Downfall

di LadyPalma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 Downfall
(Love is)


 

 

You may know what is the right thing to be done, but love stays the hand.

Love is a downfall.







 

Primo capitolo 


 

"No".

Non dice altro, Alicent, ma lo dice con tutta la forza che possiede, la forza che avrebbe voluto usare tanti anni prima ma che semplicemente, forse, non sapeva di avere.

"Non accetteremo le condizioni di Lord Tully, faremo a meno di Delta delle Acque".

"Non essere sciocca, Alicent" ribatte suo padre, con il tono calmo e quasi annoiato che è abituato a usare con lei. "Rifiutare significa perdere qualsiasi possibilità di un appoggio dei Fiumi, non ti accorgi che sempre più casate si stanno dichiarando per i neri?" Fa una pausa, che lei è capace di riconoscere come studiata, il tempo di colorare la voce di una nota di affetto e premura. "Grover Tully è vecchio, non sarà un sacrificio duraturo…"

Alicent rabbrividisce, non riesce nemmeno a nasconderlo. Farebbe qualsiasi cosa per gli Hightower, per i suoi figli; non è aliena al dovere, al sacrificio. Eppure, sente di aver sopportato già abbastanza, e nonostante la guerra imminente e la perdita di protezione, una piccola parte di lei non può fare a meno di gioire per la morte di Viserys. Non per odio verso il defunto re, ma per amore della libertà, una libertà che ha conquistato da appena una settimana.

"No". E lo dice quasi più a sé stessa che a suo padre.

"Alicent, se non Lord Tully, dovrai risposarti. Con Haelena e Aegon sposati tra loro e Aemond promesso a una delle figlie di Lord Baratheon, non abbiamo tante altre unioni da proporre. C'è Daeron, certo, e ci sono i piccoli principi, forse, ma anche tu dovrai fare la tua parte…"

No – ma adesso non lo dice più nemmeno ad alta voce. È diventata forte, ma forse semplicemente non ancora abbastanza come credeva. Non abbastanza da opporsi a suo padre nemmeno dopo tutti questi anni; non abbastanza da abbandonare i suoi doveri nonostante l'illusione di credersi capace di poter avanzare diritti.

Si guarda intorno sperando come sempre in un aiuto. Ma esattamente come sempre è una speranza vana e sciocca: nessuno in tutto il regno è mai stato davvero dalla sua parte, possibile che cerchi ancora adesso un volto amico? Suo figlio Aegon scrolla le spalle, suo zio annuisce all'indirizzo di suo padre, gli altri Lord e Ser del traballante concilio verde distolgono lo sguardo – anche Ser Criston, perfino lui.

"Farò come necessario" dichiara a denti stretti.


"No".

Lucidamente non si aspettava una risposta differente e il tono dolce con cui viene accompagnata non rende il rifiuto meno amaro. 

"Ser Criston, tutto ciò che chiedo è se ci sia un modo per sottrarmi a questo matrimonio".

"Vostra Grazia, non vedo come io possa aiutarvi".

Quella risposta è per lei quasi come uno schiaffo, non per la crudeltà, quanto per la capacità che ha di svegliarla e farle aprire definitivamente gli occhi sulla solitudine che la circonda.

"Avete giurato fedeltà, voi avete giurato che-"

"E vi sono leale, la mia spada è al vostro servizio".

Lo sa, ma non è abbastanza, è solo che non è di una spada che avrebbe bisogno adesso, ma di un amico, un protettore… un innamorato. Si morde le labbra stizzita con se stessa quando si rende conto di cosa davvero si aspettava dal colloquio con Criston. Non è innamorata di lui, non lo è mai stata, ma nel profondo di se stessa avrebbe desiderato che lui la amasse. Ci aveva pensato spesso come conforto dopo le notti con Viserys, e ci aveva pensato adesso dopo i nuovi piani matrimoniali di suo padre. Non pensava a Criston in sé, pensava a una chimera, a un sogno, e di quel vagheggiamento lui era il simbolo: un cavaliere forte quanto affascinante, giusto, leale, disposto a fare qualsiasi cosa per lei.

Il cavaliere che ora, però, dice no. Ché per lei non macchierebbe mai la sua cappa bianca, ché per lei non spezzerebbe mai il suo giuramento, ché a lei non proporrebbe mai di fuggire insieme lontani, senza più doveri, senza più nomi.

"Potete andare, Ser Criston".

L'uomo china il capo con deferenza, un ossequio vuoto che alla donna appare come un nuovo schiaffo. E quando finalmente resta sola, per la prima volta da quando ha memoria, scoppia a piangere.


"".

Alicent sobbalza quando rientra nelle sue stanze e vi trova l'ospite inquietante di sempre. La prima cosa a cui pensa è che, per fortuna, le lacrime le si sono asciugate ormai dal viso.

"Non ho fatto alcuna domanda, né ti ho chiesto di farmi visita" risponde in tono secco, fingendo che quella presenza non la turbi. E per sottolineare quell'ostentazione di calma, si accomoda davanti a lui, si toglie le scarpe e si versa del vino senza offrirgliene.

"Non avete bisogno di avanzare richieste, Vostra Grazia, un vero servitore le conosce già. Non credo di sbagliare nel dire che volete evitare le nozze con il Lord di Delta delle Acque".

La regina madre sposta finalmente lo sguardo su di lui e non riesce a trattenere un sorriso ironico. In ogni momento in cui si sentiva tradita e cercava alleati, lui è l'unico che si è sempre presentato all'appello. Come quando aveva implorato Ser Criston di cavare un occhio al figlio di Rhaenyra per vendicare il suo Aemond, ma era stato proprio Piededuro il giorno dopo ancora una volta a prestare il suo servizio.

Instabile, crudele, velenoso, spaventoso… eppure presente, sempre.

"Te ne prego, uccidere Lord Grover – o tutti gli uomini Tully, per quel che vale – non sarebbe una soluzione".

Ma il sorriso sulle sue labbra ha vita breve.

"Sono consapevole che le mie passate azioni possano portare in questa direzione, ma posso assicurarvi che non penso solo a omicidi… avevo in mente una soluzione del tutto differente".

È istintivo: la regina abbandona la posa rilassata e drizza la schiena, pretendendo le mani sul tavolo che li divide, quasi come se quel gesto potesse indurlo a parlare più veloce. Odia ammetterlo ma è curiosa, e più di ogni altra cosa ancora una volta si concede il lusso di sperare.

"Cosa hai in mente, allora? Parla".

Dal canto suo Piededuro si prende il suo tempo, ed è lui a sorridere adesso, mentre quella intermittente luce folle nei suoi occhi azzurri squarcia la sua indolente indifferenza.

"Vi avevo detto che per i miei servigi mi avreste ripagato a tempo debito, ricordate? Beh, quel tempo potrebbe essere adesso. Sposate me".

Alicent non sa cosa si aspettava, ma certamente non questo. Rimane a fissarlo con gli occhi sgranati, sconvolta quasi quanto il giorno in cui lui le ha confessato in maniera malcelata di aver fatto uccidere padre e fratello. E non aiuta l'espressione all'improvviso imbarazzata, anzi quasi timida, dell'uomo, consapevole nonostante tutto di stare puntando troppo in alto. Lo sa, eccome se lo sa, ed è forse proprio per questo che lo fa: per diventare sempre più potente, sempre più importante, semplicemente perché può.

"Non pensi davvero che io possa sposare te!" esclama alla fine, forse con più veemenza di quella che userebbe se avesse più lucidità, e poi, prima che possa rendersene conto, scoppia a ridere.

Mossa sbagliata. Il volto dell'uomo si adombra e davanti agli occhi della regina si palesa quella trasformazione da claudicante impacciato ad assassino a sangue freddo di cui è già stata testimone.

"Lo dite perché sono debole, patetico, per la mia menomazione?"

"N-non penso questo, non…" inizia a dire Alicent, la compassionevole Alicent, senza accorgersi nemmeno di balbettare. Perché, in fondo, è proprio quello che le è passato per la testa.

"Perché vedete, mia Regina, tutti i vostri servitori potrebbero ben pensare che invece sarebbe la scelta più naturale. Del resto, abbiamo spesso conversato da soli nelle vostre stanze, cenato insieme…" Si ferma per lanciare un'occhiata alla sua intera figura, per piantarli alla fine sui piedi nudi. "...Vi siete anche allentata il vestito e tolta le scarpe in mia presenza. Fate forse così con tutti i Lord?"

Le scuse di Alicent le si spezzano in gola e la parentesi di pietà che ha sentito nascerle dentro per lui svanisce così in fretta come è arrivata. Ha paura, adesso, ha paura ed è arrabbiata.

"Nessuno pensa che succeda qualcosa di inappropriato in queste stanze".

Di nuovo quello sguardo allucinato, di nuovo quel sorriso inquietante. "Non ancora".

Alicent si porta una mano al petto, comprendendo l'antifona nel suo pieno significato: chi è bravo a raccogliere i sussurri è altrettanto bravo a diffonderli.

"Mi stai minacciando?"

Larys allarga il suo sorriso sinistro. "No, Alicent – posso chiamarti Alicent, adesso, vero? –, mi sto dichiarando a te, ti so facendo una proposta di matrimonio" replica, fingendosi l'innocenza in persona. 

Con un'ennesima audacia allunga le mani per afferrare le sue, e Alicent ha appena il tempo per registrare, di riflesso, che in quel primo contatto fisico che ci sia mai stato tra loro la pelle di lui sta tremando. Per quanto riguarda lei, è talmente confusa dalla piega degli eventi che non ha neanche la pronta reazione di sottrarvisi. O forse è il calore, da quanto tempo non viene toccata da qualcuno con quella che è a tutta apparenza tenerezza?

"Ti chiederei di rifletterci, ma sappiamo entrambi quali sarebbero le conseguenze. Per cui, ti domando invece se ti va bene chiamare il septon per questa sera, appena dopo il tramonto".

Alicent non risponde, ma Larys non ne ha bisogno. Sa già di aver vinto, per questo, a dispetto del bastone che usa per alzarsi in piedi e dell'aria fragile, ha lo sguardo felino e gongolante del cavaliere che ha appena vinto il Torneo del Re. E che, soprattutto, ha ottenuto il pegno della più bella della Corte.












 
NDA: Per quanti già mi hanno incontrato su EFP non occorre ripetere che ho sbattuto la testa da piccola ahahah Questa coppia, però, mi sta piacendo non poco e sentivo la necessità di scriverci qualcosa sopra.
Il focus sarà la relazione tra Alicent e Larys, ma nel frattempo intendo seguire tutto il corso della Danza nel canon dei libri – da un lato dando alcune motivazioni diverse per alcuni eventi, dall'altra modificandone del tutto altri. È quindi un vero e proprio what if che muove le fila da un matrimonio tra Larys e Alicent. "L'amore sarà la caduta" oppure no? E cosa intendeva dire davvero Larys con queste parole? Insomma, ho frullato tanti input insieme per questa long. Spero vi possa incuriosire, grazie per essere arrivati fin qui!

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Capitolo 2
*** 2. ***


Secondo capitolo

 


Il secondo matrimonio di Alicent Hightower è molto meno sfarzoso del primo: indossa un vestito qualsiasi, verde ovviamente, e il tempio è completamente buio e deserto. Soltanto il matrimonio di Rhaenyra con Laenor Velaryon è stato più triste, ma perlomeno quello non era segreto. A parte il septon, lei e Larys stesso – puntuale, più curato del solito, sorridente, come se fosse un momento di festa –, non c'è nessun altro, nemmeno un testimone. Per un attimo si culla nell'illusione che senza testimoni di sorta la celebrazione non potrà avere luogo.

"Credevo di essere in ritardo per questa follia".

Alicent scatta sentendo la voce inconfondibile alle sue spalle, e il suo volto adesso è una maschera confusa di paura e sollievo. L'illusione non scompare ma muta d'aspetto: forse esiste una via di fuga e la farsa può avere termine prima di avere inizio.

"Padre!"

"Alicent, avresti dovuto parlarmene, mi aspettavo una parola da te piuttosto che dal tuo futuro marito".

La donna batte le palpebre perplessa, spostando lo sguardo da Otto (che non sembra irritato) a Larys (che non sembra sorpreso).

"Hai avvertito tu mio padre?"

"No, l'ho invitato. È il tuo matrimonio, dopotutto. Necessitavo anche della sua approvazione per la tua mano, intendo fare le cose nel modo giusto".

Alicent apre la bocca, ma è un tentativo vano. Balbetta qualcosa a vuoto prima di voltarsi, sconvolta, verso suo padre.

"E voi avete davvero acconsentito? Cosa ne è di Lord Tully? Non pensate più che il mio matrimonio possa essere utile per forgiare nuove alleanze?"

Una leggera increspatura di irritazione, rapida ed effimera, solca il viso di Otto. Ma basta un'occhiata verso l'altro uomo per tornare alla freddezza di sempre.

"Diciamo che mantenere e rafforzare le alleanze che già abbiamo può rivelarsi più importante che stabilirne di nuove: Harrenhal è pur sempre un punto di appoggio nelle terre dei Fiumi. Del resto" e qui la voce assume un’inflessione chiaramente ironica "Lord Larys è stato molto convincente, finalmente dopo tanti tentativi ha ottenuto ciò che voleva".

È un'ironia che Alicent non comprende, ma di cui al momento non le importa neanche. Di tutta quella spiegazione ha afferrato solo una cosa: quel matrimonio, all'apparenza folle, inappropriato e mai preso in considerazione, adesso si rivela soltanto una nuova ragnatela dove Otto è di nuovo il ragno e lei ancora una volta la mosca. E se suo padre non vuole muovere un dito per impedire quelle nozze, chi mai lo farà? Non Ser Criston di certo, che l'unica cosa che ha giurato di proteggerle in fin dei conti è la vita; non suo figlio Aegon, anche se è re, che è solo un’altra marionetta in un gioco più grande. Le scappa da ridere e quindi ride, ride per non piangere. Perché in effetti è grottesco il modo in cui suo padre la scorta solennemente davanti al septon, quasi quanto le difficoltà che Larys ha nello stendere il mantello bianco con le strisce blu, rossa e verde e posarglielo sulle spalle per avvolgerla e chiamarla simbolicamente sua sposa.

Ed è grottesco anche che lei debba frenare l'impulso di aiutarlo, ché nonostante tutto resta sempre la stessa compassionevole donna che adesso si prenderà carico, di fatto, di un altro uomo affaticato e debole. E stavolta probabilmente anche crudele.

Ma più di tutto, più di ogni altra cosa, sono grottesche le parole che Larys pronuncia (miele dolce) e che sente riecheggiare dalle sue labbra (fiele amaro).

Io sono sua e lui è mio, da questo giorno fino all'ultimo dei miei giorni.

Una nuova prigione, è questo che pensa, e questa volta non è certa di essere così fortunata che quegli ultimi giorni saranno di suo marito.


Lo stupore paralizzante e la tristezza disperata, dopo il giuramento, divampano immediatamente in una furia cieca. È come se quelle parole l'avessero svegliata da un lungo incubo: giocherà ancora il suo ruolo di moglie, di donna, se deve, ma se credono che resterà docile allora si sbagliano. Se non può decidere le regole del gioco, quanto meno vi prenderà parte alla sua maniera. Non darà niente di più di quello che è obbligata a dare e farà di tutto per mostrare il suo disgusto, il suo mancato consenso.

È questo che pensa mentre rifiuta bruscamente il piccolo banchetto che Larys ha preparato soltanto per loro due, ancora una volta nelle stanze reali di lei, e cogliendolo completamente di sorpresa inizia a spogliarsi con movimenti rapidi, nervosi, imprecisi, senza neanche chiamare una delle sue dame.

"Mia Regina… Alicent?"

Lei ignora la voce del suo nuovo marito, evita anche solo di guardarlo, finché il vestito le scivola a terra e resta soltanto in una leggera sottoveste bianca. Solo allora solleva lo sguardo, fiera e orgogliosa.

"Non perdiamo tempo, dunque. Come preferisci che mi posizioni? O meglio, dovrei dire come ti è più comodo prendere una donna?"

È volutamente acida, velenosa e cattiva per nascondere la sua vulnerabilità. Si sente quasi soddisfatta, adesso, quando vede un lampo di irritazione passare negli occhi di Larys: gli ha inflitto un’umiliazione sottolineando il suo difetto fisico, ma questa volta non chiederà scusa, non si sente affatto colpevole. Eppure, lui la sorprende, perché quel lampo non divampa come si è aspettata. Al contrario, le restituisce uno sguardo innocuo, quasi triste, mentre solleva una mano in alto come in segno di resa. Buffo – e questa è, alla fine la cosa più buffa di tutta la serata – che adesso sia lui a compatire lei.

"Alicent" la chiama ancora, e la sua voce è più bassa, più dolce, "in quale modo preferisci tu giacere con un uomo?" 

Non le dà il tempo di rispondere, si accontenta dell'espressione imbarazzata e allarmata che involontariamente assume. Del resto non è un mistero per lui che la regina dal sesso non ha mai tratto alcun tipo di piacere, che tra tutti erano proprio le notti con il re – sotto il re – il sacrificio più grande. 

"Non giaceremo insieme questa notte, Alicent".

"No?" Odia suonare implorante, odia provare sollievo e sentirsi grata per quella dichiarazione.

"No, e neanche le notti successive. Non sono un bruto, verrò nel tuo letto solo quando sarai tu a invitarmi".

È talmente grata da riacquistare la sua posizione di potere e lasciarsi andare a una risatina ironica. "E se non volessi mai farmi toccare da te, Larys?"

"Allora non ti toccherò mai".

Alicent lo fissa, ancora più grata, ancora più confusa.

"Immagino tu non mi voglia, allora. Non ti interessano le donne forse?" Dovrebbe tacere, lo sa, non sfidare ulteriormente la sorte, eppure non riesce proprio a impedirsi di parlare. 

Ma le labbra di Larys si curvano in un sorriso che vuole essere comprensivo, mentre si appoggia saldamente al suo bastone per fare un passo avanti e propendere sempre più verso di lei. Leggero, delicato, rapido, quasi effimero è il bacio che le posa sui capelli.

"Oh, mia Regina, ci sono tanti modi per possedere una donna e avere il suo corpo è solamente il più volgare".

Fa un passo indietro e torna a guardarla, non come se volesse possederla, ma come se la possedesse già.








 

NDA: Eccomi di ritorno praticamente subitissimo – ormai questa ship è la mia nuova ossessione. Spero di aver reso Larys abbastanza "sweet but psycho" :)

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Capitolo 3
*** 3. ***


Terzo capitolo





Se Alicent nutre ancora qualche dubbio in merito al desiderio di Larys nei suoi confronti, viene spazzato via nei giorni successivi. La sua presenza è costante, assidua e il modo in cui la guarda è inequivocabile – non è come se volesse possederla, è più come se volesse proprio mangiarla. Basterebbe già solo questo sguardo impudente a rendere palese il diverso stato del loro rapporto, ma è Otto a dirlo apertamente a tutti nella sala del Concilio, tra la ricerca di un nuovo alleato e il modo in cui gestire i fedeli a Rhaenyra rimasti a corte. 

"Per Delta delle Acque non possiamo più proporre l'alleanza matrimoniale, dato che la regina madre si è sposata con il Lord di Harrenhal. Avete altre proposte?" 

Lo dice come se fosse una cosa normale, pianificata quasi, e passata la sorpresa iniziale (che è tanta, è evidente), normale è anche il modo in cui la notizia viene accolta. Aegon fa una smorfia infastidita ma non dice nulla, come probabilmente farebbe anche se la madre avesse sposato un garzone. Gli altri Lord si guardano l'un l'altro come per ricalcolare il peso di ognuno nelle discussioni future, ma ad alta voce si limitano a mormorare delle caute congratulazioni. 

Il più seccato è Aemond che non nasconde il disappunto verso sua madre e il disprezzo verso il suo nuovo marito, mentre solleva un calice di vino come parodia di un altro recente brindisi. 

"Avere dei nipoti forti non era abbastanza, adesso devo avere anche un patrigno forte… anche se non è la parola esatta che userei per descriverlo".

La più lieta è Helaena che batte le mani e sorride con aria trasognata, mormorando parole che nessuno si degna di comprendere.

"È molto importante per i cuccioli se la torre diventa più forte".


La vita coniugale è, di fatto, nulla più di una parentesi dalle trame politiche; e tra pianificazione e pausa è suo marito, in effetti, il filo rosso: accanto a lei tanto nella sala del Concilio, quanto nelle stanze private. Non resta mai nelle sue stanze di notte, su questo è stato sincero, ma si trattiene per i pasti ed è avido della sua compagnia, adesso che lei non è nella condizione di rifiutargliela. In certi momenti, mentre parlano di mosse politiche e intrighi diplomatici, ad Alicent quasi pare che nulla sia cambiato rispetto ai loro soliti incontri settimanali durante tutti quegli anni, ma ci sono piccoli dettagli che tradiscono puntualmente l'illusione: il modo in cui le afferra le mani con dolcezza e soprattutto i fiori che le porta ogni mattina e ogni sera, fiori rossi che coglie appositamente per lei e talvolta le incastra con sapienza dietro l'orecchio. Come se fossero dei ragazzini, come se fosse una sorta di cortese corteggiamento. E lei quei fiori ogni tanto li strappa con rabbia e ogni tanto, invece, se li tiene sul cuscino e ne respira il profumo. Non riesce proprio a decidere se odia o apprezza quell'inquietante interessamento, perché è comunque il livello di galanteria più alto che ha mai ricevuto da un uomo – ed è quando pensa a questa mancanza nella sua vita che, in genere, finisce per strappare uno ad uno tutti i petali.

Tuttavia, quello che prova è soltanto orrore quando una mattina invece dei fiori si ritrova sul suo tavolo una scatolina rettangolare. Al suo interno, una creatura scura non meglio identificata, grossa e lunga, che si arrotola su se stessa strisciando.

Alicent sobbalza, allontanandosi di scatto e iniziando a urlare. Accorrono due serve, Ser Criston e Larys stesso, a cui è stata assegnata una stanza molto più vicina ai suoi appartamenti.

"Che succede, mia lady?" domanda perplesso, dopo aver scrutato la stanza senza aver rilevato alcun pericolo. Poi il suo sguardo si posa sulla scatola e sorprendentemente accenna un sorriso. "È solo un innocuo millepiedi, una specie molto rara però, ne esistono ormai solo pochi esemplari qui, è originario di Dorne".

"I-io pensavo fosse una minaccia, qualcosa spedito da Rhaenyra o…" S'interrompe, realizzando quanto sciocche debbano sembrare le sue parole, così dense di paranoia e preoccupazione. Ma un'altra sensazione si fa strada lentamente nella sua mente. "Come fai a sapere di cosa si tratta? Lo hai lasciato tu per me? Come puoi aver pensato che fosse stato qualcosa che io avrei gradito?"

"Non era per te, ovviamente" replica lui, imperturbabile, "ma per la nostra amata regina Helaena, so bene che viene ogni giorno a farti visita con i principi e sono certo che lei saprà apprezzare la creatura".

E difatti quando poco dopo sua figlia arriva alla vista del millepiedi sorride per la prima volta da giorni, e sembra tornare bambina mentre fa avvicinare i suoi di bambini. Stranamente quella stessa sera, nonostante il terrore e il disgusto provato, Alicent si sente solo grata per quella variazione di regalo e non pensa neanche a strappare il fiore della giornata. Larys ha toccato, del resto, il suo punto più debole: non ha corteggiato una regina, ma una madre.


Il giorno dopo, a mente più lucida, la diffidenza imperitura torna con ancora più forza, se possibile. Difficile credere che tutte quelle attenzioni, inclusa quella nei riguardi di sua figlia, derivino da un sentimento genuino e disinteressato; difficile non vedere dietro quella mossa un altro calcolo, una manipolazione perfino. Alicent non può fare a meno di sentirsi attratta, lusingata (perché è pur sempre ancora la ragazza dolce che sognava le ballate), ma allo stesso tempo ha sviluppato una sorta di immunità alla gentilezza offerta (perché nel frattempo è diventata una madre e una regina, e adesso conosce gli incubi dei giochi del trono). È un paradosso, anela a qualsiasi briciola di affetto ma crede siano tutte avvelenate, e quel paradosso potrebbe sciogliersi, forse, soltanto con una risposta precisa a una domanda: qual è il grande piano del suo nuovo marito e precisamente cosa vuole da lei?

"Non c'è bisogno che continui con questa farsa da perfetto gentiluomo, onestamente" esordisce in tono seccato all'ora di pranzo. Stanno mangiando insieme, secondo quella che è ormai la nuova prassi, quando lui solleva un coperchio per rivelare un tortino al limone che ha fatto preparare appositamente per lei. Come ogni sua singola mossa riesca a essere insieme premurosa e controllante è oltre la capacità di comprensione di Alicent. Perché lui sembra sapere benissimo che quel dolce è il suo preferito, e lei non può fare a meno di domandarsi quante altre cose – più segrete, più pericolose, più importanti – sia riuscito a osservare e a registrare in tutti quegli anni, pronto a usarle a tempo debito.

Larys posa lentamente le posate nel piatto e la guarda confuso, come se non capisse. "Sto corteggiando mia moglie, ed è qualcosa che mi piace fare, a dire il vero".

"Esattamente, sono già tua moglie, non c'è alcun bisogno che mi corteggi".

Larys la fissa a lungo, fino al punto di renderla nervosa e costringerla ad abbassare lo sguardo – sensazione che le sue successive parole rendono soltanto peggiore.

"Ti ho detto che possedere una donna significa molto più che possedere il suo corpo, ma è anche di più che sigillarla con un nome o un titolo, e io intendo averti completamente, Alicent. Ma non posso farlo a meno che tu non inizi a fidarti di me… se non smetti di avere paura".

L'inquietudine che le crea la sua dichiarazione all'idea di essere del tutto in suo potere, soggiogata a lui, non riesce a sopraffare quel bisogno di sostenere la sua posizione, di mostrarsi combattiva.

"Pensi che io abbia paura di te?" Si impone di sollevare di nuovo gli occhi e di forzare un sorriso fintamente divertito.

"Sì, anche se non dovresti. Non riesci a sostenere il mio sguardo troppo a lungo, rifiuti le mie piccole gentilezze e stamattina, addirittura, pensavi che io avrei potuto portare nelle tue stanze un pericolo. Ma io non sono un pericolo, non sono un menico".

Il suo tono è carezzevole, la sua espressione seria, il suo sguardo intenso come sempre: forse Alicent gli crederebbe se non sapesse anche lei, dopo tutto, alcuni segreti sul suo conto. Non molti, anzi neanche lontanamente la metà di quelli che vorrebbe sapere, ma almeno abbastanza da sapere che no, fidarsi è impossibile.

"Forse dimentichi che so benissimo di cosa sei capace".

"Forse sei tu a dimenticare che tutto ciò che ho fatto l'ho fatto per te, al tuo servizio".

Alicent scuote la testa decisa, mentre punta un dito contro di lui. "No, lo hai fatto per te, hai ucciso tuo padre e tuo fratello per te, così come è sempre per te che hai chiesto di sposarmi. E non riesco a capire cosa tu speri di ricavare da tutto questo, ma dovresti smetterla di considerarmi complice dei tuoi crimini–".

S’interrompe bruscamente quando sente un suono che non ha mai sentito prima, un suono che le ghiaccia il sangue nelle vene. Larys sta ridendo. Una risata bassa, sgraziata, stonata, ma pur sempre una risata che si trascina al punto che l'uomo si ritrova a tossire.

"Perdonami, è in qualche modo divertente. Vedi, io non ho soltanto ucciso per te, ma anche per colpa tua. Tu non hai idea, mio piccolo fiore, di quanto le tue mani siano sporche di sangue".

Alicent sbarra gli occhi e Larys, quasi beandosi un istante di quel terrore, fa un sorriso distante.

Poi, inizia a raccontare una storia. Ed è la storia di una caduta.


















 
NDA: Nel prossimo capitolo mi lancerò in un volo pindarico nel passato di Larys, per raccontare la "sua storia" e in che senso ha ucciso per colpa di Alicent. Come nota per questo titolo, vorrei solo precisare il motivo per cui tutti sembrano prendere bene la notiza del matrimonio: tralasciando Otto che potrebbe sapere qualcosa di più, in ogni caso volevo enfatizzare l'idea di come, per motivi strategici o anche solo come risposta a un ricatto, nessuno davvero impedirebbe a Alicent un (altro) matrimonio forzato, nemmeno con l'ambiguissimo storpio di Harrenhal... che, comunque, continua a essere un cupcake anche in questo capitolo, se non fosse per la parte finale ahah

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Capitolo 4
*** 4. ***


Quarto capitolo





"Questo è assurdo, non ho mai voluto la morte di nessuno, io-"

Larys solleva lentamente una mano e questo è sufficiente per zittirla. Il sorriso è ancora sulle sue labbra, senza alcuna traccia di divertimento o di gioia.

"Sii paziente, Alicent, ascolta e allora capirai. Dimmi, ti ricordi il nostro primo incontro?"

Non sa dare un nome al sentimento che la pervade (non è esattamente curiosità, non è solo paura), ma Alicent si sente completamente ipnotizzata da lui – dai movimenti della sua mano, che ora torna a giocare oziosamente con il fiore sul tavolo; dalla sua voce che, tra complimenti e minacce, è sempre, invariabilmente carezzevole. 

"Intendi quando ci siamo parlati per la prima volta? Penso al primo compleanno di Aegon, quando tu hai chiesto di sederti insieme a noi donne. Prima di allora ci siamo incrociati diverse volte, ma non penso abbiamo mai parlato o-"

Il sorriso evanescente di Larys assume finalmente una sfumatura ben precisa: tristezza.

"Quindi non ricordi. Lascia che ti rinfreschi la memoria".



Se essere un secondogenito non è facile, essere un secondogenito storpio è impossibile. O, perlomeno, l'aveva sempre vista così Larys, fin da quando ha preso coscienza della sua condizione, che lo vedeva costantemente relegato nell'ombra di Harwin. I figli primogeniti ereditano il titolo, si sposano, portano avanti il nome; i figli secondogeniti invece perlopiù diventano cavalieri, dimostrano il loro valore prestando giuramento al sovrano o vincendo numerose battaglie. Forse se Larys fosse stato un primogenito, il suo difetto sarebbe passato inosservato, ma così era semplicemente imperdonabile. Non che suo padre lo avesse mai detto in modo esplicito – non gli aveva fatto mai mancare nulla e diceva sempre di avere due figli, non uno – però era innegabile la preferenza verso Harwin che, d'altro canto, era il figlio perfetto. Laddove Larys difettava in fisico e in privilegi di nascita, Harwin riuniva le due caratteristiche che un uomo altolocato doveva avere: futuro signore e guerriero. E, come se non bastasse, sapeva parlare bene e dire sempre la cosa giusta al momento giusto, con un carisma che catturava tanto gli altri Lord (coetanei o vecchi) quanto, soprattutto, le donne. 

Quanto a Larys, parlava poco, sorrideva ancor meno, leggeva molto, pensava troppo. In ogni occasione sociale, lui era semplicemente ignorato e l'unica cosa che, se era fortunato, riusciva a racimolare era uno sguardo di insopportabile pietà nei suoi confronti. Un altro ragazzo al suo posto, forse, ne avrebbe sofferto, ma non lui. Aveva imparato a sbiadire nella luce accecante di Harwin, a fingere di non notare tutte le occhiate compassionevoli o le omissioni poco casuali, ad accettare la sua posizione senza pretendere mai nulla di più. Il motivo era in fondo semplice: non odiava suo padre, non invidiava suo fratello, non incolpava dei in cui non credeva… Larys non provava niente, se non una oziosa curiosità per il mondo naturale che forse avrebbe potuto renderlo un valido maestro, un giorno.

Questo, perlomeno, fino a che all'età di diciassette anni non era stato portato a Corte e aveva posato per la prima volta gli occhi su di lei. Lunghi capelli ramati, intensi occhi scuri e un sorriso gentile – perfino per lui. Era bellissima nella sua innocente delicatezza, ma non era per questo che ai suoi occhi era differente. Era per la sensazione che vederla (anche di nascosto, mentre passeggiava con la principessa Rhaenyra, una presenza effimera ai suoi occhi) riusciva a scatenargli dentro. Aveva sempre osservato e ascoltato in silenzio, e si era accontentato di farlo, ma adesso curiosamente sentiva il bisogno di vincere qualsiasi timidezza innata e parlare con lei, anche se il solo pensiero lo rendeva ancora più impacciato del solito. Peggio ancora, sentiva il bisogno di toccarla, di passare la mano tra i suoi capelli, sulle sue labbra, sul suo collo longilineo e poi… più giù, oltre, in posti che nemmeno conosceva e improvvisamente voleva esplorare.

Guardando quella ragazza vivere di fronte ai suoi occhi, per la prima volta si ritrovava a maledire il suo piede, e a invidiare concretamente suo fratello. Ed era stato proprio a lei che aveva rivelato ad alta voce quella sorta di risveglio che stava suo malgrado subendo. Prima di uno dei tornei tenuti a Corte, per il quale Harwin risultava già tra i favoriti, aveva approfittato della confusione per la preparazione ed era riuscito ad avvicinarsi alla ragazza dei suoi sogni prima che andasse a raggiungere la sua inseparabile migliore amica sugli spalti.

"Mi piacerebbe partecipare a un torneo soltanto per avere il vostro pegno!"

Aveva lanciato quelle parole nell'aria, quasi urlando, per mera incapacità di modulare il tono della voce e ancora di più di rapportarsi alle persone.

Lei aveva sussultato, poi si era voltata, e l'espressione spaventata si era sciolta in uno dei suoi irresistibili sorrisi, questa volta diretto a lui, solamente a lui. Nel farlo, lo aveva guardato dritto negli occhi (Larys non sapeva ricordare l'ultima volta in cui qualcuno lo avesse fatto) e lui aveva notato un delizioso rossore colorare le sue guance.

"Oh" aveva detto poi, imbarazzata, accorgendosi solo allora del piede deforme, e l'incantesimo si era spezzato.

Lui aveva abbassato lo sguardo a sua volta e balbettato qualche parola. Tuttavia, prima che potesse andarsene, lei lo aveva richiamato indietro e si era avvicinata di più, abbastanza che se solo avesse osato gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarla. Era stata invece lei a ridurre ancora di più la distanza, rimuovendosi la ghirlanda che teneva al polso per il torneo e infilandola con un gesto rapido ma preciso sul suo bastone.

"Il mio pegno è vostro, adesso. Non bisogna essere un cavaliere per esserne meritevole".

Con un ultimo sorriso, se ne era andata e solo allora lui si era reso conto di non essersi neanche presentato, di non averle detto il suo nome. Lui però il suo lo sapeva, e tanto bastava per andare dritto da suo padre il giorno dopo e parlargli con una sicurezza che non aveva mai avuto prima.

"Ho deciso di voler prendere moglie".

Lyonel aveva sollevato lo sguardo su di lui sorpreso, tanto dalla richiesta quanto dalla fermezza che trapelava. Aveva esitato nel rispondere, ma non lo aveva schernito, non subito perlomeno. "Hai in mente una fanciulla?"

Larys non aveva esitato nemmeno un secondo invece, nei suoi occhi ardeva una luce strana mentre affermava semplicemente, "Voglio Alicent Hightower" e non solo lo affermava, lo pretendeva, con tutta l'arroganza di chi si è visto negare tutto e non ha mai chiesto niente, nemmeno un bicchiere in più di vino, nemmeno una maledetta spada che non avrebbe potuto usare. "Voglio Alicent Hightower, padre, e tu me la farai ottenere".



"Tu volevi sposarmi? Non l'ho mai saputo".

Alicent ha promesso tacitamente di ascoltare senza commentare, ma quella notizia è talmente sorprendente che non può lasciare passare sotto silenzio.

"La storia non è finita" replica Larys, in tono indulgente. La sua posa è rilassata, la voce sempre calma, come se stesse parlando della vita di qualcun altro. Forse perché è stato in silenzio fin troppo, e adesso che ha iniziato a parlare, è un fiume in piena che vuole travolgere ogni cosa.

"Non sono certa di volerla sapere, non sembra una storia felice".

"Raramente le storie lo sono, ma questa devi ascoltarla, devi decisamente perché ne sei la protagonista".


 

La sorpresa di Lyonel era aumentata ancora di più e poi aveva fatto la cosa peggiore che potesse fare: era scoppiato a ridere. Non era una risata cattiva, per essere onesti, era più dettata dal nervosismo e dall'incredulità; ma per Larys era stato il primo, insignificante dettaglio stonato di suo padre verso di lui che aveva trovato insopportabile. E forse questo fastidio era evidente, perché lentamente l'uomo aveva smesso di ridere e assunto un'espressione meditabonda.

"Posso provare a parlarne con Lord Otto, ovviamente, ma sarò onesto con te, devi capire che ci sono ben poche possibilità che possa accettare una simile unione".

"Parlate della mia disabilità?"

Lyonel aveva sospirato stancamente e si era degnato quanto meno di abbassare lo sguardo. "Otto Hightower è un uomo alquanto… ambizioso, e tu sei un secondogenito. E sì, sei uno storpio".

Aveva usato un tono basso e delicato, quasi cauto, eppure alle orecchie di Larys ogni parola era arrivata come un urlo brutale. Un attacco alla cui difesa aveva sfoderato, quindi, un sorriso freddo.

"Vi ringrazio per la sincerità, padre. Finalmente chiamiamo le cose con il loro nome".

Un'ombra di compassionevole era apparsa allora sul volto di Lyonel. "Larys, io-"

"Parlate con Lord Hightower, chiedo solo questo".

E Lyonel aveva parlato, in effetti, quella sera stessa, come gli avrebbe riferito in seguito quando avrebbe edulcorato di molto l'inevitabile rifiuto. Ma Larys non aveva dovuto aspettare, era riuscito a scoprire il primo di molti passaggi segreti nella fortezza, e da quella posizione era riuscito a sentire l'intero dialogo tra i due lord nella versione originale.

"Parlate pure, Lyonel, qual è questa questione di cui volevate parlarmi".

"A dire il vero è una questione personale, vedete, ci conosciamo ormai da anni e abbiamo avuto le nostre divergenze, ma le nostre sono due casate importanti che forse potrebbero beneficiare di una unione matrimoniale, di una alleanza. Vostra figlia non è ancora promessa, giusto?"

Una pausa, lunga. "Per il momento, no. Volevate forse proporvi voi, Lyonel?".

Lyonel aveva riso. "Oh, no, ormai ho superato l'età per un nuovo matrimonio da un pezzo. Ma ho due figli come ben sapete, e uno dei due ha espresso molta simpatia per la vostra Alicent e ha solo le intenzioni più onorevoli".

"Vostro figlio è un giovane prestante e vigoroso, e non disdegno l'idea di far diventare mia figlia Lady di Harrenhal, tuttavia–" Un colpo di tosse, una brusca interruzione. "–Aspettate, non intendete forse l'altro figlio, lo storpio?" Una risata forte, questa, sì, crudele e glaciale.

"Larys è un bravo ragazzo-"

"Questo è un insulto e lo sapete benissimo!"

Un silenzio lungo, estenuante, e poi le parole che Larys non avrebbe mai voluto udire, quelle che Lyonel non avrebbe mai ripetuto fuori da quella stanza e che, inconsapevolmente, avrebbero segnato il suo destino per sempre.

"E se invece proponessi l'altro mio figlio, Harwin?"

Era stato in quel momento che Larys aveva provato il contraccolpo di quella recentissima scoperta delle emozioni. Ché non ce ne sono soltanto di buone, ma anche negative, e così lui era caduto.

L'amore è una caduta, perché trattiene la mano tanto quanto la arma. E se non poteva avere l'amore, allora, cadendo, sarebbe precipitato verso l'odio, la vendetta, l'ambizione, da quieto storpio sarebbe diventato un agente del caos.


 

"E poi cosa è successo?" 

Alicent è rimasta talmente rapita da quel racconto da rimanere indispettita adesso che all'improvviso Larys ha bruscamente smesso di parlare. Non ha fretta, anzi, si prende tutto il tempo per tagliare una fetta della torta al limone sul tavolo e porgergliela in un silenzioso invito, per poi tagliarne una anche per sé.

"Lo sai benissimo da sola, suppongo" dice alla fine, "i nostri padri hanno trattato per qualche giorno in privato per combinare un possibile matrimonio tra te e Harwin, finché il re non ha annunciato che tu saresti stata la sua nuova moglie. Una scelta sensata, non sarebbe potuta esistere una regina più adatta, se chiedi a me… Eppure il pensiero che tu avresti potuto appartenere a Harwin, che io stesso ti avessi in qualche modo spinta tra le sue braccia mi era intollerabile, come del resto quello di saperti con il vecchio Viserys ma in un modo molto differente".

Alicent deglutisce a vuoto, mentre prova a fare i conti con la verità che si distende lentamente davanti ai suoi occhi. "Hai ucciso tuo padre e tuo fratello perché ti hanno impedito di avere quello che volevi? E tu volevi… me".

"Tu rappresentavi tutto quello che io non avrei mai potuto avere e quando ho realizzato questo io… ho iniziato a volere di più, a capire che avrei potuto fare, oh, meglio di mio padre e infinitamente meglio di Harwin. Loro erano… soltanto un intralcio, in fondo. Non posso fare nulla per il mio piede, ma adesso sono il Lord di Harrenhal, non è così? E tu non eri più il mio scopo, non potevi esserlo, ma ora sei una deliziosa aggiunta".

"Se sono una deliziosa aggiunta aggiunta, allora come può essere colpa mia?"

Gli occhi Larys brillano, ardono perfino, un'immagine paradossale per due occhi di ghiaccio. "Non capisci, Alicent? Forse quando mi guardi dovresti chiedere a te stessa che cosa sono diventato, che cosa mi hai fatto.Tu sei il motivo per cui sono diventato tutto quello che sono, tu sei la mia caduta, la mia rovina".

Il sussulto di Alicent è un suono distinto. Questo è perfino peggio di ciò che immaginava: Larys non ha ucciso perché lei glielo ha chiesto, e nemmeno per averla, ma semplicemente perché lei esiste. Sulle sue mani c'è, in fondo, non solo il sangue di Lyonel e di Harwin, ma anche di tutti i singoli uomini che lui ha ucciso, perché è lei, senza saperlo, senza volerlo, ad averlo reso quello che è adesso. È una verità talmente terribile che dovrebbe riempirla di terrore molto più di quanto lo è già. Quanto può essere folle un uomo che decide di sterminare i suoi consanguinei perché è ossessionato da una donna che è stata gentile con lui? E quanto può essere, d'altronde, folle una donna se invece di tremare dal disgusto, freme di commozione e una strana forma latente di desiderio?

Perché è questo che Alicent sente dentro di sé, a dispetto di tutto. Avere un potere così grande su una persona non credeva fosse umanamente possibile, di certo non credeva potesse averlo lei, e non è sicura di riuscire a rinunciarvi ora che sa cosa si prova. Larys è sempre stato un uomo freddo, ambiguo, apatico perfino, e pensare che lei sia stata capace di essere la sua caduta fa germogliare uno strano, impossibile, senso di onnipotenza – in lei, che si è sempre sentita debole, incapace, invisibile.

"Larys, io-"

"Non dire nulla, mio piccolo fiore, ti lascio il tempo per elaborare".

Ma insieme al tempo, prima di sparire, le lascia sul tavolo anche un altro regalo. Non un fiore stavolta, ma una ben famigliare e incredibilmente intatta ghirlanda.







 


NDA: In questo capitolo ho voluto dare un background a Larys ben preciso: un ragazzo abbastanza indifferente a tutto, che non prova niente, e per questo abbastanza innocuo... finché qualcosa non scatta nella sua testa e si rende precisamente conto da un lato di cosa si perde per colpa della sua posizione, dall'altro di quanto sia molto più sveglio degli altri. La vendetta incontra l'ambizione e il mix è letale. E in questa storia a far scattare tutto è Alicent. Da qui l'interpretazione un po' diversa che ho voluto dare della frase pronunciata da Larys per farla quadrare con quello che avevo in mente. Ancora una volta, Larys riesce a lusingare e a terrorizzare Alicent.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, dal prossimo capitolo il focus si sposta anche sui macroeventi della storia, che qui c'è pur sempre una guerra da combattere ahah

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Capitolo 5
*** 5. ***


Quinto capitolo




Il potere è un'arma sottile, ingannevole ed effimera – è questo che si ritrova a pensare Alicent ben presto – cambia facilmente padrone e, adesso, in fondo, quel padrone già non è più lei. Ché forse è stata capace di rendere Larys quello che è, ma quella trasformazione lo ha anche reso del tutto irrimediabilmente oltre il suo controllo. Ché forse lui è diventato così per colpa sua, ma cosa sta diventando lei? Giorno dopo giorno è diventata altro da se stessa, e per ogni rimorso che sente, per ogni passo indietro che prova a compiere, puntualmente viene spinta sull'orlo del baratro. Da suo padre e le sue ambizioni, da Viserys e il suo sogno sul letto di morte, e da Larys – soprattutto da Larys.

Alicent sta cadendo, sta precipitando.

La richiesta dell'occhio di Lucerys, la pugnalata quasi inferta a Rhaenyra, quella guerra che è appena iniziata e a cui lei non può proprio porre fine. “Adesso ti vedono per quello che sei" le ha detto Rhaenyra, e lei stessa in quel frangente si è vista per la prima volta, senza però riconoscersi. È diventata così, o lo è sempre stata?

Non importa, è comunque ormai troppo tardi, e la corruzione della sua anima non può essere arrestata. E come potrebbe essere altrimenti? Sono tempi in cui è impossibile capire di chi fidarsi, in cui negli alleati di sempre si scoprono i rivali e le spie sono nascoste in ogni angolo. Per Alicent è impossibile fidarsi anche di suo padre, e non solo perché l'ha ceduta due volte in matrimonio senza battere ciglio, ma perché sembra accorgersi soltanto adesso di come lui abbia un piano tutto suo, un piano che lei non conoscerà mai del tutto e di cui sarà sempre soltanto una pedina. Non ha dato istruzioni, del resto, di far incoronare Aegon ben prima della morte di Viserys a sua insaputa? L'ultimo regalo di Larys è stata solo l'ennesima conferma di questo: l'informazione preziosa di avere una spia tra le sue dame, e che suo padre ne era perfettamente al corrente.

"Quando pensavate di dirmi di Talya? Pensavate di farlo mai?"

Otto è andato a trovarla per aggiornarla su qualche altro nuovo capovolgimento politico (soltanto quelli che vuole lei sappia, beninteso), ma Alicent non gli ha permesso di dire neanche una parola. Lo ha attaccato senza esitare, con la furia evidente tanto nel suo sguardo quanto nel tono. Otto, come sempre, si riprende rapidamente dalla sorpresa, senza cedere a nessuna emozione.

"Vedo che tuo marito si rivela sempre più utile a raccogliere sussurri. Dovrebbe, tuttavia, impegnarsi di più a restare al passo anche con ciò che gli compete direttamente".

La regina madre è meno abile a mascherarsi, i suoi sentimenti sono sempre stati troppo visibili nelle espressioni e nei gesti – l'imbarazzo in uno sguardo lontano, la tristezza in un sorriso tirato, la rabbia nelle labbra serrate e nelle mani strette a pugno, la solitudine e la paura nelle ferite che si autoproduce senza accorgersene alle unghie. La sua unica fortuna è stata che nessuno ha mai perso davvero del tempo a decodificare tutti quei segnali. Anche adesso ciò che prova è palese: il silenzio che intercorre è fin troppo prolungato per non sottolineare che una risposta pronta Alicent non ce l'ha.

"E questo cosa dovrebbe significare?" domanda, invece, alla fine. 

E il sorriso appena accennato di Otto indica che quella è proprio la reazione che si aspettava.

"Sono arrivato con una notizia, prima che tu tirassi fuori una questione così inutile. E la notizia è che Daemon, proprio in questo momento, sta prendendo possesso di Harrenhal… e tuo marito, il Lord di Harrenhal, dove si trova in tutto questo? Cosa sta facendo? Sei Lady Strong da una settimana e già stai perdendo il tuo castello".

Il sorrisetto si è fatto più deciso, ironico e in questo dettaglio Alicent scopre un aspetto di suo padre che non conosceva, o per meglio su cui prima non si è mai soffermata abbastanza. La sta canzonando, come se fosse una figura di rappresentanza e niente più, come se lei non capisse nulla del gioco del trono, come se ogni sua decisione fosse sbagliata.

Eccetto che, in fondo, nessuna decisione è mai stata sua.

"Non ho scelto di sposare Lord Larys" dice semplicemente, quasi in un soffio.

"Neanche io l'ho scelto. Potente come è diventato, l'unica mossa sensata era cercare di tenere quella serpe il più vicino possibile. Potevi pensarci prima di fare accordi con lui, però, prima di diventare complice dei suoi crimini – credi che non sappia della morte degli Strong? –, sei stata incauta".

Ad Alicent sfugge un sorriso, amaro. Una nuova offesa, un nuovo addebito di colpa, è sempre stato davvero così il loro rapporto oppure qualcosa è nel frattempo cambiato? Se ripensa alle morti di Lyonel e Harwin Strong, allora il sorriso diventa una risatina, perché tutto quello che riesce a pensare è: volevo riavere voi, padre, pensavo che voi sareste stato sempre dalla mia parte.

Quelle parole restano però soltanto pensieri, mentre Otto prosegue.

"Io volevo farti diventare Lady di Delta delle Acque, per tutti i Sette, Alicent, io ti ho fatto diventare Regina".

"Non ho neanche scelto di sposare Viserys, lo sappiamo benissimo entrambi".

Quelle parole sono pronunciate a bassa voce, in tono amaro e quasi incerto, ma hanno avuto la stessa valenza di un urlo. Su di lui, sul loro rapporto padre-figlia, su un passato di cui nessuno dei due ha mai voluto dare la corretta interpretazione. Perché la verità è solo una: Otto ha ordinato e Alicent ha eseguito.

"E cosa avresti voluto fare, sposare magari vent'anni fa lo storpio che hai sposato adesso?"

Otto lo dice come se fosse la cosa più ridicola del mondo e forse lo è. Ma Alicent non può fare a meno di pensare a quell'alternativa mai espressa, a un corteggiamento reale con quegli stessi fiori che riceve oggi, a una vita lontana dalle responsabilità da regina e dagli intrighi di corte. Senza neanche avere un titolo, senza neanche avere un castello. E Larys? Pensa adesso concretamente a lui per la prima volta. Non sarebbe stato male, pensa, conoscere quel ragazzo che non era ancora sceso la scala della perdizione, il ragazzo che l'aveva guardata come se fosse la cosa più bella del mondo e che in modo impacciato aveva espresso il desiderio di avere il suo favore. Quel ragazzo è ormai morto, ed è morta anche la lei che dagli spalti osservava i tornei con la sua migliore amica – e, insieme a tutte le altre morti, anche le loro forse non ci sarebbero state.

Alicent non sa se avrebbe voluto sposare Larys, non può saperlo, né davvero le importa. Sa però che darebbe qualsiasi cosa per non iniziare quella guerra, per non dover fare del male a Rhaenyra, per non dover temere per la vita dei suoi figli. E questo, pensare a ciò che non vuole, per il momento basta.

"Forse sì".

Otto spalanca gli occhi, mostrando per la prima volta un segno tangibile di turbamento così evidente. Forse non si aspettava una risposta, forse non si aspettava quella. La fissa negli occhi a lungo – Alicent non riesce a capire se la sua espressione è di delusione, o rimorso – e poi annuisce lentamente, come se fosse giunto alla conclusione di un discorso con sé stesso.

"Sei proprio come tua madre" dice infine, con quel tono addolcito che riesce a usare solo quando parla della sua defunta moglie.

Ma stavolta Alicent, nel sentir parlare di sua madre, non si addolcisce a sua volta: quel collante tra loro si è perso da tempo ed è stato usato ormai troppe volte per essere ancora efficace. È che, in fondo, lei non ha mai capito cosa quella somiglianza volesse dire, con quella somiglianza – una donna che nella sua memoria offuscata era sempre sorridente e gioiosa – non sa che farsene. 


 

*


 

La caduta è un concetto complesso, ambiguo e traditore – è questa la seconda cosa che Alicent realizza più lentamente – e cadere è così facile, se cadi non smetti mai di precipitare.

Non ha ancora elaborato i cambiamenti enormi nella sua vita, non ha ancora deciso come comportarsi nei confronti di suo padre e di suo marito, quando un nuovo rovesciamento di sorte cattura completamente la sua attenzione. Aemond è appena tornato da Capo Tempesta, ma oltre a una moglie e a un accordo di pace ha ottenuto anche una vittima.

Lucaerys Velaryon è morto, e all'improvviso sia il ruolo di Talya sia la vulnerabilità di Harrenhal sembrano irrilevanti. Di fronte al racconto secco e incolore di suo figlio, Alicent si porta le mani alla bocca mentre non può fare a meno di invocare la misericordia della Madre. Sa perfettamente che quello è il punto di non ritorno che tutti stavano aspettando: il falso passo che avrebbe dato inizio a quella guerra, e ancora una volta, alla fine, la colpa sembra dover ricadere su di lei. Fino a quel momento la guerra, di cui pure tutti parlavano minuziosamente come data per scontata, è stata soltanto un concetto astratto, ma adesso… Sangue chiama sempre sangue, lo sa bene, e quell'omicidio dovrà presto, prestissimo essere vendicato. 

"Che cosa hai fatto, Aemond, che cosa hai fatto?" gli chiede con le lacrime agli occhi, invasa una paura primordiale, viscerale. 

In mezzo ai festeggiamenti quasi provocatori di quell'incauto di Aegon e i nuovi calcoli di Otto, Aemond sorride forzatamente al fratello e rifugge lo sguardo di sua madre. Soltanto nelle sue stanze, più tardi, si rifugia tra le sue braccia con la debolezza di chi è rimasto bambino e rivela, se non rimorso, quanto meno paura.

"Non volevo ucciderlo, io non volevo, madre, devi credermi, ho soltanto perso il controllo di Vhagar e–"

E proprio come fosse un bambino, Alicent lo tiene stretto a sé e gli accarezza i capelli.

Helaena, in un angolo, trema e si raggomitola su se stessa.


 

*


 

"Preferirei restare sola".

È la risposta ormai abitudinaria che Alicent pronuncia ormai da cinque sere. Non a una domanda, ma a una mera presenza, quella di Larys, a cui nega le cene, gli incontri, la reciproca compagnia.

A dire il vero, nega a sé stessa anche qualsiasi altro contatto, che non sia quello con i suoi figli; se ne sta al buio nella sua stanza oppure si reca nel tempio per pregare con fervore fino a che le ginocchia non le cedono e le lacrime cessano di scendere dai suoi occhi. Non ha più forza, dopo, per parlare, né tantomeno per ascoltare. La politica ha improvvisamente perso ogni schema logico per diventare soltanto lo specchio confuso di una ineluttabile premonizione: qualcosa di brutto sta per accadere, la vendetta la colpirà presto, da vicino, e non capisce cosa potrebbe fare per arrestare la catastrofe.

Rhaenyra ha perso una figlia e incolpa i Verdi, forse a torto; ha perso anche un figlio e incolpa anche di questo i Verdi, senza possibilità di giustificazioni.

Respira, respira, respira… ma respirare è impossibile, così come è impossibile non porsi una domanda: cosa toccherà perdere a lei?

("Occhio per occhio, figlio per figlio" sussurra Helaena ogni sera, quasi al posto del saluto, e ad Alicent vengono i brividi ogni volta.)

Tuttavia, questa sera c'è una variante. Invece di lasciare la stanza senza ulteriori insistenze, stavolta Larys avanza e prende posto di fronte a lei, come se invece di un rifiuto avesse ottenuto al contrario un invito.

"Ho detto che preferirei restare sola".

"È quello che dici ogni sera, ma mi sono reso conto che lasciarti da sola non è quello che voglio io".

La donna ruota lentamente il capo per guardarlo e il suo volto non è altro che una maschera di stanchezza.

"Larys, te ne prego" dice, con una punta di fastidio, chiudendo per un lungo attimo gli occhi. 

Ma quando li riapre, lui è ancora lì, immobile, che la scruta con attenzione, come se stesse cercando di leggere i pensieri nella sua testa.

"Dimmi come posso essere d'aiuto, potrei sbarazzarmi di Daemon e Rhaenyra, potrei farlo, dammi solo l'ordine. Dimmi di farlo e lo farò. Non si può più tornare indietro dopo quello che ha fatto Aemond, una trattativa non è più possibile, ma il segreto è che i morti non possono vendicarsi".

La stanchezza di Alicent si dissolve in una risatina incredula, così come la disperazione si tramuta in rabbia – e un bersaglio perfetto verso cui dirigerla è esattamente davanti a lei.

"Comincio a credere che non sei così onnipotente come dici. Parli di uccidere i nostri nemici, ma intanto il tuo castello è perduto, o forse questo dettaglio ti è sfuggito?"

"È Harrenhala essere solo un dettaglio, se tu avessi la capacità di vedere l'intero dispiegarsi degli eventi–"

"Perché non me lo spieghi tu, visto che sembri sempre sapere tutto? E visto che ci sei, spiegami davvero il motivo per cui non stai muovendo un dito per difendere Harrenhal. Stai forse pensando di non schierarti apertamente contro i Neri, perché sarebbe–"

"Ah, quindi non è il mio potere che stai mettendo in dubbio, ma la mia lealtà. Ancora dubiti di me, nonostante tutto quello che ti ho raccontato?"

Il silenzio è una pausa bene accetta in quella rapida schermaglia in cui le loro voci si sono accavallate senza respiro, accusa e difesa che si alternano e cambiano di ruolo. Si scrutano e Alicent – ché dovrebbe essere il suo turno – tace, immersa nuovamente per lo spazio di qualche istante a ripercorrere la storia del suo passato che ancora non riesce ad elaborare del tutto. E così è Larys a parlare, invece.

"Ti ho già dimostrato quello che sono in grado di fare, quanto conoscere – punti deboli, segreti, le persone giuste – sia molto più importante che agire. Spesso una singola mossa dietro le quinte può essere più decisiva di mille battaglie. E ti ho dimostrato anche quanto sono leale a te, in un mondo dove ho guardato con distacco tutti quanti corrotti dalle loro debolezze, ti ho detto che tu sei la mia caduta, non è questo abbastanza?"

"No! Forse non sei caduto abbastanza!"

Le parole le escono dalle labbra con impeto, e immediatamente si ritrova a coprirsi la bocca con una mano come se potesse rimangiarsele. Non sa di preciso cosa voleva dire, ma sa benissimo il modo in cui lui potrebbe interpretarle: un invito a fare di più, a uccidere di più, a versare altro sangue impossibile da lavare via, a innescare altra vendetta. Perché su questo lui ha torto, Alicent ne è certa: la sete di vendetta non finisce mai, mai, mai. 

"Lasciami sola" ripete, alla fine, in un sussurro.

E Larys stavolta sembra fin troppo disposto ad accontentarla. Forse perché ha ottenuto quello che voleva: parole, una risposta, una reazione.

Ma, mentre stringe il suo bastone e muove il primo passo in direzione della porta, una voce sconosciuta e inaspettata irrompe nella stanza. Sulla soglia del passaggio segreto che Larys ha usato così tante volte per raggiungere Alicent, due loschi individui vestiti di nero li fissano con un identico ghigno sul volto.

"Che peccato che ci siamo noi allora, Vostra grazia".








 

NDA: Non era prevista la presenza così massiccia di Otto in questo capitolo, ma un confronto tra padre e figlia era secondo me necessario, in modo più diretto e trasparente di quello che abbiamo visto. 

Questo capitolo si situa esattamente dove abbiamo lasciato la serie: Aemond ha causato la morte di Luke e torna ad Approdo del Re con la notizia. Da questo punto in poi, seguirò più o meno la cronologia del libro. A proposito di questo, preciso che ho inserito la caduta di Harrenhal (bypassata per ora dalla serie) proprio perché avviene prima dello scontro di Aemond e Luke a Capo Tempesta. 

Per chi ha letto il libro o comunque sa cosa sta per succedere, i due loschi individui sono proprio Sangue e Formaggio… ma in ogni caso questo è il primo punto significativo in cui cambierò il corso degli eventi, quindi aspettatevi un twist (:

 

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Capitolo 6
*** 6. ***


Warnings: splatter, violenza, linguaggio volgare, spoilers pesanti su Fuoco e Sangue.


 

Capitolo 6

 



Ad Alicent sembra di essere precipitata in un incubo, eppure allo stesso tempo sa benissimo che questa che sta subendo è la realtà. Per giorni, da quando Aemond è tornato con la notizia della morte di Lucerys Velaryon, ha vissuto nell'angosciosa attesa di una vendetta che, lo sapeva, sarebbe arrivata. Era soltanto questione di tempo, e adesso quel tempo è giunto. Cosa volete da me? Vorrebbe chiedere, Prendete me, ma lasciate stare i miei figli! Vorrebbe implorare; ma per prima cosa quei due intrusi l'hanno legata alla sedia e imbavagliata, senza che suo marito abbia fatto nulla per impedirlo. Ha impedito però prontamente che legassero o imbavagliassero lui.

"Volete immobilizzare anche me, temete forse un debole storpio?" domanda Larys, in un tono perfettamente incolore, mentre siede composto di fronte a lei come se fosse una situazione ordinaria. Vuole contrattare, è evidente, neanche di questo Alicent può dirsi stupita, neanche quando lui, più esplicitamente, dichiara serafico: "Sono certo che potremmo arrivare a un qualche accordo, signori, senza arrivare a un inutile spargimento di sangue. Forse posso prestarvi il mio aiuto".

I due uomini lo osservano per un attimo, poi si scambiano un'occhiata tra loro ridacchiando forte.

"Hai così tanta voglia di salvarti il culo, eh? Sapevo che lo storpio di Harrenhal era una femminuccia, ma non pensavo così tanto" lo schernisce uno dei due, prima di avvicinarsi repentinamente ad Alicent e afferrarla per i capelli fino a farla gridare. Poi si china su di lei, sempre più vicino, sufficientemente vicino da leccarle una guancia. "Magari intanto potrei spassarmela con una puttana reale. Meriteresti di sapere cosa significa essere scopata da un vero uomo".

Da dietro il bavaglio, la donna si lascia sfuggire un singhiozzo, mentre chiude gli occhi per tentare di sparire a quel contatto disgustoso. Piededuro esita solo un istante, ma neanche di fronte a quella scena si scompone. "Se è questo ciò che volete, non avrò nulla in contrario. Tuttavia, dubito la vostra sia una iniziativa privata, così come dubito che vi abbiano mandato fino a qui solo per godere della compagnia della regina madre. Quindi, vi prego di essere franchi: avete un mandato di omicidio?"

"Non ci interessano le vostre teste" confessa l'altro uomo, più pragmatico. "Siamo qui per saldare un debito. Un figlio per un figlio… non toccheremo nessun altro" aggiunge poi, lanciando un'occhiata al suo compare come per richiamarlo al dovere. E in effetti a quelle parole sbuffa sonoramente e solo allora lascia andare la donna con un singolo brusco gesto.

Larys distoglie volutamente gli occhi da lei, ma fa un leggero ghigno notando invece il tacito scambio tra i due uomini. Allora è il primo, il più grosso, quello che comanda – ed è solo a lui in effetti che si rivolge adesso.

"Quale figlio? Queste sono le stanze private della regina, credo abbiate sbagliato passaggio. Ma ditemi chi cercate esattamente e potrei procurarmelo con facilità. Non il re Aegon, immagino… il principe Aemond, forse?"

L'uomo ghigna, se l'offerta non sembra solleticarlo, quanto meno l'implicita accusa di aver sbagliato strategia colpisce il suo orgoglio elementare e lo spinge incautamente a parlare.

"Oh, invece è proprio il posto giusto. Abbiamo studiato attentamente gli ultimi movimenti nel castello… Tu, Lord Storp, non ti sei mai trattenuto più di cinque minuti in queste stanze, ma la regina Helaena non manca mai di venire… insieme a tutta la sua prole".

Alicent sgrana gli occhi e, pur consapevole dell'inutilità dei suoi tentativi, prova a strillare con tutte le sue forze e a dimenarsi sulla sedia. Si aspettava una vendetta, ne era certa, ma neanche nei suoi incubi peggiori aveva pensato a una simile crudeltà. Non Helaena, non i bambini. E i suoi vani tentativi aumentano quando, con un tempismo diabolico e fatale, sente proprio la voce esitante di sua figlia che si fa sempre più vicina mentre entra nelle stanze.

"Madre, madre, dove siete?"

Alicent riesce a fare rumore muovendo la sedia, non abbastanza per avvisare Helaena del pericolo, ma al contrario per attirarla ancora di più all’interno.

"Madre, state bene? Avete bisogno di aiuto? Devo chiamare le dame, o Ser Criston?"

Sì, sì, chiama chiunque, chiamali tutti – ma le parole non escono fuori e intanto Helaena non chiama nessuno e indugia ferma a qualche metro di distanza, insieme ai bambini.

Nessuno – non gli intrusi, non Larys – emettono il minimo suono mentre la giovane regina si prepara a cadere inconsapevolmente nella trappola.

 

*


 

L'indecisione di Helaena dura a sufficienza da costringere i due uomini ad agire. Non aspetteranno che sia lei ad avanzare, per timore che all'ultimo momento possa davvero chiamare soccorsi, così decidono di andare direttamente a prenderla. Piombano, allora, nell'anticamera con le spade sguainate e le puntano verso i bambini, facendo cenno a Helaena di tacere, ordine cui, nella paralisi totale che segue quella minaccia concreta, lei obbedisce fin troppo facilmente. Portandosi entrambe le mani alle tempie, si accascia a terra, mentre i bambini, per reazione inversa a quella della madre, iniziano a correre; sfuggono, grazie alla loro agilità infantile, ai due enormi aggressori ma non per sempre – abbastanza, tuttavia, da costituire una valida distrazione. 

Accade tutto velocemente, forse troppo, per permettere ad Alicent di comprendere: un attimo prima si dibatte sulla sedia con gli occhi fissi sulla figlia, quello dopo le corde che le tengono legati i polsi cadono a terra e si ritrova un coltello in grembo. Sorpresa, solleva lo sguardo, giusto il tempo per vedere Larys farle cenno di tacere mentre le rimuove anche il bavaglio. Ma adesso lei non pensa neanche più a urlare, lo stupore – per aver trovato una potenziale via di fuga? per aver ricevuto aiuto da suo marito? – la paralizza esattamente come aveva paralizzato Helaena; quindi tace mentre osserva le proprie mani e torna a respirare a pieni polmoni, tace mentre i suoi tre nipoti vengono inseguiti da uno dei due uomini, tace anche mentre Larys si alza in piedi e inizia a muoversi con tutta la consueta lentezza.

"Torna a sederti, storpio" lo ammonisce, quasi distrattamente, l'uomo che è rimasto accanto a Helaena.

Ed è proprio quella superficialità a costargli caro. Senza alcun preavviso – perché nessun preavviso viene dato mai da un uomo considerato debole e inetto – Larys solleva il suo bastone e lo apre, sfilando dal suo interno una spada affilata che, senza soluzione di continuità, finisce dritta nello stomaco dell'uomo identificato come capo. Egli crolla a terra, con il sangue che fuoriesce copioso dalla bocca spalancata, trascinando con sé anche il suo stesso omicida, eccessivamente sbilanciato dallo sforzo fisico del braccio e dalla mancanza di supporto.

Alicent guarda e tace ancora – di fronte alla morte, al sangue, ai due uomini caduti. Ma si alza in piedi e lo fa con un'adrenalina improvvisa che non sapeva di possedere, non appena vede il secondo uomo recuperare la sua baldanza e afferrare finalmente Jahaera tra le braccia, puntandole contro il proprio pugnale.

"Prova a fare un'altra delle tue ridicole mosse e la sgozzo".

Piededuro, che non trova la forza di rialzarsi, riesce comunque a trovarla per accennare un sorriso. "Non è quello che sei venuto a fare, del resto?"

Per tutta risposta, l'aggressore digrigna i denti e stringe ancora più forte la bambina a sé.. "Sgozzerò lei e poi ognuno di voi".

Ma, mentre formula quella minaccia, l'uomo sta fissando soltanto Larys, bloccato a terra in una pozza di sangue altrui, e ancora una volta sbaglia a individuare la fonte di pericolo. È buffo quanto quegli uomini siano così forti fisicamente, quanto stupidi a livello intellettuale. E ancora più buffo, forse, è il modo in cui le donne sono sempre sottovalutate, anche in presenza di un uomo considerato a tutti gli effetti debole, inutile ed effeminato, a tal punto che nessuno sta più guardando Alicent, a tal punto che l'uomo non si accorge nemmeno che non è più legata.

È difficile dire se la regina madre approfitti della sua posizione defilata, oppure se le due circostanze vadano a combinarsi casualmente, tuttavia, in ogni caso, lei si lancia in un unico, fluido, improvviso movimento contro l'uomo, non abbastanza da farlo vacillare ma abbastanza da fargli mollare la presa su Jahaera.

"Che cosa credi di fare, puttanella?" sbraita l'uomo, afferrandola con un braccio per la vita e con l'altra mano per la gola, bloccandole il respiro. Un ostaggio in cambio di un altro. “Se qualcun altro fa una mossa del cazzo, uccido lei per prima".

Ma di nuovo Alicent riscopre più energia e lucidità di quella che ha mai creduto di avere; ancora una volta l'aggressore perde di vista un dettaglio – in questo caso il coltello che Alicent stringe tra le mani. Seguendo puramente l'istinto, inizia a colpire alla cieca dietro di sé. Il coltello colpisce la carne della coscia solamente di striscio all'inizio, ma poi la donna riesce a infondervi più forza e pian piano la lama affonda più e più volte. I fendenti, per quanto imprecisi e casuali, sono innumerevoli e adesso sì che l'omone vacilla. Non appena Alicent si ritrova libera dalla sua presa, si volta e con furia torna a colpirlo, ancora e ancora, senza dargli il tempo di reagire, stavolta rivolgendo la sua arma dritta al petto.

Talmente stupidi da non aver portato neanche una armatura, pensa Alicent, ed è l'unico pensiero che forse la salva dal concentrarsi invece sul movimento fatale della sua mano, sul sangue che fluisce e le finisce addosso. Continua a colpirlo, ormai come un autonoma, anche quando l'uomo cade.

"Alicent… Alicent, fermati".

La voce di Larys le arriva quasi da lontano e la raggiunge davvero al terzo tentativo. Solo allora, si ferma, fissa il corpo inerme dell'intruso come se lo vedesse per la prima volta, e dunque sgrana gli occhi, facendo cadere con un tonfo il pugnale. Sposta lo sguardo tra l'uomo – il suo aggressore, la sua vittima – e le proprie mani e inizia a tremare in maniera incontrollata.

"Oh Madre, oh Madre, io… Ho ucciso un uomo, io… è morto?"

Nel chiederlo, cerca invece Larys, che per tutta risposta, a quella chiamata implicita, inizia a strisciare nella sua direzione dall'altro lato della stanza.

"L-Larys, l'ho ucciso?"

Sta implorando adesso, sta supplicando, e neanche lei sa per che cosa. Vuole vederlo morto, vuole essere un’assassina?

Non importa, perché Larys ha riafferrato il suo bastone – guscio vuoto di una spada mortale – e lo abbatte con ferocia sul volto dell'uomo fino a che il suo viso appare completamente deturpato e, soprattutto, ogni residuo di respiro è cessato. 

"Ora è morto, e non sapremo mai chi è stato".

Alicent non lo guarda, ma si ritrova quasi senza accorgersene ad annuire, mentre ancora una volta riscopre se stessa a non provare alcun senso di terrore, a dispetto di tutto. Pian piano i tremori del suo corpo diminuiscono, inizia a riprendere il controllo del proprio respiro, e appena è sufficientemente padrona di sé – oltre la furia, la paura e il senso di colpa per ciò che ha fatto – inizia a chiamare a gran voce i bambini uno per uno, vedendoli sgusciare da sotto il letto e tuffarsi tra le braccia di Helaena. E proprio Helaena, sempre così distante, sofferente, fragile e trasognata, le appare davanti in una forma più solida di quanto l'abbia mai vista. Quando alza lo sguardo verso di lei – in piedi e con i figli attaccati alle gonne – la scopre controllata, con uno sguardo lucido e un autentico sorriso disteso.

"Non sento più niente, madre, non sento più niente" e sorride di più, come se fosse finalmente libera, forte, felice. 

"Helaena…" 

Ma Haelena non l'ascolta, si china a sufficienza per baciarle una guancia e poi si allontana, fino a uscire dalla porta. Si lascia indietro il sangue – quello reale e quello peggiore nella sua testa – senza voltarsi indietro.

 

*


 

Nelle stanze della regina madre sono rimasti soltanto loro due, ancora a terra, imbrattati di sangue, circondati da due cadaveri. Sarebbe una scena terribile da vedere dal di fuori, ma Alicent ci è completamente immersa dentro, di quel sangue è macchiata, e non è sopraffatta quando dovrebbe. Non è più la ragazzina che tremava alla vista del sangue; è la donna che ha brandito una daga contro la sua migliore amica per difendere suo figlio, e che una lama l'ha affondata più e più volte per davvero per proteggere i suoi nipoti.

È forte, adesso di nome e di fatto.

È questo pensiero che forse la porta a fissare Larys, di cui ha appena scoperto un'altra, imprevista, sfumatura. Si rende conto che è la prima volta che lo ha visto uccidere di persona, e che la sua furia sa essere feroce, brutale e disperata come quella di Ser Criston. È un uomo pericoloso, non solo a parole, anzi, proprio perché ha anche le parole è forse l'uomo più pericoloso che esista – ed è suo marito. Come potrebbe fidarsi del fatto che lui non la pugnalerebbe alle spalle nel momento in cui gli sarà più opportuno? Cosa gli impedirebbe di usare quella violenza calcolata anche contro di lei?

Eppure, realizza, l'ha usata invece soltanto per difenderla. Dagli aggressori che le avrebbero strappato via un nipote prima, da se stessa e dal farla diventare un'assassina poi. Ha versato sangue per lavarle via il sangue dalle mani, come sta facendo adesso anche in maniera concreta, con la stessa delicata gentilezza di quando le infila i fiori tra i capelli, mentre le pulisce accuratamente le mani con il fazzoletto che aveva nel taschino della tunica.

Mani che uccidono, mani che consolano. Le stesse mani che in fondo ha anche lei. Come è possibile che loro due siano uguali? Due anime che parimenti sono nate indifferenti e innocue, e che lentamente si sono corrotte, sono cadute.

"Adesso ti vedono per quello che sei" – le parole di Rhaenyra le tornano ancora alla mente ma con un nuovo significato. Perché Larys, forse, l'ha vista sempre per quello che è, che sarebbe destinata a essere – e adesso anche lei a sua volta lo vede esattamente per tutto quello che è.

"Perché lo hai fatto?" mormora, al termine della sua silenziosa catena di pensieri, rompendo finalmente il silenzio.

Larys stringe appena gli occhi, puntati ancora sulle sue mani, adesso di nuovo bianche e limpide. 

"Ti ho detto che avrei ucciso per te, l'ho già fatto e continuerò a farlo" risponde con indifferenza, come se fosse qualcosa di ben consolidato, e nella sua testa lo è sicuramente. "Oppure credevi davvero che volessi darti in pasto a quei due uomini, è forse così?"

Alicent si impedisce di riflettere su quell'ultima aggiunta, perché sì, in effetti è quello che ha pensato, proprio prima che lui le provasse nella maniera più eclatante quanto stesse sbagliando.

"Ma tu stasera non hai soltanto ucciso per me… Quando hai attaccato uno dei due tu… saresti potuto morire, anzi è un miracolo che siamo tutti vivi".

Quello che si aspetta è una spiegazione, di come tutto facesse parte di un piano segreto, di come ogni singola mossa fosse stata abilmente calcolata, di come lui in effetti non avesse corso nessun concreto rischio.

E, invece, quello che esce dalle labbra di Larys è qualcosa di totalmente inaspettato, che il tono controllato e all'apparenza neutro non riesce a depotenziare.

"Allora forse per te morirei anche, Alicent".

Alicent spalanca gli occhi e poi, a sua volta, fa qualcosa di inaspettato, l'azione, forse, più avventata di tutta la sera, perché potenzialmente più significativa addirittura di un omicidio. Si protende lentamente verso di lui e poi lo bacia.





 

NDA: Che fatica scrivere questo capitolo, ma devo dire (se posso dirlo da sola) che ne sono molto soddisfatta. Anche se è un po’ fantascientifico forse come dinamiche di lotta – sono incapacissima di scrivere scene d’azione – questo è esattamente il modo in cui vedrei uno sviluppo romantico per la coppia, nel riconoscersi uguali, speculari e complici in qualcosa di definitivo come un omicidio. Insomma, Alicent scopre in pieno la sua anima nera (già emersa contro Rhaenyra) e vede Larys mettere la sua crudeltà al suo servizio, in sua difesa. Mi sarebbe davvero piaciuto che gli eventi fossero andati così, e fingerò questa sia la versione reale.
Sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate voi, perché insomma sono soddisfatta del capitolo nella mia mente, ma allo stesso tempo sono molto insicura di come possa essere percepito, soprattutto per la visione che ho dato dei personaggi.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Warning: scena lemon (secondo paragrafo).
 

Capitolo 7



 

Alicent non ha mai baciato nessuno – è solo stata baciata, da Viserys, anche se il contatto tra le loro labbra non è mai stato più di un leggero e casto sfioramento.

Larys non è stato mai baciato – né ha mai baciato nessuno: spazio per la tenerezza, l'intimità o anche solo la passione, non poteva esserci nei frettolosi e riluttanti incontri con le prostitute.

Baciare, dunque, è per entrambi soltanto un'idea astratta dai contorni indefiniti, riservata a persone più belle e meno intelligenti (secondo Larys), più libere e meno virtuose (secondo Alicent). E baciarsi non è stata mai neanche un'idea: per Larys semplicemente troppo (perfino più di sposarla, perfino più di arrivare un giorno a sperare di poterla possedere in maniera consensuale); per Alicent invece qualcosa di romantico, di intimo, di autentico, che lei non ha mai connesso al matrimonio, al modo concreto e onesto in cui un uomo e una donna si rapportano tra loro.

Nessuno dei due ci ha, dunque, mai pensato, fino a quel momento, quando Alicent smette del tutto di pensare  – e tanto basta per risvegliare un istinto che non sapeva esistesse. Posa le labbra sulle sue in modo avventato e la pausa prima di una reazione di lui è talmente lunga che lei fa quasi per tirarsi indietro. La reazione, però, arriva e l'impeto è uguale e contrario. Le definizioni mentali di bacio si frantumato insieme al rumore dei denti, ché non c'è niente di bello o di elegante nel modo in cui le loro bocche si cercano e si trovano solo per scontrarsi. Si muovono in asincrono, le lingue sono rigide e le labbra troppo molli, e finiscono entrambi in apnea. È tutto sbagliato, si accorgono entrambi inevitabilmente, eppure quando si separano, il nuovo istinto simultaneo è di provare di nuovo, sbagliare meglio.

Ed è quasi comico che sia Ser Criston a interrompere quel secondo tentativo. Perfino più comico dello scenario stesso, dei cadaveri attorno, del sangue ancora sul pavimento.

"Vostra Grazia, credevo aveste bisogno di assistenza" annuncia il cavaliere quando ritrova l'uso della parola, ma continuando a fissarla come se fosse un fantasma. O peggio, come se fosse una statua che ha perso tutta la sua doratura. È uno sguardo di disgusto, di delusione, la sta giudicando allo stesso modo di come forse aveva giudicato Rhaenyra, ed è talmente evidente che Alicent si chiede come abbia fatto a non accorgersene prima. Lo capisce in quel momento: il cavaliere che aveva sempre desiderato avere è in realtà una pura illusione, perché anche lui di fatto vive solo di illusioni, offrendole promesse di amore soltanto finché lei è indifesa e vittima, soltanto finché rispecchia l'immagine di  moglie infelice ma fedele di un uomo che non vuole. Ma Alicent moglie di Larys potrebbe essere una persona estremamente diversa da Alicent moglie di Viserys.

Quante cose sta capendo solo da quando Viserys è morto, quanto sta aprendo gli occhi da quando Larys è nella sua vita non più in una posizione periferica!

"Potreste rimuovere i cadaveri di questi traditori e aiutare a pulire via il sangue, in effetti" risponde Larys, con un sorrisetto palese, reso forse ancora più spavaldo dal bacio.

Criston evita di guardarlo e continua a fissare invece solamente Alicent, con quella stessa invariabile durezza. "Provvederò a mandare le vostre ancelle, ma dubito le stanze saranno utilizzabili questa notte. Necessitate della mia scorta per essere trasferita nelle vostre vecchie stanze da Regina?"

Alicent lo fissa di rimando, un accenno di sorriso ironico appare sulle sue labbra. "Vi ringrazio, Ser Criston, ma non sarà necessario. Passerò la notte nelle stanze di mio marito".

Lo dice principalmente per vedere la furia – una furia per una volta destinata a restare frustrata – del cavaliere, e lo dice forse senza neanche considerare davvero le conseguenze. Perché, adesso che le parole sono uscite dalle sue labbra, è la reazione dell'altro uomo, piuttosto, a catturare completamente la sua attenzione. Se la guardava ultimamente come se volesse divorarla, adesso la guarda con la consapevolezza che la divorerà.

Ma, Alicent si accorge, alla nuova se stessa la prospettiva non dispiace quanto avrebbe immaginato. 
 

*

 

La stanza di Larys è come l'aveva immaginata: dai mobili fino alle coperte e ai singoli elementi di arredamento, l'immagine che arriva all'occhio è quella di un ambiente elegante, raffinato, ma allo stesso tempo sobrio. Esattamente come la sua anima stessa, la ricercatezza è nei dettagli, mai troppo esposta da essere evidente. È stonato, quindi, insudiciare quella compostezza con il sangue, ancora attaccato alle sue vesti, la cui scia è visibile sotto la suola delle scarpe a ogni passo. Eppure di sangue quella stanza deve averne visto già parecchio, come deve averne visto anche Larys stesso che pure, all'improvviso la guarda come se fosse lei, lei e non il sangue, non il il caos di un omicidio, il dettaglio davvero stonato.

"Allora, non ti avvicini?" domanda Alicent in tono brusco, quando non tollera più quel pesante silenzio inaspettato.

Ma cosa si aspettava, in fondo? Che lui le saltasse addosso, forse, che prendesse quel bacio al sapore di sangue e morte come un invito a prendere ogni cosa da lei, a pretendere quello che qualsiasi altro uomo avrebbe preteso già da tempo. Eppure lui resta immobile, in silenzio, e quella improvvisa indifferenza la innervosisce più di quanto sarebbe disposta ad ammettere. Così si avvicina lei, invece, e inizia a spogliarsi lentamente davanti a lui, stringa dopo stringa del suo abito, fino a far cadere l'abito verde ai propri piedi.

"Non mi vuoi?" domanda ancora, più esplicitamente, afferrandogli una mano e posandogliela sul seno, coperto soltanto dalla leggera sottoveste. 

"E tu vuoi me?" chiede di rimando Larys. È appena un sussurro, incredulo e ironico, mentre fissa la propria mano su di lei ma resta deciso a non muoverla, come se un contatto maggiore potrebbe bruciarlo. "Ti ho già detto che non hai bisogno di ammansirmi, non ti ho toccata finora e non lo farò adesso, quindi puoi fare a meno di prendermi in giro, Alicent".

Solo adesso la donna capisce: per tutto il tempo in cui lei era convinta di avere paura di lui, anche lui a sua volta ne aveva di lei. La paura di essere respinto, di essere guardato con disgusto – tutte cose che in effetti lei ha già fatto. Appare del tutto vulnerabile, fragile in questo momento, come non lo è stato mai, come lo è solo con lei, e ancora una volta lei sente scorrere nelle sue vene invece del sangue il potere.

Il potere che la fa sentire padrona delle proprie scelte, che l'ha resa assassina, che le fa tenere in pugno l'uomo più pericoloso che conosce – tutto nella stessa assurda notte.

Ed è quel potere che le fa avvertire una sensazione mai provata prima: eccitazione.

"Ricordo bene la nostra notte di nozze, mi hai detto che non mi avresti toccato a meno che io non ti avessi invitato nel mio letto. Ti sto invitando, adesso" replica, preferendo la risolutezza alla dolcezza. Ed è con la medesima decisione che inizia a spogliarlo a sua volta, soffermandosi con una curiosità malsana sulle macchie di sangue che risaltano sui vestiti. 

Prima che possa riuscire nel suo intento, all'improvviso lui le blocca le mani e, con una forza insospettabile (la stessa che ha sfoderato per sopraffare uno dei due intrusi), la trascina verso il letto fino a crollarle letteralmente addosso. 

"Non hai idea di cosa vuoi" le sussurra sulle sue labbra prima di catturarle con le proprie e riprendere nuovamente quel bacio in sospeso ancora da tentare e perfezionare.

Solo che stavolta le sue mani nel frattempo non restano inerti, ma al contrario la esplorano ovunque, tracciando il perimetro di tutta la sua pelle nuda e scoprendole del tutto i seni per afferrarli nei suoi palmi. Alicent resta ferma e, con gli occhi chiusi, trattiene qualsiasi reazione, perlomeno fino a quando non sente le dita di lui aprirle le gambe e insinuarsi senza difficoltà nella sua parte più intima. La accarezza, la esplora, si sofferma tra le sue gambe molto di più di quanto Viserys avesse mai fatto.

"Sei già bagnata" commenta lui senza nascondere il proprio compiacimento, infilandole un dito dentro completamente, "Oh, sei molto bagnata".

Nella sua odiosa ingenuità, Alicent non sa neanche cosa significa essere bagnate, e non è questo, del resto, il modo in cui si sente al momento: dentro di lei, nel suo ventre, non c'è acqua, solo un fuoco che richiede di essere spento, solo un vuoto che freme per essere colmato.

"Ed è una cosa buona bagnarsi?" non può fare a meno di chiedere mordendosi le labbra.

Lo sente fermare i suoi movimenti, ancor prima di ritrovarsi gli occhi di lui piantati nei propri, con quella impossibile intensità capace di inquietarla come poche altre cose al mondo. Sta quasi per scusarsi, timorosa di aver detto di qualcosa di sbagliato, quando lui la bacia ancora e ancora, facendo scivolare un secondo dito dentro di lei.

"È una cosa buonissima, Alicent, tu sei una cosa buonissima".

Poi si ferma all'improvviso e rotola via da lei, lasciandosi cadere con la schiena sul letto al suo fianco.

"Ricordo ancora altro di quella prima notte, mi hai chiesto come preferivo prendere una donna. Voglio mostrati la mia risposta, è così che voglio prendere te, voglio che sia tu ad avere il controllo".

Visto che non lo hai avuto mai, pensa, visto che sei così eccitante quando mostri il tuo potere – ma non dice nulla, la attira semplicemente a sé, vincendo la sua iniziale confusione e mostrandole esattamente cosa intende. 

"Come–?" 

Larys zittisce la sua domanda e la afferra per i fianchi e, una volta che è sopra di lui, il come Alicent lo capisce con naturalezza. È lei, con il suo corpo, a guidare i movimenti, a dettare il ritmo, a decidere quanto è fin dove accogliere l'intrusione. E, scopre con sorpresa, che ne vuole sempre di più, fino in fondo, che ciò che ha sempre percepito come una tortura è in realtà una strumento di piacere. Lo cavalca – non le viene in mente altro termine, sente che è quello giusto – fino a che lo sente rallentare dentro di lei e riempirla con il suo seme. Non riesce a trattenere un istintivo verso di disappunto mentre tuttavia sorride e torna a stendersi supina. Per una volta avrebbe voluto che quel dovere coniugale durasse di più, almeno un altro po', giusto il tempo di…

"Cosa stai facendo?"

Il filo dei suoi pensieri conflittuali viene interrotto quando sente Larys voltarsi su un fianco verso di lei e tornare a infilarle due dita dentro. 

"Shh, rilassati, Alicent".

Il movimento delle dita è esattamente quello di cui non sapeva di avere bisogno. Non ci vuole molto perché quel limite che sentiva di dover raggiungere arriva in un'ondata di piacere che le fa mozzare il respiro. È ingenua sotto certi aspetti, ignorante, ma le chiacchiere giovanili sono arrivate anche alle sue orecchie, quindi sa cosa le è appena successo, solo che pensava avvenisse soltanto nei bordelli.

Larys le mordicchia un orecchio. "Come ti senti?" le sussurra con una nota di soddisfazione perché la risposta si trova, in fondo, sulle sue dita e nell'urlo che lei non è proprio riuscita a trattenere.

E per la prima volta, tra le mille volte che ha ricevuto quella stessa domanda da Viserys, Alicent non mente nel sorridere e nel rispondere "Bene".

Viserys le dava un bacio sulla guancia e poi la guardava andare via; Larys invece la stringe a sé quasi con possesso e continua ad accarezzarla e baciarla con adorazione fino al sopraggiungere del sonno. Possesso. Finalmente Alicent capisce: se lui l'avesse presa la prima notte di nozze, non sarebbe mai stata del tutto sua, come lo è invece adesso – corpo, anima, mente, ogni cosa. Ci sono molti modi per possedere una donna, le aveva detto, e lui li ha usati tutti.
 

*

 

Quando apre gli occhi la mattina dopo, Larys teme quasi che sia stato un sogno. Avere Alicent era il vagheggiamento da ragazzino che aveva messo da parte e che aveva poi ripreso soltanto per ambizione, per rivalsa – o così si era detto. Era caduto per lei, lo ricordava benissimo, e aveva giurato di non avere più nessuna debolezza, nessuna fragilità, di diventare un agente del caos svincolato da qualsiasi intralcio sentimentale. Ha ucciso suo padre e suo fratello senza pensarci due volte, del resto.

Eppure, adesso, quando si volta e la vede addormentata al suo fianco, si sente un uomo debole, un uomo normale… e tremendamente felice. Soltanto la sera prima, per lei, ha per la prima volta rinunciato a un piano logico al solo scopo di proteggerla; era pronto a morire come un povero stronzo, come un idiota, come un comune essere umano… e la cosa peggiore è che sa che, tornando indietro, farebbe di nuovo la stessa cosa. Perché, in fondo, dietro ogni maschera, non ha mai voluto altro che questo: essere visto e accettato, essere voluto e desiderato… da lei, più che da chiunque altro.

Voleva niente meno dell'impossibile, insomma. Solo che l'impossibile adesso sembra a portata di mano, e ne è terrorizzato. Di perdere lei, di perdere se stesso.

Tuttavia, non fugge. Al contrario, si stringe di più ad Alicent, come se potessero togliergliela via da un momento all'altro, e fissa il soffitto, provando per una volta a non pensare più a niente.

 

*

 

Quando apre gli occhi la mattina dopo, Alicent sussulta nel vedere il volto di Larys che la fissa, ma presto lo spavento si scioglie in un accenno di sorriso quando ricorda. L'agguato fallito e i suoi nipoti al sicuro, il modo in cui Larys l'ha difesa e poi l'ha fatta godere. 

"Mi stavi fissando mentre dormivo?" domanda, con una leggera confusione, non proprio inquietudine, perché ormai si è iniziata ad abituare a tutte le sue stranezze.

Larys continua a fissarla e le accarezza lentamente i capelli. "Sembri così indifesa mentre dormi". Di nuovo, non la risposta che ci si aspetterebbe di solito, ma il tipo di risposte che lei ha imparato ad aspettarsi da lui.

Alicent si ritrae con gentilezza e si tira a sedere, pronta con la mente alla nuova giornata che l'attende, non perché vuole ma perché deve.

È una regina – il Concilio deve essere convocato, la protezione della sua famiglia migliorata, i coinvolti nell'attacco trovati e puniti.

È, ancor prima, una madre – deve andare subiti da Helaena, da Aegon, da Aemond, deve vederli uno ad uno con i suoi occhi per sapere che stanno bene.

Ma prima che possa posare i piedi per terra, qualcosa sul comodino accanto al letto attira la sua attenzione. Una tazza che la sera prima non c'era, e di cui, per istinto, indovina rapidamente il contenuto.

"È… tè della luna?" domanda con esitazione, tornando a guardare suo marito. 

Larys annuisce tranquillamente, come se fosse una cosa naturale, mettendosi a sedere a sua volta e iniziando a rivestirsi. "Il Concilio deve essere avvisato e le indagini devono partire al più presto. Per quanto sia stato piacevole trascorrere la notte insieme a te, abbiamo perso del tempo prezioso. Tuo padre sarà già a conoscenza di quanto successo e… Alicent, mi stai ascoltando?"

Quando torna a guardarla, la regina madre ha lo sguardo ancora fisso sulla tazza di tè, adesso stretta tra le sue mani.

"Perché vuoi che la prenda? Siamo sposati”.

Larys esita per un attimo, più per scegliere il modo migliore in cui porre la questione che per reale indecisione. "Quello che è successo stanotte non sarebbe stato sbagliato neanche se non fossimo stati sposati, Alicent. Ma siamo in guerra e tu hai già quattro figli di cui occuparti".

"Ma tu non hai eredi, dopo di te Harrenhal–"

"Non ho interesse ad avere figli, né alcuna inclinazione a diventare padre. E, quanto agli eredi…" si interrompere, per curvare le labbra con ironia "... come mi hai ricordato, Harrenhal sta cadendo nelle mani di Daemon Targaryen".

Alicent resta in silenzio, la sua confusione ancora più forte.

"Quindi tu vuoi che io–"

"No, io non voglio niente. Per me è indifferente, ti sto solo dando una possibilità di scegliere. Non devi avere un figlio solo perché devi, puoi scegliere".

Senza aggiungere altro, le dà le spalle e continua a sistemarsi, come se lei non fosse nella stanza, mentre lei continua a non capire. Tutto quello che pensava di sapere sul matrimonio si è sgretolato nel giro di una notte. Se il matrimonio non è solo dovere, non è concedere il proprio corpo per il solo piacere del marito e non è dare figli in salute, allora cosa è?

Si sente delusa, si sente confusa, e segretamente perfino a se stessa, si sente libera. Posa la tazza sul comodino, il tè ancora intatto. Ha odiato essere madre nei primi anni, quando era troppo bambina per capire come prendersi cura di loro, troppo fragile e troppo inesperta, eppure adesso essere madre è la sua definizione, la ragione della sua vita, il motivo della sua forza. Se può scegliere, cosa sceglierebbe?

Si alza in piedi e decide di non pensarci, può sempre bere il tè più tardi.

 

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Capitolo 8
*** 8. ***


Capitolo 8.





Sventare la vendetta da parte dei Neri non può essere sufficiente per sentirsi al sicuro, specialmente perché le numerose indagini avviate da Otto non conducono a nessun risultato sperato. I cadaveri di Sangue e Formaggio – questi i nomi dei due aggressori materiali – sono stati dati in pasto a Sunfyre ma risalire ai mandanti è impossibile. Le misure che si tentano di attuare (più guardie, più controlli) sono fragili, come fragile è il giovanissimo regno di Aegon: questi sono i pensieri che percorrono gli stessi membri del Concilio verde ma che nessuno osa esprimere.

Ad alta voce, si parla invece degli eserciti numerosi che confluiscono sempre più ad Harrenhal, radunandosi sotto i vessilli di Daemon e del bisogno di trovare presto alleati. Otto scrive missive su missive, mentre non risparmia battute sagaci all'indirizzo del marito della figlia, il formale Lord di Harrenhal.

"Lord Larys intanto ha salvato la vita ai miei figli, ed è anche uno storpio. Tu, invece, cosa stai facendo esattamente, caro nonno? Scrivere altre lettere? No: abbiamo finito" abbaia il re, ingollando vino su vino, fremente di ira e d’impazienza. Il giorno stesso, convoca il nonno nella sala del trono e gli strappa la catena da Primo Cavaliere gettandola a Ser Criston. "Sono stufo di gente che parla solamente, hanno osato tentare di ammazzare i miei figli nel mio stesso palazzo, voglio il sangue e il fuoco".

Ed è quello, forse, il momento in cui qualsiasi speranza residua di risolvere il conflitto tramite la diplomazia viene frantumata. Mentre Otto cade in disgrazia e Criston Cole ascende all'improvviso, Larys approfitta del favore che ha conquistato presso il re per rendersi utile. 

"Non sono in grado di fare altro che scrivere, Vostra Maestà, ma questo documento forse sarà di vostro gradimento" dice con una punta di ironia, mostrando un elenco di tutti coloro che si sono espressi a favore di Rhaenyra o, addirittura, sono stati presenti alla sua incoronazione a Roccia del Drago. 

Con la lista dei ribelli in mano e dei bersagli concreti per la sete di sangue, la prima vera battaglia non impiega molto a essere giocata: a Riposo del Corvo, durante la spedizione per piegare gli Staunton, due draghi si scontrano ed è la prima ma anche ultima impresa di Aegon. La notizia della morte di una temibile avversaria, la Regina che non fu Rhaenys Targaryen, non è motivo di gioia se a riportarla è il re stesso chiuso in una lettiga e quasi sul punto di morte.

Invoca la morte, Aegon, invoca la mamma. Torna il bambino che non è mai stato davvero, e Alicent, che tante volte lo ha disprezzato se non perfino odiato, non lo lascia da solo un secondo. Trascorre le giornate al suo capezzale, curando personalmente le sue ustioni e versandogli il latte di papavero. Piange silenziosamente, prega, dorme su una sedia con la testa e le braccia posate sul letto del figlio.

"Dovresti riposarti, Alicent, se succede qualcosa ti chiameranno" le dice Larys il quarto giorno di quell'agonia.

Alicent è il ritratto della stanchezza, i suoi movimenti sono lenti come lenta è la sua capacità di reazione. L'uomo pensa quasi che non l'abbia sentito, invece lei alla fine ruota il capo e lo guarda.

"Verrai nelle mie stanze stanotte?" chiede in un sussurro, quasi si vergognasse della sua stessa richiesta, e Larys annuisce semplicemente.

La sera, quando rientra nelle sue stanze dopo l'ora del lupo, lo trova seduto al tavolo da pranzo davanti al cibo ormai freddo.

"Mi perdonerai se ho già mangiato, sarebbe stato un peccato far raffreddare queste delizie. In ogni caso ti ho fatto portare diverse portate, deve essere da giorni che non mangi un pasto decente".

La donna scuote la testa quasi infastidita e non degna il cibo neanche di uno sguardo. "Non ho fame".

Larys si pulisce lentamente la bocca con il tovagliolo, posa coltello e forchetta sul piatto, e si alza in piedi aiutandosi con il bastone. "Dovresti dormire, allora, posso chiedere di portarti una tisana e…"

Ma Alicent continua a scuotere la testa, il fastidio si tramuta in una vera e propria disperazione e le lacrime iniziano a riempirle gli occhi. "Non voglio mangiare e non voglio dormire, io…"

Larys è ormai davanti a lei, la fissa con espressione curiosa. "Tu cosa, Alicent?"

Lei non risponde, si getta quasi con furia tra le sue braccia e lo trascina letteralmente verso il letto. Continua a fissarlo mentre le lacrime scivolano adesso libere sulle sue guance. 

"Voglio smettere di pensare, tu puoi aiutarmi?".

 

*

 

Le giornate di Alicent hanno avviato una nuova macabra routine, punteggiata da dettagli che sembrano usciti da un sogno – o forse, meglio dire da un incubo.

Si sveglia.

Ascolta in Concilio i piani di attacco, le battaglie che continuano ovunque, i nomi dei caduti.

Veglia su Aegon che prega lo Sconosciuto di morire.

Lei prega la Madre, invece, che lui viva.

Piange con il viso nascosto tra le mani.

Dorme come può, per sfinimento.

Aemond indossa la corona di ferro e rubini, è lui il reggente ora e Criston Cole il suo Primo.

La notte invita Larys nel suo letto, ma sembra più un ordine e quello che ordina di avere sono carezze e baci, la dolcezza che ha appena conosciuto e già sente scivolare via dalle sue mani come granelli di sabbia. 

"Andrà tutto bene, alla fine" le dice Larys, e lei non gli crede, neanche di lui si fida in fondo ancora.

Però sta bene, davvero bene, quando lui sprofonda la testa tra le sue gambe e le mostra come sa usare la lingua per fare cose migliori che dire bugie.
 

/
 

Si sveglia.

Ascolta in Concilio i piani di attacco, le battaglie che continuano ovunque, i nomi dei caduti.

Veglia su Aegon che prega lo Sconosciuto di morire.

Lei prega la Madre, invece, che lui viva.

Piange con il viso nascosto tra le mani.

Dorme come può, per sfinimento.

Jacaerys Velaryon è morto: Rhaenyra chiederà nuova vendetta e Aegon implora la morte un po' più forte, stranamente piange per quel lutto come se fosse una perdita personale e non un punto segnato per loro.

La notte non invita più Larys nel suo letto, è lei ad andare nel suo e infilarvisi senza più alcuna formalità. 

"Che piacevole sorpresa" la saluta lui, quando entra nella stanza, e la sorpresa diventa autentica quando lei scosta lentamente le coperte e con inevitabile timidezza si mostra nuda.

"Alicent–" dice in tono di avvertimento. Non è ancora abituato a pensarla così disponibile, così bisognosa, per lui, soltanto per lui. E lui stesso non sa – lui che sa sempre tutto, ma da quando lei è sua si accorge all’improvviso sempre più spesso di non sapere – se quell'offerta tirerà fuori la sua mancanza di controllo animale oppure lo paralizzerà consacrandolo schiavo.

Ma lei lo fissa con gli occhi enormi e lucidi, con qualcosa che è animale e servile insieme.

"Non essere gentile, fammi male, ti prego" implora, stendendosi supina come una bambola immobile, e quello per cui implora sono cose che non credeva avrebbe mai desiderato. Eppure, ha scoperto che è l'indifferenza a fare male, e che anche la violenza a volte è passione, necessità. Ha scoperto che ha bisogno dei graffi e dei morsi sulla pelle in certe notti più delle carezze per smettere di sentirsi così impotente. Le carezze però poi le vuole lo stesso per riuscire a dormire: il corpo imperfetto ma caldo di Larys attorno al suo è una ninna nanna migliore delle lacrime.
 

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Si sveglia.

Ascolta in Concilio i piani di attacco, le battaglie che continuano ovunque, i nomi dei caduti.

Veglia su Aegon che prega lo Sconosciuto di morire.

Lei prega la Madre, invece, che lui viva.

Piange con il viso nascosto tra le mani.

Dorme come può, per sfinimento.

Daeron, il figlio che ha dimenticato, che non sa che faccia abbia adesso, ha salvato la battaglia sull'Altopiano.

La notte si infila nel letto di Larys e non chiede niente, per una volta è solo silenzio, sono due corpi che non devono dire più nulla perché ormai si conoscono come se si appartenessero da sempre. Restano entrambi supini, senza guardarsi, sono le braccia che si allungano e i polpastrelli che si trovano, sfiorandosi piano. Non è il modo in cui dormono un marito e una moglie, e nemmeno due amanti… è qualcosa di più intimo e profondo persino di essere l'uno dentro l'altra o scambiarsi vuote e cortesi parole d'amore.

Ed è lì, nella fragilità del buio, che Larys osa la domanda che involontariamente gli si è affacciata alla testa ogni singolo giorno con la voce che trema in maniera impercettibile.

"Stai prendendo il tè della luna?"

Non sa perché lo chiede, non sa perché ci pensa, non sa cosa vorrebbe lei rispondesse. O forse lo sa, però è facile, alla fine, mentire anche a se stessi. È che vorrebbe vederla portare dentro di lei qualcosa che è la somma di loro due insieme, però trova impossibile che lei possa volere per davvero la stessa cosa. E, poi, anche se fosse? Lo ha detto anche a lei, la guerra è alle porte, non è il momento. Non può distrarsi – non più di quanto sia già irrimediabilmente compromesso.

"Sì, lo sto prendendo" risponde lei dopo una lunga pausa.

Sente il corpo di Larys al suo fianco irrigidirsi invece di rilassarsi, e Alicent si meraviglia della donna che è diventata, si pente per un solo istante di avere imparato a mentire a sua volta. Sulle sue guance ci sono lacrime silenziose per presagi oscuri impossibili da esprimere: Rhaenyra ha perduto tre figli, quando toccherà a me, si prenderebbe anche quelli che non ancora esistono?
 

/
 

Si sveglia.

Ascolta in Concilio i piani di attacco, Aemond e Criston si preparano a piegare gli eserciti di Daemon a Harrenhal anche se questo significa lasciare Approdo del Re quasi indifesa. Lei, suo padre e Maestro Orwyle sono gli unici a votare contro, non la maggioranza. Larys non si esprime.

Veglia su Aegon che prega lo Sconosciuto di morire.

Lei prega la Madre, invece, che lui viva.

Piange con il viso nascosto tra le mani.

Dorme come può, per sfinimento.

Aemond e Criston sono partiti per Harrenhal.

La notte non va da Larys né lo invita. Aspetta che vada lui da lei, che sia lui a cedere, e poi prende da lui ciò che vuole – ciò che vuole è essere in comando, in controllo, perché sente che presto non lo sarà più di niente.

 "Harrenhal è soltanto una trappola, moriremo tutti, tutti" mormora, mentre stanotte l'orgasmo invece di liberarla dalla paura la fa sentire più vicina che mai alla morte. Soprattutto perché lui sembra il volto dello Sconosciuto stesso mentre le accarezza i capelli e posa le labbra sulle sue, consegnandole insieme a quel tiepido bacio una promessa di morte. 

"Lo so, Alicent, lo so". 

Sono parole stanche, Larys si è stancato di dire bugie inutili.

E Alicent si è stancata di piangere, perché lo sa fin troppo bene anche lei. Sa che Harrenhal, in fondo, è maledetta, come maledetto è sempre stato lui – e adesso lo è anche lei.

/

Si sveglia.

Le campane suonano in allarme, la parte di letto accanto a lei è vuota.

Due draghi volano sopra Approdo del Re, la fine sta venendo a prenderli tutti, come previsto, come promesso.

Non ci sarà alcun Concilio questa mattina, non ci sarà tempo né per piangere né per pregare.

 

*

 

Alicent fa quello che può, anche se sa che non è abbastanza. Fa sbarrare le porte della Fortezza, ordina alle guardie di non lasciare le stanze del Re, della regina e dei principi, e provvede a mandare messaggeri per avvertire Aemond di tornare indietro. È solo dopo queste prime – e inutili, non può non saperlo – disposizioni, che si reca da suo marito, che pur sapendo tutto non ha mosso un dito per cercarla, non ancora. Del resto, ancor prima di attraversare la porta con tutto il peso della sua frenetica disperazione, lei sa già cosa aspettarsi dalla fredda compostezza che trova dall'altra parte.

Le parole che lui le dirà le intuisce anche solo dal suo sguardo, ma esita abbastanza, immobile, il tempo necessario per fargliele dire lo stesso. 

"Andiamocene via".

L'obiezione che ha in mente è un'altra, sceglie però di conservarla per dopo, lasciandosi cullare nell'illusione che scappare sarebbe, in fondo, possibile.

"Dove?"

Larys non sembra sorpreso perché non lo è affatto: è uno stratega finissimo, un uomo che calcola sempre tutto, ed è probabile che ai piani di riserva, ai piani di fuga, avesse pensato già da giorni, settimane, mesi perfino. "Non preoccuparti di questo" si limita a dire, scuotendo appena la testa.

Alicent sospira, come risvegliandosi finalmente da quella inutile pausa che si è concessa, e si muove per raggiungerlo.

"E poi?" domanda, ed è una domanda che sa quasi di accusa. "Cosa faremmo una volta in fuga? Vivremo sotto falsi nomi, dimenticando chi siamo?"

Come due persone comuni oltre il Mare Stretto magari, pensa e le viene quasi da ridere. Si ricorda di Ser Criston, della disperazione che aveva provato mentre le raccontava di come avesse chiesto a Rhaenyra di fuggire insieme a lui, via dalle responsabilità per vivere una vita semplice. E si ricorda, anche, di come appena dopo la morte di Viserys aveva pensato anche lei di volere una proposta simile. Ma Rhaenyra aveva detto di no, e di no direbbe sempre anche lei – per i suoi figli, per il regno, per quello che è giusto.

"No" riprende, prima ancora che lui possa risponderle, "non è quello che siamo".

No, e lo sa benissimo anche Larys che annuisce lentamente. Una simile vita, segreta e anonima, è volutamente una esagerazione, e lui non l'ha mai neanche ipotizzata – non davvero, perlomeno.

"Tuttavia, l'alternativa sarebbe quella di restare qui? Rhaenyra prenderà la Fortezza, è inevitabile. Possiamo muovere le fila di nascosto, in attesa di tornare".

"E lasciare il castello del tutto sguarnito? Quale popolo seguirebbe mai chi abbandona la capitale nel momento del bisogno?"

Larys la guarda e tace, non perché non sa cosa dire ma perché, ancora una volta, le parole sono superflue. Alicent non è più la giovane regina che si era sentita morire nell'apprendere la fine di Lyonel e Harwin Strong; Alicent adesso sa benissimo chi è l'uomo che ha sposato e non ha paura di immaginare fin dove sarebbe disposto a spingersi.

"No" dice, e stavolta la voce le esce quasi in un singhiozzo. "Non posso lasciare qui i miei figli, non posso lasciare Aegon, non in queste condizioni. Lo uccideranno, uccideranno lui e Helaena e anche i bambini e–"

L'interruzione di Larys è calma, fredda, crudele.

"Pensi forse che la tua amica di infanzia risparmierà te?"

Alicent esita. Per un attimo pensa a Rhaenyra, a tutto quello che sono state, all'affetto incondizionato che ancora prova per lei, a come l'aveva considerata seriamente la sua regina, la sua unica amica, sua sorella – anche se mai una figlia. Volare fino al Mare stretto, lontani da tutto: che buffo, una volta era stato anche il sogno che avevano loro due.

"Forse" sussurra, cercando di aggrapparsi all'effimero residuo di quei ricordi frammentati, "forse risparmierà me perché sono inutile, ma farà fuori tutti gli altri per rendere sicuro il suo dominio… I miei figli e i miei nipoti, finché vivranno, rappresenteranno sempre una minaccia per la sua pretesa al trono. Per questo tu devi andare via con i bambini, devi portarli in salvo, devi salvare il nostro re".

Larys la fissa e basta, le sue parole che sanno essere miele continuano a essere soltanto fiele, adesso.

"A me non interessa niente del Re, né dei tuoi figli" dice di rimando, e lo fa senza cattiveria, sottolineando un semplice dato di fatto. "A me interessa soltanto di te, Alicent, non lo hai ancora capito?"

Lei sente le lacrime riempirle gli occhi, indecisa su quale aspetto di quella confessione catturare: Larys manderebbe i suoi figli al macello, forse, se questo fosse conveniente per lui, lo sa, ma non lei, mai lei. La falla nel piano, però, è che Alicent è una madre prima che una donna, che i suoi figli non sono soltanto il centro del suo affetto ma anche, sostanzialmente, parte della sua identità. Non è soltanto una madre (questo ha scoperto soltanto grazia a Larys) ma non potrà mai più essere soltanto una donna.

Per questo piange ormai apertamente e con lentezza si inginocchia a terra davanti a lui, giungendo le mani in segno di preghiera. 

"Larys, ti prego, devi salvare i bambini, devi portare via Aegon".

È una scena strana, sbagliata, una regina che si inchina, una regina che implora, qualcosa di eccessivo perfino per Larys, che è visibilmente a disagio, talmente tanto che non riesce a guardarla. Per questo cerca fisicamente di allontanarsi, ma prima che possa fare un singolo, faticoso, passo, lei lo afferra per le vesti e a quel punto la preghiera si fa ancora più disperata.

"Alicent, che stai facendo? Alzati".

"Ti prego! Non te lo sto chiedendo da Regina, guardami, te lo sto chiedendo come tua moglie. Te lo sto chiedendo come… Alicent. Se davvero ti interessa di me, come dici, tu devi farlo".

È solo con estrema riluttanza che infine l'uomo decide di guardarla e quello che vede riesce a farlo sentire perfino più a disagio di quanto si aspettasse. E non è per le lacrime, no, non per la disperazione, quanto per la speranza che nonostante tutto trapela dal suo sguardo. Come se lui potesse salvarla, come se lui potesse davvero…

Piega le labbra in un sorriso ironico. "Sarebbe ben sciocco dimostrare che tengo a te lasciandoti indietro, non credi? Perché mai dovrei agire in maniera così insensata?"

"Perché io… tu…". La donna s'interrompe, chinando la testa a terra. Non perché non sa cosa dire ma perché dirlo sarebbe troppo perfino per quel momento, è una verità talmente grande che dirla la renderebbe pericolosa.

Perché io ti amo.

Perché tu mi ami.

Follia. 

"Ti prego, Larys, ti prego".

Alicent ha ancora la testa abbassata mentre formula quell'ultima implorazione, quindi l'ultima cosa che vede di lui sono il suo piede deformato e la punta del suo bastone mentre lentamente – e silenziosamente – si allontana.

Resta in ginocchio, da sola, senza sapere se la preghiera è stata accolta. Senza sapere, neanche, in fondo, se si rivedranno mai più. 












 

NDA: Let's dance! Finalmente inizia la Danza – è stata una vera faticaccia riassumere tutti gli eventi cercando di non fare uno spiegone, spero non sia risultato pesante. Nel prossimo capitolo arriverà Rhaenyra e la Danza entrerà ancora più nel vivo, sebbene il punto di vista sarà quello estremamente parziale di Alicent.
A proposito, volevo precisare che nella long resterò principalmente concentrata su ciò che riguarda Alicent e Larys (e gli eventi direttamente modificati dal what-if), quindi tutto il resto, per quanto fondamentale, rimarrà abbastanza sullo sfondo.

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