No just art for Michelangelo to carve

di Cress Morlet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I see your face when I close my eyes ***
Capitolo 2: *** It's torturous ***
Capitolo 3: *** Tonight is gonna be the loneliest ***



Capitolo 1
*** I see your face when I close my eyes ***


artmi

NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO CARVE





I won't cry for you

I won't crucify the things you do
I won't cry for you
See (see), when you're gone I'll still be Bloody Mary
(Bloody Mary, Lady Gaga)



Fare sesso con lei non ti ha aiutato.
Assolutamente no.
Non ti ha aiutato, ti ha rovinato e guarda ora come sei costretto a raggomitolare i tuoi sentimenti tra pugni e bende insanguinate.
Tu credevi che così saresti guarito.
Che stupido.
Sei stato tremendamente stupido. Ti sei rovinato con le tue stesse mani. E, adesso, sei perso e basta.





**************





Non riesci neanche a distinguere il modo in cui sono trascorsi i tuoi ultimi mesi. Stai cercando di ricordare, bloccato nel giardino della scuola ad osservare gli altri ridere e scherzare.
Pensi che il nuovo anno scolastico era iniziato nella stessa maniera in cui si era concluso l’anno precedente.
Con te sulla cima delle scale e Mercoledì lontana, uno sguardo impossibile da decifrare. Il suo inquietante maggiordomo con dei bagagli tra le mani e sua madre chinata a sussurrarle delle parole all’orecchio sinistro.
L’hai salutata e lei ti ha risposto con un cenno del mento.
Hai nascosto la delusione in un calzino bucato, appallottolandola sotto al letto. Hai ingoiato la bile calda che ti prosciugava la gola e ti sei mosso verso il tuo dormitorio senza più voltarti indietro.
Va bene così, ti sei detto. Non parliamo dei messaggi di questa estate, non parliamo delle poesie.
Va benissimo così, ti sei ripetuto fino all’inverosimile.
Poi sei crollato con la faccia contro il cuscino e hai trattenuto l’urlo che ti stava squarciando le tempie in miliardi di pezzi. Ti sei concentrato a respirare. Hai pensato di contare fino ad un milione, trattenendo il fiato. Di stringerti la fronte e strizzare le palpebre e di strapparti piccoli pezzi di cuore.
Ma nulla avrebbe funzionato. Sei uscito in piena notte e ti sei nascosto nel tuo capanno. Lontano dal mondo intero e con le ossa verniciate di nero. Ti sei inzuppato le mani di pittura, hai immerso le braccia fino ai polsi e poi fino ai gomiti.
Hai disegnato fino all’alba.
Soltanto ritratti di lei.

Bianca ha cercato di aiutarti.
Scalciando nella tua bolla di disperazione e di compianto sei riuscito a riconoscere che ti vuole bene e che ha tentato di salvarti dai vermi accucciati sul tuo cuore.
Un pomeriggio ha bussato alla tua porta e ti ha chiesto di passeggiare con lei.
Ti ha portato nei boschi e tu hai cercato di sorridere pur di farla contenta. Lei ti ha chiesto di non fingere, non con lei. E tu ti sei sentito rotto, qualcosa deve essersi spezzato. Le ossa delle costole hanno ceduto e il tuo sentimento è colato a terra, macchiando tutte le foglie di rosso.
Hai cominciato a piangere senza rendertene conto e Bianca ti ha stretto le mani, continuando a farti camminare senza mai asciugare le tue lacrime.
Una mattina l’hai trovata in corridoio con la colazione tra le dita e un chiaro calore sulle labbra.
Ti ha chiesto di mangiare insieme nel parco e tu hai acconsentito nonostante il pugno in gola e le linee elettriche che accartocciavano le tue spalle.
L’hai seguita sotto il sole e hai riso alle sue battute anche se non l’ascoltavi del tutto.
Ti stava raccontando qualcosa quando tu le hai fatto una domanda stupida.
“Come faccio a smettere di amarla?”
Bianca ha smesso di parlare e ti ha indicato il bicchiere di latte caldo che ti eri dimenticato sul ciglio della panchina.
“Non bisogna saltare la colazione, Xavier. Neanche per Mercoledì Addams.”
Lo ha detto con quel suo tono che ti ha sempre fatto sentire più leggero. Quel tono che - sembrano trascorsi secoli - ti aveva attirato verso di lei.
Come se ogni cosa al mondo potesse essere risolta - così tutto facile e tranquillo, perché mai preoccuparsi, non esiste nulla di cui aver paura.
Hai riso con tutto il cuore che ti era rimasto e Bianca ha riso per la tua risata, avvicinandoti il bicchiere alle labbra.
E tu avresti continuato a sorridere del niente e, forse, a goderti la mattinata. Ma lei ti ha afferrato con i denti la coda dell’occhio.
Ti sei voltato di scatto e lì l’hai trovata.
Mercoledì Addams, dinanzi al portone principale. Enid al suo fianco e Mano sulla spalla.
Ti sei bloccato e ti sei chiesto perché.
Perché mi stai osservando, perché hai un tale sguardo, perché mi guardi così, perché alzi il mento in quel mondo, perché stai stringendo le labbra, perché fai così, perché, dimmi perché, Mercoledì perché. Perché non mi parli più.
Hai anche abbandonato la panchina e fatto un passo verso di lei, guadagnando solamente la sua schiena come risposta e il viso sbigottito di Enid - come guardava la sua amica e come si copriva la bocca con le unghie colorate.
Poi Bianca ha buttato la colazione in un cestino. Ti ha scosso per il braccio e ti ha accompagnato a lezione senza nominare nulla della scena a cui aveva assistito.
Ti ricordi che una sera Bianca ti ha trascinato nella biblioteca dei Belladonna e ha cercato di distrarti con ricerche inesistenti.
Ti ha fatto leggere milioni di pagine e mostrato miliardi di dipinti di antiche profezie e ti ha fatto segnare migliaia di nomi. Tu hai implorato pietà e lei in maniera giocosa ti ha colpito la testa con uno dei tuoi quaderno da disegno. Uno dei ritratti di lei è sgusciato fuori, depositandosi a terra. Bianca non l’ha raccolto. L’ha fissato per qualche secondo, sospirando soltanto alla fine di qualcosa che ti era sembrato come un lungo e tormentoso ragionamento. Ti ha parlato così.
“Dovresti davvero non saltare la colazione, Xavier.”
Una notte ti ha chiesto di poterti accompagnare nel tuo rifugio. Non eri contento della sua richiesta ma il senso di colpa e la stanchezza ti hanno costretto ad acconsentire. Così Bianca ha osservato per ore tutti i ritratti con cui hai tappezzato il capanno. Tutti i ritratti di lei. Tutta la sua musica. Tutte le sue parole taglienti.
Ti ha abbracciato e tu non hai mosso le braccia dai tuoi fianchi.
“Si aggiusterà tutto, Xavier. Te lo prometto.”
Tu non le hai creduto e hai scelto di nascondere la fronte contro la sua spalla borbottando qualcosa di incomprensibile. 

Ora pensi che non avresti mai dovuto dubitare di Bianca. Ora sì che te ne rendi conto.
La colpa ricade esclusivamente su di te. Tu sei stato altamente stupido.

Nessun altro.




**********************




“Non credevo di essere in una commedia adolescenziale dai dialoghi banali e con una trama ridicola.”
Non ti eri accorto che lei era entrata nel tuo rifugio e le sue taglienti parole ti hanno fatto cadere il pennello e imbrattare di viola la tela bianca. Ma lei era lì.
Sulla soglia della porta di legno e con le sue sopracciglia arcuate e lo sguardo adirato.
“Mercoledì.”
Il suo nome come un sospiro che lei allontana con un movimento risoluto della mano. Una mosca da schiacciare tra due polpastrelli, senza pensarci un secondo.
“Pensi che le mie giornate siano altamente tediose e che abbia bisogno di te e Bianca al fine di conferire elettricità alla mia esistenza?”
Ti sei sentito scosso e hai raddrizzato la schiena per smetterla di sentirti tanto impotente dinanzi al suo cospetto.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Hai fatto un passo avanti e lei ha aggiustato lo zaino sulle sue spalle. Ha gettato il suo sguardo risoluto lungo tutte le pareti e notato i quadri nascosti da panni e gli angoli scoperti. Senza battere ciglio e senza mai scomporsi.
“Ti illumino. La tua fidanzata Bianca pensa di essere altamente intelligente e suppone di essere un eroina il cui unico scopo nella vita sarebbe di proteggerti. Si presenta da me e pronuncia vuote minacce al solo scopo di condurmi qui, da te, a chiederti cosa desideri tanto ardentemente dirmi.”
Ha pronunciato ardentemente con una sfumatura di derisione che ti costringe a serrare i denti e contenere l’acido risalito nella tua bocca e sulla tua lingua.
“Sei tu che minacci. E nessuna minaccia potrebbe mai spaventarti.”
L’hai vista muovere il capo in un segno di assenso e il suo sguardo trasformarsi, reso brillante da una luce di trionfo e soddisfazione.
“Concordo. Per questo motivo ti avviso che dovresti ringraziare Enid. La tua ragazza ha ancora entrambi gli occhi esclusivamente grazie al suo misericordioso intervento.”
“Non è la mia ragazza.”
Una frase che blocca il suo flusso di parole come redini tirate con forza contro il muso di un cavallo ritroso.
“Non è realmente di mio interesse.”
Un battito di troppo. Una pausa stonata. Qualcosa che ti spezza ancora altre costole e poi più giù la base dello sterno.
“E perché sei qui? Perché stai facendo esattamente come Bianca ti ha ordinato?”
Lei muove qualche passo verso di te e i suoi occhi neri ti inghiotiscono. Dei sacchi di carbone in cui crollare a testa bassa e da cui farsi bruciare con prepotenza.
Le sue pupille sembrano sempre così enormi.
“Dopo che Bianca è stata accompagnata in infermeria sono stata scossa da un moto di curiosità. Oltre che dal desiderio di dirti personalmente le sue condizioni.”
“Che cosa hai fatto? Mercoledì, io non so come definirti, che cosa hai fatto?”
Hai sentito un moto di intensa preoccupazione pervaderti le membra e lei ti ha bloccato il passaggio muovendo un altro passo contro la tua direzione - contro di te e la tua ansia nei confronti di Bianca.
“Rilassati. Cavaliere dalla scintillante armatura.”
Di nuovo quel tono di scherno. Nel modo in cui ha pronunciato cavaliere e poi armatura.
Gli altri avrebbe sentito soltanto il suo usuale modo di parlare monocorde. Niente altro. Tu hai percepito la sottile derisione che riesce a reciderti le coronarie in un intricato intreccio di farfalle e bruchi.
Dolore e sempre dolore.
Hai guardato le sue labbra e notato che soddisfazione si celava dietro ai suoi denti.
Si sente bene - felice e tronfia delle sue azioni e della sua vendetta.
“Dovresti ascoltarmi meglio. Come ti ho già detto sei costretto a ringraziare Enid. Bianca ha soltanto qualche graffio.”
Non ha trattenuto il sorriso alle parole qualche graffio e tu hai sentito tutto il sottobosco dei tuoi sentimenti esplodere.
Ogni insetto carnivoro gettarsi via dai rami delle tue costole e riversarsi sotto pelle e poi fuori. Tra i tuoi piedi e l’aria che non respiri.
“Io sono senza parole.”
Lo sforzo delle tue uniche sillabe completamente vano. Lei non si era accorta della pittura che continuava a colare dalle tue unghie e non si accorge del dolore martellante racchiuso nel tuo petto.
Del mio cuore è rimasta soltanto la cenere di un carboncino masticato.
“Io sono perplessa. In questa stanza ci sono almeno nove miei ritratti e sembra il rifugio di un maniaco.”
Cenere sputata dalla testa di un bruco imprigionato nella tela di un ragno.
“Sei nella mia testa. È l’unico modo per dimenticarti.”
Una tela dura e appiccicosa. Impossibile da recidere e da spezzare. Una prigione - una tomba.
“E funziona?”
Un altro passo verso di lei e un altro laccio d’acciaio intorno al tuo cuore.
Non hai risposto. Non credevi lei volesse realmente una risposta. 
Il silenzio ha cominciato ad allungarsi e nell’assenza dei rumori tu hai ritrovato il tuo respiro. E gli odori della vernice e il tatto del tessuto ruvido della tela vicino a te e il suono dei fischi del vento.
E la vista di lei. Le braccia incrociate dinanzi al suo petto con i muscoli contratti in una lotta invisibile. Il graffio sulla fronte e il sangue fresco sulla tempia. La frangia in disordine. Le palpebre mai abbassate e le labbra arcuate nell’attesa.
“Forse dovrei chiederti cosa ne pensa Bianca. Dato il suo interesse.”
Così all’improvviso hai visto e sei rimasto folgorato.
“Tu sei gelosa.”
Dentro la tua testa si riversano una serie di fotogrammi. Ogni immagine di lei che ti mostra soltanto le sue spalle, la schiena rigida. Il modo in cui lo sguardo si è indurito ogni giorno di più. Il silenzio delle sue labbra schiuse in espressioni di lieve rabbia e incredulità.
Così come è adesso.
Ti osserva con disgusto e solleva il mento verso l’alto con infinito sdegno.
E tu non la lasci parlare.
Perché tu stai comprendendo qualcosa che si era annidato in un crocicchio della tua mente e che eri certo fosse scomparso.
“Quella mattina. Tu hai visto me e Bianca ridere insieme e te ne sei andata, non mi hai dato modo di parlare, sei andata via e basta. Tu eri gelosa. Tu sei gelosa.”
Ogni nuovo respiro è un passo in avanti e ti ritrovi estremamente vicino a lei.
Non c’è più nulla a separarvi.
La distanza di un sospiro e sfioreresti il suo corpo. Mercoledì non si smuove - comprendi che potrebbe farlo.
Senza compiere un passo indietro, potrebbe muoversi di lato e fuggire da una tale vicinanza. E non lo fa.
Rimane lì a guardarti con quegli immensi occhi neri che non ti mettono in soggezione - non lo hanno mai fatto - e che semplicemente ti squarciano il petto.
Gli angoli della bocca ostinatamente abbassati mentre incrocia le braccia e ti combatte con frecce grondanti veleno.
“Conclusione errata e fuori contesto.”
E con archi di violino letali, simili ad un incrocio di lame bronzee e spilloni d’argento.
“Tu non vuoi che Bianca sia la mia ragazza. Tu sei arrabbiata perché credi che lo sia.”
Lei immergerebbe i denti nel tuo cuore e ne sputerebbe i bocconi marci sui tuoi piedi.
“La pateticità della tua vita sentimentale non mi tange.”
Ti lascerebbe al freddo con l’addome tagliuzzato e mezzo scomposto.
“Non dovresti essere gelosa. Sai cosa provo per te.”
Siete talmente tanto vicini che le tue labbra glielo dicono contro la sua fronte e lei non si sposta e tu senti delle immense vertigini che ti smuovono lo stomaco in onde di calore insopportabile. Talmente tanto calde che ti formicola il ventre e ti stringe l’addome.
E Mercoledì ha sempre quel suo sguardo impossibile da descrivere - e ti osserva e ti osserva e non ha smesso mai di osservarti da quando si è buttata dentro il rifugio e ha rovesciato ogni cosa che credevi di aver capito di te e di lei e di voi due insieme.
“La gelosia è il sentimento dei deboli. Non tocca la mia persona.”
Troppo vicino a lei.
Da lontano forse non lo avresti notato o forse sì - perché tu guardi sempre i suoi occhi, ti ha incastrato lì, tra due linee marroni che percorrono le sue iridi, ti ha richiuso lì dentro e mai più potrai essere libero.
Così tu ti rendi conto della nota stonata.
Che all’improvviso - un secondo o forse l’eternità racchiusa dentro un millesimo di secondo - i suoi occhi sono stati nascosti dalle palpebre.
Un battito di ciglia.
Ha perso la concentrazione. Qualcosa l’ha turbata. Qualcosa è crollato e si è aperto uno spiraglio e hai visto. Hai visto cosa la sta turbando realmente.
Sei arrabbiata. Non vorresti provare tutto questo e sei arrabbiata. Mi odi, tu vorresti odiarmi e mi odi. Mi detesti. Sei sempre arrabbiata, mi guardi e provi una tale rabbia. Non vorresti provare nulla e mi odi. Mi odi e sei gelosa, lo sei davvero, e mi odi, mi odi talmente tanto.
Mercoledì sospira più forte e senti il suo respiro sulla giugulare e ti rendi conto che basta, va bene, cedi le armi. Va bene così - che abbia fine questa tortura, amarla ti sta uccidendo, allora che sia fatta la sua volontà, dille addio.
“Va bene. Basta.”
Le tue mani si muovono da sole.
Le tue mani proseguono i tuoi pensieri e sono parole che continui a ripeterti in testa e di cui non sei consapevole se non quando è troppo tardi. Le tue mani si chiudono intorno alle sue guance e sollevano il suo viso.
E la tua schiena.
Così spontaneo abbassarla per raggiungerla e lì ti blocchi. Le tue labbra sulle sue e ti fermi, ne senti il sapore.
Sei bloccato in un bacio a stampo e senti il ghiaccio scorrere in tutte le tue vene fino a gelarti il cuore. Sai che devi allontanarti - ti stai allontanando, hai baciato il tuo incubo e devi lasciarlo andare, immolandoti sull'altare - ma lei si aggrappa al tuo collo e tu ricadi giù. Un respiro fuori dall’acqua e un secondo dopo l’intero oceano nel tuo sterno.
Mercoledì ti sta baciando.
Le sue dita tra i tuoi capelli della nuca.
Il suo naso contro il tuo.
Le labbra già schiuse e la lingua che ti sfiora i denti.
E tu sei perduto, tu sei la vittima sacrificale, tu sei il sacerdote profano.
Il ghiaccio si scioglie tutto in un calore intollerabile. Le tue labbra si schiudono ad accogliere le sue e non ti controlli più.
Le tue mani sono scese dal viso al collo e dal collo alle spalle e dalle spalle ai fianchi. La stringi. La baci e non le concedi mai aria. Segui un ritmo che ti sta soffocando e non riesci a fermarti - non puoi o ti senti morire, senti solo che la desideri, che ti sei consumato nel desiderio di possederla in ogni modo possibile e adesso pensi soltanto che vorresti entrare dentro di lei e smetterla di soffrire.
Le attiri i fianchi contro i tuoi e le tue dita si insinuano ai lati della gonna, sotto, abbassandola leggermente. Senti la pelle dell’inguine con il pollice e poi le ossa sporgenti e lì perdi un gemito gutturale sulla sua lingua, assaporando il modo in cui lei risponde ad ogni tuo gesto e sospiro.  Che la Musa abbia pietà del suo mendicante, e poi capisci di star delirando e che la stai stringendo tanto forte da lasciarle dei lividi.
Le tue dita scendono ancora e le liberi le labbra - gonfie, lei ansima, non pensavi l’avresti mai vista così.

La gonna a terra e le tue mani tra le sue cosce. Lei spinge il suo ventre contro i tuoi polpastrelli e tu capisci che dovresti fermarla, che le tue dita la stanno già esplorando e che tra pochi secondi la prenderai lì, sul pavimento sporco e i panni macchiati di vernice, e non va bene, è troppo tutto insieme.
Il silenzio sulla loro estate, le sue spalle voltate, la sua gelosia, il bacio e tu che non sei pronto. Non dopo averla desiderata tanto a lungo.
E chi fermerà te?
Come potresti fermarti con lei?
I respiri di Mercoledì sono pesanti e dentro di te scorrono troppi desideri e troppe emozioni. Mercoledì ti bacia l’angolo della bocca e tu stai peggio. Mercoledì ti afferra le mani che hai allontanato da lei e le pone nuovamente tra le sue gambe - il calore ti bagna le dita - e tu scegli di fermarti. Non così, non dovrebbe essere così.
Mi sta uccidendo. Baciarla e non baciarla. Toccarla e non toccarla. Mi uccide comunque.
Sussurri un ‘no’ che gela entrambi.
Poni la tua fronte contro la sua e sai che lei vorrebbe picchiarti - non vuole neanche guardarti in faccia - e volta il viso di lato lasciandoti solo la sua tempia a cui appoggiarti.
Ripeti ‘no’ e lei compie un passo indietro quasi inciampando nella sua gonna e tu la segui stringendole le spalle.
“No. Non così.”
Le baci la tempia e lei si irrigidisce ancora di più. Mezza nuda tra le tue braccia senza mai tremare.
“Questa sera. Questa sera presentati al mio dormitorio. Avremo tutta la notte. Avremo un letto.”
Dimmi che per te è importante come lo è per me. Per favore. Per favore non farmi sentire usato.
“Seriamente, Xavier?”
“È importante per me.”
Si volta. E ti osserva. Ma tu adesso non riesci a sostenere il suo sguardo perché sei troppo esposto. Le baci le palpebre e le ciglia e lo fai con estrema dolcezza anche se sai che lei potrebbe sentirsi nauseata da questi tuoi gesti. Ma ti senti spezzato in più punti e non sai bene come reggerti in piedi senza più sentire la sua pelle e il suo calore tra le dita. Senza i suoi gemiti nelle orecchie e il suo corpo a modellare il tuo.
Ti amo, vorresti dirle.
Ti amo e mi stai uccidendo. Mi sta uccidendo amarti.
Ti scongiuro, liberami.
Mercoledì.
Lasci la sua pelle, lasci il suo corpo e ti condanni.
“Io ti aspetterò.”







Angolo autrice
Sono soddisfatta? Ma certo che no, altrimenti non sarei Cress Morlet. Spero tantissimo di ricevere le vostre opinioni, ne ho davvero bisogno. Mi sono perdutamente innamorata di loro e tanto altro deve accadere. Seguitemi, se volete. E, soprattutto, buon anno nuovo!

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Capitolo 2
*** It's torturous ***


totutre

NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO CARVE







We are no just art for Michelangelo to carve
He can't rewrite the agro of my furied heart
I'll wait on mountain tops in Paris, cold
Je ne veux pas mourir tout seule
(Bloody Mary, Lady Gaga)







Senti un nodo allo stomaco che potrebbe attorcigliarsi intorno alle trame della tua anima - da risucchiarti ogni respiro e scorticarti la cute della pancia.

Una nausea talmente tanto potente da costringerti a bloccarti dal tuo incessante camminare in tondo. Sudore freddo che ti scorre sulla nuca e giù fra le scapole.
Non busserà mai.
Ti stringi il nodo allo stomaco e vorresti strappartelo da dentro e gettarlo dalla finestra. Aspettare nella tua stanza si sta trasformando in una tortura indicibile.
Aspettare lei - l’illusione di un uomo senza speranze.
In gola sabbia arida e sporca. Un martello nelle tempie e tasti di pianoforte che ticchettano il flusso dei tuoi pensieri.
Mercoledì.
Ti avvicini alla tua porta e pensi che tu sei una falena con le ali macchiate di inchiostro e che brucerai sfiorando le ragnatele dei raggi solari - e che sei patetico.
E poi pensi al suo viso mentre riassettava la gonna stretta intorno alle sue gambe - dimenticata a terra e troppo vicino ai tuoi piedi, ti sei sentito a disagio - e al modo in cui le sue labbra si erano serrate in una muta condanna contro di te. Ti aveva lasciato senza una risposta e con le guance rosse, il passo affrettato.
Ti amo, hai pensato non appena lei ha sfiorato i cardini della porta. 
Non ti ha guardato. Non ha sentito di certo i tuoi pensieri.
Ti amo, scusami. E lo hai sussurrato alle ombre dei suoi dipinti e a null’altro.


Abbassi la mano sulla maniglia e ti sembra il tuo polso pesi piombo - cade pesante e la porta si schiude, uno spiraglio che è un il respiro di una lucciola.
Non sai il motivo. Non comprendi cosa ti stia spigendo a lasciare la stanza - forse la stanchezza dell'attesa del patibolo, forse la smania di bruciare il catrame sulle tue ali da falena.
E poi te ne rendi conto e il tuo sguardo si trasforma. Mercoledì.
Scorgi una treccia scura e poi smalto nero su pelle di porcellana. Tanto pallida da apparire come uno spettro antico rimasto imprigionato nei rancori di una gotica dimora. Tanto bella da spingerti ad osservare il modo in cui la luna si riflette nei suoi occhi e sul suo viso placido. Estremamente calmo.
“Mercoledì.”
Solo il suo nome riesci ad articolare. Tutto il resto ti rimane incastrato tra gli incisivi e le labbra screpolate. Forse qualcosa sfugge lungo gli angoli della tua bocca e ti disegna un’espressione di stupore sul tuo volto.
E sai che lei è davvero lì - dinanzi a te, stringendo ancora il suo zaino e con gli stessi vestiti di qualche ora fa.
Lei non sembra sentire il tuo tormento e il modo in cui tante parole si stanno ammassando nella tua gola e premono per uscire, scivolando sulla tua lingua.
Lei considera semplicemente il suo nome un invito e compie un passo senza dire nulla. Tu allarghi lo spiraglio della porta e lei sguscia da sotto il tuo braccio posato sullo stipite.
Mercoledì. L’unico pensiero coerente che la tua mente riesce a colorare in mezzo alle ragnatele.
“Mercoledì. Da quanto eri lì fuori?”
Non ti ascolta. Si ferma al centro della tua camera e si guarda intorno con aria cinica - come se si aspettasse altri dipinti o qualcosa altro con cui attaccarti con un mezzo sorriso sulle labbra.
Tu sei ancora vicino alla porta e ti chiedi come strappare la nuova distanza che si è creata tra voi. Come sia possibile che in poche ore si sia creato qualcosa di sbagliato e come aggiustare il ponte traballante tra di voi.
Mi hai baciato. Hai lasciato che ti toccassi, lo volevi, lo volevi anche tu.
“Se permetti avrei bisogno io di sottoporti un quesito.”
Il suo tono ti smuove qualcosa dentro. Eppure hai l’assurda speranza che le sue parole e le tue risposte possano arginare l’oceano immenso in cui tu stai miserevolmente affogando. Ti stacchi dalla porta e ti muovi verso il comodino. Stai annuendo mentre rifletti e ti aggrovigli nei tuoi pensieri confusi. Afferri due album da disegno e ne getti uno in un cassetto. Troppo calmo, troppo esposto e troppo disperato - che errori stupidi.
“Certo. Dimmi.”
“Cosa hai provato quando mi sono presentata al ballo con Tyler?”
Chiudi con forza il secondo cassetto e delle matite sfuggono, cadono a terra. Tu ti chini a raccoglierle e stringi i pugni.
“Lo sai bene cosa ho provato.”
“Sentimento di possesso? Furia omicida? Tossico desiderio?”
Fammi un favore. Togliti l’amuleto e fammela dimenticare.
“Tristezza. Ero molto triste, Mercoledì.”
“Quindi non eri geloso?”
È un’immagine che ti perseguita. E che stranamente hai scelto di non dipingere mai. Neanche di abbozzarla o di tratteggiare con una matita sbeccata.
Il modo in cui il vestito nero aveva fasciato i suoi fianchi. Una sposa con i capelli stretti in un’acconciatura da sciogliere solamente la notte e tra delle lenzuola bianche e umide - le tue dita avrebbero snocciolato a terra ogni forcina in un tintinnio di legno simile ad un canto nuziale.
La pelle pallida da baciare e da mordere.
Dietro l’orecchio, la giugulare e sotto il mento. Il palmo della mano, l’incavo del gomito e poco sopra la spalla. Il polpaccio, i tendini tesi del ginocchio e tra le cosce.
L’aveva osservata passeggiare tra gli altri studenti, muoversi a passo svelto sulla pista da ballo e danzare. La musica aveva piegato il suo corpo in pose d’estasi.
Lui aveva dovuto fare un passo indietro.
Questo desiderio mi sta uccidendo.
“Sì. Lo ero.”
Lei abbassa il mento insieme allo sguardo. Ti lascia in bilico un secondo e poi si stringe nelle spalle - e tu sei già caduto.
“E cosa hai provato? Nello specifico.”
“È crudele. Persino per te.”
Non sai dove nascondere le mani. Lasciarle lungo i fianchi ti sembra un peso. Porle nelle tasche dei pantaloni ti curva un po’ la schiena, sottraendoti aria. Ma tremano.
Di ansia e dolore mescolati ad un battere troppo veloce del cuore.
“Sono coerente. Non c’è niente in me per cui io possa piacere a te.”
Perché dovresti piacermi?
Il ricordo della tua domanda si assottiglia tra di voi come una lama di ghiaccio e sangue. Scava nell’addome di entrambi e lascia te con uno strano senso di colpa.
“Ero ferito. Continuavi a dire che io ero il mostro e dicevi che avevo cercato di fare del male a Eugene. Mi calpestavi in ogni modo.”
Lei allarga le spalle e arriccia le labbra - c’è disgusto che cola dalle sue guance.
“Io questo sono. Non mi assumo la responsabilità del tuo avermi idealizzata. Non sono i tuoi dipinti. E non sono buona.”
“Hai paura?”
Noti che la tua domanda la costringe a stringere i denti.
“Come, prego?”
“Stai cercando di litigare. Mi attacchi. Mi fai domande di cui conosci la risposta. Cerchi di provocare uno scontro. Di cosa hai paura?”
Non ti farò mai del male e non farò mai nulla che tu non voglia. Non sono quel tipo d’uomo. Non sono neanche un uomo. Sono un ragazzino innamorato che non sa cosa farne di questo sentimento, che era impreparato a tutto questo.
Le tue parole sono appallottolate su un foglio di carta e ingoiate con la forza. Mercoledì distrugge la distanza tra di voi e calpesta ogni altra frase che eri in procinto di pronunciare. Si blocca a due passi da te e lascia cadere lo zaino a terra.
“Abbiamo tutta la notte. Abbiamo un letto.
Scimmiotta le tue parole e tu senti un calore diffuso tra il collo e le guance. Un calore che ti invade lo sterno non appena vedi che lei compie tre passi indietro e si sdraia di schiena sul tuo letto. Ti osserva un momento e poi gira il viso verso il soffitto.
“Tu conosci la pratica. Io la teoria. Possiamo procedere.”
E la osservi. Che ti attende per pochi secondi. Che poi si rialza a sedere un momento per sfilarsi la giacca della divisa. Che quella macchia nera di tessuto cade a terra e ti sembra un presagio di distruzione, simbolo che non ti offrirà mai altro. Osservi che non ha la cravatta e ha solo una camicetta. Che si sta sfilando scarpe e calze eliminando ogni possibile intimità che avreste potuto avere. Che ti sfida con orgoglio e che forse ha paura, ma non te lo dirà mai. Che posa nuovamente la schiena sul tuo letto e che non ti guarda e così tu pensi che di una morte bisogna morire.
Questa non è peggiore di tante altre.
Lo so che amarti mi sta uccidendo. E che così sia.


“Mercoledì.”
Sei in piedi al lato del letto e cogli un fremito delle ciglia. Senti mirra e incenso nelle tue narici e poi qualcosa di conturbante che ti rende sdrucciolevole ogni possibile azione.
“Esprimiti liberamente.”
Ti siedi vicino al suo fianco destro e la sua ostinazione a non guardarti ti spinge a sdraiarti e a guardare il soffitto insieme a lei - e come è piccolo questo letto per entrambi.
Ti domandi perché lei voglia fare sesso con te, perché è vicina e non si scosta, cosa prova. 
“Io ti amo davvero.”
Mercoledì sospira e forse sbuffa.
“È irrilevante.”
Ti sta pugnalando fino a spezzarti le ossa delle costole in più punti. Senti il suono e senti il caldo ripugnante del sangue che sgorga in lunghi rivoli neri. E non ti importa.
Le cerchi la mano chiusa a pugno e la stringi.
“Ti amo davvero.”
“Il sesso è un’unione carnale che non richiede partecipazione emotiva.”
Ti sfugge una risata dalla bocca piena di sangue e senti il pugnale schiantarsi a terra.
“E purtroppo io ti amo. Ti amo, Mercoledì. E ti amo troppo. Sono patetico. Vorrei scegliere di non amarti. Vorrei non amarti e non averti mai amato. Invece ti amo. Ti amo. Dio, quanto ti amo, ti amo e ti amo, ti amo. Ti amo, sempre ti amo e ti amo. Ti amo e non smetterò mai. Quindi finiscimi e basta.”
Ti volti. Lei ti sta già guardando e non sai da quanto tempo ha smesso di osservare il soffitto e non ti interessa. Mentre stai ancora parlando le trovi le labbra schiuse e la baci. E ritorna.
Quella passione che aveva travolto entrambi soltanto poche ore prima - insieme alla disperazione e alla certezza di non essere amato e al dolore della perdita di una parte di te stesso.
Hai le mani tra i suoi capelli e strette intorno alla sua nuca. Le sollevi il viso e lei sembra lasciarsi divorare da te, una semplice illusione - ti sfida con la sua lingua, nel modo in cui ti accarezza e poi ti sfiora le labbra in tocchi sottili e come lei cambia il suo ritmo e costringe te a seguirla.
Ha schiuso le labbra e ha schiuso le gambe, girandosi di lato e posando la coscia contro il tuo fianco. Senti calore ovunque.
Lei si spinge contro di te e una tua mano scende dalla sua nuca al suo bacino.
Non sai se vuoi spingerla ancora di più contro di te o fermarla.
E le tue dita non trovano pace e dal bacino percorrono la linea della gonna e con i polpastrelli sentono il bottone e la cerniera da slacciare e tirare giù. Lo fai veloce mentre lei si solleva e ti aiuta a sfilarla.
Lo sai che è la sua prima volta. Nasconde l’inesperienza con gesti accorti e tu le chiedi di rallentare mentre ti sta spogliando. Lasci che ti sfili il pantalone e che poi ti spinga sopra di lei.
Troppo veloce, troppo veloce, hai solo adesso iniziato a baciarla.

“Aspetta, aspetta.”
Sono le uniche parole che riesci a pronunciare nel momento in cui lei cerca di sfilare via gli ultimi indumenti di entrambi - ha cercato di farlo in un gesto veloce mentre tu eri premuto contro di lei a baciarle lo sterno, partendo dalle spalle e poi giù sul tessuto del reggiseno e al centro del suo addome, a morderle cuore e ossa e pelle.
Lei ha il respiro accelerato e tu sei diviso in due opposte tensioni. Vorresti guardarla quando le tue dita discendono e schiudono le sue gambe e si insinuano dentro di lei e cominciano a muoversi lentamente - lente e lente, prima un dito e poi due in movimenti lenti e lenti e così lenti che il suo bacino ti asseconda in modo sgraziato e irregolare.
Ma non riesci a sollevare lo sguardo.
Dapprima hai il viso nascosto contro il suo petto e sul suo seno che - non riesci a controllarti, non ci riesci - vorresti soltanto baciare, invece mordi, divori. 
C’è l’impronta dei tuoi denti sulla sua pelle, vicino all’aureola e sul costato. Li noti di sfuggita e non ti blocchi, continui ad alternare la tua lingua con i tuoi incisivi fino a quando ai suoi gemiti non si uniscono note di sottile dolore. Inizi di nuovo con baci dolci, assapori la sua pelle mentre le tue dita scelgono un ritmo diverso, più veloce. E all’improvviso non ti basta e vuoi di più, vuoi sentirla ancora e ancora e di più.
Mordi piano e la senti, senti che trema.
Ma poi nascondi il volto contro il suo collo per ascoltare meglio il suo respiro. È disarticolato, come se volesse pronunciare parole che non ti sussurrerà mai e che rimangono incatenate alla sua giugulare. Il suo bacino segue i movimenti dei tuoi polpastrelli e si lascia accogliere dal tuo palmo, le gambe tremano e stropicciano le lenzuola. La senti che ti stringe - anche le sue cosce ti stringono il braccio e i suoi respiri sono solo gemiti che ti sembrano strozzati.
E le sue mani si aggrappano alle tue spalle e la sua schiena si inarca e tu non puoi più scegliere. Sollevi il viso dalla curva del suo collo e i suoi occhi sono spalancati. Non riesci a cogliere la sua espressione, la sua bocca si preme subito contro la tua.
Così la senti e la senti e la senti tutta.
Stretta e calda intorno alle tue dita.
Dolce sulla tua lingua.
Morbida la sua pelle che accarezza la tua.
E la vuoi, la vuoi - solo questo nei tuoi pensieri disarticolati, senza più coerenza.

Hai i polpastrelli umidi di lei. La sua saliva sulle labbra e sulla gola, le sue unghie che lasciano segni sulle tue spalle e non ti basta. Non è niente. Non basta, no.
“Ti voglio.”
Pensi che lo hai detto. Pensi di averlo fatto e non ne sei sicuro. Lei ti sta spogliando, il suo respiro nelle tue orecchie. E tu sei sopra il suo corpo e non credi di poterti fermare più. Stai pensando tante cose e non sai cosa stai pronunciando ad alta voce e cosa stai sussurrando in un voto imperscrutabile e segreto.
Ti amo.
“Dimmi che mi ami.”
Mercoledì.
“Dimmi che ha valore per te.”
Penso che morirò.
“Menti. Raccontami tutte le bugie che vuoi. Dimmelo solo una volta.”
“Xavier.”
Una delle sue gambe ciondola fuori dal materasso. Te ne rendi conto mentre ti stai spingendo dentro di lei e con una mano la afferri sotto il ginocchio e la porti sul tuo fianco. Dentro di lei ti senti strappare il ventre e ti chiedi se trema per la posizione o per il dolore - ma mentre sei dentro di lei sei ebbro e ti chiedi se non sia per l’emozione.
Pronunci piano il suo nome.
“Mercoledì. Mercoledì.”
Ti aggiusti piano dentro di lei - come fai ad essere dentro di lei - e ti sfugge un gemito gutturale di cui ti vergogni.
“Mercoledì.” 
Lei ti stringe la mano. E tu non ti rendi conto di cosa ti dice.







Angolo autrice

E da un capitolo siamo passati a due. Da due a tre. Quindi sì, la storia deve ancora essere conclusa. Spero vi stia piacendo, i vostri commenti aiuterebbero tantissimo. Specifico che i titoli dei capitoli sono i versi della canzone The Loneliest dei Maneskin. Vi ringrazio per l'accoglienza e che l'attesa sia valsa la pena :)

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Capitolo 3
*** Tonight is gonna be the loneliest ***


miche

NO JUST ART FOR MICHELANGELO TO CARVE 


I'll dance, dance,dance
With my hands, hands, hands
Above my head, head, head
Like Jesus said
I'm gonna dance, dance, dance
With my hands, hands, hands above my head
Hands together, forgive him before he's dead
because...
(Bloody Mary, Lady Gaga)







Fare sesso con lei non ti ha aiutato.

Assolutamente no.
Non ti ha aiutato e ti ha rovinato e guarda ora come sei costretto a raggomitolare i tuoi sentimenti tra pugni e bende insanguinate.
Tu credevi che così saresti guarito.
Che stupido.
Adesso è tutto peggiorato.
Ma tu sei stato stupido.
E ora devi pagarne il prezzo.


Nel tuo sguardo si interrompono - simili a diapositive stracciate dalle mani dei giganti - le immagini dei ricordi che hai afferrato con ago e filo. Cerchi di ricomporti e non ci riesci. Cerchi di riaggiustare i pezzi scombinati dentro di te e scopri di non esserne minimamente in grado. Sei una bambola di pezza beccata da affamati corvi neri che banchettano con i tuoi bottoni e le tue cuciture - ricordare quei mesi ti ha prosciugato e tu non puoi più nulla, non ti è rimasto nulla.
Se pensi che era tutto un copione composto da qualche poetessa disturbata - un manoscritto la cui conclusione era altamente prevedibile - ti coglie il desiderio di ridere e di strapparti i denti uno ad uno.
Nascondi il viso nella coppa delle tue mani e ti dimentichi di non essere solo.
Bianca schiocca le dita con un atteggiamento imperioso e tu trasalisci. Ti incanti seguendo quel suono ritmico e pensi che potresti piangere. Sei bloccato su una sedia della sala dei Belladonna da fin troppe ore, forse da fin troppe giornate.
Ricordare, pensare e cercare di spiegare la situazione a Bianca con meno parole possibili: non stai facendo altro da una settimana.
“E quindi? Non sto capendo. Sei traumatizzato perché sei stato a letto con Mercoledì Addams e sei sopravvissuto? Sono colpita anche io. Ero certa mangiasse le sue vittime. C’era una scommessa in atto tra me, Enid e mezzo corpo studentesco. Mi hai fatto perdere dei soldi.”
“Bianca.”
“Dico sul serio. Tutto questo racconto immenso a partire dall’estate in cui non fate altro che scrivervi messaggi funebri e sonetti cimiteriali, lei che ti ignora non appena ricomincia la scuola e tu che impazzisci per due mesi potevamo tralasciarlo benissimo. Ero presente anche io, insomma. Per ottenere l’unica informazione interessante ho dovuto aspettare giorni. E sappiamo bene che non sarebbe neanche successo se io non mi fossi benignamente immolata all’ira furiosa della vendetta della Addams. Quindi, ringraziami.”
“Bianca.”
“Seriamente. Il problema?”
“Non ha significato nulla per lei.”
Ti sei svegliato e lei era sdraiata a pancia in sù a guardare il soffitto. Percepito il tuo sguardo ti sei reso conto che si era voltata verso di te e tu, nella nebbia delle briciole di sonno, ti sei perso nei suoi occhi.
Ti erano sembrati lucidi e poi dopo un battito di ciglia hai notato che era un gioco della luce del comodino.
Ti sei sporto a darle un bacio - hai pensato sulla guancia e poi all’angolo degli occhi e solo infine sulle labbra.
Ma Mercoledì si è scostata. Una mano sul tuo petto e la schiena curva, il collo tirato all’indietro.
No, ha detto. No.
Sgusciata via dalle tue braccia tese, dalle lenzuola che avevate condiviso.
L’hai osservata - nuda e con la pelle sudata - che si rivestiva con calma e metodicità e non hai potuto fermarti non appena hai visto che finiva di abbottonarsi la camicia.
Hai fatto cadere a terra le coperte e non hai perso tempo a rivestirti. Lei ti dava le spalle e tu l’hai abbracciata e ti sei vergognato del modo in cui ancora si sentiva il desiderio del tuo corpo.
La fronte contro il suo collo e le braccia sotto il suo seno.
Cosa ho sbagliato?
Glielo hai sussurrato all’orecchio e sai che lei lo ha sentito.
Mercoledì. Cosa ho sbagliato?
Ma lei non ti ha mai risposto.
Ti ha chiesto di lasciarla andare e tu l’hai lasciata.
Ecco la lama pregna di sangue che ti scivola dalle mani - c’è ancora un pezzo di cuore che pende dalla punta.
Cade giù e di te rimangono soltanto delle intenzioni balbettate in una lingua che non conosci.
Ho scelto io di morire di questa morte. Lo sapevo. E l’ho scelto.
La mattina dopo ti sei rinchiuso nella cripta dei Belladonna e non sei uscito più.


Cerchi di nascondere di nuovo il viso tra le tue mani e Bianca ti blocca.
“Sinceramente. Ti aspettavi una reazione differente da Mercoledì Addams?”
Il suo sorriso sembra un pugnale conficcato nella tua bocca - con estrema pietà e una risata di compatimento.
“Che intendi?”
Un’altra risata e tu che ti senti una zattera in mezzo alla tempesta - tutti comprendono e tutti sanno e tu sei alla deriva.
“Cosa intendo. Intendo che lei ha una comprensione estremamente limitata dei sentimenti umani mentre tu sei cieco in maniera oscena. E la sorte ha scelto di compensare questo perverso gioco tramite me. Devo spiegarti io le cose o tu saresti in grado di seppellirti qui dentro. Non ci tengo ad averti sulla coscienza.”
“Bianca, non c’è nulla da spiegare. Ho sempre saputo di non essere ricambiato.”
Lei si alza in piedi e ride stringendosi l’arco del naso. Ha il medaglione da sirena in bella mostra e sembra lo abbia fatto di proposito - affinché tu fossi sicuro della sua sincerità.
“Credi che Mercoledì Addams in tutta la sua esistenza abbia mai fatto qualcosa contro la sua volontà? Certamente no. Quindi ti presento la situazione. Penso che ti abbia ignorato all’inizio della scuola a causa di un serio problema relazionale con i genitori. Li hai mai visti? Suo padre e sua madre sono eccessivi, a dir poco nauseabondi. L’hanno resa allergica ai rapporti umani e sentimentali. Una reazione di evidente protesta e legata alle fasi di ribellione adolescenziale. Ma c’è stato qualcosa di altamente prevedibile che ci ha dato uno spiraglio: era gelosa. Il suo sguardo dopo che ci ha visto ridere insieme, non era meraviglioso? Le avrei riso in faccia se non avessi visto te, distrutto e infelice. Così ho deciso. Sono andata da lei e l’ho convinta che io e te stessimo insieme. Non ho dovuto neanche dire molto. Lei ne era certa e ho solo confermato i suoi sospetti. Se sapessi per quale motivo ha cercato di strapparmi gli occhi, potrei farti ridere. E devo ringraziarti. Mi hai dato la possibilità di contemplare la maschera di indifferenza di Mercoledì Addams che si scioglie. Estremamente meraviglioso. E così si è presentata da te, giusto? Ti ha cercato. Oserei dire che aveva paura di perderti e che ti voleva. E che, in realtà, ti vuole ancora. Ti ama, Xavier. Tu sei semplicemente troppo spaventato e lei ha bisogno di leggere un manuale delle istruzioni riguardo ai sentimenti e ai comportamenti umani. Tutto qui. Non preoccuparti.”
Bianca si china a baciarti la fronte e tu ti aggrappi alla manica della sua camicia - nel tentativo di non affogare nel mare in cui ti ha appena gettato.
Scuoti la testa e ti cancelli le lacrime. Ti cuci un mesto sorriso.


                                                                                                            ***********************



Ti manca il silenzio della cripta.
I bisbigli dei tuoi compagni di classe ti disturbano e le risate ti scorticano la cute in miliardi di coriandoli grigiastri. Desideri nasconderti e non mostrare il tuo viso a nessuno. Lasciarti tutto alle spalle e scomparire. Ti sembra che il tuo viso abbia tutto impresso lì, sulle labbra e negli occhi.
Ma hai promesso a Bianca di smetterla - e di tornare nel mondo degli esseri umani e di non comportarti al pari di un’eremita problematico.
Elitario snob. Te lo ricordi e ti senti lo stomaco assurdamente pesante.
Nelle orecchie il rimbombo di ogni singola frase pronunciata da lei.
Potessi non ricordare il modo in cui mormorava il mio nome mentre ero dentro di lei. Frasi spezzate che sussurrava tra i miei capelli e il lobo del mio orecchio - e poi Xavier, Xavier, Xavier.
Mi sorreggevo sui gomiti e tra le mie braccia il suo viso e tra i miei palmi il suo cranio. Guancia contro guancia e le sue mani sulla mia schiena - graffi che non placavano il ritmo dei miei movimenti.
Senti una scarica che ti percuote la spina dorsale. Prendi in mano il pennello e ti macchi sia dita che camicia con macchie nere simili a tentacoli.
Devo nuovamente dipingere queste piume. La vernice si sta scrostando e stanno riaffiorando i mattoni. Sembrano muschi e licheni da estirpare.
La preside ti ha chiesto di aggiustare la tua creazione del cortile. Con gentilezza all'inizio e poi con maggiore fermezza.
Le intemperie, tu hai mormorato. E sai di aver mentito e che lo hai fatto in maniera poco convincente e che non aveva neanche senso - lei conosce ogni cosa dei suoi studenti.
Sa bene che i tuoi dipinti seguono il corso dei tuoi pensieri e dei tuoi sentimenti. Che sono a te legati - sempre - e che un dipinto deteriorato significa il crollo della tua mente.
Ti senti incredibilmente triste. Nulla di te riesci a nascondere agli altri.
Della pittura ti gocciola anche sulle scarpe e tu non ci pensi. Osservi il disegno e cerchi ogni difetto. Forse avresti dovuto dipingere all’alba. Le ore calde del pomeriggio non ti concedono di concentrarti sulla giusta angolatura della luce e delle ombre. E ci sono troppi studenti che ti scrutano mentre passeggiano. Bisbigliano e notano ogni tuo piccolo gesto. Un’ulteriore immensa frustrazione da tollerare a denti stretti.
Sospiri e immergi il pennello nell’enorme secchio di vernice. Pensi di toglierti la giacca, forse di arrotolarti la camicia che stai continuando a macchiare - tutto talmente tanto nero, come i tuoi pensieri e qualsiasi tua intenzione.
Corrughi la fronte e di sfuggita ti tocchi una tempia, macchiandoti anche la faccia con sbuffi oscuri.
Non sto dipingendo un corvo. Sembra che stia dipingendo la mia malattia mentale.
Che stupido. Sono estremamente patetico.
“Xavier.”
Tanto immerso nei tuoi neri pensieri che ti cade il pennello dalle mani. La sorpresa ti spinge ad osservarlo con stolida calma mentre rotola ai suoi piedi.
Mercoledì si china a raccoglierlo e lo rigira tra le sue mani - il modo in cui le sue dita erano scese ad accarezzarti l’inguine e a seguire la linea delle tue cosce ti scuote la mente in ricordi da sopprimere all’istante.
Ti sta guardando e tu le restituisci uno sguardo stanco. Ti piacerebbe fingere e ti disperi per esserne incapace.
Non dormi e mangi poco. La sofferenza assorbe ogni tua energia e tu avresti dovuto saperlo meglio di tutti. Invece hai calpestato ogni buon proposito e ogni ottima occasione di fuggire lontano.
Sospiri e chiudi gli occhi.
“Dunque, sei ancora vivo.”
Senti un pugnale che si dimena all’interno del tuo petto e quanto desideri liberartene. Quanto desideri infilarti le mani nello sterno e strappare via tutto - la polpa del cuore e i bocconi di carne insieme ai bastoncini di ossa.
“Mercoledì.”
Non servirebbe a nulla. Niente serve mai con lei.
“Hai rischiato di farmi accusare di omicidio.”
Lei non si macchia le dita di nero. Ti sembra una cosa buffa. E poi ti rendi conto che risulta estenuante - solamente tu sei intriso di macchie e veleno.
“Ci stanno ascoltando.”
Con un cenno della testa indichi un gruppo di studenti che sta rallentando il passo. Sono poco distanti e sono avidi di informazioni e di conoscenza dell’esistenza altrui. Poco empatici. Non dimostrano aver pietà o tracce di misericordia, in un'estrema ingustizia.
“Lascia che ascoltino.”
E rideresti se soltanto ne avessi ancora la forza. Tu sei lì e niente riesce a darti qualche forma di speranza. Lei sarà la tua rovina - la ragazza dei tuoi incubi.
“Cosa posso fare per te? Sono molto stanco, Mercoledì.”
“L’eremitaggio stanca?”
Stendi le dita verso il pennello e lei lo cede al tuo palmo. Ma in quel momento di resa ti stringe la mano - e non ti concede il tempo di rispondere o di stupirti per il suo gesto.
“Sai bene che non mi interessa l’opinione della gente. Lascia che ascoltino. Che continuino a mormorare e immaginare e chiacchierare tra di loro su tutti i possibili scenari che ci riguardano. Ma ci sono dei limiti. Non tollero l’ipocrisia. L’ipocrisia dei tuoi atteggiamenti e di quelli che consideri essere i tuoi sentimenti.”
Lo sta dicendo con una rabbia talmente tanto palpabile che resti sconvolto dal modo in cui lascia la tua mano e si scosta da te. Con un passo indietro e con un movimento repentino delle dita - e una scarica di elettricità che percepisci a contatto con la sua pelle.
“Cosa stai dicendo?”
“Cerchi sentimenti da una persona che disprezzi. Preferisci che io citi le tue considerazioni? In quale ordine? Cronologico o alfabetico? Sono tossica e ho solo rovinato la scuola, ho solo reso le cose peggiori. Chi entra in contatto con me si ferisce. Non ho pensieri per nessuno se non per me stessa. Me ne devo andare. Per salvare tutti devo solo andarmene. Rowan avrebbe fatto bene ad uccidermi. Tu avresti fatto bene a lasciare che Rowan mi uccidesse.”
Ha perso la sua freddezza. Ogni accusa la sputa come chicchi amari sulla lingua. Un’espressione disgustata che non abbandona il suo viso. Tace e si ricompone, ma il suo orrore continua a deturparle gli occhi e le labbra. Lo sbigottimento ti intontisce i pensieri e ti attorciglia la lingua. Scuoti il capo e stringi il pennello fin quasi a spezzarlo - lo sguardo basso e le parole asciutte.
“Ti ho chiesto di perdonarmi. Ero in prigione e tu mi avevi incastrato in modo meschino. Mio padre mi ha abbandonato e diseredato. Non mi hai mai creduto nonostante le mie suppliche e mi hai venduto. H-hai baciato Tyler. Non mi giustifica. Ho detto delle cose orribili. Ero arrabbiato. Ero così arrabbiato, Mercoledì. Ma non riesci a notarlo? Non appena sono stato liberato che cosa ho fatto? Non sono scappato. Sono tornato da te. Sono sempre tornato da te. Perché tu sei più importante.”
Le ultime frasi sono uscite roche dalle tue labbra. Trattenute tanto a lungo dai tuoi denti serrati da essersi arrugginite e accartocciate - mesi e mesi di silenzio e di omissioni e di orrenda accettazione.
Un segreto che non ha avuto senso pronunciare ad alta voce.
Lei non mi ascolta. Non mi ha mai ascoltato.
“Non mi toccano le parole che mi hai rivolto. Mi disgusta l’ipocrisia di chi pretende dei sentimenti dalla stessa persona che disprezza e che allontana con immensa semplicità. Posso accettare il sadismo. Ma io abborro il falso compiangersi.”
Supplicare sarebbe risultato inutile - ti ha mai ascoltato l’anno scorso? quando in ginocchio biascicavi parole che avrebbe soltanto calpestato? quando, piangendo, le chiedevi di credere in te e nella tua innocenza?
Per crederti aveva dovuto baciare un altro.
“Io ti amo. Ti ho sempre amato. Non me ne sono mai andato. Sono sempre rimasto qui.”
Dentro un amore che non cercavi e che non immaginavi potesse essere così.
“Certamente no. Ti bastava allontanare me.”
Pensi il pennello si sia spezzato. Non ne sei sicuro. Lo hai lasciato cadere ancora a terra e hai immerso le mani nei capelli - un’immensa marea oscura che ti sommerge e in cui affoghi senza combattere.
Ti bruciano le narici e ti senti pesante la testa. E lo sai bene che non ha senso lottare. Con lei si perde e basta.
“Mercoledì. Tu provi qualcosa per me?”
E se pur tu lottassi non avrebbe senso. Se ti dimenassi per trovare un po’ d’aria non la troveresti. La marea ti ha portato troppo giù. Sei sul fondo del mare e lì rimarrai. Stai osservando le stelle spegnersi e sei incastrato in uno specchio opaco.
Mercoledì ti guarda e tu senti le costole cigolare e il cuore che si spezza in due.
“Desideri la verità? Posso dirtela ancora. Sono cattiva e crudele. Sono perfida e mi piace la violenza. Non mi interessa calpestare i sentimenti altrui e non provo rimorso. Io sono il centro di me stessa. Non ho sentimenti per nessuno.”
Lo dice con i denti serrati e il corpo agitato. Ti sembra stia massacrando il tuo addome martoriato dalle acque. Pensi che sei mangiucchiato dai vermi e trasportato via da un gruppo di falene. Sei tutto esposto e sei stanco di stare in piedi - il tuo cuore lì è caduto, sporca le scarpe e il pavimento.
Non ne hai la forza. E non ne trovi il senso.
“Non è così. Tu ami.”
“Cosa non hai compreso?”
E sorridi. Senti gli occhi lucidi e ti rendi conto di essere terribilmente stupido e che non ti importa. Era giusto andasse in questo modo. Sapevi che di una morte bisognava morire.
Lo hai accettato da tempo.
“Tu hai sentimenti. Ami i tuoi genitori. Tuo fratello. Ami Enid. E Tyler. Tu ami, Mercoledì. Semplicemente non ami me.”
Dirlo ti rende libero - e triste e senza più una corda che ti ancori al suolo e che ti trattenga dal cadere giù, simile ad un corpo senza vita che crolla nella polvere.
Lo dici e sai che la tua lingua si è arrotolata nel pronunciare l’ultima frase e che soltanto un filo di voce sei riuscito a sfilare dal bandolo della matassa della tua immensa tristezza. Sei talmente tanto triste.
Respirare ti spinge una spina nel cuore - ne è rimasto poco, forse a mala pena una libra di carne.
Guardi il dipinto del corvo e trovi disperazione. Un bianco pallido che invade e distrugge disegno e colori.
Come se fosse la tua mente stretta da una camicia di forza.
Compi un passo indietro e Mercoledì un passo verso di te. O forse di più - perché è davanti al tuo viso e sta con il mento all’insù.
“Fermati, Xavier.”
“Che cosa?”
“Guardami. Fermati.”
I dipinti seguono i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri. Si stanno trasformando in un pozzo oscuro senza fondo.
Lei posa le mani sulle tue guance ma sulle tue guance ci sono già le tue mani. Hai le dita nei capelli e distrattamente pensi che anche all’esterno si deve notare la tua follia - quando tuo padre ne ebbe appena uno scorcio ti mandò lì, lontano dalla famiglia e dalla possibilità di disonorarlo con il marcio che hai nella testa.
“Guardami.”
Stringi le sue dita sulle tue guance e quando la guardi il tuo corpo si muove spontaneo. Posi la fronte contro la sua e ti chini a sfiorarle le labbra.
“Era bello essere dentro di te.”
“Xavier.”
“Volevo dirtelo. Volevo dirtelo quella sera. Che è stato tutto per me. Volevo dirti tante cose. Che eri splendida. So che non ti importa, ma eri meravigliosa. Bella. Tanto bella. La tua pelle. Il modo in cui respiravi. Non riuscivo bene a pensare. Ti ho fatto male?”
Ricordi. Nel momento in cui sei entrato dentro di lei e Mercoledì ti ha stretto la mano - che cosa ha detto mentre tu le chiedevi di amarti e ti sentivi solo.
Ora ricordi.

Fa male. Mi piace.
Tu non riuscivi a contenerti e lei lo ha ripetuto.
Fa male.
“Per questo te ne sei andata? Perché ti ho fatto male?”
“Xavier.”
Non sai quando hai iniziato a baciarla. Se adesso o anche prima, se alternavi poche parole con un bacio. O forse hai sempre il suo sapore sulla lingua. Perché sono solo baci di labbra contro labbra e lei sta schiudendo la bocca e ti bacia. Le stringi le spalle e ti pieghi e lei ti bacia. Mercoledì ti bacia e tu respiri a fatica.
“Non volevo farti male.”
“Xavier.”
“Non ero pronto e ho cercato di fare piano, non penso di esserci riuscito.”
Eri calda. Calda intorno a me e i tuoi gemiti nelle orecchie. Ad ogni spinta sollevavi un po’ il bacino e in quell’angolo mi perdevo.
“Xavier. Fermati.
Non sai cosa intenda - di parlare? di baciarla? di renderti ridicolo? quanto stai dicendo di ciò che pensi?
Mercoledì allontana il viso e le scappa un respiro profondo. Un sospiro ad occhi chiusi mentre scuote la testa e cerca di ricomporsi. Riapre gli occhi e ti sembra combattuta e così ti allontani. Ma lei non ti lascia andare le mani.
“Perdonami."
"Rimani qui, Xavier."
Biaschichi che non puoi. Che devi andare, devi stare lontano da tutti quando stai così, che hai sbagliato a lasciare la cripta, che era troppo presto e le chiedi ancora di perdonarti.
"Devo andare via."
Ha le mani intorno alle tue dita e sembra un ballo macabro, tu che retrocedi e lei che non ti lascia andare.
"Per favore. Devo andare via, ti supplico."
E lei trasalisce. Tu accarezzi le vene dei suoi polsi e dici ti prego e Mercoledì ti lascia andare. Ti sembra di guardarla attraverso un vetro, una lastra che confonde i tratti e i bordi - e ti dispiace, vorresti goderti la sua figura un'ultima volta.
Abbassi il mento e le volti le spalle, muovendoti a grandi passi lontano dal portico e dall'intera scuola e dagli studenti che si erano radunati nel cortile. Intravedi anche Bianca e non hai la forza di guardare la sua espresssione. Cammini con le mani che tremano nascoste nelle tasche. Cammini e ti dirigi verso la foresta, verso i tuoi dipinti, il silenzio - vuoi distruggere ogni singolo dipinto e sperare di essere libero anche tu.
E senti i suoi passi, il suo sguardo e il suo giudizio.
Lei ti ha seguito.
Mercoledì sfiora il vuoto tra le tue scapole e pensi che con quel gesto ha preso possesso dell'ultima libra di carne del tuo cuore.







Angolo autrice

Ciao a tutti! Ci ho messo una vita ad aggiornare, lo so, ma non riuscivo a scrivere il finale. Quindi questa mini-long aumenta ancora, il prossimo sarà l'ultimo capitolo. La storia continua a piacervi? Cosa ne pensate? Naturalmente i titoli dei capitoli sono sempre versi di The Loneliest dei Maneskin e la battura "in ordine cronologico o alfabetico?" l'ho ripresa dal film di Sherlock Holmes.

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