Moonflower

di mxrsgxrl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Dust in the wind ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Walk of life ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Dust in the wind ***


Luglio 1987, Sicilia, in un paesino vicino a Catania

Erano gli inizi di luglio del 1987 quando la vita di Risotto Nero, 14 anni, cambiò radicalmente.
In realtà non era la prima volta che a quel ragazzo tanto strano e spaventoso venisse ribaltata la vita come un calzino, ma sarebbe ingiusto dire che “tanto ci era abituato”.

Quel giorno era iniziato come tanti altri. Lui e sua cugina, Candela, erano usciti di casa con l’intenzione di andare al mare. Candela era allegra come al solito, quando Risotto si era svegliato la mattina verso le 8:00 lei era già a correre da una parte all’altra della stanza a preparare le loro borse con al loro interno creme, asciugamani, cambi eccetera. Risotto, stropicciandosi gli occhi, si chiedeva in primo luogo da dove venisse fuori tutta quell’energia di prima mattina, e in secondo luogo cosa ci trovasse di così esaltante nel fare qualcosa di così consueto come andare al mare. D’altronde erano di Catania (o almeno di provincia), avevano il mare letteralmente sotto casa e ci andavano d’estate quasi ogni giorno. Il fatto è che lei, Candela Nero, 13 anni, trovava sempre un motivo per essere felice e festeggiare, seppur la vita non le avesse riservato neanche a lei tanta fortuna.

Dopo essersi preparati ed aver fatto colazione, Risotto e Candela uscirono di casa e percorsero quella dozzina di metri di stradina che li avrebbe condotti alla spiaggia. Solo Candela aveva salutato i suoi zii.

- Sai, Ri, secondo me hai problemi alla pelle, - disse Candela di punto e bianco fermandosi a guardare il cugino.

Risotto sorrise – Ma lo sai che sono anemico, è ovvio che sia pallido

- Sì sì lo so, è per questo che insisto sempre a portarti al mare, così ti abbronzi e prendi colore

Risotto riflesse un attimo.

Che ironia, faccio “nero” di cognome ma sono bianco come un cadavere”. Pensò.

- A cosa stai pensando? - Candela gli passò la mano davanti alla faccia vedendolo imbambolato.

- Pensavo che è inutile spiattellarmi ogni singolo giorno sotto il sole, perché, vedi? Non cambia nulla. Piuttosto, perché non vai al mare con le tue amiche? Non posso mica starti sempre appresso, ti prenderanno in giro.

- Nah, loro adesso sono al nord dai loro parenti, e poi mi piace stare con te.

Risotto scosse leggermente la testa, continuando a sorridere. Ripensò al fatto che sua cugina era praticamente da sempre stata la sua unica compagnia, e che senza di lei sarebbe stato solo come un cane. Oltre che probabilmente con diversi problemi mentali.

Nel mentre avevano ripreso a camminare. Avevano lasciato il centro abitato del loro paesino e adesso si trovavano in prossimità della spiaggia, bastava solamente attraversare i pedoni e sarebbero arrivati a destinazione.

Quel giorno era molto caldo, più del normale. Ai telegiornali avevano annunciato per tempo che quella sarebbe stata un’estate torbida oltre l’immaginabile, ma Risotto non ci aveva fatto caso. In fondo, dicevano cose di quel tipo praticamente ogni anno. Risotto odiava il caldo; il suo corpo non lo poteva reggere a causa della sua malattia che lo rendeva molto più debole, e già la sua statura non aiutava. Proprio in quel momento si sentiva già girare la testa. Si appoggiò leggermente alla cugina, che gli si voltò sorridendo.

- Andiamo a prenderci un gelato! - gli disse.

Risotto annuì. Sì, un gelato, era proprio quello che gli serviva. E poi un bel bagno nel mare, al diavolo la congestione.
Il chiosco dei gelati si trovava proprio oltre l’attraversamento, giusto un paio di metri davanti a loro.

- Chi arriva ultimo paga! - strillò Candela, buttandosi senza preavviso verso la strada.

- Ehi, aspetta!

Risotto, colto alla sprovvista, si precipitò verso la cugina. Non gli interessava pagare lui o meno, semplicemente l’impulsività di Candela lo seccava.

Successe tutto in un attimo.

Dalla strada, che sembrava praticamente vuota, comparve come dal nulla una jeep verde militare. Candela se ne rese conto e cercò di scansarsi, ma senza successo. L’auto la prese in pieno, scaraventandola sopra il cofano per poi, senza fermarsi, lasciarla rotolare colpendo il ciglio.

Risotto si sentì come se stesse per vomitare, o svenire, o entrambe le cose.

- Candela!

Si precipitò verso la cugina, con lui diversi passanti.

Candela era ridotta ad una maschera di sangue. Il suo braccio destro, come il suo stomaco e il suo fianco, erano irrimediabilmente rotti. Dalle sue ferite sgorgavano litri di sangue e anche la sua bocca non la smetteva di sanguinare. Risotto la girò a pancia in su e cercò di scuoterla per farle riprendere conoscenza. Ma i suoi occhi erano come incollati. Risotto cercò di apriglieli ma non ci riuscì. Continuava a piangere, gridando il suo nome, per poco non si soffocò lui stesso.

I testimoni non tardarono a chiamare l’ambulanza. Per quelle che sembrarono ore tutti cercarono di prestare primo soccorso alla ragazzina, arrivando anche ad allontanare Risotto che dopo essere passato da una fase di isteria si pietrificò, come se le sue batterie interne si fossero esaurite. Era ovvio, anche quando i medici arrivarono. Candela era morta sul colpo.

 

Quello che accadde di seguito, in futuro, a Risotto parve come un sogno di cui lui stesso aveva dimenticato delle parti.

Le chiamate agli zii, il riconoscimento del corpo, la sua testimonianza ai carabinieri, le condoglianze ricevute, il funerale, le amiche di Candela che piangevano… Tutto ciò nella sua mente appariva come sbiadito, qualcosa che lui stesso non voleva ricordare. Voleva cancellare quel giorno come si cancella con la gomma una parola su un foglio, fare finta che non fosse successo niente, fare finta che l’amata cugina fosse ancora lì.

Ma dentro di se sapeva che non era possibile. Candela era morta. Era stata investita da un pirata della strada ed era morta sul colpo. Era così. Questa era la verità.

I ricordi chiari di Risotto ripresero la sera del 20 Luglio 1987. Era l’ora di cena, e lui e i suoi zii stavano mangiando ognuno al loro posto, in religioso silenzio. Da quando era morta Candela in quella casa vi era un profondo vuoto, oltre che ad un mutismo generale quasi assordante. Le tensioni, già alte, erano triplicate. Nessuno parlava con nessuno, tranne se strettamente necessario. Nessuno aveva voglia di dire niente, e a nessuno interessava più niente. Quella sera, però, fu lo zio di Risotto a rompere il silenzio.

- Cristo, - esordì colpendo il tavolo con un pugno – perché tutte le sfighe del mondo devono accadere a me?

Risotto e sua zia alzarono lo sguardo verso di lui. Lo zio scosse la testa.

- Prima quel coglione di mio fratello mi lascia da crescere suo figlio che è più storto di lui, e poi la mia unica figlia muore bambina. E tutto questo perché qualcuno non c’ha avuto cazzi di starle dietro

La zia riabbassò lo sguardo e tornò a mangiare la sua minestra. Come al solito non le interessava cosa dicesse il marito. Ma a Risotto sì.

- Quante volte te lo devo dire, - esordì con un tono misto di dolore e rabbia – che la colpa era in primis del guidatore? Lo hanno detto, era ubriaco! E poi Candela aveva rallentato arrivata alle strisce, è stato lui a colpirla

- E tutto ciò si sarebbe evitato se tu in primis le avessi detto di non correre verso la strada. - rispose lo zio, facendogli palesemente il verso.

Risotto cominciò a tremare.

- Lo sai anche tu che Candela fa sempre di testa sua, non sarebbe servito a niente dirle di non farlo, avrebbe corso lo stesso.

- Faceva sempre di testa sua.

Risotto non ci vide più. Si alzò in piedi di scatto, facendo cadere la sedia dietro di lui con un tonfo. Sua zia sussultò, non si aspettava quella reazione. Lo zio non mutò espressione.

- Maledetto bastardo! Come ti permetti di parlare così?! Tua figlia è MORTA e te parli come se non te ne fottesse niente! So che per te è troppo difficile essere una persona decente, ma ti rendi conto della faccia da culo che ti ritrovi? Se fossi morto tu-

Risotto non fece in tempo a finire la frase che lo zio lo colpì con un pugno sul naso. Fece qualche passo all’indietro per poi cadere sul pavimento. Il naso prese a colargli, e cercando di ignorare il dolore se lo toccò per vedere se fosse rotto. Non lo era, ma ci era andato vicino.

- Ora basta, basta! Per Dio… - Per la prima volta la zia aprì bocca e si spostò a destra verso il marito, ma lui le fece cenno di rimanere ferma. Per tutto il tempo non aveva smesso di fissare il nipote.

Risotto rivolse alla zia uno sguardo carico di disgusto.

- Ipocrita di merda, perché dovresti intervenire ora?

Lo zio andò verso di lui e prese a prenderlo a calci nella cassa toracica. Risotto dopo i primi colpi si rannicchiò istintivamente, cercando una posizione dove lo zio non potesse colpirlo al petto. Si rendeva perfettamente conto che le cose si stessero mettendo male, ma non si pentiva affatto di aver detto quelle cose.

- Caro, smettila! - inveiva inutilmente la zia.

- Vattene! Se non hai nulla di carino da dirmi allora vattene via! E se ti vedo ancora ti faccio il culo, hai capito, stronzo ingrato?

Risotto tossì sangue. Gli girava leggermente la testa a causa delle botte, ma non stava per svenire. Infondo, ci era abituato. Dopo aver sentito quelle parole si sentì come rinsavire. Prese la palla al balzo.

- D’accordo, me ne vado

Non alzò neanche lo sguardo, non voleva dare ulteriore spazio a quelle due persone che disgraziatamente hanno avuto l’onere di crescerlo. Si alzò e si diresse verso la porta d’ingresso e una volta uscito si mise a correre più veloce che poteva. Sentiva come se non stesse toccando il terreno.

Continuò a correre per le campagne intorno al suo paesino per un po’, finché non si ritrovò in una valletta poco distante da un’altra cittadina. Il paesaggio al calar di sera si stava imbrunendo, e tutto intorno a lui vi erano solo alberi e arbusti. Si sedette su una roccia e si mise la testa tra le mani.

Che cosa sta succedendo? Dove mi trovo? Candela, dove sei?”

I suoi pensieri presero a vagare senza un nesso logico. Dentro di sé Risotto voleva sorridere a se stesso, illudersi per l’ennesima volta che quello fosse tutto un incubo. I colpi dello zio sembrava stessero per farlo delirare, tutt’intorno a se vedeva chiazze colorate che gli appannavano la vista, le sue orecchie presero a fischiare accompagnate da un improvviso mal di testa.

Voleva piangere, voleva urlare, voleva buttare fuori tutta la rabbia e la disperazione che aveva dentro. Aprì la bocca e diede fiato. Un pianto echeggiò nell’aria. Risotto per un momento si stupì che dalla sua bocca stesse uscendo un urlo così acuto. Sembrava quasi quello di un bambino, anzi di un neonato. Gli ci volle un po’ per capire che quello non era il suo pianto, ma il latrato di un effettivo bambino nelle vicinanze.

Risotto si alzò in piedi tendendo bene le orecchie. Si chiese se si stesse inventando tutto, ma non era così. Vicino a lui ci stava veramente un neonato che piangeva. Si guardò intorno, e alla fine riuscì a localizzare da dove proveniva il pianto: un cespuglio lì vicino. Vi si avvicinò, e si accorse che il neonato era appoggiato dietro l’arbusto. Era piuttosto confuso, che cosa ci faceva un bambino lì? A maggior ragione perché era molto piccolo, al massimo qualche giorno di vita.

Il bambino era avvolto in una semplice copertina celeste, aveva un ciuffo di capelli blu elettrico e teneva gli occhi rigorosamente serrati.

Ah, ma certo, un altro bambino abbandonato dai genitori…” Dopo aver formulato questo pensiero Risotto si scosse leggermente, poi si decise a prendere in braccio il neonato. Da un piccolo spostamento della coperta si rese conto che era una femmina. Cominciò a cullarla al meglio che poteva, sussurrando frasine per farla calmare. Incredibilmente, dopo un po’ funzionò.

- Poverina, sei rimasta da sola? Sai, ti capisco, anche io sono da solo – Risotto un po’ si stupì di averlo detto. Nonostante avesse trovato quella bambina non più di dieci minuti prima, sentiva con lei una strana e improvvisa connessione. Ripensò al se stesso bambino, abbandonato dai propri genitori per il suo aspetto e condannato ad una vita di emarginazione e solitudine, dove, a parte per la cugina, non aveva mai conosciuto affetto.

Anche quella bambina sarebbe potuta finire come lui? Chi poteva dirlo. Di certo se lui non fosse passato proprio di lì lei sarebbe morta di stenti o mangiata da qualche animale. Oppure, se fosse stata trovata da qualcuno, sarebbe stata sicuramente messa in un orfanotrofio dove non vi era la possibilità certa che venisse adottata.

Risotto scosse la testa. L’avrebbe tenuta lui. L’avrebbe protetta con tutto se stesso, voleva dare un senso a quell’incontro, voleva che quella bambina fosse felice. Voleva una seconda chance nella vita.

Alzò gli occhi al cielo. Non si era neanche accorto che era calato il buio. Sopra di lui si ergeva un meraviglioso cielo stellato, vastissimo. Non aveva mai visto una cosa del genere. Era meraviglioso. Una lacrima gli scese dall’occhio, e tornò a guardare la bambina.

- Stella… Sì, Stella. Ti… chiamerai così…

Portandosi la bambina al petto, finalmente, pianse.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Walk of life ***


Aprile 2001, Napoli

 

Per qualche momento Risotto Nero non si accorse che qualcuno lo stava chiamando insistentemente.

Era seduto scomposto sulla poltrona in pelle rossa del suo salotto, posta davanti ad una televisione spenta. Gli ci vollero una manciata di secondi per raddrizzarsi; le ossa della sua schiena scrocchiarono e dal rumore sembrava si fossero quasi spezzate, si sentiva il corpo pesante e le gambe paralizzate. In quel momento sembrava che solo il suo volto riuscisse a muoversi.

Spostò lo sguardo verso il tavolino di vetro davanti a lui. Una confezione aperta di Citalopram vi si riversava sopra. Spostò poi lo sguardo alla sua sinistra, dove vi era sua sorella minore, Stella, che lo scuoteva per la spalla. Risotto strizzò gli occhi e cercò di inquadrarla meglio. La sua vista era appannata come quella di un miope, anche se a poco a poco gli stava tornando la lucidità e con essa spariva lo stordimento.

Stella era di fianco a lui. Aveva i capelli blu scuro tagliati corti (era ancora nella sua “era da maschiaccio”), i suoi occhi erano di un abbagliante verde acqua che sembravano quasi poter brillare nella notte come pietre preziose. Indossava il suo vestito preferito, bianco a righe orizzontali color blu oltremare, senza spalline. Risotto non ricordava chi glielo avesse regalato. Forse Formaggio o Melone, perché ricordava di essersi lamentato che ad un appena tredicenne venisse dato un vestito così “scoperto”, e tendenzialmente a quei due non importava molto di queste cose.

Cazzo, non devo farmi vedere in queste condizioni da lei.” Pensò Risotto tra sé e sé, poi si concentrò sul volto di Stella, sulla sua espressione. Era totalmente neutra, come se stesse osservando la più mondana delle scene. Doveva immaginare che ormai si era abituata da tempo a vederlo ridotto così, per quanto in tutti quegli anni avesse cercato con tutto sé stesso di nasconderglielo. Ma Stella era una ragazzina sveglia.

- Ah, Stella… - Risotto si stropicciò gli occhi con una mano.

- Risotto, io pensavo di andare a prendere un gelato lì in lungomare…

- Qualcuno ti può accompagnare?

Stella si morse l’interno guancia

- In realtà no. Cioè, ci sarebbe Prosciutto, ma lo vedo un po’ nervoso, sai com’è fatto.

Risotto fece un profondo respiro. Gli effetti stordenti del farmaco stavano svanendo, ma si sentiva ancora troppo debole per alzarsi e camminare. Era strano da dirsi per uno della sua stazza, ma quelle medicine lì riuscivano a sedarlo più di ogni altra cosa. In ogni caso, no, non sarebbe riuscito ad accompagnare la sorella a prendere il gelato.

- Ma tanto non è poi così lontano, - continuò Stella interrompendo i pensieri di Risotto – posso andarci anche da sola. Se succede qualcosa torno immediatamente a casa…

- No Stella, non possiamo correre il rischio

- Ma cosa ti cambia?

- Te l’ho detto, non puoi allontanarti da sola. Non insistere, non mi va proprio di litigare. E poi ora non sto bene, non posso proprio neanche io.

- Sì, si nota...

Stella si morse il labbro dal nervoso. Lo faceva sempre, ma non ci metteva troppa forza perché lei stessa non ci teneva a ferirsi. Ma avvolte sembrava che era sul punto di morderselo talmente forte da sanguinare, giusto per vedere la reazione di Risotto.

Ma non l’aveva ancora mai fatto.

- Va bene – il suo tono era diventato rigido, cercava con tutta se stessa di reprimere la rabbia che le montava.

Stella si diresse a passo felpato verso le scale che conducevano al piano di sopra, e arrivata in camera sua chiuse la porta sbattendola.

Risotto avrebbe voluto urlarle di non sbattere la porta che era lì lì per scardinarsi ma alla fine non fece niente. Anche lui era amareggiato, non voleva mai stare a discutere con la sorellina e ogni volta che succedeva sentiva dentro di se un vuoto, come se ogni litigata fosse una crepa che gli intaccasse l’animo.

Scosse la testa. A poco a poco gli ritornò la forza nelle gambe, e con essa la forza di rialzarsi. La testa gli girava ancora e a tentoni si diresse verso il freezer, dove vi recuperò un bottiglia d’acqua di plastica spessa da un litro. Se la teneva lì apposta per ogni volta che si sentiva stordito dopo aver preso i farmaci. Non sapeva perché, ma l’acqua ghiacciata lo aiutava a tornare in sé. In realtà, non capiva mai un accidente di come funzionasse il suo corpo (o meglio, perché funzionasse diversamente dagli altri).

O era lui a non reggere i farmaci oppure il medico glieli aveva prescritti male. Erano già un po’ di anni che era sotto quel tipo di terapia (sotto insistenza di Melone, perché fosse stato per lui non avrebbe mai ceduto) e prima di passare al Citalopram non gli era mai successo di stare così male. Un giorno di questi sarebbe dovuto andare dal medico e dirgli di cambiargli le pastiglie, perché non poteva andare avanti così.

 

Quel pomeriggio si recò alla base della sua Squadra, situata a Vico Pallonetto Santa Chiara. Quel punto particolare della città era piuttosto isolato, vicoli su vicoli che facevano perdere l’orientamento a chi vi si ritrovava per la prima volta. Non ci viveva molta gente, e quei pochi che ci vivevano o erano criminali o erano furbi abbastanza da farsi gli affari propri e non dare troppo nell’occhio. Quando la Squadra Esecuzioni si era formata proprio lì era libero un ex pub chiuso da tempo, che era stato rimaneggiato e trasformato in un covo apposta per Risotto e la sua emergente Squadra. Ad essere onesti a Risotto quel posto non aveva mai fatto particolarmente impazzire, ma col tempo se l’era fatto andare bene.

Risotto sedeva nel suo modesto ufficio, aveva appena buttato giù una chiamata da un Capo locale. Gli era stato affidato l’incarico di uccidere un avvocato che non aveva difeso a dovere un trafficante legato a Passione. Erano passati una decina di giorni dall’ultimo incarico, e Risotto ne fu sollevato, anche se poteva immaginare che la paga sarebbe stata esigua.

Si diresse dunque verso il salotto dove avvenivano le riunioni.

- Senti, Lulù – Formaggio si grattò sotto l’ascella con noncuranza – ma quei bellicapelli lì quando te li tagli? Fai ridere. E poi chi pensi di farti quando diventerai Tarzan due punto zero?

- Per la millesima volta: mai. E poi quello che fa ridere sei tu, Taleggio, mi ricordi l’ultima volta che hai scopato? - Illuso rispose alla provocazione con un tono da snob, lasciandosi scappare un ghigno.

Formaggio si inalberò.

- Come cazzo mi hai chiamato?! Taleggio? E poi che te frega di chi mi scopo io. Si parla di te, non di me

- Sì, Taleggio, ma hai iniziato tu la conversazione.

- Ma perché mi chiami “taleggio” scusa?

- Perché non ti fai mai una cazzo di doccia – intervenne Ghiaccio, che cominciava a non sopportare più i battibecchi tra Formaggio e Illuso (nonostante fosse sempre il primo ad accendere inutili dibattiti).

Formaggio era messo in difficoltà.

- Ma non è che non mi lavo, è che il mio corpo è talmente ormonato e virile che sudo più facilmente e quindi si sente!

- Ma che hai, tredici anni? - intervenne Prosciutto schifato.

- “Omromnato”? Ma come cazzo parli? Perché devi trasformare un sostantivo in un aggettivo? Ma le hai fatte le minchia di elementari? - Ghiaccio, sentendo la sua amata grammatica venire attaccata, digrignò i denti e riprese per l’ennesima volta a fare il maestrino.

- Ma che è, la serata “tutti contro Formaggio”?

- Hai iniziato tu a rompere il cazzo! - gli rispose a tono Illuso.

Ci volle Pesci che si alzò a salutare Risotto per fare si che il resto della squadra si accorgesse che il loro capo era lì sul ciglio della porta che li guardava in cagnesco. Una leggera tensione mista ad imbarazzo si diffuse, con Prosciutto che scosse la testa accendendosi una sigaretta (ormai gli altri avevano rinunciato a fargli notare che non poteva fumare al chiuso).

- Oh, eh? - fece Formaggio – da quanto sei lì?

- Da un po’ – rispose secco Risotto, andandosi a posizionare nella poltrona singola che si era auto-assegnato.

- Ci è stato dato un altro incarico. Avete presente Mariolini, il “maestro dello spaccio” di Passione che si è lasciato fregare ed è stato arrestato?

- Ah, sì sì quel coglione – intervenne Formaggio – ho sentito che è stato messo nel sacco da un agente sotto copertura, il migliore che avevano.

- Tra l’altro quell’agente in questione ha fatto pure lui una brutta fine, no? - osservò Melone

- Esatto. L’agente è stato giustiziato da qualcun altro di Passione. Ma il nostro obiettivo è un altro: Paolo Ponticelli, il suo avvocato, che non gli ha fatto ottenere una condanna più esigua.

- Ma… scusa… Capo…

Risotto si voltò alla sua sinistra verso Pesci, che indugiava timidamente con una domanda.

- Cosa c’entra l’avvocato, scusa? Cioè, alla fine deve essere stato il giudice a prendere la decisione finale.

- Si vede che non capisci nulla di diritto, Pesci – Rimproverò Prosciutto prendendo un’altra boccata di sigaretta – L’avvocato è quello che si deve fare il culo per dare una riduzione della pena all’imputato, è ciò che dice e fa lui ad influenzare le decisioni del giudice. Che poi, se questo Ponticelli fosse un avvocato mediocre sarebbe già grave di suo, il problema è che questo minchione nonostante fosse stato avvertito non ha fatto attivamente niente per alleggerire la condanna e adesso Mariolini si rischia venticinque anni.

- Cavolo quanto ne sai – commentò Illuso

- Sono solo stupide cose che sento in giro…

- Prosciutto ha ragione. Ed è per questo che interveniamo noi. Mi sono state date diverse informazioni sui suoi spostamenti e i suoi piani. Dobbiamo agire tassativamente stasera, sembra che abbia una cena coi suoi colleghi d’ufficio al Palazzo Petrucci alle 20:00. Pensavo di colpirlo nel momento in cui esce di casa, un qualcosa di rapido e silenzioso. Prosciutto, Ghiaccio, pensateci voi. Entrerete in azione tra un paio d’ore.

I due nominati da Risotto annuirono.

- D’accordo, voialtri andate pure.

Il resto della Squadra Esecuzioni si congedò. Appena usciti dalla porta del salone Illuso e Formaggio ripresero a bisticciare. Solo Prosciutto non era uscito. Risotto se ne stranì.

- Sei strano oggi, sai? - attaccò discorso il biondo, spegnendo la sigaretta nel posacenere posto sopra il tavolino in mezzo alle poltrone e ai divanetti.

Risotto alzò un sopracciglio.

- In che senso?

- Sai, mi sei sembrato un po’ assente. Non hai quell’aria dura da siciliano che ti contraddistingue quando dai ordini. Non so se mi spiego, è come se fossi spento. Successo qualcosa?

Risotto serrò la bocca, ma poi capì che fare scena muta sarebbe stato inutile, oltre che stupido.

- Ho… litigato con Stella. Ancora.

Prosciutto prese un’altra boccata di sigaretta, poi buttò fuori il fumo scuotendo la testa.

- Per quanto hai ancora intenzione di farle da supervisore? La conosci, sai che non è affatto stupida. Deve fare le sue esperienze per crescere e diventare forte.

Risotto non lo stava praticamente ascoltando. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che pensare a come odiasse che Prosciutto riuscisse sempre ad entrargli in testa e a capire come si sentisse. E dire che ci aveva messo anni per diventare un muro di insensibilità.

- Quando hai intenzione di dirglielo?

Il flusso di pensieri di Risotto venne interrotto dal cambio di tono del biondo, diventato improvvisamente duro, quasi accusatorio. Sapeva a cosa si riferiva: Stella non aveva idea che tra lei e Risotto non ci fossero legami di sangue. Per tutta la vita Risotto le aveva mentito dicendole che erano due orfani che per una serie di eventi erano stati costretti ad unirsi alla mafia.

- Risotto, ha tredici anni, quasi quattordici. Avresti dovuto dirglielo tempo fa, perché continui a rimandare? Più passano gli anni e più la prenderà peggio.

- Finiscila, sono io quello ad avere il diritto di decidere su di lei, non tu. Per tutta la vita io ho voluto proteggerla e fare in modo che non si mettesse nei guai, che non compisse i miei errori. Fidati di me, la situazione è sotto controllo.

Prosciutto non disse niente, alzò le spalle e lo liquidò con un saluto, poi se ne andò, lasciando il suo capo da solo.

 

Quella sera, per le 20:45, Risotto ricevette una telefonata da Ghiaccio. Ebbe la conferma che Ponticelli era stato giustiziato. Una cosa rapida, quasi indolore, eseguita senza che nessuna eventuale telecamera di sicurezza potesse scoprirli (ed era per questo che si era deciso di ucciderlo non a casa sua).

Risotto poggiò il telefono soddisfatto. Solo in quel momento si rese conto di Stella che trafficava nel freezer alla ricerca di qualcosa.

- Non ti ho sentito arrivare.

- Ho dormito fino ad adesso. Pensavo che ci fossero dei ghiaccioli in frigo… Li avrà mangiati tutti Formaggio.

- Ma non hai mangiato quindi?

- No. Ma non ho fame, tranquillo.

Risotto non replicò. Sarebbe stato inutile convincerla a cenare, perché non avrebbe aperto bocca. E poi neanche lui aveva molto appetito.

Stella si mise davanti alla televisione spenta, tirando fuori da un cassetto un dvd. Alzò il braccio e lo sventolò verso Risotto. Sembrava si fosse dimenticata di ciò che era successo quel pomeriggio.

- Ci guardiamo un film stasera? È da un po’ che non lo facciamo!

Risotto ci pensò un attimo. Era vero, erano passate settimane dall’ultima volta che lui e la sorella avevano passato del tempo insieme. Si sentì un po’ in colpa.

- Va bene, che film è quello? - Da lontano non riusciva bene a distinguere la copertina.

- Uhm, “2001: Odissea nello spazio”.

- Non lo abbiamo già visto, scusa?

- Sì, ma ci era piaciuto, no? O forse è troppo lento e non ti va?

- Ma figurati, io amo le cose lente

Stella si mise a ridere, e anche Risotto sorrise.

Mentre guardavano il film, Stella si appoggiò al braccio di Risotto. Lui pensò che avesse sonno, ma guardandola meglio si rese conto che era concentratissima sul film.

Era una ragazzina così curiosa, riusciva a trovare ciò che c’era di particolare in concetti generali. Adorava le opere complesse, e per la sua età riusciva benissimo a capirle e a trarci conclusioni. Risotto non poteva che essere fiero di lei.

- Sai, - fece lei all’improvviso – un giorno vorrei andare nello spazio.

Risotto sorrise di nuovo, cosa molto rara per lui.

- Beh, bisogna studiare molto ed essere molto preparati per andare nello spazio…

- E allora studierò tantissimo! - Stella si mise dritta e alzò il pugno con vigore.

- Ma non volevi fare la fumettista?

- Anche quello, ovvio.

- Non ho mai sentito di un’astronauta fumettista, onestamente

Stella incrociò le braccia in segno di disaccordo. Pur essendo così intelligente, era d’altronde poco più che una bambina, le era ancora concesso comportarsi così.

- Te lo farò vedere!

Non riuscì a rimanere seria a lungo. Dopo poco scoppiò a ridere. Risotto fece una smorfia e le arruffò i capelli.

Che scema” pensò “Sembra proprio lei…”

- Ma quindi, - Stella interruppe i suoi pensieri nostalgici, e Risotto la ringraziò mentalmente per questo – ma quindi quando diventerò una fumettista famosa in tutto il mondo leggerai le miei storie?

Risotto la guardò come se avesse detto la più stupida delle idiozie.

- Beh, ovvio, come non potrei?

Stella si rimise a ridere, abbracciandolo. Risotto ricambiò il gesto d’affetto.

Entrambi si erano scordati che stavano guardando un film.

 

Il mattino dopo, verso le 7:30, Risotto si ritrovava a fare colazione in cucina. Alle 22:30 della sera prima Stella non aveva più retto ed era filata a dormire. Per quanto riguarda Risotto lui aveva finito che il film finisse, poi era andato a dormire pure lui. Come sempre si era aiutato con i suoi sonniferi, ma, come sempre, il sonno gli fu difficile.

Era sveglio da circa mezz’ora o quaranta minuti. Era felice perché era da tempo che non dormiva per cinque ore filate. La sua “colazione” consisteva solamente in un caffè nero, rigorosamente senza zucchero. Stella avvolte gli consigliava di aggiungercelo perché gli avrebbe dato più energia, ma Risotto non ci credeva molto.

Quel giorno avrebbe dovuto ritirare la paga per la missione della sera precedente. Tre milioni e mezzo.

Già si immaginava la reazione di dissenso di Ghiaccio e si stava preparando mentalmente a doverlo tranquillizzare. Teneva a lui, certamente, ma avvolte lo trovava un po’ esagerato, per quanto la questione della sottopaga infastidisse pure lui. Semplicemente Risotto affrontava la cosa in modo diverso.

Mentre pensava a ciò, qualcuno bussò alla sua porta. Si chiese chi diavolo fosse a quell’ora. Era onestamente troppo stanco per farsi paranoie, quindi si alzò e si diresse ad aprire la porta.

I suoi dubbi su chi fosse a bussare si estinsero e la sua confusione aumentò quando si vide Prosciutto davanti.

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