La Luna e il Tempo

di ordnassela
(/viewuser.php?uid=947942)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova casa - Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Una nuova casa - Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Angels' Mountain - parte 1 ***
Capitolo 4: *** Angels' Mountain - Parte 2 ***
Capitolo 5: *** Angels' Mountain - Parte 3 ***
Capitolo 6: *** La nuova alunna - Parte 1 ***
Capitolo 7: *** La nuova alunna - Parte 2 ***
Capitolo 8: *** La nuova alunna - Parte 3 ***
Capitolo 9: *** Halloween - Parte 1 ***
Capitolo 10: *** Halloween - Parte 2 ***
Capitolo 11: *** Halloween - Parte 3 ***
Capitolo 12: *** La festa - Parte 1 ***
Capitolo 13: *** La festa - Parte 2 ***
Capitolo 14: *** La festa - Parte 3 ***
Capitolo 15: *** Arrivo - Parte 1 ***
Capitolo 16: *** Arrivo - Parte 2 ***
Capitolo 17: *** Arrivo - Parte 3 ***



Capitolo 1
*** Una nuova casa - Parte 1 ***




CAPITOLO 1
Una nuova casa - Parte 1


 
La macchina viaggiava veloce mentre le prime luci dell’alba illuminavano le punte dei pini circostanti. Nel bosco si era formata la tipica nebbia mattutina, che rendeva le piante grigie di rugiada e rilassanti alla vista.
 
Luna si stava perdendo il momento, troppo impegnata a cercare di caricare il suo laptop con la batteria dell’automobile.
La sorella, al volante, di tanto in tanto gettava lo sguardo sui sedili posteriori controllando la ragazza. Ogni volta che il suo sguardo si posava sull’adolescente il suo cuore si rattristiva sempre più.
 
Avevano perso i genitori da un mese e le sorelle avevano reagito alla tragedia in modo totalmente diverso l’un l’altra.
La maggiore, ormai indipendente, non sembrava aver risentito molto della perdita. Quando seppe la notizia, i suoi occhi si riempirono di lacrime, ma accettò la cosa velocemente, forse anche troppo. Disse a tutti che ormai erano anziani e che non aveva mai avuto un bel rapporto con loro, quasi come scusa alla sua costante agiatezza.
Così, la giovane donna dovette prendersi cura della sorella, quasi come una madre.
 
A Luna non piaceva affatto sua sorella, la vedeva di rado e i ricordi più belli con lei erano di una decina di anni prima. Quando rientrò nella sua vita, Luna era diventata una ragazza riservata e piena di tristezza repressa, che trasformava in rabbia verso la sorella.
La vita della sedicenne era stata stravolta dalla morte dei genitori, aveva smesso di praticare sport e di studiare. Passava le notti insonne a suonare il suo violino, mentre dai suoi occhi blu notte scendevano lacrime ricolme di malinconia.
 Tia, così si chiamava la sorella maggiore, decise allora di ricominciare tutto da capo, andando ad abitare nella vecchia villetta dei nonni materni in montagna, ereditata dopo la loro morte, qualche anno prima. Lì avrebbero entrambe ricominciato una nuova vita, anche se a Luna non interessava affatto.
 
L’auto proseguì per qualche ora silenziosamente. Si sentiva soltanto lo sfregare degli pneumatici sull’asfalto, finché Tia non parlò.
“Va tutto bene là dietro?”
Luna non rispose, ma guardò contrariata la sorella.
“So che non vorresti trasferirti, ma servirà ad entrambe. Io troverò un lavoro meno impegnativo per avere più tempo libera, per la casa, e tu… potresti farti degli amici nella nuova scuola.”
Tia cercò di tirare su il morale della sorella, Luna la ignorò.
“Fra quanto arriviamo? È da ore che non scendo da questo catorcio.”
La voce fredda e saccata di Luna fece sorprendere l’autista “Oh! Allora sai parlare!” disse Tia ridacchiando dolcemente.
“Ci manca ancora circa un’ora, ma pensavo di fermarci in un’osteria poco fuori città, per sgranchirci le gambe.”
L’idea allettava molto Luna “Fa’ come vuoi.” disse, non volendo mostrare interesse.
Passò qualche altro minuto, in assoluto silenzio, finché non arrivarono alla locanda.
 
Il locale era impregnato di un odore dolciastro, simile a camomilla. La luce che entrava era offuscata dalle tapparelle gialle, creando un’atmosfera calma e accogliente.
Il luogo era deserto.
“Buongiorno!” salutò il barman da dietro il bancone.
L’uomo avrà avuto poco più di vent’anni e aveva la corporatura da giocatore di football. I capelli biondi, non molto curati, e la corta barba, gli davano un aspetto poco rassicurante.
I suoi occhi gentili, azzurri come il cielo, e la sua voce profonda e confortevole, davano l’impressione diametralmente opposta.
 
Tia ordinò un thè e una brioche per entrambe. Poco dopo, un’anziana signora uscì dalla cucina portando con sé un vassoio con l’ordine, dirigendosi al loro tavolo.
Luna si stava godendo il Wi-Fi gratuito del locale, guardando alcuni post su Instagram.
Tia soffermò la sua attenzione sulla signora.
“Scusi, lei è la signora Woodstock?”
L’anziana signora guardò le ragazze con la faccia crucciata, poggiando le brioches e i thè sul tavolo. Luna non capiva cosa stesse succedendo.
“…Tia? Da quanto tempo!”
La signora Woodstock la abbracciò affettuosamente.
“È bello rivederti dopo tanto!” disse, tornando composta.
 
Le due donne parlarono per un po’, Luna non stava seguendo la conversazione e fu colta di sorpresa quando venne chiamata.
“Tu devi essere Luna! Non so se ti ricordi di me, non ci vediamo da quando eri alta così.”
Mise la mano sinistra davanti a sé, indicando un’altezza praticamente uguale a quella del tavolo su cui c’era il vassoio. Luna le rispose imbarazzata.
“No, non ho molti ricordi della mia infanzia.”
Sistemò con la mano i suoi capelli dietro l’orecchio e distolse lo sguardo dalla cuoca.
“Oh! Tranquilla cara, non sai quante volte succede a me di dimenticare qualcosa.”
Cercò di rincuorarla la signora Woodstock, scoppiando in una breve risata acuta che fece ridere anche le sorelle.
“Ah! Quasi dimenticavo di chiederlo! Allora, cosa porta voi fanciulle da queste parti?”
Luna evitò di rispondere. Ci pensò sua sorella a farlo.
“Siamo qui perché abbiamo deciso di trasferirci, sa, nella vecchia casa dei nonni, quella nel bosco. La montagna è un posto perfetto per prendere una boccata d’aria fresca e per allontanarci dal caos della città. Penso possa capire, ci serviva un posto tranquillo dopo quello che è successo…”
Luna riprese in mano il cellulare, cercando di non ascoltare il discorso, ma le sue orecchie sentivano più di quanto volesse. La signora Woodstock aveva uno sguardo interrogativo.
“I nostri genitori hanno avuto un incidente un mese fa… non ce l’hanno fatta.”
Tia cercò di non sembrare troppo impassibile, benché la cosa non la colpisse granché.
“O cielo! Non ne avevo idea, mi dispiace così tanto.”
La cuoca si sedette davanti alla sorella maggiore, appoggiando la sua mano sopra quella della giovane donna.
“Le mie condoglianze.”
“Stia tranquilla, stiamo bene ora.”
“Ma non posso mica far finta di nulla davanti ad una cosa simile! Sappi che se ti serve qualcuno con cui parlare, io sarò sempre disponibile. E, dato che non posso lasciarvi così, sappiate che da oggi in poi potrete prendere quello che volete da qui, offrirà tutto la casa!”
“È gentile, ma non c’è bisogno di tanto, siamo a posto così. Glielo giuro.” Rispose Tia imbarazzata.
“Figurati! Farei questo e molto altro per voi due. Siete come delle figlie per me, soprattutto te signorina!”
“Grazie, ma le posso giurare che noi non…”
“Ah! Non dire nulla! Sappi che qualsiasi cosa dici, io non mi fermerò! Anzi, ora che ci penso, se ne avreste bisogno sappiate che mio figlio, Tom, potrà aiutarvi con ogni lavoro di ristrutturazione della casa e del giardino! E dammi del tu, non siamo mica estranei!”
La signora parve soddisfatta di quello che era riuscita a dire, mentre il figlio, da dietro il bancone, si incupiva al solo pensiero che avrebbe avuto altri impegni oltre ai suoi tre lavori attuali.
“Ora penso sia meglio che vi lasci gustare la vostra colazione. Buon appetito!”
 
Il thè era ancora caldo e iniziarono a berlo nel silenzio del locale.
Mangiarono tranquillamente.
 
“Quanta strada dobbiamo ancora fare?” chiese Luna, con le gambe talmente tanto intorpidite che non vedeva l’ora di alzarsi.
“Ci manca ancora qualche chilometro, dopo di che saremo a casa.”
“Sì, a casa…”
Luna non voleva vivere lì, era la casa dei suoi nonni e dove era cresciuta sua madre. Temeva che, andando in quel luogo, la tristezza l’avrebbe sopraffatta. Tia aveva notato che gli occhi di Luna si facevano sempre più pensierosi.
“L’agenzia dei traslochi dovrebbe essere già arrivata, quindi, potremmo iniziare a svuotare gli scatoloni appena arrivate, non sei felice?” ironizzò ridendo.
“Ha. Ha. Ha. Molto divertente. Ora sì che ho voglia di ripartire.” disse Luna, guardando sbeffeggiante la sorella. Sospirò.
“Su, finiamo di mangiare. Prima arriviamo, meglio è.”
“Sì, questo è vero.” confermò Tia, dando un enorme morso alla brioche e facendo un goffo sorriso ricoperto di zucchero a velo.
 
Finirono il pasto e Tia ringraziò calorosamente la signora Woodstock, la quale insistette perché accettassero le due brioches che gli stava dando.
“È scortese rifiutare un regalo!” disse.
Non sapendo più come controbattere, Tia prese la busta con i dolci e salutò la cuoca e il figlio. Luna non aprì bocca. Entrarono in auto.
“Hai riperso la lingua, tu là dietro?”
Luna la ignorò.
“Va bene… mi tocca tirar fuori l’artiglieria pesante.” disse Tia bisbigliando.
Luna alzò gli occhi sulla sorella che riprese a parlare sogghignando.
“Però erano simpatici, non è vero piccola Lu?”
“Non chiamarmi così! Non sono una bambina!”
“Eppure, da come ti comporti lo sembri. Non pensi, piccola Lu?”
“Ti ho detto di non chiamarmi così!”
“Continuerò finché non ti comporterai in maniera matura, capito piccola Lu?”
Continuava a dirlo usando la stessa voce che avrebbe usato con un poppante. Luna non la sopportava.
“Uff! Sì, erano simpatici. Ora smettila di chiamarmi in quel mod?!”
“Mi ritengo soddisfatta, quindi la smetterò, sorellina.”
Luna la guardò male, ma aveva ottenuto quello che voleva. Decise di mettersi le cuffie per non sentire più la sorella e rilassarsi ascoltando le composizioni del suo componitore preferito: Vivaldi.
Tia mise in moto l’automobile e partirono verso la loro nuova casa.
 
Passò meno di un’ora prima del loro arrivo. Il sole era ormai alto in cielo. Si poteva sentire il ticchettare dei picchi in cerca di cibo tra la corteccia degli alberi.
Tia parcheggiò l’auto nel viale di ghiaino.
“Che bello poter essere di nuovo qui! Da bambina volevi sempre andare a trovare i nonni per andare sulla loro altalena, ricordi?”
“Ora è solo una vecchia casa abbandonata.” sbuffò Luna, senza aver ancora distolto gli occhi dallo schermo del cellulare.
“Sarà così… ma a me piace lo stesso!” rispose Tia, uscendo dall’auto.
Luna la seguì sul terreno sassoso.
Quando alzò gli occhi alla casa, le parve che il suo sguardo non avrebbe mai raggiunto la cima. Rimase a bocca aperta davanti a quella meravigliosa villa bianca.
‹‹Wow…›› pensò Luna.
Si accorse di averlo anche detto ad alta voce dato che Tia si era voltata e, con soddisfazione sul volto, la stava guardando. Per fortuna non disse nulla.
Attraversarono il portone di quercia con le valigie tra le mani. L’ingresso era più piccolo di quanto Luna ricordasse, ma pur sempre imponente. Non c’erano più i quadri comprati dal nonno decenni prima, durante le sue avventure. Le pareti erano totalmente spoglie. I muri bianchi si innalzavano per almeno sette metri, collegandosi ad un enorme lampadario in vetro arancione, sul quale si rifletteva la luce del sole che filtrava attraverso il rosone, sulla facciata della villa.
Rappresentava il giorno e la notte, a metà, quasi fossero una cosa sola. Un’idea di loro mamma.
Luna provò un enorme senso di rilassamento e improvvisamente si rese conto di essere esausta, non desiderando altro che un letto.
“Allora, è ancora solo una vecchia casa abbandonata?”
“Non lo è solo se c’è un buon letto…” rispose Luna, tastandosi la schiena indolenzita “…qual è la mia camera?”
“Hah! Una casa così grande e a te interessa solo una camera? Che generazione, la tua!” ridacchiò Tia.
“Per tua fortuna ne avevo già scelta una apposta per te, ma dovrai fare un paio di rampe di scale…”
“Allora mi accontenterò del divano, se c’è.” disse Luna, dirigendosi verso il salotto in ricerca del sofà.
Venne bloccata dalla sorella, che la afferrò per un braccio, trascinando Luna e il tappeto su cui era posata con tutto il suo peso.
 
“Su! Su! Se ce la faccio io, non vedo perché tu non debba riuscirci!” guardò sorridente Luna.
Le toccò obbedire alla sorella e la seguì per almeno tre rampe di scale. Andando oltre il primo piano la scalinata si fece più stretta e saliva a mo’ di chiocciola.
“Mi vuoi rinchiudere in soffitta?”
“Non sarebbe una cattiva idea, ma purtroppo temo venga considerata una cosa leggermente illegale.” rise “Sta tranquilla, ti sto portando in un posto molto più bello.”
Si fermarono davanti ad una porta. Tia si mise dietro a Luna e le posò le mani sugli occhi.
“Che stai facendo?” chiese Luna irritata.
“Voglio farti una sorpresa! Quindi, per favore, non aprire gli occhi finché non saremo nella stanza!” Luna sospirò, stando al gioco della sorella “Va bene.”
Sentì la porta aprirsi, fece qualche passo avanti, nel buio. Il pavimento era morbido, probabilmente era coperto da una moquette o da un tappeto. La stanza era fresca, eppure Luna riusciva a sentire la luce calda del sole sulla sua pelle.
 
“Ora puoi aprirli!”
 
Le pupille di Luna vennero inondate dai raggi del sole, costringendola a farsi ombra con il braccio. Appena si abituò alla luce, riuscì a distinguere i particolari della camera.
La stanza era quasi completamente arredata, aveva una forma circolare ed era molto spaziosa. C’era un armadio in legno accanto alla porta, affiancato da una scrivania con delle mensole appese, poco più sopra.
Uno specchio alto circa due metri rifletteva la luce in faccia a Luna, che entrava da una delle due finestre situate alle estremità della stanza. Appena vide il letto, si tolse velocemente le sue scarpe in tela rosse, lanciandole via, e vi si gettò sopra. Era morbido e setoso, il più comodo che avesse mai avuto.
Si stava rilassando così tanto che per poco non si scordava di Tia. Si mise seduta.
“Ora puoi andare.” disse freddamente.
“Eh ehm! Non si dice nulla in questi casi?”
Luna la guardò interrogativamente.
“Certo che i tuoi genitori non ti hanno proprio insegnato nulla!”
“Erano anche i tuoi genitori…” la rimbeccò tristemente la ragazza, Tia sorrise.
“È vero, ma almeno a me hanno insegnato a ringraziare.” Disse, rifacendo emergere la sua gentilezza comica.
Dagli occhi di Luna, fino alle sue guance, iniziarono a scendere delle lacrime. Si voltò, coprendo il volto con i capelli.
“L’avevano insegnato anche a me, erano troppo buoni per non farlo…”
La sua voce si faceva sempre più fievole. Tia le sedette accanto, stringendo Luna a sé come una madre farebbe con il proprio figlio.
Luna scoppiò in lacrime e si dimenò dall’abbraccio della sorella, alzandosi in piedi, continuando ad evitare il contatto visivo con lei.
“Tu non sei la mamma! E non potrai mai sostituirla! Qualsiasi cosa tu stia cercando di fare non serve a nulla! Tu non servi a nulla!”
Gli occhi di Tia divennero lucidi.
“Luna io non…”
“Fuori! Va’ fuori!”
I continui singhiozzi di Luna rendevano le sue parole quasi incomprensibili.
“Per favore…”
Fu l’ultima cosa che disse, prima di non riuscire più a parlare sopraffatta dalle emozioni.
Tia uscì dalla stanza guardando quasi con pietà la ragazza, ora piangeva anche lei. Chiuse la porta, dalla quale non venne nessun rumore.
 
Luna rimase sola col suo dolore, a non riuscire a far altro che piangere.
“Mamma, papà!”
Si lasciò cadere sul letto, sprofondando con la faccia nel cuscino.
I suoi genitori erano tutto quello che avesse mai avuto. Da piccola non si trovava bene con gli altri bambini, quindi, i suoi genitori, abituati allo studio autonomo, preferirono farle da insegnati a casa.
Questo era il primo anno che passava in una scuola vera. Avrebbe voluto chiedere una marea di cose ai suoi genitori, ma poco dopo l’inizio dell’anno scolastico vennero a mancare.
 
I ricordi dei bei momenti passati in famiglia, e la stanchezza, la trascinarono in un sonno profondo, dal quale pensava di non svegliarsi più.



___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 
CARO LETTORE,
grazie per aver letto il primo capitolo di questa storia, vuol dire molto per me. Sono nuovo a questo sito e anche alla pubblicazione online dei miei scritti, quindi, sto sperimentando ancora molto in cerca della soluzione ottimale per rappresentare e suddividere il testo. Mi scuso di eventuali cambi in futuro.
Sto rendendo i capitoli più corti, così magari potranno uscire più spesso e saranno più fluidi da leggere. Ci terrei a ricevere commenti, critiche e suggerimenti riguardo al mio racconto così da poter migliorare e paragonarmi con persone che hanno la mia stessa passione, i libri.
Ho modificato l'html perché ho notato che da cellulare si vedeva abbastanza male, scusate spero di aver sistemato!
Grazie ancora di star leggendo il mio racconto.
E grazie in anticipo a chi si prenderà qualche minuto per scrivere una recensione.
Buona giornata e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una nuova casa - Parte 2 ***




CAPITOLO 1
Una nuova casa - Parte 2



 
Riaprì gli occhi, le sembravano passati pochi minuti, eppure il cielo era buio e lei si sentiva riposata come se avesse dormito per un giorno intero. Le bruciavano ancora gli occhi dal pianto, accese lo schermo del cellulare abbassando la luminosità per vedere meglio. Erano le dieci e mezza di sera e Luna non aveva nulla da fare, non le restava che esplorare la stanza.
Si diresse alla scrivania e accese la lampada da tavolo che le fece notare l’unico oggetto presente su di essa, una cornice. La osservò lentamente, alla destra della foto c’era una signora con aria gentile, chiara in tutto: capelli, pelle e vestiti, a Luna ricordava molto sua sorella.
La signora guardava sorridente un uomo alla sinistra della foto, il quale aveva l’aspetto molto meno rassicurante, era alto con capelli e barba neri come la pece, ma con un sorriso amorevole rivolto alla bambina nel centro dell’immagine, Luna capì che si trattava dei suoi nonni ‹‹Quindi Tia ha preso tutto dalla nonna e io… dal nonno?›› rabbrividì al solo pensiero di diventare come quell’uomo truce e rugoso. In fine guardò la bambina, aveva finito le lacrime, eppure il suo cuore si colmò di tristezza “Mamma…?” la parola rimase sospesa nell’aria come in cerca di risposta ma Luna non si aspettava di riceverne una realmente “Sì??” una voce infantile si propagò dal centro della stanza. Luna si voltò di scatto, non c’era nessuno. Il cuore della ragazza batteva all’impazzata ‹‹Un’allucinazione?›› cercò di convincersi che la voce fosse frutto della sua immaginazione e che in realtà fosse ancora mezza addormentata, stava tornando a dormire anche se l’inquietudine persisteva in lei. La voce ritornò “Vai di già a dormire? Non vuoi continuare a giocare a nascondino con me?” sentì dei piccoli passi dalla soffitta seguiti da una breve risata.
Luna indietreggiò lentamente verso la porta e in quello si accorse che di fianco al suo letto vi era una scala a pioli che comunicava direttamente alla soffitta ‹‹C’era quella scala prima? Ma a chi importa, ora ho un modo per raggiungere quella bambina insolente… se esiste›› Luna stava iniziando a dubitare della sua sanità mentale quando la risata ricominciò a diffondersi nella soffitta. Quella voce non poteva che essere vera, doveva essere vera! Luna si fece coraggio e iniziò a salire silenziosamente la scala, arrivata in cima rimosse la botola sopra di lei entrando nella soffitta. La soffitta era la punta della torretta della villa, il tetto conico aveva un’unica finestra dalla quale si riusciva a vedere la luna piena brillare nel buio ed illuminare l’intera stanza.
Luna non aveva mai avuto una soffitta, avendo sempre abitato in appartamento, ma aveva sempre visto film che le rappresentavano buie, polverose, piene di ragni e oggetti inquietanti, spesso maledetti, eppure quella stanza, sebben disordinata, era probabilmente la più pulita della casa. Luna si fece spazio fra i vari cumuli di scatoloni sigillati nella stanza cercando chi le aveva parlato, bensì ci fosse la superficie lunare ad illuminarle la strada della bambina non c’era neanche l’ombra. “Dove diavolo sei, stupida bambina?!” Luna iniziava a sentirsi frustrata dalla situazione e smise di prestare attenzione al pavimento inciampando su una vecchia cassetta degli attrezzi che si aprì facendo cadere, oltre Luna, tutto il suo contenuto creando un frastuono che avrebbe svegliato un intero isolato.
La ragazza cercando di attutire la caduta con le braccia si era slogata il polso sinistro ‹‹Perfetto! Ci mancava solo questa, almeno non sono mancina›› pensò Luna mentre si tastava il polso. Improvvisamente nel silenzio scoppiò una risata in risposta alla buffa caduta di Luna, la quale ne approfittò e corse dritta verso la voce “Ti ho presa, impertinente!” svoltò l’ultima montagna di scatole prima della fine della stanza e… nessuno. Aveva girato ogni angolo di quella soffitta, eppure non c’era anima viva, nemmeno la traccia del passaggio di qualcuno, a parte quello che si era appena trovata di fronte. C’era una vecchia scrivania con solo un libro sopra e due candele a far luce per aiutare la lettura. Luna sconsolata si sedette su una scricchiolante sedia di fronte alle candele
‹‹Sono davvero così stanca da sentire le voci? Oppure sto solo impazzendo, cosa molto più probabile››
sospirò affrancata e nel mentre i suoi occhi si perdevano nella fiamma delle candele la sua mente iniziava a dare segno di stanchezza. La sinuosa fiamma aveva catturato tutta la sua attenzione e iniziava a portarla nel mondo dei sogni, le palpebre si stavano facendo sempre più pesanti e cercando di trovare un appoggio per la testa dove dormire tranquillamente la sua mano destra toccò qualcosa sulla scrivania: il libro!
Se n’era completamente dimenticata ma ora che ce l’aveva tra le mani la curiosità si stava facendo più forte della stanchezza. Il titolo del libro era “Inea…” Luna lesse quelle quattro lettere con spensieratezza e aprì il pesante manoscritto alla metà per capire direttamente di cosa parlasse:
 
 
La scomparsa di Alitia ebbe tremende ripercussioni sull’economia attuale nel regno, lei era il pilastro della società. Il decaduto pur sconfitto se la potò con sé e attraversò il portale destinato agli esiliati, egli andò nell’altro mondo. Gli ascesi rimasero in possesso di Yngarin la capitale del regno e di conseguenza anche di quest’ultimo, venne eletto un ministro di vecchi saggi con il solo scopo di subordinati in attesa del ritorno della Regina Alitia. Tutt’oggi gli ascesi mantengono la giustizia e sperano nel ritorno della loro Regina rapita dal temibile Re Onduras, l’ultimo Signore dei Draghi. Questa è l’antica storia de “l’esilio di Alitia e Onduras” eppure io posso decantare un’altra versione di questa storia. Durante la battaglia tra i decaduti e gli ascesi i rispettivi sovrani dei popoli s’innamorarono, il loro primo ed eterno amore. Onduras aveva predetto l’esito della guerra, sapeva che avrebbe vinto, è un innato stratega, infatti non sono ancora riuscita a batterlo a scacchi. Sapeva in anticipo ogni mossa dell’avversaria, vinceva battaglia su battaglia annientando qualsiasi cosa si ponesse sul suo cammino. Era un condottiero spietato, all’inizio. Subito dopo aver parlato con Alitia, la quale cercava un accordo di pace, il suo cuore si ammorbidì difronte alla bellezza e all’ingenuità della donna, d’altro canto pure lei iniziò a provare qualcosa per quel Re la quale voce era dolce come il miele e la pelle morbida come la seta. Erano due creature ancestrali che si riunivano dopo secoli dalla loro scesa sul continente di Inea, si potrebbe dire che erano destinati ad innamorarsi. Passarono la notte assieme e Onduras al suo risveglio accettò l’accordo il quale stabiliva di lasciare la capitale agli ascesi e i decaduti si sarebbero tenuti i territori già conquistati. Era perfetto per loro due, ma non per i loro popoli. Una parte di decaduti continuò l’avanzata ripudiando il loro Re, ritenendolo un codardo; finì in disfatta per quel popolo. Persero la guerra e i pochi decaduti rimasti vennero perseguitati, fu un genocidio. Alitia intanto aveva subito un colpo di stato da parte del suo generale, Korten, che riteneva pericoloso l’asciare in vita anche solo un bambino di quella specie, diede lui l’ordine di sterminio facendo credere a tutti che fosse stata la Regina a volerlo. Alitia riuscì a fuggire dal castello grazie ad alcune guardie che ancora seguivano i suoi ordini e si fidarono di lei. Venne scortata fino al castello di Onduras e l’avvisò del pericolo imminente. Korten aveva seguito Alitia assieme ad un gruppo di Cacciatori, fece uccidere tutti gli uomini, sia decaduti che ascesi. I due amanti, alle strette, decisero che se avessero dovuto morire l’avrebbero fatto assieme: usarono una pietra olam e si gettarono nel portale creato da essa rischiando di morire.
I due riaprirono gli occhi su un nuovo mondo a loro sconosciuto, fecero in fretta ad abituarsi agli usi e alle tradizioni del luogo, iniziarono a vivere assieme diventando parte integrante della piccola comunità di Angels’ Mountain.
Quindi, per chiunque stia leggendo queste mie parole: Sì! La ninfa dell’est e il diavolo dell’ovest sono ancora vivi, e si amano.
Ed io, colei che sta scrivendo queste blasfemie divertendosi, sono il frutto di esso. Io adoro mio padre Onduras e mia madre Alitia, li amo dal profondo del mio cuore in maniera imparziale. Mio papà può aver fatto cose cattive in passato, ma l’uomo affettuoso, che ama me e mia madre e che si esalta tanto per le partite di football, non è cattivo. Lo può confermare lo sguardo di mia mamma, che in questo momento posa su di lui, quegli occhi racchiudono l’amore di una madre verso suo marito che, sebben impacciato in cucina, si è svegliato presto per prepararci delle omelet. Queste piccole cose mi bastano per capire che il passato non è tutto e che le persone possono cambiare, spero bastino anche a voi…
 
 
La pagina continuava lunga e le scritte occupavano ogni suo angolo. Essendo scritto a mano Luna cercò di interpretare il libro come il manoscritto iniziale per una storia inventata, dato che, sebbene scritto a mo’ di diario, narrava avvenimenti fantastici mai avvenuti. La sua mente era ancora più stanca dopo quella lettura e le sue palpebre non riuscirono più a stare aperte ‹‹Sembra una storia giusta per papà, lui adorava i fantasy…›› fu l’ultimo pensiero che ebbe prima di cadere in un sonno profondo e buio.
La luce del giorno che entrava dalle finestre la svegliò e si sorprese nello scoprire che era nel suo letto e la scala per la soffitta non c’era ‹‹Che mi sia sognata tutto? Eppure, era così realistico…›› si mise seduta al bordo del letto afferrando il cellulare con la mano sinistra la quale cedette quasi subito dal dolore della slogatura lasciando cadere l’oggetto. Luna non ci stava capendo nulla, quello che aveva passato la notte prima era vero o un sogno? Ma se fosse stato un sogno come si era procurata un polso slogato? Aveva troppe domande per la sua mente ancora mezza addormentata. Raccolse il cellulare, erano le 10:13 del mattino. Era ancora vestita come quando era arrivata, si infilò svogliatamente le scarpe che erano buttate a lato della scrivania e, uscita dalla camera, iniziò a scendere la lunga rampa di scale che portava all’ingresso. Arrivata si trovò sotto il lucernario e notò enormi differenze nella casa, sembrava più in ordine e più pulita ‹‹Tia si dev’essere data da fare›› iniziava a ripensare a quello che le aveva detto il giorno prima ed i sensi di colpa la sommergevano, ma non poteva farlo notare dalla sorella, cercò di essere il più impassibile possibile e entrò nella cucina per mangiare qualcosa. Tia era là, sudata e con i suoi capelli argentei raccolti a coda di cavallo, in testa aveva un foulard che impediva il sudore di andarle in faccia ‹‹Persino conciata così riesce ad essere bella. Che schifo!›› Luna cercò di evitare la sorella dirigendosi al frigo in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, ma Tia era più preparata di lei “Buongiorno Luna” il suo sorriso pareva quello di un angelo benché avesse comunque un lato quasi di tristezza “Mi dispiace per ieri…”
Luna continuò a guardare dentro il frigo come se non avesse notato che era vuoto
“Senti, se la camera non ti piace puoi scegliertene una tu, quella che vuoi…”
Luna la guardò fredda per un istante “No, va bene quella che hai scelto per me, grazie.” Tia era stupita e compiaciuta della risposta della sorella
“Come hai potuto sentire me l’hanno insegnato, a dire grazie intendo.”
Tia rise serenamente “Sì, l’ho notato, in fin dei conti erano degli ottimi genitori.”
Al solo pensiero di sua mamma e di suo papà gli occhi di Luna si fecero lucidi e voltò la testa verso i ripiani della cucina distogliendo l’attenzione da sé “Non abbiamo nulla da mangiare?”
“A dir la verità abbiamo ancora le brioches della signora Woodstock.” tirò fuori la busta dell’osteria “La signora ci ha dato anche del latte, così facciamo una colazione intera!” iniziò ad apparecchiare la tavola, bianca di nuovo. Due piatti, due salviette, due tazze e un bicchiere “Ma tu non hai già fatto colazione? E poi a che serve il bicchiere?” Luna si sedette
Tia lo stava riempendo di latte proprio in quel momento “Io ho mangiato un frutto qualche ora fa, ora vorrei fare una vera colazione se mi è possibile.” prese il bicchiere in mano e si diresse alla porta d’ingresso “Questo è per il nostro ospite.” “Ospite?”
“Sì, è arrivato stamattina portando il latte ed è rimasto per sistemarci il tetto. Ha detto che sua madre ci teneva tanto che lo facesse!” Tia chiamò qualcuno che era nel loro giardino “Ehi! Che ne dici di una pausa e una bella tazza di latte fresco?” le rispose una voce maschile che Luna aveva già sentito, seguita da un rumore metallico di scale “Volentieri, grazie mille!” Tia ritornò in cucina e con lei c’era il figlio della signora Woodstock, anche lui sudato e con le maniche della camicia alla boscaiola risvoltate fino al gomito, sorseggiò il bicchiere di latte fresco con espressione sollevata. I due stavano chiacchierando tranquillamente come due vecchi amici, Luna si sentiva come il terzo incomodo in quel momento, almeno finché il ventenne non la vedette “Ehi, tu… sei Luna giusto? Buongiorno!” la salutò facendole un cenno alzando il bicchiere in segno di saluto. Luna non voleva avere nulla a che fare con lui, si alzò dandogli le spalle dirigendosi verso la credenza per prendersi un cucchiaino. Appena si rivoltò notò che la sorella la stava fulminando con lo sguardo allora sbuffò e si voltò verso il loro ospite “’Giorno.”
L’uomo notò la tensione fra le due sorelle quindi decise di finire in fretta il latte “Grazie Tia, ora però devo tornare fuori a continuare.” appoggiò il bicchiere sul tavolo e notò di aver sbagliato dato che lo sguardo di Tia era ancora più severo nei confronti della ragazza
“Non c’è nessuna fretta, puoi rimanere ancora un po’, no Luna?” gli disse Tia cercando di essere indifferente alla sorella che per l’ennesima volta la ignorò
“Tranquilla, ho ancora molto lavoro prima di sistemare il tetto, se non torno subito resterei qui fino a tardo pomeriggio.” detto questo uscì di casa con un sorriso imbarazzato e riprese il suo lavoro.
Tia si sedette al suo posto con la faccia più severa del solito e senza distogliere lo sguardo da Luna. La ragazza alzò gli occhi dalla tazza facendo la faccia più innocente che le venisse al momento “Cosa c’è sorellona?” Tia prese dei respiri profondi per tranquillizzarsi e poi le rispose “Perché devi sempre comportarti male con le altre persone?” si asciugò la fronte con il foulard, sembrava una domanda più rivolta a sé che a Luna “Che stai dicendo? Io l’ho anche salutato.” la faccia di Tia, solitamente pallida come quella della sorella, stava diventando color rosa acceso, per il caldo e per la frustrazione che aveva in corpo. Luna si stava divertendo come non mai nel vedere sua sorella in quello stato e, sovrappensiero, afferrò il manico della tazza con la mano sinistra dalla quale ebbe una fitta istantanea che le fece allentare la presa e rovesciare il latte sul tavolo, nascose il braccio sotto il tavolo. Luna stava per alzarsi per prendere qualcosa con cui pulire ma ancora una volta Tia l’aveva battuta sul tempo e, prendendole delicatamente il braccio, osservò il livido che luna si era procurata la sera prima “Come te lo sei procurata?” Luna abbassò il volto e non rispose.
Tia benché fosse preoccupata accettò il silenzio della sorella e si procurò immediatamente delle bende e la pomata per le contusioni. Luna aspettò in silenzio che la sorella la medicasse poi si alzò e prese della carta da cucina “Scusa, ora pulisco.” la voce di Luna era piena di dispiacere, persino dopo averla fatta arrabbiare tanto solo per divertirsi Tia l’aveva aiutata e l’aveva curata
“Lascia che ti aiuti.” Tia ora era dolce e tranquilla come sempre e si stava accingendo a prendere la spugna quando venne bloccata
“No, è colpa mia, sistemo io.” Tia non l’ascoltò e fece di testa sua. Luna non sapeva più come comportarsi con la sorella, ogni volta che faceva qualcosa per vederla dare di matto lei riusciva sempre a tranquillizzarsi e, spesso, ad aiutare Luna persino dopo che era stata maleducata.
Finalmente riuscirono a fare colazione, Luna si sentiva strana con il braccio fasciato ma cercò di farci l’abitudine “Quanto dovrò stare così?” mostrò il braccio alla sorella “Beh, penso ci vorrà almeno una settimana prima che potrai tornare a muoverlo come sempre.”
Luna sbuffò ‹‹Magnifico, così arriverò a scuola e sarò classificata subito come “la strana che si fascia il braccio” o “l’autolesionista”››
 
Passò mezz’ora e Luna aveva appena finito di riportarsi gli scatoloni del trasloco con le sue cose in camera e li stava svuotando quando fra i suoi vestiti trovò la bella custodia nera del suo violino, non poté far a meno di sorridere quando lo riprese in mano. Lo riaccordò, chiuse gli occhi, e come se non avesse aspettato altro per tutto il tempo iniziò a suonare: “La follia” di Vivaldi. Pensava che avrebbe rivisto nei suoi pensieri i genitori che tanto le mancavano, ma stavolta la sua mente non faceva altro che tornare alla sera prima, nella quale aveva fatto lo strano sogno, così realistico da essere impossibile considerarlo tale. Quel libro… di cosa parlava quel libro? Storie di re e regine antichi ma anche recenti, ma non era quello che la disturbava tanto. I suoi pensieri si muovevano all’unisono con le sue braccia e con il suono dello strumento, lisci come sul letto di un fiume ma impattanti come un’onda sugli scogli. Cos’era? Cos’era che la turbava tanto? Qualcosa che era scritto… no! Come era scritto! Quella calligrafia… la conosceva, ma di chi era? Di chi?!



___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

CARO LETTORE,
grazie per aver letto anche questo capitolo. Spero che la lettura finora vi stia intrigando o quanto meno intrattenendo!
Come sempre invito a lasciare critiche e commenti, così che io posa migliorare e, se siete scrittori, dare un’occhiata anche alle vostre storie.
Buona giornata e buona lettura!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Angels' Mountain - parte 1 ***




CAPITOLO 2
Angels’ mountain - Parte 1  



Fermò la bacchetta e con essa la musica tenendo gli occhi ancora chiusi. Stava cercando di ricordare quella calligrafia quando dall’ingresso della stanza sentì un piccolo plauso, era Tia che era rimasta ad ascoltarla per tutto il tempo “Wow, sapevo che suonavi ma non pensavo fossi così brava! Soprattutto ora che hai quel polso malandato! Ricorda che non dovresti sforzarlo.” Tia aveva ragione, il polso di Luna era dolorante, ma lei non aveva sentito quel dolore mentre teneva lo strumento, era talmente assorta nei suoi pensieri che non aveva sentito assolutamente nulla. Ripose il violino nella custodia “Si bussa prima di entrare!  Perché sei venuta fin quassù?”
“Ora che ho convinto Thomas che non deve finire tutto il tetto oggi, e che è tornato a casa, ho pensato di andare a fare delle compere nella città, qui vicino, abbiamo bisogno di cibo. Non sapevo se saresti voluta venire anche tu, ma se vuoi continuare ad esercitarti continua pure, solo… non sforzare troppo il polso.” Tia le sorrise e uscendo iniziò a chiudere delicatamente la porta della stanza.
“No, aspetta!” Tia si fermò ad ascoltare Luna “Lasciami il tempo di cambiarmi e poi possiamo partire.” Tia la guardò con occhi dolci e chiuse la porta. La ragazza si mise le prime cose che aveva trovato e che potessero stare bene assieme e si diresse all’atrio.
Le due sorelle salirono sull’auto “Tia, io vengo solo per vedere com’è il luogo, quindi… non penso che ti potrò aiutare con la spesa.” “Tranquilla, non l’avevo mai sperato. E il solo fatto che tu sia uscita lo ritengo un successo!” rise e accendendo il motore partì verso la città.
Dallo stradone circondato da nient’altro se non dal bosco, passati dieci minuti, si iniziò a vedere l’ingresso alla cittadina un’insegna che dà il benvenuto: “Benvenuti ad Angels’ Mountain” Luna fu stranita de quel nome ‹‹È lo stesso nome che era scritto sul libro! Sicuramente chi l’ha scritto doveva abitare qua…›› i suoi pensieri furono interrotti nuovamente dalla sorella “Pensavo di parcheggiare nella piazza del centro, ho fatto una piccola ricerca e lì intorno dovrebbero esserci molti negozi che vendono vestiti. Per oggi hai il permesso di fare un po’ di shopping, per prenderti qualche vestito prima che riprendi ad andare a scuola. Quindi non spendere troppo signorina, mi hai capita?” ammiccò scherzosamente alla sorella che ricambiò con uno sguardo incredulo e abbastanza schifato “Mi hai mai vista fare shopping?”
Tia le sorrise “Allora vorrà dire che andrai a scuola con i tuoi soliti vestitini vecchi e bucati!” stava osservando il vestiario di Luna da cima a fondo burlandosi dei suoi vestiti, Luna arrossì voltandosi verso il finestrino
“S-sono le prime cose che ho trovato. E comunque mi posso vestire come voglio!” cercò di giustificarsi
“Ma dato che insisti mi prenderò qualcosa, sappi che lo faccio solo per non fare brutta impressione non perché me l’hai detto tu!”
“Certo! Mettila come vuoi.” le rispose Tia ironicamente mentre cercava un parcheggio nella piccola piazza della cittadina. Appena ne trovò uno vi si fiondò subito sopra e scese dall’auto assieme a Luna. Prima di separarsi Tia fermò la sorella e, frugando nella propria borsa, prese un sottile mazzo di banconote che le porse “Questi sono per i tuoi vestiti, dovrebbero essere circa centocinquanta quindi devi stare attenta a non perderli, hai capito?” la ragazza accettò volentieri i soldi anche se il comportamento della sorella le sembrò molto strano “Ceeerto… ma per cosa sono?” “Per comprarti dei vestiti! Mi sembrava di avertelo detto…”
“Sì, ok, ma… ho fatto qualcosa per meritarmeli? Oppure stai cercando di comprare la mia felicità?”
“Non hai fatto assolutamente nulla per meritarteli! E non mi interessa una finta felicità creata dal denaro. Devi considerarlo più come un… anticipo! Esatto! Tra l’altro non lascerei mai andare la mia sorellina a scuola conciata così?”
“Un anticipo, eh? Come mai sei così sicura che me li meriterò?”
“Nessuna sicurezza! Solo una speranza!” dal volto di Tia si allargò il più dolce e ingenuo dei sorrisi “Bene, io vado a perlustrare il posto, tu vai dove vuoi ma ti consiglio calorosamente di andare in un negozio d’abbigliamento!” salutò e, dando le spalle a Luna, andò per la sua strada. La sedicenne si ritrovò a vagare per le sconosciute vie di quell’angusta cittadina osservando le vetrine decorate per Halloween dei negozi, in cerca di un luogo dove poter comprare qualche nuovo vestito. Si era allontanata abbastanza dalla piazza e ormai sentiva di essersi completamente persa, cercò di ritornare al punto di partenza ma le fu impossibile ‹‹Che diamine! Sembra di essere in un labirinto: è tutto dannatamente uguale!›› stava ribollendo di frustrazione per non avere idea di dove si trovasse e perché era la sesta volta che passava davanti alla stessa gelateria dove il gelataio le proponeva ogni volta il nuovo gelato alla zucca, anche se sceglieva sempre di cambiare percorso! Decise di fermarsi a mangiare il gelato alla zucca e ne approfittò per guardare in Internet la piantina della città, decise di raggiungere il negozio d’abbigliamento più vicino seguendo le indicazioni. Il gelato si stava sciogliendo velocemente, per essere ottobre quelle ultime giornate iniziavano ad essere calde come se fosse Estate.
Ad un certo punto Luna sentì molte voci in lontananza e vi si diresse incontro. Rischiò di perdersi altre tre volte e fece in tempo a finire il gelato prima di raggiungere la fonde del brusio ed il negozio di vestiti, poco distante da lì.
Le voci provenivano dalle classi del liceo di Angels’ Mountain, nonché l’unico liceo nell’arco di duecento chilometri. Le finestre erano aperte per via del caldo e tutte le voci si rigettavano nella strada di fronte ‹‹Magnifico, sarebbe questo l’inferno dove verrò stipata? Sembra un casermone abbandonato, orribile›› Luna osservò riluttante la scuola e non curante di dove posasse il suo sguardò si ritrovò ad osservare una delle classi del primo piano, erano tutti molto agitati all’interno e il professore sbraitava inutilmente dietro ai ragazzi, ma ad attirare maggiormente la sua attenzione fu una ragazza che stava tranquillamente appoggiata alla finestra dell’aula mentre fumava una sigaretta. La ragazza aveva i capelli verde acqua, impossibili da non notare, li teneva raccolti in una treccia ed erano molto curati. Luna la fissava con disapprovazione, odiava il fumo e detestava chiunque fumasse, ma di colpo la faccia rosea della giovane alla finestra si spostò su quella Luna, che rimase pietrificata dai suoi occhi grigi come la cenere e minacciosi come quelli di un predatore che ha trovato la sua preda. La ragazza lasciò cadere il mozzicone di sigaretta sul prato sottostante mentre rientrava sorridendo compiaciuta.
Luna ebbe per un momento la pelle d’oca ‹‹Non bastavano città e scuola orribili, anche le persone sono terrificanti. Spero solo di non ritrovarmi in quella classe›› distolse lo sguardo dalla scuola e riprese a camminare.
Raggiunse la vetrina del negozio dalla quale erano esposti costumi per l’imminente Halloween e maschere ‹‹Sarà veramente il luogo giusto?›› ricontrollò il cellulare e segnava che era a due metri davanti alla destinazione. Dopo un breve sguardo nei dintorni capì che era proprio lì che doveva entrare.
La campanella sulla porta echeggiò per il negozio, fin da subito Luna capì che quello non era il posto che stava cercando, era pieno come un magazzino e da qualsiasi parete, persino dal soffitto, penzolavano costumi di ogni genere, per Halloween, per carnevale e persino costumi usati nelle ricostruzioni di antiche battaglie, dal medioevo fino al ‘800. La ragazza fece per voltarsi ed uscire quando d’un tratto sentì un frastuono provenire da dietro uno scaffale, andando a controllare trovò una ragazza, avrà avuto la sua età, stava inginocchiata a terra e si stava tastando dolorante la testa “Ehilà! Tutto ok?” le chiese Luna.
Appena la giovane si accorse di essere vista si rialzò immediatamente cercando di sistemarsi i capelli ricci meglio possibile e, voltandosi verso Luna, annuì con la testa. Luna rimase abbastanza stupita dell’aspetto della coetanea ‹‹Che strana ragazza…›› pensò. Indossava una gonna corta azzurra ed una maglietta arancione scuro a maniche corte con lo sbuffo, aveva una foglia come fermacapelli, di un verde brillante che spiccava circondato dai riccioli dorati della giovane. Il volto liscio era la parte più particolare della ragazza, la pelle era scura da abbronzatura e sull’occhio sinistro aveva una benda, era simile a quella che solitamente hanno i pirati ma la sua era di soffice stoffa bianca.
La ragazza fece qualche gesto con le mani, sembrava il linguaggio dei segni, ma Luna non era molto portata in queste cose e si limitò a far intendere di non capirci un bel niente, scuotendo la testa. Vedendo che Luna non conosceva il linguaggio dei segni, la ragazza raccolse un taccuino e una penna da terra, dove prima era caduta, tese il braccio sinistro a Luna e con l’altro aprì il taccuino sulla prima pagina “Piacere, io sono Lothiel.” Luna lesse attentamente
“Che nome… particolare, ma mi piace! Poi io non posso certo giudicare, mi chiamo Luna!” sorrise a Lotiel e fece per stringerle la mano quando ricordò di avercela fasciata e la tirò indietro al suo fianco. Lothiel abbassò la mano e la guardò stranita “Scusa, mi sono fatta male, non farci caso…”  la ragazza rise, alzò le spalle ed indicò la sua benda come segno solidale, poi riprese il suo taccuino e iniziò a scrivere
“Sei nuova di queste parti?”
“Sì, sono qui con mia sorella solo da ieri. Stavo cercando un negozio dove comprare nuovi vestiti, ma mi sono imbattuta in questo negozio di travestimenti, è tuo?”
“Di mio padre, però lavoro sempre io. Se ti serve un costume per Halloween chiedi, facciamo anche consegne a domicilio, per favorire gli affari.” Lothiel le sorrise imbarazzata. Aveva una calligrafia facilmente leggibile ed era molto veloce a scrivere. Le diede un biglietto
“Se vuoi questo è il biglietto da visita, il numero scritto è il mio.”
“Grazie ma, senza offesa, non penso che indosserò un costume per Halloween. Non sono una bambina!” rispose Luna facendosi scappare un sorriso. Lothiel alzò le spalle e imperterrita le chiese dove abitava, continuò a scrivere “Scusa se chiedo tante cose, solo che mio papà si arrabbia se non lo faccio – è fissato con gli affari.”
“Fa’ nulla. Non conosco il nome della via, ma posso descriverti il posto. Sai, ora abito in quella vecchia, grande, casa bianca in mezzo al bosco poco fuori città, era dei miei nonni ma ora…” Luna si fermò quando notò che la pupilla di Lotiel si era ridotta ad una fessura e le stava scendendo una lacrima dall’occhio, sembrava terrorizzata. La pelle era diventata pallida e l’abbronzatura pareva scomparsa, iniziò ad accarezzarsi nervosamente i capelli nascondendoseli il più possibile dietro la testa. Si asciugò l’occhio e scrisse in modo agitato e disordinato “TU sei la nipote di quelli che abitavano là??” era agitatissima.
Luna non capiva la reazione della ragazza “Sì, perché...?” Lothiel scosse velocemente la testa e, quasi impazientemente, accompagnò Luna fuori dalla porta mentre scriveva un’ultima frase su una pagina che strappò e mise in mano alla ragazza, dopodiché la salutò frettolosamente con la mano. Luna ebbe malapena il tempo a dirle un ciao che Lothiel aveva già chiuso la porta ed era già sparita nelle viscere del negozio. Luna aprì la palla di carta che le era stata messa in mano e ne lesse il contenuto “Scusa se mi sto comportando così ma non mi sento bene - è stato bello conoscerti, ciao a presto” sulla terza e ultima riga Lotiel aveva scritto l’indirizzo di un negozio di abbigliamento lì vicino ‹‹Sono proprio tutti strani in questa città?! E pensare che questa Lothiel iniziava a starmi simpatica, bah!›› pensò contrariata Luna mentre trascriveva l’indirizzo che aveva ricevuto su Internet.
 
Ci mise un attimo a trovare il negozio dell’indirizzo. La ragazza passò più di un’ora provandosi ogni vestito che le sembrasse anche minimamente interessante; non aveva proprio idea di cosa avrebbe potuto prendere. Rimase nel camerino, cambiando di continuo abbigliamento ‹‹Non mi sta bene nulla!›› pensò inorridita guardandosi allo specchio. L’ultima maglietta che si era provata le faceva anche da gonna e Luna se la tolse immediatamente. Le squillò il telefono, era Tia ‹‹Che palle›› prese il cellulare e rispose “Cosa c’è?”
“Sì, è bello anche per me sentire che stai bene!” Luna alzò gli occhi al cielo
“Hai fatto la spesa?”
“Sono alle casse, ti ho chiamata per sapere se ti serve qualcos’altro oltre a quello che avevi scritto sulla lista.”
“Sì: dei vestiti decenti. Sembra che in sta città orribile non ne esistano.”
“Non devi mica andare ad un galà! Basta qualcosa di appropriato e di comodo per l’inizio della scuola. E ti prego Lu, non prendere solo abiti scure, ok?” disse scherzosamente Tia
“Quante migliaia di volte ti devo dire di non chiamarmi così!”
Luna sentì ridere dal telefono mentre una commessa le bussò alla porta “Tutto bene signorina?”
“Certo! E mi lasci in pace se non vuole che stia qui un’altra ora per poi uscire senza comprare nulla!”
Luna non ricevette nessuna risposta, riavvicino il cellulare all’orecchio “Luna? Luna, ci sei? Con chi stai parlando?” “Eccomi! Ci sono! Che stavi dicendo??”
“Non far finta di nulla, Luna! Era uno dei ragazzi che lavora in quel negozio vero?” Luna non rispose, la sorella capì subito “Te lo dico sempre! Non devi trattare male i commessi, stanno solo facendo il loro lavoro!”
“Un pessimo lavoro.” la ragazza sentì la sorella fare un grosso respiro
“Va be’. Io sono alle casse e fra poco avrò finito. Ci incontriamo alla macchina fra mezz’ora, ok?”
“Va bene, sarò là fra mezz’ora… forse.”
“Cosa vorrebbe dire for…?!” Tia non fece in tempo a finire la frase che Luna aveva già riattaccato.
Luna si provò qualche altro vestito finché notò fra il mucchio di vestiti che si era presa un paio di leggings blu scuri ‹‹Perfetti! Manca solo una maglietta…›› frugò ancora un po’ e decise di prendere una maglietta nera con sopra una scritta composta da glitter argentati. Uscì dal camerino con i leggings e la maglietta in mano dirigendosi verso le casse. Notò due commesse che stavano parlando a bassa voce fra loro e la fissavano con aria di disprezzo, lei ricambiò lo sguardo e si diresse verso uno scaffale vicino a loro, si zittirono e fecero finta di sistemare dei vestiti. Luna guardava gli abiti che aveva davanti dando qualche sguardo soddisfatto alle commesse.
Una delle due si voltò vero di lei e con un finto sorriso le parlo “Ha bisogno di qualcosa signorina?”
Luna riconobbe la voce, era la stessa con cui aveva parlato prima, freddamente decise di risponderle “No, non ho bisogno di qualcuno che mi sparli alle spalle, grazie. Tra l’altro so decidere da sola, sia qui… che in un camerino!” finì con lo stesso sorriso finto della sua conversatrice, la quale aggrottò la fronte e aprì la bocca in segno di indignazione ma dando un breve sguardo agli abiti dietro di Luna sembrò compiacersi “Allora se è tanto sicura di sé, signorina, potrà sicuramente dirmi cosa voleva prendere da questo reparto… così glielo porto alla cassa.” Luna accettò la sfida e voltandosi si rese conto di essere nel reparto giacche da uomo, fece una piccola smorfia ‹‹Mi ha fregata…›› passò brevemente a rassegna ogni capo del reparto e scelse quello che le sembrava più decente ‹‹…o forse io ho fregato lei!›› prese il capo che aveva scelto, una giacchetta in pelle nera, e se la mise “Mi pare perfetta, non crede?” Luna sapeva che le stava bene e anche le signore lo vedevano, la commessa alzando gli occhi al cielo le diede conferma e si diresse alla cassa.
Appena uscita dal negozio e aver girato un angolo Luna si appoggiò di schiena alla parete e sbuffò ‹‹Che città di merda!›› riprese il navigatore del cellulare dirigendosi alla piazza.
 



___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
un altro capitolo è andato e vi ringrazio se state ancora leggendo. Spero di aver descritto una prima impressione di Angels’ Mountain soddisfacente, per quanto cerco sempre di tenere le descrizioni soggettive dal punto di vista di Luna.
Grazie ancora per eventuali commenti e critiche!
Buona giornata e buona lettura!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Angels' Mountain - Parte 2 ***




CAPITOLO 2
Angels’ mountain - Parte 2



Raggiunse l’auto con un quarto d’ora di ritardo ma, fortunatamente, Tia stava ancora mettendo i borsoni della spesa in bagagliaio “Sembra che io sia in orario.”  disse Luna entrando nell’auto mentre la sorella stava finendo di svuotare il carrello della spesa “No, sei in ritardo!” controbatté debolmente la sorella mentre faticava a trasportare le borse strabordanti “Mi daresti una mano?” Luna alzò il braccio fasciato in modo che la sorella lo vedesse “Giusto, l’altra mano?” Luna alzò anche quella e teneva in mano il cellulare “È troppo occupata.” Tia rinunciò ad iniziare una discussione, tanto sapeva che la sorella minore non l’avrebbe mai aiutata.
“Tornando al discorso di prima, tecnicamente dato che non hai ancora finito io sono in orario.” Tia chiuse il bagagliaio con un colpo secco ed andò al volante “Ma praticamente sei in ritardo.”
“Dipende dal punto di vista.”
“Sappiamo entrambe che non ce l’abbiamo mai avuto uguale.”
Tia mise in moto l’auto e guardò l’ora dal cellulare “Cavoli che tardi! Devo aver perso la cognizione del tempo! Appena arriviamo a casa preparo subito il pranzo, ti va una pasta?”
Luna si era appena resa conto che effettivamente non aveva mangiato nulla a parte la brioche qualche ora prima e il suo stomaco iniziava a sentirne le conseguenze “Mi va bene qualsiasi cosa, basta che sia commestibile.” “E pasta sia!”
Rientrate in casa Tia riuscì a convincere Luna ad aiutarla con la spesa, mentre lei iniziava a cucinare. Nella cucina si diffuse l’odore di salsiccia e di funghi e in men che non si dica i piatti erano pronti e serviti in tavola, le sorelle si sedettero e Luna si soffermò a guardare il piatto “Pasta funghi e salsiccia. Di solito non si fa il risotto con questi ingredienti?” Tia che non ci vedeva più dalla fame aveva già iniziato a mangiare e, colta alla sprovvista dalla domanda della sorella, cercò di deglutire il boccone velocemente “In quel supermercato non vendevano granché a parte i prodotti locali, e funghi e salsiccia a quanto pare vanno molto da queste parti. Se non vuoi la pasta la mangio io senza nessun problema!” Tia sorrise a Luna che alzando gli occhi al cielo cominciò a mangiare, non si era mai accorta di quanto la sorella fosse brava ai fornelli e si gustò la pasta fino all’ultimo boccone.
Sparecchiata la tavola Tia ricordò a Luna che il giorno seguente avrebbe cominciato la scuola “Dovrai tirar fuori lo zaino dagli scatoloni!
 “Sì, non farmici pensare! Mi vien già da vomitare.” La ragazza mise la mano sulla pancia come se stesse male
“Suvvia! Potrai farti degli amici… magari conoscerai qualcuno di speciale!” Tia diede dei piccoli colpetti a Luna con il gomito, Luna si accigliò divertita
“Sì, sì, ovviamente! Incontrerò un bellissimo ragazzo biondo con occhi azzurri e che cavalca un cavallo bianco!”
“Non si sa mai cosa ti riserva la vita!” le due sorelle risero assieme e Luna iniziava a pensare che in fin dei conti la sorella non era poi così male
“Ehi Luna, come mai non siamo mai riuscite a parlare come due sorelle normali, come ora?”
“Forse perché non c’eri mai?” rispose Luna asciugandosi le lacrime dagli occhi dopo aver riso
“No, intendevo in questo mese. Forse cambiare aria ci ha fatto veramente bene!”
“Non è il luogo, cioè forse anche quello, ma principalmente è perché sto cercando di non pensare a mamma e papà… e di come tu non c’eri quando…” l’atmosfera era diventata improvvisamente difficile da sopportare per entrambe, Tia appoggiò la sua mano sulla spalla della sorella
“Non sapevo che la pensassi così, io… mi dispiace. Ti prometto che da ora sarò sempre presente, per qualsiasi cosa.”  fece per abbracciare Luna ma la sedicenne si scansò tenendo lo sguardo basso “Vado a fare una passeggiata.” disse. Si diresse all’ingresso, si infilò la sua giacchetta nera e aprì la porta.
Prima di richiuderla alzò lo sguardo sulla sorella “Qualsiasi cosa tu faccia non cambierà il passato.” batté la porta con forza lasciando la sorella guardare nel vuoto.
 
Luna passò del tempo nel bosco, ascoltava musica classica cercando di rilassarsi ‹‹Stupida! Sono solo una stupida! Mi stavo per far intortare da quella strega, è colpa sua se sono morti!›› presa dalla rabbia tirò un pugno ad un albero, poi un altro e un altro ancora finché non fu costretta a fermarsi dal dolore al braccio sinistro. Strinse i denti e si lasciò cadere a terra trattenendo le lacrime. Vivaldi non aiutava affatto e con uno strattone si tolse le cuffiette facendosi ancora più male “Non ne faccio una giusta, eh?” si distese e rimase ferma, come le foglie, a fissare le fronde degli alberi e le nuvole vorticose nel cielo azzurro. Chiuse gli occhi lasciandosi sfiorare la faccia dall’aria fresca ricordando nostalgicamente le morbide mani delicate di sua madre che dolcemente le accarezzava il volto quando era triste, la felicità del momento le fece scendere una lacrima dal suo occhio e la fece sorridere sinceramente dopo tanto tempo che non provava più la vera felicità.
 
Il cinguettio degli uccelli venne interrotto dal rumore delle foglie calpestate da qualcuno che si stava avvicinando, Luna si alzò di scatto togliendosi le foglie secche di dosso. Guardò attorno a sé cercando di trovare chi c’era assieme a lei fra gli alberi “Ehm, ciao.” la ragazza rimase immobile a fissare il ragazzo che l’aveva salutata: aveva i capelli castano chiaro e occhi verdi, reggeva un fucile fra le braccia “C-Chi sei?” Luna non riusciva a mantenere la voce calma, dato che non lo era affatto. Non si era mai trovata faccia a faccia con un estraneo armato in mezzo ad un bosco e sperava che una cosa del genere non accadesse mai. Il ragazzo le si avvicinò mettendosi il fucile in spalla “Allora… stavi cercando di diventare cibo per orsi, lì distesa, o…” soffermò il suo sguardo sulla lacrima di Luna, la quale si strofinò gli occhi e si sistemò i capelli “…o forse volevi solo stare sola.”
“Non sono affari tuoi! E un ragazzino come te che cosa ci fa da queste parti con un fucile?”
“Oh, questo?” ridacchiò imbarazzato il giovane mostrando il fucile “Ultimamente da queste parti ci sono state sempre più tracce di orsi, io e dei miei amici abbiamo pensato di prevenire qualunque sorta di incidente. E non chiamarmi ragazzino, avremo la stessa età, io e te!”
“Non mi interessa, ragazzino, so solo che da queste parti non ho mai sentito parlare né ho mai visto un orso!”
“Sei nuova della zona, vero? Io sono Daniel e tu sei?”
Luna passò a fianco a Daniel, come se lui non ci fosse neanche e continuò a camminare
“Almeno sai dove stai andando?” chiese il ragazzo
“Sì! Lontana da un ragazzino che mi sta dando fastidio!”
“Se è proprio questo il tuo scopo allora non ti impedisco di andare. Solo, non perderti! Non vorrei avere la tua vita sulla coscienza, dato che continuando da quella parte uscirai dal bosco per circa… domani pomeriggio; se non rallenti il passo e non fai pause, ovviamente. Divertiti!” Luna era già molto lontana da Daniel e lui aveva finito la frase urlando, per farsi sentire.
Il pavimento umido sotto ai suoi piedi, ricoperto di foglie scrocchianti, sembrava ripetersi in una trama infinita di colori caldi tra il giallo e il rosso. Luna non conosceva affatto il luogo e iniziò a ripensare a ciò che le era stato detto “Uscirai dal bosco per domani pomeriggio e bla, bla, bla. Scommetto che stava solamente cercando di spaventarmi! Questa è la stessa strada che ho fatto all’andata… giusto?” Luna iniziava a preoccuparsi, si girò attorno: tutto uguale. Il respiro continuava ad accelerare, si era persa e sentiva l’ansia crescere. Tentava di calmarsi ma ormai, benché fosse presto, si poteva già intravedere il sole tramontare tra le fronde dei pini.
Prese il cellulare per contattare qualcuno ma non c’era campo “Diamine!”
Fece qualche passo indietro tentando di ritornare al punto in cui aveva incontrato il ragazzo. Passò un’altra mezzora scandita dalla musica che aveva ripreso ad ascoltare, il bosco si scuriva sempre più e ad ogni passo senza precisa meta Luna si sentiva sempre più abbattuta dalla situazione.
Gli occhi di Luna guizzavano a destra e a sinistra sempre più intimoriti. Le scarpe rosse della ragazza, benché tremolanti, avanzarono imperterrite finché non furono rallentate da qualcosa di viscoso che ristagnava rendendo l’aria intrisa del su odore dolce e ferroso. Luna si guardò i piedi notando di essere finita in una pozzanghera scura, ma non era sicura di cosa fosse precisamente, per via della scarsa luminosità nel bosco. Accese la torcia del telefono quasi scarico e appena vide il rosso sotto di sé fece un balzo in indietro ‹‹Quello è sangue!?›› il suo cuore riprese a battere all’impazzata “Calma, devo stare calma… dannazione!”
Cercò di pulire le sue scarpe grattando via le foglie che le erano rimaste appiccicate “Magari è un caso! Magari non è stato un orso a farlo!” ogni altra possibilità le rigirava nella testa: un mostro o un pazzo omicida o….
Chiuse la mente e cercò di non pensare a nulla se non ad uscire da quel dannato bosco.
Mentre camminava si accorse che il rumore dei suoi passi era accompagnato da un secondo scrocchiare di foglie che si avvicinava sempre più.
Luna non vide nessuno fra le sagome d’ombra degli alberi, eppure lo scricchiolare del fogliame continuava. Le sue gambe iniziarono a tremare. Pur avendo un barlume di speranza che fossero dei soccorsi e la sua ragione le diceva di aspettare, Luna scelse di ascoltare la sua paura e di scappare.
Corse il più lontano possibile, corse finché non finì il fiato. Sentì i passi che si avvicinavano sempre di più, qualcuno la stava inseguendo. La ragazza notò fra le foglie dei cespugli una luce blu come di una torcia “C’è qualcuno?” una voce gridò e a Luna si illuminò il viso “Sì! Sono qui!!” rispose la ragazza correndo in contro alla fredda luce. La vedeva avvicinarsi sempre di più, sempre di più, poi… non vide altro che le foglie bagnate e sentiva solo un calore che si estendeva dalla sua fronte fino a terra, sulla quale era appoggiata la sua faccia ‹‹Sono inciampata di nuovo? Sul serio!? Ma che…›› fu l’ultimo pensiero che riuscì ad avere prima di perdere conoscenza.
 
“Secondo te sta bene?” chiese preoccupata una voce giovane e familiare
“Oltre ad un gran mal di testa non dovrebbe avere altro, la febbre è già scesa.” la voce profonda e tranquilla sicuramente era quella di Thomas, Luna l’avrebbe riconosciuta fra mille; si rigirò sulla schiena cercando di ricordare cosa fosse successo.
“Ehi! G-Guardate si sta svegliando!” un altro ragazzo interruppe la conversazione. Luna aprì gli occhi e si mise seduta barcollando, sentiva la sua testa battere come se avesse un martello pneumatico nel cranio. Luna era ancora rintronata e per qualche secondo vide tutto doppio “C-Cos’è successo? Ricordo che ero nel bosco, era buio, avevo visto una luce e…” la ragazza chiuse gli occhi e si tastò la fronte con la mano “Potreste spegnere la luce? Ho un mal di testa che mi sta uccidendo e questa luce peggiora solo le cose.” i due ragazzi si guardarono perplessi
“Mi dispiace è un falò, non possiamo farci un granché.” Luna riaprì di poco gli occhi per vedere con chi stesse parlando, era Daniel che reggeva ancora il suo fucile sulle spalle
“Sta zitto ragazzino, potevi dirmi subito che non eravamo al chiuso. Ora capisco tutto questo freddo.” la ragazza si ridistese a terra bagolante mentre si rannicchiava vicino alle braci in cerca di calore. L’altro ragazzo del gruppo era molto più agitato dei suoi compagni e non riusciva a smettere di battere il piede a terra “Ha f-freddo Tom! Le si sta rialzando la febbre, d-dovremmo chiamare il pronto soccorso!”
“Tranquillo, ho già chiamato sua sorella, la sta venendo a prendere.” rispose molto pacato Thomas, che nel frattempo si era alzato e aveva coperto Luna con la sua felpa “Spero che questo basti al momento.” le disse a bassa voce, lei rispose con un breve cenno del capo.
Passò qualche minuto, o qualche decina di minuti, Luna non riuscì a capirlo, intuì soltanto di essere stata salvata e portata in un accampamento provvisorio a lato della strada in attesa di Tia.
I fanali dell’auto di sua sorella, pur deboli, accecarono Luna. L’auto parcheggiò sul fango vicino al furgone di Thomas.
Luna si sforzò a mettersi in piedi, Daniel le porse una mano per aiutarla ma la ragazza gli diede una fulminata con lo sguardo e continuò testarda ad alzarsi con le proprie forze. Sentì la voce di sua sorella, sembrava agitata ma non riusciva a capire cosa stesse dicendo. In men che non si dica si ritrovò tra le sue mani, le stavano tastando la fronte e la sorreggevano al contempo.
Luna venne aiutata dai due ragazzi a sedersi in auto mentre Tia li stava ringraziando. Guardò, attraverso il finestrino, i tre amici e Tia parlare, le sembrava di assistere ad un vecchio film muto.
Poco dopo li vide spegnere il fuoco e salire sul furgone, Tia si sedette al volante accanto a lei appoggiandole una mano sulla gamba “Vedrai che ti passerà tutto, capito Lu?”
La ragazza non diede segno di aver sentito anche se quella fu una delle poche frasi che era riuscita a comprendere e a cui avrebbe voluto rispondere
‹‹Non chiamarmi Lu…›› voleva specificare Luna mentre continuava a ripetersi questa frase nella mente, si sentiva troppo male per pensare ad altro.
Con la testa appoggiata al finestrino e la capacità fisica di un vegetale, non le rimase altro da fare che guardare il cielo notturno intervallato dalla luce gialla dei lampioni.
I neon che vedeva ad intermittenza le facevano battere il cervello sempre di più. Decise di chiudere gli occhi per riposare e si addormentò.



___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
questo capitolo mi è venuto di getto e non credo di averlo neanche mai modificato da allora. Spero di non aver commesso errori ortografici né qui né nei capitoli precedenti haha. In caso avvisate che correggo!
Grazie per aver letto fino a qua, buona giornata e buona lettura!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Angels' Mountain - Parte 3 ***




CAPITOLO 2
Angels’ mountain - Parte 3



“Sveglia sveglia! È ora di alzarsi!” Luna aprì gli occhi svogliatamente nascondendosi dalla luce “Ancora un po’! Sto troppo bene per alzarmi…”
“Non vorrai tardare al tuo primo giorno di scuola!” Luna si scoprì il volto e fissò suo padre con aria di sfida
“E allora? Potrei arrivare in ritardo per colpa di un incidente.” l’uomo si voltò avviandosi verso l’uscio della camera ricambiando lo sguardo della figlia
“Vorrà dire che io e Tia ci gusteremo e finiremo i waffles della mamma senza di te!”
Luna balzò sul letto “La mamma ha fatto i waffles?!” la ragazza iniziò a cambiarsi mettendo a soqquadro il settimanale, si infilò velocemente le sue scarpe rosse e corse giù per le scale.
Arrivata nella sala d’ingresso non riuscì a frenare scivolando rovinosamente sul vecchio tappeto che lei aveva sempre odiato “Ah! Che botta! Ma avete messo la cera sul pavimento?” dalla porta socchiusa della cucina usciva il dolce profumo dei waffles accompagnati dalla voce altrettanto dolce di sua madre “Lu, sei tu?” “Ma certo che è lei, cara, è sicuramente scivolata di nuovo sul tappeto del nonno.” la grossa risata gioconda di suo padre riecheggiò per tutta la casa.
Luna aprì la porta pregustandosi i soffici waffles con lo sciroppo d’acero “Mmmmh, hanno proprio un bell’aspetto!” la ragazza si sedette di fianco a sua sorella Tia che si stava mangiando un waffle assieme al suo solito caffè mattutino.
“Finalmente ti sei alzata sorellina, papà si stava già preparando a finire tutti i waffles! Allora, pronta per il tuo primo giorno di scuola?”
“Quasi, prima devo fare un’abbondante colazione in previsione della giornata!” rispose Luna abbondando con lo sciroppo. Sua madre guardò la figlia scuotendo la testa “Lu non esagerare col mangiare che poi stai male, diglielo anche tu tesoro!” il marito intento a leggere il giornale alzò di scatto la testa notando che la donna stava fissando il piatto di Luna
“Quella sì che è una colazione, Lu! Sai amore, dovresti fare più spesso i waffles…” l’uomo si zittì appena vista la faccia di sua moglie arrabbiata “…a Natale! Dovresti fare più spesso i waffles a Natale!”
“Sì, certo tesoro, proprio quello di cui parlavo. Vado a prepararmi e dovresti farlo anche tu, signorina!” indicò Luna la quale si stava ingozzando di sciroppo d’acero
“Io sono già pronta ma’!”
La madre sconfortata alla vista della figlia e del marito sbuffò uscendo dalla stanza. Luna alzò le spalle non interessandosi troppo di ciò che voleva la madre e continuò a mangiare.
In meno di dieci minuti la famiglia era in macchina “Avete tutti allacciato le cinture?”
“No papà, ancora un attimo che non riesco a metterla bene.” rispose Tia
“Forza che se no Lu arriva in ritardo!”
La ragazza guardò i genitori stranita “A proposito di questo… perché anche mamma e Tia sono con noi oggi? Non prendono l’altra macchina?”
“Noi ti accompagniamo a scuola, non vorrai mica che ci perdessimo il tuo ingresso in una scuola vera!” disse sua madre entusiasta
“In realtà mi hanno costretto.” rispose Tia seccata
“Sempre gentile tu, eh?” le rinfacciò Luna con tono arrogante
“Ogni volta che posso esserlo!” rimbeccò la sorella con tono agguerrito.
Il padre, impacciato, cercò di cambiare discorso “Dai ragazze! Ora si parte, tenetevi!”
L’auto sfrecciava veloce fra le strade vuote e ad ogni curva che faceva a Luna tornava il sapore dolce della sua colazione enorme “Mi sa che non sto molto bene…” Luna si trattenne la bocca e lo stomaco
“Papà penso che Luna stia per vomitare”
“Le avevo detto di non mangiare troppo!” rispose sua madre preoccupata. L’uomo al volante si girò per guardare meglio i sedili posteriori dove c’erano le figlie mentre con la coda dell’occhio controllava lo stradone desolato “Poco più avanti c’è un negozio. Resisti fino a lì Lu che ci fermiamo e prendiamo dei cracker. Ci riesci?” Luna annuì.
“Attento!”
Luna vide sua madre urlare e con la velocità di un fulmine l’auto si era già ribaltata, non riuscì a vedere altro a parte ciò che rimaneva di essa. Luna non sentiva il corpo, riusciva solo a vedere lo scheletro distorto e infuocato del veicolo. A fianco del veicolo vedeva con chiarezza i due corpi insanguinati dei genitori. Ancora nell’auto, a testa in giù, Luna riusciva a vedere la sorella con i capelli macchiati di rosso e lo sguardo spento puntato verso di lei. Le labbra di Tia si muovevano come per dire qualcosa, ogni volta che apriva la bocca le parole si facevano sempre più forti. Nell’udirle, Luna riuscì a percepire finalmente qualcosa, le sue lacrime, procurate dalla paura che quelle parole fossero vere. “È colpa tua.”
 
 
Luna sobbalzò sul letto scoprendosi con il volto in lacrime e sudata, sotto quattro coperte. La ragazza si asciugò le lacrime ‹‹Un sogno? Era così realistico… ma era solo un sogno. Non è mai successo, svegliati Luna!›› prese in mano il cellulare, era quasi mezzanotte. Facendosi luce con il telefono capì di trovarsi nella sua stanza. Si alzò in piedi ma ebbe un giramento di testa e fu costretta a reggersi sul comodino. Luna aveva caldo e una gran sete, bevve il bicchiere d’acqua che probabilmente sua sorella le aveva lasciato sul comò. Passo per passo scese le scale lentamente raggiungendo l’ingresso della casa, era tutto buio tranne per la cucina, dove c’era sua sorella. La luce illuminava il tappeto, Luna si mise a fianco della porta ad ascoltare con chi stesse parlando
“…capisci cosa intendo, no? È un impegno troppo grande per me. Ogni volta, e ribadisco ogni volta, che cerco di avvicinarmi a lei finiamo sempre col parlare dei nostri genitori e poi la situazione degenera e lei se ne va! Ed ecco cosa succede! Sparisce per ore senza farsi sentire e poi ritorna con nuovi tagli o lividi! Poi ci sono le volte che non torna…” la voce della sorella si ruppe in un pianto soffocato “Io cerco di fare il possibile ma non potrò mai paragonarmi a mamma e papà, loro almeno saprebbero che fare ora! Sono una pessima sorella!” Tia si interruppe singhiozzando “No che non lo sei!” Luna finalmente poteva capire chi fosse l’interlocutore di sua sorella ‹‹Thomas!? Possibile che quello non abbia di meglio da fare se non gironzolarmi intorno??›› La conversazione continuò e Luna non volle perdersi neanche una parola “Lei è giovane, spaesata e si vede che la perdita dei genitori l’ha segnata nel profondo. Tu non c’entri nulla, farebbe così con chiunque, e da quel che ho visto e ho sentito fa la scontrosa con tutti. Ti giuro che non ho mai visto una ragazza che voglia tanto bene a sua sorella come lei!”
“Dici? Allora perché mi deve rendere la vita questo inferno?” la sorella singhiozzò tristemente
“Ho a che fare con molti ragazzi, fidati di me. Vedrai che è solo un passaggio, le passerà.”
“Lo spero tanto.” Tia riprese a singhiozzare
“Sta tranquilla, vedrai che presto cambierà tutto. Shhhhh, tranquilla.”
Luna, a quel punto, entrò in cucina con disinvoltura trovandosi davanti Tia in lacrime che abbracciava Thomas, i quali rimasero un momento straniti dal suo ingresso
“Oh, fate come se non ci fossi. Non vorrei interrompervi. Ho solo un po' di sete.” disse Luna toccandosi la gola. Aprì il frigorifero e iniziò a bere latte direttamente dal cartone “Ahh, ci voleva.” la ragazza riaprì la porta per uscire “Come ti senti? Dove stai andando?” chiese Tia dopo essersi seduta composta ed aver schiarito la voce.
“Vado in camera a dormire, domani è il mio primo giorno di scuola.”
“Aspetta Lu, non puoi andare a scuola! Ti ricordi cos’è successo qualche ora fa, vero?”
“Certo…” Luna si voltò sorridente verso la sorella “…ma che figura farei se saltassi proprio il primo giorno?” si avviò verso le scale “Se a scuola non mi sentirò bene ti chiamerò, promesso!”
‹‹Qualcosa te lo devo pure io, inutile di una sorella!›› sorrise lasciandosi alle spalle la luce bianca della cucina.
Gli scalini, a contatto con i piedi nudi, le parevano freddi come il ghiaccio, ma a Luna piaceva ricevere un minimo di freschezza dopo aver sudato tanto quella sera. La sua fronte cominciava ad essere calda e, tastandosela, Luna si rese conto di essere fasciata anche in testa, corse impazientemente fino alla sua camera e finalmente si guardò allo specchio ‹‹Mi avrà cambiato lei…?›› al solo pensarci Luna si tinse di rosso dall’imbarazzo “Stupida sorella, non serviva farlo!”  la ragazza si guardò intorno, in cerca della sua giacca nera, la trovò, sporca di fango, appoggiata sulla sedia della scrivania assieme ai vestiti che aveva la sera prima, sporchi anch’essi. Vedendo le condizioni dei suoi abiti capì che Tia aveva fatto la cosa migliore cambiandola e si ridiede uno sguardo allo specchio. Indossava il suo pigiama e aveva un aspetto decisamente trasandato e orrendo: i suoi capelli sembravano di paglia e i suoi occhi blu erano lucidi e rossi, per non considerare le borse sotto gli occhi. Soffermò la sua attenzione sulle bende che aveva, erano pulite e sul polso ora aveva solo un tutore ‹‹Sembro una superstite di un incidente›› quell’affermazione le fece bloccare per un attimo il respiro e la sua mente ritornò a pensare al sogno che aveva avuto qualche minuto prima ‹‹Calmati Luna! Non è stata colpa tua!›› cercò di convincersi la ragazza dando una scrollata al capo e ignorando l’inizio di lacrima che aveva sull’occhio destro, tornò a controllare il suo aspetto e a disperarsi pensando a quanto ci avrebbe messo il giorno seguente a sistemare tutto il corpo. Dopo una breve spazzolata ai capelli Luna notò che la mezzanotte era passata già da quaranta minuti e che ormai le rimanevano solo poche ore di sonno, si voltò verso il letto e rimase sorpresa nel vedere la scala che portava alla soffitta di nuovo presente. Non si lasciò sfuggire quell’opportunità e senza riflettere scalò di nuovo i pioli con l’unico scopo di rileggere quel misterioso ed altrettanto familiare libro che la incuriosiva tanto. Sollevò la botola e si ritrovò in un ambiente completamente stravolto rispetto all’ultima volta che era stata là, delle montagne di scatole non era rimasto altro che la polvere, la stanza era svuotata con solo la vecchia scrivania, con il libro e le candele. Era scomparsa persino la sedia e Luna si ritrovò costretta a sedersi a terra facendosi luce con una delle candele ‹‹Perché mi dimentico sempre il cellulare in giro? La prossima volta dovrò ricordarmelo!›› finita di sistemarsi riaprì il libro in una delle ultime pagine “Vediamo cos’abbiamo qui.” iniziò a leggere:
 
 
Ieri era il mio ventunesimo compleanno ed è stato il giorno più bello della mia vita. Penso di aver dormito massimo due ore e di dover ancora smaltire la sbornia… ma sono allegra: ieri Albert mi ha baciata! Sono troppo agitata anche solo per riprovare a dormire, quindi non mi resta che scrivere e aspettare che papà torni dal suo “fine settimana del pescatore”, o almeno così lo chiama lui. Onestamente penso che stia facendo qualcosa di immorale, ma la mamma non è preoccupata quindi sto tranquilla. Mi sa che ne approfitterò di questo tempo per leggere, scrivere dopo un po’ mi stufa ma ogni tanto mi fa stare meglio.
Sono passate quattro ore, papà non è tornato e la mamma è andato a cercarlo, è uscita con una delle sue pergamene, non è un buon segno. Vado a chiamare Albert, forse suo padre sa qualcosa.
Alb non sapeva nulla, anche suo padre è scomparso da qualche giorno, inizio a temere seriamente che sia successa una cosa tremenda. Non riesco a calmarmi, ho chiamato Alb: con lui mi sento sempre protetta.
Abbiamo fatto in tempo anche a guardarci un film, ma nessuno è ancora tornato. Alb continua a chiedermi se so dove sono andati i miei, per andare a vedere di persona che succede, ma non posso dirgli nulla, che fastidio dovergli mentire!
Mamma e papà sono tornati, stanno entrambi bene! Papà ha fatto il quarto grado ad Albert, era la prima volta che lo vedeva ma penso che lui se la sia cavata, anche se mio padre non lo sopporta lo stesso. Da quando sono tornati sono strani, entrambi molto silenziosi, ma entrambi continuano a dire che va tutto bene e insistono sulla storia della pesca, anche se il pesce che hanno portato è palesemente comprato in pescheria. Fare domande è inutile e ormai la cena dovrebbe essere quasi pronta, meglio se gli do una mano.
 
 
Il resto del foglio continuò bianco, nello spazio sottostante c’era un’ultima frase scritta con una calligrafia differente, meno aggraziata, e riportava:
“Non so se quando leggerai queste mie parole io ci sarò ancora, ma se hai trovato questo libro molto probabilmente sarò già sparito da un pezzo. Qualsiasi cosa accada, sappi che io ci sarò sempre e che ti vorrò sempre bene Lu.”
La ragazza rimase stupita nel leggere quell’ultima parola, era il suo soprannome, e ora lo trovava in un libro scritto chissà quanti anni prima ‹‹Che sia una coincidenza?›› rifletté sulla giornata appena passata e le tornò alla mente che il nome della città citata sul testo era lo stesso che aveva letto quella mattina ‹‹Che strano. Certo che ne sono successe di cose oggi…›› le sembravano passati giorni dalla mattinata di shopping, si sistemò le bende che aveva sulla fronte e ripensando alla sorella il libro passò in secondo piano, in effetti non aveva seguito troppo il testo avendo tutte quelle preoccupazioni per la mente. Luna sospirò alzando lo sguardo al piccolo oblò sul soffittò, osservando le nuvole iniziare pian piano a coprire la luna, oscurandola sempre di più. Rimase immobile finché non si accorse di essere rimasta completamente al buio, le candele si erano spente ‹‹Brutto momento per spegnersi, candele!›› si diresse a tentoni alla botola che la riportava in camera rischiando di cadervisi dentro, anche la sua stanza era buia come tutto il resto. Raggiunse la scrivania e afferrò il cellulare che usò come torcia. Si voltò per tornare in soffitta ma la scala era sparita “Di nuovo? C’era da aspettarselo!” ironizzò Luna lanciandosi sul letto sfatto “Non mi resta altro da fare allora.” spense il cellulare e si raggomitolò sotto le coperte imbottite, il loro torpore la confortarono finché non chiuse definitivamente gli occhi.



____________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
grazie per aver letto anche questo capitolo. Spero di starvi incuriosendo con ciò che ho pubblicato finora e che vi stiate godendo la lettura! Come di consueto aspetto qualsiasi recensione, anche piccola!
Buona giornata e buona lettura!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La nuova alunna - Parte 1 ***


 
CAPITOLO 3
La nuova alunna - Parte 1



“Lu, svegliati! Muoviti che è tardi!” una concitata sbattuta alla porta fece sobbalzare Luna sul letto. Ancora intontita accese il cellulare per guardare che ore fossero, mentre si sforzava per capire cosa avesse detto sua sorella ‹‹Sveglia è… cos’è che ha detto? È… è…›› appena lo schermo del dispositivo si illuminò Luna lesse l’orario “7:47? Perché mi hai svegliat…?” Luna non terminò la frase, il suo cervello si era finalmente svegliato facendole ricordare tutto “È tardissimo! Le lezioni cominciano alle otto e dieci! Sorella inutile, perché non mi hai svegliata prima!?” Luna cominciò a correre avanti e indietro fra il settimanale, lo specchio e il piccolo bagno, qualche gradino più in basso da camera sua. In meno di quindici minuti era vestita e sistemata in cucina.
Tia era indaffarata a truccarsi davanti allo specchio del bagno del pian terreno “Sei pronta, Lu?” disse sistemandosi il rossetto
“Sì… circa.” Rispose la ragazza inzuppando un biscotto nella tazza di latte che aveva appena versato “Quanto ti ci vuole? Non voglio far tardi il mio primo giorno!”
“Ho quasi fatto, e… finito! Come sto? Ho un’aria abbastanza da persona seria?” si voltò verso Luna cercando di fare la faccia più matura possibile “Allora?”
“Se la smettessi di fare quella smorfia orribile sarebbe meglio. Fidati di me, sei tremendamente seria anche senza tutto quel fondotinta. Dovresti sapere che la tua naturale pelle cadaverica è sempre perfetta per intimidire le persone.”
“Non voglio intimorire nessuno! Tra l’altro abbiamo ereditato entrambe la pelle di mamma, è inutile che insulti me, lo stai facendo anche a te stessa.”
“Giusto sono pallida anch’io, ma a me sta una favola questo colorito.” rispose Luna facendo una piccola linguaccia alla sorella e ficcando la tazza nel lavello “Andiamo Tia, sono già le otto e cinque!” si infilò la giacca nera e corse all’auto. Tia la seguì a ruota chiudendo il grande portone. Salì in auto appoggiando lo zaino sui sedili posteriori e dando una spazzola a Luna “Non avevi nemmeno preso lo zaino e hai i capelli che sono un disastro. Almeno hai provato a pettinarli?”
“L’ho fatto come minimo dieci volte, ma con questa roba addosso è impossibile pettinarli bene!” rispose spazientita la ragazza strattonandosi il bendaggio sulla fronte. Tia, con mano ferma, gliela tolse osservando dolcemente il suo viso, come aveva fatto ogni volta da quando erano partite per il trasloco.
“Prova a pettinarli ora, dovresti farcela.”
Luna si guardò usando la fotocamera anteriore del cellulare mentre la sorella guidava. Preferì non avere più il bendaggio in testa ma si ritrovò a cercare in tutti i modi possibili di coprire il taglio che aveva in fronte. Quando finalmente arrivò a scuola Tia si soffermò a guardare il suo abbigliamento “Non avevi detto che non avresti preso solo capi scuri?”
“Avevo detto che non avrei preso solo vestiti neri… e i pantaloni sono blu scuro! Ora devo andare e di corsa!”
“Ciao Lu!” Luna non sentì la sorella, era troppo concentrata sull’orario per notare il resto del mondo. Ormai erano le 8:15. Entrò correndo nell’atrio dell’edificio e in quell’istante si rese conto di non avere la benché minima idea di dove sarebbe dovuta andare.
Cinque minuti dopo era seduta fuori dall’ufficio del preside che avrebbe dovuto darle il benvenuto nella nuova scuola e indicarle l’aula, ma pareva che l’attesa si dovesse prolungare di molto: prima di lei, in fila, c’era un altro ragazzo e dall’ufficio, a tende chiuse, si sentivano urla di un docente che, dal tono, pareva disperato. Luna stava zitta e ferma ad ascoltare le sue canzoni classiche preferite, tutto quello che la circondava sembrava lontano e ciò le dava un senso di leggerezza sconvolgente. Cercando di non addormentarsi nel corridoio, iniziò ad osservare ogni minimo dettaglio che riusciva a scorgere di quello che sarebbe diventato uno dei suoi posti più frequentati: i pavimenti scarlatti parevano appena tirati a lucido ed erano sporchi solo del fango portato dentro da un alunno, i muri bianchi e gli armadietti verdi le ricordavano i soliti cliché che si vedevano nei film per ragazzi. Un po' le piaceva l’idea di essere in una di quelle scuole.
Lo striscione della squadra di football si estendeva da una parete all’altra del muro d’ingresso ed era ornata da ricami in oro ‹‹I… i pipistrelli d’oro?? Ma chi è che si inventa questi nomi assurdi?›› lasciò sfuggire un sorriso dal suo volto impassibile e stanco. Il ragazzo seduto a tre sedie di distanza da lei le stava facendo un cenno con la mano, Luna non se ne accorse e con occhi socchiusi rimase ad osservare il cartellone mentre la musica le inondava le orecchie. Di colpo si sentì toccare timidamente la spalla, si voltò velocemente si tolse le cuffie e, imbarazzato, il ragazzo si era avvicinato sul posto accanto al suo. Luna cercò di sembrare meno scontrosa e stanca possibile “Sì?” aveva alzato la sua voce di almeno due tonalità per dare una parvenza in più di femminilità. Il ragazzo aveva i capelli abbastanza lunghi, scompigliati e castano scuri, aveva una corporatura atletica che rendeva il camice bianco che indossava aderente. Non era molto alto e non sembrava affatto sicuro di sé, anzi sembrava quasi intimorito dal parlare con Luna.
“C-Ciao, m-mi chiamo Robert Jackson, m-ma di solito gli amici mi chiamano Jackyll, con la a non con la e.” appena finita la frase abbassò lo sguardo, il suo volto aveva assunto una tinta accesa “Ah, c-comunque tu mi puoi chiamare come vuoi! I-in realtà solo una persona mi chiama con quel nomignolo…”
“Tranquillo, mi piace: Jackyll! È una citazione da…?”
“…Dr. Jekyll e Mr. Hyde, sì! Il mio migliore amico me l’affibbiò dopo la prima volta che mi ha visto arrabbiato, a-anche se non è successo nulla di particolare in realtà…”
“Ad ogni modo è un bel soprannome. Io sono Luna Anderson, sentiti libero di chiamarmi come vuoi.”
“Sei la ragazza nuova, giusto? Mi sembrava di averti già vista prima.”
Luna rimase un momento ferma a guardare il ragazzo, il suo volto non l’aveva mai visto prima di quella mattina “Scusa ma, ci siamo già conosciuti per caso?”
Jackson rimase stupito per un momento per poi inondarla di domande, una dietro l’altra, osservandola con occhi assetati di risposte “Certo, l’altra sera quando Dan ti ha trovata nel bosco e… a-aspetta, che sbadato! Tu ti eri fatta male, giusto? Come stai? Ti ricordi quello che è successo? La ferita si è già rimarginata?” chiese indicando la fronte della ragazza, che puntualmente pensò a coprirsi ancora di più. Involontariamente Luna abbassò lo sguardo a terra, tornando al suo solito tono di voce basso e malinconico.
“Quindi c’eri anche tu? Ieri intendo. Non ricordo bene quello che è successo. In realtà non ricordo praticamente nulla… che bella figura che devo aver fatto, una prima impressione unica.”
Il ragazzo alzò indeciso le spalle “B-Beh, è difficile considerarla una prima impressione. Ti avevo vista svenuta con mezza fronte ricoperta di sangue, in quel momento non pensavo molto a che tipo di persona avessi potuto essere; pensavo più a curarti.”
Luna risollevò gli occhi sul volto di Jackson “Non ho potuto ringraziare nessuno di voi a dovere, onestamente non so chi mi abbia tirata fuori dal bosco. Conoscevo solo Thomas e non è che sia un simpaticone, supponente com’è!”
“Tom sarebbe supponente? Sembra un eufemismo, penso che sia la persona più umile che io conosca… è abile con le mani ma con le parole non ci sa fare proprio.  Prova a dargli un’altra possibilità, noi abbiamo concordato sul fatto che ti abbia già preso a cuore. Avresti dovuto vedere quanto agitato era prima che arrivasse la tua amica.”
“Era mia sorella maggiore e non è mia amica, ma sembra che abbia legato molto con quel boscaiolo.” Jackson ridacchiò ripetendosi quella parola come fosse una barzelletta divertente.
“S-Sai cosa? Ti andrebbe di venire all’annuale festa in maschera di Halloween di Angels’ Mountain? N-Non è nulla di che, ma di solito ci si diverte sempre, per un motivo o per l’altro!”
“Ci andrei volentieri, ma non conosco molte persone.”
“Proprio per questo dovresti venire!”
“Ma non ho nemmeno un costume.”
“Nessun problema: basta chiedere a Loty! Suo padre ha il miglior negozio di costumi della città, nonché l’unico negozio di costumi.”
“Stai per caso parlando di una ragazza muta con una benda sull’occhio?” Luna si sentiva imbarazzata al solo pensiero di rincontrare la giovane.
“Sì, proprio lei! La conosci??” Luna svicolò la conversazione per evitare di finire in un altro incontro con la strana ragazza che l’aveva sbattuta fuori dal negozio.
“Non esattamente, solo di vista. Comunque, Jackyll, tu cosa ci fai qui dal preside?”
“B-Beh, i-io non… i-insomma…” fra un balbettio e l’altro il ragazzo non riuscì a dire nulla di senso compiuto. In quel momento un omuncolo cicciottello, sulla cinquantina e con la barba e i capelli grigi uscì dall’ufficio asciugandosi i baffi dal caffè “Oh, Jackson! Insomma, sei di nuovo da me? Spero di non dover chiamare i tuoi genitori di nuovo, sarebbe la terza volta questa settimana!” bofonchiò sbuffando divertito “Insomma, entra! Stai aspettando un invito scritto? Oh! oh! oh!”
Jackyll, rosso come un peperone, cercò di ignorare le provocazioni del preside ed entrò nella stanza.
Luna tentava di capire cosa potesse aver fatto un ragazzo tanto sensibile come quello con cui aveva appena parlato ‹‹Non è possibile che abbia fatto qualcosa di male, non mi pare gli si addicano le cattive azioni, insicuro com’è!››
Stava per rimettersi le cuffie quando il preside notò anche la sua presenza “E, insomma, lei signorina? Come mai è qui?” Luna si alzò in piedi spegnendo immediatamente la schermata del telefono “Buongiorno! Io sono nuova nella scuola, mi è stato detto di presentarmi da lei per sapere in che classe sono stata assegnata.” l’uomo parve parecchio turbato dalla notizia e tirò subito fuori un’agendina dai lunghi tasconi dei suoi calzoni “Oh capperi! Insomma, è veramente oggi! Me n’ero totalmente scordato! Ehm, cioè. Insomma: con tutti questi impegni, sai, insomma… da preside, è difficile ricordare tutto! Quindi, insomma, tu sei la figlia di Albert e Lucinda.”
In quell’istante Luna ebbe quasi un collasso e probabilmente fece una strana smorfia dato che l’uomo aveva assunto uno sguardo interrogativo.
Solo allora lei si rese conto che il libro che aveva letto le notti precedenti era stato scritto da sua madre ‹‹Albert: papà, e Lu di Lucinda: mamma! Perché non ci ho pensato prima? Tra l’altro anche la calligrafia era la sua! Sono proprio una pessima detective! Che ca…!›› i suoi pensieri vennero infranti dalla voce profonda dell’omuncolo
“Ti hanno mai detto che hai la stessa pelle…”
“Lo stesso pallore di mia madre? Già.”
“Sì, insomma, volevo dire la stessa pelle candida di tua madre ma penso vada bene lo stesso!” il preside aveva abbassato il volume della voce, quasi imbarazzato, per poi farla tornare come quella di prima, forse anche un po’ più alta.
“Ho saputo dei recenti accadimenti, le mie condoglianze. Se la scuola può fare qualcosa per aiutarti, insomma, sappi che basta chiedere!”
“Grazie infinite signore ma non ce ne sarà bisogno, glielo assicuro.” Luna non voleva venir trattata in modo differente dagli altri a causa dei suoi genitori, non lo sopportava proprio.
In un minuto il preside cacciò il povero ragazzo in camice al di fuori del suo ufficio, facendole sorpassare la fila.
Dopo centinaia di insomma intervallati da qualche parola, Luna si ritrovò in piedi di fronte al professore della seconda ora della classe in cui era stata assegnata. Il tragitto fu tanto rapido che non fece nemmeno tempo a salutare Jackyll, se non di sfuggita con un movimento della testa.



____________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
mi spiace per il tempo che mi ci è voluto per pubblicare questo capitolo e il tempo che potrebbe volermici per i prossimi capitoli. Grazie per aver letto fin qua e vi prego di lasciare commenti se potete, anche piccoli per sapere se vi sta piacendo o meno.
Buona giornata e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La nuova alunna - Parte 2 ***


CAPITOLO 3
La nuova alunna - Parte 2


Il professore era giovane e ben vestito; le indicò subito i posti disponibili in classe e riprese la lezione, senza neanche aspettare che si fosse seduta. Luna aveva scelta fra due banchi: uno in prima fila, attaccato a quello di un ragazzo in carne, con le labbra grosse e lo sguardo spento nel vuoto, e l’altro in ultima fila, che aveva accanto una ragazza con capelli corti, mascolini, talmente intenta a scrivere che non si era nemmeno accorta dell’arrivo della nuova compagna. Luna scelse la seconda opzione ‹‹Meglio qualcuno di normale che mi ignori, piuttosto dell’ameba in prima fila›› pensò, mentre passava in mezzo agli sguardi incuriositi degli altri ragazzi.
Sistemata al banco cercò di rivolgersi alla sua vicina per chiederle il riassunto della lezione ma, come Luna aveva previsto, la ragazza continuò ad ignorarla finché non ebbe completato il bizzarro disegno che stava facendo. Era passata ormai più di un’ora e, solo in quel momento, la ragazza sollevò gli occhi dal banco.
Luna notò che l’attenzione della vicina era distolta dal foglio, dato che ora la stava fissando intensamente “Ehi, tutto bene…?” non disse altro, vedendo la compagna stranita, quasi con aria schifata, continuare imperterrita a fissarla da dietro gli occhiali tondi.
“E tu chi saresti?!”
Tutta la classe, compreso il professore, si voltò a guardare cosa stesse accadendo dato che la domanda era stata esclamata talmente forte che pareva l’inizio di un’accesa discussione. L’insegnate, con aria seccata, si avvicinò al banco strisciando i piedi dalla cattedra fino al fondo della stanza. L’aula si stava riempendo di brusii e di risate.
“Sempre lei eh? Non sa stare zitta però”
“Adesso se la prenderà anche con la nuova ragazza, vedrai!”
“Certo che mettersi con la Hall… è veramente un suicidio! La strada più veloce per prendere una nota.”
Luna sentiva tutto quello che dicevano i compagni e, oltre a chiedersi che reputazione avesse la ragazza seduta accanto, si sentiva nel fulcro dei discorsi di tutti. Riusciva a sentirsi rossa come un pomodoro, benché la sua pelle avesse solamente assunto un colore roseo, e cercò di nascondersi il volto abbassandolo al banco. Il professore si fermò esattamente di fronte alle ragazze, con aria più seria del dovuto “C’è qualche problema, signorina Hall? È la quarta volta negli ultimi sei giorni che urla in classe: ha forse una scusa anche oggi?”
“Professore! Questa qui si è seduta a fianco a me senza dire una parola e così, all’improvviso! Non è nemmeno di questa classe!”
“Siete in banco assieme fin da quando sono entrato, ben svegliata Hall, avete una nuova compagna di classe! Se devo dirla tutta ho notato che non ti sei nemmeno mai sprecata ad alzare la testa da questo foglio,” disse il professore appoggiando la mano sul pezzo di carta pieno di disegni che c’era sul banco.
“Sono cose personali!” ribatté la ragazza cercando di afferrare il foglio, ma ormai l’uomo ce l’aveva già fra le mani. Luna rimase a guardare la scena in silenzio e con più tranquillità.
Dopo aver dato una breve occhiata al foglio il professore si fece dare il libretto dell’alunna e tornò alla cattedra. Luna, nonostante tutto, cercò di parlare alla ragazza che l’affiancava e che aveva il volto scuro, sperando di aiutare in qualche modo, ma tutti i suoi sforzi si rivelarono futili.
La ricreazione le pareva l’unico momento di tranquillità che poteva avere. Non aveva ancora conosciuto nessuno in classe e non aveva nemmeno la voglia di parlare con qualcuno, si stava limitando a stare seduta ad un tavolo da picnic nel cortile della scuola controllando Instagram e sorseggiando un succo che aveva preso dai distributori poco distanti “Che schifo” mormorò fra sé e sé storcendo il naso ad ogni sorso amaro che faceva ‹‹Nulla di interessante neanche oggi.›› spense lo schermo del cellulare. Tentò di centrare il cestino con l’involucro vuoto di carta che aveva in mano, imitando i famosi giocatori di basket che aveva visto, ma con scarsi risultati. Si alzò con un sospiro deluso per raccogliere il bricco di succo caduto poco lontano dal cestino.
Si guardò attorno, nessuno la stava guardando, eppure continuava a sentirsi quella strana, la nuova ragazza al centro dell’attenzione, in modo negativo. Ogni secondo si sistemava i capelli nascondendo il taglio, al solo tatto le procurava un’emicrania pazzesca. Più stava in mezzo alla folla rumorosa di ragazzi più diventava ansiosa di essere vista e di essere presa di mira, iniziò a camminare evitando gli sguardi di tutti quanti, giungendo fino all’area posteriore del cortile: deserta. Il vociare era solo un piccolo brusio in lontananza e l’ombra dell’edificio rendeva l’aria anche abbastanza piacevole e fresca, Luna non avrebbe potuto desiderare altro.
Si sedette sul ciottolato e, a respiri profondi, si calmò pian piano osservando le fredde nuvole invernali avvicinarsi all’orizzonte ‹‹Un anno fa esatto, vorrei essere a quel giorno e ripeterlo all’infinito. Non voglio un giorno felice: il mio compleanno o Natale. Mi basta un giorno qualsiasi. Uno a caso. Normale. Da vivere normalmente con una madre e un padre, come tutti… che vita… forse ho fatto qualcosa di male e ne sto pagando le conseguenze. Ma cosa? No! Non può essere nulla che ho fatto. Forse è per qualcosa che farò in futuro…›› Luna scosse il capo, scacciando i pensieri lugubri che le impazzavano in testa. In quello si accorse che l’aria fresca che aveva respirato fino a quel momento era diventata calda, secca e maleodorante “Una sigaretta?” tossì coprendosi il naso dal fumo e tornando in piedi. A qualche metro, di fianco a lei, c’era una ragazza, in piedi sul muretto esterno della scuola che si appoggiava alla recinzione di metallo. Stava facendo grandi boccate dalla sigaretta che teneva costantemente alla bocca.
“Ti sei ripresa? Sembravi persa in una qualche specie di trance.” la ragazza fece un piccolo salto scendendo dal muro e facendo calare drasticamente la sua altezza, tanto che ora era più bassa di Luna di quasi dieci centimetri “Tsk, anche tu sei più alta di me!” si lamentò la sconosciuta facendo un’ultima grande boccata dalla sigaretta lasciandola cadere a terra, sebbene non fosse ancora finita.
Luna tossì nuovamente sventolando le mani davanti al volto, cercando di diradare il fumo che le era arrivato dritto in bocca.
La ragazza che le stava parlando era la stessa che aveva visto affacciata alla finestra il giorno prima, ma Luna non se ne rese conto al momento. Era molto più bassa di quanto lei si aspettasse “Allora, che hai da guardare?” esclamò la piccola ragazza con accanimento.
“I tuoi capelli… mi piacciono molto. Da che parrucchiere vai?”
“Non sono qui per fare inutili chiacchiere fra ragazze.”
“Neanch’io, sono seria: sono belli i tuoi capelli.”
“Sì, sì, ok. Sei la ragazza nuova vero?”
Il sorriso malevolo era tornato sulla bocca della ragazza e si stava riallontanando portandosi un’altra sigaretta alla bocca.
“Sì, mi sono…”
“Era una domanda retorica -non serve che rispondi-. Ti ho vista ieri, non ricordi?”
A Luna ci volle un momento di troppo per ricordarla e l’altra ragazza ne approfittò per prendere l’accendino dalla tasca dopo essersi messa la sigaretta fra le labbra.
“Certo che ricordo! Se non sbaglio stavi fumando.” Luna tenne a dare una nota acida alla frase che, come voleva, attirò lo sguardo infastidito dell’adolescente, si voltò tenendo l’accendino in mano senza far scattare la scintilla, come stava per fare. Con la stessa mano prese la sigaretta e ripose nella tasca entrambe le cose.
“Come vuoi, principessina. Sta per suonare, faresti bene a tornare in classe.” a Luna non piaceva affatto quella ragazza, ma capiva che quell’ultima frase era detta senza cattiveria. Decise di contraccambiare, e trattenne la risposta acida che stava per darle
“Tu non vai in classe?”
“No, non si accorgerebbe comunque nessuno di me.”
La campanella suonò mentre stava rispondendo. Luna provò a salutarla con un cenno della mano ma non ricevette nessuna risposta, la ragazza era tornata in piedi sul muretto con già il fumo che le usciva dalla bocca, la faccia cattiva e gli occhi vitrei che osservavano il vuoto della strada.
Luna iniziava ad incamminarsi quando sentì una voce che la chiamava da dietro
“Domani sera ci sarà una festa in maschera per Halloween, nel bosco, al capanno abbandonato. Puoi venire dalle undici in poi!”
“Ci penserò.” rispose Luna ancora non del tutto sicura di aver capito bene
“Fallo. Sarà divertente! Se ti fanno storie all’ingresso digli che ti ha invitata Mary!”
Luna ringraziò e, a passo svelto, si diresse verso la sua classe.
Entrò un attimo prima dell’insegnante; passò le ore successive come una ragazza qualunque: attenta alla lezione e scambiando qualche chiacchiera con i compagni, quando capitava. Ci provò anche con Judy Hall, questo era il nome completo della sua vicina di banco, ma lei continuò a guardarla storta e a rispondere freddamente.
Al suono della campanella Luna non si accorse nemmeno che fossero finite le lezioni, si mosse solo quando vide i compagni uscire e, con inconsapevole piacere, notò che sua sorella era di fronte all’edificio ad aspettarla.
Il viaggio di ritorno a Luna parve più breve. Raccontò la sua mattinata alla sorella, tralasciando alcuni dettagli, come la festa e la vicina di banco, mentre finivano il pranzo.
“Ti dicevo che non sarebbe stato male cambiare scuola. Ti va un po’ di gelato?” Luna annuì alla schiena della sorella che stava già rovistando rumorosamente nel congelatore.
“Abbiamo cioccolato e limone.”
“Per me gelato al cioccolato.”
Tia ripose la scatola di plastica nel lavandino e rimise via il gelato al limone, dopo di che tornò a tavola. La ragazza pensò sul da farsi, poi guardò la sorella appoggiando il cellulare sul tavolo
“Oggi mi hanno invitato ad una festa…” la faccia della donna si illuminò all’improvviso
“Wow! Perché non me l’hai detto subito? E chi ti ha invitata, un ragazzo??”
“Va bene che sono bellissima” rispose Luna con aria quasi schifata “ma ahimè, nulla di simile.” concluse restando monotona nell’espressione e nella voce e tornando a guardare il cellulare “È stata una ragazza di nome Mary ad invitarmi, credo.”
“Credi?”
“Intendo dire che mi fa strano, tutto qui… ah, e sarà una festa in maschera, per Halloween.”
“Halloween? È domani la festa?”
“Diciamo di sì… posso restare fuori per la notte? Dato che inizia alle undici mi sa che faremo tardi, o presto, dipende da come la si vede.”
Tia rimase per un attimo corrucciata per poi tornare con un sorriso abbagliante
“Non sono la mamma, né tanto meno papà. Immagina che storie avrebbe fatto!” ridacchiò graziosamente per poi alzarsi e dirigersi al lavandino “Puoi andare, torna alle sei di mattina, massimo! Almeno così dormirai un po’… ma guai a te se bevi o fai qualsiasi altra cosa che non dovresti!”
“Quindi cosa non dovrei fare? Tutto?”
Tia alzò gli occhi al cielo con sguardo tentatore “Sai cosa intendo: droga, fumo… ragazzi…”
“Tia! Avevo capito!”
“Non si sa mai. Ti serve un costume vero?”
“Qualcosa di simile, sì, ma ho già un’idea per quello. Dopo mi dai uno strappo fino in città?” la sorella annuì allegramente versando il gelato in due copiosi recipienti.


____________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
che ve ne pare? Cosa potrebbe mai accadere ad una festa di Halloween liceale? Spero siate curiosi!
Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui!
Buona lettura!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La nuova alunna - Parte 3 ***


CAPITOLO 3
La nuova alunna - Parte 3


Erano ormai le tre del pomeriggio, l’ora più calda della giornata, e Luna se ne stava beatamente rintanata in camera sua che, pur essendo la più illuminata, era una delle stanze più fresche della casa. Sapeva che sarebbe dovuta partire di lì a poco e trovò rincuorante che ora riuscisse a muovere più liberamente il polso, anche se ancora aiutato dal tutore.
Ancora una volta sprofondò la testa sul cuscino, tenendo il cellulare alto di fronte ai suoi occhi “Nulla di interessante neanche oggi” borbottò continuando a scorrere la schermata di Instagram, sempre più lenta a visualizzare le foto ‹‹Che costume potrei mettere alla festa? È Halloween quindi… qualcosa di inquietante? Bah›› si caricarono alcune foto di case addobbate con zucche e ragnatele ovunque, continuò a scorrere ‹‹Vampiro? troppo classico, mummia? troppa carta igienica, fantasma?›› si fermò a guardare le lenzuola su cui era sdraiata ‹‹Tia mi uccide se le buco, ed è troppo banale›› altre foto a tema Halloween si caricarono, tra cui una ragazza vestita da gatto che metteva in mostra ben altro oltre che al costume. Luna si ricordò le mode del momento e non ci era affatto abituata.
Ignorò la moda e continuò a pensare ‹‹Gatto, pipistrello e qualsiasi altro animale sono esclusi quindi… zombie? Penso di essere abbastanza zombie di mio, non mi serve un costume per interpretarne la parte›› sul cellulare non si caricarono foto per qualche decina di secondi finché l’ultima flebile tacca del Wi-Fi non si si spense. Con un gemito lamentoso la ragazza fece cadere le braccia sulle estremità del letto e sentì il rumore sordo della moquette che attutiva la caduta mortuaria del telefono “Questo posto fa schifo.” Si ritirò di scatto in piedi e per un istante vide tutto girare, poi con nonchalance si diresse alla scrivania e, con la spazzola, cercò di sistemarsi alla meglio i capelli, ricolmi di elettricità statica. Cercò di guardare in qualche scatolone dei traslochi per trovare dei vestiti decenti ma non aveva proprio nulla da indossare, che a lei piacesse, ovviamente, dato che gli scatoloni erano ricolmi di vestiti. Iniziò a frugare fra i cassetti dove c’era già qualcosa sistemato: i vestiti nuovi, già indossati la mattina e quindi inutilizzabili per il resto del giorno, se non della settimana, una salopette e qualche maglietta. Si infilò la salopette in jeans con una maglietta nera come tutte, o quasi, quelle che aveva. Le scarpe rosse e la giacca di pelle la attendevano al solito posto, le infilò alla svelta e si voltò indietro per vedere se avesse dimenticato qualcosa. Sì, lo aveva fatto: raccolse il cellulare da terra, ripose il violino, abbandonato sul comodino, all’interno della sua custodia e riprese la spazzola per darsi un’altra sistemata. Appena ritornata alla porta si guardò indietro un’ultima volta perdendo troppo tempo a fissare lo spazio vuoto accanto al suo letto, come se sperasse che la scala che aveva sognato le notti scorse apparisse per magia. Non accadde nulla e i suoi piedi iniziarono a discendere le scale con rassegnazione.
 
“Sì sì, stiamo per uscire proprio ora. Oh, oggi? No no, nessun problema, verso che ora… ok. Va bene, lascio le chiavi sotto il tappeto allora.” Tia era al telefono quando Luna la raggiunse. La sorella era di schiena, non si accorse della sua presenza e la ragazza si diresse nel salotto con gli occhi sul telefono e le orecchie attente.
La voce della sorella aleggiava dolce e pacata “Ma non serve, sul serio… se insisti, però al mio ritorno ti fermi che ti offro un caffè. Non osare rifiutare!” una leggera risata sfuggì dalle sue morbide labbra, Luna riusciva a sentire le carie che quel tono melenso le stava procurando “Nessun disturbo! Torneremo in poco tempo. Va bene, ho capito. Certo che no, sarà per un'altra volta. Domani? Sì, dovrei essere libera. Allora siamo d’accordo. Sì, pure io devo scappare. Ci vediamo domani, ciao!” il saluto si protrasse ancora un po’, abbastanza per far scomodare Luna e farle fare su e giù dalla prima rampa di scale sbattendo le scarpe più rumorosamente possibile “Tia sono pronta! Andiamo!” la chiamata venne interrotta quasi all’istante e Tia comparse di fronte all’adolescente “Bene, aspettavo solo te!”
Il sole era veramente cocente quel giorno di fine ottobre, sull’asfalto si potevano vedere in lontananza piccole pozze d’acqua, scherzi del caldo, tutta l’umidità formata nei giorni precedenti stava scomparendo. La ventola dell’aria condizionata girava copiosamente, quasi stesse cercando di rinfrescare anche se stessa. Luna rigirava le dita fra i capelli a ritmo con un bellissimo brano classico che si godeva con le cuffie, gli occhi chiusi da sognatrice. Due piccoli buffetti sulla sua spalla la destarono da quel mezzo sogno che stava facendo, si tolse le cuffie e subito diede un’occhiata infastidita verso la sorella
“Che vuoi?”
“Siamo arrivate, te l’ho già detto tre volte! Possibile che tu non abbia sentito?”
“Avevo le cuffie.” Tagliò corto Luna e le ripose nel cruscotto.
Uscirono dall’auto dirigendosi speditamente verso il bizzarro negozio di costumi.
“È qui che volevi andare?”
“È qui che vendono costumi. Sì!” rispose la ragazza con tono svogliato.
“Bene!” esclamò Tia entusiasta, lanciandosi all’interno del locale, facendo risuonare la campanella all’impazzata “In veste di sorella maggiore sono qui per aiutarti!”
“Che fai?!” esclamò imbarazzata Luna.
Tia si bloccò un metro dopo la porta, avendo incrociato lo sguardo della commessa riccioluta, seduta dietro al bancone. Pile di vestiti si ergevano attorno al suo sguardo confuso e smarrito, Lothiel si alzò in piedi, con aria turbata, prima di mettersi a cercare freneticamente in mezzo a quel grumo indistinto di tessuti.
“Ciao. Scusami, lavori qui?” Tia fece qualche passo verso la ragazza, non ricevendo alcuna risposta.
“Siamo qui per un costume. Per una festa di Halloween. Ne hai sentito parlare? Sei stata invitata anche te?” Lothiel alzò una mano, come per dirle di aspettare, poi, a passo svelto, si diresse dietro uno scaffale. Tia rimase perplessa a osservare la ragazza finché non svanì del tutto.
“È muta! Stupida di una sorella! Si può sapere perché sei entrata anche te?!”
“Povera ragazza, non ne avevo idea! Sai cosa le è successo? E la benda? Povera ragazza, quanto avrà sofferto.” Luna superò la sorella, ignorandola, e raggiungendo la giovane commessa. Sembrava abbastanza agitata, aveva perso totalmente l’abbronzatura e i suoi capelli da riccioluti e biondi ora parevano solo molto mossi e color paglia, vicino al grigio.
Luna pensò che la ragazza avesse saltato la visita dall’estetista, il giorno prima, o qualcosa di simile.
“Devi scusare mia sorella, non sapeva delle tue… condizioni.”
Lothiel annuiva, eppure Luna era sicura di non essere affatto ascoltata dato che la ragazza non la guardava nemmeno. Le si avvicinò con calma e le appoggiò una mano sulla spalla, la commessa si girò a guardarla come se si fosse appena risvegliata da un incubo.
“Senti, non voglio disturbarti, mi basta solo un costume per la festa. Non vorrei neanche andarci, a essere onesta, ma se non lo facessi sembrerei asociale…” Luna si interruppe un attimo alzando le spalle e sorridendo “È la prima impressione che conta. Comunque, tu che mi consigli di mettere? Va bene tutto, magari nulla di troppo appariscente.” Luna ostentò un altro sorriso che, rincuorandola, venne ricambiato dall’ascoltatrice. Lothiel partì, con una nuova luce in volto, e si diresse verso Tia invitando Luna a seguirla, con un gesto della mano. Davanti alla sorella maggiore fece un piccolo inchino, come saluto; non riusciva a guardare la donna in faccia ma Luna non ci fece caso.
La ragazza muta fece qualche gesto incomprensibile agli occhi di Luna, sperando di essere compresa.
“Scusa ma, come ti avevo già detto, noi non conosciamo il…”
“Parla per te, Lu! Certo che siamo sorelle, non si vede? Sarà per i capelli…” Tia interruppe la sorella che rimase per un attimo sbigottita e non capiva il nesso fra la risposta di Tia e i gesti della commessa.
“Quando hai imparato il linguaggio dei segni?”
“Ci sono tante cose che non sai di me, sorellina.” Luna la guardò, infastidita dal continuo tono soave di Tia “Iniziamo con lo shopping?” incitò le ragazze.
I venti minuti successivi furono un continuo cambio di vestito per Luna e una ricerca dietro l’altra per Lothiel, Tia osservava la sorella e commentava discreta, ma comunque sprezzante, come una critica ad una sfilata di moda.
A Luna sembrava essere passata un’ora da quando era entrata nel negozio, ed era felice di come stava andando la giornata. Era forse la prima volta, da quando i suoi genitori se n’erano andati, che si sentiva realmente allegra, non sforzandosi nel sorridere o a mantenere un tono vivace. Uscì dal camerino con l’ennesimo costume, uno senza tema, non risaltante e decisamente non adatto ad una festa per ragazzi. Luna camminò scalza per qualche metro, sentendo lo strascico che la rallentava nel raggiungere Tia.
“Troppo esagerato?” scrutò la sorella da dietro la maschera nera veneziana che aveva addosso; la faccia di Tia parlava più di mille parole: l’abito bianco e nero le stava talmente bene che la bocca rimase asciutta da quanto era bella la ragazza.
Tutte e tre sapevano che quell’abito era troppo per una festa di liceali.
Per qualche istante il cuore di Lothiel si alleggerì, come se nell’aria qualcosa fosse cambiato e, con un sorriso gentile, porse a Luna un nuovo abito. La ragazza lo accettò facendo un cenno con il capo in segno di riconoscenza, poi si voltò e s’incamminò nuovamente al camerino.
“Sei bellissima! La mamma sarebbe fiera di vederti così.” una stretta incrollabile avvolse il cuore di Luna e grandi lacrime iniziarono a scenderle dai giovani occhi blu.
“G-Grazie.” la voce le si ruppe appena finì di parlare, entrò nel camerino e tirò la tenda.
Si guardò un’ultima volta allo specchio ‹‹Vorrei che tu fossi qui, lo vorrei con tutto il cuore...›› le lacrime formarono un piccolo cumulo sull’orlo della maschera, coprendole la palpebra inferiore, per poi scendere e poggiarsi sul suo sorriso tremolante ‹‹Ovunque tu sia, voglio che tu sappia che sto bene e che sono felice. Lo sono sul serio.››
Si cambiò, asciugandosi ripetutamente gli occhi, appese con cura l’abito bianco e nero e finalmente posò l’attenzione al suo riflesso, fece due profondi respiri e uscì dal camerino.
“Questo è perfetto! Niente di troppo vistoso, secondo me va bene.”
“Ma è nero, non volevi che non ne mettessi più di vestiti così?” Tia le sorrise scuotendo la testa.
“Tu che ne pensi, ti piace?” Luna restò esitante, le piaceva molto quel vestito, ma pensava che sarebbe dovuto piacere agli altri più che a lei, cercò aiuto in Lothiel rivolgendole uno sguardo insicuro, la commessa rispose con dei sicuri pollici in su.
“Perfetto direi!” Tia si alzò in piedi sgranchendosi le gambe “Vai pure a cambiarti, penso io al resto.”
 
Poco dopo Luna reggeva in mano un sacchetto di carta con dentro il nuovo abito e Tia stava rimettendo nel portafoglio la carta di credito “Sono proprio felice! Ti sta perfettamente, non trovi?”
Luna alzò lo sguardo dalla cassa, ancora immersa nei suoi pensieri
“Come? Oh, sì sì.”
“Tutto bene? Ti vedo pallida.”
“Bella battuta! Anche tu lo sei, se è per questo!” cercò di sdrammatizzare Luna
“Sono seria: sati bene? C’ è qualcosa che vuoi dirmi?” Luna si guardò attorno e notò che Lothiel si stava allontanando
“Scusa, stavo ripensando a mamma.” Tia d’istinto, quasi materno, le accarezzò dolcemente la schiena, ma la ragazza si allontanò. Luna afferrò la maschera nera che aveva indossato con il vestito bianco e nero
“Lothiel, questa quanto viene?”
La bionda le si avvicinò incuriosita, osservando l’oggetto, poi, dopo una rapida valutazione mentale, fece no con le mani e le la mise nella borsa.
“Che gentile, grazie mille!” ringraziò Tia e Luna la seguì a ruota.
 
La cena non era stata molto saporita e Luna se la sentiva ancora nello stomaco, probabilmente era lo stesso per Tia che aveva lasciato le stoviglie sporche nel lavello e faceva zapping, distesa sul divano.
“Ti va di guardare qualcosa?” Luna non rispose, aveva il portatile di fronte a sé sul tavolo del salotto, stava rivedendo lo spartito di un brano complicato di violino che voleva imparare e con una cuffietta all’orecchio ascoltava la melodia.
“Questo potrebbe essere interessante. Che te ne pare, Lu?” la ragazza alzò lo sguardo dallo spartito allo schermo, pareva una classica commedia romantica.
“Sembra carino, ma non penso lo guarderò tutto: sono stanca e domani ho scuola…”
“E la festa! Non sei eccitata? Sono agitata io, non immagino quanto lo sia tu!”
“È una festa, non il diploma.” scherzò Luna, cercando di nascondere l’agitazione che aveva dentro. Come se le avesse letto nel pensiero, Tia rispose con il solito tono dolce “Vedrai che andrà tutto bene, poi quella… Mary - giusto? - che ti ha invitata ci sarà, potrai conoscerla meglio.” Luna si limitò a sorridere e a continuare a leggere lo spartito.
Il film si dilungava molto fra lei che doveva scegliere fra il suo fidanzato noioso e il nuovo collega belloccio che, fatalità, l’aveva conosciuta in aereo, innamorandosi di lei, e i litigi fra amiche. Così Luna, dopo molti sbadigli, decise di andare a dormire. Chiuse il portatile, lo lasciò dov’era, l’avrebbe preso il giorno seguente. Salutò Tia e iniziò l’interminabile, almeno così le parve, rampa di scale. Si lavò i denti, impiegò quasi quindici minuti a struccarsi interamente, fra un’appisolata e un’altra. Entrò finalmente in camera alle undici e mezza, solo alla vista dell’orario maledisse il cellulare e si cambiò lasciando i vestiti in giro per la stanza, il suo pigiama le sembrava morbido come un peluche e senza pesarci due volte, si sistemò a letto per dormire.



____________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
grazie per aver letto fino a qui! Spero ti stia godendo la lettura. Sto continuando a rivedere i capitoli passati e a migliorare quelli che ci saranno in futuro!
Grazie ancora del tuo tempo!
Buona giornata e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Halloween - Parte 1 ***


CAPITOLO 4
Halloween - Parte 1

 
Si svegliò, la luce della luna le schiariva il volto ‹‹Un altro sogno? Ma… dove sono…?›› più Luna si guardava attorno e meno capiva cosa la stesse circondando.
Non aveva mai visto un cielo tanto bello come in quel sogno: le stelle e la Via Lattea lo illuminavano come nelle notti più limpide. Il pavimento era esattamente come uno specchio di vetro, l’orizzonte non aveva una fine, cielo e terra erano tutt’uno e se Luna non ci avesse camminato sopra, avrebbe pensato di essere circondata dal nulla.
Camminò per minuti, silenziosi come di tomba. Il suo corpo si rifletteva esattamente sotto i suoi piedi, tanto che se qualcuno avesse visto la scena da lontano avrebbe faticato a distinguere quale fosse il dritto e quale il rovescio.
Si interruppe quando arrivò alla fine della stanza. Il muro era altrettanto lucido e riflettente come il pavimento ‹‹Assurdo. Veramente assurdo.›› pensò.
La ragazza si guardò allo specchio, ma una strana sensazione di inadeguatezza la seppelliva e la portava a non riconoscersi più in quel riflesso. Più si guardava, più la sensazione aumentava. Notò qualcosa di strano nel suo occhio sinistro, si avvicinò allo specchio ancora, e ancora… come un fulmine, si rese conto di cosa ci fosse che la stava turbando. Un brivido le percorse la schiena. ‹‹Dov’è!? Dov’è la pupilla…!?››
Un bruciore insopportabile le attraversò tutto il braccio sinistro fino a raggiungerle la fronte. Luna alzò piano il braccio: era nero, di quel nero opaco che non lascia riflettere alcuna luce, ed ancora più strano era il fatto che fosse circondato da una fiamma altrettanto scura, ma trasparente, gelida come il ghiaccio. Il cuore iniziò a batterle sempre di più e, guardando allo specchio, non vedeva altro che una sagoma scura che bruciava. Solo alcune parti erano riconoscibili, come gli occhi: bianchi, senza pupilla, brillavano di luce propria.
Luna aveva il cuore in gola, quella figura la terrorizzava e non riusciva più a staccarle gli occhi di dosso. La sua paura più grande era che quella cosa potesse essere proprio lei. Doveva provare.
Alzò un braccio e, come un mimo, l’immagine che aveva davanti la copiava. Lo avvicinò al vetro, riusciva a vedere le venature chiare sotto quella pelle scura e in fiamme: sì era proprio lei quella cosa che tanto la spaventava.
Ritrasse subito il braccio appena toccò il vetro gelido.
‹‹Non è possibile! No, infatti: è solo un sogno! Allora svegliati Luna! Svegliati!››
Riusciva a stento a muovere le braccia, era completamente immobilizzata dalla paura, come una statua. Si diede piccoli pizzicotti ma il dolore era vero, come quello di un pizzicotto vero, come quello che avrebbe provato se ne avesse dato uno da sveglia. Ogni certezza iniziò a vacillare.
‹‹È un sogno, non è forse così?››
Il cielo stellato si stava tramutando in un buio senza fine, l’unica cosa che riuscì a fare fu chiamare Tia, urlare il suo nome in cerca di aiuto. Continuò a chiamarla, per sempre.
 
Aprì gli occhi di colpo. Era mattina e la sua faccia era beatamente sprofondata nel cuscino, il corpo implorava di restare ancora a letto e i capelli di essere pettinati.
Si mise seduta, mancavano ancora dieci minuti al suono della sveglia e con tutta sé stessa avrebbe voluto tornare a dormire. Si fecce forza e si sollevò di peso dal letto. Non sentiva le gambe; eppure, la condussero fino al bagno senza problemi, si sciacquò energicamente il volto e si guardò allo specchio.
‹‹Che sogno orribile, non l’avrei sopportato neanche per un altro minuto.›› il suo cuore batteva lento e rilassato ‹‹Strano, mi è scomparsa la cicatrice.››
Aguzzò gli occhi ancora dormienti, ma non la stavano ingannando: la sua fronte era liscia e pallida come di nroma, senza neanche un piccolo segno dell’esistenza del taglio che si era fatta.
 
Bi-Bip! Bi-Bip! Bi-Bip!
 
La sveglia squillò acutamente e fastidiosamente, cercando di attirare l’attenzione della giovane, troppo presa a guardarsi allo specchio. Non ricordava quasi nulla del sogno, sentiva solo strane sensazioni a riguardo, una delle quali la portava a fissarsi intensamente gli occhi, come in cerca di qualcosa fuori posto.
“Luna! Alzati! Quella sveglia infernale si sente fin in salotto!” Tia non ricevette alcuna risposta “Lu! Non ho voglia di salire! Svegliati, ti prego!”
Luna si sciacquò nuovamente il volto e spense la sveglia. Cercò di ignorare il sogno e prese i vestiti del giorno prima, li ammucchiò sul letto e se ne mise di puliti, sempre sulla tonalità nero-blu scuro. Prese giacchetta, scarpe rosse e zaino in spalla. Le faceva ancora strano essere tornata a scuola. Il suo riflesso le pareva completamente sconosciuto, sia per gli abiti nuovi, che per lo strano sogno che ancora non riusciva a ricordare.
La cucina era affumicata e c’era una tremenda puzza di bruciato. Appena Luna scese le scale si turò il naso e cercò di non soffocare.
“Che stai facendo!?”
Tia stava davanti al lavello contenente una padella che arroventava l’acqua corrente, creando una nube di vapore. La sorella guardò Luna con aria colpevole.
“Ehm… french toast?”
Luna scosse la testa aprendo le finestre e prendendosi biscotti e latte.
Appena la nebbia si diradò, Tia le si sedette a fianco.
“Dormito bene? Io magnificamente!
 Luna fece un breve verso, che avrebbe dovuto significare .
Continuò così a rispondere alla sorella, intervallando versi che volevano dire e no, a seconda dell’interpretazione di Tia.
Luna non stava ascoltando i discorsi di sua sorella, soprattutto perché ogni volta che sentiva qualcosa era sempre una fra queste tre parole: scuola, lavoro e Thomas; quindi, preferì ripensare alla notte passata.
Il sogno era come un ricordo lontano, solo che pian piano si stava cancellando, ma Luna voleva ricordare, voleva capire. Ci provò intensamente, ma fu tutto vano quando un buffetto di Tia le raggiunse la spalla e la deconcentrò.
“Ehi, mi senti?”
“Sì, certo. Ho finito, andiamo?”
 
 
Passò il tragitto in silenzio, guardava il cielo grigio fuori dal finestrino. Era la prima giornata brutta da tanto tempo e le nuvole davano presagio di pioggia.
“Pare che oggi pioverà, hai preso l’ombrello?”
Luna raddrizzò la testa stranita “Abbiamo un ombrello?”
“No! Volevo vedere se eri attenta, oggi mi sembri molto distratta. Qualcosa non va? È per la festa?”
“No. Quante volte devo dirtelo, che non mi preoccupa?”
“Allora cos’è, non ti piace la scuola?”
“No.”
“La casa?”
“No.”
“La città?”
“No!”
“La macchina?!”
“No! Non c’è nulla che non mi piaccia! Ho solo fatto un sogno strano, un altro. Ma non riesco a ricordarlo, contenta?”
Luna era contrariata, non voleva che Tia sapesse dei sogni e non voleva minimamente raccontarglieli
“Oh, hai avuto un incubo? Ti va di parlarne?”
“Santo cielo, Tia! Non sono una bambina, non c’è niente di cui parlare!”
Improvvisamente ci fu un fragore in cielo e iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia.
Come se non bastasse, anche la radio smise di funzionare e cominciò a trasmettere solo rumore di statico, così Tia la spense. Luna rimase in silenzio ad ignorare la sorella, mettendosi le cuffiette.
 
 
Dopo venti minuti, Luna era seduta al suo banco, dentro a quello che pareva un cimitero: la brutta giornata portava con sé facce mogie e annoiate, più di quante non ce ne fossero prima, e la lezione di biologia era teorica, quindi completamente ignorata da tutti.
Un ragazzo in seconda fila si addormentò sul banco e, dopo una forte sgridata dalla professoressa, ricevette una nota che fece risvegliare un po’ tutti da quel coma ad occhi aperti.
Ogni cambio dell’ora fu diverso: alla fine della prima, tutti ne approfittarono per prendersi un caffè, o per dormire, come fece il ragazzo-ameba in prima fila; alla fine della seconda, tutta la classe copiò gli appunti di biologia presi dal secchione in terza fila, accanto alla finestra, fu una corsa contro il tempo; la campanella di fine terza ora portò un respiro di sollievo, annunciando la ricreazione, e, approfittando del bel tempo momentaneo, gli alunni uscirono in cortile evitando pozzanghere e laghi che si erano formati.
 
“Anderson, hai un momento?” Judy stava chiamando Luna, a cui vennero i brividi sentendosi chiamare per cognome.
“Ah, Hall, chiamami Luna. Non mi piace essere chiamata per cognome.”
“Va bene, ma tu mica mi chiami per nome.”
“Forse perché non me l’hai detto?” cercò di ironizzare Luna.
“Sì, è vero. Allora…”
La ragazza iniziò a sfogliare il libro di storia che teneva perennemente sul banco, senza notare la richiesta sottointesa della conversatrice di rivelarle il nome.
“Ecco qua! Ci ho messo un po’ prima di trovarlo nel mio libro degli incantesimi, ma sono sicura apprezzerai. Soprattutto ora, dico bene?”
Luna non capiva né di cosa parlasse, né cosa volesse da lei.
La ragazza estrasse due pezzi di carta dal libro di storia, sul quale effettivamente aveva scritto LIBRO DEGLI INCANTESIMI a caratteri cubitali.
“Ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che questi sono tuoi, usali con discrezione.”
Con molta tranquillità, le porse i pezzi di carta. Luna, con riluttanza e estraneità, accettò, ma, prima che potesse prenderli, Hall li sottrasse.
“Solo un avvertimento: leggi ad alta voce e non farlo in pubblico.”
Con ancora meno fiducia, Luna prese i pezzi di carta e li mise in tasca.
“Grazie, credo.”
“Di nulla!” Judy uscì dalla classe con il suo libro di storia sottobraccio e scomparve nella folla.

 

_____________________________________________________________________________________________________________________________



CARO LETTORE,
spero ti stia godendo la lettura. Per rendere i capitoli più scorrevoli ho dovuto tagliarli in punti non destinati a essere la fine del capitolo, spero non siano tagli brutti o in punti sgradevoli. In caso fammi sapere quel che pensi e come secondo te potrei miglirare la storia di Luna con una recensione!
Grazie, buona lettura e buona giornata!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Halloween - Parte 2 ***


CAPITOLO 4
Halloween - Parte 2


 

 

Luna uscì in cortile, affollato come il giorno prima e, come il giorno prima, si diresse sul retro della scuola. Mary era già là. La solita sigaretta in bocca e gli occhi grigi rivolti verso il nulla.
“Ehi. Ciao Mary.”
“Ehi.”

“Come ti va la giornata? La mia è una noia, con picchi di assurdità di tanto in tanto, non so se capisci…”
Luna portò la mano in tasca per prendere i pezzi di carta, ma rimase ferma a pensare perché si ritrovasse là. Forse perché Mary era la prima ragazza della città con cui era riuscita a fare una conversazione normale? O forse perché, in fondo, quella ragazza dai capelli verdi le stava simpatica.
Mary spense la sigaretta e si sedette sul muretto assieme a Luna. Sembrava stanca ed era lenta nei movimenti. Piegò pian piano la schiena, palesemente dolorante, indietro, fino a toccare la recinzione con la testa.
“Stai bene? Hai dormito stanotte?”
“Chi sei, mia madre? Comunque, no. Ci sono stati problemi con l’orso che si aggira nei boschi, ha aggredito il vecchio Barney. Ero uscita a tarda notte, vicino agli alberi. Lui ha visto l’orso e si è messo in mezzo per proteggermi… È in ospedale da ieri, non si è ancora ripreso del tutto, Io me la sono cavata nettamente meglio.”
“Mi dispiace tanto, spero si riprenda.”
Mary estrasse istintivamente un’altra sigaretta e la mise fra le labbra, dimenticandosi sul muretto quella che aveva spento, quasi nuova.
“Scusa se chiedo, ma… è tuo padre?” chiese Luna.
La ragazza scoppiò in una breve risata che la fece intossicare col fumo.
“Il vecchio Barney? Mio padre! Pensi a quel che dici prima di parlare? Haha!” esclamò Mary con quasi le lacrime agli occhi dal ridere. Si calmò dopo qualche colpo di tosse.
“Lui ha una casa-famiglia qui in città, nonché l’unica. Siamo in molti ad abitare là, per lo più ci odiamo e almeno una volta al giorno qualcuno scappa di casa.”
“L’avevi fatto anche te, ieri?”
“Più o meno, più che altro…”
“Lei era andata a prendersi le sigarette prima che il vecchio tornasse, ma non è andata molto bene.”
Da dietro l’angolo arrivarono Dan e Jackson. Il primo con la giacca dei pipistrelli d’oro e il secondo con una camicia troppo elegante e troppo pesante per una giornata scolastica tanto umida come quella.
Mary si alzò di scatto, paralizzandosi subito dopo per via dei dolori alla schiena.
“Cosa ci fai qua, spilungone? Vuoi fare la spia ai professori oggi? Non ti è bastato fare quel casino col vecchio Barney!”
“Senti, Mary, io stavo solo tenendo unita la famiglia, dato che a quanto pare la sorella maggiore non fa il suo compito!”
“Non sono vostra sorella! E quella là non è la tua famiglia! Possibile che tu non capisca?”
“Dovevi restare a casa ieri.”
“Dovevi tenere il becco chiuso, spilungone!”
“R-ragazzi, calmiamoci un attimo.” disse Jackson mettendosi timidamente nel mezzo metro che separava i due litiganti. Luna, completamente ammutolita, si sentiva molto fuori posto e decise di stare seduta in silenzio.
Dopo poco i ragazzi si calmarono e si trovarono tutti e quattro in riga, sul muretto freddo.
“Quindi voi abitate assieme?” azzardò a chiedere Luna. Mary restò muta soffiando il fumo nell’aria.
“Sì, il vecchio Barney ospita ragazzi senza famiglia fin da quando è tornato dalla guerra.”
“Ah, ok.”
Calò un silenzio imbarazzante.
“I-io no. I miei stanno entrambi bene. Almeno fisicamente.” disse Jackson sbottonandosi il collo della camicia.
Silenzio.
Luna guardò l’ora sul cellulare “Sta per suonare, io vado.”
Dan si alzò “Ti accompagno.” Jackyll li seguì a ruota.
Luna si voltò per aspettare l’altra ragazza, ma non sembrava intenzionata a muoversi.
“Voi andate, ci vedremo alla festa.”
 
Camminarono un po’ e Jackyll non fece altro che parlare di fumetti con Dan che, pur provando a dire qualcosa a Luna, non completava mai una frase. Dan, con fatica, riuscì a farsi dare il numero della ragazza, dicendo che serviva per un gruppo WhatsApp. Lei volle crederci.
Luna arrivò alla classe senza problemi, con un minuto di anticipo sulla campanella. Salutò Jackyll e il ragazzino solo dopo una lunga discussione su quali fossero i migliori film mai visti nella loro vita, iniziata da Jackyll.
 
Judy rimase in silenzio per il resto della giornata. Luna continuava a pensare alle varie cose che aveva passato in quei giorni, passandosi la mano sulla fronte dove prima aveva il taglio.
La campanella di fine giornata suonò prima di quanto Luna si aspettasse e in men che non si dica era già a fianco della Sorella, in auto.
Passarono a fianco un gruppo di ragazzi della squadra di baseball della scuola e, dal grumo, un ragazzo salutò Luna. Era Dan che sperava di venir ricambiato, ma la ragazza lo ignorò palesemente e riprese a guardare Instagram.
“Dai Lu, saluta! Suvvia, non essere scortese! Quello non è il ragazzo che ti ha trovata l’altra sera? È anche carino.”
“È tutto tuo!” rispose la sedicenne facendo cenno alla sorella di andare da lui, con un mezzo sorriso sulle labbra.
“Penso che questa volta passerò. Non è pronto per tutto questo.” disse Tia mettendosi i suoi occhiali da sole viola e spingendosi indietro i capelli “Poi non ha mica salutato me in modo tanto affiatato!” concluse Tia, guardando la sorella da sopra gli occhiali e usando la sua solita voce morbida e gentile.
“Tu guardi troppi film.”
“Probabile. Ora andiamo.”


____________________________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,

come sempre ti ringrazio per seguire questa storia, spero vivamente che la trovi intrattenente.
Aspetto qualsiasi commento e critica, belli o brutti! Quindi non temere!
Buona giornata e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Halloween - Parte 3 ***


CAPITOLO 4
Halloween - Parte 3

La pastasciutta, quel giorno, pareva esageratamente buona a Luna e la finì in meno di cinque minuti.
Il telegiornale locale annunciava l’aggressione della sera precedente, il titolo in grassetto era “Orso o Pazzo furioso?”. Il servizio diceva che l’aggredito aveva giurato di aver visto un grosso uomo armato di coltello, ma la polizia smentì subito dicendo che non c’è niente di cui preoccuparsi e che i tagli inflitti al corpo del vecchio erano sicuramente causati da artigli di orso. Dissero poi che in qualche giorno sarebbe migliorato e che l’anziano non era in gravi condizioni.


Appena tornata in camera, Luna sistemò il letto in velocità, per poi buttarcisi sopra con il computer dopo aver indossato i vestiti più comodi che avesse, il pigiama. Quasi immediatamente le arrivò una notifica sul cellulare, era stata inserita in un gruppo e stavano già scrivendo:

 Numero sconosciuto
[Ciao ragazzi, sono Daniel! Ho creato questo gruppo così possiamo trovarci prima stasera]

Numero sconosciuto
[OK dani! Ti piace il costume che ti ho fatto???]

Numero sconosciuto
[Ciaooooo io sono Jackyll]

Luna cercò di salvare i contatti in modo riconoscibile. Capì subito che il secondo messaggio era della commessa del negozio di costumi. Come foto profilo aveva il suo sguardo, una benda da una parte e un occhio arcobaleno dall’altra, probabilmente ritoccato con qualche applicazione.

Numero sconosciuto
[Xkè ci sno ankio?]

Ragazzino
[Hai organizzato te la festa, ci servi per entrare subito]
[Cmq potevi chiedermelo di persona, sei letteralmente dietro questo muro]

Numero sconosciuto
[Lo so! Nn serve che sbatti!!]
[Rompipalle]

Jackson
[Siete irrecuperabili]

Numero sconosciuto
[Taci tu! O giuro che lunedì nn passerai una bella mattina]

Tu
[Ehi ciao]
[Sono Luna]

Lot (non so scriverlo)
[CIAOOOOOO!! Volevo chiederti il numero ieri. Ma ho avuto qualche problema con il taccuino]
[Mio padre l’aveva messo in mezzo ai suoi documenti XD]

Si scrissero a lungo, specialmente per quanto riguardava la festa che li attendeva.
Luna approfittò del tempo libero e dell’assenza di Tia per esercitarsi col violino, nel salone, per poi, verso sera, guardarsi un vecchio film horror. La pioggia aveva ripreso a scrosciare incessantemente.
Tia rientrò molto entusiasta, sembrava aver passato un bel pomeriggio, ma non accennò a nulla di interessante mentre lo raccontò alla sorella.
Prepararono la cena assieme, ascoltando della musica, e inventarono un piatto assolutamente strano, usando quei pochi ingredienti dai sapori contrastanti che gli erano rimasti in frigo.
Mangiarono di gusto, avendoci messo un paio di ore abbondanti nel riuscire a finire e a servire il piatto in tavola.

Finito di cenare, Luna corse in camera e in meno di un’ora era pronta ad andare. Si fermò davanti allo specchio per sistemarsi un’ultima volta i capelli e per controllare di aver messo tutto nella borsa.
Tia bussò alla porta.
“Ehi, posso entrare?”
“Sì, certo.” rispose Luna affrettata.
“Sono arrivati i tuoi amici a prenderti. Ti stanno aspettando da quasi dieci minuti. Gli avevo detto di aspettare un minuto ma tu non scendevi più.”
Luna afferrò il cellulare: 109 messaggi.
“Perché non mi hai chiamata subito!”
“Ho camminato tutto il giorno, vuoi anche che salga e scenda queste scale di continuo?”
“Potevi non darmi questa stanza…” rispose seccata Luna, uscendo a passo svelto dalla stanza.
“Aspetta Luna!”
“Che c’è? Sono in ritardo!”
“La tua giacca…”
Tia porse la giacca nera alla ragazza, che si affrettò a prenderla, scendendo rapidamente le scale con le sue scarpe rosse.
“Divertiti!”
“Grazie Tia!” 

Luna non lo sapeva, ma in quel momento Tia era combattuta fra preoccupazione e felicità, pensando a quel ringraziamento, uno dei pochi sinceri che avesse ricevuto dalla sorella.

Luna salì nell’auto, chiudendosi l’ombrello alle spalle. Ddentro c’erano Jackson, nervoso, Daniel, al volante, e Lothiel, seduta nei sedili posteriori con la faccia illuminata dal cellulare.
“Caio Luna! Hai preso tutto, vero? Perché siamo in ritardo di quasi mezz’ora e…”
“Sì sì, sicura. Ora parti, ragazzino.”
“Come vuole lei, sua altezza!”
Il ragazzo appena uscì dal ghiaino. Premette l’acceleratore al massimo, slittando un poco e facendo scivolare il cellulare dalle mani di Lothiel che, con un riflesso felino, lo prese al volo.
La ragazza scosse la testa e si girò verso Luna, mostrandole il cellulare che usava al posto del blocchetto, iniziarono a scriversi. Luna, per paura che la vicina potesse leggerlo, cambiò velocemente il nome con il quale l’aveva salvata.

Lot
[Ragazzi! Sempre a esagerare]

Tu
[Già, tu li conosci bene?]

Lothiel la guardò con un sorriso stampato in faccia. Annuì con movimenti della testa esagerati.

Lot
[Li conosco da quando sono qua. Sono arrivata in città circa 6 anni fa (con mio padre -_-)]
[Jackyll è mooooolto timido ma sotto sotto è + coraggioso di dani, ed è anke il ragazzo + intelligente ke conosca]
[Dani è arrivato poco dopo di me, ha perso i genitori ed è molto sensibile a riguardo. Ha trovato una nuova famiglia grazie al vecchio barney e anke se nn lo ammette sente molte responsabilità per quei ragazzi]

Lothiel sembrava un po’ giù di tono nel parlare di certe cose, quindi Luna cambiò discorso, cogliendo al balzo una frase che aveva sentito dire da Jackyll.
“Dan, n-non serve che fai l’idiota solo perché ci sono delle ragazze. R-Rallenta dai.”
Per quanto piano avesse provato a parlare, le parole del ragazzo giunsero alle orecchie delle passeggere.
“Allora ragazzi, voi da cosa sareste vestiti?”
Luna stava aguzzando la vista, ma era troppo buio per capirlo. L’unica differenza che aveva notato era su Lothiel, la quale aveva i capelli lisci e ben piastrati, biondi paglia e una benda molto scura, che pareva in pelle.
Jackyll si voltò, molto imbarazzato.
“I-io… mettiamo in chiaro che non volevo farlo e-e che sono stato costretto!” disse guardando di cattivo occhio verso Daniel, che stava ridacchiando.
“Devo vestirmi… da Doc…”

“Da… Doc? E chi sarebbe?”
Mentre lo stava chiedendo, accanto a lei Lothiel era scoppiata in una rumorosa risata che prese alla sprovvista Luna, la quale per poco non urlò dallo spavento. Era strano sentire la voce di una ragazza muta. Lothiel scrisse un messaggio sul gruppo e mise un ciuffo dei suoi capelli in testa a Jackyll, per farli sembrare bianchi, e ritornò a ridere. Luna guardò il telefono e il messaggio ceh era stato inviato.

Lot
[Grande Giove!!]

Luna ebbe un ricordo e le venne da sorridere.
“Doc? E dove hai messo la DeLorean?”
“E-Ecco perché non volevo fare Doc! È troppo vecchio e rimbambito!”
“Suvvia Jackyll! Doc è un grande! Per questo è il tuo scienziato preferito, dico bene?”
Intervenne Dan, chiedendo supporto dalle due ragazze. Lothiel si calmo e annuì dando qualche pacca sulla spalla a Jackson.
“Io mi avvalgo della facoltà di non rispondere.” concluse Luna sarcasticamente.
“Dai… potevi aiutarmi almeno un pochino!”
“Tu da cosa sei vestito? Sembri un po’ retro.”
“Io? Io sono uno dei più grandi killer della storia: il famigerato Jack lo squartatore!”
“Bah, mi sembra banale anche per te, ragazzino. Almeno il costume è fatto bene.” rispose Luna facendo l’occhiolino a Lothiel.
“Ehi! Scommetto che non penserai la stessa cosa quando sarò al centro dell’attenzione di tutte le ragazze della scuola!”
“Spero non siano tutte così stupide da guardarti! Poi non sarebbe imbarazzante se ti servisse un cilindro in testa per attirare l’attenzione?” rincarò Luna, sfilandogli il cappello dalla testa e mettendoselo.
“Ridammelo!”
“Non finché fai l’idiota davanti alle ragazze. Dico bene Jackyll?”
Dan si mutò e diventò rosso come un peperone, Jackson portò una mano alla faccia scuotendo il capo e Lothiel porse il pugno da battere a Luna.
I ragazzi rimasero in silenzio per il resto del viaggio, mentre le passeggere continuarono a scambiarsi messaggi pieni di pettegolezzi.

In meno di cinque minuti, Dan svoltò in una strada laterale sterrata, circondata dal bosco. Pochi metri dopo iniziarono a vedere le luci del capannone, che illuminavano il circondario. La pioggia, da persistente, si acquietò in un’istante. I ragazzi scesero dall’auto, Jackyll, accompagnato dal suo migliore amico e da Lothiel, si diresse verso un piccolo capanno vicino a quello centrale. Era preso molto meglio dell’altro, doveva servire come camerino per cambiarsi e per lasciare borse, zaini e preziosi, almeno così avevano detto i suoi accompagnatori a Luna. I due energumeni all’ingresso non la fecero dubitare. Decise di posare anche la sua borsa, ma i tre amici erano già saettati nell’altro edificio.
Rimase sola a fissare l’entrata, adornata da altri energumeni, che però sembravano meno attenti e più intenti a fumare e a bere birra.

“Che fai, non entri?”
Luna si voltò. Aveva riconosciuto quella voce, ma non si aspettava di incontrarla là.
“Probabilmente no. Pensavo che sarei entrata subito, ma ha smesso di piovere all’improvviso e si sta bene qua…”
Hall la guardò stranita, mentre arrotolava la cartina della sigaretta attorno al tabacco.
“Ah, se avessi saputo che non saresti entrata senza la pioggia, non sarei uscita a fumare una sigaretta.”
Luna rimase perplessa dalla frase e ci mise un po’ per raggiungere la conclusione che non avesse alcun senso. Ignorò la stranezza della ragazza.
“Ok… non sapevo che fumassi.”
“Effettivamente non lo faccio spesso, solo nei giorni dispari dei mesi pari con la luna piena.”
“Va bene… com’è la festa?”
Hall si limitò ad alzare le spalle, accendersi la sigaretta e fare un grande tiro, seguito da molta tosse.
“Non mi abituerò mai a sta roba.” 

La ragazza che aveva accanto era poco truccata, con i soliti occhiali tondi in viso, e con il suo libro di storia in una sacca a tracolla, rovinata. Era vestita da stregone, come quelli vecchi dei libri e film fantasy, che a Luna non piacevano molto. La veste della ragazza era blu, con delle stelle disegnate sopra. Poteva essere scambiato per un costume da bambino, con il berretto viola a punta che le copriva quasi interamente i capelli.
Luna rimase in silenzio a guardare la luna che, lentamente, si rivelava da dietro le nuvole.
La musica risuonava da dentro il capanno, accompagnata dal vociare dei ragazzi
‹‹Che rottura. È una bella serata, ma non riesco nemmeno ad entrare e divertirmi, sono una stupida.››

In poco tempo l’aria iniziò a diventare fredda e la luna ad illuminare le fronde degli alberi, più di quanto non lo facesse già prima. L’aria che usciva dalla bocca di Luna creava piccole nuvole di vapore. La ragazza mise le mani nelle tasche della giacca e si accorse di essersi portata dietro i pezzi di carta datele da Judy. Li tirò fuori per leggerli, approfittando di avercela accanto.
Hall li notò e i suoi occhi si illuminarono.
“Li hai portati! Allora hai fatto quello che ti ho detto, belle vero? Non serve che ringrazi! Non mi servivano a nulla! Erano nel seminterrato fin da quando io ricordi.”
“Ehm… no, mi dispiace, non penso di capire di che stai parlando.”
Hall la guardò con sospetto.
“Di quei bigliettini, no? Quelli che hai letto. Perché li hai letti, vero?”
La ragazza era così tanto minacciosa che Luna non seppe contraddirla e decise di entrare, svicolando il resto della conversazione. 

I buttafuori non stavano guardando minimamente l’ingresso, dal quale uscivano ed entravano ragazzi e ragazze senza alcuna difficoltà. La via era libera e la porta davanti a lei.
‹‹Forza Luna, cos’è quest’ansia? Non devi avere ansia! Stai andando a divertirti, no? Allora entra!››

Afferrò la maniglia e aprì la porta.


____________________________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
oggi non ho molto da dire. Spero abbiate passato un bel Natale e che passiate delle belle vacanze!
Bona lettura e buone feste!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** La festa - Parte 1 ***


CAPITOLO 5
La festa - Parte 1

 

 

L’aria era asciutta e nebulosa. Le luci serpeggiavano fra i ragazzi a ritmo con la musica. I bassi e i salti della folla facevano tremare tutto il pavimento.
A Luna vennero i brividi. Si sistemò la maschera sul volto e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.


 “Benvenuta alla festa, principessina!”
Le si stava avvicinando una ragazza minuta, o forse era meglio definirla una bambina, dal suo aspetto. Era bellissima, bionda, vestita in abito da sera scuro e logoro e abbastanza pietoso, quasi invisibile circondato dalle due sovrastanti ali corvine che indossava. Luna si sentì alquanto spaesata di fronte a quella figura ‹‹Ha un non so ché di familiare… ma chi è?››

“Allora, ho fatto bene ad invitarti o no?”
“Vedremo…”
“Tieni! Prendi del punch. L’abbiamo un po’ corretto, giusto per dare quel brio di illegalità anche a lui, oltre che alla festa!”
Luna non riuscì a bere neanche un sorso del punch che svuotò la bocca nel bicchiere e cercò di rinfrescarsi la lingua, soffiando.
“He diavoho è…!”
“Punch con vodka piccante, non ti piace?”
Luna scosse la testa dirigendosi all’improvvisato bar al centro della marea di ragazzi scatenati.
“Acqua!”
“Arriva subito.”
Il barman, mascherato dietro una faccia rossa da diavolo, le porse lestamente il bicchiere.
Luna lo prosciugò avidamente, non riuscendo a concentrarsi su altro oltre alla sua gola in fiamme.
Il barman aveva già raggiunto l’estremità opposta del bancone, dove si apprestava a servire del liquido, probabilmente un alcolico, ad un gruppo di ragazze qualche anno più piccole di Luna. 

L’uomo era il più elegante della festa, da quel che aveva potuto vedere la ragazza. Smoking nero e maschera, alto, ben educato e formale, eseguendo il suo lavoro impassibile, per quanto andasse contro almeno quattro leggi. Qualche ragazza ci provava spudoratamente con il misterioso diavolo, ma con una gentile risata lui rifiutava chiunque.

Mary, accompagnata da Lothiel, la raggiunse.
La commessa era estremamente diversa dal solito, indossava uno strano vestito, simile ad un’armatura in cuoio ingrigito, con maniche lunghe aderenti e una mantella verde scuro. La sua benda, anch’essa scura, aveva uno strano simbolo inciso sopra con il ferro, che grazie alla luce del bar Luna era riuscita a intravedere. I capelli le ricadevano lisci sulle spalle, abbinandosi agli orli argentati dell’abito.

 “Finalmente ti ho ritrovata. Eri scomparsa nella folla dopo quel punch!”
“Scusa, non sono abituata alle cose piccanti.”
“Fa nulla! Ti rimedio subito un cocktail da paura! Ottimo per fa passare ogni tipo di dolore, anche il bruciore!”
“Non importa…”
Luna non iniziò neanche la frase che Mary aveva già ordinato, per tutte e tre. Lothiel le si sedette accanto, porgendole il cellulare. 

[Come ti sembro? Era da molto che volevo rindossare questo costume!!!!]

“Stai benissimo, giuro! Non mi aspettavo ti piacessero abiti scuri, io li adoro.”
Lothiel sorrise, arrossendo un po’ e fiondandosi sul cocktail appena le venne servito. Giocò un po’ con una ciocca dei suoi capelli.

“Ecco a voi, signorine. I vostri drink.”
“Suvvia T, non serve che ti tieni la maschera! Non vorrai dirmi che ti vergogni!” disse Mary all’uomo, ridendo sotto i baffi.
Per tutta risposta lui si sfilò la maschera, appoggiandola dietro il bancone.
“In effetti stavo iniziando a soffocare, là sotto. Ma ormai dovresti sapere che in questa città tutti conoscono tutti, sai che pettegolezzi ci sarebbero se tutti sapessero chi sia realmente il diavolo del bar?”
La ragazza appoggiò il drink al bancone facendolo strabordare e scoppiò a ridere
“Il chi? Dai, nessuno ti chiama così! Sei il barista, qui dentro e là fuori!”
L’uomo alzò le spalle sorridendo e passando lo straccio sul bancone.
Luna finì completamente il cocktail, forse troppo velocemente e si stupì di quanto fosse buono. ‹‹Grazie Mary, il drink più buono del mondo! -anche se nella mia vita ne ho bevuti in totale due con questo- devo ordinarne assolutamente un altro!›› pensò la ragazza, ma appena alzò lo sguardo si paralizzò.
“E tu che ci fai qui?” chiese sprezzante Luna a Thomas, intento a preparare un’altra bevanda.
“Come, scusa?” rispose distrattamente l’uomo voltandosi. I loro occhi si incrociarono e, rapidamente, lui si rimise la maschera.
“Vuoi ordinare da bere?” chiese impacciato, facendo il finto tonto.
“Non nasconderti. Ti ho visto benissimo! Tia sa che vendi alcool ai minorenni?”
“Non so di cosa parli…”
“Ehi Tom!”
Daniel stava arrivando, pedinato da un Doc molto strano e giovanile, con una parrucca oscena.
“Forse era veramente meglio se ti tenevi la maschera.” commentò divertita Mary, riprendendo a sorseggiare il drink.
Thomas provò a nascondersi ancora per un po’, ma poco dopo si arrese, smascherandosi e offrendo da bere a tutti. Dan si sedette furtivamente accanto a Luna, almeno così pareva, dato che la ragazza lo stava ignorando da quando era arrivato.
Luna, in effetti, stava ignorando tutto, seccata dalla presenza di Thomas. Continuò a bere, pur sentendosi controllata e non provando più quel senso di libertà iniziale.
“Allora… come sta andando la serata? Ti diverti?” Dan si avvicinò cautamente, trascinando lo sgabello con sé.
“Fammi pensare: i timpani mi stanno esplodendo, il nuovo migliore amico di mia sorella è il barista e sto bevendo un po’ troppo… penso. Tutto a posto! Non trovi?”
“Non si beve mai troppo ad una festa!”
“Grazie, sei riuscito a farmi passare la voglia di fare anche questo.”
Il ragazzo con la tuba in testa e abiti ottocenteschi sporchi di sangue finto, rimase interdetto per un attimo, quasi bloccato, per poi riappoggiare la mano sul palesemente finto coltello che aveva cinto alla vita.
“In effetti non fa bene bere troppo… Che te ne pare del mio costume? Me l’ha fatto Loty! E in tempo record! Non ti pare mi calzi a pennello?”
“Stupendo, Lothiel è bravissima. Peccato abbai scelto di darlo ad un soggetto pessimo.” rispose Luna abbastanza stizzita, spostando lo sguardo sulla folla scatenata.
Dan prese un profondo respiro, si fece coraggio e parlò.
“Luna, posso sapere cos’hai contro di me?”
La ragazza si voltò, lo guardò negli occhi, per la prima volta in tutta la giornata, e pensò
‹‹Già, perché lo faccio? Forse perché la prima volta che ti ho visto avevi un fucile ed ero da sola in un bosco! Sì, forse è per quello… ma ora non ha un fucile e non sono da sola in un bosco. Dovrei provare a parlargli e anche chiedergli scusa, magari…››
Con un po’ di senso di colpa, si sistemò i capelli dietro alle orecchie, cercò di fare un sorriso
“Daniel, sc…”
“Alloooooraaa! Come vanno le cose fra voi piccioncini?”
Mary precipitò sulle spalle del suo cavaliere, Jackyll, evidentemente obbligato dall’ubriachezza molesta della ragazza a ballare con lei.
Luna si sentì arrossire un po’ e distolse immediatamente lo sguardo dal ragazzo.
“Che muuusi luuunghi! Venite a ballare dai!”
L’angelo dalle ali nere, e dal tasso alcolico da ritiro della patente, afferrò la mano di Jack lo squartatore, alias Dan, per trainarlo in mezzo alla folla.
“Non te ne andrai senza aver ballato!”
Lothiel, che aveva seguito Jackyll e Mary dal principio, trovava a stento qualche attimo per recuperare fiato, fra una risata e l’altra. In uno di quegli attimi, riuscì a prendere e a trascinare anche Luna nel mare di persone.

Luna non era abituata alle feste e quelle poche in cui era stata non potevano considerarsi tali. Compleanni dei familiari, Natale, Capodanno, Halloween, solitamente passato a guardare una maratona di film horror con suo padre che rideva e sua madre che si copriva gli occhi dalla paura, e molte altre festività.
Ripensandoci, Luna si accorse che le feste le aveva sempre passate in famiglia e raramente, da bambina, aveva festeggiato il compleanno di qualche vicino di casa o compagno di lezioni di violino, di cui ora non ricorda minimamente il nome. Effettivamente non aveva mai avuto dei veri amici, pensava Luna mentre guardava il volto grigio di Lothiel cambiare colore illuminato dalle luci stroboscopiche.
L’unica vera amica l’aveva conosciuta due, anzi, tre anni prima, al campo estivo in montagna. Sarebbe durato due settimane e aveva insistito così tanto per andarci che sua madre non osò dire nulla, e se andava bene a lei, anche suo padre era d’accordo, “Se lo dice tua mamma allora va bene!”, era solito dire lui quando non voleva tirarsi l’ira della donna contro. Fatto sta che quel campo estivo l’aveva vissuto in solitudine per tutta la prima settimana, troppo timida per cercare di conoscere le altre ragazze, finché non arrivò l’uscita della domenica. Tutti erano molto agitati e, come gli altri, non era mai stata a fare rafting, ma quando salì sul gommone si sentì la regina del fiume, l’adrenalina le scorreva al posto del sangue e quando arrivarono a destinazione avrebbe voluto scendere le rapide altre cento volte.
Quando smontò dal gommone, impacciatamente, inciampò e cadde a terra, dritta nel fango. Tutto scomparve, si sentì sprofondare dall’imbarazzo, l’avrebbero presa in giro per tutto il tempo, pensava. Invece una ragazza, allegramente, le tese una mano “Tutto bene?” aveva l’accento latino, che Luna sentiva molto nei film messicani.
Da quel momento non si scollarono mai, per una settimana loro due, per quanto fossero diverse fisicamente e caratterialmente, parvero una cosa sola, la prima e ultima migliore amica che Luna ricordasse di aver avuto. Alla fine del campo, i loro rispettivi genitori le vennero a prendere e non si videro più.
‹‹Spero che tu stia bene, Alvina, ovunque tu sia›› venne distratta da quel pensiero quando un ragazzo le sbatté contro, ballando, allora Lothiel la prese per una mano e le fece fare una piroetta, portandola in un punto vuoto della stanza, vicina al resto del loro gruppo, per poi afferrare Dan e liberarlo dalle grinfie di Mary, per ballare con lui.
“Tu mi ricordi un po’ quella ragazza solare, Loty…” disse fra sé e sé Luna, facendosi sovrastare dalla musica. Guardò i suoi nuovi amici e, per la prima vota dopo troppo tempo, si lasciò andare.




_____________________________________________________________________________________________________________________________



CARO LETTORE,
grazie per aver seguito la storia di Luna fin qua. So che l'inizio è un po' lento, ma vi prometto che le cose si stanno per smuovere molto in fretta!
Come sempre attendo consigli e critiche (anche con messaggi diretti).
Buona giornata e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** La festa - Parte 2 ***


CAPITOLO 5
La festa - Parte 2



 

Continuarono a ballare per un bel po’, fino a quando Mary per poco non stramazzò al suolo con una piroetta e venne accompagnata in bagno da Lothiel. Fece cenno agli altri di non preoccuparsi.
“Sicura?” chiese Luna molto preoccupata.
“Finisce sempre così quando beve tanto, quella pazza!” la cercò di tranquillizzare Dan, sorridendo e alzando gli occhi al cielo “Io vado al bar ad avvisare Tom della situazione, poi esco a prendere una boccata d’aria. Venite anche voi?”
“S-sì, certo!” rispose Jackyll, senza esitazione.
“Io vado dalle altre, vi raggiungo dopo semmai.” disse Luna, un po’ imbarazzata, dirigendosi ai bagni.
 
La stanza sembrava una discoteca in miniatura: luci intermittenti, alcool ovunque, anche per terra, o almeno Luna preferiva pensare fosse alcool, fumo e coppiette ad ogni angolo venute a cercare una finta privacy. In totale ci saranno state venti persone ma Luna riconobbe subito le due amiche, una con la faccia dentro un water e l’altra che le reggeva i capelli verdi, inginocchiata accanto. Bussò qualche volta alla porta, ma la musica era troppo alta perché la potessero sentire, allora si arrese e urlò.
 
“Tutto bene?”
 
Lothiel si voltò, quasi sorpresa, la salutò con un cenno del capo, poi annuì e fece cenno a Luna che poteva andare, mimando nel modo più comprensibile possibile, con un solo braccio e con il movimento ampio delle labbra “Ci penso io qui. Non preoccuparti. Vai dagli altri.
 
Luna non capì molto, a parte il ci penso io, ma riuscì a intuire che non serviva il suo aiuto dallo sguardo tranquillo della ragazza e dal fatto che continuasse a sventolare la mano come si farebbe per scacciare un’animale.
“Okay! Io e gli altri usciamo fuori, raggiungici!”
 
 
Con non poca fatica, Luna riuscì a superare la sala, piena al completo, e a raggiungere la porta da cui era entrata. Stranamente all’ingresso non c’era nessuno, né i buttafuori né Judy, che poteva anche essere entrata, pensò Luna, ma allora non si sarebbe spiegata perché ci fossero il suo libro di storia e mezza sigaretta, ancora accesa, in mezzo al fango. Si chinò per guardare meglio.
“Ehi Luna, siamo qua!” dalle sue spalle Dan richiamò la sua attenzione.      
 
Si rialzò di scatto e vide i due ragazzi che la stavano aspettando al confine con il bosco, seduti su un telo di plastica umido ‹‹Sempre meglio del fango›› pensò la ragazza, avviandosi verso di loro.
“Siete qui da molto?”
“Giusto il tempo per essere sicuri che il whisky di Tom fosse buono!” disse Dan mentre Jackyll, quasi gli avesse letto nel pensiero, sollevò la bottiglia praticamente piena.
“Possibile che non pensiate ad altro che agli alcolici!” li rimproverò la ragazza, sedendosi aggraziatamente sul telo. Si fece scivolare a maschera sul collo, liberandosi il volto accaldato.
“Non si dice mai di no ai regali! E Tom ci fa sempre un regalo ad Halloween…” precisò il ragazzo, girandosi per frugare dentro gli zaini, che, a quanto pare, erano andati a riprendersi “…ma dato che non bisogna bere a stomaco vuoto, la gentilissima signora Jackson ha preparato i suoi muffin speciali!” disse lanciandone uno a Luna che, inaspettatamente per lei, lo prese al volo.
Era da qualche ora che non mangiava e beveva soltanto e quel dolce le parve la pietanza più buona al mondo.
 
Dan fischiò, assordando Luna, talmente distratta dal muffin per notare che Lothiel era uscita e li stava cercando. Li raggiunse scrivendo qualcosa sul cellulare e mandandolo sul gruppo.
 
Lot
[Mary arriva fra poco, grz per lo zaino!!]
 
La ragazza si sedette accanto a Luna, ricevendo il suo zaino e un muffin da Jackyll.
Luna rimase in silenzio a guardare le stelle, mentre i due migliori amici si scambiavano qualche battuta di tanto in tanto e Lothiel mangiava il muffin un pezzettino alla volta, come farebbe un roditore.
Il cielo non era mai stato tanto limpido in città, con tutte quelle luci e lo smog, ma ora fra quelle montagne e quei boschi… se non avesse distolto lo sguardo per qualche istante, avrebbe potuto persino perdersi in quell’immensità di stelle e di pianeti, nella Via Lattea.
Sarà stato per i drink a inizio nottata o per il fatto che erano le 3.37 di mattino, ma a Luna, dopo essersi distesa, parve che tutto ciò che la stava circondando stesse scomparendo lentamente, lasciandola persa fra le stelle a non pensare a nulla.
 
Venne destata da una risata sgraziata, rauca e, secondo Luna, quasi maligna. Mary e Thomas erano con loro, la ragazza stava sicuramente meglio e ora, senza ali e senza parrucca bionda, rideva all’impazzata.
Le nuvole avevano ripopolato il cielo, l’umidità era tornata e l’aria fredda le accarezzava il volto latteo. Un brivido le percorse la schiena, fino al collo.
Luna si avvicinò all’orecchio appuntito di Lothiel, accanto a lei “Mi sono addormentata? Da quanto sono arrivati gli altri?”
Scoprì che era stata a dormire per quasi quindici minuti, prima che arrivasse Mary accompagnata da Thomas e iniziasse a ridere, di nuovo, per come fosse vestito Jackyll che indossava ancora la pelata finta.
“Come mai anche te qui?” chiese Luna a Thomas, che si era appena slacciato il papillon per riprendere fiato.
“Ho chiesto il cambio, non me la sentivo di lasciare Mary da sola… ma quella è la mia bottiglia? Ecco dov’era finita!” d’un tratto Thomas afferrò il whisky, notando solo dopo averla rimirata come fosse il suo bambino, che era mezza vuota.
“Per fortuna che ve l’aveva regalata!” disse Luna ridacchiando, un po’ compiaciuta.
“A-Almeno non lo abbiamo f-finito…!” cercò di sdrammatizzare Jackyll, abbassando lo sguardo per non farsi vedere mentre rideva silenziosamente, come Dan.
“Ormai l’avete aperto…” Mary sembrava essersi ripresa dalle risate, stava fumando e si era infilata un paio di scarponi verdi scuro, presi da non si sa dove “…tanto vale fare un brindisi!”
Thomas alzò lo sguardo al cielo, elevando alta la bottiglia.
“A questa bella serata!” ne bevve un sorso, passando la bottiglia a Dan, evitando Mary che era già pronta a ricevere “Ehi!”
“Agli amici!” disse Dan, come se non avesse sentito la ragazza
“A-A Luna! Senza la q-quale Mary non sarebbe con noi!” scherzò Jackyll bevendo a canna e inciuccandosi.
“Ma non è vero! Sfigato…” cercò di controbattere Mary, ma nessuno la considerò più di tanto. Lothiel sorrise con gli occhi e bevve in silenzio, per poi passare l’alcolico alla pallida amica.
“Beh, non sono brava in certe cose ma… grazie a voi, per avermi accolta così caldamente in questa città, ecco tutto.” disse timidamente Luna, portandosi la bottiglia alla bocca.
Dei brividi le percorsero tutta la schiena e il liquido scese dalla bocca giù per la gola, rilasciando fuoco al suo passaggio. Luna dovette tossire un paio di volte, prima di potersi rilassare un po’.


_____________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
mi spiace di metterci tanto a pubblicare, se tutto va secondo i piani già da domenica prossima tornerò alla pubblicazione normale, quindi resta attento!
Per qualsiasi critica o consiglio non esitate a scrivermi o a lasciare una recensione, accolgo tutto!
Buona giornata e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La festa - Parte 3 ***


CAPITOLO 5
La festa - Parte 3


 


Mary si alzò barcollando.
“Beeene, ora che avete finito con tutte queste smancerie vi vorrei invitare a seguirmi! Forza! Tutti dietro di me.”
Esclamò la ragazza ancora alticcia, aprendo le braccia a mo’ di uccello e mettendosi a imitare il brusio di un aereo con la bocca. Corse in mezzo ai rovi e alle foglie impantanate nel fango e, prima che qualcuno nel gruppo potesse dire qualcosa, era già sparita nel fitto buio del sottobosco.
Thomas si alzò sbuffando, pareva stanco, le occhiaie e la barba sbarazzina lo facevano apparire un uomo fatto e finito, abbastanza grande da poter sposarsi e mettere su famiglia, o almeno così parve a Luna in quell’istante.
“Vado a prenderla, non sarà andata lontano. Non serve che veniate anche voi, rilassatevi e godetevi la serata.” un sorriso sicuro gli attraversò il viso, per poi girarsi verso gli alberi e mettersi in marcia. 

Luna si guardò attorno. Dan alzò le spalle e prese in mano il cellulare pigiando sullo schermo che gli illuminava il volto, probabilmente scriveva a Lothiel, che prese il cellulare appena vibrò. Lo sguardo di Luna si incrociò con quello di Jackyll, con un cenno del capo cercò di invitarlo a seguire l’uomo, ma ricevette in cambio solo un sorrisetto imbarazzato e un cenno del capo di invito a stare con loro.
‹‹Devo fare sempre tutto da sola!›› pensò seccata la ragazza, alzandosi e sbattendosi la gonna dalla polvere.
“Se non ti dispiace vengo con te!”
Fece una breve corsa e raggiunse il barman. La guardò un po’ sollevato.
“Ci vediamo fra poco ragazzi, non fatemi pentire di avervi lasciati soli!”
“Per chi ci hai preso? Sappiamo pensare a noi stessi!” rispose Dan con aria spavalda, senza guardare l’uomo in faccia, ma guardando Luna con la coda dell’occhio, la quale cercò di evitare di incrociare il suo sguardo, voltandosi velocemente.
“Sei tutta rossa, stai bene?”
“Certo che sto bene! Mi sono solo… alzata troppo velocemente. Ho sangue alla testa. Ora cammina!” Luna si sentiva imbarazzata, anche se non sapeva bene il perché, ma sapeva che doveva, o almeno voleva, distogliere l’attenzione di Thomas dal suo rossore immotivato e per sua fortuna ci riuscì in fretta. Continuarono ad avanzare ed entrarono nel bosco. 

Era passata una decina di minuti da quando i due si erano addentrati in quel buio torbido. La luce del cellulare pareva a luna sempre più tenue, come se il buio la inghiottisse prima che potesse toccare il terreno. Thomas, a circa cinque metri da lei, si muoveva veloce e agile fra i rami e i rovi distaccandosi sempre di più dalla giovane che cercava di stargli al passo. 

“Mary!”
Di tanto in tanto l’uomo si fermava e chiamava a gran voce la ragazza scomparsa sperando in una risposta, ma non arrivava nessun rumore dal sottobosco oltre alle gocce d’acqua che cadevano dagli alberi bagnati e lo zampettare di qualche animale notturno che si stava aggirando fra i rami o fra i cespugli.

“Ehi… aspetta…” disse Luna, appoggiandosi con la mano sinistra ad un albero, mentre con l’altra puntava la torcia del telefono addosso alla sua guida.
“Scusa, sono andato troppo veloce? A volte non mi rendo conto che non tutti sono abituati a questo bosco quanto me.” cercò di scherzare Thomas, fermandosi e avvicinandosi alla ragazza per permetterle di riprendere fiato.
“No.… figurati... sono io che non sono molto in forma. Però, conosci bene il bosco, ci andavi da ragazzo?” Luna si inventò la prima domanda che le passò per la testa al solo scopo di guadagnare preziosi attimi per recuperare il fiato.
“Da bambino, sì.” specificò l'uomo “Mio padre mi portava spesso nel bosco per cacciare. Lui considerava la vera caccia non quella con fucili e trappole, ma con obbiettivo e rullino. Non sai cosa significhi? Beh, è semplice...”
Thomas riprese a camminare, ma con andatura molto calma, per cercare di farsi sentire sempre da Luna.
“Mio padre aveva la passione per la fotografia e al contempo adorava la caccia, ma non le morti inutili. Ogni fine settimana io e lui andavamo per i boschi e dormivamo in tenda e la sera lui mi raccontava un sacco di storie assurde e divertenti, mentre di giorno mi insegnava a seguire le tracce, a braccare le prede e ad averle a portata di tiro, inermi. Ricordo ancora che un giorno, avrò avuto circa undici anni, lui mi disse che nel bosco c'era un cervo grande come un furgone e con le corna talmente imponenti da poter essere scambiate per i rami di un giovane albero spoglio. Ero così eccitato che quel giorno mi impegnai al massimo e cercai di trovare il cervo da solo, senza l'aiuto di nessuno, per avere io l'onore di aver cacciato tale creatura, per avere le corna come trofeo credo, ora non ricordo, ma ero motivato al massimo. Passammo tutto il primo giorno a girare a vuoto e a pomeriggio inoltrato della domenica riuscimmo a trovarlo: maestoso, imponente e bellissimo. Mio padre mi fece imbracciare il fucile, puntai con la precisione di un militare e.… non premetti il grilletto. Non ebbi il coraggio di farlo, ma un rumore meccanico attirò l'attenzione dell'animale, che ci vide e scappò veloce. Pensai erroneamente di aver premuto il grilletto, invece fu mio padre che aveva premuto lo scatto della sua polaroid. Mi guardò sorridente e disse questo è il miglior trofeo che tu possa mai sognare di avere dandomi la fotografia. E poi aggiunse: anche perché il fucile è scarico. Io scoppiai a ridere talmente forte che mi si formarono le lacrime agli occhi. Conservo ancora quella foto nel mio portafoglio, per ricordare quel momento di infantile felicità.”
“E dopo?”
“Dopo?”
“Sì, una volta tornati alla tenda cosa avete mangiato? Se è vero che non cacciavate.”
“È talmente vero che, dopo quella caccia, tornammo all'accampamento e mio padre tirò fuori un branzino congelato dal frigo da campeggio come se nulla fosse. In più, quando crebbi, capii che il cervo che aveva immortalato con la sua polaroid non era altro che un cervo qualsiasi. Uno giovane, con le corna corte.”
“Tuo padre è un tipo stravagante. Pure il mio lo era.”
“Magari ora vanno d'accordo e sono entrambi lassù a tenerci d'occhio.” ironizzò Tom, riprendendo un passo spedito, preoccupato dato che non aveva più nessuna notizia di Mary da più di quanto sperasse.
“Tuo padre invece?”
“Cosa?” rispose Luna, iniziando ad accelerare il fiato e le gambe.
“Hai detto che era stravagante anche tuo padre, cosa faceva?”
“Niente di ché, solo...” la voce di Mary interruppe il discorso ed entrambi i ricercatori partirono scattanti nella sua direzione.
Uscirono dal sottobosco e si ritrovarono in una radura con al centro una quercia, davanti ad essa Mary. 

Dal tronco dell'albero, più precisamente da una pietra trapezoidale incastonata in esso, una spettrale luce blu illuminava il volto di Luna e Thomas e rendeva Mary una sagoma oscura. Era girata a guardare la strana roccia.
“Mary... che cos'è?”
La giovane dai capelli verdi si voltò a guardare Thomas. Ogni segno di ubriachezza pareva svanito e aveva lo stesso ghigno compiaciuto di quando Luna l'aveva vista la prima volta. I suoi occhi languidi di un bianco spettrale scattarono in direzione di Luna. Le iridi grigie come il cielo in tempesta si poggiarono su quelle blu di Luna.
Rimasero immobili qualche per secondo, come un mare calmo osserva le nuvole che prospettano burrasca.
Luna, però, non era affatto calma, ma non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Un’esplosione nel cielo seguì la saetta che era appena passata.
“Mary? Stai bene?”
Luna non ricevette nessuna risposta, qualche goccia iniziava già a bagnarle i capelli e il viso.
Thomas si avvicinò con passo deciso, ma con le mani tese, come pronto ad afferrarla in caso cercasse di scappare.
“Ammettilo Mary, hai iniziato a drogarti, ti avevo detto che non ti avrebbe fatto bene. Ora vieni qua e torniamo indietro, ha ripreso a piovere, non vorrai stare male!”
Mary non distolse lo sguardo da Luna e appoggiò una mano sulla pietra che sprigionò ancora più luce.
“Mi dispiace T! Non centri nulla in tutto questo e spero potrai perdonarmi!” Mary stava urlando per sovrastare il rumore della pioggia che si era fatta scrosciante e fitta.
“Di che stai parlando! Torniamo al capannone, non è successo nulla! Ti prometto che non dirò nulla al vecchio Barney!”
Thomas cercò di farsi ascoltare dalla ragazza urlando, con una voce così profonda che Luna alzò spontaneamente la faccia al cielo, credendo si trattasse di un tuono.
Tutto ciò che Luna aveva sentito prima di quel momento erano i passi dell’uomo strisciare nel fango e la pioggia, fredda come la neve in inverno, bagnarle il viso tremante.
Le parve di essersi appena risvegliata da un sogno. La luce azzurra la accecava, la voce di Thomas non era più ovattata, la pioggia non più tanto rumorosa e i passi che sentiva venivano da dietro di lei, non dall’uomo, fermo all’inizio della prima grossa radice dell’albero.
“Luna, stai bene? Dov’è Mary? E cos’è questa luce?” Dan le aveva afferrato la spalla, mentre cercava di farsi strada fra le fronde bagnate e marce del sottobosco.
Con un piccolo passo Luna si allontanò dalla mano del ragazzo che, assieme a Lothiel e Jackson, stavano assistendo alla scena.
“Che ci fate qua! Perché non siete rimasti al capanno?!” li rimproverò Thomas
“Scusaci T, siamo partiti poco dopo di voi! Ci dispiaceva non avervi…”
“Smettila di trovare scuse ragazzino! Mary è là e non so cosa voglia fare, so solo che quello che ha in mano una specie di… pietra luminosa o non so che!” rispose Luna.
L’ennesimo fulmine squarciò la distesa oscura sopra le loro teste, cadendo talmente vicino che Luna temette che avesse colpito il capannone, ma non disse nulla e cercò anche lei di avvicinarsi a Mary.
“Mary! Mi senti?”
Insieme a lei iniziò ad avvicinarsi anche Dan, raggiungendo l’altezza di Thomas. Jackson stava dicendo qualcosa a Lothiel, che aveva iniziato a fare qualche passo incerto. Luna non capì neanche una parola per via della pioggia incessante e dei continui balbettii del ragazzo. Decise di ignorare tutto e tutti, mancavano pochi metri per raggiungere Mary. Scattò scivolando per qualche passo e rischiando di cadere, preparò le braccia in avanti per attutire la caduta. 

 

Per un istante le sembrava di essere appena scesa dal gommone del rafting e di star rivivendo la stessa situazione, eppure questa volta non cadde. Con una presa salda Mary l’aveva afferrata al braccio e tirata verso di sé. Luna stava per ringraziarla, ma il sorriso che si trovò di fronte agli occhi, una fessura ricurva che faceva traspirare solo malizia e sicurezza, la fece stare zitta.
Mary avvicinò la bocca all’orecchio di Luna. Alcuni capelli verdi le accarezzarono il volto, mossi dal vento.
“Grazie principessina…” le bisbigliò all’orecchio.
“Cos…?”
“ORA!”
La luce della pietra si amplificò tanto da inglobare ogni sagoma distinguibile, perfino il corpo stesso di Luna si stava iniziando a confondere con il bianco, che aveva appena preso il posto dell’azzurro, che stava prendendo il posto di tutto. A Luna parve di sentire un urlo lontano, in una lingua che non conosceva, ma con una voce familiare, femminile. Dopodiché, il nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Arrivo - Parte 1 ***


CAPITOLO 6
Arrivo - Parte 1


 
 
 
Il sole le scaldava la pelle mentre Luna cercava di riprendere fiato dopo essere stata in apnea per ciò che lei avrebbe definito un’eternità. Gli occhi le bruciavano troppo per poterli riaprire e fitte lancinanti le trapassavano le tempie ‹‹Almeno sono caduta sul morbido…›› pensò, tastando il terreno su cui era distesa, mossa dalla curiosità di sapere dove si trovasse, ma senza la forza di alzarsi.
La terra, o meglio terriccio, su cui si stava riposando era tiepido e umido, come l’aria che la circondava, e friabile sotto le sue dita, per quanto fossero stanche e affaticate. Fu una sorpresa quel pavimento. Si aspettava di risvegliarsi in una pozzanghera di fango, aghi di pino e foglie macerate, dopo la caduta causata probabilmente da un tornado, che l’aveva assorbita in aria per poi risputarla a terra con tutta la sua forza, ipotizzò Luna.
Doveva aver passato l’intera notte svenuta, o comunque per terra, perché le palpebre, sebben serrate, lasciavano passare una luce dorata. Anche la natura sembrava essersi risveglia, cicale e uccelli risuonavano tutt’intorno a lei.
Con un mal di testa lancinante, Luna si rialzò dal suo letto polveroso. Seguirono brevi istanti in cui la luce bianca che l’aveva inondata poco prima le si ripresentò di fronte, stampata sulla retina. Non riusciva a vedere nulla se non piccole macchie nere e verdi in un mare di bianco.
La ragazza fece qualche passo aspettando che la vista le ritornasse. Si sbracciò, cercando di capire cosa la circondasse. Pensò che quello che stava provando potesse essere lo stesso che provavano i ciechi, persi in mezzo ad un mondo di suoni.
La prima cosa che riuscì a toccare fu’ una foglia di proporzioni esagerate. Di sicuro non apparteneva ad uno dei secchi cespugli del sottobosco montano di Angels' Mountain. Pensò si trattasse di una pianta che non conosceva e che, una volta vista, avrebbe subito capito di cosa fosse.
Aspettò qualche istante, durante il quale cercò di capire meglio la conformazione dello strano cespuglio, e quando finalmente riottenne la vista, non aveva la più pallida idea di che pianta montana potesse avere quell’aspetto. La pianta aveva una forma simile ad un fiore sbocciato, solo che al posto dei petali si prostravano a Luna una decina di foglie, lunghe come un suo braccio e almeno il doppio più larghe. Al centro crescevano degli strani frutti di colore rosato con sfumature gialle, che risaltavano molto sullo sfondo verde acceso del fogliame.
Luna rimase un attimo a contemplare quella strana ma affascinante pianta e istintivamente portò la mano alla tasca per scattare una foto ‹‹Appena torno a casa faccio una ricerca›› pensò.
Infilò la mano nella tasca della giacca in pelle sentendo due pezzi di carta umidi e, di scatto, si voltò per cercare gli altri ‹‹Dove sono tutti…?›› i suoi occhi non incrociarono né volti né luoghi familiari. Di sicuro dove si trovava al momento non era un bosco di pini, bensì, da quel poco che sapeva grazie ai film e ai social, si trovava in una specie di giungla dalla fitta vegetazione verde sgargiante, ricca di frutti colorati e di fauna, che nascosta riempiva l’aria di suoni.
“Dove diavolo sono?!” disse fra sé e sé e subito guardò il terriccio rossastro per cercare delle impronte umane, magari dei suoi compagni, ma con scarso successo. Riuscì solamente a ripercorrere la strada che aveva fatto da cieca, tornando al punto in cui si era svegliata. Per terra, accanto alla sagoma che aveva lasciato da distesa, giaceva il suo cellulare. Luna lo afferrò impaziente, solo per scoprire che lo schermo lucido ora era coperto di polvere rossa e una frattura lo attraversava da un’estremità all’altra “Se provi a non funzionare giuro che ti distruggo!” L’agitazione che sentiva dentro la stava portando a parlare da sola, a volte le capitava quando era veramente in ansia, come prima di un saggio, ma questa volta non era la stessa ansia, era decisamente peggio. Premette velocemente sul pulsante di accensione “Dai, dai, accenditi…” un bagliore di vita apparve sotto il polveroso schermo che la ragazza non si era neanche preoccupata di pulire “Sì! Ti amo!” sbloccò tremante il dispositivo e rapidamente premette sul numero di sua sorella. Iniziò a squillare e subito una voce robotica rispose “impossibile raggiungere il numero da lei chiamato, prego riprovare più tardi”
“Mi prendi in giro!?” Luna ci provò qualche altra volta, ascoltando sempre lo stesso messaggio registrato. Iniziava a sentire caldo e gocce di sudore cominciavano a caderle dalla fronte. Si diede una veloce asciugata con la manica della giacca e si preparò a chiamare un’altra volta.
Non premette sul tasto a forma di telefono accanto al nome Tia, salvato nella rubrica, ma restò ferma in silenzio ad ascoltare un rumore poco lontano. Foglie frusciare, legnetti infrangersi sotto i passi di qualcosa che stava camminando pesantemente là vicino. Ad un filo di voce, Luna guardò in direzione del suono “Thomas, sei tu?”
I passi continuarono per la loro strada, ma anche la minima possibilità che potesse essere Thomas attirava Luna verso quel suono “Tom, sono qui! Sono Luna!” I passi si fermarono di colpo. Ci fu un breve silenzio, che la fece pentire di aver alzato la voce ‹‹E se non fosse Tom cosa faresti?›› fu un pensiero di un attimo, facendola indietreggiare di qualche passo dal rumore che aveva ripreso e che si stava avvicinando a lei.
“Thomas…?”
Dal fogliame di fronte a lei due zanne ingiallite precedettero l’arrivo di un essere grottesco, alto sicuramente più di due metri, simile ad un uomo o forse più ad un gorilla, considerando la prestanza fisica, ma coperto di tessuti, come abiti, e peluria verdognola, abbondante su quella che Luna denominò testa del mostro. Un grugnito simile a quello di un cinghiale mischiato ad un utilizzo insolito di suoni gutturali uscì dalle labbra verdastri dell’essere, fischiando in mezzo alle due fauci che gli sbucavano dalla mandibola. I suoi occhi gialli fissarono la ragazza per qualche istante. Lei non si mosse di un millimetro.
 
Il cellulare le scivolò dalle mani, tremanti e ricoperte di sudore freddo. Non appena toccò il terreno, l’essere alzò bruscamente le sue possenti mani, rivelando una mannaia arrugginita impugnata saldamente e facendola scendere velocemente sulla ragazza ‹‹Quindi è così che morirò›› fece in tempo a pensare Luna prima di chiudere gli occhi e restare paralizzata dalla paura “Non voglio morire…” bisbigliò inconsciamente, aspettando il colpo.
Acciaio contro acciaio. Gli occhi di Luna si riaprirono, in lacrime, e di fronte vedeva frapporsi fra lei e l’attacco dell’essere una spada, seguita da una lunga treccia verde. Era una spada medioevale, proprio come quelle dei musei che aveva visitato con suo padre, ma più affilata e lucente.
“Non restare lì impalata principessina! Nel caso non te ne fossi accorta ti sto salvando la vita. Corri!”
Mary girò un attimo la faccia verso Luna e dai suoi occhi grigi si poteva capire lo sforzo che stava facendo in quel momento. Le sue braccia tremavano sotto il peso dell’attacco avversario
“Forza, vai!”
Luna fece solo qualche passo indietro, restando con occhi sbarrati ad osservare lo scontro.
La piccola Mary fece scivolare il piatto della lama contro l’arma della creatura. Si scansò a lato evitando per un pelo la manata verde che gli aveva scagliato in reazione il colosso. La giovane perse un attimo l’equilibrio. Di tutta risposta ricevette un poderoso calcio in pieno petto, facendola sollevare in aria e cadere a terra a qualche metro di distanza. Mary, boccheggiante, gattonò verso la sua arma mentre il mostro si avvicinava velocemente. Afferrò la spada in tempo per ricevere un altro calcio sul fianco e venire spostata di un altro metro. L’essere alzò la mannaia ed emettendo altri suoni gutturali la fece precipitare come una ghigliottina verso il collo della giovane.
“Mary no!” rimasta nascosta vicino ad un albero fino a quel momento, Luna uscì dal nascondiglio e fece per muoversi verso l’amica. In un battito di ciglia delle gocce le bagnarono il viso, come uno spruzzo d’acqua tiepida.
Ripresa la spada, Mary defletté l’attacco e con un taglio netto recise la giugulare dell’energumeno, schizzando le piante con una piccola pioggia di puntini rossi, fino a raggiungere Luna.
L’essere portò la mano al collo, accasciandosi al suolo mentre soffocava col suo stesso sangue. I suoi occhi gialli, benché circondati da pelle dura e rugosa, sembravano gentili, sembravano chiedere aiuto, spaventati. Emanò l’ultimo sospiro in pochi istanti, dopo poco anche l’ultima sua lacrima cadde al suolo.
“Tutto… bene… principessina?”  sibilò Mary con il fiato corto e reggendosi in piedi con l’ausilio della sua spada che teneva conficcata nel terriccio.
Luna era bloccata, si passò la mano sul volto e rimase ferma a guardare. Il sangue le tingeva il palmo di rosso opaco.


 
___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________


CARO LETTORE,
mi scuso per la pubblicazione così in ritardo, ma ho avuto dei contrattempi.
Spero che ti sta godendo la lettura e che trovi questo racconto di tuo piacimento. Per domande, critiche e consigli lascia un commento o sentiti libero di scrivermi in privato, sto cercando di migliorare e apprezzo ogni feedback!
Buona giornata e buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Arrivo - Parte 2 ***


CAPITOLO 6
Arrivo - Parte 2






“Tu, l’hai ucciso con… una spada?!”
“Non c’è tempo per spiegare, qualcosa è andato storto con il passaggio e ora dobbiamo trovare gli altri!”
Mary afferrò la ragazza per una manica, calmando la voce e cercando di ritornare completamente al normale ritmo di respirazione.
“Ascoltami, so che non capisci cosa stia accadendo e prima o poi te lo spiegherò, ma vedi quello? Quello che ho appena ucciso è uno degli esseri più sgradevoli, selvaggi e crudeli che popoli queste terre… e spesso vivono in branco! Quindi se non ci allontaniamo alla svelta qui finirà molto male per noi.”
Luna la guardò con gli stessi occhi terrorizzati che videro l’essere poco prima e, per quanto si sforzasse ad ignorarla, continuavano a posarsi sulla pozza rossa che pian piano continuava ad estendersi dallo squarcio sul collo. Gli occhi sbarrati, vacui e un volto spento.
Luna annuì impercettibilmente.
“Perfetto, seguimi!” comandò Mary.

Albero dopo albero, si stavano allontanando dal cadavere, dirette chissà dove.
Luna ripensava a quanto accaduto prima. Rivivendolo nei suoi ricordi non le sembrava tanto diverso da un qualsiasi film. Se non fosse stato per il sangue secco che sentiva tirarle la pelle in viso, nella sua mente quella scena non sarebbe mai esistita, ma in questo momento sapeva che era vera e a sua sorpresa ciò non la spaventava.
Seguiva Mary con passo lungo, per star dietro alla sua corsa fra le grandi foglie colorate che le impedivano la visuale. Luna pensò di sentire in lontananza un grido bestiale e profondo ‹‹forse sono gli amici di quello che abbiamo ucciso››
Sentì salire un brivido su per la schiena e il fiato le si fece corto ‹‹Ci daranno la caccia. Ci uccideranno a loro volta. Lo meritiamo dopo non averlo neppure sepolto-›› pensò Luna prima di scuotere la testa e di rivivere la paura che aveva avuto di fronte a quella mannaia arrugginita ‹‹No! Se la è cercata. Mi avrebbe uccisa! E, se fossimo rimaste, loro ci avrebbero uccise! Quindi non abbiamo fatto nulla di male! …vero?›› l’indecisione che le riempiva la testa la frastornava, avrebbe voluto soltanto pensare ad altro. Per sua fortuna, ci pensò Mary a distrarla.
“Di qua!” la richiamò la ragazza, dopo che si era accorda che Luna non la stava seguendo ma camminando per inerzia.
“Vieni qui! Ho trovato qualcosa che potrebbe farti stare meglio.”
 
Luna ubbidì senza esitare e la raggiunse. Un passo dopo l’altro il terreno si faceva sempre più solido, fino a tramutarsi in roccia tinta di grigio fumo, libera da radici e piante, tiepida sotto i raggi del sole allo zenit e bagnata dal dolce ondeggiare del modesto stagno che racchiudeva al suo interno.


Fu allora che alle sue orecchie si risvegliarono i suoni della foresta: il fruscio delle piante al vento, lo scrosciare della cascatella che riempiva lo stagno, il verso degli animali e il suo cuore agitato, assordante.
 
Mary si sedette sulla pietra e con qualche lamento di dolore si tolse gli scarponi mettendo le punte delle gambe a mollo, parve sollevata. Chiuse gli occhi e li rivolse verso il sole, ben visibile dall’apertura della vegetazione attorno alla roccia.
“Perché non ti siedi anche tu?”
Luna le si sedette accanto. Per la prima volta riuscì a vedere bene cosa Mary stava indossando. Era un vestito da sera marrone, con qualche strappo e scucitura; dai vari strappi le si poteva intravedere una maglietta bianca e dalla gonna sbucavano un paio di pantaloni corti. Notò con amarezza che la spada le separava, segnata da macchie bordeaux. Aveva un manico in pelle vissuta, ma la lama pareva affilata come i coltelli nuovi che Tia aveva comprato l’altro giorno. Luna non aprì bocca e non ce ne fu bisogno, perché Mary si tagliò un pezzo di gonna con la lama, per poi immergerlo nell’acqua ‹‹Forse ho capito perché il vestito è così›› pensò la ragazza fra i mille pensieri che cercava di assopire.
Il panno freddo, sul viso, le fece fare un piccolo sussulto e la aiutò a svegliarsi ed allontanarsi dall’aria umida e calda che le annebbiava ancora più la mente.
“Grazie.” disse brevemente, per poi afferrare lo straccio e continuare a pulirsi da sola.
“Cos’è successo?”
“Sei stata attaccata da un selvaggio e ti ho difesa. Prego.” rispose Mary con tono sprezzante, ma un po’ più levigato del solito.
“No… la luce.” Disse Luna, appoggiandosi lo straccio umido in grembo e guardando negli occhi Mary.
“Giusto. Quello che è successo prima… è complicato.”
“Cosa significa prima? È giorno e quando c’è stata la luce era notte. Prova a spiegarti.”
“Appunto, è complicato. È passata meno di un’ora da quando ci siamo addentrati nel bosco, dopo la festa. Qualcosa era arrivato ad Angels’ Mountain e non potevo rischiare che ti raggiungesse. Quindi mi sono fatta seguire nel bosco e appena ho potuto ho fatto attivare la pietra custodita dall’albero, ma il temporale e il poco tempo di preparazione pare abbiano causato un errore di traiettoria e… eccoci qua…”
Mary rallentò nel vedere gli occhi blu di Luna sbarrati diventare lucidi e un sorriso incredulo formarsi sulle sue labbra,
“Okay, ho capito. Sei pazza. Sto sognando…?”
“Ehi principessina, riprenditi!” disse Mary scuotendola per una spalla. Luna di tutta risposta le scansò via la mano e si alzò di scatto. Le girò fortemente la testa e sentì la vista annebbiarsi, ma non era questo il momento per svenire.
“NO! Tu stai cercando di dirmi che abbiamo viaggiato magicamente fino a questa giungla piena di mostri, lontana da casa, e non sai neanche dove siamo o dove siano gli altri?!”
Mary scosse la testa. “Non ho mai detto di non sapere dove siamo, dico solo che non è un bel posto. Ora, se mi ascolti…”
“Certo che non è un bel posto! Un gorilla verde alto tre metri con una mannaia ha cercato di uccidermi appena mi ha visto! E tu… TU l’hai ucciso con questa maledetta spada!”
Luna non seppe contenersi, la vista di quell’arma insanguinata la stava facendo impazzire. Calciò la lama in acqua e con lo stesso movimento si girò, dirigendosi verso un albero abbastanza vicino all’acqua da coprirla dal sole e abbastanza lontano da Mary perché potesse sentirsi meglio.
 
Mary aprì la bocca, aveva uno sguardo freddo e grigio, leggermente stupito. Non disse nulla. Fissò i riflessi del sole sulla spada diffondersi per il fondale sabbioso, per poi tornare con gli occhi chiusi verso il cielo, liberando un lungo sospiro.
Luna si accasciò con la schiena sulla corteccia ruvida, sentiva le gambe tremare e il sudore freddo diventare caldo man mano che l’adrenalina abbandonava il suo corpo. Si pentì di aver indossato calze e giacchetta in pelle per la festa, ora che le facevano sentire tanto caldo.
 
 
Rimasero entrambe in silenzio. Ogni verso di animale e fruscio tra le foglie ricordava a Luna l’essere verde, facendole guizzare lo sguardo a destra e a sinistra in agitazione. La tranquillità di Mary, che nel frattempo si era accesa una sigaretta, la acquietava ma al contempo la infastidiva. Non riusciva a capirla prima e ora non aveva neanche più intenzione di provarci a farlo.
“Si sta avvicinando qualcosa.” disse Mary.
Si alzò, sistemandosi i capelli verdi acqua che le si erano attaccati alla fronte sudata. Si stiracchiò portando le braccia verso il cielo e aspirando una grossa boccata di fumo. Lasciò poi scivolare il mozzicone incenerito fra le dita, fino a infrangersi sulla pietra, emettendo una sottile linea di fumo.
Si avvicinò agli arbusti più vicini, erano più alti di lei. Ora anche Luna sentiva il frusciare delle grandi foglie, aveva paura di cosa potesse trovarsi davanti e per quanto fosse intimorita da Mary, sapeva che non voleva restare sola. Fece un piccolo scatto per raggiungerla, prima che svanisse totalmente alla sua vista.
 
La raggiunse appena in tempo per vederla estrarre la spada dal fodero.
‹‹Quando ha preso la spada? E il fodero!?›› stava per chiederlo quando il rumore tornò, più forte di prima.
 
Luna si fermò, sforzandosi di non fare alcun rumore, perfino i suoi pensieri le sembrarono distanti e silenziosi in quel momento. Non mosse neppure gli occhi, sbarrati sulla nuca scompigliata della compagna. Si soffermò ad ascoltare quello che la circondava. Sentì qualche uccello volare via, qualcosa strisciarle accanto alla gamba e… qualcuno parlare.
Una voce che aveva già sentito e che le sembrava un lontano ricordo, sebbene fosse sicura di averla sentita fino al giorno prima.
 
Mary rinfoderò la spada e portando la mano alla bocca emise un fischio acuto, talmente inaspettato che fece saltare Luna sul posto.
“Cosa stai facendo?!” sbottò Luna, con voce tremolante. Dovette schiarirsi la gola per poter continuare a parlare, la bocca era asciutta e impastata.
“Silenzio principessina, o richiamerai l’attenzione di tutti gli esseri entro un chilometro.”
Luna era sconvolta da quella affermazione così ipocrita, ma non aveva più intenzione di starla a sentire e decise di ignorarla.
Mary prese a camminare e un altro fischio, simile a quello appena emesso dalla giovane, risuonò da un punto non definito a distanza di qualche decina di metri davanti a loro. Seguì la direzione e riprese a fischiare, fece un fischio differente e ne ricevette uno identico. Il gioco di fischi continuò per qualche minuto e finalmente Luna riuscì a distinguere quella voce che aveva sentito prima.
“Daniel! Sei tu?” chiese, rivolta alle grandi foglie tropicali di fronte a lei.
“Shhhh!” la sgridò Mary, tappandole la bocca con la mano che istintivamente Luna afferrò per allontanarla
“Non mi hai ascoltata? Parla un po’ più forte e di quei selvaggi verdi ne vedremo a dozzine!”
 
Luna avrebbe voluto controbattere, ma Mary aveva ragione, non l’aveva ascoltata e se veramente c’erano ancora quegli esseri in giro… al solo pensiero le se accapponò la pelle.
 
“EEEHIII!! Sono io, sì! Sei tu, Luna??”
 
Fu una risposta fragorosa. Luna rimase colpita dall’improvvisa forza che la minuta ragazza aveva sprigionato per staccarsi dalla sua presa e tirarsi una sonora sberla in faccia.
“Un deficiente…” sibilò, mostrando uno sguardo esasperato perso nella giungla.
‹‹Sì, è veramente un deficiente… come speravo di avere un qualche aiuto da lui?›› si chiese Luna, distraendosi dall’ansia del momento.
Vicino a loro delle foglie vennero scosse e Luna trasalì, preparandosi a correre o a tirare una sberla a Daniel, in caso fosse uscito da lì. Notò con la coda dell’occhio Mary portare la mano all’elsa e avvicinarsi con passo felpato.



___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________




CARO LETTORE,
ci ho impiegato veramente tanto a scrivere questo ultimo capitolo e spero che sia venuto abbastanza bene.
Sono felice che abbia preso il tempo per leggere fino a qui! Qualsiasi commento, anche corto, mi può aiutare a migliorare, quindi grazie in anticipo se ne lascerai!
Buona lettura e buona giornata!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Arrivo - Parte 3 ***


CAPITOLO 6
Arrivo - Parte 3



“Dan…?” chiese Luna a filo di voce. Raccolse tutto il coraggio che le rimaneva per portare una mano in avanti a spostare un ramo.
 
Qualcosa le afferrò il polso e fuoriuscì dalle foglie, Mary sferzò la spada all’altezza della testa, facendola volare via.
“Giù!” urlò Daniel accovacciandosi.
“Mary?! Perché hai una spada? E perché ci hai attaccati?” il cilindro rotolò fino ai piedi suoi piedi. Anche lui era sudato e sporco.
“Luna, stai bene?”
Daniel lasciò la presa, ma Luna non riuscì ad abbassare il braccio. Dan la prese per mano e gliela accompagnò al fianco per poi farsela scivolare fra le sue dita.
Dietro di lui anche Lothiel si fece largo fra le foglie. Corse subito ad abbracciare Mary.
Sembrava stravolta, i capelli erano nuovamente mossi e biondi, tremendamente spettinati. Luna si rese conto di non avere idea di cosa avesse in testa e provò a sistemarsi i capelli il meglio possibile.
 
L’abbraccio durò poco, Mary si riallontanò e ripose la spada. Lothiel si girò un momento per sistemarsi la benda, per poi alzare la mano e salutarle con il suo classico sorriso solare.
‹‹Deve essere fastidioso›› pensò Luna dispiaciuta, guardando la ragazza asciugarsi il sudore attorno alla benda.
“Sto bene, grazie a Mary.” rispose Luna “Ciao Lothiel, sono felice di vederti.” Disse ricambiando il saluto e facendo un sorriso forzato. Ci fu un momento di silenzio.
 
Daniel guardò Mary negli occhi. Entrambi avevano uno sguardo che Luna non gli aveva mai visto e si domandò cosa stessero pensando, poi Dan parlò.
“Qualcuno sa dove siamo? Il mio telefono non ha campo e nemmeno il GPS funziona.”
“Io avevo il telefono nella borsa della festa…” disse Mary, poteva sembrare una scusa ma a Luna parve fosse veramente dispiaciuta.
“Tu non eri ubriaca? Ti abbiamo cercato per il bosco fino sotto la pioggia e adesso ci ritroviamo chissà dove! Di sicuro non siamo nei boschi di Angel’s Mountain…” Dan si fermò a pensare “C’è stato una forte luce, poi mi sono risvegliato accanto a Loty in questa… giungla? Per caso sapete cos’è stato?”
Guardò prima Mary, poi Luna, cercando risposte alle innumerevoli domande che aveva.
 Luna non sapeva come comportarsi, ma stare in mezzo alla giungla, benché in compagnia, non la rassicurava.
“Io e Mary abbiamo trovato uno stagno, potremmo tornarci mentre cerchiamo di capire cosa sta succedendo.” disse.
Era sicura che Mary non le avesse detto tutto quello che sapeva e voleva che dicesse tutto anche davanti agli altri, ma non in quel momento, avrebbe creato solo ancora più scompiglio.
 
Lothiel annuì sorridente, prendendo per mano Luna e chiedendole a gesti di fare strada.
Dan sembrava incerto, così come Mary, che si teneva una mano sul fianco. Anche se non voleva darlo a vedere, il colpo ricevuto in precedenza si stava facendo sentire e non le sarebbe stato facile camminare a passo svelto. Luna decise per tutti, ripercorrendo i propri passi fino allo stagno.
“Più a destra principessina.” la corresse Mary, tutto d’un fiato, prima di prendere un respiro profondo e tremolante.
 
L’aria attorno allo stagno era una liberazione in confronto al fetore stantio del sottobosco. Appena arrivati Daniel si sciacquò la faccia e chiese nuovamente cosa stesse succedendo.
Mary ripeté la stessa cosa che aveva detto prima a Luna. Aggiunse una cosa.
“Non volevo che anche voi veniste coinvolti. Quella pietra era un portale fra i regni, ce ne sono varie disseminate per questo mondo e una nel vostro, custodita dall’albero.”
Lothiel sembrò soddisfatta dalla spiegazione, anche se aveva perso il suo solito sorriso.
“Non ti credo.” disse Daniel di tutta risposta “Stai cercando di dirmi che abbiamo viaggiato magicamente dal bosco fino a questa giungla? Allora non ti credo, e se è uno scherzo non è divertente!”
Luna avrebbe voluto concordare con Daniel, eppure in quel caso non avrebbe saputo spiegarsi gli strani avvenimenti a cui aveva assistito. Non voleva crederci nemmeno lei, eppure doveva.
«Scusa Dan» pensò Luna.
Le parole di Daniel echeggiarono brevemente fra la parete rocciosa e l’acqua dello stagno. Fu abbastanza perché i pensieri di Luna le si potessero leggere in faccia.
“Luna, Loty, non le crederete davvero…”
Era incredulo. Luna notò il suo sguardo in cerca di supporto, invano.
“Mi dispiace Dan, ma Mary ha detto la verità.” iniziò Luna.
“Quando mi sono risvegliata ero sola e confusa. Come te, ho cercato aiuto con il telefono e mentre camminavo mi sono trovata di fronte un… essere. Era alto il doppio di me, verde, animalesco e teneva in mano una specie di mannaia e appena mi ha vista ha cercato di…”
Si dovette fermare, solo ricordare quegli avvenimenti le stava facendo tremare le gambe. Si strinse forte le braccia in grembo. “Mary mi ha salvata.”
Più Luna pensava all’accaduto, più era felice che la sua amica avesse avuto una spada e avesse saputo come usarla.
 
Lo sguardo di Daniel passò da Luna alla spada, per poi rincrociare gli occhi di Luna per un breve attimo e infine fermarsi su Lothiel.
La ragazza era rimasta in disparte fino a quel momento in cui, vedendo che era fissata, si strinse nelle spalle e fece qualche gesto con le mani. Luna non capì cosa stesse dicendo precisamente, ma ebbe l’impressione che stesse facendo un discorso sullo stare uniti.
Daniel scosse leggermente la testa. Si tolse il cilindro rattoppato, mentre Lothiel si stava rimettendo la forcina a forma di foglia fra i capelli, facendo in modo che non cadessero sull’occhio e liberando le orecchie. Luna pensò che dovesse aver perso le orecchie a punta finte o che le avesse tolte. Non si soffermò troppo a riguardo.
 
Passò qualche minuto. Era un momento calmo, che lasciava accavallarsi domande e timori nella testa di Luna.
Lothiel si avvicinò a Mary e iniziarono a discutere nel linguaggio dei segni.
‹‹Forse non vuole che la capisca›› pensò Luna ‹‹o forse il calcio che ha ricevuto ha fatto più male di quanto voglia far vedere. È testarda.››
Un po’ si rivedeva in quella ragazza, ma non avrebbe mai potuto ammetterlo di persona.
Voleva smetterla di pensare.
 
“So che te l’ho già chiesto ma, stai bene?”
Luna inclinò la testa in avanti, portando gli occhi oltre la raffinata maschera nera che le pendeva al collo, rovinata da piccole gocce sanguigne sulla liscia superficie, osservò la sua giacca in pelle, impolverata di sabbia arancio. Il vestito era sgualcito e macchiato. Sulle gambe le calze nere si erano smagliate in più punti e, infine, le scarpe che da rosso acceso ora erano scure, macchiate di aghi di pino, terra rossa e fango.
Daniel attese, non ricevette risposta, allora le porse uno straccio scuro, sporco e umidiccio.
“Ti è caduto prima, mentre stavamo camminando.”
“Oh!” Luna lo prese immediatamente. Si sentiva in imbarazzo e pensò che avrebbe dovuto usarlo per togliersi il trucco, che doveva essere un disastro ormai, o avrebbe dovuto semplicemente buttarlo. Non si era messa molto trucco, non lo faceva mai, quindi, la questione passò in secondo piano nella sua mente. Si rimise il pezzo di stoffa nella tasca della giaccia.
“Sto bene, più o meno. Stranamente sto meglio rispetto a quando ci siamo visti la prima volta.” sdrammatizzò Luna con un sorriso incerto, Daniel contraccambiò. “Te come stai, ragazzino?”
“Un po’ stanco.” rispose lui, con una breve risata.
Le fece cenno di sedersi sul pavimento roccioso e, appena lei accolse la proposta, le si sedette accanto. Cominciò a parlare.
“Devo ancora ben capire costa stia succedendo. Mary ha detto che è passata circa un’ora da quando eravamo ancora… nel nostro mondo? Credo.”
“A casa.”
“Sì, a casa. Però io mi sento come se fosse passata una nottata intera.”
“Pure io, ho anche qualche difficoltà a ricordare delle cose…”
“Io non lo so, forse. Stavo correndo nel bosco per avvisarvi del temporale in arrivo e poi… mi sono svegliato qua.” Sospirò e dopo una piccola pausa riprese “Spero di tornare a casa presto, non voglio che il vecchio Barney muoia di crepacuore.” una piccola risata malinconica raggiunse Luna, la fece rabbrividire.
“Vedrai che andrà tutto bene, Dan. Io spero solo che mia sorella non faccia nulla di stupido.”
“L’ho vista l’altra sera, quando è venuta a prenderti. Anche se non la conosco, mi sembra una persona responsabile.”
«Lo è.» pensò Luna, osservando, poco più avanti, le due amiche che discutevano silenziosamente.
Non aveva mai visto Lothiel arrabbiata, però in quel momento avrebbe potuto giurare lo fosse. I raggi del sole che rimbalzavano sulle rocce circostanti le tingevano le punte dei chiari capelli di un rosso cocente.
“Pensi che Jackson e Thomas stiano bene?” chiese Luna.
“Spero non siano finiti qui con noi, ma anche lo fossero, non dovremmo preoccuparcene.”
Il tono di Daniel la rassicurò. La stava guardando con un sorriso in volto, come fossero in ricreazione durante una normale giornata scolastica, ancora su quel giardino mal curato e affollato. Solo in quel momento Luna pensò che le cose si sarebbero presto sistemate.
“Staranno tutti bene.”
disse infine il ragazzo, tornando a guardare le due amiche discutere vicino all’acqua.
 
Lothiel smise di gesticolare e il suo occhio puntò dritto al cielo, alle spalle di Mary. Luna seguì il suo sguardo: una colonna densa di fumo nero si stagliava fra l’azzurro sereno, come a ricordarle che non sarebbe andato tutto bene. Un presagio di sventura.
“Ragazzi… cos’è quello?”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4038460