Brevi storie d'amore senza lieto fine

di Milly_Sunshine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella stella è Kit ***
Capitolo 2: *** L'accordo violato ***
Capitolo 3: *** Tornerò ***
Capitolo 4: *** L'alba di novembre ***



Capitolo 1
*** Quella stella è Kit ***


QUELLA STELLA È KIT

È il 4 gennaio e sono appena scattate le ventidue e trenta. Non fa freddo quanto credevo e sono qui, ad aspettarti, nel cortile di casa tua, quella che ormai è casa nostra.
Il cielo è sereno, le stelle mi inebriano. Chissà, forse tra quelle stelle c'è anche Kit. Non ha mai avuto un nome, ma stasera sento il bisogno di dargliene uno. Non sapevo nemmeno se fosse maschio o femmina, ma sento che era un bambino e si sarebbe chiamato Kit.
Perché proprio Kit? E che cavolo di nome è Kit, cosa significa? Ti immagino, mentre me lo chiedi, e non so cosa risponderti. Anche se ormai non c'è più, sento ancora la sua presenza. Non è più dentro di me, ma è intorno a me, sento il suo sguardo che mi fissa.
Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi: adesso che non ci sei tu posso piangere. Non voglio che tu sappia quanto sto male. Puoi sapere tutto di me, ma non questo. Io ci tenevo davvero a Kit, e so che, anche se mi fai credere che tra noi non sia cambiato nulla, anche tu stai male. Sentiamo il bisogno di nasconderci, mentre rispettiamo l'uno il dolore dell'altra.

* * * ☆ * * *

Vedo una stella così luminosa, la noto mentre svetta tra tutte le altre. Quello è Kit, è il nostro bambino, ne sono certa. Non riesco a credere che non nascerà mai, che a questo punto avrebbe dovuto essere già nato.
Il 23 dicembre doveva essere la data prevista per il parto, ma chissà, magari poteva nascere con qualche giorno d'anticipo, il giorno in cui sia io sia te abbiamo compiuto quarant'anni.
Siamo nati lo stesso giorno, la nostra unione era già scritta nel nostro destino. Peccato non esserci incontrati prima e, in fondo, penso che il passato sia stato meno crudele con te, piuttosto che con me. Abbiamo avuto entrambi una seconda possibilità e, se tu avevi paura che fosse un nuovo fallimento, io avevo addirittura paura di te.
Come ho potuto sfuggirti così a lungo? Come ho potuto credere che la mia vita fosse quella che conoscevo? Solo perché portavo ancora un anello al dito, pensavo di vivere una vita perfetta.
Non lo era.
Vivevo accanto a un uomo che mi odiava senza avere la forza di odiarlo.
Non ce la faccio nemmeno adesso, temo: tutto ciò che provo è terrore.
Sento che mi troverà e non mi stupisce sentire il telefono che squilla.
Rientro in casa, so già che è lui, ha trovato il nostro numero.
Forse vuole dirmi che mi ucciderà, come ha già tentato di fare quando ero ancora sua moglie.
Invece no, dice solo: "Eccoti qui, Viola".
Il suo tono è sorprendentemente calmo: strano, non credevo che fosse capace di parlare senza urlare, e chissà, forse non voleva nemmeno uccidermi, quando mi ha buttata giù dalla barca, pur sapendo perfettamente che non sapevo nuotare. Dopotutto è stato lui a ripescarmi.
Ma ne ha approfittato per prendermi in giro davanti a quei ridicoli dei suoi amici, quelli che ridevano, mentre le loro mogli prendevano il sole in bikini. Erano ridicoli, ma almeno le loro consorti potevano mettersi in costume, io no, si sarebbero visti i lividi che avevo sul corpo.
"Cosa vuoi?" gli chiedo.
"Torna a casa" mi ordina.
C'è qualcosa di dolce, nella sua voce, che mi tiene attaccata alla cornetta. È una sua trappola, come era una trappola quella volta, qualche mese fa, in cui mi aveva contattata dicendomi che potevamo accordarci in prima persona, senza ricorrere ai nostri avvocati.
"Lasciami in pace" rispondo.
I miei occhi scintillano finalmente odio, mentre ripenso alla sua trappola precedente. Non ho mai detto a nessuno che è stato lui a buttarmi giù da quelle maledette scale.
Ho fatto credere a tutti di essere scivolata, non ho mai raccontato che il mio ex marito sapeva che fossi incinta e che un figlio mi avrebbe tenuta lontana da lui per tutta la vita.
"Io e te siamo marito e moglie" mi ricorda la sua voce subdola al telefono.
"Io e te siamo legalmente separati" puntualizzo, "E ringrazia il cielo che non ti ho denunciato per quello che mi hai fatto."
"Io ti voglio bene" replica il mio ex marito. "Io ti amo."
Rido, sprezzante.
"Tu non sai nemmeno che cosa sia l'amore... e questo, di per sé, non sarebbe nemmeno un grosso problema. Non sai nemmeno che cosa siano il rispetto e la decenza, questo è molto più grave."
Ride a sua volta, lo sento altrettanto sprezzante.
"Credi di essere così migliore di me? Solo perché ora vivi in un'altra casa di merda con un tale che fino all'altro giorno impazziva per delle ragazze più giovani di lui di dieci anni, non significa che sei migliore di me. Tra te e quel tizio tutto finirà e tu tornerai da me."
"Io non tornerò mai da te" dichiaro. "Ivan potrebbe lasciarmi anche stasera stessa, ma io non tornerò mai insieme a te."
"Sei solo un'illusa. Ti sei messa con lui solo perché senza un uomo non vali nulla."
Adesso sento di odiarlo. Il disprezzo sta prendendo il posto della paura. Finché si limitava a fare del male a me, non capivo che potevo spezzare la catena alla quale ero legata.
"Non valevo nulla quando stavo accanto a te" gli rispondo.
Io non valevo nulla, fino a qualche anno fa. Non ho problemi ad ammetterlo.
"Io ho fatto tutto quello che potevo, per te" mi dice.
"Ah, sì? Tu hai fatto qualcosa per me? Non farmi ridere. Ti ricordo che mi hai picchiata per anni, che hai tentato di affogarmi... e soprattutto che hai ucciso mio figlio."
"Non volevo uccidere tuo figlio. Era forse la prima volta che ti buttavo dalle scale?"
"Questo no, ma stavolta ero incinta."
Il mio ex marito replica, con durezza: "Tu volevi davvero il figlio di quello stronzo con cui stai insieme?"
"Sì, lo volevo con tutta me stessa. E ora lasciami in pace."
"Una volta avevo una moglie dolce e adorabile, che potrebbe tornare da me. Ripensaci. Cancelliamo tutto. Tu dimentichi questa parentesi lontana da me e io dimentico che mi hai lasciato e ti sei messa con un altro."
"Se me ne sono andata, ti è mai venuto il dubbio che tu fossi un marito di merda?"
Non gli lascio il tempo di replicare e riattacco.
Torno fuori e torno a guardare il cielo, per vedere Kit.
Non so cosa stia succedendo. C'è un'altra stella, accanto a lui, che brilla come non mai.

* * ☆ ☆ * * *

È di nuovo il 4 gennaio, ora non ho più quarant'anni, ma sessanta. Sono passati vent'anni dalla notte in cui te ne sei andato anche tu: un incidente sul lavoro, all'improvviso ho perso anche te.
Dove sei, Ivan? La solitudine mi ossessiona, come mi ha ossessionata per questi vent'anni.
Una nube sta coprendo te e Kit, a volte vi cerco ancora nel cielo, ma non riesco a trovarvi.
Fa freddo, fa molto più freddo, rispetto a quella sera di vent'anni fa, quando la chiamata del mio ex marito tormentava ancora una volta la mia nuova esistenza. Ormai non lo odio più, non fa più parte della mia vita e, per quanto ne so, è finalmente in una clinica a disintossicarsi dall'alcool.
Mi hanno detto che sembra l'ombra di se stesso, ma non ho smesso di odiarlo per compassione. Semplicemente non riesco più a provare alcun sentimento che non sia il rimpianto per quello che poteva essere.
Io e te.
Ivan, perché te ne sei andato, quella sera di vent'anni fa?
Mi hai lasciata qui, con il rimpianto che mi logora dentro e che mi spezza il cuore, in senso metaforico. In senso meno metaforico è quello che rischia di succedere da un momento all'altro, prima dell'operazione.
Mancano poche settimane, dopo andrà meglio e smetterò di ansimare a ogni passo, o di dovere temere per la mia vita ogni secondo.
Abito sola da vent'anni, in questa casa vuota, senza le tue fotografie alle pareti. Non avrei sopportato che non vi fosse alcun ritratto di Kit, accanto ai tuoi. E poi, così, ogni tanto potevo fingere che ci fossimo noi tre, insieme, la famiglia felice che desideravamo essere.
Chissà, forse un giorno rinasceremo, Ivan. O forse no, e allora resterai sempre una stella che brilla accanto a Kit.
Sorrido, mentre vedo le nubi diradarsi. Stasera vi vedo con chiarezza, due stelle luminose, una accanto all'altra. Non vi ho mai visti brillare così tanto.
Di colpo capisco tutto: è questa l'ora in cui te ne sei andato, vent'anni fa. Me ne rendo conto mentre mi manca il respiro e inizio a sentire dolore al petto.
Vi fisso, vedo la vostra luce abbagliarmi. Quella sera Kit è venuto a prenderti e ora siete tornati per portare via anche me.

* * ☆ ☆ ☆ * *

Non so se saprò brillare tanto quanto voi, ma mentre mi accascio a terra mi sembra già di scorgere il mio stesso bagliore splendere nel cielo al vostro fianco.

 

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Capitolo 2
*** L'accordo violato ***


L'ACCORDO VIOLATO

La porta dell'ufficio si spalancò. Caterina sussultò. Generalmente nessuno entrava senza bussare, dopo la sua promozione. Alzò gli occhi. Danilo era davanti a lei e sorrideva, sprezzante.
"Che cosa ci fai qui?" chiese Caterina, aspramente.
Danilo rimase a guardarla, in silenzio.
"Allora?" insisté Caterina. "A che cosa devo l'onore di una tua visita?"
Finalmente Danilo parlò.
"Sono venuto per dirti quello che penso di te, prima di andare via. Sai, era il mio ultimo giorno, oggi, e ho capito subito che dietro al mio licenziamento ci sei stata tu fin da subito."
"Credevi forse di non meritartelo?" gli chiese, con un sorriso. "Tu hai tentato di rovinarmi, fin dal primo giorno. Non potevi aspettarti che non reagissi in alcun modo, che me ne rimanessi ferma a guardare i tuoi sporchi giochi, come ho sempre fatto."
"Sei una schifosa traditrice" replicò Danilo, con freddezza. "Devi sapere, però, che non sei riuscita a fermarmi. Ho avuto un'offerta piuttosto interessante e accetterò quel lavoro."
"Non vedo dove sia il problema" ribatté Caterina. "Hai un certo fascino. Riuscirai a trovare un'altra vittima da rovinare."
"Tu non sei mai stata una vittima" puntualizzò Danilo. "Avevamo un accordo, io e te, e tu hai mandato tutto a puttane."
"Quale accordo? Forse quello di liberarci della presenza intralciante del direttore che aveva cercato di frenare la nostra crescita?"
"Esatto, proprio quello."
"È da un anno che insisti, dicendo che abbiamo fallito per colpa mia. Invece non è vero."
Danilo avanzò verso la scrivania a cui Tina era seduta e, ribaltando a terra alcune carte, obiettò: "Tu ti sei praticamente alleata con lui, cercando di convincerlo che di me si poteva anche fare a meno."
"Cazzate" si difese Caterina. "Non puoi dare la colpa a me per quello che ha fatto mia sorella."
"Certo, tua sorella, ma chi è stato a farle incontrare il direttore? Tu, immagino."
"Eliana è venuta qui a salurarmi, dopo essere tornata, dopo il suo tirocinio a Milano. Lei e il direttore si sono incontrati per caso, punto e basta. Non vado in giro a combinare fidanzamenti, se è questo che pensi di me."
Danilo chiarì: "Non me ne frega niente che tua sorella si sia fidanzata con l'uomo che dovevamo fare fuori. Tu non avresti dovuto metterti dalla sua parte, allearti con lui per tagliarmi fuori e convincerlo a licenziarmi. Non mi interessa proprio niente di cui si scopa quella troia di Eliana."
Caterina si alzò in piedi, di scatto.
"Vacci piano, con le parole. È con me che ce l'hai, non con mia sorella."
Danilo insisté: "Eliana ha iniziato a dirgli che io oscuravo le tue possibilità di successo, che la mia presenza era un danno, che sarebbe stato meglio per te se io fossi stato allontanato."
Caterina sospirò.
"È vero, Eliana l'ha fatto. Ma l'ha fatto solo perché non le andava che io stessi male a causa tua."
Errore madornale: non avrebbe dovuto fare una simile ammissione. Quando le cose con Danilo avevano iniziato a precipitare, ovvero dopo non più di un paio di settimane dalla prima notte che avevano passato insieme, quando si erano giurati amore eterno, gli aveva sempre fatto credere di esserne indifferente. "È solo sesso, quello che c'è stato tra di noi" gli aveva ripetuto più di una volta, per poi correggersi: "quello che c'è tuttora tra di noi". Danilo le aveva sempre creduto, ai tempi, ma non avrebbe continuato a credere.
"Ma tu non stavi male a causa mia" le ricordò Danilo, infatti, in tono sprezzante.
Caterina abbassò lo sguardo. Sì, era stato proprio un errore madornale.
Danilo riprese: "La causa di tutto sei sempre stata tu. Sei tu quella che ha sempre avuto da ridire su tutto. Sei tu quella che non ha mai fatto niente per non far crollare tutto tra di noi. Sei tu che..."
Caterina lo interruppe: "Sei tu che non hai mai fatto altro che recriminare. Tu e nessun altro. E poi, parliamoci chiaro, anche tu hai tentato di mettermi i bastoni tra le ruote, e il tutto mentre con me eri sempre sorrisi e belle parole."
"Sei tu che hai iniziato. Hai violato il nostro accordo e allora mi sono messa contro di te."
"Quindi la traditrice sarei io? Non mi sembra che tu sia stato da meno."
Danilo guardò Caterina con rassegnazione.
"Se continui ad accusarmi, questo discorso durerà per tutta la vita. Perché non ammetti le tue responsabilità, per una volta? Tu hai coinvolto Eliana, sei stata tu la prima a violare il nostro accordo."
"Ti sbagli di grosso" replicò Caterina. "Il nostro accordo non prevedeva che mia sorella non fosse libera di frequentare il direttore. Se si sono messi insieme, non è certo responsabilità mia. Anch'io preferirei che accanto a mia sorella ci fosse un altro tipo di uomo, proprio come lei preferiva che io non frequentassi te."
"Adesso non cercare di giustificarti come fai sempre. Inventare giustificazioni è la cosa che sai fare meglio. Anzi, è l'unica cosa che sai fare. Per il resto, non hai il minimo valore, non sei neanche capace di far godere un uomo. Sei totalmente inutile e non arriverai mai da nessuna parte."
Caterina sorrise.
"Questo lo dici tu. I miei superiori sembrano convinti del contrario. Infatti non c'è da sorprendersi se hanno preferito sbarazzarsi di te, piuttosto che di me."
"Immagino che passerai il resto della tua vita a celebrare questo momento. Fai bene, Caterina. Goditi questo piccolo momento di gloria, perché è l'unico che avrai."
"Almeno io ho avuto questo. Tu nemmeno, e il fatto che tu sia venuto qui senza ragione mi porta a pensare che tu non abbia ancora capito qual è il tuo scopo. Hai sempre detto di odiarmi, perché mai adesso sei venuto da me?"
"Te l'ho già spiegato. Per dirti che cosa ne penso di te, per l'ultima volta, e penso che tu sia la persona più disgustosa che ho mai incontrato."
Caterina alzò le spalle, indifferente.
"Più o meno la stessa cosa che penso io di te."
"La cosa mi è totalmente indifferente" rispose Danilo, avvicinandosi a lei.
"Nemmeno a me importa qualcosa di quello che pensi tu" rispose Caterina, sperando che le si allontanasse.
Sarebbe stato difficile resistergli, specie considerando come Danilo, all'improvviso, si era messo a sorridere, compiaciuto.
"Comunque tutti abbiamo diritto a una seconda possibilità e non mi dispiacerebbe se tu mi dimostrassi che mi sono sbagliato, su di te, che sei capace di farmi godere."
Caterina non poté fare a meno di pensare e ripensare a tutte le volte in cui erano stati a letto insieme, e anche a quelle volte in cui era bastata la scrivania del suo ufficio, quando era ancora la scrivania dell'ufficio di Danilo.
"Non è meglio che tu vada a casa?"
"Sì, sarebbe meglio, e non solo adesso. Avrei dovuto farlo molto tempo fa, quando ho capito che eri stronza ed egoista. Eri come una droga per me e forse lo sei ancora. A volte vorrei che tu fossi solo un sogno. Però esisti e non posso dimenticare il male che mi hai fatto."
"E il male che hai cercato di fare a me, non te lo ricordi mai?"
Danilo scosse la testa, limitandosi a parole vaghe, senza ammissioni: "È stato un errore, fin dal primo momento."
"Abbiamo sbagliato in due" convenne Caterina.
Danilo annuì.
"Già."
Caterina spalancò gli occhi.
"Non avrei mai potuto immaginare che io e te potessimo essere d'accordo su qualcosa."
Danilo sorrise.
"Sono sicuro che c'è anche qualcos'altro su cui la pensiamo allo stesso modo."
"Ovvero?"
Come risposta, Danilo si avventò su di lei e la baciò. Caterina si ritrasse di scatto e lo spinse da parte.
"Non provarci mai più!"
Danilo avvampò.
"Pensavo lo volessi anche tu."
"E chi ha detto che non lo voglio?" ribatté Caterina. "Non così, però." Si avviò verso la porta rimasta spalancata e la chiuse con un calcio. "Va bene, sono quasi le sette, ma potrebbe comunque esserci ancora qualcuno in giro. Vuoi che il nostro 'amico' direttore passi e ci colga sul fatto?"
Danilo rise.
"Ti ucciderebbe, se scoprisse che hai fatto licenziare un valido elemento di questa azienda per motivi strettamente personali."
Caterina girò la chiave nella serratura e percepì una vampata di calore che le attraversava il corpo. Sapeva come sarebbe andata a finire. Era sempre finita così, tra lei e Danilo. Sarebbe tornato da lei, l'avrebbe baciata di nuovo, poi l'avrebbe sbattuta sulla scrivania e avrebbero dimenticato quanto si odiavano.
Non lo dimenticavano mai molto a lungo, ricordò Caterina, mentre Danilo le infilava una mano sotto la gonna, ma al momento non importava.
Non ci volle molto prima che fossero seminudi, parte dei loro indumenti a terra e Danilo dentro di lei.
Più tardi, andò tutto come Caterina aveva previsto. Guardò Danilo mentre si rivestiva e poi mentre raccoglieva la sua camicetta da terra e gliela porgeva.
Sulla seta candida vi era un'impronta, lasciata da una scarpa di Danilo, che si difese: "Non l'ho fatto apposta."
Caterina replicò: "Sì, maledetto bastardo, che l'hai fatto apposta."
"Volevo che tu non mi dimenticassi così in fretta" ammise Danilo, sorridendo. "Mentre la laverai, penserai ancora a me."
"Penserò al momento in cui finalmente avrai quello che meriti."
"Cioè? Parli di quando finalmente capirò che la mia condanna è vivere con te?"
Caterina abbassò lo sguardo.
"Sarebbe una condanna per entrambi. Io e te non potremmo mai essere felici insieme. Non c'è stato un secondo della nostra vita in cui siamo mai andati d'accordo."
Danilo abbassò lo sguardo a sua volta.
"Purtroppo lo so. Tra di noi non potrà mai funzionare. Nonostante quella notte, tanto tempo fa, ci siamo giurati amore eterno: altro accordo andato a puttane."
"Ti sbagli" ribatté Caterina. "Quello che è successo poco fa è la prova vivente che il nostro amore sarà eterno. Io non mi libererò mai di te, tu non ti libererai mai di me. In fondo al cuore non potremo mai fare a meno l'uno dell'altra."
Danilo annuì.
"Hai ragione, anche se è triste per tutti e due. Meglio che vada."
Se ne andò e fece scattare la chiave nella serratura. Uscì senza voltarsi e senza aggiungere una sola parola. Non ci fu nemmeno un ultimo saluto, soltanto l'ennesima lama che andava a conficcarsi in un cuore ferito. Oppure, molto più probabilmente, le lame erano due, così come erano due i cuori feriti.

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Capitolo 3
*** Tornerò ***


TORNERÒ

Il sole sembrava scivolare lentamente in quello sconfinato specchio d'acqua. La stagione delle vacanze era ormai terminata e la spiaggia pareva un'incantevole e deserta distesa di sabbia dorata. Un uomo e una donna, affiancati, camminavano sul molo.
"È meraviglioso il mare, questa sera" mormorò Marina.
La brezza scompigliava i suoi lunghi capelli e gettandole davanti agli occhi le punte castane, facendola rabbrividire, nonostante il calore di quella giornata di settembre.
"Tu sei più meravigliosa del mare" rispose Guglielmo.
Era una frase fatta, le aveva già fatto capire che a lui non piaceva il mare.
Non importava. Marina lo guardò: sorrideva. I suoi occhi lo scrutarono avidamente, adorava vederlo sorridere. Quel sorriso significava tanto, per lei: significava che, mentre la soglia dei quarant'anni era sempre più vicina, ciascuno dei due aveva avuto la propria personale seconda possibilità.
"Andiamo sulla spiaggia?" propose Marina.
"Siamo venuti per questo" le ricordò Guglielmo, in tono piatto.
Gli occhi di Marina si specchiarono negli occhi azzurri di Guglielmo.
"Sì, ma non avevamo ancora pensato a quanto fosse bello vedere il mare dal molo."
Guglielmo guardò ciò che aveva intorno.
"Mia sorella dice di essere fortunata ad abitare qui."
Marina annuì.
"Certo, a parte d'estate c'è veramente poca gente, ma anch'io vorrei tanto vivere in un luogo così meraviglioso."
"Un giorno vivremo in un luogo splendido come questo, te lo assicuro."
"La nostra vita è altrove, abbiamo i nostri lavori."
Guglielmo rise.
"Un giorno non ci saranno più i nostri lavori. Quando saremo anziani, potremo venire a vivere qui."
Marina esclamò: "Non me lo ricordare in ogni momento, tanto invecchieremo lo stesso, anche se non ci pensiamo. Godiamoci quello che abbiamo ora, ce lo meritiamo."
Si erano conosciuti tre anni prima ed entrambi uscivano da relazioni tormentate. Marina aveva creduto di non riuscire a reggere lo shock che le aveva provocato la rottura con quello che aveva considerato l'uomo perfetto e che soltanto a un passo dal matrimonio le aveva confidato di temere il giudizio della propria famiglia e di non sentirsi sicuro di volere sposare una ragazza madre.
Poi aveva incontrato Guglielmo, che al matrimonio c'era arrivato, diversi anni prima: un matrimonio naufragato quando sua moglie aveva iniziato ad arrendersi al potere che l'alcool aveva su di lei. Da quell'unione Guglielmo aveva avuto un figlio, di un paio d'anni più piccolo di Michele.
Pensando al bambino, Marina constatò: "Non possiamo rimanere qui ancora a lungo. Cristina potrebbe essere infastidita dal dovere tenere anche Michele."
"Non c'è assolutamente problema" la rassicurò Guglielmo. "A mia sorella piacciono i bambini, e puoi stare sicura che per lei non fa differenza se Michele è soltanto figlio tuo. Quindi possiamo rimanere qui e andare sulla spiaggia."
Pronunciate quelle parole, prese il telo che la donna teneva in mano, e si avviò verso il punto in cui il molo si incrociava con la spiaggia. Dopo una breve attesa, Marina lo seguì, barcollando lievemente sui tacchi. Non era stata un'ottima idea camminare lungo il molo con i tacchi alti, nonostante fossero le scarpe più adatte al vestito che indossava. Una volta giunta sulla spiaggia se le sfilò, poi raggiunse il suo compagno.
"Stendila qui, la coperta" gli disse.
Guglielmo mise a terra quel vecchio telo, su cui Marina immediatamente gettò le scarpe, poi vi si sedette.
"Sembra che il sole stia tramontando solo per noi due" osservò Marina, nel vedere il mare colorarsi di rosso. "Com'è possibile che siano persone che non si rendono conto della bellezza delle piccole cose? Per essere felici, a volte, bastano i raggi di sole che si riflettono con l'acqua. Il sole e il mare che sono di tutti, ma che per un attimo ti sembra che siano soltanto tuoi."
"So com'è non rendersene conto. Nemmeno io pensavo che fosse possibile, prima di conoscerti" replicò Guglielmo. "A volte mi chiedo come sia stato possibile incontrarti. Quello che c'è tra noi è così perfetto da farmi pensare che finirà presto."
Marina negò.
"Quello che ci lega continuerà a legarci fino alla morte. E non importa se la morte arriverà tra una settimana, tra un anno, oppure tra quarant'anni. Io e te abbiamo scoperto una nuova vita e nessuno potrà negarlo mai."
Marina si alzò in piedi e si diresse verso la riva. Guglielmo, dopo essersi sfilato le scarpe e i calzini e arrotolato i pantaloni sollevandoli fino al ginocchio, la raggiunse.
"Perché mi hai lasciato solo? "le chiese, dolcemente.
Marina si girò verso di lui. Sorrise, ma Guglielmo si accorse che non era serena.
"Perché hai gli occhi lucidi?"
Marina sospirò.
"Stavo pensando a come sarebbe stato se ci fossimo incontrati molto tempo prima."
"È così importante saperlo? Quello che conta è che ci siamo incontrati e che possiamo essere felici insieme, io, te, Manuel e Michele."
Marina avanzò verso il mare. Lasciò che una piccola onda le bagnasse i piedi e le caviglie. Proseguì ancora, fino ad avere l'acqua alle ginocchia. Era fredda, ma non le dispiaceva la sensazione che le lasciava sulla pelle. Forse fu la freschezza del mare a darle il coraggio di girarsi verso Guglielmo e di riprendere a parlare.
"C'è una cosa che devo chiederti" gli confidò.
Guglielmo la guardò perplesso, ma abbassò lo sguardo, abbagliato dal sole che sembrava conficcarsi nel mare.
Andò a raggiungerla, nonostante trovasse l'acqua troppo fredda e l'espressione che gli comparve sul volto non lo nascondesse.
"Qualcosa di importante?"
"Sì. Quando tu e Anna sarete divorziati, vorresti sposarmi?"
Guglielmo abbassò lo sguardo, come se stesse ripensando ai ricordi del suo precedente matrimonio infelice. Marina sapeva che si era ripromesso di non sposarsi mai più, ma credeva fosse giunto il momento di fargli cambiare idea.
A quel punto Guglielmo alzò lo sguardo e rispose: "Se fosse per me, ti sposerei anche domani."
Marina lo fissò e con la mano sinistra accarezzò i suoi capelli neri.
"Speravo in una risposta del genere."
Scattò verso di lui, la sua bocca in direzione delle labbra di Guglielmo. Lo baciò avidamente, carica di passione, finché qualcosa di estraneo e incontrollabile non rovinò quel momento.
"Maledetta onda!" esclamò Guglielmo.
I suoi pantaloni si erano bagnati quasi interamente e lo stesso si poteva dire dell'estremità del vestito di Marina. Lei, però, non si curava degli indumenti inzuppati d'acqua. Guardò il mare che aveva intorno. Quell'onda era stata più alta di tutte le altre.
"E se fosse un segno?"
"Un segno?" replicò Guglielmo. "E di che cosa?"
"Un segno a proposito dei nostri progetto: stavamo parlando di sposarci, un attimo fa."
"E perché mai un'onda dovrebbe impedircelo?"
Marina sospirò.
"Lo so, è strano, ma quando ho sentito l'acqua arrivarmi addosso, ho capito che voleva dire qualcosa. Forse che io e te non ci sposeremo mai."
"Mi sembra decisamente improbabile. E poi, se anche fosse? Non saranno due anelli con i nostri nomi e una data incisa all'interno a cambiare quello che proviamo l'uno per l'altra. Matrimonio o non matrimonio, quello che c'è tra noi due ci sarà sempre."
Le parole di Guglielmo rassicurarono Marina.
"Prima che il mare rovini i nostri progetti per il futuro, cosa ne dici di tornare sulla spiaggia?" le chiese Guglielmo, "Anche perché qui inizia a fare freddo."
Marina annuì.
Insieme a Guglielmo uscì dall'acqua e andarono a sedersi sulla vecchia coperta che avevano appoggiato a terra al momento del loro arrivo.
"Sai, sono felice che tu mi abbia portata qui, a casa di Cristina" osservò Marina. "La tua famiglia sta iniziando ad accettarmi.
"La mia famiglia ti ha sempre accettata" replicò Guglielmo.
"Sai bene che non è così" obiettò Marina. "Tua madre non voleva nemmeno vedermi, quando ha scoperto che ho un figlio. Sei sicuro che approverebbe, se ci sposassimo? Continuerebbe ad accusarmi di volerti rifilare il figlio di un altro e..."
Guglielmo la interruppe: "Basta parlare di mia madre. A parte che non mi stai rifilando il figlio di un altro, perché Michele non ha mai avuto un padre che si occupasse di lui, che cosa me ne importa dell'approvazione di mia madre? Ho trentanove anni, quando ci sposeremo ne avrò quaranta o più, un'età più che sufficiente per decidere se una donna merita o no di diventare mia moglie. Inoltre non è un reato avere un figlio. Anch'io ho un figlio."
"Ma il tuo non è un figlio nato fuori dal matrimonio. Tua madre ci tiene, a questo tipo di cose."
"Mia madre dovrebbe badare un po' agli affaracci suoi, non credi? E comunque non voglio rovinare questa serata parlando di lei, quindi vediamo di cambiare discorso."
Guglielmo si avvicinò a Marina, dandole un lieve bacio sulle labbra.
"Per quanto riguarda Cristina, invece, è felicissima di averci qui. Certo, il fatto che rimaniamo un solo weekend ha contribuito parecchio, ma non è perché le date fastidio tu e Michele. È che a lei piace la solitudine. È quasi un'eremita, dal mio punto di vista."
"È una donna strana, tua sorella" ammise Marina. "Trovo strana la sua scelta di vita."
"In tanti l'hanno trovata strana. Quando suo marito è morto, lasciandole tutto il patrimonio che si ritrova, non aveva che trent'anni. Da allora ha sempre vissuto nel suo ricordo. Anzi, dal mio punto di vista non ha affatto vissuto. Mi raccomando, Marina, se io dovessi mancare, promettimi che non ti ridurrai come lei."
"Non fare questi discorsi. Perché mai tu dovresti morire?"
"Prima o poi dovrò morire, e vorrei che tu riuscissi a vivere con serenità."
Marina sorrise.
"Tu faresti altrettanto, vero, se fossi io ad andarmene?"
"Diciamo che ci proverei" rispose Guglielmo, "Almeno per i bambini.
"E se io dovessi morire, ti occuperesti di Michele?"
Guglielmo annuì.
"Prima di morire, però, dovrai aspettare di avermi sposato, altrimenti non potrei ottenere il suo affidamento."
"Sì, hai ragione" concordò Marina, "Altrimenti finirebbe a vivere con mia madre... e sai che noia?"
"Tu, invece, ti occuperesti di Manuel, se io dovessi mancare?"
"È naturale. Anche se sarà difficile poterlo fare, dato che una madre già ce l'ha."
"Vista la madre che si ritrova..."
"Anna ce la sta mettendo tutta. Si sta impegnando. Sono sicura che presto starà meglio. Mi auguro che possa stare meglio."
"Lo spero anch'io. Ha fatto tanti errori, ma merita un po' di felicità anche lei."
I due rimasero in silenzio, a fissare il mare che attendeva che calasse la sera. A Marina parve di avvertire una fitta al cuore, nel momento in cui i suoi occhi andavano a cercare il rosso del tramonto che si rifletteva sull'acqua. Il bagnato sul vestito che indossava le ricordò quell'onda.
Guardò Guglielmo.
"Ho paura" gli confidò.
"Paura di che cosa?" le chiese Guglielmo.
"Paura di tutto, è da troppo tempo che combino casini. Mi sembra strano, adesso, l'essere riuscita a trovare una stabilità. Avrai capito che non sono perfezionista come te."
Guglielmo sorrise.
"Non hai più bisogno di essere perfezionista. Io lo sono talmente tanto che posso esserlo anche per te."
Anche Marina finì per sorridere.
"Inoltre vorrei poter dimostrare a mia madre che non valgo così tanto di meno, rispetto alle mie sorelle. Lo so, non dovrei preoccuparmene, ma questa cosa mi tormenta. Il suo giudizio non sono mai riuscita a ignorarlo."
Guglielmo abbassò lo sguardo.
"Tua madre ha cercato di renderti la vita impossibile."
"Non è proprio così" replicò Marina. "Diciamo che non le è mai andato giù il fatto che Michele sia nato fuori dal matrimonio. E torniamo sempre sullo stesso punto, sembra che sia un problema così grande."
Guglielmo le confessò: "Tua madre ne ha parlato anche con me."
Marina si girò di scatto verso di lui.
"Che cosa ti ha detto? E quando?"
"Tempo fa, quando siamo andati a pranzo a casa sua" le spiegò Guglielmo, "Mentre tu e tua sorella siete andate in cucina a tagliare il dolce, tua madre mi ha preso da parte e mi ha suggerito di fare attenzione a te. Ha detto che non sei una persona affidabile e che non sei in grado di tenerti stretta gli uomini e che era sicura che anch'io avrei finito per lasciarti."
"Fantastico. È questo che pensa mia madre di me? Perché non me l'hai detto?"
"Perché ti sarebbe dispiaciuto."
Marina concordò: "È vero, ci sarei rimasta malissimo. Però, adesso, a pensarci bene, non dovrei preoccuparmene. Anche perché mia madre non sa come stanno veramente le cose."
"A che proposito?"
"A proposito del padre naturale di Michele."
Era un argomento di cui Marina non gli aveva mai parlato.
"Chi è?" le chiese Guglielmo.
"Un perfetto idiota" rispose Marina. "Ebbi con lui una breve relazione di cui subito mi stancai. Mi ero resa conto, finalmente, di che tipo fosse. Mi sembrava uno che non avrebbe mai concluso niente nella vita così, quando scoprii di essere incinta, invece di andare a cercarlo, sparii. Tutti credono che sia stato lui a lasciarmi, ma sono stata io. Non lo volevo come padre per mio figlio, piuttosto era meglio crescerlo da sola."
"Sei stata una donna coraggiosa" osservò Guglielmo. "E lui? Ti ha più cercata? Ha scoperto dell'esistenza di Michele?"
"Se voglio sparire, io sparisco davvero."
Guglielmo la fissò.
"Lo immagino. So quanto tu sia determinata. Spero soltanto che non riserverai lo stesso trattamento anche a me."
Marina rise.
"Non credo che tu farai mai qualcosa per meritartelo, quindi, da questo punto di vista, puoi stare tranquillo."
Guglielmo stava per dire qualcosa, ma Marina non gli lasciò il tempo di parlare e si impossessò delle sue labbra. Fu un bacio profondo e passionale, quello che si scambiarono, stavolta senza che l'ambiente circostante potesse disturbarli.
Marina chiuse gli occhi, mentre Guglielmo le abbassava e spalline del vestito.
"Io non sparirò" sussurrò Marina. "Con te non sparirò mai."
Guglielmo rispose: "Nemmeno io sparirò mai. Non sono bravo come te a sparire. Quindi, se un giorno dovessi credere che io sia sparito, puoi starne certa: tornerò."

******

Il sole sembrava scivolare lentamente all'orizzonte, un orizzonte che non si vedeva. Le case coprivano la visuale stupenda che senza dubbio si poteva ammirare dal molo o dalla spiaggia.
Il cancello era accostato e Marina si guardò intorno. Nessuno la vide, nessuno fece caso a lei, fasciata nel suo lungo abito di raso nero. Entrò più in fretta che poteva e si addentrò nel giardino, dedicato alla memoria del marito defunto di Cristina. Quella donna continuava a vivere nel suo ricordo e la casa che lui le aveva lasciato in eredità era divenuta nel tempo una sorta di mausoleo in suo onore.
Era già così l'ultima volta che Marina l'aveva vista, tanti anni prima, durante quella breve vacanza con Guglielmo e i bambini. Ricordò la sera in cui lei e Guglielmo erano andati alla spiaggia al tramonto. "Tornerò", le aveva detto Guglielmo quella sera, prima di fare l'amore con lei e di addormentarsi al suo fianco sulla spiaggia.
"Tornerò", aveva detto Guglielmo, ed era questa la ragione per cui Marina aveva fatto tanta strada. Voleva andare alla spiaggia. Era impossibile incontrare di nuovo Guglielmo, ma almeno avrebbe avuto l'illusione di averlo un po' più vicino, andando sul luogo in cui si erano scambiati la loro promessa di un futuro matrimonio.
Nel piccolo angolo del giardino dedicato al "resto del mondo", alcune targhette di ottone giacevano spente e piene di polvere, con le loro dediche a chi non c'era più.
Con la mano destra, Marina pulì come poteva una di queste. Vi era scritto: "in ricordo del nostro Guglielmo, 7 luglio 1949 - 18 ottobre 1988".
Non vi era null'altro, soltanto il nome di un angelo e il breve periodo che aveva passato sulla Terra.
"Mi manchi, amore mio, non puoi immaginare quanto mi manchi" mormorò Marina.
Di colpo, a distanza di quasi dieci anni, comprese per la prima volta quale fosse lo stato d'animo di Cristina: perenne attesa di qualcosa che non poteva accadere, impossibilità di trovare una spiegazione. Perché proprio lui? Una domanda che la stessa Marina si poneva da troppo tempo.
Una finestra che sbatteva la scosse. Alzò gli occhi dalla piccola targa commemorativa dell'uomo che non aveva fatto in tempo a sposare. Era entrata abusivamente in una proprietà privata, era meglio andare via, specie considerando che quella proprietà privata era di Cristina, che l'aveva allontanata insieme a Michele subito dopo la morte di Guglielmo.
Cristina e gli altri parenti stretti avevano mosso contro di lei accuse false, arrivando a sostenere che Guglielmo avesse mandato a monte il proprio matrimonio a causa di Marina e che la sua ex moglie Anna fosse precipitata nel tunnel dell'alcolismo per quella ragione.
"Me ne sbatto delle vostre maledette favole" si disse Marina. Avevano semplicemente voluto evitare che Manuel si affezionasse a lei. Le avevano impedito di vederlo, dopo che aveva iniziato a considerarlo come un figlio proprio. "Maledetti. Quando Guglielmo e Anna si lasciarono, io e lui nemmeno ci conoscevamo."
Doveva andarsene subito. Giunta finalmente al cancello, uscì silenziosamente quanto era arrivata. Per poco non le scivolò a terra la coperta che teneva stretta a sé. Era la stessa su cui si erano sdraiati lei e Guglielmo quella notte di dieci anni prima.
Marina si diresse alla spiaggia. Sentì un tuffo al cuore: erano passati dieci anni dall'ultima volta che vi si era recata e in quei dieci anni erano cambiate tante cose, ma non per lei. Era ancora la stessa donna di allora, in attesa di un matrimonio che non sarebbe mai stato celebrato. L'unica differenza era che adesso, a differenza di allora, ne era consapevole e non si faceva più illusioni. Si sfilò le scarpe e iniziò a percorrere quella distesa di sabbia. I colori del tramonto avevano la forza di abbagliarla, mentre il mormorio del mare le rimbombava nelle orecchie. Stese il telo a terra e si sedette.
"Guglielmo, dove sei?" domandò, ad alta voce.
Naturalmente non udì alcuna risposta, ma le parve che il rumore emesso dalle onde fosse aumentato. Le onde stesse sembravano essersi fatte più intense. Verità o suggestione? Marina non era in grado di comprenderlo. Non era più in grado di comprendere la realtà che la circondava, restava semplicemente in attesa, per giunta senza essere sicura di ciò che stava aspettando.
"Guglielmo..."
Il suo urlo si spense mentre il vento le spettinava i capelli. Si alzò in piedi, si guardò intorno, come inebriata dai raggi del sole. Avvertiva la presenza di Guglielmo nell'aria, nelle onde, nel cielo rossastro, dentro di lei.
"Marina" mormorò il mare.
Verità o suggestione? A Marina parve che l'acqua la stesse attirando a sé. Le sembrava la voce di Guglielmo, che la richiamava dal profondo degli abissi.
"Assurdo" provò a dirsi. Perché Guglielmo avrebbe dovuto chiamarla dal profondo degli abissi? Era morto su una strada, investito da un camion mentre era a bordo del suo motorino, a chilometri e chilometri di distanza da quel luogo; nulla aveva più a che vedere con quel tratto di mare in cui per un attimo avevano vissuto il loro incanto.
"Marina!"
Alzò gli occhi, guardò da dove la voce provenisse. La voce non veniva dal mare, e quando Marina se ne rese conto comprese che non bisogna mai perdere le speranze.
"Marina, sei tu?"
Lo guardò avvicinarsi. Non riuscì a trattenersi.
"Guglielmo" sussurrò, prima che l'ultimo barlume di raziocinio che le era rimasto la mettesse di fronte la propria stupidità.
Perché Manuel era così maledettamente uguale a suo padre, soltanto di vent'anni più giovane rispetto a com'era Guglielmo quando se n'era andato?
Il ragazzo si avvicinò a lei, andò a raggiungerla sul telo su cui era seduta.
"Marina, mi sei mancata tanto."
Lo guardò, come se fosse stato al di là di una lastra di vetro. C'era qualcosa di incomprensibile, in lei, e se ne rendeva conto. Come poteva vedere Guglielmo dentro a colui che per un paio d'anni aveva considerato come un figlio? Lo abbracciò, per la prima volta dopo dieci anni.
Quando il loro abbraccio si sciolse, gli occhi azzurri di Manuel la scrutarono a lungo.
Marina gli confidò: "Ti stavo aspettando."
Perché si rivolgeva a Manuel con l'idea di parlare a Guglielmo? Non poteva essere soltanto la loro somiglianza, doveva esserci qualcosa di più. Sì, ne era sicura: non aveva di fronte semplicemente il figlio dell'uomo che aveva amato tanto e perduto troppo presto.
Manuel sorrise.
"Mi dispiace che non ci siamo più visti" le disse, come a giustificarsi. "La mia famiglia non ci teneva e... e poi mia madre, quando si è ripresa, mi ha portato in un'altra città." Marina annuì. Anna si era portata via Manuel, si era portata via quella copia più giovane di Guglielmo, che adesso le chiedeva: "E tu, Marina? Hai trovato la tua strada? Ti sei sposata? Hai avuto altri figli?"
Marina negò.
"Io ti ho aspettato, Guglielmo."
Manuel cambiò discorso.
"Come sta Michele?"
"Bene. Lo saluterò da parte tua, se vuoi."
"Sì, volentieri."
Marina sorrise, tornando alla carica.
"Guglielmo, perché mi hai fatto aspettare così tanto?"
Manuel sospirò, prima di replicare, in tono gentile: "Mi dispiace, ma non sono Guglielmo."
"Per me è come se lo fossi" rispose Marina. "Tu non puoi non essere Guglielmo. È da quasi dieci anni che ti aspetto. Quella sera di dieci anni fa, su questa spiaggia, mi hai promesso che non te ne saresti mai andato definitivamente. Ho atteso abbastanza, ormai."
"Marina, mio padre non c'è più e io non sono lui. Devi accettare la realtà, mio padre non..."
La voce del ragazzo si spezzò.
Marina replicò: "Non mi interessa se non c'è più. Lo rivedo nei miei sogni, rivivo ogni notte quello che è accaduto il giorno dell'incidente. Ogni notte il finale è diverso, ma Guglielmo riesce sempre a cavarsela. Poi la notte finisce e la realtà mi piomba addosso. Non so se lo sai, Manuel, ma non c'è niente di più terribile che sognare qualcuno che se n'è andato. Nel sogno rivive, solo per te, e appena ti svegli ti rendi conto che ormai è morto e non lo rivedrai più. Non hai idea di quanto sia straziante."
"Non è una buona ragione per cercare Guglielmo in me" obiettò Manuel.
Marina lo guardò negli occhi.
"Lo credi davvero?"
Manuel abbassò lo sguardo.
"Ti prego, sii Guglielmo, solo per me e solo per stasera."
Manuel alzò lo sguardo, infine annuì.
"Non andartene più" lo supplicò Marina. In quell'istante eterno il suo disagio svanì e la lieve consapevolezza di avere di fronte un ragazzo di diciassette anni e non l'uomo con cui avrebbe voluto condividere il resto della vita si disintegrò definitivamente, mentre il tramonto colorava di rosso lo specchio d'acqua vicino a loro.
Il ragazzo sorrise. Non si ritrasse quando sentì le labbra di Marina entrare in contatto con le sue, non si ritrasse nemmeno quando la donna gli infilò la lingua tra le labbra.
Dovevano dirglielo tutti, in continuazione, che era identico a Guglielmo. Doveva essere quella la ragione per cui si era piegato a sottostare ai desideri di Marina.
Le loro labbra si staccarono e allora Marina gli disse: "Amore mio, non sai quanto mi sei mancato. Non poterti baciare, in questi dieci anni, è stato straziante."
"Straziante, sì, ma non quanto sia stato per me baciarti adesso" replicò Manuel, di colpo.
Fece per alzarsi in piedi, voleva andarsene, ma Marina lo trattenne. Con una mano iniziò a sbottonargli la camicia, mentre con l'altra gli accarezzava i capelli.
"Ti prego, Marina..."
"No Guglielmo, non dirmi di no."

Manuel si arrese. Mentre Marina gli sbottonava la camicia, ripensò a tutte le volte in cui non si era opposto, in quei dieci lunghi anni, quando veniva paragonato a suo padre o qualcuno rimarcava la loro somiglianza.
Mentre sentiva il corpo di Marina sopra di lui, non poteva più reclamare ciò che non aveva mai reclamato in dieci anni.
"Guglielmo, staremo sempre insieme, io e te."
Furono le ultime parole che udì, mentre si rendeva conto di non sentirsi più se stesso, mentre Marina lo spogliava.
Più tardi, Manuel si risvegliò sotto il vento sempre più forte che soffiava dal mare. I ricordi di quella sera gli precipitarono addosso in un istante quando vide Marina, completamente nuda, accanto a lui. Non riusciva a credere di avere davvero fatto l'amore con lei, e poi, come se nulla fosse accaduto, di essersi addormentato con lei, l'uno tra le braccia dell'altra, sulla spiaggia deserta.
Fortunatamente Marina dormiva ancora, così non gli fu difficile raccattare i propri vestiti e indossarli, per poi andarsene senza attirare la sua attenzione.
La luce del faro spezzava il buio della notte.
Meglio così, pensò, cercando l'orologio dentro la tasca dei jeans. Riuscì perfettamente a scorgere l'orario: mezzanotte e un quarto. Sospirò di sollievo, sua zia Cristina l'aveva pregato di essere in casa a mezzanotte. Affrettandosi, sarebbe stato a casa per mezzanotte e un quarto. Quindici minuti potevano essere giustificati facilmente, inventandosi di avere fatto tardi con degli amici o con una ragazza.
Solo mentre correva verso quella sorta di mausoleo in cui la zia lo stava ospitando, Manuel si sorprese di se stesso. Come poteva pensare al proprio banale ritardo, dopo quello che era accaduto?
Era disgustato, non dalle azioni di Marina, ma dalle proprie. Non era stata Marina a ingannare lui, ma lui stesso a ingannare Marina, poco importava che essere ingannata fosse il suo desiderio.
Continuò a correre, rievocando la sua infanzia, quando Marina gli faceva da madre, e iniziò ad avvertire un forte senso di nausea.

Mentre l'alba rischiarava la spiaggia, Marina finì di rivestirsi. Doveva andarsene, sparire il più lontano possibile. La sua automobile non era tanto lontana. Avrebbe potuto raggiungerla senza essere notata, a quell'ora non c'era nessuno in giro.
Fece per raccogliere la coperta, ma al momento di lasciare la spiaggia decise di non farlo. Era un ricordo di dieci anni prima e apparteneva a quel luogo. Era giusto che rimanesse lì. Il mare non era in grado di fare del male alla memoria di Guglielmo, né tanto meno a se stesso. Lei sì, ne era stata capace. I ricordi della sera precedente la scioccavano. Non aveva sentito Manuel andarsene, quella notte, ma lui l'aveva fatto, senza lasciare traccia.
Le era indifferente. Non si sarebbero visti mai più, non poteva certo riapparire nella sua vita. Se ne sarebbe andata, così come Guglielmo se n'era andato via da lei da ormai molto tempo. Si era solo illusa, la sera precedente.
"Tornerò" le aveva detto Guglielmo, tanti anni prima, ma non era così: non sarebbe tornato mai più e doveva accettarlo.

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Capitolo 4
*** L'alba di novembre ***


L'ALBA DI NOVEMBRE

Si stava facendo tardi e i negozi, nelle cui vetrine spiccavano i colori delle candele a forma di zucca rimaste invendute, stavano iniziando ad abbassare le serrande. A casa erano ormai sei mesi che non trovavo mai nessuno ad aspettarmi, non avevo motivi per affrettarmi. Nonostante novembre fosse ormai alle porte era una bella serata e, anche se sotto i lampioni del centro abitato non si vedevano, il cielo buio era indubbiamente rischiarato dalle stelle. Soltanto un filo di vento di tanto in tanto mi faceva rabbrividire, ma non me ne curai e m’incamminai verso la strada che mi avrebbe condotta nella mia casa vuota.
Deviai come attirata da una voce e mi tornò in mente mia madre, che quando ero bambina era solita raccontarmi le sue strane storie: «Nella notte di Halloween gli spiriti dei morti tornano sulla Terra, invitano i loro cari a seguirli e, se questi non riusciranno a fuggire prima dell’alba, li porteranno con sé».
Mia madre aveva una mente geniale per le storie macabre, almeno prima di abbandonarmi e di costruirsi una nuova famiglia, ma non le avevo mai creduto.
«Le persone che non ci sono più e che ci volevano bene non ci porteranno mai con loro» ero solita replicare.
«Non credermi, se preferisci, ma un giorno scoprirai a tue spese che ho ragione io» decretava lei a quel tempo, cosa che ormai non accadeva più da oltre vent’anni.
Ero cresciuta senza di lei, che senza dubbio non mi avrebbe nemmeno riconosciuta, se mi avesse incrociata per strada: non ero più sua figlia, ero semplicemente una sconosciuta sulla trentina a cui non valeva la pena di prestare troppa attenzione.
Scacciai con difficoltà il pensiero di mia madre e continuai a seguire il mio istinto che mi pregava di allontanarmi sempre più dal centro abitato. Guardai il cielo: le stelle non erano mai state così nitide.

***

Le stelle non erano mai state così nitide, ma lei era quella che brillava più di tutte. Non la vedevo da oltre sei mesi, ma sentivo che qualcosa ci univa ancora. Mi veniva incontro mentre si faceva notte, sembrava un angelo smarrito alla ricerca di qualcuno che le indicasse la strada da seguire. I suoi occhi dolci cercavano nel buio qualcosa che non c’era oppure qualcosa che non erano in grado di percepire.
«Sono qui» le dissi.
Naturalmente non poté udire il fruscio spento che era ormai la mia voce, eppure qualcosa nella sua espressione mutò.
Si guardò intorno, sospettosa.
«C’è qualcuno?» domandò a voce troppo bassa.
«Sono qui» ribadii, mentre lei sgranava gli occhi.
«C’è qualcuno?» ripeté.
Mi avvicinai a lei. Avrei dato qualsiasi cosa per poterla baciare e mi rallegrai al pensiero che molto probabilmente sarei riuscito a portarla via. Sarebbe stata mia per tutta l’eternità, io e lei saremmo tornati ad essere uniti come eravamo un tempo.
Allungai una mano e le sfiorai una ciocca di capelli che le ricadeva davanti al volto.
«Sono tornato» le dissi. «Sono tornato e non me ne andrò finché ti avrò costretta a seguirmi.»

***

Un filo di vento mosse i miei capelli. Non erano i racconti di mia madre a spaventarmi, nessuno spirito era venuto a prendermi, ma non era comunque raccomandabile vagare per la campagna buia e deserta a quell’ora della sera. Non avevo paura dei morti, ma i vivi mi spaventavano eccome: probabilmente c’era qualcuno nascosto da qualche parte che mi avrebbe puntato un coltello alla gola e mi avrebbe costretta a consegnargli il mio portafoglio... o peggio.
Sperai che ci fosse lui a proteggermi, nell’oscurità, a darmi un segnale, ma dubitavo che fosse possibile.
«Non puoi fidarti di nessuno» mi ripeteva mia madre. «Una volta che passano dall’altra sponda iniziano a invidiarti perché tu sei ancora di qua, mentre per loro è finita. Vogliono portarti con loro e insisteranno finché non l’avranno fatto.»
Se ci fosse stata lei, mi avrebbe detto che l’uomo che amavo si era dimenticato di tutte le nostre promesse di amore eterno e che l’unico desiderio che provava era mettere termine alla mia vita, proprio come si era già conclusa la sua.
«Ma tu puoi sentirmi, vero? Sei lì da qualche parte e non mi faresti mai e poi mai del male. Tu mi amavi, lo so.»

***

«Io ti amo ancora» risposi «e se sono qui è proprio perché non posso stare lontano da te. Io e te eravamo due anime gemelle e la morte che ci ha divisi deve riunirci. Non posso permetterti di rimanere sola...»
Non è la verità, è chiaro: lei se la stava cavando benissimo anche senza di me, ero io che mi sentivo perso. Scoprire che quella notte avrei potuto rapirla e portarla con me per tutta l’eternità era stata una forte spinta: avevo deciso, non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione.
«Ma ricorda: se non riuscirai a convincerla a seguirti entro l’alba del primo novembre, dovrai tornare indietro da solo e per un anno intero non potrai più rivederla.»
Un anno era il nulla, per me che avevo l’eternità di fronte, e in ogni caso non avrei avuto difficoltà: lei mi amava quasi quanto la amavo io - dal momento che il mio amore era così forte, non pensavo che potesse arrivare ad eguagliarlo - e non avrebbe esitato a seguirmi.
Ebbi l’impressione che mi avesse notato.
«Tu vuoi che io venga con te?» mi chiese. «È proprio come diceva mia madre?»
«Io non ti obbligo a seguirmi» risposi col mio tono subdolo. «La scelta è tua, ma sappi che una donna che ama davvero può fare soltanto una scelta.»
Mi guardò senza capire e io sperai che davvero non comprendesse che si trattava soltanto di un’ingiusta imposizione.

***

“Devo essere impazzita all’improvviso” mi dissi, quando realizzai che stavo parlando con lo spirito dell’uomo che avevo amato tanto e che amavo tuttora. Mi sembrava di udire la sua voce e, fissando con molta attenzione l’oscurità, di riuscire a scorgere i suoi occhi scuri. Mi spiegava che dovevo seguirlo, se volevo mostrargli il mio amore.
«Tu non ci sei» decretai ad alta voce, nella speranza di convincermene. «Vedo cose che non esistono, anche se ho più di trent’anni mi lascio ancora influenzare da quello che mi raccontava mia madre quando ero bambina.»
«Ma tua madre aveva ragione!» ribatté lui. «Sono qui perché la mia vita è stata troppo breve perché tu potessi dimostrarmi il tuo amore.»
«Non dire idiozie» replicai. «Ti ho dimostrato il mio amore giorno dopo giorno, ora sei ingiusto a negarlo.»
«Ma non lo stai dimostrando ora.»
Vidi la sua figura farsi più definita.
«È troppo riduttivo giudicare così, non credi? Sei cambiato.»
Fece una risatina.
«Credi che la morte non ci cambi?»
Sospirai, rassegnata. Lui non c’era più, c’era soltanto un’ombra che si spacciava per lui e che, forse, all’alba di novembre sarebbe scomparsa.
Mi tese la mano.
«Vieni con me» mi ordinò. «Dimostrami che provi anche tu quello che provo io.»

***

Le voltai le spalle.
«Lo sapevo che non potevo fidarmi di te.»
Non aveva più senso aspettare l’alba, decisi che non sarei mai tornato da lei.
«...Ehi, aspetta!»
La sua voce mi fece rinascere. Mi girai di scatto, mi stava venendo incontro.
«Hai ragione, io e te siamo fatti per stare insieme, non posso rifiutarmi di seguirti.»
La guardai negli occhi e compresi che non ero nessuno per chiederle un sacrificio così grande.

***

Il cielo si stava rischiarando a est.
«È ora di andare?» gli chiesi.
Annuì.
«Tu rimani qui» aggiunse.
Lo guardai senza capire.
«Se un giorno rivedrai tua madre» mi suggerì, «dille che non sempre la morte ci fa diventare egoisti come ti raccontava lei.»
Si avvicinò e mi baciò su una guancia.
«Ora non ho più tempo» disse, indicando il cielo. «Sappi che non ti dimenticherò mai.»
Lo fissai mentre se ne andava, finché non divenne talmente sfuocato da sembrare invisibile.
«Nemmeno io ti dimenticherò mai.»

 

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