Raccolta di mini fanfiction

di Helen_Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cena con delitto ***
Capitolo 2: *** Una giornata lavorativa qualunque ***
Capitolo 3: *** Vado pazza per il twist ***
Capitolo 4: *** Minigonna sì ***
Capitolo 5: *** Gli uomini ... ***
Capitolo 6: *** T'appartengo ***
Capitolo 7: *** Calamity Jane ***
Capitolo 8: *** Il capofamiglia ***



Capitolo 1
*** Cena con delitto ***


Apparentemente, si tratta di un venerdì sera qualunque.
Rocco è sfinito dagli allenamenti, e Irene dalla lunga giornata di lavoro, ma non c'è verso di sottrarsi al pranzo della domenica anticipato e trasformato in cena: dal momento che una gara importante di ciclismo attende Rocco nel fine settimana, prevedendo una trasferta a Napoli accompagnato da Irene, Agnese deve accontentarsi di vederli riuniti intorno al desco familiare con due giorni d'anticipo.
Mentre la zia si appresta a servire la sua famigerata pasta con pesce spada e melanzane, uno dei piatti preferiti dal nipote, l'anzidetto si lamenta della fatica di dover sostenere, in contemporanea, gli allenamenti e la preparazione dell'esame per ottenere l'agognata licenza media.
Armando, in dialetto milanese stretto poiché ormai lo comprendono quasi perfettamente anche Rocco e Agnese, lo sta rimproverando come al suo solito, per poi incoraggiarlo poiché, in quanto giovane e pieno di passione, ha le capacità per fare tutto senza arrivare a tirare troppo la corda.
Irene sorride per il fatto che la ramanzina richieda uno sforzo di comprensione linguistica al suo già spossato fidanzato.
 
Notando la succulenta pietanza che la zia gli sta per propinare, col tono sconsolato di chi è costretto a rifiutare un'autentica prelibatezza, per giunta prevenuto riguardo al fatto che sia per un buon motivo, Rocco si azzarda a protestare, in siculo schietto: "Eddai, zia; mi vuoi proprio male! A Napoli, dopo la gara, mi sfonderò sicuramente di sfogliatelle e babbà; qua devo contenermi!"
Agnese, sconvolta dall'insubordinazione nei confronti della sua cucina, ribatte, alquanto perplessa: "Gioia, ti senti male? Fin da quando eri picciriddu, solo questo poteva essere motivo di rifiuto dei pasti!"
Rocco sbuffa: quando si dice rigirare il coltello nella piaga... "Zì, già te l'ho detto: è una gara difficile e devo stare leggero."
"Non esageriamo, gioia mia: il digiuno non ha mai portato a niente di buono, anzi! Hai fatto tanto esercizio, grazie ad Armando e al signor Candini, e hai detto pure tu che è un allenatore eccezionale; per il resto, Dio vede e provvede, come in tutte le cose."
Armando si astiene dal commentare: dopo una settimana impegnativa come quella che hanno appena avuto al Paradiso, non ha alcuna voglia di discutere. Dal canto suo, Rocco, sempre rispettosissimo della religione ma esacerbato dalla pressione degli ultimi mesi, borbotta con scetticismo:
"E perché non ha provveduto" -scandisce, aspettando che Irene annuisca in segno d'approvazione prima di proseguire- "pure prima? Altrimenti, non dovrei rifare le selezioni perché, per pochi millesimi di secondo, chidd'avutro mi passò davanti."
"Rocco! Non si mettono in discussione i piani di Nostro Signore; a volte interviene, e altre volte no, perché sa che possiamo farcela con le nostre sole forze. Non può fare miracoli per chiunque, mi sembra ovvio." proclama Agnese, irritata ma ferma.
"Ah, ho capito: è tipo la lotteria." sentenzia Rocco, involontariamente sarcastico.
 
Irene, che si stava godendo uno dei rari battibecchi tra Roccuccio suo e la zia, sgrana gli occhi incredula e si copre la bocca col tovagliolo, onde evitare che Agnese si accorga della risata malcelata e la trasformi subito in un danno collaterale.
Armando, invece, che si è guadagnato il diritto di essere considerato padrone di casa a pieno titolo, ride proprio senza freni.
Agnese, sul punto di avere un mancamento, non sa davvero chi trucidare per primo; accertatasi del fatto che il mestolo che stava per utilizzare sia ancora pulito -onde evitare schizzi di sugo sulle pareti- , lo punta impietosamente contro il suo compagno: "Con te, faremo i conti dopo; avrei dovuto dar retta a Don Saverio: senza Dio sei, e adesso mi contagi pure il nipote!"
Mentre Armando combatte contro una risata malcelata, Agnese si dirige verso Rocco che, proprio come quando era piccolo, inizia a correre intorno al tavolo; il problema è che, se a Partanna aveva campi sterminati a sua disposizione e, in virtù di ciò -e del carico pesante a cui provvedeva suo padre- , la zia si arrendeva, il tinello di casa Amato a Milano prevede dimensioni esigue.
Va da sé che, una volta placatasi l'ira funesta della zia, la pasta si sia raffreddata, i condotti lacrimali di Irene e Armando siano prosciugati, e l'allenamento di Rocco possa considerarsi concluso.

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Capitolo 2
*** Una giornata lavorativa qualunque ***


"Allora, chi è stata la povera vittima di oggi? Una delle nuove Veneri o i miei magazzinieri?" s'informò Rocco, già divertito al solo pensiero.
"Che domanda sarebbe, scusa?" protestò Irene, piccata. "A parte il fatto che, a rigor di logica, te ne saresti accorto se fosse stato uno dei tuoi magazzinieri, o no? Se ne sarebbe lamentato con te..."
"Ma veramente, chiddi picciotti non osano, picchì sanno ca si la zita mia e c'hanno paura" rise lui.
"Come si vede che non ti conoscono affatto... Altrimenti, saprebbero che sei il primo a criticarmi."
"Avà, ca si tragica; ti faccio solo notare che sei troppo aggressiva."
"Ancora! Che colpa avrei, io, se ho a che fare con colleghe incapaci?"
"Nca ciertu, sempre gli altri sbagliano; tu che fai puro terrorismo, invece, si proprio 'na santa scesa in terra."
"Accidenti, che paroloni! È opera di Armando?" lo canzonò Irene.
Rocco le fece il verso. "Spiritosa... L'ho letto su un libro di scuola."
"Aah, ecco." sogghignò lei, che stava già ammorbidendosi.
"No, veru dico, Irè: che ci guadagni a essere temuta da tutti?
È molto meglio essere rispettati, secondo me." e alzò una mano, in segno di serietà assoluta, quasi fosse un giuramento.
"Secondo te o secondo i libri che leggi?" lo provocò lei.
"No, questo me l'ha detto il signor Armando." confessò Rocco, preparandosi a schivare la manata di quella fodde della zita sua.
"Potresti ascoltarmi, per una buona volta?" incalzò, serissimo.
"Solo se arrivi a prendere l'ultimo panino con la frittata prima di me!" sentenziò Irene, avviandosi slealmente verso l'uscita.

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Capitolo 3
*** Vado pazza per il twist ***


"Ecco, IO LO SAPEVO! Lo sapevo che non dovevo fidarmi!" inveì Rocco, accorrendo in soccorso della fidanzata, benché non occorresse: aveva rischiato di prendere una storta per colpa di quell'imbranato di suo cugino, ma era riuscita a esercitare pressione sul pavimento appena in tempo.
"Dai, non ti agitare; non è successo niente... Per ora!" ironizzò Irene, per nulla impermalita: niente e nessuno le avrebbe tolto l'investitura di insegnante ufficiale di twist.
Salvo voleva impressionare Sofia, dimostrandole di conoscere almeno le basi, per non farla sfigurare alle lezioni di danza a cui si erano iscritti.
Si potrebbe dire che l'incarico di indirizzare quel caso perso fosse stato affidato a Irene, ma la verità era che se l'era proprio assunto autonomamente;
in barba alle lamentazioni bibliche di Rocco sul fatto che già passassero troppo poco tempo insieme da quando Irene era stata promossa a capocommessa, figurarsi se la sera 'perdeva tempo' col cugino.
 
"Salvatò, io te la darei pure in prestito a cuor leggero, ma mi avevi promesso di trattarmela bene, meglio che se fosse tua!"
Accorgendosi del sogghigno irrefrenabile di Marcello, che ogni volta riusciva a stupirsi dinanzi al candore di Rocco, quest'ultimo si affrettò a precisare: "Lo sai in che senso."
Prima che Irene facesse in tempo a replicare, Roberta sbottò: "Cos'è, una bambola?"
Se ne pentì immediatamente, essendosi ripromessa di essere una spettatrice imparziale, proprio come era solita fare; ma certe scelte lessicali infelici avevano il potere di oscurare la sua proverbiale diplomazia. 
Rocco la fulminò con lo sguardo. Senza più peli sulla lingua, rivolgendosi direttamente all'amico poiché sapeva perfettamente che, in quel modo, avrebbe fatto incavolare Roberta, osservò: "Marcè, ma tu giri sempre con un dizionario in mano?"
Il malcapitato scoppiò a ridere, fin troppo abituato alle piccole diatribe tra Roberta e Rocco.
 
 
"Non metteteci in mezzo, per cortesia.
Dai, amore, sai che Rocco si esprime con metafore tutte sue. Lasciamoli provare."
Roberta lo fulminò. "Mai una volta che mi sostenessi."
Marcello sollevò un sopracciglio. "Bugiarda. E lo sai."
L'unico modo per farsi perdonare istantaneamente era un attacco di solletico con rinforzo di baci sulla tempia, i suoi preferiti.
Da quando erano sposati, gli era consentito fare effusioni quantomeno dinanzi agli amici, e ne approfittava spudoratamente.
 
"Scusate se interrompo queste scaramucce tra fidanzatini, ma soprattutto tra Tarzan e la professoressa; vi spiacerebbe aiutarci a concentrarci su questa missione impossibile? È solo lo scopo della nostra presenza qui, nulla di serio. Grazie!" li gelò Irene, sbuffando scocciata.
Roberta e Marcello soffocarono le risate.
"Ecco, mi sembra giusto; brava." rincarò Salvo. "Da dove riprendiamo, maestra?"
"None! Non riprendete proprio niente. La musica è finita, gli amici se ne vanno. Amunì, forza." li apostrofò Rocco, avvicinandosi a Irene con l'intento di prenderla per mano. Naturalmente, lei si scostò, guardandolo storto. "Sei forse impazzito? Abbiamo appena cominciato!"
"E abbiamo cominciato malissimo!"
Marcello intervenne, percependo di dover fare da paciere, pena un periodo indefinito di guerra fredda tra i due cugini, che naturalmente avrebbe dovuto sopportare e gestire lui in primis. "Dai, Rocco, sii ragionevole; avete fatto una promessa a Salvo, e sicuramente starà più attento.
E poi, se posso permettermi, bellissima la frase che hai detto! Dovresti scriverla!"
"Quale?" replicò Rocco, confuso dal complimento: non riusciva proprio ad abituarsi all'adulazione.
"Quella sulla musica finita, tesoro; ho sempre saputo che, nel tuo petto possente, batteva il cuore di un poeta!" sviolinò Irene, che sapeva essere terribilmente suadente, quando realizzava in tempo quanto e come le convenisse.
Per sua sfortuna, Rocco la conosceva come le proprie tasche: "Irè, non attacca."
"Ma no, dico veramente! Anzi, segnatela da qualche parte, altrimenti l'ispirazione fuggirà in un lampo e andrà a finire che qualcuno più scaltro di te spaccerà la frase per propria, e addio esclusiva." insistette la fidanzata, paravento come poche.
"Irè, ti sto dicendo di non tirare la corda."
 
"Rocco, perdonami, ma Irene mica è di porcellana, ed è dotata di pensiero autonomo: se vuole provare, proviamo!" si spazientì Salvo, aggiungendo: "Ti prometto, ti giuro che starò più attento."
"Rocco, ti scongiuro..." implorò Marcello.
"Marcè, con tutto il bene, ma che c'entri tu? Vorrei proprio vederti, se al posto di Irene ci fosse Roberta!" sbottò Rocco, che da qualche tempo, quando s'infervorava padroneggiava persino meglio i congiuntivi. Ogni tanto, Irene si divertiva sadicamente a stuzzicarlo, per poi sentenziare: "Uno studente da 10 e lode."
Marcello replicò prontamente: "Nel nostro caso, c'è più da preoccuparsi del contrario."
La sua risatina si smorzò immediatamente dinanzi all'espressione truce di Roberta.
"E sono due. Marcello, il divano ti reclama."
"Dai, amore! Scherzavo, ma non del tutto: voi non l'avete mai vista davvero gelosa!" si difese il signor Pellegrino, mortificato.
La signora Barbieri, dal canto suo, si sentì di rasserenare gli animi, sbottonandosi, per evitare che la carriera da ballerino di Salvo finisse ancor prima di cominciare: "Beh, non farei contestazioni di alcun tipo solo se Marcello ballasse con Sofia o Irene. Ovviamente, nel caso di Rocco non si tratta di pura gelosia, ma penso che ti fidi abbastanza di Salvo da sapere che non ferirebbe mai Irene intenzionalmente, e delle abilità di Irene per sapere che parerà eventuali 'colpi' come poco fa, no?" tentò, strizzando l'occhio all'amica, grata.
 
"Non so se ti ricordi, fra l'altro, che quando ti ho insegnato il casqué ho, anzi, abbiamo rischiato la commozione cerebrale: siamo finiti dritti dritti sul pavimento; come non mi sia fracassata la scatola cranica è ancora tutto da dimostrare, veramente." osservò Irene, al limite della sopportazione.
Notando un lieve imbarazzo crescente sul viso del fidanzato, con un cenno si affrettò a rassicurarlo: non era tanto arrabbiata da arrivare a metterlo a disagio, rivelando cosa fosse successo DOPO la caduta.
Avvertendo la piega pericolosa degli eventi, Rocco si dichiarò vinto.
Si congedò dalla fidanzata con un buffetto sul naso, lanciò al cugino un'occhiata di avvertimento e si sedette 'a bordo pista'.
 
Roberta e Marcello, l'una seduta sulle ginocchia dell'altro, erano impegnatissimi a fingere di provare interesse per il circostante.
 
Quando Irene ritenne che Salvo avesse appreso i passi in modo soddisfacente, impose a Roberta di raggiungerla in pista.
"Dai, così ti sciogli un attimo pure tu! Non vorrai mica farci credere che tu e Marcello avete passato l'intera serata qua perché non avevate di meglio da fare! In piedi!"
"Irene, ma perché devi sottopormi a questa tortura; lo sai che sono scoordinata, poi mi sento a disagio, so di non essere portata."
"Sciocchezze! Muoviti, che domani c'è la sveglia presto per entrambe, prof."
"Dai, amore; ti guardo volentieri!" le fece l'occhiolino Marcello, scostandola delicatamente da sé e facendola alzare.
"Mamma mia, che congiura... Rocco, non è che per caso vorresti tornare a ca..." tentò la povera vittima, prontamente frenata dal complice passivo: "Stasera non cercare il mio aiuto, Robertì: chi la fa, l'aspetti."
"Begli amici, BEL MARITO!" scandì la malcapitata, arresasi a non aspettarsi gratitudine da Salvo e raggiungendo Irene.
Sorprendentemente, un paio di dritte datele risultarono decisive per svelare un insospettabile lato da ballerina sinuosa; evidentemente, la giornata l'aveva sfinita al punto da spingerla a sciogliersi, scatenarsi.
Dovettero spegnere la musica di forza, per convincerla a smettere: mai sottovalutare un'ingegnera; mai sottovalutare Roberta Pellegrino in Barbieri, soprattutto.
"Non c'è che dire: alle gemelle Kessler conviene ritirarsi." commentò Marcello, depositando un bacio orgoglioso sulla tempia della moglie e scambiando un cinque con Irene: un ringraziamento implicito.
Rocco si limitò ad annuire: sempre per il principio di cui sopra, in fondo Marcello e Salvo erano gli unici autorizzati a scherzare con Irene senza problemi.
 
Roberta conduceva ormai una vita diversa e parecchio frenetica, ma tempo un anno e sarebbe tornata in pianta stabile a Milano.
Le era sempre più difficile ritagliarsi tempo di qualità da passare coi suoi affetti intimi, ma quando riusciva, si sentiva più leggera.
In un mondo in continua evoluzione, costellato da incertezza e frenesia, avere dei punti fermi è una fortuna rara.

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Capitolo 4
*** Minigonna sì ***


Milano, estate 1966
 
"E il verdetto sull'inserire o meno la minigonna tra i nostri articoli è... SÌ!" annuncia Vittorio, compiaciuto.
Con tutta probabilità, si sarebbe comunque arrischiato ad affrontare una presa di posizione tanto divisiva, che li mise in seria difficoltà già quattro anni prima, con l'abito British; ma si trattava un capo solo, in contrapposizione con una produzione industriale in larga scala.
Ragion per cui, come sempre, il parere dei suoi collaboratori è per lui fondamentale.
 
Prima ancora di abbracciarlo, Teresa si allunga per scambiare un cinque con Matilde.
Scuote la testa, ripensando a com'era vestita dieci anni prima, appena arrivata.
Ma era, è e sarà sempre, la sua ragazza del sole; colei che lo ispira, lo motiva, lo guida.
E come sempre, questa scommessa sarà una vittoria -o una sconfitta- di entrambi.
 
Irene si volta perplessa verso Rocco.
"Ma... Ma io ho votato per il no... Per te. Cioè, per evitarti una lite con tua zia." si corregge immediatamente.
Rocco sogghigna: "Cosa vorresti dire, picciò?"
"Dato che avresti preso le mie difese, OVVIAMENTE!" sottolinea l'impunita, fingendosi impassibile.
"Ovviamente." rimarca lui, rassegnato. "E comunque, anch'io ho votato per te... Per il sì."
 
"Abbiamo vinto, papà?" domanda Diego.
Giustamente, a soli tre anni, dopo giorni è ancora perplesso sul(la?) destinatari* della propria lealtà: mamma, papà, entrambi?
Rocco scoppia a ridere, sollevandolo in aria per portarlo all'altezza degli adulti.
"Sì, papà, abbiamo vinto."
Irene, con trasporto, gli dà un lungo 'bacio con lo spiocco', che altro non significa che 'schiocco' in Dieghese.
"Bleah, mamma!" protesta, asciugandosi la guancia in automatico, come al solito, benché -ovviamente- non ci siano residui di saliva come quelli delle bimbe dell'asilo.
E come al solito, Irene ride divertita.
"Papà, mettimi giù!" ordina poi, ormai stufo.
"E va bene, ma prometti di fare il bravo!" si raccomanda, assecondandolo senza per questo smettere di sorvegliarlo a vista.
Come volevasi dimostrare, ha già rischiato di cadere rovinosamente.
"Frena, terremoto!" * lo rincorre perlomeno vocalmente, con scarsissimi risultati.
Irene ridacchia: "Sai che è mio figlio, no?"
"Appunto." Il tono lapidario causa alla moglie un altro -prevedibile- attacco di risa.
Il marito le regala un sorriso distensivo.
 
"E comunque, a proposito di mia zia..."
"Sì?" incalza lei, incuriosita. Sarà meglio che non si tratti di qualcosa di sgradevole.
"Te lo ricordi quando il dottor Conti fece la votazione per far venire qua al Paradiso Sante Gaiardoni oppure... La Gallina, avà..."
"Galina! È mai possibile che non impari mai?" protesta Ia moglie, correggendolo in automatico, ricordando istantaneamente anche l'occasione stessa cui fa riferimento.
Non ammetterebbe neppure sotto tortura che le colleghe dovettero correggerla diverse volte sul cognome: Yermolayeva.
"E ti ricordi che stavo arraggiato picchì, alla fine, aveva vinto... Galina?" si sforzò lui.
"Come dimenticarlo." sogghigna, ancora compiaciuta per la vittoria dopo ben 5 anni.
 
"E ti ricordi pure che non capivamo picchì, visto che mia zia aveva votato Gaiardoni?"
"No..." ammette colei che, per l'appunto, era stata troppo impegnata a sbeffeggiarlo e gioire insieme, per badare al circostante.
"Armando confessò di aver votato Galina. Disse che era picchì era giusto celebrare una donna tra le donne, 'na cosa accusì..."
"Un uomo saggio, l'ho sempre detto io."
"Ruffiana... Solo picchì ti dà sempre ragione." Non riuscendo comunque a 'smontarne' l'aria compiaciuta, prosegue: "Insomma, solo dopo ho scoperto che lo fece per mia zia... E che lei fece 'a stissa cosa per lui." racconta, intenerito -ad oggi- .
 
"Ci sarai rimasto male, constatando che non aveva votato per Roccuzzo suo." lo canzona Irene, con l'intenzione di dargli un buffetto sulla guancia, frenata non appena la minaccia di baciarla davanti a tutti.
"Comunque, non è questo il motivo per cui te l'ho detto." precisa Rocco, serissimo.
"Lo so." replica Irene semplicemente, facendo spallucce, per poi aprirsi in uno di quei sorrisi che riserva solamente a lui.
 
"E comunque, mi sa che non sono stato il solo..." osserva Rocco, indicando Marcello che reclama il meritato premio: un bacio.
Roberta, infatti, pur non avendo diritto al voto non facendo più -formalmente- parte della grande famiglia del Paradiso, non solo ha tenuto a presenziare con tanto di pargola al seguito, ma avrà certamente costretto il consorte - intitolato, insieme al socio, ad esprimere la propria preferenza per lo stesso principio vigente nel 1961 - a votare a favore della vendita di quel capo.
 
"Mai contraddire una neomamma." replica Irene, con un sorrisetto quasi nostalgico...
Del periodo in cui comandava il marito a bacchetta con la scusa pronta, s'intende.
"Ma non valeva solo per le donne incinte?" ribatte Rocco, tra il perplesso e il divertito.
"Ormai, dovresti aver capito che, con la sottoscritta, vale in ogni periodo dell'anno."
Naturalmente, ha sempre considerato suo preciso compito il non permettergli di prendersi la benché minima soddisfazione.
Pochi minuti sono più che sufficienti.
 
* Si tratta del soprannome assegnato da Miss Capoship @irocco.canon, paradossalmente ignara del fatto che sia una citazione di 'Lilli e il Vagabondo 2', cioè la 'ship Disney' cui associo gli #irocco.

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Capitolo 5
*** Gli uomini ... ***


"Tu non vai proprio da nessuna parte, signorinella! Hai solo 14 anni." intimò con tono perentorio Marcello alla figlia maggiore, Vittoria Emma.
"Ma papà, siamo solo amici..."
"Seh, amici! Pensi che sia nato ieri? L'amicizia tra uomo e donna non esiste!" sentenziò lui, sempre più melodrammatico nonché evidentemente appassionato di frasi fatte: stava sciorinando l'intero repertorio da una buona mezz'ora, e non accennava affatto a stancarsi.
Accorgendosi dell'espressione volutamente indagatrice di Rocco -che stava cercando di mascherare le risate- , si affrettò a precisare: "Tra uomini e donne che non siano già impegnati, ovviamente."
"Certo, come no..." sbuffò Irene, che si salvò in corner precisando: "Come no! Infatti, hai proprio ragione."
 
"E ti dirò di più: gli uomini da te vogliono una cosa e una soltanto." concluse Marcello con espressione soddisfatta, prima di incrociare lo sguardo di sfida della moglie, che sembrava voler sottindendere: 'Come intendi motivare a nostra figlia 14enne quest'uscita geniale?'
"E sarebbe?" non tardò a domandare quest'ultima, per l'appunto.
"Ehm... La... " annaspò il padre, in difficoltà.
"La cucina." gli venne in aiuto zio Rocco, facendo l'occhiolino all'amico, come a voler sottolineare: 'Se lo sente da me, ci crederà sicuramente.'
Ma tra il sopracciglio alzato di zia Irene, e il fatto che Vittoria era certamente ingenua, ma non stupida, le venne spontaneo puntualizzare: "Papà, ma tu cucini per mamma e per noi..."
"Perché io sono speciale." ribattè prontamente Marcello, che stava sudando freddo.
Roberta e Irene non riuscirono a trattenere uno sbuffo sarcastico.
"Ah, per combinare casini da cui poi dobbiamo tirarvi fuori noi, siete decisamente unici e speciali tutti, voialtri." sentenziò Irene, in parte sull'onda dello spirito tagliente che la contraddistingueva, e in parte perché il fatto che Diana avesse qualche anno in meno di Vittoria le consentiva di potersi ancora rilassare sotto quell'aspetto.
 
Dal momento che la situazione stava prendendo una piega decisamente pericolosa, sentendosi in una disposizione d'animo gentile -come raramente le capitava- , si decise ad elargire la perla di chiusura di quell'incresciosa vicenda:
"Amore di zia, ascoltami bene: l'unica cosa che gli uomini vogliono veramente da te..." e fece una pausa tattica, godendosi gli sguardi terrorizzati degli altri tre adulti presenti in quel salotto, insieme alla totale indifferenza dei bambini che giocavano.
Diego era fuori con gli amici, avendo ormai pienamente l'età per snobbarli durante quei consueti ritrovi domenicali.
"È la tua pazienza. Te ne servirà parecchia.
Io solo so quanta ne ho avuta e quanta ne devo ancora portare, con tuo zio... Certo, per il racconto a 360 gradi, aspetterei qualche altro annetto, altrimenti tua madre mi uccide e tuo padre altro che amicizia, mi sbatte fuori dalla porta direttamente."

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Capitolo 6
*** T'appartengo ***


"Perché un amore col silenziatore
Ti spara al cuore e pum! Tu sei caduto giù..." canticchia Vittoria.
"Che farfugli?" s'informa Roberta, mentre le passa l'omogeneizzato per la merenda della nipotina.
La figlia, istintivamente, si imbarazza: alla soglia dei 30 anni, dà ancora peso al giudizio della madre anche in questi ambiti.
"Mah, niente, una canzone..."
"Ah, e come fa?" incalza Roberta.
A Vittoria scappa già da ridere, prefigurandosi la sua reazione...
"T'appartengo ed io ci tengo
E se prometto poi mantengo
M'appartieni e se ci tieni
Tu prometti e poi mantieni..."
Roberta la interrompe di scatto: "Vittoria Emma Barbieri Pellegrino, tu insegni certe porcherie a tua figlia, già in tenera età?"
"Ma figurati, mamma; Arianna, la figlia della sorella maggiore di Tom, hai presente Alessandra, no? Adora questa canzone, e così mi è rimasta in testa, è orecchiabile..."
"A me rimane impressa per l'indecenza! Sentiamo, come si chiama questo capolavoro?"
"T'appartengo."
"Ecco, appunto! Un inno alla possessività! Perché immagino la canti una donna."
"Una ragazza, sì."
"Non hanno imparato nulla, queste nuove generazioni! Fortuna che, ai nostri tempi, certa roba non circolava; erano già abbastanza ingenue ed impressionabili."
"Ma chi, mamma?"
"Le mie coetanee."
"Perché ovviamente, tu..."
"Il rispetto per me stessa lo conoscevo come le tabelline."
"Come dubitarne."
"Ti prendi gioco di me, signorina?"
"Ci mancherebbe. Comandi!" Vittoria tenta di mascherare una risatina, con scarso successo.
 
"Che state confabulando?" domanda Irene, incuriosita, tornando dal bagno.
Ultimamente, i pomeriggi a casa di Roberta sono da annoverare tra i pochi diversivi della sua monotona vita.
Monotona per gli standard di Irene Cipriani, naturalmente: è diventata più iperattiva di quando era giovane; con grande divertimento di Rocco, che le rinfaccia quotidianamente di aver atteso interi decenni per poter disporre del proprio tempo libero in piena autonomia, ma da quando Diego e Diana studiano all'estero, le sembra sempre di averne fin troppo da sprecare, una volta finita l'ennesima biografia su attrici e ballerine, o un nuovo film.
 
"Dillo a tua zia, se ne hai il coraggio!" intima Roberta a Vittoria, rinchiudendosi in un mutismo carico d'indignazione e impotenza.
"Mamma, come sei sessantottina... Io avevo solo due anni, per cui ho respirato un'aria meno radicale della tua, fortunatamente."
"Tesoro, io mi ero svegliata da molto prima che arrivasse il '68!"
"Confermo!" la spalleggia Irene, in automatico. "Ma mi dite che succede?" ripete poi, sempre più perplessa.
"Succede che tua nipote qui presente insegna degli obbrobri alla figlia neonata! Un giorno di questi, dovresti raccontarle gli sforzi immani necessari per far accettare a tuo padre quel manifesto in cui avevi una minigonna addosso!"
"Non che approvi il terrorismo psicologico che gli adulti tendono a fare ai giovani; se insisti... Ma sappi che mi state facendo ammattire!"
Vittoria riprende a cantare, non vedendo alternative:
"Ti giuro amore, un amore eterno
Se non è amore, me ne andrò all'inferno
Ma quando ci sorprenderà l'inverno..."
"Questo amore sarà già un incendio!" completa istintivamente Irene, portandosi entrambe le mani alla bocca appena Roberta le scocca un'occhiataccia.
"Ma io che avrò fatto di male..."
"Ma dai, Roby, stai esagerando! È diventata un tormentone; TUTTE e dico tutte le ragazzine, al Paradiso, se le perdiamo di vista, si mettono tutte insieme al centro della galleria a fare il balletto e cantarla!"
"E pensare che, nei bei tempi andati, proprio lì c'era un pianoforte... Quelle che si suonavano e cantavano sì, che erano canzoni."
"Oh, andiamo! Da quando sei diventata così sentimentale, e vecchio stampo poi?" si diletta nello stuzzicarla, al solito, Irene.
"Da quando si sono persi i valori di una volta, per le cose che contano!"
"Ho l'impressione di averla già sentita, questa..." osserva Vittoria, che ormai non tenta più di nascondere il divertimento.
"Sfottete, sfottete! Intanto, vado a prenderti una selezione di canzoni adatte a tua figlia, casomai la tua ispirazione facesse ancora cilecca."
Assicuratasi che si sia allontanata, Vittoria bisbiglia: "Ma da quando è diventata così CONSERVATRICE?"
Irene accenna un placido sorriso. "Tesoro... È semplicemente bacchettona. E in certi ambiti, lo è sempre stata. Fidati."

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Capitolo 7
*** Calamity Jane ***


Epifania, 1964
 
Roberta Pellegrino non riesce a trovare il tasto "spegni risata".
Da cinque minuti buoni, suo marito e il marito dell'amica la fissano attoniti.
Solo Irene è a conoscenza della causa celata dietro l'attacco di ridarella che ha colpito la futura ingegnerA più insospettabilmente 'facilmente impressionabile' di tutta Italia.
 
"Robè, ora lo possiamo sapere picchì riri?" incalza Rocco per l'ennesima volta, atono poiché procede quasi in automatico, confuso sul proprio stato d'animo: spazientito, certo; ma d'altro canto, l'interlocutrice ride talmente di gusto da averlo parzialmente contagiato col buonumore.
"Perché..." tenta per l'ennesima volta, frenata però sia dal contorcimento di budella, sia dalla consapevolezza dell'altissima probabilità che Irene Cipriani le leverebbe il saluto, qualora si azzardasse a proferire parola.
 
"Vabbè, io torno a mandare avanti la caffetteria." commenta Marcello, che invece non ha il minimo dubbio sulle proprie sensazioni: non vede sua moglie così divertita da mesi.
La routine la stressa enormemente; più che di strapparle qualche sorriso risata sporadica, non ha il potere.
Evidentemente, l'evento scatenante deve aver scoperchiato un vaso di Pandora contenente serotonina.
A giudicare dall'espressione di Irene, è piuttosto certo di doverla ringraziare.
 
Come volevasi dimostrare, la 'minaccia' del marito sortisce l'effetto di farla sbloccare definitivamente:
"Come d'accordo, sono andata in magazzino per venire qua insieme a pranzo..." esordisce, ormai prossima ad un potente attacco di singhiozzo.
Rocco rizza le antenne, incuriosito: tutti gli spettacoli migliori avvengono sempre quando è fuori per consegne.
"Lei" -indica un'Irene preventivamente furente- "stava smistando i giocattoli per gli orfanelli; mi ha quasi aggredita perché non avevo collegato la pistola a Calamity Jane, ragion per cui è adatta anche per femmine, benché lo fosse chiaramente a prescindere..."
L'oggetto del simpatico racconto non è in vena di ripetere davanti a tutti l'osservazione destinata all'amica:
'Non è colpa mia, se il tuo cervello è talmente sovraccarico di formule INUTILI da dimenticare le basi.'
 
"Salvo poi destinare d'imperio la mini racchetta da tennis con palline incluse alla cesta dei maschi, solo perché lei da piccola non riusciva a giocarci. Cioè..."
Non occorre che aggiunga altro: da sempre, sia nella vita che nell'umorismo, i parametri di Irene Cipriani si basavano unicamente su ciò che lei avrebbe o non avrebbe fatto/saputo fare, persino.
Quest'ambito non fa eccezione.
 
Naturalmente, nessuno biasimerebbe mai Roberta poiché si diverte non alle sue spalle, bensì pienamente in faccia a lei.
Irene ha imparato a stare allo scherzo di buon grado; non può pensare di essere la depositaria della taglienza ai danni altrui.
Tuttavia, stavolta sul suo volto non si legge l'offesa, bensì una sfumatura più sottile che ha colto solo Rocco: la vergogna.
Così come ha immediatamente colto che non si tratti del prevedibile 'smacco alla reputazione dell'invincibile Irene Cipriani'.
 
Ma sarebbe insensato accusare di Roberta di alcunché, essendo all'oscuro di quell'aneddoto; ecco perché sceglie di condividerlo, visto il clima instauratosi di piena fiducia praticamente inscalfibile:
"Quando ero piccola, ero l'unica tra i miei cugini a non saperci giocare; andava a finire che mi escludevano e mi deridevano."
"I cugini a cui davi le ripetizioni?" s'informa Rocco, perplesso e dispiaciuto al contempo. Se c'è qualcuno che sa cosa significhi sentirsi esclusi, è proprio lui.
"Loro, sì. Ho continuato solo per non scontentare mia zia Luisa." taglia corto lei.
Voleva spiegarsi, non farsi compatire.
Ragion per cui blocca sul nascere il tentativo di Roberta di scusarsi.
"Non è niente di drammatico." precisa.
Accenna un mezzo sorriso al suo indirizzo.
 
"Beh, peggio per loro." osserva Rocco.
"Vorrà dire che non saranno invitati, quando Dieguzzo sarà abbastanza grande per giocarci e tu sarai la mamma più imbattibile del mondo. Non sia mai che possano sentirsi sconfitti, questi cugini che si saranno pure scordati come si fa."
Il che può significare una sola cosa: sarà lui, pazientemente, ad insegnarglielo.
Un bacio di gratitudine, benché in pubblico, è il minimo che possa meritare in cambio.

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Capitolo 8
*** Il capofamiglia ***


"Non vuoi mai stare con me!" è la lamentela ricorrente di Diego.
Rocco sbuffa, ormai spazientito.
Da giorni, tenta di far sì che il figlio scenda a patti con l'impossibilità di seguirlo nell'imminente trasferta.
"Non posso portarti con me a Torino, Diè, avà; lavoro tutta la settimana.
Però, rimani con mamma e Diana!"
"Uffa, papà! Io non ci voglio stare, da solo, in mezzo alle femmine."
L'adulta inarca un sopracciglio. D'altronde, avrebbe dovuto immaginare che, per vie traverse, i retaggi culturali di Rocco Amato sarebbero stati trasfusi nel figlio.
 
Sentendosi immancabilmente responsabile, percependo il peso dello sguardo della moglie su di sé, il marito tenta di correre ai ripari:
"Ma che dici, a papà? Guarda che deve rimanere almeno un uomo, in casa. Sennò, chi fa il capofamiglia?"
Irene gli ha già lanciato uno sguardo assassino; ma lui le strizza l'occhio.
Sta cercando di attutirne la delusione responsabilizzandolo, evidentemente.
 
Infatti, Diego s'è già illuminato in viso:
"Mentre non ci sei, il capo divento io?"
Rocco sorride davanti alla facilità con cui il piccolo terremoto ha abboccato.
"Nca ciertu! Controlli tutto al posto mio. Poi, quando torno, mi racconti."
"Evvai! Allora resto. Tu parti pure."
Il padre strabuzza gli occhi e scuote il capo in segno di sconcerto, mentre la madre si lascia sfuggire una risatina, che in pochi istanti diventa complice.
"Ah! Non è ancora il momento, e già mi caccia, già mi vuole fare le scarpe!"
 
A questo punto, con la compostezza data dai suoi nove anni, Diego si sente in dovere di rettificare:
"Papà, questo non me lo puoi proprio chiedere. E poi, che senso ha, se nonno è molto più bravo di me?"
Rocco lo scruta, perplesso:
"Ma a fare cosa, Diè?"
"A riparare le scarpe." replica, con estrema naturalezza.
La madre corre in cucina, per evitare di scoppiargli a ridere in faccia: sarà pure spietata con chiunque, Rocco incluso; ma non le pare carino far sentire il figlio in difetto per innocenti malintesi linguistici.
Il padre si trattiene a stento.
Diego li osserva, perplesso.
 
~
 
Inutile specificare che, appena il padre parte, prende questo compito affidatogli incredibilmente sul serio. Anche troppo.
I primi due giorni, giusto per non smontarlo, Irene finge di gradire che si preoccupi di dove va, cosa fa, con chi, come si occupa della casa e della sorellina.
Sì, perché la duenne Diana di certo non è immune dal controllo del fratello maggiore, mai così accorto verso la sua incolumità.
Normalmente, era tutto un raccomandargli di fare attenzione, anche perché la piccola peste era ben felice di farsi coinvolgere.
E a differenza della madre, le bastano giusto un paio d'ore per tradire la propria insofferenza; con grande dispiacere di Diego, che per onorare il padre, arriva a provocare l'isteria di madre e sorella.
 
Non sapendo più come arginare le costanti ingerenze del controllore, Irene pensa di portarlo al Paradiso e affidarlo alla nonna.
Agnese, per tutta risposta, ride di gusto.
"Non ti preoccupare, gioia; si vuole sentire importante, ma ora si mette a giocare."
"Speriamo... Grazie, signora Agnese. Ora scappo, ché sotto Natale è un macello."
 
Diego chiede di poter disegnare coi bei colori che vede in bella mostra sui tavoli.
Poi, a bruciapelo, domanda alla nonna che programmi abbia per la serata.
"Beh, dopo il lavoro vado a casa, preparo la cena e mi metto a guardare la televisione."
"Con nonno Armando?"
"No, stasera deve allenare i ragazzi."
"Allora, vieni a cena da noi?" le propone, speranzoso.
Agnese gli sorride, senza alzare lo sguardo dalla macchina da cucire. "Grazie del pensiero, gioia, ma ho bisogno di riposare."
 
"Ma non è pericoloso, restare da sola?"
Alza lo sguardo di scatto. Agnese Amato sarà pure una donna all'antica, ma aveva sempre dato la mera illusione al padre -e soprattutto al marito- di poterla comandare.
Figurarsi se si faceva impressionare da figli, nipoti, e a maggior ragione dai bimbi.
Si alza appositamente per assestare uno scappellotto al malcapitatissimo nipote.
"Piccirì, ancora deve nascere chi può dettare legge ad Agnese Amato.
Amunì, torna a disegnare e smettila di ascoltare le fissarie che ti dice to patri, che come tutti gli uomini non capisce nenti, soprattutto di donne.
E lascia in pace a to matri, mischinedda."
 
~
 
Così, Diego attua degli stratagemmi per osservare tutto e tutti, ma senza farlo percepire.
E non appena il padre rimette piede a casa, ci tiene a farlo presente.
“Diè, ma quando ti ho detto di sostituirmi come capofamiglia, non intendevo ‘asfissiale tutte’…” commenta Rocco, divertito. Sta praticamente sussurrando, perché Irene gli era già sembrata sufficientemente irritata al telefono; vorrebbe evitare di far passare il messaggio per cui sia lui stesso a pretendere una sorta di resoconto dal figlio.
“Ma se me l’avete insegnato tu e il nonno: ‘le cose, o si fanno bene, o non si fanno’!” recita solennemente, imitando la voce profonda del padre.
Sto crescendo un mostro  si ritrova a pensare Rocco, incerto sul sentirsi più orgoglioso o divertito. Probabilmente, entrambi gli stati d’animo gli appartengono in ugual misura.
“E allora, sintemu: le abitudini sono state rispettate?” lo interroga, volutamente serioso.
“Signorsì, signor Capitano.” risponde il vice-capofamiglia, mettendosi sull’attenti.
“Attenzione, Diè: quello è nonno. Io sono il Tenente.” lo corregge, trattenendo le risa.
“Ah… E io?” domanda Diego, evidentemente confuso.
“Sottotenente, si capisce.”
“Ah. E perché chiami la mamma ‘generale’? È superiore o no?” s’informa, incuriosito.
A Rocco scappa una risata. “Quella è una gerarchia a parte, Diè; da nonno Armando, nonna Agnese è generale, e in casa nostra lo è mamma. È un titolo che si addice loro.”
Il figlio annuisce, fingendo di aver compreso perfettamente. La realtà è che gli seccherebbe molto sentirsi ripetere, come corollario della spiegazione del padre, l’immancabile ‘lo capirai quando sarai più grande’. È una fissazione degli adulti.
“Signor Tenente, Le restituisco il comando. Le donne vogliono fare tutto di testa loro e s’arrabbiano se vuoi aiutarle.” dichiara il poverino, con tanto di sospirone teatrale e stretta di mano simbolica.
Rocco gli sorride bonariamente. “Figlio mio, vorrei poterti dire che crescendo le cose miglioreranno, ma peggioreranno e basta. Sappi, però, che le donne sanno cavarsela perfettamente da sole… Forse, pure meglio di noi.”

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