two slow dancers

di eeuphoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** to think that we could stay the same ***
Capitolo 2: *** but we’re two slow dancers ***
Capitolo 3: *** last one’s out ***



Capitolo 1
*** to think that we could stay the same ***


𝐭𝐨 𝐭𝐡𝐢𝐧𝐤 𝐭𝐡𝐚𝐭 𝐰𝐞 𝐜𝐨𝐮𝐥𝐝 𝐬𝐭𝐚𝐲 𝐭𝐡𝐞 𝐬𝐚𝐦𝐞


 

E davvero ti credevi invincibile. Pensavi che in questa vita priva di senso per te non ci fosse niente da perdere. Quando la disperazione dell'esistenza era sbiadita in una noia acromatica e le stelle nel cielo d'estate si erano spente, avevi pensato che questo mondo non avesse più niente da offrire.

Ti sei convinto di essere vuoto; non un essere umano, ma qualcosa che ne aveva l'aspetto e si comportava come tale. Una figura di uomo modellata con polvere e ombra —una copia difettosa dell'opera che Dio aveva creato dall'argilla. Credevi di non sapere che gusto avessero le emozioni. Ti sei chiesto quanto male potesse fare il dolore, quanto fossero bollenti la rabbia e l'amore, se davvero la paura mozzasse il fiato. E ti sei dimenticato di averle provate anche tu, in un tempo così lontano che sarebbe potuta essere la vita di qualcun altro.

Guardando gli esseri umani, quelli veri, migliaia di volte li hai invidiati e milioni li hai derisi. Tu con il tuo intelletto geniale, senza nulla da perdere e senza conoscere la pietà, non hai avuto problemi a farti strada in un mondo di cani randagi —la violenza e il sangue ti si sono attaccate alla pelle e neanche l'acqua santa sarebbe stata in grado di lavar via tutti i tuoi peccati.

Squalificato come essere umano, cos'altro potevi essere, Dazai Osamu? A lungo hai cercato una risposta. Per camminare in un mondo che in realtà è la rappresentazione dell'inferno hai allestito uno spettacolo pittoresco, raffinato nei dettagli. Hai studiato ogni tuo gesto e ogni parola —la sua pronuncia e la lunghezza della pausa dopo la precedente e prima della successiva— così da dare una parvenza di umanità e un senso di inquietudine per ciò che essa celava.

Dazai Osamu, squalificato come essere umano, senza nulla da perdere, pronto a sacrificare ogni cosa.

Qui e ora scopri che qualcosa da perdere in realtà ce l'avevi, e tutto ciò che su di te si diceva e a cui credevi anche tu alla fine non erano altro che storie. E niente era vero. Ora ricordi che la rabbia è un incendio sotto pelle, che la paura prosciuga l'aria dai polmoni, che il dolore è fisico ed erode gli organi.

Ricordi di avere un cuore che ti batte nel petto e fa male, riecheggia tra le costole e il marmo lucido del corridoio —o forse quello che senti è un suono di passi; potrebbe essere la realtà o un'illusione della tua mente, non sei più in grado di dirlo. Non sei neanche sicuro di essere sveglio, dopotutto qui l'aria ha l'odore di un incubo.

Seguire il boss della mafia all'interno di uno dei loro edifici significa varcare di spontanea volontà la soglia dell'inferno, ma a te non importa. Forse è una trappola. Probabilmente lo è. Vorresti che fosse una trappola, Osamu. Lo vorresti così tanto che preghi un dio in cui non credi —tu, il peccatore.

Tre passi avanti a te, Mori ti precede con Elise al suo fianco. Ti concentri sulla bambina per non pensare ad altro, o forse per pensare a qualcosa; trovi ci sia un che di spettrale nel modo in cui la scarsa illuminazione crea giochi di ombre tra i boccoli biondi e le pieghe rosse dell'abito. Spettrale ed elegante, ipnotico. Ha la sicurezza di una regina nel suo castello, e dopotutto la Port Mafia è un po' il suo parco giochi.

Come se i tuoi pensieri l'avessero chiamata, Elise si volta e ti osserva con uno sguardo del colore del cielo —ti ritrovi a pensare che odi gli occhi azzurri più di qualsiasi altra cosa al mondo. «Siamo arrivati» ti avverte la sua voce di bambina.

E, Osamu, forse quella è la voce del diavolo. Perché davanti a te si staglia una porta di metallo che è l'anonimo cancello del regno dei morti.

Se c'è qualcosa di te che possa valer la pena salvare —se, nonostante le catene dei tuoi peccati avvolte attorno ai polsi, c'è ancora un tenue bagliore sepolto nel sudiciume del tuo animo— allora non puoi andare oltre questa porta. Non puoi vedere, Osamu.

E se anche ormai non ci fosse più nulla da salvare, se davvero tu non fossi altro che un dannato in attesa del castigo, comunque non vuoi vedere.

Preferiresti morire adesso, adesso più che mai. L'insipida desolazione del mondo che ti ha portato, come il più patetico dei disillusi, a cercare nella morte una via di fuga si trasforma in cieca disperazione. L'aria nei polmoni diventa pesante e giunge il panico a mozzarti il fiato.

Vorresti fuggire, ma in questo mondo non c’è posto dove nascondersi e allora l’unica possibilità è una bara sei piedi sotto terra.

Mori spalanca le porte senza esitazione e ti rivolge un sorriso serafico. «Prego» dice, e si accosta all'ingresso per farti passare.

Non vuoi entrare, Osamu.

Accetteresti qualunque altra cosa. Sei disposto a lasciare che Mefistofele ti trascini all'inferno con sé. E sei sicuro che Mori lo sappia, mentre con un cenno del capo ti sprona a fare ancora un passo avanti.

Non vuoi entrare, ma lo fai lo stesso.

La stanza è vuota, un cubo di pareti bianche e soffitto bianco e pavimento bianco. C'è solo un lettino, proprio al centro; il cadavere è coperto da un velo nero.

E il fondo dell'inferno, a quanto pare, è tutto qui.

Gli occhi di Lucifero —che in questa vita si fa chiamare Mori Ogai— ti bruciano sulla nuca con curioso interesse e soddisfazione perversa. Vuole vederti soffrire come un cane, o come un uomo. Vuole essere lo spettatore della tua disperazione e il testimone del momento in cui Dazai Osamu, squalificato come essere umano, va in frantumi e crolla.

Hai l’impressione che stia celando lo stesso fastidio di un bambino a cui hanno tolto la possibilità di essere il primo a provare il gioco nuovo. Se si fosse accorto del coltello che ti teneva puntato alla gola, di quel tuo punto debole dagli occhi blu e i capelli rossi che già da tempo stringeva tra le mani, ne avrebbe sicuramente approfittato. Ti avrebbe torturato lentamente così come piace a lui: con minacce e promesse vuote, ricatti e patti non rispettati.

(L’avresti preferito anche tu, Osamu. Avresti preferito saperlo, avere più tempo, e forse poter fare qualcosa.)

Ma alla fine è stato Chuuya a scegliere, e vi ha lasciati tutti con l’amaro in bocca —mille rimpianti e mille altre cose che sarebbero potute andare diversamente.

Ingoi la disperazione e hai l’impressione che potresti morirne, eppure non è un sapore a te sconosciuto. «La mafia ha i suoi modi per seppellire i suoi morti» dice una voce che potrebbe essere la tua, anche se non la ricordavi così sottile. «Che cosa ci faccio io qui?»

«Sai come era fatto: nascondeva un animo da romantico sotto il cappello. È tradizione che siano i parenti stretti a raccogliere le ceneri del defunto»

«Io non sono un parente stretto»

«Sei tutto ciò che aveva»

Adesso Mori è la voce della tua coscienza. (Inizi a chiederti se davvero si trovi nella stanza con te o sia parte di un sogno, e ancora non riesci a capire quanto di ciò che sta avvenendo sia reale.)

Eri tutto ciò che aveva e lo sai, Osamu. Lo sapevi anche quando te ne sei andato.

C’è stato un tempo in cui credevi che voi due insieme avreste potuto fare qualsiasi cosa e il nome Doppio Nero sarebbe risuonato in eterno nella notte di Yokohama. Per te che non hai mai trovato una valida giustificazione allo sforzo di vivere quei pensieri a stento sembravano tuoi —avevano il sapore di capelli rossi e occhi blu. A lungo, Chuuya è stato tutto ciò che avevi; ma anche dopo che te ne sei andato senza voltarti e senza salutare, hai continuato a essere tutto ciò che aveva.

Ormai è troppo tardi per gli addii. È troppo tardi anche per renderti conto che forse quell’essere il tutto l’uno dell’altro era un sentimento.

Piano, senza fretta, ti avvicini al lettino mentre finalmente ti rendi conto che non si tratta di un sogno, né di un incubo.

«Temo che tu ti sia fidato di me una volta di troppo, caro partner» sussurri alla figura sul lettino. Il ricordo del viso addormentato di Chuuya vive nella tua mente e se non sollevi il velo nero puoi far finta che sotto ci sia la stessa espressione beata di quando era solito addormentarsi dopo un bicchiere di troppo —una guancia premuta sul bancone del bar e il viso arrossato dall’alcol.

«Non è stata la sua abilità a ucciderlo» specifica Mori a voce fin troppo alta, in un modo che sembra sacrilego (di solito nei cimiteri si fa silenzio). «Aconito. È un fiore disgraziatamente meraviglioso: petali blu come il cielo poco dopo il tramonto, il solo contatto può portare all'intossicazione. Oh, no, non l’hanno avvelenato» prosegue, quando nota il tuo corpo irrigidirsi. «C'erano fiori di aconito nella bottiglia più pregiata della sua collezione, e ne abbiamo trovato una pianta nel suo appartamento. Un biglietto non sarebbe potuto essere più chiaro»

Credevi di essere tu l’aspirante suicida, Osamu. All’improvviso ti coglie un senso di vertigine. Il mondo si fa sfocato, poi scuro, vibrante; temi che le tue ginocchia stiano per cedere, ma dura un attimo solo e subito dopo ritorni in te. Allora ti accorgi di esserti appoggiato alla barella per non cadere e la tua mano preme sulla seta liscia. Sotto le dita senti la forma di una mano.

Trattieni il fiato e un conato di vomito. «Non dovevo raccogliere le ceneri?»

«Ho pensato che avresti voluto vederlo un’ultima volta» dice Mori. Gli occhi del diavolo hanno notato ogni spasimo del tuo corpo, ogni respiro mancato e ogni traccia di sangue scomparsa dal tuo viso e ora può dirsi sufficientemente soddisfatto. Elise allunga le mani senza dire una parola, lui la prende in braccio ed esce dalla stanza.

Rimani solo con il cadavere dell’uomo che forse hai amato senza saperlo e che si è suicidato prima di te.

Non hai il coraggio di sollevare il velo e guardare la morte dipinta sul suo viso. Stringi la presa su una mano immobile e ti chini in avanti, appoggi le labbra lì dove il velo copre la sua fronte.

«Sayonara, Chuuya»

 

*


Conosci la morte come una vecchia amante. È una dama elegante che ha il profumo ammaliante dell’oblio, e come un innamorato l’hai corteggiata e cercata in ogni angolo di questo mondo maledetto. L’hai riempita di doni: vite strappate come altri strappano fiori, più e più volte hai tentato di offrirle anche la tua.

Mentre con le bacchette da cerimonia raccogli ciò che resta di Chuuya —ossa bianchissime, di una tetra bellezza, che cadono con tonfi sordi nell’urna già piena di cenere— ti rendi conto che la morte è una donna gelosa.

Credevi che nel tuo essere qualcosa di diverso dall’umano non avessi motivo di piangere. Ma adesso sai che se le lacrime potessero lavar via il tuo dolore, piangeresti volentieri. Solo che a quanto pare proprio non ne sei capace; le lacrime sono per la tristezza e tu non sei triste.

La tua anima è vuota, più vuota che mai.

Ti credevi invincibile, Osamu. Ma qualcosa da perdere in realtà ce l’avevi, e ora l’hai persa.


 

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L’uomo il cui nome è Dazai Osamu e che ha scoperto da poco di essere davvero un uomo si presenta in ufficio al termine della pausa pranzo, con solo sei ore di ritardo.

Il suo collega —che non è sicuro di poter considerare effettivamente un amico, anche se gli piacerebbe— è il primo a notare la sua presenza e scatta in piedi non appena lo vede. «SI PUÒ SAPERE DOVE SEI STATO TUTTA LA MATTINA?»

L’intera agenzia si volta a guardarlo, mentre Dazai si sfila il cappotto con leggerezza e nonchalance e lo getta sul divano.

«In giro per Yokohama. Dì, Kunikida, sei mai salito sulla ruota panoramica? È un’esperienza che va fatta almeno una volta nella vita»

Il giovane impiegato Nakajima Atsushi si astiene dal commentare che la ruota si trova talmente vicino al quartier generale della Port Mafia che tutta la zona potrebbe essere considerata il giardino della malavita.

Kunikida si sistema gli occhiali sul naso, stizzito. «Devo ricordarti che hai un lavoro?»

«Oh, ma ho anche lavorato. Un pochino» le labbra di Dazai si incurvano in un sorriso irriverente, inquietante e senz’anima, sotto un paio di occhi spenti e profondi come pozzi vuoti. «Ho scoperto una cosa interessante»

«Trovare nuovi modi di suicidarti non rientra nella definizione di lavoro»

«Ok, allora salterò quella parte» Dazai si siede sulla scrivania, facendo cadere un portapenne e piegando tutti i fogli sul tavolo quando incrocia le gambe. «La Port Mafia ha appena perso uno dei suoi uomini migliori. Un dirigente, per di più. È probabile che per qualche tempo se ne staranno tranquilli, ma faremo meglio a tener d’occhio chi prenderà il suo posto»

Nella stanza cala il silenzio, qualcuno ha capito e qualcuno invece no. Nakajima Atsushi si chiede se dovrebbe dire qualcosa al suo mentore, ma non saprebbe cosa.

«Queste sono informazioni importantissime!» esclama Kunikida e gli occhiali gli scivolano sul naso. «Come le hai avute? Perché non le hai riportate subito? Devi metterle immediatamente a verbale!»

«Atsushi» cinguetta Dazai. «Ho un lavoro importante da affidarti!»

Prima che il ragazzo possa rispondere, l’uomo scende dalla scrivania con un balzo e gli sventola sotto il naso una busta da lettera appena estratta dalla tasca dei pantaloni. «Devi redigere a verbale le cose che ho scritto qui. Me lo puoi far avere entro stasera, vero?»

«Entro stasera?!» è l’unica cosa che Atsushi riesce a ribattere, mentre nella sua mente la lettera si va ad aggiungere alla lista di compiti da portare a termine per la fine della giornata.

«Già già! Sono sicuro che farai uno splendido lavoro! Però non sarò nel mio appartamento, potrai trovarmi a questo indirizzo» Dazai raccoglie dal pavimento una delle penne che ha fatto cadere poco fa, rigira la busta e scrive qualcosa in inchiostro rosso. Poi consegna la lettera ad Atsushi, si rimette la giacca e torna verso la porta da cui è entrato meno di dieci minuti fa. «Be’ io vado. Ciao ciao»

E così, l’uomo (perché ormai è solo un uomo) di nome Dazai Osamu saluta l’agenzia di detective armata ed esce di scena.

Nakajima Atsushi abbassa lo sguardo sulla busta che ha tra le mani. Non c’è scritto nulla a parte lo scarabocchio che una volta decifrato si rivelerà essere un indirizzo. Niente mittente o destinatario, ma è stata sigillata con del nastro adesivo, come per evitare che venga letta dalla persona sbagliata.

«TORNA QUI, MALEDETTO, NON SONO NEANCHE LE TRE!» gli urla dietro Kunikida, mentre la porta si richiude sbattendo.

«Kunikida» chiama Ranpo. Ha osservato la scena in silenzio dalla sua scrivania, il sacchetto di patatine che stava mangiando poco fa è stato insolitamente dimenticato sul tavolo.

«Lascialo stare. Quella è la faccia di un uomo che sta per morire»
 
 
 

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Capitolo 2
*** but we’re two slow dancers ***


. 𝐛𝐮𝐭 𝐰𝐞'𝐫𝐞 𝐭𝐰𝐨 𝐬𝐥𝐨𝐰 𝐝𝐚𝐧𝐜𝐞𝐫𝐬




Il sangue che gocciola dalle bende non è il tuo. Cade sulle radici del sottobosco e filtra nel terreno umido della notte, gli alberi si nutrono del tuo peccato e il confine tra l'omicidio e il sacrificio diventa una linea sfocata.

Ma sei giovane e troppo consumato per la tua età. Il crimine non può turbare un animo vuoto racchiuso in un corpo forgiato dall’abitudine, così ti godi la passeggiata al chiaro di luna. L’estate è alle porte e l'aria della notte ha il profumo del bosco. Giochi a seguire con lo sguardo la tua ombra e quella di Chuuya che tra i rami e le foglie si riducono in mille frammenti e mutano forma, appena visibili alla tenue luce delle stelle.

Se l’avessi saputo in quel momento che una notte di giugno qualsiasi sarebbe diventato un ricordo tanto importante, avresti fatto in modo di rovinarlo —perché tenere alle cose ti fa paura, che siano notti di luna piena sporche di sangue o la combinazione di occhi blu e capelli rossi.

A quindici anni però non pensi a cose del genere. Non adesso, Osamu. Adesso sei troppo preso da un lavoro svolto alla perfezione, sei orgoglioso del modo in cui sul campo di battaglia tu e il tuo partner siete perfettamente coordinati —come due ballerini di una danza letale, anime complementari che nella violenza si cercano e trovano il posto a cui appartenere.

Hanno iniziato a chiamarvi Doppio Nero. Un nome sussurrato a mezza voce e intriso di timore che striscia per i vicoli lerci di Yokohama. Non si sa chi sia stato, se qualche organizzazione nemica o la stessa Port Mafia, ma a te piace. E sei certo che piaccia anche a Chuuya; perché siete giovani e troppo rovinati e la consapevolezza di essere temuti è una sensazione inebriante.

Sarete anche cani randagi abbandonati sul bordo della strada, ma siete cani con la rabbia.

(Nessuno si avvicina ai cani malati.)

Chuuya si arresta di colpo. Mentre la sua ombra si ricompone tra un tronco e un arbusto, la sua voce spezza il silenzio: «Guarda»

Davanti a te c’è solo un sentiero che si perde nel bosco. Istintivamente il tuo corpo si prepara a un’altra battaglia, ma tra le ombre non si nasconde alcuna minaccia, solo un tenue bagliore —piccole gocce di sole che fluttuano nell’aria ferma, si accendono per un attimo e scompaiono quello successivo.

«Uffa, Chuuya! Mi hai fatto prendere un infarto! Sono solo lucciole!» esclami con il tono lamentoso di un bambino, perché sai quanto gli dia fastidio. E infatti lui prova a tirarti un calcio che tu prontamente schivi.

«Non sei capace di stare zitto e guardare per qualche minuto?»

Chuuya ti supera e si inoltra nel buio con uno scricchiolio d’erba secca e rametti calpestati. Tende la mano verso una lucciola e una luce dorata gli illumina il palmo, ma subito si spegne e ricompare qualche centimetro più in là. Chuuya si sposta. Si muove con cautela e la concentrazione di un bambino impegnato in un gioco importante —lo trovi esilarante, ma anche adorabile.

I minuti passano e una pioggia di lucciole si solleva dal suolo, danzandovi intorno come minuscole fate. E sembra quasi che una costellazione abbia lasciato il suo posto nel cielo per scendere in terra a rendervi omaggio, a voi giovani e maledetti.

«Proprio non riesci a cogliere la bellezza delle piccole cose?» ti domanda all’improvviso.

Lui non l’ha notato, ma mentre dava inutilmente la caccia alle lucciole, una gli si è posata sulla tesa del cappello.

«Non sono un romantico» rispondi. (È una bugia, ma solo perché lo dici in questo momento, con gli occhi di Chuuya che riflettono centinaia di piccole luci).

«Non scordare: noi camminiamo sopra l’inferno, guardando i fiori»

«Kobayashi Issa»

Forse il grande poeta aveva ragione. La bellezza che il mondo ti offre, quei momenti di miracolo e meraviglia che si celano nelle notti d’inizio estate, non sono altro che una mera distrazione. Vivi in un mondo marcio, Osamu, marcio quanto te —o tu sei marcio quanto il mondo.

«Il mondo non ha niente da offrirmi per persuadermi a vivere. Mi annoio facilmente»

Chuuya tace per un po’, riflessivo. «Quindi è davvero così? Il grande maniaco del suicidio è solo… annoiato?
»

Potresti dirgli la verità, che ad un certo punto la noia diventa la più maestosa forma di disperazione. Ma non lo fai. Lo guardi cercare di stringere gocce di sole tra le mani come se fossero miracoli, anche se per te l’attimo di meraviglia è già svanito e le lucciole sono tornate a essere insetti.

Osamu, tu semplicemente non credi che valga la pena vivere. Eppure inizi a pensare che forse un modo per dimenticare la tua dannazione potrebbe esistere, finché il Doppio Nero sarà in vita, nascosto tra le ombre della notte.

 

。・:*:・゚★,。・:*:・゚☆。・

 

Davvero credevi che le cose tra voi due non sarebbero cambiate mai. Anche dopo che te ne sei andato l’odore di sangue è rimasto lo stesso e tu ti sei erroneamente convinto che ci fosse un ordine, nella disperata monotonia della vita —suicidi mancati e casi irrisolti, combattimenti e sangue versato, altri suicidi mancati,— che nulla avrebbe mai potuto sconvolgere. Ma Chuuya si è tirato fuori dal gioco a cui tutti voi stavate giocando, e ha preso quello che per qualche motivo eri convinto fosse il tuo ruolo.

Ora, Osamu, potresti anche continuare a mentire a te stesso e dirti che non hai idea del perché Chuuya si sia ucciso. Oppure puoi essere onesto con te stesso almeno una volta, in questa tua esistenza maledetta, e ammettere che più che un suicidio sembra un omicidio e l’assassino sei tu.

L’appartamento di Chuuya è in realtà una suite in uno degli hotel più eleganti della città. E in realtà l’hotel è tutta una copertura per l’ennesimo degli affari della Mafia. La hall è enorme, elegante e vuota; il concierge ti lascia passare come si lascia passare un fantasma. C’è un elegante panca con il cuscino di velluto nel largo ascensore che sale fino all’ultimo piano, ma tu resti in piedi, le mani nelle tasche del cappotto e il respiro mozzato.

La suite di Chuuya occupa tutto l’ultimo piano del palazzo. Hai perso il conto delle volte in cui sei stato qui; a un certo punto avresti potuto pensare che fosse anche un po’ casa tua, ma hai sempre preferito vederti come un ospite tollerato a stento —era più divertente così.

È passato tanto tempo dall’ultima volta, i tuoi occhi attenti notano le cose che sono cambiate e quelle che sono rimaste le stesse. Ci sono nuove aggiunte alla collezione di vini pregiati e bottiglie ormai vuote in esposizione sulle mensole che tu ricordi ancora chiuse o appena aperte. Ci sono nuovi libri dalle copertine di pelle nella libreria e nuovi set di calici in cucina; nuove penne sulla scrivania, i vecchi dipinti alle pareti, scelti con buon gusto. A Chuuya piaceva l’eleganza ordinata, ostentata con naturalezza —come i guanti di pelle che sfilava sempre prima di compiere un lavoro.

Pare che la Mafia non abbia fatto indagini nel suo appartamento. Dopotutto Mori l’aveva detto, che se avesse lasciato un biglietto non sarebbe stato più chiaro.

Ogni cosa è al suo posto, come piaceva a Chuuya (come se avesse riordinato l’appartamento con cura, prima di lasciarlo). Dalle grandi vetrate si gode una vista panoramica della città e il mare all’orizzonte che brilla nella luce del primo pomeriggio. Qualcuno che non sei tu potrebbe definirla una giornata meravigliosa.

Sul basso tavolino di legno e vetro in mezzo al salotto sono stati dimenticati un calice sporco e un Romanée-Conti appena aperto, unica sbavatura in mezzo al perfetto ordine.

Afferri il collo della bottiglia e la sollevi all’altezza degli occhi. Quando i raggi di sole colpiscono il vetro e il liquido cremisi al suo interno, puoi vedere i resti dei fiori che si sono depositati sul fondo.

Rimetti la bottiglia sul tavolo.

Dall’altra parte dell’appartamento —il tuo sguardo nostalgico si sofferma un secondo di troppo sulla porta della camera da letto— le vetrate si aprono su un terrazzo grande abbastanza per ospitare un salottino da esterno e un numero indefinito di vasi.

Ricordi che una volta hai provato a saltare di sotto, Osamu. Mentre il vento ti sferzava il viso e ti si annodava tra i capelli avevi pensato che quella sarebbe potuta essere la volta buona; ma prima che riuscissi a fare un solo passo nel vuoto, Chuuya ti aveva afferrato per la camicia e strattonato all’indietro. Eravate caduti sui vasi di fiori.

«Non venire a morire da me» aveva detto Chuuya, in un tripudio di terriccio e cocci di vasi, foglie e petali. E ricordi che eri rimasto colpito dal fatto che ti avesse sentito alzarti, perché erano le due del mattino e tu lo avevi lasciato profondamente addormentato e con l’alito che sapeva di alcol.

I vasi, ora, sono perfetti e curati come se quell’incidente non fosse mai accaduto. (Se ci sono solo due testimoni a conservare un ricordo, quando entrambi sono morti è mai davvero accaduto?). E c’è una pianta che non c’era l’ultima volta che sei stato qui —petali blu come il cielo poco dopo il tramonto.

Tu, Osamu, un biglietto l’hai lasciato. È la prima volta che lasci un biglietto. Chissà perché non l’hai mai fatto prima.

Torni dentro e ti versi un bicchiere. Usi lo stesso calice ancora sporco che hai trovato sul tavolo e ti chiedi se un bacio indiretto possa comunque considerarsi un bacio.

Il Romanée-Conti sa di vino, veleno e anime troppo rovinate.

Fai un brindisi al Doppio Nero.

 

*



Nakajima Atsushi ha redatto il verbale il più in fretta possibile, con le parole di Ranpo nelle orecchie e un brutto presentimento incastrato in gola.

Il foglio si è un po’ sporcato di lacrime, ma visto che è ancora abbastanza leggibile e lui è di fretta lo lascia sulla scrivania del suo mentore e si precipita fuori dall’ufficio, anche se in teoria la sua giornata lavorativa non si è ancora conclusa.

In una mano stringe la busta su cui Dazai ha annotato il nome di un hotel famoso —si maledice per non averla aperta subito,— nell’altra ci sono i fogli che contengono le sue ultime parole.

E anche se corre, Nakajima Atsushi sa già che non arriverà in tempo.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** last one’s out ***


𝐥𝐚𝐬𝐭 𝐨𝐧𝐞𝐬 𝐨𝐮𝐭

 

Hai vissuto una vita di grande vergogna, Dazai Osamu. Ti sei lasciato affogare nella disperazione, sei andato a fondo a peso morto finché l’assuefazione al dolore ha intorpidito il tuo animo e allora hai rinunciato a vivere.

Quando le stelle nel cielo d’estate si sono spente e le lucciole sono tornate a essere insetti, hai pensato che questo mondo non avesse più niente da offrire. E non ti sei reso conto che i miracoli sono solo una questione di attimi da cogliere.

Credevi che l’amore ti sarebbe sempre stato estraneo e che tu, squalificato come essere umano, non l’avresti compreso mai. Per questo non sei stato in grado di riconoscerlo quando ti si è presentato davanti —e l’ha fatto tante, tante volte. Hai scoperto troppo tardi che l’amore è possibilità da dare e rischi da prendere; e non è qualcosa che capita, ma si sceglie. (Ma anche se l’avessi saputo prima forse avresti comunque avuto troppa paura per sceglierlo, Osamu, perché tenere alle cose ti ha sempre terrorizzato.)

E se mai qualcuno ti ha porto la mano, pensando che ci fosse ancora qualcosa nel tuo animo che potesse valer la pena salvare, tu ti sei coperto gli occhi di bende per non vedere.

Nessuno può aiutare un dannato che non vuole essere salvato.

Il mondo ti ha offerto l’acro odore del sangue e la perdizione del peccato, vicoli da infestare come un cane randagio e un’esistenza miserabile; ma anche splendidi occhi blu e morbidi capelli rossi, un partner che ti ha affidato la sua vita innumerevoli volte con una sicurezza che ti ha meravigliato, e tante persone migliori di te che per qualche ragione hanno creduto che anche tu potessi essere una brava persona.

Ma tu sei stato un uomo della peggior specie, della razza dei vili e degli ingrati, e hai dato per scontato cose e persone che altri avrebbero considerato miracoli.

(Che Chuuya sarebbe sempre stato parte della tua vita sporca di crimine e tedio, l’avevi dato per scontato).

Hai creduto di non avere niente se non un guscio d’uomo in cui nascondere una genialità sottile e un cinico intelletto. E per questo —perché ti sei raccontato sempre e solo bugie— la tua è stata una vita di grande vergogna.

 

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In una vita diversa —una in cui tu, Osamu, fossi stato un essere umano migliore— forse Akutagawa Ryuunosuke per te sarebbe potuto essere qualcosa di simile a un fratello. O un figlio. Invece un ragazzo rovinato dalla cattiveria si stringe in un vecchio cappotto che ha ricevuto tempo fa e significa per lui più di quanto non abbia mai significato per te e si inoltra nel cimitero con l’andatura rapida e leggera di un ospite non invitato.

Nakajima Atsushi ancora non ha finito le lacrime da sprecare sulla tua tomba. In questa città dove si riuniscono anime disilluse di bambini abbandonati è la seconda volta che perde un padre.

Quando è arrivato aveva con sé un mazzo di gigli bianchi come la neve, un regalo per te che di regali non ne meriti. Ma poi ha visto, accanto alla tua, una lapide vuota —un’esistenza appena terminata e già dimenticata. E Atsushi, che ha un cuore troppo grande per sopportare un destino tanto triste, ha diviso equamente i fiori tra le due lapidi.

Sulla tomba di Dazai Osamu ora ci sono cinque gigli di un candore incontaminato, e ce ne sono cinque anche sulla tomba di Nakahara Chuuya.

Atsushi sente di aver fatto la cosa giusta, ma il mazzo aveva un numero dispari di fiori e lui si ritrova con un ultimo giglio tra le mani senza sapere che farsene. E intanto piange.

Quando gli arriva alle spalle, Akutagawa si annuncia con un colpo di tosse. Allora Atsushi si asciuga in fretta le lacrime e nonostante tra loro non corra buon sangue Akutagawa fa finta di non notarlo.

(Sono i piccoli, impercettibili gesti come questo a tradire il buono che ancora si conserva dietro quegli occhi ostili.)

«Non sai che si sono avvelenati con un fiore? Mi sembra di cattivo gusto» commenta —perché c’è un implicito patto di non aggressione, in questo camposanto che è terra di nessuno durante un giorno di lutto, ma non riguarda lo stuzzicarsi a vicenda con frecciatine amare.

«Mi sembrava scortese presentarmi a mani vuote»

«Non che cambi qualcosa, per i morti»

Per i morti non cambia, ma per Atsushi sì. Se avesse vissuto una vita diversa con un mentore migliore di te, Osamu, forse anche Ryuunosuke vedrebbe il mondo dal punto di vista di Atsushi.

(E infondo cos’è Atsushi, se non un tentativo di redenzione per il modo in cui hai trattato Akutagawa?)

(Akutagawa Ryuunosuke è una delle tue colpe più grandi, figlio dell’odio tanto quanto Atsushi è figlio del rimpianto. Nel suo sguardo c’è molto più di te di quanto non vorresti.)

«Non credevo che il boss della Port Mafia avrebbe accettato una richiesta del genere» dice Atsushi.

«Non gli interessa» risponde Akutagawa. «Ha troppe cose di cui occuparsi per dichiarar guerra ai morti»

Nonostante quello che Atsushi crede, non tutte le persone possono essere salvate. Tu, Osamu, eri troppo rovinato. Ma alcune sono semplicemente malvagie. Mori Ogai si è finalmente liberato di un rivale a lungo temuto, ora che può dormire sonni tranquilli —in un letto con le lenzuola macchiate di sangue— non gli interessa ciò che ne sarà delle tue ceneri.

Non hai osato chiedere che le tue ceneri venissero mescolate a quelle di Chuuya, non dopo tutte le cose che hai fatto e quelle che non hai fatto —non puoi sapere cosa lui avrebbe voluto e forse non l’hai saputo mai— ma che le vostre lapidi fossero vicine, almeno quello. I vostri nomi uno accanto all’altro nel silenzio del cimitero, finché il tempo non corroderà la pietra su cui sono scritti e il Doppio Nero muterà da storia a memoria a leggenda e alla fine si perderà nell’oblio della notte di Yokohama.

Rimarrai vicino a Chuuya fino alla fine del mondo.

Nella lettera che hai scritto in fretta e furia —vomitando in un’unica, impulsiva confessione anni di menzogne tessute con cura e verità scomode come coperte troppo corte— e che ora Atsushi porge ad Akutagawa, è rimasto un ultimo desiderio.

È il lascito di un peccatore, tutto ciò che ti era rimasto —solo parole. Ora sarà un regalo per Akutagawa, un’eredità che a te è stata affidata anni fa e che tu affidi a lui; perché è troppo tardi per chiedere scusa in altro modo, ma forse una piccola scintilla a contatto con l’anima giusta potrà illuminare qualcosa di buono.

C’è stato chi ha creduto che tu, Dazai Osamu, fossi una brava persona. Prima di morire ti sei chiesto se davvero saresti potuto essere quel tipo di persona.

Così hai lasciato un biglietto. Hai cercato di ucciderti centinaia di volte, ma era la prima volta che lasciavi un biglietto. Perché avevi un’ultima cosa da dire.

Stai dalla parte di chi salva le persone, Ryuunosuke.

Il ragazzo che è ciò che resta di odio e dolore scoppia a piangere come un bambino che ha appena perso i genitori e il ragazzo che è figlio di rimpianto ed espiazione cerca di consolarlo offrendogli un ultimo fiore.

Un nuovo Doppio Nero, con un significato diverso da quello che è stato un tempo, prende vita.
 
 
 
 

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