My one and only

di AMYpond88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le cose di cui sono sicuro ***
Capitolo 2: *** Riposo ***
Capitolo 3: *** Chiudi gli occhi... ***
Capitolo 4: *** I'll bring you pain, I'll bring you horror (prima parte) ***
Capitolo 5: *** I'll bring you pain, I'll bring you horror (seconda parte) ***
Capitolo 6: *** Monday morning ***
Capitolo 7: *** Goodbye ***
Capitolo 8: *** Kiss ***
Capitolo 9: *** Losing game ***
Capitolo 10: *** Laugh ***
Capitolo 11: *** Thigh highs ***
Capitolo 12: *** Love is a promise (What if) ***
Capitolo 13: *** Happy birthday, I hate you ***
Capitolo 14: *** Fino al cuore ***



Capitolo 1
*** Le cose di cui sono sicuro ***


[Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà dei loro rispettivi proprietari. Questa storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro]


Suguru è sicuro di poche cose. Una di queste è che le biblioteche sono un posto silenzioso.
Anche lì, anche in una scuola tutt'altro che ordinaria quale è l'istituto di arti occulte. E Suguru vi si rifugia proprio per questo. Perché le biblioteche sono un luogo silenzioso.
O almeno dovrebberlo esserlo.
Sbuffando, il flusso di pensieri interrotto dall'ennesima sguaiata risata, posa un libro in cima alla pila ai suoi piedi, prima di volgersi verso la fonte del rumore.
Certo, come se non sapesse quale, o meglio chi, possa essere la causa del trambusto.
"Idiota" mastica a mezza voce, alzando gli occhi al cielo. Perché deve sempre essere così?

Non che Satoru Gojo non sappia di essere in una biblioteca o ne ignori tacite regole. Semplicemente non se ne preoccupa.
Ride di gusto ad un frase sussurrata tra i denti da Shoko.
Ride, i capelli davanti al viso e i soliti occhiali da sole leggermente calati sul naso, come se non fosse un problema. Come se nessuno nella stanza lo stesse guardando storto. Ma stai ancora parlando del trambusto, Suguru?
O forse è perché il tuo maledetto migliore amico è bello da far male e la sua risata ti fa l'effetto di un pugno allo stomaco?
Smettila, smettila di ridere così se non con me. Vorresti urlarglielo. Smettila, fai troppa luce (E qui è sempre più buio).

"Ehi! Suguru".
Non si accorge di essersi incantanto, così come ha finito per dimenticarsi dei libri ai suoi piedi... finendo per inciamparci sopra, cadendo a terra.
Nel tempo che ci mette a mettersi almeno seduto, Gojo, mani in tasca ed espressione strafottente, si avvicina con il cipiglio del gatto che gioca la sua preda, invece che finirla.
"Ehi, non ti serve stare a terra per guardarmi dal basso".
Cielo. Come è irritante.
Suguru si dipinge in volto la sua espressione più neutra, o almeno ci prova, oggi non è proprio dell'umore per le sbruffonate di Gojo.
"Ti ricordo che sono alto un metro e ottanta", sbuffa.
"Assolutamente", risponde l'altro. Il sorriso tanto spalancato che Geto ha paura si possa crepare quel bellissimo viso che si ritrova.
"Solo dieci centimetri meno di te".
Morde, solo per sentirsi rispondere con sufficienza:
"ma certo".
Quanto vorrebbe levargli dalla faccia quell'espressione arrogante. Se prendendolo a pugni o baciandolo fino a che avesse avuto fiato, doveva ancora deciderlo.
Si porta una mano tra i capelli, continuando a reggere lo sguardo del ragazzo di fronte a lui.
"... vai a farti fottere Satoru".
Capisce al volo di aver detto la cosa più sbagliata, precisamente quando sul volto di Gojo si dipinge il suo sorriso più malefico, quasi un ghigno. Il ragazzo si sporge verso di lui, abbassando un soffio gli occhiali, fissandolo al di sopra delle lenti con quei maledetti occhi (ma si possono definire in modo tanto banale?)
I capelli di Satoru ora gli solleticano la guancia, mentre il suo respiro si infrange sulla sua pelle. Una volta era stato tirato attraverso un muro da una maledizione. Avrebbe voluto che ricapitasse con gli scaffali in quel preciso istante.
Poi Gojo apre bocca, con lo stesso tono di un bambino viziato che sta per farla grossa, ma sa bene che se la caverà con la solita tirata d'orecchi.
"Ti offri volontario? Comincio ad annoiarmi ad aspettare".
Il suo cuore perde un battito.

Suguru è sicuro di poche cose, una delle quali quanto possa essere indecifrabile la sua espressione. A quanto pare si sbaglia.
Gojo sa leggerlo come un libro aperto e dalla sua espressione deve essere molto compiaciuto di ciò che vede in quelle pagine. Si rialza trionfante, ridacchiando.
"Allora mi stai chiedendo un appuntamento..."
Geto rimane immobile, la schiena schiacciata contro gli scaffali, guardando Satoru dargli le spalle e allontanarsi. Non si è nemmeno accorto di aver tenuto il fiato.
Si alza, raccogliendo i volumi sparsi sul parquet. Non si aspetta di sentire cantilenare la voce di Satoru ancora una volta.
"Comunque la risposta è sì..."

Suguru è sicuro di poche cose nella vita. Tra queste che rimarrà a fissare quei libri, di nuovo scivolati dalle sue mani, ancora per molto.

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Capitolo 2
*** Riposo ***


Cosa gli aveva detto il Preside? Due maledizioni di terzo livello in un vecchio albergo? O erano tre di secondo?
Gojo si ritrova a sospirare nel mezzo del corridoio della scuola, portando una mano a stringere l'attaccatura del naso, appena sotto la spessa benda scura.
Perché non riusciva a prestare attenzione a Yaga per più di trenta secondi?
Perché ti annoi Satoru e tu odi annoiarti, gli sussurra una voce in testa ( Una voce che ricorda sempre la Sua).
Ma in fin dei conti, poco male. In entrambi i casi Megumi, Yuji e Kugisaki non avrebbero avuto problemi. Non avevano appena sconfitto due uteri maledetti e un grado speciale?
Ora rimaneva solo il problema di trovare quei tre e poi avrebbe potuto dedicarsi a quel sacchetto di dolcetti portati indietro dall'ultima missione.

Varcata la porta dell'ennesima classe, la scena che si trova davanti lo lascia sbigottito. Questo non se lo sarebbe proprio aspettato.
Sono davanti a lui, appollaiati di fronte alla finestra, i libri sparsi a semicerchio attorno a loro.
Itadori se ne sta rannicchiato, gambe piegate al petto e viso immerso nelle ginocchia. Megumi, seduto alle sue spalle, dorme con la testa fra le scapole dell'amico. Il viso privo dell'espressione apatica o scocciata che lo contraddistingue, finalmente rilassato, gli da l'aspetto di un ragazzino. Perché, non lo sono forse, ragazzini? Il peso che gli è stato scaricato dalla sorte li rende forse adulti?

Eravate adulti voi, seduti a quelli stessi banchi?
Eri adulto tu, Satoru, quando coricato in quei prati, gli stessi che vedi ora, con la stessa luce dorata ad inodarli, cercavi sollievo con il capo poggiato sulle gambe stese di Suguru?
Quando a cullarti era il rumore delle pagine che Geto, studente più diligente di te, sfogliava e il cuore ti saltava un battito, quando il silenzio cadeva all'improvviso e tu sapevi che la mano di Suguru sarebbe finita tra i tuoi capelli.
La aspettavi, come si aspetta la pioggia in un'estate troppo torrida. Le sue lunghe dita affusolate arrivavano puntuali ed erano pace. E sapevi che si sarebbero fermate quel secondo in più e tu avresti sorriso del suo tocco.
E ti divertiva il suo imbarazzo quando aprivi gli occhi di colpo per fargli sapere che no, non dormivi e sì, ti eri accorto quel secondo in più.
E un po' ci morivi, per quelle gote appena arrossate su quel viso imperturbabile, ma non glielo dicevi.

Mentre ora se potessi tornare indietro, stringeresti quella mano una, dieci, cento volte, tra le tue. Fa male, vero Satoru? Ora che di Lui non resta che la voce nella tua testa...

Richiude la porta e si allontana, senza far rumore. La missione può aspettare. Anzi, puoi andarci di persona tanto in quella zona c'è un nuovo negozio di mochi.

Li lascia riposare, li lascia in pace.

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Capitolo 3
*** Chiudi gli occhi... ***


Spoiler vol.9 del manga. Missing moment post Riko e Toji.


Che gli è successo?, Geto non può fare a meno di chiederselo guardando l'amico in piedi davanti a sé.
Non può credere ai suoi occhi: Satoru è vivo.
Sporco di sangue, probabilmente ferito, ma vivo.
Fermo come una statua, con tra le braccia il cadavere di Riko, coperto pietosamente da un lenzuolo.
Attorno a lui, i membri della setta della Ruota Astrale applaudono.

Ma il sollievo di trovarlo in vita, viene presto sostituito dalla preoccupazione.
Che cosa diamine gli è successo?, continua a chiederselo, fissando incredulo il compagno, finché questi non gli rivolge parola.
"Sei in ritardo Suguru".
L'espressione di Gojo è tranquilla, quieta, così come il suo tono di voce.
I suoi occhi, sono quelli a spaventarlo. Sono spenti, ciechi. Da cielo che incontra il mare, ad orizzonte degli eventi che racchiude il nulla di un buco nero.
Gli basta che Satoru apra di nuovo bocca, perchè i suoi dubbi e timori diventino realtà.
"Perché non li uccidiamo tutti?" dice con voce atona: "Nello stato in cui mi trovo, non proverei nemmeno qualcosa".

Suguru chiude gli occhi un istante e la scena cambia: Satoru lo guarda, attorno a lui nessuno applaude più. Solo il silenzio.
Un lampo e il ragazzo di davanti a lui sorride, circondato da cadaveri, folle. Folle e inarrestabile. Questo il futuro prossimo, se non si decide a fermarlo prima che sia troppo tardi. Deve impedirlo. Deve portarlo via da lì.
Le conseguenze sarebbero atroci: chi avrebbe potuto arrestare Satoru Gojo, trasformato in stregone nero? Lui?
Lui ne avrebbe mai avuto la forza?
E se fossi tu? Lui lo farebbe?
Ti ucciderebbe?
Ti abbandonerebbe?

Nella sua testa, queste domande rimbombano. No, si risponde, insieme erano stati pronti a sfidare Tengen stesso. Satoru non lo abbandonerebbe mai. Loro sono i più forti.

Raccoglie tutta la sua sicurezza, cercando di apparire calmo, poi parla: "Non avrebbe senso".
Satoru non alza nemmeno gli occhi su di lui, quando risponde. "Deve esserci per forza, un senso?"
Un senso? e cosa ne ha in quel momento? No, non può esitare. Non può lasciare che Satoru si perda.
"Si, soprattutto per noi stregoni".

*

L'ha fermato. L'ha riportato indietro, ma Satoru non parla, non lo guarda nemmeno.
Per i corridoi dell'istituto stranamente deserti, il ragazzo cammina dietro di lui, seguendolo come un fantasma, o come una maledizione particolarmente mansueta e Gojo può essere molte cose, ma mai mansueto e Geto lo sa bene.
Suguru sente chiaramente l'infinito di Satoru schiacciarlo. Si rende conto solo in quel momento che l'amico non ha rilasciato la tecnica un solo istante. Lo sta tenendo fuori.
Lo sta tenendo fuori e questo lo fa impazzire.
Se nelle discussioni e nelle litigate Gojo è capace di minare il suo controllo, questo silenzio, interrotto solo dai passi sordi, è peggio.
Gli fa perdere la testa.
Evoca la prima maledizione che gli viene in mente e gliela scaglia contro, ma ovviamente non serve nemmeno che Satoru si muova per respingerla;
Altrettanto prevedibilmente al ragazzo basta poco più di un gesto della mano ad esorcizzarla.

Ne invoca una seconda. Non saprebbe dire quale o di quale livello. Tanto cosa importa?
Non è la prima volta che, snervato dall'arroganza di Gojo, si fa sfuggire la mano, oltre a qualche maledizione. Se la cava sempre con una tirata d'orecchi, accompagnata da uno sguardo di comprensione, di Yaga Sensei.
In fondo, chi può mettere un freno a Satoru, se non lui?
Un altro svogliato gesto della mano e anche questo attacco viene spazzato via.

Ad ogni maledizione scagliata, Suguru si avvicina di un passo. Una maledizione, un passo. Una maledizione, un altro passo. Fino a che non è davanti al ragazzo.
Con il respiro pesante, le orecchie che fischiano, si sente stanco come non mai, ma non ha intenzione di arrendersi.
Allunga una mano verso Satoru, arrivando a pochi centimetri dal suo viso. Continua a spingere, senza avvicinarsi di un millimetro. Si sente come davanti ad un dio, vendicativo, distante e inarrivabile.
E gli dei non si minacciano, gli dei si pregano...e lui lo fa.
"Rilascia il tuo infinito... ti prego".
Sta quasi per perdere le speranze, quando finalmente le sue dita si appoggiano lente alla guancia di Gojo.

È il tempo di un respiro: le sue mani si intrecciano ai capelli bianchi di Satoru. La fronte si poggia contro la sua.
Solo in quel momento sente il cuore riempirsi di sollievo a saperlo vivo, per la consapevolezza di poterlo toccare, ma non basta: lo vuole indietro.
L'egocentrico, arrogante, stupido idiota che conosce.
Si stacca leggermente da lui, ​che ancora resta come un burattino nelle sue mani. Stringe le ciocche di capelli bianchi tra le sue dita, tirando, probabilmente facendogli male. Anzi, sa che gli sta facendo male, ma non gliene può interessare di meno. Vuole che senta, vuole che provi qualcosa. Qualsiasi cosa, ma non ottiene nulla.
Incatena lo sguardo al suo, avvicinandosi. Sente il respiro di Satoru sul viso, il suo naso sfiorargli la guancia. Sente il suo cuoio capelluto sotto le unghie. Il sussurro di Suguru è poco più di un gemito, ma racchiude tutta la sua esasperazione: "Torna".

La fronte di Gojo è sporca di sangue. La bacia per prima, all'altezza di un piccolo taglio.
Poi seguendo la scia vermiglia, passa alle guance. Al mento. Risale agli occhi.
Prima uno, poi l'altro, sentendo le palpebre di Satoru calare leggermente sotto il suo tocco. Un unico movimento, ma è la prima reazione che lo sprona a non fermarsi.
Incoraggiato, Suguru alza di un soffio la voce: "Torna". Il "da me" che non riesce a trattenere, invece è poco più di un sospiro.
Fa scivolare le mani dai capelli fino alle guance, stringendo tra le dita il suo viso, bianco e rosso. E si perde nell'azzurro, c'è così tanto azzurro.
Dannazione, l'avrebbe portato alla follia.

Allora ti porto indietro. Lo pensa, ma non lo dice. Con rabbia, lo bacia.
Morde le sue labbra, lecca la sua bocca, ancora e ancora, sentendo la pelle morbida delle guance cedere sotto i suoi polpastrelli.
Va avanti finché non sente l'amico schiudere le labbra, rispondere al bacio. Finché non sente denti ricambiare i morsi, labbra restituire i baci e le mani di Gojo artigliarsi alle sue braccia.

Non è il primo bacio di Suguru e di sicuro non è il primo con Satoru.
Alcuni per scherzo, altri per gioco. Quello però è diverso.
Ha prima creduto di averlo perso, che quel senza poteri lo avesse ucciso, e si è sentito morire.
Poi ha temuto un Satoru Gojo stregone nero, folle e con le mani sporche di sangue e il pensiero lo ha fatto tremare fino nel midollo.
Infine ha compreso che, qualsiasi cosa fosse accaduta, Satoru non sarebbe stato più lo stesso.
In quel momento per lui non conta, importa solo che ora il compagno sia lì, carne viva sotto le sue mani.
Si stacca da lui, solo per sprofondare nel suo sguardo e ne rimane accecato.
Follia, fame, ferocia. Quegli occhi lo divoreranno e ne è consapevole.
Sono troppo. Lo sono sempre stati.

Non capisce chi spinga chi, quali mani si infilino per prime sotto la divisa e quali rispondano al tocco dell'altro.
Non saprebbe dire nemmeno chi conduca l'altro verso la prima stanza disponibile.
È quella di Gojo? È la sua? Il cielo non voglia sia quella di Nanami, pensa in un lampo di lucidità, lasciando che una risata sfugga a sfiorare le labbra di Satoru, che forse intuisce il suo pensiero e per la prima volta sorride contro la sua bocca.
Ci penseranno dopo. Ora non frega nulla a nessuno dei due.
Ora Suguru vuole solo sentirlo vivo, tra le sue braccia.
Ora Satoru vuole solo riscoprirsi umano, su quelle labbra, contro quella pelle, tra quelle mani.

Per Geto le lenzuola sotto i suoi palmi, piantati ai lati della testa di Gojo che gli sorride sfacciato (e bello, di quella bellezza folle che solo lui sa avere), sono l'ultimo pensiero razionale.
Poi rimangono solo gli occhi di Satoru, così azzurri da far male. Infinito racchiuso in sclere lattee, così profondo da farlo tremare. Così luminoso da spingerlo a nascondere il viso contro la pelle tenera del collo.

Sente trillare una risata cristallina, prima che Satoru soffi contro il suo orecchio, con voce divertita:
"Guardami se vuoi scoparmi, Suguru..."
La sua risposta sfugge in un sospiro.

"Tu però chiudi gli occhi, fai troppa luce".

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Capitolo 4
*** I'll bring you pain, I'll bring you horror (prima parte) ***


Si è accorto del suo arrivo ancora prima di sentire i passi alle sue spalle.
Non gli serve alzarsi, né voltare il capo, si limita a scuotere la testa, prima di appoggiare la nuca alla spalliera del divano.
Questo proprio non se lo aspettava.
"... ora sei tu il folle".
Glielo dice ridacchiando, pensando che quella visita sì è un bel colpo alla noia della serata.
Pochi istanti e dall'ombra alle sue spalle arriva la risposta:
"Solo per te, Satoru".
La voce di Geto è leggera, cantilenante, ma ha mantenuto il tono arrogante di quel pomeriggio, quando lo stregone più pericoloso in circolazione ha pensato bene di fare una capatina all'Istituto per informarli della sua intenzione di mettere a soqquadro Tokyo e Kyoto. Indubbiamente un pensiero gentile da parte sua.

Ora sembra voler accarezzare il suo ego (smisurato, Suguru lo conosce bene) con una mano e schiaffeggiarlo con l'altra e Gojo non riesce spiegarsi il perché. O almeno, finge di non saperlo.
In fondo sa cosa vuole Geto...
Sa che è lì perché vuole sentirselo dire.
Vuole sentirlo ammettere che lui e solo lui è l'unico immenso rimpianto dell'eccezionale Satoru Gojo.
Vuole portarlo al limite della sua arroganza e vederlo fermare davanti al suo ricordo, mai sbiadito.

Lo stregone volge appena il capo al di sopra della spalla, verso l'uomo appena entrato nella stanza.
Suguru non veste gli abiti tradizionali che gli ha visto solo poche ore prima, ma qualcosa di molto simile ad una divisa dell'istituto ed è intento a calarsi il cappuccio della giacca che ancora gli nasconde il viso.
Come se Gojo avesse bisogno di vederlo, per immaginare, anzi sapere, l'espressione che c'è disegnata.
Mentre quel volto emerge dalle ombre, meno scure di quelle in cui lo aveva lasciato sprofondare, lui può quasi illudersi di avere ancora davanti il vecchio compagno, ma sa bene che non è una sensazione destinata a durare.

"Non sei stato gentile a maltrattarmi davanti ai tuoi studenti..." lo stuzzica Geto, interrompendo il silenzio.
"Non è stato gentile nemmeno chiamare uno di loro 'scarto degli Zenin', Suguru..."
L'espressione di sufficienza e noia sul volto dello stregone nero dura un istante, ma gli ricorda cosa li ha divisi.
Cosa li divide da tempo. E quanto sia difficile da superare.
"Vuoi davvero parlare di questo?"
"Vorrei sapere cosa ci fai qui..."
"L'hai detto tu, sono io il folle ora..."

Nemmeno se ne accorge e Suguru è in piedi alle sue spalle. È sempre stato schifosamente veloce, anche per i suoi standard.
Occupa la stanza con la noncuranza e la tranquillità di chi è a casa propria e non nel luogo dove è più a rischio di essere braccato.
Gojo si porta una mano a stringere il ponte del naso, lasciandosi andare ad uno sbuffo esasperato.
"Vale la pena, rischiare tanto?"
La sua testa è ancora riversa sulla sponda del divano, mentre lascia che Suguru si sporga su di lui.
"Per vedere il famoso Satoru Gojo così confuso? Assolutamente".

I capelli neri gli incorniciano il viso, mentre gli sorride gentile (come un tempo, come prima che tutto andasse in pezzi e lui si ritrovasse monco di qualcosa a cui, allora, non sapeva dare un nome).
Le sue dita sono leggere sotto le bende, leggere come le ricorda. 'Ti fa male, Satoru?' sembra chiedergli Suguru con lo sguardo.
Come durante tutte le notti, quando era studente, in cui il suo potere era troppo grande e i suoi occhi troppo stanchi. Le notti in cui le braccia di Suguru erano l'unico nascondiglio possibile, le sue dita tra i capelli l'unico antidolorifico efficace.
Vorrebbe ricordare, ma non può fare altro che fermarlo (e questo sì, che fa decisamente male).
Non può fare altro che trattenere le sue mani, con un sorriso posticcio che sembra più un ghigno. Una maschera di strafottenza che davvero non sa quanto potrà reggere. Perché si, lui è il più forte, ma Geto è sempre stato il suo punto scoperto.

"Non toglierle"
"Altrimenti?"
"... poi dovrei fermarti".
"È una minaccia?"
Nonostante la risposta piccata, le mani di Geto si sfilano dalla fasciatura che copre i suoi occhi, ma non si allontana.
Satoru sente ancora i suoi capelli sfiorargli il viso.
È ancora chinato su di lui e non pare intenzionato a spostarsi di un millimetro.
Non avverte da parte sua il minimo istinto ad attaccare, ma allo stesso modo non si aspetta di sentire i polpastrelli di Suguru sfiorare le sue guance e correre fino alle sue labbra.
E Gojo lo sa che non può permetterselo, ma ora lo lascia fare. Incatenato a quegli occhi profondi e scuri, a quella pelle che una volta conosciuta aveva dovuto perdere.

"Quanto pensi di essere credibile, se il tuo infinito mi lascia ancora passare?"
'Sempre', vorrebbe rispondere, 'Ti farà passare sempre', ma ripara le crepe che stanno aprendo la sua maschera con un "sta zitto" sbuffato in una mezza risata.
In qualche modo sembra che Suguru abbia intuito la risposta reale.
Preme con l'indice sul suo labbro inferiore, esitante.

La sua voce invece è sicura.
"Ti porterò dolore".
'Lo so', vorrebbe rispondergli, ma si limita ad assecondare i suoi gesti, sfiorando la pelle delle dita con la lingua e sentendo il suo respiro, così vicino, tremare.
"Ti porterò l'orrore".
'Pensi me ne importi?'. Vorrebbe dirglielo.
È quello che una parte di lui vorrebbe dirgli da anni.
Morde appena le sue dita, stanco di quel gioco e, in quella posizione scomoda, gli prende il viso tra le mani. Sa che nonostante la benda, Suguru i suoi occhi li vede lo stesso.
Sa che dovrà combatterlo, sa che probabilmente dovrà fare quello che non è riuscito a compiere, anni prima, a Shinjuko.
Sa che dovrà ucciderlo, ma sa anche che l'ha capito anche Geto.
Ora sa che è lì per dirgli addio, come non ha fatto quando se ne è andato, come non avrà tempo di fare quando tutto avrà inizio.
Sa soprattutto, che non ci sarà un ritorno.
Quando parla la sua voce non è né arrogante, né canzonatoria.
"... basta che a portarli sia tu".

Stringendo le mani sulle sue guance, Satoru se lo tira contro. Sente Suguru lasciarsi cadere, tra le sue mani, sulle sue labbra, nel momento stesso in cui le sue bende scivolano a terra.

... continua.


Lo so, lo so, ho interrotto sul punto più "intenso", ma semplicemente perché devo decidere che rating adottare (me persona molto timida che fa fatica a lanciarsi sul rating rosso, ma 'sti due fanno prudere le mani).
A presto e grazie a chi legge, commenta (i pareri sono sempre ben accetti) e segue.

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Capitolo 5
*** I'll bring you pain, I'll bring you horror (seconda parte) ***


"Ehi! Sei in ritardo, raggio di sole".
Non è tanto la voce cantilenante e piatta di Shoko a riportarlo nel mondo dei vivi, quanto la sue dita, estremamente forti per essere attaccate ad una mano così piccola, che gli pizzicano la spalla nuda, scoperta della protezione del lenzuolo.
Senza contare che anche per il suo infinito è decisamente troppo presto.

Apre gli occhi, ma li richiude subito con una smorfia, infastidito dalla luce che irrompe dalla finestra, chiedendosi perchè diamine non abbia chiuso le tende la sera prima e soprattutto quando si deciderà a cominciare a lasciare i suoi occhiali da sole sul comodino, invece che lanciati chissà dove nelle stanza.
Quando si rassegna a riaprire gli occhi, la ragazza torreggia su di lui, lo sguardo già stanco e fin troppo annoiato, troppo anche per gli standard di Shoko, ma non per questo meno minaccioso.

"Fai qualcosa per quegli occhi, Gojo! Smettila di accecare le persone" sbuffa la compagna, priva di qualsiasi voglia forma di pietà.
"E muovetevi, niente giorno libero! Yaga vi manda in missione".
Mentre parla gli inforca gli occhiali ('come faceva a sapere dove erano?', non può fare a meno di chiederselo) rischiando di cavargliene uno, di occhio.
'Beh te ne rimarrebbero cinque, giusto Satoru?' Si dice tra sé e sé, in un botta e risposta veloce nella sua testa.
'No, non sei un fottuto gatto e i sei occhi non sono le fottute nove vite'.

Intanto Shoko continua, implacabile e insensibile al suo stato evidentemente confuso: "Sì ho usato il plurale e sì Geto, ti ho visto".
A quel punto anche il groviglio di capelli neri si rianima al suo fianco, distraendolo dalle battute pungenti di Shoko.
Svegliato così di soprassalto non si è ricordato né di non essere da solo, né tanto meno di essere nudo come un verme sotto le lenzuola.

"Buongiorno".
La voce di Suguru è un balsamo per le sue orecchie maltrattate dalla compagna, ma quando sta per rispondere al saluto, il suo sguardo cade sul ragazzo al suo fianco, per la prima volta da quando la sua burrascosa  mattinata ha avuto inizio.
È confuso tanto quanto lui, mentre si stropiccia gli occhi con il dorso di una mano e cerca di districarsi i capelli con l'altra.

È bello, Suguru lo è sempre, niente stravaganti capelli nivei o occhi esageratamente azzurri. È bello di una a bellezza classica, antica.
Ma Satoru non può fare a meno di notare le occhiaie più accentuate del solito, gli occhi segnati di rosso.
Geto ha perso peso, anche se quando glielo chiede nega. Come nega di vomitare spesso.
Ormai ci ha quasi fatto l'abitudine, suo malgrado, a quelle costole sporgenti.
Quando si trattiene dal fargli battute, quando vorrebbe saltargli in spalla, ma capisce che è troppo stanco. 
Quando si accorge che è sempre più raro vederlo mangiare di gusto come prima.
A volte vorrebbe solo interrompere qualsiasi cosa stiano per fare, anche se in certi casi può essere qualcosa di molto divertente, e trascinarlo a svaligiare il negozio di mochi migliore di Tokyo, guardandolo mentre si rimpinza di dolci, invece di maledizioni.
Sì, lo sa anche lui che Geto preferisce il salato, ma quello può mangiarlo tutti i giorni, no?

"Satoru, ci sei?"
La voce calma di Suguru lo porta indietro dal viaggio mentale in cui si è partito.
Shoko, veloce come è arrivata, è già uscita. Rimangono loro.
Deve essersi perso per un po', perché il ragazzo lo guarda con aria infastidita e al contempo preoccupata.
Se quello sguardo avesse un nome, sarebbe "sguardo che Geto Suguru riserva a Gojo Satoru".
Quasi ride del suo stesso pensiero, quando la voce di Suguru lo richiama di nuovo. Questa volta molto meno paziente.
"Ti ho chiesto, dove ha detto che dobbiamo andare?"  insiste il compagno, che evidentemente meno sospeso di lui tra il sonno e la veglia è vicino ad insospettirsi seriamente per il suo silenzio prolungato.

Ma Satoru non si fa intimorire. Come se Geto non perdesse la pazienza almeno una decina di volte al giorno con lui.
In effetti, è già una conquista che non gli abbia lanciato una maledizione contro.
Si prende ancora un secondo e pensa.
Pensa che questa volta lo farà davvero. Al diavolo la maledizione, può aspettare.
Ci andrà lui e risolverà la cosa in dieci minuti.
Anzi, sicuramente ne basteranno cinque di minuti.
Probabilmente due.
Oggi vuole solo vedere sorridere Suguru.

"A Yanaka"
"Yanaka?... vuoi dirmi che una maledizione sta facendo strage un una deI quartieri più trafficati di Tokyo?"
"Esatto. Yanaka".



Come ha fatto quel momento, vecchio di un decennio, a tornargli in mente proprio ora?
Mentre sfacciato, stupido e soprattutto ignorando qualsiasi buon senso, sbottona la giacca di Suguru e gliela fa scivolare lungo le braccia, fino a farla cadere a terra.
A far compagnia alla sua.
Rinuncia quasi subito a capire i suoi schemi mentali e sorride contro la pelle dell'uomo, mentre ripensa a quella mattina.
A come alla fine l'avesse passata guardando Suguru assaggiare dubbioso un gusto di mochi dopo l'altro. Era stato quello al macha a farlo sorridere sorpreso? Sì, era stato quello.
Davanti a quell'espressione curiosa e allegra, Gojo era corso dentro il negozio a comprarne un altro sacchetto, solo al gusto macha.
Poco importava se a lui quel gusto non faceva impazzire, all'amico era piaciuto più degli altri, visto come lo aveva fatto sorridere e a diciassette anni, tolta la boria, sotto quelle sua arroganza, lui Suguru voleva solo vederlo sorridere.
Purtroppo non è bastato.
Non è riuscito a proteggerlo dalle sue maledizioni allora, né riuscirà a portarlo indietro ora. Ha iniziato a tentare troppo tardi.
Se ne è accorto troppo tardi.
Anche in quel momento così lontano nel tempo e da quello che sono, da non sembrare nemmeno più un ricordo.
Anche mentre lo guardava ridere con le dita sporche di zucchero appicicaticcio, senza riuscire a staccargli gli occhi da dosso, che come era possibile che Suguru sapesse essere elegante anche in quello stato, era già tardi.
('E se invece avessi potuto salvarlo? Hai fatto abbastanza Satoru? E ora, è rimasto qualcosa oltre la tua arroganza? Per chi sei il più forte?')

Ora Suguru è cambiato.
I suoi capelli sono più lunghi, se ne accorge davvero solo facendoli scorrere tra le dita.
Le sue costole non sporgono più. È sempre magro però, più di quanto le vesti da monaco gli avessero suggerito quel pomeriggio.
La sua vita, così stretta da essere quasi femminile, fa ancora a pugni con le sue spalle larghe.
La sua mascella è più netta. La può sentire contro la sua mano.

Suguru è cambiato nel profondo.
Se ne è accorto già quel pomeriggio. Il suo sguardo gentile è come "sporcato" da una rabbia che ha smesso di esplodere all'esterno.
Il sorriso pare un gioco di prestigio messo su per incantare.
Poco è rimasto del ragazzo che cercava sempre di far da pacere, il compagno che si occupava di smussare gli angoli della sua arroganza, nell'uomo che è ricomparso di fronte a lui.

Sì, Suguru è cambiato.
'Oh è decisamente cambiato', non può fare a meno di pensare, ora che Geto è  inginocchiato di fronte a lui. Ed è bravo.
Dannatamente bravo.
Lo è da mandarlo fuori di testa.
Talmente tanto che potrebbe chiedergli di fare a pezzi tutti i senza poteri nell'arco di chilometri e prenderebbe in considerazione l'ipotesi.
Sarebbe questione di un attimo, allacciare una mano a quella di Suguru e incrociare indice e medio dell'altra.
Non se ne accorgerebbero nemmeno e Geto avrebbe il mondo che vorrebbe.
'Pensa a Maki, pensa a Toge, pensa ai tuoi allievi. Pensa a Yuta! Pensa a Megumi! Li deluderesti così?'
A parlare è la parte più sensata di lui, ma ora i suoi studenti sono davvero l'ultima cosa a cui vuole pensare
Non con la bocca di Suguru che sembra volergli portar via anche l'ultimo briciolo di senno, fino all'ultimo respiro.

Non sono più due ragazzini impacciati. Ne sono passati di anni da quei primi amplessi, furiosi e imbarazzati, che li lasciavano stremati e beatamente instupiditi per ore.
Satoru stesso non può dire di aver passato l'ultimo decennio a vivere di ricordi.
Ha avuto donne, ha avuto uomini. Mai nessuna relazione, quello no. Non sarebbe mai stato in grado di essere fedele.
A volte non può fare a meno di chiedersi se con lui lo sarebbe stato.
Da quello che vede (sente) per Suguru deve esser stato lo stesso.
Immaginava lui? Allacciato ad altri corpi, cercava lui?
'Ti ha abbandonato per un'idea Satoru, pensi che ci abbia messo tanto a sostituirti?' cantilena una voce nella sua testa ed è come se fosse Geto a parlare.
Lo attraversa come una scossa elettrica, gli fotte il cervello, tra rabbia e gelosia.
Prende l'uomo per i capelli e senza troppe cerimonie, lo tira in piedi.
È anche la parte più autoconservativa di lui ad agire, quella che gli urla che deve fermarsi e fermarlo, prima che la lingua e la bocca di Suguru lo rendano un burattino nelle sue mani.
E cadere più di quanto abbia già fatto è quello che vorrebbe evitare. Perché Geto è lì solo per quello.
Solo per vedere l'invincibile Satoru Gojo, andare in pezzi tra le sue mani.
È quello che pensa, davvero, finché non stringe in pugno i capelli corvini e obbliga Suguru, il collo forzato in quella che deve essere davvero una posizione scomoda, ad incrociare il suo sguardo.
Finché non incontra i suoi occhi.
Quando lo colpiscono così forte che nemmeno tutto il suo Infinito potrebbe proteggerlo e lui capisce che forse qualcosa non è cambiato...

Non è cambiato come Suguru possa arrivargli fin nelle ossa.
Nè come lo fanno sentire le sue mani sulla pelle. Sembra scavargli fino alla carne viva, fino ad entrargli nelle vene.
Per uno abituato ad avere a disposizione un Infinito personale, tutto ciò da alla testa come una sbronza. E lui l'alcol non l'ha mai retto.
Nel tempo di un respiro Suguru è in piedi e il petto dell'uomo è schiacciato così forte contro il suo da sentirsi esplodere.
Non saprebbe dirlo, davvero, di chi è il battito più forte.
'Tu riesci davvero ancora a distinguerli, Satoru?' Sembra chiedergli con uno sguardo Geto, ancora, sempre e in modo quasi estenuante bravo a leggerlo.
No, davvero non ci riesce.

Non sarà gentile. Lo pensa. Forse lo dice anche ad alta voce, visto che Suguru sorride, come se non potesse chiedere di meglio.
Lo guarda come se volesse prendergli tutto, fino all'ultima goccia di energia maledetta, il suo Infinito, i suoi Sei Occhi, fin l'anima.
E Satoru vuole dargli tutto quello che ha. Ed è deciso a farglielo sapere, riprendendo il controllo, sbattendolo forte contro la parete, allacciando le labbra alle sue, in un bacio che di dolce non ha nulla.
Si stacca, solo per guardarlo, per incrociare il suo sguardo ed essere certo di non vederci il minimo dubbio o ripensamento.
Gli mancava quel momento. Quel preciso istante che precede l'esplosione.
Il momento di effimera pace tra loro, con gli occhi di Suguru che lo guardano gentili e, potrebbe quasi dire, miti.
Lo solleva, sfruttando l'appoggio della parete, e lo bacia ancora, questa volta con quello che potrebbe sembrare un velo di tenerezza.
Sente le mani di Suguru accarezzargli piano il collo, per poi finire artigliate alla sua schiena.
Lo bacia ancora e si prende il tempo di sentire il suo stesso sapore su di lui e pensa che potrebbe impazzire per molto meno.

È lucido quando decide di prenderlo, di prendersi tutto. Le gambe allacciate strette ai suoi fianchi e i denti piantati nella pelle tenera del collo sono uno stimolo al limite del dolore, lo tengono ancorato alla realtà.

Sa bene che  tutto ciò non è altro che un modo per sentire Suguru di nuovo suo, per illudersi che sia ancora suo, almeno per quel momento, nonostante tutto quello che verrà.
Sa che su quella pelle calda non troverà la cura per le ferite che si sono fatti, quando hanno stracciato le promesse e buttato l'affetto incondizionato e la fiducia che si erano accordati.
Non possono essere risanate, né le sue né quelle di Geto.
Sì, non è facile per il suo ego ricordare che non è l'unico ad esserne uscito ammaccato.
'Non l'hai abbandonato anche tu?' gracchia la voce nella sua testa. 'Non l'hai lasciato solo?'

Ma allora perché sembra tutto così giusto?
Bere direttamente dalle labbra di Suguru il gemito strozzato che non riesce a trattenere quando entra in lui.
Stringere tra le mani i suoi polsi, inchiodarli tra i palmi al di sopra della sua testa, fotterlo così, per poi lasciare che le dita scorrano gentili tra le mani, fino ad intrecciarsi con le sue.
Incollare le loro fronti, obbligarsi a tenere gli occhi aperti fissi nello sguardo sfocato dell'altro.
Ignorare le sue lamentele sui suoi occhi, troppo vicini, troppo luminosi.
Può fingere di non sentire, visto quanto la voce di Suguru risulti quasi incomprensibile tra i sospiri spezzati dai colpi delle sue reni.
Sembra così giusto e sembra l'unica cosa con un senso ora.
Spingere, spingersi in lui, forte, finché fa male, fino a non capire dove cominci uno e finisca l'altro.
Lasciare che ancora una volta, Suguru ritorni ad essere tutto il suo mondo.
Per un'ultima volta.


Quando torna la pace, Satoru sente la sua carezza sul viso.
Lo guarda rivestirsi in silenzio, mentre gli da le spalle. Non stacca gli occhi da lui finché non è completamente rivestito, finché la sua sagoma non fa un passo per andar via.
Geto però si ferma. Si ferma e si volta leggero. Lo guarda, accennando un sorriso da sopra alla spalla.
Vorrebbe essere un'ultima sfida, Gojo lo sa bene, la piega che distorce le labbra di Suguru dice quello.
Lo sguardo che lo colpisce però è malinconico, quasi deluso. Le parole che seguono, hanno un gusto agrodolce, dietro al velo di sarcasmo.
"Avevi detto che mi avresti fermato, Satoru".
Non ci prova nemmeno a mascherare il bluff. Ormai non importa più. Lo stregone più forte è abbandonato da qualche insieme alle bende. In quel momento è solo Satoru.
Pesa di più lasciarlo andare via senza avere la forza di dirgli che è così ingiusto, che se ci sarà un'altra vita, forse meriterebbero di viverla insieme.





"Almeno alla fine, fammi sentire qualche maledizione".
"... bagliore rosso"

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Capitolo 6
*** Monday morning ***


'È solo lunedì mattina'.
Yaga non può fare a meno di pensarlo, mentre l'allarme che suona impazzito per tutto l'Istituto lo trascina fuori dal suo ufficio.
Allunga il passo, comincia a correre, fino al cortile centrale.
Cosa può essere? Come può essere? Chi può essere?
Il preside è lontano e l'istituto è sotto attacco?
Non riesce a finire di formulare il pensiero, che un drago gli sfreccia vicino, facendogli fare un passo indietro.
Un drago, una maledizione, sguinzagliata per la scuola. Ed insegue... Satoru Gojo.
Rimane congelato sul posto, stringendo un pugno alla ricerca di un pensiero, uno qualsiasi, che lo riesca a calmare, mentre la vena sulla sua tempia pulsa a ritmo forsennato.
Ormai dà per certo di sapere quale sarà la causa della sua morte precoce.
Tira un sospiro, grattando la nuca, prima di guardare l'orologio.
Sono le otto di mattina. Sono le otto di mattina di un odioso lunedì e Suguru Geto e Satoru Gojo, i due studenti più promettenti che la scuola abbia mai avuto (ma anche i più idioti) stanno di nuovo litigando.

*

L'allarme esplode per l'istituto non appena la maledizione prende forma, sprigionandosi dalla sfera nera che ruota rabbiosa sul palmo della sua mano e il pensiero di Geto è solo uno: sarà espulso.
Si farà espellere, ormai lo considera certo, e dovrà tornare con la coda tra le gambe a casa dai suoi.
Si farà espellere e sarà solo colpa di quel cretino di un ragazzino viziato che risponde al nome di Satoru Gojo.
Un ragazzino viziato che ora sta schivando la coda del suo drago, saltellando tra le spire della maledizione con un sorriso da peste stampato in faccia.
È soddisfatto, come ogni volta che riesce a fargli perdere le staffe. Cosa che, odia ammetterlo, ma a Gojo risulta sempre più semplice.
Senza contare che quello con cui ha deciso di iniziare la loro settimana, è forse lo scherzo più innocente che gli abbia mai fatto.
In fondo gli ha semplicemente sfilato l'elastico per capelli dalla nuca, lasciandolo che le sue ciocche nere cadessero sulle sue spalle.
Forse dovrebbe cominciare seriamente a chiedersi come sia possibile che lo faccia irritare così oltremodo per semplici stupidaggini. Forse.
Ma non ora.
Non mentre la sua nemesi ha l'espressione compiaciuta del gatto che gioca con la preda.

"Ohi principessa! Penso che me lo terrò l'elastico... sei così carino con i capelli sciolti".
Satoru lo canzona, la voce abbastanza squillante da emergere da sopra l'allarme dell'istituto, mentre schiva (ancora) con facilità (troppa) un tentativo della maledizione di intrappolarlo.
L'idiota fa roteare l'oggetto del furto sul dito medio della mano destra, mostrandogli la lingua mentre unisce sfottò e gestacci.
Lo stronzetto si sta divertendo, si sta divertendo da morire e Suguru è consapevole che ogni stilla di nervoso che non riesce a nascondere è come balsamo per la stupidità e per l'ego di Gojo.

Deve anche ammettere che sarebbe estremamente più semplice e sicuramente meno soddisfacente per Satoru, smettere di dargli corda e andare a prendere uno a caso degli elastici abbandonati nel cassetto del suo comodino.
Sa anche di essersi lasciato sfuggire la mano nel momento in cui ha deciso di lanciargli addosso un drago.
In sintesi, una maledizione potenzialmente letale per un banale elastico, non è una cosa sensata nemmeno per lui e il suo evidente problema di controllo della rabbia, che nemmeno sapeva di avere prima di conoscere il compagno, non basta come spiegazione al suo comportamento.
Ma quello è Gojo. E Gojo gli fa perdere la testa ad ogni passo, parola, respiro che fa. E lui incomincia a stancarsi di chiedersi perché.

Un pugno in pieno viso lo stordisce, mentre una mano lo spinge verso terra, facendolo atterrare di schiena.
A pochi metri da lui, un gemito lamentoso, seguito da una serie di imprecazioni colorite, gli fa capire che Satoru ha subito il suo stesso trattamento.
I gusci maledetti di Yaga.
Sa che se li troverà davanti, prima ancora di aprire gli occhi.
Hanno evidentemente preso di sorpresa lui, ma perché Satoru non ha usato il suo Infinito?
Si alza a sedere, portandosi una mano alla nuca, prima di richiamare la maledizione, guardando storto il pupazzo giallo con la cresta verde fluo che gli saltella attorno.
Il suo decisamente più elegante drago gli si acciambella vicino, prima di ridursi ad una sfera nera e svanire dalla sua mano.

A pochi metri da lui, Gojo sta ancora litigando con il guscio maledetto, un simpatico mostriciattolo rosa salmone, che lo tiene per una gamba e sembra davvero non volerlo far allontanare.
... 'Potrebbe semplicemente attivare il suo Infinito', pensa di nuovo Suguru, ridendo e Gojo finalmente lo fa, sbalzando il pupazzo a qualche metro.
Sbuffa, finalmente libero, rosso in viso, i capelli bianchi arruffati.
È senza occhiali. Le sue lenti scure sono cadute a pochi passi da lui, lasciando libero l'azzurro accecante dei suoi occhi. Suguru non crede riuscirà mai ad abituarsi a quelle iridi.

Li incrocia per un istante, mentre prende con stizza il suo elastico da terra e con gesti frettolosi, dopo diversi tentativi, si raccoglie i capelli in una croccia disordinata.
Un istante in cui il viso di Satoru pare perdere la boria che c'era dipinta fino ad un secondo prima, per lasciare spazio a qualcosa che somiglia all'imbarazzo.
Un istante in cui Suguru vorrebbe far finta di niente, ignorare come il suo battito sia accellerato e il suo stomaco contratto.

"Geto! Gojo! Nel mio ufficio".
La voce di Yaga lo colpisce come una doccia fredda, fortunatamente. L'uomo è in piedi a pochi metri da loro, i gusci maledetti decisamente troppo colorati per essere tanto violenti, ai suoi fianchi, finalmente mansueti.
Scuote la testa, prima di richiamarli ancora una volta con lo sguardo ed incamminarsi verso gli edifici.
Suguru non è intenzionato a mettersi nei guai più di quanto non sia già. Lancia un'ultima occhiata arrabbiata (Perché è così, vero? Lui è arrabbiato con Satoru?) al ragazzo, ancora imbambolato e stranamente silenzioso a terra, prima di girarsi ed andare verso l'Istituto.
Sì, conclude, mentre raccoglie gli occhiali del compagno e si ferma ad aspettarlo, Satoru lo fa davvero innervosire...

*

Yaga non crede ai propri occhi. Questo non se lo aspettava, ma ancor di più, questo proprio sa di non meritarselo.
Quando ha cominciato ad insegnare, l'ha fatto con la consapevolezza che si sarebbe trovato a gestire tanti, troppi aspetti della vita dei suoi studenti, compresi gli scoppi ormonali tipici dei ragazzi di quell'età.
Ma quello che vede quando va a recuperare i gusci maledetti che ha spedito dietro a Gojo e Geto, gli fa pensare una sola cosa: ecco un altro motivo che renderà questi due un fottuto incubo per i prossimi anni.
Il suo fottuto incubo.
Suguru è in piedi, intento a raccogliere i capelli che scappano dalla sua presa nervosa, l'elastico stretto tra i denti.
La giacca della divisa è aperta e, a causa della posizione delle braccia, piegate dietro alla nuca nel tentativo di fermare la crocchia, la maglietta sollevata lascia scoperto parte dell'addome, fino all'ombelico.
È rosso in viso, litiga con le ciocche che continuano a sfuggirgli dalle dita.
A pochi metri da lui, Satoru, deglutisce a vuoto, guardando quel lembo di pelle con lo stesso sguardo che dedica a tutto ciò che è fonte di zuccheri e arrossisce.
Satoru Gojo arrossisce.
Senza contare che ha visto chiaramente come i suoi gusci maledetti siano riusciti a colpire entrambi gli studenti, perchè troppo distratti l'uno dall'altro.
No, Yaga non è pronto per Gojo Satoru e Geto Suguru in crisi ormonale.
Anzi, peggio.
Non è pronto per i suoi studenti più promettenti, ma idioti, innamorati l'uno dell'altro.
Li guarda, stizziti e imbronciati, camminare fianco a fianco lanciandosi occhiate e capisce. Forse è troppo tardi per evitarlo ...
Quindi può solo ringraziare che non si siano ancora accorti di essere cotti a puntino e sperare che non lo facciano presto.

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Capitolo 7
*** Goodbye ***


Il giorno stesso forse è il più facile.
Non appena l'eco della maledizione si spegne, capisce di non avere tempo.
Non ha che ancora pochi minuti da concedergli (o forse dovrebbe dire concedersi), prima che la sua testa si affolli di cose da fare.
Deve raggiungere i ragazzi. Quella è la priorità. Prima i vivi, poi i morti.
Anche quando il morto è lo stregone nero più ricercato del Giappone, pensatore della parata di maledizioni appena sventata.
Anche quando il morto è Suguru.
Da quanto gli pare di aver colto dalle sue  parole, Maki, Toge e Panda sono vivi, ma sicuramente non illesi.
Geto è, era, Satoru. Guarda cosa ne è rimasto, un avversario decisamente superiore alle loro possibilità.
Mandarli contro di lui è stata una scommessa che non poteva perdere, che era certo non avrebbe perso.
Aveva messo le vite dei suoi studenti tra le mani della persona di cui ancora si fidava, anche se era loro nemico.
Il fatto che Suguru non avrebbe mai ucciso gratuitamente dei giovani stregoni, sapeva non lo avrebbe fatto, non significava che ci fosse andato leggero.
Senza contare che per Maki il discorso era diverso. La ragazza Zenin per Suguru non era altro che una nullità, uno scarto.

Deve raggiungere Yuta. Se Geto è stato sconfitto, Rika è esplosa in tutta la sua potenza e ad assicurarsi che la cosa non finisca male è lui.
Non vuole dare a quel branco di mummie ai vertici la possibilità di chiedere la testa di Okkotsu o la sua.
Anche se una parte di lui, sempre più difficile da mettere a tacere, vorrebbe vederli provare.
Sei davvero così diverso da Suguru? Non vorresti vedere anche tu il mondo della stregoneria rivoluzionato?
Li vorresti uccidere, vero Satoru?
Se questo cambiasse qualcosa, lo faresti vero?
Forse sei solo meno idealista di Geto
.
Non ha tempo nemmeno per questo ora.
Non ha tempo per ascoltare la parte peggiore di sé.
Deve verificare che la situazione sia risolta a Kyoto come a Tokyo.
Deve parlare con Shoko, deve occuparsi del cadavere.
Alza lo sguardo verso l'amico ancora un'ultima volta, tendendo una mano per spostare i capelli che gli coprono il viso.
Arriva vicino, all'ultimo l'abbassa. Come se fosse Suguru ad avere un suo infinito ora.
Non ho il tempo di piangerti. Lo farò, ma non ora.

Il giorno dopo c'è ancora un sacco da fare, ma a tenerlo occupato è soprattutto la battaglia in corso con Shoko.
La donna che ora lo fissa scuotendo la testa, probabilmente pensando se si possa essere più stupidi e imprudenti di così.
"Gojo, è pericoloso. Geto era troppo potente, era un grado speciale, non sappiamo che conseguenze..."
È la terza volta che glielo ripete, non ha intenzione di ascoltare oltre.
"No. L'ho colpito con l'energia maledetta, nessuna maledizione nascerà da Suguru..."
Non lo guarda, odia ogni secondo che Suguru, che il suo cadavere, sta passando su quel tavolo di metallo da cui vuole portarlo via il prima possibile.
"Avrà una degna sepoltura... è giusto che il suo corpo...".
"Quello che ne rimane, Satoru..."
E questa volta il colpo di Shoko è veramente basso.
Tanto che non può fare a meno di lasciar cadere lo sguardo sul vecchio amico.
Un braccio portato via dall'attacco di Rika, l'altro strappato insieme a buona parte del torace dal colpo di grazia che lui gli ha inferto.
È stato brutale, è stato rapido, sa che ha agito nel modo più pietoso.
È deciso a non mostrare a Ieiri di aver accusato il colpo.
"C'erano due ragazze con lui, quando è venuto all'Istituto... credo sia giusto renderlo a loro".
Shoko si appoggia al suo fianco, socchiude gli occhi, mentre accende una sigaretta. È la sua resa.
"... so che oramai hai deciso cosi"

Uscito dall'obitorio, si dirige verso il cortile. Per prima cosa deve restituire a Yuta il suo tesserino.
Lo trova insieme agli altri studenti. Okkotsu gli sorride, leggero come non lo aveva mai visto. Come dovrebbe essere un ragazzo di quell'età.
"Ah! La mia tessera studente! L'hai trovata tu, prof?"
"In realtà no... è stato il mio migliore amico".
Si ferma, sorride tra sé.
"L'unico e solo"

Suguru è morto, ma per piangerlo gli serve tempo.
Tempo che non ha.
Così passa anche il terzo giorno.
E il quarto.
E il quinto.
E tutti i giorni sono pieni, finché arriva il momento.
Nessuna missione, nessuna maledizione abbastanza degna da scomodare Gojo Satoru, nessuno studente da salvare.
E lui è fermo da cinque minuti davanti ad una fiorista, a fissare delle rose azzurre.
A pensare che avrebbe dovuto girare a destra, non a sinistra.
Avrebbe dovuto puntare al caffè dove sa che avrebbe trovato Nanami. Ora sarebbe lì ad infastidirlo e non fermo davanti ad un negozio pieno di fiori.
Avesse girato a destra, non sarebbe obbligato a pensare che ancora non ha fatto visita alla sua tomba.
E allora realizza: Suguru non c'è più.
Non che prima ci fosse, alla fine gli aveva detto addio dieci anni prima. Nemmeno allora aveva avuto tempo per piangere, era già il più forte.
Ma da qualche parte era.
Respirava, camminava, mangiava. Ora no.
Ora rimane nel ricordo suo, della sua famiglia, di quelle ragazzine.
Tira un sospiro, entra e chiede quei fiori.
La ragazza al banco risponde al suo sorriso e arrossisce.
"Un appuntamento?"
"Una specie".

Ci ha messo un po' a trovarlo.
Ora ha tempo. Qualche minuto forse, prima che il suo telefono suoni e qualcuno lo richiami al dovere.
Può piangerlo o semplicemente dire addio.
Il mazzo tra le sue mani si riflette nelle pozzanghere e sulla lapide davanti a lui.
Snella, di lucido marmo nero.
Si sfila gli occhiali scuri e li mette in tasca.
Sorride. Sorride all'immagine che gli resta del ragazzo che era.
Sorride all'uomo che ha ritrovato per un istante, prima di perderlo ancora.
Sorride e capisce che con lui, non sarà mai un addio.
"Ciao Suguru".

*

Il momento stesso è il più facile, forse il più facile della sua vita.
È nelle mani di Satoru, sapeva sarebbe stato lui (e chi altri?) ed è giusto così.
"Suguru..."
Alza lo sguardo verso l'uomo che si è appena chinato davanti a lui. Saturu gli parla e questo rende tutto più difficile.
Perchè morire non gli fa paura, dire addio sì.
Farlo sapendo che Satoru non ha mai smesso di avere fiducia in lui, gli stringe il cuore.
Vorrebbe dirglielo, ma si limita a ridere (di sè, di lui... del disastro che sono sempre stati), mentre un sorriso triste si apre sul volto dell'amico.
Quando Suguru è pronto per dire addio, le sue parole non assomigliano nemmeno un po' ai suoi pensieri.
"Almeno alla fine, fammi sentire qualche maledizione".

Spera che sia rapido. Sa che sarà rapido.
Satoru non è crudele, sa essere spietato, brutale, ma non è mai stato crudele.
Eppure mentre lo guarda venire più vicino, si trova a pensare che deve esserlo diventato, in un momento a caso di quei dieci anni di lontananza.
L'uomo posa una mano sulla sua nuca, avvicinandosi fino a poggiare la fronte contro la sua.
I secondi passano, se non lo conoscesse Suguru direbbe che lo stregone stia pensando di risparmiarlo, ma sa bene che questo non è possibile.
Non di nuovo.
Satoru non smette di guardarlo un secondo, la mano che gli teneva sulla nuca ora gli sfiora una guancia.
L'altra può sentirla all'altezza del petto.
Che doloroso e magnifico regalo lasciarlo morire così, il campo visivo totalmente immerso nell'azzurro di quelle iridi.
Le ha sempre amate, lo hai sempre amato, ricorda a sè stesso, ma non glielo ha mai detto abbastanza.
Ora comunque è tardi.
Perché come ha immaginato, Gojo è rapido, nemmeno saprebbe dire quando ha colpito e lui non prova nessun dolore, solo non riesce più a tenere gli occhi aperti.
È triste. Avrebbe voluto che fosse luminoso come gli occhi di Satoru, invece è buio, ma almeno può andarsene sentendo le sue mani sostenerlo.
Va bene. Va bene così... morire tra le sue braccia è più di quanto meritasse.
Il suo penultimo pensiero è di speranza.
Spera ci sia il tepore delle mani di Satoru, il calore del sorriso di Nanako, la dolcezza degli occhi di Mimiko...
Ma più di tutto spera di non dimenticare che, nonostante tutto, è stato amato.

Satoru, addio.



Prometto che la prossima non avrà nemmeno una riga di angst.

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Capitolo 8
*** Kiss ***


"Non ho mai baciato nessuno, sai?"
Gojo toglie le gambe dal banco, alzando al contempo la testa dalle sue ginocchia, dove si era piazzato senza fare troppi complimenti appena entrato in aula.
Suguru tiene gli occhi chiusi, cominciando a dondolare la sedia.
Se la fortuna lo assiste, potrebbe cadere e procurarsi un trauma cranico.
Perché lo sa, lo sa, che se Satoru fa un'uscita del genere, non può uscirne nulla di buono.
"Suguru~..."
Alza una mano alla terza o quarta "u" strascicata, interrompendo quello scempio del suo nome.
"Ti ho sentito."
Apre gli occhi, è consapevole che questa è una conversazione che non può evitare, non se Satoru ha deciso altrimenti.
Lo conosce da pochi mesi, ma può affermare serenamente che gli siano bastati per capire quanto per il compagno sia inconcepibile essere ignorato.
Quindi, pronto a rinunciare alla strana quiete che aleggiava nell'aula fino a pochi istanti prima, mette su la sua espressione più serena, per rispondere.
"Non mi stupisce...".

Il compagno lo guarda come se avesse appollaita sulla spalla una maledizione a tre teste.
Non è offeso, è proprio allibito. Così tanto che Suguru spera quasi che sia abbastanza sconvolto per restare in silenzio fino all'arrivo di Yaga sensei.
Ovviamente, la sua è solo una pallida illusione: Satoru balza in piedi, si piazza davanti a lui, lasciando scivolare le sue lenti scure lungo il ponte del naso.
"Beh, a me un po' sì. Cioè guardami".
Gojo si indica con un gesto teatrale, per poi spalancare le braccia e lui non può fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
"Non avevo dubbi", borbotta.
Satoru sbuffa, ma fa finta di non sentirlo.
"Non che io dica di non essere capace, alla fine sono il più bravo in tutto", canticchia Gojo e Suguru stringe tra le dita il ponte del naso, prima di grattarsi con un pollice tra le sopracciglia.
È il segno della sua resa definitiva, ribellarsi non farà che prolungare la sofferenza. Tanto vale assecondarlo.
"... ovvio".

Satoru si esibisce nel suo migliore teatrino drammatico, con tanto di sospiro, mentre si lascia cadere sulla sedia e comincia a dondolare.
"Però vorrei provare..."
"Beh chiedi a Shoko...", propone senza serietà Suguru.
Può quasi sentire rimbombargli in testa la voce della compagna, intenta a chiedergli se passando troppo tempo con Gojo sia diventato totalmente idiota.
Satoru stesso lo guarda come se fosse pazzo.
"Mi fa paura, mi darebbe dello scemo. E poi è Shoko..."
"Chiedi a Utahime..."
"Mi ha minacciato di darmi un pugno..."
A quindi a lei aveva già chiesto? Ma è davvero senza vergogna. Chiunque sa che la ragazza non lo sopporta.
Geto sospira, si sforza di fare mente locale. A suo malgrado, deve ammettere che il gioco sta diventando divertente.
"Ti va bene anche un ragazzo?"
L'amico fa spallucce.
"Chiedi a..."
Non riesce a finire la frase.
Satoru annulla la distanza tra loro, poggiando veloce le labbra sulle sue.
È così rapido, che Suguru quasi non fa tempo ad accorgersene.
Rimane lì, con gli occhi sgranati.
Stupore e imbarazzo gli colorano le guance, miste ad incredulità.
Non stava certo per suggerire sè stesso.
"Cosa diamine stai...?"
Le parole gli muoiono sulle labbra, ma non solo sulle sue, anche su quelle di Satoru.
Per la seconda volta, Gojo lo prende alla sprovvista.
Ora però il contatto dura qualche istante in più.
Riesce a sentire le dita sottili sulla spalla e le labbra morbide contro le sue.
Sente anche le ciglia lunghe sfiorare la sua guancia e capisce di essersi perso il momento in cui il ragazzo si è tolto gli occhiali.

Il compagno si stacca, puntando gli occhi nei suoi.
"Do il mio primo bacio".
Lo dice come se fosse la cosa più naturale al mondo. Come se fosse scontato, che quel primo bacio fosse destinato a lui.
Suguru boccheggia. Se è uno dei suoi soliti scherzi, Satoru questa volta sta dannatamente esagerando.
"Ma sei completamente..."
'Idiota'. Voleva dire 'idiota', ma cascasse il mondo se Gojo non lo interrompesse una volta.
"Avrei preferito esercitarmi prima, da non fare brutta figura..."
"Esercitarti prima di cosa?"
Ora non solo è arrabbiato, non solo è imbarazzato. Ora è anche dannatamente confuso.
"Però se non ti va, ti do dieci secondi per andartene..."
"Esercitarti prima di cosa, Satoru?"
"... altrimenti ti bacio di nuovo. E ti bacio davvero".

Sbatte gli occhi, cercando di capire se è realmente sveglio o se forse deve ancora alzarsi dal letto.
Perché ora che sta riprendendo a respirare, si rende conto che il ragazzo davanti a lui ora gli sembra anche meno... meno Gojo.
Il suo tono non suona petulante come al solito e l'atteggiamento pare meno supponente.
È sicuro però, non cede di un centimetro davanti allo sguardo sconvolto che Suguru sa di avere stampato in faccia.
Ma Satoru non molla, con il dito indice che punta contro il suo naso e gli occhi azzurri dannatamente spalancati.
"Suguru di secondi ne sono passati cinque..."
Lo avverte, ma lui lo ignora. Fermo a considerare che deve davvero essere caduto dalla sedia, essersi procurato un trauma cranico ed essere svenuto da qualche parte.
Perché sta pensando che forse lasciarsi baciare da Satoru... non è così male.
Ha le labbra morbide e belle. Sarebbe un ipocrita a negarlo.
E mentre lo bacia rimane per una volta zitto.

"... ora ne mancano tre."
"Guarda che so cont..."
Oppure no, probabilmente ha smesso anche di saper contare, visto Gojo lo sta di nuovo baciando. Eppure lui era sicuro di avere ancora un paio di secondi.
Questa volta fa tempo a sentire il sapore del ragazzo.
È dolce, ovviamente, e come potrebbe essere altrimenti. Con tutti gli zuccheri che mangia...
Lo sente anche tremare leggermente.
Quando si stacca, Suguru si trova ad inseguire l'aria nello spazio rimasto vuoto tra loro.
Satoru ha gli occhi ancora socchiusi, le labbra lucide e le guance rosse. È adorabile... per la durata di un secondo.
"Allora, sono bravo anche in questo?"
Chiede, il tono tornato il solito. Il viso spinto verso il suo, quasi a sfiorare il suo naso, in un'ulteriore spudorata invasione del suo spazio vitale.
La sua espressione è tornata quella saccente e da ragazzino viziato di sempre, tanto che Suguru vorrebbe dirgli qualcosa di cattivo, ma gli tocca ammettere che non è che abbia grandi termini di paragone.
E alla fine questa è la versione più sopportabile di Gojo con cui si è trovato ad avere a che fare.
Poi Yaga sensei sembra davvero in ritardo...
"Riprova un attimo..."



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Capitolo 9
*** Losing game ***


Questo non è esattamente un nuovo capitolo (quello arriva settimana prossima) ho solo spostato "Losing game" all'interno della raccolta, dopo aver riflettuto due mesi sul rating e aver deciso che può stare nell'arancione.
Quindi, se avete già letto, passate pure oltre.
Un abbraccio!




"Geto! Ho bisogno di parlarti..."
Con un sospiro, esce e si chiude la porta alle spalle.
I suoi occhi corrono alle finestre del corridoio, verso il riquadro di cielo azzurro di quella calda giornata estiva, prima di volgere uno sguardo interrogativo a Yaga.
L'uomo, in piedi davanti a lui con il pugno ancora alzato, pare pronto a bussare per quella che Suguru è sicuro sia la decima volta.
Il professore non gli da il tempo nemmeno di aprire bocca, ma lo incalza con un classico, quanto scontato, 'dove diamine è Gojo' che gli fa alzare gli occhi al cielo. Pensare che credeva di essere uno stregone, non il baby sitter del suo migliore amico.
Sta per rispondere che non lo sa (mentendo, ovviamente lo sa), ma l'uomo non sembra intenzionato a lasciarlo parlare.
Suguru capisce in fretta che più che sapere dove si trovi Satoru, è uno sfogo quello che vuole Yaga.
Nessuno con un minimo di senno verrebbe a chiedere a lui dove si trovi Gojo, sperando in una risposta sincera, se quest'ultimo non vuole farsi trovare.

"Non ha calato il velo", inizia Yaga.
Un grande classico, quando mai si ricorda di calarlo. Suguru non può che annuire.
"Ha 'giocato a palla' cito letteralmente da quanto testimoniato da una finestra, con la testa della maledizione, canticchiando che l'avrebbe esorcizzata".
Gli viene quasi da ridere, Satoru era al telefono con lui mentre bullizzava la suddetta maledizione. Un primo livello, se non ricorda male.
Lo stregone si era lamentato di aver risolto la cosa in due minuti, rimanendo indispettito per essersi annoiato troppo nello scontro.
Sinceramente, si stupisce che queste cose scuotano ancora Yaga.
"E ha dato il suo numero di telefono alla fidanzata della vittima, per 'consolarla' secondo quanto riportato".
E qui si trova quasi a strozzarsi con la sua stessa saliva. Questa Satoru dovrà spiegargliela.
Ascolta per ancora qualche minuto lo sproloquio indignato dell'uomo, su come le alte sfere gli mettano pressione perché 'tenga sotto controllo quel dannato ragazzo', fingendo che gliene importi e soprattutto che la cosa possa anche vagamente preoccupare Satoru.
Quando il professore se ne va, gli pare di essere uscito dalla sua stanza giorni prima. A quanto pare non è solo il baby sitter, ma anche l'ufficio reclami di Gojo.

Entra in camera, chiudendo piano la porta dietro di sé.
Un rumore, dal fondo della stanza, richiama la sua attenzione.
È una voce, anzi, più un gemito malamente soffocato, quello che guida il suo sguardo verso il letto sfatto.
Sfatto e occupato.
Sgrana gli occhi, realizza e poi sorride.
"Yaga ti cercava..."
Rimane sul vago, mentre si avvicina scuotendo la testa. Perché sapeva già prima di entrare che se Yaga avesse messo piede in stanza, avrebbe trovato Satoru nel suo letto, esattamente dove lo aveva lasciato, nudo e decisamente contrariato per l'interruzione.
La scena che si trova davanti, però è decisamente una sorpresa. Una bella sorpresa.

"A si? Per il velo?"
Il maledetto finge non curanza e se è questo il gioco a cui vuole giocare, Geto è lieto di accontentarlo.
"Credo più per aver offerto alla ragazza sopravvissuta il tuo numero."
Dal suo tono di voce pare quasi non gli importi.
Gojo ridacchia stupidamente in risposta.
"Beh, volevo essere gentile... "
La voce lo tradisce, come pure la risata che esce affaticata. È senza fiato e Suguru deve fare uno sforzo non indifferente per mantenere la sua solita espressione calma, perchè davvero non può credere alla sua fortuna.
Perché Satoru è bello sempre. La mattina con il segno del cuscino sulla faccia, mezzo addormentato a lezione o mentre rosicchia un lecca lecca.
Con la bellezza stravagante dell'amico ci fa i conti da tre anni, ma quello che ha davanti ora è diverso e inaspettato.
Perché Satoru è sempre bello, ma nudo nel suo letto che si masturba è una visione.

Si avvicina cauto, limitandosi a sfiorare con lo sguardo la pelle lattea del ragazzo, mentre lo ascolta portare avanti il suo teatrino.
"Era carina sai? Sarebbe stata il tuo tipo... bassina, viso dolce... sembrava una bambolina".
Mentre parla di quella scimmia senza importanza, Satoru continua ad accarezzarsi, lento, pronto a strappargli ogni parvenza di sanità mentale.
La gamba piegata impedisce a Suguru la vista di cosa stia succedendo, ma non fatica ad immaginare.
Sperando che il suo cuore impazzito non faccia troppo rumore, si chiede quanto la sua maschera di indifferenza potrà reggere.
Va fiero della sua espressione illeggibile e spera non lo tradisca ora. Anzi si augura che l'altro la prenda come una sfida.
"Disse il ragazzo alto un metro e novanta che si sega nel mio letto... "
"Beh, ci stavi mettendo tanto..."
"E hai deciso di pensare alla ragazza carina per passare il tempo?"
"No, decisamente no, te l'ho detto: era più il tuo tipo".
Suguru sbuffa in risposta, tra l'incredulo e il rapito, mentre deglutisce a vuoto.
L'amico (seriamente, si ostina a definirlo ancora così?) sta aumentando il ritmo, la sua voce sempre più spezzata e gli spasmi del suo corpo gli fanno capire che è vicino e se è certo di una cosa nella vita è che un orgasmo di Satoru è uno spettacolo che non vuole perdersi.
Chiude con un passo la distanza che lo separa dal letto, levandosi la maglietta che si era infilato in fretta e furia al richiamo di Yaga.
Con un tocco gentile alla gamba del ragazzo, gli fa capire di abbassarla, così che possa sedersi a cavalcioni su di lui, appena sotto il bacino.
"Pensi di darmi una mano?"
Gojo ride della sua stessa, pessima, battuta, facendolo sobbalzare.
"Non credo, dopo questa non te lo meriti", risponde, ignorando la rispostaccia che gli arriva contro.

La risata di entrambi si spegne, rotola in un sospiro che diventa l'ennesimo ansito mal trattenuto, ricordandogli in che situazione sono.
Satoru si sta masturbando davanti a lui e lui non può fare a meno di guardare.
Non dove la mano del ragazzo si muove a ritmo sempre più veloce e caotico. Non che non gli interessi, ma è arrivato tardi, quindi deve puntare subito al meglio.
Il suo sguardo esita, ma non cade neppure sugli addominali, sempre più contratti, né sul petto che si alza e abbassa o sulla schiena che si inarca splendidamente.
I suoi occhi corrono veloci al viso. Risalgono dalle labbra tumide e appena schiuse, verso le guance arrossate.
Si perde per un attimo a guardare la corona di capelli bianchi come la neve, sparsi sul cuscino.
Se non avesse lavato con cura lui stesso quelle federe, le direbbe sporche e ingiallite, a confronto con il bianco perfetto dei capelli di Satoru.
Vorrebbe restare solo a guardarlo disfarsi da sè, ma Suguru è umano e quello è un gioco che è destinato a perdere. Quindi non riesce a fermare le sue dita mentre si insinuano tra le ciocche.
Il ragazzo sotto di lui muove la testa come un gatto contro la sua mano, voltando il capo e appoggiando le labbra contro il suo polso, mentre fatica sempre più a trattatenere gli spasmi e i gemiti.
Sussurra una richiesta sporca che gli arriva dritto allo stomaco e al sangue.
Però no, non è quello che vuole adesso. Quindi scuote la testa, preparando il suo tono più conciliante per far fronte al broncio che gli metterà su Satoru.
"No, non ora. Voglio guardarti".
"Pervertito", risponde l'altro fingendo indignazione, mentre lui decide che in qualcosa può accontentarlo.
Si corica al suo fianco e gli volta gentilmente il viso.
Fa scorrere il pollice fino alle sue labbra, con una leggera pressione le apre maggiormente.
Si insinua dentro con indice e medio, cauto, gentile, accarezzando con i polpastrelli la lingua.
Non da il ritmo, vuole che sia Satoru a decidere quando è abbastanza. Quando il compagno lascia andare le sue dita, la sua mano scende, accarezza, le sue falangi spingono finché un gemito particolarmente acuto e uno scatto improvviso della schiena del ragazzo gli fanno capire che ha colpito il punto giusto.
Mentre muove le dita mappando vie che conosce a memoria, può concedersi di puntare lo sguardo su quello che dall'inizio era il suo obiettivo: gli occhi di Satoru.
Socchiusi, umidi e leggermente arrossati, ma sempre sbalorditivi.

Appoggia la fronte contro la sua, accompagnandolo verso il suo climax, sussurandogli il suo nome piano contro le labbra.
Chiamandolo come in preghiera, perché vuole che Satoru lo guardi, vuole che il suo mondo si faccia tutto azzurro.
Perché quel mondo per lui invece è ogni giorno sempre più nero e vorrebbe poterglielo dire.
Vorrebbe dirgli che lui gli manca, quando è via.
Che ogni missione in solitaria è più dolorosa.
Che è stato orribile vedere Haibara sul letto dell'obitorio.
Che, come Nanami, anche lui ha pensato che potrebbero lasciare tutto nelle sue mani. Sulle spalle dello stregone più forte.
Che quelle scimmie le odia, gli mettono nausea tanto quanto le maledizioni che ingoia, come uno straccio per raccogliere il vomito, ma non può parlarne con lui, perché teme il suo disprezzo. Perché lui è Gojo, ormai più semi-dio che uomo e loro sono solo mortali.
Vorrebbe gridargli che ogni giorno è peggiore del precedente e ogni maledizione che ingoia si rompe qualcosa dentro, si apre qualche crepa. Ma non entra un filo di luce, solo altra oscurità.
Che solo quando sono così, quando lui è tra le sue braccia, sente che può essere ancora intero.
Quando davanti a lui c'è solo Satoru.
Satoru che ride, dondolandosi sul davanzale dell'aula per fargli la linguaccia a testa in giù;
Satoru appena sveglio, con i capelli spettinati;
Satoru che prende in giro Utahime e poi abbassa gli occhiali di un soffio, per fargli l'occhiolino in un gesto complice;
Satoru nudo nel suo letto;
Satoru che viene, come sta venendo ora, guardandolo e sussurrando il suo nome come una cantilena.
Perché solo quando non è di fronte allo stregone, ma al ragazzo, al suo migliore amico, non è come se una maledizione lo mangiasse vivo dall'interno.
Quando è il suo unico e solo e lui può scordarsi che nemmeno qualche mese prima erano i più forti, mentre ora è rimasto indietro, insieme agli altri.

"Satoru guardami" chiede. E rendi il mio mondo come una giornata d'estate, per favore. Solo per un istante, rendilo come i tuoi occhi.
Tutto questo non lo dice, ha ancora una dignità, ma lo bacia, lo stringe, lo accarezza finché i tremori che lo scuotono (che li scuotono entrambi) non svaniscono.
Si gode questo momento di debolezza, con accoccolato tra le braccia quello che ormai è, a detta di tutti, lo stregone più forte, eletto in cielo e in terra.
Gli bacia la tempia, crogiolandosi nel calore di un Satoru stranamente quieto e vulnerabile, aspettando che la bolla in cui sono esploda.
Sa che sarà per poco.

E infatti la pace dura esattamente un minuto, prima che il ragazzo si stacchi da lui per stirarsi come un felino troppo cresciuto, regalandogli un sorriso furbo e negli occhi un pensiero che Suguru legge chiaro.
Scuote la testa incredulo, ghignando e mettendo da parte i pensieri tristi, lasciando che ripiombino a terra come la sua divisa da stregone.
Spera solo che non lo inghiottano non appena Gojo lascerà la stanza.
Probabilmente però non è un'eventualità di cui dovrà occuparsi nei prossimi minuti.
Perché quando Satoru apre bocca, sa cosa sta per dire.
Perché quando Satoru parla, lo fa con tono di sfida e lui di nuovo non crede alla sua fortuna.

"Allora, dove eravamo rimasti?"


Doveva essere un pezzo easy, leggermente hot (la cosa doveva fermarsi a Geto che coglieva Gojo in flagranza di reato) ed è sprofondata nel angst da "Geto depresso cerca di rimanere attaccato al baratro della sua ormai poco stabile sanità mentale". E anche decisamente più hot.

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Capitolo 10
*** Laugh ***


"Sensei!"
Yuji si sbraccia per salutarlo, il sorriso aperto e l'espressione allegra.
Dalla scalinata che porta al campo d'allenamento, Gojo lo guarda scuotendo la testa, cercando di non mettersi a ridere, sapendo quello che sta per succedere.
Come previsto, non passa un istante che l'asta di Maki colpisce Itadori sulla nuca, abbastanza forte da stordire chiunque non abbia le doti fisiche del ragazzo.
"Idiota! Non ci si distrae durante uno scontro! Vuoi morire?"
Yuji fa il broncio, mentre si porta una mano alla testa.
"Scusa, Maki senpai".
La ragazza, una mano al fianco, l'altra impegnata a puntare il bastone d'allenamento verso il proprio Kōhai, sbuffa infastidita.
"Stupido! Ti sembra lo spirito per vincere all'incontro di scambio?"
Gojo osserva la scena lasciandosi andare ad un mezzo sorriso, grattandosi il mento.
Le donne a volte fanno davvero paura.
Si siede sui gradini, allungando le gambe, intenzionato a godersi il tepore di quella mattinata di primavera prima di dare davvero inizio alla sua giornata.
Picchia una mano contro l'orecchio, a scacciare la strana sensazione che lo accompagna da quando si è alzato, come un ronzio continuo.
Nulla.
Prova a tapparsi il naso e soffiare.
Ancora nulla.
L'acufene rimane lì, appena percettibile.
Rumoroso abbastanza da essere un fastidio, ma non tanto da non essere ignorarabile.

"Yo, Satoru!"
Soprattutto se Suguru finalmente si è degnato di raggiungerlo.
"Buongiorno Geto sensei!"
Prima ancora che si volti, Yuji lo precede nel salutare il nuovo arrivato, sbracciandosi come un matto e guadagnandosi una nuova e davvero troppo scontata bastonata dalla ragazza Zenin.
"Itadori Kun non distrarti, Maki non è un'insegnante tenera", lo riprende con voce calma Geto.
Ha un sorriso stanco sul volto, mentre si siede al suo fianco sulle scalinate.
Alcuni ciuffi neri di capelli gli cadono sulla fronte, mentre con la mano si scherma gli occhi dal sole del mattino, senza togliere lo sguardo dai loro studenti.
Lo guarda e può chiaramente leggere il moto d'orgoglio che prende Suguru alla vista dei ragazzi che si allenano già di prima mattina.
Nella sua testa invece balzano tre pensieri.
Il primo è che non si ricorda da quando non vedeva l'altro con un taglio così corto, probabilmente dalla loro adolescenza.
La coda bassa in cui Geto ha raccolto i capelli corvini nemmeno arriva alle spalle, sfiorando a mala pena il collo della divisa da stregone.
Il secondo è che l'uomo è schifosamente bello, nonostante le leggere borse sotto gli occhi e l'accenno di barba sulle guance.
Se non ricorda male era stato chiamato per una missione la notte scorsa, probabilmente non ha fatto tempo né a dormire né a radersi.
Il terzo pensiero, beh quello è meglio se se lo tiene per sé, ma si segna mentalmente di nascondergli i rasoi per un'altra occasione.

"Tieni, sono passato a prendere la colazione".
Geto interrompe il suo sconveniente flusso di pensieri facendogli dondolare davanti un sacchetto che è quasi certo contenga più zuccheri di quanti sia salubre mangiare in un mese.
Visto che la borsa contiene esclusivamente dolci, capisce al volo che sarà l'unico dei due a fare colazione.
"Tu non mangi?"
Suguru non specifica nulla, ma dopo tanti anni non gli serve nemmeno guardarlo, figurarsi che parli, per capire che la maledizione che ha incontrato sulla sua strada è stata esorcizzata e ingerita.
"Sicuro? Non ti andrebbe nemmeno di bere qualcosa di caldo?"
"No, ma grazie Satoru..."
"Non che mi stia preoccupando", aggiunge, appoggiandosi con un braccio alle spalle dell'amico, "...solo che sei insopportabile quando torni da certe missioni..."
Non gli serve guardarlo nemmeno per sapere che girandosi, vedrebbe Suguru roteare gli occhi con finta esasperazione.
Lasciano cadere la conversazione, spostando lo sguardo verso il campo di allenamento dove Yuji si è praticamente trincerato dietro Panda, appena arrivato sul prato, per sfuggire a Maki.
Geto ride alla scena e lui perde un battito, come non sentisse quel rumore da anni.

Una nostalgia strana gli attanaglia lo stomaco e qualcosa nella testa gli ripete che dovrebbe ascoltare, dovrebbe bere quel suono tanto da conservarlo nella testa per giorni.
E lo farebbe, se quel dannato brusio lo lasciasse in pace.
Solo in quel momento realizza. Non è un problema del suo orecchio.
È l'energia maledetta attorno alla scuola che ha qualche cosa che non va.
Si gira verso Suguru, chiedendosi come sia possibile che nessuno dei due abbia notato nulla, ma appena si volta, sbarra gli occhi sotto la benda.
Il brusio cresce in un fischio stridulo che minaccia di spaccargli il cranio in due. L'energia maledetta aumenta ancora, sul punto di esplodere, il suono diventa assordante.
Di colpo tutto torna alla calma, resta solo il ronzio che lo tormenta dalla mattina.
Nemmeno si è accorto di aver sepolto il viso tra le mani.
Suguru è di fronte a lui, lo guarda come se fosse pazzo.
L'espressione stranita, le sopracciglia arcuate. Il fatto che sia il più forte, non ha mai impedito al compagno di prendersi cura di lui. Di preoccuparsi per lui.
"Satoru, stai bene?"
Sì, sta bene... si sente stanco. Si sente stanco e fatica a pensare.
Anche la sua tecnica, anche i suoi Sei Occhi, sembrano intontiti.
"Si scusa... dicevi?"
"Hai sforzato troppo gli occhi? Quegli occhiali ormai sono rovinati, perché non usi una benda?"
"... ma io la uso".
"E questi cosa sono?"
Suguru gli sfila gli occhiali da sole, sorridendo indulgente, prima di posare un bacio tra le sue sopracciglia.
Non osa immaginare l'espressione confusa che deve avere dipinta in volto.
Sente in lontananza Maki intimargli di prendere una stanza, mentre un leggero imbarazzo colora le guance di Geto.
Va tutto bene. Deve andare tutto bene. Forse è davvero troppo stanco o forse ha solo bisogno di zuccheri.
Scuote la testa, aprendo il sacchetto della panetteria.
"Le sventure di Itadori sono più divertenti delle mie battute?"
Ghigna al compagno, tuffando il naso nel sacchetto per scegliere il dolce che meglio può spingerlo verso la sempre più vicina soglia del diabete.
"Sai, mi sembra una vita da quando ti ho sentito ridere ..."
"Da quando mi hai ucciso...", risponde l'altro in un respiro.

Da quando mi hai ucciso...
Rimane gelato, immobile in quel istante, mentre alza lo sguardo a fissare Geto.
L'uomo ha il tono tranquillo di chi sta dicendo un'ovvietà ed è... diverso.
Ha i capelli lunghi, scendono lungo le spalle e quasi gli arrivano in vita.
Il suo viso è perfettamente rasato, la mascella affilata.
Non indossa la divisa da insegnante, ma vesti da monaco.
Ha un sorriso triste e sembra sapere già quello che lui ancora deve realizzare.
Perché Suguru non può essersi tagliato i capelli, né portare la divisa da insegnante.
Suguru non può nemmeno conoscere Itadori, né può essere lì seduto al suo fianco perché... è morto. È morto per mano sua.
Lui ha ucciso il suo migliore amico nemmeno un anno fa.
Quindi perché se è morto, l'uomo ora lo guarda, inclinando la testa, quasi come se avesse pietà di lui.
"Se vuoi possiamo fare finta di nulla, nessuno ha sentito...", dice in un sussurro.
Gojo chiude gli occhi.
Vorrebbe. Vorrebbe davvero, ma non può.
È evidente che sia il macabro scherzo di qualche maledizione. Non fosse "il più forte" probabilmente non avrebbe avuto scampo al tranello in cui è caduto.
Chissà per quando avrebbe retto.
Incrocia le dita e tutto finisce.
Lo spazio collassa, accerchiandolo in un meccanismo di specchi che scatta e si chiude attorno a lui.
In ognuno, una versione diversa del suo riflesso ricambia il suo sguardo.
Lui poco più che adolescente, coperto del sangue dell'unica battaglia in cui si è trovato a versarne, con un sorriso maniacale e folle sul volto.
Lui del presente.
Lui in decine di versioni, ma in ogni caso, solo.
Tranne in una: accovacciato in un vicolo, davanti a Suguru che lo ascolta, sul viso pallido e sporco di sangue un'espressione incredula che lascia il posto ad una risata.
La sua ultima risata.
Poi, proprio mentre incrocia lo sguardo di una sua versione molto più giovane, praticamente un bambino, stretto in uno yukata chiaro, il suo Vuoto Infinito prende il sopravvento.
Uno dopo l'altro, gli specchi si infrangono.

Riesce ad afferrare per un braccio la maledizione, trascinandola fuori dal dominio.
Per un istante è stato indeciso, se lasciarla a marcire o occuparsene alla vecchia maniera.
La consapevolezza di sè stesso però è un ottimo deterrente.
È conscio delle sue capacità, né è dolorosamente consapevole da sempre.
Non è il migliore solo per le doti straordinarie che ha ereditato come un dono. Lo è anche perché quando si tratta della sua tecnica, quando tutto si riduce a leggere il campo e decidere come agire, può farlo nel tempo di un respiro.
Efficiente, freddo, analitico. Anche nel contemplare e accettare danni collaterali.
Se non lo è stato un motivo deve esserci.
Se è entrato nel dominio di una maledizione, invece di disintegrarla in partenza, doveva avere un buon motivo e l'unico che gli viene in mente è che dovesse recuperare qualcuno.
Qualcuno che non può permettersi di perdere.
Megumi .
È come essere travolti da un treno in corsa.
Il suo istinto ha agito bene, quando l'ha spinto ad impostare un dominio di due decimi di secondo, abbastanza per prendere la maledizione, ma non per ferire chiunque fosse con lui.
Senza contare la fredda soddisfazione che gli porta l'urlo che l'essere fa mentre strappa una delle braccia. Decidere di finire la questione a mani nude è stata la scelta giusta.
Piazza il piede sul collo della creatura, mentre con le dita gli artiglia la mascella.
Forse potrebbe guardarla dibattersi ancora un po', ma ha altre priorità.
"Ti è andata male, ora aspetta qui da brava ..."
Gli basta uno sguardo per spezzare gli arti che sono rimasti, in abbastanza punti da dargli il tempo per fare quello che deve.

Si volta verso il motivo per cui è entrato nel dominio.
Megumi è a terra, seduto e illeso, ma decisamente non in sé.
La testa ciondola tra le ginocchia piegate al petto.
Le braccia tese a sorreggere il nulla, dopo qualche istante piombano pesanti ai suoi fianchi, prima di salire ad avvolgere il suo stesso torace.
È palese che l'illusione in cui la maledizione l'ha catapultato doveva essere decisamente meno piacevole delle sua. Non il mondo desiderato, ma un ricordo.
È evidente anche in quale sia stato trascinato.
Non c'era quel giorno per lui, ma chi l'ha soccorso gli ha raccontato lo stato in cui il ragazzo era stato trovato.
Il viso rigato da lacrime silenziose, il cadavere di Itadori tra le braccia.
Per Gojo la questione è finita tra le tante voci sulla sua personale lista del conto che i piani alti dovranno pagare.
Si china di fronte a lui, gli solleva il viso.
"Megumi, era un'illusione, Yuji è vivo..."
Aspetta che il ragazzo incroci il suo sguardo. Solo quando gli da un piccolo cenno con il capo, disegna un segno veloce sul terreno, deciso a spedirlo al sicuro.
Se è stato abbastanza preciso, direttamente nell'ufficio di Shoko.
Non appena Fugushiro svanisce, rivolge le sue attenzioni alla maledizione. Un grado speciale non registrato, senza dubbio.
Probabilmente troverà un feticcio.
O quello o quelle vecchie mummie che si autodefiniscono vertici del Jujustu se la vedranno con lui per il loro ennesimo errore di calcolo.
"Fammi capire, intrappoli la gente nella propria testa fino alla morte?"
Avvicinandosi, provvede a rispezzare gli arti. Anche quello che con tanto impegno quell'essere si è fatto ricrescere.
"Ricordi, paure, desideri? Abbastanza vigliacco da parte tua ..."
Tutto il peso del suo sguardo piomba sulla maledizione.
Le afferra il collo, sollevandola da terra e schiantandola contro il primo muro disponibile, con tanta forza da far esplodere le finestre dello stabile.
"Hai guardato nella testa sbagliata".
Sorride, una mano alla trachea, l'altra alla mascella. Sorride e stringe, finché il rumore delle ossa che si spaccano non diventa più forte delle urla.
Quando ha finito, del grado speciale rimane l'ombra sulla parete. Oltre ad un dito di Sukuna.
Raccoglie il feticcio da terra, girandoselo tra le mani.
Non saprebbe dire per quanto continui a ridere istericamente.

Quando entra nell'ufficio di Shoko, Megumi è seduto sulla barella, lo sguardo spento mentre si presta agli ultimi controlli.
"Vai pure Fushiguro, cerca di riposare", lo congeda la donna, rivolgendo a lui un'occhiata stanca.
Mentre il ragazzo gli passa a fianco, allunga una mano a spettinargli i ciuffi ribelli.
Per una volta, forse la prima da quando è diventato il suo tutore, Megumi non si sottrae al tocco.
"Cosa è successo?", esordisce Ieiri, senza nemmeno volgersi verso di lui. Si limita a riordinare scartoffie, aspettando che decida di risponderle.
"Un grado speciale non registrato... "
"Fushiguro sembrava sconvolto", continua, "anche se non mi ha raccontato molto..."
"... non i migliori cinque minuti della sua vita", risponde, tagliando corto.
Megumi ha diritto ai suoi demoni personali, tanto quanto lui ai suoi.
Shoko lo guarda, sembra soppesare le parole.
"E tu?"
Si veste del suo sorriso più stupido e irritante, sperando che basti.
"Non mi ricordo gran che, probabilmente mi sono dedicato al mio passatempo preferito: infastidire Nanamin o Utahime..."
Ieiri alza un sopracciglio, prima di sbuffare indicandogli la porta.
"Vattene o giuro che diventerai la mia prossima autopsia".
Le da le spalle, con un gesto di saluto, mentre prende la porta.
"Ci vediamo Shoko".


Suguru continua a guardarlo, non smette di sorridere, mentre lui prende a coppa il viso e lo bacia.
Piano, lentamente.
Quante volte avrebbe voluto prendersi il tempo di baciarlo così?
Quando erano ragazzini ed ogni cosa era troppo veloce.
O nei dieci anni passati lontani.
Con i pollici gli accarezza le guance.
Se rimanesse qui, sarebbe così male?
Può smettere di pensare agli altri?
Può smettere di portare il peso del mondo della stregoneria?
Può vivere in un mondo dove non ha ucciso l'amore della sua vita?
No. Non può, ma può immaginare che gli sia permesso ancora per qualche istante.
"Sei diventato sdolcinato, Satoru... ", lo prende in giro Suguru, come se leggesse i suoi pensieri.
Non gli importa, lo bacia ancora una volta, mentre incrocia indice e medio.
"Espasione del dominio..."
Si stacca, lo guarda per un istante ancora. Non vuole darsi il tempo per chiedersi quante volta debba ancora sopportare di perderlo.
È ad un centimetro dalle sue labbra, quando trova il coraggio di parlare. La voce poco più di un sussurro.
"Vuoto infinito"
.



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Capitolo 11
*** Thigh highs ***


Yaga poggia la mano sulla maniglia. Si concede un minuto, prima di entrare in aula.
Non è una sua abitudine, quella di prendere tempo, non è solito tergiversare.
È deciso, conciso, tagliato con l'accetta. Si potrebbe dire che il suo carattere rispecchia la sua fisicità.
Il suo modo di rapportarsi con il mondo non è diverso dal profilo deciso della sua mascella, né dal taglio rigorosamente militare dei suoi capelli.
Però quella mattina rappresenta un'eccezione: è il primo giorno dell'anno scolastico, un momento che ogni volta lo emoziona, fin da quando era lui stesso uno studente.
Inoltre, anche se gli costa ammetterlo, e probabilmente non lo farà mai al di fuori delle pareti sicure della sua scatola cranica, avere a che fare con questi ragazzi, con questo secondo anno è stimolante.
Da tempo non avevano uno studente portato per la tecnica inversa di guarigione come Ieiri Shoko.
E per quel che riguarda Gojo Satoru e Geto Suguru, che dire... quei due sono una dannata spina nel fianco, ma è pronto a scommettere che guadagneranno il grado speciale prima di uscire dall'Istituto di Arti Occulte.
Guidarli lungo la strada lo fa sentire come stesse stesse facendo qualcosa di importante.
Un impercettibile sorriso, più un rapido cenno del labbro, gli anima il viso, mentre con decisione abbassa la maniglia.

Un insolito silenzio lo accoglie in aula.
È piacevole e confortante, ma sospetto, estremamente sospetto e Yaga ha avuto tutto l'anno precedente per conoscere abbastanza bene i suoi allievi, da sapere con certezza che tutta quella tranquillità non è un buon segno.
Appoggia libri e carte sulla cattedra, accomoda il guscio maledetto che sta terminando, inspira ed espira.
Solo quando è certo di essere abbastanza calmo, alza gli occhi verso gli studenti in aula.
Sbatte le palpebre. Una, due, tre volte.
Ora ha una serie pressoché infinita di perché? in testa.
Il primo, lampante, è perchè Geto abbia le trecce.
Il secondo, ancora più pressante, è perché indossi una gonna.
Un attimo dopo nota la ragazza, vestita con pezzi di divise sicuramente non sue, considerato il numero di risvolti che ha dovuto fare alle maniche della giacca.
Vorrebbe dire qualcosa, ma la voce gli muore in gola.
Non è finita lì, non può essere finita lì, perché per completare il terzetto manca un elemento.
Il peggiore.
Perché se Shoko è vestita da uomo e Geto ha addosso quella che sembra aver tutta l'aria di essere una fottuta divisa da studentessa delle medie, non ha idea di cosa possa essere passato nella testa di Gojo.
L'unico che può aver convinto i compagni che presentarsi così il primo giorno di lezione fosse una buona idea.
"Ohayō!"

La voce squillante gli fa drizzare i capelli cortissimi del collo.
Ed ecco il moccioso...
Cerca il coraggio di voltarsi.
Una voce nella sua testa, quella che praticamente ogni giorno gli chiede se è proprio sicuro che sia stata una buona idea darsi all'insegnamento, gli sta praticamente urlando contro che nei prossimi minuti rimpiangerà di non essere in prima linea, impegnato a cercare di esorcizzare un livello speciale.
Tutti i pensieri positivi che l'animavano fino ad un momento prima, sono sepolti dalla voce canzonatoria del ragazzo.
Inspira ed espira. Inspira ed espira.
Alza gli occhi verso lo studente. Spera davvero che Satoru si sia limitato a vestirsi da donna, sa che potrebbe fare di peggio, molto di peggio.
Inspira ed espira. Inspira ed espira, si ripete, ma non basta.
Quello che vede gli fa pulsare la vena sulla tempia.
Perchè fermo sulla porta della classe, con l'espressione di chi è estremamente soddisfatto di sè, Gojo gli fa l'occhiolino.
Yaga si rende conto di aver iniziato a gridare, solo quando il guscio maledetto posato inerme sulla scrivania fino all'istante precedente, ha ormai raggiunto il collo dello studente.

*

"Che bel modo di cominciare il secondo anno... farci ammazzare da Yaga".
La voce di Shoko richiama Suguru dall'intorpidimento in cui è caduto. Succede sempre quando qualcuno tocca i suoi capelli.
In piedi alle sue spalle, Ieiri assottiglia le palpebre verso il riflesso nello specchio, intenta a sistemargli un ciuffo corvino dietro all'orecchio e determinata a vincere la battaglia con i suoi capelli.
La ragazza si gratta la testa con il pettine mentre osserva la sua opera, ignorando come la suddetta ciocca ribelle torni a cadergli sulla fronte.
Nonostante le parole, e la disobbedienza ostinata dei suoi capelli, sembra soddisfatta.
"Perchè cosa tenta di fare di solito?"
Urla Gojo dal bagno. Prima di chiudersi nell'altra stanza, aveva chiarito che non era perché si vergognasse a cambiarsi di fronte a loro, ovviamente, ma per sorprenderli con il risultato finale.
"A dirla tutta, mandare dei sedicenni in missione contro delle maledizioni non equivale a cercare di ucciderli?"
Suguru prende le parti dell'amico, guadagnandosi una tirata di capelli.
Sbuffa in risposta, non piace nemmeno a lui dare ragione al compagno. Anzi, si potrebbe dire che cercare di frenare l'ego di Gojo sia il suo passatempo preferito.
Effettivamente però, cosa può ben fare il professore di più pericoloso che mandarli contro maledizioni, spesso anche di livello più alto del loro... almeno sulla carta.
Alla fine sono studenti che stanno per iniziare il secondo anno.

Quasi brontola, girando tra le dita una delle tracce in cui Shoko ha diviso i suoi capelli, sperando che l'amica non noti la sua espressione, probabilmente simile a quelle che ha dopo aver ingoiato una maledizione particolarmente disgustosa.
Le rivolge uno sguardo stanco attraverso lo specchio.
"Dimmi perché lo stiamo facendo?"
"Perché secondo il tuo amico sarà divertente farci trovare da Yaga conciati così e tu non sei in grado di dargli contro..."
Cantilena la ragazza, con il solito tono annoiato che fa a pugni con il suo mezzo sorriso.
Suguru fa per risponderle, a ribattere però, urlando come se fossero non nella stanza a fianco, ma in un'altra maledetta scuola, è ancora Satoru.
"E perché tu hai detto che da quando vieni meno in missione ti annoi..."
Geto ridacchia, guardando nel riflesso l'amica roteare gli occhi platealmente.
Effettivamente è esattamente quello che è successo.
Era stato davanti all'ennesima sigaretta accesa e giustificata dalla compagna con un "mi annoio", che la sera prima Gojo aveva fatto la faccia.
Quella faccia.
La sua faccia da 'ho avuto un'idea e sto per renderlo un fottuto problema per tutti, soprattutto per Suguru'.
La trovata era semplice, quasi banale: presentarsi il giorno dopo a lezione scambiandosi i ruoli.
Ieiri si sarebbe vestita da maschio e loro... beh, loro avrebbero saccheggiato il suo guardaroba.
Quindi appena svegli, si erano trovati nella stanza della compagna, portandosi dietro i capi più piccoli del loro armadio.

È così che si è ritrovato a confrontarsi allo specchio con il suo riflesso, a fissare il suo sguardo dubbioso con uno altrettanto titubante, ripetendosi che quella non può essere una buona idea.
Si alza e guarda il risultato finale. In complesso, poteva andare peggio.
Le scarpe sono le sue, ovviamente i suoi piedi non si sarebbero adattati a nessun paio di calzature dell'amica.
La sua vita però si è rivelata abbastanza stretta da entrare, trattando un po' il fiato, nella gonna e nella camicia della divisa delle medie di Shoko, apparentemente di qualche taglia più grande di quella che usa ora.
A quanto pare passare in un anno da non saper nemmeno mettere un cerotto a guarire loro quando 'si fanno aprire il culo' da qualche maledizione, seguendo una dieta composta per l'ottanta per cento da caffè e sigarette, deve aver influito sul peso forma della ragazza.
A completare il tutto, una maglia con collo alla marinara, che oltre a stare un po' tirata sulle spalle, arriva a malapena a coprire il suo ombelico.
Sospira. Per la differenza d'altezza con la compagna non può farci molto.
Cerca di correre ai ripari tirando più in alto la gonna, sbuffando quando si rende conto che è comunque una battaglia persa.
"E tu invece? Non ho sentito grandi lamentele da parte tua", puntualizza irritato, mentre Shoko aggiusta il fiocco che chiude i lembi del colletto della vecchia divisa.
"Beh, io così sto una favola... " lo liquida lei, nascondendo i capelli a caschetto sotto un cappellino da baseball, che ad occhio non appartiene né a lui né a Gojo.
"Ma quello di chi è?"
"L'ho rubato ad un primo anno... Haibara", taglia corto.
La ragazza si cala la visiera del berretto sugli occhi, mentre risvolta le maniche della giacca di Satoru.

"Ehi ti sta bene la mia giacca!"
Gojo compare nel quadro della porta, sorriso a trentadue denti e le mani all'altezza del viso a mimare il gesto pace.
"Ohayō~! "
Shoko rotea gli occhi, per poi squadrarlo da capo ai piedi.
"E questa sarebbe la tua entrata ad effetto?"
Anche se non è l'ingresso del secolo, Suguru per qualche motivo non riesce a ridere di lui, nè a non guardarlo...
Perché mentre lui si sente ridicolo, e sicuramente lo è vestito come la versione troppo cresciuta di una guerriera Sailor, Satoru è... carino.
Estremamente, assurdamente carino.
Si ritrova a chiedersi come possa esserlo anche conciato così.
L' idiota indossa l'unico maglione oversize dell'armadio di Shoko, quello che lui ha cercato per dieci minuti buoni, prima di ripiegare sulla vecchia divisa.
In compenso ha scelto una gonna a pieghe corta, decisamente più corta da quella messa da Suguru.
Perché diamine ne ha preso una tanto striminzita?
Ma Gojo si è evidentemente divertito anche con gli accessori. Un cerchietto rosso spicca sui capelli bianchi e... si è truccato?
"Ma ti sei messo il trucco?"
Chiede, osservando quello che sembra proprio eyeliner.
Cerca di spostare i suoi pensieri su qualcosa di pratico, per smettere di fissare quella semplice riga nera, così sottile, ma comunque capace di rendere ancora più intensi gli occhi di Satoru e lui più inquieto.
"Non metti gli occhiali? Guarda che poi avrai mal di... "
"Mi hai rubato anche le calze? Se trovo anche solo una smagliatura ti uccido".
La sua voce è coperta da quella decisamente scocciata di Shoko, ma non è sulla minaccia che fa ridacchiare Gojo che si sofferma Suguru.
La sua mente viaggia sull'altra parte della frase.
Le calze. Calze.
C.a.l.z.e.
Non avrebbe mai pensato che tanto spazio del suo cervello potesse di colpo focalizzarsi su un solo punto.
Satoru effettivamente indossa anche delle parigine?, ricorda che Shoko le ha chiamate così una volta, blu che arrivano a coprirgli le ginocchia.
Deglutisce, rimanendo fisso su quel tessuto che pare tremendamente delicato, arrampicato su quelle gambe così lunghe.
Ma da quando lo sono diventate? E che diamine sta succedendo alla sua salivazione?
"Respira" gli mima Shoko, lanciandogli un'occhiata che trasuda pietà, prima di tornare ad imprecare contro Satoru.
"Ehi! Non mi avrai fregato anche il reggiseno?"

*

Suguru controlla l'orologio appeso alla parete, mentre già a dorso nudo e soprattutto libero dalle trecce, cerca di vincere la sua battaglia per uscire dalla gonna di Shoko.
Grazie al cielo, dopo aver deciso di metterli in punizione per il prossimo mese, Yaga li ha mandati a cambiarsi.
Più semplice a dirsi che a farsi. La cerniera della gonna è sul retro e lui, nel tentativo di aprirla, si sente un cane che si insegue la coda.
Chi può aver pensato che una cosa del genere potesse essere comoda?
Non può non avere un moto di compassione per il genere femminile.
Come diamine si fa a vestirsi con cose tanto scomode?
Quando è quasi sul punto di chiamare Shoko, perché lo liberi da quella trappola infernale, ce la fa.
La gonna non fa in tempo a cadere a terra, che lui tira un sospiro di sollievo entrando nei suoi pantaloni.
Afferra la t-shirt che solitamente indossa sotto la giacca della divisa e se la infila dalla testa, godendosi il semplice odore di pulito, così diverso dal profumo di ammorbidente dei vestiti della compagna.
"Ma ti sei già cambiato?"
Il nervoso gli fa inarcare il sopracciglio. Ecco l'idiota.
Una parte di lui, quella matura, quella che gli ricorda che lui non è stato cresciuto come un principe dannatamente viziato in uno dei grandi clan, gli bisbiglia che nessuno, tanto meno lo stesso Gojo, lo ha obbligato a star dietro alle sue trovare.
La zittisce, rispondendo all'amico con il tono più irritato che riesce a tirare fuori.
"Sì, non è che mi sentissi molto a mio agio", lo liquida brusco.

Satoru non pare turbato, ignora il suo morso e rimane sulla porta, appoggiato allo stupite a braccia e gambe conserte, l'espressione del gatto che ha preso il topo ben stampata in viso.
Si è levato il cerchietto dai capelli e il trucco dagli occhi, ma per il resto ha ancora addosso i vestiti di Shoko.
"Io sì, dai sono uno schianto".
"Sembri stupido e poi Yaga ci aspetta in aula".
"Non è vero, ti piaccio così!"
Suguru non toglie gli occhi dal suo armadio. Non che le sue felpe e divise siano così entusiasmanti da fissare, ma aiutano nello scopo: ignorare Satoru.
E questo sì, che infastidisce il compagno.
"Suguru~"
Si volta verso di lui, incrociando le braccia al petto.
"Cosa vuoi?"
"Ammettilo!"
"Cosa? Che sei il solito ragazzino viziato?"
"Che tenero, non riesci ad ammettere che sono carino?"
"O che per colpa della tua trovata siamo in punizione per un mese?".
"Stai evitando la domanda!"
"Non sto evitando nulla, idiota!"
È a tanto così dall'aggiungere la voce 'uso improprio di maledizioni' alla punizione con cui hanno inaugurato il nuovo semestre, può già sentire l'energia vorticare nella sua mano.
Gojo però lo precede e prima che se ne renda conto se lo trova addosso, sul letto, intento a infilargli le mani sotto la maglietta.
Lo ha preso tanto di sorpresa da lasciargli giusto il tempo di chiedersi una sola cosa: come ha fatto Gojo a scoprire che soffre il solletico?
La litigata si trasforma in gioco.
A cavalcioni su di lui, Satoru lo blocca, sfrutta tutto il suo peso per tenerlo fermo mentre gli pianta implacabile le dita nel costato.
È pesante, per quanto sia longilineo e si ostini a volersi definire "carino", e spietato nella sua tortura.
Quando pensa di non farcela più, Suguru nota un'apertura, ghigna quando riesce a prendergli un polso e ribaltare le posizioni.
E si vendica. Punta all'incavo tra il collo e la spalla, poi al fianco e all'addome, guardando le lacrime annidarsi agli angoli degli occhi di Saturu, mentre si contorce ridendo sotto di lui.
A quanto pare non è il solo a soffrire il solletico.

Ride Suguru, chiedendosi per quanto il compagno lo lascerà fare. Perché in un piccolo angolino della sua mente sa che alla fine dipende tutto da quanto vorrà far andare avanti il gioco.
Lui non può che muoversi nello spazio che l'amico gli concede.
Gojo potrebbe portare a casa, se non una vittoria, una facile fuga, basterebbe attivare il suo Infinito, ma per qualche motivo non lo fa.
Ma proprio quando comincia a pensare che sia per una sorta di lealtà sportiva, il ragazzo sotto di lui gioca sporco.
Con la mano lasciata inconsciamente libera da Geto, traccia un segno veloce sulle lenzuola sotto di loro.
"No! Non vale!" quasi grida Suguru, nell'istante in cui Gojo batte la mano sull'eco del segno, conquistando la posizione di vantaggio.
Avrebbe potuto teletrasportarsi dall'altra parte della stanza, ma no.
Quella è una battaglia che Satoru non vuole perdere.
È piantato di nuovo a cavalcioni sopra di lui, gli tiene i polsi fermi ai lati della testa.
È spettinato, rosso in viso e ha il fiatone.
Il petto si alza e si abbassa sotto il maglioncino di Shoko, i muscoli delle gambe contratti nelle calze blu, con l'unico scopo di tenerlo bloccato, di non dargli scampo.
"Dimmi che sono carino", scandisce, serio, piantando gli occhi, i suoi sei occhi, in quelli di Suguru.

No, non è carino. È saccente, infantile, arrogante e viziato.
Ed egoista a pretendere con tanta semplicità che lui gli metta il cuore in mano così.
Perché prima di tutto è il suo migliore amico, quello che lo mette costantemente nei casini e che parla a sproposito, preferibilmente davanti ai superiori.
Soprattutto è il ragazzo per cui non ha ancora assolutamente chiaro che cosa provi.
La creatura più sbalorditiva che esista.
E ad è sulle sue ginocchia.
"Sì, sei contento adesso?"
Sputa fuori, poi fa la cosa più assurda. Quella che gli ronza in testa da quella mattina, da quando l'ha visto sorridere come uno stupido, fottutamente più adorabile di chiunque superi il metro e ottanta e indossi una gonna a pieghe.
Satoru
Libera i polsi dalla presa di Gojo, ormai allentata, e si mette seduto.
Stiamo
Fa un respiro.
Ancora
Gli prende il viso tra le mani.
Giocando?
E lo bacia.
È già successo, non è una novità, ma non così.
Qualcosa lo rende incredibilmente reale.
Forse il fiato caldo del ragazzo quando apre le labbra o la pressione della sua guancia contro il palmo mentre si lascia andare al tocco della sua mano;
Forse il piccolo gemito che Suguru è quasi certo di aver sentito;
Oppure è la paura che si teletrasporti via o si circondi del suo Infinito che svanisce, lasciando il posto all'adrenalina.
"E meno male che ti sembravo stupido", sente ridacchiare Satoru contro la sua bocca, "e stai attento, poi lo spieghi tu a Shoko".
Suguru lancia un'occhiata veloce in basso, arrossendo fino alla punta delle orecchie. Sperava proprio che Gojo non avesse notato le sue mani andate a finire sul bordo delle calze.

*

Ovviamente Yaga li ha mandati a cambiarsi dopo sette secondi esatti dall'entrata di Satoru.
Bene, pensa Shoko, dando una piegata veloce ai pantaloni che ha preso in prestito da Suguru, almeno avrà il tempo per una sigaretta.
Probabilmente l'unica della giornata, visto che grazie alla bravata in cui li ha trascinati Gojo, passeranno il pomeriggio in punizione. Anzi, il resto del mese.
Quello stronzo ha anche ridotto il suo armadio ad una massa indistinta e caotica, come se non fosse sufficiente arraffare il suo maglione preferito e la gonna che le sta meglio in assoluto. Oltre alle sue calze.
Sfila la sua divisa da sotto alla pila disordinata, annotandosi mentalmente di ricordarsi tutto ciò la prima volta che il compagno avrà bisogno di lei, che prima o poi la sua comodissima tecnica farà cilecca, mentre esce nei corridoi con la sigaretta a penzoloni tra le labbra e i vestiti da rendere ai ragazzi stretti tra le mani.
Apre la porta della camera di Suguru, pentendosi immediatamente della scelta di passare da lui per primo.
Rimane ferma un istante, consapevole di come l'espressione annoiata e scocciata sul suo viso non sia cambiata di una virgola. Non che la scena davanti a lei sia così inaspettata.
Richiude la porta.
No, non può trattenersi. Non ce la fa.
Riapre la porta di una decina di centimetri, decisa a non vedere nulla di quello che sta accadendo dentro, ma determinata a farsi sentire.
"Geto, fai quello che vuoi con Satoru, ma se strappi le mie calze giuro che ti uccido".




Ed eccomi con un fottio di caratteri di adolescenti che fanno gli idioti, facendo sclerare amici e professori.
L'idea di questa fic, o almeno per i vestiti che il trio indossa, nasce da una fan art che ho trovato in giro, (https://pin.it/JqNCxZ7) spero che il link si veda, perché è adorabile e spero che il pezzo che ne ho tirato fuori sia passabile.
Ovviamente, buona parte dell'ispirazione viene anche dalla scenetta post credit del furto della gonna di Nobara.
Specifico che in lingua originale Gojo entra in scena urlando "Konbanwa", che però sarebbe il saluto che i giapponesi utilizzano dopo le 18.00, da qui la necessità di ripiegare su un più mattiniero "Ohayō".
Tutte queste postille perché, citando il Trono del Muori, non si freeboota.
Per i lettori di Tatoos and coffee, a giorni arriva il quinto capitolo.
Un abbraccio, grazie se siete arrivati fino a qui.
Amy

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Capitolo 12
*** Love is a promise (What if) ***


Respira.
L'ossigeno quasi brucia i suoi polmoni, mentre inspira ed espira, a ritmo frenetico. Il soffio della brezza notturna quasi lo ferisce dove sfiora la sua pelle.
Mani, collo, viso, ogni centimetro lasciato scoperto dalla divisa è come trafitto da mille spilli.
La stoffa invece è ancora intatta, macchiata solo dal sangue delle maledizioni contro cui ha combattuto a Shibuya.
È ancora fresco, pensa, mentre sente la puzza di marcio che solo il sangue di una maledizione può avere, insinuarsi nelle sue narici.
Respira e inspira. Dopo la prigionia, basta così poco per sovrastimolarlo.
Il tempo ha ripreso a scorrere, lo capisce quando il petto si alza e si abbassa più lentamente, quando comincia a fare meno male.
Il primo respiro è stato lancinante, come uno squarcio nella carne.
Dovrebbe richiamare il suo Infinito, ora che sente la sua energia maledetta tornare, ma qualcosa glielo impedisce.
Semplicemente non vuole.
Ora che l'ustione si è trasformata in carezza, ora che ha trovato la forza per capovolgere il palmo ed affondare le dita nell'erba bagnata, vuole sentire.
Non sente nulla da così tanto tempo.
Allunga le dita, sussulta quando sfiora la Soglia dei dannati, prima di rendersi conto che non ne rimane che il feticcio, nient'altro che una scatola vuota, inerme.
Ma chi l'ha tirato fuori?
Apre gli occhi per la prima volta e guarda il cielo al di sopra delle fronde degli alberi.
Un brivido lo attraversa, gelandolo.
Ecco la sua risposta.

Gli astri sono cambiati.
Non che avesse l'abitudine a perdersi a guardarli, non più, almeno negli ultimi anni.
Ricorda sere d'autunno passate con Suguru e Shoko a osservare il cielo sopra Tokyo. Dalla foresta attorno all'Istituto ancora si vedevano le stelle, l'inquinamento luminoso della metropoli abbastanza distante da lasciar spazio a qualche costellazione.
Non è un astronomo, ma è quasi certo che dai suoi anni del liceo al giorno in cui è stato rinchiuso, la loro posizione non deve essere cambiata di molto.
Ora sì. Ora il cielo è diverso.
E l'oscurità è tale, le stelle tanto luminose, da far pensare che non ci siano città nell'arco di chilometri e chilometri.
Lottando contro il torpore delle sue dita, dovuto all'immobilità prolungata o al freddo che aumenta pian piano che la notte si fa più profonda? Non importa, alza una mano verso la sua stessa guancia.
È liscia. Ora che ci pensa, quella mattina si è rasato.
Sussulta in una risata triste, sommessa, ricordando come Suguru lo prendesse in giro ai tempi della scuola.
Lui che a diciassette anni si doveva radere quasi ogni giorno, a differenza sua, che se andava bene aveva bisogno del rasoio una volta ogni due settimane, giusto per portare avanti la sua imbarazzante lotta contro l'innocua e quasi invisibile peluria che sporcava il suo labbro superiore.
Cielo, Shoko stessa, impegnata a litigare con creme depilatorie e cerette, faceva invidia al suo orgoglio ferito, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
A ventotto anni la situazione non era cambiata molto, ma almeno le sue guance dopo una settimana cominciano a pungere.
È passata ben più di una settimana, glielo dicono le stelle sulla sua testa.
Eppure la sua guancia è ancora così liscia. Nè un filo di barba, nè una ruga.
Il pensiero che a questo punto dovrebbe somigliare a Tengen quasi lo fa ridere.
La sensazione della pelle bagnata sotto i suoi polpastrelli lo riporta al presente, mentre la risata si perde in singhiozzi sconnessi.
Ripensa alle parole del parassita e realizza.
Tra cento, mille anni il sigillo si scioglierà da solo

Il giorno lo trova ancora steso sull'erba, perso nella sensazione della sua tecnica che ritorna, del tempo che scorre di nuovo.
Non ha mai smesso, idiota, era fermo solo per te, si ripete, mentre il suo Infinito gli si arrampica addosso e i suoi Sei occhi cercano senza sosta qualcuno, qualcosa, qualsiasi cosa, conosciuta.
Sono passata mille anni, Satoru, ormai l'hai capito, chi pensi di trovare?
Questa volta la voce che rimbomba nella sua testa non è la sua. È forse quella che gli è più familiare, anche più della propria.
È sempre rimasta con lui, risuonando nella sua testa anche durante la prigionia, solo che ora è quasi pietosa e pietosa, la voce di Geto non lo è mai stata.
A volte arrogante, a volte maliziosa, a volte supponente, sempre amata, ma non si è mai trovato a pensare di fargli pietà.
Ride, chiedendosi quanto gli manchi per sfiorare la follia. Ride, perché un morto vecchio di mille anni, a quanto pare ha pena di lui.

Passa ancora qualche ora prima che la fame e sete, soprattutto la sete, si facciano sentire.
Non prova niente al di fuori del nulla in cui quel bastardo l'ha rinchiuso, da troppo tempo per non rischiare di impazzire di gioia per questo.
È un sentimento, No, un istinto, troppo semplice, viscerale, perché la sofferenza per aver perso, aver lasciato indietro, tutto e tutti possa soffocarlo del tutto.
Il dolore comunque non smette mai di pungere, di mordere. Perché che abbiano vinto o perso, come dirlo dopo mille anni? i suoi amici, i suoi studenti sono morti e lui non era lì per proteggerli.
Yaga, Nanami e Shoko.
Hakari, Maki, Toge.
Panda, Yuji, Nobara.
Yuta.
Tsumiki.
Megumi.
Non ha salvato le sue speranze, per inseguire un rimpianto.
Altri mille anni rinchiuso non basterebbero per perdonarsi.
Ma ora ha fame. Ora ha sete.
Ora, dopo mille anni, l'istinto a vivere pulsa nelle sue vene.

Lascia che l'acqua del ruscello gli scorra addosso, lo disseti, mentre la brace dove ha cotto del pesce di fiume si raffredda velocemente, quasi quanto gli avanzi del suo pasto.
Dopo due, massimo tre bocconi, l'istinto a rigettare gli ha preso lo stomaco troppo, troppo feroce perché sì convincesse ad ingoiare un altro morso.
Non se lo sarebbe aspettato, ma a mente fredda gli pare scontato e logico.
Eppure aveva così fame, eppure ha ancora fame.
Pescare è stato facile, molto più di quanto ricordasse ripensando alle ore che Suguru lo obbligava a passare sulla riva del rio che attraversava la foresta attorno all'Istituto, impegnato in uno di quei suoi passatempi di ragazzo di campagna che per Gojo erano la quintessenza della noia.
Forse perché Geto usava la canna da pesca, metodo decisamente meno pratico rispetto all'uso della tecnica, seppur utilizzata da uno stregone decisamente fuori allenamento.
Sforzare i suoi Sei occhi smette presto di essere un'azione mossa dal cieco panico per diventare una mossa logica e finalizzata.
Deve trovare una forma di vita, umana se possibile, non può essere rimasto solo lui.
E infatti le trova.
Umani, nemmeno pochi, a qualche ora di distanza da lui. Maledizioni anche.
Deglitusce a vuoto quando si rende conto che di queste ultime, tante scorrono sotto i suoi piedi, in quelle che altro non sono che le vecchie gallerie della metropolitana di Tokyo.
Sommerse dal tempo, abbandonate dagli anni, casa degli spiriti maledetti.
Il fiato gli si mozza in gola, quando sente una forma di energia maledetta conosciuta, familiare e potentissima.

Quando tocca terra dopo essersi teletrasportato, lo fa con le ginocchia.
Gli occhi sbarrati, fissi su quei due bocconi di pesce che il suo corpo non è riuscito a trattenere.
Questo non lo stupisce. A colpirlo invece è quello che vede alzando gli occhi e guardando di fronte a lui.
Dove sorgeva Tokyo, tra i monconi in rovina degli ultimi palazzi rimasti, uomini, donne e bambini si muovono, vivono, in quella che pare una ricostruzione storica dell'era Heian.
Sono in un fottuto film, ecco cosa pensa.
A quanto pare hanno perso. Deve essere andata così se il Giappone è tornato nel medioevo.
Una parte di lui pensa che forse non è andata tanto male, almeno ricordando quel documentario che Shoko lo aveva obbligato a vedere qualche sera prima.
Cioè, mille anni e qualche sera prima.
Quello con il tizio che diceva che nel futuro, il mondo sarebbe stato abitato solo da scarafaggi.
Si ricorda come Ieiri, bicchiere di vino in mano, avesse trovato l'idea un sacco buffa. A lui aveva fatto abbastanza schifo, se le era immaginate come tante maledizioni.
Invece, a quanto pare, la natura ha ripreso il suo vantaggio dopo lo sfacelo dell'umanità, ma anche quest'ultima, alla fine, è ripartita.
Segue la scia dell'energia maledetta che lo ha condotto lì.
Così potente, che per i suoi occhi è quasi l'equivalente di una pista di atterraggio illuminata, con tanto di segnaletica.
Quasi si sente trascinare, finché non è davanti ad un vecchio ingresso della metro. Se ne riconoscono a stento i vecchi tratti, tra scheletri di edicole e biglietterie, vecchie insegne abbandonate a terra e cavi elettrici penzolanti da cui gocciola umidità... dopo mille anni Shinjuko ha preso l'aspetto di una grotta.
Al suo interno, un'ombra bianca che conosce.
Alza lo sguardo sull'unico occhio rosso e viola che lo fissa dell'oscurità.
Il ruggito che lo accoglie se lo aspetta, ma gli ghiaccia comunque il sangue, dopotutto è capibile, considerato chi ha davanti.
"Le donne possono essere spaventose", canticchia tra sè e sè.
L'energia della maledizione esplode, investe e ricopre ogni centimetro di quel posto, si scontra con il suo Infinito e... lo riconosce.
L'urlo della creatura si spegne, l'oscurità si ritira come la marea.
La maledizione svanisce, al suo posto torna la bambina undicenne dai capelli scuri, appollaiata nel suo vestitino azzurro su quello che ad un primo sguardo pare essere un masso, ma che altro non è che un tornello della stazione coperto di muschi, polvere e sporco.
Le gambe non toccano terra, mentre dondolano al ritmo della filastrocca cantata dalla ragazzina.
Gojo sorride.
"Ciao Rika... "

"Pensavo ti avesse liberato... "
"Lo ha fatto", ribadisce lei.
"E allora perché sei ancora qui?", chiede curioso.
"Aspetto... "
"Chi?". Domanda stupida, conosce la risposta.
"Yuta!"
"E lui ora... ", incoraggia lui con un gesto della mano.
Rika fa un cenno di assenso, sorridendo allegra, come se stesse per svelare un segreto, gli occhi vispi e i capelli che danzano attorno al bel viso.
Satoru sbatte gli occhi confuso, poi si concentra. Forse ha capito...
Può sentirlo, anche se flebile, per poco più di un secondo. Sorride anche lui.
L'energia maledetta è la stessa, come la tecnica, già scritta in quella piccola creatura che ora è lì, chiara come il sole.
"Una bambina... una bambina che sta per nascere". L'anima di Yuta, che trova una nuova casa. Una nuova vita.
Rika fa un piccolo risolino, mentre si guarda le scarpine rosse.
"Yuta aveva gli occhi tristi, quando raccontava quello che tu gli avevi detto una volta..."
"Che l'amore è la maledizione più complessa di tutte", ricorda, prima di concludere con amarezza, "e a quanto pare avevo ragione".
"Ma non è solo questo, l'amore è una promessa...", corregge la bambina, con il tono paziente di chi spiega qualcosa di estremamente semplice ad un ascoltatore troppo stupido per capire.
"La sua anima ritroverà la mia, e se non sarà così, la mia cercherà la sua. In ogni vita..."
"Tu proteggerai sempre Yuta", conclude per lei.

"E tu? Hai un'anima da proteggere?"

E in quel momento lo nota per la prima volta. È un istante, ma impossibile da ignorare.
Incisa in uno spirito troppo gentile, troppe volte ferito, fiuta una tecnica maledetta claustrofobica, nera come la pece, come le maledizioni che ingoiava, inconfondibile, un incubo per chiunque non sia lui.
Perché per lui è appena un soffio. Una virgola, un sussurro che sfiora la sua mente, la sua anima, leggero come l'ala di una libellula sulla pelle.
Appena percettibile, ma ora che può sentire, ora che lo sa, è come tornare a casa.
Come appoggiare la fronte tra quelle scapole chiare, addormentarsi con il naso affondato tra le ciocche corvine dei suoi capelli.
In quante vite si sono inseguiti? In quante incontrati solo per lasciarsi?
In qualcuna sono stati felici? Sono stati insieme?
Sicuramente, in tutte si sono amati. Ora ne è certo.
Capisce presto che non è nemmeno questa la volta in cui saranno finalmente insieme.
Suguru Geto non è ancora nato in questa vita, ma non importa.
Sorride, scuotendo la testa.
Incontrare l'anima gemella due volte in una stessa vita, anche se è durata mille anni, sarebbe troppo, troppo anche per chi ha ricevuto come dono dal cielo i Sei occhi e l'Infinito.
Ora però sa che la sua anima troverà sempre quella di Suguru, come quella di Rika troverà sempre quella di Yuta.
Quindi capisce cosa deve fare: aspettare.

*

Si stanno fissando da un po'. Arrampicata sul ramo, sembrerebbe in tutto e per tutto una rana, se non fosse per il becco, il guscio da tartaruga sulla schiena e la posa quasi eretta.
Verde è verde, questo è certo. Come lo è o almeno ne è quasi sicuro, che tra i bambini del villaggio solo lui la possa vedere.
Non gli fa paura, ma vuole guardarla da più vicino.
Si fissa i piedi, la mamma dice che lo fa sempre quando è indeciso, poi alza lo sguardo.
L'albero non sembra alto, e comunque gli pare abbastanza semplice da scalare, almeno per uno come lui. È abbastanza mingherlino per la sua età ed è agile.
Si avvicina, senza perdere di vista la strana rana. Afferra un ramo che pare abbastanza resistente da reggere il suo peso, anche se con le dita magre riesce a cingerne la circonferenza.
Lo testa un paio di volte, dondolando, poi scatta.
Uno, due, tre rami. I ciuffi di capelli neri che gli sfiorano il viso e il cuore che batte a mille, mentre si arrampica tra le fronde.
Arriva ad un palmo dalla strana creatura
Non vuole ferirla, ma è curioso. Vuole solo sfiorare la strana pelle verde coperta di squame, vedere se davvero è come quella di una rana.
Non vuole farle male, davvero, ma quando avvicina la mano, qualcosa cambia.
La bestiola ha paura, lo scruta con occhi pieni di terrore, troppo debole per ribellarsi, mentre viene come risucchiata verso di lui.
Anche lui ora è spaventato, non vuole che questo succeda, ma non può che guardarla mentre si riduce ad una piccola sfera nera, venata di oro.
È bella, sta nella sua mano, ma lui può sentire la tristezza della sua piccola preda pulsare nella sua testa, la sua paura far tremare la sua presa.
Quasi non se ne accorge, quando perde l'equilibrio.
Chiude gli occhi, aspettando il tonfo. Tonfo che non arriva.
Quando tocca terra lo fa con delicatezza, come se qualcuno lo poggiasse.
Come se un velo, una coperta, lo avesse accolto, sostenuto e sorretto.
È conosciuto, familiare e straordinario allo stesso tempo. Infinito.
Rimane un istante disteso sull'erba ad occhi chiusi, i palmi delle mani ad accarezzare le zolle umide.
Quando apre gli occhi, non c'è nessuno.
Solo la strana rana, che lo fissa con ancora un po' di paura negli occhi tondi e giganti.
Chissà chi si aspettava di vedere...
Scatta seduto, quando alle sue spalle sente un rumore di foglie calpestate, facile da confondere con lo screpitio del vento tra i rami
Una figura si allontana. Tra il verde, l'oro e l'arancio del bosco, fa tempo a distinguere una testa di capelli bianchi, un sorriso stanco, uno sguardo azzurro.
Anziano, giovane? Non lo saprebbe dire.
Quando salta in piedi, quasi sente le gambe più lunghe, le braccia più forti, il cuore che batte come mai prima.
Vorrebbe correre, ma è un attimo, prima che si renda conto che non saprebbe chi inseguire.
Che lui è solo un bambino.
Gli viene da piangere, sembra nostalgia.





Quanto vuoi far soffrire Gojo? SI.
Avevo parlato di pezzi leggeri, vero? Ops...sarà lo spirito del Natale.
Prima di tutto, voglio scusarmi con chiunque segua una fede che preveda la reincarnazione, per l'evidente banalizzazione e massacro perpetrato dalla sottoscritta di un tema così importante.
Fatta questa premessa, l'influenza di questa storia, primo di una serie di What if che vorrei inserire nella raccolta (e qui direi che è chiaro di quale si tratti, ovvero Gojo che se ne resta nel suo cubetto fino a che reggono i sigilli), viene da... Doctor Who.
In particolare, parliamo di due puntate: Death in heaven, da cui ho preso pari pari la citazione "Love is a promise" e Heaven sent, entrambi dell'era Capaldi.
La bestiolina con cui si confronta New Getino è ispirata a quella disegnata da Benjamin Lacombe nella sua raccolta di Yokai.

Detto questo,
Un abbraccio

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Capitolo 13
*** Happy birthday, I hate you ***


Ciao Colpevole...
Ti ricordi? Ti ho salutato così, l'ultima volta che ci siamo visti, a Shinjuku.
Avevi appena disertato dall'Istituto, dopo aver sterminato un villaggio intero e lasciato i tuoi genitori in un lago di sangue.
E pensare che secondo Yaga, quello fuori controllo era Satoru.
Avremmo potuto vederlo arrivare? Avremmo potuto evitarlo?
Probabilmente sì, ma ora è un po' tardi per incolparci, non credi?
Quel giorno avevi i capelli sciolti sulle spalle, qualche ciuffo raccolto in maniera disordinata, una maglia troppo larga perfino per te.
Eri così diverso dal ragazzo che avevo conosciuto in quei primi anni all'Istituto, sempre impeccabile nella sua uniforme, tutto ordinato, con i capelli sempre ben raccolti.
Beh, almeno quando non ti vedevo sgattaiolare fuori dalla stanza di Satoru.
Quel giorno a Shinjuku, eri comunque tu. Non l'assassino folle descritto dai superiori.
Non l'utilizzatore di maledizioni di cui ci aveva parlato Yaga in quei giorni, cercando di trattenere il tremore nella voce e di colpo dieci anni più vecchio.
Eri... tu. Eri davvero tu, Suguru, più simile al mio amico dell'ombra che aveva preso il suo posto in quell'ultimo anno, dopo la missione di Riko Amanai.
Mi hai visto e mi hai sorriso.
Ho pensato che offrirti una sigaretta, passarti il pacchetto, bastasse in qualche modo a portare il mondo indietro. A rendere le cose normali, per quanto potessero esserlo al fianco tuo e di Satoru.
Non è servito, tutto è comunque cambiato.
Ti farà piacere sapere, che per anni sei rimasto con noi, in ogni caso. Sotto forma di un fantasma che nessuno si sognava di nominare.
La nostra maledizione personale, che nemmeno la barriera di Tengen poteva fermare.
Ti sapevamo capo di una setta.
Conoscevamo che fine facevano le maledizioni, apparentemente così gentili da levare il disturbo.
Però c'era un tacito accordo, religiosamente mantenuto tra me, Yaga, Nanami e Satoru: fingere.
Fingere che tu non esistessi.
Poi sei tornato, teatrale come non ti ricordavo, ad interpretare la parte dell'eroe tragico che lotta e muore per un ideale.
Un ruolo che ti sei dato da solo, regista e attore in uno spettacolo che non avremmo voluto vedere.
Quando hanno ordinato la tua esecuzione, ho lasciato la stanza.
Anche questa volta ho pensato bastasse, fingere, continuare a pretendere che non fosse un mio problema.
Non è servito a nulla e l'ho capito nel peggiore dei modi, guardando Gojo posare il tuo corpo devastato sul tavolo del mio obitorio.
Non ho chiesto. Non mi è servito. Dopo tutti questi anni riconosco al volo le tracce della tecnica di Satoru.
Gojo... lo sai che proprio a lui, al tuo Satoru, hai fatto lo scherzo più bello?
Hai mai desiderato che una persona pianga? Che urli?
Che torni ad essere qualcosa di diverso da un dannato e intoccabile dio della morte, con tra le braccia il suo, il tuo, migliore amico?
Perché a quello lo hai ridotto, Idiota, e ti ho odiato per questo.
Avrei voluto distruggere il tuo corpo, ma lui non me l'ha lasciato fare.
Ho cercato di convincerlo, anche se quel "no" l'ho visto arrivare, chiaro e irrevocabile, nel momento stesso in cui ho visto la cura che ti dedicava, la delicatezza, nelle sue mani e nel suo sguardo.
Sembrava quasi non volerti svegliare.
Ha uno strano modo di essere gentile, un tempismo tutto suo, lo sai meglio di me.
Beh, ma qui non si parla di lui. Per una volta.
Per una volta vorrei parlare io... e ci sono ancora tante cose che vorrei scriverti. Che vorrei dirti.
Vorrei poter credere che tu riesca a sentire le mie parole, che tu abbia ancora occhi per leggere queste due righe che lascio sulla tua tomba.
Ma sono uno scienziato, prima ancora che uno stregone e per me è difficile non essere scettica.
Quindi sono arrivata qui senza nemmeno finire questa pagina, sperando di trovare con te il modo di continuare.
Effettivamente, guardando il mazzo di fiori blu ai piedi della lapide, qualcosa da dirti l'ho trovato...

Vai a farti fottere Suguru.
Non te l'ho mai detto, se non per scherzo.
Ora però sono arrabbiata con te. Così tanto.
Dovevi fare in modo che fosse lui ad ucciderti?
Non potevi farti ammazzare da chiunque altro?
Non potevi rimanere vivo? Con lui?
Con noi?

Hai lasciato anche me, Suguru...

Shoko

Ps: buon compleanno.



Salve! Non sono sparita! Chi legge Tattoos and Coffe sentirà un senso di dejavu.
Questa lettera è infatti l'originale, scritta per il compleanno del personaggio.
Mancando la convinzione ai tempi per pubblicarla, è finita a fare da modello per quella nella long.
Mi spiaceva però lasciarla li, persa nei miei appunti, quindi ho deciso di pubblicarla.
Un abbraccio,
Amy

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Capitolo 14
*** Fino al cuore ***


AVVERTENZA SPOILER:
Se non siete in pari con le uscite del manga almeno fino al capitolo 236, ovviamente compreso, fermatevi qui.
Leggete qualsiasi altra cosa, ma non questa os perché contiene un immenso, enorme spoiler.
Quindi, se per miracolo siete riusciti ad evitare quel particolare spoiler fino ad oggi, prego di fare il favore a voi ed alla coscienza della sottoscritta, di non caderci per una fic.
Detto questo...








(.... ultimo avviso, se non siete in pari con il capitolo 236 davvero non passate questa soglia)







... andiamo!







"Ho vinto onestamente..."
"Quello non è vincere onestamente..."
"Sì, certo come vuoi..."

Uno, due, tre...
Ferma in mezzo al corridoio deserto, Shoko conta respiri, intervallandoli con immaginarie boccate di fumo.
Le serve a rallentare, a convincere il suo corpo a fare una breve pausa, sperando che anche l'emicrania che la perseguita ne segua l'esempio e le dia tregua.
È rassegnata però, convinta come è che il suo mal di testa finirà solo per peggiorare una volta varcata la soglia dell'infermeria.
Le voci che sente provenire da oltre la porta gliene danno l'assoluta certezza.
Forse potrebbe sgattaiolare in cortile e fumarsi una sigaretta in santa pace?
Ci pensa su, ma scarta l'ipotesi. Vuole sfuggire dal silenzio che infesta i corridoi dell'istituto.
Ama la tranquillità, ma per qualche motivo quella calma ora le pesa, le ristagna sulla pelle.
È una sensazione strana, che non l'abbandona mentre entra nella stanza.
Le striscia addosso ed infesta la mente, fino a farle saltare un battito di cuore e trattenere un respiro, ma dura poco più di un istante.
Più o meno quanto la pausa di silenzio tra i due ragazzi che l'aspettano seduti all'interno.
Alza un sopracciglio e lascia cadere lo sguardo sui compagni di classe. Non sa se può definire 'stare seduti' la posizione di nessuno dei due idioti che le stanno di fronte.
Suguru, le braccia incrociate dietro alla nuca, fa dondolare all'indietro la sedia su cui è praticamente coricato, probabilmente in un tentativo piuttosto estremo di porre fine alla conversazione con Gojo;
Satoru se ne sta sdraiato sul lato corto della barella, le lunghe gambe appoggiate al muro e la testa quasi a penzoloni.

"Yo!"
"Ehi, Shoko!"
I due le rivolgono un breve saluto prima di tornare al loro passatempo preferito: farle desiderare di essere dall'altra parte del Giappone mentre loro si stuzzicano come cane e gatto.
E 'L'altra parte del Giappone' è probabilmente la distanza da cui è udibile il suo gemito frustrato, mentre i suoi compagni di classe ricominciano il loro teatrino.
"Preferisci pagarmi il pranzo o ..."
"Non te lo pago il pranzo, idiota..."
"Suguru, non hai manco sentito l'alternativa..."
"Non mi interessa, non ti offrirò di nuovo mezzo menù del fast food, sei l'erede del clan Gojo, puoi pagartelo da solo!"
"Questo è discriminatorio, Suguru..."
Shoko si stropiccia gli occhi con la mano, rendendosi conto solo nel momento in cui lo fa del rischio di ritrovarsi tracce di matita scura per tutto il viso.
È stanca, dannatamente stanca, non dorme da due? Tre notti? Ormai ha perso il conto.
"Ehi, smettetela di fare i ragazzini...", prova lei, con un tentativo nemmeno troppo convinto, noia e stanchezza che emergono da ogni sillaba.
Geto ridacchia, lanciandole un piccolo sorriso che sa di mea culpa, mentre Gojo le rivolge uno sguardo offeso ed eccessivamente drammatico, prima di raddrizzarsi sulla barella.
Lascia dondolare le gambe dal lettino, come il bambino troppo cresciuto che è, mentre recupera gli occhiali da sole e li indossa.
"Non sto facendo il ragazzino, Suguru non sa perdere!"
"Satoru, seriamente..."
"Volete stare zitti, per favore? Devo guardare le vostre ferite...."
Fa un passo nella stanza, sentendosi quasi subito gelare sul posto.
La voce le trema, le mani le tremano.
Perché? Gojo e Geto stanno bene. Sono di fronte a lei.
Probabilmente sono lì per qualche ferita di poco conto.
Ma Satoru sembra improvvisamente così pallido, esangue.
E perché Suguru...
No, no, no.

Chiude gli occhi, stringe le palpebre forte, contando i respiri.
Uno, due, tre...
"Shoko tutto bene?"
"Ehi, sembri stanca..."
Apre gli occhi, sentendo il peso degli sguardi preoccupati dei suoi compagni fisso su di lei.
Balzati in piedi, sembrano entrambi pronti a scattare a sostenerla, quasi temessero di vederla crollare.
Fa un respiro profondo, cercando di calmarsi, ma non funziona.
Prende l'accendino dalla tasca del camice e con un gesto nervoso si accende una sigaretta.
Le viene da sorridere a pensare alla faccia che aveva fatto Gojo l'ultima volta che l'aveva vista fumare.
Appollaiato con le lunghe gambe incrociate su quella barella, così piccola per lui.
'Hai ricominciato per causa mia?'
'Non farti strane idee, idiota...
'
Ha ricominciato per causa di entrambi. Ora non pensa riuscirà più a smettere.
Guarda la sigaretta nella sua mano, il suo battito cardiaco si fa frenetico mentre ciò che realizza la investe come un treno.
Lei ha smesso di fumare, finita la scuola... ed ha ricomiciato.
Ha ricominciato a Shibuya.
Scaccia il pensiero, ma è troppo tardi. È solo la prima crepa, ma ormai è lì. La sente allargarsi mentre li guarda e il suo respiro trema.
Trema la sua voce. Tremano le sue mani. Fa un passo e la nausea le prende lo stomaco.
Fa freddo nella stanza, ma è normale considerando di quale stanza si tratti.
Eppure dovrebbe esserci abituata, alla temperatura, all'odore.
Lo sa che il disinfettante che usa è forte, pensato per coprire l'odore dolciastro e ferroso del sangue.
Ma non c'è sangue. Non ne vede.
Ma lo sente. Nelle narici, sulle mani. Nonostante si sia lavata la pelle per ore, dopo.
'Non va via, non andrà mai via', ripete una voce nella sua testa.
Una voce stanca come la sua. Rassegnata come la sua.
'Non avevi i guanti, non hai pensato di metterli', continua la sua controparte, sadica o forse masochista.
'Pensavi solo a cercare di salvarlo'.
Vorrebbe zittirla, ma ormai è come frenare un fiume in piena.

Uno, due, tre...
Chiude gli occhi e conta i respiri, al ritmo di boccate di fumo veloci che le bruciano i polmoni, mentre la cenere le ustiona le dita.
Questa volta è la voce petulante di Gojo a portala indietro.
"Shoko..."
"Satoru, ma non riesci a starci zitto un attimo..."
"Suguru è importante..."
Geto fa un passo indietro e l'altro ragazzo comincia a parlare, ma lei non riesce a sentirlo.
Per un attimo è come veder boccheggiare un pesce sul fondo di una boccia vuota, può solo guardarlo, guardare entrambi scivolare via.
Altri ricordi, minacciano di trascinarli lontano.
Geto, sempre più magro, sempre più folle, sempre più difficile da seguire anche da lontanto per lei che per dieci anni non aveva fatto che sperare, spinta da una rabbia nascosta nel fondo dello stomaco, che la strada intrapresa non lo portasse su un tavolo del suo obitorio.
Alla fine è proprio lì che era arrivato.
E Gojo, non più ragazzino, ma adulto. Appollaiato sulla sua barella, la maschera giocosa e infantile dietro cui si era sempre trincerato, strappata insieme alla sua benda una volta uscito da quella prigione che è la Soglia dei Dannati.
Lo ricorda, con lo sguardo stanco, ma attento. I Sei Occhi attivi, spinti al limite, se mai ne hanno avuto uno, quasi a far da scudo ad un'anima e ad un cuore che nemmeno l'Infinito aveva saputo proteggere. La finta leggerezza del suo tono mentre le parlava.
'Se non torno, dillo tu a Megumi...", le aveva detto con lo sguardo più dolce, per un istante esitante.
'Digli di suo padre'.

Uno, due, tre...
Ogni respiro le trafigge i polmoni.
Shoko sente, prima di vederle, piccole gocce sulle sue mani.
Le sente scorrere sulle sue guance.
Sbatte le palpebre ancora e ancora, si passa di nuovo le mani sul viso.
Cielo, non si è mai preoccupata troppo del trucco, ultimamente ancora meno, ma ormai deve averlo sparso su tutta la faccia.
Anche le lacrime che cerca di nascondere, strappandole via dalle sue guance con la rabbia che ha sempre tenuto sepolta in fondo all'anima, sono macchiate di nero.
Ma Gojo e Geto intanto stanno battibeccando ancora. Ancora e ancora.
E lei li vede, li sente ancora. Sono fantasmi? Ricordi?
Non le importa.
Prima che scivolino via del tutto, chiude la distanza che la separa dai due.
Una mano si aggrappa alla divisa di Satoru, l'altra si appoggia alla nuca di Suguru, mentre li stringe a sé.

"Ehi..."
"Shoko cosa succede?"

Vorrebbe che le loro voci non suonassero così allarmate, ora che sa che probabilmente non potrà più sentirle. Vorrebbe perdere ancora la pazienza alle loro litigate.
Vorrebbe sentire Suguru ridere alle cavolate di Satoru.
Vorrebbe che fosse la loro risata, il loro addio.
Vorrebbe... ma è tardi.
Li stringe forte, così forte da farseli entrare nel petto, sotto le costole, fin nel cuore.
Li stringe forte e cerca le parole, sperando che ovunque siano, la possano sentire.
"Va tutto bene, restiamo ancora un pochino così però..."
Affonda il viso nel petto di Satoru, cercando un battito che però non trova.

"Ieiri San..."

"Ieiri San..."

Apre gli occhi, la sua guancia è intorpidita dal freddo della barella di metallo.
Le sue dita, sotto al lenzuolo bianco, stringono ancora la stoffa della maglietta nera di Gojo, all'altezza del petto.
"Ieiri San, i ragazzi del primo e secondo anno..."
Ijichi rimane fermo sulla soglia, incapace di dire un'altra parola.
L'uomo ha gli occhi lucidi. Non riesce ad alzarli da terra.
Vorrebbe aiutarlo, come quando termina le frasi che le balbetta mentre le parla in preda all'imbarazzo. Questa volta però non sa come continuare.
Hanno perso il loro insegnante?
I loro amici?
La spensieratezza della giovinezza che Gojo avrebbe voluto tanto proteggere?
Shoko si chiede cosa potrà fare per loro.
Poi si ricorda chi sono quei ragazzi: il sogno dell'uomo steso sotto quel lenzuolo.

"Alleati, intelligenti e forti.
Nessuno dovrà più rimanere da solo..."


La risposta è una sola: andare avanti.

"Arrivo"





Se siete arrivate fino qui, mi sento di dire solo due parole: grazie e scusa.
Grazie per aver letto e scusa, che magari se siete tra chi mi segue aspettate aggiornamenti da tempo immemore.
Arriveranno, abbiate pazienza 😊
Una parte di me deve far pace con gli eventi del manga, os come questa fanno parte del processo.
Un abbraccio
Amy

Ps. Allego link della fan art che mi ha ispirata (e fatta piangere per due giorni)
https://www.instagram.com/p/C1KGfELtCA6/?igsh=azQ2amszbDMxaWM0

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