Di come Marty Laughton imparó a volare

di Sinden
(/viewuser.php?uid=1060552)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Novità ***
Capitolo 2: *** Il vento dell’Ovest ***
Capitolo 3: *** Sole e Luna ***
Capitolo 4: *** Sconfitte ***
Capitolo 5: *** Solidarietà ***
Capitolo 6: *** L’età dell’Acquario ***
Capitolo 7: *** Sogni ***
Capitolo 8: *** Incubi e deliri ***
Capitolo 9: *** Il freddo della sera ***
Capitolo 10: *** Honmei Choco ***
Capitolo 11: *** Chiarimenti ***
Capitolo 12: *** Tentazioni ***
Capitolo 13: *** Amore e solitudine ***
Capitolo 14: *** Annunci ***
Capitolo 15: *** Grilli ***
Capitolo 16: *** Antiche famiglie ***
Capitolo 17: *** I dubbi di Marty ***
Capitolo 18: *** Maylin ***
Capitolo 19: *** Sfida fra capitani ***
Capitolo 20: *** Sangue misto ***
Capitolo 21: *** Supposizioni ***
Capitolo 22: *** Un’altra verità ***
Capitolo 23: *** Cuore ***
Capitolo 24: *** Partenze ***
Capitolo 25: *** “Non svegliarti adesso” ***
Capitolo 26: *** Stati d’animo ***
Capitolo 27: *** Il mare di Okinawa ***
Capitolo 28: *** Fiori di ciliegio ***
Capitolo 29: *** Tempo di esami ***
Capitolo 30: *** Miseria e inquietudini ***
Capitolo 31: *** Braci ***
Capitolo 32: *** Separazioni ***
Capitolo 33: *** Una sera di Aprile ***
Capitolo 34: *** Un taglio al passato ***
Capitolo 35: *** Occhi nel buio ***
Capitolo 36: *** Dietro le apparenze ***
Capitolo 37: *** Tensioni in squadra ***
Capitolo 38: *** La festa scudetto ***
Capitolo 39: *** Colpi bassi ***
Capitolo 40: *** Distacchi ***
Capitolo 41: *** Notizie dal ritiro ***
Capitolo 42: *** Cambiamenti e incontri ***
Capitolo 43: *** Addii ***
Capitolo 44: *** Scontro al vertice ***
Capitolo 45: *** Ansie e fremiti ***
Capitolo 46: *** Incidenti ***
Capitolo 47: *** Momenti difficili ***
Capitolo 48: *** La ragazza di Okinawa ***
Capitolo 49: *** Vecchie fiamme ***
Capitolo 50: *** Fuga sotto la luna piena ***
Capitolo 51: *** Scintille ***
Capitolo 52: *** “Tornado Shot” ***
Capitolo 53: *** Lontano da Tokyo ***
Capitolo 54: *** “Liberaci dal Male” ***
Capitolo 55: *** Verso la finale ***
Capitolo 56: *** Sfoghi ***
Capitolo 57: *** Il momento dei confronti ***
Capitolo 58: *** Avvertimenti ***
Capitolo 59: *** Il grande giorno ***
Capitolo 60: *** Sugli spalti ***
Capitolo 61: *** Lezioni di vita ***
Capitolo 62: *** Il piano di Elise Sawyer ***
Capitolo 63: *** Sorprese per Ed ***
Capitolo 64: *** Verso l’estate ***
Capitolo 65: *** Peccati ***
Capitolo 66: *** Malattie e malori ***
Capitolo 67: *** Con il cuore in gola ***
Capitolo 68: *** Il ritorno di Mark ***
Capitolo 69: *** Un aiuto inatteso ***
Capitolo 70: *** Marty a un bivio ***
Capitolo 71: *** Uragani ***
Capitolo 72: *** Le due rivali ***
Capitolo 73: *** Dopo la bufera ***
Capitolo 74: *** Ricordi di famiglia ***
Capitolo 75: *** Chikamatsu ***
Capitolo 76: *** Visite ***
Capitolo 77: *** Brivido ***
Capitolo 78: *** Paura e delirio a casa Laughton ***
Capitolo 79: *** Destini ***
Capitolo 80: *** Arrivi improvvisi ***
Capitolo 81: *** Confidenze ***
Capitolo 82: *** Verso il futuro ***
Capitolo 83: *** Preparativi ***
Capitolo 84: *** Giorni d’estate ***
Capitolo 85: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Novità ***


 

"Ho sentito della novità." disse Kibi, arrivando negli spogliatoi. Gettó rumorosamente la borsa da palestra su una panca.

 

Marty s'infiló la casacca della divisa da allenamento e sobbalzó. Si volse verso il suo capitano. "Ciao. A cosa ti riferisci?"

 

"Il nostro caro amico s'è fatto la fidanzata." sorrise Kibi. Poi si morse il labbro inferiore e fece un sorriso sarcastico. "Quella lecca-fava di una fotografa. Lo sapevo che gli avrebbe messo le mani addosso un giorno. Solo, non così presto. Mentre lui è ancora al liceo."

 

"Ah." rispose Marty. "...parlavi di Ed."

 

"E di chi sennó. Il resoconto sul suo spettacolino a bordo campo, ieri, ha fatto il giro della scuola. Che maiale." ribattè Kibi, infilandosi i pantaloncini. "Tu te lo sei beccato in diretta."

 

"È stato imbarazzante. Cioè, una cosa veramente inopportuna e direi ridicola. Ma poi...non è da lui atteggiarsi cosí. Ha fatto anche la figura del cretino." rispose la ragazza. 

 

Aveva al collo il ciondolino regalatole da Benji. 

 

L'aveva aperto la sera prima, e aveva deciso di indossarlo subito.  Nonostante il disagio che ancora provava quando rammentava la serata col portiere, quella collanina seriamente le piaceva. Il colore verde delle ali faceva somigliare la farfalla a un quadrifoglio porta-fortuna, ed era così che lo voleva considerare: un ciondolo ben augurante.

 

"Certo che è da lui atteggiarsi. Solo che, fino a ieri aveva almeno evitato comportamenti da sfigato." ribattè Kibi. "Fossi stata presente io, gli avrei riso in faccia."

 

"Io credo invece che saresti andata fuori di testa." sorrise Marty. "Scusa, ma non penso che la situazione ti avrebbe lasciata impassibile."

 

"Invece sì. E lo sai perchè? Perchè non penso più a lui. Ho un altro per la testa adesso. Uno con tutte le rotelle al posto giusto e che mi tratta con riguardo. Finalmente."

 

Marty si meraviglió. "Stai con qualcuno?! E chi?" 

 

"Alan." disse Kibi, facendole l'occhiolino.

 

"Alan Greene?!" chiese Marty. "Sei seria? Ma se non l'hai mai neanche guardato! Dicevi che è banale e noioso."

 

"Sbagliavo. Siamo andati insieme a una festa in un club in centro Tokyo, per Capodanno. Cioè, ero lì con delle amiche e mi son beccata lui con altri della sua squadra. Ricordi che ti avevo chiesto di venire e tu hai detto che non ti andava? Ecco, se fossi venuta avresti visto! Siamo stati attaccati tutta la sera!" spiegó Kibi. 

 

"Sì ma...così, improvvisamente?" chiese Marty, sorridendo. "Non fraintendermi, sono contenta per te...ma mi stupisce 'sta cosa."

 

"Alan non è così malaccio. E' un ragazzo serio, il classico sportivo tutto scuola, famiglia e allenamenti. Credo sia quello che ci vuole per me. Uno che mi dia un po' di equilibrio, capisci?" sospiró Kibi. "Dopo i drammi con Ed..."

 

Marty non rispose.

Sapeva bene cosa significava vivere i drammi con Ed, perchè a lei ne era capitato uno bello grande, e solo qualche settimana prima.

 

Non aveva detto niente a nessuno, di quell'episodio, solo a Mark. Un po' per vergogna verso la sua stessa ingenuità che l'aveva portata a infatuarsi di un ragazzo particolare come Warner, un po' perchè le sue scalmanate ammiratrici  avrebbero preso le difese del loro idolo in caso Marty avesse fatto girare la voce che lui era avvezzo a maltrattare le donne: l'avrebbero additata come bugiarda e avrebbe subìto lo stesso trattamento riservato a Beverly il giorno prima.

 

Ora, era già stata una fatica provare a non pensare a quell'orribile 29 Dicembre,  non si sarebbe sorbita anche la beffa di passare da diffamatrice. 

 

"Che bel gingillo." osservó Kibi, avvicinandosi. Si riferiva al ciondolo. "Con un brillante in mezzo. Wow! Regalo del papà?"

 

"No. Un amico." rispose Marty, attenta a non sbottonarsi troppo. 

 

"Vorrei anch'io un amico che mi regala brillanti!!" rise l'altra. "Chi ti fa un dono simile ha avuto qualcosa in cambio...dai racconta!"

 

"No, Kibi. Niente di quello che pensi. Un regalo senza doppi fini." ribattè la ragazza, a disagio. 

 

"Ah...allora che fortunata che sei. Di solito gli uomini aprono il portafoglio se hanno già assaporato il nostro miele...o se sono intenzionati a farlo... il tuo amico deve essere davvero generoso." la provocò la compagna di squadra. 

 

"Eh sì. Proprio così. Senti, andiamo in campo? Nolan ci aspetta..." la sollecitó Marty.

 

"La prima partita di Gennaio sarà decisiva. Dobbiamo confermare il quarto posto in classifica. Facciamolo e automaticamente saremo fra le teste di serie della seconda fase. È importante concentrarci, adesso." le disse Kibi, improvvisamente seria. "Ah senti...non è che la faccenda di Ed ti sta turbando, eh? Voglio dire, lui e la sua stronza."

 

Marty negó con decisione. "Assolutamente. È una persona a cui non penso più. Comunque, uno che frequenta tipe del genere con me non ha proprio a che fare." 

 

"Ha voglia di sesso, credo. È normale,  ha diciotto anni, è pieno di ormoni fin qui. Ma non crederó mai che sia innamorato di quella." raccontó Kibi. "Peró so che ci stavi cascando con lui. Non vorrei che una parte di te ci pensasse ancora.   In campo non possiamo avere grilli per la testa."

 

"Davvero, no. Non mi ha toccata la scena di ieri. Per niente." mentì di nuovo.

 

La verità era che aveva sentito il cuore riempirsi di spilli nel momento in cui Ed e la sua donna si erano avvinghiati come piovre. E quando era tornata casa, aveva aperto il regalo di Benji anche perchè sperava di cacciar via quelle sensazioni negative con una bella sorpresa,  come in effetti era stata.

 

Il detto diceva: chiodo scaccia chiodo. 

Nel suo caso, si poteva quasi dire farfalla scaccia serpente, ed era stata la sacrosanta verità.  Ironicamente, Benji aveva battuto il suo rivale un'altra volta, in un campo ideale nella mente di Marty Laughton.

 

Pensó che sarebbe stata una bella cosa, se Ed l'avesse saputo.

 

🎋🎋🎋

 

"Ragazzi, dobbiamo concentrarci di più. Siete tutti in ritardo sulle sovrapposizioni!" si lamentó Mark Lenders con i compagni. "Lynn! Debbie! Acqua per favore!"

 

Le due ragazze corsero al centro del campo, dove tutti i calciatori della Toho si erano radunati per la pausa di dieci minuti degli allenamenti. Stanchi e assetati, presero le loro borracce con bramosia. 

 

Lynn si avvicinó a Danny. Gli toccó la spalla. "Hey!" bisbiglió, indicando Ed Warner, che era rimasto in fondo alla porta. Non si era unito agli altri. "...ma che ha?"

 

"Casini con Mark." rispose Danny. "Sono tesi come corde di violino."

 

"Ma il motivo si sa?" domandó ancora l'amica. 

 

"Mi pare di aver capito che c'entri Marty. Lynn...mi sa che Ed e Marty..." mormoró Danny. 

 

"...cosa? Ed e Marty cosa?" indagó la ragazza. Poi comprese. 

Sgranó gli occhi. "...non è vero!!!"

 

Danny la tiró in disparte dal gruppo. "Hey, non ne sono sicuro, okay? Ma non gonfiare la faccenda in giro, a scuola."  

 

Lynn era sbalordita. "Cazzo...dici che sono stati insieme? Ma io non mi sono accorta di niente!!"

 

"Ti ripeto: non lo so. Ho origliato l'altro giorno durante la loro lite, ricordi? E ho sentito frasi come: ti devi scusare con lei...sei un vigliacco...e cose così. Non hanno fatto il nome di Marty, ma chi altri puó essere? Poi Mark ha detto che sua madre e i suoi fratelli erano coinvolti nella cosa...e da molto lei frequenta casa Lenders. Sai cosa penso? Penso che Ed abbia fatto qualcosa di non proprio carino con lei. E Mark l'ha saputo e l'ha difesa." spiegó Danny sottovoce.  "Solo che adesso sono in rotta. È un casino per la squadra."

 

Lynn era senza parole. Aveva la bocca aperta e un'espressione stupida sul volto. "Marty e Ed. Giuro, questa è una bomba."

 

Danny la strattonó per il braccio. "No. Sentimi bene. Non dire niente in giro. Anche perché se partissero dei pettegolezzi la situazione potrebbe degenerare.   Okay Lynn? Non fare la spiona come il tuo solito, eh!" 

 

Lynn annui. "Sì sì...saró muta come una tomba! Giuro!"

 

"Bah...non giurare. È peccato contro Dio, se infrangi il giuramento." rispose Danny. "Se quei due non fanno pace, ci saranno ripercussioni per tutti noi. Queste tensioni in squadra non ci volevano."

 

"Mai Marty mi ha fatto pensare che lei e Ed avessero un flirt. Mai. È riuscita a dissimulare benissimo. E adesso..." venne colta da un'illuminazione. "...adesso capisco perché si sono scambiati quelle battute ieri.   Sai, quando Ed le ha detto di volare alto e..."

 

"...e lei gli ha risposto buona fortuna. Sì, sembravano seccati uno con l'altro. L'ho notato. Io non so cos'è successo, ma deve essere stato grave. Se Mark è così arrabbiato proprio con Ed...si conoscono da una vita." aggiunse Danny. 

 

"Magari stasera la chiamo. Io adesso devo sapere." disse Lynn elettrizzata.

 

Danny sbuffó. "Ti ho detto..."

 

Lynn gli diede una sberla su una spalla.  "La pianti di fare il coniglio? Puoi stare tranquillo per la tua preziosa testolina, non voglio metterti nei guai. Faró finta di averlo saputo da altri! E smettila di tremare come un bamboccio, Danny!"

 

"Coniglio io?" si offese lui. 

 

"Sì, tu... poi ti stupisci se le ragazze non ti considerano! Dovresti tirare fuori un po' di carattere, ogni tanto." lo aggredì l'amica.

 

"Ricominciamo, tutti in posizione!" comandó Lenders. "Ragazze, fuori dal campo. Svelte!"

 

Debbie e Lynn si affrettarono fuori.

 

Lynn guardó Ed, che per tutti i minuti della pausa non si era mosso dalla porta. Non c'erano più neanche le sue fans, che dopo la batosta di aver saputo dell'esistenza di Beverly,  si erano mestamente ritirate. 

 

Guardó verso gli spalti, e lei era lì.

Ancora con il suo trench nero, ancora con gli occhiali da sole, se ne stava seduta come una regina sul suo trono.  

 

Probabile che, il giorno prima, Marty avesse sofferto nel vederla. Non sapeva cosa esattamente fosse successo tra la sua amica e Warner,  ma il momento in cui l'aveva vista correre via con gli occhi umidi acquisì un nuovo significato. Aveva creduto si fosse commossa per il discorso di Lowry.

 

Povera Marty.

 

Debbie le diede di gomito. "Cosa avevate da parlottare tu e Danny?"

 

"Eh?" rispose Lynn. "Niente, affari nostri. Tu piuttosto, che avevi da chiacchierare con Eddie Bright ieri? Siete rimasti venti minuti negli spogliatoi..."

 

Debbie si fece rossa in viso, rossa come i suoi capelli. "Mi ha chiesto di uscire una sera...ho accettato! È carino, vero?"

 

Lynn sospiró. Poi la prese sottobraccio.

"Debbie...vieni un attimo. Ti devo spiegare una cosa, cara."

——— Ho ricevuto talmente tante note di rammarico sul fatto che la precedente storia fosse troppo frettolosa nel finale, che aggiungo capitoli come parte a sè in perfetto stile patchwork. Ormai conoscete la conclusione della vicenda, ma credo ci sia spazio per qualcosina.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il vento dell’Ovest ***


L'odore del mercato del pesce riempiva le narici e, come sempre, le fece venire in mente le sue estati a Okinawa. 

 

Sakura Warner era pazientemente in fila alla bancarella di Minato Oono, un commerciante  da cui andava sempre il sabato mattina per rifornirsi in vista del pranzo in famiglia.  Era decisa ad acquistare i calamaretti, quel giorno, che da molto non preparava e che piacevano al marito. 

 

Il freddo di Gennaio era pungente e c'era anche la nebbia, ad avvolgere le strade e gli edifici come un manto leggerissimo. 

 

La donna si era alzata alle sette per non rischiare di incappare nella solita fiumana di gente che si riversava sullo spiazzo poco distante dalla sua residenza, il sabato mattina, per il mercato cittadino.  Avvolta dal suo pesante kimono, e coperta da un prezioso scialle di alpaca, Sakura si sentì terribilmente anacronistica. 

 

Le donne giapponesi non si vestivano più in quel modo, ormai. La moda occidentale aveva preso piede da decenni a Tokyo, mentre lei rimaneva come imprigionata in una vetusta apparenza ottocentesca. Del resto, suo marito non tollerava neanche l'idea di vedere una donna con indosso i pantaloni in giro per casa, e Sakura non era per niente incline alle discussioni.   

 

Le settimane appena trascorse, purtroppo, di discussioni familiari ne avevano portate fin troppe.

 

La faccenda di Ed era già stata un motivo di litigio fra i coniugi, e non intendeva passare il resto dell'inverno a bisticciare con Kaito. Era una cosa che la metteva in uno stato d'animo terribile.

 

Lei non desiderava altro che serenità per la sua famiglia, e suo marito e suo figlio minore sembravano decisi a metterle i bastoni fra le ruote in questo.    Specie negli ultimi tempi.

 

Verso Ed, la donna aveva alzato un muro dalla sera del suo compleanno.  Suo figlio si era di nuovo trasferito in casa con loro, come gli era stato imposto, ma non l'aveva presa affatto bene. La sua stizzita reazione era stata quella di andare ogni volta che poteva da quella sua nuova amica,  che tanto amica non era. 

Quella ragazza dai lunghi capelli neri e dall'aspetto vampiresco.

 

Sakura la detestava.

Era più vecchia di suo figlio, e non capiva cosa una donna di più di vent'anni potesse trovare in un diciottenne.  Era sbagliato.

 

Inoltre, non le piaceva il fatto che vivesse per conto suo, che con grande nonchalance ricevesse in casa il suo ragazzo, e chi poteva sapere quanti altri.

 

Eppure Ed sembrava essersi perso nel suo mondo, forse per scappare dalla rigidità che sentiva ormai in famiglia. 

Ma le cose non sarebbero potute andare diversamente: la donna non era riuscita a perdonare il figlio per il suo atteggiamento verso Marty Laughton, quella deliziosa ragazza bionda che non era stata altro che educata e gentile in ogni sua visita a casa. 

 

E lui non aveva mantenuto l'impegno di ottenere il suo perdono,  anzi, si era tenuto a gran distanza da lei, Sakura ne era certa.   

Era stata un'enorme delusione per il suo cuore materno, scoprire quell'indole cinica in suo figlio.   Aveva cresciuto Ed con amore, come Daniel, e se era consapevole dei limiti caratteriali del suo primogenito, aveva invece sempre sentito in sè grande orgoglio per come Ed era venuto su. 

 

Serio, disciplinato, cortese con tutti, devoto a   lei e al padre, scrupoloso nei suoi allenamenti, eccellente negli studi. E coraggioso. 

Come avesse potuto trasformarsi in quell'individuo che aveva spaventato a morte una compagna di scuola, il 29 Dicembre, lì nella loro proprietà, era ancora un mistero.

 

La signora Warner ripensó con vergogna alla conversazione telefonica con Anne Lenders, una donna magra e slavata che aveva incrociato poche volte e sempre alla scuola Toho: l'imbarazzo della madre di Mark nel raccontare che Marty era a casa loro, e che Ed l'aveva aggredita e sconvolta. E il suo di imbarazzo, cocente, nel sentire quelle cose.

 

Rabbrividì e si strinse nello scialle. 

 

"Signora Warner! Signora!" sentì una voce chiamarla. 

 

Alzó lo sguardo.

Era Minato, che da dietro la bancarella si sbracciava. "Venga, venga qui, che la servo subito!"

 

Subito si alzarono vivaci le proteste da parte degli altri astanti.  "C'eravamo prima noi! C'è una fila da rispettare!"

 

Minato fece un gestaccio con la mano. "Aaah! Fatela finita! La signora Warner è qui in piedi da più tempo di voi!"

 

"Ma non è vero!" protestó ancora qualcuno. "Non è giusto, hey!"

 

"Venga, Sakura, la prego!" chiamó di nuovo Minato, incurante delle proteste.  Le fece cenno di portarsi al lato della sua bancarella.

 

La donna lo raggiunse velocemente. "Ah Minato...non avrebbe dovuto!" gli disse, imbarazzata. "Lei è sempre gentile."

 

"Ecco...io...io le dovrei parlare." rispose l'uomo. 

 

La donna si stupì. "Di cosa?"

 

Il pescivendolo sorrise. "Le posso chiedere una cosa? Avete per caso smarrito il vostro cane?"

 

Sakura spalancó gli occhi. "Come sa che abbiamo un cagnolino? E comunque sì...è scappato due settimane fa dal giardino."

 

"Ah ecco...ecco...questo allora è suo." rispose l'uomo, e tolse dal grembiule lurido di grasso un collarino azzurro. 

 

"Ma sì, è di Jiro! Ma mi dica, lo ha trovato?" chiese Sakura.

 

"Beh...io ho notato qualche volta suo figlio a spasso col cagnolino tempo fa. Per questo so che quella bestiola è vostra. Deve sapere, che l'altro giorno l'ho visto fuori dalla mia bottega. Era affamato, aveva cercato di rubare un polpo dai contenitori di polistirolo. Poverino, l'ho scacciato, ma guaiva così terribilmente!" spiegó Minato. "Non ho avuto cuore di mandarlo via, ma non ero del tutto sicuro che fosse vostro. Sa, non volevo sbagliarmi. Così, l'ho portato a casa mia."

 

Sakura annuì. "E sta bene?" 

 

"Oh sì!! Io ho una bambina di sette anni, capisce, è stata felice di adottarlo. Gli vuole un gran bene, pensi che giocano insieme tutto il giorno." sorrise l'uomo. "Ma...immagino che suo figlio lo rivoglia con sè. Per cui, mi dica quando posso riportarvelo."

 

La donna ci pensó un po' su. 

Ed non meritava quella bella sorpresa. Non ancora.  Se Kaito Warner aveva una concezione ferrea del rigore, la minuta moglie Sakura non era da meno.

 

"Minato, lo tenga con sè ancora per un po'. Non dia un dolore alla sua bambina. Ne riparleremo più avanti." rispose quindi.

 

Il commerciante fu sbalordito. "E non lo vuol dire a suo figlio?" 

 

"Non ci pensi." poi Sakura giró lo sguardo sui prodotti. "Tre etti di calamari, per favore.   E della migliore qualità, grazie."

 

🎋🎋🎋

 

Tornata a casa, la donna incontrò Ed era nella sala da tè. 

 

Era seduto a gambe incrociate davanti al loro kotatsu, come in meditazione.  La punizione del silenzio che aveva deciso per lui non poteva essere interrotta prima che il ragazzo avesse espresso sincero rammarico per le sue colpe.  Con testardaggine, Ed rimaneva chiuso nel suo orgoglio, trincerandosi dietro la solita versione sui fatti: era stato un semplice litigio, Marty l'aveva presa troppo male, e aveva respinto le scuse inviate tramite messaggi telefonici.

 

Il ragazzo non voleva ammettere di essere nel torto, e questo indispettiva grandemente sua madre. Era un atteggiamento pericoloso,  e da correggere, perchè avrebbe potuto causargli problemi anche in altri aspetti della vita.  L'umiltà di ammettere i propri sbagli era un elemento imprescindibile per ogni individuo che pretendesse di definirsi adulto.   

 

Ed doveva assolutamente scusarsi di persona con lei, ma pareva risoluto a non tentare questa via.   

 

Sakura entró quindi nella sala e si comportó come se il figlio non fosse nemmeno lì.  Sistemó dei fiori in un vaso, spolveró una delle credenze, raddrizzó il quadro col gabbiano.  

 

Proprio la visione del dipinto la fece riflettere. Ripensó a quando la ragazza aveva confessato il suo interesse per Ed, in quella sala, e fra le lacrime aveva detto di essere confusa dai comportamenti del ragazzo.  

Aveva detto una frase, che alla luce dei recenti avvenimenti aveva acquisito un significato struggente: signora, io ci ho provato a innamorarmi di lui, ma non mi ha lasciato!

 

Guardó irata il figlio, che sostenne lo sguardo senza tremare.  Se ne stava accovacciato lì, con l'aria di chi aveva subìto la più grande ingiustizia del mondo.  

 

Aveva un segno sul collo, e con disgusto Sakura intuì che fosse un regalino della sua amichetta dal rossetto amaranto. 

 

Non riuscì a resistere e ruppe quel silenzio pesantissimo.   "Sei orgoglioso di te stesso?"

 

"Quanto deve durare, mamma? Dimmi solo questo." ribattè Ed. Aveva uno sguardo ostile.

 

La donna era incredula. "Usa quel tono con le tue sciacquette. Non con me." 

 

"Se la mia presenza vi crea disagio, posso traferirmi dalla mia ragazza. Ne abbiamo già parlato." continuó Ed. 

 

"La tua ragazza?? Hai l'impudenza di chiamare così una donna che non ci hai mai neanche presentato, che si accompagna a te nonostante sia più vecchia. Che va in giro agghindata come una di quelle che lavorano in strada nei ghetti!" lo aggredì sua madre. "Tu non hai fatto quello che dovevi fare. Avere il perdono di Marty. Solo questo deve essere ora la tua prioritá."

 

"È successo sul finire di Dicembre. Le scuole sono ricominciate. Io ignoro lei, lei ignora me. Basta con questa storia, per favore." taglió corto il figlio. "Io non intendo rimanere in casa con voi come un ragazzino. E spero che sia comprensibile."

 

"Hai il liceo da terminare! Credi che ti lasceremo traslocare con quella...quella persona di dubbio gusto?! Non mi piace, Ed!" lo rimproveró sua madre. 

 

"Piace a me." rispose lui, secco.

 

"Oh io non credo. Non tentare neanche di mentire a tua madre. Tu sei intelligente, benchè ultimamente il tuo cervello pare andato in malora!  Lo sai bene che Marty vale dieci volte quella ragazza!  E io so che pensi a lei, ancora." ribattè la donna. "Vuoi riconquistarla, e non lo ammetti per il tuo solito, stupido orgoglio." 

 

"Come ne sei sicura? Puoi spiare nella mia testa?" chiese ironicamente il figlio.

 

"Lo so perché lo sguardo che avevi quando parlavi con lei al telefono, durante la convalescenza, era pieno d'amore. Mai, in vita mia, ti ho visto quello sguardo, e non lo vedo ora che stai con l'altra!  Era nato un sentimento meraviglioso che Marty corrispondeva, e  tu ci hai sputato sopra." gli disse sua madre.  "Perché l'hai fatto?!"

 

"È stata lei a non rispettare i patti. Eravamo d'accordo a mantenere assoluta fedeltà, mentre io ero  infortunato, e lei ha tradito. Lei ha tradito per prima." disse Ed. "Non lo sapevi, eh, mamma? È andata a cena con un altro mentre io ero immobilizzato a letto.  E si è lasciata mettere le mani addosso."

 

A queste parole, la signora ebbe un leggero sussulto. Il figlio se ne accorse. 

"Sì. È andata così. Mi fai una colpa per quello che le ho fatto, ma lei cos'ha fatto a me?"

 

"Questo non ti giustifica. Hai esagerato, Ed. Un'altra volta. Tu non hai auto-controllo e questo io e tuo padre lo notammo già quella volta...per quella storia della rissa. Ma credevo fosse stato un episodio a sè stante.  Invece tu mi preoccupi, perchè insisti con questi errori." ribattè Sakura. "E in questo, purtroppo, io vedo tante colpe di tuo padre. Gli avevo detto di non obbligarti a diventare karateka..."

 

"Il karate non c'entra. Puó darsi che io abbia questo carattere. Volevo fare un lavoro su me stesso, provare a migliorare. Speravo che Marty mi stesse vicina. Ma ha tradito. Altro non c'è da dire." chiuse Ed.

 

"È inutile, figlio. Puoi provare a ingannare te stesso, ma io so che lei ti ha stregato. È ancora nei tuoi pensieri, non è vero? La vorresti vicina." disse la madre. Si accovacció a sua volta al tavolino. 

 

Ed chiuse gli occhi. 

 

"...non è una vergogna, ragazzo mio."

 

"Puó darsi. Puó darsi che io mi sia pentito e che abbia cercato già di rimediare. Ma da parte sua non c'è che un muro ora. E io non combatto contro i muri." rispose il ragazzo.

 

"Tu usi questa parola, combattere, con troppa facilità. L'amore è il contrario della guerra, Ed, ha bisogno solo di dedizione e costanza. E a volte, che chi ama faccia un passo indietro." gli disse sua madre. "Al di là di questo, io in generale temo per il tuo avvenire. Anche se tu riuscissi a realizzare il tuo sogno e diventassi calciatore professionista, con questo modo di pensare fin dove credi di arrivare? Il mondo là fuori non è un dojo. Dovrai adattarti a milioni di persone diverse, e affrontare tante delusioni e rialzarti. Dovrai soprattutto scusarti per i tuoi errori, e ce ne saranno credimi. Non si puó sempre vincere."

 

"La vita passa in fretta. Non hai idea di come sia veloce lo scorrere del tempo. Io ho imparato ad amare tuo padre, nonostante il giorno del matrimonio lo conoscessi ben poco. Ma c'è voluta pazienza, e voglia di scoprire i suoi lati amabili. Non che siano molti, ma ci sono. Tu e Daniel siete qui perché io non mi sono arresa. Perchè fra me e tuo padre è nato lentamente qualcosa che ci ha portati a desiderare una nostra famiglia. E siamo ancora insieme, no?" continuó la donna.

 

"Non è più così, mamma. La societá è cambiata, e per fortuna." ribattè Ed.

 

"Non direi. Voi giovani siete frettolosi. Non avete cura uno dell'altro, nè vi prendete tempo  per contemplare i sentimenti fra di voi. Tu ami sederti in giardino a osservare i laghetti e riflettere. Perchè non hai fatto lo stesso con Marty, e non hai provato a capire che è giovane, e soprattutto non è perfetta, come non lo sei tu? Ma con i suoi e i tuoi difetti, comunque, potevate stare bene insieme." fu la risposta della donna. 

 

Ed guardó verso il quadro.

Anche la madre si giró a osservare il dipinto.

 

"Avevi scelto lei. Avevi deciso che fosse lei la ragazza da amare, e sei in tempo per riprovarci. Questa...questa...Beverly, non è niente per te. E credo che tu non sia più che un giocattolo per lei. E allora perchè non fai quello che dentro di te vorresti più di tutto? Perchè non vai da Marty e glielo dici? Ma non con messaggi freddi e impersonali! Guardandola negli occhi, Ed." insistè la madre.

 

"Non so. Mamma, non so." il ragazzo si alzó, confuso. "Lei mi odia."

 

"Perchè l'hai portata a questo. Ma io l'ho conosciuta come persona sensibile. Quelle così, sono sempre pronte a riaprire il loro cuore, se ci metti sopra un po' di balsamo." disse Sakura. 

 

"Ci devo pensare,  scusa." fece lui, poi uscì velocemente dalla stanza.

 

"Ed!" chiamó la madre, tentata di dirgli del cane. 

 

Poi lasció perdere.

Non era ancora il momento.

 

Un improvviso chiasso catturó la sua attenzione: era il rumore dei rami del loro salice, coperti di brina, che sbattevano uno contro l'altro, trascinati dal freddo vento invernale che arrivava da Ovest.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sole e Luna ***


Marty era in palestra dopo il termine degli allenamenti. 

 

Aveva deciso di aggiungere una mezz'ora alle tre ore regolari per esercitarsi sulla schiacciata. Il suo punto debole.

 

Quel sabato si sarebbe giocata la prima partita del secondo girone, quello che includeva solo le migliori squadre.

 

La Toho era passata indenne dalle eliminatorie, con un solido quarto posto che garantiva l'accesso automatico all'ultimo, difficile torneo scolastico.

 

Tutte le giocatrici, quindi, dovevano essere al meglio. Non dovevano esserci punti deboli, specie nei due assi, Kibi e la ragazza irlandese. 

 

Kibi era una giocatrice più completa di lei:  aveva l'impostazione da regista, ma sapeva attaccare e anche ricevere con buona precisione.

 

Marty era ormai riconosciuta come fenomenale difensore, una delle migliori di tutto il torneo, ma sull'attività sotto rete aveva ancora tante incertezze.

 

"Questo sabato abbiamo il match contro la Matsukami.  Sono atlete toste, preparate. Le danno tra le favorite per la vittoria finale. E perció, mia cara, perció ti tocca sgobbare. Devo poter contare anche su di te per gli attacchi. Clara non è abbastanza incisiva." le disse Kibi, entrando in campo. Da capitano, si era offerta di aiutarla nell'allenamento.

 

"Allora, io adesso ti alzeró la palla. Tu devi farmi vedere una schiacciata degna di una professionista. Voglio sentire il boato sul linoleum, ok?" la esortó la compagna.

 

"Sì, ma non ho ancora forza nel braccio destro. Ho superato le mie fobie, ma non ho esercitato i muscoli..." disse Marty.

 

"Ti avevo detto di farlo, mi pare. Ti sei concentrata sulla muscolatura delle gambe, dimenticando le braccia.  Devi recuperare." rispose l'altra. Poi le alzó la sfera.

 

Marty saltó altissima, e colpì meglio che potè. La schiacciata fu decisa, ma non come chiedeva Kibi. 

 

 

 

"Non ci siamo. Quella poteva essere respinta da una qualsiasi delle ragazze della Matsukami. Più forte!" le comandó il capitano.

 

Riprovó con un'alzata, e Marty stavoltà colpì meglio. Il rimbombo del colpo echeggió in palestra, ma la palla finì fuori linea.

 

"Dai, un'altra volta! Più precisa!" ordinó Kibi.

 

Andarono avanti così, finchè a Marty venne un crampo al polpaccio destro. Si lamentó del dolore, massaggiandosi.

 

"Un crampo?! Com'è possibile?" chiese Kibi. 

 

"Non so. Mi fa un male cane!" ribattè Marty. 

 

"Devi assimilare cibi con potassio." le consiglió il capitano. "...tipo le banane. Prevengono i crampi."

 

"No, è che mi sono esercitata forse troppo durante la pausa natalizia. Adesso il fisico protesta." spiegó la ragazza bionda. 

 

"Macchè. L'allenamento non fa mai male. Riprenditi e ricominciamo, dai." ribattè Kibi, andando a bere un sorso d'acqua. 

 

"Kibi..." chiese la compagna, quando il dolore fu svanito. "...tu com'è che ti sei appassionata al volley?"

 

"Guardavo la nazionale giapponese in televisione sempre, da bambina. Quando perdevano, sentivo dentro tanta frustrazione, e voglia di aiutarle.  Così, a dodici anni mi sono iscritta ai corsi delle medie." raccontó la Street. "Non ho più potuto smettere." 

 

"Io invece giocavo in Irlanda con le mie cuginette. Avevamo bambole e anche vecchi palloni e palle, da calcio, da tennis e da volley.  Io un giorno presi quella bianca da pallavolo e provai a colpirla con un calcio. Arrivó mia cugina Katie e mi disse guarda che non si fa così! La devi colpire con la mano! E mi mostró una battuta. Io poi la imitai e mettemmo su una squadretta di tre persone. Io ricevevo, Katie schiacciava e l'altra mia cugina Charlotte alzava. Passavamo pomeriggi così, ore e ore a giocare." ricordó Marty con nostalgia.

 

"Cosa fanno le tue cugine adesso?" s'incuriosì Kibi.

 

"Charlotte è infermiera, cioè sta studiando per diventarlo. Era la più grande di noi. Katie è morta." rispose Marty.

 

Kibi rimase interdetta. "Oh...mi dispiace..."

 

"È annegata...è caduta nell’acqua durante una mareggiata. Era andata sugli scogli a vedere, un'ondata più forte l'ha trascinata in mare e...non è riuscita a venirne fuori."  spiegó Marty, con gli occhi lucidi. "Aveva quattordici anni."

 

"Che disgrazia." replicó Kibi.

 

"No! È stata stupida!" reagì Marty, rabbiosa. "Mia zia le aveva detto mille volte di non avvicinarsi agli scogli! Il mare irlandese è nero, freddo, ostile. Non è il bel mare azzurro del Mediterraneo e del Giappone. Katie sapeva che stava facendo una cosa stupida e se ne è fregata. Se l'è cercata." 

 

"Ma..." replicó Kibi.

 

"Ma niente! Noi Laughton siamo così! Non impariamo nulla finchè non ci sbattiamo la testa contro!" continuó Marty. "Io sono degna rappresentante di quella famiglia." 

 

"Che vuoi dire...?" chiese Kibi.

 

"Niente. Ora la gamba va meglio. Dai riprendiamo." disse Marty, sentendosi pericolosamente vicina a intristirsi. Doveva rimanere concentrata, era un allenamento e non c'era tempo per le malinconie.

 

Kibi la guardó confusa, poi tornó in posizione e alzó la palla. 

Stavolta la schiacciata di Marty fu totalmente sbagliata. Il pallone andó fuori e fu anche un colpo fiacco.

 

"Beh, non è un granchè mi pare...ma cos'hai?!" chiese Kibi. 

 

Vide che lievi rivoletti di lacrime stavano solcando le guance della compagna di squadra.

 

"...cosa succede??" le andó vicino, e le pose una mano sulla spalla.

 

"Come ha potuto, Kibi? Come ha potuto??" chiese Marty, singhiozzando, e poi si lasció cadere in ginocchio. Inizió a piangere davvero.

 

"Ma chi? Di cosa parli?" domandó l'amica, in ansia.

 

"Ed..." sussurró Marty.

 

"Ed cosa?!" volle sapere Kibi, che si sentiva fremere. 

Aveva già intuito qualcosa. L'aveva intuito quando Marty aveva liquidato la faccenda di quella Beverly con poche parole. Non era da lei. Era successo qualcosa. 

Una cosa che non sarebbe dovuto succedere.

 

"...ti ha fatto del male?" sussurró Kibi, come se temesse che qualcuno la sentisse, nonostante la palestra fosse deserta.

 

Marty annuì, con la testa bassa.

 

"Dove? Quando?" chiese Kibi. Sentì freddo alla schiena.

 

"A casa sua, il giorno del suo compleanno..." e poi Marty procedette con un racconto veloce della faccenda. Non era Kibi la persona più adatta a farle da confessore, dati i suoi precedenti con Ed,  ma quello che uscì dalla sua bocca fu una liberazione. Condividerlo con qualcuno, con una ragazza che sapeva esattamente ció di cui si stava parlando, portó a una sensazione di strano sollievo. 

 

"...io ho cancellato il suo numero, l'ho bloccato. Non sono riuscita a fare altro." concluse.

 

Kibi restó un minuto buono in silenzio, a riflettere. Inginocchiata come Marty, guardava il pavimento come se su quella superficie verde e segnata credesse di trovare le parole giuste. 

 

Poi si riprese. "Ed...maledetto figlio di una buona donna!  E tu che in mondo credi di vivere, Marty!! In che mondo!! Ma non ti avevo avvisata su di lui! Non ti avevo detto di togliertelo dalla testa! Non ti è bastato il mio maledetto esempio!!"  le gridó, arrabbiata. Si levó in piedi.  "La deve pagare! Il bastardo la deve pagare!" 

 

"No, senti...solo tu e Lenders sapete di questo! Non l'ho detto neanche ai miei!! Non voglio casini, ti prego!" imploró Marty.

 

"E allora lo stronzo la passa liscia? Non lo merita!!" protestó Kibi. "Certo che ti sei andata a impestare con i due peggiori, Ed e Eddie. Quei due oltre al nome hanno in comune anche di essere dei farabutti!"

 

"E quello che suona assurdo è che Ed mi disse di non condividere i comportamenti di Bright.  E lui è molto peggio. Ma non avrei mai creduto..." disse ancora Marty. 

 

"Perchè? Che ha da perdere Warner trattando le ragazze così? Via una sotto l'altra! Infatti guarda come si è consolato subito..." replicó Kibi. "Lo sai che la sua principessa tettona è presente a tutti gli allenamenti adesso? E poi se ne vanno sempre in macchina? Te lo dico io, cosa vanno a fare..."

 

Marty restó seduta a terra, ad asciugarsi le guance. 

 

Il capitano la guardó. "Ed la deve pagare. Questa volta la deve pagare." 

 

"Lascialo stare. Credo che Mark ci abbia pensato." singhiozzó Marty.

 

"Lenders? Non farebbe mai niente contro Ed, sono amici dall'infanzia. E poi è  un portiere troppo in gamba, non gli toglierá certo il posto per punizione." rispose Kibi. 

 

"Mark mi ha detto che non sono amici..." disse la ragazza irlandese.

 

"Balle. Lo conosce da quando erano al Muppet, dalle elementari. Quelli, mia cara, sono due facce della stessa sporca medaglia. Entrambi arroganti, in modi diversi, entrambi orgogliosi. Sono come il sole e la luna, Mark ha il fuoco dentro, è un trascinatore. Ed è più discreto, all'apparenza, e ha un lato tenebroso. Vive della luce riflessa del suo capitano, perchè credi che lo abbia seguito alla Toho? E anche in nazionale, lui, Mark e Danny sono un gruppetto a parte. Sono i Toho Boys, come li chiamano. Sempre loro tre, uniti. Non si tradiranno mai. Oh no, non sarà Lenders a prendere le tue difese. Ci devi pensare da sola." spiegó Kibi. "E mi piacerebbe tanto aiutarti."

 

"Io voglio concentrarmi sulla scuola e sul volley. Solo questo." disse Marty, alzandosi finalmente.

 

"Ah sì? E perchè eri lì a terra a piangere tre secondi fa?" le si avvicinó. "Che faremmo se ti venisse una crisi depressiva in partita,  hm? Perdere te è fuori discussione. Ti devi togliere la soddisfazione di mandare Ed dove merita. Ti devi vendicare, dammi retta."

 

Poi Kibi le camminó intorno. "Ma perchè è successo? Mi hai raccontato la sclerata di Ed, ma non il motivo." 

 

Marty infiló una mano nello scollo della maglia, ed estrasse il ciondolino.  "Per questo." 

 

"Eh?" Kibi non capì.

 

"Me l'ha regalato Benji Price, a Natale. Qualche sera prima eravamo usciti a cena noi due. Al Towers. Lui è stato in Giappone per le feste, ci siamo visti per caso a scuola, qui da noi. Era venuto a vedere Mark e gli altri, con un selezionatore. Mi ha chiesto subito di uscire.  Ed l'ha saputo proprio il giorno del suo compleanno, un amico gliel'ha detto poco prima che io andassi a casa sua, ci aveva visti nel locale. Volevo tenerglielo segreto perchè quell'uscita non aveva avuto significato per me, e poi non stavamo insieme. Insomma, ritenevo fossero solo affari miei." confessó Marty.

 

"...ma per il nostro Ed non era così. Il cane che ringhia quando un altro cane si avvicina all'osso. Peró, che sfortuna!" commentó Kibi. "Una serata con il milionario signorino Price e non hai ottenuto che grane. Vabbè almeno hai il ciondolo."

 

"Guarda che Benji è come Ed. Come Eddie. Dio santo, sembra che per loro le ragazze siano..." Marty non trovó le parole.

 

"Solo numeri. No, nel caso di Warner a quanto pare sono anche trofei. Fece così con me. Ma solo dopo che io diventai popolare, te l'ho detto." aggiunse Kibi. "Eh sì sono proprio dei disgraziati, ma torno a ripetere che non la deve passare liscia." 

 

"La vendetta aggiunge aceto al fiele. No, mi sono sfogata adesso, e ti chiedo scusa. Sono ancora un po' sconvolta. Ma non intendo trascinare oltre questa cosa. Dai, Kibi, allenami. Vuoi aiutarmi? Allenami, ti prego." chiese Marty.

 

"Fa' come credi. Ma fossi in te, escogiterei qualcosa. Ah non la passerebbe liscia credimi..." bofonchió Kibi.

 

Marty portó entrambe le mani al viso e le premette con forza alle tempie. "Mi devo concentrare. Basta, adesso. E Kibi..." le disse. "...guarda che ti sbagli su Mark. Non dire cose spiacevoli su di lui. Ha un grande animo."

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sconfitte ***


La partita contro la Matsukami si giocava in casa.

 

Marty, quasi quasi, avrebbe preferito andare in trasferta, in modo da staccare un attimo la spina e vedere una città diversa, un ambiente nuovo.

 

Le giocatrici avversarie entrarono ordinatamente in campo con le loro maglie verdi e bianche, e si portarono attorno al loro mister, per discutere gli ultimi dettagli prima dell'incontro. 

 

Marty e le compagne fecero lo stesso, con Nolan più teso del solito. Quella partita significava moltissimo. Era un banco di prova tosto, la prima seria verifica sull'effettivo valore della sua squadra.  

 

"Ragazze, concentrate.  Non permettete loro di guadagnare troppi servizi, la Clarkson è un asso alla battuta. Marty, tu fai quello che sai fare meglio. Se le cose si mettono male, bada a salvare il risultato. Kibi, June, attente alle respinte a muro. Le avversarie ci andranno giù pesante sotto rete, la Matsukami è una squadra d' attacco. Ricordate, tutte, che le nostre rivali di oggi sono fra le principali accreditate alla vittoria del torneo." spiegó il coach. "In campo, ora!"

 

La palestra della Toho Academy era un brulicare di tifosi, quel giorno. Moltissimi cartelli d'incoraggiamento, e anche pupazzi a forma di grillo coloravano gli spalti: i tifosi giapponesi avevano scoperto il soprannome di Marty e l'avevano adottato e un po' modificato. Non la chiamavano cavalletta dorata, ma grillo di Shanghai.  C'era perfino qualche bandiera irlandese.

 

Kibi e le altre corsero in campo e si levó un boato dagli spalti, seguito da un grande applauso. 

 

Il capitano alzó la mano per salutare, e si giró a destra e sinistra. Il suo sguardo venne attratto da qualcuno seduto proprio dietro alla balaustra. 

 

"Oh Cristo..." mormoró, sentendo lo stomaco annodarsi.  "Cristo di un Dio..."

 

Ed Warner era lì, con la sua amica.

Era venuto a vedere la squadra di volley per la prima volta. 

 

Kibi si chiese come fosse possibile, poi ricordó che le partite di calcio quel week end si giocavano di domenica.

 

"Kibi, che hai?" la avvicinó Marty. 

 

"Nulla. Sono tesa. Dai, prendi posizione." la esortó Kibi.

 

Non doveva accorgersene. 

Non doveva accorgersene o le sarebbe andato in tilt il sistema nervoso. 

Ed aveva fatto apposta, Kibi era pronta a scommetterci. Era lì a sfidare Marty, a farle vedere che non esisteva al mondo che Ed Warner soffrisse o si struggesse per una ragazza. E aveva trascinato con sè la sua sgualdrina.  Forse era una provocazione anche verso la stessa Kibi. 

Visto, mie belle signorine, cosa posso fare? Il vostro odio e disprezzo valgono quanto un guscio di noce per me, lo sentì quasi pensare. 

 

Ci doveva essere un animo sadico, in Ed, oltre che bipolare. Mai era andato a una partita di volley, manco gli interessava. La sua presenza, quel giorno, non poteva essere che legata a qualche giochetto psicologico che sperava di mettere in atto per qualche diabolico motivo.

 

"Ragazze, si inizia!" disse Sandy. 

 

L'arbitro fischió la battuta, per le avversarie. 

 

Danielle Clarkson si mise a fondo campo, e fece partire un micidiale servizio respinto da Marty con un bagher perfetto. 

Si udì il primo applauso dal pubblico, e qualche pupazzo a forma di grillo venne agitato in aria dagli spettatori.  

 

Sullo sviluppo dell'azione, la Toho guadagnó il servizio.

Ci pensó Pam, che non era un granché nelle battute, infatti le avversarie respinsero e tentarono l'attacco con forza. Fu Kibi a murare, e fece incredibilmente punto. Le compagne esultarono e si complimentarono con lei.   

 

Il capitano lanció un'occhiata di trionfo verso gli spalti, verso quella persona sugli spalti, che fece un piccolo applauso, falso come i soldi del Monopoli. 

 

Non ce la farai a innervosirmi, maledetto. Guardami...guardaCI!! gli disse lei col pensiero. Diede una pacca sulla spalla a Marty. "Ora a te la battuta. Vai in jump-spin." 

 

L'altra si meraviglió. "Ma mi hai detto di tenere quel colpo solo per i momenti di difficoltà!"  

 

"Vai di ace, Marty! Distruggile!!" la esortó Kibi. "Che tutti, qui, vedano di cosa sei capace."

 

Marty annuì, sorpresa. "Sì, capitano."

 

Prese posizione in fondo al campo e si preparó alla lunga rincorsa con salto finale. I tifosi si eccitarono subito, vedendo cosa si preparava a fare. Molti si alzarono in piedi.

 

L'arbitro fischió e la ragazza partì decisa. Lanció la palla altissima, e fece forza sulle gambe con tutti i suoi muscoli per arrivare più su possibile. L'elevazione che raggiunse fu impressionante. Il colpo partì con un boato e finì dritto sulla numero Cinque della Matsukami, che addirittura cadde seduta come un sacco di patate. 

Fu un ace salutato con un lunghissimo applauso, anche per l'importante gesto atletico.

 

Ma Nolan chiese un immediato time-out.

 

Tutte corsero verso la panchina.  

 

"Che diavolo fai, Laughton!! Troppo presto per gli ace!" protestó Nolan.

 

"Scusi, mister, gliel'ho detto io."

intervenne Kibi. "Credo sia opportuno spaventare le avversarie. Mandarle in confusione con i servizi di Marty, di modo che poi noi..."

 

"Decido io la strategia di gara!" l'aggredì Nolan. "Ti dispiace se comando io, qui, Street?" 

 

Kibi abbassó lo sguardo. "No. Mi scusi, mister."

 

"Voi dovete fare punto con il gioco di squadra, e solo così. Gli ace di Marty sono un asso nella manica che dobbiamo usare raramente. Vi è stato detto e ripetuto! Ora, fate quello che cavolo dico io, capito?!" ordinó Nolan. 

 

"Sì, mister!!" risposero tutte, e tornarono in campo.

 

Marty riprese posizione a fondo campo, e stavolta tentó un colpo a effetto. Non le riuscì troppo bene, e la Matsukami respinse. L'attacco successivo fece tornare a loro il servizio.

 

"Maledizione!" imprecó Marty. 

 

Kibi si giró a le disse. "Stai calma, eh? E concentrati sulle avversarie. Occhi puntati su di loro, e basta." 

 

Marty non capì quell'appunto. "Certo che sono concentrata. Non preoccuparti, Kibi."

 

La compagna si giró a guardarla. Aveva uno sguardo strano, che tradiva tensione. Ma non era solo quella della gara.

 

Le avversarie fecero partire un servizio violento ancora su Marty, che ricevette con un po' di fatica. Kibi alzó per Clara, che con un pallonetto ingannó le ragazze dall'altra parte della rete. 

 

L'intera squadra della Toho esultó, con i tifosi.  Un ragazzo dagli spalti urló: "Marty, dai regalaci un altro ace!!"

 

Lei si giró a fargli un cenno di saluto, e fu allora che li vide.

 

Il sorriso si spense sul suo volto come una lampadina fulminata.  Il dolore al centro del petto fu atroce. Li aveva già visti insieme, ma lo shock derivó dal fatto che erano lì in palestra, a una partita di volley. 

Nel suo mondo. 

Era come se Ed fosse di prepotenza entrato in casa sua, scardinando la porta. 

 

Perchè era lì? Lui, che apprezzava il volley come Marty apprezzava il golf? 

 

Rimase impalata a centrocampo, finchè qualcuno le fece schioccare le dita a tre centimetri dal naso. 

"Hey!" era Kibi. "Cazzo, lo hai visto."

 

Marty scrolló la testa e urló. "Lo vedi cosa fa?  Lo vedi cosa faaaa?!" 

 

"Calma! Non dargli la soddisfazione di sembrare sconvolta! Calma! Pensa alla partita!" l'abbracció Kibi. "Solo questo conta!"

 

"È qui per farmi andare fuori di testa!" rispose  Marty, inizió ad ansimare. 

 

"Se Nolan ti vede così ti sostituisce! Recupera il controllo, non pensare a quello stronzo!" tentó di rabbonirla Kibi.

 

"E con lei pure..." disse ancora Marty.

 

Nel frattempo, le altre si erano accorte che qualcosa non andava. "Che c'è, ragazze? Abbiamo il servizio da battere!" chiese Sandy. 

 

"Sandy, cerca di fare punto. Prova con un ace anche tu." le comandó Kibi. 

 

"Ma capitano, Nolan vuole azioni corali!" protestó l'altra.

 

"Accidenti, fa' quello che ti dico!" ordinó lei. "È un momento delicato. Dobbiamo concludere in fretta!"

 

Ma Nolan chiese il secondo time-out in pochi minuti. Di nuovo, tutte corsero da lui.

 

"Allora, qualcuno mi spiega cosa succede? Kibi, Marty, cos'è stato quel cinema a centrocampo adesso?!" chiese il coach, arrabbiato.

 

"Nulla. Marty è un po' nervosa. Tutto a posto." rispose Kibi. Ma non sembrava affatto convinta.

 

"Va bene. Laughton, fuori! Sue, entri al suo posto." decise l'allenatore.

 

"Ma mister! Senza Marty..." protestarono tutte.

 

"Ho detto Laughton fuori!" ripetè Nolan. "Rientrerai quando ti sei calmata."

 

Marty si sentì sconfitta. Ma non da Nolan, o dalle avversarie, o dal suo temperamento emotivo. Da lui. 

 

Alzó gli occhi per cercare i suoi.  

 

Vide Warner accarezzarsi il mento.

Poi sorrise.

 

🎋🎋🎋

 

La partita fu persa.

Il silenzio mesto nelle docce, subito dopo la gara, fu quanto di più insopportabile.

 

Marty era rientrata in campo, ma non era più riuscita a fornire il suo solito preziosissimo contributo, e così Nolan l'aveva tolta definitivamente. 

 

Le altre compagne, turbate dal malessere dell'asso della squadra, si erano arrese, nonostante l'impegno strenuo del capitano. 

 

"Tutte qui, dopo le docce. Dobbiamo capire cosa è successo. Questa non mi va giù, ragazze, questa proprio non mi va giù." aveva commentato Nolan, nero dalla delusione e dalla rabbia.

 

Marty era seduta sulla panca dello spogliatoio, con un asciugamano in testa a coprirle tutta la faccia. Appoggiata mollemente a uno degli armadietti, sembrava svuotata, inerte. 

 

Le altre non ci avevano neanche provato a chiederle spiegazioni, talmente forte era stato lo shock della sconfitta per tutte.

 

Solo June aveva tentato una reazione.

"Ma si puó sapere che ti è preso?" le aveva chiesto, buttando una salvietta a terra. 

 

"June, basta. Marty non stava bene oggi." l'aveva interrotta Kibi.

 

"Ma capitano! Se non stava bene perché è scesa in campo!" aveva protestato l'altra.

 

"Perchè non possiamo fare a meno di lei, forse? Chi puó dire qui di avere la sua tecnica?? Tu, June?? Una giornata storta puó capitare. Falla finita." disse Kibi.

 

La compagna allora si era quietata, ma aveva continuato a mugugnare mentre si cambiava.

 

La riunione con Nolan non fu altrettanto tranquilla. Il coach imprecó e sbraitó contro quelle pappemolle che avevano mandato alle ortiche la prima partita che contava sul serio. Pretese di sapere da Marty le ragioni della sua debacle, e quando si scontró contro il muro del suo silenzio, abbandonó lo spogliatoio irritato.  

 

La ragazza non sarebbe riuscita a spiegarsi neanche se avesse voluto. 

 

Mentre riempiva lentamente il borsone della palestra con le sue cose, Marty Laughton comprese che la faccenda di Ed non era stata archiviata nella sua mente. Bloccare un numero sull'Iphone non era evidentemente sufficiente.  

Kibi aveva ragione.

Ci pensava ancora, senza fine.

 

Il suo capitano si offrì di accompagnarla in macchina fino a casa, ma lei rifiutó. Doveva camminare, e stare in pace. 

Sparì pochi minuti dopo la riunione con Nolan.

 

Chi non sparì, peró, fu il protagonista dell'amara giornata. 

 

Kibi se lo ritrovó davanti all'uscita della palestra. 

 

Era solo, con le mani nelle tasche di un pesante cappotto e sembrava aspettare qualcuno.

 

Kibi gli passó davanti, tentando di ignorarlo, ma il getto di fiele che le salì dal fegato arrivó fino in gola.     

 

Si fermó a pochi passi da lui.

"Ti posso chiedere che diavolo fai, qui?"

 

Ed sollevó le sopracciglia, come meravigliato dalla domanda. "Sono venuto a vedere una partita di volley."

 

"Devo dirti che mi irrita questa cosa. E non vale solo per me. Sai cosa intendo. Non devi più farti vedere, Ed, intesi?" ringhió Kibi.

 

"Sì, scusa, ma tu chi sei per ordinarmi di fare qualcosa? Io ho tutto il diritto di venire qui e tu lo sai." rispose Ed.

 

"Guarda che se insisti con questi comportamenti non otterrai niente, solo una dose ulteriore di quel disprezzo che ti sei già guadagnato. Perció piantala. Lasciala stare. Sai a chi mi riferisco." ribattè Kibi.

 

"E tu che ci guadagni a prendere le sue difese? Che ti importa, ora hai un ragazzo, per te la vita si è sistemata.  Beh, io ho la mia vita privata e tu la tua. Se qualche altra persona non è felice, che diavolo c'entro io?" rispose Warner.

 

"Ah davvero? E dov'è la tua vita privata? Che ha fatto, ti ha lasciato qui?" gli si avvicinó con aria perfida. "Inizia il suo turno sui marciapiedi?" 

 

"Sei davvero banale. Ti facevo più originale, anche nel modo di insultare la gente. Con me, eri molto più creativa, ricordi?" sorrise Ed, maliziosamente. 

 

"Diciamo piuttosto che tu ispiravi la parte peggiore di me." rispose Kibi.

 

"Strano. Non me ne ero accorto." disse Ed. "Ricordo una ragazza che un lunedì mattina confessó di essersi innamorata del sottoscritto. Proprio qui, in questo cortile. Chissà dov'è finita." 

 

"Non c'è più. È cresciuta. Come deve crescere Marty. Lasciala stare, lasciala vivere. Oggi ha giocato di merda per colpa tua. Lo sapevi, volevi questo. Ma...non vincerai questa guerra. Sarai tu a soffrirne, solo tu." replicó Kibi.

 

Arrivó Beverly, saltellando sui soliti tacchi.

 

Guardó Kibi dall'alto in basso. Poi prese la mano di Ed.

 

"Cavoli i bagni qui sono schifosi! Hey Ed andiamo! Che ho la macchina parcheggiata male!" gli disse, tirandolo. Lui rivolse un ultimo sguardo a Kibi e la seguì.

 

I due si allontanarono nel buio. 

 

"Che vermi." disse Kibi, ad alta voce.

 

"Street, che fai qui? Ancora appresso a Warner?" chiese la voce di Nolan. Era uscito in quel momento. 

Prese le chiavi della macchina dalla tasca. "...anche questo gelo ci si mette. Spero non si sia imballato il motore."

 

"Mister... a proposito di Marty... ho paura che le prossime settimane saranno difficili con lei." disse Kibi. "Dobbiamo avere tutti pazienza."

 

"Scusa, la giornata è finita e io vorrei solo mettermela alle spalle. Vado a casa, fallo anche tu. Ne parliamo lunedì." taglió corto Nolan.

 

Poi sparì anche lui oltre al cancello.

 

Kibi rimase sola. 

Chiamó Alan.

 

"Ciao...abbiamo perso. Sì lo so." sospiró al telefono. "Alan, a che ora torni? ...No è che...ho bisogno di stare con te. Ho proprio tanto bisogno di stare con te, adesso." 

 

Poi chiuse la chiamata, e osservó un unico, piccolo fiocco di neve, che cadde in silenzio e andó a sciogliersi sullo schermo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Solidarietà ***


 

"Tieni." fece Mark, allungandole una busta gialla e gonfia. "Te li manda il mio capo."

 

Aveva chiesto di incontrarla nell'intervallo per il pranzo, nel cortile della scuola. Protetti da un imponente tronco d'albero, Marty e il capitano della Toho FC parlavano dei loro affari.

 

"Il prossimo mese riceverà altri documenti dalla società di Boston che ti dicevo. Anche quelli da tradurre. Non so peró quanto potresti guadagnarci." le spiegó. "Ha detto che ti contatterà di volta in volta, appena ha lavoro per te." 

 

Marty aprì la busta e sbirció il contenuto. Settanta duemila yen, come convenuto.  Una cifra tutta in contanti che le fece impressione. "Quanti soldi..."

 

"Niente male, vero? Così adesso, proverai l'ebbrezza di comprarti qualcosa col sudore della tua fronte. Benvenuta nel mio mondo." disse Mark, sorridendo.

 

"Grazie. Io non credo di averti detto quanto ció significhi per me.  Questo lavoretto, oltre ai soldi, mi ha permesso di staccare la testa da altri pensieri." rispose la ragazza.  "Dio solo sa se ne avevo bisogno..."

 

Mark si appoggió all'albero e sbottonó la casacca della divisa scolastica sotto alla gola. Anche se faceva freddo, non sopportava la rigidità di quell'uniforme. "Ma mi pare che tu non ti sia dedicata alle tue attività nello sport. Perchè avete perso così male, sabato?" 

 

"Non ero in forma." disse Marty. “I nervi mi son saltati." 

 

"Il motivo?" chiese Lenders. "Anzi, non rispondere. Non mi voglio arrabbiare di nuovo."

 

"È venuto a vederci." disse Marty. "Era lì, seduto al primo livello degli spalti. Si è messo in quel posto perchè io lo vedessi."

 

Mark si stupì. "...Ed??"

 

"Non lo sapevi? Che c'è, non vi parlate più?" domandó lei. Si ricordó le parole di Kibi. "La vostra lunga amicizia è finita, a causa mia?"

 

Il ragazzo la squadró. "Gli ho parlato, se lo vuoi sapere. Me la sono presa con lui per quella storia."

 

"Sì, Lynn me l'ha detto. Ha detto che c'è stato uno scontro fra di voi,  negli spogliatoi, e anche per questo ti ringrazio. Ma devo informarti che il tuo intervento non è servito a granchè, dato che si è messo in testa di rovinarmi la carriera!" si sfogó Marty.  "...alla partita di sabato c'erano anche osservatori di squadre professionistiche. L'ho saputo solo dopo l'incontro. E ho giocato in modo pessimo, perchè ero sconvolta dalla sua presenza."

 

Mark chiuse gli occhi. "Ho fatto ció che ho ritenuto giusto. Ma impedire a uno dei giocatori di andare a vedere i match delle altre squadre scolastiche non è in mio potere. Ed è libero di andare dove gli pare. Lo sai."

 

Marty annuì. "Sì. Ma ció non toglie che la situazione sia grottesca. Non capisco cosa voglia da me, perché mi dà il tormento, perchè?"

 

"Perchè per lui la faccenda non è chiusa. Pensa ancora a te. L'ho capito quando l'ho affrontato. E si è trovato quella ragazza per ingelosirti." replicó Mark. "È venuto a vederti per testare le tue reazioni,  e il fatto di averti turbata è la conferma che soffri ancora per lui. Immagino sarà tornato a casa soddisfatto." 

 

Marty ci pensó su. "Immaturo a dir poco. Peró cavoli, Mark, certo che tu te ne intendi di problemi sentimentali! Nessuna delle mie amiche, nè Lynn, nè Kibi ha analizzato così precisamente la situazione." scherzó. "Sembra impossibile che tu non ti sia mai innamorato. Ne capisci eccome."

 

Lui guardó verso la scuola. "Forse perchè dal mio punto di vista queste sono bambinate. I capricci dei bambini sono facili da riconoscere. E visti dall'esterno sono comportamenti ridicoli. Se tu la pensassi come me, saresti più serena. Sono altri i problemi."

 

Marty diventó seria. "Senti...come sta tua madre?"

 

"Non bene, purtroppo." rispose Mark. "Ha fatto una visita all'ospedale. Dicono abbia una forma di anemia."

 

"Oh no..." replicó la giovane. "Mi spiace davvero!"

 

"È carenza di ferro. Ogni tanto soffre di dolori al torace, ed è debole...sempre così debole. Dovrebbe mangiare più carne, e acquistare dei medicinali specifici. Tutto troppo costoso." spiegó Mark. Poi guardó verso il cielo. "...quando saró in Europa, l'aiuteró io! Manderó qui i soldi che le servono e compreró anche una casa decente per lei e i bambini!!"

 

Marty gli allungó la busta. "Tienili tu."

 

Lenders la guardó basito.  "Eh?"

 

"Prendi i soldi. Servono a voi. Sai che per me sono superflui." rispose Marty. "Per favore, Mark."

 

Il ragazzo guardó la busta, poi lei. 

I suoi occhi improvvisamente si indurirono. Con un colpo della mano, mandó la busta a terra. "Maledizione! Allora non hai capito niente di me? Non voglio nessuna carità!" 

 

Marty ci rimase male. "Ma scusa... la tua famiglia è in difficoltà, tua madre ha bisogno..."

 

"Ci penso io a loro, come ho sempre fatto! Quei soldi sono tuoi! E non voglio sentire altro!" sbottó lui, poi se ne andó verso l'entrata della scuola.

 

"Mark! Mark, aspetta!" gli gridó dietro.

Poi si ricordó che c'era una busta piena di yen sul prato della scuola. Si chinó velocemente a raccoglierla, e la mise nella cartelletta.  

 

Guardó il ragazzo che rientrava nell'edificio. Aveva anche lui un piccolo problema con l'orgoglio, nonostante criticasse Ed. 

Marty poteva capire l'istinto protettivo verso la famiglia e il desiderio legittimo di curarsi in prima persona dei suoi componenti, in mancanza di un padre.

Ma sulla salute c'era poco da scherzare, e rifiutare un concreto aiuto per risolvere o perlomeno alleviare i disturbi della signora Lenders le pareva una scelta sbagliata. 

Era sua madre, e non stava bene.   

 

Pensó che avrebbe potuto andare di nascosto a casa loro e lasciare alla donna la busta, raccomandandosi di non dire niente al figlio. Immaginó, peró, che un'iniziativa di quel tipo avrebbe potuto indispettire Mark e non di poco. 

Non voleva perdere la sua amicizia. 

 

La campanella trilló.

 

Decise di pensarci su durante le lezioni.  

 

🎋🎋🎋

 

Marty stava andando in palestra, quel lunedì pomeriggio, consapevole che sarebbe stata una giornata grigia.

La chiacchierata con Mark in pausa pranzo era giá stata abbastanza sgradevole, e ora l'attendeva l'allenamento dopo la sconfitta. 

 

Una volta girato l'angolo dell'edificio, la ragazza si trovó di fronte a un nutrito gruppo di studentesse, che apparentemente la stavano aspettando. 

Le conosceva.

 

Era di fronte a una parte dell' Ed Warner Fan Club, e a giudicare dalle loro espressioni, non erano lì per farle una festicciola. 

 

La più alta, con le braccia conserte, le si paró subito davanti.

 

"Senti un po', tu..." esordì, minacciosa. "Ci sono giunte all'orecchio delle voci."

 

Marty si sentì intimorita. 

Potevano essere nove o dieci, e fra di loro c'era pure qualche ragazzina delle scuole medie. 

 

"C-che volete? Devo andare in palestra." chiese, preoccupata.

 

"Calma. Ascolta quello che dobbiamo dirti, Marty." continuó la spilungona. "Qualcuno dice che tu e Ed siete stati insieme. È vero questo?"

 

Marty negó con decisione. "No! Chi ve l'ha detto?!"

 

"Un uccellino." rispose la ragazza. Tutte si misero a ridere.  La circondarono.

 

"Sono bugie. Io lavoravo per la squadra, lo sapete. Adesso ho smesso con quell'attività. Non frequento i calciatori." ribattè.  

 

"Ma come? Eddie Bright, allora? Lo ha confermato anche lui..." s'inserì un'altra studentessa, con gli occhiali e i capelli ricci. "Perchè neghi la verità, Laughton?"

 

"Siamo usciti una volta, con Eddie. Ma non capisco cosa volete! Warner ha una ragazza, adesso. L'avete vista." rispose Marty.

 

"Appunto.  Questo uccellino dice che Ed voglia ingelosire te con quell'altra. Perchè è ancora pazzo della bionda irlandese. E sai, mi chiedevo se fosse vero." aggiunse la stangona. "Perchè, in questo caso..." 

 

Allungó una mano e prese quella di Marty, totalmente confusa. 

 

"... spero proprio che vinca tu! Non sopporto quella schifosa con cui sta adesso!" 

 

Tutte concordarono.

 

"È vero, è una schifosa!" ripetè la riccia.

"Se la tira come una scema!" disse una terza ragazza.

"E poi è antipatica e disgustosa, si veste come una prostituta!" fu l'ulteriore commento di una delle medie.

 

Quella solidarietà inaspettata dalle leonesse di Ed, come le chiamavano i suoi compagni di squadra, la sorprese piacevolmente. 

 

"Credo che se il nostro Ed debba farsi vedere in giro con una, forse è meglio che sia tu. Potremmo sopportarlo meglio. Almeno sei una campionessa, non una sciacquetta inutile."  disse la prima che aveva parlato. 

 

Marty non seppe se ridere o deprimersi. 

"Ragazze, vi hanno detto cose sbagliate. Io e Warner non siamo stati insieme. Lui era uno dei giocatori che seguivo quando ero assistente di team. Forse è stato frainteso il nostro rapporto." 

 

"Marty, smettila.  Lo immagini chi ha messo in giro la voce. È una fonte di cui ci fidiamo." ribattè l'altra. "L'importante è che quella maledetta venga liquidata il prima possibile! Noi ci rifiutiamo di andare agli allenamenti, per non vederla."

 

"Sì, perchè ho una gran voglia di spaccarle la faccia!" ringhió una di loro, sbattendosi un pugno contro il palmo dell'altra mano. 

 

"È poi è troppo vecchia per lui!! Che si trovi un trentenne!" aggiunse un'altra.

 

Marty sorrise, sollevata. 

Era sicura che quella con la faccia spaccata, presto o tardi, sarebbe stata lei. Quella Beverly, in fondo, l'aveva tolta dall'arena. Le leonesse avevano fame e sarebbero state pronte a sbranare chiunque si fosse avvicinata a Mister Leggings Aderenti. 

 

Non era più un suo problema, almeno quello.   Lynn era stata il megafono che aveva divulgato la faccenda, probabilmente. Non seppe più se mandarla a quel Paese o ringraziarla. 

 

"Ragazze, vi ripeto che la cosa non mi riguarda. E se mi permettete, vorrei aggiungere che state sopravvalutando Warner. Ci sono tanti ragazzi in giro più attraenti di lui." disse sorridendo.

 

 Le altre si guardarono perplesse.

Poi una fece: "Più belli di Ed?? Naaaaahhh!!"

 

E tutte si allontanarono, lasciandosi dietro una scia di risate e di profumi vari. 

 

Marty le osservó, scuotendo la testa.

 

Certo che le donne sapevano essere davvero ingenue, riflettè, provando improvvisa tenerezza per il genere a cui lei stessa apparteneva. Poi sospiró, realizzando che stava criticando in fondo anche sè stessa. Lei c’era caduta con tutti e due i piedi nella trappola di Ed. Aveva poco da deridere le altre.

 

Pensó anche a un'altra cosa.

 

"Manca poco a San Valentino." mormoró, girandosi una ciocca di capelli fra le dita. "E anche al mio compleanno."

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L’età dell’Acquario ***


 

"Parliamoci chiaro: io e tua madre abbiamo deciso di darti fiducia perchè ormai sei grande. Non vogliamo comunque lasciarti qui e andarcene con l'ansia che ti capiti qualcosa. Perció, dimmi, te la senti o no?" chiese suo padre, a cena.

 

"Sì, papà! Tra poco compio diciassette anni. Posso benissimo passare due notti a casa da sola. C'è il sistema di allarme, c'è Lynn che abita qua vicino, in caso di bisogno chiamo lei!" ripetè Marty per la decima volta. "Magari le chiedo di venire a dormire qui."

 

I suoi avevano deciso di passare il week end di San Valentino fuori cittá, in un paese di montagna che tutti descrivevano come paradiso in terra. 

Due notti e tre giorni per conto suo, con la casa libera e con settantadue mila yen a disposizione. Esattamente la definizione di pacchia, nel dizionario personale di Marty Laughton.

 

"Sì, è una buona idea. In effetti mi sentirei meglio se sapessi che non sei qui da sola." intervenne sua madre. 

 

"Va bene, glielo dico. Ma anche se non viene non vi dovete preoccupare. Per i pasti mi ordino qualcosa, non sporcheró niente. Staró bene!" disse, felice.

 

"Quell'espressione compiaciuta mi fa temere che combinerai qualche cosa. Se vengo disgraziatamente a sapere che qui sono entrati esemplari maschi della specie umana in nostra assenza, ti ritroverai in un mare di cacca. Non scherzo, Marty. Proprio in una montagna di letame." aggiunse suo padre.

 

"Ma figurati, dai! Non ho nessun ragazzo. E poi, anche se l'avessi, non mi permetterei mai." rispose.

 

Fra i due coniugi passó uno sguardo scettico. "Che dici, Joanne, le crediamo?"

 

"Mi fa piacere che tu ambisca a rimanere pura e innocente, ma avendo i miei ormoni l'impresa non sarà semplice." ribattè la donna.

 

Suo padre rise. "Quant'è vero..."   

 

"Mamma!" esclamó la ragazza, colpita da quella battuta. In realtà, il messaggio nascosto le era ben chiaro.  Dopo quello che stavi combinando a Shanghai con quel cinese non crederó mai che tu abbia l'aureola in testa, cara figlia. 

 

"Comunque, se inviti qui la tua amica magari dovrei chiamare sua madre per dirle che andrà tutto bene. Fammi sapere se è necessario." disse Joanne, mangiando uno spicchio d'arancia.

 

"Sì, poi glielo chiedo. E per il mio compleanno? Programmi?" fece la ragazza.

 

"Che regalo vuoi?" fu la domanda del padre. 

 

"Non mi riferivo al regalo. Mi piacerebbe organizzare una festa qui a casa. Invitare solo poche persone,  le più vicine a me." rispose Marty. "Lynn, Kibi, le ragazze della Toho, e   Danny...poi pensavo...sai quel ragazzo che ti ho detto, Mark? Con la sua famiglia." 

 

"Una festa? In casa nostra?" chiese la madre, subito in ansia. 

 

"Beh, c'è spazio mamma. Se non facesse freddo potremmo addirittura stare in giardino. Ma anche qui in sala..." ribattè Marty. 

 

"Hmmm. Non mi fa impazzire la cosa." protestó Joanne. "Peró se ci tieni..."

 

"È solo un'idea. Sono persone che hanno avuto un ruolo importante per me, quest'anno.    E riguardo ai Lenders, mi farebbe piacere che passassero una giornata divertente." disse la ragazza.

 

"Mi hai detto che quella famiglia non naviga in buone acque. Non pensi sarebbe mortificante per loro venire qui e vedere il nostro tenore di vita?" ragionó il padre. "Delle volte bisogna riflettere prima di compiere un'azione, anche se ci pare buona." 

 

Marty rimase interdetta a quelle parole. In fondo, era vero anche quello. Si ricordó lo sguardo della madre di Mark la prima volta che era andata a casa loro. Il modo in cui aveva osservato i suoi vestiti e le sue scarpe.

 

Sospiró.

"In effetti...Non so. Ci devo pensare bene."

 

"Ecco, pensaci molto bene. Al limite potremmo organizzare un pranzo in un ristorante e invitare chi ti va." aggiunse la madre. "Questo rimarrebbe come regalo."

 

"Anche. Comunque, il mio compleanno è il 16 Febbraio, due giorni dopo San Valentino. Abbiamo tutto il tempo. Magari cambio idea." rispose lei. "Magari mi passa la voglia e non si fa più niente."

 

"Non sarebbe la prima volta. Voi Acquari siete così, imprevedibili e lunatici. È proprio un segno del cavolo." borbottó suo padre.  "Il peggiore dello zodiaco."

 

"Grazie, carino rimarcarlo. Io ho finito, vado in camera." disse lei, poi raccolse il suo piatto e le posate e li lavó. 

 

"Non sarebbe male se ogni tanto lavassi anche i nostri e le padelle e le pentole e i bicchieri!" le disse sua madre. 

 

"C'è la lavastoviglie, no?" rispose la ragazza, e salì velocemente le scale.

 

🎋🎋🎋

 

"Non posso, Marty. Il week end del 14 vado via coi miei." rispose Lynn, quando l'amica la chiamó per proporle di stare da lei per quei giorni. "Dopo Capodanno, la mia famiglia ha improvvisamente scoperto la bellezza di riunirsi, e adesso ogni tanto mi tocca andare a trovare i miei zii. Ma ti pare possibile!" 

 

Marty si mise a ridere. "Meno male che non hai un ragazzo. Altrimenti sai che brutto mollarlo proprio a San Valentino!"

 

"Ma figurati. Sarei stata con lui, a tutti i costi. A proposito, tu a chi regali il cioccolato?"  chiese l'amica.

 

"Cioè?" Marty non capì.

 

"A San Valentino qui c'è la tradizione di regalare dolci fatti in casa a base di cioccolato. Una ragazza fa questo omaggio al tipo per cui prova sentimenti. Se poi il ragazzo corrisponde, un mese dopo, il 14 Marzo, deve a sua volta regalarle una cosa di colore bianco. È il cosiddetto white Day." spiegó Lynn. "...divertente, vero?"

 

"Complicato, direi. Quindi una deve aspettare un mese per sapere se il tizio è interessato o no?" chiese Marty. "Scusa, ma in Europa è un po' diverso."

 

"Ma no, è una specie di giochetto. La cosa stuzzicante è che spesso il regalo del ragazzo è biancheria intima bianca. Il che rende tutto più piccante." rispose l'altra. "Comunque... tu non prepari dolci?"

 

"Per chi? Non mi interessa nessuno." ribattè Marty.  "Ah, Lynn...che cavolo sei andata in giro a raccontare su me e su Ed? A scuola sono stata avvicinata dalle leonesse, credevo volessero linciarmi. Ce l'avevano con la vampira, ma mi hanno detto che gira voce che io e lui siamo stati insieme. Di grazia, chi ha messo in giro questa stronzata?"

 

"Non io!!!" si affrettó a giustificarsi Lynn. "Per me...Danny. Ne avrà parlato con qualcuno della squadra, e poi il pettegolezzo è girato. Ma io no, credimi!!" 

 

"Tu o lui...chiunque sia stato è un impiccione e un deficiente! Vi ha detto bene che Warner abbia una donna e che adesso sia lei l'obiettivo di tutti gli insulti e le maledizioni!" si lamentó Marty.

 

"Dicono sia una copertura.  Perchè lui in realtà è pazzo di..." rispose Lynn.

 

"Piantala! Ti ho già detto che non ne voglio parlare." la interruppe Marty.

 

"Ok, va bene, va bene. Comunque, se è come dicono, non sai quello che butti via. Avere Ed è come, non so, vincere la lotteria. Cioè, il più corteggiato..." insistè Lynn.

 

"Ma tu cosa ne sai? Cosa cavolo ne sai di com'è lui?!" sbottó Marty. "Mi fermo qui, ma se volessi mi basterebbero tre frasi per chiarirti di quale individuo stiamo parlando." 

 

"Perchè non mi hai voluto dire niente sul vostro litigio?? Danny ha origliato quando lui e Mark bisticciavano. Ha detto di aver sentito che..." 

 

"Basta. Non ne voglio parlare più. Ti è chiaro Lynn? Mai più." taglió corto la ragazza bionda. "Guarda che non scherzo."

 

"Sì, ho capito." rispose Lynn.

 

"Intesi?" 

 

"Sì."

 

🎋🎋🎋

 

Il sogno che fece Marty quella notte fu stranissimo, e le lasció una sensazione di grande amarezza al risveglio.

 

Era a Yokohama, in un parco pubblico. Stava ammirando il panorama, appoggiata a un corrimano, e aveva guardato alla sua destra. 

 

Mark era lì con lei, gli occhi a sua volta fissi sul paesaggio. 

 

"Mark!" l'aveva chiamato. "Mark, sono qui anch'io!" 

 

Ma lui non si era girato: era come se non la vedesse, nè sentisse. 

 

Poi aveva sentito una voce di ragazza, alla sua sinistra, una voce squillante che diceva: "Scusa il ritardo!" 

 

Si era voltata, e aveva visto una giovane con i capelli cortissimi e una gonna rosa che correva nella loro direzione. Era alta quasi come lei, e aveva un fisico atletico, forse era a sua volta una sportiva. 

 

"Ciao Mark!" aveva detto la tipa sconosciuta, un po' affannata, quando lo aveva raggiunto. La cosa inquietante, era che nel sogno nemmeno lei pareva aver visto Marty.

 

Era come se la sua persona fosse invisibile e fosse capitata nel mezzo di un appuntamento. 

 

Mark e la tizia si erano guardati per un lunghissimo istante, e con assoluta intesa. Poi si erano incamminati insieme lungo l'ampio viale, lasciandola lì. 

 

"Mark, ma non mi senti!! Mark!!" aveva gridato allora Marty, provando a correre. Con sgomento, si era accorta che le sue gambe non si muovevano. Non aveva potuto fare altro che guardare i due allontanarsi e sparire all'orizzonte.

 

Si era svegliata di soprassalto. 

 

Per un attimo si guardó intorno confusa, poi si ricordó che non era a Yokohama, ma a Tokyo in camera sua, e che non esisteva proprio nessuna ragazza alta e atletica e con i capelli corti nella vita di Mark.  

 

Ebbe comunque la sensazione che qualcosa di spiacevole stesse per capitare, e che quell'anno appena iniziato non sarebbe stato uno dei migliori della sua vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sogni ***


Vorrei che tu la smettessi di fare quello che stai facendo. Io devo concentrarmi sulla mia carriera, sugli studi, sugli esami.

Sto con fatica cercando di dimenticarmi di quello che è successo a Dicembre, e anche prima. Le nostre lunghissime telefonate e quello che ci siamo detti non vogliono andarsene dalla mia testa. Ma questo è male.

È andata di merda fra noi e ti prego di chiudere questa storia con dignità, la stessa che mi spinge ora a scriverti. Non ne posso più. Piantala di comparirmi davanti all'improvviso. Del volley non te ne frega niente, perció non fare la commedia.

 

Marty rilesse il messaggio che aveva scritto di nascosto su un foglio strappato dal block notes durante la lezione.  L'aveva buttato giù senza pensarci troppo, era tutto quello che aveva dentro messo nero su bianco senza filtri.

 

Era così avvilita dalla sua stessa debolezza, dalla sua patetica ricerca di una pace mentale che sarebbe stata solo apparente, perchè nel momento stesso in cui Ed avesse letto quel foglio, lei avrebbe ricominciato a torturarsi con domande come: cosa starà pensando adesso? Che opinione avrà di me? 

 

Ma il pensiero e l'immagine mentale di lui con quell'altra, seduti vicini in palestra, le dava un senso di disagio fortissimo. Non poteva tenerselo dentro, e continuare a sfogarsi con Kibi o Mark le avrebbe fatto guadagnare l'insofferenza e forse l'antipatia di entrambi. Non si poteva tirare troppo le corde della pazienza con la gente. Era un problema solo suo.

 

Il World Youth si stava avvicinando, sarebbe partito a Maggio con le eliminatorie e terminato a Giugno. I match preliminari sarebbero stati giocati in Indonesia, a Jakarta. 

 

Danny era su di giri all'idea che mancavano solo quattro mesi. In classe non faceva che sfogliare giornali sportivi per cercare informazioni sui loro rivali più pericolosi, e ormai non badava neanche più ai rimproveri degli insegnanti.  

Ma tutti, in squadra, erano emozionati, perfino quelli che la Nazionale l'avrebbero vista solo col binocolo.

 

In quanto a Marty, la sensazione che provava era di sollievo e sconforto insieme. Sollievo perchè si sarebbe levata di torno Warner con tutte le fregole che le provocava; sconforto perchè quelle pulsioni le sarebbero mancate.

E poi anche Mark sarebbe partito e non l'avrebbe visto per parecchio tempo, considerando anche il ritiro pre-mondiale. 

Quello era l'ultimo anno per loro alla Toho Academy, e dopo il World Youth ci sarebbe stata l'Europa. Molto probabilmente l'Italia.

 

Una bella amicizia nata da poco stava già per dissolversi e rimanere un lontano ricordo. E poi c'era anche il fatto che 

 

(Scusa il ritardo!)

 

che Mark avrebbe potuto incontrare una ragazza in giro per il mondo, magari in Indonesia, o in Italia. Era cresciuto, era ormai un uomo grande e grosso e Marty non poteva credere che le donne gli fossero del tutto indifferenti, se non altro per questioni ormonali. Mica era fatto di pietra. 

 

Si accorse di provare una leggera gelosia anche nei suoi confronti, scatenata dal sogno di qualche notte prima. Gli psichiatri dicevano che i sogni erano una porta sull'inconscio e allora cosa poteva voler dire quella scena? Che temeva l'arrivo di una Beverly anche per Mark? 

 

"Meglio che ti trovi un ragazzo e alla svelta." le aveva detto Maylin, una volta messa al corrente di tutto il casino recente della sua vita. "Tu hai voglia di avere un maschietto sotto mano e mi pare pure giusto. Ti tiri addosso tutte queste cagate perchè non ne puoi più della solitudine. Ah senti...poi...c'è una cosa che ti devo dire..."

 

L'aveva successivamente informata che Xiem si era sposato due mesi prima. Con una ragazza cinese, ricca come lui. Il matrimonio fra due ereditieri di Shanghai era stato commentato sui quotidiani cittadini.

 

La cosa non le aveva fatto nè caldo nè freddo. Il primo uomo che le avesse fatto battere il cuore era comunque rimasto nella dimensione della fantasia irrealizzabile, e le lacrime che aveva pianto quando era sparito di punto in bianco, erano state tutto ció che era rimasto del loro rapporto impossibile.

 

Che lei avesse una necessità quasi impellente di avere un amore, comunque, era un problema con cui si era confrontata dall'anno prima.  L'adolescenza, con il suo fiorire, aveva portato con sè anche lo sgradevole effetto secondario delle tempeste ormonali che negli ultimi tempi si stavano trasformando in uragani, rendendola preda facile di lupi come Benji Price e il suo corrispettivo karateka.     

Gente smaliziata, che aveva già da molto lasciato il nido d'infanzia.

 

Confusa dalle sue stesse elucubrazioni, strappó il foglio dal block notes, e lo mise ripiegato nell'agenda scolastica. L'avrebbe lasciato così com'era nell'armadietto di Ed, senza nemmeno curarsi di metterlo in una busta.  

 

Che diavolo sperava di ottenere con quel gesto,  non lo sapeva neppure. Warner avrebbe preso quel foglietto e non l'avrebbe neanche aperto, pensando che poteva trattarsi di una letterina d'amore del suo Fan Club.   

 

Peró, quando furtivamente si avvicinó allo spotellino col suo nome, dopo le lezioni e, non vista, infiló dentro la pagina del block notes, provó un senso di liberazione. Almeno lì era scritto quello che seriamente pensava della faccenda. Non voleva sbloccare il suo contatto e scrivergli, per paura di incoraggiarlo ad avviare un botta e risposta tramite Whatsapp. Meglio il buon vecchio metodo con carta e penna.

 

"Ohi, che fai? Gli lasci i regalini?" sentì una voce femminile chiederle. 

 

Si giró di scatto, sorpresa di essere stata beccata.  

Kibi era lì, e la guardava con aria canzonatoria.  "Tu ti fai solo del male così."

 

"Proprio adesso arrivi..." sospiró Marty.

 

"Eh che sfiga... vero?" rise l'altra. "Colta sul fatto come Winnie Pooh beccato a infilare la zampa nel barattolo di miele." 

 

"Gli ho scritto di lasciarmi stare, e di non venire più a vederci alle partite. Quello mi sta provocando! Ma non glielo lascio fare." si giustificó Marty.

 

"Seeeee certo..." la prese in giro la compagna. "Tu invece vuoi dirgli: mi manchi al punto da umiliarmi e scriverti di mio pugno un messaggio a cui io stessa non credo, perchè l'unica cosa che desidero davvero è  farmi sbattere da te finchè non perdo i sensi...o no?" 

 

"No, Kibi. Puó darsi che questo pensiero sia venuto a te nel periodo in cui eri persa di lui, ma non a me. Io voglio che lui la pianti. Solo questo. Qui c'è in gioco il mio futuro, non c'è da scherzare." protestó Marty.

 

"Manca poco a Maggio...tic toc tic toc..." disse l'altra, imitando il ticchettio di un orologio. "...e poi il caro Ed sarà in Indonesia. Lontano dagli occhi, e dal cuore. Ah sì, vedrai allora, sarà tutto più facile. Il campionato di volley finirà proprio in quel periodo. E il 20 Giugno, la Grande Finale." 

Kibi si avvicinó e le mise un braccio intorno al collo. "Pensa se ci arrivassimo...la Finale...noi campionesse...e poi, magari, proposte dalla Japan Volley League... contratti, soldi..."

 

"Tu viaggi troppo con la fantasia. Non avere eccessive speranze, o la delusione sarà lacerante." le disse Marty.

 

"Perchè non posso sognare? Hm? Quei cretini possono sognare di vincere un Mondiale e noi nemmeno un misero campionato del liceo?? Perchè?" ribattè Kibi. 

 

"Lo sai perchè." rispose lei, scrollandosi il braccio di Kibi dalle spalle. "La squadra ha dei limiti, non è stata tanto la sconfitta di tre settimane fa...è che io e te reggiamo sulle spalle tutta la baracca e comincio a sentirmi sfinita! Se avessimo una terza buona atleta, forse...ma ci manca una schiacciatrice. Non si puó continuare con finte e pallonetti."

 

"Questo è ció che passa al convento.  Clara sta migliorando, Sandy spende ore in palestra a esercitarsi da sola. Più di così non possiamo chiedere." rispose Kibi. "L'anno prossimo faremo nuove selezioni. Ma la situazione, per quest'anno, è immodificabile. Non ci resta che contare una sull'altra, pare."  

 

Marty si passó una mano sulla fronte. "Dio mio...i tifosi meriterebbero di più."

 

"Sì, e per il tuo compleanno hanno in mente qualcosa. È il 16, giusto?" chiese Kibi.

 

"...di Febbraio, sì. Cosa hanno in mente, scusa?" s'informó lei, curiosa.

 

"Non ne ho idea. Ma vogliono farti una sorpresa. Hanno un amore per te...se sapessero che sei così arrendevole..." borbottó Kibi.

 

"Sono realista." sbottó Marty. "Meglio guardare ai fatti con freddezza, le fantasie non servono a niente." 

 

"...disse quella ancora invaghita di uno che l'ha scaraventata su un futon e l'ha chiusa in una stanza." continuó ironicamente Kibi, "Magari è questo che ti è piaciuto? Quella improvvisa esibizione di machismo a buon mercato?"

 

"Smettila. Ho avuto paura in quegli attimi, te l'ho detto." ribattè Marty.

 

"E che ci fai qui, a lasciargli bigliettini come una tredicenne?" chiese allora l'altra. "Se tu lo disprezzassi sul serio, non vorresti neanche più sentire il suo nome." 

 

"Non puó fare quello che gli pare. È venuto alla partita per distrarmi, l'hai capito anche tu. Non lascio correre..." ripetè Marty. "Ah...tu per San Valentino cosa fai?"

 

"Scusa?" chiese Kibi. "Non è convincendoti di essere  lesbica  che risolverai il tuo problema con Ed!"

 

E rise.

 

"Cretina. I miei vanno via per il week end. Sono a casa da sola e anche se a mio padre ho detto che non ho paura, sono un po' inquieta. Lynn non sarà a Tokyo in quei giorni e quindi se tu potessi dormire da me..." poi si ricordó. "...oh cavolo!!!! Alan."

 

"Eh sì, vedi. Preferisco stare con lui a San Valentino. Sai, sono scelte." scherzó Kibi.

 

"Vero. Merda." si lamentó lei. 

 

"Chiedi a una della squadra. Con Pam vai d'accordo...non ha un ragazzo, magari le va." suggerì Kibi.

 

"Sì, ma non è proprio mia amica. Cioè, non al punto da chiederle di dormire da me." ragionó Marty. 

 

"Ho un'idea. Aprì quell'armadietto, tira fuori la letterina, strappala e scrivine un'altra. Caro Ed, ti invito da me per San Valentino. Porta le manette, i frustini e tutti i giochini che usavi con Kibi. Vedrai che accetta." le disse con aria molto seria. Poi scoppió a ridere.

 

"Come i frustini e le manette?" trasecoló Marty. "Seriamente?"

 

"Ma va' scherzo. Non siamo arrivati a quello. Abbiamo dormito una sola notte insieme...insomma, dormito...non proprio..." rispose la ragazza, cambiandosi le scarpe. "Poi lui non è tipo da cose simili. Non ha bisogno di oggetti per aiutarsi...è già fornito di tutto!" 

 

"La puoi piantare? Dai andiamo in palestra." sbuffó Marty.  E uscì dalla sala degli armadietti.

 

"Agli ordini, padrona." rise Kibi. "Ah giá, cazzo...sono io il capitano."

 

🎋🎋🎋

 

Al termine degli allenamenti, distrutta Marty andó nuovamente alla stanza per il cambio scarpe. Era una scocciatura tutta giapponese quella storia di avere calzature diverse per ogni ambiente. Come se cambiandosi sedici volte al giorno rendesse più igienico il pavimento. 

 

Quando aprì lo sportellino, un pezzo di carta scivoló fuori. 

 

Era il foglio che aveva lasciato a Ed e ora se lo trovava nel suo armadietto. 

 

Lo aprì con attenzione. 

Il suo messaggio era ancora lì, ma era stata aggiunta una frase alla fine.

 

 

....BLAH  BLAH  BLAH.

SBLOCCA IL MIO NUMERO.




_____________ 👇🏻

Ho cercato informazioni sulle date del World Youth, e precedenti eliminatorie, ma non ho francamente capito in che mesi si è giocato nella storia di Takahashi. Quindi ho preso le date del vero Mondialino under 20 in programma nel 2023 come riferimento. I lettori del manga troveranno errori cronologici. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Incubi e deliri ***


I suoi partirono venerdì 13 Febbraio, alle cinque di pomeriggio. 

 

Finiti gli allenamenti, Marty rientró a casa. Aprì la pesante porta blindata e quasi si dimenticó di disinserire l'allarme, poi gettó sacca e cartelletta di scuola sul grande divano del salotto e si lasció cadere sui cuscini. 

 

Libera, e con la casa libera. 

 

Il giorno dopo c'era la partita casalinga contro la Tochigi, un'altra squadra temibile che aveva soprattutto in attacco i suoi assi. Quindi, Marty "Regina-della-Difesa" Laughton sarebbe stata particolarmente sotto pressione. 

 

Fece un programma per quella serata: camicia da notte di pesante flanella, c'era nel forno una pizza preparata in anticipo da sua madre che andava fatta cuocere; in frigo birra Asahi e Sprite, da mischiare per farsi la sua panache, una bevanda per cui andava matta. Un film sui canali a pagamento, cellulare spento e solo relax. 

 

Come le aveva detto suo padre, inserì l'allarme perimetrale e le fotocellule in giardino, attivó i video sull'esterno, e le luci, in modo che qualsiasi malintenzionato avrebbe saputo che la casa non era deserta.  

 

Si fregó le mani soddisfatta dal programmino. Guardó l'ora, le 20:40 precise. Prima di cena, decise di andarsi a lavare, e a quel punto improvvisamente realizzó davvero di essere sola in casa. 

 

Usó il bagno dei suoi che aveva la doccia più grande della sua, e la cromoterapia. Il fatto di essere nuda e vulnerabile sotto l'acqua, mentre si lavava, era un pensiero che non l'aveva mai sfiorata in vita sua fino a quel giorno. Non riuscì a godersi quel momento, perchè sotto lo scroscio sentì dei rumori, ed ebbe la sensazione che ci fosse qualcuno in casa. Tutte paranoie,  ovviamente, ma che la obbligarono a terminare in fretta e uscire dal bagno avvolta dall'asciugamano. 

 

Percorrere il corridoio che separava la camera padronale dalla sua fu già il primo problema: accese tutte le luci possibili, e sgattaioló nella sua stanza a mettersi la camicia da notte con vestaglia. L'ombra di un vaso sulla parete la fece sobbalzare. Si diede una sberla. "Basta! Che mi succede!" 

 

Scese finalmente al piano inferiore, e controlló dietro ogni angolo, come un poliziotto in procinto di ispezionare un'abitazione sospetta. 

Si sentì una vera idiota. 

Era casa sua, la conosceva perfettamente. Solo che quando entró in cucina per accendere il forno, non trovó come sempre sua madre intenta ad apparecchiare, ma solo il buio. 

 

Si rese conto di quanto fosse grande quella casa. Troppo grande. Le sembró improvvisamente un castello, e lei l'unica occupante che doveva proteggersi da orde di delinquenti e malfattori che forse in quel momento la spiavano dalla strada. 

Inizió a venirle l'ansia: per quello aveva chiesto a Lynn e Kibi di stare con lei. In due quella situazione sarebbe stata divertente, per niente spaventosa. 

 

A Capodanno era stata per conto suo, ma sapeva che i suoi sarebbero tornati prima o poi. E poi erano lì, a Tokyo, sarebbe bastata una telefonata perchè suo padre lasciasse Villa Price per correre da lei.

 

Invece, in quei giorni sarebbe stata proprio sola. Kibi era con Alan, Lynn era con i famigliari, i vicini di casa erano ancora quasi estranei per lei,  il suo unico conoscente che viveva nei paraggi era Eddie Bright e avrebbe preferito offrire un pezzo di pizza a Jack Lo Squartatore e farci quattro chiacchiere che chiamare quel cretino.   

 

Andó ad accendere la televisione e beccó subito la pubblicità del film L'Esorcista. Cambió freneticamente canale e mise su una partita di calcio, era il Nakagawa contro il Tokyo FC. 

 

Conosceva la prima squadra, perchè alcuni suoi rappresentanti avevano già cercato Mark. Ma lui voleva andare in Europa e, per competere con il suo rivale Oliver Hutton, si era messo in testa di approdare alla Serie A italiana. Uno dei massimi tornei al mondo. 

 

Quindi aveva trattato con sufficienza quei selezionatori e aveva liquidato la loro offerta con un secco no grazie. 

 

Alzó il volume della telecronaca per avere una voce che le facesse compagnia, ma il suono fastidioso di un allarme, fuori sul lungo viale, la fece sobbalzare di nuovo. Era quello di una macchina.

 

Guardó verso le scale,  perchè aveva avuto l'impressione che qualcuno dall'alto la stesse spiando. "La devo smettere! Sono in casa mia, sono al sicuro! Nessuno entra qui!" si ripeté.

 

Ma il trillo del timer del forno, che annunciava la fine della cottura, la fece urlare.

"Come faró ad addormentarmi? E domani c'è la partita! Io devo riposare!!" si disse ancora. 

 

Consumata la cena sul tavolino di cristallo davanti alla TV, Marty dovette pensare a un modo per rilassarsi. Intanto, si diede da fare a ripulire il mobile con un pannetto e passó anche l'aspirapolvere sul tappeto: sua madre le aveva ordinato di lasciare la villa pulita come uno specchio, e quanto era vero Iddio Joanne su quello non scherzava.  Era una donna che non amava particolarmente cucinare, ma aveva l'ossessione delle pulizie e dell'arredamento. Avrebbe potuto passare mezz'ora a decidere dove mettere un posacenere.   

 

Poi, cambió canale e mise su Mtv, per ascoltare almeno un po' di musica mentre sistemava la cucina. I video a rotazione offrirono a un certo punto cinque classici uno dietro l'altro: uno di questi fu It must have been love dei Roxette, la tipica canzone da evitare come la peste quando si aveva il cuore in subbuglio.

 

Mentre passava la spugna sul lavello, si fermó. 

 

Il testo di quella canzone era la voce del suo stato d'animo.

 

...deve essere stato amore...ma è finito...dal momento in cui ci siamo toccati...era tutto ció che volevo, adesso vivo senza...

 

(SBLOCCA IL MIO NUMERO)

 

Non aveva sbloccato un bel niente.

Con la sua solita presunzione, con la sua solita faccia tosta, Warner le aveva in sostanza fatto capire di aver riso del suo messaggio. E insisteva nel trattarla con sufficienza.

 

Stasera da me, dormi fuori, trova una scusa per i tuoi, sblocca il mio numero. 

Tutti ordini, richieste senza se e senza ma, ogni cosa era dovuta per lui.

 

Ed era un caso senza speranza. 

Piccolo particolare, non le aveva ancora sinceramente chiesto scusa per la spiacevole seratina nel suo diabolico pied-a-terre con serratura.

 

Lo scoppiettìo di un motorino, in strada, che aveva il motore imballato la fece ancora spaventare e tornare alla realtà. 

 

Ed Warner e il suo veleno, in quei momenti, non erano un problema.

 

Il problema del cavolo era come poter prendere sonno in quell'enorme villa, con potenziali ladri, assassini e stupratori (uniti a qualche mostro soprannaturale) che non vedevano l'ora di intrufolarsi in casa Laughton. 

 

- Hey ragazzi, stanotte che si fa?

- Non so, io direi di scavare un tunnel in giardino e sbucare direttamente dal centro della sala.

- E se provassimo a calarci dal tetto? 

- Sì anche questa è un'idea. 

 

Rabbrividì e si strinse nella vestaglia grigia. Corse sul divano e provó a distrarsi mettendo sul canale dei documentari. 

C'era un video tutorial per giovani praticanti delle arti marziali. Un ragazzo raccontava di quanti anni di esercizio ci volevano per arrivare alla cintura nera di karate. 

Ed l'aveva ottenuta ad appena dodici. 

 

Cambió canale e beccó un video sulla pesca sportiva delle trote. Pensó che almeno con quello non rischiava di pensare a lui e rimase a guardare.   Ma l'immagine dei pesci nella rete le fece venire in mente il giardino dei gigli rossi di casa Warner e le carpe Koi.

 

Buttó il telecomando dall'altro lato del divano fatto a penisola. Guardó il cellulare, che era appoggiato sul tavolino. Si alzó in piedi e camminó avanti e indietro sul tappeto. 

 

Chiamo Mark. Io adesso chiamo Mark e lo faccio venire qui.  

 

Poi si ricordó che Lenders a quell'ora stava forse lavorando, e che comunque non era tipo da mettersi sull'attenti e sbattere i tacchi per nessuno. Men che meno per lei.

 

"Ma non ce la faccio a stare sola stanotte. E devo dormire. Ho la partita, devo dormire." piagnucoló. 

 

Alzó lo sguardo. 

Le sembró che dietro le tende ci fosse qualcuno. Aveva colto un movimento, un leggero ondeggiare. Rimase paralizzata e concentró l'attenzione sul tessuto. 

 

Si mosse ancora, e non di poco.

 

Urló. 

 

"Chi c'è?" chiese, ansimando. 

Indietreggió. 

 

Nessuna risposta. 

Ma la tenda si mosse ancora. 

 

Marty scappó in cucina e si chiuse dentro a chiave. Aveva lasciato il telefono in sala. 

 

Tentó di ritrovare la calma e pensare.

 

La sua coscienza si sveglió come da un lungo sonno e provó a trovare una soluzione logica. Adottó per l'occasione la voce di Mark, quando Mark entrava in modalità 'bullo di quartiere'. 

In questa casa non è entrato nessuno, piantala di fare la schizofrenica. Forse è uno spiffero d'aria che passa da uno degli infissi. Vai a controllare prima di fartela addosso Numero Sette, o devo tornare a chiamarti DoppioZero? 

 

Inspiró ed espiró. Lo fece per altre tre volte e poi si convinse a tornare in sala, armata di scopa. 

Lentamente, scostó i tendaggi con il manico e trovó conferma alle supposizioni del suo Lenders mentale: lì dietro non c'era proprio nessuno. Si avvicinó con un sospiro e mise la mano vicino alle finestre: sentì un getto d'aria calda quasi impercettibile venire su dal grosso calorifero. Svelato l'arcano. Non c'era nessun maledetto fantasma.

 

"Sì va tutto bene." disse per tranquillizzarsi. "Adesso io vado in camera, mi metto a letto, chiudo gli occhi e dormo. E domani vinciamo. Tutto ok. A posto."

 

Poi fu la voce di Ed a sostituire quella di Mark nella sua testa.  

Lo fece col suo solito tono suadente e sibilante, compiaciuto di essere penetrato nella sua coscienza un'altra volta.

 

Non lo hai visto dietro la tenda, perché quella cosa non è più dietro la tenda, piccola. Quella cosa...è sotto il tuo letto adesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il freddo della sera ***


 

Prese il telefono e fu tentata di chiamare i suoi. Giusto per sentire una voce familiare e uscire da quella sensazione di panico. 

 

Poi riflettè sulle conseguenze di quella eventuale chiamata: suo padre le avrebbe dato della bambina, sua madre le avrebbe detto "questa è la prima e l'ultima volta che ti lasciamo a casa da sola!". Avrebbe interrotto e rovinato il loro week-end romantico. 

 

No, si era presa la sua responsabilità di stare da sola e così doveva fare. 

 

Ma qualcuno doveva pur sentire, per rinfrancarsi.

 

Mentre l'orologio segnava le 23:30, ora piuttosto tarda per lei, decise di contravvenire alle sue stesse decisioni e sbloccó il contatto che aveva congelato su Whatsapp. 

 

Lo vide online. 

Non credeva fosse insieme alla sua bella, perchè il giorno dopo si giocava la partita e su una cosa Ed era intransigente: farsi trovare in forma per gli incontri. Gliel'aveva perfino detto, quando ancora si sentivano. Il sesso rammollisce le gambe. Mai farlo prima di un match.

 

Quindi era a casa, e come lei forse si stava annoiando.  Rimase a contemplare il telefono, e poi andó sul suo numero.

 

Chiamarlo sarebbe stato come sventolare bandiera bianca e dirgli hai vinto tu.

La tentazione veniva dal fatto che il pensiero continuava implacabile a rivolgersi a lui, e che le loro lunghe telefonate durante la convalescenza le avevano sempre dato grande tranquillità, e senso di sicurezza.  Ogni volta che gli esponeva un problema, anche il più banale, lui trovava una frase, oppure solo una parola, per convincerla che si stava preoccupando per nulla e che c'era una soluzione a tutto. 

Il sentimento per lui era fiorito anche in virtù di questo profondo modo di vedere le cose della vita, tipico delle menti riflessive.  Marty aveva immaginato, prima di quella ingrata sera del suo compleanno, che avere un fidanzato come lui sarebbe stato bello anche per quel motivo. 

Uno che diceva: non serve che ti agiti, c'è sempre un modo per venire fuori dai guai, per quanto grandi siano.

Si poteva dire tutto su Ed, ma non che fosse un cagasotto. 

 

Rimase con il pollice a mezzo centimetro dallo schermo dell'iPhone e poi si prese un nuovo, lungo respiro.

 

Poi fu come se le dita della mano acquistassero vita autonoma, e senza che nemmeno se ne fosse accorta, fecero partire una chiamata verso di lui. 

 

Appoggió l'orecchio al telefono e trattenne il respiro. 

 

Uno squillo, due squilli, tre squilli. 

Infine si sentì il rumore di scatto, quando dall'altra parte la chiamata venne accettata. Un silenzio improvviso, disturbato dal suono distante di un televisore, a cui era stato abbassato il volume. 

 

Ma nessuna voce disse: "Pronto?" oppure "Che vuoi?" oppure "Marty..." 

 

Nulla di nulla. 

Solo silenzio, due persone in linea che non volevano parlarsi. 

 

Marty attese e attese, poi capì che lui non avrebbe ceduto. Doveva parlare lei per prima. 

E così lo fece, mise nel cassetto la sua tanto declamata dignitá, e scese dal piedistallo.

 

"I miei sono via fino a domenica. Sono a casa sola. Ho paura." disse semplicemente. 

 

Sentì un hm dall'altra parte. Poi:

"E chiami il lupo cattivo, perchè hai paura dell'uomo nero?" 

 

"Sei a casa tua?" chiese lei, con la voce flebile di chi si sentiva mortificato. E lo era: la sua stessa debolezza l'aveva mortificata.

 

"Sì." rispose Ed. "So che non mi credi, ma è bello risentirti."

 

"Non sono tranquilla. È la prima volta che passo la notte senza nessuno qui." ripetè, come se ribadire la motivazione della chiamata la giustificasse. Non è che ti chiamo perché mi manchi, ma perchè me la sto facendo addosso. 

 

"Mia madre mi ha preso a sberle, a causa tua. Non mi ha parlato per giorni. Il mio cane è scappato, dopo che hai lasciato la porta del guardino aperta. In quanto a mio padre, incredibilmente ha preso le tue difese e ha anche detto che sarebbe meglio che io prendessi armi e bagagli e me ne andassi via. Credevo fosse giusto metterti al corrente di questo." aggiunse Ed.  "Quello che è successo ha avuto conseguenze anche sulla mia vita. Ma..."

 

"Jiro non è scappato. L'ho visto rientrare dopo che me ne sono andata." lo interruppe lei. Parlare di quella notte non le piaceva. 

 

"Invece è sparito. Ma non te ne faccio una colpa." replicó Ed. "Quella notte è stata un casino e io ancora non trovo una spiegazione."

 

"La spiegazione è solo che...che siamo gentaglia, Ed. Io e te siamo gentaglia." rispose Marty. "Non abbiamo avuto rispetto l'uno dell'altro. Sapevo di fare una cosa scorretta con Benji, ma l'ho fatto lo stesso perchè..."

 

"Aspetta. Ti chiamo in video." la fermó lui.

 

Riattaccó e fece partire la videochiamata.

 

Comparve il suo viso sullo schermo: era appoggiato a una parete della sua camera, i capelli spettinati e gli occhi un po' stanchi. Lo sguardo era comunque il suo usuale, intenso e scuro. Occhi che parlavano.

 

"Sempre luminosa." commentó Ed, quando la vide. 

 

"Dicevo che ci sono uscita lo stesso perchè tu mi avevi fatta sentire in gabbia. Quelle frasi sul fatto che non dovevo parlare nemmeno con Price...mi hanno angosciata, puoi capire?"  chiese. "No, non puoi capire."

 

"Volevo evitarti una situazione spiacevole, conosco Benji e la sua indole di donnaiolo. Gli ho telefonato, dopo che sei scappata via quella sera." la informó lui.  

 

Lei spalancó gli occhi: " Tu cooosa?" 

 

"Sì. Mi ha detto della cena, del dopocena in macchina...e mi ha anche detto che tu non avevi fatto che parlare di me con lui. E che ti sei negata, quando ti ha chiesto di andare a casa sua." continuó Ed.

 

Marty annuì. 

"Infatti. Ma tu non volevi ascoltare...te l'avrei detto con calma...e anche quello che abbiamo fatto su quel sedile posteriore..."

 

"Non continuare. È una cosa che ti sei messa alle spalle, no? Allora basta. Sai, ho creduto a Benji quando mi ha detto che è stato tutto conseguenza della tua inesperienza. Come diciamo noi del calcio, ti ha presa in contropiede." sorrise lui.

 

"Adesso sorridi. Non fu questa la tua reazione, da te." replicó lei.

 

"Lo so. Senti..." disse Ed a un tratto. "Visto che il gelo fra noi si è un po'sciolto, ti vorrei dire una cosa: mi manchi molto. Sono venuto a vederti alla partita non per il motivo che credi. Solo per rivederti, e ho visto che sei brava, tra l'altro. Davvero una grande atleta. Avete perso perchè la mia presenza ti ha sconvolta e deconcentrata, ma non era mia intenzione." 

 

"Ti manco tanto da spingerti fra le braccia di un'altra."  buttó lì Marty.

 

"Touchè!" replicó Ed. "Te l'ho detto una volta: io non sono un monaco. Conosco Beverly da tre anni. Le piaccio, e non nascondo di essermi divertito con lei. Ha un suo appartamento, e adesso che sono in rotta con i miei mi ha fatto comodo. Ma io e te sappiamo com'è la storia." 

 

"E com'è? Non ci sono molti dubbi quando un ragazzo si porta l'amica a bordo campo per farsela davanti a tutti." replicó Marty.

 

Ed rise. "Ma quello...quello è stato solo per buttare sale nella marmellata!"

 

"Per farmi ingelosire,  cioè? È una metafora per dire questo?" chiese Marty.

 

"Sì. Ci sono riuscito, vero?" sorrise Ed. 

 

"No. Non provavo niente per voi. Solo dolore." negó lei. "E autocommiserazione." 

 

"Autocommiserazione...un parolone. Un po' ridondante come ragionamento. Perchè dovresti commiserarti?" chiese Ed.

 

"Perchè anche adesso, ad esempio, sono qui a parlare con te, nonostante tu non ti sia sprecato a scusarti per quella sera. Non credere che non ci abbia fatto caso." rispose Marty. "Io sono una nullità senza carattere."

 

"È implicito che mi dispiaccia, no?" chiese lui.

 

"No. Dillo. Di' Marty perdonami per quello che ho fatto." insistè lei. 

 

"Te l'ho scritto, mi pare. Subito dopo la nostra discussione."  replicó Warner. 

Il suo viso acquisì la solita espressione sostenuta. 

 

"No. Lo devi dire. Perchè non riesci a dirlo a voce, Ed? Cosa c'è, una paralisi ti blocca quando devi ammettere di aver sbagliato?" lo esortó Marty.

 

Ed fissó la telecamera del telefono. Così da guardarla nel modo più intenso possibile.

 

Sbuffó e si passó una mano fra i capelli, sempre più lunghi. "Ho esagerato. Ti ho spaventata e per questo ti chiedo scusa. Ma non puoi dire che io ti abbia fatto male. Tu al contrario, mi hai mandato quasi in pappa il sistema renale." 

 

"Cosa avresti fatto se non mi fosse venuta quell'idea? Fin dove ti saresti spinto, hm?" domandó lei.

 

A quel punto, Ed la guardó con aria di rimprovero. E quasi quasi, quella a sentirsi in colpa fu lei. 

 

"Hey...ma per chi mi hai preso?" le chiese. 

 

"Non hai nessun diritto di sentirti offeso. Qualsiasi ragazza si sarebbe agitata. Eri sopra di me." ribattè Marty.  Si alzó e inizió a spegnere le luci della sala e poi la TV.  "Rimani connesso per piacere."

 

"Cosa fai?" domandó Warner.

 

"Provo ad andare a letto. Se io e te parliamo, intanto, mi sento più tranquilla." disse lei e salì le scale. 

 

Arrivata in camera, poggió lo smartphone in verticale sul comó, e si tolse la vestaglia. 

 

"Sei conciata come una vecchia ottantenne. Cos'è quella palandrana? Di flanella, pure." rise Ed. 

 

"Fa freddo qui. Il riscaldamento si spegne automaticamente alle dieci di sera." rispose Marty. 

 

"E nessuno ti scalda." aggiunse lui. "Povera piccola."

 

"Il fatto che siamo tornati a parlarci non ti autorizza a fare il sarcastico.   Sono ancora arrabbiata con te." rispose Marty.

 

"Non è vero. Sei solo ferita, ed è davvero brutto vedere un bellissimo angelo ferito. Di questo, sono seriamente dispiaciuto." disse Ed. 

 

"La vedi questa?" allora fece Marty, mostrandogli la collanina. "Regalo di Benji."

 

Ed inarcó le sopracciglia. "Grazioso. E perchè te l'ha dato?"

 

"Regalo di scuse. Perchè non mi era piaciuto il suo comportamento. Pur nel suo essere snob e stronzo, ha conservato un po' di classe." rispose Marty.

 

"Puoi anche dire classismo." la corresse Ed. "E secondo me, quello ricorda tanto il pagamento per una prestazione."

 

Marty s'innervosì. "Vuoi farmi incavolare ancora?"

 

"Credevo lo fossi già." sorrise lui. "Comunque...Price è tornato in Germania, e fino a Maggio non sarà un mio pensiero. Piuttosto, come giustamente hai sottolineato, noi due stasera un po' ci siamo riavvicinati e credo che a questo punto ci resti da fare una sola cosa. Una cosa che dovremmo fare il prima possibile, per il mio e il tuo equilibrio mentale." 

 

"Sarebbe?" chiese Marty.

 

"Scopare."

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Honmei Choco ***


"Mi pento di averti chiamato." brontoló Marty infilandosi sotto il piumone. "Così volgare. Quella ti sta facendo diventare un Lord, vero?" 

 

Ed, che era ancora collegato in videochiamata, rise. "Sai che io sono schietto. E poi la verità è questa. Comunque, se ti do fastidio con il mio linguaggio posso chiudere. Buona notte!" 

 

"NO! No, aspetta!" sbottó Marty. "Aspetta un attimo, per favore. Sono ancora nervosa."

 

"Perchè dovrei farti questo favore?" chiese Ed. "Domani anch'io gioco. Devo riposare come te."

 

"Me lo devi un favore. Lo sai." rispose Marty, coprendosi fino al naso. "Lascia che mi venga sonno. Poi chiudo io la chiamata."

 

"Come preferisci. Senti, per rilassarti, vuoi sentire la storia di come una volta i ladri sono entrati nel nostro dojo?? Che idioti, pensavano fosse un magazzino. Ci sono rimasti quando non hanno trovato che attrezzi per gli allenamenti e divise da karate." raccontó Ed. 

 

"Sto cominciando a odiarti." disse Marty, con la bocca coperta dal piumone. 

 

"Io invece ti amo, benchè la cosa stupisca anche me." disse Ed.

 

"Eh?" mugoló lei, colpita da quelle parole.

 

(Ti amo??!)

 

"Sì. Mi sarebbe piaciuto farti una dichiarazione sofferta e drammatica, quelle che piacciono tanto alle ragazze. Mi sarebbe piaciuto dirtelo sotto le stelle, nel nostro giardino, seduti sulle panchine. Come quella volta, ricordi? La prima volta che sei venuta a casa mia. È stato forse quello il momento in cui ho desiderato averti per me, ma non me ne ero accorto. In realtà, se ci penso, è nato molto prima."  Ed appoggió la nuca al muro e continuó a parlare. "Quando ho fermato con una mano il pallone che ti stava per colpire, al campetto dei ragazzini a scuola. Mi sono girato, ho visto il tuo viso...e ho pensato che fosse il volto stesso dell'amore. Quando poi Danny ti ha portata in squadra con noi sono stato felice. E quando ho saputo che stavi per uscire con Eddie, negli spogliatoi cercai di avvisarlo di starti lontano. Ma non per gelosia, perchè sapevo che eri troppo per lui, e che si sarebbe scottato con te. Non è nemmeno stato Benji, in fondo, a preoccuparmi. La faccenda con lui mi ha fatto arrabbiare solo perché mi hai mentito. Tu meriti molto più che loro due." 

 

"Ma di che p-parli? Tu non puoi dire ti amo a una ragazza così, come fosse niente." disse Marty. "Specie dopo quello che..."

 

"Per me non è niente, infatti. Non l'ho mai detto a nessuna. Sto ripensando a tutti i nostri istanti insieme. Come quella domenica in cui sono venuto a casa vostra. Le frasi che mi hai detto quel giorno, nel tuo salotto. Hai detto che io ho tante ragazze, e nessun vero amore. Non ti rendi neanche conto di quanto avessi ragione.  Mi sento solo, a volte, e adesso che sta per finire il liceo e inizierà la mia vita da adulto, non so cosa mi aspetta." continuó Ed, come parlasse a sè stesso. Aveva chiuso gli occhi.

 

"Stai con una persona. Scusa se te lo ricordo." gli ricordó Marty, emozionata. Quella dichiarazione inaspettata le aveva fatto effetto. Poteva darsi che fosse l'ennesimo trucco psicologico per ottenere magari un invito a casa sua il giorno successivo, ma quelle parole, dette da lui, avevano un suono così bello.  

 

"Allora non mi hai sentito prima?" le domandó. 

 

"Domani stai con lei, vero?" chiese Marty. "Questo sono curiosa di sentire."

 

"Dipende." rispose Ed.

 

"Dipende da cosa?"

 

"Da te." fece lui. "Avremmo in programma una cena e poi un dopo cena a casa sua. Ma magari io potrei dirle che non mi sento bene, e magari il giorno dopo potrei aggiungere che non mi va di continuare la nostra storia."

 

"Se...?" volle sapere Marty. 

 

"Se io e te la smettiamo di perdere tempo e non ammettiamo che quello che ci attrae è più forte del nostro orgoglio. Tenerci il muso è peggio che stupido, è futile! Perchè ha una sola conseguenza: la rinuncia alla felicità." disse Ed.  "Perchè, fra tutte le persone che potevi chiamare stasera, hai cercato proprio me? Perchè non Mark, visto che siete così intimi ultimamente?"

 

"Mark lavora." rispose lei. 

 

"E non ti avrebbe risposto perchè lavora?" sorrise Ed. "Ammettilo, almeno, che volevi sentire la mia voce."

 

Marty guardó verso la parete della camera. Non disse nulla.

 

"No?" insistè Ed. 

 

"Te l'ho scritto anche nel biglietto. Mentirei se dicessi che non mi mancano le nostre chiacchierate la sera, come questa. Tu sei uno schizzato con manie di controllo, Ed, ma sei anche irresistibile come una calamita. Hai qualcosa che io...io non so cos'è..." rispose la ragazza. 

 

"Ho sentito un insulto e un complimento nella stessa frase. L'uno compensa l'altro, perció non mi arrabbio." osservó Ed.  "Non ero anche un serpente?"

 

"Sì." confermó Marty. "Quello ti definisce splendidamente." 

 

"Un serpente che sta parlando con una serpetta niente male." disse lui. "Non sei migliore di me. Io non sono uno stinco di santo e tu non sei una brava ragazza. Su questo siamo d'accordo credo." 

 

"Te l'ho detto anch'io prima. Siamo gentaglia.  E non nominare più Mark. Non siamo degni di parlare di lui." ribattè Marty. "Lui è una persona che sa come si sta al mondo. Io e te non siamo che polvere."

 

"Ora esageri. Mark è mio amico e lo rispetto per come porta avanti la sua vita, ma non idealizzarlo. L'ho visto compiere azioni al limite del criminale in campo." le disse Ed. "E anche verso Danny, all'inizio fece ben poco per aiutarlo. Fui io, a incoraggiarlo e fare in modo che non rinunciasse a giocare a calcio."

 

"Lo so. Me l'ha detto. Non nego che tu abbia un cuore tenero, a momenti, ma hai perso la tua integrità. Sai mentire, e bene. Basta vedere come ti comporti con quella donna, adesso.  Mark non riuscirebbe a essere così disonesto, nemmeno se ci provasse." obiettó la giovane. 

 

"Lo dici tu. Verrà il momento in cui anche lui ti stupirà in negativo, vedrai. Comunque..." cambió improvvisamente discorso. "...che vogliamo fare domani? Confermo la serata con Beverly?"

 

"Dipende da me, hai detto?"

 

"Solo da te." ribadì Ed.

 

"...allora..." Marty sospiró.  "Allora quella se ne sta da sola in casa."

 

Ed sorrise di trionfo. 

"Eccezionale, Laughton. Vedo che cominci a ragionare. Verró strisciando nella polvere fino a casa tua."

 

"Torniamo insieme. Dopo le partite." aggiunse lei, nascondendosi sotto al piumone.  Tremò, un po' per l'emozione della serata che si annunciava il giorno dopo, un po' per la strizza di  essere sola in casa.

 

"Tira fuori la testa, fifona. Staró connesso finchè non ti addormenti." le disse lui. 

 

"Davvero?" chiese lei, sbucando da sotto le coperte. 

 

"Finchè non ti addormenti."

 

🎋🎋🎋

 

"Ma mondo boia!" sbraitó il signor Torrance, uscendo dalla guardiola della Toho Academy. Era un uomo buffo, basso e tarchiato e con due lunghe basette grigie.  Lavorava come custode della scuola da dieci anni. "Ma possibile che ogni anno la stessa maledetta storia? Ma da dove viene tutta questa cioccolata! Si puó sapere da dove viene??"

 

Era sabato 14 Febbraio. 

Un camioncino delle poste nipponiche aveva appena scaricato il suo notevole carico di scatole e scatoloni da vari mittenti sparsi per il  Paese. Tutti, o quasi, avevano lo stesso contenuto: confezioni e confezioni di cioccolatini per i giocatori della squadra di calcio, sia junior che senior. 

E venivano anche da prefetture lontane.

 

"E adesso chi leva tutta questa roba dall'entrata?? Mica ci possono stare qui!!" continuó a imprecare l'ometto.  Andó al telefono della guardiola e chiamó il cellulare di Lynn Johns.

 

"È arrivata la cioccolata per i vostri bellimbusti. Sì! Qualcuno la venga a prendere che mi blocca il dannato cancello!" e riattaccó. 

 

Dopo cinque minuti, arrivarono Debbie e Lynn trafelate, con un carrello da magazziniere.   

 

"Ma...quante sono?" si stupì Debbie.

 

"Eh...ci sono i Mondiali quest'anno...i nostri ragazzi sono già sulle riviste.  Hanno le fans sparse in tutto il Giappone." disse Lynn. "Oggi ci tocca fare le postine e le facchine!"

 

"Tutte per Mark, scommetto." commentó la Smith. "Uuuh!! Quanto pesano!!"

 

"Per Mark, Ed, Eddie...qualcosina per Danny. E mai niente per me!" sbuffó Lynn. "Dovevo nascere maschio, e giocatore!"

 

Dopo cinque viaggi avanti e indietro, le ragazze riuscirono finalmente a trasportare tutti i prodotti inscatolati negli spogliatoi sotterranei. 

 

"Accatastiamoli lì. Addosso al muro. A fine partita se li vengono a prendere.  Apriamo solo le scatole col taglierino, e poi che si arrangino." decise Lynn. 

 

Debbie sbirció dentro. Estrasse una bella composizione di cioccolata nera e bianca, con fiori di zucchero decorativi.

"Questa è per Warner." annunció, leggendo il biglietto che l'accompagnava.

 

"Ma non mi dire..." commentó Lynn.

 

"Questi altri sono per Mark. Tutti per lui." continuó Debbie, rovistando nei regalini. 

 

"Facciamo prima a mettere tutti quelli per il capitano in una scatola a parte e portarli alla beneficenza." disse Lynn. "Tanto lui rifiuta sempre tutto."

 

"Non gli interessano le ragazze?" chiese Debbie.

 

"Come a un gatto interessano i cani. Zero. Io non so, quel ragazzo ha un cuore di marmo." rispose Lynn, impilando le scatole.

 

"Non sono sicura, sai? Forse sono un po' confusa,  ma mi pare che Lenders non abbia occhi che per Marty." rispose Debbie. 

 

Lynn un poco ci rimase. "Per Marty??! No guarda che ti sbagli. Lei è molto affezionata ai suoi fratellini, questo è vero. Ma non c'è niente. Figurati."

 

"Allora non vedi come la guarda. Quando Lowry ha fatto il discorso finale per salutarla non le toglieva gli occhi di dosso." spiegó la collega. "Conosco quello sguardo. In Texas avevo un ragazzo, mi guardava sempre così. Per me, lui è innamorato. Magari non lo vuole riconoscere." disse Debbie.

 

"Mark innamorato? Pffff, è più facile che si geli l'inferno!! Dai, dai finiamo qui che tra poco inizia la partita!" le sollecitó Lynn.

 

Le due terminarono con fatica il lavoro e corsero sul campo principale, a preparare la panchina. 

 

I tifosi erano già sugli spalti, ad acclamare i loto idoli con striscioni, cori e cartelli. 

 

"Non c'è!" esclamó Debbie, ammirando le gradinate.

 

"Chi??" chiese Lynn.

 

"La ragazza di Ed!" rispose l'altra. "Non è venuta oggi. Si siede sempre in quel punto!!"

 

Anche Lynn diede un'occhiata in giro.

"È vero.  Che strano."

 

Arrivarono i giocatori.

Prima fecero il loro ingresso in campo quelli della squadra avversaria.

Poi arrivarono i ragazzi della Toho. 

Mark in testa, e poi a seguire gli altri. Da ultimo, Lowry prese posto in panchina.

 

"Ragazze, avete fatto un casino con quelle scatole! Quasi non ci si gira tra tutti quei pacchi della malora!" disse il mister. 

 

"Abbiamo fatto in fretta e furia. Ci scusi mister!" rispose Lynn. 

 

"Comunque, appena i ragazzi finiscono l'incontro quella roba di lì sparisce, capito! Sinceratevi che si prendano quello che han mandato loro e poi scatole vuote e contenitori...via! Fuori dai miei sotterranei." ordinó il coach.

 

"Sì, mister! Tanto è quasi tutto per Mark e Ed." rispose Debbie.

 

 "Lenders non vuole niente. E anche Ed stamattina mi ha detto di non voler accettare più nulla.  Che se li dividano gli altri ragazzi, tutti quei cioccolatini." rispose Lowry. "Ah...Warner vorrebbe essere informato sul risultato del match di volley. Qualcuna di voi nell'intervallo si interessi, per favore."

 

Lynn si sorprese. "E perchè lo vuole sapere?"

 

"E che ne so." rispose bruscamente Lowry. "Starà dietro a una delle ragazze di Nolan, forse."

 

Debbie e Lynn si guardarono e un unico pensiero passó fra le due.  Gli occhi di entrambe brillarono e le guance si fecero rosse, al preludio di un pettegolezzo mostruoso che nemmeno una diga di montagna avrebbe potuto arginare. 

 

Ed e Mark, e Marty in mezzo.

 

Che bomba, ragazzi.

 

 

 

 

_______👇🏻

 

*Honmei Choco è il nome giapponese della cioccolata di San Valentino riservata alle persone di cui si è innamorati.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Chiarimenti ***


Entrambe le partite vennero vinte con punteggi che non lasciavano dubbi sulla forza della Toho sia nel calcio che nel volley.

 

Marty fece del suo meglio contro la Tochigi, arrivando ad annullare l'80% degli attacchi pericolosi delle rivali. Sembrava animata da una forza nuova e incontenibile, e a fine partita, Kibi l'aveva ringraziata così. 

 

"Ma cos'hai fatto, una flebo di Red Bull? Sei stata un tornado in campo! Giuro, mi hai lasciata senza parole!"

 

"Sono in forma. Mi sento bene!" aveva risposto Marty, sommersa dagli applausi dei tifosi.  Venne lanciato un grillo di cartapesta in campo.

 

"Eh si vede!! Cosa c'è? Stasera hai movimento? Hai trovato compagnia??" rise l'altra. 

 

Marty le giró le spalle, per non tradirsi. Era ancora terribilmente a disagio a parlare con Kibi di quella storia vacua e squilibrata con Ed. Sapeva che il suo capitano avrebbe disapprovato il suo programma per quel sabato sera.

 

Ma Kibi l'afferró per la spalla e la fece ruotare su sè stessa, obbligandola a guardarla in faccia.   Era improvvisamente seria. "Viene qualcuno a casa tua?"

 

"Kibi abbiamo vinto! Godiamocela dai, guarda i tifosi!!" rispose lei.

 

Ma la sua compagna intuì perfettamente.  "Errare è umano, ma insistere è..." poi scosse il capo. "...beh, buona fortuna, allora. Tu te le tiri addosso, tesoro." 

 

In mezzo al campo, circondate dalle compagne in festa, Marty non se la sentì di discutere.  Andó di corsa verso la panchina, a trangugiare la sua bevanda ai sali minerali. 

 

"Ottimo, Marty." l'avvicinó Nolan. "Ti sei fatta perdonare per il casino contro la Matsukami. Mi auguro tu prosegua su questa linea." 

 

"Sì, mister. Ho ripreso il controllo della mente. Sto bene adesso." replicó lei, asciugandosi il collo madido di sudore.

 

"Mi fa piacere. Sai che in questo periodo i selezionatori dei vari club professionistici si presentano ai match scolastici per individuare talenti da ingaggiare.  Non devo ricordarti che il tuo futuro dipende da te e da quanto sei concentrata."  continuó Nolan. "Perció, nervi saldi."

 

"Assolutamente, mister." annuì Marty. 

 

Poi corse negli spogliatoi, pronta per la doccia. Doveva essere perfetta quella sera, l'incontro di calcio si era concluso un po' prima di quello di volley, Ed stava probabilmente già uscendo dagli spogliatoi. 

 

Corse al suo armadietto e cercó il telefono. 

 

Vide infatti un messaggio vocale da lui sul display.

 

Premette ascolta.

"Ti aspetto all'uscita, fuori dal cancello. So che state vincendo... è andata bene anche a noi. Beverly e io abbiamo rotto, gliel'ho detto subito. Non metterci troppo."

 

Si affrettó a spogliarsi e si buttó sotto alle docce, mentre pian piano le altre arrivavano.  

 

"Che bello, una vittoria pazzesca!!" cinguettó Sandy, arrivando con una sciarpa coi colori della squadra in testa.

 

"Domani dormo come un sasso!" rispose Pam, togliendosi le scarpe.

 

"Stasera cosa fate, ragazze?? Kibi, dove ti porta Alan?" volle sapere June, svestendosi.

 

"Ha detto che è una sorpresa! Peró oggi hanno perso fuori casa, spero non sia di cattivo umore!" si lamentó il capitano, poi guardó verso Marty, già uscita dal box doccia e in procinto di asciugarsi i capelli. Nell'aria si levó profumo di bagnoschiuma, shampoo e creme varie.   Un vapore lieve fece appannare gli specchi degli spogliatoi.

 

Le ragazze erano tutte eccitate per  la vittoria e per il sabato sera di San Valentino. Molte avevano un ragazzo, e si scambiavano idee e chiacchiere sulla serata a venire. 

 

Marty non parlava, e questo silenzio insospettì tutte. Tutte tranne Kibi, che un'idea se l'era già fatta.

 

"E tu Marty??" la punzecchió Clara. "Non mi dire che stai in casa..."

 

"Si sto a casa infatti." glissó lei. 

 

"Hummm.... Tutta sola?? Guarda che si dice una cosa in giro...che tu e Ed Warner..." insisté l'altra. 

 

"Non avrai dato ascolto a stupide voci, vero?" s'inserì Kibi. "In questa scuola sarebbe bene che ognuno imparasse a  farsi i fatti propri."

 

Marty le lanció uno sguardo di ringraziamento, ma l'altra giró il viso. 

 

"È vero. Siamo troppo impiccione, ragazze." ribattè Lara, una delle riserve. "Questo istituto sembra una caserma, ma sotto sotto è un asilo! Tutti che spettegolano sugli altri!"

 

"A proposito!! Volete sapere a chi ha mandato i cioccolatini, questa scema??" rise Pam, indicando proprio Lara, che le tiró un asciugamano. 

 

"Zitta!" le gridó, imbarazzatissima.

 

"A Mark!!" riveló Pam, che quasi soffocò quando Lara corse da lei e finse di strozzarla.

 

Ci fu una risata generale.

"Auguri, viva i sogni impossibili!!" rispose June. "Io sono due anni che ci provo, ma neanche mi guarda." 

 

"Eh, lui è fuori portata, mie care!" scherzó Clara. "Comunque,  un giorno l'ho visto in pantaloncini e ho pensato: una tipa che se lo porta a casa farebbe bene a procurarsi un materasso rinforzato!"

 

Risero tutte. 

Seguirono altri commenti sulla probabile focosità del numero 10 sotto le lenzuola, e ipotesi sulle sue misure anatomiche.

 

Marty era paonazza a furia di sghignazzare, perchè quelle stupidelle non potevano neanche immaginare che Mark non solo non aveva mai avuto una compagna (e l'aveva ammesso facilmente) ma neanche era a suo agio quando si trovava solo con una ragazza. Si ricordó il momento in cui aveva girato il viso, quando l'aveva provato a baciare. 

 

Sarebbe stata per loro una grande delusione, se avesse spiattellato la realtà dei fatti. Si trovó a pensare che Lenders era per certi versi così puro, da non essere stato contaminato ancora dalla volgarità del mondo. 

Il classico esempio di duro e puro, che credeva esistesse solo nei film.

 

"Io impazzisco quando lo vedo con le maniche arrotolate.  E si tira su anche quelle della camicia di scuola.  Si vede che gli dan proprio fastidio." sospiró June.

 

Marty sapeva perchè Mark aveva quel vezzo: con le manichette giù si sentiva un bambino, e invece ci teneva a far capire agli altri che si trovavano di fronte a uno che l'infanzia se l'era dimenticata già da un pezzo. Volente o nolente.  

 

E poi, era consapevole che non tutti avevano il suo fisico, e quindi perché non mostrarlo? Almeno anni e anni da facchino eran serviti a qualcosa, oltre a guadagnar quattrini. Gli aveva dato del vanesio, per questo, facendolo ridere.

 

"Chissà lui che fa stasera." chiese Pam. "Non lo si vede mai con nessuna, ma per me ha una donna... come Ed, la tiene magari nascosta, ma tra un po'..."

 

"Quegli addominali...glieli leccherei..." si sentì Lara farfugliare, mentre si metteva la biancheria.

 

Un bombardamento di salviette la investì in pieno e si beccó una sberla sul sedere da Kibi.

"Ma la smetti??"

 

Nel frattempo, Marty si era preparata e raccattó tutto dall'armadietto, in gran fretta. 

"Ragazze, scappo!! A lunedì!! Buon week end!!" 

Andó via di gran carriera, un po' come lo struzzo Beep Beep inseguito da Wile Coyote. 

 

"Ma dove corre quella matta?" rise June.

 

"Quella si va a imboscare con qualcuno, te lo dico io...e sappiamo chi è questo qualcuno..." rise Clara, poi lei e Pam si misero una davanti all'altra, mimando un incontro di karate.  

 

"Che botta di ..." commentó Lara. "Ed è un altro che secondo me  ti fa toccare il cielo con un dito. No, Kibi? Tu cosa pensi?"

 

Il capitano deglutì e raccolse la sacca. "Penso che mi avete stufato! Divertitevi tutte stasera, ciao!"  e uscì anche lei dalla palestra.

 

Erano finiti tempi del divertimento di Kibi Street con Ed Warner.

Quello di Marty Laughton stava cominciando.

 

🎋🎋🎋

 

"Hai un minuto, Mark?" 

 

Ed aveva aspettato che il suo capitano terminasse con la doccia, e uscisse dallo spogliatoio, per parlargli a quattr'occhi.

 

Lenders lo aveva guardato con sospetto. "Cosa c'è, Ed?"

 

"Solo due parole, se me lo permetti." aveva risposto il portiere, piuttosto asciutto.

 

Erano entrati nell'ufficio di Lowry, in quel momento deserto perché il coach era a colloquio con i giovani della squadra.

 

"Io e Marty siamo tornati a  sentirci. Ieri sono stato al telefono con lei un'ora." esordì Ed.

 

"Ah." replicó Mark. Si appoggió al muro e mise le mani nelle tasche della blusa.

 

"Sì. Le ho chiesto scusa, come mi avevi detto tu. Abbiamo deciso di vederci da lei, stasera. Non so cosa succederà, magari niente. Ma volevo che tu lo sapessi.  Credo sia sulla buona strada per perdonarmi." continuó Ed.

 

"Buon per te." rispose l'altro. 

 

"C'è una cosa che vorrei tu mi chiarissi, peró." disse ancora Ed. "Parlando con lei, ho l'impressione che ti tenga in grande considerazione e stavolta non è una paranoia mia. Siete molto vicini."

 

"Sei incorreggibile, Ed." sorrise Mark. "Sempre a fare dietrologie."

 

"Permettimi di dirti una cosa, prima di continuare. Tengo a lei più di quanto credevo io stesso. Non riesco a spiegarti cosa ho sentito ieri, quando mi ha chiamato. È stato come...avere una seconda possibilità. Non la voglio sprecare, non voglio più litigare con Marty. Se vuole frequentare casa tua, perché vuol bene alla tua famiglia...per me è ok. Mi ha detto che si è sentita in gabbia con me, a un certo punto, e che per questo è successo quello che è successo con Price." spiegó Ed. "Voglio cancellare quello che è stato e sforzarmi di cambiare, per lei. Ma tu mi devi aiutare, Mark. Mi devi aiutare dicendomi una cosa, in modo chiaro ed esplicito."

 

"E cos'è questa cosa? Se sono per caso innamorato di lei?" chiese Lenders, con gli occhi chiusi.

 

"Sì, precisamente. Perchè ieri mi ha detto che per lei tu sei una specie di Dio in terra e questo non suona proprio rassicurante nella mia mente. Posso capire che provi ammirazione per te, ma tu...tu cosa pensi di quella ragazza? Ti chiedo di essere sincero, capitano." continuó Ed.

 

Mark si portó una mano al viso e massaggió le sopracciglia. Un gesto che nel linguaggio del corpo tradiva nervosismo.

 

"Penso che tu abbia già fatto abbastanza confusione con il suo cervello e che devi stare attento d'ora in poi." rispose Mark.

 

"Che risposta è? Ti ho chiesto cosa pensi di lei, non dei miei comportamenti." s’indispettì Ed.

 

"Come vuoi. Penso che sia immatura e ancora sognatrice, e che quelli come te devono starle lontano." ribattè Mark, stavolta guardandolo negli occhi.

 

"Ma perché giri intorno alla mia domanda?? Ti ho chiesto se la ami!" quasi gridó Ed. Nella foga, il suo pugno destro andó a infrangersi su uno degli armadietti di Lowry, deformandolo.

 

Fu Mark a reagire, stavolta. Lo prese per il bavero.  "Lo vedi chi sei, Ed? Lo vedi?" 

Poi lo spinse via. "Comunque, io non sono tenuto a dirti niente. Solo questo: tu fa qualcosa di sbagliato con lei, e ti giuro che ti verró a cercare, a costo di finire in terapia intensiva. Lo so di cosa sei capace, già una volta io finii in infermeria con una commozione cerebrale a causa tua. Ma non me ne frega niente." 

 

Poi aprì la porta dell'ufficio, e uscì sbattendola.

 

Arrivó dopo poco Lowry.

"Ed?? Che fai qui... dovevi parlarmi?"

 

"Hm? No, mister, mi scusi. Io e Mark dovevano parlare qui in privato della partita.  Vado a cambiarmi. Ci vediamo lunedì agli allenamenti. Le auguro buona domenica." rispose Warner.  

 

L'allenatore seguì il ragazzo con lo sguardo mentre usciva, poi andó a sedersi alla sua scrivania. Si strofinó le mani, compiaciuto per la vittoria. Ancora primi in classifica. 

Ciucciamelo Wilkinson, rise fra sè, pensando al coach della New Team. Anche quest'anno resterai con un pugno di mosche in mano.

 

Poi sollevó lo sguardo. Sbattè le palpebre, incredulo da ció che vide.

 

Si alzó in piedi e aprì la porta. Corse in corridoio. "Hey!!! Ma che avete fatto al mio armadietto!!"

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Tentazioni ***


Ed e Marty camminavano vicini, ognuno col suo borsone della palestra sulle spalle, verso la casa della ragazza. 

 

Non parlavano, come se un'improvvisa cappa di gelo fosse scesa di nuovo fra di loro.  

Ed era ancora scosso dalla discussione con Lenders, negli spogliatoi, cosa di cui non aveva fatto menzione con lei. Era determinato a parlare il meno possibile di Mark con la ragazza.  

 

Marty, dal canto suo, provava un vago senso di tensione all'idea di essere di nuovo sola con lui, e di portarselo addirittura a casa.  La telefonata della sera prima l'aveva un po' sciolta, ma rivederlo davanti a sè,  dopo la partita, aveva fatto riaffiorare i ricordi di quella spiacevole sera di Dicembre.

 

"Mi fa piacere che abbiate vinto oggi." disse lui, per rompere il ghiaccio. "Ora non vi resta che mantenere questo ritmo."

 

"Hmm...s-sì." ribattè Marty. "Saranno tutte partite difficili fino a Giugno. Tu e gli altri nazionali come farete per gli esami di fine anno, con il Mondiale in ballo? Ci pensavo ieri."

 

"Pemberton ci permette di finire la sessione prima.  A fine Aprile avremo già il nostro diploma. E poi, io e gli altri partiremo per il ritiro pre mondiale." la informó Ed. "Marshall e Gamo hanno diramato le convocazioni."

 

"Un mese e mezzo, quindi. Poi ve ne andrete."  riflettè la ragazza. "Così poco manca..."

 

"Non vedo l'ora... questo torneo sarà importantissimo, anche se verremo eliminati. Io e Mark abbiamo già delle squadre che ci cercano. Sarà il passaggio verso il professionismo." rispose Ed. 

Poi la guardó. "...sei dispiaciuta?"  

 

"Un po' malinconica. Vi conosco da solo un anno, anzi meno, ma mi fa effetto pensare che ve ne andrete, e magari non ci incontreremo più per tutta la vita." rispose Marty.

 

"Io non la penso così. Se le persone vogliono, nulla puó rompere il loro legame." disse Ed. "È questa casa tua, no?"  

 

Arrivarono davanti alla villa dei Laughton. Entrarono dal grande cancello che si apriva con un codice numerico, e poi Marty estrasse le chiavi di casa. "Devo disinserire l'allarme. Dammi un secondo." 

 

Entró in casa con Ed, ma l'agitazione di essere lì con lui le fece premere un tasto sbagliato. Partì la sirena, con un suono simile a quello di un'autoambulanza. 

 

Marty divenne paonazza.

"Porca miseria, porca miseria!  Ho sbagliato!!"    Venne presa dal panico. "Come si spegne adesso?! Non so come si faaaa!!!"

 

Qualche vicino si affacció a guardare dal balcone. 

 

Ed si avvicinó al quadrante. "Qual'è il codice di inserimento?"

 

"Eeehmn...44547!!" balbettó Marty. "Ma non mi hanno spiegato come spegnerlo se suona!"

 

Il ragazzo armeggió con i pulsanti, e dopo pochi secondi l'allarme si fermó.

 

Marty lo guardó a bocca aperta. "Come hai fatto??"

 

Lui le fece l'occhiolino. "Tutti i sistemi sono uguali. Devi inserire il codice e premere OK, poi reset. Adesso puoi impostare quello perimetrale, se c'è. Nel dojo ne abbiamo uno simile. Sai, dopo la storia dei ladri mio padre ha provveduto. Credo sia una delle poche volte in cui si è affidato alla tecnologia occidentale." 

 

"Ah! Meno male che c'eri...grazie." sospiró Marty.

 

"Eh sì...per fortuna sono qui..." sorrise lui. "Senti...ti dispiace se faccio una doccia? Dopo la partita non ho avuto tempo."

 

Marty finì di attivare l'allarme esterno e si voltó a guardarlo. "N-no...figurati. Usa pure il mio bagno, ti porto un asciugamano pulito?"

 

"Ho il mio, non disturbarti." rispose lui, togliendosi il cappotto di piumino, per poi lasciarlo sullo schienale del divano. "Grazie."

 

"Okay...ehm...saliamo, vieni." disse lei, poggiando le sue cose a terra. Lo condusse verso le scale. "Poi decidiamo cosa ordinarci. Non ho fatto la spesa per me per il week end."

 

"Non ho molta fame, a dire il vero. Ho solo una sete del diavolo. Ti chiederei soprattutto un bicchiere d'acqua, dopo."  rispose Ed. 

 

Entrarono nella camera della ragazza. 

Lui si guardó intorno, gli piacque subito. C'era un letto a due piazze che sembrava molto comodo, con un piumone bianco e tre cuscini. Due grossi vasi di piante decorative davanti alla porta finestra, che dava su un terrazzo.   Un televisore al plasma incastrato nella parete, una scrivania con un computer Mac, e vari aggeggi tecnologici.  Un armadio a sei ante che copriva tutta una parete.

 

"Ma...è una stanza o un mini appartamento?" chiese sorridendo. Mise a terra la sua sacca.

 

"Prima di noi ci abitava una famiglia con tre figli. I bambini dormivano tutti qui. Era una sorta di mega camera con tre letti." rispose lei.  "Sono stata fortunata...il bagno è lì. C'è la chiave."

 

"La chiave?" chiese Ed.

 

"S-sì se vuoi chiuderti dentro mentre ti lavi." ribattè Marty. 

 

"Hm." fece Ed. "Già." 

 

Marty colse una sfumatura maliziosa in quella risposta. Decise di non badarci. 

 

"Allora...vado a prenderti una mezza naturale, l'acqua per fortuna qui non manca mai. Tu fai pure." e uscì dalla camera.  Si sentiva agitatissima dalla situazione, ma pensò che date le circostanze fosse normale.

 

La verità era che per la prima volta in vita sua invitava un ragazzo in casa, un tipo con cui il rapporto era ingarbugliato peggio di una matassa di lana. Si sentiva allo stesso tempo emozionata, ansiosa, ancora un po' arrabbiata, e soprattutto confusa.   

 

Corse giù a prendere una di quelle bottigliette d'acqua che tenevano nella dispensa e gliela aprì. Andó al frigo e ci mise anche un po' di ghiaccio tritato, tanto per gradire.   

 

Quante premure, Numero Sette. Si direbbe quasi che ti sei presa una cotta per Ed, sentì Mark nella mente canzonarla.

 

Decise di non ascoltarlo. Salì di nuovo di sopra e sentì che nel frattempo lui aveva aperto la doccia. Entró in camera e notó che aveva lasciato la porta socchiusa. 

 

Era stato un gesto ovviamente voluto, per indurla nella tentazione di sbirciare. 

Fu in quel momento che Marty Laughton scoprì una cosa su sè stessa. La sua forza di volontà era resistente quanto un marsh mellow. 

 

Tentó di opporsi a quel furibondo attacco di curiosità indecente che la travolse, ci provó davvero. Si sforzó di svuotare la mente da ogni pensiero sconcio, provó a pensare ai suoi genitori, alle occhiate di rimprovero di Kibi, a Mark e ai suoi confortanti  abbracci, a tutto ció a cui riuscì ad aggrapparsi per scansare quell'impulso birichino. Ma fu tutto inutile. 

 

Si avvicinó furtivamente alla porta e diede un occhio.

 

Le pareti trasparenti del box doccia, appannate dal vapore, offrirono comunque un quadro piuttosto esaustivo sul perché il portiere attirasse a sè tutta quella ammirazione e passione da parte delle ragazze. 

 

Era muscoloso come Mark, ma essendo più alto di lui, la muscolatura era meglio distribuita; aveva tutto quello che ci si aspettava di trovare in uno sportivo, a cominciare dalla sua schiena, ampia e solida, che terminava con un fondo sodo come neanche quello delle statue romane che aveva visto sul volume di Storia dell'Arte.  

 

Ma il pezzo forte fu visibile quando si giró. 

 

Ora, Marty non era esperta, non aveva mai avuto relazioni sessuali, ma aveva già visto uomini nudi.   Una volta, mentre era in vacanza in Corsica con i genitori ed erano incappati in una spiaggia di nudisti. Un'altra volta, quando lei e Hui avevano rubato un giornale per adulti da un'edicola a Shanghai e l'avevano sfogliato ridendo e arrossendo dietro a un bidone dell'immondizia. 

E poi una volta, quando era entrata per sbaglio negli spogliatoi dei ragazzi lì alla Toho  mentre Dexter stava  indossando il perizoma da allenamento e gli aveva fatto venire un infarto dall'imbarazzo.  

 

Insomma, conosceva gli attributi maschili.

 

Ma rimase lo stesso imbambolata, attraverso la fessura della porta, a guardare l'attributo specifico di Ed.

 

Ed viaggiava su misure superiori alla media, e non ci voleva una donna navigata per capirlo. 

 

Quando lo vide strofinarsi gli occhi con le mani per levarsi lo shampoo che scendeva dai capelli, si ritrasse subito. Non voleva farsi cogliere sul fatto, anche se l'intenzione del suo ospite era proprio quella. 

 

"C-c-c'è un phon nell'armadietto. Se vuoi." disse.

 

Ed chiuse l'acqua. "Come dici?"

 

"L'asciugacapelli...è lì se ne ha bisogno." ripetè Marty. "E ti ho portato da bere."

 

"Ah...non lo uso mai." poi uscì, con il suo telo di spugna avvolto attorno ai fianchi. "Grazie per l'acqua."

 

La prese e ne bevve tre sorsi, con Marty che non sapeva più dove guardare. 

 

"T-t-ti lascio cambiare, c-cosa vuoi per cena?? Così ordino." chiese lei. 

 

"Oh...fai tu...a me va bene tutto." rispose lui con noncuranza, strofinandosi l'abbondante capigliatura con un'altra salvietta. "Sai che fa caldo qui? C'è una bella temperatura. Si sta bene a casa tua."

 

 

"S-s-sì. Senti io scendo eh? Ti aspetto giù." e corse fuori prima di farsi venire un coccolone. 

Ma signore Iddio, questo è lo stesso tizio a cui ho dato del disgraziato, del bastardo e del maledetto solo un mese e mezzo fa...cosa mi succede??! si chiese Marty, scendendo le scale a rotta di collo. Tutte quelle balle sul fatto che mi ero presa una cantonata, che avevo sbagliato tutto, che c'ero cascata come una cretina...

 

Andó in cucina. Prese il telefono e cercó di immaginare quale pasto ordinare. Il fatto era che non aveva fame per niente. Aveva il corpo in subbuglio e anche la mente.

 

Rimase come un ebete a fissare l'applicazione di un delivery finchè non sentì Ed scendere le scale. Si era messo dei pantaloni di jersey grigi e una t-shirt blu scuro. Aveva ai piedi un paio di calze bianche, per onorare l'usanza di non camminare con le scarpe in casa, nonostante dagli irlandesi Laughton questa regola fosse bellamente ignorata. 

 

"Allora, che hai ordinato?" chiese, con le mani in tasca.  

 

"Niente. Non so che prendere...poi, non ho nemmeno io appetito." confessó la ragazza. 

 

"Come mai? Dopo le partite mi hai sempre detto che ti mangeresti un bue." domandó Ed. Vide il cestino di frutta. "Posso?" 

 

"Fa' pure." gli concesse Marty.

 

Lui prese una mela e inizió a sgranocchiarla.

La guardó divertito. Era rossa come un papavero.

 

"Sai che sono un po' agitata?" ammise finalmente. 

 

"Perchè?" domandó lui. "Non saró mica io il motivo?"

 

"Certo che sei tu!" sbottó Marty. "...Ed!  Tu mi mandi al manicomio!" 

Si passó una mano fra i capelli, esasperata. 

 

"Chi...iooo? Mando te al manicomio?" rise lui. "Hai dato una bella guardata, prima. Ti ho vista."

 

"Hai fatto apposta." grugnì lei. "Lo sapevi che avrei guardato e ci hai goduto!"

 

"Mia cara, non adombrarti ma non credo che stasera avrai quello che t'immagini. Accontentati dello spettacolo che ti ho offerto." continuó Ed.  Deglutì l'ultimo pezzo di mela. "Dov'è la spazzatura?"

 

"Là." rispose Marry confusa, indicando un secchio.  "...che vuoi dire?"

 

"Hai capito benissimo. Non mi va. Perdonami sul serio, ma devo darti un dispiacere. Stasera non è serata." ripetè Ed, gettando via il torsolo.

 

"Guarda che non ti ho invitato qui per fare chissà che cosa. Ma per chiarirci e parlare." disse lei imbarazzata. Era in verità un po' delusa.

 

"Ottimo. Parliamo, allora. Di là, vieni a sederti." rispose lui, aprendole la porta della cucina.

 

Marty annuì.

 

I due tornarono in salotto e si sedettero sui grandi cuscini. Era talmente comodo quel divano, che a Ed venne voglia di sdraiarsi.

 

"Mi pare che il giorno del mio compleanno a un certo punto qualcosa sia andato in corto circuito." inizió lui. Aveva i lunghi capelli bagnati abbandonati sul petto. 

 

"Sì. Tu." rispose freddamente lei.

 

"Okay. Mi sta bene. Stabiliamo che è stata colpa mia. Mi pento, va bene? Mi pento e mi scuso e...guarda! Sono così pentito che ho preso un impegno con me stesso: mai più agiró d'impulso. Per questo d'ora in poi con te ci andró con i piedi di piombo. Non faró come Benji che ha visto l'occasione e c'è saltato sopra, sarà tutto più lento e graduale. Cosa ne dici?"  propose Ed.

 

"Mi sembra ragionevole." rispose Marty. "Apprezzo la tua presa di coscienza."

 

"Credo che esistano fasi della vita in cui siamo tutti costretti al cambiamento.  A guardarci allo specchio e a dirci: così non puó funzionare. Non si puó continuare. Nelle filosofie orientali è spiegato che tutti noi siamo protagonisti di un ciclo che non si esaurisce mai. E gli sbagli che commettiamo, servono a farci evolvere, magari in un'altra vita. Beh io non voglio aspettare un'altra esistenza per diventare una persona migliore. A molto è servito lo scontro con te e poi anche il litigio con i miei. Mi sono guardato dentro." spiegó Ed. 

 

"Cos'hai visto, dentro?" chiese Marty. 

 

"Un'anima infelice, perchè priva di equilibrio. Credevo di averlo appreso con le arti marziali, ma è un falso equilibrio, utile solo ad avere la meglio contro un avversario più fragile. Nella vita e nei rapporti sentimentali, peró, non si possono applicare le stesse regole." ribattè Ed.

 

"Tutte queste belle cose le scopri adesso...ma prima, dimmi? Le ragazze che hai avuto, i tuoi flirt...cioè, nulla ti è stato insegnato?" chiese Marty. 

 

"Cose prive di importanza. Vedi, credo che l'ansia di arrivare dove sono arrivato nel calcio mi abbia impedito di crescere sul serio come persona.  Dover dimostrare a mio padre che è questa la strada per me, e non quella che immaginava lui. Adesso peró sono pronto. Ora lui ha accettato il mio futuro in questo sport, non devo dimostrare più niente." chiarì Ed.

 

"Molto toccante. Ma io non so se bermi questo discorso." ribattè Marty. "Noi siamo il mix di due cose, questo insegnano ai corsi di psicologia. Una parte di noi è influenzata dal nostro ambiente, cioè da quello che vediamo e che ci viene trasmesso da bambini.   Ma l'altra, è scritta nel nostro dna. Tu sei un ragazzo coraggioso, e molto pragmatico. Niente ti agita, nulla ti spaventa. Questo mi piace. Ma sei anche imprevedibile, è come se in certi momenti ti facessi prendere da una strana follia, e ti porta a fare cose al limite del consentito. Mark sostiene che questo lato di te avrà sempre il sopravvento."

 

"Mark dice così?" chiese il ragazzo. "E se lui dice così, avrà senz'altro ragione, no?" 

 

Marty si innervosì. "E adesso che significa questa ironia?"

 

"Che tu gli dai molta importanza. Questo è evidente. Tutto qui." ribattè Ed. "Senti Marty: tu mi interessi. Mi piaci e per quel periodo che ci resta vorrei frequentarti. Dimmi cosa senti al riguardo." 

 

Marty giunse le mani sotto al mento. "Anche tu mi piaci. Lo sai." 

 

"...quindi, normalmente due che si piacciono si frequentano. Poi io sono dell'idea di provare a stare insieme anche dopo la fine dei miei studi alla Toho. Andró a Yokohama, ma non è distante da Tokyo. E torneró comunque a vedere i miei, cioè non andró in Australia o cose così. Vediamo come di metterà la storia." aggiunse lui. 

 

Lei si nascose il viso fra le mani. Poi sospiró, neanche stesse decidendo se buttarsi col paracadute o no. "Okay." cedette infine. "Proviamoci."

 

"Bene. Quindi sei la mia ragazza." sorrise Ed. "...e oggi è San Valentino." 

 

Allungó un braccio e le circondó la vita. La tiró a sè. "Noi umani siamo stupidi. La felicità delle volte ci passa vicino e noi non la vediamo."

 

Marty non riuscì a resistere e premette le labbra su quelle di Ed. Finalmente potè lasciare andare quell'attrazione fatale e irresistibile che tante emicranie e sconvolgimenti le aveva causato fin dal primo incontro. Era il secondo bacio, ma il primo non contava: se l'erano scambiato mentre lui era a letto tutto acciaccato ed era durato pochi secondi.

 

"Apri gli occhi." disse Ed, staccandosi da lei. "Non succederà quello che pensi stasera. È presto, ancora. E come ti ho detto, voglio andarci cauto con te."

 

"Non so. Da una parte vorrei ma poi..." mormoró lei.

 

"Appunto. Non sei convinta. Allora sai che si fa? Si ordinano un paio di poke e ci guardiamo una partita in televisione. Stasera mi pare giochino i Flügels, i miei futuri compagni." rispose Ed, ricomponendosi. Poi la guardó. "Ti va bene?" 

 

Marty rimase lì come una statuina. Lo osservó con attenzione. I capelli bagnati, la solidità del suo corpo e il solito sorriso malizioso. Era uno spettacolo. 

 

"No. Non mi va bene.  Per niente." rispose impaziente. 

 

Si buttó su di lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Amore e solitudine ***


"Ci siamo già trovati in una posizione simile, vero?" sorrise Ed, quando Marty si mise a cavalcioni sopra di lui. "Buona con quelle gambe, stavolta."

 

Erano avvinghiati ormai da due ore. Non avevano nemmeno cenato.

 

"Sono sconfitta. Mi dichiaro vinta, da te. Ci ho provato, insomma, ci volevo riuscire a escluderti dalla mia vita. Ma sei troppo per me." sospiró lei.

 

"Ma la smetti con queste scemenze? Non è una battaglia, non la voglio vivere così." disse Ed. "Tu sei una meravigliosa luce, e brilli come quella pietra. Devo a malincuore ammettere, che Price ha scelto bene quando ti ha dato quel ciondolo. Una farfalla irlandese che ha una luce in sè."  

 

"Sei poetico, stasera. Non ti facevo così." sorrise lei.

 

"Hai ancora la mia pergamena?" volle sapere Ed.

 

"Sì, è di sopra. La faró incorniciare. La tengo lì in un cassetto perché i miei non la vedano. Non voglio giustificarmi per tutti i regali che ricevo." confessó Marty.

 

"E quel ciondolo? Non l'hanno visto?" chiese il ragazzo.

 

"Ho detto loro che me lo sono regalato da sola per Natale.    Avendo il colore dell'Irlanda, ci hanno creduto, e a mia madre piace." ribattè lei.

 

"Furba la mia ragazza."  Ed si puntelló sui gomiti. "...andiamo di sopra?"

 

Marty si sentì arrossire. "A fare cosa...?"

 

"Non quello che pensi. Te l'ho detto, non è il momento. Ma mica possiamo dormire qui." rispose Ed. 

Marty si scostó e lo lasció alzarsi. "Ok, inizia a salire. Io chiudo tutto."

 

Ed prese la direzione delle scale e lei chiuse le persiane elettriche, si sinceró che la porta blindata fosse serrata completamente e spense tutto. Un fremito di paura la percorse, quando lo vide salire al piano superiore. Era davvero possibile che lui potesse fare l'angioletto sotto le coperte? Non le pareva credibile. Soprattutto, aveva dubbi su sè stessa. 

 

C'era qualcosa che non andava in tutta quella faccenda.  Era come se una vocina dentro di sè le gridasse in un orecchio non con lui!! Non con lui!! Immaginó fosse lo strascico di tutto lo sconvolgimento che le aveva provocato con quella scenata di fine Dicembre.  Ma l'aveva perdonato, no? L'aveva perdonato e allora che diavolo volevano tutte quelle vocine antipatiche?

 

Comunque, salì di sopra animata da una grande emozione all'idea di dormire con quel ragazzo strepitoso, e averlo tutto per lei una notte intera e anche dopo. Stavano insieme.

 

Quando entró e lo vide sotto al piumone, con le mani incrociate sotto la nuca e i capelli sciolti sul cuscino, pensó: non ce la posso fare. 

 

"Ehmm...vado un attimo in bagno e arrivo!" disse, rifugiandosi nel localino attiguo. 

 

"È favoloso questo letto. A casa abbiamo i futon, ma preferisco il letto all'occidentale. Ci ho dormito solo in albergo..." raccontó Ed. 

E da Beverly, stava per aggiungere, ma si morse la lingua.  Prese il telecomando e accese la tv della camera, giusto per vedere il risultato della partita. I Flügels avevano vinto, ma avevano incassato anche tre goal. Quel portiere titolare non valeva un accidente. 

 

Passarono i minuti, Marty non usciva dal bagno. Ed si spazientì. "...tutto bene?" chiese ad alta voce, giocherellando con i suoi capelli. Era stata una buona idea lasciarli crescere così, alle ragazze piacevano da impazzire.  Suo padre e suo fratello tentavano inutilmente di convincerlo a tagliarseli, per darsi un look più ordinato e rigoroso, ma Ed non ne voleva sentire parlare. Erano anche simbolo di virilità presso certe culture. 

 

La porta del bagno lentamente si aprì.

Uscì la ragazza in slip in reggiseno. Aveva indossato per l'occasione un delizioso completo color fragola, abbastanza trasparente. Era arrossita come una scolaretta, e si portó le mani davanti al bacino, come a coprirsi. 

 

"Bene, bene, bene..." commentó lui, girandosi su un fianco, per guardare meglio. Spense la TV. "Bello, tutto molto bello."

 

"Ti piace il completo?" chiese Marty.

 

"Il...completo? Ah sì...carino." fece lui, per niente interessato ai prodotti di Yasmin Eslami. "Girati." fece un cenno con la mano, come a dire di voltarsi.

 

Marty eseguì, un po' compiaciuta. 

 

"Tim ha fatto un grande lavoro atletico su di te. Fisico perfetto. Peccato difetti un po' di seno..." commentó Ed.

 

Marty non ci credette. "....scusaaa?" sbottó, offesa. "Sì certo, paragonata a quella a cui ti accompagnavi sono piatta come una tavola! Vero??" 

 

Lui scoppió a ridere. Poi alzó un lembo del piumone. "Scherzo. Vieni!!"

 

Un po' tentennando, anche per la battutaccia, la ragazza si accomodó nel letto.  Subito Ed le mise una mano sul basso ventre e lievissimamente fece scorrere un dito sotto l'ombelico. Successe una cosa strana: Marty sentì il ventre rispondere a quella sollecitazione con piccole contratture. 

 

"Molto bene. Sei sensibile." commentó Ed. 

 

"Cos'hai fatto?" chiese lei, stupita dalle sue reazioni fisiche.    

 

"Tutti noi abbiamo punti chiave sul nostro corpo. Punti che se colpiti o stimolati generano grande piacere, o dolore. Noi che pratichiamo certe discipline marziali lo sappiamo." rispose Ed. "E tu sei tutta da scoprire, in questo senso."

 

Le sfiló gli slip con un movimento deciso.

 

Marty si agitó. "Ma non avevi detto che non volevi...?"

 

"Non faremo l'amore, no. Ma in fondo oggi è San Valentino e mi pare proprio un grande spreco limitarci a dormire. In un letto come questo." disse Ed, mettendosi in ginocchio sul materasso, proprio davanti a lei.  "Ora, c'è una definizione che tu e Kibi mi avete dato. Una che non lascia la mia mente. Ci ho riflettuto molto sopra, sai?" 

 

Divaricó le ginocchia della ragazza con grande delicatezza. 

 

"...serpente. Non nego che qualche qualità dei rettili possa appartenermi. Lo so, sono sfuggente, a volte imprevedibile e sì...mettiamoci anche velenoso. Ma in definitiva, non credo di avere molto in comune con quell'animale. Insomma, se consideriamo i lati negativi." 

 

"Ed..." mormoró lei, mentre le mani del ragazzo scendevano giù per le sue cosce. 

 

"...ma c'è una cosa sui serpenti che forse non sai. Questo mi interessa particolarmente. Sono bestie quasi del tutto prive di udito e i loro sensi sono tutti concentrati nella bocca. Lo sai come esplorano e imparano a conoscere ció che li circonda?" 

 

"N-n-no..." balbettó la ragazza.

 

 

"Con la lingua."

 

🎋🎋🎋

 

Alleno una squadra di ragazzini, qui a Okinawa. So che questa convocazione in Nazionale per te significa molto, e che ci tieni a fare bella figura per ottenere un contratto da professionista. È quello per cui hai lavorato così tanto, Mark.   È tutto ció per cui ti ho preparato fino da quando eri poco più che un bambino. 

Ma mi dispiace dirti che con Marshall e Gamo non avrai molto spazio. Cercheranno di trasformarti in mezza punta, ma io e te sappiamo benissimo che tu sei un attaccante completo. Ti snatureranno, perchè il gioco di Marshall è troppo impostato su Hutton e Becker. Quell'allenatore, insieme al suo tirapiedi Pearson, ha idee pericolose e antiquate sul calcio. Non credo tu troverai lo spazio che meriti in quella selezione. A meno che tu non diventi un'arma invicibile, e imprescindibile per loro. Ti scrivo, perció, per informarti di questo mio progetto, nel caso tu volessi raggiungermi e riprendere i duri allenamenti che con me hai sempre praticato e che ti hanno trasformato in quello che sei. Per migliorare ancora, Mark. Perchè nessun allenatore possa pensare di rinunciare a te.

 

Lenders rilesse quella lettera, che il suo vecchio allenatore Jeff Turner aveva inviato a Daisy Winter, perchè gliela facesse pervenire.

 

Una scarica di tensione gli attraversó le spalle, quel sabato sera, quando capì che le parole di Turner corrispondevano alla pura verità. 

 

Marshall, il CT della Nazionale e vecchio allenatore di Benji, non era una grande fan del gioco offensivo. C'era solo Holly nella sua mente come perno della squadra, e tutto il resto dei giocatori erano corollario sacrificabile. Ma lui, Mark, non poteva permetterselo.

 

Era in gioco la sua vita di atleta, e la condizione economica della sua famiglia. Doveva assolutamente trovare spazio in Europa, e un contratto nella serie A. Per farlo, doveva mettersi in luce, e con un coach che non lo avrebbe valorizzato nel modo giusto sarebbe stato un problema.

 

Rilesse l'indirizzo di Turner: Okinawa.

 

Quell'isola lontana, immersa nel sole, e circondata da un mare azzurro e splendido. 

 

Ci riflettè.

 

"Mark!!" arrivó Nathalie dalla camera,  con la sua Barbie. "Mark, ma oggi non è San Valentino?" 

 

"Hm? Sì piccola." fece lui.

 

"E nessuna ragazza ti ha mandato il cioccolato?" chiese la bambina. 

 

"Sì che me lo mandano. Tante ragazze. Ma io non lo accetto mai." rispose il fratellone.

 

"Perchè?" chiese Naty.

 

"Perchè non mi va. Perchè non è carino accettare regali se la persona che te li manda non ti interessa." ribattè Mark.

 

"E Marty non te l'ha regalata? Io credevo che vi sareste fidanzati." replicó la bambina, delusa. "...e che stasera magari veniva qui!"

 

"Marty ha altro da fare.  E comunque, siamo amici. Amici e basta." taglió corto Mark.

 

"La mamma dice che le vuoi bene , ma che non lo vuoi riconoscere." continuó Nathalie. "E che se non trovi la forza di parlare con Marty, non succederà mai niente."

 

Mark aggrottó le sopracciglia. "Di' un po'...ma non fai i compiti? Sei sempre attaccata a quella bambola." 

 

"Li ho fatti i compiti!! Vero mamma?" gridó alla cucina.

 

"Sì, li ha finiti un'ora fa." si affacció la signora Lenders dal locale. Tossì due volte. 

 

Mark si preoccupó subito. "Riposati, per favore. Pulisco io di là." 

 

"No, va tutto bene. Sto un po' meglio, sai? Il signor Kento è gentile a portarci la carne ogni settimana." rispose la donna. "Non vuole essere pagato, pensa."

 

"Perchè sono gli scarti della sua macelleria. Nessuno ti regala mai niente, mamma." ribattè Mark. 

 

"Tuttavia è un aiuto importante e inaspettato.  C'è ancora generosità nella gente, è una buona cosa." riflettè lei. "Mark...la tua amica non è più venuta qui. Sta bene?"

 

"Sì che sta bene. Deve allenarsi e studiare. È un periodo intenso per tutti." rispose Mark.  Addentó un biscotto di riso. 

 

"Pensavo vi frequentaste." aggiunse la signora Lenders.

 

"No. Mamma, vado al campetto qui vicino ad allenarmi, non credo di cenare. Poi ho il lavoro." rispose lui, e infilandosi la casacca della tuta, corse fuori incurante del freddo.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Annunci ***


La domenica dopo, alle sette, Marty si sveglió bruscamente. 

Sulle prime non ricordó della nottata appena trascorsa, ma poi le sovvenne come in un flash-back tutto ció che era successo da quando lei e Ed si erano infilati a letto.

 

Si giró subito alla sua destra e vide che lui era lì: giaceva addormentato vicino a lei, il torace si alzava e abbassava lentamente al ritmo del respiro.  

 

Marty si rasserenó nel trovarlo. Era rimasto, non se ne era andato alla chetichella come dopo la serata con Kibi.  

Sei qui, pensó. Se non fosse stato terribilmente patetico, le venne quasi l'impulso di ringraziarlo. 

 

In verità, c'erano altri motivi per cui meritava un ringraziamento. Quattro eccellenti motivi, tante erano state le volte in cui aveva raggiunto l'estasi grazie a lui, che non difettava certo di ingegno nell'ideare nuovi diletti. 

 

Avevano fatto tutto quello che si poteva fare, tranne consumare un rapporto vero e proprio, nonostante le richieste della ragazza che a un certo punto erano diventate disperate. 

 

Quando lo dico io, era sempre stata la risposta del giovane , che poi aveva aggiunto: mi piace vederti così, implorante...ma c'è un piccolo particolare. Non si fa fin quando IO dico che è il momento.   

 

A Marty venne il sospetto che il motivo non fosse tanto un preteso riguardo per lei e per le sue sensazioni e sentimenti. C'era come un velato scetticismo nei suoi occhi scuri, come se non fosse del tutto sicuro di essere lui il re-di-cuori nella mente della sua ragazza.  

 

A un certo punto, mentre si trastullava con i suoi seni, le aveva chiesto: e se fosse Mark a fartelo? 

 

Lei era sobbalzata a quella domanda inaspettata e incomprensibile, ma non aveva risposto. Si era presa tutto il piacere che poteva prendersi,  lasciando al mattino seguente i ragionamenti. 

 

Ora peró, era il caso di pensarci.

Cosa gli era venuto in mente di nominare Lenders mentre per la prima volta erano a letto insieme?  Ancora quelle paranoie di essere tradito, ancora il complesso dell'eterno secondo?

 

Non fu un piacevole ragionamento, perchè la obbligó a tirare fuori dagli archivi della sua mente quella paura che aveva soffocato nelle ultime quarantotto ore, cioè il timore che in Ed ci fosse ben più che qualche ingranaggio mentale un po' storto. Insomma, quelle domande a bruciapelo, mentre lei era del tutto abbandonata a lui in un letto, erano abbastanza strane. 

 

E se fosse Mark a fartelo? 

 

Proprio Mark.

Possibile che Ed fosse venuto a sapere dei loro approcci a casa Lenders, cioè del modo in cui si erano tenuti stretti dopo che lei era scappata da casa sua e aveva trovato rifugio in quella famiglia?  E quel tentativo fallito di bacio? Gliel'aveva forse detto il suo capitano? 

 

No. Non ci credeva.

Mark aveva tenuto la bocca cucita, ne era certa. 

 

E ancora:  possibile che Warner avesse colto qualcosa di cui lei stessa non era ancora consapevole? Insomma, Ed era intelligente, era uno che osservava le cose con attenzione, e poi ci rifletteva. A volte le sue riflessioni prendevano il sentiero sbagliato, piccolo problema. Era un genio paranoide, si poteva quasi dire. 

 

"A che pensi?" le chiese.

Si era svegliato.

 

Marty si passó una mano sul viso. 

 

"Che i miei torneranno prima delle sei." rispose, tentando di dissimulare le sue reali idee. "Qua devo ripulire e anche al piano di sotto."

 

"Cambia le lenzuola." rise Ed. "Abbiamo fatto un casino, hm?" 

 

"Sì, e anche il copri-piumone. E le federe. Ah che lavoro mi tocca dopo!" pensó lei ad alta voce. 

 

"Ma ne è valsa la pena. O no?" chiese lui, alzandosi seduto sul letto. "Io dico di sì."

 

"È stato incredibile.  Sei una favola." si complimentó Marty. 

 

"Non che tu abbia molti metri di paragone. Peró ti devo dire che anche per me è stato emozionante. È stata come una prima volta." disse Ed. 

 

"Si certo...proprio tu...non voglio neanche sapere quante ragazze hai avuto. Altro che prima volta!" ribattè lei, accarezzandogli la schiena. 

 

"...la prima volta con una bionda." rispose Ed. Sbadiglió e guardó la sveglia.  "Ma è presto."

 

"È il sole che entra dalle fessure delle persiane ad averci svegliati. Torna a dormire, se vuoi. Io non ci riusciró più." disse la ragazza. "Anzi, adesso vado a farmi una doccia." 

 

Si alzó e si coprì con una copertina, vergognandosi della sua nudità.

 

Questo fece divertire Ed. "Ma perchè ti imbarazzi? Ho visto tutto ormai!"

 

"Ho freddo anche. I termosifoni si scaldano dalle dieci. Dai, dormi ancora un po'."  lo esortó lei.

 

"No. Sono abituato a svegliarmi presto, a volte mi alleno a karate anche il mattino. Sai che ti dico, mi alzo anch'io..." disse infine, spingendo il piumone fino ai piedi. Si stiracchió tutto, rivelando la sua prestanza muscolare.

 

"Mi sembri sempre più alto." osservó Marty. "E anche più grosso. Non credo manterrai la tua agilità di questo passo."

 

"Quella non ha a che fare con la massa.  È questione di esercizio, e secondo me potresti migliorare anche tu in quel senso. Nel nostro dojo non abbiamo mai avuto allieve, ma magari potresti essere la prima." propose Ed.

 

"Come no. Me lo vedo tuo padre, accogliere a braccia aperte una donnicciola. Proprio io, poi. Già mi detesta." ribattè Marty. 

 

Andó in bagno e aprì l'acqua. 

 

"Non ti detesta. Ma ha le sue idee sugli occidentali, che ci posso fare. Peró, quando diró a lui e a mia madre che stiamo insieme, vedrai che la prenderanno bene. Specie mia madre." disse Ed, alzandosi in piedi. "Aspettati un invito a casa e tutti gli onori."

 

Guardó verso il bagno e la visione della ragazza nuda nell'atto di raccogliersi i capelli fece risvegliare le sue pulsioni. "Stanotte ho fatto il bravo, ma tu mi sfidi..."

 

"E mi chiedo perché tu abbia fatto il bravo. Me lo chiedo da stamattina." rispose lei.

 

"Non è  ancora il tempo. Devo valutare alcune cose." ribattè Ed. Allungó la mano sotto al doccino per testare la temperatura dell'acqua. 

 

"Sei l'unico diciottenne che di fronte a una ragazza che lo prega di ... insomma... sei l'unico che si tira indietro.  Sei davvero uno su un milione." gli disse lei.

 

"Il tuo concetto di pregare è un po' strano." sorrise Ed. "Io non ricordo una ragazza che pregava. Ricordo una che me l'ha afferrato e stava per servirsi da sola incurante della mia volontà."

 

Marty si coprì le mani con la faccia. "Piantala!!" e rise.

 

"Dovevi vederti ieri. Sembravi una diavolessa,  eri molto eccitante." disse Ed, baciandole il collo. 

 

"Anche tu. Io non so perché hai preso questa decisione, ma credo di essere al limite." rispose lei, girandosi e accarezzandogli il petto.  

 

"Vedila in chiave positiva. Quando succederà, sarà molto più bello." rispose lui. S'infiló sotto il getto d'acqua, e la tiró delicatamente con sè nel box doccia.  "Ora va' giù."

 

🎋🎋🎋

 

Danny osservava il suo capitano che palleggiava a centrocampo. 

Era concentrato, serio, rabbioso come al solito.

 

Ma c'era un'altra cosa. 

Da qualche settimana, era anche immerso in nuovi pensieri. 

 

Mark era sempre pieno di pensieri, da che lo conosceva. Per la scuola, per la sua famiglia, per la sua carriera, per il lavoro part time.

 

Eppure, Mellow aveva l'impressione che se ne fosse aggiunto uno, e guarda caso dopo il suo scontro con Ed negli spogliatoi. 

 

I due erano tornati in rapporti distesi, se non proprio di amicizia come prima. Eppure ogni tanto si guardavano di sbieco. Forse era davvero lei il motivo?

 

Danny non sapeva ancora se il legame sentimentale fra Ed e Marty fosse ufficiale, ma il sabato prima molti studenti li avevano visti uscire insieme dalla scuola e la voce si era ingigantita.  

 

Era lunedì pomeriggio, e gli altri giocatori li raggiunsero sul campo. Arrivó anche Warner,  che prese posto in porta. Lui e Newbit dovevano esercitarsi con i tiri da fuori area, e fu proprio Mark a farsi carico del compito. 

 

"State attenti. Ora a turno proverete a parare questo tiro. È un tiger shot nuovo, gli voglio dare un po' di effetto. Inizia tu, Simon." comandó il capitano. 

 

Newbit infiló i guanti e si mise in posizione. 

 

Lenders prese la rincorsa e fece partire un missile che curvó improvvisamente a destra e ingannó il secondo portiere. Fu un goal facile.

 

"Simon, non ci siamo! Devi anticipare la traiettoria del pallone!" si arrabbió Mark.

 

Ed prese il suo posto, con la consueta sicurezza. "Prova, capitano!" 

 

Mark allora prese una rincorsa ancora più lunga e stavolta non diede nessun effetto alla palla. Scaglió un bolide dritto su Ed, che lo fermó con fatica. L'impatto sul torace fu peró così violento da fargli uscire tutta l'aria dai polmoni.  Un tiro fin troppo energico.

 

"Mark, vacci piano. È un allenamento," Gli disse Danny. 

 

"Che vuol dire è un allenamento?! Dobbiamo migliorare proprio grazie all'allenamento, o siamo qui a cogliere margherite?" lo aggredì Mark.  

 

Ed gli rilanció il pallone. "Riprova con Simon, adesso."

 

"No. Sta' lì. Sei tu il titolare, tu devi essere perfetto. Cerca di bloccarlo con più sicurezza, adesso. Prendi!!" gli gridó Mark, e di nuovó colpì con violenza, mirando proprio alla faccia.  Ed saltó in altó e si aggrappó con entrambe le mani alla traversa, riuscendo in questo modo a respingere di piede. Se avesse provato a prenderla con le mani, si sarebbe infortunato ai polsi.  

 

"Ma mi dici che bisogno c'è di tirare in questo modo?! Puó infortunarsi!" protestó ancora Danny.

 

"Un'altra mezza frase e quello infortunato sarai tu, Danny.  Che ti prende? Non ti piacciono più i miei metodi?" lo provocó Mark.

 

Ed si avvicinó ai due. 

 

"Torna in porta!" gli disse il suo capitano.

 

"C'è qualcosa che non va? Mi sembri nervoso." gli chiese il numero 1.

 

"Sono nervoso perché vedo che non siete pronti. E tu, se barcolli davanti ai miei tiri che farai in Nazionale? Ti dimentichi di Schneider e degli altri?" replicó Lenders. 

 

"Non ho barcollato, Mark, li ho parati entrambi. Ci stiamo allenando per il campionato. Cosa c'entra il torneo mondiale? Non ci arriveró comunque se mi distruggi le mani." rispose Ed. 

 

"Osi contestarmi?"  ribattè Lenders incredulo.

 

"No. Ma non capisco cos'hai." replicó pacatamente Ed. "Sei il nostro capitano. Se sei nervoso, s'innervosiscono anche gli altri." 

 

"Nervoso?! Io qui sono l'unico forse che non perde la concentrazione. Il fatto che siamo primi in classifica non significa ancora che siamo i campioni. Quindi datevi da fare. E questo riguarda anche te, Ed." ripetè Mark. 

 

I due rimasero a guardarsi come fronteggiandosi in un duello da film western. Danny contemplava quel momento con preoccupazione e imbarazzo. Evidentemente, la ruggine fra Mark e il loro portiere era più resistente di quanto immaginato.

 

"Heyyyy!" sentirono urlare. 

 

Si girarono tutti.

 

Marty era sugli spalti a sbracciarsi. "Ciaooo ragazziii!!"

 

I giocatori, con Lynn e Debbie, ricambiarono il saluto. 

 

"C'è Marty! Ma non si allena oggi?" chiese Danny.

 

"Inizia più tardi. Nolan ha fissato la sessione per le quattro." rispose Ed, guardandola a braccia conserte. Sorrise. 

 

"E tu che ne sai?" chiese Danny. 

 

Ed chiuse gli occhi e non rispose, ma il suo volto tradiva la realtà dei fatti.

 

"Oh! Allora è vero?!" chiese Danny. "State insieme?"

 

"Sì Danny. È qui anche perché volevamo dirlo a tutti. Ci siamo conosciuti grazie al calcio, grazie alla squadra." rispose il portiere. 

 

"...e l'altra?" volle sapere Danny. "Ehm...Beverly..."

 

"È finita.  Dai andiamo a salutarla." disse Ed. Fece per dirigersi verso gli spalti. 

 

"Dove credi di andare? Non ho detto di interrompere l'allenamento." lo fermó Mark. 

 

Ed e Danny si girarono, colpiti dal tono. Era il vecchio Mark, quello aggressivo, rude, intransigente. Non lo vedevano dai tempi delle medie.

 

Warner strinse i denti, mantenendo la calma. "Capitano, chiedo due minuti di pausa per la squadra." 

 

Danny era confuso: "Mark..."

 

Passarono diversi secondi di silenzio tesissimo. 

 

"Fate quello che vi pare." concluse Lenders, girandosi. Si diresse verso la panchina.

 

I giocatori corsero a bordo campo, Marty era scesa dalle gradinate.

 

"Bello rivederti!!" fece Debbie. 

 

"Grazie ragazze! Uh, avete dimenticato i fratini!" rise Marty.

 

"Visto? Impara testona!" disse Lynn a Debbie.

 

"Abbiamo sentito dei successi col volley!! Allora è stato giusto che tu ci abbia lasciati!" disse Sail. 

 

"Sì sono contenta. E poi, adesso, c'è una cosa che io e Ed dovremmo dire..." ribattè lei, arrossendo. 

 

"Lo immaginiamo. Beh, congratulazioni ragazzi. Non so perchè, ma me l'aspettavo." disse Taylor.  Diede una pacca sulle spalle a Warner. 

 

Debbie e Lynn applaudirono. "Che bello!! È una notizia bellissima!"  poi Lynn si sporse verso Marty e le sussurró. "Adesso vedrai che divertimento, con le altre studentesse." 

 

La giovane irlandese le pizzicó un fianco.

 

Poi giró lo sguardo a destra e vide Mark. 

 

Era l'unico a non essersi avvicinato. 

 

A capo chino, si dirigeva verso gli spogliatoi.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Grilli ***


"Ragazzi, avete salutato Marty. Ora riprendiamo con l'allenamento!" ordinó Lowry, battendo le mani. "Non perdiamo tempo, forza!"

 

Tutti corsero di nuovo in campo, e ognuno dei calciatori prese il suo posto. Ed tornó in porta, Danny a centrocampo. Eddie Bright, che naturalmente non si era degnato di salutare la ragazza e aveva reagito con una smorfia sarcastica all'annuncio della relazione con Warner, decise di esercitarsi con i calci d'angolo. 

 

Fu proprio il portiere ad avvicinarlo. "Eddie, devo dirti che mi irrita il tuo comportamento verso di lei. Non sei nella posizione di fare il sostenuto nei suoi confronti, e lo sai." 

 

"Cosa vuoi? Solo perchè è la tua ragazza adesso devo farle i salamelecchi? Non pensarci proprio." rispose Bright.

 

"Ti chiedo solo di avere rispetto. Mi ricordo bene le cose che mi hai detto su Marty, dopo il vostro appuntamento. Tutte quelle stupidaggini. Sei tu ad essere in torto, e per quanto ne so non ti sei mai pentito." ribattè Ed. "Questo non mi va."

 

"E io ricordo bene il momento in cui mi dicesti non cascarci con lei. Tu ci sei cascato eccome. È così brava a leccarti il manico, che hai cambiato idea?" lo provocó l'altro. 

 

"Ritieni sul serio sia una buona idea parlarmi così? Non ti conviene, io potrei arrabbiarmi, le cose potrebbero degenerare, e io spinto dal comprensibile istinto di difendere la mia ragazza potrei fare chissà che cosa." replicó Ed. 

 

"Mi stai minacciando?" gli chiese Eddie. "Mi stai minacciando?" 

 

"No. Ti sto promettendo una dose della stessa medicina che ho dato a cento uomini solo due mesi fa. Tutta per te in un colpo solo." gli disse Warner, infilandosi i guanti. "Mio padre mi ha sempre detto di non usare il karate per le risse, ma vedi ... delle volte con questi metodi la gente impara meglio le lezioni."

 

Vide Bright impallidire di colpo, e comprese che il messaggio era arrivato forte e chiaro.

 

Si giró verso gli spalti. 

Marty non c'era già più.

 

E nemmeno Mark. 

Non era tornato dai sotterranei. 

 

🎋🎋🎋

 

Mentre si cambiava la maglietta sudata, Lenders intravide un movimento dietro di sè. 

Si giró. 

 

Era entrata furtivamente nello spogliatoio.  Davanti a lui, Marty Laughton si torceva le mani una nell'altra, come sempre faceva quando era tesa.

 

"Che ci fai qui?" chiese lui.

 

"Volevo salutarti." fece la giovane. "Dato che sei scappato via dal campo."

 

Mark la guardó un attimo, poi sospiró. S'infiló la t-shirt pulita. "Marty...cosa c'è?"

 

"Niente, è che mi sembri sfuggente. Ero venuta anche per vederti." rispose la ragazza.

 

"Bene, eccomi qui." rispose Mark, bevendo un sorso d'acqua dalla sua borraccia.  "Non vai ad ammirare il tuo ragazzo?"

 

"Tra pochi minuti inizio l'allenamento, sono venuta al campo giusto un attimo." disse lei. "Sei seccato con me?"

 

"Per cosa?" 

 

"Non so. Per qualcosa." ribattè Marty. 

 

"No. Ah ...a proposito, buon compleanno." disse Mark. 

 

"Te lo sei ricordato. Grazie!" sorrise Marty.

 

Lui andó a rovistare nella sua sacca da palestra. Ne estrasse un foglio arrotolato. "Questo te lo manda Nathalie."

 

Marty aprì con attenzione il foglio, tenuto chiuso da un nastro rosa. Era un disegno fatto con le matite a cera.

 

Rappresentava Mark e Marty  che si tenevano per mano, vestiti da sposi. E sotto, la scritta 

 

tanti auguri!! 17!! 

(Mio fratello ti vuole bene).

 

"Hai letto qui?" chiese la ragazza.

 

"Sì, me l'ha fatto vedere. Fantasie di una bambina." commentó Mark.

 

"Non solo sue." rispose lei, arrotolando di nuovo il disegno. 

 

"Cioè?"'domandó il ragazzo.

 

"Ed continua con le sue insinuazioni. Dentro di sè, è convinto che io e te...insomma...che io e te..." tentó di spiegarsi lei.

 

"E tu fagli cambiare idea. Scusa, ma delle paranoie private del nostro portiere poco m'importa. A me interessa che faccia il suo dovere in campo e si mantenga in forma." commentó Mark. 

 

"Non è così facile, sai? Non è facile quando sei a letto con un ragazzo e mentre ti accarezza ti senti chiedere: ti piacerebbe se te lo facesse Mark? Ti ecciterebbe di più se fosse lui a toccarti?" sbottó Marty. "Non è per niente una bella cosa."

 

Mark rimase basito. Poi si mise a ridere. "Davvero?"

 

"Sì, davvero." rispose Marty in malo modo. "Non fa l'amore con me." 

 

"Eh?" chiese Mark.

 

"Non vuole fare l'amore con me. Dice che vuole prendersi il suo tempo, ma so che sono balle. Lui sotto sotto è certo che io desideri solo te e..." la ragazza guardó a terra. "...e non vuole essere un ripiego. Io penso questo."

 

Mark si mise le mani sui fianchi. 

Divenne serio.

"Adesso apri le orecchie:  tu forse non hai ben chiara la mia situazione. Io tutti i giorni vengo qui a scuola con il pensiero di ricevere una telefonata dall'ospedale, e che mi si dica che mia madre è svenuta in casa o ha avuto un attacco d'asma o qualche altro incidente. Mia madre sta male, ho tre fratelli ancora bambini a cui pensare e non ho modo di prendermi cura di loro come dovrei, mi ascolti?"    

 

Marty annuì.

 

"...questi sono i miei problemi. Scusa, ma di quello che tu e Ed fate a letto non mi interessa niente. Mi capisci?"

 

Lei fece di sì di nuovo, e deglutì dall'imbarazzo. 

 

"Bene." prese la borraccia e la gettó nel cesto con le altre. "Tanti auguri per i tuoi diciassette anni." 

 

Aprì la porta dello spogliatoio e uscì, lasciandola sola.

 

"Scusa Mark." disse lei, alla porta chiusa.

 

🎋🎋🎋

 

"Auguriiiii!!!!

 

Le sue compagne di squadra l'accolsero con un coro festoso, non appena mise piede in palestra. 

 

Kibi corse ad abbracciarla, seguita dalle altre. "Diciassette! Ancora un anno e poi sarai libera di entrare nel mondo!"  

 

"Grazie ragazze!" esclamó Marty. 

 

Erano tutte radunate attorno a lei. Perfino Nolan non ebbe nulla da obiettare a quell'interruzione negli allenamenti.  In fondo, quella giovane europea era il motivo per cui aveva ancora conservato il suo posto di coach della squadra femminile, quindi non gli parve affatto sbagliato concedere a lei e al suo team un attimo di svago. 

 

"E c'è un regalino dai tifosi! Non ci potrai credere, ti giuro!" disse June. 

 

"Oddio, che mi hanno preso?! Spero niente di troppo ingombrante, o come lo porteró a casa?!" chiese Marty.

 

"No, no...non è una cosa grande..." rise Pam.

 

Arrivarono Clara e Sue con un oggetto rettangolare, avvolto da carta da regalo. Marty notó che la confezione aveva come dei buchini su un lato. 

 

"Dai aprilo, vogliamo vedere la tua reazione!" disse Lara. 

 

Scoppiarono tutte a ridere.

 

"Ma cos'è ragazze? Perché ridete?" chiese lei, un po' preoccupata.

 

"E aprilo, no!" la esortó Kibi.

 

Marty mise a terra l'oggetto, in verità un po' pesante. Lo scartó con attenzione e si trovó di fronte a un contenitore in legno intagliato,  con quattro vetri trasparenti ai lati. 

Era una sorta di piccola teca. 

 

"Cos'è? Un portagioie?" domandó.

 

"Credo che tu non l'abbia guardato bene. Avvicinati." le disse June, mentre le altre soffocavano le risate nel palmo delle mani.

 

Marty si accovacció a terra e vide dei piccoli fori in uno dei vetri. E dentro c'era come dell'erba e un rametto di bambù. C'era anche della piccolissima ghiaia. 

 

E poi sentì un rumore.

 

Un rumore cadenzato e lieve, come di un campanellino. 

 

"Non capisco..." mormoró.

 

Sollevó il contenitore e fu allora che vide l'insetto.

 

C'era un grillo enorme dentro quella scatola. 

 

Ma non un grillo di cartapesta o di bronzo.

 

Un grillo vero, col carapace bruno, le lunghissime zampe posteriori ripiegate e le antenne che vibravano, in cerca di segnali dall'ambiente circostante.

 

"Uahaaaaa!!!" gridó allora terrorizzata, facendo un salto di un metro per allontanarsi da quella cosa. "Che schifoooo!!! Ma siete pazzeeeee!!"

 

Ci fu una risata generale. Kibi si piegò in due con le lacrime che le scendevano dagli occhi a furia di sbellicarsi.

 

"Ma portatelo via!!!  Mi fa orrore!" continuó Marty, ululando e scappando in tutti i lati della palestra.

 

"Guarda che non si rifiutano i regali in Giappone! È grande scortesia!" le gridó Clara.

 

"Portatelo in giardino! Liberatelo!" urló Marty. "Mister! Per favore!"

 

Ma Nolan era a sua volta troppo divertito dalla situazione. "Mi spiace, Laughton. Non m'immischio!"

 

"Guarda che il contenitore è un oggetto di antiquariato! I tifosi hanno fatto una colletta per regalartelo!" le gridó Sue. Poi si giró verso le altre. "Sì peró, in effetti...che schifo. E poi è enorme, ma dove l'hanno preso?"

 

"In un negozio di animali. Non è un grillo campestre. È un razza particolare che vive molto a lungo e ha un canto unico. Viene dalla regione dei Cinque Laghi. Il fatto è che è cresciuto in una teca, se lo liberiamo morirà. Poi adesso è inverno, gli insetti non reggono il gelo." spiegó Lara. "Poverino."

 

"Macchè poverino! Io non vado a casa con quel mostro!! Via, via!" gridó ancora Marty.

 

"Porta fortuna!" le disse Kibi. "Sono insetti sacri nella cultura cinese! Come? Non lo sai!!"

 

"Non me ne frega niente!!!" disse Marty. "Io ho la fobia, non riesco neanche ad avvicinarmi. Ma cosa è venuto in mente ai tifosi!" 

 

"È un regalo adattissimo a te! Un grillo per il nostro grillo di Shanghai. Non la prendere a male, credevano di farti una sorpresa originale. Al limite puoi farlo uscire e tenerti la teca. Ha un valore, è in legno di quercia intagliato." suggerì Kibi. "Comunque...adesso facciamolo sparire. Lara, Sue, riportatelo negli spogliatoi, vicino al calorifero. Deve stare al caldo." 

 

"Altro che sorpresa...Cristoh..." ansimó Marty. "E senti...Kibi, dovrei dirti una cosa. Mister, posso fermarmi altri cinque minuti?" 

 

"Solo perché oggi è il tuo compleanno." sospiró Nolan. "Le altre, tutte in campo!"

 

Marty e il suo capitano andarono in in angolo della palestra, protette da una pila di materassi. 

 

"Ahaha dovresti vedere come sei impallidita!" la prese in giro Kibi.

 

"Sì, bella roba...ascoltami, c'è...una cosa che devi sapere...e vorrei dirtela io." esordì Marty. 

 

"Hm? Dimmi." 

 

"Ci siamo messi insieme." annunció Marty. Lo fece velocemente, per arrivare subito al dunque senza troppi giri di parole.

 

Kibi fece sparire il sorriso dal suo volto. 

"Tu...e Ed?" 

 

"Sì. Sabato sera. E abbiamo anche dormito insieme...cioè... non l'abbiamo fatto ma..insomma, sai cosa voglio dire." raccontó Marty.

 

"E lui era lì il mattino dopo?" chiese freddamente l'altra.

 

"Sì." rispose Marty. "A parole dice di volerla prendere sul serio, poi...non so...vedremo." 

 

"Che bello." commentó l'altra. 

 

"Prima che la voce ti arrivi da altre fonti, mi sembrava giusto informarti. Per quello che c'è stato fra te e Ed, soprattutto." continuó lei.

 

"Cioè mi vuoi dire che tu hai avuto successo dove io ho fallito?" rispose il capitano.

 

"No! Non è questo. È che abbiamo preso la decisione di provarci. Non so come andrà, magari male, ma..."

 

"Guarda che non devi indorarmi la pillola. Non c'è nessuna amara pillola per me da  ingoiare. Ho un ragazzo, e sto bene. Si vede che con Ed non c'era storia. Che altro posso dire. Magari vi siete trovati tu e lui." buttó lì Kibi.

 

"Non ti arrabbiare peró..."

 

"Ti sembro arrabbiata? No. Sono solo preoccupata per la squadra, a questo punto. Perchè il tuo bello a fine Aprile leverà le tende e se ne andrà in ritiro per i Mondiali...e tu che farai?  Sarai vittima di attacchi di nostalgia?" chiese Kibi.

 

"No. Te lo prometto."

 

"Ho già visto che influenza ha lui sui tuoi stati d'animo. Nel finale di stagione non possiamo permetterci di perderti. Ti è chiaro?" le disse l'altra.

 

"Lo so. Lo so bene Kibi." la rassicuró Marty. "Saró concentratissima vedrai."   

 

Kibi la contempló per un attimo.  "Certo che non ti capisco... con tutto quello che mi hai detto, con tutto quello che ha fatto..."

 

"Sì...ma sai, ho realizzato che lo desideravo, nonostante tutto.  Sono stanca di rinunciare a ció che voglio. Ed mi è piaciuto subito, sono stati mesi di casini mentali a causa sua. Allora forse è il caso di tentare. Poi se andrà male, almeno potró dire di averci provato.  Ho il terrore dei rimpianti." spiegó lei. 

 

"Ah...contenta tu. Buona fortuna." le disse Kibi. "Adesso peró torniamo in campo. E sarà meglio che ti porti a casa quel cazzo di grillo stasera."

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Antiche famiglie ***


"Mia madre vorrebbe che tu venissi da noi stasera. Le ho detto di noi domenica, quando sono tornato a casa. È felice." le disse Ed al telefono, quando si sentirono in una pausa dei rispettivi allenamenti. "Sa del tuo compleanno."

"Stasera? I miei mi staranno aspettando per festeggiare insieme. Alla fine abbiamo deciso per una cena in casa, solo noi tre. Non so se ce la faccio, Ed." rispose la ragazza.

"Ci tiene molto. Mio padre...lui non è stato entusiasta, ma credo che non ti impedirà di venire da noi." insisté Warner. "Non è che devi fermarti a cena, solo un salto. Tra l'altro ho una sorpresa per te." 

"Un'altra...?" disse lei. "Sai cosa mi hanno regalato le mie care compagne? Un grillo vero, in una teca!!"

Ed rise di gusto. "Come, un grillo?! Ma scherzi? Tu che odi gli insetti..."

"Infatti. Peró, sai...pensandoci, potrei liberarlo nel vostro giardino. Si troverebbe bene con tutte quelle piante." riflettè la giovane. 

"Morirebbe per il gelo. O finirebbe nei laghetti e poi nello stomaco di qualche carpa." la contraddisse lui. "...che regalo bizzarro, comunque. I tuoi tifosi hanno avuto una pensata originale a dire poco."      

"Perché mi chiamano grillo di Shanghai." riveló Marty. "È il mio nome di battaglia, qui."

"Molto appropriato. Sai che io e te in fondo giochiamo in un ruolo simile? Io sono l'estremo difensore della mia squadra, e anche tu hai questo scopo: salvare il risultato." le disse lui. "E mi piace molto quel colpo che fai quando sei incaricata della battuta. Hai una capacità nel salto straordinaria...quasi come la mia!" 

"Che dici...tu sei un acrobata. Fai certe cose che io non mi sognerei mai di fare." rispose stancamente Marty. "...ho parlato con Kibi, prima. Cioè, di noi due." 

"Hm...come l'ha presa?" volle sapere lui. "Avrei dovuto dirglielo io."

"Mi pare bene. Ma adesso lei è in una relazione, non ha più te in testa. Meglio, no?" chiese la ragazza. "Temevo la sua reazione. Ha sofferto a causa tua."

"Lo so. Per questo con te non faró lo stesso errore. Ci andremo con cautela. Ho avuto abbastanza rimorsi dopo quella notte con lei." sospiró Ed.

"...che rimorsi? Lei era innamorata, c'è stata di sua volontà." obiettó lei.


"Lasciamo perdere." glissó Ed. "Vieni da noi quindi?"

"Okay, ma davvero non mi fermeró molto." rispose Marty. "Spero che tua madre non si scocci se me ne vado..."

"Ma no." ribattè Ed. "Dopo al cancello, ok? Per che ora finisci?"

"Alle otto come al solito. Tu?" 

"Alle 18:30 come al solito." sospiró Ed. "Vorrà dire che mi fermo al campo ad esercitarmi con Danny sui rigori. Adesso che i mondiali si avvicinano ha il terrore di non essere abbastanza pronto. Mi dà il tormento tutti i giorni perché mi eserciti con lui ." 

"E tu da bravo vice capitano fai solo il tuo dovere..." gli rispose Marty. "A dopo, torno dalle ragazze." 

"A dopo...e senti...Mark è nervoso ultimamente. L'avrai notato, visto che sei andata a  parlargli negli spogliatoi prima." aggiunse il portiere.

Marty ebbe un attacco della solita ansia, che puntualmente si presentava quando Ed dava segni di gelosia.

"L'ho salutato e basta. Aveva un regalo di sua sorella per me." si affrettó a chiarire.

"Ah sì? Che carina Naty. È innamorata di me da quando ha sei anni..." sorrise lui.

"E questo mi fa preoccupare...ci rimarrà male quando saprà che il suo ragazzo dei sogni sta con un'altra, e che quest'altra è la tizia che  lei sognava come moglie di suo fratello..." 

Si accorse dell'infelice gaffe subito.

"...sua moglie?" indagó Ed. 

Marty si schiarì la gola. "Ma sì...dai...sono quelle fantasie da bimba...le sono simpatica e vorrebbe che mi fidanzassi con Mark...sono l'unica ragazza che lui abbia mai presentato ai suoi famigliari. Capisci..."

"Sì." rispose l'altro, secco. "Capisco benissimo."

"Ed...non cominciare, eh? Quando usi questo tono mi innervosisci." lo avvertì la ragazza. 

"Non agitarti. Ho detto anche a Mark che non ho problemi a sapere che tu frequenti casa sua." ribattè Ed. "Nessun problema."

"Non penso di andare più da loro, comunque. Giusto perché tu lo sappia." terminó Marty. 

"Come vuoi. Non te lo impedisco." aggiunse freddamente il ragazzo. "Allora ci vediamo più tardi." 

"S-sì. Dai, a dopo." e poi chiuse la chiamata. 

Guardó il grillo chiuso nella teca che zompettava avanti e indietro. Provó quasi pena per lui. 

Se l'avesse liberato, sarebbe morto di gelo. Ma lì dentro, era in prigione. Non aveva spazio per saltare.

E non friniva neanche più. Forse il calore del termosifone era eccessivo. Resistendo alla nausea che quell'insetto le provocava, Marty spostó la teca su un tavolino. 

"Non ti azzardare a scappare fuori di lì." lo minacció lei. "Ricorda che fine ha fatto il tuo fratellino nella favola di Pinocchio. Spiaccicato contro un muro. Ci metto poco, eh."

In quella favola il grillo era la voce della coscienza del burattino, e il fatto che avesse smesso di cantare le sembró un fatto stranamente simbolico. Forse era la sua coscienza che si era silenziata, rifiutandosi di registrare quel tono asettico e gelido che Ed aveva appena usato. Lo stesso tono che gli aveva già sentito quella brutta sera, quando l'aveva... 

(assalita)

...quando l'aveva accusata di tradimento con Benji. 

Si rifiutó di tornare con la mente a quegli attimi. Lui si era scusato, si era pentito, le aveva detto che mai più sarebbe successo. E Marty aveva un disperato bisogno di credergli. 

Guardó l'animaletto che poggiava le zampette sul vetro della teca. Sembrava agitato. Magari aveva fame.

Poi un pensiero la colse. 

“Come faró a nutrirlo?”


🎋🎋🎋

"Chiamo un taxi." disse Marty, quando si videro fuori da scuola. "Mio padre è un po' scocciato di tutte queste chiamate a Uber. Vengono addebitate sulla sua carta di credito."   

"Non disturbarti. Prima sorpresa..." sorrise Ed. "Vieni."

La condusse a un parcheggio lì vicino: si fermó di fianco a un Mitsubishi Pajero bordeaux. 

"...il tuo taxi." e sorrise.

"No..." Marty rimase a bocca aperta. " ...tua??!"

"Di mio fratello. È il suo fuoristrada, lo ha lasciato a Tokyo. A gennaio ho preso la patente, ho aspettato ad usarlo per via dell'assicurazione, per farla revisionare e il resto. Ma adesso almeno non vado più in giro a piedi!" rispose Ed, aprendo la serratura automatica. "Salga pure, Maestà."

"Ma...ce la fai a guidare una macchina così grande?? Sei neo-patentato." si stupì lei, arrampicandosi sul sedile del passeggero. 

"Daniel mi ha insegnato a guidare quando avevo quindici anni. Andavamo nei parcheggi, a provare. Per cui sì, lo so portare da tempo. Visto che comodo?" fece lui.

"E perché non se l'è portato a Osaka?" domandó Marty.

"Perchè è un'auto vecchiotta. Lui ne vuole una nuova. Io la uso finchè son qui, a Yokohama ne compreró  anch'io una nuova." rispose Ed. 

"...e i sedili posteriori sono enormi!"'notó Marty. "Uno ci potrebbe dormire..."

Ed accese il motore e le luci. 

"Sai che è una macchina adatta a te? Le jeep hanno un che di avventuroso..." disse Marty.  

Osservó Ed. 
Forse era il fatto di vederlo alla guida, forse era l'abbigliamento che aveva: un dolcevita bianco e sopra sciarpa e cappotto, sembrava uscito da un ufficio anzichè da un campo di calcio. Improvvisamente, le sembró adulto.

"Preferisco le macchine basse. Ma al momento non sono fornito abbastanza di denaro per prendermela." le rispose, mettendosi sulla carreggiata. 

"E l'assicurazione e il bollo...cioè, paga tuo padre?" chiese lei.

"Un po' di soldi li ho, miei. Nel dojo sono una specie di assistente a mio padre, alleno i principianti. Parte del ricavato delle iscrizioni lo cede a me." replicó lui. "Dov'è l'insetto?"

"Ah...nella sacca. Lo porto a casa e poi in primavera lo libero. Non ce la faccio a ucciderlo. Per quanto provi ribrezzo ogni volta che lo guardo." rispose Marty. 

"Hai un'indole compassionevole. Anche questo amo di te." le disse lui. Fermi al semaforo, si allungó verso di lei per darle un bacio.

Il grillo si fece sentire, con un cri cri molto sonoro da dentro la sacca.

"Che baccano che fa!" commentó il ragazzo.

"Vero. Non mi farà dormire di notte." riflettè la giovane. "E mia madre andrà fuori di testa quando lo vedrà."

"Una cosa che non sai sui grilli, è che leggenda vuole siano reincarnazioni dei nostri defunti." la informó Ed. "Lo dice anche mia madre, quando ne vede uno in giardino. Dice: questo è la buonanima di tuo nonno."

"Cosa faceva tuo nonno? Cioè, nella vita chi era?" volle sapere Marty.

"Era un samurai." rispose Ed. "Un vero samurai. Almeno nell'anima."

"Ma...al corso di Storia ho imparato che i samurai sono decaduti come classe nel 1700." disse la ragazza.

"Sì, ma non i loro valori. Mio nonno discendeva da una famiglia di rango militare. I suoi antenati erano guerrieri veri e propri. E infatti, il nome di mia madre sakura, , significa 'ciliegio'. È l'albero simbolo delle arti marziali e sacro nella cultura dei samurai." rispose il giovane.

"Interessante. Certo che avete una cultura antica e variegata voi Giapponesi." fece lei. "Ecco da dove viene il tuo spirito combattivo. Ce l'hai nel sangue."

Come l'orgoglio, pensó, ma non lo disse.

"In gran parte abbiamo ereditato quella cinese. Siamo i loro fratelli minori. Eccoci." 

Arrivarono alla grande muraglia della residenza Warner.

"Ed, ma che regalo mi devi fare? Spero tu non abbia speso dei soldi. Mi seccherebbe." gli disse lei, quando scesero dalla macchina.

"Tu li hai spesi per i miei guanti, e non eravamo neanche insieme." le rispose.

"S-s-sì. Senti...a proposito...io devo dirti che in parte mi è dispiaciuto per quella sera, anche perchè abbiamo rovinato il tuo compleanno. E era importante, diciotto anni. Mi è rimasto questo senso di colpa..." ammise lei.

"Ma cosa dici? Sono io che..." 

Il grillo ricominció subito a frinire. 

"...ma questo ti spacca i timpani!" disse Ed. "Accidenti."

"Non so dove l'hanno preso! Fa un casino incredibile!" ribattè lei, agitando la sacca. 

"...comunque, per il tuo regalo non ringraziare me, ma mia madre. Vedrai che ti piacerá."



Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** I dubbi di Marty ***


 

"Signora, io questo non posso proprio accettarlo. Davvero, no. È troppo." disse Marty, quando la madre di Ed le mostró il kimono in seta.

 

"Era mio. È molto prezioso, lo indossai solo una volta, a una festa tradizionale. Lo fece mia zia, una grande artigiana tessile. Intendevo darlo a Sandra, la moglie di Daniel, dopo il matrimonio...ma...pensandoci, non è adatto a lei. Lo vedo meglio per te." rispose la minuta donna.

 

"Ma perchè a me? Cioè, è un oggetto di famiglia, possibile che voglia cederlo così, senza pensarci due volte?" domandó la ragazza.

 

Era un indumento favoloso, color blu notte e con magnifiche rondini stlizzate ai lati. 

 

La madre di Ed lo aveva tolto da una grossa scatola, pure quella molto elegante. Si vedeva che era un oggetto di lusso.

 

"Non mi va più bene..." sorrise la donna. "E poi, è uno spreco tenerlo qua dentro. Consideralo un regalo per festeggiare la vostra relazione. Magari non è un fidanzamento vero e proprio, ma l'inizio di una bella storia, che entrambi inseguivate da tempo. E sai, sono davvero, davvero felice che tu abbia perdonato mio figlio." 

 

Ed abbassó lo sguardo, un po' vergognandosi.

 

"...lui è un ragazzo che ha tante splendide qualità, ma forse fino ad ora non aveva una compagna in grado di tenere a bada il suo lato piú dirompente. Io davvero spero tu voglia accettare questo ruolo,  cara Marty. E così potrete crescere, e migliorare insieme." continuó la donna. "Perdonerai mio marito, se fatica ad accettare la cosa."

 

Il signor Kaito infatti non c'era. 

Nella calda e accogliente sala da tè, sua moglie e i due ragazzi si erano radunati per un breve festeggiamento del compleanno di Marty. 

 

"Mi dispiace questa situazione, mamma. Io ti prego di parlare con papà, e fargli capire che sbaglia.  Come sei stata franca con me, dovresti esserlo con lui." s'inserì Ed.

 

"Ci sto lavorando. Dammi tempo. Le tradizioni e la mentalità della nostra famiglia sono secolari. Non si cambia tutto con uno schiocco di dita. Ma ti vuole bene, non vuole che tu sia scontento. Ora che con lei la pace è fatta, ne sarà perlomeno sollevato. Marty..." disse, rivolgendosi alla giovane. "Fummo davvero delusi e sorpresi dalle azioni di Ed verso di te. Quel fatto è stato assolutamente biasimato in questa casa. Devi saperlo."

 

Marty distolse lo sguardo.

"Sì signora. Anch'io ne soffrii. Ma mi piace pensare che il passato puó insegnare qualcosa. Ecco...ció che mi ha insegnato è che il rispetto reciproco è la base di ogni amore. Ho le mie colpe. Non fui onesta con suo figlio."

 

"Ma ora è il presente ció che conta. Come siete belli, insieme! E ti chiedo di accettare il mio dono. Non so se ti andrà bene, ma puoi farlo sistemare da una sarta." continuó Sakura.

 

"Mamma...vorrei che papà venisse qui." sbottó Ed, improvvisamente. "Marty compie gli anni e questo momento è importante per lei e per me.   Dov'è?" 

 

"È nel dojo. Ma sai quale sarà la sua risposta." ribattè la donna. "Dagli tempo, figlio."

 

"No. È ora il tempo. Marty, fermati altri cinque minuti, ti prego. Lo porto qua." fece lui.

 

"Non è necessario. Non forzare le cose..." replicó la giovane irlandese.

 

"Non preoccuparti. Non lasceró che ti tratti come un'ospite sgradita." rispose Ed. Poi corse fuori, in giardino.

 

"Tiene così tanto a te." disse Sakura, con un sorriso. "Da madre, mi fa tenerezza vederlo così coinvolto dal suo primo amore." 

 

"Ma non sono la sua prima partner..." obiettó lei.

 

"Quelle precedenti erano sollazzi temporanei. Mai gli ho sentito dire: amo questa ragazza. Di te, invece, l'ha detto. Devi avere qualcosa di magico, per aver rubato il cuore di uno come lui." continuó Sakura. "Ti offro qualcosa?"

 

"No signora davvero! Io dovrei andare, i miei mi aspettano. Hanno preparato la cena e la torta. La ringrazio." rispose Marty, sulle spine. 

 

"Sì, capisco. I genitori sono tutti uguali!" e rise lievemente. 

 

Fu Marty, peró, a non sorridere. 

Guardava a terra e sembrava triste.

 

La signora Warner se ne accorse. "Cara...stai bene?"

 

"Non credo di potere accettare il dono, signora. È impegnativo." confessó. "Dice bene, non è un fidanzamento."

 

Sakura divenne seria. 

"Questa frase mi fa pensare che questo rapporto con Ed non ti convinca. Hai dubbi? E scusa se lo chiedo..." 

 

"No..." mormoró Marty. "'Ma è il terzo giorno che stiamo insieme, e il suo regalo...la discussione di Ed col padre...mi sento un po' in ansia, scusi."

 

"Perchè mio figlio vuole che noi ti accogliamo nella nostra famiglia. Cosa ti genera, ansia, dimmi?" chiese la donna.

 

"Mi pare precipitoso...cioè, insomma...io vorrei viverla con leggerezza." rispose la giovane. "Mi piace moltissimo Ed. È solo che..."

 

"C'è un altro?" chiese di punto in bianco la donna. "Un altro nei tuoi pensieri?"

 

"No! No, mi creda!" ribattè lei. Suonó terribilmente forzata. 

 

"Ti comporti come se invece fosse così." disse Sakura. "Non prendere in giro mio figlio, ti prego. Lui ha sbagliato con te, ma non merita questo."

 

"Non lo prenderei mai in giro. Io sono confusa peró, è il mio primo ragazzo.  Non è che voglio lasciarlo per un altro, ma dobbiamo vedere come funziona. Sa, dopo quello è capitato..." balbettó Marty.

 

"Questo è un po' come mettere le mani avanti.  C'è qualcosa che ti terrorizza, ma non è Ed, vero? È la paura di fare la scelta sbagliata. Dici il vero, non siete obbligati a sposarvi ci mancherebbe. Peró questa angoscia che trasuda dai tuoi occhi mi fa pensare che qualche pensiero ti turbi. Forse temi di legarti a chi non vuoi davvero." riflettè Sakura. "Spero di sbagliare." 

 

"Non c'è nessuno, lo ripeto. Signora, è solo che sono agitata per la mia prima relazione. Tutto qui." ribadì lei. 

 

"Va bene, allora. Ti credo. Ma tieni il kimono. Da molti anni è sepolto nell'armadio, non voglio che la sua bellezza sia sacrificata cosí." disse allora la signora. 

 

"Se insiste, lo terró. Ma se un giorno lo rivolesse indietro, glielo renderó senza fiatare." promise Marty, e Sakura Warner ebbe l'impressione che non si riferisse solo al costoso indumento.

 

Quella ragazza nascondeva qualcosa. Lei e la madre di Ed si guardarono senza parlare.

Sembrava non ci fosse più nulla da dire al riguardo.

 

🎋🎋🎋

 

"Ti prego di non sfidare i miei princìpi." disse Kaito Warner al figlio. "Ti è andata di lusso che quella ti abbia perdonato, ma non chiedermi di accoglierla come una nuora." 

 

Il padrone del dojo e padre di Ed, tiró un potente calcio a una delle colonne di legno dell'edificio, rivestite di gommapiuma. La struttura vibró, come scossa da un terremoto.

 

Era intento ad allenarsi da solo.

Kaito era un uomo di cinquanta nove anni, e nonostante l'età, aveva mantenuto un fisico tonico e scolpito. Somigliava molto al primogenito, da lui Ed aveva ereditato l'ampiezza della schiena e le forti braccia.

 

Ma in generale, suo figlio minore aveva preso decisamente di più dalla famiglia di Sakura. Incluso quel carattere lunatico e solitario, e incline alla riflessione.

 

"Papà, ti prego solo di accoglierla con civiltà. Non ti impongo di affezionarti a lei. Non vuoi bene nemmeno a Sandra, per te le donne non sono che serve!" ribattè Ed. "Ma lei per me è importante. Ci siamo perdonati a vicenda, il nostro sentimento ci ha spinti insieme. È brutta questa cosa, è brutta?!"

 

"Il...vostro sentimento?! Figlio, tu sei giovane, e la tua gioventù ti acceca. Perchè quella bianca non ti ha mandato a quel Paese dopo l'episodio del tuo compleanno? Ne avrebbe avuto ben diritto, e lo dico anche se sono tuo padre. È tornata strisciando da te, anche se non meritavi altro che il suo disprezzo. Ma non ha un po' di amor proprio?!" ribattè Kaito, sferrando un pugno alla colonna. "Chieditelo, ragazzo mio."

 

"Le ho chiesto perdono. Lei ha accettato le mie scuse, e ci vogliamo provare. Se tu insisti a metterti contro di lei, ti riterró un mio nemico. E non voglio. Tengo alla mia famiglia." ribattè Ed. 

 

"Non tieni a tuo padre. Le mie non sono idee razziste nè antiquate. Quegli occidentali sono falsi e furbi come piccoli demoni. Le sue smancerie finiranno presto, Ed. Sono leggere e vacue come i suoi capelli biondi, e quegli occhi azzurri nascondono intenzioni disoneste. Io sono solo sollevato che non ti abbia denunciato, almeno non hai attirato problemi sulla nostra famiglia. Ma ti avverto..." gli disse, puntandogli un dito contro. "... soffrirai. Soffrirai come non immagini se insisti con lei. Alle occidentali non piacciono i Giapponesi, sono solo interessate a spendere i soldi dei loro mariti, e se i loro mariti sono ricchi giocatori di calcio tanto meglio.  Siamo popoli diversi, figlio. L'Occidente è corrotto."

 

"Anche noi Giapponesi abbiamo le nostre colpe nella Storia. Quello che abbiamo fatto ai Cinesi...nella Seconda Guerra Mondiale...alle loro donne... non esiste una civiltà divina." rispose io ragazzo.

 

"Taci." gli disse Kaito. "Non verró a salutarla. Ti concedo di farla venire qui, se desideri. Ma avvertimi prima, e non mi faró trovare in casa.  Ora va', lasciami terminare." 

 

"Tu mi hai sempre detto di affrontare la vita come affronto i combattimenti: con equilibrio. Ma ti rifiuti di valutare le qualità positive di Marty con equilibrio. Sulla tua bilancia personale ci sono solo i difetti, solo cose negative. Questo non va bene papà. Questo è sbagliato!" sbottó Ed.

 

"Vattene." rispose seccamente Kaito.

 

Stringendo i pugni, il figlio si giró e abbandonó il dojo. 

 

Il signor Warner sospiró, e riprese il suo allenamento.

 

🎋🎋🎋

 

"Mamma, sto arrivando! Sono a casa di Ed...sì, il ragazzo che è venuto da noi quella domenica. Ehm...sua madre voleva farmi gli auguri. Tra mezz'ora mi porta lui a casa!" disse Marty. "E poi mi ha fatto un regalo, un kimono che vale duemila euro! Non posso fare la scortese." 

 

"Accidenti...che signora gentile. Ma credevo non frequentassi più quel giovane. Beh, mi spiegherai..." rispose Joanne Laughton. "Comunque, torna appena puoi. Capito?? Sono quasi le nove!"

 

"Va bene. Dai, saluto la signora e dico a Ed di accompagnarmi!" rispose Marty. Poi chiuse frettolosamente la chiamata. 

 

Joanne mise il telefono su uno scaffale. 

Si giró.

 

"È in ritardo, è a casa di un compagno di scuola! Perdonala!!" sorrise all'ospite seduta sul divano, che l'aspettava da due ore. 

 

Era arrivata in gran segreto a Tokyo la domenica sera.

 

"Non si preoccupi, signora. La conosco. Non è mai puntuale!" rise la ragazza.

 

"È una gran cosa che ti fermi una settimana! Starete insieme, credo le farà bene." disse Andrew. "Ma come fai con la scuola?"

 

"Una settimana di pausa premio per i miei risultati nella pallavolo!" rispose Maylin. "Il preside della Zhidāo l'ha concesse in via straordinaria a me e alle compagne. Stiamo vincendo anche l'ultimo campionato del liceo."

 

"E poi, diventi professionista?" chiese la madre. "Il sogno di Marty"

 

"Sí...il Sichuan mi ha già ingaggiata, ho firmato il contratto da poco. Sono venuta qui per dirlo a lei a festeggiare due cose: il suo compleanno, e il mio futuro!" replicó Maylin. "Sono sorpresa da me stessa."

 

 "Per cosa? Per il tuo successo?" chiese il signor Laughton.

 

"No. Per il fatto che sono in Giappone." sospiró May. "...è da non credere. Vostra figlia è riuscita a trascinarmi in questo dannato Paese."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Maylin ***


"Non l'hai detto ai tuoi, vero?" chiese Ed, mentre accompagnava la ragazza a casa in macchina. 

 

"No. Se l'avessi fatto ieri, mia madre avrebbe avuto la conferma che hai dormito da noi. Ha trovato in lavatrice lenzuola e federe, non mi ha chiesto nulla …ma ho capito da come mi ha guardata che ha dei sospetti. Con loro vorrei affrontare la cosa più avanti…sanno che stasera ero venuta da te solo perchè tua madre voleva farmi un regalo." rispose Marty.

 

"Hmm. Secondo me non la prenderanno male." ribattè Ed. 

 

"Ah! Vedrai, mio padre ti inviterà da noi ogni mercoledì di coppa a guardare la Champions, sappilo!" disse lei. "Ma sei il primo ragazzo che frequento e anche per loro è una novità. Devo prepararli."

 

Arrivarono davanti al cancello dei Laughton. Ed spense la macchina e la tiró a sè, abbracciandola.

 

"Senti un attimo...ma la tua ex... cos'ha detto? Cioè, l'hai solo chiamata e le hai detto brutalmente è finita?" indagò lei. 

 

"Io e Beverly ci prendiamo e lasciamo da tre anni. Non è la prima volta. Poi giovedì parte per l'Europa, ha dei lavori da fare a Parigi per la Settimana della Moda. Si consolerà con qualche Francese, bella com'è non resta certo a piedi..." spiegó il ragazzo. 

 

Marty si sentì pizzicare un nervo a quell'osservazione. "È bella vero?" 

 

Ed rise. "Beh dai...non negarlo. Faceva la modella di intimo prima di iniziare con le foto, e ancora si presta a servizi pubblicitari a volte. Avevo quindici anni quando l'ho conosciuta e lei diciannove. Non è stata la prima, ma un'ottima seconda..."

 

"Che finezza. Tu a trent'anni sarai uno di quelli che passano da un letto all'altro ogni sera..." sospiró la ragazza. 

 

"Devi avermi confuso con Benji. No, io ho sempre pensato di me stesso che riserveró il mio cuore solo a una persona. E sarà per sempre. Il sesso, se ci pensi, è solo una cosa meccanica e anche piuttosto volgare." riflettè lui. Prese una ciocca dei suoi stessi capelli e le solleticó il naso.

 

"Del sesso, io non so ancora niente." disse Marty. "Te lo ricordo."

 

"Tempo al tempo, tesoro. Tempo al tempo." fu la risposta del giovane portiere.

 

Marty aprì la portiera, e scese con la sua sacca e la scatola col kimono. "Dovrei chiederti di entrare, ma..." 

 

"No, è una cena fra voi, già una volta mi presentai a casa vostra di punto in bianco. Vai dai tuoi, sta' con loro. È giusto così. Ci sentiamo stasera per la buonanotte."  rispose Ed. "Quel grillo...mettigli della frutta e un batuffolo di cotone imbevuto di acqua. È un insetto che beve molto." aggiunse.

 

"Come lo sai? Anche entomologo oltre che filosofo dell'amore?" scherzó la giovane.

 

"Li vedo nel giardino, d'estate. Sempre attorno ai laghetti e all'albero di nocciole. Bisogna osservare la natura, cara Marty." sorrise Ed. "E le persone."

 

I due si lasciarono finalmente e il ragazzo ripartì. 

 

Lei lo guardó svoltare con il fuoristrada dietro l'angolo e poi varcó le soglie della loro proprietà. Era sempre più bello, sempre più sexy, e stranamente sembrava che la sua altezza stesse addirittura aumentando. 

 

Quel lunedì, a scuola, non c'erano stati ancora agguati da parte delle ammiratrici, ma solo perchè la voce ufficiale della loro relazione non si era diffusa. Dal giorno dopo in poi ci sarebbe stato il vero banco di prova. 

 

Guardó verso casa.

Speró che sua madre non avesse esagerato con il cibo, perchè stava lottando per rimanere in forma e non poteva guadagnare neanche un etto. 

 

Afferró le chiavi e le infiló nella toppa. 

Entró.

 

La vista di Maylin seduta sul grande divano del soggiorno, con indosso un vestito di maglia rosso, i capelli raccolti e i suoi orecchini di corallo, la lasció del tutto esterrefatta. 

 

Rimase imbambolata, con la bocca aperta in una grande O di sorpresa. Lasció cadere la sacca a terra, e il grillo protestó con un sonoro cri cri che echeggió nel salotto. Stava quasi per fare cadere anche la scatola decorata della signora Warner, ma sua madre l'afferró al volo. "Che bella confezione...è il kimono?"

 

"Non è vero..." mormoró Marty, ignorando la donna. "Non ci credooo...!!" 

 

Si portó le mani alla bocca, e gli occhi le si spalancarono. "Mayyyyy!!!!"

 

"Guarda cosa mi hai fatto fare. Trascinarmi fin qui. Sai quanto odio il Giappone!!" sorrise l'amica, poi le due si corsero incontro. L'abbraccio fu più che caloroso, e Marty sentì quasi le ossa della gabbia toracica scrocchiare. "Oddio...May...sei venuta qui!! Non mi sembra vero!!" 

 

"Per vedere cosa combini nella terra dei mangia-sushi. E vedo che sei sempre ritardataria!" rispose l'amica. "Peró ti trovo in forma! Fisico tonico come ai bei tempi!" 

 

"Oh signore...ma io...io ho una montagna di cose da dirti!! Ma quando sei arrivata?!" chiese la ragazza bionda, con le lacrime agli occhi.

 

"Ieri, ma non ti ho avvisata per farti una sorpresa oggi. Mi sono annoiata in giro per Tokyo, con il mio traduttore automatico e tanta pazienza! Ti rendi conto che qui ti devi inchinare per qualsiasi boiata??"  rise Maylin.

 

"Lo so!! Ma dormi da noi, vero? Dormi in camera mia, ho un letto gigante!!" esclamó Marty, emozionata. "E quanto stai??"

 

"Fino a sabato. Regalo del nostro vecchio preside. Ma ti spiego dopo!" ribattè la cinese."...comunque sto in albergo, qui vicino. Perchè togliermi l'ebbrezza di dormire a terra, sul comodissimo futon?"

 

"Disdici la prenotazione, no?? Mamma, non puó stare con noi, Maylin?" chiese Marty.

 

"Se vuole..." annuì la signora.

 

"No, non disturbo. Va bene così, tanto è un hotel a due passi da qui." ribattè Maylin. "Ormai ho disfatto i bagagli. Auguri comunque!!!" 

 

"Grazie!! Oddio...sono sconvolta.." disse Marty, sedendosi.

 

"Ragazze, io direi di metterci a tavola. È tutto apparecchiato!" propose il padre. "Ma cos'è questo rumore? Una suoneria?" 

 

L'insetto si fece sentire di nuovo. Sembrava seccato che tutti lo ignorassero.

 

"Ehm...è un grillo da compagnia. Lasciamolo lì al caldo nella sacca. Poi lo porto in camera mia. Mi dispiace, è un regalo dei nostri tifosi." spiegó la ragazza. 

 

"Un ...cosa...?" chiese la signora Laughton. 

 

"A Shanghai esiste un quartiere in cui la gente vende animali, c'è un negozio che ha sempre i grilli in vetrina. Da noi sono un portafortuna." disse Maylin. "Non ti farà dormire la notte."

 

"P-p-pensi di tenerlo in casa? Ma tu sei pazza." sbottó Joanne.

 

"Mamma, accomodiamoci al tavolo per favore. Ci pensiamo dopo, eh?" rispose Marty. "Dio santo, che giornata."

 

🎋🎋🎋

 

Dopo cena, e dopo la torta, le due ragazze corsero in camera di Marty, finalmente libere di parlare in pace. A tavola, la ragazza aveva con fatica mantenuto la bocca chiusa su Ed e lei, e si erano tutti intrattenuti con i racconti di Maylin a proposito della sua fresca promozione a giocatrice professionista e con notizie dalla Cina.  

 

Ma aveva disperatamente bisogno di sfogarsi, e fu grata a Dio che la sua grande amica le avesse fatto quell'improvvisata.

 

Appena salite trovó un pacco sul suo letto, chiuso da un bel fiocco di seta rossa. 

 

"Anche il regalo!! Ma dai...la tua visita è già abbastanza!" esclamó Marty. 

 

"Firmando col Sichuan ho avuto un anticipo in soldi. Non stare a preoccuparti, me lo posso permettere. Ti piacerà." le fece l'occhiolino Maylin sedendosi sul letto. 

 

"Lo apro?" chiese timorosamente l'amica. Pose la teca col grillo sulla scrivania. Sua madre aveva nel frattempo portato anche il kimono in camera. Era ancora inscatolato. 

 

May guardó l'insetto. "Comunque quello lì non è proprio un grillo, cara. È una razza di cavalletta gigante. In Cina le chiamiamo guoguo. Sono da compagnia perchè non saltano neanche, hanno le ali atrofizzate. Le allevano in cattività. Se la tieni in mano, si affeziona, pure." 

 

"Bleah. Mi vengono i brividi. Quella se ne sta lì fino ad Aprile, poi tanti saluti. Non la faccio uscire ora perchè morirebbe. Ma poi con i primi caldi apro la teca e via." disse Marty, e maneggió la confezione.

 

Apparve un magnifico abitino in stile coreano, rosso con ciliegine dorate ovunque. Era in seta. Seta cinese.

 

"Lo sapevo. Non hai dimenticato i miei gusti. Favoloso. Questo lo metto per la festa scudetto della pallavolo...se vinceremo!!" esultó Marty.

 

 

 

"Ti ricordi come si chiama questo tipo di abito?" chiese May.

 

"Cheongsam." rispose sicura lei. "Ne avevo uno azzurrino a Shanghai, poi si ruppe. Grazie May." le diede un bacio su una guancia. "Ho avuto un kimono oggi, anche."

 

"Regalo di chi?" indagó l'amica.  "I kimono costano parecchio."

 

"Della madre di Ed..." balbettó Marty.

 

"Ed...il portiere coi capelli lunghi e il culo sodo? Quello che ti ha fatta andar fuori di matto?" rise Maylin. "Quello che hai tradito con l'altro portiere espatriato?"

 

"Sì. È il mio ragazzo. L'abbiamo deciso sabato, ha anche dormito qui...peró non dirlo ai miei!" si raccomandó la ragazza irlandese. "Erano via per il week end, non sanno niente."

 

May si entusiasmó. "Uuuuh!!! Roba piccante!!  Mi sembravi un po' troppo silenziosa a tavola! Racconta!"

 

"Mah...non ho molto da dire. Siamo stati in bilico per mesi. Non te l'ho detto via Skype, ma è successo un vero casino a dicembre. Insomma, lui ha scoperto della mia uscita con l'altro..." esordì Marty.

 

"Ahi ahi..." commentó l'amica.

 

"Già. Ha fatto una scenata pazzesca il giorno del suo compleanno, ero da lui, viveva per conto suo in quel momento...volevamo festeggiare solo noi due. Comunque,  si è incazzato e abbiamo litigato. Una brutta litigata. Poi io sono scappata via in taxi, sono andata da un altro tizio..." 

 

"L'altro portiere?" chiese May.

 

"No...un altro ancora. È il capitano della squadra di calcio della Toho, compagno di Ed e suo vecchio amico. Non sapevo che altro fare, mi sono confidata con lui..." continuó Marty.

 

"Proprio con lui?! Perchè?" volle sapere l'altra.

 

"È un tipo in gamba. Molto maturo, sicuro di sè. Ha avuto una vita tosta, e quindi ragiona già come un uomo. Mi sono calmata da lui, e mi ha convinta a concentrarmi su me stessa e lasciar perdere Ed. Ero in crisi nera. Ne sono uscita grazie ai suoi consigli. Poi, peró..." 

 

"...non hai resistito al capellone. Lo vorrei vedere, sono curiosa." disse Maylin. "Che bel bordello, ragazza mia. Sei salita sulla giostra con tre ragazzi."

 

"Perchè tre? Solo Benji e Ed..." bofonchió Marty.

 

"E il tipo da cui sei scappata? Cos'è per te? Cioè, di solito in questi momenti si corre dalle amiche a cercare conforto..." intuì Maylin.

 

"Non ho amiche come te, qui. E avevo solo bisogno di allontanarmi da casa di Ed, quella sera, e trovare una persona disposta ad ascoltarmi.  Il mio istinto mi ha portata da lui." confessó Marty.

 

"Ah...aspetta...ma tu mi parli di quel tipo burbero che ti trattava male all'inizio...quello che non sopportavi?" chiese l'amica cinese.

 

"Sì. Vabbè poi le cose sono cambiate, l'ho conosciuto meglio. Mi ha aiutata parecchio, mi ha anche procurato un lavoro di traduzione remunerativo." la informó Marty. "Ho imparato a stimarlo."

 

"Bello. Commovente. Ma mi sa di cazzata. Ti conosco, bionda." la interruppe Maylin. "I tuoi rapporti con gli uomini non sono mai stati troppo ehm...equilibrati."  

 

Marty si giró a osservare la cavalletta, notó sotto la luce della lampada da tavolo che aveva la testolina azzurra, e una strana membrana sul dorso, come un’armatura. Sembrava un soldatino ninja.

 

 

 

"Che intendi dire...?" mormoró.

 

"Lo sai cosa intendo.  Non ti devo ricordare cos'hai combinato con quel viscido di Xiem. Cosa stavi per fare..." rispose May.

 

"Io invece me lo sono messo alle spalle. Lui si è sposato, no?" ribattè la ragazza.

 

"Per mettere a tacere le voci, e salvarsi la faccia. Ha importunato talmente tante ragazzine che c'è mancato poco finisse in galera. E tu lo consideravi il tuo innamorato. No, non metterti alle spalle questi ricordi. Fu un errore che ti insegnó molto." continuó Maylin. "Ricordati sempre quel periodo, e tienilo come un monito."

 

Marty si giró. "Invece io voglio essere felice d'ora in poi. Basta con i tormenti. Ed è favoloso, domani verrai a scuola con me e te lo presento. E anche l'altro, Mark. Ho una vita nuova qui." sembró difendersi. 

 

 "Ah certo. Voglio vedere la prestigiosissima Toho School. Voglio proprio constatare se tutta la merda che i Giapponesi ci tirano addosso sul loro sistema educativo  che sarebbe meglio del nostro è giustificata." rise Maylin. "Vorrei vedere il kimono, posso?"

 

"Sì, figurati." disse Marty. Scoperchió la scatola. "Guarda."

 

Maylin rimase impressionata. "Prezioso a dir poco." 

 

"Hm, sua madre mi ha detto che vale parecchio, duemila dei nostri euro." rispose Marty.

 

"Anche di più...vedi questi decori?" fece scorrere un dito sulle rondini. "...realizzati a mano, punto dopo punto. L'artigiano ci avrà messo mesi."

 

"Per questo non volevo accettarlo. Regalo eccessivo, ma la signora ha insistito." le disse Marty.

 

"È una famiglia tradizionale, la sua?" volle sapere Maylin.

 

"Super-tradizionalista. Pensa che il bisnonno materno di Ed era un samurai, uno autentico! E suo padre...beh dire che sia un fan del patriarcato è un eufemisno. Pure razzista coi bianchi. Dice che i Giapponesi sono una razza divina. Puah." si lamentó Marty.

 

"Figlio di puttana." imprecó rabbiosamente Maylin. "Maledetto..."

 

Marty rimase colpita dalla sua improvvisa ira. Era addirittura rossa in viso.

 

 "...perché ti incavoli tanto?!" le domandó.

 

"I Giapponesi così sono il peggio del peggio, in base a questa convinzione di essere superiori hanno invaso la Manchuria, rubando parte del nostro territorio. Trattarono il nostro imperatore Pu Yi come un povero fantoccio ebete, profanarono le tombe dei suoi antenati. E con i cittadini cinesi, si comportavano come i tedeschi con gli ebrei, all'epoca della Guerra. Che brutta famiglia hai trovato." spiegó Maylin. "Provo disprezzo per gente di quella pasta. Razzisti nazionalisti fottuti."

 

"Ma sua madre è gentilissima..." obiettó Marty.

 

"Le donne non contano una cazzo in quel tipo di famiglia. Chi conta è il padre. Il tuo ragazzo avrà subìto il lavaggio del cervello dal suo vecchio, e se fai sul serio con lui, un gramo futuro ti aspetta. Non ti sposerà mai, non avrebbe il consenso paterno neanche morto." replicó Maylin.

 

"Ho diciassette anni, mica penso al matrimonio!" protestó l'altra.

 

"Se ti ha fatto quel regalo, ci pensa lei. Ma non ci arriverete mai. Vedrai che il tuo amato portiere troverà il modo di allontanarsi da te, inconsciamente per seguire i dettami del padre. Il sangue non si tradisce.  Il rispetto per il capofamiglia è sacro in quelle famiglie." le riveló May.

 

Marty era confusa.

"Sono molti anni che ti conosco, e c'è una cosa che non mi hai mai voluto dire. Da dove viene il tuo odio verso il Giappone?" le chiese. "Voglio dire, tutto quest'odio."

 

"Te l'ho appena detto." rispose Maylin.

 

"Ma c'è dell'altro, secondo me..." insistè Marty. "Insomma, per te questo Paese è come...che so...una specie di inferno. Eppure ha tante cose belle, io le ho viste e vissute in questi mesi."

 

"Non capiresti." disse Maylin. Poi andó verso la scrivania. Guardó la cavalletta che si agitava, ma non cantava più.

 

"Hey...le diamo da mangiare?"

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Sfida fra capitani ***


Le due amiche fecero un piano preciso per il giorno seguente: mentre Marty era a scuola, Maylin avrebbe visitato la città. Poi la ragazza cinese sarebbe andata ad assistere agli allenamenti di  pallavolo, e finalmente avrebbe conosciuto Kibi e le altre, cosa a cui Marty teneva particolarmente.

 

Non vedeva l'ora che i suoi due capitani si incontrassero, anche perchè avevano una personalità simile. Avrebbero potuto odiarsi o starsi simpatiche, era curiosa.

 

Ma soprattutto, non vedeva l'ora che Maylin conoscesse Ed e Mark.

 

Mentre era in macchina con il portiere, che era passato a prenderla di mattina, la giovane irlandese si era improvvisamente preoccupata. 

"Non sono tranquilla all'idea di presentarti May." aveva detto, guardando fuori dal finestrino. "È bellissima...e se ti piace più di me?"

 

"Non fare la sfigata." aveva replicato lui. "Dovresti sapere cosa desidero in una ragazza, ormai."

 

"Cosa?" gli aveva chiesto.

 

"Rispetto, ascolto, gentilezza...e un po' di lussuria." aveva ribattuto sorridendo Ed. "A proposito: non staremo insieme da soli per un bel pezzo. Io sono tornato con i miei, e i tuoi non credo se ne vadano a fare un altro week end lontani tanto presto."

 

"Potremmo andare in un albergo...ehm, sai quegli hotel che avete qui in Giappone...quelli per coppie..." aveva proposto Marty.

 

"I love hotel? Ma tu vuoi scherzare. Non ti porterei in un posto laido come quello per nessun motivo. Poi non mi va che mi vedano." aveva replicato Ed. 

 

"Chi ti dovrebbe vedere?" aveva indagato lei.  

 

"I giornalisti. Io faccio parte delle Nazionale giovanile, sono già finito sulle riviste di settore. Ti immagini se qualcuno mi fotografasse e mettesse la foto di me e te su qualche social?" chiese Ed.

 

"Non tirartela, non sei una celebrità...per ora. Ma a parte questo non ho proposte. Altrimenti addio intimità fra me e te. Ci toccherà aver pazienza..." aveva sospirato Marty. 

 

"Manca poco alla fine della scuola. Cioè, per noi nazionali. Poi andremo in ritiro lontano da Tokyo. Tu non potrai raggiungermi, le lezioni per te proseguiranno. Due mesi e mezzo, ancora." disse Ed. "E poi, lontani. Che seccatura." 

 

"Già. Ci siamo appena messi insieme e subito ci separiamo...Finito il mondiale, che farai?" chiese lei.

 

"Un po' di vacanza a luglio, e poi in agosto dovrei iniziare col professionismo. Se firmo con i Flügels ci sarà il pre-ritiro a Yokohama." disse lui. "Magari a luglio riusciamo ad andarcene da qualche parte, io e te insieme."

 

"Sììì!! Mi piacerebbe un sacco! Al mare?" si entusiasmó la ragazza.

 

"Vorrei tanto portarti a Kamakura, è una città famosa per la statua del Grande Buddha e per i templi shintoisti, ma c'è anche una spiaggia bellissima e il mare turchese. Lì si respira l'essenza del vero Giappone, quello che dovresti conoscere. Mio padre ci ha portati in vacanza diverse volte." spiegó Ed.

 

"Tokyo non ti piace? A volte ho questa impressione." osservó lei.

 

"Tokyo è fin troppo moderna. Non ho nulla contro i grattacieli, anzi, amo le metropoli. Peró con tristezza noto che ora è quasi tutta artificiale. Vogliamo competere con l'Occidente in quanto a tecnologia e innovazione, e ci dimentichiamo di quanto sia bello fare una semplice passeggiata nei boschi.  Per questo mi alleno a Karate in mezzo agli alberi: la Natura mi rilassa e mi ispira." spiegó Ed. "Nello Shintoismo è insegnato che la natura contiene tutte le forze vitali di cui abbiamo bisogno. Ma se le soffochiamo con l'industria, non ci aiutano." 

 

Marty ascoltava, ammirata. "Caspita, che saggezza. Sembri uno di quei monaci tibetani. Bello che tu creda in questo."

 

"Sono su un livello spirituale del tutto superiore al mio. Ho molta ammirazione per loro. Il Tibet è un altro posto che visiterei... e poi la Cina...l'Indonesia, la Cambogia, il Vietnam..." seguitó lui. 

 

"Il Vietnam non mi ispira.  Forse per la faccenda della Guerra. Lo collego a tutti quei morti." replicó Marty. 

 

"...morti provocati dal Governo americano." aggiunse Ed. "Come quelli di Hiroshima e Nagasaki."

 

"Sì, ma anche dai Vietcong...dalle forze comuniste dietro di loro." replicó Marty. "Poi, Ed, ti ricordo Pearl Harbor."

 

"Quello fu un atto d'onore." disse freddamente lui. "Chi si immoló fu un eroe."

 

"A me non è stata spiegata così la Storia." fu la risposta di lei. 

 

"Lo posso immaginare come ti è stata spiegata la storia.  Conosci l'affondamento della corazzata  Indianapolis?" domandó Ed, sbuffando per i troppi semafori rossi.

 

"Era un incrociatore americano. Fu colpito da un sommergibile giapponese con due siluri. Finirono tutti in mare, e molti vennero divorati dagli squali. Questo so." ribattè Marty.

 

"E che fu il capitano del sommergibile giapponese a lanciare l' SOS per i marinai americani non lo sapevi, eh?? Il governo di Washington li lasció affogare e morire in mare...perchè la missione era segreta. L'Indianapolis portava pezzi della bomba di Hiroshima. Dopo averli consegnati, i militari americani divennero merce sacrificabile. Questo è il modo di ragionare dell'Occidente.  Fa guerre, devasta territori, uccide civili, uccide i suoi stessi figli...e per cosa? Per una supremazia mondiale che è solo un'illusione." spiegó Ed.

 

"Sembra di sentire tuo padre.  Certo che ti ha proprio influenzato con i suoi discorsi..." sospiró Marty. "Non diventerai anche tu un razzista?"

 

"Non sono razzista e non lo è mio padre. È solo che vede le cose a modo suo, e delle volte questo è anche il mio modo. Non sono un pupazzo nelle sue mani." disse Ed, seccato. "Ho un mio cervello."

 

"Lo spero, perchè questa mentalità è antiquata e anacronistica. Ieri, quando ero da voi,  non ho potuto fare a meno di sentirmi a disagio. Tua madre è adorabile, ma tuo padre mi tratta come fossi un insetto, anzi peggio.   Avevo giurato di non visitare più la vostra casa, mi hai convinta tu. Ma se questa faccenda prosegue dovremo seriamente parlare, io e te." gli disse Marty. 

 

"Come figlio, devo rispettare mio padre. Almeno finchè vivo con loro. E non c'è nulla di cui parlare, a questo proposito. È così e basta." taglió corto Ed.  

 

Arrivarono al parcheggio della scuola. Ed spense la macchina e subito una selva di occhiate si riversó sulla nuova coppia. Molte ragazze ci rimasero di sale.

 

"Tuo fratello è scappato a Osaka, vero?" continuó Marty. "È scappato perchè non ne poteva più dell'atmosfera a casa vostra."

 

"Non fare commenti sulla mia famiglia." l'ammonì Ed. "So io come comportarmi con i miei."

 

Scesero dal fuoristrada, un po' nervosi uno con l'altro. 

 

"Ci vediamo dopo allora? Ti devo presentare May, ricorda." gli disse Marty. 

 

"Sì, sì." rispose Ed senza voltarsi, poi chiuse la macchina e si allontanó. 

 

Ah che bellezza. 

È solo il quarto giorno che stiamo insieme e già fa lo scocciato.

 

Vide Mark passare, con la cartelletta su una spalla e la solita aria noncurante. 

 

Le venne l'istinto di alzare una mano e chiamarlo, ma si fermó. 

Ed Warner era ancora nei paraggi e Joanne Laughton non aveva allevato una figlia scema.

 

🎋🎋🎋

 

"Ragazze, oggi è una giornata emozionante, per me. Vi presento una persona molto, molto importante nella mia vita." disse più tardi Marty alle compagne di squadra, agli allenamenti. Tutte si erano radunate attorno a lei e Maylin.

 

"Questa è Maylin Sun. È venuta a trovarmi da Shanghai!    È il mio vecchio capitano della squadra di pallavolo della Zhidāo!" annunció, felice. Le atlete guardarono incuriosite la visitatrice cinese. Erano impressionate dalla sua altezza. May superava il metro e ottanta. 

 

"Ciao a tutte, ragazze. Siete una bella squadra." disse in inglese May, perchè tutte capissero. Non parlava una parola di Giapponese, ovviamente. 

 

"...ed è la nuova stella del Sichuan, una squadra professionistica della Chinese Super Volley League. Un grande successo per qualsiasi giocatrice ." raccontó Marty.

 

"Tu sei la strepitosa schiacciatrice di cui ci ha parlato fino allo sfinimento?"  scherzó Kibi. Poi allungó una mano. "Onorata di conoscerti. Sei un fenomeno, ho saputo."

 

"Faccio quel che posso. Tu invece sei a quanto pare un'ottima regista e alzatrice.  Marty dice che sei anche l'anima della squadra." rispose May.

 

"Credo che la tua amica bionda mi abbia rubato il posto. I tifosi l'adorano." replicó Kibi.

 

"Hey May!! Perchè non fai vedere a tutte cosa sai fare? Facci un'azione d'attacco, io provo a ricevere! Magari Kibi puó alzare per te!" esclamó Marty.

 

"Ho indosso i jeans e gli scarponcini, come faccio a saltare secondo te?" le disse May. "Poi non sono un fenomeno da baraccone!" 

 

"Ma alle ragazze serve vedere una professionista.  Clara e Sandy farebbero tesoro di una dimostrazione. Noi abbiamo un po' di problemi con le schiacciate!" la pregó Marty.

 

"Non insistere." s'intromise Kibi. "Se non se la sente, non se la sente. Io riuscirei a giocare anche sui tacchi, ma per altre non è così facile." 

 

Marty colse il sarcasmo. 

Ma Kibi non aveva fatto i conti con Maylin, una che il sarcasmo se lo mangiava a colazione.

 

"Sai fare andare la lingua, tu...ma sai anche giocare?" la provocó May. "Non vorrai fare incazzare un'ospite cinese? Non è una bella idea."

 

"Voi cinesi sapete tessere la seta e allevare grilli. Ma in quanto a tirare fuori gli attributi, non siete altrettanto ...abili. O mi sbaglio?"  continuó Kibi, con un sorrisetto.

 

"Mettiti...in...posizione, lingua lunga." sibiló Maylin. "E alza più che puoi."

Aveva accettato la sfida.

 

Le altre si misero a bordo campo, emozionate da quel che stavano per vedere. L'abilità delle Cinesi nel volley derivava anche dalla loro importante altezza, e l'amica di Marty ne era un ottimo esempio.

 

"Sì!! Dai, io ricevo. Come ai vecchi tempi, May!!" esclamó Marty, correndo dall'altra parte della rete.

 

La ragazza cinese prese la rincorsa e Kibi alzó la palla altissima.

 

"Beccati questa!" gridó May. Saltó più su della rete, molto più su, e colpì con una forza devastante la sfera. 

Si udì un boom!! energico e poi la palla divenne quasi invisibile, tale era la velocità con cui viaggió diretta su Marty. 

La giovane provó il bagher, ma in mezzo secondo si trovò con le natiche a terra e le braccia rosse e doloranti.   

 

"Aaahh..." si lamentó lei. "Non ricordavo più la tua violenza, stronza."

 

Le altre ragazze, Kibi inclusa, erano esterrefatte. Quel genere di azione, così pulita, precisa e travolgente, l'avevano vista solo in TV, durante le partite delle Nazionali.    

 

Decisamente Maylin era su un altro livello.

 

"Così batte una che fa sul serio." disse la giovane cinese. "Non esistono mezze misure nello sport. O dai tutto, o te ne stai a casa. Se proprio devo insegnarvi qualcosa, è questo. Fatene tesoro." 

 

Marty si rialzó e corse ad abbracciare la sua amica.  "Se ti vedesse Nolan, avrebbe un orgasmo!" e rise. "Una come te ci farebbe stravincere." 

 

"Ragazze! Tutte schierate!" urló Kibi alle compagne.

 

Le altre si misero in linea, sotto gli occhi sorpresi di Marty e Maylin.

 

"Inchino." fece Kibi.

Lei e le altre si piegarono nel classico gesto di riverenza giapponese. "Onore a una grande atleta."

 

Marty sorrise e le diede di gomito. "Visto che i Giappo non sono tanto male?" sussurró.

 

"Tutta scena." bisbiglió May. "Non ci casco."

 

Ma si vedeva che era piacevolmente colpita. 

Forse perchè era abituata alla freddezza dei suoi allenatori cinesi, per i quali complimenti e lodi erano solo una ridondante esagerazione, e non si ricordava nemmeno più la sensazione di essere davvero ammirata da qualcuno. In Cina si doveva vincere, e basta, e poi tutte sotto alle docce. 

 

"Hey...qui sono di troppo. Vado sugli spalti, vi lascio allenare in pace." disse infine. Era arrossita. 

 

"Finiamo alle otto. Aspetti lì tutto il tempo?" chiese Marty.

 

"Sì. Così vi osservo e capisco come giocate. Chissà che in futuro non mi sarà utile per una finale mondiale Cina-Giappone." sorrise May.

 

"E tu pensi di entrare in nazionale?" la provocó Marty.

 

"Io??!" rispose May, puntandosi un dito al petto. "Io saró la stella. Se non giochi per entrare in nazionale, giochi per hobby. Segnati anche questa, Yuchi."

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Sangue misto ***


Maylin osservava l'allenamento delle pallavoliste in palestra.

 

Marty era migliorata sensibilmente: era più alta, era più preparata di come la ricordava e mostrava anche una notevole personalità in campo.  Riflettè che la sua amica, avesse proseguito su quella strada,  avrebbe avuto ottime chance di trovare a sua volta un contratto da professionista in Giappone. 

 

Certo, se il suo cervello avesse mantenuto la concentrazione e se non si fosse fatta prendere dalle sue solite follie sentimentali.

 

Il resto della squadra era di livello piuttosto mediocre, fatta salva Kibi. Lei e la sua amica bionda avevano fatto uno sforzo straordinario per trascinare il team in quarta posizione in classifica.  

 

"È brava, vero?" chiese una voce maschile, dietro di lei.

 

Si voltó: vide un ragazzo alto e con lunghi capelli neri, lunghi quasi fino a metà schiena. Aveva con sè la sua sacca da palestra, e indossava un pesante cappotto blu. Non ci volle un genio a indovinare la sua identità.

 

"Fammi pensare...tu devi essere...Ed." disse Maylin. 

Lo squadró. Bello era bello, poco da dire.

 

"In persona. Marty mi ha parlato di te, finalmente ci conosciamo." rispose, poggiando la sacca a terra e sedendosi accanto a lei. 

 

"Piacere mio." ribattè Maylin. "Eviterei il rito della stretta di mano, le mie sono gelide."

 

"...e non la stringeresti a un Giapponese. Lo so, Marty mi ha spiegato la tua diffidenza verso di noi." aggiunse Ed.

 

"A me invece ha detto di essere pazza di te. Sei belloccio, è vero." sorrise May. "Te ne do atto."

 

"Beh...grazie." replicó Ed. "Ma il mio aspetto non è mai stato al centro delle mie preoccupazioni. Piaccio alle ragazze, ma in verità non so nemmeno il motivo."

 

Ipocrita di merda, pensò May. Bastava vedere come si passava la mano fra i capelli per capire che quel tipo era più vanitoso di un pavone.

 

"...allora, c'è qualche cosa che ti piace di questo miserabile posto chiamato Giappone?" chiese Ed.

 

"Il cibo, i vostri giardini, le terme...ma in definitiva, trovo questo Paese un po' asettico, freddo. E la gente mi sta sulle palle." disse Maylin. 

 

Le ragazze in campo erano così concentrate da non essersi accorte dell'arrivo di Warner sulle gradinate.   

 

Lui rise. "Non le mandi a dire, eh?" 

 

"Mai. Trovo che la schiettezza sia la base di un sano rapporto col prossimo. Per questo io e Marty siamo amiche. Lei è come me." rispose May.

 

"Ah lo so... lo so bene. Amo questo suo aspetto. Ma è solo un'infinitesima parte di quanto amo lei." riveló. "A te lo posso dire, perchè so che siete quasi sorelle."

 

"Una frase forte. Mi chiedo peró se sia sincera." osservó la ragazza cinese. "Non ti conosco, è vero, e perdonami se ti dico questo."

 

"Perchè non dovrei esserlo?" chiese lui.

 

"Mi ha raccontato la storia del vostro rapporto. Tutto quanto, se capisci cosa intendo." rispose Maylin.

 

"Sì...ci sono stati alti e bassi, ma ora abbiamo un nostro equilibrio. È la mia prima, vera relazione, e anche la sua." raccontó Ed. "Vorrei renderla felice, è speciale."

 

"Sai Marty è sempre stata una sognatrice nell'amore." continuó Maylin. "In Cina aveva preso una sbandata per un tizio di trent'anni...la fatica che ho fatto per convincerla che era un povero idiota..."

 

"Cosa?!" chiese lui, basito. "Non ne sapevo niente."

 

"Non te l'ha detto...? Beh, forse si vergogna...una faccenda sgradevole.  Lui si era invaghito di lei vedendola passeggiare per strada. Era un ricco viveur, sai, quei bambocci figli di papà che non devono lavorare per vivere. Le aveva mandato dei regali  perfino a scuola, e lei... ci era cascata come una pera. Era convinta che il tizio fosse innamorato sul serio." sospiró Maylin. "Ma io sapevo che  oltre a lei aveva nel mirino altre ragazzine, tutte minorenni. Non ebbi cuore di dirlo subito a Marty, fino a quando..." e la giovane si interruppe.

 

"....continua, ti prego." la esortó Ed.

 

"...fino a quando mi disse che lui le aveva chiesto di andare a letto. Aveva un piccolo appartamento, quel miserabile, in una zona popolare di Shanghai. L'aveva affittato per portarci le sue amanti. Marty mi confessó di essere stata tentata dall'idea, e che un giorno ci sarebbe andata di nascosto. Io sapevo che l'avrebbe fatto. Lei è cosí, cieca e sorda davanti alla realtà dei fatti, se si fa prendere dalle ossessioni. Così vegliai su di lei, e un giorno litigammo. Era venuta da me, prima di andare da lui. Aveva mentito ai suoi dicendo loro che avrebbe passato la notte a casa mia. Io tentai di farle capire con le buone che era una pazza a buttarsi fra le braccia di quel viscido, ma di fronte alle sue resistenze la presi a sberle. Proprio con queste mani."raccontó Maylin, aprendo i palmi. "Non le permisi di uscire di casa. Poi si calmó, e capì che avevo ragione."

 

Ed era silenzioso. 

Stava scoprendo qualcosa di più sulla ragazza, come la sua tendenza a mentire ai genitori e a chi le stava intorno. 

E se poteva raccontare balle a suo padre e sua madre, quante ne poteva dire a lui? Quante altre? E a sè stessa?

 

"...senti, Ed. Tu le vuoi bene? Cioè, le vuoi bene sul serio?" gli chiese Maylin, guardandolo negli occhi.

 

"Sì. È entrata in me, ormai. Tremo all'idea di perderla." replicó il giovane.

 

"Perchè lo dici? Ci sono motivi per cui potresti perderla?" indagó Maylin.

 

Ed pensó a Mark.

 

"Non lo so ancora. Non ne sono sicuro." rispose lui. 

 

"Beh...ti do un consiglio: se ci tieni a lei, convincila del tuo amore. Convincila che per lei non puoi esserci che tu. Ma non con la gelosia... con la premura. Marty ha tanto bisogno di premure e attenzioni. È una ragazza in perenne confusione con sè stessa. Non darle peró l'impressione di soffocarla o volerà via." rispose Maylin. 

 

"Faccio tutto ció che posso." replicó Warner. "Ma non mi piace il suo criticare la mia famiglia. Vedi, mio padre è tradizionalista. Non ha simpatia per i bianchi..."

 

"Me l'ha detto." ribattè freddamente Maylin.

 

"...io non posso che accettare in silenzio i suoi atteggiamenti. Non li condivido, ma finchè sono sotto il suo tetto non mi è consentito ribellarmi a lui. È comunque mio padre." concluse Ed. 

 

"Un padre che insegna l'intolleranza ai figli." commentó May.

 

"...dice Miss Odio Il Giappone. Mi pare che tu non possa dare giudizi. Scusa se mi permetto." rispose Ed.

 

"Mi sta bene. Hai ragione. In comune con tuo padre riconosco di avere una certa rigidità mentale sulle questioni di razza. Ho i miei motivi." confessó Maylin.

 

"I tuoi motivi sono per esempio che hai anche sangue giapponese, vero?" le chiese Ed. "Sei una hapa. Una sangue misto."

 

Maylin s'irrigidì tutta e lo guardó come per fulminarlo.

 

Ed sorrise. "I tuoi lineamenti non sono cinesi. La forma del tuo naso, la rotondità del viso, il taglio degli occhi. Tu hai sangue giapponese...hai l'altezza da cinese, e basta."

 

La ragazza era impallidita. 

 

"...ho indovinato, eh? E a Marty non l'hai detto...perchè non gliel'hai detto?" insistè Ed. 

 

"Non sono affari tuoi, nè suoi." bisbiglió minacciosa Maylin. "E non ne voglio parlare. Capito, portiere del cazzo? Non ne voglio parlare." 

 

"Eeeed!! Ciaooo!!" gridó Marty dal bordo del campo. "Tra poco ho finito! Che bello sei qui!"

 

"Ti aspetto, così io e te con la tua amica andiamo a berci qualcosa!" rispose lui.

 

"Ottimo!" esultó Marty, piena di gioia. Tornó ad allenarsi.

 

"La vedi com'è felice?" continuó May. "Tu falle perdere quella felicità e torneró apposta dalla Cina, per prendere a sberle te, stavolta." 

 

"D'accordo." annuì Ed. "Apprezzo l'amicizia sincera. È preziosa come un tesoro." 

 

Poi osservó Maylin un'altra volta, i suoi lineamenti rotondi e inconfondibili,  e gli venne il peggiore dei sospetti.

 

Cos'abbiamo fatto alle loro donne...papà...durante la Guerra...a Nanchino...

 

Si obbligó a non pensarci.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Supposizioni ***


 

I tre ragazzi andarono al Zoetrope, un bar molto vicino alla scuola. Ottimo posto per farsi due chiacchiere in pace, data la tranquillità dell'ambiente e la musica soft, che permetteva ai clienti di parlare senza dover alzare la voce per capirsi. 

 

Quando Ed si allontanó per andare in bagno, Marty si portó vicino a Maylin per raccogliere le prime impressioni.

"Che te ne pare?" chiese, mangiando delle arachidi. "È una bomba o no?"

 

"Brutto non è." rispose Maylin, concentrata sulla sua birra. "Sembra anche piuttosto sveglio."

 

"È intelligente, vero? Ma poi ha una grande profondità, è uno che pensa molto. Quando l'ho conosciuto mi stava anche un po' antipatico, perchè era sempre così schivo." disse Marty.

 

"Sì, ha tutte queste belle cose....ma anche difetti non indifferenti. Ad esempio, sa di essere figo e se la tira. Hai notato come si guarda in giro per vedere se le donne lo puntano? Attenzione a quelli così...ci mettono poco a trovarne una che li attizza più di te." la avvertì Maylin. 

 

"Da quando sta con me peró fa il bravo. Non sai quante ragazze lo perseguitano a scuola, e lo chiamano anche al cellulare! Eppure non dà corda a nessuna." rispose Marty. "Se volesse, potrebbe lasciarmi anche stasera e trovarsi subito compagnia in tre secondi."

 

"E quando diventerà professionista? Hm? Ci hai pensato? Proprio in aereo sfogliavo una rivista di gossip: c'era in prima pagina un foto di un calciatore portoghese con la sua fiamma. Una top model da urlo. Il fatto è che quando diventano ricchi sul serio, fanno la loro comparsa questi sciami di ragazze bellissime che ucciderebbero per farsi sposare. Attrici, modelle...e lui è già carino e corteggiato adesso che gioca per un liceo, figurati quando sarà nella J-League." obiettó May. "Dai, non dirmi che questo non ti fa un po' paura."

 

"Paura? Perchè? Se Ed si trasferisce a Yokohama, è implicito che il nostro rapporto si raffredderà. Non è che io pensi a una storia di lungo termine con uno come lui. Sarei peggio che stupida." ribattè Marty, tracannando la sua birra scura. 

 

"Ah..." fece May, perplessa. "...e lui lo sa? Che tu hai già messo una pietra tombale sul vostro rapporto?"

 

"Ed parla di storia a distanza, dice che possiamo farcela. Ma io non lo credo. Un po' per questo fatto, un po' per l'atteggiamento di suo padre...farà di tutto per remarmi contro. E poi, siamo giovanissimi, ancora. Chissà, magari anch'io potrei incontrare uno che mi garba più di lui." continuó la giovane irlandese. 

 

"Ma scusa...allora che diavolo ci stai insieme a fare? Cioè, mi hai detto che non scopate neanche. Vi fate mancare il sesso, avete la prospettiva di una separazione...che storia squinternata è?"  disse Maylin.

 

"Sul sesso, chiedi a Ed. È lui che non vuole. Dice che preferisce aspettare un po' ed essere sicuro che sia un passo giusto per me. Non so che caspita intende..." replicó la ragazza bionda.  "Non lo capisco, a volte."

 

"Forse ha il sospetto che tu sia interessata a qualcuno di diverso da lui. E guarda, se fosse così lui sarebbe davvero un gran cavaliere e signore. Forse, non vuole che tu perda la verginità con uno che non ami davvero. Peccato che quelli che ragionano così siano una grandissima minoranza. Gli uomini al giorno d'oggi non hanno nessuna sensibilità..." ragionó Maylin. 

 

"Io temo che il suo negarsi sia una forma di paura..." ribattè Marty. "...paura di prendersi una responsabilità. È stato il primo per Kibi, e poi l'ha lasciata. Una cosa che gli genera rimorsi. Non vuole sentirsi ancora così."

 

"Ah ve lo siete divise. Hmm brutta faccenda, con una compagna di squadra. Lei è gelosa?" 

 

"No, a parole non le fa nè caldo nè freddo. Ha un ragazzo adesso, è serena. Poi, non so...magari son balle." rispose l'altra. 

 

"Lui parla molto anche di sè stesso. Ho vinto questo...ho fatto quest'altro...altra spia rossa.  Rivela carattere ego riferito." continuó Maylin. "Quelli così impazziscono quando perdono. Una dimostrazione te l'ha già data."

 

"Si è scusato molto per quel fatto. Sembra sincero. E poi, devo ammettere che mi eccita un po' questo lato della sua personalità. È combattivo, tenace. Meglio che essere molli e apatici." riveló Marty. "Se solo si desse dei limiti."

 

"Veramente io avevo capito che ti aveva terrorizzata. Adesso mi parli di eccitazione? La tua solita coerenza, Yuchi." rise May, poi le diede una gomitata. Ed stava tornando al bancone.

 

"Volete rimanere qui?" chiese lui, accomodandosi sulla sedia. "Tu vuoi fare un giro per Tokyo in macchina, visto che non la conosci?" si rivolse a Maylin.

 

"No, se ti devo dire la verità vorrei tornare in albergo. Poi voi domani avete scuola, non vi faccio strapazzare." rispose la ragazza. "Per me possiamo andare, non ti preoccupare, non mi aspetto di fare serata il martedì."

 

"Sarebbe bellissimo se Maylin potesse vedere casa tua, il tuo giardino. Ed vive in una specie di tempio, una casa che toglie il fiato. Secondo te ci puó venire?" chiese Marty.

 

"Se alludi alle reazioni di mio padre, visto che lei è cinese sarebbe un po' la stessa litania che con te. Ma sembrando una giapponese, magari non farà storie..." replicó Ed.

 

"Come?" chiese l'irlandese, confusa. 

 

"Niente. Il tuo ragazzo ha bevuto un po' troppo, dice scemenze. Vero, Karate Kid?" lo sfidó May. "Comunque grazie, non ci tengo a mettere piede nella proprietà di un razzista nazionalista."

 

"Odio quelli che mi chiamano così e odio quel film. Ti avverto." scherzó lui. "Non registro le tue considerazioni su mio padre. Considerati fortunata."

 

"Uuuh, mi degni del tuo perdono, che magnanimo." rispose Maylin. "Offro io per tutti. Nessuno si azzardi a pagare." detto questo, andó alla cassa.

 

"Ed..." bisbiglió Marty. "...che significa che May è giapponese?"

 

"Che molto probabilmente ha un bisnonno giapponese. E non te lo dice per imbarazzo. Credo di aver capito. Non ne sono sicuro, ma mi sa che la tua amica è nipote della Guerra." rispose Ed.

 

"Ti dispiace chiarire? May giapponese?? Se ti sente ti uccide, cazzo." replicó Marty.

 

"Durante la Seconda Guerra Mondiale successero molte cose brutte. Lo sai. Non solo i Tedeschi e quel disastro che  combinarono in Europa, non solo gli Alleati con le due bombe...ci fu anche un'aggressione molto violenta delle truppe di questo Paese alla Cina. Ai civili cinesi. Alle donne cinesi, in special modo. L'uomo fa la guerra e la donna ne paga lo scotto. In conseguenza a quegli atti di violenza, nacquero bambini mezzo sangue, allevati in Cina e tenuti all'oscuro della cosa.  Bambini senza padre, capisci. Comunque, si riconoscevano dai tratti somatici, passati ai nipoti e bisnipoti. La tua amica ha un volto giapponese, e ció mi fa riflettere." 

 

Marty era agghiacciata. "Tu dici cose senza senso. May ha un cognome cinese."

 

"Quella della madre di suo nonno, probabilmente. È una mia supposizione per ora. Ma ci sono molti casi simili." raccontó Ed. "Anche di gente venuta qui a cercare le sue radici."

 

"Non puó essere..." mormorò Marty. "...non mi ha mai detto nulla." 

 

"Beh...tu lo racconteresti in giro, fosse capitato a te?" le domandó Ed. "È una brutta faccenda. Immagina di essere al mondo in seguito a un atto di violenza perpetrato decenni fa..."

 

Marty scosse la testa, come a respingere quell'orrenda idea. "No, dai Ed, non dire queste cose...ho la pelle d'oca."

 

"Io credo sia così. Ma tu non dire niente alla tua amica. Lascia stare. Allora la riaccompagno in albergo?" le chiese.

 

"Sì..." mormoró la giovane. Era sconvolta.

 

"Allora?" arrivò Maylin con il portafoglio in mano. "Ve li siete goduti i vostri drink? Spero di sì, perchè questo posto è caro come il fuoco!" 

 

"Potevo offrire io, ho soldi da spendere. Non ho ancora toccato uno yen del pagamento per le traduzioni!"  disse contrariata Marty.

 

"A proposito, domani devo assolutamente conoscere il famoso Mark." disse May. "Magari vengo di mattina a scuola con te. Poi vado direttamente a fare shopping."

 

"In questo caso andiamo a piedi, così passiamo anche dall'edicola. Il mercoledì esce un inserto del giornale sui campionati scolastici di volley, baseball e calcio. Voglio vedere se parlano di me!" cinguettó Marty. Tentava di nascondere il suo shock dopo le illazioni di Warner su May. 

 

"Famoso Mark?" chiese Ed. "Famoso in seguito a cosa?"

 

Maylin si accorse di aver pestato un gran brutto callo. 

 

"Perché Marty mi ha detto che quando era entrata in squadra da voi le ha reso la vita un inferno i primi tempi. Ha detto che ha un pessimo carattere. Lo voglio proprio vedere, il tizio che ha messo al suo posto questa rompipalle!" mentì lei. 

 

Convinse Ed, che fece un sorriso e si infiló il cappotto.

 

Mentre uscivano, Marty si voltó verso l'amica e le sussurró un grazie mai così sentito.

 

🎋🎋🎋

 

Alle ore 8.00 del mattino, Marty e Maylin si trovarono insieme davanti ai grandi cancelli della Toho Academy.

 

"Vista alla luce del sole questa scuola è una caserma." commentó Maylin. "Mette i brividi."

 

"Lo pensai anch'io il primo giorno. L'impatto è pessimo, poi ti ci abitui. In realtà dentro organizzano molte attività anche di svago. Anche qui c'è il corso di teatro." la informó Marty.

 

"Queste divise fanno ridere. Il gonnellino alla marinara è roba da Ventennio. Non ne escono da queste regole assurde sul vestiario, eh?" rise Maylin.

 

"No. E pensa che mi hanno dato due gonne due camiciole. Tutto qui. Devo continuamente lavarle. Almeno ce ne dessero tre o quattro..." sbuffó Marty. Si guardó in giro. "Non vedo Mark. Non vorrei fosse assente oggi."

 

All'ingresso della scuola era uno sciamare di studenti che arrivavano con le loro cartellette sulle spalle. 

 

"Ehmm...mi sa che sta arrivando." le disse Maylin. "È quello lì, giusto?" 

 

Indicó Mark che si avvicinava a piedi da una delle vie attigue. Indossava un vecchio giaccone verde scuro, preso forse in qualche mercato rionale.

 

"Come lo sai?" chiese Marty. "Hai indovinato subito."

 

"Mi hai detto che ha la carnagione scura.  È un fatto insolito per un Giappo." rispose Maylin.

 

Il ragazzo si avvicinó incuriosito dalla visitatrice, che stava in piedi accanto a Marty e lo guardava come avesse voluto fargli una radiografia. 

 

"Mark!" esordì Marty. "Ciao! Vorrei presentarti una persona. Ricordi che ti avevo parlato di quella mia amica cinese che era anche il mio capitano della squadra di volley a Shanghai?" 

 

"È lei?" chiese Mark.

 

"Sì...è lei." confermó May. "E tu sei quello che caga tuoni e piscia fulmini?" 

 

Mark non fu sicuro di aver capito bene.

Sul viso gli si disegnó un'espressione buffissima di confusione, così insolita per lui che  Marty scoppió a ridere.

 

Poco dopo, anche lui non trattenne una risata. "Come dici??"

 

"Ripeto: sei tu il non plus ultra del maschio, la montagna di ormoni impazziti che va in giro a mostrare i muscoli e a gambizzare gli avversari?" ripetè Maylin, squadrandolo.

 

Sì, con uno così anche lei avrebbe quasi quasi ceduto alla tentazione di farci un pensiero. O magari anche due. 

 

Ed Warner era molto bello di viso e ben proporzionato, ma il tizio davanti a lei aveva quello che si poteva definire  un grande potenziale erotico. Rimasto ahilui congelato, perché a sentire Marty quello non sapeva neanche com'era fatta una donna dalla vita in giù. Incredibile a dir poco.

 

"Sull'ultima parte hai ragione. In campo non scherzo. A quanto dice la tua amica, nemmeno tu." rispose Mark. "Ho sentito molto parlare di te."

 

"Anche io. E adesso che ti vedo, mi sono chiare moltissime cose." ribattè Maylin.

 

Marty si schiarì la voce, a disagio.

"Ci tenevo che vi conosceste. Siete importanti per me, in modi diversi. E siete tanto simili!!" 

 

I due la guardarono. Uno strano silenzio caló su loro tre, rotto dal suono della campanella.

 

"Beh, che accidente facciamo qui? Un meeting privato? Dobbiamo entrare. Piacere di averti conosciuta." disse Mark a May. "...e tu, non rammollire Ed. Guarda che ci serve in forma per la fine del campionato." disse a Marty, poi giró le spalle e si avvió verso l'ingresso dell'edificio.

 

"Ecco, hai conosciuto Mark Lenders. Cosa ne dici?" chiese sorridendo Marty all'amica.

 

L'altra la guardó. Vide i suoi occhi azzurri brillare e le sue guance improvvisamente rosee. 

 

"Che è pericoloso. Molto pericoloso."

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Un’altra verità ***


 

Maylin e Marty assistevano agli allenamenti dei ragazzi sugli spalti del campo scolastico. La sessione di pallavolo era stato spostata un'ora in avanti per un problema personale di Nolan, e così la ragazza irlandese si era presa un po' di tempo per far fare un giro della scuola all'amica in visita.

 

May era rimasta colpita dalla modernità dell'edificio e degli spazi interni, così come dai campi sportivi perfettamente curati e da tutti gli attrezzi da allenamento, all'avanguardia.

 

"Queste cose in Cina non ci sono." le aveva detto Marty.

 

"Non ancora. Ma ci arriveremo. Il mio Paese sta correndo a mille all'ora per competere con le grandi potenze economiche mondiali. E pazienza se per farlo dovrà vessare noi abitanti. Del resto, è ció che succede quando il turbo capitalismo entra in una nazione retta da un regime comunista." aveva commentato May, con un sospiro. "Tra poco tempo devo preparami per il gaokao. Quell'esame mi fa una paura del diavolo." 

 

Il gaokao era un difficilissimo test pre universitario, programmato dal 7 al 8 Giugno, e della durata di nove ore. Un incubo per tutti gli studenti cinesi dell'ultimo anno di liceo, ma passaggio fondamentale per entrare all'università. 

 

"E che indirizzo sceglierai?" chiese l'amica.

 

"Scienze Naturali." rispose Maylin. 

 

"Il più difficile! Perché non quello linguistico? Te la cavi in inglese,  e pure bene." domandó Marty.

 

"Perchè mi piace la biologia. E poi, oltre alla carriera nel volley devo formarmi per dopo. Una volta messa la palla nell'armadio, bisogna avere una professione per campare. Una laurea scientifica è un buon titolo spendibile." disse May.

 

"Quell'esame porta all'esaurimento moltissimi studenti. È di una difficoltà disumana. Ma anche qui non scherzano con i test di accesso universitari. Io infatti sto pensando di studiare in Europa, almeno fino alla laurea magistrale. Poi se ottengo davvero un master finanziato dalla Toho, posso tornare qui a frequentarlo." rispose Marty. "Quando ero bambina, a Dublino, andavo a volte con mia nonna a vedere il Trinity College. Mi sembrava imponente e magico come un castello! E la biblioteca è pazzesca, enorme, rimasi a bocca aperta quando ci entrai. Sarebbe un sogno iscrivermi lì."

 

"E come la metti con il tuo bello?" chiese May. "Lo abbandoni così, senza remore?"

 

"Con Ed? Ti ho detto che non ho molte aspettative sulla durata della storia..." replicó Marty.

 

"Non lui." fece l'altra. "....parlo di Mark."

 

Marty si giró a guardarla. Era come confusa da quell'osservazione. "...eh?"

 

"Mi hai presa per fessa? Credi che non abbia capito che quel fusto tutto muscoli ti manda su di giri? Quell'altro è un passatempo, una cosa che non significa niente. Solo che tu sei troppo immatura per riconoscerlo." le disse May. Fece un sorriso malizioso. "Eh, mia cara, ti toccherà prenderne atto prima o poi. Perché hai ragione su un punto: il portiere è sveglio.  È uno che fa andare la materia grigia. Ha già inquadrato la cosa."

 

"Ma cosa dici? A me di Mark non importa nulla in quel senso. Io voglio bene a Ed." obiettó Marty.

 

"I tuoi occhi rivelano un'altra verità. Quando l'avevamo di fronte, stamattina, ti si vedevano le stelline dell'amore nelle iridi. Una cosa molto dolce, sai? Mi hai ricordato la mia prima cotta...ma qui c'è coinvolta un'altra persona. E non si scherza con il cuore della gente. Succedono brutte cose, quando si feriscono i sentimenti altrui. E quel tizio, lì, in porta con cappellino e guanti,  te ne ha già data una dimostrazione. Ti ha perdonata una volta, ma non ci sarà una seconda." le disse l'amica. Era molto seria. "Ci vuole responsabilità nei rapporti con gli altri."

 

"Io non sono interessata a Mark..." balbettó Marty. "È u-un amico..."

 

"E continui a raccontar fregnacce. Ma pensi di intortare proprio me? Ti conosco, Yuchi. Conosco tutti i lati della tua anima, incluso quello bugiardo. Quello che non resiste alla tentazione di fantasticare. Tenti di convincere te stessa, ma ti agiti appena qualcuno scava nella tua coscienza. Sei innamorata di quello lì." fece May, puntando il dito su Lenders. "E non c'è nient'altro da aggiungere."

 

"Beh...non è vero!" sbottó Marty. "Io e Ed andiamo alla grande! C'è intesa, e passione. Sono stata a letto con lui, non avrei fatto niente con uno che non mi interessa!" rispose Marty, agitata. Non riusciva quasi a stare seduta.

 

"E che avete fatto a letto, eh? Vi siete stropicciati un po' e basta. Non lo hai avuto dentro di te. Magari ti è venuta voglia, ma lui te l'ha negato. E adesso sono ancora più convinta che l'abbia fatto per non portarti a fare uno sbaglio, e per non sentirsi in colpa a sua volta. Lui sa che pensi a Mark, lo sa benissimo. Ma ti vuole bene, e in questo è stupido. Si ostina a tenerti per sè, quando dovrebbe parlarti e lasciarti libera. Ma forse gli fa male l'idea di te con un altro, con un suo amico." ragionó Maylin.  "Gli uomini sono competitivi di natura riguardo a noi femminucce, e tu hai trovato anche uno pieno zeppo di orgoglio."

 

"Ti ripeto che sbagli. Sei mia amica ed è vero, nessuno mi conosce più di te. Ma su questo hai torto. Io sono convinta della mia storia con Ed, voglio lui, l'ho voluto credo dalla seconda volta che l'ho visto. Mark è un'ottima persona che mi è stata vicina in diverse occasioni. Lo ammiro, lo stimo, non conosco nessuno come lui...cioè, con la sua forza, il suo coraggio. Tu confondi il rispetto con l'attrazione." replicó Marty. 

 

"Sei così convinta della tua storia con Ed che l'idea di lui insieme a un'altra non ti sconvolge. Cazzo, ma ti senti quando parli? Prima hai detto di non avere aspettative sulla vostra storia, e che tanto sai che finirà, adesso dici è il mio grande amore. Oh, cara, guarda che non si scherza con le persone. Non esisti solo tu al mondo, esistono anche gli altri. Non prendere in giro quel tipo." la rimproveró Maylin. "Tu ti sei arrabbiata con lui per la scenata di gelosia a casa sua, ma sinceramente sto iniziando a capirlo."

 

"Ehhh?! Ma scherzi? Ed mi ha aggredita quella sera, non ha giustificazioni, e infatti se ne vergogna quando tiriamo fuori il discorso. Perfino suo padre gli ha dato addosso per quella storia.      Adesso mi stai dicendo che ha fatto bene??" s'irritó la giovane bionda.

 

"Ti sto dicendo che capisco la sua reazione non che la condivido. Tu sei troppo confusa e confusionaria, e le persone possono legittimamente perdere la pazienza in questo modo. Adesso rispondi a questo..." fece Maylin. "...che sensazioni ti dà l'idea che Mark si metta con una tipa?"

 

Marty sentì un tuffo al cuore.

 

"...mettiamo che un giorno un suo compagno di squadra ti dica: hey Marty? Sai la novità, Mark sta con una. Tu cosa proveresti dentro di te?" insistè May.

 

Marty non potè rispondere. 

 

"Te lo dico io: ti strazierebbe il cuore. Lo sentiresti andare in mille pezzi e non lo potresti rimettere insieme nemmeno con tutta la colla del mondo." continuó l'amica.

 

"No." disse lei. "No...anzi, sarei contenta. E giusto che anche Mark abbia...insomma...abbia un po' di tenerezza da questo mondo. Ha avuto una vita abbastanza dura fino ad oggi." 

 

"Cazzate. Enormi cazzate." la contraddisse Maylin. "Andresti fuori di testa. E perciò ti dico, metti in chiaro il prima possibile le cose con lui e con il fenomeno del karate laggiù. È il miglior consiglio che riceverai quest'anno, puoi credermi." 

 

Marty fece cenno di no col capo. "È tutto a posto così com'è. Guardalo..." indicó Warner. "...è il mio primo pensiero quando mi sveglio, l'ultimo prima di dormire. C'è lui nella mia mente, solo lui."

 

"Va bene. Basta." chiuse Maylin. "Non sei ancora pronta per fare quello che devi fare." 

 

"No." aggiunse Marty.  "Non hai ragione tu."

 

"Meglio che vai in palestra a cambiarti e riscaldarti adesso. Ti ho sempre detto che il riscaldamento è fondamentale." le suggerì Maylin. "Io resto qui ancora un po'. Ti chiamo più tardi."

 

Marty si alzó. "...hm." fece, un po' scocciata. "Ma ti sbagli."

 

All'improvviso, sentirono un lamento provenire dal campo. Mark e un suo difensore si erano scontrati, il capitano era a terra e si reggeva un polpaccio. Da lontano, riuscirono a vedere il sangue fluire dai parastinchi e bagnare i calzettoni. Si era evidentemente ferito coi tacchetti dell'altro calciatore.  

 

"Oddio!! Si è fatto male!" esclamò Marty, preoccupata.  

 

Scattó in avanti per discendere le gradinate e precipitarsi in campo, ma con una mossa fulminea, Maylin le afferrò il polso. "Ma dove cristo vai?!"

 

"Mark perde sangue! Devo medicarlo!" rispose Marty, tentando di divincolarsi

 

Vide Debbie e Lynn precipitarsi con la cassa del pronto soccorso in campo.

 

"Non è più tuo compito! Ci sono loro!" le disse May, senza mollare la presa.

 

"Ma...poverino!" rispose Marty, gli occhi fissi e sgranati su Mark. "Guarda quanto sangue!" 

 

"Fa niente! Non sei più assistente di team, non ti riguarda!" la scosse Maylin.

 

"Lasciami, cazzo!" gridó Marty. "Devo aiutarlo!"

 

"E sta' zitta! Cosa vorresti fare, precipitarti a fargli da infermiera privata!?? E sotto gli occhi di Ed??" la fermó Maylin. "E rifletti una volta tanto!"

 

Marty si bloccó.

Quelle parole riecheggiarono nella sua mente. 

 

Sotto gli occhi di Ed. 

Sotto gli occhi del tuo ragazzo.

 

Si giró a guardare il portiere, che camminava verso il centro del campo per sincerarsi sulle condizioni di Lenders. 

Era lui il suo ragazzo. 

 

"Allora, ti sei calmata, oca? Ma dico, se io non fossi stata qui, che casino avresti combinato?"  le disse May. "E hai pure il coraggio di negare le evidenze."

 

Marty era immobile e incapace di rispondere.

Guardava Lynn e Debbie affannate con alcool e garze, e poi le vide sorreggere Mark per accompagnarlo in infermeria.

 

"Sto male, May. Sto male, sono confusa!" mugoló Marty. Si portó una mano allo stomaco, perchè lo sentì stringersi in un colpo.

 

"Va' in palestra. Va' via, prima che Ed si accorga di questa sceneggiata. Inizia ad allenarti. Svelta!" le disse May. "Muoviti. Stasera ne riparliamo."

 

Marty rimase ferma, come agghiacciata, per diversi secondi. Si portó la mano alla fronte. "Non ci capisco più niente."

 

"Vai a fare il tuo allenamento! Scarica la tensione con lo sport, ti schiarirà anche la mente. E muoviti, che quello tra poco si volta verso di noi." le intimó Maylin. "Fatti beccare e adios muchacho."

 

Finalmente, Marty si convinse e discese le scale, una dopo l'altra. Guardò di nuovo verso il campo, nel frattempo Mark e le due ragazze si erano allontanate. 

 

Ed era tornato in porta. 

 

"Dai, va'." sentì di nuovo May. "Fila via di qui."

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Cuore ***


 

Mark decise che per quel giorno poteva bastare.

 

"Va bene, ragazzi! Tutti sotto le docce!" gridó ai compagni, per sancire la fine dell'allenamento.

 

Si udirono le esclamazioni di sollievo e gioia dai calciatori della Toho. 

 

Erano le 18:40 di quel mercoledì sera, e Lenders aveva il suo lavoro da iniziare. Alle otto, dopo cena, lo aspettava il signor Itou, il commerciante che dava anche le traduzioni a Marty, per un bella sfacchinata col carico e scarico merci. 

 

Perció, il suo umore non era dei migliori quando venne fermato dalla ragazza cinese in visita alla Toho, poco prima di avviarsi verso gli spogliatoi. L'amica di Marty indossava un pesante giaccone in velluto e un paio di jeans aderenti che esaltavano il suo fisico snello.  Mark non potè fare a meno di ammirare Maylin: un gran bel pezzo di puledra, come l'aveva definita il solito Eddie. 

 

Peccato sia cinese. Aveva commentato Bright.  Quelle sono vipere velenose. Dicono che se ne baci una ti si atrofizza l'uccello. 

 

"Posso parlarti, mister Muscolo?" chiese May al capitano, poggiandosi al recinto del campo. "Mi regali due minuti del tuo tempo?"

 

"Ma che siano due. Ho da fare." rispose l'altro. "Marty ti avrà detto che lavoro." 

 

"Sì, ha detto che sei una specie di eroe della classe proletaria. I miei complimenti, a proposito. Immagino tu ti senta a disagio in questa scuola privata per bambocci arricchiti." replicó Maylin.

 

Mark uscì dal campo, e si mise la salvietta attorno al collo. I due si sedettero sulle gradinate più basse.

 

"Questa scuola mi ha offerto studi gratuiti. Non ho potuto rifiutare. In quanto agli altri studenti, io non disturbo loro e loro non disturbano me." rispose Mark.  "Che mi devi dire, che il Giappone ti fa schifo?"

 

"Quella è un'altra faccenda. No, vedi..." disse lei, accavallando le gambe. "...mi piacerebbe farmi due chiacchiere con te sulla nostra comune amica. Ti secca?"

 

"No. Ma non vedo di cosa dovremmo parlare." ribattè lui.

 

"Tu sei un bel tipo, ma non molto sveglio. Non ti sei accorto che per Marty sei speciale?" fece lei.

 

Mark alzó gli occhi al cielo. "Io e lei ne abbiamo già discusso. Non c'è che amicizia, e un po' di confidenza. Roba vecchia. Sta con qualcuno, lo sai." 

 

"Beh io conosco la biondina da quando ha dodici anni e penso dunque di sapere qualcosa di più su di lei rispetto a te. È un bel po' che io e lei parliamo via Skype della sua vita privata, qui. Mi ha raccontato di quel cretino con cui è uscita, quell'Eddie...poi di Benji Price o come-diavolo-si-chiama...di Ed, naturalmente, e guarda...sono convinta che lui le piaccia. Davvero convinta. Ma c'è un ma." rispose Maylin. "La nostra Marty ha riservato il suo cuoricino per qualcuno e mi sa tanto che non è quel portiere."

 

"Te l'ha detto lei?" ribattè Mark. "Senti, io ho da fare. Queste stupidaggini non fanno parte della mia vita."

 

"E perchè? Non sei giovane, tu? Non sei umano, non hai un animo?" lo provocó Maylin. "Reciti la parte del Generale di ferro in mezzo al campo, e nella vita, ma sei solo un ragazzo. E rifiuto di credere che tu abbia un sasso al posto del cuore. Dimmi, le vuoi bene?"

 

Mark si asciugó il viso e fece passare il telo sui capelli. Un gesto per prendere tempo.

 

"...allora? Vuoi bene alla mia amica?" ripetè Maylin.

 

"Ha fatto belle cose per i miei familiari. È stata generosa con loro, e questo non lo scordo. È buona, di carattere, lo so. Ma se intendi altro...no. E adesso chiudiamola, per favore. Mi devo preparare, perchè purtroppo la mia serata non è finita...ancora." rispose lui.

 

"Solo un momento. Vorrei parlarti anche di un'altra cosa. Sai, esistono varie forme di orgoglio a questo mondo. Quel vostro portiere, quell'Ed Warner, rappresenta la sua versione più palese. Mi ha raccontato, Marty, della scenata a casa sua, dopo quella cena con l'altro tizio, Benji." continuó Maylin.

 

"Ti ha detto tutto, eh?"

 

"Tutto. Non ci potevo credere. Cazzo, al suo posto gli avrei dato tante e tante legnate che sarebbe stato costretto a dare il bacio dell'addio sia al calcio che al karate. E invece lei lo ha perdonato. Marty è così, è come se avesse un problema nel riconoscere e individuare i difetti degli altri. Non nego che Ed abbia tante qualità: è bello, è intelligente, gli sono bastati pochi secondi per fare una disamina della mia vita... E sai una cosa? Ci ha visto giusto. Ci ha visto proprio giusto." Poi sul viso di Maylin apparve un'espressione triste, addolorata.  

 

Mark se ne accorse. May sembró incupita di colpo, e lui venne colto dalla tentazione di chiederle quale fosse il problema, ma si tacque. E poi, non erano fatti suoi.

 

"... peró, io credo che Marty non sia innamorata di lui. Ho la sensazione che lo consideri come una specie di sogno, di eccitante fantasia, e che per lei questa relazione sia come una scarica di adrenalina. Sì, insomma, sai quando sei in campo, e l'arbitro sta per dare il fischio d'inizio, prima di una gara molto importante. E tu senti l'elettricità pervadere tutto il tuo corpo. Ogni volta che lei e Ed stanno insieme, secondo me è soprattutto questa la sensazione che prova, ma non è nulla di davvero profondo." raccontò May. 

 

" Perché mi dici tutte queste cose? Sono faccende che non mi riguardano." sbuffó Mark, seccato di doversi trattenere ancora.

 

"Lo credi tu. Voglio molto bene alla mia amica, è una ragazza forte per alcuni versi. Ma è come una candela nella burrasca, è anche fragile, e indifesa. Si è lasciata prendere in giro diverse volte dagli uomini. Come se non avesse barriere difensive, e questo mi preoccupa per il suo futuro. Secondo me, una come lei ha bisogno di un compagno che sia un punto di riferimento imprescindibile. Uno come te, forse: io non ti conosco ma Marty mi ha detto che hai un grandissimo carattere, e se ti guardo negli occhi capisco che ha ragione. Tu sei uno che non si fa prendere per i fondelli da nessuno, e neanche dalla vita. Io credo che lei ti voglia bene. Un affetto che non ha mai provato davvero per nessun ragazzo. Tu dici di non sentire altro che amicizia, e forse è così. Io parlo per supposizioni, certamente non posso leggere dentro di te. Ma se per caso tu provassi dei sentimenti per lei, e fossi frenato da una forma di orgoglio, sappi che stai commettendo un grandissimo sbaglio." poi May si alzó, e scrolló i capelli. " Scusa se ho rubato il tuo tempo, ma sentivo di doverti parlare. Grazie per avermi ascoltata."

 

"Adesso lascia che sia io a dirti qualcosa." la fermó Mark. Si alzó in piedi a sua volta. 

"Quando capii che era innamorata di Ed, tentai di avvisarla. Conosco il nostro portiere molto bene, so quali sono le sue asperità caratteriali, sapevo che Marty con lui non  avrebbe retto. Ció che è successo a casa sua, quella sera, è stata la prova. Ma poi lei ha fatto una scelta: ha scelto di frequentarlo comunque. E su questo, né io né te possiamo fare niente. Se vuoi la mia opinione, tu non dovresti intervenire sulle scelte della tua amica, nè dovresti scervellarti per capire cosa sarebbe meglio per lei. E soprattutto non devi coinvolgere me in questo. Adesso, mi perdonerai se ti saluto." le disse Mark. 

 

Maylin fece un sorriso sarcastico."Non hai risposto alla mia domanda. Le vuoi bene, o no? Ah, siete cocciuti come due asini. Testoni, testardi. Siete davvero fatti una per l'altro, peccato non lo vogliate riconoscere. Sareste una grandissima coppia." gli disse. " Pensaci, Mister Muscolo. E ricorda che anche tu hai un cuore."

 

🎋🎋🎋

 

"May, ti prego... non farlo. Non fare quello che stai pensando di fare." 

 

Le due ragazze, dopo i pasti, erano salite in camera di Marty. L'amica cinese era stata invitata dei signori Laughton a cena e aveva accettato subito, dato che il ristorante dell'albergo in cui stava non era dei migliori. 

 

Si stava divertendo a spaventare Marty con la minaccia di togliere la cavalletta dalla sua teca. "...ma ti ho detto che non salta! Guarda la puoi prendere anche in mano..." infiló un dito nel contenitore e subito l'insetto si arrampicò su di esso. Maylin lo estrasse quindi dalla sua casetta e lo tenne in alto. "Guarda, ti dico! La tua guoguo. Hey! Potresti chiamarla Gogo."

 

"Aaaaahh!!!" strepitó la ragazza irlandese. "Daiiii che schifooooo!! ti pregooo!!" E poi corse a nascondersi dietro a un armadio. "...se mi salta addosso, oh Gesù se mi salta addosso impazzisco!"

 

L'amica scoppiò a ridere. "Non puó saltare da nessuna parte! Non è abituata a saltare, è cresciuta in una scatola. Sta immobile sulla mano, non vedi?"

 

" Mi fai il porco piacere di metterla via?" gridó Marti."Per favore, cazzo, Maylin!!

 

" E va bene, va bene. Razza di codarda, ma che ti ha fatto una cavalletta?? Non possono fare male alle persone...non possono né pungere ne mordere!" detto ciò, mise l' insetto nella teca, e la richiuse.

 

" Mi fa impressione, ecco cosa mi fa!"  sospiró Marty. Poi emerse dal suo nascondiglio dietro l'armadio. "Sei una sadica. L'ho sempre detto."

 

" Può essere che io ce l'abbia nel sangue. Forse la crudeltà mi appartiene." mormorò l'altra tristemente.

 

Marti non capì quella frase."Cosa vuoi dire?"

 

"Niente." sussurrò May ancora, ma si vedeva che era giù di morale. "Sai, c'è una cosa di me che non ti ho mai raccontato."

 

"Forse ha a che fare con la tua famiglia, con il tuo sangue?" domandó prudentemente Marty. "... Ed ha certe idee su di te, io gli ho detto che sono stupidaggini, ma forse ho capito cosa intendi."

 

Maylin fece un sorriso triste. "Il tuo ragazzo è davvero perspicace. E no, non sono stupidaggini, ha ragione. C'è un motivo per cui io non amo questo Paese."

 

La giovane irlandese intuì perfettamente. "Non sei costretta a parlarne. Non ha senso guardare indietro, ha senso solo il presente."

 

" Lo so. Ma in certi momenti non posso fare a meno di pensare che io sono al mondo perché un giorno un uomo giapponese ha fatto del male a una donna cinese. Molto male. Quindi era un uomo cattivo, crudele. E chi sa che parte di quella crudeltà non si sia trasmessa fino a me. La genetica non si cambia. È il nostro codice." disse May. " tu non puoi capire, ma è tremendo pensarci."

 

Marty le si sedette vicino. " Di che cosa stai parlando? Sei una ragazza meravigliosa, non devi più ripetere quello che hai detto. Tu sei viva, sei al mondo, e fai tante cose importanti. Una di queste, è essermi amica. Non avere dubbi sul fatto di essere una bella persona."

 

"Avrei preferito di gran lunga che a quella donna cinese, alla mia bisnonna, non fosse successo niente. Io ora non ci sarei, ma lei non avrebbe sofferto così tanto. Quello che voglio dirti è che una parte del mio sangue mi fa schifo, la parte giapponese." sospiró la ragazza. "Detesto stare in questo Paese, sono venuta per il tuo compleanno, ma giuro che è l'ultima volta. E ci sono momenti in cui anche guardarmi allo specchio mi fa male, i miei lineamenti purtroppo sono lì a ricordarmi ogni giorno a quale razza appartengo per metà. È come una specie di condanna."

 

"Su questo però io non riesco essere d'accordo. Perdonami. Non puoi fare di tutta l'erba un fascio... ci sono tante belle persone anche in questa nazione. Io ho amici qui, mi sono innamorata di un ragazzo. La bontà c'è dappertutto, in ogni popolo. Non esistono genti cattive a prescindere."  obiettó Marty.

 

" A proposito, oggi ho chiacchierato con il ragazzo di cui sei innamorata." disse May. 

 

" Con Ed? Quando?" Si incuriosì Marty. 

 

" Non parlo di Ed."

 

L'altra aggrottó le sopracciglia. " Ancora Mark? Hai incontrato lui? Ma si può sapere che cosa ti sei messa in testa! Ti ho detto che fra noi c'è solo amicizia."

 

" Anche lui ripete questa pappardella. Ma dico, tu mi conosci... Non penserai che io sia nata ieri. Lo vedo benissimo com'è la faccenda, c'è una intensità nei vostri sguardi che si può tagliare con il coltello. E con quell'altro, con il capellone, non è affatto così." continuó la ragazza cinese.  " Fa' quello che ti pare. Continua a prendere in giro te stessa. Ma stai attenta, Marty: quel Mark non resterà solo a lungo. Prima o poi qualche altra tipa gli metterà gli occhi addosso, e non avrai nemmeno il tempo di accorgertene."

 

" Ah si? Beh sono davvero curiosa di conoscerla. Voglio proprio guardare in faccia la ragazza che riuscirà a provocargli una minima emozione. Non ti credere, non succederà così facilmente." sorrise Marty.

 

" Ti piace pensarlo! Ma se tu sei lenta, qualche altra sarà più veloce di te. Non le resterà che allungare una mano a prenderselo. E avrà tutto di lui, quello a cui tu ora stai rinunciando. In questo mondo ci sono tante ragazze intraprendenti, che non si fanno tanti problemi. Ti conviene sperare che il tuo bello non incappi in una di loro." le disse Maylin. 

 

" Il mio bello è Ed. Solo lui, e non c'è nient'altro da aggiungere su questa faccenda." le replicó Marty. "Sai che mancano solo tre giorni e poi partirai? Mi dispiace che tu abbia visto solo Tokyo, ci sono bellissimi posti in Giappone." 

 

" Va bene così. Ho fatto shopping, mi sono rimpinzata di sushi, ho visto la modernissima Tokyo, e sono stata con te. Al diavolo il resto." ribattè l'altra. 

 

" Che farai una volta tornata in Cina?"  volle sapere Marty. 

 

" Studierò, mi allenerò, studierò ancora, e mi allenerò ancora. Bel programmino eh? Ma esattamente ciò che farai anche tu." rispose Maylin. 

 

" Io credo che tu entrerai anche nella nazionale di pallavolo cinese. Hai tutte le carte in regola, il talento, l'altezza, la tenacia, la tecnica, il cuore. Non conosco nessuna giocatrice, nemmeno Kibi, con un cuore grande come il tuo. Chissà che anch'io magari un giorno, riuscirò ad entrare nella nazionale irlandese. Pensa che bella finale sarebbe: Cina contro Irlanda." disse Marty con aria sognante. 

 

"Pfff. Ma fa' il piacere. Voi Irlandesi dovete fare quello che sapete fare meglio: produrre la Guinness, andare a cercare gnomi nei boschi, ballare il jig. Nello sport non valete un tubo." la provocó Maylin.

 

"Siamo forti anche nelle lettere. James Joyce, Yeats, sono stati grandi poeti e drammaturghi irlandesi." riflettè Marty. "Quanto mi piacerebbe studiare poesia all'università..."

 

"E chi te lo impedisce?" 

 

"Mio padre è dalle medie che mi fa una testa così per iscrivermi a Economia o Matematica. Ma io odio l'algebra! Non la capisco!" si lamentó l'altra.

 

"Beh...ma la vita è tua o di tuo padre?"

 

"...mia...ma..." rispose Marty.

 

"Ecco. Allora sai cosa fare. C'è una sola certezza a questo mondo: che moriremo un giorno. Tutto il resto, ce lo dobbiamo creare. La nostra vita è nostra." disse Maylin. 

 

Come a sottolineare quella grande verità, Gogo la cavalletta inizió il suo canto.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Partenze ***


L'aeroporto di Tokyo Haneda, quel sabato mattina, sembró a Marty il posto più triste del mondo. 

Con la morte nel cuore, stava accompagnando la sua migliore amica verso gli imbarchi. Tutto la meraviglia, e lo stupore, per la modernitá di quel complesso, che così tanto l'aveva colpita al suo arrivo in Giappone, lasciarono il posto a un profondissimo senso di nostalgia. Non sapeva quando lei e Maylin si sarebbero riviste in persona. Forse di lì a un anno, o due, o di più.  Il volo Shanghai - Tokyo era costosissimo, e solo con le traduzioni  ci avrebbe messo un lungo periodo di tempo a raccogliere una somma tale da poterselo permettere. 

 

"Ma quando inizieró a giocare come professionista, guadagneró bene. Verró io a trovarti." le aveva detto Maylin la sera rima, per consolarla. "E poi c'è Skype, le connessioni internet ormai avvicinano la gente. Nessuno si perde più di vista."

 

"Sì ma, quando ci riabbracceremo?" aveva singhiozzato la ragazza bionda. 

 

"Non lo so. Lasciamo fare alla vita. Poi comunque non credere che non ti daró l'assillo una volta in Cina! Vorró sapere come procede con Ed, con Mark....con la tua carriera! Guarda che ti voglio vedere diventare professionista, come me!!" le aveva detto May. "In quanto al Giappone, molto felice di andarmene."

 

"Lo capisco.  Peró dai, non pensare più a certe cose. La vita è bella, non lasciarti intristire da quello che comunque è incancellabile. Anzi, ti consiglio di fare più buone azioni possibili...così ti sentirai meglio." aveva detto Marty, abbracciandola. "Gli errori degli antenati non ricadono sui discendenti."

 

"Proveró a venire a patti con questo. Non sarà facile." aveva concluso May.

 

Ed si era offerto di accompagnare le due ragazze in macchina, così poi lui e Marty sarebbero tornati direttamente alla Toho insieme, per le partite del sabato.  In silenzio, mentre era alla guida, aveva avuto l'impressione che la sua ragazza stesse peggio che male. Le aveva perció preso la mano, in un gesto consolatorio. 

Maylin se n'era accorta, e dentro di sè aveva pensato che quel tizio in fondo non si meritava quello che quasi certamente stava per succedere. 

 

Marty lo avrebbe lasciato per Mark. Su questo, la giovane cinese non aveva dubbi. Per quanto affascinante, sexy e premuroso, il portiere non aveva quella cosa tutta particolare che aveva Lenders.  Quell'aura all'apparenza indomabile, ma che sotto sotto nascondeva una grande anima e molta dignità. Mark era come un cavallo bizzoso, che si sarebbe tuttavia lasciato ammansire dalla mano giusta. E ad essa, avrebbe dato la vita.

 

Peró, Warner non se lo meritava. Era un tizio serio, rigoroso con sè stesso e coerente nel suo affetto per Marty.  Si ricordó di quella frase struggente: tremo all'idea di perderla. 

Maylin lo credeva. Ed aveva incontrato una ragazza che lo aveva tolto dalla sua routine di incontri fugaci e relazioni superficiali, e uno come lui era il classico tipo che di fronte a un impegno vero, metteva tutto sè stesso. Come nel calcio, come nel karate. 

 

Era convinto della sua storia con la giovane irlandese e voleva metterci costanza. Il grosso guaio, era che dall'altra parte non era così.

 

"A che ora parte l'aereo?" chiese Marty, guardando i cartelloni con gli orari.

 

"Te l'ho detto: alle nove e trenta. Marty..." fece May, mettendole una mano sulla spalla. "Non è un addio!!  Ci rivedremo."

 

"Ma quando?  Sei stata troppo poco, almeno potevi fermarti due settimane..." si lamentó l'altra.

 

"E come facevo con la scuola? Dai, vieni qui." May la tiró a sè, e la coinvolse in un lungo abbraccio, sotto gli occhi di Ed. "...promettimi di essere buona con questo tipo. Ti vuole molto bene." le sussurró in un orecchio. 

 

Marty annuì, cercando di trattenere le lacrime. 

 

"Se dovessi lasciarlo, usa molto tatto." aggiunse Maylin. "Qualsiasi cosa tu faccia, falla con sensibilità. Specie questa." 

 

Marty si staccó da lei. "Fra me e Ed continuerà." mormoró. "Vedrai."

 

"Hm." fece Maylin. "In tal caso, verró alla vostra di fidanzamento. Puoi giurarci."

 

Poi si voltó verso il diretto interessato. "E tu...ricordi cosa ti ho detto?"

 

"Che mi prenderai a schiaffi, se faró soffrire la tua amica. Sì, me lo sono segnato su un taccuino." scherzó Ed.  Poi allungó una mano. "...felice di averti conosciuto."

 

"Anch'io." rispose Maylin. "Sei uno giusto. E grazie per il passaggio, oggi."

 

Si strinsero la mano. 

 

May, poi, guardó il display con le partenze. "Devo fare il check in. Vado."

 

"Ma subito, non puoi aspettare?" disse Marty, disperata.

 

"È da mezz'ora che siamo qui a parlare. Dai, Yuchi, ci siamo dette tutto. Stai calma. Poi, voi dovete andare alle partite. Pensa a vincere, oggi, intesi? Non lasciarti deprimere dalla mia partenza, o non ti perdonerò!" la incoraggió Maylin. 

 

Le due, allora, si strinsero in un ultimo abbraccio, e Marty non trattenne il pianto.

 

"Pensa tu a farle tornare il sorriso." disse Maylin a Ed.   Poi, prese il suo grande trolley, e si avvió al check in.  

 

Si voltó un'ultima volta a guardare la sua amica. "Ciao." e poi si allontanó definitivamente. 

 

Ed si avvicinó alla sua ragazza, scossa dai singhiozzi. Seguirono Maylin con lo sguardo finchè non fu sparita nella sala degli imbarchi.

 

"Dai, andiamo." fece lui. "Vuoi fermarti a prendere un caffè?"

 

"...no..." mormoró Marty, asciugandosi gli occhi. "È terribile, Ed."

 

"Torna nel suo Paese. Doveva succedere." le disse lui. "Vi sentirete già domani."

 

Marty annuì. "È che non so quando ci rivedremo. Ho bisogno ancora di parlarle." 

 

"A che proposito? Magari posso aiutarti io." le cinse la vita con un braccio. "Sono il tuo ragazzo dopotutto. Io non ho un piccolo posto nella tua vita?"

 

"Ma sì. Solo che non è la stessa cosa. Lei è come una sorella." rispose Marty. "Sa tutto di me."

 

"Sai, mi piacerebbe che tu ti aprissi di più con il sottoscritto. Forse non ti sto dando abbastanza attenzione? Lo so, adesso fra la scuola, il campionato e i mondiali che iniziano non abbiamo tempo per noi due. Ma ti prometto che quest'estate ci rifaremo." replicó Ed. 

 

"Non sei tu. Tu mi stai dando quello che puoi. È che l'amicizia a volte ti aiuta più dell'amore. Mi spiace perderla così..." sospiró Marty. 

 

"Vuoi venire da me dopo la partita? Non puoi fermarti a dormire, con mio padre in casa, sai...ma ce ne stiamo un po' da soli. Ti va?" propose Ed. "Devo mostrarti i miei trofei del karate. Sono in camera mia."

 

"Hmm sì, va bene. Ho bisogno di coccole." accettó lei. 

 

"Ne avrai in abbondanza." promise Ed, prima di guardare di nuovo i cartelloni con le partenze.  

 

Vide Jakarta come destinazione. 

Mancava così poco.

 

🎋🎋🎋

 

"Felice di rivederti, Marty." la salutó quella sera la signora Sakura. "Bello che tu sia qui."

 

"Salve signora. Non l'ho ringraziata abbastanza per il kimono. Mia madre e una mia amica sono rimaste a bocca aperta. Non doveva, è un oggetto preziosissimo." replicó Marty, togliendosi le scarpe. 

 

La casa dei Warner aveva sempre quell'aura imponente e un po' solenne, e lei avvertì il solito disagio, entrando. 

 

Si guardó intorno. 

Il padrone di casa ovviamente non c'era. 

 

"Kaito è ospite in un altro dojo, deve parlare con il proprietario in merito a un torneo che ci sarà a breve.  Vogliono fare combattere gli iscritti delle due scuole." spiegó Sakura. 

 

"Sei sollevata?" sussurró Ed alla ragazza. "Io sì. Un po' di pace."

 

"Non ho nulla contro tuo padre." ribattè freddamente Marty.

 

"Tu sei fin troppo paziente con lui, cara. Ti ringrazio. Io ci sto provando a fargli entrare in quella testona un poco di buon senso, e credo di aver ottenuto già un discreto risultato: non parla più di te in un certo modo. Non dice più quella bianca, o quell'occidentale. Ti definisce: quella tizia che Ed frequenta." sorrise la donna.

 

 "Che onore. Beh, saggio è colui che si accontenta." sospiró Marty.

 

"Non sai quanto hai ragione. Mamma, allora magari Marty si ferma a cena?" chiese Ed.

 

"Ma sì, assolutamente! Non uscite, dopo? È sabato sera." rispose la donna.

 

"Siamo esausti.  Abbiamo vinto entrambi le nostre partite. Vorremmo rilassarci un po' in camera." rispose il figlio.

 

"Ah come preferite...Marty, chiama i tuoi, insisto perchè ceni con noi." le disse Sakura.

 

“Sì poi scrivo a mia madre.” rispose Marty. “Comunque ultimamente mi lasciano un po’ più di libertà. Sarà perchè vado bene a scuola.” 

 

Ed le prese la mano. “Dai andiamo nella mia stanza. Non l’avevi mai vista, fino ad oggi.”

 

“Ti piace lo shabu Marty?” le chiese Sakura.

 

“Non so cos’è signora!” rispose Marty, mentre Ed la tirava lungo il corridoio esterno in legno.

 

“È un piatto di verdure e carne. Ti piacerà.” rispose il ragazzo.

 

“Hey, ma perchè tiri?” si lamentó lei. “Che fretta c’è?”

 

“Allontaniamoci. Non sopporto mia madre quando fa la svenevole. Mi infastidisce.” commentó il portiere.

 

“È solo gentile.” obiettó Marty.

 

Arrivarono a una stanza molto ampia.

 

Dentro, la ragazza vide subito una gran quantità di trofei, ordinatamente disposti su un mobile antico. Tutti rappresentavano un torneo vinto di karate, e alcuni erano datati.  Ed aveva iniziato a non avere più rivali fin da bambino. Poi c’era una medaglia d’oro, conquistata ai Mondiali under 16 di tre anni prima. E gli altri gagliardetti che celebravano la vittoria della Toho FC nei campionati nazionali.

 

“Impressionante…” commentó Marty, avvicinandosi a quell’imponente bacheca. “Delle volte dimentico quanto tu sia straordinario.” 

 

“Solo duro lavoro e costanza, in tutte le discipline. Quello ripaga sempre.” rispose lui. 

 

Lei osservó il resto della stanza: c’era un largo futon a terra, una scrivania con moltissimi libri e fogli, un armadio scorrevole e delle foto su un altro mobile. In una, si vedeva Ed con il fratello.

 

“Come sta, Daniel?” chiese Marty.

 

“Non male. Sandra fatica a rimanere incinta, peró. Questo lo addolora.” rispose Ed. “Lui teme di essere sterile.”

 

“Oh no! Mi spiace.” commentó la ragazza.

 

“Sí. Un nuovo piccolo Warner in questo mondo ci vorrebbe davvero.” rispose lui. “Non verrà da mio fratello, temo.”

 

Marty sorrise. “Tocca a te.”

 

“Magari sì.” rispose Ed.  

 

Si misero a sghignazzare entrambi. 

 

“Non guardare me.” disse Marty. 

 

“Perchè no? Immagina la gioia di mio padre nell’andare in giro con un nipote biondo in braccio.” scherzó Ed.

 

“Appunto. Lasciamo stare.” fece lei, e si sedette sul futon a gambe incrociate. Ed fece altrettanto.  

 

“Hai parlato ai tuoi di noi due?” le chiese.

 

Marty sobbalzó, quasi, a quella domanda. “Eh? N-no. Non ancora. Ho solo detto che siamo tornati amici. Anzi, fammi scrivere a mia madre, le devo far sapere che sono da te.” e poi armeggió con l’Iphone. 

 

Ed non sembrava contento. “…perchè non ancora?”

 

Lei sollevó lo sguardo. “Mah…non è il momento. E tu, perchè non vuoi fare l’amore con me?”

 

Ed sorrise, e poi si passó la mano fra i capelli. “Mah…non è il momento.”

 

“Visto? Siamo allineati.” fece Marty. Ripose il telefono a terra.

 

Ed l’afferró per le caviglie e la tiró verso di sè. Marty gli circondó la schiena con le gambe. Si abbracciarono. “Dura non avere privacy, eh?” disse lei. 

 

“Intollerabile.” rispose Ed, avvertendo la fragranza dei suoi capelli biondi. “Non so quanto posso resistere.” 

 

“Perchè non ci prendiamo una stanza in hotel? Non un motel, uno più bello.” propose lei di nuovo. 

 

“Non mi va. Voglio che la nostra prima volta sia speciale. Ho anche un’idea…” rispose Ed. 

 

“Quale?” 

 

“Più avanti.”  le rispose lui, baciandole le labbra. “Te lo diró più avanti.”

 

Marty premette il bacino contro quello del ragazzo. “Tutti questi segreti…è eccitante ma anche snervante.” 

 

“Buona lì…adesso arriva mia madre a chiamarci per la cena. Non facciamole vedere queste cose.” disse Ed.  

 

Marty buttó la testa indietro e rise. 

 

“Ti è tornato il buonumore, eh? Chi ti ha insegnato a sorridere così?”

 

“Sei stato tu.” rispose la ragazza, rannicchiandosi sul suo petto. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** “Non svegliarti adesso” ***


 

"Hai mai dormito in un futon?" chiese Ed, mentre Marty si guardava un film sul cellulare. 

 

Lui non aveva la televisione in camera, in casa Warner ce n'era solo una e stava in salotto, dentro a un mobile. Il signor Kaito non aveva mai permesso nè a lui nè a Daniel di avere TV personali, che distraevano da ben più importanti attività.

 

Così, i due ragazzi dopo cena si erano rintanati in camera di Ed con l'idea di guardarsi un film sull'Iphone, e per l'occasione Ed aveva consigliato alla sua ragazza il bellissimo Antarctica, una produzione giapponese che lo aveva sempre commosso. 

 

Mentre osservava sullo schermo la storia dei cani da slitta dispersi in Antartide, Ed sentì una fitta al cuore: gli mancava molto Jiro. 

Lo aveva chiamato così in onore di uno dei protagonisti a quattro zampe del film. Chissà dove si era ficcato quel povero cagnolino, che lui stesso aveva già salvato dalla grama vita da strada. 

 

"...come?" chiese lei, richiamandolo alla realtà. 

 

"Dico, hai mai provato un futon?" domandó di nuovo il ragazzo. "Si sta comodi."

 

"Dovresti ricordartelo. Ci sono cascata sopra quando qualcuno ha perso il lume della ragione tempo fa..." rispose Marty. 

 

Ed si vergognó. "...a parte quella volta."

 

"No, non ci ho mai dormito, comunque. Ma non fa male alla schiena dormire sulla superficie rigida?" continuó lei. 

 

"Al contrario, questo mette a posto la colonna vertebrale. Prova a infilarti sotto il kakebuton." consiglió Ed. 

 

"Il...?" 

 

"Kakebuton. Il piumino per coprirsi. Sarai stupita da quanto tiene caldo." rispose Ed.

 

"...cos'hai in mente?" ridacchió lei. 

 

"Solo farti provare il nostro tipico giaciglio. Null'altro. Mio padre tornerà tra un'ora più o meno, figurati se mi viene in mente di fare cose qui da noi." replicó Ed. 

 

Marty sospiró e s'infiló in tuta da ginnastica nel futon di Ed. "Hey, è vero. Tiene caldissimo. E poi è morbido il materasso."

 

"Il shikibuton. Si chiama così." la corresse Ed. 

 

"Dai, vieni anche tu." lo incoraggió lei. "Stiamo un po' vicini, se altro non possiamo fare."

 

Ed s'infiló nel giaciglio accanto a lei. Resse il telefono mentre il film proseguiva. "Guarda che piangerai alla fine. È una storia vera e triste."

 

"Ed...mi spiace se il tuo cagnolino è scappato. Colpa mia." si scusó Marty. "Ti manca."

 

"Sì. Ma se ha scelto di andarsene, forse non stava bene qui." replicó Ed. "Forse non era questo il suo posto."

 

"Magari...magari tornerà. Eravate legati. I cani sono fedeli." gli disse lei, accarezzandogli una guancia. 

 

"Più delle persone di sicuro. E non sono falsi." disse Ed. "Non fingono affetto o amore, se non lo provano."

 

Alle orecchie della ragazza, parve una frase allusiva. Inizió ad agitarsi.

 

"...cosa c'è?" gli chiese allora.

 

Ed la guardó negli occhi.

"In che senso, scusa?" 

 

"Perchè adesso dici queste cose?" ripetè Marty. "Chi sarebbe falso?"

 

"Ma no, niente. Era per dire." rispose lui. "Ti senti chiamata in causa?"

 

"È che tu sei sempre criptico. Delle volte, sembra che tu voglia far capire delle cose, e lasci cadere certe frasi così..." obiettó lei.

 

"No. Era solo un ragionamento come un altro. I cani sono fedeli. È la verità." disse lui. "Le persone, invece, non sempre."

 

"Come ti è sembrata May?" chiese allora Marty, cambiando argomento.

 

"Schietta, tosta, un bel caratterino di sicuro." ribattè lui. "Tiene a te."

 

"Lo so. È come una guardiana. Le cazzate che stavo per fare...se non ci fosse stata lei..." sorrise Marty. 

 

"Un po' di cose me le ha raccontate." disse lui. "Certo che tu sei una bella svitata, eh?"

 

"Cosa???" s'imbarazzó Marty. "Cosa ti ha raccontato??"

 

"Lasciamo stare." rise Ed, che evitó di tirare fuori la storia del Cinese. E poi, il racconto di quella faccenda lo aveva turbato. L'idea sola della sua ragazza tentata di andare a letto con un playboy trentenne lo faceva stare male. Non voleva avere quell'idea di lei nella testa.

 

"Ed...cosa sai?!" insistè la giovane, paonazza.

 

"Guarda il film, piuttosto." la esortó lui. "Perdi il filo, altrimenti."

 

Marty peró non toglieva lo sguardo dal suo.

 

"Cazzo, cosa ti ha detto May??!" chiese ancora.

 

"Non essere volgare. Sai che non mi piacciono le parolacce in bocca alle ragazze. Perdete parte del vostro fascino quando siete scurrili." glissó lui.

 

Marty allora si zittì e tornó a seguire la storia sullo schermo. 

 

"Il passato è passato." mormorò lei.

 

"Ne convengo. Pensiamo a noi, vuoi?" rispose Ed, stringendosi ai suoi fianchi. "Tra poco peró devi tornare dai tuoi. Ancora mezz'ora poi ti accompagno, ok?"   

 

"Hm. Ok." rispose Marty, controvoglia.  Stava bene in quella stanza, con Ed, in quel letto sul pavimento. Non era molto convinta di tornare a casa. Le venne sonno.

 

Passarono venti minuti di calma,  nessuno dei ragazzi parlava, c'era solo il sottofondo dei dialoghi del film. Che poi non erano dialoghi, dato che la storia si concentrava solo su un gruppetto di cani. Le musiche ipnotiche della spettacolare colonna sonora di Vangelis fecero il resto. 

 

 

 

"Hey ti va di reggere tu il telefono? Inizia a formicolarmi il bra..." chiese Ed, ma si accorse che la ragazza si era addormentata. E profondamente, pure. 

 

"...ccio. Ma che ti parlo a fare." sospirò Ed, e interruppe il film. 

 

Guardó il viso di Marty, girata su un fianco che respirava profondamente. 

 

Gli venne da piangere. 

E pianse.

 

I singhiozzi facevano sobbalzare la sua gabbia toracica e si sforzó di non fare rumore, ma era più forte di lui. L'improvvisa, raggelante consapevolezza che la loro storia era solo una bugia, lo investì come un treno.

 

Marty non era sua. 

Era sentimentalmente di un altro, e lui lo aveva capito. Lo aveva capito quando aveva aperto lo shonji della cameretta di Nathalie Lenders, qualche mese prima, e li aveva visti.

 

Lui e lei abbracciati.  Uniti come una vera coppia doveva essere. Lei che consolava lui e lui che riceveva il suo affetto come fosse la cosa più naturale e giusta al mondo. 

 

E se un barlume di speranza poteva esserci ancora per il giovane Warner, se l'era giocata tutta il ventinove Dicembre dell'anno prima, con quell'assurda scenata.  Inutile, per di più, perchè a Marty di Benji Price non importava un fico secco.  Gelosia sciocca e letale per il loro rapporto. Non si sarebbe mai più fidata di lui. Lo vedeva dall'angoscia nei suoi occhi, ogni volta che affrontavano certi argomenti anche casualmente. 

Aveva paura di lui, ormai, e tutte le coccole del mondo non avrebbero cambiato la situazione.

 

Voleva illudersi, cercava di non pensarci, ma la sua coscienza parlava ormai a voce troppo alta per ignorarla. 

Mark invece aveva tutta la sua fiducia e perfino la sua stima. Non era possibile combattere ad armi pari in quel particolarissimo dojo, in cui il suo capitano ed amico lo avrebbe stracciato senza pietà.

 

"Non svegliarti adesso." mormoró Ed. "Rimani ancora un po' qui."

 

Era probabile che la fine della loro storia sarebbe coincisa con la sua partenza per il ritiro pre-mondiale. La distanza avrebbe dato il colpo finale. 

 

Marty mugoló nel sonno e si mosse.  

 

"Mark..." le sfuggì.

 

Ed chiuse gli occhi e sentì il cuore saltare un battito, o forse due.

 

Oh mio Dio.

 

🎋🎋🎋

 

Kaito Warner rientró a casa verso mezzanotte. 

 

Era stanco morto. Tutta la giornata nel dojo di Kanji Yonekura, il più famoso di Tokyo dopo il suo, a discutere i dettagli del torneo che lui e il suo vecchio amico avevano in mente. 

Il vincitore avrebbe avuto una promozione a nuovo socio nel progetto segreto dei due grandi maestri.

 

Un'unica grande impresa, una catena di scuole di karate sparsa per tutto il Paese, della quale Kaito e Kanji sarebbero stati i titolari. Un progetto ambizioso, costoso, ma fattibile.  Il sogno dei suoi avi che si realizzava, portare il micidiale Wakado style su larga scala. Certo, se qualche colletto bianco del governo non gli avesse rotto l'anima con la storia della violenza. 

 

Stupidi. 

Non c'era violenza nel karate:  era una disciplina seria, nobile, che insegnava il rispetto del proprio corpo e l'autodifesa.  Sicuramente c'era il lato pericoloso, ma come in tutte le arti marziali. Un atleta di sumo poteva rompere il collo a un avversario, un esperto di kung fu poteva addirittura amputare gli arti a un nemico, ma stranamente solo il karate finiva sempre sotto accusa. 

 

Quando mise piede in casa e accese le luci, chiamó la moglie. "Non c'è nessuno?" 

 

Arrivó Sakura, e si poggió l'indice sulle labbra. "Ssst." gli intimó.

 

"Che c'è?" 

 

"Ed dorme. Tutti e due dormono." sorrise la donna.

 

"Ha ospiti?" fece l'uomo, togliendosi il soprabito.

 

"Marty è con lui." ribattè la moglie.

 

Kaito sentì un guizzo di nervosismo percorrergli la schiena. "Ha osato farla dormire in camera sua??!" 

 

"Sì, e non li disturberai. La ragazza ha cenato qui, poi si sono ritirati di là. Erano stanchi per le partite. Si saranno appisolati." spiegó la signora.  "Non ho potuto svegliarli."

 

"Beh ci penso io." ribattè il marito, dirigendosi verso il corridoio che conduceva alle camere. 

 

"No! Lasciali in pace!" lo fermó la donna, a bassa voce.

 

"Quella non dorme qui. Già una volta ha attirato un gran casino in casa nostra. Porta male avere un bianco in casa." reagì Kaito. "E che diranno i suoi?"

 

"Li ho avvisati io. Ho avuto il numero di Marty da Ed, quel giorno che ha passato la sera di San Valentino da lei. Me l'aveva dato in caso di urgenza." rispose Sakura. "Pensa, sua madre non sapeva che stanno insieme."

 

"Non gliel'ha detto. Quei miserabili falsi occidentali. E mio figlio che si fa prendere in giro così." si lamentó Kaito. "Ed mi delude."

 

"Ha diciott'anni, santo cielo! Lascialo vivere! Lascialo sbagliare!" gli disse la moglie.

 

"Io alla sua età avevo la testa sulle spalle, e guarda cosa ho costruito. E cosa sto per costruire. Ed è troppo deconcentrato, in questo ha preso da te. Io ho tentato di fargli venire una spina dorsale dritta. Ma vedo che sono stati sforzi vani." replicó Kaito, seccato.

 

"Cos'hai costruito? Una famiglia i cui figli ti temono. Tu non hai dialogo con loro, sai solo sentenziare quando sbagliano. Ma un padre non dovrebbe volere il bene dei suoi ragazzi? Non dovrebbe essere felice quando li vede felici?" domandó Sakura.

 

"Per te lui è felice? Con quella!"

 

"Sí. Ne sono  convinta." rispose la donna.

 

"Oh, sei cieca allora. Ed soffre. È tormentato da qualche pensiero da quando la frequenta. Io, da padre, ho visto questo. E tu, da madre, farai bene ad aprire gli occhi." chiuse Kaito, e con un sospiro esasperato, si ritiró nelle sue stanze.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Stati d’animo ***


 

Quando Anne Lenders si riebbe, ci mise qualche minuto a mettere a fuoco ció che la circondava. 

 

Era in cucina, la cucina di casa sua. 

 

Sentì un dolore sordo alla nuca, e una fitta le percorse anche il fianco destro. Era evidentemente caduta in seguito a uno svenimento improvviso e aveva urtato lo spigolo del tavolo.

 

Grazie al cielo, tutti i suoi figli erano fuori casa quel lunedì mattina, un sereno lunedì di fine marzo: erano tutti nelle loro scuole ignari dell'incidente.

 

Non voleva che si spaventassero. Non avrebbe detto loro niente al loro ritorno, nemmeno a Mark che si era auto-eletto capofamiglia ormai. Il suo primogenito aveva già tanti pensieri nella mente, e certo non lo avrebbe gravato di un'angoscia ulteriore. Aveva già perso i sensi davanti a lui, che si era preoccupato enormemente, e poi aveva inveito contro il sistema sanitario giapponese così costoso da non permettergli cure adeguate per sua madre.  

 

Si alzó, reggendosi a una sedia, e si accomodó sul divanetto del piccolo salotto. Si portó una mano al cuore e avvertì i battiti forsennati, dovuti allo spavento. Pian piano tentó di calmarsi.  Respiró a fondo. Aveva bisogno di un bicchiere d'acqua, ma non osava alzarsi.

 

Oh Signore mio, perchè? Perchè proprio a me?

 

La sua famiglia aveva già fatto i conti con la traumatica perdita di suo marito, e ora ci si metteva anche l'anemia che aveva colpito lei. Era un periodo delicatissimo, Mark era all'ultimo anno di liceo e doveva pure concentrarsi sulla sua carriera nel calcio. Non poteva avere pensieri nè distrazioni. Farlo partire per i Mondiali con la mente in subbuglio per le condizioni di sua madre era impensabile.

 

Anne doveva fingere, doveva sforzarsi di non tradire il suo stato. Ma aveva altri figli piccoli da curare. Matt aveva sei anni e bisognava stargli appresso, Ted da fratello maggiore la aiutava in questo, ma non poteva aspettarsi troppo da un quasi dodicenne.  La piccola Naty era piuttosto indipendente ormai, ma era una bambina anch'ella. 

 

Chiedere un aiuto ai servizi sociali era un'idea che le era balenata per la mente, ma Mark si sarebbe opposto. Quel ragazzo lavorava come un matto per evitare alla sua famiglia l'umiliazione di chiedere la carità statale, non avrebbe mai accettato il coinvolgimento di qualche assistente sociale, che pietosamente si sarebbe presentata in casa loro per fare opere di beneficenza. 

Mark aveva troppo orgoglio.

 

Suo figlio le aveva promesso che una volta ottenuto un contratto da professionista con una squadra europea, avrebbe mandato moltissimi soldi alla sua famiglia e lei avrebbe potuto permettersi tutte le cure, le più costose, anche in cliniche private. Aveva promesso che con il suo lavoro di calciatore la sua famiglia sarebbe passata dalle stalle alle stelle, e Anne desiderava disperatamente crederci.

 

Ma per arrivare a fare questo, la donna non doveva assolutamente generare stress e paura nel figlio, non doveva fare in modo che lui si sentisse in colpa per averla lasciata sola: Mark doveva partire per il ritiro premondiale, e poi per il torneo, con il cuore in pace e la mente serena.

 

Anne, inoltre, aveva l'impressione che ci fosse già un pensiero cupo nella mente del figlio: probabilmente era la ragazza. Aveva notato come i due giovani si fossero avvicinati, con tanta tenerezza, ma improvvisamente Marty era sparita.

 

Aveva provato a chiedere al figlio spiegazioni, ma Mark sembrava chiuso come una cassaforte sull'argomento: non ne voleva parlare. 

 

A sua madre dispiaceva questa situazione: Mark stava scoprendo i primi tormenti dell'amore, e questo, unito tutte le altre sue preoccupazioni, causavano lui probabilmente uno stato d'animo agitato e sempre in burrasca.

 

Suo figlio non si meritava questo: come tutte le madri, Anne era preparata al momento in cui i suoi rampolli si sarebbero staccati da lei per iniziare una propria vita sentimentale. 

Marty sembrava la ragazza giusta per Mark: buona, altruista, sincera.

Era riuscita a catturare il cuore di Nathalie e degli altri ragazzi, e l'aveva fatto con semplicità.  

 

Ma adesso non c'era più, la piccolina continuava a chiedere notizie su di lei e Mark non rispondeva, a volte pareva anche imbarazzato, a volte arrabbiato.  Anne aveva il sospetto che si fosse fidanzata con qualcun altro, ma mai avrebbe pensato che questo qualcuno potesse essere Ed Warner. 

Proprio il ragazzo che l'aveva spaventata a morte, al punto da spingerla a correre da loro, in casa Lenders, a cercare conforto e aiuto.

 

Provó a rilassarsi, e senti che la pressione del corpo pian piano si stabilizzava. 

E quando fu sicura di star meglio, si alzò in piedi e cominciò con le sue faccende quotidiane. Di lì a qualche ora i ragazzi sarebbero tornati dalla scuola, e doveva preparare il pranzo. La sua routine di casalinga, e lavoratrice part-time, non poteva certo interrompersi per un banale svenimento.

Lei doveva andare avanti, doveva tenere duro, come aveva sempre fatto negli ultimi anni.

 

Come le mancava suo marito: quel terribile incidente aveva strappato un padre ai propri figli, un uomo alla propria donna. Si auguró che nessuno dei suoi ragazzi dovesse mai provare una tragedia simile. Si auguró che tutti i suoi figli vivessero con pienezza e fino in fondo i loro rispettivi amori.

 

Negli ultimi anni aveva trovato lavoro come cucitrice, stiratrice, lavandaia, sarta. Alcune sere rimaneva alzata fino a tardi per terminare i suoi impegni. Si sentiva in pace con sè stessa: più di così non avrebbe proprio potuto fare per tenere in piedi la sua piccola famiglia. 

 

Eppure delle volte, delle volte era così dura.

 

🎋🎋🎋

 

Marty Laughton, quella sera stessa, contemplava il cielo stellato e la mezzaluna che illuminava Tokyo. 

 

La primavera era finalmente arrivata: non completamente, si annunciava però con prepotente insistenza.

 

Il freddo intenso dell'inverno ormai era cessato, il sole portava con sé un caldo tepore. I primi fiori nei prati sbocciavano, gli alberi ripresentavano il loro fogliame verde intenso.

 

Marty amava la primavera, era la sua stagione preferita; una stagione di rinascita, di nuova vita, di nuove speranze. 

 

Il suo rapporto con Ed continuava piuttosto serenamente: si sentivano tutte le sere, durante la settimana, e trascorrevano i weekend sempre insieme. 

 

I rispettivi campionati scolastici, di calcio e di pallavolo, proseguivano alla grande: la squadra di volley era terza in classifica, un risultato che l'allenatore Nolan non si sarebbe mai, e poi mai, aspettato. 

 

La Toho FC era trionfalmente avviata a vincere il quarto campionato consecutivo, campionato che si sarebbe interrotto anzitempo, in virtù del torneo mondiale che stava per iniziare, e che avrebbe obbligato i calciatori selezionati dalla nazionale a lasciare i loro team scolastici.

 

Le cose per Ed, e per Marty, andavano dunque a gonfie vele.

 

Ma stava per arrivare il mese di aprile: un periodo molto importante, perché Ed sarebbe stato impegnato full time nella preparazione degli esami finali, quelli che gli avrebbero permesso di ottenere il diploma; quindi lui e Marty si sarebbero visti sempre meno.

 

Mentre ragionava su questo, la ragazza udì il frinire della cavalletta Gogo: era in camera sua, le finestre aperte a far entrare la brezza primaverile. Sembrava che l'insetto avesse intuito l'arrivo della bella stagione, i profumi che arrivavano da fuori solleticavano i suoi sensi. Si agitava sempre più spesso nella teca, e faceva compassione alla giovane.

 

" Una vita intera spesa lì dentro, dentro pochi centimetri quadrati." mormorò mestamente Marty. "... mi dispiace davvero per te."

 

Aveva pensato di portarla in un prato, aprire la teca, e lasciarla lì. Permetterle di uscire, arrampicarsi su qualche stelo d'erba, finalmente sentire con le sue zampe la natura, respirare l'aria pulita.

 

Le sue compagne di squadra le avevano detto che molto probabilmente non sarebbe sopravvissuta nemmeno a un'ora di libertà. Qualche predatore di insetti, come un uccello, un pipistrello, ne avrebbe fatto un sol boccone. Gogo non poteva saltare, né volare.

 

"Che ne dici? Che ne dici se ti lascio in un prato fuori Tokyo, e lascio che tu scopra cos'è il mondo? O vuoi davvero morire tra quattro piccole lastre di vetro?" le sussurró Marty. 

 

La cavalletta si girò verso di lei, quasi avesse compreso con le parole. Fece vibrare le antenne come in una sorta di silenziosa risposta. Dentro di sé, la giovane irlandese provó una grande solidarietà con quell'insetto. Per certi versi, anche lei si sentiva in gabbia. C'era come un senso di costrizione in lei, anche se non capiva bene perché avvertisse quella strana, inquietante sensazione.

 

"Maylin dice che tu non puoi volare, ma io non ci credo. Ti va se ti insegno a volare? Tu devi imparare a volare." disse ancora la giovane bionda.

 

" Ma con chi stai parlando?" sentì sua madre chiederle. Era entrata in camera sua silenziosamente, Marty non se ne era nemmeno accorta. 

 

Si girò di scatto, un po' imbarazzata."... ma niente mamma... sto chiacchierando un po' con Gogo."

 

" Ah capisco... parli con una cavalletta. La cosa mi puzza un po' di follia, Marty." commentó sarcasticamente sua madre.

 

" E dai piantala... Da quando hai scoperto che sto con Ed, sei sempre così graffiante: ti ho spiegato e rispiegato perché non te l'ho detto all'inizio. Era una cosa che volevo tenere per me, e volevo aspettare di essere pronta prima di parlarne a te e a papà. Mi dici cosa c'è di male?" si lamentó lei.

 

"C'è di male che io e te eravamo d'accordo su un punto, di non tenere segreto nulla alla sottoscritta, specialmente per quanto riguarda le frequentazioni maschili. È vero che tu ci avevi presentato quel ragazzo, era entrato in casa nostra, ma potevi almeno dirmi che avevi iniziato una relazione con lui. Ho dovuto scoprirlo parlando al telefono con sua madre, quella sera di febbraio che ti sei fermata a dormire da lui. Capisci che mi hai imbarazzata davanti ai genitori?" sbottó malamente Joanne. " Come faccio adesso a fidarmi di te? Come faccio a fidarmi, se di nuovo, per l'ennesima volta ti becco a raccontare balle?"

 

"Mamma, ma quale bugia ti avrei raccontato? Semplicemente, ti ho tenuto nascosta una cosa che comunque riguarda la mia vita privata. Ma te l'avrei detto! Lo sai benissimo che te l'avrei detto!" Protestó nuovamente la giovane. "...peró dai, le cose stanno così... Smettiamo di discutere. Io e Ed siamo molto felici insieme, e anche papà dice che è contento di questa storia. A lui Ed è molto simpatico."

 

"Certo che gli è simpatico! È un calciatore, è il sogno di tuo padre vederti fidanzata con un giocatore. Ma a me non piace affatto come sono andate le cose. E poi francamente non sono nemmeno convinta che quello sia il ragazzo giusto per te. Ti ho detto che ha dei lati caratteriali che non mi convincono." Bofonchió sua madre."... ad ogni modo, mi dici cosa intendi fare con quell'insetto  schifoso? Arriverà il momento in cui te ne libererai, vero?"

 

"Sì, e anche molto presto. Non ho intenzione di vederla morire in una piccola teca. Aspetto che il tempo diventi ancora più caldo e poi la porto in un prato e la lascio lì." rispose la ragazza, con un tono un po' burbero. Non le era piaciuto affatto quello che sua madre aveva detto del suo ragazzo.

 

"Bene. Molto bene." concluse Joanne. "E anche tu, adesso cerca di concentrarti sulla parte finale della scuola. A parte la pallavolo, ricorda che hai degli esami da sostenere. Tu e quel ragazzo cercate di non perdere troppo tempo, e di non distrarvi ...sai cosa intendo."

 

" Puoi anche rasserenarti, mamma. Non sta succedendo proprio niente di quello che pensi. Ed è un ragazzo molto serio, e anche rispettoso." rispose ancora Marty.

 

" Lo spero per te. Ricorda che gli errori che si compiono durante l'adolescenza, possono anche perseguitarti tutta la vita. È un periodo veramente difficile: non si ha abbastanza maturità da capire cosa si vuole veramente, e così si rischia di infilarci in situazioni sbagliate. E noi donne, noi in particolar modo, rischiamo di soffrire. Per gli uomini è sempre tutto più facile." terminó Joanne, poi lasció la stanza.

 

Marty sbuffó, e di nuovo giró il viso verso Gogo. "...e tu, sei d'accordo con mia madre? Anche per te io sto facendo un mare di cavolate? Ma che ne sapete voi due? Io sto bene, proprio bene con Ed! E nessuno può dire o insinuare il contrario!"

 

Ad interrompere quel ragionamento solitario, arrivó ad un tratto lo squillo della suoneria del telefono. La ragazza si alzó di scatto, immaginando che fosse Kibi o qualche ragazza della squadra o magari anche Nolan.

 

Dovevano ancora fissare la riunione per preparare la partita successiva, ed erano rimasti tutti d'accordo che avrebbe ricevuto indicazioni sull'orario dal capitano o dal mister. 

 

Così si stupì molto, quando sul display appare il numero di casa Lenders.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Il mare di Okinawa ***


"Pronto?" 

 

Dall'altra parte della cornetta, ci fu qualche attimo di silenzio. Poi una voce di donna, quella voce flebile che lei conosceva perfettamente, esordì: "...ciao Marty. Come stai?" 

 

La ragazza rimase un attimo perplessa.

 

Perchè la signora Lenders l'aveva chiamata? Forse per avere notizie su di lei, sul fatto che non aveva più frequentato casa loro? 

 

Provó un improvviso imbarazzo."... Oh signora! Che piacere sentirla! Tutto bene?"

 

" Beh si tira avanti, cara. Non sono proprio in perfetta salute, ma reggo ancora." e poi la signora fece partire un breve risolino. "Tu, piuttosto? È veramente molto che non ti vedo a casa nostra. Mi stavo chiedendo se per caso tu e Mark aveste litigato. Sai, ho provato a chiedergli notizie su di te, ma mio figlio è sempre così chiuso, non dice nulla. Mi sono un po' preoccupata." 

 

" Ma no, si figuri! Non abbiamo affatto litigato! È solo che sa, siamo entrambi impegnati con i nostri studi, con i nostri sport. Io ho lasciato la squadra di calcio, ora mi dedico solamente al volley, e questo impegno mi porta via veramente molto tempo. Avrei voluto venire a trovarvi ancora, stare un poco con Naty ma davvero non ce la faccio. Peró stia tranquilla: non c'è nessun problema fra me o voi o fra me e suo figlio." Si affrettò lei a spiegarsi.

 

" Oh, beh allora quand'è così... mi fa piacere! Sai, non dovrei dirtelo, ma credo che a Mark tu manchi un po'. Mio figlio è sempre così scorbutico, credo che non ti abbia mai veramente fatto capire quanto sei speciale per lui, quanto la vostra amicizia sia speciale. Lui non ha mai accompagnato nessuna ragazza a casa nostra ...è stata la prima volta che l'abbiamo visto socializzare con una signorina!" 

E di nuovo, la si sentì ridere attraverso la cornetta.  "...quando sei venuta da noi, prima di Natale, te lo ricordi? Avevi tutto quell'oro nei capelli, ed è stata una bella festicciola tra di noi. Io non avevo mai visto mio figlio così contento, aveva un sorriso che negli anni precedenti non aveva quasi mai mostrato. Ricordo quella sua espressione solo quando suo padre era ancora vivo. Mi è un po' dispiaciuto non vederti più, anche perché quella serenità che Mark mostrava in tua presenza è un po' sparita dal suo volto. Così mi sono permessa di chiamarti adesso, solo per sapere se è tutto a posto, se non è successo qualcosa fra te e lui, qualche litigio..."

 

"Davvero, signora, glielo ripeto: è tutto assolutamente a posto. Certo, c'è stata una novità negli ultimi tempi, per quello che mi riguarda. Io... io... signora, io sono fidanzata con un ragazzo, adesso." Ammise finalmente la giovane. Sentì le guance avvampare, era come se avesse rivelato una scottante verità alla persona che meno doveva sentirla. Infatti, ci fu subito silenzio dall'altra parte della cornetta.

 

"Sei in coppia, adesso, hai un ragazzo?" chiese la signora Lenders, quasi non avesse capito molto bene.

 

" Sì, io e Ed abbiamo iniziato una storia sentimentale. Ci siamo messi insieme il giorno di San Valentino." balbettò Marty, sempre più imbarazzata. 

 

" Ed... Ed Warner...?" chiese esterrefatta la donna. "Ma io credevo che tu e Ed aveste litigato, e anche malamente. Ora siete una coppia?"

 

" Beh, sa, l'ho perdonato. Si è scusato moltissimo per quell'incidente. Ho deciso di dargli una possibilità, e devo ammettere che per ora va tutto splendidamente fra me e lui. Ci vogliamo molto bene. Insomma, finché dura proviamo a portare avanti questo rapporto... Ora, con gli esami finali della scuola e il mondiale juniores che si avvicina, sarà davvero difficile. Ma ecco... ecco vorremmo provarci."  disse Marty, mentre avvertiva un grande fremito di disagio lungo tutta la schiena. Ma perché si stava vergognando così tanto di ammettere la sua relazione con la madre di Mark?

 

"... Certo, certo... Ci mancherebbe! Voi ragazzi siete liberi di vivere la vostra vita come credete, anzi congratulazioni per questa bella notizia! Mi fa piacere che tu e Ed siate felici. Lui è un amico di mio figlio, non ha frequentato moltissimo casa nostra, ma qualche volta è stato nostro ospite. I miei figli sono legati anche a lui, cioè... lo erano... prima del vostro litigio." rispose di getto la signora Lenders.

 

" Puó dire a suoi figli che Ed è un bravo ragazzo, non devono provare antipatia per lui. Quel fatto è stato un errore, anch'io l'avevo provocato in un certo modo... Insomma è stato un momento di follia per entrambi. Ma lui è davvero una brava persona, molto dolce con me, premuroso. Ed è un buonissimo amico per Mark, si conoscono da tanto tempo, è uno dei compagni di squadra che lo rispetta di più." raccontó Marty, con sussiego.

 

"Lo so. Ed è anche un ragazzo molto generoso, sai Mark non è al corrente ma...qualche volta si è offerto di aiutarci economicamente. È venuto da me è un pomeriggio dopo una partita a cui avevamo assistito nella vostra scuola, chiedendomi se per caso avessimo avuto bisogno di qualche fondo extra per la salute dei bambini. E dopo che io gentilmente gli ho risposto di no, mi ha pregato di non dire nulla a Mark, perché sapeva che mio figlio si sarebbe arrabbiato moltissimo, lui non vuole carità da nessuno. Proprio così: voleva darci parte dei suoi soldi, parte dei guadagni che ottengono con il dojo di famiglia. Ed è un bravo ragazzo, ha un grande cuore. Capisco che tu ti sia innamorata di lui."  le riveló allora la signora.

 

Marty sentì le lacrime agli occhi, non poteva credere a quello che aveva appena udito. "Ma davvero, davvero Ed si è offerto di fare questo per voi? Di darvi dei soldi, i suoi soldi personali?"

 

" Mi aveva detto che suo padre gli passava una cifra mensile, per ripagarlo del suo lavoro di assistente nel dojo di karate. Aveva già messo da parte dei risparmi e voleva darceli tutti, ovviamente gli ho detto di no. Sì, il tuo ragazzo ha una grande anima, e lo dimostrerà ancora in futuro, ne sono certa. Beh ...dopo che mi hai dato questa bella notizia, ora che so che sei davvero felice e che nulla di grave è successo fra te mio figlio, non ti disturbo più. Non voglio rubarti altri minuti di questa serata, immagino che tu debba studiare. Allora riguardati Marty, se ti va qualche volta vieni a trovarci. Sai, la piccola Natalie è ancora molto affezionata a te!"

 

" Sì signora, i suoi figli mancano molto anche a me. Certamente verrò a trovarli, di questo non abbia dubbio. Dia una carezza alla piccolina, da parte mia. Magari le regalerò un'altra bambola, immagino che la Barbie che le ho dato sia tutta consumata!" sorrise Marty, quando una lacrima le solcó la guancia.

 

" Oh non puoi immaginare! Sai, dorme addirittura con quella bambola!" rise di nuovo la signora."Allora buonanotte Marty, ci sentiamo presto."

 

Detto ciò, la donna chiusa la telefonata.

 

La ragazza bionda rimase sola con i suoi pensieri, e quella nuova rivelazione sul grande atto di generosità di Ed nei confronti della famiglia Lenders, le fece scoppiare il cuore d'amore, e di gioia, all'idea di stare con un ragazzo così meraviglioso.

 

🎋🎋🎋

 

Quel bel pomeriggio di aprile, a Okinawa, il sole splendeva altissimo.

 

Il mare azzurro era in agitazione per via dei venti.

 

La spiaggia, percorsa dei mulinelli nell'aria, non era esattamente il posto migliore in cui fare jogging. I granelli si elevavano nell'aria e si infilavano dritti negli occhi facendoli lacrimare.

 

Eppure, per Maki Akamine non c'era altro luogo dove allenarsi, adorava correre sulla spiaggia. Serviva a rinforzare i muscoli delle gambe, aiutava nel mantenimento dell'equilibrio, e l'aria salmastra riempiva i polmoni, rinforzando di conseguenza tutto il corpo. 

Lo iodio faceva bene, lo diceva sempre sua madre.

 

Il fisico di Maki era tonico, snello, perfettamente in forma. Era una ragazza solida, dalle spalle piuttosto larghe, dal bacino stretto.

 

Una forma quasi androgina.

La sua pratica sportiva nel softball l'aiutava a mantenere la linea, ma comunque non faceva fatica a restare magra, lo era di costituzione, e  per essere una giapponese, era anche piuttosto alta.

 

Teneva i capelli cortissimi, tagliati  alla maschio, e questo fatto - unito alla forma del suo corpo - spesso causava negli altri una certa confusione.

A volte era stata presa proprio per un maschio, e si arrabbiava sempre moltissimo.

 

Oltre a ció, il suo caratteraccio duro e scostante l'aveva sempre tenuta alla larga dai ragazzi, ma non che questo le importasse molto.

Non gliene fregava niente di avere un fidanzato, le bastava praticare il suo amato sport, divertirsi ogni tanto con le sue amiche, e studiare quel tanto che bastava per non essere bocciata. 

 

Mentre correva a più non posso sulle dune della sabbia, vide di lontano un gruppetto di ragazze, le sue compagne di squadra che si sbracciavano.

 

La stavano disperatamente cercando. "Heyyyyy!!! Maki!!! Ma che diavolo fai là in fondo! Avevamo detto che ci saremmo allenate tutte insieme, dai raggiungici, forza!"

 

La ragazza alzó un braccio, e gridò: "Arrivoooo!" 

 

Aumentó allora la forza nelle gambe, fece uno scatto improvviso verso le sue compagne di team. Arrivó tutta affannata a loro.

 

" Devi lavorare sui polmoni, Akamine! Vedi che rimani senza fiato per così poco!" le disse Ryoko, il suo capitano. "Devi essere molto più incisiva quando ti alleni, ma non sulla sabbia. Lo sai che può essere pericoloso, puoi subire distorsioni alle caviglie, perché non vieni con noi al campo sportivo?" 

 

Maki ansimó, distrutta. : " Mi piace allenarmi sotto il sole, sentire il profumo del mare! E soprattutto mi piace allenarmi da sola, lo sai bene!"

 

"Ti ricordo, però, che tu sei parte di una squadra. E come tale ti devi comportare. Io delle volte ho l'impressione che tu ti senta un po' superiori a noi, è così? Tu ti senti più brava di noi?" chiese allora il suo capitano, un po' scocciata.

 

Maki sollevó gli occhi su di lei, con uno sguardo pieno di rabbia e sfida.

 

Ryoko si indispettì. " Levami quello sguardo dalla faccia, o ti metto fuori squadra per la prossima partita. Ci sono delle gerarchie da rispettare, Maki. Tu sei brava, hai talento. Io non ho messo mai in dubbio questo. Ma devi imparare a disciplinarti, imparare a mettere da parte il tuo caratteraccio quando sei con noi. Lo sport serve anche a questo : a smussare i nostri angoli caratteriali e ad imparare la disciplina."

 

Maki strinse i denti per non rispondere male. " Sì, capitano." 

 

" Ottimo. E allora adesso datti una ripulita da tutta quella sabbia che ti sta ricoprendo, e vieni con noi a esercitarti sul campo sportivo, come delle vere atlete devono fare. I selvaggi si allenano in spiaggia." aggiunse Ryoko, girandole poi le spalle. "...ragazze, tutte con me! Da qui fino alle sette di stasera vi voglio vedere attive e concentrate, ci siamo capite?"

 

"Sììì!!" fu la risposta di tutte.

 

Maki si accodò alle altre, ma un po' controvoglia. Certo che era parte di un team, e rispettava le sue compagne. Eppure dentro di lei sentiva di valere effettivamente qualcosina di più. Si era ripromessa molte volte di diventare la stella della sua squadra e perché no, si era anche concessa il lusso di sognare di entrare in nazionale.

 

Guardó di nuovo verso il sole, che sembrava osservare le ragazze compiaciuto, mentre si allontanavano. Strinse gli occhi perché il riverbero le ferì le cornee. 

 

Ma un giorno saprete tutti quanto valgo, ve lo farò vedere, faró vedere chi è davvero Maki Akamine.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Fiori di ciliegio ***


" Che meraviglia, Lynn..." 

 

Le due compagne di classe camminavano di primo mattino sotto i ciliegi in fiore, in una zona di Tokyo dove gli alberi avevano mostrato tutto il loro splendore nella fioritura rosa della primavera."Ed vorrebbe portarmi al parco di Nara, dice che lì c'è uno spettacolo favoloso fra ciliegi e peschi. Stavamo pensando di andarci subito dopo il suo diploma, nel week end prima della sua partenza per il ritiro mondiale." raccontó la ragazza bionda.

 

"Come ti invidio!" esclamó Lynn. "...ma il parco di Nara non è lo stesso posto dove ti voleva portare anche Eddie Bright?" 

 

"Si effettivamente è un  luogo che viene nominato spesso. Si vede che è proprio bellissimo. Ma con Ed me lo godrò certamente di più che con quell'altro cretino. Ha detto che vuole affittare un piccolo alloggio, pare che ci siano delle casette in legno che i visitatori possono occupare per una, massimo due notti all'interno del parco. Dice che vuole organizzare una cosa speciale per me..." disse Marty.

 

"Un week end bollente in mezzo ai ciliegi, eh?" sorrise Lynn, dando una gomitata a Marty. "Ed è romantico. Non lo facevo così..."

 

"Lui ha molti lati segreti. Io li ho visti ormai quasi tutti. È un ragazzo speciale, credimi." rispose Marty.

 

"E che farete dopo il mondiale? Vacanze insieme??" indagó la compagna pettegola.

 

"Il progetto è quello. Poi, chissà... il fatto è che lui avrà già il pensiero del calcio professionistico, con l'ingaggio alla Yokohama Flugels...il trasferimento in quella città, la ricerca della casa...insomma, un casino." replicó la giovane irlandese.

 

"Ma ha giá firmato?" 

 

"No...no. Ma lo stanno cercando. Gli hanno mandato un pre-contratto da visionare. La cifra è pazzesca... ma Ed vuole prima terminare il Mondiale...perchè magari, se tutto andrà bene, lo cercheranno anche squadre europee." spiegó Marty.

 

"E tu lo vedrai andare via?? In Europa, addirittura? E come farete a ..."

 

"Lynn, non lo so! Non è ancora iniziato il torneo, prima vediamo. Magari il Giappone non passa le eliminatorie asiatiche e allora addio Europa. Per ora, la cosa concreta è la J-League. E su questo, Ed non ha dubbi. Diventerà un professionista nel calcio." rispose lei.

 

"E tu, cosa hai risposto a quei tizi della Hitachi?" chiese Lynn.

 

La Hitachi Belle Fille era una squadra della prima serie giapponese di pallavolo femminile. Marty era stata contattata  telefonicamente da un loro talent scout, interessato alle sue doti di giocatrice ancora acerba, ma interessante. Le aveva parlato di un master estivo con la prima squadra, una sorta di introduzione ai loro allenamenti, da svolgersi nel mese di Agosto, con l'idea di ingaggiarla come atleta junior l'anno successivo. 

 

Marty ne aveva parlato con Ed, che si era mostrato molto incoraggiante. Sarebbe perfetto: la sede della Hitachi è a Kodaira, sempre nel distretto di Tokyo. Non ti dovresti trasferire, potresti stare con i tuoi. Se ti ingaggiassero, poi diventeresti professionista e allora ti si aprirebbero chance per la nazionale irlandese.  Non ti pare una grande occasione?!

 

"Non so, Lynn... passare Agosto ad allenarmi. Io volevo andare con Ed a Yokohama, aiutarlo a cercare casa, e poi il trasloco." rispose lei.

 

"Beh, ma...mi pare una grande opportunità! Capisco il rapporto con Ed, ma tu hai i tuoi progetti, no?" fece Lynn.

 

"Sì...sì. Mi hanno detto di farmi sentire se sono interessata. Vedró." concluse Marty. 

 

"E con la squadra? Siete terze in classifica. Dicono che Nolan farà una statua a te e Kibi." rise Lynn. "Mai un nostro team di volley è salito in alto in classifica. Nemmeno i ragazzi di Alan Greene."

 

"Loro mi hanno permesso di farmi notare dai selezionatori. Daró il massimo per le ragazze. Una medaglia di bronzo è già un successone lo so." rispose Marty. 

 

"...e se vinceste? Dico...proprio vincere il campionato??" azzardó Lynn.

 

"Macchè. Ci sono la Matsukami e la New Team in prima e seconda posizione. Sono ragazze fortissime, quasi tutte campionesse." sospiró lei. "I sogni sono belli, ma... non bisogna esagerare."

 

"Per me, ce la potete fare." 

 

"Ci manca una schiacciatrice. Io faccio quel che posso, ma il mio ruolo naturale è il difensore. Kibi è la regista. Dovremmo avere una come Mark Lenders in attacco...allora sì." replicó Marty.

 

"Mark...lo nomini spesso, lo sai?" sorrise Lynn. 

 

"No...non mi pare. Non lo incrocio neanche più...solo ogni tanto, in cortile della scuola." negó Marty.

 

"Forse non te ne rendi conto. Ma il suo nome è parecchio sulla tua bocca. Mark ha fatto questo...Mark ha deciso quest'altro...Mark ha un grande carattere...te ne ho sentite di osservazioni, su di lui..." continuò Lynn.

 

"Ma no...dai, muoviamoci...che tra poco suona la campanella!" la zittì la bionda, poi si mise a correre.

 

"Aspettami...hey, non sono un'atleta come te!" le gridó l'altra, che subito sentì l'ossigeno mancare dai polmoni, dopo poche falcate.

 

"Vergogna! Pappamolla! Devi fare jogging!" rise Marty, e poi ricominció a correre, lasciando l'aria frizzantina di Aprile scompigliarle i lunghi capelli biondi.

 

🎋🎋🎋 

 

"Ed, hai un minuto?" 

 

Sakura entró nella stanza del figlio, in quel momento perso in meditazione. Al ragazzo piaceva ogni tanto accendere un rametto di incenso e concentrarsi in assoluto silenzio. 

 

"Hm? Sì mamma. Entra." rispose lui, levandosi in piedi.

 

"Ed...intanto, vorrei dirti che sono molto contenta di come hai ricucito il rapporto con Marty. Non mi hai deluso, sapevo che il tuo animo sensibile avrebbe trovato la strada." esordì la donna. 

 

"Sì. Io e lei siamo entrati in sintonia, anche grazie al fatto che mi hai portato a ragionare. Il rapporto con Beverly era squilibrato, lo sapevo. Con Marty sono felice." confermó lui.

 

"Bene. È bello vederti crescere, vederti imparare dai tuoi errori. Mi rincuora."

sorrise Sakura. "Tuo padre vorrebbe che tu fossi più duro, con te stesso e con gli altri...ma non credo sia la tua natura..." 

 

"Lasciamo stare papà. Con fatica cerco di non nutrire risentimento per lui. Voglio continuare a rispettarlo, ma dentro di me so di non concordare con ció che predica. Ci sono aspetti della vita sui quali saremo sempre distanti, mamma." replicó il giovane.

 

"Lo so, figlio, lo so." annuì la madre.  "E va bene, così. I figli sono individui diversi dai genitori...deve essere cosí."

 

Ed incroció le braccia sul petto, e guardó fuori. I laghetti di carpe erano uno spettacolo, circondati dai cespugli in fiore. Gli sarebbe un po' dispiaciuto lasciare casa sua per iniziare una strada nuova a Yokohama, ma nella vita il cambiamento era inevitabile.  Il suo futuro era altrove.

 

"C'è un fatto di cui non ti ho ancora parlato, aspettavo di saperti pronto." continuó la madre. "Riguarda il tuo cagnolino."

 

Ed si voltó di scatto. Era sgomento.

"...Jiro?! Jiro! Cosa sai?? Cosa gli è successo??"

 

"L'hanno ritrovato, sta bene. Non ti preoccupare." sorrise Sakura.

 

"Dove! Dove, ti prego, mamma....dimmelo che lo vado a prendere!!" esclamó Ed, felicissimo.

 

"Il signor Oono...lo conosci?"

 

"Il pescivendolo? Quello che ha la bancarella al mercato del sabato?" chiese Ed. "So chi è, certo."

 

"Lo ha trovato fuori dalla sua bottega. Jiro ha provato a rubargli del pesce, era affamatissimo. Minato lo ha adottato, e ora è sotto le cure della sua bambina. Gli si è affezionata, Ed." spiegó la donna.

 

"Chiamalo, per favore. Anzi, dammi il suo numero, lo contatto io! Rivoglio il mio cane con me!" la imploró.

 

"Ed...la sua bambina ha sette anni. Da tre mesi la bestiola è in quella famiglia, e ci sta bene. Ora...cosa ti dice il tuo cuore?" rispose pacatamente Sakura. 

 

Ed la guardó perplesso. 

 

"...vuoi davvero dare un dispiacere a una bimba?"

 

Il ragazzo capì.

 

Chiuse gli occhi. "Ma il cane è mio, mamma."

 

"Il cagnolino ha scelto una nuova amica." disse sua madre. "E quella bimba è felice."

 

Ed, allora, andó col pensiero a Marty.

Si chiese cosa gli avrebbe suggerito lei. Come avrebbe reagito, al suo posto.

 

Se la figuró sorridere con i suoi luminosi occhi azzurri e dirgli: se il cane preferisce la bambina, lascia perdere. Lascia stare, Ed.

 

"...allora, che vuoi fare?" chiese Sakura.

 

Ed sorrise fra sè. 

Quanto amava quella ragazza, quanto. 

 

"Di' al signor Oono che se sua figlia vuole Jiro, puó tenerlo."

 

🎋🎋🎋

 

Mark Lenders passeggiava nel suo quartiere, tenendo Nathalie per mano.

 

Aveva nove anni e non aveva bisogno di essere condotta come un'infante, ma il ricordo dell'aggressione che aveva subìto l'aveva segnata troppo. Tenere la mano del fratellone le dava sicurezza.

 

Era un mercoledì sera, e Mark era stato esentato dal turno al lavoro. Gli esami scolastici si avvicinavano e il suo principale gli dava qualche serata libera, per permettergli di studiare. Mark avrebbe preferito lavorare:  un turno in meno erano anche soldi in meno, ma del resto neanche prepararsi per l'esame finale del liceo era cosa da prendersi sotto gamba.  

 

"Ma non devi studiare, Mark?" chiese Naty.

 

"Hey...solo una boccata d'aria, piccola. Un attimo di pausa."   rispose lui.

 

"Sì...certo, un attimo...somaro, lo dico alla mamma che non apri i libri!!" lo provocó la sorella.

 

"Ah sì? E allora io ti faccio volare in aria!" scherzó lui, sollevandola di peso. 

 

Naty rise e strilló insieme, e Mark la rimise giù. 

 

"Quando parti?" volle sapere la bambina.

 

"A inizio Maggio. Ancora poche settimane." rispose il ragazzo.

 

"E ci chiamerai?" 

 

"Certo, tutti i giorni..." la rassicurò lui.

 

"E telefonerai a Marty? Sai che la mamma l'ha chiamata una sera? Io ho sentito." riveló Naty.

 

Mark s'irrigidì.

"Cosa?"

 

"Sì! Te lo giuro!" ripetè lei.

 

"No, ti credo...ma che le ha detto?" chiese il ragazzo.

 

"Ha detto che le dispiace non vederla più a casa nostra e le ha chiesto  se avete litigato...poi parlava di Ed...ma non ho capito." raccontó Nathalie.

 

Mark sentì un nodo allo stomaco. Guardó la sorellina. 

 

"....non devi origliare, te l'abbiamo già detto." la rimproveró.

 

"Comunque, non credo che Marty verrà più da noi...vero?" 

 

"Non so. Davvero non lo so." replicó il fratello.

 

"E ti dispiace, che non verrà più?" continuó Naty. "A me sì."

 

"Ma perchè le vuoi così bene? Perchè ti ha regalato la bambola, eh?" chiese Mark.

 

"Perchè ti ha fatto sorridere." fu la risposta di sua sorella.

 

Mark ci rimase un po', a quella frase. Un'osservazione da persona adulta, non da bimba novenne. 

 

"...mi ha fatto sorridere, dici?" 

 

"Sí. Ricordi quando l'hai presa in giro per i capelli pieni d'oro e siamo scoppiati tutti a ridere e poi rideva anche lei? Io ti guardavo. Cioè, poi sei rimasto con un sorriso su tutta la faccia, e non se ne andava. Non sembravi neanche tu." disse Nathalie. "Bello sarebbe, se fosse sempre cosí." 

 

Mark guardó la bambina. Gli si strinse il cuore.  "Sono troppo burbero, dici?"

 

"Sei sempre arrabbiato! Ma con lei no. Eri contento." osservó semplicemente la sorella. 

 

Eri contento. 

 

Mark si fermó in uno dei vicoli e osservó il circondario. Che quartiere freddo, senz'anima. Costruito per famiglie come la sua, messo in piedi da un'amministrazione classista che puntava a ghettizzare quelli che non ce la facevano. C'era poco da essere contenti in posti simili. 

Peró, doveva ammettere che con Marty in giro quel miserevole luogo sembrava più bello. Gliel'aveva detto perfino, facendola commuovere. 

 

Ma non era amore. Figurarsi.

Mark Lenders innamorato? Lui non aveva tempo per quelle scemenze da effeminati.  

 

"Non è che si è fidanzata con Ed, vero?" squittì di nuovo Naty.

 

"Eh?" disse Mark, richiamato alla realtà. "Perchè? E se fosse così?"

 

"Perchè lui è mio marito." disse la bimba.

 

"Ed è tuo marito? E da quando?" rise Mark.

 

"Da sempre." rispose Nathalie.  

 

"E lui lo sa?" rispose Mark, tornando con lei verso casa. 

 

 "No...peró è così. È così, e basta." concluse la bambina.

 

Mi pare giusto, ragionó Mark. È così e basta.  Dovrebbe andare sempre in questo modo nella vita. Decidi una cosa, ed è così e basta. 

 

Mise una mano in tasca, e il foglio appallottolato che ci trovó, gli fece ricordare la proposta di Jeff Turner.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Tempo di esami ***


 

Ed e Marty erano in camera della ragazza, verso la metà di aprile, una domenica in cui i suoi genitori erano andati a fare una gita fuori porta.

 

La giovane irlandese stava preparando il suo fidanzato per gli esami incombenti, e quel pomeriggio si stavano concentrando su un ripasso generale di storia giapponese.

 

Marty stava massaggiando la schiena nuda di Ed, steso a pancia in giù sul suo letto, per aiutarlo a liberare lo stress.

 

"...allora, adesso sentiamo un po' di date. Iniziamo con il periodo Jomon, quando inizia e quando finisce?" chiese lei.

 

"Va dal 12.700 al 400 Avanti Cristo." rispose sicuro Ed.

 

"Bene. Periodo Yayoi." continuó Marty.

 

"Dal 400 a.C. al 300 d.C." rispose ancora Ed. 

 

"Yamato?" fece lei.

 

"Dal 300 al 710 dopo Cristo." rispose ancora il ragazzo. "Vacci piano con le mani, mi farai uscire i lividi." 

 

"Uh scusi principe! Credevo che un campione di karate fosse più duro!" rise lei.

 

Ed si giró a pancia in su. "Ecco, così mi piace di più."

 

Lei si sedette su di lui. 

 

"Stavo pensando che non mi hai mai visto combattere. Ti andrebbe?" chiese Warner.

 

"Non credo. Vedere un altro che te la dà di santa ragione non mi stuzzica come idea." rispose lei.

 

"In realtà non c'è molta violenza. I combattimenti terminano quando atterri l'altro. Non si arriva al sangue." replicó lui. "Poi, di solito sono io che mando al tappeto gli avversari."

 

"Presuntuoso." rise lei, pizzicandogli il naso. "È più dura per me fare a meno della nostra intimità...a proposito, qualcosa qui sotto si è svegliato." 

 

"Lascialo buono lì. Sai...penso molto a te." rispose lui, e nei suoi occhi Marty potè scorgere un'espressione malinconica. "Chissà quanto tempo ci verrà concesso, insieme."

 

"Più o meno tre settimane. Le sto contando. Poi, partirai...e allora..." rispose lei.

 

"Hey, non intristiamoci." rispose Ed. Si alzó seduto sul letto e le prese il viso fra le mani. "La vita è fatta di momenti, e questo è uno di quelli belli che non dimenticheremo."

 

Si lasciarono andare a un bacio intenso e torbido.  Quando lei si fece più intraprendente, fu fermata da Ed. "Non rispondo di me stesso, se continui così..."

 

"Non è colpa mia se sono fatta di carne e sangue. E tu ti neghi sempre..." protestó la ragazza. 

 

"Ti ho trasformata in una piccola ninfomane. Non che la cosa mi dispiaccia..." scherzó Ed. 

Marty lo spinse di nuovo giù sul letto. "...brava, mi hai atterrato."

 

"Non è difficile, vedo." rispose lei, facendo scorrere l'indice sui suoi addominali. "Ed, senti una cosa...è vero che volevi dare soldi ai Lenders?" chiese la ragazza, di punto in bianco. "Me l'ha detto Anne."

 

Ed si stupì della sua domanda. "Senti la madre di Mark?"

 

"Mi ha chiamata lei, a fine Marzo." rispose Marty. "Voleva sapere come sto."

 

"È legata a te, eh? Lo sono tutti, in quella casa." osservó lui.

 

"I bambini, soprattutto. Capirai, li ho inondati di regali." replicó la giovane. 

 

Ed fece un sorriso sarcastico. "Eh già... hai avuto di che entrare in quella famigliola. Ora non ne uscirai."

 

"Cosa vuol dire, scusa?" chiese lei.

 

"Ma niente...niente. Comunque, sì. Volevo dare un po' di denaro a sua madre, di nascosto a Mark. Non lo sopporterebbe. Lui detesta essere in debito con gli altri, pensa che non mi permette neanche di offrirgli una lattina di coca. È un cocciuto." spiegó Ed.

 

"È molto bello, da parte tua. Sei dolcissimo quando vuoi." rispose Marty, baciando la sua guancia. "...ci ho provato anch'io."

 

Ed la guardó, corrugando le sopracciglia. "Provato cosa?"

 

"Provato a prestargli soldi. Sai, quelli delle traduzioni. Pensa, gli ho allungato la busta e lui l'ha sbattuta a terra. Poteva almeno ringraziare per il gesto." raccontó Marty.

 

"Tu...ti sei presa a cuore la sua situazione." commentó il ragazzo.

 

"Come te. Tu che hai fatto di diverso?" rimbeccó lei

 

"Sono suo amico da anni. E' il mio capitano. Tu l'hai conosciuto da quest'anno...e già ti mostri così generosa..." replicó Ed.

 

A Marty non piacque quell'atteggiamento. "Ma mi dici che c'è di sbagliato? Anche a me dispiace per la sua famiglia, vorrei aiutarli.  Che c'è che non ti quadra?" 

 

"Niente, ho detto. Lascia stare." poi Ed si alzó dal letto e s'infiló la maglietta. Non aggiunse altro. "Ripasso finito. Grazie dell'aiuto."

Guardó poi verso la cavalletta. "Dovresti lasciarla libera. Ora c'è la bella stagione. È tempo che esca da quell'affare."

 

"Ed...Ed...ma cos'hai?! Possibile che sei sempre così umorale?" si lamentó lei. "Hai una faccia...come se ti avessi insultato."

 

"Non ho nulla. È solo che ogni volta provo a non pensarci, ma tu...tu..." mormoró lui a denti stretti.

 

"Cosa?!" chiese lei. "Pensare a cosa? Ancora quelle paranoie?"

 

Ed non volle rovinarsi la giornata con una discussione. Uno delle ultime giornate in cui avrebbe avuto Marty tutta per lui. 

 

Così, si chinó e le diede un bacio sulle labbra. "Non continuiamo, amore. Sono teso per gli esami.   Cerca di capirmi."

 

Marty sospiró. "Io ti capisco, ma tu... a volte io con te, non so...non mi sento tranquilla."

 

"Pensiamo piuttosto a quest'estate. Al mare, a noi due soli. Spero che i tuoi non facciano storie se partiamo insieme." rispose Ed, sapendo che quell'estate non se ne sarebbero andati proprio da nessuna parte.

Di certo non insieme, ma aveva bisogno di aggrapparsi a quel pensiero piacevole.

 

"Protesteranno eccome, specie mia madre. Non abbiamo affrontato l'argomento, forse perchè è troppo imbarazzata per parlarne. Ma credo sospetti che facciamo sesso." spiegó lei.

 

"Non è cosí. Tu non devi sentirti in colpa per questa cosa, non stiamo facendo nulla che tu non possa raccontare ai tuoi." disse Ed.

 

"Io vorrei invece fare qualcosa. Insomma, lo fanno tutti, Ed. Kibi continua a chiedermi se io e te ci divertiamo e io devo sempre glissare...l'ultima volta si è messa a ridere. Dice che forse sei diventato gay."

 

"Di' a Kibi di pensare ai fatti propri. Lei ha Alan e francamente non lo invidio." rispose Ed. "E in quanto all'esser gay, dovrebbe sapere cosa mi piace."

 

"Perchè non invidi Alan?" 

 

"Beh...non è carino dirlo ma...il tuo capitano è una frana a letto." sorrise Ed.

 

"Dai...sei stato il suo primo amante. Non giudicarla così.  E poi, come deve essere una brava per te, hm?" ribattè Marty, infastidita.

 

"Ho incontrato ragazze che sapevano il fatto loro, e altre no. Dico solo questo. Ho buone speranze per te, con un po' di pratica sarai una bomba!" rispose Ed, passandosi le dita fra i capelli. 

 

"Non è detto che la pratica la faccia con te." ribattè Marty. 

 

Ed si sentì colpito allo stomaco da quelle parole. Il sorriso gli sparì dalla faccia. Guardó Marty esterrefatto.

 

Il viso della giovane era marmoreo, e assolutamente serio.

 

Poi le sue labbra rosa si distesero come le ali di un uccello e scoppió a ridere. "Ci sei cascato!"

 

"Stronza." rispose lui, e rise a sua volta.

 

Ma era un riso di quelli amari.

 

🎋🎋🎋

 

Gamo, Freddy Marshall e Kirk Pearson sedevano a un tavolo.

 

Erano in uno degli uffici della Federazione Calcistica Giapponese, e leggevano le schede personali dei ragazzi selezionati per la Nazionale giovanile.

 

Era arrivato il mese di Aprile, le convocazioni erano state diramate da tempo, si trattava a quel punto di impostare la formazione.

A cominciare dai titolari inamovibili.

 

"Mi pare che sul regista non ci siano dubbi. Sarà Oliver Hutton. Con Tom Becker come ala destra." disse Marshall.

 

"In quel ruolo storicamente c'è Lenders. Lo vuoi spostare al centro dell'attacco?" osservó Pearson.

 

"No. Patrick Everett è il nostro centravanti, mi pare più adeguato in quel ruolo. È veloce, scattante, ha un buon destro." rispose Freddy.

 

"Ma non è preciso. Sono più i tiri fuori che quelli che finiscono in rete, quando tira lui." disse Gamo.

 

"È il rischio che si assume ogni cannoniere. Il ragazzo ha molta grinta, sbaglia molto ma ci prova ancora di piú. Questo conta." ribattè Marshall.

 

"E allora dove posizioni Lenders?" chiese Kirk.

 

"...non so. Sto facendo delle valutazioni. Devo ammettere di essere in difficoltà. È un campione, non ci piove, ma è troppo egocentrico." rispose Marshall.

 

"Sono d'accordo. Per me, Mark non ha la maturità per essere titolare." s'intromise Gamo.

 

"Scherzi, vero? Lenders è uno degli assi. Non puó certo stare in panchina." protestó Kirk.

 

"Non dico che va escluso. Dico che va fatto maturare. Forse sospenderlo per le eliminatorie puó essere una lezione per lui." ribattè Gamo. "Anche noi siamo stati in Nazionale, e noi tre ce la siamo sudata quella maglia...mettendo da parte le nostre individualitá." 

 

Pearson era incredulo. "Tu mi stai dicendo che lasceresti a casa Mark Lenders per la prima fase? Ma scherzi, spero."

 

"No. Dico che non deve dare per scontato di partire titolare. Deve capire che la collaborazione coi compagni è essenziale. E comunque, decide Freddy. È lui il CT." replicó seccamente Gamo.

 

"Freddy..." disse Kirk.

 

Marshall rifletteva a braccia conserte, gli occhi chiusi.

 

"Mark è confermatissimo, per me. Tuttavia, il discorso di Gamo non è scorretto. Dovró pensarci su." disse infine.

 

"...e riguardo al portiere? C'è questa solita grana..." aggiunse Pearson.

 

"In porta ci va Price. Fine delle discussioni." rispose Gamo.

 

"Benji è infortunato. La riabilitazione sarà lunga." rispose Marshall.

 

"Per il torneo sono sicuro che recupererà. Nelle eliminatorie,  schiereremo Warner. Anche su questo non ci sono dubbi." disse Gamo.

 

"Ed la vivrà malissimo. Quei due sono in grande competizione. Sarà una brutta gatta da pelare." riflettè Kirk.

 

"Dei capricci di Warner poco ci deve importare. Price è un professionista in Europa, ha una notevole esperienza. Questo chiude il discorso. Vero, Freddy?" chiese Gamo a Marshall.

 

"Già..." mormoró il CT. "...anch'io sono stato portiere. So come ci si sente a essere messi in secondo piano. Ed ha un carattere orgoglioso. Spero non ci crei problemi."

 

"Hey, sentite un attimo..." sbottó Gamo. "...quei ragazzi dovrebbero sentirsi onorati solo per il fatto di essere convocati. Ci manca solo che si mettano a frignare. Che stiano al loro posto." 

 

"Sì, lo so. Ma sei troppo duro. Ricordi come ci sentivano noi, quando eravamo sostituiti, o mesi fuori squadra." replicó Kirk.

 

"A me non è mai successo." fece Gamo, accavallando le gambe.

 

"Beh vacci piano lo stesso con quei ragazzi. Non caricarli di tensione quando arriveranno." gli consiglió Pearson. "...sono sempre ragazzi."

 

"Che rappresentano la nazionale giapponese, non dimenticarlo. Non si sta per iniziare un gioco fra bambini." replicó l'altro.

 

"Ci sono altre questioni da valutare. Non sono del tutto convinto sui gemelli Derrick, e su Ralph Peterson. E su altri...purtroppo, il livello tecnico fra i nostri giocatori oscilla molto." disse Freddy.

 

"Alcuni non sono degni di far parte del team. Come quelli che hai nominato. Non dovremmo aver paura a escludere nomi clamorosi, Freddy. Questa squadra dovrà essere di livello eccellente." commentó Gamo.

 

"Sai...prima hai detto una cosa che mi è piaciuta. Dare una lezione. Parlavi di Lenders, ma forse il discorso puó essere esteso a tutti." riflettè Marshall.

 

"Cioè?" chiese Pearson, curioso.

 

"Un'idea, Kirk. Un'improvvisa idea."

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Miseria e inquietudini ***


Un rigurgito violento scosse il corpo minuto di Jeff Turner.

 

Il sakè ricomparve sulla lurida moquette giallognola del suo sgangherato alloggio di Okinawa. Il vecchio ubriacone se la fece nelle mutande e simultaneamente ributtó fuori la cena mezza digerita della sera prima.

 

Sapeva cosa sarebbe arrivato, dopo.

 

Una violenta emicrania, sissignori, un'emicrania con i controfiocchi. E poi per almeno una giornata sarebbe stato costretto a letto, incapace di muoversi, incapace di pensare.

 

Pensieri ne aveva avuti tanti, negli ultimi tempi.

 

Quei tre maiali, come chiamava Marshall, Pearson e Gamo, stavano prendendo in mano i promettenti giovani della Nazionale giapponese juniores, per trasformarli in un fallimento annunciato.

 

Marshall, da ex portiere, non capiva un tubo di calcio d'attacco, ma la Federazione aveva dato in mano a lui il timone della nave e questo significava solo una cosa: una probabile eliminazione già alla fase primaria. 

 

Lui, Turner, si era messo d'impegno a studiare gli avversari dei giapponesi. Non era un povero stronzo accattone, come gli altri lo giudicavano. Era stato un nazionale, e da nazionale aveva ottenuto una medaglia di bronzo...molti anni prima.

Quei tre mammalucchi, invece, di medaglie non ne avevano nemmeno mezza. 

 

Sapeva bene cosa si preparava al Mondiale. Non c'era da scherzare con le altre squadre asiatiche, prime fra tutte la formazione della Thailandia.  La sua arma erano i tre fratelli Konsawatt. 

Il più giovane, Chana, era un prodigioso acrobata, era capace di evoluzioni e colpi aerei unici. Le sue abilità venivano dall'essere specializzato in footvolley, uno sport particolare del sud est asiatico in cui la palla poteva essere toccata con tutto il corpo, tranne da mani e braccia. Si era dedicato solo da poco al calcio, ma era già un piccolo fuoriclasse.

Aveva la stessa agilità di Ed Warner, seppure fosse più basso e meno muscolare. Un tipo del genere poteva essere un problema per ogni portiere, anche per Price.

 

La verità era che tutte le squadre partecipanti alle eliminatorie asiatiche, dal Taiwan all'Arabia Saudita, dal Guam alla Cina, avevano assi da mettere in gioco.

 

E il Giappone, chi aveva? Oltre all'onnipresente Hutton, poteva contare su Price, Mark, Tom Becker, e forse Philip Callaghan. Con Julian Ross fuori dai giochi per i suoi noti problemi, non restavano molte altre verze da sfogliare. Gli altri erano buoni giocatori, ma non campionissimi.

 

Marshall aveva un'impostazione di gioco scopiazzata dalle grosse squadre europee, ma si era dimenticato che gli schemi andavano a farsi benedire, se mancavano i campioni. 

Doveva adottare dei cambiamenti, primo fra tutti il gruppo d'attacco. 

 

Turner aveva una sua idea, assurda agli occhi di molti, ma sulla quale poteva scommettere a occhi chiusi. 

 

Dovevano spostare Ed.

Dovevano togliere Warner dalla porta e metterlo in attacco. 

 

C'era una cosa che nè Gamo, nè Marshall nè Pearson sapevano: Ed Warner era nato come attaccante al Muppet, ed era stato un attaccante eccellente. Bravissimo nei colpi di testa, veloce nel dribbling, e dotato di un destro secondo solo a quello di Mark come potenza. 

 

Inizialmente era stato quello il suo ruolo, ma la presenza di Lenders in squadra,  che lo surclassava seppure di poco, gli aveva tolto il posto di primo attaccante. E così, Turner gli aveva proposto di mettersi in porta, per sfruttare le sue doti acrobatiche. Alla Muppet, nel periodo delle elementari, mancava un buon portiere, e con quella trovata aveva risolto il problema. Ed si era rivelato un ottimo numero 1, ma in Nazionale non avrebbe mai potuto scalzare Price.

 

E allora, perchè non riposizionarlo nel suo ruolo d'origine, magari a fianco di Mark?

Avrebbero costituito una coppia d'oro pari al tandem Hutton-Becker.

 

Quei tre stupidi avevano un tesoro tecnico per le mani, e non lo sapevano neanche.

 

Jeff si alzó barcollando e guardò fuori dalla finestra. 

 

Aveva scritto a Mark di raggiungerlo, ma non aveva ricevuto risposta. Tuttavia, sapeva bene che lo avrebbe visto arrivare, con la sacca sulle spalle e la sua maglietta azzurra sgualcita e portafortuna. 

 

Lo avrebbe accolto per ritemprarlo, dopo gli anni alla Toho, per tirare fuori da lui tutta quell'aggressività che il ragazzo ultimamente pareva aver messo da parte. 

 

A Okinawa allenava una squadra di giovanissimi. 

Era buoni giocatori, ma nessuno che potesse definire fuoriclasse. Lenders lo era. Lo era stato da sempre, da quando aveva messo piede alla scuola di Jeff molti anni prima e in pochi mesi si era aggiudicato la fascia di capitano.

 

Amava sul serio il calcio?

Pur conoscendolo da tempo, Turner non aveva una risposta.

Si divertiva in campo, ma indubbiamente aveva progettato un futuro nel professionismo anche per uscire da quella squallida vita di periferia in cui era cresciuto. 

Non era una brutta cosa, questa.  Era una motivazione per dare il meglio, e per combattere. 

 

Ed e Danny, dal canto loro, giocavano per piacere e basta. Ed si era innamorato del calcio praticandolo nell'ora di educazione fisica a scuola. Stufo com'era del karate, disciplina in cui non aveva più rivali sin dai dodici anni, aveva trovato nel gioco del pallone un nuovo entusiasmo; Danny si era appassionato a quello sport guardando le partite in Tv da bambino, e aveva buone doti innate. 

 

Ma per Mark, era un fatto quasi esistenziale.

 

Doveva concentrarsi, peró. Aveva diciotto anni, e quell'età era cruciale per un calciatore. Molti campioni internazionali a quell'età avevano già un contratto ed erano apparsi in televisione.  

Non doveva perdere l'occasione dei Mondiali, nè perdere il treno per l'Europa, in caso fossero arrivate chiamate. 

 

Lui doveva aiutarlo. Quel ragazzo non aveva un padre e anche se questo ruolo era distante anni luce dall'indole di Jeff Turner, si era fatto carico della sua vita, quantomeno dei suoi progetti con il calcio.

 

Un improvviso giramento di testa lo fece crollare a terra. 

 

Guardò il pavimento e vide un insetto correre in un anfratto nel muro. 

 

"Ma come mi sono ridotto..." biascicó l'ometto. "...io, io che ho avuto uno stadio pieno in visibilio per me."

 

Uno schifo di vita, era quella. 

Ma che ci poteva fare, ormai?

 

Lui, per se stesso, nulla.

 

Ma perchè Mark non finisse così, avrebbe dato tutto.

 

🎋🎋🎋

 

"Non mi fare incazzare, adesso." la minacció Joanne. "Tu devi pensare anche ai tuoi esami. Non solo a quelli di Ed."

 

Madre e figlia discutevano in salotto, mentre aspettavano il ritorno di Andrew dal lavoro, prima di cena.

 

"Solo un sabato notte fuori casa. Vuole portarmi al parco di Nara, prima di partire per il ritiro. Dopo non ci vedremo per un sacco di tempo!" protestó la ragazza.

 

"E tu, non pensi ai tuoi doveri? Anche tu hai dei test di fine anno, devi stare a casa e prepararti!" ribattè seccata la madre.

 

"Vado bene a scuola. I voti lo dimostrano. Ma perchè non affrontiamo la vera questione? Tu hai paura che io e Ed abbiamo rapporti!" sbottó Marty.

 

Joanne si giró dall'altra parte. "Non tirare fuori queste cose! Almeno non davanti a me!"

 

"Beh, ne parlo invece! Voglio parlare di sesso, SESSO! E ti vorrei rassicurare: non lo facciamo. Ok? Ho il tuo permesso adesso?" esclamó la giovane.

 

"Sì, come no...Marty, non raccontare balle." replicó la madre.  "Che ti credi, che sono nata ieri? State insieme in camera tua, quando io e tuo padre non ci siamo. Ho trovato i suoi capelli sul tuo cuscino."

 

Marty si fece tutta rossa. 

"È stato qui per studiare, l'ho aiutato. Sì, si è sdraiato sul mio letto. E basta. Non facciamo niente, mamma."

 

Joanne studió l'espressione della figlia. Pareva un po' addolorata, delusa. Insoddisfatta.

 

Finì per crederle, e si sentì sollevata. Uno dei grandi pensieri che aveva avuto, una volta che Marty aveva raggiunto la pubertà, era proprio il rischio che si mettesse nei guai con qualche colpo di testa. Uno dei  crucci dell'avere una figlia femmina, e nel suo caso specifico, anche dotata di una predisposizione notevole alle infatuazioni folli. 

 

"Meglio così. Le gravidanze precoci sono una bella rogna. Almeno io e tuo padre non abbiamo quel pensiero." rispose Joanne, sedendosi sul divano. "La verità è che, da madre, io spero tu resti innocente il più a lungo possibile."

 

"Ma non funziona così la vita. Prima o poi bisogna farlo." fu la risposta della ragazza. "Voglio crescere, mamma."

 

"Che fretta c'è, dimmi? È solo perchè vuoi sentirti come le tue amiche che l'hanno già provato? Non sarai così scema, eh!" chiese la donna.

 

"Ma lo fanno tutti, e io con Ed sto bene. Lui peró non vuole." riveló infine Marty, e fu come liberarsi di un peso. Non credeva che avrebbe mai parlato con sua madre di quelle cose. Si era sempre immaginata che avrebbe affrontato per conto suo la sua trasformazione in donna adulta, così come non aveva neanche informato sua madre dell'arrivo del suo primo ciclo.  Si era arrangiata da sola, con una telefonata giusto a Maylin che le era andata a comprare di corsa una confezione di assorbenti. 

 

"Ah...lui non vuole? Perchè tu invece insisti??" replicò Joanne.  

 

"Non è che insisto, ma...gli ho chiesto se gli andava e lui non mi ha risposto in modo chiaro. Dice che io non sono pronta. E ha detto che per ora non vuole." spiegó Marty, "...guarda che ho diciassette anni, mica tredici. Non fare la scandalizzata."

 

"E tu non fare la donna navigata, che sei ridicola." la zittì sua madre. "Peró, se è come dici, dovró cambiare idea su di lui. Hai trovato quell'uno su dieci milioni che ragiona con la testa e non con il..." ebbe abbastanza pudore da non continuare. 

 

"Sì, Ed è così. Allora, posso andare a Nara con lui? Come vedi, non c'è rischio." ci riprovó Marty.

 

"E chi ti dice che una volta lì il tuo bello cambi atteggiamento, eh? Soli, in un cottage in mezzo al niente...chi te lo dice?" le chiese la madre.

 

"È un ragazzo serio, te lo sto spiegando fino a sgolarmi. Non farebbe niente che io non..."

 

Si fermó. In un lampo, le venne in mente la sera del suo diciottesimo.

 

Quella sera in cui Ed Warner era sparito per lasciare il posto a un invasato pronto ad assalirla e ad immobilizzarla. 

 

"...continua, dai. Stavi dicendo?" 

 

Marty si riprese. "...mi fido di lui. E basta."

 

"Sai cosa succede alle ragazze come te, che dicono mi fido di lui? Qualche volta succedono cose brutte." rispose sua madre. "E poi si sforzano di dimenticare. La mente di una donna ha i suoi segreti, e per quanto proviamo a soffocarli sono sempre lì. A ricordarci di quanto possiamo essere ingenue e credulone."

 

"Mi stai avvertendo? Cioè, come se considerassi Ed un pericolo. Pensi questo? E perchè?" fece Marty. Per un breve, terribile istante, ebbe l'impressione che sua madre le leggesse nella mente.

 

"Ammetto che al tuo posto anch'io mi sentirei attratta da uno così. Attratta in senso sessuale. Un tipo fascinoso, sveglio, con un gran fisico, con quei capelli da dandy.  Un atleta e un campione in due sport. Bravo a scuola, saggio, meditabondo.  Eppure, per niente effeminato, disinvolto, e con movenze languide da gatto."

 

"Ma a te non piace, comunque." disse la figlia.

 

"Diciamo... di aver avvertito un certo cinismo sotto quella facciata seducente. Il tuo ragazzo è come un bel palazzo storico, elegante fuori ...ma vuoto dentro. Non so se mi spiego. E ho notato in lui un certo disprezzo per noi, cioè per noi Laughton. Come se quel giorno a casa nostra avesse interpretato un ruolo, specie con tuo padre, sapendo di non aver bisogno di impegnarsi troppo per ingannarci. E mi sembrava che avesse un lato crudele che ci teneva nascosto." spiegó Joanne.

 

Marty deglutì.

Le pupille dei suoi occhi si dilatarono, come quelli dei gatti colti da un grosso spavento.

"Tutto quello che pensi di lui è inquietante...molto inquietante...eppure, combacia così perfettamente con..." mormoró.

 

"Combacia con cosa?" volle sapere Joanne.

 

"Niente. Niente, mamma. Ora...scusa, ora devo studiare un po'." rispose lei, a disagio. Volle sparire in camera sua. “Salto la cena. Magari mi scaldo una tazza di latte, dopo. E per quel fatto, per il week end a Nara, ci penso un po' su. Okay? Ci penso."

 

Dalla spina dorsale, un cupo terrore ricominció ad emanare le sue onde.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Braci ***


 

Il giorno 27 Aprile, un martedì luminoso in cui il sole splendeva e scaldava tutta Tokyo, i calciatori Nazionali iscritti all'ultimo anno della Toho School, affrontarono anticipatamente il loro esame conclusivo per ottenere il diploma di liceo. 

 

Lenders, Warner e Bright vennero sottoposti al test all'ultimo piano dell'edificio, in tre aule separate.

 

Gli altri studenti si erano recati nelle loro classi come sempre, e fra di essi c'era anche l'altro convocato Danny Mellow.  Aveva due anni in meno rispetto ai tre, per cui per lui l'anno si sarebbe semplicemente concluso un po' in anticipo, ma sapeva già di essere passato a quello successivo, e dunque viveva gli ultimi giorni di scuola solo come un lento e noioso avvicinarsi alla data della partenza per il ritiro.

 

In un momento di pausa fra una lezione e l'altra,  lui e Marty si trovarono a chiacchierare un po'.

 

"Chissà come sta andando Ed...." fece lei, pensierosa.

 

"Passerá con voti ottimi, vedrai." rispose Danny. 

 

"Nelle materie scientifiche, sì. Ma quelle letterarie non gli piacciono." osservó Marty. "Tu invece, qui bello tranquillo...ormai potresti anche stare a casa."

 

"Ma no..,perchè? In fondo mi piace venire a scuola. E poi ho gli allenamenti... abbiamo praticamente vinto il campionato anche quest'anno ma resta una partita ufficiale da giocare. Con la storia dei Mondiali non ci sarà neanche la premiazione....uffa. Riceveremo la bandiera della vittoria mentre saremo in ritiro.  Spero che gli altri ragazzi se la godano...." si lamentó Danny.

 

"E dall'anno prossimo, senza Mark sarai tu capitano. Bello eh?" chiese lei.

 

Danny si strofinò il naso con un dito. "Eh sì...una grande responsabilità. Spero di farcela!"

 

"E chi altri, sennó?! Sei sempre stato tu la spalla di Mark, vedrai che sarà un passaggio naturale." lo rincuoró lei.

 

"Speriamo. Ed ci ha detto che hai avuto anche tu proposte da una squadra della serie maggiore di pallavolo..."

 

"Sì la Hitachi.  Non è una proposta peró, solo un primo contatto. Vogliono chiedermi di allenarmi con il loro team senior quest'estate, per verificare se ho i numeri giusti. Ma non  si parla di contratti o ingaggi prima di aver finito le superiori..." confermó lei.

 

"Ed ha sempre detto vedrete che Marty farà cose importanti nel volley. Ti ha visto giocare, dice che sei bravissima." aggiunse Danny.

 

"Quell'unica volta che è venuto a una partita abbiamo perso e io sono stata pure sostituita. Non so che pensa di aver visto..." sospiró la ragazza. 

 

"Crede in te..." disse Danny.

 

"Già... senti...mi faresti un favore?" chiese Marty. "Quando sarete in ritiro e poi anche durante le eliminatorie...mi aggiorneresti su come vanno le cose? Magari io ti scrivo ogni tanto e tu mi racconti un po' che succede?" 

 

Danny non comprese quella richiesta. "Ma non puoi chiedere a Ed, scusa?"

 

" Il fatto è che io vorrei sapere come vanno le cose a Mark." aggiunse lei, arrossendo un po'.

 

Danny fece tanto d'occhi."... a Mark, perché?"

 

"Perché ho un po' paura che combini qualche pasticcio, in nazionale. Mi è stato spiegato che una volta ha litigato con Benji Price, che si sono presi a pugni, e che è un'altra volta è scappato dal ritiro... Insomma tu conosci il tuo capitano molto meglio di me. Sai che è una testa calda e ho paura che possa combinare qualcosa che rovini la sua carriera." replicò la ragazza bionda.

 

Il suo compagno di classe sembrava sorpreso. "...tu ti preoccupi tanto per lui? Guarda che Mark ha la testa sulle spalle. Lo sa bene che non può combinare cavolate, questo torneo sarà importantissimo. Per quanto riguarda Benji Price... Non so che cosa ti è stato raccontato, ma quel litigio che c'è stato fra di loro è stato voluto dallo stesso Benji. Sai, a quel mondiale under 16 a cui abbiamo tutti partecipato, inizialmente Benji si era comportato male, criticava tutti, aveva mostrato  comportamenti antipatici. Diciamo che Mark non è uno che si gira dall'altra parte se provocato, e si sono azzuffati un po'...tutto qui."

 

" Si lo so bene che personalità del cavolo ha Benji. Non fatico a credere che se le sia cercate...  ad ogni modo Danny, ti prego fammi questo favore. Io voglio essere tranquilla mentre sto a casa, devo ancora finire la scuola e poi ...e poi ci saranno anche le mie partite. Cioè, non voglio avere il pensiero che Mark possa fare qualche cosa di cui potrebbe pentirsi in futuro." continuó Marty, abbassando il tono della voce per non farsi udire dagli altri compagni.

 

" Va bene, lo farò. Ma non capisco perché non puoi chiedere direttamente a Ed." rispose un po' scettico Danny. 

 

"Non mi va di chiedere a lui. Mettiamola così." concluse Marty. In quel preciso istante entrò il professore di matematica. La ragazza si girò verso il suo compagno di classe. 

 

"Grazie Danny. Grazie davvero." bisbiglió.

 

Poi abbassó gli occhi sul suo block notes, sulla poesiola che aveva scritto in in momento di noia in classe. Negli ultimi tempi si era sorpresa a ideare poesie brevi e lunghe, sempre più spesso. Era come mettere nero su bianco i suoi pensieri più reconditi. 

 

L'amore arde come una brace,

e non si puó spegnere la sua luce,

ma se lui mi ama come dice

perché mi sento ancora sola e infelice?

 

" Che puttanata." mormorò fra sè, e poi strappó il foglio. 

 

🎋🎋🎋

 

Gli esami finali andarono precisamente come tutti si erano aspettati.

 

Ed uscì con voti eccellenti, e quando lui e Marty andarono insieme a vedere i quadri, accolse il suo successo col solito distacco.  

 

"Pazzesco, il massimo in Matematica, Fisica, Chimica e una menzione speciale della Commissione per Biologia e Scienze Naturali. Sei come Maylin, due cervelloni." si entusiasmó Marty, baciandolo su una guancia. "Sono fiera di te."

 

"Sì, sì. Meno male che è finita." rispose semplicemente Ed. "Adesso posso concentrarmi sulle cose importanti."

 

"Potresti fare l'università contemporaneamente al calcio. È uno spreco, hai una mente portata allo studio." gli disse lei, guardando con la coda dell'occhio i voti di Mark. Erano buoni, non eccelsi, ma buoni. Aveva fatto del suo meglio.

 

"No. Le cose vanno fatte per bene. Non mi va di studiare part time e male. Poi comunque finito col calcio io avró già un lavoro. Saró istruttore di karate, e il dojo passerà a me. Non mi dovró inventare un lavoro." la informó Ed. "Senti...per Nara? Ho chiamato il parco, hanno un cottage libero questo week end. Siamo in tempo a prenotare."

 

Marty si schiarì la gola.

"Ah."

 

Ed la guardó un po' perplesso. "...non ti va più?"

 

"No no! È che pensavo ai miei impegni...cioè, sai che sabato abbiamo una partita..."

 

"Ma finisce alle cinque, no? Partiamo subito dopo, in macchina saranno due ore. Tra l'altro, mi hanno detto i gestori del parco che per le coppie hanno tutta un'organizzazione…possiamo chiedere vino in camera, lenzuola di seta, fiori decorativi...il tutto immerso in un boschetto. Massima privacy..." le raccontó, facendole l'occhiolino. "A me piacciono le cose fatte bene. In tutti i campi."

 

"Suona infatti molto bene." rispose lei, distogliendo lo sguardo. "Tutto alla grande."

 

Ed notó il suo malessere. "Cos'hai? Usciamo da qui, parliamone un attimo fuori in cortile."

 

Fecero per allontanarsi, quando arrivó Mark.

 

"Capitano." lo salutó Ed. "L'abbiamo sfangata."

 

Il ragazzo si avvicinó ai quadri per guardare. Sembró compiaciuto dei suoi risultati, ma come Ed, non tradì particolare emozione. 

"Anche il liceo è andato. Ora ci tocca affrontare il mondo, Ed." Poi squadró la ragazza.  "Ciao Numero Sette."

 

"Il mio nome ti fa proprio schifo, vero? Quand'è che mi chiamerai Marty?" protestó lei.

 

Mark rise. "Numero Sette mi piace di più. O preferisci Doppio Zero?" 

 

"Sei impossibile, Mark." brontoló la ragazza. "Comunque...congratulazioni per il diploma."

 

"Grazie, non sprecarti troppo. Il tuo ragazzo è il secchione, qui." poi incroció le braccia sul petto. "Una menzione speciale addirittura... puoi essere orgogliosa."

 

"Lo sono, sì." replicó Marty. "Che fai, festeggi con la tua famiglia la fine degli studi?"

 

"Hm? No, non credo. Perchè?" chiese lui.

 

Ed guardó Marty, che sembrava essersi dimenticata che lui era lì. Non aveva occhi che per Mark.

 

"Perchè tua madre mi ha chiesto di venire a trovarvi ogni tanto. Nathalie vuole vedermi. Pensavo che avreste organizzato un pranzo o qualcosa così...anche perché tra poco vincerete il campionato per la quarta volta. Pensavo che..." disse lei.

 

Mark inarcó le sopracciglia e osservó il volto di Ed. Sembrava contrariato da tutta la conversazione e anche lui non capiva perchè Marty si stesse auto-invitando a casa sua, in pratica.  E davanti al suo ragazzo, così, come niente fosse.

 

"...no a casa Lenders non c'è tempo per le festicciole. Dovresti saperlo. Piuttosto, festeggia con il tuo amore, visto che è stato così bravo." le suggerì il ragazzo. "Vi saluto. Ed, ci vediamo dopo in campo."  Quindi si mise le mani in tasca, e si allontanó.

 

"Che maniere, gira sempre le spalle e se ne va!" si arrabbió lei. Poi si voltó verso Ed. "Dicevi, di Nara...?"

 

"Lascia stare. Ho capito quali sono le tue priorità." rispose Ed, con lo sguardo incattivito.

 

"Eh? Cioè?" rispose Marty.

 

"Non te ne frega niente di stare con me, nonostante mi sia interessato per organizzare un week end in un posto esclusivo, ma sei pronta a fiondarti nei quartieri bassi di Tokyo appena Mark fa tanto di sorriderti?" le rinfacciò lui. 

 

Qualche studente giró la testa per guardarli,  perchè Ed aveva alzato il tono della voce.

 

Marty sembró incredula.  "Quante volte ti ho detto che i suoi fratelli sono legati a me? E ti ho anche detto che sua madre mi ha cercato! Non ti sto nascondendo niente! Lo sai com'è la faccenda!" 

 

Allungó le mani e le mise sulle braccia di Ed, per calmarlo. "Usciamo un attimo..."

 

Ed la spinse via. "La verità è che questa storia deve finire! Ne ho abbastanza, qui non si parla della sua famiglia...si parla di lui. Ammettilo!"

 

Marty si sentì travolta dall'imbarazzo. Una scenata del genere, a scuola. "Ed, la pianti? Ci stanno guardando. Parliamone con calma...fuori." disse a bassa voce.

 

"Non voglio stare con una ragazza che pensa a un altro. Mettitelo in testa. Perchè te lo dico una volta, una volta e basta. O ti chiarisci le idee su te e Mark, o prendiamo strade separate." le disse Ed. Sul suo viso passó la stessa espressione che gli aveva visto molto tempo prima. Una totale indisposizione a ragionare, a provare a capire, a cercare di mediare.   Era pazzo di gelosia. "Ho tollerato troppo. Troppo. Ma ora basta." 

 

"...tutto questo perché gli ho chiesto di andare a trovare la sua famiglia?" rispose Marty. "Ma ti pare? Lo sai che sono già stata da loro, avevi detto che non c'era nessun problema." 

 

"Non è solo questo. Io non so perchè tu creda di avere a che fare con un povero coglione, ma io non lo sono. E non mi faccio trattare come tale." ribattè di nuovo Ed, mentre gli spettatori del litigio stavano aumentando. 

 

"Ti comporti da coglione, invece. E non mi piaci quando fai così." rispose Marty. "Adesso peró basta. Ci guardano, Ed."

 

"Chi se ne frega." replicó lui. "Tu non ti rendi neanche conto di quanto sei irritante. Almeno, cazzo, almeno avessi il coraggio di dirmi le cose come stanno. Ti chiedo di passare l'ultimo week end che ci resta insieme in un luogo speciale, e sembra che ti stia proponendo di andare nel posto più squallido del mondo. Ma se te l'avesse chiesto Mark, ci saresti andata di corsa, vero?" 

 

"Lasci stare lui, per favore? Sì c'è un problema fra me e te. E questa discussione è la prova. Tu perdi la testa troppo facilmente, questo mi terrorizza! Vuoi la verità?' Mi terrorizza!" confessó allora lei. "Che faresti se io e te fossimo soli e litigassimo un'altra volta come quella volta? Che fai se non ti controlli, mi prendi a sberle, o peggio?"

 

Ed scrolló la testa e sorrise, con una punta di tristezza. "...eccoci. Voilà, la verità. Io so che qualsiasi cosa faró per te, qualsiasi...tu non mi perdonerai mai. Tu farai di tutto per ricordarmi quella sera. Ma Mark, no eh? Lui non farebbe mai cose del genere. Lui è Mister Perfezione. Alla faccia di tutti i ragazzi a cui ha distrutto le gambe in campo... "

 

Marty era rossa di rabbia e imbarazzo. "Stai sragionando, Ed...come il tuo solito. Ma cosa c'è in quella testa, me lo dici cosa??!"

 

"Vaffanculo." fu la risposta del giovane.

 

"No. Vacci tu." disse lei.

 

"Molto bene. Questo semplifica tutto." replicó Ed, e poi prese la strada dell'uscita.

 

Marty rimase immobile come se qualche mano invisibile l'avesse percossa su tutto il corpo. Non riusciva a credere che quella conversazione fosse avvenuta sul serio.

 

Balle, le disse la coscienza. Era solo questione di tempo e lo sapevi benissimo. Adesso è successo, visto? È successo. 

 

Era imbambolata davanti alle bacheche scolastiche. Fu solo il realizzare che lì intorno c'erano studenti che la guardavano e bisbigliavano fra loro a dare l'input di reagire.

 

Scappó in bagno, il primo che trovó  lungo il corridoio della scuola. Si chiuse in uno dei gabinetti a chiave.

 

Poi Marty Laughton prese un lungo respiro, buttó la testa indietro e urló.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Separazioni ***


 

"Che succede, Ed? Ti è passato un treno sopra la testa?" gli chiese Mark, non appena il ragazzo mise piede in campo e lentamente si avvicinò alla porta.

 

Il portiere raggiunse la sua posizione fra i pali senza rispondergli, senza nemmeno guardarlo in faccia. Un atteggiamento che stupì Mark, di solito Ed era sempre molto rispettoso nei suoi riguardi.

 

"Ed! Ed!" lo chiamó.

Ma di nuovo il compagno di squadra non si girò. Al contrario, nascose gli occhi sotto al berretto, e lentamente si infilò i suoi guanti Reusch, dono di Marty, quasi che fosse concentrato in una dimensione tutta sua, all'interno della quale nessuno poteva disturbarlo.

 

Mark osservò il suo Numero 1 ed ebbe il forte sospetto che fra lui e la ragazza fosse capitato qualcosa. Da quando Warner aveva iniziato la relazione con l'irlandese, lo aveva visto per la maggior parte del tempo sereno, ma c'erano anche dei momenti in cui sembrava malinconico, e molto preoccupato da qualcosa.  Sì era chiesto se non fosse stato quel pettegolezzo che girava scuola, sul fatto che proprio lui, Mark, fosse il terzo incomodo nella relazione con Marty, a turbarlo così tanto.

 

Era una faccenda sulla quale aveva riso molte volte, sorprendendosi sempre della stupidità degli studenti della Toho, soprattutto da parte delle ragazze.

 

Come diavolo poteva credere, la gente, che una situazione così ambigua potesse essere nata fra loro tre e avere proprio lui come protagonista. Lui, che mai si era mostrato interessato alle donne, e che mai aveva sentito il bisogno di farne entrare una nella sua vita. 

 

E non significava assolutamente nulla il fatto che ogni tanto sentisse il bisogno di pensare a lei, quando era solo a casa, e quando andava a farsi una passeggiata nel suo miserabile quartiere, e per tirarsi su il morale si ricordava sempre i suoi sorrisi, le sue battute, i suoi capelli biondi.  Così come non aveva alcun significato il fatto che qualche volta gli fosse venuta la tentazione di chiamarla, di prendere in mano il suo telefono e selezionare quel numero, solo per sentire la sua voce.

 

Marty era per certi versi una ragazza buffa, che lo divertiva. Era un tocco di colore in una vita altrimenti grigia. Quante volte aveva riso fra sè, ripensando al modo in cui la stuzzicava, ripensando a come si arrabbiava lei quando la chiamava con quel soprannome che detestava, doppio zero.

 

Ma secondo il suo compagno di squadra Ed Warner, tutto ciò non aveva nulla di divertente. Era sospettoso nei confronti di chiunque si avvicinasse a lei.

 

Aveva ringhiato come un pitbull in occasione della cena fra lei e Price, aveva perso la testa quando erano stati soli, aveva fatto pagare a quella ragazza tutta la sua insicurezza, tutte le sue paranoie, tutta quell' assurda frustrazione nei confronti dell'altro portiere della nazionale.

 

Mark si era anche chiesto se il suo compagno di squadra fosse stato veramente innamorato di lei, o forse era una manifestazione della sua solita ansia di primeggiare su tutti quanti, in quel particolare caso nel frequentare l'europea, il cigno bianco che aveva fatto girare la testa a un bel po' di ragazzi della Toho School dal momento in cui si era iscritta.

 

Ma il problema in quel momento non era stabilire se Ed fosse sincero nei suoi sentimenti verso Marty Laughton oppure no. Il problema era che Ed aveva ricominciato col suo mutismo selettivo, e di nuovo Mark ne era il bersaglio.

 

Si avvicinó a lui."... allora, che succede? Tu e la tua bella avete litigato un'altra volta?"

 

"Non continuare." fu la secca risposta di Warner.

 

Il capitano chiuse gli occhi e sorrise. " Certo che siete proprio forti voi due insieme, non riesco a capire davvero come possiate andare avanti in questo modo. E poi mi dicono che avere una ragazza è bellissimo..."

 

" Non continuare, ti ho detto... perchè se lo fai, me ne vado a casa adesso."  e aggiunse "...guarda che non scherzo Mark. Non è davvero il momento."

 

Lenders  allora osservó meglio il volto di Ed, e con grande stupore si accorse che aveva gli occhi lucidi. Poche volte aveva visto il suo portiere così scosso, e sempre per motivi legati allo sport.  L'ultima volta che l'aveva visto sull'orlo del pianto, era stato dopo la semifinale vittoriosa contro la Francia tre anni prima. Dopo che per parare quel rigore a Louis Napoleon si era infortunato alla mano destra, e il fatto di aver contribuito in modo così eroico al raggiungimento della finale lo aveva reso orgoglioso di sé stesso, al punto da commuoverlo.

 

Sì, era successo qualcosa con Marty. Preferì non insistere.

 

" Come vuoi. Però, devo dirti che tu mi sorprendi. Credevo che ferire uno come te fosse impossibile e tu ti fai vedere mentre piangi come una femminuccia. Adesso concentrati, non pensare a quella ragazza. Abbiamo l'ultima partita da vincere, poi partiremo finalmente per il ritiro e andremo verso il calcio che conta. Lasciati dietro tutti i malesseri, hai capito Ed?"

 

"Sappi una cosa Mark: che questo sia stato intenzionale da parte tua, oppure no, hai compromesso il rapporto fra me e la mia ragazza." lo guardó dritto negli occhi, e sembro fulminarlo con lo sguardo."... Mi aspettavo da te molta più maturità, mi aspettavo da te più sincerità nell'affrontare i tuoi sentimenti. E invece sei come lei. Voi due siete uguali, due egoisti. Due ipocriti che non si rendono neanche conto che con i loro comportamenti fanno del male agli altri." lo aggredì allora Warner. 

 

Mark arretró, colpito da quella veemenza. "Hey, ma di che parli? Se ti va male con Marty non dare la colpa a me. E smettila di dare la colpa a tutti tranne che a te stesso.  Hai già fatto questo sbaglio."

 

Ed scrolló la testa.

"Mark, tu sei il mio capitano, e io ti rispetto. Ma non provare più a prendermi in giro, capito? Mai più."

 

Detto ció, tornó in porta e si calcó il cappellino sugli occhi, per nasconderli. 

 

"Atteggiamento deludente. Avevi detto di essere cambiato, avevi detto di aver capito i tuoi sbagli. Ma sai ormai cosa credo?" gli disse Mark, avvicinandosi a lui di nuovo. "Credo che tu sia sbagliato qui dentro." picchiettó con un dito la fronte di Ed. "E credi parlandomi in quel modo di umiliarmi, di farmi sentire in colpa per qualcosa. Credi di essere meglio di me, ma non sei meglio di me. Sei soltanto più vigliacco."

 

Ed afferró il polso del suo capitano e lo allontanó malamente dal suo viso. "Attento Mark..."

 

"No, attento tu. Ti dico che qui non c'entra una ragazza piuttosto che un'altra. Tu sei pieno di orgoglio e il tuo orgoglio è una piaga. E quando finalmente riuscirai a liberarti di questo e delle tue paranoie, vivrai meglio la tua vita. Ma se ti fai sopraffare, per te ci sarà solo una conseguenza: la distruzione del tuo futuro." gli disse Mark.

 

"Molto bravo. Visto che sei così abile nell'analizzare le menti degli altri, perchè non fai lo stesso con la tua? Hm? Chissà, magari quello che scopri ti sorprenderebbe." replicó Ed. "Mark il duro che non guarda le ragazze, che se ne frega di queste cose da mammole. Ma a chi la vuoi dare a bere, ormai?"

 

"Ragazzi!! Ma siamo in pausa o cosa?? Capitano, che si fa, ci fermiamo?" urló Mellin, da centrocampo. Gli altri giocatori non osavano disturbare Ed e Mark,  che da lontano sembravano impegnati in una discussione. C'era una strana atmosfera in campo. 

 

Danny li guardó. "Un'altra volta...litigano di nuovo..." e si mise le mani sui fianchi. Sta' a vedere che c'entra ancora Marty.

 

"Non ci fermiamo affatto! Continuate con i passaggi veloci! E tu..." disse, voltandosi verso Ed. "Qualsiasi accidente ti sia preso, vedi di fartelo passare all'istante. Ci stiamo allenando."

 

"Vale anche per te." ribattè Ed.

 

Mark voltó le spalle al suo portiere, e senza aggiungere altro riprese con il gioco.

 

Ma decise che quella sera avrebbe ritardato un po' il rientro a casa.

 

🎋🎋🎋

 

"Ma ci stai con la testa o no? Laughton!!" la riprese Nolan, durante l'allenamento. 

 

"Mi scusi, mister." rispose Marty, asciugandosi la fronte. 

 

Kibi la osservó: era ricomparsa quell'espressione sconvolta, di nuovo quegli occhi azzurri persi nel vuoto.  No, la sua compagna di squadra non ci stava con la testa, proprio per niente. 

 

Indovinó subito il motivo. 

 

"Mister, chiedo cinque minuti di pausa!" gridó a Nolan.

 

"Tre. Per bere e subito in campo." acconsentì l'allenatore.

 

Le ragazze corsero a prendersi ognuna la sua borraccia d'acqua. 

 

Il capitano portó a Marty la sua, visto che non sembrava intenzionata ad abbandonare il campo. Se ne stava con la testa china, proprio a ridosso della rete. 

 

"...tieni. Sciacquati la bocca." le disse Kibi. "Problemi?"

 

"Mi ha piantata." mormoró Marty. "Stamattina."

 

Kibi accolse con dispiacere la notizia. Non tanto per Ed, che per lei poteva anche andarsene a quel paese, ma per Marty. Doveva essere stata una grande batosta, dopo appena tre mesi di relazione. Non poteva dire di esserselo aspettata, perchè in realtà da fuori la storia sembrava andare a gonfie vele, ma poteva senz'altro immaginarsi il motivo. 

 

Le consuete giravolte psicologiche di Ed, i suoi soliti nodi mentali c'entravano qualcosa, di sicuro.  Quale poteva essere stavolta il fatto scatenante, Lenders? Quelle voci su lei e Mark? C'erano pettegolezzi nei corridoi della scuola, durante le pause, sull'ipotesi che Mark e Marty si amassero di nascosto da Ed, e qualcuno si era spinto a immaginare addirittura una storia a tre. 

Tutte scemenze, certo. Ma forse queste dicerie avevano scalfito il rapporto fra lei e Warner. Considerata la gelosia patologica di quest'ultimo non sarebbe stata un'idea troppo balorda.

 

"Decisione improvvisa?" chiese Kibi.

 

"Sì. Me l'ha proprio detto in faccia, cavolo, di andarmene in malora. Non l'ho mai visto cosí." disse ancora la bionda. "Non credevo succedesse a me."

 

"Cose della vita. Si lascia e a volte si viene lasciate. Non prendertela. Ma la ragione? Ah...eccolo lì il motivo." disse l'altra, guardando in aria, sulle gradinate.

 

Si voltó anche Marty.

 

In piedi, vicino a una delle colonne portanti dell'edificio, Mark osservava l'allenamento. Indossava la tuta della divisa e aveva il suo borsone poggiato a terra. 

 

"...cosa ci fa qui??" esclamó Marty.

 

"Se non lo sai tu..." rispose Kibi.

 

Videro il ragazzo scendere i gradini per portarsi vicino alla balaustra, e poi fece cenno a Marty di avvicinarsi.

 

"Mark!!" lo raggiunse lei. "Tu, in palestra?"

 

"Ti dovrei parlare, aspetto la fine dell'allenamento." le rispose. 

 

"Laughton!" gridó Nolan. "Ti dispiace partecipare?"

 

"Va', su. Non far arrabbiare quell'idiota." le disse Mark, guardandola dall'alto.

 

"Ne avró per mezz'ora..." ribattè lei.

 

"Io aspetto." ripetè Lenders.

 

"Marty! Te ne vuoi andare subito a casa?!" sbraitó Nolan, infastidito dalla presenza di Mark. Non aveva simpatia per i calciatori e men che meno per Lenders.  Aveva catalizzato su di sè l'attenzione di tutti i giornalisti sportivi, che nei week end andavano alla Toho soprattutto per seguire lui, infischiandosene delle squadre che praticavano altri sport. E poi, era un ragazzo arrogante, burbero e prevaricatore. E adesso che ci faceva  lì in palestra, a distrarre le sue giocatrici?

 

"Arrivo mister!" rispose la ragazza.

 

Mark osservó quel patetico di Albert Nolan con divertimento. Era uno di quei coach che ritenevano giusto rimproverare e pungolare le loro atlete, solo per sentirsi importanti. Ma lui sapeva che se quell'anno la Toho Volley Club aveva raggiunto una buona terza posizione era solo merito di Marty, non certo delle capacità del loro mister.

 

Si sedette su uno dei gradini, e si appoggió coi gomiti a quello dietro. Guardó Marty impegnarsi a ricevere e poi impostare un'azione d'attacco e concludere molto bene. 

 

Giocava bene, Ed aveva ragione. Aveva ottima elevazione, forza nelle gambe ed equilibrio. Sorrise pensando che fosse stata calciatrice, non avrebbe sfigurato in attacco. 

 

Ma non era andato lì saltando una serata di lavoro per ammirare una pallavolista. 

 

Era andato lì per chiarire tutto quel maledetto casino, che aveva mandato in pappa il cervello di Ed. 

 

Non avrebbe lasciato correre.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Una sera di Aprile ***


 

Mark la condusse in un angolo appartato del cortile, mentre il buio della sera aveva ormai avvolto tutto. 

 

Solo la luce di uno spicchio di luna permetteva ai due ragazzi di guardarsi in faccia.  La primavera ormai era arrivata, ma di sera la temperatura si abbassava e Marty si strinse nella felpa della tuta. 

 

" Che sorpresa vederti in palestra, non sei mai venuto ad assistere agli allenamenti." esordì lei.

 

" La pallavolo non è esattamente il mio sport preferito, anche se devo ammettere che tu sei piuttosto notevole come atleta, hai davvero un'elevazione straordinaria. Ma come fai a raggiungere quell'altezza? Ti devi essere esercitata moltissimo con Tim Staffold." replicó lui. 

 

" Lui è stato un ottimo preparatore atletico. Ma anch'io mi alleno nel salto da sola a volte, pure nel giardino di casa mia, di sera. Allora Mark, cosa mi devi dire? Guarda che oggi è una giornata un po' pesante per me." confessò Marty.

 

" Lo so. Ed si è presentato agli allenamenti con una faccia che era tutto un programma. Non si è concentrato affatto, fino alla fine della sessione. E questa cosa non mi piace Marty. Questa cosa sta cominciando a darmi i nervi." ribattè Lenders. " Non è tanto per il campionato, che ormai abbiamo stravinto. Il fatto è che stiamo per partire per un'impresa importante, un nuovo mondiale, questo sarà decisivo per tutte le nostre carriere. Un portiere che non ci sta con la testa può anche rischiare di farci buttare fuori alle eliminatorie, lo capisci? Io non posso permettermi questo. Io devo andare in Europa, devo farmi notare dai selezionatori internazionali. Se noi giapponesi fossimo eliminati subito, tutte le manifestazioni di interesse che mi sono arrivate dalle squadre italiane, svanirebbero. Ma si può sapere cosa succede fra lui e te?" 

 

" Ci siamo lasciati, ecco cosa è successo. Lui ha dato i numeri per l'ennesima volta, e questa volta la cosa non si è ricucita." disse lei amaramente.

 

" Ho capito anch'io che vi siete separati. È la ragione per cui questo è successo che non mi va giù. Ne ho abbastanza di vedermi additare come il responsabile di tutti i vostri casini. Perché siamo arrivati a questo?" sbottó lui. "Come se non avessi altro a cui pensare."

 

" Per tutti i pettegolezzi, Mark, tutti i maledetti pettegolezzi che continuano a rincorrersi in questa scuola. Io credo che sia girata la voce che sono venuta a casa tua qualche volta, non so chi può averla messa in giro... forse Danny, forse Lynn. Per le male lingue è stata una manna dal cielo. Mark, tu sai che tante ragazze di questa scuola sono innamorate di te. Il fatto che io abbia questa amicizia particolare con te, ha scatenato la loro gelosia. E la gelosia è sempre figlia della cattiveria, tira fuori sempre il peggio delle persone. A questo si aggiunge il fatto che avuto una relazione con Ed, un altro sogno impossibile delle studentesse. Sì insomma, mi sono avvicinata a voi due, in modi diversi, e questo non mi è stato perdonato dalla popolazione femminile della scuola. Sono cose stupide, concordo con te, ma questa è la realtà dei fatti. E adesso io e Ed ci siamo lasciati." spiegó Marty. 

 

" Ma non è solo questo. Guarda che Ed non è stupido, se ne è sempre fregato di tutti le voci su di lui, su quella Beverly, su voi due. Io nei suoi occhi ho visto la convinzione che fra me e te ci sia qualche cosa. E' questo che non riesco a spiegarmi, perché ne è così certo? Forse ho fatto qualcosa nei tuoi confronti che ha portato te, e lui, a pensare una cosa del genere?" chiese Mark.

 

Nella penombra di quella sera di aprile, Marty scrutó il suo volto: sembrava seriamente confuso, forse anche dispiaciuto per una situazione che aveva incrinato il rapporto fra lui ed il suo vecchio amico. Era una circostanza che lo coglieva di sorpresa, e non sapeva come gestirla. La totale sicurezza e la grande forza che aveva manifestato in altre vicissitudini, sembravano completamente sparite.  

 

" Per quello che mi riguarda, no... anzi...se ti ricordi sono stata io... a tentare un approccio con te a casa tua, quella sera dopo l'incidente con Ed. Ma tu ti sei negato, io mi sono scusata per quell'atto stupido. Ero confusa, disorientata dalla situazione. Oltre a questo non penso che fra me e te sia successo qualcosa di ambiguo." rispose lei, mentre sentiva l'agitazione percorrere tutto il suo corpo. "Non nel senso che crede tutta la scuola."

 

" Adesso che farete?" fu la domanda di Mark.

 

" Niente. Mi ha lasciata, che devo fare, rincorrerlo? È la seconda volta che c'è un problema fra noi due, questa è la seconda crisi. Io ne ho abbastanza delle sue reazioni. Purtroppo, sto pensando che Ed non sia il ragazzo per me." replicó allora Marty. "Cioè... esistono dei limiti, capisci? Non posso avere l'ansia, ogni volta che sono con lui, che possa interpretare male una mia battuta, che possa insospettirsi per una semplice considerazione che magari faccio su di te. Non si può portare avanti una storia in questo modo, ci vuole serenità. Sono molto attratta da lui, ma io credo che questo non basti."

 

Mark si avvicinó a un alberello del cortile e poggió un piede sul tronco. Si mise le mani in tasca, al suo solito.

 

" Benji Price sarebbe il portiere titolare della nostra nazionale, ma è infortunato e il suo recupero sarà abbastanza lungo. Per le eliminatorie non ci sarà, Freddy Marshall vuole che Ed stia in porta fin dall'inizio. Se va fuori di testa perché qualche pensiero lo distrae, sarà un casino Marty. Rischiamo di prendere gol a grappoli. Io devo pensare alla mia vita, alla vita della mia famiglia, al loro benessere. Se ci eliminano, addio futuro. Vedere Ed in questo stato mi spaventa." ammise allora. 

 

" Beh, vedrai che si riprenderà. Anche per lui il torneo sarà importante, non credo che sarà così stupido da mandare tutto in malora a causa di una storia con una ragazza. Puoi stare tranquillo, Mark. Io non farò nulla per complicare ancora di più le cose. E' finita, basta, da domani mi concentro sul volley e sul resto dell'anno scolastico." ripetè Marty.

 

" Te l'ho già sentito dire, questo. Eppure, poi, è andata diversamente."sogghignò Mark.

 

"Beh, ma che pretendi da me? Oltre a questo, che cosa posso fare, dimmi? Tu mi hai trascinato qui e adesso mi fai una specie di processo, come se fossi io la causa di tutti i problemi del mondo. Sei stato tu a dirmi che è un ragazzo particolare, fosti tu ad avvisarmi, o te lo sei dimenticato? Beh, si è verificato esattamente ciò di cui mi avevi avvertito. La nostra storia non è proseguita, è implosa. Gli avevo dato una seconda possibilità, e non ha funzionato. Tutto qui." protestó Marty.

 

"Tra poche ore starai già pensando a lui. Allora gli telefonerai, inizierà l'ennesimo tira e molla...e si ricomincerà da capo. Vero, Numero Sette?" sorrise lui.

 

"No, e poi no! Tu, Ed, Danny e Eddie partirete giovedì prossimo. Anche volendo, non c'è tempo per ricucire. E poi non voglio. Guarda che sono molto più forte di quello che credi." protestó Marty. 

 

"Lo sei?" 

 

"Certo!" ribadì la giovane.

 

"Delle volte, siamo certi di conoscere noi stessi...ma poi..." riflettè Mark, osservando la volta stellata.

 

"...hm?" fece Marty.

 

A quel punto, si fece buio sul serio. Una nuvola aveva coperto la luna. La ragazza vedeva solo la sagoma di Mark, appoggiato con la schiena al tronco dell'albero.  

 

Lo vide muoversi.

Lo intravide girare il viso a destra e a sinistra, quasi ad accertarsi che nessuno fosse nei paraggi. Lo vide andare verso di lei.

 

E poi sentì un braccio che le cingeva la vita e la tirava improvvisamente a sè. 

 

"Ma..."

 

Non potè dire altro, perchè sentì le labbra del ragazzo sulle sue. 

 

Esattamente come aveva fatto Ed l'autunno precedente, Mark le rubó un bacio in modo inaspettato, improvviso, senza annunciarlo, senza farlo presagire. E lei, del tutto colta alla sprovvista, rimase lì come una statuina. Non avvertì altro che sbigottimento. 

 

Quando la luna fece di nuovo capolino dalla nuvola, il rumore di uno schiaffo ben assestato echeggió nel cortile della Toho School.

 

SCIAF!

 

"Ma cosa fai??" gli gridó sdegnata Marty.

 

Mark si portó una mano alla guancia. "Ecco. Proprio la reazione che mi ero augurato."

 

"Cosa?? Come ti sei permesso?" continuó lei, allontanandosi.

 

"Volevo vedere se le tue parole corrispondevano alla verità. Complimenti. Sei forte, hai ragione. Più di quello che credevo. Ora spero che tu dimostri la stessa convinzione, e fai quello che hai detto." proseguì Mark.

 

"Ma che diciii!! Come hai osato baciarmi?" replicó Marty.

 

"Se tu ti fossi abbandonata fra le mie braccia, avrei capito che sei una bugiarda e un'opportunista. Invece, hai abbastanza onestà in te." sorrise Mark. "Ti ricordo, comunque, che ci avevi provato tu per prima."

 

"Al buio, quando non potevo oppormi!! Sei un disgraziato!! Mark, non avrei mai creduto..." si lamentó ancora Marty. Poi fece un passo indietro, e un altro. Infine si giró, e corse via.

 

Mark si passó il pollice sulle labbra. Quindi, per la prima volta aveva baciato una ragazza. Non era stato male.

 

Sì peró, mi ha dato uno schiaffo e anche forte, pensó, avvertendo il dolore irradiarsi sul viso. Hai visto, Ed? Ti è sembrato abbastanza CHIARO tutto questo? Quella da me non vuole niente.

 

Forse era stato troppo irruente, ma era quello il suo modo di approcciare le cose, tutte le cose.

 

Poi sorrise perchè un pensiero gli balenó nella mente.  Quella testolina bionda si era dimenticata di una frase che le aveva detto. Era scappata via, insultandolo, senza ricordare le parole che le aveva detto quella sera, seduti a gambe incrociate sul futon della sua camera.

 

Non posso baciare una ragazza, se non ne sono innamorato.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Un taglio al passato ***


 

"Di tutte le persone..." disse Marty fra sè, mentre camminava su e giù per la sua stanza, dopo il rientro dalla palestra quella sera. "...di tutte le persone che potevano fare una cosa simile...proprio lui...lui!

 

Cominció a sentire il malessere che l'aveva accompagnata fino a casa risalire dal ventre. Si portó le mani allo stomaco, e nelle orecchie avvertiva il pulsare della pressione. Il cuore batteva come impazzito. 

 

Non si era neanche tolta la tuta, nè le scarpe da ginnastica.

 

"Martyyy! È pronto!" sentì sua madre chiamarla dal basso. La cena era in tavola.

 

"Arrivo!" riuscì a risponderle, affacciandosi alla porta. "Due minuti!"   

 

Non le sarebbe andato giù neanche un cappero, altro che cena. 

 

Andó in bagno, e aprì l'acqua calda del rubinetto. Voleva perlomeno lavarsi la faccia, per nascondere ai suoi le macchie rosse sulle guance. Aveva pianto e si era congestionato il viso. 

 

Il vapore appannó immediatamente lo specchio, nascondendo la sua immagine. Quasi ne fu grata, perché rivedere ancora il suo volto sconvolto era uno spettacolo di cui era stufa.

 

Quante volte aveva pianto in quella stanza?

 

Per Eddie Bright, per Benji, per Ed, ora anche per l'unico che mai e poi mai, nei suoi pensieri, sarebbe stato in grado di farla sentire in quel modo. Il solito modo in cui la facevano sentire i maschi.

 

Una bambolina con cui divertirsi.

 

Eddie le aveva messo una mano sul sedere nella loro unica uscita, Benji in un posto ben più intimo, Ed l'aveva assalita, e ora ci si metteva anche Mark. Le aveva strappato un bacio fregandosene della sua volontà, senza darle la possibilità di scelta, nel buio di un cortile scolastico.

 

Proprio Mark.

Non riusciva a metabolizzare la cosa.

 

Con una mano, pulì lo specchio dalla patina di calore, e rivide il suo viso. Le sembrava che le sue labbra fossero più rosse, e toccandole con la punta delle dita, le sentì quasi bruciare. Lì dove l'aveva baciata lui.

 

Perchè gli uomini si comportavano così con lei? Perchè credevano di poterlo fare? 

 

Marty, nel riflesso, osservó i suoi stessi occhi celesti con grande attenzione, osservò il suo viso, il suo naso all'insù, i suoi lunghissimi capelli biondi che arrivavano ormai quasi oltre la vita.

 

Forse è il mio aspetto, pensó, forse somiglio così tanto a una bambola, che credono di potermi trattare come tale...perché nessuno mi rispetta? Perché?

 

Nemmeno Mark 'schifo-le-donne' Lenders si era trattenuto. E con quale decisione, senza timore, l'aveva tirata a sè. Come fosse quasi un suo diritto. 

 

Si consoló pensando al ceffone che gli aveva mollato, e si accorse di provare un dolore sordo al polso. Ci avesse messo un po' più di forza, se lo sarebbe slogato. 

 

Si sedette sulla tavoletta del WC e tentó di farsi passare il batticuore. Sua madre probabilmente la stava ancora chiamando dal piano inferiore, ma non se la sentì di alzarsi. Aveva bisogno ancora di qualche minuto.   

 

Senti la voce di Maylin nella mente: visto? Era solo questione di tempo e sarebbero state scintille fra te e Mister Muscolo. Io te l'avevo detto o no? Dovevi farlo tu, ti ha solo anticipata. Ma non essere così sconvolta, non ci ha messo neanche la lingua!

 

"Zitta!" rispose Marty. "Non voglio pensarci!"

 

È stata colpa mia. Non avrei dovuto provare a baciarlo, quella volta da lui. Si è messo in testa che con me sarebbe andato sul sicuro...questa non era una prova della mia integrità...tutte balle...crede che io sia una facile...lo credono TUTTI. 

 

Come sempre quando era agitata, il cervello andó in modalità centrifuga e mille e mille pensieri si mischiarono uno con l'altro. 

 

Adesso che faccio? Come mi presento a scuola domani? E se vedo Ed? E se vedo Mark? pensó, dimenticandosi perfino che i due avevano già ottenuto il diploma e per loro le lezioni erano finite. Restava solo il loro impegno con la squadra, ma l'ultima di campionato si sarebbe giocata fuori casa.  Non li avrebbe visti nemmeno di sabato. 

 

Inizió a torcersi i capelli attorno a un dito, un vezzo infantile che non riusciva a perdere. Poi si portó la ciocca davanti al naso, e la guardó.

 

Sembró proprio una Barbie, una di quelle bambole di plastica che piacciono a Nathalie.  Forse è tempo di cambiamenti. 

 

Le venne un'idea. 

 

Andó verso la scrivania e prese la forbice taglia cartone, che aveva le lame lunghe e spesse.  Tornó nel suo bagno e si posizionó davanti allo specchio ancora mezzo appannato. Afferró con forza una grossa ciocca di capelli e la tenne sollevata per diversi secondi, come indecisa se compiere quell'atto sacrilego oppure no. 

 

Lynn e Kibi l'avrebbero coperta di improperi, ma non avrebbero potuto capire.   Doveva sparire, la Marty che stava collezionando fallimenti amorosi e colpi bassi doveva sparire. I suoi capelli erano uno dei motivi per cui veniva considerata un trofeo dai giapponesi. I suoi capelli e i suoi occhi chiari. Immaginó fosse meglio una nuova acconciatura che cavarsi i bulbi oculari. 

 

Fanculo a tutti gli uomini, di qualsiasi etnìa e latitudine, fu il successivo pensiero.

Erano finiti i tempi delle bambole.

 

ZAC.

 

La prima ciocca le rimase in mano, molle. La guardó come avesse guardato un piccolo cadavere. Finì nel recipiente dell'immondizia, sotto al lavandino.

 

ZAC.

 

Procedette con un'altra ciocca, tagliando fino a qualche centimetro sotto all'orecchio. 

 

Continuó finchè arrivó ad avere un grottesco e asimmetrico caschetto, che avrebbe strappato un urlo a sua madre, non appena avesse disceso le scale. Completó l'opera arrangiando un abbozzo di frangia. 

 

Asciugò meglio lo specchio con la salvietta e si guardó.

 

Aveva i capelli cortissimi adesso, e se la cosa non sarebbe stata presa bene dai suoi fans o dai genitori o dalle sue amiche, che si fottessero tutti quanti in gruppo.

 

Sul pavimento del bagno c'era una distesa dorata che avrebbe semplicemente raccolto con scopa e paletta. E poi, via nell'indifferenziata. 

 

Una nuova decisione definitiva.

La seconda di una serie di decisioni risolute.

La prima era stata troncare con Ed. 

 

La terza, che prese in quel momento, fu quella di sottrarre a Jeanine Redmond la palma di migliore giocatrice del torneo di volley liceale e portare la Toho sul podio più alto.

 

Senza distrazioni, poteva farcela.

 

Inizió a pensarci senza sosta, e quell'idea si sarebbe impossessata di lei giorno e notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Occhi nel buio ***


 

"Gesù Cristo santissimo!!" esclamó Kibi, quando incroció Marty in cortile, il giorno seguente, nell'intervallo per il pranzo.

"...cos'hai fatto??!"

 

"Non iniziare pure tu. Già ieri ho discusso con i miei, e stamattina Lynn, Danny e gli altri della classe mi hanno rotto le scatole per il nuovo taglio. Avevo voglia di cambiare. Non è permesso?" rispose seccata l'irlandese.

 

"Sì...ma...erano così belli! Avevi capelli meravigliosi! Perchè??" chiese ancora il suo capitano. Poi un lampo di comprensione le saettó nello sguardo. "...aaaaah, ho capito. Per piacere meno ai ragazzi, eh?"

 

"Ricresceranno. Quante storie per una nuova pettinatura!" sbuffó l'altra. "Sto meglio così. Mi sento più leggera. Solo che dopo devo passare dal parrucchiere a farmeli regolare meglio."

 

"Te li sei tagliati da sola? La rottura con Ed ti ha proprio turbata. A me venne voglia di cancellare il tatuaggio che feci per lui...odiavo vedermelo addosso...eh, l'amore è davvero in grado di sconvolgerti." sospiró Kibi. "Quanto si puó soffrire per un ragazzo."

 

"Il tatuaggio...ma ce l'hai ancora. Come mai alla fine non l'hai fatto togliere?" s'incuriosì Marty. 

 

"Alan dice che in fondo è carino. Magari posso ritoccare solo il numero 1, per nascondere il riferimento a Ed. Ma il gatto è disegnato bene." rispose Kibi. "Non ti ha più cercata...lui?"

 

"Ed? No. Stavolta è incacchiato sul serio." rispose Marty. "Poco male, tanto adesso dovrà partire. Meglio una chiusura brusca che trascinare questa cosa inutilmente."

 

"Ma sembrava che fra voi due fosse tutto a posto...tu stessa mi dicevi che lui era cambiato..." riflettè Kibi. "Invece no, eh?"

 

"Non potevo continuare così. Mi incuteva timore in certi momenti, puoi capirmi? Dopo quella storiaccia del suo compleanno, qualcosa in me si è rotto. Ho combattuto contro queste sensazioni, ma sono troppo forti. Non ce l'ho fatta più...troppe discussioni, troppe tensioni..." spiegó Marty. "Per quanto mi piaccia e ci siano stati bellissimi momenti, il gioco non vale comunque la candela."

 

"...e niente sesso. La mancanza di quello ha giocato un ruolo, non nasconderlo." aggiunse Kibi. Le due si sedettero su una panca sotto a un albero.  

 

"Anche. Non ho capito perchè si trattenesse ma...la cosa mi ha infastidita. Era come se non mi ritenesse degna di fare l'amore con lui." disse la ragazza bionda. Le venne voglia di girarsi una ciocca fra le dita, poi si ricordó che i suoi capelli erano andati.

 

"Con me non si è fatto problemi, e non mi considerava certo una principessa. No, non è come dici. Certo peró è strano..." commentó Kibi. "E non è da Ed."

 

"Che ne so." sbuffó Marty. "Chi ci capisce niente."

 

"A scuola si dice che tu e Lenders aveste un flirt segreto." azzardó Kibi. "Non è che tutte quelle voci hanno un fondo di verità? È da un po' che volevo chiedertelo."

 

"Anche tu, Kibi??" ribattè stizzita l'altra. "Basta con questa storia! Io sono andata a casa Lenders, qualche volta, ma per trovare i suoi fratelli!! È una famiglia indigente, ho regalato ai bambini qualche gioco, ecco la verità!" 

 

Kibi fu colpita da quella risposta rabbiosa.  "E va bene, scusa, non ti incazzare! Era una curiosità la mia..."

 

Marty si passó una mano fra i capelli corti. "Ieri..." 

 

Avrebbe voluto raccontare a Kibi del bacio di Mark. Sentiva la necessità di aprirsi, perchè il ricordo di quella cosa le aveva dato il tormento tutta la notte. Improvvisamente, decise invece di non rivelare nulla.  Non avrebbe comunque avuto una risposta da dare al suo capitano, in caso le avesse chiesto: perché Mark ha fatto una cosa del genere??!

 

Nemmeno lei sapeva che pensare, in merito. 

Era stata un'azione totalmente estranea al consueto comportamento del ragazzo. 

 

Soprattutto, non voleva correre il rischio che Kibi le chiedesse: ...e ti è piaciuto?

Nemmeno per quello aveva una risposta. 

 

"Comunque non dire che è finita per sempre. Magari al ritorno dai mondiali vi riavvicinerete. C'è l'estate da vivere, che so...un viaggetto insieme..." continuó il suo capitano.

 

"Temo di no. Penso che stavolta sia proprio chiusa. Cioè, io per il momento non voglio riprendere la storia...ci siamo piantati ieri. E sento dentro di me che sarebbe solo ulteriore tempo perso con lui... sua madre ne soffrirà, purtroppo. Mi dispiace per la signora Sakura."

 

"La suocera? Eh sí, poveretta, ci sperava di appioppare Ed a qualche ragazza che lo tenesse d'occhio...sarà una delusione. Ma suo padre godrà come un maiale, magari farà una festa per la vostra rottura." scherzó Kibi.

 

"Probabile." rispose l'amica. "Senti Kibi...vorrei parlarti della squadra."

 

"Cosa c'è, dimmi." 

 

Marty giunse le mani in grembo. "Ho deciso che d'ora in poi mi dedicheró anima e corpo al team. Voglio vincere il campionato."

 

Kibi la guardó qualche secondo, poi rise. "Meno male! Pensavo tu giocassi per arrivare ultima!" 

 

"No, sul serio. Dobbiamo avere la medaglia d'oro. Quando sono entrata in camera di Ed, a casa sua, ho visto tanti di quei trofei da provare invidia per lui: ci ha messo il cuore in tutti gli sport che ha praticato, e ha avuto i suoi risultati." spiegó la ragazza.

 

"Vedi? Già torni a parlare di lui."

 

"No. È solo per farti capire come mi sento. E poi anche Maylin me lo dice sempre: non si puó entrare in campo se non con l'idea di vincere." replicó Marty.

 

"Molto giusto. Anch'io voglio conquistare il campionato. Ma se ne siamo convinte, dobbiamo aumentare gli sforzi! Raddoppiare i turni in palestra. Le nostre rivali sono la New Team e la Matsukami. Abbiamo già battuto la prima, ma le ragazze di Danielle Clarkson sono praticamente invincibili." ragionó Kibi.

 

"Eppure hanno perso qualche partita..."

 

"Perchè la Clarkson era fuori squadra. È lei la punta di diamante, e pensa che ha già ricevuto tre proposte di ingaggio nel professionismo." riveló Kibi.

 

"Come lo sai?"

 

L'altra sorrise, sardonica. "Cara, mentre tu ti perdevi dietro a Warner, io ho raccolto informazioni sulle avversarie. Anche la Hitachi vuole ingaggiarla, e da Settembre. Senza alcuna prova estiva..."

 

"La Hitachi! Hanno cercato anche me..." esclamó Marty.

 

"Già. Vogliono mettere in piedi uno squadrone nei prossimi anni e stanno dietro ai talenti giovani." sospiró Kibi.

 

Marty guardò la compagna. "E tu, Kibi? Qualche società ti ha cercata?"

 

La ragazza mora abbassó lo sguardo e perse il sorriso. 

 

"...no??! Ma non è possibile! Sei il perno della nostra squadra!" si sorprese Marty.

 

"E invece è così. Per ora, non ho avuto contatti." rispose malamente.

 

"Non riesco a crederci. È merito anche tuo se siamo terze!" 

 

"Che vuoi che ti dica. Ci sono brave registe giovani, in giro, il mio non è un ruolo in cui mancano i talenti. Il tuo sì. Ma se vincessimo il campionato, forse allora avrei anch'io qualche proposta!" replicó Kibi. "...anche per questo dobbiamo arrivare alla vittoria. Io gioco a volley da quando ho dodici anni, devo assolutamente realizzare il mio sogno e diventare professionista! Mi aiuterai?"

 

"Sicuro. Stasera dobbiamo fare un discorso alle ragazze. Non prederanno bene la storia del doppio turno..." disse Marty.

 

"Devono seguirci. Dobbiamo essere tutte unite. Clara, Sandy, Pam e  Sue devono mettersi in testa di dover migliorare. Su loro faremo un programma intensivo. Ne parleró a Nolan." rispose Kibi. "Anche se detesto confrontarmi con lui."

 

"Perchè?"

 

"Marty, non te l'ho mai detto...ma non ho una buona opinione del nostro coach. Non mi piace il modo in cui gestisce la squadra." ribattè Kibi.

 

"Nemmeno a me. È come se pensasse solo a prendere lo stipendio a fine mese, ma non ci mette motivazione nell'insegnarci." disse Marty.

 

"È come dici tu. Nolan è stato alle Olimpiadi e per lui allenare una squadra di ragazze liceali è una sorta di mortificazione. Io credo puntasse a diventare il  coach della Nazionale." raccontó Kibi.

 

"Ma non ci arriverà mai. Per quello, dovrebbe prima allenare una squadra professionistica, e vincere diversi tornei ufficiali..." aggiunse Marty.

 

"Da ció la sua frustrazione.  Sono felice di terminare la scuola anche per non vederlo più l'anno prossimo." disse Kibi.

 

"Già...anche per te è l'ultimo anno...hey!! Ma chi sarà capitano dopo che te ne sarai andata??" chiese l'altra.

 

"Domanda sciocca, ti pare?" rispose Kibi, facendole l'occhiolino.  "Le ragazze si sono già espresse, votazione unanime. Lo scettro passa a te, Maestà."

 

🎋🎋🎋

 

Danny Mellow e Ed Warner tornavano a casa insieme dopo gli allenamenti serali quel venerdì. 

 

Ed stava dando un passaggio in macchina al suo compagno, che abitava non troppo distante da lui. 

 

"Non vedo l'ora di avere una mia macchina!" sbuffó Danny. "A Settembre mi iscrivo ai corsi e appena presa la patente chiedo a mio padre un anticipo e me la compro."

 

"Ti consiglio una macchina piccola. Quelle grosse come questa consumano un sacco di benzina." rispose Ed, laconicamente. 

 

"Sei triste, Ed?" 

 

Il portiere scosse la testa. "No, Danny."

 

"Invece sì. È per Marty. Ti manca?" chiese l'altro.

 

"Ho detto di no." rispose irritato il portiere. 

 

"Eravate una coppia così bella. Vi invidiavano tutti a scuola: i ragazzi invidiavano te perché stavi con Marty e viceversa le ragazze erano gelose di lei perché tu eri il suo ragazzo." raccontó Mellow.

 

"Basta. Per favore." disse Warner.

 

Danny stette zitto per un po'. Ma poi non riuscì a resistere. "Se l'hai lasciata perchè credevi che ti tradisse con Mark, hai fatto una grossa stupidaggine. Sappilo. Non c'è niente fra loro due." 

 

"E come lo sai?" rispose Ed. "Tu non conosci proprio niente di questa situazione. Non ci sei dentro. Io sì. Io ho capito tutto." 

 

"Ed...io ti devo dire una cosa. Non volevo parlartene, ma mi dispiace vederti abbattuto." disse allora Danny.

 

Ed s'incuriosì. "Che c'è?"

 

"Mercoledì sera Mark è uscito prima dagli allenamenti, senza dirci il motivo. Ricordi? Pensammo tutti stesse andando a lavoro. Quella sera io rimasi in campo ad allenarmi fino alle otto, ero l'unico, voi tutti ve ne siete andati alle sei e mezza come sempre. Mentre attraversavo il cortile per uscire dal cancello, ho visto Mark e Marty dietro un albero, era buio. Non avrei dovuto, ma sono rimasto a spiarli." raccontò Danny.

 

Ed accostó subito la macchina al marciapiede. La spense. Si voltó verso Danny, ansioso di sapere di più. "Continua."

 

Il giovane Mellow trasse un lungo respiro. "A un certo punto... si è fatto davvero buio, e solo la luce del lampione in strada illuminava un po' il cortile. E io ho visto. Ho visto che Mark all'improvviso abbracciava Marty e poi..."

 

"Poi?" fece Ed, che sentiva il sangue ribollire. 

 

"Poi l'ha baciata. Così, di punto in bianco." terminó Danny.

 

Ed chiuse gli occhi e si appoggiò al sedile. "Basta così."

 

"...no, devi sentire il resto."  insistè Danny.

 

"L'eccitante conclusione? Qual'è stata, che se l'è fatta lì in cortile?" chiese Warner. 

 

"Una sberla. Gli ha dato uno schiaffo così forte che si è sentito il rumore. Io sono sobbalzato. Poi gli urlato sei un disgraziato! ed è scappata via." finì Danny. "Ti giuro che è andata così."

 

Ed rimase a bocca aperta. "Lo ha colpito?"

 

"E con violenza. Un po' strano, per una ragazza che in teoria dovrebbe essere innamorata di lui. Ti pare?" rispose Danny.

 

L'altro non reagì. Rimase a fissare il cruscotto, pensieroso.

 

"Mark è rimasto dietro l'albero, immobile, e a un certo punto ha girato il viso nella mia direzione. Sembrava proprio che mi stesse guardando. Era buio, non era possibile che mi vedesse, io ero dietro un altro tronco. Ma ho avuto la sensazione che sapesse che ero lì, e che avevo visto tutto. Sai cosa credo? Credo che avesse intuito la mia presenza, e che forse il bacio strappato a Marty era voluto, perché lei lo schiaffeggiasse e io vedessi tutto. Perchè io poi lo riferissi a te." ipotizzó Danny.

 

"Sa che sei uno spione." fece Ed, confuso. "Mark avrebbe fatto questo?" 

 

"Forse per avere una prova che a Marty di lui non importa niente. E perchè questa prova convincesse te." disse Danny. "Naturalmente, sono solo supposizioni."

 

"Sul serio lo ha preso a sberle?" chiese Ed.

 

"Sì." fu la definitiva risposta di Danny.

 

"Okay. Grazie." rispose Warner. Riaccese la macchina e ripartì. 

 

Una volta accompagnato Danny a casa, svoltó a uno degli incroci e si diresse verso il centro di Tokyo.

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Dietro le apparenze ***


 

Ed arrivó davanti al cancello di casa Laughton alle sette di quel venerdì sera.

 

Parcheggió la macchina, la spense e poi prese il cellulare. Chiamó Marty, ma non vi fu risposta.

 

Forse è in camera sua, starà facendo la doccia e non sente, gli disse la logica. Ma non poteva tornarsene indietro, la necessità di parlarle era insopprimibile.

 

Le rivelazioni di Danny lo avevano fatto ripiombare in quel brutto senso di colpa che lo aveva tormentato già a lungo. Si era sbagliato di nuovo, e di nuovo col suo atteggiamento aveva rovinato il loro rapporto.

 

Si portó una mano alla fronte, irritato con se stesso. Era stato intimamente convinto che la ragazza avesse un segreto debole per Mark, ma i fatti concreti dimostravano il contrario. 

 

Immaginó ancora e ancora la scena: Lenders che la tirava a sè col suo solito modo dominante, le imponeva un bacio sulle labbra e Marty che alzava un braccio e lo centrava con una sberla. Le sue paranoie si scontrarono prepotentemente contro quella evidenza.  Nessuna donna infatuata avrebbe resistito a un approccio del genere dall'oggetto dei suoi desideri reconditi. 

 

Si ricordó di quella volta che lui l'aveva baciata all'improvviso, in quel pomeriggio autunnale.   Marty aveva corrisposto in pieno il contatto, aveva sentito le sue labbra muoversi sulle sue; l'aveva sorpresa, certo, ma le era senz'altro piaciuto. Non c'erano state sberle nè insulti nè lacrime. Questo perché il suo cuore già batteva per lui. 

 

Non si soffermó a chiedersi perché Mark avesse preso un'iniziativa di quel tipo. Le teorie di Danny erano molto romantiche - il gentiluomo che si sacrificava con un gesto eclatante per permettere a due amanti in rotta di riunirsi - ma un po' troppo machiavelliche.  Il suo capitano non era esattamente un lord dell'Inghilterra vittoriana.  Ed si convinse piuttosto che il ragazzo era stato accarezzato da tempo dall'idea di averla fra le braccia e ne aveva approfittato in un momento propizio. Loro due soli, al buio serale, in un attimo di reciproca confidenza.  

 

Era più che certo che a Mark lei piacesse, in qualche modo strano e del tutto personale, e nessun racconto di Mellow avrebbe cambiato questa convinzione.

 

Marty era una bellissima ragazza,  e così diversa da tutte le altre, col suo aspetto nordico. Non sarebbe stato per niente scandaloso che Lenders avesse fantasticato su di lei.  Anzi, era sempre stato un gran mistero, agli occhi di Ed, il fatto che Mark non si fosse mai visto in giro con una compagna. Eppure, di occasioni ne aveva sempre avute. Ma possibile che non avesse impulsi sessuali, quelle voglie normali che prendevano i ragazzini già durante la pubertà? Capiva bene le sue preoccupazioni per la famiglia, e tutte le responsabilità di cui si era fatto carico negli anni...tutto questo lo teneva concentrato su aspetti seri della vita. Ma era pur sempre un giovane uomo fatto e finito, e anche parecchio virile.  

 

Le storie su di lui e Daisy Winter erano ovviamente boiate, ma Ed aveva avuto il sospetto che quella signora un pensiero, o anche due, sul suo protetto lo avesse fatto.  Mark era abbastanza sviluppato da attirare l'attenzione anche di donne più grandi, e perfino Beverly gli aveva detto, un po' scherzando un po' no, che col suo capitano avrebbe fatto volentieri un giretto.

 

Peró lui insisteva nella sua condizione di single di ferro. Forse Marty, nel suo aspetto così esotico e con la sua personalità frizzante, lo aveva smosso. La sua generosità verso i fratellini Lenders aveva intenerito il cuore del più grande, di sicuro. 

 

Ma perché negava, allora, in modo così snervante, così assiduo? Perché semplicemente non ammetteva la cosa e gli diceva: sì, Ed, provo sentimenti per lei. Lo confesso. Comunque non ho intenzione di mettermi fra voi due, perché so che lei vuole te. 

 

Ecco, quello sarebbe stato un comportamento degno di lui, della sua integrità, della sua serietà. Mark non era mai stato un vigliacco, eppure di fronte a quella particolare situazione era evasivo e superficiale.

 

Ed strinse le mani sul volante, quel continuo tira-e-molla con la ragazza lo mandava al manicomio. Mancavano cinque giorni alla partenza per la città giapponese che avrebbe ospitato il ritiro. Cinque giorni. 

 

Smontó dalla vettura, e si rassegnó a citofonare. Non gli piaceva l'idea di annunciarsi a casa Laughton, avrebbe preferito che Marty rispondesse a quel cavolo di cellulare e fosse scesa. 

 

"Sí? Chi è?" rispose una voce maschile. "...oh Ed! Ciao!" 

 

Il signor Laughton lo aveva riconosciuto dal videocitofono.  

 

"Buonasera. Marty è in casa?"

 

"No, mi spiace. È ancora in palestra, ha detto che cena velocemente con le compagne e poi prosegue fino alle dieci gli allenamenti." lo informó Andrew.

 

"Ah, ho capito. Grazie! Allora vado a casa." rispose Ed, deluso.

 

"No! No, aspetta. Dai, entra, che ti offro qualcosa!" lo invitó il capofamiglia.

 

"Ma no, davvero, la ringrazio!" ribattè Ed. "Scusi il disturbo, anzi."

 

"Macchè disturbo!! Dai, vieni, vieni!!" e si udì lo scatto del cancello che si apriva.

 

Accidenti a me e a quando ho premuto questo tasto! si maledisse Ed. Sapeva cosa lo aspettava. Un'altra insopportabile serata con il padre di Marty, a subire le sue domande entusiastiche sulla Nazionale e sul suo futuro stipendio da giocatore professionista. Era chiaro che lei non aveva informato i genitori del recente litigio.  

 

Sospirò, ed entró nella loro proprietà. 

 

Andrew aprì la porta e lo accolse con calore. "Hey Ed!! Bello rivederti." 

 

"Buonasera. Spero tutto bene." ribattè il ragazzo.

 

"Eh...sì, dai. Arriva l'estate fra poco. Le benedette vacanze! Ció mi dà la spinta a continuare a lavorare con motivazione. Ma sono proprio esausto!" replicó Andrew. 

 

I due si accomodarono in salotto. Alla TV, il telegiornale della sera faceva scorrere le notizie, ma l'audio era stato tolto.

 

Ed notó che la padrona di casa non c'era. 

"Mia moglie è da un'amica, solita cenetta fra casalinghe annoiate. O magari è da un uomo...che ne so."

 

Warner non fu sicuro di aver capito bene. "...scusi?"

 

Guardó meglio il signor Laughton e vide che non era proprio in forma. Era pallido e aveva gli occhi infossati. Sembrava una persona che soffriva di insonnia.

 

"...sì, caro ragazzo. Fra me e la mia signora moglie va proprio di cacca, se lo vuoi sapere." rispose Andrew.

 

Ed provó un forte disagio. "Non è il caso che mi dica queste cose."

 

Laughton accavalló le gambe. "E non è mica la prima volta, sai? Sarà, che so, la decima crisi fra di noi."

 

Il ragazzo si mosse a disagio sul divano. "...forse dovrebbe stare solo. Scusi, ma non credo di dover essere messo al corrente di..." 

 

"No, stai qui. Fammi compagnia. Dopo tutto, ormai sei di famiglia! No?" rise Andrew. "...vuoi una birra?"

 

"N-no...io non bevo durante il periodo di allenamento." rifiutó Ed. Non gli piaceva per niente quella situazione. 

 

 "Giustissimo. Sei un ragazzo in gamba, Ed. Mi piaci. Per questo approvo il tuo rapporto con mia figlia." lo elogió Laughton. "Tutto bene, con lei?"

 

"Hmmm...alti e bassi." rispose Ed.  Non ebbe il coraggio di informarlo della rottura.

 

Andrew rise. "L'importante è che gli alti superino i bassi, vero? Tu mantieni questa situazione e vedrai che sarà sempre tutto a posto." poi bevve un sorso della sua Guinnes d'importazione.

 

"Signor Laughton, se sua figlia non c'è io vado." disse Ed.  Era terribilmente in imbarazzo. Il padre di Marty non stava bene e lui si sentiva di troppo in quella casa. Non aveva idea che i genitori della ragazza avessero guai privati. Non gliel'aveva mai detto.

 

"Sai qual'è il problema, con le donne? Che vogliono sempre di più, di più, di più!" continuò Laughton, incurante delle reazione di Ed. "La vedi questa casa? Sai, a Tokyo, quante persone vivono in ville come questa?"

 

"È molto bella, è vero." annuì Ed.  Si rassegnó ad aspettare ancora qualche minuto.

 

"E hai idea di quante donne irlandesi abbiano avuto la chance di vivere in grandi città come Shanghai...o Tokyo?" proseguì Andrew. "Insomma, Cristo, mia madre non si è mossa da Dublino praticamente mai...se non per andare in villeggiatura a Owth."

 

Ed tentó di nuovo di mollare il tizio lì con lui, che si stava per lasciare andare a un classico sfogo da ubriaco. "Senta...io dovrei..."

 

"Ma non basta mai, Ed. Non basta mai." poi si giró e gli fece l'occhiolino. "...non sarà un problema tuo, peró! Il nostro campione...il futuro calciatore milionario. Avrai tutti i soldi del mondo per viziare la tua dolce metà."

 

Ed trasse un lungo respiro. "Signor Laughton, mi spiace sapere che è infelice. Ma capisce che non posso intromettermi nelle sue problematiche di famiglia."

 

"Ah, ma non ci sono problemi. Joanne è sempre stata così. Snob, altera, eppure bellissima. L'hai vista la somiglianza con Marty, eh? Ha preso i suoi capelli, biondi e splendenti. Ora Joanne li tinge, ma quando era giovane avevano lo stesso colore di quelli di Marty. Peccato che mia figlia se li sia tagliati." continuó Andrew.  Ormai dava fiato alla bocca, e parlava senza nemmeno un filo logico. "Mia moglie è figlia di un grosso avvocato di Derry, una cittadina irlandese. Cresciuta piena di soldi, è rimasta viziata. A Shanghai avevamo la servitù. Due colf e un cuoco. Qui, ha dato di matto quando le ho detto che avrebbe dovuto fare tutto da sola. Ma una moglie non dovrebbe occuparsi della casa con amore, Ed? Tua madre ha le cameriere in casa?"

 

"No. Ma noi in Giappone abbiamo una cultura particolare riguardo le donne. Poi, in casa mia siamo tradizionalisti.  Mia madre si occupa di tutte le faccende, è il suo ruolo." gli disse Warner. "Ehm...lo accetta."

 

"Già, il fulcro del patriarcato. Ma io non ci vedo nulla di male. E' giusto. Ognuno ha il suo ruolo, l'uomo lavora, la donna cura la famiglia. Sono questi tempi moderni, ad avere incasinato tutto.  E queste femministe...sai, il femminismo è stata la rovina della donna! Si sono messe in testa di competere con noi uomini e sono diventate stronze e ciniche come noi uomini!" blateró Laughton.

 

Ed pensó che il padre di Marty e il suo avrebbero potuto diventare amici. La pensavano allo stesso modo. Certo, se Kaito non avesse avuto un'avversione così feroce per i bianchi europei.

 

"...prima che Marty nascesse avevamo pensato al divorzio io e la mia bella signora." continuó Andrew, ormai ubriaco. "Due anni erano passati dal nostro matrimonio e già c'erano gravi attriti. Ma per convenzione sociale e forse vigliaccheria decidemmo di continuare. E poi arrivó la nostra bambina, e le cose un po' si sistemarono. Era così bello vederla crescere..."

 

Bevve un altro sorso di quella birra irlandese, scura e amarissima. 

 

"... ma se due persone non sono fatte per stare insieme, non dovrebbero insistere. Ed, ci sono giorni in cui vorrei che il mio lavoro durasse all'infinito, solo per non dover tornare a casa. A San Valentino ho organizzato un week end romantico, per lei, e abbiamo litigato. Ci provo, sai, a guardare mia moglie e a rivedere la ragazza che amai negli anni di gioventù, ma è inutile. Non funziona. Non...funziona..." poi appoggió la testa alla spalliera del divano. "...su un punto siamo complici: non far capire a Marty che il nostro matrimonio è un casino. E ci riusciamo. Non so come, ci riusciamo."

 

Sospiró e chiuse gli occhi. 

Rimase in silenzio per qualche minuto, e Ed pensó si fosse addormentato. Fece per prendere la sua giacca e in silenzio sgattaiolare fuori da quella casa, quando Laughton aprì gli occhi, e si giró verso di lui. "Se, a suo tempo, avessi avuto il coraggio di lasciarla, avrei fatto il mio e anche il suo bene. Ed, ascolta, ragazzo mio: con Marty, o con qualsiasi ragazza sceglierai, non insistere inutilmente in un rapporto che non va. È una cosa assolutamente sbagliata."

 

Detto questo, si abbandonó ancora sul divano e stavolta parve assopirsi sul serio. 

 

Ed si alzó e tolse dalla mano dell'uomo la lattina di birra ormai vuota, quindi la mise sul tavolino. 

Poi, in silenzio, aprì la porta e la richiuse con delicatezza. Attraversó il giardino e scavalcó il cancellone con la sua tipica agilità. 

 

Tornó in macchina, l'accese, fece un'inversione a U e imboccó la strada che conduceva verso casa sua. 

 

Fu difficile per lui prendere sonno, quella notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Tensioni in squadra ***


 

Quel sabato, Marty aspettava nel cortile della scuola l'inizio della partita contro la New Team. La prima delle due gare che avrebbero deciso il nome della finalista che si sarebbe scontrata con la Mambo VC di Jeanine Redmond il 20 Giugno. 

La squadra super-campione in carica.

 

Le sue compagne erano già in palestra, intente a togliersi le tute negli spogliatoi per iniziare il riscaldamento, mentre una fiumana di tifosi iniziava a entrare in fila nell'edificio. 

 

Ma lei no.

Passeggiava nervosamente avanti e indietro sotto il piacevole sole di Aprile, il clima non era ancora molto caldo e tuttavia si poteva stare in maglietta. 

 

Prese il cellulare e selezionó un contatto. Era già la terza volta che lo chiamava, ma non aveva avuto risposta. 

Probabilmente era anche lui impegnato nel pre-partita, in quella città fuori Tokyo in cui la Toho FC sarebbe stata incoronata campione per la quarta volta, e aveva spento il telefono.

 

Si rassegnó a dettare un messaggio vocale, la cosa che più detestava. Non riusciva mai a essere incisiva, con i messaggi audio, la innervosivano.   Tuttavia, non poteva perdere altro tempo, le ragazze si stavano preparando e Nolan presto sarebbe uscito in cortile, urlandole di darsi una mossa.

 

Premette il tasto registra:

Ed, ti ho cercato per chiederti scusa a nome della mia famiglia, mi dispiace per le condizioni in cui hai visto mio padre.   Sono tornata a casa alle dieci ieri sera, e mia madre non c'era ancora. L'ho accompagnato in camera e sulle scale mi ha detto che sei passato. Immagino che la situazione ti abbia turbato. Purtroppo fra i miei le cose non vanno bene e a volte mio padre esagera con la birra.

 

Si fermó qualche secondo, perchè avvertì un groppo in gola. Nessuno sapeva dei problemi coniugali dei suoi, nè Maylin, nè Hui, nè Lynn. Era un fatto che lei stessa cercava di ignorare, anche se a volte i genitori si chiudevano in camera matrimoniale e iniziavano a discutere a voce alta. Si era convinta che fossero quelle regolari crisi che ogni tanto capitavano alle coppie, una delle conseguenze negative dell'essere sposati.  Solo che suo padre era irlandese, e da irlandese tendeva a soffocare lo stress grazie all'alcool.   E di tutti, proprio Ed doveva esserne testimone. La vergogna s'impadronì di lei e quasi non riuscì a finire.

 

Comunque, non ho idea del perché tu sia venuto fino a casa mia, dopo che sembravamo decisi a chiudere. Spero onestamente non sia un'altra questione di gelosia o altre tue giravolte mentali.  Ti prego di capire che non sono in vena di discussioni o mi esploderà la testa. Se devi parlarmi a tutti i costi ci sentiamo dopo, ora devo andare. Non ti auguro in bocca al lupo, perchè siete già campioni. 

 

Click. 

Lasció partire il messaggio e aspettó che la doppia spunta apparisse su whatsapp. Non attese oltre, e rientró in palestra. 

 

🎋🎋🎋 

 

Ed Warner entró negli spogliatoi, dopo il riscaldamento, per indossare la divisa ufficiale da trasferta. Nell'ispezionare il borsone, tiró fuori come sempre il telefono, per sincerarsi che nessuno lo avesse cercato, prima di spegnerlo. Vide le chiamate e la notifica del vocale di Marty.

 

Andó in bagno e premette ascolta

Il suono della sua voce, un po' addolorata e un po' mortificata, gli fece battere il cuore più velocemente. Le frasi che ascoltó erano fredde, tuttavia l'invito finale a richiamarla a fine giornata gli sollevó l'umore. Almeno era disponibile a parlare ancora. Il muro non era stato eretto. 

 

Per quanto avesse pensato e ripensato alle parole del signor Laughton, e avesse soppesato attentamente il suo indiretto consiglio a lasciare andare una relazione problematica, non riusciva a togliersi la ragazza dalla mente.   

Le voleva bene. E non poteva smettere di volergliene. Adesso che aveva scoperto il contesto famigliare teso in cui viveva, provó ancora più tenerezza per lei.  

Succeda quel che succeda, il mio cuore non cambierà mai, con questo pensiero si era addormentato la notte prima. E non era stato facile: c'erano state giravolte continue nel futon, prima di mettere a tacere la coscienza che gli diceva di attendere la partenza per il ritiro,  e di aspettare che la lontananza facesse il suo corso.

 

"Dai Ed, guarda che è ora!" gli disse Milton, entrando in bagno.

 

"Arrivo." rispose, poi tornó negli spogliatoi per terminare la vestizione.

 

Vide Mark, girato di spalle,  che s'infilava la maglietta. Poi si voltó e come sempre si rivolse a ciascuno dei giocatori titolari, per i consueti incoraggiamenti. 

 

Quando fu davanti a lui, gli porse la fascia. Non voleva mai indossarla perché gli dava fastidio sul braccio, anche se rimaneva capitano de facto. 

Essendo Ed il più anziano, l'onere di portarla era da tempo passato a lui.    

 

Warner la prese, e la strinse nel guanto destro.  Fu quando sollevó gli occhi e li fissó in quelli di Mark, che l'altro ebbe la conferma che Ed aveva saputo. Ci lesse gelosia e rimprovero. Ottimo, Danny non l'aveva deluso. 

 

"In gamba oggi, Ed. Questa partita non conta nulla, ma usciamo dal campo inviolati, va bene? Mi fido di te." gli disse.

 

"Una volta lo dicevo anch'io: mi fido di te." rispose il portiere. "Dimmi, ti è piaciuto il suo sapore, capitano?"

 

Mark incassó il prevedibile colpo, ma non cedette nè finse stupore. Dopotutto, era lì che voleva arrivare. "Hai saputo del mio scontro con Marty, l'altra sera. Ne parliamo dopo. Non è il momento."  

Quando aveva visto Mellow sgattaiolare in cortile al buio, in punta di piedi, per poi acquattarsi dietro il grande tiglio, si era fatto venire l'idea.  Era anche sorpreso da se stesso, per la velocità con cui il suo cervello gli avesse suggerito esattamente cosa fare. Ci aveva anche messo un po' di foga, in quel bacio, perchè sapeva che sarebbe stato il miglior modo per farla arrabbiare e ottenere una reazione di rifiuto. Precisamente quello che era successo, sotto gli occhi di un testimone chiacchierone che non riusciva a tenere la bocca chiusa su nessun segreto e che era anche in grande confidenza con Ed.   

 

"Non ne paliamo affatto. Non voglio neanche discutere i motivi per cui ti sei comportato in quel modo. Un altro ti avrebbe spaccato la faccia, credo tu lo sappia. Ma...in fondo c'eravamo lasciati. Mettiamola così." rispose Warner, indossando la fascia. "Tu peró da adesso la lasci stare." 

 

"Leggo rabbia nei tuoi occhi. Mi piace vedere la rabbia negli occhi della gente. Rende più vigili. Oggi non sbagliare Ed, e mantieni questa attitudine anche per il Mondiale. Tutto il resto non deve contare." rispose Lenders.

 

"No! È bene che il concetto ti arrivi chiaro." insistè Ed. "Non sto senza di lei, Mark."

 

"Ragazzi, tutti fuori!" chiamó Lowry. "Ed, Mark, che fate lì? Non è tempo di chiacchiere! La terna arbitrale ha chiamato!" 

 

Mark non rispose, nè rivolse alcun cenno od occhiata al suo portiere. Uscì dagli spogliatoi, col suo solito passo deciso. 

"Ed!! Allora!" lo esortó Jack Lowry. 

 

Il Numero 1 chiuse il velcro dei suoi guanti, e lasció gli spogliatoi.  

 

Era convinto che a quel punto il fondo fosse stato toccato e che la situazione non potesse peggiorare.

 

Aveva torto. 

 

🎋🎋🎋

 

La partita di pallavolo venne vinta con notevole sforzo, la New Team si era come sempre dimostrata un'avversaria ostica. Le ragazze di Nolan furono costrette a trascinare l'incontro su un massacrante 3-2.

 

Avendo battuto la seconda in classifica, restava lo scoglio della Matsukami, prima nel loro girone B, e poi - in caso di vittoria - si sarebbero scontrate con le dominatrici incontrastate di quello A: le bravissime atlete della Mambo.

 

L'euforia nello spogliatoio era alle stelle. 

 

"Ancora unaaa!!! Ragazze, ancora unaaaa e poi la finale, ma ci pensate!!" gridó Sandy, in mutande e reggiseno.  

 

"Calma! Non pensate a Giugno!" fece Kibi, raffreddando gli entusiasmi. "C'è ancora Danielle Clarkson davanti a noi! Ho saputo che oggi ha distrutto la Tochigi con una valanga di ace. Tre a zero, per vostra informazione!"

 

Subito partì un lungo buuuu generale, seguito da una risata.  Le vittorie erano un meraviglioso toccasana per l'umore e l'autostima, le atlete della Toho non avevano voglia di preoccuparsi per le avversarie successive. 

 

Di tutte, solo una non pareva condividere la gioia generale: Marty guardava con preoccupazione il display del cellulare. Non c'erano risposte da parte di Ed. Questo poteva voler dire due cose: o lui aveva deciso di lasciarla perdere, o peggio era intenzionato a chiamarla di persona quella sera. 

 

Non aveva voglia di sentirlo.

Dopo il casino e la figuraccia di suo padre, non aveva voglia di parlargli.

 

Si passó la salvietta sui capelli corti e si rassegnó a farsi la doccia finale, alzandosi mollemente dalla panchina. 

 

"...quello stronzo di Nolan...avete sentito cosa ha detto? ...avete fatto il minimo...mai che ci dica brave." brontoló Clara.

 

"Ormai lo conoscete." rispose Kibi, strizzata nell'accappatoio. "È uno sfigato, oltre che stronzo."

 

"Sapete che i ragazzi nazionali di calcio partiranno giovedì? Secondo voi dovremmo andare a salutarli all'aeroporto?" chiese June. "Io vorrei vedere Mark l'ultima volta..."

 

"Perché dovremmo andare?" chiese Sandy. "Loro sono mai venuti a vedere un nostro match?  Siamo squadre della stessa scuola, eppure non ci hanno mai supportate! Noi invece qualche volta siamo andate a vederli!  Ci hanno sempre snobbate!" 

 

"Ma la pallavolo non è uno sport figo come il calcio, non lo sapete? I giornalisti non si sono mai fatti vedere ai nostri incontri!" si lamentó anche Kibi. 

 

"Una volta peró sia Ed che Mark sono venuti a vedere i nostri allenamenti..." disse Pam timidamente.

 

"Ti sbagli. Sono venuti a vedere una persona sola." ribattè June.  

 

Proprio in quel momento, Marty terminó la doccia e uscì dal box con una salvietta fucsia avvolta attorno al corpo. 

Tutte la guardarono in silenzio.

 

Si accorse delle occhiate.

"...beh? Parlavate di me?"

 

"Parlavamo del tuo successo con i calciatori." continuó June.

 

"Smettila..." provó a intervenire Kibi.

 

"Ma che dici?" chiese la giovane irlandese.

 

"Lo sai cosa dico." ribattè June, che verso la bionda non aveva mai mostrato grande simpatia. Era forse l'unica della squadra con cui Marty non riuscisse a legare. "Posso farti una domanda? Chi ce l'ha più grosso, Ed o Mark?"

 

"JUNE!" sbottó ancora Kibi.

 

"Oh scusa, capitano...io credevo che Marty fosse informata, visto che è stata a casa di entrambi. E più di una volta." aggiunse l'altra.

 

"Non sai niente." rispose la ragazza irlandese. "Sei proprio stupida, June."

 

"Cosa?" s'innervosì quest'ultima. "Ripetilo."

 

"Ragazze, basta! Abbiamo vinto, oggi. Cosa sono queste cazzate?" s'intromise Kibi. "Non voglio sentirvi litigare."

 

"Ma io non ho detto niente, è lei che ha offeso." replicó la compagna di squadra. Poi si sedette sulla panca, livida di rabbia.

 

"Non mi interessa. Basta, finitela." ordinó il capitano. 

 

Piombó un silenzio pesante nello spogliatoio, che duró qualche minuto. 

 

"...comunque chi ce l'ha più grosso, Ed o Mark?" chiese Kibi a Marty, poi scoppió a ridere. 

Si levó una risata generale e l'irlandese le diede una sberla sulle natiche.  

 

Realizzó che le sarebbe mancata terribilmente, l'anno successivo.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** La festa scudetto ***


Mentre stava per uscire dagli spogliatoi, Marty ricevette una telefonata sul cellulare. Era Lynn.

 

La ragazza rispose: "... ohi! Ciao!"

 

Udì in sottofondo urla e schiamazzi. 

 

"...Marty! Mi senti???" gridó Lynn. "I ragazzi stanno festeggiando la vittoria del campionato!!"

 

"Sì, ti sento!  Ma dove siete?" chiese lei, sorridendo. Immaginó la grande baldoria, la birra versata a fiumi, i calciatori mezzi nudi a darsi pacche sulle spalle. "Che casino!"

 

"...ancora nei sotterranei dello stadio...senti, vogliono andare a festeggiare allo Zeus!! Vuoi venire? Lowry ha già riservato il privè!" gridó Lynn, per farsi capire nel frastuono.  Lo Zeus Nightclub era una grande discoteca nel centro di Tokyo.   

 

"Perché anch'io?" chiese Marty.

 

"Hai lavorato fino a Gennaio con noi, è giusto che vieni anche tu..." rispose l'amica. 

 

"Lo posso dire alle ragazze della squadra?? Cosi festeggiamo anche la nostra vittoria!" propose Marty. "...Kibi!! Aspetta!" fece un gesto al capitano, che stava uscendo dallo spogliatoio. "...ragazze! Vi va di andare allo Zeus, per festeggiare lo scudetto dei giocatori?" gridó poi alle altre.

 

"Sììì!!" si entusiasmó Sandy. "Io ci vado, sicuro!"

 

Molte si accodarono subito, ma Kibi rifiutó. "No, passo! Stasera sto con Alan. Divertitevi!! E tu..." disse a Marty. "...fai la brava. Sai cosa intendo."

 

Marty sbuffó. "Dai, e porta pure Alan!" 

 

"Con Mark e i suoi? Lo sai che gli danno dell'effeminato perchè gioca a volley? Non voglio vedere scazzottate, scusa." replicó Kibi. "Ci tengo al suo faccino."

 

"Ma che scemenza..." protestó Marty.

 

"Dillo a Mark, è lui che sfotte. Ragazze io vado!! Fate tante foto, mi raccomando!!" salutó ancora Kibi, poi prese la direzione dell'uscita.

 

"Allora??" chiese Lynn, che era ancora in linea. 

 

"Ah scusa...dai ok, io vengo e anche alcune della squadra! Ok?" rispose Marty.

 

"Lowry peró non ha prenotato anche per voi...cioè tu sola sì...ma..." rispose l'altra. 

 

"Che problema c'è?   Il privè dello Zeus è enorme,  ci stiamo no?" rispose Marty, che si guardó allo specchio.  Non era di sicuro vestita da club: indossava una camicetta bianca e un paio di jeans grigi. Con le sue scarpe da tennis bianche e vecchie, sembrava una poverina.

 

"Hmm...no è che...viene anche June, per caso? Mark non la regge." rispose Lynn. "Gli dà l'assillo, non la sopporta."

 

"Ben gli sta. Così impara." rise Marty.

 

"Ben gli sta per cosa?" si stupì l'amica.

 

"Lascia stare." rispose Marty.  Sarebbe stata una buona pena del contrappasso, dopo il bacio rubato, che Mark si fosse beccato un'intera nottata di moine da quella piovra di June.

 

"Allora lo dico ai ragazzi. Dai, a dopo. Noi andiamo adesso! Ciao!" la salutó Lynn, e chiuse.

 

Marty mise via il cellulare, e si sistemó i capelli. Ed non l'aveva ancora vista col taglio corto, e l'avrebbe odiato. Gli piacevano molto i suoi capelli, lo eccitavano, le aveva detto più volte, perdendosi nel loro profumo. 

 

🎋🎋🎋

 

Il frastuono dello Zeus quasi le ruppe i timpani. Non era più abituata ad andare in discoteca, sebbene a Shanghai lei e Maylin avessero collezionato una buona quantità di notti brave.

 

Ma finchè era stata insieme a Ed, lì a Tokyo non aveva più messo piede nel locali notturni, perchè a lui non piacevano. Solo raramente andava con Kibi e le altre in qualche bar, dopo qualche vittoria speciale.

 

Quindi, quando riprese familiarità con le luci, le musica a tutto volume e la visione del lunghissimo bancone del bar pieno di avventori, le sembró di essere tornata indietro di anni.  

 

Subito Debbie le andó incontro, con un cuba libre in mano. Sembrava già brilla. 

 

"Martyyy! Che bello che sei venuta! Infatti i ragazzi chiedevano di te! E anche le tue compagne...ciao ragazze!" le salutó platealmente.

 

"Oddio, chi è questa scema..." disse Clara. "Ah, la rossa mezza americana..."

 

Marty le diede una gomitata. Poi si rivolse a Debbie: "Ciao! Ma gli altri?"

 

"Vieni...venite tutte! Stanno giá aprendo le bottiglie!" gridó, per coprire il baccano della musica.

 

Condusse il gruppetto di pallavoliste verso l'ampio privè, che aveva tre enormi divani in pelle nere e moquette rossa ovunque. Sembrava quasi il set di un film hard.

 

Marty vide Spencer, Milton e Sail seduti sbracati che si passavano calici e calici di vino bianco come non fossero stati neanche atleti; vide Danny seduto con Lynn a commentare il movimento nel locale; vide Jack Lowry poggiato col gomito al bancone del bar, intento a conversare con una procace signorina che poteva avere trent'anni. 

Non vide nè Ed nè Mark, e ne fu quasi sollevata. Come sempre, quei due avevano scelto di defilarsi. Gli altri erano sparsi per il club, a ballare o forse a provarci con qualche ragazza.

 

Lynn la vide e si alzó. "Marty!" le corse incontro. Fece un cenno di saluto alle sue compagne e poi le prese la mano. "Alla buon'ora! E' già un po' che siamo qui! Dai, vai a berti qualcosa! Il vino bianco non è tanto buono, ma noi abbiamo l'open bar, tieni!" le mise in mano un bigliettino azzurro. "Vale per un drink." 

Ne distribuì anche alle altre,  che restavano tutte in gruppo, come spaesate. Questo fece ridere Lynn. "Cosa c'è, siete timide?"

 

"Mark non c'è? Non lo vedo!" chiese June, delusa.

 

Lynn fece un sorrisetto malizioso. "Perché non lo cerchi?"

 

"Potresti anche rispondere!" ribatte l'altra, seccata. 

 

Lynn alzó gli occhi al cielo, e diede una pacca sul braccio a Marty. "Come fai a sopportarla?" le bisbiglió dopo. "Va' a bere, va'!"

 

La bionda irlandese non se lo fece ripetere. Aveva una sete del diavolo e aveva voglia di una caipiroska alla fragola.  Andó verso il bancone e salutó Lowry.

 

"Mister! Buonasera!" gli disse, facendogli distogliere momentaneamente lo sguardo dal dècollète della sua amica. 

 

"Marty! Ciao...anche tu sei venuta! Mi fa piacere!" la salutó, un po' imbarazzato.

 

"Congratulazioni per lo scudetto!! Non la disturbo, non si preoccupi. Prendo solo un drink." gli disse, e poi si voltó verso il barman. "Scusa!! Scusa...! Senti, una caipiroska alla fragola!" 

 

Il ragazzo annuì e preparó il bicchiere. 

Lei si guardó intorno, in cerca di qualche volto familiare, e rise quando vide June alla disperata ricerca di Lenders in giro per la discoteca.  Andó a cercarlo perfino in bagno.

 

Il barman mise il drink pronto sul bancone, e lei fece per prenderlo. Non vedeva l'ora di gustarselo, adorava il sapore di fragola. 

 

All'improvviso, una mano sbucó alle sue spalle e lo afferró al suo posto. "Gli sportivi non devono bere."

 

Non fu necessario girarsi. Sapeva chi era. Sospiró. "Piantala, ho sete."

 

"Vorrei poterti dire che questo tuo nuovo look mi piace, ma non sono un bugiardo." commentó Ed, osservando il suo caschetto da Chicago anni Venti. 

 

Marty si giró. "Che ti piaccia o no, non ha importanza. Che fai qui, Warner? Tu odi posti simili." 

 

Ed sollevó un sopracciglio. "Sono Warner adesso per te?"

 

"Sei quello che mi ha mandato a quel Paese davanti a tutta la scuola, o ti devo ripetere la parola esatta che hai usato?" chiese lei. "Guarda che stavolta è chiusa, dico sul serio, Ed."

 

Lui sorrise. "Così va meglio." 

Mise entrambi le mani sul bancone, di fatto imprigionandola in una gabbia. "Scusami."

 

"Tu chiedi perdono un po' troppo spesso. Non va bene così. Non si sta insieme in questo modo." replicó lei.

 

"Andiamo a parlarne seduti. Non mi piacciono questi locali, ma Lynn ha detto che ci saresti stata anche tu. Quindi sono qui." spiegó lui. "Mi voglio scusare per bene, per essere stato un cretino."  

 

"Non mi va di parlare." si oppose lei.

 

"Mi manchi. Ho sbagliato, ho sbagliato un'altra volta. Ho frainteso tutto." si giustificò Ed.  "Ma ora sono tranquillo."

 

"Ah sei tranquillo? Che bellezza. Adesso mi sento più sicura." rispose Marty. Bevve un sorso dal bicchiere. 

 

"Mi stupisco di me stesso, non ho mai fatto il sottomesso con nessuna ragazza. Mi è toccato anche ascoltare i problemi di tuo padre..." le disse in un orecchio. 

 

Marty avvampó. "Non avresti dovuto dirlo. Mio padre è in un periodo difficile. Tu...tu non sai..."

 

"Eh sì, invece. So più di quello che avrei dovuto sapere. Si è confidato con me...mi considera suo genero. Buffo, no?" la stuzzicó Ed.

 

"Era ubriaco. Ma perché parli così, lo sei anche tu?" ribattè lei.

 

"Mi gira la testa, è vero. Ma non ho bevuto." rispose Ed.

 

"Beh fatti passare il giramento." disse lei, brusca.

 

"Allora tu chiuditi meglio quella camicetta." replicó Ed. 

 

Marty si guardó. Non si era accorta che due bottoni si erano aperti e s'intravvedevano le coppe del reggiseno. 

Ed glieli richiuse. "Cosa devo fare, non riesco a stare più di tre giorni senza vederti." 

 

"Sei davvero incredibile. Sei capace di mortificare le persone con una tale ferocia...e dopo ti trasformi in un gatto che fa le fusa. Tu davvero sei bipolare, Ed." si lamentó Marty.  

 

"L'hai già detto, questo. Prendi il bicchiere, dai, e andiamo a sederci." le disse lui. "Così daremo a Lynn un altro pretesto per i pettegolezzi."

 

I due andarono ai divani e si accomodarono un po' in disparte; continuarono a discutere sulla loro situazione. "Sai dove saremmo dovuti essere stasera? A Nara. In un grande letto con le lenzuola di seta. E invece..." fece Ed, prendendo la fragola dal bordo del bicchiere e ficcandosela in bocca. 

 

"Tu hai rovinato tutto." rispose Marty, girando il ghiaccio con la cannuccia.

 

"Tu non ci saresti venuta. Almeno, adesso so che il motivo non è quello che credevo." ribattè Ed. "Ho sbagliato su te e Mark."

 

"Adesso sai? E quale illuminazione ti ha colto?" chiese la bionda.

 

"Ci ho pensato su." mentì lui. "Mettiamola così. Erano stupidaggini. Scusami ancora." 

Passó le dita fra i capelli corti di lei. "Hmm la tua bella chioma...pazienza, mi ci dovró abituare."

 

"Ed, non ho detto che siamo tornati insieme." protestó lei. 

 

"Almeno salutiamoci in pace. Lo sai che giovedì parto." rispose lui, carezzandole la nuca con le dita. "Verrai all'aeroporto, vero?"

 

"Giovedì mattina ho scuola." brontoló lei, che in realtà sentiva già i brividi su tutto il corpo per quelle carezze. 

 

"Gli ultimi giorni, capirai...anche se salti una mattina...campionessa, vedrai che Pemberton chiuderà un occhio." continuó lui.

 

"Non so. Ci devo pensare." rispose Marty, bevendo un altro sorso. 

 

Sollevó lo sguardo e vide Mark. Incredibilmente, era lì anche lui. Stranamente quella sera aveva saltato il lavoro. June l'aveva scovato e adesso gli stava attaccata come una tellina. A Marty venne da ridere, ma si trattenne per non sputare fuori il drink. 

 

Vide Lenders girarsi nella loro direzione. Li osservó con uno sguardo indefinibile. C'era nei suoi occhi curiosità, derisione, comprensione...e forse altro. 

 

Anche Ed se ne accorse. Si abbassó e bació la fronte di Marty. Un gesto protettivo, quasi d'amicizia più che da amore. 

 

Fu lo sguardo di sfida che lanció a Mark, tuttavia, a rivelare il vero senso di quel gesto.

 

Alla larga, capitano.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Colpi bassi ***


 

Nei giorni che seguirono, Marty notó un progressivo peggioramento nell'umore di Lynn.

 

In classe era molto silenziosa, non si intratteneva più neanche a chiacchierare con lei tra una lezione l'altra, e durante la pausa pranzo spesso se ne stava da sola.

 

Marty l'aveva vista discutere animatamente con Danny, un giorno, ma non aveva voluto approfondire.

 

Il mercoledì prima della partenza dei nazionali, decise di affrontare l'argomento con la compagna di classe, e, subito dopo il termine delle lezioni, le chiese di seguirla in cortile.

 

"Cosa c'è, Marty?" chiese la ragazza giapponese. Le due si misero all'ombra di un grande albero, lo stesso dietro al quale si era nascosto Danny una settimana prima, per spiare Mark e la ragazza irlandese.

 

"C'è qualcosa che non va?" indagó subito la bionda. "Mi sembri triste, o preoccupata."

 

Lynn chiuse gli occhi, e si appoggió al tronco. "Sei brava a osservare la gente..."

 

"L'ho dovuto imparare con Ed. Quando stai con un umorale devi prestare attenzione a ogni smorfia del viso, perché puó annunciare una tempesta." rispose l'altra.

 

"Vi risentite?" chiese Lynn.

 

"No, dopo la serata allo Zeus non mi ha cercata. Lui vuole rimettersi con me, ma gli ho fatto capire che conta anche la mia volontà. Io non sono dell'idea." replicó Marty.

 

"Sei decisa, stavolta. Avevo sentito della vostra discussione pubblica quel giorno, lui ti ha proprio trattata male...." 

 

"E nonostante l'avessi pregato di smetterla e di parlarne in privato. È così, quando gli parte l'embolo non si puó ragionare. E ne ho abbastanza..." spiegó Marty.

 

"Cosa vuol dire gli parte l'embolo? È un'espressione che non conosco." chiese Lynn, confusa.

 

"Quando s'incazza, cioè. Lynn, io peró volevo parlare di te. Non stai bene?" insistè la ragazza europea.

 

L'altra si mise una mano su un fianco, e guardó il prato. "Sono delusa. Ho ricevuto una brutta notizia lunedì, e Danny me l'ha confermata ieri. Non mi vogliono al Mondiale, nè in Indonesia e nè qui in Giappone per il torneo vero e proprio."

 

Marty capì subito. Lynn sperava ardentemente di essere selezionata per far parte del gruppo "assistenti di team" in partenza coi calciatori, anzi era il suo principale sogno, sin da quando Danny le aveva presentato Lowry e aveva iniziato quell'attività. 

 

"...motivo?" chiese Marty. "Mi spiace sul serio."

 

"Patty Gatsby ha imposto le sue amichette della New Team, Susie ed Evelyn. Per me non hanno più posto." ribattè Lynn. Inizió a innervosirsi. "Patty deve esserci per forza perché è la fidanzata della superstar Oliver Hutton. Ma io sono l'assistente della squadra che ha vinto il campionato, era giusto che contattassero me! Che c'entrano Susie e l'altra?" 

 

"Che stronzi! Tocca a te di diritto, ma scusa, non l'hai detto alla federazione?" si animó anche Marty.

 

"La segretaria che mi ha mandato l'email in cui si comunica la decadenza della candidatura non ha risposto alle mie chiamate. Ne ho parlato a Danny, e gli ho anche rinfacciato che Mark poteva spingermi di più. Insomma, il suo parere avrà un peso, no? Danny dice che puó essere un fatto di anzianità: perché io ho iniziato quest'anno a fare la addetta al team, e che le altre due lo fanno dalle medie e hanno più esperienza! Ma ti pare?" s'infervoró Lynn. 

 

"Cosa c'entra!! Appunto, perché Mark non propone il tuo nome?" chiese Marty. "Tu sei parte della squadra campione!"

 

"E che vuoi che ti dica. Ma ci speravo..." le spuntarono le lacrime dagli occhi. "...sai che io non ho mai viaggiato. Mi sono fatta un mazzo così quest'anno per imparare, ed essere anche pronta per la Nazionale." 

 

A Marty seriamente dispiacque. Era sempre un dolore vedere i sogni altrui infrangersi contro la dura e ingiusta realtà. Provó antipatia per Patty, nonostante non l'avesse mai conosciuta. Detestava le raccomandazioni, e in quel frangente c'era un bell'esempio. Lynn si era guadagnata il diritto di andare a Jakarta per le eliminatorie e poi partecipare al torneo, ma doveva ingoiare il rospo perché Mrs. Hutton preferiva le sue amiche del cuore.

 

"Ma ha così potere questa Patty?" chiese.

 

"Non lei. Il suo compagno. Pearson non scontenterebbe mai il suo pupillo. La sua ragazza al Mondiale ci deve essere per forza." disse Lynn, tirando su col naso.

 

"Kirk Pearson?" chiese Marty, ripensando al tipo fascinoso con gli occhiali scuri, che era venuto con Benji in visita alla Toho. "...lui decide?"

 

"Sì, è il direttore tecnico. In pratica, ha l'ultima parola su tutta l'organizzazione. E ha i suoi favoriti: Holly e Benji. Li vizia su tutto." confermó Lynn. 

 

"È giovane, peró. E fa il super-capo?" 

 

"Beh ha trentaquattro anni. Per il suo ruolo, ha l'età adatta. Comunque, i giochi sono fatti. Io sono fuori. Non mi ricapiterà più..." sbottó Lynn. "Sai cosa mi fa incavolare? Quando Patty sposerá Holly avrà modo di viaggiare ovunque, la porterà in giro per tutto il mondo! E io, invece...chissà se lasceró mai il Giappone!" 

 

Marty sospiró. 

Anche a lei pareva ingiusto. "Bisogna fare qualcosa, Lynn. Mi sto incazzando anch'io per questo. Davvero non è corretto!"

 

"Che devi fare? Ormai partono giovedì. Mi hanno fatto aspettare fino all'ultimo per rimbalzarmi." riveló Lynn.

 

"Stronzi due volte!" replicó Marty. "Comunque, aspetta...forse si puó giocare una carta finale."

 

🎋🎋🎋

 

"Allora, come ti ho spiegato devi tenere il braccio destro rigido, e con la sinistra stringere saldo il guantone. Riprova!" disse Mark a Ted. I due stavano giocando a baseball nel cortile di casa. Il piccolo era nel ruolo di ricevitore, e Mark lanciava. 

Un passatempo che lo rilassava sempre molto, e gli riportava alla mente il ricordo di suo padre: con lui, trascorreva ore a divertirsi così.

 

"Sì Mark...ma mettici più forza! I tuoi tiri li prenderebbe anche Naty!" protestó Ted.

 

"Più forza, dici?" rise il fratellone. "Vuoi andare all'ospedale col braccio fasciato?"

 

"Presuntuoso." si udì una voce femminile, in risposta.

 

Ted guardó dietro Mark e gridó, felice. "Martyyy!!"

 

Anche il maggiore dei Lenders si voltó, e la vista della ragazza dietro di lui, lo sorprese. "...ma che fai qui?"

 

"Mettiamo subito le cose in chiaro. Non ti ho perdonato." esordì lei, incrociando le braccia sul petto. Indossava l'uniforme e aveva uno zaino sulle spalle. Era appena arrivata da scuola.

 

Mark fece un sorriso beffardo. "Non ti ho chiesto di perdonarmi."

 

"Comunque, avrei necessitá di parlarti. Ciao Ted!! Come stai??" chiese al ragazzino.

 

"Bene! Sai che Naty voleva rivederti?? Peró adesso è fuori con mamma." rispose Ted. "Parla con Mark se devi, io continuo a giocare da solo!" 

 

"Esercitati sulla presa. Tu..." fece, rivolto alla ragazza. "Seguimi in casa. A vederti non mi sembri di buon'umore. Non vorrei beccarmi un'altra sberla davanti ai vicini." 

 

"Piantala." ribattè Marty.

 

I due entrarono nella modesta abitazione dei Lenders. Come sempre, peró, quando lei varcó quella soglia venne investita da una sensazione di grande pace e serenità. Era l'unico posto in cui si sentiva così.

 

"Bello scherzo, sabato sera." disse Mark, aprendo il frigorifero. "Portarmi June alla festa. Vuoi da bere?"

 

"Acqua per favore. Sono un po' assetata." chiese Marty. "E comunque mi è sembrata una giusta punizione per l'altra volta."

 

"Punizione per cosa? Per averti concesso l'onore di baciarmi?" la stuzzicó Mark.

 

"Non cominciare. Io sto cercando di dimenticare quella situazione. Con fatica." grugnì Marty.

 

"Anch'io ci ho messo un po'. I segni rossi che mi hai lasciato sono rimasti fino al mattino dopo, lo sai?" rise Lenders. "A proposito...hai molta forza in quelle braccia."

 

"Potevo mettercene di più. Ascolta..." rispose lei, entrando nel vivo dell'argomento che le stava a cuore. "...sono qui per Lynn. È fuori dalle convocazioni del Mondiale. Perché, Mark?"

 

Lui si sedette su una sedia della cucina, con una lattina di Coca Cola. "Non è dipeso da me."

 

Marty prese il suo bicchiere d’acqua e si bagnó le labbra. "Non potevi convincere Pearson? Lynn ci teneva, ci ha fantasticato sopra tutto l'anno. E se lo merita, pure."

 

"Ma io ne ho discusso con Pearson, infatti. Lui peró aveva un'altra idea...voleva te." rispose Mark.

 

Marty rimase perplessa. "...eh? Me?"

 

"Aveva pensato di convocare te e Patty, con Amy, la ragazza di Julian Ross. Ma lei ormai si sta dedicando ai corsi per diventare infermiera. Non continuerá nel calcio. Ho spiegato a Kirk che tu sei impegnata col volley. Gli ho proposto Lynn, ma lui ha deciso di portare le assistenti della New Team in blocco. Fine dei giochi." raccontó Mark.

 

"Perché Pearson ha pensato a me?" volle sapere lei.

 

"Che ne so...magari gli piaci. È scapolo se ti interessa." le sorrise lui.

 

"No, non mi interessa." rispose Marty, acida.

 

"Eh già...di nuovo Ed nei paraggi. Non so, voi due siete davvero come due calamite. Vi attraete e vi respingete." ragionó Mark. "Ho rinunciato a comprendervi."

 

"Non ci siamo rimessi insieme." replicó lei.

 

"In quel locale avete dato un'altra impressione." osservó Mark.

 

"Abbiamo parlato e basta. Lui vorrebbe, io non sono d'accordo. Poi... adesso sono concentratissima sul volley e credo che quest'estate accetteró la proposta dell'Hitachi." disse lei. 

 

"Mi fa piacere. Era il consiglio che ti ho dato: meno ragazzi, più allenamenti." annuì Mark.

 

"Esatto." concluse Marty.

 

I due restarono in silenzio a guardarsi, per un po'.  Notó che anche Mark le osservava i capelli con disapprovazione.  "...non fai commenti sul mio look?"

 

"Non mi piace." rispose Mark. "E non piacerà a mia sorella. Per lei eri una principessa. Adesso sembri un maschiaccio."

 

"Non credo di sembrare un maschio. Non hai notato che sono femmina?" si irritó Marty.

 

"Cos'avrei dovuto notare?" rispose lui, malizioso, e per un secondo il suo sguardo scese sul suo seno.

 

Marty provó una sensazione di grande turbamento.  "Allora...non si puó fare niente per Lynn?" disse, tornando all'argomento iniziale.

 

"Per ora no. Se vuoi parlare con Kirk, domani lo trovi all'aeroporto. Magari la puó inserire all'ultimo per l'Indonesia. Ci sarà parecchio da fare là, forse una quarta sarebbe utile. Non lo garantisco, comunque." 

 

"Devo venire all'aeroporto?" chiese Marty, esasperata.

 

"Non passi a salutare Ed?" rispose Mark, sornione.

 

"Allora non mi hai sentito, prima." fece lei. "Non stiamo insieme."

 

"Come no... certo. Ma non resisterai alla sua assenza. E quando lo vedrai in televisione, in una delle sue parate, con tutto lo stadio che lo acclamerà e le sue fans sugli spalti... ti farai prendere dal solito entusiasmo." ipotizzó lui. "Cara testolina bionda..."

 

"Perché mi hai baciata?" chiese lei allora. "Il vero motivo, Mark."

 

Lui rimase in silenzio a quella domanda. Ebbe il sospetto che fosse andata fino a casa sua soprattutto per quella faccenda, non tanto per Lynn. Per quello, sarebbe bastata una telefonata.

 

"Per tutti i motivi a cui preferisci credere." 

 

"Non hai altro da dire?" chiese Marty. "Non è stato bello da parte tua."

 

"Per me invece sí." aggiunse Mark. "Per me è stato bello...nonostante la dolorosa conclusione."

 

Marty sentì un sconvolgimento nello stomaco a quella frase. Tentó di sviare.

 

"Prima volta che hai baciato una ragazza, eh?" rispose, mentre iniziava ad arrossire. "Allora vuol dire che..sei innamorato?" lo prese in giro, sorridendo. 

 

Ma Mark non cambió espressione. Con grande sorpresa, vide che anche la carnagione scura di lui stava acquisendo una tonalitá più accesa sulle guance. Ma non ci fu risposta. 

 

Dalla strada, venne invece il suono di una vocetta infantile, accompagnata da una più adulta.

 

"Mia madre e Nathalie sono tornate dalla spesa." disse Mark, alzandosi.  "Ti chiedo di rimanere a salutare mia sorella."

 

"Sì, va bene." accettó Marty, deglutendo per cacciare giù l'agitazione. Ebbe anche l'impressione che facesse più caldo in quella stanza. 

 

Non ci furono altre parole fra loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Distacchi ***


 

"È l'ultima carta che puoi giocare. Dimmelo un'altra volta: tu vuoi andare in Indonesia?" chiese Marty a Lynn, appena le due scesero dal taxi. 

 

"Sì...ma credi che semplicemente parlando a quel tizio si possa fare qualcosa? Io manco lo conosco!" ribatté l'amica, agitata per tutta la confusione di viaggiatori che affollavano l'area partenze internazionali dell'aeroporto Tokyo-Narita.  "Sto iniziando ad aver paura."

 

"Paura di cosa? Che ti dica di sì?  Mi hai fatto una testa così ieri...adesso devi agire. E ringraziami che ti ho accompagnata."  la scosse Marty.  Le due avevano preso un permesso speciale dalla scuola, concesso senza troppi problemi per intercessione di Jack Lowry, e quel giovedì mattina si erano dirette al grande aeroporto cittadino.

 

"L'aereo parte a mezzogiorno. I ragazzi staranno facendo il check in adesso...dove li troviamo??" chiese Lynn.

 

"Non è difficile." sorrise Marty. Poi indicó una folla di persone, nella quale c'erano anche diversi fotografi.  "Guarda lá."

 

I tifosi si erano radunati in massa per salutare la promettente nazionale giovanile giapponese. Si vedevano nonni con i bambini, speranzosi di avere un autografo, giornalisti, ragazze che chiamavano i vari calciatori, gruppi di giovani che invece di essere a scuola si erano precipitati a salutare la formazione in partenza. Marty realizzò quanto entusiasmo circondasse Ed, Mark e gli altri.

 

Le due si portarono a ridosso della folla, e iniziarono a farsi largo. Diverse guardie e cordoni di sicurezza contenevano quella moltitudine di persone. 

 

"Permesso...scusate... dobbiamo andare davanti!" disse la bionda.

 

"Eh calma, bella! Anche noi vogliamo avvicinarci!" la fermó un ragazzo.

 

"Ma noi conosciamo i giocatori! Sono nostri compagni di scuola!" rispose lei.

 

"Come no, certo! Indietro, noi siamo qui da tre ore!" ribattè l'altro.

 

La ragazza si giró verso Lynn. "Non ce la faremo così. Dobbiamo aggirare il casino...vieni!" poi la prese per mano e cercó un punto dove la ressa era meno fitta. Si avvicinò a una delle corde che delimitavano lo spazio in cui stavano i ragazzi. Riuscì a intravvedere qualcuno: Callaghan, Yuma, e ancora Peterson, Patrick Everett. 

 

Indossavano tutti la divisa formale: un completo azzurrino con la bandiera del Giappone cucita sul taschino. Sembravano impiegati d'ufficio, più che giocatori.   

 

Marty si sbracció. "Hey!!! Da questa parte, siamo qui ragazzi!" Sperava che qualcuno di quei calciatori la riconoscesse come assistente della Toho e la facesse passare. "Lynn, vieni avanti. Dai, chiamiamoli!"

 

Ed, Danny e Mark non erano in vista, ma Eddie Bright si accorse di lei. La guardò da lontano, sorpreso dalla sua presenza.

 

"Eddie! Facci entrare!!" gli urló Marty.

 

Ma quello, con un sorriso tra il sarcastico e lo sprezzante, giró le spalle e la ignoró.   

 

"Bastardo!" gridó lei.

 

"Scusi, signorina?" chiese un addetto alla sicurezza, avvicinandosi. 

 

Marty si fece rossa. "N-non dicevo a lei! Senta, noi siamo compagne di scuola di quattro dei nazionali, vorremmo salutarli, per favore! Ci fa andare da loro?!"

 

"Indietro, signorina." rispose stancamente il tizio.

 

"Ma..." 

 

"Indietro, ho detto." ribadì l'uomo, irremovibile.

 

"Marty, guarda..." le disse Lynn, indicando un punto preciso: tre ragazze, con le divise ufficiali, parlavano e ridevano fra di loro nell'area dedicata alla squadra. "Già dalla fase del ritiro le hanno aggregate!"

 

Erano Patty, Susie ed Evelyn.

 

Lynn si fece rossa dalla rabbia. "Io adesso vado da quelle tre e spacco la faccia a tutte!"

Inizió a sbracciarsi pure lei e finalmente qualcuno si accorse delle due scalmanate. 

 

James Derrick si giró verso il gemello. "Jason, ma quella tizia che si agita non e' una delle aiutanti della Toho?"

 

Jason guardó a sua volta. "Sì, anche la bionda mi pare. Solo che aveva i capelli lunghi. Mark!" chiamó Lenders. "...Mark, vieni un attimo...conosci quelle due?" 

 

Lenders arrivó con il suo borsone sulle spalle e diede un'occhiata.  Sorrise fra sè. Non ce l'hai fatta a resistere, eh, Numero Sette?

"Sì. Vado a dire alla sicurezza di farle entrare." 

 

Andó dal responsabile delle guardie e gli disse qualcosa. Questi annuì, poi si diresse verso Marty e Lynn e slegó il cordone di sicurezza. "Prego."

 

Felici, le due ragazze si avvicinarono al gruppo, lasciandosi dietro le proteste degli altri tifosi che non avevano gradito quell'improvviso privilegio.

 

Marty andó da Lenders. "Grazie, grazie davvero. Quel deficiente di Eddie ci ha viste e ha fatto finta di niente."

 

"Non gli sei simpatica, dovresti saperlo." rispose lui. "Cercate Pearson? È laggiù." 

 

"Sì, ok. Lynn, vieni." ribattè Marty, prendendole la mano. "Lascia parlare me."

 

Passarono attraverso il gruppo di giocatori che si girarono stupiti a guardarle. Kirk era intento a conversare con uno dei preparatori atletici, ma quando le ragazze gli si si avvicinarono,  la riconobbe subito. 

 

"Ciao...Marty, giusto?" chiese. "Sei venuta a salutarci?"

 

"Buongiorno Sig. Pearson. No, io e Lynn siamo qui per parlarle. Ha un minuto?" fece lei. 

 

"Certo. Cosa c'è? Hai cambiato pettinatura." rispose l'altro, portandosi in un angolo più appartato con le due. "Stai bene. Sembri più grande."

 

"Sì. Ehm...grazie. Non le rubo troppo tempo, scusi. Dovrei farle una domanda, anche da parte sua..." indicó Lynn, che sembrava imbarazzatissima. "...con che criterio ha scelto le ragazze che devono accompagnare i calciatori in questo torneo?"

 

Pearson rimase interdetto, e nonostante indossasse lenti scure, Marty lo immaginó socchiudere gli occhi. "...parli di Patty e le altre? Ho deciso di portare un trio di persone che siano già in sintonia fra loro.  In questa avventura c'è bisogno di gente affiatata."

 

"Ma scusi...la Toho ha vinto il campionato e Lynn è l'assistente ufficiale. Ha seguito i ragazzi tutto l'anno, dovrebbe essere scelta lei!" obiettó la bionda. 

 

"È vero. Io avevo proposto te, ma ho saputo che fai sul serio col volley e non sei disponibile. Se fossi venuta tu, avrei portato anche lei, perché vi conoscete. Avreste lavorato bene insieme. Mi dispiace." rispose Kirk. "Patty e le altre due collaborano da anni e vennero con noi anche in Europa. Non hanno bisogno di rodaggio, sanno già cosa fare, ho considerato anche questo."   

 

Marty non era convinta della spiegazione. "Scusi, ma non capisco. Lynn avrebbe lavorato bene anche con Patty, è preparata sul tipo di attività. Non sarà diverso dal seguire una squadra di liceo. E poi... una che ha sopportato Mark Lenders tutto l'anno non puó temere niente!"

 

Kirk rise. "Su questo hai ragione!" poi si ricompose.  "Mi dispiace...il planning sul personale è stato fatto."

 

"Lascia stare, non insistere." s'inserì Lynn, mestamente. 

 

"Lynn...ci tenevi davvero?" chiese Pearson.

 

"Con tutta me stessa. Era il mio sogno." replicó l'altra. "Pazienza, che devo fare. Grazie comunque di averci ascoltate." 

 

Ció detto, fece un breve inchino e andó a cercare Danny per sfogarsi. Era peggio che amareggiata.

 

Marty si voltó verso Pearson. "Lo sa anche lei che non è giusto, questo. Patty è sempre inserita perchè sta con Hutton!"

 

"Se vuoi la veritá, anche tu hai avuto un vantaggio simile sulle altre. Non era stata una mia idea fare il tuo nome." riveló lui. 

 

"...e di chi?" chiese Marty.

 

"...davvero non lo immagini?" ribattè Kirk, e fece un sorriso allusivo. 

 

"N-no...veramente..." poi un'illuminazione la colse. "...BENJI??"

 

"Proprio lui. Non ti ha dimenticata, pare. Mi aveva chiesto di inserirti nel team, voleva rivederti. Quando gli ho spiegato del tuo impegno nel volley, peró, è stato contento.   Contento per te." raccontò il manager.

 

"Ma come...aveva detto che non mi avrebbe più cercata, quella sera a casa sua..." rispose Marty.

 

"Alla fine sei uscita con lui, quindi. Ho fatto da Cupido." sorrise Kirk.

 

"S-sì ma non è andata benissimo." replicó Marty, in imbarazzo. 

 

"Per lui forse sì. Dice che sei speciale." rispose Pearson.

 

"Che faccia tosta..." disse Marty, toccandosi il ciondolo con la farfalla. "Comunque, senta, la prego di considerare Lynn per l'Indonesia. Non so, se dovesse aprirsi un'opportunità all'ultimo." 

 

"Vedró. Se la Federazione approva l'inserimento di un elemento in aggiunta alle altre, la faró contattare. Sono costi in più, capisci." rispose Kirk. 

 

"Davvero? Allora c'è una speranza?! Grazie, Kirk!" esclamó lei. Poi si accorse della gaffe. "Oh scusi...Sig. Pearson."

 

Lui sorrise. "Molto diplomatica. Ah guarda...qualcuno richiede la tua compagnia." 

 

Marty si giró e vide Ed avvicinarsi. 

Il portiere sembrava sorpreso di vederla parlare con Pearson. "Ciao Marty. Mi fa piacere vederti qui."

 

Kirk comprese di essere di troppo, e decise di congedarsi, ma prima le disse. "In bocca al lupo per il volley! So che sei brava." 

 

"Lei? È una campionessa." aggiunse Ed.

 

"Non ne dubito. A presto, allora." rispose il manager, e tornó a parlare coi suoi assistenti. 

 

Ed la squadró. "Non avevo idea che conoscessi Kirk."

 

"Non ti ricordi che venne alla Toho con Benji? Tu eri a casa infortunato dopo il kumite." rispose Marty. 

 

"Ah...sì. Avevo rimosso quel periodo." realizzó Ed. 

 

"Beh, visto che sono qui ti saluto. E ti faccio i miei auguri." gli disse lei. "Vedrai che farai un figurone."

 

"Sì la speranza è quella. Tutti qui vogliono mettersi in mostra. Benji è fuori per infortunio, le eliminatorie mi vedranno titolare...ma lo saró anche dopo." disse Ed.

 

"Te lo auguro. E ti suggerisco di non prenderla troppo sul serio questa rivalitá con Benji. Perché sai, è comunque Marshall che decide. Tu fai solo del tuo meglio." gli consiglió lei.

 

"Hmm...grazie dell'incoraggiamento. È bello che tu sia qui. Mi sarebbe dispiaciuto partire senza vederti." rispose lui.

 

"Lo sai come è la storia fra me e te, ora. Non c'è nessuna storia. Ma da amica, spero che tutto vada bene per te." disse lei.

 

"Prendiamola con calma. Pensiamoci durante la lontananza. È un peccato buttare via quello che c'è stato, perché per me è stato importante. Lasciami con una speranza, Marty." le chiese Ed. "È un ragazzo innamorato che te lo chiede."

 

Lei fu colpita da quelle parole, e dalla  totale sincerità con cui gli erano uscite di bocca. Non se la sentì di farlo partire con un peso sul cuore.

"Vediamo che succede, ok? Tu concentrati e pensa alla squadra."

 

"Va bene." Ed si chinó e le diede un bacio su una guancia. "Non ti agitare. È un bacio in amicizia."

 

Marty sapeva che l'aveva fatto anche perché gli altri lo vedessero. Era stato un gesto per delimitare il territorio, come dire lei è off limits. Così come sapeva che quella chiacchierata in disparte con Pearson non gli era piaciuta.

 

Ed era sempre Ed, e non sarebbe cambiato mai.

 

"Vado a salutare Danny e Mark, ok?" fece lei.

 

Ed annuì. "Sì, certo." 

 

La ragazza si allontanó e cercó Lynn per darle la buona notizia.  La vide con Mellow, che tentava di consolarla. 

 

Si avvicinó. "Lynn...hey, ascolta!" 

 

L'amica si giró a guardarla. "Cosa?"

 

"Guarda che i giochi non sono chiusi. Kirk ha detto che proverá a chiedere alla federazione! Magari ti butta dentro!!" la informó Marty. "Dai, dai che forse..."

 

"Sul serio???" si emozionó Lynn. 

 

"Sì! Per cui, non sei tagliata fuori!!" la incoraggió Marty.

 

"Visto! Che bella notizia!" esultó anche Danny.

 

"Scusate!" sentirono una voce sconosciuta chiamarle. 

 

Quando si girarono, videro Patty e le altre dietro di loro. "Ehmm....voi siete le ragazze della Toho?? Mi pare di avervi incrociato durante il campionato. Ma non ci siamo presentate."

 

Marty s'infastidì. Non provava simpatia per quella tizia che aveva fatto della sua relazione con un campione la fortuna della vita. Le parve anche insignificante.  "Ciao. Lynn è l'assistente ufficiale. Io ho lasciato da qualche mese."

 

"Ah...beh piacere di conoscervi. Sono Patty Gatsby, assistente capo della New Team.  Loro sono..."

 

"...Susie e Evelyn. Lo sappiamo chi siete." la geló Lynn.

 

"Già..." rispose Patty. Le tre notarono subito l'ostilità dalle altre due. "...sei arrabbiata?"

 

Lynn ridacchió. "Ma no figurati! Perché dovrei? Ho lavorato come un mulo tutto l'anno per la squadra campione e nessuno mi ha considerata per la convocazione in Nazionale. Chissà come mai."

 

"Mi dispiace." si schermì Patty. "Noi l'abbiamo saputo un mese fa."

 

"Ancora prima del termine del campionato. Che vergogna." sbottó Marty. 

 

"Vergogna di cosa? Noi abbiamo lavorato anche per i mondiali di tre anni fa! Abbiamo la precedenza!" fece Susie, petulante.

 

"Precedenza? Chiudi con le stronzate, tu. La precedenza va a chi ha seguito i campioni e i campioni sono quelli della Toho. Siete tre raccomandate." grugnì Marty.

 

"Cosa??" s'irritó anche Patty. "Faccio questo lavoro da anni, nessuno puó insegnarmi niente. La Toho non aveva nemmeno aiutanti fino all'anno scorso. Lo so benissimo!!" 

 

"Ma i campioni siamo noi." reagì Lynn. "E tu puoi dire quello che ti pare, ma la realtà è che questa è un'ingiustizia!!" 

 

I giocatori si girarono a guardarle, perché Lynn aveva alzato la voce.

 

"Calma, Lynn. Non farti vedere isterica da Kirk, o quello ti lascia fuori definitivamente. E voi..." disse Marty, rivolta alle tre.  "Godetevi il viaggetto. Dato che vi è costato così tanta fatica guadagnarvelo." 

 

Poi trascinó via l'amica, prima che il tutto degenerasse.

 

"La stavo per prendere a sberle, giuro!" si sfogó di nuovo Lynn.

 

"Tranquilla. Guarda che se poi Kirk ti chiama dovrai lavorare con loro. Perció, nervi saldi." le disse Marty.

 

"Ufff già...dovró beccarmele quelle tre...ma voglio troppo andare in Indonesia!!" sospiró Lynn.

 

"Sei sempre la solita, Doppio Zero." la derise la voce di Mark. Si avvicinó alle due. "Stavi per fare a pugni con Patty?"  

 

"Quasi. Che bella la gente della New Team. Adesso provo ancora più soddisfazione ad aver battuto la loro squadra di volley."  rispose Marty.

 

"Adesso sai come mi sono  sentito io in tutte le finali contro di loro." replicó Mark. "Che dice Kirk su Lynn?"

 

"C'è qualche piccola speranza!" disse Lynn, felice. "Magari a Jakarta ci si vede!"

 

"Bene." annuì Lenders. "E a te, testolina bionda...ora tocca l'onere di vincere il campionato della scuola." 

 

"Sarà durissima. Ma ce la faremo." promise Marty. "Ti va di chiamarmi col mio maledetto nome, ogni tanto??"

 

Mark rise. 

Poi le porse la mano.

 

"In bocca al lupo." 

 

Marty gliela strinse. "A te, capitano."

 

"In Nazionale non saró capitano." la corresse lui.

 

"Per me...sì. Sempre." rispose Marty.

 

I due stettero così, mano nella mano, a guardarsi qualche attimo. Vide gli occhi di Lenders percorrere ogni lineamento del suo viso, quasi volesse imprimere nella memoria ogni millimetro. 

 

Le loro dita si sfiorarono al momento del distacco. 

 

"Ciao, Marty." disse lui.

 

"Ciao Mark." 

 

In quel momento preciso, arrivó la chiamata per gli imbarchi. Tutti i giovani e i manager si allontanarono. Qualcuno si giró a ringraziare i fans. Danny fece un gran gesto di saluto alle ragazze.

 

"Meno male che si è allontanato, volevo quasi prendere l'estintore." rise Lynn.

 

"...cioè?"

 

"Avresti dovuto vedere i vostri sguardi." rispose l'altra.  "Stavate per andare a fuoco."

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Notizie dal ritiro ***


 

Le settimane che seguirono portarono grande malinconia nella mente di Marty. 

Le mancavano soprattutto Mark e Danny, mentre su Ed si era ripromessa di limitare i pensieri. 

 

La partenza dei ragazzi segnó un cambiamento anche nei ritmi della scuola: non c'erano più allenamenti nè partite da seguire il sabato, l'assenza di Lenders e Warner aveva fatto cessare i gossip delle studentesse, e l'atmosfera, in quel Maggio inoltrato, era in generale placida e noiosa. Non fosse stato per i sporadici test di fine anno, perfino lo studio sarebbe stato più blando. 

 

Marty attendeva con ansia l'arrivo della finale del girone B del torneo di volley; era in programma per la fine del mese e lei e le altre della squadra ci davano sotto con gli allenamenti. Quasi ogni sera rimanevano fino alle dieci in palestra, soprattutto per aiutare le meno dotate a migliorarsi. E funzionava: il livello atletico e tecnico stava migliorando, Kibi aveva ottime speranze per il match contro la Matsukami.

 

La sera, quando dopo la doccia si sdraiava sul grande letto della sua stanza, l'irlandese si concedeva il lusso di fantasticare sul suo futuro: tanto per cominciare, avrebbe trascorso due o tre giorni in uno stabilimento termale, dopo la partita di fine Maggio. Poi si figuró la migliore delle ipotesi, il raggiungimento della grande finale a Giugno contro la Mambo, il trofeo, e tante nuove chance. Quindi Luglio, con le vacanze chissà dove e con chi, e Agosto ad allenarsi con le professioniste della Hitachi. 

 

Certo, erano solo sogni, ma l'aiutavano ad affrontare ogni giorno con gioia e serenità. 

 

Una domenica mattina, si sveglió col canto di Gogo. La sua vita di insetto stava arrivando al termine, tre mesi erano passati da quando le era stata regalata. 

 

Marty decise che era arrivato il giorno della liberazione. Non voleva vederla morire in una teca, sarebbe stato troppo penoso. Pensó che se la sua esistenza doveva finire presto, si sarebbe spenta in un prato, sotto lo stelo di qualche fiore, o portata via dal vento. 

 

Così, dopo pranzo, prese un autobus e andó fino al capolinea, in una zona se non proprio campestre, quantomeno piena di verde. Scelse un prato con diversi alberi attorno al perimetro,  una grande distesa di fiori nel mezzo e il sole che lo inondava di luce calda. Le parve il punto perfetto.

 

Aprì lo zaino, e depose la teca sull'erba. Con cautela, la scoperchió.

 

Gogo se ne stava immobile, istupidita da quella novità, e forse spaventata. 

 

"Dai esci! Va', su! Sei libera!" la incoraggió Marty, dando un colpetto col piede al contenitore.

 

Ma la cavalletta non si muoveva. Rimaneva adagiata sulla sua ghiaietta, senza nemmeno muovere le antenne. 

 

"...non vorrai morire qui dentro?? Guarda che non sono venuta qui a perdere tempo! Esci, avanti!" ripetè Marty, sentendosi idiota perché stava parlando con un insetto. 

 

Riflettè sul fatto che quel comportamento era in fondo simile a quello umano: la paura dell'ignoto frenava molte persone dal tentare una nuova strada. La cosiddetta zona di comfort era un rifugio sicuro, al quale si era aggrappata anche lei, rifiutandosi di usare il braccio destro dopo l'incidente.  La paura del cambiamento era un nemico micidiale, che delle volte impediva di passare da un'esistenza appena tollerabile, alla vita vera.

 

"Vedi, c'è l'erba, ci sono i fiori, il sole...tu non conosci la libertà, prova!" disse ancora Marty. Si fece coraggio e rovesció la piccola teca, facendo cadere Gogo nel prato. L'insetto cercó subito un riparo e si arrampicò su uno stelo di fiore. Marty pensó che fosse quella la sua giusta condizione: attaccata a una pianta, a ondeggiare con lei nella brezza primaverile.   "Ciao cara amica, mi facevi schifo quando ti ho visto...ma in fondo sei carina. Buon resto di vita, piccola." la salutó Marty, poi guardó il cielo. Speró che nessun uccello ne facesse un boccone. 

 

Poi si domandó come si sarebbe nutrita. Beh succhierà la linfa delle piante, si rispose. Inizió ad allontanarsi, guardandosi indietro ogni tanto, finché Gogo non fu più visibile. Strinse la preziosa teca di legno che un bel po' di yen era costata ai suoi tifosi, e si figuró di trasformarla in un soprammobile. 

 

Peró un nuovo scrupolo di coscienza la colse. Già, e se piove stasera? O domani? Non è abituata all'acqua, morirà affogata. 

 

Si fermó, dubbiosa. Quella cavalletta da compagnia non era assolutamente pronta alla vita in libertá. Provó una strana angoscia all'idea di lasciarla lì. Realizzó con una risata di essersi affezionata a un insetto verso il quale aveva sempre provato una paura fottuta. 

 

Mentre sorrideva pensando alla strana situazione, squilló il cellulare.

 

Lo prese dallo zaino e vide il chiamante: Danny Mellow. 

 

Rispose: "Hola Mellow!! Finalmente ti fai sentire!!" 

Era ansiosa di sapere come procedevano le cose a Takayama, la città a ridosso delle montagne dove era stato deciso il ritiro pre-mondiale. Ottimo posto: aria freschissima, sufficiente privacy per i giocatori e campi sterminati su cui allenarsi. 

Pearson aveva scelto molto bene.   

 

Danny rispose: "Ciao Marty, come va?"

 

Aveva un tono di voce stranamente dimesso. Lui, che era sempre entusiasta di tutto.

 

"Io bene...voi?? Come va lì, dimmi dimmi...vi piace il ritiro?" ribatté lei.

 

"Sí, il posto è fighissimo,  abbiamo stanze singole, i campi sono moderni...per quello, bene." disse Mellow.

 

"...mi sembri strano, peró. Hai la voce triste. Successo qualcosa?" indagó Marty.

 

"...beh sì...una cosa è successa..." replicó Danny. Sembrava tentennare.

 

"Dai, parla! Cosa c'è?" lo incoraggió la ragazza.

 

"Ed...." disse lui, piano.

 

Marty inizió ad agitarsi, sentendo quel nome.

 

"...Ed cosa?" 

 

"...ha fatto un casino, Marty." rispose lui. "Ed ne ha combinata un'altra delle sue."

 

🎋🎋🎋

 

"Ti prego, ripeti tutto quello che hai detto, perché io non ci  credo Danny." fece Marty, con la voce che le tremava. Perfino la presa della mano sul telefono non era salda, si accorse che tutto il suo corpo era scosso da tremiti.

 

Quello che le aveva raccontato Mellow era fuori da ogni spiegazione logica. 

 

"Ti giuro che è andata così. Anche Mark è rimasto senza parole, e sai che sconvolgere lui non è facile. Ma siamo tutti basiti."  ripetè Danny. "Ed era andato nell'ufficio di Marshall, stamattina, a chiedere che intenzioni avesse riguardo al portiere titolare. Voleva la garanzia di avere delle chance contro Benji, almeno giocarsela alla pari. Quando il mister gli ha detto che sarebbe stato Price il primo portiere, al rientro dall'infortunio, ha dato fuori di matto. Io non so come abbia fatto, perché la scrivania di Freddy è in legno pesantissimo, ma l'ha spaccata in due. Con un pugno. Cioè, siamo andati io e i ragazzi nel suo ufficio, dopo,  e non potevamo crederci. Era fracassata, come fosse stata centrata da una di quelle palle da demolizione, sai quelle che hanno gli sfascia-carrozze. Gli è bastato un colpo solo."

 

Marty tentó di deglutire. Aveva la bocca asciutta. "Oddio...oddio..."

 

"Ed è un campione di karate, so che puó fare cose simili, ma non avrei mai pensato che aggredisse il nostro allenatore!" sbottó Danny. "Poi, ha preso la sua borsa e se ne è andato. Ha detto che non gli frega più niente di far parte della Nazionale, e che la storia di Benji è un affronto intollerabile. Mark ha provato a trattenerlo, ma se ne è tornato a Tokyo. Credo che ora sia dai suoi." 

 

"E Marshall?? Sarà furibondo!!" rispose Marty.

 

"No, lui invece ci ha stupiti! L'ha perdonato subito. Ha detto che essendo stato portiere capisce i suoi stati d'animo, e che essere esclusi è mortificante. Non è arrabbiato per niente, è solo preoccupato perché senza Benji nè Ed non abbiamo nessuno valido a difendere la porta." spiegó Danny. "Purtroppo Alan Crocker non è al loro livello."

 

La ragazza si portó la mano al petto. Il cuore batteva veloce. "Ti giuro, sono sconvolta. Non posso credere che abbia avuto una reazione e del genere...con il vostro allenatore, un uomo che ha trent'anni più di voi! È impazzito, Dio santissimo." 

 

"Tu lo conosci, Marty. Sai che Ed ha questi comportamenti...solo che nessuno immaginava una sfuriata simile. E sempre per lo stesso motivo. Benji. Non riesce a farsene una ragione." replicó Danny. 

 

Marty espiró un lungo getto d'aria. "Io di certo non lo chiamo, se pensi a questo. Stavolta l'ha fatta fuori dal vaso."

 

"In veritá, speravamo che tu potessi andare da lui e parlargli. Ti ama, lo ha ripetuto anche qui in ritiro.  Non si puó rimanere senza portiere. Benji non ce la fa a recuperare, se Ed ci ripensasse...." disse Mellow. 

 

"Ho detto NO!" esclamó Marty. "Tanto più che se è in questo stato d'animo io non vi posso essere utile. E mi fa paura."

 

"Lo so. Peró tu sei l'unica che puó fare qualcosa. Ti prego, ti scongiuro, parlaci. Poi secondo me lui si è giá pentito, deve essere stata una reazione d'istinto. Mica puó mandare in fumo la possibilità di partecipare al mondiale...."  continuó ancora Danny.

 

"Danny...io sto tremando. Non vado da Ed, non pensarci proprio. Mi spiace per voi, ma non mi chiedere questo. Scusa ma sono scioccata." ripeté lei. 

E lo era davvero. 

 

Sentì l'amico sospirare dall'altra parte della cornetta. "Va bene...ci ho provato. Dai, ti saluto che mi stanno chiamando."

 

"Ok ciao. Ci sentiamo più avanti comunque." rispose Marty.

 

"Sí, a presto. Ciao." rispose Mellow e riattaccó.

 

Marty dovette sedersi sul prato perché sentiva le ginocchia piegarsi. Ed...Ed...cos'hai fatto stavolta...

 

Si portó le mani alle tempie e chiuse gli occhi. La sua patologia mentale, se ne aveva una, era mille volte più selvaggia di quello che aveva pensato.   Prendersela con lei per questioni di gelosia era un conto, ma sfasciare a pugni l'ufficio del commissario tecnico della Federazione Gioco Calcio Giapponese era ben altra cosa. 

 

Non lo chiamo. Quello con me ha chiuso. Chiuso sul serio.

 

Si guardó intorno e poi si levó in piedi.   Ispezionó con cura la porzione di prato vicina a lei, e ritrovata Gogo, la rimise nella sua teca e corse a prendere il bus verso casa, dove entrambe avrebbero ritrovato la loro pace.

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Cambiamenti e incontri ***


 

Passó una settimana dal fattaccio di Takayama.

 

Durante quei giorni, Marty venne presa dall'ansia che Ed tentasse di contattarla, ma non successe. Non avrebbe saputo assolutamente come affrontare la cosa, per cui quel silenzio da parte del ragazzo fu provvidenziale.

 

Mentre lei e le altre erano in palestra, una sera, fu Kibi a sollevare l'argomento.

Durante una pausa, si sedettero entrambe sulla panca a bordo campo. 

 

Kibi si passó la salvietta sulla faccia, poi le disse: " Saputo di Ed?" 

 

"Sì, da Danny. Guarda, non riesco neanche a parlarne. Tu come lo sai?" rispose la bionda.

 

"Indovina...Eddie l'ha raccontato ai suoi compagni rimasti qui, e la voce è girata. Una cosa da non credere...ma che cavolo gli sarà preso?" 

 

"Non so. Credo che la sua rivalità con Price sia ormai patologica. E ha fatto un gesto stupido: con Benji fuori gioco, poteva mettersi in mostra. Eppure Ed è intelligente, cosa gli avrà detto il cervello?" ragionó Marty. "Ma poi...una sfuriata simile, con il suo mister!"

 

"Certo è che per il futuro si è fottuto il posto in nazionale...non lo rivorranno." disse Kibi.

 

"Danny ha detto che invece Marshall è disposto a riprenderlo. Ed è bravissimo, perderlo sará un problema per le eliminatorie. Infatti..." disse, un po' a disagio. "...infatti Danny mi ha pregato di parlarci. Ma non ci penso proprio."  

 

"Non lo potresti fare comunque." replicó Kibi. "Perché ha già lasciato Tokyo. Tre giorni fa." 

 

Marty sgranó gli occhi. "E dove è andato, scusa?"

 

"A Yokohama. L'ho chiamato sul cellulare, non mi ha risposto. Allora ho chiamato casa sua, e ho parlato con la madre. È stata fredda con me, ma mi ha comunque detto che Ed ha accettato la proposta da quella squadra..."

 

"I Flügels! Ma credevo se ne parlasse a Settembre!"  esclamò Marty. "Poi perché lo hai chiamato?"

 

"Ero preoccupata. Mi andava di sentirlo." confessó Kibi.

 

"...allora pensi ancora a lui?"  chiese l'altra.

 

"Abbiamo fatto l'amore, Marty. Sono ricordi incancellabili. Non voglio che si rovini la vita...nonostante tutto, non voglio il suo male." ribattè la Street.

 

Marty guardó la compagna di squadra. Sotto sotto, aveva sempre sospettato che Kibi nutrisse ancora affetto per Warner. La cosa quindi non la stupì.

 

"...ma perché si è trasferito adesso?" chiese.

 

"Per diventare professionista, immagino, e dimostrare a Marshall e agli altri che come Benji puó giocare nei campionati maggiori." rispose Kibi.

 

"Solo che Price è nella Bundesliga, altro livello rispetto alla J-League..." riflettè Marty.

 

"Che ti devo dire... è imprevedibile, lo sappiamo. E non si è fatto sentire con te, per salutarti." aggiunse Kibi.

 

"No." fece lei. "È partito senza chiamarmi."

 

Kibi le mise una mano sulle spalle. "Meglio così. Tra quattro giorni si gioca contro la Matsukami. Concentrati solo su quello, ok? Basta menate psicologiche sui ragazzi.   Lascia stare Ed, se la caverà." 

 

"Ma ero già intenzionata a levarmelo dalla testa.  Peró...è successo tutto così in fretta! Sono un po' scombussolata." rispose Marty. "Non faceva che parlare del Mondiale..."

 

"Non pensarci,  ti ho detto." le ripeté Kibi. "Starà bene a Yokohama, immagino che quelli della società calcistica gli abbiano dato un appartamento... vedrai che si mette a posto tutto."

 

"Kibi, hai intenzione di chiamarlo ancora?" volle sapere Marty. 

 

"No. Sapremo di lui dai giornali, comunque... ora sta per diventare una celebrità." rispose l'altra. "Chissà come ci rimarranno Danny e gli altri...ha piantato il gruppo per iniziare una sua carriera." 

 

"Sai che Mark me l'aveva detto?? Mi aveva detto che a Ed non importava niente della Nazionale, e che presto o tardi l'avrebbe dimostrato a tutti...Dio mio...aveva ragione." ricordó Marty. 

 

"Tanto quelli non passeranno le eliminatorie. Il Giappone non è certo una potenza nel calcio mondiale. Forse Ed ha fatto bene, ha iniziato subito un percorso serio e si è lasciato alle spalle quel carrozzone inutile..." riflettè Kibi.

 

"Ma...non pensi ai tifosi...al prestigio del Paese, insomma la Nazionale rappresenta un popolo!"  obiettó Marty.

 

"Eh già, tutti patrioti quando si parla di sport. È una visione che non condivido, anch'io sogno di entrare nella nazionale di volley, ma per avere la possibilità di giocare contro atlete di altre nazioni e misurarmi." rispose lei. "Ora andiamo, abbiamo chiacchierato a sufficienza."

 

Ció detto, si alzó e riprese con gli allenamenti. Marty ci mise un po' di più. La notizia di Warner ormai lontano e in pista su una nuova strada, le diede un po' di amarezza. Nemmeno me l'ha detto...diceva di amarmi...e nemmeno un messaggio...

 

"Dai Marty! In piedi!" la chiamó Kibi, battendo le mani.

 

Con un sospiro, la Numero Sette della Toho riprese il suo lavoro.

 

🎋🎋🎋

 

"Danny!" esclamó Marty, appena l'amico rispose al cellulare. "Ciao! Disturbo??"

 

"Hey Marty, ho visto le tue chiamate solo adesso. Oggi il cellulare era in camera mia e io ero giù al campo per gli allenamenti..." si scusó Mellow. "Ti avrei risposto prima, ma..."

 

"Figurati, immaginavo. Allora, hai saputo di Ed? Ne hanno parlato anche al telegiornale delle otto! Un breve servizio, ma hanno fatto il suo nome come nuovo acquisto degli Yokohama Flügels." entró subito in argomento lei.

 

"Sì, sì... Pearson ce l'ha riferito.   Sono tutti arrabbiati con lui. Non l'hanno presa bene in squadra." riveló Danny. "Tutti noi abbiamo messo i nostri progetti personali da parte per il Mondiale, e lui se ne è fregato andando a giocare per una squadra della J - League." 

 

"E Mark cosa dice?" 

 

"...heh...c'è un'altra novità, Marty." riferì Danny. "Anche Mark non è più in squadra."

 

"Scusaaaa?!" esclamó la giovane. "...ma perché?"

 

"Devi sapere che in questi giorni Marshall è stato sollevato dall'incarico. È stato male, ha la peritonite. Al suo posto è subentrato il vice, Gamo. E ha portato una mentalità nuova: quelli che noi consideravano intoccabili, sono stati messi fuori squadra. Lenders, i due Derrick, Peterson,  Yuma, Tom Becker, Patrick Everett. Dice Gamo che hanno tutti dei limiti da risolvere, caratteriali e tecnici. Li ha sostituiti con altri sette sconosciuti, ma fortissimi. Mark se ne è andato, deluso e arrabbiato." raccontó Danny.

 

Marty era a bocca aperta. Non riusciva a capacitarsi di una tale rivoluzione. "Danny...ma cosa mi stai dicendo??"

 

"Quello che hai sentito. Inoltre, siamo tutti stremati. Gamo ci sta massacrando con allenamenti pesantissimi. La buona notizia, è che Holly si è aggregato a noi. È tornato dal Brasile! Rivederlo ci ha tirato su il morale. E poi c'è un ragazzo nuovo, Rob Denton...è giovanissimo, ma è un piccolo fenomeno che gioca già in Italia..." continuó Danny, ma Marty non stava ascoltando. 

 

La sua mente era rimasta a quella frase: Mark è andato via.

 

"Danny...scusa...dov'è Lenders adesso?"

 

"A Okinawa." rispose Danny. "È andato ad allenarsi col nostro vecchio mister, Jeff Turner. Vuole rimettersi in sesto." 

 

"Okinawa? Fin lì??" si stupì Marty.

 

"Sì...sa che Turner conosce i metodi giusti per aiutarlo. Comunque credo di andare a trovarlo presto." rispose Danny. "Appena abbiamo due giorni off."

 

"Posso chiamarlo, dici?" volle sapere Marty.

 

"Prova. Ma conoscendo Mark, spegnerà il telefono. Non vuole essere disturbato quando si impegna in qualcosa." rispose Danny. 

 

"Vabbè...peró che casino...prima Ed, poi queste storie..." sospiró Marty.

 

"Non ci voleva la malattia del mister.  Gamo non è come lui." rispose Danny. "Tu come stai?" 

 

"In ansia per la finale del girone." replicó lei. "Il giorno si avvicina."

 

"Beh, se Mark fosse al mio posto ti direbbe una cosa adesso." sorrise Danny.

 

"Cosa?"

 

"Vinci, Numero Sette. Vinci"

 

🎋🎋🎋

 

Maki correva sulla spiaggia.

 

Se Ryoko l'avesse saputo, le avrebbe fatto l'ennesima lavata di capo, ma se ne fregó. Ti puoi slogare le caviglie! Sentì la voce petulante del suo capitano nella mente.

 

Non era mica stupida, sapeva come fare jogging senza infortunarsi.  Guardó il mare azzurro e agitato, e pensó che avrebbe fatto anche un bagno a fine giornata. Era già quasi estate e la temperatura era abbastanza elevata da non impedire di entrare in quell'acqua oceanica. Squali permettendo , ovviamente.

 

Guardó il tramonto e pensó che il cielo, così meravigliosamente screziato d'arancio, fosse un vero spettacolo. Eh sì, Okinawa era una delle mete turistiche preferite dai Giapponesi, e la stagione amata dai villeggianti stava per arrivare. 

 

A Maki non piaceva vedere la sua isola invasa da turisti, ma del resto portavano soldi e così gli autoctoni dovevano fare buon viso a cattivo gioco.

 

Continuò a correre e intravide una sagoma che si avvicinava dalla direzione opposta. Un altro corridore solitario. 

Qualcuno che, come lei, condivideva l'allenamento sulla spiaggia dorata. 

 

Si accorse che era un ragazzo. 

 

Quando si incrociarono, entrambi si girarono a guardarsi. Fu solo una questione di secondi, ma Maki potè notare che il tipo era ben piazzato, aveva una forte abbronzatura e gambe muscolose. Probabilmente un atleta professionista.

 

Quando si allontanó nella direzione opposta, Akamine sentì uno strano senso di inquietudine in lei.   Come se fosse passata vicino a una persona che stava aspettando da moltissimo tempo, e di cui tuttavia aveva ignorato l'esistenza. 

 

Si giró e guardó la figura che si perdeva all'orizzonte. 

Si chiese chi fosse quel tale.

 

🎋🎋🎋

 

Marty sobbalzó nel letto, la notte stessa.

 

Di nuovo quel sogno. 

Di nuovo lei, Mark e una ragazza sconosciuta a Yokohama. 

 

Solo che stavolta, Mark l'aveva vista. Sapeva che lei era lì. E si era girato con l'aria più serena del mondo a dirle: "Ciao Marty. Ti presento la mia ragazza."

 

Marty si svegliò bruscamente.  Gogo, forse eccitata dalla luce lunare che arrivava da fuori, stava sfregando le zampette posteriori e produceva il suo caratteristico canto. 

 

Ma alle orecchie della ragazza, per la prima volta, quel dolce suono parve molto simile a un allarme.

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Addii ***


 

"Mark, non so se ascolterai questo messaggio. Ho parlato con Danny, mi ha detto che ti sei trasferito a Okinawa...mi ha detto tutto... Sono davvero turbata, primo per la storia di Ed, e poi mi ha spiegato del malore di Marshall, dell'arrivo di Gamo, e della conseguente rivoluzione che c'è stata nel team della nazionale. Questa avventura sembra essere partita col piede sbagliato. Non so cosa stai facendo, ti auguro comunque di riprendere la tua forma migliore, così da essere riammesso nella formazione titolare. Non è pensabile che il Giappone vada ai mondiali senza di te."

 

Marty interruppe il messaggio vocale e lo riascoltó. Dal suo risveglio, quel giorno, Lenders occupava tutti i suoi pensieri, come se una nuova e micidiale minaccia aleggiasse sulla loro amicizia. Lei non credeva molto alla storia dell'intuito femminile, ma non poteva negare che dentro di sè si fosse fatto largo il presentimento che su quell'isola lontana Mark non avrebbe avuto solo la compagnia del sole e del mare. 

 

Aveva bisogno di cercare un contatto con lui, un qualsiasi contatto...anche se non sapeva bene perché. Era come tornata bambina, quella volta che lei e i suoi genitori avevano attraversato un ponticello di legno nel Gloucestershire, in Inghilterra, e la sua palla rosa era rimbalzata sul bordo, per poi cadere giù. Ricordó che aveva allungato il braccino e aveva gridato: non devo perderla! Non devo lasciarla andare! 

 

Ma non c'era stato nulla da fare. La sfera era caduta nell'acqua del fiume sottostante e l'aveva vista sparire tra i flutti. 

 

In quei momenti, provava la stessa sensazione.

 

" ...se ti va di rispondermi, raccontami un po' quello che fai lì, so che è un'isola piena di sole, con un mare meraviglioso, purtroppo io non posso venire a trovarti perché sono impegnata col volley e sai che questo è un momento delicatissimo. Danny però mi ha detto che verrà, appena avrà tempo. Beh... allora... buon allenamento. Stammi bene." 

 

Lasció partire il messaggio, e l'ansia che l'aveva attanagliata dalla notte prima un po' molló la presa. Ma perché si sentiva così? Cos'era quell'improvvisa smania di tenerlo sotto controllo? Possibile che fosse...gelosia? Allora Maylin aveva ragione: allora lei aveva grossolanamente mentito sui suoi reali sentimenti per lui. 

 

E tutto stava venendo fuori a causa di un sogno.

 

Mentre rifletteva su queste bizzarre sensazioni, qualcunó bussó alla porta della camera. "Marty?" 

 

Era suo padre.

 

"Entra. Sono vestita." rispose lei, mettendo giù il cellulare.

 

Andrew fece la sua comparsa dietro la porta, già pronto per l'ufficio. "Ti do uno strappo a scuola, vuoi? Visto che Ed non passa più."  

 

"È a Yokohama, papà. Abbiamo visto insieme il servizio al tg...dai..." sbuffó lei.

 

"Lo so. Emozionante, vero? È un professionista, ora!" rispose il padre.

 

"Sì, ma stavolta abbiamo chiuso davvero. Perció non entusiasmarti." replicó lei. "Comunque devo ancora fare colazione, perció sbrighiamoci."

 

"Ti volevo chiedere...non è che tu e Ed siete in rotta a causa di quella storia, di quando mi ha visto ubriaco?" chiese il sig. Laughton, visibilmente in imbarazzo. "Francamente non ricordo nemmeno cosa gli ho detto. Mi dispiace, perdonatemi tutti e due." 

 

"Non ci pensare. Ed ha capito, poi anche lui ogni tanto ha casini con suo padre. Ogni famiglia ha i suoi problemi." replicó lei.

 

"Io speravo che questi problemi non arrivassero mai a te. Ma non preoccuparti, io e tua madre lotteremo perché tu non vada in crisi a causa nostra..." disse contrito Andrew.

 

"Papà...è da un po' che ho questa idea...forse sarebbe opportuno che io andassi a studiare in Irlanda, al Trinity College. Dopo il diploma, così mi stacco da casa...magari queste problematiche nascono anche dal fatto che io sono qui. Se tu e mamma restaste soli...potreste con calma riconciliarvi." propose lei.

 

Andrew provó dolore a quelle parole. "Non sei responsabile di niente, capito! Non dire così!! In quanto a studiare in Europa...il Trinity è un ottimo college, andrebbe bene, ma come la metti con la pallavolo? Non hai ricevuto proposte da una squadra giapponese?" 

 

"Devo capire cosa è meglio per me. Amo il volley, ma anche l'istruzione è importante. Maylin non rinuncia all'università e ha già un contratto. Io devo fare lo stesso." disse Marty. "È un fatto su cui devo ponderare."

 

"Stai cominciando ad affacciarti alla vita. Sarebbe successo, prima o poi...bello sarebbe, se l'adolescenza fosse infinita. Anche se io alla tua età già lavoravo in fabbrica." ragionó Andrew.

 

"Lo so. E non voglio vanificare quello che hai costruito prendendo il mio percorso alla leggera. Mi avete aiutato in tutte le mie passioni, ne sono consapevole." disse lei.

 

Andrew annuì. Poi si ricordó di una cosa. "Scusa...ma quel discorso del master, è ancora valido? Non te l'avevano proposto?"

 

"Sì, ma la condizione è che si vinca il campionato. E anche se succedesse, c'è Kibi in lizza con me. Saremmo entrambe meritevoli, ma sceglieranno solo una." sospiró Marty.

 

"È un bel problema..." ribatté Andrew. "Brutto che vi mettano così in competizione, siete compagne."

 

"Il fatto è che non ne possono sovvenzionare due. Quindi faranno una scelta." disse lei.

 

Laughton si accarezzó il mento. "Beh tu fai ció che devi fare...poi lascia in mano al destino."

 

"Destino?" sorrise lei. "Tu sei un ingegnere...credi al destino?"

 

"Credo che delle volte il fato ci aiuti. Nella vita è anche questione di circostanze, di incontri, di essere nel posto giusto al momento giusto. Noi dobbiamo solo impegnarci ad aiutare il destino, per quanto possiamo..." riflettè l'uomo.

 

Poi volse lo sguardo verso Gogo. "Ancora quell'insetto del cavolo...quante volte ti ho detto, di liberarti di quell'insetto del cavolo?"

 

"Ci ho provato domenica! L'ho portata fuori città e lo buttata in un prato, ma poi ho avuto paura per lei. Non ce l'ho fatta ad abbandonarla. Se deve morire, morirà in pace qui dentro.  Volevo fosse libera, ma l'idea di lei in bocca a un uccello o spiaccicata da uno scarpone mi atterrisce." spiegó Marty.

 

"Potrebbe vivere anche un anno, sai?" 

 

"Un anno?! Ma no, credo tre o quattro mesi massimo." si meraviglió Marty.

 

"Ero bravino in Biologia. Le cavallette in inverno vanno perfino in letargo e sbucano dalla terra quando la temperatura si alza. Te ne hanno data una nata da poco, quindi il suo ciclo vitale  è lungo ancora." fece Andrew. "E io non voglio insetti del cavolo in casa."

 

"Non vivrà così tanto tempo. Dai scendiamo, che ho fame." disse lei, prendendo lo zaino. 

 

🎋🎋🎋

 

Mark tornó distrutto alla sua camera spartana, nel residence a buon mercato sul mare che ospitava anche gli altri ragazzi allievi di Turner.

 

Si lasció andare sul futon e rilassó i muscoli. Non aveva nemmeno energia per una doccia.

 

Turner lo aveva messo sotto, come non aveva mai fatto in precedenza: allenamenti fra le onde del mare, corse a pieni nudi sui letti dei fiumi, flessioni, piegamenti nel fango e corsa. Sempre tanta corsa sulla spiaggia, perché lo sforzo di far andare le gambe sulla sabbia rinforzava i muscoli.

 

"Ah, sono a pezzi. Mi mancava questa sensazione." disse a voce alta.

 

Gli anni alla Toho lo avevano rammollito, Turner aveva ragione. Così come giusta era stata la decisione di Gamo di escluderlo, nonostante la sua prima reazione fosse stata di rabbia. Ma non poteva negare che rispetto a Ryoma Hino - il muscoloso attaccante nippo-uruguayano presentato dal coach come nuovo numero Nove della nazionale - la sua forma lasciasse a desiderare.

 

Doveva tornare il Mark Lenders di sempre, e a questo scopo era disposto ad affrontare tutti gli allenamenti del mondo.  

 

Gli venne sete.

 

Pensó alle parole di quella ragazza, quando sulla spiaggia lo aveva sorpreso a trangugiare una bottiglia di Coca Cola. 

Dovresti bere bevande energetiche, non questo concentrato di zucchero!!  E poi gli aveva rovesciato la bevanda nella sabbia. 

 

Come si chiamava? 

Ah sì. Maki.

 

L'aveva intravista il meriggio prima in riva al mare, si erano incrociati mentre correvano. Il mattino dopo, mentre lui era sugli scogli ad allenare l'equilibrio, era comparsa di nuovo, e stavolta gli aveva parlato.

 

Sei un calciatore? Allora non devi bere questo schifo! Lo aveva rimproverato.

 

Mark rise.

Che caratterino.

 

Si mise seduto e cercó il telefono, che durante la giornata spegneva e lasciava abbandonato in camera. Lo vide sotto il materasso del futon, forse lo aveva urtato con un calcio, senza accorgersene.

 

Vi trovó un messaggio vocale di Marty.

Lo ascoltó, stupito dalla sua iniziativa di contattarlo. 

 

Le parole arrivarono alle sue orecchie con un suono preoccupato, quasi tentennante...come se lei fosse stata un po' timorosa mentre lo dettava.

 

Lui sospiró, e attivó il microfono per registrarne un altro in risposta. 

Ma poi non lo fece. 

 

Si rese conto di non avere proprio nulla da dirle.

 

Buttó il telefono sulla spessa coperta e incroció le mani sotto alla testa. Ripensó a quella ragazza alta e slanciata.

 

Mi chiamo Maki...tu sei di qui? Non ti ho mai visto.

 

🎋🎋🎋

 

La sera prima della partita contro la Matsukami, che si sarebbe giocata in casa della Toho, Marty andó in palestra. Gli allenamenti erano finiti, ma non riusciva a tornare a casa.

 

Gli inservienti stavano tirando a lucido il linoleum del campo e l'odore forte della candeggina riempiva le narici e dava il mal di testa.

 

Vide che sugli spalti erano stati messi gli striscioni per lei: c'erano peluche di grilli, nomi scritti a caratteri cubitali, cuoricini. 

 

Se avessero vinto contro Danielle "fenomeno-della-schiacciata" Clarkson, il giorno dopo, i fans sarebbe impazziti. Se lo auguró: meritavano una vittoria del campionato, dopo anni e anni di delusioni e sconfitte.

 

Avrebbe voluto caricarsi con l'idea del grande incontro, ma non ci riuscì.

 

Mark non le aveva risposto.  

Aveva ascoltato il messaggio, e non le aveva risposto.

 

Questo la feriva.

Mai l'aveva ignorata, dunque era successo qualcosa. Forse era davvero in full immersion da allenamento, forse era irritato per le scelte di Gamo, forse...

 

(Ti presento la mia ragazza)

 

Venne percorsa da una saettata di gelosia sulla schiena. Forse aveva conosciuto qualcuna. 

 

Sì peró ora che Ed è uscito dalla mia vita non posso iniziare con un'altra psicosi su un altro tipo!! Basta Marty! Basta!!  Si rimproveró nella mente, dandosi uno schiaffetto su una guancia.

 

"Che fai, ti auto flagelli?" sentì una voce chiederle.

 

Nolan era dietro di lei. Camminó lentamente, con le mani in tasca, vicino alla ragazza. "Volevo vedere le condizioni della palestra...tu perchè sei qui? Non dovresti riposarti?"

 

"Anch'io volevo passare dal campo, mister. Per darmi la carica." rispose lei, mentendo.

 

"Ah...e sei carica, ora?"

 

"Credo di sì." rispose la giovane. Odiava dialogare con il mister.

 

"Bene, perché domani sarai tu la nostra stella, Laughton. Dobbiamo annullare la Clarkson e in difesa non ci devono essere sbavature. I tuoi amici calciatori sono partiti, quindi in quella testa ci deve essere posto solo per la partita. Chiaro il concetto?" la provocó Albert.

 

"Mister, credo che abbia un'opinione sbagliata su di me. Io sono sempre concentrata."  replicó stizzita.

 

"Tranne quando Warner e Lenders sono nei paraggi. Ma ora, i due cavalieri sono lontani e tu sei qui. E qui, hai un compito: vincere, e farci vincere. Tu e Kibi sarete i pilastri del gruppo anche domani." ripetè Nolan. "Voglio chiudere con questa esperienza in bellezza."

 

Marty non comprese.

"Che significa?"

 

"Che sono dimissionario, cara ragazza. Me ne vado. Da Settembre ci sarà qualcun altro al mio posto."'spiegó lentamente Nolan.

 

La ragazza era basita. "Ci lascia...perché?"

 

"Perché sono demotivato.  Non mi va più di allenare ragazzine. Voglio fare le cose sul serio. Me ne andró in Europa, ho accettato una proposta da una squadra inglese. Professionismo. Roba di livello." annunció Albert, con un sorriso. "Tu peró fa finta di niente con le tue compagne. Lo diró a tutte a fine torneo, vada come vada..."

 

"Ah...allora devo farle le congratulazioni. Anche se mi spiace che..."

 

Nolan rise. "Non mentire. Tu non mi sopporti, Kibi non mi sopporta...così non mi vedrete più. Ma ti voglio dire una cosa: puoi fare cose importanti col volley. Molto importanti. Hai delle doti che io ho visto solo in atlete olimpioniche. A te la scelta su cosa fare nella vita, ma nelle braccia e nelle gambe hai una fortuna. Tienlo a mente."

 

Marty lo ringrazió. "Sì mister. Non lo dimenticherò."

 

Nolan allora guardò gli striscioni, i palloncini, i pupazzi a forma di grillo già presenti sugli spalti. "I tifosi ti venerano. Ci hai messo poco a conquistarli."

 

"I tifosi amano chi vince." rispose Marty.

 

"No. Sbagli." la corresse lui. "Amano chi combatte senza arrendersi. Come la vita: la vita disprezza i pavidi. Segnati anche questo, Laughton."

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Scontro al vertice ***


Jeanine Redmond era pensierosa.

 

Stava entrando nella palestra della Toho School con le compagne della Mambo, per assistere alla finale del girone B che avrebbe decretato la loro rivale nella grande sfida del 20 giugno.

 

Le sue compagne davano per scontato che sarebbe stata la Matsukami a trionfare, trascinata dalla stella Danielle Clarkson, ma Jeanine non era dello stesso avviso: le era rimasta impressa quella giocatrice bionda, quella ragazza straniera che militava nella Toho e che si era scontrata solo una volta con lei pochi minuti. Ne aveva serbato un ricordo preoccupante: la ragazza europea era brava, molto, molto brava. 

 

Gli occhi attenti di Jeanine erano stati in grado di cogliere il suo immenso talento nella difesa, anche se in quel momento era solo una riserva e reduce da un infortunio. Non condivideva l'opinione delle altre compagne, che sottovalutavano molto la Toho. Era anzi piuttosto convinta che la loro rivale diretta sarebbe stata proprio la formazione guidata Albert Nolan. 

 

Appena entrarono nel grande spazio privato della scuola, rimasero colpite dalla quantità di striscioni e decorazioni che i supporters della squadra ospitante avevano dedicato proprio a Marty Laughton.

 

Jeanine ebbe la conferma che la ragazza aveva fatto grandissimi passi avanti da quando l'aveva vista: un amore così totale da parte dei tifosi era senz'altro conseguenza di una serie di performance brillanti. Sapeva che la Toho era arrivata così in alto in classifica soprattutto per la Laughton e la sua ottima collaborazione con Kibi Street. Le altre atlete erano solo buone giocatrici. 

Ma gli assi erano loro due.

 

"Ragazze, voglio che prestiate la massima attenzione oggi. Noi conosciamo Danielle Clarkson e il suo gioco, vorrei che studiaste molto l'affiatamento fra Marty Laughton e Kibi Street della Toho." suggerì Jeanine. 

 

Una delle ragazze si girò: "...beh ma tu pensi veramente che la Toho possa vincere contro la Matsukami?! Guarda che alla gara di andata le hanno già stracciate."

 

"Beh, ho le mie ragioni per credere che la Toho abbia delle ottime speranze. E noi dobbiamo essere preparate nel caso in cui l'affrontassimo, dobbiamo studiare i loro punti deboli e loro punti di forza. Quindi, per favore, state attente." insiste Janine.

 

Tutte annuirono e presero posto sugli spalti.

 

Un boato salutó l'ingresso delle due squadre. Gli occhi della Redmond cercarono subito l'irlandese.

 

Guarda guarda...sorrise fra sè. Ti sei tagliata i capelli.

 

🎋🎋🎋

 

Pochi minuti prima, Nolan negli spogliatoi era stato chiaro.

 

"Allora, ragazze, contro queste furie della Matsukami non è tempo di giocare di fioretto. Noi dovremmo colpire di violenza, usare tutta la nostra forza fisica. Per oggi ho ideato una novità tattica: Lara verrà schierata come titolare fin dal primo minuto." 

 

Tutte erano rimaste sbalordite, inclusa la diretta interessata. "Io? ...io mister?"

 

"Certo. Sei molto agile, hai un gran gioco di gambe negli spostamenti laterali e contro una schiacciatrice come la Clarkson sarà  importantissima la velocità. Tu e Marty dovrete fare un grandissimo lavoro in difesa, annullare tutti i suoi attacchi. Io mi fido di te." E poi si era girato verso l'europea. "...e tu ascoltami: ogni volta che sarà il tuo turno di servizio, vai in jump-spin. Quel tuo colpo è praticamente imprendibile. Oggi noi dobbiamo fare punto tutte le volte che ne avremo occasione...mi sono spiegato?" 

 

"Sì mister!" avevano risposto all'unisono tutte.

 

"Non devo ricordarvi che la nostra scuola non ha mai visto una squadra di volley arrivare a queste vette. I tifosi sono tutti lì fuori, ad aspettarvi. Oggi puó essere un giorno di gloria." aveva detto solennemente il coach.

 

"E anche i ragazzi del team maschile sono sugli spalti. Alan ha detto che lui e gli altri vogliono festeggiare la vittoria con noi! Perció diamo il massimo, ok?" aveva gridato  Kibi.

 

"Sì, capitano!!" avevano risposto tutte.

 

"Ragazze, sono sulle gradinate anche i giocatori della squadra di calcio!!! Ho visto Milton e gli altri, e Jack Lowry!! Non erano mai venuti a un nostro match!!" aveva quindi annunciato Clara.

 

"Incredibile. Lowry si è scomodato." aveva commentato sarcasticamente Nolan. "Beh, facciamo vedere a quei gradassi che anche il volley è uno sport di tutto rispetto!"

 

Esaltata da quelle parole, e con il cuore pieno di speranza, la formazione femminile della Toho Volley Club si era apprestata a scendere in campo.

 

🎋🎋🎋

 

Marty osservó le sei giocatrici dall'altra parte della rete. Avevano tutte indosso polsiere rosse, colore che simboleggiava la lotta, la passione, il fuoco. Erano scese in campo per dominare l'incontro.

 

Danielle Clarkson, il numero 1, aveva i capelli raccolti a chignon e studiava le avversarie con i suoi piccoli occhi scuri.

Aveva un'aria ferina, concentratissima.

 

Marty si preparó a una vera guerra.

Accanto a lei, Lara sembrava tesa e preoccupata: era un giovane riserva, e quello era il suo primo esordio da titolare.

 

"Ascolta, il servizio è loro. Qualsiasi cosa succeda, non devono fare punto o noi andremo in affanno immediatamente." le disse Marty. Lara era agile, ma molto minuta ed era anche la più bassa fra tutte. "Fai forza con tutto il tuo corpo, mi raccomando, se la palla arriva a te." 

 

"Sí, ci provo." rispose lei. "Mi tremano le gambe!"

 

"Calma. È la tua prova del fuoco. Prima o poi il battesimo arriva." rispose l'irlandese.  "Non spaventarti."

 

Dopo il fischio dell'arbitro, la palla venne messa in gioco con una forte battuta su Marty, che rispose di bagher senza troppe difficoltà. Kibi alzó per June la cui schiacciata si scontró sul muro di Danielle. Lara fu lesta a recuperare un'altra volta, e quindi Kibi alzó per Sandy che riuscì a schiacciare a fondo campo. La numero 6 della Matsukami non riuscì a ricevere e il servizio passó alla Toho.

 

Ci fu il primo boato dal pubblico, che servì da tonico alla squadra. 

 

Alla battuta andó Marty.

Guardó sugli spalti e vide i giocatori del team di calcio, le ragazze della Mambo, e tutte le decine di supporters che l'avevano accolta con amore fin dal suo esordio. Ripensó a com'era stata la sua vita negli ultimi nove mesi, a tutte le esperienze vissute, a Benji, a Ed, a Mark, a Lynn, Kibi, Lowry, Nolan, alla visita di Maylin e perfino a Gogo. Una nuova vita nello sport che amava, che aveva imparato ad amare di nuovo dopo tre anni di stop. 

 

Riflettè che erano stati nove mesi degni di essere vissuti. Come una gravidanza, l'inizio di una nuova Marty Laughton. 

 

Fu questo entusiasmo a spingerla in alto, più in alto di quanto avesse mai pensato di arrivare con quel servizio in jump-spin. Quando il suo colpo mandò in ginocchio un'avversaria e il pubblico esplose, si sentì in totale pace col mondo.

 

🎋🎋🎋

 

La partita fu una vera prova del fuoco.

 

Arrivarono al tie-break stremate, con Marty che quasi non si reggeva in piedi a causa dei suoi recuperi disperati. Era volata a terra una decina di volte e aveva ogni parte del corpo dolorante.

 

Lara era stata sostituita da Pam all'inizio del tie-break perché aveva dato il massimo, ma una pallonata in faccia dalla Clarkson l'aveva messa k.o.  Era tuttavia uscita fra gli applausi, perché i tifosi avevano riconosciuto il suo straordinario impegno.

 

"Sono allo stremo, Kibi." ansimó Marty. "Chiudiamola."

 

"Teniamo duro. Guarda Danielle...è sconvolta! Non avrebbe mai immaginato di trascinarci a un tie-break!!! Ha paura di noi adesso...hanno tutte paura." la incoraggió Kibi, che grondava sudore. 

 

L'arbitro fischió l'inizio dell'ultimo e decisivo set.  

 

"Forza ragazze!" sentirono un urlo dagli spalti. Era Lowry, che si era alzato in piedi e stava battendo le mani. Si rivolse ai tifosi. "Sostenetele tutti!"

 

Allora un battito di mani ritmato si levó nell'aria della palestra, per dare l'incoraggiamento finale a quelle atlete eroiche,  che si stavano battendo contro un avversario di livello molto maggiore. 

 

Stringendo i denti, arrivarono a un clamoroso 14-14. Si trattava di vincere con due punti di scarto. June si avvicinó a Kibi. "Capitano, non credo di farcela." e crolló bocconi a terra. 

 

Nolan chiese il cambio, ed entró Sue. "Dio mio...Signore...fa che arrivino alla fine." pregó il coach, che non riusciva a credere a quello che succedeva. Già quello sarebbe stato un risultato incredibile, farsi eliminare dalla Matsukami al tie break dopo aver fatto sputare sangue a Danielle Clarkson era inimmaginabile. Ma forse c'era possibilità di arrivare oltre...addirittura oltre.

 

La battuta era della Toho.

Era di turno Kibi, che ci mise tutta la forza della disperazione tentando un tiro ad effetto. 

Venne respinto dalla difesa, ma sul contro-attacco il muro di Marty e Pam unite realizzó il 15-14.

 

I fans impazzirono.

Mancava un punto. Uno solo, al Sogno.

 

Kibi riprese posto in fondo al campo, e stavolta provó di potenza. Fu la Clarkson a ricevere e la Matsukami riuscì a impostare un attacco. Ma erano esauste anche loro, e così la schiacciata fu debole e Sue salvó di bagher. Clara alzó per Marty, che vedendo le avversarie stremate, decise di tentare un colpo furbo, che normalmente non utilizzava, perchè lo giudicava disonesto. 

Una finta.   

 

Quando la palla le arrivó, simuló un colpo di potenza per poi delicatamente spingerla di pallonetto oltre il muro. Colte di sorpresa, e stordite dalla stanchezza, le ragazze della Matsukami la lasciarono cadere.

 

Il rumore del pallone che rimbalzava sul linoleum parve il suono più bello del mondo. 

 

16-14 

Set-Match.

 

Il fischio dell'arbitro liberó la gioia selvaggia dei tifosi e delle giocatrici in campo.

 

Kibi crolló a terra, sdraiata, e si mise a piangere. Marty si sedette sul pavimento, incapace di una qualsiasi reazione. Nolan e le riserve corsero in campo ad abbracciare le titolari, che non sembravano credere a quanto accaduto.

 

Marty sentì la stretta di due, quattro, sei braccia attorno a sè, e qualcuno che urlava abbiamo vinto!!

 

In mezzo al delirio di quell'entusiasmo generale, l'unica cosa che le riuscì di fare fu sollevare gli occhi e incontrare quelli di Jeanine Redmond. 

 

Vide che stava applaudendo, e vide nel suo sguardo un messaggio chiarissimo, che portava in sè una promessa:

 

Molto brava. 

Adesso peró sei mia, Laughton.

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Ansie e fremiti ***


 

Nelle giornate seguite alla grande vittoria, in scuola si respirava un'aria di feroce euforia. 

 

Pemberton era andato in deliquio per la raggiunta finalissima, e aveva donato a tutte le ragazze una medaglietta d'argento celebrativa,   per ringraziarle del grande risultato che dava lustro a tutta la Toho Academy.

 

Marty era felice, l'unica nota dolente era il continuo silenzio da parte di Mark, che forse non aveva nemmeno saputo della loro vittoria. Sarebbe stato bello riceve le congratulazioni anche da lui, ma sembrava sparito nella lontana Okinawa.

 

Nell'intervallo del pranzo, decise di provare a sentire Danny. Non era l'orario più indicato,  ma la ragazza era curiosa di sapere come procedessero le cose dopo il rimpasto portato da Gamo, e voleva anche capire se almeno con il compagno di squadra Lenders si fosse fatto sentire.

 

Abbastanza stranamente, Mellow rispose dopo appena uno squillo. 

 

"Marty! Mi hai beccato giusto in tempo, stavo andando a pranzo." lo sentì dire. Sembrava già spossato.

 

"Hey!!! Scusa...è che da un po' non ti sentivo...e sono offesa, sappilo!!" rispose lei.

 

"Haha, perché?" chiese Danny, ridendo.

 

"Non dirmi che Lynn non vi ha informati della nostra vittoria! Un trionfo incredibile...e neanche un messaggio da parte tua!" protestó lei.

 

"Sì, scusami!" si schermì Danny. "L'ho saputo, ovvio! Ma vedi, qui siamo come in un frullatore! Abbiamo giusto il tempo di salire in camera, la sera, farci una doccia veloce e poi a nanna. Gamo è inflessibile, un tenente di ferro! Ma senz'altro ti avrei chiamata..."

 

"Certo, certo... come no." scherzó lei. 

 

"Comunque...davvero tante congratulazioni! Siete state fantastiche! Chissà Pemberton come è contento!" le disse Mellow.

 

"Lo sono tutti. Io ancora non ci credo, ci è costata una faticaccia e alcune di noi sono piene di contratture...ma è andata! Ora a metà Giugno ci sarà l'ultimo passo prima della vera gloria...vedremo che succede!" spiegó Marty. "Voi, come va lì?"

 

"Direi bene, a parte che siamo tutti in pensiero per Mark e gli altri...i sette nuovi sono fortissimi, ma non fanno parte del nostro gruppo. Inserire così dal niente, degli elementi sconosciuti...ci mancano gli altri!" si lamentó Danny.

 

"Abbi pazienza, vedrai che torneranno. Ma...a proposito... Mark che dice? Lo senti?" arrivó finalmente alla domanda che le interessava.

 

"Sì, ma solo tramite messaggio. Sta bene, è distrutto dalla fatica.  Da qualche giorno non risponde nemmeno a me, comunque andró a trovarlo a breve. Credo dopo il match contro la Thailandia. Gamo ci darà tre giorni liberi." spiegó Danny. "Che tu ci creda o no, sta tornando anche Benji dall'Europa."

 

"Benji! Ma è infortunato." esclamó Marty, incredula.  

 

"Già...ma non si puó rimanere con Alan Crocker e basta. Farà un sacrificio e si aggregherà a noi pure da infortunato. Purtroppo il colpo di testa di Ed ci ha messo nei pasticci sul serio." disse Danny. "Abbiamo tre partite da giocare, una dietro l'altra. Taiwan, Guam e Thailandia. Quest'ultima è una formazione tosta."

 

"Seguiró tutte le partite in televisione...è così emozionante!" gli disse Marty. "Ma...sai Mark non mi risponde..."

 

"Oh, mi dispiace... te l'avevo detto, peró. Quando è sotto stress delle volte ignora tutto e tutti. Ma non lo fa con cattiveria. Gli diró io della tua vittoria, appena riesco a contattarlo. Sarà contento." replicò Danny, per rincuorarla.

 

"Hmm sì ok. Ti lascio andare a pranzo! Ci aggiorniamo, ok? Buona giornata." concluse Marty.

 

"A presto! Salutami Lynn..." terminó anche Danny.

 

Entrambi chiusero le chiamate. 

 

La conversazione con Mellow, invece che tirarla su di morale, peggioró il suo umore. Allora, a Danny almeno Mark ogni tanto rispondeva. E allora perché quel silenzio ostinato verso di lei? 

 

Mancava appena una settimana alla fine della scuola, e dopo sarebbe stata libera dalle preoccupazioni dello studio. 

Prima della Mambo, aveva quattordici giorni in cui si sarebbe solo dedicata al volley. Pensó che poteva usare i suoi yen guadagnati con le traduzioni per un viaggio veloce a Okinawa. Una terribile sensazione d'ansia la ghermiva come un falco.

Quelle sensazioni la facevano sentire stupida, cosa diavolo c'entrava adesso la gelosia verso Mark? Quando mai lo era stata? Immaginó che quel bacio imposto di sera, dietro un tiglio in cortile, avesse giocato la sua parte. Forse fra loro due si era rotto un argine, che come una diga aveva frenato le inibizioni di entrambi fino a quel momento.

 

Ci risiamo con i tuoi salti mortali psicologici, le disse la coscienza. Ci risiamo. Ma un po' di pace, dico io, possibile che tu non riesca a vivere in PACE ogni tanto?

 

Si rimproveró da sola finchè le lezioni non furono terminate. 

 

Per tre giorni gli allenamenti erano stati interrotti, per dare modo alle ragazze infortunate di recuperare e come premio per le altre. Rientró a casa quindi piuttosto presto, e vi trovó una sorpresa.

 

Sua madre l'accolse così: "Ti è arrivata una cartolina. Te l'ho messa in camera."

 

Marty si stupì. "Una ...cartolina? Ma chi scrive più cartoline oggigiorno?"

 

Poi corse su per le scale, piena di curiosità. Sulla scrivania, vide un biglietto illustrato. Lo prese e lo osservó con attenzione. 

 

Era il panorama di Yokohama, ripreso dalla parte del mare. Nel cielo, molti gabbiani.

 

Giró la cartolina e non vide alcuna firma. Non ci volle comunque un genio, per intuire chi l'avesse mandata. Solo una parola, scritta in ordinato stampatello, faceva mostra di sè sul retro:

 

CONGRATULAZIONI

 

🎋🎋🎋

 

Dunque, Ed aveva saputo della loro vittoria.

 

Marty ipotizzó che avesse chiamato il centralino della scuola per sapere, o forse si era sentito con Kibi. 

 

Quel gesto era esattamente nel suo stile.  Misurato, discreto, un po' misterioso. Era come dirle: so che non vuoi sentirmi dopo quello che ho combinato e allora ti sollevo dall'imbarazzo scrivendoti io ... una cartolina. Una cosa che potrai tenere come ricordo, come la mia pergamena col gabbiano. Adesso hai imparato a volare. 

 

Immaginó Ed sussurrarle proprio quelle parole  e realizzó quanto ormai lo conoscesse bene. Un po' si pentì di non averlo chiamato, di non avergli offerto supporto morale dopo quella sceneggiata di cui certamente ormai si era pentito. Ma c'era anche la consapevolezza che nemmeno lui l'aveva cercata per avere conforto,  e che in fondo se n'era andato da Tokyo senza farglielo sapere. 

 

Ed stava cambiando, evidentemente,  stava entrando in una fase in cui voleva essere lasciato solo ad affrontare i suoi problemi. Forse aveva compreso di avere esagerato, e aveva preferito tagliare i ponti con tutti quelli che conosceva, partendo da un'esperienza nuova.  

 

Non si aspettava una risposta a quella cartolina. Era un messaggio che si esauriva da solo: congratulazioni, hai fatto quello che mi aspettavo da te. Ora continua.

 

Marty, guardando Gogo che si puliva le antenne, pensó che era sola come quell'insetto. Ed l'aveva lasciata, Mark l'aveva lasciata e aveva perfino cessato di comunicare con lei. La spiegazione di Danny non reggeva: anche se a Okinawa Lenders fosse stato pieno di impegni, un messaggio breve avrebbe potuto comunque inviarglielo. Magari di sera, prima di dormire. 

Per semplice educazione. 

 

C'era qualcosa di strano.  

 

🎋🎋🎋 

 

"Ma come ha ridotto il nostro campo da softball!" protestó Maki fra sè. 

Guardó a terra, e con fastidio osservó tutta la terra rossa smossa da Mark, che si esercitava con i tiri incurante che quel terreno da anni non fosse più usato per la pratica del calcio.

 

L'aveva già rimproverato per lo stesso motivo qualche giorno prima, e per farsi perdonare, il ragazzo di Tokyo aveva accettato di giocare un po' a softball con lei, nel ruolo di ricevitore. 

 

Era stato colpito dal modo in cui lei lanciava la palla, quando tentava i suoi tiri ad effetto, e le aveva chiesto di mostrargli esattamente in che modo muoveva il braccio. Poi, l'aveva visto illuminarsi, come colto da una straordinaria idea improvvisa.

 

Le era piaciuto molto il modo in cui le aveva messo le mani sulle spalle, per chiederle di chiarire il suo gesto tecnico, e l'aveva guardata negli occhi, interessato alle sue spiegazioni. Non si era mai sentita così, aveva provato uno sfarfallio nello stomaco improvviso alla vicinanza con quel fusto tutto fisicato che aveva modi bruschi e risoluti, così simili ai suoi. Aveva anche due intensi occhi scuri, che sembravano entrare dritti in lei.

 

Per puro caso aveva scoperto la sua identità. Un suo compagno di classe era intento a sfogliare una rivista sportiva, quando aveva aperto il giornaletto su una pagina che riportava la foto del tizio. Era un calciatore giovane e molto quotato.

 

Si chiamava Mark Lenders.

 

La sola vista di quella foto le aveva dato un brivido e l'aveva fatta arrossire. Sensazioni a lei sconosciute, perché nei ragazzi fino a quel momento aveva visto solo dei rompiscatole o dei compagni occasionali di allenamento.

 

Ma...lui...

 

Maki pulì con uno scopone di paglia le linee bianche del campo da softball e poi guardó in alto, sulla cima delle colline di Okinawa. 

In quei boschi, Mark si allenava da solo.   Voleva applicare al calcio quel suo tiro ad effetto, e le aveva detto che ci sarebbe riuscito ad ogni costo.

 

Anche Maki attendeva una sfida. Una partita di softball con una scuola rivale era alle porte, e le toccava allenarsi duramente. Decise di non essere da meno di Mark, decise di impegnarsi quanto lui.

 

Mentre inizió con i tiri contro la rete, si augurò che quel bel ragazzo scendesse da lassù per assistere alla sua partita.

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Incidenti ***


"No, Kibi, ti rispiego. Loro sono impegnati nel girone D qui in Giappone, poi se superano questa fase iniziale, andranno in Indonesia. E lì dovranno affrontare la seconda parte delle eliminatorie, che comprenderanno altre squadre di altri gironi, e provenienti anche dal Medio Oriente. Tipo l'Arabia Saudita. E questa fase avverrà l'anno prossimo, da Gennaio. Quindi non è che si trasferiscono subito a Jakarta quest'estate, se ne parla fra molti mesi.” raccontó Marty pazientemente al capitano, mentre entrambe erano immerse nell'acqua calda delle terme. 

 

L'irlandese aveva mantenuto la promessa fatta a sè stessa di concedersi un momento di relax dopo scuola per qualche giorno, visto che gli allenamenti erano sospesi, e il suo capitano si era aggregata.

 

"Quindi è un torneo lunghissimo! Ma scusa il mondiale vero e proprio dove si gioca?" fece Kibi, mollemente immersa nell'idromassaggio. 

 

"In uno Stato africano, non si è deciso quale. Vogliono promuovere il calcio in quel continente." spiegó Marty. 

 

"E quando finirà?"

 

"Tra due anni, più o meno in questo periodo. Questo è solo il momento delle eliminatorie. È tuttavia una fase lunga, perché le squadre coinvolte sono parecchie. Capirai, dall'Asia al Medio Oriente." spiegó Marty. 

 

"Chiaro… peró io credevo finisse tutto quest'anno...e a Settembre quindi i giocatori che troveranno ingaggi in squadre professionistiche come faranno? Si dividono in due impegni?" chiese la ragazza giapponese.

 

"Sì, ovvio... se vengono convocati poi lasciano le squadre e si aggregano alla nazionale." disse Marty.

 

"In effetti far parte delle convocazioni è un bello stress, e che stress!" sorrise Kibi. 

 

"Sí, ma immagino sia un'emozione pazzesca." riflettè Marty. 

 

Le due rimasero in silenzio a contemplare il soffitto dipinto con disegni che ricordavano il mare.  Poi Kibi uscì dall'acqua e si avvolse con un telo di spugna. "Mi sa che provo il bagno turco...sai che non l'ho mai fatto?"

 

"Ok, ma prima aspetta un po'... o ti scende la pressione." le consiglió Marty. "Ci voleva questa tre-giorni alla spa...ho i muscoli a pezzi."

 

"Ce lo siamo meritate, direi...vero?" sorrise Kibi. "Giuro che nemmeno io mi aspettavo un risultato del genere..."

 

"Ma invece sí! Tu ci hai sempre creduto...fin dal giorno in cui ti presentasti a me...ricordi!" rise Marty. "Buttasti la tua cartelletta sul tavolo in giardino e mi dicesti: ciao! Possiamo conoscerci??"

 

"Dio...sembra un secolo fa. Tu, stai dentro ancora un po'?" chiese la compagna di squadra. "Occhio al telefono, è sull'orlo della vasca...ti cade..."

 

Marty lo spostó di qualche centimetro. "Sì, ancora cinque minuti, magari poi ti raggiungo."

 

"Ok." fece Kibi, e si allontanó verso la zona delle saune.

 

Marty chiuse gli occhi e appoggió la testa al bordo. 

 

All'improvviso, il cellulare squilló, strappandola al suo momento di pace.

Lo afferró infastidita senza neanche guardare il chiamante. "Chi è che rompe le palle?"

 

"Sei sempre la solita, DoppioZero."

 

Marty saltó seduta nella vasca. "Mark? Mark!"

 

"Ti ho disturbata?" rise lui al telefono.

 

"No, ma...perché chiami adesso?! E comunque alleluja eh... è da giorni che ti ho mandato quel vocale. Credevo fossi affogato nel mare di Okinawa." scherzó lei, emozionata di risentirlo.

 

"Ti piacerebbe... scusami. Lo so, ho ascoltato il tuo messaggio e volevo risponderti. Ho rimandato a un momento di tranquillità. E pensavo tu avessi i pomeriggi liberi dopo questa straordinaria impresa!" rise Mark.

 

"Sei insopportabile!" s'indispettì lei. "Sminuisci quello che faccio di buono..."

 

"Ma va'. Devo farti le congratulazioni, Danny dice che sei offesa perchè non ti hanno elogiato a sufficienza." continuó lui. "Se io avessi preteso grandi feste dopo ogni vittoria... ti devi abituare a vincere, oltre che a perdere." 

 

"E tu che combini, bella vita al mare, eh...?" chiese lei. 

 

"Non proprio. Mi sto allenando il triplo del solito. Voglio essere ai massimi livelli per la seconda parte delle eliminatorie. E ho anche in serbo una sorpresa per i miei compagni... un nuovo colpo." riveló lui. "Tu peró acqua in bocca."

 

"Quindi rientrerai in squadra?" chiese Marty. 

 

"Ci puoi scommettere." fece lui, sicuro.

 

"E...dove dormi? Cioè, dove stai?" domandó lei, curiosa.

 

"In una specie di residence, roba a buon mercato." 

 

Marty restó in silenzio qualche attimo. "...quindi tutto bene lì...siete solo tu e il tuo allenatore? Cioè, niente compagnia da altri?"

 

"Hm? Che intendi? Ci sono i ragazzi di Turner, ma non sto con loro. Mi alleno per conto mio..." rispose Lenders.,

 

"Quindi nessun incontro con qualche turista in bikini?" azzardó Marty.

 

Lo sentì sbuffare dall'altra parte della cornetta. "Ma che ti viene in mente? Credi che sia qui per divertirmi?"  

 

Marty si rilassó a quella risposta. Allora era a tutto a posto, le sue paranoie erano infondate. "Eddai...era una battuta."

 

"Lo spero." replicó Mark. "E poi che vuoi...sei gelosa?"

 

Lei non seppe come rispondere. Quella domanda, forse ironica, l'aveva presa in contropiede. "N-no...era una sciocchezza…”

 

"Curioso peró che ti sia venuto in mente." rise Lenders. "Ah senti...ti va di chiamare a casa mia ogni tanto? Per sapere se va tutto bene. Mia madre vuol cavarsela, non le piace chiedere aiuto agli altri, ma puó aver bisogno di qualcosa...magari una mano ogni tanto quando va a fare la spesa. Se non ti secca, ovviamente." 

 

"Figurati! Infatti pensavo proprio alla tua famiglia. In tua assenza saranno un po' in difficoltà." disse Marty.

 

"Ted fa quel che puó, ma ha dodici anni." rispose Mark. 

 

"Va bene.” promise lei. "Mark ascolta... riguardo a Ed che mi dici?"

 

"Che non mi frega niente di lui. Questo ti dico. Non doveva comportarsi così. Non si tradisce la Nazionale. Tu l'hai sentito?" chiese Mark.

 

"No. Nulla." rispose lei. Non gli accennó della cartolina. "Nemmeno un messaggio."

 

"Vada all'inferno." ringhió Mark. "contavamo su di lui."

 

"C'è Benji..."

 

"Con i polsi rotti. Certo, un infortunio che compenserá con il suo ego. Per dimostrare di essere imbattibile giocherebbe anche con le braccia ingessate.” rispose l'altro. 

 

“Non essere cattivo. Si sta sacrificando per la squadra. Con tutti i suoi difetti, almeno gli è rimasto l’onore verso il suo paese.” obiettó Marty.

 

“Umm. Ora lo difendi, ma tempo fa la musica era diversa…vero?” la irrise lui.

 

“Non ho cambiato parere. E’ solo che gli do atto di essere coraggioso. Tutto qui.” 

 

“Ma tu dove sei adesso?" volle sapere Mark.

 

"In un centro termale con Kibi. In questo preciso momento, sono immersa in una vasca di acqua tiepida con l'idromassaggio." sorrise lei.

 

"Hm. Nuda?" chiese lui. 

 

"MARK!" sbottó Marty, facendolo scoppiare a ridere.

 

"Allora ti lascio, doppiozero, mi pare che tu abbia di meglio da fare." rise il ragazzo.

 

“No, aspetta un attimo…senti… c’è una domanda un po’ stupida che vorrei farti. Puoi ridere, te lo concedo. Tu conosci per caso una tipa con i capelli molto corti, magra, alta…?” 

 

Mark rimase in silenzio qualche secondo. “Sì. Ci sto parlando adesso al telefono.”

 

“A parte me. Non so, un’amica che vive in qualche altra città…”

 

“È buffo che tu me lo chieda. Qui a Okinawa ho conosciuto una ragazza così. È una giocatrice di softball.” replicó lui.

 

Lei sentì subito l’istinto mettersi in allerta. Sentì la pelle d’oca sulle braccia. Qui a Okinawa…

 

“Chi è?” 

 

“Una ragazza che gioca a softball, ti ho detto. Le ho rovinato il campo su cui si allena praticando col pallone e mi ha fatto una piazzata. Ha un caratteraccio come il tuo…e il mio.” rise Mark.

 

“È carina?” chiese Marty.

 

“Eh?”

 

È  PIÙ BELLA DI ME?!” urló lei, non sapendo bene quale demone si fosse impossessato delle sua membra. Non controllava la sua bocca e le parole che ne fuoriuscivano erano totalmente insensate. 

 

“…stai bene?” chiese Mark.

 

“Che fai, improvvisamente ti metti a girare intorno alle ragazze?!!” insistè lei. “Hai improvvisamente scoperto che ti piacciono le donne, lontano da Tokyo?! EH, MARK?!”  

 

Click. 

Lui aveva riattaccato.  

Le aveva buttato giù il telefono in faccia.

 

Lei rimase con la mano tremante che reggeva il telefono, e il cuore che andava a mille. Non sapeva assolutamente spiegarsi cosa le fosse successo. Lo aveva aggredito con una rabbia improvvisa, incontrollabile. 

E non le era passata.

 

“Una ragazza di Okinawa.” mormoró. 

“Chi è questa troia…chi è questa PUTTANA!!!” ringhió. 

 

“Scusi, signorina!” un inserviente la tolse dal suo delirio di gelosia.

 

“Cosa?” sobbalzó lei.

 

“È una sua amica la ragazza con la treccia lunga?” 

 

“Kibi, sì! Perché?” chiese.

 

“Guardi che è scivolata nel bagno turco. Senta, dovrebbe venire…credo che si sia fatta male.”

 

🎋🎋🎋

 

“No, no…è rotto. È rotto!!!” pianse disperata Kibi. Si reggeva il gomito destro con la mano sinistra. “Mi fa troppo male!!! Marty!” 

 

“Calma, calma! Ma come è successo?” chiese l’amica, in accappatoio accanto a lei. Era accovacciata a terra.  

 

“Ho visto io, signorina. La sua amica è entrata nella stanza col vapore, ed era già pallida. Credo abbia avuto un mancamento e poi è scivolata sul pavimento. È caduta di gomito.” raccontó una signora. 

 

Nel frattempo, due operatrici delle terme aiutarono Kibi a mettersi in piedi. “Abbiamo un medico, qui. Venga.”

 

“È finita, non giocheró la finale!! È finitaaaa!!” singhiozzó di nuovo la giovane, disperata. 

 

“Magari è solo una botta! Dai, non pensare al peggio!!” la consoló Marty. Ma tremava anche lei. Con Kibi fuori dai giochi, tanto valeva subito consegnare la medaglia d’oro a Jeanine Redmond e compagne.

 

La ragazza venne accompagnata in infermeria, mentre Marty rimase fuori ad aspettare, camminando su e giù per il corridoio.

 

No, Kibi, no…Signore ti prego…

 

Dopo un buon quarto d’ora, uscì il medico a informarla. “Lei è un’amica?”

 

“Sì, per favore come sta?” chiese Marty.

 

“La sua amica ha il capitello radiale fratturato. Bisogna ingessare. Deve essere portata al pronto soccorso più vicino.” disse freddamente il dottore. “Le ho dato un anti dolorifico e un calmante, era agitata. Se lei la conosce dovrebbe accompagnarla in ambulanza.”

 

Marty rimase di sasso. “Cap-capitello radiale? Cioè il gomito?”

 

 “La giuntura del gomito, mettiamola così.” chiarì il medico.

 

“S-scusi… in quanto guarisce?” fece lei, con le labbra pallide e tremanti. “In due settimane…forse potrebbe…”

 

“Ma le va di scherzare. Ci metterà dai due ai cinque mesi.” sentenzió l’uomo. “Anche la sua amica non l’ha presa bene. Mi dispiace. Siete atlete?”

 

“Pallavoliste…” mormoró la giovane, ormai inebetita dalla notizia.

 

“Mi rincresce. Sono fratture piccole ma antipatiche. Kaori!” chiamó una delle operatrici. “…un’ambulanza.”

 

Marty guardó dentro la piccola infermeria e vide Kibi con la testa poggiata sul tavolo, che singhiozzava. 

“Hey…” la chiamò. 

 

“Come ho potuto…Marty…” pianse l’altra. 

 

“È stato un incidente. Non è colpa tua… dai troveremo un modo…” cercó di rincuorarla lei.

 

“E come?!! Io sono il capitano, la regista!! Come farete senza di me?? Vincerà la Mambo! E sarà terribile! Era il mio ultimo campionato di liceo…e guarda com’è finita…” si disperó lei. “E Nolan mi ucciderà.”

 

Marty non seppe che rispondere. 

 

Merda.

Merda, merda, merda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Momenti difficili ***


 

"E adesso che si fa, eh? Adesso sì che siamo sepolte nella merda!" si sfogó Sue, sbracciandosi esasperata negli spogliatoi della palestra. 

 

Due giorni erano passati dall'incidente occorso a Kibi, che si era presentata a scuola col braccio ingessato dalla spalla al polso, e il morale più a terra di una ruota sgonfia.

 

"...game over, ragazze, fine partita! Tanto vale che la finale non si giochi!" disse ancora la ragazza, disperata. 

 

Nolan aveva convocato una riunione straordinaria con tutte le giocatrici e in quei minuti era impegnato in conversazione privata con la Street.

 

"Vuoi smetterla?" la sgridó Pam. "Che ci possiamo fare, è stato un colpo di sfortuna. Ma non possiamo disperarci. Dobbiamo farci forza e..."

 

"....e cosa? Ma come cavolo pensi di scendere in campo senza il capitano?!! Senza la regista?Quelle ci prenderanno a calci nel sedere!" rispose Sue.

 

"Meriteresti tu di essere presa a pedate! Non si parla così, non è da sportive!! Non ci si deve arrendere!" intervenne anche Sandy.

 

"E che soluzione avresti, dai, dicci. Vuoi prendere tu il posto di Kibi? Tu, che non hai ancora imparato a schiacciare decentemente?!" replicó l'altra.

 

"Va' all'inferno." sibiló Sandy.

 

"Piantatela, piantatela!!" le interruppe June. "La finale è stata programmata e si deve giocare. Poche storie. Inoltre...sarà sul campo della Mambo, perché sono le campionesse in carica."

 

"Meglio non andare. Dichiariamo che senza il capitano non ce la sentiamo...io non vado a farmi umiliare!!" sbottó di nuovo Sue.

 

"La smetti di blaterare?" la interruppe Clara. "Umiliare, dici? Ti devo forse ricordare che il nostro primo obiettivo era quello di passare le eliminatorie di Gennaio...e siamo arrivate in finale! È già moltissimo per noi! Vada come vada, è stata un'annata trionfale."

 

Marty era seduta su una panca, con le braccia conserte e in silenzio.  Era scossa dal brutto fatto di Kibi, e come Sue si sentiva travolta dal pessimismo. 

 

La Mambo era una squadra tostissima, non solo per Jeanine Redmond, ma perchè il suo collettivo era affiatato e di ottimo livello. Non per niente, dominavano il campionato da ben tre anni.

 

Era a sua volta consapevole che senza il capitano sarebbe stata una perdita di tempo anche solo scendere in campo.

 

Era andato tutto in malora: una vittoria finale avrebbe significato l'opportunità di accedere al master della scuola, e per Kibi mettersi in luce con le squadre professionistiche; forse anche per lei, diventare campionessa di liceo poteva portare nuove proposte, oltre a quella della Hitachi.

E poi, il dolore dei tifosi: erano inebriati dai risultati straordinari delle ragazze, e non vedevano l'ora del 20 Giugno per emozionarsi alla Grande Finale. La sconfitta sarebbe stata per loro una delusione cocente.

 

"...Marty, che dici?" volle sapere Lara.

 

Lei scosse la testa e chiuse gli occhi. "È un brutto affare. Ma tirarsi indietro è impossibile. Ci tocca rivedere le impostazioni della squadra. June..." disse, rivolta alla compagna. "...tu sei l'unica fra noi ad avere anche l'inclinazione da regista. Tocca a te."

 

"...non posso sostituire il capitano. Lei sa anche attaccare. Io non sono come lei." negó la ragazza.

 

"Beh, hai una proposta migliore?!! Se ce l'hai, falla!!!" gridó Marty. "Sei tu l'unica che puó avere il ruolo di Kibi, tu e basta!!!"

 

"È inutile che ti scaldi! Se tu e lei non foste andate in quella cavolo di SPA non sarebbe successo niente!!" ribattè acida June.

 

"Ah...adesso è colpa mia??" s'infervoró la bionda.

 

"Smettila June! Non cominciare a discutere con Marty! Voi due, anzi, dovete imparare ad andare d'accordo!" disse Clara. "Fatela finita con le vostre liti da gatte isteriche!"

 

"Io non ti sopporto, se lo vuoi sapere. Da quando sei entrata nella nostra squadra improvvisamente noi siamo sparite. Anche i tifosi, non fanno che parlare di Marty, Marty, Marty! Ma noi siamo in questo team da prima di te, ci siamo fatte in quattro durante i vecchi campionati! Non è giusto che tu sia considerata il nostro asso, non è giusto affatto!!" si sfogó finalmente June. "E quei disgustosi intrallazzi con i calciatori... tu sai solo fare la gattamorta!"

 

Lara la fermó. "Ma di cosa stai parlando, sei impazzita?! Senza Marty saremmo ancora una squadra da media classifica! Sei ingiusta e maleducata!" 

 

"Pensa ció che vuoi." rispose Marty. "Non mi sorprende peró questo atteggiamento.  Tu ce l'hai con me per Mark, perché gli sono amica...e non ha mai considerato te. Dillo, è così?"

 

"Un po' più che amica. O mi sbaglio?" insistè June. 

 

"Sei una stronza invidiosa. E provo pena per te." le disse Marty. "Abbiamo un problema grosso adesso, lo capisci? E anche se odio ammetterlo tu puoi forse arginarlo."

 

"Basta ragazze." si sentì la voce di Nolan. Era uscito dal suo ufficio privato. Kibi era rimasta dentro. "Vieni, June. Ti dobbiamo parlare."

 

La ragazza lo seguì e il coach chiuse la porta.

 

"Le dirà la stessa cosa: dovrà fare le veci del capitano in regia." ragionó Clara. "Io mi domando perché siamo state così sfortunate."

 

"Ma non pensate a Kibi?" intervenne Pam. "Poverina, per anni ha retto la squadra sulle sue spalle e adesso che è il momento di raccogliere un vero trionfo, si è fatta male. Le hanno detto che non tornerà a giocare prima di tre mesi. È un'eternità."

 

"Beh, peró dall'anno prossimo saremmo state comunque senza di lei. Quindi, tanto vale abituarci." disse Lara.

 

"Sì ma non proprio alla vigilia di una finale, Cristo!!" sbottó Sue di nuovo.

 

"Ragazze, sentite." fece Marty. "È molto probabile, se non certo, che perderemo. Tanto vale allora impegnarci, e perdere con onore. Dopo un anno di fatiche, non me la sento proprio di uscire tra i fischi."

 

"Sono d'accordo." disse subito Lara.

 

"Anch'io." le fece eco Pam.

 

"Lo dobbiamo a noi stesse, prima che ai tifosi. Senti Sue, noi non saremmo neanche dovute arrivare a questo punto. Abbiamo battuto la Matsukami, che veniva data in finale da tutti. Allora io dico che se siamo arrivate qui non è stata solo questione di fortuna. Siamo state brave, tutte noi. E lasciatemi dire, che ho visto in voi uno straordinario miglioramento da Febbraio. Non siamo state solo io e Kibi." aggiunse l'irlandese. "E allora perché mollare le redini adesso?"

 

"Io la penso come te." annuì di nuovo Pam. "Ragazze, il senso dello sport non è vincere, è..."

 

"...partecipare. Sì belle queste frasi motivazionali. Peccato peró che tutta la scuola seguirà il nostro incontro. Pemberton vuole piazzare mega schermi nell'aula magna, lo sapevate? Che bella figura di cacca..." brontoló Sue.

 

"Non se ci impegneremo fino alla fine." disse ancora Marty. "Nessuno potrà rimproverarci nulla."

 

La porta dell'ufficio di Nolan si riaprì con un cigolìo. Ne uscì l'allenatore, seguito da June e da Kibi, che aveva il braccio ingessato sorretto da una fasciatura.  Il capitano sembrava vergognarsi, aveva gli occhi bassi e un'aria molto grave.

 

Parló proprio lei: "Ragazze, innanzitutto sento di dovermi scusare per questo casino. Vi ho messe in enorme difficoltà per un atto avventato. Sono entrata in una sauna pur sapendo di avere la pressione bassa e nonostante gli avvertimenti di Marty. Io sono stata una stupida. Oltre al danno causato alla squadra, mi sono giocata forse l'ultima chance di mettermi in luce con i selezionatori delle squadre di lega. Ma pazienza, questo è un problema mio. Il problema vostro, ora, è fare a meno di me. Io e il mister abbiamo individuato in June una nuova regista, e questo ve l'aspettavate. Marty..." si rivolse alla bionda. "...tu sarai capitano. Per questa finale e per l'anno prossimo. Spero accetterai."

 

Tutte si girarono a guardare la ragazza europea, che si alzó in piedi.  "Accetto con orgoglio. Ma per noi, fino all'ultimo secondo della prossima gara, il vero capitano sarai tu. Vero, ragazze?"

 

"Sì!" fu la risposta delle atlete della Toho VC.

 

A Kibi vennero le lacrime agli occhi. "Mi dispiace, io...mi dispiace davvero."

 

Le compagne la circondarono e la strinsero in un grande abbraccio generale. 

"Non è colpa tua..."

"Giocheremo anche per te, capitano."

"Ci hai trascinate fin qui..."

 

Nolan lasció che le ragazze sfogassero la loro commozione, poi le interruppe. "Questo significa che nei prossimi giorni reimposteremo gli schemi. Marty e June, dovete trovare un modo per collaborare. Non me ne frega un tubo dei vostri disaccordi, datevi la mano e da oggi mettetevi alle spalle le vostre antipatie."

 

Le due ragazze, un po' controvoglia, si strinsero la mano. Non era davvero il momento di faide personali, e Marty si auguró che anche l'altra comprendesse la situazione. June era orgogliosa e in quel momento ferita dalla faccenda di Mark. Non sarebbe stato facile costruire con lei un rapporto proficuo e in meno di due settimane. Ma che razza di alternativa c'era? Proprio nessuna. 

 

"Bene. Allora, prima di iniziare con gli allenamenti, ho recuperato il DVD della nostra prima partita contro la Mambo. Ci servirà per preparare la finale. Guardiamolo insieme. Studiamo i punti deboli delle avversarie,  la Redmond e le altre non sono dei cyborg, hanno delle lacune a loro volta. E poi penseremo alla strategia di gara. Kibi starà accanto a me come vice, in panchina. Senz'altro potrà darvi suggerimenti giusti." spiegó Nolan. "E per quanto possiamo, mettiamocela tutta."

 

🎋🎋🎋

 

Mentre Marty Laughton affrontava il momento più duro da che era iniziata la sua attività nella squadra di volley della Toho Academy, Mark Lenders affrontava un gran brutto temporale a Okinawa.

 

Il suo periodo di allenamento in solitaria era terminato, aveva messo a punto il suo micidiale e nuovo raju shot, e dopo giorni passati sulle colline boschive dell'isola, decise di far ritorno nel residence occupato da Turner e dai suoi ragazzi. 

 

Sentì i muscoli della gamba destra fargli male, li aveva sforzati moltissimo e camminare nel fango sotto quella pioggia fitta e scrosciante era complicato. 

 

Scese a valle a passó vicino al campo da softball. Vide una figura alta e snella, immobile al centro del diamante disegnato sulla terra rossa. 

La riconobbe dalla divisa della sua squadra, e dal numero di maglia. 

Era Maki.

 

Che diavolo ci faceva lì, a prendersi incurante la pioggia?

Entró sul terreno di gioco, ormai trasformato in mota dall'acqua. 

 

"Maki...! Che fai, perché ti alleni da sola?" le chiese. 

 

Era girata di spalle.

 

Quando si voltó, vide che le gocce di pioggia sul suo viso si erano mischiate alle lacrime. Stava piangendo.

 

"...ma..." mormorò lui. Poi lo sguardo si alzó verso il cartellone con i punteggi dell'ultima partita. La squadra della ragazza aveva perso, e perso male. 

 

"...ah capisco, mi dispiace."  tentó di consolarla, ma gli occhi della giovane si fecero inaspettatamente duri. 

 

"Credevo saresti venuto a vedermi." gli rinfacció. "Sono stata io a suggerirti quel tuo nuovo tiro, mi aspettavo tu venissi a vedermi!" e poi scoppió a piangere. "Mi sono allenata tanto, ma non è servito...ho perso, ho perso!"

 

Poi corse in lacrime fra le braccia di Mark. 

Lui sentì i suoi singhiozzi sul petto e non capì di cosa lo stesse accusando. Perché sarebbe dovuto andare a vederla? Mica gliel'aveva promesso. Prima Marty perdeva il lume della ragione con lui al cellulare e gli faceva una scenata incomprensibile, e ora quella se la prendeva con lui per la sua sconfitta. Ormai si era convinto che le ragazze fossero un intricato mistero e si era rassegnato ad accettare quel fatto della vita. 

 

Peró, sotto quella pioggia e nel freddo di quella giornata,   il ragazzo provó anche dispiacere per Maki. Era chiaro che fosse un'atleta ancora acerba, e inesperta di sconfitte. Perdere una partita era un gran brutto momento per chi amava uno sport  e la prima volta ci si sentiva un po' morire dentro.  

 

Perció gli sembró solo doveroso tentare di consolarla. Le mise una mano dietro la nuca e la strinse ancora di più al petto. Con Marty aveva funzionato, quella sera che era fuggita sconvolta da casa di Ed per cercare aiuto da lui.  Infatti, anche Maki sembró calmarsi.

 

"Se vuoi piangere, piangi. Sfogati. E la prossima volta, usa la rabbia che senti ora per dare il meglio." le disse con una dolcezza che stupì perfino lui.

 

Lei non se lo fece ripetere e lasció uscire da sè tutta la frustrazione e l'amarezza di una partita  preparata da settimane e persa malamente. Stringersi al petto ampio e accogliente di Mark fu come entrare in una dimensione rassicurante e ovattata che sentiva solo lei, e che le fece scordare perfino il fatto di essere sotto la pioggia. Mentre il battito del suo cuore accelerava, sentì anche quello di lui. 

 

Rimasero cosí, abbracciati sotto l'acqua, dimenticandosi di tutto il resto.

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** La ragazza di Okinawa ***


 

Quella domenica mattina, Marty si alzó presto. 

 

Aveva preso accordi con la signora Anne Lenders per accompagnarla in un ipermercato vicino a casa sua, e aiutarla con la spesa prima dell'inizio della settimana.

 

Mentre era impegnata a prepararsi la sua colazione, venne raggiunta dal padre, che si era a sua volta alzato di buon ora per la sua consueta sessione di jogging domenicale.

 

"Come mai sei su così presto?" volle sapere Andrew . "Non mi dire che ti alleni anche oggi?"

 

" No. Ho promesso alla madre di Mark di aiutarla con la spesa stamane... anzi, fammi il favore di dire alla mamma che io a pranzo non ci sarò. È sicuro che la signora mi chiederà di mangiare con loro, e di fare compagnia ai suoi bambini. Quindi non contatemi. Vedrò di tornare nel primo pomeriggio, ok?" rispose Marty. 

 

"E quando studi, si può sapere? Fra pallavolo, e impegni personali, io non ti vedo quasi mai sui libri, Marty." obiettó suo padre. 

 

"Ma papà non è vero! Ho buoni voti. Non sono per niente preoccupata per la fine dell'anno. Ci manca solo un test a scuola e poi saremo tutti liberi. Sono molto più angosciata per la finale di volley, l'infortunio del nostro capitano proprio non ci voleva..." si lamentò Marty. 

 

"E quelle traduzioni, le fai ancora?"

 

"Sí, infatti oggi vado dai Lenders anche perché la signora deve darmi un ulteriore plico da tradurre da parte di quel commerciante" rispose Marty, imburrando la sua fetta biscottata integrale.

 

" ...mentre quest'estate, come pensi di organizzarti? In agosto vuoi partecipare davvero agli allenamenti con quella squadra professionistica?" volle sapere ancora il signor Laughton. 

 

" La mia intenzione sarebbe quella, ma se dovessimo perdere la finale non è escluso che questa squadra non mi convochi più. Possono anche perdere tutto l'entusiasmo che hanno ora nei miei confronti. Che ti devo dire, vedremo." rispose Marty, che era davvero preoccupata per quella faccenda.

 

"Ok, e a luglio?" insistè suo padre. "Io e tua madre vorremmo andare in vacanza in Costa Azzurra, gliel'ho promesso da tempo e sai che il rapporto fra me e lei in questo momento necessita di essere ricostruito. Ma tu che farai in quel mese? Senza scuola, e senza impegni di pallavolo, dovrai organizzarti anche tu un viaggetto da qualche parte. O pensi di rimanere tutta l'estate qui a Tokyo?" indagó Andrew. 

 

" Oh cribbio, papà, non lo so ancora! Fammi almeno terminare l'anno, e ho anche in mente la finale di volley adesso. Per le vacanze mi organizzerò da qualche parte, il Giappone è pieno di luoghi marittimi, anche all'ultimo momento posso sempre raggiungere qualche località turistica." rispose lei,  un po' stizzita. La verità era che aveva avuto dei piani con Ed per quell'estate, e la rottura fra loro aveva complicato anche la faccenda delle vacanze. Non le andava molto di andare al mare con un'amica, avrebbe di gran lunga preferito la compagnia di un ragazzo. 

E poi, quale amica? Solo Lynn, al limite. Quella chiacchierona pettegola. Le avrebbe fatto venire l'emicrania.

 

"Ah senti... ieri ho visto la partita degli Yokohama Flügels in TV. Sai che Ed è entrato in campo gli ultimi venti minuti? Il risultato era già sul 3-0, ma lui ha fatto due parate molto buone. Però, mi ha davvero scioccato il fatto che abbia abbandonato la nazionale. Ma tu non lo senti, non gli hai chiesto che gli è preso?" domandó l'uomo.

 

" Ci siamo lasciati, te lo ripeto per la quinta volta. Non lo chiamo, non so cosa gli è preso, francamente non mi interessa neanche. Ti prego non parliamo più di Ed." taglió corto la ragazza. "Ma il campionato della J- League non è finito?" 

 

" No, mancano due turni. Hanno fatto esordire lui sul finire del match, forse per testarlo appena arrivato. Si è comportato bene, ho visto. Tu peró, sei davvero intrattabile! Comincio a intuire perché sia finita male fra voi!! Hai tanto in comune con tua madre, ci vorrebbe un santo per sopportarti..." sbuffó il padre.

 

" Sì ok, va bene... Diciamo che è stata colpa mia e chiudiamola qua. So che ti dispiace che io non sposi un calciatore miliardario, ma così è, pare." rispose male Marty. 

 

"Non mi sembra di aver mai accennato al fatto che volevo che tu sposassi Ed! E' solo che mi è sembrato un bravo ragazzo, avrà dei suoi limiti caratteriali, ma mi è parso un tizio con la testa sulle spalle. Infatti è arrivato lì dove voleva arrivare, in una squadra professionistica. E poi, quella sera che è stato qui mentre io ero ubriaco, è stato molto paziente. Un altro sarebbe scappato via subito. Non so che dirti, ma secondo me hai lasciato andare un tipo che ha delle ottime qualità umane..." riflettè Andrew.

 

"Scusa, ho finito, io vado." lo interruppe Marty, poi lavó la sua tazza, prese la borsetta e il giubbino di denim e uscì di casa di gran carriera. 

 

Suo padre di Ed Warner non sapeva proprio niente. Altro che limiti caratteriali. Era uno in grado di sfasciare un pesante tavolo in mogano a pugni, se veniva contraddetto. Un po' distante dall'ideale di Marty Laughton sull'uomo da sposare.  Sulla sua bilancia personale, gli episodi negativi pesavano più di quelli positivi, e non poteva farci niente.

 

Passó davanti a un'edicola e sbirció i quotidiani sportivi. Adocchió un titolo: La Yokohama Flügels batte il Gamba Osaka per 3-0. Esordio del giovane Warner sul finale di stagione.

 

Decise di acquistare la copia, incuriosita, e leggere tutto il pezzo.

 

Andó alla fermata del bus e attese seduta su una panca sotto al sole. 

 

All'interno del lungo articolo, era presente un'intervista proprio al portiere, rilasciata dopo il match.

 

D: Ottimo esordio

 

R: Sì. Il mister mi ha fatto entrare negli ultimi venti minuti per farmi testare una partita ufficiale, ero emozionato ma penso di aver fatto il mio dovere.

 

D: Ha destato scalpore il tuo abbandono della nazionale under 19. Cosa puoi dire al riguardo?

 

R: Non ho dichiarazioni da fare. Se Freddy Marshall riterrà di parlarne alla stampa, saprete da lui. 

 

D: Benjamin Price è stato richiamato in fretta e furia dalla Germania e mentre è ancora infortunato. Come hai accolto la notizia?

 

R: Con stupore. Ma faccio a Price i miei auguri.

 

D: Seguirai le eliminatorie asiatiche?

 

R: Credo di no. D'ora in poi voglio dedicarmi solo a questo club e ai suoi tifosi.

 

Un'intervista breve, e piuttosto asettica. In perfetto stile Warner. Ed non era mai stato un grande oratore.  Marty chiuse con un sospiro il giornale e si chiese quale sarebbe stata la prossima novitá spiacevole quell'estate.

 

I fattacci della Nazionale di calcio, l'infortunio incredibile di Kibi, la brusca frenata nella sua amicizia con Mark. 

 

E riguardo a Lenders, il ricordo della loro telefonata la mise in guardia prima dell'incontro con sua madre. Forse il ragazzo l'aveva già informata della loro infelice discussione. E come l'avrebbe giustificata con Anne? Sapeva di avergli fatto una scenata senza senso.

 

Il bus arrivó accompagnato dal pesante rombo del suo motore, e persa nei suoi pensieri, Marty saltó su.

 

🎋🎋🎋 

 

"Ti devo davvero ringraziare, Marty. Il tuo aiuto è prezioso." le disse Anne, mentre entravano nell'ipermercato. La signora prese un carrello. 

 

"I suoi figli dove sono?" chiese la giovane.

 

"Il nostro vicino di casa li sta curando. È un artigiano, lavora nella sua abitazione e intanto li sorveglia mentre giocano. Tu poi stai con noi  a pranzo, vero? Non ti permetto di rifiutare." disse la donna.

 

"Accetto. Ma a patto che paghi io il mio cibo. Tra l'altro sono a dieta, mangio solo riso integrale e verdure da un po' di giorni." sorrise lei.

 

"Ancora a dieta! Ma se sei trasparente!" si meraviglió Anne Lenders. 

 

"Eh invece mi tocca perdere qualche etto..."

 

"Mark non si è fatto sentire con te?" le chiese la donna. "Con me no, negli ultimi giorni, ma credo sia finito il suo periodo a Okinawa. Mi aveva detto che sarebbe andato là per un paio di settimane." 

 

Marty non se la sentì di mentire. "Sí, c'è stata una breve telefonata. Ma chiusa presto, non ci siamo dilungati. Era stanco per l'allenamento."  

Omise la loro discussione.

 

"L'idea di lui con quel Turner non mi fa stare serena. Non è altro che un ubriacone, e inutilmente crudele con i suoi allievi. Ha tirato fuori l'aggressività di mio figlio e questo non mi è piaciuto." disse Anne.

 

"Ma Mark si fida di lui..."

 

"Perché non ha un padre. Il mio ragazzo non lo ammette, ma ha sempre sentito la mancanza di mio marito. E gli somiglia, anche." raccontó la donna. "Quando è morto in quell'incidente, io piangevo, gli altri miei figli piangevano. Ma Mark, no. Lui anzi, nei suoi dieci anni, provó subito a scuoterci. Ci disse: perché piangete? Si puó sapere a che serve piangere? E non lo vidi mai versare una lacrima. Poi, capì subito che c'era bisogno del suo aiuto per far campare la famiglia. E si mise sotto, col lavoro, quando ancora era alle elementari."  

 

Marty sentì il cuore stringersi.

"Signora, so che suo figlio è eccezionale. Non deve ricordarmelo."

 

"Ma non significa che sia fatto di pietra.  Anche lui ha sofferto in privato per la tragedia di suo padre. E credo che tutti i suoi stati d'animo abbia imparato a mascherarli dietro quell'aria sprezzante. Per non farsi vedere debole. Infatti, ci speravo che fra te e lui nascesse qualcosa anche per toglierlo da quello stato di isolamento. Per farlo sciogliere un po'. Mi sembrava che tu fossi sulla strada giusta. Poi, hai trovato la tua felicità con Ed e tutto si è interrotto." disse Anne. "Naturalmente sono felice per voi due, non fraintendermi..."

 

"Signora, credo non sappia che fra me e Ed è finita. Ci siamo piantati." confessó lei.

 

"Oh, sul serio?! Non sapevo!! Scusami!!" si imbarazzó la donna. 

 

"Non importa. Certo Mark non l'ha informata." replicó Marty. 

 

"No, davvero!" ripetè la signora. "Altre discussioni?"

 

"Ed è un ragazzo non adatto alle relazioni, secondo me. Pensa solo per se stesso. Non mi sentivo davvero serena con lui. Certi tratti caratteriali nelle persone sono immodificabili." ragionó Marty. "Ha un cuore buono, ma è il suo cervello che ogni tanto va in tilt."

 

"Accidenti." sospiró Anne. 

 

"...adesso lei spererà che mi metta con Mark..." scherzó Marty.

 

"No vedi...c'è un fatto..." mormoró Anne. "L'ultima volta che ho sentito mio figlio è stata una settimana fa. Tra le altre cose mi ha detto che ha conosciuto una ragazza. Non si è soffermato troppo in descrizioni, ma mi ha stupito solo il fatto che me l'abbia detto. Insomma, Mark conosce un sacco di ragazze. Compagne di scuola, tifose. Tutte invisibili, per lui. Tu sei stata l'unica di cui lui mi abbia mai parlato...tu e quest'altra di Okinawa. Infatti ti confesso che quando me l'ha detto io ero anche contenta. Insomma, credevo tu fossi uscita dalla sua vita per stare con Ed...e mi sono detta: magari con questa ragazza nascerà qualcosa. Magari finalmente anche Mark avrà un amore, una relazione..e…ma Marty, stai bene?"

 

La donna osservó il volto della ragazza, fattosi improvvisamente pallido. 

 

"Marty?" 

 

La ragazza le afferró un braccio. "Signora, quando usciremo da questo posto, le chiedo di sedersi con me a un bar, le offro un caffè. E per favore, mi dica esattamente cosa le ha detto Mark su questa...questa ragazza di Okinawa. Ogni particolare. Ogni cosa che si ricorda le abbia detto. Perfino il tono della sua voce. Tutto."

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Vecchie fiamme ***


Le partite contro Taiwan e Guam vennero vinte entrambe dalla nazionale giapponese. Quella contro il Guam si riveló particolarmente interessante, perché permise alla giovane stella Rob Denton di mettere in luce le sue qualità. Era un ragazzino aggregatosi da ultimo alla Nazionale, e per via della sua permanenza in Italia e lontano dalla madrepatria, le sue doti erano ancora piuttosto sconosciute.

 

In porta era stato schierato Alan Crocker per entrambi i match,  evidentemente perché Benji non aveva retto i primi allenamenti, visti i polsi ancora in disordine.

 

Marty e suo padre avevano seguito entrambi gli incontri con grande coinvolgimento. Lei si era emozionata quando aveva visto il suo amico Danny Mellow ripreso dalle telecamere, ed era stata contenta per lui.  Finalmente aveva visto all'opera anche il campione Oliver Hutton, che le aveva fatto un'eccellente impressione tecnica. Aveva una capacità nell'impostare le azioni degna dei campioni internazionali, perfino suo padre ne aveva tessuto le lodi. Come persona,  dalle inquadrature aveva avuto l'impressione che fosse un bravo ragazzo, dall'aria semplice e molto sorridente. Si vedeva tuttavia che attirava il rispetto dei compagni, da come si rivolgevano sempre a lui per chiedere indicazioni, a gioco fermo. 

 

Ogni tanto i cameramen riprendevano la  panchina, e aveva scorto anche Benji nella sua classica postura a braccia incrociate e con quell'aria vagamente seccata. Seguiva le azioni e s'innervosiva come se fremesse all'idea di entrare, a volte scuoteva il capo. 

 

"Ecco il tuo amico." le aveva detto il padre. "Sarà nero per non poter giocare. Che diavolo è tornato a fare dall'Europa, se è infortunato?"

 

"Per stare vicino ai compagni, forse. Perché crede che con la sua presenza darà loro coraggio." aveva ipotizzato lei. "Inoltre Benji è molto preparato sulle altre squadre. È una specie di match analyst."

 

"...un?" 

 

"Uno che analizza gli incontri. Che pensa a degli schemi per mettere in difficoltà l'avversario." chiarì Marty.

 

"Ma non lo fa l'allenatore, questo?"

 

"Sì, ma anche i giocatori più esperti. Lui da anni è in Europa, la sua preparazione sul calcio internazionale torna di sicuro utile a Gamo." rispose la ragazza.

 

"Ma pensa..." si meraviglió Andrew.

 

Mentre la TV mostrava immagini delle partite,  Marty aveva pensato che l'assenza di Mark pesasse terribilmente. Mancava come il sole nel deserto. Certo, Holly era un fenomeno, era un piccolo Maradona, come lo definiva suo padre, ma la forza e la potenza del capitano della Toho, la sua grinta trascinatrice in campo erano ineguagliabili. 

 

Di lui, e degli altri sei esclusi, tuttavia, ancora non c'erano notizie.  Tre settimane erano passate dalla partenza di Lenders per Okinawa, e non era tornato.  Chi invece sarebbe partito per andare a trovarlo, dopo il match contro il Guam, sarebbe stato Danny.  Anche lui voleva vederci chiaro su cosa il suo capitano stesse combinando nell'isola del sole. Si stava trattenendo lì più del dovuto.

 

Lei, piena di vergogna per la spiacevole conversazione avvenuta l'ultima volta che si erano sentiti, non aveva avuto il coraggio di chiamarlo.   

 

E la chiacchierata al bar con la madre l'aveva, se possibile, riempita ancora di più di preoccupazione.

 

«Marty io davvero non so cosa pensare. Mark non mi ha detto molto di questa ragazza. Solo che è un po' buffa e lo diverte. Si sono conosciuti su una spiaggia, hanno parlato, mi ha detto che gioca a baseball o qualcosa di simile. Ma dimmi, cosa ti turba?»

 

Lei aveva tentennato.

 

Ma la signora aveva compreso alla svelta. «Senti un po' di gelosia?»

 

«Signora, credo di sì. Ho considerato esclusiva la mia amicizia con suo figlio, mi è stato vicino spesso...sa, per la faccenda di Ed. E poi è vero, lui non ha amiche...io sono stata l'unica a frequentare casa vostra. Mi pareva di avere un posto privilegiato nella sua vita. So che è stupido, mi scusi....»

 

«Capisco molto bene. E ti avevo anche detto che lui per te aveva una simpatia particolare. Trovo comprensibile la tua gelosia. Certo che sfortuna, ora che il tuo cuore è libero lui è lontano. Se fosse stato un altro momento...»

 

«Ma lei ha l'impressione che Mark sia interessato a questa ragazza?»

 

«Gli piace la sua personalità, credo. Rideva mentre parlava di lei, ha raccontato che è un tipetto vivace...io non so che dirti.  Vorrei aiutarti, ma mio figlio è un mistero anche per me, specie su queste cose. Ma se vuoi, posso...»

 

«No! La prego, con lui non faccia accenno a questa conversazione. Sono solo pensieri miei, fra l'altro in questo momento sono stressata da molte cose...magari mi sto facendo film mentali inutili...non gli dica niente. Lo lasci allenare tranquillo. Per favore, no.»

 

«Come desideri. Avrei tanto voluto che tu e lui affrontaste i vostri reali sentimenti e aveste provato a volervi bene. Ma forse bisogna lasciare che le cose facciano il loro corso. Magari incrocerete la vostra strada più avanti. Quando sarete pronti.»

 

Marty era stata zitta a quell'ultima osservazione.  Le era sembrata una conversazione così simile a quella avuta con Sakura Warner mesi prima, simile in modo preoccupante. Era come se ci fosse uno schema predefinito nelle sue storie con i ragazzi: un lento girarsi intorno, poi un lento avvicinarsi, poi schermaglie, esplosioni di intimità e poi distacchi, e interventi della madre del diretto interessato. 

 

Forse devo rivedere il mio modo di interagire con il prossimo. Forse Maylin ha ragione: sono troppo confusionaria.

 

Solo che, in quella particolare questione, la sua confusione le aveva fatto perdere un rapporto importante con una persona speciale, che adesso si era spinta nella rete di una pescatrice di Okinawa.

 

Ragionava su questo, in camera sua, mentre cambiava i laccetti delle scarpe da volley. Ne aveva presi un paio blu e bianchi, per omaggiare i colori della nazionale di calcio giapponese. I Samurai Blu.

 

Squilló il telefono.

 

Vide che era Danny in videochiamata.

 

Attivó la camera. "Ciao! Che onore, vedo il tuo faccino!"

 

"Ciao!! Ti chiamo in questo modo perché volevo presentarti  una persona..." rispose lui, e inquadró il volto di un giovane, lì accanto a lui.

 

Oliver Hutton.

 

Marty sentì quasi l'impulso di alzarsi in piedi, in soggezione di fronte al Pezzo Da Novanta di tutta la batteria da fuoco giapponese.

 

"Oh, ciao...piacere!" balbettó, imbarazzata.

 

"Piacere mio!" sorrise lui. Aveva lo sguardo buono. "Danny ci parla molto di te!"

 

"Ah...s-sì? E perché?"

 

"Dice che sei un fenomeno della pallavolo. E che diventerai famosa." rispose Holly. "Ci teneva che io ti parlassi."

 

"A me? E perché?" 

 

"Perché mi hai detto dell'infortunio di Kibi. E mi hai detto che siete tutte demoralizzate. Penso che Holly sia la persona adatta per darti un consiglio." intervenne Mellow. "Gli ho spiegato tutto."

 

"Ah, gentile da parte vostra pensare a noi. Purtroppo c'è poco da fare. Siamo in enorme difficoltà senza il capitano. Ci siamo comunque ripromesse di perdere combattendo!" replicó lei. 

 

"Senti, io non ti conosco, ma posso dirti una cosa: una squadra non gira mai attorno a un giocatore solo." s'inserì Holly. "Per quanto bravo. Nessuno è insostituibile, neanche il capitano. Guarda noi, siamo senza Tom, Mark, Patrick e altri importanti elementi. Ma abbiamo vinto. E poi, è sbagliato entrare in campo con l'obiettivo di perdere."

 

Marty sorrise, un po' a disagio all'idea di parlare con quel ragazzo così popolare. "Sì, ma ci sei tu, no? Ho sentito abbastanza parlare di te, ho idea che tu sia uno di quei giocatori che risolvono da soli le partite."

 

"Non è affatto vero. Il successo di una squadra è sempre e solo nel gruppo. Non esistono partite impossibili." obiettó Holly. "Se devo darti un consiglio, è questo: fidati di più delle tue compagne."

 

Marty annuì. "Beh, ci credevo anch'io fino a quando abbiamo perso Kibi...poi..."

 

La conversazione s'interruppe perché qualcuno strappó il telefono di mano a Danny. Le immagini divennero mosse, e sentì Holly e l'altro protestare. "Ma no, ridammi il telefono! Hey!"

 

"Ma che fai, stavamo parlando..." esclamó Holly verso il misterioso disturbatore.

 

"Un attimo solo, Mellow." rispose una voce che lei conosceva bene.

 

L'immagine tornó ferma, e Benji Price apparve sullo schermo. Aveva un'aria divertita.

 

Marty s'innervosì subito. "Toh, chi si rivede."

 

"Sempre stupenda." le disse il ragazzo. "E mi piace quel taglio. Sembri più raffinata e adulta."

 

"Grazie. Sei il primo che apprezza questo look."

 

"Mi piace anche quel gingillo al tuo collo..." fece lui, notando il ciondolo a forma di farfalla.

 

Lei se lo mise dentro lo scollo della maglietta. "Sì. Ti ringrazio. In effetti è molto bello."

 

"Hai aperto il mio pacchetto eh, signorina Non -Voglio-Regali-Da-Te-Brutto-Maiale...?"scherzó Benji. "Bello sapere che lo tieni addosso."

 

"Guarda che riattacco subito. L'ho accettato come pegno di scuse. E il colore verde mi ricorda l'Irlanda. Lo tengo come portafortuna. Nient'altro." replicó lei.

 

"E fortuna te l'ha portata eccome. Kirk mi ha informato dei tuoi successi nella pallavolo. Brava la mia farfalla. Con Ed non ti sei bruciata, allora..."

 

"Ma che fai, spii la mia vita? Che ne sai di Ed?" gli chiese lei.

 

"Indovina. Ho fatto il quarto grado a Danny, era un po' restio a parlarmi...ma poi mi ha raccontato che siete stati insieme per tre mesi.   Vero Danny?" chiese ad alta voce.

 

"Mi voleva strappare le orecchie, Marty! Ho dovuto dirglielo!!" sentì Mellow urlare.

 

In sottofondo, partì qualche risata. Perfino lei non trattene un sorriso. "Ma dove siete?"

 

"Nella sala comune dell'albergo. Gamo tra poco ci deve parlare. Comunque..." Benji abbassó la voce e si portó in un angolo della sala. "...ho pensato a te. Mi sarebbe piaciuto che tu fossi stata qui con noi." 

 

"Hai pensato così intensamente a me da slogarti i polsi addirittura." lo provocó lei. 

 

Benji alzó le sopracciglia e rise. "Bella battuta...elegante. Comunque se lo vuoi sapere me li sono fratturati giocando. I calciatori in Europa non vanno per il sottile. Ma non nego di averne dedicata qualcuna a te..." e le fece l'occhiolino.

 

"Qualcuna di cosa?" fece lei, poi capì. "Ma...che schifo!"

 

"Hai iniziato tu!! La mia piccola farfalla maliziosa...e con Ed, che hai combinato, allora? È arrivato in porta con te?" la stuzzicó lui.

 

"Questa chiacchierata prende una piega che non mi piace." protestó lei.

 

"...lo interpreto come un no. Warner è un imbranato, oltre che un arrogante presuntuoso. Sono venuto fin qui per rimediare alle sue cazzate, spero tu lo sappia."   disse Benji, improvvisamente serio. "Patetica la sceneggiata del tuo Grande Amore...oh scusa, ex Grande Amore."

 

"Non mi riguarda. Non lo sento da quando ho saputo. Anche a me quel fatto non è piaciuto." rispose lei.

 

"Ricordi cosa ti dissi a cena al Towers? Ed non è che un invidioso. Così immaturo da aver perso anche una come te. E a proposito, per me è ancora valido quel discorso... se vuoi vedermi, sai dove sono. Puoi venire qui qualche giorno, a trovarci e darci un po' di morale." le disse Benji.

 

"Vuoi dirmi che non hai una donna in Germania? Tu?" chiese lei.

 

"Chi l'ha detto che non ce l'ho? Forse ne ho una, o due. Ma ogni tanto penso a te, anche se credevo che sarebbe stato facile archiviarti." le disse Benji.

 

"Archiviarmi, come una pratica eh? Non ti passa proprio quell'aria snob, non criticare Ed. Non sei meglio di lui. Ti ho visto l'altro giorno in TV. Sempre con quella faccia da sostenuto." lo rimproveró Marty.

 

"Sostenuto? E perché? I miei compagni si aspettano che io corregga i loro errori, stavo osservando la gara." replicó lui. 

 

"Sei fortunato che Mark non sia lì. Non avrebbe apprezzato di farsi correggere da te." disse lei.

 

"Mark non è qui, peró. È a Okinawa, a spassarsela." rise Benji.

 

A spassarsela? pensó Marty, e sentì una sensazione gelida lungo le spalle.

 

"In che senso? Io so che si sta allenando come un pazzo..."

 

"Non è lì solo ad allenarsi. Quello ha capito tutto della vita, cara Marty." aggiunse Benji, e di nuovo l'immagine si fece disturbata. "Tieni, Mellow. Rieccoti il tuo prezioso cellulare. Ciao farfallina, il piccolo Danny fa i capricci!!!" 

 

"Eh piantala, Benji." disse il diretto interessato, riprendendo il suo telefono. "Scusa Marty. Allora..."

 

"Danny, mi chiamano, devo chiudere. Ciao." disse brutalmente Marty, e pigió il tasto  rosso sul display.

 

Poi buttó l'Iphone sul letto, e si portó le mani al viso.

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Fuga sotto la luna piena ***


 

Danny Mellow scese dall'autobus. 

 

Venne investito da una forte folata di vento che veniva dal mare, e che gli portó nelle narici il profumo salmastro dell'acqua.

 

Era arrivato a Okinawa da poche ore, e dopo essere passato dal residence in cui Mark aveva il suo alloggio e aver parlato con gli allievi di Turner, aveva deciso di raggiungere il suo capitano, che si stava allenando da solo sulla spiaggia.   

 

I ragazzi gli avevano spiegato che Mark passava gran parte della giornata in riva al mare, per migliorare il suo equilibrio esercitandosi con le alte onde dell'oceano. 

 

Il suo vecchio allenatore Jeff Turner era stato contento di rivederlo. 

 

«Mi fa piacere che tu sia qui Danny. Mi sembri più robusto. Congratulazioni per le due partite vinte contro Taiwan e Guam.»

 

«Salve, sig. Turner. Non credevo avesse messo in piedi una nuova scuola calcio. Ma quando Mark mi ha detto che veniva qui, ho capito che doveva esserci sotto lei.» aveva ribattuto il ragazzo.

 

«Sei sempre stato un tipo sveglio. Il tuo capitano è in spiaggia, se vuoi parlagli. E se desideri puoi allenarti anche tu con noi. Vi aspetta la partita contro la Thailandia, e non sarà una passeggiata, ragazzo mio.»

 

«È stata posticipata, per questo ho pensato di venire qui ora. Ma Mark ha intenzione di tornare? Lo stiamo aspettando tutti.» aveva chiesto Mellow.

 

«Ma certo che tornerà. Ora è pronto. Voglio vedere se Minato Gamo avrà il coraggio di escluderlo ancora.» aveva sorriso Jeff. «Non era molto in forma quando è venuto qui, ma ora ha ripreso il controllo delle sue capacità e del suo potenziale.»

 

Danny si guardó intorno e non vide nessuno. Quell'immensa distesa di sabbia dorata pareva sul serio un deserto, non fosse stato per l'azzurro turchese del mare. Mise la mano davanti agli occhi per proteggersi dal riverbero del sole,  e fu allora che vide un puntino muoversi in lontananza. Era una persona che correva sulla rena, ed era in avvicinamento.  

 

Danny entró in spiaggia, togliendosi le sneakers, e corse a sua volta. Guardò meglio. 

 

Sì, era Lenders.

 

"Mark!! Hey Mark!!" lo chiamó.

 

Vide la persona girare nella sua direzione e sbracciarsi in segno di saluto. 

 

I due si incontrarono sotto al sole.

 

"Danny. Ce l'hai fatta ad arrivare." esordì Mark.

 

"Cavoli, ma questa località non la conosce nessuno! All'aeroporto ho faticato a capire quale autobus prendere per raggiungere questo paese." si lamentó Danny. "E anche per venire in questa spiaggia. Comunque, ti trovo in formissima." 

 

Era vero. 

Mark era un po' dimagrito, ma il suo tono muscolare era perfetto.

 

"Jeff ha scelto un posto defilato per fondare la sua scuola. Sai com'è fatto, non vuole curiosi in giro nè distrazioni per i ragazzi." rispose Mark. "Ho seguito le due partite. Molto bravi."

 

"Sì!" sorrise Danny. "Per ora il capocannoniere è Holly...ma aspettiamo te!"

 

"Sto per tornare, Danny. Ancora un paio di giorni. Tu rimani qui con noi?" chiese Lenders.

 

"Certo! La prendo come una vacanza."

disse lui.

 

"Non ci sono vacanze! Se vuoi stare, devi allenarti. Questo non è un villaggio turistico e la gara contro la Thailandia sarà una storia diversa. Guam e Taiwan sono formazioni mediocri." lo rimproveró Mark.

 

Mellow sospiró. "Ma gli allenamenti di Gamo sono stati durissimi!  Ero venuto qui anche per riprendermi." 

 

"Beh allora fai un biglietto per le Hawaii e vattene lì. Non ci si puó rilassare." ripetè Mark. "Siamo nel pieno di un torneo internazionale."

 

Danny si rassegnó. "Senti, Mark... non dovevi tornare dopo due settimane? Perchè questa terza in più?"

 

A quella domanda, il ragazzo guardó verso il mare e sorrise. "Affari miei."

 

"E senti anche questo... Marty mi chiede spesso come stai. Ma non vi sentite?" domandó l'altro.

 

Lenders incroció le braccia sul petto. "No."

 

"Beh... dovresti. Sai che lei ti stima molto, e sta passando un momento duro. Kibi si è infortunata, salterà la finale contro la Mambo Volley. Non ci voleva." gli disse Danny.

 

"Kibi è fuori gioco?" chiese Mark.

 

"Si è rotta un gomito, brutto affare. Marty è responsabilizzata come nuovo capitano, ma ha molta paura. Se tu potessi..."

 

"No, ho detto." replicó freddamente l'altro.

 

"Perché? E quando la chiamerai?" chiese Danny. 

 

"Quando la smetterà di fare la bambina." aggiunse Lenders. 

 

"Non capisco. Cos'è successo?" fece il giovane Mellow, confuso.

 

"Ti consiglio di tornare al residence, cambiarti e raggiungermi di nuovo.  Fatti portare da un taxi, qui non costano quasi nulla. E poi, ti allenerai con me per il resto della giornata." rispose lui, cambiando argomento.

 

"Ma Mark..."

 

"Su, avanti! Non fare il pappamolla, Danny!" lo esortó Lenders. 

 

A quelle parole, Mellow sbuffó e si diresse verso la fermata del bus. Non aveva nessuna voglia di esercitarsi, era appena arrivato e sognava di sdraiarsi in spiaggia con una bibita gelata e non pensare più a nulla per i successivi due giorni. 

Okinawa era davvero splendida. Un luogo paradisiaco, con quella calma e quel mare e quel sole. 

 

Si sedette, seccato, sulla panchina della fermata e si rassegnó ad aspettare il mezzo. 

 

Guardó verso la spiaggia e vide una scena inaspettata: c'era una persona con Mark. 

 

Da dove era sbucata? 

Gli sembrava una figura femminile. Magra, alta, e con i capelli cortissimi. 

 

Vide lui metterle le mani sulle spalle e lei ridere e dargli una sberla scherzosa sul braccio. 

 

"Hai capito il capitano..." mormoró Danny. Sorrise. "E bravo Mark!" 

 

🎋🎋🎋

 

Quel martedì sera, su Tokyo splendeva una luna piena impressionante e bellissima. 

 

Marty era in camera sua, intenta a guardare il DVD che Nolan le aveva prestato, quello con le partite della Mambo di quel torneo.

 

«Voglio che ti guardi bene ogni singolo match e che analizzi il loro gioco. Sei tu il capitano, adesso, a te il compito di trovare i punti deboli delle avversarie. Io ho già una mia idea, vediamo se ci arrivi anche tu.» le aveva detto il mister quel giorno.

 

Osservando le immagini di Jeanine e compagne, Marty aveva sentito aumentare quella sensazione di ansia che provava da giorni.  Erano bravissime. Compatte, affiatate, non sembrava avessero talloni d'Achille in nessuna fase, nè in attacco nè in difesa.

 

Si concentró meglio. Non esistono partite impossibili, le aveva detto Holly Hutton, e su questo lei concordava. Ma si trattava di comprendere come mettere in difficoltà una squadra d'eccellenza, campione da tre anni, e che aveva in Jeanine Redmond un meraviglioso capitano. 

 

Era davvero grande: trasmetteva tranquillità alle compagne, sapeva prevedere le giocate delle rivali, non sbagliava un'alzata. 

 

Ma doveva avere un punto debole, Cribbio, non era mica una wonder woman. 

 

Solo una tipologia di azione sembrava mettere la Mambo in crisi: subìre un attacco veloce.

 

Gli attacchi veloci erano la specialitá di Maylin, che insisteva sempre con l'alzatrice per praticare quel tipo di schema, in verità molto difficile e che richiedeva affiatamento totale tra la schiacciatrice e la regista. 

 

Il suo rapporto con June non era ancora dei migliori, ogni volta che si allenavano insieme avvertiva una pesante aria tesa fra lei e la compagna. Sarebbe stato difficile arrivare a un'intesa tale da costruite azioni rapide e di successo.

 

Mentre rifletteva su questo, Gogo inizió a frinire, come impazzita.

"Che c'è, hey! Ti sei svegliata??"

 

L'insetto si agitó anche nella sua teca. Marty pensó avesse fame. Le aveva messo del riso cotto in un angolo e l'aveva già finito. Di solito le bastava per giorni. 

Era ghiotta anche d'erbetta. La ragazza prese una foglia da una delle piante ornamentali che aveva in camera e aprì la teca. 

"Toh, mangia que..."

 

Ma inaspettatamente, Gogo saltó fuori. 

 

Marty strilló. 

 

La cavalletta si era attaccata a una parete della camera ed era lì, immobile, come incuriosita dall'ambiente circostante

 

"...rientra subito nella tua scatola!" le gridó, dimenticandosi che era lì con un insetto e non con una persona. 

 

Ma Gogo non fu dell'idea. Si mosse sul muro e sembró cercare un nuovo punto da esplorare in quel luogo.

 

"Adesso..." mormoró Marty, prendendo la teca e mettendogliela sotto. "... adesso tu torni qui dentro. Capito? E subito."

 

Non poteva permettersi che saltellasse in camera. Avrebbe potuto nascondersi sopra l'armadio, dietro qualche scaffale, in qualche anfratto irraggiungibile e sua madre avrebbe potuto inavvertitamente ucciderla, facendo le pulizie, magari. 

 

Marty dunque avvicinó la scatolina alla cavalletta, ma questa sparì. Proprio, non la vide più. Guardandosi in giro, la ragazza notó che era semplicemente saltata su una delle foglie di una pianta, vicino alla porta finestra che dava sul terrazzo

Era stato un salto cosi veloce da averla resa quasi invisibile.

 

"Cazzo, vieni qui!!!" disse lei allora, irritata. 

 

La finestra era aperta, e prima che Marty potè afferrarla, Gogo sparì fuori, nella notte.

 

"NOO!!" si disperó Marty, e uscì sul terrazzo. Guardó in basso e immaginó fosse atterrata sul grande salice che avevano in giardino. "Merdaaa!"

 

Gogo non poteva volare, e fino a quella sera in teoria non avrebbe neanche potuto saltare. Invece se n'era andata. 

Così, d'improvviso.

 

"No..." ripetè la ragazza. Quella grande fuga significava la sua condanna a morte. C'erano troppi predatori d'insetti in giro, primi fra tutti i pipistrelli.

 

"Cosa c'è da urlare?" chiese sia madre, entrando in camera.

 

"È scappata Gogo!! È volata via!!" singhiozzó la figlia.

 

"Dio sia lodato! Era ora!! Non ne potevo più di vedere quello schifo in quella teca!" sospiró la madre.  

 

"Mamma! Ma morirà!" protestó Marty. "Vado giù a cercarla!"

 

"Ma che dici! Lasciala lì fuori, in giardino." si oppose la madre. "Cosa vuoi trovare, al buio?"

 

Alla ragazza, peró, venne il magone. Gogo era una piccola ospite alla quale ormai si era abituata, era stata una confidente, aveva raccolto tutti i suoi sfoghi su Ed, su Mark. Non esisteva un altro essere al mondo che avesse sentito più confessioni da Marty Laughton. 

 

"Lava la teca, almeno ti rimane come soprammobile." disse Joanne, e poi uscì.

 

Marty versó qualche lacrima, consapevole dell'assurdità della situazione. 

 

Per un insetto, pensó. Sto piangendo per un inutile, schifoso, fastidioso insetto.

 

Si sentì sola.

 

Ed andato.

Mark andato.

Kibi fuori squadra.

Gogo andata.

 

Si sedette con un sospiro sul suo letto, e gli occhi tornarono allo schermo al plasma. La Mambo che macinava punti su punti. Una sconfitta quasi certa alle porte, di fronte a tutta la scuola, di fronte ai tifosi. 

 

Che momento di merda. 

 

Tornó col pensiero ai salti di Gogo. Così rapidi da farla sparire. 

 

Nel pieno dello smarrimento, le venne un'idea .

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Scintille ***


 

'Mark, chi era quella ragazza?" chiese Danny, la sera stessa, dopo la doccia.

 

Erano nella stanza di Lenders, e il giovane compagno di squadra si era seduto su una seggiola. Nelle camere di quel residence non c'erano televisori, l'unico era nella sala comune al piano inferiore. Non c'erano molti modi di passare il tempo, di sera, considerato che il circondario era privo di locali. Nè un ristorante, nè un bar.  Solo una botteguccia di pescatori.

 

"Quale ragazza, sulla spiaggia, intendi?" fece Mark, con finta noncuranza. 

 

"Sì, l'ho vista. Una tua amica?" chiese Danny.

 

"Una giocatrice di softball. È iscritta alla scuola superiore di questo distretto. Viene anche lei ad allenarsi qui, ogni tanto." ribattè il ragazzo.

 

"Sembravate in confidenza." azzardó l'amico.

 

"Il solito impiccione. Stavamo solo parlando. È molto curiosa riguardo al calcio, non mi conosceva neppure. Non sapeva nulla neanche del mondiale giovanile." rispose Mark. 

 

"Ma se tutta la nazione segue le partite! Sai che per l'esordio contro il Taiwan abbiamo fatto un record di ascolti? Era su tutti i giornali!" obiettó Danny.

 

"Non tutti sono appassionati di calcio. Lei adora il baseball. È anche bravina, per quello che ho potuto vedere."'replicó ancora l'altro.

 

"Hmmm... che combini, Mark?" sorrise Mellow. "In teoria eri qui per allenarti...non per flirtare con le ragazze."

 

Lenders lo fulminó con un'occhiata. "Piantala.  A me di quella non importa niente.  Mi fa compagnia, ogni tanto, quando ci incrociamo sulla spiaggia. C'è qualcosa di male?"

 

"Non finché non ferisci i sentimenti di altri."

 

Mark non comprese quell'osservazione. "Che intendi?"

 

"Io non vorrei essere monotono, ma Marty pensa a te e si preoccupa. Che direbbe se sapesse che qui hai trovato compagnia?" disse allora Danny.

 

"Falla finita. Non abbiamo affrontato l'argomento, perché ritenevo la faccenda chiusa. Peró... credo dovremmo parlare di quella sera." rispose Mark. "Quella sera in cui lei mi ha preso a sberle. E tu eri lì. Eri lì e hai visto tutto, vero?"

 

Mellow divenne rosso. Ci mise qualche secondo a rispondere. "S-sì Mark. Lo confesso. Vi ho spiati."

 

"Lo so perfettamente.  E so che il nostro caro Ed è stato messo al corrente della cosa. Non mi sembra probabile che gliel'abbia detto un uccellino, quindi il cerchio si restringe." 

 

"Mi dispiace! Perdonami, ma Ed era così avvilito per la rottura con lei! Credevo fosse giusto fargli sapere che tu non c'entravi niente...speravo che questo vi facesse riappacificare!" si scusó Danny.

 

"E allora se hai visto quella scena con i tuoi occhi, se hai visto la reazione che Marty ha avuto...che diavolo mi contesti adesso? Non ci sono legami fra me e lei. Sono libero di fare quello che mi pare...con chi mi pare." sbottó Mark.

 

Danny non seppe replicare sul momento.

"Mark...Mark, ma quella è stata una recita, allora? Hai baciato Marty perché io vi vedessi?"

 

"La fai andare quella testolina, eh? Comunque non parliamone più." taglió corto Lenders. 

 

"Va bene." si arrese il ragazzo. "Ma non ti facevo così."

 

"Così come?" s'indispettì Lenders.

 

"Così superficiale. Non pensi di averla scombussolata, in quel modo?" disse Danny.

 

"Non ho fatto niente. È lei che tende a far casino con la sua stessa mente. Ma ne avevo abbastanza: Ed mi accusava di volergli rubare la ragazza, tutta la scuola ne parlava. Ho ritenuto di affrontare le cose a modo mio. E come sai, delle volte i miei modi non sono i più diplomatici." replicó Mark. 

 

"Senti, io peró vorrei dirti una cosa: se tu dovessi iniziare una relazione con una persona, non tenerglielo nascosto." disse Danny. "Non farlo, Mark."

 

"Con chi? Con una che vive a Okinawa? Smettila, Danny." rispose Lenders.

 

"Con lei, o con una qualsiasi...non tenerlo segreto a Marty. Penso che la ferirebbe." gli consiglió Mellow. 

 

"Sei venuto qui a chiacchierare di queste cose? Anch'io non ti facevo così." scherzó Mark. "Vuoi aprire una rubrica cuori solitari su qualche rivista?"

 

Danny rise nervosamente. "No...è solo che mi dispiace. Lei ha fatto belle cose per la tua famiglia, vero?"

 

"Non le devo niente. Lei deve molto a me. Ho cercato di darle i consigli migliori, anche riguardo a Ed, ma non ha voluto ascoltare. Le ho trovato un lavoro. Siamo più che pari." ribattè il giovane. Poi sorrise. "Tu sei un ragazzo sensibile. L'ho sempre saputo. Ma in questa cosa non ti devi immischiare."

 

"Come vuoi. Sai... mi mancano i giorni in cui Marty era la nostra assistente. Ricordi le risate, in spogliatoio, quando la chiamavi doppiozero e tutti ridevano e lei fingeva di arrabbiarsi?" sorrise Danny. "Era bello, allora. Eravamo tutti più sereni. Tu eri più sereno."

 

"Che significa? Si deve andare avanti nella vita. È stato un periodo, è finito. Vuoi dire che torneresti indietro?" chiese Mark.

 

"No. Voglio dire che lei ha tirato fuori il meglio di te."

 

🎋🎋🎋

 

Tre giorni dopo, i due compagni di Nazionale erano alla fermata del bus che li avrebbe portati in aeroporto. Era giunto il momento di salutare la bella isola che li aveva accolti e tornare alla Nazionale. 

 

Mark era felice. 

Si sentiva in perfetta forma, aveva messo a punto un nuovo tiro che avrebbe lasciato di stucco Gamo e compagni, e sentiva che nulla lo avrebbe più fermato.  

 

"Non mi hai mostrato il tuo raju shot in anteprima." si lamentó Danny.

 

"Tempo al tempo. Lo vedrai." replicó Lenders, guardando l'orologio. A momenti sarebbe arrivato il mezzo, e sotto al sole cocente si sudava. Imprecó fra sè per aver dimenticato di prendere l'acqua.

 

"Hai salutato la tua amica...ehm...Maki?" chiese Mellow.

 

"No." rispose lui, asciutto.

 

"Certo che sei proprio un cinghiale con le donne! Non hai un minimo di delicatezza!" rise Danny.

 

"Hm." sorrise Mark. Del resto lui e la ragazza non si erano neanche scambiati i numeri di cellulare, farle sapere che sarebbe partito non sarebbe stato possibile comunque.

 

Arrivó l'autobus diretto all'aeroporto. I due salirono e presero posto. Mark, al solito, si sedette vicino al finestrino, perché gli piaceva guardare fuori.

 

Il mezzo partì e dopo qualche metro, Lenders notó una cosa strana nel grande specchietto retrovisore laterale. 

Qualcuno stava correndo disperatamente dietro al bus. 

 

lei!" esclamó costernato.

 

"Eh? Chi?" chiese Danny.

 

"Quella ragazza...corre dietro all'autobus!" rispose Mark, girandosi a guardare. "Ma che crede di fare?!"

 

"Vuole raggiungerti! Scendi, Mark! Scendi alla prossima fermata! Prenderai quello che passa dopo!" gli suggerì Danny.

 

Lenders pensó che fosse una buona idea. Le corse in quel giorno feriale erano piuttosto ravvicinate.

 

Aspettó di fermarsi allo stop successivo, e poi scese con la sua sacca. 

   

Vide Maki arrivare tutta affannata nella sua direzione e quando lo raggiunse, a momenti le venne un coccolone. Si piegó in due, ansimando e tentando di riprendere fiato.

 

"Che stupida...non avresti mai raggiunto un bus in corsa." la prese in giro lui.

 

"Tu sei stupido!" lo aggredì, allora. "Perché non mi hai detto che partivi??!"

 

Mark rimase stupito da quel tono. Era seriamente offesa, forse ferita. "...volevo salutarti, accidenti a te!"

 

Lui si sentì un po' in colpa. "Beh, eccomi."

 

Vide che aveva uno zainetto sulle spalle, e se lo tolse. Lo aprì, ed estrasse una lattina di Coca Cola. "Ti avevo preso un regalo...tienila! Visto che ti piace!!" sorrise Maki.

 

Mark si complimentó. "Hai fatto bene. Sai che avevo proprio se..." 

Non riuscì a terminare la frase, perché la lattina gli scoppió in faccia  non appena tentó di aprire. Evidentemente Maki l'aveva agitata in precedenza.

 

"Buahaha!" rise infatti la ragazza. "Te lo meriti per non avermi detto che partivi!"

 

Mark si ritrovò la t-shirt zuppa di Coca-Cola...ma non riuscì ad arrabbiarsi con lei. Era un innocente scherzo. Anzi, l'allegria della ragazza finì per contagiarlo. "...brava. Grazie tante."

 

"Scusa." sorrise lei. "Spero tu non l'abbia versata tutta."

 

"No...ce n'è ancora un po'." fece lui e ne bevve tre sorsi. Porse la lattina a Maki. "...ne vuoi?"

 

Lei arrossì a quell'offerta. Era una condivisione piuttosto intima. Avrebbe poggiato le labbra proprio nello stesso punto in cui le aveva messe lui.

 

Accettó, comunque. 

 

Quando ebbe finito, i due rimasero a guardarsi qualche attimo. Poi la ragazza disse: "Credo che seguiró il calcio un po' di più, ora." 

 

"Nel match contro la Thailandia spero di giocare." la informó Mark.

 

"Ti guarderò senz'altro." annuì lei. "Promettimi di vincere! Ti auguro di realizzare tutti i tuoi obiettivi nel calcio." 

 

"Anche tu. Dimmi che d'ora in poi ti impegnerai nel softball e che non piangerai più per una sconfitta. Va bene?" le disse lui.

 

"Sì, faró come dici. Ascoltami...ehm....posso darti il mio numero? Così magari, se vuoi, ci sentiamo." 

 

Mark tentennó un poco, ma accettò. Non c'era niente di male. "Va bene."

 

Maki estrasse da una tasca dello zaino un foglietto di carta, con il suo numero e il suo indirizzo e-mail. "Poi, fammi uno squillo, così ricevo il tuo."

 

"Ma...tu vai in giro con i tuoi contatti, in tasca?" chiese lui.

 

"No." sorrise lei. Il rossore sulle guance si fece più intenso. "Erano per te."

 

Di nuovo, Mark non ebbe una risposta pronta. Sentì solo uno strano formicolìo all'altezza del petto. Immaginó fosse la calura. 

 

"Ti va di metterci all'ombra? Il sole picchia qui. Il prossimo bus passa fra venti minuti." propose allora.

 

"Ok. Sediamoci su quel muretto." accettó Maki e indicó un angolo della strada su cui faceva ombra un grande cespuglio di gaggia giallastra. 

 

Si sedettero in quel punto, e fino al passaggio dell'autobus, rimasero a chiacchierare di sciocchezze, come tutti gli adolescenti del mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** “Tornado Shot” ***


Patty, Susie ed Evelyn dividevano le casacche dei calciatori della nazionale, a seconda dei numeri di maglia e delle taglie. Faceva freddo, nel magazzino dell'edificio scelto come ritiro. Era un albergo di Takayama affittato dalla Federazione per i mesi primaverili ed estivi, ad uso esclusivo dello staff.  

 

Si preparavano alla partita contro la Thailandia, e tutto doveva essere perfetto.

 

Susie guardó la maglia numero Cinque, che era di Clifford Yuma, un altro dei clamorosi esclusi da mister Gamo.  

 

"Evelyn, lo senti tuo cugino Clifford? Tornerà?" le chiese.

 

"Quando riterrà di essere pronto, sì. So che Pearson gli ha fatto un discorso dopo l'esclusione. Gli ha consigliato di perdere massa muscolare e allenarsi in palestra. Clifford è troppo grosso!" rispose l'altra.

 

"Pearson è affascinante, vero?" sorrise Susie. "E poi avete visto che macchina? Ha quella Porsche marrone che è sempre parcheggiata là fuori! Deve essergli costata un sacco!" 

 

"Beh, guadagna bene, credo. È un dirigente che viaggia per il mondo." replicó Patty.

 

"...ma poi è anche gentile, galante! Ieri mi ha tenuta aperta la porta dell'hotel, mi ha ceduto il passo!" cinguettó Susie. "E che completi eleganti. È sempre un figurino."

 

"Sì, ha tutte quelle belle robe lì...ma ha anche più di trent'anni...te lo ricordo." la derise Evelyn.

 

"Perché cos'ho detto?" chiese l'amica.

 

"Ti conosciamo: quando inizi la tua tiritera su qualche uomo vuol dire che ti stai prendendo una cotta. Ma non è proprio il caso, con quel tipo. È grande!" aggiunse Patty,

 

"Pfff...mica tanto. Io l'anno prossimo avró diciotto anni...e lui non ha una fidanzata!  Non è incredibile?!" rispose la ragazza. 

 

"Sai che mi ha detto Bruce? Che ha perso un occhio. Per questo indossa gli occhiali scuri. È mezzo cieco." riveló Evelyn.

 

"Ah sì???" s'impressionó Susie. "Infatti mi chiedevo come mai li avesse sempre. Povero..."

 

"Sarà per questo che non ha una donna. Magari senza occhiali il suo viso non è poi così gradevole..." ipotizzó Evelyn.

 

"Ma Susie scusami...a te non piaceva Benji?" chiese Patty, facendole la linguaccia. "Un po' volubile, eh?"

 

"Scema! Sì Benji è figo, ma non mi guarda neanche! Se la tira. Se la tira troppo...poi l'altra sera ho sentito che parlava in videochiamata con quella tizia della Toho...la bionda." riveló lei.

 

"Quella che ci ha rotto le palle all'aeroporto??" chiese Evelyn.

 

"Sì. Era in un angolo della sala comune, tutto preso dalla chiamata con lei...parlava a voce bassa...per me ha un flirt con quella!" brontoló Susie.

 

"Io avevo capito che stesse con Warner. In sala d'attesa dell'aeroporto, prima di partire, si sono sbaciucchiati...cioè, Ed ha baciato lei." disse Patty.

 

"Che brava ragazza...proprio seria." sogghignò Susie. 

 

"Beh, lavorava per la Toho, no? Forse sono solo amici." disse Evelyn.

 

"Seeee... con Warner? Lui non ha amiche, solo amanti. Ricordate quella che si era portato in camera tre anni fa, a Parigi, dopo la finale?" s'inserì Susie. "Fu l'unico della squadra a fare sesso quella notte."

 

"E cosa ne sai...?" rispose Evelyn. 

 

"Lo so, lo so... Ed è sempre stato il più selvaggio di tutti. Guarda che casino ha combinato anche stavolta. A me non piace." commentó ancora Susie.

 

"Almeno uno...ho perso la lista di quelli che ti faresti, Susie. Non c'era anche Schneider, nell'elenco? E Napoleon? E Dario Belli?" rise Evelyn.

 

"Cosa ci posso fare se mi piacciono i ragazzi?! Almeno ho buon gusto, cara mi-intriga-Bruce-Harper...santoddio, sembra una scimmia!" replicó la ragazza. 

 

Evelyn le tiró una salvietta. "Bruce è dolce con me, e poi mi fa ridere!"

 

"Ti credo...è il clown della squadra..." rise ancora Susie. "Comunque, è vero: ammetto di avere troppi grilli per la testa. Mica tutte siamo fedeli come Patty." 

 

"Tu non hai mai voluto tradire Holly? Con nessuno?" chiese allora Evelyn. "...mai tentata?"

 

"No. No, mai. Con lui è stato amore dalle elementari." sorrise Patty. "Ed è continuato."

 

"Dura stare lontani, peró." sospiró Susie. "Come anche Philip con Jenny. Ci vuole una forza incredibile."

 

"Ma sappiamo che l'amore ci lega. Basta questo. Non ci sono tentazioni, se credi in te e nell'altro." rispose Patty.

 

"Anche perché nessuno oserebbe provarci con te. Non più." rispose Susie. "E mai nessuno ha provato a strapparti a lui."

 

Patty sospiró. "Beh...uno c'è stato, alle medie." 

 

"Chi?" chiesero entrambe le altre.

 

"Non mi credereste. Non vi dico il nome. Ma si era invaghito di me. Me lo disse un suo amico. Io respinsi subito questo suo sentimento." confessó Patty.

 

"No, scusa...adesso ce lo devi dire!!" fece Susie, elettrizzata. "Chi è, un giocatore?"

 

Patty annuì. 

 

"...ma della New Team?"

 

"No, una squadra rivale. Lo conoscete." rispose lei.

 

"Dai, dicci il nome!! Tanto è una cosa passata, ormai!" la esortó Susie.

 

"No." rispose l'altra.

 

"Aspetta...forse ho capito." disse Evelyn. "Per caso è uno che dovrebbe essere qui e non è qui?"

 

Patty la guardó, e nei suoi occhi l'amica trovó conferma delle supposizioni. "Urca...che bomba...non ci credo...lui?!"

 

"Sì." ammise la giovane Gatsby, abbassando lo sguardo. 

 

"Ma io non capisco, uffa!!!! Mi dite chi è?" fece Susie, esasperata.

 

"L'ho intuito da come vi guardavate con imbarazzo mentre era ancora in ritiro. Volevo chiedertelo, ma non me la sono sentita. Pazzesco...." disse Evelyn. "E potevi essere tentata, con lui? Cioè, se Holly non ci fosse stato?"

 

"Forse..." sussurró Patty. "Forse...sì."

 

"Io vi strozzo se non mi dite quel cavolo di nome!" insistè Susie. 

 

"Ti capisco. Un fusto come quello...poi avete caratteri simili. Incazzosi, prevaricatori!" 

riflettè Evelyn. Poi rise. 

 

"Merda!!" sbottó Susie. "Mi dite..."

 

"È MARK! Testona! Ma cosa ci vuole a capire!" s'infastidì Evelyn. 

 

"Io non prevarico nessuno..." protestó Patty.

 

"Lenders!" sbottó Susie, soffocando un'esclamazione. "Cioè....Mark Lenders?? Si era innamorato di te?"

 

"Non era innamorato. Gli piacevo. Così mi disse Danny Mellow. Ma se lo racconti in giro, diventi concime per i fiori, chiaro Susie??" replicó Patty. "Holly non ne sa niente."

 

Susie rimase con la bocca aperta, inebetita. "No, non ci posso credere. Non ci voglio credere. Quindi anche Mark ha dei sentimenti??"

 

"Hey, è fatto di carne e sangue, mica è un sasso inerte." rispose Evelyn. "Con tutti quei muscoli, poi, sai che centrifuga di ormoni che ha in corpo. Pensandoci, Patty, potevi divertirti un po' con lui." 

 

"Ma che dici??" replicó l'altra. 

 

Le ragazze scoppiarono a ridere.

 

"Peró...Lenders innamorato...non riesco proprio a immaginarlo..." commentó Susie.

 

"Deve avere un lato che tiene molto nascosto. Anche a se stesso. Quando gli altri ti vedono in un certo modo, è dura uscire da questa condizione. Ci vorrebbe una ragazza che non sappia nulla di lui, una con cui sia libero di aprirsi...una che non c'entri niente col suo mondo, il mondo del calcio. Perché credo che Mark abbia bisogno di amore. Tanto bisogno."  rifletté Patty, piegando con cura la maglia numero Nove.

 

🎋🎋🎋 

 

"June, non mi fare incazzare. Io e te dobbiamo fare un patto, adesso. Mai più disaccordi o sguardi di traverso. Tu sei la regista, e devi collaborare al massimo con tutta la squadra. Anche con me, intesi?" chiese Marty alla compagna, in palestra, quel mercoledì pomeriggio. 

 

"Cosa vuoi da me? Qual'è questa grande idea che ti è venuta? Perché c'entro io?" domandó l'altra seccata.   

 

"Tu devi cambiare impostazione nelle alzate. Devi diventare più veloce. Molto più veloce. Ragazze, tutte qui!" comandó il nuovo capitano della Toho Volley alle compagne.  

 

Tutte si radunarono attorno all'irlandese. Nolan e Kibi ascoltavano in disparte.

 

"Ho studiato il gioco della Mambo. Sono deboli solo in una cosa: respingere gli attacchi veloci. Quindi, dobbiamo perfezionare gli attacchi veloci. Normalmente un'azione rapida si conclude in cinque secondi.  Noi scenderemo a tre. Kibi!" andó verso la panchina e diede alla compagna un cronometro. "Visto che non puoi muovere il braccio, controllerai il tempo con quell'aggeggio. Tre secondi!" ripetè la bionda alle compagne. "Tre fottuti secondi, ripartiti in quest'azione: ricevere-alzare-schiacciare.  Sandy e Clara, voi siete le attaccanti. Dovete aumentare in questi giorni la massa muscolare nelle gambe e diventare più rapide nel salto. Se le prendiamo in contropiede, quelle della Mambo andranno in difficoltà."

 

Ci fu silenzio da tutte le atlete. Fra loro, girarono sguardi scettici. Parló Sue: " Scusa...ma che cazzo vai dicendo? Marty, come si costruisce un'azione in tre secondi?"

 

"Ha ragione." disse Nolan e fece un passo avanti. "Esattamente la conclusione a cui sono arrivato io. Superbo, Laughton."

 

"Ma mister..." osó protestare Sue.

 

"Sentite: tecnicamente la Mambo ci è superiore, e anche come organizzazione. Studiano molto le avversarie, come noi. Sanno tutto dei nostri molti punti deboli. L'unico modo  per vincere, è sorprenderle. Dobbiamo impostare schemi nuovi. Nuovi tempi d'esecuzione." spiegó Nolan.

 

"Ho preso spunto dalla velocitá di una cavalletta. Sono talmente rapide quando saltano da diventare quasi invisibili. Ecco, faremo così: faremo sparire la palla, e quelle non ci capiranno niente. Il nostro non sarà un attacco veloce. Sarà un attacco velocissimo." chiarì meglio Marty.

 

"Un attacco tornado?"'rise Lara.

 

"Sì....bello! Bello, mi piace!" annuì Marty. "Lo chiameremo tornado shot. E sarà tutto nostro."

 

"Sì, tutto molto figo...ma mancano dieci giorni. Ve lo ricordo. Pretendete di mettere a punto un nuovo schema in meno di due settimane?" obiettó June.

 

"Sì." disse Kibi. "A me l'idea piace. E potete farcela. June, tu dovrai sviluppare occhio per le azioni. Collaborare con Marty e Pam e chi riceve. L'affiatamento fra voi sarà essenziale." 

 

"Voi sognate." mormoró Sue.

 

Marty l'affrontó a muso duro. "Tu adesso mi devi spiegare perché sei sempre così negativa. Sei sempre la pessimista della squadra. Allora per te è tutta una perdita di tempo? Allenarci, studiare gli incontri, fare esercizio in palestra!"

 

"Sono solo realista." rispose Sue.

 

"Realista? Ma non ti rendi conto di dove siamo?? Siamo in finale! Se avessimo dovuto seguire il tuo realismo a quest'ora saremmo a spasso tutti i pomeriggi, eliminate dal torneo già da Febbraio! Ma siamo a questo punto, nonostante tutte le previsioni. Non puoi mostrare un po' di entusiasmo, Cristo santo!!!" sbottó Marty. "Avete voluto che io diventassi il vostro capitano. Beh, con me le cose cambieranno. Da adesso e per tutto l'anno prossimo. La mia amica Maylin mi ha insegnato che non ci si arrende mai, state certe che questa regola con me verrà rispettata da tutte voi. Adesso, Sandy e Clara mettetevi sotto con le schiacciate. Kibi, tu tieni il tempo. June, occhi aperti sui passaggi. E la prima che si lascia andare a commenti fuori luogo passerà la giornata a raccattare palloni. Volete un po' di disciplina cinese?? Eccovi servite!" 

Detto ció, battè le mani tre volte. "Iniziamo!"

 

Tutte le ragazze, intimorite un po' da quella tirata, si misero sotto con gli allenamenti.

 

Nolan si avvicinó a Kibi. "Sai che ti dico? Sono un po' sollevato di non esserci l'anno prossimo..."

 

"Sì, mister. Anch'io." rispose lei. 

 

I due si guardarono.

 

Poi scoppiarono a ridere.

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** Lontano da Tokyo ***


 

Ed Warner leggeva l'articolo che lo riguardava, sul quotidiano cittadino di Yokohama.  

 

Warner: il giovane karateka che fa paura a Imeda. 

 

Taro Imeda era il portiere titolare della squadra della città, un trentacinquenne quasi al termine dell'attività professionistica che nelle ultime partite aveva preso quattro gol. Ed aveva dovuto sostituirlo in entrambi gli incontri.

 

Con soddisfazione, il giovane di Tokyo raccoglieva le lodi dei giornalisti sportivi e pensava a quanto dovevano essere irritati Gamo e Pearson per la sua decisione di staccarsi dal gruppo dei nazionali.

Un po' gli dispiaceva per la brutta reazione avuta con Marshall, e se la coscienza l'aveva già rimproverato, la logica gli aveva detto che aveva comunque fatto la cosa giusta.

 

Continuare a far parte della Nazionale con quello stato d'animo non avrebbe portato che problemi. Meglio tagliare i ponti e tanti saluti.

 

Benji era rientrato dalla Germania, non era affatto in forma, ma alla bisogna avrebbe fatto la sua parte. Dopo tutto, era lui il grande fenomeno, no? Il super-campione intoccabile. Bene, che lo dimostrasse pure.

 

Quella mattina doveva presentarsi all'ultimo allenamento prima del termine della stagione. Scese dal grattacielo in cui la societá gli aveva riservato un bell'appartamento ampio e confortevole, e fece per andare sul marciapiede ad aspettare il taxi, come sempre.  

 

Si stupì, quando vide una berlina nera parcheggiata lì davanti. La portiera si aprì e uscì una ragazza ben vestita.

 

"Oh..." la riconobbe lui. "Elise. Ciao, perché sei qui?"

 

"Buongiorno Ed! Stavo andando al centro sportivo. Vieni con me, in macchina?" propose la ragazza. 

Elise Sawyer era la figlia del Presidente degli Yokohama Flügels. Una ragazza di diciotto anni, appena diplomata, che da quella estate aveva promesso al padre che avrebbe iniziato a entrare negli affari societari, imparando tutto quello che c'era da sapere sulla gestione di una società sportiva. Il suo primo incarico, era curare le esigenze dei nuovi acquisti e riportare le loro richieste al padre.

 

"Beh, sì. Grazie." accettó Ed, un po' controvoglia. 

 

Elise aveva un debole per lui, l'aveva capito. Non gli dispiaceva: era graziosa, educatissima, molto discreta.  Era stata istruita in un collegio cattolico e aveva maniere delicate. 

 

Ma non era il genere di ragazza che gli scatenava una particolare attrazione. Totalmente diversa da Beverly e anche da Marty. Andava in giro con un piccolo crocefisso d'oro al collo, frequentava la Chiesa e non faceva nulla senza essersi consultata con i genitori.

 

Gli stava addosso con tante, piccole, timide premure. Arrossiva quando lui la guardava, balbettava quando le chiedeva qualcosa e si emozionava sempre, quando arrivava al centro con suo padre e lo vedeva in porta ad allenarsi.

 

Il fatto era che in quel momento della sua vita, Ed non sentiva il bisogno di alcuna compagnia femminile. C'era una persona nella sua mente e a questa persona lui riservava i suoi sogni e fantasie.

 

Era stato felice di aver saputo che la Toho VC aveva vinto contro la Matsukami. Aveva immaginato la gioia di Marty, le sue lacrime, il senso di trionfo. Era contento che avesse provato quelle belle sensazioni, che lui già conosceva. 

 

Gli mancava da morire.

 

"Ed..." chiese Elise, una volta che si furono accomodati in macchina e l'autista ebbe imboccato la strada verso il centro sportivo. "...hai letto i quotidiani? Parlano bene di te." 

 

"Hm? Sì, ho visto. Mi fa piacere, ma sono una riserva ancora." rispose lui.

 

"Secondo me dalla prossima stagione avrai ottime chance di diventare titolare. Taro sente molto la rivalità con te." continuó Elise.

 

"Sono giovane. Per ora, va bene che io sia in panchina. Non mi aspetto di far carriera alla velocità del fulmine. C'è la gavetta." rispose il ragazzo.

 

"Certo, ma... sarebbe bello se il tuo talento venisse premiato! Sai che hai una tecnica incredibile? Mio padre è felice di averti messo sotto contratto. Dice che hai un futuro importante davanti a te." raccontó lei, emozionata. 

 

"Mi sono preparato per averlo." ribattè Ed. 

 

"E...con il karate? Pratichi ancora?" domandó la giovane.

 

"Non più. Qui non ho tempo e non ho una palestra in cui farlo. Ma fra diversi anni il mio impegno sarà interamente nel dojo. Una volta smesso col calcio..." la informó Ed, annoiato da quella conversazione.

 

"Ah... bello. Sai che io invece mi iscriveró al corso di Economia e Marketing a fine Agosto? All'università di Yokohama. Mio padre ci tiene che abbia una laurea." gli disse.

 

"Interessante." sospiró Ed. Doveva essere cortese con lei, era la figlia del suo datore di lavoro. Peró, che seccatura. 

Guardava fuori dal finestrino per evitare il contatto visivo. 

 

"Ed...ti manca la tua famiglia? Me lo chiedo spesso. Abbiamo la stessa età, io non posso pensare di allontanarmi dai miei. E tu, qui in una grande città tutto solo..." riflettè Elise.

 

"Non mi mancano, no. Poi, a diciotto anni non si è bambini." replicó freddamente Ed.

 

Elise arrossì di imbarazzo. "Sì, hai ragione...ma stare lontano dagli affetti...e riguardo ai tuoi amici, li senti?" 

 

"Non ho grandi amici. C'è solo un persona che ho lasciato a Tokyo, e lei sì, mi manca." rispose lui, che sentì il bisogno di mettere le cose in chiaro con quella suorina infatuata. Non c'era trippa per gatti, sorry.

 

"Chi?" chiese Elise.

 

"Una ragazza. Penso sempre a lei." rispose Ed, sapendo di spezzarle il cuore in quel modo. Non poteva fare altrimenti, peró.   

 

Infatti, nella macchina improvvisamente vi fu silenzio. 

 

Ed si giró a guardarla e vide quell'ombra di delusione e sofferenza che negli anni aveva imparato a conoscere bene. Molto spesso aveva dovuto distribuire il due di picche in giro.

Non era bello respingere una ragazza invaghita, e lei era anche una brava ragazza.  

 

"Hai una fidanzata?" chiese Elise a mezza voce.

 

Fidanzata...Dio santo...chi usa più il termine "fidanzata"? Questa è proprio uscita da un confessionale, pensó il portiere.

 

"Voglio bene a una persona, mettiamola così." fu la sua risposta.

 

"Ah." riuscì a dire Elise. 

Ed potè quasi sentire il rumore del suo cuore andare in frantumi.

 

Nessuno dei due parló più, mentre la berlina si faceva largo nel traffico pesante di Yokohama.

 

🎋🎋🎋

 

Marty passó in rassegna tutti gli articoli dei quotidiani sportivi che riuscì a trovare, riguardo il ritorno di Mark in squadra.

 

Da Takayama era arrivata l'importante notizia che tutti aspettavano: Lenders, Yuma, Everett, Becker, Peterson e i due Derrick erano stati aggregati di nuovo alla formazione ufficiale.  

 

Lesse l'intervista di Gamo, in cui il coach esprimeva soddisfazione per i suoi ritrovati campioncini.

 

D: Mister Gamo, la Nazionale è di nuovo al completo. Soddisfatto di come ha trovato i suoi ragazzi, al rientro?    

 

R: Più che soddisfatto. I miei giocatori avevano bisogno di una scossa. I Sette del Giappone Reale, quegli elementi che ho inserito al loro posto, sono serviti da stimolo per farli migliorare. 

 

D: Un'idea sua?

 

R: Mia e di Marshall.

 

D: Come sta Freddy Marshall in salute?

 

R: Ha recuperato, tuttavia il suo problema non è risolto. 

 

D: Dunque è confermato lei come mister per questo Mondiale?

 

R: Per le eliminatorie, sì. Poi si vedrà. Non dimentichiamo che la Federazione ha dato l'incarico a Freddy. Io sono un sostituto.

 

D: Intanto Warner a Yokohama sta riscuotendo consensi dall'entourage.

 

R: No comment. 

 

C'era poi un trafiletto con un'intervista a Mark, che lesse avidamente.

 

D: Come è andato il tuo allenamento a Okinawa?

 

R: Molto utile. Avevo bisogno di tornare alle origini, mi sono affidato a un allenatore che conosco da tempo. Mi ha aiutato. 

 

D: Sappiamo che ti riferisci a Jeff Turner, l'ex giocatore che vinse la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di molti anni fa. È stato tuo allenatore fin da quand'eri bambino.

 

R: Sì. Con il signor Turner il rapporto è consolidato. Mi sono messo nelle sue mani sapendo di fare una cosa giusta.

 

D: Come ti sei trovato lontano da Tokyo, nella bella Okinawa?

 

R: E' un gran posto. Con gente semplice e amichevole. Non escludo di tornarci, magari per una vacanza.  

 

Quelle parole finali furono una stilettata al cuore di Marty.

 

Non escludeva di tornarci,  per una vacanza.

Evidentemente il soggiorno gli era piaciuto, e parecchio. Si chiese cos'avesse combinato con quella ragazza così buffa e simpatica di cui le aveva parlato Anne Lenders.

Di nuovo, un guizzo di rabbiosa gelosia le eruppe dal ventre e inizió a insultare mentalmente quella misteriosa ragazza, una persona che non conosceva neanche.

 

La finale contro la Mambo si avvicinava, mancavano sette giorni. 

Tutta la scuola era in subbuglio: Pemberton aveva fatto installare tre maxi schermi nell'aula magna della scuola, così che gli studenti il 20 Giugno avrebbero potuto seguire in diretta l'incontro, che si sarebbe giocato nella palestra delle rivali.  

 

Lei e le compagne erano caricate di una grande responsabilitá. 

 

Kibi cercava di star loro vicina come poteva: dava consigli, suggeriva a June come comportarsi nell'impostazione del gioco. Ma era terribilmente afflitta dall'essere costretta fuori.

 

Andó in giardino, per osservare il tramonto di quel sabato sera. 

 

La scuola era finita il giorno prima. Aveva terminato l'anno con buoni voti, tranne in Chimica, la sua bestia nera. La proficua attività nella pallavolo le aveva fatto guadagnare una sufficienza a tavolino, con cui aveva evitato gli antipatici corsi di recupero estivi. 

Il preside era stato di parola.

 

Allungó le orecchie nella speranza di udire il canto di Gogo. Ma l'insetto, dopo la fuga, non si era più fatto vivo, e lei aveva amaramente concluso che fosse salito nel paradiso dei grilli. 

 

Squilló il telefono di casa.

 

Sentì sua madre che andava a rispondere.

"Pronto?...sì, è casa Laughton, chi desidera?"

Seguì qualche secondo di silenzio. "...oh è qui, un attimo, prego." 

 

Marty si giró e vide sua madre uscire sul patio.

"È per te. Una ragazza."

 

"Una ragazza? E chi è, scusa?" chiese Marty, curiosa.

 

"Non mi ha detto il nome, ha chiesto solo se ci sei." rispose Joanne.

 

"Ma è Kibi?"

 

"No, non è la sua voce. Dai rispondi, no?" la esortó la madre. 

 

La ragazza rientró e si avvicinó al tavolino in legno su cui era stato messo il telefono di casa. 

Afferró la cornetta.

 

"Sì...?"

 

"Marty?" fece una voce. "Ciao."

 

"Chi sei?" chiese.

 

Quando dall'altra parte arrivó la risposta, sul viso della ragazza irlandese si disegnó un'espressione di perfetto, e totale, stupore.

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** “Liberaci dal Male” ***


 

"Ho trovato il tuo numero di casa sull'elenco telefonico di Tokyo. Non ci sono molti Laughton, in città." disse Jeanine Redmond dall'altra parte della cornetta.

 

"Ma...perché mi hai contattata? Io e te non dovremmo parlare, in questo periodo." rispose Marty, una volta che si fu ripresa dallo sbalordimento.

 

L'altra rise. "Non ti ho chiamata certo per chiederti anticipazioni sulle vostre strategie di gara. Ma per parlare del futuro." 

 

"Quale futuro?"

 

"Il nostro futuro nel volley. Ti informo che la Hitachi Belle Fille mi ha cercata, ieri." rispose la Redmond. "Mi hanno proposto un periodo di allenamento con loro, questa estate."

 

"Anch'io sono stata convocata da loro!" ribattè Marty.

 

"Me l'hanno detto. Mi hanno anche detto che non hai ancora dato una risposta. Che ci stai pensando." continuó Jeanine.

 

"Non è proprio così. Sto aspettando la finale. Se dovessimo...insomma, se voi doveste batterci loro potrebbero anche far decadere l'interesse verso di me. Io non ho conferma delle loro intenzioni." rispose Marty.

 

"Sono convinti, invece. Hanno ingaggiato Danielle Clarkson, da Agosto lei sarà una loro tesserata. Puó farlo perché ha terminato il liceo. Ma io ho la tua età, nonostante le altre proposte non posso darmi subito al professionismo. Devo finire la scuola, come te." disse la rivale.

 

"Immagino tu sia piena di offerte. Sei straordinaria." le disse Marty. "Davvero una regista coi fiocchi."

 

"Sì...grazie. Ma la proposta della Hitachi è quella che mi alletta di più. E lo sai perché?" domandó Jeanine. "Perché stanno mettendo in piedi uno squadrone. Con Danielle in attacco, io alla regia e una come te in difesa, la loro squadra del futuro sarà fenomenale. Io voglio giocare in un team vincente." 

 

"Cioè, tu pensi che io sia brava?" si emozionó l'irlandese. Un complimento del genere, da una campionessa come la Redmond, era una grande cosa.

 

"Non fare la modesta. So che ti sei formata in Cina, e quella scuola ti ha plasmata a meraviglia. Mi hai impressionata contro la Matsukami. Sei un grande difensore, ce l'hai nel sangue. E oggi ti ho chiamata per sapere se fai sul serio con la tua carriera. Allora, fai sul serio?" chiese la Redmond. "Che dirai alla Hitachi? Ci sei in Agosto?"

 

"Tu accetteresti la loro proposta?" domandó Marty.

 

"Solo se lo farai anche tu." ribattè il capitano della Mambo.

 

"Allora...sì. Certo, sarebbe un onore allenarmi con loro e con te. Anche se solo per un mese!" rispose lei.

 

"Non sarà solo un mese. Se tutto va bene ci daranno un'opzione per l'anno prossimo. Una specie di pre-accordo, in attesa che terminiamo le scuole superiori. Una volta diplomate, passeremo subito al professionismo. Mi pare una prospettiva molto positiva." disse l'altra.

 

"Ma potremo allenarci e giocare con le nostre squadre di liceo?? Io non voglio abbandonare le ragazze!!" si agitó Marty.

 

"Certo. Solo che saremo riservate per la Hitachi, per l'anno a venire. Non potremo accettare accordi con altre società. E...mi hanno informata che sei stata da poco promossa a capitano." aggiunse Jeanine. "So che la Street è fuori gioco."

 

"Purtroppo sì. Ha avuto un incidente." sospiró la bionda. "Bruttissimo colpo per noi."

 

"Da avversaria dovrei rallegrarmene... ma ti confesso che mi dispiace. Non è onorevole battere un team mutilato." le disse Jeanine.

 

"Battere? Non siamo ancora scese in campo. Aspetterei a cantare vittoria, Redmond."  replicó Marty.

 

"Mi piace lo spirito battagliero in una rivale. Siete praticamente senza speranza, ma vedo che non ti arrendi. Sono anch'io come te. E mi piace l'idea di diventare tua compagna di squadra." la elogió la ragazza. "Ma prima di Agosto...ricorda che c'è il 20 Giugno. E io non scenderó in campo con spirito compassionevole, Laughton."

 

"Idem." rimbeccó Marty. "Non essere troppo sicura di te stessa. Delle volte chi parte sconfitto tira fuori il jolly dalla manica."

 

"Uuh...vuoi dire che avete ideato una sorpresina per noi? Bene, molto bene. Questo renderà l'incontro più eccitante. Gli spettatori si divertiranno. Ma vinceremo noi. Lo sai tu, e lo so io." continuó la Redmond.

 

"Vedremo, cara." rispose Marty, decisa a non farsi intimidire.

 

"Non rinunci all'ultima parola. D'accordo, salutiamoci qui. Ti ho detto quello che dovevo dirti e ho avuto la risposta che cercavo. Allora, ci vediamo Domenica. I nostri tifosi vi riserveranno una grande accoglienza, vedrai." promise Jeanine.

 

"Di' ai tuoi tifosi che noi non abbasseremo la testa, nè ci piegheremo mai. Perché siamo la Toho." rispose Marty.

 

"Frase da perfetto capitano. Ciao Marty." disse Jeanine.

 

"Ciao." rispose lei, e riattaccó il telefono.

 

Poi, alzó le braccia in aria. "Yooohooooo!!"

 

La madre fece capolino dalla cucina. "Cosa c'è??"

 

"Niente. Ho avuto una bellissima notizia!" esclamó Marty. 

 

Era una grandiosa notizia. 

La prospettiva di diventare membro della stessa squadra in cui avrebbero militato Jeanine Redmond e Danielle Clarkson,  due assi assoluti, la inebriava. Sarebbe stato un sogno: loro tre avrebbero formato un trio irresistibile, da far paura a qualsiasi avversario. 

 

E poi il possibile ingaggio nella Hitachi, soldi, guadagni...

 

Per la prima volta, Marty si trovó a contemplare l'idea di una vita adulta. I suoi sogni di bambina, i suoi progetti, tutto si stava tramutando in meravigliosa realtà.

 

Doveva dirlo a qualcuno. Sentiva il disperato bisogno di chiamare Mark e condividere con lui questa gioia. Ma non riusciva a farlo. Era ancora imbarazzata per la loro ultima conversazione, ed era anche un po' arrabbiata con lui.

 

Come si era permesso di avere un'amica? Chi era questa tizia di Okinawa, cosa voleva da lui? Perché le aveva dato corda?? Quegli sguardi all'aeroporto, al momento dei saluti, cosa avevano voluto dire allora? 

 

Mi mancherai Marty...finché non troveró una migliore di te. 

 

Bastó questo pensiero per gelare il suo entusiasmo.

 

Una meglio di te, simpatica e divertente, che non sia preda di inutili gelosie e comportamenti da bambina dell'asilo.

 

Stronzo.

No, non l'avrebbe chiamato.

 

🎋🎋🎋

 

"Mi accuso di aver peccato di vanità, l'altro giorno mi sono attardata davanti allo specchio per venti minuti." mormoró Elise Sawyer, nel confessionale della Chiesa cattolica di Sueyochicho, a Yokohama.

 

Padre Nagayama ascoltava la ragazza, nella sua consueta Confessione del venerdì sera.

 

"Mi accuso di non aver onorato mia madre, ieri le ho risposto male. Mi accuso di aver peccato di gola, non ho resistito a rubare un pezzo di torta dalla cucina, stamane. Mi accuso di poca carità..." continuó Elise, in una cantilena senza sosta. 

Stringeva fra le mani il suo rosario di quarzo rosa, che teneva sempre in tasca.

 

Era un momento importante, per lei, quello della Confessione.

Ogni settimana si poteva passare un colpo di spugna sulla propria vita, ricominciare da capo, con il perdono del Signore.

 

"Mi accuso di aver avuto impulsi di gelosia e risentimento verso una persona, una che non ho mai conosciuto." disse lei, pensando alla misteriosa ragazza che aveva rubato il cuore di Ed.

 

"Mi accuso di...di..." balbettó, a disagio per quello che stava per uscire dalla sua bocca.

 

"Di...continua, Elise." la incoraggió il sacerdote.

 

"...di avere avuto pensieri inopportuni su un ragazzo." aggiunse lei. Arrossì.

 

Poi stette zitta.

 

Il padre spirituale ritenne che avesse concluso  e dopo la formula di rito, fece per darle la penitenza. 

 

"...un attimo, ho ancora una cosa da confessare, padre." mormoró Elise.

 

Dovette prendere un lungo respiro, prima.

 

"Mi accuso di aver compiuto atti impuri su me stessa, e più di una volta. Mi pento davanti a Dio." disse, stringendo il rosario con entrambe le mani. "Chiedo perdono."

 

"È tutto?" chiese il prete.

 

"Sì."

 

Con un sospiro, padre Nagayama ripetè la formula di assoluzione, e le diede come penitenza la consueta dose di preghiere da recitare, in raccoglimento. 

 

La ragazza fece il segno della croce e poi andó a una delle panche della chiesa, e lì si inginocchió. 

 

Si concentró sull' Ave Maria.

 

Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te... 

 

L'odore di incenso, la luce soffusa delle candele, l'atmosfera di quella chiesa, al solito, la riempirono di pace. 

Ringraziò di essere cattolica, e di potersi affidare sempre alla comprensione di Gesù, di Maria e di tutti i Santi.

 

Poi un pensiero, improvviso e strisciante come un serpente, si insinuó nella sua mente appena alleggerita dalla Confessione. 

 

Vide un'immagine davanti a sè, mentre teneva gli occhi chiusi. Vide lui avvicinarsi a lei e strapparle con un solo gesto deciso la camicetta. Immaginó il rumore dei bottoni che cadevano al suolo. 

 

...prega per noi peccatori...

 

Si concentró di nuovo sull'invocazione alla Madre di Dio, come ad esorcizzare quell'attacco demoniaco.

 

Perché sicuramente quella era una vessazione diabolica. Elise Sawyer non aveva mai avuto certi pensieri. Dal niente era sbucato quel ragazzo con i suoi capelli lunghi e quello sguardo seducente a scombinarle il sistema nervoso e confondere tutti i suoi princìpi. 

 

La sua mente restituì l'immagine di lui che si mordeva le labbra, quando era concentrato, e poi le sorrideva con quel sorriso così bello, irresistibile. Il suo corpo, le sue gambe muscolose, l'eleganze felina nei movimenti.

 

"E non ci indurre in tentazione!!" disse Elise a voce alta, picchiando i pugni sullo schienale della panca davanti a lei. Nella confusione, aveva fatto un misto fra l'Ave Maria e il Padre Nostro.

 

Una signora anziana, seduta proprio lì, si giró a guardarla male.

 

"S-scusi...." mormoró Elise, arrossendo di nuovo.

 

Si ricompose.

 

Chiuse gli occhi e tentó di svuotare la mente da ogni pensiero.

 

Liberaci dal Male.

 

Elise non aveva molta esperienza di cosa fosse il Male, ma certamente aveva compreso cosa fosse il peccato. 

 

Ed Warner era il peccato incarnato. 

Era una prova. Una prova che le aveva imposto il Signore per testare la sua forza spirituale. Era una tentazione micidiale, e crudele, perché fra le altre cose era irraggiungibile.

 

Lui era innamorato di un'altra. Si faceva desiderare da lei, e probabilmente lo sapeva, ma le aveva detto che pensava a un'altra. Era come una mela rossa e tentatrice, ma appesa a un ramo molto alto, troppo per lei. E come Eva era stata tentata e aveva perso, così anche lei stava rischiando la Caduta.

 

Signore, perché mi fai questo? 

 

Terminó le sue preghiere e si alzó. Fece una smorfia perché sentì le ginocchia indolenzite.

 

Uscì dalla chiesa e guardó il sole avviato verso il tramonto. Aprì la sua borsetta e prese il cellulare, che aveva silenziato prima di ricevere il sacramento. 

 

Vide un messaggio dal suo demone tentatore.

 

E.W.: Ciao Elise, potresti venire a casa mia, adesso? Ti dovrei parlare.

 

Emozionata da quell'invito, Elise mise via il rosario e tutti i suoi tormenti, e chiamó un taxi.

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Verso la finale ***


Ed le aprì la porta del suo appartamento prima ancora che suonasse il campanello. 

 

Si presentó con indosso i pantaloni della tuta e una canotta simile a quella dei giocatori di basket, in licra traforata. 

 

"Entra. Accomodati." la invitó.

 

Elise timorosamente fece il suo ingresso nell'alloggio che la società di suo padre aveva assegnato al nuovo portiere. Un appartamento moderno nella Landmark Tower di Yokohama. 

 

Ed non l'aveva ancora arredato come voleva, per cui tutto il mobilio presente era piuttosto basico, fatto salvo per il grande divano a penisola, un pezzo di vero design.

 

"Scusa se ti ho chiamata così all'improvviso, ma preferisco parlarti di persona per questa cosa. Siediti pure." le disse, indicando il sofa bianco.

 

"Non c'è problema. Non avevo impegni, adesso." rispose lei, accomodandosi.

 

"È venerdì sera...non esci?" chiese Warner. "No eh...suppongo che tu non sia abituata a fare grandi serate." 

 

Elise divenne rossa. "Che vuoi dire?"

 

"Che non mi sembri il tipo che esce e sta fuori fino a tardi. Tutto qui." rispose lui. "Hey, vuoi da bere?" 

 

"Se tu avessi un po' d'acqua... ti ringrazio. Ho sete." replicó la ragazza, stringendo le mani in grembo. 

 

Si sentiva a disagio. Era la prima volta che si trovava da sola nella casa di un ragazzo.

 

I suoi occhi vagarono per l'ambiente, ma poi non riuscirono a resistere, e si posarono sul corpo di Ed, che con quella canotta aveva le braccia scoperte e anche una parte di torace. Un fisico perfettamente scolpito.

Mi sono appena confessata. Signore dammi la forza...

 

"...acqua, succhi di frutta, qualche bibita... cosa preferisci?" domandó lui dalla cucina. "Hai un'ampia scelta."

 

"Acqua!" ripetè lei, a voce un po' più alta. "Grazie, Ed."

 

Lo sentì armeggiare con bicchieri e bottiglia, e uscì qualche secondo dopo con un vassoietto e una mezza minerale con due calici.

 

"Sai, fa caldo fuori... ormai è Giugno..." disse lei, per trovare un argomento generico di conversazione e mascherare il suo turbamento.  

 

"Eh che ci vuoi fare... non ci sono più le mezze stagioni." annuì l'altro. "Si dice così, vero?" 

Si sedette sul divano.

 

Elise schiarì la voce. "Cosa...cosa posso fare per te? Dimmi tutto."

 

Il ragazzo si morse il labbro inferiore, poi inizió: " Elise, devo chiederti un favore. Io devo partire per tre giorni. Sabato, Domenica e Lunedì prossimi. Dovresti parlare con tuo padre e chiedergli di lasciarmi andare. Devo rientrare a Tokyo."

 

Elise, che stava bevendo, deglutì male e tossì. Riprese fiato e guardó allarmata Ed. "Ma tu scherzi. Le vostre vacanze ufficiali iniziano il 1 Luglio. Fino al 30 Giugno voi giocatori siete tenuti a seguire i programmi della squadra! Tu poi hai la fisioterapia obbligatoria, per i problemi alla spalla! Non si puó!" 

 

"Lo so...lo so...ma è una cosa importante, per me. Domenica 20 Giugno io devo essere a Tokyo. C'è un evento che non posso perdere per niente al mondo. Devo andare." ripetè Ed.

 

"Mio padre non tollera queste cose. Ti darebbe una multa salatissima, e forse ti metterebbe sul mercato! Saltare gli impegni societari senza giustificazione è grave. Tu sei un nuovo acquisto, sei appena arrivato. Non metterti nei guai!" lo imploró lei.

 

"Questo è il punto. Mi devi aiutare, parla a tuo padre, digli che ho la necessità di tornare in famiglia per problemi personali, pregalo di accontentarmi. Sei sua figlia, ti adora. Non ti negherebbe questo." ribadì il portiere.

 

"È una bugia! Mi chiedi di mentire a mio padre! No, Ed. Io non lo posso fare." rispose lei. "Inoltre, se gli altri giocatori sapessero di questo permesso straordinario concesso a te, ne pretenderebbero altri per loro! Non ci pensi??"

 

"Nessuno saprà niente. Ai ragazzi della squadra parleró io, diró che si è ammalata mia madre. Non obietteranno, vedrai." la rassicuró lui. 

 

Elise guardó il suo bicchiere d'acqua. "No scusa. Non me la sento. Mentire...no."

 

Warner si appoggió allo schienale del sofa e sorrise. "Eh dovevo immaginarlo...una ragazza onesta e pura come te... non andresti mai contro i tuoi valori. Come dice quel vostro comandamento: non pronunzierai falsa testimonianza...?"

 

Elise si fece il segno della croce. "Abbi rispetto per le Leggi del Signore."

 

Il giovane roteó gli occhi, sarcastico. "Io sono shintoista, non credo nella Bibbia. Fatico a capire questo fanatismo religioso. Francamente, il corso di Teologia al liceo mi annoiava a morte."  si portó più vicino. "Ti chiedo un favore da amico."

 

"Devi andare dalla tua ragazza?" mormoró Elise. "Vero?"

 

Lui la guardó e scorse un lampo di dolorosa gelosia nei suoi occhi castani.

 

"È un affare privato. Non voglio dirti altro. Solo questa volta. Solo questa, e non ce ne saranno altre. Aiutami, Elise." rispose. Non gli era nemmeno sfuggito il fremito della giovane, quando si era seduto più vicino.

 

Decise di darle una spintarella psicologica.

 

Inizió ad accarezzarle i capelli, e passó le dita dietro il suo orecchio. "So che sei una persona generosa, e so che se vuoi, puoi darmi una mano." 

 

Elise si fece paonazza, e non riusciva a replicare. Sentirlo accanto a lei era una sensazione disorientante, profondamente sbagliata ma anche così bella. Infiló una mano in tasca e strinse il rosario.

 

"Te ne sarei grato, sai?" continuó Ed, facendo scivolare le dita sul suo collo. "Comprendo il disagio che ti creerei."

 

"Sei il diavolo, Ed." mormoró lei.

 

Il ragazzo un po' ci rimase, a quelle parole, ma poi rise. "Mi definivano serpente, infatti. Mi pare che le due cose siano connesse."

 

"Perché? Perché t-t-ti chiamavano così?" balbettó lei.

 

"Mah...non l'ho mai capito... forse perché quando mi interessa una donna riesco sempre a entrare nella sua vita. A volte strisciando, in silenzio, a volte colpendo improvvisamente. Non fallisco mai." rispose lui. "Mi hanno accostato a tutte le razze: un serpe a sonagli, un cobra..."

 

Elise indossava una camiciola in crepe-de-chine color crema, con un fiocchetto da collegiale proprio sotto al collo. 

Ed lentamente lo sciolse. 

 

Vide la ragazza chiudere gli occhi e abbandonare la testa sul grande cuscino dello schienale. "Io non credo di..."

 

Lui comprese di essere sulla strada giusta. Le sue labbra si posarono quindi sull'incavo del collo, che lei gli stava offrendo, affamata delle sue attenzioni. 

 

Non era un comportamento che lo faceva sentire orgoglioso di sè stesso, ma c'era un motivo. Doveva andare a Tokyo e doveva andare a quella partita. Non aveva altro obiettivo, in quel momento. Avrebbe tentato tutte le strade possibili, e oggettivamente quella era la più facile. 

 

Elise lasció andare un lamento che non lo sorprese affatto. Quale altra reazione poteva avere una ragazza diciottenne che forzatamente aveva trattenuto la sua libido fino a quel momento?  

 

Fece per sbottonare la camicia, ma sentì lei bisbigliare: "No...no, strappala. Strappala via." 

 

Ed sorrise. 

Toh, una piccola masochista in erba. 

 

Rifletté che forse ci sarebbero state anche le basi per divertirsi sul serio con una come lei. Certo, se le circostanze fossero state diverse. 

Ripensó a quella filastrocca che Eddie Bright ripeteva spesso: le figlie di Maria, sono le prime a ...

Sempre interessante verificare le dicerie sul campo.

 

 La accontentó. 

Afferró i lembi della sua blusa e la squarció come avrebbe strappato un foglio di carta velina. Elise emise un gridolino, che finì per eccitare anche lui.

 

Da quanto non faceva sesso? Dalla fine della sua storia con Beverly, da metà Febbraio. Con Marty non aveva concluso quindi...cinque mesi.   Per uno come lui, un notevole record di astinenza. 

 

La giovane Sawyer, peró, era una preda pericolosissima. Timbrarla avrebbe significato passare i mesi successivi con lei attaccata come una ventosa, avrebbe preteso un fidanzamento. Quella era il genere di baciapile che voleva farsi sposare.  Pensó agli immensi casini che gli avrebbe causato col Presidente della squadra, suo padre.

Vacci piano con questa, Ed, sentì la coscienza dirgli, nonostante le proteste del suo amico, che spazientito nei pantaloni implorava un'altra conclusione.

 

Elise intanto era lì, col reggiseno in bella vista e le guance rosse vermiglie. Erano sensazioni nuove, per lei.  Totalmente abbandonata a un ragazzo, con gli occhi gli chiedeva supplichevolmente di non fermarsi. 

 

"Parlerai a tuo padre?" chiese lui.

 

Lei non rispose. Non era ancora convinta. Di nuovo, la sua tempra morale, forgiata da anni e anni di devota fede, si elevó come una barriera alla richiesta di diventare una bugiarda. Stranamente, la sua etica non era poi così forte quando si parlava di cedere alla lussuria.  

 

Ed allora afferró le spalline del reggiseno e le abbassó con forza, strappandole un altro urletto.

 

Si chinó sul seno destro, per riservargli il trattamento speciale in cui era tanto bravo, e la ragazza incurvó con un gemito la schiena.

Gli si offrì del tutto, senza remore. 

 

Ed si bloccó e alzó la testa, per guardarla negli occhi. "....parlerai a tuo padre?"  

 

"Sì..." annuì lei, finalmente, vinta da lui e dal piacere blasfemo che le regalava, con quella lingua e quelle labbra di fuoco. "...sì, non fermarti adesso..."

Gli mise una mano dietro la testa e lo tiró a sè.

 

Ed Warner non se lo fece ripetere.

 

Delle volte bisognava sacrificarsi.

 

🎋🎋🎋

 

"Domani c'è la partita contro la Thailandia." disse Marty a Lynn. 

Erano al telefono da quasi un'ora.

 

La bionda raccoglieva dall'amica gli ultimi pettegolezzi che arrivavano dalla Nazionale, visto che aveva interrotto i contatti anche con Danny.  

 

"...ho letto sul giornale che Benji potrebbe entrare."  

 

"Danny dice che è molto probabile. I tailandesi sono fortissimi. Con Alan in porta, potrebbero incassare gol su gol. Benji sta facendo iniezioni anti-dolorifiche. Poverino." raccontó Lynn.

 

"Non puó giocare con i polsi in quello stato. Ed mi diceva sempre che un tiro molto forte puó anche spezzare un osso umano. Se è già infortunato, cosa potrebbe comunque fare? Allora meglio Alan. Almeno è integro." rispose Marty.

 

"Brutta storia. Se non vincono contro la Thailandia, possono anche uscire subito dal torneo. Hanno subito troppi gol,  nonostante le due vittorie. La differenza reti pesa, purtroppo." sospiró Lynn. "Ah...Danny mi ha detto di salutarti. Dice che non gli rispondi."

 

"Sono impegnatissima con gli allenamenti, adesso." mentì lei. 

 

"Infatti l'aveva immaginato...comunque, gli ho chiesto di Mark. Dice che sta bene." raccontó Lynn. 

 

"...e basta? Ti ha detto altro di lui?" volle sapere lei.

 

"No, niente." rispose Lynn. 

Suonó un po' forzata.

 

"Lynn...cosa ti ha raccontato? Tu e Danny siete due chiacchieroni. Possibile che non ci sia dell'altro?!" insistè Marty. "È stato a Okinawa da lui. Come è andata?"

 

"Bene. Faceva un caldo boia. Danny voleva riposarsi, ma alla fine Mark lo ha costretto ad allenarsi." rispose l'amica.

 

"Solo questo? Ma chi c'era lì, oltre a Mark?" indagó la ragazza.  

 

"E il suo allenatore. E i ragazzi della scuola. Basta...tutto lì..." mormoró Lynn. 

Si sentiva che non era sincera.

 

"Mi nascondi qualcosa? Non prendermi per il sedere. Sai che non mi piace." l'ammonì Marty.

 

"Ma no niente...non c'è niente..." disse lei, con voce incerta. 

 

"Porca puttana, Lynn!" intimó l'irlandese. "Che altro ti ha detto Danny?"

 

Ci fu silenzio dall'altra parte della cornetta. Poi la ragazza giapponese rispose. "È che...Danny mi ha detto di non dirti..."

 

"COSA?"

 

"...perché ci saresti rimasta male..." mormoró Lynn.

 

Di nuovo, silenzio. 

"Allora?" 

 

"Mark ha una storia con una tizia." riveló Lynn, infine. "L'ha conosciuta sull'isola. Si sono scambiati i numeri e si sentono, Marty."

 

Fu il turno della giovane Laughton, di rimanere ammutolita.

 

"...Danny dice che tu sei legata a lui, per la sua famiglia anche, e che dovevo evitare di dirtelo perché potevi soffrirne. Peró io non capisco cosa ci sia di male...scusa, tu mica sei innamorata di Mark, no?" chiese l'altra.

 

Nessuna risposta.

 

"NO?" 

 

Poi, arrivó di nuovo la voce di Marty. "No, infatti. Non capisco perché Danny abbia avuto questi scrupoli. Bene per Mark, se ha una. Finalmente." 

 

"Eh appunto! Anch'io gliel'ho detto. Scusa Danny, ma cosa frega a Marty di quello che fa Lenders??! Peró sono curiosa. Vorrei vederla. Danny dice che è una molto semplice, atletica. Non si sono parlati, comunque. Sai cos'è successo? Il giorno della partenza di Mark e Danny, la tipa è corsa dietro al pullman! Non aveva salutato Mark e ha rincorso il bus. Poi lui è sceso." disse Lynn, felice di spettegolare in libertà.

 

"Cosa?"

 

"Sì sì, deve essersi presa una cotta spaventosa. Ci pensi?" aggiunse l'altra. 

 

"È corsa dietro a un autobus, perché su c'era Mark?" domandó ancora Marty.

 

"Ti dico di sì. Infatti poi è arrivato tardi all'aeroporto, si sono imbarcati all'ultimo." disse ancora Lynn. "Peró, lui deve essere rimasto colpito da lei. Si scrivono, si sentono."

 

"Una squinternata, quindi?" ringhió Marty, travolta dalla gelosia. "Queste ragazze piacciono a Lenders?"

 

"Ma no...perché?" la contraddisse Lynn. "In fondo è romantico...si è innamorata e non voleva lasciarlo andare senza salutarlo. Secondo me andrà anche a trovarlo a Takayama."

 

Quella frase ficcó un punteruolo da ghiaccio nel cuore già provato di Marty.

 

"Dici?"

 

"Per me sì. Vedrai che prima o poi questa spunterà fuori." rise Lynn. "Tu come va? Pronte per la finalissima?? Che emozione, tutta la scuola si sta preparando.. io vengo a vederti dal vivo!" 

 

"S-si. La finale, certo." sussurró Marty. "Per i nostri tifosi i biglietti sono limitati. Non so se ne troverai uno. I tifosi della Mambo hanno la precedenza." 

 

"Invece l'ho già avuto. Io e Danny verremo a vederti!! Sai chi ci ha procurato il biglietto?? Julian Ross." annunció Lynn. "Lui si è diplomato alla Mambo, essendo il capitano e campione della squadra di calcio ha avuto dieci biglietti omaggio! Figo, vero??"

 

"Ross?? Ah. Bene, è stato carino da parte sua." rispose Marty. "Gli faró avere un messaggio di ringraziamento. Da capitano delle avversarie, sono tenuta. Anzi, se mi fai avere il suo numero gli scrivo...."

 

"Sì, poi dico a Danny di mandartelo." rispose Lynn. "Ci saranno alla tua finale anche Julian e la sua ragazza, Amy. E...altri." 

 

"Altri chi?" chiese Marty. "Altri della Nazionale??"

 

"Non te lo dico. E non insistere, perché su questo ho la bocca cucita." rise Lynn.

 

"Cazzo, Lynn, non mi porterete mica Benji alla partita!!" urló Marty, agitata.

 

"Zero. Non saprai nulla da me. Ciao amica, buona serata!" sentì Lynn ridere ancora. "Baci!"  e riattaccó.

 

Signore Iddio santissimo...pensó la ragazza di Shanghai. Finisce che quest'anno vado in manicomio.

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** Sfoghi ***


 

La partita di quel week end fra Giappone e Thailandia fu una vera guerra.  

 

Marty aveva invitato Lynn a casa sua per seguire l'incontro sul grande televisore del salotto, insieme a suo padre. 

 

Terminó 5-4 per i giapponesi. 

Un match durissimo che vide il giovane Rob Denton segnare il gol finale, dopo che tutti i giocatori di Gamo ebbero lottato fino allo stremo. 

Come ventilato, Benji era stato costretto a entrare in campo alla fine del primo tempo, per sostituire il povero Crocker travolto dai tre fratelli Konsawatt: erano un trio interessante, usavano anche acrobazie e mosse di arti marziali nelle loro azioni.

Marty si trovó a pensare che sarebbero stati gli avversari ideali di Ed.   Avrebbe certamente trovato un modo per rispondere alle loro evoluzioni e li avrebbe ripagati con la stessa moneta.

 

Benji, ad ogni modo, fu eroico.

Si vedeva che i polsi gli dolevano,  e non poteva fermare il pallone in presa.  Si limitava a respingerlo e ogni volta stringeva i denti per le fitte di dolore.

 

Vedendolo così sofferente eppure indomito, la bionda un po' si pentì di averlo trattato con sufficienza al telefono. 

Era un grande sportivo, e per questo, almeno, meritava rispetto.

 

"Dovrei chiamare Robert Price e congratularmi." aveva detto suo padre al termine del match. "Benji è stato un fenomeno."

 

Lynn mandó subito un messaggio a Danny per complimentarsi, nonostante non fosse mai entrato in campo.

 

"Hanno passato la prima faseee!" gridó, felice. "Adesso in Indonesia! Spero che chiamino anche me!!"

 

"Ma... non hai più sentito nessuno per quella storia? La Federazione non ti ha fatto sapere?" chiese Marty.

 

"No...Ovviamente aspettavano il risultato di oggi. Adesso è confermato il viaggio della squadra a Jakarta  per la seconda fase. Magari rivedranno il personale. Speriamo!"'rispose Lynn. 

 

"Una volta sono andato a Jakarta per lavoro. L'Indonesia è affascinante, ma piena di animali selvatici.  Mi sono trovato una biscia nella stanza d'albergo." raccontò Andrew.

 

"Una...biscia?! La prego non mi dica così." reagì Lynn, impressionata.

 

Padre e figlia risero. 

 

L'uomo poi si alzó e si sgranchì le gambe. "E bravi i samurai blu! Ci sarà festa a Tokyo oggi..."

 

"Ah non creda. Qui faranno i caroselli solo se dovessero vincere il mondiale. Da noi la prima regola è: moderazione. In tutto." ribattè Lynn.

 

"Eh l'ho imparato in quest'ultimo anno. Da noi, in Irlanda, se la nostra squadra arrivasse anche solo ai quarti di finale sarebbe festa nazionale!" rise Andrew. "Ragazze, vado a fare un giro con mia moglie. Voi state qui? C'è un sole bellissimo, oggi!"

 

"Vorrei riposare in casa. Oggi è l'unico giorno di pausa dall'allenamento..." sospiró Marty.

 

"Io le faccio compagnia!" disse Lynn.

 

"Ah...se preferite. Contente voi." replicó il signor Laughton. "A dopo, allora. Joanne! Sei pronta?!"

 

Arrivó la madre di Marty dal piano superiore. "È finita 'sta partita? Era ora!"

 

I due coniugi uscirono di casa. 

Marty si rallegró nel vedere che provavano a stare di più insieme, anche se i loro problemi erano lungi da essere risolti.

 

Lynn esclamó: "Ci sono le interviste ai ragazzi, guarda!"

 

Videro il cronista inviato dall'emittente televisiva avvicinarsi al capitano Hutton, sudato e compiaciuto del risultato.

 

"Deve essere una brava persona, questo Holly." riflettè l'irlandese.

 

"Danny mi dice sempre che è uno dei calciatori giovani più forti della storia del Giappone." confermó l'amica. "E che è onesto e molto semplice."

 

"Non si è montato la testa per la sua fama.   Buona cosa!" sorrise Marty. 

 

"Guarda, guarda! Mark!" la interruppe l'altra.

"Dimagrito, non ti pare?"

 

Dinanzi alla telecamera apparve il numero Nove della squadra, grondante sudore e con il solito sguardo fiero. 

 

"Sì, è più asciutto." mormoró Marty.

 

"Ma è anche abbronzato!" fece Lynn.

 

"È la sua carnagione." rispose la bionda. "È sempre stato così!"

 

"Ma no, ti dico! È più scuro. Capirai, con tutto il tempo trascorso in spiaggia...a Okinawa."

 

Bastó quella banale osservazione per dare una scossa elettrica al sistema nervoso di Marty, che già si era smosso con l'apparizione di Mark davanti alla TV.

 

"A me pare sempre lo stesso..." ripetè, ostinata.

 

"Comunque che impressione vederli in televisione! Mi emoziona tantissimo,  a te no?" chiese Lynn. "...Marty? Hai gli occhi lucidi."

 

Lei si strofinó le palpebre. "No, saranno i pollini..." mentì.

 

"Ma se non sei allergica a niente." fece Lynn, perplessa. 

 

"Si vede che lo sono diventata qui." rispose la ragazza bionda. Ma le venne da piangere. Non potè trattenere una smorfia amareggiata.

 

Lynn afferró il telecomando e spense la TV, nel mezzo dell'intervista a Gamo.

 

"...piangi???" si meraviglió.

 

Marty si coprì il viso con le mani. Non ce la faceva più a recitare. "Niente...dai, lasciami due minuti...." e poi eruppe in un pianto silenzioso, ma inarrestabile.

 

Lynn non seppe che dire, sorpresa da quello scoppio emotivo. 

 

"...posso sapere cosa c'è?" chiese dopo qualche minuto.

 

"Non sto bene..." singhiozzó la compagna di classe. "Sono agitata. Non sto bene!"

 

"Lo vedo che non stai bene. Ma così, d'improvviso? Cosa ti succede?" chiese l'altra.

 

Marty prese un tovagliolo dal tavolino di cristallo e si soffió il naso. Si portó una mano alla fronte. Sembrava la più depressa delle creature del buon Dio.

 

"...è la finale di volley?? Hai paura..?

 

"...no..." mugoló lei.

 

"Cos'altro puó esserci? Ti manca Ed?" insistè Lynn.

 

"Quello no davvero." negó l'irlandese. 

 

"Litigato coi tuoi?"

 

"No...Lynn, è una cosa che riguarda me. Mi sento sottosopra. Mi sento come se fossi stata derubata." rispose Marty.

 

"Di che cosa? E da chi?" volle sapere l'amica.

 

"Senti... io so che tu ti consideri mia amica. Peró, qualche volta in passato credo che tu abbia raccontato cose personali su di me in giro, a scuola. Tipo su Ed, quando eravamo all'inizio della nostra storia. Non so se posso fidarmi a parlarti, lo capisci?" sbottó Marty.

 

Lynn assunse un'aria tremendamente offesa. "Ioooo??? Io non ho mai detto niente su di te! Come puoi pensarlo?!"

 

"E chi sapeva oltre a te che andavo ogni tanto dai Lenders? Quelle voci a scuola chi le ha fatte girare, hm? Dai non negare." ribattè la bionda.

 

"Beh puó essere stato Mark, non ci pensi? Forse non credeva di fare niente di male raccontandolo ai suoi compagni di squadra. O magari Ed? Perché io??" replicó Lynn.

 

"Possibile che siano stati loro, certo. Tuttavia, improbabile." sospiró Marty.

 

"Mi hai ferita." le disse Lynn.

 

L'altra la guardó. Dall'espressione corrucciata, Marty comprese che era sul serio scossa da quelle accuse.  

 

"...io comunque non sto bene. E se ti dico perchè, ho paura che lo dirai a mezzo mondo." fece infine, chiudendo gli occhi.

 

"Ti giuro che non lo faró. Ci conosciamo da mesi ormai. È vero, mi diverte il gossip, ma non farei del male a qualcuno con i pettegolezzi." le disse la ragazza giapponese.

 

"Voglio fidarmi. Ma se tu ti lasci sfuggire una parola con qualcuno, ti faró in tanti piccoli pezzi. Tanto piccoli che gli avvoltoi non potranno trovarti." la minacció Marty.

 

Lynn sorrise. "Allora è roba forte. Se arrivi a queste promesse di omicidio la faccenda è grave."

 

"No, non è grave.  È che mi sento stupida e nonostante io sappia che aprirmi con te sarebbe un errore, non riesco a tenermi tutto dentro." riveló la giovane Laughton.

 

"Io ascolto. Sono qui. Quello che dirai in questa casa, non uscirà da questa casa." promise Lynn.

 

"Ok. Mi arrendo. Ti voglio dare fiducia. È che mi sta scoppiando la testa...perché vedi..."

 

🎋🎋🎋

 

"Ti devo chiedere scusa. Non avrei mai dovuto parlarti di quella ragazza. Danny del resto me l'aveva detto." sospiró Lynn, dopo che Marty ebbe vuotato il sacco, fra i singhiozzi.

"Ma allora è vero che sei innamorata di lui."

 

"Non lo so. Non so. Solo che... quando è venuta fuori la storia di questa tizia, mi ha fatto un male cane. La mia amica Maylin me l'aveva detto, se n'era accorta...e io ho negato come una stupida!" si lamentó lei.

 

"Quella di Shanghai? Potevi chiamarla in questi giorni...ti avrebbe consolata." 

 

"Non la sento da quando è tornata in Cina. Mi vergognerei a dirle che aveva ragione. Aveva inquadrato tutto." rispose la bionda. 

 

"Comunque, ascolta. Non è che Danny mi ha detto: è la sua ragazza. Ha detto che si chiamano e si scrivono. Ma Mark non ha parlato di relazioni. Cioè, forse qui stiamo ingigantendo la cosa. Magari sono amici!" 

 

"Amici un corno! Quando mai Mark ha avuto amiche?! Pure con me si è sciolto dopo parecchio tempo. No, no... ha qualcosa con quella. Magari hanno anche scopato a Okinawa." sbottó Marty.

 

Lynn rise. "Ma nooo!! Ma figurati!" 

 

"E cosa ne sai? Se si sentono tutti i giorni, è perchè qualcosa è successo. Io come una cretina gli ho fatto una scenata di gelosia al telefono e adesso pensa che sono una bambina. Mi sono sputtanata ai suoi occhi. Quella ha gioco facile!" riflettè la ragazza.

 

"Sì quello potevi evitarlo. Infatti... Danny mi ha detto Mark pare un po' seccato con te." 

 

"Ecco...eccoooo!!!" fece Marty. "Pure incazzato con me..."

 

"Senti... magari stasera io chiamo Danny, eh? Gli dico di chiedere a Mark di contattarti." propose Lynn.

 

"Inutile. L'ho perso. L'ho consegnato a un'altra. È colpa mia...colpa mia...all'aeroporto dovevo parlargli un po' di più..."

 

"E cosa gli avresti detto? Ricorda che sei mio... non flirtare con altre? Ma sai dove ti avrebbe mandata?" rispose Lynn.

 

"C'era Ed. C'è sempre stato Ed nella mia mente. Dio, se avessi aperto gli occhi prima..." si lamentó ancora l'altra.

 

"Sono cose imprevedibili. Poi francamente Mark non è tipo che dà corda alle donne...magari se anche lui si fosse sbilanciato verso di te... ma scusa, lui non ti ha mai approcciato in nessun modo?" volle sapere Lynn.

 

"No." disse Marty.

La faccenda del bacio rubato dietro il tiglio doveva rimanere fra lei e Mark. Su quello, non ne avrebbe fatto parola con Lynn manco morta.

 

"E allora magari tu stai facendo i conti senza l'oste. Ti piace ma se la cosa non è corrisposta..." osó dire l'altra.

 

"Il fatto è che mi sta andando in pappa il cervello. Io dovrei essere concentrata sulla gara di Domenica prossima. E penso invece sempre a lui... e a lei... e a questa merda di situazione!!" si sfogó ancora Marty. 

 

"Gli devi parlare. Gli devi parlare prima della finale. Non ci puoi arrivare così davanti alla Mambo. Quelle ti fanno un culo quadro, le danno già vincenti!" le disse Lynn. "Prova a chiamarlo. Prova, stasera."

 

"Non mi risponderà. E io ci rimarró peggio che male. E arriverò a domenica col morale a terra." obiettó l'irlandese.

 

"M almeno saprai. Anzi è meglio che tu sappia subito. Se Mark sta con un'altra, e se vuole chiudere con te in tutti i sensi, ti farai un grande pianto, ma poi ti passerà. Non puoi rimanere così, nell'incertezza. Ti fotterai il cervello." le consiglió Lynn. "Gli adulti affrontano le prove, è un percorso inevitabile verso la piena coscienza di sè. Visto che non sei una bambina,  non comportarti come tale. Chiamalo." 

 

Marty riflettè in silenzio.

Poi si voltó verso l'amica. "...dove hai imparato tutta questa saggezza??"

 

Lynn fece l'occhiolino. "Sono le parole di un pezzo che ho trovato su Top Girl di Maggio. La posta del cuore di Kumiko. Rispondeva così a una ragazza nella tua situazione."

 

Marty prese un cuscino dal sofa e lo tiró in faccia a Lynn. "Ma vai in malora! E io credevo fossi seria!!"

 

"Ma sono seria! Chiamalo. Stasera. Dalla camera da letto. Con calma. Tu e lui." continuó Lynn. "Chiamalo."

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** Il momento dei confronti ***


 

Marty, quella sera stessa, decise di seguire il consiglio della sua amica. Ritenne che in fondo Lynn avesse ragione: non poteva arrivare alla finale del 20 giugno con lo stato d'animo in burrasca. 

 

Meglio tagliare la testa al toro, e pazienza se sarebbe stato molto doloroso. 

 

Dopo cena, corse subito in camera sua, e chiuse la porta chiave. 

Passeggió avanti e indietro per la stanza una ventina di minuti prima di trovare il coraggio di prendere in mano il cellulare. Inspiró ed espiró almeno cinque volte, e poi selezionó il numero di Mark.

 

Fece partire la chiamata. 

 

Uno squillo. 

Due squilli. 

Tre squilli. 

Quattro squilli. 

 

Non ci fu risposta, e la sua più profonda paura divenne realtà. La mente si rifiutò di registrare  l'ipotesi peggiore, cioè che lui volutamente la stesse ignorando. 

 

Inizió a trovare tutte le possibili scusanti: forse sta facendo la doccia e non sente; forse sta cenando; forse è nella sala comune con i ragazzi; forse nel cortile dell'albergo e sta facendo una passeggiata. Forse sta rilasciando una lunga intervista post-vittoria.

 

 "O forse non gliene frega un cazzo di rispondermi" si disse. Poi si portó una mano al viso e buttó il cellulare sul letto. Si sedette sulle lenzuola, e si passó le dita fra i capelli corti.

 

" ...adesso vede la chiamata. Vede la chiamata e mi manderà un messaggio per chiedermi cosa voglio, magari mi chiamerà lui stesso. Sì... Sì... Farà così. Adesso mi chiama." si ripetè quel mantra, come a volersi convincere a tutti i costi.

 

Passó mezz'ora, in cui rimase sdraiata immobile sul letto, ma non arrivarono nè messaggi, nè telefonate. 

 

Arrivó invece una sensazione amarissima di scoramento e abbandono, che finì per farla singhiozzare di nuovo. Non c'era più neanche Gogo con cui sfogarsi.

 

"Perché mi tratti così..." le scappó, mentre le lacrime calde bruciavano le guance. 

 

Mise la testa sotto al cuscino e pianse, per espellere tutto il tormento che la mangiava viva. 

 

"Non voglio sentirmi così!!! Non voglio!!" gridó sotto al guanciale in piuma d'oca. 

 

Continuó a guaire per dieci minuti buoni.  

 

Riprese in mano il telefono. Nessuna notifica.

Niente, zero, nada, nichts. 

 

Il tenebroso del ghetto le aveva dato il benservito e arrivederci. Aveva messo una croce sopra di lei, evidentemente, adesso che aveva per le mani una nuova amichetta. 

 

Lentamente, il dolore si trasformó in rabbia. Poi in rabbia furiosa. 

 

Era colpa di quell'altra. 

Lei era il suo uccello del malaugurio, lei, la stronza di Okinawa.

 

Ma cosa poteva avere di così straordinario, di così irresistibile? 

 

Doveva vederla, doveva sapere come era fatta. Divenne un bisogno disperato, da accontentare all'istante. 

 

Accese il suo iMac. 

Quella faceva parte di una squadra di softball, giusto? Una squadra di liceo. Si chiamava Maki, Lynn si era ricordata perfino il nome. Ma non sapeva il cognome, e neppure l'età. 

 

Danny aveva detto alla sua amica che gli era sembrato fosse più giovane di Mark. Magari di un anno.

 

Andó su Google.

 

Cercó: Okinawa, female softball players, high school, Maki.

 

Lanció la ricerca e un nome solo venne fuori, accompagnato da una foto. Una foto presa da un album scolastico online. Una studentessa iscritta al secondo anno della Nihon High School. 

Una diciassettenne come Marty.

 

Ebbe la certezza che fosse lei: capelli corti, figura snella, ma soprattutto due occhi scuri e sfidanti, esattamente come quelli di Mark. 

 

Maki Akamine.

Number 1, softball team Nihon Campus.

17 yrs old.

 

Così diceva la didascalia. 

 

Non era una bellezza. 

Indossava una visiera e l'uniforme della squadra di softball. Era tonica, aveva le spalle larghe e il bacino stretto. Un abbozzo di seno rivelava il suo genere, ma senza difficoltà avrebbe anche potuto venir presa per un ragazzo.

 

"Tutto qui?" disse Marty. "Tutto sto casino per questa?" 

 

Ritrovó un po' di animo. Quell'immagine non rappresentava una bomba sexy mangia-uomini ma una specie di maschiaccio.  

Quella tizia era un Nessuno, un manico di scopa con palla e guantone, era una persona insignificante.

 

Ma erano gli occhi a non lasciarla tranquilla.

Il suo era uno sguardo vivace, e un po' aggressivo: nonostante la visiera quel cipiglio sembrava uscire dalla foto e puntare dritto verso di lei. 

 

Scrolló in fondo alla pagina e trovó l'insperato regalo del Destino. Oltre ai dati anagrafici, in neretto era riportato un numero di telefono. Probabilmente era un cellulare di segreteria scolastica, che alcuni istituti mettevano su internet, in caso qualche giornalista avesse voluto intervistare le atlete.

 

 Alla Toho non c'era questo strumento, perché Pemberton teneva al rispetto della privacy di tutti.

 

Un'idea pericolosa si insinuò in lei. Un'idea balzana, che avrebbe potuto causarle una montagna di guai.

 

Tuttavia, l'atteggiamento tranchant di Mark, il suo silenzio e la gelosia che ormai scavava come un tarlo nel suo cuore, la portarono a compiere un'azione di cui si sarebbe enormemente pentita in futuro.

 

🎋🎋🎋

 

L'indomani, prima di incontrarsi con le ragazze in palestra,  Marty raggiunse il fondo del suo barile personale e cominció a grattare. 

 

Decise di chiamare la scuola di Okinawa, e di avere il numero di quella. 

 

Sotto il sole mattiniero di Giugno, prese l' Iphone e telefonó. 

 

Rispose una voce rauca di donna, forse anziana. "Pronto, scuola Nihon, dipartimento Sport e Attività Extrascolastiche. Chi parla?"

 

"B-buongiorno signora. Scusi il disturbo in questo periodo di vacanza. La chiamo da Tokyo. Sono una...una...giornalista in stage presso una testata sportiva cittadina. La mia superiore mi ha chiesto di scrivere un articolo sul softball a Okinawa e su come questa disciplina stia prendendo piede nell'isola. Se possibile, desidererei intervistare una delle vostre studentesse." disse tutta d'un fiato, sorpresa dalla sua capacitá di mentire.

 

L'altra persona al telefono tentennó. "Da Tokyo...? Addirittura? Signorina, ma devo dirle che la nostra scuola è chiusa. Le atlete non si allenano più nello spazio dell'istituto."

 

"Sì certo... mi chiedevo peró se posso avere il numero di cellulare di una di loro. Ehm...Akamine...Akamine Maki." insistè Marty.

 

"Maki...certo...ma io non posso  dare numeri privati delle nostre ragazze in giro. Capisce, non è legale. Perché invece lei non mi fornisce i suoi contatti di ufficio,  la faccio richiamare." si oppose la segretaria.

 

Marty sudó freddo. "No vede...io sono una stagista. Non ho un numero aziendale, ancora. Speravo di poter raggiungere privatamente la ragazza.  Il nostro è un quotidiano venduto a Tokyo, ovviamente sarebbe un piccolo trafiletto, non un articolo a tutta pagina.... ma se non è possibile...."

 

"Un quotidiano venduto, dice...? Immagino che Maki sarebbe emozionata di farsi intervistare..." la donna suonó indecisa.

 

"Beh credo di sì. Sa una ragazza così giovane, la sua prima intervista... insomma non è da tutti." mentì di nuovo lei.

 

"Hmmm non so... mi dispiace far perdere a Maki questa opportunità...senta, io le do il suo numero, peró la chiamo anch'io per anticiparle che lei si farà sentire. Va bene?" chiese la signora.

 

"Sì!! Certo! Certo!" accettó Marty. Era stato facile, dopotutto.

 

"Bene, allora mi faccia cercare nell'elenco con i numeri..." rispose la segretaria. "Ecco!!" 

 

Le dettó il numero, che Marty memorizzó al volo sul telefono.

 

"Io spero che faccia una buona intervista a Maki! Sa è una ragazza che ama molto il softball, è la sua passione!" le disse la signora.

 

"Oh non ne dubiti! La ringrazio infinitamente!"  replicó la bionda. "Buona giornata!"

 

"Signorina...un attimo solo, mi perdoni!! Non mi ha detto il suo nome nè il nome del giornale!" le disse la segretaria.

 

"Il...mio nome? Oh, ehm...ecco mi chiamo Kumiko. Sì, puó dire ad Akamine che la cercherà la signorina Kumiko. Il nome della testata lo diró alla ragazza direttamente. Grazie ancora, buona giornata!!" rispose lei e riattaccó subito.

 

Era stata abbastanza furba da far partire la telefonata da numero sconosciuto, così non sarebbero risaliti a lei.

 

Bene. 

Aveva il contatto della maledetta. 

 

Avrebbe lasciato a Mark ancora una mezza giornata per farsi sentire. Se anche l'indomani non avesse avuto notizie da lui, sarebbe passata alla contromossa. 

 

Se lui avesse perseverato nel silenzio, la bionda di Dublino si sarebbe fatta quattro interessanti chiacchiere con Miss Softball di Okinawa. 

 

Non si sarebbe fatta gettare in un cestino come un fazzoletto usato.

 

🎋🎋🎋

 

Ed Warner si sveglió nel cuore della notte, quel lunedì. 

 

Il letto, alla sua destra, era vuoto. 

 

Eppure Elise si era addormentata con lui, due ore prima. Dove era finita? 

 

Il rumore che veniva dal bagno gli diede la conferma che la giovane era ancora a casa sua. Del resto nelle sue condizioni non sarebbe potuta andare proprio da nessuna parte.  Non si reggeva neanche in piedi.

 

Ci aveva messo troppa foga, con lei.

 

Troppa, per una vergine, e anche particolarmente stretta.  

 

All'ennesimo mi fa male, non così! che gli aveva detto, Ed le aveva tappato la bocca con una mano ed era entrato in lei, in tutta la sua lunghezza. 

 

Lei aveva urlato contro il suo palmo come neanche la stesse dilaniando, e aveva invocato tutti i Santi in paradiso. Poi, si era abituata alle sue dimensioni ed era andata un po' meglio. Presto l'aveva sentita affondargli le unghie nella schiena e gli aveva anche dato piccoli morsi sulla spalla. Gli strilli erano diventati gemiti e così i due si erano fusi uno nell'altro, nella vischiosità del sangue, e sul finire lui era riuscito perfino a godersela un po'.    

 

Ma nel complesso, non era certo stata un'esperienza da segnarsi sul taccuino sotto la voce: grandi scopate.

 

L'uscio del bagno si aprí. 

Ne uscì Elise con passo incerto, e dovette reggersi allo stipite della porta, perché le ginocchia le cedettero. Aveva un asciugamano avvolto attorno alla vita a mo' di culotte.

 

"Tutto bene?" sussurró Ed.

 

"Sono indolenzita." fece lei.

 

"È normale. Ti passerà." rispose il giovane.

 

Sentì la ragazza stendersi sul materasso e la coprì con le lenzuola. "Ti ho fatto molto male?"

 

"All'inizio sì...ma poi è stato anche bello." disse Elise. 

 

"Le prossime volte sarà sempre meglio." disse lui. "Vedrai."

 

"Ci saranno altre volte?" chiese la ragazza.

 

Non con me, pensó lui.

 

"Certo. Adesso che hai iniziato, ti sei sbloccata. Hai tutta la vita davanti..." rispose Warner.

 

"Sai cosa intendevo." replicó Elise.

 

Ed sospiró. 

"Ti ho spiegato com'è la situazione."

 

Passó un minuto di silenzio fra i due, rotto solo dal gocciolìo della doccia in bagno.

 

La giovane improvvisamente si giró su un fianco. "È molto bella?"

 

"...come dici?"

 

"La ragazza che hai lasciato a Tokyo...è molto bella?" ripetè.

 

"Sì. Sì lo è." ribattè Ed.

 

"Posso vedere una sua foto?" mormoró lei.

 

Ed si stupì. "Perché"

 

"Vorrei vedere i suoi occhi. Avrai qualche foto sul cellulare, credo." disse l’altra ancora.

 

Ed non comprese quella strana richiesta, specialmente dopo aver fatto l'amore. Ma prese il suo iPhone dal comó e aprì la galleria. "Ecco, tieni."

 

Glielo porse.

Elise lo afferró e guardó quella foto scattata in un giardino. Forse era il giardino di casa Warner, che a Ed mancava molto.   

 

Si vedeva una giovane bionda, con i capelli lunghi sciolti sulle spalle e un sorriso simpatico. Aveva grandi occhi azzurri, nel cui riflesso si vedeva sincera felicità.

 

"Devo riconoscere che questa Marty è deliziosa." disse Elise, porgendo ancora il cellulare al ragazzo.

 

Poi si giró di schiena, e inizió a singhiozzare.

 

"Non ti ho fatto alcun torto. Venerdì sera ho iniziato io...ma sei venuta tu da me, oggi. Lo hai voluto in piena coscienza. Perció non tentare di farmi sentire in colpa, va bene?" le disse Ed.

 

Detestava sentirsi in colpa. Ci era già passato con Kibi. 

 

“Non è colpa tua…sono io…sono io che ho sbagliato.” disse Elise, scandendo con difficoltà le parole. “Ho sbagliato, sono una debole…mi odio!!! Il Signore mi punirà…” 

 

“Beh odiati pure. Ma fallo in silenzio.” rispose Ed, che cominciava ad averne abbastanza.

 

Aveva ottenuto comunque lo scopo: il permesso di allontanarsi da Yokohama per cause eccezionali gli era stato dato dai dirigenti del club. Si era già assicurato il biglietto per il match finale di volley settimane prima, prima ancora che la Toho buttasse fuori la Matsukami. 

Credeva ciecamente in Marty, e lei non aveva tradito le sue aspettative. 

 

“Mi odio perché anche se so che sei un demonio, non riesco a non amarti. Non è questo il peggior affronto a Dio?? Amare il suo grande nemico??” disse ancora Elise, con voce rotta. 

 

Ama il tuo nemico, furono queste le parole di quel falegname di Giudea. Allora, non ti affliggere. Tu stai seguendo alla lettera il suo Verbo.” rispose Ed. 

 

Poi si voltó dall’altra parte, e tornó a dormire. 

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** Avvertimenti ***


Mark non chiamó.

 

Non la cercó nè quel giorno, nè quello dopo. 

 

Martedì sera, quattro giorni prima della Finalissima di volley, Marty Laughton decise di mettere da parte l'ultimo barlume di scrupolo che aveva, e gettarsi a capofitto nell'inferno degli infami.

 

Troppo grande era l'offesa che Lenders le aveva arrecato, ignorandola. 

 

Naturalmente, la sua coscienza le aveva ricordato che era stata lei la prima ad aggredirlo telefonicamente, e tutto sommato senza ragione.  Non era la sua ragazza, e quello che Mark faceva lontano dalla sua vista non era affare suo. A questo non c'erano possibili obiezioni.

 

Ma si era creato nei mesi un legame fra loro due, una solidarietà reciproca. Marty non riusciva a tollerare che tutto fosse stato buttato al vento così, solo per una estemporanea reazione smodata;  e perché poi una sconosciuta e anonima ragazza si permettesse di chiamarlo e scrivergli tutti i giorni, era fuori dalla sua comprensione.

 

Tempo di chiarire un paio di cose, alla giapponesina appassionata di baseball. 

 

Poi, che sport del cazzo, il baseball. Ci provasse a stare su un campo di volley per una partita intera, se ne aveva la forza.

 

Decise di non fare la telefonata in camera sua. 

 

Andó a un vicino campo da giochi, che alle sette di sera era deserto: i bimbi verso quell'ora andavano tutti a casa. 

 

Si portó vicino alla casetta di Biancaneve e tiró fuori il cellulare dalla tasca del giubbino.

 

Era tempo che Biancaneve si trasformasse nella Regina cattiva, per riconquistare il ragazzo delle sue brame. Quantomeno per tenerlo lontano da pericolose quanto stupide tentazioni. 

 

Mark meritava di più. 

Mark Lenders era il capitano della Toho, era un ragazzo dietro al quale sospirava circa la metà delle studentesse della scuola e un notevole numero di tifose della nazionale giovanile. Era uno che gettava nell'immondizia lettere d'amore, numeri di telefono, cioccolata di San Valentino, regali. 

 

Solo lei era riuscita a scalfire la sua corazza e costruire un rapporto di stretta amicizia. Lei era stata il suo primo bacio, e pazienza se dopo gli aveva tirato un ceffone. 

 

Chi si credeva di essere quella Maki Akamine? Arrivata dal nulla, con la sua visiera da sfigata e quel corpo da maschio? Pensava forse di diventare la sua fidanzatina? Ma robe da matti.

 

Bastó questo pensiero a riempirla di stizza. 

 

Ancora selezionó nascondi ID chiamante dalle impostazioni del cellulare e fece partire la telefonata.

 

Dopo due scatti, si sentì una voce squillante che rispondeva.

 

"Pronto?" 

 

Marty restó in silenzio. 

Improvvisamente, ebbe paura. 

Paura di venire scoperta, delle reazioni di Mark se avesse saputo, delle conseguenze di quell'azione. Non riuscì a proferire parola.

 

"Chi parla? Pronto?" insistè la persona dall'altra parte del telefono. 

 

Marty riattaccó, e inizió a respirare affannosamente. Non posso. Se questa cosa viene fuori...

 

Andó a sedersi su una delle piccole altalene, e restó così, con il telefono in mano e le mani abbandonate sulle ginocchia. 

 

Il tramonto portó nel cielo una tonalità violacea e bellissima, e la ragazza rimase a fissare quella tavolozza di colori strepitosa. 

 

Pensó a come doveva essere bello il tramonto a Okinawa: chi poteva sapere se Mark e la tipa l'avessero mai ammirato insieme, magari seduti stretti sulla spiaggia.

 

Di nuovo, avvertì un guizzo di rabbia nello stomaco. 

 

Si alzó di scatto dalla seggiola dell'altalena, e fece una nuova chiamata alla stronza. Stavolta si sentì più decisa.

 

"Pronto?!" ripetè la stessa voce.

 

"Parlo con Maki?" chiese lei, con la voce più atona che la sua faringe riuscì a produrre. 

 

"Sì! Mi ha chiamata anche prima?" domandó la giovane. "Chi è, scusi?"

 

"Non te ne deve fregare un cazzo di chi sono io." rispose lei. "Quello che devi fare è ascoltare. Tu conosci Mark Lenders?"

 

Ci fu un lungo silenzio dall'altra parte.

 

Poi: "Desidero sapere con chi sto parlando."

 

"Con una che ti deve fare un discorso molto serio sul quel ragazzo. So che vi siete conosciuti, comunque, mentre era in soggiorno a Okinawa. Siete diventati amici, avere trascorso del tempo insieme. Ti chiamo per informarti che Mark ha una ragazza, a Tokyo, e si amano molto. Io sono una sua amica. È probabile che Mark non ti abbia parlato di lei, perché avevano litigato prima di partire. Ora è tornato in nazionale e hanno ripreso a sentirsi.  Forse hai creduto che fra te e lui fosse nato qualcosa, e non è certo colpa tua. Mark è molto superficiale su queste cose,  immagino non si sia disturbato a dirti che è impegnato. Sai, oltre all'allenamento voleva distrarsi un po' e magari sta reggendo il gioco con te anche adesso. Ti consiglio di togliertelo dalla testa e in fretta. Ti saluto." 

 

Click.

Riattaccó. 

 

Il cuore le pompava nel petto e la pressione faceva pulsare le tempie. 

L'aveva fatto sul serio.

 

Rimase in piedi nel buio della sera che avvolgeva quel parco giochi cittadino. 

 

Quali sarebbero state le conseguenze, solo il Diavolo poteva saperlo.

 

🎋🎋🎋

 

Ed Warner faceva i consueti esercizi di stretching nel campo privato della Yokohama Flügels. 

 

Il dolore alla spalla di antica origine si era manifestato di nuovo da qualche settimana, forse risvegliato dal duro allenamento. 

 

Si massaggió il braccio e inizió a preoccuparsi per il possibile problema che poteva insorgere da quel fastidio: giocare in una squadra liceale era un conto, ma avere cronici guai di salute in un club di professionisti era un altro paio di maniche. Era il genere di rogna che poteva portare una società a svendere i calciatori.

 

Guadagnava bene in quel momento.

Sawyer gli aveva dato una carta di credito abbinata a un conto aperto per depositare lo stipendio da professionista, e nonostante fosse giunto da poco in squadra era già arrivato a una cifra bella elevata. 

 

Oltre agli annessi e connessi, come appartamento in un grattacielo e sesso libero con la figlia.

 

Elise aveva cominciato con le paranoie da neo-spennata. 

 

"E se resto incinta? Non hai usato il preservativo...

 

"Ma mi hai detto che prendi la pillola..."

 

"Sì ma per l'acne..."

 

"Elise, conosci il significato del termine 'anticoncezionale'?"

 

"Lo so...ma se non funziona..."

 

E via con una serie di menate insopportabili. 

 

Peró, alla prima volta era già seguita la seconda, e in quella circostanza lei aveva preteso di stare sopra, forse temendo il dolore.  

 

Ed con sorpresa aveva scovato in quella monaca strappata al chiostro una curiosità e una voglia di sperimentare che lo stuzzicavano. 

 

Le aveva insegnato a praticare sesso orale, che a Marty non piaceva; le aveva insegnato come toccarlo per dargli piacere; l'aveva sottoposta a tutta una serie di giochi che l'avevano enormemente coinvolta, fino a idearne di nuovi lei stessa.   

 

Quella ragazza forse puntava al Paradiso, ma stava facendo moltissimo per guadagnarsi l'Inferno.

 

Ció che lo faceva ridere, era che tutti i giorni la sera correva in Chiesa, come se quella routine da devota credente compensasse il suo appetito crescente in campo erotico.

 

Gli ricordava molto Marty, per come rispondeva alle sue sollecitazioni con totale trasporto. Aveva deciso di tenersela come amante, un po' com'era stata Beverly. 

Forse peró, il divertimento con lei era addirittura maggiore.

 

La sua inesperienza lo eccitava. Il senso di trascinare un'anima pia verso la perdizione era un richiamo osceno e irresistibile.

 

Aveva dormito con lui già due volte, e al padre aveva raccontato che stava da un'amica.

 

Mentiva per lui, andava contro i suoi santi principi per lui e Ed ne fu quasi lusingato.

 

Ma Marty era un'altra cosa. 

Era il suo amore per la vita, e ormai l'aveva capito. Non avrebbe mai cancellato quel sentimento dal suo cuore, non era possibile.

 

"Warner! Hey Ed!" lo chiamó l'allenatore in seconda. "Vieni qui dai..."

 

Ed corse verso la panchina. "Mi dica tutto!"

 

"Fatti una doccia e cambiati. Poi vai nella sala riunioni del centro, al terzo piano.  Il Presidente è arrivato in sede, ha chiesto un incontro con te, adesso."

 

🎋🎋🎋

 

"Accomodati, Warner." gli disse Arthur Sawyer, dopo che Ed ebbe bussato alla porta della sala, già aperta.

 

"Buongiorno Presidente." lo salutó, stringendogli la mano.

 

"Ciao ragazzo mio. Signorina!" l'uomo chiamó la sua segretaria. "Risponda lei alle telefonate. Non voglio essere disturbato." e le passó il cellulare. 

Poi richiuse la porta.

 

Warner intanto si era seduto a una delle sedie dell'enorme tavolo di cristallo.

 

"Gradisci un bicchiere d'acqua, Ed? Non ti offro un drink, perché voi atleti non dovete bere alcol!" e fece una risatina. 

 

"No la ringrazio. Sono a posto così." ribattè il portiere, un po' teso. 

 

"Come vuoi." poi Sawyer si sedette a sua volta, e incroció le dita delle mani sul tavolo. "Dunque Ed. Te la sei fatta, mia figlia?"

 

Il ragazzo rimase di sasso a quella domanda. Un po' per l'assoluta calma con cui gli era stara posta, un po' per l'agghiacciante consapevolezza che Sawyer sapeva di lui e Elise.

 

In un lampo, Warner vide sè stesso nell'atto di fare i bagagli e tornarsene mestamente a Tokyo, con un calcio in culo in più dalla vita.

 

"Non agitarti, ragazzo mio. Non c'è ragione, credimi." gli disse bonariamente l'uomo. "Ho fatto seguire Elise dal mio autista, la seconda volta che mi ha chiesto di dormire fuori. Ho saputo che è venuta da te. Ma anche tu...farla dormire a casa tua...potevate andare in albergo, no?"

 

"Signor Sawyer, la prego di credere che..." balbettó Ed, del tutto preso alla sprovvista.

 

"Non mentire, ho detto che devi stare tranquillo. Credi che ti licenzierei? Ma tu sei l'investimento più intelligente che ho fatto!" lo rabbonì ancora l'altro. "E guarda, io sono contento che frequenti Elise. Io sono quel padre su mille che non spaccherebbe la faccia al seduttore di sua figlia. Che fortuna, eh?"

 

Ed non seppe che dire.

La situazione era grottesca a dire poco.

 

"Ma lascia che ti chiarisca ció che intendo. Tu che frequenti Elise, hai certamente notato che è una ragazza, diciamo... un po' particolare, hm? Vedi, la sua manìa religiosa è iniziata quando aveva tre anni. Mia figlia a tre anni giocava con una bambolina di stoffa a forma di suora, anziché con la Barbie.  Ed è continuata quando a dodici anni mi ha chiesto in regalo il libro Vite dei Santi. Ha fatto un digiuno di tre giorni perché ha letto che non so quale martire europea si era purificata privandosi del cibo. Le abbiamo dovuto attaccare una flebo, Ed. Perció, sai, cominciavo a temere che un giorno sul serio lei sarebbe venuta da me chiedendomi di chiuderla in un fottuto monastero di clausura. Non è una bella prospettiva, per un genitore di figlia unica. Così, quando ho saputo che ti frequenta, ho cantato tutte le lodi al benedetto Iddio, puoi capirmi?" gli raccontó Sawyer.

 

Ed annuì nervosamente.  "Certo."

 

"Lo sapevo. Tu mi vai a genio, sai? Sei sveglio, sei un tipo disciplinato, sei un campione in erba. La tua passione per le arti marziali, inoltre, mi dà l'idea che tu abbia una mente quadrata. Non mi disturba il fatto che Elise corra la cavallina con te. Meglio questo che vederla spegnersi dietro un'assurda vita da suora. Ma sappi una cosa..." a quel punto Sawyer si alzó in piedi. "...le voglio bene. È la mia gemma preziosa. Se dovesse soffrire, se dovesse rimanere incinta, se dovesse anche solo presentarsi a cena una sera con la faccia triste...io saprei chi è il responsabile. E allora non perdono. A parte questo, hai la mia benedizione, figliolo." 

 

Andó verso di lui e gli poggió una mano su una spalla. La strinse fino a fargli male. "Come va la terapia, a proposito?"

 

Ed deglutì. Aveva la gola improvvisamente secca. "B-b-bene."

 

"Ottimo. Continua così. Mi aspetto grandi cose da te. Vai pure, Ed."

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** Il grande giorno ***


 

La palestra della scuola Mambo era stracolma.

 

Le pareti dell'edificio erano state coperte con i colori del team: blu e giallo. Centinaia di spettatori, in larga maggioranza studenti dell'istituto, chiacchieravano e intonavano brevi cori di sostegno alle loro beniamine, nell'attesa che entrassero in campo.

 

Nolan e il suo team erano arrivati un'ora prima. Il riscaldamento si era svolto a porte chiuse, per permettere alle atlete di esercitarsi in totale privacy.

 

Dovevano concentrarsi. 

 

Marty era più tesa di una corda di pianoforte. Era davvero irrequieta, forse per la prima volta da che aveva iniziato col volley. 

Lei e le altre avevano saputo che la loro scuola, la Toho Academy, aveva eccezionalmente aperto l'aula magna quel giorno, per permettere, a chi l'avesse desiderato, di seguire la partita in diretta. A quanto era trapelato da una telefonata del mister con Pemberton, la grande sala era interamente occupata nonostante gli studenti fossero in vacanza.

 

C'era perfino qualche giornalista sulle gradinate.

L'irlandese si stupì del grande interesse che un campionato di liceo potesse attirare; nel calcio era la stessa cosa, il team di Lowry richiamava sempre cronisti che delle volte seguivano addirittura gli allenamenti infrasettimanali a scuola.

 

In Giappone era tutto preso molto sul serio, fin dagli sport giovanili.

 

Marty e le ragazze in quel momento erano negli spogliatoi e un silenzio irreale permeava quella stanza. Erano nervose. 

 

Kibi era con loro, con il braccio fasciato: non era stata parca di consigli la sera prima. A Marty aveva detto di tenere le redini della squadra e di non farsi intimidire dalla Redmond, qualsiasi cosa fosse successa. A June aveva suggerito di seguire con la coda dell'occhio tutti i movimenti delle avversarie, specie quelle che avevano la responsabilità di fare muro. A Pam aveva detto di stare concentrata ogni secondo e di non farsi demoralizzare per gli errori che ci sarebbero sicuramente stati. 

 

A tutte, aveva consigliato di pensare a divertirsi, e a far divertire i tifosi. Era probabile che sarebbero tornate a casa con le ossa rotte, ma dovevano mantenere la loro dignità. 

 

Pochi minuti prima dell'entrata in campo, fu il turno di Nolan di fare il discorso alla squadra. 

"Ragazze, sapete che questa sarà la mia ultima partita come vostro coach. Giá un secondo dopo il termine della gara, il mio mandato sará chiuso, in seguito alle dimissioni che ho presentato alla scuola. Lasciatemi dire che questa esperienza negli ultimi mesi ha portato in me un nuovo entusiasmo e la voglia di mettermi in gioco per traguardi più ambiziosi. Mi sposteró in Europa, lo sapete. Devo ringraziare tutte voi per la dedizione con cui mi avete seguito. Non è stato facile, lo so, ma se siete qui credo di  meritare anch'io un riconoscimento. E poi devo dare un grande merito a Laughton, per aver superato le sue paure e le sue iniziali problematiche. Si è unita a noi, e con il suo talento ha ispirato voi tutte a dare il massimo. Naturalmente non dimentico Kibi,  che con la sua forza d'animo è stata il pilastro del gruppo per gli ultimi tre anni. A tutte le altre, auguro di continuare ad amare questo meraviglioso sport che potrà darvi sicure soddisfazioni."

 

Le atlete avevano ascoltato tutto il discorso con stupore. Nolan non era mai stato un allenatore troppo amato, i suoi metodi erano duri, e molte volte in passato lo avevano contestato. Però quelle parole, così sentite e autentiche, finirono per far venire gli occhi lucidi a più di una ragazza.

 

Arrivó uno degli inservienti a chiamare per l'entrata in campo.

 

Marty e le altre misero le loro mani una sull'altra e gridarono: "Unite! Unite, unite!"

 

Poi si avviarono lungo il tunnel che portava al campo sportivo. Man mano che camminavano, sentirono le acclamazioni degli spettatori farsi sempre più forti, e Marty rabbrividì sapendo quello che stava per succedere. C'era anche un altro motivo per cui era nervosa: Mark non si era più fatto sentire. Dopo la sua telefonata anonima alla sua nuova amica, il silenzio del ragazzo si era protratto. Questo, da una parte, l'aveva sollevata; evidentemente Maki non l'aveva informato di quella chiamata, e se l'aveva fatto, il ragazzo non era risalito a lei. 

 

Dall'altra, era ormai chiaro che l'atteggiamento di Lenders fosse di totale chiusura nei suoi confronti. Certamente aveva notato le sue chiamate non risposte sul cellulare, e non si era preoccupato di contattarla. Questa consapevolezza scavava dentro di lei come un tarlo nel legno: era un grande dispiacere, che in quei minuti teneva a bada solo perché l'eccitazione della partita aveva il sopravvento.

 

Le atlete della Mambo, e quelle della Toho, entrarono in campo insieme. Ci fu un boato dal pubblico.  La palestra era quasi totalmente piena di tifosi della squadra ospitante, come era ovvio che sarebbe successo. Questo generava, però, un clima ostile per la squadra sfidante. E anche svantaggioso.

 

Marty giró lo sguardo sul pubblico, per vedere in che settore i loro tifosi si fossero accomodati. Notò che la piccola porzione di gradinate riservata agli ospiti era proprio sopra la zona in cui sedevano l'allenatore e le riserve. Dietro la loro panchina, in pratica. 

 

Sentì qualcuno che la chiamava con particolare insistenza. "Marty!! Sono qua sopra! Qua, mi vedi??!"

 

La giovane alzó gli occhi e vide Nathalie Lenders, che si sbracciava, attaccata alla balaustra.

 

"Nathalie??! Ma come fa ad essere qui??" si stupì lei. "E Ted!! Matt!! La signora Lenders!!"

 

La famigliola era lì al completo. La madre dei ragazzi era seduta e le fece un cenno di saluto. Da lontano, Marty riuscì a vedere il suo pallore.  Non aveva affatto una bella cera. 

 

Ma come erano riusciti a procurarsi i biglietti? Le due scuole avevano deciso di devolvere l'incasso in beneficenza, ma i biglietti non erano a buon mercato. Possibile che la madre di Mark avesse deciso di investire tutti quei soldi solo per seguire una sua partita di pallavolo?

 

La risposta venne da Kibi. Si avvicinó a lei. "Hai visto chi c'è lì? Se ti stai chiedendo come sono riusciti ad entrare, devi ringraziare Julian Ross. Mi è stato detto che ha invitato la famiglia Lenders, perché sapeva che non avrebbero potuto permettersi i biglietti. Credo che Mark gli abbia detto che sua sorella ci teneva a vederti."

 

"Come lo sai?" indagó Marty. 

 

"Ho le liste nominali di tutti gli spettatori del nostro settore. Sono studenti per lo più, e poi gli invitati a nome Ross. È stato un bel gesto da parte sua, vero?" chiese Kibi.

 

"Già. Non lo conosco, ma deve essere un ragazzo di cuore." osservó Marty. 

Vide Kibi che rideva. "...cosa c'è?"

 

"Niente. Lascia stare. Adesso peró non guardarti in giro. Sei il capitano, mi raccomando. Ascolta: la Redmond vorrà metterti alla prova subito. Gli attacchi saranno tutti su di te. Vorrà stritolarti, distruggerti psicologicamente per mettere in chiaro chi è che comanda l'incontro. Non farti intimidire.  Fidati delle altre ragazze, non fare tutto da sola. Cercate di essere più coordinate possibile. Quelle entreranno in campo con l'idea di fare una semplice passerella di vittoria davanti ai loro tifosi. Non sanno che vi siete allenate tanto e che avete perfezionato gli attacchi veloci. Ma tieni nascosto il tornado shot fino a che non sarete sotto di diversi punti. Iniziate col vostro solito gioco. Tenete duro e quando sarà il momento, scoprite le carte. Se loro faranno punto, voi dovrete farne due di fila.  Così si vincono le partite. Allora, cosa sei disposta a fare?"

 

"Tutto, nel limite del possibile." rispose Marty. 

 

"È già molto. Tu sei una testona, ma hai fegato, e il coraggio è essenziale. Sei riuscita a superare il trauma del polso, ora supera la Redmond. Tanto poi diventerete compagne di squadra." terminó Kibi.

 

Marty la guardó sorpresa. "....lo sai??"

 

"Ma certo. E sono contenta per te, non credere. Non riesco neanche a invidiarti." confessó Kibi. "Se siamo qui, lo dobbiamo a te."

 

"No Kibi, anche tu..."

 

"Io non ho fatto un cazzo. Sei stata tu la chiave di svolta. Anche le altre ne sono consapevoli, pure June che fa la stronza con te. Per questo ti vogliono come capitano." ribadì l'amica. "Ora peró dimostra di esserne all'altezza."

 

"Sì." annuì Marty. "...ma per oggi il capitano sei ancora tu. Non dimenticarlo."

 

Si strinsero la mano. 

 

"Ragazze, in campo." comandó Nolan.

 

Tutte le dodici atlete presero posto sul linoleum verde. Partì un applauso eccitato dal pubblico.

 

Il cuore di Marty le saltó in gola.

 

🎋🎋🎋

 

"Cosa direbbe se sapesse che è qui?" chiese Danny a Lynn, seduta vicino a lui sulla gradinata più alta del settore riservato alla Toho. 

 

"Non deve saperlo." replicó Lynn. "O le andrá in confusione la mente. È stato furbo a seguire l'incontro con Julian e Amy, dalla parte dei tifosi della Mambo. Neanche Kibi puó sapere che è venuto al match." 

 

"Perché non vuoi dirmi di più? Non ti capisco Lynn. Io e te siamo amici da una vita, ci siamo sempre messi al corrente di ogni cosa. E tu su questo tieni la bocca chiusa. Mi spieghi il motivo?" disse Danny.

 

"Perché Marty mi ha detto una cosa che mi ha turbata.  Dice che non si fida di me, che sono una pettegola. E in parte so che è vero. Danny, io e te in qualche occasione abbiamo esagerato. Non si puó mettere in piazza la vita delle persone come fosse niente. Credo che dovremmo imparare a farci gli affari nostri." spiegó Lynn. 

 

"Tanto ho capito. Mi sembra tutto chiaro e parlando con lui a Okinawa ho avuto una mezza certezza. Quei due sono innamorati e non lo riconoscono. Vero?" chiese Mellow.

 

"Allora non mi ascolti? Fatti-i-cazzi-tuoi. Più chiaro adesso?" lo aggredì Lynn.

 

"Secondo me il rapporto fra Marty e Ed ha complicato tutto. Warner si è messo in mezzo.   Se non ci fosse stato lui, adesso sarebbero una coppia. Ma siccome Marty si è impegolata dietro a Ed, Mark ha lasciato perdere e adesso ha incontrato un'altra. Ma non è innamorato di lei." ragionó Danny.

 

"E adesso chi ti dà questa certezza? Ma la vuoi piantare?" 

 

"Ho l'impressione che Mark cerchi di distrarsi con Maki. Sai, come se dedicandosi a lei volesse dimenticare che Marty esiste." le rispose lui. "Forse la sua storia con Ed lo ha fatto soffrire più di quanto crediamo."  

 

"Ma se si sono piantati." 

 

"Ma sono stati insieme. Tu non conosci Mark, è tutto d'un pezzo. Nella sua mente, crede che Marty sia ancora di Ed. Lui immagina di essere un terzo incomodo e non accetta questo ruolo, ma sbaglia. È Ed il terzo incomodo. Lo è sempre stato." replicó Danny. "...almeno...io penso questo."

 

"Tu pensi una cazzata." Lynn gli diede un pugnetto in testa. "Comunque chissà se dopo la partita si parleranno."

 

"No. Vedrai che Mark sparirà subito. Accompagnerà i suoi a casa e non si farà neanche vedere da lei." disse Danny.

 

"Perché? Per la tipa di Okinawa?" 

 

"No…c'è dell'altro. È arrabbiato con lei. E da qualche giorno ancora di più." ribattè Danny.

 

"Oggi peró è venuto a vederla." osservò Lynn.

 

Fu la volta di Danny di darle un pizzicotto. 

 

"Tonta. Tu ti perderesti un giorno molto importante nella vita di una persona che ami?"

Ritorna all'indice


Capitolo 60
*** Sugli spalti ***


 

Mark sedeva accanto a Julian Ross e alla sua ragazza, Amy, su una delle gradinate della palestra. 

 

La partita stava per iniziare, di lì a pochi secondi l'arbitro avrebbe fischiato e le due squadre si sarebbero finalmente affrontate in quel match tanto atteso.

 

Julian osservava l'interno della palestra con attenzione: era incredibile quanta passione potesse attirare anche il volley; aveva sempre creduto che fosse il calcio lo sport più amato fra tutti, invece anche la pallavolo riusciva a scatenare lo stesso entusiasmo. La scuola intera era in fibrillazione e Jeanine Redmond, che lui conosceva bene, era la stella del momento. 

 

Amy si giró verso di lui. "Hai visto quanta gente, Julian? Nemmeno per la finale dell'anno scorso ho visto una tale voglia di sostenere le ragazze del volley." 

 

"Perché quest'anno le rivali sono molto forti. Mark, senti..." chiese Julian, rivolto a Lenders. "...è davvero così brava quella tua amica? La straniera di cui mi hai parlato?"

 

"Fra poco lo vedrai." ribattè Mark, a braccia conserte.

 

"Mark, scusa, posso chiederti una cosa? Come mai non sei seduto lá con i tuoi famigliari? Dovresti stare nel settore della Toho." domandó Amy.

 

"Affari miei. Comunque devo ringraziarvi per aver permesso ai miei di assistere. Non mi aspettavo questo gesto da te, Ross." disse lui.

 

"Non l'ho fatto per te, Mark. So bene di non starti simpatico, e la cosa è reciproca. Ma mi sono ricordato dei tuoi fratelli: quella volta che sono venuto a casa vostra, avevo giocato con loro. Sono bambini adorabili. E mi hai detto che tua sorella è una fan di quella ragazza. Mi è sembrato doveroso." rispose Julian.

 

"Si divertiranno oggi. Hanno poche occasioni per farlo." commentó Mark.

 

"Come sta tua madre? Ho saputo che ha problemi di salute." chiese Amy.

 

"Non è in forma. Adesso che sono tornato dal ritiro, passeró un paio di giorni a casa, per aiutarla." ribattè il ragazzo.

 

"Ma c'è la partita contro l'Uzbekistan. L'ultima, prima della pausa estiva. Dovrai tornare a Takayama." osservó Julian.

 

"Lo so. La cosa non mi lascia tranquillo. Un mio vicino ogni tanto passa da casa nostra, quando io sono via, per dare un'occhiata. Ma mia madre avrebbe bisogno di un aiuto..." riflettè Lenders.

 

"Lo sai che Julian s'iscriverà a Medicina, a Settembre? Diventerà medico sportivo!" annunció Amy. "Io invece fra due anni avró il mio diploma da infermiera. Se fossi già abilitata potrei aiutare tua madre."

 

Lender si stupì. 

Guardó Ross. "Tu cosa?"

 

"Proprio così." annuì l'altro. "La mia carriera nel calcio è comunque compromessa. Allora, vorrei dedicare la mia vita ad aiutare gli atleti durante gli infortuni. Non è come giocare, ma mi farà sentire ancora parte di questo mondo." 

 

Mark osservó il vecchio compagno di nazionale. Non aveva mai stretto una vera amicizia con lui, perché fin dai tornei  delle elementari lo infastidiva tutta la prosopopea che lo aveva accompagnato: Julian Ross, il principe del calcio; Julian Ross, che senza i problemi di cuore sarebbe il più forte; Julian Ross, il mago della tattica.

 

Non aveva mai sopportato l'enfasi con cui si parlava di lui nell'ambiente dello sport giovanile, e lo aveva sempre visto come un presuntuoso.  In quel momento, peró, provó quasi compassione per quel giovane suo coetaneo, la cui sfortunata condizione fisica lo aveva strappato alla grande passione di entrambi.

 

Mentre pensava a tutto questo, il suo sguardo venne attirato da uno spettatore. Sedeva in alto, sull'ultima gradinata di quel lato della palestra, in disparte dagli altri.

 

Gli fece strano che indossasse occhiali dalle lenti scure, in un ambiente al coperto. Portava anche un berretto da portiere, calcato sulla fronte. 

Quando lo vide girare il viso per seguire l'entrata in campo delle ragazze, il suo profilo tradì subito la sua identità.

 

"Scusate un secondo." disse Mark, alzandosi. 

 

Salì gli scalini uno a uno e arrivó a quello più alto. Si diresse verso il tizio, che non si accorse della sua presenza, rapito com'era dalle attività in campo. 

 

Quando Lenders si sedette vicino a lui, peró, non potè non notarlo.  Sospiró, seccato di essere stato riconosciuto.

 

"Che fai qui?" chiese Mark.

 

"La stessa cosa che fai tu. Sono qui per vedere la nostra bella ragazza." sorrise l'altro. "Non mi sarei mai perso questo giorno."

 

"Quelli della Yokohama Flügels ti lasciano fare i tuoi comodi in questo modo?" lo provocó Mark.

 

"Permesso speciale." rispose Ed.

 

"Ottenuto per cosa?" domandó Lenders.

 

"Beh...mi scopo la figlia del Presidente." rispose Warner.

 

Mark lo guardó, incredulo. Dall'espressione del suo viso, vide che non scherzava. "Sei pessimo, Ed. Nello sport come nella vita."

 

"Pensa quello che ti pare. Come sta Benji? Gli avete già fatto una statua?" chiese ironico Warner.

 

"Non scherzerei, se fossi in te. Quello che hai fatto è stato imperdonabile. Piantarci in asso così. E per andare a fare il professionista! Sei stato un maledetto egoista." ringhió Mark.

 

"Ho fatto quello che chiunque al mio posto avrebbe fatto. Io non mi lascio mettere i piedi in testa, nè posso sopportare le prese per i fondelli." ribattè Ed. "Escludermi dai titolari perché Benji aveva il ruolo assicurato a prescindere... una cosa totalmente offensiva."

 

"Sei stato sciocco, invece. Era la tua occasione per dimostrare di essere meglio di lui. E l'hai buttata via per una reazione di orgoglio." rispose Mark. "Infantile, oltre che sciocco."

 

"Non mi interessano le tue opinioni. Ho una vita nuova a Yokohama e tutto va splendidamente. Gioco, guadagno... l'anno prossimo il portiere titolare verrà venduto e io saró il nuovo numero 1. Sto crescendo, non hai idea di quanto." replicó Ed.

 

"Eppure non mi pare. Che fai qui, se hai una ragazza in quella città?" lo stuzzicò Lenders.

 

"Questa è un'altra faccenda. Marty è il mio amore, e niente cambierà mai quello che sento per lei. Nessuna amante." disse stizzito Ed. "Tu piuttosto, che ci fai in questa palestra? Interessato al volley?"

 

"Là ci sono i miei parenti. Dopo la partita, torno a casa con loro." disse lui, a disagio. "Naty ci teneva a vedere Marty. Ho chiesto a Julian di riservare dei posti per tutti."

 

"E perché non sei seduto con loro?" 

 

"Non voglio che Marty mi veda. Non deve sapere che sono stato qui." replicó Mark.

 

Ed s'incuriosì. "Perché?"

 

"Ha fatto una cosa che non mi è piaciuta. Anzi, due." rispose l'altro. 

 

Ed sorrise. "Che ha combinato stavolta? Un'altra sberla dopo un tuo tentativo di bacio?" 

 

Mark chiuse gli occhi e fece una smorfia sarcastica. "Ha tradito la nostra amicizia. O almeno, ci ha provato. Ma è talmente banale nelle sue iniziative che le si è ritorto tutto contro." 

 

"Mi dici cosa è successo?" indagó Ed.

 

"Non ora. Inizia il match." rispose Mark, dopo che l'arbitro ebbe fischiato. "Sai una cosa? Sono curioso di vedere questo incontro. Davvero curioso."

 

🎋🎋🎋

 

Successe esattamente quello che Kibi le aveva preannunciato. 

 

Gli attacchi della Mambo furono tutti su di lei.

Continui, martellanti, furiosi.

 

La tattica psicologica di Redmond e compagne era evidentemente quella di demolire l'asso delle avversarie, Marty: un po' come i pirati che durante gli arrembaggi alle navi dei balenieri tentavano di abbattere come prima cosa l'albero maestro. 

 

Ma lei riuscì a resistere per tutto il primo set, stoicamente. Salvó palle impossibili, anche quelle che un normale difensore avrebbe lasciato andare. Non le importava di stancarsi, le importava solo di non farsi umiliare da Jeanine, che ad ogni punto costruito sogghignava perfida. 

 

June e lei riuscirono a strappare un onorevole 15-12 al primo set, che venne vinto comunque dalla Mambo.

 

All' intervallo fra un set e l'altro, Kibi si complimentó. "Molto bene. Il primo set sapevamo sarebbe stato loro. Non vi scoraggiate. Arrivare a fare dodici punti è già moltissimo."

 

 "Sono d'accordo. Laughton, hai fatto l'impossibile in questo inizio di gara, ma ti sei stancata troppo. Avresti dovuto risparmiare le forze." le disse Nolan.

 

"Non abbasseró la testa davanti a lei. Mi costasse anche un polmone, non glielo permetteró." ribattè Marty, guardando verso la panchina avversaria.

 

Jeanine, dal canto suo, se la prese con la schiacciatrice. "Lory, devi metterci più forza quando punti la Laughton. Te le ha ribattute tutte!"

 

"Ci ho messo tutta la mia potenza, capitano!" ansimó la numero Tre della Mambo. "...ma quella è fatta d'acciaio! Non va giù! Non va giù!"

 

"E tu tenta di sorprenderla, disorientala! Che ti succede?? Di solito sei più incisiva. Ragazze, ascoltate tutte: regalare dodici punti così non va bene. Non è da noi! Quelle stanno prendendo fiducia. Non facciamo loro credere di avere una speranza, d'accordo??" si rivolse la numero Uno alle compagne.

 

"Sììì!!" risposero le altre.

 

Il fischio dell'arbitro richiamó le atlete in campo.

 

Marty era davanti, in quella fase di gioco. Proprio sotto rete. Decise che fosse arrivato il momento di provare il tornado shot, che nel primo set avevano nascosto. 

 

"June, è ora. Pam!" chiamó la compagna. "Tre secondi! Ricordate: ricevere, alzare, schiacciare. Tre secondi. E a quelle faremo un culo così!"

 

June fece con le dita il segno del numero TRE dietro la schiena, così che tutte capissero.

 

La battuta era della Mambo.

 

Dritta su Pam, che piegó le ginocchia e riuscì a respingere. "UNO!" gridó. 

June alzó per Marty alla velocità della luce. "DUE!" gridó anche lei.

 

Marty concluse di potenza, e il pallone andó a schiantarsi in un angolo del campo di gioco. "TRE!"

 

Le giocatrici della Mambo rimasero inebetite. Non si erano capacitate della velocità di quell'azione, e nemmeno il pubblico. 

Ci fu un lungo momento di silenzio sbigottito sugli spalti, ma poi i tifosi della Toho esplosero in un boato di entusiasmo. 

 

Vedere l'espressione sorpresa e furiosa della Redmond fu la soddisfazione più grande. Marty alzó le braccia al cielo ed esultó. Le altre si abbracciarono tutte.

 

Era solo un servizio guadagnato, ma a quel punto le ragazze della Toho sentirono la meravigliosa sensazione  di avere un'arma con cui, forse, complicare la vita alle avversarie, che si sentivano già campionesse.

 

"Sìì!!! Così ragazze!!" le incoraggió Kibi. "Non fermatevi adesso!  Sono sotto shock!!" 

 

Marty riprese posizione e guardó Jeanine negli occhi e la vide sopraffatta dalla frustrazione.

Non te l'aspettavi eh?? Beccati questa.

 

Credi che mi faró spaventare? Povera piccola irlandese, ne devi ancora mangiare di polvere.

Fu la risposta mentale della Redmond, che ritrovó in un attimo la concentrazione. 

 

Sugli spalti, Ed e Mark seguivano con interesse.

 

"Hai visto che velocità di esecuzione, Mark? È incredibile, hanno fatto sparire la palla." commentó Ed.

 

"Già. Si sono esercitate moltissimo, immagino. Un'azione corale perfetta. E Marty si è spostata in attacco." commentó Mark.

 

"Pensa se fosse possibile una cosa del genere nel calcio. Sarebbe un tipo di azione devastante." riflettè Warner.

 

"Io credo sia possibile. Se ci fai caso, è solo una questione di velocità. Un passaggio fulmineo fra il centrocampista e l'attaccante. Un passaggio al volo." disse Lenders.

 

"Ci vorrebbe un centravanti agile come un grillo, con l'elevazione di Marty. Non mi pare fattibile." sorrise Ed.

 

"Invece sì. Se il centravanti è un acrobata." rispose Mark. "Un acrobata come te, Ed."

 

"Hm. Non sono un attaccante. Te lo sei dimenticato?" chiese Warner.  

 

"Lo sei stato."

 

"Molto tempo fa." replicó Ed.

 

Mark si voltó a guardarlo. "Visto che siamo in argomento, dovrei parlarti. Io e Turner abbiamo discusso anche di te a Okinawa." 

 

"A che proposito?" volle sapere l'altro.

 

"Beh...Jeff è convinto di una cosa." disse Mark. "Ha avuto un'idea."

Ritorna all'indice


Capitolo 61
*** Lezioni di vita ***


 

Il rumore martellante e continuo che facevano i tifosi sulle gradinate, con i loro tamburi, finirono per irritare Mark.

 

"Maledizione che baccano! Non riesco neanche a sentire i miei pensieri." si lamentó.

 

Ed, dal canto suo, stava riflettendo in silenzio sulle parole del suo ex compagno della Toho. Gli aveva detto che Jeff Turner aveva pensato a una novità tecnica per la nazionale, una clamorosa variazione nell'assetto di gioco: spostare lui, Ed, in attacco, come ai primi tempi della Muppet, alle elementari. 

Lui e Mark in un tandem simile a quello Hutton-Becker. 

 

"... in effetti, sarebbe un cambio che spiazzerebbe tutti. Inoltre, tu potresti tornare in porta in caso di necessità. Non è male come idea." continuó Mark.

 

"Non è Turner che decide. Poi io ho fatto una scelta. Sono fuori. Te ne sei dimenticato?" ribattè Ed.

 

"Ci ripenserai. Non puoi stare fuori dai mondiali, Ed. La Nazionale è l'obiettivo di tutti noi e questo torneo è imperdibile. Ti ritornerá il senno, prima o poi." concluse Mark, con un sorriso ironico.

 

"Mi consideri un bambino?!" sbottó Ed. "Se ho preso una decisione è quella."

 

"Falla finita. Guarda il tuo grande amore, piuttosto. Sta giocando una partita persa in partenza. Eppure regge." gli disse Lenders. 

 

"Lo so. Quando l'ho conosciuta credeva di aver chiuso con lo sport. Non ne voleva nemmeno sentire parlare. È stato bello vederla guarire dai suoi problemi, aiutarla... è una cosa di cui sono fiero. E adesso eccola lì, a combattere per la finale." riflettè Warner. Si lasció scappare un sospiro. 

 

"Deve essere proprio speciale quella di Yokohama, se ti ha portato a tradire questo folle sentimento."  sogghignó Mark.

 

"Io non so perché ti aspetti che tutti si comportino come te. Tu forse riesci a vivere senza donne, io no. Ma quella tizia non è niente di che, una mezza monaca che sta scoprendo le gioie del sesso. In più è figlia del mio datore di lavoro, sai com'è..." sorrise Ed. 

 

"No, non ce la farei a comportarmi così. E non facevo te talmente cinico. Tutte quelle balle sull'equilibrio del corpo e della mente, le tue lezioncine sul karate e la disciplina. Ipocrita." rispose Mark.

 

Ci fu un boato del pubblico perché Marty aveva fatto un recupero grandioso, finendo a terra.

 

"Pensala come ti pare. Non devo giustificarmi con te." disse Ed, applaudendo. "Guardala... capisci perché la amo?"

 

"Tu non ami nessuno, nemmeno te stesso." ribattè Mark. "Amare significa prendersi cura dell'altro. Proteggerlo. Crescere insieme. A te importa solo del tuo stupido orgoglio."

 

"Che ne sai tu, dell'amore? Non hai mai avuto una ragazza e hai già diciotto anni. Dici sempre che sono sciocchezze. Che fai, hai cambiato idea?" lo provocó Ed. "Hai una?"

 

Mark chiuse gli occhi. "Forse."

 

Ed lo guardó sbalordito. "Frequenti qualcuna? Tu?"

 

"Nella vita si puó cambiare." ribattè l'altro. "Ho conosciuto una persona che mi ha fatto venire voglia di vedere le cose da un'altra prospettiva."

 

"Non riesco a crederci. E Marty lo sa?" chiese Ed.

 

"Lo sa." ammise Lenders. Non aggiunse altro. 

La telefonata con Maki di qualche giorno prima lo aveva riempito di risentimento verso l'irlandese. Mentire in quel modo,  dichiarare una falsa identità per ottenere informazioni private su un'altra persona. 

Maki, una volta sentita la storia, ci aveva riso sopra, ma avrebbe anche potuto denunciare l'europea. 

 

E qual'era stato il fine di quella ridicola sceneggiata telefonica? Farli litigare. Incrinare il loro rapporto instillando il seme del dubbio e della gelosia. Non c'era riuscita. Avevano scherzato entrambi su quella situazione. Avevano riso di lei

 

Ma poi, una volta rimasto solo con i suoi pensieri, Mark non aveva potuto soffocare un'ondata di rabbia verso la bionda.  Aveva provato, fallendo, a fargli del male. A rovinare un'amicizia appena nata con un'altra ragazza, e solo per una stupida manìa di possesso. La stessa che aveva portato Ed ad aggredirla, quando aveva saputo di Benji e della cena al Towers.  Era quello il genere di stupidaggini che lo aveva sempre tenuto lontano dai rapporti sentimentali. 

 

Non gliel'avrebbe fatta passare, comunque. Nel tempo, avrebbe trovato il momento giusto per rinfacciarglielo, e con tutti gli interessi. 

 

"E com'è fatta? Sono curioso. Deve essere una bomba, per averti catturato." rise Ed.

 

"Ha due braccia, due gambe, e una personalità che mi è piaciuta fin dal primo incontro." si limitó a rispondere Mark.

 

 " Vorrei vederla. Ti giuro che non ci credo." 

 

" La vedrai." promise Mark. " La vedrai accanto a me molto presto."

 

Un nuovo scroscio di applausi catturó l'attenzione dei due. Jeanine Redmond aveva piazzato un ace che aveva mandato gambe all'aria la povera Pam. 

 

 " Sono al secondo set e si mette male. I loro attacchi veloci vengono ripagati subito con la stessa moneta. Sarà durissima." riflettè Ed.

 

"Perderanno questa partita. Le due squadre sono troppo sbilanciate." sentenzió Mark.

 

"Marty ne uscirà distrutta."

 

"No." rispose Mark. "Vedrai che le farà bene."

 

🎋🎋🎋

 

Il secondo set venne perso con un punteggio più pesante: 15-8.

 

All'inizio del terzo, le giocatrici di Nolan erano totalmente sfiduciate. 

 

Marty fu l'unica, insieme a Kibi, a non mollare con la motivazione. "Ragazze, qui nessuno deve arrendersi. Ricordate che ci sono i tifosi, hanno pagato per vederci e altri ci stanno guardando in diretta.  Almeno un set dobbiamo strapparlo. Non cediamo ora!" 

 

Nolan si fece sentire. "Quelle giocano per vincere, le vedete?!! Dovete cambiare atteggiamento mentale, cambiare atteggiamento!!" 

 

Le sei entrarono in campo di nuovo.

 

Ma la musica non cambió. 

A un certo punto, nel tentativo di respingere a muro, Marty venne centrata da una pallonata in pieno volto. Cadde all'indietro e si rialzó con il sapore metallico del sangue in bocca. 

 

Vide Nolan chiamare il time-out.

 

"Accidenti! Perdi sangue dal naso." disse l'allenatore, guardandola. Le fece reclinare la testa all'indietro. "Devi uscire."

 

"Non mi faccia uscire!!" imploró lei, col sangue che si stava raccogliendo sul labbro superiore.

 

"L'arbitro ti manderà fuori se si accorge. Dai Marty, non puoi stare in campo." disse anche Kibi.

 

"Mettete del cotone! Tamponate il naso per favore!!" pregó ancora lei. 

 

Nolan e Kibi si guardarono. Poi il coach sospiró. "Come vuoi... ma il cotone durerà un minuto forse.  Kibi, prendilo." 

 

I due cercarono di sistemare il naso di Marty come meglio poterono. "Hai un minuto prima che cominci a zampillare come una fontana. Poi dovrai uscire. Saluta i tifosi con onore."   le disse Nolan. "Hai fatto moltissimo quest'anno. Puoi essere soddisfatta."

 

Marty annuì ed entró in campo seguita dalle altre. Dal settore della Toho iniziarono gli applausi di commiato. Si erano accorti tutti dell'incidente. Era finita.

 

Ma lei era determinata a dare il massimo fino all'ultimo secondo della sua permanenza in campo. Non era il suo ultimo anno alla Toho, ci sarebbe stata la possibilità di rivincita in caso di sconfitta l'anno successivo, tuttavia non riusciva neanche a immaginare di farsi battere così seccamente. 

 

Il problema, era che le sue compagne non la pensavano come lei. Il vecchio spirito perdente della Toho Volley sembrava tornato,  dopo un anno strepitoso. 

 

All'ennesimo attacco fallito e punto regalato alle avversarie, June cadde bocconi. "Non ce la faccio più." ansimó distrutta. "Basta."

 

Marty l'afferró per lo scollo della maglia e la obbligó a rialzarsi. "Cosa credi di fare?! In piedi! Muoviti!!" 

 

Poi si giró verso le altre. "Giuro che la prima che si mette a piagnucolare farà i conti con me negli spogliatoi. Non è finita finché non è finita!" 

 

Lo disse con la voce alterata dal cotone nel setto nasale, ma il messaggio arrivó forte e chiaro. Marty si voltó verso il pubblico e agitó le braccia in aria, per incoraggiare i supporters a dar loro un aiuto. 

 

Partì dal settore blu e grigio un applauso ritmato. Si unì perfino qualche spettatore della Mambo, toccato dal coraggio delle avversarie. Il capitano della Toho aveva il naso imbottito di ovatta e qualche macchia di sangue aveva imbrattato la maglietta, così da farla sembrare una specie di guerriera. Questo impressionó molto il pubblico.

 

Ed applaudì. "Vedi come prova a scuotere le compagne! Si è calata perfettamente nel ruolo di capitano." 

 

"Già. Ha un'indole da trascinatrice." commentó anche Mark.  

Era incredibile che una porzione di tifoseria di casa si stesse schierando con Marty e compagne. Aveva conquistato il cuore dei tifosi rivali, cosa rarissima nello sport. 

 

"La amo così tanto Mark. Sai, io volevo chiederle di..." disse Ed, ma poi si fermó.

 

Come se uno scrupolo improvviso lo avesse colto, lasció la frase in sospeso. Mark finse di non aver sentito, ma comprese perfettamente dove voleva andare a finire il discorso. 

 

...di sposarmi. 

Questo stava per dire Ed.  

 

Lenders chiuse gli occhi e sorrise. Poi si alzó, e si mise le mani in tasca.

 

"Dove vai, adesso?" chiese Warner.

 

"Ad aspettare i miei, fuori. La partita finirà presto. Nathalie voleva vedere Marty dopo l'incontro, ma con una sconfitta a pesare sul morale lei non ne avrà voglia. Vorrà starsene per conto suo e piangersi addosso, come fa spesso. Tu torni a Yokohama subito?" chiese Mark.

 

"No. Sto dai miei stasera, parto domani nel pomeriggio. Voglio anche provare a chiamare Marty. Ho bisogno di recuperare con lei." ribattè Ed.

 

"Di sicuro avrà bisogno di cure stasera." disse Mark, sarcastico.

 

"Ne avrà. E di amorevoli." terminó Warner. 

 

"Auguri, allora...e senti Ed: ti ricordo che il tuo nome è ancora nella lista dei convocati. Pearson non ti ha depennato."  aggiunse Lenders.

 

"Non me me frega niente." replicó seccamente il portiere.

 

A quelle parole, Mark scosse la testa, e se ne andó verso l'uscita. 

 

Era stufo e arcistufo di perdere tempo con i bambini.

 

🎋🎋🎋 

 

La partita si riveló una Caporetto clamorosa.

 

Nonostante il sudore e il sangue di Marty, gli incitamenti senza sosta di Kibi e di Nolan e il sostegno di mezza palestra, fu la Mambo a vincere.

 

All'ultimo, fatale punto, il campo venne coperto da coriandoli colorati piovuti dal soffitto, partì musica altissima e un'esplosione di gioia delle giocatrici gialloblu.

 

Dall'altra parte del campo, l'atmosfera era ben diversa. Marty cadde in ginocchio, e vide goccioline rosse che macchiarono subito il linoleum. I capillari rotti del suo naso iniziarono a riversare sangue attraverso il cotone, come in una crisi di epistassi. Sembrava un pugile suonato.  

 

Le altre, piangevano. 

Avevano perso per tre a zero. Un'umiliazione incredibile, nemmeno un set per salvare la faccia. 

 

Del resto, le previsioni erano state quelle fin dall'inizio. Troppo forte la Mambo, troppo penalizzate loro senza Kibi. Il tornado shot aveva scioccato inizialmente le avversarie, che avevano peró in Jeanine una regista troppo abile e furba, per non trovare subito una contro-mossa.  

 

La bionda irlandese se ne stava con la testa china, quando vide una mano porgerle una salvietta. 

"Tieni. Leva quel sangue dalla faccia." 

 

Era la Redmond. Si era avvicinata alle sconfitte, incurante dei festeggiamenti delle compagne. 

 

Marty sollevó il viso e incontrò il sorriso sincero dell'altro capitano, che l'aiutó ad alzarsi. "Schiena dritta davanti ai tuoi tifosi." le disse. "Guarda, vi applaudono."

 

Era la verità. 

La Toho aveva perso, ma i tifosi tributarono comunque un applauso alle loro compagne di scuola, che se non altro avevano avuto il fegato di provarci contro un avversario di altro livello.

 

Poi Jeanine le disse: "Oggi hai perso. Ma non è detto che la cosa debba piacerti."

 

"Tu sei troppo forte e in campo troppo intelligente." replicó mestamente Marty.  

 

"Non sei da meno. Sono state le tue compagne a mollare, non tu. E sarà bello allenarci insieme in Agosto." rispose Jeanine, porgendole la mano. "Quel vostro attacco veloce ci ha causato problemi. Bella idea."

 

"Ma l'hai bloccato." rispose l'altra.

 

"Forse io e te possiamo perfezionarlo. Avremo molto da fare quest'estate!" rispose Jeanine. "Ora se vuoi scusarmi...mi acclamano." 

 

"Vai pure. Vai dai tuoi tifosi." le sorrise Marty.

 

Vide l'avversaria dirigersi verso il suo pubblico a braccia alzate. I fans andarono in visibilio per lei. 

 

Ci fu la premiazione.

 

Medaglie d'oro per le vincitrici, e d'argento per le ragazze della Toho. 

 

Ci fu il premio speciale a Jeanine Redmond come miglior giocatrice del torneo.

 

Ci furono i giornalisti, le foto di rito della premiazione, i cori e i canti.

 

In tutto ció, Marty era come sprofondata in un limbo personale. Delusione e senso di fallimento si accavallavano nel suo cuore. Mai nella sua vita, si era sentita così sola. Non poteva sapere che Ed e Mark erano stati lì. Che avevano sofferto con lei, e si erano emozionati per lei.

 

Al termine di tutto, scappó negli spogliatoi e si fiondó sotto la doccia. 

 

Vi rimase per molti minuti.

Ritorna all'indice


Capitolo 62
*** Il piano di Elise Sawyer ***


 

"Non ci siamo più cercati."

 

Il suono della sua voce, dall'altra parte del telefono, fu quasi fastidioso alle orecchie di Marty, nelle quali ancora risuonavano il baccano e gli applausi finali della palestra della scuola Mambo.

 

Era tornata a casa subito, approfittando del passaggio di Sandy, che si era fatta venire a prendere in macchina da suo padre.

 

Non aveva voglia di parlare con nessuno, dopo la sconfitta, e men che meno con una persona già messa nel dimenticatoio da tempo. 

 

"Ed, non è il momento. Scusami, c'è stata la finale oggi. Abbiamo perso." mormoró Marty. 

 

"Lo so. Sono venuto a vederti." rispose lui.

 

Marty si sorprese. "...eri alla partita?? Sei a Tokyo adesso?"

 

"Secondo te me la sarei persa? Non mi conosci ancora." ribattè lui.

 

"Ma come hai fatto con la squadra? Ti han lasciato venire qui?" replicó lei, stesa sul letto di camera sua. Vedendola rientrare con l'umore nero, i suoi non avevano voluto indagare. Quando avevano sentito, poi, la porta della sua stanza sbattere, si erano tenuti alla larga. Conoscevano abbastanza la loro figlia da sapere quando era il caso di lasciarla in santa pace.

 

"Permesso speciale. Mi sono inventato una balla. Per te. Per vedere il tuo grande giorno." sorrise Ed.

 

"Non hai visto granché, allora." sospiró Marty. "Sono a pezzi."

 

"Sei stata bravissima, invece. È stato emozionante vederti lottare. Come va il naso?" 

 

"Allora si è notato che mi sono fatta male...ora non sanguina più, ma è rimasto il dolore. Non è niente rispetto al fastidio di aver perso." rispose lei, massaggiandosi un polpaccio. "Dopo tutta quella fatica..."

 

"Nello sport si vince e si perde. Lo sai. Fa parte del gioco." ribattè l'altro.

 

"Hm. Dillo alla povera scrivania di Freddy Marshall." 

 

Ci fu un lungo silenzio dall'altra parte.

 

"...come hai potuto, Ed?"

 

"Cosa ti hanno raccontato?" chiese lui. Il suo tono di voce riveló improvviso disagio. 

 

"Quello che hai combinato. Ti è partito di nuovo qualche nervo, eh?" insistè lei. "Ma l'hai fatta grossa stavolta."

 

"Dai, non parliamone. Sono uscito dalla nazionale, ora la mia vita è a Yokohama." disse infine.

 

"Hai fatto una cazzata. Quando me l'hanno detto non volevo crederci. Potresti non venire convocato mai più per uno scherzo simile. A cosa è valso, allora, diplomarti in anticipo?" lo rimproveró Marty.

 

Ed rise. "Quando si tratta di farmi la paternale ritrovi il tuo spirito, eh?"

 

"È che tu mi stupisci sempre in negativo. Comunque, io adesso non ho voglia di parlare di niente. Riesci a capirlo?" gli chiese lei.

 

"Io invece vorrei vederti. Sto qui fino a domani pomeriggio. Ti va in mattinata di andare a berci un caffè insieme? Ti passo a prendere." 

 

"Non mi pare il caso. Senti, è passata acqua sotto ai ponti. Perché non vuoi capire che non possiamo continuare come coppia?" domandó lei, portandosi una mano alla fronte. 

 

"Perché non amo che te." fu la risposta che arrivó. 

Definitiva, lasciata cadere con totale sicurezza. Ma la ragazza non abboccó.

 

"Oddio..." sospiró Marty. "Per favore..."

 

"Non liquidarmi così." rispose Ed. "Per me è importante." 

 

"Quando ti ho conosciuto tu eri il ragazzo più popolare della scuola. Le altre studentesse si scioglievano per un tuo sguardo e io avrei dato non so cosa per farmi notare da te." disse Marty.

 

"Benissimo. Credo di essere anch'io pazzo di te. Non devi fare altro che dirmi a che ora passare da casa tua." ribattè subito Ed. "Mi sei mancata."

 

"Lasciami finire. Provo a spiegartelo di nuovo. Sono successe delle cose, nel frattempo. Ho conosciuto una parte della tua personalità che non mi piace e di tanto in tanto risalta fuori. Sei incoerente, sei imprevedibile e non riesco più a fidarmi di te. Non posso più vederti allo stesso modo." disse di getto. "Non insistere."

 

"C'è un altro? Chi è?" s'irritó Ed. 

 

"Piantala. Non c'è nessuno. Non va. Fra di noi non va!" ribadì Marty.

 

"Pensi a Mark, di' la verità. Eppure sai che ha una adesso." le rinfacció lui. 

 

Quello bastó a farle sentire come un centinaio di spilli conficcarsi nel cuore. "Non tirare in ballo altri." riuscì solo a dire.

 

"Anch'io ho una storia a Yokohama. Mark ha una, io ho una...solo tu non hai nessuno." rispose Ed. "Ti sto offrendo tutto di me, se solo tu..."

 

"Scusa...ho capito bene?? Hai una ragazza, a Yokohama??" sbottó Marty. "Ma che vuoi da me, allora?"

 

"La frequento per passare il tempo. È la figlia del Presidente del club. Tu sei un'altra cosa." le disse.

 

"Cristo..." mormoró la giovane. " ...sei incredibile. Come fai ad andare con ragazze di cui non sei innamorato, è un'altra cosa di te che non capiró mai."

 

Ed rise. "Ma io non faccio niente. Sono loro che si gettano fra le mie braccia. L'unica con cui ho dovuto prendere l'iniziativa sei stata tu. Quel nostro bacio al tramonto, quella sera..."

 

"Perché insisti? Dimmi solo questo. Se ti ho fatto capire che non voglio riprendere...perché?" cominció ad agitarsi Marty.

 

"Per quello che hai detto prima. Sono sempre stato con ragazze che non amavo. Tranne te." rispose Ed. "Non demordo. Sai che non è da me."

 

"Tu e Benji avete in comune una cosa: non riuscite a rispettare i limiti. Anche lui mi ha cercata negli scorsi giorni. Mi ha chiesto di andare a Takayama per incontrarlo." riveló Marty. 

 

"Cos'ha fatto quel figlio di puttana?!" sbottó Warner. "Si è permesso di dirti cosa?!"

 

"Eccoci. Ricominci con le scenate. Basta, adesso. Sono qui a casa a leccarmi le ferite. Sono a terra. E tu non fai che caricarmi di tensione. È questo il tuo concetto di amore." protestó Marty. 

 

Sentì Ed sbuffare. Stava facendo uno sforzo incredibile per rimanere calmo. "Che fai a Luglio? Stai a Tokyo?"

 

"Che ti frega?" 

 

"È anche il mio mese di vacanza. Dopo un anno incredibile per entrambi... non sarebbe male rilassarci insieme. Il mio invito al mare non è decaduto." le disse Ed.

 

"Mi sa che hai problemi di comprensione. È..."

 

"No. C'è solo tanta confusione ora dentro di te. Per Mark. Lo so." sospiró lui. "Ti aspetteró. Guarda la mia pergamena, quel gabbiano simboleggia tante cose. La forza, la libertà. Fa che non diventi un simbolo di solitudine, peró. Tu non sei fatta per rimanere sola."

 

A quelle parole, Marty sentì dentro di lei un inizio di magone. "Dai, lasciami andare. Non me la sento di vederti. Ti prego di non insistere."

 

"In Agosto io torneró ad allenarmi e tu...che fai con la Hitachi?" chiese lui, come non avesse sentito.

 

"Ho accettato. Sempre che non mi respingano dopo questa debacle." rispose un po' forzata. Non vedeva l'ora di chiudere. 

 

"No. Semmai rinnoveranno l'interesse. Tu non te ne rendi conto, ma hai dato un'ottima impressione in campo." non le raccontó che Mark era stato alla sua partita. Era troppo bello parlare con lei, ancora. 

 

"Ti dispiace se chiudiamo? Adesso vorrei farmi un bagno." si spazientì lei. Ed la stava tirando per le lunghe.

 

"Quindi niente caffè domani?" 

 

"No."

 

"Peccato. Avrei saputo come risollevarti il morale. Ma... se vuoi venire tu a Yokohama, sarò lieto di ospitarti." le disse lui, deluso.

 

"Credo che il tuo appartamento sia già abbastanza affollato." replicó lei. "Non è bello, Ed. Non conosco quella ragazza, ma non è bello quello che fai."

 

"Lei accetta la cosa. Le ho detto di te. Le va bene. Io non faccio del male a nessuno." rispose Warner. "Tu piuttosto, mi sa che hai combinato un bel casino con Mark."

 

"Perché?" chiese lei, subito allarmata.

 

"È nero, Marty. È infuriato." riveló lui, e poi mentì. "Lo sento perchè cerca di convincermi a rientrare in nazionale. Il discorso è caduto su di te ultimamente.  Anche  tu hai fatto qualche cazzata, pare."

 

"...."

 

"E poi tu dici che sono io a essermi bevuto il cervello" concluse Ed. 

 

🎋🎋🎋

 

Elise puntó la sveglia del telefono perché l'indomani si sarebbe dovuta alzare presto.  Suo padre aveva deciso una riunione il lunedì mattina con tutti i membri del CdA, e voleva che lei fosse presente, solo per ascoltare. 

 

In una manciata di secondi, fece un punto sulle sue nuove priorità. 

 

Ed, la prima. 

Il suo amore per lui cresceva giorno dopo giorno, la risucchiava in un vortice irresistibile, da cui non trovava la forza di venir fuori. 

 

La sensazione di essere imprigionata in una gabbia di passione e peccato le dava i brividi, e non era in grado di controllarla. Quella necessità di vederlo, di toccarlo e di farci l'amore, era insopprimibile. 

 

Dove era lui, quella domenica sera? Forse dall'altra, da quella bionda europea del cazzo? E cosa stavano combinando, le stesse cose che facevano loro due in quel grande letto di quell'appartamento in quel moderno grattacielo? 

 

Elise era decisa ad avere Ed Warner nel modo più completo possibile. Averlo per sempre, per tutta la vita. Non sarebbe stato facile, visto che a parole lui si era dichiarato innamorato di quella di Tokyo. 

Difficile, ma non impossibile. 

 

Andó in bagno e guardó la confezione consumata per metà della pillola anticoncezionale. 

 

Aveva smesso di prenderla dopo il loro secondo rapporto e Ed non lo sapeva.  

Una gravidanza inattesa avrebbe portato suo padre inizialmente a una crisi di nervi, ma poi sarebbe stato su di giri all'idea di avere un nipotino, magari maschio, un futuro erede di tutto il suo impero economico. Sarebbe arrivato un tantino in anticipo,  ma un nipote era un nipote e alla fine sarebbe stato accolto con gioia nella potente famiglia Sawyer. 

 

C'erano tutte le basi per costruire un futuro perfetto: un marito calciatore, un padre imprenditore che certamente avrebbe lasciato un gruzzolo di tutto rispetto alla figlia unica, un bel bambino che sarebbe stata la gioia sua e di Ed. 

 

Questo era ció che il Signore aveva in serbo per lei. Era tutto ció per cui aveva pregato da che era stata in grado di parlare. 

 

C'era il piccolo dettaglio riguardante i sentimenti di Ed. Non era del tutto convinto che la strada scelta da Dio per lui dovesse essere con lei. Poteva capirlo, era giovane e in più miscredente. Era un pagano che invocava gli spiriti della natura, ma non era colpa sua. Così era stato educato. 

 

Lo avrebbe aiutato. 

Avrebbe pregato per lui affinchè quella che era la visione di Elise Sawyer, diventasse anche la sua. 

 

Andó alla scrivania della sua camera ed aprì un cassetto. Ne estrasse il suo rosario di quarzo rosa, e giunse le mani in grembo. 

 

Ed probabilmente era con Marty Laughton a Tokyo, in quegli attimi. 

 

Pregó anche per lei, e per sè stessa, per non farsi travolgere dall'ira e dalla gelosia. 

Doveva stare calma. Non farsi prendere da inutili nervosismi e soprattutto non doveva cedere alla tentazione di chiamarlo. 

 

Resisti, e che diamine. 

 

Non doveva asfissiarlo con dimostrazioni di possessività o lui si sarebbe scocciato e l'avrebbe mollata. 

 

No. 

Elise sarebbe dovuta restare discretamente ai margini della sua vita, per il momento. 

 

Senza sconvolgere i piani.

Ritorna all'indice


Capitolo 63
*** Sorprese per Ed ***


 

Al rientro a Yokohama, quel lunedì sera, Ed Warner si trovó una sorpresa inaspettata in casa.

 

Quando infiló la chiave nella toppa della porta e l'aprì, vide tutte le luci accese e udì rumori che provenivano dalla cucina.  "Chi c'è?" chiese, perplesso.

 

Elise fece capolino dalla stanza attigua con un gran sorriso stampato sul volto. Si stava asciugando le mani con un canovaccio.

 

"Ma che fai, qui?" le domandô, posando le chiavi sul mobile vicino all'entrata. "Chi ti ha aperto?"

 

"Ciao Ed!!" cinguettó lei, felice. "Sorpresaaaa!"

 

"Elise, come sei entrata?" ripetè lui.

 

"Dimentichi che questo appartamento è di proprietà di mio padre. Ci sono copie delle chiavi in portineria, in caso di emergenza!" rispose lei. "Ho pensato di farti trovare la cena pronta, così non devi cucinare! Vedrai quante buone cose ti ho fatto!"

 

Ed era incredulo. "Non hai il diritto di entrare in casa mia. Come ti sei permessa?" 

 

"Ma dai, Ed. Ho anche pulito un po' in giro, la signora che viene ogni settimana ha lasciato la polvere dietro i mobili. Dovró dire a mio padre di mandartene un'altra..." replicó lei. "E quando andrai in camera tua non crederai ai tuoi occhi!"

 

"Ma che hai combinato?" chiese lui, che inizió ad agitarsi. Non andava affatto bene che quella entrasse nel suo appartamento come e quando voleva.   Andó nella sua stanza.

 

Ció che vide lo sbalordì.

Era stato installato un grande acquario in fondo alla camera, vicino a una delle finestre. All'interno, sguazzavano beati un po' di pescetti colorati. C'era anche una luce artificiale, ghiaia sul fondo, alghe ornamentali e piccole rocce. "Ma che diavolo....Elise!!"

 

Arrivó lei. Lo abbracció da dietro.

"Regalo!! Dici sempre che vorresti un animale domestico, ma non puoi prendertene cura qui. Ho pensato che un acquario fosse una soluzione: i pesci non sono impegnativi. La luce di notte si puó spegnere se ti dà fastidio ed è molto bello, anche come pezzo d'arredamento. Che ne dici?"

 

"Dico che non avresti dovuto! Chi te l'ha chiesto?" rispose lui, in malo modo.

 

Elise indietreggió. "Ma Ed...guarda che l'ho fatto con affetto...per te!"

 

"Chi te l'ha chiesto, ho detto. Decido io come sistemare questo appartamento, non tu. E poi i pesci sono molto impegnativi e delicati. Avevo le carpe, a Tokyo. C'è bisogno di una persona che li nutra e curi l'acqua regolarmente. Come faccio con le trasferte e tutto??" 

 

"Ci penserei io!! O la signora delle pulizie, Ed non ti agitare..." replicó la ragazza, ferita da quella reazione.

 

"Non mi dovrei agitare?? Tu entri in casa mia quando non ci sono, acquisti cose che io non voglio e magari ti sei messa a frugare fra le mie cose! Ma sei impazzita?" sbottó lui.

 

"Non ho frugato da nessuna parte! Pensavo di farti un favore, così da darti il bentornato a casa." mormorò lei.

 

"Questa non è casa tua. Tu non sei mia moglie. L'appartamento è di proprietà della tua famiglia, ma io sono l'occupante. Non puoi entrare quando vuoi. Fallo un'altra volta e chiamo la polizia." disse Ed, buttando il soprabito sul letto. "E adesso fuori di qui."

 

"C-cosa? Vuoi dire che non ceniamo insieme?" balbettó lei.

 

"Fuori. Di. Qui." ripetè lui. 

 

"Perché fai così..." disse lei, avvicinandosi e prendendogli il viso fra le mani. "Tu mi piaci tanto...io...sai, io credo di amarti. Non mi sono mai sentita tanto felice in vita mia. Volevo andarci piano con questa storia, ma stamattina ho avuto un'illuminazione. Credo che il Signore ci abbia fatti incontrare. È la sua volontà, ne sono sicura. E allora perché frenarci? Godiamo di tutto ció che questo amore puó darci. Facciamo l'amore, adesso." 

 

Ed le afferró i polsi e allontanó le sue mani dalla faccia. "E smettila!"

 

Poi si giró e si passó le mani fra i capelli. "Senti...sapevamo com'era la storia. Tu eri d'accordo."

 

Elise corrugó la fronte. "D'accordo su cosa?"

 

"A divertirci un po' insieme, senza impegno. Io amo un'altra. Te l'ho ripetuto mille volte." sbottó Ed.

 

"Ah sí? E allora che ci facevi a letto con me?" chiese la giovane.

 

Quella domanda spiazzó il ragazzo, che arrossì un poco. 

 

"A te andava bene." ripetè Ed.

 

"Lo dici tu. Tu non mi hai chiesto come mi sentivo, non te ne fregava niente.  Ma a me non piace così." si avvicinó lentamente a lui e gli lanció un'occhiata feroce che quasi lo intimorì. "Tu non puoi pensare di usarmi come una puttana e buttarmi via."

 

Era la prima volta che la sentiva usare una parola volgare. Di solito era così discreta ed educata.

 

"E cosa vorresti fare, allora?" chiese lui.

 

"Vorrei che tu ti prendessi le tue responsabilità." rispose semplicemente lei.

 

"Quali responsabilità?" domandó Ed, confuso.

 

"Ho smesso di prendere la pillola. L'ultima volta che l'abbiamo fatto sei venuto dentro, ricordi?" riveló allora lei. "Chissà cosa puó succedere." 

 

Cadde un silenzio gelido nella camera. 

Ed avvertì ogni particella del suo corpo ghiacciarsi e le pressione crollare a picco sotto ai piedi. "...cos'hai fatto?"

 

"Un figlio è un dono di Dio. Se arriverà, non mi aspetto altro che tu mi stia vicino. Per sempre, Ed. Per sempre. E saremo felici. E tutto andrà bene." disse lei, come colta da un improvviso delirio.

 

Ed indietreggió e finalmente apri gli occhi sulla sua compagna di scopate.

 

Elise era totalmente squilibrata.

I suoi modi delicati avevano sempre mascherato la sua condizione, forse, ma quella era più tocca di un orologio rotto.

 

"...quando hai smesso di prenderla?" chiese lui.

 

"Da dopo che sei partito." fece lei, godendo sottilmente della sua espressione scioccata.

 

A quella risposta, Ed riprese colorito in volto. Sospiró di sollievo e si sedette sul letto.

 

Poi la guardó. "Lurida carogna." sibiló. "Hai provato a fregarmi."

 

Elise rimase di sasso a quella reazione. Ma poi si riprese. "Forse sto per diventare la madre di tuo figlio. Tutto ció che chiedo è un po' di rispetto."

 

"Rispetto..." sussurró lui. "...rispetto!"

 

Si alzó in piedi e le afferró un polso, poi cominció a tirarla con forza. "Fuori da casa mia."  

 

"Lasciami!!" gridó lei. "Dove mi porti?! Lasciami!!

 

Ed la stava trascinando verso la porta. Lei provó a tirargli un calcio sugli stinchi, che ebbe solo l'effetto di farlo imbestialire di più.

"Glielo diró!!" urló Elise. "Lo diró a mio padre!! Gli diró che mi hai violentata!!!"

 

Ed l'afferró per il collo e la spinse contro il muro. "Fa' una cosa simile, e giuro che ti ammazzo." 

 

Poi aprì l'uscio, e la scaraventó fuori. "...fottiti lontano da me." 

 

Sbattè la pesante porta blindata. 

 

Elise Sawyer cadde in ginocchio, sotto shock.

 

Inizió a urlare.

Ritorna all'indice


Capitolo 64
*** Verso l’estate ***


 

Mark Lenders sistemava una perdita d'acqua in cucina.  

 

Le tubature della loro vecchia casa sgangherata erano usurate e di tanto in tanto gli toccava mettersi a fare l'idraulico.

Aveva approfittato di quei giorni di permesso dalla Nazionale, prima della partita contro l'Uzbekistan, per visitare i suoi parenti e dare una mano a sua madre, che non stava affatto bene.

 

"Mark, riesci a risolvere il problema?" chiese la signora, entrando in cucina.

 

"Sí. Era solo una guarnizione allentata. Tutta questa maledetta casa è un colabrodo." ribattè, alzandosi in piedi. "Ce ne dobbiamo andare da qui."

 

"E dove? Con che soldi?" rispose la donna, sedendosi al tavolo.  

 

"Fra poco non avremo più questo problema. A Settembre accetteró una proposta dall'Europa e allora vedrai quanto denaro...acquisteró una casa su due piani per te e i ragazzi. Non a Tokyo, magari in una città più temperata come clima. Ed è a Yokohama, dice che sta molto bene. Forse, lì..." replicó lui.

 

"Tu ti preoccupi sempre tanto. Alla tua età dovresti essere spensierato, come i tuoi coetanei... ma non lo sei mai stato. Non hai vissuto la tua gioventù, e questo mi intristisce." sospiró sua madre. 

 

"Ma che dici?? Grazie al calcio ho avuto esperienze importanti,  ho già viaggiato per il mondo. E grazie allo sport faró molti soldi, per voi." le disse il figlio.

 

"Già...ma non ti ho quasi mai visto sorridere. So di essere io la tua preoccupazione principale, vero?" chiese Anne.

 

"Tu mi dai da pensare per la tua salute. È vero. Mi sembri dimagrita e sei così pallida... un dottore dovrebbe prendersi cura di te. E smetti con quei lavori! Non è necessario che vai a fare la cameriera in quel ristorante. Abbiamo un po' di risparmi,  possiamo campare per qualche mese..." ribattè Mark.

 

”Hai fratelli, che crescono, e hanno bisogno di vestiti nuovi. È arrivata l'estate e i ragazzi han bisogno di indumenti leggeri...perfino al mercato ora costano di più!" si lamentó la signora. "E le bollette...i miei guadagni servono eccome." 

 

"Beh non mi va!! Non mi va che ti sforzi, sei anemica per la miseria!" sbottó lui. "Come credi che possa tornare a Takayama con questo stato d'animo!!" 

 

"Ma non ti preoccupare. A lavoro posso sedermi quando mi sento stanca. I miei colleghi mi aiutano e lo stipendio arriva. Ce la faccio. Tu concentrati su questo torneo." lo rassicuró la donna.

 

"Ted ti aiuta?" volle sapere Mark.

 

"Un ragazzino dodicenne? Ma che puó fare?" disse lei. "I tuoi fratelli sono fin troppo autonomi. Non riesco neanche a seguirli per i compiti, fanno tutto da soli. Più di questo non si puó chiedere." 

 

Mark si sedette a sua volta. "Lascia che finiscano queste eliminatorie. Poi torneró qui e mi occuperó di tutto io."

 

"Ma non vai in vacanza? Un po' di riposo te lo meriti. Quest'anno ti sei diplomato e poi subito impegnato con il mondiale. Una decina di giorni di relax potresti regalarteli." chiese la signora. 

 

"Ti pare il momento? No, il mio posto è qui."

 

"Dicevi di voler tornare a Okinawa da quella ragazza. Maki. Che fai, rinunci?" chiese lei.

 

Mark stette zitto per un po'. 

Chiuse gli occhi, come assorto in qualche profondo pensiero. "È difficile. Forse più avanti."

 

"Ma vi sentite spesso. Un rapporto va coltivato, Mark. Non fare lo stesso errore commesso con Marty." aggiunse la madre.

 

"Con lei non c'è mai stato niente. Solo amicizia,  e ora nemmeno più quella." replicó il ragazzo.

 

"Come mai?" indagó la donna.

 

"Sapessi cos'ha fatto..." 

Il giovane raccontó ad Anne la storia della telefonata di Marty a Maki. Il suo grossolano tentativo di spacciarsi per un'altra persona, le sue fandonie sulla fidanzata presunta che lui aveva a Tokyo, l'invito a farsi da parte. 

Le raccontó di come la ragazza di Okinawa e lui avessero irriso tutta quella faccenda, liquidata come i capricci di una piccola gelosa. 

 

Anne peró non parve divertita.

"Non avresti dovuto prenderla in giro. Marty soffre per te. Ha fatto una sciocchezza, perché non puó sopportare di saperti con un'altra. Una ragazza come lei, non sarebbe arrivata a tanto se non per disperazione." 

 

"Beh non stiamo insieme!! Perché la difendi, mamma? Si è comportata come una stupida." sbottó lui.

 

"Allora parlale. Nel vostro rapporto quello che manca è la chiarezza. Se credi di non volerle bene, e so che non è così, diglielo. Con fermezza. O continuerete a girellarvi intorno e a sprofondare negli equivoci." ribattè la signora. 

 

"Secondo te io le voglio bene?" chiese Mark, ironico. "A una matta come quella? A una che è passata da Benji a Ed come niente fosse? Che si comporta come nemmeno Nathalie farebbe?"

 

"Perché allora sei venuto alla partita? Potevi passare a prenderci dopo l'incontro. Eppure...eri là." sorrise la donna. "Non provare neanche a raccontare bugie a tua madre. Io vedo dentro di te." 

 

Mark scrolló la testa. "Non ho tempo per queste faccende, comunque. Terminata la partita contro l'Uzbekistan saremo tutti liberi, fino a Settembre. Io prenderó appuntamento con i rappresentanti delle squadre europee che hanno manifestato interesse nei miei confronti.   La signorina Daisy mi farà da assistente personale, in caso di ingaggio. Penserà a tutto lei per il mio trasferimento in Europa."

 

"Quella donna? Non mi piace, Mark. Ti sta troppo addosso.  Ha qualcosa di morboso." protestó la madre.

 

"È una professionista, sa tutto sui contratti e puó farmi da procuratrice. Non iniziare anche tu con quelle dicerie." s'innervosì Mark. "Ho sopportato in questi anni fin troppi pettegolezzi."

 

"No. Quella ha un interesse per te che va oltre il calcio. Lo vedo da come ti guarda. Come un topo che guarda un pezzo di formaggio. Dovrebbe vergognarsi." rispose indignata Anne.

 

"Non è vero. E poi non so a chi altri rivolgermi. La conosco, lei mi conosce. Mi fido di lei." replicó Mark.

 

La signora Lenders sospiró di nuovo, poi prese la mano del figlio. "Io spero che la vita ti riservi tante belle cose, Mark." 

La strinse.

"Ti voglio bene."

 

🎋🎋🎋

 

Marty era concentrata sulla traduzione che aveva ricevuto da Anne Lenders per conto del commerciante di birra. Era un plico bello alto, che le sarebbe fruttato un gruzzolo notevole quella volta.

 

Aveva scoperto che lavorare teneva lontano l'amarezza della sconfitta, e distraeva dai cupi pensieri.

 

Ed era ripartito per Yokohama, grazie al cielo.

Aveva temuto che si sarebbe presentato a sorpresa sotto casa sua e, approfittando della simpatia che suo padre aveva per lui, si sarebbe fatto invitare dentro.   Ma fortunatamente aveva desistito.

 

Marty c'era rimasta quando aveva saputo della sua misteriosa amante, ma poi si era resa conto che da uno come Ed non poteva che aspettarsi una situazione di quel tipo.    

 

Era ormai arrivata alla conclusione che, oltre a un problema con il concetto di amore, Warner aveva un problema anche con le donne. Forse perché ne aveva troppe intorno, e la facilità con cui le conquistava era disarmante. Non erano che giocattoli usa e getta per lui.  

E per Benji. 

Se quei due avessero deciso di mettersi in combutta, avrebbero potuto distruggere centinaia di cuori insieme.  Un'associazione a delinquere bella e buona.

 

Quel pensiero la fece ridere.

 

Arrivó suo padre, stanco dopo il lavoro. Era tornato a casa prima. 

 

"Ciao..." bussó alla porta della sua camera. 

 

"Papà? Che fai a casa alle cinque?" 

 

"Mi sono girate le scatole per colpa di uno dei tecnici. Sono uscito prima dall'ufficio!" borbottó.

 

"E lo puoi fare?" chiese lei.

 

"Privilegio dei dirigenti." sorrise Andrew. "Senti, io e tua madre andiamo via per tre giorni questo week end. Forse invece della Costa Azzurra prendiamo in affitto una casa qui in Giappone per l'estate. Così vieni anche tu." 

 

"Dove???"

 

"Sull'isola Ishigaki. È in prossimità di Okinawa. C'è una baia cristallina bellissima." rispose Andrew. "Me l'ha consigliata un collega."

 

"NO! LI'  NO!" esclamó Marty.

 

Il padre si stupì. "E perché? È un posto turistico esclusivo. Siamo ancora in tempo a trovare una casa anche grande."

 

"No...no. Guarda, mi han detto che quella zona in estate è piena di turisti, un carnaio!!" mentì lei. "Non vorrai mica spendere migliaia di yen per trovarti con la spiaggia piena di rompiscatole!!"

 

"Ma veramente a me hanno detto che è il contrario. Proprio perché costosa, ci va poca gente." replicò Andrew. 

 

"Beh io non ci vengo!!!" protestó Marty.

 

"E chi se ne frega!  Stai qui, in città, al caldo! Se troviamo, io e tua madre andiamo. Tu arrangiati." s'indispettì Andrew. "Alla tua età io andavo sulle spiagge irlandesi, con il mare gelido e la ghiaia che feriva i piedi. Hai solo che da ringraziare!" 

 

Poi uscì, sbattendo la porta. 

 

"Che palleeeee!!!" gridó la ragazza. 

Non si sarebbe avvicinata di un chilometro a quella cazzo di Okinawa della malora. 

 

Buttó la penna sul quaderno.

Già, ma che faró a Luglio?? Tokyo sará afosa, caldissima. Sarà come stare in una pentola a pressione.

 

Mentre guardava fuori dalla finestra, suonó il cellulare. Lo prese, era una chiamata anonima. "Pronto?" 

 

Non ci fu risposta.

 

"...pronto?"

 

Nessuna voce.

Solo, le parve di sentire un respiro leggerissimo dall'altra parte della cornetta.

 

"...bah, fanculo." 

Riattaccó.

 

Dopo qualche minuto, sentì il telefono di casa trillare. Sua madre rispose dal piano inferiore. "Pronto?" la sentì dire. "...insomma, pronto?"

 

Pose il ricevitore anche lei.

Marty uscì dalla stanza e si appoggió al corrimano delle scale. "...chi era?"

 

"Mah, non so. Ha messo giù. Sarà un cretino che fa gli scherzi." disse Joanne.

 

Dalla sua camera, arrivó di nuovo la melodia della suoneria. Marty corse a rispondere, decisa a mandare a quel paese il deficiente che non aveva di meglio da fare quel giorno.

 

"Pronto!!" disse.

 

Udì una voce femminile.

"Salmo 51. Versetti 2 e 3."

 

Click.

Ritorna all'indice


Capitolo 65
*** Peccati ***


Lavami da tutte le mie iniquità e purificami dal mio peccato; poichè riconosco le mie colpe, il mio peccato è sempre davanti a me.

 

Marty lesse quei versi biblici tre volte, mentre mille domande si accavallavano nella sua mente.

Chi poteva essere, quella misteriosa ragazza, o donna, che aveva trovato chissá dove i suoi numeri di cellulare e di casa, e l'aveva chiamata per "suggerirle" di scorrere quei passaggi sul peccato e sulla colpa? Perché l'aveva fatto? E perchè lei, Marty, sembrava attirare pazzi come il miele attirava le api?

 

Chiuse la vecchia Bibbia che aveva trovato in un armadio e si portó le mani al viso. C'era qualcuno, là fuori, che aveva un malsano senso dell'umorismo. Lei aveva importunato la nuova fiamma di Mark con lo stesso metodo della chiamata anonima e ora lo scherzetto le si ritorceva contro. 

 

Ma quella non era la voce di Maki Akamine, ci poteva giurare. Non era stata lei a renderle pan per focaccia.

 

Non poteva certo immaginare che la voce era stata quella di Elise Sawyer. Non poteva sapere che Elise aveva mentalmente memorizzato il codice di sblocco del cellulare di Ed Warner e aveva di nascosto cercato i suoi contatti nella rubrica, mentre lui si faceva la doccia dopo uno dei loro amplessi. E certamente non poteva sapere che Elise era una fanatica religiosa e conosceva a memoria ogni pagina delle Sacre Scritture.

 

Soprattutto, quello che Marty non sapeva era l'odio che Elise stava sviluppando contro di lei. Nella mente di quella poverina, già gravata dalla malattia psichiatrica, si stava facendo largo la convinzione che fosse lei, la bionda di Dublino, la causa principale del rifiuto di Ed a fare sul serio con la loro storia.

No, decisamente non avrebbe potuto immaginare una situazione simile, nemmeno in mille anni. Decise di non dare peso alla cosa.

 

Liquidó quella telefonata come lo scherzo di una stupidella annoiata e lasció correre.

 

Tutte le preoccupazioni di Marty, in quell'ultimo periodo di Giugno, erano avere la conferma della Hitachi sul suo possibile stage estivo, e capire come mettere la sua situazione con Mark. 

 

Era ormai venuta a patti con la realtà: sentiva qualcosa di intenso per lui, e il fatto che fosse spuntata una sconosciuta spasimante nell'esistenza del ragazzo aveva fatto da detonatore a quella consapevolezza.  La gelosia squarciava tutte le maschere e illuminava anche i punti più bui del suo Io. Non sopportava di immaginarlo con un'altra, e non c'era altro da aggiungere.  Per Ed aveva provato una cosa simile nel periodo in cui frequentava Beverly, ma non era lo stesso.

 

Mark... l'aveva presa alla sprovvista con quel flirt segreto, sbocciato a Okinawa, lontano da Tokyo. E con una tizia che non aveva niente di straordinario.

 

"Chi era?" chiese sua madre, entrando in camera. "E perchè leggi la Bibbia?"

 

"Al telefono? Non so, non ha risposto." mentì lei. Mise il volume in un cassetto.

 

"Hai riscoperto la religione? Mi hai fatto venire in mente che dobbiamo mandare un regalo per il matrimonio di tua cugina Charlotte." disse Joanne.

 

Marty si stupì. "Charlie si sposa??" 

 

"Sì, con Malachy. Me l'ha detto ieri sera Yvonne al telefono." riveló Joanne. 

 

"Ma... lei ha solo ventuno anni! Così giovane??" 

 

"Hai ragione. Dovrebbe godersi la vita anzichè chiudersi in gabbia! Ma Charlotte e il suo ragazzo stanno insieme dal liceo. Yvy mi ha detto che non vedono l'ora. Poi lei tra poco avrà l'abilitazione a lavorare come infermiera. Lui sgobba già. Vogliono mettere su famiglia." raccontó Joanne. "Povera te se progetterai di sposarti così giovane.  Faresti un grave errore." 

 

"Non ci penso neanche, non ti preoccupare." rispose lei. Poi provó tristezza. 

Ricordó Kate. 

La loro altra cugina strappata alla vita a soli quattordici anni, prima di scoprire l'amore e tutto il resto. Da bambine, fantasticavano molto sui loro matrimoni.

 

"Pensi a Katie." intui sua madre, vedendola incupita. "Dovremo andare a trovarla al cimitero prima o poi. Quando torneremo in Irlanda."

 

"E quando?" chiese Marty. "Hai sentito papà. Dice che il nostro futuro è in Giappone."

 

"Il tuo futuro, devi ancora scriverlo. Noi staremo qui perchè per lui qui c'è lavoro, e ben pagato. Ma tu hai la tua vita."

 

"Quindi se vi chiedessi di trasferirmi a Dublino per l'universitá mi lascereste??" domandó lei.

 

Joanne sobbalzó. "Cos'è questa novità? Quando l'hai deciso?"

 

"Pensavo che nonna Bree potrebbe darmi ospitalità, così non dovrei prendere una camera in affitto. Le farei compagnia. Poi vorrei iscrivermi al Trinity College, è il mio sogno." raccontó Marty.

 

"Ma qui non hai avuto proposte da una squadra di pallavolo? Che ne farai di quel progetto?" chiese Joanne, confusa.

 

"Intanto non so ancora se andrà in porto. Vorrei costruire un sentiero parallelo. E sento di voler tornare nel nostro Paese per gli studi. Sarebbe più facile anche con gli esami, darli nella nostra lingua." spiegó lei.

 

"Tuo padre preferirebbe che tu prendessi una laurea qui, magari in Informatica. Dice che i Giapponesi sono all'avanguardia in questa scienza." replicó Joanne.

 

"A me non l'ha detto. Io voglio studiare Letteratura, Poesia." 

 

"Ha!" sbottó Joanne. "Auguri. Tuo padre non te lo permetterà. Il Trinity è privato, non ti pagherà gli studi per vederti diventare letterata."

 

"Il Trinity è un college prestigioso! Ci ha studiato Oscar Wilde!" protestó Marty. "E altri artisti irlandesi!"

 

"Appunto. Invertiti e poeti. Gente drogata di assenzio che è morta in povertá. Ti ripeto che convincere tuo padre sarà più difficile che vedere la neve in Agosto."

 

"Io non studierò Economia o Informatica. Non ci capisco niente di robe matematiche, farei una fatica boia!" protestó la ragazza.

 

"I college in Irlanda costano fino 45.000 euro di retta annuale. Rifletti solo su questo. Sarebbe un investimento a perdere.” chiuse Joanne. Poi uscì dalla stanza. 

 

“E allora perché dici che devo costruirmi da sola il mio futuro?!!!” urló Marty. 

 

Si sedette pesantemente sul letto. 

Kate le avrebbe certamente suggerito di provarci fino in fondo con la pallavolo. Era stato il suo sport preferito e aveva contagiato la cugina con la sua passione.

 

Guardó il calendario: doveva consegnare il suo lavoro tradotto quel venerdì. 

Tiró fuori il plico di fogli e si mise sotto.

 

🎋🎋🎋

 

Ed Warner rientró a casa quella sera, dopo la fisioterapia. 

 

La spalla continuava a fargli male quando la sforzava, e le iniezioni anti-dolorifiche sembravano non funzionare.

 

Temette che quel guaio fisico gli complicasse la sua permanenza alla Yokohama Flügels.  Ma non era l’unica cosa a preoccuparlo.

 

Elise, dopo la sua sfuriata, non si era più presentata ai campi d’allenamento. Non erano arrivate più chiamate nè messaggi da lei, ma nemmeno richieste di spiegazioni da suo padre. Segno che la ragazza, quantomeno, aveva finto che nulla fosse successo fra loro, col genitore.  

 

Ed sospettó che dietro quella scelta di non dire niente, ci fosse soprattutto la paura che il signor Sawyer potesse venderlo per punizione, e di conseguenza lei non l’avrebbe più visto.

 

Questo pensiero, anzichè rasserenarlo, lo riempì ancora più di ansia. Non andava bene avere una ragazza ossessionata intorno. Aveva vissuto lo stesso con Kibi, e non era stata un’esperienza piacevole. Perfino Marty era arrivata faccia a faccia con la gelosia della sua ex, poi suo capitano. E si era spaventata. 

 

Solo che Kibi si era rifatta una storia con Alan Greene…ma Elise? In che modo avrebbe superato la loro separazione? Non avrebbe facilmente trovato un rimpiazzo, non era smaliziata come Kibi, nè attraente come Marty.

 

Ed avvertì una brutta sensazione. La serratura della sua porta doveva essere  cambiata da un fabbro velocemente, ma non aveva trovato ancora il tempo.

 

Accese le luci della casa e buttó il borsone sul divano. Aveva bisogno di un’altra doccia, più lunga.  Voleva rilassarsi.

 

Andó in camera e accese le luci. Quelle dell’acquario erano stranamente spente.

 

Vide che nell’acqua non nuotava più alcuna creatura. I suoi bei pesci angelo sembravano spariti. 

 

Si avvicinó. 

 

Ad un occhiata più attenta, vide che non erano spariti affatto. 

Galleggiavano a pancia in sù, in superficie.

 

Erano tutti morti.

 

“Cosa cazzo è successo…” mormorò Ed, sgomento.

 

Notó una strana polverina bianca roteare nell’acqua. Immerse un dito e poi se lo portó alla bocca. Il sapore era amarissimo.

 

Ed fece una smorfia. 

Veleno.

 

Qualcuno aveva avvelenato i suoi pescetti.

 

Forse la donna della pulizie aveva usato un prodotto inadeguato per pulire la vasca? No. Troppo facile. Troppo consolatorio. La sua coscienza gli disse chiaramente il nome del, della, responsabile. 

E vide un’altra cosa strana. C’erano delle lettere segnate con un dito sul cristallo. Come quando da bambini si giocava ad appannare gli specchi con l’alito, per poi farci i disegni con un dito.

 

Osservó le linee di ogni lettera, fino ad arrivare a formare una parola. 

 

Lussuria.

Uno dei sette peccati capitali.

 

“…tu…stronza psicopatica…” mormoró, mentre una rabbia feroce cominció a montargli nello stomaco. Mista a un po’ di paura.

 

Era arrivata perfino a fare quello. Oltre a essere di nuovo entrata in casa sua di nascosto. 

 

Ed ne ebbe abbastanza.

 

Alle ore 18.40, chiamó la segretaria di Arthur Sawyer.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 66
*** Malattie e malori ***


Quando arrivó alle 8.30 all'ultimo piano del palazzo che ospitava gli uffici della Sawyer Corporation, Arthur non si stupì di trovare Ed Warner seduto su uno delle poltroncine all'ingresso. 

 

Aveva chiamato la sua segretaria la sera prima, pretendendo un appuntamento al più presto possibile con lui. 

 

Arthur immaginó il tema della loro imminente discussione. Sua figlia Elise.

 

Prima ancora di parlarci, l'uomo capì che il ragazzo era turbato: bastava guardarlo. Le mani strette una nell'altra, l'espressione tesa e corrucciata, muoveva nervosamente un piede, quasi che non vedesse l'ora di alzarsi.

 

"Ed, buongiorno." lo accolse Arthur, tendendogli la mano. "Ho sentito da Helen che sei un po' nervoso. Perdonami se ti ho costretto a una levataccia, ma avevo un buco solo stamattina. Entra pure nel mio ufficio."

 

Ed si alzó in piedi e gli strinse la mano. "Buongiorno, Presidente. Sì, devo assolutamente parlarle di una faccenda. C'è...un problema con sua figlia."

 

Arthur lo guardó allarmato. "Spero niente di grave, Warner. Accomodati, parliamo dentro."

 

I due fecero il loro ingresso nella sala riunioni, già allestita con acqua e due bicchieri.

 

Ed si sedette. Quella chiacchierata con il Presidente del club poteva costargli il posto, ma la questione si stava aggravando. Oltre alla strage di pesci, quella mattina gli erano arrivate due chiamate allarmanti, da Elise.

 

Nella prima, lo implorava di perdonarla, gli giurava amore eterno e blaterava di matrimonio. Ma quando lui le aveva chiuso brutalmente il telefono in faccia, l'aveva richiamato stavolta per insultarlo e minacciarlo di fargli fare la fine dei pesci.

 

"Signor Sawyer, credo che sua figlia abbia dei problemi." inizió, deciso a parlare chiaro. "Mi scusi la schiettezza, ma sta avendo comportamenti che mi spaventano." 

 

Arthur lentamente prese una sedia e si accomodó. 

Se l'era aspettato. Il momento era arrivato e adesso gli toccava guardare in faccia la realtà, una realtà che aveva ostinatamente nascosto a sè stesso il più possibile: Elise aveva un grave disagio psichico.

 

Aveva sperato che la sua frequentazione con Warner,  il suo primo ragazzo, la togliesse dai suoi malesseri, ma evidentemente la patologia da cui era affetta era radicata più di quanto avesse pensato.

 

"Cos'è successo, dimmi." mormoró, portandosi le mani al viso.

 

"Io e sua figlia ci siamo visti per un po', questo lo sa." disse Ed, bevendo un sorso d'acqua. "Non le nascondo che per me questa storia non ha avuto un significato profondo. Per quanto Elise abbia mostrato anche delle qualità, non sono riuscito a innamorarmi di lei." ammise il giovane. 

 

Arthur si sfregó gli occhi con le dita. "Non posso obbligarti ad amarla."

 

"Quando le ho rivelato i miei sentimenti al riguardo,  sua figlia ha, diciamo, reagito male." continuó Ed. "Ha prima finto di essere incinta. Mi ha detto di aver smesso con l'assunzione della pillola anticoncezionale, ma  non è riuscita a  ingannarmi. Ho avuto altre ragazze che usavano questo metodo e so come funziona. Mi sono arrabbiato per questa bugia, e le ho detto di non volerla più vedere. Credo che lei possa comprendere la mia reazione."   

 

Sawyer si guardava la punta delle dita, come se quella distrazione lo aiutasse ad affrontare quel confronto. Ogni parola di Ed gli faceva male.

 

"...comunque... Elise è in possesso di una copia delle mie chiavi di casa, e credo che ieri sia entrata nell'appartamento prima che io tornassi. Ho un acquario, me l'ha regalato lei. Al mio rientro ho trovato i pesci morti avvelenati. E ho iniziato ad avere paura. Stamattina, poi... stamattina sua figlia mi ha chiamato... non le riferisco nemmeno cosa mi ha detto." disse Ed. "Senta: so che per un padre sentirsi dire queste cose è dura. Ma la prego di fare qualcosa perché Elise la smetta. O saró costretto a denunciarla." 

 

Arthur lasció andare un lungo sospiro addolorato. Picchiettó le dita sul tavolo in legno per qualche minuto e nient'altro.

 

Sul suo viso, Ed vide passare una serie di espressioni, la più evidente delle quali fu di rassegnazione. Si era forse aspettato un epilogo del genere.  Probabile che egli stesso fosse consapevole dei problemi di sua figlia.  Fin troppo consapevole.

 

"Beh...che dire... io ti avevo detto che Elise è una ragazza particolare." riuscì solo a rispondere.

 

"Ma non fino a questo punto, mi perdoni." rispose il ragazzo.

 

"Che posso fare, a parte esprimerti il mio dispiacere per questa situazione? Sono desolato."

 

"Ma non è sorpreso. Segno che se l'aspettava." replicó Ed. 

 

"No, non me l'aspettavo. Vedi, mia figlia non ha mai avuto una relazione,  credevo che quando sarebbe successo le sue...ehm...problematiche sarebbero sparite. Per questo ti avevo avvertito affinché tutto andasse bene fra te e lei. Speravo che tu la aiutassi.  Speravo che l'affetto di un ragazzo le facesse da cura." raccontó Arthur.

 

"Signor Sawyer, Elise non ha bisogno di un fidanzato. Ha bisogno di un infermiere che la segua."  replicó Ed.

 

"Adesso non esagerare. Mi stai dicendo che devo chiudere mia figlia in un manicomio? Non ho intenzione di farlo." sbottó lui.

 

"Non dico questo. Tuttavia è una ragazza che va aiutata. Francamente, non ho mai vissuto niente di simile. Questa non è semplice gelosia.  Sono comportamenti criminali. E io non voglio andarci di mezzo. Intanto, la prego di parlarle." lo imploró Ed. 

 

"Questo senz'altro. Daró anche disposizione alla portineria del grattacielo in cui vivi di non consegnare a nessuno la copia delle chiavi." promise Arthur.

 

"Temo non sia sufficiente. Presumo che Elise abbia fatto realizzare un doppione personale delle chiavi." replicó il ragazzo. "Le vanno sottratte." 

 

Sawyer sospiró. "Mio Dio..."

 

"Mi dispiace, Sig. Sawyer. Si renderà conto che non ho accettato un ingaggio nella sua squadra per vivere queste situazioni.   Ho abbandonato la Nazionale per dedicarmi al suo team." continuó Ed.

 

"No, aspetta un momento. Tu hai lasciato la Nazionale perchè eri in rotta con il management. Non ci hai fatto un favore. Noi l'abbiamo fatto a te, mettendoti sotto contratto." rispose l'uomo. "E a fine stagione."

 

Ed si mosse a disagio sulla sedia. Quello era stato un colpo basso. "Già...ma Imeda è alla fine della sua carriera. Che avreste fatto nelle ultime partite? Senza di me forse avreste perso. Non mi prenda in giro."

 

"Ragazzo, calmati. Ti do ragione su mia figlia, ma ora non esagerare. Hai solo diciotto anni, stai al tuo posto." lo rimproverò Arthur. "O dovrò credere a chi dice che hai un caratteraccio." 

 

"Ma è la verità. Mi sono liberato della Nazionale e mi sono messo subito a vostra disposizione. Avrei potuto attendere la fine delle eliminatorie e aspettare l'offerta di qualche squadra europea. Ma ho scelto voi." s'irritó Ed.

 

Sawyer ridacchió. "Squadra europea? Ed, credi di avere qualche speranza in Europa? In quei campionati vogliono veri professionisti, non acrobati. Tu sei bravo, molto bravo, ma non sei ancora un fuoriclasse. Perdona la franchezza." 

 

"Non è vero! Price gioca in Germania e io..."

 

"Benji Price?? Ti vuoi paragonare a lui? Allora è vero che questa competizione ti divora. Beh, meglio che ti metti il cuore in pace. Lui è di un'altra categoria. Tu devi accontentarti, e con quello che ti paghiamo direi che puoi essere soddisfatto." rispose l'uomo.

 

Ed fece un grande sforzo per non alzarsi in piedi e andarsene. Inspiró ed espiró per trovare la calma. "Mi dica solo che farà con Elise."

 

"Le parleró. Le diró di smetterla. Se necessario, le daró un periodo di vacanza e la manderò da mia madre, in campagna." ribattè l'altro.

 

"E crede che questo basti?" 

 

"Basterà. Ti rinnovo le scuse a nome della mia famiglia. Tutto di sistemerà, vedrai." lo rabbonì Arthur. 

 

"Non lo credo." Ed si alzó in piedi. "Sua figlia ha bisogno di aiuto. Ascolti le mie parole."

 

"Non credo ci sia altro." taglió corto Sawyer. "Se vuoi scusarmi, oggi ho altri appuntamenti."

 

"Va bene. Chiudiamola qui. Ma se quella ragazza si avvicina ancora al mio appartamento, coinvolgeró chi di dovere."

 

"È tutto, Ed. Ti aspettano al centro sportivo."

 

🎋🎋🎋

 

Anne Lenders non stava bene.

 

Aveva chiesto una mezza giornata di ferie al suo datore di lavoro, perché già la sera prima aveva vissuto minuti interminabili di malessere.  Provava una spossatezza molto intensa, preludio a un deciso calo di pressione.  Non voleva svenire al lavoro.

 

Seduta sul divano di casa, tentava di farsi passare il giramento di testa. Gli strilletti dei bambini che giocavano, peró, non furono d'aiuto. Le scuole erano finite per tutti e ora aveva i ragazzi in casa da mattina a sera. Mark era in Nazionale, e proprio quel pomeriggio si sarebbe giocata la partita contro l'Uzbekistan. L'ultima, prima del lungo stop estivo.

 

"Ted, ti prego, porta i tuoi fratelli fuori. Ho bisogno di un attimo di quiete." pregó il figlio.

 

"Non stai bene, mamma? Vuoi un bicchiere d'acqua?" chiese il bambino.

 

"No. Portami un succo di frutta. Ho bisogno di zuccheri." rispose lei.

 

Il ragazzino andó in cucina. Lo si sentì armeggiare nel frigorifero. "...ma non ci sono succhi!"

 

"Guarda nella credenza...aspetta...dai, vengo io." fece la donna. Tentó di alzarsi.

 

Vide d'improvviso tutto nero. 

Come fosse diventata cieca, una patina scura le coprì gli occhi, ed ebbe solo il tempo di pensare: sto svenendo, sto...

 

Cadde con un tonfo a terra.

Allarmati dal rumore, i bambini si precipitarono in salotto. Nathalie urló: "Mammaaaa!!" 

 

Ted si chinó veloce su di lei e provó a scuoterla. "Mamma!! Svegliati!!" 

 

La sorella scoppió a piangere. "È morta!!!"

 

Anche il piccolo Matt, a quelle parole, inizió a frignare.

 

Ted prese in mano la situazione.  "Non è morta! È svenuta! Presto, mettetele un cuscino sotto alla testa. Vado a chiamare il nostro vicino!!" e corse come un fulmine in cortile.

 

Naty prese un guanciale dal divano e lo mise delicatamente sotto alla nuca di Anne. "Mamma..." singhiozzava. "Mark..."

 

"Dov'è Mark??" chiese il fratellino. "Chiamiamolo!"

 

"È lontano, Matt..."

 

"E allora chiama Marty!!"  disse il piccolo, tirando su con il naso. "Così ci aiuta."

 

La bambina pensò che fosse un'idea giusta. Marty sarebbe sicuramente corsa, perché voleva bene alla sua mamma e a Mark e anche a loro.   Trovó il suo numero di cellulare su un post-it in cucina.

 

Nathalie Lenders, a nove anni, prese la cornetta del telefono di casa, e cercó aiuto dall'unica persona che nella sua mente poteva darglielo.

Ritorna all'indice


Capitolo 67
*** Con il cuore in gola ***


Marty era sul taxi, agitatissima. 

 

Aveva ricevuto una telefonata drammatica da Nathalie Lenders, in cui la bambina le aveva detto, piangendo, che la loro madre era riversa a terra e che non rispondeva più. Le aveva detto anche che suo fratello Ted era corso a chiamare il loro vicino di casa.

 

Marty non ci aveva pensato due volte: Mark era impegnato in partita contro l'Uzbekistan, in quei minuti, e ignaro era lontano chilometri. I Lenders non avevano parenti a Tokyo, e a parte i loro vicini, non potevano contare su nessuna rete di supporto sociale. 

 

E poi, la voce singhiozzante di Naty le aveva spezzato il cuore. Aveva detto a sua madre che sarebbe tornata una volta risolta la situazione,  ma non sapeva cosa realmente fosse successo.

 

I problemi di salute di Anne erano noti, anche Mark gliel'aveva detto. Tendeva a perdere i sensi per via dell'anemia, ma negli ultimi tempi la situazione pareva migliorata. 

Evidentemente, il suo problema si stava invece ingigantendo.

 

Quando arrivó nel quartiere di Mark, vide le luci lampeggianti di un'ambulanza ferma proprio davanti al loro vicolo. Pagó il tassista, e scese di fretta. 

 

Fece in tempo a vedere Anne che, priva di sensi, giaceva su una barella e veniva issata sul mezzo. Le avevano applicato una maschera per l'ossigeno sul volto.

 

"Oh Marty, meno male che sei venuta!" le disse il vicino di casa dei Lenders, che lei conosceva già. Il signor Shigheo era un artigiano che sistemava mobilio e faceva piccoli lavori di scultura in legno. Un uomo buono e molto sorridente.  Ma in quei momenti era teso e preoccupatissimo. "...ti prego di stare con i bambini, io accompagno Anne in ambulanza!"

 

Arrivó di corsa Nathalie e abbracció di slancio la ragazza. "Marty!! Marty, la mamma sta male!"

 

"No. Non sta male. È solo un po' stanca! Sono qui io, adesso! Stai calma, vedrai che torna a casa domani!" rispose lei, tremante dall'agitazione. "Vero, signor Shigheo??"

 

"Sì...sì, certo. Nathalie, non ti devi preoccupare. La tua mamma viene portata a riposare un po'. Vedrai che starà bene!" rispose l'uomo, carezzandole la testa.

 

Marty giró il viso intorno e vide Ted e Matt abbracciati, vicino all'ambulanza. Il più grande aveva lo sguardo atterrito, ma almeno non piangeva. Il piccolino, invece, singhiozzava.

 

"Senti, stai con loro stasera. Te la senti di dormire a casa qui, con i ragazzi?" chiese il signor Shigheo.

 

Marty rimase un po' perplessa. "Ma...non l'ho detto ai miei..."

 

"Sì, ti prego! Ti prego!! Stai qui!!" imploró Naty.

 

"Anche perché non possono stare soli. Sono troppo piccoli. Solo per una sera. Domani magari chiedo a mia figlia di darti il cambio. Lei lavora in un albergo e proprio oggi ha il turno di notte." propose l'uomo, che era vedovo e condivideva la casa con l'unica figlia. "Io devo avvisare Mark. Deve essere informato assolutamente."

 

"A quello ci penso io. Lo faccio subito." ribattè Marty. Poi guardó la bambina. "Okay, sto con voi stasera."

 

L'ambulanza accese il motore, e la sirena annunció la corsa in ospedale.

 

"...io spero non sia grave." mormoró.

 

"No. Ma ha battuto la testa. Dovranno tenerla in osservazione. Quando sono entrato in casa, l'ho vista riversa a terra, ma respirava regolarmente. Ho chiamato subito i soccorsi. Mi preoccupano le spese..."

 

"Per l'ospedale?" 

 

"Già. La sanità qui è buona solo se paghi. Ci sarà un conto da saldare. E i Lenders non hanno fondi adeguati, purtroppo." sospiró il signor Shigheo.

 

"Dio mio..." 

 

"Un modo si troverà. Per ora, ti prego solo di stare accanto ai bambini. Con Mark lontano, sono smarriti. Vedi di calmarli, se riesci." disse l'uomo.

 

"Avviseró i miei. Non ho mai dormito fuori casa." rispose Marty.

 

Shigheo le mise una mano su una spalla. "Stai facendo qualcosa d'importante. Senza di te, sarebbe stato un problema. Grazie, Marty." 

 

Lei annuì. 

 

"Bambini! Vedrete che vostra madre tornerà più in salute di prima. Adesso Marty sta con voi! Se ti serve qualcosa...io sono in ospedale. Tieni il mio numero." le disse Shigheo, dandole un foglietto. "Adesso tornate in casa." poi saltó sull'ambulanza e partì con Anne alla volta dell'ospedale. 

 

"Dai ragazzi, forza e coraggio." battè le mani Marty. "I bambini grandi non piangono. Mark vi direbbe così."

 

"Come avvisi Mark?" chiese Ted. "Lui sta giocando adesso."

 

"Lo so. Scriveró a qualcuno della squadra, ho i contatti dei manager." pensó a Pearson. "Rientriamo in casa, volete? Così guardiamo un po' di televisione." 

 

"Non abbiamo la televisione." disse Naty.

 

"Oh, dimenticavo...beh, una cosa a cui possiamo senz'altro rimediare." promise lei, riflettendo che il famoso conto giovani che aveva in banca finalmente sarebbe tornato utile.

 

🎋🎋🎋

 

Pearson rispose dopo uno squillo. 

Era evidentemente abituato ad avere il telefono in tasca. 

 

"Sí?"

 

"Signor Pearson, buongiorno sono Marty Laughton." disse lei.

 

Era in cucina, i ragazzi erano seduti sul divano in sala, ancora sotto shock.

 

"Marty! Ciao. Come stai?" 

 

"Io bene. Scusi, l'ho chiamata per comunicarle una cosa.   La madre di Mark ha avuto un incidente. È in ospedale. Puó riferirglielo??"

 

"La madre di Lenders??" si sorprese Kirk. "Ma cosa è successo? È grave?"

 

"No. Uno svenimento.  Ma è stata chiamata l'ambulanza. Credo non sia troppo grave, Mark comunque deve essere informato. Ci pensa lei, per favore?" continuó la giovane. 

 

"Ma sì, certo! Ora è in campo, siamo nel secondo tempo. Posso chiedere a Gamo di sostituirlo..."

 

"E gli dica anche che io sto con i suoi fratelli stanotte. Dormo a casa loro, e che non si preoccupi. Penseró io a tutto." terminó la ragazza. 

 

"Glielo diró. Mi dispiace molto per la situazione." ribattè Kirk. "Comunque, tienimi aggiornato. Mark partirà per Tokyo subito dopo aver saputo." 

 

"Sì, per lui sarà una notizia terribile. È sempre in ansia per sua madre. Ma la prego ancora, gli dica che adesso è sotto le cure dei medici." ribadì Marty.

 

"Va bene. Ok." sentì Pearson sospirare. "I ragazzi stanno vincendo, proprio grazie a Mark."

 

"L'ho sentito per radio. Gli rovinerà la gioia questa cosa." disse Marty.

 

"La famiglia è più importante. Allora gli dico che ci sei tu con i suoi fratelli?" 

 

"Sì, sto con loro. Almeno stanotte, poi non so. Sono sconvolti." disse lei.

 

"Lo immagino. Grazie di averci informato, riferisco anche a Gamo." rispose Pearson. "E Marty, senti....sei una brava ragazza."  

 

"Grazie. A risentirla signor Pearson." rispose lei, e riattaccó.

 

Immaginó lo sconvolgimento di Mark quando avrebbe saputo. Sarebbe corso dallo stadio fino a casa loro a piedi, se avesse potuto. Povero ragazzo, pensó. Non c'era mai un momento di pace per lui.  

 

Andó in salotto e vide i bambini seri, tristi. Un'immagine che non le piacque.

 

"Allora, mi è venuta un'idea. Sapete che si fa? Facciamo la spesa online! Con la mia carta di credito!!" annunció, sforzando di sembrare brillante. 

 

"La spesa online??" chiese Ted.

 

"Sì, usiamo internet... ci prendiamo tutto quello che volete, usando il telefono." 

 

I bambini si guardarono confusi. Non avevano la televisione,  figurarsi se sapevano cosa fosse internet, o come si usasse.

 

"...guardate, vi faccio vedere."

 

🎋🎋🎋

 

Ordinarono prodotti per cinquecento euro. 

 

Il fattorino dell'ipermercato scaricó roba su roba dalla navetta,  e alla fine quasi non sapevano dove metterla nella piccola cucina dei Lenders.

 

I ragazzini, peró, avevano recuperato il buon umore. Marty aveva deciso di viziarli e aveva permesso loro di comprare caramelle, dolciumi e tutta una serie di prodotti totalmente inutili per l'alimentazione, ma che desideravano. Compró anche carne, pesce da surgelare, e tutto quello che non mancava mai nel frigorifero di casa Laughton. 

 

Mark non sarebbe staro d'accordo con tutti quei vizi, ma in tali circostanze si poteva tranquillamente chiudere un occhio, anche due. 

 

E poi, permise loro anche di acquistare un televisore online, da mettere in sala. Verificó che ci fosse una presa per l'antenna e già che c'era ne ordinó uno con lettore DVD incorporato. Ció finì per intaccare pesantemente i suoi risparmi, che in teoria sarebbero dovuti servire per le sue spese personali e anche per la futura università. Aveva comunque tutti i soldi delle traduzioni in contanti a casa, quindi non fu un sacrificio eccessivo. E quando ebbe pagato anche l'ultimo regalo, sentì una meravigliosa sensazione di benessere nel cuore.

Era bello fare del bene. 

 

"...peró ragazzi non vi rimpinzate di caramelle, stasera c'è la cena! Vi va il merluzzo con patate??" chiese lei, che nel frattempo stava  anche pulendo un po' la cucina.

 

"Tu sai cucinare, Marty?" chiese Naty.

 

"Veramente no. Peró ho visto mia madre farlo tante volte. Mi darete una mano?!" 

 

"Sì..." sorrise la bambina. 

Era rasserenata dalla presenza della ragazza. 

Marty si chiese cosa avrebbero fatto, se lei fosse stata fuori città. 

 

"Ma la mamma come sta?" chiese Matt.

 

Lei si passó una mano sul viso. "Il signor Shigheo ha promesso di chiamarmi appena sa qualcosa. Ma sta bene, Matt."

 

"È proprio caduta. Io ho sentito il tonfo ...ero in cucina." ricordó Ted.

 

"Capita. Sapete che anche io una volta o due sono svenuta? Non è una cosa grave." raccontó la giovane.

 

"E Mark verrà?" chiese la sorellina.

 

"Ma certo. E sai, oggi ha vinto! Ha anche segnato in nazionale! Quando verrà a casa, fategli i complimenti!" rispose Marty.

 

Il quel preciso istante, suonó il telefono. Tutti e quattro sobbalzarono.

 

"Adesso il vostro vicino mi dirá che la mamma sta bene. Vedrete." sorrise Marty, con il cuore che subito andó a mille.

 

Sollevó il ricevitore.

 

"Pronto?"

 

"Marty?" era proprio l'uomo. Lei non rispose, come se un timore improvviso l'avesse colta. "Marty, ci sei?" 

 

"S-s-sì... come sta la signora?? Mi dica." balbettó.

 

"Si è ripresa." annunció lui. "Dillo ai suoi figli."

 

Marty lasció andare un lungo sospiro di sollievo. "La mamma sta meglio, ragazzi."

 

Vide i visetti dei tre bimbi illuminarsi. 

 

"...ma la tratterranno qui. Deve fare una cura intensiva, ha la pressione sotto ai piedi e altri valori tutti squilibrati nel sangue." aggiunse Shigheo. "Almeno una settimana, Marty. O due."

 

"Accidenti..."

 

"Già. Beh, Mark tornerá presto credo. Poi ci penserà lui." continuó l'altro. "E i costi saranno stellari. Questo è il vero problema."

 

"Gesù santo...e che si puó fare?"

 

"Non so davvero. Dovranno chiedere un prestito. Io ho qualcosa da parte. Ma chiederó agli altri abitanti del quartiere di fare una colletta." replicó l'uomo.

 

"Anch'io ho dei soldi...magari posso parlare a mio padre..."

 

"Tu fai giá molto. Sarà suo figlio a decidere, comunque. Quel ragazzo accetterà con fatica un aiuto economico. Non vuole mai la caritá." sospiró Shigheo.

 

"Beh dovrà cambiare idea. La faccenda è seria, povera signora..."

 

"Tutto bene lì?" chiese l'artigiano.

 

"Sì, ho fatto spese per i ragazzi. Sono contenti." rispose lei. "Per un po' avranno la dispensa piena."

 

"Sei una persona generosa. È una bella cosa."

 

"Mi pare doveroso.  I Lenders sono sempre stati carini con me." ribattè lei.

 

"Okay. Sicura di poter stare da loro? Non avrai paura, stanotte?"

 

"Non credo. Andrà tutto bene." rispose lei, che in realtá se la faceva addosso. Era una bella responsabilità.

 

"Se Mark riesce a prendere un aereo per Tokyo, non è detto che non torni stasera.  Lo hai chiamato?"

 

"Stava giocando. Ho lasciato detto quanto successo. Lo sa già credo." rispose lei.

 

"Beh... tranquillizzalo... magari mandagli un messaggio... avrà il cuore in gola." le suggerì Shigheo. "Io attendo la conferma che le condizioni di Anne siano stabili, poi torno a casa." 

 

"Ve bene. Grazie." 

 

"Grazie a te. Salutami i bambini." poi chiuse la chiamata.

 

Marty prese il cellulare, e tentennando registró un vocale per Mark. Era il primo messaggio che gli mandava dalla loro discussione telefonica a causa di Maki.

 

«Ciao Mark. Pearson ti ha informato immagino. Sono a casa vostra, dormo da voi stanotte. I tuoi fratelli stanno bene, il signor Shigheo mi ha appena chiamata dall'ospedale: tua madre si è ripresa. Dovrà stare due settimane in osservazione. E...è tutto. Ciao.» 

 

Lascio partire il messaggio e vide su Whatsapp che Mark lo aprì subito per ascoltare. 

 

Ma non arrivó risposta.

Ritorna all'indice


Capitolo 68
*** Il ritorno di Mark ***


 

Marty lavorava di gomito sulla teglia da forno incrostata di olio fritto. 

 

Il merluzzo le era venuto bene, abbastanza bene da venir divorato in un baleno dai tre fratellini Lenders, che avevano apprezzato specialmente le patate arrosto. 

 

Ma aveva esagerato con l'olio, e adesso si era attaccato al fondo del contenitore. Chinata sul lavabo della cucina, con una spatola cercava di pulirlo. Aveva aperto anche le finestre, perché oltre al caldo di quell'inizio di Luglio, l'odore di frittura si era diffuso nell'appartamento. 

 

I bambini erano andati a letto, con le pance piene e il morale un po' più leggero. La notizia che la loro mamma stava meglio era servita da tonico per il loro umore.

 

Chi era nervosa, invece, era la bionda irlandese. 

I suoi avevano reagito male alla notizia della sua notte fuori casa, e lei si era sgolata per spiegare i motivi. Oltretutto, quel venerdì sarebbero partiti per il mare e contavano sulla ragazza per controllare la villa in loro assenza.   Fu solo quando ebbe descritto il dramma della signora Anne e l'angoscia dei figli, che sua madre si era un po' calmata.  Suo padre, invece, non gradiva affatto che lei passasse la notte in quel «ghetto dimenticato da Dio». Marty aveva promesso che sarebbe stata da loro solo fino al giorno dopo, perché poi Mark sarebbe tornato, e avrebbe preso in mano la faccenda.

 

Ma non era tanto la reazione dei genitori, ad agitarla. L'aveva prevista.

 

In quegli attimi, tutto ció a cui pensava era il comportamento che il maggiore dei Lenders avrebbe potuto avere verso di lei, e come avrebbe reagito alla notizia di sua madre. Se lo figuró rientrare in casa sconvolto, trafelato dopo il lungo viaggio e pieno di sensi di colpa per aver abbandonato la madre malata per giocare al calcio.

 

Per scrupolo, decise di pulire a fondo tutta la cucina, nonostante fosse già mezzanotte. E poi, aveva anche un po' paura a spegnere le luci. 

 

Non era nel suo rassicurante quartiere borghese, in una villa con allarme perimetrale e servizio di ronda notturna.

Era nel cuore del proletariato di Tokyo, in una enclave fatta di case di legno e miseria. La porta dell'abitazione dei Lenders avrebbe potuto essere sfondata a calci da qualsiasi balordo. E lei era lì, una diciassettenne vulnerabile, con tre bambini indifesi. 

 

Prese lo scopettone e lo straccio e si mise a lavare il pavimento con i nuovi detersivi profumati. Canticchió anche una canzoncina, per esorcizzare la tensione. Improvvisamente, rammentó che le finestre erano aperte, e si precipitó a socchiudere almeno le persiane. 

 

Era pieno di zanzare, pure. 

Si era dimenticata di acquistare i prodotti repellenti e anche la candela alla citronella.  Cosí, stava passando la serata a schiaffeggiarsi gambe e braccia a causa di quegli insetti molesti. 

 

Pulì il piano gas, il tavolinetto, le sedie. Intanto, i minuti passavano e in un lampo arrivó l'una di notte. 

Avvertì improvvisa spossatezza. L'ansia della giornata si raccolse tutta sulla schiena, e decise che, paura o no, era tempo di mettersi a letto. Andó nel piccolo bagno di casa, munito solo di doccia e senza vasca, e si lavó i denti. Aveva dovuto comprare tutto, visto che era uscita a precipizio senza portarsi dietro niente: docciaschiuma, spazzolino, dentifricio, un telo da bagno, una spazzola per capelli.     Aveva trovato perfino un set di slip usa e getta sul sito online dell'ipermercato.  Non aveva la sua camicia da notte, ma poteva dormire anche in maglietta. 

 

Avrebbe occupato il divano della sala, per l'occasione. Ted l'aveva avvisata che per dormire era scomodo,  ma non c'era alternativa. 

 

Si fece una doccia velocissima e andó in sala.  

 

Mark non era tornato, ancora, segno che non aveva trovato un aereo per Tokyo con partenza immediata. 

E non l'aveva contattata, neanche per rispondere al suo vocale.

 

Marty si accomodó sul divano e si stese, usando la luce dell'Iphone come torcia. 

Nonostante la paura e le zanzare, riuscì ad assopirsi.

 

🎋🎋🎋

 

Mark Lenders rientró in casa sua alle due e mezza di notte. Arrivato nell'anticamera, poggió il bagaglio a terra e fece un lungo sospiro. 

 

Casa, finalmente.

Casa sua.

 

Andó subito a vedere i bambini, nella camera che condividevano. Dormivano profondamente nei loro lettucci, con le lenzuola spinte sul fondo per via del caldo. Una visione che lo consoló: almeno si riposavano. Aveva immaginato lo spavento che dovevano aver vissuto, mente lui era lontano, come al solito.  Il senso di colpa lo aveva pungolato senza pietà per tutto il volo. 

 

Chiuse lo shonji senza far rumore, e andó verso la sala. Era buio, ma l'istinto gli suggerì di non accendere la luce. Sicuramente Marty era sul divano e non voleva svegliarla.   Non era quello il momento di un confronto fra loro due, non a notte fonda, non in quelle circostanze. 

 

Il suo unico pensiero era correre in ospedale e chiedere a qualche dottore lumi sulle vere condizioni di sua madre.  

Era andato direttamente a casa dall'aeroporto, perché in clinica gli orari di visita non permettevano ingressi notturni, così si era rassegnato ad aspettare il mattino dopo. 

 

Sgattaioló in cucina e chiuse la porta a soffietto.  Accese la luce e vide che tutto era in ordine. Addirittura, si avvertiva un piacevole profumo. Marty doveva aver pulito a fondo.

 

Aveva una sete maledetta e quando aprì il frigo, vide un bendidio stipato dentro, che lo sbalordí. Mai il loro refrigeratore era stato così pieno.  Aprì tutte le ante delle credenze e una confezione di pan carré quasi gli cadde in  testa. C'era moltissima roba. 

 

Marty aveva fatto una spesa mastodontica. 

Oltre a caramelle e sciocchezze per i bambini, aveva acquistato in modo intelligente prodotti a media e  lunga conservazione. In un angolo della cucina, c'erano tre casse d'acqua in bottiglia di vetro. 

Nel freezer, diverse bistecche e pesce, minestre surgelate, piatti pronti da far scaldare. 

 

"Con i soldi del paparino, eh...?" mormoró lui, con un sorriso sarcastico. "La nostra piccola irlandese caritatevole..."

 

Mark sentì un senso di profonda afflizione. Quel benessere sarebbe dovuto venire da lui, non da una ex compagna di scuola ricca. Lui era il capofamiglia di fatto, e negli anni non era riuscito a costruire niente di serio per la sua casa. Riflettè che la cucina avrebbe dovuto essere sempre piena di cibo in quel modo. 

 

Le eliminatorie della prima fase erano terminate.

 

Tutti liberi, e lui finalmente si sarebbe dedicato ai suoi cari. Intanto, doveva andare in ospedale il mattino dopo e ascoltare la verità sulla salute di Anne e sui conti da pagare. 

 

Tremó all'idea della possibile cifra. Non avevano coperture assicurative e non erano considerati indigenti per lo stato. Non sarebbero arrivati soldi dall'amministrazione di Tokyo e loro non ne avevano. Ma un semplice giorno di permanenza in ospedale costava una bella cifra, figurarsi una o due settimane.

 

Lentamente, spense le luci e accese quella del telefono.

 

Passó dalla sala e vide Marty sdraiata su quello scomodissimo divano, su cui lui stesso aveva passato un'infernale notte, una volta. 

 

Aveva un braccio sugli occhi e respirava profondamente. Aveva indosso solo la sua maglietta e gli slip e dormiva a gambe divaricate. Mark non si soffermó a guardarla, anche perché le sue sensazioni su di lei erano ancora di profonda irritazione. 

 

Ma non aveva tempo di pensare alla sua situazione con la ragazza,  in quel momento.

 

Tutto ció a cui fu in grado di pensare era la sua famiglia.  

 

🎋🎋🎋

 

Il mattino dopo, Marty si sveglió con la luce che veniva dalla cucina. 

 

Guardó il telefono, erano le 8:30. 

 

Qualcuno si era alzato e aveva aperto le persiane dell'altra stanza. 

 

Pensó fosse uno dei ragazzi. 

 

"Hey ma siete già alzati?" chiese, mettendosi a sedere e strofinandosi gli occhi. Il mal di schiena si annunció subito, a causa di quel cavolo di divano. "Ragazzi, ma potete stare a letto un po' di più stamattina..."

 

Andó con i capelli arruffati sulla soglia della cucina. "Vi preparate la cola..."

 

Quando vide chi c'era in cucina, lanció un urlo di assoluta sorpresa. "MARK!"

 

Il ragazzo stava riempiendo la nuova moka italiana di caffè. Era vestito, già pronto per uscire di casa. Non si giró nemmeno a salutarla.

 

"Mark! Ma quando sei rientrato?? Non ti ho sentito!! Stanotte??" disse lei, con il cuore che batteva forte nel petto.

 

"Evidentemente." rispose lui, secco.

 

"Potevi svegliarmi! Mi hai fatto prendere un colpo adesso." aggiunse lei. Vide che il ragazzo non era affatto in vena di chiacchiere.

"Sei arrabbiato....?"

 

"Hai fatto grandi spese, vero?" chiese Mark, di rimando.

 

"Sì, c'erano poche cose in dispensa."

 

"Gesto molto nobile il tuo. Ma tu credi che sia apprezzato?" fece lui, accendendo il gas. "Vuoi sentirti dire: brava. Ci scommetto."

 

Marty rimase di stucco a quella domanda. Si riprese in fretta.

 

"Guarda che non l'ho fatto per te, nè per me. L'ho fatto per i tuoi fratelli." ribattè, iniziando ad arrabbiarsi.

 

"E cosa dirà il papà quando vedrà  l'estratto conto di questo mese? Ci hai pensato?" la provocó ancora lui.

 

"Ma mi spieghi cosa sono queste ironie? Cosa c'è di male a fare regali a tre bambini sconvolti?" gli disse Marty.

 

"E questo lava la tua coscienza. Vieni qui a riempirci il frigo di roba e per questo ti senti improvvisamente una brava persona. Ma tu non sei una brava persona. Lo so io e lo sai tu." continuó lui. "Vero, Kumiko?"

 

Il gelo cadde in quella cucina assolata. Un gelo che sentiva solo Marty, nel profondo delle sue viscere. 

 

Lo sapeva. 

Sapeva della sua telefonata anonima a Maki. E aveva scoperto anche della sua precedente chiamata alla scuola di quella ragazza, quando si era presentata sotto la falsa identità di una giornalista.

 

Adesso sono acidissimi cavoli per te, le disse la coscienza.

 

"...le bugie hanno le gambe lunghe e i capelli biondi, a quanto pare." ironizzó Mark. "Certo, che tu potessi sprofondare così in basso mi ha lasciato sorpreso."

 

Marty deglutì.

"Mark, ascolta..."

 

"No." finalmente si giró a guardarla. Era uno sguardo durissimo. "Ascolta tu: in considerazione di quello che stai facendo per i miei fratelli, e solo in considerazione di questo, non ti butto fuori di casa. Adesso vado in ospedale e cerco di capire la situazione di mia madre. Tu sta' con loro nel frattempo. Al mio ritorno, fatti trovare qui. Avremo un lungo discorso da fare. Intesi?"

 

Marty era incapace di muoversi. La impietosa severità negli occhi di Mark la annichiliva. Le stava dando un ordine.

 

"Va bene. Non ho paura dei confronti, dovresti saperlo." rispose comunque.

 

"Meglio per te." disse lui, poi bevve al volo il suo caffè e prese telefono e portafogli. 

 

Uscì di casa senza aggiungere altro. 

 

Marty guardó tazzina e moka. 

 

Resa dei conti a casa Lenders, fu il suo pensiero.  Sembrava il titolo di un film, il cui finale stava assumendo una piega preoccupante.

Ritorna all'indice


Capitolo 69
*** Un aiuto inatteso ***


 

Odiava andare in ospedale. 

 

Non esisteva al mondo un luogo che detestasse più di quello. Perchè gli ricordava la dipartita tragica di suo padre, quando aveva solo nove anni e aveva velocemente dovuto accettare la morte di una persona che per lui era tutto.  

 

Alle 10.00 di quel venerdì mattina, un minuto dopo l'apertura ai visitatori, Mark Lenders varcó la soglia del grande edificio in centro città. Andó all'accettazione e chiese subito di sua madre.

 

"Lei è un parente?" chiese l'infermiera lì presente.

 

"Sono il figlio. Come sta mia madre??" rispose il ragazzo, agitato.

 

"È sveglia. Le sembrerà intontita per via degli antidolorifici, ma le condizioni sono stabili." ribattè freddamente la donna. "Firmi questo documento, per piacere. È la stanza n. 43, al dipartimento Neurologia. Quarto piano." 

 

"Neurologia? Ma soffre di anemia!" chiese lui.

 

"È svenuta, dice la sua scheda. Sono stati fatti accertamenti approfonditi." replicó l'infermiera. "Sono due ore di visita consentita la mattina. Se desidera tornare nel pomeriggio, l'orario è dalle 15:00 alle 18:00."

 

Mark non registrò nemmeno quelle parole, e prese la via delle scale. L'ascensore ci avrebbe messo troppo e lui non aveva voglia di aspettare. 

 

Arrivato al quarto piano, cercó la stanza ed entró senza quasi bussare. 

 

Sua madre era seduta sul letto, con il lenzuolo tirato su a coprirle le gambe. Aveva una fasciatura attorno al capo, con una garza proprio sulla fronte. 

 

Mark soffrì nel vederla in quel modo. Sembrava così fragile.

 

"Mamma..." le disse subito. "Mio Dio...."

 

"Ciao Mark." rispose la madre. "Eccoti. Mi ha detto Shigheo che saresti tornato da Takayama. Avvicinati. So che ti fanno impressione le mie condizioni, ma adesso sto meglio. Mi dispiace aver spaventato te e i bambini. Dove sono, adesso?" 

Aveva profonde occhiaie scure. 

 

"Non sforzarti. Sono a casa con Marty. Li ha tenuti lei, stanotte." rispose il figlio, sedendosi sul bordo del letto. "...perché?? Perché non mi hai dato ascolto??"

 

"È capitato mentre ero nel nostro salotto, non al lavoro. Il medico mi ha detto che nelle mie condizioni sarebbe successo, prima o poi. Meglio in casa che per strada." sospiró la donna. "Marty ha dormito da noi??"

 

"Sì... perché i ragazzi hanno insistito. Ha anche fatto spese." rispose Mark. "Cosa dicono i dottori? Questo mi interessa."

 

"Che ho bisogno di cure, e di flebo ricostituenti. E anche di qualche trasfusione. Dicono che in dieci giorni mi faranno stare molto meglio. Ma..." la signora si toccó il capo. "... ma io non posso rimanere qui così a lungo. Devo tornare da voi."

 

"Non dire assurdità. Voglio che ti curino come devono. Non puoi tornare a casa in questo stato..." si oppose Mark.

 

"Ma i costi? Ci pensi? Shigheo ha già comunicato all'ospedale che non abbiamo assicurazione. E che non abbiamo diritto a sussidi statali. Cosa faremo?" 

 

"Tu non preoccuparti. Troveró il modo." promise lui, che in realtà non sapeva che pesci prendere al riguardo. Era un problema enorme.

 

"Mark, i ragazzini, i tuoi fratelli...come stanno?" volle sapere Anne. 

 

"Bene, credo. Sono tornato stanotte, e dormivano. Marty...ha comprato per loro un sacco di cose, almeno li ha tenuti buoni. Ma le restituiró tutti i soldi spesi." ribattè Mark. "Se solo potessi avere già denaro a disposizione..." si mise le mani nei capelli. "È colpa mia, se tu non puoi avere cure adeguate...colpa mia!" 

 

"Non devi dire mai più così! Tu hai fatto moltissimo per me e i ragazzi. Questa malattia è una sfortuna. Ma non hai di che rimproverarti." ribattè la signora. 

 

"No...no, se avessi accettato le proposte di quelle squadre giapponesi, come ha fatto Ed...a quest'ora sarei sotto contratto e avrei bonifici tutti i mesi!" sbottó il ragazzo. "Che stupido, stupido sono stato a scartarle!"

 

"Mark...tu hai il tuo sentiero da seguire. Dici sempre che vuoi andare in Europa. Per questo hai lottato." rispose la donna, accarezzandogli un braccio. "Non angosciarti per me."

 

"E come faccio?? Sei mia madre. Ho promesso di prendermi cura di tutti voi e invece...invece ho pensato solo per me stesso." si lamentó di nuovo il ragazzo.

 

"Come è andato il torneo? Il Giappone è passato...ehm al prossimo turno?" chiese la signora.

 

"Eh? Non mi va di pensarci ora.. comunque sì, abbiamo superato la prima fase." rispose lui.

 

"Bene. Allora il tuo sogno si avvicina... dicevi che le squadre europee ti cercavano..."

 

"Già...ma per Settembre.  A me i soldi servono ora, maledizione!" esclamó il figlio.

 

Entró all'improvviso in camera un medico piuttosto giovane. "Buongiorno signora Lenders." 

 

"Dottor Amakasu! Buongiorno." lo salutó Anne.

 

"Come andiamo? Meglio di ieri, direi." sorrise  l'altro. Aveva un paio di baffetti scuri. Guardó la cartella clinica della donna. "I valori qui sono problematici. Dobbiamo trattenerla, come abbiamo spiegato al signore che l'ha accompagnata ieri. E credo che questo ragazzo sia suo figlio." 

 

"Sono Mark Lenders. Sì, sono il suo figlio più grande." si presentó lui. 

 

"E attaccante della nazionale giovanile!! Infatti, quando ho visto il cognome della signora fra i nuovi ricoverati ho pensato poteste essere parenti. Amo il calcio, e a proposito, sei davvero un campione. Congratulazioni per la qualificazione. Ora..." gli mise una mano sulla spalla. "Ora ti spiace seguirmi fuori? Dovremmo discutere."

 

"Certo." annuì Mark. Sapeva di cosa doveva parlargli. Del pagamento delle spese.

 

I due uscirono e andarono verso una delle grandi finestre del corridoio. 

 

"Innanzitutto, vorrei tranquillizzarti. Le condizioni di tua madre sono ancora recuperabili, se seguirà peró le nostre cure." esordì il giovane medico.

 

"Mi dica la verità, per favore." rispose Mark. "Quanto verrà a costare alla nostra famiglia?"

 

"Ehh...qui il discorso è complicato..." fece il medico. "...le spese saranno sostenute. So che non avete una copertura assicurativa. Ma... si parla di un milione e settecentoottantamila yen."

 

Mark credette di non aver capito. Era un cifra pari a più di diecimila euro. "...ma lei vuole scherzare?"

 

"No. Abbiamo intenzione di somministrare a tua madre un trattamento altamente ricostituente, e all'avanguardia. Non entro nei dettagli scientifici, ma tua madre ha un tipo di anemia piuttosto rara, che colpisce i globuli rossi del sangue. La situazione, se non trattata, non puó che peggiorare, fino a rischiare il coma. E poi, c'è da sostenere le spese per le radiografie che le abbiamo fatto, la sottoporremo anche a TAC, per escludere lesioni cerebrali. Mi rendo conto della situazione, Lenders. E mi dispiace." spiegó il dottore. 

 

"Ma io....noi non abbiamo quei soldi..." riuscì solo a dire Mark. 

 

"E' davvero una faccenda penosa, credimi ti capisco..."

 

Mark lo guardó malissimo. "Lei mi capisce?? Lei con il suo bel lavoro da medico cosa puó capire??" sbottó. "Dicono che il Giappone sia un grande paese...e lasciano le persone senza mezzi nei guai!!" 

Nella rabbia, prese a calci una sedia.

 

"Non ti agitare. Ti ho illustrato la situazione, perché so che non hai un padre e la famiglia è nelle tue mani." tentó di calmarlo il dottore. "Ce l'ha spiegato quel vostro vicino di casa. Ecco, magari potreste chiedere un prestito alla vostra rete di conoscenze."

 

"Mi lasci solo un minuto per favore." rispose invece Mark, quasi ringhiando. Quel dottorino non poteva realizzare in che gigantesco guaio lui e i suoi erano finiti.   Dove avrebbe trovato quei soldi? Anche mettendo da parte il suo orgoglio, a chi chiedere la carità?

 

"Bene. Torno da tua madre, e...."

 

"Non mi dica che le dispiace. Non me lo dica più, per favore." replicó Mark, in malo modo. 

 

Il dottor Amakasu si tappó la bocca, e lentamente tornó dalla paziente.

 

Mio Dio...dove li trovo, dove trovo quei maledettei soldi...riflettè ansiosamente Mark. 

 

Ripensó all'emissario di quella squadra della J-League che l'aveva contattato un anno prima. La Nagakawa FC. 

Squadra mediocre, da metà classifica, le cui offerte lui aveva sdegnosamente respinto. Se le avesse accettate, invece avrebbe già avuto un anticipo in soldi sul contratto. Un sostanzioso anticipo. 

 

La sua antica ambizione di giocare per una squadra italiana si scontrava con la cruda realtà. Gli servivano soldi, e subito. Non poteva aspettare l'autunno per una proposta. 

 

Estrasse il portafogli dalla tasca e lo aprì, cercando forsennatamente il biglietto da visita di quel tale, quel signor Sakamoto, che lo aveva contattato. Lo trovó in mezzo ad altre carte. 

 

C'era un telefono a pagamento attaccato alla parete del corridoio. Decise di usare quello, perché preferiva che il tizio non ricevesse una chiamata dal suo cellulare. La sola idea di svendersi a una squadraccia della J-League lo umiliava. Ma c'era sua madre a cui pensare, e non vedeva altre priorità. 

Era ancora in tempo a farsi mettere sotto contratto. Anzi, dopo i due gol contro l'Uzbekistan, gli avrebbero steso il tappeto rosso sotto ai piedi.

 

Compose il numero sulla tastiera di quel telefono pubblico.  Si udì uno squillo, poi due. 

 

Improvvisamente, una mano sconosciuta sbucó da dietro le sue spalle, e posandosi sulla levetta del ricevitore, chiuse la chiamata. 

 

🎋🎋🎋

 

"Non essere precipitoso."

 

Quando Mark udì quella voce, non potè crederci.

 

"ED?? Ed!!" esclamó. "Ma...ma che ci fai qui??"

 

Ed Warner era accanto a lui, e aveva allungato un braccio sul telefono per interrompere la chiamata al rappresentante del Nagakawa.

 

"Danny mi ha informato dal ritiro. Sapevo che ti avrei trovato qui, stamattina." rispose l'altro.

 

"Sei rientrato da Yokohama?!"

 

"Non proprio. Luglio è iniziato, io sono ufficialmente in vacanza e sono tornato a Tokyo, dai miei." replicó Ed. "Sono venuto per impedirti di fare sciocchezze. Giusto in tempo, vedo."

 

Mark era basito. "Che vuoi dire?"

 

"Che stavi per combinare, eh?" lo rimbeccó Ed. "Dov'è finita la tua ambizione? Al liceo non facevi che parlare dell'Europa e dei campionati italiani. Ci rinunci?" 

 

Mark abbassó la testa. "Se sai cos'è successo, sai anche che non posso fare altrimenti. Mia madre deve essere curata e qui le cure costano."

 

"Lo so. E ti voglio aiutare." gli porse una tessera. Una carta di credito. "Usa i soldi che ci sono qui."

 

"Eh?" Mark non comprese. "Quali soldi?"

 

"Il club mi ha aperto un conto dalla firma del contratto. Ci sono già cinque milioni di yen depositati. Ho giocato poco, ma devono comunque pagarmi. Usali, per favore."

 

Lenders guardó la carta, poi Ed, poi ancora la carta. Aveva la bocca aperta. "Tu faresti questo? Perché?

 

Ed sorrise. "Mi dispiace che tu me lo chieda. Perché sei mio amico. Perché siamo cresciuti insieme. Perché sei sempre il mio capitano...anche se...ultimamente ci siamo un po' allontanati."

 

Mark sentì un misto di emozioni a quelle parole. Gratitudine; senso di colpa, per la faccenda con Marty e per tutti quegli equivoci; e infine affetto. Sí, affetto. Simile a quello che provava per i suoi fratelli. 

 

"Ed." disse, chiudendo gli occhi. "Da quando sei entrato al Muppet, sei stato quanto di più simile a un migliore amico per me. Lo realizzo solo adesso." 

 

Warner sorrise. "Mi fa piacere."

 

"Ma ti prometto che ti renderó tutto, ogni centesimo. È un prestito. Poi, col primo stipendio da professionista..."

 

"Certo, so che lo farai." annuì Ed.

 

Mark lo contempló ancora un attimo. "E ti prometto anche questo: faró di tutto, di tutto per portarti con noi in Indonesia."

 

A quella frase, il portiere karateka non disse nulla.

 

"...a te come vanno le cose, a Yokohama?" chiese Mark, mentre un meraviglioso senso di sollievo lo pervase. 

 

"Diciamo, che le vacanze sono arrivate al momento giusto. Avevo bisogno di staccarmi da lì." replicó Ed, a disagio. "Ah senti: sai che stanno costruendo nuove villette in città? Su due piani, moderne, con giardino. Se le acquisti in fase di costruzione, risparmieresti. Ti faró avere i contatti dell'impresa edile."

 

"A Yokohama?" 

 

"Sì, per i tuoi. Pensaci. I tuoi fratelli starebbero bene in quella città.  Buone scuole, molto verde. Appena andrai in Europa, guadagnerai abbastanza da poterne comprare una." gli disse Ed.

 

"Grazie. Anche per questa dritta." sorrise Mark.

 

"E Marty, sa cosa vi è capitato?" chiese Ed.

 

Mark ritenne corretto essere sincero. "È a casa nostra con i ragazzi. Li sta tenendo d'occhio."

 

Un fremito impercettibile colpì uno zigomo di Ed. "Ah. Che bello."

 

"Si è offerta lei."

 

"Non ne dubito. Vi siete visti, e parlati di quella cosa...del motivo per cui sei arrabbiato?" volle sapere Ed.

 

"Non era il momento, ieri notte. Sono tornato a casa tardissimo, lei dormiva già. E stamattina sono corso qui." mentì Lenders.

 

"Capisco. Mark, ascolta. Vorrei chiederti una cosa:ricordi alla finale di pallavolo, quello che mi hai detto? Ho incontrato una persona che mi ha fatto cambiare prospettiva sulle cose. E poi hai aggiunto: mi è piaciuta la sua personalità fin dal primo incontro. Ecco, pensavo... tu non parlavi di una nuova conoscenza, vero?" 

 

Mark giró il viso dall'altra parte, per nascondere un sorriso. "Sei veramente molto sveglio, Ed."

 

Warner chiuse gli occhi e sorrise a sua volta. Aveva indovinato. Aveva capito ogni cosa sin dall'inizio. Non gli restó che contemplare questa finale rivelazione. E lo fece con leggerezza, perché in fondo era una trama già scritta. Da tempo.

 

Si mise le mani in tasca e andó verso l'uscita. 

"Buona fortuna, capitano."

Ritorna all'indice


Capitolo 70
*** Marty a un bivio ***


Marty girava il cucchiaio di legno nel risotto, per portarlo a una decente mantecatura.

 

Aveva deciso di preparare un piatto europeo, risotto allo zafferano e salsicce, che i bambini di casa Lenders non avevano mai provato. Era rimasta sorpresa di aver trovato la spezia sul sito dell'ipermercato, visto che costava parecchio anche in Europa.

 

"Che buon profumo!" disse Naty, entrando in cucina. "Ho già fame!"

 

"Eh, dovrai aspettare. Mark deve tornare dall'ospedale e poi pranzeremo insieme." rispose lei. 

 

"Sarà contento di trovare le lattine di Coca. Sai che ne va matto?" disse la bambina.

 

"Ah sì? No, non lo sapevo. L'ho comprata per voi bambini." replicó Marty. "Avete fatto tutti la doccia ieri, vero? Hai aiutato tuo fratello Matt a lavarsi?"

 

"Sì...sì..." ribattè Nathalie, sbirciando nella pentola. "Quando torna Mark?"

 

"L'ospedale chiude le visite a mezzogiorno. Tra poco, penso. Sarà sul bus."

 

"Se non ha chiamato vuol dire che la mamma sta meglio?" volle sapere la piccola. 

 

"Sono sicura di sì. Te l'ho detto, vedrai la mamma appena i dottori diranno che si è ripresa. La cureranno e tornerà da voi in forma!" la rassicuró Marty. 

 

"E tu starai con noi intanto?" 

 

"Ora che c'è Mark, no. Pensa lui a voi. Io poi devo tornare a casa oggi pomeriggio, i miei sono partiti. Devo tenere d'occhio la nostra abitazione..." spiegó la ragazza.

 

"Appunto! Se sei da sola non hai paura?? Stai con noi!! Puoi sempre dormire sul divano o nel letto con me! Il mio fratellone è l'unico che dorme in un futon, ma noi abbiamo letti normali, ci staresti anche tu!" la pregó Naty. 

 

"Siete già in troppi in quella cameretta!" sorrise Marty. "No, Naty. Vado a casa."

 

"O nel letto della mamma!! Sì, puoi dormire lì, è grande, ci stanno due persone!!" insistè l'altra. "Sarebbe così bello se tu potessi..."

 

In quell'istante, la porta d'entrata si aprì con il consueto cigolío. Entró Mark.

Marty sentì subito il nervosismo irradiarsi dallo stomaco. Portava notizie della madre ma poi...poi ci sarebbe stata la resa dei conti con lei.

 

"Ragazzi? Ci siete?" chiamó il giovane.

 

I tre fratellini corsero in sala, Ted e Matt ancora in pigiama. "Sei tornato!"

 

"Hey, ma vi siete appena alzati?" disse il fratellone.

 

Dal tono di voce, Marty intuì che fosse di buon umore. Evidentemente in ospedale gli avevano dato informazioni incoraggianti sullo stato della madre. 

Sospiró di sollievo, ma rimase in cucina.

 

"Allora, sedetevi qui e ascoltate." inizió lui, e poi fece un resoconto sulle condizioni della signora, in modo abbastanza tranquillizzante e chiaro, così che i ragazzini comprendessero.

 

"...e perció, la rivedremo qui fra due settimane. Starà benissimo, vedrete. Andremo a trovarla tutti, e non si sentirà sola. Avete capito bene?" terminó Mark.

 

"Sì." risposero tutti e tre. 

 

"Mark..." chiese timidamente Nathalie. "Senti, ma se la mamma rimane in ospedale, Marty puó fermarsi con noi?"

 

Lei sentì e uscì dalla cucina. "Naty...io devo tornare a casa, ne abbiamo già parlato. C'è vostro fratello con voi."

 

"Sono qui io, ora. Ci aiuteremo tutti, e staremo bene." aggiunse Mark, senza guardarla.

 

"Ma Marty sa cucinare benissimo e stamattina ha anche rifatto i nostri letti... e io non ho avuto paura, stanotte, perché sapevo che c'era lei..." disse ancora Naty.

 

"Solo perché vuoi  che ti compri un'altra Barbie..." la prese in giro Ted.

 

"Non è vero!" frignó la sorella.

 

"Adesso basta. Marty deve tornare a casa sua. Siete grandi, ormai, potete anche sistemarvi la vostra camera da soli!" replicó Mark.

 

"Marty è sola! I suoi sono al mare...e se entrano i ladri in casa??" protestó la bambina.

 

"Nel quartiere più bello di Tokyo? Non credo ci sia pericolo." ribattè sprezzante il ragazzo.

 

Marty mantenne la calma a quella punzecchiatura. "Naty...è pronto fra poco. Ted, Matt...mettetevi gli shorts e canotte...non restate in pigiama...svelti!" disse, cambiando argomento.  

 

I tre fratellini si alzarono dal divano, i maschietti andarono a cambiarsi e Naty aiutó a sistemare la tavola. 

 

Marty e Mark rimasero in silenzio a guardarsi negli occhi, e dalla luce di sfida nello sguardo del giovane Lenders, lei comprese che la discussione su quell'argomento non era affatto annullata. 

 

Solo rimandata.

 

🎋🎋🎋

 

"Che buono!! Posso averne un altro piatto??" chiese Ted, entusiasta del riso.

 

"Sì, ne è avanzato, prendilo dalla padella. Sono contenta che vi piaccia! Comunque, nel frigo c'è anche del formaggio. Se avete fame, lo tiro fuori." propose Marty, soddisfatta del pranzo. 

 

Pure Mark aveva assaggiato il risotto con evidente gusto, sebbene non l'avesse gratificata con alcun commento. 

Aveva in realtà parlato pochissimo a tavola, ma aveva osservato con attenzione i fratellini, per sincerarsi che mangiassero a sazietá. 

 

Nathalie continuava ad insistere perché Marty rimanesse con loro. "...avevi promesso che saremmo andati all'Aquapark...ci vuoi sempre portare, vero??"

 

"Ma sí, Naty. Vi ho preso i costumi apposta. Ma non è necessario che io rimanga qui, posso passare una mattina e vi accompagno." rispose lei, guardando Mark, che non fece una piega. Teneva gli occhi chiusi, come a riflettere. 

 

"Ufff.... quando arriverà la televisione voglio guardare un cartone della Disney con te. Dicevi che ci avresti noleggiato Mulan." protestó ancora Naty.

 

Mark si stupì. "Quale televisore?"

 

"Ci ha comprato un televisore con lettore DVD!!  Quand'è che lo portano qui??" lo informó Ted.

 

"Domani. In mattinata." rispose la ragazza.

 

"Ma tu pensa..." mormorò Mark. "Non era necessario.   Non voglio che i miei fratelli passino i pomeriggi davanti a una TV."

 

"Beh, così possono guardare anche le tue partite, no?" replicó freddamente lei.

 

"Sì! Ti vediamo in televisione!"  esultó Matt.

 

"Sai dove vai forte, tu? Nei ringraziamenti." disse Marty, provando a scherzare. 

Ma il ragazzo non contraccambió la battuta. Continuava a guardarla con aria di rimprovero. 

 

Cadde un silenzio imbarazzato a tavola, che avvertirono anche i bambini.

 

"Marty...dopo giochiamo a pallavolo in cortile? Prima che tu vada a casa..." le chiese Naty.

 

"Certo." 

 

"Voglio imparare quella schiacciata che fai tu, quando salti così in alto!" continuó la bambina.

 

"Te lo insegnerò. Ma prima devi imparare a ricevere." rispose la bionda.

 

"A me piace l'attacco. Come a Mark!" rise Naty.

 

"Anche a me." disse Marty, guardando negli occhi il fratello. "Ma bisogna imparare anche a incassare."

 

🎋🎋🎋

 

Dopo pranzo, Mark incoraggió i fratellini a uscire in cortile. "Andate sul retro. C'è ombra lí. Non state chiusi in casa, con questo bel tempo."

 

"Ma fa caldo, Mark!" protestó Ted.

 

Naty gli pizzicó un fianco e lo trascinò fuori, con Matt.

 

"Hey!" si arrabbió il ragazzino. "Non tirare."

 

"Non hai capito? Lui vuole stare solo con Marty." sorrise la bambina.

 

"Per fare cosa?" chiese Ted, confuso.

 

"Perché vogliono baciarsi!!" sghignazzó la sorellina. "Dai, dai! Lasciamoli in pace!"

 

"Baciarsi??? Ma..." trasecoló Ted.  

 

"Zitto!" replicó Naty, dandogli uno scapellotto. "Fatti gli affari tuoi."

 

I tre bambini chiusero la porta e andarono a giocare a palla in cortile.

 

All'interno della cucina, Marty asciugava nervosamente i piatti.  

Comparve Mark alla porta, appoggiato a uno stipite. 

 

Lei deglutì.

"Mi...pare che il pranzo sia piaciuto. Stanno molto meglio rispetto a ieri. Erano spaventati." esordì, non sapendo che dire. "Mi dispiace molto per tua madre."

 

Lui non disse una parola, ma si avvicinó lentamente a lei, che arretró di un passo. Per non tradire la tensione, raccattó un altro piatto e prese ad asciugarlo.

 

Mark allungó un braccio e le strappó il canovaccio di mano, e poi lo gettó nel lavello.

 

"Dobbiamo fare i conti per Maki."

 

Marty sentì un'ondata di gelo sulla schiena. "Non mi pare il momento." rispose comunque.

 

"Invece io dico di sì." la contraddisse lui. "Sai, è stato tutto così patetico. Mi chiama questa mia amica l'altro giorno, dicendomi che una ragazza con accento straniero ha telefonato alla sua scuola, fingendosi una giornalista, per avere il suo numero privato. E dopo la stessa misteriosa persona chiama lei, raccontandole un mare di balle su di me e su una fidanzata che io avrei qui.   Giuro, non potevo crederci. E non ci ha creduto nemmeno Maki, infatti mi ha chiamato per dirmelo subito. Mentre mi parlava, mi è venuta in mente una sola ragazza in grado di fare una sciocchezza simile, e indovina un po' chi è?"

 

Marty non mosse un muscolo. Anche volendo, non poteva replicare, nè giustificarsi. Colta in flagrante.

 

"Ci tengo a dirti, che io e Maki ci siamo fatti una grande risata alle tue spalle. Proprio così. Abbiamo riso di te." continuó lui. "Ma pensandoci, non c'è proprio niente da ridere. Comportandoti in questo modo, ti sei abbassata al livello più infimo che esista. Hai provato a farmi del male, a farmi litigare con lei. Era questo, vero? Era questo il tuo scopo?"

 

Marty sentì le lacrime agli occhi. Mark sapeva essere durissimo. Lo aveva visto molte volte così, in campo con i suoi compagni. In quella circostanza, la cosa peggiore era che le stava spiattellando la pura verità.

 

"Eri andato a Okinawa per allenarti." replicó allora, non sapendo bene cosa sarebbe uscito dalla sua bocca. "Eri lì per riprenderti. E invece ci sei andato...ci sei andato per farti i tuoi comodi!"

 

"E allora? A te che importa?" reagì lui. "Io non mi devo giustificare con te, non ti devo nessuna spiegazione! Nella mia vita faccio quello che mi pare. Problemi, riguardo a questo?"

 

Marty sentì le labbra tremare, sull'orlo del pianto. "Te la sei scopata! Dillo!!"

 

A quel punto, Mark l'afferró per un polso e la tiró a sè. La strinse al suo petto e le immobilizzò un braccio dietro la schiena. "A te, di quello che faccio io, non deve fregare niente! Tu credi che io sia come Ed, o Benji?? Credi che io sia un pupazzo nelle tue mani? Come, dove e con chi scopo io non è cosa che ti riguardi!!"

 

A quelle parole, Marty si liberó e gli molló un ceffone. Poi lo spinse via. "Stronzo! Con tutto quello che sto facendo! Eravamo soli ieri, eri lontano da noi..."

 

"Vedo che non ti è passata l'indole manesca!" commentó sorridendo Mark. "A proposito, io e i ragazzi siamo noi. Tu ci stai aiutando, ma non sei parte di questa famiglia. E non ti preoccupare, riavrai quanto hai speso. Non voglio rubarti i soldi del paparino."

 

"Sei incredibile. Quando vuoi essere sgradevole, sei così terribilmente cinico da far venire voglia di... ma non hai pensato che io l'abbia fatto con il cuore, per Naty e gli altri?"

 

"Cuore...il tuo solito complesso da missionaria. Hm, va detto che la figura più comica di tutte la sta facendo il nostro Ed. È ancora innamorato di te,  e non si rende conto di che pasta sei fatta. Ma io sì. Ho capito chi sei. E non meriti un secondo delle sue attenzioni. Lui ha più onore di te, ha più cuore di te!" rispose lui.

 

"Basta! Non ti voglio più ascoltare!" eruppe lei, e fece per uscire dalla cucina. 

 

Ma lui l'afferró per la vita e la obbligó a indietreggiare. "E sai cosa mi fa arrabbiare, soprattutto? Che Maki ti ha difesa. Quando le ho spiegato la storia, mi ha detto: non essere troppo duro con lei, si vede che tiene molto a te, se ha fatto una cosa simile. Allora? Che effetto ti fa, eh? Che effetto ti fa, essere difesa dalla tua vittima?!"

 

"Non mi interessa!" 

 

"Interessa a me!" sbottó lui, afferrandola di nuovo e bloccandole le braccia. "Mi fidavo di te. Mai avrei pensato che tu potessi tirarmi un colpo basso. Adesso chiedimi scusa."

 

Marty si dimenó. "Lasciami!"

 

"Chiedimi scusa." ripetè Mark. Era talmente forte quella stretta, che Marty non riusciva a muoversi.

 

Dopo un lungo momento di silenzio, biascicó. "Scusa."

 

"Più forte."

 

"Scusami."

 

"Più forte, non ti sento!" insistè Mark.

 

"SCUSAMI." disse ancora lei, guardandolo negli occhi. Le guance rosse di vergogna e di rabbia, e gli occhi lucidi, Marty era l'immagine stessa della resa. L'aveva vinta,  infine. 

La stretta attorno ai fianchi divenne meno marcata. "...e ora, chiederai scusa anche a Maki."

 

Prese il cellulare dalla tasca e selezionó un contatto. 

 

Marty era incredula. "Non mi farai parlare con lei, Mark! NON OSERAI!!"

 

"Se ti rifiuti, ti butto fuori di casa sul serio, e davanti ai ragazzi. Non potrai più venire qui. Tempo di crescere, DoppioZero." replicó freddamente. Poi qualcuno rispose dall'altra parte della cornetta. "...sì ciao. Senti, ti passo una persona." poi le allungó il cellulare.

 

Marty lo fissó negli occhi, piena di imbarazzo e furore. Non poteva umiliarla in quel modo. 

L'espressione di Mark, peró, non ammetteva repliche. Era a un bivio: la capitolazione, o la chiusura totale del loro rapporto.  

 

Chiuse gli occhi, e inspiró. Fece ció che la coscienza le suggerì.

 

Prese il cellulare dalla mano di Mark, e se lo avvicinó all'orecchio. Si schiarì la voce.

 

"Sono Marty Laughton. Ti chiedo scusa per il mio comportamento." 

 

Senza aggiungere altro, nè attendere risposta, gli ripassó il telefono.

Un sorrisetto attraversó allora il volto di Mark, che riprese la conversazione. "Hey...Non ti preoccupare, tutto a posto.  Ci sentiamo dopo. Ciao."

 

Marty, nel frattempo, aveva il cuore in pezzi e avvertiva un senso di umiliazione cocente. Mai, in vita sua, si era sentita tanto offesa.

 

Passó qualche attimo di silenzio fra loro.

 

"Spero che ora tu sia soddisfatto, Mark." riuscì solo a dire.

 

"Pienamente." rispose lui. Prese lo straccio dal lavello e glielo porse. "Puoi continuare."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 71
*** Uragani ***


 

Marty asciugava l'ultimo bicchiere e intanto tentava di riprendersi dalla strapazzata che le aveva dato Mark. 

 

Era meravigliata dalla propria capacità di autocontrollo: fosse stato un altro, avrebbe preso le sue cose e avrebbe lasciato quella casa in mezzo secondo, giusto il tempo di mandarlo a quel paese, lui e la sua arroganza.

 

Invece, si sentiva come se quella lavata di capo fosse arrivata direttamente da suo padre. La stessa sensazione di una bambina che sapeva di avere torto, ma doveva fare l'offesa a tutti costi.

 

Certo che aveva sbagliato a telefonare a quella civetta di Okinawa, lo sapeva benissimo. Si era sentita in colpa dal secondo dopo aver riattaccato. E la sua coscienza le aveva anche detto che l'unica reazione possibile che Mark avrebbe potuto avere, se la cosa fosse venuta fuori, sarebbe stata proprio quella che si era vista cinque minuti prima. La sua era stata una provocazione bella e buona, fatta allo scopo di ottenere le attenzioni di un ragazzo che sembrava deciso a metterla nel dimenticatoio.

 

Aveva capito male, se credeva di vincere psicologicamente contro un duro come lui. Si sarebbe gelato l’Inferno, prima che si facesse prendere per il naso da una ragazza. 

 

Si impose di lasciare la cucina dei Lenders in ordine, poi sarebbe tornata a casa sua, dove doveva stare. Nel suo quartiere, nelle sue comodità, a riflettere su come passare il resto del mese. Forse avrebbe dovuto davvero andare in vacanza al mare con i suoi, prospettiva tediosa, ma almeno avrebbe staccato un po' la mente da tutto per qualche settimana.

 

E restava da concludere la faccenda della Hitachi: c'era da richiamare i talent scout per confermare la partecipazione al master di Agosto, esperienza di cui, a quel punto, sentiva di avere disperatamente bisogno. 

Ne erano successe troppe quell'anno, e doveva ristabilire le sue priorità in fretta. 

 

In quanto a Mark, non c'era storia: la foga con cui aveva preso le difese di quella tizia aveva confermato i suoi sospetti. Stavano insieme a distanza, non era una sua semplice amica, e probabilmente avevano anche concluso a Okinawa. Lui era salpato per altri lidi, e a lei non restava che rimettere insieme i cocci del suo cuore per l'ennesima volta. 

Ed a Yokohama, Mark con la mente altrove. 

Tutti rapporti finiti, chiusi, andati, per un motivo o l'altro.

 

Non restava che Benji a farle la corte. Che poi, in fondo,  per lui Marty era solo un'altra tacca sul suo segna-punti personale. Non aveva valore come non l'aveva nessuna delle sue signorine tedesche.

 

La mia vita privata è peggio che disastrosa: è drammatica, si trovó a riflettere. Moriró sola, sola e vergine come la zia Lily.

 

Da fuori, vennero improvvise le urla di Naty. Udì anche uno scroscio d'acqua e le parve che il tempo si fosse rannuvolato. 

 

"Pioveeee!" annunció infatti Matt, che entró con la t-shirt bagnata. 

 

"Come, piove??" si agitó Marty.

 

"Sì, ha iniziato adesso!" confermó Ted. "Succede a volte. Sono i temporali estivi."

 

"Ma se c'era un sole che spaccava le pietre?? E io come torno a casa?" chiese la ragazza, guardando fuori dalla finestra. Il cielo era infatti diventato plumbeo, e sembrava che le nuvole si radunassero a cerchio. Uno spettacolo stranissimo.

 

Arrivó Mark da fuori. "Chiudete tutto! Le finestre, la porta, tutto!"

 

"Ma perché?? Cosa succede?" chiese spaventata lei. Fuori un vento incredibile agitava i panni stessi dei vicini, e molti volarono via.

 

"Un altro tornado, Mark?" chiese Nathalie, guardando fuori. 

 

"Come, un tornado?? Cosa dite?" fu la reazione di Marty,  sempre più tesa. 

 

"L'anno scorso ce n'è stato uno in Agosto! Credevamo che saremmo volati via con la casa." rispose Ted. "Era un ciclone di terza classe."

 

"Di terza cosa?" 

 

"Ci sono diverse classi di tornado, l'ho studiato a Geografia. Dalla prima alla quinta. Quello di quinta è il più potente, spazza via tutto." la informó Ted, che sembrava elettrizzato. 

 

"Sì, ma...io...devo andare a casa..."

 

"Non puoi uscire!" si oppose Naty.

 

Marty non riusciva a crederci. "Ma come, in Giappone? Ma queste cose...insomma, dovrebbero succedere ai Tropici, che so..."

 

"Maledizione, questo è un paese tropicale! E dove credi di andare con questo tempo?" chiese in malo modo Mark, mentre chiudeva le persiane. "Verrai trascinata via se metti il naso fuori casa." 

 

"Speriamo non salti la corrente come l'altra volta! Ti ricordi, Mark? Siamo stati al buio per cinque ore quella sera. Poi sono arrivati i tecnici e..." raccontó Ted.

 

"Vieni qui, aiutami. Tu...Marty!" lo interruppe il ragazzo. "Chiudi le finestre delle camere. Devono essere serrate." 

 

Lei corse a sprangarle. Fu difficile, perché il vento era già fortissimo e dovette lottare per tirare le persiane in legno. Le arrivó anche la pioggia diretta sul viso e si trovó la t-shirt zuppa.

 

"Gesù...ma qui viene giù tutto!" si spaventò. Non aveva mai visto una bufera tropicale e sembrava che dal cielo arrivasse giù dritto il giudizio di Dio.

 

Tornó in sala e vide che Mark osservava preoccupato il soffitto, con il naso in su. Lei ebbe anche l'impressione che la casa tremasse un po' e finalmente realizzó quanto fosse precaria. Probabilmente non c'erano neanche parti in cemento, era tutta in legno.

 

"Ma...siamo sicuri, qui dentro?" chiese, tremando. 

 

"Tu che dici?" chiese il ragazzo. 

 

"Non lo so. È casa vostra, chiedo a te." rispose seccata lei. Cominciava ad averne abbastanza del suo modo scontroso. "Voglio sapere se rischiamo la vita, o no." 

 

"Ma la nostra casa è resistente! L'aveva sistemata papà!" disse Ted. "Con Mark."

 

"Mi preoccupa il tetto. Le assi sono logorate. Rischia di pioverci in testa, stavolta." commentó il fratellone.

 

"Dove sarà il tornado? Dici che ci ruoterà vicino?" chiese Nathalie. 

 

"Non lo so. Non posso aprire la porta e guardare, o il vento la strapperá via." replicó Mark. "E i cavi dell'elettricità...spero non vengano staccati."

 

"Sono esterni?? Non passano in una canalina in alluminio? Ma sei serio?!" sbottó Marty.

 

Lui la guardó. "Anche elettricista, oltre che giornalista?"

 

"Mio padre è un ingegnere elettronico, se te lo sei dimenticato. So come vanno tenuti i cavi elettrici. Vanno ricoperti con un tubo in alluminio! Su Amazon costa pochissimo! Ma perché non ci avete pensato!" ribattè lei.

 

"Scusa se non abbiamo internet per fare acquisti, signorina Akihito Corporation. Comunque non succederà niente. Non è la prima tempesta che vediamo qui." rispose ironicamente Mark.  

 

Naty guardó uno e poi l'altra. "Avete litigato? Perché vi parlate così??"

 

"Tutto a posto, piccola." le rispose Mark, poi lanció uno sguardo micidiale alla ragazza, come a dirle: non davanti a lei. 

 

Marty allora sospiró, e si sedette sul divano con la testa fra le mani. Ci mancava solo quella. E presto sarebbe arrivato il buio.

 

"Hey...c'è almeno una candela in questa casa?" 

 

🎋🎋🎋

 

Arrivarono i lampi e poi i tuoni. 

 

I bambini si erano radunati sul divano, Nathalie stretta a Mark e Matt in braccio a Marty, che era la più spaventata di tutti.

 

"Ma quando smette, Dio santo...quando smette??" chiese, tesissima.

 

"I tornado si esauriscono da soli...hey lo sapete che il punto meno pericoloso di una tromba d'aria è il suo interno? L'occhio del ciclone. Se ci entri, non rischi niente." raccontó Ted.

 

"E come ci entri, chiacchierone?" lo derise Naty. 

 

"Devi oltrepassare il muro d'aria! E non farti trascinare via!" spiegó Ted.

 

"Marty, perché hai chiamato la tua schiacciata tornado shot??" chiese Naty. "Quella che mi volevi insegnare."

 

"Perché è velocissima." chiarì lei, che parlando con i bambini si sentiva più tranquilla. Sembravano stranamente sereni e iniziarono a trasmetterle quella calma. "Ehm...è una combinazione fra me e l'alzatrice... peró il nome non l'ho inventato io, ma una mia compagna."

 

"Quando fai quel colpo la palla sembra sparire, vero Mark?" chiese Naty.

 

"Hm. Sì." rispose lui, accarezzandole i capelli. Le faceva specie vederlo così con la sorella, non sembrava neanche la stessa persona che qualche ora prima l'aveva fatta girare su sè stessa come una trottola.  

 

"Tu non l'hai mai visto. Perché annuisci?" grugnì Marty.

 

"Sì che l'ha visto! È venuto con noi alla finale, alla tua finale! Peró non ho capito perché ti sei seduto dall'altra parte della palestra." gli chiese la bambina.  

 

"Te l'ho spiegato perché...ero lì con un compagno di squadra, Julian."

 

Marty rimase di sasso.

"S-s-sei venuto a vederci??"

 

Mark le lanció un'occhiata fugace.

"Sì."

 

"E...e...perché non me l'hai detto?" fece lei, incredula.

 

"Perché avrei dovuto?" chiese lui di rimando. "Non mi hai sentito, prima? Non sono tenuto a raccontarti ogni secondo della mia vita." 

 

"Magari mi avrebbe fatto piacere saperlo."

 

"Ah sì?" chiese di nuovo Mark, stavolta guardandola.

 

"Dai peró....smettetela. Non tenetevi il muso! Non mi piace quando litigate." li pregó Naty.

 

Ci fu silenzio per un po'. 

 

Fuori, il rumore della pioggia si fece meno intenso. "Hmmm...sta passando, il Signore sia lodato."

 

"Nient'affatto." commentó Mark. "È che si avvicina."

 

"Cosa?? Cosa si avvicina?" si agitó subito lei. 

 

"Il gigante." disse Ted. "Se colpisce la nostra casa..."

 

"Mi fate paura...mi fate una paura dannata!!" balbettó Marty.

 

"Pensa se eri a casa da sola!" disse Naty. 

 

"Silenzio, ragazzi." li interruppe Mark. "È qui fuori. È nel nostro quartiere."

 

"Il tornado, la..la tromba d'aria?!" gridó Marty.  "Ragazzi, usciamo di qui! Se ci becca in pieno farà crollare le pareti!!"

 

"Nessuno si muova... neanche tu. Sta' seduta e calmati." le ordinó il ragazzo. Poi appoggió l'orecchio alla porta, come per sentire quello che succedeva al di fuori. 

 

Si sentì uno schianto improvviso, vicinissimo a loro. I tre bambini e Marty urlarono. Naty corse ad abbracciare la bionda irlandese, che stava pregando tutti i suoi santi.

 

"È il palo della luce..." ipotizzó Mark

"...deve essere caduto sulla casa di Shigheo."

 

"Oddio, pover'uomo!" esclamò lei. 

 

"Magari non è in casa." disse Naty. "Mark...ho paura!"

 

"Cambierà traiettoria. Non ci verrà addosso vedrete." tentó di rassicurarli il fratello maggiore, ma in quell'istante una delle persiane delle finestre si spalancó, trascinata dal vento. Si staccó e voló via. 

 

I bambini e Marty saltarono in piedi. "Distruggerá i vetri!" urló lei. "Il vento li manderà in frantumi!"

 

C'era un vecchio e alto mobile in sala. Una libreria in legno per la veritá priva di volumi, che la signora Lenders usava per metterci foto di famiglia incorniciate. Mark la spinse con tutta la forza davanti alla finestra danneggiata. 

"Questo dovrebbe bastare." 

 

Marty e i ragazzini erano abbracciati stretti in mezzo al salotto. Lei ebbe l'impressione che l'unica cosa da fare in quel momento, fosse pregare. Chiuse gli occhi e recitó mentalmente un Padre Nostro. 

 

Naty mugolava di terrore, Matt tremava, solo Ted stoicamente manteneva la compostezza. Forse per imitare la calma ferrea del fratello più grande.  

 

Col passare dei secondi, la situazione parve tranquillizzarsi. Dall'esterno non provenivano più rumori di pioggia, e di porte e finestre distrutte o sbattute. 

 

"Si sta allontanando...siamo stati fortunati." sospiró alla fine Mark. 

 

"Non aprire la porta, ancora. Ti prego." lo supplicó Marty.

 

"No. Non ci penso neanche."

 

Passarono quindici minuti buoni, prima che da fuori arrivassero voci concitate. Gli abitanti del quartiere uscirono finalmente dalle loro povere case, per constatare i danni.

 

Sentirono qualcuno bussare con forza alla porta. Mark si precipitó ad aprire. 

 

Comparve Shigheo, pallido come un cencio. "Grazie al cielo state bene!"

 

"Noi sì....ma, la tua casa!" esclamó Mark, uscendo in cortile. 

 

Come aveva temuto, un pesantissimo lampione si era schiantato sul tetto della casa del vicino, sfondando le tegole.

 

"...e meno male che sono sceso in cantina! Adesso mi piove in casa...ma sono vivo, grazie al cielo!" spiegó l'uomo. "E mia figlia è ancora al lavoro, ha fatto la notte in albergo e ha dormito lí, per fortuna!" 

 

"È incredibile....un tornado di questa forza...."

 

"Un uragano, Mark. Credo fosse un uragano." lo corresse Shigheo. "Questa sarà un'estate pazza, te lo dico io!"

 

"Gli uragani durano di più. È passato in pochi minuti. No, era una tromba d'aria." ragionó Mark. Guardó la finestra danneggiata. "...accidenti!"

 

"Quella te la sistemo io...non preoccuparti." disse l'uomo. "Oh Marty! Sei qui!"

 

Arrivó la bionda irlandese, stravolta dalla paura. "Signor Shigheo!! Tutto bene?!"

 

"Eh io sì....ma stanotte dormo nel sotterraneo! Guarda lì, ho la casa allagata!! E quando lo vedrà la mia Aiko...andrà fuori di testa..." si lamentó lui.

 

"Oddio!!" fece lei. "Che danno!"

 

"Qui mi toccherá spendere una fortuna in muratori e operai..." disse ancora lui. "Sei rimasta dai Lenders? Brava ragazza."

 

"Sì..." rispose lei, imbarazzata. "Ma...ora peró torno a casa. Non vorrei ci fossero danni anche da noi."

 

"Aspetta un po' prima di tornare. Le strade saranno intasate da camion di vigili del fuoco e ambulanze. Mi sa che è scoppiato un bel casino in centro città per via del maltempo." le consiglió Shigheo.

 

"Mark, non farla andare via per conto suo. Accompagnala, se puoi." gli disse l'artigiano. "Farai fatica anche a trovare un taxi, credimi ...ah che disastro... signore mio che disastro..." e se ne tornó in casa sconsolato. 

 

Marty si volse verso il ragazzo, che stava già rientrando nella loro abitazione. Mark si fermó sulla soglia e giró appena il viso. Sembró indeciso. Poi chiuse gli occhi e fece il suo classico mezzo sorriso.

 

"Allora...vieni?"

Ritorna all'indice


Capitolo 72
*** Le due rivali ***


"Mark, sei capace di riparare la finestra?" chiese Ted, in piedi accanto al fratello maggiore, che si dava da fare con cacciavite e chiodi. 

 

Avevano recuperato la persiana volata via a cento metri di distanza da casa loro. La forza del vento era stata pazzesca. Si sentivano i lamenti delle anziane vicine, che si erano trovate del fango in salotto e alcuni vetri rotti. Le case del circondario erano tutte a piano terra, e ogni abitante aveva la sua dose di danni con cui fare i conti.

 

"Ci provo." rispose Mark.

 

"Non ti ha detto Shigheo che lo sistema lui?" 

 

"Shigheo è un brav'uomo, ma ha la sua casa a cui pensare ora... no, ci devo mettere io una pezza qui. Spero solo che la guarnizione regga." 

 

Intanto Marty, in bagno, tentava di asciugare con uno straccio l'acqua che era entrata dagli infissi della finestra. In ginocchio sul tappetino, puliva e lucidava le piastrelle azzurre del pavimento, coperte da una patina marrone.  Aveva concluso che sarebbe stato meglio attendere qualche ora, prima di rientrare a casa sua,  perché in fondo l'artigiano amico dei Lenders aveva ragione: era molto probabile che le strade di Tokyo fossero intasate da ambulanze e  mezzi di soccorso. 

In più, la loro villa era in cemento, serrata con persiane in acciaio e non c'era pericolo che fosse entrata acqua. L'unico problema poteva essere il giardino: si auguró che il suo amato salice non fosse stato divelto dal terreno. 

 

"Nathalie! Naty, per favore vieni qui!" chiamó la ragazza. 

 

Arrivó di corsa la bambina. "Cosa c'è?"

 

"Mi porti lo sgrassatore dalla cucina? Questo detergente per pavimenti non è sufficiente." 

 

"Corro!" fece Naty, che in verità si stava dando molto da fare per aiutare a ripulire la casa. Era anche segretamente contenta che quel cataclisma improvviso avesse di fatto obbligato Marty a stare con loro. 

 

Tornó dopo qualche secondo.  "Tieni...non viene via, il fango?"

 

"Sì, ma le vostre piastrelle rimangono opache...adesso provo così." ribattè Marty, lavorando con più energia. 

 

Naty la guardó, ammirata. "Grazie che fai tutto questo."

 

"Eh. Almeno qualcuno riconoscente c'è, qui dentro...." mormoró lei.

 

"Come?"

 

"Niente. Che fa tuo fratello?" s'informó la bionda.

 

"Prova a sistemare la finestra. Chissà se ci riesce...Mark è bravo con le riparazioni, ma si è proprio distrutto il cardine." rispose la bimba.  

 

Si sentì il suono del cellulare del ragazzo, proprio in quell'istante. L'aveva dimenticato su una mensola del bagno. 

 

Naty lo afferró, guardó il nome del chiamante. "Maki??! Chi è Maki?"

 

Subito, Marty sentì lo stomaco annodarsi. Una stronza, pensó, ma poi disse: "Un'amica di tuo fratello."

 

"Ma lui non ha amiche, a parte te." 

 

"Sì, è una ragazza che ha conosciuto a Okinawa. Portagli il telefono, dai." ribattè lei, sforzandosi di non tradire le sue emozioni.

 

Naty corse via.

 

Lo ha chiamato per sapere come sta. Avrà sentito del tornado e lo chiama subito. Vieni qui tu, vieni qui in ginocchio a pulire questa merda, pensó rabbiosamente Marty, gettando lo straccio a terra. Visto che sei così innamorata, prendi il cazzo di aereo e vieni qui a darti da fare per lui!

 

Tornó la bambina, con l'aria un po' confusa. "Non sapevo che mio fratello avesse un'amica lontana. Adesso è di là che parla con lei, le sta dicendo che va tutto bene....ma cosa vuole? Chi è?"

 

"Non la conosco. Mi dispiace." ribattè lei, con i nervi a fior di pelle. 

 

"Non è che vuole rubarti Mark, vero?" chiese innocentemente Naty.

 

"Mark non è il mio ragazzo. So che tu vorresti che fosse così, ma non stiamo insieme." replicó Marty, che ad ogni parola sentiva uno spillo conficcarsi nel cuore.

 

"Per me, sì. Mi piace vedervi insieme. È adesso che la mamma è in ospedale e voi due siete qui...non so...mi sembra di avere un'altra mamma e un altro papà. Mi piace molto." raccontó Naty, sedendosi sul coperchio del WC.

 

"Ma...non vuoi che la tua mamma torni a casa?" chiese stupita Marty. 

 

"Sì! Ma è meglio che stia lì, così so che qualcuno la sta curando. Ha detto Mark che andremo a trovarla presto. Peró, con questo brutto temporale che c'è stato, secondo me ci andremo tra qualche giorno." disse lei.  

 

"Ti manca il papà, vero?" chiese Marty.

 

"Sì. A tutti, solo Matt non parla mai di lui, perché non se lo ricorda più. I miei compagni di classe hanno tutti la mamma e il papà, e vengono a prenderli a scuola insieme. Mi piacerebbe che un giorno veniste tu e Mark, per sapere cosa si prova." continuó Naty.

 

Quella frase ebbe il potere di sciogliere il cuore arrabbiato di Marty. E la fece sentire anche stupida. 

Se la prendeva tanto per una faccenda di gelosia, non rendendosi conto che i dolori della vita erano ben altri. 

Comprese anche l'ostinata insistenza di Nathalie perché lei rimanesse a casa da loro: in quel modo, aveva l'illusione di stare in una famiglia normale.

 

"... ma se litigate, non verrete mai. Prima del tornado, quando ci avete mandato fuori in cortile a giocare, mi sono portata i pastelli e ho fatto una cosa." disse ancora Naty, poi corse in camera sua. Tornó con un foglio bianco, arrotolato. 

 

Marty lo prese e lo aprì.

Era un disegno di lei e Mark, che si tenevano per mano. Le ricordó quell'altro disegno che le aveva regalato per il suo compleanno, sempre con il medesimo soggetto. 

Lei e suo fratello, uniti.

 

"Sei brava, sai? Sei brava nel disegno." le disse.

 

"Me lo dice anche la mia maestra. Voglio esserlo nella pallavolo... peró." rispose Naty. "E voglio che tu e Mark facciate la pace."

 

"Non ti preoccupare." rispose Marty, dandole una carezza.

 

"E voglio anche un'altra cosa..."

 

"Cioè?"

 

Naty tiró su col naso.

"Voglio che quella ragazza non chiami mai più mio fratello. Non la conosco, ma questa cosa non mi piace. Non mi piace per niente."

 

🎋🎋🎋

 

Maki Akamine riattaccó.

 

Si era enormemente preoccupata, quando aveva sentito al notiziario televisivo  della tromba d'aria che si era scatenata nel cuore di Tokyo.

 

Ma Mark le aveva detto che, a parte una finestra rotta, non c'erano stati gravi danni alla sua abitazione. 

 

Gli aveva augurato ogni bene per sua madre, ma aveva avuto un piccolo scrupolo a farle arrivare i suoi saluti tramite lui.  In fondo, lei era ancora una Miss Nessuno per quella famiglia. 

 

Al contrario di quell'altra.

 

Maki non gradiva affatto l'idea che l'amica europea di Mark - quella star del volley così invaghita di lui da essere perfino arrivata al punto di chiamarla per avvisarla di stare alla larga - vivesse a casa sua in quei giorni.  Lui le aveva spiegato che era stata un'iniziativa soprattutto per il bene dei suoi fratelli, che le erano affezionati, ma Maki non era convinta che si trattasse solo di un gesto altruistico.  

 

Non conosceva ancora molto bene Mark, nonostante fosse già pazza di lui, ma una cosa che aveva afferrato al volo dopo le loro telefonate, era l'immensa attenzione che aveva per sua madre e i bambini. 

E lo sapeva certamente anche quella Marty.  E se quella situazione si fosse trasformata in una gigantesca occasione per lei? Arrivare a lui tramite i suoi fratellini? 

 

Si stese sul suo letto con le mani incrociate dietro la nuca, e fissò un poster della nazionale giovanile di calcio. L'aveva trovato in omaggio in una rivista, e non aveva perso tempo ad attaccarlo alla parete. Mark era ovviamente presente nella foto, con la sua casacca con le maniche arrotolate e lo sguardo che puntava deciso verso l'obiettivo del  fotografo.   

 

Aveva fantasticato moltissimo su quell'immagine.  Lo desiderava già perdutamente, ed erano sensazioni nuove per lei, che non aveva mai avuto un ragazzo. 

 

Bastava sentire il suono della sua voce, quando si chiamavano, per scatenare una confusione di farfalle nel suo stomaco. Non facevano che aggiornarsi sui loro progetti nello sport, sull'andamento del mondiale di calcio e sui suoi sogni di andare alle Olimpiadi grazie al softball.

 

Non erano telefonate romantiche, e nemmeno un po' maliziose. Maki era stata tentata, qualche volta, di accennargli dei suoi sentimenti, o di quell'intesa che stava sommessamente nascendo fra loro, ma non trovava il coraggio.

 

Il fatto era che Mark era duro come il marmo, le sembrava il classico tipo che di fronte a una dichiarazione d'amore sarebbe scoppiato a ridere.  Non l'avrebbe tollerato.

 

Eppure, si cercavano con regolarità. Questo alimentava i suoi sogni. Evidentemente, lui si trovava bene a parlare con lei. Era già un passo importante verso la nascita di qualcos'altro.  

 

Ma...

 

Ma c'era quella, nei paraggi. 

E non era meno decisa di Maki a far entrare il giovane Numero Nove del Giappone nella sua vita. Il solo fatto che avesse tentato l'assurda e ridicola strada della chiamata anonima, era un segnale di fin dove poteva arrivare. Era dura la guerra, contro una rivale disposta a tutto, anche a perdere la propria dignità per mettere le mani sull'ambito e muscoloso trofeo.

E con che tono disgustato si era scusata con lei al cellulare, sicuramente Mark l'aveva obbligata.  

 

Lui aveva scippato il cuore ad entrambe e adesso si trattava di capire quale delle due avrebbe definitivamente vinto il suo.

 

Ma io non cederó.

Non mi interessa quante ragazze tu abbia intorno, io ti amo. E non sono disposta a dividerti nè con Marty Laughton, nè con altre. 

 

Si alzó dal latto e si avvicinó alla finestra. Si vedeva il mare, da camera sua. 

 

Dovessi combattere contro tutte le donne del mondo, non arretreró mai nè mi gireró dall'altra pare, perché IO diventeró la tua ragazza.  

 

Sì, le intenzioni erano chiare.

Peró...

Peró l'altra era a casa sua.

In quegli istanti, lei era con lui. Con i suoi fratellini. Era già nel mondo dei Lenders.

 

Questo le fece sentire un brivido di frustrazione.

 

Devo darmi da fare.

Ritorna all'indice


Capitolo 73
*** Dopo la bufera ***


 

"Sto aiutando a ripulire la casa, mamma..." spiegó nervosamente Marty al cellulare. 

Sua madre, sentendo al telegiornale del tornado su Tokyo, non aveva perso tempo a contattarla.  Era angosciata per la villa, per il giardino, per il possibile disastro che poteva essere capitato anche da loro.  

 

"Ma non torni a casa, per vedere se è tutto a posto?" le chiese Joanne. "...fino a quanto stai lì?" 

 

"Ho finito, tra poco vado. Mark comunque è qui, ci pensa lui ai bambini. Stai tranquilla! Cosa vuoi che sia successo, la nostra casa è solida. Mica è in legno come questa." rispose la ragazza.

 

"Ma il giardino!! I tavolini, le sedie, il dondolo! Sarà tutto per aria!" commentó la madre. "E chissà il fango sul portico...!"

 

"Anche fosse, sistemo io! Ti richiamo più tardi, quando torno a casa. Dai lasciami andare, devo anche correre a prendere il bus, è tardi." rispose lei.

 

"E quando torni, scongela subito la carne nel freezer. C'è una bistecca." le disse Joanne. "Chissà cos'hai mangiato in questi due giorni." 

 

"Ho fatto io la spesa per i Lenders, mamma." replicó Marty.

 

"Appunto."

 

"Hmmm. Ok a dopo, mi cercano i bambini." mentì la giovane. Sua madre aveva l'incredibile potere di farla innervosire sempre.  

Chiuse la telefonata.

 

Sbuffó sonoramente e si giró verso il salotto. Vide Mark che sistemava dall'interno la solita finestra. Si era anche sollevato un infisso.

Notó che ghignava.

 

"...la mammina ti ha chiamato?" le chiese, senza guardarla.

 

"Sì. Senti...c'è altro che posso fare? Devo tornare a casa." replicó seccamente.

 

Mark si stiracchió le braccia, e giocherelló col cacciavite. "Vediamo... hai portato fuori la spazzatura?"

 

"Sì... ma i bidoni sono rovesciati. Ho lasciato i sacchetti lì vicino. Ho svuotato la lavatrice, e anche in bagno...ho versato candeggina sul piatto della doccia. Questo toglierà l'odore di fango. Tra poco risciacqualo. Altro non so che fare." spiegó lei. 

 

"Ho sete. Portami un bicchiere d'acqua." le chiese lui, armeggiando di nuovo con la finestra. 

 

"Non te lo puoi prendere tu?" ringhió lei.

 

"Che strano. Alla Toho, quando eri la nostra aiutante, eri sempre così solerte ad assistermi. Che c'è, ti sei impigrita?" rise lui.

 

"Sono finiti quei tempi. E io devo andare, Mark." rispose lei. "Poi, non mi piace come ti stai comportando. Sei vile."

 

"Eh, ma purtroppo questa è la vita dei bassifondi. Credevi che io fossi un damerino? Mi vedevi così?" ribattè Mark.

 

"Ti consideravo quantomeno corretto." disse lei. 

 

"Povera Marty...la signorina dei quartieri alti...non avevi mai dovuto inginocchiarti e pulire per terra, eh?" continuó lui. "La figlia di papà abituata a farsi scarrozzare in Maserati, e a farsi portare a cena al Towers...come ci si sente, a doversi preparare la cena da sola, e a dover sfamare delle bocche, dopo un'intera giornata di lavoro?"

 

"Piantala. Non mi dare della classista. Sai che non lo sono." borbottó lei.

 

"Eh no...non lo immaginava, la principessa bionda... che nella vita bisogna sporcarsi le mani... e sopportare tipi come me. Eri abituata a Ed che ti portava in giro in fuoristrada e voleva pagarti un week end a Nara. Pensa, se stessi con me ti andrebbe bene una sola giornata al mare, forse, a Ferragosto. E il resto dell'anno, a lavorare." proseguì il ragazzo. 

 

"Cosa vuoi farmi capire, con questo? Cos'è, un modo tuo di prendermi in giro?" reagì lei.

 

"Ho sete." ripetè Mark. Incurante, continuava a lavorare sull'infisso storto. "Renditi utile, visto che sei ancora qui."

 

Marty tenne a bada la lingua, che stava per partire con una serie di insulti a raffica e andó in cucina. Era anche confusa dal discorso che le stava facendo lui. Dove voleva andare a parare?

 

Tornó con un bicchiere d'acqua.

Glielo porse.

 

Mark lo guardó.

"La voglio fredda da frigorifero."

 

"Ma... è fresca anche questa!"

 

"Eh, ma io la voglio ghiacciata." sogghignó lui. "Come quella che hai trovato nella berlina di Price, quella sera."

 

Marty si stupì. 

"Come sai che..." poi comprese. "Ah. Benji ti ha raccontato tutto, eh? In ritiro." 

 

"Proprio un gentiluomo. Mi ha detto com'è andata fra voi due. Mi ha detto di Ed, di come ti abbiano contesa. Di come a te sia piaciuto, in fondo, fare l'ape regina fra loro due." rispose Mark. 

 

"Per niente. Benji è un fanfarone e un presuntuoso. Lo conosci. Dai peso alle sue parole?" s'imbarazzó lei. "E poi io ti avevo informato di quella sera. Sei stato il primo a cui l'ho raccontato. Che vuoi adesso?" 

 

"Ma ha vinto il tuo rispetto con un ciondolino d'oro. A questo dai peso, tu." replicó Mark. Goccioline di sudore gli corsero sulla fronte mentre si dava da fare con il cacciavite. 

 

"Io non sono abituata a rifiutare le offerte di scuse." arrossì lei.

 

"Per questo sono contento che Maki sia una ragazza così semplice. Se uno come Benji ci provasse con lei, lo prenderebbe a pedate tanto forti da fargli crescere una gobba. Che differenza fra te e lei." raccontó Mark. Poi rise. 

 

"Non direi. La tua guancia sinistra dovrebbe sapere cosa succede, a scherzare troppo con me." replicó lei, gelida.

 

Mark venne colpito da quella frase. Finalmente si giró a guardarla. 

 

"Comunque...se vuoi acqua fresca, vattela a prendere. Ho giá perso troppo tempo, qui." aggiunse Marty. 

 

"È già buio. Qui c'è stato il finimondo. Non passerà l'autobus, ci scommetto." disse Mark. "Dove te ne vai,  a quest'ora?"

 

Marty non ci credette. "Scusa...ma che dovrei fare, stare qui un'altra sera? Non posso. Ho detto ai miei che sarei tornata a vedere com'è messa la villa."

 

"Tu fai sempre quello che dicono i tuoi?" le chiese allora, con un'aria di derisione sul volto. 

 

"La casa, la nostra casa, è incustodita. Ho promesso che l'avrei tenuta d'occhio." rispose Marty. "E che c'è, adesso? Insisti perché io rimanga?"

 

"Non mi importa, in realtà. Ma non voglio responsabilità. Non è l'ora di mettersi a vagare in questa zona di Tokyo, con fango e detriti in giro. Se ti succedesse qualcosa, ci andrei di mezzo io, cara signorina minorenne." replicó lui.

 

"Non ci penso neanche a dormire su quel divano infernale ancora!  Sono tutta indolenzita." protestó lei, che in realtà sentiva anche una sorta di soddisfazione nel suo intimo. Non le sarebbe dispiaciuto trattenersi, doveva riconoscerlo, nonostante i continui tentativi di Mark di farsi detestare furiosamente. 

 

"Mia madre stamattina mi ha detto che puoi dormire nel suo letto, se vuoi stare ancora da noi." riveló Mark. "Solo non occupare la parte sinistra, lì dormiva mio padre."

 

Marty rimase di sasso. "Nel letto dei tuoi?! Ma Mark...non mi permetterei..."

 

"Se lei dice che puoi..." inizió Mark, ma venne interrotto da Ted che entró in casa di colpo. Aveva un rigagnolo di sangue sul palmo della mano. 

 

"Mi sono ferito con un chiodo del recinto! Guarda, non sembra il morso di un vampiro?" annunció, per niente spaventato.  In comune con Mark, Ted aveva un'indole temeraria. Niente lo turbava, neanche un buco in una mano.

 

Ma turbó Marty: "Ma devi farti l'antitetanica! Si puó infettare!"

 

"Ma no! Mi sono già fatto male col recinto, non mi è mai successo niente." rispose Ted.

 

"Noi non siamo mammolette, vero?" scherzó Mark, arruffando i capelli al fratellino. "Vai da Marty, fatti medicare. Lei è brava con garze e cerotti, se ricordo bene."

 

"Allora stai qui?  Anche stasera??!" chiese il bambino, felice.

 

"Non potrei...Mark, io non..." 

 

"Falla finita. Nell'armadietto in bagno ci sono le garze sterili e l'alcool." rispose il ragazzo, e poi si rimise sotto con quel maledetto infisso.

 

🎋🎋🎋

 

Dopo cena, un'altra abbondante cena stavolta a base di riso cantonese e pollo, i cinque si divisero. 

 

I due bambini maschi aiutarono Mark a togliere gli ultimi detriti dal cortile esterno, facendosi luce con una torcia, dato che il lampione stradale era fuori uso. 

 

Nathalie e Marty, da par loro, lavarono e asciugarono i piatti. 

 

"Ma quindi il televisore? Non lo portano più?"  chiese la bambina.

 

"Ah sì...mi sono dimenticata. Mi è arrivato un messaggio dal negozio di elettrodomestici. La consegna è rimandata alla prossima settimana. Mi dispiace, è colpa del temporale. Devono ripulire le strade." rispose lei.

 

"Vabbè tanto arriva prima o poi..." sospiró la bambina. "Tua mamma si è arrabbiata? Sentivo che gridavi prima."

 

"Eh sì. Quando le ho detto che sto qui anche stasera si è incacchiata di brutto. Vuole che corra a casa a vedere se ci sono stati danni. A parte che il servizio di vigilanza ha i nostri numeri. Se avessero visto qualcosa di strano avrebbero chiamato mio padre." riflettè lei.

 

"Noi non ce l'abbiamo quel servizio. Passa la polizia di qui ogni tanto, ma solo per arrestare gente..." raccontó la bambina.

 

"Eh...immagino. Ehm... dopo cena che facciamo, un gioco di società? Ho comprato Scarabeo hai visto?"  disse la ragazza, per cambiare argomento.

 

"Non so come si gioca." 

 

"Devi formare delle parole con delle lettere. Più le fai lunghe, più ottieni punti. A me piaceva molto alla tua età. Ero brava." raccontó lei.

 

Naty non parve gradire.  "Mi sembra un po' barboso. Scusa." 

 

"Beh ma un modo lo dovremo trovare per passare la serata. Qui intorno non si puó uscire. Non c'è ancora il televisore. Che si fa?" si lamentó Marty.

 

"Giochiamo al gioco della verità!" propose Naty.

 

Marty non fu d'accordo. "No. Con quel gioco vengono fuori cose che...cose che è meglio non dire. Non mi è mai piaciuto."

 

"Allora lascia che ti pettini! Ti piace, hai detto."

 

"Ho i capelli corti, adesso." sorrise la giovane.

 

"Troveró un'acconciatura. Magari un fiocco..." ragionó la bambina.  

 

Ted e Matt rientrarono, seguiti dal fratello più grande. "Ora qui davanti è ripulito. Almeno questo." annunció Mark. "Ma il retro della casa è un disastro. Domani, col sole, ci daremo ancora da fare, vero ragazzi?"

 

"Sì ma domani mi metto gli stivali. Ci sono cocci di vetro per terra." sbuffó Ted. "La tua fasciatura ha retto bene. Grazie, Marty."

 

"Ma prima di dormire la cambieremo, ok?" fece lei.

 

"Hm-hm." annuì il ragazzino. "Che sfaticata!"

 

"Voglio vedere che avete combinato." disse Marty, aprendo la porta. 

Uscì fuori.

 

In effetti, la parte anteriore della loro abitazione era stata liberata da tutta la fanghiglia che si era radunata a causa della bufera. Non era proprio pulito, ma almeno si poteva camminare senza insozzarsi i piedi.

 

Uscì anche Mark. 

Richiuse la porta dietro di sè.

 

Lei lo vide con la coda dell'occhio. 

"Bel lavoro." mormoró. "Bravi i fratelli Lenders."

 

Mark si mise al suo fianco, con le mani in tasca. Chiuse gli occhi.

 

"Senti. Non è che non apprezzo quello che fai. Lo so bene che ti stai sacrificando. Ma vorrei che tu capissi una cosa." disse.

 

"Risparmiami altre lezioni di maturitá. Ne ho avute abbastanza." replicó lei.

 

"Marty..." continuó lui. "Ho ancora nella mente le immagini della tua partita. Eri così...forte in campo. Così piena di dignità. Hai continuato a giocare nonostante fossi ferita, e a spronare le altre. Eri così travolgente.

 

Marty si giró a guardarlo.

 

"... quella è la ragazza che sono orgoglioso di avere come amica. In cui rivedo tante caratteristiche che sono anche mie. Io e Ed eravamo come rapiti da te, quel giorno. Lui...mi ha detto che è pazzo di te." continuó Mark.

 

"Eri lì con lui???" trasecoló Marty. "Ma mi hai detto che sedevi vicino a Julian."

 

Lui le lanció un'occhiata di traverso. "L'ho visto e l'ho raggiunto. È stato il nostro primo incontro dopo che lui ha lasciato la Nazionale. Dovevo parlargli."

 

"Perché viene fuori tutto adesso? Lui non mi ha detto di averti visto, il giorno dopo. Ci siamo sentiti. Cosa sono questi misteri? Vi divertite a giocare con me??" si agitó lei.

 

"Affatto. Sei tu che ti diverti a giocare con la gente. Proprio come una bambina. Ma io non sopporto di vederti così infantile. Quello che hai fatto con Maki...sai che conseguenze poteva avere??"

 

"Ecco il tuo argomento favorito. Scusa se ho toccato la tua regina." sbottó lei, infastidita.

 

"Tu pensi che sia stata stupida a cascarci, vero? Sì lei è stupida, ma non nel senso che credi tu. È ingenua perché crede che la tua azione sia stata solo un atto di gelosia. Un atto comprensibile.  La verità è che se quella segretaria scolastica avesse saputo che non esiste nessuna signorina Kumiko di Tokyo e che è stata truffata, ti saresti beccata una querela. Maki ha lasciato cadere la cosa.  Ho dovuto farti passare per una sciocca. E questo...questo non mi è piaciuto. Io non voglio che tu sia così. Detesto vederti cadere così in basso. Mi ferisce." disse il ragazzo. "Per questo sono così duro con te. Perché..."

 

Marty era ammutolita. 

Non aveva considerato il disagio che aveva creato a Mark. Nella sua mente offuscata dalla gelosia, il suo unico scopo era stato mettere in guardia la rivale lontana.

 

"Perché...vedi...la ragazza che..."

 

"Allora, quando vi baciate!!" gridó una vocetta. Poi scoppió a ridere. 

 

I due si girarono.

Nathalie li spiava dalla porta socchiusa.

 

"Fila dentro, tu!" comandó Mark. 

 

La bambina serró la porta, e si sentirono altre risate.

 

Marty era rapita da lui. Lo guardava senza nemmeno battere le palpebre. Stava per dirle qualcosa. Qualcosa di grosso.

 

"...continua, ti prego." mormoró.

 

Mark la guardó. Poi giró gli occhi verso la luna. "Insomma. Per farla breve, io non ti voglio mai più vedere in versione DoppioZero. Capisci cosa intendo? Tu devi sempre essere quella che combatte e non si piega, ma con correttezza. Non...non cadendo in basso. Non farlo più."

 

"Le vuoi bene? Quella...quella ragazza di Okinawa...le vuoi bene?" chiese allora lei. "Ne sei...nei sei innamorato?"

 

E la parola innamorato le uscì fuori quasi di forza, come se le facesse male pronunciarla. Un male fisico.

 

Mark di nuovo tornó a cercare il suo sguardo. "Tu che pensi?"

 

"Penso...credo di sì." ammise lei.

 

"Beh, torno a dire che sei una grande combattente nello sport. Ma...non sei molto sveglia." terminó lui. Le regaló uno dei suoi sorrisi malandrini. 

Poi giró le spalle e fece per rientrare in casa. "Forza, i miei fratelli sono soli lì dentro."

 

"No. Scusa. Spiegati meglio. Che risposta è??" lo fermó la ragazza.   

 

"Scava nei tuoi ricordi e troverai tutte le risposte." aggiunse Mark. Aprì la porta di casa. "Guarda che c'è l'uomo nero laggiù."

 

Marty corse dentro. "Non ci sto capendo niente. Perché sei sempre così criptico?!!"

 

Mark si mise un dito sulle labbra. "Ssst adesso." 

 

Arrivó Naty con pettine e fiocchi. "Dai Marty, vieni. Ti ho preparato la sedia del parrucchiere!"

Ritorna all'indice


Capitolo 74
*** Ricordi di famiglia ***


 

Marty si sentì terribilmente a disagio quella sera. 

Accomodarsi nel letto dei coniugi Lenders le era parso un atto quasi sacrilego, sebbene avesse avuto il permesso dalla signora.  

 

L'avrebbe ringraziata, perché passare un'altra nottata su quel divano non era cosa pensabile.

Il mattino seguente, sarebbero tutti andati a trovare la donna in ospedale, Mark voleva che i bambini rivedessero la loro madre il prima possibile. 

 

Per calmare il suo evidente nervosismo, Nathalie le aveva dato il vecchio album di famiglia da sfogliare: era anche un modo per farle conoscere meglio la loro realtà, nella quale l'irlandese era ormai sprofondata, volente o nolente.

 

Così, prima di provare a prendere sonno, Marty aveva aperto il prezioso volume. Alla luce della piccola lampada sul comó, in camera padronale, aveva fatto il suo ingresso nei ricordi fotografici dei Lenders.

 

Vide finalmente il volto del padre di Mark: in una foto molto vecchia, lo si vedeva in piedi accanto a un camioncino; era stato un uomo alto e dalle spalle larghe, caratteristica che aveva passato al primogenito; aveva lo stesso incarnato scuro di Mark, e lo stesso sguardo deciso; non aveva baffi nè barba, ma anzi aveva un aspetto rigoroso, con un taglio di capelli quasi militare. Era stato nel complesso un bell'uomo.

 

Nelle pagine successive, si vedevano foto dell'uomo con i bambini, con la moglie Anne, con alcuni colleghi. 

 

E poi ritratti di Mark ragazzino, con la maglia del Muppet all'epoca delle elementari; lui e Ted che giocavano a calcio in cortile; la piccolina il giorno del suo quinto compleanno, Matt con i piedi scalzi che correva su una spiaggia. Erano foto di una famiglia come tante, che si amava.  

 

E poi parecchie immagini del Mark calciatore, in campo; lui e Danny che scherzavano, con i ragazzini della sua prima squadra. 

 

E poi vide una foto di un tizio dall'aria trasandata, e ben poco rassicurante. Marty intuì fosse Jeff Turner.

 

In un'altra pagina, trovó un ritratto di lui e Ed, che si stringevano la mano. Erano ancora bambini. 

 

Warner, giovanissimo e già molto carino, indossava una casacca gialla e i consueti leggings neri. Aveva i capelli un po' più corti e più scarmigliati, tenuti a fatica sotto uno sgualcito berretto grigio. Lui e Mark formavano un duo perfetto: nella foto avevano lo stesso sguardo, gli stessi occhi svegli.  

 

Si sentì in colpa per averli fatti litigare. Si sentì in colpa per molte cose. Anche per essere ricca. 

 

Le immagini di quell'album rendevano una storia: la storia di una famiglia lavoratrice e   dignitosa. Che non aveva mai avuto molto, ma si era sudata tutto. 

 

E invece lei, lei...

 

Marty si vergognó pensando all' ultima discussione con i suoi, riguardo alle vacanze: i Laughton erano pronti a portarla in un bellissimo posto, e lei aveva ributtato loro in faccia quella proposta con sdegno, e per qual motivo? Per non avvicinarsi a Okinawa, l'isola su cui viveva una persona che non aveva mai incontrato e che aveva preso a detestare senza ragione. 

 

Inizió a capire un po' le reazioni di Mark. Esagerata o no, non poteva fargli una colpa se era uscito dai gangheri. 

 

Lui e i suoi fratelli erano mai andati in vacanza in una bella villa lussuosa? Nemmeno nei loro sogni. 

 

Non avevano mai avuto la televisione, e lei ne aveva una al plasma perfino in camera sua. 

 

C'era un divario spaventoso fra il suo mondo e quello dei Lenders.   E quello la portó a chiedersi che storia avrebbe potuto avere con un ragazzo cresciuto in tale contesto. 

Anche se Mark avesse corrisposto il suo interesse, che coppia sarebbero stati?  Sarebbero stati in grado di vivere bene quella differenza di ceto, o la cosa avrebbe generato una pressione insopportabile?   Già lui le lanciava frecciatine in proposito, segno che la cosa lo disturbava.

 

"Chi te l'ha dato?" chiese una voce.

 

Marty sobbalzó e alzó lo sguardo. 

Mark era appoggiato allo stipite dello shonji, con indosso pantaloni della tuta e una canotta.     Stava per andare a letto, era distrutto. 

 

"Nathalie.  Non posso sfogliarlo?" 

 

"Ti diverti a guardare vecchie foto?" chiese lui.

 

"In effetti, sono interessanti. È come entrare nella vostra vita. Dove sono i bambini?" fece lei.

 

"Dormono. Devo ammettere che la tua presenza qui li ha calmati." rispose Mark.

 

"Ma ha innervosito te." rispose Marty. "Laveró io le lenzuola, domani lo dico a tua madre. Poi le cambio, visto che ci ho dormito."

 

"Scommetto che sono attivitá nuove, per te. Badare a una casa, cioè." la prese in giro lui. "Poi fammi sapere quanto hai speso per le provviste, e per quel televisore che deve arrivare. Ti ridaró tutto."

 

"D'accordo per la spesa. Ma la TV è un regalo, e non voglio sentire storie. Ho il diritto di fare regali a chi mi pare. Ok Mark?" replicó lei.

 

"Facile fare la generosa con i soldi degli altri..."

 

"E a te che ti frega? Sono soldi della mia famiglia. Tu non mettere becco nelle mie scelte." l'aggredì Marty, sforzandosi di tenere la voce bassa.  

 

"Hm. Sei più cocciuta di un somaro." sogghignó Mark.

 

"Wow, finalmente un complimento..." 

 

"Per te è un complimento, questo?" chiese lui, divertito. "Essere paragonata a un asino?"

 

"Dipende da come si dicono le cose..."

 

Mark la guardó, un po' perplesso.  Poi scosse la testa e cambió argomento. "Sei stravolta. Dura la giornatina, eh?"

 

"Sí, lo è stata per tutti.  Ma credo di essermela cavata. Non pensavo di essere capace di stare dietro a tre bambini, invece ce l'ho fatta." riflettè Marty.

 

"Per due giorni...ma tutto l'anno, non ne saresti in grado." la pungoló Mark.

 

"Ma la smetti di darmi addosso?  Invece sì, lo potrei fare benissimo." s'irritó lei.

 

"Ci pensi? Tu, reginetta della scuola, figlia di un riccone...a vivere nella periferia di Tokyo? Sai che fino a dieci anni fa il nostro bagno era in cortile, e in comune con altri?" sorrise Mark. "Ti verrebbe l'esaurimento."

 

"Beh sono qui peró! Mica sono scappata!" protestó Marty. 

 

"Una come te dovrebbe in effetti stare con Benji. Perché non te lo sposi? Quella villona diventerebbe anche tua proprietà. Mi sembra giusto il tuo ambiente."  continuó lui. "Marty Price. Suona bene." 

 

"Vai al diavolo." sibiló lei.

 

"...non dovresti lavorare. Andresti in giro a fare shopping in macchina tutto il giorno..." disse ancora lui.

 

"Vai..."

 

"...e di sera, torneresti a casa giusto per goderti la cena preparata dalla cuoca e dare una carezza ai bambini, dopo che la babysitter se ne è andata."  

 

"...al diavolo." grugnì lei. 

 

Poi decise di rendergli la pariglia. "Senti...quella ragazza...quella di Okinawa...è una bellezza così straordinaria?"

 

"Ecco che ricominci." 

 

"Dimmi..." fece lei, alzandosi in piedi. Sentì il demonio della gelosia possederla di nuovo e con nuovo vigore. "...ha una pelle chiara come la mia? O è scura, scottata dal sole?"

Si avvicinó a lui, e lasció che sentisse il suo profumo. "...i suoi capelli hanno questa fragranza, o odorano di sale e alghe...?" 

 

Mark chiuse gli occhi, ma non si mosse. 

 

Marty, che indossava a sua volta una canotta leggera, gli passó vicino, lasciando che i suoi seni strusciassero sul braccio del ragazzo. "..,quella ragazza, ha un corpo come il mio ...o è secca come un' acciuga essicata? E le sue labbra..." mormoró, posandogli un bacio su una spalla. "...sono morbide come le mie o...aride?"

 

Mark rimase qualche secondo in silenzio.

Lei era dietro di lui, curiosa di sentire la sua risposta. A quel punto, si era esposta del tutto. La palla passava al campione.

 

"Esiste una bellezza che va oltre quella dei sensi." lo sentì dire. "La bellezza di un'anima pulita, e onesta. La bellezza di un sorriso e di due occhi che si illuminano solo per te. Sì Marty, tu sei molto bella, chi puó negarlo? Eddie ti voleva.  Benji ti voleva. Ed ti vuole ancora." si giró verso di lei. “Ma la tua è la bellezza del pavone.”

 

Il suo petto muscoloso era a pochi centimetri dal suo viso e Marty non resistette. Gli buttó le braccia attorno al collo e cercó con affanno le sue labbra. 

 

Per l'ennesima volta, lui si negó. Le afferró i polsi e allontanó le mani della ragazza. "Vedi, tutto questo puó essere molto piacevole, ma io francamente non ci sto."   

 

"Allora non ti piaccio." disse lei, ferita e delusa.

 

"In certi momenti non mi piaci affatto. Maki non parlerebbe male di un'altra persona, solo per mortificarla." rispose lui.

 

Marty si morse l'interno delle guance, per tenere a bada la frustrazione. "Va bene. Ho capito. Buona notte, Mark." 

 

Detto ció, tiró lo shonji. 

Poi appogió la fronte alla parete scorrevole e lo udì allontanarsi, per andare in camera sua. Quindi, incassato un nuovo knock out, si giró verso il grande letto matrimoniale e crolló sopra, a faccia in giù.

Ritorna all'indice


Capitolo 75
*** Chikamatsu ***


 

Ed Warner osservava desolato la distruzione del loro bel giardino di famiglia. 

 

Il ciclone che aveva travolto Tokyo aveva fatto strage della flora di casa loro, e purtroppo non aveva risparmiato le carpe: alcuni pesci erano stati strappati dall'acqua dalla forza del vento ed erano stati scaraventati sul prato. 

 

Raccolse mestamente le carpe morte di asfissia e le accatastó sotto a un cespuglio. Fra di esse, vide anche la sua preferita, che aveva battezzato Chikamatsu. 

Era stata la sua favorita perché aveva una livrea bianca e gialla, che la faceva sembrare dorata, e la bocca un po' storta. Per via di quella malformazione, non riusciva a nutrirsi bene, e così Ed l'aveva aiutata imboccandola, molte volte. Si avvicinava alla riva e prendeva il mangime direttamente dalla sua mano.

 

"Chikamatsu....o poverina..." mormoró il ragazzo, osservando quella piccola carcassa.

 

La casa aveva retto bene, ad eccezione di qualche tegola del tetto che era stata divelta, ma i cespugli di gigli rossi erano stati falcidiati, e ora non restavano che moncherini di quei germogli. Un albero, fuori dal loro recinto, era crollato ed era collassato sul loro muro di cinta, danneggiandolo. 

 

Una delle statue leonine era stata buttata a terra dalle raffiche di quel ciclone, e si era rotta. 

 

Sua madre e suo padre non facevano che lamentarsi dei danni. Sakura, con uno straccio, tentava di asciugare l'acqua che era entrata dai canaletti fin nel loro salotto, e rischiava di far marcire il legno del pavimento. Kaito, con una vanga, spalava via il fango dalla zona del cancello principale.  Imprecava sommessamente, conscio del lavoraccio che avrebbe atteso lui e il figlio, per rimettere a posto tutto quel dannato casino.

 

"Ed! Ed, vieni qui ad aiutarmi!" chiamó il padrone di casa.  

 

Arrivó il giovane. 

 

"Hai radunato i pesci morti?" chiese Kaito.

 

Ed annuì.

 

"Adesso mettili in un sacco per la spazzatura e portali ai bidoni là fuori." comandó il padre.

 

"Non potremmo seppellirle in giardino? Sono le nostre carpe, ci ero affezionato!" protestó il ragazzo.

 

Kaito lo guardó male. "Fa' quello che ti dico e vedi di non irritarmi. Non è il momento." 

 

Ed sbuffó e andó di malavoglia in casa. Era tornato da poco da Yokohama e già ne aveva le palle piene: prima il tornado, poi gli umori del padre, che aveva i nervi a fior di pelle per la devastazione della sua amatissima proprietà. 

 

Non fosse stato per la visita in ospedale e l'incontro con Mark, non fosse stato per l'aiuto provvidenziale che aveva fornito a quella famiglia, la sua presenza a Tokyo sarebbe stata una perdita di tempo. 

 

"Ed...Ed...attento al fango in cucina, non calpestarlo!" gli raccomandó sua madre.

 

"Lo so." rispose Ed, procedendo in punta di piedi, e scalzo. 

Rovistó sotto al lavabo e trovó i sacchi neri della pattumiera. 

 

In quel momento, suonó il telefono di casa. Rispose lui, visto che era lì vicino.

 

"Pronto?" 

 

"Ed! Sei tu?" chiese la voce di suo fratello Daniel.

 

"Danny?! Ti fai sentire, ogni tanto!" lo salutó il ragazzo. "Visto al tg che finimondo?" 

 

"Sì, vi chiamavo per questo. Cos'è successo lì?" s'informó l'altro. "Tu come stai?"

 

"Io bene...sono rientrato per le vacanze e sto un po' qua...arrivato giusto in tempo per il disastro. Papà è fuori di sè." raccontó Ed.

 

"Lo immagino. E la mamma?"

 

"Sconvolta. Il giardino è andato, Dan. Buona parte è rasa al suolo. Dovremo ripiantare quasi tutto, sono morte anche delle carpe." spiegó il fratello minore.

 

"La casa? Il dojo?" chiese l'altro.

 

"Quelli a posto. A parte un po' d'acqua in giro." rispose Ed.

 

"Oh signore..." sospiró Daniel. "Dovrei essere lì ad aiutarvi...qui a Osaka non ci sono stati temporali..." 

 

"Nemmeno a Yokohama. Gli dèi se la sono presa con Tokyo stavolta." replicò Ed. "A te come va?"

 

"Beh...si tira avanti." ribattè Daniel. La sua voce suonava cupa.

 

"Tutto a posto?" chiese il fratello. "Qualcosa non va?"

 

"Beh...Sandra..." 

 

"Cosa?" volle sapere Ed.

 

"Sandra era rimasta incinta." rispose Dan.

 

"Era? Cioè...l'ha perso??" chiese l'altro.

 

"Non si riesce a capire quale sia il suo problema.  Dovremo fare delle analisi... lei è crollata psicologicamente dopo questa volta. È la seconda." ribattè Daniel, sospirando. 

 

"Mi dispiace. Mi dispiace tanto, Dan." si rammaricó Ed.

 

"È terribile. Andare all'ospedale, fare...fare il raschiamento... è come, come un funerale ogni volta. E non capiamo perché è capitato a noi. A noi." si sentì Dan singhiozzare. "I miei bambini...i miei poveri..."

 

Ed si sentì profondamente turbato.  Il dolore del fratello gli arrivava dritto attraverso la corretta. "Dan...dei feti non ancora formati..."

 

"Sono persone, Ed. Sono persone, i tuoi nipotini. E non sono neanche venuti al mondo..." disse ancora l'altro. 

 

"Ma... fino ai tre mesi..."

 

"Cosa?" il tono di Daniel si fece improvvisamente duro. "Non sarai anche tu un maledetto abortista? Non sarai uno di quelli che sostengono le scemenze sui grumi di cellule e che l'infanticidio è un diritto delle donne?"  

 

"No...ma dico che ..." balbettó Ed.

 

"Bene, perché odio quella gente. Fottuti macellai." ringhió, poi si calmó. "Senti...non direi nulla ai nostri genitori. Non è il momento, con il casino che c'è stato per via del tornado. Va bene?" chiese Dan.

 

"Va bene. Vuoi...vuoi parlare con qualcuno? Ti passo papá?" chiese il fratello. 

 

"Sì, dai. Grazie e... congratulazioni per la tua carriera. Ti seguo. Hai fatto una stronzata con la Nazionale, comunque." gli disse Dan.

 

"Sono scelte, fratello."

 

"Come preferisci. Per me è stata un'immensa cazzata. Ti auguro di non pentirtene." aggiunse Dan. "Passami il vecchio, forza."

 

🎋🎋🎋

 

Kaito rovesció una delle panche che si erano capovolte col vento e si sedette sopra. 

 

Rimase a contemplare lo spettacolo dei suoi laghetti trasformati in stagni pieni di fango. Alcune carpe erano sopravvissute e le aveva trasferite nella conca sotto la cascatella, dove l'acqua era pulita. 

 

Un gran bel cataclisma, che faceva il paio con quello dell'anno precedente. Era assodato che Tokyo fosse area a rischio tornado ma ogni volta che se ne presentava uno, era una maledetta seccatura, specie per chi possedeva un giardino così elaborato e pittoresco.

 

Vide Ed che, chino sotto a una fontanella sishi-odoshi, provava a rimettere insieme i pezzi di bambù. 

 

 

 

"Lascia perdere. È da buttare." gli disse.

 

"No se ci provo...riesco a rimetterla insieme..." rispose Ed.

 

"È rotta, Ed. Ne compreró un'altra..." replicó il padre. "Che ti ha detto tuo fratello?"

 

"Quello che avrà detto anche a te, immagino." rispose Ed, rimanendo sul vago.

 

"Ma voi due siete più in confidenza. Con te si apre maggiormente.  Qualche novità che io non so?" insistè Kaito.

 

"Papà...no." rispose Ed. 

 

Kaito fece un sospiro. "Siete coalizzati contro di me. Lo immagino."

 

"Nessuno è contro di te, smettila. Ma non ho niente da rispondere." fece il figlio. Aveva promesso al fratello che non gli avrebbe fatto accenno al problema di Sandra, e intendeva onorare l'impegno.

 

"Sciocchezze. Ignoro il motivo di questo mistero da parte tua, ad ogni modo sono contento che rimani per le vacanze. Come vedi, c'è da fare qui. Mi aiuterai." rispose il padre.

 

"Non credo di rimanere tutto Luglio. Ho intenzione di andare alla cascata di Nachi tra qualche giorno. E lì rimarró." lo informó Ed. 

 

 

 

"A fare che laggiù?" s'incuriosì Kaito.

 

"Ad allenarmi a karate. Ho trascurato la pratica ultimamente. Voglio riprendere." rispose Ed.  

 

"È pericoloso quel posto. Perfino per uno abile come te.  E sei fuori esercizio. Puoi allenarti nel dojo, qui da noi." replicò Kaito.

 

"No. Ho bisogno di silenzio. Lì, è perfetto. Mi devo concentrare." replicó Ed.

 

"Devi fuggire da qualcosa. Quando ti isoli, significa che soffri." ragionó Kaito. "Che succede, ancora perso dietro a quella ragazza bianca?!"

 

"No. Lei non c'entra." replicó Ed, seccamente.

 

"Combinato qualche guaio a Yokohama?" chiese ancora Kaito.

 

"Ho bisogno di stare solo." disse Ed, sviando la domanda. Si avvicinó al padre. "Non sei contento? Dici sempre che dovrei essere scrupoloso con i miei esercizi."

 

"Mi pare un po' eccessivo passare le vacanze sotto a una cascata. Inoltre rischi di farti male. In Agosto riprendi col calcio, no?" chiese Kaito.

 

Ed lo guardó. "Mi stupisce che ti preoccupi. Quando ho partecipato al kumite non eri così ansioso."

 

Kaito sorrise. "Già...è che sto diventando vecchio...voi siete grandi ormai...sono preoccupato per il vostro futuro... per il futuro del nostro sangue."

 

"Cioè?" 

 

"Non ho ancora nipotini. Mi rattrista." rispose Kaito.

 

"Beh...vedrai che arriveranno..." replicó Ed, a disagio.

 

"Non da tuo fratello. Sua moglie è infertile. Ero contento quando l'ha sposata, figlia di amici... educata come giusto che sia... ma il suo ventre è un campo che non dà frutti." 

 

"Non dire così! Sandra soffre per questo!" s'innervosì Ed. "Loro stanno male"

 

"Ah ecco... ti irriti perché il grande segreto è questo! Ci hanno riprovato ed è andata male. L'ho capito sentendo la voce di Dan al telefono. È così, eh?" chiese Kaito, incrociando le  braccia sul petto.

 

"Ti ripeto che Dan e sua moglie soffrono molto. Almeno lasciali stare." rispose Ed. "Non è colpa loro."

 

"Non mi resta che riporre le speranze in te. Da te avró un nipote, spero." disse Kaito. "Guarda qui....dovremo ricostruire tutto... e per chi? Per lasciare tutto a chi? C'è bisogno di un erede Ed. Poi, tra poco apriremo la nostra scuola, io e Yonekura. Sarà impegnativa, ma renderà molto bene. Avrebbe un fior di eredità tuo figlio."

 

"E se avessi una bambina?" chiese Ed. 

 

"Gli dèi non sarebbero così ingiusti." rispose Kaito. "Un figlio, Ed. Vuoi dare la più grande gioia a tuo padre?  Non ora, certo. Ma guardati in giro. Inizia a pensarci."

 

"Ci avevo già pensato...."

 

"Bah. Lascia perdere le straniere. Ci sono ragazze bellissime giapponesi. Delicate, rispettose, come tua madre. E la nostra famiglia è venuta bene." rispose Kaito. "Chi troppo vuole, sappilo, rischia di bruciarsi. È essenziale costruire nel proprio cammino, ma con accortezza. Tempo al tempo. Ponderando bene ogni cosa, a cominciare dalle persone che scegliamo di fare entrare nel nostro piccolo mondo. Quella...quella bionda non andava bene per te. Non ti amava, l'ho capito. Ed è andata infatti come avevo previsto." 

 

"E a te non fa che piacere." rispose Ed.

 

"Mi fa piacere che tu non abbia  perso eccessivo tempo con una cosi." sorrise Kaito. 

 

"Invece stavo bene con lei, ma..." provó a dire Ed, poi si bloccó. Suo padre non era mai stato un confidente per lui, era inutile parlagli, presentargli il suo punto di vista.  Lui ne aveva bisogno, peró, perché della sua faccenda con Marty non aveva fatto cenno a nessuno.  Non aveva un migliore amico, l'unico che sentiva vicino era Mark, che era anche la causa di tutti i suoi dolori in quella specifica questione.  

 

"Ma...?"

 

"Ma lei ha scelto un altro. È innamorata di Mark." confessó infine.

 

"Lenders?" chiese Kaito. "Il capitano della tua squadra?"

 

"Sì. E credo che lui le voglia bene quanto me."

 

Kaito spostó lo sguardo verso lo stagno davanti a sè,  senza replicare. Rimase così, in silenzio, per un bel po'. Sembrava perso in chissà quale ragionamento profondo. Poi si grattò la barba ben curata. "Beh...si puó capire perché a Mark interessi una così."

 

"Cosa vuoi dire?"

 

"Quel ragazzo è senza padre. Conoscevo di vista Hiroshi Lenders. Brav'uomo, stakanovista nel lavoro. Uno che rimaneva fino a tardi perfino la domenica sera a fare i conti della sua impresa.  Legatissimo ai figli. Un tipo tutto d'un pezzo. Più furbo che abile negli affari, ma la sua ditta funzionava. Con lui vivo, Mark avrebbe avuto una vita diversa. Non sarebbe stato costretto a lavorare da piccolo, ah sì...conosco la storia penosa di quella famiglia. Il ragazzo era un teppistello quando eravate ragazzini, vero? Sempre in giro a fare risse in quel suo ghetto, se non si allenava...."

 

"Mark non era un bullo. Ha molta grinta, tutto qui." replicó Ed. 

 

"Eppure prendeva a pugni gli avversari in campo, rompeva le gambe a chi si trovava di fronte a lui nelle azioni di gioco. Credi che non lo sappia? Sono venuto a qualche riunione degli insegnanti coi familiari, alla tua vecchia scuola, sentivo i commenti dei genitori...non era ben visto." raccontó Kaito. "Tutto perché è cresciuto senza una guida. E si è fatto irretire da quella occidentale smorfiosa. Ma con Hiroshi vivo...sai dove sarebbe finita..." 

 

"Non voglio ascoltarti. Vado ad aiutare mamma." lo interruppe il ragazzo.

 

"Ed, credimi. Ti è andata di lusso, che quella si sia levata di torno. Lascia che se la becchi il giovane Lenders. Se è furbo come suo padre, saprà cosa farsene, di lei." gli gridó dietro Kaito. 

 

E poi tornó a contemplare il suo giardino sottosopra. "Maledizione... che accidenti di lavoro mi aspetta."

Ritorna all'indice


Capitolo 76
*** Visite ***


 

L'odore dell'ospedale le fece venire i brividi.

 

Odiava quell'odore, di disinfettante, e di ambienti igienizzati, perché ci aveva convissuto per una settimana, quando si era fatta male al polso quattro anni prima.

 

Si auguró che la visita alla signora Lenders non fosse troppo lunga.

 

Marty aveva insistito per acquistare un mazzo di fiori da portare in omaggio alla donna, e Naty aveva suggerito una composizione di fiori di loto, che tanto piacevano a sua madre. Mark non aveva detto niente, ormai rassegnato ai continui regali della ragazza alla sua famiglia. E poi, non voleva discutere davanti ai fratellini.

 

La trovarono in piedi davanti alla finestra, in vestaglia. 

 

Si giró subito. "Oh finalmente! Bambini!!"

li accolse aprendo le braccia, ma un giramento di testa le fece quasi perdere l'equilibrio. Si sedette sul letto.

 

"Mamma, attenta!" esclamó Ted.

"Stai bene??" chiese Naty. Poi corse ad abbracciarla, seguita da Matt. 

 

"Si... solo che mi hanno appena fatto un'iniezione, sono un po' sotto sopra. Mark! Come vanno le cose a casa?? ... oh Marty, ci sei anche tu? E che magnifici fiori!" rispose Anne. 

 

Tutti le si fecero attorno. Marty pose il vaso sullo scaffale vicino al letto. "Buongiorno signora! Sua figlia mi ha detto che le piacciono i fiori di loto. Come sta?"

 

"Molto meglio, davvero! Quelle cure che hanno deciso per me stanno portando ottimi benefici. Il dottor Amakasu sostiene che i valori del sangue si stanno riequilibrando..."

 

"Bene. Ma dovrai rimanere altri dieci giorni almeno..." commentó Mark.

 

"Già." ribattè la donna. "È dura per te, vero? Fare tutto da solo." 

 

"Marty sta da noi. Ci aiuta. Ha fatto le pulizie, cucina per noi e ci ha comprato una tv!!" le disse Naty. "Stiamo bene, mamma. Non ti preoccupare!"

 

La signora sembró colpita. "Non mi aspettavo di trovarvi così sereni. Ero inquieta, credevo foste in difficoltà." guardó la ragazza. "Stai facendo moltissimo.  Più di quello che dovresti. Non so come ringraziarti!" 

 

"Non è un problema. La scuola è finita, gli allenamenti pure... e per Luglio non avevo programmi. Poi i miei non ci sono, tornano domani. Al momento non ho nulla da fare." replicó Marty.

 

"Non vai un po' al mare?" chiese Anne. 

 

"Ehm...sì...forse vado sull'isola Ishigaki. I miei cercano una casa in affitto lì per Luglio e credo anche Agosto. Peró io...non so." rispose Marty.

 

"Vicino a Okinawa. Tu pensa che ironia...." commentó Mark.

 

Marty lo guardó di traverso. "Non ho deciso. Cioè io avrei anche gli allenamenti in stage per Agosto con una squadra professionistica. Ieri mi hanno mandato una mail con l'offerta, devo firmarla e rimandargliela. Ho accettato, intanto. Credo staró qui a Tokyo per buona parte dell'estate." rispose lei.

 

"Farà caldo...." obiettó Anne.

 

"Beh... mica tanto! Questo ciclone ha portato un po' di aria fresca." replicó l'irlandese.

 

"Ma non credo ce ne sarà un altro. A proposito, che è successo a casa nostra?" volle sapere la signora, rivolta al figlio maggiore. Mark la informó dei lievi danni e dei problemi più gravi di Shigheo.

 

"Oh no...povero..." s'impressionó la donna. "Nel nostro quartiere cose del genere sono sempre un problema."

 

"Comunque io oggi torno a casa. Devo anch'io vedere che è successo da noi. Signora, ho già lavato le lenzuola del letto matrimoniale, sono stese. Magari un altro giorno passo da casa vostra e le stiro." s'inserì Marty. 

 

"Ma che dici?!  Non sei affatto tenuta a sbrigare le faccende a casa nostra. Ci penserà Mark...e i bambini!" ribattè la signora. "Vero?"

 

"Sì, anche se avevi detto che saremmo andati all'Acquapark...." brontoló Ted.

 

"Ci andremo, ci andremo...ma non adesso. Dopo il ciclone l'avranno chiuso...ma ci andremo!" promise lei.

 

Successivamente, i figli aggiornarono la madre sull'andamento delle cose di scuola, dei loro vari impegni e di come si sarebbero organizzati nei giorni a venire. 

 

Marty si sentì di troppo e uscì in corridoio.

Vide un distributore di bibite e caffè, e si prese un' aranciata in lattina.  Si avvicinó a una finestra aperta, e guardó fuori. Quel panorama grigio e industriale riuscì ad intristirla: effettivamente aveva bisogno del mare, di calpestare la sabbia e sentire il verso dei gabbiani. Non sarebbe stata una vera estate, senza mare. Si poteva prendere il treno e andare alle località marittime di Kamakura o Chiba, magari poteva portarci i bambini Lenders, anzichè accompagnarli in una piscina pubblica.  Si sarebbero potute fare molte cose, se solo Mark non fosse stato così ostico nell'accettare il suo aiuto. 

Aveva alzato gli occhi al cielo perfino dal fiorista. 

 

Si appoggió all'infisso della finestra e chiuse gli occhi. Era bello vagare con la fantasia, quando la realtà attorno a lei non le piaceva. Immaginare lei e Mark finalmente uniti, liberi di volersi bene, su una spiaggia. Rincorrersi, prendersi in giro affettuosamente e poi crollare sulla sabbia e rimanere così, in silenzio abbracciati in riva al mare. 

 

Ma non sarebbe successo.

Forse sarebbe successo con la signorina Akamine, ma non con lei. Forse era già successo. Ricominció a sentire l'ansia e il nervoso fin sotto pelle. 

 

Non sapeva più cosa fare: aspettare era inutile, farsi avanti era inutile, tentare la strada della mortificazione dell'avversaria, era addirittura dannoso.  Tanta era l'ansia di fare suo Mark che ormai non ragionava più e comprese in quell'attimo cosa doveva aver provato Ed, per la faccenda di Benji.

 

Era una sensazione così frustrante desiderare qualcuno e vederselo soffiare via, da far venire davvero voglia di rapirlo e chiuderlo a chiave in qualche luogo.

Sei mio e se non puoi essere mio nessun'altra ti avrà. 

Piccolo problema: esisteva anche la volontà dell'altro. L'amore non era un diritto di possesso e nemmeno un capriccio. 

 

Si chiese come stesse Ed. Probabilmente il bel giardino di casa Warner era andato tutto all'aria. Immaginó il padre imprecare in tutti i dialetti di Tokyo e ció la fece almeno sorridere. E la povera Sakura doveva essere piena di lavoro in quei giorni.

 

"Mia madre ti vuole parlare." sentì Mark dirle, dietro di lei.

 

Si giró. 

"Va bene." 

 

"Non dirle cose che possano turbarla, intesi? Niente sciocchezze." l'ammonì lui. "Sai a cosa alludo."

 

"Non ti devi preoccupare, non sono venuta a fare casini." rispose Marty.

 

"Detto da te, non so se crederci." sorrise il ragazzo. "Io e i bambini aspettiamo qui."

 

Con un'occhiata carica di derisione, si accomodó su una sedia, mentre i fratelli si presero degli snack dalle macchinette. 

 

Marty entró di nuovo in quella sala asettica. La signora era stata messa in una camera singola, molto attrezzata. Tutto l'ospedale era ultra-moderno, e Marty si chiese quanto costasse una giornata di degenza lì. Per discrezione, non aveva chiesto a Mark in che modo intendesse pagare le cure, ma era un problema concreto.

 

"Allora? Contenta di aver rivisto i suoi figli?" chiese alla donna, seduta sul letto.

 

"Sì, sono sollevata di non vederli spaventati.  E adesso, anche di non essere un peso per Mark." rispose Anne.

 

"In che senso?" chiese la giovane.

 

"Ho saputo che qualcuno si è fatto carico di tutte le spese, Mark ha accettato un grosso prestito da un amico." sorrise Anne.

 

"Chi?" 

 

"Ed Warner.   Giuro che quel ragazzo ha un'anima d'oro. Ci ha prestato una parte dei soldi guadagnati giocando a Yokohama. Abbastanza da coprire tutto, che gli dèi lo abbiano in gloria!" spiegó commossa la donna.

 

Marty rimase a bocca aperta. "Ed? Davvero? Davvero...?"

 

"Sì, è venuto l'altro giorno, non è entrato qui ma lui e Mark si sono visti fuori,  e gli ha offerto aiuto. Sembra l'intervento di un angelo, non trovi?" raccontó Anne.

 

La ragazza non rispose. Sentì un grande turbamento, seguito  da una tenerezza infinita per il suo ex, che in quella circostanza aveva mostrato il lato migliore. Capitava con Ed delle volte, usciva dai suoi malumori e pazzie per trasformarsi in un meraviglioso e generoso cavaliere.  

 

"Mark renderà i soldi a lui e anche a te, vedrete. Quando inizierà col calcio professionistico, metterà tutto a posto. Intanto peró, quello che è successo gli ha fatto capire una cosa, di cui forse non aveva mai avuto consapevolezza..." disse Anne.

 

"Cosa?"

 

"Di avere degli amici." replicó la donna.  "Tu e Ed siete veri amici per lui."

 

"No, vede..." si schermì lei. "Io faccio solo quello che mi dice la coscienza. Quando ho sentito Naty piangere al telefono, non ho potuto fare finta di niente. Credo fosse doveroso aiutarvi."

 

"E il senso dell'amicizia è questo. Aiutare chi ha bisogno, accorrere subito. Tu e Ed siete persone buone." aggiunse Anne. "Mark è fortunato ad avervi."

 

Marty guardó a terra.

 

"Senti ancora Ed?" chiese la donna.

 

"Mi ha chiamata una volta, ma...no, non ci sentiamo con regolarità." rispose Marty, fissando le scarpe. 

 

"E perché non riprendete i contatti? Sono certa che ti pensa ancora."  disse Anne.

 

"Ecco...so che vorrebbe rimettersi con me. Ma non si puó stare con una persona...se si è innamorati di un'altra." confessó lei.

 

Ci fu silenzio.

 

"...Mark?" chiese Anne.

 

Marty annuì. 

 

"E come si comporta mio figlio, con te?" indagó la donna. "Ho avvertito un po' di tensione. Lui sa che tu...?"

 

"Lo sa. Ma la cosa non è corrisposta, signora. C'è un'altra ragazza in ballo...ricorda che ne avevamo parlato..." disse lei, con uno sforzo. "Credo che con quella persona di Okinawa le cose si stiano facendo serie. E io, non posso che tirarmi indietro."

 

Anne rise di gusto e poi si portó una mano alla testa, per una fitta. 

 

"Cosa c'è?" chiese Marty confusa.

 

"Scusami, ma....c'è che tu non hai capito proprio niente di lui." rispose Anne. Sorrise.  "Se credi che conquistare Mark sia facile come  con un altro....oh, quanto ti sbagli. Ti dissi che lui mostrava una grande simpatia per te, e questo era un ottimo punto di partenza. Dovevi insistere su quella strada, e invece ti sei lasciata catturare dalla  gelosia. Questo lo ha disturbato: non si puó incatenare uno come lui. Non ci sono riusciti mai i suoi allenatori, nè i compagni, nè gli avversari. Quello che puoi fare è dargli la parte più luminosa di te, quella che gli è piaciuta tanto quando ti ha incontrata. Lui è abbastanza musone di suo, non vorrebbe mai una compagna come lui. Ha bisogno di una persona diversa da lui. Che gli faccia vedere il lato positivo della vita. Ecco, ti dissi anche che quella ragazza lontana lo aveva colpito per la sua personalità spensierata. Capisci che questo lo attrae?" 

 

Marty fece no con il capo.

"No, non comprendo.   Peró guardi, ormai non è più un problema. Prima o poi ci si rassegna."

 

"Lo sai che mio figlio non ha avuto una vita facile. Non ritieni che si meriti un po' di gioia, di leggerezza? Anche se non lo ammette, credo sia arrivato a un punto in cui voglia iniziare a vivere la parte dolce della sua esistenza. Non pensi che ne abbia diritto?" chiese ancora Anne. "Ha diciotto anni. È ancora un ragazzo."

 

Marty sollevó lo sguardo. "Certo. Probabilmente io non sono la persona giusta per dargli queste emozioni. Questo penso."

 

"Tu non sei perfetta per lui, e probabilmente lui non lo è per te. Ma come farete a scoprirlo, se non vi date una possibilità?" le disse la donna. 

 

"Mark ha in mente un'altra." ripetè Marty con ostinazione. "E la prova è che mi respinge. Mi sono avvicinata a lui, anche ieri. Ci ho provato. Mi respinge."

 

"Forse non lo fai nel modo giusto." ribattè la signora.  "Non tentare di domarlo o prenderlo per la coda, perché non te lo lascerà fare. Dovete solo andarvi incontro con semplicità. Come stavate iniziando a fare." 

 

"È difficile con suo figlio. È davvero dura." commentó Marty. "È come...non so, come tentare di scardinare una porta blindata!"

 

"Sei così rinunciataria? Eppure in quella partita ti ho vista combattiva. Sembravi lui. Sembravi la versione femminile di Mark." rispose Anne.

 

"Magari. Comunque, torneró a casa vostra senz'altro. I suoi figli si aspettano che li porti a divertirsi in piscina. Daró un occhio io a tutto." aggiunse Marty.

 

"Dammi retta. Prendi mio figlio dal verso giusto e vedrai che andrà tutto come deve andare." disse Anne. "Siete così giovani!"

 

Marty sorrise amaramente. "Ci provo. Arrivederci, signora Lenders. Stia bene." Ció detto, si mise la borsa in spalla, e fece per uscire. Poi un pensiero la fermó. "Posso chiederle... quando ha capito di essersi innamorata di suo  marito?"

 

"Di Hiroshi? La prima volta che siamo usciti insieme. Mi diede appuntamento in un parco e io lo feci aspettare un po'. Credevo fosse arrabbiato, ma quando arrivai mi accolse con un bellissimo sorriso. Era felice di vedermi tanto quanto lo ero io. Poi quando mi avvicinai mi pizzicó la punta del naso e mi disse: sei arrivata, Chīsana Gaichu."

 

"Cosa vuol dire?"

 

"Piccola peste. È un aneddoto che racconto sempre ai ragazzi." replicó Anne. "La vita l'ha portato via, ma ci siamo amati molto."

 

Marty sorrise. "Lo credo. Siete stati fortunati. Nonostante la disgrazia, vi siete incontrati. Deve essere bello amare così."

 

"Eh già. Ma ripeto: bisogna impegnarsi, volerlo. Auguri, cara."

 

"Grazie. A presto." rispose Marty, e stavolta uscì davvero.

Ritorna all'indice


Capitolo 77
*** Brivido ***


 

Marty entró nel giardino di casa sua, e osservó sgomenta la situazione: come aveva temuto, il tavolino, le sedie, diversi vasi erano stati rovesciati. 

 

Il dondolo era ancora in piedi, perché la sua struttura pesante aveva retto alle raffiche. Anche il salice era rimasto saldo, a parte qualche ramo staccato. 

 

La casa, da fuori, non sembrava aver subìto danneggiamenti. Entró e accese le luci: era tutto in ordine. Le finestre erano un po' sporche per via dell'acqua piovana entrata dalle fessure delle persiane, ma non sembravano esserci state infiltrazioni. 

 

Un'ora prima, Mark si era offerto di accompagnarla a casa. 

 

«Dovrei venire con te?» le aveva chiesto. «Lascio i bambini ancora un po' in ospedale?» 

 

Marty si era stupita. «E perché dovresti?»

 

Lui aveva scrollato le spalle. «In caso tu avessi bisogno di aiuto per sistemare qualcosa.»

 

«No, non ti disturbare. Non ci saranno danni, forse un po' di confusione in giardino. Tu porta a casa i bambini, devi preparare anche il pranzo. Io me la cavo.» 

 

A quella risposta, lui aveva desistito. Sembrava che la sua offerta fosse un modo per sdebitarsi, visto il grande lavoro che lei aveva fatto per la sua famiglia. Ma Marty non se la sentiva di portarlo a casa sua, dato che la situazione fra loro due era ancora abbastanza tesa. Erano rimasti comunque d'accordo di accompagnare i suoi fratelli a divertirsi da qualche parte al mare o all'Acquapark, uno dei giorni a venire, anche perché in città faceva davvero molto caldo.

 

La giovane, vedendo il caos sul porticato e sul prato, un po' si rammaricó di non aver due braccia in più a disposizione. 

 

Andó a ispezionare tutte le stanze, e notó che in segreteria c'erano messaggi memorizzati. Erano addirittura quindici.

 

Si preoccupó: chi poteva averla chiamata così tante volte? 

Premette ascolta.

 

Il primo vocale, era di una operatrice di call center, che voleva proporre un nuovo abbonamento wi-fi. Lo cancelló.

 

Il secondo, era di un collega di suo padre. Lo lasció memorizzato.

 

Il terzo, fu un messaggio silenzioso: si sentiva solo un sospiro, e poi il chiamante aveva riattaccato. Era una telefonata anonima, non compariva alcun numero sul display dell'apparecchio.

 

Il quarto messaggio fu quello che inizió a spaventarla. Era una voce femminile, e disse: sei solo una stronza, una stupida stronza. 

 

Aveva già udito quel timbro di voce, ma in quel momento non riuscì a ricordare dove, e quando. Lasció andare il nastro registrato e arrivó il quinto vocale, ancora più cupo: tu non sai niente di quello che c'è fra me e lui...non puoi capire, è come un'attrazione a cui non si resiste. Tu non c'entri niente. Niente, capito?

 

Marty deglutì, e senti che la pressione le stava scendendo sotto al livello di guardia. Ma non era finita.

 

Tu pensi solo per te stessa, sei una stupida, stupida puttana! 

 

La voce continuó con altri messaggi, promettendole fra un ringhio e un lamento che se non si fosse levata di mezzo sarebbero stati guai per lei. 

 

Lui ci ha provato, sai, ci ha provato a lasciarmi ma non ce l'ha fatta...perché ci apparteniamo, ormai... e tu lo accetterai che ti piaccia o no.

 

Marty, che tremava, provó a mettere a fuoco quella voce e in un lampo della mente pensó fosse Maki Akamine. Chi altri poteva essere? Quella parlava di un lui, di un ragazzo di cui non faceva il nome, ma che evidentemente  era nelle sue ossessioni. Uno che in qualche modo doveva essere legato anche a lei, Marty.  Maki era forse decisa a tirar fuori le unghie, dopo un'apparente rinuncia a ogni polemica? Io minaccio te, tu minacci me e vediamo chi la spunta in questo grottesco tira e molla. 

 

Ma si erano sentite per telefono, lei si era scusata... insomma, Mark l'aveva costretta a scusarsi con quell'altra. In teoria, doveva essere tutto chiuso, risolto. 

 

E poi... poi quella non era la sua voce. E non era il suo accento, era una parlata più raffinata... come se la persona avesse fatto corsi di dizione. Marty non era una giapponese madrelingua, ma aveva ormai imparato a riconoscere un modo di parlare impostato da uno che non lo era. 

 

Arrivó all'ultimo messaggio, che era stato lasciato proprio quella mattina, mentre lei era in ospedale. 

 

Conosco il tuo indirizzo.

 

Fine. E quella frase lapidaria, con la vaga minaccia che conteneva, ebbe l'effetto di farla piangere di paura. Si mise le mani in testa e andó a sedersi sul divano, mentre centinaia di pensieri sconnessi le si accavallavano nella mente.

 

Ma Dio santo cos'ho fatto di male? Chi è questa pazza, cosa vuole? 

 

I suoi genitori sarebbero tornati il giorno dopo, ma c'era ancora una notte da trascorrere per conto suo. E là fuori qualche misteriosa squilibrata l'aveva presa di mira. Sentì quasi l'urgenza di correre a casa Lenders e chiedere nuova ospitalità. 

 

Eppure io conosco questa voce. 

 

Si alzó e tornó alla segreteria telefonica, per riascoltare ogni singola frase registrata. Alzó al massimo il volume dell'apparecchio e risentì ciascuno di quei messaggi deliranti per cogliere un'inflessione, un particolare che rivelasse chi fosse quella stalker. 

 

Fu l'ultimo messaggio, quello in cui le diceva di conoscere il suo indirizzo, a darle un aiuto. 

 

Si sentiva in sottofondo la voce di uno speaker all'altoparlante, poteva essere un annuncio in aeroporto, o in una stazione.

 

Provó a concentrarsi su quello che diceva quello speaker, e le sembró comunicasse un orario, seguito da una destinazione. Ascoltó e riascoltó fino a che colse le frasi: il treno con destinazione...partirà da... e poi una parola confusa, e coperta dalla voce della tizia. 

 

Riavvolse il nastro e provó di nuovo, stringendo gli occhi in uno sforzo di concentrazione. 

 

Il treno con destinazione (incomprensibile) partirà da Yokohama alle 15:30

 

Yokohama.

 

Marty conosceva solo una persona legata alla città in questione, ma non riuscì a collegare Ed a tutto fino a che non le sovvenne quello che le aveva detto al telefono, dopo la sua finale di volley.

 

(Anch'io ho una storia a Yokohama...la frequento per passare il tempo...)

 

"Non è possibile..." mormoró.

 

Peró, era perfettamente plausibile. Si ricordó anche di come lei lo avesse rimproverato per essersi portato a letto una che non amava. E se la tizia avesse scoperto che Ed era innamorato di lei, Marty, e avesse raccolto informazioni, come il suo numero o indirizzo, in un impulso incontrollabile di gelosia? Poteva capirla, lei stessa aveva fatto una scemenza simile con quella di Okinawa. Era addirittura andata a cercarla su internet. 

Non c'erano limiti a quello che poteva fare una persona in preda a quel genere di delirio. 

 

Decise di chiamarlo, perché la faccenda andava chiarita.

E poi, aveva un'altra cosa da dirgli. 

 

🎋🎋🎋

 

"Questa sì che è una sorpresa." disse Ed al cellulare, quando rispose. "Se mi chiami, due sono le cose: sei in pericolo di morte o ti sei riscoperta pazza di me."

 

"Non la seconda, ma sulla prima potresti aver ragione. Ciao Ed." lo salutó Marty.

 

"Che succede, stavolta? Di nuovo a casa da sola?" aggiunse Ed, felice di risentirla. "Bello vedere il tuo nome che lampeggia sul mio telefono. Pensavo non sarebbe più successo."

 

"E perché? Non ce l'ho con te. Non c'è guerra fra noi." replicó Marty.

 

"Già...comunque, cosa ti è capitato?"

 

"Senti, ascolta questo e dimmi se riconosci la voce." gli disse la ragazza, avvicinando il telefono all'apparecchio della segreteria. Fece partire il nastro, con tutti i messaggi in sequenza. Volle che Ed li ascoltasse uno ad uno. Si accorse che la sua mano tremava.

 

Poi spense la segreteria, e si portó di nuovo l'Iphone all'orecchio. "...allora? Che mi dici?"

 

Ci fu un lungo silenzio dall'altra parte.

 

"Ed...ci sei?"

 

Udì un lungo respiro, poi: "Sì, ci sono." di nuovo una pausa. "Mio Dio."

 

"Allora sai chi è?? Chi mi ha chiamata??" quasi gridó Marty.

 

"Lo so, purtroppo. È una lunga storia..." e poi ancora silenzio.

 

"Ma... è quella di cui mi hai parlato, quella ragazza che frequenti a Yokohama?!" 

 

"Sì." fu la breve risposta. "Non posso crederci."

 

"...ma sei a Tokyo, ora?" chiese ancora Marty, ansiosa di sapere di più.

 

"Sto dai miei, fra una settimana volevo partire per una località in cui mi allenavo a karate anni fa." spiegó Ed, con la voce bassa. Era molto turbato.

 

"E che vuole questa tizia da me? Che cos'è ... una specie...una specie di malata di mente??" insistè Marty. "In cosa ti sei ficcato, Gesù Cristo santissimo!"

 

"Credo che dovremo vederci. Ci sono cose di cui a questo punto devi essere messa al corrente.  Quella è una persona particolare,  infatti ho rotto con lei. Per questo è furiosa. Come abbia fatto a rintracciati, solo i démoni lo sanno." rispose Ed.

 

"Ma...ma che vuole fare? Venire qui?!" chiese Marty.

 

"No, non credo si spingerà a Tokyo. Sono solo minacce fasulle." rispose Ed. "Sei a casa, posso passare adesso?"

 

Marty sospiró. "Sì...sì, vieni qui. Mi è venuta una paura fottuta."

 

"Ok, fra venti minuti. Vengo in macchina." disse Ed. "Ti serve qualcosa?"

 

"Solo spiegazioni. E meglio per te se saranno esaustive, Ed." 

 

"Mi...mi dispiace, credimi." mormoró lui.

 

"Ho perso il conto di quante volte mi hai detto questa frase: mi dispiace. Ma questa volta ti sento spaventato. Allora la faccenda è grave." replicó lei.

 

"Ho fatto un errore. Adesso devo pagarne il conto, con tutti gli interessi. Ma ti spiego meglio di persona." rispose Ed. "A dopo."

 

Riattaccó.

 

Marty andó alla finestra e guardó fuori. Da quella posizione, riusciva a vedere un pezzo di strada, oltre il loro recinto ornato con una folta siepe. 

 

Le parve di vedere una persona sbirciare tra i cespugli, per guardare dentro. 

Capitava a volte: il loro giardino era invidiato dai vicini, perché Joanne si era impegnata molto per coltivare aiuole e cespugli che davano un tocco di colore all'interno.  Avevano sorpreso qualcuno a fare foto, spesso.

 

Rimase a fissare quella figura nascosta dalle foglie, che stranamente non si muoveva. Eppure non era una visione, lì c'era proprio qualcuno. 

 

Sentì il telefono di casa suonare e sobbalzó dallo spavento. 

 

Andó a rispondere, disattivando la segreteria. "Pronto?"

 

Si udì un click immediato. 

 

Suo padre le aveva detto che quello era un metodo che a volte usavano i ladri per sapere se c'era qualcuno in casa. 

 

Un'ondata di adrenalina la percorse in lungo e in largo.

 

Guardó disperatamente l'orologio. 

Venti minuti ed Ed sarebbe stato lì. Le parvero un'eternità. 

 

Tornó alla finestra, e nel contempo afferró un coltello lungo e affilato, quello che sua madre usava per tagliare le verdure. 

 

La persona dietro alla siepe non c'era più. L'ombra era sparita.

 

Con un brivido, si rese conto che, quando era rientrata, non aveva riattivato l'allarme perimetrale, e nemmeno chiuso a chiave la porta. Tanta era l'ansia di vedere se la casa era in ordine che aveva lasciato tutto aperto. 

 

"Cazzo." 

 

Dalla cucina, corse a chiudere la porta d'entrata e cacció un urlo improvviso che riecheggió in lontananza.

 

Elise Sawyer era entrata in casa sua.

Ritorna all'indice


Capitolo 78
*** Paura e delirio a casa Laughton ***


Le due ragazze, Marty Laughton e Elise Sawyer, erano una davanti all'altra nel salotto della villa.

La bionda era paralizzata: avvertiva solo minuscole gocce di sudore che lentamente rotolavano dalla base del collo lungo tutta l'arcata della schiena.
Davanti a lei, una giovane forse sua coetanea, che indossava una salopette a righine azzurre e avevi i capelli neri come la pece e lisci, sciolti fino alle spalle. Sembrava uno di quei personaggi di certi film horror, quelli che saltavano fuori dalle televisioni e aggredivano gli umani terrorizzati.
Marty vide nello sguardo di lei la totale e angosciante assenza di lucidità.
Vide anche che in mano aveva qualcosa, una scatoletta nera, e sulle spalle uno zainetto da scampagnata.

"S-s-sei entrata in un'abitazione privata. Hai commesso un crimine. Q-q-qui fuori nella strada ci sono telecamere di sorveglianza. Ti consiglio di andartene." balbettò l'irlandese, provando a dialogare con quella strana persona.

"Ecco la nostra strega direttamente dall'Europa."  rispose Elise, quasi non avesse sentito. "Ci tenevo proprio a incontrarti. Mi duole dirti, che sei la ragione di un mio grave conflitto personale. Devo trovare una soluzione."

"Tu sei la ragazza che mi ha lasciato tutti quei messaggi in segreteria, non è così?" rispose Marty, portandosi vicino al grande e rotondo tavolo in ciliegio e cercando con gli occhi la più vicina via di fuga. Aveva capito di non poter comunicare con quella, perché era già passata da una situazione simile. Lo sguardo vacuo di chi c'era davanti a lei era lo stesso che aveva mostrato Ed, quella sera in cui l'aveva chiusa nel suo pied-a-terre e l'aveva spaventata. Lì  in quel salotto, non c'era nessuno con cui ragionare. L'unica cosa da fare, e in fretta, era allontanarsi e cercare aiuto.

" Sono la compagna di Ed Warner, che credo tu conosca. O meglio, sarei la sua ragazza, se nella sua mente ahimè non ci fossi ancora tu. Ma questa è una cosa che io non posso concederti. Perché l'unione fra me e lui è stata decisa dall'Alto. Dio, ci ha fatti incontrare. E bisogna che tutti e tre ci adeguiamo alla Sua volontà. Sei irlandese, e perciò cattolica. Sono certa che mi capisci." fu il successivo delirio di quella giovane. Si toccò il piccolo crocefisso d'oro che aveva al collo. "E sai come so che è stato il Signore a decidere che Ed sarebbe stato il ragazzo che avrei amato per sempre? Perché io prima di lui non avevo mai avuto desiderio per gli uomini. Ma le suore in collegio me l'avevano detto, quando chiedevo loro come avrei incontrato il mio futuro sposo. Mi dicevano: quando il Signore vorrà, lo metterà sulla tua strada.  E così è stato, lui un giorno è arrivato al centro sportivo di mio padre, con gli altri nuovi acquisti...io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Così il Signore me l'ha fatto capire."

Marty non sapeva cosa rispondere, nè aveva idea di come raggiungere la porta d'uscita,che era  proprio dietro a quella mentecatta. E aveva una strana sensazione riguardo all'oggetto nero che aveva in mano.

"...posa quel coltello. Non puoi farmi niente, comunque." disse l'intrusa.

"Ti ripeto che ti devi allontanare da qui. Non stai bene, e non so di che parli. Non ti denuncerò, se ti giri e torni da dove sei arrivata." replicò Marty, tentando di non sembrare spaventata.
 
 "E poi con il consenso di Dio, ci siamo uniti, se sai cosa intendo. Lui si è preso la mia innocenza, e gliel'ho concessa. E' stato tutto così giusto, e bello." proseguì l'altra, ignorando gli ammonimenti di Marty. "Speravo che ci fosse data la grazia di un figlio, ma non è arrivata. Non sono incinta... ma anche questo, sai, credo sia parte del piano divino. Non è il momento, non lo è perché...Ed non è libero. Perché ci sei ancora tu a rovinare il  nostro presente. Ma non posso lasciarti rovinare il futuro, non credi?" furono le parole della misteriosa visitatrice. Non si era presentata, nè Ed le aveva detto il suo nome.

Marty guardò di sfuggita l'orologio. Erano passati solo pochi minuti dalla chiusura della telefonata con il ragazzo. Non poteva sapere quando sarebbe arrivato.

"Senti, mi sto spazientendo. Tu sei un'intrusa, e ora te ne vai da casa mia. Mi hai capito? Guarda che non mi farò scrupoli se mi costringi a..."

"... a fare cosa? Vuoi colpirmi con quell'affare? Ti ho detto che non potresti, neanche volendo. E...oh! Che sbadata, non mi sono presentata. Io mi chiamo Elise. E il mio amico qui..." sollevò quell'aggeggio che teneva in mano. "...il mio amico si chiama taser.   Ehm...ti devo spiegare cos'è?"

Marty lo sapeva, ma non riuscì a trovare una spiegazione logica al fatto che una ragazza come lei fosse in possesso di una pistola elettrica, normalmente in dotazione alle forze dell'ordine, e solo a loro.

Fu Elise a darle un chiarimento. "Capisco la tua confusione. Devi sapere che mio padre, Arthur Sawyer, è un potente imprenditore. Le sue guardie del corpo sono dotate di questi giocattolini, benché in teoria solo la polizia da noi in Giappone li possa utilizzare. Ma il governo di Yokohama chiude un occhio, nel caso di personalità così in vista. Non è stato difficile rubarne uno alla security di mio padre. E perciò, meglio per te se posi quel pelapatate sul tavolo, se non vuoi beccarti una scarica da 50.000 volt sulla guancia destra."

La ragazza bionda iniziò ad aver sul serio timore per la sua vita, e mise il coltello sul ripiano lucido del tavolo. Sentì lacrime di paura riempirle gli occhi."...ma che vuoi da me?"

Elise sorrise, poi ci pensò un po' su. "Beh, devo dire che il mio piano era venire fin qui e farti capire una volta per tutte di toglierti dalla vita di Ed. Dovevi sparire, nelle mie intenzioni, non chiamarlo più, non rispondergli. Non cercare con lui alcun contatto. Volevo ordinarti questo in sostanza. Ma così non basta. Troppo facile, e comunque lui tornerebbe alla carica con te, dopo un po'. Mi sa che qui ci vuole qualche inziativa più drastica."

La ragazza europea sgranò gli occhi. "Ma che dici...che vuoi??!"

"Ricordo che chiesi a Ed di mostrarmi una tua foto.  Eri bella in quello scatto e io capii subito che non sarebbe stato facile.  Ma ho la volontà di Dio dalla mia. Nella Bibbia è scritto che i peccati capitali conducono all'inferno. Il mio è stato la lussuria. Quello di Ed, l'ira. Non ha reagito bene quando gli ho detto che potevo aspettare un figlio da lui...no...decisamente non bene...e per questo merita la sua punizione. Io ho già avuto la mia, lui avrà la sua, perdendoti, e tu...anche tu dovrai scontare una pena per il tuo peccato mortale." ormai Elise era un fiume in piena di ragionamenti assurdi e deliri personali.  Il problema era che teneva in mano un'arma con cui avrebbe potuto farle davvero male. Iniziò ad agitarla come fosse stato un giocattolo.
 
 
"Ma quale peccato, di cosa cazzo parli, benedetto Iddio??!" quasi urlò Marty.  Guardò ancora disperatamente l'orologio.
 
"Questa bestemmia si aggiunge al resto delle tue colpe. Il tuo peccato è la superbia. Con quel faccino da bianca è stato tutto molto facile per te, qui da noi. Chissà quante conquiste, a parte Ed. Ma se io ti togliessi quell'aria da principessina delle fiabe sfigurandoti? Cosa ne dici? Sarebbe una buona pena del contrappasso, credo." continuò Elise. "Il marchio del disonore. Come quello che incidevano sulla schiena dei ladri nel Settecento. Tu mi vuoi rubare Ed. Non te lo lascio fare, lurida...." ringhiò la ragazza.  Somigliava così tanto alla versione peggiore del portiere in quel momento. Era un atroce combinazione del destino che quei due fossero stati insieme.

"Ascolta. Adesso ascoltami bene, Elise. Voglio che tu mettà giù quell'affare." deglutì Marty, che non sapeva più che fare. Doveva provare a impietosirla, in qualche modo. Arrivare al cuore di quell'essere pieno di odio e follia. Doveva pur averlo, un cuore, sotto quell'ammasso di fango. "...io ti capisco molto bene. Quello che pensi possa esserci fra me e Ed è una tua fantasia. Tra noi non c'è niente, non più...ed è così perché...perché...io sono innamorata di un altro." lo disse buttando fuori il fiato, come un sub riemerso dall'acqua. "Solo che questo ragazzo che amo ha una storia con un'altra ragazza...e io soffro...come tu soffri. Lo so, vedi, lo so cosa si prova a sentirsi come...come derubati di qualcuno a cui tieni tanto. Lo so che fa malissimo e questo ci riempie di dolore e di rabbia e ci fa vedere cose che non esistono, e ci fa compiere azioni...azioni che non ci appartengono. Io posso vedere tutta la rabbia in te e la capisco..." a quel punto Mary trattenne uno scoppio di pianto. "La capisco perché è anche la mia rabbia. Ma io so di non essere cattiva, e so che anche tu non lo sei. Tu credi in Dio, come me, e chi crede in Gesù deve mettere il perdono davanti a tutto e...e ... porgere l'altra guancia...non c'è posto per l'odio nel cuore di un cristiano. Quello è un sentimento satanico."

Elise era come intontita da tutto quel discorso. L'aveva ascoltata con attenzione, e con un leggero fremito quando lei aveva confessato di essere infatuata di un altro, poi aveva tenuto gli occhi fissi nei suoi per un lungo minuto.
Quindi si grattò la fronte, e fece un sorriso triste. "Beh...io sono molto colpita da questa tua prova di sincerità. Sul serio, sai, sono impressionata. E ti ringrazio, perché adesso che hai aperto il tuo cuore a me, sarà ancora più divertente fare quello che devo fare. Porgere l'altra guancia...ci puoi scommettere che lo farai."

Marty spalancò gli occhi. "No...allora non mi hai sentito...Elise, per favore, ti prego...qualsiasi cosa tu stia pensando di fare...non farla."

Vide la ragazza giocherellare con il pulsante del taser.  "Gli insegnamenti di Gesù non sono più importanti dei Comandamenti e uno di questi è: non desiderare la donna d'altri. Credo si possa ri-adattare al nostro piccolo problema: non desiderare il ragazzo d'altre, poiché dura sarà la punizione. Amen."

Marty fece per gridare ma poi udì una macchina che lentamente parcheggiava lungo il marciapiede, fuori dal loro cancello. Riconobbe il suono del motore, e ringraziò mentalmente il Signore, il suo angelo custode e tutti i Santi.

Ed, adesso non citofonare. Entra e basta. Ti prego Signore fa che non perda tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 79
*** Destini ***


 

"Dai, lascia quell'affare sul tavolo. Non vorrai rovinarti la vita, vero?!" disse Marty, che con la coda dell'occhio teneva sotto controllo l'entrata, nella speranza di vedere presto la sagoma di Ed.  

Doveva prendere tempo.

 

"No. La mia no. Ma sono qui per capire quanto tu tenga alla tua." rispose Elise. "O meglio, per comprendere se tu sei abbastanza forte, da accettare la volontà di Chi ci governa. Non è nemmeno avere Ed o no, il punto...insomma, non sono così scema da non capire che se ti facessi del male poi lui se la prenderebbe con me..."

 

"Esatto, allora vedi..."

 

"Ma devo pur agire in qualche modo. Mio padre mi aveva mandato da mia nonna in vacanza, in campagna. Credeva mi facesse bene stare all'aria aperta, eppure io sapevo che voleva allontanarmi da Ed. Purtroppo anche mio padre non comprende il piano divino che c'è alla base di tutto. Così, ho deciso di venire io fino a te. Non è stato difficile, mia nonna non ha sollevato obiezioni quando le ho detto che sarei venuta a Tokyo per una mostra d'arte. Eccomi qui, a fare quattro chiacchiere fra donne." continuó Elise. 

Si passó una mano sulla fronte. Era un po' sudata.  In pugno stringeva ancora quel taser.  

 

Marty si chiese se sapesse effettivamente usarlo. 

 

"Hai fatto l'amore con lui??" chiese l'altra improvvisamente.

 

Marty negó. "No, no mai. Senti...perché non ci sediamo. Io credo..."

 

"Menti. Mi vorresti dire che lui è così ossessionato da te e tu nemmeno ti sei data? Non ci crederó mai..." sogghignó Elise. "Chissà a quanti altri, eh? Le conosco quelle come te...voi occidentali siete libertine e non avete sentimenti..." 

 

A Marty venne in mente Kaito Warner. Erano i suoi stessi ragionamenti.  Si trovó a pensare che al padre di Ed una come Elise sarebbe piaciuta molto come nuora.  

 

Quasi le venne da ridere.

 

"Che c'è di divertente??" sbottó l'altra. 

 

"Niente...tu accusi me di essere facile, ma fra noi due solo una si è concessa. Mi sa che sei un po' confusa." rispose lei, infine stanca di essere messa all'angolo. "Non è un comportamento che renderebbe orgogliose le suore che ti hanno educata."

 

"No, lo so. Te l'ho detto prima, io ho peccato. Per lui. Mi sono dannata per lui. Eh sì...credo che ci sia giá un posticino riservato per me all'inferno. Quindi, in realtà ció che succederà oggi qui dentro non ha molta importanza. Colpa in più...colpa in meno...è tutto già stabilito." replicó Elise. "Solo che non mi va giù... il mio amore soffre per te, ti pensa e si riempie di nostalgia...non mi sta bene, capisci?"

 

Marty vide un movimento alle spalle di Elise.

 

Ed era entrato silenziosamente in casa. Lo vide portarsi un dito alle labbra per dirle di fare finta di niente. Fingi di non avermi visto. Sssst.

 

Marty continuó la commedia. "Dio perdona tutti, se ci si mostra pentiti. Ma se tu ora mi fai del male, il tuo pentimento sarà inutile. Ascoltami,  ti prego, ascoltami. Non condannarti." 

 

Elise notó l'ombra che si muoveva dietro di lei. Si giró di scatto. 

 

Ed fu lesto ad afferarle il polso. La ragazza urló.

 

"Giù quest'affare." le ordinò. 

Marty si sorprese di quanto sembrasse calmo. 

 

Elise tentó di resistere, ma l'altro le torse il polso fino a farle male. Lasció cadere il taser. 

 

"Mi fai male! Sei corso da lei, eh??! Maledetto!!! Maledetti tutti e due!!" gridó la ragazza.  

 

Ed la spinse verso il divano e la fece cadere di schiena sui cuscini. "Tu adesso non ti muovi da qui. Chiamo tuo padre."

 

"NOOO!!" protestó Elise e fece per alzarsi e scappare fuori. Con un preciso colpo dietro il collo, Ed le fece perdere i sensi. Ricadde come un sacco di juta floscio sul sofa. 

 

"Ma... che hai fatto??" s'impressionó Marty. Corse a vedere Elise, distesa a pancia in giù.

 

"Le ho fatto passare la voglia di fare la matta...si risveglierà con un grande mal di testa. È una mossa di karate, sta tranquilla. E...Marty, mi dispiace che tu sia stata coinvolta. Non avrei mai creduto che sarebbe venuta qui." rispose Ed. "È tutto assurdo."

 

"Quella voleva friggermi la faccia!!! Ti rendi conto che ha rubato un maledetto taser!!" esclamó lei. Inizió a iper ventilare, sconvolta. 

 

"Calmati, e siediti. Vuoi un bicchiere d'acqua?" chiese Ed, imbarazzato e addolorato per tutta la situazione.

 

"No. Voglio che tu mi dica qual'è la maledizione che hai addosso, Ed. Giuro non ho mai conosciuto una persona che si circondasse da tutta questa merda! Prima facevi il pazzo con me, poi l'hai fatto in Nazionale e ora... ora spunta fuori una tua donna che è più matta di te!!" continuó Marty.

 

Ed chiuse gli occhi. "Ho sbagliato molte volte, e puó darsi che tu abbia ragione. Gli dèi ce l'hanno con me. Forse li ho offesi."

 

"Mai...mai nella vita avrei pensato di passare attraverso una cosa del genere..." si lamentó Marty. "Che hai combinato con questa? Possibile tu non ti fossi accorto che è più matta di un cavallo?"

 

"Ti giuro di no. Quando l'ho conosciuta era così timida, riservata. La classica collegiale. La trovavo perfino noiosa. Io ci sono andato a letto, non avrei dovuto. Ma mi ha incoraggiato lei.  Sembrava volesse fare solo un po' d'esperienza. Poi si è messa a parlare di matrimonio, figli, volontà divine...ed è stato allora che ho visto tutti i suoi problemi. Ho provato a staccarmi da lei, ma era tardi. E poi ha scoperto la tua esistenza, e ti ha considerata la ragione per cui  l'ho respinta." spiegó Ed.

 

"È venuta in casa mia...in casa mia!!" gridó Marty. "Cos'avrebbe fatto se ci fossero stati i miei?! Cos'avrebbe fatto se tu fossi arrivato tardi?" 

 

Ed sobbalzó. "Mi dispiace."

 

"Ti dispiace? Ma non ti rendi conto di quello che è successo qui?! Ora dovremo chiamare la polizia! Finiremo sui giornali! Lei è figlia di un uomo importante, scoppierà un casino! Saranno coinvolte le nostre famiglie...e tuo padre...oh tuo padre, lo voglio proprio vedere!!" si sfogó Marty. "Quello ti ammazza, ti fa a brandelli, Ed!!"

 

"No, senti. Non chiamiamo nessuno. Ci penso io." la rabbonì Ed. "Avviso Arthur Sawyer. Manderà qualche suo ragazzo a prelevarla da qui. Non vorrà pubblicitá negative. Non ti preoccupare. Anzi, fammi chiamare subito."

si alzó dalla sedia e uscì in giardino col cellulare. 

 

Marty si portó le mani alle tempie, e riflettè sull'incredibile sequenza di eventi assurdi dell'anno appena trascorso. 

 

🎋🎋🎋

 

"Che succede se si sveglia?" chiese Marty, osservando la ragazza riversa sul suo divano Cassina.

 

"Le persone di Sawyer saranno qui fra poco. Ha allertato il suo staff di Tokyo, manderanno anche un infermiere. Verrà riportata a Yokohama su una macchina anonima e poi ci penserà lui. Era sconvolto. Credo che la metterà in un istituto." replicó Ed.

 

"Poveraccia... è incredibile che questi malati di mente girino fra noi indisturbati." riflettè Marty. 

 

"Non è detto che sia pazza. Forse solo depressa. Sai, i suoi genitori hanno divorziato quando era piccola. Suo padre ha diverse amanti... lei vive con lui, vedere una donna nuova ogni mese per casa...Credo si sia rifugiata nella religione per avere conforto. Forse ti odia anche per questo. Tu nella sua mente contorta sei come una di quelle sgualdrine che hanno rubato suo padre a sua madre." spiegó Ed. "Per certi versi, mi fa pena."

 

"A me no." ribattè Marty. "Tutto il dolore del mondo non giustifica le sue azioni."

 

"Sei così cinica...una volta perdonavi con più facilità." osservó Ed.

 

"È che ho scoperto che non si devono trovare troppe giustificazioni agli errori. Gli adulti sono responsabili delle loro azioni." rispose lei.

 

"Molto maturo come ragionamento. Chi ti ha portato a crescere?" chiese  Ed. 

 

Marty non rispose.

 

Ed intuì. "Mark?"

 

Lei annuì. "Ho sbagliato anch'io. Ho fatto una cazzata nei suoi confronti. Con i suoi modi mi ha dato una bella lezioncina. Ma mi è servita."

 

"State insieme?" chiese Warner.

 

Lei lo guardò.  

Aveva l'aria di uno che sapeva già la risposta.

 

"No." disse comunque lei. 

 

"Ma tu vorresti." aggiunse Ed.

 

Marty decise di essere sincera. Tanto, lui aveva capito tutto. "Sì. Sì lo vorrei. Ed, non ne abbiamo mai parlato, ma..."

 

"Non dire niente." la interruppe il ragazzo. Andó verso la finestra. Guardó fuori. "Ho capito che vi volevate bene già quel giorno in cui Nathalie venne aggredita, ricordi? Giá allora eravate uniti. Non volli accettarlo. Preferii convincermi che con un po' di affetto e attenzioni ti avrei avuta per me, alla fine. Tutto tempo perso.  Le relazioni sentimentali sono un complicato gioco, in cui solo due vincono. Gli altri devono farsi da parte. Chi non lo accetta..." indicó Elise. "...finisce solo per soffrire..."

 

"Hai sbagliato valutazione. Puó darsi che io sia innamorata di Mark, ma lui non lo è di me." rispose Marty.

 

"Perché lo credi?"

 

"Sai che c'è una ragazza nella sua vita, adesso. Una che ha conosciuto a Okinawa." aggiunse la ragazza.

 

"No, non lo sapevo."

 

"Beh, insomma...ha incontrato questa tizia mentre si rimetteva in sesto per la Nazionale, su quell'isola. Si sentono, sono in contatto. Io ho provato, stupidamente, a mettermi in mezzo a loro. Non so perché l'ho fatto...ero divorata dalla gelosia. Come Elise.  Come te, dopo quella cena con Benji." spiegó Marty.

 

Ed si mise le mani in tasca. "Posso capirti."

 

"Lui se l'è presa, e l'ha difesa... in un modo che mi dá certezza che per lui è importante." raccontó Marty. "Perció vedi, non c'è nessun grande sentimento fra noi."

 

"Ma tu...gli hai mai detto quello che hai detto a me? Che vorresti essere la sua donna?" chiese Ed.

 

"No, ma...è piuttosto evidente, credo. Il solo fatto che io sia gelosa dovrebbe avergli fatto capire che..." 

 

"Ecco l'errore che fate voi ragazze. Non parlate chiaro. Anche con me eri ritrosa, ho dovuto farmi avanti io. Ma credevi non avessi notato i tuoi sguardi, i tuoi modi imbarazzati quando ti stavo vicino e tu eri l'assistente di team della Toho? Sapevo di piacerti. Solo che uno come me sa come comportarsi. Le ragazze mi si sono affannate attorno sempre, da quando avevo dodici anni. Ma Mark... lui non sa ancora come deve fare per gestire una relazione. Scontroso com'è, non ha mai fatto esperienze. Immagino che quella tizia di Okinawa abbia preso l'iniziativa con lui." rispose Ed. 

 

Marty riflettè. "È probabile. Non so molto di lei, ma mi pare abbia un caratterino." 

 

"Ma certo. Ci scommetto che gli è stata appresso, perché a differenza tua non ha nessuna remora verso di lui. Non lo conosce, non sa che tipo è. Tu sì. Sai che ha un carattere abrasivo e sarcastico, e forse temevi ti prendesse in giro per la tua infatuazione." disse Ed. 

 

"Forse. Ne ho discusso con Anne, sua madre. Mark è ostico." ammise Marty. "Avvicinarsi a lui, provarci...ho tentato, ma si è chiuso a riccio."

 

"Lo so. Lui sa essere molto ruvido. Anch'io ho paura a parlargli delle volte." continuó Ed. "Ma con una ragazza, una che gli piace davvero,  forse potrebbe essere diverso."

 

"Alla signorina Maki l'onore di scoprirlo." replicó Marty.

 

"Maki? Quella si chiama così?" chiese Ed.

 

Marty annuì. "Ti rendi conto? Si chiama come un rotolino di riso."

 

Ed rise. "Vero. Ma la parola maki da noi ha anche un altro significato. Significa: tempo determinato. Divertente." 

 

Marty non capì. "Cioè?" 

 

Ed sorrise. "Che è una ragazza a tempo determinato. Destinata a sparire. Per lasciare posto a quella che rimarrà per sempre."

Ritorna all'indice


Capitolo 80
*** Arrivi improvvisi ***


 

Ed si fece promettere da Marty di non parlare ai suoi genitori di quello che era capitato con Elise.

 

Dopo che le persone di Sawyer l'ebbero portata via, su una berlina nera, il ragazzo spiegó all'irlandese che quello che era successo era successo, e sarebbe stato inutile allarmare entrambe le loro famiglie.

 

"Che farai adesso?" chiese lei.

 

"Io? Beh...andró dove ho detto. Devo mettermi molte cose alle spalle e quel posto in montagna mi aiuterà a liberare la mente. Dovró riflettere." rispose lui.

 

"Anche sulla nazionale?" volle sapere Marty.

 

Ed guardó il soffitto. "Su quella faccenda non c'è più niente da dire."

 

"Quindi ti sei arreso. Molto bravo." commentó la giovane. 

 

Lui si giró. "Non accetto scorrettezze. È diverso."

 

"Balle. Tu hai gettato la spugna con Benji, poche storie. Quando i giochi si sono fatti difficili hai fatto il bambino capriccioso che scende dalla giostra perché un altro è salito sul cavallino. Non ti facevo così." lo provocó Marty.

 

"Speravo di trovare un po' di solidarietà in te, speravo tu capissi. Ma se hai questa opinione, vuol dire che in quei tre mesi in cui siamo stati insieme non hai imparato a conoscermi." riflettè Ed.  

 

"Eccome se ti conosco. Ho conosciuto le due tue anime, quella piena di affetto e quella meschina. Vedi, è sempre Benji che tira fuori il peggio da te... Benji! Ma quando imparerai a vivere la tua vita libero da questa ossessione!" gli disse lei. "Non capisci che ti distrugge la vita?! Tu dovresti essere in nazionale ora, non a Yokohama a giocare in un campionato per pezzenti e a...a... impegolarti con storiacce come con quella Elise."

 

Ed reagì male. "Campionato per pezzenti?! Ma di che parli?! È il torneo più prestigioso del Giappone, è la nostra serie A!"

 

"Oh smettila! Una competizione fra squadre che in Europa nessuno andrebbe a vedere e lo sai!! Mark ha ricevuto contatti dall'Italia. A giorni avrà la conferma, la Juventus di Torino è interessata a lui! Sì, sta facendo sul serio e potevi arrivarci anche tu! Ma ti sei messo a pavoneggiarti come una primadonna. Giocando avresti dimostrato a Gamo ció di cui sei convinto, cioè di essere il migliore. Ma sei scappato. Mettila come vuoi, ma è andata così." fu lo sfogo di Marty. 

Erano parole che aveva  voluto dirgli fin da quando aveva saputo della sua sceneggiata con Marshall.  Le uscirono fuori come un fiume in piena. 

 

Ed scrolló la massa di capelli, sempre più lunghi. "Conosci la storia di Don Chisciotte? Battersi contro i mulini a vento è peggio che stupido, è umiliante. Price è il designato perché gioca da professionista in Germania. Nessuna azione da parte mia cambierà la testa di Gamo. E non ci sto. In quanto a Mark...sapevo dei suoi contatti con l'Europa, me l'ha detto prima di te. Se lo merita. E tu...tu non lo vedrai più." 

 

Marty sentì una fitta al cuore. "Sì. Sì, ci ho pensato."

 

"Davvero un peccato. Ti auguro di trovare la forza di confessargli le tue sensazioni, prima che sia troppo tardi." continuó Ed. "Quando vestirà la divisa di una squadra di serie A, molte ragazze gli si faranno intorno. E anche un duro come lui potrebbe cedere. Ignorare le compagne di liceo è un conto, ma qualche attrice o modella... sta' in campana, se lo ami davvero." 

 

Marty non riuscì a trovare una risposta. Osservó il divano messo sottosopra da Elise, e soppesó le banconote che uno degli scagnozzi di Sawyer le aveva messo in mano. Per il suo disturbo, signorina. Arthur Sawyer le manda le sue scuse, e confida nella sua discrezione. 

 

"È una fortuna che i vicini siano tutti in vacanza. Non ci sono testimoni." ragionó lei, notando le persiane chiuse delle altre villette. 

 

"Tu non vai al mare?" chiese Ed.

 

"Forse a fine mese. Una settimana, con i miei. Ma ci devo pensare. Poi ci sono gli allenamenti con la Hitachi in Agosto. Non ho molto tempo." rispose.

 

"Allora ti hanno ammessa al master sportivo. Ottimo, impegnati e più avanti ti faranno un contratto." le disse Ed.  Sorrise. "Quella maniglia a molla che ti ho regalato è davvero servita."

 

Marty annuì. "Direi di sì. Mio Dio, sembra passato un secolo da quando venni a casa tua..."

 

"Oggi troveresti il giardino un po' cambiato. Il ciclone non l'ha risparmiato. Al tuo, in confronto, è andata di lusso." le disse Ed.

 

"Grossi danni?"

 

"Ai laghetti, soprattutto. Alcune carpe sono morte asfissiate. Inclusa la mia preferita, te la ricordi?"

 

Marty sorrise. "Chikamatsu. Quella con la bocca storta. Poverine." 

 

Ed andó lentamente verso di lei. "Ho molta nostalgia dei nostri momenti insieme. Sai cosa intendo."

 

Lei giró gli occhi altrove. "Sono ricordi che terremo con noi."

 

"I nostri pomeriggi dopo scuola...quella notte di San Valentino...."

 

Marty arrossì. "A proposito, c'è una domanda che mi tormenta. Perché non hai mai voluto  fare l'amore con me.?"

 

Ed si morse un labbro. "Perché sapevo di non essere quello giusto. E tu devi aspettare quello giusto. E quando succederà, sarà speciale. Sarà con un uomo migliore di me."

 

🎋🎋🎋

 

Maki scese alla stazione di Tokyo. 

 

Aveva preso un volo da Okinawa la mattina, e dall'aeroporto aveva preso il treno fino al centro della città. Era stato semplice. 

 

I suoi non avevano capito il perché, in pieno luglio, lei avesse sentito l'esigenza di allontanarsi dalla paradisiaca Okinawa per andare nella caotica Tokyo, ma in fondo non dovevano capire un bel niente. Erano affari della sua vita privata ed era arrivata a un'età per cui poteva tranquillamente agire senza dover fare il resoconto ai genitori. 

 

La scusa di andare a vedere di persona la prima squadra di softball della città era sembrata puerile anche a lei, ma non aveva elaborato una motivazione migliore. I soldi per l'hotel e il viaggio li aveva raccolti dai suoi risparmi, ottenuti facendo occasionalmente la baby sitter. Non era molto, ma abbastanza per prenotarsi un alberghetto. 

 

Voleva rivedere Mark.

Aveva chiamato il ritiro di Takayama ed era stata informata che i nazionali erano tornati alle loro famiglie per le vacanze. 

 

Mark le aveva parlato del suo quartiere di Tokyo, e aveva già studiato un percorso con i mezzi pubblici per arrivarci. 

 

Era determinata a mantenere accesa la scintilla fra loro due, prima che una signorina bionda dall'Irlanda la spegnesse con una secchiata d'acqua.  

 

Vantaggio non da poco, Mark era in quel periodo arrabbiato con Marty. Avevano litigato per via della telefonata anonima e chissà cos'altro. Lei, Maki, aveva finto di intercedere in favore dell'altra, pregandolo di non essere troppo brusco con lei, ma era una sceneggiata per farsi vedere buona e generosa. Aveva anche evitato che la signora    Satō, la segretaria della sua scuola, facesse un esposto per denunciare il raggiro di Marty nei suoi confronti, quando si era finta una giornalista. Aveva parlato di uno scherzo fra amiche, beccandosi un rimprovero acido dalla donna.

 

Voleva che Mark avesse un'ottima opinione di lei. E c'era riuscita. Un buon passo avanti.

 

Non era ancora innamorato, ma il suo tono di voce al telefono era progressivamente diventato più dolce. Stava cedendo. 

 

Ora era tempo di dare un'accelerata alla faccenda.  Intanto, andando da lui in carne ed ossa. Le telefonate erano un modo asettico di rimanere in contatto.  Non andava bene così.

 

Dovevano rivedersi, guardarsi di nuovo negli occhi come facevano durante le loro passeggiate al tramonto sulla sabbia di Okinawa.  Stare un po' insieme, senza il pensiero degli allenamenti.

 

Mark aveva svegliato in lei la sua parte femminile, tenuta soffocata negli anni da un'apparenza da maschiaccio. 

Il fatto era che il ragazzo era simile in tutto e per tutto a lei, avevano la stessa grinta, lo stesso atteggiamento scontroso ma corretto verso gli altri. Era la sua versione maschile. 

 

E poi lui era bello, bellissimo. Forse non se ne rendeva nemmeno conto. Lo aveva visto a torso nudo qualche volta,  e si era scoperta a fare poi pensieri osceni e destabilizzanti, che tra le altre cose l'avevano deconcentrata nello sport. 

 

Era anche famoso: il suo viso era spesso sulle riviste sportive e giocava in nazionale. Questo contribuiva ad eccitarla.  

 

No, decisamente Mark Lenders non era un pesce da lasciare scappare dalla rete.  Avrebbe viaggiato anche in un altro continente per vederlo. 

 

Pensó che sarebbe andata a casa sua il giorno dopo, per fargli un'improvvisata. Si chiese come avrebbe reagito. Non conosceva l'esatto indirizzo ma conosceva il nome del quartiere, e si figuró che qualche abitante avrebbe certamente saputo darle indicazioni per casa sua. Dopo tutto, non c'erano molti campioni di calcio nei ghetti. Doveva essere una celebrità fra i suoi vicini.  

 

Mentre saliva in taxi, Maki sentì un'ondata di euforia nello stomaco. Era lì, nella sua città. 

Avrebbero dormito sotto lo stesso cielo quella notte. 

 

Pensó che niente al mondo fosse paragonabile a quella emozione.

Ritorna all'indice


Capitolo 81
*** Confidenze ***


 

I suoi genitori tornarono il pomeriggio del giorno dopo.

 

Nonostante tutta la fatica che fece Marty per riordinare il giardino, sua madre trovó comunque qualcosa da dire.

 

"Non potevi togliere le foglie dal prato col rastrello? Non potevi almeno ripulire il tavolino con l'alcool? E tutto quel fango sul patio, dovevi toglierlo con lo straccio, adesso si secca. Invece di fare le pulizie nelle case degli altri, falle per casa tua!!" aveva inveito.

 

Joanne era fatta così: nonostante avesse passato dei giorni al mare in pieno relax, andava fuori di testa all'istante se vedeva disordine in giro, e pazienza se il tornado non era stato certo colpa della figlia.

 

Marty decise di levare le tende in fretta, anche perchè la storia di Elise l'aveva turbata, e non voleva che i suoi se ne accorgessero. Non dovevano sapere niente.

 

Pensó che sarebbe stata una buona idea andare a trovare Lynn, che tante volte l'aveva invitata a  casa sua, e aveva sempre glissato. 

Così, mentre passeggiava sotto il sole pomeridiano di Luglio, la chiamó. 

 

"Pronto?!" 

 

"Hey ciao! Come va? Sei a casa??" la salutó la bionda.

 

"Sì, sto facendo le valigie" rispose l'altra.

 

"Ah. Parti?" chiese Marty, un po' delusa.

 

"Dopodomani. Io e i miei andiamo a trovare i miei zii, al mare. Hanno una casa grande, ci danno ospitalità ogni anno." disse Lynn.

 

"Beh, fortunata." 

 

"Mica tanto. Non sopporto mia cugina." sbuffô l'amica. "E tu? Non vai all'isola Ishigaki coi tuoi?" chiese Lynn.

 

"Mio padre ha preso una casa fino al 31 Agosto, non so ancora se andarci..." pensò ai tre fratellini Lenders. "Forse ho trovato altro da fare."

 

"Uuuh...con chi? Qualche ometto?" domandó l'altra, incuriosita. "Mark, magari?"

 

Marty arrossì. "No. Abbiamo litigato. Comunque senti, io pensavo di venirti a trovare. Ti disturbo se passo adesso?"

 

"Vieni, vieni. Io sono presa a fare i bagagli, ma possiamo parlare." la invitó Lynn. "Anche perché adesso sono curiosa."

 

"Ok..." rispose Marty, poi vide la notifica di una chiamata in arrivo. "Aspetta, aspetta...ho una chiamata sotto. Sta' in linea."

 

Vide che la telefonata arrivava da casa Lenders. Si agitó subito.

 

"...pronto?"

 

"Marty! Sono Nathalie!!" disse la sorellina di Mark.

 

"Naty!! Ma che succede? Perché mi chiami?" domandó Marty nervosa. Pensó a qualche brutta notizia sulla loro madre.

 

"È venuta qui!! A casa nostra, oggi!!" ribattè di getto la bambina. 

 

"Chi? Di chi parli??"

 

"La ragazza amica di Mark! Sai quella che ha telefonato? Maki?" replicó Nathalie. "È venuta a trovarlo qui a Tokyo, da Okinawa. Adesso è in cortile con Ted, stanno giocando a baseball. Ha detto che sta qui in città tre giorni." 

 

Marty non potè parlare. 

La sua lingua si era attaccata al palato e sentì un fremito lungo tutta la spina dorsale. 

 

"L- l'amica di Mark?"

 

"Sììì! Ma io non voglio che stia qui, non mi è simpatica. A Ted sì peró." sbuffó Naty. "Puoi venire qui, per favore? Così se ti vede va via!"

 

Marty dovette sedersi su una panchina. "No non vengo da voi. Non c'è ragione."

 

"Ma lei vuole diventare la fidanzata di Mark, l'ho capito subito. Gli ha anche portato un regalo."

 

"E tuo fratello è contento?" volle sapere Marty, mentre già sentiva il bisogno di prendere a calci qualcosa. 

 

"Non so, sembrava imbarazzato. Cioè, non se l'aspettava. Peró penso che sia contento.  L'ha invitata in casa."

 

"Naty, ascolta. Se tuo fratello è felice devi esserlo anche tu. Ora scusami ma sto andando da un'amica." riuscì a dire lei, mentre il groppo  in gola acquisì la dimensione di un limone.  Dovette sforzarsi di fingere calma con la bambina.

 

"Ma Marty dai...non vieni da noi?" la pregó Nathalie. 

 

"No. Hey, avete un'ospite. Non essere maleducata o Mark si arrabbierá. Vai fuori a giocare con lei e Ted. Magari ci sentiamo stasera, ok?? Ciao piccolina." detto questo, chiuse la chiamata. 

 

"Brutta stronza! STRONZA!! Fino da lui sei andata!" imprecó mentalmente subito dopo. 

Poi corse a una fontanella a sciacquarsi la bocca, perchè la sentì secca. 

 

Erano insieme, lì a Tokyo.

Così, la signorina Akamine non era stata con le mani in mano e aveva fatto la sua mossa.

 

Vide il suo volto riflesso nell'acqua della fontana. E tu che fai adesso? Te ne stai qui e la lasci soffiarti il ragazzo? Le chiese la vocina della coscienza. 

 

Sì, io devo tirarmi indietro. Levarmi da questa storia e lasciare che  Mark stia con chi vuole. Non voglio fare la pazza come Elise. Non voglio che mi odi. Non voglio essere un problema per lui,  si rispose. 

 

Nathalie avrebbe senz'altro preferito che il fratello frequentasse lei, ma la scelta spettava al ragazzo. C'era poco da fare.

 

Sentì il bisogno insopprimibile di sfogarsi con qualcuno. Aveva troppo casino dentro, troppo per il suo giovanissimo spirito.

 

Corse a casa di Lynn.

 

🎋🎋🎋

 

Le raccontó ogni cosa.

 

Tutto, da Ed con i suoi guai a Yokohama alla telefonata a Maki, la sfuriata di Mark con lei, i problemi della signora Lenders, i giorni spesi a curare i tre fratellini, la paura per il ciclone, e il cinema successo a casa sua con quella squilibrata di Elise Sawyer. 

In ultimo, l'arrivo di Maki a Tokyo.

 

Alla fine di tutti i racconti, Lynn era sconvolta.

 

"Porca miseria." potè solo dire. "Porca miseria, porca miseria...."

 

"Io credo non dimenticheró mai questa estate. Ne succede una ogni giorno." disse Marty, asciugandosi le lacrime. "Tutte a me."

 

"Pazzesco, pazzesco! E adesso Maki è con lui. Te l'avevo detto che si doveva essere presa una sbandata coi fiocchi, Danny li aveva visti insieme a Okinawa." ripetè l'amica. 

 

"Non infierire. L'ho perso...l'ho lasciato andare per colpa del mio atteggiamento!" si lamentó lei.

 

"Ti è già andata bene di essere viva. Ti giuro, la storia della tizia di Ed mi ha sconvolta. Tra l'altro so chi è Arthur Sawyer, è un imprenditore famoso. Ricchissimo. A parte gli Yokohama Flügels possiede una squadra di basket e una scuderia di macchine da corsa. Proprio vero, peró,  che i soldi non danno la felicitá." scosse la testa la ragazza. "Dio santo, passerá la vita tra un ospedale psichiatrico e l'altro a causa della figlia."

 

"Lei è un problema passato. Non temo per Ed, lui è forte, ne verrà fuori. Dimenticherà tutto. È uno che se la cava." rispose Marty. "E nemmeno per Mark... ora aspetta la chiamata dalla serie A italiana. Daisy Winter sta prendendo contatti con i manager della Juventus. Per lui è quasi fatta...i suoi sogni si realizzeranno presto ...ma io, io...."

 

"Anche tu hai i tuoi, o no?" chiese Lynn. "Tra venti giorni inizia lo stage con la Hitachi. Secondo me, quando partirai con quel progetto metterai tutto alle spalle."

 

"Ma non avró lui! Resteró tutte le sere a sospirare dietro i ricordi del nostro poco tempo insieme. A tormentarmi per i rimorsi, per tutte le nostre discussioni, per le risposte sbagliate che gli ho dato, per le cazzate che ho fatto! E lui, in Europa, lontanissimo. Non sapró se avrà trovato la sua felicità con quella di Okinawa o con un'altra ragazza. Non sapró più nulla." si lamentó ancora Marty.

 

"Dovresti pensare un po' a Ed." riflettè Lynn. "Sai, è molto bello quello che ha fatto. E non è da tutti. Ha lasciato il posto a Mark. Ricordo quando stavate insieme: eravate deliziosi, lui ti amava, si vedeva. Posso solo immaginare il sacrificio di lasciarti volare via. Perché non ci rifletti? Per rispetto verso di lui, credo tu debba provarci fino alla fine con Mark, finchè  lui stesso non ti dirà di lasciare perdere e allora ti tirerai indietro in serenità. Ma almeno tenta."

 

"Credi non l'abbia fatto?? Credi non ci abbia provato? Mi tiene a distanza. Sua madre sostiene che ha bisogno di tempo, Ed dice che bisogna capirlo perché, poverino, non sa come comportarsi con le ragazze. Intanto non ci ha messo molto a simpatizzare con questa. Adesso è a casa sua, coi suoi fratelli!  Si è presentata lì, e le ha aperto la porta. Sai quante delle nostre compagne di scuola, come June, gli sono state dietro per anni??!  E lui niente, un muro con tutte. Ma con questa Maki...subito feeling. Chissà poi perché...." brontoló Marty.

 

"Ma anche con te. Anzi, tu prima di lei." le fece presente Lynn. "E se ti tiri indietro... beh, è come se sprecassi qualcosa."

 

"L'episodio assurdo con Elise Sawyer mi ha fatto paura. Quella era matta, gliel'ho letto negli occhi. Avrebbe non dico ucciso, ma fatto qualcosa di molto bruttoo a me, per Ed. Solo per soddisfare il bisogno di averlo. Ho pensato: fin dove potrei arrivare io, per Mark? Fin dove potrei spingermi?? Non nego che quando Naty oggi mi ha chiamata ho avuto voglia di correre da lui e fare una piazzata. Ma se l'avessi fatto, quale sarebbe stato l'esito?? Avrei distrutto ogni briciola di rispetto che lui ha ancora per me. E io non voglio. Non voglio cadere fino in fondo." rispose Marty. "Non voglio che parta per l'Europa con un ricordo del genere. Non voglio." 

 

"Ma così quella ha gioco libero...se non combatti..." azzardó Lynn. 

 

"No. Tocca a Mark. Se tiene a me, è lui che deve parlare a lei. Maki si è esposta molto venendo qui. È chiaro che non vuole essere solo sua amica. Ora lui deve scegliere. E io, non posso fare assolutamente niente." 

 

🎋🎋🎋 

 

Maki si complimentó con Ted Lenders.

"Sai che sei proprio un bravo ricevitore?! Ma chi ti ha insegnato?"

 

Il ragazzino gongoló. "Mio padre e anche Mark. Giocavamo spesso insieme, quando papà era vivo. Ci divertivamo un sacco!"

 

Maki si sentì triste a quelle parole. I ragazzi Lenders non avevano un padre, e nonostante i faccini sorridenti, si avvertiva la mancanza di qualcosa in quella casa. 

Mark le aveva raccontato la storia della sua famiglia, e questo non aveva fatto altro che far accrescere l'amore verso di lui. 

Era stato in gamba, proprio in gamba a farsi carico di tutte quelle responsabilità. Era forte fuori, ed evidentemente anche dentro.   

 

"Tu sei una giocatrice professionista?" chiese Ted. "Mi piace il calcio, ma anche il baseball!"

 

"Non professionista, ma amo molto questo sport....sai, ci sono buone possibilità che io venga convocata per la Nazionale che andrà alle Olimpiadi! La mia allenatrice dice così." rispose Maki. "Le stesse a cui potrebbe partecipare tuo fratello, nel team di calcio." 

 

"Alle Olimpiadi?? Caspita!!" fece Ted, impressionato. "Brava!"

 

"Già. Ma sarà dura..." sospiró Maki. "Vedremo."

 

"Hey voi due! Ma non siete stanchi?" li interruppe Mark. Era uscito di casa con una lattina di Coca in mano.

 

"Ancora quella schifezza?! Ci tieni proprio al tuo stomaco eh?" lo derise lei.

 

"Che ci posso fare, mi piace. Hey Ted, ti va di rientrare in casa? Vatti a fare la doccia, sei coperto di polvere." lo esortó Mark. "E sorveglia i tuoi fratelli."

 

"Va bene...ma non sono stanco!" sbuffó lui. 

 

"Non discutere, avanti." ripete il maggiore.

 

Il ragazzino si allontanó e sparì in casa. 

 

"Scusa se ti ha rotto le scatole. Quando gli ho detto che pratichi il softball è impazzito." riveló Mark alla ragazza.

 

"Figurati! Mi sono divertita. I tuoi fratellini sono molto simpatici...anche se tua sorella mi guarda un po' storto...è gelosa di te, eh?" rise Maki.

 

"Non proprio. Il fatto è un altro. E di questo ti vorrei parlare." rispose allora lui, chiudendo gli occhi. "Ripetimelo ancora: perché sei venuta fin qui?"

 

"Perché mi mancavi e poi non ho mai visto Tokyo. Avevo dei soldi da parte, e tempo libero adesso...ti è dispiaciuto??"  chiese lei. 

 

"No. Ma sento adesso di doverti dire una cosa." rispose Mark. "E credimi non sarà semplice. Vieni, camminiamo un po'."

Ritorna all'indice


Capitolo 82
*** Verso il futuro ***


 

"Cosa c'è Mark, non sei contento che io sia qui?" chiese Maki, incrociando le braccia sul petto. "Ti vedo strano."

 

"No. Non è questo." rispose lui, camminando accanto a lei, con le mani in tasca. Erano vicino a un campetto brullo, nel suo quartiere. "Lo sai, ho iniziato qui a tirare calci a un pallone." raccontó. 

 

"Anch'io ho cominciato col baseball su una spiaggia. Disegnavo con un dito sulla sabbia le linee del campo." rispose Maki.

 

"Siamo così simili. Rivedo in te così tanto di me stesso." commentó lui.

 

"L'ho notato anch'io. Abbiamo lo stesso carattere. Per questo mi trovo bene con te." replicó Maki, arrossendo.

 

"Già...." mormorò il ragazzo. "Da tempo vorrei parlarti."

 

"Ti ascolto, dimmi." disse Maki, iniziando ad avvertire il nervosismo nello stomaco. C'era qualcosa che non andava. Mark non era sereno.

 

"Nella mia vita ho sempre cercato di essere schietto e onesto, non mi piace prendere in giro gli altri. A costo di scontrarmi con le persone. Ci sono riuscito sempre, ma... ultimamente ho commesso due errori." inizió lui. "Con due ragazze. E questo non mi piace."

 

"Parli di Marty e di me?" chiese Maki. 

 

"Sì." ammise lui. "C'è stata da parte mia molta superficialità. Di questo mi devi scusare."

 

"Spiegati meglio." 

 

Mark le giró le spalle. "Cosa...cosa credevi sarebbe successo una volta arrivata a Tokyo?"

 

Lei stette zitta per un attimo, in cui raccolse tutto il suo coraggio. "Io volevo stare un po' con te. Conoscere la tua realtà."

 

"Nient'altro?"

 

Maki deglutì. "Cosa vuoi sentirmi dire, esattamente?"

 

"La verità." rispose lui.

 

La giovane comprese che non era tempo di nascondersi. "Mark. Mi piaci. Molto, moltissimo."

 

A quel punto lui si giró a guardarla. 

Maki si avvicinó e gli prese il viso fra le mani. "Non ho fatto che pensarti. Io non mi sono mai, mai sentita così. Non mi è mai successo con nessun ragazzo."

 

Lui lasció che lei gli accarezzasse il viso.

 

"Non so se sia precipitoso, ma...io ti amo, Mark Lenders." confessó finalmente. E poi non riusci ad aggiungere altro. 

 

Il giovane chiuse gli occhi e indietreggió di un passo. 

 

"Mark?"

 

Sollevó lo sguardo su di lei. "Per me non è la stessa cosa."

 

Maki ci rimase, a quelle parole. 

Nel suo sguardo, lui vide lo stesso sbigottimento di Marty, quando l'aveva respinta in casa sua. Detestó essere in quella situazione: le ragazze erano così sensibili. Detestava ferirle.

 

"Io credevo... insomma, ci siamo sentiti così spesso..." chiese allora la giovane di Okinawa. 

 

Mark guardó a terra. "È probabile che durante le nostre telefonate ti abbia portato a credere qualcosa che non esiste, per me. Scusami. Ma sei un'amica, una buona amica. Nient'altro,"

 

La ragazza si morse l'interno delle guance, in uno sforzo per non tradire tutto il suo dispiacere. "E Marty, cosa rappresenta? Cosa è lei per te?"

 

"Un'altra storia. Lei è un'altra storia." Rispose il giovane. 

 

Poi sorrise, e guardó il sole, parzialmente oscurato da una nuvola. "Credo di averle voluto bene fin dal nostro primo incontro, negli spogliatoi della Toho. Avevo capito subito di sentire qualcosa per quella petulante ragazza europea. La straniera bionda appena arrivata che tutti guardavano da lontano, senza avvicinarsi. Non è stato semplice per lei. Poi si è inserita a scuola, è uscita con alcuni ragazzi...con Ed, un mio compagno... ed era giusto così. Doveva fare le sue esperienze. Non ha nemmeno diciotto anni. Io sono rimasto a osservare la sua vita, e a offrire aiuto quando lo cercava. Certo, lei è particolare. Testona, arrogante, viziata...e infantile. Ancora così infantile. Ma è anche buona e generosa. E fragile. La sua fragilità mi mette in agitazione, come se  fossi in qualche modo tenuto a prendermi cura di lei, in tutti i sensi. Anche a correggerla quando sbaglia. È una cosa che ho sentito profondamente dentro di me. La voglia di proteggerla. Non ci sono altre persone che mi facciano sentire così, a parte i miei fratelli e mia madre. E delle volte, sento di aver bisogno di lei, che mi stia vicino. Mi basta guardare quel suo musetto e tutto va a posto."

Poi alzó gli occhi, che si incontrarono di nuovo con quelli di Maki. "Dell'amore per una donna io non so niente. Ma immagino sia una sensazione molto simile a quella che provo per Marty."

 

"Pensavo fossi arrabbiato con lei." azzardó Maki. 

 

"Lo sono stato spesso. Ma desidero solo il suo bene."

 

E fu la confessione definitiva. 

Alla giovane di Okinawa non servì altro. 

 

Si strinse nella maglietta, e ricacció giù le lacrime. "Molto bene.  Tutto chiaro."

 

"Devo essere onesto con te. E sai, sei l'unica persona a cui abbia detto queste cose, nessun altro sa cosa provo per lei."

 

"Certo. Suppongo ti debba ringraziare per la tua sincerità." mormoró lei. "Beh, vorrà dire che me ne torno a Okinawa domani. Quello è il mio posto. Ma ascolta..." disse, e si avvicinó di un passo. "Sono stata felice ogni secondo, sia sull'isola, che al telefono quelle sere... sono stata bene in ogni attimo speso con te, in un modo o nell'altro. E guarda che... credo che in città ci sia una signorina che non diventerà mai una pallavolista professionista. Il suo futuro non è quello. Ciao Mark, torno in albergo."

 

Detto questo, giró le spalle, strinse la sua borsa, e si avvió alla fermata del bus. 

 

Mark non fece niente per fermarla. 

 

🎋🎋🎋

 

Daisy Winter osservava con orgoglio l'e-mail arrivata dall'Italia.

 

Mark ce l'aveva fatta. 

I contatti con la Juventus si erano intensificati,  e ora la società italiana si era definitivamente sbilanciata. 

Volevano il ragazzo, da metà Agosto. Prima visite mediche a Torino, e se tutto fosse andato per il verso giusto, lo avrebbero tesserato. 

L'eccellente performance di Lenders alla prima fase delle eliminatorie aveva convinto la grande squadra europea a provarci con un giapponese, grande scommessa, considerando che pochissimi giocatori asiatici riuscivano a sfondare oltre i confini. Ma lui aveva doti impressionanti agli occhi dei talent scout italiani. 

 

La donna pensó che se lo meritasse. Quel ragazzo aveva combattuto tutta la vita per avere una chance importante, e ora eccola lì.

L'avrebbe chiamato il giorno dopo, di buon mattino, per dirglielo. 

 

Nell'ufficio della Toho Academy,  improvvisamente entró Pemberton senza bussare. "Allora, Daisy? Buone nuove?"

 

"Assolutamente sì. Mark Lenders ce l'ha fatta. Ho ricevuto l'email dalla Juventus FC di Torino. Lo vogliono visionare in Italia. Sono convinti." annunció, felice.

 

"Straordinario! E che pubblicitá per la nostra scuola!! Un nostro ex studente nel campionato italiano!" esultó il preside. "Dopo questa bella notizia finalmente possiamo chiudere la scuola e andarcene in vacanza."

 

"Per me non ci saranno vacanze, preside. Le devo parlare." disse la Winter.

 

L'uomo si sedette al tavolo con lei. "Che succede? Mi dica."

 

"Ho riflettuto. Questa notizia di Lenders mi ha spinto a prendere una decisione. Lascio l'attività di talent scout per la scuola. Voglio lavorare a tempo pieno come manager del ragazzo. Gliene ho già parlato." ammise lei. "Spero comprenderà."

 

Pemberton giunse le mani sul tavolo. "Beh, indubbiamente guadagnerebbe di più. Lo comprendo, certo."

 

"Non è solo questo. Mark sarebbe solo e disorientato in un Paese straniero. Ha ovviamente bisogno di un agente che si occupi di ció che lo riguarda, si fida di me. Sento di doverlo fare." continuó Daisy. "L'ho seguito fino dall'inizio."

 

"Quindi anche lei se ne va. Certo, le esigenze cambiano. Peró, devo dire che provo grande nostalgia per il tempo che passa... i nostri campioni volano lontano.... Warner a Yokohama, Lenders in Italia... e chissà chi altri. Avevamo ottime speranze per la Laughton... magari nel volley l'anno prossimo sarà lei a splendere." riflettè Pemberton. 

 

"Senza Kibi Street, di sicuro. Sarà il capitano." rispose Daisy. "...anche se, ha già vinto qualcosa di molto importante." 

 

"Cosa? Nella finale contro la Mambo hanno perso."

 

"Non mi riferisco allo sport." sorrise la donna, sorseggiando la sua tazzina di caffè.

 

"Ma a cosa si riferisce, scusi?" 

 

"Alla bellezza della gioventù." sospiró lei. "Mi manca. Le prime cotte, i primi amori... quei sentimenti nati fra adolescenti, che sembrano insignificanti ma a volte... a volte durano tutta la vita. Fortunati, quelli che incontrano l'amore da giovani. È come vincere un tesoro."

 

"Non la seguo, Daisy." rispose Pemberton, confuso. 

 

"Lasci perdere." chiuse la Winter. "Mi aiuti a rispondere a questa e-mail, la prego."

Ritorna all'indice


Capitolo 83
*** Preparativi ***


Una settimana dopo che Maki fu tornata sulla sua isola e Mark ebbe avuto la notizia tanto attesa della sua nuova vita da calciatore professionista in Europa, arrivó un'altra novità importante: Anne Lenders venne dimessa dall'ospedale.

 

Marty venne informata da Shigheo per telefono, e venne anche invitata a casa Lenders per dare il bentornato alla signora. Sarebbe stata una festicciola con le persone che avevano aiutato quella famiglia durante i difficili momenti appena trascorsi.

 

Lei stessa era in piena agitazione. 

 

I manager della Hitachi Belle Fille le avevano telefonato per confermare la data d'inizio della pratica estiva, cioè il 3 Agosto. Mancavano due settimane.  

 

Aveva deciso di trascorrerle in città e rinunciare del tutto alle vacanze al mare, poichè l'annuncio di Mark Lenders come nuovo acquisto della Juventus era stato dato anche ai TG locali, e lei sapeva bene cosa questo significasse. 

Non le restava molto tempo da passare con lui.

 

Nathalie l'aveva chiamata la sera stessa in cui Maki Akamine era tornata a Okinawa, e con evidente gioia l'aveva informata della sua partenza. Le aveva anche detto che Mark non aveva risposto quando lei gli aveva chiesto come mai la sua amica avesse preso quella decisione, ma che i due si erano parlati a lungo, fuori casa, e la sua ospite non era rientrata nemmeno per salutare lei e i due fratelli. 

 

Infine, non si erano messi insieme, e perfino una bambina di nove anni come Naty aveva compreso che anzi qualcosa si era rotto, forse definitivamente. 

 

La cosa aveva riempito il cuore di Marty di speranza. 

 

Se Mark aveva liquidato in malo modo la sua amichetta, era forse il segnale di un'apertura nei suoi confronti.  Magari i due avevano semplicemente bisticciato, ma perché non concedersi il lusso di immaginare la migliore delle ipotesi? 

 

Lei, a maggior ragione, doveva restare in cittá.

Andare quindici giorni in vacanza coi suoi avrebbe rubato tempo preziosissimo, e poi lui sarebbe partito per andare lontano, troppo lontano per sperare di andarlo a trovare qualche week end. 

 

 Oltre a ció, restava da onorare l'impegno di portare Ted e gli altri in piscina, e ormai aveva dato la sua parola. A Tokyo il caldo era insopportabile, e i tre bambini erano in una casa senza aria condizionata.   

 

Chi si fece sentire un bel giorno, fu Kibi. 

 

La chiamó di pomeriggio, mentre lei terminava la sua ultima traduzione. Nel tempo aveva accumulato l'equivalente di tremila euro con tutte quei lavoretti per il commerciante di birra. Ma non li sperperó, li conservó gelosamente, come se l'istinto le avesse detto che sarebbero serviti a qualcosa di importante in futuro. 

 

"Hey capitano, come stai??" la salutó Marty. 

 

"Non sono più io il capitano, meglio che ti abitui a questo nuovo ruolo, cara!!" rise Kibi. "Vedrai che rottura di palle l'anno prossimo!" 

 

"Eh lo so, peró... ti devo dire che non vedo l'ora." rispose Marty. 

 

"Come stai?? Pronta per lo stage con Jeanine e Danielle?" chiese Kibi. 

 

"Sììì! Devo andare a comprarmi un po' di cose, perchè a parte una divisa generica non ci daranno niente, fascette, ginocchiere... dovremo portarle noi. Peró sono emozionata." replicó Marty. "Tu, che fai invece?" 

 

"Io ti chiamavo per dirti due cose: la prima è che a Settembre mi iscrivo a Farmacia." riveló Kibi. "Mi sa che con la pallavolo ho chiuso." 

 

"Scusa?! Ma perché?" 

 

"Perchè il gomito non si è calcificato bene, e poi... nessuna squadra si è fatta avanti per me. Non era destino, purtroppo." ribattè l'altra.

 

"Ma non dire così! Io ho recuperato da un infortunio peggiore e poi c'è tempo, hai diciotto anni! Perchè non ti iscrivi a una squadra universitaria??" rispose l'amica. 

 

Kibi sospiró. "Ho provato anch'io a essere ottimista, ma bisogna guardare i fatti. Alla nostra età se non hai trovato una societá disposta a puntare su di te, diventa durissima. Vale per tutti gli sport." 

 

"Ma no dai...tu adori il volley, sarai infelice senza." provó a dire Marty.

 

"Mio padre lavora da anni nel settore farmaceutico, ha detto che se mi laureo puó aiutarmi a entrare. Poi io ero brava in Chimica. Forse è la mia strada...." continuó Kibi. 

 

"Tu?? Dietro un bancone di farmacia a dare lassativi alle vecchiette?  No, non ti immagino proprio." replicó Marty.

 

"Sì, ma bisogna prendere atto della realtà dei fatti. Ci metterei troppo a riprendere la forma, e perderei il treno per il professionismo comunque.  Non credere che sia facile ... ho pianto tutte le mie lacrime..." ripetè la Street. "Senti, poi... c'è un'altra news. So chi sarà il dopo - Nolan." 

 

"Il nostro nuovo mister?" chiese la ragazza bionda.

 

"Già. Non voglio menare il can per l'aia. Ti dico come stanno le cose. Si chiama Ryo Tanaka. È una brutta bestia. Un stronzo tignoso e autoritario. Ho sentito parlare di lui tempo fa, allenava una squadra di universitarie. Abituato ad atlete più grandi. Ha vinto due campionati under 25. Non so francamente perchè abbia accettato di andare in un liceo ad allenare. Lo chiamavano Boss Tanaka." raccontó Kibi.

 

"Oh Cristo."

 

"Eh sì. Pemberton lo avrá strapagato. Essere arrivati in finale contro la Mambo gli ha fatto montare la testa. Vuole vincere il prossimo campionato. Vi ha buttato sotto a una specie di domatore di tigri, abituato a usare la frusta. Non ti nascondo che mi dispiace." disse Kibi.

 

"Ma perché?" si agitó Marty. 

 

"Senti, tu fa' una cosa. Impegnati al massimo in questa esperienza alla Hitachi, cerca di dare un'ottima impressione. Fatti confermare per l'anno a venire. Termina il liceo e poi datti al professionismo. Tanto guarda che se entri nel volley professionistico ne incontrerai a decine di Tanaka. Meglio che ti fai subito le ossa." la incoraggió Kibi.

 

Marty si passó la mano fra i capelli, che erano un po' ricresciuti. In quel momento le arrivavano alle spalle. "Insomma, non mi hai dato una splendida notizia."

 

"Noi sparlavamo di Nolan...ironia della sorte ne arriva uno peggio." commentó Kibi. "Senti, Ed... notizie?"

 

Marty si sentì a disagio. Non poteva certo raccontarle di Elise e di tutto quel casino. "Mmm... no. Cioè, so che adesso è in vacanza  in un posto di montagna, è andato da solo. Altro, non so." 

 

"Solitario, nel suo stile. Ma secondo te a Yokohama ha una?" 

 

"No, davvero non so. Peró sai com'è lui, Kibi. Qualcuna intorno l'avrà di sicuro." mentì Marty.

 

Ci fu silenzio. "E Mark?"

 

"Lenders? Beh l'avrai sentito ai tg. Parte per l'Italia. Ora diventa una celebrità." disse frettolosamente Marty.

 

"Ho visto, ho visto. Ma me l'aspettavo. È sempre stato il campioncino della nostra scuola. E ai mondiali adesso, ha fatto un figurone." rispose Kibi. "Non mi è mai stato troppo simpatico, ma c'è da dire che si è fatto un mazzo così per sfondare."

 

Marty tentó di cambiare argomento immediatamente, non le piaceva affrontare la questione Mark con Kibi. A differenza di Lynn, il suo ex capitano aveva una malizia tutta particolare e avrebbe scavato dentro di lei come un tarlo nel legno. 

 

"Non vai in vacanza con Alan?" 

 

"No....le cose non stanno andando troppo bene fra me e lui. Siamo un po' in rotta. Temo sia un po' bamboccio per me." confessó l'altra. "Poi, andrà in un'università lontana, a Hokkaido. Dura la distanza da reggere. Non durerebbe." 

 

Marty sentì un dolore al petto a quelle parole. Valeva anche per lei e Mark.  

 

"Peccato. Speravo tu stessi bene con lui."

 

"Credo di aver chiuso con gli uomini. Almeno per un po'...." aggiunse l'altra.  "Ma mi conosci... mi rifaró presto!"

 

Le due risero insieme. 

"Magari ci vediamo per bere una birra, ti va?"

 

"Niente birra. Sei in pre-allenamento. Mantieniti in forma. E non sprecare questa occasione, perché a me non è stata data." disse Kibi. "Guarda che mi arrabbio sul serio, se sento che hai buttato tutto al vento."

 

"Va bene, capitano. Oh scusa...Kibi."

 

"Non ti preoccupare. Bello sentirlo dire un'ultima volta: capitano." disse Kibi. "In bocca al lupo."

 

🎋🎋🎋

 

"La partenza per l'Italia sará il 2 Agosto, di modo che per il 3 tu sia a Torino. Mi raccomando il passaporto, Mark. I primi tempi starai in un albergo, poi la società ti fornirà un alloggio nei pressi del centro sportivo. Il primo bonifico arriverà come da contratto alla firma, previo superamento delle visite mediche. Contento?" gli chiese la Winter, al cellulare. "Oltre a me, ci sará una traduttrice giapponese che ti aiuterà ad ambientarti. Devo dire che questa societá italiana è estremamente organizzata. Andrà tutto bene."

 

Mark era ancora frastornato dalla cifra che la Juventus aveva messo sul piatto per il primo anno: centomila euro, cioè oltre quindici milioni di yen giapponesi. Una benedizione per uno come lui.

 

"...in Italia solo il 10% dei calciatori professionisti supera i settecento mila di euro l'anno, devi capire che tu sarai un giovane da testare, non possono investire troppo." gli disse Daisy.

 

"Ma vuole scherzare? È moltissimo denaro!" replicó Mark. 

 

"Se sapessi cosa guadagna Messi al Barcellona... comunque so che per te questo è importante. Ho avuto notizia del ricovero di tua madre..." gli disse la Winter.

 

"Per me, è la soluzione di molti problemi. È l'inizio di una nuova vita." le rispose lui. "Non so come ringraziarla, per tutto il suo lavoro. Ha sempre creduto in me."  

 

"Ho puntato sul cavallo giusto.  A volte ci si azzecca." replicó lei. "Scherzo! Hai fatto tutto tu. Hai meritato tutto."

 

"Perció mi restano due settimane per prima di partire..."

 

"Sì, e ti consiglio di sistemare i tuoi impegni e le tue cose. Non tornerai in Giappone prima di Natale, ti avviso."  gli disse lei. "Chiaro quello intendo, spero."

 

Mark non rispose. 

 

"Ah, e Mark... avrai un cellulare con numero italiano, che non deve essere usato per conversazioni personali..." 

 

"Sì, certo."

 

"Ottimo. Impara a usare Skype. È un ottimo consiglio, te lo garantisco."

Ritorna all'indice


Capitolo 84
*** Giorni d’estate ***


La serata in onore di Anne Lenders fu dolce-amara per Marty.

 

La gioia di rivedere la famiglia unita, e i bimbi felicissimi di riavere la mamma a casa, non bastó a far sentire la ragazza meno malinconica per l'imminente stravolgimento della sua vita.

Mark stava per partire, e anche lei si stava incamminando verso un nuovo sentiero.  Stavano crescendo entrambi, e molto. Quell'estate si annunciava come un punto di svolta importante nelle vite dei due giovani. 

 

I bambini, durante la serata, non fecero che chiedere a Mark della sua imminente partenza, pregandolo di tornare dall'Italia, per Natale, con tanti bei regali.   A ogni domanda, a ogni accenno al suo trasferimento,  Marty avvertiva un dolore profondo. Il giorno dei saluti si stava avvicinando e loro non si erano ancora parlati sul serio.

 

La signora Lenders era orgogliosa del figlio, ma si era accorta del turbamento della ragazza.  

 

Si ritrovarono in cucina, ad un certo punto, per sistemare piatti e bicchieri.   

 

"Signora, è la sua festa! Non pensi a questo, faccio io! Si sieda coi bambini!" le disse Marty.

 

"Ci mancherebbe. Anzi, sei tu l'ospite. Non è bello che sbrighi le faccende. Va' con Mark e gli altri, dai!" replicó lei.

 

"Ma no! Stia seduta, ormai conosco la vostra cucina, so muovermi."

 

"Marty... è casa mia." disse Anne, seria.

 

La giovane arrossì. "Ha ragione. Mi scusi."

 

"Allora...siamo tutti elettrizzati per la novità di Mark. Tutti, tranne te. Comprendo il motivo. Ma tornerà a Dicembre." disse poi la donna. Prese un piatto e inizió ad asciugarlo. "Piuttosto, io temo per lui. L'Europa è diversa dal Giappone. Diverse tradizioni, così tanti Paesi... mi chiedo se mio figlio potrà ambientarsi."

 

"Credo che stará bene. Andrà in una bella nazione. Sa cosa dicono in Europa? Che gli irlandesi sono gli italiani del Nord. Siamo due popoli simili, per questo so che Mark non avrà problemi." rispose la ragazza.   "Troverà abbastanza calore umano lì. In quanto a me, devo mettermi anch'io sulla strada dell'agonismo serio. Spero di raccogliere le stesse soddisfazioni di suo figlio." 

 

"Ma non ti dispiace non vederlo più?"

 

"Sì... un po' sì. Ma è la sua vita. Bisogna solo supportarlo. È così che funziona. Lo sapevamo che sarebbe partito." replicó Marty passiva, tentando di sembrare serena. La verità era che si sentiva malissimo.

 

Anne scrutó il suo volto. "Molto bello da parte tua. Comunque, tu gli mancherai. Di questo sono certa. E hai saputo che lui e quella sua amica di Okinawa non si sentono più? I bambini mi hanno detto che è venuta qui, ma deve essere successo qualcosa.  Se ne è andata lo stesso giorno."

 

"Non so, signora. Di questo davvero so poco."  disse Marty.  

 

"Forse mio figlio è ancora troppo giovane per una relazione. O troppo assorbito dal calcio. Ma spero non rimarrà solo per altro tempo." sospiró Anne. 

 

"Non credo." concluse la ragazza.  "Si è convinto per anni di essere una roccia, ma nessuna persona è un'isola. Cercherà qualcuna prima o poi." 

 

"È un problema la distanza. Anche se voleste provarci, Europa e Asia sono troppo lontane... peccato. Mi dispiace. Credimi." disse Anne. 

 

"Non stia a pensarci. Senta... vuole che l'aiuti per qualche faccenda? È appena tornata a casa dall'ospedale, immagino non sia in forze." propose Marty, ansiosa di cambiare argomento. 

 

"No, te l'ho detto. Va tutto bene. E poi, ho tre figli. Nathalie ormai si rifà il letto da sola. La mia assenza li ha obbligati a crescere." ribattè la donna. "E con la tua enorme spesa, abbiamo ancora provviste. Hai fatto moltissimo, di questo non so come ringraziarti."

 

"Si figuri. Adesso con tutti quei soldi Mark potrà provvedere a voi. Non sa quanto ne sono felice!! Potrete cambiare quartiere, casa...e i bambini si iscriveranno a tutti i corsi che vogliono! Calcio, volley...vi aspetta una nuova vita." disse la ragazza.

 

"Se supererà le prove in Italia. Non è detto che l'esperienza vada bene. Io prego per questo, ma..." 

 

"Beh, un po' di ottimismo, signora! Suo figlio è un campione. Vedrà che avrà successo...." l'incoraggió Marty. 

 

 "Vedremo...Ora ti tocca portare i ragazzi all'Aquapark. Purtroppo se l'aspettano."

 

"Pensavo di passare mercoledì mattina a prenderli, se lei vuole venire...."

 

"No, grazie. Voglio stare tranquilla a casa. Senza di loro, poi, avrei tempo di riordinare e pulire tutto. Mark non è esattamente un bravo casalingo." sorrise Anne.

 

Ció fece ridere Marty. "Altrimenti sarebbe proprio da sposare!"

 

Le due si guardarono per un attimo, durante il quale lo stesso, dolcissimo pensiero passó nella loro mente. 

 

"Già...dai, vai in salotto con gli altri. Credo che Shigheo stia annoiando i ragazzi con le lamentele sul suo mal di schiena! Va' a parlare d'altro, ti prego." chiese Anne. "E sta' un po' con...chi sai tu."

 

Marty non se lo fece ripetere.

 

🎋🎋🎋

 

Quel mercoledì mattina, l'afa si annunciava insopportabile. 

 

I fratellini Lenders aspettavano impazienti l'arrivo di Marty a casa loro per essere accompagnati in piscina, e quando arrivò, verso le 11.30, ci fu un inaspettato cambio di programma. 

 

Mark, che aveva in precedenza declinato l'invito, decise di unirsi al gruppetto. 

 

"È che non mi va di lasciarti sola con i bambini. Che faresti se succedesse qualcosa?" si era limitato a dire.

 

"Ma sanno nuotare, mi avete detto. Che potrebbe capitare?" aveva chiesto lei.

 

"Non voglio rischiare. Tra pochissimo lascio il Giappone, mi va anche di stare quanto più possibile con loro." aveva aggiunto. Ma non era tutta la verità, si intuiva. 

 

"Ah... peró io ho comprato su internet i biglietti per noi quattro. Tu dovrai fare la coda..." 

 

"Non è un problema." aveva risposto lui. 

 

Dopo un saluto alla signora, con raccomandazione di non stancarsi, i cinque presero l'autobus. 

 

 "Mark...ma tu non fai la patente?"  chiese Marty, seduta accanto a lui sul mezzo. 

 

"A che scopo? Non ho la macchina qui e in Italia mi muoveró con un driver della societá i primi tempi. Al limite, la prenderó in Europa. Tanto vivró lì." rispose il ragazzo. 

 

"Hm, vero. Senti a proposito...."

 

"Matt, sta' seduto come si deve." la interruppe lui, rimproverando il fratellino che si agitava sul sedile. "...dicevi, scusa?"

 

"Niente, lascia perdere." aveva sospirato Marty.  Voleva dirgli che le sarebbe mancato. Le sarebbe mancato tanto da straziarle il cuore. Ma non ne ebbe la forza. 

 

Una volta scesi dal bus, i bambini videro l'ingresso della mega-piscina in lontananza, con gli alti scivoli e i trampolini. Presi dall'entusiasmo, corsero in quella direzione ma Matt goffamente inciampó nelle stringhe di una scarpa e cadde a terra. Si mise a piagnucolare. 

 

"Porca merda, Matt, non ne combini una giusta!" esclamó Ted.

 

Mark si arrabbió. "Hey, da dove ti escono queste parole??"

 

Intanto Marty aveva aiutato Matt a rialzarsi e l'aveva ripulito. "...credo da quel Jimmy e dai suoi amici. Qualche volta l'ho visto chiacchierare con loro."

 

"Spiona!" si irritó Ted, bizzoso.

 

"Smettila! Ti ho detto di non frequentare Jimmy e i quei tre attaccabrighe. Sono balordi." lo sgridó Mark. 

 

"Non li frequento...ci ho solo parlato...." brontoló Ted.

 

"Non mi interessa... non ti devi avvicinare a quelli...e scusati con Marty. Vi ha preso i biglietti per questo posto." pretese Mark.

 

"No, lascia stare..." disse lei.

 

"Avanti, Ted. O ti puoi scordare la piscina." insisté lui.

 

"Scusa." disse il fratellino a denti stretti.

 

"Va bene. Non importa. Dai, entriamo ragazzi. Seguitemi. " replicó Marty. "Mark, la fila per chi non ha il biglietto è laggiù. Cavoli, è lunga!"

 

"Non per me." sorrise l'altro. Si avvicinó a uno degli addetti alla sicurezza, che gli fece cenno di seguirlo. Si giró verso gli altri. "Vi aspetto dentro." e sparì.

 

"Mark...ma...dove vai???" chiese la ragazza basita. 

 

"Ha promesso un autografo a quel tizio, in cambio dell'entrata gratis. Mio fratello è famoso, che credi? E dopo le eliminatorie del Mondiale ancora di più." la informó Ted.  

 

"Ah che bellezza. Poteva farci entrare tutti senza pagare!" brontoló lei. Poi prese per mano Nathalie e Matt ed entró, dopo aver esibito i biglietti ai guardiani. 

 

Una volta entrati tutti e cinque, si diressero verso le cabine separate e si cambiarono, con Mark che aiutó Matt e Marty si prese invece cura di Naty.  Appena pronti, i tre bambini corsero verso la piscina principale e si buttarono in acqua felici. 

 

"Guarda come si divertono. Ci voleva con questo caldo. Mark, tu..." disse Marty, e si giró a guardarlo. La visione di lui con indosso nient'altro che il costume da bagno, la fece avvampare. Non era la prima volta che lo vedeva mezzo nudo, dati i suoi trascorsi come aiutante della Toho, ma lo stesso la visione di quel fisico, sotto al sole, fu disorientante. 

 

"S-s-sei un po' dimagrito, mi pare." disse allora. 

 

"Mi sono un po' asciugato. Era l'intento di Turner. Farmi perdere massa per aumentare l'agilità." rispose lui. "Questo ho fatto a Okinawa. Ore di corsa, ed esercizi. Un po' diverso da quello che ti eri messa in testa tu."

 

Marty fu colpita e affondata. "Non parlerei di questo. Lasciamocelo alle spalle."

 

"Come vuoi." sorrise Mark. "Hai fatto male a non andare su quell'isola con i tuoi. Hai perso l'occasione di vedere un bellissimo posto."

 

"Naturalmente non ti chiedi perché l'ho fatto..."

 

"Per i miei fratelli? Dubito tu abbia scoperto dentro di te l'indole della baby-sitter..." aggiunse Mark, faceto.

 

"No, infatti.  Il motivo è un altro, e a questo punto..." tentó di dire lei, ma venne interrotta. 

 

Tre ragazze si avvicinarono emozionate. Avevano i cellulari in mano. 

 

"Mark?? Mark Lenders, sei proprio tu?!"  chiese una, che indossava un bikini nero piuttosto striminzito.  "Il calciatore della Nazionale junior??"

 

"Sì, sono io."

 

Le tre cinguettarono eccitate. "Possiamo farci un selfie con te?! Per favoreeee!"

 

"Non vedo perché no." sorrise Mark.

Marty si stupì che fosse così disponibile.   Al liceo, era solito liquidare le sue fans in modo più sbrigativo. 

 

Le tre gli si avvicinarono e fecero un autoscatto di gruppo, mentre la bionda irlandese si sforzava di mantenere a bada l'impulso di scaraventarle tutte in piscina.  

 

Una ebbe pure il fegato di allungare un bigliettino al giovane calciatore. Poi si allontanarono entusiaste.

 

"Che c'è scritto?" chiese Marty.

 

Mark lo srotoló. Sorrise beffardo. "Tu che credi?"

 

"Il suo numero di telefono, vero?" ringhió Marty.

 

"Già." confermó lui, poi accartocció il pezzetto di carta e lo buttó in un cestino.  La sua tipica reazione. 

 

"Che stupide. Io davvero non so cos'hanno in testa certe ragazze." riflettè Marty.

 

"Dice quella che ha fatto avere il suo numero a Price via Kirk Pearson." mormorò lui. 

 

Di nuovo, la giovane avvertì un senso di gelo sulla schiena.  Mark le stava tirando frecciate peggio di un indiano Sioux.  

 

"Sei informato. Bravo." commentó.

 

"Non è stato difficile. Benji in ritiro ha vuotato il sacco. Era compiaciuto." aggiunse Mark. "Te l'ho detto chi è."

 

"Vuoi farmi sentire in colpa?" 

 

"No. Voglio solo che tu non ti senta su un piedistallo rispetto ad altre.  Abbiamo tutti i nostri errori sulla coscienza." disse lui, sdraiandosi su un lettino. "Cara signorina Non-Resisto-Ai-Portieri." Poi incroció le mani dietro la testa e chiuse gli occhi. "È il primo giorno di relax, da mesi, per me. Ci credi?"

 

Marty non rispose. Era ferita da quelle considerazioni. 

 

Mark aprì un occhio e la guardó. "Sai anche che non tornerò prima di Natale. Non rovinare queste giornate con i tuoi musi lunghi."

 

"Sarebbe più facile se non tirassi colpi bassi. Delle volte, mi chiedo perché tu lo faccia." rispose lei. "Cos'è, un tuo modo di testare la mia pazienza?"

 

"La verità non è un colpo basso. È invece un fatto che non tutti possono sopportarla." replicó lui, rimanendo sul vago.

 

"La tua amica ha fatto fagotto e se ne è tornata a Okinawa?"

 

Mark la guardó sorpreso. "Come sai che...ah. Nathalie, immagino."

 

"Ovvio. Ci ha tenuto a farmi sapere della tua ospite." ammise la ragazza. "Era agitata per la sua presenza."

 

"Sì, ho notato che mia sorella era nervosa. Del resto Maki si è presentata di punto in bianco. I ragazzi erano confusi." ribattè Mark.

 

"Beh, non si puó negare che abbia avuto iniziativa. Venire a Tokyo da sola..."

 

"Voleva augurarmi in bocca al lupo per il resto del mondiale." continuó Mark.

 

"Sì, decisamente per quello non sarebbe bastata una telefonata." ironizzó la giovane. "E perché se ne è tornata a casa?"

 

Mark richiuse gli occhi.  "Per lo stesso discorso che ti ho fatto prima.  Non ha retto una verità che le ho spiattellato."

 

"Quale? Che il baseball ti fa schifo?"

 

Mark si strofinó il naso e sorrise. "No. Che non si puó iniziare una storia con una persona,  se ne hai in mente un'altra."

 

Marty avvertì un'ondata di piccoli brividi lungo il corpo. "E....chi sarebbe questa persona? Quest'altra?" 

 

Lo vide girare il viso verso il sole, quasi a nascondere un improvviso imbarazzo dietro un atteggiamento di noncuranza. "Ti devo dire proprio tutto, DoppioZero?"

 

I tre bambini li chiamarono. "Mark!! Marty!! Venite o no? Dai!!!"

 

"Arrivo!" rispose il fratellone e, forse per uscire da quella conversazione in cui si era sbottonato perfino troppo, corse a tuffarsi. 

 

Lasció Marty seduta sulla sdraio di plastica, imbambolata, a realizzare che quel giorno la sua vita aveva svoltato finalmente verso la direzione così a lungo attesa.

Ritorna all'indice


Capitolo 85
*** Epilogo ***


 

E così, lento e terribilmente angosciante, arrivó il momento della partenza di Mark.

 

Marty aveva contato i giorni, le ore che la separavano da quella data. Talmente intensa era la sua ansia, da aver fatto passare in secondo piano la sua preparazione allo stage con la Hitachi. 

Eppure, quest'ultimo fatto avrebbe dovuto occupare ogni singolo pensiero della ragazza. Quella era la sua vita, il suo futuro.

 

Nei giorni di attesa, invece, si era informata sull'Italia, su Torino, sui tifosi della Juve, sul clima che avrebbe atteso Mark. Era sicuramente un posto bellissimo, Torino aveva una grande storia, e la squadra era importante. La pressione sul ragazzo sarebbe stata enorme. 

 

La sera prima della sua partenza, la famigliola Lenders l'aveva invitata per un'altra cena di commiato.

 

Avrebbe voluto fargli un regalo, si era scervellata per trovare un ricordo da lasciargli, un porta-fortuna, qualcosa di suo e di personale. Ma non aveva trovato alcuna idea adeguata.  Poi, quella era una cosa da ragazzina che avrebbe potuto fare Maki. Non lei.

 

Al termine dei pasti, Marty e Mark erano usciti in cortile.

 

Sotto le stelle di quella notte di inizio Agosto, lui aveva guardato il cielo e si era appoggiato alla parete in legno della casa. Erano rimasti in silenzio per un po'. 

 

"Agitato per domani?" aveva detto lei, interrompendo la quiete serale. 

 

"No. Non è la prima volta che prendo un volo intercontinentale." aveva risposto Mark.

 

"Sì ma stavolta ti fermerai per un bel pezzo in Europa." aveva aggiunto Marty. "Intendevo questo."

 

"Non sono agitato." aveva risposto lui.

 

Era passato ancora un po' di tempo in silenzio, come se i due stessero studiando e ponderando cosa dirsi.

 

"Ascolta... dovresti farmi avere il tuo numero di conto.  Al primo bonifico, renderó a te e a Ed i soldi che ci avete prestato." disse lui d'un tratto. "Voglio chiudere i debiti in fretta."

 

"La TV è stata un regalo, non dimenticarlo."

 

"No." si oppose il giovane. "Te la pagheró."

 

Marty sbuffó. "Sei un testardo...e va bene...via email ti faró avere il mio IBAN, ok??"

 

"A posto così. E poi...c'è comunque un favore che ti vorrei chiedere. E questo non puó essere ripagato."

 

Marty s'incuriosì. "Cosa?"

 

Mark guardó la luna. "Sai che manderó soldi a casa. Molti soldi. Ecco, vorrei che venissero impiegati per i miei fratelli, soprattutto. Per la loro istruzione. Passeranno due o tre anni prima che possa acquistare una casa nuova, ma intanto vorrei che si iscrivessero a ottime scuole. Ted sta per compiere tredici anni, l'anno prossimo inizia il liceo. Io voglio che si iscriva alla Toho."

 

"Come noi?"

 

"Sì. Anche perché tu sarai all'ultimo anno, e potrai aiutarlo ad ambientarsi.  Non mi va che vada in un'altra scuola pubblica. Ted è una testa calda come me, ma io ho avuto la passione per il calcio a tenermi lontano dai guai. Come hai visto, lui rischia di finire in brutte compagnie. Voglio che cambi frequentazioni." spiegó il giovane. "E Nathalie... mi piacerebbe che facesse corsi sportivi ma anche altro... pianoforte o cose così...sai, quelle robe che fanno le bambine di buona famiglia."

 

"Ma tu hai sempre detto di odiare i borghesi..." fece lei.

 

"No. Non odio le persone ricche. Non mi piacciono le persone viziate. È diverso." replicó lui. "Ma quello è un rischio che i ragazzi non corrono. Non saranno mai viziati. Perché hanno conosciuto la fame, il bisogno. Per tutta la vita, daranno il giusto peso alle cose. Questo per certi versi mi rincuora. Non avranno mai in loro la spocchia di Benji Price."

 

"Potresti incontrarlo in Europa."

 

"Più che probabile." rispose Mark. 

Poi sorrise alle stelle. "Non mi sono mai sentito così. È come se fossi improvvisamente libero."

 

Marty l'aveva guardato a lungo, sentendo il magone in gola.

 

"...Mark posso scriverti quando sei lì? Cioè, potrai ricevere messaggi dal Giappone?" chiese allora. 

 

"Sì, avró un cellulare personale e uno con un numero italiano. Non so cosa mi aspetterà a Torino, ma di sicuro saremo in contatto." le disse lui. Poi sentì le risate dei fratelli e i colpi di tosse sempre più insistenti della madre. "Mia madre...lei è la mia preoccupazione."

 

"Ma non hai detto che le hanno fatto le analisi in ospedale? E che seguirà una terapia?" chiese Marty.

 

"Già ma io saró lontano. Il mio vicino di casa, che è un nostro amico di famiglia,   avrà il compito di accompagnarla in tutte le cure. Tu peró, fammi il piacere...dacci un occhio. Mi fido di te." le aveva detto lui. Poi aveva osservato le stelle. "...ma ci pensi? Andró in Europa! In una squadra di serie A! È un traguardo straordinario." poi si giró a guardarla. "Anche tu diventerai professionista. Quando sono venuto a vederti, nella finale di volley, mi sono emozionato. Sei una grande trascinatrice!"

 

"Non come te, maestro. Tu non hai rivali." rispose lei. Poi si era intristita. 

 

"Cosa c'è?" chiese lui, allora.

 

"Mark...tu hai sempre detto che noi siamo amici. Ma io..." le venne da piangere. "...io non sono più tanto sicura di non averti mai ...amato."

 

E poi si coprì il viso con le mani. 

 

"Mi pare che abbiamo avuto già una conversazione simile lo scorso inverno." rispose lui. "Marty, me ne sto andando. Questi discorsi..."

 

"...tu cosa provi per me?" gli chiese allora lei. "Possibile che tutto il tempo passato insieme sia stato niente per te? Non dirlo, perchè so che non è vero."

 

Lui allora si appoggió di nuovo al muro della loro casa. Si prese qualche secondo per rispondere. "La sera di Capodanno avevo espresso un desiderio. Lo avevo fatto proprio qui, dove sono adesso. Avevo desiderato, che tu mi facessi questa domanda. Ma ora è tardi. Troppo tardi."

 

"...tardi??" chiese lei.

 

"È tardi perché sto lasciando il Paese. E tu hai ancora il liceo da finire e poi la tua carriera nel volley da inseguire. Siamo su strade separate ormai. Risponderti, quindi,  sarebbe inutilmente crudele." spiegó Mark, mettendosi le mani in tasca.

 

Allora lei si avvicinó. "Ciononostante voglio sapere. Cosa provi tu per me?"

 

Mark sorrise. "Che quasi non respiro, se non ti sento vicina. Ma..." si staccó dal muro, e scalció un barattolo sul marciapiede. "Ma...dovró adattarmi, mi sa. Adattarmi a non averti con me."

 

Marty scoppió in lacrime. "Perchè non me l'hai detto prima?! Perchè, Mark?"

 

"C'era Ed, ricordi? C'è sempre stato Ed. Perfino dopo i vostri litigi, dopo tutte le sue follie. Tu eri consumata dall'ossessione per lui. E io ti avrei schiacciato quasi quasi la testa con una mano, per farci uscire quell'idea continua." rise amaramente Mark. 

 

"Dio mio, mi rendo conto adesso di quanto tempo abbiamo gettato via Mark! E perché?" si sfogó la ragazza.

 

"Magari è così che doveva andare."  disse Mark.  "È la nostra storia. La nostra piccola storia."

 

Marty guardó a terra, quella terra scura che circondava la loro casa. "No...." disse. "No, non sono d'accordo."

 

"Come?"

 

"Non è giusto. Non è affatto giusto! Non ci siamo mai parlati per stupido orgoglio. Perché non siamo riusciti a guardarci negli occhi e ad aprirci! Ma io non ti lascio andare via così! Non adesso!" si sfogó Marty. 

 

"Non fare la bambina. È un fatto che dobbiamo accettare. Non si torna indietro. Che abbiamo sbagliato o no, io domani parto." replicó Mark. 

 

"Quindi? Quindi finisce così?! Ci siamo appena dichiarati e finisce così?" si disperó lei. 

 

"Non ho detto questo." 

 

"Mark..." lei allora corse fra le sue braccia. "Perché? Perché!"

 

"Non eravamo pronti. Io penso questo. Forse non lo siamo neanche adesso. Dobbiamo realizzarci come individui, nelle nostre passioni. Allora, dopo, ci ritroveremo. E saremo più grandi. Allora sarà tutto giusto." le disse lui, turbato dai suoi singhiozzi.

 

"Ma tu a Dicembre tornerai vero? Tornerai per Natale..."

 

"Sì, sì. Ci vedremo presto. Tu peró, ora concentrati su quello che devi fare. E intendo anche il tuo lavoretto per il signor Itou...stai continuando?" chiese Mark.

 

"Sì..." rispose Marty, contro il suo petto.

 

"Brava." le prese il viso fra le mani. "Sono cambiato un po', grazie a te. Tu sei cresciuta negli ultimi tempi. Credo che ci siamo dati qualcosa, pur non stando insieme." 

 

"Sai, quando stavo con Ed...in fondo, dentro di me, sapevo che non era una storia giusta. Ho sempre avuto come una vocina che mi diceva non è lui che stavi aspettando. Per questo è naufragato tutto. Ci ho provato e riprovato con lui, ma non andava." raccontó Marty.

 

"Lo so." annuì Mark. "E adesso che ti dicono le vocine?"

 

"Che sono innamorata persa." sorrise Marty.

 

"Credo abbiano ragione." 

 

"Ma non te lo dico." rispose lei.

 

"Cosa?"

 

"Che ti amo. E lo sai perché? Perché tu non l'hai detto a me..." 

 

Mark buttó la testa indietro e rise. "Beh, è implicito."

 

"No. Dillo. E lo devi dire forte e chiaro." pretese lei, sorridendo.

 

"Hmmm....che rompiscatole." roteó gli occhi lui.

 

"E dillo!"

 

A Mark uscì un mugugno incomprensibile.

 

"Non ho capito, puoi ripetere?" insistè lei. "Signor Sono-Il-Più-Duro-Di-Tutti...un piccolo sforzo."

 

"Ti amo." disse Mark, arrossendo un po'. 

 

"Più forte." sorrise lei.

 

"TI AMO!" 

 

"Ooooh!!! Finalmente!!!!" si sentì una voce esclamare. Naty era affacciata a una delle finestre. Applaudì. "Bacio! Bacio!"

 

"Ma sempre tra i piedi tu? Fatti gli affari tuoi!" le ordinò il fratello.

 

Marty rise. "Ce l'ho fatta, Nathalie!" 

 

La bambina urló: "Ace!" e si ritiró ridendo.

 

"Contenta? Accidenti....!" bofonchió Mark. Ma era divertito.

 

"Sì. Contenta e soddisfatta. Manca appunto un bacio." gli disse Marty. "Non vorrai negarmelo?"

 

"Non ti posso negare niente, ormai." rispose Mark. "Certo che sei proprio snervante."

 

"Se vuoi avere una ragazza, una come me, puoi dire addio alla tranquillità, caro." lo prese in giro lei. "Distanza o no."

 

Mark le passó le dita nella chioma bionda. "Ah e ascolta... lasciati ricrescere i capelli. Li preferivo prima."

 

"Ti piacciono lunghi?"

 

"Mi fanno impazzire lunghi." la strinse di più. "Ma non potevo dirtelo, o Ed mi avrebbe mandato in terapia intensiva."

 

"Allora, questo bacio?" si spazientì lei. 

 

"Come desideri, Chisana Gaichu." sorrise lui, e lasció che le loro labbra si unissero, in una notte di inizio Agosto. 

 

 

           🎋🎋🎋🎋🎋FINE 🎋🎋🎋🎋🎋🎋

 

 

NdA: Ringrazio chi ha letto e apprezzato questa FanFiction.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4043057