Age of Epic - 2 - La progenie infernale

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Il figlio di Hel ***
Capitolo 3: *** 2. Il piano di Havard ***
Capitolo 4: *** 3. Bakhmiŝ ***
Capitolo 5: *** 4. Lo spirito inferiore ***
Capitolo 6: *** 5. I predoni ***
Capitolo 7: *** 6. Il peso del comando ***
Capitolo 8: *** 7. Lealtà ***
Capitolo 9: *** 8. Risolutezza ***
Capitolo 10: *** 9. La miniera ***
Capitolo 11: *** 10. La sentenza ***
Capitolo 12: *** 11. La disfatta ***
Capitolo 13: *** 12. L’Araldo del Progresso ***
Capitolo 14: *** 13. L’Araldo della Libertà ***
Capitolo 15: *** 14. Cenere ***
Capitolo 16: *** 15. La proposta ***
Capitolo 17: *** 16. Prove di fiducia ***
Capitolo 18: *** 17. La sicaria spettro ***
Capitolo 19: *** 18. La breccia insanguinata ***
Capitolo 20: *** 19. Il nuovo mondo ***
Capitolo 21: *** 20. Visioni del futuro ***
Capitolo 22: *** 21. La prima armata ***
Capitolo 23: *** 22. Nemico naturale ***
Capitolo 24: *** 23. La via della guerra ***
Capitolo 25: *** 24. Arrivano i salvatori ***
Capitolo 26: *** 25. La partenza ***
Capitolo 27: *** 26. Squadra di salvataggio ***
Capitolo 28: *** 27. Seguire gli indizi ***
Capitolo 29: *** 28. In salvo ***
Capitolo 30: *** 29. Un esercito infinito ***
Capitolo 31: *** 30. Spiriti guida ***
Capitolo 32: *** 31. Due giustizie ***
Capitolo 33: *** 32. Secoli di esperienza ***
Capitolo 34: *** 33. Vera natura ***
Capitolo 35: *** 34. La progenie infernale ***
Capitolo 36: *** 35. La Regina Benevola ***
Capitolo 37: *** 36. Offerta di pace ***
Capitolo 38: *** 37. Giustizia severa ***
Capitolo 39: *** 38. I cancelli di Shakdàn ***
Capitolo 40: *** 39. L’inizio di un nuovo mondo ***
Capitolo 41: *** 40. Il Re Conquistatore ***
Capitolo 42: *** 41. L’alba dei Reami ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

La città di Kandajan era un centro abitato di medie dimensioni situato nella parte centro-settentrionale dei territori degli orchi. Tutto intorno c’erano campi coltivati dove lavoravano gli schiavi e poi la sconfinata prateria dove pascolava il bestiame. Un piccolo fiume garantiva il rifornimento di acqua e delle rudimentali mura di pietra e legno la proteggevano dalle scorribande dei predoni.

Era tarda mattina quando le sentinelle avvistarono un gran numero di orchi in avvicinamento. Erano circa duecento e si muovevano a cavallo di monoceratopi, robusti animali simili a rinoceronti. Non poteva trattarsi di semplici banditi, e le sentinelle ebbero la prova di ciò quando sopra la piccola armata videro librarsi un giovane drago: quelli erano sicuramente i ribelli di cui avevano sentito parlare.

Immediatamente suonarono l’allarme. Dovevano schiacciare quei ribelli eretici, in nome degli dei e della giustizia!

Seduto in groppa al suo giovane drago di foresta, l’orco pallido osservava con i suoi occhi verdi la città di Kandajan. Il suo viso severo aveva dei tratti eleganti per gli standard degli orchi, ma la caratteristica che più risaltava erano i segni neri che aveva sotto gli occhi, simili a lacrime cicatrizzate. La sua arma era un lungo bastone che sembrava fatto di ossa fuse insieme, perfettamente abbinato con il teschio di uccello – forse di corvo – che portava come pendente intorno al collo. Indossava abiti da guerriero, probabilmente sottratti a qualche guardia, che però non riuscivano a nascondere il suo fisico relativamente esile.

Gli orchi pallidi erano tipicamente meno robusti degli altri orchi, e per questo venivano spesso fatti prigionieri e venduti come schiavi. Molti dei contadini di Kandajan erano orchi pallidi come lui, ma il cavaliere non era lì per loro. E non era nemmeno lì per la città in sé: Kandajan era una città fiorente, ma non era un obiettivo strategico particolarmente importante. Conquistarla non avrebbe costituito una svolta per il suo neonato regno, e anzi sarebbe stato un problema difenderla dai futuri assalti delle truppe del Clero.

Eppure lui era lì, pronto a rischiare il suo piccolo esercito pur di sbaragliare i difensori e superare le mura. Perché lì viveva l’assassina di sua madre, ed era pronto a tutto pur di reclamare la sua anima. L’aveva giurato a sé stesso: quel verme avrebbe subito il castigo infernale del risorto regno di Hel!

Sollevò il suo bastone d’ossa e infuse telepaticamente l’ordine di attaccare a tutti i suoi uomini.

Avrebbe messo tutto sé stesso in quell’assalto.

L’assalto fu un disastro. Credeva di riuscire a cogliere in controtempo le guardie, invece i difensori avevano sbarrato i cancelli, neutralizzando la carica degli attaccanti. Per farcela in tempo avevano chiuso fuori gli schiavi e alcuni dei loro controllori, ma evidentemente per loro erano sacrificabili.

Come se non bastasse, dalla città erano arrivati ben due inquisitori, potenti guerrieri capaci di sfruttare la benedizione degli dei per uccidere chiunque si opponesse al Clero. In groppa ai loro draghi avevano seminato il terrore tra le truppe del pallido, massacrando orchi e monoceratopi a decine.

L’orco pallido ordinò la ritirata e si lanciò all’inseguimento di uno degli inquisitori per far guadagnare tempo ai suoi. Ormai avevano perso, ma non poteva lasciare che altri guerrieri morissero inutilmente.

Puntò il suo lungo bastone e da esso partì un raggio tetro che colpì un’ala del drago del nemico. Immediatamente la membrana cominciò a consumarsi, a imputridirsi, come se un morbo l’avesse infettata. L’animale ruggì di dolore e cominciò a perdere quota. L’inquisitore lanciò una palla di fuoco, ma il giovane drago di foresta riuscì a schivare. L’orco pallido evocò una barriera e in questo modo riuscì a proteggersi finché il nemico, costretto a terra, non fu fuori portata.

Restava un solo inquisitore.

Il pallido si guardò intorno, ma una nuvola di fumo lo investì dall’alto. Lui e il giovane drago respirarono il veleno e subito cominciarono a tossire.

L’orco lanciò un altro incantesimo contro il drago del nemico, e anche questa volta la magia andò a segno, costringendo il drago dell’inquisitore ad atterrare. Ma ormai il guerriero del Clero aveva colpito: il pallido e la sua cavalcatura avevano respirato il fumo velenoso, se non facevano qualcosa presto sarebbero morti anche loro.

Dovevano sbrigarsi a tornare indietro, dovevano raggiungere la loro base. Lei sarebbe stata in grado di guarirli. O almeno lo sperava: non conosceva nessun altro in grado di contrastare il veleno di Tezcatlipoca[1].

Guardò sotto di sé. I suoi guerrieri stavano fuggendo in maniera disordinata: alcuni gruppi non erano nemmeno diretti al campo. Ma con il suo giovane drago preda del veleno, non aveva il tempo per riunirli e riportare l’ordine.

Poteva elencare diverse ragioni per quella sconfitta, ma la verità era che la vendetta l’aveva accecato. Non erano pronti ad affrontare un simile nemico, e i suoi subordinati ne stavano pagando le conseguenze.

Tossì ancora.

Per colpa della sua avventatezza stava rischiando di perdere tutto. Anni di preparazione, settimane di battaglie e una fiducia faticosamente costruita sulla promessa di un futuro migliore.

Era così che sarebbe finita?


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[1] Dio azteco della notte e delle tentazioni.

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Capitolo 2
*** 1. Il figlio di Hel ***


1. Il figlio di Hel

Data:  3631,2 d.s.[2]

Luogo: pianeta Raémia, sistema Mytho


Il piccolo villaggio sembrava abbandonato da tempo. Delle misere casupole di legno restavano solo i ruderi, gli interni erano stati saccheggiati e la vegetazione ne aveva ripreso possesso.

Non molto distante dal centro abitato c’era un piccolo cimitero. Anche lì le piante si erano diffuse senza timore, segno che non veniva più usato da tempo. Situato al centro del cimitero c’era un piccolo tempio, ma la statua al suo interno non era dedicata a Nergal[3], bensì a Hel[4], la precedente dea della morte, il cui culto era scomparso da più di due decenni.

Inginocchiata davanti alla piccola statua c’era una vecchia orchessa dalla carnagione marrone. I capelli grigio chiaro erano raccolti in lunghi rasta a loro volta legati insieme, e intorno agli occhi aveva della pittura nera, simile a una maschera, che faceva risaltare ancora di più le sue iridi azzurro chiaro. Indossava un lungo mantello un po’ consumato in grado di avvolgerla completamente, utile anche per celare la protesi metallica che rimpiazzava la sua mano sinistra: un artefatto dalle linee rozze, ma che lei riusciva a muovere in maniera relativamente naturale, presumibilmente grazie alla magia.

D’un tratto qualcosa si risvegliò all’interno del modesto tempio. Non era strano che gli dei rispondessero ai loro fedeli più devoti, ma la dea Hel era stata uccisa, e da allora nessuno era stato più in grado di sentire la sua voce o di attingere alla sua benedizione.

La temperatura parve calare di colpo e davanti alla statua della dea si aprì un tetro portale. Una figura lo attraversò, stagliandosi retta e fiera al centro del tempio. Era anche lui un orco, ma era nettamente più giovane, aveva la carnagione molto pallida e sotto gli occhi aveva dei segni neri simili a lacrime cicatrizzate. I suoi abiti erano in condizioni migliori rispetto a quelli dell’orchessa, ma erano comunque di fattura piuttosto umile, che cozzavano con la sua aura fiera e autorevole.

La donna si alzò. Nonostante l’età – probabilmente superiore all’aspettativa di vita media – si muoveva ancora in maniera piuttosto disinvolta.

«Sei riuscito a creare il bastone. Ti soddisfa?»

L’orco pallido osservò l’artefatto magico che gli arrivava quasi alla spalla. Per crearlo aveva fuso insieme le ossa di vari animali dotati di magia, creando una sorta di grande bacchetta in grado di canalizzare e amplificare i suoi poteri.

«Sì, per ora andrà bene. Tu hai trovato quello che ti avevo chiesto?»

Lei annuì. «Un giovane drago ha fatto il suo nido non molto distante da qui. C’è anche un villaggio nascosto nella foresta.» L’orchessa si voltò in direzione dei ruderi. «Credo che gli abitanti prima vivessero qui, ma si saranno spostati per essere al sicuro dai predoni.»

«Ottimo lavoro, Nambera. Fammi strada.»

«Da questa parte.»

I due lasciarono il cimitero abbandonato e si addentrarono nella foresta circostante, muovendosi in salita. I draghi erano animali volanti, quindi era normale che prediligessero luoghi elevati per costruire il loro nido.

Dopo una ventina di minuti di marcia fra i tronchi, avvertirono dei rumori. Non era un rumore di ali: qualcosa stava correndo per la foresta. Avvistarono una specie di grosso cinghiale, poi una lancia che per poco lo mancò.

L’animale corse via e poco dopo arrivò un manipolo di orchi. Uno di loro recuperò la lancia. Erano sicuramente dei cacciatori, ma il loro attacco non aveva avuto successo.

Uno di loro notò i due orchi, e segnalò la loro presenza agli altri. Subito i cacciatori li raggiunsero con le lance in pugno.

«Questa è la nostra foresta, cosa ci fate qui?!» imprecò il più alto, un robusto orco verde. «Andatevene!»

«Perdonateci, siamo solo di passaggio» affermò il pallido.

Il cacciatore lo guardò con superiorità prima di voltarsi verso Nambera. «Ehi, vecchia, perché lasci parlare il tuo schiavo al posto tuo?»

«Havard non è il mio schiavo» ribatté l’orchessa.

Il verde parve stupito. «Beh, non mi interessa se è il tuo schiavo, il tuo amante, o quello che ti pare! Andatevene dalla nostra foresta! Questo è il nostro territorio di caccia, e non vogliamo stranieri!»

«Come ho già detto, non abbiamo intenzione di fermarci più del necessario» ribadì Havard, che al contrario del suo interlocutore, si stava sforzando di mantenere un tono misurato. «Andiamo, Nambera.»

Lei annuì e si unì a lui nel riprendere la marcia.

«Se vi vediamo di nuovo, vi infilzeremo come cani!» gridò il cacciatore.

I due orchi rimasero in silenzio e continuarono a camminare, diretti verso il nido del drago.

«So quello che pensi, ma non sono arrabbiato» affermò Havard dopo qualche minuto. «Beh, non troppo. Ormai ci sono abituato.»

Nambera non ebbe bisogno di dire nulla.

Ci vollero all’incirca altri dieci minuti di marcia, poi finalmente avvistarono il nido. Non c’era traccia dei cacciatori nelle vicinanze – di sicuro stavano ben attenti a mantenersi alla larga dal grosso rettile –, quindi questa volta nessuno li avrebbe disturbati.

I due orchi si misero al riparo di un grosso tronco e osservarono l’animale. Il giovane drago stava dormendo e non sembrava essersi accorto di loro. Era lungo meno di dieci metri, ma sicuramente sarebbe stato in grado di portare almeno una persona senza troppi problemi. Aveva le scaglie verde scuro e ancora relativamente lisce, le corna sul capo non erano particolarmente pronunciate e le membrane alari davano l’idea di essere piuttosto spesse: un drago di foresta.

«Nambera, aspetta qui.»

Lei annuì. «So che riuscirai a domarlo, Havard.»

L’orco pallido uscì allo scoperto e lasciò il relativo riparo della foresta per entrare nella piccola radura incenerita che faceva da nido. Sicuramente era stato il giovane drago ad abbattere gli alberi e bruciare il terreno, a dimostrazione di quanto già fosse forte e temibile.

Havard non aveva intenzione di agire di soppiatto, anzi avanzò con determinazione, incurante del rumore prodotto dai suoi piedi sui ramoscelli caduti.

Il drago di foresta, allertato dal rumore, aprì gli occhi gialli, incrociando quelli verdi di Havard. Si sollevò in tutta la sua statura, già molto minacciosa nonostante la giovane età, eppure l’orco pallido non batté ciglio.

Il rettile scoprì le zanne, pronto ad attaccare. Un bagliore si accese nel profondo della sua gola.

Havard sollevò il suo bastone d’ossa. «Tu sarai mio.»

Il drago scatenò un soffio di fuoco, ma le fiamme impattarono contro una barriera diafana e vennero deviate tutto intorno, limitandosi a bruciare il terreno già annerito.

L’orco sentiva il calore intenso, ma un attacco del genere non sarebbe riuscito a superare la sua difesa.

Quando il rettile si fermò per riprendere fiato, il pallido passò al contrattacco. Scagliò un incantesimo di ghiaccio che colpì in pieno muso il drago. L’animale emise una specie di guaito gutturale e arretrò di un passo. L’orco colpì ancora, e di nuovo il rettile tentennò.

Se avesse voluto, Havard avrebbe potuto scatenare incantesimi ben più letali, ma non aveva nessuna intenzione di ferire la sua futura cavalcatura.

Il drago, irritato da quei continui attacchi, spalancò le fauci in un ruggito minaccioso. Inspirò, pronto a scatenare un’altra vampata. L’orco evocò un soffio d’aria gelida e lo inviò nella gola del rettile. L’animale si bloccò e cominciò a tossire, disorientato: era il momento di colpire.

Havard estese la sua mente e si insinuò in quella del drago. La creatura, colta di sorpresa, scosse il muso con forza. Voleva scacciarlo, ma la magia del pallido – ulteriormente potenziata dal suo bastone d’ossa – era troppo forte.

Il rettile si dibatté, fece un salto sul posto e si contorse, ma alla fine dovette capitolare. Abbassò il capo, riconoscendo il suo nuovo padrone.

L’orco avanzò, lento ma sicuro, e gli poggiò una mano sul muso. Lo accarezzò con rispetto.

«Insieme faremo grandi cose, mio prezioso alleato.»

«Complimenti, ora possiedi un drago» gli disse Nambera con una punta d’orgoglio nella voce.

Il rettile era ancora giovane, ma era abbastanza forte da portare sia lui che l’orchessa, inoltre la sua sola presenza avrebbe incrementato notevolmente il suo prestigio.

«Come sta?» volle sapere il pallido. «Ho esagerato?»

L’anziana si avvicinò con calma. Non aveva paura del drago – non ora che era sotto il controllo di Havard – tuttavia non voleva intimorirlo avvicinandosi in maniera troppo precipitosa. Gli poggiò una mano alla base del collo.

«Ha subito un po’ il tuo ultimo attacco, ma si riprenderà subito.»

«Bene.»

«Vuoi andare al villaggio nella foresta?» gli chiese Nambera. «Di sicuro gli abitanti saranno molto colpiti vedendo che li hai liberati dal drago.»

«No, sarebbe tempo sprecato. Le loro minacce non mi spaventano, ma un villaggio così sperduto non ha nessun valore strategico. E poi perché dovrebbero rinunciare alla relativa sicurezza dell’isolamento per seguire il primo che passa? Di sicuro si sono rifugiati nella foresta proprio perché non vogliono avere nulla a che fare con il mondo esterno.»

«Quindi andiamo subito a Bakhmiŝ?»

Il pallido annuì. «Quelli come me sono di sicuro i più facili da convincere. Basterà dimostrargli che posso davvero proteggerli dagli schiavisti, e non avranno motivo di rifiutare. O almeno lo spero.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

È finalmente giunto il momento di riprendere la saga di Age of Epic, e con un nuovo protagonista: Havard, il figlio di Hel. Insieme a lui c’è l’anziana orchessa Nambera, ma avremo modo di conoscerli meglio entrambi nei prossimi capitoli ^.^

Ovviamente non mi sono dimenticato di Tenko, Zabar (il nuovo nome di Balthazar) e tutti gli altri, infatti anche a loro avranno tutto lo spazio del caso nel corso della storia ;D

Come per gli altri miei racconti, pubblicherò due capitoli al mese (uno a inizio mese e uno a metà). E più avanti potrebbero arrivare anche i disegni chibi dei personaggi principali XD

Ringrazio la mia beta Hesper che mi sta aiutando anche in questo racconto ^.^

Grazie per essere passati e appuntamento a inizio novembre per il secondo capitolo ;D


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[2] La sigla d.s. indica la datazione standard. Le cifre decimali indicano il periodo dell’anno, quindi inserire una sola cifra decimale è come indicare un mese senza specificare il giorno.
L’anno standard ha una durata di circa 1,12 anni terrestri. Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/terminologia/#Datazione standard (d.s.)

[3] Dio mesopotamico della morte, marito di Ereškigal.

[4] Dea norrena della morte.

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Capitolo 3
*** 2. Il piano di Havard ***


2. Il piano di Havard

Bakhmiŝ era un villaggio di medie dimensioni costruito a ridosso di un ampio fiume navigabile. Gli abitanti, qualche centinaio, erano per almeno un quarto schiavi. Di questi, la maggior parte erano orchi pallidi che venivano utilizzati per coltivare la terra.

La principale attività del villaggio era l’allevamento. C’erano il pollame e i piccoli animali utilizzati per le uova e la carne, ma anche un nutrito branco di monoceratopi. Tali animali, forti e robusti, erano la cavalcatura più utilizzata dagli orchi per coprire le ampie praterie, per questo il loro allevamento era un settore molto redditizio. Questo li rendeva un bottino molto ambito per i predoni, perfino più degli altri orchi da vendere come schiavi, ma Bakhmiŝ aveva anche il pregio di essere facilmente difendibile: la tipica palizzata di legno era stata rinforzata più volte e la pianura circostante rendeva facile individuare eventuali minacce in arrivo. La foresta più vicina si trovava al di là del fiume, quindi il corso d’acqua avrebbe vanificato qualsiasi attacco a sorpresa dalla selva.

Havard, consapevole di tutto ciò, aveva scelto Bakhmiŝ come punto di partenza per il suo futuro regno. La posizione strategica e le risorse naturali lo rendevano il luogo perfetto, in più era fiducioso del fatto che gli orchi pallidi tenuti in schiavitù lo avrebbero visto come un liberatore e che quindi lo avrebbero appoggiato abbastanza facilmente. L’unico problema era che il villaggio contava decine di guerrieri abituati allo scontro, mentre lui avrebbe dovuto combattere da solo con il suo drago. O forse no?

Con il favore delle tenebre era atterrato nella foresta e ora stava osservando il villaggio, sicuro di non poter essere visto grazie al buio e alla vegetazione.

I fuochi accesi all’interno della palizzata illuminavano in maniera molto suggestiva il contorno del centro abitato, mettendolo in netto contrasto con la prateria circostante e con il cielo terso, dove brillavano le stelle e le due lune: una rossa e una azzurra. A completare quell’affascinante panorama c’era il riflesso del villaggio nel fiume: una riproduzione quasi perfetta, appena distorta dalle leggere increspature dell’acqua. Avrebbe potuto ammirare quel rilassante gioco di luci per tutta la notte.

«Visto da qui, sembra un luogo molto tranquillo.»

La voce di Nambera non lo colse alla sprovvista: aveva sentito i suoi passi leggeri farsi man mano più vicini.

«Tutto sommato lo è» annuì l’orco pallido, che stava giocherellando con il suo teschietto di corvo. «Ma non sarà così domani.»

«Sei preoccupato?»

«No. Non preoccupato. È tutta la vita che mi alleno per questo. Spero solo di riuscire a convincerli. Non ho dubbi che riuscirò a raggiungere il mio obiettivo, solo non so quanto ci metterò. O quanto mi costerà.»

Nambera gli poggiò una mano sul braccio. Lo fece con delicatezza, come se non volesse disturbarlo.

«Vuoi prenderlo da solo?» gli chiese l’orchessa dopo un po’. «Tu e il drago, per lo meno.»

Havard continuò a muovere tra le dita il teschio di corvo che portava al collo. «Potrei, ma credo che sfrutterò un po’ di aiuto.»

Di nuovo tra i due calò un rilassato silenzio.

«Vuoi che faccia il primo turno?» gli chiese l’anziana.

Il pallido le sorrise. «Credo che il nostro nuovo amico basterà per tenere alla larga i seccatori.»

Nambera sorrise a sua volta, rendendosi conto di aver posto una domanda superflua. «In effetti non hai tutti i torti.» Si preparò per tornare indietro. «Comunque vedi di non fare tardi.»

«Certo, mamma» ironizzò Havard. «Ma anche tu non sforzarti: sbaglio o quella ruga è nuova?»

L’orchessa non si scompose. «Ho capito, non vuoi la colazione domani.»

Havard si svegliò prima dell’alba e si incamminò per la foresta ancora semibuia con il suo bastone d’ossa. Aveva bisogno di alleati, e sapeva che nella foresta ne avrebbe potuti trovare alcuni.

Trovò delle tracce e cominciò a seguirle, ma i rumori della foresta gli fecero capire che erano stati loro a trovare lui. Intravide delle ombre, delle sagome muscolose, ma continuò ad avanzare.

Il branco uscì allo scoperto all’improvviso. Erano una quindicina di ordogue[5], dei massicci canidi privi di pelliccia. La pelle coriacea, le mascelle potenti e la forza del gruppo li rendevano dei formidabili predatori.

Havard li osservò rapidamente: sembravano tutti robusti e in buona salute. Se fosse riuscito a domarli, sarebbero diventati degli ottimi mastini da guerra.

Gli ordogue lo avevano circondato e si stavano avvicinando emettendo dei ringhi gutturali, pronti ad attaccare, ma l’orco pallido non si fece intimorire.

Il controllo degli animali era uno dei primi incantesimi che Nambera gli aveva insegnato.

Havard stava osservando la doppia fila di piccoli insetti simili a formiche a otto zampe con la curiosità genuina che contraddistingue i bambini di quattro anni. Da una parte c’erano gli esemplari che stavano trasportando piccoli pezzi di cibo alla colonia, dall’altra c’erano i loro simili che facevano il percorso opposto.

Non molto distante c’era un altro insetto un po’ più grande simile a un bruco che stava mangiando placidamente una foglia. Sarebbe stata una preda facile per le formiche-ragno – il piccolo orco ne era certo – eppure le piccole operaie lo stavano completamente ignorando, preferendo continuare nella loro opera di raccolta.

«Attaccate il bruco!» ordinò Havard con infantile autorità. «Vale molto di più di quelle stupide briciole!»

Le formiche-ragno, incuranti delle sue parole, continuarono a procedere in file ordinate.

«Vi ho detto di attaccare il bruco! Siete tanti, vincerete sicuramente!»

Di nuovo i piccoli insetti lo ignorarono.

Il bambino grugnì con stizza e scattò in piedi. «Nambera!» urlò, «Questi stupidi insetti non mi ascoltano!»

L’anziana orchessa, che stava preparando il pranzo, smise subito di tritare le foglie verdi e profumate, e si pulì rapidamente le mani. «Avete bisogno di qualcosa, sommo Havard?»

«Ho detto a quelle formiche-ragno di attaccare il bruco, ma non mi ascoltano!» esclamò il bambino, stizzito. «Perché non mi ascoltano?!»

«Sono solo insetti, non sono in grado di capire la vostra lingua» gli spiegò Nambera in tono paziente.

«Io voglio che mi ascoltino!»

La vecchia orchessa rifletté un momento.

«Voglio che mi ascoltino!» ripeté Havard, impaziente.

«Forse c’è un modo, ma non so se siete abbastanza grande…»

«Io posso fare tutto! Sono il figlio di Hel!»

«Certo, sommo Havard. In tal caso, potete provare con un incantesimo di controllo della mente. Questi insetti sono animali molto semplici, quindi sono sicura che con un po’ di esercizio riuscirete a controllarli. Per cominciare, scegliete un insetto e concentratevi su di lui.»

Il bambino scelse una formica-ragno e fissò i suoi occhi verdi su di lei.

«Pensate intensamente a quello che volete che faccia e cercate di trasferire la vostra volontà verso la sua mente. Cercate di stabilire una connessione. Con calma, senza fretta.»

«Non… funziona…!» si lamentò l’orco pallido.

«Non preoccupatevi, è la prima volta. È una tecnica complicata: dovrete allenarvi per riuscire a padroneggiarla.»

«No! Ferma, stupida!» sbottò il bambino cercando di bloccare la formica-ragno con la mano. «Fermati! Fermati!»

«No, non così» provò a correggerlo Nambera. «Dovete avere pazienza…»

«Stupida formica!» imprecò Havard. Sollevò una mano e la schiacciò con rabbia, uccidendo sotto il suo palmo almeno altri tre insetti.

«Sommo Havard, che state facendo?!» Nambera gli prese il braccio prima che potesse schiacciarne altre. «Non dovete fare così!»

«Lasciami, stupida! Sono il dio della morte! Posso uccidere chi mi pare!»

L’espressione dell’orchessa si indurì di colpo. Lo tirò su con una determinazione che prima non aveva nemmeno fatto intravedere e lo lasciò solo per potergli tirare un ceffone con la mano sana. «E ringrazia che tua madre non è qui, o chissà cosa ti avrebbe fatto!»

Havard si portò una mano alla guancia colpita e sollevò l’altro braccio in posizione di difesa. Lacrime di dolore cominciarono a scendere lungo i segni neri che gli scavavano la pelle. «Ti odio! Stupida! Metterò la tua anima nel posto peggiore dell’inferno!»

Corse via piangendo e insultandola, incredulo per quella punizione che riteneva ingiusta.

Nambera sospirò. Si sentiva in colpa per aver colpito il figlio della dea a cui era stata devota, ma non poteva sorvolare sulle parole del bambino. Non tanto per l’insulto, ma per ciò che aveva detto dopo.

Aveva promesso che si sarebbe presa cura di lui, e ciò includeva insegnarli come diventare un dio della morte degno di essere venerato.

Bastò un abbaio gutturale del capobranco e gli ordogue scattarono come molle. Havard rilasciò l’incantesimo e l’energia mentale si diffuse dal suo bastone d’ossa come un’esplosione, insinuandosi nella psiche dei canidi.

Gli animali si immobilizzarono. Dapprima confusi, uno dopo l’altro chinarono il capo davanti al loro nuovo padrone. Perfino il capobranco si prostrò davanti ad Havard, riconoscendolo come suo superiore.

«Andiamo» ordinò l’orco pallido, «abbiamo un villaggio da conquistare.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Il piano di Havard procede, in particolare dopo il drago di foresta ha anche domato un branco di ordogue. Ora non gli resta che fare la sua mossa per prendere il controllo di Bakhmis. Riuscirà nell’impresa?

In questo capitolo abbiamo anche un flashback su Havard da piccolo, che come vediamo era molto più arrogante della sua controparte adulta XD La stessa Nambera lo trattava in modo diverso, ma avremo modo di capire meglio l’evoluzione del loro rapporto nei prossimi capitoli ;D

Ecco intanto il disegno chibi di Havard ^.^

Havard (AoE-2)

L’avventura dell’orco pallido è solo all’inizio, quindi non perdete il prossimo capitolo (tra due settimane).

A presto ^.^


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[5] Il nome deriva da “orco” e “dogue”, il sottogruppo di molossi anticamente selezionati come cani da guerra.

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Capitolo 4
*** 3. Bakhmiŝ ***


3. Bakhmiŝ

All’alba il villaggio di Bakhmiŝ diventava subito molto movimentato. Gli allevatori andavano dalle loro greggi per mungere il bestiame e portarlo a pascolare, i raccoglitori uscivano per cercare risorse utili, i cuochi preparavano il cibo da vendere nel corso della giornata, gli artigiani aprivano le botteghe e gli schiavisti svegliavano le persone di loro proprietà per metterle al lavoro, soprattutto nei campi coltivati.

Una campana interruppe la routine quotidiana, avvisando gli abitanti di una minaccia in arrivo. Subito si diffuse il panico: stavano arrivando i predoni? I guerrieri sarebbero riusciti a proteggerli, o sarebbero stati razziati di nuovo di merci, bestiame e persone?

Mentre gli uomini andavano a prendere le loro armi, tutte molto rudimentali, un’ombra sfrecciò sopra il villaggio: un drago. Ma cosa ci faceva lì un drago? Era selvatico o apparteneva a un inquisitore?

«Vedo un cavaliere!» gridò una delle vedette. «È un inquisitore!»

Gli inquisitori erano gli unici che potevano cavalcare una di quelle possenti creature, quindi non poteva che trattarsi di un guerriero del Clero. Ma cosa ci faceva lì un inquisitore?

«Ordogue!» gridò un’altra sentinella. «Arrivano dal fiume!»

Il branco di mastini attraversò a nuoto il corso d’acqua e poi corse verso l’ingresso del villaggio, ignorando completamente le greggi. Alcuni pastori erano rimasti a proteggere i loro animali, ma questo non aveva mai fermato gli ordogue.

Gli uomini del villaggio si erano già radunati davanti all’ingresso principale quando il drago atterrò davanti a loro, subito circondato dagli ordogue. Dal rettile scesero due orchi: un giovane pallido e una donna anziana dalla carnagione marrone.

«Fermi dove siete, stranieri!» intimò uno degli orchi del villaggio, un verde particolarmente alto e muscoloso, forse il capovillaggio.

Gli ordogue avvertirono la minaccia e cominciarono a ringhiare e abbaiare minacciosi, ma ad Havard bastò un cenno della mano per zittirli.

«Sono Havard, figlio di Hel» si presentò. «Sono venuto per portare prosperità e progresso in quest’era di paura e immobilità. Unitevi a me, e non dovrete più temere i predoni. Unitevi al mio regno, e il vostro impegno e i vostri talenti saranno generosamente premiati.»

«Non prenderemo ordini da uno schifoso pallido!» lo insultò il capovillaggio. «Tu e quella vecchia sarete i miei nuovi schiavi!» Puntò verso di loro la sua imponente ascia da guerra. «Uomini, prendeteli!»

Gli ordogue abbaiarono di nuovo e il drago di foresta scoprì le zanne in un profondo ringhio di minaccia, riuscendo a far esitare gli orchi.

«Vermi codardi! Vi farò vedere come si fa!»

Il possente orco verde partì alla carica, ma Havard non ne fu intimorito e ordinò ai suoi animali di attendere. Avanzò a sua volta, lo sguardo inflessibile. Il capovillaggio sollevò l’ascia e il figlio di Hel rispose con il suo bastone d’ossa. Tutti erano sicuri che l’arma del verde avrebbe fatto a pezzi quella dell’invasore, invece il capovillaggio rimase immobile, come paralizzato. Il suo corpo muscoloso tremava, incapace di muoversi.

«Credi forse che il colore della nostra pelle influisca sulle nostre anime?» lo redarguì il pallido. «Credi che farà differenza quando arriverai nell’oltretomba? Il mio oltretomba!»

Sollevò la mano sinistra e strinse leggermente le dita, come per afferrare qualcosa di invisibile. Tirò leggermente verso di sé e subito il capovillaggio perse la presa sulla sua ascia. La pesante arma sbatté sul terreno con un tonfo metallico e lui stesso cadde in ginocchio, gli occhi sempre più vacui.

Gli altri orchi erano spaventati, non capivano cosa stesse succedendo. Solo Nambera riusciva a vedere distintamente l’anima del loro leader che stava per venire strappata via dal corpo. Se Havard avesse continuato, il capovillaggio sarebbe morto. In quanto devota a Hel, l’anziana non tollerava gli omicidi, soprattutto quelli perpetrati per futili motivi, ma non intendeva fermare il suo protetto.

Il pallido lasciò finalmente la presa e fu come se il capovillaggio tornasse improvvisamente a respirare. I suoi occhi tornarono coscienti, tossì e dovette poggiare le grandi mani a terra per non cadere.

«Tu…! Che cosa… mi hai fatto…?»

«Te l’ho detto. Sono il figlio di Hel. Sono un dio della morte, e questo è solo un assaggio di quello che farò ai miei nemici. A coloro che attaccheranno il mio regno e minacceranno i miei sudditi.»

Questa volta l’orco verde non osò ribattere. Anche gli altri abitanti del villaggio sembravano troppo spaventati per aprire bocca.

Tutti tranne uno.

«Eretico!» tuonò un’orchessa dalla carnagione verde scuro. «Essere blasfemo, come osi definirti un dio! La magia è riservata ai veri dei e a noi chierici, che li serviamo umilmente! Pagherai con la vita per i tuoi crimini! Uccidetelo!»

Havard sollevò il bastone e lo batté con forza sul terreno. Un’onda spirituale partì dal punto dell’imbatto, immobilizzando gli orchi prima ancora che potessero fare un passo.

«Ti riferisci a quegli stessi dei che hanno lasciato morire mia madre?!» la accusò il pallido. «A quegli stronzi egoisti che pensano solo al loro tornaconto?! Per gli dei voi non siete altro che bestiame, degli esseri inferiori che esistono solo per venerarli. È colpa degli dei se i vostri figli non potranno mai aspirare a un futuro migliore! Gli dei vi vogliono tenere nell’ignoranza, così che sia più facile manipolarvi!»

Forse era per via dell’energia mentale sprigionata attraverso il bastone, o forse per via del discorso, fatto sta che la chierica non seppe come ribattere.

«Nel mio regno non avrete bisogno degli dei, perché sarete voi a decidere il vostro destino! Sarete voi che costruirete i vostri successi, voi coronerete le vostre ambizioni! Seguitemi, e sarete testimoni dell’inizio di una nuova era di ricchezza e prosperità per tutti. No: ne sarete gli artefici! E in quanto tali, ne trarrete tutti i benefici!»

Un brusio cominciò a diffondersi tra i presenti: non si fidavano ancora di lui – era evidente dai loro sguardi – tuttavia stavano cominciando a considerare la sua proposta. Per la società degli orchi la forza del leader era un requisito fondamentale – sia per mantenere l’ordine interno che per respingere gli attacchi esterni – e lui aveva dimostrato di essere un guerriero estremamente temibile.

«Tu sei il capovillaggio, dico bene?»

Il possente orco verde raccolse la sua ascia e si alzò. «Sono il più forte e possiedo più di due terzi degli schiavi del villaggio. È naturale che sia io.»

«Bene, ma dovrai trovarti un nuovo lavoro. Non ci sarà schiavitù nel mio regno.»

L’altro digrignò i denti. «Cosa?!»

«Ma non preoccuparti, se resti al mio fianco, diventerai più ricco e potente di quanto tu possa anche solo immaginare. E ora mi farai l’onore di scortarmi all’interno del villaggio. Desidero parlare con i rappresentanti di tutte le vostre attività. E assicurati che ci sia anche un rappresentante degli schiavi.»

L’uomo grugnì, incerto. «Fatelo passare!» ordinò dopo qualche istante.

Gli altri orchi si scambiarono degli sguardi increduli.

«Ho detto, fatelo passare!» tuonò il verde, e questa volta tutti reagirono immediatamente.

«Fermi! Non vi permetterò di far entrare quell’eretico nel villaggio!» esclamò la chierica. «Vi ordino di fermarlo, in nome di Mbaba Mwana Waresa[6]

Havard le puntò contro il suo bastone d’ossa. «Comprendo la tua diffidenza, ma non lascerò che la tua testardaggine blocchi il progresso in questo villaggio. Fatti da parte, o ti farò spostare io.»

«Io rispondo solo alla divina Mbaba Mwana Waresa! Se vuoi farmi tacere, dovrai uccidermi!»

Il figlio di Hel non se lo fece ripetere. La colpì con forza col suo bastone, abbastanza da farla cadere a terra. Nonostante la botta, la religiosa era ancora cosciente, così il pallido la stordì con un incantesimo.

«Nel mio regno do grande valore alla libertà e alla giustizia, quindi non intendo uccidere questa chierica. Rinchiudetela da qualche parte. Se cambierà idea, sarà sempre la benvenuta.»

Gli altri orchi esitarono, troppo intimoriti da un’eventuale punizione divina se avessero imprigionato una chierica. Ma avevano anche paura che Havard potesse ucciderli sul posto se non ubbidivano.

Alla fine fu il capovillaggio che, con un grugnito, convinse gli altri abitanti a fare come richiesto dal figlio di Hel.

L’incontro con i rappresentanti non fu molto diverso. Alcuni stavano cominciando a considerare le sue proposte di modernizzazione, ma lo scetticismo era ancora il sentimento prevalente e nessuno di loro voleva rischiare di inimicarsi gli dei.

“Siamo orchi, siamo fatti per la terra, è da pazzi voler navigare un fiume!”, “Gli schiavi sono tali perché sono deboli, servire il più forte è il loro ruolo naturale!”, “Non mangeremo quelle radici viola, meglio morire di fame!”. Queste erano solo alcune delle argomentazioni che Havard si vide rivolgere, ma sapeva fin dal principio che ci sarebbe voluto del tempo affinché gli abitanti del villaggio comprendessero l’utilità della sua guida. Ma una volta visti i risultati, si sarebbero dovuti ricredere, e a quel punto non sarebbero più tornati indietro.

La riunione si protrasse per quasi tutta la giornata. Era ormai tardo pomeriggio quando Havard e gli altri lasciarono la casupola dove si erano riuniti, ma in quel tempo l’orco pallido era riuscito a convincere alcuni dei presenti a provare alcune delle sue idee.

Gli altri si erano già allontanati quando il rappresentante degli schiavi lo avvicinò. Aveva la carnagione verde chiaro e numerose cicatrici, difficile dire quali dovute ai suoi padroni e quali rimediate in battaglia. Gli mancava la mano destra, forse persa insieme alla libertà durante uno scontro, e sembrava piuttosto denutrito, tuttavia non si era ancora arreso del tutto all’idea di diventare uno schiavo. E questo lo rendeva un ottimo alleato per Havard.

«Grazie per averci liberato. Potrò anche aver perso una mano, ma sappi che farò tutto il necessario per aiutarti.»

«La schiavitù serve solo ad alimentare rancori e disparità. Al mio regno non servono pochi ricchi prepotenti che dominano tutti gli altri.»

L’ex schiavo sembrava molto colpito dalle sue parole, ma il suo sguardo rivelava anche altro.

«C’è qualcosa di cui mi vorresti parlare.» Quella di Havard non era una domanda.

«Ecco, in effetti sì. C’è… qualcosa nel dormitorio del mio padrone. Ex padrone. Arriva di notte e attacca gli schiavi, soprattutto le donne. Ha già ucciso quattro schiave. Pensavamo fosse il padrone o uno dei suoi guardiani, ma quelli che l’hanno visto dicono che sia un fantasma. Il mio ex padrone ovviamente non ci crede. Di recente questo… fantasma ha anche ferito un guardiano, e il nostro ex padrone se l’è presa con noi. Non è che potresti fare qualcosa?»

«Un fantasma?»

«Non mi credi?»

«Ti credo, amico mio. E se davvero c’è un fantasma, hai la mia parola che lo eliminerò. Chi era il tuo padrone?»

L’ex schiavo esitò un attimo. «Il capovillaggio. Crediamo che il fantasma sia il suo defunto padre.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente Havard ha cominciato il suo piano di conquista, che per il momento è stato relativamente pacifico. Certo, ha dovuto dare prova della sua forza per riuscire a farsi rispettare, ma in ogni caso ha preso il controllo del villaggio senza uccidere nessuno (da bravo dio della morte XD).

Questo però è solo l’inizio, e il figlio di Hel ha ancora moltissimo lavoro davanti a sé, a partire da mantenere il controllo del villaggio e la promessa di libertà fatta agli schiavi. Prima però c’è un’altra faccenda che reclama la sua attenzione: il fantasma del capovillaggio. E chi meglio di lui per affrontare lo spirito di un defunto? Esorcizzandolo potrebbe anche guadagnare ulteriore prestigio nel villaggio. Ma andrà tutto così liscio?

Per scoprirlo non vi resta che aspettare il primo weekend di dicembre per il prossimo capitolo ;)

A presto ^.^


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[6] Dea zulu della fertilità, dell’agricoltura e degli arcobaleni.

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Capitolo 5
*** 4. Lo spirito inferiore ***


4. Lo spirito inferiore

Con il sole ormai prossimo a tramontare, Havard procedeva a testa alta per le strade di Bakhmiŝ. Il suo Bakhmiŝ. Al suo fianco c’era Nambera, seria e indifferente agli sguardi degli abitanti del villaggio. Dalla parte opposta si trovava l’ex schiavo che aveva partecipato alla riunione, che invece sembrava voler sfidare apertamente quegli occhi diffidenti.

«Siamo arrivati» affermò il verde. «È questa.»

Ora che si trovava così vicino al dormitorio del suo ex padrone, il suo umore sembrava peggiorato. Era arrabbiato per ciò che quel luogo rappresentava, ma allo stesso tempo sembrava un po’ intimorito.

Havard osservò l’ampio dormitorio. Era stato costruito vicino alla palizzata, in prossimità di uno dei cancelli, così che gli schiavi potessero arrivare più velocemente ai campi coltivati e, di conseguenza, perdere meno tempo lungo la strada.

«Ehi, voi!» tuonò una voce. «Che ci fate qui?!»

Era il capovillaggio, che probabilmente era stato avvisato dell’arrivo del figlio di Hel.

Al solo sentire la sua voce, l’ex schiavo gli rivolse un’occhiata che sapeva di sfida. Ora che aveva riconquistato la libertà, non si sarebbe mai più piegato al suo aguzzino.

«Mi è stato detto che c’è un fantasma in questo dormitorio» affermò Havard. «Sono qui per esorcizzarlo.»

«Tu non farai proprio niente! Questa è il mio dormitorio, e tu non puoi entrare!»

Il pallido lo guardò dall’alto in basso, sovrastandolo con la sua autorità nonostante la differenza di stazza. «Questo è il mio regno, e posso andare dove mi pare. Soprattutto quando c’è un problema da risolvere.»

La sua risposta lapidaria fece esitare il capovillaggio, che aveva già imparato a temere il figlio di Hel.

«Grazie, Reton, da qui in avanti mi farò accompagnare da Morzû» affermò il pallido rivolgendosi all’ex schiavo. «A proposito, quando avremo finito, Nambera potrebbe dare un’occhiata al tuo braccio. Potremmo farti avere una mano nuova.»

Reton sbarrò gli occhi. «Dici davvero?!»

L’anziana orchessa rivelò la protesi metallica che rimpiazzava la sua mano sinistra. «Ci vorrà un po’, ma posso farlo.»

L’ex schiavo si inchinò. «Grazie! Grazie infinite!»

Rivolse una rapida occhiataccia al suo ex padrone e poi si allontanò per tornare dagli altri ex schiavi.

Havard mosse la mano per esortare Morzû a fargli strada, e questi eseguì con un grugnito di disappunto. Aprì il portone del dormitorio e lo fece entrare.

La struttura interna era molto semplice: ricordava più una stalla che un’abitazione, con ambienti molto spogli dove ammassare gli schiavi per la notte.

«Hai ereditato questo dormitorio da tuo padre, dico bene?» affermò il figlio di Hel.

«Esatto. È il più grande del villaggio.»

«Tuo padre dev’essere stato un grande guerriero.» Nonostante le parole di apparente elogio, dal tono del pallido non traspariva molta ammirazione.

«Ci puoi scommettere! Ha razziato innumerevoli villaggi e sconfitto innumerevoli bande di predoni! Ha catturato con le sue stesse mani la maggior parte dei suoi schiavi, guadagnandosi sul campo di battaglia il ruolo di capovillaggio!»

Havard continuò a scrutare l’ambiente.

«È morto in battaglia?»

Morzû emise un grugnito di disappunto. «No. Si è ammalato. Una… fine disonorevole per un guerriero come lui.»

«Continua» lo esortò Havard. «C’è dell’altro, vero?»

Il verde strinse i pugni. «È colpa degli schiavi se si è ammalato. Era solito utilizzare alcune schiave come concubine, è da loro che ha preso la malattia. Schifose schiave, alla fine sono riuscite a uccidere mio padre.»

Havard si fermò a osservare le tracce di sangue sul pavimento. C’erano anche delle scalfitture che continuavano sulle pareti, come se una bestia feroce avesse combattuto lì dentro.

«Cos’è successo qui?»

«Niente di importante, qualche schiava morta. Quegli idioti si saranno uccisi tra di loro per fare scena.»

Il figlio di Hel si voltò lentamente. Morzû deglutì davanti a quegli occhi verdi che parevano in grado di gelargli l’anima.

«Tuo padre è qui» sentenziò il pallido. «È stato lui a uccidere le schiave.»

«Mi… Mi prendi in giro?! Ti ho detto che è morto! Ho bruciato io stesso il suo cadavere!»

«È morto, sì, ma il suo spirito è ancora qui. Pieno di rabbia, rancore e brama di uccidere. Reton mi aveva detto che questo posto è infestato dal fantasma di tuo padre, e ora ne ho la certezza. Tuo padre è diventato uno spirito inferiore, e in quanto dio della morte è mio dovere esorcizzarlo.»

L’espressione di Morzû tradì i suoi reali pensieri: sapeva delle voci che giravano tra gli schiavi, ma solo ora che lo aveva sentito da Havard riusciva a crederci.

«Non ti preoccupare, posso affrontarlo da solo. Fatti da parte e resta a guardare, così potrai vedere tu stesso che dico il vero. Nambera ti proteggerà.»

«Non mi farò proteggere da una donna!» esclamò il verde, indignato.

Havard batté il suo bastone d’ossa sul pavimento, emanando un’onda di energia spirituale. «Come preferisci.»

Si udirono dei rumori sinistri e Morzû si mise in posizione di guardia.

«I pugni non ti serviranno» lo ammonì Havard.

Il capovillaggio stava per ribattere quando una sagoma sbucò dal soffitto lanciando un urlo rabbioso.

Il verde sbiancò. Arretrò di un passo, gli occhi sbarrati. «Pa… Papà…?»

Il fantasma del precedente capovillaggio aveva conservato solo in parte i tratti che aveva in vita. Il suo viso scolpito si era deformato, diventando più grottesco, con zanne ancora più pronunciate e gli occhi infossati. Il suo fisico possente era stato corrotto, riempiendosi di crepe da cui spuntavano lingue di fumo della stessa consistenza del resto del corpo.

«Ecco cosa avete scatenato uccidendo mia madre. Questo è quello che succede quando un incapace regna sull’inferno!»

Lo spirito inferiore si avventò su di loro. Havard evocò una barriera e il fantasma vi sbatté contro. Batté i suoi pugni su di essa, ma lo scudo resse.

«Tu finirai dritto nel regno di Hel!»

Il pallido annullò la barriera e puntò il bastone contro lo spirito. Un’onda magica lo travolse, spingendolo indietro con forza. Essendo un fantasma avrebbe potuto attraversare senza problemi i muri interni del dormitorio, così Havard lo bloccò con un’altra barriera per impedirgli la fuga.

Il fantasma ci mise poco a riprendersi dallo stordimento. Batté le mani deformi sul pavimento in terra battuta e tornò all’attacco. Havard lo colpì col bastone, lo schiacciò a terra e scatenò un altro incantesimo. L’aria si fece gelida e il corpo diafano dello spirito cominciò a congelare.

Il capovillaggio, atterrito, non osò avvicinarsi. Stava per parlare quando lo spirito si liberò dal ghiaccio, sparando cristalli in tutte le direzioni con un urlo pieno di follia.

Havard si riparò con le braccia, ma non indietreggiò. Lo spirito sferrò una manata, ma l’orco la parò col bastone. L’entità continuò ad attaccare e il figlio di Hel dovette indietreggiare di un passo. Poi un altro, e un altro ancora. Lo spirito inferiore sembrava inarrestabile, continuava a colpire con furia, accecato dalla rabbia e dalla brama di uccidere.

Con un movimento repentino il pallido schivò l’ultimo assalto e lo spirito venne colto alla sprovvista. Approfittando della sua incertezza, Havard passò al contrattacco. Lo colpì a raffica, ferendolo col bastone d’ossa. A ogni attacco una nuova massa di ghiaccio si formava sul corpo dello spirito, rallentandone i movimenti. Prima congelarono gli avambracci, poi le braccia e infine tutto il corpo.

Ben presto lo spirito divenne una statua di ghiaccio, grottesca ma apparentemente inoffensiva. Havard caricò la sua magia e lo colpì un’ultima volta. Il potente incantesimo mandò in pezzi la statua e i blocchi di ghiaccio scrosciarono sul pavimento in una sinistra cacofonia.

Lo spirito, stordito da quell’attacco, rimase immobile a mezz’aria. Havard allungò la mano e il fantasma cominciò a venire risucchiato dal suo palmo.

Morzû assistette immobile a quello spettacolo surreale. Ricordava ancora molto bene la sensazione di Havard che “afferrava” la sua anima, e ora capiva che non si era trattato di un banale trucco.

Quel pallido era davvero il figlio di Hel, non c’era altra spiegazione.

Il fantasma era ormai praticamente sparito e ad Havard bastò serrare il pugno per dare il colpo di grazia.

Improvvisamente calò il silenzio. Un silenzio assoluto che sapeva di morte.

«Tuo padre è nel mio inferno adesso, dove pagherà per ciò che ha fatto in vita. Solo allora gli concederò di riposare per l’eternità.»

Il capovillaggio Morzû era ancora troppo scosso per ribattere. Si limitò ad annuire e lasciare la stanza, lo sguardo perso nel vuoto.

«Ottimo lavoro, Havard» si congratulò Nambera.

«Credo fosse solo uno spirito divoratore, niente di particolarmente potente» rispose il pallido. «L’importante è essercene liberati. Ora il dormitorio è di nuovo sicuro.»

«Toglimi una curiosità: fare in modo che il capovillaggio vedesse il fantasma di suo padre faceva parte del tuo piano, vero?»

«Esatto. Quando Reton me ne ha parlato, ho pensato che fosse l’occasione perfetta per fargli capire una volta di più che sono davvero il nuovo dio della morte. Del resto non posso fermarmi qui troppo a lungo, e quando me ne andrò dovrò essere sicuro di essermi guadagnato la sua lealtà.»

«Per quanto mi riguarda, sarei già felice se non proveranno a ucciderci durante la notte» ammise l’anziana orchessa.

Havard si concesse un mezzo sorriso. «Per quello credo sia comunque meglio fare a turni. Spero non ti dispiaccia dormire con gli ordogue.»

«Mi basta non dover preparare la cena anche per loro.»


Note dell’autore

Ben ritrovati!

In questo capitolo vediamo in azione (alcune) delle abilità da dio della morte di Havard. Il fantasma dell’ex capovillaggio non ha avuto speranze, e questa schiacciante prova di forza potrebbe aver convinto Morzû a credere nel figlio di Hel.

Anche questo è un passo avanti per il pallido nel costruire il suo regno e affermarsi come nuova divinità dell’oltretomba, ma siamo ancora all’inizio.

Nel prossimo capitolo vedremo l’entrata in scena di un altro gruppo di orchi, nel frattempo vi lascio il disegno chibi di Nambera ^.^

Nambera (AoE-2)

Grazie a tutti e a presto ;D


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Capitolo 6
*** 5. I predoni ***


5. I predoni

Erano passati alcuni giorni dall’arrivo di Havard e Nambera a Bakhmiŝ, e la situazione stava lentamente migliorando.

Gli schiavi liberati ora lavoravano al pari degli altri abitanti, spesso in settori più affini alle loro capacità e alla loro esperienza, riuscendo in questo modo a dare un contributo più significativo al resto del villaggio. Alcuni di loro in ogni caso erano rimasti nei campi, e grazie al supporto degli animali e di altri orchi, la produzione non era calata significativamente.

Diversi abitanti si erano convinti a provare le ricette di Nambera, soprattutto grazie all’entusiasmo degli ex schiavi che per primi avevano accettato di assaggiare i suoi esotici piatti. Tuberi e piante urticanti che prima erano ritenuti scarti, ora erano ingredienti ricercati dalla maggior parte degli abitanti.

Perfino il capovillaggio Morzû sembrava aver accettato Havard come suo superiore, probabilmente grazie all’esorcismo dello spirito di suo padre. Il pallido era sempre più convinto che non ci sarebbero stati problemi a confermarlo come leader del centro abitato.

Sebbene l’umore generale verso il figlio di Hel fosse ora per lo più di rispetto e fiducia, c’era comunque qualcuno che ancora lo vedeva come un usurpatore o un eretico. La sacerdotessa di Mbaba Mwana Waresa continuava a invocare l’intervento della sua dea dalla cella, e alcuni membri del villaggio erano ancora scettici riguardo ad Havard e alle sue innovazioni. In ogni caso nessuno, a parte la chierica, si era azzardato a sfidare apertamente il figlio di Hel.

In quel momento il pallido si trovava nell’edificio centrale del villaggio e stava dando disposizioni per la costruzione di un molo, quando il suono di un corno mise in allerta tutti i presenti: nemici in arrivo.

Poco dopo un giovane orco entrò di corsa nella stanza. «Capovillaggio, Havard: predoni in arrivo!»

«Quanti sono?» chiese il pallido.

«Sono una trentina, tutti su monoceratopi.»

«Preparate i monoceratopi» ordinò Havard. «E di’ ai guerrieri di portare gli scudi che vi ho fatto costruire.»

«Subito!»

Morzû non sembrava convinto. «Havard, portare degli scudi in battaglia è un disonore» gli disse mentre uscivano dall’edificio. «Lasciaci combattere come abbiamo sempre fatto.»

«Usare asce e mazze contro nemici armati di archi e frecce è da idioti, non è onorevole» ribatté il pallido. «Se fate come vi ho spiegato, li scacceremo senza difficoltà. Ora vai.»

Il verde si limito a un grugnito e si allontanò.

Havard raggiunse la palizzata che circondava il villaggio e salì su una delle postazioni di vedetta. Da quel punto privilegiato avrebbe potuto osservare l’evolversi dell’intera battaglia.

«Nambera, manca ancora molto?» si lamentò il piccolo Havard. «Sono stanco. E ho fame!»

Era tardo pomeriggio e avevano camminato per quasi tutto il giorno: era normale che il bambino fosse esausto.

L’orchessa si guardò intorno e riuscì a individuare un punto che sembrava adatto a passare la notte.

«D’accordo, sommo Havard, per oggi può bastare. Venite, possiamo fermarci in quel punto.»

Appena arrivati a destinazione, il piccolo orco pallido lasciò cadere a terra il suo zaino e si sedette a terra. «Ho fame, cosa mangiamo?»

«È avanzata un po’ di carne, quindi vi preparerò quella. Venite come me mentre raccolgo la legna, voglio che cerchiate delle piante per la cena.»

«Eh? Ma non ho voglia!» si lamentò il bambino. «E sono stanco!»

«Lo so, ma dovete imparare a riconoscere le piante commestibili, sommo Havard. E poi voglio che accendiate il fuoco.»

Il piccolo orco era sempre più sconsolato. «Anche il fuoco? Ma perché non lo fai tu?» Incrociò le braccia. «Io sono un dio, e gli dei non accendono il fuoco!»

«Avete ragione, ma vi prego, sommo Havard, è importante che impariate a cavarvela da solo.»

Un velo di preoccupazione apparve sul volto del bambino. «Perché? Te ne vuoi andare via?»

Nambera, intenerita da quello sguardo, lo accarezzò dolcemente sulla testa. «No, sommo Havard, certo che no. Starò al vostro fianco finché potrò, ma ormai non sono più così giovane, e voi avete tutta la vita davanti. Voglio essere sicura che sarete in grado di cavarvela da solo quando non ci sarò più.»

Il piccolo Havard si alzò con piglio fiero. «Non ti preoccupare: ho deciso che tu non morirai mai.»

Lei gli sorrise. «Siete molto gentile, sommo Havard. Ma voglio comunque che veniate con me a cercare delle piante. D’accordo?»

Lui sbuffò. «D’accordo…»

Havard aveva dato precise disposizioni ai guerrieri su come combattere contro i predoni, ma sarebbe stato a Morzû guidare la battaglia: prima di andarsene, il figlio di Hel voleva essere sicuro che il villaggio era in grado di difendersi da solo in maniera efficiente.

Il pallido osservò con occhi attenti i predoni in rapido avvicinamento. Si muovevano in formazione larga, ed erano armati di rudimentali archi. I nomadi erano praticamente gli unici orchi a usare armi a distanza, e questo, unito alla loro abilità nel cavalcare i monoceratopi, li rendeva dei temibili avversari. Gli attacchi dei predoni erano molto comuni, ma spesso si risolvevano con il furto di alcuni capi di bestiame e il rapimento di qualche membro del villaggio – di solito guerrieri usciti a combattere –, che poi sarebbero stati rivenduti come schiavi.

Havard lanciò uno sguardo ai suoi guerrieri, schierati su due righe in formazione serrata a cavallo dei loro monoceratopi. Tutti quanti brandivano un grosso scudo in grado di proteggere quasi completamente il busto e la testa.

«Ok, gente! Quest’idea non piace neanche a me, ma se funziona, daremo una bella lezione a quegli stronzi!» gridò Morzû, che stava pochi metri avanti a tutti gli altri. Sollevò la sua imponente ascia e poi la abbassò verso i predoni. «Carica!»

 I guerrieri spronarono i loro monoceratopi e si lanciarono contro il nemico come un muro.

I predoni cominciarono a scagliare frecce, ma le punte metalliche venivano facilmente bloccate dagli scudi. Un dardo centrò un monoceratopo in un occhio, l’animale inciampò e cadde, ma il resto della formazione continuò l’avanzata.

«Con me!» gridò il capovillaggio, che dal centro impartiva la direzione. «Con me!»

I predoni capirono ben presto che non sarebbero riusciti a fermarli e si sparpagliarono.

«Con me!» ripeté Morzû, puntando con decisione un paio di predoni e ignorando tutti gli altri. «Con me!»

Con grande soddisfazione di Havard, il gruppo non si sparpagliò per inseguire i nemici, ma mantenne la formazione compatta e continuò a caricare.

Le vittime designate continuarono a scagliare frecce, provarono a fuggire, ma l’assalto pareva inarrestabile. Il muro di corni e scudi si abbatté sul primo predone, travolgendolo con forza inaudita. Il suo monoceratopo cadde a terra e si ribaltò più volte, spappolando il suo cavaliere.

Il secondo provò a fuggire, ma Morzû riuscì a menare un colpo d’ascia che ferì alla coscia la sua cavalcatura. L’animale si imbizzarrì e venne travolto a sua volta. Anche del secondo predone non rimase che un cadavere scomposto.

Il capovillaggio lanciò un grido di vittoria che infiammò gli animi dei suoi uomini.

Gli aggressori provarono a bersagliarli con le frecce da tutte le direzioni, ma grazie alla formazione su due linee, gli orchi erano in grado di proteggersi sia davanti che dietro.

Un nuovo rumore di corni destò l’attenzione di Morzû: alcuni dei predoni si stavano avvicinando al centro abitato.

Il possente orco verde si voltò e vide alcuni guerrieri che si muovevano verso la palizzata con delle fiaccole in mano. Volevano dare fuoco al villaggio, così da tenere occupati gli abitanti mentre loro li depredavano.

«Seguitemi! Con me!»

Il capovillaggio fece girare la formazione e puntò con decisione contro gli incendiari. Non sarebbe arrivato in tempo per fermarli, ma almeno avrebbe avuto il piacere di massacrarli per quell’affronto.

Appena il villaggio fu a tiro, i tre predoni lanciarono all’interno le loro torce. Havard, che li aveva tenuti d’occhio, decise di non intervenire. Le fiamme attecchirono facilmente sugli edifici di legno, pelli e paglia, ma ancora il figlio di Hel non si mosse: gli abitanti di Bakhmiŝ dovevano cavarsela da soli, il suo compito era solo quello di prepararli per simili evenienze.

E con sua grande soddisfazione, gli abitanti del villaggio stavano dimostrando di aver imparato la lezione: alcuni barili d’acqua erano già pronti agli angoli delle strade, e altri secchi stavano arrivando dal vicino fiume. Adesso gli abitanti non dovevano più fare il giro dall’ingresso principale, ma potevano sfruttare il nuovo passaggio che dava direttamente sul futuro molo.

Ci volle poco per spegnere gli incendi, e i danni risultanti furono molto contenuti. E ci volle ancora meno tempo per vedere la vendetta di Morzû: il capovillaggio guidò la carica contro gli incendiari, uccidendo i primi due con un solo assalto.

Il terzo predone, fuggito dalla parte opposta, si riunì con i suoi compagni. Gli aggressori lanciarono un ultimo sguardo al villaggio di Bakhmiŝ, ancora scioccati per quell’inaspettata batosta, poi si girarono e fuggirono.

Morzû sollevò la sua ascia e lanciò un grido di vittoria, presto imitato dagli altri guerrieri. Avevano respinto i predoni praticamente senza subire danni.

Una volta sicuro che i predoni erano lontani, Havard scese dalla postazione di avvistamento e per prima cosa andò a sincerarsi delle condizioni del villaggio.

«Ci sono feriti?»

«Nessuno» rispose uno degli abitanti, un orco troppo anziano per cavalcare. «Solo dei tetti un po’ bruciati.»

«Bene.»

Il figlio di Hel raggiunse l’ingresso, dove lo aspettava il capovillaggio.

«Soddisfatto della vittoria?» gli chiese il pallido.

«Avrei preferito sconfiggerli alla vecchia maniera» ribatté il verde. «Ucciderli o farli schiavi.» L’occhiataccia del figlio di Hel lo indusse a correggersi: «Volevo dire, solo ucciderli.» Questa volta Havard si convinse a lasciare correre. «In ogni caso ora sappiamo come affrontarli, e la prossima volta non avranno scampo!»

«Cerca di non esagerare: il tuo compito come capovillaggio è proteggere il villaggio, non attaccare briga con i predoni nei paraggi» gli rammentò il pallido. «E comunque quei predoni non ci daranno altri problemi.»

Morzû era scettico. «Ne sei sicuro? Avranno anche perso una battaglia, ma prima o poi torneranno.»

Havard però era fiducioso. «Per allora saranno già diventati miei. Oppure li schiaccerò insieme a tutti i miei nemici.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Piano piano le idee di Havard stanno prendendo piede nel villaggio di Bakhmis, e già si vedono i primi risultati. Quella contro i predoni può sembrare una piccola vittoria, ma per Havard è fondamentale sapere che Morzû e i suoi sapranno cavarsela da soli quando se ne sarà andato per portare avanti l’espansione del suo regno ^.^

E intanto abbiamo anche visto un altro scorcio del passato di Havard e Nambera :)

Ora la domanda è: riuscirà Havard ad annettere i predoni? Con il villaggio è andata bene, ma con i nomadi potrebbe essere tutta un’altra storia. Staremo a vedere.

Grazie a tutti per aver letto il capitolo e a presto ;D


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Capitolo 7
*** 6. Il peso del comando ***


6. Il peso del comando

Erano passate solo poche ore dall’attacco dei predoni, eppure il villaggio era praticamente già tornato alla normalità. Solo alcuni orchi avevano dovuto lasciare i loro lavori abituali per riparare le capanne danneggiate dal fuoco.

Havard aveva finito di dare disposizioni per la costruzione del molo e si stava preparando per partire. Si era procurato una doppia sella per il suo drago di foresta, aveva radunato gli ordogue e aveva scelto alcuni guerrieri che lo avrebbero seguito in quella missione.

«Ehi, sei proprio sicuro che non ti serve il mio aiuto?» gli chiese Morzû. «Sono il guerriero più forte del villaggio, e sono il primo a volermi vendicare di quei vermi schifosi.»

«Proprio perché sei il più forte, voglio che resti qui» ribadì il pallido. «Non penso avremo altre seccature oggi, ma preferisco non correre rischi inutili.»

Il verde emise un grugnito di disappunto.

Il figlio di Hel salì in groppa al suo drago. «Avanti, muoviamoci! Dobbiamo essere di ritorno prima del tramonto!»

I pochi guerrieri che erano con lui sollevarono le mazze e gli ordogue lanciarono i loro tipici versi gutturali.

Havard diede un ordine mentale al suo destriero e il giovane rettile si alzò in volo, indicando la strada a tutti gli altri. Dall’alto aveva una visione privilegiata, ma anche senza quel vantaggio non sarebbe stato difficile individuare il campo dei predoni: sapevano da che parte erano fuggiti e nel giro di venti minuti riconobbero la colonna di fumo che segnalava la loro presenza.

Man mano che si avvicinavano, il pallido riuscì a valutare con sempre maggiore precisione le dimensioni del campo. Doveva contare circa settanta persone, includendo anche gli anziani, le donne e i bambini. Lui aveva appena sette guerrieri, ma non sarebbe stato un problema.

Havard ordinò al suo drago di scendere di quota e l’animale planò dolcemente, atterrando a meno di cento metri dal campo. I predoni li stavano già attendendo sui loro monoceratopi, gli archi pronti.

Il pallido scese dalla sua cavalcatura e fece qualche passo avanti. Ora che poteva osservarli più con calma, notò che alcuni cavalieri avevano dei tratti insoliti: uno aveva delle punte ossee su spalle e avambracci, e un paio sfoggiavano una robusta coda che terminava con una fiamma. Di sicuro alcuni di loro erano demoni o mezzidemoni, ma ciò che li accumunava di più era il fisico asciutto.

«Sono Havard, figlio di Hel» si presentò. «Sono venuto per portare prosperità e…»

Creò una barriera magica per bloccare una freccia. Subito individuò il predone che lo aveva attaccato. Allungò il braccio verso di lui e strinse le dita. Il responsabile smise di respirare e cominciò a tremare.

«Vi chiederei la cortesia di farmi parlare» affermò il pallido in un tono che non ammetteva repliche.

La sua vittima si piegò di lato e cadde a terra. Solo allora Havard lasciò la presa, permettendo alla sua anima di ricongiungersi al corpo.

«Non sono qui per combattere. Voglio costruire un nuovo regno, un regno basato sul progresso, dove tutti possono ambire a un futuro migliore. E per farlo, ho bisogno anche del vostro aiuto. Unitevi a me, e il vostro impegno e i vostri talenti saranno generosamente ricompensati.»

«La nostra lealtà è solo a noi stessi!» ribatté quello che doveva essere il capo, un arciere dalla pelle rossa. Le sue zanne non erano particolarmente pronunciate, in compenso aveva delle corna che spuntavano dalla fronte: sicuramente si trattava di un oni, una razza di orchi che abitava prevalentemente le zone più a est, vicino ai territori degli insettoidi. «Non ci siamo piegati al Clero, e di certo non ci piegheremo a uno come te!»

«Non vi sto chiedendo di piegarvi» precisò il figlio di Hel. «Al contrario: voglio che diventiate la versione migliore di voi stessi. So che per voi non c’è niente di più importante della famiglia, ed è proprio per loro che dovreste seguirmi: se dovesse succedervi qualcosa mentre combattete al mio fianco, vi assicuro che non li abbandonerò. Se invece combattete contro di me, non ci sarà futuro per nessuno di voi.»

«Avrai anche un drago e qualche incantesimo, ma non ci fai paura!» ribatté l’oni. «Meglio morti che schiavi!»

I suoi compagni sollevarono gli archi e lanciarono un grido a sostegno delle sue parole.

Havard batté a terra il suo bastone d’ossa, emanando un’onda di energia che spezzò il loro morale.

«Pensateci bene, perché se non vi unite a me, sarete miei nemici. E non tollererò la presenza di predoni nel mio regno.»

L’oni digrignò i denti.

«Avete visto cos’è successo questa mattina: avete attaccato il mio villaggio, ma sono bastati pochi guerrieri per respingervi. Tutti i miei villaggi sapranno scacciarvi allo stesso modo, e, ve lo assicuro, presto o tardi tutti i villaggi saranno miei. In più avrò altre tribù pronte a darvi la caccia.»

Il capo nemico serrò i pugni, chiaramente infastidito da quelle parole. Ma non sapeva come ribattere.

«Non vi chiedo di decidere subito, ma fatelo. Sarò sempre pronto ad accogliervi se deciderete di seguirmi, ma se attaccate qualcuno dei miei, non avrò pietà. Dicevate che è meglio essere morti che schiavi. Io vi chiedo: preferite essere cacciatori o prede?»

 Havard li osservò a uno a uno per alcuni lunghi secondi, poi tornò in sella al suo drago. Non c’era bisogno di aggiungere altro.

«Andiamo.»

Il rettile spiccò il volo e i guerrieri di Bakhmiŝ – seppure un po’ confusi – si accodarono a lui insieme agli ordogue.

I predoni li tennero d’occhio per un po’, dopodiché tornarono al loro campo, forse per discutere su quanto detto dal figlio di Hel.

Appena arrivati a Bakhmiŝ, alcuni dei guerrieri presenti si avvicinarono al pallido per chiedergli spiegazioni.

«Li lasciamo andare così?»

«Non dovevano unirsi a noi?»

«È troppo pericoloso lasciarli liberi!»

Attirato dal trambusto, anche Morzû volle inserirsi nella discussione.

«Allora, li avete uccisi?»

«No, li ha lasciati andare» riferì uno dei guerrieri.

«Come?! Perché?!»

«Rilassatevi, fa tutto parte del piano» ribatté Havard, fermo e risoluto come sempre. «Sono una tribù nomade, non avrebbero mai accettato così all’improvviso di unirsi al mio regno. Dobbiamo dargli del tempo per discutere e prendere una decisione.»

«E poi?» volle sapere il capovillaggio. «E se rifiutano?»

«Alcuni di loro erano pronti ad ascoltare ciò che avevo da dire, altri no. Se sono interessati, entro domani sera manderanno qualcuno per dettare le loro condizioni. In caso contrario non li rivedremo per un bel pezzo.»

«Avevi detto che li avresti uccisi in caso di rifiuto!» sottolineò Morzû, deluso da quel cambio di atteggiamento.

«Solo nel caso ci avessero dato problemi. Fintanto che stanno alla larga da noi, sarebbe solo tempo sprecato cercare di inseguirli.»

Il verde grugnì. La sua indole da guerriero lo portava a desiderare lo scontro a viso aperto con tutti i suoi nemici, ma non poteva negare che sarebbe stato molto dispendioso dare la caccia a dei predoni.

Havard aveva già dato disposizione alle sentinelle di avvisarlo nel caso in cui degli stranieri raggiungessero villaggio, ma quando il sole scomparve oltre l’orizzonte, nessun predone si era ancora fatto vivo. Non che questo potesse stupire il figlio di Hel.

Il giorno seguente la pazienza del pallido venne ricompensata e i predoni apparvero in lontananza. Non c’erano solo i guerrieri: la tribù aveva smontato il campo e ora si stava avvicinando al villaggio di Bakhmiŝ. I locali non erano contenti di questo – i predoni erano pur sempre predoni – ma Havard era pronto a gestire la situazione in prima persona.

Il figlio di Hel si diresse verso i nuovi arrivati insieme a Morzû e a un manipolo di altri guerrieri. Subito alcuni predoni andarono loro incontro, guidati dall’oni del giorno prima.

«Mi fa piacere rivedervi» li accolse il pallido. «Immagino abbiate riflettuto sulla mia proposta.»

Il capotribù annuì. «Abbiamo discusso a lungo, sì, e come ho detto ieri, quello che ci chiedi va contro le nostre tradizioni.» Serrò i pugni. «Purtroppo però non posso negare che le cose non vanno più come un tempo. I guerrieri del Clero sono sempre più potenti, e devo pensare al bene della mia gente.»

Havard lo fissò con intensità. «Devo dedurre che siete pronti a cavalcare per me? Che siete pronti ad abbracciare il progresso e lasciarvi alle spalle le razzie?»

«Abbiamo delle condizioni» precisò l’oni. «Primo: non smetteremo di essere nomadi, e vogliamo essere liberi di scegliere quando e dove spostarci. Secondo: dovrete procurarci quello che ci serve e che non possiamo produrre noi stessi.»

«E dovremmo darvelo noi?!» imprecò Morzû, furioso per quell’ultima richiesta. «Quale sarebbe la differenza dalle razzie?!»

«Come potete prometterci il progresso se non siete disposti a darci quello di cui abbiamo bisogno per sopravvivere?» sottolineò il predone, chiaramente infastidito dalla veemenza del verde.

«Non intendo pagare tributi a questi ladri e bugiardi!» sentenziò il capovillaggio rivolto ad Havard.

Il figlio di Hel batté il bastone sul terreno.

«Far parte di un regno vuol dire collaborare per costruire un futuro migliore. Non potete limitarvi a chiedere: dovete anche offrire qualcosa in cambio. Io vi offro il progresso, e in cambio chiedo la vostra lealtà. Morzû, voi riceverete nuove risorse da altri villaggi, ma in cambio dovete offrire quelle che siete in grado di produrre. E voi nomadi, avrete ciò che vi serve per vivere senza bisogno di rubare, ma in cambio dovrete trasportare merci tra i centri abitati.»

Guardò i due capi con intensità.

«Gli dei e il Clero ci hanno abituato a un mondo immobile, dove ognuno pensa solo a sé stesso o al massimo alla sua comunità. Io vi offro la possibilità di vivere meglio dei vostri padri, e per i vostri figli di vivere meglio di voi. Ma il progresso non è qualcosa che potete ottenere da soli: dovete collaborare se volete raggiungere dei risultati! Lavorate per gli altri, e gli altri lavoreranno per voi.»

Di nuovo rimase in silenzio un momento per lasciare che le sue parole facessero presa sui presenti.

«Guiderò il mondo verso una nuova era di prosperità e progresso. Voi siete entrambi ottimi leader, per questo vorrei il vostro aiuto per realizzarla. Ma se non vi interessa, troverò qualcun altro disposto a seguirmi. E, se necessario, anche a guidare le vostre comunità.»

Morzû e l’oni si scambiarono occhiatacce piene di disprezzo e diffidenza.

«Non pagheremo tributi a questi ladri» ribadì il verde.

«E noi non rinunceremo alla nostra libertà per servire questa feccia» rilanciò il rosso.

Il pallido serrò la presa sul suo bastone. Sapeva che sarebbe stato difficile costruire il suo regno, per questo si sforzò di placare la rabbia mentre si apprestava a prendere la sua decisione: era meglio rinunciare a una delle due fazioni o costringerle a collaborare? O forse doveva liberarsi dei due leader per nominare qualcuno più malleabile?

Una cosa era certa: presto o tardi avrebbe dovuto convivere con le conseguenze di quella scelta.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Per il primo capitolo dell’anno nuovo, vediamo Havard deciso ad annettere i predoni al suo regno. Di certo le capacità dei nomadi gli farebbero comodo, ma ovviamente questo non va a genio a Morzû.

Far convivere due gruppi così diversi e in disaccordo potrebbe rivelarsi molto problematico, ma il pallido non è uno che si tira indietro. Del resto se il tuo obiettivo è creare un regno dal nulla, mettere d’accordo qualche centinaio di persone è solo un riscaldamento.

Grazie a tutti per aver letto e a presto ^.^


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Capitolo 8
*** 7. Lealtà ***


7. Lealtà

«Non pagheremo tributi a questi ladri» dichiarò Morzû.

«E noi non rinunceremo alla nostra libertà per servire questa feccia» ribatté l’oni.

Havard sapeva che sarebbe stato inutile arrabbiarsi per la testardaggine dei due orchi, ma non poteva nemmeno starsene a guardare: i due leader non sarebbero mai riusciti ad accordarsi senza il suo intervento.

«Silenzio! Farete come ho deciso, sono stato chiaro? Se non lo farete, troverò qualcun altro che prenda il vostro posto.» Il figlio di Hel era il più basso dei tre, ma sapeva bene come far valere la sua autorità. «Come ho già detto, vi ritengo dei buoni leader, ma sappiate che nessuno è intoccabile nel mio regno: tutti sono importanti, ma nessuno è fondamentale.»

«Nessuno a parte te, immagino» obiettò il capo dei nomadi.

La presenza di Havard divenne, se possibile, ancora più imponente. «Sono il nuovo dio della morte. Sono superiore a tutti voi. Ma nemmeno io posso realizzare il mio sogno da solo. Non posso creare un mondo migliore per tutti, se il mondo non mi segue.»

I due leader rimasero un momento in silenzio.

«Ma come possiamo fidarci di questi predoni?» volle sapere Morzû. «Come possiamo essere sicuri che faranno la loro parte e che non ci tradiranno alla prima occasione?»

«Vale lo stesso per voi» sottolineò il nomade.

Questa volta fu Havard ad aspettare un momento prima di parlare. Annuì.

«Capisco il vostro scetticismo: siete stati nemici dai tempi dei vostri antenati. Ma dovete capire che adesso le cose sono cambiate: non siete più due tribù in competizione; siete tutti parte dello stesso regno. Il mio regno. E vi assicuro che chiunque mi tradisca verrà trattato al pari dei miei nemici, se non peggio. Sono il nuovo dio della morte e presto o tardi tutto il mondo sarò sotto il mio dominio: nessuno sfuggirà al mio giudizio.»

Questa volta i due leader non trovarono alcuna argomentazione per obiettare. Attualmente il dio della morte era Nergal, ma Havard era lì davanti a loro e sembrava davvero in grado di tenere fede alla sua parola.

«D’accordo» annuì Morzû. «Forniremo a questi predoni…»

«Nomadi» lo corresse il pallido.

«A questi nomadi ciò di cui hanno bisogno. Ma solo lo stretto necessario.»

«E noi cavalcheremo per te» affermò l’oni rivolto ad Havard. «Ma per te, non per loro.»

«Bene, siamo riusciti a trovare un accordo» dichiarò il figlio di Hel. «Ora possiamo metterci al lavoro.»

«Endo, siamo pronti?»

Il capo dei nomadi annuì. «Possiamo partire.»

Erano passati appena un paio di giorni dall’entrata della tribù nel regno di Havard, ma il figlio di Hel era impaziente di proseguire.

Il suo prossimo obiettivo era raggiungere il centro abitato di Ganshada, non molto distante da Bakhmiŝ, ma nettamente più grande e fiorente. La sua principale fonte di ricchezza erano le miniere di pietra e ferro: due elementi fondamentali per alimentare ulteriormente lo sviluppo del regno.

Per convincere gli abitanti a fidarsi di lui e iniziare una rotta commerciale, il pallido aveva deciso di portare con sé una dozzina di monoceratopi da usare come merce di scambio. Ovviamente gli allevatori non erano stati entusiasti di cedere il loro prezioso bestiame agli ex predoni – il cui punto di forza erano proprio gli attacchi su monoceratopi – ma il figlio di Hel era riuscito a convincere i più e a mettere a tacere il più testardo di loro. In ogni caso lo stesso Havard avrebbe partecipato alla spedizione, quindi poteva garantire in prima persona che i nomadi non sarebbero fuggiti con gli animali.

Il figlio di Hel salì in groppa al suo drago e ordinò al branco di ordogue di mettersi in marcia insieme alla tribù. Questa volta Nambera non sarebbe venuta con lui: il suo compito era di restare a Bakhmiŝ e assicurarsi che tutto procedesse per il meglio fino al suo ritorno.

Ci vollero pochi giorni di viaggio per raggiungere Ganshada, situato a nord di Bakhmiŝ e in un’area più montuosa. Al contrario di Bakhmiŝ, le miniere di pietra avevano permesso agli abitanti di costruire delle vere e proprie mura, abbastanza alte da proteggerli dalla maggior parte dei banditi.

“Non sarà facile entrare lì con la forza” lo aveva ammonito Endo prima della partenza.

Ma Havard non si era scomposto: “Non ci sarà bisogno di combattere, saranno loro ad aprirci le porte.”

E se anche il figlio di Hel si fosse sbagliato, nessuna muraglia sarebbe stata abbastanza alta da fermare il suo giovane drago.

Gli abitanti di Ganshada li videro arrivare da lontano e le campane d’allarme si sollevarono dalla piccola e industriosa cittadina. Quando i guerrieri nomadi raggiunsero le mura, gli abitanti si erano già barricati dentro.

Il pallido atterrò davanti al portone principale con il suo drago, attirando su di sé l’attenzione dei difensori.

«Sono Havard, figlio di Hel e nuovo dio della morte» si presentò. «Sono venuto per portare prosperità e progresso. Unitevi al mio regno, e diventerete una città ancora più ricca e fiorente!»

«Taci, eretico!» gli gridò qualcuno dalle mura. «Nergal è l’unico vero dio della morte!»

«Nergal è solo un rimpiazzo inadeguato di mia madre!» ribatté il pallido. «Gli altri dei l’hanno messo lì per i loro stupidi giochi di potere!»

«Non accetterò altre bestemmie da te, eretico!» gridò un altro. Al contrario degli altri guerrieri, indossava un’armatura a pezzi di ferro, quindi forse era il loro capo. «Uccidetelo! E uccidete anche quei predoni!»

Il portone cominciò lentamente ad aprirsi ed Endo ne approfittò per affiancarsi al pallido.

«Fai allontanare i guerrieri» gli ordinò il figlio di Hel. «Io mi occupo di loro, voi pensate a difendervi.»

L’oni annuì e tornò dai suoi per riferire gli ordini. Il resto della tribù era a distanza di sicurezza, quindi gli abitanti di Ganshada non sarebbero arrivati fino a loro in ogni caso. Con Havard rimasero solo gli ordogue e il drago, che ringhiarono e ruggirono contro i nemici alla carica.

Gli orchi erano quasi tutti a piedi, ma ce n’era anche una manciata a cavallo di monoceratopi: Havard doveva occuparsi innanzitutto di questi ultimi.

Puntò il suo bastone e scatenò una raffica di incantesimi di ghiaccio. I bersagli colpiti vennero coperti di cristalli diafani e i loro movimenti rallentarono significativamente. Havard avrebbe potuto fare di peggio, ma non intendeva uccidere i suoi futuri guerrieri.

Nel frattempo dal portone principale continuavano a uscire orchi armati, tanto che ormai ce n’erano più di un centinaio. Il figlio di Hel era sicuro dei suoi mezzi, ma non poteva abbassare la guardia.

Scatenò un’onda di magia con cui sbaragliò la prima linea nemica, scaraventandola a terra con violenza. Il suo drago sputò una vampata e gli ordogue si misero in formazione compatta, mostrando le zanne aguzze. Questo bastò a rallentare per un attimo l’assalto e diede ad Havard il tempo di individuare il leader nemico: la sua armatura lo rendeva facilmente riconoscibile, inoltre cavalcava un monoceratopo particolarmente robusto che lo faceva risaltare rispetto a tutti gli altri guerrieri.

Senza pensarci due volte il figlio di Hel saltò in groppa al suo drago e gli diede l’ordine di scattare. L’animale si tuffò in avanti, sbaragliando i nemici grazie alla sua mole e agli incantesimi del suo cavaliere.

Con una spazzata di coda lanciò via una mezza dozzina di orchi e finalmente Havard si trovò faccia a faccia con il capo dei difensori. Lanciò un incantesimo di ghiaccio e l’impatto disarcionò il robusto orco.

Il figlio di Hel scese dal suo drago e avanzò verso il nemico. Gli altri orchi rimasero in attesa: in parte intimoriti dalla forza del pallido, in parte dal drago, e in parte decisi a concedergli il duello con il loro capo.

Il capo dei guerrieri di Ganshada si rialzò e strinse la presa sul suo spadone di ferro. Era grosso almeno quanto Morzû, forse di più, e la sua pelle verde scuro aveva una tonalità che lo avvicinava al blu.

«Mi vuoi sfidare, pallido?»

«Solo se rifiuti di seguirmi.»

«Allora preparati a morire!»

Il verde sollevò lo spadone e abbatté un tondo rapidissimo. Havard, sorpreso dalla rapidità, dovette sbrigarsi a creare una barriera.

Tese la mano verso di lui, deciso ad afferrargli l’anima, ma il guerriero stava già attaccando di nuovo. Il figlio di Hel dovette saltare all’indietro, e solo grazie alla magia riuscì a guadagnare una distanza sufficiente.

«Dicevi di essere un dio» gli rammentò il guerriero. «A me sembri solo un codardo!»

Di nuovo il pallido provò ad afferragli l’anima, ma di nuovo il suo avversario si dimostrò estremamente rapido. Con ogni probabilità era la benedizione di un dio a renderlo così veloce.

Il figlio di Hel indietreggiò ancora, e le urla intorno a lui crebbero di intensità: si stava dimostrando debole. Non poteva permetterlo!

Lanciò un altro incantesimo e il guerriero venne preso in pieno. La sua armatura cominciò a corrodersi e la sua carne a putrefarsi.

Il verde urlò di dolore e sorpresa. «Cosa mi hai fatto?! Cosa stai facendo?!»

Sollevò lo spadone, ma Havard colpì anch’esso con la sua magia. L’arma, tutta arrugginita, impattò sullo scudo del pallido e si spezzò in due.

Il guerriero, incredulo, osservò ciò che restava della sua arma. Questo diede al figlio di Hel il tempo di fare la sua mossa: allungò la mano e gli afferrò l’anima, tirandola a sé come aveva fatto in passato.

Il possente guerriero cadde in ginocchio, completamente alla sua mercé.

«Questo è il mio potere!» sentenziò Havard nell’improvviso silenzio. «Il potere del figlio di Hel!»

Un grido si sollevò dalla folla intorno a lui: «Non tradiremo mai gli dei!»

I guerrieri risposero in coro e alcuni di loro impugnarono delle bacchette. Havard ebbe appena il tempo di accorgersene che una raffica di incantesimi lo investì da ogni direzione.


Note dell’autore

Ehilà!

Havard è riuscito a convincere Morzû ed Endo a collaborare, anche se forse è più corretto dire che entrambi hanno accettato di servire il pallido ^.^"

Ora che può contare sull’aiuto dei nomadi, il figlio di Hel si è diretto verso una piccola città per assicurarsi delle riserve di pietra e ferro. Ma ovviamente gli abitanti non hanno apprezzato le sue richieste, e Havard è dovuto passare alle maniere forti. Da notare che il pallido ha deciso di affrontarli da solo, tenendo con sé solo gli ordogue e il drago: di certo non intende mettere in pericolo i nomadi, proprio ora che li ha convinti a schierarsi dalla sua parte.

Riuscirà il figlio di Hel a fronteggiare tutti i nemici da solo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo ;D

A presto ^.^


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Capitolo 9
*** 8. Risolutezza ***


8. Risolutezza

«Il vostro è davvero un obiettivo molto nobile, ma cosa farete quando troverete qualcuno che non è d’accordo con voi?» gli chiese Nambera.

«Lo convincerò che ho ragione» rispose Havard, ancora adolescente.

«E se non vorrà ascoltarvi?»

«In quel caso dovrò costringerlo.»

«Ad ascoltarvi o a darvi ragione?»

«Entrambe le cose.»

Nambera annuì. «Scusatemi se insisto, ma devo chiedervelo: lo farete pur sapendo che questo vi renderà suo nemico? Che ai suoi occhi apparirete come un dittatore?»

Il giovane orco si prese un attimo per ragionare. «Il mio obiettivo è creare un mondo migliore per tutti, non intendo fermarmi se una minoranza non è d’accordo.»

«E se fosse la maggioranza a esservi contraria?» insistette l’anziana.

Havard rifletté su quell’ultima obiezione. «Allora dovrò sconfiggerli tutti e costringerli a seguirmi. Solo così capiranno che ho ragione.»

Havard riuscì a intuire appena in tempo le intenzioni dei suoi avversari ed evocò una barriera intorno a sé. Gli incantesimi degli orchi arrivarono da ogni direzione, ma la sua difesa resse; per quanto fossero numerosi i suoi nemici, restavano pur sempre dei comuni mortali, lui invece era un dio: non sarebbero mai riusciti a sconfiggerlo.

Appena l’offensiva si affievolì, il pallido passò al contrattacco: batté a terra il suo bastone e un’onda gelida esplose in ogni direzione, investendo i guerrieri e facendoli cadere a terra. Uno strato di brina si allargò sui loro corpi muscolosi, rallentandone i movimenti e fiaccandone la determinazione.

Alcuni erano riusciti a resistere o a ripararsi in qualche modo, ma il figlio di Hel non intendeva concedere loro alcuna tregua: puntò il suo bastone contro di loro, scatenando la magia di putrefazione. Per quanto fossero forti e resistenti i suoi nemici, nessuno sarebbe riuscito a difendersi dalla necrosi.

Udì un ruggito e vide il suo drago che si scrollava di dosso lo strato di brina. Anche lui, come gli ordogue, era stato investito dalla magia del pallido, ma per fortuna sembrava stare bene.

«Scusa, amico mio.»

Il drago spalancò le fauci e sputò un getto di fiamme contro un gruppo di orchi pronti ad attaccare.

Alcuni ordogue erano già stati uccisi e gli altri erano ancora storditi dal gelo, ma per fortuna la sua cavalcatura era in grado di combattere.

Havard individuò un altro orco armato di bacchetta e lo finì prima che questi potesse attaccare. Allo stesso tempo, il suo drago incenerì un manipolo di guerrieri pronti ad aggredirlo con le loro armi da mischia.

Ormai aveva ucciso almeno la metà dei difensori, quindi i sopravvissuti cominciarono a esitare. Sapevano di dover lottare, ma quella più che una battaglia sembrava un massacro.

«È inutile continuare a combattere!» affermò Havard. «Potete morire qui e adesso, o potete condurmi dal vostro capo!»

I difensori erano incerti. Si guardavano a vicenda, ma nessuno riusciva a prendere una decisione: il capo dei guerrieri era a terra, e nessuno voleva assumersi la responsabilità di farlo entrare in città.

Il figlio di Hel era ben conscio di questo, così fece la sua mossa.

«Tu!» chiamò rivolgendosi a uno dei guerrieri. «Portami immediatamente dal governante di Ganshada!»

Il giovane orco, trovandosi improvvisamente al centro dell’attenzione, rimase un attimo pietrificato. Si guardò intorno, ma neanche i suoi compagni sapevano cosa fare.

Havard si avvicinò con passo deciso alla sua “vittima”, seguito a poca distanza dal suo giovane drago.

«Ho detto immediatamente

Il figlio di Hel lasciò fluire la sua aura, aumentando ulteriormente il timore che riusciva a infondere nel giovane orco.

«Da… da questa parte» gemette il malcapitato, dirigendosi con passo incerto verso il portone ancora aperto.

Gli altri orchi si fecero da parte al loro passaggio: in parte per via dell’aura che Havard riusciva a emanare, e in parte per non essere schiacciati dal drago che lo seguiva.

Il pallido non aveva bisogno di girarsi per sapere che gli altri guerrieri erano tutti dietro di lui, pronti ad attaccarlo, ma privi della volontà necessaria per farlo.

Una volta raggiunto l’ingresso della città, Havard fece segno al suo giovane drago di aspettare: per quanto apprezzasse la sua lealtà, le strade interne erano troppo strette e affollate per un animale della sua stazza.

Il rettile chinò il muso, dispiaciuto, poi però lo risollevò con fierezza e lanciò uno sguardo minaccioso ai guerrieri.

Superate le mura, Havard si guardò intorno. L’arrivo degli intrusi aveva sicuramente fatto scattare l’allarme, ma non tutti si erano rifugiati in casa: diversi mercanti erano rimasti all’esterno e, armati di bastoni o altre armi di fortuna, erano decisi a proteggere le loro ricche bancarelle.

In ogni caso ormai quasi tutti si erano accorti che lo scontro erano finito, infatti numerosi volti facevano capolino ai cigli delle strade o affacciati a porte e finestre. Il figlio di Hel riconobbe numerosi chierici devoti a divinità diverse, così come esponenti di altre specie: goblin, demoni, un paio di troll e perfino alcuni sauriani, probabilmente mercanti venuti da occidente.

In un’ampia strada laterale notò anche un mercato degli schiavi, con tanto di prigionieri ancora legati e in attesa di essere venduti.

L’edificio dove risiedeva il governante si trovava al centro della città, situato in una posizione sopraelevata di grande prestigio, da dove era possibile osservare tutto all’interno delle mura, e probabilmente anche le miniere all’esterno.

Man mano che si avvicinava, Havard cominciò ad avvertire una sgradevole sensazione: gli ricordava quella avvertita in presenza dello spirito del padre di Morzû, ma era più flebile e più intensa al tempo stesso. Aveva un brutto presentimento, ma per il momento doveva restare concentrato: aveva troppi sguardi addosso per rischiare di dimostrarsi indeciso.

Raggiunto l’edificio del capo della città – costruito in solida pietra –, Havard riconobbe subito che si trattava di una canonica. Non che questo potesse stupirlo: nei centri abitati più grandi era molto comune che il capo religioso fosse anche il capo politico.

«Che stai aspettando?» chiese notando l’esitazione della sua guida.

«Devo prima chiedere al priore se desidera riceverti» provò a obiettare il giovane orco, ma l’occhiataccia del figlio di Hel bastò a fargli cambiare idea. «Da… Da questa parte.»

 Insieme entrarono nella casa dei chierici, salirono alcune rampe di scale e finalmente furono a destinazione.

Arrivati davanti all’ufficio del priore, i due si fermarono. Dall’interno provenivano le voci di due persone: sembravano preoccupati per qualcosa, ma Havard non intendeva stare a origliare.

«Bussa» ordinò. Non voleva perdere tempo, ma non intendeva nemmeno dimostrarsi eccessivamente sgarbato con il suo potenziale suddito.

Al sentire i colpi sulla porta, le voci all’interno si fermarono.

«Avanti.»

Il guerriero aprì la porta e lasciò passare il pallido, che entrò con passo deciso e portamento fiero.

Il priore era un orco abbastanza anziano e decisamente in sovrappeso. La sua toga sacerdotale riportava delle decorazioni con i colori dell’arcobaleno, quindi doveva essere devoto a Mbaba Mwana Waresa[7]. Portava anche diversi monili luccicanti, come a ostentare il suo potere e la sua ricchezza.

Insieme a lui c’era un altro chierico decisamente più giovane, probabilmente un sacerdote di Nergal a giudicare dal pendente a forma di testa di leone.

«Padre, quest’uomo dice di essere il figlio di Hel. Desidera parlarle.»

«Il figlio di Hel?!» esclamò il sacerdote più giovane. «Non dire assurdità!»

«Posso dimostrartelo anche subito» lo ammonì Havard. «Sei un sacerdote di Nergal, giusto? Non credere di essere immune ai miei poteri.»

«Hel ci ha abbandonato!» esclamò il chierico. «Ha tradito i suoi doveri e se n’è andata! Se non fosse stato per Nergal, l’equilibrio tra il mondo dei vivi e quello dei morti sarebbe andato in pezzi! E tu affermi di essere il figlio di quella traditrice?!»

«Tu non sai di cosa parli!» ribatté Havard, faticando a controllare la sua rabbia. «Mia madre è stata uccisa! Gli dei hanno lasciato che accadesse per i loro stupidi giochi di potere!»

«Gli dei non possono venire uccisi! Sono dei, idiota!»

Il pallido allungò il braccio e gli afferrò l’anima. «Nemmeno gli dei sono invincibili! Esistono armi in grado di uccidere perfino esseri immortali. Ma sei troppo ignorante per saperlo, o troppo cieco per ammetterlo.»

Il sacerdote cadde in ginocchio, in bilico tra la vita e la morte, del tutto impotente.

Dopo alcuni interminabili istanti, il figlio di Hel lasciò la presa sull’anima del chierico, appena prima di strapparla dal corpo.

«Tu sei abbastanza vecchio da aver vissuto quei giorni» affermò Havard in direzione del priore. «Hai qualcosa da dire, o sei anche tu troppo accecato dalla dottrina?»

L’anziano orco rimase in silenzio per un momento, incerto. «È vero, ho sentito delle… voci. Quello di vent’anni fa è stato un periodo… tumultuoso. I civili non lo sanno, ma non posso nascondere che ci siano stati alcuni… screzi tra gli dei. Screzi che hanno portato alla Nuova Dottrina.»

Il sacerdote di Nergal era senza parole. «Padre, non può dire sul serio…»

«Non voglio mettere in dubbio la vostra fede, ma gli dei non sono gli esseri perfetti che credete. E mia madre non vi ha tradito! Ma in ogni caso non sono qui per parlare di teologia. Sono qui per discutere di affari.» Lanciò un’occhiata al chierico più giovane, per poi concentrarsi sul priore. «Sto creando un mio regno basato sul progresso dove tutti possono ambire a una vita di prosperità. Un regno dove non sarete vincolati alle tradizioni, ma dove potrete fare tutto ciò che ritenete giusto per migliorare la vostra vita e quella degli altri. E voglio che Ganshada ne faccia parte.»

Il priore parve interessato da quelle ultime parole. Incrociò le dita piene di anelli, scrutandolo con occhio attento. «Un tuo regno, eh? Anche se dici di non voler parlare di teologia, pensi che gli dei approveranno?»

«Non mi serve la loro approvazione.»

Il sacerdote di Nergal fece un passo avanti, indignato. «Come osi?!»

«Sono io stesso un dio» sottolineò Havard. «Perché dovrei chiedere il loro permesso per migliorare il mondo?»

Il giovane chierico era in difficoltà. «Tu… Tu non puoi…»

«Tarèk» lo zittì il priore. «Lasciaci. Voglio discutere in privato con il nostro ospite.»

Il sacerdote non poté che annuire. «Come desidera, Padre.» Lanciò un’occhiataccia al pallido e lasciò la stanza insieme al giovane guerriero.

«Riformulo la mia precedente domanda: cosa farai quando gli dei manderanno i loro inquisitori?»

«Per allora saremo pronti. E nessun inquisitore è forte quanto un dio. Quanto me

Il priore però non era impressionato dalla sua risolutezza. «Non metto in dubbio la tua forza, ma non puoi proteggere un intero regno tutto da solo.»

«Per questo mi servono le vostre miniere. Per costruire mura e armare un esercito.»

Questa volta il priore non riuscì a nascondere il proprio stupore. «Tu vuoi davvero combattere gli dei?»

«Farò tutto il necessario per costruire un mondo migliore. Incluso uccidere quei bugiardi egoisti. Incluso scatenare una guerra come questo mondo non ne ha mai viste.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Che dire, Havard non è uno che va tanto per il sottile, ma questo l’avevate già intuito XD

Un elemento nuovo invece riguarda il passato di Raémia, e in particolare il priore ha confermato che ci sono stati degli “screzi” fra gli dei e che questo ha portato a cambiare la dottrina. Già sapevamo che Hel non è più venerata, ma ora appuriamo che il Clero la considera addirittura una traditrice.

Vi anticipo che nel prossimo capitolo scopriremo la causa della sgradevole sensazione avvertita da Havard entrando a Ganshada (ma non solo ;D).

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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[7] Dea zulu della fertilità, dell’agricoltura e degli arcobaleni.

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Capitolo 10
*** 9. La miniera ***


9. La miniera

Il priore di Ganshada era chiaramente un uomo interessato più al profitto che alla fede. Havard aveva capito al primo sguardo che doveva puntare sulle prospettive di profitto per convincerlo a collaborare, ma l’anziano orco non era così avido da mettere a repentaglio la propria vita per denaro.

«Una guerra contro gli dei? Ti rendi conto di ciò di cui stai parlando, ragazzo? Moriranno a migliaia, decine di migliaia.» Dopo un attimo il priore realizzò una cosa: «Capisco: sei un dio della morte, quindi tutte quelle morti non faranno che aumentare il tuo potere.»

«Ti sbagli» ribatté Havard. «Più morti vuol dire solo più lavoro. Perfino quell’altro sacerdote dovrebbe saperlo, se sa come fare il suo lavoro.»

«Ma allora perché? Per vendetta? Perché hanno lasciato morire tua madre?»

«È così strano voler creare un mondo migliore per tutti? Voler combattere degli dei bugiardi che vi usano solo come fonte di preghiere? Voi vedete gli dei della morte solo come avidi di anime – e forse è così per Nergal – ma non è così che dovrebbe essere. La morte alimenta il cambiamento, il progresso, e in quanto dio della morte, è mio dovere giudicare le anime. Per come la vedo io, alimentare la giustizia e il progresso è il modo migliore per svolgere il mio compito.»

Il priore rimase in silenzio a riflettere.

«Ho visto che Ganshada è una città fiorente, e per questo non intendo deporti» affermò Havard. «Lavora per me, e grazie alle nuove rotte commerciali diventerai ancora più ricco. Ho portato con me dei monoceratopi, così da poter avviare i primi scambi. Ci saranno dei cambiamenti, ad esempio intendo abolire la schiavitù, ma per il resto avrai molta libertà di azione. Certo, dovrai comunque rendere conto a me di ciò che farai.»

«Abolire la schiavitù? Da quando?»

«Da subito.»

Il priore era scettico. «Molti non saranno d’accordo.»

«Questo non mi ha mai fermato. E se non intendono rinunciare ai loro schiavi, potrai arrestarli e sequestrare i loro beni. Dalli agli ex schiavi così che possano cominciare una nuova vita.»

L’anziano orco era sempre più pensieroso.

«Se aboliamo gli schiavi, ci saranno più cittadini che pagheranno le tasse» gli fece notare il figlio di Hel. «Un guadagno per tutti, non trovi?»

Il priore annuì tra sé.

«Se questo non ti andasse a genio, troverò qualcun altro disposto a prendere il tuo posto.»

Il chierico allargò le braccia. «Non mi lasci altra scelta, dunque.»

«Vedila più come una nuova opportunità» rilanciò Havard, che intendeva assicurarsi – per quanto possibile – la lealtà dell’avido governante. «Piuttosto: ho percepito qualcosa di strano provenire da nord. Dalle miniere.»

«Sì, c’è stato un… crollo di recente. Alcuni minatori sono rimasti schiacciati purtroppo. Abbiamo avuto qualche piccolo… contrattempo, ma niente di preoccupante. Presto saremo di nuovo al pieno della produzione.»

Havard intuì che il priore non gli stava raccontando tutta la verità, ma prima di affrontare il discorso, voleva saperne di più.

«Se le cose stanno come penso, non vi basterà qualche sacerdote di Nergal per risolvere la questione. Voglio andare immediatamente alla miniera.»

Il priore provò a ribattere, ma alla fine dovette capitolare.

«Avrò bisogno di qualcuno in grado di liberare l’ingresso e di almeno un paio di sacerdoti di Nergal» proseguì il figlio di Hel. «Non voglio rischiare che qualche spirito fugga dalla miniera e attacchi qualcuno.»

Una volta radunati tre sacerdoti, Havard si fece guidare verso le miniere. Si trovavano all’esterno della città ed era possibile raggiungerle usando un ingresso secondario, che per la verità era forse anche più grande del portone principale. Anche lì c’era un gran via vai, ma si trattava quasi esclusivamente di carri pieni di pietre trainati da monoceratopi.

C’era un gran baccano di martelli e picconi, e il pallido non aveva dubbi che la maggior parte dei lavoratori erano schiavi. Erano per lo più orchi – tra cui molti pallidi –, ma riconobbe alcuni goblin – utili per infilarsi nei cunicoli più stretti al pari dei bambini – e diversi troll – la cui notevole forza li rendeva estremamente utili per i lavori pesanti.

Le riflessioni del figlio di Hel erano però disturbate dalla sensazione sempre più opprimente di spiriti inferiori nei paraggi: il crollo doveva aver ucciso almeno una dozzina di minatori, forse di più.

Quando raggiunse la miniera in questione, la presenza dei fantasmi era così intensa che anche il chierico non devoto a Nergal riusciva a percepirla.

«Tu, preparati a liberare l’ingresso» ordinò il figlio di Hel. «Voi, state all’erta: non dobbiamo far fuggire gli spiriti inferiori.»

«Non c’è bisogno che tu ce lo dica» ribatté il giovane sacerdote già incontrato nello studio del priore.

Con l’aiuto di una bacchetta, il chierico devoto a Mbaba Mwana Waresa cominciò a spostare le macerie, ammassandole in alcune pile ai margini dell’ingresso. L’ingresso di per sé non era molto largo, ma ci volle del tempo per liberare il passaggio perché il crollo aveva interessato una porzione lunga almeno una decina di metri.

Una volta concluso il processo, Havard prese una torcia e cominciò a percorrere la stretta e buia miniera. La presenza degli spiriti inferiori era intensa, ma ancora non riusciva a individuarli con certezza: erano troppo numerosi.

Un suono metallico lo mise in allerta. Lasciò cadere la torcia e portò in avanti il bastone. Evocò una barriera e una sagoma affilata vi sbatté contro. Era il fantasma di un orco, ma il suo corpo asciutto si era deformato e ora presentava sporgenze aguzze che sembravano le punte di tanti picconi.

Lo spirito emise un verso acuto che sembrava quello del ferro strusciato su altro ferro. Colpì lo scudo a ripetizione con entrambe le braccia, ma Havard non si fece spaventare. Dissolse la barriera e scagliò una magia offensiva che sparò indietro il nemico. Evocò un incantesimo di ghiaccio e il corpo dello spirito si ricoprì di brina.

Lo spirito era sul punto di soccombere, e fu allora che gli altri si rivelarono. Una dozzina di fantasmi eruttò dalla profondità della miniera, gettandosi all’attacco in maniera disordinata. Havard li bloccò con la magia, ma uno riuscì a eludere la barriera e serpeggiò verso l’uscita.

«Sta arrivando!» gridò per allertare i sacerdoti di Nergal.

I chierici erano pronti e unirono le forze per afferrarlo con la loro magia.

Il devoto a Mbaba Mwana Waresa sobbalzò e si allontanò ulteriormente, terrorizzato dallo spirito urlante, il cui aspetto era solo vagamente riconducibile a quello di un goblin.

Havard sapeva di dover intervenire – non era sicuro che i chierici sarebbero stati in grado di tenere testa al fantasma – ma aveva altri problemi a cui pensare: uno degli spiriti caricò il pugno e frantumò la sua barriera. A giudicare dalla stazza, probabilmente in vita era stato un troll, e ora il suo corpo ingobbito riusciva a malapena a passare in quella stretta galleria.

Lo spirito raccolse una grossa pietra e la scagliò contro Havard, costringendolo a schivare di lato. In quello spazio ridotto il massiccio fantasma non sarebbe stato un avversario particolarmente ostico, ma la schiera di altri spiriti impediva al figlio di Hel di preparare una controffensiva adeguata.

Evocò un incantesimo di ghiaccio e creò un muro per bloccare completamente il passaggio. Grazie alla sua magia, i fantasmi non sarebbero riusciti ad attraversarlo senza prima distruggerlo, inoltre il fatto che non fossero ancora fuggiti gli faceva supporre che la morte per crollo li aveva resi incapaci di attraversare la terra. O forse quegli spiriti erano vincolati alla miniera stessa, ma non intendeva correre il rischio.

Si voltò verso l’uscita e tese la mano verso il fantasma del goblin tenuto a bada dai due chierici di Nergal. Subito lo spirito cominciò a venire risucchiato e, per quanto si aggrappasse alla terra, le sue dita artigliate non riuscivano a fare presa.

Havard strinse il pugno e inviò l’anima al regno infernale di sua madre, dove non avrebbe potuto nuocere a nessuno. Nel farlo riuscì ad avvertire alcuni dei ricordi del goblin: in essi traspariva tutta la sua rabbia, la frustrazione e il dolore per ciò che aveva patito in vita.

Proprio in quel momento gli altri fantasmi sfondarono la barriera di ghiaccio e si tuffarono di nuovo all’attacco.

Il figlio di Hel rispose con una raffica di incantesimi, ma i nemici erano ancora troppo numerosi. Uno gli sgusciò di lato, ma qualcosa lo rispedì indietro.

«Siamo sacerdoti di Nergal!» esclamò uno dei chierici. «È nostro dovere occuparci di questi spiriti!»

Havard si limitò ad annuire: un po’ di aiuto gli avrebbe fatto comodo.

I tre maghi unirono le forze per respingere i nemici e questo diede al pallido abbastanza tempo da evocare un altro e più potente incantesimo di ghiaccio. Con i nemici immobilizzati e controllati dai due sacerdoti, per Havard fu molto più semplice catturare le loro anime.

Essendo un dio della morte, per lui era naturale percepire la vera essenza di coloro che raggiungevano il suo regno infernale. Era questa abilità che gli consentiva di esprimere un giudizio. E proprio grazie a questa abilità riuscì a farsi un’idea piuttosto chiara di quello che era successo. Del perché si trovavano lì e del motivo per cui la miniera era crollata.

Una volta esorcizzato l’ultimo spirito, il pallido si concesse un momento per riprendere fiato. Non aveva mai affrontato tanti spiriti inferiori in una volta sola, e se non fosse stato per i due sacerdoti, non sarebbe riuscito a contenerli tutti.

«Vi ringrazio, mi siete stati d’aiuto.»

«Siamo sacerdoti di Nergal, siamo noi che ti ringraziamo per l’aiuto che ci hai dato» ribatté il chierico che aveva incontrato con il priore.

Il pallido annuì e si incamminò verso la città.

«Ehi, dove stai andando?»

«Devo andare dal priore. Voglio fargli delle domande, e in base alle sue risposte deciderò il suo destino.»

Il sacerdote era confuso. «Di cosa stai parlando?»

«Di dare una prova della mia giustizia.»


Note dell’autore

Ben ritrovati :)

In questo capitolo vediamo Havard dare ulteriore prova della sua forza, sia mentale nella discussione con il priore, sia magica nello scontro con gli spiriti inferiori.

La battaglia nella miniera si è risolta con la vittoria del pallido (e dei suoi alleati), ma Havard non sembra essere ancora soddisfatto. Ora non resta che capire cosa c’entra il priore in tutta questa faccenda e quali siano le reali intenzioni del figlio di Hel.

Grazie a tutti e a presto ^.^


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Capitolo 11
*** 10. La sentenza ***


10. La sentenza

Havard, ora nel pieno dell’adolescenza, stava fissando il fuoco. In mano aveva un delizioso pezzo di carne arrosto, ma dopo appena due morsi la sua mente era scivolata altrove. Sembrava quasi che le fiamme lo avessero ipnotizzato.

«Havard, state bene?» gli chiese Nambera, un po’ preoccupata.

Lui parve svegliarsi di colpo. «Sì, non è niente.»

Diede un altro morso alla coscia di roditore. La carne, normalmente fibrosa, era stata resa morbida dalla cottura perfetta, e il sapiente uso delle spezie riempiva il palato senza risultare invadente. Eppure nemmeno l’ottima cucina di Nambera sembrava in grado di scacciare le preoccupazioni del pallido.

«Ho letto la mente di quella guardia, nel villaggio» dichiarò il giovane.

La sua capacità telepatica non era ancora perfetta. Riusciva a comprendere le emozioni delle persone, poteva intuire cosa pensavano, ma aveva ancora qualche difficoltà a percepire i loro ricordi.

«Non provava piacere a frustare quello schiavo, ma sentiva che era la cosa giusta da fare. Era davvero convinto che fosse suo dovere punirlo in maniera esemplare per il suo tentativo di fuga, così che né lui né nessun altro provasse ancora a ribellarsi.» Guardò Nambera. «Come dovrei giudicare un’anima come la sua? Sono convinto che accanirsi così con un ragazzo che voleva la libertà è sbagliato, ma le intenzioni di quella guardia non erano malvage. Dovrei considerare anche questo e perdonarlo?»

«Questa è un’ottima domanda» riconobbe l’anziana orchessa. «Ma in tutta onestà temo di non avere una risposta. Siete voi che dovete stabilire la vostra idea di giustizia.»

«La mia idea di giustizia…» Havard continuò a osservare il moto imprevedibile delle fiamme. «Quella guardia stava seguendo le leggi e applicando la sua giustizia, ma questo non vuol dire che fosse nel giusto. D’altra parte, non posso nemmeno giudicare tutti in maniera arbitraria senza tenere conto della situazione in cui si trovano.» Scosse il capo. «Essere un dio della morte e giudicare le anime è più difficile di quanto pensassi. Ma sarà tutto più semplice quando il mondo sarà sotto il mio controllo. Il mio regno, le mie leggi, la mia giustizia. A quel punto nessuno avrà più scuse.»

Havard entrò nell’ufficio del priore con passo deciso, seguito a ruota dalle protese dei sacerdoti.

«Hai già risolto il problema nella miniera?» gli chiese l’anziano ecclesiastico, un po’ sorpreso.

«Ovviamente.» Lo sguardo del pallido era freddo e autorevole. «Ora però ho un altro problema da risolvere.»

Il priore non riuscì a nascondere una punta di timore. «Che tipo di problema?»

«Quello di nominare un nuovo governatore per questa città.»

«Ehi, cosa staresti insinuando?!» lo aggredì il sacerdote di Nergal.

L’anziano orco, che al sentire le parole del pallido aveva avuto un sussulto appena percepibile, si sforzò di mantenere la calma. Sollevò una mano per placare il suo sottoposto. «Spiegati meglio.»

«Sei in arresto per aver ordinato il crollo della miniera, così da sedare sul nascere la rivolta degli schiavi che si erano riuniti all’interno. Ovviamente tutti i tuoi complici ti seguiranno a breve.»

«Che prove hai per affermare tutto ciò?» gli chiese il priore cercando di ostentare sicurezza. «Non puoi… accusarmi senza delle prove.»

Havard gli si avvicinò con aria minacciosa. «La mia prova è la tua anima. Tu sai di essere colpevole.»

Il sacerdote di Nergal, che fino a quel momento si era sempre fidato ciecamente del priore, non poté non vedere il peccato negli occhi del capo della città.

«Questa… non è una prova valida. Il tribunale della città non-»

«Non ci sarà nessun tribunale» lo zittì il pallido. «Io sono il tribunale.»

Il priore si alzò. «Pensavo avessimo un accordo!» Sollevò un dito grassoccio e l’anello che portava luccicò. «Dicevi di voler far prosperare questa città! Non troverai nessuno in grado di governarla come me! Ho il supporto del Clero, dei mercanti, di tutti quanti!» Dopo quello scatto d’ira, ritrovò un po’ di calma. «Come pensi di convincere i proprietari degli schiavi senza il mio supporto? Se davvero tieni a questa città, devi lasciarmi al mio posto.»

Il figlio di Hel non si scompose. «Hai ragione: deporti mi causerà molti problemi. A me e a Ganshada. Ma non intendo perdonare il tuo crimine. Se lo facessi, presto o tardi causerebbe la rovina del mio regno.»

L’anziano sapeva di non poter vincere contro Havard, non in quella situazione almeno, così chinò il capo con rassegnazione.

«Vai a chiamare le guardie» ordinò il pallido al sacerdote di Nergal.

Il diretto interessato, per quanto fosse contrario alla presenza del figlio di Hel, fece come ordinato.

«Prima che mi portino via, lascia che ti faccia una domanda» affermò il priore. «Tu stesso hai ucciso degli uomini per poter entrare in città. E presto o tardi dovrai fronteggiare delle rivolte. Cosa farai allora?»

«Farò tutto il necessario per sedarle e ristabilire l’ordine.»

«Dunque ammetti che avresti agito come me! Tu e io siamo uguali.»

«No, non lo siamo. Tu agisci per avidità, io agisco per rendere il mondo un posto migliore.» Lo guardò con superiorità. «Ma soprattutto la Storia si ricorderà di me. E lo farà perché sarò io a scriverla.»

L’anziano orco soffiò con sufficienza dalle narici. Quando le guardie arrivarono, visibilmente sorprese, lasciò che lo legassero.

«Buona fortuna, figlio di Hel» disse prima di venire scortato nelle prigioni. «Ne avrai bisogno.»

Havard rimase in silenzio. Sapeva di aver rinunciato a un valido leader e di aver preparato il campo a una serie di potenziali rivolte, ma non se ne pentiva.

E in ogni caso la fortuna non gli sarebbe servita: lui solo sarebbe stato l’artefice del suo trionfo.

Erano passate quasi tre settimane dall’arresto del priore, e Havard era pronto a partire in groppa al suo drago. C’era voluto più tempo del previsto per prendere il controllo di Ganshada, ma ne era valsa la pena.

I parenti del capo ecclesiastico, una famiglia molto influente in città, aveva fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote, ma alla fine era riuscito ad avere la meglio su di loro. Con la diplomazia in alcuni casi, e in tutti gli altri con la forza.

L’altra fazione che aveva dovuto fronteggiare era quella dei proprietari di schiavi, ma loro si sarebbero opposti alle sue riforme in ogni caso. E come aveva detto al priore, era bastato arrestare e sequestrare i beni ai più ferventi fra loro per convincere tutti gli altri che un compromesso era la soluzione migliore.

Il denaro che aveva recuperato era stato destinato in parte agli schiavi, e in parte al miglioramento della città. Il suo messaggio era chiaro: ora che c’era lui, la prepotenza di pochi non sarebbe più stata tollerata, al contrario ci sarebbero state giustizia e nuove opportunità per tutti. Un messaggio che il popolo, e in particolare i mercanti, aveva cominciato ad apprezzare.

Proprio tra i mercanti aveva scelto il nuovo governatore. Si trattava di un orco benestante ma non eccessivamente ricco, nonché un astuto negoziatore e soprattutto un uomo lungimirante. Era stato tra i primi a capire l’utilità di migliorare le strade intorno a Ganshada: investire in quel modo la pietra delle cave avrebbe limitato le entrare in un primo periodo, ma avrebbe creato molti nuovi posti di lavoro e avrebbe favorito gli spostamenti – e dunque i commerci – nel prossimo futuro.

Ciò che invece aveva preoccupato il nuovo governatore era stata la richiesta di Havard di utilizzare parte del metallo per la produzione di nuove armi e armature.

«Dobbiamo prepararci alla guerra?» gli aveva chiesto.

«Degli scontri saranno inevitabili. Presto o tardi gli dei si sentiranno minacciati e faranno la loro mossa, quindi dobbiamo prepararci e modernizzarci. Se lo faremo, gli dei non avranno modo di fermarci e saranno costretti a trovare un accordo. È l’unico modo per evitare una guerra su vasta scala.»

Il mercante aveva annuito. Era evidente che la possibilità di scontrarsi con gli dei non gli piaceva, ma condivideva l’idea di Havard che la mossa più efficace era farsi trovare pronti e fronteggiare le difficoltà da una posizione di vantaggio.

Certo restava un dubbio: davvero gli dei si sarebbero abbassati a trattare con dei mortali?

***

Nell’ampio e lussuoso salone echeggiava il battere nervoso del dito sul tavolo di pietra. L’uomo in attesa aveva dei tratti che ricordavano quelli di un leone, forte e fiero, ma vantava anche un paio di corna come quelle dei tori.

Finalmente un’altra figura apparve a un altro capo del tavolo: era Enki[8], dio del mare. Dopo di lui fu il turno di Tezcatlipoca[9], dio della notte, e di Huitzilopochtli[10], dio del sole.

«Perdona il ritardo» esordì quest’ultimo, anche se il suo tono non dimostrava particolare pentimento. Al contrario: le luminose piume verdi che aveva al posto dei capelli dimostravano tutta la sua fierezza. «Allora, cos’è che ti turba, Nergal?»

Il dio della morte grugnì. «Tutti gli altri?»

«Non penso verranno» ammise Enki. I suoi capelli e la folta barba sembravano bagnati, ma gli abiti pregiati erano perfettamente asciutti, così come le corna caprine. «Non che ci serva il loro parere.»

«Temo che questa faccenda ci riguardi tutti, invece» ribatté Nergal. «Ho sentito diverse preghiere ultimamente che parlavano di un orco che si spaccia per il figlio di Hel. Non solo: dice di essere il nuovo dio della morte!»

«A me sembra che il problema riguardi solo te, allora» sottolineò Tezcatlipoca. Aveva due linee gialle dipinte sul viso – una all’altezza degli occhi e l’altra della bocca – che risaltavano sulla pelle nera.

«Non essere ingenuo: se quel tipo mette in dubbio la mia autorità, anche voi siete minacciati. Quanto ci vorrà prima che salti fuori un altro esaltato che si dichiara un dio?» Batté il pugno sul tavolo. «Dobbiamo fermarlo subito!»

Gli altri dei però non condividevano la sua preoccupazione.

«Non è il primo che si ribella, e noi non possiamo preoccuparci di tutti i moscerini che ci ronzano intorno» affermò Tezcatlipoca in tono rilassato. «Vedrai che molto presto cadrà sotto il peso della sua stessa insolenza. Come tutti gli altri.»

«E se fosse davvero il figlio di Hel?» lo incalzò Nergal.

«Se alzerà troppo la cresta, ci penseranno gli inquisitori a sistemarlo» rispose Huitzilopochtli. «Gli unici esseri su questo pianeta in grado di tenere testa a un inquisitore sotto tutti sotto il nostro controllo.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così veniamo a sapere cosa ha fatto il priore e la punizione che Havard ha stabilito per lui. Ancora una volta il figlio di Hel ha dimostrato di non essere un tipo particolarmente modesto, ma che anzi è più che deciso a far prevalere la sua idea di giustizia con ogni mezzo necessario.

Nel finale vediamo anche la reazione degli dei alle mosse di Havard. Nergal è sicuramente quello più preoccupato – e a ragion veduta – mentre gli altri dei non sembrano particolarmente turbati. Alcuni non si sono proprio presentati, e questo dimostra che tra di loro non sono poi così uniti. Ciò non toglie che la forza degli dei è ancora schiacciante, quindi vedremo quali saranno le prossime mosse di entrambe le fazioni.

Grazie a tutti e a presto ^.^


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[8] Dio mesopotamico dell’acqua, della conoscenza, dell’artigianato e della creazione.

[9] Dio azteco della notte e delle tentazioni.

[10] Dio azteco del sole e della guerra.

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Capitolo 12
*** 11. La disfatta ***


11. La disfatta

Nelle ultime settimane il regno di Havard aveva fatto grandi progressi. Dopo Bakhmiŝ e Ganshada, altri villaggi e piccole città erano finiti sotto il suo controllo, così come altri gruppi di predoni nomadi. Aveva messo le basi per una nuova e fruttuosa rete di commerci, e allo stesso tempo poteva contare su diverse centinaia di uomini pronti a impugnare le armi in suo nome.

In alcuni casi era stato costretto a usare la forza per imporre la sua autorità, ma ormai le voci sul suo conto si stavano diffondendo. I ricchi erano interessati alle prospettive di guadagno offerte dai commerci, gli schiavi desideravano riconquistare la libertà, e il resto del popolo era affascinato dalla promessa di un futuro migliore. Di recente, al suo arrivo in un villaggio, erano stati gli stessi abitanti ad aprirgli le porte e ad accoglierlo, impazienti di entrare a far parte del suo dominio.

A insospettirlo era il fatto che, sebbene la sua fama continuasse a crescere, il Clero non l’aveva ancora attaccato. Per lo meno non in forma organizzata. Aveva avuto degli screzi con alcuni sacerdoti – per lo più devoti a Nergal – ma si era sempre trattato di divergenze personali. Divergenze che aveva messo a tacere senza però schierarsi troppo apertamente contro gli dei, almeno in pubblico.

Forse era proprio questo il motivo del silenzio del Clero: finché le persone continuavano a pregare gli dei, probabilmente per loro era indifferente chi fosse al governo delle città. O forse gli dei erano davvero troppo presuntuosi per considerarlo una vera minaccia, e anzi vedevano le sue conquiste come qualcosa di temporaneo.

Di certo questa immobilità del Clero era solo un vantaggio per Havard, che così aveva tutto il tempo per fare le sue mosse e porsi in una situazione di vantaggio, o per lo meno di limitare il suo svantaggio numerico.

Era tardo pomeriggio e il pallido si trovava in un campo militare. I suoi uomini lo stavano allestendo secondo le tradizioni dei nomadi, adattandolo a ospitare circa duecento guerrieri e i relativi monoceratopi. Non erano un vero esercito, ma erano ben equipaggiati, con armi e armature di ferro, e anche qualche dozzina di bacchette.

«Havard, sono arrivati tutti» lo informò un orco.

Il figlio di Hel annuì e tornò all’interno della sua tenda. Era più grande delle altre e al centro c’era un ampio tavolo su cui era stata aperta una mappa della zona. Era piuttosto rozza, ma bastava a rappresentare il territorio pianeggiante e la pianta della città che avevano preso di mira: Kandajan.

Insieme a lui c’erano altri sette uomini, tra cui un troll e un goblin.

«Kandajan è a meno di un’ora da qui, possiamo attaccarla anche durante la notte» affermò Reton, l’ex schiavo conosciuto a Bakhmiŝ. Come promesso, un fabbro gli aveva costruito una protesi di ferro, e Nambera aveva provveduto all’incantesimo necessario per permettergli di muoverla. Era un artefatto nettamente più rozzo di quello dell’orchessa, ma riusciva a supportarlo perfettamente durante le battaglie.

«Attaccheremo dopo l’alba, quando avranno aperto i portoni per far uscire i contadini» stabilì Havard. «Forse in questo modo riusciremo a raggiungerli prima che riescano a chiuderli.»

«Non penso che faremo in tempo» ribatté l’oni Endo. «La pianura è troppo esposta, ci vedranno subito. Ma sono d’accordo che attaccare durante la notte, con i cancelli chiusi, sarebbe altrettanto complicato.»

«Se chiuderanno i cancelli, io e il mio drago ci occuperemo di danneggiarne uno, così che Bah’soit e gli altri troll possano sfondarlo.»

«Lascia fare a noi» annuì il troll, fiducioso della forza del suo popolo. Anche lui era un ex schiavo, per la precisione era il fratello minore del troll ucciso nella miniera di Ganshada. Quando aveva saputo che Havard aveva dato pace all’anima di suo fratello, si era subito offerto di servirlo.

Nell’ultimo mese il figlio di Hel era entrato in contatto con un villaggio di troll, ma gli abitanti avevano rifiutato di partecipare alla sua campagna e gli avevano chiesto di essere lasciate in pace. Senza tanti giri di parole gli avevano spiegato che ne avevano abbastanza delle scorribande degli orchi e che non erano per nulla interessati all’idea di avere a che fare con loro. In ogni caso alcuni degli schiavi liberati, come Bah’soit, avevano deciso di combattere al suo fianco per ringraziarlo e per evitare che altri loro simili finissero di nuovo in catene.

«Dobbiamo dare priorità a rinforzare le armature superiori dei troll?» chiese il goblin. Aveva una vistosa bruciatura sul viso, ma non l’aveva rimediata sul campo di battaglia, bensì in una fucina. Lui era infatti un fabbro-alchimista, il capo della squadra militare di Havard. I goblin erano più agili ma nettamente più deboli degli orchi, di conseguenza si erano specializzati nello sviluppo tecnologico per sopperire alla disparità fisica. Il figlio di Hel sapeva che il loro supporto sarebbe stato fondamentale nella guerra contro il Clero, per questo non aveva perso l’occasione di reclutarli.

«Sì, dobbiamo evitare a tutti i costi che l’assalto si trasformi in un assedio» confermò il pallido.

Gli orchi erano guerrieri nati, ma non erano abituati ai lunghi assedi, e soprattutto non aveva abbastanza approvvigionamenti per sfamare le truppe.

Havard diede ulteriori disposizioni ai suoi capitani in modo che tutti sapessero cosa fare, dopodiché li congedò. Avevano tutti bisogno di riposo in vista dell’imminente attacco.

Una volta che i guerrieri ebbero lasciato la tenda, Nambera fece discretamente il suo ingresso.

«Havard, quando vuoi la cena è pronta.»

Lei e altri volontari – soprattutto donne – si erano presi l’incarico di preparare il cibo per i guerrieri, così da poter dare il loro contributo pur senza impugnare un’arma.

Il pallido annuì. «Grazie, arrivo subito.»

All’orchessa bastò uno sguardo per riconoscere un velo di esitazione nei suoi occhi. «Qualcosa non va?»

Il figlio di Hel si concesse un sorriso un po’ amaro. «Non posso nasconderti proprio niente, eh?»

Lei ricambiò con un sorriso materno. «Temo di no. Riguarda lei

Lo sguardo di Havard si oscurò. «Una volta presa la città, potrò avere giustizia per mia madre» disse a bassa voce, come se non volesse che le sue parole giungessero a orecchi indiscreti. «Finalmente l’anima della sua assassina finirà nel regno di Hel.»

Nambera gli si avvicinò. «È per questo che vuoi prendere Kandajan? Per poter giustiziare il priore che la governa?»

Lui esitò. «Potrei dirti che prenderla fa comunque parte del mio piano, però…» Serrò i pugni. «Sì, lo faccio soprattutto per arrivare a lei.»

L’orchessa poggiò delicatamente una mano sulla sua spalla e lo osservò con attenzione. «Perdonami, ma non credo sia questo che ti turba in questo momento.»

Havard non riuscì a nascondere il suo stupore.

«Ti prego, dimmi cos’è che ti preoccupa davvero.»

Il pallido scosse il capo. «Non è niente.»

«Se non me lo dici, non ti posso aiutare. E lo sai che continuerò a preoccuparmi finché non me lo dici.»

«È… È una sciocchezza, davvero.»

L’orchessa si limitò a fissarlo, in attesa.

«Pensavo che, con tutte queste persone che credono in me, mi sarei sentito più… non so, più potente. Più divino. Invece mi sento come prima. La mia magia non è aumentata, e le mie percezioni nemmeno. Sento la loro fiducia, ma forse non mi vedono davvero come un dio.»

«Havard, sei il loro capo e loro credono in te. Probabilmente devi solo abituarti a sentire le loro preghiere.»

Il figlio di Hel annuì. «Probabilmente hai ragione. Grazie, Nambera.»

Lei gli sorrise con dolcezza. «Ora vieni, prima che la cena si freddi. O che i tuoi uomini finiscano tutto. Non per vantarmi, ma credo sia venuta particolarmente bene.»

Lui annuì. «Se sei tu a dirlo, deve essere davvero ottima.»

All’alba del giorno seguente, come da programma, Havard e i suoi uomini attaccarono Kandajan con una carica frontale. Il loro obiettivo era di cogliere in controtempo le guardie, invece i difensori sbarrarono i cancelli senza pensarci due volte, incuranti degli schiavi e dei loro controllori rimasti chiusi fuori.

Havard fece avvicinare il suo giovane drago al cancello, pronto a indebolirlo con il fuoco e la sua magia di putrefazione, ma qualcosa lo costrinse a fermarsi: due inquisitori in groppa ad altrettanti draghi. Uno dei due scatenò delle palle di fuoco contro le truppe del pallido, l’altro invece si lanciò in un volo radente, lasciando dietro di sé un denso fumo velenoso.

Grazie alle benedizioni degli dei, quei due guerrieri del Clero potevano massacrare orchi e monoceratopi a decine senza nemmeno sfruttare il fuoco dei loro draghi.

Havard ordinò subito la ritirata e si lanciò all’inseguimento di uno degli inquisitori: doveva far guadagnare tempo ai suoi.

Puntò il suo bastone d’ossa e colpì un’ala del drago del nemico con l’incantesimo di putrefazione. Immediatamente la membrana cominciò a corrompersi e l’animale ruggì di dolore. L’inquisitore lanciò una palla di fuoco, ma il giovane drago di Havard riuscì a schivare. L’orco pallido evocò una barriera e in questo modo riuscì a proteggersi finché il nemico, costretto a terra, non fu fuori portata.

Restava un solo inquisitore.

Il figlio di Hel si guardò intorno, ma una nuvola di fumo lo investì dall’alto. Lui e il giovane drago di foresta respirarono il veleno e subito cominciarono a tossire.

L’orco lanciò un altro incantesimo contro il drago del nemico, e anche questa volta la magia andò a segno, costringendo il drago dell’inquisitore ad atterrare. Ora il guerriero del Clero non avrebbe più potuto inseguirli, ma ormai il suo attacco era andato a segno: il pallido e la sua cavalcatura avevano respirato il fumo velenoso, se non facevano qualcosa presto sarebbero morti anche loro.

Dovevano sbrigarsi a tornare indietro. Nambera sarebbe stata in grado di guarirli. O almeno lo sperava: non conosceva nessun altro in grado di contrastare il veleno di Tezcatlipoca.

Guardò sotto di sé. I suoi guerrieri stavano fuggendo in maniera disordinata: alcuni gruppi non erano nemmeno diretti al campo. Ma con il suo giovane drago preda del veleno e la minaccia degli inquisitori alle spalle, non aveva il tempo per riunirli e riportare l’ordine.

Poteva elencare diverse ragioni per quella sconfitta, ma la verità era che la vendetta l’aveva accecato. Non erano pronti ad affrontare un simile nemico, e i suoi subordinati ne stavano pagando le conseguenze.

Tossì ancora.

Per colpa della sua avventatezza stava rischiando di perdere tutto. Anni di preparazione, settimane di battaglie e una fiducia faticosamente costruita sulla promessa di un futuro migliore.

Era così che sarebbe finita?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come preannunciato dal titolo, in questo capitolo vediamo la prima vera sconfitta di Havard, nonché ciò che era stato anticipato nel prologo. Il pallido ha voluto affrontare un nemico troppo forte, e per questo le sue forze sono state sbaragliate.

Sconfitta a parte, in questo capitolo ho avuto modo di citare nuovamente l’assassina di Hel, ma avrò modo di approfondire questa priora più avanti. Perché di certo Havard non rinuncerà a vendicare sua madre, a prescindere da quante batoste dovrà subire.

In più abbiamo anche uno scorcio dei dubbi del pallido riguardo ai suoi poteri divini, che per il momento non si sono ancora manifestati come avrebbero dovuto (secondo Havard almeno). Ma anche questo è un tema che tornerà più avanti.

Cosa farà adesso Havard? Di certo non getterà la spugna, ma dovrà riconsiderare almeno in parte le sue strategie.

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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Capitolo 13
*** 12. L’Araldo del Progresso ***


12. L’Araldo del Progresso

Nambera e gli altri orchi rimasti al campo videro da lontano il drago di Havard che si avvicinava. All’inizio avvertirono un velo di preoccupazione: i loro alleati erano forse stati sconfitti? Poi la preoccupazione si tramutò in paura quando capirono che non solo erano stati sconfitti, ma che avevano anche subito diverse perdite. Dei duecento guerrieri che erano partiti poche ore prima, se ne vedevano meno della metà, e anche il drago del figlio di Hel sembrava ferito.

Nambera non ci pensò due volte, prese la sua borsa con le medicine e corse incontro al suo protetto. Anche gli altri guaritori la imitarono, nella speranza di salvare qualche vita in più.

Gli occhi dell’anziana orchessa erano fissi su Havard e sul suo drago. Il giovane rettile volava con fatica e sembrava sul punto di collassare. Dentro di sé Nambera sapeva che non sarebbe arrivato al campo, ma quando lo vide precipitare fu comunque come una fitta al cuore. Provò a correre più in fretta, ma le mancava già il fiato e non poteva chiedere di più al suo vecchio corpo.

Quando finalmente raggiunse il drago, Havard era in ginocchio al suo fianco, il capo chino. Il pallido non sembrava ferito, non nel corpo almeno, ma la sua anima aveva subito colpi molto dolorosi.

Nambera si chinò al suo fianco, troppo affaticata per parlare. Non che sapesse cosa dire.

«È colpa mia» esalò Havard con voce incrinata. «Non avremmo dovuto attaccare Kandajan. Non ancora.»

Nambera lo strinse a sé. «Hai fatto ciò che ritenevi giusto. Le cose brutte succedono.»

«Questa volta sono stato io a farle succedere. Le persone che sono morte credevano in me. Il mio drago credeva di me. Ho tradito la fiducia di tutti.» Trasse un profondo respiro, poi si alzò in piedi. Guardò ciò che restava dei suoi uomini. «Tu occupati dei feriti, io devo parlare con i capitani.» C’era determinazione nella sua voce, ma Nambera sapeva che il suo dolore non era svanito. «Non so se hanno altri draghi a Kandajan, in ogni caso potrebbero decidere di inseguirci sui monoceratopi.» Poggiò la mano sul collo immobile del suo giovane destriero. «Non perderò altri uomini oggi.»

Dei sei leader militari partiti per la missione, solo quattro si presentarono davanti a lui per fare rapporto. La sconfitta aveva spezzato il loro morale – e forse la loro fiducia in Havard – per questo il figlio di Hel doveva dimostrarsi risoluto e con la situazione sotto controllo.

«Ho visto Saman che si allontanava con i suoi guerrieri dopo l’attacco degli inquisitori» affermò il pallido. «Qualcuno di voi ha visto Dah’rui?»

Gli altri scossero il capo.

«Mancano anche molti dei suoi guerrieri» sottolineò Reton. «Forse è stato ucciso.»

«Morto o disertore, temo che al momento non faccia differenza. Per adesso ci fermeremo al campo, quindi la vostra priorità è controllare le vostre squadre per sapere quanti guerrieri abbiamo e quanti di questi sono in grado di combattere, lo stesso vale per i monoceratopi. Reton, tu dovrai occuparti anche dei guerrieri di Saman e Dah’rui. Endo, voglio che mandi due dei tuoi verso Kandajan per avvisarci nel caso il Clero ci stia inseguendo.»

Tutti quanti annuirono.

«Fate in modo che i feriti si riposino, domattina ci metteremo in marcia verso Riyahsa. Potete andare.»

Di nuovo i quattro capitani annuirono e si allontanarono.

Durante il resto della giornata il campo si rivelò più silenzioso del solito. Nessuno aveva voglia di parlare ad alta voce, al contrario c’erano piccoli gruppi che bisbigliavano tra loro. Havard poteva avvertire i semi del dissenso che serpeggiavano tra le tende, per questo ordinò ai cuochi di preparare il miglior banchetto possibile con le provviste rimaste.

«Avremo anche perso una battaglia, ma questa non è la fine!» esclamò il pallido davanti ai suoi. «Abbiamo respinto due inquisitori, e voi siete tutti qui per raccontarlo. Kandajan può aspettare: presto o tardi cadrà comunque sotto il nostro controllo.» Sollevò il suo boccale di birra. Era un rischio concedere ai suoi uomini di bere, ma il Clero non si era visto per tutto il giorno, e preferiva perdere quei soldati piuttosto che farli rivoltare contro di lui. «Alla sconfitta degli inquisitori! E al nostro regno! A noi!»

«A noi!» gridarono in coro i guerrieri, prima di scolare i loro boccali.

Grazie all’alcol, il chiasso del banchetto soffocò i sussurri della giornata, ma Havard non si abbandonò alla birra e rimase in allerta per tutta la notte. Un po’ per controllare l’umore dei suoi uomini, un po’ per essere pronto ad agire in caso di attacco, e un po’ per riflettere sul futuro del suo regno.

Non sapeva se la presenza degli inquisitori fosse stata una coincidenza o se fosse stata pianificata. E in quest’ultimo caso, erano stati gli dei a mandarli lì, o l’assassina di sua madre aveva avvertito il pericolo e aveva chiamato rinforzi? In ogni caso doveva tornare a pensare a lungo termine. Era stato avventato una volta, ma non avrebbe ripetuto lo stesso errore.

Il mattino seguente Havard e i suoi si rimisero in marcia più tardi del previsto, in ogni caso gli esploratori non riportarono nessuna traccia dei soldati del Clero. Evidentemente la priora di Kandajan preferiva difendere la sua città piuttosto che affrontarli in campo aperto.

In compenso un piccolo gruppo di guerrieri aveva fatto il suo ritorno: erano fuggiti in un’altra direzione durante il caos della battaglia, ma dopo essere rimasti nascosti per la notte avevano deciso di dirigersi al campo nella speranza di trovare ancora qualcuno.

«Sono felice che ce l’abbiate fatta» li aveva accolti Havard, e anche loro si dimostrarono sollevati dal fatto di non essere stati abbandonati.

Non ci volle molto per raggiungere Riyahsa, ma l’accoglienza degli abitanti fu molto diversa da quella che Havard si aspettava. La volta precedente il capovillaggio lo aveva accolto con tutti gli onori, entusiasta di unirsi al suo regno, ora invece aveva fatto sbarrare il portone e sulla palizzata si vedevano numerose sentinelle.

«Suhgan, cosa significa tutto questo?» intimò il pallido.

«Vattene! Non vogliamo avere niente a che fare con te!» gridò il capovillaggio, un orco abbastanza robusto dalla carnagione verde bluastra.

«Questo villaggio fa parte del mio regno» gli rammentò il figlio di Hel con voce autorevole. «Se non ti sta bene la mia presenza, sei tu che te ne devi andare.»

«Tu non capisci! C’è stata un’apparizione! Nergal è apparso in sogno ad alcuni fedeli! Sei già stato sconfitto a Kandajan; se ti diamo ascolto, il Clero ci ucciderà tutti!»

Al sentire quelle parole, Havard rimase un attimo in silenzio. Dunque gli dei si erano decisi a fare la loro mossa, e come prevedibile, il timore verso di loro aveva spazzato via le ambizioni per il progresso.

Senza dire nulla sollevò il suo bastone e usò la magia di putrefazione contro il pesante portone di legno.

«Bah’soit» chiamò il pallido.

Il troll avanzò al suo fianco.

«Buttate giù il portone.»

Il troll annuì e chiamò i suoi simili. Bastarono pochi colpi delle loro imponenti mazze per sfondare l’ingresso, a quel punto Havard poté fare il suo ingresso insieme ai soldati.

Il capovillaggio Suhgan e i suoi uomini si riunirono davanti a loro. Erano in netta inferiorità numerica, ma il figlio di Hel notò che anche gli altri abitanti stavano impugnando attrezzi e altre armi di fortuna. Non che avessero qualche speranza contro i suoi cento guerrieri.

«Hai detto che a Kandajan siamo stati sconfitti» sottolineò Havard, fiero e autorevole sul suo imponente monoceratopo. «Secondo te abbattere due inquisitori è forse una sconfitta? La verità è che la priora di Kandajan era pronta a sacrificare centinaia di innocenti pur di salvarsi. Sì, ho rinunciato ad assediare la città, ma lo sai perché l’ho fatto? Perché, al contrario di voi, so cosa vuol dire sostenere un assedio lungo settimane, se non addirittura mesi.» Non era la piena verità, ma era la sua verità, e tanto doveva bastare ai presenti per accettarla. «Ma soprattutto sappiate questo: se il Clero avesse voluto – o potuto – uccidervi, lo avrebbe già fatto.» Osservò con occhio severo gli abitanti del villaggio. «Ora, deponete le armi, e la mia promessa di progresso e prosperità resterà valida. Tranne che per te» ci tenne a precisare puntando il suo bastone contro il capovillaggio. «Tu mi hai tradito, e per questo morirai.»

Suhgan stava per ribattere, ma Havard lo zittì afferrando la sua anima.

«Attento a ciò che dirai. Non condannare anche tutta questa brava gente.»

Solo dopo questo ulteriore ammonimento, il pallido lasciò andare l’orco, che cadde a terra tossendo.

Suhgan ci mise alcuni lunghi secondi per riprendersi, ma a quel punto aveva capito perfettamente la situazione in cui si trovava: a causa dell’affermazione del pallido, gli restavano solo due alternative: arrendersi e morire, o combattere e apparire come l’egoista responsabile di una battaglia inutile.

«Tu ci condannerai tutti» esalò.

«Solo quelli che si oppongono a me.»

Con queste ultime parole, il figlio di Hel evocò l’incantesimo di putrefazione e il corpo del capovillaggio cominciò a decomporsi. Il malcapitato urlò di dolore mentre le sue carni si scioglievano, per l’orrore di tutti presenti. Havard avrebbe potuto ucciderlo in modi molto più rapidi e indolori, ma voleva lanciare un chiaro messaggio: questa era la fine che attendeva i suoi nemici.

Solo quando il capovillaggio cadde a terra, completamente putrefatto, il figlio di Hel si decise a parlare.

«Abitanti di Riyahsa, ora non siete più vincolati a quel leader codardo ed egoista. Se davvero avete troppa paura del Clero per pensare al futuro, allora vi esorto a combattere come se ne andasse della vostra vita, perché non avrò pietà. Se invece nutrite ancora speranza per un mondo migliore, allora unitevi a me e realizzatelo!»

Nel silenzio che seguì, gli abitanti si scambiarono occhiate dubbiose e piene di timore, cominciando a parlottare fra loro con un filo di voce.

Havard intanto si voltò verso i suoi guerrieri. «Endo, tu e i tuoi uomini dovete recuperare le provviste necessarie a raggiungere la prossima città. Non di più.»

«Sarà fatto» annuì l’oni.

«Gli altri capitani e Vayam-fadir invece avranno un altro compito.»

I tre leader militari e il goblin a capo dei fabbri-alchimisti si fecero avanti.

«Distruggete tutti i templi del villaggio. E se qualcuno prova a opporsi, uccidetelo.»

Un’ondata di esclamazioni sconcertate si sollevò dagli abitanti, e un velo di malcontento si diramò anche tra i suoi soldati. La stessa Nambera, che si era sforzata di rimanere impassibile davanti all’agonia del capovillaggio, non riuscì a mascherare il suo stupore e la sua preoccupazione.

«Non ammetterò repliche!» esclamò Havard battendo il suo bastone. «Gli dei sfruttano le vostre preghiere e le vostre paure contro di voi! Vi ho già detto che se davvero volete il progresso, allora non potete affidarvi alle preghiere, ma dovete realizzarlo con le vostre mani!» Indicò il cadavere dell’ormai ex capovillaggio. «Questo è quello che succede a chi si affida agli dei! Dove sono gli dei adesso?! A cosa sono servite le sue preghiere?! A niente! Voi siete la vostra forza, non gli dei! È giunto il momento di lasciarvi il passato alle spalle e di prendere in mano il futuro! Perché se non lo farete, verrete schiacciati. Non da me. Ma dal mondo intero, che di certo non si fermerà ad aspettarvi!»

Vedeva la paura negli occhi degli abitanti, ma quello shock era necessario per convincerli ad abbandonare ciò in cui credevano e ad abbracciare i suoi ideali.

«Chi di voi ritiene di essere in grado di guidare questo villaggio come merita, si presenti da me tra un’ora. E ora muoviamoci!» Fece avanzare il suo monoceratopo e la folla si aprì al suo passaggio. «C’è molto da fare.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In realtà questa volta non voglio fare nessun commento, ma preferisco lasciarvi pensare con la vostra testa ;D

Piuttosto vi auguro buona Pasqua e vi lascio i link ai disegni di Nora Linch e del commissario Mantina (apparse in La frontiera perduta).

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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Capitolo 14
*** 13. L’Araldo della Libertà ***


13. L’Araldo della Libertà

Tenko era impaziente di conoscere questo orco pallido di cui tutti parlavano. C’era chi lo descriveva come un eroe del popolo, in grado di liberare gli oppressi e di garantire un futuro migliore per tutti; per altri era solo un folle e un assassino, che non si faceva scrupoli a uccidere decine di innocenti pur di assecondare il suo ego. In ogni caso molti dei suoi detrattori vestivano le toghe del Clero, quindi Tenko era fiduciosa che sarebbero potuti andare d’accordo.

Lei, Zabar e Icarus erano sbarcati ad Artia – il continente settentrionale – da meno di una settimana, e la demone continuava a stupirsi di quanto gli orchi fossero un popolo così diverso dai faunomorfi a cui era abituata, eppure anche così simile.

Tra gli orchi la schiavitù era molto più diffusa rispetto che nel continente meridionale, ma le condizioni degli schiavi non le sembravano così diverse: erano tutti magri e malconci, e la maggior parte dei proprietari sembrava intenzionata a spremere al massimo i suoi servitori prima di comprarne di nuovi.

Lo stile degli abiti e degli edifici era nettamente diverso, eppure di solito le bastava uno sguardo per riconoscere la posizione sociale delle persone e la funzione degli edifici: un ricco mercante, un tempio, un guerriero, una fucina, un tagliaborse.

E poi c’erano loro: gli orchi. Le sembravano tutti enormi, con i loro corpi alti e muscolosi, e le zanne che spuntavano dal labbro inferiore. Perfino le orchesse – molto meno imponenti degli uomini – erano più robuste del faunomorfo maschio medio. Senza contare le cicatrici dei guerrieri: alcune erano così ampie che nessun faunomorfo sarebbe sopravvissuto a una ferita del genere. Nonostante questo, perfino quei giganti verdi e marroni sembravano sorpresi dal suo aspetto, e spesso distoglievano lo sguardo quando notavano le sue iridi rosa su sclere nere. Non per timore, ma più per… disagio? Aveva notato qualche demone in giro, ma anche lì quelli della sua specie sembravano una minoranza sopportata più che accettata.

In quel momento lei e i suoi due compagni di viaggio stavano procedendo verso nord in groppa a tre monoceratopi. Ottenerli era stato sorprendentemente facile: erano bastate l’eloquenza di Icarus e qualche merce del continente meridionale per convincere l’allevatore. In realtà buona parte del merito andava anche al bracciale rinvenuto nel sottosuolo del gelido sud: era solo grazie a quell’artefatto se riuscivano a capire gli orchi e viceversa. Senza quel misterioso monile ogni cosa sarebbe stata infinitamente più complicata.

I monoceratopi – animali che nessuno di loro tre aveva mai visto – erano nettamente meno agili degli ippolafi, ma molto più robusti. In ogni caso Zabar aveva già altri piani in mente.

«Qui ad Artia non ci sono grifoni, ma dei rettili chiamati draghi» aveva spiegato. «Mi piacerebbe riuscire a domarne un paio, così guadagneremmo moltissimo tempo.»

Icarus non era sembrato troppo entusiasta all’idea di salire in groppa a un draghide selvatico, Tenko invece sperava solo che Zabar si ricordasse di quello che era successo la volta precedente, quando aveva provato a domare un grifone. Le sembrava fosse passata una vita intera da allora.

Tenko diede un’altra attenta occhiata alla prateria che la circondava e poi aggiunse ulteriori dettagli alla mappa che stava disegnando. Non lo avrebbe ammesso apertamente, ma la eccitava molto l’idea di realizzare delle cartine di quella terra di cui fino a poco tempo prima ignorava perfino l’esistenza.

«Credo che il nido dei draghi sia su quell’altura» affermò Zabar.

Il demone blu aveva chiesto indicazioni nel villaggio che avevano incontrato un paio di giorni prima, e gli abitanti gli avevano spiegato quali zone evitare per non rischiare di trasformarsi in un arrosto di demone. Ovviamente loro si stavano dirigendo esattamente verso il pericolo.

«Aspettate, qualcosa si sta avvicinando» notò Tenko.

«Qualcosa cosa?» chiese Icarus, chiaramente preoccupato.

La giovane aguzzò lo sguardo, cercando di capire se si trattava di un semplice branco di animali. «Direi… guai.»

«E non del tipo che interessa a noi, mi sembra» ammise Zabar, più deluso che preoccupato.

Fino a quel momento il viaggio dei due demoni e del faunomorfo era stato piuttosto tranquillo, ma ovviamente tale tranquillità non poteva durare per sempre, soprattutto in quelle sconfinate praterie infestate di predoni.

La demone ripose la mappa su cui stava lavorando e fece un rapido controllo dell’equipaggiamento che Icarus aveva costruito durante il viaggio in mare. «Bene, è da un po’ che volevo provare queste armi.»

Il demone si avvicinò al paffuto faunomorfo di tipo orso. «Funzioneranno, vero?» gli chiese a bassa voce.

«Certo che sì… credo.»

«Vi ho sentito» li ammonì Tenko, che aveva appena indossato un elmo di cuoio e metallo.

I due si zittirono immediatamente.

Come anticipato dalla demone, quello che si stava avvicinando era un gruppo di orchi a cavallo di monoceratopi. Molti di loro avevano mazze o rozze spade dalle lame irregolari, ma un paio erano armati di archi di fattura mediocre.

L’elmo della giovane non sarebbe stato sufficiente a neutralizzare un loro colpo diretto, ma avrebbe limitato i danni e avrebbe potuto riparla da un attacco di striscio. O almeno lo sperava.

I banditi formarono un cerchio intorno a loro e li costrinsero a fermarsi.

«Allora, cos’abbiamo qui?» gongolò uno con un sorriso maligno, reso ancora più feroce dall’ampia cicatrice che gli attraversava il volto.

«Sei tu il capo?» gli chiese Tenko senza tanti giri di parole.

«Sono io» confermò l’orco. «Quindi preparati, sarò il primo a-»

La demone sollevò la mano destra e un fulmine partì da sotto il suo palmo. Il malcapitato non ebbe nemmeno il tempo di reagire e venne centrato in pieno. Il suo monoceratopo spiccò un balzo e urlò di paura, scaraventò via il cadavere carbonizzato che aveva in groppa e fuggì.

Una delle armi che Icarus aveva progettato per Tenko era in realtà un supporto per una piccola bacchetta da tenere sotto l’avambraccio. Normalmente i maghi dovevano averla in mano per usarla, ma in realtà era sufficiente il contatto con la pelle per attivare l’incantesimo. Avere una bacchetta celata sotto l’avambraccio era quindi molto pratico, dato che la mano restava libera, ma anche molto efficace per sorprendere il nemico.

La giovane scese dal suo monoceratopo e sguainò la spada. «Ne volete ancora?»

Gli altri banditi si scambiarono qualche sguardo, poi uno degli arcieri prese una freccia e scoccò. Il dardo non fece a tempo a colpire il bersaglio che la demone svanì nel nulla.

Sbalorditi, gli orchi indietreggiarono.

«Che diavoleria è mai questa?!»

«Dov’è andata?»

«Non sarà mica un’inquisitrice?!»

Un grido di dolore attirò l’attenzione dei banditi, che si voltarono all’unisono verso l’arciere che aveva scoccato. Tenko era alle sue spalle, con la lama piantata nel cuore della sua vittima.

«Io… Io me ne vado!»

«Ritirata! Ritirata!»

Gli orchi voltarono i loro monoceratopi e si diedero alla fuga senza pensarci due volte: non valeva la pena di combattere quella straniera.

Zabar, entusiasta per la vittoria, si affrettò a raggiungere Tenko. «Sei stata incredibile!»

«Visto?» intervenne Icarus. «La mia merce è tutta di prima qualità» sottolineò con orgoglio.

«In realtà avrei voluto provare anche la frusta» ammise la demone, che ancora stava tenendo d’occhio i nemici in fuga.

«Suvvia, ho il presentimento che non saranno gli ultimi seccatori che incontreremo» le fece notare il paffuto faunomorfo.

«Poco ma sicuro» annuì la giovane prima di risalire sul suo monoceratopo.

«In effetti Tenko è una calamita per i guai» confermò Zabar. «E se i guai non la trovano, stai pur certo che sarai lei a cercarli.»

Lei gli lanciò un’occhiata eloquente. «Sbaglio o è stata una tua idea quella di cercare l’uomo che sta rivoltando questo continente?»

«Io ti ho solo parlato di lui, sei tu quella che non vede l’ora di combattere gli dei insieme a lui.»

Tenko sfoggiò un sorriso bellicoso. «Oh, ci puoi giurare che non vedo l’ora! Quindi sbrighiamoci a trovare un drago!»

Diede un colpo con i talloni e il suo monoceratopo scattò in avanti.

«Ho sempre voluto domare un drago» ammise Zabar. «E chissà quanti altri mostri ci sono qui! Quando tornerò a sud, avrò moltissime pagine da aggiungere al mio grimorio!»

Icarus scosse il capo, un po’ preoccupato per la pericolosa esuberanza dei suoi compagni di viaggio. «A volte mi chiedo se non sarei stato più al sicuro restando a Meridia. Almeno lì gli unici che mi volevano morto erano i membri del Clero.»

I tre cavalcarono per tutto il giorno, al tramonto si fermarono per far riposare i loro monoceratopi, e poi ripartirono alle prime luci dell’alba. Mantenendo questa tabella di marcia, prima di mezzogiorno raggiunsero l’altura dove – stando ai locali – alcuni draghi avevano fatto il nido.

«Eccoli, li vedo!» indicò Icarus.

«Non hanno le ali piumate» notò Tenko. Vedere le ali da pipistrello di quelle creature aveva risvegliato in lei dei brutti ricordi, ma si sforzò di ricacciarli indietro.

Zabar però sembrava dubbioso.

«Qualcosa non va?» gli chiese il faunomorfo.

«Non mi sembrano draghi» sottolineò il demone. «Credo siano viverne.»

«Fa differenza?» volle sapere la giovane, desiderosa di pensare a qualcosa che non fossero le cicatrici sulla sua schiena.

«I draghi hanno quattro zampe e due ali, mentre le viverne hanno solo due zampe.»

«A noi cambia qualcosa?» aggiunse Icarus, interessato più alle questioni pratiche che alla biologia della fauna locale.

«No, non particolarmente. Mi sembrano abbastanza grandi da essere cavalcate.»

Ben presto anche le viverne, quattro in tutto, si accorsero di loro, e cominciarono a volare nella loro direzione.

«Ok, conoscete il piano» affermò Tenko. Controllò la bacchetta celata e preparò la frusta. «Fate come dico e cercate di non morire.»


Note dell’autore

Sono tornati! :D

Ciao a tutti, in questo capitolo ritroviamo Tenko, Zabar (che magari alcuni di voi conoscono con il suo vecchio nome: Balthazar) e Icarus. Ci è voluto un po’, ma finalmente è arrivato il loro momento ^.^

I tre sono giunti nel continente settentrionale per incontrare Havard, ma per raggiungerlo (in tempi ragionevoli) avranno bisogno di tre draghi/viverne… solo che le viverne in questione non sembrano molto d’accordo XD

Il prossimo capitolo sarà ancora incentrato su Tenko e compagnia, nel frattempo vi lascio i link ai personaggi se avete voglia di ricontrollare i loro disegni chibi (magari tra un po’ mi deciderò a fare anche il disegno di Icarus ^.^").

https://tncs.altervista.org/personaggi/tenko-brrado/

https://tncs.altervista.org/personaggi/zabar-biisto/

Grazie per essere passati e a presto ^.^


PS: ho modificato leggermente il capitolo precedente perché Havard era stato fin troppo moderato (O.O!). Se siete curiosi, le modifiche sono nella parte finale del capitolo, dopo “«Hai detto che a Kandajan siamo stati sconfitti»”.


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Capitolo 15
*** 14. Cenere ***


14. Cenere

Le quattro viverne avevano lasciato il loro nido e stavano volando in direzione di Tenko e dei suoi compagni. Forse volevano difendere il loro territorio, forse avevano fame, una cosa era certa: non li avrebbero lasciati passare impunemente.

La demone, spada e frusta alla mano, era pronta a ricevere quella poco calorosa accoglienza. Caricò l’energia magica nella bacchetta celata e spronò il suo monoceratopo, che accelerò la carica.

Il primo volatile lanciò un urlo acuto e si lanciò in picchiata. Tenko attese, attese fino all’ultimo. L’animale spalancò gli artigli e la demone scatenò il suo incantesimo. La folgore caricata centrò in pieno la viverna e la sbalzò indietro. La creatura emise un grido strozzato e cadde a terra, completamente paralizzata.

«Zabar! Icarus! Sbrigatevi!»

Il demone e il faunomorfo, che si trovavano appena dietro Tenko, raggiunsero il volatile e smontarono dai loro monoceratopi. Icarus recitò uno dei suoi incantesimi e in pochi secondi una prigione di terra bloccò l’animale, a quel punto Zabar poté concentrarsi per stabilire un contatto mentale con il rettile.

Le altre viverne, sorprese dall’attacco elettrico, rimasero un attimo in cielo a osservare la situazione, ma non intendevano rinunciare allo scontro.

All’improvviso una di loro interruppe il suo volo circolare e puntò Tenko.

La demone non poteva usare un altro fulmine caricato, ma questo non voleva dire che fosse a corto di tecniche. Era pronta a usare la frusta per respingere gli artigli del rettile, invece il volatile si fermò a mezz’aria e spalancò le fauci. Tenko reagì d’istinto: si gettò di lato e abbandonò il suo monoceratopo, certa che sarebbe finito arrosto. Ma la viverna non sputò fuoco, bensì un liquido. Il getto, sottile ma preciso, centrò in pieno il muso del monoceratopo. L’animale continuò a correre per qualche secondo, poi all’improvviso si imbizzarrì e cominciò a saltare e dimenare il capo.

«Attenta, Tenko!» le gridò Zabar. «Quelle viverne sputano veleno! Se ti finisce negli occhi, potrebbe accecarti!»

«E non potevi dirlo prima?!»

Ma non c’era tempo per le imprecazioni: un’altra viverna era già pronta ad attaccare. Tenko, ora costretta a piedi, cominciò a muoversi per non diventare un bersaglio troppo facile. Il suo elmo poteva riparla dagli attacchi normali, ma il veleno avrebbe comunque potuto infilarsi nell’apertura degli occhi.

L’animale si lanciò in picchiata e spiegò gli artigli. La demone evocò una magia di terra e dal suolo si sollevò uno spuntone di roccia. Il volatile lo colpì e cadde a terra, sbatté le ali per riprendere quota, ma Tenko lo anticipò: fece guizzare la frusta e la corda intrisa di fibre magiche si serrò intorno alla zampa del nemico. Di nuovo evocò la magia elettrica e il colpo diretto riuscì a stordire l’animale per un momento. Infuse la magia nella frusta e questa si contrasse, proiettandola in avanti. All’ultimo la demone spiccò un balzo, puntò la spada e affondò la lama nella schiena della viverna. Non era sicura di dove fosse il cuore dell’animale, ma a giudicare dal suo grido acuto doveva aver colpito un punto vitale.

Il rettile riuscì a dimenarsi per qualche istante, poi collassò a terra, scosso appena da qualche leggero fremito.

Ora ne restavano due, ma questa volta doveva stare attenta a non ucciderle: una sola viverna non poteva certo trasportarli tutti e tre.

Anche i rettili sembravano essere più guardinghi ed entrambi continuavano a volare in cerchio sopra di loro: un po’ per tenersi a distanza da Tenko, un po’ per cercare di capire quello che Zabar e Icarus stavano facendo al loro simile.

Con un verso acuto una viverna si lanciò in picchiata verso il demone e il faunomorfo, subito imitata dall’altra. Icarus attivò uno dei suoi congegni e una cupola di energia li rivestì. Gli animali arrestarono immediatamente il loro attacco, confusi da quell’improvvisa apparizione. Provarono a battere sullo scudo con gli artigli, ma la difesa di Icarus non ne venne minimamente scalfita.

Tenko intanto non voleva certo restare a guardare, così ne approfittò per caricare un altro fulmine. Quando i volatili si voltarono verso di lei, la demone scatenò il suo attacco a piena potenza, riuscendo a paralizzare un altro esemplare.

Ormai sola, l’ultima viverna sbatté forte le ali per riprendere quota. Il suo branco era stato annientato e l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento: doveva fuggire. Il volatile emise un debole verso, come di dispiacere, poi voltò le spalle alla battaglia. Ma non riuscì ad allontanarsi di molto perché un altro verso acuto raggiunse le sue orecchie. Quando l’animale si voltò, la viverna domata da Zabar stava volando verso di lei, decisa a riportarla indietro.

L’animale le bloccò la strada e scoprì zanne e artigli, spingendola verso terra. Una simile minaccia non avrebbe potuto trattenere a lungo l’ultima viverna, ma servì come diversivo e diede a Tenko l’occasione per far schioccare la sua frusta. Di nuovo la corda si avvolse intorno a una zampa dell’animale e la demone scatenò un incantesimo elettrico per stordirla.

Mentre Zabar si occupava di domare il secondo animale, Icarus si avvicinò all’ultimo nemico sconfitto per invocare anche su di lui una magia.

«Oh, Grande Madre, rispondi al tuo umile figlio. Blocca il mio nemico in una prigione di terra. Il mio guadagno è il tuo guadagno, io sono il Mercante!»

L’energia del mondo rispose alla preghiera del faunomorfo e il terreno si mosse, avvolgendo le ali e il busto della viverna.

Ora che la situazione sembrava sotto controllo, Tenko si tolse il casco per riprendere fiato. I due fulmini caricati erano stati più dispendiosi del previsto: difficilmente sarebbe riuscita a scagliarne un terzo.

Sotto questo punto di vista gli incantesimi di Icarus erano molto vantaggiosi, infatti attingevano all’energia dell’ambiente circostante senza affaticare l’utilizzatore. Il faunomorfo aveva provato a spiegare loro come aveva fatto ad acquisire i suoi poteri, ma senza tutti i suoi appunti – rimasti a Meridia per esigenze di spazio – nemmeno lui era stato in grado di ricordare tutti i dettagli su formule, sigilli e materiali impiegati.

Mentre Zabar continuava con gli incantesimi per domare la seconda viverna, quella sotto il suo controllo atterrò a poca distanza da loro.

Icarus arretrò istintivamente. «È sicura… vero?»

Tenko si aggiustò i capelli, che stavano diventando un po’ troppo lunghi per i suoi standard. «Certamente… credo

Proprio in quel momento la terza viverna lanciò un grido acuto, che fece urlare di paura anche il faunomorfo.

Nonostante le preoccupazioni del mercante, Zabar riuscì a domare senza problemi tutti e tre gli animali, che divennero subito molto più calmi. Adesso sembravano più che altro curiosi di annusare i loro nuovi “capibranco”.

Per decidere come spartirsi le cavalcature, il demone propose di lasciar scegliere alle viverne. I tre esemplari erano molto simili tra loro – forse appartenevano alla stessa nidiata –, quindi nessuno dei tre aveva particolari preferenze.

Una volta stabilite le coppie, i tre approfittarono del pranzo per concedere una parte del loro cibo alle rispettive cavalcature. Quei bocconi non potevano certo saziare le viverne, ma avrebbero contribuito a rinforzare il legame di fiducia con i nuovi padroni.

Il lavoro più lungo fu invece quello di adattare le selle e le briglie dei monoceratopi alle viverne, la cui struttura fisica era completamente diversa. Ci vollero due giorni interi per completare l’operazione, ma il risultato fu più che soddisfacente.

Essendo costretti ad abbandonare i monoceratopi, decisero di lasciare che le viverne si cibassero di quello accecato dal veleno. Non fu uno spettacolo particolarmente gradevole, soprattutto per Icarus, ma era loro responsabilità assicurarsi che le loro cavalcature non patissero la fame durante il lungo viaggio che li attendeva.

Nonostante il tempo speso a modificare i finimenti e successivamente a fare pratica con il volo, bastarono poche ore per coprire una distanza che sui monoceratopi avrebbe richiesto giorni interi. Se in condizioni normali ci sarebbero volute settimane per raggiungere i territori dove agiva Havard, grazie alle viverne impiegarono solo alcuni giorni per arrivare nella parte nord del continente.

In realtà non sapevano esattamente dove cercare – le voci che riuscivano a raccogliere nei villaggi erano sempre molto vaghe – così, quando avvistarono una densa colonna di fumo, decisero di andare a controllare.

Già da lontano intuirono che c’era qualcosa che non andava, e i loro sospetti trovarono conferma quando arrivarono nei pressi del centro abitato. In origine doveva essere stato un villaggio di qualche centinaio di persone, ma ora non restava altro che cenere.

«Secondo voi è stato Havard?» chiese Zabar, visibilmente scioccato.

Tenko osservò il portone principale, a terra e carbonizzato. «Possibile. Proviamo a dare un’occhiata all’interno.»

«E se ci fosse qualcuno?» esalò Icarus.

La demone sguainò la spada e varcò l’ingresso del villaggio.

Zabar e Icarus si scambiarono uno sguardo e si accodarono, guardinghi e preoccupati.

In mezzo alla strada si vedevano diversi cadaveri, segno che qualcuno aveva combattuto. Tenko notò diversi segni di ferite, inclusi arti e teste mozzate, il che le fece ipotizzare che gli aggressori avessero ucciso tutti e poi avessero dato fuoco alle case.

Provò a entrare in alcune case, ma le trovò quasi tutte vuote. Forse gli abitanti erano fuggiti, o magari erano stati portati via.

«Tenko, vieni a vedere!» chiamò Icarus.

La demone raggiunse i suoi compagni, immobili davanti a ciò che restava di un tempio. Si trattava di un edificio in pietra, quindi i danni che aveva subito non potevano essere attribuiti al fuoco. Qualcuno lo aveva deliberatamente distrutto. E non era l’unico edificio religioso preso di mira dagli aggressori: tutti i templi e le statue degli dei avevano subito la stessa fine.

«Direi che non c’è dubbio: è opera dell’esercito di Havard» stabilì il faunomorfo.

«Ha massacrato un intero villaggio» esalò Zabar, sempre più scosso.

«No, non credo sia andata così» ribatté Tenko. «Hanno ucciso chi si è opposto, ma non ho visto cadaveri di bambini. Forse hanno risparmiato chi si è arreso.»

«O magari sono fuggiti» annuì Icarus. «O li hanno catturati.» Scosse mestamente il capo. «Spero solo che capisca che siamo dalla stessa parte.»

«Non sono più così sicuro che siamo dalla stessa parte» ammise il demone blu.

«Ehi, questa è una guerra!» gli rammentò Tenko, irritata dal suo atteggiamento. «Se questa gente stava con gli dei, allora ha fatto bene a ucciderli!»

Zabar rimase un attimo in silenzio. «Spero solo che non sia un dittatore sanguinario come dicono alcuni.»

«Se davvero è un dittatore, allora lo ucciderò» sentenziò Tenko. «Hai la mia parola. Non scambierò gli dei con un altro tiranno egoista.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

I tre sono riusciti a domare le viverne (non senza qualche difficoltà) e hanno raggiunto un villaggio. I segni del passaggio di Havard sembrano evidenti, e con essi il massacro che è stato compiuto all’interno della palizzata.

Le reazioni di Tenko, Zabar e Icarus sono simili, tuttavia ognuno ha portato il suo personale punto di vista. Certo il figlio di Hel non ha fatto una buona impressione, ma staremo a vedere cosa succederà quando si incontreranno. Incontro che, grazie alle viverne, è sempre più imminente.

Come sempre vi ringrazio per aver letto il capitolo e a presto ^.^


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Capitolo 16
*** 15. La proposta ***


15. La proposta

Dopo essersi lasciati alle spalle il villaggio distrutto dalle truppe di Havard, i tre risalirono sulle loro viverne e ripresero la ricerca dell’orco pallido. Era già tardo pomeriggio, ma nessuno di loro aveva voglia di fermarsi in un luogo così carico di morte.

Il giorno seguente avvistarono un altro centro abitato, e questa volta non c’era una minacciosa colonna di fumo che incombeva su di esso. Quando si furono avvicinati a sufficienza, scoprirono con sollievo che il villaggio era ancora pieno di vita, con orchi indaffarati che lavorano sia all’interno che all’esterno della cinta di legno.

Aguzzando lo sguardo, i tre ebbero modo di notare che alcuni abitanti stavano lavorando proprio sulla palizzata – per ripararla o magari rinforzarla –, e poco dopo riuscirono ad individuare anche i resti di alcuni edifici distrutti. Non c’erano dubbi: quelle erano le macerie dei templi del villaggio, segno evidente che le truppe di Havard erano state di lì. Per la prima volta avrebbero potuto basarsi su testimonianze dirette del passaggio dell’orco pallido, senza bisogno di ricorrere a voci e dicerie.

Il loro entusiasmo venne però smorzato quando udirono il suono di un corno provenire dal villaggio: un segnale di allarme. Forse li avevano scambiati per nemici, infatti gli abitanti si rifugiarono subito all’interno della palizzata e le guardie si prepararono ad affrontarli.

«Atterriamo lontano dal villaggio e avviciniamoci a piedi!» gridò Tenko per farsi sentire dagli altri, sottolineando il messaggio con un gesto della mano.

I tre fecero poggiare a terra le loro viverne, smontarono dalle selle e si avviarono con passo misurato verso il portone principale.

«Fermi!» intimò uno dei guerrieri quando furono a portata di freccia. «Chi siete? Cosa volete?»

«Veniamo in pace, siamo qui di passaggio» spiegò Icarus in tono amichevole. Fra i tre era sicuramente il più abile con le parole, quindi era sempre lui che si assumeva l’onere di dialogare con i locali. «Vorremmo riposarci e comprare un po’ di provviste.»

Sebbene tutte le informazioni in loro possesso suggerivano che quel villaggio fosse stato conquistato da Havard, non volevano esporsi troppo e rischiare di allertare dei possibili guerrieri del Clero.

«Non siete inquisitori?»

«No, siamo viaggiatori venuti da sud.»

«Sud? E cosa ci fate qui? E come vi siete procurati quei draghi?»

Icarus allargò le braccia e cercò di rispondere nel modo più amichevole possibile, sorvolando sull’errore zoologico dell’orco. «Abbiamo i nostri mezzi. E riguardo al motivo per cui siamo qui: abbiamo sentito diverse voci riguardanti un orco pallido. Ne sapete qualcosa per caso?»

Alle parole del faunomorfo seguì un lungo silenzio.

Tenko era pronta a diventare intangibile, i suoi compagni invece avvicinarono le mani ai crea-scudi di Icarus: se quel villaggio era stato conquistato da Havard, c’era ancora il rischio che li credessero inquisitori, viceversa se il centro abitato era sotto il controllo del Clero, allora avrebbero potuto accusarli di essere amici proprio dell’orco pallido.

«Per quale motivo siete interessati al sommo Havard?»

Questa volta era stata una voce diversa a parlare. Non apparteneva a una guardia, bensì a un uomo in abiti più ricercati. Forse era il capo del villaggio.

«Abbiamo saputo che vuole fondare un nuovo regno e abbattere gli dei, è così?»

Quel “sommo Havard” era un indizio abbastanza eloquente della fazione per cui era schierato il suo interlocutore, tuttavia Icarus non intendeva scoprire le sue carte troppo in fretta.

«È così» confermò l’orco. «Se siete qui per unirvi a lui, allora vi consiglio di proseguire verso ovest. Con i vostri draghi lo raggiungerete in meno di due giorni.»

«Grazie, è stato molto gentile.» Il faunomorfo si esibì in uno sciolto inchino. «Prima però avremmo bisogno di un po’ di provviste. Ne avete da scambiare per caso?»

Di nuovo dovettero attendere un po’ prima di ricevere risposta. Solo che questa volta, invece delle parole, udirono un rumore secco, seguito dal suono del portone che si apriva lentamente.

«Gli alleati del sommo Havard sono i benvenuti» affermò il capovillaggio, circondato da diversi imponenti guerrieri. «Ora, vi prego di scusarmi, ma ho molto da fare.»

«Naturalmente. Grazie mille per la disponibilità.»

Mentre il leader si allontanava con la sua scorta, Tenko notò che c’erano numerosi altri guerrieri che li osservavano in disparte, pronti a intervenire in caso di necessità.

«Avanti, andiamo a prendere le nostre cose e poi cerchiamo un mercante» li esortò Icarus, che forse non aveva notato i soldati. O forse aveva semplicemente scelto di ignorarli.

Una volta raccolte le merci da scambiare, i tre tornarono al villaggio, che nel frattempo sembrava essere tornato alla normalità.

Tenko ne approfittò per guardarsi intorno, e la prima cosa che notò furono gli sguardi che la gente lanciava loro dall’ombra. Non erano solo i guerrieri a tenerli d’occhio: tutti gli abitanti sembravano incuriositi dalla loro presenza. Alcuni parevano intimoriti, altri invece sembravano in attesa di qualcosa, come se il loro arrivo potesse improvvisamente cambiare le cose.

Questo fece riflettere la demone: forse non tutti erano d’accordo con la presa di potere di Havard, ma avevano troppa paura per esternare il loro pensiero. Ora che ci faceva caso, in quel villaggio c’erano molte più guardie del normale: che fossero truppe del pallido, incaricate di difendere il villaggio non solo dagli attacchi esterni, ma anche dal dissenso interno?

Mentre Icarus contrattava con un mercante, Tenko ebbe modo di osservare diversi orchi impegnati a trasportare le macerie di un tempio verso la palizzata, probabilmente per rinforzarla. All’inizio aveva ipotizzato che fossero schiavi, ma nessuno di loro portava collari, catene o altri indizi che suggerissero la perdita della libertà. In effetti non riusciva a riconoscere nessuno schiavo in tutto il villaggio, e questa era una grande novità per le terre degli orchi. Che fosse stato lo stesso Havard ad abolire la schiavitù? Lei stessa, che pure era stata di fatto schiava di un priore, non aveva mai pensato a una simile eventualità.

Ancora una volta l’orco pallido le suscitava emozioni contrastanti: aveva liberato il villaggio dagli dei e probabilmente aveva anche abolito la schiavitù, eppure aveva la netta impressione che stesse usando la paura per sottomettere tutti quanti al suo volere.

Quando Icarus ebbe raccolto abbastanza provviste, i tre tornarono dalle viverne e ripresero il volo verso ovest, come indicato dal capovillaggio. L’orco aveva detto che sarebbero stati in grado di raggiungere Havard entro due giorni, e infatti il pomeriggio seguente individuarono la sagoma circolare di un campo.

 Anche questa volta le vedette li individuarono con largo anticipo e diedero l’allarme, e anche questa volta i tre atterrarono a debita distanza per poi avvicinarsi a piedi, nel modo più calmo e amichevole possibile.

Si aspettavano di incontrare in prima battuta dei semplici guerrieri, invece ad attenderli davanti all’ingresso del campo c’era proprio lui: Havard, l’orco pallido che stava stravolgendo il continente settentrionale.

Tenko si aspettava qualcuno decisamente più imponente, invece l’uomo davanti a lei non era particolarmente alto o robusto, almeno per gli standard degli orchi. La sua unica arma sembrava essere il suo bastone d’ossa, quindi doveva basarsi più sulla magia che sul combattimento corpo a corpo. Una scelta comprensibile, dato che era il figlio di una dea.

«Sono Havard, figlio di Hel e futuro sovrano di queste terre.» Non c’era esitazione nelle sue parole, solo fierezza e autorevolezza. «Non siete inquisitori, eppure vi presentate davanti a me cavalcando delle viverne. Ve lo concedo, avete catturato la mia attenzione.»

«Sommo Havard, io sono Icarus Photorikos. I miei amici sono Zabar Biisto e Tenko Br’rado. Siamo venuti dal continente meridionale per incontrarla.»

«Dunque le voci su di me sono arrivate fino a Meridia. Non mi stupisce che il Clero del sud sappia di me, ma non pensavo che avrebbe condiviso questa informazione con il popolo.»

«A dire il vero, non l’ha fatto. Abbiamo saputo di lei leggendo le lettere di alcuni sacerdoti.»

«Capisco. Deduco che almeno uno di voi sappia leggere quindi. E noto che parli molto bene la nostra lingua. Dove l’hai studiata?»

Icarus si voltò un attimo verso Tenko, che annuì.

«Ecco, in realtà temo non sia merito mio se riusciamo a conversare così agevolmente. I miei amici hanno trovato un artefatto antico, ed è grazie a questo artefatto se riusciamo a comprenderci a vicenda.»

«Una vera fortuna» annuì Havard, che non sembrava minimante stupito dell’esistenza di un simile oggetto. «Mi farà comodo qualcuno in possesso di un traduttore.»

«Sarà un piacere per noi collaborare con lei e i suoi guerrieri per raggiungere il nostro comune obiettivo.»

«Immagino saprete che il mio obiettivo è sbarazzarmi degli dei e fondare un regno di prosperità e progresso. Dunque, qual è esattamente il vostro obiettivo?»

«Uccidere gli dei» dichiarò Tenko prima che Icarus avesse il tempo di aprire bocca.

Havard la fissò con intensità. La demone sentì come se il pallido le stesse guardando l’anima, ma resse il suo sguardo, sforzandosi di non cedere alla sua aura mistica e autorevole.

«E poi?» la esortò l’orco.

«E poi cosa?» rilanciò la giovane.

«Cosa farai quando avrai ucciso gli dei?»

«Ci penserò quando saranno morti.»

Il pallido la fissò in silenzio per alcuni interminabili secondi, come a valutare la sua determinazione.

«Ho capito. In tal caso, vi faccio la stessa proposta che ho fatto a tutti gli altri: seguitemi, e il vostro impegno e i vostri talenti saranno generosamente ricompensati. Traditemi, e sconterete le vostre pene nel mio inferno.»

«Suona come una minaccia» notò Tenko.

«Preferisco definirla una promessa. Ma sì, è anche una minaccia. O un ammonimento, se preferite.» Detto ciò, Havard tese la mano verso di loro. «Dunque, posso contare sui vostri preziosi talenti per costruire un futuro migliore per tutti?»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Ci siamo finalmente: Tenko e Havard si sono incontrati. E non si sono ancora uccisi a vicenda, quindi direi che è andata bene XD

Mi spiace un po’ per Icarus dato che la demone ha mandato in fumo il suo bel discorso diplomatico, ma per il momento non sembra ancora tutto perduto.

Non voglio spoilerare come andrà a finire il confronto (si spera solo dialettico) tra Tenko e Havard, quindi non vi resta che aspettare il prossimo capitolo.

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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Capitolo 17
*** 16. Prove di fiducia ***


16. Prove di fiducia

La situazione era tesa. Havard aveva fatto la sua proposta, ma i secondi scorrevano – lenti e pesanti – e nessuno sembrava intenzionato a dargli una risposta. Tenko fissava il pallido come se volesse sfidarlo, Icarus aveva troppa paura di Tenko per prendersi la responsabilità di rispondere, e Zabar sperava solo che nessuno facesse caso a lui.

«Come posso prometterti che ti seguirò sempre e comunque se ti conosco appena?» Le parole della demone tagliarono il silenzio come una lama fredda e affilata. «Potresti chiedermi di fare qualcosa che non voglio fare, o potrei scoprire che in realtà farei meglio a ucciderti.»

L’atmosfera, se prima era tesa, si fece di colpo ancora più opprimente. L’espressione del figlio di Hel era indecifrabile, al contrario quelle dei suoi guerrieri erano piuttosto eloquenti: sarebbe bastato un cenno dal loro capo e avrebbero dato una lezione a quella straniera impertinente.

Havard soppesò la sua reazione con calma, quasi a volersi gustare quel momento, poi le sorrise. Non era un sorriso divertito, né un sorriso amichevole. «In effetti non hai tutti i torti. Se questo fosse un accordo tra pari, avresti il diritto di esigere anche tu la mia lealtà. Ma dimmi: come posso accoglierti tra le mie fila, e come posso riconoscere i tuoi meriti, se non posso fidarmi di te?»

Tenko serrò i pugni. Quell’orco era molto più furbo di lei, lo sapeva, ma non intendeva farsi fregare da lui. Non gli avrebbe giurato fedeltà incondizionata, ma non poteva nemmeno tornare indietro a mani vuote: Havard era l’unico in grado di opporsi davvero agli dei.

Facendo appello a tutto il suo coraggio e alla sua determinazione – o forse alla sua stupidità e alla sua disperazione – la demone avanzò verso il figlio di Hel fino a essere faccia a faccia con lui. In realtà l’orco la superava di tutta la testa, per non parlare della sua aura opprimente, ma non era il momento di farsi distrarre da simili dettagli.

«Ti prometto che combatterò al tuo fianco, ma se dovessi decidere che la tua causa è sbagliata, ti farò sapere che non intendo più seguirti e me ne andrò.»

“E poi tornerò a ucciderti.” Sentì l’impulso di aggiungere queste parole, ma in qualche modo riuscì a ricacciarle in gola.

Di nuovo Havard rifletté attentamente prima di pronunciare la sua risposta. Vedeva la paura negli occhi di Tenko, la preoccupazione, ma anche il suo coraggio e una forte determinazione.

«La tua è una richiesta piuttosto arrogante, spero te ne renda conto.»

 La demone ebbe un leggero sussulto e avvicinò istintivamente la mano all’elsa della spada.

«Ma apprezzo la tua sincerità.» Il pallido si voltò verso il campo. «Seguitemi.»

Havard fece qualche passo, ma subito si rese conto che i tre erano ancora immobili.

«Non intendo uccidervi, se è questo che vi preoccupa.»

Le sue parole avrebbero dovuto essere rassicuranti, ma lo schieramento di guerrieri restava comunque una presenza alquanto minacciosa.

Tenko e i suoi compagni scambiarono uno sguardo, poi la demone fece il primo passo. Zabar e Icarus la seguirono, intimoriti ma determinati.

L’accampamento degli orchi era piuttosto grande e contava diverse centinaia di persone. Le tende erano tutte rozze e molto simili tra loro, fatta eccezione per quelle dedicate a scopi particolari, come quella dei fabbri.

In quel momento i tre erano troppo preoccupati per farci caso, ma la struttura interna del campo era molto più ordinata rispetto a quella dei villaggi e delle città, dove le strade erano quasi tutte storte e di ampiezza disomogenea. Al contrario l’accampamento aveva una base quadrangolare, c’erano due strade principali più ampie che lo dividevano in quattro settori, e le tende erano tutte posizionate in file ordinate e precise.

Havard li condusse proprio al centro del campo, dove spiccava una tenda più grande delle altre. Il pallido scostò la pelle di monoceratopo che chiudeva l’ingresso e fece segno ai tre di entrare.

L’interno, per quanto più ampio di una tenda normale, era comunque piuttosto spartano: c’erano appena un tavolo messo di lato e uno scranno posizionato dalla parte opposta all’ingresso. Dietro la seduta si intravedeva un altro passaggio, che forse conduceva al giaciglio di Havard.

«Voglio parlare con loro in privato» disse il pallido ai suoi guerrieri, dopodiché raggiunse il suo scranno.

Non c’erano altre sedute nella tenda, così i tre dovettero restare in piedi davanti a lui.

«Siete stati molto diretti con me, quindi lo sarò anche io con voi» affermò il figlio di Hel. «Se una persona normale mi avesse parlato in quel modo, lo avrei cacciato immediatamente. Ma è evidente che voi non siete persone normali, quindi intendo darvi un’altra occasione. Innanzitutto voglio sapere perché voi due avete una magia così strana» disse indicando Tenko e Icarus. «Voglio sapere come avete domato le viverne e come siete entrati in possesso del traduttore. E voglio sapere quali altri talenti avete, così da poterli sfruttare al meglio.»

Di nuovo i tre si scambiarono uno sguardo.

La prima a farsi avanti fu Tenko. Spiegò dei suoi sogni con le tre donne misteriose e della sua abilità di diventare intangibile. Lei stessa non aveva ancora capito esattamente chi fossero, ma ebbe la sensazione che il pallido ne sapeva più di lei a riguardo.

«Le tue informazioni sono troppo vaghe per farsi un’idea precisa di loro, comunque fammelo sapere se ti dovesse capitare ancora di sognarle» affermò il figlio di Hel. «Magari è possibile mettersi in contatto con loro.»

Dopo di lei fu il turno di Icarus di spiegare i suoi talenti e come aveva ottenuto le sue abilità magiche. Havard ascoltò anche lui in maniera attenta ma distaccata, e non nascose un certo disappunto quando il faunomorfo ammise che, senza i suoi appunti rimasti a Meridia, non sarebbe stato in grado di replicare i rituali necessari a far avere la magia ad altri.

«In tal caso vorrei che ti concentrassi sullo sviluppo dei congegni magici. Inoltre sarebbe utile se condividessi la tua esperienza di mercante con gli orchi che vogliono intraprendere tale strada.»

Per ultimo toccò a Zabar, che fra i tre era il più intimorito dall’aura di Havard. Gli raccontò del suo passato come chierico, delle sue ricerche sulla vera storia del mondo, e anche delle sue conoscenze sulla doma degli animali.

«Avere dei guerrieri in grado di cavalcare i draghidi sarà estremamente utile per fronteggiare gli inquisitori. Voglio inoltre che studi anche il resto della fauna locale in modo da sfruttarla al meglio in nostro favore.»

La discussione tra i quattro fu piuttosto lunga e si protrasse oltre il tramonto, quindi Nambera e altre orchesse si premurarono di portare loro la cena e poi li lasciarono proseguire in privato.

Era ormai notte quando Havard decise che aveva ascoltato a sufficienza.

«Avete tutti e tre dei talenti molto utili, e intendo sfruttarli appieno per sconfiggere gli dei e creare un futuro migliore per tutti.» Si alzò. «Vi farò avere dei letti, così potrete riposare. Mi aspetto che cominciate a lavorare da domani.»

Si diresse verso l’uscita, ma Tenko lo fermò.

«Un momento, avrei anche io una domanda. Tu perché fai tutto questo? Io voglio vendicare la mia famiglia, Zabar vuole scoprire la verità sul mondo, Icarus vuole studiare la magia, e tutti e tre vogliamo fermare le prepotenze degli dei. Tu sei un dio, perché ti sei schierato contro di loro?»

Il pallido la fissò con autorevolezza.

«Semplice: perché la penso come voi. Ho avuto la prova dell’egoismo degli dei quando hanno architettato l’uccisione di mia madre, la precedente dea dell’oltretomba. E mi disgusta vedere questo mondo ristagnare nell’immobilismo, quando invece dovrebbe ambire al rinnovamento e al progresso. Il fatto che io stesso sia un dio non mi rende cieco all’incompetenza dei miei simili.»

Detto ciò, il figlio di Hel uscì dalla tenda e informò un paio di guerrieri di far avere ai tre nuovi arrivati un posto per dormire.

Mentre Tenko e gli altri si allontanavano, Nambera ne approfittò per raggiungere Havard e ritirare le ciotole vuote.

«Cosa pensi di loro?» gli chiese.

Havard, che era tornato sul suo spartano scranno, stava muovendo fra le dita il teschio di corvo che portava al collo.

«Il demone pipistrello era fin troppo in soggezione e mi è sembrato più interessato al passato che al futuro. Ma è chiaro che la conoscenza della fauna è un ambito di suo interesse, quindi non avrà problemi a collaborare con la mia futura cavalleria. Il faunomorfo mi ha mentito, spudoratamente aggiungerei, ma ne renderà conto al momento giusto. Per il momento voglio che insegni ai fabbri-alchimisti come creare nuovi congegni magici, e ai nomadi le basi del commercio. E poi c’è la demone… Le sue abilità sono estremamente utili e la sua determinazione è assoluta. Una come lei può davvero fare la differenza in questa guerra.»

Sospirò con disappunto.

«Ma…?» lo esortò Nambera.

«Ma la guerra finirà prima o poi.» Scosse il capo. «E lei non si piegherà. Non lo farà mai. E questo mi lascia con poche opzioni.»

L’orchessa lo osservò con un velo di preoccupazione.

Havard fece ruotare lentamente il suo bastone d’ossa. «Nella migliore delle ipotesi si farà ammazzare nel tentativo di uccidere qualche dio.»

Nambera serrò la presa sulle ciotole. Aprì la bocca, ma esitò. Poi raccolse il suo coraggio e si avvicinò al suo protetto. «Havard, sai che sarò sempre dalla tua parte, ma sono preoccupata per te. È davvero questo ciò che vuoi?»

Il figlio di Hel la guardò dritto negli occhi, poi però distolse lo sguardo. «Quello che voglio non conta più. Farò ciò che va fatto. È questo il senso del governare.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Tenko e Havard sono riusciti a trovare un accordo, ma la loro alleanza non sembra così solida. Se non altro, finché il loro obiettivo coincide, dovrebbero riuscire a collaborare.

Certo tra l’anarchia di Tenko, la titubanza di Zabar, le menzogne di Icarus (reali o presunte) e l’attitudine di Havard a mettere da parte la morale pur di raggiungere i suoi scopi, il loro futuro si prospetta pieno di insidie. E non dimentichiamoci che gli dei e il Clero non staranno certo a guardare, anzi.

Come sempre vi do appuntamento tra due settimane per il prossimo capitolo.

A presto ^.^


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Capitolo 18
*** 17. La sicaria spettro ***


17. La sicaria spettro

Era notte fonda e la piccola città era ancora molto tranquilla. In cielo si vedevano le stelle e le due lune, mentre fra le strade era raro incontrare più di due orchi allo stesso tempo, quasi tutti guardie.

Una figura avvolta in un logoro mantello apparve dal nulla in un angolo buio vicino alla palizzata. Gli occhi rosa di Tenko luccicarono appena attraverso le fessure dell’elmo mentre si guardava intorno.

Nessun nemico in vista, poteva avanzare.

Muovendosi rapida e attenta, si diresse verso il centro della città.

Udì un rumore di passi e si affrettò a nascondersi in un vicolo. Gli orchi non erano soliti avvolgersi in mantelli o simili, ma quella cappa scura di pelli animali l’avrebbe aiutata a mimetizzarsi tra le ombre.

Tenko portò la mano sulla spada e rimase immobile mentre la guardia attraversava la strada davanti a lei con una torcia in mano. L’orco non sembrava essersi accorto di lei, infatti avanzò oltre senza fermarsi.

La demone, che aveva inconsciamente smesso di respirare, trasse un sospiro di sollievo. Il suo compito era molto chiaro e non intendeva fallire. Era pronta a combattere nel caso l’avessero scoperta, ma la sua priorità doveva essere quella di non farsi vedere: se davano l’allarme, il suo obiettivo sarebbe diventato pressoché irraggiungibile.

Riprese a camminare guardinga, muovendosi tra i vicoli più stretti e cercando di evitare il più possibile qualsiasi orco, fosse un guerriero o un civile.

Quando finalmente raggiunse la canonica, l’alba era ancora lontana: aveva tutto il tempo per agire con il favore delle tenebre. La struttura dell’edificio era molto diversa dalle canoniche del continente meridionale: questa era molto più massiccia, e anche un po’ rozza. Gli orchi magari non avevano la raffinatezza di altre specie, ma non poteva negare che quella canonica fosse molto imponente. E lo stesso valeva per i templi costruiti a poca distanza: avevano meno decorazioni di quelli a cui era abituata, ma riuscivano comunque a sottolineare tutta la potenza e l’autorità del Clero.

Al contrario del resto della città, la canonica era piuttosto ben sorvegliata, con ben quattro guardie a piantonare l’ingresso. Ma questo non sarebbe stato un problema per Tenko: la demone evocò i poteri delle tre donne misteriose e il mondo intorno a lei si fece distorto e oscuro. Attraversò lo spesso muro di pietra come se non esistesse, si guardò intorno per controllare che non ci fossero altre guardie, dopodiché ritornò tangibile.

Si era allenata molto nelle ultime settimane per imparare a padroneggiare quella versatile abilità. Sentiva di aver fatto grandi progressi, ma ancora non aveva la confidenza di dire che ne aveva il pieno controllo. In ogni caso sapeva come sfruttarla, e per il momento questo le bastava.

Aveva attaccato numerose canoniche in passato, quindi per esperienza sapeva che i priori avevano le loro stanze al primo piano o più in alto. Si trattava sempre di stanze ampie e lussuose, con una bella vista su piazze, giardini o templi. In realtà non poteva affermare con certezza che le stesse regole valessero anche per gli orchi, ma era meglio che andare alla cieca.

Così come aveva fatto in città, si mosse per la canonica in modo cauto e circospetto. I corridoi all’inizio le sembravano tutti uguali, poi cominciò a notare che le statue erano diverse – probabilmente raffiguravano varie divinità locali –, i dipinti fatti su grandi pelli di animali immortalavano scene di miti che non conosceva, e in alcune aree c’erano tappeti di pelliccia che attutivano il rumore dei suoi passi.

Vide una luce muoversi dietro un angolo. Valutò rapidamente se c’erano dei nascondigli, ma non ne trovò. Con la mano sulla spada evocò nuovamente i suoi poteri e con sollievo vide l’aria farsi tetra intorno a lei. Le guardie, due in tutto, voltarono l’angolo e camminarono nella sua direzione. Tenko rimase immobile, pronta ad attaccare, ma soprattutto concentrata sul mantenere attivi i suoi poteri.

Gli orchi sfilarono al suo fianco, attraversandola come se non esistesse. Tenko avvertì l’impulso di ucciderli alle spalle, così da non doverli affrontare successivamente, ma non poteva farlo: se qualcuno avesse trovato i cadaveri sarebbe scattato l’allarme, e lei non era abbastanza forte per nascondere i corpi di quei possenti guerrieri, né ne aveva il tempo.

Quando i due voltarono in un altro corridoio, finalmente la demone si decise a tornare tangibile. Aveva il fiato corto, ma riprese subito ad avanzare.

Una volta raggiunta quella che sembrava l’ala delle stanze private, cominciò a controllare le porte: le apriva lentamente, implorando che non cigolassero, e poi lanciava un rapido sguardo all’interno. Trovò diversi orchi addormentati su comodi letti di pelliccia, segno che era nel posto giusto, ma quale di loro era il priore?

In ogni caso i suoi ordini erano piuttosto chiari a riguardo.

«Devi uccidere il priore, i capi delle guardie e tutti gli inquisitori che trovi» le aveva detto Havard. «Se non sei sicura su chi siano, uccidili lo stesso. Ne sei in grado?»

«Ucciderò tutti i servi degli dei che serve.»

Sebbene gli orchi fossero quasi tutti alti e robusti, ucciderli nel sonno non era diverso dal togliere la vita ai membri di altre specie. Che fossero sacerdoti o sacerdotesse, non si fece alcuno scrupolo a eliminarli prima di chiudere la porta e muoversi verso la stanza successiva. Doveva solo sperare che non trovassero un cadavere prima che il suo compito fosse finito.

Superata l’ennesima porta si trovò in una stanza più ampia delle altre, con tanto di balconata al posto della consueta finestra. Notò anche alcuni abiti particolarmente ricercati disposti su dei manichini, segno che finalmente era arrivata nel posto giusto.

Si avvicinò al letto, più ampio di quelli nelle altre stanze, e questa volta vi trovò non uno, ma ben tre orchi addormentati, tutti senza vestiti. Non aveva idea di quale di loro fosse il priore, ma si trovavano tutti e tre in quella stanza, quindi erano suoi nemici.

Sguainò lentamente la spada e con un colpo netto tagliò la gola al primo, che non si accorse di nulla.

Fece il giro del letto e sgozzò l’orco dal lato opposto, ma questi ebbe un sussulto improvviso.

Il terzo uomo, quello al centro, aprì gli occhi. Sebbene fosse ancora mezzo addormentato riuscì a distinguere la sagoma di Tenko, poi sbarrò le palpebre nel riconoscere la spada insanguinata. Indietreggiò e aprì la bocca per urlare. La demone balzò in avanti e gli tagliò la gola con un tondo immediato. Il sangue dell’orco cominciò a colare sul cadavere sotto di lui, il volto deformato dal terrore, ma Tenko non ci fece caso, troppo impegnata a placare il palpitare del suo cuore: aveva rischiato grosso, ma aveva portato a termine la prima parte della sua missione.

Guardò verso il balcone, da dove arrivavano i raggi flebili delle stelle. Le due lune erano quasi tramontate, segno che presto sarebbe arrivata l’alba. E lei doveva ancora uccidere il capo delle guardie, più gli eventuali inquisitori che probabilmente si trovavano in città.

Si affrettò a lasciare la canonica e, sempre senza abbassare la guardia, raggiunse la caserma poco distante. Stando alle informazioni che le avevano dato, c’erano almeno altre due caserme più piccole all’interno delle mura, ma con ogni probabilità il capo delle guardie si trovava lì. O magari c’era un suo vice: le avevano spiegato infatti che il Clero aveva aggiunto dei turni di notte per le guardie di alto rango così che ci fosse sempre qualcuno in grado di coordinare le difese contro i ribelli. Ci sarebbe voluto troppo tempo per trovare la casa del capo delle guardie e ucciderlo nel suo letto come aveva fatto con il priore, ma eliminare l’ufficiale in carica in quel momento avrebbe comunque ostacolato i difensori.

Evocò ancora la sua abilità spettrale e si intrufolò nell’edificio, ma appena ebbe attraversato il muro si sentì come svuotata e tornò improvvisamente tangibile.

Soffocò un’imprecazione: aveva usato troppo i suoi poteri e si erano scaricati. O forse era solo uno scherzo di cattivo gusto delle tre donne, non poteva escluderlo. Ma non intendeva ritirarsi: aveva ancora tutte le sue armi e l’effetto sorpresa. Avrebbe ucciso il capo delle guardie e avrebbe dimostrato a Havard di cosa era capace.

Con passo silenzioso cominciò a muoversi per l’edificio, che per sua fortuna era più piccolo della canonica. Decise di cominciare a cercare dai piani superiori: da lì la visuale sulla città era migliore, quindi l’ufficiale in carica avrebbe potuto osservare più agevolmente la situazione.

Si nascose dietro una scalinata in legno e attese nell’ombra che un paio di guardie scendessero, dopodiché salì in fretta i gradini.

Si guardò intorno, indecisa su quale direzione seguire.

«Ehi, tu! Che ci fai qui?!»

Tenko si voltò di colpo e scagliò un fulmine dalla bacchetta celata. L’orco venne colpito in pieno e rimase paralizzato. La demone scattò verso di lui e lo trafisse al cuore. Provò a sorreggerlo per attutire la caduta, ma la guardia era troppo pesante e dovette scansarsi per non venire schiacciata. Il tonfo non fu particolarmente rumoroso, ma Tenko si affrettò comunque a lasciare il corridoio.

Con il cuore che batteva all’impazzata salì un’altra rampa di scale, quasi di corsa. Si guardò rapidamente intorno, notò una luce in movimento e si affrettò ad andare nella direzione opposta.

Sgusciò dietro l’angolo giusto in tempo per evitare i guerrieri di ronda, poi continuò a muoversi spedita: non aveva più molto tempo, doveva sbrigarsi a trovare e uccidere il capo delle guardie.

All’improvviso udì delle voci provenire dal piano inferiore: avevano trovato il corpo.

In un attimo la voce si diffuse e ben presto un rumore di passi svelti e pesanti la raggiunse. Sbirciò dietro un angolo e vide un orco correre su per la scala da cui era arrivata. Stava forse andando a informare il suo capo? Non poteva saperlo con certezza, ma doveva rischiare: se restava lì l’avrebbero trovata comunque.

Senza pensarci due volte partì all’inseguimento. Il rumore dei passi dell’orco copriva quasi completamente il suo, ma doveva stare molto attenta: altri guerrieri potevano accorrere per capire cosa stesse succedendo.

Per fortuna l’inseguimento si concluse prima del previsto: dopo aver percorso appena un paio di sale, la guardia spalancò una pesante porta e fece praticamente irruzione in una stanza di medie dimensioni con un’ampia balconata. All’interno c’era solo una persona: un orco particolarmente muscoloso che in quel momento stava osservando la città.

«Signore, hanno trovato una guardia morta al secondo piano!»

L’ufficiale si voltò verso di lui, rivelando una barba scura raccolta in varie trecce. «Avete trovato il colpevole?»

«Non ancora, lo…»

La lama di Tenko spuntò dal petto della guardia, spezzandone la frase. La bocca dell’orco si riempì di sangue, ma lui non intendeva arrendersi. Si voltò di scatto, provò a colpirla con un braccio, ma la demone era già scattata all’indietro.

La guardia barcollò per qualche istante e poi stramazzò sul pavimento, inzuppando di sangue il tappeto di pelliccia.

Invece di preoccuparsi per il suo subordinato, il capo delle guardie andò a prendere la sua arma – un pesante palo di legno e metallo – e poi rivolse a Tenko un ghigno bellicoso.

«Tu devi essere il colpevole. Ah! Che vergogna essere ucciso da uno sgorbietto come te!»

La demone si tolse la cappa e la gettò verso il nemico. La guardia menò un ampio fendente con il suo palo, certa di intercettare l’attacco a sorpresa della sua avversaria mentre spazzava via il mantello, ma Tenko non si era mossa. Appena l’orco ebbe sgomberato la visuale, lei scagliò il suo fulmine e ancora una volta centrò in pieno il bersaglio.

Scattò in avanti per approfittare della paralisi del nemico, ma questi menò un altro attacco. Tenko riuscì per un soffio a frenare il suo impeto e balzò all’indietro.

«Questi trucchetti non funzionano con me, sgorbietto» la ammonì l’orco. Dalle feritoie del suo palo cominciò ad uscire del fumo. «Ti spezzerò le braccia e poi ti impiccherò nella piazza principale.»


Note dell’autore

Ben ritrovati :)

Che dire, Tenko si sta dando da fare, e lo sta facendo nel modo che le riesce meglio: infiltrandosi come un’ombra per colpire il nemico alle spalle.

Qui la vediamo sfruttare nuovamente i poteri da spettro, anche se a quanto pare non è ancora riuscita a padroneggiarli del tutto. Riuscirà mai a farlo? Staremo a vedere.

Una cosa è certa: la demone si trova faccia a faccia con uno dei capi delle guardie, quindi dovrà fare ricorso a tutti i suoi (sporchi) trucchi per riuscire ad avare la meglio.

Come sempre grazie per essere passati e a presto ^.^


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Capitolo 19
*** 18. La breccia insanguinata ***


18. La breccia insanguinata

Il vicecomandante delle guardie di Darnaka era più che fiducioso delle proprie abilità. Non solo era alto e robusto, ma poteva anche contare sulla benedizione di Tezcatlipoca, il dio della guerra e della notte, i cui poteri crescevano dopo il calare del sole. Per sfruttare il fumo velenoso tipico del dio, i suoi devoti dovevano utilizzare uno specchio, proprio come la loro divinità, ma il vicecomandante aveva inserito dei frammenti di specchio direttamente nelle feritoie del suo palo, rendendo la sua lunga arma ancora più versatile.

Tenko aveva capito immediatamente che non doveva sottovalutare il suo avversario, quindi indietreggiò e si coprì naso e bocca con la manica per cercare di non respirare il fumo velenoso. Ma non poteva nemmeno perdere tempo: presto le altre guardie sarebbero arrivate e sarebbe stata in trappola.

Doveva concentrarsi, focalizzarsi sul suo obiettivo. Ricordò la rabbia che l’aveva spinta a lottare fino a quel momento, l’odio che provava verso gli dei, la sua brama di vendetta, e il mondo intorno a lei venne distorto dal potere delle tre donne misteriose.

Il capo delle guardie non riuscì a nascondere il suo stupore.

«Dove sei finito, sgorbietto?! Esci fuori e combatti da uomo!»

L’orco roteò il suo palo intono a sé, spargendo fumo velenoso.

«Se credi che basti diventare invisibile per sconfiggermi, ti sbagli di grosso!»

Tenko non si lasciò distrarre dalle parole del suo nemico e rimase in attesa. Il tempo era contro di lei – non solo le guardie potevano arrivare in ogni momento, ma anche i suoi poteri avevano una durata limitata – ciononostante doveva stare molto attenta: un singolo colpo di quel palo avrebbe potuto romperle qualsiasi osso.

La guardia mosse il piede destro e ruotò la sua arma nella medesima direzione, disegnando un ampio semicerchio. Mosse il piede sinistro e descrisse un arco verso sinistra con il suo palo. Il suo ritmo non era fisso e anche la direzione in cui ruotava sembrava casuale, ma Tenko poteva comunque sfruttare quelle movenze a suo vantaggio.

L’orco si guardò rapidamente intorno, deciso a individuare la sua preda. Mosse il piede destro ed eseguì un fulmineo tondo nella stessa direzione, tagliando l’aria e riempiendola di fumo velenoso.

Il palo si stava ancora muovendo quando Tenko si materializzò davanti a lui. La guardia abbassò lo sguardo e vide la spada puntata alla sua gola. Fece forza con le braccia per invertire il movimento, ma la demone fu più rapida: si allungò verso l’alto e la lama gli tagliò la barba, trafisse la gola e sbatté contro le ossa superiori del cranio.

Portato a termine il suo attacco, Tenko non si mosse. Sapeva di non averne il tempo. Divenne uno spettro e lasciò che il palo dell’orco fendesse l’aria in un ultimo, disperato contrattacco.

Ancora invisibile, la demone balzò all’indietro, verso il balcone, dove il fumo velenoso era meno denso. Tornò tangibile e osservò il vicecomandante delle guardie che stramazzava sul morbido tappeto di pelliccia. Un altro dei suoi obiettivi primari era morto.

Si rese conto di avere il fiato corto: probabilmente era per aver usato ancora i suoi poteri, ma non poteva escludere che anche il fumo velenoso stesse facendo effetto. Doveva sbrigarsi ad andarsene da lì.

Guardò verso il basso. Si trovava al terzo piano: un unico salto era troppo rischioso, ma questo non l’avrebbe fermata.

Rinfoderò la spada senza preoccuparsi del sangue rimasto sulla lama e impugnò la frusta. Avvolse l’estremità intorno al parapetto del balcone e poi saltò giù senza paura. Si lasciò dondolare e usò le gambe per attutire l’impatto con la parete inferiore, dopodiché sfruttò la bacchetta celata per creare una sporgenza di roccia un paio di metri sotto di lei. Smise di infondere energia nella sua frusta e la presa sul parapetto si allentò. Si lasciò cadere sulla sporgenza e poi da lì fino a terra, dove attutì la caduta con una capriola.

L’allarme non aveva ancora raggiunto l’esterno della caserma, così ne approfittò per correre verso un vicolo immerso nell’ombra.

Havard le aveva chiesto di uccidere gli inquisitori presenti in città nel caso li avesse trovati, ma la verità era che nemmeno lui sapeva se ce ne fossero o dove trovarli. Potevano essere nella canonica, in una caserma, o in qualsiasi altro edificio abbastanza lussuoso da accogliere qualcuno del loro rango.

Tenko sarebbe stata ben felice di sgozzarli nel sonno come aveva fatto con i chierici, ma non aveva abbastanza informazioni per andare a cercarli, in più ora che le guardie avevano trovato dei cadaveri sarebbe stato troppo pericoloso riprovare a infiltrarsi.

La demone controllò che la strada davanti a sé fosse libera e poi riprese a correre verso le mura. In quel momento la cosa migliore che potesse fare era sbarazzarsi delle sentinelle, così da dare a Havard e alle sue truppe più tempo per avvicinarsi alla città senza venire scoperti.

La cinta di pietra era spessa ma non particolarmente alta, infatti a Tenko bastò percorrere una stretta scalinata per raggiungere il cammino di ronda. Darnaka si trovava in una zona rocciosa e sopraelevata, di conseguenza il controllo della pianura circostante era affidato ad appena una manciata di guardie. Ovviamente la giovane doveva stare comunque molto attenta: se la scoprivano, avrebbero dato immediatamente l’allarme con i loro corni. E questo avrebbe potuto complicare le cose anche per Havard e le sue truppe, oltre che per lei.

Individuò la prima sentinella: un orco relativamente slanciato che stava osservando l’orizzonte con fare annoiato. Tenko si avvicinò di soppiatto con la spada sguainata e si portò alle spalle della guardia senza farsi scoprire. Affondò la lama nel costato del nemico. La vittima emise un grugnito strozzato e Tenko la spinse oltre il parapetto.

Riuscì a uccidere un altro orco nello stesso modo, poi però individuò una sentinella più attenta che di tanto in tanto si guardava intorno e percorreva il cammino di ronda per una manciata di metri.

D’un tratto l’orco parve notare qualcosa verso est perché si mise a osservare con più attenzione l’orizzonte. Tenko lanciò uno sguardo nella medesima direzione e anche lei individuò un’ampia macchia scura in avvicinamento: l’esercito di Havard.

La sentinella stava già portando la mano verso il corno. Tenko si lanciò di corsa e l’orco la sentì arrivare. Si voltò. Sguainò la sua spada ricurva e sollevò il corno. Inspirò.

La demone scagliò un fulmine dalla bacchetta celata e la sentinella rimase paralizzata con le labbra a pochi centimetri dal corno. Tenko menò un fendente in corsa, gli tagliò il polso e gli aprì uno squarcio nella gola.

L’orco cadde all’indietro, agonizzante nella paralisi. La demone sollevò la spada e lo trafisse al cuore, ponendo fine alle sue sofferenze.

Si concesse un attimo per riprendere fiato, poi guardò oltre, in cerca di altre guardie sul cammino di ronda. Non ne vide, ma era meglio controllare ugualmente.

Prima di avanzare, guardò di nuovo verso est, dove la massa di guerrieri di Havard si faceva ogni momento più definita. E più minacciosa.

Mentre Tenko si occupava di sabotare le difese della città, Havard guidava le sue truppe in sella al drago che aveva sottratto poche settimane prima a un inquisitore. Si trattava di un drago corazzato, una razza più grande e massiccia delle altre, riconoscibile dalla pelle coriacea come un’armatura. I draghi corazzati non erano adatti al volo prolungato e non potevano sputare fuoco, ma erano abbastanza forti e resistenti da non averne bisogno.

Ormai le truppe di Havard erano chiaramente visibili dalle mura di Darnaka, eppure l’orco pallido non aveva ancora sentito nessun corno: evidentemente la demone aveva fatto il suo dovere.

Con il suo esercito a meno di cento metri dal portone principale, l’orco ordinò telepaticamente al suo drago di partire alla carica. Il possente animale spalancò le ali e cominciò a correre in avanti. Spiccò il volo, ma non si sollevò da terra, anzi continuò a volare radente per prendere velocità. Havard si tenne forte alla sella e creò uno scudo magico intorno al suo drago. Il rettile chiuse le ali all’ultimo e si lanciò contro il pesante cancello di Darnaka. L’impatto fu violentissimo e risuonò in tutta la città, seguito dallo scrosciare delle macerie e dei frammenti di legno. Il drago corazzato, praticamente incolume, si sollevò sulle zampe posteriori e lanciò un ruggito fragoroso, scatenando l’entusiasmo degli invasori.

Tenko osservò il tutto dal cammino di ronda, o almeno da ciò che ne restava. Tutte le mura avevano tremato all’impatto, e le sezioni a ridosso del cancello erano in parte crollate. Ora le truppe di Havard stavano sfruttando la breccia per infiltrarsi in città con le armi in pugno e sbaragliare le poche guardie in strada.

Gli abitanti di Darnaka, svegliati dall’improvviso trambusto, capirono subito quello che stava succedendo: alcuni si barricarono in casa, altri invece uscirono in strada con la prima arma che capitava loro a tiro. La demone osservò i guerrieri in armatura dell’orco pallido massacrare uno dopo l’altro chiunque si parasse loro davanti, fosse una guardia o un semplice cittadino. Erano come un’onda inarrestabile che si allargava in ogni strada, in ogni vicolo: erano pronti a tutto pur di reclamare quella città in nome del loro leader.

Lo stesso Havard continuò a guidare l’attacco in groppa al suo drago corazzato, facendosi largo verso la piazza principale. La sua possente cavalcatura era un nemico inarrestabile per gli orchi normali, in più la mancanza del priore e del capo delle guardie aveva gettato i difensori nel caos.

Tenko non aveva più bisogno di passare inosservata, così sfruttò la sua frusta per muoversi tra i tetti, evitando il più possibile di venire coinvolta nei massacri che si stavano compiendo per le strade. Quando raggiunse la piazza, il drago di Havard aveva già abbattuto un tempio e una considerevole porzione della canonica. Se non fossero stati dei seguaci degli dei, la demone avrebbe quasi potuto provare pietà per quegli orchi.

La giovane udì un verso acuto sopra di sé, si voltò e subito riconobbe la sua viverna. Il rettile si posò con cautela sullo stesso tetto della demone, pronto a offrirle il suo aiuto.

«Sì, anche io sono felice di ve-»

Un altro ruggito interruppe la demone. Lei e la sua viverna si voltarono all’unisono, vedendo un altro drago spiccare il volo all’interno della città.

La viverna di Tenko scoprì le zanne.

«Sì, esatto» annuì la giovane. Salì in sella e lanciò un rapido sguardo a Havard, che come loro aveva sentito quel verso di sfida ed era pronto a combattere. «Andiamo a caccia di inquisitori.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Tenko è riuscita a eliminare il vicecomandante delle guardie e le sentinelle, aprendo la strada a Havard e alle sue truppe. Ma la battaglia non è ancora finita, perché ora dovrà vedersela con un inquisitore.

Riusciranno ad avere la meglio? E cos’altro riserverà per loro il futuro?

Non perdete il prossimo capitolo, in arrivo il primo weekend di agosto.

A presto ^.^


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Capitolo 20
*** 19. Il nuovo mondo ***


19. Il nuovo mondo

L’inquisitore di Mbaba Mwana Waresa era contrariato. Una guardia lo aveva svegliato prima dell’alba e lo aveva informato che i ribelli stavano attaccando la città. Seppur infastidito, l’orco si era alzato e aveva indossato la sua ricercata uniforme decorata con i colori dell’arcobaleno.

I piani alti del Clero avevano stabilito che questi ribelli erano più pericolosi dagli altri, e di conseguenza avevano inviato inquisitori in tutte le città. Ovviamente questa contromisura era stata abilmente camuffata agli occhi del popolo, così da far credere ai fedeli che niente e nessuno poteva anche solo impensierire il Clero o tantomeno gli dei onnipotenti.

L’inquisitore entrò nella stalla riservata ai draghidi, non lontana dall’edificio in cui aveva dormito, e si avvicinò a uno dei due animali presenti. Il rettile, un giovane drago striato, lo riconobbe subito e si abbassò per farlo salire.

«Vediamo di fare in fretta, amico mio: non ho ancora fatto colazione.»

Il drago esplose un fragoroso ruggito e si diede lo slancio con le zampe muscolose per spiccare il volo. Appena furono abbastanza in alto, l’inquisitore si guardò intorno e subito individuò la breccia nelle mura, così come la moltitudine di invasori che correvano per le strade. Al centro della città c’era un altro draghide, un imponente drago corazzato. E qualcuno lo stava cavalcando.

L’orco sorrise malignamente. «Ecco il mio trofeo.»

Diede un colpo con i talloni e il suo drago scattò in avanti. Solo dopo qualche secondo l’inquisitore si accorse che da un altro tetto stava decollando un altro draghide più piccolo: una viverna.

L’orco tirò le redini per far fermare la sua cavalcatura. «Da quando ce ne sono due?» Fece un verso di stizza. «Chissenefrega, avrò più teste da offrire agli dei. Avanti, cominciamo dal più piccolo!»

Il guerriero di Mbaba Mwana Waresa sapeva che il possente drago corazzato ci avrebbe messo un po’ per spiccare il volo e unirsi alla battaglia, quindi il suo piano era di sbarazzarsi della viverna e poi di eliminare anche l’altro, così da avere per sé tutto l’onore della vittoria.

«Brucialo!»

Il drago striato spalancò le fauci e scatenò un getto di fiamme contro Tenko e la sua viverna. La demone si piegò di lato, aiutando la sua cavalcatura a virare per schivare l’attacco e portarsi a distanza di sicurezza.

La giovane lanciò uno sguardo a Havard, il cui drago corazzato stava avendo qualche difficoltà a prendere la rincorsa per spiccare il volo a causa degli edifici.

«Avanti, noi siamo più veloci!» affermò Tenko. «Non facciamoci prendere!»

La viverna emise un verso che pareva d’assenso e continuò a volare a distanza di sicurezza dal drago striato.

La demone osservò l’inquisitore, cercando di capire che tipo di poteri avesse. Se avesse saputo di cosa era capace, sarebbe stato molto più facile elaborare una strategia, in ogni caso non doveva avere fretta: lei e Havard erano in vantaggio numerico rispetto al loro nemico, doveva solo aspettare che il corazzato spiccasse il volo.

Sentì dei rumori provenire dalla stalla dei draghi. Si voltò e subito ordinò una picchiata. La viverna piegò le ali e virò verso il basso, giusto in tempo per schivare una palla di fuoco. Tenko la fece zigzagare un paio di volte e l’animale sgusciò tra altre due sfere incandescenti. La viverna si raddrizzò e la demone lanciò un fulmine dalla bacchetta celata, costringendo il suo aggressore a virare.

C’era un altro inquisitore, questa volta su un drago cornuto. E l’orco in questione era in grado di lanciare palle di fuoco. Il nuovo arrivato gridò qualcosa al suo collega, forse per rimproverarlo della sua avventatezza, ma Tenko era troppo lontana per capire bene.

«Occupiamoci del drago cornuto.» Le parole di Havard risuonarono nella mente della giovane con assoluta chiarezza grazie a un incantesimo di telepatia.

Il drago corazzato dell’orco pallido era finalmente decollato, quindi ora potevano affrontare in coppia i due inquisitori.

La demone recepì l’ordine e fece scattare la sua viverna. L’animale serpeggiò tra le palle di fuoco dell’inquisitore e sputò un getto di veleno contro il muso del drago cornuto. Il rettile, colpito in pieno, lanciò un ruggito di dolore e cominciò a dimenarsi, cercando di togliere il veleno dagli occhi.

Havard lanciò un incantesimo di ghiaccio per allontanare l’altro inquisitore e ordinò al suo drago corazzato di caricare. L’inquisitore sul rettile cornuto sparò alcune palle di fuoco, ma l’orco pallido le neutralizzò con una barriera. Il drago corazzato investì il suo simile cornuto e il rettile colpito ruggì ancora di dolore. L’animale precipitò vorticosamente e si schiantò su alcune case di legno, pietra e fango.

«Coprimi!»

Senza aggiungere altro, Havard fece scendere in picchiata il suo drago corazzato.

Tenko capì che l’altro inquisitore stava andando in soccorso del suo collega, così lei fece scattare la sua viverna. Il rettile sputò ancora veleno, ma questa volta il nemico riuscì a schivare e rispose con un getto di fuoco.

Uno schianto improvviso echeggiò nella città. Tenko si voltò di scatto e vide il drago corazzato a terra, proprio dove era precipitato l’altro inquisitore. Del servo degli dei, nessuna traccia.

Uno scossone ricordò alla demone che la battaglia non era finita. Ci sarebbe voluto un po’ prima che il drago corazzato riprendesse il volo, quindi doveva vedersela di nuovo da sola con l’inquisitore rimasto.

La sua viverna schivò agilmente un’altra fiammata e virò dietro a un edificio per avere un minimo di copertura.

Appena il drago striato entrò nel suo campo visivo, Tenko scagliò un fulmine dalla bacchetta celata. Il grosso rettile incassò il colpo, ma se la cavò con un attimo di tentennamento.

Un ruggito fragoroso segnalò l’arrivo del drago corazzato di Havard, pronto a togliere di mezzo anche il secondo nemico.

L’inquisitore di Mbaba Mwana Waresa capì di essere in difficoltà, ma non intendeva fuggire. Fece scendere di quota il suo drago striato ed evocò il controllo della terra della sua dea. Sollevò pietre e fango dalle case sotto di lui e li scagliò contro i ribelli come proiettili.

La viverna di Tenko, che per fortuna era abbastanza lontana, riuscì per un soffio a schivarli, Havard invece evocò un altro scudo magico per proteggersi. Lanciò un incantesimo di ghiaccio e poi uno di putrefazione sulla linea di volo del nemico. La seconda magia andò a segnò e il drago striato ruggì di dolore.

Il rettile, colpito a una spalla, cominciò a volare in maniera incerta e Tenko ne approfittò per accecarlo col veleno della sua viverna. Il drago striato precipitò quasi subito, travolgendo un paio di case.

Havard lanciò il suo drago corazzato contro l’inquisitore, ma questi rispose evocando una barriera di terra che bloccò l’impatto del possente rettile.

Tenko, ancora in cielo, vide Havard che scendeva dalla sua cavalcatura e poggiava una mano a terra. La demone si avvicinò e vide l’orco pallido che sollevava lentamente la mano, come se stesse afferrando qualcosa di invisibile.

Il figlio di Hel strappò l’anima dell’inquisitore e immediatamente la magia del religioso svanì. Sebbene gli scontri infuriavano ancora nel resto della città, in quella zona calò improvvisamente il silenzio: tutti gli sguardi erano su Havard.

La demone controllò rapidamente la situazione, e una volta appurato che non c’era un immediato pericolo, si decise a far atterrare la sua viverna.

«Abbiamo vinto?» esalò, incerta.

«Avremo vinto quando la città sarà mia» rispose schietto Havard, che già stava risalendo in groppa al suo drago corazzato. Le lanciò uno sguardo dall’alto. «Ma se ti riferisci agli inquisitori, allora sì: abbiamo vinto.»

Tenko, quasi incredula, sorrise: avevano ucciso due inquisitori! Avevano sconfitto due dei guerrieri più forti del Clero!

Avrebbe potuto assaporare quella vittoria per il resto della giornata, ma il figlio di Hel la riportò alla realtà: «La battaglia non è finita, ci sono altre guardie da eliminare.»

La demone si sentì un po’ ferita da quel rimprovero – soprattutto perché sapeva di meritarlo – ma non obiettò e fece decollare la sua viverna.

Lo stesso Havard avanzò sul drago corazzato verso il centro di Darnaka, dove si stavano ancora consumando gli ultimi scontri.

La piazza era piena di macerie e cadaveri, e subito il figlio di Hel individuò i suoi nemici: un manipolo di guardie e civili che stavano cercando di proteggere i templi ancora in piedi.

Vedendo arrivare il loro capo, i guerrieri di Havard si scansarono per lasciar passare lui e la sua possente cavalcatura.

«Gli inquisitori sono morti, la battaglia è finita» sentenziò il pallido. «Gli dei hanno perso, ma voi avete ancora una scelta. Avete combattuto con coraggio, e sono pronto a riconoscere il vostro valore. Unitevi a me: insieme possiamo costruire un mondo migliore per tutti.»

I difensori non risposero subito. L’uccisione dei capi religiosi e militari li aveva lasciati senza una guida, proprio come pianificato da Havard.

Finalmente una voce si levò dalla folla: «Se ci arrendiamo, ci prometti che non distruggerai questi templi?»

«Questi templi, come tutti gli altri in città, verranno distrutti. Il tempo degli dei è finito, e non tornerà mai più.»

La freddezza e la determinazione di Havard fecero tentennare i suoi nemici, ma solo finché qualcuno non trovò il coraggio di obiettare: «Non ti lasceremo distruggere questi templi!»

Poco dopo qualcuno lo appoggiò: «Gli dei sono dalla nostra parte!»

«Come possiamo vivere senza gli dei?!»

Havard diede un ordine mentale al suo drago e l’animale batté le zampe anteriori sul terreno. Il suolo venne scosso da un tremito fragoroso e la folla si zittì.

«Uccideteli tutti. E poi distruggete i templi.»

Tenko, che con la sua viverna aveva raggiunto un tetto limitrofo, osservò in silenzio le truppe del figlio di Hel che massacravano senza pietà chiunque si parasse loro davanti. Qualcuno provò a fuggire, ma i soldati del pallido li inseguirono fin dentro le case, spargendo morte e terrore ovunque andassero.

La demone continuava a pensare che eliminare i seguaci degli dei fosse la cosa giusta. Havard aveva dato loro la possibilità di essere liberi, di non sottostare più a delle regole imposte dall’alto con il solo obiettivo di soggiogarli: quegli sciocchi avevano scelto gli dei, e quindi il pallido aveva fatto bene a ordinare di ucciderli.

Tenko serrò la presa sulle briglie della sua viverna. Lo fece con rabbia, una rabbia che non avrebbe voluto provare. Che aveva sperato di non provare.

Era inutile starsene lì a guardare, doveva rimettersi al lavoro. Le regole di Havard erano semplici: chi non collaborava, non mangiava. E nel mondo che il pallido stava creando non c’era spazio per chi non rispettava le sue regole.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Ho dedicato questo capitolo principalmente allo scontro aereo di Havard e Tenko contro gli inquisitori, ma la decisione presa dal figlio di Hel nel finale ha almeno in parte affievolito l’entusiasmo della demone.

Anche in questo caso vi lascio liberi di riflettere se Havard abbia fatto bene o male, e nei prossimi capitoli avrò modo di approfondire il punto di vista di Tenko.

E ora un piccolo annuncio: questo è il 101° capitolo della nuova cronologia (Eresia, La frontiera perduta, La progenie infernale), e quindi volevo cogliere l’occasione per ringraziare la mia beta Hesper e anche tutti voi che continuate a leggere i miei racconti ^.^

E con questo direi che per ora è tutto.

A presto ;D


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Capitolo 21
*** 20. Visioni del futuro ***


20. Visioni del futuro

Il giorno seguente alla conquista di Darnaka, Tenko si svegliò di buon’ora e lasciò la tenda per andare a prendere la colazione e sgranchirsi le gambe. Era convinta che presto avrebbero smontato il campo per muoversi verso un altro obiettivo, ma si sbagliava. Anche se erano riusciti a prendere la città, ora veniva la parte più difficile: consolidare il controllo di Havard sulla stessa, così che Darnaka gli restasse fedele anche dopo la sua partenza.

Il figlio di Hel aveva già dato ordine di liberare tutti gli schiavi, e come negli altri centri abitati aveva sedato il malcontento con le buone maniere dove possibile, e con la forza in tutti gli altri casi.

A Darnaka molti schiavi lavoravano nella miniera di cristalli magici, così Havard dovette riorganizzarla quasi da zero in modo che la produzione non diminuisse, ma che anzi aumentasse.

L’estrazione dei cristalli e la produzione di bacchette erano ciò che rendeva Darnaka una città strategica, e il pallido aveva tutte le intenzioni di sfruttare tale mercato per rafforzare il suo controllo sulla città e ottenere un vantaggio bellico. Per raggiungere questi obiettivi, garantì ai minatori la possibilità di utilizzare le bacchette e altri strumenti magici per avere un lavoro più agevole, e incentivò gli alchimisti ad aumentare la produzione e creare un fiorente mercato di bacchette.

Tale mercato avrebbe dovuto sottostare a regole molto rigide: solo i guerrieri sotto il diretto comando di Havard sarebbero stati autorizzati a possedere bacchette polivalenti, tutti gli altri si sarebbero dovuti accontentare di bacchette monovalenti dal basso potenziale, così da evitare che venissero usate contro i guerrieri del pallido. Già questo era comunque un grande vantaggio per la popolazione, la cui vita quotidiana avrebbe tratto innumerevoli benefici dalla diffusione della magia.

Ciò che invece i suoi detrattori provarono a usare contro di lui fu il problema dei rifornimenti alimentari: Darnaka si trovava in una zona per lo più rocciosa, di conseguenza la città non aveva abbastanza aree coltivate o allevamenti per sostenere la popolazione. Fino a quel momento il Clero aveva provveduto a fornire il cibo necessario, ma ovviamente tale fonte non sarebbe più stata disponibile.

«Non avete nulla da temere: avete riserve di cibo per almeno tre settimane, e ho già predisposto nuove rotte commerciali per farvi avere altro cibo a partire dai prossimi giorni» affermò Havard. «Ciò che dovrebbe preoccuparvi è invece la vostra dipendenza dai rifornimenti esterni. È vero, il commercio di cristalli magici vi permetterà di acquistare tutto il cibo di cui avete bisogno, ma questo non deve impedirvi di produrne di vostro.» Osservò la folla radunata intorno a lui in una delle piazze della città. «Il Clero vi ha insegnato ad aspettare e pregare, io invece vi esorto a trovare voi stessi una soluzione. Siete voi che dovete rendere migliore la vostra vita!» Il figlio di Hel attese un momento per lasciare che le sue parole facessero presa sulla folla. «Da quando c’è il Clero non è mai cambiato nulla, io invece vi prometto che tutti voi potrete ottenere ciò che desiderate, ma solo se sarete pronti a impegnarvi per ottenerlo!» Li osservò un’ultima volta con intensità, così che capissero fino in fondo le nuove possibilità che stava offrendo loro. «Ora scusatemi, ma devo andare a fare la mia parte. Se vi servisse aiuto per avviare delle nuove attività, potrete rivolgervi ai nuovi governatori della città.»

Detto ciò, il pallido lasciò la piazza con la sua scorta di guerrieri, e raggiunse l’ingresso principale alla miniera di cristalli magici. Anche lì c’erano alcuni dei suoi uomini, per lo più intenti a esaminare l’area.

«Vayam-fadir, come procede l’ispezione della miniera?» chiese al goblin a capo dei fabbri-alchimisti.

«Molto bene, sommo Havard. Con tutti i cristalli che ci sono potremo costruire migliaia di bacchette! E molto altro!» Il goblin sembrava davvero entusiasta. «Non ne ho mai visti così tanti in tutta la mia vita!»

«Bene. Immagino dunque che sarai d’accordo a fermarti qui.»

«Fe-Fermarmi qui? Ma, e voi come farete senza fabbri-alchimisti?»

«Ormai ce ne sono abbastanza per formare due squadre. E poi voglio nominarti governatore della città.»

Il goblin sbarrò gli occhi. «Sommo Havard, vi ringrazio, ma… io non sono esattamente un governatore.»

«Questo non ha importanza. Potrai delegare le questioni ordinarie agli altri amministratori. Tu devi solo assicurarti di mantenere l’ordine e continuare a sviluppare nuove armi da usare contro il Clero. Usa pure tutte le risorse che ritieni opportune per costruire il tuo laboratorio. Hai fatto un ottimo lavoro finora, e mi aspetto ancora di più.»

Il fabbro-alchimista, onorato da quelle parole, annuì. «Non vi deluderò, sommo Havard.»

Come aveva fatto in precedenza, Havard intendeva offrire ai cittadini la possibilità di candidarsi per le posizioni di governo precedentemente ricoperte dal Clero, ma solo per le cariche basse e intermedie: dopo quanto successo a Riyahsa, non intendeva più lasciare il controllo dei centri abitati ai locali. Era imperativo che ogni governatore fosse fedele a lui, e non alla città che gestiva.

Per sottolineare una volta di più il cambio di governo, Havard stabilì che i nuovi dirigenti si sarebbero insediati nella canonica, o per lo meno che lo avrebbero fatto non appena le operazioni di restauro e rinnovamento fossero state ultimate.

Ci volle più di una settimana per riorganizzare la città e assicurarsi che fosse saldamente sotto il suo controllo, a quel punto il figlio di Hel riunì le guardie che avevano deciso di arrendersi e si rivolse direttamente a loro. Negli ultimi giorni aveva assegnato loro soprattutto incarichi relativi alla ricostruzione, ma così come il nuovo governatore, anche i guerrieri incaricati di difendere la città dovevano essere degli esterni votati innanzitutto alla sua causa.

«Il Clero vi ha fatto credere che la gloria più grande è combattere per gli dei, morire per gli dei, ma questa è solo un’altra delle loro menzogne!» esclamò dal soppalco nel grande cortile della caserma. «Morire per impedire il cambiamento è come non essere mai vissuti! Il cambiamento è inevitabile, il progresso è inevitabile. Quello che vi chiedo è: sarete voi gli artefici di questo cambiamento?» Puntò il dito contro di loro. «Sarete voi a venire ricordati come gli artefici del nuovo mondo? Ci aspettano battaglie, battaglie così grandi come non ne avrete mai viste! E sangue, e dolore, e gloria! Io non vi chiedo di combattere per me. Vi chiedo di combattere per voi stessi! Per le vostre famiglie, per i vostri amici!» Li guardò con intensità. «Oggi partiamo per conquistare un’altra città. Domani, costruiremo un nuovo mondo! Il nostro mondo!» Sollevò il suo bastone d’ossa. «Insieme, noi faremo la Storia!»

Galvanizzati dal suo discorso – e incitati da qualche infiltrato – i guerrieri esplosero in un grido di guerra. Anche Tenko, che aveva assistito a quel discorso in disparte, avvertì la carica combattiva salire dentro di sé.

Guidate da Havard, le ex guardie di Darnaka si unirono al resto delle truppe per lasciare la città, e nessuna di loro si fermò a guardare indietro. Solo una manciata di uomini osservò con stupore un piccolo gregge di aracnocapre[12], animali simili a grossi ragni erbivori originari delle terre degli insettoidi. Essendo molto abili nel salto, le aracnocapre erano perfettamente in grado di brucare gli sparuti cespugli che crescevano in quel territorio roccioso, e di conseguenza alcuni ex schiavi le avevano comprate grazie al supporto dei funzionari di Havard per produrre uova e carne.

Le settimane successive furono piuttosto movimentate: in meno di dieci giorni bloccarono e assorbirono due gruppi di predoni, e poi conquistarono in maniera molto agevole un villaggio. Nel giro di due settimane raggiunsero Kyrehsa, una città strategica costruita su un grande fiume, nonché un ricco snodo commerciale. Grazie alle nuove bacchette costruite a Darnaka, la vittoria delle truppe del pallido fu schiacciante, e ancora una volta gli abitanti della città furono costretti ad abbandonare gli dei per unirsi al regno di Havard.

Tenko, che di nuovo si era infiltrata per eliminare i capi religiosi e militari, tornò al campo prima degli altri per concedersi un po’ di meritato riposo.

La sua tenda era condivisa con altre orchesse, ma in quel momento non c’era nessun’altra, così la demone poté sedersi sulla sua branda per cercare di fare ordine nei suoi pensieri.

Aveva osservato Havard a lungo, ma ancora non era riuscita a capire chi fosse davvero. Un conquistatore o un liberatore? Un sovrano lungimirante o un dittatore sanguinario?

Di sicuro era rimasta molto colpita dal suo impegno per dare a tutti la possibilità di vivere meglio, senza preoccuparsi del loro rango sociale o della loro provenienza. E questo perché le sue non erano state solo parole, ma stava davvero costruendo un mondo in cui chiunque poteva ambire a qualcosa di più.

Guardò il suo elmo, come a cercare una risposta nelle feritoie per gli occhi. Eppure in esse vedeva solo le pile di cadaveri che ardevano nelle piazze.

Probabilmente il figlio di Hel stava davvero creando un futuro migliore, ma come poteva ignorare la freddezza con cui ordinava il massacro di civili disarmati?

Digrignò i denti e gettò via l’elmo.

«Emh, Tenko?» La voce proveniva dall’esterno. «Va… tutto bene?»

La giovane guardò verso l’entrata, chiusa da due stuoie di pelliccia. Aveva riconosciuto la voce.

«Entra pure, Zabar. Ci sono solo io.»

Il demone blu mosse timidamente una delle stuoie, controllò che la sua amica fosse effettivamente sola, e solo allora si decise a entrare.

«Scusa, non volevo origliare.»

«Va tutto bene. Stavo solo… pensando.»

L’ex chierico non riuscì a stupirsi davvero per quella risposta.

«Volevi dirmi qualcosa?» gli chiese la demone.

«Emh, sì. Mi servirebbe il bracciale.»

Lei annuì con aria colpevole. «Giusto.»

Se lo sfilò e glielo porse, come avrebbe dovuto fare prima di tornare alla sua tenda.

«E poi Icarus mi ha detto che vorrebbe tenerlo lui per un po’ per aiutare gli alchimisti.»

Di nuovo la giovane annuì. «D’accordo.»

Zabar e Icarus avevano cominciato a studiare la lingua degli orchi, ma non era facile impararla senza un intermediario, e così tutti e tre dovevano alternarsi il bracciale in base ai compiti che dovevano svolgere.

Il demone stava per uscire, ma Tenko lo fermò: «Zabar, tu cosa pensi di Havard?»

L’ex chierico parve colto alla sprovvista da quella domanda. «I-In che senso?»

«È come gli altri dei? Se lo aiutiamo, diventerà anche lui un tiranno egoista?»

Il tono della demone era calmo, quasi triste, e questo in qualche modo aiutò l’ex chierico a rilassarsi.

«Io… Io non credo sia come gli altri. Credo che voglia davvero migliorare il mondo. Portare progresso, prosperità, giustizia… Sarò sincero, non condivido appieno i suoi metodi, ma almeno ha un’idea chiara di come creare un mondo senza gli dei. È anche più di quanto sperassi.»

La giovane si alzò di scatto. «Ma a che prezzo?! Eliminare chiunque non la pensi come lui?! Questo è proprio il motivo per cui stiamo combattendo gli dei! Io voglio…» Si accorse di non riuscire a concludere la frase, così si limitò a un verso stizzito. «Io non voglio questo! Non glielo permetterò!»

«Tenko, ti prego. Non essere precipitosa. Havard sta facendo il possibile per…» Il demone si interruppe e si voltò verso l’entrata. Scostò una delle pelli e si trovò davanti Nambera.

«Tu sei quella che sta con Havard» realizzò Tenko. Portò la mano al fianco, verso l’elsa della spada. «Cosa ci fai qui?»

L’espressione dell’anziana orchessa era difficile da decifrare. «Se non vi dispiace, vorrei scambiare qualche parola con voi.»

***

La guardia cavalcava a tutta velocità nella prateria, sfruttando appieno l’andatura bipede del suo neosaurolophus[13]. Si trattava di una cavalcatura tipica della regione dei sauriani, un erbivoro dal becco d’anatra in grado di muoversi sulle quattro zampe ma anche di correre sulle forti zampe posteriori. Era un animale nettamente meno robusto di un monoceratopo, ma anche molto più veloce, e dunque perfetto per portare rapidamente informazioni.

Dopo una lunga cavalcata, finalmente la guardia avvistò una colonna di orchi in marcia. Erano centinaia, scortati da tre draghi di taglia media e guidati da un drago corazzato perfino più grande di quello di Havard.

L’orco fece schioccare le briglie e usò i talloni per spronare ancora di più il suo neolophus. L’animale accelerò ulteriormente, lasciandosi guidare – seppur con un po’ di timore – al cospetto del drago corazzato.

La guardia scese dalla sua cavalcatura e si inchinò. «Signore, porto informazioni sui ribelli.»

Il capo della colonna scese dal suo drago corazzato. Si trattava di un orco piuttosto tarchiato, che nonostante i muscoli e la pesante armatura risultava più basso del messaggero. Il pregevole mantello di piume verdi lo identificava come un inquisitore di Huitzilopochtli, il dio del sole e della guerra.

«Parla.» La sua voce era forte e salda.

«Hanno preso la città di Kyrehsa» riferì la guardia. «Presumibilmente hanno ucciso tutti gli inquisitori lì presenti.»

L’inquisitore annuì senza lasciar trasparire particolari emozioni. Lanciò uno sguardo al neolophus, visibilmente stremato. Sollevò una mano verso il rettile e un flusso di energia benefica permeò l’animale, restituendogli immediatamente le energie.

«Ora la tua cavalcatura è di nuovo in forze. Continua a portare il tuo messaggio.»

La guardia, stupita da quell’incantesimo, annuì. «Sì, signore. Grazie, signore.»

L’inquisitore risalì sul suo drago corazzato. «Nuovi ordini» annunciò a gran voce. «Si va a Kyrehsa!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo una dura battaglia, ecco un capitolo più tranquillo dove noi (e Tenko) possiamo vedere come Havard riorganizza la città di Darnaka. Ma c’è un “ma”: come già si intuiva dallo scorso capitolo, alla demone non piacciono i suoi metodi. E proprio mentre lei e Zabar stavano discutendo del futuro che il pallido sta creando, ecco arrivare Nambera. Di cosa vorrà parlare con loro?

Come se non bastasse, mentre l’esercito di Havard avanza, anche quello del Clero si sta muovendo. E a guidarli c’è un orco che sembra possedere delle abilità curative. Ma non aggiungo altro, perché presto potremo vederlo all’opera.

Come sempre vi ringrazio per aver letto il capitolo e a presto ^.^


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[12] Il nome deriva da aracnide (la classe di cui fanno parte i ragni) e capra.

[13] Il nome deriva dal Saurolophus, un dinosauro della famiglia degli adrosauridi. Spesso abbreviato in neolophus.

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Capitolo 22
*** 21. La prima armata ***


21. La prima armata

«Se non vi dispiace, vorrei scambiare qualche parola con voi» affermò Nambera. Notando le espressioni diffidenti dei due demoni – e in particolare quella vagamente ostile di Tenko –, proseguì: «Vi prego, non sono qui per combattere.»

La giovane non allontanò la mano dalla spada. «Parlare di cosa?»

L’anziana orchessa si guardò intorno. «Venite, andiamo in un posto più tranquillo.»

I due demoni si scambiarono uno sguardo, poi si decisero a seguire Nambera. Lasciarono insieme il campo e poi si allontanarono ancora, fermandosi solo quando furono a debita distanza.

«Allora?» la esortò Tenko in tono ancora diffidente. «Di cosa vuoi parlare?»

«A voi non piace quello che Havard sta facendo. Lo pensavo già prima, e, da quanto ho sentito, direi che ho ragione.» Fece una breve pausa. Una pausa velata di incertezza. Si portò una mano al petto. «Il fatto è che voi non conoscete Havard come lo conosco io. È vero, è sempre stato un po’ arrogante, ma vi assicuro che è anche altruista, giusto, e tutto quello che fa, lo fa per migliorare il mondo. Solo…»

«Solo che sta diventando un tiranno?» la imbeccò Tenko.

Zabar le rivolse un’occhiata di tenue rimprovero.

«Forse» ammise l’orchessa. «Capisco il suo punto di vista, non può migliorare il mondo se il mondo finisce nel caos, però… Lui può essere migliore di così.» Dalle sue parole traspariva tutta la sua dedizione e il suo amore per il figlio di Hel. «Forse… Force c’è un altro modo.»

«Continuo a non capire cosa c’entriamo noi due» ammise Tenko, quasi noncurante delle emozioni dell’anziana.

«Vorrei che parlaste con Havard. Sinceramente.» Scosse il capo. «Non potete mentirgli. Lui sa già cosa pensate davvero. E…» Esitò. «Havard è pronto a uccidervi se vi riterrà una minaccia.»

Scintille di rabbia si accesero negli occhi rosa di Tenko.

Nambera si affrettò a proseguire. «Quindi, vi prego, parlatevi! Adesso, prima che sia tardi!»

«Parlagli?!» esclamò la demone. «Dovrei dirgli che secondo me è uno stronzo arrogante, e che per quanto mi riguarda non è diverso dagli altri dei?! Questo dovrei dirgli?!»

Zabar provò a calmarla. «Tenko, ti prego. Stiamo solo parlando.»

«Ma l’hai sentita?! Ha detto che il suo amico è pronto a ucciderci!»

«Da quanto ho sentito, anche voi siete pronti a ucciderlo» ribatté Nambera in tono calmo ma fermo. «E comunque Havard non vi ucciderà. Non se sarete sinceri con lui. Ditegli la verità. Fategli capire che sta sbagliando. Potreste essere gli unici in grado di farlo.»

La demone serrò i pugni. «E se non funzionasse?! Hai visto cosa fa a chi non gli va a genio!»

L’orchessa scosse il capo. «Quello era per dimostrarsi forte davanti a tutti. Se gli parlate in privato, non avrà motivo di farvi del male.»

«Tenko, credo che dovremmo provare» esalò Zabar. «Io…» Annuì. «Io sono convinto che ci ascolterà.»

La demone sbuffò. «È una pessima idea!» Si voltò dall’altra parte, ma non se ne andò, anzi continuò a pensarci. A riflettere. Forse quello era l’unico modo per mettere a tacere i suoi dubbi una volta per tutte.

Scosse il capo. «Oh, e va bene! Andiamo a recuperare Icarus, la sua parlantina ci farà comodo.»

Nambera sollevò una mano. «A dire il vero, credo sia meglio se andiate solo voi due. Havard… non si fida del tutto del vostro amico.»

«Perché no?» chiese Zabar, stupito.

«Perché gli ha mentito. Ve l’ho detto: Havard è in grado di capire queste cose.»

I due demoni parvero stupiti.

«Mentito su cosa?» chiese Tenko.

«Non lo so a dire il vero. Qualcosa che ha detto al vostro primo incontro.»

Tenko e Zabar si scambiarono uno sguardo interrogativo.

«Non ve ne eravate accorti?»

I due demoni erano sempre più stupiti: avevano ascoltato il racconto del faunomorfo e non avevano individuato alcuna incongruenza in esso.

Un rumore improvviso interruppe il loro discorso: era un corno d’allarme. A cui ne seguirono diversi altri.

«Cosa sta succedendo?» chiese Zabar, preoccupato.

«Nemici» affermò Nambera. «Qualcuno ci sta attaccando. Dobbiamo tornare indietro.»

 I tre si affrettarono a raggiungere il campo, poi proseguirono attraverso la città fino a che non trovarono Havard. L’orco pallido si trovava vicino alla stalla dei draghidi e stava dando disposizioni ai capitani per organizzare le difese.

«La vostra priorità deve essere la difesa del portone» stava dicendo a Bah’soit, il leader della squadra di troll. «All’attacco ci penseranno i cavalieri e la fanteria leggera.»

«Ricevuto, sommo Havard» annuì l’imponente guerriero, alto più di quattro metri. «Non lasceremo passare nessuno.»

«Qraxàr» proseguì il figlio di Hel rivolto al goblin che aveva sostituito Vayàm-fadìr, «preparatevi sulle mura: dovrete aiutare i troll a difendere il portone. Utilizzate tutte le bacchette necessarie, non possiamo permetterci di risparmiare le forze.»

«Sì, sommo Havard.»

«Bene, è tutto» affermò il figlio di Hel. «Il nemico è più numeroso, quindi sconfiggiamolo e prendiamoci anche questo trionfo!»

I suoi guerrieri risposero con un grido di guerra e corsero verso il portone per informare le loro truppe e prepararsi alla battaglia.

«Nambera e Zabar, voi due potete unirvi ai guaritori. Terremo il cancello aperto per far uscire i guerrieri e far rientrare i feriti, quindi state pronti a curarli: non sarà una battaglia facile. Né una breve.»

«Certo, Havard» confermò l’orchessa.

Anche Zabar annuì. Essendo stato devoto a Dían Cécht[14], conosceva diversi incantesimi di guarigione.

«Buona fo-» Si interruppe ricordando le parole di Havard: “Non mi serve la fortuna per vincere. Solo la vostra fiducia e le vostre capacità.”

«Vincete» si raccomandò il demone blu prima di allontanarsi insieme all’orchessa.

«Tenko, andiamo. Il nemico ha quattro draghi, dovremo fare attenzione.»

La giovane non riuscì a nascondere una punta di stupore misto a preoccupazione. Ma non disse nulla. Le parole di Nambera echeggiavano ancora nella sua testa, anche se sapeva che non era il momento di pensarci.

Si infilò l’elmo. La aspettava una dura battaglia, non poteva farsi distrare da nulla.

Una volta all’interno della grande stalla, la demone si diresse subito verso la sua viverna. Anche le cavalcature di Zabar e Icarus erano lì, e in quel momento sulle loro selle c’erano due orchi: dopo lo scontro con gli inquisitori di Darnaka, Havard aveva stabilito che dovevano schierare tutti i draghidi disponibili, e così aveva selezionato due esperti cavalieri nomadi che erano in grado di usare le bacchette magiche.

Appena furono pronti, uno dopo l’altro i quattro cavalieri spiccarono il volo. Tenko osservò il cielo che si avvicinava, assaporò i sospiri del vento mentre prendevano quota, e poi guardò verso terra. Verso il nemico. E il suo cuore perse un colpo.

In un istante tutti i suoi grattacapi su Havard e i suoi metodi erano svaniti: un esercito di oltre un migliaio di orchi faceva apparire insignificante qualsiasi altro problema. Per non parlare dei tre draghi che volavano sopra l’armata, e dell’enorme drago corazzato che la guidava.

La sua viverna, forse intuendo la sua paura, emise un verso amichevole.

La demone prese un bel respiro e le diede un paio di pacche sul collo. «Cerchiamo di non morire almeno noi due, ok?»

Le truppe di Havard si erano già schierate all’esterno di Kyrehsa, così il drago corazzato si fermò a distanza di sicurezza e lasciò che la colonna si aprisse in due ali ai suoi fianchi. L’armata nemica era composta esclusivamente di fanti, infatti – ad eccezione dei draghi – non disponevano di nessun’altra cavalcatura. Il loro equipaggiamento non era omogeneo, ma tutti quanti disponevano di un’armatura di cuoio e di un’arma, generalmente una spada o una mazza. A prima vista nessuno di loro portava uno scudo, e solo gli inquisitori potevano vantare una corazza di metallo.

Sotto questo punto di vista le truppe di Havard, seppur meno numerose, sembravano in vantaggio: avevano più di cento cavalieri su monoceratopi, e tutti i fanti – volenti o nolenti – portavano un robusto scudo.

Forse non erano ancora spacciati.

Dalle fila nemiche si sollevò il roboante fragore di un corno, seguito dall’ancora più fragoroso ruggito del drago corazzato. Era il segnale: i guerrieri del Clero partirono alla carica urlando e sollevando le loro armi, probabilmente per intimorire i difensori.

Tenko provò a capire la loro strategia, ma anche dalla sua visuale privilegiata non riuscì a individuare alcuna logica nella loro corsa disordinata. Al contrario le truppe di Havard cominciarono a muoversi in maniera molto più ragionata: la cavalleria si allargò e caricò dal fianco, mentre la fanteria leggera rimase compatta e con gli scudi alti. L’impatto tra i due schieramenti fu spaventosamente violento, e i guerrieri del Clero ebbero nettamente la peggio: nonostante la disparità numerica, la strategia e l’addestramento delle truppe di Havard si stavano rivelando determinanti.

Un verso acuto e uno scossone riportarono la demone alla realtà: gli inquisitori erano partiti all’attacco. E al contrario delle truppe a terra, i tre erano tutto fuorché disorganizzati.

Uno di loro stava tenendo occupato Havard, mentre un altro lanciò una fiammata in mezzo alle viverne, costringendole a separarsi. Il terzo inquisitore attaccò subito dopo ed evocò una barriera di fumo per isolare uno dei cavalieri nomadi.

L’inquisitore che aveva evocato il fumo si gettò all’attacco sul nemico isolato, ma la viverna schivò di lato. Il rettile era ancora piegato quando il secondo drago lo aggredì e gli azzannò un’ala. La viverna urlò di dolore, l’orco in sella puntò la bacchetta, ma l’inquisitore lo colpì con una palla di fuoco. Il drago sbatté la testa così forte da spezzare l’ala della viverna, poi mollò la presa, lasciando che la sua vittima precipitasse tra i lamenti.

Era successo tutto così in fretta che Tenko non aveva avuto nemmeno il tempo di reagire. E non era finita.

L’altro cavaliere nomade usò la bacchetta per lanciare una palla di fuoco, ma il suo bersaglio schivò abilmente e partì al contrattacco. La viverna si lanciò in picchiata per evitare la fiammata del drago nemico, ma in un attimo l’altro inquisitore la affiancò. Il rettile più piccolo provò a virare, ma il drago allungò gli artigli possenti e aprì degli squarci nelle ali della vittima.

L’orco in sella fece tutto quello che poteva per aiutare la sua viverna, che ormai non poteva più volare. Erano quasi riusciti ad atterrare quando un torrente di fuoco li investì, seguito da un altro altrettanto intenso. Quando i due draghi si allontanarono, dietro di loro restavano solo dei resti carbonizzati.

Tenko sapeva che sarebbe stata la prossima. Lo sapeva anche prima che i due draghi cominciassero a volare verso di lei.

Non voleva morire.

Tirò le redini della sua viverna, spronandola ad allontanarsi. Ma dove poteva fuggire? La prateria era troppo aperta, doveva trovare un rifugio in città.

Fece abbassare la viverna così che volasse lungo una delle strade, e intanto si guardò disperatamente intorno.

Qualsiasi nascondiglio, qualsiasi buco sarebbe andato bene. Qualsiasi cosa pur di…

Il drago di un inquisitore apparve dal nulla, le tagliò la strada e spalancò le fauci. L’ultima cosa che Tenko riuscì a distinguere fu il bagliore in fondo alla gola del rettile.

Havard evocò una barriera per respingere l’assalto dell’inquisitore, poi usò la magia di putrefazione contro il drago del nemico. Questa volta il rettile non riuscì a schivare e urlò di dolore mentre il suo corpo cominciava a decomporsi.

Il figlio di Hel, che con la coda dell’occhio poteva vedere gli altri due inquisitori avere la meglio sui suoi cavalieri, si voltò un istante verso il campo di battaglia: anche se perdeva le viverne, la battaglia non sarebbe finita. E le sue truppe a terra stavano avendo la meglio.

La fanteria stava respingendo i guerrieri grazie agli scudi e alla formazione compatta, i troll davanti alla porta stavano bloccando qualsiasi incursione, e i cavalieri sui monoceratopi stavano falcidiando i nemici con attacchi rapidi e precisi. I loro nemici erano ancora più numerosi, ma una volta eliminati gli inquisitori, Havard e i suoi avrebbero avuto buone probabilità di vittoria.

Il pallido stava per partire all’attacco dei draghi quando una strana sensazione lo costrinse a voltarsi verso il campo di battaglia.

Il figlio di Hel si era chiesto come mai l’inquisitore sul drago corazzato non avesse ancora preso parte alla battaglia, e ora ne capiva il motivo: dal suo corpo aveva appena cominciato a diffondersi una forma di energia insolita, nettamente diversa dalla benedizione di un dio.

In poco tempo tale energia benefica si propagò per tutto il campo di battaglia, guarendo i guerrieri del Clero e dando loro nuovo vigore. Non c’era ferita che quel potere non fosse in grado di curare. Nemmeno le più gravi, nemmeno quelle letali.

Havard riusciva ad avvertire distintamente le anime, dapprima perdute, che rifluivano nei loro corpi per ricominciare a combattere. Perfino il drago che lui stesso aveva ferito stava guarendo a vista d’occhio e presto sarebbe stato di nuovo in grado di volare.

Serrò la presa sul suo bastone d’ossa.

Doveva uccidere quell’inquisitore, o non avrebbero avuto nessuna possibilità di vittoria.

Con un ordine mentale fece scattare il suo drago corazzato, che si avventò senza paura contro il suo simile. L’altro esemplare, più grosso e probabilmente più vecchio, sollevò le zampe anteriori per bloccare l’assalto.

Gli occhi di Havard incrociarono quelli dell’inquisitore.

Il figlio di Hel allungò la mano libera e strinse la presa sull’anima del nemico. La tirò a sé, ma per la prima volta in vita sua avvertì una resistenza. C’era qualcosa in quell’anima che gli impediva di strapparla al suo proprietario.

L’inquisitore lo guardò con severità dall’alto della sua sella. «La tua stupida rivolta finisce qui, assassino.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo abbiamo diversi spunti interessanti.

Innanzitutto c’è il discorso di Nambera con Tenko e Zabar. L’orchessa ha esternato le sue preoccupazioni, e ha anche rivelato ai due demoni che Havard ha riconosciuto le menzogne di Icarus (cosa che, evidentemente, ai due invece era sfuggita).

Poi vediamo il nuovo attacco ad opera del Clero. E non solo gli inquisitori sono riusciti ad abbattere le viverne dei cavalieri di Havard (Tenko inclusa), ma uno di loro possiede addirittura una magia di guarigione in grado di risollevare un’intera armata.

Riuscirà il pallido a guidare nuovamente i suoi alla vittoria?

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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[14] Dían Cécht è un guaritore divino della mitologia irlandese.

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Capitolo 23
*** 22. Nemico naturale ***


22. Nemico naturale

«La tua stupida rivolta finisce qui, assassino» sentenziò l’inquisitore di Huitzilopochtli dall’alto del suo imponente drago corazzato.

Havard digrignò i denti. Ma doveva restare concentrato. Il suo nemico era riuscito a curare in un istante tutti i suoi alleati, e non l’aveva fatto attingendo alla benedizione di Kamrušepa[15] o a quella di un altro dio: quello che aveva usato era un altro tipo di potere, qualcosa di cui il figlio di Hel aveva solo sentito parlare.

Havard scagliò l’incantesimo di putrefazione, l’inquisitore venne colpito in pieno e non riuscì a trattenere un grugnito di dolore. Mentre il suo corpo si decomponeva, riuscì a tirare le briglie, facendo allontanare la sua cavalcatura.

Il pallido non lo inseguì, ma lo osservò con attenzione da lontano: come temeva, la magia di guarigione del suo nemico era abbastanza forte da neutralizzare la sua putrefazione. Gli restava una sola chance per avere la meglio.

Il suo drago corazzato si voltò e ringhiò minaccioso, segno che gli altri inquisitori stavano arrivando: doveva agire subito.

Il figlio di Hel evocò la magia di ghiaccio attraverso il suo bastone, formando un arsenale di grosse punte e dischi affilati. Li scagliò con forza, ma il drago del nemico sollevò un’ala e li bloccò.

Non c’era più tempo: Havard evocò una barriera e una vampata impattò su di essa, facendo ruggire la sua stessa cavalcatura.

Doveva andarsene. Tutti i suoi uomini dovevano andarsene.

Si collegò mentalmente alle sue truppe e inviò loro un messaggio breve, semplice e che non ammetteva repliche: “Ritirata. Torniamo a Varn.”

Con un’altra raffica di ghiaccio il figlio di Hel allontanò i draghi degli altri inquisitori e poi fece scattare il suo corazzato per prendere il volo. Mentre la sua cavalcatura si sollevava da terra, Havard lanciò un rapido sguardo ai suoi: stavano ripiegando in città, poi avrebbero usato l’ingresso dal lato opposto per raggiungere il vicino villaggio di Varn, situato a est di Kyrehsa. Se riusciva a tenere occupati gli inquisitori, forse avrebbe avuto ancora un esercito per continuare la sua guerra.

Di nuovo Havard evocò uno scudo per proteggersi dal fuoco degli inquisitori e dai loro incantesimi, fece virare il suo drago corazzato sopra la città e poi si allontanò verso nord. I cavalieri del Clero non esitarono un attimo e si misero tutti e tre al suo inseguimento, ignorando completamente il resto delle truppe.

Era chiaro a tutti che una volta eliminato il figlio di Hel, l’intera rivolta sarebbe rapidamente scemata.

Tenko sapeva che gli inquisitori erano troppo impegnati per fare caso a lei, ma avvertì comunque la necessità di nascondersi quando li vide sfrecciare sopra la città. Era arrabbiata e triste per la perdita della sua viverna, ma era anche spaventata: un solo secondo di ritardo a evocare l’intangibilità, e anche lei ora sarebbe un mucchio di cenere.

Era ancora immobile all’ombra di un edificio quando avvertì le parole di Havard nella sua testa: “Ritirata. Torniamo a Varn.”

In un primo momento rimase molto stupita, poi però si rese conto che era inutile continuare quella battaglia: avevano perso tutte le viverne, e Havard – per quanto fosse forte – non poteva affrontare da solo quattro inquisitori. O forse sì? Non era forse un dio?

La demone vide alcuni guerrieri del pallido che correvano lungo la strada principale, poi un’ombra sfrecciò sopra la città: era il drago corazzato del figlio di Hel, e dietro di lui c’erano i tre inquisitori.

Seppur spaventata da quei potenti nemici, Tenko decise che doveva fare qualcosa: doveva aiutare Havard – anche se non sapeva bene come – e doveva farla pagare ai servi del Clero.

Notò alcuni monoceratopi privi cavaliere che avanzavano per la strada insieme al resto delle truppe e non ci pensò due volte: saltò in sella al primo rettile che riuscì a raggiungere e lo lanciò a tutta velocità verso l’uscita della città. Ben presto si accorse di non essere sola: altri guerrieri di Havard si stavano cavalcando nella medesima direzione, e non si stupì di trovare anche una preoccupatissima Nambera tra loro.

Mentre loro correvano per le vie più ampie, anche il resto della città reagì all’evolversi della battaglia, e lo fece in maniera estremamente eterogenea. Tenko vide persone in festa che osannavano gli inquisitori e li incitavano a liberarli dagli invasori, ma allo stesso tempo riconobbe altri orchi con armi di fortuna che si preparavano a respingere i guerrieri del Clero. Ben presto tra le due fazioni scoppiarono i primi scontri, e solo la carica dei monoceratopi convinse i più bellicosi a farsi da parte.

«Non fermatevi!» gridò l’orco in testa al loro gruppo. «Ci penseranno gli altri a guidare la ritirata!»

Solo dopo un momento la demone notò la protesi che rimpiazzava la sua mano destra e capì che si trattava di Reton, uno dei capitani di Havard. E in questo modo realizzò che, mentre lei si era buttata a capofitto in quella corsa, i leader scelti dal figlio di Hel stavano anche pensando alla battaglia nel suo insieme e a come gestire la situazione.

Finalmente superarono il portone dal lato opposto della città e da lontano videro Havard e gli inquisitori che combattevano, il tutto mentre su di loro si addensavano delle minacciose nuvole scure. Tenko e gli altri erano ancora lontani quando il primo lampo illuminò l’aria, ma il tuono fu comunque così fragoroso da far imbizzarrire un paio di monoceratopi.

Il temporale secco, completamente privo di pioggia, crebbe rapidamente di intensità, ma lo scontro fra Havard e gli inquisitori non accennava a placarsi.

All’improvviso un fulmine centrò in pieno uno dei tre draghi del Clero. Il rettile rimase immobile a mezz’aria per alcuni lunghi istanti, poi si piegò di lato e precipitò a terra.

La caduta di uno dei nemici diede coraggio a Tenko e agli altri orchi, che spronarono ulteriormente i loro monoceratopi. Ormai erano vicini, potevano quasi udire il rumore degli incantesimi tra un tuono l’altro.

Tutti quelli armati di bacchetta lanciarono i loro attacchi, costringendo gli inquisitori a schivarli. Il diversivo sortì comunque il suo effetto perché un altro inquisitore venne centrato in pieno da un fulmine, diffondendo un penetrante odore di carne bruciata.

L’ultimo servo del Clero, ormai in inferiorità numerica, si affrettò a volare via a bassa quota, sperando così di evitare i temibili lampi.

Alcuni orchi erano pronti a partire all’inseguimento, ma Havard – che aveva già fatto atterrare il suo drago corazzato – li fermò con un ordine mentale.

Il figlio di Hel scese dalla sua cavalcatura, e solo allora i presenti si resero conto di quanto lo scontro lo avesse provato. Non era ferito, ma la sua stanchezza era evidente, al punto che i segni neri sotto i suoi occhi parevano ancora più marcati.

Nambera si affrettò a scendere dal suo monoceratopo e usò la sua magia curativa su di lui, riuscendo a restituirgli almeno in parte le forze.

«Sommo Havard, perché non lo inseguiamo?» volle sapere uno dei guerrieri. «È la nostra occasione!»

Il pallido scosse il capo. «Finché non eliminiamo l’inquisitore sul drago corazzato, è inutile combattere: le sue abilità di guarigione sono troppo potenti.»

I suoi uomini non obiettarono.

Prima di allontanarsi, Havard andò dai due draghi precipitati e usò l’incantesimo di putrefazione su di loro e sui loro inquisitori. Non poteva esserne certo, ma forse se distruggeva i loro corpi il loro alleato non sarebbe stato in grado di resuscitarli. O magari non ci sarebbe riuscito in ogni caso perché erano morti da troppo tempo: al momento non aveva abbastanza informazioni per stabilirlo.

«Torniamo anche noi a Varn» proseguì il pallido. «Dobbiamo prepararci a una dura battaglia.»

Risalì sul suo drago corazzato e si mise in marcia, seguito dai suoi sottoposti. Il loro silenzio era un segno evidente del loro turbamento, ma il figlio di Hel era troppo preso dai suoi pensieri per farci caso: come poteva uccidere quell’inquisitore? Le sue abilità rigenerative erano incredibilmente efficaci, ma forse tagliandogli la testa sarebbe stato in grado di eliminarlo. Poteva anche provare con il veleno, ma la sua magia di putrefazione era stata annullata, quindi non poteva contarci troppo.

E in ogni caso restava il problema di come attaccarlo. Finché stava sul suo enorme drago corazzato era pressoché inavvicinabile, quindi l’unica alternativa era coglierlo di sorpresa. Sembrava il compito perfetto per Tenko, ma se l’assassinio non andava a buon fine, quasi sicuramente la demone sarebbe stata catturata o uccisa. E con tutte le incognite che c’erano, le probabilità di fallimento erano molto alte.

Valeva la pena di rischiare di perdere la sua abilità unica?

Il figlio di Hel continuò a riflettere sulle sue prossime mosse finché non incontrarono un gruppo di guerrieri che procedeva verso Varn. Sembravano parecchio abbattuti, ma appena videro il loro leader il loro umore migliorò.

Dal canto suo, ciò che notò Tenko fu che molti di loro erano feriti e che erano meno numerosi di quanto si aspettava. I suoi sospetti trovarono conferma quando, dopo alcune ore di marcia, raggiunsero la loro meta: al villaggio di Varn erano presenti meno di due terzi dei soldati che avevano combattuto a Kyrehsa, e quasi tutti erano feriti.

In quel momento non riuscì a non pensare a Leonidas e a ciò che le aveva detto durante il loro ultimo scontro: “Tu vuoi una guerra, Tenko, una guerra! Nessuno di noi ha mai visto una vera guerra, ma gli dei sì!”

Era vero, non aveva mai visto così tanti guerrieri combattere nello stesso posto, e non ne aveva mai visti così tanti morire in un’unica battaglia. Ora riusciva a capire come mai il faunomorfo aveva cercato di fermarli, ma continuava a non condividere la sua scelta.

«Tenko! Stai bene?!»

La voce conosciuta la distolse dai suoi pensieri. Si voltò e con grande sollievo vide Zabar e Icarus che correvano verso di lei.

«Stai bene, vero?» le chiese il demone, preoccupato.

Lei scese dal monoceratopo. «Sì, io sto bene, ma le… Le viverne non ce l’hanno fatta.»

L’ex chierico annuì mestamente. «Almeno tu stai bene.»

Anche se si erano appena riuniti, i tre dovettero subito mettersi al lavoro per aiutare gli altri guerrieri ad allestire le difese contro il Clero. Il capo del villaggio era pronto a fornire loro tutto il supporto possibile – Havard lo aveva nominato apposta – ma le risorse a disposizione erano limitate, quindi dovevano arrangiarsi con ciò che avevano.

Ancora una volta, una sconfitta poteva significare la fine delle ambizioni di Havard.

***

«Cosa ti dicevo, Nergal? Il mio Pilastro è riuscito a mettere in fuga il bastardo di Hel.» A parlare era stato Huitzilopochtli in persona, il dio del sole dal luminoso piumaggio verde.

Il dio della morte sbuffò con stizza. «E la chiami vittoria?! Non potremo stare tranquilli finché quell’eretico non sarà morto! Ha già ucciso due degli inquisitori che abbiamo mandato!»

«Rilassati» ribatté Tezcatlipoca, il dio della notte. «Anche se è un semidio, non può battere il Pilastro della Vita.»

«E se ci riuscisse?» intervenne Kamrušepa, dea della magia e della medicina. I suoi capelli sembravano soffici nuvole in elegante movimento. «Se riuscisse a sconfiggere anche un Pilastro?»

«E allora ne manderemo altri!» sentenziò Huitzilopochtli. Non sopportava il tono di paura dei suoi simili. «Abbiamo già mobilitato il Clero per riprendere le città che abbiamo perso. Presto il bastardo di Hel sarà morto e tutto tornerà come prima. Ve lo assicuro: quel bastardo non può vincere contro di noi. Sarà anche forte, ma noi abbiamo milioni di fedeli pronti a morire per noi. Abbiamo gli inquisitori, i Pilastri, i nostri figli e perfino Spartakan.» La sua convinzione era assoluta. «Il mondo è nostro, e lo resterà per sempre.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo vediamo Havard scontrarsi con l’inquisitore guaritore, che potrebbe essere proprio il nemico naturale di un dio della morte come lui.

In qualche modo il figlio di Hel riesce a far fuggire i suoi prima di subire una disfatta totale, ma ora dovrà pensare a come affrontare il prossimo round. Cosa sarà disposto a sacrificare pur di raggiungere i suoi obiettivi?

Nel finale rivediamo gli dei, e tra loro Huitzilopochtli sembra quello più fiducioso. Non a caso l’inquisitore guaritore (nonché Pilastro) è proprio un suo adepto, quindi il dio del sole è sicuro di avere la vittoria in pugno.

Staremo a vedere chi avrà la meglio nel prossimo scontro.

Come sempre vi ringrazio per aver letto il capitolo e a presto ^.^


PS: Ho finalmente aggiornato la copertina della storia, potete darle un'occhiata nel primo capitolo ;)


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[15] Dea ittita della medicina e della magia.

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Capitolo 24
*** 23. La via della guerra ***


23. La via della guerra

L’annuncio dell’attacco a Ganshada arrivò mentre Havard era ancora in riunione con i suoi capitani.

«I guerrieri del Clero hanno circa seicento guerrieri e due inquisitori, ma grazie alle bacchette i nostri sono riusciti a respingere il primo attacco» riferì il messaggero.

Il pallido ascoltò senza lasciar trapelare particolari emozioni.

Con quell’attacco simultaneo a lui e alla città di Ganshada, il Clero aveva messo in chiaro che non intendeva più sottovalutarlo, ma che era pronto a una guerra su vasta scala per soffocare il nuovo regno che stava emergendo.

«Sommo Havard, dobbiamo andare a Ganshada?» chiese uno dei suoi capitani.

«No. Abbiamo già un nemico da affrontare, e non possiamo lasciare che ci insegua fino a Ganshada. Ma soprattutto una sola armata, per quanto forte, non può proteggere un intero regno: gli uomini che ho lasciato a Ganshada devono farcela da soli, e grazie alla rete di rifornimenti che ho costruito ci riusciranno.»

«Sommo Havard, quali ordini devo riportare?» domandò il messaggero.

«Nessun nuovo ordine, restano valide le disposizioni che ho dato al governatore: devono barricarsi in città e impedire al nemico di entrare. I guerrieri del Clero non riusciranno a mantenere l’assedio a lungo, e intanto arriveranno i nuovi riferimenti per gli uomini di Ganshada. E assicurati di fargli avere questo messaggio: non importa quanto il nemico sia forte e numeroso, finché seguono il mio piano, riusciranno a sconfiggerlo. È questo che li rende invincibili.»

Il messaggero, colpito dalla sua autorevolezza, annuì. «Sì, sommo Havard! Parto immediatamente per riferire il messaggio!»

Senza perdere altro tempo si voltò e corse via.

«Prendete le altre mappe, dobbiamo prepararci a una guerra su più fronti» proseguì il pallido rivolto ai capitani. «Il Clero ha il vantaggio dei numeri, per ora, ma questo renderà solo più imbarazzante la loro disfatta.»

Come richiesto, i suoi subordinati stesero sul tavolo varie mappe, così da avere una panoramica di tutti i territori sotto il controllo del figlio di Hel.

Il primo dettaglio che saltava all’occhio era una netta distinzione tra un gruppo disegnato con mano precisa e ricco di dettagli, e un altro gruppo più rozzo e disomogeneo. Probabilmente l’unica che apprezzava quella discontinuità era Tenko, dato che era stata lei a disegnare le mappe migliori.

«Il Clero ci sta attaccando su più fronti per trarre vantaggio dalla sua superiorità numerica, e quindi anche noi dovremo dividerci» iniziò il pallido. «La differenza è che noi lo faremo in maniera molto più strategica.»

Puntò il dito sulla loro posizione.

«La mia unità sarà la più numerosa e avrà il compito di espandere il regno, ma all’occorrenza dovremo anche misurarci con le armate del Clero per cercare di ridurre le loro forze.»

Mosse la mano sulle città e sui villaggi ai margini del suo dominio.

«Le unità difensive, formate soprattutto da fanti, si occuperanno di dare man forte alle città di confine, che saranno i principali obiettivi del Clero. Al contrario delle truppe stanziate nei singoli centri abitati, la loro posizione cambierà in base alle conquiste portate a termine dalla mia unità, così da trovarsi sempre sulla prima linea di difesa.»

Lanciò un rapido sguardo ai capi delle tribù nomadi.

«Poi voglio delle unità di guerriglia formate da cavalieri in grado di muoversi rapidamente e capaci di sferrare brevi attacchi volti soprattutto a rallentare il nemico e a danneggiare i rifornimenti. In caso di necessità, avranno anche il compito di scortare i trasporti o di dare man forte alle unità difensive.»

Fece una breve pausa.

«E poi l’unità più importante di tutte: le sentinelle. Il loro compito è molto semplice: dovranno osservare il nemico e riferire tutto di esso, come la sua posizione, dov’è diretto, quali nemici ci sono e i loro equipaggiamenti.»

Diversi orchi non nascosero il proprio malcontento al sentire parlare di sentinelle, ma Havard era convinto delle sue idee.

«Pensare di vincere qualsiasi scontro solo con la forza bruta non è onorevole, è da idioti» ribadì il pallido. «Le sentinelle ci permetteranno di pianificare al meglio le nostre mosse, e in questo modo avremo molte più probabilità di vittoria. Non perché agiremo come dei codardi, ma perché sapremo sfruttare al meglio la nostra forza.» Li guardò tutti con decisione. «Ve l’ho già detto: non state più combattendo per gli dei. State combattendo per me. E io non vi chiedo di morire con onore, vi chiedo di vincere. Con ogni mezzo necessario. E, da vincitori, potrete decidere chi merita più rispetto: se voi o il cadavere del vostro nemico. Sono stato chiaro?»

Tutti quanti annuirono.

«Sono stato chiaro?!»

Gli orchi urlarono in coro la loro risposta, un ruggito feroce che non aveva nulla da invidiare a un grido di guerra.

La riunione andò avanti per quasi un’ora, dopodiché Havard congedò i suoi capitani e rimase da solo a riflettere: ora che aveva spiegato ai suoi uomini come agire per difendere il suo regno, doveva escogitare un modo per sconfiggere l’inquisitore guaritore.

Il pallido era ancora seduto con il suo teschietto di corvo in mano quando qualcuno entrò nell’ex tempio.

«Possiamo parlare?» gli chiese Tenko. Insieme a lei c’era Zabar.

Dal suo sguardo, Havard capì che non sarebbe stata una conversazione leggera. «Di cosa volete parlare?»

«Di quello che stiamo facendo. Di questa guerra.»

Il figlio di Hel lasciò andare il teschietto e le fece segno di proseguire. «Vi ascolto.»

«Ricordi quello che ti ho detto quando ci siamo incontrati?» iniziò la demone. «Che voglio uccidere gli dei perché sono dei bugiardi egoisti che uccidono chiunque non si pieghi al loro volere.» Lo fissò con decisione. «E quello che ho visto è che tu sei esattamente come loro.»

Havard rimase in silenzio, ma i suoi occhi verdi si erano fatti taglienti.

«Emh, se posso…» intervenne Zabar, sperando di riuscire ad allentare la tensione. «Io non penso tu sia egoista, anzi, capisco che quello che fai, lo fai perché vuoi creare un mondo migliore per tutti. Però anche Tenko ha ragione: a volte i tuoi metodi sono fin troppo… decisi. Se agisci in questo modo, anche i nostri nemici diventeranno più spietati, e questo renderà impossibile avere un dialogo e trovare un compromesso.»

«Un compromesso? Con gli dei?» Havard lo fissò come un giudice severo. «Credi che gli dei accetteranno un compromesso?»

Anche Tenko sembrava un po’ stupita dall’affermazione del suo compagno, infatti gli lanciò un’occhiata di sbieco.

Il demone scosse il capo. «No, non con gli dei. Con le persone, siano guerrieri, contadini o membri del Clero. Se le alternative sono piegarsi o morire, molti potrebbero decidere di combattere fino alla morte. E alcuni lo stanno già facendo.»

«E allora moriranno. Non posso permettermi di avere dei traditori nel mio regno, non in questo momento. Se non elimino subito qualsiasi minaccia, poi potrebbe essere troppo tardi.» Puntò l’indice verso di loro. «E questo vale anche per voi due.»

La giovane digrignò i denti. «Lo dicevo che-»

«Tenko, aspetta» la interruppe Zabar. «Havard, noi non ti tradiremo. È vero che non condivido i tuoi metodi, ma ti ho visto parlare con la gente, e quindi sono disposto a seguirti comunque. E sono sicuro che molti altri che ora ti temono farebbero altrettanto se dessi loro più tempo per capirti.»

Il figlio di Hel si mise ad accarezzare con le dita il suo teschio di corvo, e per alcuni lunghi secondi regnò una quiete assoluta.

«È tutto?» chiese infine il pallido.

Zabar annuì.

Havard rimase ancora un attimo in silenzio. «Prima di andare, ti anticipo che avrò bisogno del tuo aiuto: ci servono altri draghidi. Quanto ci vorrà per domarne altri?»

«Non molto. Una volta catturati, il processo è piuttosto veloce.»

«Bene. Potete andare.»

«Grazie per averci ricevuto» annuì il demone.

Tenko non disse nulla e lasciò la stanza insieme al suo amico.

Rimasto solo, il pallido dimenticò per un momento la minaccia dell’inquisitore guaritore e continuò a riflettere sulle parole dell’ex chierico.

Dopo alcuni giorni di calma insperata, i corni d’allarme echeggiarono nel villaggio di Varn: il nemico era arrivato.

Gli allevatori si affrettarono a far rientrare il loro bestiame, nel frattempo Havard e i suoi guerrieri presero le armi e si schierarono per la battaglia.

Il pallido contò subito i draghi a disposizione del nemico, e con un misto di sollievo e soddisfazione ne individuò appena due: l’enorme drago corazzato del guaritore e quello dell’inquisitore che era fuggito.

«Combattete senza paura, perché oggi non fuggiremo!» Le parole del figlio di Hel echeggiarono sia dalla sua gola che nelle menti dei suoi uomini. «Il nemico è forte, ma questa volta siamo pronti ad affrontarlo. Nessun esercito è in grado di batterci due volte! Oggi loro fuggiranno!»

Un grido di battaglia si sollevò dalla sua schiera di guerrieri, nettamente meno numerosa di quella del Clero, ma compatta e pronta a resistere a qualsiasi attacco.

«Unità d’assalto, con me!»

Il pallido diede l’ordine al suo drago corazzato e il possente rettile partì alla carica, seguito da un’unità di cavalleria. In risposta i guerrieri del Clero si lanciarono alla carica insieme all’inquisitore sul drago di taglia media, ma non era con loro che il pallido voleva combattere. Fece girare il corazzato e con un movimento fluido aggirò lo schieramento nemico mentre i cavalieri dietro di lui scagliavano incantesimi contro l’inquisitore in cielo.

Il suo obiettivo era uno solo: il guaritore.

Il Pilastro capì subito che i suoi guerrieri non sarebbero riusciti a fermare l’avanzata dei nemici, così lanciò le sue truppe contro il villaggio e si preparò ad affrontare il figlio di Hel.

Havard evocò una pioggia di ghiaccio, ma di nuovo il corazzato del nemico sollevò un’ala e bloccò l’attacco. Proprio come il pallido si aspettava. Fece avanzare il suo drago e, appena fu abbastanza vicino, il figlio di Hel aprì una mano verso il rettile nemico. L’animale ebbe un sussulto e per un attimo perse l’equilibrio. Provò a resistere, ma al contrario del suo padrone, non aveva modo di impedire ad Havard di strappargli l’anima.

Incredulo, l’inquisitore in sella vide la sua cavalcatura annaspare, arrancare e infine accasciarsi a terra. Provò a usare un incantesimo di guarigione, ma non c’era nessuna ferita da curare. Semplicemente, il suo drago corazzato era morto.

Sospirò con rassegnazione, dopodiché scese a terra con la sua mazza di ferro in pugno.

Con sua grande sorpresa, anche Havard smontò.

Il Pilastro spirò con disappunto dalle narici e scagliò un raggio incandescente. Il pallido lo bloccò con una barriera, e lo fece appena in tempo.

«Fermo! La mia guerra non è contro di te, né contro i tuoi uomini!» gli gridò Havard. «Io voglio solo portare progresso e prosperità a tutti!»

«Se sei contro gli dei, allora sei anche contro di noi! E dovrai pagare per tutte le vite che hai spezzato!»

L’inquisitore infuse la benedizione di Huitzilopochtli nella sua mazza e partì alla carica. Sollevò l’arma incandescente e con un colpo roboante frantumò la difesa di Havard. Il pallido indietreggiò e scagliò un incantesimo di ghiaccio per rallentarlo. Con il nemico stordito, evocò la putrefazione, che in un attimo cominciò a consumare il corpo e la pregevole corazza dell’inquisitore.

L’orco grugnì di dolore mentre la sua carne veniva consumata. I pezzi di armatura cominciarono a staccarsi e caddero a terra, ma anche questa volta il Pilastro riuscì a contrastare la magia del figlio di Hel con l’incantesimo di guarigione.

Erano di nuovo al punto di partenza.

«Non so cosa ti hanno detto, ma non sono un assassino, e l’ultima cosa che voglio è un inutile massacro» affermò Havard.

«Le tue parole sono-»

Un verso di dolore spezzò la frase dell’inquisitore. Abbassò lo sguardo e con profondo stupore vide una lama che gli spuntava dal petto. L’assassino ritirò la lama e lo colpì alla gola, annebbiandogli la vista.

L’ecclesiastico guardò verso Havard, e il pallido capì subito quello che stava provando il suo avversario: non riusciva a credere che il figlio di Hel avesse fatto ricorso a un simile trucco pur di ucciderlo.

Il Pilastro cadde carponi. La pozza di sangue sotto di lui si espandeva rapidamente, ma non intendeva morire. Non così. La sua magia di guarigione lo avrebbe…

Una lama di ghiaccio calò sull’inquisitore e gli tagliò di netto la testa.

Nel silenzio improvviso, Havard avvertì distintamente l’anima del suo avversario che usciva dal corpo. Si divise in due: una parte – l’anima dell’orco vera e propria – raggiunse l’inferno di Nergal, l’altra invece volò via, verso una destinazione sconosciuta.

«È morto?»

Il pallido riuscì a malapena a trattenere un sussulto: Tenko era apparsa alle sue spalle senza che se ne accorgesse minimamente.

«È morto.»

Sentirono un ruggito improvviso, di dolore, e poi uno schianto: i cavalieri di Havard, nonostante diverse perdite, erano riusciti ad abbattere l’altro inquisitore.

La demone non nascose un sorriso soddisfatto. «Direi che abbiamo vinto.»

 Il figlio di Hel guardò la battaglia che ancora imperversava intorno al villaggio. Senza gli inquisitori, quei guerrieri non avevano speranza di vincere. Eppure sul suo volto non c’erano né euforia né soddisfazione. «Sì, abbiamo vinto.»


Note dell’autore

Ben ritrovati!

In questo capitolo ho avuto modo di inserire diversi spunti interessanti.

Per prima cosa vediamo il piano di Havard per contrastare gli attacchi su più fronti del Clero. Di certo non può difendere un regno intero da solo, quindi dovrà per forza concentrarsi sull’organizzazione generale e poi avere fiducia nei suoi sottoposti.

Subito dopo Tenko e Zabar hanno finalmente avuto modo di confrontarsi con Havard… e per fortuna c’era anche l’ex chierico, perché se ci fossero stati solo Tenko e Havard la faccenda si sarebbe fatta molto complicata. Alla fine comunque Nambera ha avuto ragione e il pallido non li ha uccisi… per ora ^.^"

Nel finale vediamo il secondo round dello scontro tra Havard e l’inquisitore guaritore, che però viene deciso dall’intervento di Tenko. Certo la demone sa essere davvero spietata e letale quando si tratta di eliminare i servi degli dei, e il figlio di Hel lo sa meglio di tutti: fino a quando riuscirà a fidarsi della demone?

Come sempre grazie per aver letto il capitolo e a presto :D


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Capitolo 25
*** 24. Arrivano i salvatori ***


24. Arrivano i salvatori

Molte cose erano cambiate nell’ultimo mese. Il regno di Havard era cresciuto ulteriormente, ma lo stesso si poteva dire degli sforzi del Clero per fermarlo.

In quel momento il figlio di Hel si trovava nei pressi di Gurtra, un’importante città strategica che gli avrebbe permesso di controllare tutta la prateria e le miniere circostanti. Ma per conquistarla doveva prima sconfiggere l’imponente esercito posto a difesa del centro abitato.

Quella in ogni caso non era l’unica armata del Clero che lo impensieriva: altre due stavano dando filo da torcere ai suoi uomini in altre aree del regno, ma doveva avere fiducia che i suoi sottoposti sarebbero stati in grado di gestirle.

Havard, già in sella al suo drago corazzato, si concesse un momento per osservare la sua unità d’attacco, già schierata e pronta alla battaglia. Invece di qualche centinaio di orchi, ora comandava quasi tremila guerrieri, di cui diverse centinaia dotati di bacchette magiche. Circa un terzo delle sue truppe erano cavalieri – la maggior parte su monoceratopi –, a cui si aggiungevano sedici draghidi di varia taglia domati da Zabar.

Ora che aveva così tanti uomini a disposizione, era diventato quasi più complesso gestirli e sfamarli senza ricorrere alle razzie, piuttosto che sconfiggere in battaglia il Clero. Ma per uno che ambiva a regnare sul mondo intero, mettere in riga tremila guerrieri rozzi e bellicosi era appena un riscaldamento.

Tutto sembrava pronto per l’inizio della battaglia, quando dallo schieramento nemico cominciarono ad avanzare tre draghidi: due di taglia media e un drago spinato – più grande – al centro. I draghi spinati erano facilmente riconoscibili grazie alle punte particolarmente pronunciate sulla schiena, sui gomiti e sulla coda, ed erano originari delle terre più a ovest, abitate prevalentemente da sauriani.

«Sommo Havard, le unità magiche sono pronte a fare fuoco» riferì Reton, che aveva assunto il ruolo di vicecomandante.

«No, aspettate» ribatté il pallido. «Credo vogliano parlare.»

Lo schieramento di soldati di fronte a lui si aprì, consentendo al suo drago corazzato di avanzare, e con lui altri due draghidi di taglia media per pareggiare i numeri del nemico.

Quando i due gruppi furono uno di fronte all’altro, il cavaliere sul drago spinato smontò e si tolse il pregevole elmo. Era un sauriano dal fisico allenato e dalle scaglie color sabbia. Indossava un mantello di pelliccia con una folta criniera che gli avvolgeva le spalle, simbolo degli inquisitori di Nergal. Al contrario dei suoi simili, aveva anche un paio di corna simili a quelle dei tori.

«Sono Urmah, figlio di Nergal» si presentò. Sguainò la sua scimitarra e la puntò verso il pallido. «Sono venuto per sfidare a duello il figlio di Hel!»

Havard non scese dal suo drago corazzato, ma continuò a fissarlo dall’alto, come a ostentare la sua superiorità. «Un re non ha motivo di accettare la sfida di un soldato. Se è un duello che vuoi, di’ a tuo padre di presentarsi di persona la prossima volta. Se invece desideri negoziare, sarò più che felice di evitare a tutti noi un inutile massacro.»

Il sauriano mantenne la calma nonostante la provocazione iniziale. «Hai paura, figlio di Hel? Sei pronto a sacrificare i tuoi uomini, ma non a combattere tu stesso per la tua causa.»

«Il valore di un re è determinato da come governa, non da quanti nemici può sconfiggere. Ma sappi che, al contrario di tuo padre, non prendo alla leggera il sacrificio dei miei uomini. Per questo ti chiedo di nuovo: sei disposto a negoziare?»

«L’unico negoziato che posso accettare include la tua testa su una picca.»

Il figlio di Hel sospirò con rassegnazione. «In tal caso torna dai tuoi uomini, e lasciamo che i regni dei nostri genitori si riempiano di anime premature.»

Detto ciò, il pallido fece voltare il suo drago corazzato e si diresse verso la sua armata. Era un tragitto breve, ma gli diede comunque abbastanza tempo per riflettere su un piccolo ma cruciale dettaglio: il figlio di Nergal aveva parlato perfettamente nella lingua degli orchi. Era improbabile – anche se non impossibile – che fosse cresciuto nelle loro terre o che ne avesse studiato la lingua, quindi l’alternativa più verosimile era che disponeva di un artefatto simile a quello di Tenko, Zabar e Icarus. Ma questa eventualità faceva sorgere un altro dubbio: un simile artefatto era stato trovato, o gli dei stavano ricevendo rifornimenti da qualcuno all’esterno?

Una volta in posizione, il figlio di Hel mise da parte le sue riflessioni per concentrarsi sulla battaglia imminente.

«Sommo Havard, siamo pronti» affermò Reton.

«Lasciamo a loro la prima mossa» stabilì il pallido.

Non dovettero attendere a lungo perché nel giro di qualche minuto un roboante fragore di corni invase il campo di battaglia e i guerrieri nemici partirono alla carica. Molti erano a piedi, ma non mancavano alcuni cavalieri sui monoceratopi. Gli inquisitori, compreso il figlio di Nergal, rimasero invece in attesa sui loro draghidi.

«Bacchette pronte» ordinò Havard.

«Bacchette pronte!» gridò il suo vice con la mano di ferro, presto imitato dagli altri capitani così che l’ordine giungesse a tutto l’esercito.

La telepatia del figlio di Hel poteva arrivare a decine o, se si impegnava, a centinaia di persone, ma ancora non era in grado di collegare la sua mente a tremila orchi.

La prima linea sollevò gli artefatti magici. I cavalieri nemici avevano già lasciato indietro i fanti ed erano pronti ad abbattersi sui guerrieri di Havard.

«Fuoco.»

«Fuoco!»

L’ordine rimbalzò in tutto lo schieramento e gli stregoni lanciarono i loro attacchi a distanza. Improvvisamente lo spazio che separava le due armate si riempì di fuoco, lampi e fasci di energia. Un turbinio di colori e rumori si riversò sui cavalieri, uccidendoli uno dopo l’altro prima ancora che potessero raggiungere il nemico.

«Può bastare, fate partire i cavalieri.»

«Stregoni, fermi! Cavalieri, caricate!»

Di nuovo l’ordine dovette passare di bocca in bocca per raggiungere tutto lo schieramento, ma arrivò comunque in tempo per consentire agli uomini sui monoceratopi di partire alla carica.

Al contrario dell’assalto veemente ma disordinato dei soldati del Clero, i guerrieri di Havard si disposero su due file in una formazione a cuneo, con la punta al centro formata dagli animali più grossi e dagli orchi più pesantemente corazzati. L’impatto con la fanteria nemica fu devastante e i malcapitati servi degli dei vennero sbalzati via o schiacciati sotto le zampe dei monoceratopi.

Una volta spezzato l’assalto nemico, fu il turno della fanteria di Havard di entrare in battaglia: una fiumana di orchi e diversi troll si riversarono sullo spazio aperto dai cavalieri, aggredendo senza pietà i soldati del Clero.

Vedendo che il primo attacco era fallito, gli inquisitori si alzarono in volo per cercare di ribaltare l’esito della battaglia, presto imitati dalle unità aeree di Havard.

Mentre la battaglia a terra si faceva sempre più caotica, i cavalieri in cielo si dimostrarono da entrambe le parti molto più abili e attenti a mantenere le formazioni. Gli inquisitori lanciavano attacchi grazie alle loro benedizioni, a cui gli uomini di Havard rispondevano con le loro bacchette. Ma tutti quanti sembravano più preoccupati di evitare gli attacchi nemici che ad affondare il colpo: perdere la superiorità aerea avrebbe consegnato al nemico un enorme vantaggio, e nessuno dei due schieramenti poteva permetterselo.

Havard, rimasto a terra con il suo drago corazzato, stava osservando l’evolversi della battaglia quando il suo animale cominciò a dare segni di agitazione.

Il pallido si guardò intorno: un attacco a sorpresa? Lo spinato del figlio di Nergal era anche lui in attesa dall’altra parte del campo di battaglia, e non vedeva nemici nei paraggi.

Il suo drago corazzato cominciò a barcollare, e solo dopo qualche secondo Havard si rese conto che non era solo la sua cavalcatura, ma era la terra stessa che stava tremando. La scossa parve attenuarsi per un momento, ma poi il suolo tremò di nuovo, e con forza ancora maggiore. Il drago corazzato, che pur aveva quattro zampe, per poco non perse l’equilibrio, e il figlio di Hel poté vedere numerosi guerrieri che cadevano a terra nel mezzo del campo di battaglia.

Era forse opera di un inquisitore? O forse di più di uno? No, quello non era il potere di un dio.

Con un boato fragoroso il terreno si spaccò proprio al centro del campo di battaglia, divorando decine di orchi di entrambi gli schieramenti. Dopo un momento di calma irreale, tutti i guerrieri si dimenticarono della battaglia e cominciarono a correre più lontano che potevano dalla faglia, anche se questo voleva dire andare verso la retroguardia nemica.

Ma la terra non si era ancora placata, anzi: dalle viscere del pianeta eruttò un enorme muro di lava che si riversò sulla prateria, bruciando tutto ciò che incontrava: erba, animali e orchi.

Era chiaro che in quelle condizioni la battaglia non poteva proseguire. Lo aveva capito Havard, così come lo avevano capito i suoi cavalieri e gli inquisitori in cielo, che avevano cessato le ostilità e stavano ripiegando.

«Ritirata: torniamo al campo!» ordinò il figlio di Hel, sfruttando la telepatia per raggiungere più persone che poteva, e poi affidando ai suoi capitani il compito di farlo sapere a tutti gli altri.

Nonostante le continue scosse e gli spruzzi di lava visibili anche da lontano, in qualche modo Havard e i suoi riuscirono a ristabilire l’ordine e guidarono i sopravvissuti verso la loro meta.

Il pallido poteva percepire la preoccupazione dei suoi uomini. Li vedeva bisbigliare tra loro, chiedersi cosa potesse aver causato un simile disastro: era forse una punizione degli dei?

«Reton» chiamò il figlio di Hel.

L’orco con la mano di ferro gli si affiancò. «Sì, sommo Havard?»

«Voglio che informi tutti quanti: quello che è successo oggi ci ha costretto a ritirarci, ma ha causato molti più danni al Clero che a noi. Gurtra sarà mezza distrutta e le sue mura crollate. Domani la conquisteremo molto più facilmente.»

«Sarà fatto.»

Dire ai suoi uomini che quello che era successo non era opera degli dei non avrebbe sedato completamente i loro dubbi, ma forse con quel discorso li avrebbe convinti che non dovevano preoccuparsene.

Una volta raggiunto il campo, il figlio di Hel convocò i suoi capitani per discutere le prossime mosse. La riunione era ancora in corso quando un orco fece quasi irruzione nell’ampia tenda. «Sommo Havard! Sommo Havard!»

«Che succede?»

«Sono arrivati tre tizi» spiegò il messaggero. «Stranieri. Vogliono parlare con voi. Dicono di poterci aiutare contro il Clero, ma vogliono qualcosa in cambio.»

«Che cosa?»

«Non… Non l’hanno detto.»

Havard fece segno ai suoi sottoposti di spostare il tavolo intorno a cui erano riuniti e andò a sedersi su uno spartano scranno rialzato. «Falli passare.»

Il pallido e i suoi non dovettero attendere a lungo per vedere i tre stranieri fare il loro ingresso.

Al centro c’era un’umana dalla carnagione olivastra e i capelli mori e mossi. I suoi abiti erano comodi ma comunque eleganti e ricercati, al punto che avrebbero fatto invidia a molti ecclesiastici di alto rango. Da come si atteggiava, sembrava essere il capo del piccolo gruppo.

Alla sua destra c’era un elfo dai capelli biondi con indosso un’armatura di buona fattura. Al fianco portava una spada, e il suo fisico atletico suggeriva che non si trattasse di un’arma cerimoniale.

Sulla sinistra c’era un goblin, i cui abiti un po’ trasandati e dalla fattura insolita stonavano marcatamente con quelli dei suoi compagni. Anche i suoi capelli rossi e le orecchie metalliche erano qualcosa di molto insolito, per non parlare della piccola fata dalla carnagione azzurra che gli svolazzava intorno.

«Tu devi essere il figlio di Hel» esordì l’umana. «È un piacere conoscerti.» Il suo tono era rispettoso, ma non di inferiorità: si stava rivolgendo al pallido come un suo pari.

«Sono Havard, sovrano di queste terre, e presto del mondo intero. Voi invece siete…?»

Il goblin fece qualche passo avanti, allargò le braccia e sfoggiò un ampio sorriso. «Noi siamo i vostri salvatori!»

«Zitto, idiota!» Con uno stizzito gesto della mano l’umana fece volare via il suo compare. Si schiarì la voce per ridare un minimo di serietà alla situazione. «Sono Shamiram[16], e lui è Sigurd[17]» disse accennando all’elfo al suo fianco. «Siamo qui per svolgere una missione importante, e ritengo che un’alleanza tra noi porterà giovamento a tutti quanti.»


Note dell’autore

Ben ritrovati :)

Dopo un salto temporale di un mese, vediamo come la guerra tra Havard e gli dei si sia estesa, con entrambi gli schieramenti che sono più numerosi e organizzati.

Il capitolo inizia con una trattativa fallimentare tra il pallido e il figlio di Nergal, seguita da una grande battaglia. Ma nessuna delle due fazioni è riuscita ad avere la meglio perché un nuovo cataclisma li ha costretti tutti alla ritirata. Ormai è chiaro che questi incidenti non sono casuali, ma avremo modo di approfondire la questione più avanti ;)

Ma ora direi che vale la pena di spendere due parole sul finale, in cui alcuni di voi potrebbero aver riconosciuto l’epilogo di HoJ - 1 - La frontiera perduta ^.^

Cosa succederà ora che sono arrivati i “salvatori”? Se avete letto La frontiera perduta saprete abbastanza bene di cosa è capace D’Jagger, ma staremo a vedere quale sarà il loro ruolo qui su Raémia.

Come sempre grazie per essere passati e a presto :D


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[16] Shamiram (Semiramide) è una leggendaria regina assiro-babilonese, moglie del re Nino.

[17] Sigurd (Sigfrido) è un eroe della mitologia norrena e germanica che ha ucciso un drago.

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Capitolo 26
*** 25. La partenza ***


25. La partenza

«Siamo qui per svolgere una missione importante, e ritengo che un’alleanza tra noi porterà giovamento a tutti quanti» affermò Shamiram in tono amichevole ma anche autorevole. «Appena sarà possibile, vorrei discuterne con te in privato.»

Havard aveva capito subito che l’umana che aveva davanti era una strega molto potente – abbastanza da impensierire perfino un semidio come lui – tuttavia le sue parole erano sincere. Anche l’elfo aveva un’aura particolarmente intensa, tipica di chi ha già compiuto grandi imprese. Il goblin invece aveva tutta l’aria di essere una persona normalissima, come se non avesse nulla a che fare con gli altri due, e che si trovasse lì per caso.

«D’accordo» annuì il pallido. «Qualcuno porti una sedia alla nostra ospite, gli altri possono uscire.»

«Ehi, mi raccomando» disse D’Jagger[18] a Shamiram, «ricordati di Freyja[19]

L’umana lo congedò con un annoiato gesto della mano piena di anelli.

«Ti prego di non fare caso a quel tipo, la sua presenza non era prevista» affermò una volta sola con Havard.

«Non c’è problema, ho avuto a che fare con soggetti molto più problematici. Dunque, come mai siete qui? Siete di Meridia?»

«No, non siamo di Meridia. Né di nessuna delle terre che conosci. E siamo qui per due motivi. Il primo che è che dobbiamo recuperare un’arma. Il secondo, nonché il motivo principale, è evitare che i vostri scontri causino reazioni ancora più violente da parte del pianeta.» Lo fissò con sguardo serio. «Immagino te ne sarai accorto ormai, comunque la magia degli dei e quella delle vostre bacchette sta causando degli squilibri, e se non vi fermate i cataclismi diventeranno ancora più violenti.»

«So quanto sia importante preservare la stabilità del tessuto magico del pianeta, ma non intendo rinunciare ai miei obiettivi.» Anche Havard parlava in maniera sincera ma decisa. «Devo porre fine all’egemonia degli dei, o questo mondo non riuscirà mai a progredire.»

«Rispetto i tuoi ideali, ma se continuate così, non ci sarà nessun popolo da far progredire. Il terremoto di oggi è niente in confronto a ciò che può accadere in futuro.» Allargò leggermente le mani. «Ma in tutta onestà non intendo imporre una visione esterna sulla vostra politica interna. Ho visto innumerevoli regni sorgere e cadere, quindi la vostra sorte mi tocca fino a un certo punto. Se le cose si metteranno davvero male, faremo in modo di salvare il salvabile. Quindi nel frattempo vorrei il tuo aiuto per trovare l’arma di cui ti parlavo. Oh, e c’è anche la “questione Freyja”, ma di lei possiamo discutere dopo.» Liquidò l’argomento con un gesto altezzoso e si piegò leggermente in avanti. «Hai mai sentito parlare dell’Ascia di Parashurama[20]

Havard rimase un po’ stupito della rapidità con cui Shamiram era passata dal discutere della salvezza del mondo, alla ricerca di un’ascia, ma tutto sommato era sollevato che una strega così potente non fosse intenzionata ad agire contro di lui per fermare la guerra.

«Temo di non averla mai sentita. Perché è così speciale?»

«Per farla breve, è un’arma in grado di uccidere un dio, e probabilmente è stata utilizzata per uccidere tua madre.»

A sentire quelle parole, il figlio di Hel serrò per un attimo i pugni. Portò una mano al suo teschio di corvo. «Allora forse so dove potete cominciare a cercarla: a Kandajan, la città dove vive l’assassina di mia madre.»

Shamiram annuì. «È un inizio, ti ringrazio. Hai una mappa dove mostrarmi la sua posizione?»

Il pallido annuì. Mentre le indicava come raggiungere la città, le diede anche altre informazioni sull’assassina di Hel, nonché attuale governatrice di Kandajan.

«Se la trovate, vi sarei grato se la portaste da me invece di ucciderla» concluse Havard. «Devo assicurarmi che la sua anima finisca nel mio regno infernale.»

«Questa non è la nostra guerra e dobbiamo evitare di intervenire dove possibile, ma terrò a mente la tua richiesta.»

Il figlio di Hel annuì.

«Ora, se non ti dispiace, farei entrare il bom- il goblin per discutere anche della faccenda di Freyja.»

«D’accordo. Mando qualcuno a chiamarlo.»

«Non ce n’è bisogno, sono sicura che è qui fuori a origliare. Ehi, bombarolo, puoi entrare adesso!»

Come volevasi dimostrare, poco dopo il diretto interessato scostò i lembi che chiudevano l’ingresso.

«Non stavo proprio origliando, siete voi che parlate ad alta voce…» ci tenne a precisare D’Jagger, sempre in compagnia della sua piccola fata.

L’occhiataccia dell’umana lo convinse a cambiare argomento.

«Ma parliamo di Freyja! È stata rapita alcuni giorni fa dal pianeta su cui ci trovavamo e a quanto ho capito adesso sta combattendo per i religiosi. Ma sono sicuro che le hanno fatto il lavaggio del cervello, perché una come lei non prenderebbe mai parte a una guerra! Ha i capelli blu e la pelle verde chiaro, gli occhi rossi, le lentiggini, le tette grandi… Ah, ed è parecchio forte, quindi di sicuro si sarà fatta notare. Sempre contro la sua volontà, eh!»

Havard rifletté un momento. «Non ho mai incontrato un’orchessa che corrisponde alla tua descrizione, ma ho ricevuto dei rapporti riguardo a un’orchessa che sta dando del filo da torcere ai miei uomini sul fronte più a nord. Dicevano che è molto forte ma non usa magie, potrebbe essere lei?»

«Potrebbe! Sì! Dove si trova questo fronte?» Si voltò verso Shamiram. «Possiamo andarci subito!»

Il figlio di Hel prese un’altra mappa per indicare l’area degli scontri.

«Se davvero è così forte, allora mi farete un favore a salvarla. E dato che ci siete, potreste anche dare una mano ai miei uomini per velocizzare la fine delle ostilità, così da evitare che si verifichino altri cataclismi.»

«Bel tentativo» gli concesse Shamiram. «Andiamo, bombarolo» proseguì rivolta a D’Jagger.

«Un momento» li fermò Havard. «Voglio che qualcuno dei miei venga con voi, così da poter spiegare la situazione alle mie truppe.»

«E per tenerci d’occhio» intuì l’umana.

«Non lo nego.»

«Beh, non se ne parla.»

«Se dobbiamo collaborare, devo potermi fidare di voi. Fornirò io i monoceratopi e le provviste, voi non dovrete occuparvi di nulla.»

«Cosa ti fa pensare che siamo arrivati con dei monoceratopi?»

«Un drago allora.»

Shamiram scosse il capo. «Sbagliato di nuovo.»

«Emh, scusate» intervenne D’Jagger. «Posso scambiare due parole con l’illustre signora?»

Havard fece un cenno di assenso e si allontanò.

«Perché non prendiamo un orco a caso?» chiese il goblin. «Cosa ce ne frega?»

«Ce ne frega che qui la gente non va in giro con un’astronave, genio!»

«E allora? Quando siamo arrivati lo sparaflashi con la tua magia e siamo a posto. Puoi farlo, no? Mi hai mai sparaflashato?»

Shamiram sospirò con disappunto. «Avrei dovuto farlo.» Detto ciò richiamò Havard. «Grazie per l’attesa. D’accordo, uno dei tuoi orchi può venire con noi. Ma che sia uno che si è lavato almeno una volta nell’ultima settimana.»

Il pallido ci mise un istante per annuire. Si diresse verso l’uscita, dove nel frattempo si era formata una piccola calca. E per la prima volta fece caso all’odore penetrante che riempiva l’aria.

Aveva molti guerrieri fedeli, ma restavano comunque gente piuttosto rozza, e aveva già capito che Shamiram non era una persona particolarmente paziente. Reton era uno dei più intelligenti e diplomatici, tuttavia non voleva privarsi del suo vicecomandante. E in ogni caso aveva qualcun altro in mente.

«Tenko, Zabar, Icarus.»

I due demoni e il faunomorfo, che già si trovavano tra la folla, si fecero avanti.

«Voi tre andrete con loro» ordinò accennando ai nuovi arrivati.

Tenko parve prendere piuttosto bene la notizia, e anche Zabar sembrava stupito ma al tempo stesso incuriosito da una simile opportunità. Il più perplesso era forse Icarus, ma era difficile leggere la sua faccia da mercante.

Shamiram si avvicinò a Havard. «Scusate un momento» disse ai tre prima di rivolgersi al figlio di Hel: «Credevo di aver detto uno

«Sono quelli che puzzano meno» le assicurò il figlio di Hel a bassa voce. «E loro viaggiano in gruppo. Fidati, non vi daranno problemi.»

Forse Icarus era riuscito a sentirli, infatti si schiarì la voce e prese la parola: «Sommo Havard, se non vi dispiace, vorrei restare per lavorare con gli altri fabbri-alchimisti. Stiamo facendo grandi progressi, e sarei davvero felice di continuare le mie ricerche qui. Spero che i nostri ospiti capiranno.»

«Certamente» annuì Shamiram in tono affabile.

«Emh, e per il traduttore?» chiese Zabar al faunomorfo.

«Ho motivo di credere che i nostri ospiti potrebbero averne uno» affermò Icarus con un sorrisetto d’intesa in direzione dell’umana.

«Può darsi» confermò lei. «Dunque è deciso. Voi due, spero non abbiate molti bagagli, perché in quel caso dovrete lasciarli qui. Bombarolo, vai con loro, noi vi aspettiamo fuori.»

Il goblin si limitò a un mugugno d’assenso.

«È stato un piacere, Havard, ma ora dobbiamo proprio andare.»

«Il piacere è stato mio, Shamiram.»

Il figlio di Hel e Sigurd si scambiarono un rispettoso cenno di saluto, dopodiché l’umana e l’elfo si allontanarono nel varco che si era aperto tra la folla. Anche la fata andò con loro: evidentemente disprezzava la puzza più di quanto apprezzava la compagnia del goblin.

«Cosa fate ancora qui?» sbottò Havard rivolto ai suoi guerrieri. «Tornate ai vostri compiti. La riunione con i capitani riprenderà tra poco.»

Dettò ciò il figlio di Hel tornò nella sua tenda. Solo Nambera si azzardò a seguirlo, tutti gli altri sciamarono via.

«Scusa l’intrusione» iniziò l’orchessa. «Volevo chiederti… quei tre non sono di “qui”, vero?»

Il pallido rimase in silenzio, e l’anziana orchessa capì che stava inviando un messaggio telepatico a qualcuno.

Dopo alcuni lunghi secondi, finalmente Havard si voltò. «No, decisamente no.»

«Cosa faremo se ne arriveranno altri?»

«Cosa vuoi che faccia? Sconfiggere gli dei è difficile, ma combattere contro quella gente…» Scosse il capo.

Nambera gli poggiò delicatamente una mano sul braccio, come per fargli sentire la sua vicinanza.

«Se posso, avrei anche un’altra domanda. Più una curiosità a dire il vero.»

Havard annuì.

«Perché hai scelto proprio quei due? Non era meglio mandare Reton? O me? Non che mi dispiaccia restare qui con te» si affrettò a precisare.

«Zabar è leale e affidabile, e per il momento mi ha fornito abbastanza draghi. Tenko… beh, lo sai. Piuttosto mi chiedevo se Icarus sarebbe andato con loro, e a quanto pare gli esperimenti dei fabbri-alchimisti gli stanno molto a cuore. Forse è il caso di controllare meglio cosa stanno davvero facendo…» Rimase un attimo pensieroso. «E comunque non potevo certo mandarti con loro: poi cos’avrei mangiato?»

L’anziana orchessa ricambiò il suo sorriso. Non tanto per la battuta in sé, ma per il semplice fatto che il suo protetto era ancora in grado di ritrovare un po’ di leggerezza nonostante il peso della guerra che gravava sulle sue spalle.

«È meglio che torni dagli altri guaritori. Ti lascio alla tua riunione.»

Mentre Havard e Nambera discutevano, Tenko aveva consegnato a Icarus il bracciale, e D’Jagger aveva fatto qualcosa utilizzando un suo dispositivo.

«Così se volete potrete parlare con lui anche se siamo lontani» aveva spiegato.

Detto ciò, si erano congedati dal faunomorfo – che era tornato al lavoro con gli altri fabbri-alchimisti – e si erano avviati insieme al goblin.

«A proposito, posso chiedervi dove avete trovato quel bracciale? Mi è sembrato un modello piuttosto vecchio, siete fortunati che funziona ancora. Eeh, non fanno più i device di una volta!»

«L’abbiamo trovato sottoterra» gli spiegò Zabar. «Probabilmente si è conservato così bene perché si trovava in un ambiente chiuso.»

«Tipo una custodia?»

«Più tipo una tomba in realtà» ammise il demone sforzandosi di sorridere.

«Quindi siete dei tombaroli. Fico!»

«Non…! Non siamo tombaroli!» ci tenne a precisare l’ex chierico, preoccupato che una simile insinuazione potesse prendere piede. «Stavamo cercando indizi sul passato di questo mondo, e l’abbiamo trovato.»

«Ah, ok, quindi siete più… archeologi. Che è un po’ la stessa cosa, ma più professionale.»

Zabar sembrava confuso. «Immagino di sì.»

Una volta preparati i loro pochi bagagli e assegnata la viverna di Tenko a un altro cavaliere, i due demoni seguirono il goblin fuori dal campo.

«Dunque voi che animali usate per viaggiare?» domandò Zabar.

D’Jagger si fermò e gli sorrise allegramente. «Chi ha mai parlato di animali?»

Lo stupore dei due demoni si trasformò in pura incredulità quando si udì un leggerissimo suono e dal nulla si aprì il portellone di un’astronave occultata.

«Prego, dopo di voi» li invitò il goblin. «Mi raccomando, non sporcate in giro, non toccate niente, non parlate, e possibilmente evitate anche di respirare: a Sua Maestà non piacciono le persone. O forse sono proprio io che non le piaccio, ma mi sembra improbabile.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

È successo finalmente: Tenko e Zabar sono partiti insieme a D’Jagger e compagnia per andare a salvare Freyja (e trovare l’Ascia di Parashurama e salvare il mondo, ma una cosa per volta :P).

Intanto, grazie al discorso tra Havard e Shamiram, veniamo anche a sapere qualcosa di più sui cataclismi che si sono verificati di recente, che non sono causati dagli dei, ma bensì dal pianeta stesso che percepisce gli scontri come una minaccia e cerca di difendersi. Di sicuro il pallido non si fermerà, e tantomeno gli dei, quindi non è da escludere che Shamiram e soci dovranno davvero intervenire per evitare il peggio.

Ma ci sarà tempo per tutto questo, per ora Tenko e Zabar sono già abbastanza sorpresi dal fatto di trovarsi su un’astronave XD

Come sempre grazie per essere passati e a presto ^.^


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[18] D’Jagger è uno dei personaggi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.

[19] Freyja è uno dei personaggi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.

[20] Parashurama è una delle dieci incarnazioni del dio induista Visnù. La sua arma è un’ascia da guerra.

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Capitolo 27
*** 26. Squadra di salvataggio ***


26. Squadra di salvataggio

Tenko e Zabar salirono la breve rampa dell’astronave con gli occhi spalancati e l’espressione incredula. Tutto quello che vedevano era nuovo e assolutamente impensabile per loro. Quando il portellone cominciò a chiudersi, tutti e due si voltarono per osservarlo ammirati.

«Ecco perché non volevo che venissero» sottolineò Shamiram.

«Oh, che sarà mai?!» ribatté allegramente D’Jagger. «Chi vuoi che lo venga a sapere che li abbiamo fatti salire?»

«A parte la tua amica poliziotta, dici?» commentò Sigurd, che in realtà non sembrava troppo preoccupato della presenza dei due demoni.

Il goblin ebbe un attimo di esitazione. «Emh, Freyja è un’amica, non ci tradirebbe mai.»

“L’ha arrestato solo due volte” spiegò Lunaria nel linguaggio dei segni.

Shamiram scosse il capo e se ne andò.

«Beh, benvenuti a bordo» disse Sigurd con un sorriso amichevole. «A proposito, credo che non ci siamo ancora presentati come si deve. Sono Sigurd, felice di conoscervi» disse porgendo loro la mano.

Notando che Tenko era imbambolata a fissare l’elfo, Zabar prese l’iniziativa e gli strinse l’avambraccio in segno di amicizia. «Grazie, sei molto gentile. Io sono Zabar.»

L’elfo biondo si voltò verso la demone, e ancora la giovane ci mise qualche istante per reagire. «Tenko» si limitò a dire prima di stringergli l’avambraccio in modo un po’ frettoloso.

«L’umana si chiama Shamiram» proseguì l’uomo. «È lei a capo della missione, quindi vi chiederei di fare come dice.»

I due demoni annuirono.

«Lei invece è Lunaria» spiegò D’Jagger accennando alla piccola fata.

La diretta interessata concesse loro un rapido saluto con la mano.

«Non parla, ma capisce tutto quello che dite» proseguì il goblin. «Usa il linguaggio dei segni, ma finché siete con noi dovreste riuscire a capirlo normalmente.»

«Non avevo mai visto una fata dal vivo» ammise Zabar.

Provò ad avvicinarsi, ma Lunaria si allontanò subito.

«Ho letto che le fate hanno un legame molto forte con la magia dell’ambiente.»

«È così. Però lei viene da… lontano, quindi la sua affinità con la magia di qui non è così alta.»

Il demone annuì.

«Venite, vi mostro la nave» si offrì Sigurd.

Il mezzo, che nel frattempo si era alzato in volo, era relativamente grande e poteva ospitare comodamente tutti e cinque i suoi attuali passeggeri di taglia umanoide.

«Quanti giorni ci vorranno per arrivare dove si trova questa orchessa?» domandò Zabar.

«Saremo lì prima di stasera» rispose l’elfo, e non nascose un sorriso divertito davanti alla reazione stupita dell’ex chierico.

Una volta raggiunta la meta, Shamiram cominciò a sorvolare la zona per capire dove si trovasse effettivamente la linea del fronte.

«In base alle indicazioni di Havard, questa città dovrebbe essere ancora sotto il suo controllo. Riuscite a capirlo da qui?»

«Secondo me il Clero l’ha riconquistata» affermò Tenko. «Quelli non sono stendardi di Havard. Proviamo a spostarci più a ovest.»

L’umana fece come indicato e in breve raggiunsero un villaggio di medie dimensioni dove si erano ammassati numerosi guerrieri.

«Credo che le truppe di Havard si siano ritirate qui» affermò la demone. «Quello è uno dei suoi stendardi» spiegò indicando l’insegna di un teschio di corvo su fondo nero.

«Bene, allora domani andremo a trovarli per sapere se la poliziotta sta combattendo in questa zona» stabilì Shamiram. Detto ciò fece atterrare l’astronave in una zona isolata e lasciò il posto di guida.

Anche la cena si rivelò una sorpresa per i due demoni, a partire dal fatto che non era nemmeno stata preparata dai membri dell’equipaggio.

«È… strano ma molto buono» commentò Zabar, che non riusciva assolutamente a capire cosa avesse nel piatto.

Anche Tenko sembrava apprezzare la cucina, ma allo stesso tempo era impegnata a osservare Shamiram per capire come utilizzare correttamente le posate.

«Domani andremo al villaggio per sentire la versione del loro capo» affermò l’umana una volta finita la cena. «Non dobbiamo farci coinvolgere troppo, quindi l’unica cosa che ci interessa è se hanno visto un’orchessa che corrisponde alla descrizione della poliziotta. Se l’hanno vista, proveremo a cercarla nella città che abbiamo visto ieri. Ci pensate voi a parlare con il comandante locale?» chiese rivolta ai due demoni.

«Ci penso io» annuì Tenko.

Come da programma, la mattina seguente entrarono nel centro abitato, che era pieno di guerrieri indaffarati o feriti. In base alle indicazioni di Havard, la linea del fronte avrebbe dovuto trovarsi più a est, segno che i suoi uomini avevano perso terreno.

Non ci volle molto per farsi ricevere dal leader locale, che li accolse nell’ex tempio. Lo spazioso edificio era stato svuotato di qualsiasi riferimento agli dei e ora fungeva da centro amministrativo.

«Sono Tenko Br’rado, siamo qui per conto di… del sommo Havard» spiegò la demone. «Ho qualche domanda da farti.»

«Sì, mi ricordo di te» annuì il capovillaggio, un oni dalla carnagione bluastra. Le corna sulla sua fronte, dello stesso colore della pelle, erano larghe ma non particolarmente lunghe. «Cosa vuole il sommo Havard?»

«Stiamo cercando l’orchessa che combatte per il Clero in questa zona. Quella molto forte. L’hai vista?»

«Sì, l’ho vista combattere io stesso. Non so a quale dio sia devota, ma ha una forza assurda: l’ho vista scagliare via orchi grossi il triplo di lei!»

«E com’era?» intervenne D’Jagger. «Ce la puoi descrivere?»

L’oni ci pensò su un attimo. «Pelle verde chiaro, abbastanza alta e muscolosa per essere una donna, ma non così tanto da giustificare quella forza. Combatte con una mazza di ferro.»

«È lei!» esclamò il goblin, euforico. «È sicuramente lei!»

«Ci pensiamo noi a lei» affermò Tenko.

«D’accordo. Hai altri ordini dal sommo Havard?»

La demone rimase un attimo in silenzio. «No.» La risposta suonò piuttosto secca, ma in realtà non sapeva cos’altro aggiungere. «Addio.»

«Emh… Addio» annuì l’oni.

Mentre attraversavano il villaggio verso l’uscita, D’Jagger prese la parola: «Ok, dunque adesso che si fa? Torniamo alla città di ieri e chiediamo in giro?»

«Non penso sarà così semplice» ribatté Shamiram, che non vedeva l’ora di lasciarsi alle spalle la puzza del centro abitato. «Per ora andiamocene da qui, poi ne parliamo.»

Una volta tornati all’astronave, i sei si sedettero intorno al tavolo della sala comune per discutere le prossime mosse.

«Considerando che il Clero sta usando la poliziotta come un’arma, probabilmente la terrà anche sotto sorveglianza» affermò l’umana. «Se andassimo in giro a fare domande desteremmo solo sospetti, quindi ci conviene chiedere ai loro capi. Posso prepararvi un artefatto per interrogarli, ma poi dovrete sbrogliarvela voi.»

«Che tipo di artefatto, se posso chiedere?» intervenne Zabar.

«Uno che renda il bersaglio docile e incline a parlare, e poi abbastanza confuso da non ricordare di avervi visto. Non ci vorrà molto, ma per una missione del genere sarà meglio agire di notte. Volontari?»

Nessuno parlò, così Lunaria prese l’iniziativa e indicò D’Jagger.

«Sì, sì, ci penso io» annuì il goblin.

«Se vuoi posso venire anche io» si offrì Sigurd.

«Sì, ti prego» commentò Shamiram.

«Ah-ah» ribatté il goblin.

«Posso… venire anche io» disse Tenko, ma dal suo tono non era chiaro se fosse una domanda o un’affermazione. «Ho fatto… varie missioni. Di notte.»

«D’accordo» confermò l’elfo. «Ci guarderemo le spalle a vicenda.»

La demone annuì enfaticamente.

«Bene, è deciso.» Shamiram si alzò. «Vado a preparare l’artefatto. Sigurd, sposta l’astronave vicino alla città e preparate un piano d’azione.»

L’elfo annuì.

Come previsto, non ci volle molto prima che l’umana completasse il suo lavoro, ma attese comunque il calar del sole per consegnare l’oggetto magico.

«Come funziona?» chiese D’Jagger, pronto a partire insieme agli altri due.

«Puntatelo su chi vi interessa e fate le domande. Potete anche impartirgli degli ordini. L’effetto durerà per tutta la notte, poi si sveglierà e non ricorderà nulla di quanto è successo. Ma fate attenzione: la magia non è molto potente, quindi se incontrate dei maghi esperti potrebbe non funzionare.»

«Posso provarlo?» chiese ancora il goblin.

«Assolutamente no» fu la secca risposta. «Non farglielo avere per nessun motivo» aggiunse rivolta a Sigurd.

L’elfo, che aveva ricevuto l’artefatto, preferì glissare sull’argomento: «Credo sia meglio andare. Avete tutto?»

Tenko annuì: aveva con sé la spada, la frusta, la bacchetta all’avambraccio e l’elmo.

D’Jagger fece comparire un casco con una vistosa crepa sulla parte frontale. «Pronto.»

«Buona fortuna» augurò loro Zabar.

«Tienili d’occhio» si raccomandò Shamiram a Sigurd.

“Trovate Freyja” aggiunse Lunaria nel linguaggio dei segni.

Il biondo aprì il portellone e l’aria fresca della notte soffiò dolcemente all’interno dell’astronave.

D’Jagger sollevò il pugno con entusiasmo. «Squadra di salvataggio, in azione!»


Note dell’autore

Ben ritrovati :)

E così cominciamo a vedere come se la cava questo nuovo e improbabile gruppo.

La ricerca di Freyja procede un po’ a rilento, ma almeno hanno una pista da seguire. Ora non ci resta che scoprire come se la caverà la squadra di salvataggio.

A presto ^.^


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Capitolo 28
*** 27. Seguire gli indizi ***


27. Seguire gli indizi

Sigurd, Tenko e D’Jagger erano ormai a ridosso della città, nascosti da una barricata di roccia forse creata con la magia durante i precedenti scontri. Le mura di pietra avevano un paio di brecce, ma entrambe erano state chiuse con robuste assi di legno e l’intero cammino di ronda era sorvegliato da alcune sentinelle.

«Ok Tenko, tocca a te» disse Sigurd.

Lei annuì enfaticamente.

«Tieni» proseguì D’Jagger dandole uno dei suoi congegni. «Lo attiverò tra un minuto. È abbastanza?»

«Sì.»

Il goblin mostrò un’emoji sorridente sull’ampia visiera del suo casco. «Beh, allora buona…»

La demone svanì.

L’emoji si trasformò in una faccina delusa. «Eeee… tanti saluti. Wow, è proprio sparita!» L’espressione sul suo casco divenne sorpresa e ammirata «Anche con i miei sensori non riesco a individuarla!»

Detto ciò fece partire un timer, con il conto alla rovescia che scorreva implacabile sulla sua visiera.

«Qui non contano il tempo in maniera così precisa, lo sai, vero?»

Il goblin si limitò a mostrare un’emoji malignamente sorridente. «Chissà cosa succede se attivo il teletrasporto mentre è invisibile…?»

Tenko correva nel mondo distorto delle ombre, impercettibile e intoccabile. Attraversò le mura della città come fossero un’illusione e poi si guardò intorno per trovare un luogo sicuro.

Individuò un vicolo più buio degli altri e lo raggiunse. Tornò tangibile e si guardò intorno un’altra volta: nessuno in vista.

Erano d’accordo di aspettare un minuto, ma si rese conto di aver perso completamente la cognizione del tempo: quanto ci aveva messo per arrivare lì? Quanto tempo mancava? Ci aveva messo troppo? Perché non succedeva nulla? Ma poi cosa doveva succedere esattamente? Era stata una stupida a non chiederlo!

Il congegno metallico nella sua mano si attivò all’improvviso e lei lo lasciò cadere d’istinto. Un istante dopo Sigurd e D’Jagger erano davanti a lei.

Dopo un attimo di sorpresa, si rese conto che forse era così che si sentivano gli altri quando la vedevano ricomparire all’improvviso.

Il goblin raccolse il suo dispositivo e lo fece letteralmente sparire, nel frattempo l’elfo si stava già guardando intorno.

«Troviamo una guardia per scoprire dove si trova il loro capo. Ne vedete qualcuna isolata?»

«Due orchi in arrivo, da quella parte» indicò D’Jagger, che grazie ai sensori del suo casco era in grado di individuare amici e nemici nelle vicinanze. «Ehi, quel coso funziona anche su due persone insieme?» chiese riferendosi all’artefatto di Shamiram.

«Immagino lo scopriremo molto presto» fu la risposta di Sigurd.

Tenko portò una mano alla spada. «Se non funziona, ci penso io a loro.»

«Ok, ma cerchiamo di non uccidere più persone del necessario» le chiese l’elfo.

La demone rimase un attimo interdetta. «Oh… Ok.»

I tre raggiunsero i due orchi di pattuglia, che subito intimarono loro di fermarsi.

Sigurd mostrò l’artefatto di Shamiram. «Stiamo cercando il vostro capo. Dove si trova?»

I guerrieri si fermarono subito e abbassarono le mazze.

«Il nuovo comandante ha preso una delle case nella zona centrale della città» spiegò uno di loro. «Probabilmente sta dormendo adesso.»

«Attualmente è al lavoro il vicecomandante» aggiunse l’altro. «Potete trovarlo nel torrione principale della caserma, al piano più alto.»

 L’elfo si fece spiegare dove fosse la casa del comandante e poi li congedò: «Tornate al vostro lavoro, è tutto tranquillo qui.»

I due orchi annuirono e ripresero la ronda.

Seguendo le indicazioni delle guardie, non ci volle molto per raggiungere la residenza del comandante, un edificio in pietra e fango dall’aria robusta. Tenko si intrufolò all’interno grazie alla sua abilità da spettro e aprì la porta agli altri due.

L’interno era relativamente grande e sulle pareti c’erano diversi oggetti luccicanti, quindi probabilmente l’edificio era appartenuto a qualche personaggio benestante della città. Forse i precedenti inquilini erano morti, o magari erano fuggiti per via degli scontri.

Come previsto, il comandante delle guardie stava dormendo nell’ampio letto della stanza padronale, avvolto in una morbida pelliccia maculata.

«Petardo sotto il letto o pentole da sbattere?» chiese D’Jagger, impaziente di fare un po’ di rumore.

Sigurd si limitò a scuotere con decisione la massiccia spalla dell’orco.

Il comandante si svegliò quasi subito, e la prima cosa che vide fu l’artefatto magico nella mano dell’elfo.

«Stiamo cercando un’orchessa, quella che state usando come soldato. Dove si trova?»

Il guerriero, visibilmente assonnato, ci mise un momento per rispondere. «Oh, dite… il tributo? L’abbiamo…» Sbadigliò. «… spostata. Ora che la città è nostra, l’hanno mandata da un’altra parte a combattere gli eretici.»

«Dove?» insistette Sigurd.

«A… nord. Il fronte è grande, non so dove sia adesso.»

«Quando è partita?»

L’orco ci dovette pensare su un attimo. «Circa due settimane fa.»

D’Jagger non nascose il suo disappunto. «Oh, e ti pareva!»

«Puoi dirci altro su di lei? Come possiamo trovarla?»

«Andate dove c’è una battaglia. Anche se è una donna, è una vera guerriera: rende onore agli dei ogni volta che combatte contro gli eretici.»

«Se non hai altro di utile da dire, puoi tornare a dormire» gli disse Sigurd.

Il comandante si aggiustò la coperta e chiuse gli occhi.

«Ok, ricominciamo a cercare a caso» commentò D’Jagger, un po’ deluso per come era andato l’interrogatorio.

Sigurd fece per lasciare la stanza, ma notò che Tenko era rimasta immobile con la mano sull’elsa della spada.

«Dobbiamo andare» le disse a bassa voce.

«È il comandante nemico. Se lo uccido, i nostri otterranno un vantaggio.»

«Forse» ammise l’elfo. «O forse manderanno qualcuno ancora più spietato a sostituirlo.» Sospirò. «Capisco che state combattendo una guerra, ma non è così per noi. E non penso che ucciderlo nel sonno sia la cosa giusta da fare.»

Lei rimase in silenzio a fissare il suo nemico.

«Tenko?»

«Non c’è niente di giusto in questa guerra» sentenziò a denti stretti. E senza aggiungere altro uscì dalla stanza.

Una volta tornati all’astronave, riferirono a Shamiram, Zabar e Lunaria ciò che avevano scoperto. L’umana non parve per niente entusiasta della notizia e borbottò qualcosa tra sé.

«Domani mattina cominceremo a scandagliare l’area più a nord per trovare la poliziotta» sentenziò prima di alzarsi. «E speriamo che questa volta non ci rimbalzino di nuovo al punto di partenza.»

“Freyja starà bene?” chiese la fata a D’Jagger.

Il goblin annuì. «Lo sai, è tosta. Se è sopravvissuta fino ad adesso, resisterà ancora qualche giorno.»

La sua piccola amica annuì.

Nei giorni seguenti attraversarono in lungo e in largo le vaste praterie delle terre degli orchi, percorsero distanze enormi, ma la loro ricerca sembrava in stallo. Avvistarono villaggi, truppe di orchi in movimento, perfino un insediamento di troll, ma di Freyja nessuna traccia. Finché…

«C’è una battaglia più avanti» segnalò Zabar, che con sua grande gioia aveva ricevuto il permesso di sedere nella cabina di guida.

D’Jagger lo raggiunse subito, e anche lui poté osservare quasi duecento orchi che si affrontavano intorno a una carovana di carri, forse rifornimenti. Non era chiaro a chi appartenessero gli approvvigionamenti, ma non era questo ciò che volevano sapere.

«Vediamo se questa volta siamo più fortunati…» disse il goblin mentre armeggiava su uno schermo.

Con pochi rapidi gesti cercò le donne presenti nell’area, e questa volta la ricerca diede un riscontro: la guerriera in questione brandiva una mazza e indossava una rozza armatura, non molto diversa da quelle degli uomini se non per la taglia.

«Oh, questa può essere lei!» esclamò D’Jagger.

Ingrandì le immagini dell’orchessa sul parabrezza, giusto in tempo per vederla deviare l’ascia di un orco grosso il triplo di lei. Lo colpì al petto con la mazza, abbastanza forte da mozzargli il respiro, lo afferrò intorno alla spalla e con un movimento fluido lo schiacciò a terra.

«È lei!» esultò il goblin.

«Bene, ma… come la fermiamo?» chiese Zabar, preoccupato dal fatto che la poliziotta stava sbaragliando qualsiasi nemico le si parasse davanti, lasciandoli doloranti a terra, magari con un arto lussato.

«Lo faremo insieme» affermò Sigurd.

«Non è il primo soldato potenziato che affrontiamo, e non sarà l’ultimo» confermò Shamiram con nonchalance. «Bombarolo, fai atterrare l’astronave.»

«Subito, maestà.»

Il goblin prese i comandi, e con un’agile manovra fece adagiare il veicolo spaziale a poche decine di metri dallo scontro.

Il portellone si aprì e Sigurd fu il primo a scendere.

Tenko si affrettò a indossare l’elmo e a seguirlo come un subordinato fedele.

D’Jagger attivò a sua volta il casco e fece comparire nelle mani due granate. «Oh, finalmente! Facciamo esplodere qualcosa!»

Shamiram gli lanciò uno sguardo truce sfruttando appieno la loro differenza di altezza. «Come, scusa?»

«Volevo dire… Salviamo Freyja senza farci scoprire!»

Sigurd sguainò la sua spada, la cui lama nera brillò minacciosa alla luce del sole. «Meno chiacchiere: stanno arrivando.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

C’è voluto un po’, ma finalmente i nostri eroi sono riusciti a trovare Freyja… solo che adesso dovranno combattere per salvarla ^.^"

Se non altro sembra che, nonostante le grandi differenze, riescano ad andare abbastanza d’accordo, quindi le probabilità di successo dovrebbero essere buone. O almeno lo saranno finché D’Jagger non farà arrabbiare Shamiram XD

Come sempre grazie per aver letto e non perdete il prossimo capitolo tra un paio di settimane.

A presto :D


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Capitolo 29
*** 28. In salvo ***


28. In salvo

«Stanno con Havard o con gli dei?» chiese Shamiram osservando la dozzina di orchi che correva verso di loro con le armi in pugno.

«Glielo chiederemo quando si saranno ripresi» ghignò D’Jagger. «Flash!»

Il goblin lanciò una delle sue granate stordenti, che rimbalzò proprio davanti ai nemici. Un paio di guerrieri rallentarono un attimo, ma questo non cambiò le cose: lo scoppio assordante stordì tutti gli orchi, e il bagliore improvviso li lasciò momentaneamente accecati.

Per fortuna Shamiram si era premurata di evocare un muro di sostanza nera, altrimenti il lampo improvviso avrebbe investito anche Tenko.

«Perfetto, ora tutti sanno che siamo qui» sottolineò Sigurd con un certo disappunto.

La demone decise di prendere l’iniziativa: fece qualche passo avanti e sollevò la sua spada. «Morte agli dei!» gridò più forte che poté. «Lunga vita al sommo Havard!»

Alcuni orchi risposero al grido sollevando le loro armi, altri invece grugnirono e si prepararono ad affrontarli.

«Buona idea» riconobbe l’elfo. «Per ora occupiamoci di sfoltire le linee nemiche, poi penseremo alla poliziotta. Shamiram e D’Jagger, storditeli da lontano. Tenko, tu ed io li copriremo.»

«Questa è la mia specialità!» sorrise D’Jagger.

«Ok» annuì la demone.

Sfruttando il piano di Sigurd – che diventava il leader quando si trattava di combattere – i quattro riuscirono a sfoltire piuttosto velocemente il numero di guerrieri degli dei, indirizzando la battaglia in favore delle truppe di Havard.

Comprendendo la schiacciante superiorità dei nuovi nemici, il comandante degli Clero fece l’unica cosa sensata: «Tributo!» chiamò, «Occupati di loro!»

Freyja spedì al tappeto il suo avversario con un pugno alla mandibola, guardò nella direzione indicata dal suo comandante e partì alla carica senza battere ciglio.

«Arriva!» esclamò D’Jagger. «Flash!»

Lanciò una granata stordente verso la poliziotta, ma lei la calciò via e continuò ad avanzare.

«Ci penso io» affermò Shamiram, e con un gesto della mano sollevò Freyja a mezz’aria.

La poliziotta rimase un attimo sorpresa e cercò di ritrovare l’equilibrio. Individuò la maga e lanciò la sua mazza. L’umana bloccò l’arma a mezz’aria, ma il diversivo consentì all’orchessa di liberarsi.

La poliziotta raccolse un’ascia e tornò alla carica. Sigurd scattò in avanti e le sbarrò la strada. Freyja menò un fendente con la lama al contrario e l’elfo rispose allo stesso modo. Un sibilo metallico risuonò nell’aria e la testa dell’ascia volò via, tagliata con precisione dalla spada nera dello spadaccino.

La poliziotta si preparò a sferrare un pugno, ma qualcosa le trattenne la mano. Guardò in basso e vide una sostanza densa e nera che la ancorava a terra. Era vagamente elastica, e in un attimo le avvolse anche i piedi, impedendole di muoversi.

Provò a dimenarsi, ma nonostante la sua forza, ogni sforzo veniva annullato da quella sostanza nera e appiccicosa. E la melma saliva, avvolgendosi intorno a lei. Non poteva fermarla.

Shamiram fluttuò verso di lei e le pose una mano sulla fronte. «Presto starai bene.»

Furono le ultime parole che Freyja riuscì a sentire, poi la magia dell’umana fece effetto e perse i sensi.

Appena gli altri servi degli dei capirono che il tributo era stato sconfitto, il loro morale collassò e alcuni cominciarono a scappare. Il comandante provò a richiamarli all’ordine, ma l’impeto dei ribelli era troppo forte ormai. Un manipolo di guerrieri lo raggiunse e lo uccise sul posto, convincendo il resto dei nemici a darsi alla fuga.

I soldati di Havard esultarono con grida feroci, nel frattempo il loro leader – un orco alto e senza l’occhio sinistro – si avvicinò ai nuovi arrivati.

«Vi ringrazio per l’aiuto. Vi ha mandato il sommo Havard?»

«È così» confermò Tenko. «Ci ha chiesto di catturare l’orchessa che vi stava dando problemi.»

Il comandante poggiò a terra la sua arma, una specie di tozza lancia di legno con la punta in ferro. «Ho sentito parlare di te. Sono Or’dag.»

«Tenko. Lui è Sigurd.»

Shamiram e D’Jagger si erano già ritirati verso l’astronave per portare Freyja al sicuro, quindi non c’era bisogno di presentarli.

«Siamo diretti a sud per consegnare armi, armature e provviste» spiegò Or’dag. «Vi unite a noi?»

«No, dobbiamo andare. Abbiamo altre missioni.»

L’orco annuì e le porse la mano. «Vi auguro di avere successo allora.»

Tenko gli strinse l’avambraccio, e lo fece sperando che l’altro non rompesse il suo senza volerlo. «Grazie. Anche a voi.»

Congedati gli orchi – e con il braccio ancora integro – Tenko e Sigurd raggiunsero i loro compagni sull’astronave.

«Come sta?» chiese l’elfo.

Shamiram aveva adagiato Freyja sul lettino della stanza adibita a infermeria, e un sofisticato macchinario stava ultimando la scansione. Anche D’Jagger, Lunaria e Zabar erano presenti.

«Direi bene, considerando quello che ha passato. A parte qualche livido, niente da segnalare.»

«Allora adesso cosa facciamo?» chiese D’Jagger. «Fammi indovinare: ci serve qualche antico grimorio per liberarla. Anzi no: una pietra magica. E immagino dovremo aspettare la luna piena.» Si voltò verso Tenko e Zabar. «Tutte le magie si fanno con la luna piena. Quando è la luna piena qui?»

«Tutte e due piene o ne basta una?» chiese il demone.

«Ho finito» affermò Shamiram.

«Come finito?!» esclamò il goblin.

«Ho insegnato io a mia figlia[21] l’incantesimo. Credi non sappia spezzarlo?»

D’Jagger ci pensò su un attimo, poi annuì. «Mmh, ha senso.» Poi rifletté meglio. «No, aspetta: tua figlia?!»

«Mia figlia.»

Il goblin grugnì. «E non potevi insegnarle… chessò, ad andare in hoverbike!?»

L’umana evitò di rispondere.

Non ci fu il tempo di aggiungere altro perché nel frattempo Freyja riaprì gli occhi e cominciò a guardarsi intorno con fare leggermente confuso.

Subito la fata di D’Jagger si lanciò su di lei.

«Lunaria, stai bene» esalò l’orchessa, sollevata. Le accarezzò dolcemente la testa con il pollice. «Mi dispiace di essermene andata così.»

Lei scosse il capo e passò una mano sugli occhi per far sparire le lacrime.

Freyja si voltò verso gli altri. Li guardò rapidamente, poi si concentrò su D’Jagger. «Dimmi che non siamo dove penso che siamo.»

«Dipende. Se pensi di essere a casa, allora no. Se pensi di essere su un pianeta non spaziale, allora… beh…»

La poliziotta chiuse gli occhi ed esalò un sospiro affranto. «Sapete che dovrei arrestarvi tutti, vero?»

«Visto? È tutto a posto» affermò il goblin.

«No che non è tutto a posto!» ribatté Freyja tirandosi su. «Anche escludendo le implicazioni legali, potreste sterminare un’intera civiltà con uno starnuto. Le restrizioni ai contatti con civiltà più arretrate non sono roba da poco.»

«Lo sappiamo, per questo abbiamo preso delle precauzioni» la rassicurò Shamiram.

«Davvero?» D’Jagger si affrettò a nascondere lo stupore. «Volevo dire: è vero.»

«Ricordi qualcosa di quello che ti è successo?» le chiese Sigurd, forse per deviare la discussione su un altro argomento.

Lei scosse il capo. «Facciamo finta di no.»

«Posso cancellarti i ricordi se vuoi» si offrì l’umana.

La poliziotta le rivolse uno sguardo severo. «Grazie, ma no, grazie.» Si concesse un momento per riprendersi da tutto quello che era successo. «Ma apprezzerei molto una doccia.»

La strega annuì. «Ti faccio strada.»

«Dobbiamo informare Havard che l’abbiamo salvata?» chiese Zabar quando Shamiram tornò indietro.

«Ci penseranno i suoi uomini a mandare un messaggero» tagliò corto l’umana. «Quando la poliziotta avrà finito vi spiegherò il resto.»

Detto ciò, raggiunse la cabina di guida per far decollare l’astronave. D’Jagger si stravaccò su uno dei divani della sala comune con Lunaria, mentre Zabar e Sigurd si ritirarono nelle rispettive stanze. Tenko dal canto suo si mise a passeggiare freneticamente avanti e indietro per un po’, e alla fine andò a fermarsi proprio davanti alla cabina dell’elfo.

Dopo averci pensato su fin troppo, finalmente si decise a bussare.

La porta si aprì scorrendo con un leggero sibilo. Sigurd aveva riposto la sua spada su un apposito sostegno e stava leggendo qualcosa su uno schermo olografico. La sua cabina era molto ordinata, quasi spoglia in realtà.

«Ti serve qualcosa?»

La demone ci mise un momento prima di rispondere. «Hai combattuto molto bene prima. Mi… insegneresti?»

«Anche tu te la sei cavata bene. Se non ho visto male, sai anche infondere la magia nella tua arma per potenziarla.»

Lei annuì con entusiasmo, lusingata del fatto che l’elfo se ne fosse accorto.

«Non sono un esperto di fruste o bacchette, ma posso darti qualche consiglio sulla scherma» le propose quindi il biondo.

Il volto di Tenko si illuminò, e il contrasto fra le sue iridi rosa e le sclere nere divenne ancora più marcato. Annuì nuovamente. «Sì, ti prego. Volevo dire… per favore. Grazie?»

Sigurd si lasciò andare a un sorriso un po’ divertito. «Non c’è di che. Vediamoci dopo la riunione nel ponte di carico, quello da cui usciamo.»

La demone annuì nuovamente. Lo fissò per qualche altro secondo e solo allora si rese conto che era meglio andare.

D’Jagger e Lunaria la videro passare nella sala comune, e subito capirono quanto fosse felice.

La fata rivolse al goblin un sorriso di superiorità e soddisfazione, l’altro invece sospirò con disappunto.

«Sì, ho capito. Vado a prendere la mia roba.»

Poco dopo, quando Freyja uscì dal bagno, tutti quanti si riunirono nella sala comune. L’orchessa aveva sciolto le treccine e aveva cambiato i vestiti con altri puliti e decisamente più moderni. La sua anonima t-shirt lasciava scoperte le braccia muscolose ed era abbastanza aderente da sottolineare il seno addonante, mentre i pantaloni lunghi le avvolgevano le gambe allenate senza sembrare attillati. Di certo quegli abiti non erano usciti né dall’armadio di Shamiram, né da quello di Sigurd, ma più probabilmente erano stati prodotti sul momento da uno dei macchinari dell’astronave.

«Allora, qual è il piano adesso?» chiese D’Jagger.

«Recuperare l’Ascia di Parashurama» affermò Shamiram. «Havard mi ha detto dove potremmo trovarla. Ho già impostato l’astronave su quella destinazione.»

«Emh, deduco che non mi darete un passaggio fino a casa» disse Freyja.

«La missione ha la priorità» confermò l’umana.

«Ti riporteremo a casa appena avremo finito qui» le assicurò Sigurd.

D’Jagger sollevò un dito. «Giusto per sapere: questo è considerabile come sequestro di persona?»

Shamiram si voltò lentamente verso di lui. Non era chiaro se stesse valutando se ucciderlo, o come ucciderlo.

«Per sapere!» si difese il goblin.

La poliziotta ci rifletté su un momento. «Per quanto ne so, non sono stati loro a rapirmi, quindi direi di no. A meno che mi impediscano di lasciare l’astronave, allora potrebbe essere considerato sequestro di persona.»

«Sei libera di andartene quando vuoi» le assicurò l’umana ostentando un tono gentile, prima di rivolgere un’altra occhiataccia a D’Jagger.

«Resterai con noi?» le chiese Sigurd.

Lei fece spallucce. «Siete la mia unica via d’uscita da questo pianeta. E vi darò una mano per ringraziarvi dell’aiuto, per quanto posso.»

«Bene, benvenuta a bordo allora» affermò Shamiram alzandosi. «Le stanze sono finite, quindi veditela tu con gli altri.» E senza aggiungere altro se ne andò.

“D’Jagger ti lascia la sua stanza” le disse Lunaria nella lingua dei segni.

«Davvero? Gentile da parte sua.»

La fata sorrise compiaciuta e le fece strada. “Ha solo perso una scommessa.”

Sigurd raggiunse Tenko. «Sei pronta?»

Lei annuì e insieme si diressero verso il ponte di carico.

«Ehi Zabar, tu che fai?» chiese D’Jagger notando che la sala si stava rapidamente svuotando.

«Shamiram mi ha spiegato come materializzare il mio spirito guida, ma mi devo esercitare.»

«Oh, figo. A me non ha insegnato niente.»

Rimasto solo, il goblin tornò a sdraiarsi sul divano. Scrutò il soffitto con aria pensierosa. «E io che faccio adesso?»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente il salvataggio di Freyja ha avuto successo, e l’orchessa è libera dal controllo mentale :D L’impresa si è rivelata più facile del previsto, ma del resto Shamiram e Sigurd sono dei professionisti, e in particolare le abilità dell’umana la ponevano in netto vantaggio rispetto alla poliziotta.

Ah, e vi ricordo che chi ha già letto La frontiera perduta conosce già la figlia di Shamiram che ho citato nel capitolo (ma chiedete pure se non vi ricordate chi è). Gli altri… beh, sono sempre in tempo per conoscerla ;)

“E adesso?”, si chiede D’Jagger. Beh, non ci resta che aspettare il prossimo capitolo per scoprirlo XD

Nel frattempo, direi che è giunto il momento di svelare il tanto atteso disegno di Natale. E spero siate stati particolarmente buoni quest’anno, perché Babbo Natale ha un nuovo esaminatore per le vostre letterine :P

Natale 2022

E con questo è tutto. Buone feste e a presto ^.^


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[21] La figlia di Shamiram compare in HoJ - 1 - La frontiera perduta.

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Capitolo 30
*** 29. Un esercito infinito ***


29. Un esercito infinito

Come previsto da Havard, il sisma causato dal pianeta aveva reso molto più facile conquistare la città di Gurtra: con le mura parzialmente crollate e i difensori ancora nel panico, il figlio di Hel era riuscito a guidare i suoi uomini alla vittoria, e aveva costretto il figlio di Nergal a una frettolosa ritirata.

Ma catturare Gurtra era solo una parte del piano: come per ogni conquista, doveva consolidare il suo controllo sulla città, e questa volta il Clero sembrava determinato a impedirglielo a qualsiasi costo. Ormai non si trattava più di difendere una città strategia e le miniere circostanti: i servi degli dei volevano porre fine alla sua ribellione una volta per tutte.

«Znakkar, spostatevi verso la breccia!» ordinò il pallido con un messaggio mentale a uno dei suoi capitani.

Era passata una settimana dalla presa della città, e quella era già la terza volta che si misuravano con le truppe del Clero per difenderla. Grazie alle bacchette erano riusciti a riparare le mura molto velocemente, ma gli inquisitori nemici erano altrettanto abili a usare le loro benedizioni per distruggerle nuovamente.

«Morgran, concentratevi sul drago artico!» ordinò il figlio di Hel puntando il suo bastone d’ossa contro il rettile bianco. Al contrario della maggior parte dei draghi, i draghi artici sputavano ghiaccio, e quell’esemplare particolarmente robusto aveva già congelato un gran numero di truppe.

Il capitano dei cavalieri, un demone dai tratti aguzzi, ricevette l’ordine grazie alla telepatia e subito guidò la sua squadra contro il bersaglio.

Sebbene gli inquisitori disponessero di cavalcature più grandi e potenti, il cielo era l’unico ambito in cui le truppe di Havard potevano vantare una superiorità numerica. E il merito era tutto di Zabar: mentre il Clero doveva allevare la maggior parte dei suoi draghidi, la magia di doma del demone gli consentiva di sottomettere praticamente ogni draghide selvatico, rendendo molto più rapido l’ottenimento di nuove unità.

Proprio grazie a questa disparità l’inquisitore nemico si ritrovò improvvisamente circondato da una decina di draghidi. La sua cavalcatura spalancò le fauci e scatenò un torrente di ghiaccio che congelò un paio di nemici, ma gli altri cavalieri lo investirono con gli incantesimi delle loro bacchette e riuscirono ad abbatterlo.

Havard osservò la scena solo di sfuggita, perché la sua attenzione era già rivolta verso la nuova schiera di nemici diretta verso il portone principale. Il figlio di Hel si trovava proprio sulle mura poste sopra l’ingresso perché da lì poteva seguire l’evolversi dell’intera battaglia. Una grande e sanguinosa battaglia, tanto violenta quanto quelle a cui aveva assistito nei giorni precedenti. Vedeva cadaveri ovunque e non c’era momento in cui non avvertisse un’anima lasciare il proprio corpo. Molte svanivano nel regno di infernale di Nergal, altre in quello di sua madre, ma ce n’erano anche alcune che sfuggivano a entrambi e che restavano nel regno dei mortali, tramutandosi in spiriti inferiori. Avrebbe dovuto occuparsi anche di loro, ma non era quello il momento.

Il fragore di un corno ruppe improvvisamente il trambusto della battaglia, imitato poco dopo da altri della stessa tonalità: era il segnale per le truppe del Clero di ritirarsi. La battaglia andava avanti da ore e il sole stava per tramontare: gli attaccanti erano stremati almeno quanto i difensori.

Il figlio di Hel osservò i nemici che si allontanavano, questa volta in maniera un po’ più lenta e ordinata delle precedenti. Ciò che non cambiò fu la distesa di cadaveri che si lasciarono dietro: soldati del Clero soprattutto, ma anche centinaia di guerrieri di Havard.

Anche i seguaci di Havard si ritirarono all’interno di Gurtra, visibilmente provati dalla dura battaglia, e sempre meno numerosi. I guaritori erano già pronti per assisterli, così come le squadre incaricate di riparare le mura. Dovevano agire in fretta: il Clero poteva tornare all’attacco in qualsiasi momento.

Come dopo ogni battaglia, Havard si riunì con i suoi capitani per avere un resoconto delle perdite e pianificare le mosse future. Anche questa volta il responso fu impietoso.

«Se continua così, resisteremo al massimo ad altre due battaglie» affermò Bah’soit, il troll a capo della fanteria pesante.

«Non resisteremo più di due giorni in ogni caso se non troviamo altro cibo» ribatté un orco dalla carnagione particolarmente scura, quasi nera. «Stiamo già ricevendo razioni ridotte: come facciamo a combattere a stomaco vuoto?»

«Non abbiamo notizie dei rifornimenti?» chiese il demone a capo dei cavalieri di draghidi.

«Se tutto va bene, dovrebbero arrivare insieme ai rinforzi» spiegò Reton, il vicecomandante nonché leader della fanteria. «Non prima di sei giorni.»

«Sei giorni?! Non dureremo sei giorni!» esclamò l’orco dalla carnagione scura. «Dobbiamo prendere il cibo dai cittadini!»

«Non farò patire la fame agi abitanti di Gurtra» dichiarò Havard. «Se ci vedono come dei predoni, si rivolteranno alla prima occasione, e a quel punto saremo spacciati.» Prima che il suo subordinato potesse ribattere, il pallido proseguì: «Ma condivido la tua preoccupazione. Se necessario abbatteremo il bestiame presente in città per rifornire le scorte di carne.»

«E come facciamo per la mancanza di uomini?» chiese Bah’soit. «Per quanti ne uccidiamo, gli dei continuano a mandare nuove truppe.»

«Abbiamo già reclutato tutti gli uomini in città» ammise Reton. Si voltò verso Havard. «Se i rinforzi non arrivano in tempo, ci schiacceranno.»

Il pallido era consapevole della gravità delle circostanze in cui si trovavano, ma nei suoi occhi ardeva ancora la determinazione. «La nostra situazione è difficile, è vero. Gli dei stanno mandando contro di noi tutto ciò che hanno pur di distruggerci.» Li guardò con intensità. «Ma non ci sono ancora riusciti. E non ci riusciranno finché resteremo uniti e combatteremo per ciò in cui crediamo.» Di nuovo fece una breve pausa. «Saremo anche a corto di cibo, ma lo stesso vale per i nostri nemici: neanche il Clero ha mai affrontato un assedio così lungo, e avere più uomini vuol dire che hanno bisogno di molto più cibo di noi: vi assicuro che i nostri nemici saranno affamati quanto noi. Ma soprattutto ricordate questo: gli dei avranno anche più soldati, ma gli unici che dobbiamo davvero temere sono gli inquisitori. E per ogni inquisitore che uccidiamo, gli dei perdono una pedina insostituibile.» La sua voce era ferma e risoluta. «Il nostro vantaggio è che ognuno di voi è meglio equipaggiato dei nostri nemici, e finché sfrutteremo questo vantaggio, potremo resistere. Quindi d’ora in avanti ci concentreremo sulla difesa. Voglio più uomini sulle mura: dobbiamo sfruttare tutte le bacchette disponibili. Anche i fabbri-alchimisti si uniranno a noi per supportarci.» Guardò Qraxàr, il capo di tale squadra. «So che non siete dei guerrieri, ma abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti.»

Il goblin annuì. «Faremo del nostro peggio.»

«La fanteria resterà all’interno della città per respingere i nemici che riusciranno ad aprire una breccia. Dovrete essere rapidi a spostarvi e compatti durante gli scontri: con i nuovi scudi a torre vi basterà pressare i nemici per spingerli all’esterno.»

Questa volta furono Reton e altri tre orchi ad annuire.

«Bah’soit, i troll dovranno dividersi in vari gruppi per supportare le altre unità. E concentratevi anche voi sulla difesa: non voglio nessuno fuori dalle mura.»

«Mi assicurerò che nessuno si allontani» confermò l’imponente guerriero.

«Morgran, voi cavalieri continuate a occuparvi degli inquisitori. Se perdiamo il controllo del cielo siamo finiti, quindi fai tutto il necessario per mantenere i vostri draghidi nel pieno delle forze.»

Il demone fece spallucce. «Con tutti questi cadaveri, almeno loro non patiscono la fame.»

Havard si assicurò di dare disposizioni dettagliate a tutti i suoi capitani, così che ognuno di loro sapesse esattamente cosa fare.

«Combattete per vincere e senza sprecare le forze» si raccomandò. «Costi quel che costi, noi terremo Gurtra.»

I suoi uomini annuirono con decisione, dopodiché si congedarono per andare a prepararsi alle future battaglie.

Rimasto solo, il figlio di Hel si sedette su quello che in precedenza era il trono del governatore della città. Era uno scranno alto e solenne, fatto di grandi ossa di animali, pelliccia e tenuto insieme da piastre di ferro di fattura discreta.

Qualcuno bussò al portone di legno della stanza.

«Avanti.»

Nambera spinse con tutte le sue forze per aprire il pesante battente. «Mi hai chiamato?»

Havard annuì. «Qual è la situazione dei feriti? Quanti potranno tornare a combattere?»

«Alcuni hanno delle ferite piuttosto gravi, ma almeno un terzo dovrebbero riuscire a tornare in campo entro una settimana.»

«Non abbiamo una settimana. Quanti saranno pronti per domani?»

«Domani?» L’anziana orchessa ebbe un attimo di esitazione. «Una ventina forse. Ma non resisteranno a lungo una volta incontrati i nemici.»

Il pallido si fidava del giudizio di Nambera, per questo non gli piacque per nulla quella risposta.

«Dunque, i rinforzi non arriveranno molto presto, vero?» esalò la donna.

«Potrebbero non arrivare affatto» ammise Havard a bassa voce. «Per quanto ne sappiamo, gli uomini del Clero potrebbero aver intercettato i messaggeri, o anche le truppe stesse.» Serrò i pugni. «Siamo troppo pochi, siamo sempre troppo pochi. Per ogni nemico che uccidiamo, ce ne saranno sempre altri dieci pronti a prenderne il posto. E nel frattempo i miei uomini continuano a morire.»

«Noi stiamo facendo il possibile per curare i feriti, ma…»

«Non sto dicendo che è colpa dei guaritori» la interruppe il pallido. «Dico che ho bisogno di più soldati. Molti più soldati.» Guardò Nambera dritto negli occhi. Dalle sue iridi verde chiaro spirava determinazione e consapevolezza. «Tanti quanti le pile di cadaveri dentro e fuori questa città.»

L’anziana orchessa esitò. «Non… Non mi dirai che…»

Il figlio di Hel annuì gravemente.

Nambera abbassò lo sguardo.

Havard si alzò e la raggiunse. «Lo capirò se non sarai d’accordo.»

Lei sollevò la testa di scatto. «Certo che non sono d’accordo! Come sacerdotessa di Hel e come la donna che ti ha cresciuto, non posso essere d’accordo!»

«Mi dispiace, ma devo farlo. E lo farò. Spero riuscirai a perdonarmi.»

Nambera scosse mestamente il capo. Gli poggiò la mano sul cuore. «No, Havard. Se davvero comprendi la gravità di ciò che vuoi fare, sarai tu a dover perdonare te stesso.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo qualche capitolo dedicato a Tenko, D’Jagger e compagnia, è giunto il momento di vedere come se la sta cavando Havard. Il figlio di Hel è ancora a Gurtra, e sta affrontando un duro assedio messo in atto dalle ben più numerose truppe del Clero.

Ma c’è una soluzione. Una soluzione che a Nambera non piace, e che lo stesso Havard avrebbe sicuramente preferito evitare. Non ho voluto rivelare di cosa si tratta, ma immagino riuscirete a farvi un’idea ;)

Dunque è tutto per il momento.

A presto e buon 2023 :D


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Capitolo 31
*** 30. Spiriti guida ***


30. Spiriti guida

La ricerca dell’Ascia di Parashurama era in stallo. Avevano interrogato diversi orchi, ma nessuno a Kandajan sembrava sapere dove si trovasse. Ormai c’era una sola persona a cui potevano rivolgersi.

«Parla» ordinò Shamiram, «dove si trova la governatrice?»

«La governatrice ha ricevuto una chiamata dagli dei e ha lasciato immediatamente la città» affermò il sacerdote, che nonostante la sua posizione non era riuscito a contrastare la magia dell’umana. «Non ha detto a nessuno dove fosse diretta, solo che era urgente e che doveva partire subito.»

«È partita da sola?» proseguì la strega. «Quanti bagagli aveva?»

«Suo figlio e altri servitori sono partiti con lei. Aveva diversi bagagli, ma non so dire con esattezza cosa abbia portato. Di sicuro qualcosa di importante, magari delle offerte per il divino Nergal.»

«Quando tornerà?»

«Ha detto che sarebbe tornata entro due o tre settimane. È partita qualche giorno fa utilizzando dei draghi, quindi dovrebbe tornare tra circa due settimane.»

Shamiram non nascose il suo disappunto. «Puoi andare. E dimenticati di questa conversazione.»

Il sacerdote annuì e si allontanò con passo misurato.

«Che facciamo adesso?» chiese Sigurd, che insieme a Tenko era andato con lei in quella missione di infiltrazione.

«Aspettiamo» dichiarò l’umana cercando di scacciare l’irritazione. «Che altro possiamo fare?» Scosse il capo. «Torniamo all’astronave. Questa puzza mi sta impregnando i vestiti.»

«Se non avessimo salvato Freyja, forse avremmo fatto a tempo a trovarla qui in città» sottolineò Tenko a bassa voce rivolta a Sigurd. «È per questo che è arrabbiata?»

«Può darsi. Ma tranquilla: non se la prenderà con Freyja per questo. Sua figlia invece… lei direi che rischia.»

«Ah, è vero: aveva detto di sua figlia.» Rimase un attimo in silenzio. «La… conosci?»

L’elfo scosse il capo. «Non di persona. Ma ho conosciuto un paio dei suoi altri figli.»

«Quanti ne ha?»

Sigurd sorrise. «Non ne ho idea. Tanti. E con tanti uomini diversi. Sono quasi tutti maghi potenti, abbastanza da mettersi nei guai, prima o poi.»

La demone lo fissò un momento, poi distolse lo sguardo. Le sue mani si muovevano nervosamente. Gli lanciò un paio di rapide occhiate, talmente palesi che per l’elfo sarebbe stato impossibile non notarle.

«Non miei, comunque. Ma potrebbe essere stata con almeno uno degli dei di questo pianeta.»

Gli occhi di Tenko luccicarono mentre annuiva convintamente.

Shamiram, che procedeva due passi più avanti, si voltò appena. «Lo sapete che vi sento, vero?»

Non avendo altro da fare, nei giorni seguenti Tenko continuò i suoi allenamenti con Sigurd. La tecnica della demone era abbastanza efficace ma molto istintiva, e l’elfo le diede numerose indicazioni per migliorare i suoi movimenti e renderli più efficienti.

«Mi sembra che il tuo stile si basi molto sulla mobilità, ma queste tecniche sono abbastanza generali, quindi si applicano più o meno a tutte le scuole» le aveva spiegato Sigurd, che rispetto alla giovane adottava uno stile più basato sulla forza.

La demone, che come sempre pendeva dalle sue labbra, aveva annuito.

Una volta finito l’allenamento, Zabar la raggiunse quando uscì dal bagno.

«Hai un momento? Mi servirebbe il tuo aiuto per uno dei miei esercizi.»

«D’accordo. Cosa devo fare?»

«Per ora aspettami fuori dall’astronave. Provo a chiedere anche agli altri se sono liberi.»

Tenko annuì e si diresse verso il portellone. Ancora non aveva idea di quali artifici permettessero a quell’ammasso di metallo di funzionare, ma almeno aveva capito come eseguire le azioni più comuni, tra cui come aprire e chiudere l’uscita principale.

Poco dopo venne raggiunta all’esterno da Zabar insieme a D’Jagger, Freyja e Lunaria. Evidentemente l’orchessa aveva completato la sua lunga corsa quotidiana, e il goblin aveva smesso di armeggiare sul tavolo da lavoro dell’astronave.

«Allora, come possiamo ostacolarti?» chiese D’Jagger una volta che furono tutti riuniti.

«Ecco, vi faccio vedere» rispose Zabar.

Si concentrò un momento e un flusso di energia arancione cominciò a fluire dal suo corpo. Si condensò davanti a lui e in pochi istanti assunse la forma di una volpe. Il suo corpo sembrava fatto di legno, con muschio e foglie che sostituivano la pelliccia. I suoi vispi occhi scuri scrutarono i presenti con fare curioso e amichevole.

«Questo è il mio spirito guida, una volpe silvana» spiegò Zabar. «Shamiram mi ha insegnato come materializzarlo. Potete toccarlo, se volete.»

Freyja fu la prima a farsi avanti per accarezzare dolcemente la testa dell’animale. «È carinissimo.»

«Le volpi silvane sono creature magiche che curano gli alberi e proteggono l’equilibrio delle foreste. In realtà questa è ancora molto giovane, le volpi adulte sono più grandi di un ippolafo.»

Anche Tenko e D’Jagger si fecero avanti per accarezzare lo spirito guida del demone, che ricambiò con gentilezza le loro attenzioni. Solo Lunaria rimase in disparte, ma non mancò di osservare con attenzione quell’animale a lei sconosciuto.

«Comunque vi ho chiesto di venire perché vorrei provare a materializzare anche i vostri spiriti guida, se volete.»

«Oh, sì, dai!» D’Jagger alzò la mano con entusiasmo. «Comincio io! Mmh, cosa potrebbe essere? Oh: un gorilla tamburo! Quando si battono sul petto sembra il suono di un tamburo da guerra!» spiegò mimando il gesto con i pugni.

Il demone gli prese la mano. «Tu devi solo concentrarti su te stesso. Puoi chiudere gli occhi se vuoi. Al resto ci penso io.»

Il goblin chiuse gli occhi. «Ci sono.»

Come per Zabar, un flusso di energia cominciò a spirare dal corpo di D’Jagger, solo che in questo caso l’energia era di colore rosso vivo. Si addensò davanti a lui e prese forma, ma lo spirito rimase diafano e monocromatico.

«Mmh, non si è materializzato del tutto» notò Zabar.

Lunaria si avvicinò stupita. Era come se si trovasse davanti a una sua copia fantasma. Si intravedeva addirittura il punto dove si attaccavano le ali artificiali che le aveva fatto D’Jagger.

«No, ehi, aspetta! Fermi tutti!» esclamò D’Jagger. «Il mio spirito guida è Lunaria?! Ma è valido?! No, qua c’è un bug: ora chiamo gli sviluppatori.»

La fata si limitò a indirizzargli uno dei suoi sorrisetti saccenti e malignamente soddisfatti.

«Di solito è un animale, ma Shamiram mi ha detto che può essere qualsiasi cosa» chiarì il demone. «Ci sono varie teorie per spiegare la forma che assume. Di solito è una creatura che ti piace o con cui ti senti affine, ma può anche essere legato a una persona o ai tuoi ideali. O anche a un episodio importante che hai vissuto. A me ad esempio sono sempre piaciute le volpi silvane, sia come aspetto, sia per il loro ruolo di protettori delle foreste.»

Il suo spirito guida gli si strusciò contro con affetto, ricevendo in cambio una carezza gentile.

«Qualcun altro vuole provare?»

«Vediamo cos’è quello di Lunaria» suggerì il goblin.

La fata ebbe un momento di esitazione. “Adesso non mi va.”

«Sarò sicuramente io» sentenziò D’Jagger. «Sarei un ottimo spirito guida.»

«Provo io» si offrì Freyja.

Anche nel suo caso, Zabar le prese la mano e la aiutò a far fluire l’energia dal suo corpo e poi a condensarla. Anche in questo caso lo spirito rimase blu e diafano.

«È… un peluche?» notò D’Jagger. «L’ho già visto da qualche parte…»

“Freyja ne ha uno uguale nella sua stanza” gli rammentò Lunaria.

«È la mascotte della polizia» spiegò l’orchessa, gli occhi un po’ lucidi. Lei e il suo spirito provarono ad allungare una mano, ma le loro dita si attraversarono invece di toccarsi. «I miei genitori mi hanno regalato un peluche uguale a questo quando ero piccola.»

«Sono morti?» le chiese Tenko, e un istante dopo si rese conto di quanto fosse stata indelicata la sua domanda.

Freyja scosse il capo. «No, ma quando ero piccola erano sempre a lavoro, anche loro in polizia, e quindi non li vedevo molto. E anche adesso non ci sentiamo da un po’.»

«Oh beh, se qualcuno aveva ancora dubbi, ora è chiaro che sei proprio una sbirra fin nel midollo» fece notare D’Jagger.

Per tutta risposta, la mascotte si mise fieramente sull’attenti.

«Tenko, tocca a te.»

Lei gli porse la mano e chiuse gli occhi. Al contrario degli altri, questa volta l’energia fucsia non si addensò davanti a lei, bensì alle sue spalle. E crebbe molto più delle altre.

«Una viverna!» esclamò il goblin osservando la minacciosa creatura diafana. «Figo! Altro che Lunaria!»

La fata gli lanciò un’occhiataccia.

«Quella non è una semplice viverna» sottolineò Zabar. «Quella è…»

«Una soffiamorte» lo anticipò Tenko.

«Esatto» confermò l’ex chierico. «Nel continente meridionale non ce ne sono, ma mi ricordo che dei demoni del nord avevano portato un esemplare dal loro continente e l’hanno mostrato anche al nostro circo. È lì che l’hai visto, giusto?»

La demone annuì. Lei e il suo spirito guida si fissavano a vicenda come in trance. «Ho avuto gli incubi per settimane. È una delle poche cose che ricordo del circo» aggiunse con una punta di amarezza nella voce.

«La soffiamorte è tra le viverne più grandi e il suo veleno è considerato il più letale fra tutti gli animali» continuò a spiegare Zabar. «È tra i pochi animali che cacciano i draghidi.»

In realtà tutti quanti sembravano concentrati a osservare i rispettivi spiriti, così l’ex chierico decise di lasciare loro un momento.

«Se avete voglia, la prossima volta posso insegnarvi a materializzare anche i vostri» spiegò dopo un po’. «Ci vuole un po’ di pratica, ma può essere molto utile perché potete fargli fare quello che volete, ad esempio può raggiungere posti difficili, può perlustrare la zona, e può anche proteggervi dai nemici. Tenko, nel tuo caso potresti anche cavalcarlo.»

«Emh, domanda» intervenne D’Jagger mentre i loro spiriti si dissolvevano. «È possibile cambiare lo spirito guida?»

«Lo spirito può cambiare, ma non credo tu possa decidere la sua forma liberamente. Anche se sarebbe molto utile. Proverò a chiedere a Shamiram.»

Erano pronti a rientrare nell’astronave quando un fragore di tamburi e corni da guerra si sollevò all’improvviso. Si guardarono intorno preoccupati, ma non c’era nessun esercito in vista. Kandajan era troppo lontana e in quella vasta prateria non c’erano luoghi in cui nascondersi: dov’era il nemico?

D’Jagger, calmissimo, lanciò uno sguardo al suo bracciale. E rispose alla chiamata.

«Ehilà, Amico-di-Tenko-e-Zabar! Come va?»

L’ologramma del volto di Icarus era apparso davanti a lui. Era chiaramente terrorizzato. «Menomale! Finalmente sono riuscito a contattarvi!» Si guardò intorno preoccupato. «Dovete tornare subito a Gurtra! Vi prego! Havard si è messo a resuscitare i mostri, qui è un disastro!» Di nuovo controllò a destra e a sinistra. «Ho paura-» Un rumore lo fece sobbalzare. «Ho paura che potrebbe mettersi a uccidere la gente per avere più soldati. Vi prego, non voglio morire così!» Ogni suono lo metteva in allerta. «Devo andare. Vi prego, tornate subito a Gurtra! Abbiamo bisogno di voi!»

La chiamata si interruppe all’improvviso, lasciando i cinque nel silenzio.

«Do- Dobbiamo andare!» affermò Zabar, ancora incredulo per quanto aveva sentito.

Tenko digrignò i denti.

«Dobbiamo fare subito rapporto a Shamiram e Sigurd» stabilì Freyja.

D’Jagger non nascose i suoi pensieri: «Ooh, non vorrei essere nei panni di quell’orco quando arriveremo…»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Oh, finalmente sono riuscito a mostrare gli spiriti guida dei personaggi principali :D Mi sarebbe piaciuto rivelare anche quello di Havard, ma magari riuscirò a mostrarlo un’altra volta ^.^"

A parte questo, nel corso del capitolo scopriamo che Shamiram ha diversi figli, e soprattutto nel finale rivediamo Icarus. Il faunomorfo sembra molto spaventato, e questo perché Havard ha deciso di attuare il suo piano per avere un esercito infinito.

Come reagiranno Sigurd e soprattutto Shamiram? Immagino potete immaginarlo XD


Prima di salutarvi, anche questa volta ho un disegno da mostrarvi, e anche questa volta c’è di mezzo il figlio di Hel. Dopo Tenko come Batwoman, D’Jagger come Green Goblin e Freyja come She-Hulk, questa volta è il turno di Havard come Black Panther.

Guerriero. Eroe. Re. Chi meglio di Havard? :)

Havard as Black Panther

E con questo è davvero tutto.

Come sempre grazie per essere passati e a presto ;D


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Capitolo 32
*** 31. Due giustizie ***


31. Due giustizie

All’interno dell’astronave aleggiava un pesante silenzio, interrotto solamente quando raggiunsero la città di Gurtra. Dall’alto era chiaramente visibile l’ampio anello creato dagli assedianti del Clero, ma i difensori non si erano arresi e gli stendardi neri con il teschio di corvo sventolavano ancora con fierezza all’interno delle mura.

«Atterriamo davanti all’ingresso» ordinò Shamiram. «Ci faremo aprire le porte.»

«D’accordo» confermò Sigurd avviando la manovra di discesa.

Avrebbero potuto raggiungere un qualsiasi altro punto all’interno della città, ma quella scelta teatrale avrebbe reso il loro arrivo molto più autorevole.

Una volta toccato il suolo, l’elfo fece aprire il portellone e tutti i passeggeri scesero, apparendo all’improvviso sotto gli occhi sbalorditi delle sentinelle.

«Fermi!» gridò uno degli orchi. «Chi siete? Come siete arrivati fin qui?»

«Aprite le porte» ordinò l’umana in tono imperioso. «Esigo di parlare immediatamente con Havard.»

Una simile frase non avrebbe mai convinto i sottoposti del pallido, ma la magia mentale della strega era abbastanza potente da ovviare a questo problema.

Ci fu un momento di silenzio, poi un pesante rumore di ferro e legno, e finalmente gli enormi battenti si aprirono. Dall’altra parte, uno schieramento di orchi e troll li attendeva. I primi erano protetti da massicci scudi a torre, i secondi invece brandivano delle enormi mazze capaci di spazzare via l’intero gruppo in un colpo solo. Erano tutti cadaveri rianimati.

«Venite, vi guido dal sommo Havard» affermò l’orco più alto in grado, vittima inconsapevole dell’incantesimo di Shamiram. Era ancora vivo, ma per quanto lo sarebbe rimasto?

L’umana gli fece segno di procedere, mentre alle loro spalle l’ingresso principale veniva prontamente richiuso.

Attraversando le ampie strade principali, tutti quanti poterono osservare le precarie condizioni in cui versavano i cittadini: c’erano edifici distrutti, macerie ovunque, e sguardi preoccupati a ogni uscio o finestra.

Quando raggiunsero il robusto palazzo del governatore, tutti quanti avvertirono un brivido lungo la schiena: proprio al centro della grande piazza era stato costruito un rozzo patibolo da cui pendevano una mezza dozzina di corpi impiccati. Quasi tutti goblin.

«Sono i fabbri-alchimisti» sibilò Tenko, furiosa. «Ha davvero ucciso i suoi uomini.»

Non c’era Icarus tra loro, ma la vista dei cadaveri bastò a far impallidire Zabar. Che fine aveva fatto il suo amico? Stava bene? Era ancora vivo?

«Havard dovrà rendere conto anche di questo» assicurò loro Shamiram. «Muoviamoci.»

La loro guida riprese a camminare e li scortò fino alla stanza delle riunioni. «Al momento Havard sta discutendo con i capitani, potrete entrare non appena…»

L’umana gli fece perdere i sensi con un semplice movimento della mano, dopodiché usò la sua magia per spalancare i pesanti battenti.

Havard e i suoi subordinati si voltarono immediatamente.

«A cosa devo questa visita inaspettata?» domandò l’orco pallido facendo qualche passo verso di loro.

«Ai cadaveri che hai rianimato» rispose Shamiram senza tanti giri di parole. «Ti chiederei una spiegazione a riguardo, ma in quanto semidio della morte, dovresti già sapere che niente giustifica una resurrezione su così vasta scala.»

«Non credere che abbia preso questa decisione a cuor leggero» la ammonì il figlio di Hel. «E comunque la questione non ti riguarda. Ho tutto sotto controllo.»

«“Sotto controllo”? Non mi interessa se per te è “sotto controllo”: riportare in vita tutti quei cadaveri destabilizza ancora di più i flussi magici del pianeta. Devi far tornare quelle anime all’inferno. Immediatamente. O lo farò io.»

L’orco pallido scosse il capo. «Non puoi farlo. Anche ammettendo che tu ne abbia il potere, non ne hai il diritto. Questo è il mio regno! Sta a me decidere cosa posso o non posso fare. E sei stata proprio tu a dire che non avresti interferito con le mie decisioni interne.»

«La tua decisione smette di essere interna quando mette a repentaglio l’interno pianeta. E cosa farai quando Nergal inizierà anche lui a resuscitare i morti? Ci hai almeno pensato?»

Havard ebbe un attimo di esitazione. «Ho dovuto farlo. Grazie ai redivivi avrò abbastanza soldati per porre fine a questa guerra. E prima vincerò, prima potrò preoccuparmi di salvare il pianeta.»

«Questa guerra non finirà mai se a combatterla sono i vostri cadaveri» ribatté Shamiram. «Te lo ripeto per l’ultima volta: riporta quelle anime nel loro regno infernale, o lo farò io.»

Il figlio di Hel strinse la presa sul suo bastone d’ossa e amplificò la sua aura. «Non mi farò minacciare da te.»

Sigurd avanzò al fianco di Shamiram. «Havard, non farlo. Non puoi vincere contro noi due.»

«Abbiamo sconfitto inquisitori, Pilastri e semidei» fece notare il pallido. I suoi uomini portarono mano alle armi. «Non dovreste sottovalutarci.»

«Ha ucciso i suoi stessi uomini!» lo accusò Tenko rivolta ai capitani. «Perché vi ostinate a seguirlo?!»

«Se ti riferisci ai cadaveri in piazza, sappi che quella è la giusta punizione per i loro crimini» ribatté Havard, imperioso.

«Crimini?! Quali crimini?! Hai solo bisogno di altri cadaveri da manipolare!»

«Non parlare così di ciò che non conosci!» la ammonì il pallido. «Quei fabbri-alchimisti hanno massacrato decine di demoni per i loro esperimenti! La morte è stata la giusta punizione. Ed è ciò che capiterà anche al vostro amico quando lo troveremo.»

Zabar scosse il capo, sconvolto. «No! Icarus non farebbe mai una cosa del genere!»

«Icarus è quello che ha ideato il tutto» sentenziò Havard con voce grave. «È fuggito abbandonando i suoi compagni, ma vi assicuro che quando la guerra sarà finita, mi occuperò anche di lui.»

Il demone blu scosse il capo. «No. Non è possibile…»

«Non se ti uccido io prima!» ringhiò Tenko sguainando la spada.

Freyja aveva capito subito che la situazione poteva solo peggiorare. Una parte di lei le diceva di intervenire, di provare a sedare il conflitto, ma era davvero la cosa giusta da fare? Che autorità aveva lei, una poliziotta fuori servizio di un altro pianeta, per interferire nelle faccende di un mondo che non avrebbe mai nemmeno dovuto raggiungere?

«Ehi! Ehi! Ehi! Perché non abbassiamo tutti un po’ i toni?» D’Jagger fece qualche passo avanti per mettersi al centro della discussione. «Sapete che vi dico? Invece di formare due schieramenti molto scenografici, perché non ci sediamo e iniziamo una lunga e noiosa discussione? Sapete, di quelle in cui si ascolta l’altro e si cerca di trovare un accordo che scontenti un po’ entrambi. Per come la vedo io – ma potrei avere torto – avreste tutti da guadagnarci se collaborate. Senza contare che là fuori c’è un bel po’ di gente che vi vuole morti, quindi forse ammazzarsi a vicenda farebbe comodo più a loro che a voi. Ah, però poi fate come vi pare: se preferite un inutile massacro interno, io prendo delle patatine e mi godo gli effetti speciali.»

Il goblin lanciò un rapido sguardo a entrambe le fazioni, dopodiché raggiunse una panca a ridosso del muro. Si sedette, materializzò un pacchetto di patatine da una tasca dimensionale e cominciò a mangiarle.

Nel silenzio che seguì, Havard e Shamiram continuarono a fissarsi intensamente per alcuni interminabili secondi. Fu il pallido il primo a muoversi: si voltò leggermente e offrì con un gesto del braccio il tavolo alle sue spalle. L’umana annuì.

Senza bisogno di dire nulla, i capitani capirono di dover liberare il tavolo da fogli e oggetti, dopodiché lasciarono la stanza. Solo Nambera e Reton rimasero con il pallido.

Shamiram e Sigurd si sedettero con loro, mentre i due demoni e i due alieni lasciarono la stanza.

La loro sarebbe stata una lunga discussione, e da essa sarebbe dipeso il destino di tutti quelli all’interno della città. Anzi: del mondo intero.

Nell’attesa, Tenko e Zabar si fermarono in una delle ampie stanze dell’edificio. Anche lì erano spariti tutti i riferimenti religiosi, lasciando l’ambiente piuttosto spoglio.

«Pensi davvero che Icarus abbia ucciso dei demoni?» chiese Tenko.

L’ex chierico si strinse nelle spalle, visibilmente avvilito. «Io… non so più cosa pensare.»

«Sono sicura che Havard si sbaglia. L’hai visto anche tu com’era spaventato Icarus quando ci ha chiamato. Di sicuro Havard l’ha messo in mezzo in qualche modo.» Strinse i pugni. «È quello che fanno sempre quelli come lui. Come ha fatto il Clero con il nostro circo.»

Il demone rimase in silenzio.

«Ti prometto che non lascerò che Havard lo uccida.»

«E se invece se lo meritasse? Per quanto tu ti ostini a non crederlo, Havard potrebbe avere ragione. Pensaci: Icarus non ci ha mai spiegato davvero come ha fatto a ottenere la magia. E se avesse ucciso dei demoni?»

La giovane esitò. «Ma… abbiamo viaggiato con lui per mesi. Se avesse voluto farci del male, avrebbe potuto farlo. Siamo demoni anche noi!»

«Per poi ritrovarsi da solo in un continente sconosciuto? Sarebbe stata una pessima idea. E poi a quel punto aveva già la magia.»

Tenko scosse il capo. «Io non ti capisco. Pensavo fossi dalla parte di Icarus. Perché vuoi dare ragione a Havard?»

«Perché…»

Il demone si farfugliò qualcosa a bassa voce, così bassa che la sua amica non riuscì a capire.

«Cosa?»

«Perché… mi… mi… mi voglio fidare di Havard. Penso che sia una brava persona e che sappia quello che sta facendo.» Fece una breve pausa, piena di incertezza. «Lui mi piace, Tenko.»

Le sue parole non ricevettero risposta, così si sforzò di alzare lo sguardo. L’espressione della demone era stranita: non riusciva a capire perché avesse detto una cosa simile.

«Havard è un uomo» sottolineò Tenko. «Non può piacerti. Non in quel modo.»

L’ex chierico si strinse nelle spalle. «Sì, forse hai ragione. Non so perché l’ho detto.» E senza aggiungere altro si allontanò con fare abbattuto, lasciando la demone sola con i suoi dubbi.

Freyja e D’Jagger, troppo lontani per sentire quello scambio di battute, erano comunque troppo assorti in altri pensieri da fare caso all’espressione dei due demoni. O per lo meno lo era l’orchessa.

«Sai, non pensavo l’avrei mai detto, ma hai salvato la situazione prima» ammise la poliziotta. «Potresti aver cambiato il corso di questa guerra.»

«Mah, avresti fatto lo stesso. E poi non è detto che trovino un accordo.» Si alzò in punta di piedi e mise una mano vicino alla bocca per parlare più a bassa voce. «Io spero ancora negli effetti speciali.»

La poliziotta si sforzò di sorridere, ma la sua mente era rimasta alla prima frase: se il goblin non fosse intervenuto, lei avrebbe davvero fatto lo stesso?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

È arrivato il momento del confronto tra Havard e Shamiram. I due erano pronti a combattere, ma alla fine la “guerra civile” è stata sventata da… D’Jagger?! Quel D’Jagger?! A volte mi stupisco anche io XD

Del fatto che Tenko avrebbe gettato benzina sul fuoco invece non avevo dubbi :P

Dunque ora il figlio di Hel e l’umana cercheranno di trovare una soluzione pacifica che “scontenti un po’ entrambi”. Ci riusciranno? Staremo a vedere, entrambi dovranno concedere qualcosa, e nessuno dei due sarà felice di farlo.

In ogni caso spero di essere riuscito a presentare le due posizioni nella maniera più neutrale possibile, così che possiate scegliere da che parte stare (ammesso che vogliate prendere una delle due parti).

Ma non è tutto, perché nel finale scopriamo che a Zabar piace Havard. E se il pallido non fosse già una persona difficile da avvicinare in quel senso, il demone si è anche dovuto scontrare con le parole di Tenko. Cosa succederà adesso tra i due demoni? E tra Zabar e Havard? Staremo a vedere.

Come sempre vi do appuntamento tra due settimane per il prossimo capitolo (e qualche “effetto speciale” potrei riuscire a inserirlo, così D’Jagger è contento :P).

A presto ^.^


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Capitolo 33
*** 32. Secoli di esperienza ***


32. Secoli di esperienza

Il sole era tramontato e le due lune stavano lentamente prendendo possesso del cielo stellato, ma il grande portone era ancora sbarrato. Davanti ad esso si era formata una piccola folla: c’erano i capitani di Havard, Tenko, Zabar, D’Jagger, Freyja, ma nessuno aveva osato avvicinarsi ai battenti.

La notizia dell’incontro si era ormai diffusa in città, subito seguita da mezze verità, insinuazioni e complete bugie. Qualcuno già temeva che una delle parti avesse usato la violenza per porre fine alla trattativa, ma la verità era che nessuno aveva udito rumori che facessero pensare a uno scontro. In effetti nessuno poteva dire di aver davvero sentito qualcosa.

All’improvviso un rumore: il portone si stava aprendo. Tutti i presenti si alzarono in piedi e puntarono i loro sguardi sui battenti in lento movimento.

Havard e Shamiram apparvero affiancati. Nambera era poco più indietro, Reton e Sigurd invece stavano aprendo le due metà del portone.

L’orco pallido e l’umana fecero qualche passo avanti.

«Abbiamo un accordo» sentenziò il figlio di Hel. «Come richiesto da Shamiram, non creerò altri redivivi, e ho promesso di liberare quelli già presenti in città una volta che gli assedianti saranno sconfitti. In cambio, Shamiram e i suoi alleati ci aiuteranno a spezzare l’assedio e a scacciare i nemici.»

Fece una breve pausa per valutare gli sguardi dei suoi capitani: erano un po’ provati dalla lunga attesa, ma l’annuncio era stato soddisfacente.

«Domani a mezzogiorno sferreremo il nostro attacco contro i servi degli dei» affermò Havard. «Assicuratevi che le truppe siano pronte. Potete andare.»

I capitani annuirono e si allontanarono insieme al vicecomandante Reton.

Havard e Shamiram si scambiarono un rispettoso saluto, quindi anche il pallido se ne andò insieme a Nambera.

«E anche questa volta il nemico comune ha salvato la situazione» commentò D’Jagger. «Che fine farebbe l’universo senza quei cattivoni che mettono tutti d’accordo?»

Mentre anche loro si avviavano per tornare all’astronave, Zabar si avvicinò a Sigurd. «Emh, per caso avete avuto modo di parlare di Icarus?»

«Abbiamo parlato di diverse cose, e Havard non ha annunciato tutti i punti del nostro accordo, né lo farò io» ammise l’elfo. «Ma posso dirti che non abbiamo discusso del tuo amico, né delle persone impiccate nella piazza. Capisco che sia una questione importante per voi, ma è davvero una questione interna che riguarda il modo in cui Havard intende regnare, quindi non abbiamo voluto interferire.»

Il demone annuì mestamente. «Sì, lo capisco.»

«Ma allora cosa facciamo adesso?» chiese Tenko. «Davvero continueremo a combattere per lui?»

«Gli abbiamo dato la nostra parola, quindi io e Shamiram combatteremo per lui, almeno per questa battaglia» confermò Sigurd. «Voi però siete liberi di fare quello che ritenete giusto.»

Per un momento calò il silenzio, finché un brontolio di stomaco non distolse i presenti dai loro pensieri: così come quelli impegnati nella riunione, anche gli altri non avevano ancora toccato cibo.

D’Jagger si batté una mano sulla pancia. «Per chi non parlasse lo stomachese, questo vuol dire “ci pensiamo dopo cena”.»

Era mezzogiorno e nel campo degli assedianti stavano cominciando a distribuire il pranzo. Razioni misere per i soldati, razioni più abbondanti per gli inquisitori, e un piccolo banchetto per il figlio di Nergal.

Il semidio stava per addentare una succosa coscia arrostita quando un messaggero entrò nella sua ampia tenda. Si inginocchiò. «Divino Urmah, il nemico è uscito da Gurtra! Si stanno dirigendo qui!»

«Finalmente quel codardo si è deciso» commentò il sauriano cornuto. «Sono usciti per arrendersi? O vogliono combattere?»

«Tutto fa pensare che vogliano combattere.»

Il figlio di Nergal ghignò. Strappò un pezzo di carne dalla coscia che aveva ancora in mano, e poi la usò per indicare l’uscita dalla sua tenda. «Dai l’ordine di mobilitarsi, dovete avanzare immediatamente. Schiacceremo quei vermi una volta per tutte ora che sono fuori dalle mura.»

«Certo, divino Urmah.» L’orco si alzò e lasciò la tenda per riferire l’ordine.

«Divino Urmah, dobbiamo tenere in caldo il vostro pranzo?» domandò una delle ancelle, un’affascinante sauriana che lo aveva seguito fin lì da ovest.

«Non serve. Scenderò in battaglia quando avrò finito di mangiare.»

Mentre il figlio di Nergal continuava a consumare il suo piccolo banchetto, gli altri guerrieri abbandonarono le loro razioni per imbracciare le armi e partire all’attacco. I comandanti li spronarono a fare più in fretta possibile, lanciandoli alla carica non appena erano pronti, senza curarsi minimamente di preparare una formazione: dovevano sfruttare il fatto che il nemico era fuori dalle mura, la disparità numerica avrebbe fatto il resto.

Havard, che aveva previsto la confusione del nemico, aveva dato ordine ai suoi di avanzare in formazione compatta, sfruttando la prima linea di redivivi per assorbire l’impatto dei nemici, mentre i cavalieri seminavano il panico in sella ai loro draghidi.

I primi guerrieri del Clero si avventarono sui nemici con la solita determinazione, ma i loro colpi erano fiaccati dalla fame. I redivivi bloccarono con i loro imponenti scudi a torre e risposero con decisione, colpendoli senza pietà.

I movimenti dei cadaveri rianimati non erano rapidi e precisi come quelli dei guerrieri ancora in vita, ma avevano il grande vantaggio di non sentire dolore e di poter continuare a combattere a dispetto delle ferite. Solo le mutilazioni più gravi potevano fermarli, ma infliggere tali ferite era quasi impossibile per via dei loro grandi scudi.

Ben presto i guerrieri del Clero capirono che sarebbe stato impossibile fermarli con un attacco disordinato, e molti cominciarono a indietreggiare. Ma dovevano fare qualcosa: non potevano lasciare che il nemico raggiungesse il loro accampamento.

Un’ondata di incantesimi si riversò sui soldati di Havard, falcidiandoli a decine: finalmente i chierici si erano uniti alla battaglia.

«Bacchette!» gridò Reton. «Avanzate!»

Subito lo schieramento di redivivi si aprì per far passare le unità a lungo raggio, che risposero all’offensiva dei chierici con i loro attacchi magici.

Anche Tenko era tra loro, e sfruttò la sua bacchetta per scatenare fulmini e scagliare rocce contro i nemici.

La demone vide un gruppo di religiosi che stava preparando un incantesimo combinato. «Lì! Colpite quelli!» gridò.

Indirizzò i suoi attacchi contro il manipolo di chierici, ma altri nemici avevano eretto una barriera per proteggerli.

«Mmh, forse ho un’idea» rifletté D’Jagger, che si trovava al fianco della demone. Fece comparire un’altra delle sue granate e la scagliò verso la barriera. L’ordigno non esplose, ma creò una nuvola di fumo che si insinuò nella cupola e avvolse i chierici. Subito i malcapitati sentirono un forte bruciore a gola e occhi, così intenso da costringerli ad annullare lo scudo.

Ma ormai la magia offensiva era pronta: dei globi incandescenti si addensarono nel cielo e cominciarono a piovere sulle truppe di Havard.

«Scudi in alto!» gridò Reton sollevando il proprio. «Scudi in alto!»

Tenko e D’Jagger videro una palla di fuoco diretta proprio contro di loro. Era troppo grande e non c’era abbastanza spazio per schivarla. Avvertirono il calore farsi cocente, poi uno scudo di ferro si frappose fra loro e il piccolo sole. Udirono l’impatto scrosciante e poi una pioggia di scintille relativamente innocue piovve tutto intorno a loro.

«Tutto bene?» chiese Freyja abbassando lo scudo, attenta che non arrivassero altri attacchi.

«Tutto a posto» annuì D’Jagger. «Grazie, scudiera.»

In realtà sia il goblin che la demone sarebbero stati in grado di proteggersi dall’impatto, ma l’intervento di Freyja aveva salvato gli altri guerrieri di Havard lì intorno.

Per la poliziotta comunque non era stato facile accettare di scendere in battaglia. Perfino quella stessa mattina, quando il goblin le aveva chiesto cosa pensava di fare, non era riuscita a dare una risposta definitiva.

“Non lo so” aveva ammesso. “Ho promesso che vi avrei dato una mano, ma ho anche giurato a me stessa che non avrei combattuto mai più per un dittatore.”

“Beh, quelli però ti hanno usato come arma” le aveva fatto notare D’Jagger. “Anche secondo me quel tipo è un po’ troppo egocentrico, ma tra lui e gli dei, credo sia il male minore.”

Alla fine quello le sembrava il compromesso migliore – o almeno quello meno peggiore – per non venire meno ai suoi ideali: avrebbe protetto i guerrieri di Havard, ma non avrebbe usato il suo corpo potenziato contro i servi degli dei.

Mentre in campo aperto infuriava ancora la battaglia, il figlio di Nergal finì il suo lauto pasto e si pulì la bocca con un tessuto morbido e pregiato.

«Mettete via le mie cose» ordinò alle sue servitrici. «Questa sera banchetteremo nella sala più grande di Gurtra.»

«Certo, divino Urmah.»

Alcune sauriane cominciarono ad aiutare il figlio di Nergal a indossare la sua luccicante armatura, ma non erano nemmeno a metà del lavoro quando l’intera tenda si sollevò da terra e collassò da un lato, lasciandoli totalmente allo scoperto.

«Tu devi essere il figlio di Nergal» esordì Shamiram, che si era infiltrata senza difficoltà nel campo nemico approfittando della confusione generale.

«E tu chi saresti?» ribatté Urmah, per nulla intimorito dalla sua figura elegante.

«Sono Shamiram di Babilonia. Ho promesso a Havard che mi sarei occupata di te. Quindi fai il bravo e ti porterò da lui vivo.»

Il sauriano rise con sprezzo. «Tu e quale esercito? Quel branco di eretici?»

L’umana sollevò una mano e una massa scura avvolse il figlio di Nergal. Dapprima elastica e appiccicosa, la sostanza divenne in pochi istanti dura come pietra.

«Io sono l’esercito» rispose Shamiram, e non senza mostrare una certa soddisfazione.

Il suo avversario era un semidio, eppure lei – che non era nemmeno nata con la magia – era in grado di tenergli testa. E questo grazie al Sigillo di Salomone, un antico anello che le permetteva di controllare alcune creature magiche. Che fossero chiamati jinn[22], demoni, diavoli, spiriti o essenze, faceva poca differenza. In quel momento ad esempio aveva invocato il potere del jinn del bitume, e grazie ad esso era in grado di manipolare a piacimento quella sostanza tanto versatile quanto poco elegante.

«Taci, eretica!» gridò il sauriano. «È con il figlio di Nergal che stai parlando!»

 Facendo appello a tutta la sua forza, Urmah premette contro la sua prigione di catrame, riuscendo finalmente a spezzarla. Appena libero, evocò un globo di fiamme e lo scagliò contro Shamiram.

L’umana non ebbe bisogno di schivare. L’attacco la centrò in pieno e non sortì alcun effetto: il fuoco era del tutto inutile grazie al suo legame con il jinn fenice.

«E va bene, te la sei cercata» abbaiò il figlio di Nergal. «Neanche tu puoi fermare questa pestilenza!»

 Dalle mani del sauriano si diffuse una nube tossica che in pochi secondi cavalcò il vento in ogni direzione.

«Moccioso ignorante» sibilò Shamiram. Fece ancora appello al jinn fenice e con un turbine di fuoco bruciò la piaga prima che potesse diffondersi. «Vuoi ammazzare tutti quanti?!»

Vedendo che anche quell’attacco era stato del tutto inefficace, Urmah tentennò.

«Ora, qui non c’è abbastanza acqua per evocare un’inondazione, e se provi a evocare i morti giuro che ti strappo l’anima con le mie mani» lo ammonì Shamiram. In realtà non era sicura che quel semidio potesse evocare i morti dato che la vera dea dell’oltretomba era Ereshkigal[23], ma magari Nergal aveva acquisito tale potere mentre si trovava a Raémia. «Abbi un po’ di dignità e ammetti la sconfitta.»

Il sauriano esitò ancora. «No…» Scosse il capo. «No. No! Non mi avrai! Non mi avrai mai!»

Shamiram si aspettava un altro attacco disperato, invece il figlio di Nergal le voltò le spalle e corse via.

«Patetico» esalò l’umana.

Evocò il jinn bitume e lo imprigionò in una massa nera e appiccicosa, dopodiché lo trasse di nuovo a sé.

«Forse tra un paio di secoli sarai alla mia altezza» gli disse. «Sempre ammesso che Havard non ti uccida prima.»

Grazie al jinn della telecinesi, Shamiram e il suo prigioniero si alzarono in volo e cominciarono a fluttuare lentamente verso l’armata di Havard. Tutti quanti poterono vederli: guerrieri del pallido e servi degli dei.

Quando l’umana raggiunse il figlio di Hel, lo scontro era già in stallo.

«Il vostro comandante, il figlio di Nergal, è mio prigioniero» annunciò Havard, amplificando la portata della sua voce con la magia mentale. «Gli dei hanno perso un’altra volta. Questo vuol dire che siete liberi. Liberi di unirvi a me e di ambire a un futuro migliore. Decidete, ma fatelo in fretta. Perché questa sera ci sarà un grande banchetto, e tutti i miei sudditi devono fare la propria parte per prepararlo.»

Al sentire quelle parole, le sue truppe risposero con grida di gioia, a cui seguì un roboante coro di ovazione in nome del loro sovrano.

«Havard» lo chiamò Shamiram una volta concluso il breve discorso.

«Sì, lo so» il pallido si connesse ai redivivi che aveva creato e, una dopo l’altra, liberò tutte le loro anime, assicurandosi di farle tornare nel regno infernale di sua madre. Stava sacrificando un gran numero di preziosi guerrieri, ma mantenere la parola data era più importante di quel vantaggio militare.

Ora che la battaglia era finita, i guaritori rimasti a Gurtra poterono uscire dalla città per curare i soldati, inclusi tutti quelli che avevano accettato di sottomettersi al pallido. Solo una parte dei guerrieri del Clero era rimasta fedele agli dei, preferendo darsi alla fuga con gli inquisitori rimasti piuttosto che rinnegare le proprie credenze.

«Cosa farai di lui?» chiese Shamiram accennando al figlio di Nergal.

Havard gli lanciò uno sguardo severo. «Per ora sarà mio prigioniero, poi si vedrà.» Lo guardò negli occhi. «Anche tu potrai unirti al mio regno, se è ciò che vuoi. Ma dovrai rinunciare agli onori che hai acquisito per nascita. Se vuoi il prestigio, dovrai guadagnartelo, come tutti gli altri.»

«Tu non vincerai» ribatté Urmah. «Sei solo il figlio di una dea dimenticata. Presto o tardi mio padre gli altri dei ti schiacceranno. E anche tu sarai dimenticato.»

Il pallido rimase in silenzio. Poi si voltò verso Shamiram. «Spero vorrai unirti al mio tavolo d’onore per il banchetto di questa sera. Sono sicuro che Nambera saprà cucinare qualcosa di tuo gusto.»

«Grazie, accetto con piacere.»


Note dell’autore

Buon ciao! :)

Che dire, anche se Havard e Shamiram hanno trovato un accordo, sono riuscito comunque a inserire un po’ di effetti speciali XD

Durante lo scontro scopriamo qualcosa in più sui poteri di Shamiram, che derivano dal Sigillo di Salomone e dai jinn. Curiosità: mentre pensavo a quali poteri darle, ho scoperto che il bitume era utilizzato già in epoca babilonese, quindi direi che si sposa perfettamente con la figura di Shamiram ^.^

D’altra parte, se l’umana può fare sfoggio dei suoi poteri, è anche a discapito di Urmah, che pur essendo un semidio è stato completamente surclassato. Ma non facciamogliene una colpa: la loro differenza di esperienza era troppo grande.

Per concludere, gli assedianti sono finalmente stati sconfitti, quindi non perdete il prossimo capitolo perché è giunto il momento di festeggiare con un grande banchetto ;)

A presto ^.^


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[22] Entità soprannaturale della religione preislamica, solitamente di natura malvagia. Anche chiamati geni.

[23] Dea degli inferi della mitologia sumera e moglie di Nergal.

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Capitolo 34
*** 33. Vera natura ***


33. Vera natura

Ci era voluto l’intero pomeriggio per preparare il grande banchetto indetto da Havard. Il tutto era stato allestito all’esterno delle mura, così da sfruttare al massimo l’ampia pianura circostante, nonché per evitare disordini all’interno di Gurtra.

Con il calar del sole, i festeggiamenti erano entrati nel vivo: centinaia di fiaccole e decine di bracieri illuminavano a giorno la zona, l’odore di cibo e alcol permeava l’aria, e un euforico baccano regnava sovrano. Ormai quello non era più un semplice banchetto, ma un vero e proprio festival che celebrava la vittoria di Havard e dei suoi uomini, inclusi quelli che si erano uniti a lui solo dopo la battaglia.

In un primo momento quasi tutte le attenzioni erano state rivolte al tavolo d’onore del figlio di Hel, a cui sedevano i suoi capitani e i suoi alleati più importanti, ma le cose erano cambiate quando D’Jagger e un manipolo di altri musicisti avevano cominciato a suonare dei roboanti tamburi: il ritmo travolgente del piccolo gruppo aveva subito invaso l’intero festival, attirando a sé buona parte dei presenti.

I festeggiamenti erano ancora in corso quando Nambera si alzò dal tavolo d’onore.

«Credo sia ora che vada» disse a Havard. «A domani.»

Il figlio di Hel, che era rimasto seduto per scambiare due parole con alcuni dei presenti, si alzò. «Aspetta, ti accompagno.»

«No, tranquillo. È anche la tua festa, dovresti festeggiare.»

«Non c’è problema, mi fa piacere fare due passi.» Si voltò verso gli altri. «È stato un piacere. Continuate pure senza di me.»

I presenti alzarono i boccali in suo onore e lo ringraziarono a loro volta.

«Sicuro?» chiese ancora l’orchessa una volta che si furono allontanati. «Mi sembrava ti facesse piacere parlare con loro.»

«Sì, non mi è dispiaciuto. Ma non ti farò attraversare da sola un campo pieno di guerrieri ubriachi.»

Lei gli sorrise. «Sei proprio un bravo ragazzo. Mi chiedo chi ti abbia cresciuto così bene.»

Una volta attraversate le mura di Gurtra, il baccano del festival si attenuò rapidamente, sostituito da un vago rumore di sottofondo. Data l’ora, la città era quasi deserta, e questo concesse loro un raro momento di tranquillità.

Era da tanto che non stavano da soli in quel modo, ma nessuno dei due sentì il bisogno di dire nulla: a entrambi bastava la presenza dell’altro per sentirsi tranquillo e a proprio agio.

Tenko si sentiva molto a suo agio in mezzo al festival: le sembrava l’atmosfera gioiosa di un circo. Le piaceva il ritmo travolgente dei tamburi, e una parte di lei avrebbe voluto mettersi a ballare, ma in quel momento le interessava di più ascoltare insieme a un manipolo di orchi mezzi ubriachi i racconti di Sigurd. L’elfo – anche lui piuttosto brillo – si era guadagnato il rispetto di quei guerrieri combattendo al loro fianco quel giorno stesso, e tra un discorso e l’altro era finito col raccontare alcune delle sue vecchie imprese. Alcune erano così straordinarie da sembrare leggende, ma per qualcuno come lui non sarebbero state impossibili.

«Ehi, Tenko. Ti disturbo?»

La demone si voltò, stupendosi di trovare D’Jagger in piedi di fianco a lei. Non l’aveva minimamente sentito arrivare, né si era accorta che i tamburi avevano smesso di suonare.

«No. Prego.»

Il goblin si sedette. «Zabar non è qui?»

Lei abbassò lo sguardo e scosse il capo.

Notando il cambiamento di umore della giovane, D’Jagger poggiò il rozzo boccale di legno che si era portato dietro. Era ancora bello pieno, ma quella birra scura era abbastanza forte da far girare la testa con un solo sorso.

«Oh beh, intanto lo dico a te. Sai, oggi pomeriggio mi è venuta in mente una cosa, e così mi sono messo a cercare un po’ in città. E ho trovato questo.» Dal nulla fece comparire un bracciale che sembrava di metallo. «È quello del tuo amico, vero?»

La demone sgranò gli occhi e poggiò il suo boccale mezzo vuoto per prendere l’antico artefatto. «Dove l’hai trovato?!»

«Tra le cose sequestrate ai fabbri-alchimisti. Forse l’ha dimenticato, o magari l’ha lasciato indietro perché sapeva che avremmo potuto usarlo per trovarlo.»

«Si può fare una cosa del genere?»

«Evidentemente sì» ironizzò il goblin. «Pensavo di dargli un’occhiata, magari trovo qualcosa di utile. Hai detto che ne avete trovati due, giusto?»

Lei annuì.

«Magari riesco a metterti in contatto con l’altro, se ti interessa.»

Tenko non smetteva di sorprendersi. «È possibile? E come?» Quando lei e Zabar avevano dato l’altro bracciale a Persephone, non credevano avesse anche quella funzione.

«È… un po’ complicato. Pensala come una magia. Ma non ti prometto niente.» Le sorrise allegramente. «In realtà volevo farlo oggi, poi però ho scoperto che qui hanno i tamburi.»

La demone gli restituì il bracciale. «Sei bravo con i tamburi» aggiunse dopo un momento.

«Sono un po’ arrugginito, ma tempo fa suonavo. Sai, la mia classe secondaria è Bardo.»

Tenko annuì, ma senza capire del tutto il senso della frase.

«Beh, magari torno.» Riprese il suo boccale e si alzò. «La batteria mi aspetta!»

La giovane esitò un momento, poi si alzò a sua volta. «Aspetta! Vorrei… chiederti una cosa.»

D’Jagger la studiò un momento: l’espressione di Tenko era piuttosto seria. Si sedette. «Di qualunque cosa di tratti, non sono stato io.»

La demone riprese posto al suo fianco. Afferrò il suo boccale e bevve un rapido sorso. «Da… Da dove vieni tu hai visto molte cose… strane… Vero?»

«Oh, ci può scommettere!»

«E per caso hai… non so… visto… o sentito, o altro di… persone…»

Vedendo che la demone era in difficoltà, D’Jagger le fece segno di proseguire.

«Persone che… tipo… tipo a cui piace uno dello stesso… sesso?»

Tenko ormai era rossa fino alla punta delle orecchie, e questo indusse il goblin a rispondere con tutta la calma possibile. «Mmh, è una domanda interessante. Sì, decisamente interessante. E ti dirò di più: mi fa piacere che me l’abbia chiesto. Sai, alcune persone pensano sia imbarazzante parlare di queste cose. Non è strano? Ecco, questa è una delle cose strane che ho visto.»

La demone era confusa. Ma inconsciamente anche meno in imbarazzo.

«Comunque, fammi pensare… Mmh… coppie dello stesso sesso, eh…» Il goblin si stava impegnando per scavare nei suoi ricordi, e la cosa sembrava richiedergli un grande impegno. Poi, all’improvviso, l’illuminazione: «Oh! Sì! Ecco, me n’è venuta in mente una: i miei genitori!» Si indicò allegramente con il pollice. «Pensa: io ho due papà! E un fratello minore, ma non so quanto sia pertinente.»

Tenko era senza parole.

«Comunque non è una cosa così strana da dove vengo io» proseguì l’artificiere. «Almeno non per la maggior parte delle persone. Inusuale… beh, quello sì. A pensarci, quante probabilità c’erano che lo chiedessi proprio a me che ho i genitori gay? Adesso che ci penso, credo di conoscere solo un’altra coppia omosessuale: una mia compagna di classe aveva due madri. Beh, in realtà c’è anche un mio compagno di accademia che forse era gay. Ma forse era bisessuale, onestamente non l’ho mai capito.»

Ma la demone non lo stava più ascoltando: aveva abbassato lo sguardo e scuoteva il capo sconsolata. «Cavolo, ho fatto un casino.»

«Se vuoi, sono un esperto anche di casini.»

Qualcuno urlò a gran voce il nome di D’Jagger.

«Tutto a posto?» chiese il goblin, indeciso se alzarsi.

Tenko annuì. «Grazie.»

«Oh, è sempre un piacere fare da mentore.» Si alzò e bevve un rapido sorso. «Ehi, lo dicevo che sarei un ottimo spirito guida! Alla faccia tua, Lunaria!» E poi rivolto a quelli che lo chiamavano: «Arrivo! Preparate i tamburi!»

Freyja, che si stava avvicinando proprio in quel momento, vide solo il goblin che beveva mentre correva, con il risultato di rovesciare buona parte della birra.

«Tenko, pensavo di tornare all’astronave. Vieni con me?»

Lei annuì. Bevve l’ultimo sorso e si alzò, rischiando però di perdere l’equilibrio.

«Ehi, vacci piano. Non mi va di portarti in spalla. Lunaria mi basta.»

Solo allora la demone si accorse che la piccola fata era sdraiata sulla mano dell’orchessa. Sentendo il suo nome, l’amica di D’Jagger si alzò, fece una specie di giravolta per guardarsi intorno, e poi cadde di nuovo sul palmo di Freyja, completamente sbronza.

«Scusa, sto bene» ci tenne a dire Tenko. Ma era chiaro che qualcosa la preoccupava.

«Sicura?»

Lei annuì. «Ricordami solo di chiedere scusa a Zabar domani.»

La poliziotta, un po’ sorpresa, decise di non fare domande. «Ok.»

Dopo aver accompagnato Nambera, Havard aveva deciso di andare a riposare nella sua stanza. Entrambi alloggiavano nella canonica, in quelle che prima erano le stanze di due sacerdoti. Erano ambienti molto curati, ma comunque non prestigiosi come le sale del priore.

Erano passati solo da pochi minuti quando sentì qualcuno bussare. Aprendo la porta, si trovò davanti Zabar.

«Volevi vedermi?»

Il demone rimase un attimo immobile a fissarlo. Poi gli prese il volto tra le mani e lo tirò a sé per baciarlo sulle labbra.

Quando finalmente l’ex chierico si staccò da lui, il pallido lo guardò con occhi seri. «Sei ubriaco.»

«Lo so» biascicò Zabar. E poi lo baciò di nuovo. Lo spinse dentro e chiuse la porta.

«Non so se è una buona idea» ammise Havard.

«Lo so…» farfugliò ancora il demone.

Lo guardò con intensità, cercando di leggere una risposta negli occhi verdi del figlio di Hel. Ma era troppo ubriaco per capire davvero cosa passasse per la mente dell’orco.

L’unica cosa che capì fu che, quando provò a portarlo a letto con sé, il pallido non oppose resistenza.

***

«È inutile andare avanti così.» La voce di Agé, dio degli animali e della caccia, era carica di severità. «Abbiamo sottovalutato il nemico, e se non cambiamo strategia, non vinceremo mai questa guerra.»

«Vuoi forse che ammettiamo di aver sbagliato?!» ribatté Huitzilopochtli, il dio del sole. Guardò gli altri dei, in particolare quelli che non avevano partecipato ai precedenti incontri. «È per questo che vi siete presentati solo adesso? Per chiederci di renderci ridicoli davanti ai nostri fedeli?!»

«Se può servire a porre fine a questo inutile massacro, sì, è quello che dovremmo fare» affermò Mbaba Mwana Waresa, dea dell’agricoltura, della pioggia e degli arcobaleni. «Siamo dei, il nostro compito è ricambiare la devozione dei nostri fedeli con le nostre benedizioni. Dovremmo vivere in simbiosi con loro, non mandarli a morire in battaglie che sappiamo essere perse in partenza.»

«Sai benissimo che non è con l’amore che un dio sopravvive» intervenne Tezcatlipoca, dio della notte. «I nostri fedeli devono temerci! Dobbiamo dimostrarci onnipotenti e infallibili, o finiranno col ribellarsi. O peggio: col dimenticarci! E quindi è meglio che muoiano in vano, piuttosto che farli dubitare di noi! Che muoiano a migliaia, e che diventino martiri della nostra causa! Non c’è fede più salda di quella costruita col sangue!»

Nessuno osò ribattere a un discorso così veemente, e per alcuni interminabili secondi calò un pesante silenzio.

Fu Mbaba Mwana Waresa a interromperlo alzandosi dal suo scranno. «Se è così che la pensate, non posso che dare ragione agli dei di Meridia. Il nostro tempo è finito.»

La dea dell’agricoltura lasciò la riunione, dissolvendosi come un fantasma etereo. E lo stesso fecero altre divinità dopo di lei. Solo in pochi rimasero seduti al pregevole tavolo di pietra, che improvvisamente sembrava molto più grande, ma anche più spoglio.

«Che cosa facciamo adesso?» volle sapere Enki, il dio del mare.

«Non è ovvio?» sbottò Nergal. «Dobbiamo salvare mio figlio! E poi gli darò una bella lezione.» Digrignò i denti, continuando a parlare tra sé: «Quel codardo si pentirà di avermi messo in imbarazzo.»

«Ma cosa possiamo fare? Abbiamo già perso un Pilastro, e i nostri inquisitori continuano a morire. Se almeno gli esoscheletri giganti arrivassero in tempo…»

«Non arriveranno in tempo» fu la secca risposta di Tezcatlipoca. «Ho parlato con altri Eletti: i fornitori hanno detto che la consegna ritarderà ancora. E con la differenza di tempo che c’è qui, potrebbero volerci mesi prima che siano pronti.»

«E allora mandiamo Spartakan!» sentenziò Nergal. «Ora che ha l’Ascia di Parashurama, riuscirà sicuramente a uccidere il bastardo di Hel!»

Nessuno ebbe da obiettare. Non che avessero molta scelta: per quanto si ostinassero a voler apparire onnipotenti e infallibili, le armi a loro disposizione erano ormai ridotte al minimo.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Uuuh, da dove comincio? XD

Tenko ha deciso di chiedere delucidazioni a D’Jagger sulle coppie omosessuali, e il goblin si è dimostrato ancora una volta sorprendentemente utile. Ma non doveva essere il giullare? Boh, lo sto seriamente rivalutando :P

In ogni caso, ora la demone è decisa a chiedere scusa a Zabar… che nel frattempo ha approfittato del coraggio datogli dall’alcol per farsi avanti con Havard. E sembra anche aver funzionato. Resta solo da capire cosa succederà quando l’alcol smetterà di fare effetto… ^.^"

E per non farci mancare nulla, nel finale ricompaiono gli dei, che ovviamente non sono per nulla contenti di come sta procedendo la guerra. Anzi: sembrano più divisi che mai, tra quelli disposti a fare un passo indietro, e quelli che invece vogliono imporre una fede cieca e costruita sul sangue. Una cosa è certa: anche gli dei devono fare i conti con i fornitori poco puntuali :P

La buona notizia è che hanno deciso di schierare Spartakan… Beh, buona notizia per noi che possiamo conoscerlo, un po’ meno per Havard e i suoi ^.^"

Come bonus, aggiungo anche il disegno di Sigurd :)

Sigurd (AoE-2).svg

Grazie a tutti per aver letto e a presto ;D


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Capitolo 35
*** 34. La progenie infernale ***


34. La progenie infernale

Havard si svegliò di colpo che non era ancora l’alba. Si guardò intorno, l’espressione tesa. Zabar dormiva ancora al suo fianco, ma non era questo che lo turbava.

Si alzò dal letto, si rivestì in fretta e poi uscì dalla stanza.

Camminando a passo svelto, attraversò il corridoio deserto dell’ormai ex canonica. Arrivato alla stanza di Nambera, si fermò. Ci era voluto meno di un minuto, ma gli era sembrata un’eternità.

Avvicinò la mano alla maniglia, esitante. La afferrò. Aprì la porta lentamente, incerto.

Dall’interno non giunse alcun suono.

Dopo un momento di indecisione, entrò. Raggiunse il letto. Nambera aveva ancora gli occhi chiusi: non sembrava essersi accorta della sua presenza. La sua postura era composta e l’espressione rilassata.

Havard allungò la mano, ora tremante. Le accarezzò la guancia con il dorso delle dita, ma la pelle di lei era fredda. E del tutto immobile.

L’orco pallido si lasciò cadere in ginocchio e chinò il capo, piangendo sommessamente al capezzale della donna che l’aveva cresciuto.

Zabar venne svegliato dai primi raggi di sole che entravano dalla finestra.

Infastidito dalla luce improvvisa, si voltò dall’altra parte. Ancora stanco, si rannicchiò sotto la coperta cercando di riprendere sonno. Ma c’era qualcosa di strano. Qualcosa gli sembrava fuori posto.

Si alzò di scatto. Si guardò intorno preoccupato e subito si rese conto che quella non era la sua stanza. I ricordi della notte precedente erano un po’ confusi, ma non abbastanza da fargli sperare di non aver fatto ciò che aveva fatto.

Maledicendosi mentalmente, uscì dal letto e si affrettò a rivestirsi: doveva andarsene subito! Prima che qualcuno scoprisse che era stato lì. E soprattutto prima che Havard tornasse.

Aprì la porta con slancio, ma si pietrificò appena vide Havard dall’altra parte. All’inizio era troppo atterrito per farci caso, ma dopo qualche secondo si rese conto che il pallido aveva l’espressione triste e abbattuta, come mai lo aveva visto prima. E i segni neri sotto i suoi occhi sembravano davvero rigati dalle lacrime.

«Scu- Scusami» farfugliò il demone. «Io… Ieri… Devo andare.»

Provò a scappare, ma il figlio di Hel lo trattenne per un braccio. «Resta. Ti prego.»

Gli occhi verdi di Havard non erano autorevoli come al solito, al contrario lasciavano trasparire il senso di supplica nelle sue parole. Zabar annuì.

I due rientrarono nella stanza e si sedettero su un comodo divano imbottito.

L’ex chierico non sapeva cosa dire. Voleva scusarsi per quello che aveva fatto il giorno prima, ma era troppo in imbarazzo per farlo. Voleva chiedergli come mai fosse così abbattuto, ma non voleva forzarlo a parlare di quello che chiaramente era un argomento che lo addolorava.

«Nambera è morta.»

Le parole del pallido, fredde e pesanti, aleggiarono nel silenzio che seguì, echeggiando nella mente di Zabar.

Il demone gli strinse la mano per fargli sentire la sua vicinanza. «Mi… Mi dispiace.»

Havard non rispose, ma ricambiò con riconoscenza il contatto.

Fu il figlio di Hel, dopo un lungo silenzio, a riprendere la parola: «Sì, potrei riportarla indietro. Potrei evocare il suo spirito, o anche restituirle il suo corpo. Ma non sarebbe giusto. E non sarebbe quello che vuole lei.»

Zabar aveva pensato a quelle possibilità, ma non se l’era sentita di esporle ad alta voce. Annuì.

Il pallido si voltò verso di lui. Il suo sguardo adesso era meno perso, ma non era ancora quello abituale. «A proposito, volevo scusarmi per ieri. Eri ubriaco e non avrei dovuto farti entrare.» Esitò un momento. «Non volevo approfittarmi di te.»

Il volto dell’ex chierico passò dal blu al viola. «No, non devi scusarti. Sono io che dovrei scusarmi…»

Di nuovo calò un lungo silenzio fra i due, e di nuovo fu il figlio di Hel a romperlo: «Possiamo parlare del tuo amico. Icarus. Se vuoi.»

Questa volta il demone riuscì a guardalo negli occhi. «No. Voglio dire… non mi sembra il momento.»

Havard si strinse nelle spalle. «Preferisco rispondere ai tuoi dubbi, piuttosto che starmene a rimuginare. E sì, Icarus è colpevole.» Il suo tono si indurì, si fece più serio: «Quando questa guerra sarà finita, lo troverò e mi assicurerò che abbia la punizione che merita.»

«Ma… perché?» Non c’era rabbia nelle parole di Zabar, solo desiderio di comprendere. «Che cosa ha fatto?»

«Come ti ho già detto, lui e gli altri fabbri-alchimisti hanno ucciso dei demoni nel corso di alcuni esperimenti. Dal momento che i demoni sono creature magiche, volevano usarli per dare la magia a chi non ce l’ha. Anche a costo di ucciderli.»

Il chierico scosse il capo, atterrito. «No, è impossibile. Icarus… Lui non farebbe mai una cosa del genere. È mio amico, e io sono un demone!»

«Probabilmente non ha fatto esperimenti su di te proprio perché sei suo amico. Non voglio dire che Icarus sia una persona completamente malvagia, ma ha accettato di fare cose malvage pur di raggiungere i suoi scopi.» Lo guardò dritto negli occhi. «Immagino tu non sappia come ha ottenuto davvero la magia.»

Zabar esitò. «Io… Lui mi ha spiegato che ha fatto dei rituali…»

Il pallido scosse mestamente il capo. «Ha usato organi di fata. Anche le fate sono creature magiche, e impiantandosi i suoi organi ha ottenuto la magia. Per la precisione, è in grado di usare la magia del mondo. Non so se lo sai, ma le fate hanno una forte connessione con la magia ambientale, spesso molto più forte di quella dei demoni. Ma sono anche molto più rare.»

L’ex chierico annuì. «Sì… lo so.»

Non voleva credere alle parole di Havard, ma dentro di sé sapeva che quella era la verità. In un certo senso, l’aveva sempre saputa, ma non aveva voluto vederla.

Si rese conto di avere gli occhi lucidi e si affrettò ad asciugarli, ma non prima di essersi fatto sfuggire una lacrima.

«Non fartene una colpa» gli disse Havard in tono comprensivo ma anche risoluto. «Sei una brava persona, non devi pentirti di esserti fidato del tuo amico.»

Il demone scosse il capo. «No, è solo che… pensavo che dovevo essere io a consolarti.»

Il figlio di Hel gli sorrise. «Lo hai fatto. E per questo ti ringrazio.»

***

Dopo aver consolidato il suo controllo su Gurtra e nominato un nuovo governatore, Havard aveva mobilitato le sue truppe verso la destinazione successiva. Ma questa volta non si trattava di un obiettivo come gli altri: la sua meta era Kandajan, la città doveva viveva l’assassina di Hel. Dopo tante conquiste, era giunto il momento di tornare sul luogo della sua più grande disfatta.

L’armata stava camminando ormai da ore, ma le truppe si erano abituate a quelle lunghe marce e riuscivano a procedere in una colonna piuttosto ordinata fatta di guerrieri e carri.

Anche Tenko e Zabar facevano parte della carovana: per quanto apprezzassero le comodità dell’astronave, il loro mondo era quello, fatto di polvere e lunghe marce. I due demoni procedevano fianco a fianco, ormai del tutto riappacificati grazie al discorso che avevano avuto prima della partenza.

«Mi dispiace per quello che ti ho detto l’altra volta» affermò Tenko. «La verità è che non ho mai visto un uomo innamorato di un altro, e quindi pensavo che non fosse possibile. Ma… beh… ho chiesto a D’Jagger se da dove viene lui è una cosa normale. E mi ha detto di sì.» Gli sorrise. «Pensa: lui ha proprio due papà! Non so se ho scelto la persona migliore o la peggiore per chiedere una cosa simile.»

Una simile spiegazione stupì l’ex chierico. Ma soprattutto in senso buono. «Grazie, Tenko. Per… Beh, per aver capito. E anche per avermi detto che non è una cosa strana.» Zabar era comunque un po’ in imbarazzo. «Ora mi sento anche io meglio.»

«Quindi, insomma, se Havard ti piace, dovresti provare a dirglielo. So che non è facile, ma magari anche a lui piaci.»

Al sentire quelle parole, il demone sentì crescere l’imbarazzo: anche se Tenko era sua amica, non voleva dirle quello che aveva fatto la notte prima. «S-S-Sì. Sì, grazie. Io… ci… ci proverò.» Ma dato l’argomento, non voleva essere da meno. «Beh, allora penso che anche tu dovresti fare lo stesso. Se… Se ti piace qualcuno.»

Questa volta fu la demone a cambiare colore. «Pi-Piacere? No, a me non piace nessuno. Non è che… mi interessi qualcuno… in quel senso…»

Alla fine i due demoni avevano tacitamente messo da parte quell’argomento e si erano uniti al resto della carovana.

La monotonia della marcia venne interrotta quando udirono qualcuno che segnalava la presenza di un draghide in cielo. Era raro che gli inquisitori viaggiassero soli – almeno in quel periodo di guerra –, ma il volatile sembrava diretto proprio verso di loro.

La creatura sorvolò per un po’ la carovana, poi i guerrieri videro qualcosa cadere dal suo dorso.

«Cos’è?!» gridò qualcuno.

«È un attacco?»

«È una persona!» esclamò un goblin dalle retrovie.

La voce non fece in tempo a diffondersi che il cavaliere si schiantò proprio sulla parte più arretrata della carovana, travolgendo nell’impatto diversi orchi.

Gli uomini di Havard erano certi che il loro aggressore fosse caduto per sbaglio e che fosse ormai morto, invece il nuovo arrivato era del tutto illeso e si era già rialzato, dando prova della sua imponente statura. Era un giovane orco dalla carnagione rossastra e i capelli scuri, aveva lunghe zanne che uscivano dal labbro inferiore e tratti spigolosi. Il suo fisico era particolarmente muscoloso, da guerriero, ma sul suo torso nudo non c’era la minima cicatrice, come se non avesse mai preso parte a uno scontro.

La sua arma era un’imponente ascia dorata dal manico lungo e di pregevole fattura. Era così grande che con una sola spazzata tagliò in due almeno mezza dozzina di orchi, dando subito prova della sua forza superiore.

«Dov’è il figlio di Nergal?!» gridò.

Gli altri guerrieri, seppur colti di sorpresa, si affrettarono a preparare armi e scudi.

«Ditemi dov’è, e vi darò una morte rapida!» assicurò loro il nuovo arrivato.

«Uccidiamolo!»

Il grido di un guerriero di Havard divenne presto un ruggito collettivo, e una manciata di orchi si avventarono tutti insieme sull’intruso. Non servì a nulla: le loro armi sembravano del tutto inefficaci contro la pelle rossastra di quel nemico, che al contrario riusciva ad affettarli senza difficoltà con la sua ascia, sbaragliando qualsiasi scudo e armatura.

Il servo degli dei afferrò un orco a caso. «Dimmi dov’è il figlio di Nergal!»

«Di là!» indicò il malcapitato. «È in un carro-prigione!»

Il rosso lo scaraventò a decine di metri di distanza con la sola forza del braccio. «Era tanto difficile?»

Corse nella direzione indicata, travolgendo senza difficoltà i nemici che si frapponevano sulla sua strada, e ben presto individuò il semidio.

Urmah lo riconobbe quasi subito. «Tu! Tu sei Spartakan! Ti ha mandato mio padre!»

Il servo degli dei afferrò la porta del carro-prigione e la strappò via senza alcuno sforzo. «Il sommo Nergal e gli altri dei mi hanno mandato a salvarti.»

«Fermo dove sei! E consegnami subito quell’arma!»

Il rosso si voltò. Davanti a lui c’era Sigurd. L’elfo aveva già sguainato la spada ed era pronto ad affrontarlo.

Gli sorrise con sprezzo. «Vieni a prenderla.»

Il biondo scattò fulmineo. Spartakan lo vide appena, l’arma lo colpì al braccio, ma nemmeno quella lama nera sembrava in grado di ferirlo. Menò un colpo d’ascia. Sigurd parò con entrambe le braccia, ma venne comunque sbalzato indietro e cadde addosso ad altri orchi lì presenti.

«Andiamocene, Spartakan!» ordinò Urmah. «Combatterai un’altra volta!»

Il rosso grugnì. Bramava lo scontro, ma gli ordini degli dei erano chiari: la priorità era salvare il figlio di Nergal. Si sarebbe occupato di Havard e del suo esercito un’altra volta.

Tirò a sé Urmah, poi prese un amuleto che portava alla cintura e lo attivò. Prima che Sigurd potesse intervenire, i due erano già spariti.

L’elfo soffocò un’imprecazione e rinfoderò la spada.

Non ci volle molto prima che Havard arrivasse. Anche Tenko, Zabar e gli altri passeggeri dell’astronave si erano riuniti lì.

«Cos’è successo?» volle sapere il pallido.

«Un orco è arrivato, ha liberato il figlio di Nergal e poi sono fuggiti con un incantesimo» spiegò Sigurd. «Aveva la pelle rossa; il semidio l’ha chiamato Spartakan o qualcosa del genere. Ti dice niente?»

Il figlio di Hel scosse il capo. «Mai sentito. Quanto era forte?»

«Parecchio. Perfino con Balmung non sono riuscito a ferirlo.» Si voltò verso Shamiram. «E aveva l’Ascia di Parashurama.»

«Non so di chi potrebbe essere figlio» ammise Havard. «Forse è un Pilastro.»

Sigurd scosse il capo. «Se fosse stato un semplice semidio sarei riuscito a fargli almeno un graffio. E in tutta onestà credo valga anche per i Pilastri. Perdona la domanda, ma tua madre è stata uccisa più o meno quando sei nato tu, giusto?»

Il figlio di Hel si limitò ad annuire.

«Quel tipo aveva all’incirca la tua età» sottolineò l’elfo.

Già da quelle parole, l’espressione di Shamiram si tinse di preoccupazione.

«Credo sia un figlio dell’inferno.»


Note dell’autore

T_T

Ciao a tutti.

E così Nambera ci ha lasciato, ma Havard intende accettare la cosa come fanno tutti quanti. Se non altro ha Zabar al suo fianco, che lo ha aiutato ad affrontare la perdita.

Nel frattempo sono riuscito a dare ulteriori dettagli sul perché il figlio di Hel è così deciso a punire Icarus, e in quel caso è stato Zabar a dover accettare le azioni del suo amico.

Come anticipato nello scorso capitolo, Tenko si è chiarita con Zabar e lo ha esortato a farsi avanti con Havard, eppure si ostina a negare la cotta più palese del racconto :P

E nel finale vediamo finalmente Spartakan in azione, anche se per poco. Il rosso è sicuramente molto forte, al punto che Sigurd ritiene sia un figlio dell’inferno. Chi ha letto L’Ascesa delle Bestie ha già visto in azione un figlio dell’inferno, ma darò anche qui una spiegazione di cosa si tratta ;)

Grazie per aver letto e alla prossima ;D

T_T


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Capitolo 36
*** 35. La Regina Benevola ***


35. La Regina Benevola

L’improvviso attacco di Spartakan e la sua fuga con Urmah avevano creato non poca confusione nella carovana di Havard, al punto che il pallido aveva deciso di interrompere del tutto la marcia e di anticipare il pranzo.

Mentre i suoi uomini si rifocillavano, il figlio di Hel ne aveva approfittato per discutere con Shamiram e Sigurd, così da farsi un’idea più chiara del nuovo guerriero messo in campo dagli dei.

«Cos’è un figlio dell’inferno?» domandò Havard. «Cosa c’entra la sua età con la mia? Ma soprattutto: come lo sconfiggiamo?»

Anche gli altri capitani erano interessati soprattutto all’ultima domanda, e lo stesso valeva per Tenko. Zabar dal canto suo era lì soprattutto per gli altri due interrogativi.

«Cercherò di spiegarvelo nella maniera più semplice possibile» affermò Shamiram. «Innanzitutto, i figli dell’inferno sono una variante di figli della magia. I figli della magia si chiamano così perché la madre rimane incinta senza bisogno di un uomo, ma è la magia dell’ambiente che – in circostanze molto rare – concepisce il bambino. I figli dell’inferno sono un caso particolare perché la magia che li fa nascere è originata dal collasso di un regno infernale, proprio come è successo quando Hel è stata uccisa. La sua morte è avvenuta poco dopo la tua nascita,» proseguì rivolgendosi direttamente a Havard, «per questo quell’orco è poco più giovane di te.»

Il pallido toccò il suo teschio di corvo al ricordo del regno di sua madre completamente desolato. Ci aveva messo anni per ripristinarlo, ed era solo grazie alla sua campagna di conquista se aveva ricominciato a riempirsi di anime. «Come lo sconfiggiamo?»

«Questo può essere un problema» ammise Shamiram. «I figli dell’inferno sono permeati della magia di un regno della morte, e questo li rende praticamente invulnerabili. Nemmeno Balmung o la tua magia possono ferirlo. E lo stesso vale per la mia. Anche imprigionarlo può essere un problema, dato che i figli della magia hanno sempre dei poteri molto sviluppati. E non sapendo quali siano in questo caso, è difficile – se non impossibile – pianificare una strategia davvero efficace.»

Havard rifletté con attenzione su quelle parole. «Dunque la nostra priorità deve essere capire quali siano le sue abilità.»

Mentre il figlio di Hel e l’umana discutevano di come neutralizzare Spartakan, D’Jagger diede una leggera gomitata a Freyja. «Ma… quindi esistono davvero? Voglio dire: non sono tipo una mezza leggenda?»

«No, esistono davvero» confermò l’orchessa. «Alzak Ko’Haramendi è soprannominato l’Immortale proprio perché è un figlio dell’inferno. È nato dopo l’ultimo Ragnarok, quando il dio Yama[24] è stato ucciso. Anche Wang Fang, l’Arma Primaria dei De Féaux, è probabilmente una figlia dell’inferno.»

«Uh, gente famosa! Dici che anche quel tipo potrebbe diventare un pezzo grosso?»

«Spero proprio di no. O almeno spero lo diventi solo su questo pianeta.»

«Mi piace il tuo ottimismo! Beh, mentre qua chiacchierano, direi di riprovare a contattare l’altro di questi bracciali.»

«Sai, non dovresti usare troppo quel device: potrebbero rintracciarlo.»

«Nah, è tecnologia vecchia!» ribatté il goblin mentre faceva partire la chiamata. «Dovrebbero venire sul pianeta a fare una scansione dettagliata per notarlo, ma a quel punto questo device sarebbe l’ultimo dei problemi.»

L’orchessa sospirò e scosse il capo. «Non mi piace il tuo ottimismo…»

All’improvviso un ologramma apparve dal bracciale: rappresentava il busto di una metarpia[25] dai capelli-piume azzurri con una benda sull’occhio sinistro. Era chiaramente stupita, ma in modo calmo e distaccato.

«Oh, ehilà!» esclamò il goblin. «Vai a chiamare Tenko e Zabar!» disse a Freyja. «Sono D’Jagger, tu chi sei?»

Lunaria, poco interessata al discorso sui figli dell’inferno, uscì solo in quel momento dal cappuccio del suo amico per dare un’occhiata alla nuova figura.

«Sono Persephone. Posso chiederti cosa sei?»

«Io? Sono un goblin, non si vede?»

La metarpia non era convinta. «Non credevo fossero così piccoli. E dov’è il resto del tuo corpo?»

D’Jagger rise allegramente. «Quella che vedi è solo una mia rappresentazione! Non sono davvero lì!»

L’altra non rispose, ma dal suo occhio giallo continuavano a trasparire scetticismo e diffidenza.

«Persephone?! Sei proprio tu?!»

I due demoni si avvicinarono al goblin, e solo allora la metarpia poté vederli. «Tenko. Zabar.» Rimase un attimo in silenzio. «È passato molto tempo.»

Dopo un momento di stupore, la giovane annuì. «Già. Ne abbiamo passate parecchie, ma siamo ancora vivi. E abbiamo trovato il semidio che sta guidando la rivolta contro gli dei. Siamo… suoi alleati.»

«Sì, anche qui sono arrivate voci su di lui.» Di nuovo ci mise un attimo per proseguire. «Sono felice che stiate bene.»

Tenko non si aspettava un simile commento, così ci mise un momento per reagire. «Emh, grazie. Anche tu mi sembri stare bene. A proposito, sei arrivata a sud? Hai trovato i teriantropi[26]

Persephone stava per rispondere, ma qualcuno dall’altra parte la distrasse. Poco dopo l’ologramma di un felidiano[27] apparve accanto a quello dell’ex inquisitrice: aveva la carnagione ambrata, dei folti capelli scuri e due orecchie tonde. «Tenko? Sei… tu?»

«Leonidas?!» La demone non riuscì a nascondere il suo stupore. «Che… Che ci fai lì?!»

Un altro ologramma apparve dal nulla: questa volta raffigurava un teriantropo di tipo leopardo delle nevi. Il suo fisico era piuttosto imponente, abbastanza da far sembrare Leonidas basso, e Persephone minuscola. «È proprio Tenko! E c’è anche Zabar!»

«Clodius!» lo riconobbe subito l’ex chierico. «Quindi vi siete trovati. Ah, meno male.»

«Ehi! Che fate tutti lì appiccicati?!» la voce fuori campo si rivelò essere quella di un metarpia di tipo falco alto all’incirca quanto Leonidas. Il nuovo arrivato appoggiò il braccio sulla testa di Persephone, quasi a sottolineare la loro differenza di statura. «Ehi, ma guarda un po’ chi abbiamo qui!»

Tenko e Zabar lo riconobbero immediatamente grazie ai capelli-piume dritti verso l’alto a formare una cresta maestosa e scenografica.

«Ramses?!» esclamò la giovane, quasi in un ringhio.

«Va… Va tutto bene lì?» chiese il demone, preoccupato dalla presenza del figlio di Horus.

«Per quanto possa sembrare strano, in effetti va tutto bene» confermò Persephone, ma non prima di essersi liberata del braccio del semidio. Lo disse in maniera rassegnata, ma anche rilassata.

L’altro metarpia ghignò beffardo. «Dato che tutti voi piantagrane siete a nord, qui a Meridia le cose sono quasi noiose!»

«Se gli stai facendo del male, sappi che te la farò pagare!» ringhiò la demone.

«Tenko, Ramses è davvero dalla nostra parte» provò a tranquillizzarla Leonidas. «Anche se, detto da me, non so quanto tu possa crederci…»

«Per quanto possa essere fastidioso, vi assicuro che questo pallone gonfiato non è più un problema» confermò Clodius, e per sottolineare la cosa schiacciò la cresta del metarpia con la sua manona. Cosa che, ovviamente, a Ramses non piacque per nulla. «Abbiamo sentito della guerra che state combattendo a nord, ma anche qui le cose stanno cambiando. Adesso anche qui c’è qualcuno che sta guidando una rivoluzione. E tutti noi siamo con lei.»

«A questo proposito, è possibile far parlare il vostro capo con il nostro come stiamo facendo noi adesso?» domandò Persephone.

«Certo» confermò D’Jagger. «Solo che al momento è un po’ occupato. Ma possiamo sicuramente metterci di nuovo in contatto. Basta che vi ricordate di rispondere.»

Dopo aver spiegato più nel dettaglio come accettare una chiamata, il goblin lasciò a Tenko e Zabar la possibilità di parlare con i loro vecchi amici e nemici, soprattutto per capire come mai si trovassero tutti insieme. E il motivo era da attribuirsi alla persona che stava guidando la rivoluzione nel continente meridionale.

«Tutti quanti crediamo in lei e siamo convinti che stia facendo la cosa giusta» concluse Persephone. «Sono sicura che capirete quando parlerà con Havard.»

I due demoni non dovettero attendere a lungo, perché il figlio di Hel diede la sua disponibilità per quella stessa sera. Anzi: ora che sapeva che c’era un’altra rivoluzione a Meridia e che poteva mettersi in contatto con la persona che la stava guidando, il pallido era impaziente di parlare con lei.

Quando il collegamento fu pronto, Havard prese posto a un semplice tavolo da campo. Insieme a lui nella tenda c’era una sedia vuota, ma bastò attendere pochi secondi e una persona si materializzò dal nulla per sedersi. Al contrario della chiamata precedente, adesso l’ologramma era a dimensione naturale, ma la donna in questione risultava comunque più bassa di Havard. Era una faunomorfa dai grandi occhi neri, con orecchie da cerbiatta e la carnagione color cioccolato. I suoi folti capelli ricci erano tenuti all’indietro da un cerchietto dorato, quasi a suggerire un’aureola o una corona. Per quanto fosse minuta, la sua aura era solenne, e i suoi tratti morbidi erano distesi in un’espressione gentile e autorevole al tempo stesso.

«Buonasera, Havard» esordì la faunomorfa in tono amichevole. «Sono Pentesilea. Non mi aspettavo di incontrarvi così presto, ma sono molto felice di poter parlare con voi.»

«Buonasera, Pentesilea» ricambiò il pallido. La sua voce era più severa, ma comunque cordiale. «Non vi nascondo che non pensavo che anche a sud steste combattendo contro gli dei, ma a maggior ragione anche per me è un piacere potervi parlare.»

«Se posso permettermi, vi devo correggere» ammise la donna. «Noi non stiamo combattendo contro gli dei. Il nostro è un movimento pacifico basato sul dialogo e la comprensione reciproca. Certo, alcuni sostenitori degli dei hanno cercato di fermarci e ci siamo dovuti difendere, ma sono fiduciosa che il dialogo con gli dei ci porterà al risultato che auspichiamo.»

Il figlio di Hel non riuscì a nascondere il suo stupore. «E quale sarebbe questo risultato?»

«Che gli dei riconoscano che la nostra civiltà è pronta a proseguire in autonomia, e che il Clero lasci le funzioni di governo per concentrarsi sul testimoniare la nostra eterna riconoscenza verso gli dei.»

Havard rimase un attimo pensieroso. «In pratica volete che gli dei se ne vadano e che il potere passi nelle vostre mani.»

«Qualcuno deve riempire il vuoto di potere, e credo di essere la persona più indicata per garantire una transizione pacifica» confermò Pentesilea. «Per lo meno, questo per quanto riguarda Meridia. Vi assicuro che non ho alcun interesse a estendere la mia influenza ad Artia, ma non vi nascondo che sarei felice se anche lì gli scontri cessassero quanto prima.»

«Comprendo i vostri ideali, ma non penso che qui sarà possibile raggiungere una soluzione pacifica. E, se posso permettermi, in tutta onestà credo che le mie vittorie ad Artia abbiano avuto un ruolo non indifferente nello spingere gli dei di Meridia a considerare il vostro… esilio dorato.»

«Questo non posso escluderlo» rispose la faunomorfa. «Credo che in questo momento siamo entrambi troppo impegnati per discutere del futuro, ma lasciatemi dire che la mia priorità è creare un mondo dove tutti possano convivere in armonia, e spero di poter contare sulla vostra collaborazione.»

«La mia priorità è guidare il mondo verso il progresso, così che tutti possano ambire a una vita migliore. Mi sembra che i nostri obiettivi non si escludano a vicenda, ma immagino non sarete disposta a rinunciare alla vostra influenza su Meridia.»

«Perché no? Non ho intenzione di regnare per sempre, e anzi sarei lieta di cedere il mio posto ad altri governanti che si dimostrino all’altezza del compito. Ma sono anche convinta che il mondo sia troppo vasto e troppo diverso perché una persona sola possa governarlo. Tuttavia, come vi ho detto, è ancora presto per discutere di questo.»

Havard annuì.

Pentesilea si alzò. «Vi ringrazio per questo incontro, spero avremo modo di discutere ancora in futuro.»

Il pallido fece altrettanto. «Grazie a voi. E anche per me sarebbe un piacere discutere ancora con voi.»

La faunomorfa si allontanò dal tavolo e il suo ologramma sparì. Anche il figlio di Hel uscì dalla tenda per informare D’Jagger che poteva spegnere l’artefatto.

«Sommo Havard, è stato un incontro proficuo?» chiese Reton, che aveva atteso all’esterno con gli altri capitani.

Havard annuì. «Direi di sì. Al momento anche i ribelli di Meridia sono impegnati a occuparsi degli dei, quindi per il momento possiamo concentrarci sulla nostra guerra. Non so se il loro piano avrà successo, ma se riusciranno a sbarazzarsi degli dei del sud, tanto meglio per noi. E poi si vedrà.»

***

Il giovane orco attese che le guardie gli aprissero il portone e poi entrò rispettosamente nella sala del governo di Kandajan. «Scusate il disturbo. Mamma, mi hanno detto che volevi vedermi immediatamente.»

«Oh, Dra’vius!» esclamò una delle due orchesse presenti. Indossava abiti molto importanti, degni della governatrice della città. «Vi prego, potete darci un momento?»

Gli altri annuirono e lasciarono la stanza rivolgendo dei rapidi cenni di saluto al nuovo arrivato.

«Qualcosa non va, mamma?»

Il giovane non era particolarmente alto, aveva un fisico esile e l’incarnato sbiadito, tipico degli orchi pallidi. La donna al contrario era molto corpulenta, quasi quanto un uomo. Un tempo doveva essere stata molto muscolosa, ma il ruolo di governo aveva ammorbidito il suo fisico, rendendolo paffuto e formoso.

«Ho chiesto a Soggo e Urlok di preparare provviste e monoceratopi per essere pronti a partire in ogni momento» affermò la governatrice. Gli mise una mano sulla guancia. Era grande e portava i segni di vecchi calli, ma in quel momento era solo affettuosa. «Mi hanno riferito che il figlio di Hel sta arrivando con il suo esercito. Farò tutto il possibile per fermarlo, ma se le cose dovessero mettersi male, dovrai fuggire. Hai capito?»

«Ma… No! Devi venire anche tu! Se resti, ti ucciderà!»

Lei abbassò lo sguardo. «Non posso più fuggire da quello che ho fatto. Ma tu devi vivere. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per te.» Lo baciò sulla fronte. «Promettimi che fuggirai se le cose dovessero mettersi male.»

Lui la abbracciò con forza, sforzandosi di trattenere le lacrime. «Ti voglio bene, mamma.»

Lei lo avvolse con fare protettivo. «Anche io, Dra’vius. Anche io.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come anticipato nello scorso capitolo, qui scopriamo cosa sono i figli dell’inferno e come mai sono così forti. Non sarà facile per Havard e co. gestirlo, ma dovranno trovare un modo.

Poi finalmente sono riuscito a mostrare qualche vecchia conoscenza :D Grazie a Persy e agli altri scopriamo che anche a sud le cose stanno cambiando, con la differenza che lì le cose sembrano molto più pacifiche. Forse ha ragione Ramses a dire che tutti i piantagrane sono ad Artia ^.^"

La discussione tra Havard e Pentesilea è stata molto “introduttiva”, ma chi ha già letto I Gendarmi dei Re può immaginare che i due avranno altre occasioni per confrontarsi ;)

Nel finale vediamo per la prima volta la governatrice di Kandajan, nonché l’assassina di Hel. Mi chiedo se era così che ve la immaginavate XD (comunque la Regina Benevola del titolo è Pentesilea, non questa orchessa :P).

Nel prossimo capitolo l’orco pallido riuscirà finalmente a confrontarsi con lei, ma non aggiungo altro.

Grazie a tutti e a presto ^.^


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[24] Nella mitologia buddista, Yama è il re dell’oltretomba. È noto anche come Yanwang o Yanluowang nella mitologia cinese, e come Enma in quella giapponese.

[25] Sottospecie di faunomorfo (da “fauna”, ossia l’insieme delle specie animali). Il termine richiama le arpie.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[26] Il nome è una fusione delle parole greche “therion” (bestia) e “anthropos” (uomo).

[27] Variante di faunomorfo. Il termine deriva dalla famiglia dei Felidae, che nella classificazione scientifica raggruppa i felini.

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Capitolo 37
*** 36. Offerta di pace ***


36. Offerta di pace

Le sentinelle sulle mura di Kandajan avvistarono l’esercito quando era ancora lontano, e subito diedero l’allarme. La volta precedente avevano dovuto chiudere fuori diversi schiavi per sbarrare in tempo i cancelli, ma questa volta la cavalleria nemica non sembrava intenzionata a partire alla carica. Non che ce ne fosse bisogno: migliaia di soldati e almeno una dozzina di draghidi erano perfino troppi per espugnare un centro abitato di medie dimensioni come Kandajan.

Come se il numero di nemici non fosse già abbastanza per spaventare i difensori, dall’armata di Havard cominciò a levarsi un rullare di tamburi. Il fragore ritmico diventava più forte man mano che la colonna avanzava, facendo apparire l’esercito perfino più grande e spaventoso di quanto non fosse già.

Guidati da Havard in persona sul suo drago corazzato, i guerrieri avanzarono fino a trovarsi a ridosso della città, appena fuori dalla portata delle loro frecce. I suonatori batterono con forza sui loro tamburi ancora una manciata di volte, come a esigere qualcosa dal nemico, poi improvvisamente calò il silenzio.

L’esercito di Havard attese, mentre dall’interno delle mura si sentiva un confuso brusio. Il cancello davanti a loro si aprì e una piccola delegazione uscì all’esterno. C’erano dei guerrieri, ma la persona in testa – per quanto imponente – era sicuramente una donna. I suoi abiti pregiati lasciavano pochi dubbi sulla sua identità: era la governatrice della città.

Gli ordogue in prima linea abbaiarono furiosi alla vista del nemico, ma i loro responsabili tennero stretti i guinzagli.

Havard scese dal suo drago e chiese ad alcuni dei suoi di seguirlo, così da pareggiare il numero di uomini. Avanzò a piedi e a testa alta, il suo bastone d’ossa in mano, come se la donna che aveva davanti fosse un comune nemico, e non l’assassina di sua madre.

Il pallido la guardò dritto negli occhi senza dire nulla. La governatrice era più alta di lui, ma non era questo a turbarlo.

All’improvviso la donna si inginocchiò, lo sguardo verso terra, incurante di sporcare il suo ricercato vestito. «Sommo Havard, come governatrice di Kandajan, vi offro la mia città, a patto che non aggrediate i suoi abitanti e non facciate razzie. Come ex inquisitrice di Hel, vi offro la mia vita, così da fare ammenda per ciò che ho fatto alla mia dea.» Alzò il capo. «Non ho condizioni su questo, solo una supplica: non fate del male a mio figlio.» Di nuovo abbassò la testa. «Vi prego, lui non ha colpe.»

A parte i guerrieri delle due scorte, gli unici che avrebbero potuto ascoltare quel discorso erano Shamiram, Sigurd e Freyja, che si trovavano sull’astronave. Fra i tre, l’orchessa era sicuramente la più attenta.

«Mi hanno riferito che hai ucciso mia madre in cambio della resurrezione di tuo figlio» affermò il pallido. Nel farlo portò istintivamente la mano al suo teschio di corvo. «È vero?»

«È vero» ammise la donna con voce mesta. «Avevo chiesto alla divina Hel di riportarlo in vita, ma lei non ha voluto. Avevo già perso mio marito, così quando il divino Nergal mi ha proposto di uccidere Hel in cambio della vita di mio figlio, ho accettato.» Scosse il capo. «Sapevo che era sbagliato, ma non potevo accettare di aver perso anche lui.»

Havard rimase in silenzio. La sua espressione era ferma, ma dentro di lui si agitava un turbinio di emozioni: aveva atteso quel momento per tutta la vita, il momento in cui avrebbe mandato l’anima dell’assassina di Hel nel suo stesso regno infernale. Ma era davvero la cosa giusta?

Dopo un’interminabile attesa, finalmente emanò la sua sentenza: «Accetto la tua proposta. E le tue condizioni: ti prometto che non verrà fatto alcun male alla popolazione di Kandajan, e prenderemo solo le provviste necessarie per proseguire la nostra marcia. Per quanto riguarda tuo figlio…»

La donna alzò istintivamente il capo. Nei suoi occhi lucidi c’era tutta la sua supplica.

«Per il momento verrà risparmiato. Come dio della morte, sono contrario a lasciare in vita un defunto, ma mi riservo di prendere una decisione dopo aver esaminato la questione in maniera più approfondita.»

L’ormai ex governatrice, sollevata, si concesse un sospiro di sollievo: non aveva bisogno di sentire altro.

«Per quanto riguarda te, passerai il resto della tua vita in prigione.»

L’orchessa lo guardò di scatto, questa volta con stupore. «Volete dire… che mi risparmiate?»

«Non posso perdonare il tuo crimine, ma non intendo privare un figlio di sua madre.» Pronunciare quelle parole avrebbe dovuto farlo pensare a Hel, ma l’unico volto che apparve nella sua mente fu quello anziano e amorevole di Nambera.

«Io…» La donna esitò. «Io non so cosa dire.»

«Non c’è niente da dire» tagliò corto il pallido. «Ora alzati. Prima di andare in cella, mi aspetto la tua assistenza per garantire una transizione efficiente al nuovo governatore che nominerò.»

L’orchessa fece come richiesto. «Certo, sommo Havard. Sono a vostra disposizione.»

Quando il pallido informò il suo esercito dell’esito della discussione, i presenti rimasero un po’ stupiti. Almeno, tutti tranne uno.

«Visto? Tutto merito dei tamburi!» si vantò D’Jagger, che oltre ad aver proposto l’uso bellico di tali strumenti, aveva anche guidato i suonatori.

Per il resto della giornata, Havard rimase con l’ex governatrice e i rispettivi consiglieri per acquisire il pieno controllo di Kandajan. Nel tardo pomeriggio ebbe anche modo di conoscere il figlio della donna, e rimase un po’ stupito di scoprire che si trattava di un orco pallido come lui.

Nel frattempo, i guerrieri allestirono il campo all’esterno delle mura e prepararono un piccolo banchetto per celebrare la loro fulminea vittoria.

Era ormai sera quando Havard e gli altri decisero di sospendere le discussioni per unirsi al banchetto, ma c’era ancora qualcuno che desiderava parlare con il pallido.

«Devo ammetterlo, non mi aspettavo di trovare te» ammise il figlio di Hel.

«Ti ho osservato mentre parlavi con la governatrice» affermò Freyja. «Beh, ex governatrice ormai. Comunque quello che volevo dirti è che ho apprezzato le tue decisioni. Pensavo l’avresti uccisa, e hai anche promesso di esaminare con calma la questione di suo figlio. Se è vero, ti sei dimostrato un leader più saggio di quanto pensassi.»

«Ho fatto quello che ritenevo giusto. E continuerò a farlo.»

«Sai, da dove vengo io, sono una poliziotta. Puoi pensarmi come una specie di guardia cittadina. Il mio compito e quello dei miei colleghi è di proteggere le persone, arrestare i criminali così che vengano processati, e in generale garantire l’ordine. Proteggiamo anche le autorità, ma non siamo un esercito privato da usare per eliminare chi la pensa diversamente.» Fece una breve pausa. «Sai, all’inizio non ero sicura di potermi fidare di te. Ora però voglio credere che sarai un sovrano giusto e lungimirante, e che sarai in grado di prendere le decisioni migliori per il tuo popolo, prima che per te stesso. Quindi, se sei d’accordo, vorrei insegnare ai tuoi uomini come formare una forza dell’ordine efficiente e corretta. Non so per quanto ancora resterò qui, ma se riuscissi a dare almeno le basi ai tuoi capitani, potrebbe tornarti utile una volta che avrai vinto la guerra. E poi potrò solo sperare che userete i miei insegnamenti nel modo giusto.»

Havard rifletté con attenzione su quelle parole. «Ti ringrazio per la tua offerta, sarei felice se potessi insegnare ai miei uomini come passare da conquistatori a protettori. Non ti nascondo che la gestione dell’esercito è uno dei problemi che più mi preoccupano per il dopoguerra, quindi i tuoi insegnamenti saranno sicuramente molto utili.»

«Bene, in tal caso posso cominciare domani mattina» annuì Freyja. Non poteva sapere se il figlio di Hel e i suoi uomini avrebbero davvero usato le tecniche di polizia nel modo giusto, ma almeno avrebbe potuto indirizzarli come sperava.

Se c’era anche solo una piccola possibilità di aiutare il prossimo, doveva provarci.

***

«Allora, Nergal, tuo figlio ha smesso di piangere?»

«Gli hai tagliato gli attributi alla fine? Non che faccia una gran differenza…»

«Oh, tappatevi quelle fogne!» imprecò il dio della morte. «Quel cacasotto se ne starà un mese chiuso nel suo palazzo, senza alcol né donne, e poi vedrò cosa farne. E poi voi cos’avete da scherzare? I vostri figli ne hanno mai combinata una giusta?»

«Basta litigare tra noi!» intervenne Enki, il dio del mare. «Il figlio di Hel diventa più forte ogni giorno che passa, non possiamo più pensare di batterlo con la forza bruta. Forse dobbiamo davvero considerare un’altra soluzione…»

«E quale altra soluzione, sentiamo?» lo incalzò Huitzilopochtli, il dio del sole. «Per caso anche tu ti vuoi arrendere? Vuoi essere dimenticato anche tu, come tutti gli altri?!»

«In tutta onestà, preferisco essere dimenticato che ucciso.»

«Beh, accomodati allora. Vatti a nascondere come hanno fatto gli altri. Poi però non strisciare fuori dal tuo buco quando avremo sistemato la questione a modo nostro.»

«Però Enki ha ragione» ammise Nergal a denti stretti. «Anche se abbiamo ancora Spartakan, mio figlio mi ha parlato della donna che l’ha sconfitto.» Scosse il capo. «Era troppo forte per essere una di qui. E se davvero comincia ad arrivare gente da fuori, non possiamo più permetterci passi falsi. Una così potrebbe mettere in difficoltà perfino Spartakan! Se perdiamo lui o l’Ascia, siamo finiti.»

Questa volta Huitzilopochtli poté solo digrignare i denti, incapace di ribattere.

«Forse dovremmo davvero guardare a sud e a come stanno risolvendo lì la questione» fece notare Tezcatlipoca, il dio della notte. «Alla fine una mezza vittoria è pur sempre una vittoria.»

***

Nonostante la collaborazione della governatrice, Havard si prese il suo tempo per consolidare il suo controllo su Kandajan, far riposare le truppe e pianificare le prossime mosse. Nel frattempo Freyja ebbe modo di tenere le sue lezioni davanti a un nutrito numero di orchi, che tutto sommato sembravano ben disposti ad assimilare i suoi insegnamenti.

Il figlio di Hel era impegnato nell’ennesima riunione quando lo informarono dell’arrivo di un messaggero.

«Nobile Havard, figlio della compianta divina Hel, dea dell’oltretomba, vi ringrazio per avermi ricevuto con così poco preavviso» annunciò l’ambasciatore in tono molto formale prima di prostrarsi in un profondo inchino. Era un goblin dal portamento elegante con indosso abiti estremamente sfarzosi, degni delle più alte cariche religiose. «Giungo al vostro cospetto per portarvi un importantissimo messaggio.»

Prese una pergamena, slacciò delicatamente il nodo e la srotolò con la massima cura.

Si schiarì la voce. «Il divino Huitzilopochtli, splendente incarnazione del sole, invincibile patrono della guerra, ornato dalle nobili piume del colibrì; il divino Tezcatlipoca, signore indiscusso delle tenebre notturne, protettore di tutte le tentazioni, padrone dello specchio dal veleno incurabile; il divino Nergal, unico vero dio dell’oltretomba, ardente signore del calore solare, portatore di inondazioni e pestilenze; e il divino Enki, padrone assoluto del mare e di tutte le acque, maestro della conoscenza, protettore degli artigiani; vi invitano, nobile Havard, a presenziare a un incontro per stabilire la cessazione delle ostilità, e per garantire una pace salda e duratura a tutti i popoli di Raémia, come già sta avvenendo nel continente di Meridia. Certi della vostra volontà di proteggere gli innocenti e di porre un freno agli inutili spargimenti di sangue, il divino Huitzilopochtli, il divino Tezcatlipoca, il divino Nergal e il divino Enki, vi invitano, nobile Havard, a raggiungerli a Shakdàn fra otto giorni, dove verrete ricevuto con tutti gli onori che si addicono a un leader della vostra levatura.»

Il goblin abbassò la pergamena e si inchinò leggermente. «È tutto, nobile Havard.»

Nessuno osò emettere un fiato. Quasi all’unisono tutti gli sguardi si concentrarono sul figlio di Hel, anche lui silente.

Alla fine gli dei volevano incontrarlo.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo vediamo finalmente il confronto tra Havard e l’assassina di sua madre, e scopriamo anche quali sono le ragioni che l’hanno portata a uccidere la dea a cui era devota. Il pallido si è dimostrato molto… benevolo (per usare un aggettivo già usato per Pentesilea ^.^), al punto che perfino Freyja è rimasta colpita. E proprio per questo l’orchessa ha deciso di mettersi a disposizione di Havard per aiutarlo a creare una seppur semplificata forza di polizia. La nostra sbirra preferita non si smentisce mai XD

Ma non è tutto, perché dopo questo tassello centrale della trama, abbiamo anche un colpo di scena, con gli dei che hanno mandato un ambasciatore da Havard per chiedergli di incontrarli.

E adesso? Beh, per il momento spero di aver tenuto vivo il vostro interesse mentre ci avviciniamo ai capitoli conclusivi ;D

E dato che la storia sta per finire, aggiungo il disegno di nonno Spartakan.

Spartakan (AoE-2).svg

Come sempre grazie a tutti per essere passati e a presto ^.^


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Capitolo 38
*** 37. Giustizia severa ***


37. Giustizia severa

Le parole dell’ambasciatore degli dei avevano sorpreso non poco Havard e i suoi alleati, al punto che tutti erano in assoluto silenzio, in attesa del verdetto del pallido.

«Gli dei desiderano una risposta immediata?»

«Di questo non dovete preoccuparvi, nobile Havard» rispose il goblin con il suo tono cerimonioso. «Gli dei vi aspetteranno in ogni caso, fiduciosi che vi presenterete a Shakdàn il giorno concordato. Ragion per cui non dovete darmi nessuna risposta.»

«Mi fa molto piacere che gli dei vogliano incontrarmi, ma in questo momento ho degli affari urgenti che richiedono la mia presenza qui a Kandajan, per questo motivo vorrei discutere un’altra data per l’incontro.»

«Sono terribilmente spiacente, nobile Havard, ma il mio compito è esclusivamente quello di riferirvi il messaggio degli dei. Comprendo la vostra situazione, ma purtroppo la data proposta è l’unica possibile per l’incontro.»

Il pallido rimase in silenzio.

Non avendo altro da riferire, l’ambasciatore si congedò dai presenti e lasciò la stanza.

Rimasto solo con i suoi uomini, Havard tornò a riflettere sul da farsi. La scelta di Shakdàn era sicuramente simbolica: non solo era una delle città più grandi e popolose del mondo, ma era anche il principale centro religioso delle terre degli orchi. Tuttavia otto giorni erano troppo pochi per raggiungerla a piedi: l’unico modo per arrivare in tempo era a dorso di drago, quindi non avrebbe potuto portare con sé il suo esercito. E anche questa di certo non era una coincidenza.

«Cosa ne pensate?» domandò il figlio di Hel ai presenti, inclusa l’ormai ex governatrice. Non intendeva delegare quella decisione a nessuno, ma ascoltare altri punti di vista era sicuramente un buon modo per analizzare il problema in maniera più completa.

Il figlio di Hel stava ancora ascoltando i suoi uomini quando Tenko apparve letteralmente nella stanza.

«Cos’è questa storia dell’incontro con gli dei?!» esclamò la demone.

«Sei arrivata prima di quando pensassi» ammise Havard. «Dunque la voce ha già cominciato a girare…»

«Rispondi alla domanda!» imprecò la giovane, visibilmente alterata.

«Non ti devo nessuna risposta» le fece notare il pallido, perfettamente calmo.

Lei serrò i pugni. «Me la devi eccome! Dopo tutto quello che gli dei ci hanno fatto, come puoi anche solo pensare di stringere un accordo con loro?!»

«Se riuscissi a pensare al di là della tua vendetta personale, non avresti bisogno di farmi una simile domanda. Ogni volta che combattiamo con il Clero, altra gente muore. Se fare un accordo con gli dei mi permetterà di raggiungere i miei obiettivi, sarò ben felice di valutare la loro proposta.»

«Ma…!»

«Maledizione, Tenko! Non sono neanche gli stessi dei di Meridia!»

La demone esitò. «Beh, e se fosse una trappola? Ci hai pensato?»

«Mi prendi in giro? È quasi sicuramente una trappola! Ma tanto la cosa non ti riguarda: sei l’ultima persona che porterei a un incontro del genere. E ora vattene, o ti farò portare via di peso.»

Tenko soffocò un’imprecazione e lasciò la stanza battendo i piedi, perfino più arrabbiata di quando era entrata.

Superò le guardie fuori dalla porta – che avevano provato inutilmente a fermarla al suo arrivo – e infilò una rampa di scale in salita.

Raggiunta la terrazza, si sforzò di fermarsi e respirare, cercando di ritrovare la calma.

Non era una stupida: sapeva che ogni battaglia contro gli dei portava con sé nuovi morti per entrambi gli schieramenti, ma non riusciva ad accettare l’idea di lasciare a quegli esseri prepotenti ed egoisti la possibilità di farla franca. E sapeva anche che questo era esattamente ciò che stavano facendo Persephone e gli altri a Meridia – la sua terra natia – dove era cresciuta tra le violenze e i soprusi del Clero.

Alla fine doveva dare ragione a Ramses: Pentesilea stava riuscendo a portare avanti la sua campagna pacifica solo perché i piantagrane come lei erano ad Artia. Se fosse rimasta lì, si sarebbe opposta con tutte le sue forze a una simile iniziativa. Forse anche a costo di utilizzare misure drastiche.

La vista le si annebbiò e cominciò a piangere sommessamente.

Alla fine non era cambiata per niente: era ancora la stessa sopravvissuta arrabbiata e capace solo di pensare alla sua vendetta. Anche a costo di rovinare la vita a tutti gli altri.

Quella sera Tenko aveva impiegato più tempo del solito per riuscire a prendere sonno, per questo quando si trovò in una landa scura e desolata, sapeva che si trattava di un sogno.

Ma quello non era uno dei suoi soliti incubi: riconosceva il cielo nero e l’atmosfera spettrale, mancavano solo loro.

«È da un po’ che non parliamo, vero, piccolina?»

La prima voce. Fastidiosa come la ricordava.

«Hai fatto progressi, non lo neghiamo…»

«… ma riuscirai ad arrivare fino in fondo?»

«Se mi avete osservata fino ad adesso, saprete che non dipende più solo da me.»

«Ah no?»

«Abbiamo forse dato la nostra benedizione a qualcun altro?»

«O forse sei tu che hai perso di vista il tuo obiettivo?»

La demone serrò i pugni. «Non è così.»

Le tre voci mormorarono il loro dissenso.

Sentì le loro mani allungarsi su di lei. Non la toccarono, ma la vicinanza alla pelle bastò a farle bruciare tutte le cicatrici. Dovette stringere i denti per soffocare il dolore.

«Ne sei sicura?»

«Non è che ti stai lasciando distrarre da qualcosa?»

«O da qualcuno

Il fumo tetro si addensò davanti a lei, assumendo i lineamenti eleganti di un elfo.

Presa dall’imbarazzo, Tenko si affrettò a cancellarlo con le mani. «No-! Io-! Non è come pensate!»

Le tre donne apparvero davanti a lei. Erano scarne come le ricordava, e fluttuavano nei loro abiti diafani e spettrali. I loro occhi vuoti la fissavano con severità.

La prima le puntò contro il proprio indice dall’unghia aguzza. «Ti abbiamo dato la nostra benedizione perché tu punisca gli dei!»

La seconda la imitò. «Smettila di farti distrarre e fai il tuo dovere, costi quel che costi!»

E poi la terza. «Gli dei devono pagare per tutto il male che hanno fatto su questo pianeta!»

Tenko continuò a fissarle, in silenzio. Poi chinò il capo. «Mi dispiace, ma non posso farlo. Credevo di…» Scosse il capo. «Anche con il vostro potere, non posse semplicemente andare e pugnalare a morte un dio. Havard è pronto a fare un accordo con loro, e a sud non li hanno mai nemmeno combattuti davvero.» Serrò i pugni, e lasciò che la sua rabbia uscisse sotto forma di lacrime di delusione. «Gli dei la faranno franca, e io non posso fare nulla per impedirlo.»

La demone rimase con lo sguardo basso, in attesa di una risposta, ma le tre donne non dissero nulla. Quando finalmente si decise ad asciugare le lacrime e sollevare la testa, loro erano già sparite.

«Ricorda il tuo compito, piccolina…» La voce era ancora fastidiosa, ma questa volta aveva anche una nota di… incoraggiamento?

«Ti abbiamo dato la nostra benedizione affinché tu punisca gli dei…»

Il nulla intorno a lei cominciò a dissolversi.

«Se riusciranno a lasciare il pianeta indenni, vorrà dire che la tua missione non sarà finita…»

Tenko riaprì gli occhi e si ritrovò nella sua tenda. A giudicare dai deboli raggi che filtravano tra i tessuti, doveva essere ancora l’alba.

Si alzò con calma e con fare pensieroso andò alla tinozza dell’acqua per sciacquarsi il viso.

Alcuni ciuffi bagnati le scesero sulla fronte fino agli occhi: era da un po’ che pensava di tagliarli, ma ancora non si era decisa a farlo.

Andò a prendere qualcosa da mangiare – un tozzo di pane duro, una ciotola di latte e un uovo di aracnocapra – e nel frattempo continuò a riflettere sulle parole delle tre donne.

Non ci aveva pensato, ma effettivamente se anche gli dei fossero riusciti ad andarsene, forse avrebbe potuto seguirli. Del resto Sigurd e gli altri venivano da molto lontano, quindi magari avrebbero potuto darle un passaggio. Ma il vero problema era un altro: se anche fosse riuscita a inseguirli, cosa poteva fare da sola?

La sua unica speranza era di convincere Sigurd e gli altri a darle una mano, ma probabilmente avevano già altre questioni di cui occuparsi. Perché mai avrebbero dovuto interessarsi alla sua vendetta? Certo, per il momento li stavano aiutando, ma lo facevano solo perché dovevano recuperare l’arma magica che aveva ucciso Hel.

Finito di mangiare, restituì la ciotola e andò a cercare D’Jagger: ancora non aveva capito quale fosse il vero fine del goblin, ma per il momento aveva fatto qualsiasi cosa trovasse interessante, quindi magari sarebbe stato disposto ad aiutarla.

La demone stava ancora attraversando il campo quando vide alcuni draghidi spiccare il volo in direzioni diverse.

Anche se adesso aveva un piano alternativo, vederli partire le causò comunque un certo dispiacere: alla fine Havard aveva deciso di accettare la proposta degli dei.

Stranamente, dopo un momento si scoprì a sorridere: “dispiacere”… E pensare che il giorno prima era andata su tutte le furie solo all’idea.

Aveva quasi raggiunto l’astronave quando vide D’Jagger venirle incontro.

«Ehi, posso parlarti?»

«Sicuro!» annuì il goblin. «Intanto camminiamo.»

«Beh, volevo dirti che non mi sta bene che gli dei la facciano franca, quindi voglio seguirli e fargli avere ciò che meritano. Per quello che hanno fatto a me, e a tutti gli altri. Ma non posso farlo da sola, e mi servirà il coso volante di Sigurd e Shamiram. Quindi, beh, volevo chiederti se fossi disposto ad aiutarmi.» Al sentire l’assurdità della sua richiesta, lei stessa si demoralizzò. «So che può sembrare stupido, ma non posso accettare che se ne vadano così. E vale sia per gli dei qui a nord, che per quelli a sud.»

D’Jagger mugugnò pensieroso. «Mmh, sembra una missione suicida che non mi riguarda e da cui non posso guadagnare nulla.»

La demone sospirò con rassegnazione. «Già…»

«Ci sto! Facciamogliela vedere a quegli dei! Ah, però per l’astronave devi parlare con Sigurd e l’illustre signora. Mmh, chissà se ci darebbero una mano…? Penso di sì, ma solo se servisse a recuperare l’Ascia di Coso. Ah, e devi provare a chiedere anche a Freyja: è una sbirra, quindi potrebbe essere tenuta ad arrestarli. Nel caso ci farebbe molto comodo anche l’aiuto dei suoi colleghi. E poi ci servirà un modo per pagare il cibo e l’attrezzatura. Non sarà molto epico, ma resta il fatto che non si fanno grandi imprese a pancia vuota.»

Ancora una volta, il goblin era riuscito a stupirla. «Sì, certo. Lo farò. E grazie.»

«Ah, però sappi che se muoio ti perseguiterò!»

Lei gli sorrise. «Non saresti il primo.»

Lo disse in maniera così genuina che per una volta perfino D’Jagger rimase senza parole. «Mmh… Ok!»

Nel frattempo erano ormai arrivati a destinazione: a giudicare dal gran numero di tamburi, quello doveva essere il laboratorio mobile dove venivano costruiti.

«Ehi, Havard! Mi cercavi?»

Il pallido, che stava parlando con un manipolo di orchi e goblin, si voltò. «Sì, stavo giusto spiegando agli altri che voglio che costruiate altri tamburi.» Si interruppe. «Che hai da fissare?»

Tenko si riscosse. «Credevo fossi partito!» Indicò la direzione presa dai draghidi. «Stavi andando dagli dei!»

«Mi sembrava fossimo d’accordo che era quasi sicuramente una trappola. E comunque, se devo scendere a patti con gli dei, lo farò alle mie condizioni.»

La demone non seppe come rispondere. Aveva forse sottovalutato il figlio di Hel? No: Havard stava solo facendo ciò che serviva per raggiungere il suo obiettivo. Poteva non essere d’accordo con lui, ma doveva riconoscere la sua determinazione.

Non sarebbe stata da meno.


Note dell’autore

E rieccoci qua!

Gli dei hanno fatto la loro proposta a Havard, e questo ha scatenato la furia di Tenko. Fin qui, niente di strano XD

La demone credeva che il pallido avrebbe accettato la proposta, e questo l’ha portata a riconsiderare i suoi obiettivi: perdonare gli dei? Mai. Costi quel che costi, non gliela farà passare liscia. Anche se questo significherà imbarcarsi in un altro racconto di 40 capitoli, come direbbe D’Jagger :P

In ogni caso è presto per pensarci, perché Havard non ha nessuna intenzione di piegarsi agli dei, anzi dovranno essere loro ad assecondare le sue condizioni. Anche a costo di continuare la sua guerra.

E anche per oggi è tutto. Grazie per aver letto e a presto ^.^


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Capitolo 39
*** 38. I cancelli di Shakdàn ***


38. I cancelli di Shakdàn

Havard e il suo esercito erano in marcia già da diversi giorni quando avvistarono un draghide volare nella loro direzione. L’animale si avvicinò con calma e atterrò davanti alla colonna per far scendere il suo cavaliere.

Il figlio di Hel si fece avanti. «Reton, com’è andata?»

L’orco con la mano metallica allargò le braccia forti e piene di cicatrici. «Insomma. Sono riuscito a parlare con alcuni inquisitori, ma era chiaro che avrebbero preferito parlare con voi. Non so se gli dei erano davvero in città, hanno detto solo che non intendevano ricevermi. Se non altro ho ancora la testa attaccata al corpo.»

Havard annuì. «Forse allora c’è ancora una possibilità per delle vere trattative.»

«Piuttosto, è già arrivato qualcuno? Dall’alto mi sembravate più del solito.»

«Solo un gruppo. Il grosso ci raggiungerà nelle prossime settimane.»

L’espressione del verde era un misto di stupore e ammirazione. «Se il grosso deve ancora arrivare, quanti uomini pensate di avere una volta arrivati a Shakdàn?»

Il pallido era fiducioso: «Abbastanza da vincere la guerra.»

Sul momento Reton non riuscì a darsi un numero, ma le parole del suo capo divennero più chiare nel corso delle settimane: le forze del figlio di Hel, fino a quel momento sparse per quasi tutte le terre degli orchi, si stavano riunendo un gruppo dopo l’altro al ritmo di centinaia se non migliaia per volta.

Quando l’esercito arrivò ai cancelli di Shakdàn, i suoi numeri erano impressionanti: decine di migliaia di orchi – di cui diverse centinaia armate di bacchette –, migliaia di monoceratopi e altri animali da guerra, qualche migliaio fra demoni e goblin, centinaia di troll, decine di draghidi, e addirittura qualche centinaio di sauriani e insettoidi, giunti dai territori confinanti con le loro peculiari cavalcature: neolophus e ragni giganti.

E se questi numeri non fossero stati sufficienti a fra tremare gli abitanti di Shakdàn, ad accompagnare la loro avanzata c’erano centinaia di roboanti tamburi, alcuni talmente grossi che solo i troll erano in grado di suonarli.

Havard, che procedeva in testa all’esercito in sella al suo possente drago corazzato, osservò con attenzione la città per cercare di cogliere anche il minimo segnale di ciò che avevano pianificato gli dei e il Clero.

Gli abitanti avevano già sbarrato l’enorme cancello principale e sembravano pronti ad asserragliarsi all’interno delle colossali mura di pietra, costruite sicuramente con l’ausilio della magia. Il pallido era sicuro che all’interno c’erano centinaia di inquisitori, più migliaia di guerrieri e magari qualche semidio. Anche Spartakan era sicuramente lì, piuttosto non erano in grado di stabilire se gli dei si trovassero effettivamente in qualcuno dei loro lussuosi edifici. Ma questo non era nemmeno così importante: se fosse riuscito a prendere quella città-simbolo, tutti quanti sarebbero stati costretti a riconoscere la sua autorità.

Havard fece fermare la colonna e anche il rullare dei tamburi si affievolì fino a spegnersi del tutto. Sempre in sella al suo drago, il pallido avanzò insieme a un manipolo di guerrieri.

«Sono Havard, figlio di Hel» annunciò in tono solenne e autorevole. «Sono qui per discutere con gli dei la fine della guerra.»

Ci volle un po’, ma alla fine qualcuno gli rispose: «Gli dei non sono qui!»

«Allora fateli venire.»

Di nuovo ci fu una pausa.

«Gli dei verranno quando lo riterranno opportuno!» Questa volta era stato un altro a rispondere.

«Gli concedo un’ora» sentenziò Havard. «Se per allora non saranno arrivati, il mio esercito prenderà la città. Sono sicuro che gli dei onnipotenti troveranno un modo per arrivare in tempo.»

Non aveva bisogno di aggiungere altro: fece girare il suo drago e si avviò senza nemmeno attendere una risposta. Vedendo che si allontanava, gli orchi sulle mura provarono a fermarlo e a chiedergli più tempo, ma lui li ignorò. Lo fece per ostentare la propria autorità, ma anche perché non poteva permettersi di perdere tempo: l’esercito che aveva riunito era abbastanza numeroso da affrontare qualsiasi nemico, ma lo sforzo di mantenerlo diventava ogni giorno più pesante.

Terminata l’ora concessa agli abitanti di Shakdàn, Havard diede ordine di battere sui tamburi per segnalare anche al nemico che l’attesa era finita.

Tutto l’esercito era pronto a mobilitarsi, ma rimase in attesa mentre il proprio leader tornava verso i cancelli della città.

«Il tempo è scaduto» annunciò il figlio di Hel. «Qual è la risposta degli dei?»

Il silenzio che seguì non venne interrotto da una voce, bensì da un pesante rumore di legno e ferro. L’enorme cancello cominciò ad aprirsi, rivelando diverse centinaia di guerrieri e, davanti a loro, decine di orchi dagli ampi mantelli e dalle armature ricercate: inquisitori. Paradossalmente, quello che più spiccava tra loro era Spartakan, che invece era ancora a torso nudo.

«Gli dei sono pronti a riceverti» annunciò il figlio dell’inferno. «Scendi dal tuo drago e seguimi.»

«La mia scorta verrà con me» affermò il pallido.

Spartakan annuì.

Solo allora Havard scese dalla sua cavalcatura e raggiunse il guerriero degli dei. Spartakan non era l’orco più imponente che avesse visto, ma lo superava comunque di quasi tutta la testa.

«Ti seguo» affermò il pallido, per nulla intimorito dalla fisicità del nemico.

I guerrieri lì radunati si spostarono, aprendo la strada a Spartakan, gli inquisitori, Havard e la sua scorta di poche decine di persone.

La via principale di Shakdàn era molto ampia e gli edifici ai lati erano tutti a più piani e di fattura robusta. Andando avanti la pietra sostituì il legno, e anche le finiture divennero più ricercate. C’erano addirittura dei canali navigabili che scorrevano all’interno della città, utilizzati per trasportare merci grazie a delle piccole zattere.

«Vedo che non hai portato l’Ascia» disse il figlio di Hel, che invece aveva con sé il suo bastone d’ossa. Aveva promesso a Shamiram e Sigurd che avrebbe fatto il possibile affinché gli venisse riconsegnata l’arma ammazza-dei, ma non la considerava una priorità.

«Hai chiesto un incontro pacifico, ed è quello che avrai» ribatté il rosso. «E comunque non ho bisogno dell’Ascia per sbarazzarmi di te e della tua scorta.»

«Può darsi. A proposito, ho saputo dei tuoi poteri.»

Spartakan gli rivolse uno sguardo fiero. «Quindi sai già che nessuna delle vostre armi può ferirmi.»

«So che i tuoi poteri derivano dal regno infernale di mia madre» ribatté Havard. «Mi chiedo se questo ci renda in qualche modo fratelli.»

Il rosso si voltò di colpo e gli puntò un dito sul petto. Non lo fece per ferirlo, ma la sua forza era tale che riuscì comunque a spingerlo indietro. «Noi due non abbiamo niente in comune.» La sua voce era un ringhio d’ammonimento. «Sono stati gli dei attuali a darmi questi poteri, non tua madre.»

Il figlio di Hel lo fissò con intensità. Spartakan era sincero, ma questo implicava solamente che fosse convinto di ciò che diceva. Havard non dubitava della spiegazione di Shamiram, in compenso non si sarebbe sorpreso se gli dei avessero inventato quella storia per assicurarsi la lealtà del loro guerriero, esattamente come facevano con i Pilastri.

«Se lo dici tu. Proseguiamo?»

Spartakan si voltò e riprese a camminare, conducendo Havard verso uno dei meravigliosi templi della città. Probabilmente era uno dei più grandi, dedicato a tutti gli dei del continente invece che a uno in particolare, come suggerivano le numerose statue che lo decoravano. Erano tutte di pregevole fattura: probabilmente erano opera di goblin particolarmente esperti nella lavorazione della pietra e del metallo.

A giudicare dalle dimensioni delle sale, quel tempio poteva ospitare centinaia di fedeli per volta – troll inclusi –, ma in quel momento c’erano solo delle guardie, segno che era stato riservato per quell’importante incontro.

«La tua scorta dovrà aspettare qui» affermò Spartakan una volta superata la parte pubblica del tempio.

«Non intendo andare oltre da solo» ribatté il pallido. «La maggior parte dei miei uomini mi aspetterà qui, ma voglio che almeno un paio restino con me. Hai detto tu stesso che potresti uccidermi anche senza l’Ascia.»

Il rosso gli rivolse uno sguardo severo. «D’accordo. Ma solo due persone.»

«Orbash e Faruk, voi con me. Gli altri aspetteranno qui.»

I due robusti orchi annuirono, gli altri invece rimasero in attesa con gli inquisitori. Solo il rosso si incamminò per fare strada nell’area del tempio riservata ai chierici e ai fedeli più illustri.

Raggiunsero una grande porta con un meraviglioso bassorilievo intagliato su tutta la superficie di legno, e le guardie davanti all’ingresso aprirono loro i battenti.

Spartakan, Havard e la sua piccola scorta entrarono, e le guardie richiusero la porta alle loro spalle.

Il pallido osservò il tavolo circolare di pietra e le sedie vuote tutto intorno.

«Dove sono gli dei?»

L’altro ebbe solo un attimo di esitazione. «Stanno arrivando.»

Il figlio di Hel non era tranquillo. «Quello invece cos’è?» volle sapere accennando all’oggetto luminescente adagiato sul tavolo. Aveva una forma vagamente sferica ed emetteva una luce calda e tenue.

Spartakan lo osservò con attenzione. «Non ne ho idea.»

Entrambi si avvicinarono.

«La sua potenza magica è-»

L’artefatto si attivò e la sua luce divenne un bagliore accecante. Il soffitto volò via e i muri si sbriciolarono. L’esplosione si propagò in tutto il tempio e l’intera città tremò. L’edificio collassò con uno scrosciare di macerie e il boato tremendo si diffuse ben oltre le mura, raggiungendo anche l’esercito all’esterno.

Dopo il frastuono assordante, calò un silenzio irreale, in cui il tempo pareva sospeso: tutti volevano chiedere cosa fosse successo, ma nessuno osava parlare.

Dopo un tempo che parve infinito – ma che forse durò solo una manciata di secondi – delle enormi figure apparvero sopra la città.

«Popolo di Shakdàn» esordì la proiezione di Huitzilopochtli, il dio del sole dalle luminose piume verdi. «Quella che avete appena sentito è un’esplosione causata dal bastardo di Hel. Quel vigliacco ha usato la scusa della pace per cercare di ucciderci, ma come potete vedere il suo piano è fallito. Nessun’arma mortale può uccidere un dio, e anzi lui stesso è morto a causa della sua stessa magia.»

«Il bastardo di Hel è stato l’artefice della sua stessa rovina, ma vogliamo essere magnanimi con coloro che sono stati ingannati da lui» proseguì Tezcatlipoca, il dio della notte dalla pelle nera. «Siamo disposti a offrire il nostro perdono ai guerrieri fuori dai cancelli di Shakdàn, ma solo se accetteranno di arrendersi immediatamente e di giurarci rinnovata fedeltà e devozione.»

«La guerra è finita» sentenziò Nergal, il dio della morte dalle corna di toro. «Chiunque si ostini a voler fare del male ai nostri fedeli, verrà sacrificato in nostro nome, e in onore di tutti coloro che sono stati barbaramente uccisi a causa della follia del bastardo di Hel.»

Mentre gli dei iniziavano il loro discorso, catturando l’attenzione di tutti, due figure apparvero dal nulla ai piedi delle macerie del tempio: Havard – incolume – e Tenko, che dopo averlo trascinato fuori con i suoi poteri, stramazzò a terra. Non era mai stata nella dimensione spettrale così a lungo – tantomeno con qualcun altro – e si sentiva completamente prosciugata. Era talmente stanca che perfino ansimare le risultava faticoso. Dopo alcuni lunghi secondi, e con un enorme sforzo, riuscì a mettersi supina per permettere al suo petto di alzarsi e abbassarsi con meno fatica.

Parlare sarebbe stato impossibile, l’unica cosa che riuscì a fare fu lanciare uno sguardo truce verso Havard.

«D’accordo, non mi aspettavo questo tipo di trappola» ammise il pallido. Alzò lo sguardo e ascoltò le ultime dichiarazioni degli dei: bugie create per giustificare il suo omicidio e per convincere il suo esercito ad arrendersi. Di sicuro quello era stato il loro piano fin dall’inizio.

Havard si accorse che Tenko stava cercando di prendere la borraccia che aveva al fianco, ma era talmente esausta che i muscoli non le rispondevano.

«Aspetta, ti aiuto.»

Prese la borraccia, la aprì e poi tirò su la demone per aiutarla a bere a piccoli sorsi.

In condizioni normali Tenko non avrebbe mai accettato quel genere di aiuto da parte del figlio di Hel, ma in quel momento il suo unico pensiero era recuperare le forze. Appena sentì il liquido fresco e carico di magia scorrere lungo la gola, l’intorpidimento si attenuò e il suo corpo cominciò a riacquisire energie.

«Dobbiamo andare» affermò Havard appena la giovane fu in grado di bere da sola. «Dobbiamo tornare dall’esercito.»

Lei, ancora seduta a terra, lo guardò con espressione interrogativa.

«Zabar mi ha spiegato la faccenda degli spiriti guida e di come materializzarli.» Nonostante la situazione, sul suo viso apparve un fugace sorriso. «Ma faccio prima a mostrartelo.»

Dei flussi di energia diafana, di un colore gelido e putrescente, uscirono dal corpo dell’orco e si addensarono davanti a lui, andando a formare il corpo di una grande fiera alata.

Tenko si sforzò di alzarsi, e lo fece senza mai distogliere lo sguardo dalla possente e minacciosa creatura. Dal canto suo, anche la fiera la scrutava con intensità: sarebbe bastato un cenno del suo padrone, e avrebbe divorato la giovane in un solo boccone.

«Ti aiuto a salire» disse Havard porgendole una mano.

Lei si avvicinò alla creatura, ma ebbe un momento di esitazione. Si voltò verso il pallido, lo sguardo tagliente. «Anche la mia è grande.»


Note dell’autore

Tenko, Tenko… cosa ti metti a fare a gara con Havard a chi ce l’ha più grande? Lo spirito guida, ovviamente :P

Ma cercando di ritrovare un minimo di serietà, finalmente scopriamo qual era il piano degli dei fin dall’inizio, ossia attirare Havard in una trappola per sbarazzarsi di lui. Chi l’avrebbe mai detto? Piano che, grazie all’intervento di Tenko, è fallito.

Arrivati a questo punto, lo scontro sembra inevitabile, quindi prepariamoci >.<

Ah, e vi anticipo che nel prossimo capitolo spiegherò che creatura è lo spirito guida di Havard ;D

Grazie a tutti per aver letto e a presto ^.^


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Capitolo 40
*** 39. L’inizio di un nuovo mondo ***


39. L’inizio di un nuovo mondo

«La guerra è finita» annunciò l’enorme proiezione di Nergal, così alta da essere chiaramente visibile anche all’esterno delle mura. «Chiunque si ostini a voler fare del male ai nostri fedeli, verrà sacrificato in nostro nome, e in onore di tutti coloro che sono stati barbaramente uccisi a causa della follia del bastardo di Hel.»

D’Jagger, che anche da fuori le mura aveva udito chiaramente le parole degli dei, fece un verso di stizza. «Fottuta propaganda! Certe cose non cambiano proprio mai.» Guardò in basso, verso il tamburo che aveva momentaneamente adagiato a terra. E un sorriso malefico si allargò sul suo volto.

Si alzò, passò il laccio che reggeva il tamburo dietro il collo, impugnò le bacchette e cominciò a battere con forza. L’esercito di Havard aveva solo due semplici ritmi molto facili da riconoscere: uno per ordinare l’attacco e uno per ordinare la ritirata, ma il goblin non stava suonando nessuno dei due. Quella che stava eseguendo era la musica della vittoria, la stessa che aveva suonato a lungo durante i banchetti in onore di Havard.

Non ci volle molto prima che gli orchi vicino a lui lo imitassero, e in breve tutti i suonatori dell’armata stavano eseguendo quella melodia energica, fiera e festosa: il rullare dei tamburi divenne così forte che il discorso degli dei venne relegato a un fastidioso brusio di sottofondo.

«Questo sarebbe un buon momento per saltare fuori, sai, Havard» commentò D’Jagger tra sé.

Come se lo avesse sentito, un roboante ruggito si sollevò da Shakdàn, e poco dopo un enorme drago superò in volo le alte mura della città. Il suo corpo era forte e muscoloso, ma le sue ossa sporgenti e la pelle tirata lo facevano apparire quasi scheletrico. Il muso in particolare aveva occhi infossati e zanne sporgenti, con linee minacciose che mettevano in risalto il suo massiccio teschio. Quello era un drago d’ossa, e il suo aspetto feroce – unito al tanfo che emanava – lo aiutava a scacciare gli altri predatori per rubare le loro carcasse. Anche tra i draghidi di taglia più grande erano pochi quelli disposti a combattere contro con i draghi d’ossa. Le viverne soffiamorte erano tra questi.

L’enorme necrofago planò verso l’esercito e atterrò davanti alla prima linea, facendo arrestare tutti i tamburi. Nel silenzio che seguì, i guerrieri e il drago corazzato di Havard osservarono la minacciosa creatura con timore e sospetto, ma si rilassarono appena il figlio di Hel scese insieme a Tenko.

«Ero sicuro che non potevate essere morto» affermò Reton, rincuorato dalla vista del suo leader. «Cos’è successo?»

«Più o meno quello che hanno detto, tranne che l’esplosione è opera loro e che io non sono morto. Non posso dire lo stesso degli altri.» Il suo tono era dispiaciuto, duro, ma anche determinato.

«Vinceremo anche per loro» gli assicurò l’orco con la mano metallica.

Havard salì sul suo drago corazzato, così che tutti potessero vederlo. «Gli dei hanno fatto la loro scelta!» annunciò a gran voce, e la magia mentale estese la portata delle sue parole. «Potete arrendervi, come vorrebbero loro, e rinunciare a tutto quello che avete ottenuto fino ad ora. O potete combattere! Potete combattere la più grande battaglia che il mondo abbia mai visto! Potete essere ricordati per sempre come vincitori!»

Le prime grida si sollevarono dall’esercito.

«Oggi noi uccideremo gli dei e sconfiggeremo il Clero! Combattete con coraggio, perché oggi inizia un nuovo mondo! Il nostro mondo!»

Questa volta le grida si moltiplicarono, diventando un potente ruggito collettivo.

Havard diede il segnale al suo spirito guida, e il drago d’ossa si lanciò subito verso Shakdàn. Sbatté le ali, ma non per prendere il volo, bensì per aumentare ulteriormente la sua velocità. Le sue lunghe falcate erano una carica inarrestabile, ed erano dirette verso il portone della città. Lo schianto fu fragoroso. Le mura di pietra oscillarono paurosamente, i cardini saltarono e i colossali battenti di legno e metallo cominciarono a inclinarsi lentamente. I guerrieri del Clero li videro abbassarsi, oscurare il cielo, ma non c’era già più tempo per reagire. Altri due tonfi assordanti echeggiarono per la città, insinuando il terrore nei difensori e alimentando la determinazione degli aggressori.

Il pallido puntò il suo bastone d’ossa verso la grande apertura nelle mura della città. «Dimostrate il vostro valore, e questa sera banchetteremo nei templi di Shakdàn!»

I guerrieri urlarono e i tamburi scatenarono l’energica musica dell’attacco. I draghidi si alzarono in volo, la cavalleria terrestre guidò la carica e la fanteria si lanciò come una marea armata verso i cancelli spalancati.

La risposta degli dei non si fece attendere: ora che il cancello era caduto, i difensori rinunciarono a trincerarsi per riversarsi all’esterno, sfruttando tutte le unità a disposizione per bloccare i nemici prima che potessero invadere la città.

I due eserciti erano ormai prossimi all’impatto. Le prime linee si fiondarono una sull’altra, ma fu la cavalleria del pallido ad avere la meglio, incuneandosi nella disordinata massa di nemici. I guerrieri e gli ordogue alle loro spalle si avventarono sui nemici storditi e in meno di un minuto il figlio di Hel contò centinaia di anime lasciare il proprio corpo, quasi tutte dirette verso il regno di Nergal. E il loro numero cresceva a una velocità esorbitante.

Per una volta Havard poteva contare sulla superiorità numerica, ma sapeva che anche così non sarebbe stata una battaglia facile.

Alcuni potenti incantesimi partirono dalla fanteria del Clero, riuscendo ad abbattere decine dei monoceratopi del pallido. Quella era sicuramente opera di inquisitori, ma i suoi guerrieri armati di bacchette erano abbastanza numerosi da occuparsi di loro.

Nonostante le perdite, la cavalleria terrestre continuò nella sua dirompente avanzata, spezzando in profondità le fila nemiche. Sembravano inarrestabili, finché dal terreno non esplosero lunghi rovi che li avvolsero come serpenti. Le robuste piante li ancorarono al terreno, bloccando completamente i loro movimenti e rendendoli facili bersagli.

I guerrieri del Clero ritrovarono coraggio e partirono al contrattacco. Erano ancora in inferiorità numerica, ma improvvisamente i loro colpi erano più decisi, le loro difese più salde, e le loro azioni più coordinate. Era come se agissero per la prima volta come una forza comune, guidati da una melodia prodotta da alcune decine di insettoidi posizionati nelle retrovie. Tra loro c’erano anche dei danzatori, i cui movimenti armoniosi e perfettamente coordinati andavano di pari passo con la controffensiva del Clero.

Anche in cielo le cose non si stavano mettendo bene per i cavalieri di Havard: se in un primo momento la superiorità numerica aveva giocato a loro vantaggio, ora i draghidi del pallido continuavano a venire intossicati dal fumo di uno dei nemici, col risultato che per gli altri inquisitori diventava molto più facile colpirli e abbatterli.

E mentre tra le due armate la battaglia si faceva sempre più accesa, una terza forza sembrava intenzionata a unirsi allo scontro: il vento prese a soffiare con intensità crescente, e delle nubi scure e minacciose cominciarono ad addensarsi sopra il campo di battaglia. Era solo questione di tempo prima che un altro cataclisma si scatenasse per sedare il conflitto e stroncare quell’utilizzo scellerato della magia.

«Sigurd, mi senti?» chiese Havard.

«Ti sento» confermò l’elfo, che pur trovandosi altrove, poteva parlare con il pallido grazie al comunicatore che gli avevano prestato. «Abbiamo individuato una semidea di Mbaba Mwana Waresa con la fanteria nemica, un semidio di Tezcatlipoca in cielo, e un Pilastro tra i danzatori nelle retrovie. Ma è probabile che ce ne siano altri.»

«Potete occuparvene?»

«Lo stiamo già facendo.»

Sigurd schivò la mazza di un orco, balzò oltre il cadavere di un monoceratopo e continuò la sua rapida corsa tra i guerrieri nemici. Scartò agilmente un gruppo di orchi e finalmente avvistò un manipolo di sauriani disposti intorno a una loro simile con le mani sul terreno.

L’elfo scattò verso di loro, colpì il primo con un calcio e un altro con il piatto della spada.

La sauriana si voltò verso di lui. «E tu cosa saresti?» gli chiese con sprezzo. «Un nano? O sei sempre un orco?»

Sigurd aprì la guardia di un altro difensore e lo stese con un pugno.

Lei gli sorrise con superiorità, incurante della sorte del suo alleato. «Voi mammiferi siete tutti uguali per me. Soprattutto quelli morti!»

Quattro sauriani si avventarono tutti insieme sull’elfo, Sigurd schivò e parò, ma qualcosa lo afferrò ai piedi. Con la coda dell’occhio vide altri rampicanti uscire dal terreno per ghermirgli le gambe. Usò Balmung per tagliarne alcuni, ma gli altri guerrieri lo stavano pressando. Non aveva tempo per liberarsi.

Bloccò un fendente con la protezione sull’avambraccio sinistro e un altro con la spada. Una lama rimbalzò sulla sua armatura nera, e l’altra fece lo stesso sulla sua pelle: quest’ultima aveva perso la colorazione rosata, sostituita da scaglie nero-bluastre dure come metallo.

La semidea osservò quella trasformazione con un sorriso compiaciuto. «Ma guarda un po’! Sei forse un po’ rettile anche tu?»

Nel frattempo anche Shamiram aveva lasciato l’astronave e stava volando verso lo scontro aereo tra i cavalieri di Havard e gli inquisitori. Era abbastanza sicura di poter sconfiggere tutti quei servi degli dei da sola, ma in quel momento doveva concentrarsi su uno di loro in particolare.

Dopo un inseguimento fin troppo lungo, finalmente riuscì a raggiungere il suo bersaglio: una viverna quattroali, che come suggeriva il nome aveva due ali aggiuntive che la rendevano estremamente agile e veloce.

Si adagiò sul dorso del draghide del nemico, ma dovette continuare a usare la telecinesi per non volare via.

«Giovanotto, adesso tu atterri.»

Il cavaliere ebbe un sussulto. Si voltò di scatto. Era un orco, un ragazzino in realtà, aveva la carnagione molto scura e due linee gialle dipinte sul viso.

«Cosa ci fai qui?! Come sei arrivata?!»

«Atterra! O ti faccio schiantare!»

«Aspetta, tu sei quella che se l’è presa con Urmah!» Il giovane semidio era chiaramente spaventato. «Sei la donna-esercito!»

Un simile appellativo stupì Shamiram, che poi gli rivolse un sorriso soddisfatto. «Esatto. Quindi sai già-»

«Ci vediamo, vecchia!» L’orco tirò le redini della sua viverna, che in un batter d’occhio eseguì una violenta giravolta.

Il cavaliere si voltò. «Ti è piaciu-? Aaaah! Come fai ad essere ancora qui?!»

 L’umana mosse una mano e il ragazzino venne tirato all’insù da una forza invisibile. Le cinghie che lo tenevano ancorato alla sella ressero, ma col risultato che anche la sua viverna stava venendo tirata verso l’alto.

«Ultima occasione, giovanotto.»

Il semidio creò un getto di fumo, ma un turbine di vento lo dissolse prima che potesse avvicinarsi all’umana.

Shamiram non disse nulla. Evocò il fuoco del jinn fenice per bruciare i lacci della sella e poi avvolse il giovane orco in un bozzolo di bitume che lasciava fuori solo la testa.

Ora il ragazzino era terrorizzato. «No! Ti prego! Ti prego!»

Lei lo zittì tirandogli un piccolo pezzo di catrame sulla fronte.

«Questo è per il fumo.»

Con un cenno della mano lo lanciò nel vuoto.

«E questo è per avermi dato della vecchia.»

Oltre a Sigurd e Shamiram, anche Freyja aveva ricevuto ordine dall’elfo di scendere in campo.

Aveva indossato abiti simili a quelli dei guerrieri locali per confondersi tra loro, brandiva una mazza di ferro, ma questa volta aveva con sé anche una vera arma. Arma di cui – lo aveva promesso – si sarebbe completamente dimenticata una volta lasciato il pianeta.

«Se devo dare una mano contro le unità più forti del Clero, vorrei almeno una pistola stordente» disse l’orchessa ai due proprietari dell’astronave. «Voglio dire, sono forte, ma non così forte…»

«Non abbiamo armi a bordo» dichiarò Shamiram.

«A parte la mia spada» precisò Sigurd.

La poliziotta sospirò. «Va bene anche una pistola non registrata e priva di qualsiasi identificativo.»

L’umana stava per ripetersi, ma l’elfo le lanciò un’occhiata eloquente. Sbuffò. «E va bene, aspetta qui.»

Freyja non aveva idea di quali altre armi illegali fossero nascoste sull’astronave, e in tutta onestà non aveva nessuna voglia di scoprirlo. Ma avrebbe fatto buon uso di quella che gli avevano consegnato per ridurre al minimo le perdite per entrambi gli schieramenti.

Dopo aver aggirato buona parte della battaglia, rallentò la sua corsa e si insinuò tra i nemici cercando di non farsi notare. Grazie all’elmo e ai vestiti coprenti nessuno sembrava fare particolarmente caso a lei, e questo le permise di raggiungere gli insettoidi nelle retrovie senza bisogno di lottare. Ma la parte facile finiva lì.

Osservò con attenzione i ballerini e quasi subito riconobbe il suo bersaglio: un coleotteriano dall’esoscheletro verde iridescente.

Non aveva senso identificarsi come un agente di polizia, così impugnò la pistola, prese la mira e sparò.

L’impulso stordente colpì l’insettoide, che ebbe un sussulto. La sua danza si interruppe, perse l’equilibrio. Ma non cadde. Non guardò nemmeno nella direzione da cui era arrivato il colpo: semplicemente riprese a ballare, e come lui fecero anche gli altri danzatori e suonatori.

Freyja sparò altre tre volte, tutte sul bersaglio, ma questa volta il Pilastro non si fece cogliere di sorpresa e contrastò lo stordimento con la sua energica danza.

Freyja sentì un brivido lungo la schiena: l’insettoide sembrava deciso a ignorarla, ma lo stesso non valeva per i guerrieri lì presenti. Le decine di guerrieri lì presenti.

«Cavolo…»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente vediamo lo spirito guida di Havard, ossia un minaccioso drago d’ossa. Che di sicuro lo ha aiutato a fare un rapido e trionfale ritorno in campo, anche perché l’iniziativa di D’Jagger non avrebbe tenuto insieme le truppe molto a lungo.

Il pallido ha dato il via alla battaglia, il cui esito però è ancora incerto. Il figlio di Hel può contare su un esercito più numeroso, su Sigurd, Shamiram e Freyja, ma gli dei hanno ancora diversi assi da giocare, su tutti i loro figli, i Pilastri e Spartakan.

Insomma, è giunto il momento di buttare tutti nella mischia, e vedremo chi la spunterà >.<

Ormai ci stiamo avvicinando alla conclusione, quindi non perdete il prossimo capitolo!

A presto ;D

PS: sarei tentato di aggiungere a difesa del ragazzino semidio che ne sono passati di anni da quando Shamiram regnava su Babilonia, ma ormai è chiaro che è meglio non fare arrabbiare l’illustre signora, quindi taccio :X


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Capitolo 41
*** 40. Il Re Conquistatore ***


40. Il Re Conquistatore

Sigurd deviò la spada curva dell’ultimo sauriano, lo colpì al petto con una spallata e poi al volto con un pugno. Il guerriero si piegò all’indietro e anche lui cadde sul terreno reso fangoso dalla pioggia.

La pelle dell’elfo ormai era completamente coperta dall’armatura di scaglie nero-bluastre, ma i suoi occhi verdi erano rimasti gli stessi.

Puntò la sua spada contro la semidea.

«Te lo chiederò solo una volta: arrenditi.»

Lei non si fece intimorire, anzi gli lanciò un altro dei suoi sorrisetti arroganti. «Arrendermi?» Si toccò il seno in un gesto provocante. «Mi spiace, tesoro, ma anche così se vuoi fottermi, dovrai accontentarti del mio cadavere!» Al suo grido di battaglia seguì il fragore della terra: una prigione apparve dal nulla e circondò Sigurd. L’elfo si aprì la strada con la spada, squarciò liane e fusti, inarrestabile. In un attimo la sauriana se lo trovò davanti, la spada alzata. La donna allargò la bocca in un grande sorriso dai denti aguzzi. Una torre di roccia si alzò dal terreno, ma Sigurd si era già spostato. Afferrò la semidea con la sinistra e una scarica elettrica esplose dal suo palmo. La semidea urlò di dolore, incredula.

Quando Sigurd la lasciò andare, lei cadde a terra. Respirava ancora, ma i suoi arti si muovevano a piccoli scatti involontari.

L’elfo si guardò intorno. Le decine di guerrieri lì vicino si guardavano bene dall’attaccarlo, e lui non aveva tempo di occuparsi dei pesci piccoli, non mentre c’erano altri semidei e Pilastri ancora in grado di combattere.

Avvertì un pericolo. Si voltò di scatto. Alzò le braccia e una raffica di rocce lo investì, grandi come angurie e veloci come proiettili. La forza dei colpi lo scagliò indietro, ma riuscì ad atterrare in piedi. Giusto in tempo per vedere la semidea che si rialzava.

Era ancora provata dalla scarica elettrica, ma riuscì comunque a sorridergli in modo provocante. «Mi sa che ti ho eccitato un po’ troppo, eh?»

«Aaaaah-ah-ah-aaah!» Le urla disperate del giovane orco erano interrotte solo dal suo pianto.

«Aaaah-ah-ah-aaaaaaah!» Il vento e la pioggia gli fischiavano nelle orecchie, segno che presto tutto sarebbe finito.

«Aaaaaaaah-ah-ah-ah-aaah! Sono troppo giovane e bello per morire! Aaaah-ah-ah-aaaaaah!»

In effetti era da un po’ che precipitava, ma aveva troppa paura per aprire gli occhi.

«Aaaah-ah-ah»

«E piantala!» Shamiram gli tappò la bocca con una fascia di bitume elastico e appiccicoso.

Il ragazzino sollevò le palpebre e i suoi occhi si riempirono di stupore e sollievo. «Mmmmh! Mmm!»

Era difficile capire cosa stesse mugugnando, e in ogni caso l’umana non aveva alcuna intenzione di starlo a sentire. Ora che aveva imprigionato lui e la sua viverna quattroali, poteva occuparsi degli altri nemici così da porre fine a quella stupida battaglia.

«Ehi tu!» la chiamò una voce maschile.

Shamiram si voltò e vide una scia di fumo serpeggiare a pochi metri di distanza per poi tramutarsi in un orco. Come il ragazzino, anche lui aveva la carnagione molto scura e due linee gialle dipinte sul viso.

«Dove credi di andare?»

L’orco più giovane provò a dirgli qualcosa: «Mmmh! Mmh-mmmh!»

«Oh, sta’ un po’ zitto!» ribatté l’altro semidio.

Shamiram si spostò alcuni ciuffi bagnati dalla fronte. «Vediamo di fare in fretta: la pioggia mi sta rovinando i capelli.»

L’orco si tramutò in fumo e cominciò a volteggiare intorno all’umana. La sua scia si espanse man mano che si muoveva, fino a creare una densa nube scura. L’attacco fu improvviso: dardi di fumo, palle di fuoco e schegge luccicanti. Shamiram volò in cielo e il semidio la inseguì. L’umana usò proiettili di catrame, piume infuocate e turbini di vento, e il suo avversario rispose con i suoi attacchi.

Nessuno dei due sembrava in grado di ferire l’altro.

Shamiram era stizzita: “Qui ci vorrà un po’…”

Pugno. Devia. Gomito. Lancia. Pugno. Calcio. Schiva. Blocca. Pugno. Calcio. Devia. Pugno. Spalla. Lancia. Schiva.

Freyja stava facendo del suo meglio, ma gli orchi arrivavano da tutte le direzioni e, per quante volte li abbatteva, loro continuavano a rialzarsi. Se non fosse stato per i potenziamenti che aveva ricevuto, a quel punto sarebbe già stata sopraffatta. E comunque stava diventando sempre più una questione di tempo: doveva riuscire a neutralizzare quel Pilastro, o non aveva speranza di uscirne viva.

Con uno scatto repentino e una vigorosa spallata si liberò dell’accerchiamento e puntò decisa contro il gruppo di danzatori. Gli orchi si misero subito al suo inseguimento, ma un boato improvviso fece tremare la terra, seguito da urla di dolore e da un ruggito fragoroso.

Freyja lanciò un’occhiata alle sue spalle e per poco non trasalì alla vista di un possente drago corazzato.

“Ti copro le spalle, tu occupati del Pilastro” le disse Havard con la telepatia.

«Ricevuto» confermò l’orchessa, che grazie al comunicatore sarebbe comunque riuscita a sentirlo chiaramente.

I musicisti la videro arrivare, ma si sforzarono di continuare a suonare i loro strumenti a corde, a fiato e a percussione. La poliziotta li ignorò e passò oltre, dove anche i danzatori sembravano decisi a proseguire nonostante la sua intrusione.

«Fermati immediatamente! È un ordine!»

«Non posso!» ribatté il Pilastro senza perdere il ritmo. «Tutti quanti contano su di me.»

La risolutezza del nemico fece vacillare per un momento quella di Freyja. «Questo lo capisco, ma… Ti prego, devi fermarti! Questa guerra deve finire!»

«Non abbandonerò i miei compagni. Se vuoi fermarmi, dovrai farlo con la forza.»

L’orchessa serrò i pugni. Fece un passo, ma in un attimo tutti gli altri danzatori si frapposero sulla sua strada. Solo il Pilastro stava ancora ballando.

«Se vuoi fare del male al grande Mikazuchi, dovrai prima passare sui nostri cadaveri!»

Freyja prese un profondo respiro. «La considererò resistenza a pubblico ufficiale.»

Non fu una vera lotta. I ballerini provarono a bloccarla, ma nessuno di loro era avvezzo al combattimento, e nonostante il potenziamento garantito dal Pilastro, tutti quanti dovettero capitolare.

Prima che potessero riprendersi, l’orchessa si avventò sul suo bersaglio. Lo prese alle spalle e gli strinse un braccio intorno al collo. L’insettoide provò a liberarsi, ma anche con le sue quattro mani i suoi sforzi erano inutili.

«Mi dispiace, ma più cerchi di aiutare i tuoi compagni, e più morti inutili ci saranno.»

Non ci fu il tempo di aggiungere altro. Il Pilastro perse i sensi e Freyja lo lasciò andare.

Senza l’aiuto dell’insettoide, il resto dell’esercito perse quasi subito lo slancio e l’armata di Havard tornò a pressare i nemici da tutti i fronti.

“Portiamolo via, non voglio rischiare che si riprenda” affermò Havard.

«Ricevuto.»

Freyja si mise in spalla il Pilastro e si sforzò di ignorare le suppliche degli altri danzatori e musicisti mentre lo caricava sul drago corazzato.

«I nemici più forti sono quasi tutti sistemati» affermò il pallido una volta che la cavalcatura fu in cielo. «Presto questa guerra sarà finita.»

«Lo libererai quando la battaglia sarà finita, vero?» gli chiese la poliziotta, che sedeva dietro di lui sul massiccio dorso della creatura.

«Hai la mia parola.»

«E se non accetterà di piegarsi al tuo volere?»

Havard stava per dire qualcosa, ma si fermò.

«Rispondi alla domanda, per favore.»

«Se sarà una minaccia, dovrò tenerlo in custodia. Ma non gli farò alcun male.»

«Bene.»

Freyja si decise a guardare in basso, dove migliaia di guerrieri stavano ancora combattendo. Lo scontro si era fatto molto più caotico, ma le truppe di Havard sembravano in vantaggio più o meno ovunque.

«Dobbiamo convincerli ad arrendersi» affermò l’orchessa. «Ormai non possono più vincere.»

«Sigurd, Shamiram, a che punto siete?» domandò il pallido attraverso il comunicatore.

«Non adesso!» tagliò corto l’umana.

«Ho finito» rispose l’elfo. La sua spada nera era sporca di sangue e la sua voce era resa fredda dalla vista del corpo decapitato della sua avversaria.

Il figlio di Hel decise che era sufficiente. Estese il più possibile la portata della sua telepatia e cominciò a parlare: “Valorosi guerrieri degli dei! I vostri campioni sono caduti! La battaglia è finita! Deponete le armi e costruiamo insieme un mondo migliore per tutti!”

Continuò a ripetere il messaggio mentre il suo drago corazzato sorvolava il campo di battaglia, e lentamente le sue parole cominciarono a fare effetto: quelli che avevano visto in prima persona la superiorità delle truppe di Havard furono i primi a deporre le armi, poi toccò a quelli vicini, e così via.

In pochi si ostinarono a continuare la lotta, e nessuno di loro riuscì a cambiare l’esito dello scontro.

Quando il messaggio arrivò a D’Jagger e agli altri suonatori, subito tutti cambiarono melodia per tornare a quella della vittoria. Ma c’era qualcosa di diverso: adesso la suonavano con la consapevolezza del trionfo, e questo rendeva le loro note ancora più energiche ed esuberanti.

Havard fece planare il suo drago corazzato e i suoi alleati più importanti si riunirono intorno a lui. I primi ad arrivare furono i suoi capitani: molti erano feriti, ma quasi tutti erano sopravvissuti allo scontro. Poi fu il turno di Sigurd, che aveva rinfoderato la spada ed era tornato al suo aspetto normale. Arrivò Tenko, che una volta recuperate le forze si erano unite alla battaglia, e poi anche D’Jagger suonando trionfalmente il suo tamburo. L’ultima a raggiungerli fu Shamiram: aveva i capelli un po’ in disordine e il vestito rovinato qua e là, ma la sua aura regale era intatta.

Il figlio di Hel cominciò ad avanzare verso i cancelli spalancati di Shakdàn, e i guerrieri del Clero si aprirono al suo passaggio. Perfino il vento e la pioggia si stavano placando: Havard sapeva che quella era solo la naturale reazione del pianeta alla fine dello scontro, ma intendeva sfruttarla per dare un’ulteriore prova della sua autorità.

Aveva vinto la battaglia, ma doveva fare ancora uno sforzo: doveva sbarazzarsi degli dei. Solo a quel punto il mondo sarebbe stato davvero suo.

Osservò i suoi alleati che avanzavano dietro di lui.

«Andiamo a vincere la guerra.»

Poco prima, mentre all’esterno delle mura infuriava ancora la battaglia, Shakdàn sembrava già una città fantasma: i guerrieri si erano riversati tutti all’esterno e i civili si erano barricati in casa. Nelle strade e nelle piazze vuote erano appena percettibili il fragore lontano e le grida confuse dello scontro.

In mezzo a quel silenzio irreale, uno scricchiolio di macerie si dipanò dai resti del tempio distrutto. Il rumore si fece più forte, più vicino. Una mano rossa e muscolosa spuntò tra le pietre frantumate. Poi il braccio e infine la testa impolverata di Spartakan.

Il figlio dell’inferno era praticamente illeso. Solo i capelli e la barba erano un po’ bruciacchiati sulle punte. Lo stesso non poteva dirsi dei suoi pantaloni, che ormai non esistevano più.

«Dei, cosa significa tutto questo?!» esclamò al cielo. «Vi prego, parlatemi!»

“Non hai nulla da temere, nostro Campione.” La voce di Huitzilopochtli risuonò autorevole nella sua mente. “Tutto procede secondo i piani.”

«Non capisco. Quali piani?» Sentendo i rumori lontani, si voltò verso le mura. «Stanno combattendo? Devo andare da loro?»

“Tutto ti sarà chiaro a tempo debito.” Il dio era tranquillo, come se l’imminente sconfitta del suo esercito fosse cosa di poco conto. “Il tuo compito non è finito. Dirigiti subito in questo luogo.”

Spartakan vide le immagini scorrergli davanti agli occhi, come se stesse già percorrendo la strada che doveva fare.

Si inginocchiò. «Come desiderate, divino Huitzilopochtli. Mi muovo immediatamente.»

La guerra non era ancora finita.


Note dell’autore

Ebbene sì: Havard ha quel tipo di Ambizione XD

Battute a parte, i principali guerrieri degli dei (siano essi semidei o Pilastri) sono caduti uno dopo l’altro, e questo ha consentito al pallido di dichiarare vittoria. Ma è davvero finita? Spartakan non sembra d’accordo, e lui da solo potrebbe comunque mettere in difficoltà il figlio di Hel.

Una cosa è certa: il prossimo è l’ultimo capitolo; qualunque cosa vogliano fare, devono farla adesso. Ma non aggiungo altro ;)

Come sempre grazie a tutti quelli che hanno letto e a presto ^.^

PS: sì, dopo La progenie infernale ci sarà un altro racconto. Beh, più di uno in realtà XD


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Capitolo 42
*** 41. L’alba dei Reami ***


41. L’alba dei Reami

Havard avanzava fiero e deciso attraverso le ampie strade di Shakdàn, ma la sua sicurezza era soprattutto una facciata: i suoi sensi erano tesi e le sue percezioni acuite per cercare di anticipare un’eventuale minaccia. L’ultima cosa che voleva era finire in un’altra – seppur improbabile – trappola degli dei.

Raggiunse una grande piazza e si guardò intorno. Dalle finestre spuntavano alcuni volti, quasi tutti di donne o bambini, ma ancora nessuno osava aprire le porte e uscire.

«Shamiram, senti anche tu la presenza degli dei?»

L’umana lo affiancò. «Stanno celando la loro aura, ma sono qui.» Si guardò intorno, concentrandosi sulle sue percezioni magiche. «Da quella parte.»

I due si avviarono, subito seguiti dagli altri alleati. Havard sapeva che era un rischio affrontare gli dei senza l’Ascia di Parashurama o un’altra arma ammazza-dei, ma non poteva rimandare: doveva porre fine alla guerra ora che gli dei erano vulnerabili. Se li lasciava fuggire, avrebbero potuto riorganizzarsi e tornare all’attacco.

In pochi minuti raggiunsero un grande edificio, abbastanza ampio da consentire anche ai troll di entrare comodamente: non era un tempio, ma la sua facciata era comunque ricca di decorazioni. Probabilmente aveva qualche funzione amministrativa, in ogni caso al momento sembrava deserto.

«Spartakan è qui» affermò il figlio di Hel.

«E non solo lui» confermò Shamiram. «Credo ci sia anche uno… No: due Pilastri.»

Havard era pensieroso. Si voltò verso i suoi alleati, ma in realtà l’unico a cui era davvero interessato era Tenko: la demone era riuscita a salvarlo una volta, ma aveva abbastanza potere per farlo di nuovo? E soprattutto: tra tutti i presenti, avrebbe davvero scelto di salvare lui se le cose si fossero messe male? Ne dubitava. Ma non poteva fermarsi.

«Bah’soit, fai avanzare due dei tuoi troll meglio corazzati.»

Il capitano della fanteria pesante annuì. Scelse una coppia di massicci guerrieri dotati di spesse armature di ferro e li mandò in avanscoperta con i loro enormi scudi a torre a proteggerli.

Salirono un’ampia scala, poi un’altra e un’altra ancora. Raggiunto il piano più alto, proseguirono fino a un pesante portone di legno, anch’esso finemente decorato da mani esperte.

«La traccia finisce qui» stabilì Shamiram. «Ma è strano, è come se…» C’era qualcosa che non andava.

«Al mio tre, sfondate la porta» ordinò Havard.

I due troll strinsero la presa sugli scudi, pronti a caricare.

«Uno. Due. Tre!»

Spartakan si fermò. La visione degli dei lo aveva condotto fino a quel grande portone intagliato, ma non gli aveva rivelato cosa ci sarebbe stato oltre.

Doveva aprirlo? Doveva bussare?

Non ci fu bisogno di trovare una risposta: i battenti si aprirono davanti ai suoi occhi, come animati, rivelando una sala ampia e luminosa.

«Hai trovato dei pantaloni» notò Nergal mentre entrava. «Bene.»

Il figlio dell’inferno si inginocchiò appena si rese conto che era al cospetto del dio della morte. E non solo al suo: nella stessa stanza c’erano anche il dio del sole Huitzilopochtli, il dio della notte Tezcatlipoca, e il dio del mare Enki. Era un evento raro, se non unico, poterli vedere di persona.

«Sono felice di avervi compiaciuto» si affrettò a dire l’orco.

«Puoi alzarti, Spartakan» lo esortò Tezcatlipoca. «E vieni pure avanti: lascia che la porta si chiuda.»

Il figlio dell’inferno fece come ordinato, e come previsto i battenti si mossero dietro di lui: anche loro sembravano voler assecondare la volontà del dio dalla pelle nera.

Qualcuno disse qualcosa in una lingua che Spartakan non comprese. Solo allora il rosso si rese conto che oltre agli dei c’era un’altra persona: un vecchio anfibiano che si reggeva a un bastone.

«Sì, è lui la persona che stavamo aspettando» confermò Nergal. «Ora possiamo andare.»

«Andare?» ripeté il figlio dell’inferno. «Andare dove? E la guerra?»

«Abbi fede, Spartakan» lo rassicurò Tezcatlipoca. «Tutto ti sarà chiaro a tempo debito.»

I troll sfondarono il portone, i guerrieri sciamarono all’interno e i maghi puntarono le bacchette. Giusto in tempo per vedere una grande ombra sparire attraverso un’apertura nel soffitto.

«Stanno scappando!»

«Attaccate!» ordinò Havard.

Gli orchi scatenarono i loro incantesimi, ma una barriera li neutralizzò.

Shamiram corse in avanti. L’astronave degli dei si allontanava a gran velocità. Provò a usare la telecinesi, ma era già troppo tardi: il velivolo spaziale attivò la navigazione superluminale e in un attimo svanì. «Maledizione!»

Tenko la raggiunse. «Dove sono andati?! Dobbiamo inseguirli!»

La strega scosse il capo. «Ormai è tardi. Li abbiamo persi.»

«Non m’importa! Dobbiamo trovarli!»

«Se si faranno vivi, te lo farò sapere» le assicurò Havard. «Per ora credo sia il caso di aggiornare il resto del mondo: la guerra è finita e noi siamo i vincitori.»

In un primo momento nessuno parve realizzare la portata di quelle parole, forse perché Havard le aveva pronunciate in modo fermo, senza entusiasmo. Poi però l’euforia esplose e tutti quanti lanciarono grida di esultanza. Alcuni si abbracciarono, altri corsero fuori per diffondere la notizia.

Tenko guardò verso Sigurd. «Li troveremo, vero?» Più che una domanda, la sua era una supplica.

L’espressione dell’elfo era dispiaciuta. «Faremo il possibile, ma Shamiram ha ragione: potrebbero essere ovunque, e ben oltre i confini di queste terre. Potremmo non riuscire a trovarli del tutto.»

Tenko era senza parole. Era incredula. Dispiaciuta. Poi furiosa. Con un grido gettò a terra la sua spada. All’improvviso tutti quanti si zittirono e si allontanarono appena lei puntò verso l’uscita pestando i piedi.

Fu D’Jagger a raccogliere l’arma della demone. «Mi sa che non l’ha presa bene. Oh beh, qualcuno ha voglia di un bel banchetto?»

Gli sguardi di tutti passarono su Havard.

«Questa notte festeggiamo la sconfitta degli dei» confermò il pallido. «Voglio il più grande banchetto che abbiate mai visto! E fate venire tutti. Amici, nemici, civili, non importa: ora siamo tutti parte di un unico regno.»

I suoi guerrieri risposero con entusiasmo a quella proposta e uno dopo l’altro lasciarono la sala per informare tutti.

Una volta che la stanza si fu svuotata, Havard lanciò uno sguardo a Sigurd e Shamiram, impegnati a parlottare tra loro.

«L’Ascia di Parashurama non è qui» gli spiegò l’elfo. «Probabilmente l’hanno portata via con loro.»

Il pallido annuì. «Se volete posso comunque chiedere ai miei uomini di cercarla.»

«Per ora lasciali festeggiare» rispose l’umana. «Ci penseremo quando la situazione si sarà calmata. Tu piuttosto: non hai l’aria del vincitore.»

«Devo far credere a tutti che ho sconfitto gli dei, ma la verità è che, finché sono vivi, possono sempre riorganizzarsi e tornare.» Rimase un attimo in silenzio. «Ma in quel caso ci faremo trovare pronti.»

Come intuito da Shamiram, per il resto della giornata tutti quanti furono troppo impegnati con i preparativi per pensare a qualsiasi altra cosa, e l’euforia della notte si prolungò ben oltre l’alba seguente. Alla fine anche i cittadini più spaventati dimenticarono la paura per unirsi ai festeggiamenti. Per soddisfare una tale richiesta di cibo, Havard dovette dare il permesso di attingere alle scorte della città, ma lo fece solo perché sapeva che nel giro di qualche settimana sarebbero arrivate nuove provviste per ripristinarle.

Durante la terza notte di festa, Havard raggiunse una delle torri di vedetta per stare un po’ da solo. Da lì aveva un’ottima visuale sulla città, sulle praterie circostanti, sull’orizzonte lontano.

Ora tutto ciò era suo.

«Ce l’ho fatta, Nambera.»

Suo per essere governato e guidato verso il progresso.

«Vorrei che tu fossi qui… Ma va bene così.»

Sentì dei passi che si avvicinavano.

«Posso disturbarti?» gli chiese timidamente Zabar.

«Non mi disturbi» rispose il pallido in tono gentile.

Il demone si avvicinò al parapetto.

Per un po’ osservò l’orizzonte, il confine tra la terra e il cielo, poi si sforzò di spostare il suo sguardo verso il figlio di Hel.

«Non mi ero ancora congratulato per la tua vittoria. Quindi… emh… Congratulazioni.»

«Ti ringrazio. Ma la parte difficile inizia adesso.»

Zabar era stupito. «Più difficile di… questo?» chiese muovendo la mano sulla città piena di migliaia di guerrieri festanti.

Havard annuì gravemente. «Ho scacciato gli dei, ma c’è ancora molta gente da convincere che seguirmi è la cosa migliore. Per non parlare del fatto di governare tutte queste persone. Dovrò mostrare loro la via e renderli capaci di risolvere i loro problemi. Senza contare che c’è sempre la possibilità che gli dei tornino.»

«Sembra molto impegnativo.»

«Lo è. Il progresso non è qualcosa che puoi raggiungere, devi continuare ad andare avanti. E dovrò assicurarmi che ognuno faccia la propria parte al meglio.»

Zabar annuì, lo sguardo basso.

Havard pose la propria mano sopra quella del demone. «Non posso prometterti una relazione come quelle delle persone normali. Ma sei una brava persona, Zabar, e sarei felice se decidessi di restare al mio fianco mentre guido il mondo verso un futuro migliore.»

L’ex chierico esitò. Lo guardò timidamente. «Intendi… come uno dei tuoi alleati?»

Gli occhi di Havard avevano la consueta sicurezza, ma anche un’insolita gentilezza. «Forse. O forse anche qualcosa di più.»

Zabar arrossì. Si avvicinò lentamente e Havard ricambiò il suo bacio.

Il figlio di Hel si era fatto carico di un arduo compito. Un compito che si sarebbe protratto per i decenni a venire, forse per secoli addirittura. Ma il mondo poteva aspettare un’altra notte.

Tenko non riusciva ancora a darsi pace. Sapeva che gli dei sarebbero potuti fuggire per evitare lo scontro diretto, ma non sapere dove fossero andati era terribilmente frustrante.

Doveva farsene una ragione? Ma come? Ci aveva già provato, e non aveva funzionato.

«Ehi» la salutò Freyja. Aveva due boccali in mano e Lunaria che le volteggiava intorno. «Ti va di parlare?»

La demone le lanciò uno sguardo mesto. Non l’aveva nemmeno sentita arrivare.

Accettò il boccale che l’orchessa le stava offrendo e bevve un lungo sorso. La bevanda alcolica le fece bruciare la gola, ma si sforzò di mandarla giù per dimenticare la frustrazione.

«Dovevo ucciderli. Volevo ucciderli tutti!» Le sue imprecazioni divennero grida. «Dal primo all’ultimo!» Sbatté il boccale sul tavolo. «E non posso più farlo!»

Freyja rimase in silenzio per qualche secondo, così che la rabbia della demone si attenuasse almeno un pochino. «Sai, ti capisco. Il mio lavoro è trovare e arrestare i criminali, e non sopporto l’idea che alcuni di questi riescano a farla franca.» Osservò il liquido ambrato e spumoso nel suo boccale. «Ma a volte succede. E per quanto tu lo voglia, non puoi fare nulla per impedirlo.»

Vedendo i suoi pugni serrati, Lunaria si avvicinò al suo avambraccio per cercare di rasserenarla.

«Cosa dovrei fare?» le chiese Tenko, adesso in tono più misurato. «Fingere che non sia mai accaduto?»

«No. Sì. Dipende da te. A volte puoi solo accettare che certe cose non vanno come vorresti, e andare avanti.»

«Non so se ne sono in grado.»

Freyja poggiò una mano su quella della demone, e Lunaria aggiunse le proprie. «Come ho detto, dipende da te. Invece di pensare a ciò che hai perso, cerca di pensare a ciò che hai. Credo sia il modo più semplice per essere felice.»

Tenko ci mise un po’ per elaborare quelle parole. «Ci proverò.»

Le tre erano ancora al tavolo quando D’Jagger, Sigurd e Shamiram le raggiunsero. Il goblin era tutto sudato per via del tempo speso a suonare il suo tamburo alla luce dei bracieri.

«Freyja, abbiamo ultimato la scansione della città, e l’Ascia non è qui» spiegò Shamiram. «Pensavamo di partire domani, così il nostro bardo può finire il suo concerto infinito.»

«Farò un gran finale epico!» garantì il goblin.

«Quindi… ve ne andate?» Tenko non riuscì a nascondere una nota di dispiacere.

«La nostra missione qui è finita» confermò Shamiram. «E loro devono tornare a casa» sottolineò accennando a Freyja e D’Jagger.

La demone chinò il capo. «Sì, è vero.»

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma in quel momento non se la sentiva. E poi che senso aveva rivelare a Sigurd ciò che provava se tanto lui se ne sarebbe andato comunque?

«Oh, finalmente siete tutti insieme!»

Tutti quanti si voltarono verso la voce, trovando un orco dal sorriso ampio e lo sguardo indecifrabile.

I sei si scambiarono qualche occhiata interrogativa, ma nessuno parve riconoscere l’uomo che avevano davanti. Eppure non aveva l’aria di essere una persona comune.

«Questo sarebbe un buon momento per un flashback dove ci ricordi chi sei» ammise D’Jagger.

«Mmh, non credo funzionerebbe, dato che non ci siamo mai incontrati» rifletté l’orco. «O almeno voi non mi avete mai incontrato. Comunque vi ho tenuto d’occhio e tu, D’Jagger, sei quello che mi sta più simpatico, quindi continua così.»

«Lo farò» gli assicurò il goblin.

«E per quanto riguarda Lunaria: non dargli tregua» proseguì lanciando un occhiolino alla fata.

La diretta interessata, che alla comparsa dell’orco si era subito nascosta dietro Freyja, si limitò a scrutarlo con sospetto.

«Poi abbiamo la poliziotta Freyja. Non ho fatto nulla di illegale, per la cronaca. E Tenko… Ooh, non mi stupisce che le Furie ti abbiano dato la loro benedizione! Sigurd… Beh, se Tyr ti rispetta, devi essere un tipo tosto. E Shamiram di Babilonia.» Le rivolse un breve ma raffinato inchino. «Dal vivo sei molto più bella di quanto dicono.»

L’umana parve apprezzare il complimento, ma non abbassò la guardia.

«E per quanto riguarda me…» Fece una giravolta e i suoi abiti ordinari si tramutarono in una ricercata toga bianca ricca di minuscoli dettagli che nulla avevano a che fare con lo stile degli orchi. Fece un altro inchino più profondo del precedente. «Sono Loki, figlio di Farbauti, e sono qui per aiutarvi.»

«Come?» volle sapere Sigurd. Dal suo tono si percepiva tutta la sua diffidenza.

Il sorriso del dio si allargò. «Facile: perché so dove sono andati gli dei. E anche l’Ascia, per la cronaca.»

«Dove?!» esclamò Tenko.

«Prima rispondi a un’altra domanda» intervenne Shamiram. «Perché il dio degli inganni dovrebbe aiutarci?»

Il sorriso di Loki rimase ampio, ma adesso i suoi occhi erano iniettati di sangue. «Ancora più facile: perché voglio vedervi uccidere nel modo più atroce possibile i mandanti dell’assassinio di mia figlia.»


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Capitolo 43
*** Epilogo ***


Epilogo

L’astronave invisibile era pronta a partire. Ma c’era ancora tempo per gli ultimi saluti.

Da una parte c’erano Shamiram, Sigurd, Freyja, D’Jagger, Lunaria e Tenko. Dall’altra Havard e Zabar.

«Fai attenzione» si raccomandò l’ex chierico alla demone. «E… beh… buona fortuna.»

«Grazie. Anche a te.»

Zabar la studiò un attimo, incerto se spingersi oltre. Fu Tenko ad anticiparlo e a stringerlo in un abbraccio fraterno.

«E grazie anche per… tutto» esalò la giovane, gli occhi lucidi. «Non ce l’avrei mai fatta senza di te.»

«Vale anche per me. Grazie, Tenko.»

Mentre i due demoni si salutavano, gli altri ne approfittarono per congedarsi da Havard.

«Non mi dimenticherò di tutto quello che avete fatto per aiutarmi» assicurò il pallido. «Se avrete bisogno di qualcosa nelle mie possibilità, sentitevi liberi di chiedere.»

«Adesso che ci penso, quindi ho aiutato a salvare il mondo!» realizzò D’Jagger. «Aah, questo lo metto nel curriculum! E al primo posto!»

«Puoi essere un grande sovrano, quindi ricordati di pensare al bene del tuo popolo» si raccomandò Freyja.

«Lo farò.»

«Beh, mal che vada possiamo sempre tornare e salvare il mondo di nuovo» ironizzò il goblin. «Pensate che bel colpo di scena per il sequel!»

Le parole di D’Jagger fecero calare il silenzio.

Dopo qualche interminabile momento, fu Tenko a farsi avanti e a tendere la mano verso Havard. «Non diventare come gli dei.»

Il figlio di Hel le strinse l’avambraccio. «Mi sei stata di grande aiuto, e ti sei guadagnata il mio rispetto.» Fece una breve pausa. «È una fortuna che ci siamo conosciuti così.»

La demone lo fissò con intensità. «Già.»

Forse fu solo un’impressione, ma per un attimo a Zabar parve di intravedere il drago d’ossa di Havard e la soffiamorte di Tenko che si scambiavano sguardi minacciosi.

«È ora di andare» affermò Shamiram. «Tra poco la città si sveglierà.»

Gli altri annuirono e cominciarono a salire a bordo.

«Tu non ce la fai proprio a tacere, eh?» sbottò l’umana a bassa voce in direzione di D’Jagger.

«Torna presto» si raccomandò Zabar.

«Lo farò» gli promise Tenko.

Il portellone si chiuse e il velivolo spaziale si sollevò dolcemente dal suolo.

«Wow, quindi lo stiamo facendo davvero!» esclamò D’Jagger, entusiasta.

«Non esaltarti troppo, per ora vediamo se sono davvero dove ha detto Loki» ribatté Shamiram.

«Come faccio a non esaltarmi?! Gli Eletti sono tipo… dei super ricercati! Nemmeno la polizia sa dove si nascondono!»

Tenko guardò verso Sigurd. «Non sarà facile farla pagare agli dei, vero?»

«Per niente. Gli Eletti sono molto potenti, e mi preoccupa capire quali affari li abbiano spinti ad allearsi con gli dei. Forse gli Eletti sono interessati al tuo pianeta. Ma comunque nessuno è invincibile, e faremo tutto il possibile per fermarli.»

La demone annuì.

La sua guerra non era ancora finita.

***

La grande nave attraccò lentamente sul pontile di legno, e una nutrita schiera di faunomorfi si mise al lavoro per scaricare sacchi, casse e barili di ogni dimensione.

Uno di loro scese dalla nave portando con sé solo una misera sacca da viaggio. Aveva il fisico cicciotto, la barba folta e i capelli un po’ disordinati da cui spuntavano due orecchie orsine.

Icarus si guardò intorno, felice di essere finalmente tornato a Meridia: lì Havard non sarebbe mai riuscito a trovarlo.

Si aggiustò in spalla la sua sacca – contenente provviste, i suoi appunti, e tutti i soldi che gli erano rimasti – e cominciò a cercare un mezzo di trasporto.

Ora che era di nuovo a casa e che non c’era più il Clero a controllarlo, poteva riprendere la sua ricerca. Quello era l’inizio di una nuova era, e anche lui avrebbe dato il suo contributo.

***

Nella stanza spartana ma luminosa si levò una melodia eterea, accompagnata da un ologramma: “Chiamata in arrivo. Mittente sconosciuto.”

La donna dai capelli argentei spense il device su cui stava leggendo e rimase un attimo pensierosa.

«Rispondi.»

La melodia si interruppe e venne stabilita una linea di comunicazione con il mittente sconosciuto.

«Le biomacchine sono arrivate a destinazione» affermò la voce dall’altra parte, una voce di donna. «Siamo sulla New Queen Anne’s Revenge[28]. Stiamo indagando per individuare gli altri loro nascondigli, ma ci servirà una mano per catturarli.»

Rossweisse rifletté in silenzio per qualche secondo. «Farò qualche chiamata.»

«Fai attenzione» si raccomandò Priscilla, «gli Eletti potrebbero avere infiltrati anche tra voi Cavalieri.»

La Valchiria Millenaria stava per ribattere, ma la chiamata si interruppe.

Fece un verso di stizza. «E poi si stupisce se Cavalieri e Ombre non vanno d’accordo!»



Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così siamo arrivati alla fine anche di questo racconto. Gli dei sono fuggiti e Havard ha ottenuto ciò che voleva, ma per il pallido questo è solo un nuovo inizio: l’era degli dèi è finita, e ora inizia quella dei re. O meglio: dei sei Re e dei loro Gendarmi ;)

Chi invece non ha ancora raggiunto il suo obiettivo è Tenko. La demone temeva di dover rinunciare alla sua vendetta, ma l’inaspettato intervento di Loki ha dato a lei e agli altri una nuova occasione. Ma si possono fidare del dio degli inganni? Per ora posso solo dire che le sue motivazioni sembrano solide ^.^"

E adesso? Davvero i nostri affronteranno un nemico potente e organizzato come gli Eletti? Si deciderà Tenko a farsi avanti con Sigurd? E cosa faranno D’Jagger, Freyja, Shamiram, Spartakan, e tutti gli altri? Non ci resta che scoprirlo nel prossimo racconto: L’Eredità degli Astrali, che concluderà il primo arco narrativo della nuova cronologia.

Prima di salutarvi, ringrazio la mia beta Hesper che mi ha aiutato anche in questo racconto, e ringrazio anche tutti voi che avete letto ^.^

Il prologo e il primo capitolo di L’Eredità degli Astrali usciranno tra due settimane, quindi non mancate ;D

A presto!


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[28] La Queen Anne’s Revenge è stata una delle navi del pirata Edward Teach, noto anche come Barbanera.

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