Athazagoraphobia

di Alessia_Esposito
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


 
Athazagoraphobia
- the fear of forgetting someone or something -
 
Vi siete mai chiesti cosa succede precisamente al vostro cervello quando bevete? E perché cala drammaticamente la vostra capacità di giudizio e di scelta?

Era a questo che pensava mentre, sudato, tremante ed ubriaco perso, si accingeva ad aprire lo sportello della sua auto - non senza prima aver buttato giù qualche imprecazione ed essersi ferito ad una mano con le chiavi - per mettersi alla guida.

L'alcol rallenta i processi mentali e cognitivi deprimendo la corteccia cerebrale, che regola l'attenzione, la percezione, il pensiero, la lingua e la consapevolezza […]

Era la voce ovattata dello speaker di una pubblicità progresso, che distrattamente aveva visto qualche sera prima in tv, a risuonargli nelle orecchie, mentre la poca ragione che ancora gli rimaneva, accortasi di quale strada il cuore gli stesse facendo percorrere a quell’ora della notte, incrementò ulteriormente il tremolio di cui il suo corpo era prigioniero ormai da qualche ora. Non aveva mai bevuto così tanto in vita sua, in realtà non si era mai neanche ubriacato, privandosi da sempre di quello che i suoi amici definivano “magnifico stato di ebrezza”. Era lui, infatti, l’amico che rimaneva sobrio durante le feste per poter poi riaccompagnare tutti gli altri a casa in totale sicurezza; era quello a cui le madri si raccomandavano sempre e di cui più si fidavano; era quello che non perdeva mai il controllo, che non se lo era mai permesso.
Una risata nervosa si impadronì del suo volto, a questo pensiero: “Tu, bello mio…” si disse “il controllo lo hai perso ormai da molto, non sai più neanche che cos’è, se si mangia o si maneggia.
Era vero: il controllo lo aveva perso in un afoso pomeriggio d’estate, nell’ufficio del sostituto procuratore per cui lavorava, dopo aver… “Sostituto procuratore? Neanche più il suo nome riesci a pronunciare senza sentirti in colpa per quello che provi” si interruppe, battendosi violentemente il palmo di una mano contro la fronte. Sì, dopo averle confessato ciò che per giorni, settimane, mesi gli era pesato sul petto come un macigno, un groviglio confuso di emozioni contrastanti, una pietra che se quel giorno non avesse provato a spostare, probabilmente lo avrebbe trascinato sul fondo del mare per sempre. Era arrivato al limite: la storia di Lolita, i dissapori che c’erano stati tra loro a partire da allora, il modo in cui le aveva urlato contro sentendosi abbandonato e messo da parte, la gelosia che, prepotente, cresceva vedendola accompagnata da qualunque altra persona che non fosse lui. Questo era il suo limite, il suo punto d’arrivo, il cartello stradale con su scritto “stop” che, posto ad uno dei tanti incroci dell’intreccio di strade che costituivano la sua anima, gli chiedeva di fermarsi e dare la precedenza a tutto ciò che si era imposto di non sentire, di tenere nascosto e soffocare per paura del male che avrebbe potuto causare.
Poi l’aveva baciata, o meglio, lei lo aveva baciato, pentendosene subito dopo e ordinandogli, con la poca autorità che sperava ancora le rimanesse, di dimenticare tutto. Ma era troppo tardi: chi è che vuole o riesce a dimenticarsi del paradiso dopo averlo letteralmente, concretamente toccato?
Il suono brusco e violento di un clacson, accompagnato dalle espressioni rabbiose e volgari di un autista, lo rubarono ai suoi pensieri riportandolo alla realtà, per fortuna: in un momento di distrazione aveva sbandato con l’auto ed aveva invaso la corsia opposta.
Sapeva molto bene che tutto quanto stava facendo in quel momento era da pazzi, incoscienti ed irresponsabili, aggettivi del tutto in antitesi con il suo titolo di maresciallo - che forse, di questo passo, si sarebbe visto togliere molto prima del previsto -, tuttavia era quello il momento giusto, lo sentiva, doveva approfittare degli effetti dell’alcol finché poteva.
Era stato Capozza, dopo averlo visto battere i pugni sulla sua scrivania e scaraventare a terra la maggior parte delle cose che vi erano poggiate su, ad invitarlo a bere una birra quella sera.
Eeeeh calma Calogiù…” aveva iniziato, poggiandogli le mani sulle spalle tese “scommetto che non è niente che non si possa risolvere con una buona birra in compagnia” aveva poi proposto, lasciando Calogiuri sorpreso di non sentirsi chiedere che cosa fosse successo, a cosa fosse dovuto quel suo stato d’animo. Tuttavia, qualche minuto dopo, il maresciallo aveva poi riflettuto sul fatto che lì dentro gli occhi per guardare ce li avevano tutti, ed era ormai chiaro come il sole che tra lui ed Imma qualcosa stesse succedendo. Capozza, forse, aveva solo avuto la delicatezza di non farglielo notare, evitando di chiedere e di intromettersi in qualcosa che non lo riguardava. Enormemente grato per ciò, aveva semplicemente annuito al collega, accettando il suo invito e seguendolo fuori dalla procura.
Tuttavia, nonostante il sollievo provato per il disinteresse di Capozza, che non lo aveva obbligato a spiegare il motivo per cui aveva trascorso tutto il giorno inchiodato alla sedia della sua scrivania a fissare con aria furente il muro dietro lo schermo del pc, sapeva che, presto o tardi, a sé stesso avrebbe dovuto confessarlo, che avrebbe dovuto ammetterlo, prenderne coscienza ed agire di conseguenza.

Ed io che pensavo che eri il ragazzo di provincia dai buoni sentimenti, e non il solito marpione che perde la testa quando vede passare una del nord.
Una del nord? Eh no, mo’ stiamo esagerando. Prima di tutto non sono fatti vostri, poi seconda cosa la mia vita privata non vi riguarda.”
No no, mi riguarda eccome. Non puoi andare a letto con tutta la procura!

Avevano litigato, quella mattina, per un’inutile e stupida sciarpa. “Pensa al lato positivo” si era detto per calmarsi “questa è la prova provata del fatto che è gelosa di te, che non sopporta vederti con altre donne. La conosci troppo bene per sapere che se è arrivata a mettere su una tale scenata, è perché anche lei sta combattendo contro qualcosa di troppo forte, e la Bartolini è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. In altre circostanze, la sua serietà ed integrità non le avrebbero permesso di dire una sola parola riguardo una questione che avrebbe definito frivola e oggetto di pettegolezzi.
Purtroppo, però, per quanto si sforzasse di limitarsi solo a questo tipo di pensieri, la consapevolezza di sembrare ai suoi occhi un “marpione che perde la testa davanti alle belle donne” lo distruggeva. Se solo avesse saputo che da quando l’aveva baciata nel suo ufficio, durante la festa della bruna, non era più riuscito a toccare nessun’altra donna; se solo avesse saputo che la relazione con Jessica – che stava ormai naufragando inesorabilmente - era stata semplicemente un vano e disperato tentativo di provare a vivere senza di lei e con l’amara rassegnazione di non poterla avere; se solo avesse saputo di tutte le volte che lui e Jessica avevano finito per litigare pesantemente a causa del fatto che, dopo mesi di convivenza, non riusciva ancora a sfiorarla, toccarla, a fare l’amore con lei senza che davanti agli occhi gli si parasse la sua immagine, l’immagine di Imma, pronta a giudicarlo per quanto poco avesse combattuto per lei.
Magari fossi uno sciupafemmine, magari…” pensò, e con ragione: paradossalmente, esserlo avrebbe rappresentato per lui la salvezza da un amore impossibile che, a lungo andare, lo avrebbe inevitabilmente consumato. Ed ecco, allora, che le birre da una erano passate a tre, poi quattro, per poi trasformarsi in bicchieri contenenti un liquido ambrato a lui sconosciuto, ma che aveva bevuto - contorcendo il viso in una smorfia di disgusto a causa del sapore estremamente forte - su consiglio del barista e di Capozza, brillo già da un po’ e in cerca di compagnia femminile. Era stato in quel momento, con la coscienza e la ragione totalmente annebbiate dagli alcolici, che aveva capito cosa fare e all’una di notte, nelle condizioni più pietose in cui un essere umano possa versare, si trovava davanti la casa del sostituto procuratore Imma Tataranni.
Bene campione, sei riuscito a raggiungere la destinazione senza farti uccidere in un incidente stradale. Adesso cosa conti di fare? Bussare al citofono, aspettare che scenda il marito e dirgli ‘salve signor De Ruggeri, mi scusi l’ora, sono venuto per dire a sua moglie che la amo con la stessa intensità con cui si amano le cose che non si possono avere’ per poi vomitargli addosso pure l’anima?
Una vocina interiore iniziò a burlarsi di lui, e non seppe dire con certezza se si trattava di una piccola parte di sé rimasta indenne dagli effetti dell’alcol o meno, tuttavia si rivelò utile per evitare di fare la stupidaggine più grande della sua vita: bussare al citofono di casa sua, ubriaco marcio, svegliando la sua famiglia e rendendola testimone del livello di dignità più basso che avesse mai potuto raggiungere.
Una volta appurato ciò, decise allora di optare per il cellulare: “La chiamo… Sì, la chiamo e… E le chiedo di scendere…” pianificò. Digitò maldestramente il suo numero sull’apparecchio, sbagliandolo almeno 5 volte e ricordandosi, solo dopo essersi dato del deficiente, che bastava semplicemente cercarlo nella rubrica dei contatti. Riuscito finalmente a far partire la chiamata, poi, rimase in disperata attesa di sentirla parlare.
“Pronto? Calogiuri?” una voce assonnata sostituì dopo qualche minuto il “biiip” infernale della telefonata.
“Dott… Dottoressa…” una risposta scomposta fu tutto quello che riuscì a farsi uscire dalla bocca, preso dal panico del non aver pensato precisamente a cosa dirle e a come dirglielo.
“Calogiuri perché mi chiami a quest’ora? Che succede? Stai bene?” l’evidente preoccupazione nella sua voce, accompagnata dal rumore delle lenzuola che si spostavano - probabilmente per alzarsi dal letto e mettersi in posizione di allerta e completa attenzione -, gli scaldò il cuore, nonostante sapesse quanto fosse ingiusto da parte sua farla preoccupare in quel modo per una stupida ed irresponsabile sbronza.
“Sì, io…” tossì “io devo… Ho bisogno di…” rise nervosamente.
“Calogiuri sei ubriaco?” lo interruppe, ormai impaziente e terribilmente in pensiero per lui “Sei ferito? Dove ti trovi?”
“Dottoressa, vi prego… Scendete.”
Buttò fuori quelle poche parole con tutta la forza che ancora gli era rimasta, perché il resto l’aveva persa solamente nel raggiungere casa sua, uscire dall’auto e appoggiarsi al muro poco distante dal suo portone, azioni che gli erano sembrate delle vere e proprie imprese tenendo conto dell’effetto devastante che l’alcol stava iniziando ad esercitare sui suoi muscoli, sul suo intero corpo. Buttò fuori quelle poche parole accompagnandole con un sospiro pesante, come se si fosse appena liberato da qualcosa, e poi chiudendo gli occhi e volgendo il volto al cielo, beandosi dell’aria fredda della notte come non aveva mai sentito il bisogno di fare. E lei, che nel frattempo aveva istintivamente rivolto lo sguardo alla finestra della sua camera da letto, riuscì solo a pensare “ecco, questa è esattamente una di quelle situazioni che ti sei imposta di evitare ad ogni costo, dal giorno in cui vi siete baciati nel tuo ufficio. Sai benissimo cosa succede se scendi, Immacola’. Sei abbastanza più grande di lui da sapere come vanno a finire queste cose.”
Eppure, nonostante fosse perfettamente consapevole di ciò che l’attendeva - e che doveva ad ogni costo evitare - alla fine di quelle scale poste fuori la porta di casa sua, non poté fare a meno di percorrerle, e pure di fretta e furia, con il cuore a mille e nelle orecchie il respiro stanco, pesante e affaticato della persona che più temeva e desiderava incontrare. 

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Seconda parte
 
Ringraziò Dio, i santi, il cielo o qualunque altra entità divina avesse fatto sì che a quell’ora della notte, nonostante il gran chiasso che aveva fatto per trovare qualcosa di decente da indossare al di sopra della camicia da notte con la quale si era messa a letto, Pietro e Valentina continuassero beatamente a dormire come se nulla fosse.
Ringrazia Imma, ringrazia. E magari da domani inizia pure ad andare in chiesa, perché se uno dei due si fosse svegliato, cosa ti saresti inventata per raggiungere la versione alcolizzata di Calogiuri che ti sta aspettando giù?
La parte più razionale di sé, dotatasi di una voce - anche alquanto squillante e fastidiosa -, iniziò a darle i tormenti, ma lei era ormai decisa a non ascoltarla, molto più preoccupata delle condizioni in cui si trovava il maresciallo piuttosto che di ciò che sarebbe stato moralmente corretto fare o non fare. Si affrettò ad indossare i jeans, la felpa e le scarpe sportive che qualche ora prima aveva distrattamente gettato ai piedi del letto, appuntandosi mentalmente di buttare tutto il giorno dopo in quanto indumenti lontani anni luce da quello che era il suo insolito ma originale stile. Era stata Valentina, qualche mese prima, durante una tipica giornata madre-figlia dedicata allo shopping, a costringerla ad acquistare quella roba.
Mamma, puoi provare una sola volta nella vita ad acquistare qualcosa che ti renda più… Come dire, normale?” le aveva detto, e lei aveva accettato semplicemente per farla contenta, per non controbattere e finire nell’ennesimo litigio che, per quanto stupido, non avrebbe fatto altro che deteriorare il loro già precario rapporto.
Ad ogni modo, per quanto odiasse quei vestiti, adesso erano la prima cosa a portata di mano che aveva trovato, e perdere altro tempo nella scelta del suo outfit non le sembrò una saggia decisione.
Una volta pronta, allora, si diresse verso la porta, cercando di fare il minor rumore possibile, poi verso le scale, percorrendole con una tale velocità da rischiare di cadere, e infine verso il portone, che aprendo le mostrò una scena che non le piacque per nulla, provocandole, anzi, una stretta al cuore che ricordava di aver provato raramente nella vita. Calogiuri era seduto a terra, con la schiena ed il capo premuti contro il muro ruvido e freddo dell’edificio, gli occhi chiusi rivolti verso l’alto e la bocca socchiusa, sulla quale una nuvoletta di fumo, dovuta al contrasto tra il calore del suo respiro ed il freddo di quella notte, aveva iniziato a volteggiare da chissà quanto tempo.
“Calogiuri…” sussurrò tra sé e sé in preda al panico, prima di correre verso di lui “Calogiuri!” chiamò più forte stavolta, inginocchiandosi accanto a lui per prendergli il viso tra le mani. Ci vollero 2 o 3 colpi leggeri sulla pelle fredda delle guance per rinsavirlo, ma a lei sembrarono molti di più, perché infinito le sembrò il tempo trascorso prima che riaprisse quei suoi occhioni azzurri e le restituisse lo sguardo.
“Ma sei impazzito, per caso? Quanto hai bevuto? Che diamine pensavi di fare, eh?” iniziò a chiedergli, con tono severo, affannato e terribilmente preoccupato, e incurante del fatto che probabilmente lui non riuscisse neanche a seguire ciò che gli stava dicendo.
“Una… Una domanda alla volta, per favore.” riuscì solo a risponderle, frastornato non solo dagli effetti dell’alcol, ma anche dalle sensazioni che il contatto delle sue mani con la pelle del suo viso gli stava suscitando.
“Hai addirittura guidato fin qui in questo stato! Ma hai perso completamente il senno?” gli urlò quando i suoi occhi si posarono sull’auto parcheggiata poco distante da casa sua e l’improvvisa consapevolezza che quella notte gli sarebbe potuto accadere qualcosa di molto grave prese il completo controllo dei suoi pensieri.
“Calogiuri guardami” gli riafferrò saldamente il viso “per quale dannato motivo ti sei ridotto così?”
“Io dovevo… dovevo parlarvi.” le confessò.
“Ed era necessario bere fino a star male e rischiare la vita in un incidente stradale all’una di notte per farlo?” lo incalzò lei.
“Voi non capite…”
“Cosa non capisco? Eh? Perché qua da capire non c’è proprio niente.”
Era furiosa, delusa e arrabbiata come non lo era mai stata. Il solo pensiero di averlo potuto perdere a causa di un comportamento tanto immaturo, stupido, ridicolo ed irresponsabile, che sapeva non appartenergli assolutamente, la faceva impazzire, le raggelava il sangue nelle vene. Continuava a chiedersi perché, quale motivo poteva esser stato per lui, una persona affidabile, matura, seria e retta, tanto doloroso o traumatico da indurlo a ridursi in quello stato.
“Voi non capite.” le ripeté di nuovo, accompagnando le sue parole con una risata nervosa e cercando, con tutte le forze che ancora possedeva, di alzarsi, mettersi in piedi e darsi un certo contegno. Ci riuscì, ma non senza prima sbandare un paio di volte e doversi appoggiare a lei per non cadere rovinosamente a terra.
“Avevo bisogno dell’alcol per venire fino a qua” iniziò a spiegarle, gesticolando maldestramente con le mani “io avevo bisogno dell’alcol per dimenticarmi di cosa è giusto e cosa è sbagliato, per dirvi quello che in circostanze normali non vi direi mai.”
Capita la pericolosa direzione che quella conversazione avrebbe preso, Imma cercò di sviare il discorso.
“Calogiuri dobbiamo trovare un modo per riportarti a casa. Sei gelato, devi fare una doccia, prendere un’aspirina e metterti a letto. Matarazzo ti starà aspettando, sarà preoccupata e…”
“Jessica se n’è andata.” la interruppe bruscamente, buttando fuori quella notizia con una tale violenza che sembrava voler dare a lei la colpa di quanto accaduto.
“Che… Che significa se n’è andata?” provò a chiedere, confusa.
“Lo avete detto voi, no? Com’era? Il marpione…” iniziò a ripensare a quanto era successo quella mattina, al loro litigio, sforzandosi di ricordare le esatte parole che lei aveva usato per definirlo “ah, sì! Sono un marpione che perde la testa quando vede passare una del nord.” concluse con fare soddisfatto, iniziando nuovamente a ridere in maniera nervosa.
“Calogiuri non ho alcuna voglia di scherzare.” lo ammonì, seria.
“Perché io sì? Vi sembra che io abbia voglia di scherzare in questo momento?” il suo voltò si tramutò in una maschera di tristezza e dolore nel giro di un batter d’occhio, e la sua voce assunse lo stesso tono che quella mattina aveva usato per rimetterla al suo posto, ergo fuori dalla sua vita privata.
“Credo sia meglio chiudere qui la conversazione. Hai bisogno di riposare, non sei nelle tue piene facoltà mentali, potresti dire cose di cui ti pentiresti domani e io non voglio…”
“Magari fossi uno sciupafemmine, dottoressa. Magari…” la interruppe nuovamente “perché esserlo significherebbe non portarvi qua dentro…” continuò, indicandosi la testa con un dito “ventiquattro ore su ventiquattro, giorno e notte, qualunque cosa io stia facendo.”
Imma senti la sua voce incrinarsi per un attimo, mentre cercava disperatamente di spiegarle il motivo che lo aveva spinto ad un gesto tanto estremo, e proprio in corrispondenza di quell’incrinarsi della voce sviò lo sguardo ed evitò di guardarlo negli occhi, che era sicura si fossero lasciati scappare una lacrima. Decise che era troppo, decisamente troppo per lei.
“Magari fossi un marpione, ma purtroppo non lo sono. Sono solo un povero stronzo che pende dalle vostre labbra, che aspetta che voi lo chiamate come un cane aspetta che il padrone lo porti fuori a spasso. Sono un deficiente che per essere felice ha bisogno che voi gli diciate che è stato bravo, che ha fatto un buon lavoro e che siete fiera di lui. Sono un illuso che spera che i sorrisi che gli rivolgete siano solo per lui e nessun altro, che le rare carezze distratte che gli regalate siano solo per lui e nessun altro, ma poi si ricorda di non essere l’unico, si ricorda di vostro marito, vostra figlia… E allora, a quel punto, la competizione non può reggere.”
Straziante. Sì, straziante era l’unica parola a cui riusciva a pensare per descrivere quanto stava accadendo in quel momento davanti a lei. Straziante era il modo in cui le parole gli uscivano dalla bocca, quasi come sputate; straziante era il mondo in cui gesticolava e si colpiva il petto per rendere meglio l’idea di quanto tutta quella situazione lo facesse stare male; strazianti erano i suoi occhi pieni di lacrime bloccate, costrette a stare in uno spazio che stava diventando sempre più piccolo e stretto.
“Avevate ragione quando avete detto che tradisco Jessica, è vero” si fermò, giusto il tempo di fare un respiro un po’ più lungo degli altri e riprendersi l’aria che le emozioni contrastanti ed il corso degli eventi gli stavano rubando “la tradisco ogni volta che penso a voi, ogni volta che penso a quando vi ho stretta a me e vi ho baciata. A volte ho addirittura l’impressione di riuscire a sentire la vostra bocca sulla mia, il vostro respiro sul mio viso.”
Aveva ricominciato a ridere, ma stavolta non in modo nervoso, bensì come ride un bambino ingenuo per l’imbarazzo, coprendosi gli occhi, quando vede i genitori baciarsi per la prima volta, e scopre che quello è uno dei tanti modi che gli esseri umani utilizzano per darsi amore.
“Mi… mi sembrava fossi stato abbastanza chiaro stamattina: la tua vita privata non mi riguarda.”
Era rimasta in silenzio durante tutto il drammatico ed improvvisato monologo del maresciallo, aveva evitato in ogni modo possibile il suo sguardo, concentrandosi piuttosto sulla sua auto, sul muro dietro di loro, sulle pietre scheggiate della strada, sulle sue mani… Come se da un momento all’altro ognuno di questi elementi avesse potuto darle la risposta che stava disperatamente cercando, la soluzione ad ogni problema, come se da essi potesse sollevarsi una voce e dirle “Imma, non ti crucciare, la cosa giusta da fare è questa.” Tuttavia, suo malgrado, questo non era avvenuto e doveva riconoscere che, in realtà, una scelta giusta purtroppo non c’era, o almeno non una che avrebbe potuto evitare la sofferenza di tutte le persone coinvolte, più o meno consapevolmente, in quella situazione.
E tu che fai, Immare’? Come te ne esci? Con l’affermazione più sbagliata di tutte, ovvio. La peggior cosa che tu potessi dirgli dopo che ti ha praticamente confessato che non fa altro che pensare a te tutto il tempo e che la ragazza lo ha mollato proprio per questo, per colpa tua. Come hai detto? Non fai parte della sua vita privata? Che ridere Immacola’, che ridere. Fai più parte tu della sua vita privata che sua madre stessa.
La vocina appartenente alla sua razionalità si fece nuovamente sentire, ma stavolta Imma non ebbe neanche il tempo di decidere se darle ascolto o meno, perché Calogiuri aveva ripreso a parlare e del povero ragazzo ubriaco, infreddolito, stanco e disperato non era rimasto nulla, assolutamente nulla, spazzato via dalla versione più furiosa, delusa e arrabbiata che avesse mai potuto conoscere del maresciallo.
“La mia vita privata non vi riguarda?” rise “la mia vita privata non vi riguarda?” ripeté nuovamente, con un tono molto più alto e forte, scandendo con furia ogni singola parola “voi ci siete sempre, sempre! Mi siete entrata fin dentro le ossa, apparite ogni volta che provo a far finta che non esistiate e mi concedo alle attenzioni di Jessica! Vi sento nella testa mentre provo a baciarla, a toccarla, a fare l’amore con lei…”
“Calogiuri…” provò a fermarlo quando un mix troppo intenso di senso di colpa e vergogna prese il sopravvento su di lei, ma fu del tutto inutile.
“Lo sapete quante serate le ho rovinato? Quante cene preparate con cura e amore le ho fatto buttare nel cestino? Quanto tempo le ho fatto perdere convincendo lei e me stesso che prima o poi sarebbe passato? Che vi avrei dimenticato e sarei andato avanti come se nulla fosse, superando quella che era una semplice infatuazione!” stava urlando, letteralmente urlando, e per quanto il rischio di essere scoperti da qualche vicino incuriosito o di svegliare Pietro e Valentina stesse crescendo esponenzialmente ad ogni secondo, non riuscì, ancora una volta, a fare o a dire nulla, rimanendo totalmente pietrificata.
“Io sono stato un egoista, l’ho usata come un salvagente per evitare di affogare mentre voi eravate sulla riva a giocare alla bella famiglia felice…”
Un forte schiaffo, seguito da un silenzio terribilmente rumoroso, interruppe il flusso rabbioso ed incontrollato di parole del maresciallo.
Ha colpito proprio nel segno, eh Immare’? Ti ha colpito più forte di quanto abbia potuto fare tu adesso. È uno di poche parole, ma queste poche parole le sa usare proprio bene. Puoi dargli torto? Puoi dirgli che non è vero quando in realtà ha descritto perfettamente il limbo in cui vi trovate da quando è tornato dall’America Latina? È stato un continuo tira e molla, il tuo. Prima lo hai allontanato, poi ti sei riavvicinata, poi gli hai fatto addirittura capire che eri gelosa persa di lui. Nessuno, in queste condizioni, riuscirebbe a voltare pagina e ricominciare da capo.”
La sua vocina interiore, ancora una volta, si incaricava di spiegarle le ragioni che la stavano spingendo a comportarsi in quel modo, o meglio, a non comportarsi, almeno fino a quello schiaffo violento, ma pure di quest’ultimo, come aveva appena dimostrato, aveva a disposizione l’interpretazione.
Calogiuri rialzò leggermente il capo, ritornando a restituirle lo sguardo, ma concedendosi tutto il tempo di realizzare e digerire ciò che era appena accaduto: era ancora abbastanza lucido per rendersi conto che quello schiaffo aveva fatto più male a lei che a lui, infatti una lacrima aveva inaspettatamente iniziato a rigarle una guancia, mentre le labbra le si muovevano in modo nervoso nel disperato tentativo di dire qualcosa.
“Basta Calogiuri, basta.” si fermò “mi hai sentita? Sta zitto… Zitto!”
Continuò a ripetere quelle parole come una preghiera, un mantra, avvicinandosi lentamente a lui, afferrandogli saldamente il volto tra le mani e, con una tale violenza e disperazione, lasciando che le loro labbra si incontrassero e scontrassero. Non aveva mai baciato nessuno in quel modo, neanche Pietro. Era come tornare a respirare dopo esser stati troppo tempo sott’acqua, e questa consapevolezza la indusse a versare inevitabilmente altre lacrime, mentre si stringeva sempre più forte al corpo di Calogiuri.
Piangi perché non riesci a capire come sia possibile che qualcosa possa salvarti e al contempo ucciderti, eh Immare’? Piangi perché non capisci come possa essere cosi sbagliato e fare così male, ma al contempo sembrare giusto e farti stare bene.”

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


Terza parte
 
Si chiese se fosse possibile. Si chiese se, al mondo, potesse esistere qualcuno capace di desiderare qualcosa, qualcuno in modo così disperato, avido, forte… “Senza speranza”, si sarebbe azzardata a dire. Si chiese se fosse reale l’impellente bisogno che li stava governando in quel momento: quello che stava governando le mani del maresciallo che, adagiate una su un suo fianco e l’altra sul suo collo, la spingevano dolcemente contro il muro dell’edificio di casa sua; quello che stava governando le proprie dita, che si aggrappavano tremanti alla nuca di lui e lo tenevano ancorato alla sua bocca; quello che stava governando i loro respiri pesanti, che riuscivano a trovare una via d’uscita e a mescolarsi all’aria fredda della notte solo nei brevi istanti in cui le loro labbra si spostavano ora su una guancia, ora un po’ più in basso, nell’incavo del collo.
Si teneva premuto contro il suo corpo, Calogiuri, con una sfrontatezza ed un’audacia che non gli aveva mai visto, ma che sapeva essere sintomi delle ingenti quantità di alcol che ora dimoravano nel suo corpo. Sembrava volesse dirle “ecco, guarda, senti cosa mi stai facendo, in che condizioni sono, come mi sto riducendo per evitare anche solo di toccarti ogni volta che siamo da soli in macchina o nel tuo ufficio.”
E lei, quanto più prendeva consapevolezza dell’inferno che quel “ragazzo di provincia dai buoni sentimenti” doveva star vivendo ormai da mesi, tanto più gli si concedeva, lasciandosi accarezzare e baciare come non si era mai immaginata lui potesse fare, e ricambiandolo con altrettanta intensità.
“Calo… Calogiuri…” riuscì a malapena a sussurrare, scostandosi lievemente, quando il sapore ferroso del sangue le invase leggermente la bocca “Ippazio…” provò a richiamarlo, per la prima volta col suo nome di battesimo, afferrandogli saldamente il volto tra le mani per fermarlo e guardarlo negli occhi.
“Dottoressa non…” farfugliò, riaprendo con estrema lentezza gli occhi, le cui palpebre sembravano essere sempre più incollate dagli effetti della sbronza “non tornate da vostro marito… Lo so, io lo so che non... non dobbiamo, non devo, ma vi prego non tornate da lui, non abbiamo fatto niente… si, cioè vi ho baciato…” si fermò “che cazzo, vi ho baciato…” realizzò, colpendosi la testa con le mani “ma non abbiamo fatto nient’altro, non vi toccherò più, lo giuro…” fu bruscamente interrotto da Imma, che in uno slancio improvviso gli circondò il corpo con le braccia e lo strinse talmente forte da spegnergli i pensieri e i sensi di colpa che stavano iniziando a torturarlo.
“Calogiuri basta, va tutto bene. Sta tranquillo, respira” gli sussurrò all’orecchio, accarezzandogli lentamente la testa. Le venne da sorridere, ma con fare terribilmente malinconico.
Te ne stai accorgendo, Immare’? Ti stai rendendo conto della purezza e dell’intensità con le quali ti ama? E del tormento che prova? Ti ha baciato come se fosse stata l’ultima cosa concessagli prima di morire, ma appena ti sei allontanata la realtà delle cose gli è crollata addosso e sarebbe stato capace di tornare a reprimere i suoi sentimenti pur di non vederti andar via.”
La sua vocina, per l’ennesima volta, le forniva l’esatta interpretazione di quanto era appena accaduto, il cui contenuto, suo malgrado, poteva essere riassunto nel significato di una sola parola: egoista.
Era stata egoista quando, appena tornato dall’America Latina, gli aveva chiesto perché fosse scappato di punto in bianco, in seguito a ciò che era avvenuto durante la festa della bruna, ma subito dopo aveva poi tenuto a chiarire lo sbaglio che avevano commesso; era stata egoista ogni volta che non aveva perso occasione di punzecchiarlo per la relazione con Jessica prima, ed il fantomatico tradimento con la Bartolini dopo; era stata egoista ogni volta che lo aveva intenzionalmente allontanato per “vendicarsi”, neanche fossero dei bambini. Era stata egoista in un numero sproporzionato di occasioni, incurante del bagaglio emotivo che gli pesava sulla schiena ogni volta che le si parava davanti e la guardava negli occhi, in disperata attesa di essere “liberato”, che fosse dichiarandogli quanto anche lei lo amasse o lasciandolo andare per sempre.
E tu, invece di liberarlo, che facevi Imma? Lo legavi ancora più stretto a te, senza accorgerti che nel limbo in cui vi avevi messo, le corde stavano iniziando a fargli un male cane.
“Calogiuri, guardami” richiamò la sua attenzione, cercando di scacciare via ogni pensiero, tornando a reggere il suo sguardo “ti sanguina il labbro, dobbiamo disinfettarlo. È… è colpa mia, mi dispiace, non volevo schiaffeggiarti così forte…” provò a spiegargli.
“Potete schiaffeggiarmi tutte le volte che volete se dopo mi baciate come avete appena fatto” le rispose tutto d’un fiato, strappandole l’ennesimo sorriso triste.
“Hai bevuto davvero tanto, eh Calogiu’?” gli chiese, ma più che una domanda sembrava una constatazione. Nel mentre, una mano gli accarezzava il viso e le dita seguivano il contorno del labbro che lei stessa gli aveva ferito, notando come stesse iniziando a gonfiarsi leggermente.
“Posso assicurarvi che questo ve l’avrei detto anche se fossi stato sobrio” la incalzò, ancora, avvicinandosi di nuovo con l’intenzione di riprendere il bacio di pochi attimi prima.
“Calogiuri, no…” lo fermò, appoggiandogli le mani alla base del collo “devi tornare a casa, prendere qualcosa che ti aiuti con il mal di testa e la sensazione di vomito che sicuramente domani ti ridurranno ad uno straccio, e metterti a letto… E no…” lo fermò, non appena vide la sua bocca schiudersi per obiettare “un altro struggente monologo shakespeariano non lo reggo, Calogiu’. Talmente tante sono le cose che mi hai sbattuto in faccia stanotte, che credo di essermi ubriacata anche io, pur non bevendo” gli spiegò, sperando vivamente che capisse quanto tutto ciò che le aveva confessato l’avesse scossa e confusa, rendendole necessario isolarsi per poter intraprendere, nella sua testa, un vero e proprio processo, allo scopo di capire cosa fosse giusto e cosa no, chi fossero i colpevoli e chi gli innocenti.
Perché non lo sai più, eh Immacola’? Il maresciallo ti ha distrutto ogni certezza, con un forte pugno sul tavolo ha fatto crollare il castello morale di carte che con anni di sforzo e dedizione ti eri creata” finì per lei la sua vocina.
“Ad ogni modo…” riprese a parlare, scuotendo la testa come per tornare in sé stessa “è evidente che nelle condizioni in cui ti trovi, tu non possa fare tutte queste cose da solo. È necessario che qualcuno venga a prenderti e guidi al posto tuo…”
“Capozza è ubriaco fradicio peggio di me” la interruppe, prima ancora che lei potesse chiedergli qualunque cosa “inoltre, credo in questo momento sia in buona compagnia… Se capite ciò che intendo. Talmente buona che mi è difficile pensare che attualmente abbia a cuore la mia incolumità tanto da venire a prendermi e accompagnarmi a casa.”
“Capozza?” gli chiese con espressione scioccata “ti sei fatto convincere ad andare a fare baldoria da Capozza? Veramente?” aggiunse, quasi sul punto di scoppiare a ridere.
“Ora sapete che prima non scherzavo quando ho detto sto messo davvero male” le rispose, aggiungendo poi “almeno lui ha trovato compagnia”.
“Calogiuri non ci metto niente a darti un altro schiaffo”
“E io non ci metto niente a darvi un altro bacio”
“L’avrei già fatto io, se solo avessi potuto”
Il botta e risposta era stato così spontaneo, istintivo, naturale e rapido, che la realizzazione di ciò che aveva appena detto, sopraggiunta solo dopo alcuni minuti di sguardi intensi, la indusse a spalancare gli occhi e a coprirsi il volto con le mani, allontanandosi ulteriormente dalla figura del maresciallo.
“Imma…” per la prima volta in assoluto, da quando si conoscevano, il giovane pronunciò il suo nome di battesimo in un sospiro sofferto, forse addirittura una supplica, aggravando la violenza che la personale inquisizione mentale del sostituto procuratore stava adottando nel giudicarla per ciò che le era appena uscito dalla bocca. La conosceva, Calogiuri, la conosceva fin troppo bene, e sapeva che perdere il controllo in quel modo, per una persona che, come lei, lo prediligeva sopra quasi ogni cosa, era indice di fallimento, debolezza, sconfitta.
Avrebbe voluto chiamarla così da sempre, Ippazio: sin da subito avrebbe voluto sostituire la fredda e distaccata denominazione “dottoressa”, nella speranza che questo potesse servire ad avvicinarlo a lei, a renderlo ai suoi occhi “speciale” rispetto agli altri, anche solo un po’.
Immacola’, nessuno ha mai pronunciato il tuo nome in una tale maniera, nemmeno Pietro nei migliori amplessi che avete condiviso. Sei ancora sicura di voler scappare? O almeno, di riuscirci?
“No Calogiuri” lo ammonì lei – in realtà ammonendo, insieme a lui, anche la vocina interiore che, suo malgrado, aveva ripreso a tormentarla –, dandogli le spalle e iniziando a ridere nervosamente “questo è un limite che non possiamo permetterci di oltrepassare”.
Il passaggio da ‘dottoressa’ a ‘Imma’ è un limite che non potete permettervi di oltrepassare? Immare’ ma sei seria? Come se questo cambiasse il fatto che muori dalla voglia di sentire nuovamente la sua bocca sulla tua.”
“Ma che state dicendo?” chiese lui, sconcertato “Prima… Prima mi avete chiamato per nome e…”
“Ed ho sbagliato” si apprestò a rispondere, interrompendolo.
“Vi ho baciata, mi avete baciato…” continuò Calogiuri noncurante, spiegando le sue ragioni e cercando di capire dove lei volesse andare a parare.
“Calogiuri stai parlando con un tuo superiore, anzi, ricapitolando: stanotte ti sei presentato ubriaco marcio sotto casa di un tuo superiore, ti sei rivolto a un tuo superiore in maniera eccessivamente informale ed intima, hai…”
“Eravate un mio superiore quando mi avete baciato nel vostro ufficio la sera della festa della Bruna?” stavolta fu lui ad interromperla, sputandogli addosso quelle parole con una tale rabbia che, ancora una volta, quella notte, il sostituto procuratore stentò a riconoscerlo “lo eravate fino a pochi istanti fa, mentre vi spingevo contro quel dannato muro?”
“Calogiuri!” urlò, tentando di ammonirlo nuovamente ed impedirgli di dire altro, ma il giovane di Grottaminarda aveva ormai raggiunto un limite di sopportazione tale che non le avrebbe più permesso di confonderlo e tenerlo ancora legato a sé con i suoi continui tira e molla. La questione, stavolta, l’avrebbe chiusa con o senza il tanto agognato - quanto improbabile - lieto fine, perché di lieto, quella situazione, iniziava ad avere ben poco.
“Calogiuri un cazzo! Sono stanco!” sentenziò allora.
Prova a dargli torto, Immacolà. Prendendo in prestito un termine del gergo giovanile, avete limonato per 10 minuti buoni e adesso il problema sarebbe il modo in cui ti chiama? Se stai cercando di rimediare alla fuga di emozioni che si è verificata quando hai detto che lo avresti baciato di nuovo, se solo avessi potuto, stai fallendo miseramente.”
“Mi state punendo, per caso? Anzi no, peggio, state punendo voi stessa per esservi lasciata andare ad una confessione tanto intima!” aveva preso letteralmente ad urlare per strada, come se ormai non gli importasse più di niente e nessuno. Pietro e Valentina avrebbero tranquillamente potuto palesarsi davanti a loro e lui non avrebbe dubitato un solo attimo sul vomitargli addosso quello che stava già recriminando ad Imma ormai da mezz’ora.
“E’ questo che fate sempre, dottoressa!” scandì con sarcastica precisione le lettere dell’ultima parola “vi avvicinate, a tanto cosi” disse muovendo le dita, con fare nervoso, per indicare la misura esatta alla quale stava alludendo “per poi allontanarvi kilometri e kilometri non appena sentite di essere andata troppo oltre, di aver reso troppo reale il desiderio che anche voi…” si fermò - dopo aver nuovamente utilizzato un tono particolarmente incisivo sulle ultime due parole -, giusto il tempo di riprendere fiato “provate per me” concluse.  
Imma, ancora una volta, non seppe fare altro che rimanere in silenzio, tuttavia, stavolta, fissandolo intensamente. Solo pochi istanti prima si era rimproverata il fatto di avergli procurato enormi sofferenze con il suo comportamento incoerente e confusionario, eppure era bastato un niente, il suo nome pronunciato dalla bocca del giovane maresciallo, per ricadere nello stesso errore e spazzare via tutte le ragionevoli conclusioni alle quali era arrivata.
Hai paura Immarè, terribilmente paura, ma questa sta facendo più male a lui che a te” provvide a spiegarle la vocina interiore.
“E mi fate sembrare un pazzo…” ricominciò a parlare, accompagnando il suo sfogo con una risata e le mani a coprire il volto stanco “ogni volta che, dopo esservi avvicinata, io inizio a cercarvi più intensamente e voi fate finta di non capirne il perché, di non aver fatto assolutamente nulla affinché ciò accadesse, di non avermi dato alcuno spunto per farlo”.
“Probabilmente sono un’egoista, è vero” trovò il coraggio di ammettere lei, dopo qualche istante di intenso e pesante silenzio “ma tu lo sei tanto quanto me. Sai perché? Perché stai analizzando la cosa solo dal tuo punto di vista e non te ne rendi conto” come se l’incombente e crescente tensione di quella notte non bastasse, Imma decise di metterci del suo per accendere definitivamente gli animi, scaraventandogli addosso le parole più infuocate che potesse mai rivolgergli. Ciò che seguì fu un incalzante e violento botta e risposta senza precedenti tra di loro.
“Solo dal mio punto di vista?”
“Si, hai capito bene”
“Incredibile”
“Non è incredibile, è da egoisti”
“Io non lo so cosa mi aspettavo venendo qua, ubriaco perso, a farvi una scenata. Davvero, non lo so, ma non di certo questo”
Il giovane maresciallo, ormai arresosi, si voltò e prese a camminare in direzione della sua auto per andarsene ovunque quest’ultima l’avrebbe portato, quella notte, ma sicuramente lontano dalla fonte di tutti i suoi tormenti.
“Ti aspettavi che io accogliessi il tuo corpo sofferente e stanco tra le mie braccia? Che lasciassi mio marito e mia figlia per salire sulla tua bella carrozza incantata e vivere per sempre felici e contenti?”
Immacolata lo seguiva passo passo, lo sguardo rivolto alla sua schiena ed il tono di voce sempre più alto e rabbioso.
“Credete davvero che io sia così stupido?”
“Credo che tu sia un’irresponsabile”
“L’unica cosa di cui mi potete accusare è quella di essere un cretino… Per non essermene andato quando ne ho avuto l’occasione”
“Di che stai parlando?”
“A quest’ora avrei avuto anche io la mia bella famiglia felice, lontano da voi, da vostro marito e dal vostro dannato matrimonio perfetto”
“Calogiuri, fermati!” allarmata da ciò che gli aveva appena sentito dire, e disperatamente bisognosa di capirne di più, gli afferrò un braccio e, con fare alquanto brusco, lo strattonò affinché si voltasse tornando a reggerle lo sguardo.
“Non l’ho fatto allora ma posso farlo adesso” continuò, respirando affannosamente per via dell’imprevista camminata rabbiosa verso il suo veicolo.
“Calogiuri di cosa diamine stai parlando?”
“Avrei dovuto accettare la promozione di Vitali, stringergli la mano e lasciare per sempre quel cazzo di ufficio. Invece, per l’ennesima volta, ho anteposto il vostro benessere al mio, ho scelto di rimanere non appena ho saputo delle minacce di cui eravate stata vittima a causa del processo a Romaniello, perché se qualcosa di grave vi fosse accaduto, non mi sarei mai perdonato di non essere stato accanto a voi per cercare di impedirlo” si fermò, contrariato dalla poca collaborazione dei suoi polmoni in quello che stava diventando l’arduo compito di terminare il suo discorso.
“Il solo pensiero di potervi perdere a causa di quei criminali, mi tormentava la notte molto più della consapevolezza di non potervi avere” concluse, dedicandogli lo sguardo più amorevole e disperato che qualcuno le avesse mai rivolto.
Ti ama come Pietro non ti ha mai amata, e probabilmente come non saprà mai fare. E lo sai, Immacola’, lo sai troppo bene, non hai bisogno che te lo dica io. Per questo, qualunque cosa tu scelga di fare stanotte, sceglila col cuore e spegni quel cazzo di cervello. Sono già troppe le cose di cui ti penti da una vita”.

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