ULTRAVIOLENCE - SHATTER ME FANFICTION

di You_r_so_golden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno - William ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno - Selene ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due - William ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre - Selene ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro - William ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque - William ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno - William ***


12 ore.
Mancano solo 12 ore all'inizio della missione.
Non so come l'abbia chiamata Warner - non voglio nemmeno saperlo e non mi interessa - ma so che Adam Kent incontrerà Juliette Ferrars tra 12 ore.
Non riesco ancora a credere che questo accadrà davvero; Non riesco a credere che questa missione stia seriamente per iniziare. Non riesco a credere a così tante cose ultimamente: non riesco a credere che la Warner stia rischiando così tanto per il proprio piacere personale; Non posso credere che l'umanità stia per avvicinarsi a un essere come Juliette Ferrars; Non riesco a credere che un soldato semplice come Adam Kent sia stato mandato a vivere con un soggetto di massimo pericolo come Juliette Ferrars. Un uomo semplice, privo di qualsiasi potere o conoscenza del soggeetto, viene mandato in uno spazio angusto a convivere con una persona dal potere terribile e disumano: chiunque lei tocchi, muore. Il tocco fatale.. sì, sembra una stronzata ma Juliette è tutt'altro che una stronzata e Adam - Adam Kent, un fottuto soldato che 12 mesi fa non sapeva nemmeno mirare con una pistola - verrà mandato a vivere con lei in una cella di 15 mq. Perché lui o generalmente "Perché", nessuno lo sa... a parte Warner.

Dio santissimo, questo non sta realmente accadendo. Perché se sta succedendo davvero, allora possiamo iniziare un conto alla rovescia che ci porterà inesorabilmente alla fine del mondo. E solo a pensarci mi viene voglia di vomitare. Al solo pensiero di Adam che incontra Juliette Ferrars, la mia vista si offusca, le mie gambe e le mie mani tremano di rabbia e mi sento vicino al vomito. La rabbia mi sta seriamente accecando... o sono solo stordito da tutte le nozioni che ho appena imparato? Dio, non riesco davvero a capirmi ultimamente.

< Ehi, Will, che ci fai qui? >

Con un battito di ciglia, torno alla realtà. Immediatamente il freddo presente nei corridoi dell'edificio mi attanaglia il corpo e rabbrividisco, ingoiando tutta la rabbia che mi stava salendo in gola. Mi giro e mi ritrovo davanti a Kenji. Mi guarda confuso e alza un sopracciglio. Probabilmente si chiede cosa ci faccio qui.
Sì, che cazzo ci faccio qui? Cosa ero venuto a fare?
Mi giro di nuovo e davanti a me c'è la porta della sua camera da letto, quella che divide con Adam Kent; a sinistra, infatti, è presente una targa con i loro cognomi. Mi rendo conto che il mio pugno è alzato e lo abbasso immediatamente. Stavo per bussare alla sua porta? Dio, davvero non ricordo. Cosa stavo facendo? Perché sono davanti alla sua porta? Da quanto tempo sono davanti alla sua porta, magari fermo e immobile come un coglione? Qualcuno mi ha visto? Basta, devo smetterla.

< Mi stavi cercando? >

Poi all'improvviso mi ricordo: devo parlargli. Ho delle notizie da riportargli... anzi, Selene ha delle notizie da riportargli dal Punto Omega. < Sì > tossisco a malapena, cercando di sembrare il più normale possibile. Non voglio attirare la sua l'attenzione, non voglio che capisca che io e Selene stiamo già usando i nostri poteri. Dobbiamo affinare le nostre tecniche e dobbiamo migliorare la nostra comunicazione sensibile. Farlo di fronte agli altri aiuta, ma finché non si viene beccati. Il rovescio della medaglia, quando uso il mio potere come la connessione sensibile - uno dei tanti poteri che io e mia sorella abbiamo in comune - rimango costantemente confuso e non capisco cosa mi viene detto. Dobbiamo lavorarci su, dobbiamo migliorare; abbiamo molto da migliorare, anche come fratelli. < Dobbiamo parlare > annuisco alla porta della sua camera da letto. < Hai due minuti? >

Kenji annuisce senza pensarci due volte e apre la porta della sua camera da letto. < Vieni dentro >

Sono il primo ad entrare nella sua stanza; lui mi segue senza dire una parola e si chiude la porta alle spalle. La sua stanza è come la mia: c'è una scrivania, un piccolo armadietto con dentro una divisa di ricambio e stivali di ricambio; e due letti, completamente rifatti. Uno per lui e uno per Adam Kent, che probabilmente non userà più per un bel po'. C'è un ordine quasi impressionante nella stanza, specialmente se conosci Kenji da un po' di tempo. Penso che sia la persona più disordinata che abbia mai incontrato sulla faccia della terra, ma da quando è al campo base le cose sono cambiate. Fortunatamente, devo dire, ci sono stati alcuni cambiamenti nella sua vita. A parte i vari esaurimenti nervosi che ha - motivo principale per cui è un soldato semplice e non un caporale, come me -, Kenji è profondamente cambiato da quando ha intrapreso la strada militare. È il solito Kenji che viveva al Punto Omega fino a qualche mese fa ed è lo stesso stronzo che, indipendentemente da come mi sveglio ogni giorno, cerca di farmi ridere, ma qualcosa in lui è cambiato, anche se non vuole ammetterlo.

< No, non aprire la finestra >

< Lascia perdere > è esattamente la prima cosa che faccio: apro la finestra della sua camera da letto, facendo entrare un po' d'aria fresca. Nelle stanze dei soldati della zona est - proprio quella zona - c'è un problema di muffa così preoccupante che si respira a fatica. Kenji però sembra non sentirne l'odore, infatti alza gli occhi al cielo, ma probabilmente perché ci è abituato; Adam, d'altra parte, per quanto ne so, se ne è lamentato. Ma come al solito, nessuno fa mai niente. Non c'è da stupirsi che abbiano problemi di muffa.

< Come vuoi, ma non clamentati se hai freddo. > Kenji si toglie le scarpe - motivo in più per tenere la finestra aperta - e si butta a peso morto sul suo letto. Sospira pesantemente e si posa le mani sul petto, puntando gli occhi a mandorla verso il soffitto.

Guardo il letto di Adam e vado a sedermi sopra, accarezzando lentamente le coperte. Sono sicuro che quella sensazione di freddo sotto le mie dita la sente anche Selene. Il mio corpo rabbrividisce istintivamente e so che anche Selene sente il freddo sul suo corpo; che sente il tessuto sotto le mie dita.

< Adam è una pezzo di merda. Davvero. Non riesco a capire come sia stato selezionato per questa missione. Voglio dire... guarda qua, Will. >

Continuo a toccare il tessuto della coperta.

< Cazzo, guardami, testa di cazzo... >

Lancio un'occhiata a Kenji.

Lui mi guarda in silenzio, si tocca l'orecchio e indica la stanza. "Potevano scegliere me" dice poi, come se non avesse fatto nessun gesto strano.

Alzo un sopracciglio. Toccandosi l'orecchio e indicare ciò che ti circonda significa che qualcuno ti sta ascoltando, probabilmente usando dei microfoni. Sono piccoli segnali in codice che io e Kenji abbiamo iniziato a usare non appena si è arruolato nell'esercito. Io mi sono unito mesi e mesi prima di lui e so cosa sono capaci di fare questi stronzi. Dio solo sa quanti microfonini ho trovato ispezionando le stanze dei miei colleghi e quante piccole spie e telecamere sono piazzate in tutto l'edificio. Bisogna prevenire piuttosto che curare in questi casi. Una parola di troppo e sei fottuto. La gente fa subito domande qui, si chiede subito perché manca un soldato e tutti sanno che siamo sotto costante sorveglianza. Non è raro trovare un microfono nella stanza.

All'improvviso la voce di Selene arriva chiara e forte nella mia testa, uccidendo tutti i miei pensieri. < No, non ci sono microfoni. Tanto meno telecamere. Puoi dire a Kenji di stare calmo >

< Kenji, non ci sono microfoni. Perché dovrebbero mettere dei microfoni nella tua stanza? > dico, cercando di calmarlo. < Puoi rilassarti e parlare normalmente. >

Kenji rimane in silenzio per un po'. Poi si avvicina a me. < Non pensi che abbiano messo i microfoni qui? > mi chiede a bassa voce. < Tre soldati sono entrati qui l'altro giorno e non mi hanno fatto entrare per mezz'ora prima di uscire. >

< Controlli > Rispondo. Kenji costruisce spesso castelli mentali più grandi di lui. Se ci fossero state telecamere o microfoni, Selene mi avrebbe mandato da lui per parlare con la sua stanza? Grazie al suo potere - il potere di controllare qualsiasi cosa e chiunque, e di poter sapere tutto prima che accada -, non gli parlerebbe nel suo letto se ci fossero dei microfoni. < Ultimamente i livelli superiori hanno fatto molti controlli, su qualsiasi soldato di qualsiasi grado. Sono entrati anche nella mia stanza e, ovviamente, non hanno trovato nulla > Incrocio le braccia sul petto. < Penso che siano tutti tesi a causa della missione >

Kenji sembra rilassarsi a questa notizia. Si fida abbastanza di me ma si fida così tanto di Selene che si rilassa completamente. < Sì, chi non lo sarebbe. > Kenji mette le mani dietro la testa e guarda il soffitto. < Non riesco ancora a credere che stia realmente accadendo. Adam Kent...chi l'avrebbe mai detto. >

Alzo le spalle. < Non so come abbia preso questa decisione. >

< Non posso credere che abbiano scelto Adam, sul serio. Sai, penso che abbia pagati. Sai se ha pagato i livelli superiori? Gli ha fatto qualche favore? Non riesco proprio a capire come abbia potuto superare il test. >

< Beh, sicuramente non ha avuto un esaurimento nervoso durante i test. >

Kenji mi guarda male.

< E penso che si conoscano. > dico. < Voglio dire... Juliette e Adam Kent >

< Veramente? > Kenji mi lancia uno sguardo confuso < Lui e quella ragazza si conoscono? Com'è possibile? >

< Per quanto ho capito, sì, ma non ne sono sicuro. Non posso confermarlo. Tuttavia, se si conoscono davvero, questo ha sicuramente influenzato tutto. Warner forse ha preferito mandare qualcuno che Juliette conosceva, piuttosto che un perfetto sconosciuto. Avrebbe più senso >.

Kenji annuisce. < A volte mi stupisce come sappiamo spaventosamente poco di quella ragazza, eppure vogliamo ancora avvicinarci a lei. E se ci uccidesse tutti? E se iniziasse a toccare ogni persona, uccidendola all'istante? Che cazzo faremo a quel punto? >

Rimango in silenzio. Queste sono domande che mi sono già posto ancor prima che Castle annunciasse al punto Omega che aveva un piano per rapire Juliette dalle mani dei militari. E sono domande a cui Selene ha già pensato di rispondere per me, togliendo ogni dubbio. Avere il controllo totale di tutto a volte non è poi così male - come potere, non è male a dire la verità - ma a volte ti porta ad avere delle risposte che non vuoi sapere.

< Sai, quella ragazza mi spaventa un po'. > ammette Kenji dopo qualche secondo < Ma Castle ha buona fede in lei quindi non vedo perché guardarla con occhio storto. Non posso credere che un umana come lei abbia un potere simile >

"Sì, perché Castle è un pazzo, forse?" Annuisco e basta. < Se tocca qualcuno, esso muore... >

< Precisamente. È un potere incredibile, non credi? Voglio dire... Anche i nostri sono poteri incredibili - il potere del controllo è uno dei poteri più affascinanti che abbia mai visto - ma i suoi… > Kenji è veramente stupito.

< Da un grande potere deriva da una grande responsabilità. E il suo potere ha molte responsabilità > mi permetto di dire. < Sicuramente la sua vita non è facile >

< Quale vita è semplice, William? Anche la nostra non lo è.. >

< A quanto mi hanno detto, ha sempre vissuto in un manicomio. >

Non ha sofferto come pensi. Non ha sofferto come noi, William. Non provare empatia per una come lei, non se lo merita. >

< Se pensi a cosa succede in quei dannati posti, forse la tua vita non è stata così male in confronto >

Quello che ti hanno detto, non è del tutto vero. >

All'improvviso, un dolore lancinante mi attanaglia la testa. Emetto un gemito di dolore e mi porto subito le mani al viso. Il cervello sembra prossimo a scoppiare, la testa sta per rompersi e rilasciare tutto ciò che ha dentro. Gemo dal dolore e mi ricompongo, cercando di contenere il dolore che sta scuotendo il mio corpo.

< Oh, William- > Sento Kenji spostarsi sul letto e anche se non riesco a vederlo, sento le sue mani afferrare i miei polsi, stringendoli delicatamente. < Amico, che hai? >

Perché la tratti così? Non sai niente di lei, eppure hai pietà di quella ragazza. Sei ridicolo, lo sai? >

< Perché sappiamo entrambi cosa ha passato, Selene > riesco a dire. La sensazione che i miei occhi stiano per esplodere aumenta così tanto che devo premere i palmi contro di loro, come per impedire la loro esplosione.

< Con chi stai parlando? >

Il dolore sembra aumentare sempre di più e sono vicino alle lacrime quando, all'improvviso, tutto scompare. Un secondo stavo per piangere dal dolore e il secondo successivo, come se non fosse successo niente, il dolore è sparito. Ogni traccia di dolore, ogni fitta lacerante e la sensazione che la mia testa e gli occhi stessero esplodendo sono spariti. Come se nulla fosse successo; come se nessun dolore attanagliasse il mio corpo. Respiro affannosamente e per qualche secondo mi sembra di toccare il cielo con un dito. Poi tutto torna alla normalità, e riprendo coscienza di me stesso: sono seduto sul letto di Adam Kent, mia sorella ha intensificato così tanto il nostro legame da farmi quasi esplodere la testa e le mie mani tremano come foglie d'autunno.
Potrebbe andare peggio.

< Ehi, William.. > La voce di Kenji è un misto di dolcezza e preoccupazione.

Evidentemente, Kenji ha capito cosa è successo; del resto, non è la prima volta che mia sorella si diverte in questo modo, intensificando così tanto la nostra connessione mentale sensibile da farmi scoppiare la testa. Come ho detto prima, da grandi poteri derivano grandi responsabilità e purtroppo non tutti sono capaci di queste responsabilità. Soprattutto mia sorella, che si sente gelosa di ogni altro essere umano femminile che conosco. E che, come un bambino di tre anni, si diverte a torturarmi in questo modo quando presto attenzione alle ragazze. Sembra ridicolo che una ragazza chiusa in caveau sia gelosa di un'altra ragazza che vive in una stanza in un manicomio.

< Stai bene adesso? >

Lo guardo confuso. I miei occhi sembrano incapaci di mettere a fuoco il suo viso, come se avessero bisogno di riabituarsi a vedere di nuovo. Distolgo lo sguardo, incapace di distinguere il suo volto. "Non hai idea del dolore che mi provoca" < Sì, sto bene. È stato solo un momento. >

< A Selene non piace parlare di Juliette? > Kenji cade in ginocchio e sospira. < Dovevo immaginarmelo...  > lo sento spostare di nuovo lo sguardo su di me. < Sei qui ora? >

Mi limito ad annuire e riporto lo sguardo su di lui. Questa volta la mia vista sembra funzionare un po' meglio: riesco almeno a vederlo, anche se la mia vista è un po' sfocata. Con il passare dei minuti la mia vista tornerà come prima e forse riuscirò anche a sentire il tessuto della coperta sotto le dita; forse mi accorgerò di nuovo del freddo che attanaglia questa stanza a causa della finestra aperta. Forse sarò consapevole di cose che prima non esistevano nemmeno per me.

< E perché non me l'hai detto prima che Selene ci stava ascoltando? >

< Perché vuoi saperlo? L'ultima volta che l'hai vista ti sei preso un bello spavento. O sbaglio? >

< Voi ei tuoi fottuti poteri > Kenji si alza e sospira. < Allora... lei è qui? Senti, puoi dirmelo, io non sono Juliette >

Lo guardo. Anche lui è consapevole della gelosia presente in mia sorella e, come ogni altro essere umano, non può far nulla per fermarla. Dio solo sa quante volte le ho detto di non preoccuparsi, che Juliette non sarebbe mai stata un problema per me e per la nostra missione. La mia curiosità è spinta solo dal fatto che finalmente, dopo anni di pura solitudine e confusione, stiamo per incontrare una persona con un potere simile al nostro; un potere con la stessa intensità del nostro. Questo mi affascina molto, perché per la prima volta nella mia vita sto per incontrare una persona con un potere simile al mio; e Selene, considerata l'arma primaria del Punto Omega, sta per incontrare un'arma altrettanto letale. Dovrebbe esserne felice, ma l'unica cosa che percepisco in lei in questo momento è rabbia e gelosia.

< William..? >

< Lei è qui, Kenji, se vuoi saperlo. È qui con me da quando mi hai incontrato nel corridoio, se vuoi saperlo. > dico dopo qualche secondo. < E lei ha bisogno di parlare con te. Ha bisogno di dirti alcune cose, gliel'ha chiesto Castle. >

Kenji mi guarda confuso.

< Castle è piuttosto preoccupato per Juliette e vorrebbe parlarti di alcune cose. Ha chiesto a Selene di aprire un collegamento con te, così da poterti parlare e dirti cosa lo preoccupa di più >

Kenji annuisce. < Non capisco cosa lo renda così preoccupato >

"È un pazzo malato di mente, te l'ho già detto"

< Ma va bene. Vai avanti... > gesticola Kenji. < Fai quello che devi fare. >

Annuisco. "Selene.."

Sono pronta. Sdraiati >

Mi viene quasi da ridere ma mi sdraio frettolosamente sul letto di Kent. Se fossi seduto o in piedi, probabilmente cadrei. Scambiare la mia coscienza con quella di mia sorella è un processo estremamente delicato e se non prendi le giuste precauzioni finisci per farti male o peggio, rimani senza coscienza. Un singolo cambiamento, anche un solo colpo da una caduta, può allontanare la tua coscienza e ci vorrebbero giorni prima che tu possa ritrovare il tuo corpo. E non lo dico tanto per dire, ma perché sono cose che ho già provato sulla mia pelle. Lo scambio di coscienza è uno dei tanti poteri che io e mia sorella abbiamo in comune ma, a quanto pare, è anche quello più duro e sconosciuto: nessuno ci ha insegnato a farlo, nessuno ci ha insegnato a tornare al nostro corpi perfettamente, nessuno ci ha detto come fare le cose per bene. Ma lo abbiamo sempre fatto, anche da bambini. Prima che i nostri genitori ci abbandonassero, incapaci di capire quali poteri e quale tipo di sangue demoniaco scorresse nelle nostre vene, era una delle cose che facevamo più frequentemente.
Lo scambio di coscienza è l'unico modo in cui posso avere mia sorella vicina.

Allora mi rilasso e chiudo gli occhi, svelando quella che è una delle mie abilità più complesse. Se solo non avessi rivelato questa capacità a Castle, probabilmente sarebbe Kenji a rischiare la vita. Perché è questo che significa essere il messaggero del punto Omega con Kenji. A quanto pare, non c'è altro modo per poter portare le informazioni del punto omega al campo militare se non in questo modo: o io, scambiando la mia coscienza con quella di mia sorella, le faccio riferire tutte le informazioni che le sono state date da Castle all'interessato; oppure Kenji che, sfruttando il suo potere, torna alla base e parla con Castle. Ad ogni modo, lo scambio di coscienza è la tecnica preferita di Castle: nessuno deve spostarsi da nessuna parte, Kenji non deve scomparire dal campo militare per diverse ore e non c'è problema se qualcuno viene catturato. Ma è anche la tecnica preferita di Castle perché così io e mia sorella possiamo allenare i nostri poteri e, secondo Castle, è un ottimo modo per allenarli.
Ogni possibile stronzata diventa per lui un buon modo per allenare i propri poteri. Ma prima o poi capirà che questa è solo una stronzata.

Mentre penso e ripenso a cose futili, sento il mio corpo diventare sempre più leggero e distaccarsi dalla carne. Nessuno sa cosa significhi, ma è una delle migliori esperienze. Sentire la propria anima staccarsi, liberarsi da un corpo umano, è un'esperienza che consiglio a tutti. In genere è paragonabile all'esperienza della morte: l'anima che lascia il corpo, lo lascia marcire. Ma in questo caso niente marcisce, non fa nemmeno in tempo perché un secondo dopo aver acquisito una leggerezza infinita, mi ritrovo catapultato in un altro corpo e torna la pesantezza. Arriva la consapevolezza di aver acquisito un nuovo corpo, trascinandomi giù.

E poi apro gli occhi, ritrovandomi tra le mura familiari del caveau dove è tenuta mia sorella. Mi guardo intorno e tutto sembra muoversi lentamente e sembra raddoppiarsi davanti alla mia vista. Ma è normale. È normale che mi senta stordito, confuso... ho appena cambiato corpo, mi sono appena impossessato di un corpo diverso dal mio e devo abituarmi a questo nuovo corpo; Devo abituarmi alle cose nuove intorno a me.

< Will..? Will.. ci senti? >

Guardo con difficoltà verso la porta a vetri che separa il caveau dal corridoio di sicurezza. Noto che dietro la porta ci sono Sonya e Sara che, immobili ai loro posti, stanno parlando al microfono collegato al caveau. Mi guardano impassibili, un po' preoccupati a dire il vero; soprattutto Sonia. Sento la preoccupazione vibrare dal suo corpo.

Quindi Sara preme il pulsante del microfono e la sua voce arriva forte e chiara. < Will, sei entrato nel corpo? Sei cosciente? >

Annuisco e guardo in basso, notando che sono sdraiato e che al posto del mio petto ho un seno. Sposto immediatamente lo sguardo sulle mie mani e le sollevo davanti al mio viso, guardandole attentamente. Sono le mani di mia sorella, sono le sue manine, lunghe e delicate. Lo scambio di coscienza è avvenuto perfettamente. Allora mi alzo a sedere e mi guardo le gambe, guardo i pantaloni che Selene ha deciso di indossare. Li vedo chiaramente, sono grigi chiaro e morbidi al tatto. Mia sorella odia i tessuti duri o troppo sintetici, non li indosserebbe mai. Noto che indossa una maglietta bianca di cotone e io mi affretto a sistemarla, coprendomi bene.

Sento Sonya dire qualcosa ma le mie orecchie sembrano non capire. Improvvisamente mi sento stanco ma è normale. Dopo aver effettuato uno scambio di coscienza, si è stanchi e provati. Probabilmente mia sorella si sente benissimo; lei è molto più forte di me, sia psicologicamente che fisicamente. Dopotutto, il suo potere è più forte del mio, e non sarei sorpreso se Selene non sentisse la mia stanchezza. Non sarei sorpreso se stesse parlando a bassa voce con Kenji o se fosse, forse, appesa alla finestra della sua camera da letto. Dopotutto, stare rinchiusa in questa stanza la annoia moltissimo e la fa solo arrabbiare. A volte scambiamo le nostre coscienze solo così lei può stare fuori per un po' e godersi la vita all'aria aperta; ea volte le lascio prendere il mio corpo, così può sapere com'è parlare con qualcuno senza ucciderlo. Il potere di controllo è forte, ma una volta che cambiamo corpo, i nostri poteri si annullano: non posso usare i miei poteri se sono nel suo corpo, e lei non può usare i suoi se è nel mio corpo. È strano ma è decisamente meglio così; se fosse in grado di usare i suoi poteri nel mio corpo, non potrei permetterle di scambiare la nostra coscienza. I nostri poteri sono troppo grandi e lei, purtroppo, non ha ancora imparato a usarli. Tenerla lontana dagli altri, rinchiusa in una camera blindata, è l'unica salvezza che abbiamo.

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno - Selene ***


Non so da quanti secondi, minuti, ore sto fissando questo muro familiare della mia stanza. Non so come, ma i miei occhi non si sono ancora stancati di fissare questa parete a me fin troppo familiare. Ne osservo la terra viva, le pietre un po' più in rilievo, alcuni radici che sembrano uscire dal terreno; osservo come odori di terra, come sappia di freddo e di come sia secca, dura come la vera pietra. Potrei guardarla per ore intere, per giorni interi, e non mi stancherei mai. Perché ormai mi sono abituata a farlo. Mi sono abituata a fissare le cose per tanto tempo, senza dire una parola, senza muovermi e senza respirare. Potrei osservare la terra per ore, senza muovermi o parlare, iniziando a vedere cose che nessuno vede, e comunque non mi stancherei.
All'inizio mi era difficile, quasi impossibile. A 6 anni, non è semplice stare fermi e tantomeno è semplice rimanere in silenzio o a giocare a quanto riesci a trattenere il fiato prima di svenire. Ma adesso le cose sono un po' cambiate e ho capito che non c'è molto che io passa fare se non stare immobile in questa stanza; nella mia stanza.
Se solo qualcuno mi lasciasse uscire. Se solo potessi uscire, fare due passi, prendere un respiro. Tutto sarebbe diverso. Ma sono qui perché sono la peggior minaccia del mondo, perché se uscissi fuori probabilmente darei di matto e probabilmente il mio potere prenderebbe il sopravvento. Ma non sono una minaccia. Non lo sono mai stata. Non ho mai fatto male a nessuno in questi 13 anni di permanenza al Punto Omega. Più o meno. 

< Selene >

Mi volto verso la voce e mi ritrovo davanti le due sorelle guaritrici del Punto Omega: Sara e Sonya. Le due ragazze sono immobili dietro il vetro che mi divide da loro e mi fissano, come se fossi qualche sorta di esperimento o come se fossi la minaccia peggiore del mondo. Forse lo sono. Forse sono qualcosa che il mondo non è ancora pronto a condividere, che non è pronto ad avere a che fare con me. Lo capisco, da un certo senso. 

Mi alzo immediatamente sulle punte dei piedi e mi affretto a correre verso il mio letto. Mi ci metto a sedere e porto le ginocchia al petto, continuando a fissarle. Dentro di me sento agitazione, ma non sono io a provarla. Quella che sento è l'agitazione di mio fratello; non sono io a sentirmi male, non sono Sonya e Sara a farmi stare male; sono semplicemente le emozioni di mio fratello che, attraverso la connessione sensibile, passano a me come se fossero collegate con un ponte. Grazie alla connessione mentale sensibile, ogni emozione, sensazione o minima cosa trapassa da me a lui. E William è arrabbiato, confuso, agitato ed è così tante cose che sta venendo da vomitare anche a me. Per questo evitiamo di usare la connessione sensibile: perché fa male ad entrambi, in un modo o nell'altro. O almeno, fa male a me. A differenza sua, non sono debole quanto lui e riesco a controllare le mie emozioni. 

Io, per esempio, non provo niente. Quando mi ha raccontato della missione, William era veramente arrabbiato. A me non importa molto. William mi ha detto che un certo Adam Kent andrà a vivere con un'altra bomba atomica pericolosa quasi quanto me. La cosa è a dir poco affascinante. Ma erano cose che sapevo già. Il mio potere mi aveva fatto scoprire queste cose anni e anni prima che accadessero e questo mi ha portato a non avere una vera reazione alle sue parole. 

Certe volte mi dico che io e Juliette siamo fin troppo simili: entrambe rinchiuse, entrambi troppo sottomesse per ribellarsi ed entrambe lontane da tutti e da tutto. Ma c'è una differenza: Juliette sta per incontrare qualcuno - un ragazzo che conosce quasi bene come i palmi delle sue mani - mentre io non vedo un essere umano da secoli. Mio fratello è l'unica eccezione. Ma va bene così. So che se incontrassi qualcuno, le cose potrebbero sfuggirmi di mano. Potrei emozionarmi seriamente e se una persona come me, con questo potere, si emoziona, succede un casino. Kenji lo sa bene. 

Mi viene quasi da ridere. Già, Kenji.. sciocco da parte sua avvicinarsi così tanto a me. Mio fratello William ci sta parlando adesso e se mi concentro appena, riesco a sentire cosa stanno dicendo. Ma non mi va. Non ho molta voglia di vedere Kenji, non dopo l'ultima volta. Kenji ha fatto un errore e io non sono brava a perdonare le persone. Mi ha sottovalutato. Ha sottovalutato me e il mio potere. Solo una persona come lui, ingenua come lui, sottovaluterebbe il potere del controllo. Non sa cosa significa avere questo potere, nemmeno mio fratello William sa cosa significa avere questo potere ma almeno lui non mi ha sottovalutata. Kenji non sa cosa significa avere il potere del libero arbitrio nelle mie mani. Non sa cosa significa avere il potere di poter controllare il mondo intero. Se solo lo volessi, potrei cambiare le sorti di tutto il mondo e piegarlo a mio favore; se solo lo volessi, potrei dare una sbirciata alle sorti del mondo stesso e ridere per come ogni cosa andrà. 
Beh, a dire il vero è qualcosa che ho fatto. Sono una persona curiosa per natura e non posso biasimarmi. Ciò che ho visto non mi piace - ciò che ci aspetta, non è un futuro roseo e fiorito - ma chi sono io per cambiare le sorti del mondo? Vedere ciò che accadrà non implica che voglia anche cambiare ciò che accadrà.  

< Selene.. >

Mi giro verso le due ragazze e le guardo. Loro mi guardano impassibili, senza dire una parola. Se mi concentro, riesco a percepire la loro paura. E beh, forse anch'io avrei paura a stare davanti ad un soggetto come me. Perché loro, come Castle e ogni abitante del Punto Omega, sanno di cosa sono capace. Del resto, non è difficile da comprendere: ciò che voglio che accada, accade senza che io abbia bisogno di formulare una frase o di fare mosse specifiche con il corpo. Se solo pensassi che i loro cervelli scoppiassero davanti a me, esso succederebbe; se pensassi che Sonya saltasse alla gola di Sara e Sara staccasse il cuore dal petto a Sonya, questo succederebbe. Il mio potere è di gran lunga più forte di quello di mio fratello. Io non sono come lui, debole come lui, che deve formulare sempre delle frasi per far nascere il suo potere. A me basta un pensiero, un'idea, un desiderio per far si che ciò accada. Se solo volessi, con il solo pensiero potrei distruggere questo posto. Ma mi contengo. Con il tempo ho imparato ad apprezzare ciò che ho e questa è la mia famiglia. Le prime persone che mi hanno dato una casa.
E sono le stesse persone che mi hanno rinchiuso in questa stanza. Lontana da chiunque, lontana da mio fratello, lontana dalle persone che vivono nel Punto Omega, come se fossi una minaccia. Come se fossi la peggior cosa che Dio a fatto nascere su questa terra. E sono le stesse persone che pretendono che io non desideri che il loro cervello esploda. Pretendono che non desideri che questo posto crolli e si distrugga; pretendono che non voglia strappare i loro arti ad uno ad uno: Pretendono che non brami dalla voglia di usare il mio potere. 

< Selene, William è lì con te, adesso? > 

Mi chiedono se William sia qui con me. Non mi chiedono se sto bene. Non mi chiedono come ho passato la giornata, se ho fatto qualcosa, se ho mangiato. Non mi chiedono perché fino ad ora stessi guardando il muro della mia stanza con occhi vuoti. Non mi chiedono niente, come se non fosse importante.  Non mi danno la soddisfazione di rispondere alle loro domande. A dire il vero, non mi chiedono niente perché non gliene importa niente. Perché hanno paura della mia parola. Se parlassi, potrei usare i miei poteri.. e Castle potrebbe arrabbiarsi.
Cazzo, certe volte vorrei che-  no. Mi blocco. Il pensiero e potere e non posso permettermi di avere questi pensieri. Cazzo, non posso nemmeno pensare. Che vita di merda è questa? 

Annuisco lentamente e rabbrividisco all'improvviso. Il freddo gelido mi sta colpendo nelle ossa. Ma nella mia stanza non ci sono finestre. Così chiudo gli occhi e posso vedere mio fratello davanti alla finestra della camera di Kenji. Essa è aperta e sta entrando il vento freddo. Aria fresca. Che bella. Sono secoli che non sento dell'aria fresca che mi sfiora il viso, le ossa, la pelle. Dell'aria che mi fa sentire viva, che mi fa sentire come se importassi qualcosa. Stando qui, non si sente niente se non il respiro della terra. E non è così bello come si pensi.
Certe volte vorrei poter avere una finestra nella mia stanza, così da  poter vedere il mondo che c'è al di fuori. Sono sicura che Juliette abbia almeno una finestra nella sua stanza. Sono sicura che quella ragazzina può vedere il mondo al di fuori della sua finestra. Io non posso vedere nemmeno quello. Non posso nemmeno dire "Merda, oggi piove" oppure "Che bello, oggi c'è il sole". A dire il vero, non posso nemmeno parlare. Se solo dicessi "c'è il sole", il cielo si aprirebbe e un sole abbagliante comparirebbe. 
Capisci quanto è grande il mio potere? Quanto è grande quello che scorre nelle mie vene? E io devo vivere come una prigioniera per colpa di persone che hanno paura di me, per colpa di persone che hanno paura della mia lingua e del mio pensiero. Che hanno paura di qualcosa che io non ho mai voluto avere. 

< William come sta? > chiede Sonya a mezza voce. < La connessione lo rende instabile? > 

< William è... confuso. > la voce mi fa male. Non sono abituata a parlare, non sono abituata a rispondere a delle domande. Generalmente passo il mio tempo in silenzio. Non parlo con nessuno, perché non ho nessuno. Non parlo nemmeno quando Castle mi chiede di parlare, quando mi dice che devo dare ogni tanto sfogo alla mia voce per farmi sentire da qualcuno. Lui ha paura di me ma, allo stesso tempo, pretende di non averne. < Per colpa della connessione mentale, è un po' confuso. > Non so se sto formulando le frasi nel modo corretto. A forza di stare in silenzio, non so se sono ancora capace di parlare per bene. Penso sia ridicolo il fatto che non abbia nessuno con cui parlare, che non abbia nemmeno la capacità di formulare le parole e di dargli voce. Ma non parlerò da sola. Non me lo permetterò. Quando i miei ci abbandonarono al manicomio e i medici mi misero in una stanza, isolata da chiunque, iniziai a parlare da sola. Adesso non riesco a parlare da sola. So che se iniziassi a parlare nuovamente da sola, mi ricorderei gli anni vissuti nel manicomio. E non voglio farlo. Non posso permettermelo. <  Ma non.. più di  tanto. >

< E tu come stai, invece? > 

"Vorrei gettarmi da un ponte per mettere fine a tutto questo." < Bene, credo. > "Non sono un oggetto, non potete usarmi per i vostri scopi del cazzo, tenendomi rinchiusa qui come se fossi un animale. Permettetemi almeno di uscire da questo posto, di prendere una boccata d'aria." < Sono stabile. > Abbasso improvvisamente lo sguardo sulle mie mani. Mio fratello sta accarezzando la coperta e lo sento sotto le dita. Rabbrividisco istintivamente: è un tessuto sintetico. Lo detesto. 

Poi, all'improvviso arriva un pensiero condiviso. Mio fratello è nuovamente confuso. Cazzo, lui è la confusione in persona. Ma stavolta non per colpa sua. Tenendo gli occhi chiusi, vedo ciò che mio fratello può vedere con i suoi occhi neri come il carbone: vedo Kenji che si tocca l'orecchio e che indica la stanza intorno a sé. Che cosa sta facendo? E poi eccolo lì, un altro pensiero condiviso. Dovrebbe essere un segnale: vuole dire che qualcuno li sta ascoltando. Che Kenji stia parlando di telecamere e microfoni? No, impossibile. Non ce ne sono. E lo so perché è il mio potere a dirmelo; è il potete del controllo a dirmelo. Se voglio avere il controllo di una situazione o di un certo oggetto, acquisisco tutte le informazioni su esso per farlo mio. Per esempio, se voglio prendere possesso di una situazione, ricevo informazioni sul contesto, sulle persone presenti e sul soggetto principale della situazione. Una volta avvertii mio fratello della presenza di alcuni microfoni nella sua stanza, solo perché avevo preso controllo della sua stanza. In questo momento so benissimo della presenza e delle caratteristiche di ogni oggetto presente nella camera di Kenij e di Kent: il letto di Kenji ha il materasso quasi sfondato, perché non fa altro che girarsi e girarsi quando dorme; Kent ha un letto normale ma logorato da tracce di pelle,  perché dorme quasi del tutto nudo; hanno un problema di muffa, presente nel soffitto; i loro armadietti sono funzionanti, ma quello di Kenji puzza perché il coglione non simpatizza per l'igiene o non pensa che sia una cosa importante ma lo fa solo per infastidire i suoi colleghi della Restaurazione. Nella stanza c'è una finestra, che dalla piazza principale del campo; hanno una scrivania, per una persona, piena di fogli personali. Sono fogli del tutto falsi: quelli di Kenji sono falsi, perché deve tenere la sua identità nascosta alla Restaurazione, e quelli di Kent non sono completi ma nessuno ci ha mai fatto caso. E c'è una porta, che li divide da un lungo corridoio. Ma non ci sono microfoni e tantomeno telecamere. 

< No, non ci sono microfoni. Tanto meno telecamere. Puoi dire a Kenji di stare calmo > dico, rivolta a nessuno, e apro gli occhi. Guardo le due sorelle, che stanno ancora scrivendo qualcosa sul loro tablet. Se solo volessi, potrei sapere cosa scrivono: dovrei controllare la loro vista e allora vedrei tutto ciò che hanno scritto. Ma non voglio farlo. Non me ne frega, ad essere sincera. Non voglio sapere cosa scrivono di un essere umano che reputano un esperimento. 

E poi eccolo, un pensiero, una parola di troppo. Mio fratello William sta parlando a Kenji di Juliette. Stringo i pugni mentre lo sento dire che la vita di quella ragazzina non è stata facile. Perché la nostra lo è stata, William? Vorrei chiedergli. Ma sto zitta e lascio che il nervosismo salga dentro di me. In confronto a quella di Juliette, la nostra vita è stato un fottuto schifo. Qualcosa che non augurerei mai a nessuno. Quando mia madre ci ha partorito, è caduta in depressione e cercava di convincere mio padre che noi eravamo diversi che eravamo malati. A un anno di vita, entrambi i nostri genitori iniziarono ad avere paura di noi e ci divisero per la prima volta, annullando i nostri poteri: insieme, eravamo due forze della natura inseparabili. Mi ricordo ancora quando i miei genitori entravano in camera mia e pregavano ai piedi del mio letto, chiedendo a Dio di fare uscire il demone che secondo loro viveva dentro di me. Pregavano Dio, Gesù e la Madonna perché fossimo normali e ci hanno anche battezzato. Siamo stati abbandonati a 3 anni dai nostri genitori, il giorno del nostro compleanno, perché i nostri poteri erano così forti che non potevano più fermarci con le urla e con le lacrime. "Vai, in questo posto ti daranno tutte le caramelle che vuoi. Hanno anche la torta del compleanno." mi disse mia mamma e ci spinse quasi dentro l'ospedale psichiatrico. Quella struttura non era fatta per accettare i bambini ma ci presero subito. Forse capirono che eravamo da rinchiudere. Ci hanno sottoposto all'elettroshock, ci hanno sottoposto a terapie di acqua bollente e acqua gelida dai tre anni ai cinque. E ci hanno divisi, così che i nostri poteri fossero deboli. Qui abbiamo scoperto di avere una connessione sensibile. 
Poi, per qualche motivo che non mi è ancora chiaro, il manicomio è chiuso e ci hanno buttato per strada, senza curarsi del fatto che eravamo piccoli e incapaci di vivere da soli. Siamo sopravvissuti ad ogni cosa perché a sei anni avevo già pieno controllo dei miei poteri: entravo in un negozio di alimentari e obbligavo le persone a darci da mangiare, controllando il loro corpo e il loro pensiero; obbligavo le donne che ci passavano accanto ad entrare in casa loro e a darci dei vestiti, a farci usare i loro bagni per qualche doccia e a darci qualche pezzo di pane. Ricordo che una volta ero così disperata che usai il mio potere per far piovere e io e mio fratello fummo capaci di farci il bagno per la prima volta in una settimana e mezzo. Eravamo messi davvero male, fin quando Castle non ci ha trovato. E ci ha portato qui, al Punto Omega. E Beh, qui William non sembra trovarsi così male.

Ma non posso sopportare il fatto che dica che Juliette abbia avuto una vita difficile. La nostra è stata difficile, la sua in confronto è stata una fottuta passeggiata in bicicletta d'estate. 

< Non ha sofferto come pensi. Non ha sofferto come noi, William. Non provare empatia per una come lei, non se lo merita. > dico e la voce quasi mi trema dalla rabbia. Se lei avesse sofferto quanto ho sofferto io, quanto abbiamo sofferto noi, allora sono sicura che William potrebbe dirlo. Ma no, il massimo che Juliette ha sopportato è stato qualche urlo e il rifiuto da parte dei genitori; non ha sofferto. William dovrebbe smetterla di fare l'empatico. Quella è una figura che non gli si addice. < Quello che ti hanno detto, non è del tutto vero. >

Ciò che William ha sentito su di lei sono voci di corridoio. Io, a differenza sua, so cose che nessuno sa - so cose che nemmeno la Restaurazione sa su di Juliette. Perché ultimamente lei ha iniziato a far parte della mia vita più di quanto volessi e questo mi spaventa. Quasi mi urta il sistema nervoso.
Cos'ha di speciale una ragazza che ha il tocco mortale? Dovrebbe essere studiata da qualcuno di bravo, non tenuta in cattività come viene tenuta adesso, in questo momento. E nessuno dovrebbe provare pietà per lei; nessuno dovrebbe provare pietà per una persona che ha ucciso un bambino e che, in un futuro prossimo, ucciderà centinaia di persone. Una persona che arriverà a fare del male anche ai suoi stessi amici. William mi sta facendo davvero arrabbiare con le sue parole. E forse, senza rendermene conto, la mia rabbia si riversa sulla nostra connessione sensibile, accentuandola. Non lo faccio apposta forse, ma anch'io ho delle emozioni. Anch'io certe volte non riesco a contenermi. Anche se Castle mi ha definito "speciale", so che anch'io sono umana. 

< Perché la tratti così? > voglio sapere. < Non sai niente di lei, eppure hai pietà di quella ragazza. Sei ridicolo, lo sai? > 

Nessuno sa che razza di mostro è quella ragazza. 

< Perché sappiamo entrambi cosa ha passato, Selene >

Stringo i pugni e le mie nocche diventano bianche. So cos'ha passato ma so anche che quello che abbiamo passato noi e non si può mettere queste due situazioni a confronto. Non mi sembra giusto che lui sia empatico per lei in questo momento. Non mi sembra giusto che lui provi pietà per una ragazza come lei e non per sua sorella, che sta chiusa in una cazzo di cella da quando Castle ci ha trovato. Non posso credere che non provi empatia per sua sorella, che viene trattata come un'esperimento. Che viene vista male da tutti, che non ha amici. Che viene trattata come una cazzo di bomba atomica. Nessuno qui parla di me o osa parlare di me, perché hanno tutti paura che possa fargli qualcosa.  

< Selene. >

Mi volto verso le sorelle e il nervosismo sparisce. Sparisce ogni cosa, perché mi hanno riportato alla realtà. E vorrei urlare, vorrei scoppiare dalla rabbia e vomitare tutte parole d'odio e di rabbia verso di loro e far esplodere questo posto di merda. Ma sono tranquilla. Adesso non sento più niente dentro di me. Sono rilassata e sono concentrata. 

< Sei pronta per scambiare le vostre coscienze? Voi che chiamiamo Castle? >

Scuoto la testa. L'ultima cosa che voglio è chiamare quel pazzo. Lui è colui che mi ha messo qui, che mi ha rinchiuso in questa stanza dicendo che sono un pericolo; e che vuole portare Juliette qui, il vero pericolo, e farla vivere con i civili. Vorrei proprio sapere che cos'ha lei in più di me. Che cos'ha lei in più di me per stare libera? Siamo entrambe pericolose, siamo entrambe due bombe atomiche. Siamo entrambe delle armi letali. Ma a lei verrà lasciato il permesso di camminare per i corridoi, sapendo che potrebbe uccidere qualcuno - sapendo che sicuramente farà male a qualcuno - e potrà mangiare con gli altri. So che le cose non si metteranno bene se verrà lasciata a piede libero, so che farà male a delle persone ma nessuno mi ascolterà. Nemmeno se lo urlassi. Castle ignorerà le mie parole. E forse è anche per questo che spesso non parlo con lui. Forse è per questo che spesso decido di stare in silenzio e non dire niente a nessuno. Perché so che nessuno mi ascolterebbe, so che a nessuno importerebbe.

< Selene.. >

Mio fratello è pronto. Lo sento. Dobbiamo scambiare le nostre coscienze perché a quanto pare Castle vuole che riferisca qualcosa a Kenji. Qualche giorno fa Castle, infatti, è venuto da me per parlare di questo piano. Vuole rapire Juliette per farla unire alla ribellione, al Punto Omega. Gli ho detto che era un buon piano e che era interessante. Tuttavia non ne è certo di come le cose potranno andare. Naturalmente, in questo piano sono convolti sia Kenji che William; sono coinvolte molte persone, a dire il vero, e queste persone potrebbero rischiare la vita. Castle mi ha chiesto se sapessi qualcosa, se avessi già dato un'occhiata al futuro con il mio potere. Non gli ho detto e non gli darò la soddisfazione di sapere come andranno le cose. Quando è venuto qui, sapevo che l'aveva fatto solo per chiedermi cosa succederà, se le cose andranno come pensa che andranno. E io non gli ho detto niente. Naturalmente, non era contento della cosa. Dirgli tutto sarebbe più facile; dirgli tutto sarebbe come fargli uno spoiler di come andranno le cose nel nostro mondo. 

< Fammi uscire. > gli ho detto. < E ti dirò per filo e per  segno cosa succederà. >
Lui mi ha riso e per farla breve ha detto che non era possibile, che se mi tiene qui dentro è anche per il mio bene. In realtà, ha usato un sacco di paroloni e un tono dolce ma il succo del discorso è questo. Allora mi sono zittita e mi sono rannicchiata nel mio letto, impedendo al mio cervello di pensare a cosa avrei voluto fargli per avermi riso in faccia. Mi sono dovuta controllare davvero tano per evitare che qualcosa gli accadesse. Spesso non è così semplice. Certe volte mi arrabbio per nulla, per niente. Ho un sacco di rabbia dentro.  

Mi sdraio sul letto. < Sono pronta. Sdraiati. > 

Chiudo gli occhi e lascio le mani sui fianchi, rilassandomi. Per quel che mi riguarda, potrei stare anche in piedi ma se mi sdraio, è per mio fratello. Non essendo forte quanto me, se si risvegliasse col mio corpo in piedi, cadrebbe a terra. Del resto sono stata una stronza per aver accentuato al nostra connessione mentale e adesso si merita un buon risveglio. Più di una volta è caduto durante il risveglio dello scambio di coscienza e ho passato giorni, settimane senza la sua presenza al mio fianco prima che ritrovasse il suo corpo. Quella è un esperienza che non raccomando a nessuno. Lo scambio di coscienza è l'unico modo in cui posso avere mio fratello vicino; è l'unico modo che mi rende viva. Gli sto facendo un favore. Mi sto facendo un favore.

Chiudo gli occhi e sento il mio corpo diventare sempre più leggero e distaccarsi dalla carne. Nessuno sa cosa significhi, ma è una delle migliori esperienze. Sentire la propria anima staccarsi, liberarsi da un corpo umano. Ma questa leggerezza palpabile finisce presto, mi ritrovo catapultata in un corpo e torna la pesantezza. Arriva la consapevolezza di aver acquisito un nuovo corpo. E vengo trascinata giù dal suo peso.

Apro gli occhi e guardo il soffitto della stanza. Lo scambio ha funzionato perfettamente. Volto lo sguardo e incontro lo sguardo di Kenji. Deglutisce nervosamente, si tira indietro sul letto e porta le mani alle ginocchia. Non capisco se sia terrorizzato o semplicemente confuso. Sicuramente è ancora terrorizzato da come è andata l'ultima vota che mi ha incontrato, al Punto Omega; ricorda ancora cos'ha provato e che dolore ha portato con sé per giorni e giorni. Non doveva sfidarmi

< William..? >

Mi tiro a fatica su dal letto e mi guardo intorno. Ci vedo perfettamente anche se ho una miopia accentuata. La vista di mio fratello è perfetta e adesso la sua vista è diventata la mia. Noto che non mi gira la testa, che non ho mal di pancia e che non mi sento stordita. Mi guardo le mani e sospiro. Il corpo di mio fratello è più peso del mio ed è ben diverso; sento ogni cellula che si muove, gli intestini contorcersi. Sento che con la sua forza potrei spostare le montagne. Dio, se solo avessi il suo corpo...

< No. > Finalmente parlo. La voce è quella di mio fratello, ma almeno sono capace di parlare. Di formulare frasi perfettamente. < Cazzo, è un piacere rivederti, Kenji. > dico sincera e lo è davvero. Mi mancato molto. Una persona come lui manca alle persone. Ogni tanto mi faceva visita, ma questo prima di unirsi alla Restaurazione come spia. Prima che mi sfidasse. < Sono mesi che non ti vedevo.. Mi chiedevo se fossi ancora vivo > 

Lui deglutisce nervosamente. < Selene.. > 

< Già. > mi tiro a sedere e poi mi alzo in piedi. Barcollo appena, avvertendo il peso del corpo.

Kenji si alza subito. Mi afferra per le braccia e mi guarda negli occhi. Essi tremano. < Stai un attimo seduta, percepisci il tuo corpo. Funziona così, no? >

Lo guardo e rimango in silenzio senza nemmeno accorgermene. Sono così abituata a stare in silenzio che non nemmeno parlare. < No. > dico poi. L'unica cosa  che mi interessa è andare alla finestra, sentire il freddo del vento sul collo e sentire come esso mi rende viva. Così lo sposto, mi dirigo alla finestra e prendo un respiro di aria fredda. Sorrido perché è una sensazione bellissima. La sensazione che sia ha quanto freddo ti sbatte in faccia e che effetto fa sul tuo corpo, sulla tua pelle. È una sensazione vera, bellissima. La raccomanderei a chiunque. Poi ricordo che tutti tranne me possono provare questa sensazione.

< Non stare troppo alla finestra. > dice lui. < Potresti ammalarti. >

Pensa che me ne freghi qualcosa? Mio fratello si ammalerà, non io. È il suo corpo, non il mio. 

< E poi stanno per annunciare il coprifuoco, non abbiamo molto tempo. >

< Non dovrebbe essere un problema per te. > Mi volto e lo guardo. Mi appoggio alla finestra, lascio che il freddo mi colpisca il collo e la schiena. È bello sentirsi vivi, impotenti davanti alla forza della natura, davanti al freddo di questi mesi. Vorrei poter vivere questa sensazione per sempre. < Hai rotto il coprifuoco troppe volte per potertene preoccupare. > rido appena quando vedo che è sconvolto. < Pensavi che non lo sapessi? A William piace parlare. >

< Lo so, ma in questo momento tu sei William. Non può trovarsi in una stanza di un subordinato quando il coprifuoco è sceso. > dice lui ed è seriamente preoccupato ma anche nervoso. < Le cose non si metteranno bene per lui. >

Annuisco e faccio una smorfia, piegando il collo. Forse adesso fa un po' troppo freddo. < Allora non ci resta altro che parlare. Giusto? > guardo le scarpe. Cazzo, sono scomodissime. Come fa mio fratello a portarle tutti i giorni? < Castle voleva dirti delle  cose. > mi passo una mano sulla fronte. < riguardo questo piano. >

Kenji annuisce. Adesso è seriamente preoccupato. < Cos'è che lo preoccupa? Abbiamo parlato più e più volte di questo piano, l'abbiamo studiato alla perfezione. Io.. non capisco. >

< Non è sicuro di come andranno le cose. > alzo le spalle. < Ognuno ha le sue insicurezze. >  

< E come mai? >

< Ha paura che le cose possano andare diversamente. Sai.. > mi tolgo dalla finestra e mi rimetto a sedere sul letto. Adesso fa troppo freddo, però. < Juliette sarà l'arma principale e segreta di questa base e.. > Tocco il tessuto del letto e rabbrividisco di nuovo. Porto le mani in grembo. < Beh, Warner l'ha presa per questo motivo > Warner è il capo del settore 45 o almeno credo. So di lui, so che persona è ma solo grazie a mio fratello. Quindi ciò che so è veramente poco: è capo "ufficiale" del settore 45, quello che governa su ogni cosa e su ogni persona presente in quel settore. Ma non so altro di lui e non mi interessa nemmeno saperlo. So che avrà a che fare con tutto questo, con tutta questa merda che accadrà, ma per ora non ho interesse nell'approfondire le mie conoscenze. Forse sbaglio. < Lui ha trovato il suo fascicolo per caso, si è interessato a lei e ha deciso di chiedere il suo trasferimento qui. Naturalmente, sa di cosa è capace Juliette e la vuole al suo fianco come arma primordiale da usare contro chiunque. Ed è pronto a difenderla con ogni mezzo e uomo. > 

Kenji deglutisce nervosamente. < E fin qui ci siamo. > 

< Juliette verrà sorvegliata giorno e notte. E per portarla via da qui, tu e mio fratello dovete starle vicina. Dovete avvicinarvi a lei, chiede a Warner il permesso per starle accanto. >

< E tu pensi che ce li darà? >

< Mio fratello farà in modo che ve li dia. > dico. < Userà il suo potere, o almeno ci proverà. Qualcosa, comunque, ne verrà fuori. Kent, comunque, le starà vicino e se tu sei suo amico, sono sicuro che Warner ti favorirà per stare vicino a Juliette. Tuttavia.. >

Kenji rimane in silenzio.

< Quando la porterete via da qui, tu dovrai renderla invisibile con il tuo potere. Ma per farlo dovrai toccarla... > 

Mi guarda.

< E non puoi. > 

< Toccherò il tessuto della sua maglietta o la sua spalla. Non è un problema. > dice lui. < E tuo fratello la obbligherà a venire con noi con la parola dell'obbligo. > È così che Kenji definisce il potere di William. Perché William non può esercitare il suo potere se non usando la parola. Dio, è davvero debole. < La obbligheremo a venire con noi. > mi guarda e adesso l'insicurezza gli cade addosso. Lo colpisce, schiacciandolo. < Perché il piano andrà così, vero? > 

Rimango in silenzio e abbasso lo sguardo sulle mani di mio fratello. Così grandi. Così forti. Potrebbe strappare la testa a qualcuno se solo volesse. Sono mani che non mi hanno mai tenuto la mano, mani che non mi hanno mai accarezzato i capelli o abbracciato. Che testa di cazzo. 

< Will- > Kenji si ferma in tempo per correggersi. Certe volte si sbaglia quando io e mio fratello ci scambiamo le coscienze. È normale: vedere il corpo di una persona e parlarne in realtà con un'altra. Non è l'unico a sbagliarsi. < Selene, il piano andrà così. Vero? > 

Rimango nuovamente in silenzio. Non posso dire niente. Non devo dire niente. Tutto ciò che dico, influirà sul futuro. Se certe volte non parlo, non rivelo le cose, è perché non posso farlo. Perché anche se non sembra, ho dei limiti che non posso superare. Ho delle cose che devo tenere lontane dalla bocca e dalla mente degli altri. 

< Selene- So che ci sono cose che non puoi dire, ma per favore- >

< Sapevi che Adam e Juliette si conoscono? > dico all'improvviso. E Kenji mi guarda confuso. William gliene ha accennato ma William non sa molto su questo. Io so, perché ho visto nel futuro, e so che questa è una cosa che posso dire. < Adam è stato scelto da Warner perché i due hanno fatto la scuola per sette anni insieme. Warner voleva qualcuno di familiare da inserire con Juliette. Voleva che ci andasse qualcuno che la conoscesse, qualcuno che lei potesse sentire vicino attraverso il ricordo. Per il resto, non c'è un vero motivo. > 

< E come lo sai? > 

Sorrido. < È il mio potere- > mi blocco e alzo un sopracciglio non appena sento il suono dell'allarme risuonare dentro lo stabile. Che cazzo di suono è?

< Merda, è il coprifuoco. > Kenji si alza e si mette le mani nei capelli. < Cazzo, devi andartene via da qua. Se ti trovano, William finirà veramente nella merda. Non sto scherzando. E se finisco io nella merda, va bene. Ma se finisce lui... >

< Ho capito. > A quanto pare è arrivato il momento di andarsene. Che palle. Mi piace parlare con lui, stare con lui. No, in realtà mi piace parlare con qualcuno. Mi piace stare con qualcuno. Sospiro stanca e mi sdraio sul letto. < Comunque andranno le cose, Castle dentro di sé ha paura che non funzionino. Quindi parla meglio con mio fratello, studiate meglio il piano e poi ditemi a che conclusione siete arrivati per rassicurare quel pazzo. Avete due settimane, poi l'esperimento con Adam Kent finirà e Juliette verrà portata qui. Da quel momento avrete qualche settimana per migliorare le cose e per entrare in contatto con Juliette. Non di più. > 

< Ma se il piano non funzionerà? > Mi si avvicina e mi prende la mano. La stringe. < Che succederà allora? >

Lo guardo e guardo la sua mano.

< Devo sapere se il piano funzionerà, Selene. Stiamo studiando questa cosa da fin troppo tempo per poter mandare tutto a puttane. > 

"Io ho mandato tutto a puttane, rivelandovi l'esistenza di una persona come Juliette e facendo venire strane manie di protagonismo a quel pazzo di Castle." < Kenji, lasciami. >

< Dimmelo, per favore- > Kenji ha la voce distrutta, come di chi è vicino a un crollo nervoso. Dio santo, questo ragazzo ha una crisi nervosa un giorno sì e l'altro pure. < Abbiamo faticato davvero troppo per rovinare ogni cosa. >

Lo guardo. Ora che ho buttato il baco, Kenji inizia ad avere davvero paura. Paura che tutto andrà a puttane. Ma tutto andrà a puttane. Il mondo andrà a puttane. < Sai, mio fratello è arrabbiato ed è impaurito quanto te. > No, non è vero. William ha molta più rabbia e paura. Rabbia, perché vorrebbe essere capace di avere il mio potere e dare uno sguardo al futuro per aiutare il Punto Omega. Paura perché non sa come le cose andranno. < Ha cercato di entrare in questa missione con tutto se stesso ma non gliel'hanno permesso. A quanto pare, si sente inutile perché sa che non arriverà a niente se non utilizzerà il suo potere. Si sente un fallimento. Per favore, non aggravare questa situazione, Kenji. > Chiudo gli occhi. < Non convincerlo che sta sbagliando tutto quello che sta facendo. Non ti conviene. > 

< Aspetta > Kenji mi stringe maggiormente la mano. Ora inizia a fare male. < Selene, parlami- >

Non lo ascolto nemmeno e interrompo lo scambio di coscienza. Come l'ho attivata, la disattivo immediatamente e torno nel mio corpo in un secondo. Arriva la leggerezza e in un secondo svanisce. È un processo un po' brusco, un po' doloroso per William ma non ne potevo più di Kenji. Non volevo sentirlo implorare un'altra volta per delle risposte che non posso dare. Apro gli occhi ed eccolo lì, il soffitto familiare della mia stanza. Mi volto e guardo le sorelle. O almeno ci provo ma gli occhi mi fanno troppo male. Mi tiro a sedere mi porto una mano sulla fronte. Sono stanca morta. Vorrei dormire per giorni interi. Non mi immagino come stia mio fratello.

Naturalmente, mio fratello non sa di cosa abbiamo parlato come io non so di cosa hanno parlato loro. È così che lo scambio di coscienze funziona: nessuno sa cosa accade nel corpo dell'altro durante la permanenza. Ancora non siamo capaci di stabilire una connessione mentale sensibile durante lo scambio di coscienze. E dato che William è debole quanto un bruco, non penso che ce la faremo mai. 

< Scambio riuscito. > dico poi a mezza voce. < Ho.. comunicato il messaggio a Kenji. > 

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Capitolo 3
*** Capitolo Due - William ***


ένας. 
È passato un giorno da quando Kent è stato mandato a vivere con Juliette. È passato un giorno, eppure la rabbia non mi ha ancora distrutto le viscere.
È passato un giorno da quando Kenji ha parlato con Selene. E ancora non so cosa si siano detti o cosa fasci la testa a Castle così tanto da permetterle di parlare con Kenji. Quel coglione non mi ha ancora detto nulla. Non so cosa aspetti a parlarmi, a dirmi qualcosa. Forse pensa che mia sorella mi abbia detto qualcosa, ma non è facile tirarle fuori le cose dalla bocca. Kenji dovrebbe sbrigarsi a vuotare il sacco. Forse non gli è chiaro che non abbiamo molto tempo. Esattamente, non so quanto durerà questo esperimento. Ho quasi paura di saperlo. Il fatto che non sappia niente e che mia sorella sappia, invece, mi fa arrabbiare. Come mi fa arrabbiare il fatto che non sia entrato tra guardie di sorveglianza di Juliette ma che Kent sia entrato. Dio santo, vorrei dare fuoco a questo posto per aver permesso a un coglione come lui di entrare a far parte della squadra che sorveglierà Juliette. 

Mi sento una nullità. Non solo sono un caporale e ho fallito nell'entrare tra le guardie, ma ho anche fallito per entrare nel piano di ricerca di Juliette. Sono un fallimento. Sono il fallimento in persona. Eppure mi sono impegnato, ho fatto test su test che a quanto pare Kent ha passato. Mi sento davvero inutile. Inutile perché se sono entrato qui, tra i soldati della Restaurazione, è stato per aiutare il Punto Omega. E così non li sto aiutando. Senza il mio potere non sono niente. Se avessi detto "Loro mi dicono che mi farai entrare nella squadra di sorveglianza di Juliette" allora sarei entrato. Ma solo grazie al mio potere. Non grazie a me. Mi sento inutile. Mi faccio terribilmente schifo. 

Rabbrividisco quando il freddo mi colpisce la schiena e mi affretto a far uscire il fumo dalle labbra. Mi stringo nel cappotto. Sto gelando dal freddo. Sono fuori, nel campo principale dove le truppe si allenano giornalmente. Sto guardando i soldati allenarsi, urlando di tanto in tanto ordini. Accanto a me c'è il caporal Maggiore che, insieme a me, guarda le truppe e urla di tanto in tanto ordini. Sto studiando per diventare caporale maggiore, per scalare i gradini della Restaurazione ed essere qualcuno. Per aiutare il punto Omega ad andare avanti. Il che significa stare accanto a quest'uomo che puzza di alcol e sesso 24 ore su 24. Fidatevi, non è una situazione da invidiare.

Quando ho chiesto che mi aumentassero di livello, quando ho chiesto di diventare caporale maggiore, Warner ha sorprendentemente detto di sì. Ha detto che andava bene, che non c'era problema e che avremo iniziato gli studi e l'addestramento il giorno successivo. Non mi sarei immaginato di ritrovarmi qui, a dettare ordini accanto ad un uomo che non ha nemmeno idea di dove si trovi. Diventare caporale maggiore significa prendere coscienza di alcune cose che un soldato non penserebbe mai. Prima stavo al mio posto, guardavo le truppe, ogni tanto le affiancavo nelle esercitazioni; adesso sono distante dalle truppe, spiego loro cosa fare, spiego come è meglio agire e mi devo tenere distante. Certe volte mi tocca punirli perché non hanno sale nella zucca e certe volte mi tocca lodarli, perché alcuni sono più svegli di altri ma succede di rado. A dire il vero, questo lavoro non mi piace. Non mi piace l'idea e il fatto di aver chiesto di salire di livello ma se lo faccio è solo per il Punto Omega. Chi sono per decidere l'andamento di un soldato, per decidere se ha fatto un buon allenamento. Non me ne frega, non ne voglio essere responsabile ma mi tocca. Come mi tocca avere a che fare con un sacco di scartoffie delle quali non mi interessa minimamente. Non mi frega se un soldato lavora bene. Non mi frega se un soldato lavora male. Non mi frega se uno di loro si spacca una gamba ma ne sono responsabile. Se un soldato rifiuta di mangiare a mensa, ne sono responsabile. Se Kenji fa finta che gli sia venuto il mal di pancia e non può partecipare all'allenamento di oggi, ne sono responsabile. E non posso nemmeno picchiarlo. Il che
Naturalmente
mi fa arrabbiare. 

< Caporale Park. Caporale Maggiore Sigmund. > 

Sia io che il caporale maggiore ci voltiamo immediatamente. Davanti a noi c'è Warner, il capo di ogni cosa qua dentro. È il capo del settore 45 della Restaurazione. Tutti noi, ogni soldato, ogni essere umano, ogni bambino ancora nato non risponde a nessun altro se non a lui. Tutti noi soldati abbiamo giurato fedeltà e completo servigio a lui e alla Restaurazione. A quanto so, è il figlio del comandate supremo della Restaurazione, quindi non c'è da meravigliarsi se è il capo principale del settore 45. Warner ciò che ogni soldato ammira di diventare. E, allo stesso tempo, è la persona alla quale ogni soldato desidera sparare una pallottola in fronte. Pur essendo la persona più importante qua dentro, quella che conta più di ogni altra vita di un essere umano, nessuno lo sopporta. Nessuno vuole vederlo vivo, nessuno vuole vederlo tra le truppe e tutti vorrebbero che morisse. Se qualcuno lo ferisse, nessuno lo soccorrerebbe. Se gli venisse sparato, nessuno chiamerebbe i medici. E questo per colpa sua. Perché si è sempre mostrato come un comandante tiranno, lontano dai suoi soldati e privo di empatia se non per ciò che più gli interessa. Non sembra fregargli di niente, di nessuno; non parla non i soldati se non per i suoi motivi; non mangia con i soldati, non respira accanto ai soldati, non si avvicina a noi. Ci guarda da lontano, quasi con schifo, e non fa mai capire cosa pensa. Se tutti lo odiano, se tutti lo vogliono fare fuori, la colpa è solo sua. Non c'è nessuno che lo rispetti o gli voglia veramente bene.
Tranne il Tenente Delalieu. Lui è il braccio destro di Warner, la sua civetta. Colui che lo segue continuamente, giorno e notte. Non esiste Warner senza il tenente Delalieu al suo fianco. Non so come lui lo possa rispettare, come gli possa voler bene e stargli così vicino senza desiderare di strozzarlo. Eppure lo fa. 

Dietro di Warner, infatti, c'è il tenente Delalieu. E dietro di lui ci sono altri due soldati del regime che, impassibili, mi fissano negli occhi. Quelle guardie non servono nemmeno a un tipo come Warner. 

Punto gli occhi su Warner. Butto subito la sigaretta a terra. < Signore > diciamo in coro io e il caporale ed entrambi ci mettiamo sull'attenti. Gambe diritte, serrate, il pugno destro sul cuore. Il nostro saluto. Il modo in cui noi soldati della Restaurazione salutiamo un soldato di rango maggiore. 

Warner è di molti ranghi superiore al mio. Se solo volessi, non potrei mai puntare ad arrivare al suo livello. Eppure, è un ragazzo come tanti, anche più giovane di me.. forse. È un ragazzo alto, con una corporatura magra ma allo stesso tempo allenata e forte quanto dieci uomini. Da quanto so, si allena fin da quando era piccolo. È biondo, con la pelle diafana ma non così chiara di come chi è malato. E i suoi occhi verdi come smeraldi. Di un verde che fa quasi invidia ad una persona che ha gli occhi marroni come i miei. Gli occhi verdi sono davvero i migliori. Ma anche gli occhi azzurri non sono male.
Io, per esempio, sono l'esempio imperfetto. Sono l'unico imperfetto nella famiglia. Mia sorella e i miei genitori, per quel che mi posso ricordare, sono biondi, pelle diafana e occhi azzurri; qualche lentiggine nel volto. Io sono l'unico di famiglia ad essere biondo con la pelle diafana. Con gli occhi scuri come la pece e privo di lentiggini. Io e mia sorella siamo due gemelli dizigoti, siamo diversi: diverso sesso, diversi colori ma stesse forme fisiche. Entrambi con le guance scavate, entrambi con gli occhi affusolati e le labbra strette ma non fini; soprattutto quelle di mia sorella, che sono massicce e rosse. Lei e miei genitori sono quello che considero l'esempio perfetto: biondi, occhi azzurri, pelle diafana. Quando pagherei per essere così. Per non avere questi occhi neri come il cielo notturno. Così neri che è quasi difficile vederne l'anima dentro.
Ci sono molte cose che non mi piacciono di me. 

< Riposo, soldati. > dice Warner.

Entrambi ci rilassiamo e lasciamo ricadere le braccia lungo i fianchi. Come sempre, Warner. è impeccabile: vestito con un cappotto color nocciola, sotto di esso indossa l'uniforme e gli stivali. I suoi capelli sono impeccabili quanto il suo modo di vestire, ordinati e pettinati. Credo che abbia un problema con la perfezione o con l'apparire perfetto. In vita mia, non l'ho mai visto spettinato o vestito male. Ci tiene molto al suo look e come si presenta alle persone.

< Caporale Park > mi chiama < Venga. > si mette di profilo < Voglio che venga con me per esaminare i condomini. >

< Signore, sto esaminando l'esercitazione delle truppe con il caporale maggiore Sigmund. >

< Il tenente Delalieu e i due soldati > accenna ai due soldati dietro di lui < prenderanno il suo posto. Adesso andiamo, non abbiamo altro tempo da perdere. > dice e se ne va, iniziando a camminare verso chissà dove. < Ci sono dei civili con cui dobbiamo parlare >

< Signore > dico e mi affretto a seguirlo, stando tre passi dietro di lui. Bisogna sempre mantenere la distanza con Warner. Generalmente, con un mio superiore starei un passo indietro, forse due. Ma con Warner è diverso; lui è diverso. I passi minimi di distanza sono tre. Due passi se usciamo fuori dal campo base del settore 45. Mai avvicinarsi ad un passo da lui. Mai fare questo errore. Mai pretendere di essere quasi al suo livello o di esserlo del tutto. 

Continuo a seguire Warner fin quando non raggiungiamo una dei macchinoni dei settore 45. Mi chiedo cosa ci faccia qua fuori, perché è l'unica macchina presente in tutto il campo in questo momento. Warner deve aver chiesto a Delalieu di portare qui una delle macchine. Se dobbiamo andare dai civili, dobbiamo sicuramente usare un'automobile. Soprattutto se siamo da soli. Spostarsi a giro per il settore 45 senza armi e in compagnia del capo del settore 45, non è l'idea migliore. Una macchina è sempre d'aiuto, soprattutto se le cose dovessero mettersi male. 

< Park >

Mi volto. Warner mi lancia le chiavi e le afferro al volo. Le guardo. < Signore > dico ed entrambi saliamo nell'autoveicolo. Mi metto al posto del guidatore e mi affretto a chiudere lo sportello. Warner vuole che guidi l'automobile. Non è strano. Non l'ho mai visto alla guida, a dire il vero. Credo sappia guidare, un ragazzo della sua età dovrebbe saper guidare, ma non l'ho mai visto guidare una macchina o tantomeno una moto. Il figlio del comandate supremo sicuramente sa guidare un'autovettura. Io ho imparato qualche anno fa, non appena venni inserito come soldato semplice. Mi insegnarono a guidare un carro armato prima di guidare una macchina. Imparai a guidare la macchina solo perché chiedi al mio caporale di insegnarmelo. Sennò a quest'ora non saprei nemmeno infilare le chiavi nel quadro motore. < Dove dobbiamo andare, signore? > 

< Ti guiderò io > Warner chiude lo sportello e si sistema nel sedile. < Dobbiamo uscire da qui e raggiungere la zona sud dei condomini. > 

Annuisco e metto in moto l'automobile. Faccio come mi chiede: lo porto fuori dal campo, mostro i nostri pass alla sbarra ed essa si alza, permettendomi di far uscire entrambi. E appena usciamo, la realtà del mondo vero e proprio mi coglie. Stringo le mani sul volante mentre pretendo di non essere sorpreso da ciò che mi circonda. Povertà, distruzione, fame e... bambini che corrono felici. Il campo, alla fine fine non è così male perché ti protegge dalla realtà del mondo: ti protegge dalle persone povere e morte per strada, ti protegge dal mondo apocalittico che vi è fuori e ti protegge dalle case scatola che Warner ha progettato. Nelle quali vivono centinaia di persone che ogni giorno muoiono di fame; nelle quale vivono uomini che stuprano le donne e che picchiano le mogli; nelle quali vivono bambini infelici. Eppure sono gli stessi bambini che, mentre guido l'automobile, si divertono a sfrecciare dietro di essa. Sono gli stessi bambini che giocano a rincorrersi, acchiappandosi a vicenda, e che ridono e scherzano. Accanto a loro, poco distanti, vi sono le madri che li guardano esasperati. Pretendono che tutto vada bene, pretendono di non essere stanche e denutrite e di non essere tristi. I padri, probabilmente, sono a lavoro in qualche fabbrica.  

Non posso non chiedermi se in questo mondo i miei genitori esistano ancora. Sono vivi? O qualche malanno gli ha uccisi, strappandoli da questa terra malata? Oppure gli ha uccisi qualcuno? E se sono vivi, cosa fanno adesso? Hanno avuto altri figli? Magari figli normali, figli di cui possono essere fieri e che possono chiamare tali. Che lavoro fanno? Sono felici di quel che fanno? Ha la vita che desideravano? Dio, lo spero proprio. Non si meritavano tutto questo. Mia madre ci ha partorito giovane, a 21 anni. Ora ne avrebbe 42. Mio padre non lo so, non me lo ricordo. Ma spero che entrambi siano felici, con la vita che meritavano di avere. 

< Park >

La voce di Warner mi riporta alla realtà. Smetto di pensare, smetto di costruirmi castelli di sabbia. Sbatto gli occhi e mi rendo conto che frizzano. Non stavo più battendo gli occhi e non me ne sono nemmeno reso conto. < Signore. > Dico, rendendomi conto che sono rimasto in silenzio per un po' troppo. Certe volte mi capita di immobilizzarmi e di non pensare a niente per minuti interi. Generalmente mi riprendo subito dopo. Non come Selene, che ama perdersi nei suoi ricordi e nei suoi pensieri per ore intere. Forse la colpa è di tutto l'elettroshock che abbiamo subito. Se ci penso, Selene è stata quella più assoggettata dall'elettroshock. Le fecero così tante scariche che non fu capace di parlarmi per giorni interi. E sentirsi da soli in un manicomio a 4 anni è qualcosa che non augurerei a nessuno. 

< Forse ti chiederai come mai ho scelto te. > dice Warner e noto che sta guardando la strada. I suoi occhi verdi sono fissi sulla strada che viene macinata sotto le ruote di questa macchina. 

No, in realtà non me lo chiedo. Non so cosa stiamo per fare e non me ne interessa. Se sono lontano dal campo, va bene. Se sto lontano dal campo, solo con Warner, posso usare il mio potere senza che nessuno lo sappia. E chissà, potrei anche ucciderlo. Mi basterebbe dire < Loro mi dicono che ti è esplosa la testa > o < Loro mi dicono che ti è venuto un infarto > e farei un favore a tutti quanti. Io non verrei mai incolpato, nessuno saprebbe che sono stato io, ma sarei l'eroe di me stesso. Sarei l'eroe del Punto Omega. E renderei la vita più facile a molte persone. 

< Non sei capace di fare una cosa simile, William... e non lo dico con cattiveria, lo sai. > la voce di mia sorella mi arriva all'improvviso e quasi sobbalzo. Non mi aspettavo che avesse aperto una connessione mentale con me in questo momento. Stranamente, è rimasta in silenzio per tutta la mattinata e pensavo che non avesse voglia di parlarmi. Pensavo che oggi si fosse svegliata male, che fosse nuovamente arrabbiata con me perché a differenza sua io ho la possibilità di vivere ogni giorno fuori, circondato da persone. Pensavo che fosse arrabbiata con me, per qualche motivo. < Questa cosa non ti si addice. Lo sappiamo entrambi >

Mi trattengo dallo sbuffare. So che mia sorella ha ragione. So che tutto quel che esce dalla sua bocca è vero e so che non lo fa per demoralizzarmi. E Selene ha ragione: Non ce la farei mai. Non è una cosa di cui sono capace di fare. Sono capace di uccidere, sono capace di fare del male a delle persone ma non posso fare del male a Warner. Non posso permettermi di ucciderlo adesso. Chi salirebbe al suo posto? Chi prenderebbe il suo ruolo di Capo del settore 45? E se salisse qualcuno di più cattivo? E se salisse qualcuno che annullasse questa missione? No, non posso permettermelo e nemmeno il Punto Omega se lo può permettere. Abbiamo lavorato così tanto, così duramente, perché uno come me mandi tutto a rotoli in meno di un secondo, con tre parole. 

< Perché, Signore? > chiedo allora, notando che si sta creando troppo silenzio. L'ho fatto di nuovo, sono rimasto in silenzio. < Come mai stiamo facendo una visita ai condomini? > 

< Perché non ha niente di meglio da fare. Si sta strappando i capelli all'idea di dover stare lontano da quella ragazza e preferisce distrarsi in questo modo. > 

"Non penso che questo sia il momento giusto per parlare, Selene." < Dobbiamo parlare con qualche cittadino? Qualcuno ha infranto la legge? > 

Warner scuote la testa e sento che mi sta guardando. Mi sforzo per non voltare lo sguardo verso di lui e incontrare i suoi occhi verdi.

< Dobbiamo parlare con la moglie di un soldato. > dice e sento che c'è qualcosa di diverso nella sua voce. Come se provasse della rabbia repressa. Come se provasse del risentimento in quelle parole. < La situazione non è delle migliori. E ho deciso che tu saresti stato il soldato migliore per accompagnarmi." dice "Ho bisogno della tua empatia stavolta. E tu sei il soldato più empatico che conosca in questa base. >

Sono quasi stupito dalle sue parole.

< Il che è un male. > si affretta ad aggiungere. < In questa vita, in questo lavoro, è un male essere empatici. Provare empatia per il nemico è sbagliato e ti rende debole, ma tu, Park, sei uno dei pochi che riesce a non essere empatico nel campo di battaglia ed empatico nella vita reale. E in questo caso, è un bene che tu non abbia perso quel briciolo di umanità che ti accompagna. In più, sei uno dei soldati più sinceri ed è una cosa che apprezzo particolarmente. Spesso voi soldati mi dite ciò che voglio sentirmi dire, ma con te è diverso. > 

< Non capisco. > Non so come rispondergli. Dio, stare con lui mi darà davvero alla testa. Il più delle volte non capisco il modo in cui Warner parla. E anche mia sorella non è spesso così chiara quando si esprime, quindi dovrei esserci abituato. Ma stavolta non mi è davvero chiaro. Io sincero? Mi sembra un'assurdità. Non ho mai detto niente a nessuno, non mi piace rivolgere la parola alle persone o ai miei colleghi. Più cerco di parlare con i piani alti, più mi rendo conto che sono degli idioti e che non c'è niente di buono nel scambiare qualche parola con loro. Quindi, di fatto, sto sempre zitto. Non mi esprimo mai e quando c'è da chiedere un parere, sono sempre l'ultimo ad aprire bocca. < Sincerità, signore? >

< Ha mai sentito dire "Il silenzio vale più di mille parole", caporale Park? >

Mi volto per guardarlo. Ho voglia di fumare una sigaretta. Ho voglia di prendere il pacchetto che è nella mia tasca, tirare fuori una sigaretta e portarla alla lebbra. Accenderla e fumare in questa auto. Warner mi ammazzerebbe. Probabilmente mi strangolerebbe e mi toglierebbe per sempre il vizio del fumo, come mi toglierebbe per sempre la possibilità di vivere. Ma ne varrebbe la pena. Solo per vederlo esprimere un'emozione. Solo per vedere la rabbia nel suo volto e dire "cazzo, sei capace di provare emozioni anche tu" < Sì, Signore. > dico e torno a guardare la strada. Questo viaggio non mi è mai sembrato più lungo. 

< Anche se non parli, capisco ciò che vuoi dire. Tu sei uno dei pochi soldati che, pur rimanendo in silenzio, si fa sentire più degli altri. Questo, insieme ad altri pregi che hai, ti rende un buon soldato. Ed è per questo che adesso ho bisogno di te. > dice. Poi si ferma, la sua voce torna normale. E: < Adesso gira a sinistra > 

Giro a sinistra e le mie mani si stringono con forza sul manubrio. Deglutisco nervosamente. Warner sembra quasi umano. Mi sembra più unico che raro. Deve avere qualcosa che non va. Deve avere qualche problema. Forse si è svegliato male. Forse si è svegliato e ha preso qualche integratore di troppo. Ma devo capire che cos'ha. Non mi piace rimanere all'oscuro di troppe cose. E ora come ora, sono all'oscuro di troppe cose.

< William, la situazione è abbastanza seria. Warner sta per portarti a casa di uno dei soldati del settore 45. > mia sorella sembra scocciata. Sembra che non abbia nemmeno quasi voglia di parlarmi. Non le ho chiesto io di essere presente in questo momento, però. Qualche volta potrebbe anche lasciarmi solo, lasciarmi con i miei pensieri e le mie insicurezze. Le mie paranoie. < Questa è una possibilità che hai per potergli chiedere di lavorare nella squadra di Juliette. Non sprecare questa opportunità. Ciò che dirai, ricadrà sul suo giudizio. >

Socchiudo gli occhi e premo l'acceleratore. Ho quasi voglia di raggiungere il prima possibile questa abitazione, di poter parlare con la moglie del soldato che stiamo andando a trovare. Farei di tutto pur di avvicinarmi a Juliette; pur di avvicinarmi a questa missione. Letteralmente, non c'è una cosa che non farei per fare un passo avanti. < Posso sapere di cosa si tratta, Signore? > 

< Abbiamo un problema con un soldato. >

< Chi è? > Gli lancio un'occhiata. < Posso saperlo? > 

< 45B-76423 > dice lui. Come se sapessi chi fosse questo numero. Non mi stupirei se Warner sapesse tutti i nostri codici identificativi. Uno psicopatico come lui sicuramente se li è imparati a memoria dal primo all'ultimo. Non voglio chiedere a mia sorella se se li è imparati a memoria. Ho paura della risposta. < Seamus Fletcher. > 

Spalanco gli occhi. Seamus Fletcher. Lo conosco. È un soldato che conosco - non personalmente, ma lo conosco abbastanza da sapere chi è: è un fottuto alcolista, che puzza sempre di whisky e che ha cercato di fare a botte con un sacco di soldati. È un uomo grande e adulto ma è un'idiota. Cosa può aver fatto Fletcher? Di che crimini è macchiato per costringere Warner ad andare a casa sua? E cosa c'entro io con tutto questo? < Di cosa è sospettato, Signore? > 

< A quanto sappiamo, il soldato Seamus Fletcher ha un problema con l'alcol. > Warner mi guarda. 

Tengo gli occhi fissi sulla strada. È qualcosa che sappiamo tutti. Non mi sorge niente di nuovo nelle sue parole. 

< Ma è stato accusato di furto delle scorte della Restaurazione. > 

Deglutisco e continuo a guidare. Credo che mi stia nascondendo qualcosa, come se non volesse arrivare al sodo solo per creare quel momento di sorpresa che si  vedeva prima nei film. Devo dire che non è divertente ma Warner è una persona molto scenica. Questo modo di fare gli si addice. 

< E solo ultimamente ci è giunta la notizia che picchia la moglie e figli > aggiunge Warner con tono basso. Sento una rabbia nascosta che sta scaturendo nella sua voce. Ne capisco il motivo. < Pare che abbia fatto abortire la moglie dopo averla picchiata, facendole perdere il figlio. >

E no, questo non lo sapevo. Spalanco appena gli occhi e pretendo che la notizia non mi abbia colpito. Pretendo che le parole di Warner non mi abbiano perforato lo stomaco. Pretendo di non avere il bisogno di vomitare quello che ho mangiato stamani a colazione e a pranzo. Pretendo così tanto da me, che non sono nemmeno me stesso in quel momento. "Cristo di Dio" vorrei dire "Cristo di Dio, ma è impazzito?" ma non dico niente. Mi limito a guidare ma non posso non pensare alle parole di Warner. Seamus Fletcher picchiava la moglie? Ha fatto abortire la moglie? Non mi sembra vero. 

Ma sicuramente è così. D'altronde, tutti sanno che siamo costantemente sorvegliati. La Restaurazione non fa altro che sorvegliare i cittadini, tenendoli d'occhio con ogni mezzo possibile: telecamere nascoste, registrazioni, cip e microcip. Ogni cosa, anche le banconote, i vestiti e i cibi vengono esaminati e controllati meticolosamente, contati a misura di abitante. Monitorano tutto quanto, ogni minima cosa. Le carte che la Restaurazione ha dato ad ogni cittadino servono a monitorare ogni cosa. Che i soldi che guadagnano sono smistati al centesimo e sono monitorati, per capire a quanti abitanti vanno e in quante quantità. Forse i bambini che cresceranno capiranno che anche loro, come i loro genitori sono monitorati. Le case, le scuole, asili, supermercati, ospedali... tutto monitorato. Ogni gossip, chiacchierata, discussione è fortemente registrata e ascoltata da delle guardie che lavorano all'interno della Restaurazione. I cittadini vengono seguiti e in base alle loro amicizie, alle loro parentele e i loro lavori, vengono monitorizzati costantemente. 
I soldati sanno tutto di tutti.
Sanno fin troppo. E non sarebbe strano se la Restaurazione sapesse che uno dei suoi soldati ha picchiato così forte sua moglie da farle perdere il bambino. Niente è strano se c'è la Restaurazione di mezzo. 

< Da quel che sappiamo, i tre figli hanno tutti meno di dieci anni e non mangiano da settimane. Sappiamo che vanno ripetutamente dal medico del loro complesso per ossa rotte o per mettere dei punti. > dice Warner. < Ha preso a pugni sua figlia di nove anni in bocca e le ha spaccato il labbro, le ha fratturato la mascella e spezzato  i due denti davanti. >

< E il giorno dopo si è presentato al campo come se niente fosse. > 

< Cosa intendi? > mi chiede Warner. È visibilmente confuso. Non si perdona che un dettaglio simile gli sia sfuggito. Non me lo perdonerei nemmeno io, a dire il vero.  

< Ricordo che un giorno si è presentato al campo con le nocche rosse e sbucciate... > Dico mentre la strada continua a sparire sotto le ruote. Ricordo perfettamente quel giorno e mi do quasi dello stupido per non averci pensato prima; per non aver pensato che quelle nocche rosse e sanguinante potessero nascondere una storia macabra. < Seamus era tornato dal suo appartamento e si era presentato a mensa con ancora i postumi della sbornia. Tutti al tavolo abbiamo notato le nocche rosse, ma nessuno ha detto nulla. >

< Come mai nessuno mi ha avvertito? > Lo sguardo di Warner è fisso su di me. Brucia intensamente.

< Sinceramente, Signore, pensavo che fosse tornato a casa ubriaco e avesse preso a pugni il muro durante il tragitto. > È la mia unica scusa, l'unica vera scusa che posso tirare fuori. Ricordo di aver visto quelle mani e di aver pensato "Che cosa ha fatto quel cretino per ridursi così?" ma non mi sono dato una risposta. E tano meno ho avvertito i piani superiori per una cosa simile. D'altronde, tutti al campo sappiamo dei problemi di alcolismo di Seamus Fletcher, ma non mi immaginavo che fosse anche un violento.

Le labbra di Warner diventano una linea sottile. < dobbiamo risolvere la cosa >

< E crede che io sia il soldato giusto per farlo? > 

< Fermati, siamo arrivati. > 

Freno e sterzo con la macchina, fermandomi in uno spiazzo vuoto. Volgo lo sguardo a sinistra e noto che ci sono dei container che fungono da abitazione. Seamus deve abitare lì, o almeno credo. Siamo nella zona più periferica - oltre a questo punto, ci sono altri container ma non penso che abiti nella periferia. D'altronde, è pur sempre un soldato. Un soldato che abita con la sua famiglia in un container, come se fosse una sardina in una scatoletta di metallo. Quelle sottospecie di case improvvisate sono costruite con i contenitori delle navi da quaranta piedi. Impilati uno sopra l'altro e uno accanto all'altro, fungono da palazzi interi e le persone così possono essere raggruppate in gruppi di quattro e sei. Ah, ed è una creazione di Warner. 
Penso che Warner sia abbastanza fiero di ciò che ha creato. Io c'ero quando i primi container vennero portati - ero piccolo, a dire il vero - ma ricordo che dissero che questa era una soluzione temporanea. Sono economici, facilmente replicabili, impilabili e costruiti per resistere agli elementi della natura. E con il team giusto, in poche ore si da rifugio a tante famiglie. Warner l'ha studiata bene ma tutti, anche noi soldati, pensavamo che una volta portati i container, qualcuno avrebbe dato il via per costruire delle abitazioni vere. Perché pensavamo tutti che fosse una soluzione temporanea. Ma il risultato è stato così efficace che la Restaurazione non ha visto la necessità di costruire nuove case. Ma alla gente viene ancora detto che queste case sono temporanee. Che un giorno le cose cambieranno. E non sanno che la Restaurazione non ha intenzione di spostarli. I civili sono monitorati e devono vivere in terreni regolamentati, in abitazioni numerate. Non c'è spazio per la libertà. 

< Perché tu, Caporale Park? > 

Mi volto verso Warner e mi accorgo che è sceso dall'automobile e che mi sta fissando. Mi affretto a fare lo stesso, richiudendo la portiera alle spalle. Il freddo mi colpisce nuovamente e mi stringo nel giubbotto. 

< Perché sono sicuro che la moglie di Seamus mentirà. E ho bisogno di te per capire fino a quanto è disposta a mentire per coprire il marito. > dice Warner. < Sono disposto anche a chiedere anche i cittadini che la abitano vicino pur di sapere la verità. > 

< Non credo che servirà a qualcosa, Signore. > mi permetto di replicare. < Qui nessuno vede mai. Qui nessuno sente mai. Se cerca delle informazioni, sicuramente non le verranno a dire a lei. Nemmeno sotto ricompensa o con la promessa di una vita migliore. Le persone che abitano nelle periferie sono diverse. > 

Warner rimane in silenzio. Sa che ho ragione. Le persone che abitano nelle periferie sono paragonabili alle persone che abitavano nei ghetti quando ancora la Restaurazione non aveva preso piede nel mondo: non parlano con nessuno che non sia del ghetto, non sembrano capaci di vedere o sentire le cose per riferirle alle autorità e non vogliono collaborare con le autorità. Vedono i vicini di casa come familiari e li trattano da tali; vedono un bambino per strada e lo adottano come se fosse loro. Sono persone strane e c'è un motivo se abitano nelle periferie. 

< Noi chiederemo comunque. Faremo finta che sia una sorta di controllo periodico. > dice Warner. Poi si infila le mani in tasca e si dirige verso un palazzo container. Lo seguo e osservo i quattro container di cui è composto. Mi chiedo quale sarà quello di Seamus Fletcher. A dire il vero, non me ne interessa e so che non dovrei essere nemmeno qui ma dato che ci sono, non posso fare a meno di chiedermelo. D'altronde, sto per scoprire se un uomo di famiglia picchia davvero la moglie e i propri figli come se fosse un qualcosa di comune. Qualcosa di normale. 

Warner suona al primo campanello, ed è un uomo sulla quarantina ad aprirci. L'uomo ci fa entrare dentro la casa, ci offre il caffè e dopo averlo rifiutato entrambi, ci sediamo al tavolo per parlare. L'uomo, naturalmente, non può non parlare davanti ad una figura autoritaria come quella di Warner e sembra parlare a vanvera, non riuscendo a contenersi. Ci sono problemi in queste zone? No. Ci sono problemi di salute in famiglia? No, i miei bambini e mia moglie stanno bene. La vostra vita vi piace? Sì, la nostra vita ci va bene e siamo entrambi felici. Non sembra commentare sulla moglie di Seamus Fletcher e tantomeno accenna agli abusi o alle urla che deve sicuramente aver sentito. 
Lo stesso avviene per le altre 2 residenze che vediamo: entrambi i cittadini, negano ogni problema e giurano che la loro vita gli aggrada. Affermano di non desiderare di meglio e giurano a Warner che il modo in cui vivono è accettabile e che sta facendo un bellissimo lavoro a guidare il settore 45. E poi arriva l'ultima abitazione. 

È sempre Warner a suonare il campanello. E stavolta, ad aprire, è la moglie di Seamus Fletcher. E come lo so? A parte per il fatto che sopra il campanello c'è una targhetta con su scritto "Fletcher". E poi, per il semplice fatto che quella che si presenta a me e a Warner non è una donna comune. O meglio, lo sarebbe se non fosse completamente deturpata. Se non fosse stata resa un mostro da delle mani forti che avevano giurato di amarla.
Quasi sobbalzo nel vederla. La moglie di Fletcher ha il naso così rotto che entrambi i suoi occhi sono chiusi e gonfi, contornati da lividi viola e gialli. È così magra e fragile che ricorda uno spaventapasseri. Il suo ventre è ancora gonfio, vuoto però per la gravidanza andata a cattivo fine. E la sua pelle è tendente al giallo, come se fosse malata. Una volta vidi un ragazzo con la pelle gialla, al manicomio. Non potrei mai scordarmi di lui. Era tenuto in isolamento, nella cella accanto a me, e lo vedevo di sfuggita quando andavo a fare l'elettro shock o qualche altra terapia. 
Aveva un tumore al fegato.  

< Signore. > la donna si affretta ad inchinarsi e quasi allungo le mani per sorreggerla. Per paura che possa cadere a terra e farsi male. Per paura che possa frantumarsi. Poi, con estrema lentezza, si tira su.

< Non ce n'è bisogno, Signora Fletcher. > dice Warner e posso sentire che anche lui si sente a disagio. < Io e il caporale Park siamo qui per una visita generale, per sapere le condizioni di vita dei cittadini di quest'area. Volevamo farle qualche domanda. Le dispiace se entriamo per qualche minuto? > 

< Prego, entrate pure. > la donna si scosta e sia io che Warner entriamo dentro la sua abitazione, che è uguale a quelle precedenti. Una cucina piccola, una sala da pranzo, un bagno e le camere da letto. Una porta, due finestre. Fine. Internamente, sono decorate in modo diverso ma alla fin fine sono sempre uguali. Anzi, a dire il vero sono decorate anche tutte allo stesso modo. Niente foto, niente quadri, niente poster, niente libri, niente cd... sono tutte cose che la Restaurazione ha vietato.

Sia io che Warner ci sediamo al tavolo. 

< I bambini non sono a casa? > chiede Warner all'improvviso. < So che ne ha tre e che ne sta aspettando un altro. >

< I bambini sono a scuola. > dice la donna e ha una voce soffice, dolce. Una voce che non va d'accordo con il suo aspetto. < Torneranno presto. Li andrò a prendere tra qualche ora, come tutti i pomeriggi. >

< E stanno bene? > chiede allora Warner. < Ho saputo che spesso vanno dal medico. Soprattutto la piccola, quella di nove anni. > 

La donna fa uno sguardo confuso. Poi sembra capire. < Ah, sì. Si riferisce all'incidente che è avvenuto qualche settimana fa, immagino. > 

Io e Warner stiamo in silenzio. 

< Lei e suo fratello stavano giocando per casa. Si stavano rincorrendo tra di loro quando la bambina ha sbattuto contro un mobile e si è fatta parecchio male. > 

Menzogne. Sono solo menzogne. Menzogne perché sa che non può dire la verità. Perché se la dicesse, qualcosa di peggio potrebbe accaderle. Perché sa che se suo marito venisse arrestato o ucciso, lei si troverebbe da sola a sfamare tre bambini e che non ne sarebbe capace economicamente. Una donna, sola e con tre figli, non sarebbe mai capace di vivere da sola e per questo preferisce vivere al fianco di un marito violento rispetto a lasciarlo morire in mezzo alla strada. È per questo che la maggior parte delle donne mente. O almeno credo. Da piccolo mentivo  perché sapevo che se avessi detto la verità, sarebbe successo di peggio. Immagino che per lei sia lo stesso. 

< Una mandibola rotta.. > osservo. < Dev'essersi fatta parecchio male. >

La donna è a disagio adesso. < Già. > 

< E le sue ferite? > 

Spalanco gli occhi e guardo Warner. Lui sta fissando la donna intensamente. Non mi aspettavo che sarebbe arrivato al punto così velocemente. Credevo che volesse toccarla piano ma ora non sembra non voler toccare l'argomento. Anzi, sembra pronto ad andare in fondo alla questione e a spaccare la faccia di Fletcher con un solo pugno. 

La donna abbassa istintivamente lo sguardo sulle sue mani, sul suo grembo. Prova vergogna, ma non per colpa sua. Prova vergogna per com'è stata conciata. Per come delle mani l'hanno ridotta; le stesse mani che dovrebbero proteggerla. 

< Signora Fletcher > dico allora. < Sa che qualunque cosa verrà fuori, nessuno di noi ne farà parola. Noi siamo qui solo per aiutarla, per fare in modo che le cose siano migliori per tutti e per- > 

< Sono caduta. > mi interrompe la donna. Alza lo sguardo e mi guarda negli occhi. < Sono caduta dalle scale, l'altro giorno. Stavo scendendo le scale, i bambini mi tiravano per andare a scuola il prima possibile, e sono caduta. Ed è lo stesso motivo per il quale ho perso la gravidanza. > mente nuovamente. Non fa altro che mentire, per coprire qualcuno che non la ama più ormai. < Sono sicura che il medico vi avrà detto anche questo. >

< E lei è sicura che sia andata così? > Provo così tanta pena per una persona simile. Una che ama così tanto suo marito che morirebbe pur di non confessare i suoi crimini. Se lo facesse, noi allontaneremo subito Fletcher e lei e i bambini potrebbero vivere una vita tranquilla, beata, priva di abusi. < Lei ha.. perso la gravidanza perché è caduta dalle scale? >

< Ho perso il bambino > dice di nuovo.

< E il naso? >

< Me lo sono rotto allo stesso modo, cadendo. > 

Nell'aria c'è odore di cazzate ma non posso fare a meno di stare zitto. Nessuno mi vieterebbe di usare i miei poteri e farla confessare, allontanandola così da un uomo che non fa altro se non picchiarla da mattina a sera. Ma cosa risolverei? Niente, probabilmente. Lei pregherebbe Warner di non prendere provvedimenti e si chiederebbe come mai è stata così sincera all'improvviso; Warner non la ascolterebbe e mi chiederebbe come ho fatto a farla confessare con due parole; e io non potrei dire nulla e verrei indagato. E a quel punto ogni cosa verrebbe fuori. Potrei salvarle la vita - salvare la sua e quella dei bambini -, ma egoisticamente decido di rimanere in silenzio. Certe volte, bisogna prendere decisioni che non sempre si vogliono prendere. 
Sono sicuro che mi porterò questo peso dietro. Che peserà sulla mia coscienza. 

< Signora Fletcher. Noi siamo qui per aiutarla. > stavolta è Warner che parla ed è fin troppo serio. < Come ha detto il Caporale Park, ciò che ci dice è confidenziale. Suo merito non verrebbe mai a scoprire nulla nel caso qualcosa uscisse fuori. Lei verrebbe messa in un programma di protezione e verrebbe tenuta al sicuro, lontano dal soldato Seamus Fletcher. Le cose tornerebbero normali e lei e la sua famiglia potrete fare la vita che sognate. >

< Mio marito? > la donna finge di essere confusa. Sembra che la notizia l'abbia scossa profondamente. Sembra che non si aspettasse che sapessimo degli abusi, che sapessimo di suo marito. < Che c'entra mio marito? Lui non c'entra niente in tutto questo. Signore... io non capisco. Gliel'ho già detto, sono caduta dalle scale. Ecco come ho perso il bambino e come mi sono rotta il naso. Non c'è nessun'altra spiegazione. > 

Io e Warner ci scambiamo un'occhiata. Pare che lui abbia capito che la moglie di Seamus fa parte delle persone che non vogliono essere salvate. Perché si può salvare solo chi si vuol far salvare, e la signora Fletcher non rientra tra queste persone. Magari è per la paura di vivere da sola o l'insicurezza di vivere da sola, ma comunque la signora Fletcher non accenna a darci le risposte che vogliamo. Io e Warner rimaniamo con lei altri cinque minuti, cercando di convincerla a parlare, ma la donna non accenna a fiatare. Tuttavia la situazione parla per sé; è ovvio che il marito la picchi e faccia violenza sui figli. Warner quindi la ringrazia per la sua collaborazione e poco dopo usciamo. 

Nessuno parla fin quando non raggiungiamo la macchina e solo allora sembra trovare la forza di parlare.

< Voglio convocare un'assemblea. Voglio prendere dei provvedimenti. Voglio che questa situazione cambi. > dice Warner e vedo che ha i pugni stretti. Cerca di non mostrare l'incazzatura perché sicuramente voleva sentire una confessione da parte della donna ma il fatto che non l'ha ottenuta lo fa incazzare. Lo fa incazzare che non abbia potuto salvare una vita e quella dei bambini. E questo lo rende spaventosamente umano. < Caporale Park. > 

< Sì, Signore. > 

< Cosa faresti ad un uomo simile? >

Deglutisco. Vorrei davvero fumare. Questa situazione sta diventando troppo stressante per me. Una sigaretta ci vorrebbe proprio per rilassarmi i nervi. Questa situazione mi ha messo così tanto nervosismo che non mi ricordo di obbligarlo a inserirmi nella squadra per sorvegliare Juliette. Che non mi ricordo il motivo esatto per il quale sono qui. Tutto quello che riesco a pensare, è il fatto che ho condannato una famiglia intera solo perché sono egoista. < Penso che gli sparerei. > 

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre - Selene ***


Non so come abbia fatto, ma Castle mi ha convinto a fare una prova di esercitazione. Anzi, a dire il vero mi ha costretto a fare questa prova. Io, in realtà, stavo giocando con i fili della coperta quando Castle si è presentato alla mia stanza e ha bussato al vetro. Mi ha detto “vieni, Selene, esercitiamoci un po’”. Anche se non ho voglia di esercitarmi, non ho saputo dire di no. Farei di tutto pur di uscire da queste quattro dannate mura. Farei di tutto pur di mettere il naso fuori e camminare tra i corridoi del Punto Omega. Incontrare le persone. Salutare i bambini. Vedere quante facce nuove ci sono adesso. Vedere come le persone sono cambiate nel corso del tempo che ho passato rinchiusa qui dentro.
Così mi ha prelevato dalla mia stanza, mi ha preso per mano e mi ha portato per i corridoi del Punto Omega. Naturalmente, mi sono sentita un’attrazione turistica. Le persone del Punto Omega mi guardavano confuse, silenziose, e stringevano a sé i bambini. Sanno chi sono ma non sanno come mai sono tra di loro. Alcune madri hanno pure allontanato i loro bambini. Ridicolo.
Non mi ricordo nemmeno chi siano, non so chi siano.
Come potrei fargli del male? Come mai dovrei fargli del male?

Castle durante il viaggio non parla. Si limita a guardare davanti a sé e a tenermi la mano, come se fosse un padre premuroso. A quanto pare, vuole capire fino a quanto posso spingermi con il mio potere, per capire se la sua bomba atomica è pronta a distruggere la terra o se è solo pronta a fare un piccolo boato con un po’ di polvere. Vuole capire com’è messa la sua seconda arma letale preferita. La prima, naturalmente, è Juliette.
È così gentile da parte sua preoccuparsi per me in questo modo. Preoccuparsi di capire se l’isolamento mi ha fatto impazzire e perdere i poteri, come avvenne quando ero piccola. Preoccuparsi di farmi uscire una volta ogni morte di papa da queste mura del cazzo. Davvero premuroso da parte sua.

< Prego, entra pure. > mi dice Castle e mi apre la porta, mostrandomi una stanza con il pavimento bianco e le pareti nere. Lui mi guarda. Sembra tranquillo. < Ricordi questo posto, vero? >

< Sì. > Deglutisco nervosamente, gli lascio la mano, ed entro dentro. < L’isolamento non ha danneggiato la mia buona memoria, Castle. >

Mi guardo intorno, notando che niente è cambiato dall’ultima volta che sono venuta in questo posto. Qui generalmente le persone vengono ad allenarsi.. o meglio, allenano i propri poteri. Ci sono degli attrezzi attaccati al soffitto e al muro e c’è una cesta con delle palle di stoffa. Non so a cosa servano. Non capisco di cosa uno se ne possa fare. L’ultima volta che sono venuta qui risale a 5 o forse 6 mesi fa, per dei controlli periodici che io e mio fratello facciamo. Abbiamo solo allenato il nostro scambio di coscienza, dando alle gemelle e a Castle un po’ di materia strana su cui studiare per il resto della stagione. A dire il vero, io non mi sono nemmeno mossa dalla mia stanza. Castle era con mio fratello, nella sala dell’allenamento, e io ero con Sonya e Sara nella mia camera. Abbiamo fatto uno scambio di coscienze e l’abbiamo mantenuto intatto per quelle che sono state 3 ore, utilizzando continuamente i nostri poteri. Io, nel corpo di mio fratello, potevo guardarmi intorno, usare i suoi poteri, saltare, correre, picchiare il muro e Castle era comunque felice. Gli bastava che facessi qualcosa, che mi muovessi come una scimmietta al circo. Mi ricordo che ha passato quelle 3 ore ad annotare cose sul taccuino; cose che avevo paura di scoprire e che ancora oggi non so cosa siano.

Una volta che lo scambio è finito, sono rientrata nel mio corpo e allora Castle è venuto nella mia stanza. Mi ha chiesto cosa fosse successo nella stanza degli allentamenti, per capire se quella persona presente fossi davvero io. Mi ha chiesto cosa avessi fatto, di cosa avevo parlato, che canzoni avevo cantato e quali esercizi avevamo fatto. Lo stesso è accaduto a mio fratello: Sonya e Sara sono andate a chiedergli cosa avessero fatto nel tempo passato insieme. Per essere sicure che ci fossimo scambiati davvero e che non fosse solo una connessione mentale sensibile.
La connessione mentale sensibile non è stabile e non sempre si è presenti o si è a coscienza di cosa succede all’altra persona.
In quel momento, mi sono sentita davvero una cavia. Vieni sottoposta ad un allenamento che non vuoi fare e delle persone passano tutto il tempo a guardarti e a prendere appunti. Chiunque si sentirebbe una cavia. Odio sentirmi una cavia. Una scimmia da laboratorio. Sono una persona umana, dopo tutto. 

< Che ci fai seduta a terra? > Castle ha chiuso la porta dietro le spalle e si affretta a mettersi davanti a me, a qualche piede di distanza. < Pensavo che morissi dalla voglia di venire qui. >

Mi sono seduta a terra nel momento esatto in cui ho fatto tre passi. Decisamente, non muoio dalla voglia di essere qui.

< Non vuoi fare la prima mossa? >

Anche adesso mi sento una cavia a dire il vero. Anche mentre sono seduta a terra, le gambe al petto e le braccia che abbracciano le gambe. Mi sento veramente una cavia. Noto che Castle mi guarda, immobile, silenzioso. Castle… Merda, vorrei- no. Devo contenermi. Non posso permettermi di formulare un pensiero. Ma a dire il vero, perché dovrei pensare? A parte il semplice principio per il quale è sbagliato pensare a cose brutte che dovrebbero succedere a qualcuno. Ma poi perché dovrei? Lo odio così tanto da desiderare quelle cose o è solo rabbia repressa?

Lo guardo da sotto la tenda di capelli biondi. Con Castle nei paraggi devo fingermi tranquilla. Devo fingere che tutto vada bene. O sicuramente prenderebbe nota di come mi sto atteggiando in questo momento. E l’idea che mi tratti così non mi piace affatto. Lui cerca di non farmi sentire un animale in gabbia, cerca di non trattarmi come se fossi una carcerata. E questa passeggiata per i corridoi non ha fatto altro che peggiorare le cose. Non mi sento nemmeno a mio agio, a dire il vero. 

< Va tutto bene? > la sua voce esce stridula e sforzata, come se non fosse lui a dire quelle parole. Come se qualcuno l’avesse costretto a parlare, a dar voce a quelle semplici parole. E chissà, forse non è davvero lui a dirle. Forse è stato davvero costretto da qualcosa. < Selene, parlami. A me puoi dirle queste cose. Lo sai, sarò sempre qui ad.. > un colpo di tosse soffoca le sue parole e stringo i pugni. < Bast- ascoltarti. >

< Sei sicuro che allenarti con me sia stata una buona idea, Castle? > Questo è solo l’inizio di come andrà questo allenamento. < Forse prima avresti dovuto salutarmi, chiedermi come stavo, chiedermi se avevo davvero voglia di allenarmi oggi. Avresti dovuto essere gentile con me, non credi? >

Poi la mia bocca si serra e inizio a disegnare fantasie sui leggings che indosso. Oggi non indosso niente di particolarmente carino, come tutti i giorni del resto. Leggings, una maglietta bianca e larga di cotone; il reggiseno e l’intimo, naturalmente. Ora che ci penso, non è stato il massimo indossare questi vestiti. Sono fini, leggeri e trasparenti per tutte le volte che li ho utilizzati e che li ho lavati. E qui fa freddo. Non ne chiedo altri perché alla fine mi vanno bene. Questi mi calzano bene e si adattano bene al mio corpo. Il tessuto degli altri vestiti mi fa venire la nausea e mi fa rabbrividire. Preferisco i vestiti vecchi, quelli privi di tessuto e leggeri oppure i vecchi vestiti di mio fratello. Soprattutto quelli invernali. Quelli sono i miei preferiti. 

< Allora? Volevi che facessi la prima mossa.. > mormoro notando che Castle non accenna a muoversi. Sembra uno di quei manichini che si poteva trovare nei negozi prima che la Restaurazione prendesse controllo di ogni cosa presente sulla faccia della terra. La situazione sta diventando abbastanza imbarazzante. Abbasso lo sguardo sulle mie scarpe e deglutisco nervosamente. < Okay, per adesso penso sia abbastanza. > Rilascio la mano sinistra, che si apre. "Parla" penso ed è la prima volta che penso dopo mesi interi. È la prima volta dopo l'incidente con Kenji che posso permettermi di pensare. E quasi mi sembra di toccare il cielo con un dito per essermi permessa di fare un pensiero così banale.  "Fa qualcosa, Castle." < Torna in te, Castle. >

Castle si sblocca immediatamente e i suoi occhi si spalancano. Porta una mano al petto, all’altezza del cuore, e inizia a respirare a fatica, come se fino ad adesso avesse trattenuto il fiato. Respira a fatica, come se non avesse mai respirato prima d'ora. Il suo petto sia abbassa e si alza faticosamente e capisco che forse ho esagerato. Anche lui ha esagerato a trattarmi come un oggetto di studi.

< Selene- > dice ma le sue parole vengono bloccate. Inizia a tossire fortemente, come se stesse morendo da un momento.

Forse non avrei dovuto bloccarlo per così tanto con il mio potere, con la sola intenzione di non vederlo avanzare verso di me per propormi di allenarci insieme. Lo ammetto, la paura mi ha bloccato. Avevo paura di cosa potesse succedere ad allenarmi con lui, avevo paura che vedesse quanto male sono ridotta ancor prima di iniziare l'allenamento e quindi l'ho bloccato. Involontariamente, però. Non volevo fargli del male e non voglio che pensi che gli voglia fare del male. Volevo solo che capisse come ci si sente ad essere bloccati in una cella, lontano da tutti quanti; e quelle parole che mi ha detto,  sono le stesse che vorrei che mi dicesse ogni tanto. Vorrei che fossero quelle che mi dicesse invece di trattarmi come una oggetto di studi. Forse ho davvero sbagliato. Forse dovevo fermarmi prima. Forse non sarei dovuta nascere.

< Castle- > alzo lo guardo su di lui. Lo guardo dispiaciuta, davvero. L’ultima cosa che voglio fare è fargli del male. Non voglio che per questo mi rispedisca tra quelle quattro mura. Che non mi faccia più vedere i corridoi e le persone di questo posto. Non mi merito questo trattamento. So di essere pericolosa ma non mi merito di essere trattata così. Certe volte controllare questo potere non è facile come sembri. Certe volte, le cose sfuggono al proprio controllo. < Castle, mi dispiace... > 

Mi faccio quasi schifo. Per avergli fatto una cosa simile. Per aver peggiorato intenzionalmente la mia situazione che non è già di suo semplice. Mi dispiace perché l’ho bloccato, ho bloccato il suo respiro, ho bloccato le sue corde vocali e il suo cervello per non permettergli di pensare. Mi faccio schifo per essermi permessa di fare una cosa simile. Lui pensa già male di me, cosa penserà adesso? Potevo fermarmi bloccandolo, impedendogli di muoversi o di parlare. Ma come sempre vado oltre.

< Castle, io.. >

< N-no, non fa niente. > dice e la sua voce è roca, come quella di chi ha parlato troppo per troppo tempo o di chi ha urlato. Mi guarda e spero capisca che non volevo ridurlo in questo modo. Non volevo che questo succedesse. Facevo bene ad avere paura di me. Sulle sue labbra, però, c’è un sorriso. Lo stesso sorriso che farebbe un padre al figlio che ha combinato un casino involontariamente. < Tu stai b-bene, Selene? >

È da troppo tempo che la mia voce non diventa roca. Annuisco appena. Mi ha chiesto di sua spontanea volontà come sto. Quasi mi vien da ridere. Come vuoi che stia. Sono rinchiusa in una stanza per colpa sua. Mi hai portato qui solo per vedere a che livello è il mio potere e l'ho mostrato. Una cosa simile sarebbe potuta succedere a chiunque con questo potere. La rabbia che ho dentro è uscita fuori senza darmi il tempo di fermarla. Però mi dispiace. Mi dispiace davvero tanto.

< Quello che è successo.. > Castle ha ancora la mano sul petto. Respira veramente a fatica. < Ti ho dato.. la libertà di venire qui. Sai quanto è difficile per m-me farti uscire e.. > un altro respiro. Profondo. < la prima cosa che fai è.. >
So cosa vuole dire. So dove vuole arrivare con le parole. A ferirmi. Come io ho ferito lui.

< attaccarmi. Selene > un altro respiro. < Capisci che questo è sbagliato? > 

Annuisco. < Scusami.. > mormoro e infilo le mani nei capelli. Faccio una smorfia di dolore anche se non li sto tirando. anche se non li sto minimamente toccando se non con le punte delle dita. Ho l’impulso di tirarli fino a strapparli dal cuoio capelluto, fino a vedere il sangue uscire. Quasi mi metto a piangere. < Il mio potere è così.. > la mia voce esce tranquilla, calma e piatta. < grande che quasi lo sento uscire dal mio corpo. Non volevo farti del male. Te lo giuro. > 

< Devi imparare a concentrarti e ad usarlo a dovere, a non farlo fuoriuscire come un fiume in tempesta. > dice e stavolta la sua voce ha un tono più stabile. Sembra più sicura, più viva e meno roca. < Come pensavo, il tuo potere non è diminuito e non hai fatto in modo che l’ambiente circostante influisse su di te. Anzi, se devo essere sincero credo che il tuo potere si sia intensificato. > Si passa una mano tra i dread che ha come capelli. È stanco, stanco di me probabilmente. < Vieni, torniamo in camera tua. L’allenamento è finito. >

< No. > Indietreggio con le gambe e mi allontano maggiormente da lui. < No, no. Fammi restare. Fammi stare qui un altro po’. >

Castle fa per avvicinarsi ma ci ripensa e si ferma. Sospira. È davvero stanco di me. Vorrei che non lo fosse. Vorrei che Kenji non fosse stanco di me. Che William non fosse stanco di me. Che nessuno in questo posto mi trattasse come un’esclusa e fosse stanco di me. Chiedo troppo?

< Sei ansiosa? O hai paura? > Si china sulle ginocchia. Ora non sembra più essere stanco di me. Sembra essere apprensivo. Quasi paterno. < Selene, parlami… >  

Ora vuole che gli parli. Ha passato mesi a non rivolgermi la parola e ora vuole che gli parli. Mi sembra ridicolo. < Ansia. > Annuisco appena e stringo le gambe al petto. < Mi dispiace. >

< Non importa. Ormai ci siamo chiariti. Da un lato, quel che hai fatto è estremamente pericoloso ma dall’altro è.. affascinante. Hai attivato il potere ancor prima che potessi percepirlo e l’hai attivato senza farti sentire, senza dare minimamente nell’occhio. Dobbiamo migliorare questo aspetto. Dobbiamo renderti un’arma silente, incapace di essere percepita. Questa cosa è davvero affascinante.. >

< Per quel che ne sai, potrei averti instaurato nella mente il pensiero di portarmi qui stamattina, averti costretto a farlo e averti fatto dimenticare che sono stata io a farlo. > gli dico in un sussurro e lascio che i capelli biondi fungano da tenda tra noi due. Ho solo voglia di nascondermi. Ho voglia di tornare nella mia stanza all’improvviso. Ho voglia di infilarmi nel letto, ho voglia di dormire e sprofondare nel sonno. Ho voglia di andarmene. Queste luci mi stano facendo male agli occhi. < Oppure questo è solo un sogno che ti sto facendo fare e tutto questo non è mai accaduto e sia io che te siamo nelle nostre stanze, ancora a dormire. >

< Sarebbe una teoria interessante. > dice lui. < Del resto, potresti anche mettermi in testa l’idea di liberarti e lo farei senza pensarci due volte. Ci hai mai pensato? > 

< Non posso pensarlo. Lo sai >

< Hai ragione. > Castle sistema una ciocca di capelli intrecciata.

Rimaniamo in silenzio per quella che secondo me è una vita. Deciso quindi di alzarmi da terra, non volendo più avvertire il freddo del terreno. Indosso delle scarpe da tennis. Fanno schifo, le odio, ma sono l’unico paio di scarpe che ho. E non posso chiederne un altro paio dato che non sono consumate, non posso chiederne un altro paio.

Sono la prima a rompere il silenzio. < Credi davvero che Juliette sia tanto diversa da me, Castle? >

Sembra confuso dalla domanda che gli ho fatto ma annuisce. < I vostri poteri sono diversi. Entrambe avete due poteri enormi, pericolosi e affascinanti ma siete diverse. >

< Come persone, intendo? > Io penso di no. < Secondo te siamo diverse? >

Lui annuisce.

< Ed è per questo che lei potrà girare a piede libero al Punto Omega, giusto? Mentre io starò comunque rinchiusa in quella cella che chiami stanza. > dico e forse la rabbia sta tornando. < Non dovresti stupirti se un giorno non mi troverai più nella cella in cui vivo. Non ti dovresti affatto stupire >

< È una minaccia? > Scuoto la testa e Castle alza un sopracciglio. < Non capisco perché tu provi questo risentimento. Cosa ti fa pensare che Juliette avrà un trattamento diverso dal tuo? Tu e lei siete persone diverse, Selene. Non paragonarti a lei. >

< Perché non mi ascolti quando ti dico che farà del male a tutti voi. Farà del male ad Adam, farà del male a Warner- >

< Ed è quel che vogliamo.  >

< E farà del male a Kenji. > Non appena realizzo ciò che ho detto, spalanco gli occhi e mi copro una bocca con la mano. Prendo le labbra e le sigillo, così che mai più niente possa uscire. Prendo la bocca e la chiudo a chiave. Butto via la chiave, così che nessuna parola possa mai più uscire involontariamente dalle mie labbra. < Io.. >

Caste è immobile, fermo. I suoi occhi sono socchiusi e il sorriso che prima adornava il suo volto è sparito. < Come sai queste cose? >

Ho fatto un casino. Ho combinato un fottuto casino. E tutto questo perché lascio che le mie emozioni prendano il sopravvento di me. Abbasso lo sguardo sulle mie scarpe di tela e prendo un profondo respiro. Mi sembra di respirare aria acida, marcia. < Il mio potere, credo. > mormoro, sperando che lui non mi abbia sentito veramente.

Castle rimane un secondo in silenzio. < E c’è altro che il tuo potere ti ha detto? Qualcos’altro che vorrei condividere in questo momento, Selene? >

Ci sono un sacco di cose che vorrei dire. Che vorrei condividere. Ma non posso farlo. Non posso permettermi di farlo. Non posso permettermi di rivelare certe cose a determinate persone. Certo, certe cose le vorrei dire. Vorrei dirgli di smetterla di fingersi un padre premuroso quando vuole. Vorrei dirgli di farla finita di comportarsi in questo modo perché non servirà a farmi parlare. Le carezze, le coccole, le parole dolci e i sorrisi non serviranno a farmi parlare. Niente servirà a far uscire qualcosa da queste labbra. < Castle, io.. non posso. Lo sai. Non posso davvero… >

< Abbiamo già fatto questa conversazione. > dice e incrocia le braccia al petto. < Sono sicuro che non vuoi parlarne di nuovo. >

< No, non voglio. > mormoro. < E mi dispiace. Io vorrei essere meglio di così, Castle, ma fidati. Non posso rivelarti certe cose. I-io non posso proprio, anche se vorrei. >

< Il tuo potere è grande, Selene. Ci sono tante cose che puoi fare e parlare è una di queste. > dice e un nuovo sorriso dolce nasce sul suo volto. Ecco che torna la falsa figura paterna. È una figura troppo falsa perché possa avvicinarmi a lui. Ma allo stesso tempo, non ho mai avuto un padre e qualcosa mi dice che posso fidarmi di lui. Che fidarmi è la cosa giusta da fare. < Vedi, tu e William siete simili ma diversi. Siete due gemelli, proprio come Sara e Sonya, ma siete diversi. Perché tu ti limiti solo a.. >

< Ti prego.. >

< fare quel che puoi mentre lui si sforza, lui mette tutto se stesso per questo piano, per questo posto. Lui si impegna, è fuori, tra i soldati, e farebbe di tutto per noi, per questo centro di ribelli. Spesso mi chiedo perché tu non possa fare lo stesso. >

Mi viene quasi da piangere. William… perché Castle lo usa contro di me? Perché sa che è il mio punto debole. Perché sa che William è il mio unico punto debole. È l’unica persona per la quale sarei pronta a rivelare i segreti interi del mondo. E lui lo sa. Lo sa perché mi conosce, perché sa come sono fatta.
William.. Cazzo, mi manca così tanto che vorrei mettermi a piangere. Lui è fuori, nella Restaurazione, a rischiare la vita ogni giorno. E io sono qui, da sola, distante da lui. Mi manca così tanto, mi manca così tanto non averlo vicino a me, non poterlo vedere, non poterci parlare dal vivo. < Il mio potere è lo stesso che ti ha fatto del male qualche minuto fa, bloccandoti il respiro. >

< Il tuo potere è capace di tante cose. Ci sono tante cose che potresti dirmi. >

Vorrei dirgli che deve smettere di fare la figura paterna. Vorrei dirgli che non ha senso con me fingere di volermi bene. Vorrei chiedergli di abbracciarmi e dirmi che tutto andrà bene, che William tornerà presto a casa. Vorrei che mi dicesse che posso affezionarmi a qualcuno, di tanto in tanto. < Posso dirti come mai Warner ha deciso di mandare Adam Kent da Juliette. Posso dirti il perché ha l’ha mandato in un manicomio con una ragazza dal potere speciale quanto il mio, dato che nessuno l’ha capito. >

Castle sembra rilassarsi. Anche se gli si dice qualcosa, se pur minima, sembra soddisfatto. Il sapere lo rilassa. Il fatto che sa qualcosa di più rispetto agli altri lo fa sentire speciale. < Spiegami, Selene. > 

Deglutisco nervosamente. Sento gli acidi che mi stanno risalendo lungo la gola. < Prima di trasferirla alla base, Warner voleva capire se Juliette fosse ancora umana. A livello mentale, intendo. Voleva capire se avesse ancora un contatto con la realtà, se non avesse perso la lucidità stando costantemente in isolamento. E per capirlo ha mandato Adam Kent, un ragazzo che ha frequentato la scuola con Juliette prima che la Restaurazione prendesse possesso di ogni cosa sulla faccia della terra. >

< E Juliette? Come sta reagendo? >

< normale.. credo. > la mia voce trema. Non so se posso permettermi di dirgli quel che sto dicendo. Non so se va bene il fatto che lui sappia così tanto ma adesso lo sa e mi sento in colpa per aver parlato. Ma Castle voleva saperlo e io non posso negargli anche questo dettaglio irrilevante. < Sta reagendo normalmente. Adam la sta sottoponendo a stress, a rabbia a nervosismo ad ansia, felicità, tristezza… e così via. Ma sembra normale, non sembra aver perso contatto con la realtà che la circonda. > 

< Questo te l’ha detto William? > 

William, William, William... cosa c’entra lui adesso? No, ovvio che non me l’ha detto lui. Mio fratello queste cose non le sa. Mio fratello non sa niente di ciò che avverrà nel futuro e non capisco come una persona come lui potrebbe dirmi una cosa simile. Ah, giusto. Castle non sa che mio fratello non è riuscito ad entrare a far parte delle guardie che sorvegliano costantemente Juliette. < No, lo so da sola. > mormoro. < Grazie al mio potere, credo. > 

< Ne hai parlato con lui? > 

Scuoto la testa. 

Castle aggrotta le sopracciglia. < Perché non me l’hai detto prima? Perché non hai detto prima queste cose? > 

< Non posso farlo, Castle.. Rivelare il futuro… non va bene. È troppo pericoloso, non solo per te ma anche per me. > mormoro e continuo a guardarmi le scarpe. Sono così vecchie e scolorite che fanno pena. Ma non posso cambiarle. Sono le uniche che ho e potrei chiederne un paio nuovo solo se si fossero consumate. Ma dato che non devo andare da molte parti, la suola è ancora intatta e bianca. < Mi dispiace, Castle > mormoro e sospiro stanca, rilassando le spalle. < vorrei essere più di così. Vorrei che le cose andassero diversamente. Sono sincera.. >

< E va bene.. > Castle sospira e si dirige verso il cesto delle palle di stoffa. Ne prende una in mano e l’accarezza. < Credo che per oggi, abbiamo chiuso con questo tipo di discorsi. > dice e per la prima volta sono sicura che ne ha abbastanza di me. Ha abbastanza di questi discorsi che continuo a fargli ogni dannata volta. Di questi discorsi che faccio solo per parlare, perché so che non mi presta realmente attenzione. < Adesso pensiamo ad allenarci, va bene? Venire qui e non fare niente sarebbe solo uno spreco, giusto? Imparare qualche tecnica nuova sarebbe utile. > 

Lo guardo e per un secondo penso che abbia parlato una lingua straniera. Davvero crede che una bomba atomica come me dovrebbe imparare a combattere? Se solo volessi, sarei capace di fermare una pallottola o un uomo con il pensiero. Imparare a lottare è la scelta sbagliata e non so cosa Castle pensa di fare con me. < Lo credi davvero? Credi davvero che una persona come me debba imparare a difendersi? >  

< Se ti lanciassi queste palle > Castle indica le palle nel cestello. < Tu cosa faresti? >

Lancio uno sguardo alle palle di stoffa messe a caso nel cestello. Sono tutte mal ridotte, alcune bruciacchiate e hanno perso tutte quante il loro colore originale. Adesso sono grige, sporche. Prima forse erano bianche o giallastre. Non saprei dirlo. < Credo che le fermerei con il pensiero. > 

< Sei capace di farlo? >

Non rispondo. È lo stesso errore che ha fatto Kenij. Come lui, non crede nelle mie capacità. Non crede veramente che possa farcela? Mi sembra ridicolo. Ha passato una vita intera a temermi e adesso non sa se sono capace di fermare una palla? Quando assumo il controllo di qualcosa, anche di un oggetto, ne assumo tutte le caratteristiche. E, di conseguenza, posso fargli perdere ogni caratteristica a mio completo piacimento. In questo caso, potrei togliere la gravita alla palla facendola cadere a terra. O potrei farle perdere la solidità e la durevolezza e se si schiantasse contro di me, non mi farebbe niente. O potrei farle perdere la velocità e rallentare i movimenti fino a schivarla.
Potrei fare tante cose. 

E improvvisamente una palla si muove dal centro e mi viene incontro. Spalanco gli occhi e porto le mani al volto, per pararmi.
La palla, però, non mi viene addosso. Essa si immobilizza a mezz'aria, bloccandosi, e ruota su sé stessa per poi cadere a terra. Casca con un tonfo sordo e rimane immobile per un po’ prima di rotolare verso di me. Deglutisco nervosamente e guardo Castle.

È stato lui. Ha usato il suo potere speciale, la telecinesi. Castle, infatti, sa usare la telecinesi a suo piacimento ed è davvero bravo in questo. Forse è la cosa che gli viene meglio, la telecinesi. Spostare le cose gli viene con una semplicità disarmante ed è così bravo che spesso mi spaventa il suo potere. Certe volte vorrei capre cosa significa avere un potere così normale. Certe volte vorrei poter prendere possesso del suo corpo e usare il suo potere, così per sapere cosa significa essere normali anche se strani. Però farlo significa usare Castle come un burattino e no, non posso.

< Ottimi riflessi.  > dice e mi fa un sorriso.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro - William ***


I giorni passano troppo velocemente. Un giorno si tira all’altro con una forza incredibile, il sole sorge e tramonta in quelli che possono sembrare pochi minuti e la luna prende il posto del sole, prima di ricadere nel mare o dietro le montagne. E ancor prima che tu te ne possa rendere conto, il giorno è passato. I giorni sono passati. Le settimane sono andate. Tu non puoi fare altro che meravigliarti, chiedendoti come sia possibile. Come sia possibile che ogni giorno muoia dopo l’altro e tu non ne sia capace di fermarli dal passare.
È così che mi sento. Non sono come descriverlo, ma è questa la sensazione che provo. Sembrava ieri, eppure sono già passate due settimane. Sono passati 14 giorni da quando Adam è entrato in contatto con Juliette per la prima volta. 14 giorni da quando la missione “salviamo Juliette” è iniziata. Per due settimane, Warner è stato zitto e non un comando è uscito dalle sue labbra.
< Pattugliate la zona ovest. >
< Sistemate il magazzino. Fate l’inventario e lo stoccaggio dei beni da consegnare ai cittadini. >
< La missione inizierà tra poco. Vi voglio tutti pronti. >

Questi erano gli unici ordini che Warner aveva dato in quei quattordici giorni. Per il resto, non aveva minimamente accennato a Juliette. Non aveva parlato di lei, non aveva parlato della missione e non aveva fatto il minimo accenno a Kent. Sembrava come ignorare la cosa, come se volesse ignorare la situazione fin quando non sarebbe stato più possibile. Come se Juliette non fosse diventata la sua ossessione.

Stamani mattina però Warner si è svegliato in modo diverso. E non ha faticato ad abbaiare ordini nuovi. Ordini ben diversi da quelli dei giorni precedenti.

< La missione è finita. > ha detto, rivolto generalmente verso il nulla. Davanti a lui, io e altri quattro soldati stavamo in posizione, fermi sul posto. < Voglio che portiate il soldato Adam Kent e il soggetto Juliette Ferrars fuori da quel manicomio. Caporale Park, voglio che si occupi della documentazione da dare ai dottori e voglio che si assicuri che Juliette venga portata nella struttura di sicurezza che abbiamo allestito per lei. La missione non dovrà durare più di venti minuti, il tempo necessario per entrare nel manicomio, fornire la documentazione ai soldati, e tirare fuori la ragazza. Chiaro? >

< Sì, Signore. > ho detto allora. Il mio sguardo rivolto verso il vuoto, il cuore a palla nel petto. Avrei incontrato Juliette. Non mi pareva vero. Il cuore sembrava scoppiarmi nel petto dalla felicità e dall’emozione. < Sarà fatto. >

< Sarai felice. > aveva commentato mia sorella, stuzzicando quell’area del mio cervello che mi permetteva di incazzarmi in meno di un secondo contro il nulla. < Finalmente potrai mettere i tuoi occhi su quel mostro. Complimenti, sei riuscito nel tuo intento. Io sarei fiera se fossi in te. >  

E
cazzo
Se sono dannatamente fiero.
Sono fottutamente fiero di me stesso. Sono fiero del fatto di essere riuscito ad entrare nella squadra di élite che sorveglierà Juliette per ogni momento della sua permanenza al Settore 45. È una cosa di cui andare fieri, giusto? Generalmente non vado fiero di me stesso ma questa è una delle poche volte che mi permetto di farlo. Mi permetto di essere orgoglioso per essere arrivato a questo punto.

< Devo ricordati come sei entrato a far parte della squadra di sorveglianza? > chiede mia sorella, apparendo dal nulla per la prima volta in quella mattinata. Naturalmente, non si fa sentire per tutta la notte e per tutta la mattina, ma quando appare ha sempre qualche commento negativo nei miei confronti. Tipico di lei, del fatto che non sa come sfogare la sua rabbia repressa e la tensione che ha stando rinchiusa tra quelle quattro mura. Potrebbe trovarsi un hobby e sfogarsi in quel modo. Ma credo che sia io il suo hobby preferito ultimamente. < Perché se fossi in te, non ne sarei così fiero.. >

Entrambi sappiamo la risposta del come noi siamo entrati a far parte della squadra di sorveglianza. E con noi, intendo io e Kenji, naturalmente. Avendo perso la mia occasione davanti all’edificio del soldato Seamus Fletcher, avevo dovuto rimediare e rincontrare nuovamente Warner. Ma Warner non è facile da trovare, dannazione. Si nasconde sempre dai suoi soldati, come se sapesse che nessuno vuole averlo vicino, e passa ore intere lontano da tutti, a fare chissà cosa.
E per incontrarlo ho sfruttato la ricognizione. Io e altri nove soldati eravamo andati ad esplorare la zona nordovest del settore, prendendo nota di ogni cosa anomala, di ogni cittadino che avevano incontrato e di come fossero messe le abitazioni e le persone nelle abitazioni. Di come fosse messo l’orfanotrofio principale della città. Essendo il caporale, ogni volta che facciamo una ricognizione nei territori del settore 45, devo fare il rapporto verbale a Warner di cosa è successo e di come sono andate le cose. Se tutto è andato bene. Se ci sono state anomalie. E cose simili. Cose che non mi interessano minimamente ma che, a quanto pare, sono utili al biondino dagli occhi verdi.

< Dimmi pure, Park. > Warner era alla sua scrivania, nel suo ufficio. Un posto nel quale nessuno può andarci se non per motivi importi come un resoconto o se, come può succedere, si viene chiamati da Warner stesso. Warner posò la penna sul foglio – evidentemente stava scrivendo qualcosa, qualche appunto – e si voltò per guardarmi. < Hai la mia attenzione. >
Ho sospirato. Ed è stato allora che ho usato il mio potere. Ho stretto le mani a pugno e ho permesso a me stesso, alla mia energia, di fluire nel mio corpo prima di uscire dalla mia bocca come fiumi di acqua gelida. < Signore, le voci mi dicono che lei mi farà partecipare alla missione che riguarda Juliette. > ho detto e in quel momento, ho sentito le mie parole realizzarsi. Ho sentito come l’energia presente nel mio corpo uscisse dalla mia bocca sottoforma di parola e colpisse in pieno Warner. Ho sentito con che forza l’ha colpito.

Warner si era immobilizzato sul posto e aveva deglutito lentamente. Il suo sguardo si era spento improvvisamente, la sua mascella si era allentata e i suoi occhi si erano socchiusi, come privi di vita. Il suo corpo era caduto, come privo di anima e di forza. Warner era completamente in balia delle mie parole. Completamente privo di possesso di volontà e privo del controllo del suo corpo.
Una cosa che mi fa oscenità. Mi fa schifo il fatto che sia capace di ridurre così un uomo forte come lui con la sola parola. Certe volte vorrei non avere questo potere, perché non è altro che una disgrazia.

< Le voci mi dicono che farò parte della squadra di sorveglianza di Juliette insieme all’agente Kenji Kishimoto. Tutto questo sarà riportato, scritto nei registri. >
Warner aveva annuito lentamente e le sue mani, sulle sue ginocchia, avevano iniziato a tremare. La sua mente stava processando il mio comando. Stava accettando un’idea che non era sua, un comando al quale non si può disobbedire. La sua mente si stava piegando al mio volere, sotto il mio potere. Un uomo così forte, eppure così debole davanti a due parole. < E mi dicono che non ricorderai niente di ciò che ti ho detto, ma che quando ti risveglierai, mi comunicherai che io e Kishimito facciamo parte della squadra di sorveglianza. E lo comunicherai anche agli altri soldati, prima di scriverlo nei registri. Sentiti libero di inventarti una motivazione plausibile. >

Nel momento esatto in cui le mie labbra si erano sigillate, Warner aveva preso a tremare appena. Poi, improvvisamente, aveva ribaltato gli occhi indietro. Avevo deglutito lentamente, chiedendomi se ciò che gli avevo imposto forse era un po’ troppo per lui – d’altronde, anch’io ho dei limiti che mi devo imporre per far si che il mio potere funzioni. Questo, invece, non avviene per mia sorella.
Warner però si era riscosso e in un secondo era tornato in sé. Aveva premuto le mani contro le ginocchia, i suoi occhi erano tornati fissi su di me e il suo volto aveva assunto nuovamente l’espressione dura che aveva fin dall’inizio.

< Prima che tu mi faccia il tuo rapporto > aveva detto poi. < C’è una cosa che vorrei dirti. So che adesso è un po’ tardi, ma purtroppo è stata un’esigenza che è sorta all’ultimo. >

< Signore. >

< Dato che non sappiamo il vero potenziale che Juliette ha, quanto grande sia il suo potere e quanto realmente sia pericoloso, ho deciso di aggiungere due soldati alla squadra di sorveglianza per Juliette. > Warner mi fissava diritto negli occhi, come se volesse farmi crollare sul posto. Come se volesse farmi dire “Ho usato la parola dell’obbligo su di te. Fattene una ragione” < Tu e l’agente Kishimoto siete stati selezionati. > poi aveva incrociato le gambe sotto la scrivania. < Credo che più persone saranno a sorvegliarla, meglio sarà per tutti noi. Non dobbiamo certamente sottovalutarla.. > poi si era preso una pausa. < In giornata lo comunicherò ai tuoi colleghi e aggiornerò i registri. Convocherò anche Kishimoto per parlargliene personalmente ed entro la serata farete già parte della squadra di sorveglianza. >

Ed ecco perché adesso sono qui, all’interno di questo dannato manicomio. Per questo sono a due passi da Juliette e sto per incontrarla. Kenji, per qualche motivo, non è con noi ma me ne farò una ragione come se l’è fatta lui.
E a dire il vero, dovrei essere fiero. Fiero e felice, perché sto per incontrare qualcuno di altamente potente e pericoloso come mia sorella. Ma non lo sono. Forse per il posto in cui sono, magari… Anche se cerco di non guardarmi intorno, sento le urla e gli strilli e non posso non rabbrividire. Mi chiedo come sia vivere dentro i manicomi ora che hanno tolto le torture orrende che erano soliti fare ai pazienti. Le stesse torture che hanno fatto a me e mia sorella. So che sono state abolite – Grazie a Dio, mi viene da dire. I medici adesso cosa fanno ai pazienti? Come li trattano? Li riempiono di pasticche e li picchiano di tanto in tanto. Forse li violentano anche. Ma poi?

< Soldati. >

Non appena parlo, i quattro soldati che mi hanno accompagnato in questa missione si stringono il fucile al petto e allineano le gambe, diventando composti e immobili come se qualcuno li avesse fulminati. È un modo per portarmi rispetto, ma se lo potrebbero risparmiare. Non sono una figura di alto rango, non c’è bisogno che mi trattino così. O almeno credo.

< Sembra che abbiano un palo nel culo. Se cascano, si spazzerà secondo te?

< Ho appena lasciato i fogli del trasferimento ai dottori. > Comunico e stringo istintivamente il fucile al petto. Sono fogli compilati da Warner, dove – a detta di mia sorella – c’è scritto che possiamo prendere Juliette e portarla via in quanto cittadina della Restaurazione. O qualcosa simile. Mia sorella non si sa spiegare molto bene. Guardo tutti i soldati davanti a me. Weston, Ronald, Chapman e Markovik. Sono tutti ragazzi bravi, che sono dovuti entrare nella Restaurazione perché non avevano altra scelta. Ma sono cattivi. Sono cattivi e davvero stronzi. Warner li ha scelti e sono i primi che incontreranno Juliette. Chissà cosa le diranno? Chissà cosa penseranno? Del resto, Juliette è una ragazza carina e loro sono soldati di 20 anni, che non vedono una ragazza da quasi un anno di permanenza al campo base. Chissà cosa le faranno, usando i loro guanti.

Già, siamo completamente vestiti da testa a piedi. Vestiti neri, naturalmente. Abbiamo degli occhiali che ci coprono il volto, dei cappellini per proteggere la testa, delle maschere per proteggere il volto e l’identità. Indossiamo tutti delle maglie, degli stivali e dei pantaloni lunghi. E i guanti. I guati che ci permettono di toccare Juliette. Siamo completamente al riparo, salvi dal tocco di Juliette. Come se Juliette fosse realmente capace di ribellarsi a cinque soldati armati. Mi sembra che abbiamo preso troppe precauzioni. Ma non commento.

< In posizione. > dico e si soldati si voltano verso la porta della stanza. Sono già pronti, pronti ad entrare in quella cella e a fare un dannato casino. Sanno a cosa stanno andando incontro. Sanno che bisogna ignorare Kent, far finta di non conoscerlo e minacciarlo come se lui fosse una minaccia tanto grave come Juliette. A quanto pare, Juliette non deve capire che tutto questo è stato un esperimento finché non sarà Warner a dirglielo. Il perché non lo so. Come non so perché voglia spostare Juliette in un’altra struttura di sicurezza, allestita all’ultimo per accoglierla, invece che portarla subito al quartier generale. Sono cose che non capisco ma sicuramente nella mentre di Warner hanno senso.

< Credo che voglia farlo per vedere se perderà la testa > dice mia sorella ed è quasi un sussurro la sua voce. Come se mi arrivasse da lontano. < Vuole capire se cambiandola di locazione, Juliette impazzirà o si adatterà al luogo. Portarla direttamente al quartier generale sarebbe un po’ troppo pericoloso, non credi? Certe persone, quando cambiano un ambiente nel quale sono abituate a vivere, perdono la testa. >

< Andiamo, andiamo. >

Al mio comando, Ronald sfonda la porta con un calcio e in un secondo, siamo tutti e cinque dentro la stanza. Non appena entriamo dentro la piccola cella – troppo piccola per essere assegnata a due persone – i miei occhi finiscono subito sulla figura di Juliette, ignorando completamente quella di Adam. La vedo, con i suoi capelli lunghi, lisci e scuri e il suo sguardo terrorizzato. Come se ci urlasse contro di non farle del male, che non si merita di soffrire ancora.

Non posso credere che sia davanti a me. Non posso credere che l’oggetto di ossessione di Warner e l’oggetto di desiderio di Castle sia davanti a me. E che io non possa fare niente per portarla via, salvarla da questa situazione che Warner ha voluto creare. Salvarla e portarla al sicuro, al Punto Omega.

< Sento che le sei finalmente davanti. Non ti scaldare troppo, per favore. > mia sorella sembra più annoiata che felice della cosa. La sua gelosia le impedisce di capire quanto felice io possa essere nel ritrovarmi davanti una persona come Juliette. Le impedisce di capire che passo gigante sta compiendo il Punto Omega in questo momento. La gelosia che prova l’acceca troppo. < Sinceramente, me la immaginavo diversa. Più feroce e aggressiva. Sembra un gattino bagnato... >  

“Non credo che sia il momento giusto, Selene” mi permetto di dirle e punto subito il fucile contro di Juliette. Weston e Ronald puntano il loro fucile verso Juliette mentre Chapman e Markovik puntano il loro contro Kent. “Per favore, lasciami un secondo di pace” le dico mentre Kent si alza in piedi. La sua presenza però è di troppo. Non voglio che mi confonda in questo momento delicato. Non voglio che inizi a parlare a vanvera, urlando parole dettate dalla gelosia, o che mi confonda, dandomi ordini e dicendomi cosa secondo lei sarebbe meglio che facessi. “Per favore, dammi un minuto.”  

< Mani in alto, gambe divaricate, bocca chiusa. Restate fermi e non vi spareremo. > dice Ronald e vedo che Juliette mi guarda con aria con più terrorizzata. Come se si aspettasse seriamente che le sparassi da un momento all’altro.

In questo momento mi sento vulnerabile, come se fosse capace di guardarmi dentro l’anima. Ma non può vedermi fisicamente e questo lo so. Siamo tutti coperti, protetti, e lei non può vedere niente se non cinque figure incappucciate.

E anche se siamo coperti da capo a piedi, Juliette è catatonica sul posto e non sembra reagire alle nostre parole. Mentre Kent ha fatto come ordinato da Ronald, Juliette è rimasta completamente immobile. Incapace di muoversi. Incapace di pensare o di reagire agli ordini che le stanno urlano.
Ronald è il primo ad agire, nuovamente. Il fatto che stia studiando per diventare caporale, gli fa credere di potersi permettere di fare cose che in realtà non può fare senza i miei ordini.  Le va dietro e le un calcio in mezzo alla schiena con così tanta forza che per un secondo penso che Juliette rimarrà paralizzata per il resto della vita. La ragazza, però, cade a terra, sbattendo con forza le ginocchia contro il pavimento duro.

< Non fatele male. >

Mi volto per guardare Kent, che ha appena parlato. Sta reggendo la sua parte perfettamente. Anche lui appare spaventato e confuso, ma meno di Juliette. < Tieni chiusa la bocca o finirà male anche per te. > gli dico, puntandogli il fucile contro. Vorrei non averci fatto caso, ma il suo tono di voce sembrava davvero preoccupato.

< È obbligato a parlare in questo modo, idiota.> di nuovo mia sorella. Quell’idiota mi colpisce, ma non più di tanto. È arrabbiata perché le ho detto di stare zitta. Dio, certe volte è veramente una bambina. < siete osservati. Quindi vedi di comportarti per bene. >

Siamo osservati. Giusto. Me n’ero quasi dimenticato. Warner ci sta osservando, naturalmente. Mia sorella mi ha informato mesi fa che avevano installato delle telecamere in questa cella e dei microfoni, così da poter controllare Juliette giorno e notte. Non c’è da stupirsi che Warner abbia fatto una cosa simile. Non mi stupirei se adesso non ci stesse osservando silenziosamente, prendendo nota di ogni cosa che accade in questa stanza. Prendendo nota dei miei movimenti e delle mie parole.

< Uno. Due. Tre. Quattro. >

Mi volto verso Juliette e quasi spalanco gli occhi nel sentirla parlare. È la prima volta che la sento parlare, che sento com’è la sua voce. Ma non mi aspettavo che le prime parole che mi rivolgesse fossero dei dannati numeri. Dei numeri, santo cielo. È pazza o me lo sono immaginato? Si è appena messa a contare. Non so cosa, ma si è appena messa a contare. Probabilmente è lo shock.

< Vuoi capirlo che devi tenere la bocca CHIUSA? > chiede Wenston e vedo che Juliette mi sta ancora guardando. Mi guarda mentre punto il fucile contro di Adam. La sua attenzione è tutta su di lui, come se ignorasse la situazione in cui lei si trova.

< In piedi. > urla Ronald e le tira un calcio sulle costole con estrema forza. Per un'altra volta, penso che Juliette urlerà di dolore e si accascerà per terra, priva di forze. Juliette invece si lascia sfuggire un singhiozzo e si piega in due come se fosse un foglio di carta. < Ho detto IN PIEDI > un altro calcio, stavolta più forte, più rapito e in pancia.

Mi chiedo da dove venga tutta questa rabbia repressa di Ronald. Sapevo che era violento – gli ho visto fare cose indescrivibili ai cittadini – ma non pensavo che se la potesse rifare con tanta violenza contro Juliette. Contro una ragazza che non gli ha fatto niente di male. Contro qualcuno che è letteralmente pietrificato, incapace anche solo di muoversi o di pensare. E vorrei prendere Juliette, dirle che non deve aver paura e che la stiamo per portare in un altro posto. Ma non me lo posso permettere. Siamo osservati e in questo momento, io sto facendo la figura dell’idiota davanti a Warner.

< Muoviti, cazzo. Non hai tempo da perdere. >

< Muoviti. > lascio cadere il fucile al mio fianco e vado da Juliette. La mia mano trema per un secondo prima di afferrarle con forza il braccio. D’altronde, ho solo un paio di guanti che mi separa dalla sua pelle ed è lecito che io abbia paura. Credo che sia normale aver paura del suo tocco mortale. Tutti avrebbero paura di fare una cosa simile e in questo momento
Permettetemi queste parole: Mi sto davvero cacando addosso.

Tiro Juliette in piedi. < Forza, andiamo. >

Juliette però non si muove e io non so cosa fare. I miei soldati mi fissano, quasi sconvolti. Sì, la sto toccando e mi tremano le gambe. Perché se solo Juliette volesse, mi potrebbe infilare una mano sotto la maglia e togliermi la vita. Se solo volesse, potrebbe strapparmi via il guanto e porre fine ad ogni cosa. Le sparerebbero, naturalmente, ma per me non ci sarebbe niente da fare in quel caso. E io in questo momento non so cosare. Tirarle una spinta, darle uno schiaffo, tirarle i capelli? Non so cosa sia abbastanza accettabile per Warner ma lo conosco abbastanza per dire che è un sociopatico e che gli piace vedere le persone in difficoltà. Beh, adesso sono in difficoltà.

< Ci senti o sei sorda? > faccio la prima cosa che mi viene in mente. La afferrò per i capelli e la tiro su con forza. Forse troppa forza, perché Juliette ansima di dolore e si alza sulle punte. Almeno sta reagendo. È reattiva.

< Beh, dimmi un po’ se non sei una stonzetta. > dice Chapman e gli altri soldati si permettono di ridere alle sue parole. Come se avesse fatto una battuta divertente. Come se ci fosse qualcosa di divertente nell’offendere una ragazza in quel modo.

Io non rido. Kent non ride. Non capisco cosa ci sia divertente. Non capisco cosa ci sia divertente nel deriderla in questo modo. È spaventata, trema violentemente e non è capace nemmeno di formulare un pensiero. Deriderla è solo una cosa che delle persone senza cuore sarebbero capaci di fare.

< Non piange nemmeno > dice Markovik < di solito le ragazze invocano pietà, a questo punto. >

< Andiamo. > la spingo e la trascino fuori dalla stanza. Non la strattono, non la spingo con più forza del necessario ma devo dimostrare a Warner che sono tosto e che svolgo bene il mio lavoro. Principalmente devo dimostrare di saper fare il mio lavoro. Devo dimostrare di saper ricoprire il mio ruolo. < Juliette- >
Nel momento stesso in qui il suo nome esce dalla mia bocca, la ragazza si ascia a terra. Faccio in tempo a prenderla in braccio, prima che le sue ginocchia tocchino il pavimento. Mi affretto a tenerla su e la prendo a modo di sposa, reggendola tra le braccia. Mi soffermo un secondo per guardare il suo volto, tanto piccolo quanto armonioso nei suoi lineamenti. Non mi aspettavo che una ragazza della sua età pesasse così poco. Sicuramente qui dentro non le davano da mangiare. Riconosco i suoi segni di malnutrizione.
Sono gli stessi che aveva mia sorella da piccola.

< Il caporale ha il tocco magico o sbaglio? > ride Ronald e mi si avvicina per guardare Juliette da più vicino. Approfitta del suo stato per tirarle un buffetto sul naso. < Guardate com’è svenuta questa stronza. > e una risata esce dalle sue labbra.

< Cazzo, fa vedere. > dice Markovik e fa per avvicinarsi.

Mi tiro indietro ancor prima che il soldato si possa avvicinare. < È stato stressante per lei. > dico e la stringo appena tra le mie braccia. Le mie gambe non possono fare a meno di tremare. Juliette è tra le mie braccia. È viva, dormiente, ma è tra le mie braccia. Potrebbe svegliarsi da un momento all’altro e saltarmi al collo. E mi ucciderebbe. Non so se mi farebbe un favore. < Smettetela di atteggiarvi in questo modo e uscite fuori. Non abbiamo tempo da perdere. >

< Signore. > i quattro soldati si mettono in posizione e, ad uno ad uno, mi sorpassano fino ad uscire dalla stanza di Juliette. Si riversano tutti nel corridoio buoi del manicomio. È così buio che sia io che i miei colleghi abbiamo faticato a trovare la stanza di Juliette.

Poi mi rivolgo a Kent. È immobile, le mani lungo i fianchi. Non sembra stare bene ed è decisamente dimagrito dall’ultima volta che l’ho visto. < Tutto okay, soldato? >

Adam annuisce. Poi: < È davvero svenuta, signore? >

Annuisco. < Non è abituata a reggere tutto questo stress. Dovevamo immaginare che sarebbe andata così. > guardo Adam per un secondo. Vorrei dirgli che è bello che sia tornato tra di noi e che sia sano e salvo, anche se non mi aspettavo che gli sarebbe successo qualcosa. Tuttavia le mie labbra non possono formulare parole simili, non con Warner che ci ascolta costantemente. < La vacanza è finita. > dico allora. < Per te è ora di tornare a lavoro. >

< Signore. > Adam allinea le gambe e porta il pugno destro al cuore. Non è il saluto completo ma, del resto, non ho bisogno che mi saluti formalmente. Sono solo un rango sopra il suo. Non sono nessuno per pretendere un saluto completo; il saluto che tutti rivolgiamo a Warner.

Annuisco, Adam si rilassa e lascia ricadere le braccia al petto e poi esce dalla stanza. Mi affetto a seguirlo, tenendo Juliette stretta tra le braccia.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque - William ***


< William… >
 
          I miei occhi scuri si aprono. La mia testa sembra esplodere nel secondo in cui vedo la luce e mi affretto a prenderla tra le mie mani, stringendola con forza. I miei occhi si posano su quel che c’è davanti a me. Un pavimento, con una moquette color salmone e… c’è del sangue. Ci sono delle gocce di sangue che macchinano la moquette. Lo guardo con fare confuso, ma senza stupirmene troppo. Di chi è questo sangue?
          Faccio una smorfia e appoggio la mano sulla moquette e in quel momento lo vedo. Altro sangue, che macchia le mie dita di un colore rosso intenso. Ma che diavolo sta succedendo? Poi una goccia cade, colpendo il dorso della mia mano e macchiandola. E in quel momento realizzo, in quel momento capisco: quel sangue, è il mio sangue.
Mi tiro a sedere, con estrema fatica, e sento un rivolo di sangue colarmi lungo il volto ma lo ignoro. Non penso che quello sia il mio problema più grande adesso. Credo – sono sicuro che ci sia altro, qualcosa di più importante a cui pensare.
 
< W-William… >
 
          Mi guardo intorno, nella speranza di capire dove sono. I miei occhi percorrono la stanza, il salotto credo, nella speranza di riconoscere qualche particolare. Ma la mia vista non sembra essere capace di mettere a fuoco le cose, come se qualcosa glielo impedisse. Vedo un tavolo, con sopra degli oggetti che sono caduti, sdraiati sopra un centralino; vedo un divano, che mi dà le spalle; vedo una piccola finestra; e una libreria, cui libri sono tutti caduti a terra per qualche motivo. E, oh… una televisione, completamente spaccata e a terra. Distrutta.
          Ma che sta succedendo…? Mi prendo la testa tra le mani nuovamente e osservo come i palmi si sono tinti di rosso.
Che cos’è questo posto?
Lo conosco? No.
Allora perché mi è così familiare?
          Appoggio una mano sulla mia gamba e provo ad alzarmi ma le mie gambe sembrano essere incollate al pavimento, prive di forza. Come se essa fosse stata prosciugata e delle radici avessero incollato le mie gambe al pavimento. Abbasso lo sguardo sui miei pantaloni e in quel momento lo vedo: altro sangue. Altro sangue che macchia i miei pantaloni, probabilmente mio anch’esso.
Merda, c’è così tanto sangue… sicuramente devo essermi ferito in qualche modo, alla testa. Ho troppa paura di mettere la mano tra i miei capelli biondi per scoprire quanto grande è la ferita. In qualche modo, so che è grande. Non so quanto – a dire il vero, non mi interessa nemmeno – ma so che è una ferita notevole, che sgorga sangue impietosamente. E questo sangue deve essere fermato in qualche modo.
 
< W-Will, i-io… >
 
          Poi improvvisamente la vedo.
Selene.
È davanti a me. Non so come sia potuto succedere: prima non c’era, ma adesso è qui, viva e vegeta. Ma non è questo quel che mi preoccupa. Non mi interessa sapere come abbia fatto a teletrasportarsi fino a qui, ma l’ha fatto.
          Le lancio un’occhiata mentre il sangue mi entra nell’occhio sinistro, macchiandomi la visuale di rosso. La vedo: è sconvolta, pietrificata, terrorizzata. Lo sento, lo percepisco, e questo non mi piace perché non capisco il perché. Vorrei chiederle cos’ha, vorrei aprire la bocca ma le mie labbra sembrano sigillate. Selene ha le braccia tremanti, le mani che tremano così tanto che quasi mi fanno paura, e le gambe non sembrano capaci di reggerla in piedi eppure lo fanno. Ha qualcosa che non va, il suo sguardo è fisso su un punto vicino a lei.
          E così mi volto, a fatica, e punto il mio sguardo su ciò che mia sorella sta guardando. E allora la vedo. Li vedo. Dei piedi, fasciati da delle scarpe nere, e del sangue che li circonda, macchiando il pavimento. Deglutisco a fatica, cercando di riprendere fiato. Improvvisamente mi manca il fiato. Come se non fossi capace di respirare. Improvvisamente sento come i polmoni bloccarsi, incapaci di permettermi di riprendere respiro. Che sta succedendo? Che mi sta succedendo? I miei polmoni si rifiutano di prendere altra aria mentre il mio cervello inizia a processare ciò che può essere successo.
Ma è proprio mentre processo le cose che, allo stesso tempo, il mio cervello mi impedisce di processarlo. Di chi sono quelle scarpe? Perché mi sono familiari? Sono scarpe da residenti, potrei averle viste ovunque...  
 
< D-dobbiamo andare.. >
 
In un secondo, Selene mi afferra il braccio e mi volto per guardarla. Siamo entrambi in piedi. Uno di fianco all’altro. E la sua stretta sul mio polso è dura, quasi ferrea. Mi guarda, con i suoi occhi profondi, e in quel momento intravedo delle lacrime, come se fosse vicina al pianto. Tuttavia le lacrime non cedono, rimangono ferme sul posto. Come se non volessero cadere, come se lei gli impedisse di cadere. Selene è sempre stata forte.
È sempre stata la più forte, anche in quel momento.
 
< Dobbiamo andare, William… >
 
La sua mano afferra la mia e in quel momento posso sentire che la sua stretta è dolce, quasi rincuorante. C’è decisamente qualcosa che non va in essa. Mia sorella che mi tocca è già una sorpresa, ma mia sorella che mi tocca dolcemente… no, c’è decisamente qualcosa che non va in tutto questo. Lo sento dal suo tocco. Sento che c’è qualcosa che mi sta nascondendo, sento che c’è qualcosa che mi tiene nascosto… forse per il mio bene.
Ma mia sorella non mi dà il tempo di formulare domande, non mi dà il tempo di aprire la bocca. La sua stretta torna ferrea e mi trascina via, portando dall’altra parte della stanza.
 
Tuttavia
Proprio in quel momento
I miei occhi si voltano verso quei piedi. Quei dannati piedi fasciati dalle scarpe. E allora è lì che la vedo… è proprio in quel momento che il mio cervello scatta, facendomi realizzare ciò che ho davanti.
Perché quella sdraiata a terra
Ormai priva di vita
È il corpo di mia madre.
 
Mi sveglio di colpo, respirando affannosamente, e appoggio una mano sul petto, all’altezza del cuore. Sento il mio respiro bloccarsi per qualche secondo ma poi i miei polmoni danno il via libera all’ossigeno, ed esso entra come un fiume in piena in essi, dandomi di nuovo vita. E mi sento vivo di nuovo, come se fosse tutto nuovo. Sento come il mio cuore balla forte nel petto e mi tiro sui gomiti, guardandomi intorno. Sfarfallo con gli occhi, cercando di capire dove mi trovo. Non mi ci vuole molto a capirlo: sono nella mia stanza, sano e salvo. Niente sangue, niente piedi nascosti dietro un divano, niente corpi senza vita e… niente Selene.
No, per quanto possa essere presto, mia sorella non si trova qui. Il che è strano: sono abituato a svegliarmi con lei, grazie a lei.
          Decido di calmarmi e mi rilasso, contro il materasso della mia brandina. Faccio un appunto mentale, cercando di ricordarmi che giorno è oggi, che cosa sto facendo e chi sono in questo momento. E ricordo: sono passati due giorni.
Due giorni da quando abbiamo portato fuori Juliette e oggi è il mio giorno di riposo. Mi guardo intorno e noto che il mio compagno di cella non c’è, così mi metto a sedere. Per un secondo posso permettermi di perdere la pazienza, perdere il controllo.
          Non posso credere alle mie parole. Ho un giorno intero di riposo e non posso crederci. Juliette oggi entrerà nella base e io sono di riposo. Mi sembra quasi ridicolo ma non posso negare un riposo. Non me lo negherebbero perché non avrei un valido motivo. Sono già ben in cinque a sorvegliare Juliette, sei con Kenji se Warner l’ha convocato ma non ne sono perfettamente sicuro. Certe volte i miei poteri non funzionano così bene… o almeno non funzionano al cento per cento e forse non ho insistito abbastanza su Kenji. Merda, se solo avessi insistito di più…
          Sospiro, sapendo che non posso tornare indietro. Ormai ciò che è fatto è fatto, e non mi resta altro che aspettare nella speranza di capire che nuovi passi muovere contro quello stronzo di Warner.  

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