Tu credi nella magia?

di Reginafenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Lo squillo martellante del telefono la svegliò alle sette di un freddo sabato mattina.

La prima cosa a cui Midge pensò fu l’incolumità dei suoi figli. Tuttavia, era abbastanza certa di averli messi a letto al solito orario e, quindi, che dormissero ancora beati nelle loro stanze. Poi, controllò che la sveglia segnasse l’ora giusta: l’aereo sul quale doveva viaggiare la sua manager sarebbe decollato a breve e, a meno che le fosse sfuggito qualcosa tra un drink e un altro, le pareva di ricordare una forte intenzione di partire da parte di Susie. Avevano festeggiato la vigilia del primo tour di Alfie alzando un po' il gomito; questo invece lo ricordava molto chiaramente.

Si alzò sbuffando per prendere il telefono dalla cucina e portarlo il più velocemente possibile sotto le coperte.

«Miriam?» La voce affannata di Susie smentì il suo ragionamento.

«Possibile che siate già arrivati? Apprezzo il tuo zelo, ma non potevi aspettare un altro paio di ore per aggiornarmi?» Si accucciò al caldo, stringendosi nella vestaglia, quando all’improvviso sentì l’ansia affiorarle nel petto. Un trambusto lontano, infatti, era giunto al suo orecchio rendendole chiaro l’acceso diverbio che si stava consumando al di là del ricevitore.

«Ohilà, siete tutti vivi? L’aereo è atterrato sulla terra dell’Illinois come da programma? Aspetta un attimo, perché sento anche la voce di Dinah?»

Finalmente avvertì il fiatone di Susie soffiare di nuovo nella cornetta, «Certo, come da programma! Se solo capissi per quale motivo il tuo amico qui vorrebbe escluderci dallo stramaledetto programma!»

«Lui dice che ha avuto una specie di presentimento!» Dinah urlò in modo che anche Midge la sentisse.

«Ah, ora è così che si dice? Ai miei tempi ti rinchiudevano per molto meno.»

Sentendosi chiamato in causa, anche Alfie si unì alla conversazione, «Qualcuno la definirebbe magia.»

«Ascoltami, Miriam. Devi venire subito qui.»

Midge si liberò dalle coperte alla velocità della luce, ma attese qualche secondo in silenzio per metabolizzare quella manciata di informazioni. I posteri della sbornia si facevano sentire più di quanto pensasse.

«Hai presente il significato della parola “subito”?»

Tornò in sé quasi immediatamente, «Ma sì, lasciamo la povera Midge all’oscuro di tutto. Facciamola precipitare nel gelo di New York senza l’ombra di una rassicurazione o almeno di un indizio che le consenta di non vagare a vuoto per la città!»

«D’accordo, ma non ci capirai nulla lo stesso. Alfie vuole che tu venga in aeroporto con noi. No, non chiedermi per quale fottutissimo motivo si sia messo in testa questa folle idea un’ora prima di prendere il volo. Potrei non essere responsabile di ciò che uscirà dalla mia bocca se la tappa di Chicago saltasse in aria.»

«Oh, veramente io...»

«Sto rimpiangendo la prima di Miss Julie e quella psicopatica di Sophie Lennon come cliente. Questo ti basta per capire la gravità della situazione? Dare buca al primo spettacolo del tour è come firmare la garanzia del fallimento dell’intero tour, so che puoi arrivarci.»

«Così sarei costretta a saltare la colazione. L’hai considerato?»

«Hai ragione, che razza di insensibile che sono! Ti prego di perdonarmi, Midge. Ma cerca di vedere il lato positivo: lavoro in meno per Zelda, ore in più di sonno per i tuoi figli e meno cibo sprecato nell’Upper West Side. Di solito non hai bisogno di questo tipo di incoraggiamenti per essere ottimista. Sei la fata del buon umore, cazzo!»

«E tu quella del sarcasmo, Susie. Se mi avessi dato il tempo di completare la frase ti saresti sentita dire un bel…»

Susie riagganciò senza lasciarla finire.

 

 

Si incontrarono direttamente in aeroporto. Susie, in preda ad un assalto di nervi, stava consumando il suo secondo pacchetto di sigarette della giornata. Alfie, invece, tentava inutilmente di intrattenerla con un mazzo di carte, allenando così le sue capacità di prestidigitazione. All’improvviso si sentì arrivare una gomitata nel fianco.

«Ahi!»

«Ehi, quella è davvero lei oppure è un miraggio?»

«Me lo chiedi perché sarei l’esperto in visioni paranormali?»

Midge si guardò intorno sperando di farsi notare dai suoi amici. Indossava un abito fucsia e un cappotto abbinato che difficilmente l’avrebbero fatta passare inosservata tra la folla anonima dell’aereoporto.

«Finalmente sei arrivata! Su, accelera il passo!» Susie lanciò a terra il mozzicone e prese a correre verso il check-in.

Col fiatone, Midge si rivolse al mago, «I-in… che cosa dovrebbe consistere esattamente il mio intervento qui? Non vedo in cosa poteri esserti utile.»

«Non per fare la sua aiutante, di sicuro! Alfie, devi sapere che i comici sono davvero delle brutte persone. Non amano condividere il palcoscenico con nessuno. Ti fanno fuori con una battuta, vedi il caso Baldwin. E con te potrebbe accadere in senso letterale, sai cosa intendo?»

«Ti ringrazio per la puntualizzazione.»

La manager alzò le spalle voltandosi dalla sua parte, «Meglio non illuderlo, no?»

«Tu aspetti qualcuno da Los Angeles, Midge.»

Alfie le indicò il punto degli arrivi, non troppo distante da loro.

«E’ una domanda o un’affermazione?» Chiese lei, già piuttosto confusa da quel tono deciso, cercando appoggio nello sguardo non meno perplesso dell’amica.

Ad un tratto, tuttavia, la risposta di Alfie non fu più necessaria. Vide Lenny indirizzarsi verso l’uscita con una borsa in mano e l’espressione triste stampata sul volto. Non sapeva se avvicinarsi o meno. Dal suo trionfo alla Carnegie Hall tutto era stato lasciato in sospeso.

Alfie la incoraggiò a farsi avanti, senza perdere tempo a pianificare il discorso, a scegliere le parole perfette con cui aprire la conversazione. Era una donna adulta e poteva certamente affrontarlo senza paura.

Il guanto rosa si posò delicatamente, ma con decisione, sulla sua schiena, facendolo voltare immediatamente. La reazione di Lenny fu di sorpresa e imbarazzo. Eppure, dopo il disorientamento iniziale, i suoi occhi si riempirono di un piacevole stupore.

«Ehi.» Disse Midge

«Ehi! Avevamo un appuntamento? No, certo che no. Non me lo sarei mai potuto dimenticare.»

Se avesse continuato a guardarla in quel modo per un’altra manciata di secondi, Midge si sarebbe catapultata su di lui senza rifletterci due volte. Moriva dalla voglia di baciarlo di nuovo, ma l’orgoglio era una catena che la tratteneva da uno slancio troppo rapido verso la riconciliazione.

Scosse la testa, «Il mio piccione viaggiatore non precorre le lunghe distanze. Quindi, questa volta non ho inoltrato nessun messaggio volante per avvisarti.»

«Mhmm…penso che il tuo piccione non abbia voluto raggiungermi.»

«E puoi compatirlo? Non aveva neanche il tuo indirizzo.»

«Los Angeles non è proprio l’ideale per vincere facilmente a nascondino.» Lenny fece un respiro profondo, poi continuò «Però, scommetto che sarebbe riuscito a trovarmi se lo avesse voluto.»

«Seguendo nell’aria il profumo della tua colonia?»

«Direi piuttosto la mia incontenibile voglia di essere trovato da te.»

Rimase sbigottita. Quale poteva essere la risposta più appropriata per esprimere la leggerezza che provava ad essere libera dalla paura della sua indifferenza? 

«Avrai avuto centinaia di proposte indecenti, chi vuoi prendere in giro?»

Alzò un sopracciglio, «Vale lo stesso per te. Ci scommetto.»

«Non era un insulto. Dovresti sentirti lusingato, piuttosto.»

Lenny abbassò lo sguardo, colto in un rarissimo momento di disagio.

Tuttavia, prima che potesse replicare, Alfie si intromise fra di loro e trascinò Midge via con sé.

«Questa volta ho davvero bisogno del tuo aiuto. Si è appena aperta la finestra temporale che stavo aspettando, ma non preoccuparti. Andremo solo quando ti sentirai pronta e soprattutto ben ancorata a terra.» Indicò un divanetto oltre le larghe spalle di Lenny.

Midge annuì con scarsissima convinzione. Poi, nel momento in cui Alfie scoccò le dita davanti agli occhi la vista le si offuscò completamente e si ritrovò immersa in un surrogato della realtà spaventosamente vivido.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Se Midge avesse saputo cosa l’aspettava, la sera precedente non avrebbe chiesto al barman di fermarsi solo alla sua terza consumazione. Sentiva la mano di Alfie ben stretta nella sua, ma proprio non capiva che cosa stesse succedendo.

Dall’aeroporto era finita di nuovo in un appartamento. Il rumore di un giradischi in azione fu la prima cosa che avvertì come familiare. Poi, il chiacchiericcio nel soggiorno e i passi forsennati di alcuni bambini la invitarono ad assistere ad una scena che non ricordava di aver vissuto.

«Non la riconosci?» Chiese Alfie con un sorriso stampato sulla faccia.

Midge scosse la testa, incapace di proferire parola.

«Stanno tutti ascoltando la tua voce registrata su quel disco.» Accennò al grammofono e lì vicino, chinato sullo strumento, stava un giovane uomo intento a non lasciarsi sfuggire neanche una battuta. Insieme a lui, c’erano altre persone, comprese le piccole pesti che le erano sfrecciate davanti pochi istanti prima.

«Ma…»

«Esatto. Quello lì è Eathan. Saprai individuare anche tua figlia, spero.»

Dalla cucina riconobbe le voci allegre dei suoi genitori e l’inconfondibile stappo di bottiglia per festeggiare l’occasione. Si sporse solo per capire chi avesse causato tutte quelle risate. Se non avesse compreso di trovarsi dentro una visione di Alfie sarebbe stata certa di essere impazzita: la versione quasi cinquantenne di se stessa reggeva in mano il calice di champagne, versatole da una matura versione di Joel. Lui aveva una fede al dito, mentre Midge non indossava nessun anello. Ci fece volutamente caso, tirando un sospiro di sollievo.

«Questo è il futuro?»

«E’ una possibilità che non escludo.»

«Quindi andrà tutto bene. Solo che… non so perché avverto dietro a quel sorriso qualcosa di stranamente angosciante. E dov’è Susie?»

Dal bidone della spazzatura, Alfie afferrò il cartone vuoto del latte accorgendosi che si trovavano in un anno molto particolare. La performance di Midge, pubblicata in vinile, risaliva a qualche mese prima, quando l’auditorium della Carnegie Hall l’aveva ospitata per celebrarne la carriera, ancora ineguagliata nel mondo dello spettacolo.

Il destino aveva voluto che uno dei più grandi sogni di Midge si realizzasse vent’anni anni dopo il clamoroso successo ottenuto da Lenny Bruce proprio su quel palco. Lenny non c’era più, ma la Midge degli anni Sessanta ancora non lo sapeva.

 

 

«Non temete signori! È altamente improbabile che un giorno ritroviate qui, al mio posto, le vostre mogli. Improbabile, ma non impossibile. Dormite pure sonni tranquilli, almeno fino al giorno in cui, prede di un’indomabile crisi di nervi, non avvertiranno quella primordiale necessità di essere veramente se stesse e far ascoltare a tutti la propria, autentica, voce. E a voi signore, dico soltanto che non c’è bisogno di aspettare l’esaurimento nervoso per sentire la famigerata “chiamata”. Abbiamo, in ogni momento della vita, il potere di spogliarci dei nostri…»

Midge si interruppe per lasciare che il pubblico esternasse la propria eccitazione di fronte all’eventualità che ripetesse lo spogliarello della sua prima performance al Gaslight, quando si procurò l’arresto per oscenità e oltraggio al pudore.

«Pregiudizi! Cosa avevate capito? Sì, i pregiudizi che abbiamo ancora su noi stesse, nonostante le lotte per il riconoscimento dei nostri diritti e l’evoluzione dei tempi che ci ha portato degli importanti cambiamenti. E cosa importa se il suono che emettono le nostre corde vocali sia roco, stridulo, caldo, stentato o fluido come la crema idratante che usiamo per le mani? A proposito, da B. Altman ne danno due al prezzo di una per tutta la settimana. Io ne approfitterei… Comunque, quello che volevo dire è che l’importante è farlo uscire e non giudicarlo. Ci sarà sempre qualcuno che lo farà anche per conto nostro, ma ci sarà anche qualcuno che invece presterà attenzione al flusso di coscienza che sgorgherà dalla nostra bocca e sarà in grado di farlo con tutto il suo cuore. Quello, mie care signore, sarà l’istante in cui capirete di non esservi sentite mai così ascoltate nella vostra vita.»

La voce le si stava chiaramente spezzando per l’emozione e dovette fermarsi per trattenere il groppo in gola.

La Midge del presente notò un cambiamento sui volti del pubblico nell’appartamento. Evidentemente ricordavano tutti quel momento, ma ascoltarlo un’altra volta doveva essere ancora più difficile, soprattutto per una delle persona presenti nella stanza. Infatti, la giovane donna che occupava il posto affianco a Ethan mandò giù lo champagne tutto d’un sorso e scappò in cucina, dove era rimasta soltanto la Midge del futuro.

Quando la vide così sconvolta non le ci volle troppo per capire il motivo del suo turbamento.

«Ehi, perché sei qui tutta sola? È la tua festa, Midge!»

«Potrei farti la stessa domanda. Anche se sono certa di conoscere la risposta.»

La donna si asciugò presto una lacrima sfuggita al suo controllo, «Uffa! Perché è ancora così difficile? Vorrei avere un briciolo del tuo savoir-faire.»

«Non credere neanche a una parola di quello che dicono in giro di me, Kit.» Le posò una mano sulla spalla. «C’è gente molto più coraggiosa della sottoscritta. Vedi come è stato facile lasciarmi spaventare da uno stupido vinile!»  Voleva farla sorridere, ma ciò che riuscì a ottenere fu il suono strozzato di una mezza risata.

«So che hai lasciato una parte di te alla Carnegie Hall. Deve farti male esattamente quanto fa male a me, scusa la mia insensibilità.»

Midge annuì, «E’ che non riuscirò mai a godermelo veramente. Sai, avrei voluto festeggiarlo con le due persone più importanti della mia vita, ma nessuna delle due è potuta venire.»

«Lui sapeva che ce l’avresti fatta. E Susie ha solo cercato di proteggerti, come lui le ha chiesto di fare.»

«Mi hanno letteralmente spezzato il cuore, Kitty. Entrambi.»

«Lei ha rispettato la sua volontà, pur sapendo che ti avrebbe persa per sempre una volta che lo avresti scoperto. Hanno rinunciato alla loro luce per illuminarti la strada. Papà aveva una fede immensa nella tua capacità di salvarti dagli stessi errori che lui ha commesso.»

Midge si ritrovò smarrita di fronte a quella rivelazione. Stava ricollegando tutti i pezzi nella sua mente, ma non capiva perché Alfie avesse deciso di somministrarle del dolore in anticipo rispetto al naturale corso degli eventi.  Questa volta toccò a lei trascinarlo via e costringerlo a seguirla.

«E’ uno scherzo di pessimo gusto.»

«Ti sto solo mostrando la vita che hai sempre desiderato: una carriera da star della commedia, il tuo bellissimo appartamento, la famiglia che volevi al tuo fianco.»

Midge irruppe in una risata sarcastica, «Cosa ti fa credere che una vita senza Lenny e Susie sia ciò che ho sempre desiderato? Puoi vederlo con i tuoi occhi quanto possa rendermi felice!»

«Lo vedo, infatti. E tu, riesci a vederlo ora?»

La registrazione della sua performance continuava a scorrere in sottofondo, quando Midge sentì un passaggio che la convinse a prestare maggiore attenzione a quello che avrebbe detto tra vent’anni.

«Adesso vi farò una confessione molto personale. Vi ricordate quando vi ho parlato di un certo qualcuno che vi farà ricredere sul genere umano? Beh, il mio qualcuno aveva un nome e un cognome che tutti voi conoscete. Un abito nero. Una camicia bianca e una cravatta perfettamente abbinata.

Per lo Stato era un criminale, anche se per lavoro diceva solo delle battute, ed è morto a quaranta anni.

No, non ho nessuna voglia di sembrare un panda di fronte a una platea così numerosa. Quindi, vi consiglierei di non lasciare che mi si sciolga il mascara. Donne e uomini avvisati mezzi salvati!  

Volevo sfondare nel mondo dello spettacolo e sì, credo di esserci riuscita. Volevo avere due figli, un maschio e una femmina, e anche quelli mi sono riusciti piuttosto bene. Volevo, volevo e volevo. Ma cosa volevano le persone che amavo? Cosa volevano veramente, forse senza nemmeno saperlo? Non potrò mai sapere cosa voleva Lenny Bruce, perché lui se n’è andato troppo presto, cazzo!

Sapete, un giorno avremmo dovuto incontrarci per chiarire la situazione fra di noi, dopo una brutta litigata dovuta a … beh, sapete tutti il motivo della sua morte. Quel giorno lui non è venuto e io non l’ho più rivisto. Mi sono fidata delle parole della mia ex manager, che tutta sicura di sé mi ha detto: “Miriam, Lenny mi ha confessato che per lui è tutto finito. Che non ne può più dei tuoi insopportabili tentativi di migliorarlo e che vuole essere lasciato in pace a vivere tutto solo nella sua villa vuota. Mi dispiace.”  E tante grazie! Come potevo insistere di fronte a tanta tracotanza?

Credevo che il mio silenzio e il mio evitare di corrergli dietro sarebbero stati sufficienti a dimostrargli quanto lo rispettassi. Anzi, no, quanto lo amassi. Profondamente.

Susie mi ha mentito perché aveva paura che i problemi di Lenny mi troncassero la carriera. L’hanno fatto perché mi amavano, direte voi. No, lo hanno fatto perché hanno presunto che per rendermi felice bastasse una strada liscia e senza ostacoli, perché mi hanno considerata poco più di una bambina capricciosa, disposta a tutto pur di arrivare alla fine della corsa stringendo il primo premio tra le mani. Io volevo correre sì, ma insieme a loro,

L’amicizia è più importante della carriera. Già.

Eppure, sono finita proprio dove loro volevano che fossi a costo della nostra amicizia, e voi poverini avete dovuto pagare il biglietto per sentirvi vomitare addosso le mie lamentele! Sono spiacente, ma questa è la vera commedia della vita. E questa è la mia carriera: prendere o lasciare. Fatelo per Susie e per Lenny, affinché il loro sacrificio sia valso almeno i trenta dollari dello spettacolo!»

Midge indietreggiò, scuotendo la testa in segno di diniego verso quello che aveva ascoltato. Si ritrovò, quindi, con le spalle contro la parete, scossa dai singhiozzi.

«Non è quello che voglio. Dimmi che posso fare qualcosa per cambiarlo.»

Alfie le offrì il più rassicurante degli abbracci. Poi, le bisbigliò nell’orecchio una domanda molto semplice, «Tu credi nella magia?»

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Ritornarono nel presente, dove sembrava non essere accaduto nulla all’infuori del fatto che le prospettive sul futuro di Midge erano cambiate totalmente. Non ricordava molti dettagli di quello che aveva appena vissuto. Provava solo un’intensa, inspiegabile, nuova consapevolezza.

La prima cosa che avvertì una volta ripresi i sensi fu il premuroso braccio di Lenny dietro la schiena e poi il calore del suo corpo, così vivo e presente vicino a lei.

«Ehi, come stai?»

Nonostante la preoccupazione, Lenny non poté trattenersi dal ridere. Soltanto Midge era in grado di ribaltare i ruoli, rendendo credibile e dannatamente tenero che fosse lei a chiedergli come si sentisse.

«Dovresti dirmelo tu, tesoro. Mi hai fatto morire dallo spavento.»

«È stata una preoccupazione reciproca.»

Si sistemò i capelli come meglio poteva senza l’ausilio di uno specchio. Dopodiché, sentì lo spirito comico ritornare a scorrerle nelle vene. Lenny era rimasto accovacciato, seduto sui calcagni, per mantenere un contatto ravvicinato con lei.

«Non sapevo che in ginocchio fossi ancora più alto di me. Sarà quel terribile cibo cinese di cui ti nutri dopo aver fatto sesso? Probabile. Ma allora perché gli scienziati non ci hanno ancora convinti a rivoluzionare le nostre abitudini alimentari? Così non dovrei chiedere a mio figlio di aiutarmi con gli scaffali del supermercato. È davvero un’umiliazione se lo fai indossando i tacchi!»

Lenny la guardò con il solito ghigno intrigante, «Sì, sei decisamente tornata in te.»

Susie, d’altro canto, riprese colore quando anche Alfie diede segni di recupero. Lenny si stava occupando di Midge, mentre la manager provava a farlo con il mago, cercando contemporaneamente di evitare la sua morte per soffocamento, vista la notevole differenza di mole fra i due.

«Ma cosa diavolo è successo? Non sapevo che tu e Alfie foste sincronizzati. Svieni tu e sviene pure lui?»

«Se mi avessi concesso almeno una tazza di caffè prima di correre come una pazza fin qui, non saremmo arrivati a questo punto.»

«Non sarebbe cambiato molto. Tu sei normalmente svitata, Miriam. Non solo quando non bevi il caffè. E poi, sono anni che io salto la colazione e non ricordo di aver mai avuto questo tipo di conseguenze.»

Alfie ridacchiò sotto i baffi.

«E tu cosa hai da ridere?»

«No, è solo che io ricordo diversamente. Hai presente quella volta che sei entrata in apnea durante il sonno? Cos’era? Ah, sì quando tu e Midge eravate in tour a Washington.»

Susie sgranò gli occhi, «E tu come cazzo fai a saperlo?»

«Non è per questo che mi hai preso come cliente?»

«Sì, cazzo. E per giunta senza referenze.»

«Oh, beh. Per quelle puoi chiedere a Midge.»

Si voltarono tutti verso di lei, come aspettandosi una battuta che però non arrivò. Annuì soltanto e chiese a Lenny di accompagnarla a casa.

 

 

«Comodo questo taxi! È così spazioso, e…giallo.»

Si sforzò di trovare un altro aggettivo per evitare di pensare alla parola “intimo”. Non che non avessero mai condiviso un taxi, o qualcosa di ancora più personale, ma Midge non sapeva come rompere il ghiaccio alla luce di ciò che era appena accaduto.

«Vieni pagata per fare pubblicità al servizio mobile privato, per caso?»

«Cosa ne pensi?»

«Non è diverso da tutti gli altri taxi, mi pare. Vuoi?» Lenny le offrì una sigaretta, ma lei la rifiutò.

Si appoggiò sulla sua spalla e chiuse gli occhi, rilassandosi all’ascolto della regolare espirazione di fumo dai suoi polmoni. Lenny le accarezzò il dorso della mano appoggiata sul suo ginocchio.

«Cosa direbbero se ci vedessero così?»

«Che siamo due fottutissimi romantici. E che finiremo per vendere dolciumi in una fatiscente bancarella vicino a Central Park.»

Midge lo guardò divertita, «A me non dispiacerebbe.»

«Neanche a me. Anzi, forse riscatterebbe le mie mancanze come padre. Kit adora tutto ciò che contiene dello zucchero.»

«Già, allora tua figlia deve volerti molto, molto, bene.»

«Vedi, Midge, è solo che non dovrebbe funzionare così. Sai da dove sto tornando? Da Los Angeles, dove Kitty vive con mia madre a più di quattro mila chilometri da me. Non ho molto da offrirle e so che lei merita di più. Ci vediamo così raramente…»

«C’è chi non ha più questa fortuna.»

Sembrava che, nonostante le ingenue rassicurazioni che le aveva fornito di fronte all’evidenza nella sua camera d’albergo, le antenne di Midge fossero ben sincronizzate sulla realtà.  Era finito per diventare il burattinaio di se stesso. In una mano aveva le redini della sua vita e nell’altra un paio di forbici. Spettava soltanto a lui decidere cosa farne: chiuderle in un cassetto oppure rischiare di far finire il gioco troppo presto?

«Cerco di andare a trovarla quando sono sobrio o quando non ho un processo al quale dovermi presentare. Sai, quando lo Stato non prova a tapparmi la bocca. Il che non capita spesso, come puoi immaginare. Morale della favola? Vivo alla giornata, senza illudermi o illuderla che domani le cose cambieranno.»

«Sono sicura che a Kitty piacerebbe che a quella giornata tu potessi aggiungerne un’altra, e poi un’altra e un’altra ancora. Sai, mi ricordo di aver letto recentemente la biografia di una donna molto perspicace che diceva: “Lascia che le persone su cui conti ti mostrino il vuoto che causerebbe la tua assenza. E finiscila di essere la solita presuntuosa del cazzo.”»

Finalmente ebbe la cognizione del fatto che Midge non fosse una sprovveduta.

«Efficace.»

«Credo che per lei non sia stata proprio una passeggiata.»

Lenny si prese qualche minuto per riflettere, poi trovò il coraggio di formulare la sua domanda ad alta voce, «E questa persona a cui ti riferisci è riuscita a vederlo, il domani?»

Questa volta Midge si ritrovò con gli occhi pieni di lacrime. Annuì restando in silenzio.

«Allora dovresti prestarmi quel libro. Una cosa che ancora non sai di me è che sono un lettore piuttosto vorace.»

«Non posso, perché non è ancora stato scritto. Ma ti aggiornerò se ci saranno novità.»

La guardò con aria confusa, ma preferì lasciar perdere. Erano dettagli irrilevanti in fin dei conti.

 

 

Il taxi accostò sulla linea del marciapiede.

Quando Midge si rese conto che Lenny era ancora seduto nell’automobile, chiese al tassista di aspettare ancora. Pensava che se gli avesse detto che possedeva un appartamento al centro di Manhattan lo avrebbe convinto a non inveirle contro, certo che la sua pazienza sarebbe stata ricompensata con non modesta generosità. E infatti funzionò.

«Suppongo che tu non voglia seguirmi.»

Lenny sembrava pensieroso, in attesa di decidere se compiere quel passo o meno.

«Se vuoi chiedo per te l’affitto dell’automobile al gentilissimo signore che sta aspettando qui vicino. Credo che fare il tassista sia poco più di un hobby per lui.»

«Midge, non c’è niente che vorrei di più di questo…» Lo disse piuttosto seriamente, a scanso di equivoci. Eppure, Midge sentiva che stava per arrivare un “ma” a completamento della frase.

«Ma?»

Lenny scrollò innocentemente le spalle, «Non so se hai sentito parlare del serrato corteggiamento da parte di Palyboy che sto ricevendo da qualche mese a questa parte. Vorrebbero ingaggiarmi per la rivista.»

«Beh, non posso negare che abbiano degli ottimi gusti. Ti faranno posare con le orecchie da coniglio?»

Dovette fare del suo meglio per non ridere in maniera così indecente da farsi sentire fino all’ultimo piano del palazzo. Quando riprese il controllo di sé riuscì a continuare il discorso, «No. Non stai centrando l’obiettivo. Intendo dire che avverto l’obbligo di preservare la mia reputazione nell’ “osceno” ambito di loro competenza. Mi hanno proposto un bel gruzzoletto in cambio di qualche articolo e non sarebbe carino da parte mia rivelargli che quella del "comico promiscuo che parla sporco" è solo una leggenda. Ma in questo momento sto letteralmente... morendo di sonno.»

Midge gli porse la mano attraverso il finestrino aperto.

«Tranquillo, prometto che non lo dirò a nessuno. E, anche se sembra che io voglia con tutto il mio cuore che tu scenda da quella macchina il prima possibile per fare cose turche insieme a te alle nove di mattina nel mio appartamento, mi piacerebbe tanto che tu non ti senta costretto a farlo.»

La guardò con una malizia che dagli occhi si estese rapidamente alle labbra, «Lo vuoi con tutto il cuore, eh?»

Midge si morse la lingua e alzò gli occhi al cielo, «So che aspettare che la torta di mele si cuocia mentre sferruzziamo vicino al forno non è la tua attività preferita, però potrei offrirti qualcosa per scaldarti e ringraziarti dell’aiuto di poco fa. Oppure potrei vederti dormire come un angioletto mentre preparo il mio prossimo numero. Ti va?»

 

 

Dopo di Joel nessun uomo aveva varcato la soglia della sua camera da letto, ma Lenny non era un uomo qualunque. Lenny poteva occupare l’altra metà del letto senza prendere il posto di nessuno, perché non ne aveva bisogno.

Midge entrò per controllare se si fosse svegliato. Dormiva ancora ed era quasi mezzogiorno.

Zelda era stata istruita affinché non lo disturbasse in nessun modo e i bambini erano usciti a fare una passeggiata insieme ai nonni. Midge, invece, aveva avuto la possibilità di concentrarsi a lungo sul suo lavoro per lo show, approfittando dell’assenza di Susie e della tranquillità del weekend.

Così, adesso non sapeva come comportarsi. O meglio, lo sapeva perfettamente, ma non era sicura che guardare Lenny dormire fosse la mossa giusta. I vari tentativi di distrarsi non riuscivano a distoglierla dal desiderio di stare insieme a lui. Così, abbandonò la guerra e gli si sdraiò accanto, mantenendosi la testa sul gomito per poter apprezzare meglio la visione. Passò una mano tra i suoi riccioli spettinati e gli accarezzò la guancia, fino a disegnare con un dito i contorni della sua bocca.

«Oh-Oh… signora Maisel. Le sue labbra sono troppo vicine alle mie.»

Midge scoppiò a ridere, «Se è un avvertimento, sappi che non funzionerà. Non ho nessuna intenzione di spostarmi.» E detto fatto, si adoperò a ridurre ancora di più lo spazio tra di loro.

«Beh, allora te la sei proprio cercata…» Le posò un braccio sulla vita e la avvicinò a sé.

La gentilezza del primo contatto non tardò a trasformarsi nel desiderio sfrenato di non staccarsi più. Tuttavia, prima di raggiungere l’agognato punto di non ritorno, Midge lo convinse ad aspettare. Doveva parlargli seriamente, anche a costo di turbarlo. Quindi, si tirò su convincendolo a fare altrettanto.

«Ricordi quando mi hai chiesto di non comportarmi come qualcuno che vuole compatirti, aiutarti o aggiustarti, perché non è quello che desideri da me?»

«Lo penso ancora.»

«Ottimo. Allora mi puoi spiegare cosa vuoi che faccia? Vuoi che mi bendi gli occhi e mi tappi le orecchie per non affrontare la realtà? Vuoi che sia l’amichetta con cui condividere i giochi oppure un’intrattenitrice personale da contattare solo nei tuoi momenti migliori? No, perché mi pare che sia tu il primo a non voler vedere il male che ti stai facendo. Quella borsa nera nel tuo bagno…»

Lenny si strofinò gli occhi abbandonandosi pesantemente contro il cuscino.

«Ok. Sono un comico dipendente dalla morfina e ho paura che le persone che amo soffrano per colpa mia. Per questo preferisco vivere lontano da mia figlia e lontano da te. Non l’ho mai detto a nessuno, anche se lo sanno tutti nell’ambiente.»

Midge prese una sigaretta dal pacchetto sul comodino e gliela offrì, chiudendogli nel palmo il suo accendino. Quando lui fece il primo tiro, avvertì un senso di calma invadergli la testa agitata.

«Sai, anche quando sparisci per settimane e non ti fai sentire, qui tutto continua a parlare di te. E io mi unisco a quelle voci per far capire a chi non sa ascoltare quanto siamo fortunati a poter ascoltare quello che hai da dire. Non è semplice lottare contro chi vuole sopprimere il dissenso per continuare a raccontare la solita favoletta. Abbiamo bisogno di qualcuno con le palle in questo mondo codardo. Vorrei che fossimo liberi di dire tutto ciò che ci pare, anche a costo di sembrare degli stronzi. Anche se siamo solo noi due in una stanza.»

«Meglio stronzi che ipocriti.»

«Esatto. Io non ho più paura della verità. E tu?»

Lenny ritrovò subito il sorriso, «Ho sempre avuto un debole per le persone autentiche. Ho sempre avuto un debole per te.»

«Ah, signor Buce. Questo lo inserirò nel mio numero alla Carnegie Hall?»

«Solo se mi riserverai il miglior posto in prima fila.»

«Affare fatto!» Convenne Midge, concludendo l’accordo con un bacio.

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