Piove sempre sul bagnato

di Anonimadelirante
(/viewuser.php?uid=273548)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'allegra riunione di famiglia (per essere un funerale) ***
Capitolo 2: *** Le merendine non scadono mai. Certo. Come no. Questo è il genere di fake news che può portare ad una seria intossicazione alimentare. E Leo detesta le intossicazioni alimentari ***



Capitolo 1
*** Un'allegra riunione di famiglia (per essere un funerale) ***


1. Un'allegra riunione di famiglia (per essere un funerale)

 

Stop, now let's begin 
You're in too deep to go back again […] 
And when they play it, you can't help but sing along 
That's nothin' odd, that's nothin' wrong
'Cause a good song never dies 
It just reminds you of where you were 
The first time it made you cry, the first time you felt alive 
(A good song never dies, Saint Motel)

 

 

 

 

 

L'ultima volta che ha visto Nico è stata... tre anni fa, più o meno. Non è cambiato molto.
È persino più pallido ed ha il viso ancora più segnato, occhiaie che non ricordava così scure lo solcano come cicatrici sotto gli occhi, è probabilmente più magro, anche se gli riesce difficile dirlo, per via della solita maglia extralarge – e, si accorge con un sussulto, i segni che ha sul collo assomigliano pericolosamente a lividi, come se qualcuno lo avesse stretto fino a-- non vuole davvero proseguire su questa linea di pensiero. Sul serio, no.
Lui lo guarda a mala pena, quando Jason apre la porta: si trascina dentro casa come se non fosse passato un solo giorno. Jason sbatte le palpebre: «Quand’è l'ultima volta che hai mangiato?» chiede. Non è cambiato niente. 
Niente.
(Se si concentra con tutte le sue forze magari riuscirà a convincersene.)
«Dov’è la vecchia?» replica Nico senza neanche sforzarsi di fingere di non aver sentito la domanda. Jason sospira – no, questo (Nico che evita sistematicamente ogni domanda sul cibo e sul suo stato di salute in generale) a quanto pare davvero non è cambiato. Avrebbe preferito venire disorientato da una bella novità, una volta tanto: «In camera sua. Ho pensato-- uh, ho pensato che forse sarebbe stato meglio aspettare che arrivaste tutti, prima di cremarla, perché--»
«Hai fatto bene» sentenzia seccamente una voce alle sue spalle. Jason non ha sul serio bisogno di vedere come muta e si rimodella l'espressione di Nico, per sapere chi è sulla soglia, ma è comunque un'altra cosa che a quanto pare non è cambiata affatto. (Una parte di lui se ne sente un po' rassicurata – e se ne vergogna moltissimo.)
«Percy» prova a sorridere, ma non è del tutto sicuro di esserci riuscito. Ad una prima occhiata, Percy, appoggiato allo stipite della porta, assomiglia da morire al ragazzo che se n’è andato di casa urlando, sette anni prima. Ma non lo è. Nico è sempre Nico – piccolo e stanco e un po' spettrale – ma Percy. Percy sembra cambiato
È cambiato.
Non per via delle spalle più larghe o dei centimetri che ha messo su. Per via dello sguardo. Percy non lo ha mai guardato in quel modo – lievemente beffardo (e sì, questa non è una novità, ma:), ma soprattutto indifferente. Come se non gli importasse. Come se non fossero passati sette anni. (Come se lui non si svegliasse ancora con nelle orecchie le loro urla e le sue accuse brucianti – ti importa solo della sua approvazione, ma, Jason, a lei non importa di te, non le importa di nessuno di noi, sei solo il suo soldatino più obbediente!)
Jason si ritrae un po' – Percy non dà segno di essersene accorto: «Ho… fatto bene?» borbotta e non vorrebbe suonare così incerto persino alle sue stesse orecchie, ma non ricorda l'ultima volta che Percy si è dichiarato d'accordo con lui senza essere messo alle strette (perché non c'è mai stata).
«Sì» Percy alza le spalle e sorride un non-sorriso alzando un solo angolo della bocca (è familiare e allo stesso tempo lontanissimo – lo lascia stordito come se avesse incassato un pugno nello stomaco. Jason lo detesta. O detesta come lo fa sentire, comunque – atterrito e impotente e senza fiato, con una malinconia, addosso, a cui non vuole pensare). «Guardiamo tutti quanti la stronza bruciare così da essere sicuri che sia davvero morta. È un buon piano.»
Oh. Ovviamente si tratta di questo. Non è per rispetto o nel caso qualcuno voglia lasciarle un ultimo saluto o qualunque altra cosa. Jason è a tanto così dal sbattergli la porta in faccia.
Caccia un respiro profondo, invece, e si scosta per farlo passare: «Certo» sbuffa. «Come ti pare.»
Percy lo guarda – il sorriso-smorfia che si fa leggermente più sincero, un poco più divertito, come se lo stesse sfidando a contraddirlo (e ovviamente lo sta facendo, è Percy), per poi spostare l'attenzione su Nico. Jason aveva quasi dimenticato come qualcosa negli occhi di suo fratello si facesse di colpo più morbido, quando si tratta del più piccolo di loro.
«Ehi» lo sente dire, mentre lo supera. «Nico. Come va?»
È chiaramente la domanda sbagliata, a dar retta all'espressione di Nico, ma Jason immagina di non aver superato il test neanche lui, con il suo Quand'è l'ultima volta che hai mangiato?, quindi, be', non può giudicare (ma, seriamente: quand'è l'ultima volta che ha mangiato?).
Percy sembra un po' a disagio di fronte a Nico. Come sempre. Un po' più del solito, a dire la verità. (Jason non sa neanche se si possa ancora parlare di solito: sono passati anni da quando vivevano tutti insieme.)
«Alla grande» risponde Nico e in qualche modo riesce a suonare sprezzante e ironico, annoiato e disinteressato tutto insieme. Percy si umetta le labbra: «Bene» mormora – e, oh, questa è assolutamente la risposta sbagliata.
Nico non scoppia a ridere ferocemente, però, non si infuria, non fa tremare il pavimento, non ci sono ossa che rompono le crene fra una piastrella e l'altra. E questo – più di ogni altra cosa, più degli sguardi, più delle notti passate insonni ad ascoltare il silenzio, più dei vestiti diversi, più dei centimetri di differenza – fa pensare a Jason quanto tempo sia passato davvero. Lo guarda stringersi nelle spalle, il suo fratellino più piccolo, e mormorare: «Sì, bene. A qualcuno va un cocktail?»
Non aspetta una risposta: si volta e sparisce nel corridoio che porta alla sala e al mobile bar con la naturalezza dell'abitudine.
Jason chiude la porta di casa con un sospiro, ma non dice nulla di quello che vorrebbe dire. Si incammina mestamente verso il salotto, alle calcagna di Percy.
Siccome non rispondere spesso equivale ad una risposta, però, devia per un istante in cucina e recupera un pacchetto di patatine.
(Non vuole neanche chiederselo, da quanto tempo non sia sobrio, Nico.)

 

 

 

°

 

 


Annabeth arriva qualche ora più tardi: a quel punto, Jason è piacevolmente brillo, un misto di stanchezza ed alcool che lo lascia accasciato su una poltrona, più rilassato di quanto non sia da anni.
(«Non credo che sia saggio bere in questo momento» aveva provato a fermare Nico e Percy verso le tre del pomeriggio, più o meno dieci minuti dopo che erano arrivati. Nico non aveva neanche alzato lo sguardo dalla bottiglia di vodka mantecata alla nocciola – grazie tante signor D per i gusti assurdi in fatto di alcool – che stava stappando. Percy aveva cacciato un verso sprezzante: «Certo che no, non sarebbe rispettoso. Povero Jason, cosa dirà la mamma quando scoprirà che fratelli orribili che hai? Oh, aspetta
Era stato quello il momento preciso in cui Jason aveva rinunciato all'idea di raggiungere sobrio il funerale di loro madre – gli aveva strappato di mano il bicchiere e si era cacciato in gola il più generoso sorso di vodka che si fosse mai concesso.
Se aveva tossito un po' più si quanto fosse dignitoso, poi, Percy era stato troppo impegnato a lamentarsi del furto per prenderlo in giro.)
«Annie!» esulta Percy, riuscendo a dimostrarsi persino più ubriaco di lui.
«Nico. Jason» Annabeth è sempre pericolosamente alta e bionda, il tipo di ragazza che fa scappare la maggior parte della gente con mezza occhiata. A Jason riesce sorprendentemente facile ricondurre la sua figura atletica e slanciata allo scricciolo apparentemente indifeso che ha ammazzato un ciclope da sola a sette anni, quando ancora non uscivano in missioni autorizzate né erano addestrati la metà di quanto lo sono adesso (o lo sono stati sette anni prima, per quel che vale – non crede che i suoi fratelli abbiano continuato in autonomia con le sfiancati sessioni di allenamento quotidiano).
«Annabeth» la saluta, sentendosi di colpo più calmo. Annabeth ha sempre avuto un rapporto orribile con mamma, forse persino peggiore di quello di Percy, ma è una persona ragionevole, al contrario di quest'ultimo. Forse il funerale ha qualche chance di non finire nel sangue, se c'è anche lei.
(Il dolore sordo al petto dev'essere assolutamente dovuto al troppo alcool – nulla a che fare con l'unica persona che ha avuto più problemi di Annie, con loro madre. Jason non pensa affatto a Leo. Mai. È l'unica regola che fatica a rispettare.)
«Percy» ringhia Annabeth con un sentimento che Jason condivide incondizionatamente (irritazione e rabbia e una vaga preoccupazione). «Sei sparito, razza di idiota. Dov'eri finito?»
Percy si gratta la nuca ed ha almeno la decenza di sembrare imbarazzato. Sì, anche Jason vorrebbe sapere dove sia stato per sette fottuti anni, possibilmente, grazie.
«Ehm. Hai presente i due tipi che stavi pedinando venerdì notte?»
Annabeth rotea gli occhi, come dire Ovviamente, decelebrato e oh, uh, okay, forse Percy e Annabeth si sono visti un pochino più recentemente di lui e Jason.
«Be’, è saltato fuori che trafficavano qualcosa di peggio che la droga.»
Jason indagherebbe sul rapporto che hanno fra loro e con questi criminali, ma Annabeth ha un'espressione feroce, in viso, quando sbotta: «Non dirmi che li hai uccisi» e Jason in realtà non vuole saperne niente.
«Non mettermi in bocca dichiarazioni che potrebbero essere usate contro di me in tribunale, detective» Percy le fa un occhiolino che da solo varrebbe un ergastolo, prima di versarsi un altro shot di vodka. «Ho solo dovuto essere un po' convincente del solito. Non si faranno più vedere.»
«È un eufemismo per dire che li vedrò io, invece?» si informa Nico con tutta la nonchalance che può avere un ubriaco probabilmente fatto di qualche sostanza totalmente illegale che parla di chiacchierate coi fantasmi. Impressionantemente molta, vale a dire. In questo specifico caso.
«Dèi» sbuffa Percy, ma sembra discretamente divertito. «Quanto siete drammatici. Li ho solo spaventati.»
Annabeth è sul punto di replicare, ma Jason ha intercettato qualcosa, attraverso la stanchezza e l'alcool: «Detective?» si informa. E sono anni che non si parlano, anni in cui è stato solo lui, con la mamma. Annie arrossisce vagamente, mentre Percy rotea platealmente gli occhi: «Sì, la Sapientona, qui, è uno sbirro a tutto gli effetti.»
«Oh, sta zitto, Testa d’Alghe--» comincia lei, assottigliando lo sguardo, ma viene interrotta dal campanello che suona. Per un attimo, Annabeth è immobile, con le mani protese verso la bottiglia ormai semi-vuota e Percy, anche, cristallizzato con le dita fra i capelli; poi, Nico scivola dalla seduta del divano fino sul tappeto, rannicchiandosi con la testa fra le ginocchia, e sbuffa. Il campanello suona di nuovo.
«Aspettavamo qualcun altro?» domanda Jason, piuttosto stupidamente perché non sono i suoi fratelli ad aver spedito i telegrammi, ma lui.
Percy lo fissa con un vago disgusto e sembra sul punto di rispondergli qualcosa di molto offensivo, ma in quell'istante Nico decide di tentare di alzarsi e deambulare in linea retta: «Vado io!» decreta, sbandando pericolosamente. Jason conta fino a tre. Poi lo segue per bloccarlo prima che vada a sbattere contro la libreria: «Neeks, faccio io» gli mette le mani sulle spalle e lo sospinge di nuovo verso il divano. Percy continua a guardarlo malissimo, ma ha comunque la prontezza di prendere al volo il loro fratellino, quando questi inciampa nel tappeto.
In realtà, Jason sa perfettamente chi c'è alla porta. È per questo che per un istante pensa di accettare, quando Percy scuote la testa: «Lascia stare, vado io ad aprire.»
Lo segue comunque, però, perché è lui a vivere in questa casa, non Percy. (Percy ha espresso benissimo la sua opinione in proposito.) E, soprattutto, non è lei.

 

 

 

°

 

 


Jason non guarda, mentre apre la porta. Sta rispondendo a Percy qualcosa di molto arguto e molto pungente che però si dimentica immediatamente, quando si volta: «Sei venuta»boccheggia. Questo è... questo è inaspettato, quanto meno.
Piper McLean, la Numero Tre, La Voce, è in bilico sull'ultimo scalino della villa. Non si aspettava… be’, chiaramente non si aspettava lei. Quando lo vede, si apre in un sorriso incerto, adorabile: «Sì» inclina il viso e lo scruta con più attenzione abbia mai fatto chiunque altro. «Dal telegramma sembrava importante.»
Jason annuisce: «Sì» dice. «Un po’» si corregge, perché Percy è appollaiato sul comò in ingresso e non vuole dargli appigli per litigi, non nell’immediato almeno. «La mamma è-- be', lo sai» esala, perché lo ha sicuramente letto sul giornale. O visto al telegiornale. O sentito alla radio. È la notizia dell’anno, con tutta probabilità.
Pip lo fissa e sembra sinceramente addolorata: «Mi dispiace, Jason» allunga una mano e per un istante sembra non sapere che fare, ma poi si risolve a stingergli le dita fra le sue. È bellissima e gentile e intelligente e potente: «Già» bofonchia lui.
È così stupido da parte sua, ma adesso che è qui, si sente improvvisamente come se il vuoto incolmabile che gli si è aperto nello stomaco l’altro ieri, sette anni fa, ha continuato ad aprirsi e scavarsi per tutta la sua vita, si sia improvvisamente cicatrizzato.


«Entra» sussurra, ma sembra più una domanda.
Pip gli sorride, dolce e pietosa esattamente come la ricordava, ma meglio. Più luminosa, più adulta, più matura: «Sì» mormora. «Dai, andiamo dentro» gli dice. 

 

 


Dentro, Percy le sorride a mala pena. Perché è un idiota. Annabeth l’abbraccia stretta e poi si muovono vicinissime per sedersi spalla a spalla sul divano. Nico alza la testa: «Un bicchiere?» le domanda.
Piper guarda lui, non Nico: «Perché no» sospira.

 

 

 

°

 

 


«Possiamo cominciare?» mormora Jason, dopo un po’ che Annabeth e Piper sono sparite in cucina a raccontarsi chissà che con la scusa di preparare dei sandwich.
«A fare?» borbotta Percy.
Ci sono due bottiglie a terra, adesso, e la seconda sta giungendo pericolosamente al termine. «Il funerale» sbuffa lui con la voce che somiglia a vetro fracassato sotto una suola.
«Non ci siamo tutti» mormora Percy, improvvisamente sulla difensiva.
«Sì, invece» replica lui.
«Non--»
«Zitti» sbotta Nico.
Sia lui che Percy lo ignorano. Come ai bei vecchi tempi.
«Manca ancora--» comincia suo fratello, ma Jason taglia corto: «Non è stata invitata.»
«Cosa vorresti dire con--»
«L’ho fatto io.»
Il pavimento non trema, non ci sono cadaveri che spingono da sotto il divano per uscire, eppure Jason si immobilizza. Si volta lentamente, per guardare Nico: «Scusami?» sibila.
«Non mi importa se la odi e non l’hai invitata. L’ho fatto io. È mia-- è nostra sorella» dice Nico, guardandolo fisso da dietro il bicchiere.
«No» gracchia Jason, la bocca impastata, il cuore che gli batte in gola. «No, non lo è.»
«Smettila» la voce di Nico è cupa, bassa, assomiglia al brontolio lontano d’un nuvolone gonfio di pioggia. È l’unica cosa su cui lui e Nico abbiano mai discusso – l’unica. Ed è il motivo per cui Nico se n’è andato, il motivo per cui Jason non gli è corso dietro, è un litigio che non vuole riprendere, è qualcosa su cui non può transigere: «Smettila tu» si alza in piedi. «Non è la benvenuta in questa casa.»
«Perché?» sbuffa Percy dal tappeto su cui è sdraiato. «Perché lo dici tu?»
«Sì!» esclama Jason a voce più alta di quella che vorrebbe. «Perché questa è casa mia e--»
«Oh, quindi adesso è casa tu--»
«Era anche sua madre» li interrompe Nico. Non ha mai interrotto una discussione fra lui e Percy – mai neppure una volta in tutta la loro vita. Adesso, però, è in piedi. Continua ad essere più basso di lui di parecchi centimetri, ma per qualche motivo Jason ne è quasi intimidito. «Non mi importa quello che pensi di lei. È nostra sorella» ripete, lento, quasi cadenzato. «Era anche sua madre. Verrà» per un attimo lo fissa così severamente che Jason fatica a trovare le parole per ribattere (No, no, non può, non ce la voglio, non la voglio vedere, ha scelto di non essere più mia sorella molto tempo fa, l’ha deciso ed è stata la prima, la prima fra tutti, e neanche voi siete più miei fratelli, ve ne siete andati tutti, perché l’avete fatto?, perché mi avete lasciato solo?, non era sua madre: non l’ha mai amata – ma, d’altra parte, chi può dire se mamma li amasse? Se lo amasse? Non è questo ciò che faceva di lei loro madre). Poi, sospira, si sgonfia come un palloncino bucato, torna ad essere il Nico di sempre – lontano, cupo, un po’ distratto. «Oppure no. Non è questo il punto. Vado a farmi un panino con Annabeth e Piper.»

 

 

 

°

 


Alla fine, arriva.
Jason davvero  non vorrebbe, ma va lui ad aprire alla porta.
«Ciao» dice. Lui non risponde. La guarda soltanto. È piccola, magra e fragile esattamente come la ricordava. Di più, persino. Non sembra godere di ottima salute ed ha i capelli in uno stato pietoso, così ricci e gonfi e crespi da sembrare un alveare. Se fosse Nico le chiederebbe da quanto tempo non dorme. Se non fosse lei, l’abbraccerebbe: sembra aver bisogno di un abbraccio. Lui ha bisogno di un abbraccio. Ha bisogno--
Ha bisogno di un caffè.
«Sei in ritardo» dice, perché non è Nico. È Hazel.
La odia e si odia e odia l’intera faccenda di aver detto ai suoi fratelli che potevano venire al funerale. Forse, dopotutto, però, non sembra sentissero il bisogno di un permesso. «Stavamo per cominciare senza di te.»
«Non dargli retta» lo riprende morbidamente Piper, da dietro la sua spalla. «Non avremmo mai cominciato senza di te. Vieni, dai, fatti abbracciare.»
Per un attimo, Jason le invidia la naturalezza con cui dimostra affetto e comprensione a chiunque. L’attimo dopo, si sta spingendo a forza via dallo stipite per prendere la borsa troppo pesante che Hazel ha lasciato cadere sui gradini quando le è venuto ad aprire.
Comunque sia, non importa. Finirà presto e presto saranno di nuovo tutti andati. Sarà di nuovo solo.
Potrà riprendere respirare.

 

 

 

°

 

 

 

Nel cortile, il cielo è plumbeo e gravido di tempesta esattamente come dovrebbe. Jason stringe l’urna al petto, ferro nero liscio freddo contro la camicia scura. Percy e Annabeth sono l’uno a fianco dell’altra, silenziosi e vigili come due soldati. Hazel allunga la mano verso Nico, gli intreccia le dita con le sue. Lui non fa resistenza – gliela stringe, invece, e lascia che le loro braccia ricadano lungo il fianco, fra loro, come se fosse così semplice, così normale. Jason chiude gli occhi. Piper è lì, appena dietro la sua spalla. Ha perso il conto di quante volte c’è stata, di quante volte il solo saperla a pochi centimetri da lui gli ha dato la forza di cacciare un altro respiro. Mamma non sarebbe contenta. Mamma non sarebbe contenta per niente se li vedesse adesso – così trasandati e stanchi e un po’ ubriachi e molto poco coinvolti nella cerimonia. Ma che importa? (Forse Percy ha ragione.)
Non è questo il punto. Mamma è morta. Non era felice di loro quand’era viva, figurarsi adesso. Riapre gli occhi. Sono ancora tutti lì, i suoi fratelli. O quel che ne rimane. Per un attimo, quasi aveva temuto sarebbero scomparsi. O sperato. Non ne è del tutto certo. Per quel che vale.
«Qualcuno vuole dire qualcosa?» domanda. È stupido, col senno di poi. Davvero, davvero stupido.
«No» taglia corto Annabeth, con quel suo sguardo duro.
«Che era una stronza..?» butta lì Percy senza neanche sforzarsi di fare l’idiota – è un idiota, gli viene naturale.
«Che non ci mancherà» decreta Hazel, sottile, ma ferrea. Jason sussulta: lei non dovrebbe neanche esserci, non dovrebbe parlare-- incontra lo sguardo Nico, ossidiana graffiata. Lui non dice niente, lo fissa e basta. Jason stringe più forte l’urna a sé: «È vero» mormora. «Non è stata una madre molto affettuosa o--»
«--o una madre e basta» lo interrompe di nuovo Percy. «Butta le ceneri e falla finita» sbuffa.
Nico disinnesca la discussione col talento dell’indifferenza: lascia andare la mano di Hai per estrarre un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni, sfilarne una accendersela: «Abbiamo finito qui?» gli chiede, sempre guardandolo dritto negli occhi, un invito a piantarla con queste scene. «Ho freddo.»
Jason non replica. Rovescia le ceneri a terra invece. Nel fango. Vuole bene a Nico. Se lo deve ricordare. Annabeth e Hazel e Percy e persino Piper possono fottersi, pensa ferocemente, ma vuole bene a Nico come se fossero davvero fratelli. Non può dimenticarselo, non può litigare anche con lui. Non oggi. Non--
Sospira. Se ci fossero Frank e Leo loro saprebbero--
Loro capirebbero--
O forse no.
È passato molto tempo dall’ultima volta che li ha visti. Forse, se fossero cresciuti con lui, ad incerto punto se ne sarebbero andati. Come tutti gli altri. Non credeva che la loro mancanza potesse bruciargli nel petto più di quanto non abbia fatto negli ultimi dieci anni, ma si sbagliava. Si sbagliava. Adesso è peggio. Adesso non ha più Frank, non ha più Leo, non ha più neanche la mamma. Non ha più nessuno. È solo. È molto peggio del solito.
«Sì» gracchia. «Abbiamo finito.»
Piper gli mette una mano sulla spalla, confortante, lo fissa teneramente. Jason vorrebbe solo scappare.

 

 

 

°

 


Non sono ancora a metà strada per rientrare che comincia a piovere. È un po' giusto, immagina.
Nico impreca a mezza voce, accelera il passo. Non si ferma sotto l’albero di sicomoro cadendo dal quale Frank si è spezzato un braccio, quando avevano tredici anni. Hazel tentenna, invece. Rimane indietro fino a quando Percy ed Annabethe e Piper non la superano.
«Non vieni?» domanda Jason, suo malgrado. Non che voglia che venga. È solo che--
Hazel stringe le labbra in una linea sottile, lo guarda di sguincio. Vista così, i capelli flosci di pioggia e la pelle d’oca che le corre sugli avambracci, sembra avere ancora quindici anni e gli occhi ricolmi di lacrime. È un’illusione data dalla luce, però, dall’alcool dalla brutta settimana che Jason ha passato. Hai non ha quindici anni. Ne ha quasi ventotto. Ed è una vera stronza: «Jason--» comincia, ma qualunque sciocchezza stia per dire, il cielo esplode, sulle loro teste.
Non c’è un altro modo per dirlo. Non è un fulmini particolarmente ramificato. È più una granata lanciata in alto.
Come se le nuvole stessero bruciando.
Automaticamente, Jason la tira un po’ indietro, la costringe ad accucciarsi con lui.
(È una civile, in fondo. E lui è solo un buon soldato, forse – forse Percy ha ragione.)
Dalle fiamme, precipita un ragazzo.
Di nuovo, vorrebbe che ci fosse un modo meno assurdo per descrivere la situazione.
Leo.
Ha i vestiti bruciacchiati e i capelli che fumano, l’acqua della pioggia che evapora al contatto della sua pelle e l’aspetto preciso che aveva quindici anni fa. Ma. È Leo. Non c’è dubbio.
Per un istante, crede di essere lui ad aver urlato, ma è Hazel a strapparsi dalla sua presa e sdrucciolare nel fango fino a raggiungere loro fratello.
Leo.
Quel Leo. 
Il loro fratello perduto.
Scomparso.
Jason non sente quello che si stanno dicendo lui ed Haz. Forse, se si sforzasse di ascoltare oltre il rombo impazzito del proprio cuore, del sangue che gli pompa nelle vene, furioso, dello scrociare della pioggia, del rumore bianco del proprio shock. Ma non li sente. Può individuare il momento esatto in cui Haz decide che si, è Leo. Il loro Leo. Che è lì, che è lui, che sta bene. Gli Dèi soli sanno come. Questo perché Hazel si raddrizza e si stracca dall’abbraccio incredulo in cui l’ha stretto, e si allontana di mezzo passo, barcollante. Jason la capisce davvero. E poi, gli tira un pugno ben piazzato alla mascella.
«Mio-- Hazel!» gracchia, raggiungendoli.
Leo si sta massaggiando la parte lesa, un scintillio di divertito rimorso negli occhi: «Forse un po’ me lo merito» ammette.
«Forse!» strilla Hazel. «Tu-- razza di stronzo» ansima, tirandolo di nuovo dentro ad un abbraccio.
«Ehi» gli sorride Leo, da sopra la spalla di loro sorella.
«Ehi» gracida lui in risposta. Vorrebbe abbracciarlo anche lui, davvero. Ma non crede di poter fare altro che rimanere a fissarlo e cercare di non andare in pezzi. Per tutto questo tempo-- per tutto questo tempo Leo era...

vivo.


Ed ha preferito non tornare.

Ha scelto di non tornare.

Esattamente come tutti gli altri.

(Ma diecimila volte peggio.)

 

 

°

 

 

«Merda» sbotta Leo. Non ricorda di averlo mai sentito imprecare. Lo guarda impotente staccarsi da Haz per spazzarsi via la polvere dai vestiti ormai bagnati, passarsi una mano fra i capelli, succhiarsi il labbro spaccato dal pugno di loro sorella, scrollare le spalle: «Ho bisogno di un caffè» dichiara. E si avvia a grandi passi dentro casa.
Come se non fosse passato un singolo giorno.
E questo è tutto, più o meno.

 

Il più assurdo funerale della storia.







N/A: good evening, Vietnam Olympus! Questa long partecipa all'iniziativa di @Severa Crouch Gruppo di scrittura” indetta sul forum Ferisce più la penna e, come da bando, verrà aggiornata ogni 15 del mese.
Insomma, ci terremo compagnia tutto l'anno <3
Il prossimo mese: più info su cos'ha combinato Leo, sulla vita che conducono Percy ed Annabeth e sul rapporto fra Hazel e i suoi fratelli.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Le merendine non scadono mai. Certo. Come no. Questo è il genere di fake news che può portare ad una seria intossicazione alimentare. E Leo detesta le intossicazioni alimentari ***


2. Le merendine non scadono mai. 
Certo. Come no. Questo è il genere di fake news che può portare ad una seria intossicazione alimentare. E Leo detesta le intossicazioni alimentari

 

 

Whatever happened to all the heroes?
All the Shakespearoes?
They watched their Rome burn
Whatever happened to the heroes?
Whatever happened to the heroes?
No more heroes any more
(No more heros, The Strangles)

 

 

 

 


Anche prima di sbagliare clamorosamente l’equazione più importante della sua intera esistenza, la giornata di Leo stava andando abbastanza male. La sua intera vita, in realtà.
O be’. Già prima non era una passeggiata di salute, ma l’ultima quindicina d’anni o giù di lì sono stati un tale spettacolo di merda che in confronto la sua infanzia sembra lo spin-off di Nicky, Ricky, Dicky & Dawn.
Ora però – ah, ora ha passato il segno.
Leo è così stufo.
Davvero.
Questo è il più grande scherzo cosmico dell’universo.
Qualunque cosa abbia fatto, nella sua vita precedente, deve per forza avere a che fare con la creazione della bomba atomica, perché nient’altro giustificherebbe un karma così di merda.
«Merda» sbotta, allontanandosi barcollante da Haz per succhiarsi via il sangue dal taglio che la sua adorabile, ferocissima, giustamente incazzata sorellina gli ha aperto sul labbro e scrollarsi via la polvere dai vestiti ormai pesanti di pioggia. Sospira. Che giornata di merda. «Ho bisogno di un caffè.»

 

 

 


°

 

 


Ora, a scanso di equivoci: Leo è così grato di essere a casa che potrebbe sinceramente piangere. Lo sta un po’ facendo, in realtà. Chiuso nel bagno vicino alla cucina in cui Frank e Nico si chiudevano per giocare a Mitomagia al posto di studiare. Con lo specchio così, appannato, Leo può persino fingere per ventisette gloriosi secondi che siano ancora lì, i suoi fratellini, inginocchiati sulle piastrelle fredde a scambiarsi opinioni da nerd su-- onestamente, la sua mente arriva fin lì. Non ha la minima idea di cosa si dicessero, in realtà. Ha un’idea ben più chiara su cosa ci fosse disegnato sulle carte – mostri mitologici e punti forza, punti vita e penalità – ma la ragione per cui lo sa con tanta precisione è piuttosto deprimente. E lui non ha bisogno di altre ragioni per essere depresso, grazie tante. Quindi. Inspira. Sbatte le palpebre. Espira. Pulisce lo specchio col palmo della mano, così, per essere proprio del tutto certo che Frank non sia seduto a gambe incrociate con la schiena appoggiata  alla vasca da bagno. Perché, a quanto pare, Calipso ha sempre ragione e lui sempre torto ed in particolare Calipso ha ragione quando dice che ha tendenze masochistiche del tutto gratuite e vagamente autolesioniste.
Frank – ovviamente – non c’è.
Non c’è neanche Calipso, però, per cui chiude l’acqua e si passa una mano fra i ricci un po’ ispidi che hanno un serio bisogno di un buon taglio e poi esce da quello stupido bagno.

 


«Ma che--» sbotta, quando la prima cosa che succede quando mette piede in cucina è che Nico – Nico – gli tiri un pugno dritto in faccia.
«Che cazzo» sibila Nico. Nico è--
Be’, Nico è cresciuto. Ovviamente. È… francamente, Leo si sta sforzando moltissimo di non mollare la presa sulla sua – discutibile – sanità mentale, in questo momento perché Nico è. Ah. Nico è l’esatto ritratto del cadavere che sarà entro pochi giorni, se non riescono a fermare l’Apocalisse. I lividi sul collo, striature violacee sulla cui provenienza Leo ha avuto un intero decennio per interrogarsi inutilmente, spiccano dolorosamente sulla sua carnagione chiarissima e questo è.
Questo è rassicurante, perché la vita di Leo – non per ripetersi – fa dannatamente schifo.
Perché se Nico se li è procurati da appena qualche ora, vuol dire che hanno ancora tempo.
«Anch’io sono felice di vederti, fratellino» borbotta, soffocato, scostandolo per puntare dritto alla credenza. Vuole davvero un caffè. Lo ha desiderato per-- molto tempo. 
«Sei-- davvero tu?» domanda una voce.
Una voce che Leo ha sognato per quindici infiniti anni. Chiude gli occhi e trattiene il respiro e quando si volta a guardarla è ragionevolmente sicuro di star sorridendo, nonostante il nodo che gli stringe la gola in un cappio: «Reginetta di Bellezza!» esclama, allegro, abbandonando la moka per spalancare le braccia in un chiaro invito.
Chiaro invito che Piper ovviamente fraintende, perché Era ha cresciuto un branco di violenti psicopatici, ecco perché.
Siccome Leo è chiaramente il primo della lista, però, non riesce a prendersela del tutto con sua sorella, quando la sua prima reazione è tirargli un pugno nello stomaco, invece che abbracciarlo. Potrebbe anche essere perché la cosa che fa immediatamente dopo è stritolarlo in una presa frantuma-ossa, soffocando un singhiozzo. O perché gli è mancata così tanto che non riesce ad ingoiare le lacrime, quando affonda il viso contro la massa di treccine che porta al posto dei capelli tagliati asimmetrici della loro infanzia.
«Non è… appropriazione culturale o qualcosa del genere?» borbotta, umido, quando riesce a metterla a fuoco. Che moccioso, pensa, passandosi una mano sul viso. Con l’altra, le tira una treccina, ma piano, giocoso.
Pip, per tutta risposta, gli colpisce la spalla con un pugnetto affettuoso: «Sta’ zitto» sbuffa, ma l’istante dopo sta sorridendo uno di quei suoi sorrisi di sempre, largo e dolcissimo ed appena un po’ tremolante di commozione: «Sono passati… quindici anni, Leo» mormora poi, allontanandosi quel che basta per scrutarlo in volto e passargli le mani sulle spalle in una carezza.
«Sì, amico» commenta Percy, appena dietro di lei. Percy. Leo lo strattona verso di sé con uno scatto, coinvolgendo sia lui che Piper in un nuovo abbraccio. Gli sono mancati così tanto.

Tutti quanti.

Così. Tanto.

 

 


°

 

 


«Che fine hai fatto?» gli domanda Annie, dopo che anche il suo turno per malmenarlo e strizzargli via l’aria dai polmoni e controllare che sia in effetti lì, tutto intero, vivo e vegeto è arrivato e passato.
«È una lunga storia» risponde lui, perché be’, sono passati quindici anni. Allo stesso tempo, però, è anche una storia molto breve e tristemente stupida. «Nel futuro» riassume. «È una vera merda, a proposito. E… mi dispiace tornare con delle brutte notizie, ragazzi, ma il mondo finisce fra-- be’, di preciso non lo so. Che giorno è? Mi sono perso il funerale? Sarà un giovedì di questi, comunque.»
«Lo abbiamo celebrato un’ora fa» interloquisce Jason, stranamente laconico.
Jason è… Jason è un problema. Leo non sa, precisamente, cosa sia successo, ma Jason a malapena lo guarda e – okay, non è che voglia sembrare un ingrato, ma: sono passati quindici anni. Jason era il suo migliore amico. Non è neanche un po’ felice di vederlo?
È un peccato che non ci sia tempo, per chiarire la faccenda, davvero.
Ma – sì, insomma: priorità.
La Rowling sarebbe dannatamente fiera di lui. Oppure no. Ha letto abbastanza stralci di giornali, durante la sua non proprio felice permanenza nell’Hotel Apocalisse da sapere che la Rowling ha fatto in tempo a bersi il cervello, prima che il mondo finisse, per cui. Eh. Chi se ne frega, comunque.
Sta divagando.
Lo fa molto in generale, ma lo fa di più quand’è stressato (Calipso finge di non trovarlo dannatamente adorabile, ma non è una grande attrice).
«Che vuoi dire con “il mondo sta finendo”?» s’informa Percy gesticolando in aria per mimare le virgolette e sembrando nel complesso più che altro affettuosamente divertito e non abbastanza preoccupato.
(Oh, be’: è una grande attrice quando non è intenerita a morte da lui. Leo è davvero fiero di questo suo superpotere – è il migliore che ha.)
«Come fai a sapere del funerale?» domanda Jason, lo sguardo ostinatamente puntato sulla credenza dietro di lui. Leo si gira, giusto per sicurezza, ma no: la credenza è una credenza perfettamente normale e suo fratello lo odia a tal punto da non voler neanche incontrare il suo sguardo. Ah. Va di bene in meglio.
«Quale punto di futuro non è chiaro?» gli risponde, più duro di quello che vorrebbe. Jason si stringe nelle spalle.
«Quello in cui non ci hai ancora spiegato cosa hai fatto per tutto questo tempo, probabilmente» s’intromette Haz. Jason stringe le labbra ed arriccia il naso e sembrerebbe voler far qualunque cosa invece che annuire, ma alla fine nicchia col capo: «Sì» ammette. «Quello sarebbe un buon punto da spiegare.»
«D’accordo» sospira Leo. È un po’ giusto, immagina. «È… complicato. La psicopatica aveva ragione, viaggiare nello spazio e viaggiare nel tempo sono due cose completamente diverse. Pensare che avessero qualcosa in comunque è come credere che un elefante in tutù possa stare in equilibrio su di una ghianda senza ridurla in polvere.»
«Le tue metafore non avevano senso quindici anni fa e continuano a non avercelo» commenta Nico, porgendogli una tazza. Oh, Dèi. È ufficialmente il suo preferito. «È rassicurante, in un certo senso.»
«Almeno sappiamo che è davvero lui» interloquisce Annabeth, sedendosi sul tavolo.
«Avevamo dubbi che fosse lui?» s'informa Percy, frugando nell’anta sopra il lavello per estrarre vittorioso un pacco di muffin ai mirtilli preconfezionati. Lo stomaco di Leo si contorce: «Tieni quella roba lontana da me» sibila, prima di potersi fermare.
Percy sbatte le palpebre, perplesso: «Le… merendine?» chiarisce lentamente.
«Sì» ringhia Leo, nauseato. Beve un sorso di caffè. E poi un altro. Respiri brevi e controllati. Non vomiterà. Ha sognato di rivedere i suoi fratelli per anni e la prima cosa che farà non sarà vomitare loro addosso. Si scosta un po’, per sicurezza: «È una bufala, per la cronaca» arriccia le labbra alla fine. «Il fatto che le merendine non scadano mai. Scadono eccome
Nico inarca le sopracciglia.
Hazel ne alza uno e Pip – benedetta, adorabile Pip – aggrotta la fronte, un lampo d’apprensione nello sguardo. Jason apre la bocca, e poi la richiude. Percy inclina la testa.
«Sì, avevamo dei dubbi sul fatto che fosse lui, Testa d’Alghe» conferma Annabeth. «Ora non li abbiamo più.»
Leo le sorride più che può.

 

 


°

 

 


Il fatto è questo.
Prima che la sua vita si trasformasse in un glorioso vortice di merda, Leo se la passava… non esattamente bene, ma comunque--
In effetti, la sua infanzia è l’esatto opposto della definizione di bene.
Però.
Però hanno scritto fumetti sulla sua infanzia. Libri. Haz ha scritto un libro.
Leo l’ha letto così tante volte che la sua copia – già smangiucchiata dal fuoco e impolverata e stropicciata per colpa, sì, be’, per colpa di qualunque cosa abbia causato la fine del mondo – ha cominciato a perdere le pagine. Le ultime, quelle dell’epilogo, erano già strappate quando l’ha trovata fra le macerie della biblioteca. E Leo ha aspettato quindici anni per saperlo, per cui, appena sono soli (Nico e Percy ed Annie a confabulare a bassa voce di qualcosa e Jason e Piper chissà dove – esattamente come ai vecchi tempi, quindi, escluso il fatto che c’era Frank, prima, e Nico non era esattamente in rapporti distesi con Percy ed Annabeth. Quindi, sì. Non esattamente come ai vecchi tempi. Un po’, però) glielo chiede: «Come finisce, il libro?»
Hazel sbatte le palpebre.
Poi, le sbatte di nuovo.
Leo può individuare l’istante in cui capisce a cosa si sta riferendo, perché s’irrigidisce di colpo: «Oh» mormora. «Oh, io-- mi dispiace, per quello.»
È il turno di Leo di sbattere le palpebre, stordito: «Per cosa?»
«Per, . Per aver scritto quello che ho scritto» si stringe nelle spalle lei. Sembra davvero dispiaciuta, per qualche assurda ragione. Se ne sta lì, le braccia incrociate al petto e gli occhi bassi puntanti sul tappeto e Leo la odia.
Cioè, no, ovviamente non odia Haz.
Odia qualunque cosa le stia passando per la testa.
È una sensazione ridicolmente familiare, in realtà, per essere una sensazione che non ha provato per tre interi lustri. «Fai bene» dice quindi, gettandosi sul divano con un balzo. «Ho passato quindici anni soffrendo d’insonnia per colpa di questo» sbuffa, estraendo la sua copia dalla tasca della giacca ancora umida che ha abbandonato sullo schienale in favore di una felpa grigia e morbida che ha l’odore di Jason. 
Jason.
Ingoia a vuoto, ma focus, si dice: Jason è un problema per un altro momento.
In questo momento, il suo problema è capire perché Hazel stia annuendo, ma senza guardarlo.
Oh, Dèi. E lui che credeva che sarebbe stato quello più traumatizzato, a questo punto. Questa famiglia è un disastro, pensa. Non è esattamente una realizzazione. In effetti, è la definizione stessa della sua infanzia. Ma. Allo stesso tempo. Lo stupisce sempre un po’, quanto le cose possano peggiorare continuamente.
«Haz» dice, piano. Con un paio di colpetti un po’ incerti le fa scivolare il libro davanti, sul tavolino da caffè posto di fronte al divano. «Guardami.»
Hazel sussulta, ma lo fa.
Leo le sorride: in una vita parallela, forse le direbbe qualcosa di smaccatamente melenso e ridicolmente cheesy, qualcosa tipo Grazie, mi sono mancati i tuoi occhi, il che è tecnicamente anche vero, ma. Ma lui non è Jason, lei non Piper, ed è – tipo – la sua sorellina. 
Inoltre, non vuole essere picchiato di nuovo. «Perché ti stai scusando?» le chiede, quindi.
Hazel aggrotta la fronte: «Davvero?» domanda, e qualcosa nel suo sguardo s’indurisce. «Davvero me lo farai dire? Va bene» ripete, con il tono e l’aria di una a cui la cosa non va bene per niente. Leo si raddrizza un po’, sul divano, aggrottando la fronte.
«Mi dispiace per aver scritto questo stupido libro. Mi dispiace per aver fatto sapere a tutto il mondo quanto schifo faccia la nostra famiglia. Mi dispiace di aver ferito i tuoi sentimenti descrivendo quanto sola e triste e abbandonata mi sia sentita durante l’infanzia e mi dispiace se il mio essere clinicamente depressa ti ha causato qualche tipo d’imbarazzo e scusa tanto se--»
«Woah» la blocca Leo, perché che cavolo..? «Sì. Okay» scrolla le spalle ed appoggia una mano sulla copertina sgualcita del libro per non allungarla sulla sua spalla, perché onestamente non è del tutto sicuro che Haz voglia essere toccata, in questo momento. «No» corregge il tiro l’istante dopo. «No, le sapevo già tutte queste cose. Ero presente, ricordi?» sbuffa, quando Hazel annuisce, ma sta anche sorridendo un po’, o almeno facendo una specie di smorfia, per cui va bene. «Quello che volevo dire è che…» è stupido, pensa. È così stupido. «Non lo so» borbotta. «Speravo che nell’epilogo ti fossi sposata o avessi comprato casa o avessi trovato lavoro, ecco tutto.»
Apre il libro al contrario, per farle vedere il bordo frastagliato delle pagine mancanti.
È probabile, si rende conto all’improvviso, che non sia successo. Ha passato quindici anni a credere che chiunque avesse strappato il finale della sua copia di “Extra-ordinary: vita dell’ottava sorella” lo avesse derubato del lieto fine di Hazel, quando, invece, è più che probabile che non sia andata così. È più che probabile che la vita di Haz abbia continuato a fare schifo. In effetti, dalla faccia che ha, Leo non avrebbe neanche dovuto chiedere.
(Nonostante Calipso non sia un’idiota – al contrario di lui – non lo ha mai contraddetto, quando le parlava di quanto successo era sicuro avesse avuto Hazel. Mai una sola volta. Una fitta di dolorosa gratitudine gli trafigge il petto. Calipso. E l’attimo dopo: D’accordo, pensa. Una cosa alla volta. Priorità. Prima salverà il mondo, poi lei: in quest’ordine, perché è un adulto, nonostante le apparenze, e, sì, è in grado di separare l’opera dalla persona, per cui: al diavolo la Rowling, ma viva Harry Potter. , annuisce a sé stesso. Priorità.)
Hazel fa un verso strano, di fondo gola, e Leo ci mette un po’ a capire che è una risatina: «Niente di tutto questo» sbuffa, gli occhi che le brillano – d’affetto e di lacrime che si rifiuta di versare in egual misura, e non buffo, come le cose non siano cambiate affatto? «Però» aggiunge dopo un istante di tentennamento. «In realtà. Ho comprato casa. Con, sai. I soldi dei diritti del film.»
«…il film?» esala Leo in risposta, sgranando gli occhi.
Hazel ride un po’ – davvero, questa volta: «Vuoi sapere chi ti ha interpretato?
Ah. Hazel.
«Devo sapere chi mi ha interpretato!» la corregge. «Ma--» si contraddice l’istante dopo. «Assolutamente non prima di aver visto la tua casa!»
Hazel annuisce, passandosi una mano sul viso per asciugare le lacrime che sono sfuggite al suo controllo: «Giusto» mormora. «Sì. Vuoi andarci subito?»
Leo le sta già tendendo la mano, quando le chiede: «Un posto vicino che conosco?»
Ed Hazel: «La gelateria» gli svela, con un sorrisetto saputo.
Leo quasi sussulta: «Io adoro la gelateria!»
«Lo so.»
«E tu ci abiti vicino, adesso?» la incalza lui, sorridendo a sua volta.
«Sì.»
«Ah, guardati» sospira, teatrale, con un ampio gesticolio delle braccia. «La mia sorellina è un’adulta
Hazel alza gli occhi al cielo, ma sta sorridendo – ampia e dolcissima, e senza ombre nello sguardo, questa volta – quando gli porge la mano perché possa teletrasportarli entrambi lontano dal salotto in cui sono cresciuti: «Andiamo, dai.»

 

 


°

 

 


Il fatto è questo: anche prima di finire bloccato nell’Apocalisse, la vita di Leo era abbastanza terribile. Era – sua madre, o quanto meno la sua madre adottiva – gli dava fuoco regolarmente.
Come allenamento.
Quella donna era una psicopatica.
(Almeno al pari della famiglia di Calipso.)
E non gli è mancata per niente e non è neanche vagamente dispiaciuto di aver mancato il suo funerale. In effetti, è l’unica ragione per cui non è incazzato di aver sbagliato i calcoli dell’equazione che l’avrebbero riportato a casa, nel suo tempo.
Gli scoccia di aver mancato quindici compleanni, però.
(E non crede si perdonerà mai di non essere riuscito a tornare in tempo per Frank.)
Ma ora è qui. 
Qui.
Dove per qui si intende: nel salotto della casa di Hazel.
Seduto a gambe incrociate sul tappeto a mangiare gelato mentre guardano il più brutto film che abbia mai avuto il dispiacere di sapere essere stato girato: «Dei Immortale, cosa-- perché non sono messicano? Chi ha diretto il casting di questa roba? E tu dov’eri? Perché non hai fatto qualcosa
Non gli importa per niente che il mondo stia per finire, della cenere e del fuoco e degli scarafaggi e delle merendine scadute e di quanto abbia fatto male, il tempo che ha passato senza la sua famiglia, di quanto sarà complicato fermare l’apocalisse, ammesso e non concesso di riuscirci, di quanto ancora dovrà combattere per salvarli – salvarla: Haz sta ridendo, tossendo per colpa del della cucchiaiata di pistacchio che le è andata di traverso, e l’intero universo può andare a quel paese, almeno per questo pomeriggio.
Leo chiude gli occhi ed appoggia la testa contro la sua spalla: «Pessima» borbotta. «Davvero pessima.»

 

 

 

 

 

 

 

N/A: credo che non ci siano abbastanza improperi in tutte le lingue del mondo per spiegare quanto abbia odiato questa roba. Questo capitolo non porta da nessuna parte. Non spiega niente.  Non, ah. Non riuscivo a capire cosa volesse dire Leo né perché ci mettesse così tanto a non dire assolutamente nulla. Me ne scuso, davvero.
Il prossimo mese andrà meglio, però, spero.
E, nel frattempo, ecco un po’ di Leo&Hazel, che fa sempre bene al cuore <3
(Prometto inoltre che le cose fra Jason e tutti Leo non saranno così strane per sempre)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4044819