La stessa persona che voglio trovare io.

di MollyTheMole
(/viewuser.php?uid=1191145)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amare due donne allo stesso tempo... Non sono quel tipo di uomo. ***
Capitolo 2: *** Scappa! Questa zona è pericolosa! ***
Capitolo 3: *** Comunque mi piacerebbe offrire un caffè a quei tipi... ***
Capitolo 4: *** La colpa è cinquanta e cinquanta, quindi siamo sulla stessa barca. ***
Capitolo 5: *** C'era una possibilità su un milione che due come voi finissero con il lavorare insieme e innamorarsi l'uno dell'altra. ***



Capitolo 1
*** Amare due donne allo stesso tempo... Non sono quel tipo di uomo. ***


… La stessa persona che voglio trovare io.

 

1.

Amare due donne allo stesso tempo… Non sono quel tipo di uomo.

 

 

Dalla pasticceria vicina proveniva un buon profumo di cheesecake.

Non era mai stato un grande amante dei dolci, ma per la cheesecake aveva sempre fatto un’eccezione. Quella americana in particolare aveva un buon sapore agrodolce, soprattutto quando ci versava sopra la salsa di frutti di bosco. 

La vetrina dall’altro lato della strada era appena stata imbandita e un crocchio di signore erano intente a discutere a proposito di quale torta comprare, avvolte nei loro vestitini estivi. 

Lui non era mai stato un grande mangiatore di dolci, ma Jodie sì.

La prima volta che si era deciso ad invitarla ad uscire, l’aveva portata al cinema. Erano andati a vedere la versione restaurata de Il buio oltre la siepe. Avevano preso i popcorn, ma Jodie aveva presto optato per la cioccolata e si era sbafata una tavoletta intera da sola, di quelle infilate tra due pezzi di biscotto. 

Suo fratello si era sempre chiesto che cosa ci facessero quei dolcissimi biscotti al ciottolato americani nella sua credenza, lui, che odiava gli zuccheri. Era stato ben presto costretto a confessare, soprattutto quando, raspando nell’armadio, suddetto fratello - impiccione - aveva trovato della biancheria da donna in un cassetto.

Guardò la vetrina della pasticceria e sentì il vento sfiorare ciò che era rimasto scoperto del suo viso. 

Sembra una vita fa. 

In un certo senso, forse era davvero passata una vita. Si sentiva cambiato. Come avrebbe potuto essere diversamente? La sua vita era finita sottosopra e non accennava a ritrovare la retta via. 

Aveva perso suo padre. Forse era morto, forse no. Poco importava. Era rimasto solo con suo fratello e sua madre in attesa della sorellina, e lui era il figlio più grande, quello sulle cui spalle erano ricaduti tutti gli oneri, tutte le aspettative.

Quell’evento era bastato a cambiarlo nel profondo, a dargli una responsabilità che a quindici anni non gli competeva per nulla.

Soltanto lui sapeva che cosa aveva dovuto sacrificare in quegli anni. 

Poi aveva perso Akemi. Era stata tutta colpa sua, o forse no. Certo era che si sentiva responsabile come se fosse stato lui a premere il grilletto. Indipendentemente da tutto ciò che aveva scoperto - accidenti a sua madre e a quando aveva accidentalmente omesso di essere la sorella di Elena Miyano -  le aveva voluto bene. Lei era stata la sua famiglia; in un certo senso, data la parentela, lei era la sua famiglia. 

Quando aveva fatto la scelta di lavorare per l’FBI aveva messo in conto che avrebbe potuto perdere delle persone care, che l’amore sarebbe potuto essere più un ostacolo che un’agevolazione, ma mai avrebbe creduto di vivere quella perdita sulla propria pelle.

Un evento che può segnare un uomo per sempre.

A parte suo fratello, aveva perso praticamente tutti. 

Alla fine era morto pure lui, personalmente.

Beh, più o meno.

Se fosse stato un film, Shuichi si sarebbe messo a ridere. Aveva fatto di tutto per rendere la sua finta morte credibile, anche grazie a quella piccola peste di Conan Edogawa e ai gingilli - non sempre funzionanti, andava detto - del dottor Agasa.

Quella volta sul passo di Rahia si era quasi rotto una costola e si era sbucciato la fronte, ma sarebbe potuta andare peggio. 

Dopo l’affaire al valico di Rahia, aveva trascorso qualche tempo rannicchiato sul tappetino posteriore dell’auto di Hidemi Hondou, quanto necessario per essere fuori dalla portata di Gin. Poi si era seduto dolorante sul sedile del passeggero, massaggiandosi la costola e asciugandosi il sangue - vero - dalla fronte. Aveva giusto sentito alla radio dell’incidente sul valico e della sua presunta morte quando aveva ricevuto un messaggio da parte di suo fratello.

 

Bella questa. Degna di te. Dove ti trovo? Merita una bevuta. Offro io. 

 

A parte suo fratello, dunque, che l’aveva beccato con le mani nella marmellata, poteva dire di aver perso tutti. 

Sua sorella era alla sua disperata ricerca, anche se prima o poi sarebbe dovuta venire a patti con il fatto che Shuichi Akai, il suo adorato fratello fin troppo simile ad un padre, era morto. 

Sua madre non era pervenuta, non aveva idea di dove fosse o di che cosa stesse facendo. 

Meglio, un’idea ce l’aveva, ma preferiva non pensarci.

Jodie e i suoi colleghi lo credevano sepolto sotto una bandiera a stelle e strisce. 

Quando tutta quella brutta storia sarebbe finita e lui fosse miracolosamente ricomparso da sotto la maschera di Subaru Okiya, non tutti avrebbero capito le sue scelte.

Aveva cercato di concentrarsi sul qui ed ora, su ciò che era contingente in quel momento: sconfiggere l’Organizzazione degli uomini in nero, rinchiudere quella pazza di Vermouth prima che facesse del male a Jodie, arrestare quell’odioso di Gin e tutta la sua combriccola, magari nel frattempo salvare la sua cuginetta Shiho e ritrovare suo padre, vivo o morto che fosse, o almeno avere un posto per piangerlo in caso di dipartita. 

Dopo, non sarebbe rimasto altro che vivere, finalmente.

Non gli era sfuggito però che la sua concentrazione sul momento contingente era anche un modo per non vedere la dura realtà. 

Ammesso e non concesso, infatti, che sarebbe sopravvissuto abbastanza da vedere Vermouth rinchiusa e Gin in galera, il futuro restava un’incognita. Con chi, infatti, l’avrebbe vissuto? Sua madre avrebbe accettato il suo ritorno? Sua sorella lo avrebbe odiato? L’FBI gli avrebbe permesso di tornare, o di andarsene senza imporgli il programma protezione testimoni?

Sarebbe mai tornato a vivere con il proprio nome e mostrando il proprio viso al mondo?

C’era poi un ulteriore dubbio, che solo apparentemente rappresentava l’ultimo dei suoi problemi. 

 

Il giorno precedente, infatti, aveva ricevuto una telefonata di fuoco dal suo capo. 

- James. Che cosa posso fare per te?-

- Cavarti d’impaccio e dire la verità. Adesso stiamo oltrepassando il segno.- 

L’agente speciale James Black, il suo supervisore, non perdeva mai la pazienza. Nonostante fosse americano ormai da molti anni, non aveva mai perduto parte del suo aplomb inglese. Nulla poteva scomporlo, insomma, tranne una cosa soltanto.

La sua figlioccia Jodie Starling.

- Che cos’è successo?-

- E’ successo che s’è quasi fatta ammazzare per te. Cioè, per uno che ti somiglia.-

Era stato così che aveva scoperto delle prime mosse di Bourbon. 

Quando aveva progettato la sua finta morte in compagnia del piccoletto con gli occhiali, Shuichi aveva avuto ben chiaro che non l’avrebbe fatta franca. Aveva avuto in mente fin dall’inizio, infatti, che Gin e gli altri sarebbero voluti essere certi della sua dipartita. Se, però, avrebbe potuto fregare il biondo psicopatico con i trucchetti del dottor Agasa, ce n’era uno che non si sarebbe di certo fermato alle apparenze.

Lo conosceva bene da tanto tempo, e sapeva che lo odiava troppo per ignorare i segnali.

Così, senza troppi mezzi termini, aveva messo il piccolo Conan sul chi vive, certo che quell’uomo sarebbe venuto a cercarlo. 

L’alternativa, dunque, era una sola. 

Il dolore dei suoi amici sarebbe dovuto essere reale. 

Almeno, questa era la giustificazione che si era dato per far tacere la sua coscienza.

 

Era venuto fuori che qualche giorno prima era successo un piccolo - nemmeno poi così piccolo - incidente in banca. 

A quanto pareva, James, Jodie e Camel avevano voluto comprare una bottiglia per fare un bel brindisi, ma si erano ritrovati a corto di liquidità. Jodie era andata in banca a prelevare, ma si era trovata nel bel mezzo di una rapina.

E meno male che il Giappone è uno dei paesi più sicuri al mondo. Qualsiasi suo angolo, tranne Beika. 

Considerata la preparazione di Jodie come agente speciale dell’FBI, non ci sarebbe stato da impensierirsi, se non fosse stato per la presenza di un tizio che somigliava parecchio a lui, anzi, che era uguale preciso identico a lui tranne che per una bruciatura su un occhio e per il fatto che non parlava mai.

Beh, forse mi assomiglia anche in quello, anche se due parole le spiccico, ogni tanto.

A giudicare da quanto emergeva dal racconto di James, Jodie si era messa in un bel casino nell’estremo tentativo di salvargli la vita, proteggerlo dai rapinatori e portarlo in ospedale, dove lei stessa avrebbe fatto di tutto per fornirgli l’assistenza medica necessaria a fronte dei suoi evidenti problemi di memoria.

Era stato a quel punto che James aveva perso le staffe, e tra un perdindirindina e un accidentaccio gli aveva fatto capire chiaro e tondo che non aveva intenzione di mettere a rischio la vita della sua figlioccia più di quanto già non facesse per il suo lavoro all’FBI.

Shuichi aveva provato a rassicurarlo.

- Non preoccuparti. Non credo che accadrà una seconda volta. Se davvero si tratta di chi penso io, allora ha già avuto quello che voleva. Il suo scopo era comprendere se i miei colleghi mi credessero morto o meno. Adesso che sa che Jodie mi crede sepolto sotto un bel po’ di terra, probabilmente non la cercherà più e sarà in una botte di ferro.-  

In un certo senso, il giovane agente era davvero convinto di quello che stava dicendo. Bourbon era un agente della Polizia Segreta e un nazionalista convinto. Aveva fatto esperienza delle sue idee, del tutto malcelate, durante i suoi anni da infiltrato. Malcelato era anche il suo disprezzo per Shuichi e per tutto ciò che rappresentava. Era anche per questo che lo temeva. 

Sperava che quell’incidente alla banca avesse definitivamente allontanato Bourbon dalla sua scia e anche da quella dei suoi colleghi. 

- Jodie sta bene?-

- A parte un bernoccolo in testa, fortunatamente sì. Spero davvero che tu abbia ragione, ragazzo, perché non ho mezza intenzione di inseguire Jodie per tutta Beika alla tua ricerca, né di seppellire anche lei!-

Così, nell’estremo tentativo di fare pace con James e per capire davvero che cosa fosse successo quel giorno alla banca, Shuichi aveva chiesto al suo capo il permesso di osservare le telecamere di sorveglianza alla sede dell’istituto di credito. 

Se Bourbon era entrato in azione, lo avrebbe riconosciuto, e magari avrebbe riconosciuto anche i suoi complici. Era infatti praticamente impossibile che fosse stato capace di mettere in piedi quella messinscena assolutamente da solo, e il giovane agente si era fatto un’idea di chi potesse davvero esserci dietro. Del resto, durante i suoi anni da infiltrato, aveva individuato chiaramente chi fosse il complice delle scorribande di Bourbon, e il caso voleva che quella persona fosse anche particolarmente brava nei travestimenti.

Naturalmente, si trattava di Vermouth.

E la combinazione Jodie, Bourbon e Vermouth nella stessa stanza poteva rivelarsi davvero esplosiva.

 

Era stato con quel pensiero in mente che era uscito di casa quella mattina.

Dare un’occhiata ai filmati delle telecamere di sorveglianza. Scovare Bourbon. Scovare Vermouth. Tornare a casa e togliersi la maschera, che la colla tira, e la parrucca, che prude da morire.

Aveva cercato disperatamente di ignorare quel tarlo latente, quel problema che sarebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi pensieri e che invece era ancora lì. Lo stesso problema che lo aveva spinto a fare tutta una serie di scelte drastiche fin dall’inizio di quella losca storia e che adesso gli stava presentando il conto.

Forse era lo stress. Forse la stanchezza. Magari, solo l’età. Sentiva il tempo passare veloce come non mai, ed aveva la sensazione di stringere un pugno di mosche in mano e niente di più. 

La sua carriera professionale - nonostante il piccolo inconveniente della sua morte prematura - stava andando a gonfie vele e non se ne poteva lamentare. No, era altro ciò che lo tormentava. Tutto ciò che non aveva e a cui anni prima aveva rinunciato.

 

Amare due donne allo stesso tempo… Non sono quel tipo di uomo.

 

James gli aveva riferito, a suo tempo, che Jodie non aveva preso la sua morte proprio benissimo.

Anzi, si poteva dire che ne avesse fatto una tragedia.

Shuichi sapeva di essere emotivamente complesso. Era negato per le relazioni interpersonali e sapeva essere socialmente imbarazzante, ma questo non voleva dire che fosse cieco o che fosse del tutto immune ai sentimenti. Ne aveva esattamente come tutti gli altri. Sapeva amare e sapeva soffrire. Si poteva dire che tutto ciò che aveva fatto nella sua vita, lo avesse fatto per amore: di suo padre, di sua madre, di suo fratello e della sua sorellina, persino delle sue cugine sfortunate e sole dall’altra parte del globo. 

Piangeva ogni tanto, nascosto alla vista di ogni essere vivente. Si faceva una bella risata qualche volta. Poco contava che nessuno lo vedesse e che venisse costantemente etichettato come il solitario o l’uomo di ghiaccio incapace di provare emozioni.

Shuichi ne aveva a bizzeffe, di emozioni. Non lo facevano dormire la notte. 

Per questo motivo si era ben reso conto che la sua partner era ancora molto legata a lui. Si preoccupava per la sua salute, lo invitava costantemente a riposare perché aveva le occhiaie. A suo modo e nella consapevolezza di non essere più la sua ragazza, Jodie aveva dimostrato di volersi ancora prendere cura di lui. 

Lei era così. Lo era sempre stata. Spumeggiante, chiacchierona, rumorosa e dal cuore grande come un grattacielo. 

Si era innamorato di lei anche per questo motivo. 

Era sicuro che Jodie avrebbe subìto più di altri il colpo della perdita, ma non si sarebbe mai aspettato che la prendesse così.

E’ successo che s’è quasi fatta ammazzare per te.

Osservò il crocchio di donne davanti alla pasticceria dall’altro lato della strada. La banca era soltanto un paio di incroci più indietro, e Shuichi era fermo al semaforo in attesa del permesso di passare. Non appena fosse scattato, Shuichi sarebbe sfrecciato dall’altra parte e sarebbe scomparso tra la folla diretto verso casa, il morale sotto i tacchi per l’irritante gita alla banca.

Quello che aveva visto lo aveva infastidito. Le telecamere avevano ripreso tutto nei minimi dettagli, e ciò che avevano inquadrato era stato per lui sufficiente a trarre le conclusioni.

L’uomo era decisamente Bourbon. Era alto più o meno quanto lui, più o meno avevano la stessa taglia - anche se Shuichi era leggermente più grosso e meno smilzo di lui - e un travestimento così credibile poteva essere solo opera della sua sodale Vermouth. 

Per identificarlo gli ci erano voluti cinque minuti. Per digerire il resto, gli ci sarebbe voluta una settimana e forse anche di più.

Jodie le aveva prese. Era rimasta incosciente nel momento più importante di tutta la rapina, rischiando di morire, ma quelli erano i rischi del mestiere, i pericoli che si corrono quando si dà la caccia ai criminali. Tutti loro, non solo lui e Jodie, erano preparati al peggio.

Ciò che non sarebbe mai riuscito a dimenticare, però, sarebbe stato il gesto del tutto innocente che lei aveva fatto, quella mano sulla spalla di Bourbon poggiata nella convinzione che il falso Shuichi avesse disperatamente bisogno di lei, seduta sempre, costantemente accanto a quell’uomo che ai suoi occhi non la riconosceva né le parlava per chissà quale male.

Anche se stava continuando a pretendere di ignorare quel tarlo dentro di lui, era consapevole dell’amara verità, ed era uscito dalla banca sgomento.

Sapevo già che si trattava di Bourbon. Sapevo già che Vermouth era coinvolta, ma non era con lui. C’ero arrivato, avevo solo bisogno della prova definitiva.

La verità è che ci sono andato soltanto per vedere che cosa è successo a Jodie, che cosa ha fatto e che cosa può trarre Bourbon da tutto ciò.

Che cosa può usare contro di lei.

Quando il semaforo scattò, Shuichi prese ad attraversare la strada, una conversazione di tanti anni fa che riviveva nella sua testa.

 

Non preoccuparti. Finché avrò vita, non dovrai mai fare nulla di tutto questo.

 

All’epoca, l’argomento era come uccidere un uomo e come aveva deciso di proteggerla dall’orrore di togliere la vita a qualcuno.

Nel frattempo, la situazione si era fatta drasticamente più complicata e il suo compito di proteggere i propri cari - lei inclusa - era diventato estremamente difficile. 

Mentre attraversava diretto verso casa, il telefono in tasca prese a vibrare.

Cercò di raggiungere il marciapiede a passo spedito mentre sbloccava lo schermo del telefono.

Era un messaggio di Kir.

 

Sono nei guai. Gin ha mangiato la foglia. Help. 

 

Dannazione. 

Prese a ticchettare freneticamente sui tasti. 

 

Dove sei? 

 

Mi ha dato appuntamento in un magazzino fuori Haido. Da quello che ho capito stiamo andando al centro commerciale di Beika.

 

Shuichi si guardò attorno, cercando di capire dove si trovasse e maledicendo il suo pessimo senso dell’orientamento.

E se fosse stata una trappola?

 

Definisci mangiare la foglia.

 

Che ne so. Dice che al centro commerciale c’è uno che sembra te. Non posso parlare, sta arrivando.

 

Tieni duro, troveremo un modo. 

 

Chiuse il telefono e se lo rimise in tasca.

Per quale accidenti di motivo Bourbon se ne andava in giro travestito da lui al centro commerciale?

E soprattutto, per quale motivo non aveva detto nulla a Gin, al punto tale da scatenare tutto quel caos e sacrificare Kir?

Gli prudevano le mani dalla voglia di scoprire perché. 

Invece di dirigersi verso casa, girò sui tacchi e sorpassò il gruppo di donne di fronte alla pasticceria, giusto in tempo per respirare il buon profumo di cheesecake che veniva dalla porta aperta. 

Il centro commerciale distava soltanto pochi isolati.

Se si fosse sbrigato, forse sarebbe arrivato in tempo per capire che accidenti stesse combinando Bourbon. 

Indossava la maschera di Subaru Okiya. Nessuno l’avrebbe mai riconosciuto, specialmente se Bourbon stava attirando completamente l’attenzione su di sé.


LA TANA DELLA TALPA

Buonasera e buon anno!
Questa è una storia che avevo in mente da un po'. Mi ricordo che, quando uscì per la prima volta, la trovai molto completa.
A parte la figura del dinamitardo. Quella mi aveva lasciato mooolto perplessa, ma è un parere personale, Gosho non me ne voglia.
Questa piccola parentesi mi serve soprattutto per avvertire chi tra voi non ha letto il volume 67 del manga e i relativi episodi dell'anime.
I capitoli successivi conterranno delle descrizioni quasi testuali del caso in oggetto.
Con questa piccola nota dunque la talpa vuole avvisarvi che vi saranno degli spoiler grandi come un grattacielo. Ripeto, SPOILER!
Per il resto, ormai come scrivo lo sapete, quali sono i miei personaggi preferiti lo sapete, che tifo per loro lo sapete... Insomma, sapete a che cosa andate in contro.
Buona lettura!

Molly. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Scappa! Questa zona è pericolosa! ***


2.

Scappa! Questa zona è pericolosa!

 

Eccolo lì. Bello bello, con la sua cicatrice posticcia sull’occhio.

E poi io ho le spalle più larghe, almeno una taglia in più, e diversi centimetri in più in altezza, ma tant’è.

Il centro commerciale di Beika era enorme. C’erano diversi piani, ascensori, numerose scale mobili, dozzine e dozzine di negozi che vendevano di tutto: generi alimentari, vestiario, giocattoli per bambini. Dentro c’era persino un bar e un ristorante che faceva dell’ottimo curry. 

Shuichi non era mai stato dentro al centro commerciale, e in generale non li amava né li odiava. Li trovava coacervi di inutilità per gente asservita al consumismo, ma era stato costretto ad apprezzarne l’approvvigionamento quando Yukiko Kudo aveva avuto la bellissima - e coloratissima - pensata per il personaggio di Subaru Okiya.

Il suo guardaroba era stato completamente rinnovato. La signora Kudo si era rifiutata di farlo vestire con i suoi soliti colori scuri da becchino e si era dedicata ad una molto proficua sessione di shopping in cui gli aveva ricomprato persino le mutande.

Non che avesse avuto molta scelta, beninteso. Tutto ciò che aveva - vestiti inclusi - era finito tra le ceneri del suo vecchio appartamento insieme a tutti i suoi effetti personali. 

Quando un agente muore, i suoi beni vengono trasferiti alla sua famiglia. Almeno, ciò che può essere trasferito. I suoi file, i suoi appunti, il suo portatile erano stati epurati delle informazioni più sensibili e dei dati che nessuno avrebbe mai dovuto sapere, e poi erano stati consegnati a sua madre. Purtroppo, perché avrebbe decisamente preferito che venissero requisiti da suo fratello, dal momento che era stato impossibile tenerlo all’oscuro del suo piano per depistare Gin. 

Così, mentre tutte le sue sostanze venivano consegnate ai suoi familiari, mentre il suo conto corrente veniva svuotato della maggior somma di denaro e quest’ultima veniva trasferita su un conto protetto, Shuichi aveva fatto un’attenta selezione dei beni che avrebbe voluto tenere con sé: alcuni vestiti, i suoi libri preferiti, qualche disco di buona musica, si era persino comprato un bel vaso di gerani giapponesi rossi che annaffiava quasi tutti i giorni. 

Sarò anche morto, ma almeno passo del tempo di qualità. 

Tutto bruciato. Carbonizzato. Finito. Distrutto. 

Ad un certo punto, quando la sua mente scientifica e razionale era rimasta a corto di spiegazioni per la lunga sequenza di sfortunati eventi che lo aveva afflitto, aveva persino cominciato a pensare che qualcuno gli avesse lanciato il malocchio, o che sapeva lui, perché non si spiegava. C’era un limite alla sfortuna e lui lo stava decisamente oltrepassando.

Si guardò attorno, cercando di individuare altri esponenti dell’Organizzazione, ma non ne trovò alcuno. L’unico era Bourbon, che se ne andava in giro travestito da lui, per quale scopo non gli era dato sapere.

Lo guardò mentre saliva sulle scale mobili ed ascendeva al primo piano. 

Shuichi lo tallonò, salendo sulla seconda scala e tenendosi un poco più indietro.

Bourbon sgusciò tra la gente che sfilava tra gli scaffali osservando la merce, le mani in tasca e lo sguardo oscurato dalla visiera di un cappello da baseball.

Non esattamente il mio preferito, ma complimenti per l’occhio che presti ai dettagli.

Ad un tratto, Bourbon si voltò a guardarsi indietro. 

Shuichi fu costretto ad infilarsi in un camerino vuoto per non farsi vedere, ma tanto gli bastò per perdere l’attimo. Uscì rapido, lo vide allontanarsi alla sua destra verso il caffè e stava quasi per seguirlo quando una donna con tre bambini gli sbarrò la strada, intimando ai piccoli di stare fermi e di farlo passare senza troppo successo. 

Quando si fu divincolato, ormai era tardi.

Bourbon l’aveva appena seminato.

Convinto fermamente che Bourbon non avesse alcuna intenzione di uscire dal centro commerciale fino a che non avesse concluso la sua missione, si armò di santa pazienza e cominciò a vagare tra gli scaffali alla sua ricerca, fingendosi interessato a qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.

Alla sua sinistra c’era un negozio di articoli d’abbigliamento femminile di alta moda, che metteva in mostra un bell’abito rosso su un manichino da sartoria.

Lasciò che i ricordi fluissero nella sua mente senza nemmeno provare a fermarli. 

 

La frase che aveva sempre accompagnato la vita di Shuichi era questo tipo è strambo. Con Jodie le cose non erano andate diversamente. Ai suoi occhi, lei era petulante e rumorosa. Agli occhi di Jodie, lui era arrogante e pieno di sé. Nonostante un inizio non esattamente tranquillo, per tutto il tempo in cui la loro relazione era durata era stata intensissima. 

Il loro primo appuntamento era stato tranquillo, al cinema tra popcorn e biscotti al cioccolato. Il secondo, invece, era stato burrascoso. Shuichi si era impegnato tanto. Aveva fatto l’incredibile sforzo di invitarla fuori a cena soltanto per vederselo vanificare dal lavoro, un caso complesso che li aveva portati a prendere un volo in giornata, chiaramente in ritardo, che aveva rischiato di far saltare tutto. Erano riusciti a rimediare tutto sommato bene, sostituendo la cena al ristorante con una da asporto a casa sua. Nonostante tutto, Jodie si era presentata con un bel vestito rosso, simile a quello che era esposto nel centro commerciale.

 

- Dobbiamo ancora mettere a posto le fotografie nel fascicolo e stilare il report da inviare a James.-

- Pensi che ce la faremo in nottata?-

- Non so, io ho sonno.-

- Tu, campione di occhiaie?-

- Spiritosa.-

- E’ arrivato il cibo?-

- Sì, sto già sistemando le…-

Jodie era spuntata dal bagno con uno splendido quanto potenzialmente letale abito rosso borgogna.

Shuichi rimase a fissare il vuoto cinque secondi prima di trovare qualcosa da dire.

- Non è un po’ troppo per del thailandese da asporto?-

- Ci ho messo una vita per trovare questo vestito, col cavolo che mi faccio togliere l’occasione di indossarlo. E’ un problema per te?

Figurarsi. Una domanda retorica. 

 

- Non me lo faccia ripetere altre volte!-

Shuichi sobbalzò e si voltò di scatto, seguendo la voce che brontolava nei confronti di un’assistente del negozio.

Parli del diavolo…

- Il piccolo disegno sul retro di questo cappello è del vostro grande magazzino! In altre parole, si tratta di un vostro articolo esclusivo! Giusto?-

Rimase a fissare sorpreso Jodie che, assieme a Camel, cercava di convincere la commessa a rivelarle qualche informazione che lei riteneva utile su un cappello da baseball, clamorosamente simile a quello che Bourbon indossava quel giorno.

Che accidenti ha in mente? 

Anzi, Jodie stava provando ad estorcere le informazioni. Camel aveva tutta l’aria di essere lì perché costretto e di non credere fino in fondo all’iniziativa della collega. 

La ragazza continuò a sventolare il cappello sotto il naso dell’assistente.

- Si ricorda il cliente venuto a comprarlo?-

Jodie era tosta quando si trattava di condurre gli interrogatori. Sapeva essere temibile quando alzava la voce, ma si trattava di rare occasioni. Di solito, Shuichi preferiva usare l’astuzia e lei gli andava dietro. 

Uno dei primi interrogatori che avevano condotto assieme era stato splendido. Cioè, splendido per loro, non di sicuro per l’arrestato, che era sbiancato di brutto quando Shuichi, con la calma dei giusti, si era seduto alla scrivania dicendo:

- Sai che cosa ti ha incastrato? Il tuo calzino destro.-

Nonostante avesse a che fare con una semplice shop assistant, Jodie sembrava star interrogando un terrorista.

E non era da lei.

- Posso sapere chi ritieni che abbia acquistato questo cappello?- azzardò Camel, facendo capolino da sopra la spalla di Jodie.

- Tu resta zitto.-

Non le passò l’arrabbiatura nemmeno quando fu interrotta da Kogoro Mouri e dalla sua famiglia, naturalmente in compagnia del piccoletto. 

Shuichi rimase in ascolto a distanza, senza capire molto di quello che il gruppetto stava dicendo, fino a che non la vide voltarsi inviperita, le mani sui fianchi, a confabulare con Camel mentre la commessa se la svignava alla chetichella per servire una cliente.

Si avvicinò di soppiatto, prendendola alla larga e scivolando tra gli scaffali, fingendosi interessato ad un paio di occhiali da sole e confidando nel suo travestimento. 

Sentì il bambino e la commessa borbottare senza riuscire a cogliere del tutto le parole, anche se aveva la sensazione che stessero discutendo della conversazione con la straniera curiosa dall’accento americano.

Si avvicinò ancora, sperando che il piccoletto non lo notasse. Dio solo sapeva quanto sapesse essere invadente.

E porta anche una discreta iella. Io non ci credo, ma quando c’è lui nei paraggi muore sempre qualcuno e, in tutta sincerità, sono fin troppo soddisfatto della mia iattura. Non me ne serve altra.

Quando fu finalmente a portata d’orecchio, potè percepire proprio ciò che temeva.

- Mi scusi, la straniera di prima ha detto altro circa il cappello?-

- Sì, mi ha chiesto più volte se lo avesse comprato un uomo con la cicatrice di una bruciatura sulla guancia destra!-

Adesso Shuichi cominciava a capire come mai James fosse rimasto così scosso da quanto accaduto durante la rapina in banca. L’incontro tra Jodie e Bourbon era capitato nel peggior momento possibile. Stava ancora cercando di fare i conti con la sua morte, e Bourbon era intervenuto proprio quando lei stava ormai cominciando a farsene una ragione finendo col convincerla del contrario.  

Il suo ragionamento restava comunque in piedi. Era altamente probabile che Bourbon l’avrebbe lasciata in pace, dal momento che aveva ottenuto da lei tutto ciò che desiderava, ma andandosene in giro a quel modo Jodie rischiava di mettere a repentaglio la propria vita destando sospetti e diventando allo stesso modo un bersaglio agli occhi dell’Organizzazione.

Guardò Jodie procedere ad ampie falcate verso il caffè tallonata da Camel e decise di seguirla.

Shuichi si chiese se l’agente ormai non avesse intuito che lui e Jodie non erano stati soltanto amici. Certo era che la giovane donna sembrava l’unica disposta a credere che lui fosse ancora vivo, e Camel pareva piuttosto convinto che stesse cercando di aggrapparsi a quell’idea perché non poteva accettare l’altra.

Quando fu fuori dalla portata dei suoi colleghi e lontano dall’orecchio del piccolo Conan, si avvicinò alla commessa del grande magazzino.

- Mi scusi, posso chiederle alcune informazioni?-

La donna, sulle prime, sembrò frastornata, ma quando si rese conto che un cliente le stava chiedendo di fare il proprio lavoro raddrizzò la schiena, distese il miglior sorriso che potesse fare e lo invitò a continuare.

Poliziotto buono e poliziotto cattivo funziona sempre.

- Sto cercando un amico. Ci siamo dati appuntamento in questo centro commerciale. E’ un uomo alto più o meno quanto me, con una brutta cicatrice da ustione sul viso. L’ha visto, per caso?-

- Anche lei lo sta cercando?-

- Sì. Una rimpatriata tra compagni di college.-

- Oh, capisco, ecco perché quella straniera lo cercava! Siete tutti studenti?-

- Sì.-

- Ah, che bello! Senta, non posso dare informazioni sui clienti, per cui mi scusi con la sua amica. Tra l’altro, è un po’ aggressiva, si sente bene?-

- Sono stati giorni difficili. Diceva?-

- Non ha comprato il cappello, come ho detto alla sua amica. Visto, ho detto la verità! Però l’ho visto passare di qua. Giusto qualche minuto fa. E’ andato laggiù, verso l’area maternità!-

- La ringrazio tanto. Buona giornata.-

Tagliò per il reparto, passando tra scarpine e cappellini per neonati per dirigersi più velocemente possibile verso il caffè. 

Area maternità? Per quale motivo sta girando a vuoto?

Fu intralciato da una coppia di signore che stavano facendo compere per il bambino di un’amica, chiese permesso, sfrecciò in mezzo al gruppo di donne indaffarate con gli acquisti e finalmente riuscì ad uscire.

La caffetteria era proprio davanti a lui.

Di Bourbon, ancora nessuna traccia.

Poteva vederlo, però. Si aggirava facendo il vago nei pressi del piccolo bar, le mani in tasca e il volto adombrato dal cappello. Di tanto in tanto si fermava, toccava una maglia, guardava il prezzo di un pantalone, faceva finta di provarsi un paio di occhiali. Insomma, cambiava negozio, ma restava sempre nei paraggi.

E l’unica ragione per fare ciò, pensò Shuichi, era che dovesse incontrare qualcuno.

Che sapesse lui, al centro commerciale non c’era nessuno di interesse, a parte lui stesso, Jodie e Camel. 

Ah, e il nanerottolo. Di solito era dovunque ci fossero gli uomini in nero o un cadavere, sempre in mezzo come il prezzemolo.

Sono sicuro che tra poco succederà qualcosa di spiacevole, con tutto il bene che voglio a Conan, beninteso.

Prese posto in un angolo sul fondo, ignorato dai più, ed ordinò un caffè nero caldo, come piaceva a lui.

Affondò il naso nella tazza e bevve un sorso di amarissimo caffè.

Tutt’un tratto, qualcosa cambiò repentinamente nel comportamento del suo rivale. Bourbon aveva smesso di frugare a caso tra la merce del centro commerciale e si era diretto, sguardo basso e mani in tasca, verso il bar.

Mentre aspettava che accadesse qualcosa che gli suggerisse un barlume di risposta al problema di Kir, lo guardò incedere fin dentro il perimetro del dehors e filare dritto dritto in bagno.

Un minuto. Due minuti. Tre minuti.

Alla faccia della necessità.

Bourbon non usciva più.

Che sia scappato dalla finestra del secondo piano? Magari c’è Vermouth ad aspettarlo di sotto. Avrebbe tutti i motivi per farlo, soprattutto se Gin non sa nulla della sua sortita e gli sta tendendo una trappola. A lui o a Kir.

 Mentre rimuginava sul da farsi, Jodie e Camel entrarono dentro il caffè. Jodie avanzava ad ampie falcate, le mani intrecciate attorno al corpo come se si stesse proteggendo, lo sguardo pensieroso e corrucciato fisso di fronte a lei. Camel le trotterellava fedelmente dietro, con la stessa maschera di stupore, preoccupazione e forse anche una buona dose di compassione. 

Sì, Camel sa di noi.

Li osservò mentre si sedevano al tavolo del caffè ed ordinavano qualcosa da sgranocchiare assieme a due tè freddi. 

Non li biasimò. Quel giorno faceva un caldo infernale, e lui stava consumando litri e litri di fluidi corporei sotto la maschera di lattice.

Camel sembrava impaziente per qualcosa, e non appena il cameriere ebbe preso l’ordinazione, Shuichi lo guardò sfrecciare in bagno. 

Da cui Bourbon non era ancora uscito.

Vuoi vedere che li ha aspettati qui per tutto questo tempo?

 Deciso a venire a capo di quella situazione, si infilò l’auricolare all’orecchio e compose un numero di telefono.

- Pronto?-

- James?-

- Akai-kun, che succede?-

- Sono al centro commerciale. Jodie e Camel sono qui. Stanno cercando il tipo della rapina in banca. Cioè, Jodie lo sta cercando. Camel le trotterella dietro per non lasciarla sola. Li hai mandati tu?-

Sentì l’uomo sospirare dall’altra parte del telefono.

- Questa situazione deve risolversi. Jodie rischia di fare troppe domande e di diventare un bersaglio per l’Organizzazione. E poi, mi ha mentito. Mi ha detto che andava a pranzo con Camel, non a compiere un’indagine privata!-

- James, se un’indagine è privata significa che non bisogna dirlo a nessuno.-

- Hai ragione anche tu, ma…-

- Mi ha chiamato Kir. Mi ha detto che Gin ha mangiato la foglia. La stava aspettando in un magazzino fuori Haido, dice che qualcuno gli ha detto che al centro commerciale c’è uno che sembra me. In effetti c’è, Bourbon è qui. E’ ragionevole pensare che presto arriveranno anche gli altri. Ah, e c’è anche il piccoletto.-

- Chi, Conan-kun?-

- Esattamente.-

- Allora morirà qualcuno di sicuro, o l’Organizzazione metterà a ferro e fuoco il centro commerciale. Puoi fare in modo che Jodie non si trovi lì, quando succederà?-

- Posso provarci, ma sarebbe meglio che tu mi dessi una mano.-

Il cameriere consegnò a Jodie il bicchiere colmo di liquido ambrato, poggiato su un sottobicchiere rotondo e colorato.

La ragazza, sola a tavola, prese a fissare smarrita il suo tè freddo, rigirando la cannuccia nel ghiaccio.

- Facciamo così, James.- disse Shuichi, grattandosi il mento sotto la maschera.- Falle una telefonata. Dille di spicciarsi a tornare. Al resto penso io, e speriamo che sia sufficiente.-

- Che cosa intendi?-

- Mi sembra parecchio agitata. Non sono sicuro che questo basterà. In caso, ci riproveremo più tardi. Puoi fare qualcosa per Kir?-

- Posso provare a rintracciarla. Dopo aver chiamato Jodie tenterò.-

- Ottimo.-

Chiuse la chiamata ed attese. 

Jodie e Camel avevano preso un tavolo poco distante dal suo, proprio di fronte. 

Involontariamente, gli avevano fornito un punto di vista eccellente per controllarli e rimuginare in santa pace senza essere notato.

 

Per lungo tempo Shuichi si era chiesto come avesse fatto Jodie a diventare un agente dell’FBI. 

Era brava, beninteso. Era un ottimo medico, aveva delle eccellenti conoscenze culturali, parlava molte lingue. Insomma, aveva un cervello sopraffino, come tanti avrebbero voluto avere. Il fisico slanciato ed atletico l’aiutava quando c’era bisogno di difendersi o correre, ed aveva una buona mira. Sotto copertura se la cavava e - checché ne dicesse Shuichi - guidava anche discretamente bene. 

Meriti ne aveva tanti, ma aveva un grandissimo difetto.

Jodie non aveva nessun controllo sulla sua mimica facciale. Non sapeva mascherare le emozioni. Almeno, questo era ciò che Shuichi aveva sempre pensato di lei. Osservarla quando credeva di non essere vista da nessuno era un po’ come leggere un libro aperto. Si metteva sempre in quella posizione quando pensava, poggiata su un gomito e con la mano chiusa a coppa attorno alla bocca, l’indice che sfiorava la guancia e gli occhi persi su un punto fisso. Quando pensava le si aggrottavano le sopracciglia, con una leggera ruga d’espressione tra gli occhi e il naso un po’ arricciato. Dopo aver rimuginato per un po’, se la si guardava attentamente si poteva capire a che conclusione fosse arrivata: se la riga si distendeva, ma lo sguardo non si muoveva granché, voleva dire che c’aveva rinunciato, che aveva gettato la spugna. Se invece alzava gli occhi e abbozzava un leggero sorriso, l’espressione serena che aveva di solito quando interagiva con il mondo attorno a lei, allora voleva dire che aveva capito o che aveva trovato una soluzione di compromesso al problema.

Quello era un difetto non da poco per un agente dell’FBI, uno che deve recitare spesso e volentieri. Per lungo tempo, dunque, si era chiesto come avesse fatto, con una simile lacuna, a superare i test per diventare non soltanto agente, ma addirittura agente speciale. In modo forse un po’ meschino - e di cui si era anche vergognato - aveva pensato che potesse esserci stato lo zampino di James Black.

Poi l’aveva vista in azione ed aveva capito che il problema non era Jodie, bensì lui stesso.

Quando le pareva, la giovane agente aveva un’eccellente padronanza di sé. Sapeva pure piangere a comando. 

Insomma, una vera e propria attrice consumata.

Era Shuichi a capire quali fossero davvero le intenzioni di Jodie, non lei a lasciarle trapelare. Agli occhi di tutto il resto del mondo, era assolutamente credibile. Lui, al contrario, aveva imparato a leggerla come nessun altro, con il risultato che a volte, quando la vedeva fare l’attrice consumata, gli scappava da ridere e rischiava di mandare all’aria qualunque cosa stessero facendo. 

Era stato uno degli indizi che gli aveva fatto capire di essersi innamorato di Jodie.

 

Rimase a guardarla mentre faceva girare a vuoto il contenuto del bicchiere, lo sguardo perso nel liquido chiaro e la mano ancora chiusa a coppa attorno alla bocca. 

Poi lo vide.

Bourbon, bel bello e con la cicatrice posticcia sull’occhio, era appena uscito dal bagno - da cui Camel non aveva ancora fatto ritorno - e si stava dirigendo quatto quatto verso l’uscita. 

Shuichi sentì una fitta di rabbia assalirlo e fu lesto a reprimerla.

James, dove accidenti sei?

Come se avesse sentito i suoi pensieri, il telefono di Jodie prese a squillare. La ragazza lo estrasse stupita dalla tasca, guardò il numero e si alzò per rispondere, prendendo la porta senza troppi complimenti.

Oh, ottimo. Almeno Bourbon non la infastidirà ulteriormente.

Era giunto il momento di mettere in atto il suo piano.

Si alzò dal suo tavolo e si avvicinò al posto della ragazza, dove giaceva abbandonato il bicchiere mezzo vuoto. 

Tenendo un occhio su di lei e uno quando sul tavolo, quando su Bourbon, estrasse la penna dal taschino e fece schioccare la molla. Spostò il bicchiere mentre la punta della penna usciva dal cilindro di plastica, la posò sul sottobicchiere e vergò poche, semplici parole:

 

Scappa! Questa zona è pericolosa!

 

Infilò la penna nel taschino della giacca e riposizionò il sottobicchiere al suo posto. Poi, non visto da nessuno, ritornò a sedersi.

Bourbon aveva imboccato l’uscita, ma fortunatamente Jodie gli dava la schiena.

Resta concentrato. Kir ti ha chiesto aiuto.

Lo guardò mentre superava Jodie e se ne andava dal caffè.

Se la stuzzica ancora, lo accoppo.

Era abbastanza palese agli occhi di Shuichi che Bourbon stesse ancora cercando conferme della sua morte.

Sì, ma il problema rimane. Perché non dirlo a Gin?

Non appena Jodie ebbe chiuso il telefono ed ebbe varcato di nuovo la soglia del caffè, fu il turno di Shuichi di rispondere.

- Pronto?-

- Non si sbottona. Mi ha confessato di essere in un centro commerciale e che intende uscire non appena Camel sarà tornato dal bagno. Non un accenno alla sua ricerca, però.-

- Probabilmente vuole essere sicura di non avere le traveggole, prima di esporre le sue idee ai colleghi. Dalle tempo, o prendila come sai prenderla tu, vedrai che ti confesserà tutto a tempo debito. Invece, Bourbon sta tampinando Camel. Non so se per fargli confessare qualcosa ed avere informazioni su di me, o per studiare ancora la reazione di Jodie.-  

- Tu hai fatto quello che dovevi?-

- Sì, spero che basti.-

- Non riesco a capire che cosa ci sia sotto.-

- Nemmeno io, James. Non appena so qualcosa ti chiamo.- 

Jodie aveva l’aria afflitta, mentre riposava il mento sul dorso della mano. Non sconfitta, questo no. Era tosta e soprattutto convintissima di ciò che stava facendo. Rigirava tra le mani il cappellino da baseball che aveva mostrato all’assistente del centro commerciale, come se fosse colpa sua se l’uomo in questione non si stava facendo trovare. Rimuginava mordendosi il labbro inferiore, come era solita fare quando pensava e non riusciva a risolvere il problema. 

All’improvviso, si accorse che il fondo del sottobicchiere era arricciato.

Brava. Adesso leggi, prendi Camel ed esci da qui.

La guardò mentre sollevava il sottobicchiere e leggeva le poche parole che aveva vergato sul fondo, mentre gli occhi le diventavano grandi come palline da tennis. 

 

Aveva sempre avuto dei begli occhi, Jodie. Blu pervinca, brillante come il cielo terso nelle giornate di aprile. 

C’era stato un tempo in cui Shuichi non era riuscito quasi mai a guardarla negli occhi. Non perché non li apprezzasse, perché ci si perdeva dentro. Jodie aveva il potere di fargli perdere il filo del discorso, anche di quelli più importanti. 

 

- Hai portato il fascicolo a James?-

- Sì.-

- E quell’appunto a Magda per far riparare le tubature del bagno?-

- Sì.-

- E gli asini volano?-

- Sì.-

Silenzio.

- Come scusa?-

- Lascia perdere.- gli aveva risposto, con un sorriso sornione. 

 

Dopo la prima occasione, Shuichi aveva smesso di guardarle gli occhi. Jodie parlava, e Shuichi si guardava le scarpe. 

Era finita che Jodie gli aveva chiesto ragione di quel comportamento.

- Ti metto in imbarazzo? Sto facendo qualcosa che non va bene?-

Non le aveva confessato la vera ragione per cui non riusciva a guardarla negli occhi finché non era diventato tutto troppo evidente, troppo palese. 

Quella sera - e la notte che era venuta dopo - era stata memorabile.

Jodie parlava con gli occhi. Con lui sempre, con gli altri quando si concedeva di farlo. 

Sapeva esprimere tutto attraverso quegli enormi occhioni blu. 

 

Potè leggere distintamente lo shock nelle sue iridi turchesi, grandi come palline da tennis. La osservò mentre scattava in piedi e si guardava attorno nel disperato tentativo di individuarlo, ma senza vederlo.

Se solo sapesse che sono qui davanti a lei.

Jodie, però, stava chiaramente cercando la persona sbagliata. Stava cercando un uomo con una cicatrice sul viso che fingeva di non conoscerla e che lei si ostinava a credere fosse il vero Shuichi. Invece, si trattava di un uomo che, in verità, l’avrebbe tanto voluta fuori dai piedi, lontano dall’intero Giappone.

Anche lui la voleva lontana, ma per un motivo ben diverso.

Shuichi voleva proteggerla. Lontano da lì, Jodie sarebbe stata al sicuro. 

Bourbon la odiava, come odiava lui e chiunque gli gravitasse attorno, specie se dell’FBI.

La osservò mentre accarezzava con i polpastrelli la scritta a penna sul cartoncino.

Che ci sarà di interessante, poi. E’ pure scritto male. L’ho vergato di traverso e in fretta e furia per non essere visto.

Un pensiero lo folgorò sulla sedia e durò un secondo, sufficiente a fargli credere di essere un completo imbecille e completamente fuori strada.

Non importa se è bello o brutto. E’ mio. E’ tutto ciò che le importa.

Guardò gli occhi di Jodie rimpicciolirsi man mano che lo shock scemava. Mentre tornavano alle dimensioni normali si inumidivano, e il labbro inferiore le finiva tra i denti per poi essere coperto con il palmo della mano.

E per un momento ci credette. Si permise di sognare, di credere che quello non fosse il dolore di una collega, o di un’amica intima, ma il dolore di un’amante, di qualcuno che né lo odiava, né lo aveva mai dimenticato. 

Di qualcuno che lo stava ancora aspettando. 

Con la coda dell’occhio, scorse Camel, completamente disorientato, mentre usciva dalla toilette.

Odiò Bourbon con tutto sé stesso. 

Shuichi difficilmente odiava. Era uno che preferiva evitare il conflitto piuttosto che infilarcisi dentro a capofitto. Minima spesa, massima resa. La sua famiglia, però, era assolutamente sacra. Nessuno era autorizzato ad avvicinarsi alle persone che aveva attorno. Erano poche - si poteva dire che si contavano sulle dita di una mano - ma erano inviolabili ed intangibili. 

Qualcuno aveva provato ad avvicinarsi a suo padre. Presto sarebbero periti tutti sotto la scure della giustizia, o almeno se lo augurava. Parimenti, nessuno era autorizzato ad avvicinarsi a sua madre, a suo fratello e a sua sorella - che nessuno toccasse Masumi se teneva alla propria vita!

Jodie si infilò il sottobicchiere in tasca e scappò di corsa in direzione del registratore di cassa, ignara dell’incontro appena avvenuto nei bagni del caffè.

- Mi scusi, ho bisogno di sapere se ha visto un uomo vestito di scuro con una cicatrice sulla guancia entrare ed uscire da questo locale.-

Il cameriere - un ragazzo giovane con gli occhiali e i capelli impomatati - la guardò stranito.

- Un tipo curioso con la cicatrice sul viso? Sì, è appena uscito!-

- Eh? Un uomo con una cicatrice sulla guancia destra è uscito da questo locale poco fa?-

- S-sì, subito dopo che lei si è allontanata dal tavolo per rispondere alla telefonata.-

- Quel tipo portava un cappello come questo?-

- Esatto.-

L’attenzione di Shuichi, però, fu ben presto catturata da qualcos’altro.

All’inizio, era stato soltanto un ticchettio. Alle sue orecchie, però, era inconfondibile. Tac, tac, tac come gli stivali militari delle squadre antisommossa. 

Che accidenti sta succedendo qui?

Sorpassò Jodie e il cameriere, imboccando l’uscita del caffè. Nonostante volesse fare tutt’altro quel giorno, era costretto a seguire Bourbon per salvare la vita di Kir.

L’ennesima rinuncia a cui era costretto per quella vita così difficile che aveva scelto.

- Si tratta di Akai?-

Fantastico. Grande deduzione, Camel. Adesso le darai manforte, invece di dissuaderla.  

- Scusami - disse Jodie, chiedendo scusa al collega anche con gli occhi blu mentre si torceva la camicetta gialla.

Quel giorno era particolarmente carina.

- Dato che neanch’io ero completamente convinta, non potevo parlarne con i colleghi dell’FBI! Inoltre mi è sembrato che Akai avesse perso la memoria e non riuscisse neanche a parlare!-

Come pensavo. Accidenti a Bourbon e al suo tempismo.

- Jodie, potrebbe essere anche una trappola dell’Organizzazione!-

Caspita, oggi Camel è in forma. Bravo, Andre.

- Oh, andiamo, Camel!-

- Hai ammesso anche tu che Shuichi Akai era morto, dopo aver esaminato le impronte digitali! Non è possibile che sia ancora vivo.-

- Guarda! Questo è un messaggio che mi ha lasciato di nascosto quel tipo!-

- Eh?-

Oh, no, diamine.

- Guarda, Camel. Vedi questo trattino? Akai lo fa storto quando scrive, perché è mancino. E anche la sillaba no in Hiragana, vedi? E’ la sua calligrafia, ti dico! L’ha scritto lui!-

Qualunque cosa stesse capitando fuori dal caffè, non ci voleva per niente. Non era ancora riuscito a capire che cosa ci facesse Bourbon al centro commerciale e per quale motivo Hidemi Hondou gli avesse chiesto aiuto.

Si accorse che le squadre speciali - sembravano artificieri, non antisommossa come aveva inizialmente pensato - stavano circoscrivendo il perimetro attorno alle scale mobili, impedendo ai clienti l’accesso al piano superiore.

Ebbe giusto il tempo di udire il tono di preghiera nella voce di Jodie, prima di mettersi all’inseguimento di Bourbon definitivamente.

- Se fosse davvero Shuichi, che razza di trappola potrebbe mai essere?-

Dal canto suo, Camel sembrava convinto che Jodie fosse in piena fase di negazione della realtà.

- Può darsi che stiano seminando confusione tra noi dell’FBI.- 

I due continuarono a bisticciare per un po’ mentre Shuichi cercava di farsi largo tra la folla di curiosi. Almeno, per quanto fosse possibile discutere con Camel: alla fine quel bestione dal cuore di panna capitolava sempre e seguiva i suoi colleghi e i suoi amici come un cagnolino.

- Allora perché mi ha lasciato questo biglietto, e dopo poco succede questo?-

- Akai deve aver compreso in anticipo che sarebbe successo qualcosa in questo grande magazzino.-

- Già. Sono sicura che ormai ha recuperato la memoria.- 

Non l’ho mai persa. Per favore, vattene da qui!

Scorse Bourbon in cima alla scalinata, che gli dava la schiena. 

Considerato che ormai era impossibile accedere al terzo piano usando le scale mobili, fu costretto a rimediare.

Scivolò tra la folla diretto alle scale antincendio, sgusciando tra i clienti preoccupati e lasciandosi Jodie e Camel definitivamente alle spalle, provando a non pensare a nient’altro che alla sua missione.

Accidenti a me, a Bourbon e a tutto questo casino. 

Nell’estremo tentativo di far uscire Jodie da lì, l’aveva inavvertitamente convinta della sua esistenza in vita.

Si guardò attorno. Nessuno si accorse di lui.

Spinse il maniglione antipatico e sparì su per le scale antincendio.

Nel frattempo, compose frettolosamente un numero di cellulare.

- James? Abbiamo un problema. La cosa è più seria di quanto ci aspettavamo.-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Comunque mi piacerebbe offrire un caffè a quei tipi... ***


3.

Comunque mi piacerebbe offrire un caffè a quei tipi…

 

ATTENZIONE agli spoiler!

 

Ma questo tizio non aveva nient’altro da fare oggi che imbastire tutto ‘sto circo?

Rimase in disparte, sul fondo della stanza, dietro al nugolo di persone che aveva circondato l’uomo coperto di tritolo e - nemmeno a dirlo - Conan Edogawa, Ran e Kogoro Mouri.

Prima o poi verrò a capo anche di questo mistero, ovvero come mai, ogni volta che accade qualcosa, ci sono sempre di mezzo quei tre. 

L’unica cosa buona di tutto quel caos era che Bourbon era rimasto intrappolato al terzo piano. 

Lo guardò meglio, più da vicino, ammirando la perfezione dei travestimenti di Vermouth.

Per quale motivo è qui?

Per imbastire un’operazione del genere era necessario un lavoro complesso e, soprattutto, l’autorizzazione del boss. 

Il che implicava che Bourbon doveva aver avuto un eccellente motivo, se era arrivato a scomodare addirittura il grande capo. Sicuramente doveva averlo fatto tramite Vermouth, che sembrava particolarmente vicina al boss, anche se Shuichi non era mai riuscito a capire a che titolo lo fosse.

Con quell’inconveniente, le domande senza risposta aumentavano e Shuichi cominciava davvero a chiedersi se quel caos non fosse decisamente più grande di lui, almeno di lui da solo.

In prima battuta, qualcuno doveva aver detto a Gin che una persona che gli somigliava era stata vista da qualche parte. Poi, qualcuno - un altro o la stessa persona? - doveva anche avergli detto che quel giorno si trovava al centro commerciale, innescando il sequestro di Kir.

Dove l’aveva portata? 

Questa era forse la domanda più semplice a cui dare una risposta. Gin era talmente ossessionato da Shuichi da renderlo prevedibile. Era più che ovvio che si sarebbe recato sul luogo per vederlo redivivo con i propri occhi. 

E magari ucciderlo una seconda volta. 

Sì, era certo che Gin fosse ormai in trepidante attesa da qualche parte nei paraggi del grande magazzino.

Altrettanto certo era che si sarebbe portato dietro qualcuno. Considerata l’attitudine di Shuichi di colpire una formica negli occhi a diverse miglia di distanza, era scontato che da qualche parte sarebbero spuntati Chianti e Korn per neutralizzarlo prima che potesse anche solo imbracciare il fucile.

Arma che al momento non ho, considerato che mi spaccio per un dottorando di ingegneria, ma apprezzo la fiducia che Gin ripone in me.

Se era vero che Bourbon lavorava con Vermouth e che lei stessa aveva probabilmente chiesto il permesso al boss per quella mascherata fuori stagione, era anche altrettanto probabile che non fosse al momento in contatto con Gin.

Quindi, se Gin aveva rapito Kir, voleva dire che Vermouth non era lì per dirgli che stava facendo un’enorme stupidaggine.

Bene. Vermouth fuori dai piedi è una maggiore garanzia di successo.

E un salvacondotto per la vita di Jodie.

Nonché per la sua, di vite. Chianti e Korn volevano sparare ad uno con la faccia di Shuichi Akai, sicuramente  non erano a conoscenza dell’esistenza di Subaru Okiya. 

Vero?

Ciò implicava però che Bourbon stava correndo un rischio enorme esponendosi a quel modo con Gin e la sua combriccola. 

Perché lo stava facendo?

Voleva liberarsi di Kir?

Voleva liberarsi di lui ed aveva un piano in mente?

O forse era semplicemente psicopatico a sufficienza da confidare troppo nel proprio ego? 

Vermouth stava solo aspettando il momento giusto per intervenire?

Il modo per scoprire la verità era piuttosto semplice, a dire il vero. Sarebbe bastato uscire da lì. 

Peccato che quel tizio dal naso aquilino avesse deciso di mettere su quella patetica sceneggiata delle magliette rosse. 

Perché era stato lui ed era piuttosto ovvio.

Gli bastò dare uno sguardo in giro per poter capire che non era l’unico a tenere d’occhio il bombarolo del terzo piano.

Bourbon sembrava particolarmente attivo al momento. Non faceva niente di speciale, ma i suoi occhi saettavano dal tipo sospetto alle magliette rosse, poi ancora sul tipo sospetto mentre le sue mani sembravano cercare qualcosa in tasca. Forse il cellulare.

Anche lui sembra scalpitare per uscire da qui.

Forse, il rapimento di Kir non era stato programmato. Forse, Bourbon non aveva nessuno a coprirgli le spalle.

Se era così, stava rischiando davvero grosso ed aveva i minuti contati.

Shuichi era certo che avrebbe tentato il tutto e per tutto, in quel caso, per uscire dal centro commerciale senza finire in un sacco del coroner.  

Restava però da fare era il più e il meglio, ovvero individuare gli uomini in nero e liberare Kir.

Quindi si tratta soltanto di tenere d’occhio Bourbon, riferire a James, pregare che Jodie sia riuscita ad imboccare la porta assieme a Camel senza incorrere in pericoli ulteriori e risolvere questo caos per riuscire a tirare fuori Kir dall’auto di Gin.

Insomma, una passeggiata.

Ah, dunque, sì: il dinamitardo.

Per farla breve, per quasi otto settimane un anonimo mittente aveva spedito delle magliette rosse - quando due, quando una - ad un misterioso individuo che, stanco per la continua persecuzione, aveva deciso di accoppare un tipo a caso nel bagno del centro commerciale, imbottirlo di esplosivo, piazzare delle misteriose buste vicino alle vie d’uscita e segregare tutti quanti sul piano per trovare il mittente.

Parimenti, tempo addietro, aveva chiamato Kogoro Mouri perché si trovasse al terzo piano del grande magazzino esattamente a mezzogiorno e mezza di domenica per risolvere il caso.

Già così aveva dell’inverosimile, a meno di non avere a che fare con una mente criminale sopraffina capace di premeditare tutto nel dettaglio. 

Così, ovviamente, non era, ed erano proprio quei dettagli così studiati a mostrare che la mente che aveva ideato quel piano era in realtà molto più semplice di quanto le sarebbe piaciuto credere.

 

Jodie era un’eccellente profiler. Di norma, quello era un mestiere che si imparava sul campo: la formazione teorica era essenziale, ma l’applicazione diretta era tutto un altro paio di maniche. Lei, invece, aveva talento, una sensibilità innata. 

Quando l’aveva conosciuta, all’FBI avevano affibbiato a Shuichi un nomignolo: il mostro, proprio per le sue abilità di penetrare nella mente del colpevole. Non esattamente un grande biglietto da visita agli occhi dello scricciolo biondo della Pennsylvania. Peccato, però, che lei fosse anche peggio di lui, e ben presto l’argomento nickname era divenuto motivo di celia tra i due.

Le aveva detto, tanto tempo fa, che non le conveniva giocare al suo stesso gioco.

 

- Se la gente ha affibbiato questo nome a me, figurati che cosa potrà dire di te!-

- Solo perché tu sei un solitario scostante. Smettila di fare l’orso e vedrai che le cose cambieranno.-

Shuichi premette il pulsante di chiamata dell’ascensore. 

- Sei giovane, matricola e sei anche una bella ragazza. I commenti si sprecheranno. Non hai nulla da dimostrare, sei un’agente speciale. Lo sappiamo tutti che sei brava.-

- E’ proprio perché sono giovane, matricola, carina e già agente speciale che i commenti su come ci sono arrivata si sprecano. E sono pure bionda. Meglio zittire le malelingue. E poi, mi odiano già tutti quanti.-

Aggrottò le sopracciglia, pensieroso.

Non era una gran bella cosa da dire. 

- Proprio tutti tutti no, dai.-

- Oh, sì, uomini e donne. Una parte di loro entra in competizione con me per mille motivi, fatti loro. L’altra parte, sia maschile che femminile, mi odia perché lavoro ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette con l’uomo più sexy di tutta l’FBI, quindi che cambia?-

Mentre Shuichi comprendeva le implicazioni di quell’affermazione, Jodie imboccava l’ascensore e ci si chiudeva dentro.

- Aspetta, che significa?-

Lei gli strizzò l’occhio.

- Deducilo, Sherlock.-

 

I fatti erano abbastanza chiari. 

Chiunque avesse comprato le magliette rosse aveva avuto la premura di farsi trovare lasciando dentro la busta la ricevuta d’acquisto, strappata, ma pur sempre leggibile e con i dati sufficienti a rintracciare il luogo, la data e l’ora della compravendita.

Ad un occhio attento, inoltre, non sarebbe sfuggito il cambio di forma dello scontrino fiscale emesso dal centro commerciale, in circolazione ormai da quasi un anno. Shuichi stesso poteva confermarlo, dal momento che lo scontrino era identico a quello che aveva trovato nella borsa della biancheria che Yukiko Kudo gli aveva comprato dopo che le sue povere mutande e tutto il resto dei suoi effetti personali erano andati a fuoco nel suo vecchio appartamento. 

Quindi, l’acquisto era recente e il mittente voleva farsi trovare.

Le magliette, poi, non erano un articolo dozzinale. Erano di marca, in poliestere assorbente, usate per lo più per fare sport e, considerato il collo alto, probabilmente erano adatte a condurre attività fisica a temperature basse.

In inverno o in montagna, ad esempio.

Considerato che quel giorno a Beika faceva un caldo infernale e che era piena estate, era altamente improbabile che il centro commerciale vendesse biancheria sportiva a collo alto per attività all’aperto che non fossero sulla neve, per cui andava da sé che qualunque cosa il tizio in questione andasse cercando, o a qualunque evento facesse riferimento, doveva aver avuto luogo su una montagna. 

La cosa, di per sé, aveva un senso soprattutto seguendo la linea di ragionamento del piccolo Conan.

O meglio, era necessario rendere onore alla giovane Ran, che aveva notato che le magliette erano state stropicciate seguendo una logica ben precisa.

Shuichi si fece largo tra la folla per osservare meglio le magliette allineate e ripiegate a formare degli strani disegni.

Sulle prime, la sua mente balzò immediatamente agli omini danzanti del romanzo di Sherlock Holmes, disegni apparentemente infantili che però celavano un messaggio segreto.

In questo caso, era una crittografia molto più rudimentale.

Sia al mare che in montagna, infatti, vengono usate delle bandierine di segnalazione. Ora, considerato che in alcuni giorni il mittente delle magliette rosse ne aveva spedita più di una e che le aveva piegate in un modo ben preciso, era abbastanza spontaneo pensare che, combinando le magliette e le pieghe, venisse fuori un carattere che celava un messaggio segreto. 

In questo caso, leggendo da destra verso sinistra, il codice era piuttosto chiaro.

 

Umeta no mitayo

 

Ti ho visto seppellire.

Considerato che era altamente improbabile che una persona venisse sepolta al mare, era considerevolmente plausibile che c’entrasse la montagna e magari una valanga. 

E poi, c’era l’orario, che era indicativo di tante cose.

C’era da chiedersi, infatti, perché proprio le dodici e ventinove.

Le dodici e trenta avrebbe avuto più senso. Si sarebbe accostato anche al profilo del mittente. Ovviamente, Shuichi sapeva già chi era, ed era sicuro che ci sarebbe arrivato anche il ragazzino prima o poi.

Ammettiamo che ci sia un cliente che si palesa tutte le domeniche nello stesso reparto alle dodici e venti e chiede - o fa in modo - di far emettere lo scontrino fiscale alle dodici e ventinove, tutte le sante volte. 

Sicuramente la commessa se lo sarebbe ricordato bene.

La commessa, invece, aveva detto di non saperne niente.

Perché le dodici e ventinove?

La risposta era abbastanza semplice. Se era vero che la commessa non aveva visto nessuno di sospetto, era più che probabile che l’unica persona che avrebbe potuto fare un acquisto ad un’ora così particolare fosse qualcuno del personale. 

Magari, qualcuno che, non visto, entrava nella sala casse prima di finire il proprio turno.

In alternativa, c’era un’ipotesi più intima, un’ipotesi che una come Jodie avrebbe sicuramente tirato fuori dal cilindro come i conigli del prestigiatore. 

Le dodici e ventinove potevano avere un significato soggettivo per il mittente. Magari, indicavano l’ora della morte di qualcuno, o forse una data.

Il ventinove/dodici, in tal caso, sarebbe stato il ventinove dicembre.

Shuichi afferrò il cellulare e cominciò a navigare in rete per scoprire altri particolari.

Trovò un articolo di giornale che riportava la morte di un alpinista esperto, un certo Maruoka, finito travolto da una valanga proprio il ventinove dicembre di diversi anni addietro. 

- Come immaginavo, c’entra una montagna…-

Non fece in tempo a finire la frase che un movimento, un’ombra oscura nella coda dell’occhio lo distrasse.

Si voltò appena in tempo per scorgere Bourbon, in piedi praticamente accanto a lui, mentre fissava le magliette ripiegate da Conan sul pavimento.

Porca miseria.

Fece un balzo indietro e sparì alla vista proprio nel momento in cui Bourbon si voltava alla ricerca della persona che lo faceva sentire osservato.

 

Se chiaro era l’aspetto tecnico ed indiziario - in cui Shuichi era bravo - il lato emotivo della storia - quello che Jodie era particolarmente brava ad individuare - era altrettanto lampante. 

Immaginò che, se Jodie fosse stata al piano - e Shuichi pregò sinceramente che non lo fosse - probabilmente si sarebbe messa a ridere.

C’era innanzitutto la questione della sorveglianza.

Il centro commerciale era pieno di telecamere a circuito chiuso, probabilmente antifurto. Per sapere chi compra che cosa e a che ora, sarebbe bastato chiedere il permesso al direttore del centro, proprio come Shuichi aveva fatto con il direttore della banca.

In alternativa, l’uomo avrebbe potuto sorvegliare, tutte le domeniche alla stessa ora, il terzo piano del centro commerciale al reparto sportivo per cogliere lo stalker delle magliette rosse sul fatto.

Quindi, perché mai uno sconosciuto avrebbe dovuto prendersi la briga di fare tutto quel caos quando la soluzione era così semplice? Perché avrebbe dovuto sprecare tutto quel tempo ad avvolgere un perfetto ignoto nell’esplosivo, rischiando di mancare l’orario prestabilito per la compravendita e non individuare lo stalker delle magliette?

La soluzione era una sola, e c’erano diversi indizi a deporre in favore di essa.

Non c’era nessun esplosivo, nessun mandante misterioso, nulla di nulla.

C’era soltanto un ometto megalomane che si era inventato tutto per mettere paura a chiunque gli stesse mandando le maglie rosse e fare la voce grossa con lui.

Cioè, con lei, ma andiamo per ordine.

Innanzitutto, il dinamitardo si muoveva come un pazzo. 

Una volta, durante una missione molto difficile, Jodie era finita coperta di esplosivo, e Shuichi aveva avuto l’arduo compito di disinnescare la bomba.

Ricordava ancora distintamente tutti i pensieri che gli erano passati per la testa in quel momento.

 

- Dovremmo aspettare gli artificieri.-
- Non c’è tempo, lo sai.-
- Io non ho una formazione tecnica…-
- Tu sei la mia unica speranza. Mancano solo due minuti e mezzo. Devi disinnescare questa cosa.-
- E se sbaglio?-
- Non sbaglierai. Sei il grande e potente Shuichi Akai.-
- Jodie…-
- E anche se fosse, non ti porterei rancore. Hai fatto il possibile. Va bene così.-
- Resta ferma, rischi di innescare la bomba.-
- Se dovesse succedere, o se il timer non dovesse fermarsi, vattene da qui.-
- Jodie, no.-
- Sì. Promettimelo.-

 

Era finita bene quella volta, più per fortuna che per suo merito.

La regola principale di quando un soggetto è intabarrato in un busto imbottito di tritolo è non muovere un muscolo.

Questo tizio, invece, se ne andava in giro agitandosi per spingere Kogoro Mouri a risolvere il caso in breve tempo.

Le questioni erano due: o era un assoluto incosciente, oppure era perfettamente consapevole che era tutta una farsa e l’esplosivo non era esplosivo, bensì ovatta.

C’era poi il dettaglio, che era ciò che rendeva tutto estremamente chiaro.

Chi aveva organizzato quella trama era chiaramente un dilettante, un disorganizzato.

Il primo obiettivo di un terrorista è quello di far sentire la propria versione dei fatti.

Ciò implica che non è ammesso diramare altri dettagli oltre a quelli che lui stesso fa uscire.

Quindi, gli ostaggi vengono di solito uccisi sul posto o, se tenuti sotto sequestro, privati di ogni mezzo di comunicazione con l’esterno per evitare che qualcuno spifferi direttamente alla polizia il piano del terrorista o la posizione in cui si trova, o peggio ancora i possibili accessi all’edificio.

Chiunque fosse questo fantomatico sconosciuto, aveva semplicemente intimato di non chiamare gli artificieri e le forze dell’ordine, senza impedire che gli ostaggi chiamassero invece amici e parenti dicendo a tutti di essere rinchiusi al centro commerciale con dell’esplosivo e magari invitandoli a telefonare alle forze dell’ordine al posto loro.

Strategia decisamente discutibile, a meno che non gli importi assolutamente nulla di ciò che passa all’esterno.

Quindi, se era vero che nessuno avrebbe mai rischiato di farsi sfuggire il proprio stalker imbastendo tutta quella messinscena, e se era vero che l’esplosivo non esisteva, era altamente probabile che il tizio dal naso aquilino fosse arrivato da casa con una cintura esplosiva colma d’ovatta.

Ancora, c’era da dire che uno con un po’ di sale in zucca non prende i mezzi pubblici imbottito di tritolo rischiando di fare una strage alla prima buca nell’asfalto per raggiungere un centro commerciale. Perché era esattamente così che aveva raggiunto il centro commerciale. Ne era prova la traccia di rossetto rosso sulla spalla della sua giacca.

In conclusione - come avrebbe detto Jodie - avevano a che fare con un dinamitardo improvvisato, dilettante e narcisista, che oltretutto pensava di farla pure franca prendendo tutti quanti per il naso senza sapere che, in verità, stava facendo la figura del cretino.

Shuichi li aveva visti con i propri occhi, gli uomini delle forze speciali ammucchiati davanti alle scale del centro commerciale. Stavano soltanto aspettando il momento giusto per irrompere.

Si chiese che cos’altro Jodie avrebbe potuto vedere. Forse, avrebbe ricavato qualcosa dai dettagli, come la forma dello scontrino, strappato in una curiosa forma appuntita, oppure nelle magliette stesse. 

Un inconscio simbolo della montagna? Una maglia rossa per indicare il pericolo, il sangue, la morte?

Shuichi non lo sapeva. Tutto ciò che riusciva a pensare era che l’addetta alle casse avesse voluto togliere il proprio numero di matricola dallo scontrino strappandolo a quel modo.

Insomma, in conclusione, il mittente delle magliette rosse era la signorina Seta, che probabilmente di cognome faceva Maruoka, l’unico essere vivente al terzo piano del centro commerciale ad essere rimasta sempre chiusa alla cassa, non vista da nessuno, l’unica che avrebbe potuto chiamare i soccorsi ed emettere uno scontrino così strano ad un’ora così strana senza che nessuna delle sue colleghe si ricordasse di lei.

E il falso dinamitardo, improvvisato, dilettante e narcisista, con molta probabilità era il vero assassino del padre della signorina, l’alpinista, o almeno così credeva la ragazza. 

Sarebbe stato interessante guardare Conan risolvere l’enigma da solo.

Immaginò che Bourbon non fosse felice di quella situazione. Artificieri dovunque, squadre speciali… Insomma, non esattamente la sortita in sordina che aveva preparato.

A giudicare dalla sua apparente insofferenza, anche lui aveva una gran voglia di svignarsela da lì.

Lo vide armeggiare con il cellulare, e gli venne in mente che aveva ancora una telefonata da fare. 

Siccome il dinamitardo geniale aveva lasciato libero accesso al ristorante del terzo piano - dove, tra un curry e l’altro, i camerieri lavoravano con i rispettivi cellulari, e magari anche un telefono fisso che comunicava direttamente con la direzione del centro commerciale - Shuichi decise, nell’attesa di vedere Kogoro crollare addormentato, di telefonare a James dall’interno del ristorante.

Scivolò tra le porte scorrevoli mentre si infilava l’auricolare. 

- James?-

- Akai-kun, com’è la situazione?-

- Un dilettante. Praticamente si sta incastrando con le sue stesse mani. Vedrai che Conan verrà a capo della cosa in fretta.-

- Un dinamitardo improvvisato, dilettante e narcisista, che finirà con il fare la figura del cretino?-

- Come lo sai?-

- Sono le stesse identiche cose che mi ha detto Jodie cinque secondi fa. Parola per parola.-

- Questo implica che Jodie e Camel sono ancora dentro il centro commerciale.-

- Sì. La nostra strategia non ha funzionato.-

Dì pure la mia strategia. Accidenti. 

Sospirò, avvicinandosi alla finestra.

- Situazione?-

- Stazionaria. Non ho idea di dove sia Kir. Ho sentito anche il direttore della CIA. Pare che l’ultimo segnale inviato fosse da un veicolo in transito sulla statale di Haido.-

Forse è l’auto di Gin.

Shuichi pensò che Kir potesse essere in quell’auto in attesa di novità su Bourbon, oppure che potesse essere già in un sacco nel bagagliaio.

Sperò vivamente di no.

- Per quello che vale, Bourbon sembra agitato. Mi sono convinto che si sia trovato al centro di una serie di sfortunati eventi. Non aveva previsto che qualcuno spifferasse del suo travestimento a Gin, altrimenti lo avrebbe avvertito o avrebbe fatto in modo che lo facesse Vermouth. Quando ha compreso che era l’ora di svignarsela prima che Gin lo prendesse con le mani nel sacco, si è trovato rinchiuso nel centro commerciale. Se ho ragione, farà di tutto per andarsene. L’ho visto armeggiare con il cellulare. Forse ha già chiesto aiuto a Vermouth.-

- Speriamo che sia vero. Avremmo ancora una chance di salvare la vita di Kir.-

- Che dice la CIA?-

- Secondo te? Silenzio stampa.-

- Un po’ di collaborazione dai cugini, visto tutto quello che ho fatto per loro, non farebbe schifo una volta ogni tanto.-

- Sai come sono fatti. Tienimi aggiornato Akai-kun.-

E chiuse la chiamata. 

Shuichi sospirò, cominciando a sospettare che, a quel punto, l’unica cosa che avrebbero potuto fare sarebbe stata restare a guardare.

Il ristorante aveva un’ampia vetrata che affacciava sulla strada e sull’hotel di fronte al centro commerciale. 

Si avvicinò pensieroso alla finestra, cogliendo l’occasione per guardare fuori. 

Il cielo era azzurro su Beika quel giorno. L’aria era tersa e fresca al punto giusto. La gente si era riversata nelle strade per fare acquisti ed andare al lavoro.

Insomma, tutto nella norma, se non fosse stato per la Porsche 356 A nera parcheggiata di fronte che catturò immediatamente l’attenzione del giovane agente.

Alzò gli occhi e potè scorgere una strana ombra affacciata ad una delle finestre dell’hotel di fronte al centro commerciale, ed aveva tutta l’aria di essere un tiratore scelto.

Dalla sagoma, direi Chianti.

Gin, come previsto, non è venuto da solo.

Così, tutti i mafiosi che aveva immaginato sarebbero accorsi si erano acquartierati fuori dal centro commerciale.

Forse, qualcuno stava tenendo d’occhio la situazione anche nei pressi dell’accesso, o ai piani inferiori.

Questo implicava che avevano una visione perfetta di tutto ciò che accadeva dentro al centro commerciale e davanti all’ingresso principale. 

Questo implicava anche che, se lui aveva potuto vedere Bourbon travestito, ci sarebbero riusciti anche loro, e assieme a lui avrebbero visto anche Jodie, che rappresentava il principale conto in sospeso di Vermouth, che era la migliore collaboratrice di Bourbon.

Insomma, una combinazione potenzialmente molto pericolosa.

- Ehm… Desidera qualcosa?-

Si voltò di scatto verso la cameriera titubante, che si era fermata a pochi passi da lui.

- Oh, mi scusi, me ne vado subito! Volevo soltanto vedere la situazione all’esterno!-

- Desidera qualcosa?-

- No, grazie. Sapendo che tutto il piano è pieno di esplosivo non ho voglia né di bere, né di mangiare.-

- Ah, capisco…-

- Comunque mi piacerebbe offrire un caffè a quei tipi che stanno aspettando la loro preda con impazienza, restando in attesa con questo terribile caldo!-

 Eccome, se gli sarebbe piaciuto. Possibilmente, uno nero e bello amaro come l’anima dell’uomo che sedeva dentro la Porche 356 A. 

Che almeno ti andasse di traverso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La colpa è cinquanta e cinquanta, quindi siamo sulla stessa barca. ***


4.

La colpa è cinquanta e cinquanta, quindi siamo sulla stessa barca.

 

Conan è bravo, eh, ma ad oggi non riesco a spiegarmi come sia possibile che la gente creda davvero al detective dormiente, o sonnambulo, come lo chiamano.

Era rimasto a guardare il piccoletto che risolveva brillantemente il caso. 

Era andato tutto esattamente secondo i piani.

Il dinamitardo si era inventato tutto.

La stalker delle magliette rosse era la signora Maruoka, alla ricerca di giustizia per suo padre morto.

Shuichi, però, non era mai stato tanto arrabbiato in vita sua.

Bourbon era sparito.

L’aveva tampinato fino al terzo piano, l’aveva osservato per tutto il tempo e poi, ad un certo punto, gli era bastato allontanarsi una frazione di secondo per fare una telefonata perché il lavoro di tutta la mattinata venisse vanificato.

Dove accidenti si è cacciato?

Prese a scivolare tra la folla, alla ricerca del suo target. La gente, adesso, cominciava a rilassarsi. Molti si appoggiavano in modo indolente alle pareti, altri - soprattutto mamme con bambini - avevano ripreso a guardarsi attorno tra gli scaffali in attesa di essere liberi di tornare a casa.

Un gruppetto di persone, tuttavia, non gradiva di essere ancora chiuso al terzo piano, e stava cominciando a lamentarsi piuttosto sonoramente affinché la direzione dell’albergo e le forze speciali al piano di sotto dessero il via libera e consentissero loro di tornare a casa. 

Shuichi era praticamente certo che Bourbon fosse uno tra quelli. Ancora gli era un mistero il motivo per cui Gin sembrava all’oscuro del suo piano e perché Vermouth non fosse ancora intervenuta. Certo era che quella era una delle fasi più delicate della missione di Bourbon, nonché un momento cruciale per la vita di Kir. 

Che cosa sarebbe successo, infatti, se Gin, vedendo Bourbon travestito, avesse deciso di liberarsi erroneamente di lei?

No, era di vitale importanza che qualcuno facesse emergere la verità.

Compose il numero di James e si acquattò in un angolo, tra uno scaffale di biancheria intima sportiva e un cesto di palloni da basket.

- Akai-kun.-

- James. Bourbon scalpita per uscire. L’ho perso tra la folla. Fuori c’è qualcuno dei nostri?-

- Sì, c’è Smithson sul tetto col fucile.-

- Smithson spara peggio di Chianti.-

- Solo tu spari meglio di Chianti.-

- E’ arrivato qualcuno?-

- In che senso?-

- Vermouth.-

- No, al momento nulla. E’ un problema. Se Gin dovesse convincersi che sei tu invece di Bourbon perderemmo il nostro tramite.-

Shuichi comprendeva il punto di vista di James. Essere un agente segreto comportava la consapevolezza di - come dire?- incappare in un pensionamento precoce

Inoltre, tutti gli agenti sapevano che servivano il bene superiore, un interesse ulteriore. Insomma, sapevano che, per quanto cinico potesse sembrare, erano tutti pedine di un gioco più grande e in quanto tali potenzialmente sacrificabili.

Lo sapeva Shuichi, lo sapeva anche Hidemi Hondou.

Certo, questo non significava che la giovane ragazza della CIA non significasse proprio nulla per lui. Non erano amici, nemmeno colleghi, ma condividevano una storia dolorosa, due perdite che si somigliavano parecchio. Si sentiva legato a lei da una comunanza di intenti e, tutto sommato, la ammirava per il coraggio che aveva avuto nell’inscenare assieme a lui la sua finta dipartita.

Sapeva che cosa volesse dire essere un infiltrato. Era una vita di ansia costante, passata ad aver paura della propria ombra.

Una vita che non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico. 

Non aveva esattamente voglia di veder seppellita anche lei.

Mi domando, se ci fosse stata Jodie in quella macchina, se avresti reagito alla stessa maniera.

Voleva bene a James e lo capiva, per cui evitò ogni commento caustico.

- Mi rendo conto. La CIA?-

- Dicono che hanno la situazione sotto controllo, ma al momento non so nulla, né Smithson ha visto niente.-

- Hai un piano per il diversivo?-

- Sì. Speriamo che funzioni.-

- Jodie e Camel?-

- Nessuno è entrato e nessuno è uscito dal centro commerciale.-

- Le hai detto che c’è l’Organizzazione fuori dalla porta?-

- No. Non vorrei che facesse gesti avventati.-

Tradotto, non vorrei che, credendoti presente, si gettasse nella mischia nel disperato tentativo di salvarti la vita.

Buona idea, James.

- Sai se si sono accorti di qualcosa?-

- Non credo. Mi avrebbero chiamato.-

Forse.

Tanti anni prima, suo padre aveva detto loro di trasferirsi in Giappone, che lì sarebbero stati al sicuro. Sarà anche stato vero, ma da quando era arrivato nella terra del Sol Levante gliene erano successe di tutti i colori. Insomma, quante possibilità c'erano di trovare uno stalker particolare, un dinamitardo narcisista, tutta la famiglia Mouri - piccoletto iettatore incluso - nonché Gin, Bourbon e compagnia bella, tutti dentro lo stesso centro commerciale? 

Per non parlare di lei

Solo quel giorno gli stava facendo perdere dieci anni di vita.

- A proposito, le bandierine di segnalazione sono utilizzate in mare o in montagna per comunicazioni a distanza e dato che il significato di umeta no mitayo è ti ho visto seppellire, non si tratta di mare, ma di montagna.-

Le orecchie di Shuichi si drizzarono.

Si voltò verso lo sciagurato terzetto e notò con grandissima sorpresa che Kogoro Mouri, riprendendosi gradualmente dall’anestesia, stava formulando delle conclusioni clamorosamente sensate. 

Mi sa che qualcosa sta bollendo in pentola.

Con tutto il rispetto per Kogoro Mouri, non è di certo un’aquila.

- Inoltre, gli scontrini strappati ricordano proprio la forma di un monte, mentre il rosso delle magliette simboleggia l’omicidio. Un delitto su una montagna innevata può passare per un incidente, e siccome non esistono registrazioni relative all’ora precisa per disgrazie di quel tipo, le dodici e ventinove indicano certamente il giorno ventinove dicembre!- 

Shuichi spalancò gli occhi, per quanto la maschera in lattice glielo concedesse.

- James, ti devo lasciare.-

- Sta accadendo qualcosa?-

- Sì, Kogoro Mouri sembra beccarci, questa volta.-

Sentì il suo capo sorridere dall’altro lato della cornetta.

- Diamine, un evento più unico che raro, senza l’aiuto di Conan-kun.-

- Un evento che non posso perdermi. Devo essere sincero, credo che ci sia qualcosa sotto. Vado.-

Chiuse la chiamata e si avvicinò di più al terzetto.

Scorse Bourbon, in piedi sul primo gradino della scala mobile, pronto a filare via non appena le forze dell’ordine avessero dato il nulla osta.

Ecco dove ti eri cacciato.

- C’era scritto così sulla mail che mi ha inviato poco fa uno sconosciuto!-

Ah ecco. Mi pareva strano che fosse tutta farina del suo sacco.

 

E così era quello il piano di Bourbon.

Non era esattamente il migliore che avesse mai congegnato. Aveva semplicemente raccolto il cellulare di un tizio per non utilizzare il proprio, con un fazzoletto per non lasciare impronte, aveva dettato un messaggio al telefono e l’aveva inviato. Infine, aveva restituito il cellulare. 

Shuichi avrebbe utilizzato un cellulare di riserva, una scheda usa e getta del tutto irrintracciabile. 

Faceva sempre comodo avere uno strumento del genere in tasca, soprattutto quando sei un agente segreto.

Quella mossa, però, tradiva un particolare, un dettaglio di cui avrebbe dovuto immediatamente discutere con James.

Perché Bourbon conosce il numero di telefono di Kogoro Mouri?

Non ebbe troppo tempo per pensare, però, perché le forze speciali avevano liberato gli accessi e riattivato le scale mobili.

Fissò il cappello nero di Bourbon mentre spariva seguendo il movimento meccanico delle scale mobili.

Lo seguì a stretto giro, prendendo la scala mobile opposta e tenendosi a lieve distanza. 

Ogni tanto, Bourbon si guardava attorno, come se stesse cercando qualcuno. Shuichi immaginò che stesse tenendo d’occhio i suoi colleghi dell’Organizzazione. Avrebbe avuto senso, considerato l’incredibile ritardo che aveva accumulato sul suo piano.

Mentre Bourbon si incamminava verso l’uscita attraversando il secondo piano, Shuichi sentì un lieve scalpiccio di piedini provenire da dietro di lui. Si voltò appena in tempo per scorgere il piccolo Conan filare a tutta birra giù dalle scale.

Questa volta, il piccoletto arriva secondo. Lui vuole vedere Bourbon per scoprire chi sia, io lo so già.

E’ incredibile che mi debba sentire in competizione con un bambino, o con un diciassettenne che dir si voglia.

Non fece in tempo, però, a gioire per quella piccola rivincita sul giovane detective che il ragazzino fu trattenuto per la maglietta.

Oh, no, non adesso ti prego.

Sto per tirare Kir fuori dai pasticci.

Ci fu un fugace momento in cui lui e Jodie si scambiarono uno sguardo. La giovane agente, però, lo aveva guardato senza davvero vederlo, scivolando sopra la sua persona mentre lottava per tenere fermo il piccolo Conan.

In cuor suo, Shuichi pregò che il bambino tenesse la lingua fra i denti, ma non aveva molta speranza.

Si attaccò al cellulare.

- James.-

- Che succede?-

- Spero che Smithson abbia una buona mira oggi. Tieniti pronto ad avviare il tuo piano. Bourbon sta uscendo. Io potrei non essere nei paraggi.-

- E per quale motivo?-

- Jodie.-

Riattaccò senza nemmeno aspettare che il suo capo spiccicasse parola e cercò di origliare la conversazione tra la sua collega e il giovane detective. 

- Che ti succede? Perché sei così agitato?-

Ma era chiaramente una domanda retorica. Gli occhi di Jodie dicevano altro, il sospetto che le attraversava le iridi blu.

E’ fuori controllo.

- Non starai mica cercando la stessa persona che voglio trovare io?-

Vide Conan diventare color tofu mentre balbettava sillabe sconnesse.

Per fortuna intervenne Camel a tirarlo fuori dai pasticci.

Il suo intervento, però, fu tutt’altro che salvifico. 

- Come diceva quel messaggio, pare proprio che questo sia un posto pericoloso…-

Io mi odio quando ci azzecco troppo.

- Eh?-

Il piccoletto si riprese da un primo momento di stupore e si mise subito a fare domande. 

- Quale messaggio?-

- Me lo ha lasciato Shuichi!-

 

Provò ad ignorarlo con tutto se stesso.

Il linguaggio del corpo era rivelatore. E’ controllabile solo fino ad un certo punto e con una discreta forza di volontà. 

Quello che Jodie esprimeva, Shuichi l’avrebbe definito con la parola entusiasmo.

Aveva pronunciato quella frase con forza, con l’ombra di un sorriso sul volto, presto represso. 

Provò ad ignorare le implicazioni di ciò, e non ci riuscì.

Per fortuna Conan catturò di nuovo la sua attenzione.

- Ha incontrato il signor Akai?-

- No! Mi ero allontanata dal tavolo nel locale al piano di sotto e lui l’ha scritto di nascosto sul sottobicchiere! Il messaggio era: Scappa! Questa zona è pericolosa!-

Poi Jodie si rivolse a Camel.

- Perché questo posto sarebbe pericoloso? Il caso del dinamitardo è stato risolto. -

Camel, ti prego. Abbi buon senso. 

- Beh, a dire il vero ho visto alla finestra dell’albergo di fronte la sagoma di qualcuno che sembra un tiratore e una Porsche 356 A nera parcheggiata proprio sotto!-

Camel, mi spiace ma non hai avuto buon senso.

Vide una scintilla di consapevolezza attraversare gli occhi di Jodie, mentre il viso di Conan si trasformava in una maschera di frenesia al limite del panico.

Il piccoletto, evidentemente, voleva davvero sapere chi fosse l’uomo travestito da Akai prima che l’Organizzazione mettesse le zampe su di lui. 

Bene, Camel. Adesso che hai detto tutto, inculcale in testa che non si deve muovere, che è pericoloso e che dovete restare al sicur…

- Camel, ti affido quel ragazzino!-

Ecco fatto.

Si guardò attorno, consapevole di non poter perdere l’attimo.

Jodie era uno scricciolo, piccola e veloce. Sapeva sgusciare tra la folla come un’anguilla, mentre lui era bloccato sulle scale mobili da un corpulento signore che aspettava con calma che la tecnologia camminasse al posto suo.

Devo inventarmi qualcosa.

Osservò Jodie lanciarsi all’inseguimento e decise di tentare il tutto e per tutto.

- Permesso, scusate.-

Tornò indietro, risalendo le scale mobili controcorrente. Corse nella direzione da cui era venuto, si avvicinò al luogo del delitto - dove il dinamitardo stava per essere preso in custodia dalla polizia e la signora Seta stava rilasciando la propria versione dei fatti - scivolò non visto in un corridoio laterale, premette il maniglione antipanico e si gettò giù per le scale d’emergenza.

Uno, due, tre piani.

Per fare prima, saltò sul corrimano e si buttò giù, sulla rampa inferiore, atterrando proprio sul pianerottolo per poi riprendere a correre, saltare sul corrimano e ripetere l’operazione fino a che non ebbe toccato terra.

Aprì la porta e si trovò miracolosamente vicino all’ingresso del centro commerciale.

In un secondo, prese nota della situazione.

Sulla porta, c’era Korn.

Nell’hotel di fronte, Chianti stava prendendo la mira.

Sotto, c’era l’auto di Gin.

Se non si è ancora mosso da qui, probabilmente vuole guardare il falso Akai negli occhi prima di sparargli.

E Kir è ancora viva.

Bourbon, invece, stava avanzando lentamente, forse fin troppo lentamente, tra la folla uscente.

Il suo orecchio allenato da anni di musica classica percepì distintamente il rombo di una moto.

Scommetto che è la Harley Davison di Vermouth.

 

Come detto, il linguaggio del corpo è inimitabile e non mente mai.

Se Jodie esprimeva entusiasmo, in quel momento Bourbon esprimeva sollievo. Le spalle si abbassarono, il petto si sgonfiò in un malcelato respiro e l’angolo sinistro del labbro si sollevò verso l’alto in un tenue sorriso.

Adesso sa di essere protetto.

- No, Shuichi!-

Cercò Jodie con lo sguardo e la vide avanzare di gran carriera tra la gente, gridando permesso.

- Non devi uscire!-

Si mise sulla sua traiettoria, disposto a tutto per fermarla.

A Bourbon, adesso, non spareranno mai. Kir probabilmente è salva. Lei no. 

Se Vermouth la vede e Chianti ha ancora il colpo in canna, è finita.

Gin, sanguinario com’è, sicuramente non si opporrà.

- Ti hanno teso un agguato!- 

Correva e gridava con tutta se stessa, talmente tanto che aveva la voce graffiata, come se fosse stata raffreddata.

Parte della folla si voltò a guardarla.

Attira troppa attenzione.

- Ti prego, fermati!- 

Adesso ce l’aveva davanti, con la camicetta gialla che le stava tanto bene e gli occhi blu sgranati per la disperazione.

Urlò con tutto il fiato che aveva in gola per farsi sentire, la voce di carta vetrata che echeggiava tra le pareti del grande magazzino.

- SHUICHI!- 

 

Bum.

 

Che botta.

Non era stato intenzionale. Non aveva voluto impattare così duramente con lei. Il suo scopo era stato quello di farle un trabocchetto, farla scivolare, insomma, farle perdere tempo, quanto bastava affinché Bourbon venisse riconosciuto, le armi smontate e Vermouth se ne andasse fuori dai piedi.

Invece, Jodie correva talmente forte che quasi lo aveva trascinato con lei nella caduta.

L’aveva placcata con il gomito e lei era caduta sul posteriore, seduta per terra, le mani poggiate sul pavimento per non sbattere la testa. 

- Mi scusi, si è fatta male?-

Considerato il colpo, lo intendeva davvero.

Jodie sembrò risvegliarsi da un sogno. Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, sbattendo le palpebre dei suoi grandi occhi blu. Non stava capendo né che cosa stava succedendo sul momento, né che cosa fosse successo prima, ed era evidente.

James gli aveva detto che avrebbe dovuto cavarsi d’impaccio e dirle la verità, per non provocare ulteriore trambusto.

Ciao Jodie, tu non lo sai ma sono Shuichi e mi sono finto morto, purtroppo il dolore dei miei amici doveva sembrare reale perché vedi che cosa mi combina Bourbon? Anche se James mi ha detto che l’hai presa molto male, non essere arrabbiata con me, per favore. Anzi, magari perdonami, già che ci sei.

Magari…

No, così non andava bene.

Shuichi decise di darle una mano diversamente.

- Ma la colpa è anche sua. Correva senza guardarsi attorno.-

 

- Non ho intenzione di restare ad ascoltare le tue accuse insensate, Jefferson!-

- Insensate? Qui non c’è proprio niente d’insensato! Avresti dovuto sparare!-

- E per cosa? Quell’uomo era disarmato ed in evidente stato confusionale! Non aveva bisogno di un buco in fronte, ma di un buon trattamento sanitario obbligatorio!-

- Era pericoloso, per tutti noi!-

- Nulla che un taser o colpo in testa non potesse risolvere! Voialtri avete il grilletto troppo facile!-

- Non hai neanche estratto la pistola, diamine!-

- Sì, e invece tu l’hai fatto secco direttamente. Era un testimone oculare, sai quante cose avrebbe spifferato con un bravo psichiatra?-

- Perché perdo tempo con te? Sappiamo tutti chi sei!-

- Ah, davvero? E chi sono?-

- La cocca di James. Una raccomandata. Torna a giocare all’allegro chirurgo, biondina, non capisci nulla di questo mestiere!-

- Che sta succedendo qui?-

- Ah, agente Akai… Nulla di particolare, stavamo solo discutendo.-

- Ho sentito. Vi si sente dalla tromba dell’ascensore, ad essere sinceri. Da quello che ho capito, un testimone in stato confusionale è stato ucciso e l’agente Starling sarebbe rea di non aver sparato. E’ corretto?-

- Sì, signore.-

- L’agente Starling sarebbe anche rea di aver rubato il posto a qualcuno di più competente.-

- Beh, quanto avvenuto oggi è un chiaro indice di incompetenza, signore.-

- L’uomo era armato?-

- Come? Cioè, non ho capito, signore…-

- L’uomo era armato?-

- No, signore.-

- Aveva un coltello?-

- No, signore.-

- Un oggetto contundente?-

- No, signore.-

- Allora che cosa stava facendo?-

- Mulinava pugni in aria e parlava a vanvera, signore.-

- Un chiaro atteggiamento intimidatorio, suppongo. Si è avventato contro qualcuno di voi?-

- No, ma…-

- Vi ha aggredito, ferito, ha minacciato di uccidervi o farvi del male in qualche modo?-

- No, signore, ma…-

- Era impossibile mirare ad un braccio o al ginocchio per renderlo inoffensivo?-

- Beh, no, signore, ma…-

- Dunque non c’era motivo per sparare e soprattutto di sparargli alla testa.-

- S-signore, questa qui…-

- Questa qui ha un nome, e si chiama agente speciale Jodie Starling. Mi risulta che sia più in alto in grado di te, Jefferson. Ti faccio anche presente che l’agente Starling lavora con me. Non tollererò personalmente ulteriori mancanze di rispetto. Chi ha risolto il caso Pike?-

- L’agente Starling, signore.-

- E il caso Wierer?-

- L’agente Starling, signore.-

- Allora credo che l’FBI non abbia nulla di cui lamentarsi. Per quanto riguarda te, Jodie, tirare fuori la pistola con un soggetto potenzialmente pericoloso è sempre necessario per difendersi. Se quell’uomo fosse stato armato - sì, non lo era, fa lo stesso - o in forze abbastanza da raggiungerti, ti avrebbe fatto del male prima che tu potessi difenderti. Basta un pugno al posto giusto o le mani attorno alla gola. Sei un medico, sai che cosa succede quando un essere umano perde la testa. Può avere una forza sovrumana. Poi, magari non sparerai mai, ma è imperativo che tu ti garantisca protezione. Jefferson, il tuo atteggiamento è discutibile e ti farò rapporto, sappilo. Per il resto la colpa è cinquanta e cinquanta, quindi siamo tutti sulla stessa barca. Starling, con me. Abbiamo un aereo da prendere.-

 

Jodie lo guardò con gli occhi grandi e sgranati.

- Sembra cercare qualcuno…-

E parve rinsavire. Sbatté le palpebre, perplessa, il suo cervello registrò la situazione e balzò in piedi come un gatto. 

- Sì, sì, mi scusi, tutto a posto, grazie.-

Filò via di corsa, guardandosi attorno alla disperata ricerca di Bourbon.

Shuichi la guardò correre come una forsennata verso l’uscita.

Mi dispiace così tanto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** C'era una possibilità su un milione che due come voi finissero con il lavorare insieme e innamorarsi l'uno dell'altra. ***


5.

C'era una possibilità su un milione che due come voi finissero con il lavorare insieme e innamorarsi l'uno dell'altra.

 

Sentì la suoneria del telefono dentro l’auricolare e rispose alla chiamata.

- James.-

- Sta andando tutto bene. Non è stato necessario il nostro intervento. Chianti si è ritirata. Gin è ancora lì, ma suppongo che ormai abbia capito l’inghippo.-

- E’ arrivata Vermouth, vero? Ho sentito la moto.-

- Sì. Credo che, senza di lei, Bourbon sarebbe stato spacciato.-

- Quindi Kir è al sicuro?-

- Non credo che Gin abbia altri motivi per ucciderla. Con Jodie come va?-

- Sono riuscito a rintracciarla prima che imboccasse la porta. Ho creato un diversivo.-

- Sospetto che non sia sufficiente, Akai-kun. Gin è ancora lì e Vermouth è nei paraggi. Smithson dice che l’ha vista svoltare nella strada adiacente, ma non l’ha vista uscire.- 

- Forse sta aspettando Bourbon.-

- Riesci a trattenere Jodie ancora per un po’?-

- No, ormai è partita di corsa verso l’uscita… Aspetta un attimo!-

La folla infatti, invece di imboccare la porta e dirigersi ciascuno verso le proprie case, prese a tornare indietro. 

Rimase positivamente sorpreso da quella situazione. Gli stessi che fino a quel momento avevano scalpitato per andarsene dal centro commerciale, adesso stavano facendo a gara per rientrare di gran carriera.

Va’ a capire le persone.

Una signora quasi lo centrò in pieno, mentre il bambino che trascinava lo calpestava sui piedi per benino. 

Ben presto la gente si accalcò in massa di fronte ad un bancone dove un paio di commesse spaurite stavano cercando di venire a capo del mistero tanto quanto lui.

- Ci regalerete buoni per diecimila yen, vero?-

Buoni da diecimila yen?

Nonostante il susseguirsi di dinieghi da parte delle commesse, la folla non demordeva.

Scorse Ran Mouri che cercava di prendere le distanze da quella massa assetata di buoni sconto e decise che valeva la pena rivolgerle la parola.

- James? E’ successo qualcosa che ha spinto la folla a tornare indietro. Qualcuno ha messo in giro la voce che stanno distribuendo degli ingenti buoni sconto.-

- Dici che è stato il ragazzino?-

- Può essere. Adesso mi informo, ho appena visto Ran Mouri che cerca di filarsela. Se tanto mi dà tanto, Jodie è stata travolta dalla folla come me.- 

- Tieni gli occhi aperti.-

- Ti aggiorno.-

Cercò di squagliarsela a suon di permesso, scusate, sumimasen eccetera eccetera, scivolando nella calca senza riuscirci troppo bene.

Ad un certo punto, alzò il braccio e tentò il tutto e per tutto.

- Mouri-san, chotto matte kudasai!-

La giovane Ran si voltò immediatamente a guardarlo e gli sorrise a distanza.

- Subaru-san, quanto tempo!-

- Anche voi siete rimasti prigionieri del falso dinamitardo?-

- Oh, sì! Mio padre ha risolto il caso!-

Poi, la giovane guardò il soffitto pensierosa.

- Beh, con un piccolo aiuto…-

Shuichi si mise a ridere.

- Oggi è una strana giornata! Che cosa sta succedendo adesso?-

- Non saprei, la gente dice che stanno distribuendo dei buoni sconto, ma non credo che sia vero. Diecimila yen, diamine. Farei la fila anche io, se fosse reale.-

- Cosa ti fa pensare che non sia vero?-

Ran fece un grosso sorriso.

- Che il centro commerciale andrebbe fallito!- 

Alla loro sinistra si aprì uno spiraglio tra la folla e la giovane Ran decise di approfittarne.

- Le chiedo scusa, Subaru-san, ma questa massa di gente è opprimente. Le dispiace se raggiungo mio padre?-

- Assolutamente no, anzi, mi farebbe piacere conoscerlo. E’ così tanto tempo che sento parlare del celebre Sleeping Kogoro!-

- Oh, sono sicura che gli farà piacere incontrarla. Venga, mi segua!-

Brava, adesso portami dal piccoletto.

Gli piaceva Ran Mouri. Era una brava ragazza. Era forte e coraggiosa, determinata, ma allo stesso tempo gentile e pacata, educata. Una ragazza di solidi principi.

Gli ricordava tanto Akemi. 

Era felice che sua sorella si fosse fatta degli amici, persone per bene come lei. 

Masumi meritava il meglio.

In un angolo del corridoio laterale c’erano Kogoro Mouri, visibilmente annoiato - e forse ancora un po’ anestetizzato - e il piccolo Conan, che sbirciava apparentemente incuriosito da dietro la parete.

Shuichi la sapeva più lunga.

Oh, si sarebbe divertito a mettere un po’ in difficoltà il piccoletto.

- Dei buoni d’acquisto, eh?-

Conan sobbalzò e sgranò gli occhi non appena lo vide.

Era palese che non si aspettava la sua presenza al centro commerciale. 

- Non è certo un metodo raffinato. Non potevi fare altrimenti, per far spostare i clienti?-

- S-signor Subaru?-

Ran Mouri si fece avanti, tutta felice e del tutto ignara dello scambio segreto in corso tra Shuichi e il suo fidanzato rimpicciolito. 

- Ha detto che durante il caso del dinamitardo si trovava sul nostro stesso piano!-

Gli occhi di Conan saettavano da Ran a Shuichi dietro le lenti dei suoi finti occhiali.

- P-perché è qui?-

Shuichi fece spallucce, cercando di essere credibile nei panni della sua maschera.

Tira. La colla ha tenuto per troppo tempo. E la parrucca prude.

Non vedo l’ora di togliermi questo coso. 

- Avevo da fare alla Teito Bank, vicina a questo grande magazzino. Quando sono uscito dalla banca vi ho visti, così vi ho seguiti per chiamarvi, ma sono stato coinvolto in quella faccenda!-

Kogoro sopì a stento uno sbadiglio, ma non abbandonò la sua espressione scocciata.

- Allora poteva parlarci quando era in quel piano…-

Che simpaticone.

- Sembrava che foste molto impegnati. Non stava lavorando, detective Mouri?-

E quando mai? Tu per la maggior parte del tempo dormi.

Il trambusto vicino a loro continuò, mentre la gente si incaponiva a chiedere dei buoni inesistenti. 

Shuichi scorse Jodie, il capo chino e l’espressione sconsolata, che si riuniva a Camel. Il giovane canadese le mise una mano sulla spalla per confortarla, e Jodie, riconoscente ma recalcitrante, scivolò da sotto la sua mano e lo invitò a seguirla con un sorriso. 

Tutto era andato bene. Stavano tornando da James e nessuno era morto.

Anche se Shuichi aveva la sensazione di non aver fatto niente. 

Kogoro approfittò della sua temporanea distrazione per rivolgersi di soppiatto a Ran, credendo di non essere sentito da nessuno. 

- Questo chi è?-

- E’ Subaru Okiya, studente di un corso di specializzazione! Abita temporaneamente a casa di Shinichi perché l’appartamento dove viveva è andato bruciato!-

Kogoro fece oh con la bocca un secondo prima che Shuichi si rivolgesse nuovamente a lui.

- Lieto di conoscerla, detective Mouri. Ho sentito parlare spesso di lei.-

- Ma cosa significa che Conan avrebbe fatto spostare i clienti?-

La ragazza è sveglia.

- Oh, niente d’importante.-

Abbassò gli occhi sul piccolo Conan, che sembrava decisamente confuso e spaesato.

Per una volta. Segnerò questo giorno sul calendario. 

- Semplicemente un branco di stupidi lupi che ha fallito nel cacciare la preda!-

- La Teito Bank è lontana dal posto dove abita, vero? Perché ha messo lì il denaro?-

Shuichi non sapeva se Kogoro lo avesse in antipatia o se fosse semplicemente curioso. Certo era che, se non avesse avuto un piano - e se non fosse stato bravo ad improvvisare - quelle domande lo avrebbero messo in difficoltà.

Ne approfittò per dare qualche indizio al ragazzino senza rivelare troppo.

- Beh, ci sono andato per un altro impegno.-

Il nanerottolo mangiò prontamente la foglia.

- E quale?-

- Ricordi che c’è stata una rapina in quella banca? Siccome un mio conoscente è stato filmato nel servizio del telegiornale su quella faccenda, ho pensato che si servisse di quella filiale e ci sono andato. Tutto qui! Se va in quella banca, deve abitare qui vicino, perciò speravo di incontrarlo!-

- E c’è riuscito?- borbottò Kogoro mentre mirava nemmeno troppo velatamente verso l’uscita. 

- In quel reparto ho visto un uomo che gli somigliava, ma purtroppo era un’altra persona, perciò non gli ho rivolto la parola.-

Conan sembrò comprendere il sottile significato delle sue parole e si accigliò.

Il ragazzino non delude mai.

- Lo conosco bene da tanto tempo, perciò non posso scambiare un altro per lui! Credo, però, di avervi annoiato anche troppo. Lieto di avere fatto la sua conoscenza, detective Mouri. Sono un suo grande fan.- 

Per la prima volta da quando avevano cominciato a conversare, Kogoro gonfiò il petto e si passò una mano nei capelli, compiaciuto. 

Shuichi fece l’occhiolino a Conan e si dileguò tra la gente, diretto verso casa.

 

C’era stato un tempo in cui aveva creduto che abbandonarla per un’altra donna fosse sufficiente a farsi odiare.

Chi non l’avrebbe fatto? 

C’era stato un tempo in cui aveva apprezzato la sua maturità. Aveva dimostrato di saper convivere con le scelte degli altri, di saperle capire, di poter essere un’ottima collega, un’amica fedele nonostante i loro trascorsi. 

Si era illuso che lo avesse dimenticato, talmente tanto da poter fingere la propria morte con la convinzione che, al massimo, la sua collega avrebbe pianto un po’ e sarebbe andata avanti. 

Invece aveva assistito all’avvilente spettacolo di quel giorno.

Shuichi non sapeva spiegarsi come fosse possibile che, dopo tutto ciò che le aveva fatto, Jodie gli fosse ancora vicino.

Devota era il termine giusto. Lo seguiva con una devozione che aveva del trascendente, di una purezza quasi filosofica.

Shuichi cercò di mettere insieme i pezzi di quella faticosa giornata mentre si dirigeva verso casa, cercando di non pensare, di anteporre il lavoro alla vita privata come aveva sempre fatto.

Inseguire il mio scopo.

Bourbon deve essere fermato o definitivamente depistato.

Questo, però, non è possibile. 

 

- No, Shuichi!-

 

Non ti distrarre.

Devo parlare con Yusaku e Yukiko. E’ probabile che Bourbon combini qualcosa nei prossimi giorni. 

 

- Non devi uscire!-

 

Non. Ti. Distrarre. 

Dobbiamo escogitare un piano per separare la persona di Subaru Okiya da quella di Shuichi Akai agli occhi di Bourbon.

 

- Ti hanno teso un agguato!- 

 

Conviene tenere fuori i miei colleghi, o includerli nel piano?

 

- Ti prego, fermati!- 

 

Smettila. Di. Pensarci.

Lei si caccerà ancora nei guai.

Dirglielo potrebbe prevenire altri suoi colpi di testa.

O forse no.

 

- SHUICHI!-

 

Sospirò e compose il solito numero di telefono.

- James?-

- Ragazzo.-

- E’ arrivata?-

- Sana e salva, anche se con il fianco destro un po’ ammaccato. Che è successo?-

- Abbiamo avuto uno scontro nella hall del centro commerciale per impedirle di uscire.-

- Progressi con Bourbon?-

- Nemmeno uno, ma ho scoperto che conosce il numero privato di Kogoro Mouri. Sospetto che presto verrà a capo del nostro piano, se continua così. Ho in programma di parlare con i coniugi Kudo, vediamo che cosa riusciamo ad inventarci. Ti faccio sapere. Nel frattempo, per favore, tieni gli occhi aperti.-

 

 

Posso dirti che cosa penso?

 

 

Ci sperava, eh. In cuor suo, però, sapeva che lui e suo fratello non stavano parlando della stessa cosa.

 

 

Lo so già.

 

Ah, davvero?

 

Se anche quest’ultimo piano dovesse funzionare e  io riuscissi ad imboscarmi ancora una volta, posso considerarmi miracolato.

 

 

Sullo schermo del telefono comparve la scritta Kichi sta scrivendo…

 

 

Non fare lo gnorri. Sai di che parlo.

 

 

Shuichi chiuse gli occhi e sospirò. 

 

 

Allora non serve.

 

 

Kichi sta scrivendo… però, comparve lo stesso. 

 

 

Sei un cretino.

 

Grazie.

 

Davvero, sei un grandissimo cretino.

 

Non c’è bisogno di dirlo due volte.

 

 

Shuichi l’introverso, lo strambo, il mostro aveva sempre avuto una regola, stabilita di comune accordo con la sua controparte.

Quando si trovava perso, scriveva a suo fratello.

Fratello che amava fare il moralista e il santarellino, ma sapeva il fatto suo e ne aveva combinate più di quanto gli piacesse ammettere.

 

 

Cioè, tu le hai scritto un messaggio.

 

 

Shuichi sospirò. Di nuovo.

 

 

.

 

Le hai scritto un messaggio a mano.

 

 

Cercò di svicolare.

 

 

Sei duro di comprendonio, oggi.

 

 

Ma Shukichi non voleva saperne di demordere.

 

 

Con la tua calligrafia.

 

Per forza. Non ho ancora una tastiera incorporata tra i miei gadget.

Sarà il prossimo strumento che chiederò ad Agasa, date le circostanze. 

 

Spiritoso. E non ci hai pensato, che avrebbe potuto riconoscerla?

 

 

Shuichi sospirò per la terza volta di fila.

 

 

Vuoi girare il coltello nella piaga?

 

E adesso stai cercando di vendermi la bubbola che il tuo capo ti aveva detto di dirle la verità e hai colto l’occasione?

 

 

Beh, non era una bubbola.

Almeno, non proprio.

 

 

Non è una bubbola.

 

Se non è una bubbola è una fanfaluca. Una pinzillacchera. Scegli tu come chiamarla dal tuo folto vocabolario londinese, ma io non ci credo che tu sia così scemo da fare una cosa del genere con uno che va in giro con la tua faccia a cinque metri di distanza.

 

 

Provò a raccontarsi che, anche se era stata chiaramente una mossa discutibile, l’aveva fatta perché in quel momento era sotto pressione ed era da solo, ed era stata la prima cosa che gli era venuta in mente.

Provò a convincersi, e non funzionò. 

 

 

Perché diciamocelo, è una scemenza. Lavorate insieme. Siete stati insieme, bontà divina. Avrà visto la tua calligrafia centinaia di volte. 

Per non parlare del resto di te.

 

 

Shukichi gliel’aveva appena offerta su un piatto d’argento e non potè esimersi dal controbattere. 

 

 

Ah, se vogliamo parlare di questo, ne ho di aneddoti da raccontare. Di solito andavo a ripescare mio fratello quando si metteva nei guai con le ragazze, lo sapevi?

 

Non stiamo parlando di me, ma di te

 

Allora aiutami, invece di sputare sentenze.

 

Vuoi proprio sapere come la penso?

 

Magari. E’ mezz’ora che aspetto.

 

Io penso che tu sia ancora innamorato di lei.

Che è ammirevole, considerato che questi anni sono stati un casino totale.

 

 

Sentire la verità fa sempre male, soprattutto quando si cerca di negarla con ogni fibra del proprio essere. 

Per questo, quando poteva, Shuichi andava da suo fratello. Lui era la bocca della verità, l’amara realtà nella quale ogni tanto aveva bisogno di fare un bagno per uscire dalla sua mania del controllo.

Per quanto fosse perfettamente a conoscenza del fatto che il suo fratellino aveva irrimediabilmente ragione, però, non era ancora pronto a dargliela vinta. Almeno, non del tutto. 

 

 

Cosa sento io non importa. Il punto del discorso, qui, è lei.

 

Ah, scusa, me l’ero perso. 

 

Sarcastico.

 

Dici davvero? Comunque, se il punto del discorso è Jeraldine

 

Jodie.

 

Come vuoi, se il punto del discorso è lei, non mi pare che sia meno coinvolta di te.

 

 

Come dargli torto.

 

 

Che è quello che non mi spiego.

 

Perché non te lo dovresti spiegare? Quando eravamo adolescenti mi fregavi sempre tutte le ragazze.

 

Mai successo.

 

Falla finita di fare lo scemo. Guardavano solo te, io ero il fratello di quello bello.

Anzi, peggio. Il fratellino di quello bello.

 

Non pensavo di essere stato così invadente.

 

Invadente? E’ stata una grazia! Almeno qualcuna mi filava se tu non la guardavi. I vantaggi di avere un fratello figo ci sono. 

 

 

Se l’obiettivo di suo fratello era stato farlo ridere, dovette ammettere che c’era riuscito.

Anche ai maschietti piace sentirsi esteticamente apprezzati ogni tanto, anche se il commento viene dalla bocca di un fratello rompiscatole.

 

 

Possiamo mantenere un tono serio, per cortesia?

 

Ok, siamo seri. 

Avete tutto in comune. Non qualcosa, tutto.

Avete perso la famiglia, la giovinezza, la chance di scegliere che vita fare.

C’era una possibilità su un milione che due come voi finissero con il lavorare insieme e innamorarsi l’uno dell’altra.

Io credo nella ferrea logica dello Shogi, ma ogni tanto al karma ci devo credere.  

 

 

Il telefono rimase muto per un secondo.

Shuichi era seduto, impalato, mentre rifletteva su quanto suo fratello aveva appena scritto.

Si sentiva la testa chiusa in una boccia per pesci rossi piena d’acqua. Sapeva che quello che stava leggendo era la realtà dei fatti, quella che aveva sempre voluto evitare. Quella che, di conseguenza, era sfuggita completamente al suo controllo.

E a lui non piaceva per nulla che qualcosa sfuggisse al suo controllo. 

Accettare di prendere in considerazione quella realtà significava anche dover scendere a patti con tutta una serie di altre circostanze, corollario della prima, che mettevano seriamente in discussione tutte le sue certezze. 

Lo schermo rimase fermo immobile quasi quanto lui.

Poi, d’un tratto, Kichi sta scrivendo… apparve di nuovo. 

 

 

Dovresti dirle la verità.

 

 

Una parte di Shuichi, quella maniaca del controllo, si indignò convinta che suo fratello non riuscisse proprio a capire.  

 

 

E lasciare che commetta un’altra leggerezza in futuro?

 

Ah, quindi ammetti che ci tieni?

 

Piantala. Sto cercando di proteggerla. 

 

Come oggi?

Perché, scusa, tu oggi che hai fatto, se non una leggerezza?

Bella grossa, eh. Non dico altro che poi ti offendi.

 

 

Quello fu un bello schiaffo in faccia.

 

 

Tu oggi hai fatto esattamente quello che hai rimproverato a lei. E non mi risulta che tu abbia dato tutta questa grande mano alla tua spia, soltanto - o quasi - perché eri troppo preso dal seguire Josephine

 

Jodie.

 

O come si chiama.

Senti, io capisco che le vuoi bene. Per Yumi-tan farei lo stesso. 

Però devi renderti conto di quando non funziona e cambiare strategia, prima che sia troppo tardi.

 

 

C’era poco da dire, aveva ragione.

Suo fratello aveva maledettamente ragione.

 

 

E allora che faccio? Le dico tutto?

 

Non vedo perché non dovresti.

 

Mah, io qualche ragione ce l’avrei. Per esempio, l’ho lasciata per mia cugina.

 

E non lo sapevi. Quando l’hai scoperto sei stato peggio di come è stata lei quando l’hai lasciata.

 

Cugina che poi ho ucciso.

 

Tecnicamente è stato Gin, tu hai cercato di salvarla come adesso stai facendo con Shiho.

 

Andiamo, Kichi, se tutto questo non fosse mai successo

 

No, ti interrompo subito.

Se mamma non parla, non è colpa tua. E Akemi era dotata di libero arbitrio, santa polenta. Se ha fatto quello che ha fatto, è perché lo ha scelto. 

Disgrazia, sì. 

Hai una parte di responsabilità, anche. 

Però non dire che non le hai dato scelta, perché non è così.

Ti ricordi che cosa le hai scritto nell’ultimo messaggio che le hai mandato?

E ti ricordi quante volte abbiamo già affrontato questa conversazione?

Basta, Nii-san. Capisco che hai paura, ma è ora di darsi una mossa. Mi fa pena, quella ragazza. 

Vuoi lasciare aspettare Jolene un altro po’?

 

Jodie.

 

Jo e tagliamo la testa al toro. Visto? E’ destino! Hai sempre avuto una cotta per Jo March.

 

Spiritoso.

 

E tu sei noioso. 

 

 

Shuichi gettò la testa indietro sul bracciolo del divano.

Shukichi aveva ragione. Aveva sempre avuto ragione. 

E stavolta non c’era proprio nient’altro da dire.

 

 

E comunque io stavo seguendo Bourbon.

 

Che seguiva lei. Poco cambia.

 

 

Sospirò.

Per la quarta volta. E sonoramente. 

Cavolo, aveva bisogno di riprendere il controllo di sé e della sua vita prima che diventasse un’abitudine.

Yukiko l’avrebbe subissato di domande. 

Decise di prendere il toro per le corna.

 

 

Io non posso.

 

E allora la prossima volta la tua cara Jo farà di peggio.

 

No, non hai capito. Posso dirle la verità. Non posso tutto il resto. Non posso darle quello che vuole. Peggio, non posso darle quello che merita. 

Sarebbe meglio per lei se mi dimenticasse.

 

Ma non lo fa. Prendine atto. Se non lo ha fatto in sette anni, non lo farà mai più.

 

Preferisco condannare me che lei. Che vita le offro, una dove dovrà indossare per sempre una maschera di lattice?

Hai visto la mia faccia?

 

No, questa mi manca e non vedo l’ora di vederla!

 

Non è così divertente essere un altro, sai? 

A parte che posso dire tutte le cose assurde che mi pare, tanto la gente non sa che sono io.

 

Ha i suoi vantaggi, visto?

 

 

Kichi sta scrivendo… rimase sullo schermo per un bel po’, e Shuichi, in cuor suo, già si stava preparando alla filippica etico - filosofica che il fratello stava per inviargli.

Una filippica che si meritava in pieno, beninteso.

Shukichi aveva ragione, su tutta la linea, ma la paura non si dissipa con un pistolotto moraleggiante su quale sia la cosa giusta da fare. 

Quella se ne va solo con una buona dose di coraggio.

Un coraggio che lui non sentiva di avere.

 

 

Seriamente, se lei è contenta, contenti tutti.

Senti, Nii-san, non credere che non ti capisca. Siamo tutti dei ricercati. Da quello che ho capito, lo è anche lei. Non sappiamo quanto tempo ci resta per vivere la vita che abbiamo. Possiamo scegliere se permettere a quelli là di condizionarci al punto di non viverla, o se mandarli a quel paese e provarci. Quando sarà il momento, potremo dire di essercela goduta e di non avere rimpianti.

Tradotto, puoi scegliere di darle una vita di tribolazioni condivise con te, o una vita di tribolazioni patite da sola e lontano da te.

Che forse è una tribolazione in più.

 

 

Quando erano piccoli, Shukichi lo aveva ribattezzato Dice il Saggio. 

Incredibile come il tempo avesse ribaltato le posizioni. Una volta era stato lui quello che se ne usciva con considerazioni sulla vita e sull’esistenza. Adesso, era suo fratello a dargli lezioni.

 

 

Grazie, Shukichi.

 

Oh, cielo. Si sono aperte le acque del Mar Rosso? Sono arrivate le cavallette?

 

Cretino. Sono serio. Mi sei stato d’aiuto.

 

Ti senti meglio?

 

Sì. E mi sento anche scemo.

 

Era l’ora che tu te ne accorgessi.

 

Ah. Ah. Ah. Simpaticone.

 

Di nulla, scemo. Datti una mossa. Non voglio essere il primo a sposarmi. 

Mamma e papà avevano scommesso su di me. Devo farli perdere.

 

Adesso non correre troppo.

 

E tu non correre troppo poco. 

Muoviti, lumaca. 

E cerca di non essere socialmente imbarazzante con lei.

 

 

Shuichi alzò un sopracciglio e ripensò a Jodie mentre giocava ai videogames.

 

 

Lei lo è forse più di me.

 

Allora non so se la voglio conoscere.

 

A papà piacerebbe.

 

 

L’aveva scritto senza pensare. Gli era venuto spontaneo. Come se il suo cervello avesse voluto fornirgli una prova ulteriore che Shuichi, nonostante gli anni, non era mai riuscito a togliersi dalla testa il papà. 

Il telefono rimase muto per un istante.

Poi, vibrò un’ultima volta per poche, semplici parole.

 

 

Ne sono sicuro, Nii-san.

 

 

LA TANA DELLA TALPA

 

Anche questa fatica è finalmente finita. In ritardo - e me ne scuso - ma è finita.

Spero che vi sia piaciuta. Se qualcuno di voi sente di lasciare una recensione qua e là, sarò ben felice di leggerla!

Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia e al loro interesse.

Ci vediamo in giro.

Vostra, 

 

Molly.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4043753