Il giorno che la tigre mangiò la melagrana

di Melisanna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fino a quel momento ***
Capitolo 2: *** Al posto delle arance ***



Capitolo 1
*** Fino a quel momento ***


Questa storia è composta da due capitoli, uno scritto per una challenge sul gruppo Facebook  Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom l'altro invece è stato scritto per l'Advent Calendar organizzato dalla pagina Facebook Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO
 
 Fino a quel momento


 
Hyuga si stagliava sempre in mezzo agli altri giocatori, fin da quando erano bambini. Era sempre stato alto, bruno e muscoloso, cupo e ferale nonostante l’età. Si muoveva nello spazio come se gli appartenesse, ferocemente sicuro di sé e teso all’obiettivo, non c’era niente che potesse rallentarlo, né tantomeno fermarlo.

Hyuga stava nel campo come una tigre nella giungla, nella sua letale, impassibile bellezza e Yuzo sapeva quanto quella metafora fosse abusata quando si parlava di lui, ma non poteva fare a meno di pensare a una belva, quando lo guardava.

Lo fissava dal suo posto fra i pali con la fascinazione terrorizzata che provava da bambino. Certe cose non cambiano mai. Hyuga avanzava nel campo con la letale, impassibile bellezza di una tigre nella giungla e Yuzo lo fissava, sperando, oltre il possibile, che qualcuno gli impedisse di raggiungere la porta.

Aveva incontrato giocatori più forti di lui, giocatori più crudeli e scorretti, giocatori i cui tiri erano più potenti. Nessuno però aveva mai popolato i suoi incubi come Hyuga. Forse perché la paura gli si era impressa nell’inconscio da bambino e niente era stato capace di spodestarla.

O forse si trattava degli occhi di Hyuga.

Gli occhi di Hyuga erano ardenti e indecifrabili, come quelli delle belve, non vi si leggeva niente che non fosse il desiderio di vittoria, da ottenere a qualsiasi costo, scavalcando chiunque e qualunque cosa, senza remore, né pietà. Sembrava che Hyuga vivesse per ogni pallone in rete. Non era un piacere come per Tsubasa, non era un gioco, era una necessità. Gli allenamenti a cui si sottoponeva erano considerati al limite della tortura e lui pareva provare un masochistico piacere nell’immergercisi. E tanto più lo allontanavano dagli altri, tanto più vi si dedicava.

Forse era quello che gli faceva paura. E al tempo stesso lo affascinava. Quella monolitica concentrazione. Il fatto che Hyuga sembrasse esistere soltanto sul campo da calcio. Yuzo non sapeva niente di cosa facesse una volta sfilata la divisa. E non riusciva neanche a immaginarlo.

Quando erano insieme in trasferta, Hyuga non parlava con nessuno, tranne che con Wakashimazu e Sawada e anche con loro sembrava più che altro ascoltare, in assorto silenzio. Yuzo li osservava con l’ammirazione mista a trepidazione con cui si osservano dei domatori alla prese con una tigre, chiedendosi come potessero essere così rilassati in sua presenza.

Yuzo si sentiva trascinato tra i pali alla sua sola vista, in attesa della pallonata che lo avrebbe trasformato di nuovo in un bambino terrorizzato e piangente.

Hyuga era sempre stato una bestia feroce che si muoveva soltanto sul campo da calcio. Una creatura senza sentimenti se non una fame atavica di vittoria.

Fino a quel momento.

Il ragazzo aveva lucidi capelli castani e un fisico snello. Hyuga gli aveva bloccato una mano sopra alla testa e gli stringeva la vita mentre l’altro gli affondava le mani nei capelli. Hyuga baciava con la stessa feroce intensità con cui giocava, dedicandosi all’atto con tutto sé stesso.
Il ragazzo inarcò la schiena e si spinse contro di lui.

Yuzo deglutì. Non avrebbe dovuto fissarli, ma non poteva farne a meno. Provava la stessa atterrita fascinazione di quando fissava Hyuga in campo, fermo tra i pali.

Fermo sulla pista li guardava sparire e riapparire a seconda delle luci stroboscopiche, le mani di Hyuga che scendevano a stringere possessivamente le natiche del ragazzo, i corpi che si toccavano appena, i visi che si confondevano l’uno nell’altro.

Poi Hyuga si voltò ed incrociò il suo sguardo. Yuzo non tentò nemmeno di voltarsi, incatenato ai suoi occhi.

Così, per la prima volta, vide oltre la superficie impassibile degli occhi della tigre.

Vide sorpresa e confusione e rabbia. E vide paura.

E all’improvviso il terrore che lo aveva attanagliato per anni gli scivolò di dosso, perché insomma, anche Hyuga non era che un essere umano, come tutti gli altri e chissà quanto di lui Yuzo non sapeva e quanto avrebbe potuto scoprire. Hyuga non era solo una bestia feroce che non aveva che uno scopo nella vita.

Soltanto che era l’unico aspetto di lui che Yuzo conoscesse.

Fino a quel momento.

Yuzo si appoggiò l’indice sulle labbra, in una promessa di silenzio.

Hyuga si rilassò in un modo che evidenziò solo quanto fosse stato in tensione fino a quel momento. E sorrise.
Di un sorriso storto della cui esistenza Yuzo era stato ignaro. Chissà quante altre espressioni possedeva Hyuga.

A Yuzo sarebbe piaciuto saperlo.

 

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Capitolo 2
*** Al posto delle arance ***


Al posto delle arance

 

Fissò la porta della camera d’albergo chiedendosi cosa ci facesse lì. Dire che non erano mai stati intimi era un eufemismo, si parlavano a malapena. I manici del sacchetto di plastica gli segavano fastidiosamente le dita della mano destra e gli ricordavano che anche quello era stato un azzardo, un errore probabilmente. Non poteva portare delle arance, come facevano tutti? Ma quando aveva visto l’uomo spaccare il frutto esotico per mettere in mostra i chicchi lucidi, mentre il succo scarlatto gli colava come sangue fra le dita, ne era rimasto affascinato. Gli aveva ricordato lui, così sgradevole e ruvido a primo impatto e così sorprendente a un esame più accurato. Perciò quando l’uomo ne aveva decantato le proprietà curative, riempire un sacchetto di quei frutti dall’aspetto sbozzato e legnoso era stato istintivo.

Ma adesso, davanti alla porta, si chiedeva da dove gli fosse venuto, quell’istinto e, soprattutto, perché diavolo lo avesse seguito.

Sospirando alzò una mano e batté due colpi titubanti alla porta.

Un “arrivo!” soffocato, accompagnato da un paio di colpi di tosse provenne dall’interno della stanza e Hyuga aprì la porta dopo pochi minuti, gli occhi scuri che brillavano febbricitanti sopra alla mascherina e i pantaloni della tuta che gli pendevano mollemente intorno ai fianchi.

Lo squadrò, sorreggendosi allo stipite della porta. Aveva i capelli appiccicati in ciuffi scomposti alla fronte sudata ed era pallido sotto l’abbronzatura, con  un’ombra violacea e malsana sotto gli occhi. La febbre gli aveva arrossato le guance e il respiro, di solito profondo e regolare, si era fatto erratico e debole, però lo sguardo era sempre il solito.

E come sempre lo faceva sentire un ragazzino stupido e debole.

– Morisaki. Che ci fai qui?

Alzò il sacchetto pieno di melograni a mo’ di spiegazione, sperando di ritardare il momento in cui sarebbe stato costretto a dire qualcosa.

Hyuga lo accettò, sollevando un sopracciglio beffardo – Che pensiero carino. Da quando siamo amici, Morisaki?

Yuzo si strinse nelle spalle, mai sarebbe stata la risposta più adeguata – Mancavi solo tu. È stato strano. Abbiamo vinto, comunque.

Hyuga sbuffò – Lo so. Ho la televisione. Scusa se non ti invito a entrare. Sai com’è… Covid di merda

Senza riflettere Yuzo si mise una mano in tasca, estrasse una mascherina e se l’infilò – Non c’è problema, ormai la partita c’è stata.

Hyuga gli rivolse uno sguardo strano, valutandolo e Yuzo si chiese cosa gli fosse saltato in mente, ancora, ma poi Hyuga si scansò per farlo passare e forse, in fondo, stare chiuso da solo in una camera d’albergo pesava perfino a uno come lui.

Hyuga diede un’occhiata intorno – Vuoi qualcosa? Un tè… non sono male – afferrò una scatola di legno appoggiata vicino al bollitore ed esaminò con aria critica le bustine che conteneva – Suppongo che nel frigo bar ci sia qualcosa, ma non assicuro niente sulla qualità.

Yuzo si avvicinò e, sorprendendosi per la sua intraprendenza, gli levò la scatola di mano – Rimettiti a letto. Ci penso io.
Hyuga gli rivolse un altro di quegli sguardi indagatori, che lo facevano sentire nudo e imbarazzato, poi scrollò le spalle e, rabbrividendo, si infilò sotto le coperte.

Riempì il bollitore e, mentre l’acqua si scaldava, prese due tazze e scelse una bustina di Earl Grey, per sé e una tisana per Hyuga – Ti faccio una di queste allo zenzero e limone. Dovrebbe farti bene. Ok?

Dall’espressione disgustata di Hyuga, non era ok per niente, ma dato che non ribatté, Yuzo si sentì autorizzato a continuare – Immagino che le finestre non si possano aprire, vero? Peccato, sarebbe meglio areare.

Il bollitore scattò, con uno schiocco di plastica contro plastica e Yuzo versò l’acqua nelle tazze bollenti. Pescò dal sacchetto uno dei melograni. Tagliò via con cura le due calotte, con il coltello che si era fatto dare al ristorante. Incise la buccia come aveva visto fare all’uomo al mercato e spaccò il frutto in sei spicchi gonfi di semi.

Porse il piatto con gli spicchi lucenti a Hyuga e appoggiò sul comodino la tazza di tisana, per poi ritrarsi prudentemente su una una delle sedie vicine alla scrivania. Non avrebbe saputo dire cosa lo intimoriva, esattamente, se la malattia o l’idea di trovarsi troppo vicino a Hyuga.

Hyuga studiò sospettosamente il frutto, prese un chicco, lo esaminò facendolo ruotare alla luce come una gemma e se lo mise in bocca.

– Bè – chiese Yuzo dopo che Hyuga ebbe ripetuto l’azione altre tre volte – Com’è?

– Mh. Non male, acidulo, un sacco di semi. Cos’hai detto che è?

– Non l’ho detto. Melograno. Fa molto bene per l’influenza – rispose Yuzo, augurandosi che fosse vero. – Immagino valga lo stesso per il Covid.

Hyuga assentì distrattamente, continuando a studiare i chicchi traslucidi.

– Comunque, come diavolo hai fatto a prendere il Covid? Sei probabilmente l’unico in tutto il Giappone.

Hyuga fece una smorfia – Immagino di essere arrivato dall’Italia già ammalato. E ora sono bloccato qui per chi sa quanto. Dio, che rabbia – Un attacco di tosse lo interruppe, sconquassandogli il petto, quando si riprese aveva il fiato corto. Vederlo così fragile era qualcosa che sconcertava Yuzo. Hyuga nel suo immaginario era inavvicinabile anche dalla malattia, era troppo forte, troppo selvatico, troppo ferale per potersi ammalare. Era un controsenso.

– Ti stai curando?

Hyuga fece un cenno con la testa verso il cassettone – Ieri Takeshi mi ha portato del paracetamolo.

Yuzo controllò la confezione: mancava una sola pasticca. Scosse la testa. Bè, questo era proprio da Hyuga. Probabilmente avrebbe aspettato di essere con un piede nella tomba per prendere provvedimenti – Me l’aspettavo. Ti ho preso dell’ibuprofene. E in farmacia mi hanno dato questo per la tosse – tirò le due scatole fuori dalla tasca. Diede una rapida occhiata ai foglietti illustrativi – Questo va sciolto nell’acqua, te lo preparo, va. E prendi due di queste subito.

– Che sei? Mia madre? – borbottò irritato Hyuga, ma allungò una mano e prese le pasticche che gli porgeva Yuzo. Quel breve contatto fece rabbrividire Yuzo, era come sfiorare una tigre.

Hyuga mandò giù le pasticche con un sorso di tisana e ricominciò a mangiare, un chicco alla volta. Yuzo prese un bicchiere, lo riempì per metà al lavandino del bagno e ci sciolse la polvere aranciata, mentre guardava di sottecchi Hyuga prendere i chicchi con la punta delle massicce dita brune – È stato strano giocare con la Nazionale senza te in campo. Non era mai successo prima.

– L’hai già detto.

Yuzo si strinse nelle spalle – Già. Però è stato strano davvero.

Hyuga gli lanciò un’altra delle sue occhiate investigative, ma non disse nulla. Cosa si aspettava che dicesse? Non sapeva neppure lui, perché glielo avesse confidato.

Si avvicinò al letto e gli allungò il bicchiere. Questa volta il contatto durò più a lungo, mentre Yuzo tratteneva il bicchiere per l’attimo necessario a essere sicuro che la presa di Hyuga su di esso fosse ben salda. Sentì i battiti del proprio cuore risuonargli nelle orecchie, mentre le dita ruvide sfioravano le sue e si accorse di trattenere il respiro, come davanti a una belva che si fosse avvicinata per mangiare dalle sue mani.

Fu contento che Hyuga non alzasse lo sguardo.

Hyuga buttò giù la mistura opaca con la rassegnata testardaggine di un soldato al fronte e un fremito di disgusto gli attraversò il viso, mentre abbassava il bicchiere – Che porcheria.

Quella reazione divertì Yuzo e lo rilassò. Tanto che allungò una mano e gli sfiorò la fronte con il dorso – Hai un febbrone da cavallo, ti farebbe bene dormire.

Una mano robusta gli si serrò intorno al polso e Yuzo si trovò a fissare gli occhi di Hyuga, ancor più roventi del solito a causa della febbre – Sai cos’altro mi farebbe bene, Morisaki?

Yuzo sentì le guance farglisi scarlatte e per un attimo pensò di fingere di non avere capito. Ma non avrebbe avuto senso, sapevano entrambi perfettamente di cosa stavano parlando. – Non mi sembra il caso… Stai male.

– Già. E sono un covo di germi. Non vorrai finire in quarantena anche tu? – Un sorriso ferino gli si allargò sul viso.

Yuzo rimase fermo a fissarlo negli occhi. Poi si sfilò la mascherina e si chinò a baciarlo. Forse, in fondo, era venuto lì sperando che finisse così.

Hyuga continuò a trattenergli la mano, stretta contro i loro corpi e gli infilò le dita dell’altra tra i capelli. Yuzo salì in ginocchio sul letto senza smettere di baciarlo. Hyuga gli morse le labbra e gli affondò la lingua in bocca, con la ferocia che Yuzo si aspettava, tirandogli i capelli al limite del dolore. Aveva un odore pungente, ancora più forte a causa della malattia e del sudore e in bocca l’acidulo della melagrana si mescolava con il sapore acre di chi non si sia lavato i denti da troppo tempo.

Avrebbe dovuto trovarlo disgustoso, invece era eccitante.

Si lasciò andare sopra di lui, sorreggendosi su un gomito per timore di schiacciarlo, mentre gli infilava una mano sotto la maglietta. La lasciò vagare lungo i fianchi stretti e salire sul petto per stringergli i capezzoli. Hyuga gli liberò la mano e Yuzo approfittò di quella libertà per abbassarsi a baciarlo sul collo e sul ventre, seguendo con la bocca il percorso che avevano tracciato poco prima le sue dita.

Il corpo di Hyuga era bollente e il suo respiro affannoso. Yuzo si sistemò tra le sue gambe, schiacciando il volto contro il suo fianco e affondando le mani nelle carni sode, respirando il suo afrore.

Hyuga sembrava aver esaurito tutte le sue energie nel bacio e si era lasciato andare contro i cuscini, fissandolo da sotto le palpebre abbassate, i fremiti del desiderio che si mescolavano a quelli della febbre, sfiorandogli appena i capelli con una mano.

Gli infilò le dita nell’elastico dei pantaloni e affondò il viso nel suo inguine. Sarebbe toccato fare tutto a lui, ma non gli dispiaceva.

Gli dispiacque ancora meno qualche minuto dopo, quando Hyuga si sciolse con un sospiro soddisfatto tra le sue labbra.
Yuzo si pulì la bocca e strisciò al fianco di Hyuga. L’altro lo guardò con occhi liquidi e sonnolenti – Ci saranno almeno due casi di Covid in Giappone, domani.

Yuzo ridacchiò, mentre Hyuga allungava pigramente una mano e gliela lasciava scivolare nelle mutande.

 

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