No just art for Michelangelo to carve di Cress Morlet (/viewuser.php?uid=918469)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I see your face when I close my eyes ***
Capitolo 2: *** It's torturous ***
Capitolo 3: *** Tonight is gonna be the loneliest ***
Capitolo 1 *** I see your face when I close my eyes ***
artmi
NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO
CARVE
I won't cry for you
I won't crucify the things you do
I won't cry for you
See (see), when you're gone I'll
still be Bloody Mary
(Bloody Mary, Lady Gaga)
Fare
sesso con lei non ti
ha aiutato.
Assolutamente
no.
Non
ti ha aiutato, ti ha rovinato e guarda ora
come sei costretto a raggomitolare i tuoi sentimenti tra pugni e bende
insanguinate.
Tu
credevi che così saresti guarito.
Che
stupido.
Sei
stato tremendamente stupido. Ti sei rovinato con le tue stesse mani. E,
adesso, sei perso e basta.
**************
Non
riesci neanche a distinguere il modo in cui
sono trascorsi i tuoi ultimi mesi. Stai cercando di ricordare, bloccato
nel giardino della scuola ad osservare gli altri ridere e scherzare.
Pensi
che il nuovo anno scolastico era iniziato nella stessa maniera in cui
si era concluso l’anno precedente.
Con
te sulla cima delle scale e Mercoledì lontana, uno
sguardo impossibile da decifrare. Il suo inquietante maggiordomo con
dei bagagli tra le mani e sua madre chinata a sussurrarle delle parole
all’orecchio sinistro.
L’hai
salutata e lei ti ha risposto con un cenno
del mento.
Hai
nascosto la delusione in un calzino bucato,
appallottolandola sotto al letto. Hai ingoiato la bile calda che ti
prosciugava la gola
e ti sei mosso verso il tuo dormitorio senza più voltarti
indietro.
Va
bene così, ti sei detto. Non parliamo dei messaggi di questa
estate, non parliamo delle poesie.
Va benissimo così,
ti sei ripetuto fino
all’inverosimile.
Poi
sei crollato con la faccia contro il cuscino e
hai trattenuto l’urlo che ti stava squarciando le tempie in
miliardi di pezzi.
Ti sei concentrato a respirare. Hai pensato di contare fino ad un
milione,
trattenendo il fiato. Di stringerti la fronte e strizzare le palpebre e
di
strapparti piccoli pezzi di cuore.
Ma
nulla avrebbe funzionato. Sei uscito in
piena notte e ti sei nascosto nel tuo capanno. Lontano dal mondo intero
e con
le ossa verniciate di nero. Ti sei inzuppato le mani di pittura, hai
immerso le
braccia fino ai polsi e poi fino ai gomiti.
Hai
disegnato fino all’alba.
Soltanto
ritratti di lei.
Bianca
ha cercato di aiutarti.
Scalciando
nella tua bolla di disperazione e di
compianto sei riuscito a riconoscere che ti vuole bene e che ha tentato
di
salvarti dai vermi accucciati sul tuo cuore.
Un
pomeriggio ha bussato alla tua porta e ti ha
chiesto di passeggiare con lei.
Ti
ha portato nei boschi e tu hai cercato di
sorridere pur di farla contenta. Lei ti ha chiesto di non fingere, non con lei. E tu
ti sei
sentito rotto, qualcosa deve essersi spezzato. Le ossa delle costole
hanno
ceduto e il tuo sentimento è colato a terra, macchiando
tutte le foglie di
rosso.
Hai
cominciato a piangere senza rendertene conto e
Bianca ti ha stretto le mani, continuando a farti camminare senza mai
asciugare
le tue lacrime.
Una
mattina l’hai trovata in corridoio con la
colazione tra le dita e un chiaro calore sulle labbra.
Ti
ha chiesto di mangiare insieme nel parco e tu
hai acconsentito nonostante il pugno in gola e le linee elettriche che
accartocciavano le tue spalle.
L’hai
seguita sotto il sole e hai riso alle sue
battute anche se non l’ascoltavi del tutto.
Ti
stava raccontando qualcosa quando tu le hai
fatto una domanda stupida.
“Come
faccio a smettere di amarla?”
Bianca
ha smesso di parlare e ti ha indicato il
bicchiere di latte caldo che ti eri dimenticato sul ciglio della
panchina.
“Non
bisogna saltare la colazione, Xavier. Neanche
per Mercoledì Addams.”
Lo
ha detto con quel suo tono che ti ha sempre
fatto sentire più leggero. Quel tono che - sembrano trascorsi secoli -
ti aveva
attirato verso di lei.
Come
se ogni cosa al mondo potesse essere risolta
- così tutto
facile e tranquillo, perché mai preoccuparsi, non esiste
nulla di
cui aver paura.
Hai
riso con tutto il cuore che ti era rimasto e
Bianca ha riso per la tua risata, avvicinandoti il bicchiere alle
labbra.
E
tu avresti continuato a sorridere del niente e,
forse, a goderti la mattinata. Ma lei
ti ha afferrato con i denti la coda dell’occhio.
Ti
sei voltato di scatto e lì l’hai trovata.
Mercoledì
Addams, dinanzi al portone principale.
Enid al suo fianco e Mano sulla spalla.
Ti
sei bloccato e ti sei chiesto perché.
Perché
mi stai osservando, perché hai un tale
sguardo, perché mi guardi così, perché
alzi il mento in quel mondo, perché stai
stringendo le labbra, perché fai così,
perché, dimmi perché, Mercoledì
perché. Perché non mi parli più.
Hai
anche abbandonato la panchina e fatto un passo
verso di lei, guadagnando solamente la sua schiena come risposta e il
viso
sbigottito di Enid - come guardava la sua amica e come si copriva la
bocca con le
unghie colorate.
Poi
Bianca ha buttato la colazione in un cestino.
Ti ha scosso per il braccio e ti ha accompagnato a lezione senza
nominare nulla
della scena a cui aveva assistito.
Ti
ricordi che una sera Bianca ti ha trascinato
nella biblioteca dei Belladonna e ha cercato di distrarti con ricerche
inesistenti.
Ti
ha fatto leggere milioni di pagine e mostrato
miliardi di dipinti di antiche profezie e ti ha fatto segnare migliaia
di nomi.
Tu hai implorato pietà e lei in maniera giocosa ti ha
colpito la testa con uno
dei tuoi quaderno da disegno. Uno dei ritratti di lei è
sgusciato fuori,
depositandosi a terra. Bianca non l’ha raccolto.
L’ha fissato per qualche
secondo, sospirando soltanto alla fine di qualcosa che ti era sembrato
come un
lungo e tormentoso ragionamento. Ti ha parlato così.
“Dovresti
davvero non saltare la colazione,
Xavier.”
Una
notte ti ha chiesto di poterti accompagnare
nel tuo rifugio. Non eri contento della sua richiesta ma il senso di
colpa e la stanchezza ti hanno costretto ad acconsentire.
Così Bianca ha osservato per ore tutti i ritratti
con cui hai tappezzato il capanno. Tutti
i ritratti di lei. Tutta la sua
musica. Tutte le sue parole taglienti.
Ti
ha abbracciato e tu non hai mosso le braccia
dai tuoi fianchi.
“Si
aggiusterà tutto, Xavier. Te lo prometto.”
Tu
non le hai creduto e hai scelto di nascondere
la fronte contro la sua spalla borbottando qualcosa di
incomprensibile.
Ora
pensi che non avresti mai dovuto dubitare di Bianca. Ora sì
che te ne rendi conto.
La colpa ricade esclusivamente su di te. Tu sei stato altamente stupido.
Nessun
altro.
**********************
“Non
credevo di essere in una commedia
adolescenziale dai dialoghi banali e con una trama ridicola.”
Non
ti eri accorto che lei era entrata nel tuo
rifugio e le sue taglienti parole ti hanno fatto cadere il pennello e
imbrattare di
viola la tela bianca. Ma lei era lì.
Sulla
soglia della porta di legno e con le sue
sopracciglia arcuate e lo sguardo adirato.
“Mercoledì.”
Il
suo nome come un sospiro che lei allontana
con un movimento risoluto della mano. Una mosca da schiacciare tra due
polpastrelli, senza pensarci un secondo.
“Pensi
che le mie giornate siano altamente tediose
e che abbia bisogno di te e Bianca al fine di conferire
elettricità alla mia esistenza?”
Ti
sei sentito scosso e hai raddrizzato la schiena
per smetterla di sentirti tanto impotente dinanzi al suo cospetto.
“Non
so di cosa tu stia parlando.”
Hai
fatto un passo avanti e lei ha aggiustato lo
zaino sulle sue spalle. Ha gettato il suo sguardo risoluto lungo tutte
le
pareti e notato i quadri nascosti da panni e gli angoli scoperti. Senza
battere
ciglio e senza mai scomporsi.
“Ti
illumino. La tua fidanzata Bianca pensa di
essere altamente intelligente e suppone di essere un eroina il cui
unico scopo nella vita sarebbe di proteggerti.
Si presenta da me e pronuncia vuote minacce al solo scopo di condurmi
qui, da
te, a chiederti cosa desideri tanto ardentemente dirmi.”
Ha
pronunciato ardentemente
con una sfumatura di
derisione che ti costringe a serrare i denti e contenere
l’acido risalito nella tua bocca e sulla tua lingua.
“Sei
tu che minacci. E nessuna minaccia potrebbe
mai spaventarti.”
L’hai
vista muovere il capo in un segno di assenso
e il suo sguardo trasformarsi, reso brillante da una luce di trionfo e
soddisfazione.
“Concordo.
Per questo motivo ti avviso che
dovresti ringraziare Enid. La tua ragazza ha ancora entrambi gli occhi
esclusivamente grazie al suo misericordioso intervento.”
“Non
è la mia ragazza.”
Una
frase che blocca il suo flusso di parole
come redini tirate con forza contro il muso di un cavallo ritroso.
“Non
è realmente di mio interesse.”
Un
battito di troppo. Una pausa stonata. Qualcosa
che ti spezza ancora altre costole e poi più
giù la base dello sterno.
“E
perché sei qui? Perché stai facendo esattamente
come Bianca ti ha ordinato?”
Lei
muove qualche passo verso di te e i suoi
occhi neri ti inghiotiscono. Dei sacchi di carbone in cui crollare a
testa bassa e da cui farsi bruciare con prepotenza.
Le
sue pupille sembrano sempre così enormi.
“Dopo
che Bianca è stata accompagnata in
infermeria sono stata scossa da un moto di curiosità. Oltre
che dal desiderio
di dirti personalmente le sue condizioni.”
“Che
cosa hai fatto? Mercoledì, io non so come
definirti, che cosa hai fatto?”
Hai
sentito un moto di intensa preoccupazione
pervaderti le membra e lei ti ha bloccato il passaggio muovendo un
altro passo
contro la tua direzione - contro
di te e la tua ansia nei confronti di Bianca.
“Rilassati.
Cavaliere dalla scintillante armatura.”
Di
nuovo quel tono di scherno. Nel modo in cui ha
pronunciato cavaliere e
poi armatura.
Gli
altri avrebbe sentito soltanto il suo usuale
modo di parlare monocorde. Niente altro. Tu hai percepito la sottile
derisione
che riesce a reciderti le coronarie in un intricato intreccio di
farfalle e
bruchi.
Dolore
e sempre dolore.
Hai
guardato le sue labbra e notato che
soddisfazione si celava dietro ai suoi denti.
Si
sente bene - felice e
tronfia delle sue azioni
e della sua vendetta.
“Dovresti
ascoltarmi meglio. Come ti ho già detto
sei costretto a ringraziare Enid. Bianca ha soltanto qualche
graffio.”
Non
ha trattenuto il sorriso alle parole qualche
graffio e tu hai sentito tutto il sottobosco dei tuoi
sentimenti esplodere.
Ogni
insetto carnivoro gettarsi via dai rami delle
tue costole e riversarsi sotto pelle e poi fuori. Tra i tuoi piedi e
l’aria che
non respiri.
“Io
sono senza parole.”
Lo
sforzo delle tue uniche sillabe completamente
vano. Lei non si era accorta della pittura che continuava a colare
dalle tue
unghie e non si accorge del dolore martellante racchiuso nel tuo petto.
Del
mio cuore è rimasta soltanto la cenere di un
carboncino masticato.
“Io
sono perplessa. In questa stanza ci sono
almeno nove miei ritratti e sembra il rifugio di un maniaco.”
Cenere
sputata dalla testa di un bruco
imprigionato nella tela di un ragno.
“Sei
nella mia testa. È l’unico modo per
dimenticarti.”
Una
tela dura e appiccicosa. Impossibile da
recidere e da spezzare. Una prigione - una tomba.
“E
funziona?”
Un
altro passo verso di lei e un altro laccio
d’acciaio intorno al tuo cuore.
Non
hai risposto. Non credevi lei volesse
realmente una risposta.
Il
silenzio ha cominciato ad allungarsi e
nell’assenza dei rumori tu hai ritrovato il tuo respiro. E
gli odori della
vernice e il tatto del tessuto ruvido della tela vicino a te e il suono
dei
fischi del vento.
E
la vista di lei. Le braccia incrociate dinanzi
al suo petto con i muscoli contratti in una lotta invisibile. Il
graffio sulla
fronte e il sangue fresco sulla tempia. La frangia in disordine. Le
palpebre
mai abbassate e le labbra arcuate nell’attesa.
“Forse
dovrei chiederti cosa ne pensa Bianca. Dato
il suo interesse.”
Così
all’improvviso hai visto e sei rimasto
folgorato.
“Tu
sei gelosa.”
Dentro
la tua testa si riversano una serie di fotogrammi. Ogni
immagine di lei che ti mostra soltanto le sue spalle, la schiena
rigida. Il
modo in cui lo sguardo si è indurito ogni giorno di
più. Il silenzio delle sue
labbra schiuse in espressioni di lieve rabbia e incredulità.
Così come
è adesso.
Ti
osserva con disgusto e solleva il mento verso
l’alto con infinito sdegno.
E
tu non la lasci parlare.
Perché
tu stai comprendendo qualcosa che si era
annidato in un crocicchio della tua mente e che eri certo fosse
scomparso.
“Quella
mattina. Tu hai visto me e Bianca ridere
insieme e te ne sei andata, non mi hai dato modo di parlare, sei andata
via e
basta. Tu eri gelosa. Tu sei
gelosa.”
Ogni
nuovo respiro è un passo in avanti e ti
ritrovi estremamente vicino a lei.
Non
c’è più nulla a separarvi.
La
distanza di un sospiro e sfioreresti il suo
corpo. Mercoledì non si smuove - comprendi che potrebbe farlo.
Senza
compiere un passo indietro, potrebbe
muoversi di lato e fuggire da una tale vicinanza. E non lo fa.
Rimane
lì a guardarti con quegli immensi occhi
neri che non ti mettono in soggezione - non lo hanno mai fatto -
e che
semplicemente ti squarciano il petto.
Gli
angoli della bocca ostinatamente abbassati
mentre incrocia le braccia e ti combatte con frecce grondanti veleno.
“Conclusione
errata e fuori contesto.”
E
con archi di violino letali, simili ad un incrocio di
lame bronzee e spilloni d’argento.
“Tu
non vuoi che Bianca sia la mia ragazza. Tu sei
arrabbiata perché credi che lo sia.”
Lei
immergerebbe i denti nel tuo cuore e ne
sputerebbe i bocconi marci sui tuoi piedi.
“La
pateticità della tua vita sentimentale non mi
tange.”
Ti
lascerebbe al freddo con l’addome tagliuzzato e
mezzo scomposto.
“Non
dovresti essere gelosa. Sai cosa provo per
te.”
Siete
talmente tanto vicini che le tue labbra
glielo dicono contro la sua fronte e lei non si sposta e tu senti delle
immense
vertigini che ti smuovono lo stomaco in onde di calore insopportabile.
Talmente
tanto calde che ti formicola il ventre e ti stringe l’addome.
E
Mercoledì ha sempre quel suo sguardo impossibile
da descrivere - e ti
osserva e ti osserva e non ha smesso mai di osservarti da
quando si è buttata dentro il rifugio e ha rovesciato ogni
cosa che credevi di
aver capito di te e di lei e di voi due insieme.
“La
gelosia è il sentimento dei deboli. Non tocca
la mia persona.”
Troppo
vicino a lei.
Da
lontano forse non lo avresti notato o forse sì
- perché tu
guardi sempre i suoi occhi, ti ha incastrato lì, tra due
linee
marroni che percorrono le sue iridi, ti ha richiuso lì
dentro e mai più potrai
essere libero.
Così
tu ti rendi conto della nota stonata.
Che
all’improvviso - un
secondo o forse l’eternità
racchiusa dentro un millesimo di secondo - i suoi occhi
sono stati nascosti
dalle palpebre.
Un
battito di ciglia.
Ha
perso la concentrazione. Qualcosa
l’ha turbata.
Qualcosa è crollato e si è aperto uno spiraglio e
hai visto. Hai visto cosa la
sta turbando realmente.
Sei
arrabbiata. Non vorresti provare tutto questo
e sei arrabbiata. Mi odi, tu vorresti odiarmi e mi odi. Mi detesti. Sei
sempre arrabbiata, mi guardi e provi una tale rabbia. Non vorresti
provare nulla e mi odi. Mi odi e sei gelosa, lo sei
davvero, e mi odi, mi odi talmente tanto.
Mercoledì
sospira più forte e senti il suo respiro
sulla giugulare e ti rendi conto che basta, va bene, cedi le armi. Va
bene così - che
abbia fine questa tortura, amarla ti sta uccidendo, allora che sia
fatta la sua volontà, dille addio.
“Va
bene. Basta.”
Le
tue mani si muovono da sole.
Le
tue mani proseguono i tuoi pensieri e sono
parole che continui a ripeterti in testa e di cui non sei consapevole
se non
quando è troppo tardi. Le tue mani si chiudono intorno alle
sue guance e
sollevano il suo viso.
E
la tua schiena.
Così
spontaneo abbassarla per raggiungerla e lì ti
blocchi. Le tue labbra sulle sue e ti fermi, ne senti il sapore.
Sei
bloccato in un bacio a stampo e senti il
ghiaccio scorrere in tutte le tue vene fino a gelarti il cuore. Sai che
devi
allontanarti - ti stai
allontanando, hai baciato il tuo incubo e devi lasciarlo andare,
immolandoti sull'altare - ma lei si aggrappa al tuo collo
e tu
ricadi giù. Un respiro fuori dall’acqua e un
secondo dopo l’intero oceano nel tuo sterno.
Mercoledì
ti sta baciando.
Le
sue dita tra i tuoi capelli della nuca.
Il
suo naso contro il tuo.
Le
labbra già schiuse e la lingua che ti sfiora i
denti.
E
tu sei perduto, tu sei la vittima sacrificale, tu sei il sacerdote
profano.
Il
ghiaccio si scioglie tutto in un calore
intollerabile. Le tue labbra si schiudono ad accogliere le sue e non ti
controlli più.
Le
tue mani sono scese dal viso al collo e dal
collo alle spalle e dalle spalle ai fianchi. La stringi. La baci e non
le
concedi mai aria. Segui un ritmo che ti sta soffocando e non riesci a
fermarti
- non puoi o ti senti
morire, senti solo che la desideri, che ti sei consumato nel desiderio
di possederla in ogni modo possibile e adesso pensi soltanto che
vorresti entrare dentro di lei e smetterla di soffrire.
Le
attiri i fianchi contro i tuoi e le tue dita si
insinuano ai lati della gonna, sotto, abbassandola leggermente. Senti
la pelle
dell’inguine con il pollice e poi le ossa sporgenti e
lì perdi un gemito
gutturale sulla sua lingua, assaporando il modo in cui lei risponde ad
ogni tuo gesto e sospiro. Che
la Musa abbia pietà del suo mendicante, e poi
capisci di star delirando e che la stai stringendo tanto forte da
lasciarle dei lividi.
Le tue dita scendono ancora e le liberi le labbra -
gonfie, lei ansima, non
pensavi l’avresti mai vista così.
La
gonna a terra e le tue mani tra le sue cosce.
Lei spinge il suo ventre contro i tuoi polpastrelli e tu capisci che
dovresti fermarla, che
le tue dita la stanno già esplorando e che tra pochi secondi
la prenderai lì, sul pavimento sporco e i panni macchiati di
vernice, e non va bene, è troppo tutto insieme.
Il silenzio sulla loro estate, le sue spalle
voltate, la
sua gelosia, il bacio e tu che non sei pronto. Non dopo averla
desiderata tanto a lungo.
E
chi fermerà te?
Come
potresti fermarti con lei?
I
respiri di Mercoledì sono pesanti e dentro di te
scorrono troppi desideri e troppe emozioni. Mercoledì ti
bacia l’angolo della
bocca e tu stai peggio. Mercoledì ti afferra le mani che hai
allontanato da lei e le pone nuovamente tra le
sue gambe - il calore ti
bagna le dita - e tu scegli di fermarti. Non così, non
dovrebbe essere così.
Mi
sta uccidendo. Baciarla e non baciarla.
Toccarla e non toccarla. Mi uccide comunque.
Sussurri
un ‘no’ che gela entrambi.
Poni
la tua fronte contro la sua e sai che lei
vorrebbe picchiarti - non
vuole neanche guardarti in faccia - e volta il viso
di lato lasciandoti solo la sua tempia a cui appoggiarti.
Ripeti
‘no’ e lei compie un passo indietro quasi
inciampando nella sua gonna e tu la segui stringendole le spalle.
“No.
Non così.”
Le
baci la tempia e lei si irrigidisce ancora di
più. Mezza nuda tra le tue braccia senza mai tremare.
“Questa
sera. Questa sera presentati al mio
dormitorio. Avremo tutta la notte. Avremo un letto.”
Dimmi
che per te è
importante come lo è per me. Per favore. Per favore non
farmi sentire usato.
“Seriamente,
Xavier?”
“È
importante per me.”
Si
volta. E ti osserva. Ma tu adesso non riesci a
sostenere il suo sguardo perché sei troppo esposto. Le baci
le palpebre e le
ciglia e lo fai con estrema dolcezza anche se sai che lei potrebbe
sentirsi
nauseata da questi tuoi gesti. Ma ti senti spezzato in più
punti e non sai bene
come reggerti in piedi senza più sentire la sua pelle e il
suo calore tra le
dita. Senza i suoi gemiti nelle orecchie e il suo corpo a modellare il
tuo.
Ti
amo, vorresti
dirle.
Ti
amo e mi stai uccidendo. Mi sta uccidendo
amarti.
Ti
scongiuro, liberami.
Mercoledì.
Lasci la sua pelle, lasci il suo corpo e ti
condanni.
“Io
ti aspetterò.”
Angolo autrice
Sono soddisfatta? Ma certo che no, altrimenti non sarei Cress Morlet.
Spero tantissimo di ricevere le vostre opinioni, ne ho davvero bisogno.
Mi sono perdutamente innamorata di loro e tanto altro deve accadere.
Seguitemi, se volete. E, soprattutto, buon anno nuovo!
|
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Capitolo 2 *** It's torturous ***
totutre
NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO
CARVE
We are no just art for
Michelangelo to carve
He can't rewrite the agro of my furied heart
I'll wait on mountain tops in Paris, cold
Je ne veux pas mourir tout seule
(Bloody Mary, Lady Gaga)
Senti
un nodo allo
stomaco che potrebbe attorcigliarsi intorno alle trame della tua anima
- da
risucchiarti ogni
respiro e scorticarti la cute della pancia.
Una
nausea talmente tanto potente da costringerti
a bloccarti dal tuo incessante camminare in tondo. Sudore freddo che ti
scorre
sulla nuca e giù fra le scapole.
Non
busserà mai.
Ti
stringi il nodo allo stomaco e vorresti
strappartelo da dentro e gettarlo dalla finestra. Aspettare nella tua
stanza si
sta trasformando in una tortura indicibile.
Aspettare
lei - l’illusione
di un uomo senza
speranze.
In
gola sabbia arida e sporca. Un martello nelle
tempie e tasti di pianoforte che ticchettano il flusso dei tuoi
pensieri.
Mercoledì.
Ti
avvicini alla tua porta e pensi che tu sei una
falena con le ali macchiate di inchiostro e che brucerai sfiorando le
ragnatele
dei raggi solari - e
che sei patetico.
E
poi pensi al suo viso mentre riassettava la
gonna stretta intorno alle sue gambe - dimenticata a terra e troppo
vicino ai
tuoi piedi, ti sei sentito a disagio - e al modo in cui le
sue labbra si erano
serrate in una muta condanna contro di te. Ti aveva lasciato senza una
risposta
e con le guance rosse, il passo affrettato.
Ti amo, hai pensato
non appena lei ha sfiorato i
cardini della porta.
Non
ti ha guardato. Non ha sentito di certo i tuoi
pensieri.
Ti amo, scusami. E
lo hai sussurrato alle ombre dei suoi
dipinti e a null’altro.
Abbassi
la mano sulla maniglia e ti sembra il tuo
polso pesi piombo - cade
pesante e la porta si schiude, uno spiraglio che è un
il respiro di una lucciola.
Non
sai il motivo. Non comprendi cosa ti stia spigendo a lasciare la stanza
- forse la stanchezza
dell'attesa del patibolo, forse la smania di bruciare il catrame sulle
tue ali da falena.
E
poi te ne rendi conto e il tuo sguardo si
trasforma. Mercoledì.
Scorgi
una treccia scura e poi smalto nero su
pelle di porcellana. Tanto pallida da apparire come uno spettro antico
rimasto
imprigionato nei rancori di una gotica dimora. Tanto bella da spingerti
ad
osservare il modo in cui la luna si riflette nei suoi occhi e sul suo
viso
placido. Estremamente calmo.
“Mercoledì.”
Solo
il suo nome riesci ad articolare. Tutto il
resto ti rimane incastrato tra gli incisivi e le labbra screpolate.
Forse
qualcosa sfugge lungo gli angoli della tua bocca e ti disegna
un’espressione di
stupore sul tuo volto.
E
sai che lei è davvero lì - dinanzi a te,
stringendo ancora il suo zaino e con gli stessi vestiti di qualche ora
fa.
Lei
non sembra sentire il tuo tormento e il modo
in cui tante parole si stanno ammassando nella tua gola e premono per
uscire,
scivolando sulla tua lingua.
Lei
considera semplicemente il suo nome un invito e compie un
passo senza dire nulla. Tu allarghi lo spiraglio della porta e
lei sguscia da sotto il tuo braccio posato sullo stipite.
Mercoledì.
L’unico pensiero coerente che la tua
mente riesce a colorare in mezzo alle ragnatele.
“Mercoledì.
Da quanto eri lì fuori?”
Non
ti ascolta. Si ferma al centro della tua
camera e si guarda intorno con aria cinica - come se si aspettasse altri
dipinti o qualcosa altro con cui attaccarti con un mezzo sorriso sulle
labbra.
Tu
sei ancora vicino alla porta e ti chiedi come
strappare la nuova distanza che si è creata tra voi. Come
sia possibile che in
poche ore si sia creato qualcosa di sbagliato e come aggiustare il
ponte traballante tra di voi.
Mi
hai baciato. Hai
lasciato che ti toccassi, lo volevi, lo volevi anche tu.
“Se
permetti avrei bisogno io di sottoporti un
quesito.”
Il
suo tono ti smuove qualcosa dentro. Eppure hai
l’assurda speranza che le sue parole e le tue risposte
possano arginare
l’oceano immenso in cui tu stai miserevolmente affogando. Ti
stacchi dalla
porta e ti muovi verso il comodino. Stai annuendo mentre rifletti e ti
aggrovigli nei tuoi pensieri confusi. Afferri due album da disegno e ne
getti
uno in un cassetto. Troppo calmo, troppo esposto e troppo disperato - che
errori stupidi.
“Certo.
Dimmi.”
“Cosa
hai provato quando mi sono presentata al
ballo con Tyler?”
Chiudi
con forza il secondo cassetto e delle matite
sfuggono, cadono a terra. Tu ti chini a raccoglierle e stringi i pugni.
“Lo
sai bene cosa ho provato.”
“Sentimento
di possesso? Furia omicida? Tossico
desiderio?”
Fammi
un favore. Togliti l’amuleto e fammela
dimenticare.
“Tristezza.
Ero molto triste, Mercoledì.”
“Quindi
non eri geloso?”
È
un’immagine che ti perseguita. E che stranamente
hai scelto di non dipingere mai. Neanche di abbozzarla o di
tratteggiare con
una matita sbeccata.
Il
modo in cui il vestito nero aveva fasciato i
suoi fianchi. Una sposa con i capelli stretti in
un’acconciatura da sciogliere
solamente la notte e tra delle lenzuola bianche e umide - le tue dita
avrebbero
snocciolato a terra ogni forcina in un tintinnio di legno simile ad un
canto
nuziale.
La
pelle pallida da baciare e da mordere.
Dietro
l’orecchio, la giugulare e sotto il mento.
Il palmo della mano, l’incavo del gomito e poco sopra la
spalla. Il polpaccio,
i tendini tesi del ginocchio e tra le cosce.
L’aveva
osservata passeggiare tra gli altri
studenti, muoversi a passo svelto sulla pista da ballo e danzare. La
musica aveva piegato il suo corpo in pose d’estasi.
Lui
aveva dovuto fare un passo indietro.
Questo
desiderio mi sta uccidendo.
“Sì.
Lo ero.”
Lei
abbassa il mento insieme allo sguardo. Ti
lascia in bilico un secondo e poi si stringe nelle spalle - e tu sei già caduto.
“E
cosa hai provato? Nello specifico.”
“È
crudele. Persino per te.”
Non
sai dove nascondere le mani. Lasciarle lungo i
fianchi ti sembra un peso. Porle nelle tasche dei pantaloni ti curva un
po’ la
schiena, sottraendoti aria. Ma tremano.
Di
ansia e dolore mescolati ad un battere troppo
veloce del cuore.
“Sono
coerente. Non c’è niente in me per cui io
possa piacere a te.”
Perché
dovresti piacermi?
Il
ricordo della tua domanda si assottiglia tra di
voi come una lama di ghiaccio e sangue. Scava nell’addome di
entrambi e lascia
te con uno strano senso di colpa.
“Ero
ferito. Continuavi a dire che io ero il
mostro e dicevi che avevo cercato di fare del male a Eugene. Mi
calpestavi in
ogni modo.”
Lei
allarga le spalle e arriccia le labbra - c’è
disgusto che cola dalle sue guance.
“Io
questo sono. Non mi assumo la responsabilità
del tuo avermi idealizzata. Non sono i tuoi dipinti. E non sono
buona.”
“Hai
paura?”
Noti
che la tua domanda la costringe a stringere i
denti.
“Come,
prego?”
“Stai
cercando di litigare. Mi attacchi. Mi fai
domande di cui conosci la risposta. Cerchi di provocare uno scontro. Di
cosa
hai paura?”
Non
ti farò mai del male e non farò mai nulla che
tu non voglia. Non sono quel tipo d’uomo. Non sono neanche un
uomo. Sono un
ragazzino innamorato che non sa cosa farne di questo sentimento, che
era impreparato a tutto questo.
Le
tue parole sono appallottolate su un foglio di
carta e ingoiate con la forza. Mercoledì distrugge la
distanza tra di voi e
calpesta ogni altra frase che eri in procinto di pronunciare. Si blocca
a due
passi da te e lascia cadere lo zaino a terra.
“Abbiamo
tutta la notte. Abbiamo
un letto.”
Scimmiotta
le tue parole e tu senti un calore
diffuso tra il collo e le guance. Un calore che ti invade lo sterno non
appena
vedi che lei compie tre passi indietro e si sdraia di schiena sul tuo
letto. Ti
osserva un momento e poi gira il viso verso il soffitto.
“Tu
conosci la pratica. Io la teoria. Possiamo
procedere.”
E
la osservi. Che ti attende per pochi secondi. Che poi si rialza a
sedere un momento
per sfilarsi la giacca della divisa. Che quella macchia nera di tessuto
cade a
terra e ti sembra un presagio di distruzione, simbolo che non ti
offrirà mai altro. Osservi che non ha la cravatta e
ha solo una camicetta. Che si sta sfilando scarpe e calze eliminando
ogni
possibile intimità che avreste potuto avere. Che ti sfida
con orgoglio e che forse ha paura, ma non te lo
dirà mai. Che posa nuovamente la schiena sul
tuo letto e che non ti guarda e così tu pensi che di una
morte bisogna morire.
Questa
non è peggiore di tante altre.
Lo
so che amarti mi sta uccidendo. E che così sia.
“Mercoledì.”
Sei
in piedi al lato del letto e cogli un fremito
delle ciglia. Senti mirra e incenso nelle tue narici e poi qualcosa di
conturbante che ti rende sdrucciolevole ogni possibile azione.
“Esprimiti
liberamente.”
Ti
siedi vicino al suo fianco destro e la sua
ostinazione a non guardarti ti spinge a sdraiarti e a guardare il
soffitto
insieme a lei - e come
è piccolo questo letto per entrambi.
Ti domandi perché lei
voglia fare sesso con te, perché è vicina e non
si scosta, cosa prova.
“Io
ti amo davvero.”
Mercoledì
sospira e forse sbuffa.
“È
irrilevante.”
Ti
sta pugnalando fino a spezzarti le ossa delle
costole in più punti. Senti il suono e senti il caldo
ripugnante del sangue che
sgorga in lunghi rivoli neri. E non ti importa.
Le
cerchi la mano chiusa a pugno e la stringi.
“Ti
amo davvero.”
“Il
sesso è un’unione carnale che non richiede
partecipazione emotiva.”
Ti
sfugge una risata dalla bocca piena di sangue e
senti il pugnale schiantarsi a terra.
“E
purtroppo io ti amo. Ti amo, Mercoledì. E ti
amo troppo. Sono patetico. Vorrei scegliere di non amarti. Vorrei non
amarti e
non averti mai amato. Invece ti amo. Ti amo. Dio, quanto ti amo, ti amo
e ti
amo, ti amo. Ti amo, sempre ti amo e ti amo. Ti amo e non
smetterò mai. Quindi
finiscimi e basta.”
Ti
volti. Lei ti sta già guardando e non sai da
quanto tempo ha smesso di osservare il soffitto e non ti interessa.
Mentre stai
ancora parlando le trovi le labbra schiuse e la baci. E ritorna.
Quella
passione che aveva travolto entrambi
soltanto poche ore prima - insieme
alla disperazione e alla certezza di non
essere amato e al dolore della perdita di una parte di te stesso.
Hai
le mani tra i suoi capelli e strette intorno
alla sua nuca. Le sollevi il viso e lei sembra lasciarsi divorare da
te, una
semplice illusione - ti
sfida con la sua lingua, nel modo in cui ti accarezza e
poi ti sfiora le labbra in tocchi sottili e come lei cambia il suo
ritmo e costringe
te a seguirla.
Ha
schiuso le labbra e ha schiuso le gambe,
girandosi di lato e posando la coscia contro il tuo fianco. Senti
calore
ovunque.
Lei
si spinge contro di te e una tua mano scende
dalla sua nuca al suo bacino.
Non
sai se vuoi spingerla ancora di più contro di
te o fermarla.
E
le tue dita non trovano pace e dal bacino
percorrono la linea della gonna e con i polpastrelli sentono il bottone
e la
cerniera da slacciare e tirare giù. Lo fai veloce mentre lei
si solleva e ti
aiuta a sfilarla.
Lo
sai che è la sua prima volta. Nasconde
l’inesperienza con gesti accorti e tu le chiedi di rallentare
mentre ti sta
spogliando. Lasci che ti sfili il pantalone e che poi ti spinga sopra
di lei.
Troppo veloce, troppo veloce, hai solo adesso iniziato a baciarla.
“Aspetta,
aspetta.”
Sono
le uniche parole che riesci a pronunciare nel
momento in cui lei cerca di sfilare via gli ultimi indumenti di
entrambi - ha
cercato di farlo in un gesto veloce mentre tu eri premuto contro di lei
a
baciarle lo sterno, partendo dalle spalle e poi giù sul
tessuto del reggiseno e
al centro del suo addome, a morderle cuore e ossa e pelle.
Lei
ha il respiro accelerato e tu sei diviso in
due opposte tensioni. Vorresti guardarla quando le tue dita discendono
e
schiudono le sue gambe e si insinuano dentro di lei e
cominciano a
muoversi lentamente - lente
e lente, prima un dito e poi due in movimenti lenti
e lenti e così lenti che il suo bacino ti asseconda in modo
sgraziato e
irregolare.
Ma
non riesci a sollevare lo sguardo.
Dapprima
hai il viso nascosto contro il suo petto
e sul suo seno che - non
riesci a controllarti, non ci riesci - vorresti soltanto
baciare, invece mordi, divori.
C’è
l’impronta dei tuoi denti sulla sua pelle,
vicino all’aureola e sul costato. Li noti di sfuggita e non
ti blocchi,
continui ad alternare la tua lingua con i tuoi incisivi fino a quando
ai suoi gemiti non si uniscono note di sottile dolore. Inizi
di nuovo con baci dolci,
assapori la sua pelle mentre le tue dita scelgono un ritmo diverso,
più veloce. E all’improvviso non ti basta e vuoi
di più, vuoi
sentirla ancora e ancora e di più.
Mordi
piano e la senti, senti che trema.
Ma
poi nascondi il volto contro il suo collo per ascoltare meglio il suo
respiro. È disarticolato, come se volesse
pronunciare parole che non ti sussurrerà mai e che rimangono
incatenate alla
sua giugulare. Il suo bacino segue i movimenti dei tuoi polpastrelli e
si lascia accogliere dal tuo
palmo, le gambe tremano e stropicciano le lenzuola. La senti che ti
stringe -
anche le sue cosce ti
stringono il braccio e i suoi respiri sono solo gemiti
che ti sembrano strozzati.
E
le sue mani si aggrappano alle tue spalle e la
sua schiena si inarca e tu non puoi più scegliere. Sollevi
il viso dalla curva del suo
collo e i suoi occhi sono spalancati. Non riesci a cogliere la sua
espressione, la sua bocca si preme subito contro la
tua.
Così
la senti e la senti e
la senti tutta.
Stretta
e calda intorno alle tue dita.
Dolce
sulla tua lingua.
Morbida
la sua pelle che accarezza la tua.
E
la vuoi, la vuoi - solo
questo nei tuoi pensieri
disarticolati, senza più coerenza.
Hai
i polpastrelli umidi di lei. La sua saliva
sulle labbra e sulla gola, le sue unghie che lasciano segni sulle tue
spalle e
non ti basta. Non
è niente. Non basta, no.
“Ti
voglio.”
Pensi
che lo hai detto. Pensi di averlo fatto e
non ne sei sicuro. Lei ti sta spogliando, il suo respiro nelle tue
orecchie. E tu sei sopra il suo corpo e non
credi di poterti fermare più. Stai pensando tante cose e non
sai cosa stai
pronunciando ad alta voce e cosa stai sussurrando in un voto
imperscrutabile e
segreto.
Ti
amo.
“Dimmi
che mi ami.”
Mercoledì.
“Dimmi
che ha valore per te.”
Penso
che morirò.
“Menti.
Raccontami tutte le bugie che vuoi.
Dimmelo solo una volta.”
“Xavier.”
Una
delle sue gambe ciondola fuori dal materasso.
Te ne rendi conto mentre ti stai spingendo dentro di lei e con una mano
la
afferri sotto il ginocchio e la porti sul tuo fianco. Dentro di lei ti
senti
strappare il ventre e ti chiedi se trema per la posizione o per il
dolore - ma
mentre sei dentro di lei sei ebbro e ti chiedi se non sia per
l’emozione.
Pronunci
piano il suo nome.
“Mercoledì.
Mercoledì.”
Ti
aggiusti piano dentro di lei - come
fai ad
essere dentro di lei - e ti sfugge un gemito gutturale di
cui ti vergogni.
“Mercoledì.”
Lei ti stringe la mano. E tu non ti rendi conto di cosa ti dice.
Angolo
autrice
E
da un capitolo siamo passati a due. Da due a tre. Quindi sì,
la storia deve ancora essere conclusa. Spero vi stia piacendo, i vostri
commenti aiuterebbero tantissimo. Specifico che i titoli dei capitoli
sono i versi della canzone The Loneliest dei Maneskin. Vi ringrazio per
l'accoglienza e che l'attesa sia valsa la pena :)
|
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Capitolo 3 *** Tonight is gonna be the loneliest ***
miche
NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO
CARVE
I'll dance, dance,dance
With my hands, hands, hands
Above my head, head, head
Like Jesus said
I'm gonna dance, dance, dance
With my hands, hands, hands above my head
Hands together, forgive him before he's dead
because...
(Bloody Mary, Lady Gaga)
Fare
sesso con lei non ti
ha aiutato.
Assolutamente
no.
Non
ti ha aiutato e ti ha rovinato e guarda ora
come sei costretto a raggomitolare i tuoi sentimenti tra pugni e bende
insanguinate.
Tu
credevi che così saresti guarito.
Che
stupido.
Adesso
è tutto peggiorato.
Ma
tu sei stato stupido.
E
ora devi pagarne il prezzo.
Nel
tuo sguardo si interrompono - simili
a
diapositive stracciate dalle mani dei giganti - le
immagini dei ricordi che hai
afferrato con ago e filo. Cerchi di ricomporti e non ci riesci. Cerchi
di
riaggiustare i pezzi scombinati dentro di te e scopri di non esserne
minimamente in grado. Sei una bambola di pezza beccata da affamati
corvi neri
che banchettano con i tuoi bottoni e le tue cuciture - ricordare quei mesi ti
ha prosciugato e tu non puoi più nulla, non ti è
rimasto nulla.
Se
pensi che era tutto un copione composto da
qualche poetessa disturbata - un
manoscritto la cui conclusione era altamente
prevedibile - ti coglie il desiderio di ridere e di
strapparti i denti uno ad
uno.
Nascondi
il viso nella coppa delle tue mani e ti
dimentichi di non essere solo.
Bianca
schiocca le dita con un atteggiamento
imperioso e tu trasalisci. Ti incanti seguendo quel suono ritmico e
pensi che
potresti piangere. Sei bloccato su una sedia della sala dei Belladonna
da fin
troppe ore, forse da fin troppe giornate.
Ricordare,
pensare e cercare di spiegare la situazione a
Bianca con meno parole possibili: non stai facendo altro da una
settimana.
“E
quindi? Non sto capendo. Sei traumatizzato
perché sei stato a letto con Mercoledì Addams e
sei sopravvissuto? Sono colpita
anche io. Ero certa mangiasse le sue vittime. C’era una
scommessa in atto tra
me, Enid e mezzo corpo studentesco. Mi hai fatto perdere dei
soldi.”
“Bianca.”
“Dico
sul serio. Tutto questo racconto immenso a
partire dall’estate in cui non fate altro che scrivervi
messaggi funebri e sonetti
cimiteriali, lei che ti ignora non appena ricomincia la scuola e tu che
impazzisci per due mesi potevamo tralasciarlo benissimo. Ero presente
anche io,
insomma. Per ottenere l’unica informazione interessante ho
dovuto aspettare giorni. E
sappiamo bene che non sarebbe neanche successo se io non mi fossi
benignamente
immolata all’ira furiosa della vendetta della Addams. Quindi,
ringraziami.”
“Bianca.”
“Seriamente.
Il problema?”
“Non
ha significato nulla per lei.”
Ti
sei svegliato e lei era sdraiata a pancia in sù
a guardare il soffitto. Percepito il tuo sguardo ti sei reso conto che
si era voltata verso di te e tu, nella nebbia
delle briciole di sonno, ti sei perso nei suoi occhi.
Ti
erano sembrati lucidi e poi dopo un battito di
ciglia hai notato che era un gioco della luce del comodino.
Ti
sei sporto a darle un bacio - hai
pensato sulla
guancia e poi all’angolo degli occhi e solo infine sulle
labbra.
Ma
Mercoledì si è scostata. Una mano sul tuo petto
e la schiena curva, il collo tirato all’indietro.
No, ha detto. No.
Sgusciata
via dalle tue braccia tese, dalle
lenzuola che avevate condiviso.
L’hai
osservata - nuda e con
la pelle sudata - che
si rivestiva con calma e metodicità e non hai potuto
fermarti non appena hai
visto che finiva di abbottonarsi la camicia.
Hai
fatto cadere a terra le coperte e non hai
perso tempo a rivestirti. Lei ti dava le spalle e tu l’hai
abbracciata e ti sei
vergognato del modo in cui ancora si sentiva il desiderio del tuo corpo.
La
fronte contro il suo collo e le braccia sotto
il suo seno.
Cosa
ho sbagliato?
Glielo
hai sussurrato all’orecchio e sai che lei
lo ha sentito.
Mercoledì.
Cosa ho sbagliato?
Ma
lei non ti ha mai risposto.
Ti
ha chiesto di lasciarla andare e tu l’hai
lasciata.
Ecco
la lama pregna di sangue che ti scivola dalle
mani - c’è
ancora un pezzo di cuore che pende dalla punta.
Cade
giù e di te rimangono soltanto delle
intenzioni balbettate in una lingua che non conosci.
Ho
scelto io di morire di questa morte. Lo sapevo.
E l’ho scelto.
La
mattina dopo ti sei rinchiuso nella cripta dei
Belladonna e non sei uscito più.
Cerchi
di nascondere di nuovo il viso tra le tue
mani e Bianca ti blocca.
“Sinceramente.
Ti aspettavi una reazione
differente da Mercoledì Addams?”
Il
suo sorriso sembra un pugnale conficcato nella
tua bocca - con estrema
pietà e una risata di compatimento.
“Che
intendi?”
Un’altra
risata e tu che ti senti una zattera in
mezzo alla tempesta - tutti
comprendono e tutti sanno e tu sei alla deriva.
“Cosa
intendo. Intendo che lei ha una comprensione
estremamente limitata dei sentimenti umani mentre tu sei cieco in
maniera oscena. E la
sorte ha scelto di compensare questo perverso gioco tramite me. Devo
spiegarti
io le cose o tu saresti in grado di seppellirti qui dentro. Non ci
tengo ad averti sulla
coscienza.”
“Bianca,
non c’è nulla da spiegare. Ho sempre
saputo di non essere ricambiato.”
Lei
si alza in piedi e ride stringendosi l’arco
del naso. Ha il medaglione da sirena in bella mostra e sembra lo abbia
fatto di
proposito - affinché
tu fossi sicuro della sua sincerità.
“Credi
che Mercoledì Addams in tutta la sua
esistenza abbia mai fatto qualcosa contro la sua volontà?
Certamente no. Quindi
ti presento la situazione. Penso che ti abbia ignorato
all’inizio della scuola
a causa di un serio problema relazionale con i genitori. Li hai mai
visti? Suo
padre e sua madre sono eccessivi, a dir poco nauseabondi.
L’hanno resa allergica ai rapporti umani e
sentimentali. Una reazione di evidente protesta e legata alle fasi di
ribellione adolescenziale. Ma c’è stato qualcosa
di altamente prevedibile che
ci ha dato uno spiraglio: era gelosa. Il suo sguardo dopo che ci ha
visto ridere
insieme, non era meraviglioso? Le avrei riso in faccia se non avessi
visto te, distrutto e
infelice. Così ho deciso. Sono andata da lei e
l’ho convinta che io e te
stessimo insieme. Non ho dovuto neanche dire molto. Lei ne era certa e
ho solo
confermato i suoi sospetti. Se sapessi per quale motivo ha cercato di
strapparmi gli occhi, potrei farti ridere. E devo ringraziarti. Mi hai dato la
possibilità di
contemplare la maschera di indifferenza di Mercoledì Addams
che si scioglie.
Estremamente meraviglioso. E così si è presentata
da te, giusto? Ti ha cercato. Oserei
dire che aveva paura di perderti e che ti voleva. E che, in
realtà, ti vuole
ancora. Ti ama, Xavier. Tu sei semplicemente troppo spaventato e lei ha
bisogno
di leggere un manuale delle istruzioni riguardo ai sentimenti e ai
comportamenti
umani. Tutto qui. Non preoccuparti.”
Bianca
si china a baciarti la fronte e tu ti
aggrappi alla manica della sua camicia - nel tentativo di non affogare
nel mare
in cui ti ha appena gettato.
Scuoti
la testa e ti cancelli le lacrime. Ti cuci
un mesto sorriso.
***********************
Ti
manca il silenzio della cripta.
I
bisbigli dei tuoi compagni di classe ti
disturbano e le risate ti scorticano la cute in miliardi di coriandoli
grigiastri. Desideri nasconderti e non mostrare il tuo viso a nessuno.
Lasciarti tutto alle spalle e scomparire. Ti sembra che il tuo viso
abbia tutto
impresso lì, sulle labbra e negli occhi.
Ma
hai promesso a Bianca di smetterla -
e di
tornare nel mondo degli esseri umani e di non comportarti al pari di
un’eremita
problematico.
Elitario snob. Te
lo ricordi e ti senti lo stomaco
assurdamente pesante.
Nelle
orecchie il rimbombo di ogni singola frase
pronunciata da lei.
Potessi
non ricordare il modo in cui mormorava il
mio nome mentre ero dentro di lei. Frasi spezzate che sussurrava tra i
miei
capelli e il lobo del mio orecchio - e poi Xavier, Xavier, Xavier.
Mi
sorreggevo sui gomiti e tra le mie braccia il
suo viso e tra i miei palmi il suo cranio. Guancia contro guancia e le
sue mani
sulla mia schiena - graffi che non placavano il ritmo dei miei
movimenti.
Senti
una scarica che ti percuote la spina
dorsale. Prendi in mano il pennello e ti macchi sia dita che camicia
con
macchie nere simili a tentacoli.
Devo
nuovamente dipingere queste piume. La vernice
si sta scrostando e stanno riaffiorando i mattoni. Sembrano muschi e
licheni da
estirpare.
La
preside ti ha chiesto di aggiustare la tua
creazione del cortile. Con gentilezza all'inizio e poi con maggiore
fermezza.
Le intemperie, tu
hai mormorato. E sai di aver
mentito e che lo hai fatto in maniera poco convincente e che non aveva
neanche
senso - lei conosce
ogni cosa dei suoi studenti.
Sa
bene che i tuoi dipinti seguono il corso dei
tuoi pensieri e dei tuoi sentimenti. Che sono a te legati - sempre - e che un
dipinto deteriorato significa il crollo della tua mente.
Ti
senti incredibilmente triste. Nulla di te
riesci a nascondere agli altri.
Della
pittura ti gocciola anche sulle scarpe e tu
non ci pensi. Osservi il disegno e cerchi ogni difetto. Forse avresti
dovuto
dipingere all’alba. Le ore calde del pomeriggio non ti
concedono di
concentrarti sulla giusta angolatura della luce e delle ombre. E ci
sono troppi
studenti che ti scrutano mentre passeggiano. Bisbigliano e notano ogni
tuo
piccolo gesto. Un’ulteriore immensa frustrazione da tollerare
a denti stretti.
Sospiri
e immergi il pennello nell’enorme secchio
di vernice. Pensi di toglierti la giacca, forse di arrotolarti la
camicia che
stai continuando a macchiare - tutto
talmente tanto nero, come i tuoi pensieri
e qualsiasi tua intenzione.
Corrughi
la fronte e di sfuggita ti tocchi una
tempia, macchiandoti anche la faccia con sbuffi oscuri.
Non
sto dipingendo un corvo. Sembra che stia
dipingendo la mia malattia mentale.
Che
stupido. Sono estremamente patetico.
“Xavier.”
Tanto
immerso nei tuoi neri pensieri che ti cade il
pennello dalle mani. La sorpresa ti spinge ad osservarlo con stolida
calma
mentre rotola ai suoi piedi.
Mercoledì
si china a raccoglierlo e lo rigira tra
le sue mani - il modo in
cui le sue dita erano scese ad accarezzarti l’inguine
e a seguire la linea delle tue cosce ti scuote la mente in ricordi da
sopprimere all’istante.
Ti
sta guardando e tu le restituisci uno sguardo
stanco. Ti piacerebbe fingere e ti disperi per esserne incapace.
Non
dormi e mangi poco. La sofferenza assorbe ogni
tua energia e tu avresti dovuto saperlo meglio di tutti. Invece hai
calpestato
ogni buon proposito e ogni ottima occasione di fuggire lontano.
Sospiri
e chiudi gli occhi.
“Dunque,
sei ancora vivo.”
Senti
un pugnale che si dimena all’interno del tuo
petto e quanto desideri liberartene. Quanto desideri infilarti le mani
nello
sterno e strappare via tutto -
la polpa del cuore e i bocconi di carne insieme
ai bastoncini di ossa.
“Mercoledì.”
Non
servirebbe a nulla. Niente serve
mai con lei.
“Hai
rischiato di farmi accusare di omicidio.”
Lei
non si macchia le dita di nero. Ti sembra una
cosa buffa. E poi ti rendi conto che risulta estenuante - solamente tu sei
intriso di macchie e veleno.
“Ci
stanno ascoltando.”
Con
un cenno della testa indichi un gruppo di
studenti che sta rallentando il passo. Sono poco distanti e sono avidi
di
informazioni e di conoscenza dell’esistenza altrui. Poco
empatici. Non
dimostrano aver pietà o tracce di misericordia, in
un'estrema ingustizia.
“Lascia
che ascoltino.”
E
rideresti se soltanto ne avessi ancora la forza.
Tu sei lì e niente riesce a darti qualche forma di speranza.
Lei sarà la tua
rovina - la ragazza dei
tuoi incubi.
“Cosa
posso fare per te? Sono molto stanco,
Mercoledì.”
“L’eremitaggio
stanca?”
Stendi
le dita verso il pennello e lei lo cede al
tuo palmo. Ma in quel momento di resa ti stringe la mano - e non ti concede il
tempo di rispondere o di stupirti per il suo gesto.
“Sai
bene che non mi interessa l’opinione della
gente. Lascia che ascoltino. Che continuino a mormorare e immaginare e
chiacchierare tra di loro su tutti i possibili scenari che ci
riguardano. Ma ci
sono dei limiti. Non tollero l’ipocrisia.
L’ipocrisia dei tuoi atteggiamenti e
di quelli che consideri essere i tuoi sentimenti.”
Lo
sta dicendo con una rabbia talmente tanto
palpabile che resti sconvolto dal modo in cui lascia la tua mano e si
scosta da
te. Con un passo indietro e con un movimento repentino delle dita - e una
scarica di elettricità che percepisci a contatto con la sua
pelle.
“Cosa
stai dicendo?”
“Cerchi
sentimenti da una persona che disprezzi.
Preferisci che io citi le tue considerazioni? In quale ordine?
Cronologico o
alfabetico? Sono tossica e ho solo rovinato la scuola, ho solo reso le
cose
peggiori. Chi entra in contatto con me si ferisce. Non ho pensieri per
nessuno
se non per me stessa. Me ne devo andare. Per salvare tutti devo solo
andarmene.
Rowan avrebbe fatto bene ad uccidermi. Tu avresti fatto
bene a lasciare che
Rowan mi uccidesse.”
Ha
perso la sua freddezza. Ogni accusa la sputa
come chicchi amari sulla lingua. Un’espressione disgustata
che non abbandona il
suo viso. Tace e si ricompone, ma il suo orrore continua a deturparle
gli occhi
e le labbra. Lo sbigottimento ti intontisce i pensieri e ti attorciglia
la
lingua. Scuoti il capo e stringi il pennello fin quasi a spezzarlo - lo sguardo
basso e le parole asciutte.
“Ti
ho chiesto di perdonarmi. Ero in prigione e tu
mi avevi incastrato in modo meschino. Mio padre mi ha abbandonato e
diseredato.
Non mi hai mai creduto nonostante le mie suppliche e mi hai venduto.
H-hai
baciato Tyler. Non mi giustifica. Ho detto delle cose orribili. Ero
arrabbiato.
Ero così arrabbiato, Mercoledì. Ma non riesci a
notarlo? Non appena sono stato
liberato che cosa ho fatto? Non sono scappato. Sono tornato da te. Sono
sempre
tornato da te. Perché tu sei più
importante.”
Le
ultime frasi sono uscite roche dalle tue
labbra. Trattenute tanto a lungo dai tuoi denti serrati da essersi
arrugginite
e accartocciate - mesi e
mesi di silenzio e di omissioni e di orrenda accettazione.
Un
segreto che non ha avuto senso pronunciare ad
alta voce.
Lei
non mi ascolta. Non mi ha mai ascoltato.
“Non
mi toccano le parole che mi hai rivolto. Mi
disgusta l’ipocrisia di chi pretende dei sentimenti dalla
stessa persona che
disprezza e che allontana con immensa semplicità. Posso
accettare il sadismo.
Ma io abborro il falso compiangersi.”
Supplicare
sarebbe risultato inutile -
ti ha mai
ascoltato l’anno scorso? quando in ginocchio biascicavi
parole che avrebbe
soltanto calpestato? quando, piangendo, le chiedevi di credere in te e
nella tua
innocenza?
Per
crederti aveva dovuto baciare un altro.
“Io
ti amo. Ti ho sempre amato. Non me ne sono mai
andato. Sono sempre rimasto qui.”
Dentro
un amore che non cercavi e che non
immaginavi potesse essere così.
“Certamente
no. Ti bastava allontanare me.”
Pensi
il pennello si sia spezzato. Non ne sei
sicuro. Lo hai lasciato cadere ancora a terra e hai immerso le mani nei
capelli
- un’immensa
marea oscura che ti sommerge e in cui affoghi senza combattere.
Ti
bruciano le narici e ti senti pesante la testa.
E lo sai bene che non ha senso lottare. Con lei si perde e basta.
“Mercoledì.
Tu provi qualcosa per me?”
E se
pur tu lottassi non avrebbe senso. Se ti
dimenassi per trovare un po’ d’aria non la
troveresti. La marea ti ha portato
troppo giù. Sei sul fondo del mare e lì rimarrai.
Stai osservando le stelle
spegnersi e sei incastrato in uno specchio opaco.
Mercoledì
ti guarda e tu senti le costole cigolare
e il cuore che si spezza in due.
“Desideri
la verità? Posso dirtela ancora. Sono
cattiva e crudele. Sono perfida e mi piace la violenza. Non mi
interessa
calpestare i sentimenti altrui e non provo rimorso. Io sono il centro
di me
stessa. Non ho sentimenti per nessuno.”
Lo
dice con i denti serrati e il corpo agitato. Ti
sembra stia massacrando il tuo addome martoriato dalle acque. Pensi che
sei
mangiucchiato dai vermi e trasportato via da un gruppo di falene. Sei
tutto
esposto e sei stanco di stare in piedi - il tuo cuore lì
è caduto, sporca le
scarpe e il pavimento.
Non
ne hai la forza. E non ne trovi il senso.
“Non
è così. Tu ami.”
“Cosa
non hai compreso?”
E
sorridi. Senti gli occhi lucidi e ti rendi conto
di essere terribilmente stupido e che non ti importa. Era giusto
andasse in
questo modo. Sapevi che di una morte bisognava morire.
Lo
hai accettato da tempo.
“Tu
hai sentimenti. Ami i tuoi genitori. Tuo
fratello. Ami Enid. E Tyler. Tu ami, Mercoledì.
Semplicemente non ami me.”
Dirlo
ti rende libero - e
triste e senza più una
corda che ti ancori al suolo e che ti trattenga dal cadere
giù, simile ad un
corpo senza vita che crolla nella polvere.
Lo
dici e sai che la tua lingua si è arrotolata
nel pronunciare l’ultima frase e che soltanto un filo di voce
sei riuscito a
sfilare dal bandolo della matassa della tua immensa tristezza. Sei
talmente
tanto triste.
Respirare
ti spinge una spina nel cuore - ne
è
rimasto poco, forse a mala pena una libra di carne.
Guardi
il dipinto del corvo e trovi disperazione.
Un bianco pallido che invade e distrugge disegno e colori.
Come
se fosse la tua mente stretta da una camicia
di forza.
Compi
un passo indietro e Mercoledì un passo verso
di te. O forse di più - perché
è davanti al tuo viso e sta con il mento
all’insù.
“Fermati,
Xavier.”
“Che
cosa?”
“Guardami.
Fermati.”
I dipinti seguono i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri. Si stanno
trasformando in un pozzo oscuro senza fondo.
Lei
posa le mani sulle tue guance ma sulle tue guance
ci sono già le tue mani. Hai le dita nei capelli e
distrattamente pensi che
anche all’esterno si deve notare la tua follia - quando tuo padre ne ebbe appena
uno
scorcio ti mandò lì, lontano dalla famiglia e
dalla possibilità di disonorarlo
con il marcio che hai nella testa.
“Guardami.”
Stringi
le sue dita sulle tue guance e quando la
guardi il tuo corpo si muove spontaneo. Posi la fronte contro la sua e
ti chini
a sfiorarle le labbra.
“Era
bello essere dentro di te.”
“Xavier.”
“Volevo
dirtelo. Volevo dirtelo quella sera. Che è
stato tutto per me. Volevo dirti tante cose. Che eri splendida. So che
non ti
importa, ma eri meravigliosa. Bella. Tanto bella. La tua pelle. Il modo
in cui
respiravi. Non riuscivo bene a pensare. Ti ho fatto male?”
Ricordi.
Nel momento in cui sei entrato dentro di
lei e Mercoledì ti ha stretto la mano - che cosa ha detto mentre tu le
chiedevi
di amarti e ti sentivi solo.
Ora ricordi.
Fa
male. Mi piace.
Tu
non riuscivi a contenerti e lei lo ha ripetuto.
Fa
male.
“Per
questo te ne sei andata? Perché ti ho fatto
male?”
“Xavier.”
Non
sai quando hai iniziato a baciarla. Se adesso
o anche prima, se alternavi poche parole con un bacio. O forse hai
sempre il
suo sapore sulla lingua. Perché sono solo baci di labbra
contro labbra e lei
sta schiudendo la bocca e ti bacia. Le stringi le spalle e ti pieghi e
lei ti
bacia. Mercoledì ti bacia e tu respiri a fatica.
“Non
volevo farti male.”
“Xavier.”
“Non
ero pronto e ho cercato di fare piano, non
penso di esserci riuscito.”
Eri
calda. Calda intorno a me e i tuoi gemiti
nelle orecchie. Ad ogni spinta sollevavi un po’ il bacino e
in quell’angolo mi
perdevo.
“Xavier. Fermati.”
Non
sai cosa intenda - di
parlare? di baciarla? di
renderti ridicolo? quanto stai dicendo di ciò che pensi?
Mercoledì
allontana il viso e le scappa un respiro
profondo. Un sospiro ad occhi chiusi mentre scuote la testa e cerca di
ricomporsi. Riapre gli occhi e ti sembra combattuta e così
ti allontani. Ma lei non
ti lascia andare le mani.
“Perdonami."
"Rimani qui, Xavier."
Biaschichi che non puoi. Che devi andare, devi stare lontano da tutti
quando stai così, che hai sbagliato a lasciare la cripta,
che era troppo presto e le chiedi ancora di perdonarti.
"Devo andare via."
Ha le mani intorno alle tue dita e sembra un ballo macabro, tu che
retrocedi e lei che non ti lascia andare.
"Per favore. Devo andare via, ti
supplico."
E lei trasalisce. Tu accarezzi le vene dei suoi polsi e dici ti prego e
Mercoledì ti lascia andare. Ti sembra di guardarla
attraverso un vetro, una lastra che confonde i tratti e i bordi - e ti dispiace, vorresti
goderti la sua figura un'ultima volta.
Abbassi il mento e le volti le spalle, muovendoti a grandi passi
lontano dal portico e dall'intera scuola e dagli studenti che si erano
radunati nel cortile. Intravedi anche Bianca e non hai la forza di
guardare la sua espresssione. Cammini con le mani che tremano nascoste
nelle tasche. Cammini e ti dirigi verso la foresta, verso i tuoi
dipinti, il silenzio - vuoi
distruggere ogni singolo dipinto e sperare di essere libero anche tu.
E senti i suoi passi, il suo sguardo e il suo giudizio.
Lei ti ha seguito.
Mercoledì sfiora il vuoto tra le tue scapole e pensi che con
quel gesto ha preso possesso dell'ultima libra di carne del tuo cuore.
Angolo
autrice
Ciao
a tutti! Ci ho messo una vita ad aggiornare, lo so, ma non riuscivo a
scrivere il finale. Quindi questa mini-long aumenta ancora, il prossimo
sarà l'ultimo capitolo. La storia continua a piacervi? Cosa
ne pensate? Naturalmente i titoli dei capitoli sono sempre versi di The
Loneliest dei Maneskin e la battura "in ordine cronologico o
alfabetico?" l'ho ripresa dal film di Sherlock Holmes.
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