Le leggendarie avventure dell'Oltre: atto primo, il Sovrano dell'Ombra.

di LatazzadiTea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La vera idendità del Celato. ***
Capitolo 2: *** Il ritorno di Altay. ***
Capitolo 3: *** La magia esiste. ***
Capitolo 4: *** Il Pirata delle Valli. ***
Capitolo 5: *** Una strana alleanza. ***
Capitolo 6: *** Scoperte e rivelazioni. ***
Capitolo 7: *** Un pezzo del puzzle. ***
Capitolo 8: *** Il popolo degli Asyr. ***



Capitolo 1
*** La vera idendità del Celato. ***


 
La vita di ogni giorno scorreva piacevole come sempre nella provincia centrale di Patnar, tranne che per le piccole controversie che avvenivano al mercato di Murwara due o tre volte a settimana. La capitale di Patnar era la città più ricca del paese e si trovava proprio al centro delle principali rotte commerciali della zona franca del continente di Aisa, ma Madya amava la vita caotica e gioviale, se non altro per via della grande richiesta che c'era di guaritori ed esperti tracciatori dell'Oltre, una lunga striscia di terra semi desertica popolata da mostri che lambiva i confini orientali del suo paese estendendosi a sud.

Dall'alto dei bastioni che proteggevano la città, Madya poteva spaziare con lo sguardo sino alle lontane e pericolose Piane dell'Ombra, per poi soffermarsi con disappunto sui due accampamenti di Druzi a capo del "Celato", che da tempo stanziano lì, creando non poco scompiglio. La ragazza, che ogni mattina percorreva a forza quella strettissima scorciatoia per recarsi il più in fretta possibile al lavoro, aveva dovuto intrufolarsi spesso tra la folla scalpitante che si radunava davanti le porte del palazzo governativo. Di fatto, le genti delle gilde e dei numerevoli mercati, sembravano sempre più agitate a causa di quella presenza invadente ed oppressiva. Anche se, fra i soliti battibecchi e le inutili discussioni, anche quel giorno riuscì ad arrivare illesa al lavoro.

"Per amor del cielo Madya, sbrigati! O il capo avrà da ridire se non ti presenti in tempo per l'assegnazione dell'ingaggio di oggi..." le mise fretta Denali, la più anziana delle guaritrici del gruppo.

"Mi sbrigo, mi sbrigo! Ma hanno già detto a quell'uomo che uno schiavista?" rimbrottò la giovane guaritrice, gettando a terra la sacca piena di unguenti di sua produzione per guadagnare tempo.

Madya si precipitò dalla sala che ospitava i suoi colleghi verso il cortile esterno del palazzo, percorrendo a perdifiato il breve tragitto che separava l'ufficio personale del Capo della sua gilda dagli ambienti che dividevano la setta dei Bradesh da quella dei cittadini comuni. Le terre franche di Aisa comprendevano quattro grandi stati oltre che altri piccoli regni come quello di Patnar, che per sfuggire al controllo assoluto del Sovrano dell'Ombra sulle rotte fluviali e commerciali che attraversavano il paese, si era affidato a quella casta di assassini per difenderne i confini. A causa del loro lavoro e dei metodi barbari con cui uccidevano, i Bradesh facevano paura a tutti. Ciò nonostante Madya non li aveva mai trovati particolarmente inquietanti, come invece, da copione succedeva ad altri. D'altronde, nessuno degli abitanti di Murwara si era mai domandato che fine facessero i briganti quando finivano nelle loro mani. L'unica cosa che realmente importava a Patnar era che le ricche carovane piene di merci, comprese le navi di trafficanti di schiavi e frutti di Mekòn, arrivassero sane e salve a destinazione. Perché nessuno avrebbe potuto fare a meno del divertimento e dei soldi che quei traffici procuravano al popolo: giovani donne e uomini per i bordelli, e fiumi di birra di Mekòn a bagnare le gole e riempire le tasche.

Ad essere onesti, la disdicevole usanza di sfruttare la vita e le disgrazie altrui per ottenerne un vantaggio personale, era senza ombra di dubbio una pratica disumana e crudele, pensava Madya. Dopo tutto, lei stessa era stata ceduta dalla propria famiglia alla gilda dei guaritori quand'era solo una bambina, anche se poteva dire di essere stata più fortunata di altri a nascere con quelle abilità uniche e ricercate. Madya non era solo in grado di guarire le persone attraverso la manipolazione della propria energia vitale, ma riusciva anche ad orientarsi attraverso le lande desolate e desertiche dell'Oltre, per questo era molto gettonata da corporazioni come quella dei commercianti e dei Druzi. E tutto sommato, malgrado i pericoli che questo comportava, ne era felice. Era passato quasi un decennio da quando era entrata a far parte di quel circolo vizioso, e per quanto avesse lavorato sodo per tutti quegli anni, aveva ancora da sgobbare per ripagare il debito che aveva contratto con chi l'aveva comprata. A discapito di molti, a lei si poteva dire ch'era andata bene. Il capo della gilda dei guaritori era sempre stato un uomo gentile e benevolo, tranne quando si trattava di lavoro, attività per la quale non si faceva scrupoli a sfruttare chiunque dei suoi affiliati più giovani per trarne un guadagno. Come nel suo caso, ad esempio; doppio servizio, doppio compenso per Madya. Denaro che però, raramente restava a lei, visto che da quei soldi i capi delle gilde trattenevano spesso e volentieri più di quel che gli serviva per mandare avanti la baracca e vivere.

Antarik Urja - corpulento cinquantenne dagli occhi chiari e la pelle scura - se ne stava seduto alla sua scrivania, intento come sempre a sfogliare scartoffie mentre lei e gli altri ragazzi convocati se ne stavano in fila ad aspettare in silenzio di ricevere il proprio ingaggio. I contratti prevedevano sempre le solite informazioni: generalità del cliente, indirizzo e orario dell'incontro, difficoltà e specificità del caso più l'ammontare del prezzo per ogni prestazione richiesta. Si trattava per lo più di ossa rotte e ferite da taglio non mortali quel giorno, tranne che per lei, che aveva ricevuto una particolare supplica di soccorso da parte del misterioso comandante dei Druzi di Karazhan accampati proprio fuori le mura.

"Non se ne parla!" sbottò incredula e spaventata Madya.

"Nemmeno per una cassa piena d'oro rosso di Rubium? Se lo rivendessimo potremmo ricavarne una somma considerevole..." la tentò Antarik con fare sospetto.

Madya sapeva che, normalmente, di fronte a un rifiuto Antarik avrebbe urlato. Declinare proposte tanto vantaggiose era un peccato mortale a Murwara, dove la legge del profitto capeggiava sul buon senso fino a prevedere sempre e comunque una sola e unica soluzione, quella di accettare in silenzio e di buon grado ogni modalità di far su quanto più possibile col proprio lavoro. Ma quel giorno, l'espressione stranamente pensierosa del suo capo lasciò Madya di stucco. Facendola sentire inevitabilmente inquieta dinnanzi all'uomo che sapeva poco avvezzo a tentennamenti e paure, poiché Antarik Urja era un avido e impenitente scroccone, e angustiarsi per una cosa del genere non era proprio da lui.

"Ammetto sia un'offerta allettante, ma che succederebbe alla gilda se fallissi, ci ha pensato?" aveva obbiettato Madya, ricordando al suo capo l'enorme guaio in cui stava per cacciarsi.

"Per quanto se ne dica, il "Celato" è un uomo come gli altri, e non temo una possibile ritorsione da parte dei suoi alleati. In realtà, è ben altro a preoccuparmi... Tutto sta nel capire cosa abbia spinto Dunagan ad addentrarsi in quel luogo maledetto contro il volere del suo stesso Dio, per di più senza una scorta o la sapiente guida di un tracciatore esperto" le aveva spiegato l'uomo, sempre più incuriosito e crucciato.

"Avrà avuto qualcosa da nascondere, non crede? I Druzi sono solo dei fanatici, lo sanno tutti! A loro non è mai importato di niente e di nessuno, combattono esclusivamente per interesse e spesso e volentieri si danno al massacro solo per divertimento. Perciò non metterò a rischio la mia vita per avere delle stupide informazioni, mai e poi mai!" precisò con ancor più enfasi la giovane.

"Invece andrai!" puntualizzò di colpo Antarik.

"No!" s'impuntò ancora una volta Madya.

"Andrai, punto e basta! Avrai metà della posta in gioco se oltre a curarlo lo farai parlare, siamo intesi? Hai qualcos'altro da dire, adesso?" volle sapere l'uomo.

"M-Metà ricompensa, sicuro? Nossignore! Non ho assolutamente nient'altro da dire, giuro!" gli assicurò Madya.

"Metà della ricompensa... metà della ricompensa... metà della ricompensa..." continuò a borbottare fra sé e sé Madya, preparandosi ad uscire per incontrare Antarik e raggiungere il campo di Dunagan.

Certo, era una proposta coi fiocchi quella, ma se la testa diceva di andare, il suo cuore si rifiutava di farlo. Valkya Dunagan era descritto da tutti come un mostro in ogni suo aspetto, compreso quello esteriore, per questo nascondeva il corpo possente ma raggrinzito dagli anni sotto la stessa armatura. Nessuno poteva dire di aver mai visto il suo vero volto, e da quel che ne sapeva, doveva avere più di cent'anni. Tuttavia, alla base del suo timore e del suo disprezzo nei confronti del condottiero a capo dei Druzi, c'era ben altro. Madya era stata venduta alla gilda dai suoi zii, e questo perché dopo la morte dei suoi genitori e dei suoi fratelli nelle Piane dell'Ombra, era rimasta completamente sola. Non erano stati i Druzi a sterminare la sua famiglia, era vero. Malgrado ciò, non avrebbe mai dimenticato la loro indifferenza, soprattutto quella del generale Dunagan, che aveva assistito a quello scempio nascosto nella sua pesante armatura senza far nulla per salvarla.

"Sei sicura di volerlo fare? Sai chi è quell'uomo almeno, e cosa si dice sul suo conto?" intervenne Nizar, guaritrice e sua migliore amica di pochi anni più giovane di lei.

"Oh, ti prego. Non tormentarmi anche tu, Nizar! Tutti sanno chi è Dunagan e cosa si dice su di lui, e credimi, non farei un solo passo fuori da quella porta se non si trattasse di una somma tanto considerevole" ammise Madya.

"E quanto? Quanto considerevole, Madya?" chiese incuriosita l'altra.

"Abbastanza da riscattare l'intero ammontare del mio debito col capo, sempre che vada tutto bene, ovviamente" sospirò pensierosa Madya.

"Se c'è in ballo così tanto denaro, allora dev'esserci qualcosa di grosso sotto. Il capo non rischierebbe tanto, per una bazzecola. Ad ogni modo, ci andrei piano con l'entusiasmo sai, si vocifera che chiunque abbia visto il vero volto del generale non ne sia uscito vivo..." aggiunse incautamente Nizar, rincarando l'enorme dose di preoccupazioni che già l'assillavano.

Madya si disse che a quel punto doveva rischiare, o Antarik l'avrebbe sfruttata per sempre se non se ne fosse liberata. D'altro canto, però, c'era il generale Dunagan. O per meglio dire, il "Celato", di cui non si sapeva praticamente nulla a parte che fosse un formidabile guerriero e uno spietato e crudele assassino. Un luogo comune, si disse tuttavia Madya, sentendosi improvvisamente un'ingenua e stupida ragazzina pronta a credere a ogni genere di fandonia le venisse raccontata. Era di gran lunga più probabile che la fama che aleggiava attorno all'uomo fosse stata costruita a regola d'arte, e che il capo della sua gilda avesse ragione nell'affermare che in realtà, Dunagan era un uomo come gli altri. Dopotutto, se non fosse stato così quel vecchio rottame incartapecorito non avrebbe avuto bisogno di lei ne dedusse la giovane, cullandosi in quel pensiero per farsi coraggio. Immaginare il "Celato" come un anziano spelacchiato e senza denti, infine le strappò un sorriso. Sdrammatizzare era l'unica soluzione pensò, e ridere le fu di conforto più di quanto avesse pensato mentre si accingeva a lasciare la gilda per incontrare i soldati incaricati di scortarla all'interno del suo accampamento.

Tuttavia, Madya - che non era andata sola dato che Antarik si era offerto di scortarla fino al campo in attesa di vederla tornare indietro sana e salva - vacillò di fronte all'imminente pericolo che sentiva provenire dalla tenda del "Celato". Antarik non si era mai preso la briga di accompagnare nessuno dei suoi, e una volta arrivata, Madya capì subito la vera motivazione di quel gesto. Dunque, cosa poteva significare la presenza di Antarik al suo fianco, se non che il pericolo rappresentato dal "Celato" fosse reale? Se ciò che si diceva su Dunagan era vero, allora, malgrado la sua missione fosse pacifica, doveva stare veramente attenta. Lui era diverso dagli altri, esattamente come lo era lei, e questo non andava a suo vantaggio dal momento che aveva passato tutta la vita a nascondere agli altri la sua vera natura. La sua capacità di viaggiare attraverso l'Oltre senza subire nessun danno ne qualsivoglia attacco da parte delle creature che lo abitavano, andava al di là del semplice istinto, e non sapere nulla su cosa glielo permettesse la metteva sulla difensiva da sempre. Madya poteva attraversare quelle terre piene di insidie e mostri come una bambina un prato fiorito popolato di insetti e farfalle, una fortuna che avrebbe fatto comodo a molti degli abitanti di Patnar o peggio, come quelli di Karazhan ad esempio. Soprattutto per quello che percorrere quel lembo di terra incolumi avrebbe significato, come l'acceleramento dei tempi di consegna di merci, vettovaglie e rifornimenti destinati agli eserciti. Brave persone e malintenzionati, onesti cittadini o banditi, schiavisti e commercianti di Mekòn - compresi tutti i guerrafondai del continente - sarebbero potuti arrivare ovunque attraversando agevolmente l'Oltre. A pensarci bene, era più di un secolo che grazie a quella barriera naturale non si verificavano guerre. Almeno, non devastanti come quelle avvenute in passato, si disse Madya. In un modo che non riusciva ancora a capire, i giardini perduti di Heligan, il deserto dei pinnacoli popolato di creature orrifiche come i Tazelwurm - lucertoloni a due o quattro zampe con due grandi occhi e di fauci piene di denti appuntiti e velenosi - e i geyser acidi delle terre rovinose dell'Oltre, ostacolavano il passaggio a chiunque.

"Seguimi!" ordinò improvvisamente uno dei Druzi, risvegliandola dai suoi mille sogni ad occhi aperti.

"Sì, eccomi..." farfugliò la ragazza, guardando Antarik di sbieco. Il capo della sua gilda non aveva proferito parola, ma nemmeno distolto lo sguardo.

Urja aveva un'espressione truce mentre la portavano via, notò Madya, che più si avvicinava alla tenda del generale Dunagan più si pentiva di aver accettato di curarlo. Eppure, malgrado fosse stato proprio Antarik a metterla in quella situazione, per qualche ragione, la giovane guaritrice continuava ad avere fiducia in lui. In dieci anni da che lo conosceva, era la prima volta che metteva a repentaglio la sua gilda e la sua reputazione, perciò la piccola Nizar aveva ragione: Antarik aveva capito che al campo Druzo stava succedendo qualcosa. Qualcosa di una certa importanza e d'insolito, tra l'altro. Qualcosa che doveva proprio valere la pena di scoprire, malgrado il grande rischio che stavano correndo. Madya dovette percorrere alcuni metri passando fra gli armigeri accampati prima di raggiungere la tenda del loro comandante, e se la presenza di Antarik l'aveva rassicurata per un lungo tratto mentre lo faceva, quando non riuscì più a vederlo iniziò davvero a tremare. Intimorita dagli sguardi poco rassicuranti dei soldati Druzi che la fissavano, la ragazza cercò di farsi coraggio, sfoggiando di fronte a loro il sorriso più falso che qualcuno avesse mai dovuto ostentare in vita sua.

Era ormai a pochi passi dall'entrata della grande e imponente tenda in cui viveva il loro generale, quando la sua attenzione fu catturata da qualcosa che nessuno tranne lei era in grado di vedere. Madya riuscì a dare forma alla sagoma scura e oppressiva che la scrutava dall'oscurità, riconoscendola in quella misteriosa del "Celato", o per meglio dire, quella della sua armatura. Un'aura tanto depravata e malvagia da darle la nausea non appena mosse un passo verso l'interno, dove lui l'osservava da dietro la pesante coltre di tendaggi che divideva in due la sua impressionante dimora. Una volta dentro, Madya si stupì nello scoprire che la tenda del "Celato" non era poi così austera e spoglia come si aspettava. In realtà, era lussuosa e confortevole. Quasi si trattasse di una vera e propria abitazione trasportabile, adatta in tutto e per tutto alla tipica vita nomade che i Druzi di Karazhan conducevano abitualmente. Ciò che la colpì maggiormente però, fu l'aromatico profumo di incenso che permeava tutti gli ambienti: un odore dolciastro e stomachevole che sembrava provenire più che altro dalle stanze interne, dove solitamente il generale si intratteneva coi suoi numerosi amanti e le altrettanti concubine.

"Da questa parte!" le aveva indicato un servitore con un vassoio colmo di frutta e una brocca d'acqua fresca in mano.

Madya aveva emesso un gemito strozzato nel vederlo, ma poi aveva obbedito senza fiatare, intuendo nel tono di voce dell'uomo l'impellente urgenza di farsi seguire. Così, una volta oltrepassato l'ultimo pesante tendaggio, Madya si trovò finalmente al cospetto del "Celato", o per meglio dire, della sua armatura. Sì, perché c'era esattamente un'armatura vuota seduta sul grandioso scranno destinato a Dunagan, in una stanza al cui centro, invece del generale faceva bella mostra di se una capiente tinozza in cui un giovane stava apparentemente facendo il bagno. Madya vide il cadenzato andirivieni di persone interrompersi improvvisamente quando uno dei più anziani annunciò al generale la sua presenza, dopo di che, i servitori si allontanarono in fretta, permettendole di scorgere meglio la figura del giovane uomo che giaceva nell'acqua praticamente esangue. Inizialmente a Madya non sembrò affatto di essere in presenza del fantomatico generale dei Druzi, bensì di un ragazzo, che a occhio e croce non poteva essere più grande di lei. Così, malgrado l'inquietante presenza di quell'antico usbergo intento a fissarla, la ragazza si affrettò a raggiungere il giovane, che più si avvicinava più pareva avere urgentemente bisogno di cure.

"Perché è in quella vasca?" volle sapere Madya, notando una serie di graffi e morsi profondi sulla pelle delle spalle e delle braccia del giovane.

"Per alleviare la febbre..." tagliò corto l'anziano Vernia - capo della servitù - che governava quella "casa".

A quella risposta Madya si sfilò le scarpe, tenendo addosso lo stretto necessario per coprire le proprie nudità prima di immergersi con il ragazzo nell'acqua. Le era bastata una solo occhiata per capire di cosa si trattasse, ma volle ugualmente accertarsene meglio, chiedendo ai due Vernia presenti nella stanza di aiutarla ad alzarlo e metterlo a sedere. Solo allora Madya ebbe la prova concreta dell'attacco di un Tazelwurm, anche se i morsi dei mostri non erano grandi come si aspettava che fossero. Persino gli artigli, acuminati e taglienti come rasoi non avevano inciso troppo in profondità la pelle e le carni, sebbene il problema più grave fosse un altro. Quelle bestie infernali non solo avvelenavano le loro vittime, ma ne infettavano le ferite, impedendogli così di rimarginarsi e guarire. I morsi erano quasi sempre fatali, soprattutto perché nel giro di pochi giorni sviluppavano infezioni incurabili o aggressive forme di cancrena, sempre se non si aveva la sfortuna di essere divorati prima.

"I vostri medici non hanno saputo fare di meglio? Da quanto è in queste condizioni?" domandò ancora Madya.

"I nostri medici sono i migliori del regno, ragazza! Ma quelle ferite, beh, quelle sono state inferte da un mostro dell'Oltre, e non c'è niente che noi comuni mortali possiamo fare..." replicò causticamente l'anziano servitore.

Madya ebbe un tuffo al cuore nel ricambiare lo sguardo contrariato del vecchio, che non si era minimamente preoccupato di nascondere il disprezzo che da sempre i Druzi portavano alla sua razza, pensò la giovane. Quegli occhi grigi e scavati, velati ormai dall'età e sottili come lame, custodivano in se molti più segreti di quanto si pensasse, ne convenne Madya. Ma la cosa non le fu di nessun aiuto, al contrario, il pensiero che il generale avesse sconfinato nell'Oltre e raggiunto il deserto dei Pinnacoli con uno dei suoi amanti esponendolo al pericolo, la fece imbestialire ancora di più.

"Che razza di degenere attraversa l'Oltre facendosi scudo di un innocente, eh? Chi è costui? Uno dei suoi preferiti? Il suo favorito in assoluto? Dite al generale Dunagan che non gli assicuro niente, avete capito? Ad ogni modo, non statevene lì impalati: aiutatemi a spostarlo, forza! O non potrò fare più nulla per lui..." brontolò ad alta voce Madya.

"N-Non eravamo nelle terre dell'Oltre..." lo sentì mormorare poi Madya, del tutto inaspettatamente.

"Sono morsi di Tazelwurm, bello! E dove sennò?" sbuffò con disappunto lei, poco incline a credere che il ragazzo fosse lucido e sapesse di cosa stesse parlando.

"Nelle Piane dell'Ombra, a più di cinquanta chilometri dai suoi confini..." ebbe la forza di rispondere il giovane, respirando a fatica.

Madya provò una strana sensazione d'inquietudine nel sentire quella risposta: il ragazzo non sembrava delirare, anzi, nonostante la febbre alta pareva ben conscio di ciò che diceva. Se quella era la verità, allora c'era da preoccuparsi. Per quel che ne sapeva, le terre dell'Oltre avevano smesso di espandersi da secoli, benché un'improvvisa ondata estensiva non fosse da escludersi. In pochi lo sapevano, ma i suoi antenati le avevano insegnato che quel luogo maledetto era vivo, e come ogni essere vivente, anch'esso aveva un cuore. Un cuore ancora palpitante che sembrava aver improvvisamente aumentato la portata dei suoi battiti. L'influenza venefica dell'Oltre doveva aver infettato lentamente i propri confini, amplificandosi verso terre più lontane. Sdraiato supino su un grande tavolo rettangolare, dopo avergli rinsaldato le ossa e ricucito le ferite - applicando creme e unguenti curativi realizzati con erbe medicamentose provenienti proprio dalle terre dell'Oltre - Madya si accorse che lui la guardava.

Si era sentita osservata sin da quando aveva messo piede nel campo dei Druzi, questo era vero, ma quegli occhi color rosa lampone, beh, quelli erano decisamente tutta un'altra cosa. Non c'erano né bontà né malvagità in quegli occhi, solo una sconfinata e inequivocabile curiosità nei suoi confronti, notò. Il male che aveva percepito doveva provenire senz'ombra di dubbio dall'armatura vuota di Dunagan, ne dedusse poi, senza capire né come né perché quella cosa terrificante dovesse starsene seduta proprio lì, sul suo trono.

"Stringi i denti, perché questo farà male. Ma se può consolarti, ci siamo quasi..." lo avvisò Madya, preparandosi a estrarre da una ferita aperta e ancora sanguinante il dente avvelenato di un Tazelwurm.

Era stato quel dente a ostacolare la guarigione del giovane, e Madya faticò non poco a individuarlo fra le carni lacerate per farlo uscire senza provocare altri danni. D'altro canto, con la sua forza d'animo e il suo coraggio - standosene fermo e immobile - lui l'aveva aiutata. Altri avrebbero certamente pianto e urlato a causa del dolore, svenendo a causa dell'atroce sofferenza che quell'operazione comportava, ma non quel ragazzo. Lui, che alla fine, dopo un sospiro di sollievo aveva perfino trovato la forza di voltarsi per tornare a guardarla. E questo si che era strano, si disse Madya, osservandolo meglio. A dirla tutta, nessuno sarebbe potuto sopravvivere a un simile attacco. Se il giovane pallido dai capelli argentei e gli occhi color rosa lampone fosse stato un normale essere umano, avrebbe trovato un cadavere ad attenderla in quella tenda, realizzò Madya, sentendosi improvvisamente svenire.

"Lo vedi anche tu, vero? L'hai guardato tutto il tempo, non mentire! Ti ho osservata bene, sai..." aveva esordito Valkya un paio d'ore dopo, sgranchendosi le membra prima di saltare in piedi e mettersi a gironzolare nudo per la stanza.

"Visto? Visto chi, cosa?" le venne spontaneo chiedergli, cercando inutilmente di rialzarsi spontaneamente dal giaciglio dove si era adagiata priva di forze.

"Il mio Signore, chi altri! Ora che sto meglio, dovresti riuscire a scorgerlo più chiaramente là dentro... " continuò lui, indicando nell'esatta direzione in cui si trovava l'armatura del "Celato".

"Smettila! Io non vedo nessuno lì dentro, capito? Cosa mi è successo? Che mi avete fatto?" domandò Madya, sentendosi di colpo sempre più confusa e stordita.

"Noi non ti abbiamo fatto niente ragazzina, penso siano stati i fumi degli incensi a ridurti così, perciò, dovresti solo uscire a prendere un po' d'aria. Vieni, ti aiuto ad alzarti..." le propose il giovane, tendendole una mano dal pallore innaturale.

"Si può sapere chi sei tu? E come fai a non essere morto dopo... dopo quello che... che hai subito..." balbettò Madya, aggrappandosi a lui.

"Mi chiamo Val... Beh, Valkya per l'esattezza, e sono il generale Dunagan. E tu, piccolo fiore del deserto? Tu chi sei?" volle sapere l'altro, spiazzandola.

"Chi sono io? Una delle persone più stupide che siano mai esistite sulla faccia della terra, ecco chi sono! Mi chiamo Madya, comunque. Madya Pradek..." aggiunse la giovane, reggendosi a stento sulle gambe.

Ora che sapeva la verità, Madya ebbe modo di rendersi conto del suo madornale errore di giudizio. Il "Celato" non era affatto un mucchio d'ossa dalla pelle flaccida a un passo dalla tomba, ma un giovane affascinante di poco più di vent'anni. E come se ciò non bastasse, era pure un "Pallido". I "Pallidi" erano una vera propria rarità a Patnar, tanto che in tutta la sua vita Madya ne aveva visto solo uno da bambina. Era un maschietto di poco più di sei anni, una specie di fenomeno da baraccone che uno dei ricchi signori di Murwara teneva rinchiuso nel suo serraglio assieme ad altre piccole meraviglie come lui.

Ma se evidentemente a Korazhan venivano tollerati e persino adorati, come nel caso di Valkya, a Patnar i "Pallidi" erano da sempre oggetto di odio e superstizione. La nascita di un bambino di quel genere veniva considerata una punizione divina, tanto che - sebbene la considerasse una barbarie - veniva in ogni caso venduto o soppresso dalla propria famiglia, che specialmente a Murwara, avrebbe fatto di tutto per liberarsene. Ma Valkya non era solo un "Pallido", c'era di più in lui, e prima di tutto la sua straordinaria ed eccezionale capacità rigenerativa, cosa che lo aveva tenuto in vita e rimesso in piedi appena due ore dopo il suo intervento. Secondo poi, con quegli occhi color rosa lampone, il viso perfetto e un corpo statuario, Valkya era a dir poco bellissimo malgrado la muscolatura fosse ben poco sviluppata per uno della sua età. Ma la cosa più stramba di tutte, notò Madya, era in assoluto il suo insolito carattere. Valkya Dunagan poteva anche essere il "Celato" ed avere vent'anni, ma sembrava un idiota e ne dimostrava quindici ogni volta che parlava. Si era alzato da quel tavolo operatorio balzando in piedi come una scimmia al mercato, trotterellando in giro per la stanza come se fosse stato appena morso da un'innocente tarantola piuttosto che da un'enorme e spaventoso mostro dell'Oltre. Mostrando un'ingenuità e una purezza d'animo tipiche della fanciullezza quando in realtà era il comandante di una delle armate più letali e meglio organizzate del continente: immagine che naturalmente, cozzava sia con la sua vera natura che col suo aspetto.

Nel vederlo nessuno avrebbe pensato a lui come a un guerriero o un soldato, men che meno che dietro quel leggiadro giovane dall'aspetto fiabesco si nascondesse il più temuto e famigerato condottiero dei Druzi. Madya uscì dall'apertura posta sul retro del grande salone dove troneggiavano sia il seggio che l'armatura del "Celato" per riprendere fiato, riuscendo a vedere finalmente l'esterno. Era quasi il tramonto ormai, e solo dopo aver respirato a pieni polmoni l'aria umida e frizzantina proveniente dalle Piane dell'Ombra decise di rientrare. Pessima decisione, però. Perché ora, la necessità di saperne di più su Valkya e ottenere il favoloso premio promessole da Antarik avrebbero avuto la meglio sul suo naturale istinto di conservazione. Da quando il giovane si era rivelato a lei come il "Celato", Madya non aveva fatto altro che pensare alle ultime parole della piccola Nizar e alle voci e le leggende che giravano su di lui. Anche se era stato lo stesso Valkya a dirle chi era e lei non aveva indagato, ora che aveva visto la sua faccia, doveva sul serio morire?

"Ucciderti? E perché mai? Sai quanto ci ho messo a trovarti? Comunque sia, dimmi piccola Madya, come ci si sente ad essere l'ultima figlia dell'Oltre?" fu la scioccante risposta di Valkya.

"U-U... U-Una... f-figlia dell'Oltre, io? Che sciocchezza! Sono solo una tracciatrice esperta, tutto qui..." tentò di replicare Madya, innervosendosi.

"Tracciatrice esperta un corno! Andiamo piccola Pradek, mi hai salvato dal veleno di un Tazelwurm. Come credi sia possibile?" continuò Valkya, entusiasta.

"Non lo so, io... Voglio solo andare a casa, solo questo. Ti prego! Fammi andare, ti supplico!" reagì Madya, terribilmente a disagio.

"Non sei mia prigioniera Madya, puoi andartene quando vuoi, anche adesso. Sempre che non ti interessi saperne di più su di me, su di te e sul mio Signore... Perché non sei l'unica a poter "vedere" qui, sai, mia cara. Anch'io ti "vedo", mio piccolo "mostro" dell'Oltre! Anzi, ti "vedo" benissimo..." aggiunse Valkya, scurendo sia lo sguardo che il tono di voce d'improvviso.

Dopo di che, senza avere il tempo di ribattere e vedendo il bel viso di Valkya deformarsi in una maschera orribile, Madya iniziò a sentire un ronzio nelle orecchie. Un suono che si trasformò presto in un fischio acuto e insopportabile, al punto da confonderle nuovamente le idee e farle i sensi in un solo istante.


 

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Capitolo 2
*** Il ritorno di Altay. ***


 
"Non sono un mostro! No! Non sono una di quelle cose!" urlò Madya in preda allo sconforto e al terrore, risvegliandosi improvvisamente da quello che sembrava esser stato solo un brutto sogno.

"Finalmente, ragazza! Ti rendi conto dello spavento che ci hai fatto prendere?" la rimproverò Denali.

"D-Denali? Che ci fai in casa mia, e dov'è il capo? Come ho ho fatto ad arrivare fin qui?" cercò di scoprire la giovane, mentre si guardava attorno smarrita.

"Antarik è di là, in cucina. Ti ha portata lui fin qui..." ci tenne a precisare la donna, facendo sobbalzare i grossi seni non appena si mosse per andare a chiamare l'uomo che attendeva nella piccola cucina che con la camera da letto e il bagno, formavano quella piccola dimora.

Quando Denali aprì la porta, Madya riconobbe due uomini seduti al suo tavolo, uno dei quali era indubbiamente Antarik. Da quando il capo della gilda dei guaritori se ne stava tranquillamente seduto in compagnia di un Bradesch? Si domandò. E soprattutto, che ci faceva un settario assassino a pagamento in casa sua?

"Dov'è la sacca degli unguenti? Le medicine e i miei rimedi, dove sono?" domandò poi, alzandosi dal letto nel più completo sgomento all'idea di aver dimenticato quelle preziose e rarissime preparazioni nella tenda del "Celato".

"Smettila di agitarti, sono lì, proprio accanto al tuo letto. Tu, piuttosto, si può sapere che cosa ti è preso all'accampamento dei Druzi?" indagò innervosito Antarik, congedando di colpo il giovane Bradesch con cui stava confabulando seduto al tavolo.

Il ragazzo, che stranamente non aveva il volto scoperto, fece a tempo a lanciarle un'occhiata pietosa e perplessa prima di uscire. E anche in quel caso, gli occhi azzurri del giovane assassino ebbero l'effetto di turbarla quanto quelli di Valkya nel preciso istante in cui li aveva incontrati.

"Penso di essere svenuta, o almeno, credo..." si giustificò lei, massaggiandosi le tempie.

Poi però, il pensiero di Madya corse al dente di Tazelwurm che aveva estratto e conservato fra i suoi effetti, dente che trovò immediatamente non appena iniziò a cercare.

"Il Vernia che ti ha portata fuori dalla tenda del "Celato" ha detto che hai fatto un ottimo lavoro per lui, tanto che dopo averlo diligentemente curato per ore, sei poi svenuta per la stanchezza. Naturalmente ho creduto a tutto tranne che ti fossi stancata al punto da perdere conoscenza, a meno che tu non sia dovuta ricorrere a tutte le tue forze per curare quell'uomo..." le aveva risposto Antarik, guardandola con fare più seccato che altro.

"Non era stanchezza, è stato Dunagan! Mi ha chiamata mostro, capisci? Per questo sono andata nel panico... Mi ha perfino chiesto come ci si sentisse ad essere l'ultima figlia dell'Oltre come se lo sapesse davvero, come se, se riuscisse a "vedermi" come io "vedo" lui, o meglio, come vedo la "cosa" dentro l'armatura..." aveva reagito Madya, spiegandosi con difficoltà.

"Non sei un mostro, ma una ragazza come tutte le altre benché tu sia nata a Heligan mentre tua madre attraversava l'Oltre. Che tu ci creda o meno, ringrazio ogni giorno gli dei per averti salvata da quei disgraziati dei tuoi zii..." cercò di consolarla Antarik.

Per la prima volta Madya riuscì a guardare Antarik con gratitudine dacché lo conosceva. Era al corrente del suo segreto da sempre, ed era vero che l'aveva salvata e protetta da bambina. Ma non era il buon samaritano che diceva di essere dal momento che, per liberarsi di lui, avrebbe dovuto lavorare fino alla fine dei suoi giorni. Quell'avido bastardo sapeva farsi voler bene come era capace di contarsi i soldi in tasca, pensò Madya, omettendo di proposito ciò che aveva scoperto su Valkya per non metterlo in pericolo. Ora che ci pensava, non era stato veramente lui a spaventarla, ma quella maledetta armatura posseduta dal male al cui interno era certa di aver visto qualcosa di demoniaco. E proprio a tal proposito, Madya iniziò a domandarsi perché proprio Antarik - solitamente così curioso e attento ai particolari - non avesse approfondito l'argomento sulla "cosa" che lei diceva di aver "visto". Che quel furfante del suo capo, sapesse già qualcosa?

"A ogni modo, Dunagan non ha mai sconfinato nelle terre dell'Oltre. L'attacco del Tazelwurm è avvenuto a cinquanta chilometri dai suoi confini: è stato lo stesso generale a confermarlo..." continuò Madya, gettandogli davanti l'inconfutabile prova delle sue parole.

Alla vista di quell'aguzzo dente avvelenato Antarik balzò in piedi scioccato, sbiancando in volto come avesse appena visto apparire un fantasma.

"È per quello che ci hai messo così tanto?" chiese l'uomo, seriamente spaventato.

"Sarebbe dovuto essere morto dopo un attacco simile, eppure, quando sono arrivata aveva soltanto la febbre e qualche ferita aperta. Solo dopo avergli estratto quel coso dalle carni Dunagan ha iniziato a riprendersi, ed è strano, perché voglio dire, lui è...è un..." Madya si morse la lingua all'idea di rivelare così spudoratamente il segreto di Valkya ad Antarik, cosa che in effetti evitò di fare, interrompendo il discorso.

"Un "Pallido"? In realtà non c'è nulla di strano, Madya. I "Pallidi" hanno molteplici capacità, fra cui rigenerarsi e smettere di invecchiare. A quanto ne so, quando i genitori di Valkya furono uccisi, trent'anni fa, aveva già questo aspetto..." rispose Antarik, spiazzandola del tutto.

"C-Come fai a saperlo?" sbottò Madya sempre più confusa.

"Prima che diventasse il "Celato", devi sapere che Valkya era solo uno schiavo, Madya. Lo conobbi all'epoca, morente. Rinchiuso in una gabbia dopo essere stato torturato per giorni dai vecchi Signori di Chattisgart e Murwara... " le confessò quasi con vergogna Antarik.

"Morente? Ma hai appena detto che..." s'interruppe Madya, soffrendo immensamente al pensiero di Valkya costretto in una gabbia.

"Lo affamavano, frustandolo spesso quasi a morte. Ma ancor più spesso, Valkya veniva sistematicamente torturato solo per permettere a quei bastardi di scommettere su quanto ci avrebbe messo a riprendersi, per poi ricominciare il giorno dopo, e quello dopo ancora..." aggiunse Antarik, serio.

"Non posso credere che gli abbiano fatto delle cose simili, e tu?" volle sapere Madya.

"Ero solo un'apprendista all'epoca, lo curavo per fare pratica, tutto qui, anche se non ho mai approvato quei metodi... Non ne seppi più nulla quando la reggenza di Chattisgart fu abbattuta da Korazhan e la città venne annessa all'impero. Come sai, in seguito, tutti i cittadini di Patnar furono esiliati e i loro beni confiscati, compresi gli schiavi. Due settimane fa sono stato il primo ad essere convocato al campo del "Celato" per curarlo, è così che ho saputo che Valkya era ancora vivo, malgrado le sue condizioni gravissime..." le confessò Antarik.

"Sei stato dal "Celato" e non ci hai detto niente? Ad ogni modo hai fatto un pessimo lavoro con lui, capo. Davvero pessimo!" replicò Madya indispettita.

"Non avendo il dono della "Vista" non mi sono accorto del dente avvelenato, ma ho fatto tutto il possibile per tenerlo in vita... Mandarti da lui era l'unica soluzione, anche se temevo che ci sarebbero state ripercussioni a causa del tuo dono..." le spiegò infine l'uomo, profondamente turbato.

"Quindi, ciò che ho "visto" era reale. Cosa ne sai? Dimmelo!" azzardò Madya, capendo di avere ragione nell'esatto momento in cui incontrò lo sguardo cerueleo dell'uomo.

"Ciò che so, è che, come te, anche lui è nato a Heligan. Il suo villaggio si trovava a sud della splendida città dai marmi scintillanti prima che venisse distrutta dall'ultima ondata espansiva dell'Oltre, ben duecentottantasei anni fa. Aveva ventitré anni quando accadde e gli unici a sopravvivere furono lui e i suoi genitori proprio perché "Pallidi". Mi raccontò anche che in cerca di una via di fuga finirono per vagabondare in quelle terre maledette per giorni, prima di trovare l'armatura, o meglio, prima che l'armatura trovasse lui" le raccontò Antarik.

"Non ci credo: Valkya non può essere tanto vecchio..." sbuffò Madya alquanto delusa.

Quindi, se Antarik diceva il vero, l'armatura del "Celato" proveniva davvero dall'Oltre. Proprio per questo le maledizioni che poteva contenere dovevano essere tante, esattamente come la creatura che pareva infestarla poteva essere uno degli orrori che le si erano legati negli anni. Valkya aveva appellato quella presenza come al suo "Signore", perciò, chiunque si nascondesse dietro quelle antiche sembianze non poteva essere lui. In che modo quella manifestazione demoniaca influenzasse Valkya restava un mistero, l'unica cosa certa era che - come aveva percepito e pensato - il "Celato" fosse tutto tranne che un essere umano.

"L'Oltre ebbe origine cinquecento anni fa, dico bene? E se l'armatura fosse appartenuta a una delle prime vittime dell'evento catastrofico che portò alla sua creazione? Avrebbe senso, no? La leggenda parla di regni antichi che praticavano ogni genere di occultismo e magia nera..." continuò Madya, iniziando a viaggiare con la fantasia.

"Smettila di blaterare! L'armatura del "Celato" non è così vecchia, per non parlare del volto scolpito sull'elmo, le cui fattezze appartengono al Dio di Korazhan, Nerborus, personificazione del fuoco, della forza fisica e della guerra; un culto del tutto inesistente ai tempi della nascita dell'Oltre" la corresse Antarik con indubbia certezza.

"E con questo? L'armatura non è vecchia di cinquecento anni, e allora? Proviene comunque dall'Oltre, ed è più che abbastanza per ritenerla un pericolo qualsiasi cosa rappresenti." obbiettò Madya.

"Pensala come ti pare, ma sta lontana da quell'accampamento. Ci siamo capiti?" le impose l'uomo, senza darle più spiegazioni.

L'espressione seriamente sconvolta del suo capo diceva tutto, ma se Antarik pensava di tenerla lontana da Valkya dopo averla messa volontariamente in quella situazione si sbagliava. Malgrado sapesse che il giovane ragazzo Pallido stesse bene ora, Madya si sentiva inspiegabilmente attratta da lui, e questo nonostante il pericolo che percepiva provenire da quell'orrenda pezzo di ferraglia arrugginita. Le ci volle poco per rivestirsi e sgattaiolare fuori in direzione campo dei Druzi, via che le fu preclusa da qualcuno di sua conoscenza.

"Oh, ma per favore! Quindi è per questo che eri a casa mia..." si lamentò Madya, sbuffando.

"Proprio così, ragazzina pazza!" si sentì rispondere Madya.

"A-Altay? Sei proprio tu? Sei davvero tu?" balbettò la giovane, incredula.

"Certo, e in carne e ossa, bambina!" rispose il giovane Bradesch, sfoggiando un sorrisetto malizioso e soddisfatto di fronte alla ragazza che conosceva ormai da una vita.

"Sei ogni giorni più uguale a tuo padre, lo sai? Non posso credere che Antarik fosse così gretto e sfrontato da giovane" protestò Madya, arrossendo di nuovo.

"Sfrontato sì, ma irresistibilmente bello! Ammettilo dai, sei arrossita come un peperone quando mi hai notato in casa, ti ho vista..." la punzecchiò ridendo Altay, prendendosi gioco di lei come faceva da bambino.

"Ovvio, visto che ho sempre avuto una cotta per te" bofonchiò Madya, mettendosi a tracolla la pesante borsa coi rimedi medicinali che aveva fatto cadere per strada tentando la fuga.

Altay era il figlio maggiore di Antarik, il primo che aveva avuto ma non l'ultimo, vista la quantità di mogli che il vecchio guaritore aveva collezionato negli anni. Altay aveva un folta comunità di sorellastre e fratellastri sparsi per tutta Murwara, ma era senz'altro lui il più amato dal grande capo della sua gilda. Erano passati sei anni dall'ultima volta che si erano visti, dopo l'indimenticabile litigata che il giovane aveva fatto col padre appena prima di andarsene e scomparire nel nulla. Ora, per fortuna Madya sapeva. Altay si era unito ai Bradesch diventando un assassino a pagamento, qualcosa d'inaccettabile per chi al contrario, usava le proprie capacità curative per salvare vite.

"Da quando tuo padre vuole uccidermi?" le venne spontaneo chiedergli, mentre il giovane la costringeva con la forza a rientrare nuovamente in casa.

"Lui non vuole di ucciderti, Madya. Che diavolo ti salta in mente?" reagì sorpreso Altay.

"Sei un Bradesch, no? Cos'altro potrebbe mai volere da te, se non quello?" rispose Madya con gli occhi lucidi.

"Protezione, forse? I Bradesch non sono assassini a sangue freddo Madya, è contro il nostro credo" specificò Altay.

"E va bene, Antarik vuole proteggermi. Ma da cosa, dico io. È stato lui a mandarmi da quel ragazzo per curarlo, come può chiedermi di stargli lontana dopo avermi detto la verità su di lui?" chiese Madya, iniziando a muoversi su e giù per la piccola stanza come un animale in una gabbia.

"Ma quale ragazzo? Valkya è il "Celato", ricordi? " replicò Altay, piuttosto seccato.

"So che può sembrare folle, ma Valkya è sopravvissuto all'Oltre esattamente come accadde a me e mia madre prima che la uccidessero col resto della mia famiglia nelle Piane dell'Ombra. È per questo che pur conoscendolo da meno di un giorno, sento di avere un legame con lui. E poi, deve assolutamente dirmi perché è stato attaccato da un Tazelwurm visto che a me non è mai accaduto..." aggiunse pensierosa Madya.

"Perché chi nasce direttamente in quel luogo non potrà mai avere lo stesso odore degli altri, è semplice!" rispose Valkya, appollaiato come un uccellaccio del malaugurio sul davanzale della finestra da abbastanza tempo da essere notato

"Tu, razza di orrenda creatura! Sta lontano da lei o ti ammazzo senza pensarci due volte..." inveì bieco Altay, sfoderando l'affilata scimitarra che portava al fianco.

"Orrenda creatura? Splendida vorrai dire, o persino meravigliosa! Vanno bene entrambe le cose, bel fustacchione..." lo sbeffeggiò Valkya, saltando agile come un gatto dentro casa.

"Fermi!Questa cucina è troppo piccola per reggere un duello!" intervenne Madya, frapponendosi tra i due per impedirgli di distruggerle la casa.

"Bene, vorrà dire che continueremo all'esterno allora..." suggerì Altay, abbassando con ingenua sfrontatezza la sua arma.

"Voi non andrete da nessuna parte, capito? Finitela di azzuffarvi come ragazzini al mercato, o darò di matto, giuro! Tu, piuttosto! Si può sapere come hai fatto ad arrivare fin qui senza essere visto?" volle sapere Madya, cercando disperatamente di placare gli animi.

"Ho i miei trucchetti, tranquilla... Ora, visto che non ho molto tempo, possiamo parlare? O per farlo, devo far fuori il tuo amico prima?" aggiunse Valkya, sempre più ostile e minaccioso.

Madya lo aveva visto apparire davanti a sé come un angelo caduto dal cielo, coi lunghi capelli argentei a coprirgli le spalle quasi fossero ali e uno striminzito pareo attorno ai fianchi, sotto il quale era certa non indossasse praticamente nulla visto l'imbarazzante spettacolo che s'intravvedeva a tratti. La particolare fisicità di Valkya - con quella muscolatura appena accennata sotto la pelle chiara e delicata - spiegava ampiamente i lunghi anni che il giovane aveva vissuto in una gabbia, anche se restavano quelle fenomenali iridi color rosa lampone a impressionarla più di ogni altra cosa quando lo guardava. Madya era rimasta affascinata dall'incredibile capacità rigenerativa di Valkya, che le si parava davanti quasi non fosse mai stato attaccato o curato. Come se non avesse mai avuto bisogno d'aiuto o non avesse faticato mentre lo ricuciva, cercando di non farlo dissanguare dopo avergli estratto dalle carni quell'enorme dente aguzzo e avvelenato. E infatti, quasi istintivamente Madya lo sfiorò dove ricordava di aver messo i punti di sutura, percependo al tatto solo una lieve sbavatura dove l'aveva ricucito.

"È davvero incredibile!" esordì con enfasi la ragazza, continuando a toccargli con curiosità la pelle diafana sotto lo sguardo disgustato di Altay.

"Già, e tu sei più incredibile di lui! Ma ti rendi conto di chi sia veramente quest'uomo?" recriminò ancora il giovane Bradesch, rinfoderando a malincuore la propria scimitarra.

Solo dopo quella frase Madya rinsavì, rendendosi effettivamente conto di aver aperto la porta a qualcuno che in realtà non conosceva. Forse Altay aveva ragione a non fidarsi di un estraneo, e soprattutto, doveva smettere di farsi ingannare dall'aspetto così inoffensivo del giovane. Per quanto bello e affascinante fosse, Valkya Dunagan restava pur sempre il "Celato", ne concluse Madya. E questo non sarebbe cambiato, per quanto l'attrazione e la curiosità che provava verso di lui la stessero uccidendo.

"E va bene, parliamo! Ti assicuro che Altay non sarà un problema, vero?" aggiunse la ragazza, lanciando al giovane un inequivocabile occhiataccia delle sue.

L'inevitabile resoconto dei fatti raccontato da Valkya, come c'era da aspettarsi lasciò tutti basiti. Principalmente tenendo conto del fatto che, sempre secondo il giovane, quell'episodio non fosse raro quanto si pensasse. E questo perché raggiungere i confini dell'Oltre attraversando le desolate e oscure vallate dell'Ombra con gli anni era diventato sempre più difficile e complicato. Solo il Sovrano dell'Ombra poteva concedere un permesso di transito a chiunque lo richiedesse, che fossero semplici viandanti o carovane cariche di merci che partivano dagli approdi fluviali che collegavano Patnar al mondo intero. Naturalmente poi, solo per avere udienza presso di lui, c'era da vedersela prima coi suoi più fidati tirapiedi: un laido gruppetto ben organizzato di criminali, che oltre il pagamento pattuito chiedeva maggiorazioni speculando così sulla vita o sulla morte di chi non poteva permettersi una scorta a protezione dai predoni.

"Quel verme sarà certamente d'accordo sia coi predoni che coi i suoi scagnozzi, altrimenti non si spiega come sia diventato tanto ricco e potente da guadagnarsi l'appellativo di Sovrano..." esordì poco dopo Altay.

"Anche i miei perirono nella Valle dell'Ombra per mano dei predoni, sebbene nell'Oltre qualsiasi cosa incontrassimo cercasse costantemente di ucciderci e mangiarci" continuò Valkya con le lacrime agli occhi.

"Anche la mia famiglia se è per questo..." aggiunse Madya, sforzandosi di riportare alla mente il giorno in cui li aveva persi.

Ed era proprio quell'evento a confonderla più di tutto, perché ogni volta che ci pensava, l'unica cosa che riusciva a ricordare era sé stessa che piangeva sola e disperata nell'Oltre. Poi però, come d'incanto lo scenario cambiava e appariva lei, la bambina che urlava fra i corpi straziati e senza vita dei suoi fratelli e dei suoi genitori. Era proprio allora che il "Celato" e i suoi Druzi entravano in scena, oltretutto, cavalcandole accanto senza far nulla per aiutarla. Per ironia della sorte era proprio quello il suo ricordo più chiaro, pensò Madya, e Valkya sembrava essere troppo gentile per poter abbandonare una bambina al proprio destino. Perciò, l'uomo che aveva incontrato quel giorno chi era? Era lui, oppure non lo era? Era impossibile che l'uomo di quel giorno fosse Valkya, si ripeté Madya, aggrappandosi a un mero desiderio umano. E questo malgrado lo avesse visto trasformarsi con i suoi occhi, passando dal semplice ragazzo che aveva operato su quel tavolo al mostro divorato dall'ira che sembrava consumarlo. Soprattutto quando sprazzi di lucidità si alternavano in lui a momenti d'insana follia più rapidamente di quanto nelle Piane dell'Ombra cambiasse il tempo, si disse Madya, e cioè, calcolò in fretta la giovane, più o meno ogni cinque minuti.

"Quindi, a questo punto, che pensate di fare?" volle sapere Valkya.

"Dobbiamo scoprire cosa accade nell'Oltre prima che sia troppo tardi, vista la velocità con cui ha iniziato nuovamente a espandersi. Perciò, a questo punto, non credo ci sia altro da discutere a parte convincere il Sovrano dell'Ombra a farci viaggiare verso il confine col suo benestare..." sbuffò Madya.

"A quello penserò io, in qualità di comandante dei Druzi ho abbastanza denaro da convincerlo a scortarci di persona, ma non è quello il punto..." s'interruppe Valkya, destando sia in Altay che in Madya un'improvvisa preoccupazione.

"E quale sarebbe il punto?" volle sapere Altay.

"Che nessuno sa chi sia o che faccia abbia: diciamocelo pure, visto che nessuno l'ha mai visto, chi ci assicura che questo fantomatico sovrano esista per davvero?" chiarì Valkya.

"Non può non esistere: i Signori di Murwara non avrebbero mai trattato con un fantasma per proteggere i propri confini, per non parlare delle nostre preziose vie commerciali..." intervenne Madya.

"E chi ha detto che sia un uomo: e se fosse una donna invece?" insinuò Altay.

"Ti piacerebbe, eh? Se fosse stata femmina l'avrebbero soprannominata la Sovrana o la Regina, non credi? Sei sempre il solito Altay, non conta che quel tizio sia un mostro o che abbia ucciso centinaia di persone, l'importante è che abbia un bel visino e un gran bel paio di tette!" lo accusò aspramente Madya, indispettita.

"Non è questo che intendevo, e comunque la tua è solo invidia, non è colpa di nessuno se sei sempre stata piatta come una tavola..." ribadì Altay.

"Madya è bellissima così com'è, e ti ricordo che questa Regina dell'Ombra, tette o non tette, semmai esistesse a quest'ora avrebbe almeno ottant'anni!" puntualizzò Valkya, guadagnandosi un sorriso d'approvazione da parte della giovane.

"Era la stessa cosa che si pensava del "Celato" bella mia, e invece eccolo: giovane, bello, e fresco come una rosa" replicò Altay, lanciando a Madya un altro severo sguardo di rimprovero.

A quel punto, ai tre non restava altro da fare che rivolgersi all'unica persona che avrebbe potuto aiutarli, e cioè, un uomo chiamato da tutti "La Moltitudine". Ebbene sì, anche la ricca e sontuosa Murwara aveva le sue stranezze, vantando fra i suoi tesori più rinomati i luridi e sconfinati bassifondi. Oltre le sfavillanti luci della capitale infatti - come in ogni altra grande città del regno di Patnar - quelle fatiscenti e sovrappopolate baraccopoli si estendevano dentro e fuori le mura per chilometri. Là, dove per ovvi motivi prolificava indisturbata una folta comunità di poveracci e criminali di bassa lega dedita al contrabbando di ogni genere di informazione e bene di prima necessità - per abilità, astuzia, e soprattutto audacia, regnava incontrastato su tutto e tutti Senny Dagmar, la grande "Moltidudine" in persona. Ficcanasare tra gli affari altrui era diventata un'attività talmente redditizia a Murwara che fra i ricchi clienti della "Moltitudine" si potevano annoverare molti dei suoi Signori, tra cui ministri, alti consiglieri e principi, oltre si vociferasse che persino il reggente avesse avuto a che fare con lui.

"Perciò, se esiste qualcuno che possa davvero metterci in contatto col Sovrano dell'Ombra, quello è Dagmar?" domandò scettico Valkya.

"Esatto! Deve a mio padre e alla gilda dei guaritori più di un favore, ma non sarà facile trovarlo..." rispose Altay.

"Inizio a pensare che nulla in questa storia sarà facile, a cominciare dalle spiegazioni che daremo sul perché partiamo per l'Oltre. Dire la verità, oppure, mentire? Dobbiamo scegliere che fare, e vista la situazione, dobbiamo farlo in fretta!" aggiunse Valkya di seguito.

"Mentiremo! Vuoi che ci prendano per pazzi o anche peggio? E se qualcuno ci credesse, non hai pensato alle conseguenze? Scoppierebbe il panico a Murwara! Nessuno dovrà sapere che partiamo per scoprire perché l'Oltre abbia riniziato a espandersi, siamo intesi?" concludette Madya.

"Ehhhh? L'Oltre ha ricominciato a fare cosa?" esclamò d'improvviso una sottile e squillante voce femminile.

"Nizar, ma che diavolo!" sbottò Altay, storcendo il naso nello scoprire che la piccola guaritrice agli ordini di suo padre li stava ovviamente spiando.

"Piccola teppista! Si può sapere che ci fai a casa mia?" indagò inoltre Madya, portandosi una mano al petto per lo spavento.

"A dire il vero è stato il capo a mandarmi. Oh, vi prego, non fate quella faccia! Sapete che non posso rifiutarmi di ubbidirgli, no? Sarei costretta a fare clisteri e ripulire vomito per tutto il tempo se lo facessi, e non mi va più, sul serio..." ammise la ragazzina sbuffando.

"Povera ragazza, pensavo che le parti disgustose non spettassero mai a un guaritore" s'intromise Valkya.

"Ci spettano eccome! E comunque, vi ricordo che non tutti i guaritori sono allo stesso livello di Madya, per questo a me tocca sgobbare e a lei no..." li informò Nizar.

Di fatto, i guaritori tendevano completamente a sfinirsi dopo aver salvato qualcuno, tanto che guarire più persone senza rimetterci le penne era per molti guaritori praticamente impossibile. Quel dono era appartenuto a due sole componenti della Gilda fino a quel momento, una delle quali era proprio Madya. Per questo Antarik l'aveva comprata dagli zii, perché nessun "Figlio dell'Oltre" l'avrebbe scampata a Patnar, che si trattasse di un "Pallido" o meno.

"E con questo? Non potrò più fidarmi di te ora, e quindi che farai, informerai il capo mettendoci davvero tutti nei guai?" volle sapere Madya, prendendola con forza per un orecchio.

"Ovviamente no! Non è così, piccolina? Altrimenti dovremmo ucciderla, giusto?" bleffò Valkya, cercando di spaventarla.

Fu a quel punto che Altay mise mano alla propria spada, ottenendo esattamente ciò che desiderava dalla giovane in quel momento.

"E va bene, non dirò nulla. Ma vi costerà, e parecchio anche..." replicò lei.

"E cioè, quanto?" volle sapere Altay.

Com'era prevedibile, come ogni bravo abitante di Murwara anche Nizar aveva il suo prezzo. Prezzo che, con ogni probabilità, solo Madya avrebbe potuto pagare.


 

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Capitolo 3
*** La magia esiste. ***




Era quasi mezzanotte, e uscire per le strade a quell'ora - per di più alla ricerca di uno scagnozzo della "Moltitudine" - a Madya sembrò fin da subito una pessima idea, soprattutto dopo aver realizzato d'esser stata seguita sin da quando aveva messo piede fuori dalla porta da qualcuno che si aggirava furtivamente nell'ombra. Anche Valkya ed Altay avevano percepito quella presenza, ma come lei avevano preferito ignorarla, lasciando che li pedinasse nascosta fra le intricate ed oscure viuzze di quel pericolosissimo e fittissimo sottobosco urbano in cui stavano per cacciarsi.

"Sul serio darai a quella ficcanaso un terzo del tuo oro? Tagliale la gola, piuttosto..." aveva finito per proporre Valkya, fermo ad ammirare una contorsionista che si esibiva nella piazza del mercato.

"Avevi detto di poter comprare il suo silenzio o sbaglio?" sospirò in risposta Madya, fingendo indifferenza, ma incuriosita quanto il giovane da quell'insolito spettacolo.

"Certo che si, anche se ucciderla sarebbe molto meno dispendioso" aggiunse il generale, rimettendosi sul viso la ridicola maschera che indossava per non essere riconosciuto.

"Non diciamo idiozie, la piccoletta terrà la bocca chiusa se vuole il suo denaro. E poi, non sottovalutate mai il potere di mio padre. Credetemi, il vecchiaccio cospira qualcosa, me lo sento nelle ossa!" li mise in guardia Altay, arrossendo vistosamente di fronte alle grazie prosperose dell'esotica bellezza che gli danzava davanti.

"Ci risiamo! Non è così, Altay?" sbottò d'improvviso Madya, iniziando a camminare più velocemente fino a perdersi fra le innumerevoli bancarelle di quel variopinto mercato notturno.

"Ti capisco sai: i Bradesch sono dei veri e propri idioti..." cercò di consolarla Valkya, dopo averla raggiunta lungo la strada.

"Si può sapere come fai a trovarmi sempre? È imbarazzante, lo sai?" si lamentò la giovane, continuando a girovagare lungo gli intricatissimi carruggi che dal quel punto in poi si diramavano in qualunque direzione.

"È a causa del tuo odore Madya, te l'ho già detto" le ricordò il giovane.

"Sul serio? Pensavo che soltanto le creature dell'Oltre potessero sentirlo..." replicò incuriosita la guaritrice, fermandosi ad ammirare un carretto pieno di stoffe dai colori sgargianti per distrarsi.

"Beh, per essere precisi, anch'io posso!" le confessò il ragazzo.

"Sarà per via dell'armatura, non credi? Avrebbe senso visto che proviene anch'essa dall'Oltre. E dimmi, di che sà questo odore che senti?" continuò incuriosita Madya.

"Allora, prima di tutto di carne bruciata, rum e lampone. Poi di alcol, metallo e polvere da sparo, direi..." rispose Valkya dopo averci attentamente pensato.

Madya spalancò i profondi occhi scuri, facendoli sembrare ancora più grandi di quanto già non fossero al pensiero che l'odore emanato dal suo corpo somigliasse a un festino a base di grigliata, fiumi d'alcol e frutta acida con tanto di duello e fuochi d'artificio. Chiedendosi fra l'altro da dove provenisse mai quel profumo, dato che, per quel che ne sapeva, le terre dell'Oltre risultavano essere per lo più desertiche e quasi completamente prive di vegetazione. Abbandonando poi ogni riflessione che avesse mai avuto un senso logico, Madya pensò ai luoghi che visitava regolarmente ogni anno per raccogliere le rare erbe medicinali che usava per creare i propri intrugli. Non c'era traccia di loro nel suo mondo, tanto che, per quanto ci avesse provato, non era mai riuscita a piantarle o farle crescere nel suo piccolo giardino. Perciò, più ci pensava più si convinceva che la fonte d'energia che al tempo della sua creazione aveva dato origine all'Oltre, altro non potesse che essere magica. D'altronde, non vi erano prove che il disastro che aveva cancellato interi regni dalla faccia della terra fosse naturale, tanto più per i mostri e i pericoli che vi si erano venuti a creare al suo passaggio.

La capacità di dominare le forze della natura mediante il ricorso ad arti occulte di natura malefica ( m. nera ) o benefica ( m. bianca ) era qualcosa di profondamente temuto a Patnar. Un potere in cui si era quasi totalmente smesso di credere e di cui non si parlava mai, se non nelle favole che si raccontavano la sera per spaventare i bambini, fatta eccezione per Madya, naturalmente. Perché lei, sin da bambina, la magia l'aveva sempre "vista". La magia era la fonte di energia naturale più potente a cui l'uomo avesse mai attinto. Di sovente, questa forza primordiale appariva nei racconti come un ammasso dorato che fluttuava nell'etere, da cui si ramificavano lunghi filamenti che intrecciandosi fra loro creavano disegni fantastici e spirali di parole. A Madya era capitato spesso di vederla da bambina, ma ancor più spesso, col tempo le era capitato persino di toccarla, soprattutto quando riusciva a puntare lo sguardo oltre l'impercettibile linea che separava l'ovvio dall'incomprensibile. La sua comparsa si manifestava come un fremito che, contraendosi, squarciava la realtà. Ma più di frequente, la magia creava a una crepa attraverso la quale poteva intravvedere un mondo nuovo e del tutto sconosciuto. La maggior parte della gente ne ignorava l'esistenza - limitandosi inconsapevolmente a conviverci - e questo a dispetto del fatto che, presto o tardi, quella forza si sarebbe liberata creando un'onda d'urto che li avrebbe uccisi tutti.

Proprio come in quell'istante, pensò Madya. Il momento in cui il tempo sembrò rallentare fino a fermarsi tranne che per lei e Valkya, mentre Altay restava immobile come uno stoccafisso dietro di lei a fissarla come si trattasse di un'immagine riflessa nello specchio. Madya si era voltata quasi istintivamente a guardare il giovane assassino che tentava di liberarsi, cercando di estrasse la propria arma dal fodero senza riuscirci. Come se Altay avesse percepito il pericolo pochi istanti prima che lo scorrere del tempo si bloccasse, e da una nube scintillante comparisse un ometto storto, basso e claudicante.

"Così, eravate voi gli intrusi..." constatò l'omino, uscendo da quella luce in tutta la sua aberrante stranezza.

"Alla buon ora, Dagmar! Si può sapere che fine avevi fatto?" sbottò Valkya, come se già lo conoscesse.

Madya capì solo allora come Valkya avesse tirato i fili sin dal principio per convincerla a seguirlo. Tuttavia lei - soprattutto perché quel disgraziato si fosse messo a fare boccacce al povero Altay che restava frizzato - pur avendolo scoperto, inevitabilmente rise.

"Sono desolato Vostra Grazia, ma come sapete molto bene nelle fogne c'è sempre un gran da fare..." si scusò l'omuncolo, che nello sforzarsi di sorridere strabuzzò talmente tanto gli occhi enormi da farli letteralmente fuoriuscire dalle orbite.

"Gentile "Moltitudine" io sono Madya... Madya Pradek!" si presentò la giovane in preda a una febbricitante emozione.

"Il piacere è mio, signorina Pradek. Prego, seguitemi, da questa parte..." li invitò infine Dagmar, scoccando nuovamente le dita contorte per riaprire il passaggio da cui era comparso.

"Aspettate, e il mio amico laggiù?" domandò la ragazza, riferendosi chiaramente ad Altay.

"Non preoccupatevi per lui: i Bradesch non sono ammessi nelle fogne. Ma vi assicuro che nessuno gli torcerà un capello finché sarete miei ospiti, può bastare come garanzia?" aggiunse Dagmar.

"C-Certo!" accettò Madya, rivolgendo al ragazzo un accorato gesto di scuse.

Solo in quel momento Altay potè finalmente muoversi e sfoderare l'affilata scimitarra, anche se inutilmente perché sia Madya che Valkya erano ormai scomparsi, svanendo nella stessa nuvola lucente creata poco prima da Dagmar proprio davanti a lui.




Dopo essere rimasto solo in balia della notte, la disperata corsa di Altay verso l'imponente costruzione che ospitava molte delle gilde presenti in città - fra cui quella dei guaritori che la casta degli assassini - non passò inosservata. Mentre la gente comune già dormiva ed artisti e commercianti lasciavano il posto a chi li avrebbe seguiti al mattino, il giovane assassino fu intercettato dal suo ex "Devanagari" e due dei suoi scagnozzi. L'uomo - alto sacerdote dei Bradesch nonchè maestro di spada non più in carica - che più di ogni altro conosceva l'animo generoso del suo allievo, aveva fiutato qualcosa sin da quando Antarik lo aveva cercato per parlargli del "Celato" e l'anomala presenza dei suoi Druzi alle porte di Murwara.

In seguito alla furiosa lite col padre, era stato l'uomo a prendersi cura di lui in quegli utlimi cinque anni. Un ragazzo della sua età non avrebbe avuto speranze di entrare nella setta dei Bradesch visto che normalmente si veniva iniziati al culto della "Via del Sangue" sin da piccoli e l'addestramento durava almeno dieci anni. Le grandi abilità fisiche e mentali che possedeva avevano permesso ad Altay di raggiungere l'obbiettivo in meno di quattro, e dopo la fine del suo apprendistato, malgrado avesse voluto, il giovane non lo aveva più visto né cercato. La ricomparsa di Ummar Vuk - che niente aveva da invidiare ai suoi "Fratelli" più giovani malgrado fosse già sull'ottantina - fu per Altay un vero colpo al cuore, se non altro perché il ritorno sulla "Via del Sangue" di un Devanagari ormai in pensione non preannunciava niente di buono. Anzi, una cosa simile avrebbe portato solo guai, e guai grossissimi, a dire il vero.





A causa della gran quantità di "Ratti", "Topi" e "Scarafaggi" che si affannavano al suo servizio, agitandosi ogni notte in quel buio sozzo e maleodorante, non era un caso che quell'omettino deforme e insignificante avesse acquisito quel titolo. Di fatto, era proprio lui a gestire il più grande traffico di informazioni e merci di contrabbando che Murwara avesse mai visto, al punto che si vociferasse in tutti i bassifondi che proprio Dagmar ne fosse il vero e incontrastato Signore. Malgrado apparisse decrepito e brutto come la fame - con una scucchia contorta e pelosa, due occhi grandissimi e una bocca talmente enorme da non passare inosservata - Madya intuì immediatamente quanto l'omuncolo di fronte a lei non fosse poi così vecchio e malconcio quanto si potesse pensare. Questo perché - nonostante le apparenze - Senny Dagmar era figlio dell'Oltre forse più di quanto non lo fossero mai stati né lei né Valkya benché si nascondesse nel sottosuolo in una vecchia casucola che puzzava di marcio da quanto era infestata di muffa.

"Siamo veramente all'interno di una casa? Oh, ma è assurdo!" esultò Madya, sbirciando l'esterno da un battente semi aperto che dava su una specie di cortile.

"Ho preferito far così per non dar troppo nell'occhio, bambina. Di questi tempi poi, non so se capisci che intendo..." le rispose pragmatico Dagmar, ordinando ai suoi sgherri di farli sedere e servirgli da bere.

"Capisco che avere il "Celato" fra i piedi non piaccia a nessuno, perciò sì, credo di capirlo" azzardò Madya, bevendo un abbondante sorso di spremuta di Mekòn dal suo bicchiere.

"Non è di me che si preoccupano, Madya. In realtà sei tu il problema, o meglio, lo è il capo della tua gilda" le spiegò invece Valkya, alquanto indispettito.

"Antarik è un rispettato membro dell'Alto Consiglio: sono certo che non gradirebbe affatto saperti qui, quanto a permettirti di partire da sola per l'Oltre, poi... Ma questo già lo sai, non è così bambina mia?" aggiunse Dagmar.

Madya annuì, sentendo le frizzanti bollicine del succo di Mekòn solleticarle il palato. Il sapore di quel frutto esotico era dolce e aspro insieme, ma erano i suoi effetti collaterali a renderlo tanto ricercato. Più era maturo e zuccherino, più la sensazione di euforia e beatitudine aumentavano, viceversa, se era ancora acerbo il Mekòn risultava tossico, creando in chi ne abusava una dipendenza tale da ucciderlo. Anche se non era quello il caso, appurò la ragazza, che ben conosceva gli effetti devastanti di quell'indotta schiavitù. Facendola ubriacare la "Moltitudine" intendeva semplicemente alleggerirle l'anima, pensò, visto che su di lei l'effetto di quel frutto non avrebbe funzionato.

"Non sarei affatto sola in vista del mio viaggio, ma ovviamente sì, ne sono consapevole. Per questo sono qui, e non da lui. E se tanto mi da tanto, avete accettato di incontrarmi perché avete bisogno di me quanto io di voi..." lo ricambiò con la stessa moneta Madya, ingoiando tutto d'un fiato il suo succo con la speranza che quell'orripilante omuncolo le credesse.

"Pungente, ma diretta come una freccia al cuore! Ragazza mia, tu mi piaci. Ed è proprio così, abbiamo bisogno l'uno dell'altra per scoprire la verità e impedire a questa città di sprofondare nel panico. Ma torniamo a noi, conosciamoci meglio, vuoi?" concludette entusiasta Dagmar.

Grazie alla conversazione col padrone assoluto di quel mondo sotterraneo Madya riuscì a scoprire molte cose, fra cui perché la "Moltitudine" avesse quell'aspetto. Anche i genitori dell'uomo erano stati tracciatori in passato, e in particolare la madre, esattamente come lo era stata la sua. Pareva proprio che le donne avessero un talento particolare in tal senso, una sorta di sensibilità che permetteva loro di orientarsi in quei territori desolati come nessun altro avrebbe potuto fare. Ma non era tutto, perché quella scoperta non la turbò quanto l'apprendere che anche la madre di Dagmar - come la sua - aveva partorito dopo aver compiuto un viaggio verso i Giardini Perduti di Heligan, con l'unica differenza che Senny era nato durante un'ondata espansiva. Era stato questo a renderlo deforme durante la nascita, conferendogli tuttavia il potere di manipolare sia il tempo che lo spazio seppur per pochissimi istanti. Che fosse già adulto o stesse per nascere, certo era che un avverso destino colpisse chiunque si avvicinasse troppo alle città sepolte nell'Oltre, sebbene la cosa peggiore fosse la scoperta che le ondate espansive si fossero via via ravvicinate facendosi col tempo sempre più potenti, devastanti e distruttive.

Madya si domandò solo alla fine di quella lunga chiacchierata se nascondere la verità fosse giusto, soprattutto senza averne le prove. Si, perché se la minaccia di un'ennesima e totale distruzione proveniente dall'Oltre fosse reale, lei non poteva dimostrarlo. Come difficile era far credere che il temibile generale Dunagan, e quindi il "Celato", fosse caduto accidentalmente nella tana di un Tazelwurm a pochi chilometri dal tempio in cui i Druzi custodivano le spoglie mortali del Dio che veneravano. A dire il vero, di quel luogo si sapeva ben poco, e a tal proposito, le dicerie erano tante. I Druzi di Karazhan credevano profondamente nei principi di azione ed effetto dettati dalla "Grande Legge" che seguivano, e cioè che ciascuno di loro avesse uno scopo ben preciso sulla terra. Di conseguenza a Karazhan era pensiero comune credere che le ripercussioni di una propria azione - giusta o sbagliata che fosse - si riflettesse sugli altri.

Cosa accadesse di preciso durante le cerimonie che si tenevano al tempio dedicato al Dio Nerborus erano in pochi a saperlo, ma di certo, e ne aveva le prove, l'usanza di fare offerte e tenere banchetti era la norma. Giravano voci persino sul consumo di carne umana durante quei baccanali, e c'era gente che affermava di aver visto più di qualcuno offrire alla divinità sia sangue che parti del proprio corpo per propiziare quei riti. Che si sacrificassero e si mangiassero persone - o parti di esse era cosa nota in molteplici culture, anche se nel caso di Karazhan c'era qualcosa di strano a meno che - com'era altamente probabile - non si pensasse che cedere a quell'atto non adempisse in qualche modo ai precetti dettati dal Dio o della "Grande Legge".

"Sei seria e pensierosa da quando siamo tornati, qualcosa non va?" volle sapere Valkya.

"Si, se tieni conto che mi hai mentito" replicò indispettita Madya.

"Non ho mentito, ho omesso, c'è differenza. Ma se la metti così..." si finse offeso il generale.

"Così come?" continuò imbronciata la guaritrice.

"Non ti fidi e lo capisco. Ma essere così sospettosi, soprattutto dopo averti fatto parlare con Dagmar, beh, mi pare eccessivo" aggiunse Valkya, cercando di rimediare.

"Non fraintendermi, credo di sapere quale sia il tuo vero scopo. L'Oltre minaccia di inghiottire e riempire di mostri il luogo più sacro che avete, tuttavia il motivo per cui il famigerato comandante dei Druzi di Karazhan si stia prendendo tanto disturbo per salvarci visto quanto ci disprezzate, beh, mi sfugge..." andò dritta la punto la giovane, scimmiottandolo.

"L'unica cosa che ci interessa è salvare il tempio, è vero. Karazhan non verrà minimamente toccata dall'onda d'urto, tuttavia, e ne converrai, anche per noi è solo una questione di tempo. Perciò visto che questa minaccia ci interessa tutti, prima la fermiamo meglio sarà. Non sei d'accordo?" confessò serenamente il "Pallido".

L'espressione seria e contrita di Valkya finì per convincerla, specialmente nella consapevolezza di quanto per ogni uomo donna e bambino di Karazhan quel tempio fosse importante. Così, seppur a malincuore Madya dovette riconoscere che Valkya aveva ragione. Data la loro vicinanza ai confini dell'Oltre, l'onda d'urto non avrebbe risparmiato niente e nessuno: certamente non Murwara né le Piane dell'Ombra, per non parlare delle centinaia di persone che vivevano nelle vallate al di la delle montagne che separavano la capitale dalla vicina città di Chattisgart, ora annessa all'impero. Come Valkya le aveva fatto giustamente notare, anche se per il momento Karazhan era salva, prima o poi quella distruzione sarebbe toccata anche a loro.

Secondo le ultime prevesioni di Dagmar, i primi ad essere colpiti dall'onda espansiva dell'Oltre sarebbero stati proprio i territori sotto l'egemonia del Sovrano dell'Ombra, cosa che, malgrado tutto, li avrebbe favoriti. Il Kaleedar del popolo libero degli Zamindari non avrebbe mai negato il transito ad una spedizione atta a salvare sia lui che la sua gente, il più era convincerlo. Grazie al suo potere e al caratteristico odore emanato dal suo corpo - che a detta di Valkya confondeva l'olfatto sviluppato di quei mostri - era quasi certa di poter raggiungere Heligan quasi illesa, anche se per Valkya e Altay c'era da fare ancora i conti col Deserto dei Pinnacoli e le Pozze ardenti della Madre Nera. Per fortuna, all'occorrenza avrebbe potuto curarli mentre combattevano al suo fianco per aiutarla a scongiurare una minaccia di cui in realtà non sapevano nulla.

"Già, in effetti non sappiamo proprio nulla di cosa ci sia veramente laggiù..." ammise sconfortata la ragazza, ripensando alle pochissime mappe che avrebbero avuto a disposizione per viaggiare nell'Oltre.

"Per questo ti aiuterò a scoprirlo, sempre che Altay abbia ancora voglia di fare lo stesso visto che è sparito" replicò Valkya, guardandosi improvvisamente attorno in cerca del giovane assassino.

Come Valkya anche Madya aveva notato l'assenza di Altay, anche se aveva sperato fino all'ultimo di ritrovarlo dove l'aveva lasciato. Di sicuro - anche se aveva giurato di tacere riguardo la loro missione - era corso alla gilda dei guaritori per chiedere aiuto al padre, cosa che non faceva presagire nulla di buono visto come gli avevano disubbidito a proposito di Valkya, figurarsi se il vecchiaccio avesse saputo come aveva contattato la "Moltitudine" proprio grazie a lui.


 

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Capitolo 4
*** Il Pirata delle Valli. ***


 
Ora che sapeva di avere ragione riguardo l'esistenza della magia e poteva contare sull'amicizia e il supporto della "Moltitudine", Madya tornò alla gilda dei guaritori alla ricerca di Altay. Ovviamente non era certa di trovarlo lì a quell'ora, ma ci provò lo stesso, rimanendo però - come d'altronde si aspettava - inevitabilmente delusa. In compenso, fu proprio il suo peggior incubo a prendere forma quando, involontariamente, si trovò a incrociare lo sguardo con un uomo vestito di nero alto quanto lo stipite del portone d'ingresso. Dalla sobrietà degli abiti e dalla compostezza - mentre teneva ben salda tra le mani una spada che doveva pesare quanto due uomini robusti messi insieme - Madya capì che si trattava della guardia del corpo di un importante emissario proveniente dall'ovest. La guaritrice era sempre stata incuriosita dagli strani personaggi appartenenti alla razza degli Olona - le cui dimensioni e i tratti vagamente animaleschi stupivano per imponenza e bellezza chiunque li incontrasse - e di fatti, non avendone mai visto uno da così vicino la giovane s'incantò a guardarlo, scappando via solo quando l'espressione ferina del gigante si fece più cupa e intensa del dovuto.

Così, seppur di malavoglia Madya sbuffò. Lasciandosi alle spalle l'affascinante Olona per introdursi di nascosto nel palazzo, intuendo che qualcosa di veramente strano stava accadendo dentro la gilda. Essendo sempre stata molto magra e piccola di statura, la ragazza non aveva mai avuto problemi a sgattaiolare via quando le cose si mettevano male, soprattutto quando Antarik si arrabbiava con lei diventanto più feroce e spaventoso di qualsiasi altro mostro avesse mai incontrato nell'Oltre. Questa volta però, la giovane era abbastanza sicura di non rischiare d'incontrarlo visto che doveva già essere a colloquio col misterioso ospite che gli aveva fatto visita.

Si diceva che le Valli del Vento vantassero paesaggi spettacolari, con picchi altissimi e vasti laghi colmi d'acqua. Tra le tante meraviglie naturali da sempre ammirate dall'uomo c'erano le numerose cascate che si formavano fra le montagne; giganteschi salti compiuti dai fiumi che scomparivano nella roccia per poi riversarsi a valle grazie ai profondi dislivelli nel terreno. In più c'erano città come Ziro e Trivandrum - importanti capitali dei vasti territori dell'Ovest - abbastanza ricche da far impallidire persino la splendida e radiosa Murwara, sebbene Madya non ci fosse mai stata a causa dei Pirati. Quei furfanti - spietati a detta di molti, ma pur sempre coraggiosi - sfruttavano i loro imponenti alianti per catturare le correnti ascenzionali che da terra si alzavano in quota, cavalcandoli con destrezza quando si trattava di inseguire e catturare le favolose carovane fluttuanti che solcavano i cieli sfruttandone i venti. I pirati delle Valli erano famosi anche a Patnar e spesso, i ricchi mercanti di sete e spezie di contrabbando li combattevano arginandone le razzie proprio grazie alle straordinarie imprese degli Olona. Se era per questo, come per gli Olona non aveva mai visto neanche un pirata in vita sua, anche se un giovane dalla capigliatura fiammeggiante catturò immediatamente la sua attenzione quando fu trascinato fuori da una stanza in catene dallo stesso Antarik. Chi era, e che ci faceva legato come un salame alla gilda dei guaritori, si domandò la ragazza, incrociando per caso il suo sguardo implorante. Per come guardava disperatamente nella sua direzione, sembrava proprio che il giovane malcapitato ne avesse percepito la presenza esattamente come aveva fatto Valkya la sera precedente, quando ne aveva sentito l'odore tra la folla.

A quel punto, non appena ne ebbe l'occasione - facendogli segno di tacere mentre lo faceva - Madya lasciò il suo nascondiglio per infilarsi di soppiatto in uno dei ripostigli in cui si tenevano i preziosi bendaggi che si usavano alla gilda. C'era un profumo confortante in quelle stanze piene di tessuti, tanto piccole e fresche da non permettere alle fragranze dei medicamenti di disperdersi o attenuarsi. E di fatti, nell'attesa, il dolce effluvio degli unguenti e degli olii essenzili le annebbiò la mente quasi a farla addormentare, almeno fino a quando non sembrò che Antarik avesse accettato una sorta di compromesso con quel tizio sconosciuto. Lasciare il prigioniero alle cossidette "cure" del suo carnefice ne avrebbe certamente segnato la fine, si disse Madya, decidendo di intervenire. Se non altro perché l'uomo che Antarik aveva incontrato di nascosto sembrava proprio essere un principe. E se come l'oscuro signore dell'ombra che serviva era anche lui uno Zamindaro, al povero giovane non restava più molto tempo da vivere.

I sontuosi abiti di seta fruscianti e i tintinnanti gioielli che indossava non lasciavano dubbi sul suo retaggio, come i pantaloni neri a gamba larga che i nobili erano soliti portare sotto le vesti aperte, stretti in vita da una lunga fascia di tessuto ricamata da fili d'oro bianco, rosso, verde, viola o blu, a seconda della casta, della casata o del clan d'appartenenza. Se non fosse stato per i lughi Sereveija che portava appesi al fianco in bella mostra - pungnali rituali recanti i fregi dei rispettivi Daahar (capo clan) o dello stesso Kaleedar (signore delle terre) - riconoscerlo sarebbe stato impossibile visto che i popoli liberi degli Zamindari contavano svariate etnie e molteplici tribù, di cui alcune molto più potenti e numerose di altre, come quella dei Sibir che erano stanziali o i dei Karadagh, che invece erano nomadi. Madya sapeva molto bene quanto i clan potessero entrare in conflitto fra loro quando si trattava di ottenere favori dai propri capi, anche se a un'occhiata più attenta non le parve quello il caso. Dai toni accesi e gli strani modi, non sembrava affatto che l'uomo stesse complottando alle spalle di qualcuno, piuttosto, l'argomento principale sembrava vertere sempre nella stessa direzione: cosa ci facesse un pirata delle Valli alla gilda, e soprattutto, come ci fosse arrivato.

Nel frattempo - gettato in un'altra stanza a soffrire il supplizio di un bavaglio e dei legacci troppo stretti - Madya sentì il giovane iniziare a rantolare. Lo aveva visto cambiare colore in fretta entrando, passando dalla bronzea doratura della sua carnagione naturale al rosso paonazzo di chi stava soffocando. "Shh! Non agitarti per favore, o ci scopriranno!" l'aveva ammonito Madya, cercando disperatamente di allentargli il bavaglio e le corde per dargli un po di sollievo. Quando non bastò, però, Madya capì che doveva agire subito, decidendo di infillargli repentinamente tre dita fino in gola. Un gesto estremo, ma necessario per liberargli le vie respiratorie da ciò che le ostruiva. Madya tirò un sospiro di sollievo solo quando riuscì a sfilargli dalle fauci l'ingombrante pezzo di stoffa che gli avevano infilato in bocca per zittirlo, mettendogli le mani al collo fino quasi a strozzarlo per infondergli abbastanza energia vitale da farlo guarire più in fretta. Ovviamente tutto sotto lo sgaurdo sgranato e atterrito di lui, che non aveva mai smesso di guardarla come normalmente si guardava un mostro o giù di li, pensò la giovane.

"Inala! So che è disgustoso, ma tu fallo e non frignare! Ti libererà il naso e amplierà la capacità vitale dei tuoi polmoni: hai bisogno di sfiammare per respirare meglio e portare più ossigeno al cervello..." spiegò la guaritrice.

"Sembra sterco di animale!" si lamentò tossendo il pirata.

"E lo è: l'ho miscelato a un paio d'erbe aromatiche per mitigare l'odore. Beh, mi spiace che non abbia funzionato!" fece spallucce Madya, sapendo benissimo quanto quel rimedio puzzasse.

"Perché rischi così tanto per me? Si può sapere chi sei?" volle sapere dopo lui, che ancora respirava a fatica.

"Già, vorrei saperlo anch'io. Chi sei, e perché rischi tanto?" ribadì improvvisamente qualcunno di cui Madya vide soltanto gli stivali spuntare dalla porta.

Solo alzando lo sguardo la ragazza realizzò, riconoscendo nell'uomo alto e bruno che la fissava incuriosito il principe di prima. Lo stesso che aveva alzato la voce con Antarik, minacciandolo. Lo stesso che, probabilmente, le avrebbe tagliato mani e piedi ora che l'aveva beccata a salvare un ladro, un bandito o un pirata - o chiunque altro fosse - visto che a quel punto non contava.

"Perché è il mio dovere e il mio lavoro! E voi? L'avete legato troppo stretto perché il sangue fluisse. Inoltre, lo straccio che gli avete ficcato con dovizia fino in gola lo stava soffocando! Che avrei dovuto fare, eh? Per questo io... io..." si difese inizalmente Madya, anche se a un certo punto, vacillando, si mise a balbettare.

"Siete una guaritrice della gilda dunque. Non avete motivo di agitarvi, avete fatto bene a salvarlo signorina. Il suo nome è Agastia, ed è un'Ala da battaglia al mio servizio" le rivelò candidamente il principe.

"Per questo discutevate col mio capo, poco fa? Perché lo liberasse?" gli domandò sfacciatamente Madya.

"Esatto! Anche se il vostro capo gilda ci ha messo un po' a credere che questo sconsiderato fosse davvero al mio servizio, non è così ragazzo?" le confermò l'altro, fulminando il giovane pirata con lo sguardo.

 Madya capì solo in quell'istante che era stato Antarik a legare Agastia, guardandolo con orrore quando lo vide spuntare alle spalle del principe per capire cosa stesse succedendo.

"Sapete di averlo quasi ucciso, vero?" reagì lei con rabbia, cercando di evitare il peggio quando l'uomo fece irruzzione nella stanza per afferrare Agastia e farlo alzare.

"Entrare di nascosto in una gilda con l'evidente intenzione di derubarla dei suoi tesori equivale a morte certa qui a Murwara, e tu dovresti saperlo meglio più di chiunque altro ragazza..." le ricordò Antarik, scaraventando con forza e disappunto il giovane ladro fra le braccia del suo principe.

Se il nobile Zamindaro non aveva osato replicare, Antarik non aveva cercato di negare di aver tentato di uccidere Agastia, infliggendogli per di più quell'orrenda punizione. Madya conosceva bene la rigidità dei precetti che regolavano la vita delle gilde, precetti che, se disattesi, prevedevano necessariamente anche la morte.

"Ero alla ricerca di Altay... " si scusò la guaritrice di riflesso, abbassando lo sguardo accesso d'ira pur sapendo di aver eccepito a un divieto imposto dalla gilda.

"Farò regolare esposto al Consiglio degli Anziani se non mi direte perché avete sentito il bisogno di derubarmi invece di chiedere aiuto alla gilda di persona, Vostra Altezza. Sempre che per un nobile Sibir sia lecito rispondere..." concludette Antarik, rivelandone in un modo o nell'altro, l'oscura identità.





Poche ore dopo, una volta ritornato il sereno - anche se solo apparentemente - Madya si ritrovò a subire la più grande ramanzina del secolo, con tanto di urla incontrollate e sbattimenti di porte e finestre. Al punto che il piano che ospitava la gilda dei guaritori - il più alto del palazzo - sembrava destinato a crollare davanti l'iraconda sfuriata del suo capo. Persino Altay - corso a soccorrere Madya dopo aver saputo - era rimasto impietrito di fronte alle grida disumane di suo padre, tentennando nel correre in aiuto della giovane col timore di peggiorare la situazione, di per se, già abbastanza grave. Tutto sotto lo sguardo impaurito del giovane Agastia e quello divertito del principe, che era rimasto seduto in silenzio tutto il tempo dopo aver spiegato ad Antarik le ragioni che l'avevano spinto a mandare un'Ala da battaglia alla gilda per sottrarre dai suoi archivi alcune antiche mappe. Madya era sobbalzata nell'apprendere che, come lei, anche il nobile era in cerca di un passaggio sicuro verso i confini dell'Oltre. E in particolare verso Taxila, un'antica città in rovina aggredita dal tempo e dalla vegetazione di cui restavano ben poche pietre a ricordarla. Madya aveva avuto modo di vederla nei suoi viaggi verso Heligan, covo di Trisciabole - uccelli mostruosi dal becco aguzzo e tagliente che si divideva in tre parti - e Serpopardi - enormi felini dalla coda spinata e il collo lunghissimo - per citare solo alcune delle strane creature che l'abitavano.

"Non capisco, se come dite siete un Dahaar del vostro popolo, avreste potuto chiedere udienza al Kaleedar di Exylo in ogni momento. Perché arrivare a tanto?" lo interrogò alla fine Madya che, nonostante tutto, se l'era cavata con poco.

"Ho le mie ragioni" aveva tagliato corto il principe, che malgrado la sua iniziale reticenza, aveva insistito per parlarle.

Un giorno in gatta buia, era stata quasta la sua punizione, oltre che pagare una multa e fare i doppi turni alla gilda a ripulire sangue, escrementi e vomito per il resto della sua vita. Eppure, non era certo quello ad angustiarla ora che si trovava dietro la sbarre di una cella. In realtà, era stata la reazione esagerata di Antarik a spaventarla, chiedendosi perché un uomo votato alla guarigione e alla salvezza altrui - seppur per denaro - avesse cercato di spezzare una vita in nome di una regola. Per fortuna, grazie al suo intervento il giovane non era morto. Sebbene alla fine, la questione non cambiasse.

"Allora, che volete da me? Potete anche andarvene se non avete intenzione di spiegarmi cosa ci facesse un'Ala da battaglia a rubare alla gilda..." aveva replicato Madya, avvampando.

"In realtà, ho costretto io questo poveretto a derubarvi in cambio della vita. Vedi ragazzina, ho catturato Agastia una settimana fa', nelle Valli, mentre tentava di assaltare la mia nave con un'Ala da battaglia danneggiata. Stupido da parte sua, non credi?" le aveva risposto canzonatorio lo Zamindaro, che più la guardava, più la faceva arrossire.

"Non volevo attacarvi... io, ero in fuga..." aveva tentato di replicare il giovane, intromettendosi fra loro.

"Sostieni ancora di essere atterrato sulla mia Elfreeda per sbaglio, marmocchio?" gli aveva domandato il principe.

"No, non per sbaglio! E' quello che dico da giorni, mio Signore. Siete voi che non volete ascoltare!" si scaldò Agastia.

"Sei o non sei un Pirata delle Valli?" continuò alterato lo Zamindaro.

"Cero che lo sono, ma non era quello il mio scopo! Assaltare la vostra nave era l'unico modo che avevo per fuggire da Ziro e raggiungere Murwara, ve l'ho detto tante volte!" insistette disperato Agastia.

"Fuggire da chi?" volle invece sapere Madya.

"Non da chi, ma da cosa..." le rispose il giovane, spogliandosi.

Una volta tolti i cataplasmi curativi che gli avevano applicato alla gilda, la bronzea carnagione di Agastia risplendette alla luce fioca e tremolante dei lumi e delle mezze candele che rischiaravano le segrete di quella vecchia prigione. Madya notò che la pelle del giovane era piena di lesioni, seppur in via di guarigione. La ragazza respirò a fatica nel vederle, cercando di capire cosa fossero toccandole, per poi staccarne con le dita un brandello unticcio e appiccicoso. Il dolore doveva esser stato lancinante per Agastia, ma il responso fu peggiore. Erano piaghe da ustione, provocate quasi certamente da una sostanza che un solo essere al mondo erano in grado di produrre in maniera naturale, anche se, vista la provenienza, non era mai stato considerato un pericolo per l'uomo.

"Non può essere, questi segni sono troppo grandi e distanziati per appartenere al morso di un Verydas. Vivono nell'Oltre è vero, ma sono piccolissimi e del tutto innoqui per un essere umano. Anche se il loro veleno, beh, può avere più di un effetto collaterale" obbiettò Madya.

"Innoqui un corno! E poi, che significa piccolissimi? Quei cosi sono enormi: grossi anche come cani! Anche se il problema in realtà è un altro..." sbottò Agastia, più che disgustato.

"Che intendi dire?" volle sapere Madya.

"Quelle immonde bestiaccie hanno disseminato di filamenti urticanti i dirupi al di là delle montagne. Ragnatele lunghissime in cui resta impigliato di tutto: dagli uomini agli animali. Compresi i nostri Deeker - piccole imbarcazioni fluttuanti - e i Reefer - Ali da battaglia - che prendono lettaralmente fuoco non appena si avvicinano..." aveva cercato di spiegare il più esaurientemente possibile il giovane.

"Quindi sono state le ragantele a ustionarti? E i ragni? Una volta averti immobilizzato, non hanno cercato di attaccarti?" indagò incuriosita la giovane.

"Certo che si, anche se... se... dopo avermi morso hanno lasciato perdere mettendosi a banchettare coi miei bracciali. Comprese le armi, gli arpioni, i chiodi e i bulloni, facendo letteralmente a pezzi il mio Refeer..." aveva aggiunto Agastia, stentando ancora a crederci.

"Panzane! Nessuno dei miei velieri è mai incappato in bestie simili, i mostri dell'Oltre non sono in grado di sopravvivere nel mondo esterno: è impossibile!" aveva replicato il principe, alzandosi dal suo scomodo sgabello quasi in preda all'ira.

"Non sono panzane! Purtroppo ha ragione, mio Signore. Come dicevo, il veleno del Verydas ha parecchi effetti collaterali, tra i quali impedire a chiunque venga morso di mentire" aveva risposto Madya, alzando di colpo lo sguardo limpido e profondo sul corpo forte e longilineo del principe.

"Ho già due mogli, ragazzina..." si era premunito l'uomo, scostandosi stranito dalla cella.

"Ahh, beate loro! Posso essere la terza?" si era proposta Madya, iniziando a strusciarsi sulle sbarre della prigione in maniera piuttosto imbarazzante.

"Ti ha toccato le ferite? Parla, inutile moccioso!" era subito intervenuto Antarik.

"Beh, ecco, ha staccato una crosta da un pustola..." aveva ammesso Agastia.

"Maledizione Madya, sai quanto quella robaccia sia tossica! E tu, piccolo avvoltoio, hai idea di quanto sei fortunato ad essere ancora vivo?" si era scappar detto Antarik, che da quando l'aveva rinchiusa, non aveva restistito nemmeno un'ora senza vedere la sua protetta.


 

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Capitolo 5
*** Una strana alleanza. ***



Mentre la ragazza riposava alla gilda nell'attesa che l'antidoto contro il veleno facesse effetto, Agastia restò fuori dalla stanza, deglutendo nervosamente al pensiero che sarebbe veramente potuto morire quel giorno. Se il corpulento guaritore era disposto ad assassinare qualcuno pur di mantenere il segreto su cosa stesse succedendo nelle terre dell'Ovest, era logico pensare che ne fosse ben consapevole. Così come dovevano esserne al corrente da tempo sia i membri del consiglio dei Saggi di Murwara che quello di Chattisgart, vista l'anomala presenza di un importante falange del suo esercito fuori dalle mura. Agastia aveva notato lo stanziamento militare dei Druzi a capo del "Celato" sin da quando aveva messo piede nella capitale la sera prima, trovando quella presenza alquanto stravagante vista la stagione in cui erano.

In primavera i Druzi di Korazhan erano soliti trovarsi altrove, generalmente servendo da scorta a quella parte di popolazione che annualmente si spostava nelle piane dell'Ombra per raggiungere in pellegrinaggio il tempio di Nerborus, il Dio che adoravano. Lo stesso generale Dunagan avrebbe dovuto partecipare al rito annuale di svestizione e consacrazione della carne e del sangue alla divinità di Korazhan, occasione in cui il "Celato" si spogliava pubblicamente della sua armatura affinché venisse riconsegnata simbolicamente al Dio, dagli Alti sacerdoti che officiavano al tempio. Agastia lo aveva sentito raccontare molte volte dalla sua famiglia, soprattutto la sera, quando il clan dei Falchi Argentei a cui apparteneva si radunava davanti al fuoco per festaggiare i favolosi bottiti frutto delle loro razzie. Se lo Zamindaro aveva ragione nell'affermare che i mostri dell'Oltre non sopravvivessero mai al di fuori dei suoi confini, allora qualcosa di veramente orribile stava per succedere al mondo. La cosa strana era che se il vecchio Antarik aveva dimostrato reticenza, cercando addirittura di uccederlo pur di nascondere i fatti, Madya non aveva esitato a parlare della provenienza dei Verydas, quasi non ne fosse sorpresa.

Perciò, pur ammettendo di aver provato un incotrollato senso di disgusto verso quei ripugnanti ragni rosicchia metalli, il giovane sentì comunque l'irrefrenabile bisogno di conoscere meglio i fatti. Secoli prima, dopo le ultime devastazioni, in molti, fra cui i suoi antenati, si erano spostati verso le montagne per sottrarsi agli effetti distruttivi dell'Oltre. Ma se una nuova ondata espansiva stava per colpire - trasformando al suo passaggio tutto quello che toccava in qualcosa di aberrante, terrificante e spaventoso - a quel punto poteva essere già troppo tardi, pensò il ragazzo.






Madya si svegliò quello stesso pomeriggio in una pozza di sudore, passando il resto della giornata a letto con un gran mal di testa. Per non parlare delle estremità gelide e le profonde occhiaie che le erano comparse sotto gli occhi, ora lividi, che da grandi e luminosi si erano ridotti a due fessure al centro della faccia da quanto erano gonfi. La guaritrice - che non si era minimamente alterata all'idea che quelle creature fossero sfuggite chissà come al controllo dell'Oltre - provò un profondo senso di inutilità all'idea di non essere più sola a gestire la faccenda. Avrebbe dovuto ammettere molte delle sue responsabilità a quel punto, ad esempio come aveva complottato col "Celato" per entrare in contatto con la "Moltitudune" per avere informazioni e farsi aiutare in quella folle impresa. La ragazza finì per alzare dolorosamente lo sguardo dalla sua ciotola di zuppa tiepida e insapore verso chi, da tempo, la osserva in silenzio appoggiato al muro della stanza con le braccia conserte. Antarik sembrava ancora profondamente in collera con lei, così scuro, imbronciato e taciturno da far spavento mentre Altay se ne stava seduto al suo capezzale a sorvegliarla per ordine del padre. Madya sbuffò al pensiero di aver perso parte della sua totale autonomia, anche se a quel punto, data la reale entità della minaccia, nessuno avrebbe potuto negare che scoprire cosa stesse accadendo nell'Oltre fosse necessario quanto inevitabile.

"Scusami se sono sparito a quel modo, ma vederti svanire nel nulla in compagnia di quel tipo, beh, mi ha davvero fatto perdere il senno!" ammise Altay.

"Non riesci proprio a fidarti di lui, vero?" indovinò Madya, rimestando debolmente il suo cucchiaio di legno nella zuppa ormai fredda.

"Certo che no! E non dovresti nemmeno tu visto che Dunagan è tutto tranne che un innocente ragazzino bisognoso d'aiuto..." ribadì Altay, che oltre alla brutta reputazione che Valkya si portava dietro, conosceva bene sia la violenza che i metodi brutali di cui i Druzi erano capaci.

"Lo so, ma la situazione è più grave di quanto pensassimo purtroppo... Anche se ad essere sincera, ancora non capisco cosa stia davvero succedendo..." confessò Madya, voltandosi pensierosa verso la finestra con la speranza che malgrado tutto, Valkya fosse ancora nei paraggi.

Fu a quel punto che la guaritrice ebbe un sussulto improvviso, sentendo come un brivido freddo attraversarle la spina dorsale al pensiero che lui la stesse davvero osservando. Per quanto si fosse sforzata di non pensarci, era certa di aver sentito qualcosa di strano nell'aria, al suo risveglio. Era ancora frastornata, certo, ma sentiva chiaramente un profumo aleggiare attorno a sé. Un odore dolce e a tratti nauseabondo, del tutto simile a quello dell'incenso che aveva respirato sotto le fitte coltri della tenda, in cui aveva incontrato Valkya per la prima volta. Fortunatamente non le ci volle molto a capire da dove venisse, quando intravide il capo argenteo del generale fare capolino da dietro la porta della sua stanza, lasciandola del tutto incredula e spiazzata.

Valkya era riuscito ancora una volta a sorprenderla, presentandosi al cospetto di Antarik che, fra l'altro, non aveva affatto reagito male nel vederlo. Fu allora che Madya capì, ricordandosi di come i due uomini si conoscessero da più di trentanni benché le fattezze del "Pallido" col tempo non fossero cambiate. Ma se l'incontro del "Celato" col Tazelwurm non era stato un incidente, cosa aveva spinto il generale a gettarsi di proposito nel nido di un mostro? La spiegazione più logica era che Valkya l'avesse fatto apposta per incontrarla dal momento che nessuno di quei neonati, per quanto letali già in quello stadio, avrebbe potuto veramente ucciderlo. In altre parole, ora che aveva la certezza che quei due fossero davvero in combutta tra loro per Madya non restava che un ultimo ma importantissimo quesito da svelare, il perché.

"Il veleno dei Verydas ti ha conciata proprio male, ragazza! Eppure, ero convinto che nessuna creatura dell'Oltre potesse ferirti..." esordì Valkya, sedendole premurosamente accanto nel letto. Anche il principe e Agastia erano entrati nella stanza con lui, mentre Madya continuava a chiedersi se si fosse veramente svegliata o stesse ancora sognando di fronte a cotanto fascino maschile.

"Che diavolo ci fa lui qui?" sbottò invece Altay - riferendosi a Valkya - puntando lo sguardo colmo di rabbia e confusione proprio verso il padre.

"Ho chiesto io al generale di venire, soprattutto perché credo sia arrivato il momento di dirvi la verità su quanto abbiamo scoperto, comprese e le ragioni che ci hanno spinto a indagare su quei mostri malgrado l'apparente assenza apparente di un'ondata espansiva..." iniziò a spiegare Antarik.

"State dicendo che i Signori di Murwara erano al corrente di tutto e non ci hanno avvertito?" volle sapere lo Zamindaro.

"Lo sappiamo da tre settimane ormai, esattamente da quando abbiamo rinvenuto quei ragni fra i rottami di una "Paffa" - piccola imbarcazione da recupero fluttuante - proveniente da Trivandrum..." dovette ammettere Antarik.

"Aver taciuto il pericolo al mio popolo, avrà delle conseguenze!" aveva sbottato il principe a quel punto.

Dopo la palese minaccia da parte del nobile - che nel frattempo si era alzato dalla scomoda poltrona su cui sedeva per raggiungere l'uscita - nella stanza, scese il silenzio. Solo Valkya aveva avuto la prontezza di fermarlo sbarrandogli la strada, fra l'altro a suo rischio e pericolo, viste le grandissime abilità combattive che i Dahaar dei Sibir avevano in serbo per i loro nemici. Tuttavia, malgrado la drammaticità del momento a Madya scappò un sorriso nell'intravvedere la buffa espressione disegnata sul volto del giovane "Pallido". Come al solito Valkya sembrava vivere in un mondo tutto suo, quasi non si rendesse conto di quanto apparisse incosciente e ridicolo agli occhi di chi non lo conoscesse o sapesse chi fosse.

"Vi daremo soddisfazzione statene certo! Anche se per il momento, per il bene vostro e del vostro popolo vi consiglio di non fare tutte queste storie, mio Signore..." aveva sottinteso il generale.

"Altrimenti?" aveva reagito lo Zamindaro, che dal primo momento l'aveva guardato con diffidenza e disprezzo.

Era bastata la lieve incrinazione nel tono di voce del suo Dahaar a far scattar uno dei due gigantesci Olona che lo scortavano, al punto che Madya l'aveva visto apparire alle spalle di Valkya in tutta la sua possanza prima che si incastrasse nel controtelaio di legno della porta da cui aveva cercato di entrare. Alla fine Antarik non si era scomposto più di tanto di fronte a quell'inevitabile e preannunciato disastro; le mura del palazzo erano troppo strette e solide per riuscire a sfondarle e difatti, il crollo fu minimo e si alzò un esiguo nugolo di polvere quando la guerriera cercò di liberarsi, cadendo goffamente a carponi al centro della stanza.

"Tutto questo non era necessario, Enna! E va bene, resterò ad ascoltare il resto della storia, ma vi avverto, se qualcosa non dovesse piacermi, non me ne starò in silenzio!" aveva finito per rispondere imbarazzato l'uomo, pronto nuovamente a sedersi.

Così, mentre tutti si calmavano decidendo come e da dove iniziare, Altay - che fino a quel momento era rimasto buono in silenzio a guardare - osservò Madya, che nello scoprire che l'Olona in realtà era una femmina, sembrò ancora più confusa. Come la guaritrice, anche lui era scettico. Soprattutto dopo l'inaspettato incontro col suo "Devanagari" di un tempo - anziano dei Bradesch e gran maestro di spada - che lo aveva messo in guardia sul fidarsi o meno del "Celato" in vista di quell'imminente catastrofe. Che il Sacro Concilio dei Bradesch fosse o meno a conoscenza di ciò che accadeva nelle terre dell'Ovest non era dimostrabile, fatto stava che ora più che mai era necessario svelare l'arcano, si disse il ragazzo. L'improbabile alleanza tra il padre e il "Celato" era la cosa più strana si fosse mai vista, pensò il giovane. Un po' come l'olio che si mischiava incredibilmente all'acqua - che fra l'altro era una cosa impossibile - o un complimento fatto da lui alle sue inesistenti curve femminili concluse, tanto per dirne un'altra.

Da quello che avevano potuto capire, l'unione d'intenti tra Antarik e Valkya era nata a causa della possibile origine soprannaturale di quegli eventi inspiegabili. Era stato proprio il guaritore a chiamare Valkya quando aveva trovato i Verydas a bordo dell'imbarcazione pirata schiantata ai piedi delle Valli, scoprendo fra l'altro che anche a Korazhan succedeva qualcosa. Per questo Antarik si era affidato completamente a Dunagan, dandogli fiducia persino quando lo aveva assecondato nel folle piano di gettarsi nella strana voragine che si era aperta a pochi chilometri dal Tempio. Era così che lo avevano scoperto, quando Valkya era uscito in fin di vita da quel buco nella terra con l'orripilante progenie appena nata di un Tatzelwurm avvinghiata addosso.

"Quindi, cosa pensate significhi l'invasione di quei ragni?" chiese Madya incuriosita.

"Che sono in cerca di cibo visto che si nutrono di minerali, anche se a nostro avviso c'è molto più di questo. Pensiamo che i Verydas si trovino sulle montagne perché hanno la capacità di estrarre e assimilare i metalli, sciogliendoli grazie alla presenza di potenti acidi nei loro organismi. In particolare, Imperius, Mublite e Wolfranio - detto anche sporcizia di lupo - che combinati in una lega sono in grado di dar vita al leggendario acciaio di Necros..." gli svelò Antarik.

"So che tutto questo può sembrare incredibile, ma è bene che sappiate che ad oggi esiste un solo oggetto fatto di Necros, e a quanto ne so, ad oggi sono l'unico a indossarlo" cercò di spiegare Valkya.

"Solo un Dio potrebbe usare l'armatura del "Celato" senza esserne completamente consumato, e questo perché al solo contatto la carne di un normale essere umano marcirebbe all'istante" continuò Antarik.

"Un Dio, certo, oppure un demone!" aggiunse invece Altay.

"Se era per questo ed eri d'accordo con lui, perchè hai cercato di dissuadermi?" volle sapere Madya.

"Perché trovarti priva di sensi al campo dei Druzi mi ha spaventato a morte, Madya. E questo malgrado sapessi con certezza che in quanto ultima figlia dell'Oltre saresti stata l'unica a poter investigare su questa storia senza correre rischi..." dovette confessarle Antarik.

"Avete esposto Madya agli effetti devestanti del metallo necrotico senza avere la minima idea di come avrebbe reagito? Sapevo quanto il "Celato" fosse un inutile bastardo senza scrupoli, ma voi, padre? Come avete potuto? Proprio non me lo aspettavo!" era esploso Altay al culmine dell'umana sopportazione.

"Perciò sono anch'io come Valkya, l'unico a potersi avvicinare all'armatura del "Celato" senza morire, è così?" domandò tristemente Madya.

"Sì, è così. Presto quei ragni estrarranno dalle montagne tutti gli elementi necessari a creare l'acciaio di Necros, per poi tornarsene del tutto indisturbati nell'Oltre. Per questo abbiamo motivo di pensare che la minaccia in arrivo sia peggiore di una semplice ondata espansiva..." gli assicurò Antarik.


 

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Capitolo 6
*** Scoperte e rivelazioni. ***


 
Di fronte a quell'incredibile scoperta - alla rabbia e lo sgomento di Altày, all'incredulità di Agàstia e l'apparente freddezza del principe - Madya provò una serie di sentimenti contrastanti al pensiero che le cose stessero precipitando tanto in fretta senza un come nè un perché. Una nuova minaccia? E forse, ancor più distruttiva di un'ondata espansiva? Non c'era mai stato nulla di più catastrofico sulla terra, dunque, cosa poteva esserci di peggio? A quel punto, avere la conferma di essere diversa dagli altri, per Madya non fece alcuna differenza. Certo non si aspettava proprio d'essere una figlia dell'Oltre - l'ultima, fra l'altro - che in gergo tecnico, per un normale essere umano significava acquisire poteri soprannaturali prima o durante la nascita e Dagmar - la "Moltitudine" - ne era un esempio lampante. Trent'anni prima, nel grembo materno, durante l'ultima ondata espansiva Senny aveva acquisito il dono di manipolare lo spazio e il tempo benché questo lo avesse reso informe. Anche lei doveva aver subito la stessa sorte durante i viaggi di sua madre, portandola a chiedersi perché avesse continuato a viaggiare nell'Oltre dal momento che sapeva di essere incinta. Madya continuava a non avere certezze al riguardo: nemmeno ricordava il suo volto, figurarsi quello del padre o dei suoi fratelli minori. L'unica cosa veramente impressa nella sua memoria era l'immagine di un massacro, di una bimba che piangeva e un cavaliere che, ignorandola, la guardava da sotto l'elmo della sua pesante e nera armatura, proseguendo mestamente al passo.

Erano passati dieci anni esatti da allora, eppure, nell'incontrare nuovamente lo sguardo limpido e sincero di quello stesso cavaliere, Madya capì finalmente cosa provasse per lui. La connessione che li univa non era un inganno, ma qualcosa di reale e incommensurabilmente potente benché alla fine lui le avesse mentito. Chiunque o qualunque cosa fosse - un dio oppure un demone - l'entità che infestava l'armatura aveva bisogno di un tramite per continuare a esistere, e Valkya doveva saperlo molto bene visto che lo aveva sperimentato sulla sua pelle. Grazie alle sue formidabili capacità rigenerative, il "Pallido" era riuscito a sfruttare i poteri distruttivi dell'armatura a suo vantaggio, prima di finire col barattare la propria libertà con un altro tipo di oppressione. Tuttavia, per quanto male si potesse pensare di lui, Madya sentiva di potersi fidare, dal momento che era certa che i suoi intenti fossero puri. L'aura del generale era chiara e luminosa quando si trovava lontano dall'armatura del "Celato", sebbene fosse certa che nel tempo il ragazzo dovesse aver sviluppato una sorta di morboso attaccamento nei confronti di quell'antico ed oscuro usbergo.

Tornando alla persona che l'aveva cresciuta invece, la giovane provò una sorta di profonda amarezza nei confronti del suo capo. Malgrado sapesse che persino i suoi scopi fossero giusti, l'uomo che aveva giurato di proteggerla da ogni male non aveva esitato ad esporla al pericolo. Eppure, seppur tentata dal gettargli in faccia tutti quei pensieri e quelle emozioni, Madya taque, concentrandosi invece sulla strana reazione del nobile Zamìndaro. Chiunque sarebbe saltato sulla sedia alla notizia dell'arrivo di una simile catastrofe, mentre lui era rimasto immobile a fissarla, quasi impassibile di fronte a quella perturbante verità.

"Immagino che dopo tutto il trambusto e il disturbo che vi siete presi, voi possiate dimostrarlo... In tal caso, come posso aiutare?" accondiscese improvvisamente lui.

"Un permesso di transito o un titolo di viaggio, basterebbero! O un semplice lasciapassare per Hexilo, ad esempio. Sapete benissimo che ai cittadini di Murwara è proibito attraversare le Piane senza, perciò, grazie a voi aggireremmo almeno un ostacolo..." reagì Madya di getto, illuminandosi.

"Come Dahaar del mio popolo mi sarebbe consentito dalla legge, questo è vero. Ma al punto in cui siamo, se Madya acconsentisse a seguirmi, potrei esporre la questione al giudizio di colui che temo senza dover agire alle sue spalle. Sapete che senza il suo consenso non potrei far nulla, vero?" ci tenne a precisare il nobile.

La persona in questione, quella che tutti i popoli liberi degli Zamìndari rispettavano, ma soprattutto temevano, era proprio lui, il Sovrano dell'Ombra. E Valkya ed Antarik ne erano ben consapevoli dal momento che si erano augurati di risolvere il problema senza che dovesse mai scoprirlo. Quella del "Sovrano" era una figura enigmatica, ma chiunque egli fosse, era lui a governare le Piane oltre che a gestirne i traffici e i commerci. La sua lunga ombra arrivava ovunque, incombendo sulle Piane come il nero mantello della notte avvolgeva il mondo nel suo abbraccio. Madya ebbe come l'impressione che l'uomo sapesse molto più di quanto diceva, e non solo perché era stato sorpreso a rubare importanti documenti alla gilda, ma perché, nonostante tutto, non aveva esitato ad ammettere che non avrebbe mai agito alle sue spalle.

"Dunque, state dicendo che è stato il "Sovrano" in persona a ordinarvi di derubarci, visto che non fareste mai nulla senza il suo permesso?" insinuò prontamente Antarik.

"Affatto! In quanto Dahaar del mio popolo non permetto a nessuno di accusarmi di una simile eresia..." replicò innervosito il principe, alzandosi nuovamente in piedi apparentemente alterato.

"Mi spiace dovervi contraddire mio Signore, ma è evidente che stiate mentendo! Primo, siete sudato: il respiro è irregolare come il battito del cuore anche se a quanto "vedo", non siete realmente adirato. Secondo, contraete le labbra e guardate sempre a destra quando qualcosa non vi aggrada, ma in questa occasione non avete sviato lo sgardo e vi ho visto sorridere di nascosto più di una volta mentre vi parlavo. Devo aggiungere altro?" gli contestò invece Madya, mettendolo facilmente alle strette.

"Come ha fatto a capirlo? Ho coperto il naso e la bocca per tutto il tempo a causa del fetore che sento qui dentro" non negò il principe.

"Non è insolito per un figlio dell'Oltre: Madya ha sempre avuto molte qualità mio Signore, e smascherare chi mente è una di queste. Anche se un guaritore esperto e ben addestrato, è sempre pronto a cogliere certi segnali" intervenne Antarik.

"Ebbene sì, ammetto di non essere stato del tutto sincero con voi, anzi, di non esserlo stato affatto... Ma giuro di non aver agito per ordine di nessuno, men che meno di colui che temo, poichè in realtà, a dispetto dalle apparenze, sono qui per aiutarlo..." confessò alla fine il principe.

Sebbene comprensibile, l'iniziale reticenza del nobile Zamìndaro non aveva facilitato l'arduo compito di credergli. Infatti, anziché placare gli animi, quell'assurda affermazione aveva sortito l'effetto contrario spingendo Valkya a ridergli in faccia, scatenando irrimediabilmente nell'uomo una dura reazione.

"Siete ridicolo! Vi ricordo che avete strappato un ragazzino alla sua famiglia pur di far ricadere la colpa delle vostre deplorevoli azioni sui dei Pirati delle Valli. E questo senza averci degnato di una valida ragione o del vostro nome: chi siete, e come pretendete che qualcuno vi creda?" sibilò invece Valkya fra i denti.

Non era la prima volta che succedeva: Madya lo aveva già visto accadere. L'alterarsi di Valkya fino a trasfiguarsi nei tratti che nello sguardo era un chiaro segno di possesione. Purtroppo era l'unica a "vedere" cosa stesse realmente succedendo al generale in quel momento, così, per evitare che tra i due finisse male corse giù dal letto per aggrapparsi al braccio del principe che, come Valkya, aveva già messo mano alla spada pronto a colpire. Solo lei era in grado di capire cosa tormentasse veramente il giovane "pallido", soprattutto quando perdeva la ragione e l'influenza maligna presente nell'armatura s'insinuava in lui per prenderne il controllo. Per fortuna la presenza di Altày e Antarik nella stanza scongiurò il peggio, trattenendolo dal dare il via a un duello che avrebbe generato un conflitto impossibile da sanare.

"Lasciami, ragazzina! Stà tranquilla, giuro che non gli farò del male... Uccidere il "Celato" all'interno di queste mura scatenerebbe una guerra che non ho nessuna intenzione di iniziare" aveva replicato il principe, lasciando i presenti del tutto spiazzati.

Madya ubbidì prontamente, sentendo il cuore sobbazzarle violentemente nel petto al suono perentorio di quel comando. Anche se era arrivato il momento di smettere di temporeggiare e arrivare al sodo, dovevano stare tutti molto attenti se volevano smettere di vivere nel dubbio. Sapeva che le ci sarebbe voluta ancora qualche ora per riprendersi del tutto, ed era giunto il momento di approfittarne se voleva scoprire la verità sulle ragioni che avevano spinto quello strano personaggio a presentarsi a Murwara sotto mentite spoglie. Il principe sembrava l'unico in grado di aiutarla a raggiungere le terre di confine vicine al tempio dove Valkya era stato attacato dal Tatzelwurm: la discrezione era imprescindibile se non volevano scomodare o coinvolgere qualcun altro in quell'impresa, soprattutto chi, al punto in cui erano, avrebbe potuto o voluto ostacolarli.

"Ciò che sto per dirvi dovrà restare tra noi e noi soltanto. Giuratelo! O non proferirò parola..." aggiunse poco dopo il principe, trovando per la prima volta tra i presenti, un tacito accordo.

"Il mio nome è Arthan Hexyloman Yerxa, Kaleedar - padre - del mio popolo e Sovrano dell'Ombra" affermò l'uomo, scatenando il panico.

"L-Lui... lui in... in persona? Mio dio, impossibile..." bofonchiò Madya incredula, voltandosi sbigottita verso gli altri in cerca di aiuto.

"Ebbene sì, sebbene non sia qui per darvene prova. Vedete, il mio scopo a Murwara è salvare gli eredi della mia casata dalla morte, per questo ho cercato di derubarvi. Nessuno fra i nostri migliori guaritori è riuscito nel miracolo, né i migliori medici o i più saggi degli sciamani ha capito di che male si trattasse. La vita del prossimo Sovrano dell'Ombra è appesa a un filo, e se i clan rivali lo scoprissero, l'autorità di cui dispongo in quanto tale non basterebbe a sedare conflitti e ribellioni" dovette ammettere Arthan.

Madya ci mise più di un attimo a riprendersi dallo shock, ma anche in quel caso, il suo istinto non fallì. Arthan era sincero, tutto quello che aveva affermato fino a quel momento era vero e inconfutabile, anche se ciò non contirbuì affatto a calmarla. Doveva trattarsi di qualcosa di veramente grave se un uomo potente come lui si era esposto di persona: la sorte dei suoi probabili successori doveva pesare sulle sorti del popolo degli Zamìndari in modi incomprensibili se aveva deciso di mettere a rischio tutto ciò che rappresentava. Madya cercò gli sguardi degli altri prima di aggiungere un'altra parola, anche se, grazie al cielo, fu Antarik a intervenire per primo.

"Che gli Dei mi fulminino: io vi credo! Perciò, diteci in fretta di questa malattia e quali rimedi pensavate di trovare negli archivi della nostra biblioteca" rispose il guaritore.

Arthan aveva poi spiegato di aver ideato quel piano assurdo per tenere a bada i propri principali detrattori, capi clan che da sempre mettevano in discussione il suo ruolo di "Sovrano dell'Ombra", titolo acquisito dall'uomo quando era ancora un ragazzo più per votazione popolare che per diritto di nascita. Il dubbio e il malcontento serpeggiavano fra le genti delle Piane già da tempo, soprattutto fra i clan nomadi dei Kardagh, che non avevano mai visto di buon occhio la presenza di un solo Kaleedar dei Sibir su quel trono. I Kardagh non avevano mai avuto rappresentanti ai seggi del comando, sottomessi com'erano al potere dei più numerosi e prepotenti Sibir, che scorazzano a loro piacimento sui loro territori trattandoli alla stregua di cani al guinzaglio dei padroni. Peccato che - malgrado il numero nettamente inferiore - i Kardagh vantassero alleanze ben più antiche e fruttuose con gli altri popoli delle Piane, tra cui spiccavano per numero e importanza le possenti tribù degli Olona e dei Galaarion - una sottospecie ferina molto più violenta e selvaggia della prima - con i quali era meglio non interferire mai se si voleva restare un solo minuto in più sulla faccia della terra.

"I Saggi del mio popolo cercano il Magistrum, il più antico e sacro dei grimori del cerchio dell'Almandel - fratellanza dei maghi - che fra le altre cose tratta di energia naturale, alchimia, talismani, magnetismo e magia rituale teutargica. Sarà dura da credere o da accettare, ma tutti concordano sulle origini soprannaturali della malattia, impossibile da curare se non praticando stregonerie e incantesimi..." svelò Arthan.

"Non abbiamo niente del genere nelle nostre biblioteche, l'antico cerchio dell'Almandel risiedeva a Taxila più di trecento anni fa, che come sappiamo è andata distrutta durante l'ultima e più terricante ondata avvenuta dell'Oltre" specificò a malincuore Antarik.

"Non credo che il principe cercasse il grimorio dell'Almandel a Murwara, bensì le mappature di Taxila, quelle realizzate dai nostri tracciatori poco dopo l'ondata. Perciò cari miei, sapete che vi dico, vi dico che mi sono stufata! Che ne pensate di mettere sottosopra i vecchi archivi della gilda, invece di starcene qui a perdere tempo parlando del nulla?" aggiunse Madya, stanca di sentirli tergiversare dopo essersene stata così tanto tempo buona e zitta ad ascoltare.



 

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Capitolo 7
*** Un pezzo del puzzle. ***


 
Dopo aver passato quasi tre ore nei sotterranei a cercare, Madya, Valkya e Altay alla fine si arresero. Non sapevano ancora come, ma delle antiche mappe di Taxila non c'era più traccia nei vecchi e polverosi archivi della gilda. Senza di esse non avevano la minima speranza di trovare il grimorio magico che stavano cercando, sebbene fosse quasi impossibile che un libro tanto antico e prezioso si trovasse ancora in quel luogo. Se era vero che il Cerchio dell'Almandel - o Alleanza dei Maghi - aveva governato il continente per ben cinquecento anni prima di sparire, dopo quasi tre secoli di scorribande e saccheggi era improbanile che fra quelle antiche rovine fosse rimasto qualcosa. Detta anche la città delle mille torri - alcune delle quali altissime e pressochè intatte, nonostante il passare del tempo e l'arrivo dell'Oltre - Taxila era stata depredata molte volte prima d'essere completamente abbandonata al suo destino. Per Madya quella vecchia città non custodiva più nulla, men che meno segreti o tesori da rubare anche se un ricordo a proposito di quel luogo le sovvenne. Era l'immagine di un grande arazzo circolare al quale la madre aveva lavorato quando lei era bambina, e che, tra le altre cose, ritraeva fedelmente posti e luoghi che era sicura di aver già visto durante nei suoi viaggi nell'Oltre. Certa che uno di quei paesaggi ritraesse proprio i dintorni di Taxila - vista la presenza di piante, animali e insetti che vivevano solo ed esclusivamente da quelle parti - Madya trasalì, provando un improvviso senso di speranza malgrado tutto. Ancora non sapeva come e perché quei ricordi riaffiorassero, ma arrivavano sempre quando ne aveva più bisogno. Ed era strano, perché se del passato rimenbrava poco, di quei fantastici panorami la guaritrice ricordava tutto nei minimi particolari. Come per esempio i bellissimi disegni, o i dettagliati giochi di colore creati dalla fusione dei fili orrizzontali della trama a quelli verticali dell'ordito, e fu proprio a quel punto che Madya ebbe un'illuminazione, spingendola a decidere di tornare subito a casa per cercare fra le poche cose della madre ciò che restava dI un vecchio pezzo di stoffa ormai sgualcito.

“Non credo che andarsene adesso sia una buona idea, Madya. Non con il Sovrano dell'Ombra chiuso in una stanza della gilda in attesa di risposte” la ricordò sottovoce Altay.

“Ma devo! Non sono sicura, ma potrei avere la soluzione...” rispose sempre a bassa voce Madya, tenendo d'occhio tutti, comprese le altre guaritrici della gilda che avevano cercato di aiutare.

“Cosa potrebbe mai esserci a casa tua in grado di sbrogliare questa matassa?” volle sapere poi, il giovane Bradesch.

“Una mappa! Una vera Altay, una creata e poi nascosta da mia madre quand'ero piccola... Non so spiegarlo, ma credo avesse tracciato dei percorsi alternativi per raggiungere l'Oltre. Lo so perché mi disse che avrebbe dovuto incontrare qualcuno, un uomo che non avrebbe più potuto vedere... C'è qualcosa in un vecchio baule a casa nostra, un lembo di stoffa ricamata che strappai da un arazzo più grande quand'ero bambina” replicò Madya, per nulla confusa.

“Ti copro io allora... Non vorrei mai che questa informazione non fosse attendibile e quell'uomo andasse fuori di testa” acconsentì infine il giovane assassino, mandando uno sguardo complice all'ultima persona a con cui avrebbe voluto ancora acchefare, e cioè il “Celato”.

Altay era ben consapevole del rischio che correvano a illudere Arthan: la persona che asseriva di essere il temuto “Sovrano dell'Ombra”aveva rischiato tutto per salvare i propri figli, e non ci avrebbe rinunciato. Il Kaleedar dei Sibir era un uomo troppo pericoloso e potente per permettersi di sottovalutarlo, soprattutto ora che aveva visto Madya strappare Agastia alla morte. Se pensava che la giovane fosse in grado di salvarli anche senza la magia era probabile che già la considerasse una via d'uscita in caso non avessero trovato il libro. D'altro canto, il desiderio di voler portare la ragazza via con sé non era passato inosservato: Madya era una guaritrice piuttosto famosa a Murwara, una delle poche in grado di assorbire malattie per poi smaltirle - seppur senza conseguenze - e se il famigerato “Sovrano dell'Ombra” lo sapeva, lei era in pericolo. Valkya non ci aveva messo tanto a capire cosa avesse in mente la ragazza, ma c'era un solo modo per sbrigarsi, così pensò a interpellare Dagmar per riuscire a lasciare la gilda di nascosto sfruttando il suo potere.

“Se pensi che Antarik chiederebbe mai aiuto alla “Moltitudine”, ti sbagli! Sarebbe in debito con lui vita natural durante, e sai bene cosa comporterebbe per un membro del consiglio...” rispose subito Madya.

“Per non contare che quel tirchio di mio padre non pagherebbe un centesimo a quel topo di fogna, in questo paese è tutto un dare e ricevere, ricordatelo bene, sbruffone!” aggiunse invece Altay.

“Certo, certo! Ma io sono già in affari con lui, e che ci crediate o meno a quell'uomo interessa davvero salvare questo mondo. Anche fosse solo per un mero tornaconto personale, a questo punto, che avremmo da perdere?” replicò Valkya.

Fu in quel momento che Madya guardò il “Pallido” di sbieco, intuendo più chiaramente ciò che pensava di aver finalmente compreso di lui e dei suoi piani. A dispetto dell'oscurità che aveva percepito il giorno del loro primo incontro, Valkya di certo non era malvagio, sebbene le ragioni del suo coinvolgimento in tutta quella storia ancora un po stridessero. Il fatto che il “Celato” fosse un giovane e bellissimo ragazzo “Pallido” l'aveva colta di sorpresa. e certo, senz'altro affascinata, ma era anche vero che se l'aveva assecondato lo aveva fatto solo per se stessa. Madya era divorata dalla curiosità di saperne di più sul suo passato, e lei e Valkya avevano una chiara connessione al riguardo malgrado Altay avesse ragione nel voderlo per ciò che era davvero, e cioè lo spietato e terrificante condottiero di un esercito di fanatici religiosi pronti a tutto. Ciò nonostante la giovane non poteva certo ignorare che Dunagan fosse nato nello stesso posto dov'era nata lei, d'altronde, essere accumunati dalla stessa capacità di indossare un'armatura fatta di Necros non poteva essere una mera coicidenza. Nel mondo dov'era cresciuta quelle cose non esistevano: magia, miti e leggende, appartenevano tutte alle favole che si raccontavano ai bambini sull'Oltre. E a tal proposito, a proposito di cose impossibili, Madya sentì crescere in sé una nuova certezza, che oltre ad uccidere chi lo indossava quel metallo ne assorbisse anche l'anima. L'acciaio di Necros era legato all'energia magica che permeava l'Oltre ed infatti, ciò che Madya aveva chiaramente visto all'interno dell'armatura non era qualcosa ma qualcuno. Grazie al potere che possedeva da sempre, la giovane guaritrice era in grado di vedere cose che altri non vedevano, delineando in quella fumosa presenza i contorni di una figura chiaramente maschile. La ragazza aveva anche riconosciuto qualcosa di incunsueto in quell'essere, come l'agitarsi di una forte volontà di rivincita, legata forse a un torto o un'antica ingiustizia subita in passato. Chiunque fosse era pronto a evadere, e per quanto non si sentisse ancora direttamente minacciata Madya avvertì chiaramente un pericolo.

La realtà era che l'armatura irradiava violente radiazione energetiche da sempre, solo che adesso erano più forti, soprattutto da quando l'aveva percepita la prima volta all'interno della tenda del “Celato”. Non solo, da quel giorno emetteva suoni sempre più insistenti, stridenti, macabri ed agghiaccianti, simili al lamento di un grosso animale chiuso in una gabbia che era diventata troppo angusta per contenerlo. Il male premeva per uscire? Sbattendo contro le pareti della sua prigione con più veemenza ogni giorno che passava, mentre le simboliche sbarre che lo trattenevano andavano lentamente in pezzi? Un guaio che andava ad aggiungersi a tutti gli altri, oppure, un guaio del tutto correlato a tutti gli altri, pensò Madya, cambiando idea all'ultimo momento. Non avrebbe ingannato Arthan, non a quel punto. Il grande Signore delle Piane o Sovrano dell'Ombra - così come usavano chiamarlo - aveva abbandonato lo scranno per salvare i propri figli e com'ra logico aspettarsi non ci avrebbe rinunciato. L'unico vantaggio su di lui era che l'uomo che avevano davanti non era più solo un Re o un principe, ma un padre disperato in cerca di risposte. Madya sarebbe partita subito alla volta di Hexilo se fosse servito e l'avrebbe fatto per dargli più tempo, ma era proprio quello il punto, il tempo. Potevano permettersi di sprecarlo, gettandosi in un'impresa quasi impossibile visto che ormai era agli sgoccioli?

“Va bene, con l'aiuto di Dagmar cercherò di decifrare la mappa nascosta da mia madre nell'arazzo, ma prima userò il mio potere per aiutare i figli di Arthan a resistese agli effetti dalla loro malattia, magica o meno che sia. Così facendo, darò a quei bimbi il tempo necessario a trovare una cura, e lui non potrà fare altro che aiutarci nell'impresa di partire...“ esordì poi Madya, risoluta a voler trovare una scappatoia.

“Sei un'ingenua! Quando lo saprà ti spremerà come un limone, spillandoti fino all'ultima goccia di sangue pur di tenerli in vita...” sbottò invece Altay.

“Non lo farà! Sfruttarmi fino a uccidermi rimanderebbe solo l'inevitabile, mentre partendo per l'Oltre in cerca del Grimorio gli darei la soluzione definitiva. Non dimenticare che siamo prossimi a una distruzione tale da rimandare indietro il mondo di centinaia di anni se non interveniamo, e Arthan non è uno sciocco, ho fiducia in lui!” aggiunse lei speranzosa, ritrovandosi davanti la porta di Arthan scortata proprio dai due giovani.




Antarik era ancora a colloquio con lui quando la ragazza bussò, lasciando tutti esterrefatti quando cercò di eludere la sorveglianza dell'ingombrante guerriera Olona che le sbarrava la strada.

“Le devo parlare!” urlò Madya, mentre Arthan faceva cenno alla sua guardia del corpo di lasciarla passare.

“ E allora fallo!” rispose il principe di rimando, la cui espressione crucciata non faceva presagire nulla di buono.

“Non abbiamo trovato nulla negli archivi ed è strano, ma... Ma potrei avere un'altra soluzione al problema...” ammise lei, annusando nell'aria un odore insolito.

“Quale soluzione ragazza, parla!” sbottò Arthan.

“Mi ricordo! Voglio dire, ricordo che fine ha fatto il libro, il Magistrum! Non è più a Taxila ormai, lo so perché fu mia madre a portarlo via da li per consegnarlo a un mago del Cerchio dell'Almandel cinque anni dopo la mia nascita. Fu a causa di quel gesto che la mia famiglia venne trucidata tre anni dopo, dovete credermi... Perciò, curerò io i bambini! In cambio però, ci permetterete di partire per l'Oltre finanziando la nostra spedizione in tutto e per tutto. Allora, Mio Signore, abbiamo un accordo?” rischiò la giovane, sapendo di aver scatenato non solo le ire di Antarik ma anche quelle dell'uomo.

Com'era c'era da aspettarsi la rabbia del principe prese per un attimo il sopravvento sulla logica, serrando le labbra carnose e umettate del Sibir in una smorfia talmente incontrollata da fargli addirittura digrignare i denti. Dopo di che Madya sembrò esalare l'ultimo respiro nel vedere le robuste e lunghe dita inanellate dell'uomo contrarsi, stringendosi in un pugno tanto forte da costringere i potenti muscoli delle braccia a guizzare sotto la pelle ambrata. Quello spasmo improvviso aveva accidentalmente fatto muovere in una specie di danza della morte tutti i tatuaggi che l'uomo portava fieramente sulla pelle, arrivando nientemeno a impressionarla. A dispetto del suo aspetto calmo e riflessivo, il linguaggio del corpo e del suo sguardo non mentivano. Ad agitare il cuore di Arthan c'erano ben più di una semplice angoscia o preoccupazione: quei profondi occhi scuri ora oppressi dal dolore, un tempo dovevano aver emanato una luce accecante per splendere ancora così tanto. Una furia abbacinante si agitava in lui, come se stesse negando persino a sé stesso quel forte senso impotenza che lo accompagnava da quando i suoi figli si erano ammalati, e pur rischiando, lei lo aveva colto al volo.

“E se dovessi fallire? Se i miei amati figli morissero?” domandò Arthan, andando dritto al punto.

“Non moriranno! Ma se come spero non riuscissi a curarli, allora... Allora potrete spremermi come un limone, spillandomi ogni goccia di sangue possibile pur di tenerli in vita...” azzardò nuovamente lei, icrociando il proprio sguardo con il suo.

A quel punto Madya reagì, legando i lunghi e folti capelli bruni in una crocchia che infilò prontamente sotto il Dhaka - piccolo turbante che le guaritrici indossavano quando erano in servizio, solitamente adornato da colori e ricami che ne rappresentavano lo status all'interno della gilda - sfidando Arthan a credere in lei in quanto alta rappresentante della propria arte curativa pur sapendo che in caso di fallimento non avrebbe avuto scampo né clemenza da lui.

“Pagherò alla gilda dei guaritori il dovuto, più un forziere d'oro per ognuno dei miei figli! Inoltre finanzierò l'impresa, impegnandomi a firmare un accordo che sia vantaggioso per entrambi... Detto questo, Madya servirà la mia casata a partire da oggi e si aggregherà al mio seguito appena le sarà possibile partire, non più tardi di tre giorni, a partire da ora. Tutto questo non sarà negoziabile e in caso di fallimento, pretenderò che ogni clausula venga rispettata, in caso di successo invece, accondiscenderò ad ogni sua rischiesta, poichè in cambio esaudirò ogni suo desiderio, compreso quello di sposarmi...” propose Arthan, senza ulteriori complicazioni.

A quella affermazione Madya finì quasi per strozzarsi malgrado fosse più che soddisfatta dalla reazione di Arthan che, dopotutto, in qualche modo l'aveva accontentata. L'unica nota negativa stava nel completo sgomento di Antarik, che non potendo ribattere né negare a un committente pagante i servizi della gilda si era chiuso nel silenzio. Non era da lui tacere, e Madya lo sapeva molto bene. Il capo della gilda dei guaritori non era mai stato un uomo remissivo, non uno come lui, con la sua stazza e la sua forza atipica, pensò. Per non contare il peggior carattere che avesse mai visto sfoggiare a qualcuno persino nei momenti migliori visto che Antarik non sapeva mentire, poteva intuirne il disappunto solo a guardarlo, con l'intensa chiarezza della postura rigida e contratta che aveva assunto incrociando le braccia muscolose e possenti quanto quelle del più abile e formidabile guerriero a capo dei Sibir. L'aura nera e tempestosa che lo circondava ricordava in tutto e per tutto la forza di un'ondata distruttiva proveniente dall'Oltre, pensò la giovane. Trasmetteva tutta la rabbia e la frustrazione che Antarik doveva provare in quel momento, se non altro al pensiero di aver perso il solo e unico vantaggio che credeva di aver mai avuto su Arthan, benché ottenere il suo consenso fosse da sempre un tassello indispensabile ai fini della loro missione. Farla diventare una sorta di ostaggio del “Sovrano dell'Ombra” non era mai stato nei piani anche se ormai, a quel punto, era tardi per recriminare.



Intanto, appena sotto il manto stradale, laddove si dipanavano strade e vecchi vicoli ormai dimenticati, due uomini discutevano, ragionando fra loro sugli ultimi accadimenti avvenuti alla gilda dei guaritori quel giorno. Senny Dagmar e Valkya Dunagan - rispettivamente la “Moltitudine” il primo e il “Celato” il secondo - se ne stavano comodamente nascosti dalla semi oscurità che regnava nelle fogne, sorseggiando insieme succo fresco di Mekòn nella vecchia casa sporca e scricchiolante che aveva accolto il contorto figlio dell'Oltre a cui la magia aveva donato il potere di controllare il tempo e aprire portali. Il disgustoso tugurio che grondava d'acqua e fioriva di muffa si adeguava perfettamente ai gusti orripilanti del suo eccentrico padrone, rendendo tuttavia meno confortevole il breve soggiorno a cui Valkya s'era costretto.

“Madya è una ragazza davvero coraggiosa, peccato che non abbia ereditato un pò della sfacciataggine del padre” disse Senny a un certo punto della loro conversazione.

“Non sono d'accordo, per me c'è molto di Rochan Valir in lei! Dei cinque membri fondatori del Cerchio dell'Almandell Rochan era il migliore: tra i più grandi e talentuosi maghi del suo tempo che abbia mai incontrato, ma ti dirò di più, Madya è ancora giovane e il suo potere sta appena sbocciando, ma sono certo che eguaglierà il padre quando ricorderà chi era e cosa ha fatto...” replicò Valkya, pensando improvvisamente al passato.

“Sarà un trauma per quella ragazza, lo sai? Anche se intraprendere questo viaggio servirà proprio a questo! Sbloccare la memoria di Madya è necessario a scoprire dove si trova ciò che resta del Cerchio prima che esploda e per il mondo sia la fine... La nostra piccola guaritrice è l'unica a sapere dov'è visto che Rochan l'ha nascosto per bene, anche se quando accadrà le dirai la verità, giusto? Credo abbia tutto il diritto di sapere chi sei davvero...” aggiunse Senny, strabuzzando gli enormi occhi infossati prima di ruttare.

“Certo che sì, dirò tutto a Madya, solo allora potrà decidere che fare veramente della sua vita. L'ho cercata per quasi trecento anni dopo la tragedia dell'Almandell, anche se devo dire che sia la madre che Antarik, hanno fatto uno splendido lavoro con lei...” dovette ammettere il “Pallido”.


 

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Capitolo 8
*** Il popolo degli Asyr. ***


 

Rivelerò ogni cosa a Madya, così aveva detto Valkya all'amico grottesco, mordendosi nervosamente il labbro al ricordo della sua infanzia mentre i pensieri correvano ai giorni felici passati fra le colonne argentee e scintillanti del palazzo in cui era cresciuto, ben mille anni prima. La razza degli Asyr a cui Valkya apparteneva, si era estinta ormai da secoli, lasciando solo lui e pochi altri eletti a tramandarne le gesta e la storia, comprese le terribili conseguenze della guerra che aveva portato alla definitiva scomparsa dell'unica cosa buona che il cerchio dell'Almandell avesse fatto per un'umanità che invece di salvare, aveva poi finito per distruggere. I canti dei magnifici uccelli che popolavano le verdi terre degli Asyr si propagavano ancora armoniose nelle sue orecchie, così come i nitriti dei cavalli e il rumore dei loro possenti zoccoli a calpestar la terra durante le frequenti battute di caccia a cui la sua stirpe, era avvezza. La sua razza, che già vedeva la nascita di una bambina come un evento raro ormai da secoli, si era vista dimezzare in meno di un decennio dall'arrivo di altre genti provenienti dal mare. Per non parlare della longevità dei maschi rispetto a quella delle femmine, che alla fine di quegli anni morivano sempre più giovani, spesso senza nemmeno raggiungere l'età giusta a procreare. Erano stati l'isolamento genetico e culturale, o la colpa era da attribuirsi alla noia e l'apatia a cui li aveva condotti la loro lunga vita? Cosa li avesse portati sull'orlo dell'estinzione era diventato argomento di discussione e di studio fra i più anziani e vecchi esponenti del suo popolo, tanto da spingerli a fare un passo impensabile per loro, quello di accoppiarsi con le figlie degli umani - così affini e simili a loro nell'aspetto quanto diversi negli intenti - che contavano molte donne e tanti bambini, quanti non se n'erano mai visti tra le file degli Asyr. Un'opportunità di rinascita che invece di salvarli, alla fine li aveva distrutti, riducendoli via via sempre più alla sudditanza, trasformando ciò che restava di loro da signori incontrastati di quelle terre a poco più che ignavi. Era questo che Madya fondamentalmente non sapeva, che i “Pallidi” altro non erano che i discendenti dei figli nati da quelle ibridazioni, figli che, tuttavia, col passare dei secoli avevano iniziato a rimembrare solo nell'aspetto ciò che restava del loro antico retaggio. Sì, perché solo in pochissimi erano in grado di usare le antiche arti magiche appartenenti ai loro grandi antenati, persone come lei o i cosiddetti “Figli dell'Oltre” ad esempio, che in quanto ultimi discendenti degli Asyr avevano ancora magia nelle vene.

“Essere uno degli ultimi Asyr sarà un peso che dovrai portare ancora a lungo sulle spalle, amico mio...” aveva esordito Senny, che proprio grazie a quelle rivelazioni aveva finalmente dato un senso alla sua vita.

I “Pallidi” avevano molto in comune con coloro che come la “Moltitudine” avevano sviluppato poteri magici dopo essere stati investiti dalle ondate energetiche provenienti dall'Oltre, poiché essendo nati come gli altri dall'antico sangue degli Asyr, ne erano i più stretti e diretti discendenti. Era sapendo questo che Senny aveva accettato la natura della sua condizione, forte di una verità che solo in pochi conoscevano.

“Non avremmo dovuto combattere, dovevamo accettare di estinguerci com'era giusto che fosse, invece, la nostra infinita arroganza ha finito per portare il mondo sull'orlo della distruzione...” gemette infine Valkya, che per quanto ci provasse proprio non riusciva a ubriacarsi.

Dimenticare, affogando i propri dispiaceri nell'alcol non gli era concesso. Quello era un privilegio degli umani, così come, dopo mille anni, ancora non gli era concesso di andarsene. Il dolore di quella consapevolezza lo prese improvvisamente alla gola, soffermandosi sul sorriso dolce e privo di ogni tipo di malignità della piccola Madya, che così scioccamente si fidava di lui. Ma per quanto non avesse nessuna intenzione di tradirla, l'omissione della verità che le nascondeva lo faceva ancora soffrire. E Senny come sempre ne rise, così com'era solito fare quando lo sorprendeva indugiare nostalgicamente in quegli antichi ricordi.

“Ci sarebbe piaciuto risparmiarle tutto questo, vero? Invece, la soluzione verterà proprio su di lei e cosa sceglierà di fare quando scoprirà chi è e cosa hanno fatto i suoi genitori per nasconderla la mondo...” terminò di dire Senny, acuendo improvvisamente i sensi più sensibili e sviluppati.

“L'ha aperto!” biascicò poi l'omuncolo, sobbalzando.

“A quanto pare...” aggiunse Valkya, alzandosi di scatto dal suo scranno.




L'onda d'urto sprigionata dalla tentata apertura del baule si propagò per chilometri, scrollando le fondamenta stesse della terra. Sebbene non ne avesse percepito subito il pericolo, la ragazza si trovò letteralmente schiacciata al suolo prima di essere violentemente sbalzata verso il soffitto, come se l'angusto ambiente che conteneva il baule da quasi dieci anni fosse improvvisamente esploso. Madya aveva percepito uno squassone anche prima, nello scendere le scale, ma come sempre non ci aveva fatto caso, allarmandosi definitivamente solo dopo che un'altra piccola scossa sussultoria aveva cercato di farle perdere l'equilibrio, spostandola definitivamente dal prezioso scrigno.

“Madya!” aveva urlato Altay, che sentendo il trambusto sottostante si era catapultato nella cantina.

“Non venire! Non credo sia sicuro... Ahhh!” aveva gridato poi la giovane, ritrovandosi sanguinante col sedere per terra.

“Sta lontana da quel coso allora, spostati da lì!” le aveva suggerito disperato il giovane assassino, cercando di convincerla a rinunciare.

“No, non ci penso neanche...” si incaponì invece lei, determinata a impossessarsi del suo contenuto.

Fu proprio ostinandosi che dal forziere iniziò a fuoriuscire una strana sostanza luminosa, sostanza che proprio a causa di quell'insistenza si mise presto a invadere tutti gli spazi, inglobandoli, lei compresa. Madya ne fu totalmente inghiottita, vedendo solo allora qualcosa di davvero strano e insolito all'interno di quella poltiglia trasparente, liberandosene solo dopo averle visto cambiare forma, polcerizzandosi all'istante a contatto col suo corpo e l'aria circostante. Da quanto stesse per annegare in quel liquido, Madya tornò poi a respirare, temendo il peggio nel costatare l'istantanea moria di tutti gli insetti presenti nella piccola stanza, tornando a pensare razionalmente solo dopo aver visto Altay in piedi incolume sulle scale.

“Cos'è successo? Cos'era quella roba?” domandò spiazzato il giovane Bradesch, che la guardava ancora incredulo.

“Non lo so, vivo in questa casa da quasi dieci anni, ma non era mai successo prima...”aveva risposto Madya barcollando.

“Si tratta di una maledizione potente: sei stato fortunato a non schiattare, ragazzone! Io e Madya invece, possiamo restare” intervenne Valkya, che come sempre era apparso dal nulla.

Madya non si chiese nemmeno perché non fosse stupita di vederlo; Valkya le aveva spiegato quanto e come il suo odore pungente lo raggiungesse sempre ovunque, come in quel caso ad esempio, anche s'era probabile che anche lui avesse avvertito il terremoto causato dall'apertura del baule che lei e Altay stavano cercando.

“Perché lui non può, spiegamelo” s'incuriosì la giovane.

“Perché è solo un umano Madya, e della peggior specie...” tagliò corto il generale, oltrepassandolo.

Al passaggio del generale Altay restò impietrito, incapace di muoversi dall'ultimo gradino mentre tremava di rabbia nell'aspirare quel forte lezzo dal sapore acre. Afferrando istintivamente l'elsa della spada che custodiva gelosamente nel suo fodero, Altay sentì la lama tintinnare nel seguire lo spasmo del suo potente braccio. Lama che, malgrado tutto, alla fine lui non sguainò. Il passaggio di Valkya in quel momento lo aveva terrorizzato, facendolo sentire impotente di fronte a lui. Valkya non era solo in quell'istante, un'aura spaventosa lo accompagnava ad ogni passo che faceva verso il baule contenente l'arazzo, e per quanto ci provasse, qualcosa gli impedì di agire.

“Credo sarebbe meglio lasciassi la cantina adesso, sono certo che al piano di sopra non ci siano pericoli per te al momento. Perciò ti consiglio vivamente di sbrigarti a salire, piccolo assassino...” aveva aggiunto poi il “Celato”, raggelandogli definitivamente il sangue.

Madya notò tutto, lo sguardo pieno di spavento del primo e quello disumano dell'altro, con quegli occhi rosa lampone ridotti a fessure affilate che sprigionavano lampi simili a fulmini. La ragazza avvertì un vuoto simile al primo spostarla ancora al suo passaggio, mentre Altay risaliva al piano di sopra sfogandosi con orribili epiteti rivolti sia al “Pallido” cha al cielo.

“Bravo bambino! Procediamo ora, non abbiamo molto tempo, e tu lo sai” insinuò poco dopo Valkya, prendendola improvvisamente per mano.

Intrecciare le dita con le sue la fece trasalire, immergendola nuovamente nel sogno di prima, quando era stata travolta da quel liquido gelatinoso credendo di affogare. Era stato come tuffarsi ancora nel nulla, aprendole uno spazio sconosciuto davanti, che dal buio più totale si tramutò in un prato immenso e un cielo terso, con un solo albero fiorito all'orizzonte. Dalla piccola cantina era passata a un piano d'esistenza superiore, ritrovandosi a contemplare a distanza la figura di un uomo e di una donna di cui non riusciva a riconoscere bene i tratti. Solo avvicinandosi li vide chiaramente, scoprendo quanto lui fosse alto e bellissimo, con gli stessi occhi rosa di Valkya e gli stessi capelli, che come i suoi erano argentei e lunghissimi. Mentre la donna era certa fosse la madre, benché molto più piccola e giovane di quanto ricordasse. “C'è ne avete messo di tempo!” aveva esordito proprio la figura femminile, sorridendole poi dolcemente.

“Beh, ecco, io non...” balbettò Madya, in preda all'ansia.

“Tranquilla, quello che vedi non è reale, si tratta di un sogno, un ricordo inserito dai tuoi genitori nel baule. Era contenuto nel liquido magico che hanno creato per conservarlo insieme al pezzo del cerchio andato distrutto...” le aveva spiegato brevemente Valkya, stringendo ancor più saldamente la sua piccola mano nella propria.

Solo allora Madya realizzò di essere tornata bambina, anche se con colori e fattezze del tutto diverse. Era consapevole di essere in un sogno, ma provò comunque a muoversi, sentendo il bisogno di correre in contro alle due figure gridando e ridendo, colma di una spensieratezza mai sentita prima. Impeto spezzato dalla presa sempre più serrata di Valkya però, che di fatto le impediva con la forza di allontanandosi da lui.

“Prego, accomodatevi sulla coperta, abbiamo portato biscotti di riso dolce accompagnati da infuso di Perilla...” li invitò ancora la donna, indicando il piccolo accampamento approntato per il pic nic sotto l'albero.

“Tieni Madya, sono i tuoi preferiti!” aggiunse invece l'uomo, dal fare decisamente paterno. In cuor suo Madya aveva capito, le due persone del sogno dovevano essere i suoi genitori, o meglio, i genitori della bambina in cui si era trasformata. Quella bambina aveva la pelle decisamente troppo chiara per essere lei, per non parlare dei suoi capelli, di un candido bianco argentato.

“I miei preferiti?” aveva replicato, per poi cedere all'assaggio.

Capì di ricordarne perfettamente il sapore, divorandone avidamente un secondo e poi un terzo e un quarto, e così via, senza mai sentirsi veramente piena o completamente appagata. Non era reale, niente di ciò che vedeva o sentiva lo era, eppure, in un altro contesto avrebbe giurato che lo fosse. Immersa nei suoi pensieri Madya si rese conto di non aver colto il senso della breve conversazione avvenuta tra loro e Valkya, sapeva solo che alla fine la donna e l'uomo le avevano regalato qualcosa di ingombrante avvolto in un fagotto.

“Ecco, questo è tuo! Conservalo per bene, capito? Ora va, il tempo è scaduto e la strada è lunga...” le aveva infine detto l'uomo, che a guardarlo bene aveva decisamente l'aspetto di un "Pallido".

Accadde solo dopo, nello svanire, che il sogno si trasformò in qualcosa di orribile. Una nube nera, una pioggia incessante e un tuonare così forte da ferir le orecchie. Madya vide poi il pavimento liquefarsi, ritrovandosi immersa ancora una volta nella melmosa solitudine di un'oscurità sempre più abbagliante. Solo aprendo finalmente gli occhi comprese di non aver mai lasciato la stanza, osservando sbigottita il grosso e puzzolente ammasso di stracci che le era apparso ai piedi.

“Mio dio è questo: è l'arazzo di mia madre!” aveva poi esclamato Madya, rivolgendosi ingenuamente proprio a Valkya.

“Così sembra...” le aveva confermato Dunagan, che come al solito, aveva di nuovo cambiato espressione.

Fu ripulendo l'intero fagotto dalla melma magica che lo aveva avvolto per anni che il magnifico tessuto risorse, notando quasi subito quanto fosse danneggiato. Era rovinato al punto da comprometterne quasi irrimediabilmente il ricamo, e questo per via della violenza con cui era stato strappato. Quel malandato pezzo di stoffa era stato squarciato da una forza immane, pensò Madya. Nulla che una bambina ne tanto meno un adulto potessero fare a mani nude, ne concluse poi. Era per via di quel grave danneggiamento che si era optato per la cauterizzazione delle frange affinché non si sfaldassero? Doveva essere così visto che i preziosi fili usati per i ricami erano rimasti insieme solo grazie a quel lavoro certosino, verificando quanto per salvarlo si fosse optato per un altro materiale. Sembrava una sorta di pelle conciata, di un animale sconosciuto o addirittura di un mostro dell'Oltre dal momento che era piena di simboli magici di protezione. Simboli che, malgrado il tempo, sembravano emettere ancora luce e calore se li si toccava anche solo sfiorandoli. Insomma, qualcuno si era dato un gran da fare per salvare ciò che restava del vecchio pezzo d'arazzo intessuto da sua madre, impedendo di fatto che si disfacesse col tempo grazie a qualche maleficio. Madya aveva riscontrato anche quanto il lembo di stoffa fosse grande rispetto a come lo ricordava, prendendone meglio le misure una volta averlo steso per intero sul piccolo tavolo della sua cucina. Non aveva trovato Altay al suo ritorno al piano di sopra; il giovane era certamente uscito a cercare Antarik e gliene fu grata, perché anche lei voleva vederlo.

“Sono stata io, ma è impossibile...” mormorò poco dopo la ragazza, ancora incredula.

“A fare cosa?” chiese Valkya incupito.

“A strapparlo...” rispose lei, del tutto confusa da quel ricordo improvviso.

“Non dire sciocchezze, ragazzina! Guardami Madya, adesso!” le aveva frettolosamente intimato Dunagan, afferrandola poi con forza per le spalle.

“Sì, io... io non ho fatto nulla... Non sono stata io...” aveva ripetuto Madya fissando quello sguardo profondo e terribile, ripetendo quelle parole quasi fosse un pappagallo ammaestrato.

Di nuovo, Madya si sentì confusa, mentre le immagini di quegli istanti passati nel sogno fuggivano via dalla sua mente, sfumando nell'oblio di un passato ormai troppo lontano e difficile da ricordare. Si trovò occhi negli occhi con Valkya quando sentì qualcuno fare irruzione in casa sua, avvisato da Altay, Antarik non ci aveva messo molto a raggiungerla dopo il tremendo terremoto che aveva investito Murwara. Non erano crollate case o c'erano state vittime, ma il terrore non aveva risparmiato nessuno, sprofondando l'intera popolazione della capitale di Patnar nello sgomento più totale.

“Toglile le mani di dosso, subito!” gridò Altay nel vedere Madya fra le braccia del “Pallido”.

“O cosa, piccolo insolente di un Bradesch?” aveva risposto il generale, inconsapevole dell'aspetto demoniaco che aveva assunto dopo aver usato la magia.

“Smettetela, tutti e due! Come sta Madya: è cosciente?” si preoccupò invece Antarik, nel vedere la giovane fissare ancora il vuoto.

“Sì, anche se non del tutto, prendetevi cura di lei e nel frattempo inventate una storia che sia plausibile quando chiederà spiegazioni. Madya non deve sapere la verità sulle sue vere origini, non adesso, non è ora...” annaspò Valkya, che nel tornare normale si era accasciato a terra esausto.

Altay guardò sbigottito suo padre, poi però afferrò la spada. Valkya era inerme, avrebbe potuto ferirlo o addirittura ucciderlo in quello stato, ma un pensiero imperscrutabile d'improvviso lo fermò. Questa volta non era stata la paura a trattenerlo, bensì il buon senso, e certamente, se fosse stato necessario non avrebbe più esitato in futuro. Il “Celato” non era un semplice “Figlio dell'Oltre”: il giovane aveva già visto qualcuno usare la magia, ma mai altrettanto bene. Ricordava “La Moltitudine” ad esempio, il giorno in cui aveva fermato il tempo apparendo dal nulla attraverso il sinistro tunnel di luce che aveva creato. O altri, che aveva conosciuto e ucciso in passato in qualità di Bradesch, i cui poteri non uguagliavano nemmeno lontanamente quelli dei due uomini. I figli dell'Oltre avevano qualità innate, ma nessuno era mai stato in grado di cancellare la memoria di qualcuno trasfigurandosi in un demone per farlo. Chi era veramente Valkya, e perché aveva osato insinuare che Madya non fosse umana?

“Madya ricorderà poco o nulla al suo risveglio, e tu non le dirai niente! Ti spiegherò tutto più tardi, ora però, dobbiamo andare, o finiremo nei guai figlio mio. E in guai grossi...” aggiunse perentorio Antarik, sperando che il ragazzo capisse.


 

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