aveva a che fare con il nome che aveva proposto per la bambina: Koyuki.

Rengoku sarebbe dovuto essere felice, perché finalmente aveva un nome dopo tutte quelle settimane passate a cercare di riuscire a convincere Akaza ad accettare una delle sue proposte - o anche solo a convincerlo a fare a sua volta dei nomi-, ma la reazione della Luna Crescente lo aveva portato a sperare di poter tornare indietro nel tempo e impedirsi di proporre il nome Koyuki.

L’idea che quel nome avesse in qualche modo scatenato nel demone un ricordo doloroso - aveva detto “Il suo nome era Koyuki”, di conseguenza poteva solo essere un ricordo e le lacrime erano chiaramente cariche di tristezza -, non faceva altro se non aumentare il suo stato d’ansia, cancellando la felicità.

Continuò a cullare la bambina - Koyuki - per cercare di calmarla, ma era chiaro che la piccolina stesse avvertendo la sua tensione, e quello la stava portando ad essere particolarmente vocale a sua volta nervosa.

«Shhh… va tutto bene, non preoccuparti… va tutto bene…» tentò di dirle, provando a dare alla sua voce un tono calmo e rilassato.

Koyuki però continuò a piangere e strillare, con le guance rubiconde e le manine chiuse a pugno.

Come era ovvio, fu Senjuro a correre in suo aiuto, attirato dal pianto disperato della piccolina e forse anche dal timore che loro padre, infastidito da quegli strilli, potesse raggiungerli… cosa che non avrebbe fatto calmare né Kyojuro e né tanto meno la bambina.

«Che cosa succede?» domandò preoccupato il ragazzino, tendendo subito le braccia quando fu abbastanza vicino al fratello per poter prendere la bambina.

Il Pilastro esitò nel rispondere.

Cosa poteva dirgli? Di certo non la verità, ma detestava tantissimo mentire a suo fratello.

«Non riesco a… calmarla…» disse solamente e Senjuro, iniziando a cullarla a sua volta, lo guardò serio.

Era un ragazzo perspicace e sensibile, quello Kyojuro lo aveva sempre saputo, infatti non si sorprese quando lo sentì riprendere la parola con tono pacato ma deciso.

«Cerca di calmarti anche tu, fratello,» dichiarò. «L'agitazione non aiuta nessuno dei due.»

Kyojuro annuì e si sedette per terra, passandosi una mano sul viso mentre Senjuro iniziava a camminare attorno alla sua camera, riuscendo lentamente a placare il pianto di Koyuki fino a farla addormentare.

Il silenzio era finalmente calato nella stanza e nell’intera casa, e il Pilastro non poté non rivolgere uno sguardo grato al fratello quando questo mise a letto la piccolina.

«Mi dispiace,» si scusò.

Senjuro scosse il capo, come se non avesse fatto nulla. I suoi occhi però erano ancora carichi di dubbi per quanto era appena accaduto.

«Ti ho… sentito alzare la voce poco fa,» ammise incerto. «Hai avuto un incubo? È per questo che la bambina si è agitata?»

Rengoku non si era reso conto di aver alzato la voce, forse l'aveva fatto inconsciamente mentre cercava di fermare Akaza.

Strinse le labbra. Rispondere che aveva avuto un incubo avrebbe sicuramente giustificato anche la sua di agitazione, considerò Kyojuro. Tuttavia evitò di dare una risposta.

Avrebbe tanto voluto dire la verità al ragazzino, perché era certo che Senjuro avrebbe capito la situazione. Avrebbe voluto smettere di mentire e di nascondere gli incontri segreti con Akaza… ma dall’altra parte non ci riusciva.

Non voleva tradire la fiducia del demone svelando la sua presenza, anche se si trattava di Senjuro.

Era una situazione complicata che non sapeva come affrontare.

«Ne… possiamo parlare in un altro momento?» rispose alla fine, guardando speranzoso il ragazzino che, nonostante un lieve momento di delusione misto a preoccupazione, annuì con fare comprensivo.

«Forse è meglio, dovresti dormire,» commentò infatti e Kyojuro, sollevato, gli rivolse un sorriso grato.

 


NOTE:
Fanart ispirata alla scena dove giocano a Shogi

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Capitolo 8
*** 8. A Black Abyss ***


As Soothing As Snow

Capitolo 8
A Black Abyss


»--•--«


La giornata era stata un susseguirsi di alti e bassi per Rengoku.

Non era stato in grado di dormire né di calmarsi del tutto. Si sentiva stanco e agitato, in apprensione… e quello aveva reso la bambina insofferente nei suoi confronti, proprio a causa della sua tensione.

Senjuro gli era stato come sempre di grande aiuto e, per fortuna, non aveva fatto altre domande scomode, scegliendo di rispettare il desiderio del fratello di parlare di quanto era accaduto in un altro momento.

Solo quando era calato il sole, Kyojuro aveva quasi tirato un sospiro di sollievo, rendendosi conto in quell'istante di non aver fatto altro se non aspettare la notte, chiedendosi se alla fine Akaza si sarebbe fatto vivo o meno.

Era un’ipotesi da non scartare.

Akaza non andava a trovarlo tutti i giorni, ma quella sera Rengoku aveva seriamente sentito il bisogno di vederlo e… di assicurarsi che stesse bene?

Era un pensiero stupido da rivolgere a una Luna Crescente, ma non poteva farne a meno.

Si sentì infatti immensamente più leggero quando il demone, nervoso come non mai, era entrato nella sua camera.

I suoi movimenti erano tesi, notò Kyojuro, come quelli che aveva visto in Akaza durante le sue prime visite… e come sempre non senti provenire da lui nessun intento maligno. Solo tristezza, e anche un pizzico di vergogna.

«Va tutto bene?» gli chiese subito quando si trovarono entrambi chiusi tra quelle quattro mura.

Il demone strinse le labbra e mosse il capo affermativamente, pur non sembrando assolutamente convinto della sua risposta.

«Akaza…» lo incalzò Kyojuro e la Luna Crescente puntò finalmente contro di lui i suoi grandi occhi gialli, sui quali spiccavano neri kanji che lo legavano a Kibutsuji - alle volte era quasi facile dimenticare la loro presenza.

«Ho solo… ricordato una persona del passato,» ammise.

«L’avevo intuito. Per questo ti sto chiedendo se stai bene,» rispose con calma e comprensione il Pilastro.

«Non lo so,» Akaza scrollò le spalle e si sedette per terra, permettendo alla bambina di gattonare subito verso di lui. «Si chiamava Koyuki. Non so chi sia né che cosa fosse per me… ma so che era importante. Molto importante

Aveva pronunciato quelle parole con un tono estremamente serio e quasi accorato, come se non avesse fatto altro se non ripetere quelle stesse frasi nella sua mente fino a quel momento.

«È una cosa positiva no? Non ricordavi niente del tuo passato, vero?» 

Solo una volta avevano intrapreso un discorso simile, ma alla fine non lo avevano affrontato in modo approfondito perché Akaza si era mostrato poco incline a parlare della sua vita prima di essere un demone.

Gli aveva solo detto di non ricordare nulla, e aveva chiuso lì la discussione.

Kyojuro si era sentito quasi triste per lui, perché se da una parte lo stesso Pilastro avrebbe provato sollievo nel cancellare alcuni ricordi tristi e dolorosi, dall'altra voleva custodire ogni singola memoria perché erano proprio le esperienze passate ad aver plasmato la sua personalità e le convinzioni.

Per Akaza però sembrava essere diverso. Si era dimostrato distaccato e quasi seccato all'idea di ricordare qualcosa… forse perché, senza rendersene conto, il non ricordare niente lo feriva e lo metteva a disagio. Oppure, considerò inoltre, era anche possibile che Akaza reputasse quei ricordi inutili, e sarebbe stato coerente visto il suo carattere.

«Non ricordo altro. Solo Koyuki

Kyojuro si sedette davanti a lui, incrociando le gambe.

«Ti va sempre bene che… che anche la bambina abbia quello stesso nome?»

Akaza lo fissò inclinando il capo, poi lo mosse con un cenno affermativo.

«Sì, è stato questo a farmelo ricordare e non voglio dimenticarlo. Mai più,» spiegò, e il Pilastro gli rivolse un piccolo sorriso.

«D’accordo allora,» concesse per poi farsi un poco più serio. «Vorresti… parlarne?»

La Luna Crescente esitò per un momento poi scosse il capo e Kyojuro non aggiunse altro, lasciando che il demone si concentrasse sulla bambina.

Avrebbe rispettato il suo desiderio, ma non poté non sentire una vaga stretta al petto nel sentirlo pronunciare un basso “Koyuki” quando prese in braccio la bambina, abbracciandola come se fosse la cosa più importante della sua intera esistenza.

 

..••°°°°••..

 

Era quasi l'alba, e Akaza aveva trascorso la notte con la schiena appoggiata al muro della stanza di Kyojuro con la bambina stretta al petto.

Koyuki.

In quei due giorni era stato quasi impossibile per lui non pensare alla ragazza che aveva ricordato.

Sentiva dei fortissimi sentimenti verso la Koyuki del suo ricordo, ma pur sforzandosi non era stato in grado di comprenderli, né era riuscito a ricordare altro riguardante quella giovane donna.

Era come se nella sua mente si fosse creata una minuscola crepa su un ipotetico muro, e che questa fosse troppo piccola per lasciar passare qualche altro ricordo… e Akaza non era certo che fosse una cosa del tutto negativa.

Aveva sempre avuto l’impressione che non dovesse esserci stato nulla di buono nel suo passato perchè, altrimenti, lo avrebbe ricordato.

Era infatti uno dei pochi demoni a non avere alcun ricordo del suo passato, almeno tra le Lune Crescenti visto che erano gli unici demoni con i quali aveva avuto una sorta di dialogo.

Daki e Gyutaro, ad esempio, sapevano di essere fratelli e di essere cresciuti insieme nella miseria.

Gyokko, nei suoi sproloqui, aveva parlato di un ragazzino che aveva ucciso e chiuso in uno dei suoi vasi o qualcosa del genere, e anche Hantengu aveva condiviso la sua tragica storia nella quale era un povero perseguitato.

Perfino Douma aveva dei ricordi, infatti viveva ancora nel luogo nel quale era cresciuto come umano e una volta Akaza lo aveva sentito parlare, con quel suo finto dispiacere che gli dava il voltastomaco, di come i suoi genitori fossero morti.

Tutti sembravano avere dei ricordi, chi più chiari e chi invece vaghi, ma non Akaza. Lui non aveva nessun indizio, nessuna reminiscenza.

Perché?

La risposta per lui era più che ovvia: non c’era niente.

Aveva di certo un passato - chiunque ne aveva uno -, ma il suo doveva essere sicuramente stato insignificante e patetico. Non degno di essere ricordato.

Quella convinzione però gli faceva torcere lo stomaco, perché in nessun modo sentiva di poter definire Koyuki ‘patetica’.

No, non avrebbe mai potuto.

«Akaza…»

La voce di Kyojuro lo riscosse dai suoi pensieri e si voltò verso di lui. Il Pilastro si era dimostrato essere un tipo mattiniero e per quello Akaza non si sorprese nel vederlo sveglio sin da quell’ora.

«Ben svegliato, Kyojuro,» lo accolse rivolgendogli un sorriso.

Il Pilastro si stiracchiò sul futon, rispondendo al saluto con voce ancora arrochita dal sonno.

«Perdonami…. mi sono addormentato di nuovo,» mugugnò con un mezzo sorriso, che si fece quasi serio nel rivolgere lo sguardo verso le finestrelle a grata sopra lo shoji, dalle quali era possibile intravedere il cielo farsi sempre più chiaro. «È quasi l’alba…»

Akaza annuì distrattamente. Anche senza rivolgere le sue attenzioni all'esterno della casa sapeva che le stelle avevano ormai iniziato a sparire, ed era certo che ormai mancasse poco meno di mezz’ora ai primi raggi del sole.

Un nodo fin troppo familiare si formò nello stomaco del demone, portandolo a desiderare ardentemente di non andare via. Non voleva abbandonare la bambina che aveva stretto a sé per tutto quel tempo.

Voleva continuare a tenere al petto Koyuki, ascoltarne il respiro rilassato e il calore che emetteva. Voleva continuare ad assicurarsi che fosse viva e che stesse bene.

Tuttavia, sapeva di non potersi trattenere oltre e che quei suoi desideri dovevano rimanere inespressi e nascosti.

«Lo so…» mormorò, alzandosi in piedi per avvicinarsi a Kyojuro che si era ormai messo seduto. Il Pilastro lo stava guardando con un’espressione preoccupata, e Akaza cercò di non darci troppo peso.

In quei giorni Kyojuro lo guardava sempre in quel modo. Sembrava in ansia per lui, forse dispiaciuto, ed erano dei sentimenti che il demone alcune volte non riusciva a comprendere. Non capiva perché il Pilastro dovesse sentirsi in pena per lui. Poi, alla fine, si ricordava della strana amicizia che li legava e che sembrava ancor più assurda di tutto il resto.

«Non vorrei spingerti ad andare via,» precisò subito Kyojuro un po’ nervoso, forse rendendosi conto di qualcosa che ad Akaza era sfuggito - più volte il Pilastro aveva straparlato di educazione e buone maniere, cose che al demone non erano mai sembrate realmente importanti. «Fosse per me potresti rimanere, ma…»

«Ma sono un demone.»

Kyojuro si permise uno sbuffo divertito, prendendo un braccio la bambina quando Akaza decise di affidargliela.

«Lo sei, indubbiamente. Ma non è questo il problema. Non potresti girare liberamente per casa, e saresti costretto a rimanere rinchiuso qui, da solo. Di conseguenza sarebbe complicato spiegare a mio fratello perché non può entrare in questa camera e perché deve restare chiusa e al buio,» ribatté. «Per non parlare di mio padre… potrebbe essere imprevedibile.»

Akaza inarcò un sopracciglio, sorpreso da quelle affermazioni.

«Sarebbero queste le tue preoccupazioni? Il fatto che io debba restare qui rinchiuso e il dover mentire a tuo fratello?»

«Non mi piace mentire a mio fratello, e non credo di avere altre preoccupazioni in questo momento,» rispose Kyojuro con un sorriso fiducioso. Akaza avrebbe voluto rispondergli che sì, ne avrebbe dovute avere più di una… ma erano già passati su quel discorso più volte.

Nessuno dei due aveva più istinti omicidi fin quando stavano all’interno di quelle quattro mura. Forse un giorno si sarebbero incontrati di nuovo sul campo di battaglia e lì sarebbe sicuramente cambiato qualcosa, ma per il momento non c’era nulla che li dovesse spingere a scontrarsi - anche se era una menzogna per entrambe le parti, e quello Akaza lo sapeva bene.

«Non ho intenzione di restare qui in ogni caso. Tuo padre non mi piace,» ribatté scrollando le spalle. «Tuo fratello… è passabile

Kyojuro rise, quasi sorpreso dalla sua affermazione.

«Sembra un complimento, stai attento!»

Il demone sorrise a sua volta, avvicinandosi allo shoji per lasciare la casa. La risata di Kyojuro aveva quasi cancellato i timori e i dubbi, era come se avesse il potere di guarire ogni sua incertezza. Come se non dovesse più temere che i due mondi ai quali appartenevano.

«A stanotte, Kyojuro,» lo salutò per poi saltare oltre il muro di cinta per andare alla ricerca di un rifugio.

Di un’altra cosa era certo: neanche l’esistenza umana di Kyojuro poteva essere definita patetica.

Difficilmente avrebbe provato un tale rispetto e affetto per qualche altro umano, e se aveva rinunciato all’idea di trasformare il Pilastro della Fiamma in demone era proprio perchè Kyojuro, come essere umano, era perfetto e non voleva che perdesse ciò che lo rendeva così speciale.

 

..••°°°°••..

 

Il sole stava quasi per tramontare e Kyojuro non poté non muoversi quasi impaziente mentre aiutava suo fratello a lavare le stoviglie che avevano utilizzato durante la cena.

Per quanto potesse sembrare stupido, Rengoku sentiva quasi il bisogno di correre in camera sua, dove aveva lasciato la bambina addormentata. Sia perché non gli piaceva lasciarla da sola troppo a lungo e sia perché, in cuor suo, sperava di vedere Akaza al suo arrivo. Anche se era certo che difficilmente l’avrebbe già trovato lì, visto che il sole non era ancora calato del tutto e, di conseguenza, il demone non doveva ancora essersi mosso dal suo rifugio, qualsiasi esso fosse.

Era certo che si sarebbe comunque fatto vedere anche quella notte, perché quando quella mattina lo aveva salutato gli aveva detto "A stanotte, Kyojuro", e per quel motivo Rengoku sapeva che Akaza si sarebbe presentato come sempre, mantenendo quella sorta di promessa.

Si mosse ancora, sempre impaziente, e sulle sue labbra spuntò quasi inconsciamente un piccolo sorriso.

A ben pensarci Rengoku avrebbe dovuto trovare preoccupante la presenza del demone nella sua stanza mentre lui dormiva ed era totalmente indifeso, ma era talmente abituato al demone da non aver mai dato peso al fatto che questo avesse iniziato ad attardarsi nella sua dimora anche quando lui, esausto, crollava sul futon mentre parlavano di qualsiasi cosa passasse per le loro menti.

Era piacevole sotto un certo punto di vista, ma dall’altra parte continuava a lasciargli l’amaro in bocca. La certezza che tutto quello sarebbe finito un giorno lo spaventava se proprio doveva essere sincero.

Ma che altro poteva fare?

Lui era il Pilastro della Fiamma e un giorno sarebbe tornato sul campo di battaglia… e lui e Akaza sarebbero stati di nuovo nemici. Era inevitabile.

Nessuno dei due avrebbe esitato nell’uccidere l’altro perché era la loro natura. Era il loro ruolo in quel mondo.

Akaza era la Terza Luna Crescente e lui il Pilastro della Fiamma.

Era impossibile trovare una soluzione perché il loro schieramento non sarebbe mai cambiato… anche se Kyojuro non poteva negare di aver pensato a quell’ipotesi: a cosa sarebbe accaduto se Akaza fosse stato come Nezuko.

Dimenticare i suoi crimini era tremendamente difficile ma al tempo stesso di una facilità disarmante. Aveva pensato a lungo alle conseguenze di un gesto simile, e aveva anche scioccamente riso all’idea di viaggiare con Akaza in una scatola come faceva il giovane Kamado. Ma alla fine quei pensieri erano rimasti solo dei sogni a occhi aperti, un qualcosa che lo portava addirittura a provare non poco imbarazzo per la sua ingenuità.

«Va tutto bene?» domandò Senjuro, forse notando la sua impazienza, e Kyojuro si affrettò ad annuire.

«Sì, non preoccuparti!» lo rassicurò con un sorriso che, tuttavia, sembrò non sembrò fare presa su suo fratello. «Tu piuttosto? Stai bene?» gli chiese subito.

«Oh! Sì sì! Certo! Ero… solo preoccupato per te…»

Kyojuro posò le stoviglie che stava asciugando per rivolgersi a suo fratello, mostrandosi tanto serio quanto confuso.

«Per me?»

Senjuro annuì nervoso e un po’ imbarazzato. Si torse le mani, guardandosi la punta dei piedi per un po' prima di alzare lo sguardo e rivolgerlo al maggiore. 

«Hai detto che… avremo parlato in seguito di quella notte ma… non lo hai fatto,» ammise, cercando poi di mostrarsi un po’ più sicuro di sé. «Hai diritto ai tuoi segreti, e se non vuoi parlarne va bene… ma se posso aiutarti, anche solo ascoltandoti… non tirarti indietro. Ti prego, vorrei… esserti d’aiuto e di supporto…»

Kyojuro sentì subito un nodo formarsi nella sua gola… ed era una sensazione familiare, sfortunatamente.

Si era chiesto più volte se in quegli anni fosse stato un reale aiuto per Senjuro, se gli avesse mai fatto mancare qualcosa o se suo fratello sapesse di poter contare su di lui in ogni occasione.

Sapeva di aver sempre dato il meglio di sé, ma in quegli ultimi mesi sentiva di averlo in qualche modo ‘deluso’.

Troppe bugie, troppi segreti. Si era comportato come un egoista, preferendo in un certo qual modo proteggere se stesso e la libertà che provava con Akaza. In quel modo aveva ferito e fatto preoccupare Senjuro, e quella era la cosa peggiore di tutte

«Senjuro…»

Il ragazzino si sforzò di sorridergli e sembrò voler scappare, forse imbarazzato per aver reagito in quel modo e aver detto quelle parole.

«Mi d-dispiace! Non dovevo i-insistere!» dichiarò di fatto, agitato e nervoso.

«Ho mentito per tutto questo tempo,» sbottò Kyojuro senza pensarci, guardando poi il fratello con un'espressione sorpresa e anche colpevole.

Sapeva di aver appena intrapreso una strada che lo avrebbe portato a dover dare risposte scomode, ma davanti allo sguardo di Senjuro, e alla certezza di essersi comportato in quel modo scorretto nei suoi confronti, lo aveva portato ad agire senza pensare troppo.

«C-cosa?»

«… in questi mesi. Riguardo la bambina,» riuscì a dire, cercando le parole adatte per spiegare la situazione. «Ho sempre saputo chi l'ha abbandonata… e ho continuato a vedere questa persona.»

«Perché n-non me lo hai detto?»

Kyojuro si torse le mani. Voleva parlare ma le parole sembravano tanto semplici quanto difficili da pronunciare.

«Per proteggere quella persona e per proteggere anche noi. Lui… lui non è cattivo, ma viene da una situazione complicata. La sua presenza è pericolosa non solo per lui, ma anche per tutti noi…» ammise nervoso.

«Pericolosa?» ripeté Senjuro. «È un… c-criminale?»

Kyojuro non poté non annuire.

«Una… sorta,» ammise, per poi affrettarsi ad aggiungere altri dettagli come per non mettere in cattiva luce Akaza e per cancellare lo spavento dagli occhi di Senjuro. «Ma non devi preoccuparti. Lui si è guadagnato la mia fiducia e so che non farebbe mai del male a Koyuki o a qualcun'altro in questa casa. Lo so per certo.»

Kyojuro prese un lungo respiro dopo aver pronunciato quelle frasi, sentendo un piacevole senso di liberazione ma anche di crescente nervosismo si stava facendo avanti in lui.

Senjuro rimase in silenzio per un po’, il viso era pallido e i suoi occhi carichi di domande e timori. Il Pilastro lo vide aprire la bocca più volte e altrettante richiuderla come per cercare di elaborare a voce i pensieri che gli si stavano affollando per la testa.

«M-m fido di te…» mormorò il ragazzino. «Ma non capisco… quindi Koyuki ha una famiglia?»

«I suoi veri genitori sono morti…»

«Quindi chi ha portato qui Koyuki?»

«Lui… l'ha salvata. E ha cercato di salvare anche la vita della madre della bambina, ma non è arrivato in tempo…» rispose.

Rengoku stava tentando in ogni modo di essere sincero con il fratello e quello che gli stava dicendo era la pura verità. Ancora una volta stava solo omettendo l'identità di Akaza… non gli sembrava giusto né lo faceva sentire meglio visto che non era in grado di essere totalmente sincero con Senjuro, ma allo stesso tempo non poteva negare di sentirsi anche un po’ più sollevato.

«Fratello…»

«La scorsa notte… è dovuto scappare via all'improvviso. Mi hai trovato agitato per questo motivo,» spiegò ancora per poi farsi immensamente più serio e dispiaciuto. «Non avrei mai voluto mentirti… e per il momento, per la sicurezza di tutti, non posso dirti altro.»

Senjuro rimase un po' in silenzio poi emise a sua volta un sospiro lungo e quasi più calmo.

«Non nego di… essere un po' triste, ma posso comprendere il perché hai tenuto questa cosa nascosta,» esordì. «Ma sono felice che… non sia qualcosa di più grave. Temevo stessi male e che… non volessi farmi preoccupare…»

Kyojuro riuscì a sorridergli.

«Sto bene e probabilmente da domani potrò anche riprendere gli allenamenti fisici se la visita da Kocho avrà esito positivo,» lo rassicurò, cercando di alleggerire un po’ il tono.

Senjuro tentò a sua volta di rivolgergli un sorriso, per poi lanciarsi direttamente tra le sue braccia per stringerlo in un abbraccio e nascondere il viso contro il suo petto. Kyojuro lo strinse istintivamente a sé,  notando in quel modo quanto il ragazzino fosse cresciuto in quegli ultimi mesi, non solo a livello spirituale ma anche fisico - sembrava più alto, e aveva le spalle meno esili e le braccia più ferme e forti.

«Sono felice che tu stia bene e che non sia niente di grave…» mormorò il più giovane.

«Mi dispiace di averti fatto preoccupare,» rispose Rengoku accarezzando i capelli del fratello, che scosse prontamente la testa.

«Va bene così… ma ti prego, meno segreti? D’accordo?»

Kyojuro annuì.

«Promesso!»

Avrebbe cercato di mantenere quella promessa, ma sapeva suo malgrado che, per la sicurezza di tutti, avrebbe dovuto continuare a tenere nascosti alcuni dettagli.

Restò con Senjuro ancora per un po’, riuscendo a spiegargli come meglio poteva la situazione con Koyuki senza mai riferirsi direttamente ad Akaza o lasciare troppi indizi sulla sua identità. Senjuro si dimostrò ancora una volta più che comprensivo, e Kyojuro non poté non sentirsi realmente sollevato per essere riuscito a togliersi in parte quel peso… e sperò di non aver dato fastidio ad Akaza in quel modo.

Aveva visto quanto potesse apparire quasi possessivo e anche spaventato dalla presenza di estranei vicino alla bambina, ma sperava che non vedesse Senjuro come una minaccia - anche se aveva definito suo fratello ‘passabile’.

Si separò dal ragazzino con quei pensieri, e quando raggiunse la sua stanza sentì chiaramente le risatine estasiate di Koyuki provenire dall’interno. Gli venne spontaneo sorridere, e facendo scorrere la porta di lato si insinuò nella sua camera, dove venne accolto da Akaza, disteso sulla schiena sul tatami, con le braccia tenute in alto per far ‘volare’ la bambina sopra il suo corpo.

Il demone lo guardò e gli rivolse subito un sorriso, e il cuore di Kyojuro fece quasi una capriola. Senza quegli occhi gialli, marcati con il kanji di Kibutsuji, e quell’inchiostro scuro che percorreva tutto il corpo di Akaza… quella scena sarebbe potuta apparire quasi quella di una normale ‘famiglia’.

Ciononostante, Rengoku non si sentì realmente disturbato dall’aspetto demoniaco della Luna Crescente. Si era abituato a lui, ed era quella la sua normalità.

«Credevo non venissi più,» insinuò Akaza continuando a giocare con la bambina. La tenne per qualche momento al petto poi la sollevò verso l’alto, strappando a Koyuki una nuova esplosione di risate.

Kyojuro lo raggiunse e si sedette vicino a lui, incrociando le gambe.

«Stavo parlando con Senjuro,» rispose. «Gli ho detto… di te, più o meno.»

Controllò con attenzione la reazione del demone, trattenendo quasi il respiro.

«Di me?» ripeté Akaza aggrottando le sopracciglia.

«Gli ho dovuto dire che conosco chi ha lasciato qui Koyuki. E che questa persona viene quasi ogni sera a trovarla. Ho anche precisato di non poter rivelare la sua identità, perché potrebbe essere pericoloso non solo per noi ma anche per questa persona,» spiegò trattenendo impercettibilmente il respiro.

Akaza emise un vago verso con la bocca, sollevando di nuovo in aria la piccolina che emise un altro verso divertito e dei “papapapa” senza senso.

«Tuo fratello l’ha presa bene?»

«Direi di sì… non mi piaceva mentirgli e lo stavo facendo preoccupare. Non volevo… svelare la tua presenza ma…»

«Mi sorprende il fatto che tu abbia resistito così tanto, anzi, continua a sorprendermi il fatto che tu non mi abbia subito denunciato agli altri Pilastri,» ribatté invece Akaza. «Dopo aver capito che la famiglia di Koyuki era morta e che non avevo altre informazioni utili da darti, potevi benissimo uccidermi o chiamare qualcuno.»

Kyojuro strinse le labbra.

«Lo so,» annuì. «E ne abbiamo già parlato: non volevo coinvolgere nessuno,» aggiunse.

«Perché?»

Esitò, ma come sempre trovò quasi disarmante la facilità con la quale riusciva a parlare con il demone.

«Perché non volevo che tu facessi del male ad altre persone. Conosco la tua forza meglio di tutti gli altri Pilastri e so che loro non sarebbero stati così fortunati come lo sono stato io,» spiegò onesto. «Non sto dicendo che tu sia più forte di loro, ma che ci sarebbero state delle perdite e volevo evitarle… diciamo che ti vedevo come una mia responsabilità.»

Akaza sbuffò una risata.

«Interessante,» commentò. «Quindi siamo arrivati al ‘solo tu puoi uccidermi’

«Sì e no,» concesse il Pilastro, sorridendo a sua volta. «Ammetto che… non desidero più così ardentemente la tua morte. Mi sono abituato a te, per quanto possa sembrare impossibile e assurdo.»

«Ti sorprenderà sapere che… penso la stessa cosa,» ammise Akaza, facendo tornare la bambina sul suo petto. «Non desidero ucciderti né trasformarti in un demone.»

Kyojuro inclinò il capo. Effettivamente era da parecchie settimane che Akaza aveva smesso di parlare della sua trasformazione in demone e di quanto fosse ‘migliore’ la vita in quel modo.

«Perché?»

Akaza scrollò le spalle.

«Chi si prenderebbe cura di Koyuki? Come demone cercheresti di ucciderla e di divorarla… l’ho portata da te per farla sopravvivere e non per privarla di un’altra famiglia.»

Calò il silenzio e Kyojuro raccolse tutto il suo coraggio per cercare di entrare più nel profondo di quel discorso, conscio che probabilmente non sarebbe piaciuto a nessuno dei due affrontarlo.

«Hai mai pensato di… lasciare Kibutsuji

Gli occhi gialli di Akaza lampeggiarono per un momento, un misto tra sorpresa e timore.

«Non posso,» rispose.

«Non puoi perché lui te lo impedirebbe, o perché non puoi tu?» insistette Kyojuro.

«Kyojuro…»

«Prima o poi riprenderò il mio ruolo di Pilastro della Fiamma… e saremo di nuovo nemici fuori da queste mura. Abbiamo appena detto che non vogliamo più ucciderci, ma saremo costretti a farlo. Cambiare schieramento, probabilmente, non cambierà nulla ma potrebbe aiutare Koyuki in futuro.»

Akaza esitò, restando in silenzio per un po’. I suoi occhi si erano abbassati sulla testolina scura della bambina che era rimasta distesa sul suo petto.

«Tu cerca solo di sopravvivere il più a lungo possibile,» mormorò alla fine il demone, mettendosi seduto. Fece distendere Koyuki sul futon, e quando Akaza si sollevò del tutto, Kyojuro sentì una morsa allo stomaco e si pentì per aver esposto quei pensieri.

Cosa voleva ottenere? Che Akaza cambiasse fazione?

Lo sapeva anche lui che era impossibile, che non sarebbe mai potuto accadere. E anche se fosse accaduto? Che cosa sarebbe cambiato? 

Sapeva che Akaza aveva ucciso chissà quanti innocenti, le sue mani erano macchiate di talmente tanto sangue che difficilmente sarebbe stato possibile pulirle… non sarebbe bastata una buona azione a cancellare tutto quel dolore e la violenza.

Lo sapeva benissimo. Aveva perso il conto di quante volte aveva pensato quelle esatte parole… ma tornavano sempre lì in un continuo ‘e se’ che non li avrebbe portati da nessuna parte.

Doveva smetterla e accontentarsi di quello che aveva in quel momento.

«Akaza… mi dispiace. Non volevo,» cercò di fermarlo dall’andare via. Ormai conosceva il demone e sapeva che era in quegli istanti che sceglieva di andare via per non affrontare più determinati discorsi.

Akaza accennò un sorriso. Era triste e Kyojuro sentì una nuova morsa allo stomaco che lo spinse ad alzarsi in piedi per cercare di fermare fisicamente il demone.

«No, lo volevi invece,» lo corresse Akaza con tono stranamente paziente. «Sei una persona buona, per questo ho portato Koyuki qui. Perché sapevo che non le avresti fatto del male e che ti saresti fatto in quattro per lei.»

Il demone si guardò le mani, chiudendole a pugno prima di distenderle come se si fosse arreso.

«Non mi aspettavo che tu mi permettessi di venire a trovarla e neanche credevo di avere questo desiderio… ma soprattutto mi hai dato la tua fiducia. Ed è… stato bello. Davvero. Sei così buono da essere quasi stupido, Kyojuro,» Akaza stava sorridendo, ma era chiaro che non ci fosse una reale gioia nelle sue parole, solo amarezza. «Perché sei in grado di perdonare le persone solo perché fanno una cosa buona, ed è quello che hai fatto con me. Mi hai perdonato per averti quasi ucciso, hai tenuto le porte della tua casa aperte per me, anche se sapevi che questo ti avrebbe reso un traditore per i tuoi compagni.»

Kyojuro subì quelle parole con la consapevolezza che non fossero menzogne o supposizioni di Akaza. Tutto quello che il demone stava dicendo corrispondeva alla realtà e non poteva negarlo.

«Anche se volessi lasciarlo… non potrei farlo. Sono un demone e sono legato a lui dal sangue che scorre nelle mie vene. Sono maledetto. E in ogni caso, lui me lo impedirebbe. Ucciderebbe te e Koyuki,» concluse con una nota di rabbia e di paura nella voce, una dolorosa rassegnazione nata da quei mesi di frequentazione con la certezza di andare incontro ad un unico epilogo. «Forse…  forse è meglio se facciamo finire tutto qui

 

..••°°°°••..

 

Più Akaza parlava, più sentiva un insistente tum tum tum nelle orecchie. Un bussare forte e senza sosta che sembrava andare allo stesso ritmo dei battiti del suo cuore.

Sentiva la bocca amara e la necessità di rimangiarsi tutte le parole che aveva appena pronunciato. Voleva tornare indietro, fare finta di nulla, ma non poteva… e forse anche per quel motivo provava anche un pizzico di risentimento nei confronti di Kyojuro per aver affrontato quel discorso e averlo costretto a far finire tutto.

In realtà non era per davvero arrabbiato con il Pilastro, non avrebbe mai potuto. Akaza si sentiva semplicemente… triste.

Avrebbe voluto continuare con quella vita segreta, passare ore con Koyuki e con Kyojuro, a parlare, giocare ed essere… più umano e meno demone. Ma come sempre, tutte le cose più belle erano destinate a terminare. E per Akaza era molto più importante proteggere il Pilastro e la bambina.

Il tum tum tum che era ormai solito sentire nel retro della sua testa si fece più forte, quasi disperato, e ancora una volta Akaza associò quel rumore a quello di qualcuno che stava sbattendo con forza i pugni contro un muro, cercando di abbatterlo con la sola forza bruta.

«Non devi andare via… non deve finire così…» mormorò Kyojuro.

La sua espressione era triste e nervosa, sembrava volergli dire tante altre cose ma quelle parole non trovavano via d’uscita. 

Akaza sentì quasi l’impulso di spingersi verso di lui, prendergli il viso tra le mani e cercare in qualche modo di cancellare la tristezza che aveva oscurato la luminosità di quel volto.

Tuttavia le sue braccia rimasero ferme lungo i fianchi, quasi bloccate da un’improvvisa tensione che lì per lì il demone associò al dolore dell’abbandono.

Akaza si sforzò però di sorridergli e di trovare le parole adatte per un addio - o per farsi odiare a tal punto dal Pilastro per mettere definitivamente la parola fine a quegli incontri segreti -, ma un’improvvisa pressione al petto fece distorcere la sua espressione in una smorfia.

Non era una sensazione nuova e, boccheggiando alla ricerca d’aria, Akaza si voltò verso lo shoji chiuso.

Era Muzan.

Lo sapeva. Sentiva il sangue all’interno del suo corpo ribollire, poteva sentire sulla bocca l’amaro sapore ferroso del sangue e i suoi muscoli contrarsi dolorosamente.

Li aveva scoperti? Era arrivato lì? Voleva uccidere Kyojuro e Koyuki?

Il panico iniziò a prendere il sopravvento e il tum tum tum che sentiva nella sua testa divenne ancora più forte e disperato, simile a una richiesta d’aiuto.

«Akaza! Che sta succedendo?»

La voce agitata di Kyojuro lo fece sobbalzare e, alzando gli occhi verso il Pilastro, si rese conto che la sua vista era offuscata di rosso. Aprì la bocca senza sapere realmente cosa dirgli - “Scappa!” “Mettiti al sicuro con la bambina!” -, ma nessun suono lasciò la sua gola.

Tossì e sputò del sangue sul pavimento, causando un vago verso d’orrore nel Pilastro. Si guardò le mani, trovandole percorse da crepe nere che si stavano estendendo su tutto il suo corpo.

Doveva andare via. Nessuno era più al sicuro lì.

Cercò di muoversi e sentì la pelle spaccarsi ancora sotto la pressione di quella forza sovrumana che superava anche la sua. Il suo corpo provò a ribellarsi e di piegarsi sotto la tortura del suo padrone, ma Akaza non si arrese: non poteva subire quella punizione senza reagire, né voleva lasciare Kyojuro e la bambina nelle mani di Muzan.

Strinse con forza i pugni e gli occhi, e senza pensare ai danni che avrebbe riportato lo shoji, si lanciò contro di esso per fuggire da quella casa.

Era intenzionato a mettere più distanza possibile tra sé e Kyojuro.

Cadde in ginocchio sull’erba al di là dell’engawa, sbilanciato a causa del suo slancio e del dolore fisico. Strinse i pugni contro quei delicati fili verdi mentre sputava altro sangue.

Sentì la voce del Pilastro richiamarlo e la vicinanza di Kyojuro lo costrinse di nuovo in piedi e a balzare oltre il muro che circondava la dimora dei Rengoku, superando i tetti delle case fino a insinuarsi tra gli alberi che, giorno dopo giorno, gli avevano dato rifugio dal sole.

Il cuore martellava sempre più forte nelle sue orecchie, mentre nuove crepe sembravano crearsi sulla sua pelle e su un immaginario muro che continuava a venire colpito con l’incessante tum tum tum.

Era rabbia quella che sentiva nelle cellule di Muzan. Una rabbia che, tuttavia, non sembrava indirizzata a lui ma a qualcun’altro. Quel dettaglio non servì a calmarlo o a rassicurarlo, perché sembrava quasi una punizione diretta a tutti i demoni. Una sorta di monito.

Che cosa significava? Perché proprio in quel momento?

Cadde ancora in ginocchio quando una nuova ondata di rabbia lo travolse. Vomitò altro sangue, sentendosi quasi soffocare. Poi, all’improvviso, così come era iniziato, quel dolore e l’oppressione sembrarono svanire. Un'insperata pace lo investì, e mentre il tum tum tum diventava lentamente un eco lontano, davanti agli occhi di Akaza si formò l’ormai familiare viso di Koyuki, la ragazza del suo passato.

Era più pallido, e le sue labbra erano rosse di sangue, e il demone poté chiaramente sentire l’esile corpo della ragazza pesare sulle sue le braccia. Era freddo e immobile.

Era morta e lui non era arrivato in tempo per salvarla.

Le lacrime riempirono i suoi occhi, offuscandogli la vista e mischiandosi con quelle di sangue che avevano tinto il suo mondo di rosso. Un’assurda voglia di gridare aveva iniziato a pesargli sulla lingua, tuttavia solo un gemito di dolore abbandonò le sue labbra mentre le ginocchia cedevano di nuovo sotto il peso del suo corpo impedendogli gli alzarsi e costringendolo per terra.

Koyuki era morta.

Lo sapeva già. Lo aveva sempre saputo… ma era morta a causa sua.

Boccheggiò alla ricerca d'aria, stringendo i pugni sul terriccio che si sgretolò tra le sue dita come se fosse sabbia.

Koyuki era morta a causa sua.

Quelle parole si ripeterono nella sua mente, ancora e ancora. Crudeli e fredde, portando con loro la prova della sua incapacità e debolezza. Il peso delle sue colpe.

Akaza odiava i deboli perché lui stesso lo era. Se fosse stato più forte, Koyuki non sarebbe morta. Nessuno sarebbe morto.

Si tappò le orecchie con le mani, cercando di mettere a tacere quei ricordi e quelle parole.

Voleva ricordare, voleva riappropriarsi di ciò che aveva perduto in quei secoli, ma al tempo stesso il panico gli aveva attanagliato il suo petto, facendogli desiderare ardentemente che tutto smettesse.

Voleva solo il silenzio.

Non voleva più ricordare quanto la sua vita da umano fosse stata patetica.

Non voleva quel dolore. Preferiva vivere nell'ignoranza allo scoprire che cosa aveva perso a causa della sua debolezza.

"Basta!" urlò nella sua mente, scuotendo il capo nella speranza di poter fuggire. "Basta!"

Chiuse con forza gli occhi, pregando che tutto finisse. I suoi muscoli e la sua carne erano ancora schiacciati a causa della rabbia di Muzan, ma alla fine nulla sembrò più avere peso o importanza. Era calato il silenzio, era come se qualcuno avesse avuto pietà per lui e avesse deciso di ascoltare le sue suppliche. Quella pace era spezzata solo dal suo respiro irregolare e dal cuore che continuava a battere forte.

Rimase con gli occhi chiusi, aggrappandosi a quel buio improvvisamente così rassicurante. 

Era davvero tutto finito?

Ansimò, e quell'attimo di pace e di vuoto permise ad Akaza di riprendere fiato, ma sfortunatamente non durò a lungo, perché una voce maschile si levò alta spazzando via quell'istante di quiete.

«Hai già su entrambe le braccia il marchio delle tre fasce tatuate ai borseggiatori. La prossima volta ti verranno amputate le mani!»

Quelle parole si insinuarono maligne nella mente di Akaza. Erano cariche d'odio e disgusto, pungenti come il dolore che Akaza iniziò ad avvertire sulla schiena e sulle braccia.

Gli sembrava reale. Poteva sentire delle ferite squarciare la sua pelle, il sangue scorrere su quelle lesioni che venivano percosse più e più volte dal morso di una frusta.

Gli sembrava reale, perché lo era. Era successo in passato.

Era stato denunciato e condotto dal magistrato. Ma per cosa era stato denunciato? Aveva rubato?

Sì, stava rubando, realizzò Akaza ricordando quel dettaglio che lo portò a interrogarsi sul motivo dei suoi furti.

Lo faceva per soddisfazione personale? Era stato costretto? Rubava per fame? O per qualcos’altro?

Non riusciva a ricordare le sue motivazioni, ma una nuova sensazione si fece avanti, seguita da altre parole di finta comprensione.

«Ti darò dei soldi se vieni a casa mia. Ho bisogno di un ragazzino come te per un lavoretto.»

La promessa del denaro lo aveva spinto ad accettare, e Akaza sentì chiaramente un sentimento simile alla speranza ribollirgli in petto mentre quelle voci e sensazioni del passato si alternavano nella sua mente avvolta dall’oscurità.

Aveva bisogno di quei soldi. Ne aveva assolutamente bisogno, per quello non aveva esitato nell'accettare quella proposta di lavoro.

La speranza però si era spenta subito, perché Akaza avvertì le mani dell'uomo sul suo corpo. Le sentì indugiare sui suoi fianchi e poi sulle cosce in una carezza troppo intima per essere casuale.

Sentì, come se stesse accadendo in quel momento, la nausea e la paura strappargli il respiro e infine un pulsante fastidio alla mano a causa del suo pugno che si era infranto contro il naso dell'uomo.

Aveva preso i soldi ed era scappato, ma la sua fuga non era durata a lungo. La denuncia per il furto e l'aggressione, e infine la punizione del magistrato... Akaza era così debole.

Il sangue tornò a scorrere sulla sua schiena. Le ferite pulsavano senza rimarginarsi e il fastidioso odore dell'inchiostro stava andando a mischiarsi a quello delle sue ferite.

«Hai appena undici anni e sei già un criminale recidivo. Inoltre continui a fare lo spavaldo, nonostante tu abbia ricevuto cento fustigazioni che avrebbero fatto perdere i sensi ad un uomo adulto… sei davvero un piccolo demone.»

Piccolo demone.

Lo avevano chiamato tante volte in quel modo. Forse era destino per lui diventare un demone, forse lo era sempre stato, anche quando era un umano.

Akaza cercò di prendere fiato, ma la sua testa vorticò in quel buio senza fine, e alle sue orecchie giunsero delle nuove voci seguite da una forte presa sulle sue spalle.

Parole e frasi ancora senza un volto, ma ugualmente terrificanti.

«Appena ha saputo che ti avevano arrestato di nuovo, tuo padre si è appeso per il collo ed è morto.»

Quelle mani iniziarono a scuoterlo mentre qualcuno gli urlava contro quelle parole, portandolo a nuove sensazioni e ricordi, ancora avvolti dall’oscurità che era calata nella sua mente.

Fu in quel momento che Akaza ricordò: rubava per suo padre.

Suo padre era malato e debole. Non poteva più lavorare, e Akaza era troppo piccolo per poterlo fare al posto suo. Erano poveri e non potevano permettersi le medicine. 

«È morto, capisci?»

Insistette la voce.

No. Non lo capiva.

Non lo aveva compreso in passato e non riusciva a comprenderlo neanche in quel momento.

Perché suo padre si era ucciso? Era a causa sua? 

Akaza sentiva che gli mancavano dei pezzi in quel turbine di ricordi e sensazioni che lo stavano travolgendo. Gli stava sfuggendo qualcosa, ma era come in balia delle onde… e non riusciva a controllare ciò che stava dolorosamente ricordando.

«Sei solo un topo di fogna, inutile e patetico. Perfino tuo padre ha preferito uccidersi all'avere un figlio come te!»

Un calcio nello sterno gli fece mancare il respiro. Sentì in bocca il sapore del sangue e quello amaro e secco del terriccio, come se la sua faccia fosse stata schiacciata per terra.

Altri insulti riempirono la sua mente, seguiti da dolorose botte e tanta rabbia e disperazione. 

Sentiva le nocche delle mani bruciare e pulsare. Teneva le mani a pugno ed erano tante le ferite e le cicatrici per tutte le volte che Akaza aveva cercato di difendersi. Aveva spaccato nasi e mascelle, steso persone più grandi di lui. Ma a quell'ira non sopraggiungeva altro, solo altra disperazione… come se la sua vita da umano non fosse altro se non quella violenza e il dolore.

Dei pugni si abbatterono ancora sul suo petto, la pelle d'oca gli fece quasi rizzare i capelli sulla nuca.

Un peso enorme e nauseabondo gli stritolò lo stomaco, facendogli sentire l'acido sapore della bile sulla lingua.

«Hanno messo del veleno nel pozzo! Sapevano di non poter vincere affrontando direttamente te o Keizo, così hanno scelto un metodo vigliacco e crudele!»

Keizo, Akaza ripeté quel nome cercando di capire a chi appartenesse. Sapeva che era importante, di doverlo ricordare… ma qualcosa gli stava impedendo di dare un'identità e un volto a quel nome.

«Come si può essere così brutali?! Anche la dolce Koyuki è stata ammazzata!»

Il buio si diradò un poco per mostrare nel nero infinito un tatami e delle stuoie, sulle quali erano stati adagiati due corpi: quello di un uomo e quello di una giovane donna.

I visi erano nascosti da un fazzoletto candido e il sangue macchiava i loro kimono. Immobili nell'ingiusta e dolorosa morte che li aveva colti.

Koyuki e Keizo. Erano loro. Erano la sua famiglia.

Akaza prese tra le braccia Koyuki, lasciando che il telo bianco che le copriva il viso scivolasse per terra. La strinse a sé e le lacrime gli offuscarono di nuovo la vista.

Aprì la bocca per chiederle perdono per non essere stato con lei nel momento del bisogno, per non averla salvata e non essere stato abbastanza forte… per essere stato lui, con la sua sola presenza, a far cadere la malasorte su quella famiglia.

Perché Akaza era un demone e nulla di buono poteva venire da lui, e fu in quel momento che il peso del corpo di Koyuki scomparve.

Il buio abbracciò di nuovo il tatami, e una pozza rossa iniziò ad allargarsi sotto i suoi piedi mentre delle urla di terrore iniziarono a rimbombargli in testa.

L’odore del sangue gli pizzicò il naso, mentre sulle mani chiuse a pugno avvertì la consistenza della carne e delle ossa che venivano distrutte.

«T-ti prego! Risparmiami! No-non ho fatto nulla! Sono innocente!» 

«Mostro! È un mostro!»

«Aiutateci!»

Il nero continuò a tingersi di rosso, come se il sangue gli avesse macchiato il volto. Come se fosse entrato direttamente nei suoi occhi.

Dolore e rabbia animavano la sua vendetta. Un urlo di dolore inespresso che scalpitava nel vuoto della sua anima che, probabilmente, non aveva mai conosciuto la gioia.

In quell’inferno rosso sangue apparve una nuova figura. Un uomo dai lunghi capelli neri e l’elegante kimono.

Kibutsuji Muzan.

Akaza sentì la mano del suo padrone penetrargli il cranio e fargli esplodere il cervello. Non sentì dolore, perché Akaza in quel momento era come un guscio vuoto.

Non gli importava più di niente. Aveva perso tutto e tutti.

Come essere umano aveva fallito ed era morto quella notte.

Aveva permesso al demone che aveva sempre nascosto dentro di sé di nascere, pronto a continuare a compiere altri indicibili massacri.

Alla fine, la sua vita era davvero stata patetica, e per colpa sua tante persone innocenti avevano sofferto ed erano morte.

Il magistrato e tutti gli altri avevano avuto ragione nel definirlo un piccolo demone.

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Capitolo 9
*** A blessing in disguise ***


As Soothing As Snow

Capitolo 9
A blessing in disguise


»--•--«


Un rumore di vetri infranti rimbombò all’improvviso, cancellò in un solo istante le sensazioni che avevano piegato l’animo di Akaza. Il demone si costrinse a voltarsi alla ricerca della fonte di quel rumore all’interno di quel buio senza fine, e un’improvvisa luce, calda e rassicurante, lo portò a chiudere gli occhi quasi accecato.

Alzò il braccio per proteggersi, e un vago tepore abbracciò delicatamente il suo corpo, facendolo sentire protetto.

Sentì delle braccia stringerlo con dolcezza e una mano, morbida e calda, accarezzargli il viso. Alle sue orecchie giunse una canzone, canticchiata con le labbra strette. 

Una ninna nanna.

Era un ricordo lontano, e Akaza era in qualche modo certo che fosse estremamente prezioso.

Il suo cuore iniziò a battere forte nel rendersi conto che quello, probabilmente, era il suo primo ricordo, e lasciò cullare da quel suono piacevole e rassicurante.

Solo dopo un po’ Akaza si costrinse ad aprire gli occhi e quella la canzone, così come era iniziata, si spense lentamente. Ne sentì la mancanza ma le sensazioni che aveva provato erano rimaste lì mentre il mondo attorno a lui prendeva una forma e un colore diverso.

Non era più avvolto dall’oscurità, il buio era stato spazzato via per essere sostituito da una forte e gradevole luce. Il calore di quel luogo -una casa dai contorni quasi sfocati ma piacevoli - lo abbracciò lenendo il dolore che ancora sentiva nel petto.

Con lui c’era un uomo. Era magro e pallido, e stava cucinando del riso sul piccolo focolare della casa. Akaza era lì accanto, disteso sullo stomaco sul tanami. Attorno a lui vi erano dei fogli sparpagliati e le sue mani erano sporche di inchiostro.

Delle linee confuse e incerte erano segnate sulla carta, e un moto d’orgoglio riempì il petto di Akaza. Tentò di leggerle, ma erano troppo sfocate per essere comprese.

Quello tuttavia non gli impedì di tirare su il foglio, per mostrarlo all'uomo. Le guance tiravano per un sorriso e quella felicità sembrò quasi esagerata per Akaza.

«Ho scritto il mio nome con i kanji, papà!»

La voce che lasciò la bocca del demone era giovane e infantile, carica d’orgoglio per l’impresa appena compiuta.

“Avevo un altro nome, quindi,” realizzò scioccamente Akaza, senza però riuscire a vedere ciò che aveva scritto. Ma importava davvero avere un altro nome?

«Sei stato bravissimo, ormai non ho più niente da insegnarti. Sei più bravo di me,» rise in risposta suo padre, scompigliandogli i capelli.

Akaza sentì una risata vibrargli in petto, chiuse gli occhi come per godersi quella carezza e quando li riaprì non era più sul tatami ma si trovava disteso con suo padre su un futon liso ma accogliente.

Suo padre sembrava più debole, quasi malato, ma non aveva perso la sua espressione dolce e rassicurante.

«Sei un bravo bambino, non importa ciò che dicono gli altri. Io sono fiero di te e ti voglio bene,» mormorò l’uomo, accarezzandogli il viso.

La mano era piacevolmente tiepida, e la sua voce morbida e senza l'ombra della menzogna.

«Ti voglio bene anche io papà! E non mi importa degli altri, ci siamo solo io e te! Contiamo solo noi!»

Quella frase lasciò le sue labbra senza che Akaza potesse anche solo pensare di pronunciarla. Era felice e sentiva un forte senso di protezione e di appartenenza verso suo padre. 

Akaza sapeva con assoluta certezza che avrebbe fatto di tutto per lui, e non desiderava altro nella vita se non stare al suo fianco.

I bordi sfocati mutarono di nuovo in un turbinio delicato che fece svanire il futon e anche suo padre.

Akaza non stava più sorridendo. Sentiva il volto dolorante, come se fosse stato ferito. Forse era stato picchiato, ma non sentiva realmente il peso delle botte che aveva ricevuto, ma uno strano calore - tra la speranza e il sospetto - che stava iniziando ad ardergli in petto.

Non era più a casa sua, ma stava camminando su un engawa. Era giorno e il sole accarezzava i bordi sempre sfocati e luminosi di quei ricordi.

Davanti a lui c’era un uomo dalle spalle larghe e i capelli scuri. Indossava una bianca divisa da Jiu-jitsu gi con dei kanji neri sulla schiena.

Soryu.

Era uno stile di combattimento.

“Il mio stile,” realizzò Akaza, anche se fino a quel momento non vi aveva mai dato troppo peso né ci aveva realmente pensato.

«Mi chiamo Keizo e gestisco un dojo di Soryu, un’arte marziale di combattimento a mani nude… però non ho nemmeno un allievo! Al momento mi guadagno da vivere come tuttofare!»

La voce dell’uomo - Keizo - era leggera come la pioggia estiva, capace di lenire il dolore che Akaza avvertiva in petto.

«Come primo compito, dovrai badare a mia figlia che è malata. Io devo lavorare, per cui voglio affidarla a te. L’altro giorno mia moglie si è suicidata gettandosi in acqua, perché si era stancata di curarla… perciò la situazione è molto dura.»

Era un tipo strano ma Akaza non sentiva intenzioni maligne provenire da lui. Non sembravano esserci secondi fini, ciò che usciva dalla sua bocca sembrava corrispondere solamente alla realtà.

«La verità è che io sono un buono a nulla e ho gravato troppo su entrambe,» concluse Keizo. Il suo tono si era fatto triste, ma era come se quelle spalle, così larghe e rassicuranti, potessero sostenere il peso di ogni dolore… anche quello di Akaza.

«Sicuro di voler lasciare un criminale come me in casa con una ragazza sola?»

Come poteva realmente fidarsi di lui? Era davvero così sciocco? O era così… buono da saper guardare oltre i tatuaggi e le cicatrici che Akaza portava impressi sulla sua pelle?

Gli ricordava quasi Kyojuro.

Keizo rise e si voltò verso di lui. Un sorriso gli illuminò il viso, e Akaza sentì di non dover mai dubitare di lui.

«Beh, poco fa ho preso a botte il tuo lato criminale… quindi non c’è problema!»

Era davvero così semplice cancellare la violenza che Akaza aveva conosciuto fino a quel momento? Forse lo era per Keizo, e dentro di sé Akaza sentì di volerci credere.

Una porta scorrevole venne fatta scivolare di lato e Keizo, con orgoglio, presentò la persona seduta su un futon all’interno della stanza.

«Questa è mia figlia Koyuki!»

Il cuore di Akaza esplose in petto nell’incrociare lo sguardo di Koyuki. Era esile e aveva le mani davanti alla bocca per tossire. Ogni colpo di tosse la faceva sobbalzare e il viso diventava sempre più rosso per lo sforzo.

Akaza sentì le gambe deboli, e la distanza che lo separava dal futon di Koyuki gli sembrò immensa.  

Si sedette accanto a lei, con il crescente desiderio di proteggerla, di farla guarire e di aiutarla a superare quella malattia ad ogni costo… ma fu Koyuki la prima a tendergli la mano, come nessun’altro aveva mai fatto in quel momento.

«La tua… faccia… è ferita! Stai bene?»

Solo suo padre si era mai interessato a lui e alla sua salute.

Suo padre che stava sempre male, esattamente come Koyuki… ed entrambi stavano mettendo da parte il loro dolore e la malattia per interessarsi a lui.

«Uhm… sì…» mormorò in risposta guardandosi le mani. Erano piene di graffi, arrossate e rovinate. Troppo sporche per potersi meritare quella seconda possibilità, che tuttavia gli stava venendo offerta senza nessuna remora, senza nessuna assurda richiesta.

«Io… mi chiamo Koyuki… tu?»

La ragazza tossì ancora, portando le mani al volto, e Akaza si mosse ancor prima di poter dire al suo corpo di muoversi o di rimanere fermo.

Accarezzò con delicatezza la schiena di Koyuki. Lenti movimenti circolari, come era abituato a fare con suo padre.

Sentì lo stomaco stringersi per quel pensiero e si allontanò subito dalla ragazza, imbarazzato per essersi preso quella libertà senza alcuna autorizzazione.

«Scusa…» 

«V-va meglio ora…» soffiò Koyuki, sforzandosi di sorridergli. «Grazie…»

L’aria mancò dai polmoni di Akaza, preso in contropiede da quel ringraziamento. Aprì la bocca, sentendo sulla punta della lingua la necessità di dirle il suo nome.

Come sarebbe stato pronunciato dalla ragazza? Che suono avrebbe avuto?

Deglutì e prese un respiro prima di cercare di pronunciarlo. Tuttavia non sentì mai la sua voce perché la camera di Koyuki mutò in un turbinio di colori delicati ma brillanti che presero lentamente i contorni del dojo di Keizo. Le assi di legno del pavimento erano lucide e brillanti, e Akaza sentiva i muscoli piacevolmente doloranti per l'allenamento.

«Hai davvero talento,» dichiarò Keizo, offrendogli un asciugamano. «Sei il miglior allievo che abbia mai avuto!»

Akaza si sentì ridacchiare, asciugandosi il viso sudato. L'orgoglio gli ribolliva in petto per quelle parole e un senso di appartenenza lo faceva quasi fremere per la felicità.

«E non sarò l'unico ancora per molto, sono certo che presto avrai altri allievi, maestro!» dichiarò con sicurezza.

Sembravano ormai lontani i giorni nei quali non riusciva neanche ad aprire bocca davanti all'uomo, dove si sentiva ancora sospettoso per l'opportunità che gli era stata offerta.

Si sentiva a casa, parte di quella famiglia.

L'ambiente mutò ancora. Koyuki era sempre seduta sul suo futon e Akaza si trovava vicino a lei. Tra di loro una scacchiera di shogi, ferma sullo scacco matto.

Koyuki rideva e le sue guance arrossate spiccavano sulla sua pelle pallida.

«Lo so che lo stai facendo di proposito!» dichiarò la ragazza senza smettere di sorridere.

Akaza sentiva anche le sue labbra piegate verso l'alto, e una gioia innocente e sincera gli riempiva il petto. Lui avrebbe fatto di tutto pur di continuare a rendere Koyuki felice, e quel gioco sembrava divertirla.

«Sei più brava di me, non perderei mai di proposito!» si difese, pur consapevole di aver appena pronunciato una piccola bugia. Ma Koyuki rideva ancora e tutto il resto non importava.

La ragazza smise di ridere qualche istante dopo, fermandosi per prendere fiato. Venne scossa da un colpo di tosse e Akaza le fu subito affianco, accarezzandole la schiena con lenti movimenti circolari.

«Ti porto dell’acqua,» le disse, e Koyuki scosse il capo.  

«Sto bene, non preoccuparti,» mormorò la giovane alla fine di quel breve attacco di tosse, sorrideva ancora e Akaza sentì di nuovo l'impulso di proteggerla da tutto e tutti pur di farla stare bene.

«Forse dovresti riposare,» le suggerì.

«Va bene… ma promettimi che la prossima volta non mi farai vincere di proposito,» commentò Koyuki. Poteva sostenere di stare meglio ma il suo corpo aveva bisogno di riposo e lui voleva impedirle di strafare.

«Promesso,» rispose e la ragazza rise ancora.

«Sapevo di aver ragione!»

Continuò a ridere, Akaza si convinse che non potesse esistere suono più bello di quello.

La risata si spense, e lentamente i contorni di quella camera mutarono fino a diventare un giardino innevato. Era il retro del dojo, dove si trovava il laghetto delle carpe circondato da delle betulle.

Akaza sapeva di passare tanto tempo in quel luogo. Si prendeva cura dei pesci e alle volte si sedeva all’ombra degli alberi a disegnare - aveva regalato tanti disegni a Koyuki nel tentativo di mostrarle il mondo come meglio poteva perché lei era ancora troppo debole per poterlo ammirare con i suoi occhi.

Era un angolo di pace che in quel momento, grazie alla neve, sembrava ancor più magico.

In quel momento, Akaza stava mettendo della neve in un secchio, e fu la voce di Keizo a spingerlo ad alzare il capo e a interrompere il suo lavoro.

L'uomo era sull'engawa, coperto con un pesante haori, e nonostante il sorriso sempre presente sul suo volto, Akaza notò una certa confusione nel suo sguardo.

«Che stai facendo? Non dovresti essere dentro al caldo?!»

Akaza sentì l'imbarazzo colorargli il viso.

«Maestro… porto… vorrei portare un po' di neve a Koyuki-san,» rispose, sobbalzando quando sentì l'uomo scoppiare a ridere.

Keizo balzò dall'engawa affondando nella neve, e lo raggiunse. Il suo sorriso si era allargato e si era fatto ancor più luminoso.

«È un'ottima idea! Geniale! Koyuki ama la neve!»

Koyuki amava davvero la neve. E pur di vederla sorridere, Akaza aveva pensato di farle quel dono.

Se lei non poteva uscire per giocare con la neve e toccarla, allora sarebbe stato lui a portargliela.

Il demone sapeva che se Koyuki gli avesse chiesto la luna e le stelle, lui avrebbe fatto in modo di portarle il cielo.

Era scioccamente innamorato e felice.

Altre immagini e scenari si susseguirono nei ricordi di Akaza dopo quel momento. Istanti felici, dai contorni sfocati e luminosi.

Si prendeva cura di Koyuki, parlava con lei e la aiutava. Uscivano insieme quando la ragazza sembrava stare meglio e altrettante volte restavano semplicemente l’uno in compagnia dell’altra, godendo della rispettiva vicinanza.

Si allenava con Keizo, rendendo sua l’arte marziale di quel dojo. Imparava che i suoi pugni non servivano solo a distruggere ma che potevano essere utilizzati anche per proteggere.

Stringeva amicizia con i vicini che non avevano paura di lui e che anzi, avevano iniziato a nutrire stima e anche affetto. Andavano oltre i suoi tatuaggi e il suo passato, guardando solo il presente e ciò che il futuro sembrava promettere per il dojo di Keizo.

Akaza faceva piccole commissioni e lavorava in quella casa, sentendosi parte di quella famiglia che lo aveva accolto e dato una diversa prospettiva di vita.

Era felice, e sentiva quella gioia bruciargli in petto, pronta a esplodere da un momento all’altro.

«Dì un po’, ti andrebbe di ereditare questo dojo? Dopotutto, piaci anche a Koyuki!»

L’ambiente era mutato ancora. Akaza si trovava seduto nella stanza dove lui, Keizo e Koyuki erano soliti consumare i pasti.

Keizo e sua figlia erano seduti davanti a lui. L’uomo sorrideva speranzoso e fiducioso, mentre Koyuki teneva lo sguardo basso, le mani strette sul kimono, e le guance rosse come dei frutti maturi.

Era imbarazzata e Akaza stesso sentì il viso andargli a fuoco per le implicazioni di quelle parole, per il futuro che Keizo gli stava proponendo.

Avrebbe voluto urlare e accettare quella proposta, ma quando sentì le lacrime pizzicargli gli occhi Akaza non poté far altro se non prostrarsi in avanti, lasciando che fosse quel gesto a rispondere per lui, perché in quel momento nessuna parola poteva descrivere la sua felicità.

Quando si sollevò, attorno a lui era calata la notte. Si trovava in una collina che, in un lampo, venne illuminata dalle luci di un fuoco d’artificio.

«Ti vado bene veramente?»

Koyuki era ferma a pochi passi da lui. Indossava un kimono azzurro chiaro e tra i capelli aveva un fermaglio con tre piccoli fiocchi di neve.

Il viso le veniva illuminato dai fuochi d’artificio. Rosa, verde e azzurro si alternavano sul suo profilo così delicato.

Già da tempo la sua salute le stava permettendo di uscire fuori casa e di compiere piccoli lavoretti. Agli occhi di Akaza non esisteva una persona più forte di Koyuki. Aveva superato così tanto dolore, e non aveva mai smesso di sorridere e di vedere il buono nelle persone.

Koyuki era bellissima per lui e non comprendeva come potesse sentirsi insicura e chiedergli se lui, con quei tatuaggi da borseggiatore, fosse sicuro di volerla come compagna.

Aprì la bocca per risponderle, ma la ragazza gli impedì di parlare.

«Quando eravamo ragazzi avevamo parlato di venire a vedere i fuochi d’artificio. Te ne ricordi?» 

Akaza ricordava. Sentiva di non voler dimenticare neanche il più piccolo dettaglio della vita trascorsa accanto a Koyuki, ma dalla sua bocca uscì solo un incerto: «Eh? No… uhh…»

Koyuki scosse delicatamente il capo, come per fargli capire che non era realmente importante ricordare quel dettaglio.

«Quelle semplici conversazioni che facevo con te, Ha-…» l’esplosione di un fuoco d’artificio impedì ad Akaza di sentire chiaramente il suo nome. «Contenevano moltissime cose che mi rendevano felice. Dicevi che se non fossimo riusciti a vedere i fuochi d’artificio in quell’occasione… sarebbe stato comunque possibile ammirarli l’anno seguente o quello dopo».

Koyuki ridacchiò per quel ricordo e continuò poi a parlargli di speranza, e di come le sue parole fossero state in grado di mostrarle un futuro al quale non credeva a causa della sua malattia.

Akaza avrebbe voluto dirle che era l’esatto contrario, che era stata lei a dargli la speranza di un futuro e che era felice come non lo era mai stato, ma le parole rimasero rinchiuse nel suo cuore.

Le labbra di Koyuki si mossero ancora per pronunciare il suo nome umano, ma un fischio gli impedì di nuovo di sentirlo.

Era come se non gli fosse permesso di scoprirlo o di sentirlo pronunciato dalla giovane donna.

«Ti andrebbe di sposarmi?» gli chiese Koyuki. Le mani della ragazza si erano strette sulle sue ed erano sudate e fredde. Stava tremando per l’emozione e per il timore.

Era già stato deciso, ma Koyuki sembrava aver bisogno di quella conferma… e Akaza si rese conto di sentire quella stessa necessità. Le strinse quindi le mani, cercando quasi di scaldarle e di trasmetterle la sua sicurezza e tutto il suo amore.

«Certo. Io diventerò più forte di chiunque altro, e ti proteggerò per tutta la vita,» rispose Akaza.

Credeva davvero a quelle parole. Voleva che fossero reali, ma Akaza sapeva già l’epilogo di quella storia.

Perché aveva ricordato quella vita così felice quando sapeva già che si sarebbe conclusa con la morte di tutto ciò che aveva mai amato?

I fuochi d’artificio continuarono ad esplodere, illuminando il viso di Koyuki e Akaza sperò, nonostante tutto, di poter rimanere lì in quel ricordo.

Non voleva andare avanti né tornare indietro.

Eppure le mani di Koyuki sparirono dalla sua presa e attorno a lui il mondo si capovolse, vorticando velocemente fino a fermarsi in quella che riconobbe come la camera di Kyojuro.

Il Pilastro però non era presente e neanche la bambina. Si guardò attorno e i suoi occhi si posarono su una figura estranea, seduta sull’engawa.

Il giardino all’esterno era come Akaza lo ricordava, curato e ordinato, ma anche estremamente luminoso a causa del sole alto in cielo.

Solo una cosa gli sembrava fuori posto e quasi anomala… tra l’engawa e la stanza vi era una sorta di vetro rotto. Non vi erano cocci per terra ma solo quel passaggio a grandezza d’uomo, le cui crepe brillavano nel venire accarezzate dal sole.

Portò di nuovo lo sguardo sulla figura, tanto familiare quanto estranea.

Aveva i capelli neri e corti, e indossava una divisa di Jiu-jitsu gi con i kanji dell’arte marziale Soryu impressi sulla schiena. Tre linee nere abbracciavano gli avambracci del giovane uomo: i marchi del borseggiatore.

Akaza si fece avanti nervoso, rimanendo però dentro la camera - era un luogo sicuro e familiare, non voleva realmente abbandonarlo.

«Chi sei?» chiese, e una voce tremendamente simile alla sua giunse in risposta.

«Mi chiamo Hakuji,» disse semplicemente il giovane uomo, voltandosi verso di lui. «Io sono te, Akaza.»

Il demone strinse le labbra, trovando assurda quell’affermazione ma dall’altra parte il viso di quel giovane era uguale al suo. Stesso naso, stessa forma del mento e delle guance… ma al tempo stesso era umano.

Cercò di ignorare quelle sensazioni e l’affermazione di quel giovane uomo - Hakuji, quel nome sembrava appartenergli ma al tempo stesso era estraneo.

«Perché sei qui? Dov’è Kyojuro? E la bambina?» lo interrogò subito nervosamente.

«Loro non sono qui. Questa non è la vera stanza di Rengoku-san, è solo il luogo nel quale sono riuscito a crearmi uno… spiraglio,» spiegò Hakuji, facendogli cenno di avvicinarsi.

Akaza esitò, l’engawa era baciato dalla luce del sole e tutto di lui gli diceva di stare lontano da quel luogo.

«Non preoccuparti. Qui il sole non può ferirti,» lo incoraggiò l’altro e Akaza, fidandosi ciecamente senza neanche dubitare un momento di quelle parole, fece un primo passo per oltrepassare il varco creato dal vetro infranto e che lo separava dall’esterno.

Il sole gli accarezzò dapprima i piedi e infine tutto il corpo, avvolgendolo con un piacevole abbraccio, simile a quello che aveva provato nei ricordi più belli della sua vita umana.

Si sentì immensamente leggero e quasi libero, una sensazione piacevole come quella che aveva provato con Keizo e Koyuki… ma anche con Kyojuro.

Incapace di stare immobile, Akaza scese dall'engawa superando Hakuji. Si fermò a qualche metro da lui, il viso rivolto verso il cielo e gli occhi chiusi, lasciandosi abbracciare da quel sole così strano e piacevole.

«Per oltre un secolo ho cercato di liberarmi… ma solo ora Kibutsuji mi ha permesso, forse senza volerlo, di creare un varco,» riprese Hakuji.

Nel sentire il nome del suo padrone, Akaza sobbalzò e si voltò di scatto verso l'altro, aspettandosi una qualche ritorsione che tuttavia non giunse.

«Non ha potere in questo luogo, ma starei in ogni caso attento quando uscirai di qui,» commentò Hakuji, e Akaza, quasi più rincuorato da quell'informazione, ragionò sulle informazioni ricevute.

«Che varco?»

«Nei tuoi… nei nostri ricordi,» rispose Hakuji. «Forse non te lo ricordi, forse sei ancora un po’ confuso da tutti i ricordi che hai ottenuto, ma quando Kibutsuji ti ha creato io ero… come un guscio vuoto. Avevo perso la voglia di vivere, non mi importava più di niente. Ma durante la trasformazione avevo capito di non voler rinunciare al ricordo di Koyuki e della mia famiglia.»

Akaza fece qualche passo verso di lui, incuriosito e nervoso al tempo stesso. Era strano ma anche facile parlare con Hakuji.

«Perché?»

«Perché sono importanti, lo hai visto anche tu,» dichiarò paziente Hakuji. «I nostri ricordi sono mai stati cancellati del tutto, ma Kibutsuji ci ha provato. Più volte in realtà… e li ho sempre protetti, certo che un giorno li avresti voluti reclamare.».

«Non ricordavo neanche di averli, perché li avrei dovuti volere indietro?» domandò ancora il demone.

«Inconsciamente non ricordavi di averli… ma sono sempre stati lì. Io sono sempre stato qui,» precisò, per poi proseguire sempre con calma. «Sono io il motivo per il quale non sei mai riuscito a uccidere o divorare una donna, o del perché ti piacciono i fuochi d’artificio. O del tuo desiderio di restare con Rengoku-san e la bambina. Si può dire che io sia ciò che rimane della tua umanità.»

«E… perché siamo proprio qui?»

«Lo hai pensato poco fa: questo è un luogo sicuro,» Hakuji scrollò le spalle, come se quell’affermazione fosse ovvia. «Qui ti senti a tuo agio, protetto. La tua mente ha creato questa immagine ed è qui che sono riuscito a… prendere a pugni quel dannato muro e a farti ricordare tutta la nostra esistenza.»

Hakuji ridacchio, ed Akaza lo imitò.

«Tipico. Ci facciamo strada prendendo a pugni qualsiasi cosa…» concesse il demone, facendosi poi più serio.

Sentiva di doversi agitare, di dover reagire in modo diverso, ma qualcosa in quel luogo e in Hakuji stava placando il suo istinto. Si sentiva calmo, come se non dovesse più combattere… almeno non in quel luogo e soprattutto non contro se stesso.

«Quindi… che cosa significa tutto questo?» salì di nuovo sull'engawa e prese posto accanto ad Hakuji, rendendosi conto solo distrattamente di essersi seduto nella stessa posizione dell'altro.

«Parliamoci chiaro, Akaza: noi due meritiamo l’inferno. Questo angolo di paradiso non è per noi,» dichiarò Hakuji senza mezzi termini. «Ho ucciso sessantasette persone con queste mani e tu non sei stato da meno. Siamo due mostri

Akaza annuì consapevole della veridicità di quelle parole.

«Ma non ho protetto tutti i nostri ricordi per niente, né te li ho voluti mostrare per ferirti o per dimostrarti che la nostra vita è stata patetica, che la felicità ci è sempre stata portata via… l’ho fatto perché ora sai che c’è stato del buono nella nostra esistenza. Ti ricordi di nostro padre e del nostro maestro. Hai ricordato anche Koyuki-san. Per questo motivo, per non continuare a ferire il ricordo di queste persone, sai che possiamo portare con noi all’inferno qualcuno di ancora più pericoloso. Possiamo salvare molte più vite di quante ne abbiamo mai preso.»

Il demone si irrigidì, comprendendo appieno le implicazioni di quelle affermazioni… seppur brevemente le aveva già affrontate con Kyojuro, ed erano estremamente pericolose oltre che impossibili.

«Non è impossibile,» lo corresse Hakuji avvertendo ancora una volta ciò che stava passando per la testa di Akaza. «Difficile forse, ma non impossibile

«La maledizione,» commentò il demone. Non poteva sfuggire al sangue di Muzan, scorreva nelle sue vene, e Hakuji doveva saperlo bene.

«Eppure sai benissimo che esistono dei demoni non affetti dalla maledizione di Kibutsuji,» gli ricordò l’altro, e Akaza dovette suo malgrado dargli ragione.

Attraverso i ricordi di Muzan, impressi nel suo sangue, sapeva dell’esistenza di un demone che era stato in grado di spezzare la maledizione approfittando di un momento di debolezza del loro padrone. Era stato un caso, ma quel demone si era liberato.

Poi, ricordò, vi era il demone che stava con gli Ammazza Demoni. Akaza non ne aveva la certezza, ma poteva quasi dare per scontato che fosse fuori dal controllo di Muzan.

Due demoni particolari non rendevano tuttavia fattibile per lui un cambiamento così radicale.

“Difficile forse, ma non impossibile,” gli aveva detto Hakuji, e Akaza sapeva che in qualche modo quelli erano i suoi stessi pensieri.

Aggrottò le sopracciglia in una smorfia e si morse le labbra, permettendo in quel modo ad Hakuji di continuare a parlare.

«Puoi compiere una scelta e aiutare chi ti ha accolto in questa casa, perdonando in parte i tuoi crimini. Puoi fare in modo che la bambina che hai salvato viva abbastanza per vedere un futuro senza demoni. Sai che puoi farlo, sai che devi farlo. Se non per te, puoi farlo per dare pace alle persone che ci hanno amato e per quelle che ora risiedono nel tuo cuore.»

Akaza esitò ancora. Non aveva bisogno di esprimere a voce i suoi pensieri perché Hakuji era in grado di percepire anche i sentimenti che stava tenendo nascosti nel profondo del suo animo… ma non era facile accettarli.

Non era semplice lasciar andare via ciò che per secoli aveva caratterizzato la sua esistenza, ma al tempo stesso era stato facile fidarsi di Kyojuro. Fingere che il mondo all'esterno di quelle quattro mura non esistesse.

Alla luce di ciò che aveva appreso, lui e il Pilastro erano simili sotto un certo punto di vista perché entrambi erano nati come protettori. Erano stati disposti ad annullarsi pur di proteggere la loro famiglia… ma le loro vite avevano preso due vie totalmente diverse.

Ma ad Akaza sarebbe piaciuto essere più simile a Kyojuro.

«Lui è speciale,» commentò Hakuji. «Sarebbe piaciuto a nostro padre, ma anche al nostro maestro e a Koyuki-san,» aggiunse con un piccolo sorriso.

«Lo so,» annuì Akaza permettendosi a sua volta di sorridere. «Sarebbero piaciuti anche a Kyojuro. Lui… io… non voglio deluderlo.»

«Devi essere tu a prendere una decisione,» riprese l’altro. «Ma posso pregarti di… pensare a cosa rischiamo di perdere. Puoi provare a fare la cosa giusta.»

«Vorrei farla… ma lui è molto forte,» mormorò il demone. «Gli umani non possono vincere contro i demoni…»

«Gli umani sono più forti di quel che credi,» gli fece presente Hakuji, e Akaza non poté negarlo perché considerava Kyojuro fortissimo. E se anche gli altri Pilastri erano come il Pilastro della Fiamma, allora poteva esserci una piccola speranza. 

Ma sfortunatamente la speranza non era abbastanza per vincere la guerra. Forse potevano vincere qualche battaglia contro dei demoni inutili inferiori, ma sconfiggere le Lune Crescenti e Muzan? Sarebbero andati incontro all'inevitabile morte.

«Forse, ma sai benissimo che quello non fermerà il Pilastro della Fiamma dall’impugnare la sua katana per mettersi contro Kibutsuji. Lo farà, e sarà pronto a morire se necessario.»

«Non gli permetterò di farlo!» sbottò prontamente Akaza senza neanche fermarsi a ragionare sulle sue parole. Aveva provato un moto di terrore all’idea di permettere a Kyojuro di sacrificarsi in quel modo perché non voleva perderlo come tutti gli altri.

«Ancora una volta abbiamo molto da perdere…» ammise Hakuji. «Ma combatteranno, con o senza di te. Lo hanno fatto per secoli e continueranno a farlo. Ma con te al loro fianco? Avrebbero più speranze di vincere, e potresti proteggerli. Se riponi la tua forza per proteggere gli altri, nulla potrà mai fermarti. È sempre stato così.»

Akaza esitò e si guardò le mani. Le aveva viste umane e sporche di sangue, e quello stesso sangue aveva impregnato la sua pelle anche durante la sua vita da demone.

«… credi davvero che sia la cosa giusta? Che sia l'unico modo?» alzò di nuovo lo sguardo, cercando delle risposte anche negli occhi azzurri di Hakuji - loro padre aveva quegli stessi occhi, ricordò in quel momento avvertendo subito un piacevole calore in petto.

«Ne sono certo,» rispose l'altro con un sorriso privo di incertezze o dubbi.

«E se non ne fossi in grado? Sono un demone… la mia natura è quella di uccidere…»

«Akaza sei stato tu a salvare la bambina. Non sai solo uccidere… non sappiamo solamente uccidere e distruggere,» precisò Hakuji. «Sono parte di te. Ora che hai ricordato tutto possiamo, essere di nuovo una cosa sola. Puoi essere più umano e meno demone. Potresti essere più simile a Rengoku-san.»

Era una bella prospettiva, ammise Akaza mentalmente. E nonostante le incertezze e le paure, sapeva di aver già fatto la sua scelta ed era certo che anche Hakuji lo sapesse.

Non aveva bisogno di dichiarare la sua decisione. Accennò un sorriso, triste ma al tempo stesso grato e risoluto.

«Ti ringrazio per aver protetto quei ricordi… non permetterò più a nessuno di portarmeli via.»  

Hakuji sorrise tendendogli la mano, e Akaza, senza esitare, allungò la sua per stringerla. Era calda e piacevole. Familiare e rassicurante.

Lentamente la luce che li aveva abbracciati fino a quel momento iniziò a farsi più bassa e Akaza sentì il suo corpo quasi uscire da una sorta di intorpidimento che non si era reso conto di provare fino a quell’istante.

Era come… svegliarsi.

«Lo so,» la voce di Hakuji suonò nelle sue orecchie carica di gratitudine. «Sappiamo essere abbastanza testardi quando vogliamo.»




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Capitolo 10
*** 10. On Thin Ice ***


As Soothing As Snow

Capitolo 10
On Thin Ice


»--•--«


Akaza aprì finalmente occhi e una nuova pressione sulle spalle lo spinse a trattenere il fiato. Il mondo attorno a lui era cambiato, non si trovava più nella foresta, nella quale si era rifugiato dopo essere scappato da casa di Kyojuro, ma in un luogo con fredde assi di legno come pavimento.

Prese un profondo respiro, senza avere bisogno di guardarsi attorno per sapere dove si trovasse, e quello era il momento meno adatto per risvegliarsi all'interno del Castello dell’Infinito.

Erano estremamente rare le convocazioni in quel luogo, infatti erano passati anni dall’ultima volta che Akaza si era ritrovato a calpestare quelle stesse assi di legno… e quello poteva solo significare solo una cosa: Muzan era fuori di sé .

Lo aveva già intuito, e anche se aveva escluso quell’ipotesi, per un momento Akaza si ritrovò a pensare ancora una volta che la rabbia di Muzan fosse diretta a lui. Che il suo padrone avesse scoperto qualcosa riguardo il suo rapporto con Kyojuro, ma riuscì di nuovo ad accantonare quell'ipotesi.

Sentì lo stomaco stringersi e venne colto da una realizzazione improvvisa: una Luna Crescente doveva essere stata uccisa.

Non poteva esserne certo, ma quella gli sembrava essere l’unica spiegazione. Imprecò mentalmente, e stringendo i pugni tentò di ricostruire gli ultimi eventi. Era stato un caso fortuito il fatto che la punizione del suo padrone - diretta probabilmente a tutti i demoni - fosse arrivata mentre discuteva con Kyojuro.

Uno sfortunato caso che però lo aveva portato ad avere paura e a permettere al suo inconscio di prendere il sopravvento. Aveva recuperato i suoi ricordi e aveva preso una decisione complicata e pericolosa… e quello era per davvero il momento peggiore per trovarsi in quel luogo.

Akaza tentò ugualmente di non agitarsi e di mantenere il controllo della sua respirazione e delle reazioni del suo corpo. La situazione era delicata e non poteva permettersi passi falsi.

Si sentiva ancora legato a Muzan. Sentiva il sangue del suo padrone scorrere nelle sue vene, e quello significava che Muzan poteva avvertire i suoi pensieri. Poteva sondargli il cervello come e quando voleva se si trovava abbastanza vicino… e Akaza non voleva né poteva permettergli di farlo.

Aveva appena recuperato i ricordi della sua esistenza, e non voleva rischiare di perdere tutto di nuovo.

Strinse ancora di più i pugni fino a sentire le unghie penetrargli nella carne e, con quel ritrovato ma vacillante controllo, Akaza cercò con lo sguardo le altre Lune Crescenti e il loro padrone.

Il suono di un biwa rivelò la presenza di Nakime, la creatrice di quel luogo scelto da Muzan come base , seguita da un'altra figura che attirò le sue attenzioni.

Era la Quinta Luna Crescente, e per quanto fosse insignificante ai suoi occhi, Akaza non si azzardò ad abbassare la guardia, concentrandosi per erigere dei muri mentali e scudi. Qualsiasi cosa pur di proteggere i suoi ricordi.

«Hyo! Bene bene! Akaza-sama! Oh cielo, sembri un po' gonfio. Come sei stato in questi ultimi novant'anni?» domandò Gyokko, uscendo dal suo vaso.

Il suo aspetto era rivoltante, e Akaza gli rivolse uno sguardo piatto, cercando di non lasciar trasparire nessuna emozione.

«La mera possibilità di vederti morto mi stava facendo saltare di gio... coff coff... saltare di dolore! Hyo hyo!» la risata della Quinta Luna Crescente riempì quell'area del Castello dell'Infinito e un'altra presenza si palesò non lontano da Akaza.

Hantengu si stava nascondendo dietro il corrimano di una delle tante scale di quel luogo, cercava quasi di farsi più piccolo possibile per non attirare l'attenzione su di sé.

Era patetico, come sempre.

«È piuttosto terrificante… Gyokko ha dimenticato come si conta durante questa lunga assenza. Noi non siamo stati convocati qui da 113 anni. Un numero indivisibile... un numero sfortunato. Un numero dispari! Davvero terrificante...»

Per una volta Akaza dovette quasi dare ragione alla Quarta Luna Crescente. Quella era una sventura. Nonostante ciò, prese un altro respiro più profondo e si rivolse direttamente a Nakime per sondare il terreno e capire come muoversi da quel momento in poi.

«Donna col biwa, Muzan-sama è arrivato?» domandò ricevendo come prima risposta l'ennesimo insopportabile suono di quello strumento.

«Non ancora.»

Si sentì quasi sollevato per l'assenza di Muzan, e avrebbe quasi voluto 'pretendere' di non avere tempo per stare lì ad ascoltare le altre Lune Crescenti blaterare, ma dall'altra parte sapeva di non poter fuggire a quell'incontro.

«Allora dov'è la Prima Luna Crescente? Impossibile sia morto,» insistette Akaza.

Mancavano solo due demoni all'appello e, sfortunatamente, la Terza Luna Crescente avvertì la presenza di Douma ancor prima che questo aprisse bocca, con il suo tono zuccheroso e amichevole, talmente finto da dargli il voltastomaco.

«Aspetta, aspetta! Aspetta un attimo, Akaza-dono! Non hai neanche un briciolo d'interesse per me?» il braccio di Douma si avvolse attorno alla spalla di Akaza e il suo fiato gli accarezzò l'orecchio mentre l'altro demone si chinava per poter continuare a parlargli. «E io che ero preoccupato a morte per voi ragazzi... voi siete i miei preziosi compagni. Non voglio che nessuuuuuuuno di voi ci lasci le penne!»

Akaza rimase immobile, trattenendo l'istinto di colpire senza alcun preavviso Douma per allontanarlo da lui. Sentiva di non dover perdere il controllo e di dover invece mantenere quel contatto con la realtà.

«Toglila,» riuscì infine a sibilare, interrompendo le chiacchiere tra la Seconda e la Quinta Luna Crescente.

«Mhh?»

«Togli la mano,» ripeté e gli bastò sentire la presa di Douma diventare leggermente più forte sulla sua spalla per scattare di puro istinto e spaccare la mascella del demone con un pugno.

«Wow! Bel pugno!» cantilenò Douma, rigenerando la sua ferita senza alcuna fatica. «Dall'ultima volta che ci siamo visti sei diventato più forte, Akaza-dono!»

Era sempre difficile per Akaza mantenere il controllo quando si trattava di Douma. Non che gli fosse mai importato realmente, ma qualcosa nel demone l'aveva sempre innervosito e non si trattava solo del suo atteggiamento finto o del fatto che prediligesse divorare donne. C'era qualcos'altro nella Seconda Luna Crescente che lo irritava e che, in quel momento, gli sembrò chiaro come la luce del sole: il sorriso di Douma.

Il demone sorrideva sempre, senza alcun sentimento. Assumeva quella maschera di gentilezza e di 'fiducia nel mondo' , come se fosse realmente felice di vedere i demoni lì riuniti, come se li reputasse davvero amici e parti importanti della sua esistenza.

L'aveva sempre detestato senza un motivo apparente, ma in quell'istante Akaza sapeva che quell'antipatia era legata al fatto che Douma scimmiottasse l'espressione di una persona che ormai lui ricordava perfettamente: Keizo.

Keizo sorrideva in quel modo, riponendo tutta la sua fiducia nel prossimo, fidandosi anche di un criminale come lo era stato lui, aprendo le porte della sua casa ed accogliendolo come se fosse un figlio. Akaza era certo che Douma non ne fosse a conoscenza, sapeva che quella era la sua espressione normale , ma l'idea che qualcuno potesse essere in grado di sorridere in quel modo, senza provare per davvero i sentimenti puri di Keizo... faceva ribollire il sangue di Akaza.

Il suo corpo infatti reagì istintivamente, e fu per fortuna la voce di Nakime ad impedirgli di agire in modo sconsiderato.

«La prima Luna Crescente è stata la prima ad arrivare. È stata qui tutto il tempo.»

La sorpresa permise ad Akaza di rivolgere le sue attenzioni su Kokushibo che, seduto lontano da loro, in disparte come sempre, annunciò l'arrivo di Muzan.

Quell'affermazione, unita ad un nuovo peso sulle spalle, fece crescere la tensione su tutte le Lune Crescenti lì riunite.

Akaza si inginocchiò subito ma si permise ugualmente di lanciare un'occhiata al suo padrone prima di abbassare il capo e cercare di mantenere ben salda la sua concentrazione, sperando di non attirare l'attenzione su di sé.

Muzan stava compiendo uno dei suoi esperimenti e aveva assunto l'aspetto di un distinto uomo d'affari. Appariva calmo, eppure nei suoi gesti e nelle parole era ancora ben presente la rabbia con la quale aveva punito i demoni.

«Gyutaro è morto. Le Lune Crescenti sono calate.»

Delle esclamazioni di sorpresa si levarono nella sala e il tono allegro di Douma, che cercava quasi un modo per farsi torturare per la morte dei due fratelli che aveva portato lui in persona al cospetto di Muzan, venne presto interrotto dalla freddezza del loro padrone.

«Immaginavo che Gyutaro avrebbe perso. Come supponevo, Daki lo tratteneva. Gyutaro avrebbe vinto se avesse combattuto sin dall'inizio. Avrebbe potuto avvelenarli da subito, in modo tale da debilitarli per lo scontro... ma comunque non importa più,» sembrava deluso ma l'ira era ancora presente nella sua voce, così come il disgusto. «Feccia. Aveva conservato troppa umanità in sé, quindi ha perso. Ma anche così va bene. Non mi aspetto molto da voi.»

«Ohhh! Stai di nuovo parlando di queste cose tristi! È mai capitato di deluderti da parte mia?» scherzò Douma.

«La famiglia Ubuyashiki ancora non è in una tomba. E per quanto riguarda il Giglio Ragno Blu? Perché dopo cento anni non riusciamo a trovarlo? Io...» la rabbia stava di nuovo aumentando, insieme all'oppressione con la quale Muzan era in grado di assoggettare gli altri demoni. «Non so perché voi continuiate ancora ad esistere.»

Akaza strinse le labbra. Trovare il Giglio Ragno Blu era il suo compito principale, e per quanto l'avesse cercato... non era mai stato in grado di trovarlo. Ultimamente aveva messo da parte la ricerca, ma aveva la certezza che non sarebbe cambiato nulla. Perché forse quel fiore neanche esisteva… rabbrividì per quel pensiero e cercò subito di scacciarlo. 

Hantengu intanto aveva iniziato a gridare per implorare il perdono di Muzan. Anche le altre Lune Crescenti cercarono di scusarsi per le loro mancanze, mentre Akaza continuò a mantenere il silenzio, certo che se avesse parlato avrebbe indubbiamente attirato l'attenzione su di sé.

«Muzan-sama! Non sono come loro!» esclamò Gyokko, superando le lamentele della Quarta Luna Crescente. «Io ho alcune informazioni che possono avvicinarti al tuo sogno! Proprio poco fa...»

La voce del demone si spense, e il rumore di un vaso che si rivoltava per terra accompagnò la voce tremendamente calma e minacciosa di Muzan.

«Ciò che odio è il cambiamento . Un cambiamento di circostanze, un cambiamento di corpo. Cambiamento di emozioni. Nella maggior parte dei casi, ogni cambiamento conserva in sé una degradazione. Implica il declino ,» era freddo e quasi impersonale, ma non meno iracondo. «Ciò che mi piace è la stasi . Una cosa in stasi per l'eternità, è in uno stato perfetto.»

Akaza si azzardò ad alzare lo sguardo, scorgendo la mano di Muzan stretta sulla testa di Gyokko. Gli occhi rossi del suo padrone erano carichi di una folle rabbia, che entrava in forte contrasto con le parole calme che pronunciò poco dopo.

«Sono all'apice del dispiacere poiché, dopo 113 anni, una Luna Crescente è stata uccisa. Non eccitarti troppo, e non darmi informazioni che non hai ancora confermato.»

Il suono del biwa accompagnò la caduta della testa della Quinta Luna Crescente, e Akaza trovò quasi spontaneo cercare di rivolgere la sua mente in quella del demone a lui inferiore. Quali erano le informazioni di Gyokko? A quale missione lo aveva assegnato Muzan? Era... un pericolo per lui? O lo era per Kyojuro?

Provò quasi un'ondata di sollievo nel rendersi conto che si trattava della ricerca del Villaggio degli Spadai, e suo malgrado quella sua reazione inconscia sembrò attirare l'attenzione di Muzan. Sentì lo sguardo su di lui e Akaza abbassò di nuovo il capo, stringendo i denti e proteggendo la mente quando sentì il suo padrone indugiare più a lungo su di lui.

«D'ora in avanti, dovrete servirmi con una dedizione più suicida. Sembra che vi abbia viziati un po' troppo solo perché eravate Lune Crescenti,» dichiarò Muzan, dopo quel breve momento di silenzio. «Gyokko, se la tua informazione è confermata, recati lì con Hantengu.»

Il suono del biwa fece sparire Muzan e Akaza fu quasi tentato dal concedersi un vero e proprio sospiro di sollievo. Aveva un'informazione utile, poteva... davvero fare la cosa giusta? Offrire quell'informazione a Kyojuro per dimostrargli la sua intenzione di aiutarlo?

La speranza tuttavia venne spazzata da un altro suono del biwa che lo trasportò in un altra sala, lontano dalle Lune Crescenti.

Si guardò attorno, incapace di controllare il suo stupore, e subito l’oppressiva presenza di Muzan lo spinse a cadere con entrambe le ginocchia per terra, in una posa di sottomissione.

«Akaza ,» esordì Muzan camminando verso di lui. «Sei stato molto silenzioso.»

La Terza Luna Crescente non aveva tempo per farsi prendere dal panico o per ragionare su come la situazione si fosse evoluta.

Strinse le labbra, con il capo basso, e raccolse tutte le sue forze per cercare di mantenere le sue difese alte. Hakuji ci era riuscito per secoli , era stato in grado di preservare tutti i loro ricordi… e lui doveva fare lo stesso. Doveva proteggere ciò che gli era più caro.

«Eri però… molto interessato alla missione di Gyokko. Ma tu sai benissimo qual è il tuo posto e anche q uale è il tuo compito. »

«Sì, Muzan-sama,» riuscì a dire, avvertendo chiaramente le cellule di Muzan agitarsi in lui.

«Quale è il tuo compito, Akaza ?» domandò il demone.

«Trovare il Giglio Ragno Blu…» rispose a fatica, sentendosi via via sempre più oppresso da Muzan e dal suo potere.

«Mi hai già deluso una volta, e temo che tu non abbia ben chiaro cosa voglio da te, Akaza

L’oppressione si fece più forte, mozzando il respiro della Terza Luna Crescente. La voce di Muzan si insinuò nella sua mente.

«Sai cosa voglio, Akaza

Annuì con il capo, stringendo i pugni fino a farsi male.

«Rispondi,» ordinò Muzan, e Akaza sentì il sapore del sangue sulla lingua.

«Trovare il… Giglio Ragno Blu e la morte di tutti gli Ammazza Demoni,» riuscì infine a dire, avvertendo le prime crepe formarsi sulla sua pelle.

Era un dolore al quale era abituato, ma non si lasciò trasportare né dal panico né dalla rabbia. Akaza non si sarebbe arreso.

La presenza di Muzan si era fatta più forte e invasiva.

«Eppure continui ad essere distratto.»

Akaza sputò del sangue per terra e strinse ancora più forte i pugni, quasi invitando il suo padrone a farsi più violento e crudele, perché non voleva cedere. Non poteva.

Creare uno spiraglio nella sua mente significava mettere in pericolo Koyuki e Kyojuro. Significava perdere l’unica occasione che aveva per fare qualcosa di buono nella sua vita… e doveva resistere. Doveva, per tutte le persone che aveva ricordato. Non voleva più infangare la loro memoria.

Sputò dell'altro sangue mentre la presa di Muzan si faceva più ferrea attorno al suo corpo. Ogni suo muscolo gridava di dolore, ma il suo padrone non era intenzionato a fare un passo indietro e a lasciarlo stare.

Muzan aveva capito che Akaza gli stava nascondendo qualcosa e voleva scoprirlo. Poteva quasi sentire la mano del suo padrone stretta attorno ai suoi capelli mentre ripeteva il suo nome: «Akaza!»

La voce dura di Muzan continuava ad aggiungere ulteriori pesi sul suo corpo. Si piegò ulteriormente in avanti, con i palmi delle mani schiacciati sul pavimento, mentre la pozza di sangue ai suoi piedi si allargava.

Non gli avrebbe permesso di scoprire di Koyuki. Muzan l’avrebbe uccisa o avrebbe fatto in modo che un’altra delle Lune Crescenti arrivasse a lei. Akaza non poteva permetterlo: si sarebbe lanciato sotto il sole alla sola idea di metterla in pericolo.

Ostinato, Akaza continuò a mantenere alto quello scudo mentale che aveva creato contro Muzan, rifiutando al suo padrone l’accesso a quei ricordi. L’accesso alla conoscenza che Akaza gli stava negando.

Non si sarebbe arreso.

“Quando vogliamo sappiamo essere molto testardi,” gli aveva detto Hakuji, e Akaza lo sapeva fin troppo bene. Non si sarebbe arreso, non così facilmente!

Strinse con più forza i denti, spuntando altro sangue… la presa di Muzan era forte, animata da una rabbia crescente.

Muzan detestava non avere il controllo e Akaza stava mettendo a dura prova la sua pazienza, tant'è che per un momento la Terza Luna Crescente pensò che sarebbe morto da lì a poco.

Gli sembrò una prospettiva quasi accettabile. Senza di lui, Muzan avrebbe perso un’altra Luna Crescente. Tuttavia, egoisticamente, Akaza sapeva di non voler andare via senza aver… senza aver visto un’ultima volta Kyojuro e Koyuki.

Kyojuro avrebbe continuato ad aspettarlo, avrebbe atteso il suo ritorno… e sicuramente si sarebbe anche preoccupato per lui, quello sciocco.

Come poteva preoccuparsi di un demone? Kyojuro era davvero un ingenuo, ma Akaza non lo disprezzava per quello, anzi: si sentiva quasi più forte nel pensare al Pilastro, quasi più coraggioso e pronto ad affrontare ancora e ancora quelle torture.

Poteva resistere, e poteva ancora fare qualcosa di buono. Era l'unico desiderio egoista che poteva permettersi.

Non ragionò più di tanto sulle sue azioni e si lasciò guidare dall'istinto. Allentò un poco le difese della sua mente e lasciò che Muzan scoprisse Kyojuro.

Gli mostrò i momenti nei quali l’aveva spiato da lontano, gli mostrò il suo interesse e il desiderio di combattere ancora contro di lui. Cercò di indirizzare le attenzioni di Muzan altrove, pur di poter avere la possibilità di vedere ancora una volta il Pilastro della Fiamma e dargli l'arma per distruggere il creatore di tutti i demoni.

Rivelargli della presenza di Kyojuro nella sua esistenza era solo un piccolo prezzo da pagare.

Quel trucco sembrò funzionare, e lentamente l’oppressione che aveva schiacciato Akaza contro il pavimento iniziò ad alleggerirsi. A fatica, la Terza Luna Crescente si sollevò di nuovo fino a tornare in inginocchiò, evitando lo sguardo del suo padrone.

«La tua ossessione per quell’umano deve finire,» sibilò Muzan. «Ancora una volta mi hai deluso, Akaza.»

La Terza Luna Crescente non rispose, continuando a guardare il sangue che si era accumulato sulle assi in legno del Castello dell’Infinito.

«Pensavi che non sarei venuto a conoscenza del tuo interesse verso il Pilastro? Lo stesso che non hai ucciso?» proseguì il demone con tono di scherno.

Era superbo , notò Akaza per la prima volta. Muzan era davvero convinto di aver ottenuto tutte le informazioni che desiderava.

Akaza non si era mai reso conto di come tutto di Muzan fosse guidato da quel senso di superiorità che provava verso tutti gli altri demoni ed esseri umani.

«Ma mi hai servito bene,» continuò il suo padrone. «Se lo desideri così tanto, trasformarlo in un demone. Non mi importa se lo fai con o senza il suo consenso. Trasformalo o uccidilo. Oggi stesso . Se non lo farai tu, manderò qualcun’altro.»

L’aria gli mancò per quelle parole, ma cercò di nascondere il timore e la nausea che gli avevano artigliato lo stomaco.

«Dopo di che, voglio che tu ti concentri sulla tua missione. Uccidi tutti gli Ammazza Demoni che incontri. I loro affronti non saranno più accettati, così come la tua sciocca ossessione.»

Akaza strinse le labbra, sentendo quell’ordine così chiaro e imperativo, ribollirgli nel sangue. Annuì tenendo sempre la testa bassa per evitare di mostrare a Muzan le sue vere intenzioni.

Venne congedato subito dopo e in un attimo, come se non fosse più necessaria la sua presenza in quel luogo, Akaza si ritrovò nella foresta dalla quale era stato strappato dalla convocazione di Muzan.

 

..••°°°°••..

 

Kaname aveva raggiunto Kyojuro mentre questo era già a metà strada per la Casa delle Farfalle, pronto ad affrontare la visita medica con Kocho. Era uscito di buon'ora nonostante la notte passata in bianco tra mille ansie e paure.

Non era riuscito a togliersi dalla mente ciò che era accaduto ad Akaza. Avevano discusso - e Rengoku si sentiva davvero in colpa per aver affrontato quel discorso -, e qualcosa era scattato nella Luna Crescente, ben diverso dal pianto o dall’agitazione. 

Aveva visto la sua pelle… creparsi .

Come se qualcosa dal suo interno stesse cercando di distruggerlo, e stava creando delle dolorose spaccature su tutto il corpo del demone.

Aveva tossito sangue e Kyojuro, per quanto avesse tentato di fermare Akaza e di cercare di dargli una mano, non era riuscito ad impedirgli di scappare nella notte.

Era rimasto solo. Con lo shoji rotto, suo padre che gli urlava contro per il baccano e con Senjuro, accorso subito in camera sua, che gli aveva rivolto uno sguardo di pura apprensione. Non aveva fatto domande, ma era chiaro che avesse bisogno di risposte… così come Rengoku stesso.

Che cosa significava? Che cosa era successo?

Non gli piaceva quella situazione di incertezza e preoccupazione, e forse anche per quel motivo aveva deciso di portare con sé Koyuki quando era uscito da casa sua.

Si fidava di suo fratello e sapeva che si sarebbe preso egregiamente cura di lei se l’avesse lasciata a casa, ma dall’altra parte Kyojuro sentiva di aver bisogno di concentrarsi su di lei per non impazzire di preoccupazione per un demone .

“Dall’altra parte è anche per il bene di Koyuki ,” decretò aggiungendo altre giustificazioni ai suoi gesti pur di non pensare ad Akaza. 

Avrebbe fatto bene alla bambina prendere un po’ d’aria e uscire di casa. Le temperature erano meno rigide, e nel giro di poche settimane sarebbe arrivata la primavera.

Nonostante Koyuki però, Rengoku non riusciva proprio a non sentirsi teso e nervoso. E quella sensazione d’ansia era immancabilmente aumentata quando Kaname aveva annunciato una riunione straordinaria dei Pilastri.

«CAW! UNA LUNA CRESCENTE È MORTA! CAW! AL QUARTIERE GENERALE SUBITO! CAW!»

Kyojuro aveva subito sentito un nodo alla gola e il suo pensiero era corso ad Akaza nel sentire la frase: “Una Luna Crescente è morta” .

Come se non esistessero altre cinque Lune Crescenti oltre la Terza.

Non era stato in grado di trattenere l'agitazione, chiedendosi: “Si tratta di Akaza? È lui?”

L’altro canto, il demone era scappato da casa sua in una condizione fisica anomala… era possibile che si fosse scontrato con qualche Pilastro e che ne fosse uscito sconfitto?

Gli sembrava quasi impossibile. Conosceva meglio di chiunque altro la forza di Akaza e sentiva che nessuno sarebbe mai stato in grado di sconfiggerlo. Ma se fosse realmente accaduto?

La nausea costrinse Kyojuro a fermarsi per un momento, sorprendendosi per il fatto di sentirsi più preoccupato per la sorte di un demone che per quella degli altri cacciatori. Doveva sentirsi sollevato all’idea che una Luna Crescente fosse stata uccisa e per il fatto che, finalmente, gli Ammazza Demoni fossero stati in grado di colpire Kibutsuji Muzan abbattendo uno dei suoi suoi sottoposti… ma non era pronto a perdere Akaza.

Quei pensieri lo rendevano un traditore della peggior specie. Si sarebbe dovuto infilzare l’addome con un pugnale per espiare quel tradimento. Stava per davvero valutando così tanto la vita di Akaza solo perché aveva smesso di considerarlo un mostro?

La risposta la sapeva benissimo, e suo malgrado aveva cercato di farlo capire anche ad Akaza la notte prima. E gli bastò abbassare lo sguardo su Koyuki, e sul fermaglio a forma di due fiocchi di neve che le aveva fatto indossare, per averne l'assoluta certezza.

Akaza per lui non era più un mostro, era diventato una parte importante della sua vita.

Strinse a sé la bambina e, con una smorfia in viso, prese la strada per il Quartier Generale tentando di percorrerla il più rapidamente possibile.

La tensione crebbe nel suo corpo, facendogli sentire la bocca amara e le mani gelide. Non voleva pensare alle conseguenze né a ciò che sarebbe accaduto in futuro, ma al tempo stesso aveva bisogno di quelle informazioni.

Raggiunse in meno di un'ora la dimora degli Ubuyashiki, e il suo arrivo gli fece guadagnare più di un'occhiata curiosa e sorpresa da parte Pilastri già presenti.

Tomioka, Tokito, Kanroji e Uzui erano ancora assenti, ma era certo che si sarebbero presentati da lì a qualche momento.

«Rengoku-san!» 

La prima ad approcciarsi a lui fu Kocho, che lo raggiunse con un sorriso enigmatico in viso.

«Questa è la bambina della quale mi ha parlato Kanroji-san?» domandò. Sembrava di buon umore e Kyojuro cercò di rivolgerle un sorriso anche se la tensione era ben visibile nel suo volto.

«Sì, è lei. Si chiama Koyuki. Non volevo lasciarla a casa ed è una bella giornata…» rispose, cercando poi di portare subito la conversazione sull’argomento che più gli interessava. «È vera la notizia? Una Luna Crescente è morta?»

«Kanroji, con Uzui e i tre cacciatori accompagnati dalla ragazzina demone. Hanno sconfitto la Sesta Luna Crescente,» rispose Iguro restando lontano, al contrario di Kocho il suo umore sembrava più cupo del solito.

Quella frase sembrò togliere un immenso peso dalle spalle del Pilastro della Fiamma e, con il cuore più leggero, permise a Kocho di prendere in braccio Koyuki - la piccola si mostrò subito deliziata da quelle attenzioni.

«Sembri sollevato, Rengoku-san,» notò subito Kocho, sistemandosi la bambina in braccio.

«Certo che lo sono! È un gran giorno per gli Ammazza Demoni! E non abbiamo subito perdite! Giusto?»

«Sono tutti fuori pericolo. Kanroji ha subito un trauma all’addome, ma niente di grave. Così come le ferite dei ragazzi, che dovranno comunque essere tenuti sotto osservazione per un po’. Il più preoccupante è Uzui che ha perso un occhio, ma sono certa che si riprenderà,» spiegò Shinobu.

Kyojuro, ormai completamente tranquillizzato dopo quelle notizie, piegò le labbra in un sorriso e si ripromise di passare a trovare i due Pilastri e i giovani Ammazza Demoni per vedere di persona come stavano.

Non poteva negarlo: era felice di saperli fuori da ogni pericolo.

«Che ci fai con quella? Sei diventato una balia?» si intromise Shinazugawa, osservando il Pilastro degli Insetti giocare con la bambina

«Più o meno!» rise Rengoku, per nulla offeso da quella insinuazione. «È stata abbandonata e mi sto prendendo cura di lei!»

«Abbandonata?» domandò Himejima e Kyojuro dovette raccontare parte della notte che l'aveva portato ad accogliere a casa sua la bambina, omettendo ovviamente il coinvolgimento di Akaza e le successive visite.

«Povera bambina… privata così in giovane età del focolare familiare…» si commosse Gyomei al termine del racconto.

«Certo che affidarla proprio a te…» commentò Shinazugawa.

«Me la cavo!» rise Kyojuro, incrociando le braccia al petto con fare orgoglioso. «Anche se Senjuro mi è di grande aiuto!»

«Cosa sta succedendo?» la voce tranquilla di Tokito annunciò sia l'arrivo del Pilastro della Nebbia che di Tomioka.

«Muichiro-kun! Tomioka-san!» li accolse Rengoku. «È un piacere rivedervi!»

«Una bambina…» mormorò Tokito, fissando la piccola. Inizialmente sembrò quasi incuriosito dalla sua presenza ma rapidamente perse ogni interesse.

«Tomioka-san~ lei è la figlia di Rengoku-san~» dichiarò Kocho, forse provando a generare qualche reazione nel Pilastro dell'Acqua.

Giyuu non si scompose, ma rivolse lo sguardo verso Kyojuro che si vide costretto a negare la parentela e a spiegare anche ai nuovi arrivati la situazione.

L'aria che si stava respirando nel giardino della dimora degli Ubuyashiki era leggera, ed era chiaro che tutti loro si sentissero quasi eccitati all'idea di aver inflitto una simile sconfitta a Kibutsuji Muzan. E complice la presenza di Koyuki, tutta risate e versi privi di significato, quelle sensazioni sembravano aver preso il sopravvento.

Era piacevole quella leggerezza, ma bastò il rumore di una delle porte scorrevoli a far tornare tutti con i piedi per terra. Calò subito il silenzio e dallo shoji che era stato aperto fece la sua comparsa una delle figlie del Capofamiglia.

«Oyakata-sama vi attende all'interno,» li accolse la ragazzina con voce tranquilla e morbida, e i Pilastri, più seri e consapevoli del motivo della loro convocazione, annuirono.

Kyojuro riprese tra le braccia Koyuki e, accarezzandole la nuca con le dita, seguì i suoi compagni all'interno dell'abitazione.

La salute del capofamiglia, Kagaya Ubuyashiki, era peggiorata in quegli ultimi mesi e ormai faticava addirittura ad abbandonare il letto. Ciononostante li accolse con un sorriso gentile e carico di fiducia, un balsamo per tutte le preoccupazioni e i pesi che gli Ammazza Demoni portavano sulle loro spalle.

Si inchinarono al cospetto dell’uomo che, subito dopo, permise loro di accomodarsi sul tatami.

«Vi chiedo scusa per avervi convocati con così poco preavviso, figli miei,» annunciò Ubuyashiki con tono calmo e un poco provato, ma nel quale era chiaramente percepibile una vaga eccitazione e speranza.

Il suo stesso volto, notò Rengoku, sembrava quasi illuminato da una gioia e un orgoglio inimmaginabili.

«Come credo abbiate già appreso… questa notte la Sesta Luna Crescente è stata sconfitta da Tengen e Mitsuri, con il supporto di Tanjiro, Nezuko, Inosuke e Zenitsu,» annunciò dando un’ulteriore conferma a ciò che tutti già avevano appreso in quegli ultimi minuti.

Ubuyashiki si prese una pausa, forse per riprendere fiato e poter controllare la voce.

«Per oltre un secolo il peso della bilancia non si è mai rivolto verso gli Ammazza Demoni, ma questa notte è stata inferta una ferita ai ranghi i Kibutsuji Muzan. E sono fiero di tutti voi,» dichiarò solenne, per poi prendersi un altro attimo per respirare. «Non ho mai sentito così reale e vicina la possibilità di poter finalmente finire questa guerra che dura da ormai troppo tempo… tutto sta cambiando e si sta mettendo in moto, figli miei. Prima Nezuko, e poi Kyojuro ed ora Tengen e Mitsuri… ogni cosa ora sembra avere più senso…»

Rengoku sobbalzò nel sentire il suo nome, incerto sul perché il Capofamiglia lo avesse inserito in quel brevissimo elenco di chi aveva realmente dato un importante aiuto in quelle recenti fasi della guerra.

Lui era uscito sconfitto dalla battaglia contro Akaza e in quei mesi non solo non aveva più preso parte a nessuna missione… ma aveva stretto una sorta di amicizia con lo stesso demone che l'aveva quasi ucciso.

L'intero suo operato di quei mesi non era degno dell'attenzione positiva del Capofamiglia, ma dall'altra parte non aveva mai dubitato delle parole dell'uomo. Forse c'era qualcosa che gli sfuggiva?

Koyuki frignò un poco, attirando su di sé le attenzioni di tutti.

Probabilmente aveva avvertito la sua tensione, ponderò Kyojuro iniziando a cullarla, oppure era semplicemente annoiata da quell'immobilità.

«Chiedo scusa, Oyakata-sama,» mormorò subito, imbarazzato e un poco nervoso per l'interruzione non voluta.

L'uomo gli rivolse un sorriso comprensivo e per nulla offeso, anzi: gli apparve quasi divertito.

«Le mie figlie mi avevano detto che eri giunto con una piccola accompagnatrice, Kyojuro,» commentò. «Come si chiama?»

«Koyuki,» rispose il Pilastro con un sorriso, mentre la bambina placava le sue lamentele.

«Koyuki…», ripeté Ubuyashiki. «È bellissimo un nome…»

Kyojuro sentì una punta al petto nel sentire quelle parole e non poté fare a meno di ripensare ad Akaza e a quanto quel nome fosse importante per il demone.

Strinse le labbra poi cercò di nuovo di sfoderare il suo solito sorriso. Aprì la bocca per ringraziare il Ubuyashiki, ma le parole esitarono ad uscire a causa del ritrovato bisogno di esporre parte dei suoi dubbi all'uomo. La presenza e la voce del Capofamiglia erano così rassicuranti che non poteva farne a meno.

«Chiedo ancora scusa, Oyakata-sama,» esordì infatti, con gli sguardi degli altri Pilastri su di sé. «Non credo che il mio nome vada inserito tra persone come Uzui, Kanroji e la giovane Nezuko che hanno attivamente combattuto e sconfitto una Luna Crescente.»

Le labbra del Capofamiglia rimasero piegate in un sorriso.

«Comprendo i tuoi dubbi, Kyojuro, ma anche la tua presenza è un presagio positivo,» dichiarò. «Ricordo i nomi di tutti i Pilastri che sono caduti per mano delle Lune Crescenti e nessuno è mai sopravvissuto alla Terza Luna Crescente. Chiamala fortuna o casualità, ma la tua sopravvivenza per me è fonte di speranza. Segno che la presa di quell'uomo sugli equilibri di questa guerra sta cambiando.»

Rengoku lo ascoltò attentamente e neanche per un momento dubitò delle parole del Capofamiglia. La voce dell'uomo, seppur sempre più debole e bassa, era come una carezza in grado di privarlo di ogni esitazione 

Era vero. Nessun Pilastro, a parte lui, era mai sopravvissuto ad Akaza. Dal punto di vista di Ubuyashiki, quella non era una sconfitta ma una vittoria, perché Kyojuro era ancora in vita.

«Inoltre,» aggiunse con tono dolce Kagaya. «Se non fosse stato per te, Mitsuri non avrebbe seguito Tengen nella sua missione, e so che l’intervento di Mitsuri ha impedito a Tengen di perdere un braccio.»

«Io… ti ringrazio, Oyakata-sama,» mormorò trovando impossibile non accettare quella spiegazione.

Calò di nuovo il silenzio, e mentre Kyojuro continuava a cullare Koyuki per rassicurarla e impedirle di lamentarsi ancora, il discorso si spostò a quel punto sull'immediato futuro. Il Capofamiglia era infatti certo che Kibutsuji avrebbe cercato di vendicarsi in qualche modo. Avrebbe sicuramente provato a sferrare un attacco diretto ai Pilastri e agli Ammazza Demoni. Un modo per mostrare superiorità e forza, e per quel motivo nessuno si sarebbe fatto trovare impreparato.

I punti nevralgici da proteggere o da tenere d'occhio erano senz'altro il Quartier Generale, la Casa delle Farfalle e il Villaggio degli Spadai. Erano sedi importanti per gli Ammazza Demoni, e sicuramente un attacco diretto ad uno qualsiasi di quei luoghi avrebbe creato non pochi danni e perdite.

Avrebbero quindi intensificato i controlli e le ronde notturne: avrebbero fatto in modo di non rendere vani gli sforzi dei due Pilastri e degli altri Ammazza Demoni che avevano ucciso la Sesta Luna Crescente.

Kyojuro si sentiva fiducioso, non poteva negarlo, ma al tempo stesso più discutevano delle loro prossime mosse, più gli veniva spontaneo ripensare ad Akaza.

Non era morto, e quello lo rassicurava un poco… ma lo avrebbe rivisto? Prima di tutto quel sangue, e della pelle che aveva iniziato a creparsi, Akaza sembrava intenzionato a dirgli addio.

Quindi non si sarebbero più visti? O si sarebbero incontrati di nuovo come nemici? Come aveva reagito alla morte dell'altra Luna Crescente?

Era nervoso, e sperava in cuor suo di sbagliarsi e di rivedere ancora una volta il demone. Era davvero sciocco da parte sua e, forse per nascondere a se stesso i suoi sentimenti, si aggrappò alla presenza di Koyuki.

Lo stava facendo per lei, voleva rivedere Akaza perché la bambina si era affezionata a lui.

Trovò complicato nascondere la sua tensione, soprattutto quando Ubuyashiki li congedò e Kocho lo invitò a seguirla fino alla Casa delle Farfalle per la visita medica.

Camminarono fianco a fianco per un po’, in silenzio, e solo dopo aver intrapreso la strada che li avrebbe portati al nosocomio degli Ammazza Demoni, il Pilastro degli Insetti prese la parola.

«Fisicamente sembri stare bene, Rengoku-san,» disse con tono calmo e Kyojuro si sforzò di annuire e di mostrarsi positivo riguardo alla sua ripresa.

Non aveva più dolori e si era abituato a non avere più un campo visivo completo. Era positivo e lo sapeva, ma alle sue orecchie la sua voce giunse quasi incerta.

«Sto bene!»

Gli sembrava una menzogna ed era certo di non poter sfuggire a Kocho.

«Ma emotivamente non stai benissimo,» constatò infatti la giovane donna. «Soffri di incubi? Insonnia?»

Kyojuro scosse il capo.

«No, nulla di tutto ciò. Ho avuto degli incubi i primi tempi,» si ritrovò ad ammettere. «Ma al momento sto… riuscendo a dormire quasi tutte le notti.»

«Immagino che la presenza della bambina abbia aiutato, ma che ti abbia privato di numerose ore di sonno…» commentò Shinobu, e Rengoku cercò di ridere.

«Alle volte sì, ma Senjuro mi è sempre di grande aiuto,» aggiunse con la bocca amara per le verità che era costretto ad omettere.

«Spero che Senjuro-kun abbia gradito i volumi di testo che gli ho mandato.»

«Oh sì! E te ne è molto grato! Con l’arrivo della primavera sarà più semplice anche per lui spostarsi e raggiungere la Casa delle Farfalle. Non vede l’ora di imparare e di rendersi utile… sai Kocho, sono davvero felice che abbia trovato la sua strada!»

Parlare del fratello lo aiutò in parte ad alleviare quelle sensazioni negative, ma per quanto volesse aggrapparsi a quella leggerezza e alla felicità riguardante Senjuro e la strada che aveva deciso di intraprendere, nella mente di Kyojuro continuava ad apparire il viso spaccato di Akaza e il sangue che colava da occhi e bocca, come se ci fosse un qualcosa - o qualcuno - che lo stava distruggendo dall’interno.

«C’è qualcos’altro che ti turba, Rengoku-san?» domandò Kocho, forse rendendosi conto del disagio di Kyojuro.

Il Pilastro sospirò, era impossibile nasconderlo.

«Temo di sì, ma al momento non sono in grado di affrontare questo discorso…» rispose. «Non si tratta di mancanza di fiducia, solo… non posso parlarne. »

Shinobu lo guardò seria, con le labbra strette in una piccola smorfia che, in un solo attimo, si trasformò in un sorriso accondiscendente.

Era in quei momenti che Rengoku si rendeva conto di quanto lui e il Pilastro degli Insetti fossero simili. Non aveva avuto modo di conoscere la sorella di Kocho, il precedente Pilastro dei Fiori, ma sapeva quanto quel lutto avesse gravato sulle spalle di Shinobu, portandola ad affrontare con una maschera, fatta di sorrisi e toni dolci, il dolore per quella perdita.

Lui stesso indossava una maschera simile. Sorrideva e nascondeva a sua volta il dolore dietro le sue rumorose risate.

Erano davvero simili, e non poté non chiedersi se un giorno entrambi sarebbero stati in grado di gettare via le loro maschere e di affrontare a testa alta i dispiaceri.

«Lo comprendo,» disse la giovane donna. «Non indagherò oltre nelle tue… questioni emotive . Mi concentrerò solo sulla tua ripresa fisica, ricordandoti che però per un recupero totale anche la tua mente deve poter guarire.»

 

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Capitolo 11
*** 11. Once in a blue moon ***


As Soothing As Snow

Capitolo 11
Once in a blue moon


»--•--«

Il primo istinto di Akaza, dopo essere stato congedato dal Castello dell’Infinito, fu quello di mettersi subito a correre.

Doveva raggiungere la casa di Kyojuro al più presto, ma i raggi del sole che attraversavano le alte fronde degli alberi gli impedirono di abbandonare la foresta.

Sentiva quelle piccole e dolorose macchioline di luce ardere al contatto con la pelle, e la sua natura di demone lo spingeva a ritrarsi per cercare la protezione creata dall’ombra.

Mancavano ancora troppe ore al tramonto.

Akaza raramente aveva detestato l'incapacità dei demoni di stare alla luce del sole come in quel momento. Aveva sempre trovato quella 'mancanza' come un prezzo equo da pagare per la forza e l'immortalità, ma in quell'istante non riusciva a sopportare l'idea di essere in trappola a causa del sole.

La rabbia e la frustrazione lo fecero tremare, ma si costrinse a mantenere la calma perché suo malgrado sapeva non solo di dover attendere il tramonto, ma anche di non potersi permettere follie o passi falsi. Muzan avrebbe potuto seguire i suoi movimenti o incaricare qualcuno di farlo al posto suo. Non poteva agire in modo sconsiderato, inoltre cercare di raggiungere la dimora di Kyojuro in pieno giorno era alla pari di un suicidio che Akaza non voleva affrontare.

Si costrinse quindi ad attendere con impazienza che il sole percorresse il suo tragitto nel cielo, trovando rifugio nella zona più fitta della foresta. Lì si sedette per terra, le ginocchia tirate al petto come a volersi fare più piccolo possibile e lo sguardo rivolto insistentemente verso la strada che avrebbe dovuto percorrere. Metaforicamente e non.

Nella mente rimbombavano le parole del suo padrone. Il minaccioso ordine che gli era stato impartito gravava come una lama affilata sul suo collo. Avrebbe potuto sopportare altre torture, avrebbe anche accettato di venire ucciso da Muzan, ma non avrebbe mai accettato che a causa di un suo errore potessero essere messi in pericolo Koyuki e Kyojuro.

Vedeva solo una via davanti a sé, e per quanto Akaza fosse sicuro di volerla percorrere non poteva fare a meno di temere le conseguenze.

Chiuse gli occhi, mordendosi quasi a sangue le labbra per il nervosismo.

Si sentiva come sui carboni ardenti, e tutto il suo corpo tremava animato da pensieri e desideri contrastanti. Il sangue di Muzan che scorreva nelle sue vene gli suggeriva di ‘mettersi in salvo’, e l’unico modo per farlo era obbedire ciecamente ai suoi ordini. L’umanità che aveva ritrovato, dapprima grazie a Kyojuro e poi recuperando i suoi ricordi, invece lo pregava chiedendogli di rinnegare il sangue e di mantenere la promessa fatta ad Hakuji. La promessa fatta a se stesso.

Akaza torse le mani e nascose il capo tra le braccia, attirando ancora di più le gambe al petto.

Avrebbe voluto più tempo, ma alla fine sapeva che neanche altri cento anni gli avrebbero permesso di trovare una via alternativa alla strada che già sapeva di aver scelto nonostante tutti i dubbi e le insicurezze.

Akaza sospirò rumorosamente e il suono, che giunse alle sue orecchie come il rantolo di un animale in punto di morte, si perse nella foresta.

Si passò una mano tra i capelli e rivolse i suoi pensieri verso i ricordi che aveva appena recuperato. La rapidità con la quale si erano evoluti gli eventi era ironicamente triste, era come se l’intero universo volesse impedirgli anche il più piccolo momento di pace… ma d’altro canto Akaza sapeva di non meritarselo per davvero.

Era però quasi rassicurante ripensare a Koyuki, Keizo e a suo padre, ai momenti felici passati insieme. Così come era piacevole pensare anche ai mesi trascorsi nella casa di Kyojuro con la bambina, e a quanto era stato felice pur senza meritarsi quella gioia.

Era stato bello, e non era pronto a dire addio a tutto quello.

Si lasciò cullare dai suoi ricordi, e non appena il sole calò dietro le montagne, Akaza si rimise in piedi pronto a rimettersi in marcia, diretto alla casa del Pilastro senza mostrare esitazioni di ogni sorta.

La sua risoluzione entrava in forte contrasto con il subbuglio che sembrava regnare nella sua mente. Il suo corpo tremava per la tensione, e sulla punta della lingua aveva delle scuse, delle verità e delle cose che non avrebbe mai voluto dire, ma che sperò di riuscire ad esporre.

Il filo dei suoi pensieri era ingarbugliato come sempre, ma sapeva che davanti a Kyojuro tutto avrebbe avuto senso. Come sempre.

Raggiunse la casa del Pilastro della Fiamma senza troppe difficoltà e si insinuò subito nella camera di Kyojuro, pronto anche a scusarsi per avergli rotto lo shoji che, in quel momento, era stato aggiustato in modo approssimativo.

La stanza però risultò vuota.

Nella fretta di raggiungere quel luogo, il demone non si era neanche reso conto dell’assenza dello spirito combattivo del Pilastro. Avvertiva quello del padre di Kyojuro, offuscato dall’alcol, e quello ben più placido e calmo del fratello… ma Kyojuro non era lì presente e con lui era scomparsa anche la bambina.

Sentì la gola e l’intero petto congelarsi nell'apprendere quel dettaglio, e un pensiero sciocco e terrificante si fece avanti nella sua mente: "Qualcuno ha preso Kyojuro e Koyuki."

Scacciò via quel pensiero perché non c’erano segni di battaglia, e Akaza sapeva che in caso di attacco Kyojuro si sarebbe battuto fino alla morte. Quella camera non era stato lo scenario di un qualsiasi attacco, era in ordine e pulita come sempre… ma allora dove si trovavano Kyojuro e la bambina?

Qualcuno li aveva portati via senza dare modo al Pilastro di difendersi? I parenti di Kyojuro erano lì presenti e illesi… che cosa era successo durante la sua assenza?

Trovò impossibile calmarsi e cercare di ragionare lucidamente. Si portò una mano alla bocca, si sentiva sul punto di vomitare a causa della sensazione di nausea che gli stava facendo agitare lo stomaco. Il palmo della sua mano venne investito dal suo respiro, caldo e umido. Rapido e incontrollato.

Che cosa era successo?

Forse avrebbe dovuto tentare di raggiungere la casa anche sotto la luce del sole, forse avrebbe potuto impedire qualsiasi cosa fosse accaduta all'interno di quelle quattro mura.

Un rumore di vetri infranti alle sue spalle lo fece sobbalzare e voltare di scatto, pronto a difendersi o attaccare.

Non fece nulla per nascondere la sua presenza demoniaca, cercando anche solo in quel modo di intimorire il suo avversario.

Akaza era talmente distratto e in preda al panico da non aver avvertito alcuna minaccia e aveva permesso ad un nemico di raggiungerlo e di prenderlo si sorpresa.

Tuttavia quelle sensazioni scemarono subito nell’incrociare lo sguardo terrorizzato del fratello minore di Kyojuro che, fermo vicino alla porta scorrevole che separava la stanza del Pilastro dal corridoio, aveva fatto cadere per terra un vassoio con dei bicchieri e degli indumenti per lo spavento.

Senjuro, quello era il nome del ragazzino, non era una minaccia e per quello, probabilmente, Akaza non era stato in grado di avvertirlo.

Il ragazzino stava tremando visibilmente e Akaza non poté dargli torto: chiunque si sarebbe dovuto agitare nel trovarsi un demone in casa. Solo Kyojuro poteva essere così ingenuo e sciocco da trovarsi a suo agio con lui.

In qualche modo Akaza riuscì a non dare troppo peso a quei pensieri, allontanandoli perché in quel momento le sue priorità erano ben altre.

Scattò in avanti senza alcun preavviso, e afferrando il ragazzino per le spalle lo schiacciò contro il muro del corridoio. Gli tappò subito la bocca con una mano per impedirgli di urlare.

In una delle stanze lontane sentì lo spirito combattivo del padre di Kyojuro irrigidirsi, forse a causa della sua presenza demoniaca che non si era più curato di nascondere.

Doveva fare in fretta, non aveva tempo da perdere.

Si concentrò quindi su Senjuro. Lo stava terrorizzando ulteriormente, e Akaza avrebbe quasi voluto chiedergli scusa - Kyojuro si sarebbe arrabbiato con lui per aver trattato il Senjuro in quel modo -, ma cercò di non soffermarsi su quel dettaglio. Sapeva di avere i minuti contati, e voleva sapere dove fossero Kyojuro e la bambina, e soprattutto se stessero bene.

«Non urlare,» sibilò tentando però di mantenere la voce più calma possibile. «Non sono qui per ferire o uccidere qualcuno… non ti farò del male. Lo prometto. Ho… ho solo bisogno di sapere dove sono Kyojuro e Koyuki.»

Attese un momento prima di allontanare la mano dalla bocca di Senjuro, e negli occhi sgranati del ragazzino, ancora carichi di terrore, si era formata un’improvvisa consapevolezza.

Kyojuro l’aveva detto che suo fratello era un ragazzino intelligente e Akaza ne ebbe la conferma in quel preciso istante, quando Senjuro nonostante la paura mormorò un: «Sei tu che hai portato qui Koyuki-chan…»

Era un’affermazione e non una domanda. Il ragazzino doveva aver semplicemente unito i puntini in seguito alle spiegazioni del fratello, e Akaza non poté far altro che confermare quella deduzione con un cenno affermativo del capo.

«Ho bisogno di sapere dove sono… e se stanno bene,» insistette il demone, e Senjuro annuì, pur mostrandosi ancora spaventato e confuso.

«S-stanno bene… o-ora s-sono al… n-non posso dirti dove sono, è un s-segreto degli Ammazza Demoni…» pigolò mostrando più coraggio di quanto Akaza avesse mai potuto immaginare. In ogni caso, subito dopo le parole di Senjuro, il demone ricordò che Kyojuro gli aveva detto che si sarebbe dovuto assentare per un appuntamento con il Pilastro degli Insetti, fissato per controllare le sue condizioni fisiche.

Come aveva fatto a dimenticarsene?

Si allontanò di scatto dal corpo del ragazzino che, tremante e sconvolto, scivolò per terra. Akaza poteva chiaramente sentire il suo cuore battere forte per lo spavento ed era… così debole e indifeso. Il demone però non provò disgusto per lui, aveva smesso da tempo di provarlo, e anzi: gli venne quasi spontaneo rivedere un po’ della sua Koyuki in quel ragazzino.

Non era fisicamente forte ma neanche quello sembrava fermarlo dal cercare di essere all’altezza delle aspettative derivate dal suo cognome. Così come faceva Koyuki, quando si sforzava di aiutarlo con le faccende domestiche nonostante non avesse abbastanza forze o energie.

«Mi dispiace,» riuscì a dirgli, senza nascondere il suo dispiacere e la tristezza.

La presenza del padre di Kyojuro si era fatta più vicina e minacciosa, forse l’effetto dell'alcol era svanito per venire sostituito da un forse naturale senso di protezione verso la famiglia. Akaza non sapeva dirlo con certezza, ma sapeva di dover andare via. 

Fece dei passi indietro per mettere distanza tra sé e Senjuro, e poco prima di saltare via per prendere la strada che lo avrebbe condotto verso la Casa delle Farfalle, rivolse un unico desiderio al ragazzino: «Prenditi cura di loro.»

Perché sapeva che sia Koyuki che Kyojuro ne avrebbero avuto bisogno.

Riprese a correre, saltando sui tetti e sui rami degli alberi, percorrendo la strada che aveva scoperto mesi addietro, quando aveva pedinato degli Ammazza Demoni nel tentativo di rintracciare il luogo nel quale Kyojuro era stato ricoverato.

La luna era ormai alta nel cielo quando raggiunse il confine di glicine che proteggeva la Casa delle Farfalle. Il familiare spirito combattivo di Kyojuro catturò subito tutte le sue attenzioni, portandolo ad ignorare tutto il resto.

Gli venne quasi spontaneo sorridere per il sollievo nell'avvertire la sua presenza, e senza indugi, pur provando una forte sensazione di soffocamento nell’inalare il profumo di quel dannato fiore, saltò oltre quel confine per andare alla ricerca del Pilastro della Fiamma.

Non si stava curando di nascondere la sua presenza ed era probabile che anche gli altri Ammazza Demoni lì presenti si sarebbero resi conto del suo arrivo, ma Akaza sperò che fossero abbastanza assennati da non attaccarlo su due piedi, e che anzi avrebbero preferito temporeggiare e chiamare i rinforzi.

Chiedeva solo un po’ di tempo per parlare a Kyojuro, e non voleva sprecare quell’ultima occasione.

Come previsto, il Pilastro della Fiamma aveva avvertito la sua presenza, infatti lo vide spalancare la finestra della stanza nella quale stava alloggiando. Sul viso di Kyojuro, espressivo come sempre, si era dipinta un'espressione sorpresa e preoccupata.

«Akaza!» saltò fuori dalla finestra per andargli incontro. «Che ci fai qui? Non puoi!» esclamò cercando di non alzare la voce e lasciando che fosse l’apprensione a prevalere.

Akaza gli sorrise e gli fece la domanda che gli aveva rivolto ogni notte da quando avevano iniziato quella strana frequentazione.

«Come sta la bambina?»

Il Pilastro strinse le labbra, nervoso.

«Koyuki sta bene! Non preoccuparti! Ma ora va via, prima che qualcun’altro si renda conto della tua presenza!»

«Non importa, Kyojuro… devo parlarti quindi ascoltami bene!»

In realtà, Akaza aveva già avvertito delle presenze particolarmente agitate all’interno della struttura. Contava almeno una decina di persone, tra abitanti e ricoverati.

Due di loro erano addormentati, forse sedati per riprendere alle loro ferite di guarire.

Anche un’altra presenza risultava sopita e si trattava di un demone, ma Akaza non si sentì sorpreso dalla sua presenza: doveva essere il demone che Kyojuro aveva nominato più volte.

I restanti abitanti avevano raggiunto la camera del Pilastro della Fiamma - dove si trovava anche la rassicurante e calma presenza di Koyuki -, ed erano tutti chiaramente agitati.

Avvertiva un solo individuo di sesso maschile - era debole, forse ferito e ancora in convalescenza - mentre delle altre, tutte figure femminili, riconosceva solo la forza di due Pilastri.

Ma in ogni caso il demone non diede troppa importanza agli Ammazza Demoni e allo staff di quel nosocomio. Ciò che gli interessava maggiormente era il fatto che non sembrassero intenzionati a intervenire subito. Si stavano comportando come aveva previsto, o meglio sperato: volevano temporeggiare. Nella migliore delle ipotesi stavano per mandare un corvo per cercare rinforzi, nella peggiore si stavano organizzando per un attacco a sorpresa.

Akaza non aveva in ogni caso tempo da perdere, e prendendo un profondo respiro guardò Kyojuro in viso con un’espressione risoluta.

«Dovete mandare qualcuno al Villaggio degli Spadai,» dichiarò senza girarci troppo attorno. «Due Lune Crescenti sono sul punto di scoprire l'ubicazione e uccideranno chiunque si trovi all'interno del villaggio. Non so quando accadrà ma non fatevi trovare impreparati.»

«Cosa?» lo stupore attraversò il viso di Kyojuro, sicuramente non si aspettava una simile informazione da parte di Akaza che sentì subito lo stomaco contorcersi per aver svelato in quel modo i piani di Muzan.

Non era certo che il suo padrone sapesse cosa stesse accadendo, ma il suo sangue reagiva di conseguenza a quel chiaro tradimento.

Restava il problema del legame mentale che collegava tutti i demoni a Muzan e che gli permetteva di prendere il controllo dei loro occhi e orecchie. Era però un metodo con i suoi limiti, come la distanza.

Più Muzan era distante, meno le menti dei demoni venivano raggiunte. Era un ‘trucchetto’ che Akaza aveva spesso utilizzato per potersi allenare indisturbato.

Di conseguenza Akaza poteva sperare che Muzan fosse talmente distante da non avere totale accesso alla sua mente, e che la sua superbia lo portasse a dare per scontato che Akaza eseguisse i suoi ordini.

Era un azzardo, lo sapeva benissimo, ma non voleva tirarsi indietro.

«Sono la Quarta Luna Crescente, Hantengu, e la Quinta Luna Crescente, Gyokko,» riprese ben deciso a non fermarsi. «Hantengu può apparire con un aspetto indifeso e codardo, ma è un avversario complicato da affrontare. Possiede sei corpi che si generano ogni volta che gli viene tagliata la testa. Ogni corpo ha abilità diverse, come la manipolazione del vento o volare,» spiegò, soffermandosi poi a parlare dell’ultimo clone di Hantengu, Zohakuten, e di come fosse quello il più minaccioso.

Aveva avuto modo di vederlo in azione solo una volta, quasi un secolo prima, e sapeva quanto potesse essere un avversario ostico per gli Ammazza Demoni impreparati.

«Akaza…»

«Non dovete sottovalutare neanche Gyokko,» dichiarò, senza dare il tempo a Kyojuro di aprire bocca. «Ha un occhio al posto della bocca e un altro al centro della fronte. Bocche al posto degli occhi. Vive e si sposta attraverso dei vasi di porcellana di sua creazione. Può assorbire e rinchiudere chi vuole in quei vasi. Evoca creature marine e anche dei liquidi simili all’acqua,» proseguì, tentando di dare anche altre informazioni sulle capacità della Quinta Luna Crescente. Qualsiasi cosa fosse utile all'Ammazza Demoni per poter affrontare quei due demoni.

«Akaza perché mi stai dicendo questo?»

Era chiaro che Kyojuro conoscesse già la risposta, poteva sentirlo dalla nota acuta della sua voce e dal terrore che aveva visto dipingersi nel suo occhio, ma neanche quello fermò Akaza, sentiva il tempo scorrere e non poteva fermarlo. Doveva dirgli tante cose e non sapeva se sarebbe per quanto tempo sarebbe riuscito a restare nascosto dallo sguardo e dalle orecchie di Muzan.

«Ci sono altri tre demoni che dovete temere, ma non sono coinvolti nell’attacco al Villaggio. Il primo è la Seconda Luna Crescente, Douma. Appare come un uomo biondo e alto, con un marchio simile ad una macchia di sangue sulla testa. Ha gli occhi color arcobaleno. La sua abilità vampirica gli permette di controllare il ghiaccio. È veloce e molto forte. Si nutre principalmente di donne, e il suo territorio di caccia è il suo culto religioso che si trova nelle montagne a nord. Si chiama Culto del Paradiso Eterno.» 

Una vaga oppressione al petto iniziò quasi a fargli mancare l’aria, ma pensò fosse più che altro la tensione che un vero e proprio avvertimento da parte di Muzan.

«Il secondo è la Prima Luna Crescente, Kokushibo. È un uomo alto, capelli lunghi e scuri, e sei occhi rossi. Era un Ammazza Demoni una volta, ed è uno tra i più forti demoni esistenti. Per combattere utilizza uno stile di respirazione simile al vostro, ma con la forza distruttiva di un demone. Le spade che usa sono come prolungamenti del suo corpo… non ne conosco le esatte abilità né i suoi punti deboli. Mi sono scontrato contro di lui una volta e la sua forza è senza pari,» concluse sentendosi quasi in colpa per non essere in grado di fornire altri dettagli sulle abilità di Kokushibo.

«Akaza!» Kyojuro si fece avanti, allungando le mani per cercare di tappargli la bocca, ma il demone si fece indietro.

«Fammi finire,» gli disse Akaza, cercando di mantenere ancora la calma. «L’ultimo demone è una donna. Capelli castani, lunghi. Le coprono quasi interamente il viso. Ha con sé un biwa. Non dovete temerla per la sua forza, ma per la sua abilità vampirica. Le ha permesso di creare il Castello dell’Infinito, il luogo nel quale i demoni vengono convocati da lui. Si chiama Nakime, e il castello risponde ai suoi comandi. È come un labirinto, ma è in continuo mutamento. Entrarci dentro equivale ad essere in suo potere.»

Ogni parola faceva sentire Akaza quasi più leggero ma, al tempo stesso, avvertiva sempre più forte l’oppressione al petto e una morsa alla gola.

Stava tradendo Muzan, era ormai chiaro che non potesse più tornare indietro, ma Akaza sapeva di star facendo la cosa giusta per la prima volta nella sua vita e non ne era minimamente pentito. Sperava solo che suo padre, Keiko e Koyuki fossero fieri di lui, che potessero perdonarlo.

Anche se non ci credeva realmente.

«Lui appare in molteplici forme, ama mischiarsi tra gli esseri umani. Può sembrare un uomo distinto ed elegante, una donna stupenda e un ragazzino di neanche quindici anni,» spiegò poi, fermandosi solo un momento per scacciare il timore che gli aveva quasi stretto la gola nel parlare così apertamente di Muzan. «Alle volte è un anziano ed altre un’adolescente. Maschio, femmina, adulto o bambini. Non so perché lo faccia, ne quante sono le sue identità umane, ma dovete stare attenti: può essere chiunque

Kyojuro tentò ancora di zittirlo tappandogli la bocca con le mani, ma Akaza gli bloccò i polsi.

«So cosa stai facendo Akaza! E non è questo il modo! Non è la soluzione!» ringhiò il Pilastro cercando di divincolarsi.

Akaza però non gli permise di fuggire, infatti lo attirò a sé stringendogli le spalle con le braccia e nascondendo il viso nel collo del Pilastro.

Chiuse gli occhi, godendosi quel primo e unico abbraccio con Kyojuro. Aveva immaginato il calore di quel corpo, aveva imparato a desiderarlo e ad amarlo… e anche da così vicino sentì di non poter mai essere bruciato dalle fiamme di Kyojuro, perché erano fatte per proteggere.

«Akaza…»

Sentì anche le braccia di Kyojuro stringersi attorno al suo corpo, e quell’abbraccio donò al demone il coraggio necessario per proseguire.

«Lasciami fare la cosa giusta, Kyojuro…» mormorò con gli occhi chiusi, inalando a pieni polmoni il profumo del Pilastro. «Lui mi ha ordinato di trasformarti in un demone o di ucciderti… e non voglio. Non posso obbedire a quell’ordine, non ora che ricordo tutto. So chi ero, so chi ho perso e anche cosa ho fatto. È per loro che voglio che voi vinciate questa guerra. Koyuki dovrà crescere in un mondo senza demoni.»

«Puoi aiutarci…» mormorò il Pilastro, stringendo con più forza le braccia attorno al corpo del demone come per impedirgli di fare qualche mossa azzardata.

Il calore del corpo di Kyojuro era quasi soffocante per Akaza, ma al tempo stesso sentiva di non poterne fare a meno.

«Smettila di essere così ingenuo, Kyojuro,» lo rimproverò il demone senza allontanarsi dal corpo del Pilastro.

"Un altro po’," si ripeteva. "Ancora un altro po’."

«Non sono salvabile,» decretò piano. «Avrei voluto aiutarti a portare nella tomba quel bastardo, ma ho le mani legate. Preferisco… preferisco la morte al permettergli di farti del male o di toccare Koyuki. E se per proteggere entrambi devo essere io a morire: lo farò. È sempre stato il mio destino.»

Solo in quel momento trovò la forza per allontanare Kyojuro rivolgendogli un sorriso triste ma felice. Si sentiva quasi più leggero dopo aver pronunciato quelle parole, non si sentiva più sui carboni ardenti e non si pentiva della sua scelta.

«Non cambierà nulla ma… il mio nome era Hakuji un tempo. Mio padre si chiamava Kiichiro. Keizo è stato il mio maestro, mi ha accolto a casa sua quando non avevo più nulla per cui vivere. Mentre sua figlia si chiamava Koyuki, ed è stata la persona più importante della mia vita. Il loro ricordo andrebbe perso con me e… so che è egoistico da parte mia, ma ti chiedo solo di ricordarti di loro. Per non lasciarli morire un’altra volta.»

Kyojuro stava piangendo, notò Akaza, e solo in quel momento si rese conto di aver iniziato a sua volta a piangere. Era triste, non poteva negarlo, ma si sentiva anche libero.

«Cosa vuoi fare? Akaza… posso aiutarti…» il Pilastro cercò di riattirarlo a sé, ma il demone non si fece più toccare.

«Prenditi cura di Koyuki. Dille che… che le ho voluto bene sin dal primo momento. E… Kyojuro, mi dispiace messo nei guai con gli altri Ammazza Demoni, spero che… spero che non siano così stronzi da voler perdere il loro miglior guerriero solo per aver fraternizzato con un demone,» riprese facendo un ulteriore passo indietro per mettere più distanza possibile tra sé e Kyojuro.

Il Pilastro cercò di raggiungerlo, rifiutando testardamente la scelta di Akaza, ma il demone a quel punto sapeva che niente avrebbe più potuto fermarlo.

Era troppo tardi.

«Grazie di tutto, Kyojuro…»

Non gli avrebbe detto addio, quella parola rimase nella sua lingua a pesare come quella fine che non voleva incontrare ma che sapeva di dover affrontare. Era l’unico modo per impedire a Kyojuro di cercarlo o di aspettarlo, per mettere una pietra sopra ai loro incontri… e per allontanare lo sguardo di Muzan dal Pilastro della Fiamma almeno per un po’.

Era l’unico modo.

Chiuse gli occhi, e facendo l'ennesimo balzo indietro per stare fuori dalla portata di Kyojuro, pronunciò con rabbia il nome di quell’essere che tanto desiderava portare nella tomba con sé, ma era certo che, per quanto fossero umani e deboli per natura, gli Ammazza Demoni avrebbero trovato un modo per sconfiggerlo.

«Kibutsuji Muzan!»

 

..••°°°°••..

 

Buio.

Akaza non aveva bisogno di guardarsi attorno per rendersi conto di essere circondato dall’oscurità.

Era come nei suoi ricordi più cupi. Un nero senza fine, privo di odori e suoni… ma al tempo stesso era diverso.

Era quella la morte?

Akaza non aveva mai temuto la morte né l’aveva mai sentita così vicina. Certo, alcune volte qualche Ammazza Demoni più abile - come Kyojuro ad esempio - arrivava quasi a tagliargli la testa, ma nessuno era mai riuscito a portarlo a un passo dalla fine.

Di conseguenza quel luogo così silenzioso e pacifico gli sembrava quasi inadatto ad accogliere la sua anima dannata. Non credeva di potersi meritare una simile pace, aveva immaginato le fiamme dell’inferno, aveva pensato di subire torture indicibili per tutto il male che aveva provocato in vita… ma invece aveva solo quel buio ad abbracciarlo nella morte.

«Hakuji-san?»

Una luce alle sue spalle proiettò la sua ombra davanti a lui, iniziando lentamente a dissipare l’oscurità. Akaza trattenne il fiato, sperando che quello fosse solo un crudele scherzo della sua immaginazione.

«Hakuji-san…»

La voce si era fatta più vicina, ed era impossibile non riconoscerla e non sentire il cuore stringersi per l’emozione.

«K-Koyuki-san…» esalò con un singhiozzo che fece sobbalzare tutto il suo corpo, come se fosse stato appena colpito da un pugno.

Scosse però il capo, chiudendo gli occhi per cercare di rifiutare e nascondere a se stesso quanto stava accadendo. Non desiderava altro se non voltarsi e incontrare la proprietaria di quella voce, ma al tempo stesso Akaza non poteva.

Sentiva di non potersi permettere quell’incontro.

Strinse più forte gli occhi per mettere a tacere anche la più piccola tentazione, ma sentì ugualmente le lacrime sfuggire al suo controllo per percorrergli il viso.

Erano fredde ma delicate come la neve.

«Hakuji-san, voltati,» mormorò ancora Koyuki con voce dolce e morbida.

Akaza non sentì rabbia provenire dalla giovane donna, non sembrava essere arrabbiata né carica di biasimo nei suoi confronti.

La voce di Koyuki era esattamente come la ricordava, e sentì ancor più forte il desiderio di voltarsi e scoprire se anche il suo aspetto fosse rimasto immutato.

Il demone riaprì gli occhi, ma al posto di girare il capo, lo abbassò facendosi piegare dalle incertezze e dai timori.

La luce di Koyuki aveva dissipato l'oscurità, permettendogli di scorgere il profilo di ciò che lo circondava.

Sotto i suoi piedi c'erano le assi in legno di un ponte. Erano bianche, come il legno della betulla che cresceva vicino al laghetto delle carpe dietro la casa di Keizo e Koyuki.

Quella sensazione di familiarità lo portò a sollevare le mani per osservarle, e senza provare alcuna sorpresa le scorse pallide, con le dita macchiate dall’inchiostro che percorreva tutto il suo corpo.

Erano le mani di un demone, ma lo era sempre stato d’altro canto. Quello non sarebbe mai cambiato.

«Non posso,» rispose alla fine Akaza, facendo cadere le braccia lungo i fianchi.

Tenne gli occhi puntati sulle bianche assi del ponte, stringendo i pugni fino a sentire le unghie conficcarsi nella sua pelle e il sangue sgorgare da quelle piccole ferite.

Aveva sperato ardentemente nel perdono di Koyuki, di Keizo e di suo padre, ma in qualche modo sentiva di non aver fatto abbastanza per meritarselo.

Singhiozzò ancora senza poter far nulla per trattenere quello e i successivi singulti. Le lacrime erano andate ad offuscargli la vista e avevano reso le candide assi del ponte simili a un’informe macchia bianca nel buio di quel limbo.

Una mano si posò sul suo braccio, era piccola e fresca contro la sua pelle che sembrava quasi bruciare, e venne poi seguita da una testa che era andata ad appoggiarsi sulla sua schiena.

Tremò visibilmente, ma non trovò la forza per allontanarsi o per cercare di far scostare Koyuki.

«Puoi farlo…»

Akaza scosse il capo, restando immobile, incapace di fare qualsiasi movimento ma trovando una piccola consolazione nella presenza alle sue spalle.

«Mi dispiace… mi dispiace per tutto, Koyuki-san…» mormorò.

«Lo so.»

Akaza strinse le labbra cercando di trattenere un nuovo singhiozzo. Sentiva le lacrime continuare a scorrergli incontrollate sulle guance.

«Non… non sono riuscito a mantenere neanche una promessa… ho dimenticato tutti voi e ho infangato il vostro ricordo…»

«Hakuji-san non ci hai mai dimenticati per davvero,» cercò di rassicurarlo Koyuki. «Siamo sempre stati nel tuo cuore.»

Per il demone non sembrava abbastanza. Poteva aver protetto quel ricordo, ma quello non poteva cancellare il male che aveva fatto.

«Hakuji-san, ascoltami. Hai fatto un’altra promessa che non vuoi infrangere, vero?» domandò la ragazza di punto in bianco. La piccola mano di Koyuki scivolò lungo il braccio di Akaza fino a quando non incontrò il pugno chiuso del demone.

Il pugno si allentò senza che Akaza potesse anche solo ordinare al suo corpo di muoversi e tremò quando le sue dita si intrecciarono a quelle della ragazza.

«Io…»

Aveva fatto una promessa?

Non ci mise troppo a trovare una risposta, ricordando di come avesse promesso di proteggere la bambina e Kyojuro, e di essere forte per loro. Aveva rivolto delle parole simili anche a Koyuki, sotto il cielo illuminato dai fuochi d’artificio.

Si lasciò scuotere da una risata amara.

«Sì,» ammise. «Ma l’ho infranta, come tutte le altre.»

«Puoi scegliere, Hakuji-san. Puoi scegliere, perché non è troppo tardi…» la voce della giovane donna era spezzata da un pianto silenzioso e quello fece irrigidire Akaza, costringendolo ad alzare il capo quasi di scatto per potersi voltare verso Koyuki.

Aveva sempre detestato vedere le persone piangere, e detestava ancor di più essere lui la causa di quel pianto… e Koyuki stava piangendo. L’aveva ferita ancora una volta? Perché non riusciva a fare nulla di buono?

Torse il collo, mosso dalla necessità di fare qualcosa - qualsiasi cosa - pur di farla smette di piangere e prendersi cura di lei come aveva sempre fatto… ma una mano apparsa dal nulla bloccò i suoi movimenti. La sentì stringersi a pugno sui suoi capelli, tirandoli con crudeltà e impedendogli di voltarsi.

«Akaza.»

La voce minacciosa di Muzan gli rubò il fiato, e un forte brusio alle orecchie lo assordò facendogli quasi venire le vertigini.

Alzò lo sguardo, incrociando gli occhi rossi di Muzan. Erano carichi di rabbia, e la luce che aveva iniziato a colorare quel luogo iniziò a spegnersi, soffocata dalla presenza dell’altro demone.

No, non era lì Muzan. Era il suo sangue. Era la maledizione che gravava su tutti i demoni.

«La tua insolenza ha superato ogni limite.»

Akaza abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello del suo padrone. La presa sui suoi capelli si fece più forte, e sentì chiaramente delle ciocche venire strappate via e del sangue colargli sul viso.

«Morirai per questo.»

Una singola goccia di sangue, che aveva raggiunto il suo mento, cadde sul pavimento bianco facendolo tremare come scosso da un terremoto. Da quella goccia si allargò subito una pozza di sangue sotto i piedi di Akaza che, lenti, iniziarono a sprofondare in quella trappola scarlatta pronta a divorarlo.

Il demone perse quasi l’equilibrio nel sentire la mancanza di un terreno solido sotto i piedi ma non si fece prendere dal panico. I suoi sensi si erano quasi ovattati e si sentì pronto ad accettare quel destino. D’altro canto, era quella la fine adatta ad uno come lui. Non la pace accanto alle persone che aveva amato.

«Hakuji-san! Guardami! Ti prego!»

La voce di Koyuki superò il brusio che lo aveva reso sordo, e nonostante il dolore, la rassegnazione e la presa ferrea di Muzan, che lo stava spingendo all’interno della pozza di sangue, Akaza non poté non rispondere al pianto della ragazza. 

Riuscì con difficoltà a piegare il capo, rivolgendo gli occhi verso Koyuki perché doveva smettere di piangere per uno come lui.

Il viso di Koyuki era come quello che ricordava: bello e giovane, con le guance arrossate e gli occhi con quella sfumatura rosa simile alle nuvole al tramonto. Era in ginocchio a neanche un metro da lui, le assi di legno erano ancora bianche e luminose.

Piangeva e tendeva la mano verso di lui.

«Non arrenderti,» lo supplicava e Akaza sentì forte l’istinto di allungare la mano verso Koyuki, afferrare quella della ragazza e stringerla forte contro la sua. Una parte di lui desiderava combattere ancora.

«Akaza!»

Il sangue di Muzan però continuava a opprimerlo, e ormai il suo corpo era sprofondato fino ai fianchi in quella pozza di sangue. Era troppo tardi per lui, l’aveva sempre saputo ed era stato uno sciocco a pensare anche solo per un momento il contrario.

«Puoi ancora scegliere… fidati di me!»  

Le dita di Koyuki erano così vicine che ad Akaza sarebbe bastato alzare un solo braccio per sfiorarle.

«Akaza. Sei un mostro. Lo sei sempre stato, anche prima che ti trasformassi in un demone,» la voce crudele di Muzan lo portò a sprofondare ancora di più e anche se Akaza sapeva che quelle parole erano veritiere, i suoi occhi continuavano a fissare la mano di Koyuki come se fosse il suo unico collegamento con la realtà.

«Ti prego…»

L’ennesima supplica di Koyuki, le sue lacrime e il dolore che le leggeva in viso, fecero stringere la gola di Akaza. Si meritava quella morte, si meritava l’oblio per i suoi crimini… ma non voleva essere lui la causa del pianto di Koyuki, non quando gli sarebbe bastato allungare una mano per rassicurarla.

«Ti prego… non arrenderti… fallo per me…»

Colpito ancora da quella richiesta, Akaza tremò visibilmente e si lasciò guidare da quel desiderio che aveva continuato ad ardere nonostante la sua rassegnazione.

Tentò di alzare il braccio, ma lo trovò pesante e appiccicoso a causa di quel liquido che non sembrava neanche più sangue. Restava incollato sulla sua pelle con umidi e pungenti tentacoli che cercavano di tenerlo bloccato, di inghiottirlo ancora di più in quel pozzo senza fondo.

«Koyuki-san…» diede fondo a tutte le sue energie, sentendo la pelle strapparsi per lo sforzo contro quei tentacoli vischiosi. Tese la mano, sfiorando con le sue dita ancora macchiate d’inchiostro quelle pallide di Koyuki.

Le loro mani si intrecciarono e la ragazza, afferrandolo anche con l’altra mano per il polso, iniziò a tirare. Non era dotata di forza fisica, era debole e sarebbe bastato un alito di vento per farla cadere, ma quello non la stava fermando dal cercare in ogni modo di liberarlo dalla presa di Muzan che, al tempo stesso, lo spinse ulteriormente all’indietro per dimostrare la propria superiorità.

«Non puoi sfuggirmi, Akaza.»

Non poteva sfuggirgli ma… voleva e doveva farlo. Perché Koyuki stava combattendo per lui e Akaza non voleva farla stare male, non voleva deluderla… non voleva trascinarla in quell’abisso con lui.

Tentò disperatamente di andare incontro alla ragazza, ignorando la pelle che veniva quasi strappata via dal suo corpo da quei tentacoli scarlatti.

Doveva fare un ultimo sforzo, doveva resistere per Koyuki.

Chiuse gli occhi per il dolore e per lo sforzo, gridando per liberarsi dalla presa di Muzan. Gridò fino a sentire la gola diventare arida e il sapore del sangue sulla lingua.

«Puoi farcela, figliolo,» un altro paio di mani si strinsero attorno al suo braccio e Akaza sentì il suo corpo sollevarsi un poco dal pozzo nel quale era sprofondato. Il suo busto era stato liberato, e allungò per puro istinto l’altra mano verso l’alto alla ricerca di un appiglio.

«Resisti ancora un po’, Hakuji!»

Altre due mani si strinsero attorno al suo braccio, e per quanto Muzan stesse continuando a tirarlo all’indietro e a sibilare il suo nome e altre cattiverie per condurlo nell’oblio, Akaza sentì quella presa farsi sempre meno forte e il suo corpo venire avvolto da una strana ma piacevole sensazione di intorpidimento.

«Hakuji!»

Tre voci iniziarono a chiamare il suo nome - il suo vero nome - e aprendo gli occhi incrociò non solo lo sguardo di Koyuki, ma anche quello di suo padre e di Keizo, che con tutte le loro forze lo stavano sorreggendo e tirando fuori dalla pozza rossa come il sangue.

Aprì la bocca senza però riuscire a lasciar uscire nessun suono, ma il suo cuore aveva iniziato a battere talmente forte da cancellare il dolore e i dubbi. Sentì il corpo farsi più leggero e venire lentamente tirato verso l’alto, trascinato verso le persone che più amava e che erano lì per lui.

L’oppressione di Muzan si fece più leggera e neanche la pelle che rimaneva attaccata al liquido vischioso sembrò avere più presa su di lui. La pozza rossa iniziò a rimpicciolirsi mentre il suo corpo veniva liberato, e quando si chiuse del tutto, al suo posto rimasero solo le bianche assi del ponte e un’immensa luminosità che aveva fatto colorare l’oscurità d’oro.

Il sangue di Muzan, la maledizione, si disintegrò al tocco di quella luce che aveva abbracciato Akaza e che aveva iniziato a curare le sue ferite.

Le braccia di Koyuki si strinsero attorno al suo collo in un abbraccio, seguite poco dopo da quelle di Keizo e di suo padre. Un piacevole calore riempì il petto di Akaza e per la prima volta dopo anni, respirare gli sembrò facile e naturale.

Alzò le mani, quasi incerto se ricambiare o meno quell’abbraccio, e le vide… umane. Erano rovinate dagli allenamenti e da tutte le piccole cicatrici che aveva collezionato in vita, ma l’inchiostro era stato strappato via dalla sua pelle, lasciando dietro di sé solo… Hakuji.

Solo in quel momento Akaza si permise di stringere le braccia attorno ai corpi delle persone che amava, lasciandosi andare a un pianto di disperato sollievo che gli scosse il petto fino a fargli mancare il fiato.

Gridò con forza, chiedendo scusa tra i singhiozzi, e sperando come non mai di aver ottenuto il loro perdono. L’inferno lo stava ancora aspettando, lo sapeva bene, ma lo avrebbe affrontato sapendo di non aver mai perso il loro affetto.

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Capitolo 12
*** 12. Kintsugi ***


As Soothing As Snow

Capitolo 12
Kintsugi


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«Kibutsuji Muzan!»

Quel nome lasciò le labbra di Akaza con rabbia e Kyojuro, per quanto avesse tentato in ogni modo di impedire al demone di parlare e di segnare in quel modo la propria condanna, non poté far nulla se non soffocare un urlo di terrore quando dalla bocca della Luna Crescente emerse un enorme braccio insanguinato.

Un verso soffocato di dolore abbandonò la bocca ormai spaccata a metà di Akaza che, cadendo all’indietro sul prato, venne colpito da altre due braccia fuoriuscite dal suo stesso corpo.

L’odore del sangue impregnò subito l’aria fresca della notte, e il silenzio che fino a qualche minuto prima era spezzato solo dai versi degli animali notturni, si riempì con il terrificante rumore della carne che veniva dilaniata con una violenza inaudita.

Ogni strappo gelava il sangue Rengoku che, rimasto immobile, quasi faticò a comprendere il macabro spettacolo che aveva avuto inizio proprio davanti a lui.

Il terrore che aveva provato nell’ascoltare Akaza svelare i piani di Muzan, e tutto quello che riguardava il creatore dei demoni, sembrava essere quasi svanito, lasciandolo attonito e senza fiato davanti a quella sanguinolenta punizione.

Aveva sentito parlare della maledizione che impediva ai demoni di pronunciare il nome del loro creatore, ricordò quasi distrattamente, forse per cercare una sorta di spiegazione logica a quello che stava accadendo.

Kyojuro aveva scoperto dell’esistenza della maledizione tramite i rapporti dei vecchi Pilastri e, da quel che sapeva, nessuno della sua generazione l’aveva mai vista con i propri occhi… e mai e poi mai sarebbe arrivato a pensare che potesse essere così terrificante.

Il corpo di Akaza si stava accartocciando per terra, dilaniato dalla punizione mortale che Muzan aveva deciso di infliggergli solo per aver pronunciato il suo nome.

La pelle pallida del demone era diventata rossa a causa del sangue che usciva dalle profonde ferite inferte dalle braccia demoniache, e per quanto il corpo della Luna Crescente stesse cercando di rigenerarsi, la forza di quegli attacchi sembrava quasi annullare ogni minimo tentativo di guarigione.

Era una lotta all'apparenza infinita oltre che impari, e che si sarebbe conclusa in un solo modo: con l'esaurimento delle forze di Akaza.

Quella consapevolezza fece sobbalzare Rengoku che, superando lo stato di shock nel quale era caduto, si rese conto di dover fare qualcosa.

Doveva intervenire e cercare, in qualche modo, di aiutare Akaza. Non sapeva come, ma si rifiutava di restare con le mani in mano ad osservare il demone abbracciare la propria morte in quel modo.

Le sue gambe, seppur tremanti, si mossero per fare un primo passo in avanti, ma delle braccia, strette attorno al suo corpo, gli impedirono di muoversi.

«Rengoku-san!»

La voce acuta di Tanjiro si insinuò nelle sue orecchie, suonando tanto spaventata quanto agitata.

“Kamado non dovrebbe trovarsi qui”, realizzò quasi distrattamente il Pilastro.

Tanjiro doveva essere a letto. Doveva riposare per riprendersi dalle ferite riportate contro la Sesta Luna Crescente. Non doveva trovarsi in giardino, in piena notte, eppure in quel momento Kyojuro non riuscì a rivolgere al ragazzo né uno sguardo e né un rimprovero preoccupato.

Tutte le sue attenzioni continuavano ad essere solo ed esclusivamente per Akaza che, incapace anche solo di emettere versi di dolore, veniva dilaniato dalle braccia demoniache di Muzan.

Il Pilastro sentì lo stomaco stringersi e, ostinato, tentò di divincolarsi dalla presa di Kamado.

Che cosa poteva fare? Come poteva aiutare Akaza? Come poteva salvarlo?

«N-non puoi fare nulla, Rengoku-san!» esclamò Tanjiro, stringendo con più forza la sua presa sul corpo del Pilastro.

Kyojuro, che non si era neanche reso conto di aver pronunciato quei pensieri ad alta voce, scosse il capo rifiutando la realtà.

«No…»

Non poteva finire in quel modo. Non doveva finire in quel modo.

Rengoku aveva più volte pensato a quale epilogo sarebbe andato incontro nel continuare a causa del rapporto che aveva creato con Akaza ma… aveva anche pensato a che cosa sarebbe potuto accadere quando si sarebbero ritrovati nel campo di battaglia, divisi dalla loro lealtà.

Erano nemici per natura, e così come Kyojuro si era rifiutato di prendere in considerazione l’ipotesi di diventare un demone, era anche stato abbastanza certo del fatto che Akaza non avrebbe mai voltato le spalle a Muzan.

La battaglia sarebbe stata inevitabile, e Rengoku aveva sempre e solo visto un unicoo risultato: la morte.

Non poteva negarlo. Il Pilastro della Fiamma era certo che se si fossero scontrati, senza essere interrotti dal sole, la loro battaglia si sarebbe conclusa nel sangue… ma non in quel modo. Perché non era mai Akaza quello ad uscirne sconfitto.

Non era semplice ammetterlo, né tanto meno pensarlo in realtà, ma Kyojuro era consapevole dei propri limiti, e il suo primo combattimento contro la Terza Luna Crescente lo aveva portato a comprendere sia i suoi punti di forza che le sue debolezze.

Sapeva che non si sarebbe arreso facilmente dinanzi a un ipotetico scontro, e sapeva anche che avrebbe dato fondo a tutte le sue forze pur di prevalere contro un avversario come Akaza, ma dentro di sé sapeva che difficilmente sarebbe riuscito a uscirne vincitore.

Tutto quello però non aveva più importanza. Akaza poteva aver scelto di tradire Muzan, realizzando in qualche modo i sogni più sfrenati e assurdi di Rengoku, ma aveva anche scelto di morire, senza neanche cercare di combattere o di cambiare il suo futuro.

Dentro di sé Kyojuro sentiva di non volergli dare alcuna colpa perché era certo che fosse stata una scelta combattuta, dettata dalla necessità di Akaza di proteggere Koyuki, ma dall’altra parte il Pilastro non riusciva a non sentire l’amaro in bocca, né poteva più nascondere il lato egoistico che aveva sviluppato sin da quando il demone era entrato a far parte della sua vita.

Akaza si era arreso, non aveva altro modo per definire le sue azioni e non gli importava di tutte le preziose informazioni che gli erano state date né del tono dispiaciuto e rassegnato che la Luna Crescente aveva usato.

Si era arreso, e Kyojuro non poteva fare a meno di chiedersi il perché.

Perché aveva scelto di arrendersi in quel modo?

Perché non gli aveva dato modo di aiutarlo?

Rengoku aveva cercato di fermarlo e di impedirgli di parlare quando aveva compreso le sue intenzioni. Aveva cercato di dargli una sorta di via di fuga, perché era certo che insieme sarebbero stati in grado di trovare una soluzione, ma Akaza non lo aveva ascoltato. Era testardo, e in quel momento stava subendo da solo le conseguenze del suo tradimento, e di quell’umanità che il Pilastro aveva visto rinascere in lui.

«Rengoku-san…» anche la voce di Kanroji si aggiunse a quella del giovane Kamado. Era bassa e confusa, quasi dispiaciuta, ma Kyojuro si mostrò sordo anche alla sua presenza.

Non riusciva a distogliere lo sguardo da Akaza. Continuava a osservare il suo corpo sobbalzare e cercare di rigenerarsi, per poi venire ancora distrutto. Le braccia gli venivano strappate via, la testa schiacciata dalla forza di quelle mani giganti e il petto squarciato in due con una crudeltà inaudita.

La pelle e gli arti continuavano a rigenerarsi ad ogni attacco, solo per venire di nuovo dilaniati dalla furia della maledizione… e il sangue colava sull’erba, colorando di rosso tutto quello che toccava.

Altre domande andarono ad affollarsi nella sua mente, e il Pilastro si sentì ancora una volta svuotato di ogni energia.

Come poteva, da solo, combattere una simile distruzione? Non era abbastanza forte.

Dove era la forza che Akaza sosteneva di vedere in lui?

Rengoku si sentiva impotente e debole. Gli sembrava quasi di essere tornato bambino, quando aveva visto sua madre morire a causa di una malattia incurabile e suo padre affondare in un abisso senza fondo.

Non era stato in grado di salvare i suoi genitori, come poteva pretendere di poter salvare qualcun’altro?

Gli mancò ancora il fiato e le sue ginocchia cedettero all’improvviso sotto il peso del suo corpo. Sentiva un crescente cerchio alla testa e le lacrime scorrere libere sul suo volto.

Non poteva fare nulla.

Kyojuro si portò le mani al viso nel tentativo di bloccare un urlo che minacciò di sfuggire al suo controllo, mentre un'improvvisa ondata nausea lo costrinse a piegarsi in avanti con la bocca piena di saliva acida.

Il mondo aveva iniziato a vorticare attorno a lui, e gli sembrò quasi impossibile riuscire a respirare o a controllare il ritmo del suo cuore. Ogni tentativo di respirare lo portava a sentire quasi una mano stretta attorno alla sua gola. Sempre più stretta e soffocante.

Chiuse l'occhio, cercando di fermare i capogiri, e qualcuno iniziò ad accarezzargli la schiena con lenti movimenti circolari, volti a consolarlo. Rengoku però non li sentì realmente.

“Perché?” continuava a ripetersi. “Perché non ti sei fidato di me e ti sei arreso? Perché l’hai fatto?”

Sbatté con rabbia i pugni sul terreno, stringendo poi le dita attorno ai fini steli d’erba che si spezzarono con estrema facilità.

“Perché mi hai abbandonato?”

Con quella folle e disperata domanda, alle orecchie di Kyojuro giunse il silenzio, che gli sembrò ancor più tetro del rumore della pelle che veniva dilaniata.

A fatica, si costrinse ad alzare di nuovo lo sguardo su Akaza, temendo ciò che avrebbe potuto vedere.

Le tre braccia demoniache avevano smesso di distruggere il corpo del demone e si erano quasi immobilizzate. Tremavano, come se fossero scosse dall’interno, e dopo dei sussulti più violenti iniziarono ad afflosciarsi e a disintegrarsi come se fossero state toccate dal sole.

Rengoku si raddrizzò, ingoiando la bile e tenendo strette le labbra in una smorfia.

Era finita lì? Kibutsuji aveva ucciso Akaza?

Il corpo del demone era rimasto immobile in una pozza del suo stesso sangue, che riluceva sinistro sotto la luce della luna che illuminava il giardino.

Gli arti strappati di Akaza sembravano non avere più la forza di rigenerarsi, e Kyojuro, complice quell'apparente momento di pace, riuscì a raccogliere tutte le sue forze e il coraggio per potersi rialzare in piedi.

«Rengoku-san!»

Kanroji e Kamado provarono a fermarlo, forse intuendo le sue intenzioni, ma il Pilastro li scostò quasi malamente sibilando un basso e minaccioso: «Lasciatemi

Non era da lui comportarsi in quel modo. Anche davanti agli insulti e altri attacchi personali, Rengoku era sempre riuscito a sorridere senza mai perdere il controllo, era sempre stato in grado di mostrare solo il suo lato migliore… eppure in quel momento sapeva di non poter indossare la sua solita maschera.

La sua priorità era Akaza, e nessuno poteva impedirgli di raggiungerlo e stare con lui durante… i suoi ultimi momenti.

Tentò subito di scacciare quel pensiero che minacciò di nuovo di farlo crollare per terra, e con le labbra strette iniziò a camminare verso il corpo del demone.

Nessuno cercò più di fermarlo e gli sembrò quasi di percorrere chilometri su un letto di spine con ogni singolo passo, ma neanche quella dolorosa sensazione fu in grado fermarlo dal raggiungere Akaza.

Cercò di non soffermarsi troppo sulle condizioni del demone e, ignorando la pozza di sangue e anche l’odore, acido e velenoso, che aveva riempito l’aria attorno a loro, Rengoku si inginocchiò accanto alla Luna Crescente.

Sentì i pantaloni inzupparsi e appiccicarsi contro la sua pelle, e poteva quasi sentire il calore del corpo di Akaza. Gli sembrava quasi un crudele scherzo del destino.

Si morse le labbra e, trattenendo a malapena un singhiozzo, Kyojuro allungò le mani verso quello che rimaneva del capo di Akaza.

Lo sfiorò con estrema delicatezza, sperando di non diventare lui la causa di altro dolore, e sentì subito la carne viva sotto la punta delle dita. Sentì il calore del sangue scorrere lentamente contro la sua pelle, un'emorragia che non poteva essere fermata in nessun modo.

Rengoku trattenne il respiro a causa di quella sensazione ma non si fermò e, sempre con  attenzione, sollevò il capo di Akaza, sostenendolo con entrambe le mani fino a farlo adagiare sulle sue cosce.

Solo in quel momento il Pilastro si permise di osservare ciò che rimaneva della Luna Crescente.

Mozziconi di capelli erano ancora attaccati alla testa del demone, e la parte inferiore del viso era un ammasso di carne purulenta e rossa. Le fattezze del suo volto erano a malapena riconoscibili.

Due grossi buchi mostravano l’interno del petto di Akaza, e gli arti erano disarticolati o strappati del tutto, incapaci di rigenerarsi per quell’ultima volta.

Le lacrime cariche di consapevolezza ripresero a scorrere sul viso di Kyojuro, offuscandogli la vista.

«Mi dispiace, Akaza,» mormorò con voce rotta dai singhiozzi.

Il loro rapporto era destinato a concludersi nel sangue, lo aveva sempre saputo nonostante avesse scioccamente sperato in un altro epilogo, ma accettarlo era comunque difficile… e accettarlo in quel modo gli sembrava impossibile.

Il lutto aveva fatto sempre parte della sua esistenza sin da quando ne aveva memoria, eppure conoscere quel dolore non era mai stato d’aiuto. Ma a differenza delle altre volte, il Pilastro non si sentiva in grado di indossare la sua maschera, e non gli importava di sentire alle sue spalle lo sguardo bruciante dei suoi compagni.

Perdere Akaza per lui aveva un peso del tutto diverso, che non sapeva né quantificare né tanto meno spiegare.

 Chiuse l’occhio per qualche istante, poi lo riportò ancora una volta sul volto irriconoscibile del demone.

Avrebbe fatto qualunque cosa pur di rivedere i suoi grandi occhi gialli, circondati dalle folte ciglia rosa. Avrebbe anche accettato di sentirgli dire “Diventa un demone, Kyojuro” pur di poter sentire di nuovo la sua voce.

Avrebbe fatto di tutto, ma il suo tutto non sarebbe mai stato abbastanza. Nulla poteva curare le ferite del demone né cancellare il sangue che colorava sinistramente l’intero corpo martoriato di Akaza.

Rosso e… oro.

Per un momento, Rengoku pensò a un gioco di luce della luna, e fu costretto a sfregarsi il viso con l’avambraccio per poter scacciare le lacrime e avere una visione più chiara.

Qualcosa di dorato stava brillando sulle ferite insanguinate di Akaza, e Kyojuro sentì per l’ennesima volta il fiato mancargli. Si costrinse a prestare più attenzione al corpo mutilato del demone, sperando con tutto se stesso che quella non fosse solo la sua immaginazione e il crudele scherzo della sua mente distrutta dal dolore.

Akaza stava tentando di rigenerarsi.

La pelle di Akaza aveva iniziato a ribollire nel disperato tentativo di ricomporsi, e ogni centimetro di carne che sembrava riuscire a guarire lasciava dietro di sé delle piccole e brillanti cicatrici dorate.

Era un processo debole e lento, ma più le cicatrici aumentavano di numero, più era chiara l’intenzione del demone di… di guarire.

Rengoku boccheggiò incredulo. Altri segni simili, sempre caratterizzati da quell’oro che brillava nella notte, si erano formati sul collo e sulle spalle di Akaza, e anche su ciò che rimaneva della carne delle braccia e del petto. E Kyojuro, pur non avendone la certezza, comprese di avere ancora una piccola speranza, o almeno di volerci credere: perché Akaza stava ancora combattendo.

In genere, almeno secondo quello che era stato tramandato, la maledizione di Kibutsuji non era realmente in grado di uccidere fisicamente demone, ma lo portava a raggiungere una condizione tale da non potersi più rigenerare, né di trovare un riparo dalla luce del sole.

Era un modo sadico per uccidere qualcuno. La dolorosa tortura seguita dalla lenta attesa di una fine che sarebbe arrivata solo all’alba.

Akaza però stava cercando di rigenerarsi. Non si era arreso!

Kyojuro, animato da quel barlume di speranza, scacciò via il terrore e la disperazione che aveva provato fino a quel momento, e cercò invece di concentrarsi sul presente e su cosa avrebbe potuto fare per aiutare Akaza.

La rigenerazione del demone era troppo lenta, e non intendeva lasciarlo lì ad aspettare che il sole bruciasse via ogni segno della sua esistenza.

Cercò di ragionare velocemente, senza perdere tempo. La condizione che impediva ai demoni di rigenerarsi era chiaramente la mancanza di energie. Le loro capacità, per quanto potesse sembrare il contrario, non erano infinite e avevano dei limiti, e l’alimentazione era - come per gli umani - la loro fonte di sostentamento.

Di conseguenza, per aiutare Akaza, Rengoku avrebbe dovuto trovare un modo per nutrirlo.

Per quanto il pensiero fosse aberrante, Kyojuro comprese sin da subito che, anche volendo tentare di intraprendere quella via contro ogni sua fibra morale, non sarebbe stato realmente possibile agire in quel modo.

Il demone non era cosciente a causa delle torture subite e dell'immane perdita di sangue, inoltre la sua bocca non si era ancora rigenerata - le cicatrici d'oro erano però aumentate!

Non poteva mangiare autonomamente e il Pilastro non poteva neanche costringerlo a farlo.

Tremò, doveva esserci un’altra soluzione. Akaza gli aveva detto che i demoni potevano nutrirsi anche in altri modi.

«Ha bisogno di sangue,» realizzò infatti a quel punto, mormorando quelle parole più per se stesso che per gli altri Ammazza Demoni che erano rimasti a debita distanza.

Akaza gli aveva detto che i demoni potevano sopravvivere anche con il sangue, e sicuramente sarebbe stato più facile aiutarlo a recuperare le forze in quel modo al cercare animali o carcasse.

Rengoku si guardò attorno lasciandosi per un momento trasportare dalla disperazione. Non aveva la sua katana con sé, né oggetti affilati a disposizione per poter dare il suo sangue ad Akaza.

“No,” sbottò subito dopo aver formulato quel pensiero, scuotendo la testa per allontanarlo.

Kyojuro si morse l'interno della guancia, e cercò di aggrapparsi a quel dolore così fastidioso e reale per non lasciarsi trasportare da soluzioni assurde e pericolose pur di aiutare il demone. Sapeva di aver bisogno di restare vigile: non poteva compiere gesti avventati come l'infliggersi qualche stupida ferita.

Doveva esserci un’altra soluzione.

«Rengoku-san! Prima di fare qualche sciocchezza fermati a pensare!» la voce di Kocho raggiunse le sue orecchie con tono deciso e autoritario, e Rengoku le rivolse uno sguardo da oltre la spalla.

La giovane donna si trovava non lontano da lui e in viso aveva un’espressione seria oltre che preoccupata. Probabilmente aveva intuito le folli idee che avevano attraversato la mente del Pilastro della Fiamma.

«Devo fare qualcosa, e non mi fermerai,» ribatté Kyojuro, senza scomporsi o mostrare incertezze.

Shinobu si accigliò, forse spiazzata dal tono aspro e deciso di Rengoku, e venne subito affiancata da Kanroji e Kamado. Erano entrambi pallidi, e se non fosse stato per la vicinanza di Mitsuri era probabile che il più giovane sarebbe crollato per terra.

Si trovavano alla Casa delle Farfalle per riprendersi dalle ferite riportate durante il combattimento contro la Sesta Luna Crescente. Non dovevano compiere sforzi, e per quello Kyojuro si trovò quasi sul punto di chiedere loro perdono, e quella necessità aumentò quando vide le tre ragazzine sotto la tutela del Pilastro degli Insetti, nascoste dietro la finestra della sua camera.

Erano terrorizzate.

Aprì la bocca, quasi intenzionato a rassicurarle e a cercare di allontanare quelle espressioni di paura, ma la richiuse subito dopo per abbassare di nuovo lo sguardo su Akaza.

Altre cicatrici d’oro si erano aggiunte sulla pelle che si stava riformando… ma la rigenerazione continuava a essere ancora troppo lenta.

La fretta cercò di nuovo di impadronirsi di lui ma riuscì a tenerla a bada per rivolgere uno sguardo risoluto al Pilastro degli Insetti.

«Mi dispiace… ma devo aiutarlo,» dichiarò.

Kocho trattenne a fatica una smorfia, poi gli diede le spalle per andare verso la casa dichiarando un: «Ti aiuterò, solo per evitare che tu faccia qualche sciocchezza.»

La giovane donna iniziò subito a dare ordini alle sue collaboratrici, facendo allontanare le tre ragazzine e dicendo a Kanzaki di preparare un kit per la trasfusione.

Rengoku rimase per un momento spiazzato e, senza trovare il coraggio per guardare di nuovo i suoi compagni, mormorò un basso: «Grazie

Continuava a sentire i loro brucianti sguardi sulla pelle, e sapeva di dover dare loro più di una spiegazione, ma in quell’istante non aveva tempo da perdere.

Trattenne ancora una volta il respiro, e con delicatezza e attenzione fece passare un braccio sotto quello che restava delle gambe di Akaza e l'altro sotto le sue spalle per poterlo sollevare. Lo strinse al petto, e non poté non provare un nuovo senso di nausea e terrore nel sentirlo così tremendamente leggero, privo di qualsivoglia segno di vita.

Cercò di non pensarci e, assumendo un’espressione più risoluta, superò i suoi compagni senza guardarli.

Raggiunse con passo svelto una delle porte laterali della Casa delle Farfalle, e dopo averla attraversata si mosse verso la sua camera.

Poteva continuare a sentire la fretta e la preoccupazione agitarsi all’interno del suo corpo, ma al tempo stesso Kyojuro si sentì quasi estraniato da quelle sensazioni. Si muoveva senza dover ordinare al suo corpo di farlo e ogni passo gli sembrava quasi fluido.

Non sapeva come descrivere realmente quelle sensazioni, ma non vi prestò troppa attenzione.

Raggiunse la camera che gli era stata assegnata e solo lì dentro si bloccò per un momento nel sentire Koyuki piangere disperata.

La bambina si trovava all’interno di una culla occidentale che gli era stata prestata da Kocho e stava strillando. Era sempre stata sensibile ai cambi di umore, e sicuramente il rumore e la paura di quei momenti si erano riversati su di lei… e piangere era il suo unico modo per comunicare.

Rengoku fece una smorfia, doveva far distendere Akaza sul letto, ma al tempo stesso non voleva che Koyuki vedesse il demone in quelle condizioni.

Si lasciò per un momento prendere dal panico e solo un urlo più forte di Koyuki lo spinse ad agire.

Adagiò Akaza sul letto e afferrò subito la culla. La spostò e si mise tra la bambina e il letto in modo che Koyuki non vedesse il demone. La bambina, nonostante la sua vicinanza, non sembrò intenzionata a calmarsi, e Pilastro della Fiamma dovette sopprimere l’istinto di prenderla subito in braccio per calmarla perché aveva le mani e i vestiti sporchi del sangue di Akaza.

Si tolse il gakuran restando con addosso solo la camicia - Akaza lo aveva raggiunto prima che lui potesse anche solo pensare di indossare la sua veste da notte -, e cercò di sfregare le mani sui pantaloni per pulirle, ma li sentì fastidiosamente umidi per il sangue che avevano a loro volta assorbito.

Con le labbra strette in una smorfia, Kyojuro si ritrovò costretto a utilizzare la brocca d’acqua che si era fatto portare per la notte e cercò in quel modo di lavarsi le mani come meglio poteva.

Sarebbe stato più facile e veloce andare nel bagno adiacente, ma non voleva lasciare Akaza da solo con Shinobu e Mitsuri, che lo avevano seguito e chiuso la porta alle loro spalle. Avevano entrambe le loro nichirin appese al fianco e un'espressione seria dipinta in volto.

Decise di ignorarle e si rivolse alla bambina che stava continuando a piangere.

«Tranquilla, Koyuki-chan,» le parlò, cercando di liberarsi del sangue che si era quasi incrostato tra le dita e sui palmi. «Sono subito da te,» proseguì.

L’acqua si era fatta rossa e sporca,  ma con le mani finalmente pulite, Rengoku poté asciugarle sulle lenzuola e prendere in braccio Koyuki, scoprendo nel suo gesto una calma che quasi non gli apparteneva.

Sospirò, e sostenendo la testa della bambina, iniziò a cullarla, tenendola stretta al petto.

«Andrà tutto bene, piccola. Akaza si riprenderà, so che sei preoccupata per lui e anche spaventata… ma andrà tutto bene… te lo prometto…» mormorò, baciandole la fronte per cercare di rassicurarla.

Tenendo sempre le spalle rivolte al letto per proteggere la vista di Koyuki, Kyojuro inclinò un poco il capo per rivolgere lo sguardo verso il corpo privo di sensi del demone. Era ancora irriconoscibile, ma le cicatrici dorate erano aumentate, segno che la rigenerazione per quanto lenta non si era fermata.

Era un buon segno.

Koyuki singhiozzò ancora per un po’, e la strana calma del Pilastro, insieme al silenzio che era di nuovo calato nella Casa delle Farfalle, la portarono lentamente a placare il suo pianto.

Solo a quel punto Kyojuro decise di rivolgersi alle due giovani donne che erano rimaste in silenzio fino a quel momento, attendendo che fosse lui a fare la prima mossa.

Mitsuri stringeva le mani vicino al petto, divisa tra incertezza e forse paura, mentre Shinobu aveva assunto un’espressione più cupa e Rengoku fu in grado di leggere non solo confusione ma anche un chiaro sguardo di accusa.

Tentò di ignorare quelle sensazioni e abbassò lo sguardo sugli strumenti per la trasfusione che Kocho aveva con sé. Non sembrava intenzionata ad avvicinarsi, e il Pilastro della Fiamma poteva comprenderlo.

Prese un profondo respiro e, con ritrovata decisione, si avvicinò alle due giovani donne.

«Lo farò da solo se non te la senti di aiutarmi,» dichiarò, guardando Shinobu negli occhi.

Il Pilastro degli Insetti fece una piccola smorfia, ma cercò di non scomporsi.

«Non utilizzerò del sangue che potrebbe servirmi per qualche Ammazza Demoni ferito,» gli fece presente.

«Non te lo avrei mai chiesto,» rispose Kyojuro tentando sempre di utilizzare un tono calmo. «Gli darò il mio sangue,» aggiunse senza nascondere la propria risoluzione, continuando a cullare Koyuki che, ormai calma e sul punto di riaddormentarsi, si era aggrappata al colletto della sua camicia.

Shinobu assentì pur mostrandosi ancora combattuta, e dopo qualche istante si tolse l’haori. Rengoku rimase immobile, osservando i movimenti della giovane donna, restando sorpreso quando Kocho gli posò sulle spalle l’haori, facendo in modo di coprire la testa di Koyuki.

Nonostante la situazione, il Pilastro degli Insetti aveva intuito cosa stava cercando di fare Kyojuro con la bambina, e lui non poté non rivolgerle un gesto di gratitudine con il capo.

«Siediti vicino al letto,» ordinò Kocho subito dopo.

Rengoku non si fece ripetere due volte quell’indicazione e, prendendo posto sulla sedia accanto al letto, si sistemò meglio Koyuki in braccio per fare in modo che non potesse voltarsi verso il letto e che restasse coperta dall’haori di Shinobu.

Il disagio del Pilastro degli Insetti era più che chiaro, ma quello non le impedì di muoversi in modo professionale attorno al letto, spostando un piccolo tavolino ed armeggiando con strumenti che Kyojuro a malapena conosceva.

Probabilmente Shinobu avrebbe preferito avvelenare il demone, uccidendolo mentre si trovava in quello stato di vulnerabilità, ma doveva essere altrettanto certa che Kyojuro non le avrebbe mai permesso di agire in quel modo… e quella convinzione da entrambe le parti rendeva l'atmosfera ancora più pesante.

Dopo aver terminato di preparare gli strumenti, Kocho si fermò davanti a Rengoku. Esitò per un momento, poi storse il naso.

«Eccezionalmente utilizzeremo l’altro braccio,» disse il Pilastro degli Insetti. «Nulla di tutto questo ha senso, in fondo…» 

Prese il braccio libero del Pilastro della Fiamma, e gli sollevò la manica della camicia per iniziare subito a prepararlo per la trasfusione.

«Tieni il braccio appoggiato sul tavolo.»

Rengoku annuì e rimase immobile. Non aveva mai amato particolarmente gli aghi e fu costretto a chiudere l’occhio, sia quando sentì la punta di metallo mordere la sua pelle e sia quando la vide perforare ciò che rimaneva del braccio di Akaza.

Con ansia, Kyojuro continuò a seguire ogni singolo movimento del Pilastro degli Insetti, provando un leggerissimo sollievo nell’osservare il suo sangue attraversare un tubicino prima di andare a insinuarsi direttamente nelle vene del demone. In genere la trasfusione non si sarebbe dovuta eseguire in quel modo - non era un esperto, ma in passato si era trovato nella condizione di dover ricevere del sangue -, ma la situazione richiedeva sicuramente un approccio meno convenzionale, e soprattutto non poteva chiedere a Shinobu di agire in modo più accurato di quello.

Lasciò scivolare fuori dalle labbra il respiro che aveva trattenuto inconsciamente fino a quel momento. Onestamente Rengoku non era del tutto certo che la trasfusione avrebbe funzionato, ma era altrettanto convinto che Akaza in quelle condizioni non sarebbe mai riuscito a mangiare qualcosa… quella trasfusione era la cosa più sensata da fare.

«Ci devi delle spiegazioni,» dichiarò a quel punto Kocho, facendo dei passi indietro per affiancare di nuovo Kanroji e mettere più distanza possibile tra sé e Rengoku - e soprattutto dal demone.

Kyojuro sospirò e si umettò le labbra, sentendole improvvisamente secche. Aveva così tanto da dire e rivelare, sentiva quel peso gravare sulle spalle e l’incertezza su come affrontare quel discorso. Gli bastò però vedere la rigenerazione di Akaza leggermente più rapida, come se quella trasfusione stesse realmente funzionando, per sentire parte di quei dubbi abbandonarlo.

«Lui è Akaza. La Terza Luna Crescente…» esordì infine, decidendo di partire sin dal principio. «Il demone contro il quale ho combattuto al termine della missione al Treno Mugen.»

«Sì, abbiamo presente,» assentì il Pilastro degli Insetti. «Ciò che non capiamo, è come il Pilastro della Fiamma abbia iniziato a fraternizzare con la Terza Luna Crescente.»

Le sue labbra non erano più piegate in un sorriso, dietro quella porta chiusa sembrava aver deciso di lasciar perdere la sua espressione pacifica e rilassata. Era chiaro che avesse visto l’arrivo del demone alla Casa delle Farfalle come un attacco personale, e Rengoku poteva solo immaginare il terrore che aveva attraversato le ragazze che lavoravano lì.

Avrebbe voluto cercare di rassicurarla e dirle che Akaza non attaccava né mangiava le donne, ma sapeva che non sarebbe servito a niente. Kyojuro stesso i primi tempi aveva faticato a crederci, e di certo quella situazione era diversa da quella che lui aveva vissuto a casa sua.

Abbassò lo sguardo cercando le parole giuste per rispondere e raccontare ciò che era accaduto in quei mesi. Sarebbe stato facile, ma estremamente riduttivo, rispondere con un “È successo e basta!”, lui per primo non avrebbe mai accettato una risposta come quella.

Posò l’occhio su Koyuki. Era stata la bambina a dare una svolta alla sua vita, ma non poteva neanche iniziare a parlare di lei senza svelare quello che stava accadendo prima del suo arrivo.

«Akaza, sin dal nostro primo incontro, ha mostrato interesse nei confronti delle mie abilità. Voleva che io diventassi un demone a ogni costo, e il non avermi ucciso lo ha portato ad accrescere il suo interesse,» riuscì a spiegare, cullando Koyuki per continuare a farla dormire, protetta dall'haori di Shinobu.. «Questo lo ha portato ad iniziare a spiarmi. Akaza mi ha tenuto d'occhio quando ero ricoverato qui, ed ha continuato a farlo anche quando sono tornato a casa. E… ammetto di aver sempre saputo della sua presenza, ed è stato snervante attendere una sua mossa, perché non faceva altro se non spiarmi, senza tentare alcun attacco o mostrare istinti maligni.»

«Perché non hai subito mandato un corvo? Se ci avessi avvisati…» intervenne Mitsuri.

«So che avrei dovuto farlo,» annuì Kyojuro, colpevole. «Ma pensavo fosse compito mio occuparmene, che fosse una mia responsabilità. È stato sciocco da parte mia, ne sono consapevole. Però poi la situazione è cambiata a causa di Koyuki.»

«La bambina ha qualche legame con il demone?» lo interrogò Shinobu.

«È stato Akaza a portarla a casa mia,» rispose il Pilastro della Fiamma, continuando a cullare la bambina più per abitudine che per altro. «Anche quella notte ho sbagliato, avrei dovuto avvisarvi subito ma… mi era appena stata affidata una bambina e avevo bisogno di risposte. Quindi mi sono fidato del mio istinto, che in qualche modo mi diceva che Akaza sarebbe tornato e che non avrebbe attaccato nessuno…»

«Sì, è stata una mossa sciocca e azzardata,» confermò Kocho.

«Lo ammetto,» assentì ancora Kyojuro. «Ma alla fine il mio istinto non ha avuto torto… e Akaza con il tempo si è dimostrato genuinamente interessato alla bambina. Non volevo crederci all’inizio, credevo che fosse una finzione… ma era sincero. Forse anche per questo motivo, alla fine, gli ho permesso di venire a trovare me e Koyuki quasi ogni notte… per oltre due mesi.» 

Rengoku, per quanto avesse sempre pensato il contrario, si rese conto di non provare una reale vergogna per ciò che aveva tenuto nascosto. In quel momento non lo imbarazzava l'aver stretto un rapporto di amicizia con Akaza. Le notti trascorse in compagnia del demone non erano state sempre facili, ma non era in grado di ignorare quanto fosse stato semplice ridere in compagnia di Akaza, o confidarsi con lui.

Tuttavia, era anche consapevole di non poter fare niente per rendere meno amaro e grave il suo tradimento.

Poteva cercare di raccontare tutta la storia dal suo punto di vista, spiegare come la presenza del demone fosse diventata quasi una sicurezza per lui. Poteva cercare di far capire agli altri due Pilastri ciò che lui aveva vissuto in quei mesi… ma era e sarebbe rimasto un traditore.

Prese un altro profondo respiro poi, con tono di nuovo calmo, iniziò a parlare di quei mesi trascorsi con Koyuki e anche con Akaza.

Non escluse nulla nel suo racconto.

Disse alle due giovani donne che la bambina era stata salvata da Akaza, e che la Luna Crescente l’aveva portata da lui perché voleva farla vivere.

Espresse i timori e i dubbi che aveva provato i primi giorni.

Descrisse l'atteggiamento di Akaza, e come era poi andato lentamente a mutare… parlò di come lui stesso fosse cambiato grazie al demone.

Kyojuro si soffermò a raccontare del rapporto con la bambina e del legame che si era formato tra lui e il demone.

E infine raccontò anche del crollo emotivo avuto da entrambi, e di come avessero trovato l'uno nell'altro una sorta di supporto.

Si sentiva messo a nudo, e parlò fino a sentire la gola fargli male… e quando finalmente giunse al termine del suo racconto, Kyojuro si concesse un momento per riprendere fiato.

Kanroji e Kocho erano rimaste in silenzio, avevano ascoltato pazienti tutto quello che lui aveva potuto raccontare loro.

Rengoku sapeva di dover temere più di ogni altra cosa il loro giudizio, ma al tempo stesso non voleva che il sacrificio di Akaza fosse vano, desiderava che venisse riconosciuto in qualche modo.

«Lo so che sembra assurdo,» riprese infatti, guardando ancora il demone privo di sensi - la ferita al petto si era rimarginata nell'oro, e il viso aveva di nuovo una forma umana. «Ma è diventato… una sorta di amico, mi fido di lui. E quello che ha fatto oggi è la prova che…»

«La prova di che cosa, Rengoku-san?» lo interruppe Shinobu con tono duro. «Che possa essere una brava persona? Non essere sciocco!»

Il Pilastro della Fiamma strinse le labbra senza proseguire, e quello permise alla giovane donna di continuare a parlare.

«Si tratta di un demone. Ha ucciso più persone di quante tu possa contarne,» proseguì. «E pensi che una buona azione possa perdonarlo?»

«No,» rispose con sicurezza Kyojuro. «Ma penso possa che meritare una seconda occasione. Ha deciso di sacrificarsi per portarci quelle informazioni. Ora sappiamo di più su Kibutsuji, sappiamo i suoi piani! Le abilità delle altre Lune Crescenti! E… Akaza è la Terza Luna Crescente. Uno dei demoni più forti in vita. Potrebbe aiutarci. Tutto questo non ti sembra… importante?»

Rengoku sentiva quasi di essere sul punto di arrampicarsi sugli specchi, ma era certo di essere pronto a tutto pur di far valere le sue idee e proteggere Akaza… e non si trattava solo di un obbligo morale, derivato dal sacrificio del demone, ma anche per un suo desiderio.

“Davvero un ottimo tempismo per comportarmi da egoista,” si disse quasi ironico.

Mitsuri si tappò la bocca con la mano, con gli occhi sgranati per la sorpresa. Kyojuro non sapeva cosa le stesse passando per la testa, ma al contrario il nervosismo di Shinobu era più che chiaro.

«Quindi? Cosa vorresti che facessimo? Ho già mandato dei corvi ad Oyakata-sama e agli altri Pilastri quando ho temuto un attacco. E Shinazugawa-san sarà qui a momenti visto che il suo distretto è il più vicino… e non sarà incline all'ascolto come me o Kanroji-san.»

Rengoku annuì ancora, pienamente consapevole della situazione. Pensare al futuro gli sembrava impossibile perché non riusciva a vederne uno.

«I-io credo a Rengoku-san!» la voce di Tanjiro fece rivolgere lo sguardo dei tre Pilastri verso la porta chiusa della camera, dietro la quale era chiaramente nascosto il ragazzino.

Shinobu fece una smorfia, e aprendo l’uscio permise a Kamado di entrare nella stanza. 

Era visibilmente stanco e indebolito, e Rengoku non poté non sentirsi di nuovo in colpa. Le ferite di Tanjiro non erano tali da impedirgli di muoversi - e non era incline all’agitazione come i suoi due amici che erano stati costretti a letto da Kocho -, ma così come Kanroji aveva bisogno di riposo per potersi riprendere.

«Dovresti essere a letto,» commentò infatti il Pilastro degli Insetti. «Mi sto pentendo di non averti sedato come ho fatto con gli altri due.»

«M-mi dispiace, Kocho-san!» esclamò subito il ragazzo, torcendosi le mani imbarazzato. «E mi dispiace anche per aver origliato!»

«Va tutto bene, Tanjiro-kun,» mormorò Mitsuri, affiancandolo subito per poterlo sorreggere nel caso ci fosse bisogno. «Vuoi dirci qualcosa?»

«Sapete che… ho un buon olfatto. Ecco… da lui n-non sento più l’odore di Kibutsuji…» spiegò continuando a torturarsi le mani.

Sembrava non voler realmente parlare - soprattutto per prendere le parti di un demone come Akaza -, ma al tempo stesso era come se il suo voler essere sincero a ogni costo gli impedisse di tenere la bocca chiusa.

Era un ragazzo che parlava con il cuore, e Rengoku apprezzava per davvero quella sua personalità.

«Quando prima ha iniziato a parlare di Kibutsuji e delle altre Lune Crescenti… non c’era traccia di inganno! La Terza Lun-... Akaza aveva paura, ma era sincero: voleva davvero aiutare Rengoku-san!»

«Ti ringrazio, Kamado,» mormorò Kyojuro, senza nascondere la sua gratitudine nei confronti del ragazzo che, anche in altre occasioni, si era rivelato essere degno di fiducia.

Tuttavia era dolorosamente consapevole che non sarebbero bastate le sue parole o quelle di Tanjiro per risolvere quella situazione… e cercava di non pensare al fatto che stesse salvando Akaza solo per vederlo poi decapitato dagli altri Pilastri.

Sentì lo stomaco stringersi ma cercò di nascondere quel malore.

«Kocho hai ragione, ne sono cosciente. Ma non voglio né posso negare il legame che ho stretto con Akaza,»  riprese Rengoku dopo quel momento di silenzio, mostrando la sua risoluzione. «Akaza ha ucciso molte persone, questo non l'ho dimenticato, ma al tempo stesso ho voluto dargli la mia fiducia. È stata una mia scelta, ed ero consapevole dei rischi e del prezzo che avrei dovuto pagare…»

Si prese qualche altro attimo prima di riprendere a parlare, anche se gli sembrava davvero difficile riuscire a mettere in fila tutte quelle parole.

«Ciò che è successo oggi però ha cambiato tutto. La mia lealtà verso gli Ammazza Demoni non potrà mai vacillare, nonostante possa sembrare il contrario… ma ora più che mai non voglio perdere Akaza,» ammise. «Non chiederei mai a nessuno di voi di credermi o di supportarmi in questa folle battaglia… sono io che ho voluto dargli una seconda possibilità, e starò al suo fianco. Sono pronto a subirne le conseguenze.»

Rivolse uno sguardo risoluto ai due Pilastri per dimostrare loro che non avrebbe lasciato Akaza, e che avrebbe ricevuto la sua punizione a testa alta.

«Rengoku-san… non puoi volerlo realmente…» mormorò Mitsuri incredula. «È un demone, ha ucciso tante persone e ha cercato di uccidere anche te! Come puoi essere così… rapito da lui

Kyojuro quasi sorrise per le parole di Kanroji. Era sempre stata una ragazza molto sensibile ed estremamente romantica, vedeva del bello in tutto, e in quel momento era chiaro che stesse vedendo con i suoi stessi occhi la fiducia che il Pilastro della Fiamma stava riponendo nel demone e che ne fosse spaventata oltre che confusa.

«Non lo so,» rispose sincero. «E… non me ne pento. Dovessi tornare indietro non cambierei niente del mio rapporto con Akaza, cercherei solo di impedirgli di arrivare a questo punto.»

La sua risoluzione sembrò mozzare il respiro di Mitsuri e i suoi occhi verdi corsero prima verso Kocho e poi verso il letto accanto al quale sedeva Rengoku.

«Non… posso lasciarti combattere questa battaglia da solo…» dichiarò alla fine il Pilastro dell'Amore. Stava cercando di mostrarsi risoluta ma era chiaro che non fosse del tutto convinta.

Per quanto fosse mossa dalle migliori intenzioni, e dall'affetto che provava per Kyojuro, quest'ultimo sapeva di non poter chiedere a nessuno di loro di affiancarlo quando sarebbe giunto il momento di affrontare il giudizio del Capofamiglia e degli altri Pilastri.

«Esatto! Non ti lasceremo solo!» esclamò Tanjiro per dare manforte a Mitsuri. «Sono pronto a giurarlo sulla mia vita!»

«Vi ringrazio davvero, ma non posso chiedervelo, né intendo farlo,» mormorò Rengoku. Gli sembrava quasi di abusare dell'affetto e della stima che quelle persone nutrivano per lui, e non voleva portarle a giurare con la loro vita per un demone che neanche conoscevano.

«Non devi infatti,» si intromise Shinobu.

Era rimasta in silenzio fino a quel momento, osservando il corpo costellato d'oro di Akaza continuare a rigenerarsi lentamente. In viso aveva un’espressione seria, e quando spostò lo sguardo sul Pilastro della Fiamma, Kyojuro vi lesse timore ma anche risoluzione - era un sentimento diverso da quello di Kanroji, ma non per questo meno forte.

«Mia sorella aveva un sogno,» dichiarò Kocho, mostrando un poco di difficoltà nel pronunciare quelle parole. «Lei avrebbe voluto un mondo di convivenza tra demoni e umani. Lei credeva nelle seconde possibilità. Io ho provato a essere come mia sorella, a fare mio il suo sogno… ma non ne sono mai stata realmente in grado.»

La giovane donna sembrò volersi prendere un altro momento di pausa prima di riprendere a parlare.

«Vorrei poter ignorare ciò che è successo oggi. Sono una donna di scienza, e non mi piace lasciarmi trasportare da simili illogicità, ma ciò che ho visto e sentito non può essere ignorato per quanto assurdo. Come quando abbiamo conosciuto Kamado-kun e sua sorella,» disse con tono volutamente lento, forse nel tentativo di controllare le sue parole e reazioni. «Sei sempre stato degno di fiducia, Rengoku-san, e tra tutti i Pilastri eri uno tra i più ferrei e devoti alle regole degli Ammazza Demoni. È chiaro che non sia possibile farti ragionare. Se sei arrivato a questo punto, allora deve davvero essere importante… per questo starò al tuo fianco. Mia sorella lo avrebbe fatto, ed è il minimo che posso fare per onorare il suo ricordo e desiderio.»

«Siamo tutti con te!» dichiarò Mitsuri, scambiandosi un sorriso con Kamado.

Rengoku boccheggiò spiazzato da quelle parole tanto inaspettate.

 «Io… vi ringrazio,» esalò infine Kyojuro.

Era sinceramente senza parole per quella dimostrazione di fiducia, e anche se avrebbe voluto poter esprimere il suo sollievo e la gratitudine in modo più chiaro e forte, non si sentiva del tutto in grado di far scorrere via la tensione.

Si sentiva più rincuorato, quello era vero… ma sapeva che il peggio doveva ancora arrivare. Avere il supporto di quelle persone era importante, non poteva negarlo né voleva sminuirlo, ma quello non rendeva meno incerto il futuro.

«S-se posso… vorrei chiedere un favore…» mormorò Tanjiro, spezzando il breve momento di silenzio che si era creato. «S-so che non è il momento adatto ma… devo davvero chiederlo ora, perché temo che dopo possa essere più complicato…» 

I tre Pilastri puntarono subito lo sguardo sul ragazzo, incuriositi e anche confusi.

Aveva estratto dalla tasca una sorta di strana siringa, ben diversa da quelle che Rengoku aveva visto utilizzare da Shinobu. Sembrava infatti più elaborata e particolare, e da come il ragazzo la teneva in mano sembrava anche essere in qualche modo preziosa per lui.

«Ovvero?» domandò Kocho. Aveva indossato di nuovo il suo sorriso calmo, ma la tensione era ancora ben visibile.

«Avrei… bisogno di un piccolo campione di sangue della Ter- di Akaza!» disse rapido Tanjiro, e per poco Kyojuro si convinse di aver sentito male.

Voleva un campione di sangue? Di Akaza?!

«Come scusa?» esalò Rengoku, osservando Kamado prendere un bel respiro.

Gli occhi del giovane si erano riempiti di risolutezza, e Kyojuro intuì che il ragazzino doveva aver raggiunto quella camera non solo con l'intenzione di aiutarlo, ma anche per cercare di ottenere quel favore.

«Ho bisogno del sangue dei demoni più vicini a Kibutsuji Muzan. Ho ottenuto quello della Sesta Luna Crescente e… il sangue di Akaza è sicuramente più forte e vicino a Muzan!» spiegò nervoso Tanjiro, permettendo a Shinobu di prendere la strana siringa per studiarla. «Avrei dovuto parlarne in passato, ma non ho mai trovato il momento né il modo. Da mesi sto collaborando con una persona che… che sta cercando una cura per Nezuko…»

«Una cura?» ripeté Kanroji con tono leggermente più acuto. «Per farla tornare umana?»

Kamado annuì.

«Sta studiando il sangue di Nezuko e quello dei demoni dai quali sono stato in grado di prendere un campione… e più sono vicini a Kibutsuji, più le ricerche possono andare avanti…»

«Lo trovo… incredibile, Kamado!» esordì Kyojuro.

Era una notizia importante oltre che interessante, e che avrebbe sicuramente avuto bisogno di un approfondimento - chi si stava occupando di fare quelle ricerche? Era una persona di fiducia? Come avrebbe fatto a far tornare umana Nezuko? Era possibile anche per gli altri demoni? - ma in quel momento il Pilastro della Fiamma non si sentiva in grado di dare la sua autorizzazione. 

«Akaza ha perso molto sangue e non è cosciente per dare o meno il suo consenso, credo però che…»

«Ecco a te, Kamado-kun,» lo interruppe Shinobu, consegnando la strana siringa piena di sangue al ragazzo.

Kyojuro la guardò con l’occhio sgranato, ma venne prontamente ignorato dal Pilastro degli Insetti.

«Spero che questa tua conoscenza possa condividere con noi i risultati della sua… singolare ricerca un giorno,» aggiunse Kocho, con il suo solito tono cordiale.

Rengoku strinse le labbra. Quella piccola quantità di sangue in meno non avrebbe fatto male ad Akaza, ma gli sembrava ugualmente ingiusto… e soprattutto anche strano visto come si era evoluta quella situazione.

Si stava davvero preoccupando di un po' di sangue?

Kyojuro si massaggiò il ponte del naso. Di certo non era il caso di stare in pena per una 'piccola donazione di sangue', dato che la sua sorte era letteralmente nelle mani degli altri Pilastri e del Capofamiglia.

Kamado, intanto, riprese la siringa con gli occhi carichi di sincera gratitudine, e come se fosse stato richiamato dal sangue che aveva riempito quel piccolo oggettino, si sentì un basso miagolio nella stanza che preannunciò la comparsa di uno strano gatto che, con i suoi grandi occhi gialli, si avvicinò subito a Tanjiro, sotto lo sguardo incredulo e confuso dei tre Pilastri li presenti.

«Lui… è Chachamaru,» disse il ragazzo, accarezzando il gatto sotto il mento per poi inserire la siringa nella piccola sacca che l’animale portava sulla schiena. «È il metodo di comunicazione che utilizzo con Tamayo-san.»

E così come era arrivato, Chachamaru scomparve subito dopo con un altro miagolio, lasciando i presenti nella confusione più totale. Era successo tutto così velocemente che nessuno dei tre aveva avuto modo di reagire prontamente a quella stranezza.

«Kamado-kun…» iniziò Shinobu aggrottando un poco le sopracciglia.

«È… ecco… è una lunga storia,» mormorò il ragazzo imbarazzato, e per quanto anche Kyojuro volesse delle risposte, comprese di sentirsi ancora troppo stravolto e confuso da come si erano evoluti quegli ultimi eventi per cercare di ottenerle.

Rivolse di nuovo le sue attenzioni su Akaza. Grazie alla trasfusione di sangue la rigenerazione del demone si era notevolmente velocizzata, e ormai non vi era più traccia di ferite o altre emorragie. Inoltre, il sangue che aveva tinto di rosso il suo intero corpo sembrava essersi ritirato, come spesso accadeva con le ferite che venivano inferte ai demoni.

Tuttavia, Akaza però non si era svegliato, né aveva dato segni di coscienza. Sembrava addormentato, e i suoi tratti avevano assunto un’espressione rilassata ma neutra… ma anche estremamente strana a causa delle cicatrici dorate che avevano abbracciato il suo intero corpo.

«Devo ammettere che la sua condizione è anomala,» commentò Shinobu, come se avesse afferrato in qualche modo i pensieri del Pilastro della Fiamma. «Non ho evidenze scientifiche di demoni sopravvissuti alla maledizione, ma non ho neanche mai visto un demone rigenerarsi in questo modo…»

«Quello sembra davvero oro,» mormorò Mitsuri trovandosi d’accordo con l’altro Pilastro. «Non ricorda il kintsugi?»

Rengoku dovette darle ragione. Ricordava effettivamente il kintsugi non solo per l’oro ma anche per come quelle ferite si fossero rimarginate donando una sorta di nuova vita ad Akaza.

«Potrebbe essere un effetto della maledizione?» ipotizzò Kyojuro a quel punto, spostando lo sguardo sulle due donne.

«Io… ho visto gli effetti della maledizione. Ma il demone non è stato in grado di rigenerarsi. Non è successo nulla di tutto ciò.» rivelò Tanjiro. Era sempre più pallido, chiaramente stremato, e Rengoku trovò impossibile non alzarsi dalla sua sedia per offrirla al ragazzo.

Inizialmente Tanjiro rifiutò ma alla fine fu la stessa Mitsuri a costringerlo seduto. 

Rengoku, che non poteva comunque allontanarsi troppo dal letto e dal suo occupante, prese posto accanto al corpo immobile di Akaza.

«In ogni caso, non possiamo fare granché. Dobbiamo solo attendere che si svegli per avere delle risposte,» concluse Kocho per poi rivolgersi, con il suo solito sorriso, al Pilastro della Fiamma. «A tal proposito, spero che tu non abbia nulla in contrario se inabilito i movimenti del demone. Comprendo che tu possa fidarti di lui, ma per sicurezza personale e delle persone qui ricoverate credo sia necessario.»

Kyojuro dovette suo malgrado annuire. Lo comprendeva e lui stesso, in un’altra situazione, avrebbe fatto la medesima scelta.

«In che modo?» chiese.

«Nulla di pericoloso,» rispose Shinobu, con leggerezza. «Sono in possesso di alcune manette ideate dal Capo Villaggio del Villaggio degli Spadai. Servono a inibire temporaneamente le abilità dei demoni inferiori. Sono solo dei prototipi. Sinceramente non credo che siano abbastanza forti per una Luna Crescente, ma al momento chiunque potrebbe ucciderlo se volesse.»

Il sorriso della ragazza si mostrò tanto tranquillo quanto minaccioso, e Rengoku poté solo annuire e accettare quella situazione, sperando che in un certo qual modo quell’equilibrio, seppur precario, non venisse influenzato da altri avvenimenti così anomali.


NOTE:
Ho fatto un disegno ispirato alla scena dove Akaza e Rengoku giocano a Shogi!
Lo potete trovare seguendo questo link (ma anche linkato nel capitolo 7 :3)
Alla settimana prossima!

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Capitolo 13
*** 13. Actions speak louder than words ***


As Soothing As Snow

Capitolo 13
Actions speak louder than words


»--•--«

“Noi ti aspetteremo, figliolo. Non arrenderti.”

Fu con quelle parole, lontane ma al tempo stesso vicine, che Akaza iniziò a riprendere coscienza del proprio corpo. Si sentiva confuso, e soprattutto troppo debole per riuscire a comprendere realmente che cosa stesse accadendo e dove di trovasse, ma gli sembrò quasi di svegliarsi da un bellissimo sogno.

Galleggiava in un tiepido limbo che lo faceva sentire leggero e al sicuro, rassicurato da un affetto quasi incondizionato. 

Era la prima volta che sentiva quel senso di libertà, senza la costante e opprimente presenza di qualcuno all'interno del suo corpo.

Certo, respirando gli sembrava di avvertire il fastidioso odore di glicine che gli causava un po' di bruciore ai polmoni, ma… il calore che lo stava abbracciando era piacevole.

Il demone cercò di rimettere in ordine gli ultimi avvenimenti, ma si rese conto di non averne memoria. Almeno non in quel momento, nel quale tutte le piacevoli sensazioni che lo stavano facendo sentire leggero erano macchiate dalla confusione.

«Non desidero brandire la mia nichirin contro di te, Shinazugawa. E ti chiedo cortesemente di riporre la tua, in quanto siamo in un luogo di riposo ed è presente una bambina.»

Akaza si irrigidì nel sentire e nel riconoscere quella voce: era Kyojuro.

Un sentimento simile alla gioia gli esplose in petto, ma al tempo stesso sentì anche una strana apprensione nel rivolgere i suoi pensieri al Pilastro della Fiamma.

Che cosa stava succedendo? 

Quel quesito sembrò aiutarlo a scacciare via parte della nebbia che gli stava tenendo nascosti gli ultimi avvenimenti della sua vita.

Era stato convocato da Muzan, e in qualche modo il suo padrone aveva scoperto di Kyojuro. Lo avrebbe ucciso se Akaza non lo avesse trasformato in un demone o ucciso a sua volta. E il demone era andato dal Pilastro per metterlo in guardia.

Si irrigidì senza volerlo.

Aveva tradito Kibutsuji Muzan?

Akaza sentì un vago senso di nausea per quel pensiero, trovandolo impossibile. Non avrebbe mai tradito il suo padrone: come avrebbe potuto?

Eppure gli sembrò una menzogna, perché per Kyojuro e Koyuki l’avrebbe fatto.

Lo aveva promesso. Sarebbe diventato il più forte di tutti e avrebbe protetto Koyuki e Kyojuro.

«Siete tutti impazziti! È fottutissimo un demone! Perché lo state proteggendo?» 

Strillò una voce nuova, carica d’ira e disgusto. Akaza non ne conosceva il possessore, ma riconobbe subito il pianto che superò con forza qualsiasi altra voce.

Koyuki.

Quella persona stava facendo piangere la sua bambina urlando in quel modo, e Akaza non poté non sentirsi infastidito.

Cercò istintivamente di muoversi, ma il suo corpo gli sembrò pesante, in netto contrasto con la leggerezza che aveva provato al suo risveglio.

Gli sembrava di sentire i muscoli addormentati, e anche di avere i polsi bloccati da qualcosa. Era una sensazione nuova, ma anche familiare sotto un certo punto di vista, perché provava un intorpidimento simile a quello causato dalle torture di Muzan.

Akaza era abituato a sentire ossa e muscoli riformarsi dopo le torture, ma in quel momento quella sensazione sembrava essere molto più forte.

«Tranquilla Koyuki, Shinazugawa non è cattivo… deve solo abbassare la voce,» riprese Kyojuro con tono dolce. Stava cercando di calmare il pianto della bambina, così come Akaza lo aveva visto e sentito fare tante altre volte.

«Shinazugawa-san, ci sono delle persone ricoverate in questa struttura che hanno bisogno di riposare,» si intromise una nuova voce femminile.

«Tra cui un cazzo di demone al quale va tagliata la testa!»

«Akaza-kun al momento non è un pericolo. Siamo pronti a giurarlo insieme a Rengoku-san!» aggiunse una seconda voce femminile, un po' più acuta.

Per un istante, Akaza provò quasi un sentimento di stizza nel sentirsi definire 'non un pericolo', ma le sue attenzioni continuarono ad essere tutte per il pianto di Koyuki che non accennava a placarsi, nonostante Kyojuro stesse continuando a parlarle con tono dolce e rassicurante.

Il demone tentò ancora una volta di muoversi, ma il suo corpo non rispose ai suoi ordini. Frustrato, cercò di concentrarsi e di capire che cosa lo stesse tenendo bloccato.

La sensazione di libertà si intrecciava con la debolezza. Gli sembrava quasi di avere fame, come se nel suo corpo mancasse qualcosa, ma al tempo stesso non avvertiva il bisogno di affondare i denti nella carne umana.

Non riusciva a comprendere i messaggi del suo corpo, ma iniziò finalmente ad avvertire sia il peso delle palpebre chiuse che dei suoi arti, adagiati su quello che sembrava essere un morbido materasso.

Stava recuperando la sensibilità su tutto il corpo, e con essa anche i suoi ricordi sembrarono essere in grado di abbandonare quasi del tutto la nebbia che li aveva protetti fino a quell'istante.

Ricordava tutto.

La discussione con Kyojuro e la punizione di Muzan.

Il suo passato. La sua identità.

Suo padre, Keizo e Koyuki.

Ricordava poi Muzan e la convocazione al Castello dell’Infinito. L'ordine del suo padrone… la paura e infine la sua decisione.

Akaza ricordava di aver raggiunto Kyojuro e di aver iniziato a parlare con l'intenzione di fornire al Pilastro della Fiamma più armi possibili per sopravvivere e vincere quella guerra contro i demoni… e ricordava infine di aver pronunciato il cognome di Muzan, pronto ad affrontare la sua sentenza di morte.

Eppure… si trovava su un letto, nella stessa stanza di Kyojuro e Koyuki. Non era morto.

I battiti del suo cuore aumentarono rapidamente.

Che cosa era successo? Kyojuro e Koyuki erano ancora in pericolo: doveva fare qualcosa.

«Siete dei folli! Che cazzo vi passa per la testa?!» urlò la voce maschile e la bambina pianse più forte.

«Shh… va tutto bene, Koyuki. Per favore, Shinazugawa. Stai spaventando la bambina. Cerca di calmarti, così potremo spiegarti tutto!»

«Kyo…»

Akaza cercò di pronunciare il nome del Pilastro ancor prima di potersene rendere conto, ma la voce gli morì in gola e venne sovrastata da quella dell'altro uomo.

«Una spiegazione? È un demone!»

Akaza aprì di nuovo la bocca, sforzandosi di parlare.

«Kyojuro…»

Gli faceva male la gola ma il peso del nome di Kyojuro era piacevole e familiare sulla sua lingua. Continuando a sforzarsi, riuscì ad aprire gli occhi e a puntarli su un soffitto in legno a lui sconosciuto.

«Kyojuro…» ripeté ancora il demone, schiarendosi la voce e riuscendo finalmente a utilizzare un tono più alto.

L’atmosfera nella stanza sembrò farsi più tesa, e il demone avvertì subito la presenza del Pilastro della Fiamma accanto a sé.

«Akaza!»

Inclinò il capo di lato, cercando Kyojuro con lo sguardo. Aveva in viso un'espressione preoccupata ma anche sollevata.

Sembrava stare bene, e la bambina era con lui.

«Come stai?» gli chiese subito il Pilastro, allungando una mano per toccargli il viso.

Era una strana carezza, ma Akaza non poté non spingere il volto contro il palmo caldo e ruvido del Pilastro. Era piacevole, e sembrava quasi in grado di far scomparire ogni dubbio e paura.

«Rengoku!» esclamò ancora la voce maschile che aveva fatto piangere Koyuki. Era carica di apprensione e rabbia, e Akaza provò il forte desiderio di metterlo a tacere in qualche modo.

«Tu… stai bene?» chiese invece provando ad alzarsi.

Il suo corpo non rispose al comando - era frustrante, non gli piaceva mostrarsi così debole -, quello però lo portò ad avvertire qualcosa sui suoi polsi. Erano pesanti e pizzicavano, ma non era ancora in grado di comprendere che cosa li stesse tenendo bloccati.

«Sei tu quello che ha cercato di suicidarsi!» ribatté Kyojuro, allontanando la mano per riprendere ad accarezzare la schiena di Koyuki che non accennava a calmarsi.

Il Pilastro non sembrava arrabbiato. Tuttavia, data la situazione del tutto anomala, Akaza non era comunque certo di riuscire a poter interpretare né le sensazioni che sentiva provenire dal Pilastro né tanto meno le sue.

Di una cosa però si sentiva certo: aveva fallito.

Non era riuscito a uccidersi per proteggere Kyojuro e Koyuki. Se ci fosse riuscito, non si sarebbe svegliato su quel letto.

Perché non riusciva mai a fare niente di buono?

Perché continuava a fallire ogni volta che voleva proteggere le persone a lui care?

Un brivido frustrato lo scosse da capo a piedi e fece una smorfia.

«Mi dispiace…» riuscì a dire, ma le sue parole vennero praticamente sovrastate da altri insulti provenienti dalla persona che non aveva ancora un volto. Ne avvertiva però lo spirito combattivo, forte e impetuoso: era uno dei Pilastri.

Koyuki, in risposta al Pilastro Rumoroso, strillò ancora.

«Shinazugawa-san! Calmati! Stai terrorizzando Koyuki-chan!» si intromise con più decisione una delle due voci femminili.

Il pianto della bambina riuscì in qualche modo a superare il senso di colpa e la sensazione di essere un fallimento che si erano stretti attorno allo stomaco di Akaza.

 Tentò di muoversi per poterla prenderla in braccio come ogni volta che la sentiva piangere.

Il suo movimento generò nuova tensione nell'aria, ma lo ignorò per dedicare tutte le attenzioni a Koyuki. Gli importava solo della bambina e di nessun’altro in quel momento.

«Koyuki…» il nome della bambina sulla sua lingua era piacevole come quello del Pilastro.

Si sforzò di piegare le braccia per sollevarle verso la piccola, e un rumore di catene attirò la sua attenzione.

Solo in quel momento si rese finalmente conto che erano delle manette quelle che sentiva ai polsi. I bracciali di ferro delle manette pendevano poco sotto le sue mani e una catena, con pochi anelli, le teneva unite dandogli poco spazio per muovere le braccia.

Non era certo di sapere come potesse essere possibile, ma riconosceva nel loro tocco sia il glicine che il ferro delle katane degli Ammazza Demoni.

Rivolse uno sguardo confuso a Kyojuro che, a sua volta, assunse un’espressione dispiaciuta.

«Mi dispiace, Akaza… ma era necessario.»

La bambina intanto, attirata dalla voce del demone, aveva iniziato a contorcersi e a tendere le braccia verso Akaza.

«Dammi solo un momento, Koyuki,» cercò di calmarla Kyojuro. Era chiaramente diviso tra il dover dare delle spiegazioni e il tenere la piccola, e il demone aveva la certezza che ci fosse molto altro sotto.

«Papa!»

Lo strillo di Koyuki fece sobbalzare il Pilastro, e lo stesso Akaza pensò di aver sentito male. Era abituato alle continue lallazioni della bambina ma quella sembrava una parola vera e propria.

«Papa! Papa!» continuò a ripetere insistentemente Koyuki, cercando in ogni modo di andare da Akaza.

«… è la prima parola di Koyuki-chan!» esalò, estasiata, una delle due voci femminili. 

Le guance di Kyojuro si erano tinte di rosso e le sue labbra si erano piegate in un sorriso imbarazzato. Sembrava quasi che quanto fosse appena accaduto fosse più importante della situazione assurda nella quale si trovavano, e Akaza non poté fare a meno di raccogliere tutte le sue forze - non erano tante in quel momento, ne era consapevole - per cercare di rompere quelle dannate manette che gli stavano impedendo di prendere in braccio la bambina.

Sentì un fremito di nervosismo nei presenti e anche un fastidioso dolore ai polsi, e non poté non provare un piacevole sollievo quando il ferro che stava avvolgendo la sua carne cadde scomposto sul letto, ormai inutilizzabile.

Solo in quel momento, finalmente libero, Akaza poté sollevarsi sui gomiti fino a mettersi seduto - ogni movimento gli sembrò meccanico e quasi legato, come se il suo corpo non gli appartenesse del tutto.

«Ti avrei liberato!» esclamò Kyojuro quasi esasperato, ma Akaza non gli prestò troppa attenzione perché i suoi occhi erano fissi su Koyuki che lo stava chiamando.

«Papa! Papa!»

Stava chiamando proprio lui.

Tese di nuovo le braccia, e il Pilastro non poté far altro se non piegarsi un poco per permettergli di prendere la bambina, che si aggrappò al corpo del demone strillando.

«Koyuki…» la chiamò ancora, provando non poco sollievo nel sentire il familiare peso della piccola tra le braccia. «Sono qui… calmati…»

Nascose il viso tra i capelli scuri di Koyuki e, chiudendo gli occhi, si permise di sospirare - anche se gli sembrò in realtà di aver ripreso a respirare dopo un’eternità.

Accarezzò la nuca e la schiena della bambina, facendosi avvolgere dal suo familiare e piacevole profumo. 

“Puoi scegliere, Hakuji. Puoi scegliere, perché non è troppo tardi,” come un sussurro Akaza sentì una voce lontana, quasi un ricordo che andò a mischiarsi a una consapevolezza che sentiva ben radicata in tutto il suo essere.

Non aveva fallito nel suicidarsi, realizzò.

Aveva scelto di combattere, e una delle ragioni era lì tra le sue braccia.

Tremò e si morse le labbra. Per un momento desiderò lasciarsi travolgere da quelle sensazioni e anche lasciarsi andare ad un pianto liberatorio, perché non aveva fallito. Aveva deciso di combattere e di proteggere chi amava.

Aveva ancora una possibilità!

Tuttavia la tensione di quella stanza e il senso di pericolo, gli impedirono di abbassare ulteriormente le sue difese.

«Che cazzo significa?» la voce maschile che aveva urlato fino a qualche minuto prima riattirò infatti la sua attenzione.

Era più bassa, quasi incredula, ma non per questo meno disgustata, e suo malgrado Akaza si costrinse finalmente a rivolgere uno sguardo alle persone presenti in quella stanza.

Come aveva già intuito si trovava circondato dai Pilastri, e istintivamente strinse di più a sé la bambina che tra le sue braccia aveva smesso di strillare e piangere - singhiozzava ancora, ma era chiaramente più rilassata.

«Va tutto bene, Akaza,» dichiarò Kyojuro restando accanto a lui.

Era calmo ma la sua posizione era ugualmente tesa e protettiva. Nonostante ciò, il demone non poté fare a meno di continuare a lanciare occhiate d’astio ai presenti.

Non aveva bisogno di parlare per rendere la sua minaccia credibile: dovevano solo provare ad avvicinarsi alla sua bambina.

«Fantastico! Sembra che il nostro Akaza si sia ripreso alla perfezione!» esclamò una delle due donne presenti, battendo le mani davanti al viso.

Il suo sorriso era tirato e per niente amichevole, e per qualche motivo diede quasi i brividi ad Akaza.

«Voi siete impazziti!»

Finalmente il demone poté dare un volto anche all’uomo che non aveva fatto altro che urlare e far piangere Koyuki.

Non poteva negare di riconoscere in lui un notevole spirito combattivo - se Kyojuro era paragonabile al fuoco, l'altro Pilastro sembrava quasi una tempesta -, ma Akaza non si lasciò intimorire.

«Comunque, desidero essere chiara,» riprese la donna che aveva parlato poco prima, e che il demone riconobbe solo in quel momento come il Pilastro degli Insetti.

L'aveva intravista in passato, quando aveva spiato Kyojuro mentre era ricoverato in quel nosocomio per Ammazza Demoni, e dal suo esile corpo proveniva un forte odore di glicine.

La donna si stava rivolgendo direttamente a lui, e Akaza ricambiò con uno sguardo cupo. Doveva essere sincero: non sapeva che cosa stava succedendo.

Sapeva di aver deciso di combattere, ma non sapeva come fosse riuscito a sopravvivere alla maledizione di Muzan. Inoltre, era circondato dai Pilastri, ma per quanto l’atmosfera fosse tesa nessuno sembrava intenzionato a decapitarlo.

Certo, il Pilastro Rumoroso che aveva urlato fino a quel momento aveva la sua katana sfoderata, ed era giustamente ostile, ma non lo aveva attaccato.

Sembrava chiaro, oltre che inspiegabile, che Kyojuro e le altre due donne lì presenti fossero pronte a fermare il loro compagno se necessario.

Era davvero strano, e Akaza si sentiva ancora troppo confuso per poter dare delle vere e proprie conclusioni.

«Sembra che tu sia particolarmente legato a Rengoku-san,» proseguì il Pilastro degli Insetti. «Per questo vorrei che avessi ben chiara la situazione: al primo scherzo, la persona che ne pagherà le conseguenze sarà Rengoku-san.»

Akaza aggrottò le sopracciglia, spiazzato da quell'affermazione.

Le minacce non lo sorprendevano - anzi, era sorpreso dal fatto che fossero solo minacce - ma non comprendeva perché quella donna avesse messo in mezzo Kyojuro.

«Cosa?»

«Tutti in questa stanza vorrebbero tagliarti la testa o vederti bruciare al sole, ma Rengoku-san è pronto a giurare sulla sua vita per te. Quindi spero che tu possa comprendere la situazione nella quale ti trovi, e come potrebbe andare a concludersi!» il sorriso era ancora presente sul volto della donna e aveva usato un tono fintamente amichevole.

«Perché i miei errori dovrebbero gravare sulla vita di Kyojuro?» ringhiò irritato, ma la mano del Pilastro sulla sua spalla riuscì quasi subito a placarlo.

«Akaza…»

«La tua parola per noi non ha un gran valore,» spiegò il Pilastro degli Insetti. «Ma ci fidiamo di Rengoku-san, anche se ha deciso di stringere un legame con un demone.»

«Non indorare la pillola Kocho!» esclamò il Pilastro Rumoroso che ancora aveva in mano la sua katana. «State solo ritardando la condanna! Che cazzo volete fare? Fingere che Rengoku possa tenersi un demone come animaletto domestico come se nulla fosse?»

«Shinazugawa-san… prima di parlare di condanna non sarebbe meglio aspettare di parlare con Oyakata-sama?» pigolò subito dopo l’ultima donna che Akaza, nonostante la crescente tensione e l'irritazione per essere stato definito 'animaletto domestico', riuscì a riconoscere dal profumo.

Lo aveva sentito una volta a casa di Kyojuro. Si chiamava Kanroji Mitsuri, ed era stata l'allieva del Pilastro della Fiamma.

«Perché far saltare entrambe le teste quando possiamo solo liberarci del demone? E Rengoku potrebbe ritirarsi, lasciare il ruolo di Pilastro senza dover morire per il suo cazzo di tradimento!»

Koyuki frignò di nuovo a causa della voce un po’ troppo alta del Pilastro, e Akaza trovò nel peso della bambina sulle sue braccia l’unica cosa che gli stava impedendo di attaccare l’Ammazza Demoni. Non gli piacevano né la sua voce né le cose che stava dicendo - forse anche perché aveva ragione: la sua presenza era un pericolo per Kyojuro.

«Sono pronto ad affrontare le conseguenze,» dichiarò però il Pilastro della Fiamma, stringendo con più decisione la mano sulla spalla di Akaza. «Mi dispiace se ho deluso le vostre aspettative e se ho tradito la vostra fiducia, ma non intendo abbandonare Akaza.»

Il demone lo guardò e strinse le labbra. Era davvero sopravvissuto, decidendo di combattere, solo per vedere Kyojuro morire per mano dei suoi compagni? Non poteva accettarlo.

Sentì una familiare rabbia stringergli lo stomaco.

«Dovete solo provare ad avvicinarvi a Kyojuro e a Koyuki,» sibilò senza neanche rendersene conto, dando voce ai suoi pensieri e timori.

La tensione aumentò ulteriormente nella stanza e la bambina si lamentò in risposta.

«Akaza!»

Il demone guardò Kyojuro senza nascondere il suo nervosismo e l’astio verso gli altri Pilastri.

«Sei un loro compagno! E sei sicuramente il loro miglior guerriero!» esclamò come se fosse un dato di fatto. «Preferiscono prendere in considerazione di ucciderti o di esiliarti al posto di tentare di vincere la guerra contro Muzan? E tu saresti davvero pronto a morire per me? E chi si prenderebbe cura di Koyuki? Non posso permetterlo, Kyojuro!»

Akaza sentì l’ex allieva di Kyojuro emettere un verso acuto e apparentemente senza senso, ma decise di ignorarla per continuare a tenere gli occhi puntati sul Pilastro della Fiamma.

Non era Kyojuro a dover morire, l’unico a meritare la morte era lui.

«Tu eri pronto a morire per me,» gli fece presente Kyojuro, e Akaza aggrottò le sopracciglia.

«È diverso,» ribattè, ma sapeva benissimo quanto il Pilastro potesse essere testardo, infatti Kyojuro gli rivolse un piccolo sorriso.

«C’è una piccola speranza, e non voglio rinunciarvi senza cercare di combattere!» gli fece presente.

Akaza scosse il capo. Perché dovevano morire entrambi quando bastava la sua morte a risolvere tutto?

Non poteva accettarlo, doveva fare qualcosa per evitare che fosse Kyojuro a pagarne le conseguenze.

Abbassò lo sguardo su Koyuki che si era di nuovo calmata e lo stava guardando con i suoi occhioni giganteschi e innocenti.

Perché Kyojuro non comprendeva che lei era più importante?

«Koyuki… lei deve essere la nostra priorità,» mormorò.

«La avrà se non ci sarà più speranza,» lo rassicurò il Pilastro, e Akaza strinse le labbra, ma qualsiasi commento - da parte sua o da parte degli altri Ammazza Demoni - morì nell’esatto momento in cui qualcuno iniziò a bussare alla porta della stanza.

«Shinobu-sama?»

Una voce femminile spinse il Pilastro degli Insetti ad accostarsi alla porta per aprirla.

Akaza si irrigidì. Non si era reso conto della presenza di altre persone, e quella sensazione gli fece provare una strana e fastidiosa sensazione di nausea.

Non si era ancora ripreso del tutto dagli effetti della maledizione di Muzan - in realtà non sapeva neanche come si fosse ripreso -, e i suoi sensi sembravano ancora intorpiditi da quell’assurda e anormale debolezza.

Ciononostante, riuscì a mantenere la calma mentre sulla porta apparivano due persone. La prima era una ragazzina con la divisa degli Ammazza Demoni coperta da una tunica bianca, e la seconda una donna dai capelli bianchi e l’espressione tranquilla. Non sembravano due guerriere.

«Ho accompagnato Amane-sama…» dichiarò la ragazza nervosa, lanciando delle occhiate all’interno della stanza con la chiara intenzione di allontanarsi il più in fretta possibile - infatti le bastò un cenno del Pilastro degli Insetti per darsi alla fuga.

I Pilastri si mostrarono palesemente sorpresi davanti alla donna, e fu il Pilastro Rumoroso a farsi avanti, parlando con tono stranamente educato e composto.

«Amane-sama, ti chiedo di stare indietro. Non è sicuro.»

La donna non apparve minimamente preoccupata, ma era chiaro che sapesse benissimo chi fosse ricoverato in quella stanza, infatti i suoi occhi color lavanda si posarono subito su Akaza prima di spostarsi, dopo qualche istante, sugli altri Pilastri.

«Non preoccupatevi,» dichiarò con voce calma ma autoritaria. «Sono giunta qui su richiesta di Oyakata-sama. Ha convocato una nuova riunione dei Pilastri e mi ha chiesto di interloquire con Rengoku-sama e con il demone prima di predisporre il trasferimento di quest'ultimo per la riunione.»

Quell'affermazione generò diverse reazioni. Dallo stupore dei Pilastri fino alla strana calma che invase l'animo di Akaza.

«Ma Amane-sama…»

«Shinazugawa-sama, se lo desideri puoi iniziare ad avviarti verso il Quartier Generale,» aggiunse la donna. «Himejima-sama è già arrivato e sta tenendo compagnia ad Oyakata-sama.»

Quell’affermazione causò nel Pilastro un leggero moto di stizza.

«Preferisco rimanere in zona,» rispose senza nascondere il suo nervosismo.

«Sarà un piacere per me averti come scorta, allora,» concluse Amane. «Ora devo chiedervi di lasciarci soli.»

Quella richiesta causò altra inquietudine nei presenti, ma per qualche motivo ad Akaza sconosciuto accettarono ugualmente quella richiesta, e uno a uno i Pilastri lasciarono la stanza.

Il demone non poté non mostrarsi sorpreso per lo scambio di parole al quale aveva appena assistito, e soprattutto dalla calma della donna. Ispirava sicurezza e forza in un certo qual modo.

«Amane-sama, vuoi accomodarti?» domandò Kyojuro non appena la porta della stanza venne chiusa, porgendo alla donna una sedia. Il Pilastro della Fiamma era teso e non sembrava essere in grado di calmarsi.

«Ti ringrazio, Rengoku-sama,» rispose Amane, sedendosi in modo composto ed elegante sulla sedia a pochi metri dal letto sul quale Akaza era seduto con Koyuki in braccio.

Gli occhi della donna si posarono subito sul demone, e Akaza non poté fare a meno di mettersi un po' più dritto.

Non sentiva alcun pericolo provenire dalla donna, non lo stava minacciando né sembrava detestarlo apertamente. Era in realtà indecifrabile, ma istintivamente il demone sentiva di doverla in qualche modo rispettare.

«Il mio nome è Amane Ubuyashiki,» si presentò, e Akaza grazie a quella semplice frase riuscì finalmente a darle un'identità.

Era la moglie del capo degli Ammazza Demoni. La famiglia che per anni Kokushibo aveva cercato di sterminare per ordine di Muzan.

«Io sono… Akaza…» rispose il demone, lanciando un’occhiata a Kyojuro che era tornato al suo fianco.

«Ho sentito parlare di te, in termini poco lusinghieri,» riprese Amane. «Eppure questa notte sono giunte delle notizie… di difficile comprensione, soprattutto dopo l'annuncio della morte della Sesta Luna Crescente. Comprenderai che abbiamo subito pensato ad una pronta ritorsione di Kibutsuji Muzan.»

Il demone dovette annuire suo malgrado. Era ovvio che il suo arrivo alla Casa delle Farfalle potesse essere stato visto come un attacco. Non aveva neanche cercato di celare la sua presenza perché aveva avuto ben altre priorità.

«Amane-sama… Akaza non aveva nessun intento malvagio quando è giunto qui,» dichiarò il Pilastro per mettere subito in chiaro la situazione. «Posso comprendere che sia apparso come un attacco, ma le sue intenzioni non erano maligne. Posso giurarlo. Akaza era pronto a rinunciare alla sua stessa vita, e ci ha fornito delle informazioni vitali che possono permetterci di sconfiggere Kibutsuji Muzan.»

«Oyakata-sama è al corrente della situazione,» rispose Amane con tono paziente e comprensivo. «Ha fatto un sogno questa notte, prima che arrivassero dei corvi per avvisarci su quanto stava accadendo in questo luogo.»

«Che tipo di sogno, Amane-sama?» ripeté Kyojuro interessato.

Al contrario di Akaza, ancora troppo spiazzato sia dalle parole della donna che dal suo atteggiamento pacato, il Pilastro non sembrava particolarmente sorpreso. 

«Oyakata-sama ha visto la luna piena colorarsi d’oro e infrangersi in tre pezzi e cadere come neve su un paesaggio invernale,» iniziò a raccontare. «Ha poi visto la primavera nascere sotto la neve, prendendo l’aspetto di un fiore dai petali blu.»

Akaza si irrigidì.

«Un giglio ragno blu,» mormorò quasi senza rendersene conto.

Un lieve lampo di sorpresa e interesse attraverso gli occhi color lavanda della donna.

«Esattamente.»

«Che… che cosa significa?» domandò Kyojuro rivolgendosi direttamente al demone. Sembrava più sorpreso da quel brevissimo scambio di parole che dall’atteggiamento calmo di Amane.

«Muzan… sta cercando quel fiore da secoli,» svelò Akaza, aggrottando le sopracciglia. «Era il mio compito principale trovarlo…»

«Interessante,» concesse la donna, incrociando le mani in grembo. «Conosci il motivo per il quale sta cercando proprio un fiore?»

«Esperimenti, immagino,» rispose il demone. «La verità è che non ha mai condiviso del tutto i suoi piani con le altre Lune Demoniache, avevamo i nostri incarichi e li eseguivamo senza porci domande.»

«Ti ringrazio per la tua onesta,» riprese Amane, senza mostrarsi infastidita dall'assenza di una reale informazione riguardante l'utilizzo del fiore ricercato da Muzan. «Gradirei sentire gli eventi che ti hanno portato a scegliere di abbandonare quell’uomo, Akaza-sama.»

Quel tono di rispetto e gentilezza continuava a non far sentire del tutto a suo agio il demone, ma si sforzò ugualmente di essere sincero quando cercò di rispondere.

«Muzan ha convocato le Lune Crescenti dopo che la Sesta Luna Crescente è morta,» esordì. «Era arrabbiato per i nostri fallimenti e voleva imporre di nuovo la sua autorità sui suoi sottoposti. Temo di essermi comportato in modo anormale ai suoi occhi ed è riuscito a estorcermi un’informazione.»  

«Che tipo di informazione?» domandò Amane, mentre Kyojuro si irrigidiva al suo fianco.

«Ha scoperto che sono interessato a Kyojuro,» ammise Akaza senza alcuna vergogna. «Muzan è superbo. Ha pensato che lo stessi solamente spiando, forse perché è l’unico Pilastro che è sopravvissuto ad uno scontro con me… in ogni caso, mi ha ordinato di trasformare Kyojuro in un demone o di ucciderlo.»

Stava scoprendo che parlare con quella donna, forse grazie alla calma che trasmetteva, era facile.

«Perché non hai ubbidito al suo ordine?»

Akaza esitò per un momento prima di rispondere.

«Perché avevo ricordato chi ero, e avevo fatto una promessa. Devo proteggere Kyojuro e Koyuki.» 

Pronunciò l’ultima frase con decisione e abbassò lo sguardo istintivamente su Koyuki che emise un estasiato: «Papa!»

Akaza sentì il cuore stringersi e le sorrise come se esistessero solo loro due in quella stanza.

«Ti ringrazio ancora,» commentò la donna. «Vorrei poter ascoltare il resto della vostra storia, ma temo di dover rimandare questo discorso. Il mio compito qui si è concluso e posso riferire a Oyakata-sama ciò che ho visto, come mi ha richiesto.»

«Lo comprendiamo, Amane-sama!» rispose subito Kyojuro.

«Oyakata-sama ha espresso il desiderio di incontrare entrambi,» proseguì Amane guardando prima il Pilastro della Fiamma e poi il demone. «Akaza-sama, comprenderai che la situazione non mi permette di condurti da lui a cuor leggero. Per la sicurezza di tutti dovranno essere prese delle precauzioni per il viaggio, Rengoku-sama conosce le procedure. Alla riunione, inoltre, saranno presenti anche gli altri Pilastri, e per questo ti chiedo collaborazione e comprensione.»

«Non ho intenzione di attaccare nessuno,» dichiarò prontamente il demone. «Almeno fino a quando Kyojuro e Koyuki resteranno al sicuro,» precisò.

«Akaza…» sibilò il Pilastro al suo fianco, ma Akaza lo ignorò.

Amane era stata in grado di calmarlo e di placare la sua rabbia e preoccupazione… ma le sue priorità erano e sarebbero rimaste Koyuki e Kyojuro. Quello non lo avrebbe dimenticato.

«Nessuno farà del male alla bambina o a Rengoku-sama. Hai la mia parola e ti ringrazio per la comprensione,» dichiarò Amane, e Akaza non solo si sentì ulteriormente rassicurato da quelle parole ma non provò sospetto. Era estremamente facile fidarsi di lei.

La donna si rivolse poi a Kyojuro, si era fatta più seria e sembrava volere la sua più totale attenzione.

«In un'altra occasione sai bene quale sarebbe stata la condanna. Tuttavia, se le informazioni di Akaza-sama si dovessero rivelare utili, sono certa che vista la situazione Oyakata-sama possa accettare la situazione. Non posso dire lo stesso degli altri Pilastri, ma credo che tu lo comprenda.»

Kyojuro annuì e sorrise.

«Come ho già detto: sono pronto ad affrontare le conseguenze.»

Amane si sollevò dalla sedia e rivolse uno sguardo verso la finestra che era stata preventivamente chiusa con delle pesanti tende.

«Ormai è quasi mattina. Immagino sia fuori luogo chiedervi di raggiungere il Quartier Generale nell'immediato,» commentò. «Vi attenderemo dopo il tramonto.»

Kyojuro balzò in piedi e si inchinò davanti alla donna.

«Ti ringrazio, Amane-sama!»

Akaza sentì quasi il bisogno di imitarlo, spinto da quel senso di rispetto e di fiducia che sentiva provenire dalla donna, ma rimase immobile. Riuscì solamente a piegare il capo in avanti in segno di gratitudine.

Amane accennò un altro sorriso per poi dirigersi verso la porta.

La aprì e le persone che erano rimaste all’esterno, forse cercando di origliare, si fecero indietro. Erano i tre Pilastri che Akaza aveva visto al suo risveglio, ed erano accompagnati da un ragazzino che il demone riconobbe subito grazie agli orecchini con gli hanafuda.

Lo aveva già visto sul treno dove aveva incontrato Kyojuro. Era insignificante ma Akaza ricordò subito un’altro dettaglio: Muzan voleva uccidere proprio quel Cacciatore.

Akaza si accigliò per un momento. Era… un’informazione utile?

«Kyojuro, Muzan vuole quel ragazzino morto,» commentò infatti, attirando su di sé gli sguardi sorpresi di tutti i presenti, compreso quello di Amane, che si era fermata sull'uscio.

«Cosa? Intendi Kamado?»

Il demone annuì e, stringendo le labbra, puntò lo sguardo sul ragazzino.

«Quello che era con te al treno,» spiegò. «Muzan vuole che venga ucciso l'Ammazza Demoni con gli orecchini con gli hanafuda.»

Il ragazzino sobbalzò portandosi le mani alle orecchie quasi incredulo.

«Perché?» domandò ancora Kyojuro. «Forse perché conosce il suo aspetto?»

«No,» Akaza scosse il capo. «Credo… sia legato al passato. Ma non ho dato troppo peso a quest'ordine, Muzan non ha mai amato le domande,» aggiunse trovandosi però quasi infastidito dalla propria ignoranza.

E se quella fosse stata per davvero un'informazione utile?

Magari anche avere più informazioni sul Giglio Ragno Blu e sull’utilizzo che Muzan intendeva farne sarebbe stato importante… ma lui non sapeva nulla.

Come poteva aiutare e tenere Kyojuro vivo senza informazioni utili?

«Ti ringrazio anche per questa informazione, Akaza-sama,» rispose Amane piegando un poco il capo in segno di ringraziamento, poi si rivolse al Pilastro Rumoroso che stava lanciando delle occhiatacce poco amichevoli all'interno della stanza. «Shinazugawa-sama, gradiresti accompagnarmi al Quartier Generale? Dopo il tramonto si terrà la riunione con i Pilastri, ma immagino che prima vogliate discutere della situazione tra di voi. Per il momento, vi assicuro che Akaza-sama gode della mia fiducia.»

Il Pilastro si irrigidì.

«Con tutto il rispetto-» esordì ma la donna, senza mai perdere il controllo, gli impedì di parlare.

«Anche Oyakata-sama desidera incontrare Akaza-sama,» aggiunse.

Il Pilastro sembrò voler controbattere e rifiutare, ma alla fine annuì.

«Sì, Amane-sama,» rispose a denti stretti.

«Vi raggiungerò a breve,» dichiarò subito dopo il Pilastro degli Insetti. «In quanto testimone oculare posso raccontare quanto è successo…»

«Sarebbe davvero gradito, Kocho-sama,» assentì Amane con tono comprensivo, e senza aggiungere altro si allontanò insieme al Pilastro Rumoroso - il quale lanciò un'ultima occhiataccia ad Akaza.

I due Pilastri rimasti, accompagnati dal ragazzino, entrarono nella stanza, e solo quando la porta venne chiusa alle loro spalle Kyojuro si concesse un sospiro quasi sollevato.

Non era del tutto rilassato, ma sembrava aver superato una prova molto importante, e Akaza poteva comprenderlo: le parole della donna - della moglie del capo degli Ammazza Demoni -, erano state rassicuranti anche per lui.

Ma non solo, lo avevano portato ad una condizione mentale di calma. Continuava a sentire il corpo debole, ma al tempo stesso non sentiva ira o altri sentimenti negativi. Al contrario: Akaza si sentiva pronto ad affrontare un altro interrogatorio.

Non era da lui, ne era consapevole, ma dall'altra parte la reputava anche una cosa positiva, perché era chiaro che il futuro di Kyojuro dipendesse da lui e dal suo comportamento.

Akaza doveva essere irreprensibile e dimostrarsi pronto alla collaborazione per aiutarlo, e l'aver parlato con Amane lo aveva messo in una condizione di pace. Come se la speranza fosse reale e non solo un sogno.

«Immagino… sia andata bene?» commentò l'ex allieva del Pilastro della Fiamma, avvicinandosi al letto ma restando ugualmente a distanza.

«Diciamo di sì,» assentì Kyojuro, concedendosi un sorriso. «Se le informazioni di Akaza si riveleranno veritiere… può esserci qualche speranza.»

«Alcune sono sicuramente veritiere,» tagliò corto il Pilastro degli Insetti. Per un momento il sorriso della giovane donna scomparve, lasciando spazio ad un'amarezza che Akaza sentiva di conoscere bene.

Erano il dolore della perdita e la sete di vendetta, sentimenti che il demone sapeva di aver provato sulla sua stessa pelle e che, in qualche modo, avevano caratterizzato anche il suo comportamento sin dalla trasformazione in demone.

«Shinobu-chan…»

«Un demone alto. Biondo. Occhi color arcobaleno. Marchio simile a una macchia di sangue sui capelli,» enunciò il Pilastro degli Insetti. «La Seconda Luna Crescente, il demone che ha ucciso mia sorella. Posso confermare che le informazioni che Akaza ci ha dato sul suo conto sono veritiere.»

L'odio verso Douma era quasi palpabile, e per un momento Akaza sentì quasi di volerla mettere in guardia per impedirle di cercare un combattimento diretto contro di lui. Pur non provando un legame o simpatia verso di lei, il demone non poteva evitare di volerla proteggere. Era istintivo, provava quella stessa sensazione verso tutte le donne.

«Douma è più forte di me,» disse infatti guardandola negli occhi, lasciando che fosse quello sguardo a parlare per lui.

La giovane donna si mostrò inizialmente sorpresa, ma alla fine sorrise.

«Non sempre bisogna essere forti fisicamente per uccidere qualcuno,» rispose con un lampo di malizia e sicurezza negli occhi che causò un brivido in Akaza. Non era certo si trattasse di timore o eccitazione, ma di certo si sentì incuriosito da quell'affermazione e dalle promesse rinchiuse in quello sguardo.

«In ogni caso… ti ringrazio ancora Kocho. Senza di te e Kanroji forse non sarei qui. E ringraziò anche te, giovane Kamado, nonostante la tua situazione ti sei mostrato pronto a giurare con la tua vita per me e per Akaza. Questo tuo gesto non sarà mai dimenticato,» dichiarò Kyojuro, spostando la discussione per alleggerire la tensione.

Le due donne sorrisero, mentre il ragazzino arrossì visibilmente, imbarazzato dalle parole accorate del Pilastro della Fiamma.

«Avresti fatto lo stesso per noi, Rengoku-san!» dichiarò l'ex allieva di Kyojuro.

«Temo comunque di dover interrompere queste piacevoli chiacchiere,» riprese la parola il Pilastro degli Insetti. «Perché prima di raggiungere il Quartier Generale ho bisogno di raccogliere altre informazioni.»

Gli occhi della donna si erano di nuovo puntati su Akaza, e il demone sostenne lo sguardo senza distoglierlo.

Era apertamente ostile nonostante il sorriso in volto, e per quanto la sua mente gli stesse suggerendo che sorrideva come Douma, dall'altra parte Akaza non poteva neanche non notare quanto fossero in realtà diversi quei sorrisi.

Douma scimmiottava quelle espressioni di gioia perché era come un guscio vuoto. Quella donna invece sembrava piena di rabbia, e quel sorriso era solo una maschera, volta a proteggersi.

Era interessante, doveva ammetterlo. Sotto un certo punto di vista gli ricordava anche il sorriso di Kyojuro: quello falso che gli aveva visto tante volte indossare dopo ogni discussione con suo padre.

Il Pilastro degli Insetti si avvicinò al letto. Profumava di glicine e Akaza non poté non notare anche un vago odore di sangue. Era leggero ma non per questo meno… intenso. Sembrava sangue marechi, e Akaza era certo che fosse addosso a quella donna.

«Allora, Akaza, ammetto di essere sorpresa. Il fatto che non ci sia stato bisogno del nostro intervento quando siete rimasti soli con Amane-sama, ti fa guadagnare credibilità,» dichiarò con calma.

«Cosa vuoi sapere donna?» tagliò corto Akaza.

L’odore di glicine lo infastidiva un poco, e quello del sangue invece lo confondeva, cercò comunque di ignorare entrambi per concentrarsi. Sapeva di dover rispondere a più domande possibili se voleva raggiungere il suo obiettivo e evitare che Kyojuro morisse per un motivo stupido come il cercare di proteggerlo.

Doveva collaborare.

«Mi chiamo Kocho Shinobu, e sono il Pilastro degli Insetti,» si presentò lei. «E vedo che non vuoi perdere tempo. Generalmente ti chiederei quanti umani hai ucciso e divorato… ma credo di poter essere anche io più diretta: la tua alimentazione

Akaza si aspettava quella domanda, doveva essere sincero. Era ovvio che prima o poi sarebbe giunto quel quesito, d'altro canto anche Kyojuro aveva mostrato interesse e timore verso quell'argomento quando ancora si stavano conoscendo.

«Ho promesso a Kyojuro che non avrei più ucciso nessuno,» rispose senza esitare, continuando ad ignorare l’odore di sangue marechi che sentiva provenire dalla donna.

«Così ci ha riferito anche Rengoku-san, ma comprenderai che non possiamo basarci solo sulla sua o sulla tua parola. Quindi: come ti stai nutrendo?»

«… al momento non sto mangiando. Ma avevo intenzione di rubare dei cadaveri o del sangue,» ammise il demone, cercando di non guardare in viso il Pilastro della Fiamma.

«In questo momento, hai fame?» chiese senza mezzi termini.

Akaza trattenne quasi il respiro, come se inspirare ancora l’odore del sangue potesse cambiare qualcosa.

Aveva fame?

Non ne era certo. Sentiva l’assenza di qualcosa all’interno del suo corpo, lo sentiva debilitato e gli sembrava che potesse essere ‘fame’ ma al tempo stesso non lo era.

«Sì,» si costrinse ad ammettere seppur non sicuro delle sue stesse parole, cercando poi di articolare meglio la sua risposta. «Ma non si tratta della solita fame. Non sento il bisogno di mangiare, sento però una debolezza simile.»

«È possibile che sia per il sangue che ha perso?» chiese Mitsuri, forse cercando di venirgli in aiuto.

Shinobu annuì pensierosa e forse anche un po’ sorpresa per la sua risposta, Kyojuro invece sembrò quasi sul punto di balzare in piedi.

«Sono disposto a continuare a nutrirlo con il mio sangue!»

«Non ho intenzione di prendere il tuo sangue, Kyojuro!»

«È stato il mio sangue a salvarti!» ribatté il Pilastro della Fiamma, ma ancora prima che Akaza potesse chiedere delle spiegazioni - che cosa era successo mentre era privo di sensi? -, Kocho riprese la parola.

«Non puoi sottoporti ad un altro prelievo così presto. È debilitante per il corpo,» dichiarò diretta a Kyojuro. «Per tornare a noi: Kanroji-san potrebbe avere ragione. Hai perso molto sangue e quello che ti ha donato Rengoku-san è servito solo ad accelerare la tua guarigione. Non posso escludere questa ipotesi.»

Il demone annuì, seppur non convinto. La giovane donna non si fermò e, scostando l’haori dal fianco, mostrò una piccola bottiglietta piena con un denso liquido rosso.

Era il sangue marechi. 

«Per evitare… incidenti ti fornirò del sangue prima che tu venga portato da Oyakata-sama,» dichiarò, prendendo la boccetta.

Per un solo momento Akaza fu tentato dall’accettare quell’offerta ma non si mosse. Il peso della bambina tra le sue braccia lo aiutò a mantenere il contatto con la realtà, ricordandogli la sua unica priorità.

«Non ho intenzione di bere del sangue davanti a Koyuki,» rispose, suscitando un lampo sorpreso negli occhi del Pilastro degli Insetti.

«Kocho…» esordì Kyojuro. «Era un test, vero?»

Shinobu gli rivolse un sorriso e chiuse la boccettina con un tappo di sughero.

«Esattamente e sembra che Akaza lo abbia superato a pieni voti,» annunciò con un pizzico di soddisfazione.

«Ho abbastanza autocontrollo,» commentò il demone, incerto se sentirsi sollevato o meno. «Comunque la mia dieta è sempre stata… contenuta,» aggiunse.

Una volta Kyojuro lo aveva paragonato al demone che stava con gli Ammazza Demoni. Gli aveva detto che il suo allenarsi per diventare più forte, senza doversi costantemente nutrire, era simile al continuo dormire di quell'altro demone.

Gli era sembrata una spiegazione sensata.

«Andiamo avanti. C’è un’altra questione che temo non possa essere rimandata: la maledizione. Come funziona?»

«Muzan impedisce ai demoni di pronunciare il suo cognome, immagino per timore che vengano rivelate informazioni sul suo conto,» rispose subito Akaza.

Non si era mai realmente interessato al funzionamento della maledizione, sapeva che era una condanna a morte sicura, ma non i meccanismi o perché esistesse.

"Morte sicura, tranne che con me," pensò distrattamente.

«Ogni demone ha in corpo una discreta quantità del suo sangue,» continuò. «Questo gli permette di convocarci quando vuole, e se è abbastanza vicino anche di vedere con i nostri occhi. In genere utilizza questo legame solo con le Lune Demoniache, non si cura molto dei demoni inferiori. Si tratta quasi di un patto di sangue

«Quindi in questo momento potrebbe vedere quello che sta accadendo?» chiese Shinobu, e Akaza poté sentire chiaramente la tensione crescere nella stanza.

La paura era palpabile, e poteva comprenderlo.

«Solo quando è abbastanza vicino,» ripeté. «E deve essere presente il legame, quel patto di sangue. Non so come, non ricordo che cosa è accaduto dopo che sono venuto qui per parlare con Kyojuro, ma so per certo che… che Kibutsuji Muzan non abbia più alcun potere su di me.»

Venne scosso da un brivido nel pronunciare il nome completo del creatore dei demoni, e anche gli stessi Pilastri li presenti sobbalzarono… ma non accadde nulla.

Era certo delle sue parole, sapeva che pronunciandolo non sarebbe accaduto nulla, ma non poté non sentire il sollievo all’idea di essersi liberato di quel peso.

«Gradirei che non facessi più simili scherzi,» commentò Kyojuro, incapace di nascondere il proprio nervosismo.

«Non credo di essere nella posizione per dimostrare le mie intenzioni solo a parole,» ribatté Akaza subito dopo.

«Esattamente,» confermò il Pilastro degli Insetti. «Prendendo sempre per veritiere queste tue affermazioni, si può dire che tu sia riuscito a trovare un modo per sconfiggere le cellule di Muzan nel tuo corpo. I tuoi occhi ne sarebbero quindi una conferma.»

«I miei occhi?»

«Non hai più i kanji,» gli spiegò Kyojuro, mostrandosi a sua volta sorpreso, come se si fosse reso conto in quel momento del dettaglio appena indicato dall'altro Pilastro.

Akaza si guardò attorno alla ricerca di una qualsiasi superficie riflettente. Non era un dettaglio importante e credeva alle parole di Kyojuro ma… aveva quei kanji nei suoi occhi da secoli.

Erano il simbolo del suo legame con Muzan, e anche se era certo di averlo spezzato, gli sembrava quasi assurdo non avere più i kanji che lo classificavano come la Terza Luna Crescente.

«Non hai idea di come sei riuscito a sconfiggere la maledizione? Potrebbero farlo anche altri demoni?» domandò il Pilastro dell’Amore.

Akaza, distolto dalla sua ricerca, esitò un momento prima di rispondere. Aveva già detto di non avere memoria, ma il suo corpo ricordava qualcosa.

Un abbraccio e delle parole di incoraggiamento, e il suo desiderio di proteggere Koyuki e Kyojuro.

Abbassò lo sguardo sulla bambina che, grazie alla calma della stanza, si era finalmente riaddormentata.

Lei e Kyojuro erano l’unica ragione. Erano la sua famiglia.

«Comprendo,» commentò Shinobu, senza attendere una risposta o forse riuscendo a intuirla. «Per quanto riguarda le cicatrici e i segni dorati? Immagino siano un altro effetto o il risultato del fatto che la maledizione sia stata spezzata.»

Il demone rialzò lo sguardo, mostrandosi apertamente confuso per la seconda volta in neanche due minuti.

«Cicatrici? Segni?»

«Quando hai smesso di venire attaccato dalle… braccia di Muzan,» iniziò Kyojuro. «Hai iniziato a cercare di rigenerarti, e ogni ferita sì è cicatrizzata riempiendosi d'oro…» 

Neanche il Pilastro della Fiamma sembrava certo di quello che gli stava spiegando, e Akaza, sostenendo la bambina con un solo braccio, alzò l'altro per osservare la sua pelle.

Al suo risveglio non aveva pensato al suo aspetto, né si era reso conto di quel dettaglio perché tutte le sue attenzioni erano state per Kyojuro e Koyuki, ma in quel momento non poteva più ignorarlo: c'erano dei segni dorati sul suo avambraccio.

Tre linee abbracciavano il suo avambraccio e, ad ogni singolo movimento, sembravano quasi brillare d’oro attraverso la luce all’interno della stanza. Non erano gli unici, infatti il suo sguardo cadde per un momento su delle piccole cicatrici sulle nocche e sul dorso della mani. Erano segni di piccole ferite, sparsi ovunque sulla sua pelle.

Aprì bocca, quasi affascinato, e riportò le sue attenzioni sulle tre linee d’oro che spezzavano quelle blu notte del suo corpo.

Le conosceva e, inconsciamente, sapeva che avrebbe visto quegli stessi segni - no, tatuaggi - anche sul braccio con il quale stava sostenendo Koyuki.

Sapeva, in qualche modo, che nella sua schiena ci sarebbero state delle cicatrici dorate.

Non sapeva perché fossero apparse, ma ne conosceva la provenienza: erano tutti segni appartenenti ad Hakuji.

«Sembra che anche tu sia sorpreso,» commentò il Pilastro degli Insetti. «Prima ricoprivano il tuo intero corpo e non sembravano avere una logica. Ma quando il tuo corpo si è stabilizzato, sono apparsi questi ultimi segni e si sono fatti più visibili.»

«Non so perché siano apparsi,» ammise il demone, rigirando il braccio e osservando il lieve riflesso generato da quei marchi. «Ma… conosco questi segni.»

«Che cosa rappresentano?»

«Una promessa,» realizzò. Era una frase sciocca, e priva di senso, ma per Akaza - per Hakuji - era importante.

I presenti nella stanza si mostrarono un po’ confusi per la sua affermazione ma Shinobu sembrò non voler perdere tempo.

«Prenderò anche queste informazioni come vere, e mi aspetto di poter fare con te un’altra chiacchierata se Oyakata-sama ti permetterà di vivere,» commentò Shinobu con tono fintamente leggero. «Ora, temo di dovermi mettere in marcia per il Quartier Generale,» aggiunse, lanciando un'occhiata verso la finestra - nonostante le imposte chiuse e protette dalle pesanti tende era chiaro che il sole fosse ormai sorto.

Akaza non poté negare un altro lieve brivido di sorpresa nel rendersi conto di come si era evoluta quella situazione.

Era stato per lo più calmo nel rispondere alle domande che il Pilastro degli Insetti gli aveva posto… ed era andata bene.

Sapeva che non sarebbe sempre stato così fortunato, ma era davvero strano rendersi conto di dover collaborare con chi aveva sempre ucciso.

«Immagino che dirvi di riposare sia inutile. Cercate comunque di non agitarvi troppo, soprattutto tu Kamado-kun,» proseguì la giovane donna, rivolgendosi alle altre persone presenti.

«Sì!»

A quel punto, il Pilastro degli Insetti lasciò la stanza, e Akaza non poté fare a meno di sentirsi leggermente a disagio nonostante la fine dell'interrogatorio.

L'aver risposto a quelle domande lo aveva aiutato, in parte, a non pensare all'immediato futuro, ma in quel momento non poteva continuare a ignorarlo. Anche se Amane aveva detto che era probabile che Ubuyashiki avrebbe accettato la situazione, non vi era ancora una risposta certa e Akaza non voleva attendere… doveva sapere.

«Kyojuro…» mormorò infatti, guardando il Pilastro con un'espressione risoluta. «Voglio andare ora alla riunione.»

Kyojuro sobbalzò.

«Il sole è ormai sorto, Akaza!»

«Sarebbe una follia!» aggiunse il Pilastro dell'Amore.

Il demone strinse le labbra.

«Ci sono tanti modi per muoversi anche alla luce del sole!» ribatté.

«Quanti ne hai provati?» ritorse Kyojuro.

«Nessuno, ma…»

«Non intendo fare esperimenti allora!» decretò il Pilastro della Fiamma.

«Con Nezuko riusciamo a spostarci alla luce del sole…» pigolò il ragazzino con gli orecchini con gli hanafuda, attirando su di sé gli sguardi dei presenti.

«Questo è vero…» assentì Mitsuri.

«Lei ora sta dormendo! Posso… posso prestarti la scatola, Rengoku-san!»

«Scatola? E chi è Nezuko?» domandò Akaza.

«È il demone del quale ti ho parlato in passato,» rispose Kyojuro con un sorriso nervoso. «Sai… desideravo chiedertelo da tempo.»

«Cosa?»

Il Pilastro dell'Amore ridacchiò senza senso e si tappò le labbra con le mani.

«Riesci a mutare aspetto?»

Akaza aggrottò le sopracciglia ma annuì. Era un'abilità che tutti i demoni possedevano, anche se lui non era solito utilizzarla.

«Nezuko, per viaggiare con il fratello alla luce del sole, utilizza una scatola,» spiegò il Pilastro della Fiamma. «E per entrare nella scatola si trasforma in una bambina piccola.»

Il demone lo fissò sorpreso e sentì un improvviso calore salirgli in viso.

«E tu desideravi da tempo di chiedermelo!?»

Kyojuro annuì, mostrandosi a sua volta imbarazzato.

«A volte fantasticavo su come sarebbe stato averti come alleato. E pensavo che sarebbe stato comodo spostarci alla luce del sole come fanno Kamado e sua sorella.»

Quell'affermazione, sincera e priva di malizia, non fece altro se non accrescere l'imbarazzo di Akaza. Kyojuro aveva davvero pensato a quelle cose?

Quel pensiero lo faceva fremere di gioia e di altre emozioni che non era certo di riconoscere, ma in quel momento niente di tutto quello era importante. Per quanto umiliante potesse apparire quella richiesta, pur di assicurarsi che Kyojuro restasse in vita e che non facesse inutili sacrifici, lui lo avrebbe accettato di umiliarsi in quel modo.

«D'accordo,» mormorò distogliendo lo sguardo. «Lo farò, solo per te Kyojuro.»

Il Pilastro della Fiamma, nonostante la situazione non fosse delle più rosee, si illuminò con un ampio sorriso.

«Almeno se le cose dovessero andare male potrò dire di averti visto in miniatura!»

«Rengoku-san! Smettila di fare lo sciocco!» esclamò Mitsuri e per quanto Akaza fosse sinceramente imbarazzato e teso per la situazione, non poté non darle ragione.

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Capitolo 14
*** 14. We're getting out of here together ***


As Soothing As Snow

Capitolo 14
We're getting out of here together


»--•--«


Il sole era già alto nel cielo quando finalmente Kyojuro e Mitsuri riuscirono a lasciare la Casa delle Farfalle. Shinobu li aveva ampiamente preceduti, e per quanto l’intenzione fosse stata sin dall’inizio quella di partire subito, alla fine Rengoku aveva dovuto attendere le medicazioni alle quali si doveva sottoporre Kanroji.

Aveva cercato di convincerla a riposarsi - la ferita riportata contro la Sesta Luna Crescente non era grave ma il suo corpo aveva ugualmente bisogno di riposo -, ma il Pilastro dell’Amore era stato irremovibile: doveva essere presente per aiutarlo, altrimenti non si sarebbe mai perdonata.

Kanzaki, nonostante il nervosismo per la presenza di un demone, si era occupata di Mitsuri e quando le medicazioni erano state ultimate, Akaza aveva preso posto all’interno della scatola di Nezuko e con un “Buona fortuna, Rengoku-san!” urlato a gran voce da Kamado, Kyojuro si era messo in marcia verso il Quartier Generale.

Era stata una mattinata movimentata - in realtà gli sembrava di non avere pace da ben più di ventiquattr’ore, visto che tutto era iniziato quando Akaza era scappato da casa sua -, e solo in quel momento Rengoku si rendeva realmente conto di quanto ogni avvenimento si fosse susseguito quasi senza lasciargli pace o attimo per ragionare.

Avrebbe fatto di tutto pur di potersi fermare e allontanare la crescente oppressione al petto.

Deglutì quasi senza rendersene conto, e accarezzò con le dita le cinghie di cuoio della scatola che pesava sulle sue spalle. Era liscio al tatto e il peso della scatola non poteva non essere strano per Kyojuro. Non era abituato a viaggiare in quel modo e, inconsciamente, temeva che Akaza fosse scomodo o che si sentisse in trappola.

D’altro canto il demone era rinchiuso tra quelle quattro pareti, stavano andando verso il Quartier Generale degli Ammazza Demoni e si trovavano sotto il sole… sotto ogni punto di vista quel viaggio sembrava una condanna a morte.

Rengoku si irrigidì ancora, trovando quasi impossibile mantenere il contatto con la realtà e con quel pizzico di speranza che stava inseguendo. Strinse le labbra, e tentò di indossare il suo solito sorriso per pensare almeno al presente e non al futuro incerto che li attendeva.

«Tutto apposto la dentro?» domandò, portando una mano alle sue spalle per toccare la base inferiore della scatola.

«Kyojuro… non lo farò mai più. È un’agonia…» si lamentò Akaza, e il Pilastro della Fiamma nonostante tutto non poté non scoppiare a ridere per il tono che il demone aveva utilizzato.

La situazione non era realmente divertente, ma ridendo in quel modo Rengoku sperò di riuscire a coprire le sue paure e le incertezze… ma nulla riuscì a impedirgli di realizzare ancora una volta che quelli sarebbero potuti essere gli ultimi momenti che avrebbe potuto passare in compagnia di Akaza. E voleva più di ogni altra cosa che fossero almeno positivi.

“Non pensarci!” esclamò nella sua mente.

Doveva allontanare quei pensieri e mostrarsi sicuro delle loro possibilità. Doveva farlo non solo per incoraggiare Akaza, ma anche per non cadere lui stesso nell’abisso che si stava aprendo sotto i suoi piedi.

Gli sembrava però impossibile, perché i suoi pensieri sembravano non volergli dare pace.

Cosa sarebbe successo se la situazione non si fosse evoluta in modo favorevole? Se quella piccola speranza si fosse spenta?

Rengoku voleva convincersi che il Capofamiglia si sarebbe rivelato accondiscendente nei loro confronti, che si sarebbe mostrato disposto a dare al demone una seconda opportunità, ma al tempo stesso il Pilastro non poteva non pensare ad un futuro dove Akaza non fosse più stato presente.

Sentiva il petto congelarsi al solo pensiero, seguito dal bisogno di rifiutare totalmente quell’ipotesi, ma Kyojuro doveva essere realistico. Era possibile che Ubuyashiki non si mostrasse clemente. Avrebbe potuto decretare la morte di Akaza e… che cosa sarebbe successo?

Akaza si sarebbe difeso, facendo una strage, o… avrebbe accettato la condanna così come aveva cercato di uccidersi?

Kyojuro iniziò a respirare quasi più affannosamente e si costrinse a trattenere il respiro pur di ritrovare il controllo.

Sapeva già la risposta a quei quesiti in realtà, perché Akaza non aveva fatto altro se non ricordargli ciò che lui non avrebbe mai potuto dimenticare: Koyuki doveva essere la sua unica priorità.

Se non ci fosse stato nessun modo di salvare Akaza - e il solo pensiero nauseava Rengoku -, allora entrambi avrebbero dovuto pensare al bene della bambina.

Lo scenario che gli si stava presentando davanti era chiaro. Per non doversi tagliare la gola, ed espiare in quel modo il suo tradimento, Kyojuro avrebbe potuto richiedere la clemenza del Capofamiglia, rinunciare al titolo di Pilastro e ritirarsi del tutto dalle scene, nascondendosi come un reietto.

Il pensiero gli faceva stringere lo stomaco, ma dall'altra parte Rengoku sapeva di aver già gettato troppa ombra e disonore sulla sua famiglia per continuare a portare con orgoglio l'haori dei precedenti Pilastri della Fiamma.

Gli venne spontaneo cercare con lo sguardo Koyuki, che in quel momento dormiva felicemente addormentata tra le braccia di Kanroji.

Per quella bambina - per sua figlia - era davvero pronto a tutto. Era disposto anche a rinunciare alla vita che aveva sognato sin da bambino. Gli sembrava impossibile, quasi un incubo, ma al tempo stesso appariva quasi accettabile perché aveva qualcuno da proteggere ad ogni costo.

Il problema, se così si poteva definire, era che Kyojuro non poteva fare a meno di includere anche Akaza tra le persone che desiderava proteggere. Faceva parte della famiglia, in qualche modo, e non voleva né poteva accettare di crescere Koyuki senza il demone.

Fece un’altra smorfia, e ancora una volta cercò di allontanare quei pensieri che, probabilmente, non lo avrebbero portato da nessuna parte.

«Rengoku-san? Va tutto bene?» domandò Mitsuri, probabilmente notando il suo crescente disagio.

Il Pilastro dell’Amore non stava facendo nulla per nascondere la propria preoccupazione, e Kyojuro, per puro istinto, si sforzò di nuovo di sorridere per cercare di risponderle nel modo più convincente possibile.

«Certo, va tutto bene!»

«Kyojuro.»

La voce di Akaza da dentro la scatola giunse alle loro orecchie bassa e nervosa, e per Rengoku fu facile interpretarla come un: “Non sai mentire.”

Era assurdo come al demone ormai bastasse solamente sentire la sua voce per rendersi conto delle sue bugie - o meglio: dei suoi tentativi di celare la verità.

Sospirò. Il Pilastro della Fiamma non poteva nascondersi, ed era anche stupido cercare di non mostrarsi preoccupato... ci aveva provato, ma aveva fatto un pessimo lavoro.

«D'accordo… so benissimo che non va tutto bene,» si trovò costretto ad ammettere. «Stavo pensando… al futuro

«Andrà tutto bene! Ne sono certa!» esclamò subito Mitsuri per incoraggiarlo. «Oyakata-sama è un uomo buono! E non è la prima volta che perdona chi si è macchiato di omicidio!»

Kyojuro arricciò il naso, afferrando senza alcun problema l'allusione di Kanroji.

«Comprendo le tue intenzioni, ma Akaza è un demone. Uzui invece si trovava in una situazione complicata. Era stato costretto dalla sua stessa famiglia a compiere quegli atti,» le fece presente Rengoku.

Anche se non ne parlavano apertamente, tutti erano a conoscenza di quello che aveva spinto il Pilastro del Suono ad abbandonare il suo clan e la sua famiglia. Tengen era ancora braccato da quei ricordi e dal peso delle sue azioni. Erano degli incubi che difficilmente lo avrebbero abbandonato… ma paragonarlo ad Akaza? No, non era possibile.

Kanroji si imbronciò, ma non sembrò voler desistere.

«Lo so, ma…» per un momento Mitsuri sembrò tentata dal voler controbattere, ma alla fine non riuscì a parlare.

Potevano aggrapparsi entrambi a giustificazioni come ‘è stato Kibutsuji Muzan a costringerlo’ ma al tempo stesso sapevano che quella era e sarebbe rimasta solo una mezza verità. Akaza non poteva essere giustificato per ciò che aveva fatto in passato. 

«Almeno… cerca di credere che possa andare tutto bene,» riprese Kanroji con tono accorato. «Voglio credere che andrà tutto bene, per entrambi! Sono certa che anche Koyuki-chan voglia la stessa cosa, quindi… non perdere la speranza. Io sono con te, anzi: sono con voi!»

Le guance di Mitsuri si erano colorate gradualmente di rosso, e Kyojuro cercò di rivolgerle un altro sorriso, grato per il coraggio e la fiducia della giovane donna.

Il Pilastro dell'Amore aveva sempre avuto il cuore nel posto giusto. Forse poteva apparire ingenua, ma era tra le persone più buone che Rengoku avesse mai avuto l'onore di conoscere, ed era davvero felice e sollevato all'idea di averla come alleata in quella battaglia.

Abbassò di nuovo lo sguardo sul viso della bambina addormentata, e a quel punto Kyojuro si fece un po' più serio.

«Lo faccio per lei,» disse, sentendo subito un mugugno di affermazione da parte di Akaza, che sembrava ben deciso a ricordargli di dover sempre e solo pensare a Koyuki e a nessun’altro.

Proseguirono tra brevi chiacchiere la strada che li separava dalla Casa degli Ubuyashiki, e il tragitto si rivelò fortunatamente privo di sorprese o imprevisti. Infatti i due Pilastri riuscirono a raggiungere il Quartier Generale in meno di due ore - non potevano permettersi di andare più velocemente con una bambina.

Koyuki si era svegliata nel mentre, e Kanroji aveva fatto del suo meglio per riuscire a tenerla calma, ma si rivelò sin da subito un compito alquanto difficile da compiere in viaggio, perché la bambina era affamata e, soprattutto, aveva bisogno di essere cambiata.

Forse fu proprio il doversi prendere cura di Koyuki a permettere a Kyojuro, una volta all'interno della dimora degli Ubuyashiki, di trovare una sorta di equilibrio mentale che per un momento aveva rischiato di perdere con l'ingresso nella proprietà.

Sapeva che tutti gli altri Pilastri si trovavano già lì presenti, a discutere di ciò che lui aveva fatto e di come comportarsi con Akaza. Probabilmente lo avevano già giudicato colpevole - non avrebbe mentito: avrebbe fatto lo stesso se ci fosse stato qualcun’altro al suo posto -, e in qualche modo Rengoku sentiva di voler evitare il più possibile quell'incontro.

Con Koyuki in braccio, Kyojuro aveva consegnato a Mitsuri l'hanyuu bin e il latte in formula, con la richiesta di prepararlo nelle cucine mentre lui si sarebbe invece occupato di cambiarla in uno dei bagni.

Rengoku conosceva ormai bene la Casa degli Ubuyashiki, e per quel motivo non fu difficile per lui raggiungere la sua meta senza fare incontri.

Il bagno che aveva scelto come rifugio, si trovava sul lato ovest della casa, ed era dotato di un sistema idrico interno tipico della cultura occidentale. Per quanto gli Ubuyashiki fossero estremamente legati alla tradizione, avevano iniziato a dotare la loro dimora di ‘piccoli accorgimenti occidentali’ sin dall’epoca Meiji. Erano delle comodità che si erano rivelate quasi necessarie per poter agevolare la vita dei Capifamiglia, soprattutto per le fasi finali della loro malattia.

Kyojuro era sempre stato incuriosito dalle ‘scoperte moderne’, ma in quel momento non si soffermò troppo a lungo a osservare i dettagli. Tirò infatti le tende dell’unica finestra, e solo dopo essersi assicurato che non entrasse luce solare - per fortuna erano nel lato ovest della casa -, posò per terra la scatola per permettere ad Akaza di uscire.

La porticina in legno si aprì con un lieve cigolio e, con fare circospetto, il demone mosse i primi passi all’interno della stanza.

Era davvero piccolo, pensò subito Rengoku, osservando il corpo rimpicciolito ma familiare di Akaza.

Gli occhi del demone sembravano quasi giganti sul suo volto minuto, e le ciglia sembravano addirittura più folte del solito. La sua stessa muscolatura si era adattata a quella nuova forma, cancellando ogni traccia di muscoli per lasciar spazio a delle forme più delicate e morbide.

Sembrava un bambino, un po’ come quando era Nezuko ad assumere quella forma, e Kyojuro lo aveva pensato anche prima di lasciare la Casa delle Farfalle, e non poté fare a meno di pensarlo anche in quel momento: Akaza era carino.

Anche nella sua forma adulta il demone aveva dei tratti delicati e giovani, ma in quelle condizioni era quasi adorabile.

Rengoku tenne per sé quelle considerazioni, ma tentò di imprimere nella sua mente il più possibile quell'aspetto, conscio che Akaza non avrebbe più accettato di viaggiare in quel modo.

“Sempre se ci sarà modo di viaggiare di nuovo insieme,” gli suggerì maligna una vocina e Kyojuro, seppur nauseato da quel pensiero, tentò di concentrarsi di nuovo su Akaza che si era spostato dalla scatola reggendosi i pantaloni con entrambe le mani.

Addosso aveva i suoi soliti abiti - la piccola veste rosa e i pantaloni larghi color panna -, ed era stata una sorpresa sia per Rengoku che per Kanroji scoprire che quegli indumenti erano una sorta di prolungamento del corpo del demone. Akaza non ne conosceva l'esatto funzionamento - o almeno così aveva detto -, ma aveva spiegato di essere sempre stato in grado di rigenerare i suoi vestiti con un po' di concentrazione.

Koyuki riprese a piangere, forse contrariata dal silenzio e dalla tensione che si stava venendo a creare, e Akaza senza parlare riprese subito la sua forma adulta. Kyojuro doveva ammettere che era quasi rassicurante rivederlo con quell'aspetto così familiare, dove le uniche note fuori posto - ma non per quello meno piacevoli o affascinanti - erano le cicatrici e i segni dorati che erano rimasti sul corpo di Akaza anche dopo essersi ripreso dalla maledizione di Muzan.

Aprì bocca, ma si rese conto di non sapere esattamente che cosa dirgli o chiedergli. In realtà aveva una miriade di domande per la testa e altrettanti pensieri che voleva condividere con il demone, ma in quel momento nulla gli sembrò realmente importante.

«… Kanroji sta scaldando il latte nelle cucine,» commentò alla fine il Pilastro della Fiamma, cullando la bambina.

Akaza annuì restando ancora in silenzio poi si avvicinò a lui. La sua espressione seria si addolcì nel guardare la bambina e Kyojuro non poté non restare quasi affascinato dagli occhi, ormai privi di kanji, del demone.

"Non sono solo gialli," si rese conto Rengoku nell'osservarli più da vicino. Senza quei marchi era possibile vedere diverse sfumature nelle iridi di Akaza, come l'arancione e l'ambra. Erano colori caldi e piacevoli, in contrasto con la sclera fredda e blu e la pelle pallida.

«Me ne occupo io?» domandò il demone, lanciandogli una breve occhiata e riscuotendo Kyojuro dai suoi pensieri. Il Pilastro lesse numerose implicazioni in quella semplice richiesta che, normalmente, Akaza non avrebbe mai fatto.

In genere, durante le visite del demone, era Akaza a occuparsi di cambiare la bambina e quello era diventato una sorta di muto accordo tra loro due. Tuttavia, il fatto di essere in quel luogo, con una sentenza che gravava sul collo di entrambi, sembrava averlo reso quasi più insicuro.

«Sei più bravo di me, no?» rispose Rengoku, cercando istintivamente di alleggerire la tensione.

Akaza sorrise quasi sollevato, e dopo aver preso la sacca con la roba di ricambio per Koyuki che Kyojuro si era portato dietro, poté mettersi a lavoro per lavarla e cambiarla.

Si muoveva con la sua solita sicurezza e Rengoku non poté non trovare rassicurante il vederlo compiere quei gesti che erano ormai diventati familiari per entrambi.

Koyuki si mostrò a sua volta soddisfatta dal trattamento, infatti iniziò subito a parlottare, continuando a rivolgersi al demone chiamandolo Papa.

Kyojuro non poteva negarlo: era stata una sorpresa sentirla pronunciare quella parola.

Da qualche tempo a quella parte Senjuro aveva iniziato a cercare di insegnare alla bambina dei suoni e delle parole, e spesso suo fratello aveva indicato proprio Kyojuro utilizzando quel termine.

Aspettava da settimane quel momento, e anche se era stato Akaza il destinatario di quella parola, Rengoku non si sentiva né offeso né tanto meno deluso. Al contrario lo aveva trovato emozionante.

La nausea, tuttavia, lo fece di nuovo irrigidire.

Sarebbe stato bello se quel momento di intimità con Koyuki - la sua prima vera parola, il fatto che avesse riconosciuto uno dei due come una figura genitoriale - fosse avvenuto in un altro momento. Mentre erano da soli nella sua camera, a giocare con la bambina e a chiacchierare… senza gli altri Pilastri ad osservarli e senza il timore che tutto quello potesse finire.

«Kyojuro, smettila di pensare così tanto,» commentò Akaza, senza però distogliere lo sguardo dalla bambina.

«Perdonami se sono preoccupato,» si lamentò.

«Non preoccupparti,» rispose il demone. «Se tu e Koyuki siete al sicuro, allora posso accettare tutto.»

«Non ti si addice la parte dell'eroe tragico!»

Akaza alzò finalmente gli occhi su di lui.

«Cosa vuoi che ti dica? Che sono pronto a uccidere tutti qui dentro? A rapire te e la bambina pur di vivere con voi?» domandò con un sorriso quasi maligno. «Ne sarei capace, nessuno potrebbe fermarmi. Questo lo sai benissimo.»

«Non intendevo questo!» ribatté Rengoku rabbrividendo. Non dubitava delle parole di Akaza, ed era certo che se solo il demone avesse voluto nessuno lì sarebbe uscito vivo… e in qualche modo sapeva di essere lui ad avere il potere di fargli compiere o meno una strage.

Il suo stomaco si strinse al solo pensiero.

«Kyojuro, ho fatto le mie scelte. Ho ottenuto una seconda possibilità, e intendo usarla per tenere in vita te e Koyuki,» riprese serio il demone, e il Pilastro si passò una mano sul viso.

«Vorrei che questo tuo piano di sopravvivenza comprendesse anche te stesso,» commentò esasperato.

Akaza non rispose, preferendo invece rimanere in silenzio per continuare ad occuparsi di Koyuki. Kyojuro osservò a sua volta la bambina, senza riuscire a riprendere la parola perché, nonostante l’assurda voglia di esprimere tutti i suoi sentimenti e le paure, temeva che qualsiasi frase si sarebbe potuta trasformare in un addio.

Sospirò ancora una volta, e seguì con lo sguardo il demone sollevare per aria Koyuki non appena terminò di cambiarla. La bambina iniziò a ridere e Akaza le rivolse a sua volta un piccolo sorriso - era sincero, ma Rengoku notò subito un'ombra di tristezza.

«Papa! Papa!»

«Se io sono Papa, allora Kyojuro chi è, Koyuki? Mama?» domandò il demone fingendosi pensieroso.

Il Pilastro, nonostante la situazione, non riuscì a trattenersi dall'emetterre un verso quasi scandalizzato.

«No!»

«Ma-ma!» sillabò Akaza diretto alla bambina che lo stava guardando con la bocca aperta, forse cercando di comprendere che cosa le stava venendo detto.

«Akaza! Non voglio che mi chiami Mama!»

«Papa!» esclamò invece Koyuki, ignorando entrambi.

Akaza ridacchiò e la riattirò al petto per abbracciarla, rivolgendo poi al Pilastro un sorrisetto compiaciuto e malizioso.

«Valeva la pena tentarci,» decretò e Kyojuro, forse complice quello scambio di battute così familiare tra lui e il demone, non poté non scoppiare a ridere.

Trovò liberatorio concedersi quella risata, ma sfortunatamente il suo cuore non riuscì realmente a reggere quella leggerezza, e presto il suo petto non venne più scosso dalle risate ma da dei singhiozzi. Si portò la mano alla bocca cercando di placare quel suono, e la vista si appannò a causa delle lacrime sempre più copiose.

Perché doveva temere così tanto per la sua felicità? Non gli era concesso essere felice almeno una volta nella sua vita?

«Ehi… Kyojuro…» Akaza lo aveva subito affiancato e aveva iniziato ad accarezzargli la schiena con lenti movimenti circolari.

Rengoku non lo scostò né tentò di fermarlo.

«Akaza... dobbiamo uscire da qui insieme,» mormorò, cercando di placare quel pianto che gli sembrò via via sempre più isterico e nervoso che di tristezza.

Comprendeva appieno le implicazioni della sua affermazione, ed era certo che anche Akaza, in qualche modo, le avesse intuite. Non avrebbe mai avuto il coraggio di pronunciarle apertamente, perché era ancora così complicato venire a patti con quella situazione… ma non voleva rinunciare alla sua felicità.

Il suo intero mondo si trovava rinchiuso in quel bagno, e non voleva perderlo.

«Rengoku-san! Posso entrare? Ho portato il latte per Koyuki-chan!»

La voce allegra di Kanroji spezzò fortunatamente quel momento, e Kyojuro, asciugando il viso con la manica della divisa, cercò di rendersi di nuovo presentabile.

«Sì, entra pure,» disse.

La porta venne fatta scorrere di lato e Mitsuri, con in mano l’honyuu bin, si insinuò all’interno del bagno. Richiuse lo fusuma alle sue spalle e, con le labbra tirate in un sorriso nervoso, si rivolse direttamente ad Akaza.

Era chiara la tensione della giovane donna nei confronti del demone, notò ancora una volta Kyojuro, ma era altrettanto palese la necessità di Kanroji di mostrarsi una loro alleata e non una nemica. Infatti Mitsuri 

 ad Akaza che, accettandolo, borbottò un ringraziamento.

Il demone sistemò meglio la bambina tra le proprie braccia, e affamata Koyuki si avventò subito sul beccuccio della bottiglia non appena fu vicino alla sua bocca.

«Va tutto bene?» chiese Kanroji, con tono apprensivo, notando ovviamente l’occhio arrossato di Rengoku.

«Spero… spero vada meglio,» ammise il Pilastro della Fiamma, incapace di nascondere il suo malessere.

Mitsuri annuì.

«Ci sono tutti, tranne Uzui-san per ovvie ragioni, e credo che Shinobu-chan abbia già raccontato quanto è successo,» spiegò.

«Immagino però di dover raccontare anche la mia versione di tutta la storia…» commentò Kyojuro, togliendosi la benda dall’occhio per potersi lavare il viso e scacciare via le ultime tracce delle lacrime.

«Sì, e racconterò anche io quello che ho visto e sentito questa notte!» aggiunse Mitsuri con decisione.

Rengoku chiuse l’occhio e annuì.

La loro migliore linea difensiva si basava soprattutto sulle informazioni che Akaza aveva dato su Muzan e sulle altre Lune Crescenti. Certo, avere Kanroji e Kocho come testimoni era utile, ma… sarebbe bastato?

Kyojuro prese un profondo respiro.

Giunti a quel punto non si poteva più tornare indietro.

Riaprì l’occhio con un’espressione più risoluta e sbatte con forza i palmi delle mani sulle guance. Il rumore di quello schiaffo riempì il bagno, e con il viso che pizzicava in modo sia fastidioso che piacevole, Rengoku si voltò di nuovo verso Akaza, che lo stava fissando con un’espressione seria e quasi indecifrabile.

Il Pilastro cercò di rivolgergli un sorriso più fiducioso e, indossando di nuovo la benda, si disse di dover affrontare a testa alta anche quella missione, come aveva sempre fatto. Non era da lui tirarsi indietro, né lasciarsi abbattere, soprattutto in quel momento nel quale aveva troppo da perdere.

«Sono pronto!» dichiarò.

«Sei sicuro?» gli chiese Akaza.

«Devo,» assentì il Pilastro e il demone inclinò il capo per guardare la bambina.

«Kyojuro. Ne usciamo da qui insieme, lo hai detto tu.»



..••°°°°••..



Akaza si lasciò guidare da Kyojuro e Mitsuri lungo il corridoio del Quartier Generale degli Ammazza Demoni, la dimora degli Ubuyashiki.

Era strano trovarsi in un luogo che Muzan aveva cercato per secoli, e per quanto potesse apparire come speciale e importante, il demone non poté non pensare a quanto quella casa fosse… normale.

Era sicuramente ricca ed elegante, ma non sembrava essere in grado di trasmettere imponenza o pericolo. I pannelli scorrevoli dei fusuma erano dipinti con motivi floreali o con animali, e l'aria profumava di frutta fresca e fiori - non di glicine, però. Il legno del pavimento era pulito e scricchiolava solo leggermente sotto i loro passi.

Era l’esatto contrario del Castello dell’Infinito, la cui struttura labirintica svolgeva il compito di opprimere chi veniva convocato al suo interno.

Quella casa invece gli sembrava accogliente e calda, non minacciosa.

Ciononostante, quella sensazione di pace non sembrava essere abbastanza forte da permettergli di scacciare del tutto l’apprensione e la tensione. Sapeva a cosa stava andando incontro ma, al tempo stesso, gli sembrava di essere sul punto di affrontare l’ignoto.

Poteva chiaramente avvertire gli spiriti combattivi degli altri Pilastri e la loro ostilità, e sentiva in modo altrettanto intenso il suo istinto scalciare e fremere all’idea di trovarsi davanti a dei guerrieri così forti… ma al tempo stesso ne era anche vagamente nauseato.

Non comprendeva ciò che stava passando per la sua testa, ma era certo che il timore per la sorte di Kyojuro fosse molto più forte di qualsiasi suo altro desiderio.

Molto più importante del fermarsi a pensare alle conseguenze di quelle ultime ventiquattr'ore.

Trovarono due bambine - probabilmente gemelle e figlie di Amane e di Ubuyashiki vista da forte somiglianza tra di loro e con la moglie del Capofamiglia - ad attenderli davanti ad una porta scorrevole.

Indossavano dei kimono dalla fantasia floreale color lavanda, e in viso avevano un’espressione rilassata e calma, come se non fossero minimamente preoccupate per presenza di un demone nella loro casa.

Erano strane come Amane, considerò Akaza, senza però curarsi troppo del loro atteggiamento o dell’aspetto. Perché al di là del fusuma poteva sentire con molta più chiarezza sia la voce del Pilastro Rumoroso che la presenza degli altri Pilastri.

Erano separati solo da quella semplice e debole porta scorrevole.

Strinse le labbra e sostenne con più sicurezza Koyuki al petto - si era rifiutato di lasciarla a Kyojuro, un po' perché la bambina lo aiutava a mantenere la calma e un po' perché sentiva il bisogno di proteggerla da quelle persone che per lui erano degli estranei oltre che dei nemici.

«Kuina-sama, Kanata-sama,» le salutò Kyojuro con un inchino, venendo subito imitato anche da Mitsuri.

Le due bambine risposero a loro volta con un inchino, composto ed educato.

«Oyakata-sama e gli altri Pilastri vi attendevano.»

Rengoku si raddrizzò ed annuì. Aveva in viso un’espressione risoluta e coraggiosa, ma Akaza poteva notare la tensione in tutti i suoi movimenti.

Le due bambine fecero scorrere il fusuma, annunciando al padre e ai Pilastri, chiusi all’interno di quell’ambiente, il loro arrivo.

La stanza era grande e illuminata da tante candele profumate. Su un lato vi erano i Pilastri, che si erano subito irrigiditi con il loro ingresso, e dall’altra, seduto su un futon, vi era invece un uomo dalla carnagione pallida affiancato da Amane.

Per quanto l’istinto suggerisse ad Akaza di guardare verso i Pilastri e i loro spiriti combattivi, lo sguardo del demone venne immancabilmente attratto dall’uomo. Sentì subito lo stomaco stringersi e il sangue gelarsi nelle sue vene, perché per un momento gli parve quasi di vedere il viso di Kibutsuji Muzan.

Fece istintivamente un passo indietro, permettendo a un momento di panico di paralizzare il suo corpo, ma gli bastò continuare ad osservare il viso di quell'uomo per rendersi conto che in nessun modo sarebbe potuto essere Muzan.

La somiglianza era tanta, ma i tratti seppur simili erano diversi.

L'uomo, in ogni caso, non aveva bisogno di presentazioni. Akaza sapeva di avere davanti il Kagaya Ubuyashiki, il generale a capo di tutti gli Ammazza Demoni… e, se proprio doveva essere sincero: non era quello l’aspetto che il demone aveva immaginato per una figura così di spicco e importante per gli Ammazza Demoni.

Quell’uomo era debole.

La pelle era pallida, e la parte superiore del viso sembrava sfregiata da delle piaghe che, a causa della luce delle candele, sembravano quasi più profonde.

Era cieco, notò inoltre Akaza, ma quello non aveva impedito a Kagaya di rivolgere il viso verso di loro, assumendo un’espressione accogliente e tranquilla.

Come poteva quell'uomo essere a capo degli Ammazza Demoni?, si chiese Akaza, sorpreso e confuso.

«Vi ringrazio per essere venuti così celermente,» li accolse Ubuyashiki con voce morbida e rilassata che, tuttavia, non sembrava essere in grado di nascondere il peso e la stanchezza che quel corpo stava provando.

Per quanto una parte di Akaza stesse ancora cercando di comprendere come quell'uomo potesse essere il capo degli Ammazza Demoni, dall'altra avvertì subito una sorta di malore nel suo animo.

Non lo credeva possibile, e onestamente gli sembrava anche sciocco, ma gli venne quasi spontaneo sovrapporre la figura debole di quell’uomo a quella di suo padre.

Sarebbe dovuto rimanere disteso, riposarsi e non affaticarsi, eppure restava seduto ad affrontare i suoi impegni con tutta la dignità che possedeva.

Fisicamente poteva essere debole, ma non nello spirito. Forse era per quello che era in grado di comandare gli Ammazza Demoni.

«Vi prego, accomodatevi,» continuò l’uomo, per poi fare le dovute presentazioni rivolgendosi direttamente ad Akaza. «Io sono Kagaya Ubuyashiki, il novantasettesimo leader dell’organizzazione degli Ammazza Demoni. So che hai già avuto modo di conoscere mia moglie, Amane Ubuyashiki, alla Casa delle Farfalle.»

Il demone annuì e si costrinse a dare poi voce alla sua risposta perché sapeva che quell’uomo, a causa della sua cecità, non lo avrebbe mai potuto vedere.

«Sì, l’ho conosciuta,» rispose. «Io… sono Akaza,» aggiunse poi.

Era strano come la voce di Ubuyashiki fosse riuscita a cancellare gran parte della tensione che Akaza aveva provato nell’entrare in quella stanza.

Non possedeva una presenza imponente né soffocante. Non ispirava sottomissione come Muzan, ma il demone riconosceva in lui una diversa forza e sentiva di doverlo rispettare anche se non si trattava di un guerriero - era in quei momenti che sentiva di comprendere cosa intendeva Kyojuro quando parlava di diversi tipi di forza.

«Kyojuro, Mitsuri, spero che il viaggio sia andato bene,» proseguì con calma Ubuyashiki.

«S-sì! Grazie Oyakata-sama!» esclamò il Pilastro dell’Amore, prendendo posto accanto a Shinobu.

Ubuyashiki tossì un poco e Amane, composta ed elegante accanto a lui, gli accarezzò con dolcezza la schiena. Era una scena familiare per Akaza, così simile alla vita che aveva vissuto come Hakuji da fargli quasi sentire la nausea per il fatto di non poter fare niente.

«Shinobu ci ha già raccontato quanto è accaduto alla Casa delle Farfalle, ma credo sia giusto chiedere anche a voi due di spiegarci gli avvenimenti che ci hanno portato a questa notte,» disse l’uomo, concedendosi poi una lunga pausa per riprendere fiato.

Era proprio necessario?, si chiese Akaza. Non voleva sottrarsi all’interrogatorio - e anche se avesse voluto sapeva che era comunque inevitabile -, ma stava rivolgendo quel pensiero ad Ubuyashiki, la cui salute era chiaramente corrotta da quella malattia.

Non doveva affaticarsi.

«Sì, Oyakata-sama,» rispose Kyojuro, rivolgendosi poi ad Akaza.

Il demone strinse le labbra, e solo dopo aver abbassato lo sguardo su Koyuki - che lo stava fissando a sua volta con i suoi grandi occhioni innocenti - si decise a parlare. Avrebbe potuto farlo il Pilastro, ma sapevano entrambi che era Akaza quello che doveva conquistarsi la fiducia.

«Mesi fa ho trovato questa bambina e l’ho portata da Kyojuro,» esordì.

«Trovata? O hai ucciso i suoi genitori?» si intromise subito il Pilastro Rumoroso, che sembrava quello più battagliero e pronto al combattimento.

Akaza si irrigidì, ma fu la voce calma di Ubuyashiki a placare subito le discussioni sul nascere.

«Sanemi, permetti ad Akaza di raccontare la sua storia. Le domande sono bene accette, ma ti chiedo di permettergli di parlare,» disse.

Il Pilastro storse il naso ma annuì.

«Chiedo perdono, Oyakata-sama…»

«Continua pure, Akaza,» lo incoraggiò Ubuyashiki, e il demone tentò di essere un po’ più dettagliato nel suo racconto.

Non era bravo a parole, preferiva sempre far valere di più i fatti, ma era chiaro che non sarebbe stato abbastanza.

«Ho trovato la bambina perché i suoi genitori erano stati uccisi da un altro demone,» spiegò. «La madre di Koyuki era una marechi, e questo ha attirato le attenzioni di un demone… io mi sono approcciato alla casa perché avevo sentito le urla di quella donna, ed ho cercato di salvarla.»

La sua affermazione generò una chiara ondata di stupore nei Pilastri e fu Mitsuri, che conosceva già in parte la storia, a chiedere ulteriori spiegazioni - stava cercando di aiutarlo, come aveva fatto sin da quando si trovavano alla Casa delle Farfalle.

«Perché volevi aiutarla?»

In passato, Akaza non sarebbe stato in grado di dare una risposta a quella domanda, ma in quell’istante aveva tutti i suoi ricordi e tutti quei quesiti senza risposta sembravano aver trovato il loro posto.

«Non ho mai ucciso nessuna donna sin da quando sono diventato un demone,» riprese. «Muzan mi ha… concesso questo privilegio, perché in nessun modo riuscivo anche solo a considerare di ferire una donna.»

«Impossibile,» commentò sprezzante un’altro Pilastro, con il viso nascosto da delle bende e un serpente albino arrotolato attorno al collo. «Perché non saresti riuscito ad uccidere le donne?»

«Perché in passato, quando ero ancora un umano, non ero riuscito a salvare… quella che sarebbe dovuta diventare mia moglie,» ammise con un po’ di difficoltà il demone.

Kyojuro sobbalzò accanto a lui. Akaza non aveva avuto modo di raccontargli quella storia - avrebbe voluto, ma non c’era stato il tempo e forse Akaza non era neanche certo che sarebbe riuscito per davvero a raccontare tutta la sua storia -, ma era comunque chiaro che fosse sorpreso da quell’affermazione tanto quanto gli altri Pilastri.

Il demone cercò comunque di ignorarli e di riprendere a parlare.

«Non ero presente quando è stata assassinata, e… anche se non avevo memoria del mio passato, ho sempre avuto l’istinto di proteggere le donne in difficoltà. Non ho mai ucciso né divorato donne. Neanche tra i ranghi degli Ammazza Demoni,» ripeté ancora cercando di dare più enfasi a quel dettaglio.

«Stronzate,» borbottò il Pilastro Rumoroso, Ubuyashiki invece annuì comprensivo.

«Diverse donne nei nostri ranghi hanno dichiarato in passato di essere state risparmiate da un demone dalla pelle marchiata da linee simili all’inchiostro,» commentò l’uomo. «In questo momento i racconti tramandati dai miei predecessori mi sembrano più chiari. Sei sempre stato tu, Akaza. Giusto?»

Akaza non poté non sentirsi vagamente imbarazzato da quelle parole e anche dal fatto di dover mettere a nudo le sue azioni più controverse, ma la presenza di Kyojuro accanto a lui continuava a essere un qualche modo rassicurante.

«Sì… ma sono comunque arrivato troppo tardi per salvare la madre di Koyuki,» riprese, guardando di nuovo la bambina. «Potevo però salvare la bambina, e conoscevo solo una persona così buona che si sarebbe sicuramente fatta carico di una nuova bocca da sfamare. Per questo l’ho portata da Kyojuro.»

«Perché proprio da Rengoku-san?» chiese un ragazzino con tono calmo. Era molto giovane e la sua presenza in quel luogo lo rendeva senza ombra di dubbio uno dei Pilastri. «Kocho-san ha detto che lo hai spiato mentre era ricoverato, e che hai continuato a farlo anche mentre era a casa sua,» proseguì il ragazzino.

«Ero incuriosito,» ammise Akaza, gli sermbrava una domanda sciocca ma si sforzò ugualmente di rispondere. «Non mi ero mai scontrato contro qualcuno come Kyojuro. Ai miei occhi lui era, ed è un guerriero quasi perfetto. Il suo spirito combattivo, il suo stile e la sua determinazione. L’unico passo che lo separava dalla perfezione era la sua umanità. Volevo che diventasse un demone e che combattesse ancora contro di me.»

«Quindi stavi attendendo che guarisse per scontrarti ancora con lui?» domandò Shinobu che, come Mitsuri, Akaza sapeva di dover considerare un’alleata.

«Esattamente,» rispose infatti. «Quello che stavo facendo però andava contro le regole di Muzan. Avevo l’ordine di uccidere tutti gli Ammazza Demoni, e invece ne stavo spiando uno… e quando gli ho portato Koyuki, la situazione è mutata ulteriormente.»

Si prese un altro momento prima di poter proseguire con il suo racconto.

«Portando Koyuki a Kyojuro avevo superato il confine imposto dalla mia natura e dagli ordini che mi erano stati impartiti… ma ogni notte è sempre stato più semplice continuare a varcare la porta della sua camera,» spiegò.

«E ammetto di essere sempre stato io il primo ad aprire quella porta,» aggiunse Kyojuro. «Inizialmente volevo delle risposte, ma con il tempo mi sono abituato alla sua presenza. E non ha mai agito in modo violento né mi ha mai fatto sentire realmente in pericolo… è stato facile abituarmi alla sua presenza.»

«È stato facile abituarsi a non essere trattato come un mostro…» mormorò Akaza con tono più basso, rendendosi conto di quanto fosse stato realmente semplice non solo ammettere quel dettaglio ma anche accettare quanto era accaduto.

«Che cosa è cambiato la scorsa notte?» domandò un altro Pilastro. Era il più imponente fisicamente e il demone lo riconobbe come un Respiratore della Roccia. In passato aveva affrontato diversi Ammazza Demoni capaci di utilizzare quel tipo di respirazione, e tutti erano caratterizzati dallo stesso spirito combattivo che sembrava essere inamovibile come una montagna.

«La morte di una Luna Crescente,» rispose prontamente Akaza. «In qualche modo, forse a causa di una punizione di Muzan diretta a tutti i demoni, ho recuperato i miei ricordi e… per nulla al mondo sarei potuto rimanere al fianco di quell’essere. Mi ero ripromesso di proteggere Koyuki e Kyojuro, e quando Muzan ha minacciato direttamente Kyojuro… ho agito di conseguenza. Ho tradito Muzan ed ho dato a Kyojuro tutte le informazioni che avevo a disposizione.»

«Sei disposto a fornirle anche a noi, Akaza?» chiese Ubuyashiki.

«Sì,» annuì Akaza, e con un po’ di nervosismo iniziò poi a ripetere a tutti i presenti ciò che aveva rivelato al Pilastro della Fiamma.

Parlò dei piani di Muzan, delle altre Lune Crescenti e anche di tutti gli altri dettagli che potevano sembrare all’apparenza senza senso o che si era dimenticato di aggiungere. ll nominare il Giglio Ragno Blu generò in Kagaya un lieve accenno di sorpresa, forse a causa del sogno che aveva fatto quella stessa notte.

Quando Akaza finì di parlare fu il Pilastro degli Insetti a prendere la parola.

«Sento di poter confermare alcune delle informazioni di Akaza riguardanti la Seconda Luna Crescente,» disse, condividendo anche con gli altri l’identità del demone che aveva ucciso la sorella.

«Ti ringrazio, Shinobu,» commentò Ubuyashiki. «E ringrazio anche te, Akaza, per averci dato tutte queste preziose informazioni. Intendo però farti qualche altra domanda. Credi che Kibutsuji Muzan sia al corrente del tuo tradimento?»

Akaza strinse le labbra. Era certo di aver spezzato il legame ma… Muzan cosa aveva avvertito?

«Credo ne sia al corrente,» rispose seppur incerto. «Ma potrebbe anche pensare che io sia morto… non so dirlo con certezza. Il legame si è spezzato, ed è come se non esistessi più per lui. La mia è solo un’ipotesi, ma potrebbe pensare che al posto di eseguire il suo ordine io abbia preferito uccidermi. Quindi sarebbe al corrente del mio tradimento, e credere che io sia morto perché la maledizione avrebbe dovuto uccidermi.»

«Quindi escludi che sappia delle informazioni che tu ci hai appena fornito?» domandò ancora Kagaya.

Il demone si prese un momento per pensarci, poi annuì.

«Non posso dirlo con certezza, ma penso di sì,» dichiarò poi a voce.

«Di conseguenza l’attacco al Villaggio degli Spadai avverrà in ogni caso,» concluse Ubuyashiki con tono grave.

«Muzan è… superbo. Crede nella superiorità dei demoni. Attaccherebbe il Villaggio anche se sapesse del mio tradimento,» aggiunse Akaza.

«Ti ringrazio, mi hai dato molto su cui pensare,» rispose Kagaya, e Akaza si trattenne a malapena dal ringraziarlo a sua volta per avergli permesso di parlare fino a quel momento.

Era chiaro che la maggior parte dei Pilastri lì fosse ostile, ma la calma di Ubuyashiki sembrava mettere un freno all’agitazione di tutti i presenti.

«Oyakata-sama! Cosa ne facciamo del demone?» fu la voce del Pilastro Rumoroso a spezzare però quell’apparente quiete.

Kyojuro e Akaza si tesero entrambi per quella domanda così diretta e che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di porre.

Si trovavano lì anche per quel motivo, per scoprire quale sarebbe stato il loro destino… ma inconsciamente Akaza aveva sperato di rimandare il più possibile la sentenza.

«Dovrebbe morire,» dichiarò con tono disgustato il Pilastro con il serpente albino.

«I-io vorrei che gli fosse data l’opportunità di redimersi!» riuscì invece a dire Kanroji, alzando la voce per farsi sentire chiaramente da tutti.

«Non lo so dicendo per il demone, o perché credo che possa aiutarci,» intervenne invece Shinobu. «Ma sono dalla parte di Rengoku-san anch’io. Inoltre, posso aggiungere che Akaza-kun ha rifiutato del sangue marechi, anche quando gli è stato offerto.»

«E anche se fosse? Ha ucciso migliaia di persone!» ribatté il Pilastro Rumoroso.

«Rengoku non è uno sprovveduto. Se si è fidato di quel demone deve aver avuto un motivo valido,» commentò un’altro Pilastro che Akaza, attraverso il suo spirito combattivo, riconobbe come un Respiratore dell’Acqua.

Il Pilastro Rumoroso cercò ancora di far valere le sue posizioni, ma un colpo di tosse del Capofamiglia lo portò a tacere. 

«Figli miei… le informazioni che ci ha dato Akaza corrispondono con quelle già in nostro possesso, e ci ha fornito ulteriori elementi che potranno aiutarci contro Kibutsuji,» dichiarò Ubuyashiki paziente. «Comprendo che la situazione vada contro tutte le regole degli Ammazza Demoni, ma come ho detto… tutto quello che sta accadendo ci sta portando un passo più vicino alla sconfitta di Kibutsuji, e non intendo perdere nessuno di voi in questa guerra.»

«Ma il demone…»

«Non mi è possibile perdonarlo per i suoi crimini, ma intendo concedergli una possibilità di redenzione. Se lo desidera, potrà affiancarci in questa battaglia.»

«Lo desidero!» esclamò prontamente Akaza, attirando su di sé lo sguardo di tutti i presenti.

Ubuyashiki sorrise, ma un nuovo attacco di tosse lo costrinse al silenzio, e ancora una volta il demone sentì l’impulso di affiancarlo e di supportarlo durante quel momento di dolore dovuto alla malattia. Come aveva sempre fatto con suo padre.

«Non sarà semplice guadagnare la fiducia degli altri Pilastri, ma sono certo che… il tuo supporto sarà essenziale per portarci alla vittoria,» aggiunse alla fine Kagaya, e Akaza annuì sentendosi quasi senza parole.

«… ti ringraziamo, Oyakata-sama,» mormorò invece Kyojuro, incapace di nascondere il sollievo.

Akaza si sentì a sua volta mosso da quello stesso sentimento, ma al tempo stesso si sentiva ancora troppo confuso per comprendere appieno quanto stava accadendo. Si voltò infatti verso il Pilastro della Fiamma, cercando nel suo viso delle risposte, e quasi si sorprese nel vederlo sorridere.

Significava che… lui e Kyojuro erano salvi?

Sentiva ancora l’ostilità e il sospetto dei Pilastri, ma Kyojuro non sarebbe morto per tradimento.

Il cuore gli balzò letteralmente in gola per quel pensiero. Non stava sognando? Non era solo un crudele scherzo volto solo a fargli abbassare la guardia?

«E cosa vogliamo fare? Lasciarlo libero? Oyakata-sama! Non possiamo!» insistette il Pilastro Rumoroso, riportando su di sé l’attenzione di Akaza.

«Hai ragione, Sanemi,» commentò Kagaya con tono leggermente più stanco ma anche pensieroso. «Akaza ha bisogno di un rifugio.»

«Cos-? Non intendevo questo!» ribatté il Pilastro, ma Ubuyashiki sembrò non volerci dare peso.

«Sei ovviamente libero, Akaza, ma come favore personale ti chiedo di accettare di restare in una delle nostre case protette. Non intendo imprigionarti, né limitare la tua libertà, ma intendo vincere questa guerra ad ogni costo. E se il tuo tradimento non è noto a Kibutsuji Muzan, allora è mia intenzione nascondergli il più possibile questa informazione.»

«Mi… stai offrendo una casa?» domandò incredulo il demone. 

Onestamente non aveva minimamente pensato a cosa sarebbe ‘successo dopo’. Il suo unico scopo era quello di assicurarsi che Kyojuro e Koyuki stessero bene, e Akaza non aveva mai incluso se stesso nel quadretto familiare - anche se si rese conto di averlo desiderato più di ogni altra cosa.

In quanto demone non aveva mai avuto una casa e l’unica casa che gli veniva in mente era quella di Kyojuro ma era ovvio che non potessero vivere insieme.

«Esattamente,» confermò Ubuyashiki qualche attimo dopo. «La mia famiglia è in possesso di alcune proprietà protette. Avresti la tua libertà, pur restando nascosto agli occhi del nostro nemico

Nostro nemico.

Akaza non si sentì in grado di descrivere le sensazioni che stava provando in quel momento, ma fu certo di sentire una vaga scintilla di eccitazione all'idea di aver trovato un nemico comune.

«Ovviamente… estendo l’offerta anche a te Kyojuro,» aggiunse Kagaya. «Da quello che mi avete detto, la piccola Koyuki è affezionata tanto a te quanto ad Akaza.»

Il Pilastro sussultò nel sentire quella proposta e guardò dapprima la bambina e poi di nuovo il Capo Famiglia.

«Accetto!» esclamò.

Akaza avrebbe quasi voluto controbattere ma Ubuyashiki, riprese a parlare e non ebbe il cuore di fermarlo vista la fatica che l’uomo stava facendo - prima finivano, si disse, prima Kagaya si sarebbe riposato

L’uomo, con voce calma e stanca, parlò degli accorgimenti da prendere per proteggere il Villaggio degli Spadai, e Akaza seppur ancora estraniato dall’evolversi degli eventi si concesse un profondo respiro.

Abbassò lo sguardo su Koyuki e le scostò un ciuffo di capelli dal viso - Kyojuro le aveva messo il fermaglio con i fiocchi di neve che lui le aveva regalato. La bambina emise un verso estasiato per quella leggera coccola e il demone non poté non sorridere.

In quel momento avrebbe voluto dire che era finita, che non aveva più nulla da temere, ma sapeva di non poterlo fare. Non fino a quando Muzan era in vita.

Quell’essere era una minaccia per la bambina, e Akaza non avrebbe avuto pace fino a quando non sarebbe morto. Tuttavia gli venne quasi spontaneo sciogliere leggermente i muscoli che aveva tenuto tesi fino a quell’istante perché gli sembrava quasi di aver vinto la battaglia più importante della sua vita.

Chiuse gli occhi e gli tornarono alla mente i visi ormai familiari delle persone che aveva amato in passato.

“Prometto che non deluderò più nessuno.”




NOTE:
Ho fatto un disegno ispirato al primo capitolo!
Lo potete trovare seguendo questo link (ma anche linkato nel capitolo 7 :3)
Comunque siamo arrivati alla fine del primo arco narrativo e sono già a lavoro per il secondo!
Spero vi sia piaciuta!

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