Ice and Wind di lady lina 77 (/viewuser.php?uid=18117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentotto ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Oslo
(Norvevia), novembre 1803
Il
ghiaccio, la neve e l'oscurità avevano avvolto la
città dalle case
di legno che si ergeva sulla baia congelata. Tutto era silenzioso ed
immobile, ognuno era rintanato nelle proprie case per sfuggire al
buio e al gelo e se la si guardava da lontano, Oslo sembrava una
città morta e immobile, priva di vita e calore.
Era
tanto diversa dalla sua nativa Spagna, pensava Jasmine mentre con
passo veloce percorreva viottoli sterrati coi piedi che le
affondavano nella neve fresca. Era uscita dal suo nascondiglio, un
misero scantinato di una casupola di pescatori abbandonata, in cerca
di cibo quando ormai era buio. E sapeva che era un azzardo e che la
stavano cercando, ma non mangiava da due giorni e le sembrava di
impazzire all'idea di attendere il giorno successivo
per mettere qualcosa sotto i denti.
Non chiedeva molto, forse si sarebbe limitata a cercare avanzi
gettati per strada, andava bene tutto pur di placare la sua fame.
Aveva mille motivi per essere disperata e non trovava soluzioni
davanti a se che non fossero vivere nascosta nell'oscurità
per
proteggere, pur da lontano, chi amava. Ma non poteva vivere nascosta
come un topo tutta la vita e di fatto non aveva i mezzi per scappare
da quella città maledetta che tanto le aveva dato ma tanto
le aveva
tolto. Tanto valeva vivere
in qualche modo,
tanto sarebbe stata solo una questione di tempo e di fatto quando
usciva di giorno, era già comunque seguita ed ogni volta
diventava
sempre più difficile far perdere le proprie tracce,
soprattutto ora
che l'inverno era arrivato e la gente in giro era poca.
Percorse
un dedalo di viottoli senza una meta precisa, in cerca di cibo,
cercando di focalizzarsi sulle poche cose positive della sua vita: i
suoi due bambini erano al sicuro e mai sarebbero riusciti a trovarli.
E in quella città aveva incontrato del tutto fortunosamente
il volto amico e fidato di
Ross Poldark, conosciuto tanti anni prima... E lui avrebbe salvato i
suoi bambini in un modo o nell'altro.
"Sono
quì sotto falso nome, Jasmine
e ho i mezzi per aiutarti.
Posso imbarcare te e i bambini in incognito e mettervi al sicuro, non
puoi e non devi scappare per sempre".
Era
una proposta dolce e gentile ma aveva rifiutato. La tenevano
d'occhio, l'avrebbero trovata e peggio ancora, avrebbero trovato i
suoi bambini
se fossero rimasti insieme.
Era meglio perderli ma saperli al sicuro che vivere perennemente
assieme a loro
con la paura che chiunque incontrassero, fosse un pericolo mortale.
Il loro padre era morto in modo orribile, lei probabilmente avrebbe
fatto altrettanto, ma loro no... Sarebbero rimasti nascosti e Ross
Poldark li avrebbe portati via, lontano,
aveva ogni informazione utile a trovarli e a portarli via...
E poi, che a lei succedesse ciò che doveva succedere...
Svoltò
verso il porto ed era deserto. Ma non era sola, lo avvertì
distintamente quando alcuni passi si aggiunsero ai suoi.
La seguivano e non c'era nessuno, adesso, dietro al quale
nascondersi, non c'era un mercato dove confondersi con la folla e se
avesse urlato, nessuno l'avrebbe sentita. O anche fosse successo,
nessuno sarebbe uscito da casa propria in una notte di gelo e neve
per salvare una sconosciuta che si era messa nei guai da sola.
"Jasmine...".
La
voce graffiante e metallica di un uomo la raggiunse e quando
pronunciò il suo nome, comprese che la sua fuga era finita.
Si voltò
e si trovò due uomini alti, biondi come ogni dannato
vichingo nato
su quelle terre, avvolti in lunghi e pregiati mantelli neri.
"Prego?".
Le
si avvicinarono. "Ti abbiamo cercata a lungo. In realtà ti
abbiamo vista spesso ma fin'ora sei stata abbastanza furba da
muoverti in luoghi affollati
dove sarebbe stato difficile avvicinarti.
Non credevamo saresti stata tanto sciocca da uscire in una sera di
gelo, i topi di solito amano rimanere rintanati nelle loro tane in
notti così
ma a quanto pare sei meno furba di come appari".
Lei
sorrise, beffardamente. "Amo il vostro dannato clima e voglio
goderne il più a lungo possibile. Suppongo di non avere
abbastanza
tempo, giusto?".
"Dipende
da te".
"Credo
dipenda da voi".
Uno
dei due le si avvicinò e dal mantello fece spuntare la sua
mano,
armata di un taglierino. "In realtà dipende da te. O
collabori... perché sai che abbiamo occhi dappertutto e
prima o poi
scopriremo ogni cosa... Oppure...".
"Oppure
non avrò tempo per ammirare la prossima aurora boreale". Al
diavolo, non ne sarebbe uscita viva ma non voleva andare all'altro
mondo piagnucolando o autocommiserdandosi ma con garbo ed ironia,
guardando i suoi assassini negli occhi in modo beffardo
e senza paura.
Avrebbe venduta cara la pelle e avrebbe salvato quei suoi due bambini
arrivati per magia e per amore quando, a quarantun anni suonati, non
credeva che sarebbe diventata mai madre. Se c'era un buon motivo per
morire, il
piccolo Olav e la dolce Sigrid ne erano un ottimo esempio.
I
due uomini si guardarono attorno impazienti, desiderosi di concludere
la faccenda quanto prima, senza lasciare testimoni. "Dov'è
il
bambino?".
Jasmine
sorrise, non sapevano che erano due e questo era un vantaggio. "Di
quale bambino parlate?".
"Di
quello che cerca il nostro signore, di quello che hai partorito il
mese scorso".
Lei
scoppiò a ridere. "Se mi avete seguito in mezzo a gelo e
neve
per saperlo, sappiate che avete preso freddo inutilmente e avete
sprecato il vostro tempo".
Uno
dei due le si avventò contro, prendendola per il bavero. "Lo
troveremo comunque. Ma se ci aiuterai allora saremo clementi, se non
ci aiuterai ci metteremo un pò di più ma tu non
vedrai la prossima
aurora boreale".
Di
tutta risposta, Jasmine gli sputò in un occhio. "Fottiti!".
Schifato,
l'uomo si asciugò la guancia. Poi strinse più
forte la presa
attorno al suo collo. "Dov'è il bambino?".
Lei
non rispose. Sarebbe durato poco, potevano torturarla, farle
qualsiasi cosa ma non avrebbe parlato. MAI!
L'altro
uomo, rimasto in disparte, si avvicinò a sua volta. "Abbiamo
metodi molto incisivi per ottenere le informazioni che vogliamo...
Sappiamo già molte cose di te e ti abbiamo anche vista
parlare più
volte con un uomo dai capelli neri che alloggia in una locanda a
poche vie dal porto... Controlliamo tutto, sappiamo tutto e lo
teniamo d'occhio. Quindi se pensi che quell'uomo possa aiutarti, ti
sbagli di grosso. Come si chiama?" - chiese al suo socio che
teneva Jasmine bloccata.
"Conan
Smith, un commerciante inglese di pelli".
Jasmine
sorrise ancora. Conan Smith era il nome in codice di Ross Poldark, il
nome con cui si muoveva in incognito su quella terra ghiacciata. Quei
due non sapevano tutto, a quanto sembrava... E Ross Poldark era la
miglior spia che il governo inglese potesse trovare. "Se sapete
tutto, perché chiedete a me informazioni che dovreste
già
conoscere?".
"Ci
manca l'informazione più importante e quella te la sei
tenuta
nascosta ben bene, dobbiamo ammetterlo. Sei
stata brava e furba per lunghi mesi, sei sparita dalla faccia della
terra per ricomparire senza pancione da chissà dove. Ma
ora basta parlare, dov'è il bambino?".
"Fottiti
di nuovo!".
Con
un ghigno irato, l'uomo strinse ancora di più il collo alla
donna.
"Lo sai che noi vichinghi siamo bravissimi nell'ottenere ogni
informazione che vogliamo attraverso la tortura? Abbiamo modi che ci
piacerebbe sperimentare su di te. Ma se ci dirai dov'è il
bambino...".
"Neanche
morta. E in fondo, anche se ve lo dicessi, morirei comunque questa
sera".
L'uomo
che la teneva, alzò le spalle. "C'è modo e modo
di morire. Ci
sono morti rapide e indolori. E ci sono altre morti dove a un certo
punto implori di incontrare il Creatore. O il divino Odino".
Jasmine
sospirò. "Quando lo vederò, dirò al
vostro Odino che è
adorato da un popolo di mostruosi assassini".
L'uomo
la strattonò. "Beh, dubito ti ascolterà. Ma se lo
vuoi
incontrare, sarò ben felice di mandarti da lui. Ma prima
ci divertiremo un pò...".
...
La
mattina successiva un pescatore la trovò fra la neve rossa
di
sangue. Completamente nuda, piena di lividi, coi denti rotti, la
pelle del braccio scorticata e una profonda ferita da taglio sul
collo. La
sua bellezza mediterranea uccisa e deturpata per sempre... Ma
anche nella morte
pareva sorridere in modo beffardo,
come aveva desiderato lei solo poche ore prima.
E quel
sorriso,
oltre al silenzio e al suo segreto che si era portata nella tomba,
era l'unica cosa che aveva riservato ai suoi assassini.
Olav e Sigrid sarebbero stati salvi.
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
"Ovunque
vada, mi cercheranno. E se troveranno me, troverebbero anche i miei
bambini. Ross, capisci che non posso portarli con me? Anche se
lasciassi queste terre con loro, sarei braccata a vita e alla fine
metterebbero le mani addosso ai miei bambini. C'è una donna,
lei mi
ha tenuta nascosta durante tutta la gravidanza nel suo scantinato.
Era la balia di Harald e non esiste nessuno a Oslo più
fidato di
lei. Tiene nascosti i miei bambini e sa che manderò qualcuno
a
prenderli per portarli via da quì, al sicuro. Su quel foglio
che ti
ho dato troverai il suo indirizzo, va da lei accertandoti che nessuno
ti segua, fa in modo di agire nell'ombra e poi sparisci coi miei
figli e fa che nessuno li trovi mai. In qualunque modo. Va da quella
donna e dì che ti manda Mina e che sei venuto a prendere i
piccoli
Odino, è così che chiamiamo in codice Olav e
Sigrid. Va Ross e fa
ciò che ti chiedo e te ne sarò grata per sempre".
"Lo
farò, ma prima cercheremo un modo per far sparire da questo
posto
anche te!".
"Non
è la cosa importante questa, adesso".
"Ti
uccideranno, Jasmine! Se è come dici, se quella gente
è così
pericolosa come mi hai raccontato, succederà".
"Tanto
meglio, Ross. Nel mondo dei morti non potranno più
braccarmi".
"Lasciami
almeno tentare, ho i mezzi per aiutarti".
"No,
a me stessa penserò io. Ci hanno visto insieme
già troppe volte e
non deve succedere più. Nessun legame, nessun incontro dopo
oggi,
Ross. Fa solo ciò che ti chiedo e comunque andrà
a finire per me,
io sarò contenta".
Ross
stropicciò il foglio fra le mani dopo averne letto il
contenuto e
poi per sicurezza lo gettò nel fuoco del camino. Nessuno
avrebbe
dovuto sapere ciò che c'era scritto né il nome
della donna che
teneva nascosti i due gemellini di Jasmine.
Con
gli occhi lucidi dopo aver appreso del ritrovamento del cadavere
della donna fra le nevi del porto, si affacciò alla finestra
di
quella città resa candida dalla neve ma che nascondeva fra i
suoi
dedali oscuri misteri e pericolosi sicari pronti a tutto pur di
raggiungere il loro scopo. Gente che avrebbe ucciso senza pensarci
due volte due neonati, gente che non si era fatta scrupoli di
togliere la vita ai loro genitori in modo orribile. E se di certo non
poteva dire di aver conosciuto Harald, aveva invece amato la
vivacità
e la voglia di vivere di Jasmine, coi suoi lunghi capelli castani, i
suoi occhi curiosi e le lentiggini sul volto che le davano un aspetto
ancora da ragazzina più che da matura donna quarantenne.
Il
cielo era plumbeo e la notte scandinava sarebbe durata fino alla
primavera. Era inquietante quel buio perenne ma in un certo senso lo
avrebbe aiutato a nascondersi e ad agire con più sicurezza.
Sapeva
che la sua frequentazione con Jasmine era stata notata e sapeva anche
di essere pedinato e tenuto d'occhio,
erano settimane che qualcuno se ne stava appostato nell'ombra nella
strada adiacente alla locanda, proprio nel punto dove la visuale
della sua camera era migliore.
E aveva capito che doveva agire con furbizia, usando cautela e
cervello invece che irruenza. Aveva compreso come fare e aveva
già
un piano, aveva solo bisogno di mettersi d'accordo col suo socio in
incognito in quella missione, Jones, che dormiva nella camera a
fianco alla sua e che apparentemente, come da accordi, fingeva di non
conoscere e ignorava quando erano in pubblico e insieme, nella stanza
comune della locanda dove soggiornavano, negli orari dei pasti.
Nessuno fino a quel momento li aveva collegati come facenti parte di
uno stesso gruppo e solo nel silenzio delle loro stanze si parlavano
di quanto visto e sentito ad Oslo. Fino a quel momento nessuno aveva
seguito Jones nei suoi spostamenti e questo lo rendeva il suo
migliore alleato per salvare i gemelli e portarli via.
Il
cuore di Ross sanguinava per la crudele fine riservata a Jasmine e la
sua irruenza avrebbe voluto vendicarla ma sapeva di non poterlo fare
proprio per rispetto alla memoria della donna stessa.
Jasmine non voleva giustizia per il suo assassinio, lei voleva solo
la salvezza dei suoi figli per i quali era morta. E lui avrebbe
tenuto fede alla parola data.
Agì
come se nulla fosse nei giorni successivi alla morte della donna, non
fece domande in giro circa l'assassinio, non andò a vedere
il luogo
dove si era consumato e si comportò come il banale uomo
d'affari che
doveva apparire nella sua missione. E nel frattempo pensava a come
portar via di lì due bambini tanto piccoli. Aveva tre figli
e sapeva
quanto fosse difficile il compito che lo aspettava. I neonati erano
esserini indifesi e pieni di esigenze e lui doveva portarli di
nascosto, al gelo, fino a una nave e condurli
in Inghilterra. C'erano lui e Jones e di certo non erano il meglio
che due neonati potessero avere a loro disposizione. Santo cielo,
come gli mancava la presenza di Demelza, ora più che mai...
Lei
avrebbe saputo come fare e i gemellini sarebbero stati al sicuro
nelel sue mani.
Ma sua moglie era a Nampara e doveva arrangiarsi da solo in quella
dannata città ghiacciata. Occorrevano un sacco di cose da
portar
via, panni di cotone per cambiarli, coperte, latte... Era una delle
cose più complicate in cui si era imbarcato e non era
così sicuro
che gli esiti sarebbero stati soddisfacenti.
Ma
dopo
qualche giorno di congetture e pensieri incessanti,
quando anche la sua missione di spia stava giungendo al termine,
decise che era giunto il momento di
agire e
una botola nella cantina della locanda, che portava alle fogne,
poteva fare al caso suo. Sarebbe sgattaiolato fuori senza che la spia
messa a controllarlo fuori dalla locanda se ne accorgesse, avrebbe
recuperato i bambini e poi sempre attraverso le fogne, avrebbe
raggiunto il porto e con una barca raggiunto la nave che lo avrebbe
riportato in Inghilterra.
Tutto
era pronto per quella messinscena e per quella missione, mancava solo
una cosa: l'aiuto di Jones.
Gli
bussò nel muro della camera a mezzanotte inoltrata e l'uomo,
un
apparente e anonimo commerciante dall'aspetto ordinario e grassoccio
di mezza età, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno
in
corridoio, sgattaiolò da lui nel buio. Fuori nevicava, ogni
luce era
spenta e chi lo stava controllando dalla strada doveva pensare che
stesse dormendo. Nessuna candela fu accesa e lui e Jones si sedettero
nel lato più buio e intimo della stanza, fianco a fianco.
"Diavolo
Ross, stavo quasi per addormentarmi. Che succede?"
- bisbigliò Jones.
Ross
sorrise, Jones era un uomo intelligente ma a volte decisamente pigro.
Figlio di notabili di Londra ma poco incline allo studio e alla
disciplina dettata dalle leggi di Westminster, si era fatto notare
per la sua scaltrezza da Wichman ed era stato assunto assieme a lui
al lavoro di spia per il governo inglese. "Succede che si è
aggiunta una nuova missione al nostro lavoro".
Nell'oscurità,
Jones sospirò. "Quale? Qualcosa di pericoloso?
Quì non
guardano in faccia a nessuno e questi vichinghi sgozzano donne nel
porto
con la stessa facilità con cui noi sbucciamo un'arancia,
hai sentito? Dobbiamo portare a casa la pellaccia, Poldark".
"Sì,
ho sentito..." - rispose Ross pensando amaramente a Jasmine,
nominata senza sapere del loro rapporto da Jones in maniera del tutto
casuale. "Comunque...".
"Comunque,
Poldark?".
"Comunque
dobbiamo, di nascosto, portare via due neonati da questa dannata
città. E' un affare assolutamente riservato, nulla deve
uscire da
questa stanza e dovrai muoverti con cautela per fare ciò che
ti
dirò".
"E'
un ordine di Wichman?".
"No".
"E'
per la sicurezza dell'Inghilterra?".
Ross
ci pensò su perché in un certo senso... Ma poi...
"No".
Jones
ridacchiò. "Poldark, hai per caso inguaiato qualche gentile
e
bionda donzella vichinga?".
"Idiota!".
"Lo
hai fatto?".
"NO!".
"E
allora?".
"E
allora è una cosa che dobbiamo fare e la
sostanza non cambia. Domani fingerai di uscire per affari e farai
delle compere. Non tutte nello stesso negozio, mi raccomando,
nessuno deve pensare che stai facendo acquisti per dei bambini.
Comprerai tutto quello che ci serve per due neonati,
un pò qua e un pò la...".
Jones
lo bloccò. "E che diavolo serve a due neonati? Poldark, io
sono
zitello e non ho mai visto da vicino un marmocchio sotto i due anni
e a Natale, nelle riunioni di famiglia, me ne sto ben lontano da quei
chiassaosi piccoli nanetti che mi fanno andare il Pudding di
traverso".
Ross
sbuffò,
fingendo di non averlo sentito.
"Latte, coperte, panni di cotone per cambiarli, sapone... Questo
serve a un neonato! Dobbiamo
nutrirli e non abbiamo possibilità di avere una balia,
quindi cerca
di prendere abbastanza cose per il viaggio verso casa. Sulla nave
dovremo tenerli buoni e nascosti in cabina, nessuno dovrà
accorgersi
della loro presenza e una volta sbarcati in Cornovaglia, ci
penserò
io a loro.
Non sarà facile, dovremo adattarci e dovranno adattarsi
anche i
bambini durante il viaggio. Ma ce la faremo".
Jones
si accigliò,
scettico.
"Come faremo a tenerli nascosti su una nave? Piangeranno,
faranno baccano".
"Ci
penseremo".
"Poldark,
tu sei folle!".
"Forse,
ma farai come ti dico".
Jones
annuì, Ross era il suo capo e in fondo non aveva potere di
controbattere più di tanto. "E come li portiamo sulla nave".
Ross
si morse il labbro, quella sarebbe stata la parte più
complicata.
"Domani sera fa in modo che nascosta in una grotta nella baia a
nord io trovi una barca. Piccola, malandata, ciò che trovi
andrà
bene. Appena recupererò i bambini, con quella, ti
raggiungerò sulla
Polar Princess e faremo rotta verso l'Inghilterra all'alba".
"Vuoi
avventurarti con due mocciosi nella baia, di notte, in mezzo al gelo
in barca?".
"Non
ho scelta".
"Poldark,
che ti sei bevuto stasera?".
"Mai
stato così sobrio".
Jones
sospirò,
non c'era nulla da fare se Ross si era messo in testa quella malsana
idea.
"Sei folle ma farò come dici
se mi prometti che non ti farai ammazzare.
Ma come farai, dove sono questi bambini? E soprattutto, chi sono?".
Ross
si oscurò. "Non posso dirtelo. Posso solo...".
"Cosa?".
Ross
scosse la testa, pensando ai mille risvolti di quella oscura faccenda
e ai rischi che avrebbero corso i piccoli. "Li
porto via perché quì sarebbero uccisi come la
donna trovata morta
al porto".
Lo
sguardo del suo socio si accese di curiosità ma anche
intelligenza.
"C'è
qualche legame fra loro e lei?"
- chiese, con circospezione.
Ross
non rispose,
non poteva,
e Jones capì che era sulla strada giusta ma non poteva
chiedere di
più. "E dopo?".
"E
dopo ti dimenticherai di questa storia e ci penserò io a
mettere al
sicuro i bambini in Inghilterra, in qualche modo.
Non dovrai parlare di questa storia con nessuno, nemmeno con Wichman,
tutto deve rimanere un segreto fra me e te".
Non sapeva ancora cosa ne avrebbe fatto dei
bambini
ma una volta giunto al sicuro a Nampara avrebbe riflettuto sul da
farsi
senza coinvolgere nessuno.
Nampara... Santo cielo, mai come in quel momento gli mancava la sua
casa... Pensò a sua moglie e ai suoi bambini che in quel
momento
erano nel lettone a godersi la vicinanza della loro madre e poi
pensò
a quei due gemellini che mai avrebbero goduto di qualcosa di simile.
E
la pena per Jasmine e
la sua scelta di salvare
i bambini
diventarono
ancora più forti.
"Sono
spiato e seguito da settimane, Jonas, quindi dovremo agire con
scaltrezza per fregare le spie che stazionano fuori da quì.
E
quindi, domani
sera
verrai
di nascosto nella mia stanza
come hai fatto adesso.
Non ti affaccerai alla finestra ma terrai la luce accesa fino alle
dieci, come se io fossi quì e stessi leggendo. Poi spegnerai
le
candele, come se andassi a letto. Io nel frattempo
sgattaiolerò fino
alla cantina e alla botola che porta alle fogne e tu farai
altrettanto.
Così facendo, nessuno ci vedrà uscire dalla
locanda e chi mi spia
penserà che sono a dormire, come tutte le sere".
Gli pose fra le mani una mappa sotterranea delle fogne di Oslo che
aveva studiato in quei giorni. "Io, appena arriverai in camera
mia, andrò a prendere i bambini nel luogo dove sono tenuti,
tu una
volta spenta la candela, dalla stessa botola, raggiungerai il porto e
la nostra nave. Coi bambini ti raggiungerò lì".
Jones
sbuffò, sconsolato. "Attraverso le fogne?".
"Prendila
come una nuova avventura".
Jones
lo guardò storto. "Posso dirlo che ti odio?".
Ross
sorrise. "Sì, puoi dirlo".
"E
sia, odiandoti Ross, farò ciò che mi chiedi. E
prega che quei due
mocciosi siano silenziosi e buoni o finiranno in mare in pasto agli
squali".
Ross
gli diede un colpetto sulla spalla. "In questi mari ci sono solo
salmoni".
Jones
alzò gli occhi al cielo. "Oh, sono sicuro che anche loro
gradiranno carne fresca".
Risero,
insieme. Entrambi sapevano che era una missione difficile quella in
cui si stavano imbarcando e un pò di ilarità e
leggerezza non
avrebbe fatto male a nessuno dei due.
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Aveva
preso a nevicare nel tardo pomeriggio e Ross, prima di partire
all'azione, si era soffermato alla finestra ad osservare il
paesaggio. Un pò per recitare la parte di colui che rimane
rintanato
in camera, un pò perché affascinato da quella
apoteosi bianca, era
rimasto per lunghi istanti
a contemplare quei piccoli fiocchi ghiacciati e candidi che
scendevano velocemente dal cielo ammantando tutto ciò che
incontravano sul loro cammino.
C'era qualcosa di suggestivo e magico in quel buio quasi perenne, in
quel gelo e in quel silenzio a volte costellato da strani colori che
assumeva il cielo che si tingeva
di mille tonalità di colore. I nativi del posto la
chiamavano
'aurora boreale' ed era quanto di più magico lui avesse mai
visto.
Demelza sarebbe rimasta a bocca aperta come una bambina se avesse
potuto vedere qualcosa del genere. Il pensiero di sua moglie
aumentò
la nostalgia di casa. Era una sera romantica a suo modo e se fosse
stato a Nampara con quella neve e quel clima soffuso, messi a letto i
bambini e Prudie,
lui e Demelza avrebbero dato ben altri risvolti alle ore notturne...
Ma la sua realtà ora era diversa e c'era una missione da
portare a
termine: salvare i gemelli di Jasmine.
Dalla
finestra, fingendo di guardare il panorama, nella sua camicia da
camera Ross aveva scrutato anche la strada sottostante. Sembrava
deserta eppure sentiva addosso gli occhi di chi, nascosto nell'ombra,
controllava
ogni sua mossa e
che lui fosse nella locanda. Probabilmente c'erano spie ovunque ma se
il suo piano avesse funzionato, avrebbe potuto recuperare i gemelli e
sparire con loro senza il minimo intoppo. Doveva semplicemente uscire
senza essere visto
usando strade 'alternative' e un pò scomode,
immergendosi nei meandri della terra. E poi sbucare dove nessuno si
sarebbe immaginato che fosse
e dove non c'erano controlli. Nessuno sapeva dove fossero i gemelli e
di certo non tutte le strade potevano essere sorvegliate
contemporaneamente, soprattutto con quel tempo infame.
Jones
era sgattaiolato in camera sua dopo cena, approfittando del fatto che
gli altri ospiti della locanda erano ancora nel salone a mangiare.
Silenzioso come un fantasma, si era rannicchiato in un angolo e
immobile aveva atteso che quella messinscena lo vedesse protagonista.
Ross
rimase per un pò alla finestra ignorandolo, finse di
stiracchiarsi e
poi si allontanò, sedendosi sul letto. Indossò
abiti pesanti, mise
nella sua sacca il biglietto della nave, i suoi averi, i
lasciapassare falsi per i bambini che Jones aveva preparato nel caso
fossero stati visti sulla nave e poi si coprì con un ampio e
caldo
mantello nero, celandosi il viso con il cappuccio. "Jones, ora
tocca a te. Tieni la candela accesa ancora mezz'ora, poi spegnila
come se andassi a letto. E infine sguscia fino alla botola in cantina
che porta alle fogne e raggiungi la nostra nave in porto. Io ti
raggiungerò lì. Ricorda di portare con te tutto
l'occorrente per i
bambini".
Jones
sbuffò. "Mi sento una balia a trasportare nello zaino il
latte
e tutte queste cose per marmocchi!".
Ross
gli strizzò l'occhio. "Ma questo farà di te una
bella
persona".
"Non
ambisco alla perfezione".
Ross
rise. "Ce ne vorrà prima che tu la raggiunga. Ma
migliorerai...".
Jones
lo guardò storto. "Vedi di tornare tutto intero".
"E
tu fa come ti ho detto e chiedi che ti venga data una stanza
sottocoperta. Quanto meno la sotto, i pianti dei bambini saranno meno
notati e si mischieranno coi rumori che arriveranno dalla cambusa".
Jones
annuì poco entusiasta. "Che bel viaggio che mi aspetta!
Cabina
di quart'ordine dove non ci dormono nemmeno i mozzi, in compagnia di
un folle e di due neonati urlanti! Che ho fatto di male?".
"Sei
stato un pessimo elemento a Westminster!" - ribatté Ross
prima
di prendere la porta. "E ora su, buon lavoro ad entrambi".
Chiuse
la porta dietro di se, come un ladro scese le scale attento a che
nessuno lo vedesse, aspettò che il cuoco che era sceso in
cantina
risalisse le scale e poi si fiondò giù, fino alla
botola che
portava alle fogne. Tutto perfetto, tutto semplice... Muoversi
all'interno di uno spazio chiuso con qualcuno che ti reggeva il gioco
era una fortuna, ma ora doveva essere veloce e lesto... Aveva
già
fatto qualcosa di simile quando aveva cercato di salvare Ned dalla
forca dopo tutto, ora cambiata solo il clima e la città ma
tutto il
resto era uguale. All'epoca era stata la scelta
di Ned ad andare incontro al suo destino a far fallire il piano,
adesso aveva seri dubbi che due neonati avrebbero fatto rimostranze.
Giunto
nei cunicoli, un odore terribile gli invase e narici. Gli ci volle
qualche minuto per abituarcisi e poi, coprendosi naso e bocca,
percorse i cunicoli che aveva studiato nei giorni precedenti sulla
mappa della città. Il buio era pesto, mille ombre nascoste
sembravano inseguirlo ma Ross sapeva che era solo autosuggestione.
Era un uomo abituato a scendere nel buio delle miniere fin dalla
più
tenera età e persino la sua piccola Clowance adorava farlo e
lo
trovava emozionante, quindi non era il caso di fare lo svenevole per
un pò di puzza ed oscurità.
Per
quelli
che gli sembrarono minuti intermibabili, coi piedi che gli
affondavano nella fanghiglia, Ross corse come un matto verso la sua
meta. La casa della donna da cui stava andando a prendere i bambini
si trovava nel quartiere di Kampen, piuttosto vicino alla zona
centrale del porto ma allo stesso tempo riparato e intimo per via dei
suoi mille dedali di viuzze che correvano fra casette di legno
variopinte e dall'aspetto modesto.
Quando
riemerse all'aria aperta, si sentiva addosso tutti i cattivi odori
della città. Sperò che la neve che gli bagnava il
viso e il
mantello servisse a dargli una ripulita, ma purtroppo sapeva anche
che non era il caso di formalizzarsi troppo. Uscì dalla
botola della
fognatura e
si tovò in
una piccola strada sterrata, a ridosso di una
abitazione di legno.
Tutte le case erano al buio, in giro non c'era anima viva ed era
almeno a tre miglia dalla sua locanda. Troppo lontano per essere
trovato, quanto meno subito. E se Jones aveva fatto a dovere il suo
compito, le spie che lo seguivano lo pensavano a letto fra le braccia
di Morfeo.
Sgattaiolando
come un gatto fra una casa e l'altra, ne raggiunse una di colore
azzurro, dalle pareti scrostate e dall'aspetto trasandato. Inge Berg,
la donna che teneva i gemelli, viveva lì. Jasmine gli aveva
detto di
entrare dalla stalla dove avrebbe trovato una porticina nascosta nel
fieno che portava alla casa. Inge dormiva nella stanza adiacente,
bastava bussare, dire il giusto e lei sarebbe venuta ad aprire.
Ross
fece per filo e per segno quanto gli aveva spiegato Jasmine.
Scivolò
nella stalla, spiò che in strada non ci fosse nessuno, si
intrufolò
nel fieno e raggiunse la piccola porticina che faceva da ingresso
segreto alla casa. Bussò tre volte, come gli era stato
detto, tre
colpi secchi. E poi attese...
Dopo
un paio di minuti, una voce sottile da donna non più giovane
lo
raggiunse. "Chi siete?".
E
Ross ripeté per filo e
per segno quanto gli
aveva detto Jasmine. "Mi manda Mina e sono venuto a prendere i
due piccoli Odino".
La
voce di donna parve volerlo mettere ancora alla prova. "I due
piccoli Odino? A chi vi riferite?".
Ross
sorrise nell'oscurità. Nessuno conosceva i loro nomi a parte
lui e
quella donna con cui stava parlando. "Olav e Sigrid".
E
a quel punto, la porticina si aprì. Due braccia non
più giovani ma
incredibilmente forti lo catturarono per il mantello e lo spinsero
dentro dove Ross, incredulo per quanto era stava veloce, si
trovò
davanti a una donna di circa sessant'anni, dall'aspetto esile, coi
capelli ancora biondi ma dal viso smunto e provato.
Vestita
con abiti mesti e semplici, forse troppo leggeri per quel clima
infame, Inge lo squadò in viso con aria indagatrice. "Siete
l'amico di Jasmine, quindi?".
"Lo
sono,
sì.".
Inge
si torse le mani nervosamente. "Lei è morta... E non ho
potuto
nemmeno darle un ultimo saluto per non dare nell'occhio".
"Lo
so... Nemmeno io ho potuto farlo".
"Pochi
giorni prima che venisse uccisa, mi ha mandato un messaggio
anticipandomi il vostro arrivo... Non siete norvegese, quindi. E
nemmeno spagnolo come lei".
"No".
"Perché
si è rivolta a voi?".
Ross
decise di essere sincero perché solo così si
sarebbe guadagnato la
sua piena fiducia. Capiva la riluttanza di quella donna e sapeva
quanto stava rischiando tenendo con se i gemelli e quindi poteva
comprenderne
i timori. "Perché si fidava di me... La conoscevo da molto e
quando ci siamo incontrati per caso quì ad Oslo, mi ha
chiesto aiuto
e mi ha incaricato di portar via i suoi figli".
La
donna annuì. "I figli del caro Harald...".
La
sua voce tremò e Ross capì che quella donna era
preda di mille
emozioni che difficilmente poteva tenere a bada. Era stata una amica
fedele del padre dei gemelli, aveva tenuta nascosta in casa Jasmine
durante tutta la sua gravidanza e a lei erano stati affidati i due
bambini... Una donna esile, dalla vita solitaria e difficile, che
aveva cresciuto come balia tanti piccoli ma non ne aveva di suoi.
Aveva visto morire uno di loro, Harald, e poi la donna che lui amava,
Jasmine. E ora sapeva che era giunto il momento di separarsi anche da
quei due piccoli a cui di sicuro si era affezionata. Ma Ross sapeva
anche che lo avrebbe fatto senza tentennare e che voleva la salvezza
di quei piccoli tanto quanto lui e i suoi genitori. "Dove sono?
Non ho molto tempo...".
Inge
deglutì. "Venite".
Dalla
piccola stanza dove la donna lo aveva accolto e che ospitava un
semplice pagliericcio per la notte, Inge lo portò in un
locale più
grande che fungeva da cucina e da
mesto salotto,
poi aprì un armadio e da lì gli mostrò
una nuova botola,
nascosta nel sottofondo, da una pigna di coperte. La aprì e
davanti
a loro comparvero dei piccoli scalini di pietra che portavano a
chissà dove. "Seguitemi".
Ross
lo fece, accodandosi fedelmente a lei. Se lui era una spia ritenuta
affidabile e scaltra dal Governo, questa Inge sarebbe stata una spia
ancor migliore di lui
e Wichman l'avrebbe adorata, se l'avesse conosciuta.
Chiusa
la botola, la donna accese una candela e scesero in perfetto silenzio
una decina di malmessi scalini, giungendo a una piccola stanza
sotterranea.
Appena
vi giunsero, Ross si guardò attorno. Le pareti di pietra e
una
piccola feritoia in un angolo del soffitto che faceva entrare un filo
di aria e luce, rendevano l'ambiente in un certo senso molto
affascinante. Era come trovarsi in una fiaba nordica dove gli dei si
spostano
fra rocce e ghiacci vivendo le loro avventure. L'arredamento era
scarno, spartano. C'era un altro pagliericcio vuoto, un armadio
vecchio e con le ante rotte, un piccolo comodino sul quale c'erano
bottiglie con del latte e in un angolo, una grossa cestra.
"Loro
sono quì".
Ross
si avvicinò alla cesta e li vide. Due bambini minuscoli,
dalla pelle
chiarissima e dai capelli radi e biondi come non ne aveva mai visti,
dormivano rannicchiati l'uno contro l'altra, avvolti in una coperta
rossa. I lineamenti e i colori erano tipici dei piccoli del posto e
di certo dovevano assomigliare al loro padre. "Non hanno preso
nulla da Jasmine" - disse, sotto pensiero.
Inge
sorrise. "Sono figli del nord, sono nati sotto il segno di
Odino. Sapete cosa dice la leggenda?".
"No".
Inge
sfiorò la guancia di uno dei piccoli. "Che in queste terre
dove
il buio la fa da padrone, i nostri capelli chiari donano luce e
calore alle nostre vie e alle nostre case e ci rendono visibili agli
occhi degli dei. Li porterete lontano ma loro avranno sempre dentro
di se il potere del fuoco di Odino e del ghiaccio che ricopre le
nostre terre. La dolcezza delle nostre renne e la ferocia dei nostri
orsi bianchi... E un animo coi colori luminosi e unici della nostra
aurora boreale".
Ross
la ascoltò affascinato come quando, da piccolo, gli venivano
raccontate le leggende della Cornovaglia. Inge era una donna di
estrazione modesta eppure sembrava conservare in se l'antico sapere
di quelle terre selvagge e la dolcezza di chi da sempre ha a che fare
coi bambini. Sarebbe rimasto ad ascoltarla per ore, ma... "Devo
andare...".
Ma
Inge sembrava di altro avviso. "Lei è stata quì
durante la
gravidanza. L'ho nascosta per mesi dopo la morte di Harald"
- sussurrò, con voce rotta.
"Vi
ringrazio a nome di Jasmine. Vi ha affidato i suoi figli, quanto di
più prezioso avesse. La sua fiducia è
l'espressione della sua
gratitudine immensa.
Avete rischiato molto aiutandola e tenendo i piccoli e ora è
arrivato il momento che possiate tornare alla vostra vita di sempre,
senza timori. Lo vorrebbe anche Jasmine".
"Grazie,
ser". Gli
occhi di Inge si inumidirono.
"E
ora quella stessa fiducia
l'ha data a voi. Quì i
bambini non
avrebbero futuro, voi gliene potete dare uno luminoso".
Sfiorò
uno dei piccoli. "Lui è Olav ed è il bambino
più dolce che
abbia mai conosciuto. Ama stare in braccio, essere accarezzato e
coccolato e non piange quasi mai... E' dolce come un cucciolo di
alce". Poi sfiorò la bambina. "Sigrid è
più vispa e
selvaggia e rappresenta la parte più indomabile di queste
nostre
terre. E rappresenta l'orso polare, è una piccola orsetta
adorabile
ma sfuggente e a suo modo, feroce. Ma è di una dolcezza
unica,
quando vuole".
La
donna scosse i bimbi, muovendoli
leggermente
affinchè si svegliassero un pò.
Poi prese una bottiglietta di latte a cui era attaccata una
tettarella e uno ad uno, nel dormiveglia, li fece mangiare.
Ross,
nervosamente, si mosse sui suoi piedi. "Non c'è tempo".
Inge
scosse la testa. "Due bimbi con un pancino pieno piangono
decisamente meno di due bambini affamati. Con la poppata, dormiranno
per altre due o tre ore e saranno silenziosi. Non è un
bene?".
Ross
sospirò, aveva ragione lei. "Suppongo di sì".
Mentre
finiva di allattare Sigrid, Inge con la mano libera indicò a
Ross un
pacchetto sul comodino. "Lì ci sono alcuni abiti e copertine
per loro. E se avete posto nel vostro zaino, vi darò altre
bottigliette di latte e dei panni di cotone per tenerli puliti".
"Vi
ringrazio. Ho già delle scorte e un socio che mi aspetta
sulla nave
con esse, ma qualcosa in più non farà male".
Inge
sorrise. "Come li porterete via?".
"Raggiungerò
una piccola baia dove mi aspetta una barchetta,
usando le fognature.
Non è il massimo, lo so, ma non ho scelta se voglio muovermi
con
loro in sicurezza.
Da lì raggiungerò il porto e la mia nave. E poi
farò rotta verso
l'Inghilterra".
"C'è
molto ghiaccio lì?".
"No,
ma c'è spesso molto vento".
Inge
rise. "Ghiaccio e vento... Ci si troveranno bene come pesciolini
nel mare nella vostra Inghilterra".
"Lo
spero".
Inge
prese una fascia, una come quelle che Demelza si legava
attorno al ventre quando i loro figli erano piccoli, per portarli in
giro, poi la lanciò a Ross. "Legatevi addosso questa,
metteremo i bambini lì e li nasconderete
poi
col mantello".
Ross
lo fece, era un modo comodo per trasportarli e tenere libere le
braccia. E finito di nutrire i piccoli, Inge glieli diede, avvolti in
pesanti coperte, mettendoli vicini nella fascia con cui li avvolse.
Poi li baciò sulla fronte. "Addio, piccoli. Conoscervi
è stato
un piacere e un onore. Ma da ora la vostra vita inizia davvero".
Ross
le sfiorò il braccio con gentilezza. "Me ne
prenderò cura al
meglio, ho dei figli e anche se non sono bravo come mia moglie,
farò
di tutto perché stiano bene".
Inge,
silenziosamente, fece scivolare una lacrima sul suo viso. "Mi
mancheranno ma voglio che vivano felici. Fate davvero che sia
così".
Ross
annuì. "Lo farò".
Coi
bambini fece per tornare alle scale ma poi Inge lo chiamò.
Gli si
avvicinò e gli mise fra le mani un fiore di carta. "L'ho
fatto
io, è per Jasmine. Hanno gettato il suo corpo in mare, senza
una
tomba, senza un monumento, senza nulla... Quando sarete in mare,
gettate questo fiore fra le onde, per lei, perché abbia
almeno un
dono amico con cui varcare le soglie dell'Aldilà".
Ross
le sorrise, prese il fiore e lo strinse fra le mani. "Lo
farò,
statene certa". Lo avrebbe fatto, per Inge, per Jasmine e per
quei due gemelli che sonnecchiavano contro il suo petto, nascosti dal
mantello. Tutti
loro dovevano un saluto a Jasmine. "Buona
fortuna".
"A
voi, signore".
E
a ritroso, senza
aggiungere altre inutili parole, Ross
raggiunse il salotto e poi la piccola stanza che dava sulla stalla. E
dopo aver salutato ancora Inge, sgattaiolò fuori e raggiunse
di
nuovo le fogne. Fra le sue braccia teneva un tesoro immenso e lo
avrebbe protetto a costo della vita. Non sapeva ancora cosa avrebbe
fatto coi bambini una volta giunto in Inghilterra ma per il momento
non voleva
altro che arrivare a Nampara e lì decidere il da farsi.
I
piccoli, tranquilli e per nulla turbati dal freddo, dormivano nella
fascia, per nulla infastiditi
da quel trambusto.
Ma di che si stupiva? Come aveva detto Inge? Erano figli di Odino,
no?
Freddo e intemperie non li avrebbero scalfiti...
Sbucò
fuori
dalle fogne a
ridosso di una baia isolata, fuori da Oslo e dalle sue mille ombre,
dopo un'ora di cammino nell'oscurità. Non nevicava
più ma il freddo
era pungente.
Trovò,
dove aveva detto di lasciarla, la piccola barca lasciata da
Jones, vi salì e remò verso il largo, lasciandosi
Oslo alle spalle.
Scostò il mantello e osservò i bimbi che,
rannicchiati ed
abbracciati, continuavano a dormire incuranti
di tutto.
E
improvvisamente, una luce verde e rossa apparve sulle loro teste.
Ross
smise per un attimo di remare,
osservò il cielo e rimase a bocca aperta davanti alla
maestosità di
madre natura che gli stava donando l'aurora boreale più
bella che
lui avesse mai visto. Era come un dono di quelle terre a quei bambini
che se ne stavano andando, un dono di due genitori a due figli che
non avrebbero visto crescere
e
un lascito per lui che doveva prendersene cura. Ross prese il fiore
di carta di Inge che teneva nella tasca, lo baciò e poi lo
lasciò
cadere in acqua
sussurrando una mesta preghiera al mare.
Se c'era un momento per dire addio e rendere un tributo a Jasmine,
quello era sicuramente perfetto.
E
mentre la barca scivolava fra i ghiacci e il mare e il cielo colorava
di mille riflessi ogni cosa, un fiore solitario dava l'ultimo saluto
a una donna che per sempre avrebbe riposato
fra quelle terre selvagge e ghiacciate.
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
Ross
aveva abbandonato la piccola barca di legno fra le rocce, a una
cinquantina di metri dal porto. Nel buio, muovendosi fra gli
anfratti, aveva raggiunto il punto dove i marinai stavano imbarcando
viveri e materiali, pronto a raggiungere Jones che doveva essere
ormai già imbarcato.
Aveva
con se il biglietto per il ritorno e in caso fossero stati visti, i
due lasciapassare per i bambini che avrebbe fatto passare come figli
suoi. In realtà Ross sperava che i piccoli, dormendo, non
sarebbero
stati notati e che avrebbe potuto tenerli nascosti durante tutti i
giorni di navigazione ma alla peggio aveva già provveduto
con Jones
a redigere due certificazioni false a nome di Daisy e Demian Smith,
figli del commerciante Conan Smith, il suo nome in incognito in
quelle terre. Aveva scelto quei nomi così inglesi e
così poco
scandinavi quasi per gioco, scegliendo per iniziale la lettera D,
come Demelza… Olav e Sigrid assieme alla loro storia e alla
loro
identità sarebbero spariti dalla faccia del mondo appena la
nave
fosse salpata e anche se provava una strana fitta al cuore al
pensiero che quei due piccoli sarebbero stati privati dei nomi scelti
per loro con amore dai genitori, della loro storia e delle loro
origini, si rendeva conto che non c’erano altre soluzioni per
la
loro salvezza. In fondo erano ancora piccoli, nulla avrebbero potuto
ricordare e anche se, come diceva Inge, avrebbero avuto sempre il
nord a scorrere nel loro sangue, sarebbero stati felici anche nella
nuova vita che li attendeva in Inghilterra, qualsiasi essa fosse.
Raggiunse
il punto d’imbarco stringendosi nel mantello, in modo da
celare la
presenza dei piccoli. I bambini dormivano e l’aurora boreale
che
aveva accompagnato la sua traversata nella baia si era quasi estinta,
lasciando il posto a un cielo plumbeo, scuro e carico di nuova neve.
Come preventivato da Inge, i piccoli avevano dormito tutto il tempo e
non erano stati disturbati né dal trambusto né
dal freddo che
invece aveva fatto battere i denti a lui. Certo, erano avvolti in
coperte di lana e abitini invernali, avevano cappellini pesanti a
coprir loro la testolina, ma diavolo, faceva un freddo assurdo! E
loro dormivano beati… Forse era questo che li rendeva
diversi, per
metà erano figli di quelle terre e avevano nel sangue la
capacità
di resistere a quel freddo a cui lui non si sarebbe abituato mai.
Erano due bei bambini, dai lineamenti fini e delicati e durante la
traversata della baia aveva sbirciato più volte i loro
visini.
Sembravano indifesi e pacifici come tutti i neonati, puri come tutti
i bambini non ancora toccati dalle brutture del mondo. Anche i suoi
figli erano così e non vedeva l’ora di
riabbracciarli. Jeremy era
stato bravo ad uscire in barca per la pesca? Clowance aveva di nuovo
giocato come un maschiaccio coi figli dei suoi minatori? Bella era
ancora rumorosa? Aveva imparato a camminare o ancora gattonava
facendo impazzire Prudie e la sua schiena? Santo cielo, era stato
lontano da casa solo tre mesi e gli erano mancati da morire. E
Demelza? Quante volte le aveva lasciato il peso di gestire tutto? E
quante volte si era dimostrata migliore di lui nel farlo, saggia,
accurata ed amabile? Voleva rivedere tutti loro, abbracciarli e poi
con calma decidere la collocazione più giusta e sicura per i
gemellini. Chissà come avrebbe preso Demelza il loro arrivo
a
Nampara? Sicuramente si sarebbe trattato di pochi giorni e lei li
avrebbe accolti con calore, ma… E se avesse dubitato di lui
e della
sua fedeltà? Se avesse pensato che…? Gli venne in
mente Valentine
e le sue tante colpe verso di lei e si rese conto che se avesse
dubitato, non avrebbe avuto tutti i torti. Eppure ora il loro
matrimonio era forte e tale era diventato proprio grazie alle mille
tempeste superate insieme. L’amore era una questione di
fiducia…
Quei due gemelli ne sarebbero stati il banco di prova? Ovviamente
Ross sapeva bene di essere totalmente innocente ma era altrettanto
consapevole che non avrebbe potuto dire molto nemmeno a Demelza sul
loro conto, per la sicurezza di tutti era meglio che nessuno sapesse
a parte lui, Inge che ormai era al sicuro e Jasmine, che si era
portata il segreto nella tomba.
Demelza
avrebbe capito il perché dei suoi silenzi? Li avrebbe
accettati? O
si prospettava un ritorno meno pacifico di quello desiderato?
Quando
giunse all’imbarco, due marinai che borbottavano con non
molta
grazia, lo addocchiarono sospettosi. “Signore?”.
Ross
tirò fuori dalla tasca il suo biglietto d’imbarco.
“Sono un
passeggero”.
“Partiremo
solo fra quattro ore”.
“Non
importa, aspetterò in cabina. Il mio socio è
già lì”.
Il
marinaio alzò le spalle, annoiato. “Faccia come le
pare ma ci sarà
un pò di trambusto per l'imbarco della merce”.
Ross
sentì i bambini muoversi nella fascia contro al suo petto,
sotto al
mantello. E accelerò il passo. “Non
c'è problema, ho il sonno pesante.
Buon lavoro” – disse ai due. E velocemente
salì
sull’imbarcazione, sparendo nelle scalette che portavano alla
stiva.
Quando
giunse nella piccola ed angusta cabina che Jones aveva trovato in
stiva, si accorse che era poco più di un magazzino. C'erano
due
pagliericci sistemati alla bell'emeglio, casse di legno sparse
ovunque, secchi d'acqua per lavarsi, alcune mensole dove poggiare i
propri averi e nelle narici, un pungente odore di chiuso. Solo due
piccoli oblo davano luce, sbucando appena dal livello del mare.
Appena
lo vide, Jones lo fulminò con lo sguardo. "Ti odio, sappilo!
Potevamo avere comode camere sul pontile superiore e viaggiare come
signori. Invece siamo quì, nella pancia della nave, ad
ammuffire e a
sentire ogni variazione di corrente marina.
E come compagnia, due mocciosi che strilleranno e faranno cacca e
pipì ogni cinque minuti".
Ross
chiuse la porta dietro di se fingendo di non sentirlo. Jones
amava sentire il suono della sua voce e amava soprattutto borbottare
per ogni cosa, tanto che spesso lo aveva definito 'Mister-no'. Eppure
era il miglior socio e amico con cui lavorare sotto copertura e mai
avrebbe fatto a meno di lui. "E'
andato tutto bene?".
Scocciato,
Jones sbuffò. "Oh, per bene che intendi? Scappare come un
ladro
dalla locanda lasciando il denaro per il vitto sul letto? Strisciare
come un verme nelle fogne? Finire in una cabina dimenticata da Dio?Te
l'ho detto, ti odio!
Ma se per te questo equivale a 'tutto bene', sì, siamo nel
pieno
della grande bellezza della missione!".
Ross
ridacchiò, avvertendo i bambini muoversi sempre
più. "Sei quì
a borbottare come un vecchio, quindi è andato tutto bene!".
Jones
lo occhieggiò. "E a te?".
Ross
allargò il mantello, mostrando cosa nascondeva sotto di
esso. Nella
fascia legata attorno al suo collo e alla sua vita, i bimbi
iniziavano a svegliarsi.
"Missione compiuta, come puoi vedere".
Jones
scoppiò a ridere. "Sembri una balia!".
"Idiota!
Hai con te il latte e le cose che ti ho detto di procurarti per
loro?".
Jones
indicò un grosso sacco accanto al suo pagliericcio. "Pieno
di
roba per marmocchi. Mi sono spaccato la schiena a portarlo
quì
attraverso le fogne". Poi si avvicinò, osservando i due
bambini. "E così sono questi? I mocciosi del mistero?".
"Esatto".
"Come
si chiamano questi piccoli vichinghi?".
"Demian
e Daisy".
Jones
lo guardò scettico. "Suppongo che non siano i loro veri
nomi".
Ross
fece un sorriso furbo. "Supponi giusto. E ora su, prendine uno,
si stanno per svegliare e se non gli diamo da mangiare, scoppieranno
a piangere".
Jones
spalancò gli occhi. "Prendere COSA?".
"Uno
dei bambini".
"E
da che lato si prendono?".
Ross
alzò gli occhi al cielo. "Dalla schiena, sorreggendogli la
testa".
Jones
indietreggiò. "Ah no, mio caro! Ti ho aiutato a portare la
roba
per loro fin quì ma il mio compito può dirsi
concluso! Io sono
stato mandato in queste terre dimenticate da Dio e dal sole per
spiare il contrabbando del mercato del pesce, questa cosa in cui ti
sei imbarcato è
faccenda tua e io
non voglio fare da bambinaio a due mini esseri
urlanti".
"Jones,
ti prego!".
Ma
l'uomo indietreggiò ancora, raggiungendo la porta. "Sai che
farò?".
"Cosa?".
"Andrò
di sopra sul pontile e mi godrò il meraviglioso mal di mare
che mi è
venuto appena sono salito su questa dannata nave. Sempre meglio che
star qua a curare quei due esseri strillanti.
Sono tutti tuoi mio caro".
E così dicendo, bianco come un cencio, scomparve.
Ross
sospirò rassegnato, in fondo non poteva obbligarlo ed aveva
ragione
lui. I bambini di Jasmine erano un suo affare e Jones soffriva
effettivamente di mal di mare.
Si
sedette sul pagliericcio, slegò la fascia e pose i bambini
su quello
che sarebbe stato il suo letto. I piccoli, bellissimi e dall'aspetto
angelico, frignottarono e Ross d'istino li accarezzò sul
pancino.
"Su, il peggio è andato! So che la vostra prima uscita dalla
casa di Inge è stata nelle fogne ma vi giuro che
c'è di meglio da
vedere, nel mondo".
La
sua voce apparve loro sconosciuta e i bambini si svegliarono di
soprassalto. Il maschietto prese a piagnucolare succhiandosi la
manina e cercando di rannicchiarsi contro la sorella, lei prese a
scalciare e a lanciare strilli più potenti. Nel panico, Ross
la
prese in braccio assieme al fratello. Santo cielo, come avrebbe
voluto avere Demelza vicino... Lei avrebbe saputo subito come
calmarli, come tranquillizzarli, come farli sentire sicuri. "Hei,
bambini, sono vostro amico".
Ma
loro piansero ancora e Ross ringraziò il cielo che i marinai
fossero
tutti di sopra a caricare la merce,
altrimenti li avrebbero scoperti.
Prese delle bottigliette di latte e gliele mise in bocca e il
maschietto iniziò a succhiare affamato mentre la bimba si
dimenò
stizzita. Aveva ragione Inge, doveva avere un bel caratterino quella
piccoletta... "Senti Sigrid, la tua balia ha detto che sei una
piccola orsa selvaggia e ha ragione" - le sussurrò
dolcemente,
accarezzandole la guancia. "E sai cosa amano le piccole orse?".
La
piccola smise di piangere, rapita dal suo tono rassicurante e dalle
sue
braccia forti. Lo osservò incuriosita e anche se sicuramente
non
capiva un
bel niente di
cosa lui le stesse dicendo, si rannicchiò ad ascoltarlo. In
fondo una cosa gli avevano insegnato i suoi figli da neonati, non era
il succo del discorso che interessava ai neonati ma il tono
rassicurante con cui gli si parlava. E quei bambini non erano diversi
dai suoi...
Ross
sorrise. "Le piccole orse amano l'avventura e questa lo è.
Sarà
divertente, vedrete! E alla fine arriveremo in una bella casa, la mia
casa... Lì ci sono i miei bambini e c'è mia
moglie. Lei sarà
davvero più brava di me a prendersi cura di voi mentre cerco
un
posto sicuro dove possiate stare. Dovete perdonarmi ma i vostri veri
nomi non li potremo più usare. Io li saprò sempre
e se servirà, li
rivelerò al mondo. Ma per ora, che ne dite di essere solo
Daisy e
Demian? Sono bei nomi e vi stanno anche bene!".
Il
piccolo continuò a succhiare il latte ma
la bambina puntò
i suoi occhioni azzurri sul viso di Ross e poi gli
prese un dito della mano, stringendolo come a suggellare
un patto fra di loro.
Ross
la strinse a se. "E allora, da oggi non sarete più Olav e
Sigrid. Per il mondo sarete Demian e Daisy, affare fatto?" -
chiese, porgendo il latte alla piccola.
Lei
si stiracchiò e alla fine accettò il latte,
affidandosi
completamente a quell'uomo che le appariva sconosciuto ma decisamente
affidabile. Un patto profondo era appena nato fra quei tre...
E
poche ore dopo tutti dormivano nel pagliericcio a loro assegnato,
Jones sul suo e Ross nel proprio, coi due bambini rinfocillati,
lavati e avvolti nelle
coperte accanto
a lui.
E
mentre dormivano la nave si mosse e fra i ghiacci e la neve
lasciò
il molo, Oslo, la Norvegia e tutti i misteri che essa racchiudeva.
Una
nuova vita iniziava e come aveva detto a Sigrid, anche una nuova
avventura...
Il buio che aveva avvolto le loro nascite se lo sarebbero lasciati
alle spalle per sempre, con un pò di fortuna. Jasmine poteva
riposare in pace, gli uomini che avevano distrutto la famiglia dei
piccoli avrebbero vissuto nell'incertezza dovuta al fallimento di non
averli trovati e lui avrebbe fatto di tutto perché quei
bambini nati
nel paese della neve e del ghiaccio avessero una vita degna di essere
vissuta.
...
Isabella-Rose,
detta Bella, gattonando scappò dietro un mobile, decisa a
non andare
a letto. Era la figlia più ribelle e pestifera e anche se
aveva solo
un anno, teneva testa ai fratelli maggiori.
In
camicia da notte, Clowance e Jeremy risero. "Possiamo andare al
mare e fare il bagno di mezzanotte
visto che siamo tutti svegli".
Demelza
e Prudie, riacciuffando la piccola, risero. "Siamo a novembre,
fa freddo e voi dovreste essere a dormire da molto! Altro che bagno
di mezzanotte, se non vi sbrigate e filare a letto vi faccio il
sedere viola" - tuonò la domestica.
Jeremy
e Clowance si guardarono in faccia e per nulla spaventati, risero.
"Papà il bagno a mezzanotte a novembre lo farebbe".
Prudie
alzò le spalle. "Certo e poi da bravo maschio se si ammala,
ce
lo dobbiamo sorbire noi con le sue lamentele".
Demelza,
dolcemente, si avvicinò ai figli più grandi con
Bella in braccio.
"A letto su, domani c'è scuola e zia Rosina non vi
vorrà
vedere addormentati sui libri".
Jeremy
sospirò e poi dopo aver baciato la madre, corse di sopra
seguito da
Clowance.
Prudie
borbottò. "Ci vorrebbe disciplina. Quando torna il signor
Ross?".
Demelza
si avvicinò alla finestra, osservando il buio che avvolgeva
Nampara.
Suo marito gli mancava così tanto e vederlo tornare sano e
salvo era
ogni volta un sollievo. Erano missioni pericolose a volte, quelle a
cui lo mandava il Governo e tante notti aveva passato insonne per
paura che gli succedesse qualcosa. Ma si fidava di Ross e sapeva che
anche se indomito, con gli anni era anche diventato assennato
e desideroso solo di tornare a casa da lei, sano e salvo.
"Fra dieci giorni".
"Vi
manca?" - chiese Prudie.
Bella
sgambettò fra le sue braccia. "Tanto".
Prudie
le si avvicinò, poggiandole la mano in modo materno sulla
spalla.
"Mancate anche a lui. In questa casa ci sono stati momenti bui
negli anni passati e che cosa hanno lasciato?".
Demelza
si accigliò, guardandola. Perché parlarne? Si
stava riferendo a
Elizabeth e Hugh? Che cosa c'entravano, ora? "Che vuoi dire?".
A volte temeva che quegli errori li avrebbero tormentati per sempre
sbucando dal passato quando meno ce lo si aspettava
e ricordarli certo,
faceva
da ammenda,
ma risvegliava in lei anche antiche paure e sensi di colpa.
Ma
Prudie la rassicurò,
cercando di spiegarsi meglio.
"Che tutto serve, nella vita. Che hanno lasciato quegli
errori?".
"Non
so".
La
domestica prese Bella per portarla a letto. "Tre marmocchi
contenti, una domestica felice e soprattutto due che muoiono di
nostalgia quando stanno lontani. Dio benedica il giorno che quella
Elizabeth ha sposato il signor Francis e il giorno in cui il signor
Ross ha sposato voi. Ha fatto il miglior affare della sua vita e per
questa casa".
Demelza
le sorrise, abbracciandola. "Grazie".
Era vero, se l'amore fra loro a volte era stato messo in pericolo,
mai aveva vacillato e sempre era diventato più forte, dopo
ogni
tempesta. E aveva lasciato due anime profondamente innamorate e
consapevoli di non poter vivere l'uno senza l'altra. E quella era la
sua gioia più grande, adesso.
Prudie
le sorrise. "E ora su, a letto anche tu ragazza!".
Ma
Bella si agitò, brandendo il ditino verso la finestra. "Ene,
eve...".
Le
due donne,
incuriosite,
si avvicinarono al vetro e Demelza spalancò gli occhi. "La
prima neve dell'anno, Prudie. Chissà se è bella
come quella che
starà vedendo Ross in Norvegia".
Ma
Prudie scosse la testa. "Oh, la nostra è più
bella. La neve
del nord porta solo guai, dicono,
quella
della Cornovaglia porta meraviglie".
E
su quella battuta, risero di nuovo. Nessuna delle due poteva sapere
che la neve del nord avrebbe portato ben altro, a breve, nella loro
casa
e nelle loro vite...
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Furono
due settimane di viaggio accompagnate da un mare perennemente agitato
e in tempesta, com’era d’altronde tipico dei
periodi invernali.
Il
povero Jones aveva passato gran parte del tempo sul pontile, preda di
un mal di mare che non lo aveva lasciato un attimo, a maledire tutti
gli dei di Norvegia per quel viaggio infernale in cui si era
incappato.
Ross
dal canto suo se la rideva perché quando Jones era di
cattivo umore
e iniziava a borbottare, era quanto di più comico potesse
esistere.
Aiutato dal fatto che per lui il mal di mare non fosse un problema e
che i gemellini erano bravi la maggior parte del tempo, aveva
trascorso quei giorni di navigazione perennemente chiuso in cabina a
compilare i resoconti per il Governo sul contrabbando di pesce e
preziosi dai paesi del nord mentre i piccoli dormivano.
In
realtà era davvero stupito che quei due bambini, la cui
nascita e
prime settimane di vita era stata travagliata e trascorsa
nell’oscurità di un nascondiglio, fossero tanto
tranquilli. A
volte pensava che avessero sviluppato uno strano senso di
conservazione che aveva fatto loro comprendere la necessità
di fare
i bravi, a volte pensava invece di essere davvero fortunato
perché
di fatto, a parte qualche pianto stizzito di Daisy quando era
affamata, dormivano sempre e quando erano svegli se ne stavano
tranquilli nella loro cesta senza fare troppo rumore. I loro brevi
pianti erano spesso celati dal rumore del mare e da quelli della nave
e di solito, se frignavano, bastava prenderli in braccio e dar loro
retta per calmarli. Il maschietto, Demian, era la pace fatta persona,
la bambina era più vispa e sembrava solo chiedere attenzioni
quando
era sveglia, ma entrambi erano decisamente meno rumorosi dei suoi
figli alla stessa età. Soprattutto, rispetto a Bella. La
figlia
minore aveva avuto da subito una voce acuta e forte e i suoi pianti
si sentivano probabilmente fino a Truro nei momenti in cui era
più
arrabbiata, i gemellini scandinavi invece piangevano più
sommessamente ed erano più facilmente consolabili.
Ross
non vedeva però l’ora di scendere a terra
perché comunque fino a
che non fosse stato lontano da occhi indiscreti, qualcuno avrebbe
potuto notare la presenza dei piccoli e chiedere spiegazioni. Si
chiedeva come i suoi pedinatori avessero preso la sua frettolosa
partenza in Norvegia, se i bambini fossero ancora cercati e se Inge
fosse al sicuro, ma purtroppo non era certo che avrebbe mai avuto
risposte a questi quesiti. L’importante era portare in salvo
i
bambini e finché non fosse stato a casa, questo non poteva
metterlo
con assoluta certezza in conto.
E
così fu solo quando la nave attraccò, con
l’ultimo pericolo di
essere scoperti scendendo a terra, che poté tirare un
sospiro di
sollievo.
Poco
prima di arrivare in porto, come aveva fatto Inge a Oslo, aveva
lavato i bambini, li aveva vestiti con abiti pesanti e li aveva
nutriti e poi li aveva messi nuovamente nella fascia legata in vita,
vicini e nascosti sotto al suo mantello. Aveva preso le sue cose, era
sceso dalla nave preceduto da Jones che ne celava la figura ed era
sceso a terra al porto di St. Ives, deciso a raggiungere poi casa a
piedi per evitare carrozze e occhi indiscreti. I bimbi erano bravi ma
meglio evitare di sfidare ulteriormente la fortuna…
Appena
scesi a terra, con le sacche sulle spalle e intabarrati per
difendersi dal freddo, si accorsero che nevicava.
Allontanandosi
dal porto, Jones iniziò a borbottare di nuovo.
“Che sia maledetto
il cielo, l’inverno e questa diavolo di neve che ci
accompagna da
Oslo assieme a un mare MAI piatto come una tavola. E sia maledetto tu
Poldark, pessimo compagno di viaggio, procacciatore di guai e ora
anche di mostricciattoli urlanti”.
Ross
alzò gli occhi al cielo. “L’unico che
urla sei tu” – gli
rispose pacatamente, incamminandosi in un sentiero scosceso, felice
di essere a casa, circondato da paesaggi conosciuti e famigliari.
Jones
insistette. “Lo sai come sto? Ho perso dieci chili a furia di
star
male”.
“Infatti
ora hai un bel figurino che potrai sfoggiare a Londra ai balli e alle
feste!”.
“Al
diavolo i balli e le feste”.
Ross
rise. “Niente vita mondana quindi?”.
Jones
lo raggiunse, allungando il passo. “Ridi, ridi pure. Ma
quando
arriverai a casa tua coi due marmocchi e tua moglie ti
metterà alla
porta pensando alle corna, NON pensare a me e alla mia casa per
cercare riparo! Un bel ponte, ecco sotto cosa devi dormire”.
Ross
per un attimo si oscurò, sperando che Demelza non traesse le
conclusioni errate. Anche se, se lo avesse fatto, fatti e parole
passate potevano darle il timore che lui… Ma scosse la
testa, erano
ormai uniti e Demelza sapeva leggergli nell’animo meglio di
chiunque altro, sapeva quanto la amasse, sapeva che per lui lei era
tutto e quindi avrebbe capito, avrebbe usato il suo buon senso e
tutto si sarebbe risolto con l’idonea collocazione per i
bambini.
“Non avrò bisogno di te!” –
disse, vago.
Jones
scosse la testa. “Sai che farò, appena giunto a
Londra?”.
“Cosa?”.
“Mi
sposerò! Cercherò moglie, metterò la
testa a posto, diventerò il
più integerrimo membro di Westminster e la farò
finita con queste
missioni con te. Voglio PACE!!!”.
Ross
a quelle parole scoppiò a ridere. Jones? Una vita di pace?
Lui?
“Potresti farti prete a questo punto” –
lo prese in giro.
Jones
lo fulminò con lo sguardo. “Ridi, ridi
pure… Mi troverai con una
splendida moglie diciottenne, al nostro prossimo incontro”.
Ross
rise più forte. “Certo, certo… Invece
scommetto che ti troverò
con una pinta di birra in mano in un porto, arrabbiato col mondo,
zitello e pronto a ripartire di nuovo”.
“Quanto
ci scommetti?”.
Ross
ci pensò su. “Un mese di guadagni della mia
miniera”.
Jones
alzò gli occhi al cielo. “Sei odioso”.
“E
tu una brava spia! Riporta a Londra questi resoconti, salutami
Wickman e datti alla vita mondana della capitale. E tieniti pronto
per il prossimo viaggio” – disse Ross, mollandogli
in mano i
documenti segreti per la Corona.
Un
vagito da sotto il cappotto fece sobbalzare entrambi. Ross lo
allentò, mostrando il visino di Daisy che si era svegliata.
“Vuoi
salutare Jones?”.
Il
suo socio guardò la bambina in cagnesco.
“Mocciosetta, ti lascio
proprio in cattiva compagnia. Ma con gioia, ti dico che ti saluto e
spero di non aver nulla a che fare con voi in futuro”.
Ross
rise. “Dai, un po’ ti sei affezionato”.
“Al
diavolo! Mai visti esseri viventi far tanta cacca in vita mia! Ora
tornerò a Londra e mi dimenticherò che siano mai
esistiti. Come del
resto vuoi tu”.
Ross
si fece serio. “Mi raccomando”.
“Sarò
muto e smemorato. Già non ricordo i loro nomi,
tranquillo”.
Ross
gli diede una amichevole pacca sulla spalla. “Sei un
amico”.
Jones
sospirò, preoccupato. “Che farai ora, con
loro?”.
“Devo
ancora ragionarci con calma. Ma credo che lo farò al sicuro,
fra le
mura di casa mia. Ora non ho la testa per decidere nulla e devo
scegliere con cura come dar loro il miglior futuro
possibile”.
Jones
sorrise, erano ormai giunti al bivio della strada. “Buona
fortuna e
a presto” – sussurrò, mentre la neve
attorno a loro imbiancava
tutto.
“A
presto”.
Si
separarono e Ross lo vide dirigersi verso una diligenza. Lui prese la
strada opposta, inoltrandosi fra la brughiera sferzata da quel vento
impetuoso ma che faceva parte di quelle terre.
Ricontrollò
i bambini. Demian dormiva rannicchiato contro sua sorella, lei si
mordicchiava la manina. Un fiocco di neve raggiunse il visino di
Daisy, posandosi sulla punta del suo naso e Ross temette che
scoppiasse a piangere. Ma la bimba lo stupì, si
toccò il naso e poi
rise, agitando le gambette come se trovasse divertente quella
sensazione di freddo. Anche Ross rise, prendendole la mano.
“Sei
proprio una piccola orsa vichinga. Come tu faccia a trovare
divertente il freddo, per me resterà sempre un
mistero… E’ un
po’ come per me che trovo piacevole il vento della
Cornovaglia
mentre molti che non sono nati qui lo trovano odioso. Sono cose che
abbiamo nel sangue, giusto?”. Lei strinse la sua mano,
attenta alle
sue parole. Una cosa che Daisy, a differenza del fratello, adorava,
era che qualcuno le parlasse e le desse attenzione. Demian dormiva
per la maggior parte del tempo ma lei era più curiosa,
vivace e
adorava ascoltare le voci di quelli che le stavano attorno. Erano
piccolissimi, quasi identici di aspetto ma dimostravano già
delle
indoli totalmente opposte.
Ricoprì
la bimba perché rimanesse comunque al caldo, la
cullò affinché si
addormentasse e poi si incamminò verso casa.
Il
tempo imbruniva, il cielo plumbeo anticipava il buio della sera e il
freddo era sferzante e anche se non lontanamente paragonabile a
quello di Oslo, gli faceva battere i denti. Camminava a passo spedito
usando le mille precauzioni che aveva adoperato ad Oslo per muoversi
nei meandri della città dopo l’incontro con
Jasmine e i successivi
pedinamenti. Era stupido ma si sentiva braccato anche lì, in
Cornovaglia, come se
nell'ombra
ci fossero mille occhi a scrutarlo e a studiarne ogni mossa.
Dannazione, che idiota che era, nemmeno da ragazzino aveva avuto
paura di muoversi nell’oscurità della brughiera e
ora si stava
facendo condizionare dalle mille ombre della sera che piante e scogli
lanciavano sul suo cammino. Era un uomo, era solo, aveva usato ogni
accorgimento e nessuno lo seguiva, che cosa c’era da
preoccuparsi?
O forse era semplicemente la voglia di casa, di pace e di famiglia a
fargli avvertire il desiderio di arrivare presto alla sua meta dopo
tutto l’orrore visto e percepito nel grande nord? O
forse era la stessa consapevolezza che aveva animato la scelta di
Jasmine ad allontanarsi dai suoi piccoli a renderlo inquieto? Coloro
che cercavano i bambini erano persone potenti che di certo non si
sarebbero arrese, avevano occhi ed orecchie ovunque e lui forse,
portando con se i piccoli, stava esponendo la sua stessa famiglia a
un grosso pericolo... Che aveva da stare tranquillo? Poteva davvero
dirsi al sicuro? Certo, al momento probabilmente lo era ma dal nord
forse, presto o tardi, le ombre che ora sentiva su di se sarebbero
rispuntate sul serio e lui avrebbe dovuto farci i conti.
Osservò i
bambini, due piccoli dall'aspetto angelico che nessuna colpa avevano
e di certo non potevano nemmeno lontanamente immaginare il pericolo
che rappresentavano per qualcuno. Ma guardandoli, gli venne da
sorridere davanti al loro sonno tranquillo, il sonno dei giusti, il
sonno di chi è in pace col mondo. E quindi, se erano
tranquilli ora,
perché doveva agitarsi lui? Al momento tutto era filato
liscio come
l'olio e forse il tempo avrebbe cancellato quella pagina nera che
aveva ucciso i genitori dei bambini. O forse tutto si era risolto con
la fuga da Oslo... In fondo ora ritrovare i bimbi equivaleva a
trovare un ago in un pagliaio e sicuramente sarebbe stata un'impresa
impossibile per chiunque.
E
quindi al resto
ci avrebbe pensato dopo, quando a casa avrebbe rivisto la sua luce,
Demelza. Con lei accanto ogni ombra sarebbe sparita e tutto sarebbe
sembrato più semplice.
Quando
vide Nampara in lontananza, con la neve che scendeva sempre
più
copiosa sotto a un cielo nero come pece, si fermò un attimo
a
guardare i due bambini sotto al suo mantello. Prese le loro manine e
in loro vece, disse addio alla loro vecchia vita. "Sigrid, Olav,
da ora questi vostri nomi non esistono più. Non esiste
più il
vostro passato, non esiste più la vostra terra e
sarà come se
nasceste adesso a vita nuova. Sarete Daisy e Demian, due bambini
della Cornovaglia... E sarà l'unico passato che potrete
raccontare".
I bimbi dormivano e Ross pregò di fare la scelta giusta
perché li
stava privando delle loro origini, del loro essere più
intrinseco,
della loro storia e di quella dei loro genitori e avi. Era la cosa da
fare per la loro salvezza eppure non poteva non chiedersi se dentro
di loro, crescendo, avrebbero sentito un vuoto, il richiamo di una
terra lontana e la mancanza di radici... Se lui fosse stato
allontanato dalla Cornovaglia da piccolo, come si sarebbe sentito
crescendo? Sarebbe stato felice? O avrebbe sentito che qualcosa di
lui mancava?
E
con questi quesiti a cui solo il tempo avrebbe potuto rispondere,
Ross si avviò verso casa. Tutte le luci erano spente eccetto
quella
in salotto dove il camino e qualche candela davano ancora un pallido
bagliore ai vetri e all'esterno.
Pochi
istanti e poi avrebbe potuto riabbracciare sua moglie...
...
Demelza
ricontrollò i bambini prima di scendere in salotto a finire
di
ricamare una tenda. Jeremy dormiva abbracciato a un libro, Clowance
se ne stava rannicchiata sotto due coperte, freddolosa come suo
padre, Bella era nel mondo dei sogni da ore, abbracciata al suo
pupazzo preferito.
Sorrise,
erano così angelici quando dormivano...
Dopo
aver dato loro un bacio, con
Garrick scese di nuovo di sotto e il cane le si accoccolò
sui piedi
mentre lei prendeva a lavorare con ferri e lana.
Improvvisamente
un
rumore fece alzare a Garrick
le orecchie.
Il cane prese
a scodinzolare e si avventò sulla porta.
Il
cuore di Demelza prese a battere più forte, a quell'ora
poteva
essere solo...
Solo...? Solo per LUI Garrick si comportava così...
Corse
verso l'uscio e la porta si aprì. Il cuore della donna si
gonfiò di
gioia e anche se suo marito pareva congelato ed era pieno di neve su
tutto il mantello, tutto quello che voleva fare era abbracciarlo. Gli
era mancato così tanto e quella era l'ora del giorno in cui
la
nostalgia era più forte. "Ross"
- sussurrò, emozionata come ad ogni suo ritorno.
Non sapeva mai con precisione quando tornava dai suoi viaggi ed ogni
volta era la più bella delle sorprese.
Lui
la guardò, commosso come sempre. Santo cielo, non era
Nampara la sua
casa, la
sua casa era
lei... Sarebbe sempre stata lei... "Amore mio".
Demelza
fece per avvicinarsi e stringerlo a se ma Ross la bloccò con
un
gesto della mano. "Aspetta".
"Ross,
non mi importa nulla se sei tutto bagnato".
Lui
scosse la testa, scostando il suo mantello affinché lei
potesse
vedere cosa nascondeva. "Non è questo. Abbiamo due ospiti
inaspettati".
Demelza
si avvicinò, guardò nella fascia e vide le due
testoline bionde
che sbucavano dalla fascia legata in vita da suo marito.
Spalancò gli occhi, osservò loro e poi Ross
e mentre Garrick si rannicchiava festante ai piedi del
suo padrone,
eruppe nella sua imprecazione più famosa. "Judas!".
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Dopo
qualche minuto di sbigottimento, Demelza decise che più di
tutto
voleva riabbracciare suo marito. Tornato come sempre senza avvisare,
in un orario improbabile, intirizzito dal freddo, bagnato come un
pulcino... E con due neonati dalla pelle bianca come il latte
nascosti sotto il suo mantello...
Lo
strinse, attenta a non schiacciare i piccoli. E lui fece altrettanto.
"Demelza"
- sussurrò fra i suoi capelli, felice semplicemente di
essere di
nuovo a casa sua, con lei. Si chinò su sua moglie, le
sfiorò il
viso e la baciò con passione sulle labbra, affamato di lei...
"Ross".
La donna assaporò
il calore e il sapore delle sue labbra, la sua vicinanza e solo dopo
lunghi istanti si
scostò da lui,
togliendogli di dosso, con
un gesto veloce,
il mantello bagnato di neve. "Mettiti con questi bambini davanti
al camino, siete congelati".
Ross
la fissò un pò sbigottito dalla mancanza di
domande. Ma di certo
sarebbero arrivate e dopo tutto conosceva Demelza e la sua innata
capacità pratica di capire subito cosa fare e cosa poter
relegare a
un momento successivo. E scaldare due neonati bisognosi e
infreddoliti era di certo la necessità che più le
era saltata
all'occhio.
Si
sedette godendo del di un pò di tepore mentre Demelza
scomparve
qualche istante lasciandolo solo, ricomparendo con una grande e calda
coperta di lana che gli avvolse attorno, avvolgendo anche i due
bambini che dormicchiavano.
Ross
tolse loro i cappellini e Demelza rimase a bocca aperta davanti al
colore biondo, di una tonalità che non aveva mai visto
così chiara,
dei loro capelli. Prese poi, in silenzio, un tozzo di pane e del
formaggio e dopo averli messi in un piatto, si sedette accanto al
marito portandoglieli affinché potesse mettere qualcosa
sotto i
denti.
Ross,
accigliato, addentò un pò di pane, poi si decise
a parlare per
spezzare quello strano silenzio piombato nella stanza dopo il loro
abbraccio e il loro bacio. "E' un ritorno strano, vero?".
Demelza
lo osservò e come sempre, ne percepì i pensieri e
l'inquietudine.
Conosceva suo marito, sapeva che difficilmente provava sentimenti
come la paura eppure le sembrava un fascio di nervi, intimorito e
provato da mille preoccupazioni e da un viaggio di certo non
ordinario. E tutto questo non era da Ross... Gli si avvicinò
e senza
dire nulla, con un gesto gentile, prese i due bambini in braccio,
cullandoli e poggiando le loro testoline sulle sue spalle. "Almeno
mangerai più comodo".
Ross
sorrise. "Ho mangiato scomodo, con quei due, da quando ho
lasciato Oslo".
Demelza
spalancò gli occhi. "Vuoi dire che te li sei portati
via dalla Norvegia? Perché? Fanno parte della tua missione?
Chi
sono, dove sono i loro genitori?".
Lo
travolse di domande, come un fiume in piena, preoccupata per lui e
anche per la sorte di quei due biondissimi bambini che in quel
momento avrebbero dovuto stare coi loro genitori al caldo nella loro
casa e non a Nampara con una spia inglese, ma poi prese un profondo
respiro e decise di calmarsi. Ross era sicuramente stanco, era notte
fonda, tutti dormivano e di certo suo marito non aveva bisogno di
ulteriore stress. "Scusa..." - mormorò.
Ross
le prese una mano fra le sue, se la portò alle labbra e la
baciò.
"Scusa tu, non volevo turbarti ma ho bisogno di un attimo...".
Demelza
ricambiò la stretta, comprendendo che doveva dargli spazio e
tempo
per ambientarsi e riprendersi dal viaggio e dal freddo. "Mangia
con calma, fa un bagno e cerca di rilassarti. Nel mentre mi
occuperò
di questi due bambini".
Ross
sospirò. Il momento del bagno, spesso, era qualcosa di
magico per
loro come coppia, un momento solo loro dove giocavano, ridevano,
flirtavano e dove spesso si finiva col fare l'amore. Ed era l'epilogo
a cui più ambiva, ma forse per l'età, forse per
la tensione, forse
perché ancora non sapeva bene come spiegare tutto a sua
moglie,
quella proposta gli sembrò la più allettante per
il momento. Era
stanchissimo e gli sembrava di non aver bisogno di altro che di
sonno. "D'accordo... Ma prima dimmi, come stanno i bambini?".
Demelza
lo prese in giro. "I nostri?".
"Sì,
i nostri...".
"Dormono
e stanno bene. Jeremy è sempre più un provetto
pescatore, Clowance
è sempre più vivace e Bella la segue a ruota. In
più strilla senza
sosta e la si deve tenere d'occhio perché gattonando o
camminando o
arrampicandosi, arriva ovunque. Domani saranno così felici
di vedere
che sei tornato".
Ross
addentò il pane e le pietanze che aveva davanti, gustando
oltre al
cibo, il calore e i sapori della sua casa. Pregustando il momento in
cui avrebbe riabbracciato i suoi figli... "Mi sono mancati e mi
sei mancata tu".
Demelza
fece per rispondere ma fra le sue braccia uno dei bambini
mugugnò e
si mosse, prima di tornare a dormire. "Sono... tranquilli...".
Ross
annuì. "Il maschio sì. La femmina non sempre".
Demelza
parve stupita. "Oh, sono un bambino e una bambina?".
"Sì,
puoi chiamarli Demian e Daisy".
"Sono
i loro veri nomi?".
Ross
si incupì. "Lo saranno da ora in poi".
"Ross...".
Ma
lui tagliò corto. "Così si chiamano, sui
documenti falsi che
Jones ha preparato per loro. E così si chiameranno".
Demelza
sentì un brivido correrle lungo la schiena.
Guardò i bambini e le
parve di percepire qualcosa di oscuro in tutta quella situazione. Se
quei piccoli sconosciuti erano con Ross e non nella loro casa e se
portavano nomi falsi, qualcosa di grave doveva essere successo.
Ross non avrebbe mai portato via con se, dalla Norvegia, due neonati
senza motivo, privandoli dei loro genitori e della loro casa.
"E ad
Oslo,
come si chiamavano?" - provò a chiedere, consapevole
però che
forse Ross non avrebbe potuto risponderle.
Ross
finì il pane e poi, scuro in volto, si alzò dal
divanetto. "Non
ha importanza, quei nomi non gli apparterranno più e meno
persone li
conoscono, meglio è per tutti".
Lei
scosse la testa, alzandosi a fronteggiarlo. "In che guaio ti sei
cacciato?".
La
baciò, in risposta, sulla fronte. Non voleva turbarla e
desiderava
solo fare un bagno per essere più tranquillo a darle qualche
spiegazione.
Anche se, il fatto che Demelza sembrava non pensare nemmeno
lontanamente che fossero suoi, lo rendeva felice e ancor più
consapevole della solidità ormai raggiunta nel suo
matrimonio.
Elizabeth e quanto successo il 9 maggio avrebbero potuto lasciare
pesanti strascichi nel loro rapporto ma per fortuna tutto sembrava
ormai superato.
"Per ora in nessuno
guaio...
Dopo ti racconterò, prima fammi lavare e fammi togliere
questi abiti
bagnati".
La
donna annuì. "Io ti aspetto in camera con loro. Li
laverò
nella piccola tinozza che usiamo per Bella e metterò loro
qualche
abito asciutto e caldo".
Ross
annuì, prendendo lo zaino che aveva lasciato a fianco della
porta e
tirandone fuori delle bottigliette di vetro con del latte e una
tettarella all'estremità. "Se hanno fame, da loro questo.
Sono
abituati a mangiare così".
Demelza
si accigliò. Aveva già visto quegli aggeggi
infernali
in qualche negozio di Truro
e non le erano piaciuti affatto. Provava pena per i bambini nutriti a
quel modo, senza il calore del contatto con la loro madre,
e mai li avrebbe usati nel caso avesse avuto altri figli.
"Giuda, li hai nutriti così?".
Ross
sorrise, il primo sorriso rilassato della serata, a
quell'imprecazione tanto tipica di lei. "Io e Jones abbiamo
provato ad allattarli ma
pare che
abbiamo poco latte"
- scherzò.
Anche
Demelza rise, dandogli una leggera e scherzosa spinta. "Va a
fare il bagno!".
"Sembra
tu stia parlando con Jeremy!".
Demelza
rise di nuovo. "Sparisci".
Ross
le ubbidì e poi salì le scale, desideroso di
raggiungere quanto
prima il letto.
Rimasta
sola, Demelza osservò i due piccoli. Erano due angioletti
biondi,
minuti, sicuramente stanchi per il viaggio ma tutto sommato in buona
salute. Avevano capelli chiarissimi e anche i loro tratti erano
nordici, si vedeva che non erano bambini inglesi e del posto e
parevano più due bambolotti che due neonati veri e propri.
Poi prese
la bottiglietta col latte. "Giuda, io da mangiare con questo non
ve lo do!".
E
risoluta, salì anch'essa le scale che portavano alla sua
camera,
sentendosi già responsabile del benessere di quei due
piccoli e
misteriori bambini. Per le spiegazioni di Ross ci sarebbe stato tempo
dopo.
...
Ross
si lavò in fretta, senza Demelza il bagno aveva un altro
sapore ma
quella era una sera diversa e lei senza riserve si stava prendendo
cura di quei due bambini che ai suoi occhi apparivano decisamente
misteriosi, quindi aveva ben poco di cui lamentarsi.
Uscì
dall'acqua ancora tiepida, si asciugò e si mise una camicia
e dei
pantaloni da casa, caldi e comodi.
Poi
raggiunse la camera dei bambini per guardarli. Dalla finestra poteva
vedere la nevicata che si era fatta ancora più intensa e
sorrise
immaginando il visino stupito di Bella al mattino, al vedere tutto
quel bianco. Quanto gli erano mancati i suoi tre piccoli e la storia
di Jasmine e del suo triste destino gli aveva fatto avvertire la loro
assenza e la lontananza ancora di più.
Si
avvicinò alla culla della figlia più piccola, che
Jeremy e Clowance
avevano voluto in camera con loro, trovandola profondamente
addormentata col pollice in bocca. I suoi ricciolini neri le
ricadevano sulla fronte e le guance piene erano un chiaro segnale del
suo scoppiare di salute. Poi si avvicinò al letto di Jeremy.
Il
figlio maggiore dormiva tutto storto, con un libro poggiato sul
cuscino di fianco alla faccia. Amava leggere, era un bambino curioso
e intelligente e ora che aveva dodici anni sembrava quasi un piccolo
ometto in miniatura. Era un ragazzino accorto, molto protettivo con
la madre e le sorelle e sicuramente più posato e maturo di
quanto
non fosse lui alla sua età.
Infine
andò da Clowance. La sua bimba bionda, di nove anni, dormiva
rannicchiata sotto due pesanti coperte, coi ricchioli biondi sparsi
sul cuscino. Stava diventando sempre più bella e presto
sarebbe
stata anche parecchio corteggiata, temeva... Ma per ora era una
piccola peste, vivace, golosa e amante delle bambole...
Li
baciò piano, sulla fronte, tutti e tre... E poi
tornò da Demelza.
La
trovò in camicia da notte, con uno scialle sulle spalle, col
camino
che scoppiettava allegramente donando calore alla loro stanza.
Le
si avvicinò, la prese fra le braccia e la baciò
ancora, poggiando
poi la fronte sulla sua. "Mi sei mancata".
"Anche
tu" - sorrise lei.
I
gemellini erano sul loro letto, con abitini puliti e comodi, avvolti
in una coperta e profondamente addormentati. "Hai dato loro il
latte? Di solito dormono tanto profondamente solo dopo aver
mangiato".
Demelza
si avvicinò ai piccoli. "Sì, ma non ho usato
quelle
bottigliette di latte che hai nel borsone".
Ross
si accigliò ma quando comprese cosa intendesse,
entrò subito in
allarme. "Li hai allattati? Demelza, non avresti dovuto farlo!".
Alzò il tono di voce pronunciando quelle parole con tono di
rimprovero e subito se ne pentì, ma non voleva coinvolgere
Demelza
più del necessario e non voleva soprattutto che si
affezionasse ai
piccoli. "Devi allattare Bella, non loro".
Lei,
ferma nella sua posizione, sostenne il suo sguardo. "Bella ha
ormai un anno e non vuole più essere allattata, cerca sempre
di
sgattaiolare via quando provo a darle il seno".
Ross
scosse la testa. "Ok, ma in ogni modo i gemelli non vanno
allattati. Sono abituati a bere dalla bottiglietta e non devono
cambiare questa abitudine. Non affezionarti a loro, staranno
quì
solo poco tempo e l'unica cosa che ti chiedo in questi giorni,
è di
non far parola della loro esistenza con nessuno. E lo stesso dovranno
fare Prudie e i bambini... Quando avrò trovato una soluzione
giusta
e sicura per loro, ci dimenticheremo che sono esistiti e tutto
andrà
avanti placidamente come sempre".
Demelza
osservò i piccini, accarezzando loro le testoline bionde.
"Ross,
in che guaio ti sei cacciato? Chi sono questi bambini e
perché sono
con te? E i loro genitori? Dove sono?".
Ross
sospirò, era ormai ora di raccontare l'indispensabile e
anche se
spesso si era chiesto cosa dire e cosa non dire, non riusciva
comunque ad essere evasivo del tutto. Demelza era sua moglie, la sua
compagna, la sua migliore amica e soprattutto la sua confidente e
anche se non poteva raccontarle ogni cosa per proteggerla, voleva
farlo almeno in parte. "I loro genitori sono morti, sono stati
uccisi... Barbaramente uccisi... Il padre prima della loro nascita,
la madre poche settimane dopo averli partoriti".
Il
viso di Demelza si riempì d'orrore. "Judas,
perché? E quelle
persone, cosa c'entrano con te? Sono parte della tua missione al
nord?". Sapeva che non poteva chiedere più di tanto a suo
marito circa le missioni in cui veniva coinvolto da Wikman ma non
riuscì a tenere a freno la lingua.
Ross
scosse di nuovo la testa. "No, non facevano parte della mia
missione ad Oslo. Ma sono entrati prepotentemente nella mia vita
perché la loro madre mi ha chiesto aiuto... Sapeva di avere
le ore
contate, sapeva che sarebbe stata uccisa e dopo aver partorito i
bambini e averli affidati a una donna fidata, si è separata
da loro
affinché non venissero trovati assieme. E dopo, fra le
strade di
Oslo, mi ha chiesto di salvare almeno i suoi bambini e di portarli
via dalla Norvegia... E così, rocambolescamente, li ho
recuperati e
con tanta fortuna dalla mia parte, li ho portati quì".
"Erano
in pericolo anche i bambini? E perché la madre e il padre
sono stati
uccisi? E come mai quella donna ha chiesto aiuto a te?".
Ross
le si avvicinò, si sedette sul letto accanto a lei e
cercò di
risponderle il più sinceramente possibile. I ricordi di
Jasmine e
dei loro incontri a Oslo danzarono nella sua mente, assieme ad altri
ricordi di lei più lontani, fondendosi in qualcosa di amaro
e
doloroso. "Sì, i bambini erano in pericolo e chi ha ucciso i
loro genitori, non voleva che concludere il lavoro con loro. Dovevano
morire tutti, soprattutto i bambini. Erano
come prede, li cercavano ovunque, come in una macabra caccia al
tesoro... Il perché non posso dirtelo e non
perché non voglia ma
perché dietro agli omicidi dei loro genitori e a questi
bambini si
nasconde qualcosa di pericoloso da cui voglio proteggerti e che deve
rimanere segreto per sempre. Per il bene di tutti, per quello dei
bambini e per quello della nostra famiglia che è stata
coinvolta in
questa storia. Sul perché la loro madre abbia chiesto aiuto
a me,
posso solo dirti questo: ero l'unico di cui potesse fidarsi".
Demelza
deglutì. "Perché?".
Ross
rimase in silenzio, stringendo i pugni. Amava Demelza ma voleva anche
proteggere i segreti e la vita di Jasmine e in quel momento si
sentiva fra due fuochi, uno dei quali decisamente pericoloso per il
suo matrimonio. I segreti avevano sempre fatto del male al suo
rapporto con Demelza ma questa volta c'era un buon motivo di fondo
per averne e sperava solo che lei lo capisse. "Diffidi di me?"
- chiese infine, prendendo il coraggio di porre quella domanda
scomoda. "Per quanto successo con Elizabeth, intendo... Temi
qualcosa del genere?".
Demelza
parve stupita da quella domanda e per un attimo rimase interdetta. Ma
poi sorrise dolcemente, prendendogli la mano e stringendola fra le
sue. "No Ross, non dubito di te... Perché sei stato via solo
tre mesi, perché tu e questi bambini siete quanto di
più diverso
possa esistere, ma soprattutto... perché ho fede in te e nel
nostro
matrimonio. Volevo solo sapere qualcosa di questi piccolini e so che
se non vuoi parlarne, un buon motivo ci sarà. Come quando
hai
tentato di proteggermi dai francesi dopo la morte di Ned e le
macchinazioni di Tess. Forse sono solo preoccupata e curiosa".
La
abbracciò, la strinse forte a se a quelle parole, come se
fossero il
balsamo a tutte le sue preoccupazioni e paure. Lei lo capiva meglio
di quanto lui capisse se stesso ed era la sua ancora nei momenti bui
come in quelli felici. E sapere che nonostante tutto il male che
erano stati capaci di farsi, tutto era stato superato ed era rimasto
solo l'amore a guidare i loro passi, era la migliore cura al suo
animo tormentato. "Amore mio..." - sussurrò, fra i suoi
capelli.
Demelza
si rannicchiò fra le sue braccia, godendo del calore del suo
abbraccio. "Amore mio..." - ripeté.
La
piccola Daisy mugugnò nel sonno, spezzando quel momento.
Ross rise.
"E' gelosa e perdutamente innamorata di me e della mia voce,
questa marmocchietta".
Anche
Demelza rise. "Giuda Ross, questi poveri piccoli sono nati da
così poco eppure da quel che mi racconti, non hanno mai
avuto pace".
Ross
annuì, ripensando al nascondiglio segreto nella casa di
Inge. "Sono
nati in uno scantinato sotto terra e hanno vissuto nascosti
nell'oscurità finché non li ho portati via... Non
hanno goduto
della vicinanza della loro famiglia, di pace, di calma... Hanno
affrontato un viaggio difficile e lungo con me... e Jones... E ora
non hanno ancora comunque un posto definitivo dove stare".
Demelza
prese il piccolo Demian che si agitava, in braccio. Lo strinse a se e
il piccolo si rannicchiò contro al suo petto ritrovando
subito il
sonno. "E allora ho fatto bene ad allattarli".
Ross
la occhieggiò con aria di rimprovero. "No, non è
proprio così
ma alla fine se hai scelto di farlo, so più che bene che non
saprò
farti cambiare idea".
"No,
non ci riuscirai!".
Ross
prese a sua volta in braccio Daisy. "Da domani cercherò un
posto dove potranno stare e crescere, coi loro nuovi nomi e con una
nuova vita. Per il loro bene, nulla del loro passato dovrà
esistere
più e da adesso in poi saranno solo due trovatelli della
Cornovaglia. Ma finché non saprò a chi affidarli,
la loro presenza
deve rimanere un segreto oppure sarà difficile non
collegarli al mio
ritorno dalla Norvegia. Ti chiedo solo pazienza e di occuparti di
loro per un pò".
Demelza
strinse Demian ancora di più e il piccolo si
stiracchiò, gradendo
quell'abbraccio. "Lo farò. E tu fa quel che devi con calma,
hai
bisogno di riposo e anche loro. Così piccoli e con alle
spalle un
viaggio tanto lungo e al freddo...".
Ross
rise. "Non soffrono il freddo, questi due vichinghi".
"Cosa?".
"Giuro,
sembrano trovarcisi a loro agio".
Demelza
scosse la testa. "Che creaturine strane. E forti...".
"I
bimbi di Odino..." - sussurrò Ross, ricordandosi le parole
di
Jasmine.
"Cosa?".
Le
sorrise, prendendole dalle braccia il piccolo Demian. "Lascia
stare, li metto nel letto a dormire".
Ma
Demelza lo bloccò. "Mentre facevi il bagno, ho preparato la
culla dei nostri figli. Ormai Bella non ci sta più ed era
vuota.
Sono nati al buio, in mezzo ai pericoli, hanno vissuto in uno
scantinato senza la loro mamma e poi hanno viaggiato per mezza
Europa. Quanto meno questa sera avranno una stanza con una finestra
che da sul mondo, un camino acceso e una culla... Tutto ciò
che
serve ai bambini di tutto il mondo".
Ross
la guardò, pieno di gratitudine. Era davvero fenomenale nel
prendersi cura di TUTTO
e i gemelli con lei erano nelle migliori mani del mondo.
Mise i piccoli nella culla, li coprì e aspettò
che si
addormentassero del tutto. Poi andò alla finestra,
osservando la
bufera di neve che si stava scatenando fuori Nampara. Ma ora le ombre
che lo avevano seguito nel tragitto dal porto sembravano svanite e
quella neve appariva semplicemente... bella.
Demelza
gli si avvicinò. "Hai intenzione di rimanere a guardare la
neve
come un bambino tutta notte? Non ne hai avuto abbastanza di ghiaccio
e bufere in Norvegia?".
Ross
si voltò, trovandosi Demelza viso a viso. Le
pizzicò la guancia.
"Decisamente abbastanza. Ed ora voglio solo qualcosa di...
caldo...".
"Anche
io". Le labbra di Demelza raggiunsero le sue e lo baciarono con
passione e desiderio mentre le mani di Ross, insinuandosi sotto la
sua camicia da notte, la accarezzavano senza sosta.
I
bambini dormivano
finalmente in una vera culla,
fuori c'era il gelo ma in quella stanza la notte sarebbe stata
decisamente calda,
dando a due amanti che troppo a lungo erano rimasti separati, lunghe
ore d'amore.
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
Appena
sveglio, di mattina presto, Ross era andato nella camera dei bambini
e i tre, appena svegli, gli saltarono in collo contenti. Clowance con
più irruenza, Jeremy con più gentilezza e
pacatezza e Bella con
urla e risate, ognuno a modo loro gli diede il benvenuto.
"Ci
sei mancato, papà!" - aveva detto Jeremy, come sempre ad
ogni
suo ritorno a casa. Era un bambino pacato e gentile, buono e
sicuramente il più somigliante a Demelza per carattere.
Con
in braccio Bella che gli si avvinghiava al collo, anche Clowance
reclamò la sua attenzione. "Hai visto gli orsi bianchi?".
Beh, se Jeremy somigliava a sua madre, la sua secondogenita era
decisamente irruenta e decisa come lui e in generale come ogni
Poldark.
"No".
"Nemmeno
uno piccolo-piccolo?" - chiese ancora, delusa.
"No".
"E
la neve?" - chiese Jeremy.
"Quella,
molta".
Il
ragazzino corse verso la finestra, osservando il panorama imbiancato
fuori Nampara. "E' come la nostra?".
"Molto
più fredda e ghiacciata, te lo assicuro".
"E
poi cos'hai visto?" - insistette Jeremy.
Ross
sorrise, sapeva come stupirli! "L'aurora boreale".
Jeremy
e Clowance spalancarono gli occhi mentre Bella continuava a cercare
di arrampicarsi sulle sue spalle.
Clowance
gli saltò sulle gambe. "Aurora boreale? Zia Rosina a scuola
ci
ha detto che è quando il cielo si colora di tanti colori".
Ross
le accarezzò la testolina bionda. "Vero".
Jeremy,
più riflessivo, si fece pensieroso. "E' il riflesso, giusto?
Del ghiaccio e del cielo fusi insieme quando è sereno".
Ross
scoppiò a ridere. "Ah, credo che tu ne sappia più
di me! Posso
solo dirti che è molto bella da vedere e ti auguro di
poterla
osservare di persona, un giorno".
Jeremy
a quelle parole lo abbracciò, come le sorelle. "A mamma
piacerebbe".
Sì,
lei sarebbe rimasta a bocca aperta come una bambina se ne avesse
vista una e Ross sperava vivamente di riuscire a portarla a viaggiare
con lui più spesso, un giorno. "Ne
sono certo". Sospirò,
l'accenno
a sua moglie gli aveva fatto ricordare che ora doveva
spiegare loro qualcosa di importante su cui avrebbero dovuto
mantenere assolutamente il segreto. "A proposito di mamma, lei
è
in camera e con lei... c'è 'qualcosa' che ho portato dalla
Norvegia
e che deve rimanere un segreto".
"Un
regalo?" - si emozionò Clowance.
"Non
proprio... Un segreto che dovremo tenere assolutamente per noi senza
parlarne con nessuno".
Jeremy
e Clowance si guardarono in viso e poi, vinti dalla
curiosità,
corsero in camera della madre lasciando Ross in compagnia della
piccola Bella. "Pa...pà" - mugnugnò la bimba.
La
baciò. Lei sarebbe stata la migliore a mantenere quel
segreto...
E
poi, con la bimba in braccio, si diresse verso la camera matrimoniale
dove Demelza, già sveglia, si stava occupando dei gemellini
mentre
lui si godeva i loro figli.
Quando
arrivò, trovò i suoi figli maggiori che,
timorosi, guardavano la
loro madre dalla porta senza trovare il coraggio di avvicinarsi.
Demelza teneva fra le braccia, avvolti dalle coperte, i due bambini
che probabilmente aveva appena allattato e con dolcezza li stava
invitando ad avvicinarsi.
Jeremy
fissò il padre con sguardo interrogativo e preoccupato.
"Papà?".
"Papà?"
- si unì Clowance.
Ross
diede loro una spinta gentile verso il letto matrimoniale e poi vi si
diresse a sua volta per spiegare ai figli, con la moglie, la strana
situazione che si era creata in casa. Era importante che soprattutto
Jeremy e Clowance capissero quanto fosse importante mantenere il
segreto sui gemelli e che non dicessero in giro alcunché.
Per
fortuna il tempo inclemente, la neve e l'approssimarsi del Natale
erano fattori tutti a loro favore: la scuola gestita da Rosina era
chiusa e lo sarebbe rimasta fino a dopo i festeggiamenti del nuovo
anno, con quel freddo i bambini non potevano uscire a giocare coi
loro amici e il ghiaccio a sua volta impediva ad eventuali ospiti
inattesi di giungere a casa loro. "Ecco, questi due bambini sono
il segreto di cui vi parlavo prima".
Dimostrando
più coraggio del fratello, Clowance si avvicinò
al lettone per
sbirciare i gemellini. "Come sono strani, hanno i capelli
bianchi!".
Ross
sorrise, poggiando delicatamente la mano sulla spalla di Jeremy che
sembrava più intimorito della sorella da quella situazione.
"No,
sono molto biondi. Sono bambini norvegiesi e in quelle terre hanno
tutti i capelli così".
"A
me sembrano bianchi!" - ribadì Clowance. "Io sono bionda,
non loro, vero mamma?" - le chiese, mostrandole una ciocca di
capelli.
Demelza
la strinse a se. "Tu sei bionda come il grano, loro sono biondi
come...".
"Biondi
come... la neve!" - concluse Clowance.
"La
neve è bianca!" - rise Demelza.
"Appunto...".
Jeremy,
un pò pallido in volto e stranamente preoccupato, si
avvicinò al
letto. "Papà, chi sono?".
Ross
sospirò. Ovviamente nemmeno ai bambini poteva raccontare
tutto ma
era necessario che capissero la gravità della situazione in
cui si
trovavano i gemellini. "Si chiamano Demian e Daisy e non hanno
più i genitori. Sono morti, sono stati uccisi da delle
persone
cattive che volevano uccidere anche loro e che di certo li stanno
ancora cercando. Li ho salvati e li ho portati quì per
cercar loro
un posto più sicuro dove vivere ma siccome, appunto, delle
persone
malvagie li cercano ancora, finché non avrò
trovato quel posto, la
loro permanenza quì dovrà rimanere un segreto di
cui non parlare. A
nessuno! Sapreste farlo?".
Clowance,
sentendosi parte di un grande segreto col padre, annuì
entusiasta.
Jeremy invece sembrava dubbioso e soprattutto, preoccupato.
"Mamma...?" - chiese, cercando in lei aiuto. Era più
grande di Clowance, era un ragazzino intelligente e di certo ormai, a
12 anni compiuti, era in grado di farsi domande più
complesse e
complicate circa l'arrivo e la storia di quei due bambini.
Lei
gli sorrise. "Tesoro sta tranquillo, penserò a loro come ho
fatto con voi finché rimarranno quì. Tu non devi
preccoparti di
nulla, io e papà ne abbiamo parlato e sappiamo che
andrà tutto
bene. In fondo come ben sai, abbiamo sempre cercato di aiutare chi
è
in difficoltà e spesso ci hai dato una mano pure tu. Ce la
darai
anche stavolta?".
"Si,
certo, ma...". Jeremy si grattò la guancia, pensieroso,
dubbioso, timoroso. "Volete aiutarli come quando a Natale
distribuiamo i biscotti ai bambini poveri di Mellin e Sawle?" -
chiese.
"Esatto"
- rispose Ross. "E ora aiuteremo questi bambini che, a loro
volta, sono nei guai. Allora, ci aiuterai?".
Jeremy
si voltò verso di lui, fronteggiandolo. "Si, ma...
Perché li
hai salvati proprio tu? Come facevi a sapere di loro?".
Ross
lo fissò negli occhi, in evidente difficoltà. Non
voleva parlare di
Jasmine e non voleva nemmeno che Jeremy entrasse più di
tanto nella
faccenda. Più in la quel silenzio avrebbe pesato fra loro ma
per il
momento preferì tacere,
anche se in futuro se ne sarebbe pentito.
"Perché proprio io? Perché come vedi, sono
l'unico che è
riuscito a metterli in salvo"
- spiegò, frettolosamente e con tono che non ammetteva
repliche.
"E
non ci riusciva nessun altro?" - insistette suo figlio,
stranamente con tono accusatorio e nervoso.
E
a quel punto intervenne Demelza. "Jeremy, tuo padre è una
spia
del Governo inglese e come sai, tante cose non può dircele.
Fidati
di lui e anche di me,
come hai sempre fatto. E tutto andrà bene... Guarda questi
bambini,
guarda come sono piccoli ed indifesi... Vuoi aiutarli con noi?".
Muovendo
nervosamente il piede, Jeremy annuì. "Ma non ci metteranno
nei
guai?".
"No,
se manterrete il segreto con tutti" - lo ammonì Ross.
"D'accordo,
non dirò nulla" - rispose Jeremy, dubbioso.
Clowance
si avvicinò. "Ma nemmeno a zia Morwenna? O a zio Sam? O zio
Drake?".
"No,
nemmeno a loro". Già era decisamente meglio, per adesso, che
loro ne rimanessero fuori. C'era una sola persona a cui voleva
raccontare l'accaduto, l'unico che avrebbe potuto aiutarlo in modo
incisivo e sicuramente il migliore amico che avesse con cui
confidarsi: Dwight. Era medico, conosceva molti posti affidabili dove
collocare i bambini e non si sarebbe tirato indietro se gli avesse
chiesto aiuto.
Bella,
notando i neonati addormentati fra le braccia della madre, fu colta
da un attacco di gelosia e agitandosi, fece capire al padre che
voleva riconquistare il suo posto d'onore accanto alla mamma andando
sul lettone.
Ross
la accontentò, sorridendo. Aveva un caratterino niente male
la sua
piccoletta dai capelli neri tanto diversi da quelli dei gemelli.
Demelza
la accolse fra le sue braccia, assieme ai piccoli, stringendola a se.
Poi tornò a fissare Ross. "E Prudie?".
Già,
Prudie... Alzò gli occhi al cielo, ovviamente a lei non
potevano
nasconderlo. E per fortuna la neve l'avrebbe tenuta in casa, lontana
dalla tentazione di far pettegolezzi al mercato. "Diglielo tu,
appena scendi".
"Non
puoi farlo tu?".
Ross
scosse la testa. "Le anticiperò qualcosa prima di uscire,
ora".
"Dove
vai?".
"Da
Dwight... Lui deve saperlo e potrà aiutarci".
Demelza
annuì, mentre anche i figli maggiori prendevano posto a
letto. "Sì,
nessuno ci è più caro e fidato di lui. Buona
idea".
Ross
la fissò con preoccupazione, dispiaciuto di lasciarla sola
per
quella mattina, con tutti quei bambini. "Pensi di farcela?".
Lei
rise. "Ross, cresco bambini da quando era una bambina io stessa,
persino più piccola di Clowance. Va tranquillo, i gemelli
sono stati
nutriti, ora dormono e degli altri tre bambini so occuparmi
perfettamente da sola e senza problemi. Tu invece vedi di coprirti
bene quando esci, si gela fuori e stasera non voglio vederti col
raffreddore!".
Ross
scoppiò
a ridere.
"Certo mamma".
D'istinto,
Demelza gli tirò un cuscino. "Va e sbrigati. E di sotto,
vedi
di parlare con Prudie".
Ross
non se lo fece ripetere. E dopo aver salutato la moglie e i figli,
scese al
pianterreno
dove la domestica, ancora in camicia da notte, si aggirava in cucina.
"Che visione celestiale" - scherzò.
La
donna, presa alla sprovvista, fece cadere la padella che aveva in
mano. "Judas, siete tornato!".
"In
carne ed ossa!".
"E
state già uscendo?".
"Sì.
Ma prima di farlo, devo dirti una cosa".
Il
tono serio fece sobbalzare Prudie. "Cosa?".
"Va
di sopra, da Demelza... Troverai qualcosa di inaspettato, lei ti
spiegherà tutto. Ma ti anticipo questo, ogni cosa che vedrai
di
sopra dovrà rimanere un segreto e non dovrai parlarne con
nessuno. O
te la dovrai vedere con me". Le parlò in tono severo,
perentorio e sapeva che era l'unico modo perché capisse la
gravità
della situazione. Prudie gli era affezionata, era una serva fedele ma
aveva anche il brutto vizio di parlare troppo, soprattutto quando
alzava il gomito o si trovava fra le altre comari di Truro o Sawle.
Non doveva parlare, nemmeno per sbaglio... O sarebbero stati guai per
tutti, lei compresa.
Un
pò pallida per quel modo di parlare che Ross non usava con
lei da
anni, ma vinta dalla curiosità, la donna annuì e
corse di sopra.
Rimasto
solo, Ross si mise un pesante cappotto, il mantello e l'immancabile
tricorno. Poi si diresse verso la stalla, pronto a raggiungere Dwight
a casa sua in cerca di aiuto e soprattutto, consigli.
E
ancora una volta, nella neve che non aveva mai smesso di scendere,
partì al galoppo.
...
Dwight
lo accolse calorosamente, nonostante fosse ancora abbigliato in abiti
da camera e non avesse fatto colazione. “Sembrerebbe che ti
sono
mancato più di tua moglie” –
scherzò, abbracciandolo. Ma poi si
fece subito serio, comprendendo che se Ross, dopo tre mesi di
assenza, era giunto a casa sua di mattino presto e con una fitta
nevicata in corso, doveva esserci qualche motivazione importante.
Lo
invitò a sedersi con lui nella sala del tè,
approfittando del fatto
che Caroline stesse ancora dormendo a causa di una notte insonne
passata a consolare Sophie per il male alle gengive a causa dei denti
da latte che stavano sbucando e per i disturbi della nuova,
ravvicinata gravidanza che stava vivendo con immensa gioia e
sorpresa.
La
casa era ancora avvolta da un silenzio reso ancor più
ovattato dalla
neve e quando Ross si sedette sul divanetto davanti al camino,
nonostante tutto provò un senso di pace. Era a casa, fra
volti amici
e con il loro aiuto avrebbe potuto mantenere al meglio la promessa
fatta a Jasmine. Di gettò raccontò quanto
successo ad Oslo
omettendo, come fatto con Demelza, le parti che era necessario
rimanessero segrete per la sicurezza di tutti. Raccontò il
necessario e come sempre accadeva, Dwight seppe comprendere i suoi
silenzi ed omissioni, evitando di fargli domande a cui sarebbe stato
difficile rispondere.
Alla
fine del raccontò, Dwight fece un lungo respiro.
“Certo che tu odi
proprio tanto star lontano dai guai, vero? Se non te li cerchi tu,
sono loro a cercar te” – disse, abbozzando un
sorriso.
Ross
non poté che trovarsi d’accordo. “Come
darti torto?”.
“Non
puoi, in effetti. I neonati ora sono in casa tua con
Demelza?”.
“Sì”.
Dwight
annuì. “Con lei ora sono in ottime mani. Per prima
cosa vorrei
visitarli per verificare che siano in perfetta salute. Sono stati
privati del contatto con la madre, hanno vissuto in un ambiente
rarefatto e senza luce per le prime settimane della loro vita, hanno
sofferto un lungo viaggio e sicuramente hanno subito privazioni di
elementi essenziali al benessere di un neonato”.
Ross
alzò le spalle. “In realtà paiono
sanissimi e piuttosto
resistenti. E sono stati nutriti e tenuti puliti a dovere, ho fatto
del mio meglio durante il viaggio”.
“Ne
sono certo, ma vorrei visitarli lo stesso. Essere privati del latte
materno può essere dannoso”.
Ross
sbuffò. “A questo ci sta pensando Demelza, anche
se non sono
d’accordo. Finirà per affezionarsi a loro e non
voglio che soffra
quando dovrà separarsene”.
Dwight
gli pose gentilmente una mano sulla spalla. “Non affezionarsi
sarebbe comunque difficile in ogni caso. Lasciala fare, se le fa
piacere. Ai bambini farà bene e lei si sentirà a
posto con la
coscienza. Tua moglie è una donna intelligente ed accorta,
ricordalo
sempre”.
“Lo
so… Ma so che ha un cuore generoso e che soffrirà
quando non avrà
più i bambini con se”.
Dwight
rise. “Mancheranno pure a te”.
Già,
Dwight aveva ragione, sarebbero mancati anche a lui. Il sonnecchioso
Demian e la vivace Daisy che adorava sentire la sua voce, gli erano
entrati nel cuore e di certo avrebbe sentito nostalgia non avendoli
più vicini. Ma doveva scegliere il meglio non solo per loro
ma anche
per la sua famiglia e questo complicava di molto le cose, circa le
decisioni da prendere. “Dove potrei collocare i bambini,
secondo
te? Voglio un posto vicino dove tenerli d’occhio, ma
sufficientemente lontano da casa mia in modo che non possano essere
collegati a me e al mio viaggio in Norvegia”.
Dwight
si sedette pensieroso accanto a lui. “I fratelli di
Demelza?”.
“Non
se ne parla, sono troppo vicini alla mia famiglia. Inoltre Drake e
Morwenna hanno già una figlia piccola e molto lavoro sulle
spalle
mentre Sam…”. Scosse la testa…
“L’idea di mentire su di
loro gli divorerebbe la coscienza e non voglio coinvolgerlo
più di
tanto, mettendo alla prova il suo credo”.
Dwight
picchiettò nervosamente le dita sulle gambe, pensieroso.
“Sai,
spesso ho aiutato ragazze madri a partorire, giovani donne sole che
non potevano permettersi di crescere i propri figli illegittimi. Le
ho aiutate, rispettandone l’anonimato, affidando quelle
povere
creature a orfanotrofi del posto. Bambini senza nome, figli di
nessuno, che nessuno avrebbe potuto reclamare come propri.
Conosco diverse strutture gestite da religiose che grazie alle
donazioni delle persone del posto, hanno costruito ambienti
confortevoli e decorosi per i piccoli. Che ne dici di una soluzione
del genere? Potrei occuparmene io”.
Ross
rabbrividì. Come soluzione non gli piaceva del tutto ma era
di fatto
la più logica ed attuabile. Avrebbe potuto tenere
d’occhio da
lontano i gemelli, contribuire al loro benessere con delle donazioni
in
nome del suo ruolo di parlamentare e nessuno avrebbe potuto
riconoscerli e capire quali fossero le loro origini. Certo, sarebbero
stati soli… Ma quanto meno, salvi.
“C’è
un’altra cosa che potremmo fare per la loro sicurezza, se sei
d’accordo” – azzardò Dwight,
non del tutto convinto.
“Quale?”.
“Hai
detto che chi ha ucciso i genitori dei bambini, cerca un solo
neonato, non sanno che sono due”.
“Sì,
esatto”.
Dwight
scosse la testa, la soluzione che stava per proporre non entusiasmava
nemmeno lui ma di certo era la più tutelante.
“Credo che dovremmo
dividere i bambini, uno in un istituto, una nell’altro. Se
per
qualche caso quelle persone che gli danno la caccia dovessero
trovarne uno e le cose andassero male, smetterebbero di cercare
l’altro non sapendo della
sua esistenza.
E almeno uno dei due bambini sarebbe salvo. Odio dover separare due
gemelli che hanno già perso tutta la loro famiglia ma in
termini
pratici, questa sarebbe la soluzione migliore”.
Ross
deglutì, era vero, era la soluzione più logica ma
non gli piaceva
per niente. Quei due piccoli si adoravano, si cercavano ed erano di
supporto l’uno per l’altra praticamente durante
tutta la
giornata. Dormivano abbracciati nella cesta, se uno piangeva
l’altro
sembrava soffrirne e separarli era in un certo senso una violenza. Ma
forse Dwight aveva ragione, era qualcosa di necessario…
“Ci
penserò” – rispose, a denti stretti,
sentendo un peso sul cuore.
Erano già stati privati di tutto, quei due piccoli senza
colpa. Era
giusto far loro anche questo?
Dwight
annuì. “Bene. Ma per ora lascia che mi vesta e poi
sarò pronto a
venire con te a Nampara per visitarli”.
“Grazie”
– rispose Ross. Avevano trovato una soluzione, giusto? E
allora
perché non se ne sentiva affatto contento?
...
Mentre
Jeremy e Clowance si esercitavano nella lettura seduti al tavolo da
cucina e Bella gattonava per la stanza inseguendo il povero Garrick,
Demelza cullò fra le braccia Demian e Daisy che, svegli ma
tranquilli, sembravano incuriositi da quella rumorosa e nuova
realtà
che li circondava. Avevano vissuto nascosti e nel silenzio le prime
settimane di vita e ora probabilmente i rumori di casa dovevano
apparir loro piuttosto bizzarri.
Demelza
li osservò, erano due bambini splendidi e i tratti nordici
che li
contraddistinguevano, li rendevano simili a due bambole.
Accarezzò
loro il visino e Demian le strinse la mano in cerca di calore mentre
Daisy si rannicchiò contro di lei totalmente rilassata. Ross
era
stato bravo a prendersi cura di loro con Jones e di certo aveva corso
mille pericoli per la loro salvezza e quindi ora toccava a lei far
del suo meglio per farli stare bene. Certo, c'erano mille domande che
si affacciavano nella sua mente ma aveva scelto di non farle e di
rispettare la volontà del marito di tenerle nasconte molte
verità
che probabilmente riteneva pericoloso che lei sapesse. Avrebbe voluto
saperne di più dei loro genitori, del
perché la loro madre si fosse fidata proprio di Ross, il
perché di
quegli omicidi e soprattutto quale minaccia rappresentassero i
gemelli ma sapeva che tutto questo, a parere di Ross, doveva rimanere
un segreto per preservare l'incolumità di tutti e quindi per
rispetto a suo marito e per il bene dei suoi tre figli, si sarebbe
fatta bastare quanto già
conosceva.
"Quelli
porteranno guai" - borbottò Prudie, sedendosi accanto a lei
davanti al camino.
"No,
non succederà. Ma ricordati di serbare il segreto, nessuno
deve
sapere che i gemelli sono quì e se tu parlassi, Ross si
arrabbierebbe molto".
Prudie
occhieggiò la finestra, perfettamente consapevole della
situazione
che stavano vivendo e di quanto necessario fosse stare in silenzio.
"E a chi dovrei dirlo? Ci sono metri di neve fra noi e il
villaggio, saremo bloccati quì fino a primavera".
Demelza
strinse a se i piccoli che parevano non soffrire il freddo. "Beh,
anche dopo, dovrai mantenere il segreto".
Prudie
la osservò coi bambini e come Ross, si preoccupò
per lei. "Non
ti affezionare troppo, il signor Ross non li vorrà tenere
quì
troppo a lungo".
Demelza
non rispose. Sapeva che se ne sarebbero andati ma per il momento non
voleva pensarci e tutto ciò che desiderava era dargli quanto
più
calore e affetto possibili, sperando di risarcirli in parte di
quanto la malvagità degli
uomini aveva
loro tolto. Li baciò sulla testolina e loro, affidandosi
totalmente
a lei, si rannicchiarono contro il suo petto dandole completa
fiducia.
Sì, promise a ste stessa, avrebbe fatto tutto ciò
che era in suo
potere per il loro bene...
|
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
"Non
mi piace, non mi piace per niente! Non è giusto, non
è umano, non è
corretto!".
Intento
a sbottonarsi la camicia per andare a letto, Ross si voltò
verso sua
moglie che, imbronciata, lo guardava a braccia conserte, con Demian
rannicchiato
sul suo petto
e Daisy e Bella a fianco, che dormivano profondamente. "Inizi a
somigliare a Jud, ti avverto" - la rimbeccò, divertito
nonostante tutto.
Demelza
si imbronciò ulteriormente. "Non è il momento di
scherzare!".
Ross
sospirò, finendo di togliersi i suoi vestiti per indossare
dei caldi
e comodi abiti da camera e infilarsi sotto la coperta. Aveva smesso
di nevicare in serata ma il cielo rimaneva nero e plumbeo e un vento
gelido sferzava la brughiera e faceva tremare i vetri della casa.
Sembrava di essere ad Oslo, in quello strano ed esageratamente freddo
inverno. "Quella che ha fatto Dwight è solo una proposta, ma
la
ritengo sensata e una buona soluzione per loro" - disse,
osservando i gemellini. No, in cuor suo non era felice per quel
genere di scelta e di sicuro si trovava d'accordo col pensiero di
Demelza, ma non c'erano molte altre alternative e quindi se ne
sarebbe stato zitto. Demelza non sapeva molte cose e non conosceva la
storia che si nascondeva dietro ai gemelli e i rischi che stavano
correndo ad averli con loro e perciò non l'avrebbe
assecondata. Lei
ragionava col cuore, lui si era imposto di usare il raziocinio.
"E'
mostruoso, Ross" - proseguì la donna.
Ross
le si avvicinò, sedendosi accanto a lei. Le
accarezzò il viso e la
baciò sulla fronte, poi con la mano sfiorò il
pancino di Demian che
quella sera sembrava deciso a non dormire e a rimanere fra le braccia
di sua moglie. "Guarda il lato positivo, Dwight ha detto che
sono sanissimi. Minuti ma forti".
"E
io voglio che continui ad essere così, Ross".
"Anche
io".
Demelza
lo fulminò con lo sguardo. "Come? Dividendoli e portandoli
ognuno in un ospizio per trovatelli? Si adorano, si cercano sempre e
morirebbero se non sentissero più accanto la presenza l'uno
dell'altro".
Ross
abbassò il capo. Era un'idea pragmatica e fondamentalmente
la migliore per tutelare i gemellini ma sì, non piaceva
nemmeno a lui.
Eppure non avevano scelta. "Staranno bene e come parlamentare
del seggio di Truro mi assicurerò che gli orfanotrofi che li
ospiteranno ricevano donazioni e sussidi per i bambini. Li
seguirò,
da lontano, assicurandomi che stiano bene e abbiano tutto
ciò di cui
hanno bisogno".
Demelza
strinse a se Demian. "Tutto ciò di cui hanno bisogno? Ross,
lo
hanno già perso e gli resta così poco...".
Si
spazientì, come spesso accadeva quando lei aveva ragione e
lui non
sapeva controbattere. Bella nel sonno mugugnò qualcosa e
Daisy,
disturbata dalla sua presenza, cercò di spingerla via senza
successo... E guardando le bimbe, Ross riacquistò la calma
necessaria. "Avranno cibo, un tetto sulla testa e qualcuno che
si prenderà cura di loro".
Demelza
si morse il labbro, cercando le parole migliori per farlo ragionare.
"Ross, io non avevo nulla da piccola e vivevo in una baracca con
un padre orribile e con una madre che se n'è andata troppo
presto
lasciando me e i miei fratelli da soli, in mezzo a miseria e
violenza. Ma sapevo chi ero, conoscevo le mie origini e sapevo di
appartenere a quel posto dove ero nata. Loro non hanno più
nulla...
Al diavolo, non mi importa del perché e comprendo bene il
motivo per
cui non vuoi parlarmi delle loro origini, ma pensaci Ross. Non hanno
più i loro genitori, la loro famiglia, hanno perso ogni
contatto con
la loro terra d'origine. Hanno solo l'uno la vicinanza dell'altra e
se ora tu togli a Daisy suo fratello e a Demian sua sorella, allora
avranno perso tutto. Senza colpe, senza peccato. Era questo che
voleva per loro la madre? Era questo a cui ambiva quando ti ha
chiesto aiuto? Non conosco quella donna e non ti chiederò
nulla di
lei ma da madre, io dubito fortemente che volesse QUESTO per i suoi
figli".
Ross
distolse lo sguardo, fissando la finestra e le candele sul davanzale.
In realtà aveva ben poco da contestare a Demelza, ma restava
un
punto fondamentale... "Ho
mantenuto la parola data a quella donna, portando via da Oslo i suoi
figli, al sicuro. E ora voglio ancora proteggerli,
loro e soprattutto la mia famiglia! E questo è tutto,
Demelza. I
gemelli non devono essere una tua preoccupazione e io stesso ti avevo
avvertita di stare attenta a non affezionarti a loro, ricordi?".
Con
gli occhi di fuoco, Demelza sostenne il suo sguardo. "Sì, lo
ricordo. Ma mi hai coinvolta quando hai scelto di portarli
quì e ora
dirò la mia. Hai coinvolto me e i bambini e ora non puoi
chiederci
di far finta di nulla".
Ross
strinse i pugni nervosamente. "Beh, Jeremy non sembra entusiasta
della loro presenza, Clowance pensa siano due bambolotti e Bella
è
troppo piccola per dire la sua ma sembra piuttosto infastidita da
questi due rivali che distolgono da lei la tua attenzione".
Demelza
gli prese il braccio, scuotendolo. "Ross, ti prego! Non farlo,
non dividerli. Lasciali almeno insieme".
"Ti
ho spiegato perché sarebbe meglio dividerli".
Usando
la sua logica spiccia, Demelza tentò di smontare le sue
certezze.
"Beh, sì me lo hai spiegato ma...".
"Ma
cosa?".
"Cercano
un bambino,
non due
e forse
non li riconosceranno e non baderanno a loro, nel caso dovessero
trovarli proprio perché sono gemelli. E come mi hai detto, i
loro
nemici non si aspettano nulla del genere".
Ross
restò colpito da quella riflessione acuta di sua moglie che
in un
certo senso, seguendo il ragionamento fatto da Dwight, aveva
ribaltato la situazione a suo vantaggio usando la stessa logica.
"M... Ma...?".
"Cercano
un bambino" - insistette lei - "Non due! Se ne troveranno
due, allora penseranno che non sono il bambino che cercano".
Ross
rimase in silenzio, ora davvero in difficoltà. "Sei
impossibile" - borbottò, prendendo in braccio Daisy che dava
calcetti a Bella sotto le coperte.
Demelza
sorrise soddisfatta. "Quindi mi dai ragione?".
La
guardò storto. "Solo in parte! Ma resta il fatto che un
neonato
sarebbe accolto meglio di due, in un orfanotrofio".
"Ma
Ross...".
Volse
il viso, non voleva guardarla in faccia e non voleva guardare i
gemelli. Stava per fare un grande torto a quei due piccolini e se ne
vergognava, ma sperava che un giorno avrebbero capito il
perché di
quella scelta. "Dormi, Demelza...".
"Ross...".
"Dormi"
- la implorò, incapace di proseguire quel discorso. "Ne
riparleremo domani" - sussurrò, avvicinando il volto al suo
per
baciarla sulle labbra. Poi prese Daisy e Demian e anche se parvero
protestare, li mise nella culla, lontano da quel lettone a cui non
dovevano abituarsi. Lasciò lì solo Bella, fra lui
e Demelza.
"Ross".
La
voce spezzata di Demelza lo ferì, ma rimase fermo nelle sue
decisioni. "Dormi amore mio, è giusto così".
"Lasciali
quì con noi, non vogliono stare nella culla" - lo
implorò.
Strinse
i pugni, nervosamente, sentendosi mostruoso. "Sono stati
abituati a stare nella culla prima del loro arrivo quì e per
il loro
bene, deve continuare ad essere così. Non sono i nostri
figli e nel
luogo dove andranno non ci saranno lettoni e madri che li tengono con
loro la notte. E' giusto così, Demelza".
I
bimbi piagnucolarono per attirare l'attenzione ma Ross si impose di
non dar loro corda. Andò a letto ignorando lo sguardo di
Demelza,
spense subito la candela per non guardarla in viso e quando la
sentì
singhiozzare stringendo Bella a se, la abbracciò. "Mi
dispiace,
non avrei dovuto portarli quì" - sussurrò fra i
suoi capelli.
Odiava averla coinvolta in qualcosa che, conoscendola, l'avrebbe
assorbita cuore e mente. Sperava che avrebbe dimenticato, sperava di
dimenticare anche lui ma aveva l'impressione che i visini di quei due
biondissimi bambini avrebbero turbato il suo animo a lungo.
Demelza
non rispose e probabilmente capiva cosa lui stesse provando e quanto
fosse difficile ciò che stava per fare. Si abbracciarono,
cercando
l'uno nell'altro la forza per scelte difficili da fare e poi, quando
anche i gemelli smisero di piangere, crollarono esausti fra le
braccia di Morfeo.
...
Tre
giorni dopo, appena passata l'alba, Ross si alzò in fretta.
La sera
prima avevano ricevuto la visita di Dwight che gli comunicava di aver
trovato un buon istituto, a St. Ives, dove portare uno dei bambini,
che erano attesi per
l'indomani e il medico aveva assicurato che era un buon posto per
crescere, piccolo, decoroso e gestito da due religiose dolci e
attente.
Demelza
non aveva detto nulla e per la prima volta in vita sua si chiuse in
camera senza fermarsi a chiacchierare con Dwight, arrabbiata per
quella soluzione e tristissima per il destino di quei due poveri
bambini. Poteva essere un bel posto accogliente e le religiose
potevano essere le suore più dolci del mondo ma un
orfanotrofio
sarebbe rimasto comunque un orfanotrofio e nessun piccolo meritava di
finirci per colpa degli errori dei grandi. Le parve di odiare Dwight
e Ross per un attimo, anche se poi si accorse che entrambi gli uomini
cercavano di far del loro meglio per i piccoli
e anche per lei e i suoi figli.
Ma Demelza,
da madre, sapeva in cuor suo che quello non era il meglio...
Sola
nella stanza, mentre i suoi figli giocavano con Prudie nella stalla,
prese i gemelli dalla culla e li strinse a se coccolandoli, cercando
di dar loro quel calore che non avrebbero più trovato
altrove. Li
avvolse nella stessa coperta perché stessero insieme almeno
quell'ultima notte e la sera non scese per cena, adducendo un mal di
testa, in modo da stare con loro.
Ross
comprese, ma decise di lasciarla fare... Era nella medesima
condizione di spirito e si sentiva in colpa non solo per i gemelli ma
anche per la sofferenza di sua moglie...
Quando
andò a letto non si rivolsero la parola e dopo un breve
bacio della
buona notte, scivolarono in un sonno agitato.
Al
mattino, prese Daisy... Era la più vispa e apparentemente
indipendente e forse la meno bisognosa di attenzioni
prolungate a Nampara, con Demelza.
Sua
moglie si svegliò e con gli occhi lucidi, mentre avvolgeva
la
piccola in pesanti coperte, gli si avvicinò. "Ross...".
La
baciò sulla fronte. "Torna a letto".
"Ti
prego...".
"Demelza,
Dwight ci aspetta".
Fra
le sue braccia, come comprendendo la natura perversa di quel momento,
Daisy si mise a piangere forte, rischiando di svegliare tutti. Ross
deglutì, sarebbe stato un disastro in quel caso. Clowance
avrebbe
pianto nel veder andare via la bambina, Jeremy avrebbe reagito
chiudendosi in uno strano mutismo che spesso esibiva dal suo ritorno
e Demelza... Demelza aveva il cuore a pezzi e sperava di poterlo
curare quanto prima, dimenticando quella brutta storia. "Devo
andare o si sveglieranno tutti".
"Fa
freddo" - lo implorò Demelza. "Sta nevicando, di nuovo.
Come puoi farle vivere tutto questo, è così
piccola e dovrebbe
stare quì al caldo con suo fratello".
La
accarezzò sul viso. "Non smetterà di nevicare
fino a
primavera, probabilmente. E sai che è una cosa che va fatta
adesso".
Sconfitta,
Demelza si avvicinò alla piccola che strillava come non
aveva mai
fatto prima, come sentendo il distacco dal fratellino con cui aveva
dormito nella culla fino a pochi istanti prima. "Fa la brava,
Daisy. E ricorda che ti vogliamo bene". La baciò sulla
testolina, le accarezzò il visino e le rimboccò
le coperte prima di
rivolgersi ancora a suo marito. "Se hai davvero deciso così,
accertati che sia davvero un bel posto, quanto meno".
"Certo".
E con passò deciso Ross scese di sotto, raggiungendo le
stalle sotto
un vento sterzante che riusciva persino a mitigare il suono del
pianto di Daisy.
Montò
a cavallo, mettendo la piccola al sicuro sotto al suo mantello. Era
così che li aveva nascosti ad Oslo ed era così
che l'aveva portata
con suo fratello a Nampara. E lei non aveva quasi mai pianto...
Quella mattina invece pareva disperata e Ross temette che stesse
male. "Hei piccola, non ti trovi più bene con me? So che
questa
cosa che stiamo facendo non ti piace molto, ma vedrai che starai bene
e ti piacerà" - disse, come a voler convincere lei anche se
sapeva che quelle parole erano un misero tentativo di convincere
anche se stesso. "Troverai tanti bambini con cui giocare e lo
stesso succederà a tuo fratello, te lo giuro".
Disperata
e sicuramente non rasserenata da quelle parole,
mentre galoppavano al passo, Daisy gli strinse un dito con le manine.
Singhiozzò forte, inconsolabile, poi lo guardò
con quei suoi occhi
azzurri come il mare... Come il ghiaccio. Sembrava inconsolabile
e triste
e soprattutto, indispettita anche da quella neve che fino ad allora
sembrava gradire. Era come se giungendo a Nampara, Sigrid fosse
scomparsa e al suo posto ci fosse Daisy. Che delle sue origini sapeva
poco ma che aveva fatto sue la vita e le abitudini conosciute in
Cornovaglia.
Ross
la fissò e lei, esausta dal pianto, singhiozzò e
poi si strofinò
gli occhi, prima di rannicchiarsi contro al suo petto in cerca di
aiuto, protezione, concordandogli la stessa fiducia che gli aveva
regalato ad Oslo, quando l'aveva portata via dalla casa di Inge.
Ross
alzò gli occhi al cielo, ricordando la preghiera di Jasmine
di
salvare i suoi bambini,
ricordò la dolcezza di Inge nel prendersi cura di loro, il
primo
incontro coi bambini, la fuga da Oslo e l'addio alla loro madre in
barca, coi piccoli, con quel fiore che si era inabissato negli
abissi.
E
così trovò il coraggio di guardarsi davvero
dentro:
dividendoli e portandoli in un orfanotrofio, li stava davvero
salvando? Demelza non lo credeva e in fondo, non ci credeva nemmeno
lui.
Strinse
a se la piccola, mentre la neve si faceva più forte. Il buio
ancora
incombeva sulla brughiera, il vento era gelido e tutto era bianco. E
il posto di Daisy era a casa, nella sua culla con suo fratello
davanti al fuoco. Non lì, non a St. Ives... La
baciò sulla
testolina, stringendola a se perché si scaldasse.
"Hai ragione, scusa per questa cosa. Mi perdoni?".
La
piccola gli strinse il mantello
come in senso affermativo,
smettendo di piangere. E Ross capì
che non poteva deluderl, fece
marcia indietro
e
spronò
il cavallo a tornare a casa.
Quando
rientrò,
Prudie e i figli ovviamente stavano
ancora dormendo.
Al piano di sopra invece Demelza non era riuscita più a
prendere
sonno e con gli occhi rossi, se ne stava nel letto a coccolare Demian
che piagnucolava con meno enfasi della sorella ma comunque
in modo
inconsolabile.
Era
incredibile come quei due bambini, ancora tanto piccoli, fossero
consapevoli del legame dell'uno con l'altra e come percepissero tutto
quello che si muoveva attorno a loro.
Quando
rientrò in camera con Daisy in braccio, Demelza
spalancò gli occhi.
"Ross!".
Le
si avvicinò a grandi falcate, stringendola a se sul letto.
"Non
potevo farlo, hai ragione" - disse, facendo scivolare Daisy fra
le braccia di sua moglie.
Lei
d'istinto strinse la piccola e poi sorrise, baciandolo sulle labbra.
"Sapevo che non saresti riuscito a farlo davvero... Teniamoli
noi Ross, è questa la strada giusta".
Ross,
shoccato da quella proposta inaspettata e tanto tipica di sua moglie,
si irrigidì perché di fatto non aveva ancora
scelto nulla.
D'istinto era tornato a casa ma senza sapere effettivamente cosa
fare, ma ora come doveva comportarsi
davanti a quella proposta tanto folle?
Perché tale era, anche se Demelza non poteva conoscerne i
motivi e i
pericoli. "Non possiamo".
"Chi
ce lo impedisce?".
"Il
buon senso, amore mio".
Lei
scosse la testa. "Tanti anni fa hai accolto in questa casa una
bambina maltrattata dal padre, che portava sulla schiena i segni di
terribili cinghiate. Hai cambiato la vita di quella bambina e ora
solo grazie a te è una donna felice. Fallo di nuovo, fa con
questi
bambini la magia che hai compiuto sulla mia esistenza".
"Tu
non sai..." - tentò di argomentare lui. Come avrebbero
potuto?
Come lo avrebbero giustificato? Come, comeeee???
"Non
voglio sapere, voglio solo che restino quì" - lo
bloccò lei.
"E'
una follia. Sono due bambini in più, abbiamo anche i nostri
e come
ti ho spiegato, tenerli potrebbe esporre noi tutti a dei rischi".
Ma
Demelza, dopo aver rimesso Daisy accanto al fratellino e averlo fatto
finalmente calmare, tornò all'attacco. "Quali rischi? Judas
Ross, viviamo isolati in campagna, nessuno sa che i bambini sono
quì
e difficilmente saranno rintracciabili a Nampara. Sono quì,
ti sono
stati affidati, giusto? E allora mantieni fede alla parola data".
Ross
non rispose, era troppo folle e troppo complicato decidere su due
piedi, a caldo, una cosa del genere che avrebbe coinvolto non solo
loro ma soprattutto i loro figli. Si limitò ad abbracciarla
e a
scivolare con lei e i gemelli sotto alle coperte. La luce del mattino
forse avrebbe portato consiglio.
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
"Potremmo
dire semplicemente che sono nostri".
La
proposta di Demelza spezzò il silenzio della stanza e Ross
capì che
l'ora di pace prima che i figli si alzassero e li rendessero
partecipi della decisione di tenere i gemelli, era definitivamente
sparita dai suoi propositi. Nevicava fitto, i piccoli dormivano lei
sul suo petto e lui sul petto di sua moglie e il camino donava una
pace talmente invitante che pensare ai problemi da affrontare gli
pareva un delitto. "Come potremmo riuscire a far credere alla
gente una fandonia simile?".
Demelza
coprì le spalle di Demian, accarezzandogli la testolina.
"Non
dico ai nostri amici più stretti o ai miei fratelli ma di
chi
frequentiamo meno. Io sono stata poco in giro questo autunno e in
questi mesi in cui sei stato in Norvegia e a causa di Bella che aveva
spesso la febbre a causa dei dentini, sono stata praticamente sempre
in casa e non sono nemmeno mai riuscita ad andare alla Wheal Grace
come facevo una volta. La scorsa estate invece siamo stati a Londra
per il tuo incarico al Parlamento, quindi la gente del posto non
può
sapere se avevo o meno il pancione. Racconteremo ai tuoi minatori e
alla gente del posto come Sir Bodrugan che ho partorito appena sei
tornato e che ho preferito non divulgare la notizia della mia
gravidanza perché mi sentivo in imbarazzo ad essere di nuovo
incinta
subito dopo aver partorito Bella. Può funzionare, no?".
Ross
alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché la
Corona non avesse
proposto a sua moglie il lavoro di spia. Santo cielo, era una maga
del sotterfugio e degli stratagemmi... "E ci crederanno?".
"Perché
non dovrebbero? E perché dovrebbe essere un loro problema?".
"Perché
i gemelli non ci somigliano!" - sbottò Ross.
Demelza
sbuffò. "Sono biondi, anche Clowance è bionda e
metà dei
Poldark passati e presenti lo è!".
La
guardò storto. "Sono TROPPO biondi".
"Crescendo
si scuriranno un pò" - disse Demelza, chiudendo il discorso.
Ross
pregò che succedesse sul serio, in fondo la madre dei bimbi
era
spagnola e santo cielo, qualcosa da lei dovevano pure aver preso!
"Non saranno mai mori".
"Ma
saranno biondi come Clowance o forse un pò di
più. La gente di
questo posto, Ross, ha tanti problemi giornalieri da affrontare e
dubito che il colore dei capelli di questi bambini sia in cima ai
loro pensieri. O quanti figli abbiamo...".
"La
gente di questo posto, amore mio, ama sparlare di tutto" - le
fece notare.
"Forse..."
- fu costretta ad ammettere Demelza - "Ma si stancheranno presto
di farlo quando troveranno un altro argomento".
Ross,
esasperato da quella logica tutta al femminile che mai riusciva ad
abbattere, scosse la testa. "Due gemelli a un anno di distanza
da Bella... La gente penserà che non so stare al mio posto e
tenere
le mani ferme quando siamo a letto...".
A
quelle parole Demelza scoppiò a ridere, anche se
tentò di
trattenersi per non svegliare i gemellini, soprattutto Daisy che dopo
l'uscita prima dell'alba con Ross, si era riaddormentata dopo aver
pianto a lungo. "Beh, da questo punto di vista non si
sbaglierebbero troppo!".
Scherzosamente,
Ross le diede un buffetto sulla guancia. "Stiamo facendo un
discorso serio".
"Sono
seria!".
"Ma
stai sviando il discorso!".
Demelza
alzò le spalle, divertita. "Sto raccontando la semplice
verità".
"E
questa verità ti dispiace?".
Demelza
rimase in silenzio per un attimo, poi il suo sguardo si fece
malizioso e si avvicinò per baciarlo sensualmente sulle
labbra. "Per
niente".
Rimase
inebetito davanti a quelle sensazioni così forti che ancora
oggi,
dopo tanti anni di matrimonio, Demelza risvegliava in lui anche con
un semplice tocco. Santo cielo, dubitava che questo sarebbe mai
cambiato fra loro... "Buon per te... e per me... Ma ora abbiamo
cose più importanti a cui pensare".
Demelza
sorrise, stavolta con dolcezza, stringendo a se Demian.
"Già".
"E'
già il tuo cocco?" - fece notare Ross.
"E
lei la tua cocca!" - scherzò Demelza, indicando Daisy.
"Ama
la mia voce...".
"E
Demian il mio seno".
Ross
rise ancora. "Piuttosto furbo il piccolo vichingo...". Ma
poi tornò serio, accarezzandole il viso. "Demelza, tenerli
è
un grande impegno e una grande responsabilità.
Significherà avere
due figli in più con tutto quello che ciò
comporta per me, per te e
per Jeremy, Clowance e Bella. Dovremo crescerli, amarli come fossero
nostri, tenere celato loro un segreto enorme e chiedere ai nostri
figli maggiori di fare altrettanto. Significa sconvolgere la vita di
questa famiglia, significherà che Bella dovrà
dividere con loro le
nostre attenzioni e molto lavoro in più soprattutto per te e
Prudie.
Io sono spesso lontano da casa e anche quando sono quì, ho
la
miniera a cui badare e loro non dovrebbero essere un problema tuo".
Ma
Demelza gli strinse la mano, come a dargli coraggio. "Ti ho
chiesto io di tenerli quì e credo sia la cosa più
giusta per questi
bambini e per te che sei stato eletto loro protettore. Non ho paura
del lavoro e dubito che la mia vita sarà sconvolta
più di tanto.
Jeremy e Clowance ormai sono grandi e Bella in loro troverà
compagni
di gioco e dei fratelli vicini per età. Ho cresciuto da
bambina, sei
fratelli. Senza cibo, in una baracca, da sola. Credi che due
gemellini mi facciano paura?".
Ross
le baciò la fronte, grato che il destino gliel'avesse fatta
conoscere. Se poteva tener fede al meglio la sua promessa a Jasmine,
era soprattutto grazie a lei. A Demelza sarebbe piaciuta,
probabilmente, quanto Caroline. "Vorrei comunque che tu stessi
più tranquilla e comoda, non sempre indaffarata".
"Mi
annoierei. E tu, Ross?".
"Io
cosa?".
"Saresti
pronto a far loro da padre?".
Ross
rimase in silenzio, rendendosi conto della grandezza di quella
domanda. Era pronto? Aveva sempre amato la paternità ma dopo
Julia
ne aveva avuto anche paura e ora, amare quei due gemelli avrebbe
generato in lui gli stessi sentimenti di terrore davanti
all'opportuinità di perderli un giorno. Cosa che, nel loro
caso,
poteva anche essere probabile. Ma poi guardò quei piccolini
fra le
loro braccia e capì che in fondo gli erano già
entrati nel cuore e
difficilmente avrebbe potuto allontanarli. "Credo di sì".
Demelza
intrecciò le dita della mano che aveva libera con quella di
Ross. "E
ai miei fratelli che diremo? E a Zachy? Ned? Dwight e Caroline
già
lo sanno e abbiamo il loro silenzio, ma gli altri? Quelli a noi
più
vicini non crederanno a una mia gravidanza tenuta segreta".
Le
accarezzò la mano che stringeva. "No, certo che no.
Racconteremo loro ciò che io ho raccontato a te e Dwight,
chiedendo
di tenere il segreto e reggerci il gioco. Sono amici fidati, su di
loro e sulla loro fedeltà non ho alcun dubbio e mi hanno
aiutato in
passato già molte volte".
Demelza
sorrise. "Quindi lo vedi che non è così
difficile?".
Ross
rise, pizzicandole il dorso della mano. "Aspetta a cantare
vittoria! Dobbiamo convincere tuo fratello Sam a mentire".
"E'
per una buona causa, non farà storie".
Ross
non parve così convinto della cosa e anche se sicuramente
alla fine
suo cognato
avrebbe mantenuto il segreto per la salvezza dei bambini, di certo
non sarebbero mancate le sue rimostranze.
"Per Sam non esistono buone cause che giustifichino una
menzogna".
Demelza
annuì, costretta a dargli un pò ragione.
"Sì ma col
matrimonio è diventato più accomodante. Rosina lo
convincerà".
Ross
la strinse a se, scompigliandole scherzosamente i capelli. "Il
famoso potere delle donne che è in grado di assoggettare
come se
fossero marionette, tutti gli uomini del mondo".
Demelza
fece per rispondere ma il rumore della porta che si apriva, la
fermò.
Ancora
assonnati e in camicia da notte,
i loro tre figli entrarono nella stanza, Clowance sfregandosi gli
occhi e Jeremy con la piccola Bella in braccio, già
perfettamente
sveglia ed attiva. Era una specie di rito che i loro figli li
raggiungessero nel lettone prima di lavarsi e vestirsi e quella
mattina non faceva eccezione. Era una bella abitudine che anche Ross
amava, soprattutto nelle fredde mattine d'inverno quando fuori era
ancora buio ed era piacevole starsene tutti insieme sotto a una
coperta.
Jeremy
si rabbuiò subito però, osservando i gemelli.
Stranamente, a
differenza di Clowance, lui non sembrava contento del loro arrivo e
spesso sembrava assorto e immalinconito in quei giorni. "Ma non
dovevate portarne via uno, stamattina?" - chiese infatti, non
sforzandosi di nascondere la delusione dal suo tono di voce.
Demelza
allungò una mano verso di lui per attirarlo a se. "Tesoro,
tutti e tre, venite quì".
Clowance
non se lo fece ripetere e saltò sul letto felice. Per lei i
gemelli
erano delle
specie di bambolotti e adorava aiutare sua madre e Prudie nella loro
gestione. "Evviva, non li hai portati via papà!".
Anche
Jeremy li raggiunse, poggiando Bella sul letto. La piccola
gattonò
fino al padre, prendendo posto accanto a Daisy fra le sue braccia e
reclamando la sua attenzione.
"Come
mai, papà?" - chiese ancora Jeremy.
Ross
decise di rispondergli senza giri di parole, con gentilezza ma anche
con la fermezza necessaria a fargli capire che era una scelta degli
adulti che lui doveva rispettare. "Io e tua madre abbiamo deciso
che per la loro sicurezza e il loro benessere, è meglio che
stiano
quì".
"Per
sempre?" - chiese Clowance.
Demelza
annuì. "Sì... O finché saranno grandi
abbastanza per prendere
la loro strada. Come voi...".
"Ma
tu hai detto che era pericoloso, papà!" - sbottò
Jeremy.
"Lo
so, ma tua madre mi ha fatto capire che non lo è affatto,
dopo
tutto. Se ci staremo attenti, ovviamente".
Stupito,
Jeremy fissò
Demelza. "Mamma, ma davvero tu li vuoi?".
Lei
gli accarezzò il viso. "Certo tesoro, e sai
perché?".
"No".
"Perché
tanti anni fa anche io ero sola e nei guai e vostro padre mi ha
accolto in questa casa cambiando la mia vita. E ora voglio fare
altrettanto per questi due bambini così piccoli e soli, che
hanno
ancor meno di quello che avevo io quando sono arrivata a Nampara la
prima volta".
Jeremy
rimase silenzioso alcuni istanti, ma poi annuì. Era il
figlio più
vicino a sua madre e quello che meglio la capiva e meglio sapeva
leggerne l'anino gentile. E anche se non era contento di quella
scelta, mai avrebbe obiettato dandole un dispiacere. "Capisco"
- mormorò a denti stretti.
"Sei
d'accordo, allora?" - chiese Demelza.
Ancora
dubbioso, alla fine Jeremy cedette
per farla felice.
"Se sei contenta tu e davvero vuoi, allora sì".
"E
dovremo tenerli nascosti?" - chiese Clowance, di indole molto
più pratica.
Ross
scosse la testa. "No e da questo momento in poi voi sarete
fondamentali. Dovrete dire a tutti che sono i vostri fratellini e che
la mamma è rimasta incinta subito dopo la nascita di Bella".
"Ma
sarebbe una bugia" - obiettò Jeremy.
"Ma
sarebbe a fin di bene" - lo rassicurò il padre.
Jeremy
parve scettico. "Zio Sam e zio Drake non ci crederanno mai!".
Demelza
lo attirò a se mentre Bella iniziava a fare chiasso,
svegliando i
gemelli che aprirono i loro occhi azzurri. "A zio Sam e zio
Drake racconteremo la verità e loro terranno il segreto dei
gemelli
con noi. Così come le altre persone a noi molto vicine come
Zachy.
Ma per tutti gli
altri,
da oggi i
gemelli sono
i vostri fratellini e dovranno crescere con questa certezza".
"Non
devono sapere la verità?" - chiese Clowance mentre Daisy si
aggrappava con la manina al braccio di Bella che di tutta risposta
cercava di spingerla via.
"No"
- rispose Demelza. "Loro devono crescere con noi pensando che
siamo la loro famiglia. E lo saremo davvero, li ameremo come ci
amiamo fra noi e tutto il loro passato non ci sarà
più. Saprete
farlo, saprete non dire nulla?".
Clowance
disse subito di sì, senza esitazione, Jeremy diede la sua
parola
alcuni istanti dopo.
Ross
tentò di rassicurare il figlio maggiore, ancora decisamente
scosso.
"Quanto meno avremo rinforzi. Demian ci darà man forte
contro
tutte queste donne".
Jeremy
sorrise timidamente. "Speriamo".
"Saprai
essere un bravo fratello maggiore?".
"Credo
di sì. Ci proverò".
Ross
si stiracchiò, ora con tanti pesi in meno sulla coscienza,
rendendosi conto che dentro di se quella era la soluzione che forse
aveva desiderato fin dall'inizio di quella faccenda. "E allora,
non mi resta che fare una cosa".
"Cosa?"
- chiese Demelza.
"Andare
a Londra da Jones. Mi devo far fare dei certificati di nascita falsi
dei bambini, da mostrare al Reverendo Halse quando li battezzeremo".
"Anche
questa è una bugia!" - lo rimbeccò Clowance.
Ross
le strizzò l'occhio. "Ma sempre a fin di bene!".
La
bambina rise, i gemelli mossero le gambette allegri e da quel momento
la famiglia Poldark fu ufficialmente composta da sette persone.
Ross
invitò Jeremy e Clowance ad andare a lavarsi la faccia e a
vestirsi
e poi, rimasto solo con Demelza e i tre bimbi più piccoli,
tornò a
rivolgersi alla moglie. "Se resteranno quì, forse dovresti
sapere qualcosa in più dei gemelli" - disse, osservandoli
fra
le loro braccia, perfettamente a propio agio. Se Demelza si sentiva
pronta a far loro da madre, era giusto che sapesse chi erano davvero
quei bambini e i motivi che avevano portato alla morte dei loro
genitori. "Voglio dire... Tipo... Il loro vero nome, il nome di
famiglia...".
Ma
Demelza lo bloccò, risoluta. "No".
"No?".
Demelza
affrontò con tranquillità l'espressione sorpresa
e stupita del
marito. "Non voglio sapere nulla più di quello che
già so, non
voglio sapere nulla che possa influenzare il mio pensiero e le mie
azioni verso di loro. Per me la questione finisce quì, ho
fiducia in
te e nella tua scelta di portarli quì e come hai detto,
ciò che era
prima non esiste più. Per il bene di tutti, soprattutto dei
bambini,
ciò che hai lasciato dietro di te in Norveglia,
là deve restare.
Ora pensiamo solo al futuro".
"Sei
sicura?" - le chiese, incerto.
"Sì.
E sarà così per sempre o almeno finché
non sarà necessario
parlarne".
Ross
tacque, forse non del tutto sorpreso dalla saggezza e dalle parole di
sua moglie. E da quel momento e per molto tempo, l'argomento non fu
più toccato.
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
"Demian
Poldark, io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo. Daisy Poldark, io ti battezzo nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo".
La
voce del Reverendo Halse risuonò nella piccola Chiesa di
Sawle,
dando il benvenuto ufficiale nella comunità a quei due
piccoli e
singolari gemellini che, per la maggior parte delle persone del
luogo, erano il risultato di una gravidanza celata per pudore dai
coniugi Poldark.
Nevicava,
di nuovo, in quel pomeriggio della Vigilia di Natale scelto per la
cerimonia, e i pochi ospiti presenti erano coloro che sapevano, anche
se solo in parte, la vera storia dei bambini: Gli Enys, Zachy Martin,
Ned, Prudie, Sam e Drake con le rispettive mogli e infine Geoffrey
Charles. Erano le persone che a Ross e Demelza erano più
care, una
estensione della loro famiglia e coloro che li avrebbero aiutati a
portare avanti quella strana avventura in cui si erano imbarcati.
Ross
era partito subito per Londra dopo la decisione di tenere i bambini a
Nampara ed era stato via poco meno di cinque giorni: Uno e mezzo per
l'andata, uno e mezzo per il ritorno e un giorno per rendere
partecipe della sua scelta il fido Jones che poi aveva redatto gli
atti di nascita falsi a nome dei piccoli. Il suo socio lo aveva preso
in giro fino allo sfinimento per quella scelta, facendogli notare che
una spia sentimentale è poco affidabile, che le faccende da
neonati
dovrebbero essere gestite dalle donne e che era folle ad essersi
preso in casa per sempre quei due esserini malefici e nordici, sicuri
portatori di guai e sventure. O quanto meno di caos casalingo, nella
migliore delle ipotesi... Ma poi come sempre, si era messo a
disposizione di Ross e aveva redatto due atti di nascita falsi
talmente perfetti da risultare praticamente impossibile distinguerli
da un atto vero.
Ross
e Demelza avrebbero voluto aspettare gennaio per il Battesimo ma il
Reverendo Halse aveva insistito, anche arrabbiandosi, adducendo il
fatto che avevano aspettato fin troppo per quel passo, che avevano
sbagliato a non far battezzare i bambini subito dopo la nascita e che
il pomeriggio della Vigilia sarebbe stato perfetto per quella
cerimonia, in modo che la notte di Natale i due piccoli sarebbero
stati membri ufficiali della comunità a tutti gli effetti.
Ross
dentro di se aveva ridacchiato davanti alla veemenza mostrata da
Halse, cercando di immaginarsi la faccia che avrebbe fatto se avesse
saputo la verità. Ma quella, doveva rimanere sepolta in
Norvegia e
quindi alla fine cedette e fu stabilito che il Battesimo fosse
celebrato il pomeriggio del ventiquattro.
Dopo
la cerimonia, sotto una fitta nevicata che ai gemelli parve piacere
molto, i Poldark tornarono a casa dove con i loro ospiti, erano
attesi da un banchetto preparato da Demelza e Prudie in mattinata.
Era un giorno di festa che univa il Santo Natale a un Battesimo
doppio e Demelza voleva festeggiarlo fino alla fine.
Dopo
la cena, resa ancor più rumorosa da Bella, Loveday e Sophie
Enys che
gattonavano urlando ovunque e dai gemellini che non volevano dormire,
tutti si misero a chiacchierare attorno al camino. Anche Jeremy che
non volle unirsi a Clowance nell'inseguire le piccole di casa.
Zachy
osservò i neonati, lui in braccio a Demelza, lei a Ross. Da
buon
amico, come sempre, aveva dato il suo supporto senza chiedere troppo
e ora guardava solo con curiosità quei due piccoli. "Appena
cresceranno un pò, assieme ad Isabella-Rose e Loveday
faranno un
baccano tale che si sentiranno le loro urla fino alla dimore del re a
Londra".
Morwenna,
divertita, osservò Rosina. "Povera la nostra scuola, con
questi
piccoli terremoti".
Pensieroso,
Sam invece pareva meno entusiasta. Aveva fatto mille obiezioni a
Demelza quando lei gli aveva parlato dei gemelli, era stato il
più
coriaceo e il meno propenso a cedere a quella menzogna e solo dopo
aver visto i bambini si era calmato, rendendosi conto che era Dio ad
aver messo quei piccoli sulle loro strade e che spettava a loro
proteggerli. Odiava mentire ma abilmente, Rosina lo convinse che
stavolta il farlo non era da considerarsi un peccato visto che quel
gesto era a fin di bene e non vi era alcuno scopo di lucro.
"L'importante è che vada tutto bene".
Sam
gli picchiettò sulla spalla. "Non essere pessimista
fratello!
Siamo quì, sereni e felici, accanto a un caldo camino.
Nessuna ombra
scruta alla nostra finestra, i bambini stanno bene e noi ci stiamo
divertendo. Solo questo conta, ora".
"Speriamo
anche dopo" - aggiunse Jeremy, rannicchiandosi contro la spalla
di sua madre.
Demelza
gli accarezzò i capelli. Jeremy era il figlio che
comprendeva meglio
e sapeva percepire la sua inquietudine in quella faccenda. Non era
propriamente contento dell'arrivo dei gemelli, si faceva mille
domande e aveva forse anche molte paure che lei
sperava
scemassero col tempo
o che lui avrebbe imparato ad esternare, cosa che al momento
rifiutata di fare.
E
quindi,
fra tutti, era il figlio che più aveva bisogno di lei. "Tu
fidati di noi, come sempre".
Jeremy
le sorrise, grato, stringendole la mano come spesso faceva quando
voleva starle vicino perché la vedeva triste per l'assenza
di Ross
durante questa o quella missione.
Come
a voler dimostrare l'atmosfera festosa, con gridolini assordanti
Bella e Sophie si appesero all'abete addobbato e solo la corsa di
Geoffrey Charles che le prese in braccio all'ultimo, evitò
che
l'albero si abbattesse sulle due piccole pesti.
Jeremy
sospirò. "Io mi fido ma i disastri quì son dietro
l'angolo".
Tutti
risero ma Ross osservò con preoccupazione il figlio,
chiedendosi se
un giorno avrebbero avuto uno scambio di vedute 'adulto' circa i suoi
attuali sentimenti. Jeremy era totalmente aperto con Demelza ma
crescendo, si era un pò allontanato da lui, anche
sicuramente per la
lontananza che spesso intercorreva fra loro ma soprattutto per i
caratteri che li animavano, totalmente opposti.
Daisy
si morse la manina e cercò di attirare la sua attenzione e
Dwight
chiese di poterla prendere in braccio.
Ross
gliela porse ma la piccola prese subito a strillare.
Dwight
rise. "Vuole suo padre".
Padre...
Ross deglutì e si rese conto che lo era a tutti gli effetti,
ora. E
che ancora non ci si era abituato. Per lui, ancora, quelli restavano
i figli di Jasmine e Harald
e comprendeva di dover ormai guardare le cose da un'altra
angolazione. Lui e Demelza avevano fatto una scelta e i gemelli li
consideravano i loro genitori e quindi lui ora doveva sentirsi il
loro padre anche se non li aveva generati. Un pò, forse,
come George
con Valentine, pensò amaramente, ricordando quel bambino dai
riccioli scuri che non vedeva da molto e con cui, forse, aveva in
comune molto più di quanto avrebbe mai avuto il coraggio di
ammettere a se stesso.
Dwight
gli ripassò Daisy che appena fra le sue braccia, smise di
piangere.
"Vedi Ross, sei suo padre! E vuole solo te" - lo rassicurò
l'amico, come avvertendo la sua battaglia interiore.
Ross
accarezzò la testolina bionda della piccola. "Oh, lei l'ho
conquistata da subito. Ama la mia voce. Il maschio invece è
innamorato di mia moglie, se provo ad allontanarli, piange come una
fontana".
"E
fa tremare i vetri!" - borbottò Prudie, riprendendo al volo
Loveday dopo che per la terza volta aveva tentato un salto
giù dalla
credenza.
Caroline,
seduta accanto a Demelza e a gravidanza avanzata, si
accarezzò il
pancione. Era stanca, fuori era buio e aveva solo voglia di andare a
letto. A giorni avrebbe dovuto partorire e quella sera non si sentiva
per niente bene, con doloretti sospetti che le suggerivano che era
meglio andare a casa. "Tesoro, sarebbe ora di togliere le tende
prima che Sophie si lanci contro il candelabro o attenti ancora alla
credenza di Demelza".
Dwight
annuì e anche gli altri si accorsero che era ormai tardi.
Clowance,
decisamente estroversa e festaiola, protestò. "Noooo, non
andate via! E' presto!".
Zachy
le pizzicò scherzosamente la guancia. "Oh bambina, qualcuno
stanotte deve portare i doni a te e ai tuoi fratelli e non vorremmo
sbarrargli la strada".
"Ohhh".
Clowance osservò i suoi genitori che annuirono, dando
manforte
all'amico. "E allora forse dovreste andare".
Tutti
risero, Clowance aveva una faccia tosta che a Jeremy mancava.
Demelza
e Ross si guardarono in viso, grati della loro compagnia ma
desiderosi di starsene un pò da soli. Era stata una giornata
piena
di emozioni, i gemelli ormai facevano parte ufficialmente della loro
vita e anche se erano pronti a far loro da genitori, entrambi erano
ancora un miscuglio di emozioni troppo forti per sentirsi totalmente
a loro agio.
Morwenna
recuperò Loveday, Dwight la vivacissima Sophie e Caroline
sbuffò.
"Se penso che a giorni ce ne sarà un altro o un'altra che
strilla, mi viene voglia di gettarmi dalla scogliera".
Morwenna
la abbracciò. "Oh, sarà bellissimo, vedrai".
"Sì,
prima o poi lo sarà. Per ora sono solo ansiosa, ho i piedi
gonfi, la
pancia più grossa di quella di Choake e nessuno dei miei
abiti
migliori mi entra. E forse non mi entrerà più" -
si lamentò
l'ereditiera, col suo classico cinismo.
Demelza
sorrise dolcemente, conoscendo bene le paure che si celavano dietro
alle parole solo apparentemente sprezzanti dell'amica. "Se ce la
facciamo io e Ross, ce la farai anche tu. Ogni figlio è una
sfida,
ogni figlio porta tante paure e noi ne abbiamo presi altri due che
nemmeno hanno il nostro stesso sangue".
"Ma
voi siete folli!" - la rimbrottò amichevolmente Caroline. "E
pure io e Dwight...dopo
tutto..."
- borbottò, accarezzandosi il pancione.
Ross
rise. "Caroline, mi spiace dirtelo ma è decisamente troppo
tardi per tornare indietro".
"Non
me lo dire, ti prego!" - sbottò lei.
"Non
dirglielo, per favore" - aggiunse Dwight divertito, con Sophie
in braccio.
E
in questo clima di allegria si salutarono, ognuno diretto alla
propria casa per continuare a festeggiare in modo più intimo
e
famigliare il Natale, gli adulti assonnati e le bimbe invece ancora
piene di una energia tale da poter far concorrenza alla dinamite
nelle miniere, come aveva detto Ned.
Rimasti
soli, i Poldark e Prudie si avvicinarono ai divani davanti al camino
e i bambini diedero il loro dono alla domestica, uno scialle fatto a
mano da Clowance e Demelza con la lana lavorata da Jeremy.
Commossa,
Prudie tirò su col naso. "Piccoli monelli, ora la cara
Prudie
si commuove e solo col rhum riuscirà a calmarsi".
Ross
e Demelza si guardarono negli occhi divertiti e poi si sedettero lei
con Demian e Ross con Daisy e Bella. Jeremy e Clowance, assieme a
Prudie, li raggiunsero.
"E
così è Natale!" - esclamò Clowance.
"Ho chiesto un sacco
di cose a Papà Natale, spero non si sia dimenticato niente".
"Sei
stata abbastanza buona per meritarti tutto?" - le chiese
Demelza.
La
bimba, con notevole faccia tosta, annuì. "Assolutamente,
sempre".
"Sei
scappata da lezione, il mese scorso, me lo ha detto la mamma" -
fece notare Ross.
"Solo
perché era una lezione inutile, zia Rosina lo sa che io lo
so in che
mesi cresce il grano, che ci stavo a fare in classe?".
Demelza
sospirò, Prudie rise sotto i baffi e Ross con lei. Clowance
non era
mai stata una studentessa modello e di certo non sarebbe migliorata
con l'età. Se Jeremy pareva assetato di sapere, lei invece
era pura
energia e scaltrezza che, unite alla sua bellezza e alla sua faccia
tosta, la rendevano irresistibilmente affascinante. Bella invece era
ancora troppo piccola per fare previsioni ma con l'argento vivo
addosso che si ritrovava, difficilmente sarebbe rimasta composta e
seduta dietro a un banco. I gemelli... Beh, questo ancora non lo
sapeva e non riusciva a prevedere che personalità avrebbero
sviluppato ma di sicuro erano bambini coriacei e forti e con la
tempra dei Poldark ci si sarebbero trovati a meraviglia.
Ross
prese la mano della figlia maggiore, attirandola a se. "Se vuoi
avere qualche speranza di avere i tuoi regali, ti conviene filare a
letto o Papà Natale non si fermerà e tu rimarrai
a bocca asciutta".
"E'
già così tardi?" - domandò Jeremy.
"E'
quasi passata la mezzanotte, nanetti" - li rimbeccò Prudie.
"A
nanna".
I
bambini abbracciarono i genitori e forse timorosi di non ricevere
doni, corsero a dormire senza fare troppe storie. Clowance
baciò
Bella e i gemelli, Jeremy inizialmente solo Bella, finché
sua madre
gli ricordò che doveva salutare tutti e lui lo fece.
Prudie
li accompagnò di sopra e dopo aver augurato ai due sposi la
buona
notte, si ritirò a sua volta nella sua stanza.
Ross
e Demelza rimasero soli coi tre bambini più piccoli, con lei
che
dolcemente poggiava il viso sulla spalla del marito. "E' stata
una bella giornata" - sussurrò, mentre Demian giocava col
suo
vestitino da cerimonia.
"Già,
ma in fondo i nostri Natali son sempre stati speciali" - rispose
Ross, accarezzandole la schiena e ricordandola nel loro primo Natale,
mentre con un abito rosso cantava per lui a Trenwith.
"Credi
che Jeremy li accetterà prima o poi?".
Ross
si incupì, non del tutto ottimista. "Lo spero.
Così come spero
di non aver preso una decisione troppo affrettata di cui un giorno
potremmo pentirci".
"Non
succederà" - sussurrò Demelza, stringendo a se
Demian.
Ross
rimase in silenzio lunghi istanti, cercando le parole giuste per
esporle i suoi timori. "E noi?".
"Noi
cosa?".
"Noi
quanto ci metteremo ad accettarli del tutto?".
Demelza
si tirò su di scatto, facendo sussultare Bella che giocava
con un
nastrino che si era tolta dai capelli. "Che vuoi dire?".
Ross
sospirò. "Amore mio, lo sai anche tu che non è
come avere un
figlio nostro. In nove mesi di attesa ti abitui all'idea, ci
fantastichi su, aspetti e ti prepari. E quando tuo figlio nasce lo
guardi e ti rendi conto che fa parte di te e della persona che ami.
Ma loro, noi ce li siamo trovati così, da un giorno
all'altro. E
cresceranno come figli nostri anche se non sono figli nostri".
Demelza
lo bloccò. "Lo sono, invece. Guarda Daisy, guarda come ti
voleva quando Dwight l'ha presa in braccio. Lei voleva te e nessun
altro, voleva te perché in tutto il suo piccolo mondo, tu
sei
l'unico padre che abbia mai conosciuto. Loro, i gemelli, hanno
già
scelto e io credo...".
"Cosa?".
Cosa credeva, lei? Come avrebbe trovato le parole giuste per
tranquillizzare il suo animo, stavolta?
Con
tutta la tranquillità del mondo, dando un bacino a Bella e
Daisy,
Demelza sorrise. "Credo che i figli siano di chi li ama e li
cresce".
"Tutto
quì?".
"Tutto
quì, Ross. Io appartenevo a mio padre ma il mio cuore mi ha
sempre
detto che appartenevo a te. Ben prima di sposarti, quando ero solo la
tua domestica io già sapevo di appartenere a te e a Nampara".
I
ricordi di Ross volarono lontano, a un tardo pomeriggio assolato
assieme a lei, Jud, Prudie e Jim... Fu allora che Demelza gli disse
quelle parole e lui le ricordava ancora, con tenerezza.
E forse era così anche per Demian e Daisy che dopo aver
perso le
proprie radici ne avevano trovate di nuove a Nampara e le avevano
fatte loro.
"Come fai a rendere tutto così semplice? Non hai paura?".
"Sì
Ross, ne ho. Ma devo permetterle di condizionarmi?".
Ross
scosse la testa, era sempre la più saggia fra i due. "No, ma
devi ammettere che dopo Julia è molto più facile
avere paura. Ne ho
per Jeremy e per le bambine e ora avrò paura di perdere
anche questi
due biondini. E vista la fine dei genitori, è un timore
reale".
Le
mani di Demelza si poggiarono sulle sue. "Sono quì
perché
possiamo proteggerli al meglio, no? E quindi cresciamoli senza
pensare al male che vi siete lasciati alle spalle in Norvegia".
"Tu
ci riesci?".
"Io
sì. Ma io dopo tutto non conosco la loro storia, per
fortuna".
Demelza
gli aveva chiesto di non dire nulla, ma in quel momento Ross non ce
la fece, non del tutto,
a mantenere la sua promessa. "Hai detto prima che i bambini sono
di chi li ama, giusto?".
"Sì".
"Beh,
loro erano amati dai loro genitori".
"Lo
so, ma non hanno potuto prendersene cura, Ross. E ora hanno solo
noi".
Ross
la baciò sulla guancia. "Sai, amore mio, c'è un
aspetto così
macabro e comico allo stesso tempo, in tutto questo. I gemelli non
hanno più i genitori perché sono stati uccisi da
qualcuno che
pensava che loro ambissero a qualcosa che gli spettava di diritto ma
che in realtà non volevano affatto. Sono morti per nulla e
ora
questi bambini rischiano la vita per un nonnulla...".
Demelza
strinse i bimbi a se, poggiandosi contro Ross. Il cuore le batteva
forte e avrebbe forse voluto chiedere di più ma anche non
sentire
più niente. Le
parole di Ross era inquietanti e sibilline, così come
orribile
doveva essere la storia che aveva portato quei bimbi fin lì
e lei
non voleva sapere oltre perché - si rese conto - la
pietà che
avrebbe potuto provare per i veri genitori dei gemelli avrebbe potuto
soffocare i sentimenti che aveva sviluppato per i due piccoli. "Ora
non rischiano nulla. Ora sono quì al caldo, con noi, davanti
al
camino. E sono ufficialmente nostri" - concluse, chiudendo la
discussione.
Ross
le sorrise, triste ma forse più sollevato, come sempre
riuscivano a
fare le parole di Demelza. "E ci amano".
"Sì".
"E
in fondo, ci hanno scelti?".
"Sì".
"Che
persone credi diventeranno?".
Demelza
ci pensò su. "Brave persone, così voglio
crescerli, con lo
stesso spirito con cui cresco ogni mio figlio. Sono come pietre
grezze da plasmare, Ross. E so che noi due faremo del nostro meglio
per rendere questi due piccolini delle brave e gentili persone".
"Eppure,
sono diversi. Il loro aspetto, il fatto che amino il freddo e ci si
trovino bene anche se così piccoli, non ci
rimanderà sempre alle
loro origini?".
Demelza
cullò Demian che, fra le sue braccia, si stava
addormentando. "Che
male c'è ad amare la neve?".
Ross
rise. "Nessuno, era solo un esempio".
"E
poi Ross, proprio come noi amano stare avvolti in calde coperte".
Le
diede un buffetto sul mento. "E allora hai ragione tu, come
sempre".
Bella
saltellò sulle gambe del padre, attirando l'attenzione dei
grandi
con dei gridolini. Ross
le scompigliò i capelli,
ritrovando anche in lei l'allegria.
"Saranno vivaci come Isabella-Rose?
Sai che a breve saranno tre a far baccano, invece che una sola?".
Demelza
rise. "Sopravviveremo, ne sono certa".
"Già"
- sussurrò Ross, prima di baciarla. "Buon Natale, amore mio".
Demelza
ricambiò il bacio. "Buon Natale, amore mio".
E
poi baciarono i tre piccolini, ognuno sulla fronte. E da quel
momento, ufficialmente, capirono che non potevano più
tornare
indietro
e si poteva solo andare avanti.
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Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
Nampara,
Cornovaglia, giugno 1806
Godendosi
la brezza del mare e il profumo estivo di salsedine che gli inebriava
le narici sotto un cielo assolutamente sereno e privo di nuvole, Ross
si avviava verso casa stupendosi ancora una volta di quanto gli
mancasse la sua terra ogni volta che ne era lontano.
Era
stato via due mesi per un breve viaggio in Francia per conto della
corona e ora non vedeva l’ora di varcare la porta di casa,
abbracciare i suoi figli, baciare sua moglie e gustarsi un pranzo
decente dopo giorni passati a mangiare nelle osterie di passaggio.
Sfilò
davanti alla Wheal Grace, salutando i suoi uomini che appena lo
ebbero visto, gli corsero incontro. Poi a sorpresa, vide comparire
dal suo ufficio anche suo figlio Jeremy. Ormai aveva quindici anni,
era un ragazzo alto e snello ed era sempre più interessato
ai lavori
della miniera tanto che spesso aveva voluto accompagnarlo al mattino,
in quell’ultimo anno.
Ross
lo guardò con orgoglio e Zachy, intuendo i suoi pensieri, si
affrettò a spiegare. “Viene spesso a chiederci
come va e a dare
una mano. Adora il modo in cui lavorano le pompe ed è
interessato a
tutte le nuove macchine elettriche
che stanno venendo fuori dalla testa di architetti e ingegneri in
questi anni. E’ un piacere averlo con noi e ha voglia di
imparare”.
Jeremy
li raggiunse, accaldato in viso. “Papà, sei
tornato! Mamma
prevedeva che non saresti arrivato prima del prossimo mese”
–
disse, abbracciandolo.
Ross
ricambiò la stretta. Jeremy era un ragazzo delicato nei
modi, molto
legato a sua madre ma più defilato e sfuggente nei suoi
confronti. E
questo lato del suo carattere a volte chiuso e taciturno si era un
po’ acuito negli ultimi anni e spesso Ross si chiedeva se mai
si
sarebbe allentata la strana tensione che a volte insorgeva fra loro.
Quindi si gustò quell’abbraccio tanto sincero
quanto raro di suo
figlio che spesso stringeva fra le sue braccia la madre ma quasi mai
si era lasciato andare a gesti simili con lui, soprattutto negli
ultimi anni. “Vedo che mi stai sostituendo
egregiamente!” – gli
disse infine, dandogli una pacca sulla spalla.
Jeremy
arrossì. “Mh, col piccone valgo poco. Ma mi piace
studiare le
mappe e controllare le pompe. Sai che hanno inventato nuovi modelli a
propulsione elettrica?”.
Ross
sospirò, sentendosi vecchio a causa della sua avversione
alle
novità. Era molto scettico sulle nuove trovate tecnologiche
ed era
più legato ai vecchi sistemi di estrazione, usati da secoli
e che
suo padre gli aveva insegnato. Jeremy invece era attirato da tutto
ciò che era nuovo e ogni scoperta era per lui motivo di
studio ed
interesse. Era contento di questa sua curiosità per la vita
e le sue
mille opportunità ma credeva che fidandosi troppo del
progresso,
avrebbe finito col rimanerne deluso. “Sì lo so, ma
fin’ora le
macchine che abbiamo funzionano bene e quindi evitiamo di spendere
denaro se non ne abbiamo bisogno”.
Jeremy
fece per replicare ma poi decise di tacere. Suo padre era il capo ed
era amato e rispettato da tutti per le sue scelte e lui non era
nessuno per poterlo contrastare. Quindi optò per un cambio
di
argomento. “Sai, la
miniera gode di
un altro aiuto di famiglia”.
“Chi?”.
Zachy
rise e dall’ufficio sbucò Clowance, vestita con
abiti maschili e
vivace e allegra come sempre. La ragazzina, ormai dodicenne, coi suoi
lunghi capelli biondi pieni di boccoli, gli occhi azzurri e il viso
tondo e ancora infantile, gli corse incontro abbracciandolo con
più
vigore del fratello. Clowance era la sua piccola principessa e come
per ogni sua figlia, il suo punto debole. Era vivace, sfacciata,
testarda ed esuberante come tutti i Poldark ed era sempre contenta.
Ancora era una bambina sia nei modi che nell’aspetto e Ross
sperava
sarebbe rimasta ancora a lungo così, spensierata e senza
preoccupazioni. La fissò e scoppiò a ridere
vedendo come era
agghindata da maschiaccio. Sporca di fuliggine, in pantaloni,
spettinata, era così incredibilmente simile a sua madre nel
giorno
del loro primo incontro… “Che fai,
monella?” – le chiese,
scompigliandole ancora di più i capelli.
Clowance
ridacchiò, osservando Zachy. “Ohhh, è
un segreto papà!”.
Jeremy
rise e Zachy fece un occhiolino alla piccola. “Silenzio o tuo
padre
ci mette tutti e due in castigo”.
Ross
fece finta di stare al gioco anche se aveva già capito
tutto.
“Quindi… Non sei così sporca
perché ti sei avventurata ancora
nei cunicoli, vero?”.
“No
papà” – rispose lei, con una notevole
faccia tosta.
“Sicura?”.
“Sicurissima”.
Ross
le sorrise, compiaciuto nonostante tutto che fosse tanto attratta dal
mondo delle miniere che i Poldark avevano nel sangue. “Beh,
io
torno a casa, non vedo l’ora di rivedere la mamma e i
bambini. Mi
fate compagnia?”.
I
ragazzini annuirono e così Ross, con loro e dopo aver
salutato
tutti, si diresse a Nampara.
“Come
vanno le cose a casa?”.
“Bene”
– rispose Jeremy. “Anche se Bella fa baccano,
Prudie come sempre
lavora poco e mamma è impegnata in mille cose”.
Ross
sospirò, tutto rimaneva immutabile. “E i
gemelli?” – chiese,
notando come sempre la reticenza di Jeremy a parlare di loro. Era un
bravo fratello maggiore ma coi gemellini faticava a legare e cercava
sempre di star loro il più lontano possibile, come se ne
rifiutasse
ancora la presenza e li vivesse come una minaccia. Ed era strano
perché erano passati tre anni e mezzo dal loro arrivo, la
pace era
regnata dentro e fuori casa, nessun pericolo ne era scaturito e ormai
per tutti, loro, erano i bambini dei Poldark, quasi che nessuno
più
ricordasse le loro origini. A volte aveva tentato di parlare col
figlio dei bambini e dei pensieri che lo affliggevano ma Jeremy era
sempre stato sfuggente e aveva evitato di rispondergli in modo
sincero, preferendo cambiare argomento. Ma ora era abbastanza grande
e magari, nella giusta occasione, sarebbe riuscito a confrontarsi con
lui da uomo a uomo, sperando di riuscire a fugare i suoi dubbi.
Fu
Clowance a rispondere, al posto del fratello. “Fanno baccano
come
sempre! E litigano e giocano con Bella e fanno mille
disastri”.
“Posso
immaginare” – commentò laconico Ross,
pensando alla immensa
vivacità di quei due piccoli e scalmanati vichinghi che
ormai amava
come fossero suoi. Demian era attaccato a Demelza in modo viscerale,
come Jeremy, Daisy come Bella e Clowance era la sua cocca e la
monella di casa, irriverente e furba come pochi bambini al mondo.
Quando
giunsero infine all’aia di Nampara, fu Bella la prima che
Ross
rivide. Coi suoi lunghi capelli neri pieni di ricci e gli occhi verdi
come la mamma, la sua piccolina era la luce dei suoi occhi. Era
rumorosa, canterina, non stava mai zitta e aveva una vocina acuta che
se urlava, la si sentiva fino a Truro e oltre. E lui ne era
follemente innamorato… “Bambolina, vieni
qui” – disse alla
piccola che gli volò fra le braccia.
“Papino,
papino” – mugugnò lei, affondando il
viso nel suo collo.
Sentendo
la voce della figlia, Demelza corse fuori e emozionata, gli corse
incontro come Bella abbracciandolo. “Ross, giuda!
Perché non mi
avverti mai quando torni?”.
Lui
la baciò, affamato di rivivere il tocco delle sue labbra.
Anche se
c’erano attorno a loro i figli, mai si erano sentiti in
imbarazzo
ad esprimere i propri
sentimenti e i bambini ci erano ormai abituati.
“Perché? Non ami
le sorprese?”.
Demelza
si mise le mani sui fianchi. “A volte vorrei farmi trovare un
po’
più carina che coi vestiti da lavoro”.
Ross
le si avvicinò, baciandola sulla guancia e mormorandole
nell’orecchio. “Oh, ti rifarai più
tardi”. Oh sì... E le
avrebbe anche detto che era adorabile anche in abiti da lavoro e che
se voleva ammirare delle damine agghindate come bambole di
porcellana, si sarebbe sposato con Lady Bodrugan.
Jeremy
e Clowance si guardarono negli occhi divertiti dall'intimità
dei
genitori, Bella invece reclamò l’attenzione del
padre. “Sono
arrabbiata!”.
“Anche
tu? Con me?” – scherzò lui.
“No,
con Daisy e Demian che non fanno cosa dico io ma come vogliono
loro”.
Ross
rise. “Mi sembra onesto fare ciò che si
vuole”.
“No!
Io sono grande e loro devono fare come dico io!”.
Demelza
se la riprese in braccio. “Dubito loro siano
d’accordo”.
Ross
si guardò attorno. “Dove sono?”.
“Nella
stalla, dove si rintanano quando fuggono da Bella”.
Ross
le strizzò l’occhio, riprese la figlia minore e
poi si diresse
alla stalla.
Quando
entrò, li chiamò a gran voce. “Hei, bambini!
Dove vi siete cacciati? Ho fatto un lungo viaggio per
venirvi a salutare e
voi vi nascondete?”.
Dopo
pochi secondi, dalla paglia sbucarono le faccine monelle di due bimbi
dai capelli lisci e biondissimi e con dei bellissimi occhi color
ghiaccio. Erano due piccole
pesti ancor più vivaci di Bella e spesso in loro Ross vedeva
scorrere il vento e la furia dell’estremo nord che li aveva
visti
nascere. Però di contro erano buoni, avevano un animo
candido e
gentile e li adoravano. Erano ormai in tutto e per tutto
bambini di Cornovaglia, con abitudini simili a tutti gli altri, Daisy
adorava il mare, Demian arrampicarsi sugli alberi ed erano stati un
dono dal cielo che aveva portato ancora più amore e risate
nella
loro casa, come spesso diceva Demelza.
I
due bimbi, appena lo videro, gli saltarono al collo.
“Papà, papà”.
Ross
li strinse, sentendosi grato per quel dono di sentirsi chiamare
così
anche da loro. Le antiche paure non erano sparite del tutto ma molte
avevano lasciato posto all’amore per quei due esseri agli
occhi dei
quali lui era un eroe e un modello da imitare.
Li
baciò e poi li rimise a terra. “Ecco la mia banda
di tre piccole
pesti!” – disse, rivolto a loro e a Bella.
“Su, vorrei vedervi
fare la pace, per prima cosa. Cos'è questa cosa che litigate
spesso?”.
Bella
incrociò le braccia al petto. “Colpa
loro!
Sono piccoli e devono fare cosa dico io che sono grande”.
Ross
ridacchiò. Santo cielo aveva quattro anni e mezzo sua figlia
e si
credeva già una donna fatta e finita!
Daisy
picchiò il piedino. “NO! Io faccio come voglio io!
Anche Demian fa
come voglio io”.
Demian,
decisamente più saggio e che aveva già compreso
che le donne non
vanno contraddette, annuì senza replicare.
Ross
accarezzò la testolina di Bella. “Dai, ognuno deve
essere libero.
Fai la pace con loro almeno per me?”.
Bella
ci pensò su e poi, col broncio, annuì
controvoglia. Allungò la
manina e strinse, con decisamente più vigore del necessario,
quelle
dei gemelli. Che ricambiarono la stretta con altrettanto vigore,
cercando di stortarle il braccio.
Ross
finse di non vedere, sua moglie tentò di riportare l'ordine.
“Pace
fatta?” – chiese Demelza, spuntando dalla porta
della stalla.
Ross
si stiracchiò, la raggiunse e le cinse la vita con il
braccio. “Pace
fatta! E ora ti prego, dimmi che hai cucinato e che è
pronto. Ho una
fame da lupi!”.
Demelza
rise. “Sì, è tutto pronto!”.
E
coi figli, tutti insieme, rientrarono in casa pronti a riappropriarsi
del tempo perso, tutti insieme. C’erano tante
novità all’orizzonte
di cui parlare e Ross non vedeva l’ora di farle sapere a
Demelza.
Ma prima del buon cibo, un bagno caldo, tante chiacchiere coi bambini
e poi, a letto, avrebbero affrontato ogni cosa.
...
Alcune
ore più tardi, quando tutti i figli erano addormentati,
abbracciati
nella loro camera da letto completamente nudi dopo essersi amati con
passione, Ross si ricordò che c'erano importanti
novità in vista
per tutti loro e che desiderava discuterne con Demelza prima che coi
loro figli.
Le
accarezzò la schiena, ricordando con una nota di dolore il
loro
primo incontro quando quella stessa schiena era martoriata dalle
ferite infertele dalla cinghia del padre,
rendendosi conto di quanto tempo era passato e di quante cose fossero
successe da allora.
Desiderò proteggerla in quel momento, rendendosi conto che
aveva
desiderato farlo fin da quel lontano giorno a Redruth
e con rammarico dovette ammettere che quando era lontano non poteva
adempiere a questo suo ruolo appieno.
"Mi sei mancata. Mi manchi sempre quando sono via".
Demelza
sospirò, rilassata e serena. "Anche tu. Ma i bambini mi
hanno
tenuta occupata e a modo loro si prendono cura di me".
Ripensando
agli avvenimenti della giornata, Ross sorrise. "Sono stato molto
colpito dal vedere Jeremy in miniera stamattina. E' ancora molto
inesperto ma sono felice di vedere che inizia a interessarsi del
mondo degli adulti. E sono anche orgoglioso di Clowance e della sua
intraprendenza".
Demelza
gli diede un pizzicotto. "Cerca di non dirglielo. E sgridala
quando, come oggi, si avventura nei cunicoli! Giuda Ross, è
pericoloso!".
Non
era per niente d'accordo. "E' una Poldark, mia cara! Ha la
miniera nel sangue e io non posso guerreggiare con le scelte di madre
natura e dell'indole che ha donato a nostra figlia. E tu alla sua
età
dovevi essere ben più spericolata!".
Lei
gli diede un altro pizzicotto. "Ross".
"Mi
farai diventare il petto completamente chiazzato se andiamo avanti
con questa conversazione" - le disse, decisamente divertito da
quello scambio di battute. "Bella invece sta diventando un osso
duro. E i gemellini anche...".
Demelza
sollevò il capo verso di lui, abbandonando la posizione
comoda sul
suo petto. "Sei stato geniale prima, a cena, su questa cosa di
chi deve essere capo".
Ross
si sentì soddisfatto. "Beh, il mio lavoro di spia mi rende
scaltro. E' bastato poco dopo tutto... In fondo non ho fatto altro
che far notare a Bella che sua cugina Loveday ha un anno più
di lei
e che quindi le spetta il ruolo di capo di tutti loro bambini. La
cosa non le è piaciuta molto ma non ha trovato modo di
ribattere e
quindi si è giunti a un compromesso che ha accettato anche
Daisy:
faranno il capo un giorno per uno. Prima Loveday che è la
più
grande, poi Bella, poi Sophie, poi Daisy, poi Demian e infine
Meliora".
"Direi
che è democratico! Si dice così, vero Ross?".
Ross
rise, democrazia era una parola decisamente odiata dal re.
"Sì,
amore mio. Anche se Daisy ha provato a dire che anche lei è
la
più... in qualcosa".
Demelza
scoppiò a ridere. "Sì, la più piccola
della casa".
Ross
annuì. "Esatto! E' più degli altri in qualcosa e
pretende che
questo le sia riconosciuto".
Demelza
sospirò, tornando a poggiarsi col capo sul petto del marito.
"I
gemelli hanno un carattere forte e non accettano compromessi".
Ross
si fece pensieroso alcuni istanti, ricordando le loro origini che,
combinate coi loro caratteri, in fondo definivano appieno la loro
vera identità. Avevano carisma, avevano carattere, avevano
forza ed
erano scaltri... Tutte cose che in fondo gli sarebbero state
richieste se... se...
Scosse
la testa, deciso a ricacciare indietro quei pensieri che in fondo non
avevano più senso. Ormai i gemellini erano Poldark e tutto
ciò che
avrebbero potuto essere in
Norvegia
non esisteva più. "Sai, prima ti accennavo a qualche
cambiamento importante che ci riguarderà il prossimo autunno
ed
inverno".
Demelza
sospirò, già presagendo il seguito. "Ripartirai a
breve?".
"Ripartiremo".
"Tu
e Jones?".
"No,
tu, io e i nostri bambini".
Lei
tirò su di scatto la testa. "Che vuoi dire?".
La
strinse a se, baciandola sul mento. "Che il prossimo inverno
è
richiesta la mia presenza a Londra come membro e rappresentante di
Westminster. Pitt è morto, molti posti di potere sono
vacanti,
Napoleone imperversa in Europa e molte congregazioni governative
straniere arriveranno nella capitale per discutere la situazione.
Tradotto: cene, incontri, party esclusivi e alleanze da costruire. Si
richiede la mia presenza a Londra,
a rappresentare i valori inglesi con la mia famiglia. Ogni membro di
Westminster con le proprie famiglie è chiamato nella
capitale
a presenziare a ogni evento possibile, ad avvicinare ambasciatori
esteri, a carpire informazioni, a stringere alleanze
e amicizie fra famiglie.
Insomma, preparati a partire coi bambini e a interpretare il tuo
ruolo di perfetta lady e moglie di un parlamentare".
Demelza
si alzò di scatto, a occhi sgranati. "Giuda, Ross!!!". Non
se lo aspettava e la sorpresa non era decisamente gradita. In
realtà
non amava Londra, ogni volta che ci erano andati erano finiti nei
guai e Ross conosceva appieno la sua avversione per quella
città.
Prima Monk e il duello, poi la storia dei Despard e ora...? Ora
voleva solo stare a casa, curare il suo orto e il suo giardino,
occuparsi della miniera quando Ross non c'era e fare la mamma. Non
voleva Londra, con le sue ombre e i suoi sotterfugi, con il suo
potere, i suoi intrighi e la sua opulenza uniti a tanta miseria e
disperazione, voleva solo essere la moglie di Ross e curare la sua
casa e i suoi figli.
Ross
bloccò ogni sua obiezione a cui si era preparato per giorni,
conoscendo appieno le obiezioni e le rimostranze che lei gli avrebbe
esternato. "Demelza, starò via troppo a lungo e non voglio
star
separato da voi così tanto!".
"I
bambini sono troppo piccoli per viaggiare!".
Ross
la guardò storto. "I gemelli hanno viaggiato da Oslo a
quì, da
neonati".
"Lo
so, ma ora sono in una età in cui fanno capricci e ci
farebbero
impazzire".
"Si
divertiranno".
"Io
no! E il nostro appartamento di Londra è troppo piccolo per
tutti".
Ross
le accarezzò la guancia, pronto a ogni contromossa
possibile.
"Troveremo una bella casa grande,
ci porteremo dietro Prudie ed assumeremo un'altra domestica che le
dia una mano.
Jeremy e Clowance conosceranno la società della capitale,
Bella e i
gemelli saranno la parte divertente di tante feste noiose
e tu
sarai la lady più bella di ogni evento".
"Ross..."
- si lamentò Demelza, messa con le spalle al muro. "Quella
città mi rievoca cattivi ricordi".
La
strinse a se più forte. "Farò in modo che questa
volta tu
porti a casa solo ricordi belli".
"E
la scuola? Faremo saltare ai bambini le lezioni con Rosina tutto
inverno? Soprattutto Clowance...".
Aveva
pensato anche a quello. "Prenderemo una istitutrice. In fondo,
così, potremmo avvicinare già alla scrittura
anche Bella e se lo
vorranno, anche i gemelli. A casa avranno un'insegnante solo per
loro".
Demelza
si buttò fra i cuscini, osservando sconsolata il soffitto.
"Devo
per forza?".
La
abbracciò. "No, ma mi farebbe piacere se tu venissi. Ho
bisogno
di te, di averti vicina un pò di più".
Demelza
si voltò e gli sorrise perché anche se Ross non
sapeva essere
romantico troppo spesso, le poche volte che ci riusciva erano per lei
un dono prezioso da custodire nel cuore. E quando faceva
così e
riusciva ad esternare i suoi sentimenti, era in grado di abbattere
ogni sua resistenza. In fondo era sua moglie e se lui aveva bisogno
del suo sostegno, lo avrebbe avuto, sempre. "Quando dovremmo
partire?".
La
baciò, felice. Aveva ceduto e sarebbero stati insieme a
lungo senza
doversi separare e dentro di se giurò che questa volta
avrebbe fatto
di tutto per non farla pentire di quel soggiorno londinese. Le
accarezzò i capelli e li scostò dalla sua fronte
con delicatezza.
"Non ora e per tutta l'estate voglio godermi solo la mia casa,
le mie terre, la mia famiglia e la mia miniera. Partiremo in autunno
e ci fermeremo fino alla prossima primavera".
Demelza
si rannicchiò contro di lui. "E sia... I bambini saranno
eccitati da questa novità".
"Già".
In effetti era eccitato anche lui, sia per il viaggio, sia per il
corpo nudo di sua moglie avvinghiato al suo. Non
parlarono più e lui iniziò
a baciarla con foga e urgenza di amarla di nuovo e lei glielo
lasciò
fare. Scivolò sul suo corpo, la cinse con le braccia e
nuovamente,
la fece sua.
Una
lunga, bellissima estate li attendeva, al resto avrebbero pensato
dopo.
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Capitolo 12 *** Capitolo dodici ***
L'estate
volgeva al termine e si era rivelata una stagione allegra e
divertente per Ross. Aveva gustato il piacere di vivere la sua casa e
la sua famiglia, di lavorare nella sua miniera e di ritrovare amici e
persone care che spesso non poteva vedere per mesi, quando era via in
missione. I suoi figli erano uno spasso, era un piacere vederli
crescere e giocare con la cuginetta Loveday
e
con le piccole di Dwight e Caroline e gli spiaceva pensare che presto
la bella stagione sarebbe finita e sarebbero dovuti partire per
Londra, più per dovere che per amore della
mondanità. Demelza si
affaccendava da settimane ai preparativi per
la
partenza, era il suo modo di sentire tutto sotto controllo per una
avventura a cui, di sicuro, avrebbe volentieri fatto a meno. Jeremy
sembrava il più felice di partire mentre Clowance pareva
intimorita
da quel mondo pieno di regole che poco amava, come lui. I tre bimbi,
beh... Per loro ogni cosa era un gioco e fra un litigio e una corsa,
fingevano di essere dame e lord londinesi,
esibendosi in strane e strambe scenette
che terminavano sempre con Demelza che ricordava loro che nella
capitale avrebbero dovuto fare i bravi ed essere estremamente
educati.
E
infine c'era Prudie...
Lei aveva chiesto abiti e grembiuli nuovi, come poteva d'altronde
affrontare Londra con i suoi vecchi stracci?
Santo cielo, portarla a fare compere si era dimostrata la
più
azzardate delle imprese in cui si era lanciato!
Quel
giorno erano in spiaggia, a fare l'ultimo picnic della stagione. Il
tempo era sereno ma il vento era cambiato e Ross fiutava nell'aria
l'odore della pioggia autunnale in arrivo, che avrebbe chiuso
l'estate e per un pò, la loro permanenza in Cornovaglia.
Dwight,
Caroline e le bambine avevano pranzato con loro e nel primo
pomeriggio erano rientrati a casa perché il medico aveva
delle
visite da fare e per le ore successive lui e Demelza erano rimasti
seduti su una coperta ad osservare i loro figli che si divertivano.
Jeremy aveva tentato di pescare, senza successo, Clowance era entrata
decine di volte in acqua in mutandoni e sottoveste e i tre piccolini
l'avevano imitata, con indosso solo le mutandine. Erano amanti della
natura, tutti loro. E amavano la vita della Cornovaglia, terra che
scorreva con furore nelle loro vene, gemelli compresi. Daisy amava il
mare e i racconti dei pirati, Demian amava disegnare sulla sabbia e
conosceva tutte le specie di uccelli che volavano sulle loro teste e
a parte quei capelli biondissimi che tradivano le loro origini
nordiche e l'amore per il freddo e la neve in inverno, ormai erano in
tutto e per tutto dei monelli del luogo, sempre pronti a combinare
guai in compagnia di Bella.
Il
sole stava tramontando e Jeremy stava rientrando a riva dopo una
nuotata mentre Clowance, alcune decine di metri più
distante,
cercava conchiglie con cui fare una collana.
Vicino
a lui e a Demelza, c'erano i tre bambini. Demian era fra le braccia
di sua moglie, che cercava di togliergli dai capelli la sabbia che si
era rovesciato addosso giocando, Daisy stava scavando una buca che
doveva portarla fino ai mostri al centro della terra di cui le aveva
parlato Prudie e Bella canticchiava e correva ovunque, andando a
disturbare prima una gemella e poi l'altro.
Quando
la bimba vide Jeremy uscire dall'acqua, gli corse incontro
cantandogli una canzoncina canzonatoria, visto che il fratello non
aveva pescato nulla. "Jeremy ci lascia senza mangiare, Jeremy ci
lascia senza mangiare perché non sa pescare".
Demelza
rise, accarezzando i capelli di Demian che rideva. "Per fortuna
ho sempre un piano di riserva quando voi uomini uscite a pescare".
"Quale
sarebbe?" - chiese Ross, incuriosito.
"Preparo
di nascosto un polpettone la sera prima".
Le
tirò un pò di sabbia, scherzoso. "Donna di poca
fede, non hai
fiducia in noi?".
Leo
gli tirò di rimando altra sabbia, aiutata da Demian. "Ohhhh,
certo che no! E faccio bene, come puoi vedere".
Nel
frattempo Jeremy prese Bella in braccio, facendola roteare nell'aria.
"Piccola monella, prova tu domani a pescare".
"Papà
dice che domani piove e io poi sono piccola e non sono capace. Ho
quattro anni mica quindici".
Jeremy
la rimise giù. "Si, hai quattro anni. E MEZZO! E sai solo
cantare, io invece so anche nuotare".
Bella
prese a saltellare. "Anche io, anche io voglio!".
"Vuoi
cosa?".
"Mi
insegni a nuotare, Jeremy?" - gli chiese, prendendogli la mano e
dondolandosi coi piedini nella sabbia.
"Jeremy,
attenzione con lei!" - lo richiamò Demelza dalla riva,
avendo
già capito che il figlio avrebbe accontentato la sorellina.
Lui
alzò un braccio. "Tranquilla mamma, la tengo a riva". E
così dicendo, le strinse la manina e la portò in
acqua. "Ti
insegno a nuotare!".
Bella
prese a saltare, esibendosi in gridolini di gioia. "Sì,
sìììììì!!!".
Jeremy
la portò a riva, dove l'acqua arrivava alla vita della
piccola, le
prese le manine e poi la trainò nell'acqua. "Muovi le gambe".
Bella
non se lo fece ripetere, muovendosi come una forsennata e schizzando
tutto e tutti.
Dalla
riva, Daisy li osservò dalla sua buca. "Anche io voglio".
"Io
no" - borbottò Demian, decisamente più pigro
della sorella e
molto più propenso a stare in braccio a sua madre.
Ross
accarezzò i capelli biondi di Daisy. "E allora vai, corri da
Jeremy e chiedigli di insegnare anche a te".
La
piccola non se lo fece ripetere e corse fino al fratello.
Jeremy
si bloccò e sul suo viso scomparve ogni segno di
divertimento. "Sei
troppo piccola!" - la apostrofò appena la ebbe davanti.
Ross
osservò la scena, incupendosi quanto Demelza. Jeremy era
così
paziente ed affettuoso con Bella e Clowance mentre coi gemelli era
scostante e spesso brusco. Non che non se ne prendesse cura e quando
si era trovato da solo a badare a tutti i fratellini perché
loro
erano fuori casa per delle commissioni a Truro, lo aveva fatto
egregiamente e senza obiettare. Però c'era quel qualcosa in
lui che,
se non necessario, lo teneva lontano dai gemellini... Si chiese
perché facesse così, cosa gli ribolliva dentro e
quale fosse il
motivo del suo apparente astio verso quei due bambini che lo
adoravano e veneravano. Ross lo sapeva che non era da Jeremy
comportarsi così e che qualcosa doveva turbarlo ma sapeva
anche che
non sarebbe stato facile riuscire a convincerlo a confidarsi. Aveva
il carattere dolce e gentile di Demelza ma era anche chiuso come il
più testardo dei Poldark. Era chiuso quanto lui.
Daisy
invece non si fece scoraggiare. "Non sono piccola, sono quasi
grande come Bella".
Jeremy
voltò lo sguardo a fissare la sorellina che teneva per le
mani. "Non
posso insegnare a tutte e due, torna a fare la tua buca e a cercare i
tuoi mostri".
Daisy,
che non amava i no ed era autoritaria quando sentiva di essere
vittima di ingiustizie, picchiò il piedino nel mare,
schizzandolo.
"No! Voglio imparare come Bella".
"Tu
non sei Bella" - rispose Jeremy, seccamente.
E
quella frase parve colpire nel segno perché gli occhi di
Daisy si
inumidirono e tornò indietro in lacrime dai genitori. Sapeva
di non
essere Bella, Jeremy glielo ricordava fin troppo spesso.
Trovò
rifugio fra le braccia di Ross che la strinse, accarezzandola. "Su, non
piangere! Jeremy non può insegnare a tutte e due e Bella
glielo
ha chiesto prima".
Daisy
tirò su col naso mentre Demelza si avvicinava con Demian per
asciugarle le guance. "Ma anche se arrivo prima, Jeremy mi dice
di no".
Ross
e Demelza si guardarono negli occhi, consapevoli che lei in fondo
avesse ragione. Ma ovviamente non potevano dirlo...
Demelza
le accarezzò la guancia. "Tesoro, hai un anno in meno di
Bella.
Il prossimo anno sarai grande come è lei adesso e Jeremy ti
insegnerà a nuotare. O lo farà papà".
"O
io" - aggiunse Demian che non stava a galla nemmeno nella
tinozza, ridendo.
Daisy
guardò Ross. "Davvero mi insegni?".
"Davvero"
- le rispose, baciandola sulla fronte. Poi guardò Jeremy
che,
imbronciato, si era fermato sulla riva a giocare con Bella,
imponendosi di non intervenire in quella faccenda che lo aveva visto
al centro dell'attenzione coi gemelli. Era Bella la sua sorellina e
suo padre doveva pensare ai gemelli. Non lui! Lui non li aveva
portati a casa loro, era stato suo padre chissà
perché e chissà
per come... E toccava a lui prendersene cura!
Di
umore parimenti cupo per quell'inconveniente, Ross decise che era ora
di parlare da uomo a uomo con Jeremy e che lo avrebbe fatto subito.
"Recupera Clowance e coi bambini vai a casa" - disse a
Demelza. "Ormai è tardi e fra poco sarà buio".
Demelza
annuì. "E tu?".
"Io
metterò a posto al riparo le nostre barche nella grotta,
domani sarà
giornata di pioggia e non voglio lasciarle arenate nella sabbia. Con
la nostra partenza per Londra settimana prossima, chissà
quando
potremo usarle di nuovo. Chiederò a Jeremy di darmi una mano
e poi
rientrerò con lui".
Demelza
comprese cosa volesse fare senza che lui glielo spiegasse.
"Sì,
mi sembra una buona idea".
"Cosa?".
"Restare
solo con lui e parlargli".
Ross
si stiracchiò, rimettendo Daisy nella sabbia, ormai
perfettamente
rasserenata. "Speriamo solo che serva".
Demelza
sospirò. "Speriamo".
...
Era
quasi buio e mancava poco all'ora di cena quando finirono di
sistemare le loro due barche nella grotta. Durante l'estate erano
servite per pescare oppure per semplici escursioni lungo la costa
assieme a Demelza o per far divertire i bambini. Daisy, soprattutto,
amava veleggiare e giocare a fare la regina dei pirati e crescendo,
sembrava avere il mare e le avventure nelle sue vene... Discendeva in
fondo dai vichinghi e da loro doveva aver preso tempra e carattere.
Anche Demian discendeva dai Vichinghi ma a differenza della sorella
era più tranquillo, combinava mille guai ma lo faceva in
silenzio ed
era attratto più che altro dalla natura e dall'arte.
Jeremy
coprì le due piccole imbarcazioni con dei teli e poi si
asciugò il
sudore. "Credi che pioverà molto?".
Ross
annuì. Conosceva i venti della Cornovaglia e sapeva che
quando
soffiavano in una determinata direzione, portavano vento e pioggia.
"Credo sarà un autunno piovoso a
cui seguirà
un inverno freddo".
Jeremy
sorrise. "Allora sarà comodo starcene nel lusso e nel
calduccio
di Londra".
Ross
rise. "Non ho mai considerato Londra 'comoda' ma portatrice di
guai. Eppure è lì che dovremo essere".
"Io
sono contento, potrò andare a vedere qualche macchina a
vapore".
"Io
sono meno contento perché dovrò vedere quei
palloni gonfiati che
affollano
Westminster". Poi osservò suo figlio
e visto che in quel momento sembrava particolarmente loquace
decise
che era il momento giusto per portare
la discussione su argomenti più intimi e delicati. "Davvero
non
ti spiace partire?".
Jeremy,
mentre uscivano dalla grotta, parve sorpreso da quella domanda. "No,
perché?".
"Beh,
lascerai quì molti amici e magari... qualche amica".
Jeremy
arrossì. "Oh, non ho amiche e i miei amici li
rivederò
comunque in primavera quando torneremo, non scapperanno".
"No,
certo. Ma magari una nuova casa, una nuova città e tanti
fratellini
attorno... senza amici della tua età da frequentare...".
Jeremy
sorrise di nuovo. "Ne troverò di nuovi, Londra è
grande. E poi
sono curioso di vedere come saranno questi grandi ricevimenti a cui
ci porterai, non riesco ad immaginarmeli e spero di fare bella
figura".
"Oh,
non ne dubito".
"Grazie
papà".
Ross
annuì,
ma poi tornò al fulcro della discussione che più
gli premeva
affrontare.
"Senti, posso parlarti di prima... di quanto successo con
Daisy?".
Jeremy
si irrigidì e poi chinò il capo, se lo sentiva
che sarebbe arrivata
una ramanzina e che il discorso sarebbe virato in quella direzione.
"Sei arrabbiato?".
Ross
si fermò a pensare a quanto poco a volte sembravano
conoscersi lui e
Jeremy e come imprevedibili fossero le reazioni di entrambi quando
erano faccia a faccia. Suo figlio stava diventando un uomo e ora era
tutto più complicato rispetto a quando era piccolo. E lui
non era
bravo quanto Demelza ad affrontarlo
e comprenderlo.
"No, non sono arrabbiato. E' solo che vorrei capire...".
"Cosa?".
"Perché
sei il migliore dei fratelli per Clowance e Bella e invece sei
così
distaccato coi gemelli".
Jeremy
alzò le spalle, irritato da quella domanda la cui risposta
in fondo
era ovvia. "Non sono i miei fratelli".
Anche
Ross si irrigidì, in difficoltà. "Io e tua madre
li abbiamo
adottati e per noi sono figli nostri come voi tre. E come Julia. E
quindi sono a tutti gli effetti vostri fratelli, se non di sangue, di
certo di cuore".
Jeremy
alzò il viso ad affrontarlo. "Cioé, gli volete
bene come a
noi?".
Ross
restò
spiazzato da quella domanda ma poi,
attento a scegliere le parole giuste per non ferirlo,
si decise a rispondergli nel modo più gentile possibile.
Gli poggiò la mano sulla spalla mentre nella sabbia
camminavano
verso casa. "Non hanno nessuno, solo noi. Io e tua madre siamo
gli unici genitori che abbiano mai conosciuto e voi siete i loro
fratelli. Daisy e Demian non sanno la verità, sono troppo
piccoli
per capire e sono felici così. E per loro sei il loro eroe,
il
fratello maggiore da imitare e da cui imparare.
E sì, io e tua madre li amiamo come amiamo ogni membro della
nostra
famiglia e tutti coloro che fanno parte della nostra vita e del
nostro mondo".
Jeremy
abbassò lo sguardo, rifiutandosi di guardarlo in viso.
"Demian
adora la mamma, non me. Il suo eroe è lei, non io".
Ross
scoppiò a ridere. "Sei geloso di un bimbo di tre anni?".
"No,
ovviamente. Ma è lei la sua preferita".
Strinse
la presa sulla spalla del figlio. "E per tua madre tu sei il suo
sole, il figlio che più gli è nel cuore. Ama
tutti ma ai suoi occhi
sei speciale".
"Lo
so ma... noi... senza i gemelli stavamo bene lo stesso.
Perché li
hai portati a casa? Perché TU?".
"Perché
non avevano altre opportunità e lo sai bene. Cosa ti costava
giocare
con Daisy, prima, come stavi facendo con Bella?".
"E'
piccola, poteva bere, poteva farsi male".
Ross
scosse la testa, Jeremy si stava arrampicando sui vetri. "Lo sai
bene che queste sono scuse... Provaci, prova a stare con lei o Demian
come fai con Clowance e Bella. Te lo chiedo per favore. Oppure dimmi
cosa c'è che non va, perché non riesci ad
affezionarti a loro e
proveremo a risolvere la cosa insieme".
Jeremy
non rispose e Ross insistette. "Hei...".
Il
ragazzino alzò gli occhi su di lui mentre le luci di Nampara
si
cominciavano ad intravedere in lontananza. "Tu a quindici anni
riuscivi a dire tutto a tuo padre?".
Ross
rimase spiazzato,
ripensando a quanto poco avesse sentito accanto la figura paterna da
ragazzo.
Ma
si augurò, pur fra mille errori, di essere un padre diverso.
"N...No
ovviamente".
"Beh,
nemmeno io. E' che... Non lo so, mi sembra tutta una storia strana e
ho paura che il segreto che i gemelli si portano dietro, sia
pericoloso per la nostra famiglia".
Ross
annuì. "Non era la piena verità ma una parziale.
Per ora
doveva però farsela bastare perché estorcere
qualche cosa a Jeremy
era spesso un'ardua impresa. "E' un rischio che io e tua madre
abbiamo deciso di correre e per ora è andato tutto bene, tu
non devi
preoccuparti di questo. Siamo una famiglia e i gemellini sono dei
Poldark e per quanto mi riguarda, regalano gioia a tutti noi. Prova a
goderne anche tu".
"Ci
proverò" - disse Jeremy, non del tutto convinto.
Ross
sorrise. "E quando vorrai parlarmi delle tue paure e di cosa
provi davvero, io sarò pronto ad ascoltarti".
Jeremy
rispose al sorriso, anche se ancora incerto. "Me lo
ricorderò".
E
insieme si diressero a Nampara per gustare una buona cena,
ringraziando intimamente Demelza per la scarsa fiducia nelle loro
abilità di pescatori.
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Capitolo 13 *** Capitolo tredici ***
Ci
avevano messo quasi una settimana a giungere a Londra.
Erano
partiti da Nampara in una giornata nuvolosa, all'alba, a bordo di due
carrozze, una con i bagagli, su cui viaggiavano Prudie e i due
bambini più grandi e l'altra con Ross, Demelza e i tre
bambini più
piccoli.
Come
preventivato da Ross, il tempo si era fatto brutto e la pioggia aveva
accompagnato la loro marcia dall'inizio alla fine.
Se
nella carrozza di Prudie c'era stata pace e tutto era filato liscio
con Jeremy che leggeva e osservava il panorama e Clowance affascinata
da tutto ciò che vedeva al finestrino, in quella di Ross e
Demelza
la situazione era stata più movimentata con tre bambini dai
quattro
anni in giù. E così fra capricci, liti, chiasso,
grida, risate,
riposini e spuntini improvvisati, erano giunti a Londra con l'unico
desiderio di dormire per due lunghi giorni, lasciando le tre piccole
pesti a Prudie che aveva viaggiato comoda e tranquilla.
Ross
aveva scritto a Wickman e a Jones durante l'estate in Cornovaglia,
chiedendo loro di trovare una casa comoda e spaziosa per la sua
numerosa famiglia. Il suo piccolo appartamento dove anni prima aveva
vissuto prima da solo, poi una seconda luna di miele con Demelza e
dove aveva ospitato i Despard era inadatto ormai, troppo minuscolo
per ospitare una coppia con tre bimbi piccoli, un ragazzo ormai
adolescente e una dodicenne vivace e impertinente. Ross aveva chiesto
una casa elegante ma non sfarzosa, in centro, in modo che fosse
sicura dalla delinquenza delle periferie e soprattutto aveva chiesto
che avesse un grande giardino. Lo aveva chiesto espressamente per far
contenta Demelza che amava fiori, piante e tutto ciò che
serviva per
prendersene cura. Sua moglie non era entusiasta di fare quel viaggio
e sperava che quella piccola sorpresa l'avrebbe fatta sentire
più a
suo agio e soprattutto l'avrebbe resa felice. Vederla contenta
rendeva contento anche lui che di riflesso si nutriva della
felicità
e dell'esuberanza di sua moglie. A Londra, Demelza aveva sofferto
molto e spesso anche a causa sua. E ora avrebbe fatto di tutto
perché
fosse contenta e perché tutto andasse nel verso giusto. Per
lei
fiori, piante e aiuole erano come figli, compagni, amici. E fra amici
ci sente più a proprio agio e sperava che per lei fosse
così anche
in quella società perbenista che ben poco aveva da spartire
con le
loro indoli corniche.
Jones
gli aveva trovato una villa nei pressi dei giardini di Kensinton, una
zona comoda dove i piccoli potevano giocare all'aperto, elegante e
vicina quanto bastava a Westminster e ai grandi e facoltosi palazzi
che avrebbero dovuto frequentare nei mesi seguenti. Era una villa su
due piani, di colore giallo, circondata da un grande giardino
delimitato da imponenti cancellate ornate di siepi, da cui si
accedeva oltrepassando un massiccio cancello in ferro battuto. Al
piano terra vi era un ampio ingresso, una grosso salone per i
ricevimenti, una grande sala da pranzo, una cucina e una libreria che
fungeva anche da studio mentre al primo piano c'erano una grande
camera padronale, altre cinque stanze da letto più piccole
di cui
una adibita a nursery, un grazioso salottino e due sale da bagno
dotate di acqua corrente.
Quando
vi giunsero, Demelza e i bimbi rimasero a bocca aperta.
"Giuda,
Ross..." - mormorò Demelza appena messo piede in giardino.
"E'
davvero casa nostra?".
Lui
rise, poggiandole la mano sulla spalla per attirarla a se. "Non
proprio, è solo in affitto per questi mesi. Ma mi sembrava
perfetta
per noi e non ho potuto non prenderla".
"Costerà
una fortuna!".
La
baciò sulla fronte. "Che possiamo permetterci!".
Demelza
si guardò attorno mentre i bambini correvano entusiasti da
tutte le
parti nel giardino, seguiti da Prudie. "E questo giardino...".
Ross
la prese per mano. "E' tutto tuo".
"Mio?".
"Tuo,
mia cara! Hai una grossa sfida da portare a termine".
"Quale?".
"Ridargli
vita e renderglo
magico e rigoglioso come il nostro, a Nampara".
Rossa
dall'emozione, Demelza lo travolse con un abbraccio. "Giuda,
grazie! E' il più bel dono che tu potessi farmi e
sarà bellissimo
prendermene cura. Sarà la mia medicina contro la tremarella
che mi
verrà ogni volta che dovrò venire a una di quelle
feste
importanti".
Ross
ricambiò l'abbraccio, orgoglioso di se stesso. "Non ti ho
mai
regalato nessun fiore, consideralo un rimborso con gli interessi per
le mie mille mancanze".
Demelza
osservò il giardino. Era incolto, l'erba era da tagliare,
cerano
erbacce da estirpare, le piante da potare, le aiuole da riempire di
fiori e piantine... C'era così tanto da fare e lei si
sentiva
eccitata come una bambina piccola. "Direi che le tue mancanze,
se così le vuoi chiamare, sono state ampiamente risarcite
da...".
Saltellò, come stava facendo Bella poco più in
la, poi lo travolse
nuovamente con un abbraccio, cingendogli il collo. "Ohhh Ross,
questo è il regalo più bello che potessi farmi".
Si
baciarono sulle labbra, incuranti che i bambini li vedessero. Ma
Bella e Daisy interruppero il loro momento magico, correndo loro
incontro.
"Mamma,
papà!" - li chiamò la gemellina, tirando la gonna
della madre.
Colti
sul fatto, i due si staccarono di colpo. "Dimmi, tesoro".
La
piccola allargò le braccia. "Siamo in un castello!".
Ross
rise, prendendola in braccio. "Non proprio".
"E'
proprio un castello invece!" - ribadì Bella. "E io sono
una principessa".
Daisy
ci pensò su, dopo quell'affermazione. "E allora
papà, tu sei
re?".
Ross
scoppiò a ridere. "No, niente affatto, per fortuna mia!".
Bella
alzò il ditino verso Demelza. "Tu sei una regina?".
Demelza
si inginocchiò per essere alla sua altezza. "No di certo. Ma
tu
e tua sorella siete le mie principesse".
Clowance,
già sulle scale d'ingresso, urlò e
richiamò la loro attenzione.
"Papà, mamma, andiamo a vedere la casa?".
Ross
annuì, poi prese per mano la moglie e preceduti dalle tre
piccole
pesti che si misero a correre, entrarono in casa.
"Giuda
signore, stavolta non vi siete risparmiato con le spese e
l'eleganza!" - sbottò Prudie a bocca aperta, guadagnandosi
un'occhiataccia dal suo padrone, osservando la sobria eleganza
dell'ingresso appena furono entrati.
La
casa era arredata con stile classico, elegante ma non pomposo. Le
pareti erano appena state affrescate, i mobili erano ben disposti e
di nuova fattura e tutto sembrava stato sistemato col gusto di un
bravo arredatore.
"Giuda
davvero, Ross! Sembra la casa di un lord" - aggiunse Demelza.
Ross
scoppiò a ridere. "Forse devo abituarmi alla
comodità della
ricchezza e mandare al diavolo tutte le mie convinzioni sulla
nobiltà".
Anche
Jeremy rise. "Forse dovresti, questa vita mi piace".
"Non
farci l'abitudine, figluolo!" - gli rispose Ross, divertito.
"E
i tuoi amati animali lasciati a Nampara?" - lo rimbeccò
Demelza, conoscendo bene l'amore sconfinato del figlio maggiore per
loro.
Jeremy
arrossì. "Li cureranno i Martin, no? Per un pò
possono fare a
meno di noi".
I
tre piccoli corsero di sopra a vedere le camere, seguiti dai fratelli
maggiori e dai genitori.
Salirono
le scale e Demelza restò ancor più a bocca
aperta. Tappeti nei
corridoi, porte in legno massiccio, un meraviglioso salottino con
tanto di pianoforte, grandi finestre dai doppi vetri che davano sul
giardino. "Sembra un sogno, mi piace così tanto Ross. Forse
hai
ragione, è stata una bella idea venire quì,
dopotutto sarà comodo
passarci i mesi freddi dell'inverno".
Ross
sospirò. "Non ne sono così convinto
perché mi fa venire
l'orticaria l'ambiente pomposo di Londra, ma sono contento che tu
sia contenta".
"Io
voglio la camera più in fondo al corridoio!" -
urlò Jeremy
che, ormai quindicenne, desiderava avere un pò di privacy e
uno
spazio tutto per se
lontano dai genitori.
"E
sia!" - rispose Demelza. Poi guardarono le altre stanze e
decisero che quella davanti a Jeremy sarebbe spettata a Clowance,
quella in mezzo al corridoio, di fianco alla nursery e alla camera
dei tre bimbi sarebbe spettata a Prudie, una stanza fu designata a
camera degli ospiti e infine quella dal lato opposto, la stanza
padronale, a Demelza e Ross.
Quando
furono entrati, rimasero per un attimo da soli mentre i bambini
prendevano possesso delle loro camere.
Il
pavimento era coperto da una moquette color ocra, delle grandi
finestre davano sul giardino, il letto e gli armadi erano grandi,
comodi e imponenti, c'era una toeletta al lato della stanza e ancora,
una piccola spinetta.
"E'
davvero nostra?" - mormorò Demelza, poggiandosi al marito.
Lui
le cinse la vita, baciandola sul collo. "Nostra, senza che
nessuno ci disturbi".
"E
i bimbi? Hai dimenticato la propensione di Demian di sgattaiolare nel
nostro letto a sorpresa, ogni tanto?".
Ross
ridacchiò, ripensando alle innumerevoli volte in cui il nano
li
aveva quasi colti di sorpresa nei momenti clou dell'amore e a come
lui e sua moglie avessero sviluppato una veloce propensione a
rivestirsi e ricomporsi in una manciata di secondi. "Oh, ma io
ho preso le contromisure" - le disse, mostrandogli delle chiavi
nella toppa della porta.
Lei
lo fronteggiò. "Giuda Ross, lo sai che odio avere chiavi in
casa, i bambini potrebbero chiudersi dentro ad
una stanza e
non riuscire ad uscire".
"Ho
chiesto la chiave SOLO per questa stanza!" - la rassicurò.
Come
avvertendo i loro discorsi e l'essere chiamato in causa, Demian si
materializzò, volando fra le braccia di sua madre.
"Ti
piace la tua stanza, tesoro?".
"Mi
piace più tanto questa" - disse lui, affondando il viso nel
suo
collo
e rendendo palesi le sue intenzioni su dove passare la notte.
Ross
sbuffò. Demian era una canaglietta bionda dal viso d'angelo
e aveva
stregato Demelza che non riusciva mai a dire di no. Ma lui era meno
propenso a farsi imbambolare da quel biondino e non avrebbe
arretrato. "Oh, ognuno dorme in camera sua. Puoi osservare
questa camera che ti piace tanto, DA LONTANO! Come gli altri tuoi
fratelli".
"NNNNOOOOO".
"Ross..."
- lo implorò Demelza, mettendo a terra il bimbo.
Ross
si inginocchiò.
"Le vedi, queste?" - disse, mostrando le chiavi al piccolo
- "Servono a stare ognuno in camera propria, tranquilli".
"Non
mi piacciono" - ribatté Demian, pestando il piedino.
"A
me tanto" - rispose a sua volta Ross, mentre Demelza rideva
per quella disputa.
Demian
si mise le mani sui fianchi, assunse un atteggiamento di sfida e poi
allungò la manina come a volerlo ammonire. "Le buttiamo via".
"Mi
vuoi sfidare a duello?" - chiese Ross, divertito.
Demian
rise, fece per scappare ma il padre lo prese di forza, lo
sollevò e
scherzosamente lo lanciò sul lettone. "Sei destinato a
perdere"
- disse, inseguendo il piccolo che, divertito, correva ovunque sopra
e sotto il lettone.
Demelza
lo raggiunse, riuscendo infine ad afferrarlo. "Giuda, basta! Vi
farete male".
Ross,
col fiatone, andò da loro. Accarezzò i capelli di
Demian e poi lo
baciò sulla fronte. "Potrai venire quì e
addormentarti con la
mamma. Ma poi ti porteremo nel tuo letto e ci starai fino al
mattino".
"Sempre
sempre?".
"Sempre
sempre, sì. Come fanno Daisy e Bella".
Clowance
comparve sulla porta, divertita. "Demian, lasciali stare!
Vogliono stare soli perché papà vuole
sbaciucchiarsi mamma senza
che li vediamo!".
Davanti
a quelle parole, sia Ross che Demelza divennero rossi come pomodori
maturi. In
effetti non c'era molto da stupirsi, spesso si baciavano davanti ai
bambini e non avevano mai mostrato imbarazzo a scambiarsi gesti
d'amore in loro presenza. Lo giudicavano un bel modo di insegnare
loro la bellezza dei sentimenti, che non ci doveva essere imbarazzo a
mostrarli e che amarsi era qualcosa di bello e pulito di cui non
vergognarsi. Certo, a parte nei momenti un pò imbarazzanti
come
quello... Si
guardarono in viso e benché non fossero in grado di
ribattere alla
loro impertintente figlia, Ross formulò il pensiero che in
realtà,
a parte sbaciucchiarsi, aveva in mente ben altre cose. Ma si
guardò
bene dal dirlo anche se Demelza, col solo sguardo, colse appieno i
pensieri del marito
su
come avrebbero passato
la notte.
Clowance
rise, divertita dall'imbarazzo dei genitori. Poi balzò
dentro e a forza prese Demian in braccio. "Lasciamoli soli!".
Il
bimbo protestò ma la ragazzina fu irremovibile e corse
fuori,
facendo ancor più baccano.
Ross
prese un profondo respiro, lasciò la moglie per alcuni
istanti, andò
alla porta e dopo aver urlato ai figli di aiutare Prudie a disfare i
bagagli, la chiuse a doppia mandata.
Demelza
lo osservò con aria interrogativa. "Che hai in mente? Giuda,
è
solo pomeriggio!".
Con
sguardo sensuale e improvvisamente seducente, Ross la
riafferò fra
le braccia, la spinse contro il muro e la baciò con passione
tenendola per la vita.
"Santo cielo, abbiamo trascorso cinque giorni con almeno due o
tre marmocchi nel letto, in ostelli di pessima qualità. Ho
oppure no
il diritto di godere di qualche attenzione da mia moglie?".
Demelza
rise, cercando di allontanarlo, anche se in fondo l'idea non le
dispiaceva molto. Ma si guardò dal dirlo o lei e Ross
avrebbero
inaugurato prima dell'ora del tè il loro nuovo letto, coi
figli e la
domestica fuori dalla stanza che correvano avanti e indietro.
"Ross..." - mormorò.
"Cosa?".
"Se
facciamo così, a breve di bambini nel letto potrebbero
essercene di
più".
Ross
alzò lo sguardo di scatto. Ecco, se c'era qualcosa in grado
di
spegnere il suo ardore, era la prospettiva di una nuova gravidanza
e questo Demelza lo sapeva bene.
Con un sospiro si tirò in piedi, dando un buffetto sulla
guancia di
sua moglie. "Mossa sleale".
"Ma
funziona sempre!" - rise lei. "E ci sono i nostri bambini
fuori dalla stanza".
"Fuori,
chiusi a chiave. Ti ho mai detto che amo le chiavi?".
"Ross...".
"Si,
cara?".
"C'è
una lettera per te sul comodino, credo"
- disse, indicandolo e spingendolo nuovamente indietro.
Ross
si voltò, notando un piccolo foglio ripiegato e chiuso con
della
cera che campeggiava su uno dei comodini a fianco del letto.
Non lo aveva notato ma evidentemente Demelza, decisa a sfuggire - per
il momento - alle sue attenzioni, sì. "E questo, che
diavolo...?".
Immaginando
già chi fosse il mittente raggiunse il comodino, prese il
foglio,
ruppe il sigillo e lesse in silenzio. Infine fece un lungo sospiro
annoiato. "Potremo mai stare in pace due giorni di seguito?".
Preoccupata,
Demelza gli si avvicinò. "Cos'è? E' successo
qualcosa di
grave?".
Ross
si sedette sul letto, porgendo alla moglie la missiva. "E' di
Wickman, mi richiama già all'ordine e nemmeno ho disfato i
bagagli".
"Cosa
vuole?".
"Siamo
invitati, sabato sera, a un ricevimento a casa del console di
Danimarca".
Demelza
fece un timido sorriso, divertita dall'avversione del marito per i
ricevimenti importanti. Eppure, come lui, in quel momento non era
esattamente entusiasta della cosa e si chiedeva cosa avrebbe dovuto
indossare, come comportarsi, cosa fare o dire a casa di una persona
importante come un console. Santo
cielo, ecco cosa temeva di Londra e ancora non si era abituata alla
sua nuova casa che già si sentiva sotto esame e
terrorizzata. "Siamo
venuti quì per questo... Ma potresti magari dire che hai
molto da
fare, essendo appena arrivato...". Giuda, nemmeno poteva
chiedere aiuto a Caroline circa la moda e l'abito da indossare, era
decisamente il caso di declinare l'invito
e magari stavolta avrebbe appoggiato una decisione di tal genere di
Ross.
Il
marito
si stiracchiò,
annoiato e scocciato più che preoccupato.
"Dubito che Wickman accetterebbe questa scusa!".
"Ohhh
Ross, non me la sento!".
Lui
rise. "Oh mia cara, nemmeno io! Ma il biglietto dice
espressamente che il console avrebbe piacere di aver come ospiti il
signor Poldark e la sua famiglia. E' un ricevimento per dare il
benvenuto all'autunno e all'inizio della stagione parlamentare e
Londra pullula di diplomatici giunti da ogni parte d'Europa.
Preparati, ci saranno molti inviti come questo, nei prossimi mesi".
"Saremo
solo noi?" - chiese Demelza, mentre le gambe le tremavano.
Ross
le prese la mano, attirandola a se e facendola sedere sulle sue
ginocchia. "Ne dubito. Credo che saranno molti i politici
inglesi e stranieri presenti. Saremo solo due fra i tanti".
Demelza
si rannicchiò contro il suo petto. "Dovremo portare anche i
bambini?".
Ross
ci pensò su
e decise che per il momento era meglio di no.
"Portiamo
solo Jeremy, stavolta. E' il mio primogenito ed erede ed è
grande
abbastanza per sapersi comportare bene senza annoiarsi. Studiamo poi
come sarà la situazione e al
ritorno
prepariamo i mocciosetti per le prossime feste.
Per una volta la scamperanno ma a breve questi dannati e noiosi
ricevimenti cattureranno anche loro. D'altronde ci saranno i figli
degli altri politici e se siamo fortunati, faranno amicizia e
troveranno qualcuno con cui giocare senza fare danni".
Demelza
annuì, era una buona idea i
piccoli a casa per il momento e
Jeremy si sarebbe sentito onorato di quel privilegio. "Sì,
sono
d'accordo e Jeremy
sarà
così contento".
Ross
alzò le spalle. "Bene, almeno uno in famiglia lo
sarà!".
Nonostante
tutto, Demelza si mise a ridere. "E cosa mi metterò?".
"Dirò
a Jones di recapitarci un abito per te all'ultima moda!".
Demelza
lo fulminò con lo sguardo. "Jones? E da quando si intende di
moda femminile?".
"Jones
è esperto di tutto"
- disse, sperò, pregò. In fondo in fatto di
travestimenti,
imboscate, documenti falsi, spionaggio e gioco d'azzardo era un
maestro, che fatica poteva fare uno così a trovare in due
giorni un
bell'abito da donna?
"Sicuro?".
"Sicuro,
mia cara".
Demelza
sospirò. "Sai di cosa ho bisogno, amore mio,
più del vestito?".
"Di
cosa?".
"Di
questo mio nuovo giardino... Andrò a rimetterlo a nuovo ora".
"Adesso?".
"Subito".
Ross
la lasciò andare. Era stata una buona idea quella del
giardino e
Demelza avrebbe potuto stemperare la tensione curandolo e facendolo
diventare rigoglioso. Era il suo modo per trovare pace e per
rilassarsi.
Lui
invece aveva altro da fare. Commissionare a Jones un vestito, tanto
per iniziare,
minacciandolo di ritorsioni in caso di fallimento della missione.
E andare a dire ai bambini di non fare troppo baccano o i vicini li
avrebbero odiati da subito.
E
così iniziava la loro nuova vita a Londra.
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Capitolo 14 *** Capitolo quattordici ***
Seduto
sulla carrozza, dal lato opposto a quello su cui c’erano
Demelza e
Jeremy, Ross pensava e ripensava a come uccidere in modo doloroso
Jones…
Che
diavolo di abito aveva trovato per Demelza??? E lui come aveva potuto
fidarsi di un tizio che nemmeno sapeva abbinare alla perfezione due
paia di calzini dello stesso colore?
Certo
non poteva dire che sua moglie non fosse splendida.
Era
bella, bellissima a vedersi per una serata privata dove
l’unico
ospite fosse
stato
lui.
L'avrebbe ammirata, corteggiata, spogliata e amata se non fosse che
quella sera sarebbero stati circondati da centinaia di ospiti
impomatati
che
la avrebbero guardata troppo con quel suo abito blu che le lasciava
le spalle coperte e mostrava una ampia scollatura sul seno.
Per fortuna lei aveva avuto la compiacenza di mettersi un coprispalle
di pizzo che ne coprisse un po’ le forme e la
nudità del collo e
del petto…
Jeremy,
vestito di tutto punto con un completo marrone ed emozionato per quel
suo primo evento mondano, forse captando i suoi pensieri,
ridacchiò.
“Papà, hai una faccia da geloso che fa quasi
paura! Mamma è così
bella stasera”.
Demelza
arrossì, ben conoscendo i pensieri del marito circa il suo
vestito
per quella sera. In realtà si sentiva imbarazzata a sua
volta ma
quel vestito le piaceva molto e Rose, una delle tre nuove domestiche
assunte da Ross per aiutare Prudie a gestire casa e bambini, le aveva
detto che era un abito all’ultima moda e che le stava
d’incanto e
questo le aveva dato un po’ di coraggio per affrontare la
serata a
cui erano stati invitati. Anche se, come sempre, si sentiva poco
all’altezza e i borbottìì di Ross non
la stavano aiutando
minimamente. Non che suo marito fosse geloso ma rispetto a un
tempo…
a prima di Hugh Armitage… quando
suo marito non era preoccupato per gli sguardi degli altri uomini,
ora le cose le sembravano irrimediabilmente cambiate e non sapeva se
questo fosse un bene o un male.
A volte si chiedeva se la fiducia persa fosse persa per sempre nella
sua interezza o se quello, più semplicemente, fosse un modo
come un
altro in cui suo marito esprimeva amore e cura per lei.
Ross la desiderava, sapeva di essere amata senza se o ma e che le
ombre del passato erano svanite ma a volte temeva che quelle vecchie
cicatrici, ogni tanto, sarebbero tornate a far male. La notte con
Elizabeth di Ross e quanto successo fra lei e Hugh avevano dato due
grossi scossoni al loro matrimonio e anche se quelle esperienze erano
servite ad entrambi per crescere e trovarsi più forti di
prima, a
volte si chiedeva se ne fosse davvero valsa la pena o se avrebbero
dovuto stare più attenti, parlare di più e
colmare i vuoti di
allora con qualcosa di meno pericoloso per il loro amore.
Cogliendo
l’occhiataccia di Ross al loro figlio, Demelza
toccò il ginocchio
del ragazzino, pronta a stemperare la tensione e a lasciare andare i
mille pensieri che le affollavano la testa. “Ti ringrazio
Jeremy
anche se in effetti, mi sento un po’ imbarazzata con questo
abito”.
“Secondo
me sei bellissima!” – ribadì il ragazzo.
Ross
sbuffò, era decisamente in minoranza e in fondo non aveva
voglia di
recitare la parte del marito burbero e geloso. Si fidava di Demelza e
in fondo gli faceva piacere che fosse ammirata - anche se da lontano
- e giudicava ormai finiti i tempi della gelosia che tanto li avevano
allontanati. “Caro Jeremy, stasera ti accorgerai che tua
madre, ai
balli, è la donna più guardata e ammirata. Con
quel vestito, ogni
uomo la mangerà con gli occhi” - quindi disse, in
tono decisamente
più leggero.
Incurante
dei loro trascorsi e di come i cuori dei genitori fossero stati
graffiati dalle rispettive trasgressioni, Jeremy alzò le
spalle.
“Beh, che guardino! Tanto la mamma è solo
nostra”.
Demelza
tremò, pensando che il malumore di Ross lo portasse a dire
qualcosa
di inappropriato ma suo marito la stupì, azzardando persino
un
tiepido sorriso. “Per loro sfortuna…”.
Demelza
rispose al sorriso. “Per mia fortuna…”
– aggiunse. “E spero
che tuo padre se ne ricordi e mi faccia ballare tutta sera, senza
lasciarmi sola nelle grinfie di tutti quegli stranieri”.
Ross
raccolse la frecciatina e alla fine decise che aveva voglia di essere
di buonumore e scherzare con lei. “Agli ordini, mia cara.
Sempre
che qualche pomposo dignitario non mi rapisca per delle noiose
discussioni su politica ed economia”.
Interessato
al discorso fra i genitori, Jeremy osservò il padre in modo
interrogativo. “Tutti questi diplomatici, sono qui per
discutere
della situazione della Francia, vero? Di quel generale…
Napoleone?”.
Ross
annuì. “Sì, esatto. La politica e le
capacità militari di
quell’uomo sono in espansione, sta conquistando territori su
territori, molte guerre sono state iniziate in suo nome e la
sovranità di molti stati è messa a rischio. Si
cerca una linea
comune per limitare la sua influenza in campo politico e
militare”.
“Oh,
papà, che gran cosa che è il tuo lavoro! Ti
passano sotto mano un sacco di notizie importanti!”.
“Pure
troppe, pure troppe…” –
sospirò Ross.
Quando
giunsero alla grande tenuta di rappresentanza degli ambasciatori
danesi, i Poldark furono accolti da tre eleganti valletti che erano
stati incaricati di ricevere gli ospiti.
Ai
piedi del grande scalone in marmo bianco che fungeva da ingresso,
carrozze, dame, cavalieri e giovani rampolli delle famiglie
più
illustri d’Europa sfilavano via via davanti ai tre servitori
che
con mille inutili cerimonie – che Ross odiava –
introducevano gli
ospiti.
“Giuda
Ross” – mormorò Demelza, aggrappandosi
al braccio del marito.
C’erano così tante dame bellissime, eleganti e
altere, tutte
attorno.
Come avrebbe fatto lei, figlia di un minatore di Illugan, a non
far
sfigurare Ross?
Lui
le sorrise. “Giuda davvero! Tutte quelle donne impiumatate
sembrano
struzzi usciti da un pollaio”.
Jeremy
rise, Demelza sbuffò. “Lo dici solo per
consolarmi”.
“Lo
dico perché sono ridicole”.
“E
belle” – aggiunse lei.
“Mai
quanto te”.
Demelza
si strinse ancora più a lui. Era diventato così
dolce, ultimamente
e a volte davvero, si chiedeva se non fosse troppo sciocco da parte
sua indugiare sugli errori del passato che le impedivano di godere
della bellezza del presente. Ross sicuramente non lo faceva e per
quanto lo conosceva, era sereno e in pace con se stesso e il mondo in
quel momento. Erano felici, aveva un marito innamorato, ogni ombra
fra loro era svanita da tanto, avevano cinque
bambini stupendi, una miniera in attivo, davano lavoro a molti
uomini, erano circondati da amici e famigliari che amavano e da cui
erano riamati e quindi... E quindi, scollatura a parte, voleva
godersi
quella dannata festa!
Entrarono
nel salone principale, già gremito di ospiti. Una orchestra
suonava
al lato della sala più a nord, grandi finestroni semi-aperti
in modo
che potesse entrare dentro la brezza di quella tiepida sera davano
accesso ad ampi terrazzi, ai lati della sala immense tavolate piene
di piatti gustosi ed esteticamente perfetti nell'impattamento, che
spaziavano dal salato alle pietanze ai dolci, ripempivano l'aria di
invitanti profumi che stuzzicavano piacevolmente lo stomaco.
Demelza
prese sotto braccio Ross. "In fondo potrebbe anche piacerci
tutto questo" - disse, cercando di darsi coraggio, investita da
quel lusso non pacchiano e da quella eleganza fine e di buon gusto
che tutti gli ospiti, dai più giovani ai più
vecchi, sfoggiavano
senza fatica. E in fondo il suo, non era nemmeno l'abito più
scollato!
Jeremy,
sconcertato più che spaesato da
tutto quel lusso e quello sfarzo che fino a quel momento aveva potuto
solo immaginare, si soffermò ad osservare dame e cavalieri
che
danzavano, che bevevano ottimo vino, che esibivano abiti che aveva
visto solo disegnati nei libri di fiabe dei suoi fratelli, gli enormi
banchetti coi cibi più succulenti e quel mondo che era un
misto fra
lusso
e potere che suo padre
spesso
detestava ma che sulla sua giovane mente esercitava un fascino
irresistibile. Forse gli altri ragazzi presenti, tutti più a
suo
agio e avvezzi a quel genere di eventi, lo avrebbero preso per un
provincialotto ma a lui non importava molto. Voleva conoscere quel
mondo, diventare grande e comprenderlo e infine come suo padre,
viverlo da protagonista. Non era tanto il lusso a impressionarlo
quanto le esperienze che quelle persone potevano avere vissuto, le
loro conoscenze, la forza delle loro convinzioni e parole, il
carisma…
“Hai
paura, tesoro?” – gli chiese sua madre.
Jeremy
scosse la testa. “No…”.
Ross
si guardò attorno. Come aveva preventivato c’erano
altri ragazzini
della crème inglese ed europea che partecipavano
a quel ricevimento assieme ai loro facoltosi genitori e Jeremy
avrebbe potuto trovare compagnia fra quei gruppetti di giovanissimi,
che andavano dalla più tenera età fino
all'adolescenza,
che confabulavano fra loro. Certo, ovviamente erano ragazzi
avvezzi a quel tipo di ricevimenti essendo nati e cresciuti nelle
migliori capitali europee
e conoscendosi già probabilmente fra loro,
avrebbero
guardato il provinciale Jeremy con supponenza, ma suo figlio aveva
ormai quindici anni ed era tempo che sperimentasse quante
più
esperienze possibili, comprese quelle meno piacevoli. Ross
sapeva che soprattutto da ragazzini era difficile entrare in
confidenza con gruppi di coetanei già coesi, ma Jeremy era
un
ragazzo intelligente ed adorabile ed era certo che si sarebbe fatto
valere nella vita.
C’erano
comunque anche bambini dell’età di Clowance e
più piccoli che,
seguiti dalle tate, sembravano essere capaci di non fare danni e
quindi forse, se ben ‘ammaestrati’, avrebbe potuto
portare ai
prossimi ricevimenti anche i suoi figli
minori.
Ross
indicò a Jeremy
un gruppo di tre ragazzini che avevano circa la sua età che
confabulavano a un lato della sala fra loro,
ridacchiando. Non sembravano particolarmente con la puzza sotto il
naso e forse Jeremy con loro poteva rompere il ghiaccio senza troppa
fatica. “Perché non provi a fare
amicizia?” – gli suggerì,
indicandoglieli.
Jeremy
arrossì, in fondo era sempre stato più timido e
pacato di Clowance.
“Non so, magari dopo”.
Demelza
gli sorrise dolcemente. “Dovresti provare, anche se lo so, fa
paura”.
“Come
lo sai, mamma?”.
“Credi
che per me sia stato facile ai primi balli?”.
Jeremy
scosse il capo. “Mh, forse no!”.
Sua
madre gli sfiorò il braccio. “Hai dalla tua, in
confronto
a me, origini di tutto rispetto, un nome importante e un padre
conosciuto. Prova”.
Jeremy
sospirò. “Magari dopo. Posso prima andare a
mangiare qualcosa al
buffet?”. In fondo c’erano altri ragazzini anche
da quelle parti che si abbuffavano di salatini e sfogliatelle e
anche
alcune dame che si stavano servendo,
più interessate al cibo e ai pettegolezzi che al ballo, e
quindi
unirsi a loro
non lo avrebbe fatto sembrare un morto di fame…
Ross
diede il suo assenso, era giusto rispettare i tempi di Jeremy.
“E
sia. Io intanto farò danzare tua madre”.
Jeremy
si
allontanò sollevato
e Ross prese la mano di sua moglie,
baciandogliela.
“Me lo concedete questo ballo, mia signora?”.
Demelza
gli cinse la vita. “Quindi manterrai la parola data
così, subito,
senza ripensamenti? Nessun litigio con nessuno a distrarti, nessun
diversivo, nessuna scazzottata con George...?”.
Ross
scoppiò a ridere. In effetti in passato era stato un pessimo
cavaliere per sua moglie. “Niente
di tutto questo, e poi...
con
questo abito attireresti troppi cavalieri desiderosi di essere
sfidati a duello”.
Ross
lo disse in tono leggero ma i pensieri di poco prima, mentre
iniziavano a danzare, tornarono ad affollare la mente di Demelza.
“Ross, lo sai che non mi importa nessuno tranne che di
te?”.
Lui
aumentò la sua stretta sulla sua vita. “Lo so, ma
so anche che non
va mai dato nulla per scontato e che delle cose preziose ci si deve
prendere cura”.
“E
chi ti ha reso così saggio?”.
Lui
la baciò sulle labbra brevemente. “Tu…
E la vita”.
“La
vita ti ha insegnato a dubitare di me?” – gli
chiese, leggermente
preoccupata, pur sforzandosi di usare un tono leggero.
“No,
amore mio. Non di te ma di me stesso”.
Si
guardarono negli occhi e lei cercò le parole giuste per
rassicurarlo. “Di te, di me, di noi… Non dubitare
mai”.
Ross
le accarezzò i capelli che le ricadevano morbidi sulle
spalle.
"Eppure avere paura di perdere ciò a cui si tiene
è la base
per tenere caldo e sicuro l'amore. In passato ci sono stati momenti
difficili fra di noi ma non è quello che temo adesso.
Semplicemente,
certe esperienze mi hanno aiutato a crescere e ad avere ben chiaro
ciò che per me è tutto. Tu e i bambini".
"Per
me è lo stesso" - rispose lei semplicemente, senza
aggiungere
altro. Era vero, avevano imparato entrambi dai loro errori ed
entrambi ne erano usciti migliori. Questo le bastava... "Giuda
Ross, come sei profondo stasera! Incredibilmente, non trovo nulla da
obiettare" - rispose, allegra.
“Però
mi viene un dubbio... Vuoi
dire che non mi vuoi galante e cavaliere?
Che ti sembro strano nelle vesti di marito calmo, pacato e
perfettamente calato nel suo ruolo?”
– le chiese, decisamente sollevato.
Lei
rise. “Oh, questo mai! Adoro essere coccolata e
viziata!”.
Danzarono,
per lunghi minuti persi nello sguardo l’uno
dell’altra, ballarono
senza quasi accorgersi della festa attorno a loro. Solo quando si
trovarono col fiato corto, accaldati ed assetati, si fermarono e si
avvicinarono al banchetto dove ancora si attardava il figlio, per
bere qualcosa.
Ma
prima di raggiungerlo furono fermati dal saluto di tre uomini. Uno
Ross lo conosceva, era Sir Edward Corwas di Westminster ma gli altri
due gli sembravano stranieri.
Sir
Edward lo salutò amichevolmente. “Poldark, volevo
fermarmi a
chiacchierare già da un po’ ma vi vedevo
occupato…” – disse,
adocchiando una imbarazzata Demelza. “Vostra moglie
è così
graziosa che è un delitto che resti così a lungo
lontana dalla
capitale, rintanata in quella sperduta e ventosa zona che è
la
Cornovaglia”.
“Una
terra che amo” – rispose con gentilezza ma a tono
Demelza,
ottenendo l’approvazione di Ross.
Sir
Edward incassò senza battere ciglio. “Vorrei
presentarvi il
padrone di casa, il console danese Sir Astrup Jens. Gli ho raccontato
molto di voi e dei vostri trascorsi in Parlamento ed è
rimasto
colpito dal vostro ardore nel portare avanti le cause per cui vi
battete”.
Ross
si inchinò. “Spero non siate rimasto turbato dai
racconti sui miei
modi. Comunque è un piacere conoscervi Sir
Astrup”.
L’uomo,
un diplomatico basso di statura ma dalle forme decisamente generose,
con un viso più da pacioso nonno che da politico, i capelli
radi e
bianchi e l’espressione gentile, gli strinse la mano.
“Il piacere
è mio. E non mi turbate affatto, è dovere del
politico avere
carisma e carattere per perseguire i suoi obiettivi e voi avete
più
volte dimostrato al vostro paese di saperlo fare e di essere
incorruttibile. Qualità rara per un uomo di
potere”.
Ross
si sentì a suo agio. "Non mi considero tale".
"La
modestia non è per gente di Westminster" - ribadì
il danese.
"Non
sono modesto, semplicemente credo che il potere andrebbe distribuito
meglio".
Sir
Astrup annuì. "Mi piacete e spero di avervi ancora mio
ospite
per una chiacchierata davanti a un buon bicchiere di vino. E di
incontrarvi con la vostra graziosa moglie ad altri ricevimenti".
Ross
sospirò. "Siamo quì per questo".
“E
lui” – continuò Sir Edward introducendo
l'altro uomo – “E’
un ambasciatore norvegese, Sir Haakon della stirpe del glorioso
casato degli Hagen”.
Ross
si irrigidì. Questo Haakon aveva un aspetto meno amichevole
del
console danese e forse per il suo legame alla terra di Norvegia, si
sentì di entrare subito in allarme. Haakon, giovane, dagli
occhi di
ghiaccio, sui
trentacinque
anni
o forse nemmeno, coi suoi capelli biondi come quelli dei gemellini e
il suo sguardo penetrante, sembrava volergli scandagliare
l’animo e
studiare ogni particolare di lui. Aveva
un non so che di spiacevole nel portamento, nell'espressione, nel
modo di porsi. Non che ci fosse qualcosa di apparentemente ostile,
eppure si sentì a disagio. Ma forse era solo suggestione
perché la
terra di Norvegia gli riportava alla mente brutti ricordi,
l'orribile
morte di Jasmine e tutto ciò che ci girava attorno. Il
pericolo era
stato lasciato
indietro quasi quattro anni prima ma quelle ombre che sembre aveva
temuto lo raggiungessero, davanti a Sir Haakon diventavano
pericolosamente reali.
Ross
finse cordialità anche se avrebbe voluto allontanarsi con
Demelza.
Il suo sesto senso gli suggeriva di farlo e lui avrebbe voluto
assecondarlo. Ma non poteva… “E’ un
piacere”.
Haakon
gli strinse la mano con vigore. “Il piacere è mio.
A noi
discendenti degli antichi vichinghi piace incontrare veri combattenti
quale sembra voi siate”.
Ross
sorrise, un sorriso di cortesia. “Credo che quanto detto su
di me
sia un po’ esagerato”.
"Si
dice che abbiate fatto grandi cose in Francia, durante il terrore. Si
parla di voi come di un eroe, si dice che abbiate salvato dalla
prigionia molti soldati inglesi con la forza e l'ingegno. E con pochi
mezzi. Solo i vichinghi riuscivano in imprese del genere".
Ross
sospirò, in fondo non era male essere il protagonista di
gesta
leggendarie, anche se di vichingo in lui non c'era nulla. "In
realtà ero partito solo per salvare un caro amico, il dottor
Enys. E
non ero solo ma circondato da persone fidate e coraggiose. Fu una
azione di gruppo e solo per un caso fortuito altri prigionieri
riuscirono a fuggire...".
“Non
lo credo affatto, non è mai solo fortuna ma alla base
c'è sempre
volontà e coraggio”. Haakon lo guardò
di nuovo, insistentemente,
mentre gli parlava. “Ci conosciamo? Avete un viso che mi
sembra di
aver già visto”.
Ross
si irrigidì, in fondo era stato ad Oslo per mesi e anche se
in
incognito e in missione segreta, non sarebbe stato così
assurdo che
qualcuno lo ricordasse. Non era biondo e non era decisamente
norvegese e il suo aspetto tanto diverso dalla gente nordica forse
non era passato inosservato. “Volete dire che ho una faccia
banale?
Mi sono sempre creduto affascinante e unico” –
tentò, cercando
di portare il discorso su toni leggeri e distanti da percorsi
pericolosi.
Il
norvegese rise. “Oh, non banale. Ma sono particolarmente
fisionomista e il vostro volto mi sembra di averlo già visto
da
qualche parte. Siete mai stato
in Norvegia?”.
Ross
sentì Demelza irrigidirsi ma lui sapeva cosa fare e di certo
non
avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura quel viaggio in incognito per
conto dei servizi segreti del governo. "No, ovviamente... Anche
se si raccontano storie interessanti del vostro paese. Mia moglie
adorerebbe... come si chiama...? Quel cielo di mille colori che vi
trovate sopra le vostre teste in inverno?".
"Aurora
boreale" - intervenne il console danese.
Ross
annuì. "Sì, quella. Deve essere uno spettacolo
affascinante"
- disse, ricordando quando, coi gemelli, l'aveva ammirata mentre in
barca sfuggivano dalla capitale diretti alla nave che li avrebbe
portati in Inghilterra.
Haakon
sorrise, un sorriso freddo. "Sì, è suggestiva
anche se noi,
essendoci abituati, quasi non ci facciamo più caso. Ma
immagino che
sia diverso per uno straniero...".
"Suppongo
di sì" - intervenne Demelza, captando l'ansia del marito.
"Amerei vederla davvero".
Haakon
le prese la mano, baciandola con galanteria anche se Demelza lo
trovò
viscido. "E allora, se verrete, sarete miei ospiti. Avete
figli?".
Demelza
gli indicò Jeremy che, finalmente, aveva preso a parlare con
un
ragazzino leggermente più giovane di lui. "Sì,
abbiamo portato
con noi il più grande,
Jeremy.
Poi ne abbiamo altri più piccoli e vivaci e abbiamo
preferito
lasciarli a casa" - disse, senza far menzione al loro numero,
ai
nomi e alle loro età".
Haakon
osservò Jeremy insistentemente. "Io ho una figlia, anche lei
è
con me stasera anche se non ho idea di dove si sia cacciata. Deve
avere l'età del vostro, più o meno...".
Sir
Edward si intromise nel discorso. "Oh sì, il giovane Jeremy
la
troverebbe davvero affascinante. Una tipica quattordicenne norvegese,
bionda come una dea e con due occhi azzurri che incanterebbero
chiunque. La vostra giovane figlia,
Odalyn, rispecchia appieno il significato del suo nome".
Haakon
scoppiò a ridere. "E voi come potete essere a conoscenza del
significato dei nomi norvegesi?".
Sir
Edward lo fronteggiò. "Oh, lo ha raccontato lei stessa al
ricevimento da Sir Smith la scorsa settimana. Stava sorseggiando il
tè con mia moglie e le ha spiegato il significato del suo
nome:
Odalyn che deriva da 'Oda' ossia 'punta di lancia' e 'Lyn' ossia,
bellissima. Una bellissima giovane guerriera vichinga, se fosse nata
qualche secolo fa".
Haakon
sembrò contrariato che sua figlia avesse dato tanta
confidenza a
quegli stranieri e parve irrigidirsi. I
nordici erano persone chiuse e raramente amavano parlare agli
stranieri delle loro tradizioni. "Invece
è solo la figlia con la lingua troppo lunga di un
diplomatico".
Demelza
osservò l'uomo, chiedendosi se fosse così rigido
e altero anche fra
le mura domestiche. "Sono sicura che è una ragazza graziosa".
A
quelle parole Haakon la osservò e poi si fermò a
pensare qualche
istante. "La conoscerete, ne sono certo"
- esclamò infine, come a voler rendere una certezza quella
opportunità. Non aveva ancora in mente i dettagli ma c'era
la
possibilità che una vecchia faccenda che ancora tormentava
molte
persone in patria, fosse legata a quell'uomo che ne era certo, aveva
camminato sulle loro terre in un periodo molto particolare... Doveva
indagare!
Strinse quindi
la mano a Ross
e poi,
adducendo una scusa per allontanarsi, si
dileguò con una strana fretta.
Anche
Sir Edward e il console danese salutarono, proseguendo nel loro giro
di saluti.
Rimasti
soli, Ross osservò Demelza. "Quel norvegese non piace a te
come
non piace a me?".
"Già...
Mi mette i brividi per il modo in cui ci ha guardato".
Ross
le strinse la mano. "Forse è solo suggestione. E'
così simile
ai gemelli, hanno i capelli dello stesso colore e arrivano dalla
stessa terra...".
Demelza
deglutì. "Ha detto che hai un viso conosciuto".
Si
morse le labbra, già, lo aveva detto. "E può
essere, stiamo
attenti. Anche se non può provare niente".
"Sì,
stiamo attenti" - concluse Demelza, sentendo improvvisamente
molto soffocante tutto quell'ambiente.
Entrambi
osservarono Jeremy che rideva col suo nuovo amico. Almeno lui si
divertiva...
...
Haakon,
a passo svelto, camminò negli eleganti saloni che ospitavano
il
ricevimento alla ricerca di sua figlia.
La
sua testa stava formulando mille ipotesi sull'incontro con Poldark ma
una cosa era certa, anche se lui l'aveva negato. Si erano
già visti,
non faccia a faccia certo,
e se tanto gli dava tanto, sapeva anche in quale occasione
lo aveva notato...
Forse si sbagliava ma doveva saperne di più e se Poldark
senior
sicuramente sarebbe stato restio a sbottonarsi su eventi passati
che potevano rivelarsi pericolosi,
forse il giovane Jeremy
avrebbe
avuto
la lingua più sciolta. Come la sua impertinente figlia...
Appena
la vide, le si avvicinò prendendola per un braccio.
La
ragazzina, intenta a chiacchierare con una amica, sussultò
spaventata prima di capire che si trattava di lui. "Padre..."
- mormorò nel suo grazioso abitino color avorio, con i
lunghi
capelli pettinati in una treccia e un pò di trucco sul viso.
Era una giovane ragazzina dai modi allegri e spigliati, dotata di una
straordinaria bellezza dono di madre natura e sicuramente coi suoi
tratti nordici, molti giovani cuori avrebbe fatto palpitare durante
la sua permanenza a Londra.
Haakon,
senza troppe cerimonie
e decisamente meno propenso a farsi incantare da lei,
la portò in un angolo appartato. "Odalyn,
se hai finito di raccontare cose private in giro come un'oca, ora
avrei bisogno di un minuto del tuo tempo".
La
ragazzina sapeva che suo padre era un uomo duro a cui non si doveva
disubbidire e quindi, anche se contrariata dalla pessima figura fatta
con la sua amica, annuì senza replicare. "Ditemi, padre".
Senza
dire nulla, l'uomo la prese per mano trascinandola nel salone
principale. Appena giunti alla porta gli indicò il giovane
figlio di
Poldark. "Lo vedi quel ragazzo?".
"Sì".
La
spinse nel salone. "Vedi di fartelo amico e di farti raccontare
quante più cose della sua famiglia. E poi riferiscimi tutto".
"Perché?"
- chiese lei.
Ma
lo sguardo duro del genitore le ricacciò in gola altre
domande
a cui, chiaramente, non avrebbe ottenuto risposte.
Ubbidì e poi entrò nella sala sentendo sulla
schiena lo sguardo
fisso e spesso spaventoso di suo padre. Sapeva che per tutta la sera
l'avrebbe avuto addosso...
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Capitolo 15 *** Capitolo quindici ***
Jeremy
aveva stretto amicizia, a uno dei tanti tavoli del buffet, con un tal
Martin Evans, figlio quattordicenne di un parlamentare del Galles.
Indeciso
sul da farsi e decisamente solo, lo aveva addocchiato tutto spaurito
in un angolo della sala, terrorizzato come lui dall'avvicinarsi ai
più navigati rampolli londinesi. Le giovani leve
della capitale e le delegazioni
straniere se ne stavano fra loro e quel ragazzino
inerme, dai capelli rossi e pieno di lentiggini,
a Jeremy era sembrato il più innocuo e facile da avvicinare.
Non che
ne fosse orgoglioso, aveva scelto di farsi amico l'obiettivo
più
semplice, ma quanto meno aveva trovato qualcuno con cui parlare e
condividere
quella strana esperienza in cui era stato catapultato per la prima
volta.
Martin era
un novellino come lui e si trovava a Londra per la prima volta,
era timido ed introverso
e non conosceva praticamente nessuno.
Avevano
chiacchierato del più e del meno per circa mezz'ora ma poi
il
ragazzino era stato richiamo da una domestica che stava accudendo le
sue sorelle minori e si era allontanato, lasciandolo di nuovo solo.
Nessun
altro faceva attenzione a lui e i suoi genitori, che intravedeva da
lontano nel salone adiacente, erano assorbiti in una lunga
conversazione con gente che non conosceva. Quindi, solo e davanti al
tavolo dei vini, si chiese se magari non fosse il momento di
assaggiare qualcosa. Aveva già quindici anni in fondo, un
sorsetto
non gli avrebbe fatto male ed era più che certo che alla sua
età
sua padre lo avesse già fatto e che quindi avrebbe approvato.
Fu
quando allungò una mano per prendere un calice che una voce
femminile lo chiamò. "Hei, straniero...".
Straniero?
In realtà lui era inglese su terra inglese, a differenza di
quella
voce dallo strano accento non
certo inglese.
Jeremy
si voltò e
rimase a bocca aperta. Davanti a lui c'era una giovane ragazza che
aveva circa la sua età, biondissima come i gemellini, dagli
occhi
color del ghiaccio e vestita con un elegante abito color avorio. E
scrutandola bene in volto, gli pareva che fosse pure leggermente
truccata e gli sembrava la prima volta che vedeva una ragazza della
sua età... così...
Jeremy
deglutì. "Non... Non sono straniero".
Lei
giocherellò con la sua lunga treccia, fingendo una timidezza
che non
le apparteneva. "Per me lo sei".
"Per
me lo sei tu" - le rispose, indeciso su come comportarsi. Era
decisamente diversa dalle ragazze della Cornovaglia. "Non sembri
certo inglese".
"Non
lo sono infatti, vengo dalla Norvegia".
Jeremy
sussultò. La Norvegia? La terra che aveva visto nascere quei
due
strani gemelli che gli erano capitati come fratelli, una terra che si
raccontava fosse piena di misteri e leggende e... persone
biondissime.
Santo cielo, erano tutti così allora quelli che nascevano da
quelle
parti?
Avrebbe voluto dirle che un pò conosceva la sua terra ma
sapeva bene
che doveva tacere
per evitare di entrare in particolari che i suoi genitori avrebbero
disapprovato lui esternasse e,
anche se davanti aveva una semplice ragazzina che di certo non
rappresentava alcun rischio per il loro segreto di famiglia,
alla fine tacque.
"Io vengo dalla Cornovaglia" - disse solo.
Lei
sorrise e Jeremy trovò che era davvero bellissima e sembrava
più
grande della sua età. Affascinante, elegante, dai modi
spicci e
svegli... E quindi? Che voleva da lui, da un provincialotto, una
così?
Incurante
dei suoi pensieri ma consapevole di averlo colpito, lei
allungò la
mano. "Il mio nome è Odalyn e discendo dalla gloriosa stirpe
degli Hagen antichi guerrieri vichinghi che hanno combattuto a lungo
e nei secoli a fianco dei nostri sovrani. Di cui mio padre è
ambasciatore" - disse, piena di orgoglio. "Sai chi erano i
vichinghi?".
"Certo"
- rispose Jeremy - "E tu sai qual'è l'esercito
più forte
d'Europa?". Santo cielo, tutti sapevano che era quello
inglese...
Odalyn
decise di provocarlo, un pò per entrare più in
confidenza, un pò
perché lo trovava divertente. "A parte quello di Napoleone?".
Jeremy
avrebbe voluto mandarla a quel paese ma in effetti sapeva che era
maleducato e poco galante farlo. "Le donne sanno così poco
di
eserciti e battaglie..." - sostenne, stando alla sfida.
Odalyn
non si fece scoraggiare. Allungò la mano e gliela porse, da
perfetta
signorina. "E voi uomini sapete così poco di buone maniere".
Jeremy
osservò la manina candida, dalle dita lunga ed affusolate
della
ragazza e si chiese che dovesse fare. Perché in effetti era
vero, di
galanteria lui ne sapeva quanto lei di battaglie. Alla fine quindi
gliela strinse, come avrebbe fatto con un compagno di giochi in
Cornovaglia.
Lei
sbuffò. "Avresti dovuto baciarla, non sono una bracciante o
un dannato minatore di Cornovaglia! E
tu devi
essere nato in una caverna!".
Jeremy
arrossì, santo cielo era un idiota!!! Eppure non gli
sembrava di
aver mai visto suo padre andare in giro per la brughiera a baciare le
mani delle mogli
dei minatori, quando le incontrava per strada...
"Beh,
a casa non badiamo molto a queste cose".
Odalyn
picchiettò il piede, nervosamente. Suo padre voleva che lei
entrasse
in confidenza con lui ma evidentemente non aveva idea che quel
ragazzo fosse una specie di surrogato
di uomo preistorico
delle campagne. "Almeno mi dici come ti chiami?".
"Jeremy,
Jeremy Poldark. Mio padre è un parlamentare di Westminster".
Lei
sospirò. "Bene Jeremy Poldark, mi offriresti
un calice di vino?".
Jeremy
spalancò gli occhi. Sua madre ogni tanto beveva del Porto ma
sua
madre era una adulta, invece questa Odalyn era una ragazzina forse
più giovane di lui e non gli sembrava una buona cosa che lei
bevesse
con tanta disinvoltura. Ma soprattutto - però se ne
guardò bene dal
chiederlo per non fare altre figure - perché non se lo
prendeva da
sola un bicchiere? "Sicura?".
"Sono
del nord, per noi il bere fa parte della nostra cultura! Da noi fa
freddo, ci si scalda pure così".
Jeremy
si sentì irritato dal tono supponente da maestrina che lei
aveva
usato. "Ma
quì sei a Londra e siamo solo in autunno" -
obiettò perciò.
Odalyn
alzò gli occhi al cielo e poi, esasperata, prese da sola un
calice e
ne bevve il contenuto in un solo sorso, forse per sorprenderlo o
forse perché era abituata a fare così. "Visto
come si fa,
Jeremy Poldark?".
Lui
sostenne il suo sguardo, era tanto bella quanto sorprendente e a suo
modo, antipatica. "Puoi chiamarmi solo Jeremy, non è
necessario
che ripeti ancora e ancora il mio cognome".
"Ti
chiamo come mi pare! E tu comunque, non mi fai compagnia? Non bevi?
Non dirmi che a tavola bevi ancora latte?".
Jeremy
arrossì di nuovo. Colpito e affondato... "Ecco, a volte
acqua
mischiata a un pò di Porto. Alle feste mi permettono di
farlo".
Lei
scoppiò a ridere. "Alle feste? Santo cielo, quanti anni
hai?".
"Quindici".
"E
fai le cose come i poppanti? Io
non ne ho ancora quindici e bevo senza problemi".
"Beh,
non dovresti farlo con tanta leggerezza" - la ammonì, anche
se
si sentiva un vecchio prete bacchettone in quel momento.
Odalyn
sbuffò. "Sei noioso".
"E
allora che ci fai quì?" - le chiese senza mezzi termini. Era
affascinante ma risvegliava in lui una specie di strana voglia di
litigarci e averla pure vinta.
"Mi
annoio".
"Vai
ad annoiarti da un'altra parte".
Odalyn
poggiò il bicchiere vuoto, poi incrociò le
braccia al petto. "No,
mi diverto a parlare con te e del tuo strano modo di vivere da
bamboccio. Sei quì da solo?".
"No,
coi miei genitori".
"Hai
fratelli?".
Jeremy
strinse i pugni, ricordando ancora una volta il rischio sempre
strisciante che si celava dietro alla Norvegia. Non ne conosceva i
contorni e di certo suo padre non gli aveva detto la verità,
ma
sapeva anche che se lui gli aveva intimato di stare attento, doveva
esserci un motivo ben preciso. E poi i gemelli, anche se non era
convinto del tutto che fosse stata una buona idea e aveva mille
domande a riguardo, ora erano i suoi fratellini e anche se spesso non
li tollerava, si sentiva di doverli difendere. Quindi rimase vago.
"Sì, parecchi...".
"Dove
sono?" - domandò lei, stranamente curiosa.
"A
casa, quì avrebbero distrutto tutto, sono ancora piccoli e
piuttosto
pestiferi".
Odalyn
rise, stavolta di cuore. "Avrebbero reso più divertente
questa
festa noiosa, allora".
Jeremy
la guardò e trovò che quando rideva per non
prenderlo in giro, era
davvero bella. "Tu non hai fratelli?".
Odalyn
scosse la testa. "Ufficialmente no".
"Ufficialmente?"
- domandò Jeremy, sorpreso.
Lei
divenne seria. "Beh, mia madre morì anni fa, a me dicono per
malattia ma pare sia morta per altre cause" - disse, vaga. "Mio
padre non si è più sposato ma dubito che in
questi anni sia stato
un monaco. Conoscendolo, avrà in giro più di una
amante e forse
anche qualche altro marmocchio illegittimo
che
tiene segreto".
Jeremy
era sconvolto. Come poteva parlarne con tanta leggerezza? Lui non
sarebbe mai riuscito a parlare di un suo genitore in quel modo e a
sopportare quel dubbio costante senza battere ciglio. Ma una volta
suo padre gli aveva detto che i nordici avevano un'altra
mentalità e
quindi forse era stupido stupirsi e dare a Odalyn una ulteriore
dimostrazione di quanto fosse provinciale il suo modo di fare e
pensare.
"Beh, mi spiace" - disse quindi - "Per tua madre,
intendo".
La
ragazzina non rispose
e cambiò repentinamente argomento.
"Starò quì tutto inverno" - disse, solo
- "E tu?".
"Anche".
"Quindi
rischio di incontrarti ancora?"
- gli chiese, con di nuovo un'espressione beffarda sulla faccia.
Jeremy
raccolse la sfida. "Temo di sì". E stavolta fu
più lesto
e veloce e prima che lei rispondesse le prese la mano, baciandola.
"Ora devo andare, signorina Odalyn della stirpe vichinga degli
Hagen". Beh, se lui era Jeremy Poldark, lei si sarebbe sorbita
ad ogni loro incontro il suo nome completo, compreso di casato
millenario.
Interdetta,
lei lo bloccò prima che lui si allontanasse. "E ora dove te
ne
vai?".
Jeremy
gli indicò i genitori che lo stavano chiamando, pronti a
lasciare la
sala. Sua madre aveva indossato il suo coprispalle e forse era ora di
tornare
a casa.
Parlando con Odalyn non si era accorto del passare del tempo... "Temo
di dover andare".
"A
letto presto?".
Lui
rise. "Come i poppanti, no?". E poi non era presto, era
passata già da un pò la mezzanotte e molti ospiti
se n'erano già
andati. Se Odalyn voleva viversi le notti londinesi, avrebbe presto
scoperto che le abitudini del loro paese erano ben diverse da quelle
norvegesi e che il buio di Londra era semplicemente buio, deserto e
spesso, con la nebbia, sinistro. "Buona notte, signorina".
"Buona
notte" - disse lei, chiedendosi se a suo padre sarebbe bastato
quanto si erano detti. Ma immaginava che non sarebbe stato
così...
...
Il
ritorno in carrozza fu stranamente silenzioso e carico di tensione e
Jeremy non ne comprendeva il motivo. I suoi genitori avevano danzato
a lungo ridendo e godendo della compagnia reciproca, avevano
chiacchierato con altre persone in modo che gli era parso amabile e
lui non si era reso
protagonista di nessuna brutta figura. "Siete arrabbiati?"
- domandò infine, un pò intimorito da quello
strano silenzio che
non faceva parte di loro.
Ross
e Demelza si guardarono negli occhi, sorpresi da quella domanda.
Avrebbero voluto parlare dell'incontro con Haakon tranquilli una
volta a casa ma evidentemente a Jeremy non era sfuggita la loro
tensione.
"No,
tranquillo amore" - rispose Demelza. "E' che a me a a tuo
padre non piacciono molto le persone che frequentano questi
ricevimenti e non vediamo l'ora di scappare a casa".
Ross
guardò suo figlio con un sorrisetto malizioso. "Tu invece, a
differenza nostra, sembra ti sia divertito e abbia trovato una...
piacevole... compagnia".
Jeremy
arrossì fino alle orecchie. "Io?".
"Chi
era la biondina con cui sei stato a parlare tanto a lungo?" - lo
stuzzicò ancora Ross, stranamente orgoglioso di affrontare
certi
discorsi, finalmente, con un figlio che ormai non era più un
bambino
a cui raccontare favole.
Demelza
sospirò, sperando che il marito non mettesse troppo in
imbarazzo il
loro figlio. Jeremy era timido, non era uno spaccone e sicuramente
era in una età dove comunicare coi genitori era
più difficile e se
Ross avesse sbagliato nei modi, si sarebbe chiuso a riccio ancora di
più.
Jeremy
abbassò lo sguardo, tormentandosi le mani
imbarazzato.
"Si
chiama Odalyn... Si è messa a parlare senza che io la
invitassi e
non si è più mossa dal tavolo dei vini. Era
più che altro
interessata ai vini, comunque...".
Ross
e Demelza, appena sentito il nome della ragazza, si guardarono
preoccupati, rendendosi immediatamente conto di chi si trattasse.
"Odalyn...? E' norvegese?".
"Sì".
"E..."
- domandò Ross con cautela ma estremamente serio - "Cosa
voleva
da te?".
Jeremy
osservò suo padre, ricordandosi quanto entrasse in allarme
se solo
si nominava qualcosa relativo alla Norvegia. Beh, la cosa lo
divertì
nonostante tutto perché effettivamente, a parte la terra
d'origine
in comune coi gemelli, che c'entrava Odalyn con loro? "Ma nulla,
si annoiava e cercava qualcuno da tormentare".
"Quindi
non la trovi simpatica?" - chiese Demelza, con una nota di
speranza nel tono di voce. Non era gelosa di Jeremy e non aveva nulla
in contrario che conoscesse la ragazza norvegese ma se questo non
fosse avvenuto beh... era meglio.
"Non
molto. E' strana e petulante. E fa la diva, la gran signora! Non mi
piace molto chi ama mettersi in mostra".
Ross
sospirò, sollevato. "Beh, non la devi frequentare per
fortuna".
"Per
fortuna? Perché papà?".
"Perché
abbiamo conosciuto suo padre e non ci piace per niente".
Jeremy
scosse la testa,
dopo quanto raccontato da Odalyn circa amanti e figli segreti,
quell'uomo non piaceva nemmeno a lui.
"Non
so se non la rivedrò, lei dice
che ci rincontreremo
ad altri ricevimenti".
"Beh,
puoi ignorarla!" - gli suggerì il padre, guadagnandosi
un'occhiataccia da Demelza.
La
donna sorrise poi al figlio. "Devi essere comunque cortese se ti
parla. Ma non darle troppa confidenza".
"Non
ho intenzione di farlo, tranquilli..." - rispose il ragazzino,
forse non del tutto convinto sul fatto che questo fosse possibile. Se
tanto gli dava tanto, quella non se la sarebbe tolta dai piedi con
troppa facilità, si era troppo divertita a prenderlo in
giro. E poi,
di fondo, era irritato, ecco. Sapeva perché i suoi genitori
gli
stavano facendo tante domande ed era arrabbiato per il fatto che, nel
remoto caso Odalyn si fosse dimostrata più simpatica di
quanto
sembrava, lui non avrebbe dovuto frequentarla a causa dei gemelli e
del segreto che si portavano dietro. E per la prima volta in vita sua
provò il desiderio di disobbedire per il semplice gusto di
farlo...
Ross
sprofondò nel sedile. "Meglio così. Sta attento,
i norvegesi
sono pericolosi".
"Forse
non tutti" - rispose il ragazzo. "I gemelli non lo sono,
giusto?".
Demelza
gli strinse la mano, avvertendo il tumulto dell'animo del figlio ma
decisa a non aprire argomenti complicati dopo una sera già
di per se
non facile. "Non lo sono? Chiedilo a Prudie...".
Jeremy
le sorrise, con sua madre non sarebbe mai riuscito a fare il duro
ribelle. "Già".
La
carrozza li lasciò al cancello in quel momento e quindi
salirono a
casa, stanchi per la lunga serata.
Jeremy
salutò frettolosamente e senza aggiungere
altro,andò in camera sua
a riflettere su... tante cose..., Demelza e Ross, rimasti soli in
corridoio, si strinsero per darsi sostegno a vicenda.
"Ross,
ho idea che a breve dovremo affrontare tanti problemi. E se non
arriveranno dai gemelli e dal nord Europa, temo arriveranno da altri
fronti".
Ross
le baciò le labbra. "Era più facile quando anche
Jeremy era
piccolo. Temi che menta? Temi che in realtà la ragazza gli
piaccia?
Non ti sembra strano che lei sia andata CASUALMENTE a parlare proprio
con lui".
Demelza
gli cinse la vita. "Non lo so, forse siamo troppo sul chi va la
e sospettiamo di tutti senza motivo. Jeremy invece... Non ha mai
mentito, Ross".
Lui
alzò gli occhi al cielo, ricordando se stesso a quindici
anni. "E'
una età strana la sua, pessima per certi aspetti.
Un'età in cui
devi trasgredire le regole, senti che devi farlo se vuoi crescere. Io
ero un figlio orribile a quell'epoca".
Demelza
annuì, lei all'età di Jeremy se n'era
già andata da casa dopo
tutto. Forse per ribellione, forse perché davvero cercava la
sua
strada e sapeva che non era Illugan. "Stiamo all'erta e basta,
Ross".
"Buona
idea".
Insieme
si recarono nelle stanze dei bambini più piccoli.
Clowance
dormiva mezza scoperta e scomposta, i gemellini e Bella nello stesso
letto, quello di Demian, ormai ridotto a un campo di battaglia.
Addormentati
sembravano tre angioletti ma erano abbastanza sicuri che avessero
fatto impazzire Prudie e le nuove domestiche tutta sera.
Ross
si sedette sul letto, facendo loro il solletico sotto i piedini. "Voi
tre, non fate finta di dormire!" - disse, sapendo bene che
fingevano.
Sei
occhietti, quattro azzurri e due verdi come quelli della madre, si
spalancarono.
Demelza
scoppiò a ridere, erano fin troppo prevedibili. "E'
tardissimo!".
Demian
si sedette. "Anche per voi" - disse serio, come a volerli
rimproverare, rannicchiandosi contro sua madre per le consuete
coccole.
Bella
saltellò sul materasso. "Mamma, mamma, volevo cantare una
canzoncina ma Prudie mi ha tappato la bocca e ha detto che rompevo i
vetri. Posso cantare adesso?".
"NOOO!"
- la bloccò Ross che aveva a cuore la salute dei suoi
timpani e di
quelli dei vicini.
E
poi arrivò Daisy. "Papà, papà io non
lo volevo fare il
bagnetto, ero pulita. Ho lanciato il sapone giù dalla
finestra,
dovevi vedere come Prudie lo cercava! Anche Miss Bernie e Miss Rose e
Miss Page! Tutte e quattro nell'erba come caprette".
Bella
rise. "E mentre cercavano il sapone in giardino, noi abbiamo
fatto la gara di salto sul letto".
Demelza
sbuffò. "Lo vedo..." - disse, osservando
come erano ridotti materasso e coperte.
Beh, almeno loro si erano divertiti...
Ross
sorrise, guardando i tre bimbi. Bella era loro e anche i gemelli. E
se c'erano ombre oscure, vere o presunte, da combattere, lui lo
avrebbe fatto. Erano i suoi figli, tutti quanti.
E se il nemico si fosse presentato alla loro porta anche sotto
le
fattezze di una quattordicenne bionda ed affascinante, lui le avrebbe
riservato il giusto trattamento. E Jeremy avrebbe capito e lo avrebbe
sostenuto,
ne era certo. O quasi...
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Capitolo 16 *** Capitolo sedici ***
"Giuda
Ross, è molto tardi e noi siamo ancora a letto a fare cose
che dei
genitori non dovrebbero fare, a quest'ora!".
Ross
sorrise sotto le coperte, per niente d'accordo! Fare l'amore in una
grande e confortevole stanza padronale a Londra di prima mattina con
sua moglie era la cosa che più preferiva e che trovava
più adatta a
lui e alla sua indole. "Non sono d'accordo".
"Ross"
- protestò sua moglie - "Jeremy è ormai grande,
cosa penserà
di noi? Un conto è di notte, i bambini dormono... Ma adesso
è già
così tardi!".
Si
voltò verso la finestra. Le spesse tende e la giornata non
serena
davano alla camera una atmosfera soffusa molto simile a quella che si
ammira all'alba e quindi, di fatto, sembrava molto presto. "Non
è tardi, è quasi buio ancora".
"C'è
nebbia, Ross! Per questo è buio" - sbottò lei,
mettendosi a
sedere sul letto avvolta nel lenzuolo per coprire la sua
nudità.
Ross
la riacciuffò, costringendola ancora fra le coperte. Poi la
baciò
sul collo con passione, era ancora affamato di lei. "Non puoi
sfuggirmi".
"Lasciami!
I bimbi mi vorranno per colazione! E oggi arriveranno anche Caroline
e Dwight con le bambine, saranno nostri ospiti a pranzo e non vorrei
che arrivassero e ci trovassero ancora a letto".
Ross
alzò le spalle. "Dwight capirà! E anche Caroline".
"Ross".
"Sì?".
"Dobbiamo
alzarci". Era decisa a farlo, a darsi una lavata, a vestirsi e a
prepararsi per accogliere i loro migliori amici. Londra pullulava di
vita e mondanità grazie alle delegazioni straniere giunte da
ogni
parte d'Europa, potere, lusso e moda la facevano da padroni e
Caroline aveva praticamente costretto Dwight a fare quel viaggio
alludendo al fatto che alle bimbe servivano abiti nuovi e in
Cornovaglia non ne trovava di adatti a loro. Dwight alla fine aveva
ceduto, niente al mondo avrebbe potuto privare Caroline di quella
succulenta possibilità di un pò di sana vita
sociale e mondana e
suo marito aveva ormai capito che davanti a certe cose, non poteva
che soccombere.
Lui
tenne la stretta su di lei. "Ancora un'ora non ucciderà
nessuno. Abbiamo assunto anche tre nuove domestiche e con Prudie
fanno quattro donne che si occupano della casa e danno una mano coi
bambini".
Demelza
lo guardò storto. "Le domestiche nuove sono terrorizzate da
Bella e dai gemelli, pensano siano posseduti dal demonio".
"Gli
passerà".
Le
labbra di Ross catturarono le sue e dopo pochi istanti ogni protesta
di Demelza cessò, avvolta dal calore e dalla passione che
suo marito
sapeva risvegliare in lei con semplici baci e carezze.
Si
trovò a desiderarlo ancora ma proprio mentre Ross stava per
stendersi su di lei, qualcuno bussò al grande portone
all'ingresso.
Si
bloccarono e a Ross uscì qualche imprecazione non troppo
velata.
"Giuda,
chi
può essere?" - chiese Demelza, riprendendo possesso di se.
Ross
sprofondò il viso fra i cuscini. "Ci importa?".
"Dovrebbe".
"Come
dicevo, abbiamo quattro domestiche. Una è Prudie e va beh,
starà
ancora dormendo, le altre tre mi sembrano persone normali e quindi
una di loro aprirà la porta come si conviene nella casa di
gente
illustre".
Demelza
scoppiò a ridere. "Siamo gente illustre?".
Ross
la baciò. "Sono o non sono un membro del Parlamento?".
"Ma
chi può essere a quest'ora? Non aspettiamo nessuno?".
Ross
ci pensò su. "Forse è semplicemente un messo di
Westminster
che porta un messaggio. O forse è una missiva di Jones... O
magari è
un servitore di un qualche nobile che ci invita all'ennesimo
ricevimento".
Al
piano di sotto si udì lo scricchiolio della porta che si
apriva.
"Visto, ci hanno pensato le nostre cameriere" - disse Ross.
Curiosa,
Demelza cercò di captare la conversazione ma la distanza era
troppa
per capire chi fosse.
Ma
durò poco perché Miss Page arrivò alla
loro stanza, bussando
sommessamente. "Signori?".
Veloce
come un fulmine e terrorizzata di farsi trovare in una condizione
sconveniente, in un attimo Demelza schizzò su e si
vestì. Poi aprì
la porta mentre Ross si rifugiava sotto le coperte, ancora deciso a
riprendere quanto interrotto poco prima.
"Chi
era?" . chiese alla domestica.
Miss
Page porse a Demelza un biglietto. "Era il maggiordomo di un
delegato straniero che avete conosciuto pochi giorni fa a un
ricevimento. Vi invita per una cena informale a casa loro per il fine
settimana".
Demelza
prese il foglio, perfettamente piegato e chiuso con ceralacca e
ornato di un timbro che sembrava importante e maestoso. "Grazie.
I bambini sono già svegli?".
Miss
Page annuì. "Jeremy e Clowance hanno già fatto
colazione, gli
altri tre... stiamo cercando di far lavare loro la faccia".
Dallo
sguardo distrutto della donna, Demelza capì che c'era
qualche
problema a riguardo. "Ora vengo io".
"Grazie"
- rispose la donna, sinceramente provata dai tre piccoli Poldark.
Demelza
tornò dentro, chiudendo la porta dietro di se
affinché anche Ross
si rendesse presentabile. "Mio caro, credo che dovrai sorbirti a
breve un altro noioso ricevimento".
Ross
sbuffò, mettendosi a sedere e prendendo il biglietto. Lo
osservò,
accigliandosi davanti allo strano stemma impresso nella cera, un
albero dove si vedevano sia le fronde che le radici. Lo aveva
già
visto ad Oslo quel simbolo e sapeva che veniva usato solo da famiglie
molto potenti. "Yggdrasil...".
"Cosa?"
- chiese Demelza.
"E'
il nome di questo simbolo, l'albero della vita per la cultura
vichinga norvegese".
La
donna deglutì, se tanto le dava tanto aveva capito da chi
arrivava
quell'invito... "Se appartiene alla cultura vichinga...".
Anche
Ross divenne serio, immaginando la stessa cosa. Spezzò la
cera, aprì
il biglietto e ne lesse il contenuto.
"Gentili
signori Poldark, dopo il piacevole scambio di opinioni della scorsa
serata, io e mia figlia Odalyn avremmo piacere ad avervi come nostri
ospiti questo sabato, assieme a tutti i vostri figli, per una cena
informale nella nostra tenuta. Cordialmente, Sir Haakon Hagen".
"Giuda,
Ross".
Lui
rimase in silenzio per lunghi istanti, sentendo strisciante ancora
una volta quell'ombra misteriosa che mai lo aveva abbandonato del
tutto dopo la sua fuga rocambolesca da Oslo con i due gemellini quasi
quattro anni prima. Strinse la mano di Demelza, pregando che dietro a
quell'invito non ci fosse altro che una semplice simpatia, anche se
non contraccambiata. Non poteva rifiutare, Ross era a Londra in veste
di Parlamentare e dire no all'invito di una autorità
straniera,
anche per una semplice cena informale, sarebbe apparso agli occhi di
tutti come un incidente diplomatico e un'onta che Westminster non gli
avrebbe perdonato e che avrebbe attirato su di lui un alone di
sospetto.
"Che
facciamo?" - chiese Demelza, decisamente poco entusiasta quanto
lui per quell'invito.
"Lo
sai bene che faremo" - le rispose, baciandola sulla fronte.
"E
i bambini?".
Ross
guardò verso la porta, sentendo in lontananza gli schiamazzi
e gli
strilli di Bella e dei gemelli. "Dovremo portarli, non farlo
quando sono stati invitati potrebbe apparire sospetto".
Demelza
si accigliò. "Perché?".
"Perché
cosa?".
"Perché
un diplomatico norvegese dovrebbe soffermarsi sulla presenza o meno
di due bambini piccoli?". L'espressione di Demelza divenne seria
e pur ricordandosi di essere stata lei stessa a non voler sapere
tutto di Jasmine, ora una domanda la doveva fare per forza. "Ross,
c'è... potrebbero esserci dei legami dei gemelli con quelle
persone?
Per questo sei così preoccupato?".
"Vuoi
davvero saperlo?".
"Sì".
Ross
la abbracciò. "Sì, potrebbero esserci legami o
sospetti... E
il rischio, quì, è decisamente elevato anche se
forse ci stiamo
preoccupando per niente".
"Non
ne sembri convinto".
"Infatti
non lo sono".
"Mi
preoccupa questa cosa, mi preoccupa che tu tema che gente tanto
importante possa... possa sapere di loro. Io non so cosa abbia
portato a casa nostra Daisy e Demian ma se è
così, qualsiasi cosa
sia deve essere qualcosa di grosso".
"Lo
è..." - le rispose, laconico.
Demelza
lo fronteggiò. "E nonostante questo, vuoi portarli?".
"Proprio
per questo devo portarli! A volte dai nemici ci si nasconde meglio
sotto al loro naso che nei meandri oscuri".
Si
guardarono e Demelza non chiese più niente. Ma Ross sapeva
che a
breve, forse, sarebbe stato costretto a dirle tutto. E volente o
nolente, sua moglie avrebbe dovuto stare a sentire.
E
persa ogni traccia di risate e malizia, si alzarono dal letto pronti
ad affrontare la giornata che già di suo era buia e
nebbiosa. Per
fortuna a breve sarebbero arrivati Dwight e Caroline e con loro,
forse, avrebbero potuto trovare una soluzione a quella strana
situazione o ideare un piano in caso di bisogno.
...
Nonostante
le tante preoccupazioni, era stato un pranzo piacevole e Caroline e
Dwight, assieme alle loro due pestifere bambine, come sempre avevano
portato una ventata di allegria in casa.
Demelza
era stata catturata dalle chiacchiere di Caroline che, giunta con un
grosso borsone, le aveva mostrato tutti i vestitini nuovi comprati
per Sophie e Melliora nella capitale, Bella, i gemelli e le piccole
Enys avevano messo ancora più alla prova le tre nuove,
disperate
domestiche e Ross aveva potuto parlare un pò con Dwight
degli
incontri di Londra e degli strani risvolti che si prospettavano.
"Forse
ti preoccupi per niente o forse ne hai tutte le ragioni" - aveva
detto Dwight - "Ma hai diversi fattori a tuo favore e li devi
sfruttare appieno. I gemelli non parleranno mai, non conoscono la
verità. Nessuno potrà mai insinuare che non sono
figli tuoi e i
certificati di nascita falsi redatti quasi quattro anni fa da Jones
sono talmente perfetti che nemmeno un falsario si accorgerebbe che
non sono autentici e infine hai già Clowance coi capelli
biondi. Il
biondo è un colore che ricorre spesso nella tua famiglia".
Ross
aveva annuito, erano tutte cose che lui e Demelza si erano ripetuti
spesso in quei giorni ma di fatto qualcos'altro lo preoccupava
più
di tutti. Se Clowance quasi aveva scordato l'origine dei gemelli e
praticamente non ne parlava mai, per Jeremy non era così. La
scarsa
affezione da sempre dimostrata verso i piccoli, il suo non essere
riuscito ad accettarli del tutto e l'incontro con l'affascinante
Odalyn potevano portare il ragazzo a dire più del dovuto,
anche solo
spinto dalla voglia di avere per confidente quella affascinante
ragazzina nordica. Al momento non provava molta simpatia per lei ma
Ross sapeva bene quanto in fretta, a quindici anni, si possa cambiare
idea davanti a una bella ragazza...
Dopo
cena, mentre Demelza faceva il bagno ai piccoli, raggiunse il figlio
nella sua stanza. Jeremy era sul letto, intento a leggere un libro,
quando bussò ed entrò.
"Papà?".
Jeremy
pareva abbastanza sorpreso della sua presenza e forse non aveva tutti
i torti. Raramente entrava nella sua stanza e anche se ormai era un
adolescente, era ancora a Demelza che Jeremy si rivolgeva di
più.
"Posso parlarti?".
"Di
cosa?" - chiese il ragazzino, mettendosi a sedere e chiudendo il
libro.
"Cosa
leggi?".
"Un
libro sulle nuove pompe a motore, l'ho trovato nella libreria dove
sono stato ieri con la mamma".
Ross
sospirò, la sua avversione per la tecnologia era ormai
insuperabile.
"Meglio i vecchi e affidabili modelli, il nuovo è sempre un
salto nel vuoto".
"Il
nuovo è progresso" - lo corresse il figlio.
Ross
gli diede un pizzicotto sul braccio. "Che vuoi che ti dica? Sto
invecchiando...".
Jeremy
rise. "Un pò. Ma perché sei quì, di
che volevi parlarmi?".
Ross
si fece serio, era un discorso che voleva che Jeremy recepisse
appieno. "Si tratta della cena dai norvegesi, dovremo andarci
tutti, gemelli compresi. Sei
grande abbastanza per sapere che per noi la Norvegia rappresenta un
campo minato e sai anche il perché, quindi... Volevo solo
premurarmi
che tu sapessi che devi stare attento
a ciò che dici, non vorrei che ti lasciassi sfuggire
qualcosa con
Odalyn".
Anche
Jeremy divenne serio. "Non mi piace avere a che fare con lei, te
l'ho detto...".
"Ma
potresti cambiare idea".
Il
ragazzo incrociò le braccia al petto, pensieroso. "Forse...
Ma
forse no, ma
nonostante ciò
è questo che non mi piace quando di mezzo ci sono i gemelli".
Ross
non capiva... "Cosa?".
"Dover
mentire senza sapere perché. A tutti quelli che conosco o
conoscerò.
A causa loro, non potrò mai essere del tutto sincero con
nessuno".
Ross
rimase di sasso a quelle parole perché in esse c'era un
fondo di
verità a cui non aveva mai pensato. La causa era nobile e la
sicurezza dei piccoli primaria, eppure per un ragazzino doveva essere
difficile gestire quel segreto sapendo che forse avrebbe dovuto
custodirlo per sempre anche davanti ai suoi affetti più
sinceri.
"Beh, non abbiamo mentito proprio a tutti, gli amici più
fidati
sanno la verità".
"I
tuoi amici, papà, non i miei".
Ross
gli accarezzò i capelli, colpito dall'intelligenza spiccia
di suo
figlio, tanto simile a quella di Demelza. "E' vero e so che non
è facile. Io non credo che dovrai sempre mentire a tutti e
fondamentalmente non credo nemmeno che sia così importante
raccontare delle origini dei gemelli, ora fanno parte della nostra
famiglia e solo questo conta".
Jeremy
sostenne il suo sguardo, attento alle sue parole. "Sì ma un
giorno anche loro saranno grandi, non credi che vorranno sapere? O
che dovrebbero sapere...".
Erano
tante domande e Ross non aveva tutte le risposte. "Viviamo
giorno per giorno, Jeremy. Questo me l'ha insegnato tua madre,
è
inutile stare a pensare a problemi ancora lontani a venire o che
forse mai si presenteranno. Un giorno forse dovrò dire ai
gemelli la
verità e a quel punto decideranno che vorranno fare...".
"E
a noi? La dirai la verità? Perché io,
papà, me la chiedo spesso e
mi fa un pò paura".
"Paura
di cosa, Jeremy?".
Il
ragazzino arrossì, abbassò il capo e non rispose.
"Niente di
importante...".
"Dimmelo...".
"No,
non è davvero il caso. E potresti arrabbiarti o potrebbe
succedere
un disastro".
Ross
si accigliò, preoccupato. "Jeremy, puoi parlarmi di tutto,
lo
sai".
"Non
di questo".
"Cosa
temi, sui gemelli?".
Jeremy
riprese in mano il libro, giocherellando nervosamente con le pagine.
"Come hai detto prima, meglio pensare ai problemi quando
vengono, non prima. Starò attento con Odalyn, te lo
prometto" -
tagliò corto.
Ross
si sentì sollevato solo in parte perché c'era un
muro fra lui e
Jeremy, che si era eretto dopo l'arrivo dei gemellini. E voleva
sgretolarlo, in un modo o nell'altro. "Ti credo e mi fido di te.
Per il resto, ritengo
che dovremmo parlarne prima o poi... Senza paura".
"Va
bene" - rispose Jeremy.
Ross
si alzò dal letto, osservando il libro fra le mani del
figlio. "Vedi
di scoprire come migliorare la resa della Grace, lo sa Dio se queste
diavolerie moderne non siano sul serio necessarie".
Rasserenato,
Jeremy annuì entusiasta. "Sì, lo
farò!". C'erano ombre
fra loro, lo sapevano entrambi
e Ross aveva quasi paura a scoprire quali fossero.
Ciò
che però non sapeva era che
quando suo padre gli dava fiducia, Jeremy si sentiva il ragazzino
più
fortunato del mondo.
Lasciato
il figlio e col sottofondo di Bella che cantava a squarciagola una
canzoncina di dubbia provenienza appresa
forse al Red Lion e con la voce di sua madre
che la incitava a non cantarla
più,
Ross scese al piano di sotto per bere un bicchiere di buon vino prima
di andare a letto. Ne aveva decisamente bisogno...
Ma
sulle scale fu quasi investito da Prudie che lo travolse. "Signore,
faccia qualcosa!".
Ross
la occhieggiò, che c'era ancora? "In merito?".
"I
gemellini, dopo il bagno, mi sono scappati e ora sono in giardino a
fare i matti, in camicina da notte".
Ross
spalancò gli occhi. "In giardino? Santo cielo Prudie, fa
freddo, è ormai autunno e il tempo è molto
umido
con questa nebbia".
Prudie
si mise le mani sui fianchi. "Lo dica a loro! NOI abbiamo
freddo, quei due esseri infernali NO!".
Accantonata
l'ipotesi del vino, Ross scese stancamente le scale. "Vado a
recuperarli o a Demelza verrà un colpo se saprà
che sono fuori".
"Buona
idea!" - borbottò la donna.
Ross
la ignorò o se la sarebbe mangiata in un boccone per essere
riuscita
a farsi fregare da due nani di tre anni e mezzo e poi si
avviò verso
il giardino.
Uscì
fuori
e rabbrividì. La temperatura non era particolarmente bassa
ma la
nebbia carica di umidità faceva apparire tutto gelido, anche
se era
solo ottobre.
Vide
i bimbi che giocavano a nascondersi sotto una siepe, scalzi e in
camicia da notte, perfettamente a loro agio ed incuranti del freddo.
Ripensò ad Oslo e ai tanti bimbi come loro, dai colori
identici e
dall'aspetto simile, visti a giocare per strada fra cumuli di neve e
ghiaccio con indosso semplici mantelle. I suoi gemellini erano ormai
inglesi e con abitudini anglosassoni ma spesso Ross si trovava a
pensare a quanto la loro terra, inconsciamente,
potesse richiamarli alle loro vere origini. Erano figli del nord, di
Odino come disse la loro balia... Ma come gli aveva detto poco prima
anche il saggio Dwight, c'era da considerare la cosa sotto tante
angolazioni e loro due sì, erano nati ad Oslo ma... lo
chiamavano
papà, sentivano di appartenere a lui e a Demelza e questo
doveva
essere più forte di tutto il resto, soprattutto del legame
con una
terra dove erano nati ma che era stata da subito nemica.
Di
soppiatto si avvicinò, sorprendendoli alle spalle e
prendendoli in
braccio prima che avessero tempo di fuggire. "Siete nei guai! E
la vasca da bagno vi attende di nuovo".
"Lo
abbiamo appena fatto il bagno!" - protestò Daisy.
Ross
le mostrò la camicina da notte, sporca di fango. "E dopo
sareste dovuti andare a letto, non rotolarvi nel fango. Fa freddo, vi
viene un raffreddore se fate così".
"Io
non ho freddo e stavamo cercando le fate nella nebbia" - disse
Demian, il più fantasioso fra i due.
"Le
fate nella nebbia?".
"Sì
papà, è una storia che ci ha raccontato mamma" -
lo istruì
Daisy. "E non fa freddo".
"Si
gela" - li corresse.
"Io
non gelo" - obiettò Demian che in effetti sembrava accaldato
più che infreddolito. "E mi piace il freddo".
"Anche
a me" - aggiunse Daisy - "Quando fa freddo mi sento...
più... più...".
Ross
la baciò sulla fronte, era adorabile quando,
tutta seria, si
lanciava nei suoi strampalati discorsi. "Più, cosa?".
"Più...
a casa...".
Quella
risposta tanto
candidamente disarmante lo
spiazzò. E ancora una volta gli mostrò la grande
differenza che
intercorreva fra lui e loro,
una distanza abissale di cui i piccoli ancora non erano consapevoli
ma che forse, crescendo, avrebbe chiesto il conto.
O
forse no, forse era solo lui ad essere eccessivamente sul chi va la,
dopo l'invito di Haakon e Odalyn. Ciò che contava era che
quei
bambini
erano suoi
e anche se non per nascita o sangue,
lo chiamavano papà. E questo gli bastava...
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Capitolo 17 *** Capitolo diciassette ***
La
carrozza procedeva placida, in una serata piovosa e umida, diretta
verso la casa del console norvegese.
Ross
era teso, Demelza era preoccupata da mille incognite, non ultima...
"Cosa
non dovete fare?" - chiese ai tre figli più piccoli, seduti
davanti a lei.
"Non
devo strillare" - disse Bella.
"Non
devo gattonare sotto il tavolo e scappare per la sala" -
aggiunse Daisy.
"Non
devo tirare le briocioline di pane" - concluse Demian.
Ross
li guardò storto, abbastanza certo che quei buoni propositi
si
sarebbero infranti al primo momento di noia. Demelza invece
incrociò
le dita, sperando che i bambini mantenessero la parola data. Del
resto, pensò, erano così adorabili quella sera,
tanto da sembrare
angioletti... Se Jeremy aveva indosso un completo ormai da ragazzo
grande simile a quello del padre, Clowance, Bella e Daisy indossavano
abitini identici, rossi, con le maniche a sbuffo e un grazioso nastro
di velluto borbeaux legato in vita, dello stesso colore di quello che
teneva a bada le loro code di cavallo. Demian invece indossava un
vestitino di velluto blu, pantaloncini corti, calzine bianche e in
testa aveva una coppola dello stesso colore e tessuto dell'abito e
pareva un piccolo lord con quei suoi capelli biondi e quel suo
sorrisetto irresistibile.
Ross
osservò i gemelli, così biondi, con tratti
così diversi da loro e
che nemmeno il cappello e le code di cavallo parevano celare.
Pregò
che andasse tutto bene e che quello fosse davvero un semplice invito
e non un tentativo di avvicinarsi al segreto che si era portato
dietro dalla Norvegia.
Quando
arrivarono, Haakon e Odalyn, vestiti elegantemente ma senza essere
pomposi, li attendevano nel salotto d'ingresso. Odalyn, con un
vestito di seta verde, sorrise a Jeremy sotto l'occhio vigile del
padre. "Benvenuto, è uno... strano... piacere rivederti".
Haakon
la lanciò un'occhiataccia. "Scusate l'impertinenza di mia
figlia e benvenuti". Squadrò tutti loro attentamente e
poi...
"E' un piacere conoscere la famiglia Poldark al completo"
- mormorò, osservando i bambini più piccoli che
si guardavano
attorno spaesati.
Demelza
annuì. "E' un piacere essere quì e mi auguro di
poter presto
ricambiare a casa nostra il vostro invito". Era la più
evidente
delle bugie e di rivedere quelle persone non aveva nessuna voglia ma
con Ross aveva concordato che era meglio dimostrarsi amichevoli senza
dare l'impressione di nascondere qualcosa,
che negarsi.
Haakon,
con fare mellifluo, la raggiunse, le prese la mano e la
baciò. "Con
vero piacere" - disse in un modo che a Demelza ricordò
inquietantemente Adderly.
Ross
si avvicinò, la sottrasse con eleganza alla presa dell'uomo
e
l'aiutò a togliersi il soprabito. "La nostra casa non
è
altrettanto grande e sfarzosa ma ne saremmo lieti". Era vero, la
casa dei norvegesi era più grande e maestosa,
con ambienti austeri e molto ampi e a lui sembrava uno spreco per un
uomo solo con una figlia ma in fondo provava la stessa sensazione per
ogni nobile che ostentava la sua potenza
ed Haakon non era diverso dagli altri.
Alcuni
domestici arrivarono a prendere i mantelli e ad aiutare i bimbi a
mettersi comodi e Haakon li osservò. "E così,
questa è la
cucciolata Poldark al completo? Come vi chiamate, bambini?".
"Clowance"
- disse la ragazzina.
"Io
sono Bella! E so cantare anche se papà dice che strillo".
"Io
sono Demian e sono il principe di mamma".
"Io
sono Daisy e faccio sempre i disastri".
Haakon
e Odalyn scoppiarono a ridere. "Bei caratteri, i vostri degni
figli, Poldark".
Ross
sospirò, notando quanto lo sguardo dell'uomo non si
spostasse dai
bambini.
Dopo
i saluti e i convenevoli di rito, si
spostarono nel salotto a sorseggiare del brandy e Demelza
scoprì,
con somma sorpresa, che era stato preparato un tavolo per i bambini,
con sopra dolcetti, succhi di frutta e caramelle. E pastelli e fogli
da disegno...
"E'
stata un'idea di Odalyn, dice che a tavola con noi si sarebbero
annoiati" - disse Haakon. "Credo che mia figlia abbia
sofferto di noia per gran parte della sua infanzia, ai vari banchetti
dove la portavo. Ho predisposto per loro anche un menù a
parte,
dubito che apprezzerebbero le ostriche e il salmone alla norvegese
che ho fatto preparare per noi adulti. Pollo e patate al forno
andranno bene
per loro?".
Demelza
era davvero sorpresa e anche Ross pareva colpito da quelle premure
inaspettate di Haakon verso i più piccoli. Questo era un
punto a
favore dell'uomo e forse davvero lo avevano malgiudicato. "Certo,
ne saranno felicissimi".
Haakon
annuì, rivolgendosi poi a Jeremy. "Tu, signorino, quale
tavolo
preferisci? Quello dei grandi o quello dei bambini?".
Jeremy
parve indeciso, non sapeva se avrebbe amato i piatti dei 'grandi', ma
d'altronde non poteva fare la figura del poppante e chiedere di
sedersi a mangiare pollo coi piccoli. Fu Odalyn a toglierlo
dall'imbarazzo. "Io mi siedo coi bambini, sono stanca di
mangiare salmone. Mi fai compagnia?".
Jeremy,
per la prima volta da quando la conosceva,
sentiva di volerla ringraziare. "Certo, volentieri".
"Brava
Odalyn" - le disse il padre, come se la ragazzina stesse
recitando alla perfezione un copione già prestabilito.
"Così
noi adulti potremo chiacchierare in pace".
...
Mentre
i bambini, intrattenuti da una domestica, cenavano rumorosamente
nella stanza a fianco, Demelza e Ross si trovarono a mangiare al
tavolo con Haakon che con galanteria spiegò loro le basi
della
cucina norvegese. "Mangiamo molto pesce, dalle nostre parti ce
n'è in abbondanza. Siamo un popolo di navigatori, abbiamo
conquistato, navigando, terre su terre. Pure questa vostra
Inghilterra ebbe a che fare, secoli fa, coi nostri temibili
antenati".
"E
molte parti del mondo hanno avuto a che fare coi conquistatori
inglesi anche se onestamente non ho mai apprezzato la
volontà di
conquista delle terre altrui" - disse Ross. "Resta comunque
il fatto che la Spagna, a conquiste, ha battuto entrambi nel corso
dei secoli".
Haakon
sbuffò. "Parlate della scoperta del 1492? Roba passata e
ormai
quelle terre le hanno perse. La forza di un popolo sta nel proteggere
ciò che si è conquistato, non bastano le
battaglie a far grande una
nazione ma il saper amministrare ciò che si ha. Guardate
Roma...
Nell'antichità era la padrona del mondo ma poi non ha saputo
proteggere ciò che aveva fatto suo. Un grande popolo deve
saperlo
fare e deve... riprendersi ciò che è stato
momentaneamente perso.
Bisogna ristabilire l'ordine delle cose ed eliminare le influenze che
possono danneggiare il potere acquisito".
"Ad
ogni costo?" - disse Ross, guardandolo negli occhi e scorgendo
in lui la furia dei combattenti nordici.
Haakon
alzò il calice. "Ovviamente" - rispose, con aria di sfida.
Demelza,
col capo basso, si sentiva fuori posto. Avvertiva la diffidenza di
Ross e il suo astio verso le idee di Haakon ma soprattutto, non era
abbastanza istruita per partecipare a quelle discussioni.
Haakon
la osservò di sbieco, cercando di tornare a discorsi
più pacati e
soprattutto, a cose che lo interessavano di più. "Vi state
annoiando, signora?".
"Io?
N...No, no" - rispose lei, arrossendo.
Ross,
sotto al tavolo, le prese la mano. "Mia moglie potrebbe essere
il miglior elemento di Westminster, ha una saggezza che io mi sogno
e se parlaste con lei di politica e dei problemi del mondo, saprebbe
risolverli meglio di quanto il Parlamento ha fatto nel corso dei
secoli".
"Intelligenza
e
fascino" - aggiunse Haakon. "Avete davvero una moglie
bellissima, impossibile non restarne affascinato".
Ancora
una volta, Demelza sentì strisciante il ricordo di Adderly
e pregò che non succedesse di nuovo quanto accaduto anni
prima...
E
lo stesso avvertì Ross. "Sì, un fascino che
orgliosamente
adoro pensare sia solo mio" - mise subito in chiaro.
Haakon
ignorò la frecciatina. "Oh, che uomo crudele! Non vorrete
tenere la vostra adorabile Demelza sotto chiave?".
"Affatto!
Sa difendersi da sola senza che io la salvi
da inopportuni molestatori".
Haakon
lo sfidò con lo sguardo. "Mi ritenete tale?".
"No,
non
fraintendete.
Vi
ritengo
un uomo di buon gusto ma che sa di dover guardare da non troppo
vicino".
Haakon
scoppiò a ridere. "Oh Poldark, noi in Norvegia abbiamo una
mentalità più aperta. Non che non si ambisca alla
fedeltà
coniugale
ma
se per caso capita l'occasione di trasgredire, non ne faccimo un
dramma. Da
noi l'amore è qualcosa di più libero,
è un'arte che si impara da
ragazzini e non abbiamo il mito della verginità fino al
matrimonio
come in molte altre parti d'Europa. Siamo meno bigotti e non lo
nascondiamo... Del
resto il mondo è pieno di amanti clandestini e figli
illegittimi".
Sudando
freddo, Demelza osservò Ross pregando che non lo prendesse a
pugni
per quei discorsi tanto libertini davanti a lei.
"Beh, forse è così. Ma non desidero nulla di
tanto aperto e nulla più di ciò che ho".
Già, era vero
e non lo diceva solo per stemperare la rabbia che sentiva crescente
in Ross davanti a quei discorsi ma anche perché era una
consapevolezza cresciuta in se negli anni e attraverso i suoi errori.
E se per una volta aveva accarezzato la fantasia, resa poi
realtà,
di sfuggire a quello stato di cose, proprio quell'esperienza le aveva
fatto capire che voleva solo suo marito. E che per quanto avesse
voluto bene a Hugh, non avrebbe mai più cercato altro.
"Peccato"
- disse Haakon. "Ovviamente scherzo, anche se amo sedurre il
gentil sesso, non mi permetterei mai di insidiare una tale graziosa
signora sposata e madre. Avete dei figli davvero bizzarri".
"Bizzarri?"
- chiese Ross.
Haakon
sorseggiò il vino, poi si schierì la voce.
"Sembrano figli di
padri diversi. Alcuni così scuri, altri tanto biondi da
sembrare
miei parenti di terra di Norvegia".
Ross
divenne rosso di rabbia. "Figli di padri diversi? Ma come vi
permetteteP?".
Demelza
sussultò credendo
che ora una scazzottata sarebbe stata inevitabile ma
Ross si mantenne stranamente
freddo.
Era consapevole che doveva stare attento a non dare in escandescenze
e che se si fosse oltrepassato un certo limite, forse avrebbe
aumentato i dubbi di Haakon sui gemelli.
"I Poldark sono una famiglia strana. Alcuni, come me, nascono
coi capelli neri. L'altra metà della famiglia è
incredibilmente
bionda. Lo era mio cugino Francis e lo è suo figlio, mio
nipote
Geoffrey Charles. E lo sono mia figlia Clowance e i miei gemellini
mentre Jeremy è un miscuglio fra me e mia moglie e Bella una
mini-me
in miniatura"
- spiegò, in tono glaciale.
Haakon,
altrettanto
serio, insistette sulla questione. "Oh, Clowance è una
incantevole ragazzina che farà a breve innamorare molti
uomini. Ha
dei bei capelli biondi, un biondo tipico inglese visto da molte parti
e su molti volti quì a Londra. I piccoli gemelli invece
sembrano
miei compaesani
invece, più che inglesi. Molti bimbi di Oslo sono tali e
quali a
loro e la cosa mi sembra tanto bizzarra".
Demelza
intervenne. "Sono nati così, che importanza ha?".
"Nessuna,
nessuna" - disse l'uomo. "Quanti anni hanno?".
"Quasi
quattro".
"E
l'altra, Isabella-Rose?".
"Cinque".
Haakon
la studiò in volto e anche se sapeva di essere poco
elegante, lanciò
la sua sfida. "Tre figli in un anno... Povera signora, vostro
marito a letto deve farvi riposare ben poco. Ci credo che non
cerchiate amanti e d'altronde Ross Poldark ha la fama di essere una
persona passionale".
Ross
sentì i pugni tremare e se non fosse stato per Demelza, per
i
bambini nella stanza a fianco e per la loro posizione sociale di
famiglia appartenente a Westminster, lo avrebbe preso a pugni.
Lo avesse trovato in un vicolo buio, lo avrebbe fatto di certo...
Sua
moglie lo guardò implorandolo con lo sguardo di stare zitto
e
lasciar fare a lei. "Non mi lamento di questo, il nostro è
un
matrimonio felice e i figli ne sono la naturale conseguenza. Per me
sono una benedizione, amo essere la loro madre".
Haakon
annuì, per un attimo in silenzio. "Vostro marito ha ragione,
avete il dono della diplomazia e deve essere merce rara fra le fila
di Westminster. Potreste fare politica e ambire ai seggi più
alti,
signora".
"Preferisco
fare la madre" - gli rispose, bevendo del vino e sentendosi
forte come una leonessa che deve difendere i suoi cuccioli. La
curiosità verso i gemelli era sospetta e forse non
così casuale...
E il fatto che Ross non stesse ancora reagendo a quelle frecciatine
era la prova lampante che avvertiva nell'aria il pericolo e si stava
trattenendo per evitare guai peggiori soprattutto ai bambini.
Haakon
osservò Ross. "Dicono che in passato abbiate sfidato a
duello
un rappresentante di Westminster,
è vero?".
Ross
strinse i pugni. "Dicono... E' una delle tante leggende che
circolano su di me".
"E
corrisponde al vero, tale leggenda?".
Ross
sorrise freddamente. "Volete davvero scoprirlo?".
"Ovvio".
"Vi
dico solo questo: se necessario, se dovessi difendere mia moglie o i
miei figli, io impugnerei senza esitazione una pistola e farei
fuoco".
"Ma
non avete risposto ancora alla mia domanda. E' successo o no?".
"Non
credo che vi risponderò, ogni famiglia ha i suoi segreti".
"Certo,
ogni famiglia ha i suoi segreti... Ne sono certo...". Haakon
alzò un calice, pronto a brindare o pronto a un duello non
convenzionale dove avrebbe usato ogni arma a sua disposizione per
arrivare al suo scopo. "Ecco perché mi piacete! Siete
diretto e
non mostrate doppie facce! Mi piacerebbe,
in fondo, sfidarvi
a duello
per vedere chi di noi è migliore".
"Spero
non sarà necessario" - scherzò Ross anche se in
fondo non
scherzava affatto.
Odalyn
e Jeremy entrarono nella sala, seguiti dai piccoli. "Papà,
posso uscire domani? A cavallo, con Jeremy?".
Demelza
e Ross guardarono il figlio. "Cavallo?".
Lui
alzò le spalle. "Non ci crede che so cavalcare".
Haakon
le diede un colpetto sul braccio. "Certo! Fa vedere a questi
inglesi come cavalcano i discendenti dei vichinghi! Mia figlia
è una
cavallerizza nata,
una vera amazzone".
"Anche
mio figlio" - rispose Ross che personalmente aveva insegnato a
Jeremy
a cavalcare e sapeva quanto fosse diventato bravo. Non apprezzava che
i due ragazzini passassero troppo tempo assieme ma non aveva motivo
per negargli il permesso. E non voleva mettere il figlio a disagio
davanti a quella ragazzina impertinente che sembrava divertirsi a
sfidarlo.
"Anche
io voglio andare!" - disse Daisy, picchiando il piedino.
Demelza
la prese sulle ginocchia. "Amore, sei piccola e fa freddo".
La
bimba, imbronciata, intrecciò le braccia al petto. "A me
piace
il freddo".
Haakon
le sorrise. "Davvero?".
"Davvero".
L'uomo
alzò lo sguardo, incrociando quello di Ross. "Interessante,
davvero interessante...".
Ross
si avvicinò, prendendo la piccola dalle braccia della madre.
"Tuo
fratello non ha bisogno di te, ne ho io. Ti insegno ad andare su un
pony, ti va? Domani ne prenderemo uno per te, Bella e Demian".
"E
a me che cosa compri?" - sbottò Clowance.
"Ti
farò andare sul mio cavallo".
E
mentre i Poldark avevano a che fare coi bambini, Haakon
attirò a se
la figlia
in un angolo della stanza.
"Una cavalcata col giovane Poldark, è? Brava, ottima mossa!".
Odalyn
annuì. "Sono norvegesi, i gemelli sono come noi, ci
scommetterei tutti i miei vestiti".
"E
io tutti i miei castelli. Vedi di far parlare il ragazzo, con ogni
mezzo".
Odalyn
lo osservò, decisa a volerlo aiutare ma confusa su quelle
parole.
"Ogni mezzo?".
"Hai
la mia benedizione. Sei grande abbastanza per usare il tuo fascino
femminile, tu ti doni a lui e lui parlerà di ogni segreto di
famiglia come un poppante
dopo che si sarà divertito con te. E non fare quella faccia
sciocca,
è ora che usi i mezzi di cui ogni donna è dotata".
Odalyn
tremò, lo aveva detto davvero? Doveva
davvero... farlo? Ma
non chiese, non osò. Si limitò a rimanere in
silenzio sperando di
non dover fare qualcosa per cui non si sentiva ancora pronta.
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Capitolo 18 *** Capitolo diciotto ***
Erano
tornati in silenzio da quella cena, su una carrozza che avanzava in
una Londra deserta resa ancora più cupa da una fitta nebbia.
Clowance
aveva un'aria annoiata e assonnata, Bella e i gemellini si erano
addormentati sotto una morbida coperta bianca, Jeremy pareva perso
in pensieri lontani ed inperscrutabili e Demelza e Ross combattevano
ognuno al proprio posto, le loro paure più profonde.
Forse
tutto era immotivato o forse Haakon era una di quelle ombre moleste
che Ross aveva sentito sulla schiena anni prima in terra norvegese,
ombre che credeva di aver lasciato indietro ma che mai lo avevano
abbandonato del tutto, come se sapesse che un giorno sarebbero
tornate a chiedere il conto delle sue scelte. Osservò i
gemellini,
tanto belli e simpatici quanto inconsapevoli delle forze che
gravitavano loro attorno, ricordò la promessa fatta a
Jasmine di
salvarli e si sentì in colpa per non essere riuscito a farlo
del
tutto. In realtà era confuso perché di fatto non
aveva alcuna prova
contro Haakon e benché l'uomo fosse decisamente una
compagnia poco
piacevole, non era così strano che avesse notato i diversi
tratti
somatici dei gemellini rispetto a lui e sua moglie. Era successo
anche in Cornovaglia con persone incontrate per via o a Truro ma
quella era gente del posto mentre Haakon proveniva proprio da quella
Oslo da cui lui era fuggito coi bambini ed era un uomo di potere
allora come adesso. Poteva non sapere? Poteva essere uno di quelli
che spiava i suoi incontri con Jasmine finché lei era stata
viva?
Non poteva essere uno dei suoi assassini? Era questo che lo
preoccupava, Haakon poteva essere tutte queste cose ed era un uomo
scaltro che ricordava di aver già visto il suo volto e di
certo, se
era successo, questo non poteva che essere avvenuto ad Oslo.
L'età
dei gemelli era quella che era e quindi non gli ci sarebbe voluto
molto a fare uno più uno... E i bambini sarebbero stati in
pericolo,
se già non lo erano.
Giunti
a casa, aiutò Demelza a mettere a letto i piccoli,
salutò Clowance
e Jeremy ripronendosi di fare due chiacchiere col figlio circa
l'appuntamento con Odalyn
e poi tornò in camera dove sua moglie si stava
già preparando per
la notte, pronto ad affrontare ogni domanda e tutte le sue paure con
lei.
Quando
entrò, Demelza si era già messa la camicia da
notte e aveva legato
i capelli in una lunga treccia. Il camino, acceso da una delle
domestiche, scaldava dolcemente l'ambiente ma si sentiva il gelo
dentro e il bisogno di condividere con sua moglie le sue ansie.
Demelza
lo batté sul tempo. "Non sono tranquilla" - disse solo.
E
lui, senza bisogno di chiederle a cosa si riferisse, capì.
Si
sedette sul letto, le prese la mano e la attirò a se,
facendola
sedere sulle sue gambe. Poi affondò il viso nel suo collo.
"Nemmeno
io".
La
donna prese un profondo respiro, abbandonandosi contro il petto del
marito. "Io non ti ho mai chiesto nulla delle origini dei
gemelli e finché non sarà necessario, non lo
farò. Ma dimmi solo
una cosa, Ross".
"Cosa?".
"Haakon
è un uomo di Stato,
rappresenta la Norvegia. Può un uomo di Stato
essere in
qualche modo relazionato
ai nostri figli e a quello che è successo ai loro genitori
naturali?".
La
domanda aveva senso perché dietro la morte di Jasmine non
c'era delinquenza dei bassifondi ma qualcosa di ben più
ampio, complesso e
articolato. E
anche se Demelza non aveva mai chiesto nulla, in cuor suo sapeva che
lei doveva immaginare che qualcosa di grosso in ballo c'era stato e
che l'omicidio di Jasmine nascondeva una verità piuttosto
articolata
e difficile da gestire. "Sì,
può...".
Demelza
deglutì. "Quindi, dietro ai nostri due biondissimi gemelli,
c'è
qualosa che riguarda... potere... denaro...?".
Ross
chiuse gli occhi, ricordando quanto raccontato a suo tempo da
Jasmine, un racconto a volte soprendente e a volte surreale ma di cui
aveva compreso la pericolosità fin da subito.
"Più di questo,
Demelza... C'è davanti il futuro di una nazione".
Lei
spalancò gli occhi. "Giuda...". Tremò e forse
anche
sentendosi codarda, non osò chiedere altro. Non voleva
guardare i
suoi bambini in modo diverso per nulla al mondo e anche se si sentiva
che a breve avrebbe dovuto sapere la verità, era
intenzionata a
rimandare quel momento il più a lungo possibile.
Ross
proseguì con cautela, rendendosi conto che Demelza era
riluttante a
sapere di più. "Ed è per questo che ero tanto
restìo a tenere
con noi i due bambini. Ora sono felice di averlo fatto e li amo come
fossero nostri, ma Demelza, i rischi che corriamo...".
La
donna lo bloccò. "Li corriamo per una buona causa... O forse
ci
stiamo solo suggestionando e Haakon è semplicemente un uomo
antipatico e troppo ficcanaso. In qualsiasi caso comunque, il nostro
dovere è difendere i bambini".
Ross
ci pensò su e anche se era meno ottimista di Demelza
circa il ruolo di Haakon,
decise di darle ragione. Ma anche che non poteva più
starsene con le
mani
in mano in attesa degli eventi e che se Haakon indagava su di lui per
i gemelli, lui doveva fare altrettanto. E doveva farlo subito
perché
se i suoi dubbi si fossero rivelati fondati, a breve sarebbe stato
sotto sorveglianza giorno e notte. "C'è una persona che
può
aiutarci a scoprire qualcosa di più su Haakon e devo
contattarla
subito, prima che eventuali nemici inizino a tenerci sott'occhio.
Vedi, in Norvegia l'inverno lo si vive sotto una perenne notte senza
mai vedere la luce del sole e in quei giorni di quasi quattro anni fa
erano molte le ombre che mi tenevano sott'occhio dopo essere stato
visto con Jasmine. Li sentivo sulla schiena, dietro alle spalle, che
spiavano la mia vita e il cui sguardo sembrava voler penetrare i
vetri della mia locanda... Ombre scure di cui non conoscevo i volti,
per questo non so dirti se Haakon fosse una di queste ombre o no. Ma
dice di aver già visto il mio viso e la cosa non mi piace
per
niente. Se devo considerarlo un nemico, devo avere la certezza che lo
sia. E so chi potrebbe darmela".
"Chi?".
Ross
guardò verso la finestra,
ricordando il volto gentile e non più giovane di una donna
che aveva
ammirato per coraggio e fedeltà.
"Una persona che non conosci ma che conosce bene i nemici dei
gemelli. Sono certo che mi darà il suo aiuto e che
verrà quì a
spron battuto, se sapesse
che ho bisogno di lei per loro.
Devo riuscire a
contattarla".
"Una
donna?" - chiese Demelza.
"Sì,
la balia dei gemelli dopo la morte dei genitori. Era fedele e Jasmine
affidò proprio a lei la salvezza dei bambini".
Demelza
parve agitarsi. "Vive a Oslo, hai intenzione di partire?".
Ross
le sorrise. "No, sarebbe un gesto troppo sciocco e che
risulterebbe troppo sospetto. Manderò un emissario con una
mia
lettera, chiedendole di venire quì".
"Un
emissario? Jones?".
Scoppiò
a ridere. "No amore mio, mi manderebbe al diavolo se gli
chiedessi di tornare in quelle terre glaciali proprio ora che si
avvicina l'inverno. Jones mi servirà per procurarmi i
documenti
necessari, però".
"E
allora chi vorresti mandare?".
Ross
prese un profondo respiro, pensando alla persona di cui più
si
fidava al mondo dopo Demelza. "Dwight".
"Dwight?".
Ross
annuì, ricordando quando
egli stesso era stato pronto a partire per la Francia per aiutarlo,
anni prima. Ed era certo che, anche se non obbligato, Dwight gli
avrebbe restituito il favore. "Conosce la storia dei gemelli e
gli è affezionato. E al momento non desta sospetti in
Haakon,
nessuno lo ha mai visto ad Oslo e potrà agire indisturbato.
E se
tutto andrà bene, preparati
ad avere una nuova balia per casa".
Demelza
sorrise, colpita dalla bravura di Ross ad elaborare piani,
capacità
che doveva aver sviluppato in quegli anni di spionaggio per il
governo inglese. "E' giovane e bella?" - chiese
scherzosamente.
"Una
nonna dall'aspetto rassicurante, più che altro" - rispose
lui,
baciandola.
Demelza
ricambiò il bacio. "Ottimo, ottimo... E noi, nel frattempo?".
"Dovremo
tenere gli occhi aperti impegnandoci a non perdere il nostro
ottimismo".
"Non
è tanto facile, Ross. Con la questione di Jeremy che ha un
appuntamento a cavallo con Odalyn, poi...".
Lo
sguardo di Ross si incupì, la faccenda non gli piaceva per
niente.
"Forse dovremmo vietarglielo".
Ma
la moglie scosse la testa. "No, non possiamo. Lo umilieremmo di
fronte a lei e, anche se la trova antipatica, non ce lo perdonerebbe
mai...".
Ross
sbuffò. "Possiamo consigliargli di non farlo senza che
sembri
un ordine, magari...?" - azzardò.
Demelza
lo guardò storto. "Tu a quindici anni avresti ascoltato un
consiglio di tuo padre su una uscita con una ragazza?".
Ross
sussultò
a quelle parole,
ricordando anni lontani, due occhi verdi e dei lunghi capelli scuri
che a
lungo avevano turbato le sue notti e
il suo sonno... Distolse lo sguardo. "No, non lo avrei fatto..."
- fu costretto ad ammettere,
arrossendo impercettibilmente.
Demelza
gli prese la mano, divertita dal suo imbarazzo. "Jeremy sa che
deve stare attento, sono certa che non ci deluderà. E Odalyn
dopo
tutto è solo una ragazzina, non possiamo fare la guerra pure
a lei".
"Non
mi piace, come non mi piace suo padre!" - sbottò Ross,
sentendosi incredibilmente simile a suo padre Joshua nel pronunciare
quelle parole.
Demelza
sospirò. "Non deve piacere a te".
"Sì,
forse hai ragione".
"Togli
il 'forse', Ross".
Lui
fece per rispondere ma il rumore della porta che si apriva fece
sussultare entrambi.
Mezzo
assonnato, con la sua camicina da notte e il cuscino fra le mani,
Demian entrò nella stanza correndo da Demelza in lacrime.
"Mamma".
Lo
prese in braccio. "Amore mio, dimmi, cos'è successo? Hai
fatto
un brutto sogno?".
Il
bimbo la
abbracciò. "Sì, cadevo in un buco nero grande
grande e ti
chiamavo e non venivi ad aiutarmi" - piagnucolò.
Demelza
lo strinse forte. "Amore mio, non è nulla, mamma
è quì e
prenderà a calci tutti i buchi neri brutti che incontreremo".
"Giuri?".
Ross
gli accarezzò la testolina. "Giuriamo, io e la mamma! I
buchi
neri brutti saranno sconfitti!".
Demian
si mise il pollice in bocca. "Posso stare quì?".
Ross
scoppiò a ridere, ci avrebbe giurato e avrebbe giurato anche
sul
fatto che Demelza, davanti a quel biondino dagli occhi di ghiaccio
sarebbe capitolata subito. Ma per una sera non dispiaceva affatto
nemmeno a lui dividere il lettone con quel piccolo nano biondo. Pure
lui sentiva il bisogno di sentire accanto il placido respiro dei
bambini addormentati e al sicuro accanto a loro dopo la cena a casa
di quel dannato vichingo norvegese che era riuscito a spezzare la
loro tranquilla e serena esistenza. "Certo, puoi".
Si
misero a letto e Demian si rannicchiò contro Demelza. Ross
spense le
candele e poi abbracciò entrambi, pronto a riposare per puoi
muovere
i primi attivi passi contro Haakon la mattina successiva.
"Uscirai
presto, domani?" - gli chiese Demelza nell'oscurità, dopo
che
Demian fu di nuovo addormentato.
"Sì,
uscirò a prendere il giornale e poi andrò da
Dwight per un tè
insieme. Devo agire prima che Haakon si organizzi e inizi
eventualmente a sguinzagliarmi spie a tenermi d'occhio".
"Dwight
accetterà?".
"Ne
sono certo".
...
"E
così, vuoi spedirmi nel gelido nord a prendermi un febbrone
da
cavallo?".
Dwight
lo disse in tono leggero e Ross sapeva che lo avrebbe fatto, anche se
non era impresa da poco. Dwight, quando aveva bisogno, c'era
sempre...
Quella
mattina si era svegliato prima dell'alba, trovandosi nel letto anche
Daisy e Bella sgattaiolate lì chissà quando
durante la notte, tutte
rannicchiate fra lui e Demelza.
In
silenzio, per non svegliare nessuno, si era lavato, vestito e messo
allo scrittoio, redigendo la lettera per Inge, pregando e sperando
che fosse ancora viva, in salute e in grado di viaggiare fin
lì.
Aveva spiegato a grandi linee, nella lettera, il problema e che aveva
bisogno di lei per capire se Haakon rappresentasse un pericolo,
conoscendo bene l'identità dei nemici dei genitori dei
gemelli e
sperò che Dwight non incontrasse intoppi in quella missione.
"Te
la senti davvero?".
Dwight
sospirò, prendendo la missiva
per Inge e mettendosela in tasca. Ross era arrivato molto presto, in
una giornata fredda e di pioggia dove era stato svegliato prima del
canto del gallo dalle sue figlie che in piena notte avevano deciso di
voler giocare con lui. "Sarà più riposante che
stare quì con
Sophie e Melliora! I tuoi figli non sono altrettanto rumorosi, non
puoi capire".
Ross
scoppiò a ridere. "Vuoi che ti presti Bella per qualche
giorno?
O Daisy, quando ha le balle girate?".
Dwight
sorseggiò il suo tè. "Ti ringrazio, ma mi basta
Caroline".
Ross
gli strinse la mano, un gesto di amicizia e di gratitudine. "Grazie,
non so davvero cosa farei senza di te".
"Saresti
più spesso nei guai, questo sì! Li attiri come le
mosche e anche se
i bambini sono sempre stati una incognita da quando li hai portati
dalla Norvegia, ormai li amiamo tutti, fanno parte della grande
famiglia tua e mia e mi sento uno zio putativo responsabile della
loro sicurezza. Per Demian e Daisy questo e altro. Devo dire qualcosa
a questa Inge, oltre a darle la tua lettera? Hai segnato il giusto
indirizzo?".
"Sì,
c'è tutto scritto nel plico che ti ho dato. Dille solo che
vieni per
conto di Ross Poldark e che ad oggi sono il padre dei piccoli figli
di Odino
che mi aveva affidato".
"Figli
di Odino?" - chiese Dwight, curioso.
"Lei
li chiamava così". Ross si fece serio, cercando di essere
chiaro sulle difficoltà del viaggio che Dwight stava per
intraprendere. "Farà freddo, il buio non lascerà
spazio al
sole, troverai neve, ghiaccio e una popolazione molto chiusa e spesso
ostile con gli stranieri. Inge è una brava persona ma
è molto
diffidente, per lei i gemelli sono tutto, ha rischiato la vita per
proteggerli e so che ci aiuterà, anche se magari all'inizio
ti
guarderà con
sospetto.
Stai attento a chi incontri, non dare confidenza a nessuno,
fingiti un commerciante o qualsiasi cosa tu voglia e usa i
lasciapassare che ti lascerò, che farò
commissionare da Jones.
Cerca di essere invisibile, cerca di uscire negli orari di mercato in
modo da nasconderti fra la folla e imbarcati con Inge in orari non
sospetti, senza dare l'impressione di essere due persone in combutta
e in fuga".
Dwight
rise. "Santo
cielo Ross, sei
peggio di mia madre, mi sembravi lei mentre mi ammonivi a non dar
confidenza a nessuno".
Ross
divenne
rosso in viso.
"Al
diavolo! Mi
stai facendo un grande favore
e devo metterti in guardia circa i pericoli che incontrerai! Per il
resto,
non potrò mai ringraziarti abbastanza".
Dwight
scosse la testa. "E' da anni che sono in debito con te, hai
rischiato la pelle per venire in Francia a salvarmi
quando invece avresti potuto rimanertene a casa con Demelza, Jeremy e
con la piccola Clowance in arrivo.
Questo non l'ho mai dimenticato e se oggi sono un uomo felicemente
sposato e ho delle adorabili - ma rumorose - figlie, lo devo
unicamente a te".
"Non
sei mai stato in debito con me, sei mio amico Dwight
ed era il minimo che potessi fare".
"Il
minimo? Santo cielo, ti sei imbarcato in una missione quasi
suicida!".
Ross
si grattò il mento, in effetti Dwight non aveva tutti i
torti. Ma lo
avrebbe rifatto all'istante. "Ribadisco, per un amico questo ed
altro".
"E
anche tu sei per me
un caro amico,
quindi basta ringraziamenti e scenette patetiche. Vado a dire a
Caroline del viaggio, affronterò le sue obiezioni e
farò pace
portandola a un ricevimento con un abito nuovo. Ho tutto sotto
controllo. Tieni pronto un letto e una stanza per questa Inge".
Ross
gli strinse la mano, grato. "Grazie, posso dirti solo questo".
"In
realtà puoi fare di più!".
"Cosa?".
"Dì
al tuo amico Jones di prenotarci delle navi confortevoli e lussuose,
non voglio navigare nei mari del nord in
pieno inverno, su
delle bagnarole".
Ross
scoppiò a ridere. "Sarà fatto!".
Ma
lui e Dwight avrebbero riso meno se avessero saputo che proprio in
quel momento, in un elegante palazzo non troppo lontano da loro,
anche Haakon stava scrivendo una lettera che doveva arrivare in
Norvegia.
"Illustrissimo
Principe Magnus, il viaggio a Londra si sta rivelando più
interessante del previsto
e per nulla noioso.
Ho incontrato un uomo che avevo tenuto d'occhio anni fa, visto
assieme alla giovane spagnola Jasmine di cui, sospetto, fosse il
confidente. Sparì nel nulla
non si sa come,
con il neonato che la straniera aveva partorito e che avevamo cercato
in ogni dove ad Oslo. Non
è un uomo sciocco o da sottovalutare, ha agito con furbizia
allora e
sicuramente lo farà adesso se è chi penso. Il
bambino o la bambina
hanno da sempre rappresentato una
piccola mina vagante di cui per anni abbiamo temuto il ritorno
ed ora potrebbe essere arrivato quel momento.
Quest'uomo,
tal Ross Poldark,
è
un membro del Parlamento inglese con una numerosa famiglia
che con ingegno e servendomi dell'aiuto di mia figlia Odalyn, sono
riuscito a conoscere per intero.
Hanno
diversi figli fra cui
due bambini di circa quattro anni che tutto sembrano eccetto che suoi
o di sua moglie.
Sono, per caratteristiche fisiche ben precise, figli di Norvegia.
Potrei sbagliarmi ma quel bambino mai trovato non era uno solo ma
potrebbero essere stati due. E ora quell'uomo
- e sono certo che ne è pienamente consapevole -
ha fra le mani qualcosa di molto prezioso e pericoloso per voi e per
la vostra posizione in seno alla dinastia reale.
Chiedo
il permesso di indagare... con ogni mezzo... E col rischio di aprire
una crisi diplomatica con gli inglesi. Il vostro fedele servo, Sir
Haakon del Casato degli Hagen".
|
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Capitolo 19 *** Capitolo diciannove ***
"Credevo
non avresti avuto il permesso!".
Jeremy,
in sella al suo cavallo, guardò in cagnesco la giovane
vichinga che
montava uno stallone nero. Coi capelli sciolti che apparivano
incredibilmente lunghi, un abito da amazzone blu, sembrava
decisamente carina. Troppo per i suoi gusti, così diventava
difficile non ammetterlo a se stesso e non esibire una faccia da
idiota se si soffermava a guardarla. "E io credevo ti saresti
presentata con un pony" - le rispose, a tono.
Il
sole era appena sorto e i due ragazzi si erano trovati fuori dalle
mura nord di Londra per la loro galoppata. Jeremy si era svegliato
presto e sua madre e suo padre, pur avvertendo
la loro preoccupazione, lo avevano salutato senza fargli
raccomandazioni
e
questo lo aveva particolarmente gradito. Orami era grande, era capace
di fare tutto da solo e sapeva bene quanto dovesse stare attento a
quello che diceva sulla sua famiglia, con la ragazza norvegese. Anche
se sempre più, avrebbe voluto parlare da uomo a uomo con suo
padre...
Odalyn
accarezzò la criniera del suo cavallo. "I vichinghi sanno
galoppare alla perfezione".
"Credevo
sapeste solo navigare e fare buchi nel ghiaccio per pescare".
Odalyn
si esibì in un sorrisetto malefico. "Oh, lo facciamo certo!
Con
la stessa maestrìa con cui voi inglesi sapete zuccherare e
sorseggiare il vostro tè del pomeriggio".
Jeremy
sospirò, uno a uno palla al centro in quella strana singolar
tenzone
fra due mondi opposti. "Comunque come vedi, ho il permesso. E
anche tu!".
Lei
scoppiò a ridere. "Io ho SEMPRE il permesso!".
"Non
lo devi mai chiedere?" - chiese Jeremy, piuttosto stupito.
"Mai".
Lo disse sicura ma una fitta allo stomaco la assalì al
ricordo
dell'ultima discussione con suo padre. Guardò Jeremy e
benché
fingesse di essere più grande dei suoi quattordici anni,
all'idea di
donarsi fisicamente a un ragazzo tremava come una poppante. "Mio
padre mi permette... tutto...".
"Tutto,
tutto?".
"Tutto!
Non mi tratta da poppante come fanno i tuoi genitori".
Jeremy
spronò il suo cavallo a mettersi in marcia. "I miei genitori
non mi hanno mai trattato da poppante" - sbottò, deciso a
difenderli - "Mi hanno sempre lasciato scegliere e al massimo
consigliato! Lo fanno con me e anche coi miei fratelli più
piccoli.
Ci spiegano ma ci lasciano fare controllando solo che non ci facciamo
male".
Odalyn
si incupì, lei una famiglia che la vegliasse e supportasse
non
l'aveva mai avuta. Sua madre era morta che era troppo piccola per
ricordarsela e suo padre... Beh, le priorità di suo padre
erano
altre e benché le avesse sempre concesso tutto
ciò che gli
chiedeva, sentiva di non aver mai ricevuto vero amore e supporto da
lui. Suo padre era potente,
era
a conoscenza di
tanti segreti
di Stato,
era temuto ed era abituato a trattare tutti come pedine della sua
scacchiera, pedine che muoveva a suo piacimento per raggiungere i
propri
scopi... Lei era una pedina per lui, forse nemmeno la più
importante. Sentì un groppo alla gola ma lo
ricacciò giù,
accodandosi a Jeremy nella lenta galoppata, decisa a cambiare
argomento. "Comunque, non facciamo solo buchi nel ghiaccio per
pescare".
Jeremy
sussultò. "Cosa?".
"Noi,
i vichinghi, i norvegesi. Siamo maestri nella pesca, vero, i nostri
uomini sanno andare a pescare i grandi pesci dei mari del nord in
mezzo a tempeste e ghiacci ma non c'è solo questo. Siamo un
popolo
antico, sappiamo riconoscere dal fischio del vento se
nevicherà o
farà bello, sappiamo vivere i giorni come voi, anche nel
buio più
totale. Sappiamo anche farci le case col ghiaccio se necessario e
sappiamo anche allevare animali per voi sconoscuti come camosci e
renne. Sappiamo conciare le pelli, siamo ottimi commercianti e fin da
piccoli impariamo a sciare e pattinare sul ghiaccio o non potremmo
uscire di casa nei lunghi mesi invernali. La mia Norvegia è
bella,
la più magica terra del mondo".
Jeremy,
incantato da quel racconto, si rese conto che Odalyn appariva diversa
quando non si atteggiava a piccola adulta. I suoi occhi brillavano
mentre parlava della sua terra, ogni traccia di supponenza spariva e
rimaneva soltanto una ragazzina bionda terribilmente affascinante ma
non più grande della sua età. "A me piace
pescare, sai?".
"Davvero?".
"Sì,
a volte con la barca di mio padre esco a pesca quando siamo a casa
nostra in Cornovaglia".
"Da
solo?".
"A
volte sì, a volte con amici, a volte coi miei fratelli".
A
quelle parole, Odalyn si oscurò, ricordando bene quale fosse
la sua
missione e come fosse assolutamente controproducente che lei si
rilassasse in amicizia con Jeremy parlando di cose assolutamente
inutili. "Coi tuoi fratelli? Sei matto, ti faranno impazzire!".
Jeremy
rise. "Oh una volta in effetti ho preso al volo Daisy che si
dondolava sul bordo della barca e stava per cadere giù in
acqua. Lei
ama navigare, vuole fare la piratessa, dice".
Odalyn
strinse le redini, Jeremy le stava rendendo le cose facili e un
pò
le spiaceva mentire e raggirarlo. "Daisy... La vichinga come
me?".
Jeremy
spalancò gli occhi, tremando. COSA aveva appena detto?
"Come,
scusa?".
Odalyn,
seria e di nuovo padrona della sua autorità, lo
guardò in viso
avvertendo la sua tensione. Doveva approfittarne... "Sembra
così
norvegese, assieme a suo fratello gemello. Vichinghi, più
che
inglesi".
In
allarme, Jeremy cercò di non farsi vedere agitato
perché sapeva che
lei se ne sarebbe accorta. "Una parte dei Poldark nasce bionda.
In famiglia ne abbiamo di... vichinghi... Mio cugino Geoffrey
Charles, i gemelli e Clowance" - cercò di argomentare.
La
ragazzina lo osservò, per nulla convinta dalle sue parole.
E
Jeremy in quel momento si rese conto che era un segreto difficile da
tenere, soprattutto perché non ne conosceva il motivo e poi
perché
era palese che non tutti ci avrebbero abboccato.
Lui stesso al posto
della ragazza
non ci avrebbe creduto perché Daisy e Demian erano troppo
diversi
per essere inglesi e la stessa Clowance, pur bionda, non era
somigliante per niente a loro o a Odalyn.
"Li
avete adottati e non vuoi dirlo!" - tentò
la ragazza.
Jeremy
distolse lo sguardo. "Ti ho detto di no!".
"Tua
madre allora ha avuto un amante norvegese".
Quelle
parole lo fecero diventare rosso di rabbia e se Odalyn non fosse
stata una ragazza, le avrebbe tirato un pugno in faccia! Come osava
parlare a quel modo di sua madre? Non
doveva permettersi, né lei né nessuno al mondo. "Chiedimi
immediatamente scusa per quello che hai appena detto!" - le
intimò, scuro in volto.
Lei
lo fissò senza capire. "Che ho detto di male?".
"Cosa?
Come osi parlare così di mia madre?".
"Ohhh...".
Come colta da illuminazione, Odalyn si sentì in dovere di spiegare
quanto appena detto. Appartenevano a culture diverse e se per un
norvegese la fedeltà non rappresentava un valore assoluto in
un
matrimonio, per gli inglesi la cosa era diversa e quanto aveva
affermato era considerato effettivamente scortese verso la madre di
Jeremy. "Non volevo offenderla ma da noi, spesso, è ritenuto
normale avere amanti anche nel matrimonio".
"Da
noi non è così!".
Odalyn
sbuffò. "Beh, ti chiedo scusa ma sai, credo anche che tu sia
ingenuo. Da quando sono quì, solo una cosa ho capito bene di
voi
inglesi".
"Cosa?".
Lei
alzò le spalle. "Predicate bene a parole ma non siete
così
diversi da noi... Ai vari ricevimenti ho visto molte donne e uomini
dietro a tende o nascosti sui balconi, a flirtare e baciarsi. E non
erano i mariti o le mogli legittimi".
Jeremy
abbassò lo sguardo, ripensando ai mille turbamenti che lo
assalivano
circa l'origine dei gemelli,
ritrovandosi in parte nelle cosiderazioni di Odalyn. Era grande
abbastanza per capire i fatti della vita e che non tutti erano
ciò
che volevano essere o apparire e che i matrimoni e i rapporti sono
cose complicati e spesso non lineari.
Ed
inoltre, anche pensando alla sua famiglia, anche
se era certo della
fedeltà di sua madre, non lo era altrettanto di
quella del padre perché era stato lui a tornare, da una
terra
straniera, con quei due bambini di cui non aveva voluto raccontare
niente. E
se fossero stati il risultato di un tradimento? E
proprio questa paura e il dolore che avrebbe potuto provare sua madre
lo aveva frenato dall'amare quei due fratellini biondi e a suo
modo... imposti. Avrebbe voluto tanto chiedere direttamente a suo
padre ma si era sempre frenato per paura, per risentimento, per
timore di ferirlo se le cose stavano diversamente e
perché... a
volte pensava di non essere bravo a parlare con lui come Clowance o
Bella o addirittura, i gemelli. Ma questo non lo avrebbe mai ammesso
in quel
momento,
non erano problemi di Odalyn e nonostante tutto, da fratello
maggiore, sentiva di dover difendere quei due pestiferi vichinghi. "I
miei genitori sono diversi" - disse
solo,
chiudendo il discorso.
"Come
sei burbero!" - borbottò lei. "Quindi non me lo dirai?".
"Cosa?".
"Dove
avete trovato quegli strani gemelli!".
"Ahhh,
al diavolo! Te l'ho già detto, sono Poldark, Poldark biondi
e basta parlare di loro!".
E poi partì di nuovo al galoppo cercando di seminarla
e chiudere quel discorso.
Ormai erano in aperta campagna e l'aria frizzante del mattino, unita
all'umidità dell'autunno, punzecchiava il suo viso
pulendo tutte le tensioni accumulate.
Presa
alla sprovvista ma perfettamente padrona del suo cavallo, anche
Odalyn partì al galoppo cercando di raggiungerlo. Era una
cavallerizza abile, veloce e abituata a galoppare negli spazi aperti
e non le fu difficile raggiungere Jeremy in pochi minuti.
Galopparono
fino a che i cavalli non furono stanchi, fermandosi sulle rive di un
ruscello.
Rosso
in volto, Jeremy scese dal cavallo per portarlo ad abbeverarsi.
E
Odalyn fece altrettanto.
"Sei bravo a cavalcare. QUASI quanto me...".
Jeremy
sorrise, parte della rabbia sbollita durante la galoppata. "Anche
tu non sei male, per essere una vichinga".
"Te
l'ho detto, sappiamo fare molte cose oltre a pescare salmoni".
Jeremy
la osservò, trovandola per la seconda volta assolutamente
carina. I
capelli, dopo la galoppata, le si erano scompigliati, le guance si
erano colorate e ora sembrava più... amichevole
e ragazzina.
E meno spietata e pericolosa. "E' vero che da voi vivono orsi di
colore bianco?" - le domandò, cercando argomenti
interessanti
ma lontani dai gemelli. In fondo lei arrivava da una terra
affascinante e misteriosa
e anche se avrebbe considerato infantile la sua curiosità,
perché
non approfittarne per conoscere di più quel mondo che da
quando
Daisy e Demian erano arrivati a casa loro, aveva solo potuto
immaginare?
Odalyn
si sedette per terra. "Sì, gli orsi polari. Vivono a nord,
difficilmente si avvicinano alle case e ai villaggi a meno che non
siano disperati per la fame e abbiano cuccioli da nutrire. Sono
animali bellissimi ma selvatici, letali e pericolosi. Amano il freddo
e il ghiaccio".
"Ne
hai mai visti?".
"Una
femmina
con due cuccioli,
tanti anni fa, quando con mio padre andai a nord a trovare un
signorotto che viveva sui fiordi".
"Sono
grandi?".
Lei
ridacchiò. "Potrebbero mangiarti in un boccone, inglesino
caro".
In
fondo anche se spesso lo prendeva in giro, a suo modo era anche un
pochino simpatica. "Sei proprio strana!".
"Anche
tu!". Odalyn sospirò, stendendosi nell'erba anche se era
bagnata di rugiada. Ma quel momento di pace si spezzò quando
le
venne in mente il padre e che quella non era una cavalcata di
piacere. Tremò ma realizzando che non aveva ancora scucito a
Jeremy
alcuna informazione interessante sui gemelli, doveva farlo parlare in
altri modi. E anche se era terrorizzata, lo sarebbe stata di
più di
suo padre se non ci avesse provato con... ogni mezzo. "Hai mai
avuto una ragazza?". Ok, se proprio doveva farlo, quello era il
posto ideale. Isolato, fra la campagna e i boschi e dopo tutto...
sarebbe durato solo pochi minuti. Avrebbe fatto un pò male
ma tanto
prima o poi avrebbe dovuto affrontare anche quel passo
quindi tanto valeva farlo con quel ragazzino apparentemente inesperto
e poco pericoloso.
Colto
di sorpresa da quel cambio di argomento, Jeremy arrossì.
"Che
ti importa?".
"Così,
era per parlare".
"Non
ne voglio parlare!".
"E
allora sei zitello dalla nascita" - lo sfidò.
Jeremy
la fissò stranito, non sapendo bene che dire o fare. Ma poi
scelse
di essere sincero e di chiudere così il discorso. "No, non
ho
mai avuto una ragazza".
"Nessuna
che ti ha voluto?".
"Forse.
O nessuna che ho voluto... Non mi è mai piaciuta nessuna
abbastanza da chiederle
di essere la mia ragazza".
Lei
rise, nervosamente. "Sei un poppante!".
Jeremy
prese una manciata d'erba, la strappò e gliela
gettò in faccia.
"Smettila, nemmeno tu hai mai avuto un ragazzo, vichinga!".
Odalyn
si tirò su, mettendosi a sedere. Forse non negare le avrebbe
facilitato i passi successivi... "Vero. Ma sono curiosa di
provare com'è".
"Com'è
cosa?".
"Quello
che fanno le coppie. Non ti è mai venuta voglia di provare a
vedere
cosa si prova?
Intendo... cosa si prova quando le coppie di notte si uniscano nel
letto...".
Capendo
a cosa stesse alludendo, Jeremy divenne ancora più rosso in
volto.
"Sei matta? Non dovresti essere tanto spudorata e parlare
così".
"Che
c'è di male? E' una
cosa naturale".
Piccato
ma anche spaventato da quel discorso tanto da grandi e così
stonato
nelle parole di Odalyn,
Jeremy si alzò in piedi. "Non ho intenzione di parlare
ancora,
smettila stupida!".
Anche
Odalyn si alzò, fronteggiandolo. Poi prendendo tutto il suo
coraggio
gli cinse le vita, si avvicinò a lui e si
appoggiò al suo corpo.
"Proviamo, chi lo saprebbe?".
Jeremy
avvertì, a quel contatto, il suo corpo che reagiva in un
modo inaspettato che lo fece imbarazzare ed arrossire ancora di
più...
Beh, qualunque cosa Odalyn stesse facendo o volesse, lui l'avrebbe
fermata
anche se fisicamente...
Era curioso, certo. Ma sapeva che era sbagliato per lui e lei e
quindi la spinse via. "Non dovresti comportarti così".
"Non
ti piaccio?".
"Non...
Non è questo, dannazione! Ma dovresti avere rispetto di te e
degli
altri". Santo cielo, si sentiva un predicatore come zio Sam in
quel momento! Ma era quello che sentiva, ci voleva amore o sentimento
per certe cose e lui non li provava e anche se fosse stato, era
ancora presto per... quello... Era qualcosa che riteneva ancora del
mondo dei grandi e si sentiva di non farne parte e che anche per
Odalyn doveva essere così.
Odalyn
provò ad avvicinarsi. "Non lo direi a nessuno".
"Non
mi importa".
"Perché,
Jeremy? Sei così bigotto?".
Lui
abbassò il capo, imbarazzato. "No, ma non mi piace fare del
male alle persone. E ti farei del male e tu ne faresti a te stessa.
Forse dirai ancora che sono un poppante e sì, lo sono
perché penso
che per questo siamo troppo giovani. Soprattutto tu!".
"Ohhh".
Odalyn arrossì e in quel momento
si sentì come se quel giovane ragazzino inglese quasi
sconosciuto si
preoccupasse per lei più di suo padre. Lo guardò
in modo diverso e
le gambe le tremarono perché nessuno si era mai preoccupato
così
per lei e questo la metteva in una brutta situazione. Eppure
provò
gratitudine perché un ragazzo qualsiasi ne avrebbe
approfittato
mentre Jeremy no, era diverso,
era come se avesse capito quanto ancora si sentisse piccola per un
passo del genere.
Ma
in fondo di che si stupiva? Era un bravo ragazzo che prooveniva
da una famiglia unita che lo aveva cresciuto bene e gli aveva
inculcato princìpi che a casa sua nemmeno esistevano, come
il
rispetto verso gli altri. "Mai, mai? Mai lo farai?".
Jeremy
salì a cavallo. "Non ho detto questo. Non lo farò
ora, con
te".
"E
un giorno?".
"Sì,
un giorno lo farò".
"Con
me?".
Jeremy
le indicò il cavallo. "Monta in sella, ti porto a casa".
"Non
mi hai risposto" - obiettò lei.
"Non
so che dirti".
Odalyn
si voltò e sorrise. Il fatto che questo la terrorizzasse non
le
impedì di pensare che un giorno non sarebbe stato affatto
così e le
sarebbe piaciuto scoprire l'amore con lui. "Non è un no?".
"Monta
a cavallo".
"Non
è un no!". E incurante di quello che suo padre avrebbe detto
-
per una volta non le importava - gli ubbidì. E mentre
montava a
cavallo iniziò a pensare e a considerare il fatto che non le
piaceva
il doppio-gioco che era costretta a portare avanti per suo padre e
che se Jeremy era stato onesto e protettivo con lei, doveva fare
altrettanto senza ingannarlo. Ma non sapeva come e suo padre era
troppo potente per combatterlo apertamente. Doveva trovare un modo
per non alterarlo ma allo stesso tempo per non mettere in pericolo i
Poldark. Doveva pensare a un sacco di cose, una volta a casa...
Jeremy
non lo poteva sapere ma aveva fatto accelerare i battiti del cuore di
quella apparentemente fredda vichinga. E forse con la sua scelta,
aveva trovato una valente alleata alla causa della sua famiglia.
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Capitolo 20 *** Capitolo venti ***
Imponendosi
di vivere come sempre e senza dimostrare di avere nulla da nascondere
o di cui preoccuparsi fino al ritorno di Dwight, Ross e Demelza
avevano deciso di andare
avanti
come avevano sempre fatto, senza rinchiudersi in casa nascosti come
topi
ma barcamenandosi come sempre fra impegni, doveri, piaceri e una
ciurma di figli di età diverse e vivacissimi che avevano il
diritto
di vivere serenamente.
Per
giorni Ross aveva lavorato incessantemente in Parlamento, aveva
presenziato ad eventi, aveva passeggiato con i suoi pari nei grandi
parchi del centro e si era sforzato di mantenere una parvenza di
normalità che l'incontro con Haakon aveva spezzato in lui e
sua
moglie. Non lo aveva più rivisto dalla cena a casa sua ma
era certo
che prima o poi ci avrebbe di nuovo avuto a che fare e
silenziosamente aspettava la sua prossima mossa. La speranza che
tutto fosse un parto della sua fantasia era l'appiglio che lui e
Demelza si erano concessi per non cadere nell'angoscia ma Ross era
consapevole che un uomo del genere, col potere che disponeva, sapeva
fin troppo di quanto successo anni prima in Norvegia e del mistero
che aleggiava sui bimbi. Che dal canto loro, fortunatamente, erano
giocosi come sempre.
Jeremy
era diventato silenzioso dopo l'appuntamento con Odalyn e Ross si era
ripromesso di parlare col ragazzino appena ne avesse avuto occasione
per cercare di capire cosa gli passasse per la testa e magari
indagare, senza risultare invadente, sulla misteriosa ragazzina
norvegese che pareva aver messo gli occhi su di lui. E forse suo
figlio su di lei, anche se sperava di no. Pregava che Dwight portasse
notizie confortanti circa la vera identità di Haakon oppure
ogni
eventuale legame fra Jeremy e la ragazza sarebbe diventato fonte di
tensioni e problemi in famiglia e non voleva vestire assolutamente i
panni del padre repressivo e autoritario.
Ross
teneva gli occhi aperti ma per il momento non si sentiva spiato come
era successo ad Oslo e quindi, anche se sapeva che questo non voleva
dire nulla e di certo non lo faceva sentire del tutto al sicuro, fino
al manifestarsi di eventuali problemi cercava di stare tranquillo.
Forse di nemici non ce n'erano o forse si stavano organizzando per
tendergli una trappola ma l'unica cosa intelligente da fare, in
entrambi i casi, era continuare con la sua quotidianità.
Quella
domenica mattina si era svegliato presto, richiamato all'ordine dai
gemellini e da Bella che all'alba avevano deciso di non voler
più
dormire. Le bimbe avevano insistito per farlo alzare per andare con
lui a comprare il giornale e per
fare colazione insieme
- erano decisamente affascinate dalla vita mondana di Londra e dalle
sue pasticcerie eleganti e piene di manicaretti -
mentre Demian ne aveva approfittato per infilarsi nel posto
più
sicuro del mondo, dove nessun nemico norvegese avrebbe mai potuto
sfondare le difese: fra le braccia di mamma-Demelza...
Ross
si era vestito e in fondo, divertito dall'entusiasmo delle due
piccole pestifere di casa, era uscito con loro dopo averle vestite
con pesanti cappottini e cappelli di lana per difenderle dal freddo
ormai pungente del primo mattino.
Londra,
ancora sonnecchiosa, appariva affascinante nel velo di nebbia che la
avvolgeva e la faceva sembrare ovattata.
Con
Bella tenuta in una mano che saltellava e Daisy nell'altra mano che
faceva mille domande e non la finiva di chiacchierare, Ross temeva
che qualcuno, svegliato da quel baccano, avrebbe rovesciato loro in
testa il pitale che teneva sotto il letto. "Shhh, molta gente
dorme, non fate baccano" - intimò loro, camminando nelle
strade
ancora quasi deserte.
"Ma
è giorno!" - mugulò Bella. "Che ci fanno tutti a
letto
quando si può uscire?".
Ross
sorrise, un giorno - quanto più tardi possibile sperava -
Bella
avrebbe compreso quanto bello fosse per un adulto il letto, condiviso
con chi si ama... "Ai grandi piace... dormire".
"A
me no".
"Neanche
a me, è noioooosoooo" - aggiunse Daisy.
Ross
scoppiò a ridere. "Noioso? Chi ti ha insegnato questa parola
così difficile?".
"Jeremy!
Lo dice sempre quando gli chiediamo di giocare con lui. Siamo
noiosiiii, lo stufiamo".
Bella
annuì. "E lui è noioso quando lo dice".
Ross
osservò la morettina che pareva sapere il fatto suo. "Beh,
gli
strilli sempre nelle orecchie quando legge, certo che è
noioso".
"Io
non strillo, canto".
Beh,
avrebbe avuto molto da ridire sul concetto di canzone ma in quel
momento, proprio mentre stavano per entrare nella pasticceria
prescelta per fare colazione, un incontro inaspettato e piuttosto
spiacevole lo bloccò.
Impettito,
vestito elegantemente e con un cilindro in testa, George Warleggan
usciva dal locale, con a fianco il dodicenne Valentine e tenendo per
mano una paffuta bambina dai capelli castani di circa sei anni...
Ross
si bloccò, deglutendo. Erano anni, era da quando George
aveva
lasciato Trenwith dopo la morte di Ned Despard
e
il
loro strano sodalizio contro i francesi che non
lo incontrava
se non sporadicamente, in Parlamento.
George pareva invecchiato in quegli anni mentre Valentine sembrava
molto
cresciuto.
I suoi
ricciolini neri arrivavano fino alle spalle, il viso pareva
corrucciato ed impenetrabile e il suo sguardo
e i suoi tratti
avevano
così poco di Elizabeth,
ma soprattutto, di George.
Era solo un ragazzino come Clowance ma in quel momento, osservandolo,
a Ross parve di vedere
incombere
su di lui il peso del peccato di una notte nera e senza sentimenti.
Era come se l'alone cupo
che aveva catturato Ross quella notte, conducendolo verso il baratro,
si fosse posizionato su quel bambino senza colpe e ne minacciasse
l'intera esistenza. Erano solo fantasie forse ed Elizabeth non era
mai stata chiara a riguardo eppure Ross, pur non riuscendo al
ammetterlo a se stesso fino in fondo, sentiva un collegamento con
quel bambino taciturno, sfuggente e di fatto estraneo, se non per un
paio di occasioni dove aveva interagito con lui. In fondo George,
portandolo via anni prima, gli aveva fatto un favore e aveva reso le
cose più facili per tutti. Un tacito e silenzioso accordo,
questo
era stato il succo del discorso avvenuto attorno al tavolo di Nampara
fra lui, George e la stessa Demelza... Una verità che non
poteva
essere negata ma nemmeno detta ad alta voce li aveva uniti nell'unica
scelta giusta per ognuno di loro e soprattutto per il piccolo
Valentine.
George,
che Ross lo aveva visto di rado solo in Parlamento e che di fatto lo
aveva sempre evitato, non poté fare a meno di fermarsi,
trovandoselo
faccia a faccia. "Poldark...".
Ross
annuì, evitando di guardare Valentine. "Che strambi incontri
che si fanno di mattina fra le nebbie di Londra" - disse,
cercando di apparire scherzoso.
"Molto
strani ma avevo sentito così tanto baccano che con mio figlio
e mia figlia
siamo usciti dalla pasticceria a vedere chi era quel selvaggio che
faceva tanto chiasso quando la gente di
solito ancora dorme.
Ora comprendo l'origine del disturbo
e non me ne stupisco affatto...
Chi altri poteva essere?"
- disse, squadrando le due bimbe che Ross teneva per mano
e usando il medesimo sarcasmo del suo eterno rivale.
Ross
sorrise, in fondo era anche divertente punzecchiarsi e ormai era
chiaro ad entrambi che il tutto si riduceva a una questione di
parvenza più che di astio vero e proprio. Da quando George
lo aveva
salvato da quel duello con l'ufficiale francese, era come se fossero
giunti a una deposizione delle armi ammettendo l'uno con l'altra i
rispettivi pregi o mancanze. Ormai erano adulti, che senso aveva
combattere e azzuffarsi come ragazzini? "In effetti ho delle
figlie molto rumorose e allegre. Ma a mia discolpa posso dire di aver
detto loro, più volte, di fare meno baccano".
"E
ovviamente non vi hanno ascoltato. A differenza di Valentine e di
Ursula che di solito sono ubbidienti e giudiziosi".
Ross
fu costretto a guardare entrambi i bambini. Valentine così
scuro e
diverso da George, era quanto di più stonato esistesse nel
casato
dei Warleggan. Era diverso come erano diversi Daisy e Demian dai
Poldark e forse questa similitudine lo metteva in allarme
perché
aveva la dimostrazione vivente di come il mondo guardasse con
sospetto ai suoi gemelli e di come sarebbe stato difficile celarne a
lungo le origini. Se Valentine sembrava tutto eccetto che un
Warleggan, Daisy e Demian parevano in tutto e per tutto figli della
loro terra e non dei Poldark.
Fisicamente quanto meno perché carattere, cuore e animo
invece erano
influenzati da chi li cresceva e se si sentiva sicuro sui gemellini,
di certo non lo faceva stare tranquillo il fatto che Valentine
crescesse con George. Poi osservò Ursula. Non l'aveva mai
vista
quella bambina la cui nascita aveva sancito la fine dell'esistenza di
sua madre. A volte si era chiesto come fosse, se somigliasse ad
Elizabeth e se ne avesse ereditato la bellezza ma ora che l'aveva
davanti, a differenza di Valentine si rese conto che la piccola era
in tutto e
per tutto una
Warleggan. Non c'era nulla in lei dell'eleganza e della grazia di sua
madre,
era
piuttosto sovrappeso, il viso e i capelli erano uguali a quelli del
padre, era carina con quelle guance piene ma non bella e anche il
modo di camminare era piuttosto goffo
e sgraziato.
Provò pena per lei, per non aver potuto conoscere sua madre
e anche
per Elizabeth che non aveva potuto godere delle gioie di quella
maternità senza ombre, a differenza di quella di Valentine
che
l'aveva portata in una situazione pericolosa all'interno del suo
matrimonio. Ancora se ne sentiva responsabile ma che senso aveva
parlarne, ora?
"Beh George, dicono che la vivacità sia indice di salute"
- disse, cambiando argomento.
"I
miei figli sono sani".
"Oh,
non ne dubito".
Stanca
di quella situazione di stallo, Bella lanciò un sassolino
col piede
e poi si rivolse a Ursula. "Vuoi giocare con noi tanto che i
grandi parlano?".
Ursula
guardò suo padre, poi compreso lo sguardo di biasimo, scosse
la
testa. "No, grazie".
"Perché
sei troppo grassa per correre?".
La
domanda fece avvampare Ross che abbassando lo sguardo, si rivolse
all'autrice di tale affronto... Sperando che George comprendesse che
in fondo era una bambina piccola, la bloccò prima che la sua
soave
vocina dicesse altre cose che potevano scatenare la guerra dei mondi.
"DAISY! Chiedi scusa immediatamente".
"Perché?"
- chiese la piccola, con innocenza.
Valentine
fece per ridere ma si trattenne mentre George, miracolosamente, con
due parole liquidò la situazione. In effetti lo aveva notato
pure
lui quanto poco aggraziata fosse la figlia
e sarebbe stato idiota nasconderlo o fare finta di nulla...
"Padre selvaggio ed incurante delle regole e dell'etichetta,
madre cameriera di cucina, figli selvaggi...
E'
la naturale logica conclusione degli eventi della vostra vita...".
Ross
sospirò. "Ciò nonostante, la bimba
chiederà scusa alla vostra
graziosa Ursula. Vero Daisy?".
La
bimba osservò Bella senza capire che aveva detto di male,
poi suo
padre. "Ma perché?".
"Perché
sei stata scortese con un'altra bambina".
Daisy
ci pensò su e poi si avvicinò a Ursula. "Scusa,
mi dispiace
che sei grassa".
George
scosse la testa e se non fosse stato che ad essere umiliata era stata
sua figlia e che l'artefice era la marmocchia del suo rivale, forse
avrebbe anche potuto apprezzare la faccia tosta di quella biondina
insolente. "Vedete, Ross? Quì sta la differenza fra una
buona e
una cattiva educazione... Vedo che voi Poldark,
dall'ultimo nostro incontro, vi siete moltiplicati e che buon sangue
non mente".
Ross
sospirò. "Ho altri tre figli, sì, oltre ai due
maggiori che
già avevate visto".
Valentine,
rimasto fino a quel momento in silenzio, alzò lo sguardo su
di lui.
"Altri tre? Non solo loro due?".
Ross
distolse lo sguardo da lui. "La piccola Daisy ha un gemello".
"Non
ne ho mai visti di gemelli" - rispose il ragazzino che sembrava
così rigido, fermo e... finto... in quei modi di fare
forzatamente
formali imposti dal padre...
"Ne
mai li vedrai!" - lo interruppe subito il padre mentre Ursula
frignava a causa di Daisy.
Valentine
lo ignorò. "Vi ricordate di me, signor Poldark?".
Ross
si morse il labbro. "Sì, certo".
"Mi
avevate detto che potevo venire a casa vostra quando volevo!".
Ross
sussultò perché pur mantenendo un tono neutro,
aveva scorto nella
voce
del ragazzino
astio e un muto rimprovero per quella promessa fatta pur sapendo di
non poterla mantenere. Si sentì in colpa perché
all'epoca aveva
agito pensando di fare il meglio ma aveva evidentemente sbagliato.
"Mi dispiace ma purtroppo nella vita a volte si devono cambiare
i propri piani e ora tu vivi quì a Londra con la tua famiglia
in una casa bellissima".
"Ma
avevate detto che potevo venire da voi...".
Valentine
lo ripeté di nuovo, osservandolo
con
occhi cupi e rabbiosi. Era strano, il suo sguardo pareva gridare e
volerlo percuotere ma la sua voce rimaneva monocorde e controllata in
modo anormale per un ragazzino. Era inquietante, in un certo senso...
E Ross non poteva non chiedersi se George avesse ragione o meno,
circa suo figlio e la sua vera essenza.
Anche
George si accorse della tensione che
corrodeva Valentine
e lo interruppe subito, forse percependola come una minaccia. In
fondo conosceva quel
ragazzino
meglio degli altri
e anche se poteva celare al mondo il suo vero carattere, di certo non
poteva farlo con se stesso...
"Per fortuna tua figliolo, ti ho portato via da questi nostri ex
vicini selvaggi. Ringrazia e non biasimare quest'uomo, la lontananza
ti ha preservato da cattive compagnie".
"Il
mio papà è bravo!" - sbottò Bella,
picchiando in terra il
piedino.
"Dipende
dai punti di vista, bambina" - ribatté a tono George.
Ross
prese saldamente fra le sue, le manine delle due bambine. "Credo
sia ora di andare. Ognuno per la sua strada". Già,
decisamente
era ora oppure le cose sarebbero diventate difficili per tutti e
quella discussione avrebbe potuto portare a conseguenze spiacevoli.
Soprattutto con Valentine... E per il bene suo soprattutto, era
meglio continuare ad imporsi la lontananza che aveva chiesto ed
ottenuto George anni prima in uno di quei... rari... momenti in cui
aveva saputo dimostrarsi più maturo e saggio di lui.
George
alzò un sopracciglio. "Caspita, per la prima volta sono
d'accordo!".
"Evento
raro ma ben accetto" - mormorò Ross.
Valentine
lo fissò di nuovo. E anche se non lo disse ad alta voce ma
lo
mugugnò impercettibilmente, a Ross parve di sentire...
"Dannato
bugiardo... Io non dimentico...".
Aveva
capito bene? O era stata la sua fantasia? O il vento? O la sua
coscienza tormentata che si sentiva in colpa?
Ross
osservò il ragazzino ma Valentine sembrava ora
disinteressato a lui
e pronto a ripartire per riprendere la sua strada. Era solo un
bambino, non poteva averlo detto, doveva essersi sbagliato eppure...
eppure era tanto inquietante nel suo sguardo controllato ma cupo.
George
salutò Ross frettolosamente e poi coi due bambini se ne
andò.
La
strada ora era di nuovo deserta e avvolta nella nebbia.
"Papà?"
- lo chiamò Daisy, facendolo sussultare.
Ross
abbassò lo sguardo, incontrando gli occhi color ghiaccio
della
piccola. Sua figlia, a dispetto del legame di sangue. Cocciuta e
senza peli sulla lingua come lui, come Bella, come ogni Poldark che
si rispetti. Sua figlia molto più di quanto, se le cose
fossero
state diverse, sarebbe mai stato Valentine. Quel ragazzino
concepito forse in una notte spaventosa in cui aveva quasi perso
tutto, la donna che amava, suo figlio Jeremy, il suo futuro con loro
e una parte del rispetto per se stesso, quel bambino maledetto da
Agatha e nato in una notte di luna nera riportava a galla antichi
fantasmi, sensi di colpa e una parte di se e della sua vita che
voleva dimenticare ma non poteva perché sarebbe rimasta
sempre lì,
a riapparire come un fantasma nefasto dalla nebbia
come
le ombre dalla Norvegia, come tutti i segreti che custodiva in se
e che stavano diventando pesanti da portare sulle sue sole spalle.
No,
non era stata una bella idea uscire con le bambine quella mattina e
Valentine gli aveva lasciato addosso una strana inquietudine che non
riusiva a scrollarsi di dosso. Maledetta quella notte, maledetto il
fato che aveva portato via Elizabeth lasciando solo con George quel
ragazzino, maledetti i segreti che si portava dietro che ormai
stavano diventando troppi e che per quanto riguardava i gemelli,
aveva bisogno di condividere con Demelza appena Dwight fosse tornato
con Inge.
"Andiamo a casa..." - disse solo, con voce spezzata e
lontana.
"E
no!" - si lamentò Bella. "E la colazione?".
"La
faremo con la mamma e i vostri fratelli".
"Uffa!"
- sbottò Daisy. "Io voglio i biscottini con sopra gli
zuccherini colorati!".
Ross
la guardò storto. "Tu sei in castigo!".
"Perché?".
"Perché
non si deve dire alla gente che è grassa, soprattutto alle
bimbe!".
"Anche
se è vero?".
"Anche
se è vero, sì!".
"Ma
è grassa sul serio" - intervenne Bella.
Ross
alzò gli occhi al cielo. Troppi, troppi pesi gravavano su di
lui e
il fatto che figli di sangue e figli adottivi avessero preso in tutto
e per tutto la sua impulsività, non lo aiutava affatto...
E
quando rientrò a casa, mentre Demelza preparava i bambini
per la
giornata e per fare colazione insieme, fu Jeremy a mettere il carico
da novanta chiamandolo nella sua stanza.
"Papà,
posso parlare con te? Da solo?".
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Capitolo 21 *** Capitolo ventuno ***
Jeremy,
mentre sellavano i cavalli per una passeggiata, aveva molto
riflettuto su cosa dire a suo padre. Tante cose gli ronzavano in
testa, tanti dubbi lo assalivano fin da troppo tempo e forse la
spudoratezza di Odalyn che parlava di tutto senza vergogna lo aveva
spinto a riflettere sul fatto che il mutismo porta spesso ad
incomprensioni e che era meglio fugare ogni dubbio o sapere la
verità
piuttosto che permettere al suo rapporto con suo padre di logorarsi.
Sebbene
non approvasse il modo di fare così disinibito di Odalyn,
attraverso
di lei Jeremy aveva capito che chiedere, parlare e cercare
chiarimenti sono un modo adulto di affrontare le questioni,
l'importante era il modo in cui lo si faceva. Sapeva di non essere
ancora grande ma in fondo non voleva nemmeno più essere un
poppante
come lo definiva la ragazzina norvegese e in fondo, anche se con suo
padre non aveva il rapporto aperto che avevano le sue sorelle, Jeremy
era anche consapevole che lui era un uomo irruento, a volte
complicato ma che per lui e per gli altri suoi fratelli c'era sempre,
quando necessario. Però era anche vero che loro due erano
diversi e spesso Jeremy si era sentito estraneo ed incompreso da quel
padre visto da tutti come un eroe ma col quale lui faticava ad
aprirsi, a differenza di
Clowance, Bella e pure Daisy.
Da
sempre, fin da quando era piccolo, Jeremy aveva desiderato solo
che
suo padre
fosse fiero di lui e non voleva di
certo contrariarlo,
ma le emozioni suscitate in lui da Odalyn assieme alla vicenda dei
gemelli tornata prepotentemente alla ribalta e che con la ragazzina e
suo padre
pareva
intrecciarsi,
lo avevano spinto a chiedergli un confronto. Da soli, lontano da
casa, a cavallo. Come fra uomini...
Odalyn
suscitava in lui sentimenti contrastanti e forse parlandone con suo
padre avrebbe potuto capire di più lo strano mondo dei
rapporti fra
ragazzi e ragazze non più bambini e poi c'erano quei due
gemellini
arrivati dal nord... Con una storia misteriosa, amatissimi da sua
madre e che per questo avrebbe protetto ma se doveva tenere un
segreto a discapito di tutto, voleva sapere il perché. Non
era certo
che suo padre lo avrebbe ritenuto degno di condividere con lui i suoi
segreti ma ora era abbastanza grande per domandare, per chiedere
spiegazioni e forse, anche, per esprimere rimostranze o quanto meno
un parere...
Ross,
accigliato, lo affiancava a cavallo mentre placidamente si dirigevano
verso i campi al di la del Tamigi. Non erano molte le occasioni in
cui era uscito a cavallo con suo figlio ed era anche consapevole che
Demelza era più brava di lui a rapportarsi col ragazzino ma
quanto
accaduto a Londra negli ultimi giorni, il pensiero fisso sui rischi
che potevano scaturire dal nord e il coinvolgimento di Jeremy con la
figlia di un suo probabile nemico lo rendevano curioso e impaziente
di sentire ciò che aveva da dirgli. E la situazione gli
metteva
addosso anche una strana ansia perché non era facile avere a
che
fare con un adolescente e se avesse sbagliato parola o frase, Jeremy
si sarebbe semplicemente chiuso a riccio e non avrebbe proferito
parola. "Mi fa piacere che tu abbia voluto uscire per una
cavalcata con me" - gli disse, a ridosso di un muro di cinta che
portava all'aperta campagna. "Soprattutto perchè lo hai
voluto
fare a stomaco vuoto prima di colazione. Mi fa piacere che tu
preferisca la mia compagnia a quella dei dolci preparati dalla
mamma".
"Li
mangerò dopo!".
"Spero
pure io, sempre che ce ne lascino qualcuno".
Jeremy
lo fissò incuriosito. "Non hai fatto già
colazione? Non dovevi
andare alla pasticceria con Daisy e Bella?".
Ross
si oscurò, ripensando all'incontro di poche ore prima e ai
sentimenti risvegliati in lui dalla vista di Valentine. Essere un
buon padre per Jeremy, essere un buon padre in generale... Era come
se la vista di quel ragazzino, il suo sguardo cupo e il suo muto
rimprovero fossero la condanna vivente al fatto che mai avrebbe
potuto esserlo o diventarlo del tutto. Si era macchiato di una grave
colpa, Demelza aveva sofferto, il suo matrimonio ne era quasi uscito
devastato, Elizabeth aveva pagato un prezzo altissimo e ora qualcosa
dentro di lui gli suggeriva che quel buio che aveva avvolto tutti
loro quella notte di maggio si era trasferito sopra Valentine. Si
morse il labbro. "In realtà, poi siamo tornati a casa a
stomaco
vuoto. Con Daisy ma anche Bella in castigo. Ecco, loro stamattina
staranno senza dolcetti". Le bimbe monelle, già. In tutto
questo erano il minore dei mali.
Jeremy
si incuriosì. "Perché?".
Ross
sorrise, nonostante tutto, perché quelle due piccole pesti
erano
insolenti come lo era stato lui da piccolo e in fondo a lui piaceva
questo lato del loro carattere. "Dovrebbero essere più
diplomatiche...".
Anche
Jeremy rise. "Sono troppo piccole per questo, non ci riesco
nemmeno io...".
Ross
sospirò e senza dire nomi, spiegò l'accaduto.
Al
termine del racconto, Jeremy scoppiò a ridere a crepapelle.
"Hanno
fatto piangere una bambina grassa, fantastico!".
Ross
lo guardò storto. "Jeremy, non mostrarti dalla loro parte o
sarà finita!".
Il
ragazzino annuì. "Sì, scusa, hai ragione!". Si
rese conto
che quell'intermezzo divertente aveva rasserenato gli animi di
entrambi e grazie a Daisy, che lui non aveva mai accettato del tutto,
e a Bella, sua fida compare, ora il ghiaccio sembrava rotto.
Anche
Ross si accorse che era tempo di parlare seriamente. "Che cosa
volevi dirmi?".
Jeremy
deglutì. "Prima di iniziare, posso chiederti se posso dirti
tutto?".
"Tutto.
Vuoi parlarmi di Odalyn?". Ross tagliò corto, l'arte della
diplomazia non aveva mai fatto per lui.
Jeremy
arrossì. "Sì, di lei. Ma non solo...".
Ross
gli si affiancò col cavallo. Avrebbe affrontato ogni domanda
di
Jeremy e visto che il suo istinto gli suggeriva che non sarebbe stata
una conversazione facile, decise di partire dalla parte più
semplice: la ragazzina norvegese. "Lei ti piace?".
"N...
No! Cioè... E' strana, mi fa sentire strano! Si
comporta più da
grande delle ragazze della Cornovaglia, si comporta da donna e lo fa
in modo sfacciato. Non ci sono abituato, non so che fare. Dice che
sono un poppante e ha ragione".
Ross
lo studiò in viso. "In merito a cosa, dice che sei un
poppante?".
Jeremy
arrossì ulteriormente. "A... Al fatto che non... voglio fare
le
cose che fate voi grandi".
"Quali
cose?" - chiese Ross. Ma poi, notando l'imbarazzo del figlio e
forse intuendo la natura privata della faccenda, prese il discorso
con più tatto. Un pò perché non era
pronto a quel genere di
discorsi, un pò perché preso alla sprovvista, un
pò perché
imbarazzato, un pò perché Demelza avrebbe saputo
gestire meglio di
lui la cosa. Suo figlio aveva quindici anni e come lui un tempo,
iniziava a sentire pulsioni e sentimenti verso l'altro sesso. Era
normale, ma questo lo faceva sentire vecchio e diverso rispetto al
ruolo da tenere con i suoi figli. Stava finendo il tempo di tenerli
sulle ginocchia e iniziava il tempo di trattarsi da adulti. "Jeremy,
inglesi e norvegesi hanno mentalità diverse. La gente del
nord ha
meno vincoli, ha un modo di vivere più libero e disinibito,
la
società norvegese è ancora molto legata
all'ambiente e al clima
selvaggio delle loro terre, nonché a consuetudini spartane
che si
tramandano da secoli. E' difficile avere a che fare con le ragazze
alla tua età, ancor più difficile è
quando sono così diverse. Ma
se ti piace, allora devi imparare a conoserla e lei deve impegnarsi a
conoscere te, se avete un interesse in comune. Funziona
così, un pò
si da, un pò si riceve".
"Tu
e mamma fate così?".
Ross
sorrise. "Io e mamma ci siamo plasmati a vicenda, eravamo molto
diversi quando ci siamo sposati".
"E
Odalyn? A te piace?".
Ross
sospirò. "No. Ma in realtà credo che non mi
piaccia perché la
collego a suo padre e Jeremy, temo potrebbe rappresentare un pericolo
per noi e per la nostra famiglia
e non c'è bisogno che ti spieghi il perché.
Ma questo non riguarda te e forse nemmeno lei, se fra voi esiste o
esisterà un sincero rapporto di amicizia o altro,
è giusto che ve
lo viviate a dispetto di noi adulti. Sei grande abbastanza ormai per
questo...".
Jeremy
abbassò lo sguardo, stringendo le redini. Con quelle parole,
inconsapevolmente, suo padre lo stava portando al nocciolo della
questione e ora arrivava il difficile. "Papà, non so se lei
mi
piace ma non escludo che in futuro potrebbe succedere. Però
esiste
il fatto che dici che suo padre potrebbe essere un nemico e quindi
lei potrebbe mentire a me. E io sarò costretto a mentire a
lei. Che
amicizia potrebbe nascere da questo? Se non devo essere sincero,
voglio sapere il perché".
Ross
bloccò il cavallo, preso alla sprovvista. Jeremy era come
Demelza,
con poche parole semplici sapeva arrivare dritto al punto mettendolo
al palo e di fatto non poteva contestare nessuna parte dell'obiezione
che suo figlio gli aveva mosso. "E' una storia che vorrei non
raccontare e lo sai".
Lo
sguardo del ragazzino si indurì. "Per proteggerci, lo so! Ma
vorrei non essere protetto e sapere".
"Non
è così semplice".
Jeremy
si morse il labbro, preparandosi a pronunciare la frase più
difficile della sua vita che forse avrebbe potuto incrinare in modo
irreparabile il rapporto fra lui e suo padre. Ma anche a non parlare,
a lungo, gli avrebbe fatto correre quel rischio. "Questo segreto
sui gemelli... riguarda te e la mamma...?".
"Me
e la mamma? Che vuoi dire?".
Jeremy
prese un profondo respiro. Voleva parlare da uomo a uomo con suo
padre e da quasi quattro anni si teneva dentro un tarlo che ogni
tanto pareva corroderlo, distruggendo ogni sua certezza.
"Cioè...
Loro... I gemelli... Mamma si fa chiamare mamma ma in fondo non lo
è
davvero. Tu ti fai chiamare papà ma come mamma, non lo sei
sul
serio... O lo sei...di più?"
"Cosa?".
Ross
impallidì, bloccò il cavallo e quelle parole
stentate di Jeremy
ebbero su di lui un effetto dirompente. Girandoci largo, Jeremy
gli
stava chiedendo se avesse tradito sua madre e avesse fatto due figli
con un'altra donna? Santo cielo, una cosa del genere avrebbe dovuto
renderlo furioso, una mancanza di fiducia e rispetto così
avrebbe
mandato fuori di testa ogni padre ma Jeremy... Jeremy era sensibile,
intelligente, attento. Non era un ragazzino che amava sfidarlo,
adorava e proteggeva sua madre da tutto fin da piccolo e quelle
parole nascondevano amore, non odio. Amore per Demelza, amore per il
bene della loro famiglia e in fondo dubbi leciti di un cuore gentile
a cui sono state celate tante verità. Perché
non ci era arrivato prima, perché non aveva intuito le paure
che si
nascondevano in Jeremy dietro al suo comportamento scostante con i
gemellini? In fondo era così semplice ma forse, proprio
perché
doloroso, non aveva voluto vedere. Faceva parte di lui, dei suo
carattere fuggire dalle ombre ma questo non si era mai tradotto in
nulla di buono, a conti fatti. Di
nuovo, gli venne in mente Valentine
ma se dall'ombra rappresentata da questo ragazzino doveva fuggire per
forza, di certo non voleva farlo da suo figlio, dal suo erede, da
colui nato dall'amore fra lui e Demelza.
Mise
in chiaro i pensieri, prima di parlare, perché in fondo non
era una
situazione difficile da cui uscirne. Imbarazzante, forse, ma quanto
meno non sarebbe stato costretto a mentire. Jeremy
temeva un suo tradimento nei
riguardi di
Demelza e per quanto riguardava i gemelli,
poteva rassicurarlo. Ma in generale, poteva affermare di essere
sempre stato un bravo marito? No... I suoi figli stavano
crescendo
e negli anni avrebbero imparato a vedere
non più la sola perfezione ma anche
i difetti sia suoi che di Demelza.
I bambini non lo sapevano ma
entrambi avevano messo a rischio il loro matrimonio in fondo, ma di
questo non avevano mai voluto parlare. Era qualcosa di privato,
intimo, doloroso,
ma soprattutto, solo
loro... Demelza non avrebbe apprezzato una
eccessiva
sincerità coi figli su questo e lui quindi
poteva
essere sincero riguardo
ai gemelli, ma non in generale.
"Credi che...?" - balbettò.
Jeremy
abbassò lo sguardo, ormai non poteva ovviamente
più fermarsi. "In
Norvegia, hai avuto un'altra donna?".
"No".
Era la risposta più sincera che potesse dargli ed era la
pura e
semplice verità. "I gemellini hanno un padre e una madre che
ora riposano in quelle terre e io ho solo raccolto la loro richiesta
d'aiuto, portandoli via al sicuro. Ma su una cosa ti sbagli, Jeremy.
Sono entrati nella nostra casa, sono figli nostri adesso, sono i miei
bambini ora. Io e tua madre li amiamo e non per finta. Fanno parte
della nostra famiglia e se una volta appartenevano alla terra di
Norvegia, ora sono Poldark. Come me e come te".
Jeremy
rilasciò il fiato, tenuto a lungo bloccato.
Guardò suo padre e si
accorse che era sincero, che lo guardava in viso e che pur teso, non
pareva arrabbiato. Santo cielo, quanto aveva pregato negli anni che,
a quella domanda che forse non avrebbe mai avuto il coraggio di
porre, lui rispondesse così? "Non volevo offenderti".
"Lo
so".
"Mi
dispiace".
Ross
gli poggiò la mano sulla spalla. "Amo tua madre e non le
farei
mai del male".
"Lo
so".
"Ma...".
"Ma?".
Ross
trasse un profondo respiro. "Ma sai, a volte i rapporti fra
adulti sono complicati. Anche gli amori più grandi a volte
vacillano, a volte rischiano di perdersi, a volte si feriscono. Sei
grande abbastanza ora, da sapere che non esiste la perfezione. E'
quando si ama anche l'imperfezione però, che l'amore diventa
vero. E
sai, forse al mondo esiste una donna da sogno come l'Eldorado ma
io... voglio solo tua madre".
"E
lei vuole solo te?".
Ross
annuì. "Sì, ne sono certo". Negli anni,
attraverso ferite
e dolori, avevano imparato che in un mondo con poche certezze, loro
lo erano l'uno dell'altra. "E sai, io non volevo tenere i
gemelli all'inizio, fu tua madre ad insistere e io come sempre l'ho
ascoltata. E' più saggia di me e come sempre, ha avuto
ragione. Ti
immagini una casa senza il baccano di quei due?".
Jeremy
ridacchiò, in effetti erano rumorosi.
Ma
Ross tornò serio. "E soprattutto, Jeremy, sappi che se mai
avessi avuto un figlio con un'altra, non lo avrei portato nella
nostra casa. Mai avrei potuto con intenzione causare dolore a tua
madre". Era vero. Anche avesse avuto la certezza della
paternità
di Valentine, non lo avrebbe portato a Nampara... In un modo o
nell'altro se ne sarebbe preso cura ma senza spezzare il cuore di sua
moglie. Ma poi, tornò ai dubbi iniziali di suo figlio. "E'
per questo che non hai mai accettati del tutto
i gemelli?
Temevi
fossero frutto di un tradimento e
che amandoli
senza riserve, avresti fatto un torto alla mamma?".
Il
ragazzino arrossì. "Sì, più o meno".
Beh, era una
conversazione imbarazzante ma in un certo senso era contento. Ora
volere bene a quei due pestiferi biondini sarebbe stato più
facile e
sarebbe stato un bravo fratello maggiore. In fondo aveva voglia di
affezionarsi a loro come Clowance e Bella...
Ross
osservò suo figlio,
così grande, sensibile e serio.
E
decise. Se c'era qualcuno con cui condividere il suo segreto...
Perché non lui?
Chi
meglio di Jeremy? Non
poteva essere il miglior confidente
al mondo?
Non poteva essere la sua spalla? Questo non li avrebbe aiutati a
essere più uniti? Su questo, Demelza non avrebbe avuto nulla
da
ridire. E considerando anche la faccenda di Odalyn che calzava a
pennello, avrebbe allo stesso tempo potuto far luce su molti dei
dubbi di suo figlio
anche riguardo alla ragazza.
"Vuoi sapere la verità?" - gli chiese, guardandosi attorno
per essere certo che nessuno li seguisse".
Jeremy
si accigliò. "Su cosa?".
"Sui
gemelli".
"M...
Ma non l'hai mai detta a nessuno, papà. Neanche alla
mamma...".
Ross
annuì. "Beh, posso dirla a te, se vuoi avere un segreto con
me.
E' una storia grande, che parte da lontano, pericolosa da sapere. Ma
se vorrai essere mio complice, la condividerò e sarai
l'unico a
saperla".
Jeremy
tremò. "E la mamma?".
"Mamma,
sono certo, è d'accordo".
"Davvero
vuoi?".
"Sì,
davvero. Non te lo avrei chiesto altrimenti...".
Jeremy
si
gonfiò d'orgoglio.
Non era tanto per la curiosità ma si sentiva fiero che suo
padre
decidesse di condividere proprio con lui un segreto tanto grande,
che lo ritenesse degno.
Lui, prima di tutti, avrebbe potuto sapere. "Sì, se vuoi
dirmelo, ti ascolterò"
- disse con voce tremante.
Ross
osservò suo figlio. Aveva quindici anni, come lui quando
incontrò
una ragazzina straniera che gli rapì il cuore. Lunghi
capelli neri,
occhi verdi espressivi e trasparenti, viso furbo, modi di fare
sfacciati, che conosceva il mondo meglio di lui. Tutto così
uguale a
ciò che ora stava vivendo Jeremy. E se la straniera che
faceva
battere il cuore di suo figlio si chiamava Odalyn e veniva dalla
Norvegia, quella che aveva fatto battere il cuore a lui tanti anni
prima si chiamava Jasmine e veniva dalla Spagna...
"Hei
straniero, la conosci la strada che porta a Truro?".
"Certo!
E non sono straniero, la straniera sei tu!" - le aveva risposto,
notando il suo accento spagnolo nonostante la perfetta padronanza
della lingua.
Sul
suo cavallo, lei sbuffò spazientita. "E allora su, fammi
strada!".
Non
aveva saputo dirle di no...
|
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Capitolo 22 *** Capitolo ventidue ***
"Sai
Jeremy, la storia dei gemelli in un certo senso inizia da lontano,
quando avevo quindici anni come te".
Galoppando
placidamente coi cavalli, erano giunti al delimitare di un bosco dove
si erano seduti poggiando la schiena contro il tronco di un grande ed
antico albero. Non c'era nessuno che potesse sentire i loro discorsi
e anche se l'erba era umida e l'aria pungente, Ross si sentiva
leggero. Era bello, un'esperienza nuova, condividere qualcosa con
quel figlio che spesso gli era sfuggente e che non sapeva comprendere
appieno.
Jeremy,
incuriosito, aspettò qualche istante prima di chiedere.
"Quando
avevi la mia età? Ma i gemelli non sono tanto vecchi!".
Ross
rise. "No certo! Ma ciò che mi ha portato a loro
è iniziato
quando ero un ragazzino come te".
"Come?".
Gli
occhi di Ross si persero nel cielo ricordando quel giorno lontano
quando ancora non era che un ragazzino, suo padre era vivo e guardava
al mondo con curiosità ma anche inesperienza. "Mi trovavo
vicino alla Grambler, la miniera di mio zio Charles. Bivaccavo,
girovagavo come sempre quando a un certo punto la voce di una
ragazzina che mi chiamava 'straniero' mi fece voltare. Ecco, se tu
oggi hai a che fare con una ragazza straniera della Norvegia, a me
toccò una spagnola dalla lingua lunga, insolente e anche, a
modo
suo, affascinante. Si chiamava Jasmine, era la figlia di un
conciatore di pelli vedovo che nei suoi viaggi d'affari la portava
con se in tutta Europa. Aveva la mia stessa età ma sembrava
più
alta, aveva lunghi capelli scuri che teneva chiusi in due trecce, le
lentiggini e gli occhi verdi. E poi aveva quello strano accento che
la faceva apparire ai miei occhi decisamente interessante... Coetanei
ma lei
del mondo aveva visto più di me, aveva una
mentalità più aperta e
la capacità di non stupirsi di nulla, anche delle cose
più strane.
Mi chiese di accompagnarla a Truro dove si trovava la sua locanda
perché si era persa bighellonando in giro e anche se non
aveva usato
un tono gentile, ero rimasto talmente imbambolato da lei che le feci
strada come un cagnolino ubbidiente. Scoprì che
lei
e il
padre avrebbero passato due mesi in Cornovaglia e diventammo amici.
O meglio, lei decise che sarei diventato la sua guida in quella terra
che le appariva selvaggia e voleva scoprire. Non riuscii a
dirle di
no, io che di solito ero bravissimo a trasgredire regole e a non
accettare prevaricazioni, capitolai alle sue richieste senza mezza
lamentela. Cominciò così...
La portai
a scoprire le grotte e le spiagge delle nostre terre, galoppammo
insieme lungo le scogliere e una volta si è pure unita a una
scazzottata fra me e i miei amici con dei ragazzi di Mellin".
Jeremy
spalancò gli occhi. "Una ragazza che fa a botte?".
Ross
annuì. "Come ti ho detto, era una ragazza che non si poneva
limiti, piuttosto unica nel suo genere. Un maschiaccio certe volte e
certe altre, già molto femminile".
"E
poi, papà?".
Ross
sospirò. "Poi capì che mi piaceva ma ero ancora
giovane,
inesperto e non sapevo che fare. Ebbi la triste idea di chiedere
consiglio a Jud e lui riportò tutto a mio padre, tuo nonno
Joshua... Che purtroppo mi disse di dimenticarla, che potevo avere
tutte le ragazze inglesi che volevo ma che dovevo lasciar perdere le
straniere, che erano pericolose e tante sciocchezze simili... Ma non
lo ascoltai, ovviamente! In realtà continuai a vederla e a
frequentarla e lui mi lasciò fare senza intervenire troppo,
sapeva
che alla fine avrei agito di testa mia ed era convinto che presto mi
sarei stancato e l'avrei dimenticata. In realtà non si
sbagliava di
molto, quei due mesi passarono in fretta e lei ripartì col
padre. La
consideravo la mia prima cotta anche se di fatto non ci eravamo
nemmeno mai baciati eccetto l'ultimo giorno, quando lei mi diede un
bacio sulla guancia. Partì e io ci stetti male una settimana
e poi,
come disse tuo nonno, iniziai a pensare ad altro e in un certo senso
la dimenticai".
Jeremy
lo interruppe. "Perché hai incontrato zia Elizabeth?".
Ross
sussultò. "E tu che ne sai?".
"Lo
sanno tutti che da ragazzo eri pazzo della mamma di Geoffrey Charles.
Poi hai incontrato la mamma...".
Ross
abbassò lo sguardo, improvvisamente soffocato da questa
immagine di
suo figlio non
più bambino e ormai grande
che conosceva fatti e persone della loro terra e quindi anche la sua
storia. Sperava non tutta però, pregò,
mentre il ricordo del piccolo Valentine tornava vivo in lui
assieme a mille sensi di colpa e paure di essere giudicato e
allontanato, se i suoi figli avessero saputo cosa aveva fatto.
"Sì, poi ho incontrato la mamma" - disse solo, mentre la
sua vita gli scorreva davanti, con gioie ed errori.
Jeremy
sorrise. "E siete diventati la coppia perfetta".
Ross
lo interruppe. "Non siamo perfetti".
"Io
e Clowance vi vediamo così" - obiettò lui.
Ross
gli poggiò la mano sulla spalla. "Sai, non
è la perfezione ad essere perfetta, tutt'altro...
Nessuno è perfetto e io e tua madre siamo due persone
imperfette ma
perfette
insieme, coi nostri pregi e difetti. Ci amiamo, non potremmo vivere
l'uno senza l'altra ma ci sono stati anche litigi, momenti duri,
accadimenti
che ci hanno ferito
e allontanati.
Non esistono matrimoni perfetti che poi, credo, sarebbero decisamente
noiosi. Si cresce insieme, ci si plasma a vicenda,
si sbaglia, si impara, ci si perdona se si tiene all'altro.
Lo capirai crescendo... E capirai anche che le donne sono le creature
più strane e complicate che esistano al mondo".
Jeremy
rise. "Se lo chiedessi a mamma, lei direbbe lo stesso di noi
maschi, credo".
Ross
scoppiò in una grossa risata, Jeremy era decisamente
sensibile ma
anche cinicamente diretto e a suo modo, ironico. "Sì,
probabilmente...".
Il
ragazzino piegò le gambe, vi appoggiò il mento e
poi tornò con
curiosità al filone principale del racconto. "E Jasmine,
invece? Che ne è stato?".
E
i ricordi di Ross tornarono ad eventi più vicini, di soli
quattro
anni prima.
"Credo di essermi dimenticato di lei fino a quando sono stato in
Norvegia...".
"Quando
hai incontrato Daisy e Demian?".
Il
ghiaccio, il freddo, la stradina che portava al porto di Oslo gli
vennero in mente con una lucidità che a Ross fece quasi
paura.
"Stavo rientrando nella locanda dove alloggiavo con Jones.
Nevicava, tutto era buio, la strada era quasi deserta e se non fossi
stato
attento, sarei scivolato sul ghiaccio. Me ne andavo in giro avvolto
nel mantello, battendo i denti per il freddo, desideroso solamente di
andare in camera e farmi un bagno caldo quando mi sentì
chiamare in
quel modo che usava solo lei...
'Hei,
straniero...'.
Mi
voltai, sussultai non credendo alle mie orecchie e da un viottolo
stretto
ed angusto mi ricomparve davanti dopo... venticinque anni e
più.
Bella come allora ma col viso stanco e segnato, avvolta in un
mantello logoro e trasandato,
come se portasse sulle spalle il peso del mondo...
Per un attimo pensai di avere le allucinazioni ma appena feci per
balbettare il suo nome, lei mi prese per il braccio, mi spinse nel
vicolo da cui era arrivata e ci trovammo faccia a faccia come tanti
anni prima".
"E
poi, papà?".
"E
poi la abbracciai, incredulo di averla reincontrata,
mentre mi chiedevo se stessi sognando, se il freddo mi avesse dato
alla testa o se fossi ubriaco.
Era una delle cose più improbabili del mondo incontrarla a
Oslo,
dopo tutto!
Lì, lontano dalle nostre case, in una terra che era per
entrambi più
che straniera, fredda ed inospitale.
Che diavolo ci poteva fare lei lì? Volevo chiederle molte
cose ma mi
accorsi subito che era debole
e
molto magra
e la prima cosa che feci fu
di chiederle se avesse bisogno di aiuto e lei rispose che
sì, le
serviva aiuto. Ma non per se stessa ma per i suoi due bambini appena
nati che rischiavano la vita.
Mi raccontò ogni cosa
come se per giorni non avesse fatto altro che attendere qualcuno a
cui confidare la sua storia e tramandare i suoi segreti ed
era talmente disperata che non aveva trovato
che
me, un amico di infanzia che non vedeva da decenni, come unica ancora
di salvezza.
Fu questo a convincermi a fermarmi ad ascoltarla e a farmi
coinvolgere di nuovo nella sua vita. Come aveva fatto tanti anni
prima, senza quasi chiedermi il permesso, mi aveva catturato nella
sua esistenza".
Jeremy
deglutì, abbassò lo sguardo e nella sua mente i
pezzi del puzzle
iniziarono un pò ad andare al loro posto. "Quindi era la
mamma
dei Daisy e Demian? Qual'era la sua storia, perché
rischiavano la
vita e hai dovuto portarli con te dalla Norvegia? E che ne è
stato
di lei e del padre dei gemelli?".
Ross
chiuse gli occhi, pronunciando quei nomi che non sfioravano le sue
labbra da quattro anni. "Sigrid e Olav...".
"Sigrid
e Olav?".
"Sì,
Jeremy. Sono i veri nomi di Daisy e Demian, quelli che ho scelto
perché non venissero riconosciuti. Figli di Jasmine Esteban
e del
principe Harald del casato degli Oldenburg".
"Principe?".
Ross
guardò il figlio con aria grave, ora arrivava la parte
più
difficile, quella che aveva posto fine alla vita di Jasmine e Harald
e attentava a quella dei gemellini. "Gli Oldenburg sono il
casato regnante in Norvegia e Harald era il principe ereditario, il
primogenito, colui che sarebbe
salito sul
trono alla morte del padre. Il suo primo matrimonio, combinato e
senza amore con una principessa russa, durò quindici anni
durante i
quali non nacque nessun figlio. Quando sua moglie morì di
febbre
tifoide,
si ritrovò vedovo e successore di un casato che non poteva
governare
senza eredi. Suo padre, pensando fosse sterile non avendo generato
figli nemmeno fuori dal matrimonio con eventuali amanti, decise di
puntare tutto sul figlio minore, il principe Magnus che divenne il
reggente del regno. Magnus era sposato e aveva sei figli, quattro dei
quali maschi e potendo garantire la successione del casato, assunse
il potere del regno e col padre governò per anni, diventando
di
fatto l'erede della dinastia e il futuro re. Harald non se ne
lamentò, da ciò che mi è stato
raccontato era poco interessato al
trono, era un letterato, un amante delle battute di pesca e della
natura e forse era grato al destino che
non gli aveva
dato figli e responsabilità. Non
aveva mai amato davvero sua moglie e forse era pure rassegnato a una
esistenza solitaria, ormai... Ma
poi incontrò
per caso
Jasmine, giunta in Norvegia per portare avanti gli affari del padre
nella vendita di pelli,
ormai morto. Avevano entrambi quarant'anni ma questo non
impedì loro
di piacersi subito, come succede a volte fra ragazzini. Si conobbero
al porto e credo che fu amore a prima vista, o almeno così
mi
raccontò Jasmine. Harald le trovò una casetta
vicino al porto che
divenne il loro nido e per lunghi mesi vissero di amore e passione. E
quando il fato si mise di mezzo facendola rimanere incinta, per
Harald iniziarono i guai col fratello. Perché
il potere che Magnus aveva accumulato negli anni sarebbe finito
all'istante se Harald avesse avuto un figlio. Il vecchio re, il
padre, era ormai troppo anziano e malato per portare pace fra i figli
e per Magnus e il suo seguito, Harald e Jasmine divennero i nemici e
il pericolo maggiore alla scalata a un trono che sembrava ormai
certo. La cosa buffa era che Harald non voleva quel trono né
per se
né per i figli e avrebbe voluto lasciare la Norvegia per
trasferirsi
altrove, dove nessuno lo conosceva, ed essere una normale famiglia.
Ma per Magnus, assetato di potere, il solo fatto che fossero vivi
avrebbe rappresentato per sempre una minaccia alla sua ascesa al
trono,
rendendolo un re fittizio e dal potere traballante se i veri eredi un
giorno fossero tornati a reclamare quanto loro di diritto.
Harald non era un uomo stupido, conosceva
suo fratello e sapeva
che erano in pericolo, che Magnus avrebbe sguinzagliato spie e
soldati per cercarli e risolvere il problema alla radice e fece
appena in tempo a far nascondere Jasmine nella casa della sua vecchia
balia che fu ucciso. Da
bracconieri, si disse. Dagli scagnozzi di Magnus, in pratica. Jasmine
rimase rintanata in una cantina
nascosta e difficilmente accessibile per mesi,
fino al parto, quando mise al mondo due gemelli. Ma
sapeva che in quei mesi non avevano smesso di cercarla e che
per il bene dei bambini e non essere collegata a loro nel caso fosse
stata trovata, doveva
lasciare la casa
che l'aveva ospitata
e protetta.
Affidò
i figli alla donna che l'aveva aiutata
e che ora Dwight sta cercando
e e
decise di fare da esca,
scegliendo la morte per salvare i figli. La incontrai poco prima che
fosse uccisa e mi affidò la sua storia e il suo segreto,
rassegnata al suo destino ma combattiva come sempre per quanto
riguardava i suoi due preziosi bambini che non aveva potuto nemmeno
allattare e conoscere ma che amava più di se stessa.
Mi
implorò di salvarli, ero l'unico volto amico che conosceva
in quella
terra e che poteva fare qualcosa. E ancora una volta non seppi dirle
di no.
Cercai di insistere affinché lasciasse la Norvegia con me e
i
bambini ma lei sapeva che assieme ai suoi figli, ovunque fosse
andata, se qualcuno l'avesse riconosciuta...".
"Avrebbe
condannato a morte i suoi figli..." - concluse Jeremy, a testa
bassa.
Ross
lo osservò, ammirato dall'intelligenza vivace e dalla
sensibilità
di suo figlio che pur tanto giovane, aveva compreso appieno il dramma
vissuto da Jasmine pur non conoscendola. "Sì, proprio
così...".
Jeremy
strinse fra i pugni dei fili d'erba e poi, dopo lunghi attimi di
riflessione, spalancò gli occhi. "Papà...!!!".
"Sì?".
"Quindi...
Demian e Daisy sono i legittimi successori al trono di Norvegia?".
Santo cielo, in tutto quel lungo racconto, lo aveva realizzato
appieno solo in quel momento e a pensarci, gli sembrava qualcosa di
sconvolgente!
Ross
annuì, trovando quasi buffo che quei due pestiferi bambini
biondi
che si era portato in casa avessero fra le mani tanto potere.
"Sì.
Sicuramente hanno più diritto al trono del principe Magnus.
Ed è
per questo che li cerca, rappresenteranno sempre un pericolo ai suoi
occhi
finché saranno in vita".
Jeremy
deglutì, pensando ai faccini simpatici di quei gemellini a
cui per
paura non era mai riuscito ad aprire del tutto il suo cuore. Eppure
ora che aveva parlato con suo padre, si scoprì ad amarli e a
volerli
proteggere come lui. Forse lo aveva sempre fatto ma non aveva mai
voluto ammetterlo a se stesso, forse ora che conosceva la loro storia
se ne sentiva responsabile e forse, soprattutto, provava pena nel
pensare a quella madre e quel padre che i due avevano perso prima
ancora di conoscere la vita. Come avrebbe fatto lui, da solo nel
mondo, se qualcuno gli avesse portato via i suoi genitori? "Ma
loro sono Poldark. Nemmeno i loro genitori naturali volevano che
diventassero principi, che questo Magnus se lo tenga il suo trono!".
Ross
scosse la testa. "Sono Poldark solo sulla carta".
"No,
papà! Sigrid e Olav erano gli eredi del casato degli
Oldenburg ma
Daisy e Demian sono Poldark, sono parte della nostra famiglia e non
c'entrano più nulla con quelle persone".
Ross
rimase colpito da quelle parole,
soprattutto perché dette da Jeremy che, apparentemente, era
quello
che meno si era affezionato a quei due.
Spesso, nei suoi pensieri, aveva
scisso
la figura dei gemelli da ciò che erano stati e
ciò che adesso
rappresentavano in seno alla sua famiglia ma sempre, aveva prevalso
la loro vera appartenenza
nei suoi pensieri e questo per Ross aveva sempre rappresentato un
pesante macigno.
Ma Jeremy aveva ragione, che cosa avevano in comune con la loro terra
natìa? Cosa aveva donato loro la Norvegia? Erano Poldark
adesso, i
suoi figli, conoscevano la Cornovaglia, le maree e le miniere e lui
era il loro papà e aveva il dovere di proteggerli.
Jeremy
lo riportò alla realtà del presente. "Credi
che il padre di Odalyn sappia tutto?".
Ross
annuì. "E' un uomo del
principe
dal principe Magnus, certo che sa... E mi ha visto in Norvegia
assieme a Jasmine, ne sono certo.
Sono abbastanza sicuro che ai tempi, sia stata una delle spie che mi
pedinavano".
"Ma
non può provare nulla
sui bambini,
papà".
"Basta
il sospetto! Quegli uomini non si fermeranno davanti a niente e uno
di questi giorni chiederò a Jones, per sicurezza, di
trovarci un
rifugio segreto a Londra se le cose si mettessero male. Ricordo come
andavano le cose ad Oslo e Haakon ci sguinzaglierà dietro
spie senza
scrupoli che potrebbero diventare pericolose se non prendiamo
precauzioni".
Jeremy
gli poggiò la mano sulla spalla, grato che si fosse
confidato con
lui, che si fosse fidato.
Faceva un pò paura quel racconto ma sapeva che la sua
famiglia se
l'era sempre cavata e che sarebbe andato tutto bene anche questa
volta.
"Io ti aiuterò! E starò attento ad Odalyn, se
dovessi
rivederla".
Ross
gli scompigliò i capelli. "Sei un bravo ragazzo, hai davvero
preso da tua madre e questa è la mia fortuna".
"Oh
oh papà...".
"Ohoh,
cosa?".
Jeremy
sorrise, nonostante tutto. "A proposito di mamma! Le verrebbe un
colpo se sapesse che due eredi al trono la chiamano 'mamma'! Lei non
si sente all'altezza dei nobili, le viene sempre l'ansia quando
andate a qualche cena elegante".
Ross
scoppiò a ridere. "Già, forse è il suo
sesto senso che le ha
imposto di non chiedere l'origine dei gemelli! Non avere fiducia in
se stessa è l'unico difetto che potrei attribuirle
ma sai, credo che Daisy e Demian non avrebbero potuto trovare al
mondo una madre migliore di lei. Quando li ho portati via dalla
Norvegia, non volevo tenerli con noi, ma lei li ha visti e non se
n'è
più potuta separare. Tua madre è fatta per amare,
sempre,
qualsiasi creatura vivente abbia davanti".
Jeremy
annuì, trovandosi d'accordo,
in pace col mondo e con suo padre.
E pronto ad andare avanti unito a questo grande segreto con suo
padre.
"A proposito di mamma... Torniamo a casa?".
Ross
annuì, comprendendo che non c'era più bisogno di
parole. "Sì,
direi che è ora! Chissà se ci hanno lasciato
qualcosa da
mangiare?".
Jeremy
si tirò in piedi, aiutando Ross a fare altrettanto. "Beh,
Daisy
è in castigo, lei i biscotti non li può aver
toccati".
"Lo
spero!".
Salirono
a cavallo e Jeremy, prima di partire, si voltò verso il
padre.
"Grazie".
"Di
cosa?".
"Di
aver avuto fiducia in me.
Non ti deluderò".
"Lo
so...".
Tornarono
a casa, uniti da un nuovo grande segreto che, se portato sulle spalle
di due persone anziché una, sembrava più leggero.
Ross
raggiunse Demelza, Bella e Clowance in cucina ma Jeremy, dopo una
capatina vicino alla credenza da cui, di nascosto, aveva preso dei
biscotti, salì di sopra nella cameretta dei bambini.
Entrò
di soppiatto e apparentemente, la stanza gli sembrò vuota.
Ma in due
secondi, da sotto il letto, sbucarono due testoline bionde
che lo guardarono stranite.
Li osservò
e per la prima volta vide solamente i suoi due fratellini e non una
minaccia alla loro famiglia. Erano stati un arricchimento,
mai un pericolo
e da fratello maggiore li avrebbe protetti
da quel giorno in poi.
"Un uccellino mi ha detto che sei in castigo, Daisy".
La
bimba si imbronciò. "E l'uccellino ti ha detto che non
è
giusto e che sono stata brava e non ho detto bugie?".
"Sì,
lo ha fatto. E mi ha incaricato di...". Dalla maglia sotto cui
li aveva nascosti, Jeremy tirò fuori i biscotti.
Il
visino di Daisy si illuminò e, seguita da Demian che come
sempre si
era coalizzato con lei unendosi al suo castigo, corse da lui. "Sono
per me?".
"Sì,
certo".
"Davvero?"
- chiese la bimba
incredula,
probabilmente non molto avvezza a moti di gentilezza di Jeremy nei
suoi confronti.
Il
ragazzo si inginocchiò davanti a lei. "Davvero! Sei o non
sei
la mia sorellina?".
Daisy
non rispose ma, felice, gli saltò al collo e lo
abbracciò. "Sì,
sono la tua sorellina!" - rispose, senza
più
paura di pronunciare quella parola.
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Capitolo 23 *** Capitolo ventitre ***
L'animo
scientifico e avido di sempre nuove conoscenze di Dwight era entrato
in fermento appena messo piede ad Oslo. Pur consapevole dell'urgenza
di portare a termine la sua missione, non aveva potuto non fermarsi
ad osservare estasiato quel mondo tanto diverso da quello fin'ora
conosciuto. Era in una terra selvaggia, implacabile, coperta di
ghiaccio e ammantata di un
buio
pressocché perenne, abitata da animali selvatici e da
persone
temprate dal gelo e dal clima inclemente eppure... Eppure
il cielo si tingeva misteriosamente di mille colori e
sapeva che il ghiaccio, nei suoi strati più profondi,
nascondeva i
misteri della vita e del creato, della storia e delle
civiltà
perdute e forse, le risposte a tanti quesiti ancora irrisolti
dell'esistenza. Fosse stato giovane, senza famiglia, senza una
missione da portare a termine, forse si sarebbe messo a scavare nella
neve, si sarebbe soffermato ad analizzare ciò che conteneva
e
chissà, avrebbe appreso più di quello che i suoi
studi gli avevano
dato.
Magari,
in tempi di pace, sarebbe tornato portandosi dietro Caroline e le
bambine, da turisti. Sophie e Melliora si sarebbero divertite un
sacco sulla neve e Caroline, dopo essersi lamentata per il freddo,
avrebbe trovato uno scopo al viaggio nell'acquisto di pregiate
pellicce da sfoggiare nella capitale.
Camminando
nella città avvolta nel freddo e nella penombra, Dwight si
accorse
che nonostante tutto, era molto viva e attiva. Ovunque c'era gente
che andava e veniva dal porto, bambini biondissimi come i gemelli
correvano incuranti del freddo fra i cumuli di neve, stranieri giunti
da ogni dove sbarcavano dalle navi con le loro merci e di fatto,
anche se si trovavano nell'estremo nord, Oslo sembrava pulsante di
vita e di civiltà più di quanto fosse mai stata
Londra.
Nell'aria
l'odore di neve si mischiava a quello di sidro e di sardine formando
un connubio particolare e unico. Non sapeva se piacevole o meno al
naso ma di certo caratteristico di quella terra. Poteva immaginare
che Ross, a suo tempo, fosse stato decisamente meno propenso a
rimanere incantato davanti alla diversità di Oslo e forse il
suo
amico si era limitato a maledire il gelo,
ma Dwight in cuor suo era a bocca aperta come un bambino ed era grato
all'amico per avergli chiesto di fare quel viaggio in sua vece. Un
pò
perché aveva la possibilità di conoscere posti
nuovi, un pò perché
amava i gemellini.
se
ne sentiva lo zio putativo e quindi avrebbe fatto di tutto per
proteggerli dalle ombre che sembravano minacciarli.
Trovata
una locanda e passata la prima notte a riposare, il mattino seguente
si mise sulle tracce della donna di cui Ross aveva bisogno, la tata
Inge. Dwight aveva in mano un foglietto col suo indirizzo e una
lettera per lei scritta da Ross e sperava vivamente di trovarla. Era
una donna non più giovane, poteva essere morta in quegli
anni.
Oppure, più semplicemente, essersi trasferita da un'altra
parte...
Camminando
per le vie del porto fingendo tranquillità e mischiandosi ai
commercianti stranieri che andavano e venivano dalle banchine, Dwight
si diresse
verso la via che Ross gli aveva indicato.
Una serie di casette in legno variopinte che con la neve sembravano
uscite da uno dei libri di fiabe delle sue bambine,
accompagnò il
suo passaggio
e ne restò affascinato.
Quando
giunse alla casetta di Inge - o almeno sperava fosse ancora sua - si
accorse che era piccola, che dava sull'angolo finale del vicolo e che
tutto attorno era un reticolo di stradine che si intrecciavano fra
loro fino al porto. Era facile perdersi se non si stava attenti ma
quell'ammasso di casette che si susseguivano una dietro l'altra senza
sosta dovevano essere state il nascondiglio perfetto per i gemellini
di Ross. Chissà quante cantine e stanze nascoste ospitavano
quelle
piccole abitazioni, chissà quante storie segrete quelle mura
potevano raccontare, chissà...
Dwight
sospirò, bussando alla porta dopo essersi guardato attorno
per
verificare che nessuno lo avesse seguito. In realtà a Londra
era
rimasto nell'ombra, Haakon non lo aveva mai visto con Ross e quindi
poteva muoversi con tranquillità, anche
se comunque la prudenza non era mai troppa.
La
porta si aprì e una donnina un pò ricurva, coi
capelli bianchi
raccolti in una crocchia e uno scialle di lana pesante sulle spalle,
gli comparve davanti. Aveva gli occhi color ghaccio tipici di quella
terra, una espressione gentile da nonna ma assieme a questo, uno
sguardo pungente e indagatore. "Signore?".
"Signora,
spero di non averla disturbata".
"Oh,
parecchi viandanti si perdono fra queste viette e bussano alle porte,
non preoccupatevi".
Un
cucciolo dal pelo bianco e nero e dagli occhi color ghiaccio comparve
fra le gambe della donna, incuriosito dal suo arrivo. Dwight sorrise,
inginocchiandosi ad accarezzarlo. "Bel cane, ne ho visti molti
così da quando sono sbarcato".
La
donna annuì. "E' una femmina, si chiama Astrid ed
è una
cucciola scartata dai commercianti di pelli perché nata
troppo
piccola di taglia per trainare le slitte. Se ne girava sola e
imfreddolita per la via e visto che avevo posto in casa e soffrivo di
solitudine quanto lei...".
"E'
così, per caso, che nascono le amicizie migliori". Dwight si
rimise in piedi, togliendosi il cappuccio del mantello e arrivando al
punto. "Siete madame Inge?".
La
donna lo squadrò mentre la sua espressione gentile si
incrinava.
"Forse... O forse no... Voi chi siete, signore?".
Dwight
si tolse dalla tasca la lettera di Ross. "Mi manda un uomo
dall'Inghilterra, ho un messaggio per Inge".
La
donna si fece seria. "Un uomo dall'Inghilterra?".
"Sì,
un uomo con una cicatrice sulla guancia, coi capelli scuri a cui
quattro anni fa una
certa signora Inge ha
consegnato un carico prezioso... Due carichi...
Un uomo che è il mio migliore amico e che mi ha implorato di
venire
quì".
Non
riuscì a finire la frase. Nonostante la sua età,
l'anziana lo prese
per il braccio, lo trascinò dentro casa e una volta che
anche il
cane fu dentro, chiuse con forza la porta dietro di loro. "Cosa
siete venuto a fare? Chi siete?".
Dwight
gli porse la lettera, si
presentò e poi si guardò
attorno osservando il piccolo ambiente rustico, un unico locale dove
convividevano il loro spazio un camino su cui cuoceva un pentolone di
zuppa, un letto al suo fianco, una piccola credenza, un tavolo con
due sedie e nulla più. Una casa minuscola e semplice ma a
suo modo
graziosa e dignitosa, curata e pulita in cui si sentiva a suo agio.
"Quì troverete tutti i motivi che mi portano quì.
Se siete la
donna che cerco...".
"Lo
sono". Sospettosa, Inge prese la lettera, la aprì e la
lesse.
Solo poche parole, stringate, firmate da quell'uomo giunto in una
notte di aurora boreale quattro anni prima. "Ricordo quell'uomo
inglese, l'amico di Jasmine... Prese i bambini e lasciò con
loro la
Norvegia, salvandogli la vita. E salvandola a me che pur
nascondendoli, ero in grave pericolo con loro quì, nella mia
casa".
Dwight
sorrise mentre si accomodava sulla sedia davanti al fuoco indicata
dalla donna. "I piccoli stanno bene e sono salvi".
"Lo
so".
"Come
lo sapete?".
Inge
fece un sorriso furbo. "Hanno continuato a cercarli, non hanno
mai smesso. Quindi non li hanno mai trovati... Che ne è
stato di
loro e di quell'uomo, dove vivono adesso Sigrid e Olav?".
Dwight
si accigliò. "Sigrid e Olav?".
"Sì,
i gemellini di Jasmine".
Oh,
ora era tutto chiaro. Dwight conosceva i bimbi coi nomi inglesi
scelti da Ross ma fino a quel momento non aveva mai conosciuto la
loro vera identità. "Ovviamente i bambini ora hanno nomi
inglesi, si chiamano Demian e Daisy e sono due piccole pesti bionde,
intelligenti, vivacissimi, con la propensione a fare i monelli ma
assolutamente adorabili. L'uomo a cui li avete affidati, il mio amico
Ross Poldark, assieme alla moglie li ha adottati e ora vivono con lui
e i loro altri bambini in Cornovaglia. Ross lavora per il governo
inglese, ha fatto in modo che i bambini avessero atti di nascita
inglesi e fino ad ora è andato tutto bene. Ma ora...".
Inge
lo interruppe, stupita. "Quell'uomo? Davvero ha tenuto i bambini
con se? E' un grande sollievo saperlo, per tutto questo tempo mi sono
chiesta cosa ne fosse stato di loro. Li immaginavo soli in un
istituto, malnutriti e tristi, abbandonati al loro destino...".
"Ross
non lo avrebbe mai permesso,
è un uomo che quando prende a cuore qualcosa, ci si tuffa a
capofitto cuore e anima.
Qualunque scelta, sarebbe stato il suo cruccio assicurarsi del
benessere dei piccoli. Ma sua moglie, una donna davvero speciale a
cui non si può non voler bene, appena li ha visti ha deciso
che
dalla loro casa non se ne sarebbero più andati... Sono in
una bella
famiglia e sono bambini sani e felici".
Inge
sorrise ma poi, guardando la lettera di Ross fra le sue mani, si
rabbuiò. Si sedette su una sedia a dondolo, prese in braccio
la sua
cucciola e poi guardò Dwight con aria grave. "Ma se siete
quì
ora, significa che qualcosa non va".
Dwight
raccontò brevemente del viaggio dei Poldark a Londra,
dell'incontro
col console Haakon, del suo strano interesse per Ross e i gemellini e
del timore che ci fossero guai in vista.
Al
termine del racconto, Inge si strinse nello scialle. Poi rilesse la
lettera di Ross. "Voi conoscete ogni particolare della storia
dei gemelli?".
Dwight
scosse la testa. "No, solo l'indispensabile. Ma prima di
partire, Ross mi ha detto che la corona norvegese era parte del
problema".
Inge
annuì. "Haakon,
il console che avete incontrato a Londra,
è uno degli uomini di fiducia del principe Magnus. E Ross
Poldark,
se teme che possa rappresentare un pericolo, ha perfettamene ragione.
Rese impossibile la vita
di Harald, Jasmine e
dei gemelli e dopo la loro nascita fu incaricato
dalla
corona
di trovarli e farli sparire. E' molto
probabile che abbia visto il vostro amico in compagnia della madre
dei piccoli e lo abbia riconosciuto.
E ci metterei la mano sul fuoco sul fatto che è uno dei
responsabili
degli omicidi dei genitori dei bambini".
"Sembrate
conoscerlo bene, signora".
"Certo.
Fui la balia del principino Harald quando
era piccolo e
conosco bene coloro che gravitano
attorno alla corona. Anche dopo la fine del mio servizio, Harald
mantenne rapporti affettuosi con me e anche se adulto, spesso veniva
a farmi visita. E mi raccontava degli uomini al soldo del padre e del
fratello... Odiava la corte e quando conobbe Jasmine e
scoprirono di aspettare dei figli, capì che era in pericolo
e che io
ero l'unica persona fidata che potesse aiutarlo...".
Dwight
spalancò gli occhi mentre i pezzi confusi del puzzle che gli
aveva
raccontato Ross andavano al loro posto. "Harald era,
quindi...?".
"Il
padre dei gemelli ed era l'erede designato al trono, in quanto
primogenito
dell'attuale re".
Dwight
si mise le mani nei capelli. Santo cielo, come faceva Ross a
cacciarsi sempre in guai simili? "Se Harald era il
primogenito...".
Inge
terminò per lui la frase. "I gemellini sono i suoi diretti
eredi. Olav ha diritto di
successione
al trono.
E ovviamente per il principe Magnus, fratello minore di Harald e
padre di molti figli, la nascita dei bambini significava allontanarsi
dal diritto di accedere alla successione visto che Harald non era
riuscito a generare figli prima dell'incontro con la donna spagnola".
Olav...
Dwight immaginò il visino biricchino di Demian, il suo
mettersi il
pollice in bocca quando aveva sonno, la sua faccia soddisfatta quando
mamma-Demelza lo prendeva in braccio e gli venne da sorridere.
Principe sanguinario di un regno nordico? Santo cielo, era quanto di
più lontano esistesse...
Inge
si accorse del suo sorriso. "Che avete?".
"Se
conosceste Demian... Olav... Tutto ciò che potreste pensare
è che è
un bambolotto adorabile. Coccolone, furbo, con un visino
irresistibile, con una fantasia immensa, amante della natura e degli
alberi su cui si arrampica come uno scoiattolino. E la sua massima
aspirazione è stare nel lettone con la sua mamma, a un trono
non ci
pensa minimamente".
Lo
sguardo di Inge si addolcì. "Anche Harald era
così. E la
bimba?".
"Oh,
lei forse è più sanguinaria e selvaggia.
Impertinente, vivace,
intelligente e con una notevole lingua lunga. Spesso in castigo ma
bella come il sole e indipendente come i vostri guerrieri vichinghi.
E vuole fare la piratessa da grande, così dice quanto meno.
Forse
l'amore per il mare è insito nelle sue origini".
"Sigrid...
O Daisy... Comunque la chiamate, discente da un popolo di grandi
navigatori".
"Già".
Era vero, al sangue e alle proprie origini tutti devono rendere
conto.
Inge
sospirò, dondolandosi sulla sedia. "Beh,
la loro indole era già così chiara alla
nascita... Ora sembrano
bimbi felici ed amati,
i
loro genitori possono riposare in pace, quindi.
Ma i bambini no, non possono vivere tranquilli se le cose stanno come
mi avete raccontato. E' stata sfortuna incontrarvi con Haakon a
Londra. Quì è un uomo molto conosciuto per la
ferocia con cui
tratta gli oppositori alla famiglia reale. Oppositori o presunti tali
spariscono nel nulla e si narra vengano tenuti nelle segrete del
palazzo reale, torturati e infine uccisi senza pietà. E poi
gettati
in mare".
Dwight
tremò, la Norvegia era una terra affascinante quanto
selvaggia nelle
sue leggi. Come il clima, era implacabile. "Lo conoscete bene
mentre noi non sappiamo con che tipo di nemico dobbiamo confrontarci.
Ross Poldark vorrebbe, se vi è possibile, che veniste a
Londra con
me in seno alla sua famiglia. Se si conosce il nemico, le
fortificazioni per difendersi da esso sono più forti
all'interno
delle mura. So che è un viaggio lungo e che forse alla
vostra
età...".
Inge
lo bloccò, guardandolo storto. "State insinuando che sia una
vecchia bacucca?".
Dwight
arrossì. "N... No ovviamente. Ma è inverno e non
siete nemmeno
una giovincella. E forse non volete lasciare la vostra terra".
Inge
mise a terra la cucciola, poi si alzò e si parò
davanti a Dwight
con le mani sui fianchi. "Discendo da una stirpe antica e
valorosa, il gelo non mi fa paura come non fa paura a nessuno che
abita in queste terre. Amo casa mia, amo Oslo e amo la mia terra ma
feci un patto di fedeltà con Harald e Jasmine e promisi loro
di fare
di tutto per i bambini. Il vostro amico Poldark fece tanto,
rischiò
il collo per salvarli e poi se n'è preso cura. Se ha bisogno
di me,
così come feci con Harald a suo tempo, verrò in
suo aiuto.
In fondo ho sempre desiderato viaggiare".
Dwight
rimase sorpreso dalla velocità con cui la donna aveva preso
una
decisione non semplice
e in un certo senso folle.
Eppure forse non doveva stupirsene visto che con lo stesso coraggio
aveva scelto di aiutare Harald e Jasmine mettendosi contro la corona.
Non era una donna qualunque e dietro a quel suo aspetto da nonna si
doveva nascondere una vera guerriera senza paura.
"La mia missione quindi, è andata a buon fine?
Davvero partirete con me? In una terra straniera, in seno a una
famiglia di cui sapete poco o nulla? Non è una scelta
semplice e se
volete pensarci...".
"Ci
ho già pensato!".
"Sì,
ma...".
"Verrò
dottor Enys,
ma a una sola condizione!".
"Quale?".
"La
mia Astrid deve poter venire con me. Non la abbandonerò
quì".
Dwight
osservò la cucciola dagli occhi di ghiaccio che a terra
aveva preso
a giocare con un gomitolo di lana. "I bambini la adoreranno".
Gli
occhi di Inge si inumidirono. "Potrò rivederli?".
"Certo!
E potrete prendervene
cura, ovviamente
mantenendo il segreto sulle loro origini".
"Ovviamente,
non voglio certo turbare la loro serenità".
Inge gli strinse la mano come a siglare un patto, poi si
avvicinò
alla finestra. "Pensate che sia folle ad accettare così?".
"Coraggiosa,
non folle".
"La
verità signore, è che è un dono questo
che mi offrite. Sono così
contenta di poter rivedere quei due piccoli e vedere come sono
diventati grandi.
Per settimane sono stati la mia ragione di vita e me ne sono presa
cura come fossero dei miei nipotini. Anche se nel nascondiglio che ho
sotto casa tutto era buio ed angusto, ho cercato di creare per loro
una bella stanzetta dove stare bene".
Dwight
le si avvicinò. "Li adorerete. Così come
adorerete i Poldark".
"Ci
sono altri piccoli, giusto?".
"Sì,
un ragazzino di quindici anni, una bambina di dodici e una piccolina
di cinque. E un anziano cane di nome Garrick che farà da
mentore
alla vostra Astrid".
Inge
annuì. "Sembra una bella avventura, fatemi fare i bagagli e
sarò lieta di partire con voi.
Com'è l'Inghilterra?".
"Umida,
ma decisamente meno fredda della Norvegia".
"C'è
la neve?".
"Sì,
in inverno".
Inge
lo guardò con aria di sfida. "Ma sicuramente non
è bella come
la nostra".
"Forse,
ma nel nostro piccolo ci difendiamo bene".
"E
l'aurora boreale?".
Dwight
sospirò, ricordando lo spettacolo meraviglioso che il cielo
gli
aveva offerto al suo attracco al porto. "No, quella non la
abbiamo. Avete vinto".
Inge
rise. "Sarà davvero divertente viaggiare con voi".
...
Stretti
sotto le coperte, Ross e Demelza si stavano godendo i dolci momenti
seguenti all'amore. Il camino scoppiettava, il calore era piacevole e
anche se fuori neve mista a pioggia picchiava contro le imposte, il
gelo pareva lontano da loro.
Ross
le accarezzò i capelli rossi, annusandone il profumo. "Devo
dirti una cosa...". Odiava
spezzare quel momento di intimità e pace ma era
dalla conversazione con Jeremy che sentiva il desiderio di farlo e
ormai, con Dwight probabilmente di ritorno, era giunto il momento di
affrontare determinati discorsi.
"Anche
io" - rispose sua moglie, poggiata al suo petto.
"Cosa?".
"Prima
tu, Ross...".
L'uomo
prese un profondo respiro,
sperando che Demelza non si offendesse per quanto stava per
raccontarle.
"Sai, ho parlato con Jeremy mentre eravamo fuori a cavallo.
Credo, ho scelto... ho pensato... che avrebbe dovuto sapere la
verità
visto il suo coinvolgimento con Odalyn.
Voglio che sappia che ho bisogno di lui e che mi fido ciecamente di
ciò che fa".
Demelza
rimase per un pò in silenzio, poi alzò il viso
per fronteggiarlo.
"Sono contenta che tu l'abbia fatto".
"Sicura?
Ero
molto incerto perché
ora lui sa cose che tu non hai mai voluto ascoltare
e forse non avrei dovuto... senza consultarti".
Demelza
deglutì. "Gli hai raccontato ogni segreto dietro alla
nascita
dei gemelli?".
"Sì".
"Jeremy
è il miglior alleato che potevi trovare, Ross".
L'uomo
tirò un sospiro di sollievo ma la questione non era certo
risolta,
non per lui almeno. "Sì.
Ma ora, credo di volere che lo sappia anche tu".
Demelza
si nascose sotto le coperte. "Oh Ross, ne abbiamo già
parlato a
suo tempo. Non voglio sapere, non è importante per me. Ma
sono
contenta che tu abbia voluto coinvolgere Jeremy".
Le
sfiorò il mento, costringendola a sollevare il viso. Poi
poggiò la
fronte contro la sua. "Ma io ho bisogno di te! Abbiamo sempre
condiviso tutto, ogni dolore e ogni gioia. Sei la mia compagna e la
mia forza e forse ora dovremo prendere decisioni difficili che non
potrai capire se non saprai tutta la storia. Sono passati quattro
anni e nulla potrà mutare il tuo amore per quei due bambini
ma
proprio per questo, per il loro bene, per il NOSTRO bene, io ho
bisogno di te. Sei la più saggia, sei la parte migliore di
me e se
ci saranno da fare scelte difficili, io è con te e non solo
con
Jeremy che voglio farle. Sìì la mia compagna,
come sempre...".
Demelza
strinse i pugni, chiuse gli occhi e sentì la supplica di
Ross
arrivarle al cuore. Non voleva addossarle delle ansie inutili, voleva
solo condividere un qualcosa di importante con lei e in fondo, non
era questo il ruolo di una moglie
e il significato di un matrimonio?
"Così non mi dai scelta..." - rispose infine, con un
sorriso. "Ma sai, ricordo che quando ci siamo sposati, il
Reverendo Halse ci ha uniti nella gioia e nel dolore. Abbiamo sempre
diviso tutto, abbiamo condiviso momenti difficili e tu sei sempre
stato quì per me, come quella sera in cui nel tuo abbraccio
ho
ritrovato la strada per la nostra casa...".
Ross
la strinse più forte, ricordando quella sera maledetta in
cui aveva
creduto che Armitage l'avesse portata via per sempre e il sollievo
che lo
aveva invaso quando era
tornata... E ricordava
quell'abbraccio
disperato in cui due anime perse si erano aggrappate l'un l'altro per
non andare in frantumi,
quell'abbraccio in cui l'aveva stretta promettendo a se stesso che
non avrebbe più permesso che lei gli scivolasse via dalle
dita.
"E tu... Tu non sei sempre rimasta con pazienza quando ero io ad
essermi smarrito?".
"Sono
tua moglie, Ross. Rabbia e dolore non cancelleranno mai il fatto che
ci apparteniamo e che siamo ciò che siamo grazie a quegli
errori.
Fu difficile rimanere ma fu la scelta migliore che potessi fare. E
ora lo so per certo"
- rispose, intrecciando le dita con quelle del marito.
"E
allora, mi ascolterai?" - le chiese,
baciandole la mano.
"Sì".
"Sarà
un racconto lungo
perciò
prima dimmi tu il tuo segreto".
Demelza
sospirò, sorrise e poi lo baciò sulle labbra. "In
fondo, è
serata di rivelazioni sconcertanti".
"Cosa
c'è di sconcertante? Garrick ha messo incinta la cagnolina
dei
vicini?".
Demelza
rise. "No, Garrick è innocente. Tu no".
Ross
rimase inebetito senza capire bene a cosa alludesse ma dopo circa
dieci secondi balzò sul letto a occhi spalancati e
terrorizzati.
"N... Non dirmi che tu... io...?". Osservò il ventre
piatto della donna e poi il suo viso. "DEMELZA!!!".
Lei
lo guardò maliziosa. "Te l'avevo detto quando siamo venuti
quì
che era una cattiva idea chiudere la camera da letto a chiave la
notte. Troppa libertà ha un suo prezzo".
Ross
si mise le mani nei capelli, stramazzò sul cuscino e
guardò il
soffito. "Giuda!".
"Non
rubarmi le imprecazioni!".
Ross
la prese per la vita, la strinse a se e la trascinò contro
il suo
petto. "Potrei dire di peggio ma non sarebbe elegante
davanti a una donna incinta".
"Non
sei felice?" - chiese, preoccupata.
"Oh,
lo sono, lo sarò! Ma al momento prevale la preoccupazione!
Dannazione, come è potuto accadere di nuovo?".
Demelza
si accigliò. "Me lo stai chiedendo sul serio?".
Ross
sospirò, essere così sopraffatto dalle emozioni
non era corretto
nei confronti di Demelza
e fare certe domande lo faceva apparire decisamente idiota.
Quindi la baciò sulle labbra, sentendo di amarla ancora di
più e
una maggiore responsabilità a volerla proteggere. "Alla
festa
di Sawle avremo talmente tanti figli da poterli fare gareggiare
ognuno in ogni competizione"
- mormorò infine, cercando di apparire leggero.
"Già".
Le
baciò i capelli. "Quanto meno ora, col mio racconto,
farò
perdere un pò di sonno anche a te...
Potrebbe essere una consolazione sapere di essere pari".
Lo
disse con leggerezza ma Demelza rabbrividì e si strinse a
lui. Era
ora di ascoltare qualcosa che aveva sfuggito per anni e che ora non
poteva più procrastinare. "Sono pronta...".
E
la più lunga notte della loro
vita ebbe inizio...
...
C'era
molto silenzio in casa e suo padre non le rivolgeva la parola da
quando aveva fallito il suo tentativo di seduzione con Jeremy
Poldark.
Odalyn
aveva cercato di spiegare che il ragazzo era immaturo, troppo
schiacciato dalla volontà dei genitori, che gli era parso
spaventato
e si era dato alla fuga ma suo padre non le aveva creduto
e dopo tutto non se ne stupiva, era bravissimo a captare le menzogne.
Ma
soprattutto, nonostante
tutto,
la conosceva e doveva aver percepito la sua scarsa volontà
di
portare a termine il compito assegnato... La verità era che
Jeremy
Poldark era un bravo ragazzo e che era stato più gentile di
suo
padre nei suoi confronti e questo era bruciante da ammettere. Suo
padre non era mai stato gentile o affettuoso, le aveva concesso tutti
i vizi possibili ma mai amore vero e sincero.
Pensando
a Jeremy e alla sua famiglia, si chiese se solo la sua fosse
così
difettosa di sentimenti o se invece fosse quella dei Poldark ad
essere anomala. Due genitori che si amavano, figli, fratelli che si
supportavano a vicenda, valori... Lei non ne aveva, o almeno
così
pensava. Ma pur ferita dall'astio del padre, era felice che Jeremy
non avesse aprofittato delle sue avances. Suo padre le aveva
rimproverato che a quattordici anni una donna deve sapere usare il
suo fascino ma lei si sentiva ancora piccola per certe cose. Si
comportava da donna vissuta ma in realtà non era che una
bambina che
non aveva mai avuto una guida vera e propria
ed era cresciuta da sola.
Si
appoggiò con la fronte al vetro della finestra che dava sul
giardino, osservando la neve bagnata che cadeva dal cielo,
così
diversa da quella ghiacciata della sua terra che si attaccava
ovunque. Chiuse gli occhi e finse di essere un'altra, finse di essere
a casa, di avere un padre più gentile e una madre ancora
viva, finse
che nella stanza accanto ci fossero rumorosi fratellini che giocavano
e finse di essere nella sua terra del cuore. Da piccola suo padre
l'aveva mandata per quasi un anno a vivere con una zia materna sulle
isole Lofoten, all'estremo nord
della Norvegia.
Un piccolo villaggio di pescatori, una comunità unita dove
ci si
aiutava per fronteggiare il clima inclemente, gente semplice,
falò
in mezzo alla piazza per trovarsi e scaldarsi la sera
bevendo vino bollito e speziato,
battute di pesca su barchette piccole
ma agevoli per evitare il ghiaccio, sorrisi cordiali. Oh come avrebbe
voluto tornarci, oh come le mancava quel buio quasi perenne per mesi
che però era scacciato dal calore di quelle persone. L'unico
posto
dove si era sentita a casa, dove c'era stata una zia che le aveva
insegnato a cucinare e a lavorare la lana, dove non aveva mai
pranzato o cenato da sola.
Ma
poi aprì gli occhi e il silenzio assordante della casa la
ricatturò.
Suo padre si era chiuso nel suo studio con alcuni emissari arrivati
dalla Norvegia e origliando, aveva sentito distintamente la parola
'Poldark'. Che doveva fare? Avvertire Jeremy del pericolo imminente?
Stare zitta? Rischiare l'ira di suo padre?
Richiuse
gli occhi ma il buio la avvolse e le sue amate isole Lofoten le
apparvero stavolta
tremendamente
lontane.
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Capitolo 24 *** Capitolo ventiquattro ***
"Era
bella?".
Ross
abbassò lo sguardo su sua moglie che in silenzio e
pensierosa,
riposava sul suo petto. Era stata una notte intensa, una di quelle
notti dove le anime si mettono a nudo e le verità
più nascoste
vengono a galla. Le loro 'chiacchiere' da letto erano una delle parti
che più amava del suo rapporto con Demelza e spaziavano dal
discutere di loro e dei loro amici, dei figli e a volte, di cose
dolorose.
E si concludevano quasi sempre con la diradazione della nebbia e dei
dubbi che li avevano afflitti durante la giornata, allentando le
tensioni fra loro. Ma la notte passata era stata qualcosa di
più,
era stata un aprirsi su un passato che Ross aveva sempre taciuto alla
sua famiglia, non perché dovesse nascondere
chissà quali segreti ma
perché parlare non era mai stato il suo forte e quel
racconto era
stato qualcosa che lo aveva spossato. Era un racconto su loro e sulla
loro famiglia, su quei due bambini venuti dal nord e diventati loro,
sulla storia che si portavano dietro e sulle conseguenze che questo
avrebbe potuto avere su tutta la loro vita futura.
Non ci era abituato, aveva sempre pensato che tutto quello che era
avvenuto prima di conoscere Demelza non dovesse toccare il presente.
Aveva parlato poco di suo padre e ancor meno di sua madre e suo
fratello Claude, della guerra in America, degli anni
dell'adolescenza. Non era stato un bambino triste ma nemmeno aveva
vissuto la più spensierata delle infanzie e guardandosi
indietro, a
Ross pareva di essere cambiato talmente tanto da allora che se ci
pensava, gli sembrava di guardare alla vita di un altro. Una vita
diversa, una persona diversa che non aveva alcuna utilità
raccontare.
"Chi?".
"Jasmine".
Ross
sospirò, parlare di amori passati poteva diventare un campo
minato e
pericoloso e lui a volte non era un maestro a scegliere le parole. Il
suo rapporto con Elizabeth, portato avanti oltre il lecito nei
pensieri - e anche nei fatti - aveva attentato più volte
alla
stabilità del suo matrimonio e non voleva che la cosa si
ripetesse.
Però
Jasmine non rappresentava un pericolo, non era un altro fantasma come
lo era stata Elizabeth per
tanti anni
e sperava che Demelza lo capisse. "Avevamo quindici anni,
l'età
di Jeremy
adesso.
Che vuoi che ti dica? Era ancora piatta come una tavola ma era
sveglia, era straniera e aveva viaggiato in un sacco di posti,
conosceva
il mondo e per me che non ero mai uscito dalla Cornovaglia, questo
rappresentava qualcosa di assolutamente affascinante. Pensavo di
essere l'uomo della situazione solo perché amavo fare a
botte con
gli altri ragazzi ma lei mi fece ben presto capire che di strada ne
dovevo ancora fare. Era carina, sì. E
sveglia, intelligente, istruita, sapeva parlare correttamente
l'inglese, il portoghese, lo spagnolo e il tedesco. Mi
son preso una cotta da ragazzino come forse Jeremy l'ha presa per
Odalyn,
anche se effettivamente, forse, doveva ritenermi un mezzo selvaggio.
Ma
stranamente mi ha accettato come il suo unico amico per il periodo
che è rimasta in Cornovaglia. Poi
è partita e dopo tre giorni l'avevo dimenticata, come aveva
predetto
mio padre.
A lui non andava molto giù la mia cotta per una ragazzina
straniera...".
Demelza
alzò lo sguardo. "Ma lei non ha dimenticato te,
evidentemente".
Ross
si accigliò, pensando al suo incontro inaspettato con
Jasmine a
Oslo, alla sua disperazione, al suo essere senza alcun appiglio e
difesa contro i mostri che la perseguitavano. "Oh,
si che lo ha fatto,
di certo non ha passato gli anni successivi a piangere il distacco da
me.
Ma quando mi ha visto, quando ha scorto un viso noto in un mondo a
lei così ostile, non ha potuto che venire da me. In
quel momento, probabilmente, per lei non ero che un miraggio in un
deserto ostile... Aveva
perso l'uomo che amava, la sua vita era in pericolo e così
quella
dei suoi bambini e io ero l'unico volto amico in una città
straniera
e fredda dove dietro a ogni volto si poteva nascondere un nemico
pronto ad attaccarla".
Demelza
sentì di provare pena per lei, oltre
che ammirazione. Era stata una donna
coraggiosa, appassionata e impavida che per salvare i suoi bambini
aveva scelto di darsi in pasto ai suoi carnefici
senza pensarci due volte dimostrando un gran cuore e un animo puro ed
innamorato per la famiglia che si era costruita.
In realtà non era gelosa, lo aveva capito da sola che per
Ross era
stato un gesto compassionevole per aiutare una donna in
difficoltà
ma era curiosa di conoscere
quel lato ragazzino di suo marito, a
lei ancora sconosciuto. Chi era
Ross
prima di conoscerla? Prima di conoscere Elizabeth? "Quindi
non
fu che una cotta estiva?".
"Sì.
Sai lo scorso anno, alla festa di Sawle, quando Bella voleva
fidanzarsi col moccioso del fabbro?".
"Il
moccioso del fabbro ha un nome, Ross, si chiama Billy Rassel".
"Beh,
non ha importanza. Lo ricordi?".
Demelza
lo guardò storto. "Lo scorso anno Bella aveva quattro anni.
Però sì, lo ricordo...".
"Beh,
è la stessa cosa. Bella dimenticò il suo amore
per lui appena vide
il tavolo coi biscotti e io dimenticai Jasmine alla prima scazzottata
in una osteria di Truro dopo la sua partenza".
Demelza
scoppiò a ridere. "Giuda Ross, tu avevi quindici anni, Bella
undici in meno. Non è la stessa cosa!".
Lui
scosse la testa. "Il risultato non cambia! A quindici anni cosa
vuoi che sia un innamoramento? Arriva, ti schiaccia e poi passa. Non
ti è mai capitato?".
Demelza
ci pensò su, poi lo guardò negli occhi. "A
quattordici anni ho
conosciuto te. E la cotta non mi è mai passata, pensandoci
bene...".
Lui
fece un sorriso da malandrino, cingendole la vita per attirarla a se
e baciarla. "Tu sei stata una quattordicenne fortunata. Poteva
capitarti uno sbarbatello di Illugan senza arte né parte e
invece
hai trovato me...".
Risero,
in fondo non era il caso di drammatizzare quel racconto. Anche
perché
c'erano tante cose importanti di cui discutere. "Ross, sai, ora
che so la storia di Demian e Daisy, sono ancora più decisa a
proteggerli e più felice di averli tenuti con noi. Fa paura
pensare
a chi davvero sono ma adesso sono MIEI. TUOI... E vivono la vita che
avevano sognato per loro i loro genitori. Non mi sento meno madre
dopo questo racconto, mi sento semplicemente più forte e
determinata. Non permetterò che qualcuno si avvicini ai
nostri
bambini.
Ma come possiamo fare?".
Ross
le accarezzò la schiena. "Davvero non sei pentita di averli
tenuti, coi rischi che corriamo adesso?".
"No,
mai... E tu?".
La
baciò lentamente. "Mai... Anche se credevo che avresti preso
con più panico la notizia che in realtà sono due
principi".
Lei
sospirò. "In realtà ho avuto la tremarella e la
pelle d'oca
quando me l'hai detto. Forse se avessi saputo la verità
quando li
hai portati a casa, avrei avuto mille paure a tenerli anche se alla
fine sarei giunta alla medesima decisione. Ma ora sono miei quanto di
Jasmine, li ho allattati, ricordo la loro prima parola e la data dei
primi dentini, mi chiamano mamma e io sono la loro mamma. Quindi
sì,
un pò di tremarella c'è ma per me non sono due
principi, per me
sono Demian e Daisy, i miei bambini".
Ross
sorrise. "E allora il mondo gira ancora nel verso giusto...".
Finse
di ignorarlo, assieme alla sua battuta. Giuda, la conosceva tanto
bene... "E allora, che si fa?".
Ross
sospirò. "Ho parlato con Jones, sta allestendo per noi un
rifugio nel caso ce ne fosse bisogno".
"Santo
cielo,
credi che sarà necessario
doverci nascondere?".
"Non
lo so Demelza, ma voglio essere pronto ad ogni evenienza. E sapendo
quanto son bravi a spiare le mosse delle persone, voglio sapervi in
un luogo sicuro se ce ne fosse l'esigenza. Faremo a meno delle tre
domestiche assunte quì, Prudie ce la faremo bastare, non
voglio
estranei in casa finché la faccenda non sarà
risolta. Possono
correre dei rischi con noi ma possono
anche
essere
corrotte con del denaro, possono diventare un pericolo non
controllabile, potrebbero tradirci e consegnare i bambini al
nemico... Quando arriverà Inge, sperando che Dwight l'abbia
trovata, potremo decidere con lei il da farsi. Conosce i nostri
nemici meglio di noi.
E le giuste contromosse da adottare! Ha nascosto Jasmine per mesi e
poi i gemelli sotto il loro naso e non si è mai fatta
scoprire. E'
anziana ma è una donna che sa il fatto suo. Ti
piacerà".
"Sicuramente...
Ma
finché questa storia non sarà sistemata,
avrò lo stesso paura"
- disse Demelza, tremando.
"Te
la senti di gestire la casa da sola con Prudie, amore mio, in questi
giorni?".
"Certo".
"Anche
nelle tue condizioni?".
Demelza
lo guardò storto. "Ross, non sono moribonda, sono incinta!".
"Beh,
questo ti rende fragile e rende me PREOCCUPATO!".
Lei
si buttò sul cuscino. "Non sono fragile e tu sei esasperante
quando ti ci metti! Quando potrai permetterti di essere contento del
tutto?".
"Dal
decimo giorno dopo il parto, quando avrò constatato che non
hai
avuto nessuna febbre!".
Lei
si mise il cuscino sulla faccia. "Sei esasperante, lo
ribadisco!".
Ross
le sorrise, togliendole il cuscino di dosso. "A proposito, i
bambini lo sanno?".
"Del
fratellino in arrivo? Ovviamente no, volevo dirlo a te per primo".
"Come
reagiranno?".
Demelza
rise. "Oh, Jeremy penserà che per la nostra età,
sia davvero
notevole che abbiamo avuto un altro figlio".
Anche
Ross rise. "Gli picchio la testa contro il muro se prova anche
solo a pensarlo!".
Demelza
proseguì, divertita. "Clowance sarà contenta,
Bella curiosa e
i gemelli crederanno che sia in arrivo un usurpatore".
Ross
la abbracciò, grato che quella donna così solare
fosse sua e fosse
sua moglie. "Ti rendi conto che siamo in un mare di guai e
stiamo ridendo a letto?".
"Beh,
è la nostra forza! Essere ottimisti o cercare di esserlo
rende le
cose meno difficili".
"Speriamo"
- mormorò Ross.
"Speriamo..."
- rispose Demelza... "Però ecco, a letto forse dovremmo fare
altro oltre che ridere".
Ross
la fissò, divertito. "Sei diventata troppo spudorata!
Ciò a
cui pensi ha riempito questa casa di bambini".
Lei
si toccò il ventre. "Per un pò di mesi non
correrai questo
rischio".
La
baciò, non aveva tutti i torti e quindi la cosa si faceva
interessante. "In effetti...".
"E
i bambini? Quando glielo diremo?" - sussurrò Demelza, prima
che
lui catturasse le sue labbra.
"Domani...".
Si
lasciò andare alle attenzioni del suo uomo. "Domani
è
un'ottima idea".
...
Annunciarono
il lieto evento a cena, dopo una giornata passata a fare quanto
stabilito.
Avevano
congedato le domestiche londinesi con una lauta buonuscita e loro
erano state ben contente di lasciare la casa con le tasche
più piene
e decisamente
lontane dalle piccole pesti di famiglia.
Prudie,
alla notizia, per poco non fece cadere a terra il pudding che Demelza
aveva cucinato per dolce. "Santo cielo!" - esclamò
guardando Ross, IL COLPEVOLE, in cagnesco. "Ne arriva un
altro...". Poi guardò Demian, sconsolata. "Mocciosetto,
dovresti correre nel lettone di tua madre più spesso...".
Jeremy
si mise le mani sulla bocca, scoppiando a ridere
un pò per la battuta di Prudie, un pò per
l'imbarazzo che la stessa
aveva suscitato nei genitori.
"Fra un pò avremo più bambini che zia Morwenna nella
sua
scuola. E bravi mamma e papà!".
Ross
e Demelza arrossirono ancora di più. Santo cielo,
evidentemente era
vero che i figli adolescenti sapevano mettere in imbarazzo i genitori
con grazia e maetria meglio di chiunque altro. Anche meglio di quella
lingua lunga di Prudie...
Clowance
fissò il fratello maggiore, prima di parlare. Più
o meno, a dodici
anni compiuti, ormai sapeva come nascevano i bambini e quindi,
rispetto a quando era in arrivo Bella, si sentiva più
imbarazzata e
ancora non capace di affrontare la questione con la leggerezza di
Jeremy. "Sei contenta, mamma?" - chiese
solo, timidamente.
Era
piuttosto inusuale per lei essere imbarazzata e Demelza si
intenerì.
Era così vivace e sfacciata di solito, che in quel momento
avrebbe
solo voluto abbracciarla. "Sì, lo sono. Tu?".
"Sì.
E se urlerà troppo di notte come faceva Bella,
basterà metterlo
nella stalla".
"Buona
idea!" - borbottò Demian, il cocco di mamma, davanti a quel
nuovo piccolo usurpatore in arrivo.
Ross
rise, scompigliando i capelli biondi del piccolo vichingo. "Dovrai
fartene una ragione come me la sono fatta io alla nascita di ognuno
di voi" - sussurrò, facendo riferimento a tutte le volte che
il
marmocchio lo aveva spodestato dal letto e allontanato dalle dolci
attenzioni della moglie.
Demian,
a quelle parole, si imbronciò ancora di più.
Bella
invece si avvicinò a Demelza, toccandole il ventre. "Ma dove
si
nasconde?".
La
madre le prese la manina, guidandola sulla sua pancia ancora piatta.
"Quì e la, si muove molto. Come facevi tu".
Anche
Daisy si avvicinò. "Starà stretto lì
dentro".
Ross
si avvicinò, prendendo in braccio la piccola. "Mai quanto te
e
Demian. Voi eravate in due". Lo disse con leggerezza perché
anche se di fatto non avevano vissuto la gravidanza dei gemelli,
doveva essere comunque stata una esperienza piuttosto dura per la
loro madre.
"E
Demian mi dava fastidio!" - sentenziò Daisy, col tono di una
che sapeva il fatto suo.
Evidentemente
quella
non era la sua
serata
e
Demian scoppiò a piangere. "Non è veroooo".
Jeremy
si alzò, andando da lui per prenderlo in braccio. "Oh,
basta!
Mi farai compagnia da fratello maggiore, ora avrò il tuo
aiuto".
"Ma
io voglio la mamma!".
"E
la avrai. Ancora, sempre" - rispose Jeremy, accarezzandogli i
capelli. Se aveva imparato qualcosa di sua madre, era che non avrebbe
mai fatto mancare il suo amore a nessuno. Ai figli di sangue, ai
figli del nord. Alla loro famiglia, a quella che erano e che
sarebbero diventati.
Bella
saltò sulle gambe di sua madre. "Ma se c'è un
altro bimbo,
perché avete mandato via le tate?".
Ross
e Demelza si guardarono negli occhi, optando per una mezza bugia
visto che avevano scelto di lasciare fuori dai discorsi più
difficili i tre bimbi più piccoli cercando di far apparire
tutto ciò
che sarebbe successo come un gioco. "Erano esasperate dai vostri
dispetti, sono scappate! Ma ora arriverà una nuova tata, la
porterà
zio Dwight. E' una donna gentile, in gamba e che ama molto i bambini.
La amerete e mi auguro SARETE BRAVI!".
Per
nulla intimorita, Daisy incrociò le braccia. "Vedremo...".
Prudie
si avvicinò, prendendo la bambina. "Per ora vedrai la vasca
da
bagno con
tuo fratello e Bella! Vi siete rotolati ovunque oggi, non andrete a
letto così conciati".
Demian
scalciò come un cavallino imbizzarrito. "Sono pulito, in
terra
è pulito e il bagno non lo voglio fare".
Ross
lo prese dalle braccia di Jeremy, mettendolo a terra. "No, ha
pulito Prudie e quindi il pavimento non è pulito. A fare il
bagno e
poi a letto, tutti e tre! Verrò con la mamma a raccontarvi
una
favola quando avrete finito".
I
tre bimbi protestarono ma Demelza si impose e alla fine cedettero a
Prudie e ai genitori.
Rimasti
soli con Jeremy e Clowance, decisero di dir loro la verità.
Demelza
prese Clowance sulla gambe, Jeremy si sedette per terra davanti al
camino con Garrick che sonnecchiando, gli aveva poggiato il muso
sulle gambe.
Ross
si incupì, mentre spiegava tentando di non farla spaventare,
la
situazione alla figlia. Jeremy ormai sapeva tutto ma lei no e non era
ancora così grande da comprendere appieno la
gravità della
situazione. Voleva che capisse il necessario senza che questo le
mettesse troppa ansia.
Quando
ebbe finito di spiegare chi fosse Inge, la difficile situazione col
console norvegese e il pericolo che correvano i gemelli, Clowance si
rannicchiò contro il petto di sua madre. "Io non voglio,
papà".
"Cosa?".
"Che
vengono a prendersi i gemelli! E che c'è chi vuole fargli
del male!
Sono i miei fratellini adesso, che gli importa a quelli di noi?".
Demelza
deglutì. Ross aveva omesso il ruolo nella famiglia reale
norvegese
dei gemellini ma era giusto che Clowance sapesse comunque qualcosa.
"E' una questione di eredità, di potere. Cose da grandi!".
La
bambina scosse la testa. "E allora che problema c'è? A Daisy
e
Demian mica interessa una eredità, loro non sono grandi!
Loro
vogliono solo un sacco di doni per Natale, Daisy vuole diventare
piratessa e Demian dormire più spesso nel lettone! E
disegnare!
Papà, dillo a quel signore della Norvegia, dillo che non ci
interessa l'eredità".
Ross
scosse la testa. "Non è così facile
e loro pensano che i gemellini siano dei nemici.
E proprio per questo dovremo stare attenti,
dovremo proteggerli perché noi sappiamo la
verità, sappiamo che non
sono nemici di nessuno ma quegli uomini no.
E
quindi da oggi giocherete
in casa, in fondo è inverno
e fuori fa freddo.
Ma
soprattutto, ricorda, i
gemellini non devono mai essere lasciati soli, soprattutto se doveste
uscire. Guardatevi attorno, cercate di capire se qualcuno osserva
voi o
la casa e se vi accorgete di qualcosa di strano, ditemelo subito".
"Non
potremo uscire?" - chiese Clowance.
"No,
almeno per un pò cercheremo di limitare il tempo fuori. E
forse
dovremo anche nasconderci se necessario, Jones sta già
cercando un
posto adatto e sicuro per noi. Ma ti prometto che sistemerò
tutto e
che staremo tutti bene molto presto".
"Anche
i gemelli?".
"Anche
i gemelli, Clowance" - disse Demelza, baciando la nuca della
bambina.
Ross
le sorrise. "Ti fidi di me?".
"Sì,
papà".
"E
tu, Jeremy?".
"Sì,
lo sai".
Ross
annuì. "E io di voi. E quindi dovremo essere ancora
più uniti.
Per i gemelli e per la mamma... Stetele vicini e aiutatela anche voi,
viste le sue condizioni...".
Demelza
lo fulminò con lo sguardo. Giuda, ancora
con quella storia? Aveva
intenzione di trattarla da malata fino
al LONTANISSIMO parto?
"Ross, non sono moribonda!"
- ringhiò.
"Sei
incita, è quasi lo stesso".
Clowance
rise, nonostante tutto era divertente vedere i genitori battibeccare,
erano davvero buffissimi quando lo facevano. "Papà, lo
farò,
aiuterò mamma!" - disse cercando di stemperare la tensione.
"Ma
tu non farla arrabbiare!".
"Anche
io" - aggiunse Jeremy. "Anche perché
sta meglio di te".
Demelza
allargò le braccia. "Hai sentito?".
Ross
sospirò. Era una congiura, non ne sarebbe uscito sano di
mente. Ma
erano una famiglia unita, la sua famiglia. Ed era fiero di tutti
loro.
Haakon
si era scelto come nemici la famiglia sbagliata, coi Poldark non
avrebbe avuto nessuna speranza di vittoria. Ross ne era convinto.
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Capitolo 25 *** Capitolo venticinque ***
Il
tempo era pessimo e una pioggia ghiacciata mista a neve, unita alla
decisione di tenere al sicuro da possibili pericoli i bambini, aveva
spinto Ross e Demelza a cercare attività che potessero
tenerli
tranquilli e occupati in casa.
Il
Parlamento aveva interrotto le sedute per le festività
natalizie
imminenti e i grandi ricevimenti dei nobili per ora sonnecchiavano in
attesa di riprendere in vista delle
settimane del Natale.
Proprio
il Natale che stava pian piano arrivando, aveva dato a Demelza il
modo di tenere i piccoli occupati ad addobbare la casa e
così era
tutto un via vai di festoni, candele, addobbi e chiasso su e
giù per
le scale.
Un chiasso allegro ma la casa stava diventando bellissima e magica
tanto che anche Ross stava prendendoci gusto nel montare ed ideare
addobbi.
Festoni
di rami d'abete intrecciato con nastri rossi e arricchiti con pigne
erano stati messi su porte
e finestre, un grande abete era stato decorato e addobbato nel salone
principale, mille fiori rossi
di Natale
cangianti abbellivano ogni angolo, centrotavola natalizi e candele
arricchivano ogni mensola e ogni tavolo
e un grande tappeto rosso che copriva tutto il pavimento era stato la
ciliegina sulla torta. Mancavano i doni e i bambini avevano fatto una
lista di richieste lunghissima anche se Ross aveva detto loro che
sarebbe stata spuntata ad ogni capriccio. E quindi, pur bisticciando
su questo o quello, stavano ben attenti a non essere troppo monelli.
In
quei giorni Jeremy
aveva ricevuto un biglietto in cui Odalyn
gli chiedeva compagnia per un giro a vedere le vetrine dei negozi del
centro e il ragazzino, dopo quanto successo fra loro nella loro
cavalcata e le rivelazioni del padre, aveva sperato di non avere il
permesso per andare. Era incerto su mille cose, su come comportarsi,
su cosa fare, su cosa dire
ed inoltre non capiva il perché Odalyn lo stesse cercando
ancora.
Ross
gli aveva detto di fare come credeva, Demelza invece lo aveva spinto
ad accettare. Il padre di Odalyn poteva essere un mostro, pensava, ma
lei era una ragazzina e non meritava di pagare per gli errori dei
grandi. Una passeggiata in centro non avrebbe fatto male a Jeremy,
era un ragazzino ed era giusto che avesse contatti anche coi suoi
coetanei
ed
inoltre sarebbe sembrato sospetto per tutti constatare che i Poldark
erano quasi spariti dalla circolazione...
Fu
in
questo clima, durante
la prima domenica di Avvento, che Dwight bussò alla porta.
Demelza
era al piano di sopra a sistemare gli abiti
appena lavati
dei bambini, aiutata dal fido Demian che non la mollava un attimo da
quando aveva saputo del fratellino in arrivo, mentre Ross si stava
dannando di sotto cercando di mettere pace fra le bambine che
volevano addobbare abete e casa ognuna a modo suo. E di sottofondo, i
borbottìì di Prudie inondavano l'aria di 'canti'
poco natalizi...
Quando
sentì bussare,
Ross era vicino alla porta a montare i festoni su un piccolo abete
comprato il giorno prima. Le bambine facevano baccano nel grande
salone in fondo al corridoio e la voce di Jeremy cercava di mettere
pace
fra loro,
senza però riuscirci,
e fu in quel chiasso che Dwight, con Inge, si ritrovò nel
mondo dei
Poldark.
Appena
Ross aprì l'uscio e vide l'amico sano e salvo, fece un
grande
sospiro di sollievo. Era stato preoccupato per lui e per quella
missione che gli aveva affidato e aveva pregato che tutto andasse
bene. Non se lo sarebbe mai perdonato se gli fosse successo qualcosa
e non avrebbe più potuto guardare in volto Caroline, Sophie
e
Melliora
in quel caso...
Ma era lì, sano e salvo. E un doppio sospiro di sollievo lo
avvolse
quando vide accanto all'amico, la figura minuta di Inge.
Rimase
basito, a bocca aperta, felice ma impacciato. Non sembrava
invecchiata in quei quattro anni e anzi, il suo sguardo pareva ancora
più vispo e arzillo.
Era una donna fuori dal comune, coraggiosa e spavalda. Quattro anni
prima aveva sfidato i potenti di Norvegia per salvare due bimbi
indifesi e ora aveva affrontato un lungo e difficile viaggio in nave
per giungere in una terra straniera. Guardandola, si augurò
di
essere come lei da anziano...
La
donna sorrise, tirandosi giù il cappuccio del mantello.
"Bene
bene, a quanto pare siamo riusciti a rincontrarci di nuovo
signor Poldark".
Ross
allargò le braccia, la strinse a se come avrebbe stretto una
nonna e
le sorrise. "Che posso dire se non grazie? E benvenuta".
Inge
annuì. "Sono io che devo ringraziare voi, più di
quello che
avrei mai pensato".
Dwight
si tolse il mantello. "Missione compiuta al termine di un
viaggio eccezionale. Non potrò mai ringraziarti per avermi
fatto
vivere una simile avventura, il mio animo scientifico te n'è
grato!".
"Non
hai avuto un freddo cane?" - chiese Ross, ridendo.
Dwight
gli poggiò amichevolmente una mano sulla spalla. "Un freddo
sorprendentemente interessante,
il giusto e onesto prezzo per un pò di esperienza di vita e
conoscenza in più.
E' da quando ho lasciato Oslo che mi chiedo quali e quanti segreti
nasconda tutto quel ghiccio. E cosa da origine a quella meravigliosa
aurora boreale".
"La
magia dei nostri dei" - suggerì
Inge.
"Che altro, se no?".
Dal
salone comparve il viso di Clowance che appena sentita
la voce di
Dwight, gli corse incontro come un fulmine. "Zio Dwight, zio
Dwight!" - urlò saltandogli al collo.
L'uomo
la accolse fra le braccia. "Oh, come sei cresciuta signorina!".
Altri
visini sbucarono dalla porta del salotto, incuriositi. E infine anche
Daisy e Bella, seguite da Jeremy, corsero a vedere cosa stava
succedendo.
"Zio
Dwight!" - urlò Bella dopo che Jeremy ebbe salutato - "Ciao!
Mi hai portato un regalo?".
Dwight
rise, Bella era sempre così spontaneamente selvaggia... Poi
indicò
Inge. "Sì, lei".
Daisy
si tolse i capelli dagli occhi. alzò il faccino squadrando
la donna
e poi si mise le mani sui fianchi. "La tata vichinga!?".
Suo padre le aveva anticipato che sarebbe arrivata...
Inge
guardò la piccola, i suoi lunghi capelli biondi, gli occhi
di
ghiaccio, la pelle candida e la riconobbe subito. La ricordò
neonata, minuscola e indifesa e sentì la commozione
invaderla nel
vedere quanto fosse cresciuta e che bimba era diventata. Si
inginocchiò davanti a lei e le sorrise. "Sì, sono
la tata
vichinga, brava!". In quegli anni, nelle sue preghiere, aveva
espresso il desiderio di una vita almeno accettabile per quei due
piccini ma ora, vedendo quella bimba, si rese conto che consegnandoli
a quell'uomo inglese mandato da Jasmine, aveva permesso loro di
vivere una vita bellissima in una vera famiglia. Le sue preghiere
erano state esaudite oltre ogni sua aspettativa...
Da
sotto il mantello di Inge, qualcosa si mosse e le bambine le si
avvicinarono. Un musetto di cucciolo sbucò infine dalla
stoffa,
mugulando in cerca di attenzione.
Le
tre bambine spalancarono gli occhi. "Un cucciolo vichingo!"
- gridò Bella, entusiasta, allungando la manina per
accarezzarlo.
Inge
sollevò gli occhi su Ross
per giustificare quella presenza che di certo non si aspettava e
forse non era gradita.
"Non potevo abbandonarla per venire quì, è la mia
famiglia.
Spero non ne avrete a male...
E' piccola ed è stata scartata da dei cacciatori
perché nata di
taglia minuta per tirare le slitte e...".
"E
una cucciola ma è molto buona ed ubbidiente" - aggiunse
Dwight
in aiuto della donna.
Ross
sorrise, in fondo era ben poca cosa rispetto a quanto Inge
stava facendo per la sua famiglia. E
poi quella situazione non poteva non intenerirlo portandogli alla
mente il suo primo incontro con Demelza e Garrick tanti anni prima.
"Sarà
la benvenuta, i bambini ne sono entusiasti e Garrick, il nostro
anziano cane, avrà una compagna di giochi e compagnia.
In questa casa non si lascia da solo nessuno".
"Come
si chiama?" - domandò Clowance.
Inge
osservò la ragazzina, bionda quasi quanto una vichinga,
dalle guance
piene e dall'espressione vivace. "Astrid, bella signorina".
Daisy
rise. "Astrid, il cagnolino vichingo".
Sentiti
quei rumori, Demelza scese al piano di sotto con Demian in braccio. E
appena vide Dwight accelerò il passo, correndo da lui.
"Giuda,
sei quì! E sei vivo!" - disse, con la solita esuberanza.
Ross
avrebbe voluto rimproverarla sia per aver corso per le scale sia per
il fatto che Demian fosse ancora in braccio dimenticandosi
che
era 'gravemente'
incinta ma la gioia della moglie lo spinse a procrastinare i
rimproveri a
più tardi.
Dwight
la salutò calorosamente, accarezzando la testolina di
Demian. "Vivo
e vegeto! E con una amica".
Demelza
fece un caloroso sorriso ad Inge. Era stata così in ansia
per la
donna e per Dwight in quelle settimane e la curiosità di
conoscerla
si era fatta fortissima dopo il racconto di Ross sulla vera
identità
dei gemelli. La giudicava eccezionale già prima di
conoscerla e ora
che l'aveva davanti sentiva una gran bella sensazione verso di lei.
"Siate la benvenuta. Vi abbiamo aspettato tanto".
Inge
le sorrise. "Il dottor Enys mi ha raccontato molto di voi, ha
detto che è impossibile non volervi bene. E' un piacere
conoscervi,
signora Poldark".
"Il
piacere è mio. Grazie per essere quì" - rispose
Demelza,
abbracciandola come avrebbe fatto con una madre. Poi osservò
la
cucciola. "Giuda, è bellissima".
"Mi
auguro non sia un peso per voi, signora".
Demelza
scosse la testa. "Amo i cani quanto voi, dal mio non me ne sarei
separata nemmeno sotto tortura". Poi si rivolse ai figli. "Avete
salutato come si deve la nostra nuova ospite?".
Jeremy
si fece avanti, con gentilezza. "Io non ancora. Benarrivata
signora, sono Jeremy".
"E'
un piacere conoscerti, giovanotto".
"E
io Clowance".
"Ed
è un piacere conoscere anche te, signorina".
"Non
sono sempre una signorina! Sai che so scendere giù nelle
miniere?
Papà dice che sono spericolata ma brava!".
Inge
le sorrise. "Oh, non ho mai visto una miniera! Me ne mostrerai
una?".
Clowance
annuì entusiasta. "Certo! Basta che non cascate
giù come
Prudie che appena trova un sasso, finisce a gambe all'aria".
La
donna scoppiò a ridere. "Farò del mio meglio".
Ora
però arrivava il difficile. Bella la squadrò
pensierosa,
studiandola con attenzione. "Io sono Bella e tu? Sai cantare?".
"Oh,
conosco molte canzoni vichinghe. E tu?".
"Conosco
molte canzoni cornish. Anche quelle delle osterie di Truro che mi ha
insegnato Tolly, l'amico di papà".
Ross
intervenne, alzando gli occhi al cielo e ripromettendosi di fare due
chiacchiere con Tolly al suo ritorno a casa. "Sì,
Isabella-Rose
ha una voce potente. Da grande pensiamo che potrà fare la
cantante.
O la venditrice al banco del pesce al mercato di Truro, in
alternativa...".
Inge
strizzò l'occhio alla piccola. "Ci eserciteremo per
diventare
cantanti, è più divertente che vendere pesce".
Bella
rise. "Sì".
Daisy
si mise le mani sui fianchi. "Io sono Daisy e quando sono
arrabbiata e mi fanno arrabbiare le tate e anche Prudie, lancio il
brodino caldo in testa".
Lo
disse minacciosa, in un modo tanto buffo che Inge scoppiò a
ridere.
L'animo forte dei condottieri e dei grandi capi del nord scorreva
indubbiamente nelle sue vene e doveva essere un tipino poco avvezzo
ad accettare no e mezze vittorie. "Santo cielo, se proprio
vorrai farlo, mi fai un piacere?".
"Quale?".
"Lanciami
il brodino caldo nelle giornate fredde, così
potrò scaldarmi".
Daisy
rimase interdetta da quella risposta che di certo non si aspettava.
Prudie e le vecchie tate londinesi gridavano e minacciavano castighi
mentre quella donna sembrava diversa, forte e meritevole del suo
rispetto. "Va bene, vedrò cosa posso fare...".
E
infine toccò a Demian. Il piccolo era rimasto abbracciato a
sua
madre come un koala, in silenzio ed imbronciato.
Inge
lo osservò e in lui rivide molto del padre Harald. Stessi
capelli
biondi, stesso modo di cercare attenzioni e affetto, stesso faccino
furbo. "E questo piccolo ometto?" - chiese.
Ross
sospirò. "Lui è Demian e da quando ha scoperto
che è in
arrivo un fratellino che, pensa, usurperà il suo trono nel cuore
di mamma, le sta attaccato come la colla cercando di mantenere
inalterato il suo potere".
Dwight
spalancò gli occhi. "Fratellino in arrivo? Un altro?".
Demelza
rise. "Sì, Ross non si è ancora ripreso dalla
sorpresa. Io
invece sto bene".
Dwight
la abbracciò. "Santo cielo, complimenti. E considerami a tua
completa disposizione per ogni necessità".
Demelza
mise a terra Demian. "Lo farò. E tu su, saluta Inge e il
cagnolino".
"Cagnolina!"
- la corresse Bella. "E' una femminuccia vichinga".
Demian
osservò Astrid, accarezzandola con timore visto che la
piccola
cercava di mordicchiarlo per giocare.
Inge
si inginocchiò. "Sei timido?".
"Solo
per i primi cinque minuti" - disse Ross. "Poi si scatena".
Demian
la osservò accigliato e infine iniziò a sua volta
un interrogatorio
come avevano fatto le sorelline. "Sai arrampicarti sugli
alberi?".
"Oh,
mi piace tanto. Ma purtroppo dove vivo io c'è sempre
talmente tanto
ghiaccio che non si può proprio fare".
"In
Cornovaglia in estate non c'è ghiaccio" - la
informò il
piccolo.
"Oh,
allora potremo farlo insieme".
Demian
la fissò cercando di capire se stesse scherzando ma gli
occhi della
donna sembravano sinceri e in fondo non aveva motivo di mentire.
Pensò che era forte, non gli era mai capitato di conoscere
una
'grande' che sapesse arrampicarsi sugli alberi. Le sorrise,
allungò
la manina e da vero signore e galantuomo strinse quella della donna.
"Benvenuta".
...
Un'ora
più tardi, dopo aver presentato Prudie e averle affidato i
bambini e
gli addobbi, Ross e Demelza accompagnarono Inge al piano di sopra
mostrandole la sua stanza e accogliendola poi in un salottino
ristorandola con del tè caldo e dei biscotti.
Dwight
se n'era andato quasi subito tanta era la voglia di rivedere Caroline
e le bambine e ora in casa parevano regnare curiosità e
pace,
nonostante il chiasso al piano di sotto dove il vociare dei piccoli
si mischiava agli ululati della piccola Astrid e a quelli di Garrick
che le correva dietro ovunque.
Seduti
attorno a un tavolino, Inge occhieggiò Ross. "Quattro anni
fa
pensavo che foste folle e scavezzacollo ad accettare quel rischio pur
di salvare due bambini sconosciuti. Ma decidendo di tenerli, avete
superato ogni mia più fervida immaginazione. Quando Jasmine
vi ha
scelto, è stata saggia".
"Amo
stupire..." - rispose Ross sorseggiando il tè, divertito.
Non
amava sentirsi chiamare 'eroe' ma di certo il suo ego ne era
deliziato quando qualcuno pensava questo di lui.
"In
realtà sono stata io a voler tenere i bambini, Ross
all'inizio era
molto titubante. Ma appena li ho visti, non ho potuto mandarli via...
Erano piccoli, soli e la nostra casa era grande abbastanza anche per
loro. Avevano bisogno di un papà e una mamma e io e Ross lo
siamo.
In fondo è stato semplice, che c'era di complicato?".
Inge
sorrise dolcemente a Demelza, ammirata. "Il dottor Enys aveva
ragione, siete davvero una donna che è impossibile non
amare. Siete
davvero una creatura adorabile. E vi ringrazio... Ero così
affezionata a quei piccolini e per anni mi sono chiesta cosa ne fosse
stato di loro anche se sapevo che erano al sicuro".
Ross
si incupì. "Lo erano, almeno fino a poco fa...".
Anche
Inge tornò seria. "Il dottor Enys mi ha raccontato del
console
Haakon. E' un uomo pericoloso e di certo quattro anni fa sapeva che
eravate in contatto con Jasmine. Lo conosco bene, è un abile
politico ma soprattutto una spia infallibile e una persona dotata di
una incredibile intelligenza. E' spietato e se ha deciso che gli
siete nemico vi farà guerra usando ogni arma. Come sua
figlia, da
quel che mi ha raccontato il dottor Enys. Povera creatura...".
Ross
sospirò, pensando ad Odalyn. "Già. Jeremy ha
molti contatti
con quella ragazzina ma è un ragazzo assennato e so che non
rappresenterà un problema".
Inge
annuì. "Forse sarete la sua salvezza, come lo siete stati
per i
gemelli. Se
avete bisogno di me, io cercherò di esservi d'aiuto, ho
avuto a che
fare con Haakon
in passato e quanto meno conosco il modo in cui si muove. Avete
commesso un grande azzardo a tenere i piccoli, un grande gesto
d'amore e ora nel mio piccolo, vi aiuterò a proteggerli".
Demelza
strinse la stoffa del vestito. "Per ora li teniamo in casa
sempre con noi, al sicuro, con questo tempo freddo e piovoso
è
semplice e basta inventarsi qualcosa per tenerli occupati. Ma non
possono vivere murati quì, sono abituati all'aria aperta".
L'anziana
sospirò. "Pure io li tenevo nascosti e al chiuso ma erano
neonati. Di certo ora non possono vivere così e anche in
casa,
correrebbero comunque rischi".
"Che
volete dire?" - chiese Ross.
Inge
abbassò lo sguardo. "I vostri nemici arrivano dal grande
nord,
dove di luce ce n'è poca. Sanno muoversi nell'ombra, al buio
e lo
sapete quanto me... E nell'oscurità scrutano tutto e
arrivano
ovunque... I bimbi dormono in una stanzetta loro?".
Ross
sussultò a quella domanda, ricordando la brutta sensazione
di avere
spie che lo osservavano di continuo fuori dalla sua locanda ad Oslo,
spie che sentiva vicine e capaci di arrivare fin davanti al suo
letto. Sapeva che prima o poi quelle stesse ombre si sarebbero
accalcate attorno a casa sua ma che potessero entrarci come pareva
suggerire Inge, era qualcosa che aveva rimosso forzatamente dai suoi
pensieri... "Sì, dormono da soli".
Inge
si morse il labbro. "Dovete dormire tutti insieme, vicini. Non
perdeteli di vista, non di notte. E' il momento dove correte rischi
maggiori, quella gente non ci metterebbe nulla a penetrare nel vostro
giardino e di lì in casa. Haakon è una volpe e
saprà già tutto di
voi e di questa casa. Se vorrà raggiungerli,
imparerà come farlo.
Dovete essere più veloci e scaltri di lui...".
"Giuda"
- mormorò Demelza, tremando lievemente.
Inge
le sfiorò la mano. "Non dovete mostrarvi timorosa, mai.
Siamo
una squadra, credo,
e con
astuzia e muovendoci
bene, ne usciremo. Ci sono riuscita io anni fa, gliel'ho fatta sotto
il naso e ora abbiamo il vantaggio di sapere che i nemici ci
osservano, dandoci il tempo di prendere le contromosse".
Demelza
era sempre più allarmata, nonostante il tono pacato di Inge
iniziava
a comprendere bene la reale portata del pericolo. "Ma come lo
spiegheremo ai bambini? Jeremy e Clowance potranno capirlo, sanno la
verità. Ma i piccoli?".
Inge
sorrise. "Lo spiegheremo come un gioco, non è necessario
dire
verità che non capirebbero! Costruiremo una casa del Natale
nella
vostra stanza, un rifugio magico dove stare tutti insieme in attesa
della notte più magica dell'anno. Tutti insieme, inventando
giochi e
fiabe. Ciò che state facendo in casa con gli addobbi, lo
farete
doppiamente in camera vostra. E' grande abbastanza?".
Ross
annuì, pensando con tristezza ai tanti romantici piani che
aveva
fatto su quella grande camera da letto. "Sì, lo è
e ci
starebbero senza problemi dei divani in più per poter
dormire tutti
quanti lì. E visto quanto dite, la adibiremo per ospitarci
tutti,
voi e Prudie compresa. Sarà la nostra magica tana, giusto? E
con due
cani, avremo buona guardia su eventuali rumori notturni".
Inge
annuì. "Perfetto!
Per
i bambini sarà un gioco, per noi sarà un
rifugio ideale
come lo era la mia cantina nascosta ad Oslo".
Demelza
osservò quella donna anziana ma battagliera, minuta ma
incredibilmente forte. Se non aveva avuto paura lei quattro anni
prima, sola ed indifesa davanti a dei nemici potenti, non c'era
motivo per averne ora. E forse quel loro 'rifugio' sarebbe stato
fonte di magici ricordi di famiglia per loro e per i bambini. "Siete
davvero brava coi piccoli, riuscite anche a pianificare piani di
guerra rendendoli magici".
Inge
rise. "Oh, io accudisco bambini da quando ero giovanissima.
Principi e principessine, duchi e duchessine, conti e contessine.
Alcuni monelli, alcuni vivaci, alcuni viziati, alcuni adorabili... Ho
sviluppato molta fantasia negli anni".
Demelza
sorrise dolcemente. "L'ho notato... So che i gemelli li avete
nel cuore ma quando siete arrivata avete dato la medesima attenzione
e gentilezza ad ognuno dei miei figli. E di questo vi ringrazio...".
Inge
le sfiorò nuovamente la mano. "Oh, i bambini sono bambini,
ognuno deve avere la giusta attenzione ed ognuno di loro è
unico nel
suo genere. E' vero, amo i piccoli gemellini e vederli ora cresciuti,
vivaci, monelli e anche impertinenti è una gioia, il mio
cuore è
così leggero ora che li ho incontrati e so che lo
è anche quello
dei loro genitori naturali che grazie a voi possono riposare in pace.
Sono bambini bellissimi e si vede che sono stati cresciuti con amore,
senza differenze coi vostri figli naturali. Avete cinque figli
stupendi e presto ne arriverà un altro. Vi
aiuterò, consideratemi a
vostro servizio, amo essere parte di una famiglia piena di
piccolini".
Demelza
le strinse di rimando la mano. "Non a servizio, nostra ospite.
Faremo il necessario insieme e anche se non è casa vostra,
spero
possiate considerare di rimanere con noi".
"Beh,
ho fatto diverse promesse poco fa. Ho miniere da esplorare e alberi
su cui arrampicarmi. Non prometto se non ho intenzione di mantenere
la parola data e una vacanza nella vostra Inghilterra mi
piacerà".
Demelza
la abbracciò come la conoscesse da sempre. La adorava
già. "Grazie
per essere quì".
"Già,
grazie" - disse Ross, commosso.
I
tre si strinsero la mano e con quel patto appena siglato iniziarono a
predisporre un
piano di guerra che iniziava da una stanza fatata che sarebbe
diventata il regno del Natale. Il male sarebbe rimasto fuori, la
magia che avrebbero creato lo avrebbe tenuto lontano finché
non
avessero ideato un piano per risolvere la situazione. Ce l'avrebbero
fatta, Ross ne era sicuro.
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Capitolo 26 *** Capitolo ventisei ***
Per
quell’appuntamento Odalyn aveva indossato un grazioso
cappotto
verde che, unito al cappello di velluto rosso, le conferiva una
deliziosa aria natalizia. A Jeremy scocciava ammetterlo ma vestita
così, con la sua figura slanciata, con quei lunghi capelli
biondi e
gli occhi di ghiaccio freddi ma allo stesso tempo trasparenti, la
trovava bella. Avrebbe preferito il contrario perché la
lealtà
verso la sua famiglia strideva con la strana attrazione verso una
ragazzina che poteva essere sua nemica e che forse lo stava usando
per portare a termine i suoi scopi. Inge aveva raccontato loro chi
fosse davvero il console Haakon e quanto fosse pericoloso ma sua
figlia?
Non
capiva perché Odalyn continuasse a cercarlo e il racconto di
suo
padre, unito alle parole della tata norvegese - o vichinga, come la
chiamavano i suoi fratellini - lo metteva in allarme. Era semplice
interessamento e simpatia? O Odalyn portava avanti il piano di suo
padre?
Dal
canto suo anche la ragazzina era preda di mille pensieri e mille
preoccupazioni
e nonostante d'istinto avesse deciso cosa fare, di certo non poteva
immaginare le conseguenze del suo operato.
Suo padre si era chiuso in un ostinato mutismo verso di lei e non le
parlava da settimane dopo il fallimento del suo piano di seduzione di
Jeremy Poldark e sicuramente la considerava un fallimento come
figlia. Si era angustiata per questo, ci aveva sofferto ma poi si era
accorta che dopo tutto suo padre si era comportato con affetto ben
poche volte verso di lei e di solito lo aveva fatto ad eventi
importanti per fare bella figura con gli altri ospiti presenti più
che per profondo amore paterno.
Forse la considerava una sua proprietà, una pedina da
muovere a
piacimento sullo scacchiere delle sue macchinazioni ma amare era
un’altra cosa. Jeremy Poldark aveva una famiglia che lo
amava,
aveva fratelli, aveva genitori che si preoccupavano per lui, lei era
di solito sola, era stata cresciuta da tate e governanti fredde e
distaccate e pur non essendole mancato nulla, si sentiva che le era
mancato tutto.
Provava
simpatia per Jeremy, anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto
tortura. Ma
era stato una delle poche persone nella sua vita che le aveva portato
rispetto e si era mosso per il suo bene e questo l'aveva colpita
molto. In quelle settimane aveva indagato, attenta a non farsi
scoprire, sui
motivi dell’accanimento di suo padre contro la famiglia
Poldark. Aveva origliato
i suoi discorsi coi collaboratori
ed
aveva compreso che i gemelli dei Poldark potevano non essere davvero
dei Poldark ma qualcuno molto vicino ai reali di Norvegia. In che
modo non lo sapeva ma suo padre pareva deciso a mettere le mani sui
bambini a qualsiasi costo e le sue intenzioni verso di loro non
sembravano buone. Non
lo aveva mai detto chiaramente, lo aveva sempre sentito parlare per
sottointesi ma ormai lo conosceva abbastanza bene per comprendere
cosa si nascondesse dietro le sue parole.
Suo
padre era un uomo spietato, spesso si era fatto vanto di questa
caratteristica del suo carattere e sì, non amava lei come
probabilmente non aveva mai amato nessuno nella sua vita
e questo Odalyn lo aveva compreso da un pezzo.
Era un uomo innamorato del potere e di se stesso, amava il ruolo che
ricopriva in seno alla corte ma per il resto era una persona temuta,
autoritaria e senza scrupoli. Era grande abbastanza per capirlo e
soprattutto per
decidere se questo le piaceva o no ed agire di conseguenza.
Ma
una cosa aveva ereditato da lui ed era la furbizia. Odalyn aveva
scelto in quelle settimane di silenzio e aveva capito che doveva
agire d’astuzia con suo padre, cercando di fregarlo con le
sue
stesse armi. Voleva che seducesse Jeremy? Beh, lui non si sarebbe
fatto sedurre ma lei si sarebbe avvicinata a lui quanto bastava per
avvertirlo del pericolo…
C’erano
sicuramente delle spie di suo padre a seguirla quel giorno, nascoste
nell’ombra, che spiavano le sue mosse mentre era in compagnia
del
giovane Poldark. Beh, avrebbero riferito a suo padre qualcosa che a
lui avrebbe fatto apparentemente piacere, la piccola marionetta
avrebbe fatto vedere che eseguiva - apparentemente - gli ordini del
capo. Ma doveva essere brava, furba e credibile. Non poteva
permettersi errori...
“Perché
hai voluto proprio me per questa cosa?” – chiese
Jeremy, annoiato
davanti all’ennesima vetrina a cui si erano fermati. Santo
cielo,
odiava andare a fare compere e da piccolo era sempre morto di noia
quando Prudie lo aveva portato al mercato assieme a lei. Ora con
Odalyn e le sue dannate mercerie era ancora peggio! Che ci trovavano
le donne di tanto interessanti in stoffe, abiti, pizzi e merletti? Un
vestito non valeva l’altro…?
Odalyn
sospirò. “Santo cielo che tipo
noioso…”.
“Esatto,
brava! Potevi portarti uno meno noioso!”.
Lei
gli fece la linguaccia. “Beh, amo tormentarti”.
“Me
ne sono accorto”.
Fingendo
di ignorarlo, lei gli indicò un abito color crema in
vetrina. “Che
ne dici? Ti piace?”.
Jeremy
fissò il vestito, avvicinandosi. “No”.
Odalyn
lo guardò storto, era fin troppo sincero e brutale.
“Davvero?”.
“Sei
bionda, hai la pelle bianca peggio del latte, che ti metti a fare un
vestito di quel colore? Sembreresti un fantasma!”.
Odalyn
sbuffò, aveva i modi di fare di un uomo delle caverne.
“A me
sembra perfetto!”.
“Beh,
fa come vuoi!”.
La
ragazzina sorrise, decisa a stuzzicarlo ulteriormente.
“Quindi il
color crema non ti piace perché troppo chiaro,
giusto?”.
“Giusto!”.
“Allora
oggi, vestita in verde e rosso, devo sembrarti bellissima”
–
asserì con aria civettuola.
Jeremy
divenne rosso come un peperone, preso decisamente in contropiede.
“Sei… Sei meno simile… a un fantasma,
sì!”.
“Sei
poco galante!”.
“E
tu sei una ragazza assillante!”.
“Comprerò
il vestito color crema!”.
“Fa
come vuoi, tanto devi mettertelo tu!”.
Odalyn
si mise le mani sui fianchi. “Santo cielo, ma tu non stai a
pensare
a come devi vestirti al mattino?”.
“No,
metto la prima cosa che mi capita!”.
“Sei
proprio un maschio!”.
“E
tu sei proprio una femmina!”.
Si
guardarono negli occhi, con gli sguardi che lanciavano fiamme di
sfida ma anche con una strana attrazione che quando bisticciavano
sembrava accendersi.
Fu
Jeremy il primo a cedere, volgendo il viso altrove. Tornò a
fissare
la vetrina e poi le indicò un altro abito. “Quello
lì, blu…
Secondo me sarebbe meglio”.
Lei
fissò il vestito, curiosa. “Davvero?”.
“Sì,
davvero…”.
“Ci
penserò…”.
Lo
disse pensierosa, non in tono ironico, come se davvero stesse
prendendo in considerazione la sua indicazione. Jeremy si fece serio,
in realtà voleva capirne di più perché
era evidente che ci fossero
tensioni fra loro e anche se non poteva essere del tutto sincero con
lei, voleva scoprire un po’ le carte in gioco.
“Perché mi hai
chiesto di uscire? Avevi mille alternative migliori a me”.
“Questo
è vero ma mi piace tormentarti, ti trovo buffo”
– rispose la
ragazza, a tono, ma scostando lo sguardo.
“Non
credo sia solo questo”.
“Beh,
credi male…”.
Jeremy
le si avvicinò, prendendola per le spalle, esasperato da
quel gioco
di tensione e seduzione che a quindici anni ancora non riusciva a
giocare del tutto. “Mi piace ridere e scherzare ma non mi
piace
essere preso in giro da una ragazza straniera ed annoiata. Se ti sto
simpatico e vuoi la mia compagnia per questo, te la darò. Se
lo fai
per noia o chissà per che STRANO motivo, io me ne
starò a casa mia
da oggi in poi. Non risponderò a nessuna tua lettera e se ne
arriveranno, le brucerò nel camino, non ti
cercherò e non mi vedrai
più… Mio padre mi ha insegnato che si deve essere
sempre sinceri
quando si fa qualcosa. O il più sinceri
possibile…” – aggiunse
infine, rendendosi conto che in fondo stava un pò mentendo
anche
lui...
Odalyn
strinse i pugni, colpita dalla serietà di Jeremy e dal modo
in cui
aveva cambiato il suo umore. Se fino a pochi minuti prima gli era
sembrato un ragazzino annoiato, ora pareva più grande della
sua età.
Poi si guardò attorno, guardinga, facendo scorrere gli occhi
a
destra e a sinistra… Aveva un po’ paura per quanto
stava per fare
ma se c’erano spie a seguirla, era il momento per agire. E
Jeremy
gli aveva offerto l’opportunità su un piatto
d’argento… Gli
mise le mani sul petto, lo spinse contro il muro e poi
avvicinò per
alcuni istanti le labbra alle sue. Non perché glielo avesse
ordinato
suo padre e non perché doveva farlo. Non solo per quello
almeno…
Stavolta era lei a desiderare quel contatto perché Jeremy
gli
sembrava affascinante e la attraeva. Lo baciò, un bacio
leggero e
fior di labbra di pochi istanti, poi si allontanò di pochi
millimetri in modo che solo il ragazzino potesse udirla.
“Devo
dirti una cosa, per questo ti ho voluto con me oggi”
– sussurrò.
Jeremy,
che si sentiva andare a fuoco per quel contatto così
ravvicinato che
mai aveva avuto con una ragazza, sentiva il cuore in gola e la voce
andata via chissà dove. Santo cielo, lo aveva baciato?!
Baciato come
facevano i grandi e come spesso aveva visto fare i suoi genitori? Che
doveva fare? O dire? Perché era pur vero che aveva rifiutato
settimane prima le avances spinte di Odalyn ma quel semplice ed
innocente bacio era tutt’altro che spiacevole e risvegliava
in lui
sentimenti e sensazioni mai provate. Era sempre più confuso
nei
confronti di quella ragazza e non poteva dire che non gli piacesse ma
sapeva anche che non poteva asserire il contrario
“Cosa?”.
Lei
lo ribaciò, piano. “State attenti”.
“Come?”.
Labbra
contro labbra perché chi la seguisse la vedesse solo
flirtare,
Odalyn lo guardò negli occhi. “Mio
padre”.
“Tuo
padre?”.
“Avete
qualcosa che lui vuole… Due cose”.
Jeremy
rabbrividì. "Non so di cosa parli".
Lei
lo baciò ancora, brevemente. Le spie di suo padre avrebbero
avuto
cose interessanti da raccontare, anche se di certo non avrebbero
potuto udire cosa si stavano dicendo. "Sì che lo sai" -
asserì sicura, guardandolo negli occhi.
Stavolta
fu Jeremy a farsi coraggio, in quello strano gioco di seduzione,
attrazione e guerra... Credeva che quando sarebbe successo, sarebbe
stato lui a baciare per primo la ragazza che gli sarebbe piaciuta ma
Odalyn lo aveva battuto sul tempo e di fatto da subito si era
dimostrata più sveglia di lui. Ma ora voleva farle vedere
che sapeva
fare altrettanto e soprattutto, stava iniziando a capire il senso di
quell'uscita. Lei stava tentando di dirgli qualcosa e purtroppo per
lui, pur costretto a fingere per non tradire la sua famiglia, era ben
consapevole dei soggetti di quel loro strano discorso. I gemelli, due
cose che il
console
Haakon
voleva... Odalyn stava bleffando? Era una trappola? Stava
cercando di estorcergli con quei baci delle confessioni? O
stava cercando di aiutarlo? "Non lo so" - sussurrò,
afferrandole i polsi.
Odalyn
lo guaradò negli occhi, poi poggiò il viso sulla
sua spalla
parlandogli nell'orecchio in un gesto sensuale. "Ok, non sai
molto, se ti fa piacere farò finta di crederci. Ma state
attenti,
mio padre con le sue mani arriva ovunque e afferra tutto ciò
che
vuole".
"Ti
ripeto che non so di cosa parli" - le sussurrò all'orecchio
con
voce tremante.
Odalyn
sospirò, sempre
più sicura che Jeremy
stesse
bleffando
e che non si sarebbe fatto scappare nulla di bocca. Ma era abbastanza
certa che avesse ben
compreso il messaggio. "Come vuoi... Ma non dimenticarti di
guardare dentro alle mille ombre della sera,
dì a tuo padre di guardarsi le spalle.
Al buio succedono cose spaventose e ora in inverno di buio ce
n'è
tanto".
Si
guardarono negli occhi, profondamente. Era bella e forse dannatamente
pericolosa, non doveva dimenticarlo. Jeremy si sentiva per molti
aspetti ancora un ragazzino ma aver baciato una ragazza lo faceva
sentire improvvisamente grande e decisamente più confuso di
quanto
non fosse stato pochi minuti prima. Si sentiva strano, diviso fra
l'affetto dei suoi genitori e queste nuovi e potenti sensazioni che
Odalyn risvegliava in lui. Ma soprattutto, si sentiva spaventato e
preoccupato perché Odalyn, come Inge, stava rendendo ancor
più
reali i timori e i pericoli che la sua famiglia stava correndo
"Perché lo fai?" - chiese solo.
"Non
posso dirti molto, dammi qualche bacio o saremo credibili".
"Credibili
per chi?".
Odalyn
si strinse a lui. "Per chi mi segue".
Allarmato
da quelle parole, Jeremy fece per guardarsi attorno ma lei fu veloce
a
bloccargli il viso con un nuovo bacio. "Idiota!
Vuoi farci scoprire?".
Si
sentì effettivamente così, se Odalyn stava
recitando un copione con
uno scopo ben preciso, non stare al gioco forse avrebbe compromesso
quell'aiuto che lei sembrava dargli e l'avrebbe messa in pericolo. Ma
lo stava davvero aiutando? O faceva tutto parte di un piano di Haakon
di cui lei era una comoda pedina? "Perché mi stai dicendo
questo?" - chiese ancora.
Lei
sospirò, appoggiandosi a lui e ricordando quando poche
settimane
prima la
aveva respinta.
"Mi hai rispettata".
"Quando?".
Odalyn
scosse la testa, o Jeremy era idiota o era esasperante nel suo fare
il finto tonto. "Lo
sai...". Poi si staccò da lui, tornando padrona
di se stessa e del suo caratterino tutto pepe. "E ora su,
andiamo e ricorda cosa ho detto".
Jeremy
deglutì. "Andiamo dove?".
"Voglio
comprarmi il vestito blu. E anche quello color crema!".
E
senza che lui potesse trovare il tempo per rispondere, lei lo
trascinò all'interno del negozio ponendo fine a quello
strano ed
inaspettato momento che ancora non sapeva decifrare.
Due
ombre nascoste dietro a un muro si guardarono negli occhi. Il loro
capo avrebbe trovato decisamente interessante il resoconto delle
ultime mosse di sua figlia...
...
Una
nebbia fredda aveva ghiacciato la neve a terra e Prudie non la finiva
di imprecare mentre con Clowance stava portando i cani a fare i
bisogni in giardino.
La
piccola Astrid correva contenta nel manto bianco
mentre
il vecchio Garrick le andava dietro come un nonno preoccupato,
abbaiandole come a volerla rimproverare per la sua vivacità
di
cucciola.
In
casa Ross, Demelza, Inge e i bambini stavano costruendo il fortino
del Natale in camera da letto e la domestica non era affatto contenta
di essere stata scelta per congelare fuori coi cani.
Clowance
invece era entusiasta
perché la cattività chiusa in casa non faceva per
lei e stare
all'aria aperta, anche se al gelo, la stava rigenerando.
Con
la sua mantellina in lana color porpora correva dietro ai cani,
ridendo spensierata gustandosi quel momento di libertà che
le
mancava da morire.
"Cadrai!"
- le urlò Prudie.
"No,
non cado! Stiamo qua fuori finché non torna Jeremy?".
"Fossi
matta!" - le urlò Prudie - "Tuo fratello è fuori
con la
smorfiosetta vichinga e magari gli piacerà talmente tanto da
tornare
a notte! Fa fare pipì a quei due ammassi di pulci e torna
dentro!".
"Ohhh,
sei noiosa! E non hanno le pulci" - urlò Clowance di
rimando,
prendendo Astrid in braccio. La cucciola la leccò e lei
rise. "Vedi
che bella che è e come mi vuole già bene?".
Prudie
alzò gli occhi al cielo ma
quando fece per dire qualcosa, fu bloccata da Garrick che si mise a
ringhiare, lanciandosi quasi con ferocia contro la cancellata del
giardino.
Clowance
e Prudie si guardarono in faccia stupite, era strano, era un cane
buono e pantofolaio e mai l'avevano visto fare così. Inoltre
era
quasi sera, faceva freddo e in giro non sembrava esserci anima viva.
"Cos'ha?" - domandò la bambina avvicinandosi a sua volta
al cancello.
Prudie
fu colta da uno strano sesto senso e allarmata per la situazione di
pericolo che la famiglia correva, fece per fermarla. "Clowance,
ferma!".
Ma
Clowance fu più veloce e in un attimo, coi cani, era fuori
dal
cancello.
Prudie
le
corse dietro
e quando la raggiunse, trovò la bambina che, assorta,
guardava fra i
rovi del parco davanti casa. Garrick ringhiava ancora
e
la piccola Astrid, anche se in modo buffo, cercava di imitarlo. "Che
cosa c'è?".
Clowance
indicò un punto imprecisato di una siepe. "C'era qualcuno
nascosto che ci guardava".
Prudie
si allarmò. "Cosa? Sei sicura?".
"Sì,
c'è nebbia ma ho visto un'ombra sfuggire via appena mi sono
avvicinata".
Prudie
impallidì e d'istinto prese per mano la bambina. "Prendiamo
i
cani e andiamo dentro, subito".
Clowance
non fece storie stavolta, stringendosi a lei. "Sono i cattivi
che vogliono i gemelli secondo te?".
La
donna le accarezzò le spalle. "Non lo so, magari era solo un
gatto randagio. Ma è meglio andare dentro".
Clowance
scosse la testa. "Non era un gatto. Dobbiamo dirlo a mamma e
papà?".
Prudie
annuì. "Sì".
Entrambe
guardarono verso il parco, ora immobile e silenzioso ammantato di una
nebbia densa e gelida che pareva nascondere infinite ombre e
inquietanti misteri. Poi rientrarono
a passo spedito, seguite
da Astrid e da Garrick che ancora non aveva smesso di ringhiare.
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Capitolo 27 *** Capitolo ventisette ***
Quanto
successo a Clowance e Prudie aveva messo in allerta Ross, Demelza ed
Inge ma i tre, dopo aver coinvolto anche Jeremy nelle loro decisioni,
avevano deciso di proseguire nelle scelte fatte facendo finta di
nulla. I bimbi avrebbero avuto la loro stanza magica del Natale e
tutto sarebbe parso fatato e idilliaco, avevano diritto a quella
festa che aspettavano da tanto. Il Natale stava arrivando e con esso
e la sua atmosfera fiabesca un pò del marcio che li
circondava
sarebbe stato cammuffato.
Jeremy
aveva aiutato i genitori a sistemare la loro camera in modo che
potesse ospitare tutti. Aveva mantenuto il segreto su quanto successo
con Odalyn perché si sentiva imbarazzato nel ripensare ai
baci della
ragazza e non voleva condividere quel momento intimo con nessuno
prima di capire cosa significasse per lui. Ma c'era anche
l'avvertimento che gli aveva dato Odalyn e forse di quello avrebbe
dovuto parlare ma... Ma in fondo suo padre sapeva già di
dover stare
attento ad Haakon, Inge lo aveva avvertito e quindi sarebbe bastato
solo fare attenzione come avevano fatto fino a quel momento e tutto
si sarebbe risolto in un modo o nell'altro.
Nella
camera da letto fu portato un divano dove avrebbe dormito Prudie. Fu
messo nella parte a ridosso della porta, accanto al camino. Inge
avrebbe dormito sul divanetto che c'era già e che dava sulla
parete
adiacente al corridoio esterno, Ross avrebbe dormito sulla poltrona
accanto al letto che invece avrebbe ospitato Demelza e i tre bambini
più piccoli. Jeremy aveva chiesto di poter dormire in un
sacco a
pelo come i soldati ed era stato accontentato mentre la vivace
Clowance si era costruita un rifugio con sedie e coperte... Una
specie di tenda in mezzo alla stanza tutta per lei e per i cani dove
avrebbe dormito su dei morbidi cuscini con cui l'aveva riempita.
I
gemelli e Bella avevano preso quella faccenda come un gioco e avevano
trovato entusiasmante costruire insieme un rifugio del Natale per
tutti loro. Finito di spostare divani e armadi, erano passati agli
addobbi. Il camino, le finestre, ogni angolo della stanza fu riempito
di festoni, di pigne colorate, di candele... E fra la finestra e il
camino fu addobbato un grosso albero di Natale che con le sue
decorazioni e le candele avrebbe dato alla stanza un calore soffuso e
magico.
"A
papà Natale piacerà venire quì e ci
lascerà tanti regali!" -
aveva sentenziato Bella.
Il
giorno della Vigilia, mentre fuori nevicava copiosamente e fra le
strade si sentivano canti di Natale intonati dai cori delle varie
Chiese di Londra, Demelza ed Inge avevano cucinato senza sosta ogni
genere di manicaretto per la sera. E se Demelza si era sbizzarrita
con torte dolci e salate e un arrosto ripieno di castagne, Inge aveva
arricchito il menù con delle specialità norvegesi
a base di pesce.
Per dolce erano stati preparati
biscotti di pastafrolla che Inge, con le bambine, aveva cucinato
facendone tantissimi a forma di renne, fiocchi di neve e stelle. Poi
li avevano decorati con la glassa e ne avevano riempiti ben due
vassoi. Demelza invece aveva cucinato un pudding con Prudie e alla
fine del pomeriggio avevano preparato tanto di quel cibo da poter
mangiare fino alla fine dell'anno.
La
sera, dopo aver portato fuori i cani, tutte le imposte furono chiuse,
la porta sigillata con doppia mandata e con un pesante catenaccio e
tutti si trasferirono nella grande camera da letto. Furono lasciate
accese le luci esterne nei corridoi e sulle scale per dare una
parvenza di vita anche fuori da quella stanza e poi, dopo aver chiuso
la porta, cenarono insieme seduti per terra. Inge raccontò
leggende
nordiche sul Natale, degli orsi bianchi e dei coraggiosi vichinghi
che coi loro cani sfidavano il gelo e i ghiacci del nord per cercare
cibo e i piccoli la ascoltarono affascinati e facendo mille domande.
Poi Jeremy inventò una storia sui pirati dei sette mari che
conquistò l'attenzione di Daisy e infine Demelza
suonò alla
spinetta dei canti natalizi, accompagnandoli con la sua dolce voce.
Dopo di che i bambini furono sguinzagliati per la stanza in una
divertente caccia al tesoro in cui i piccoli dovevano trovare dei
dolci di pan di zenzero che Demelza ed Inge avevano nascosto durante
il pomeriggio.
Ci
furono risate, tenerezza, allegria. Poi fu la volta di scartare i
doni e ognuno ne fu soddisfatto. Jeremy ricevette una nuova canna da
pesca, Clowance un nuovo cappotto come quello che le era piaciuto in
una vetrina vista poche settimane prima, Bella una bambola, Daisy un
orsacchiotto nuovo e Demian che amava guardare le stelle e la luna,
un cannocchiale per vedere lontano. Inge ricevette un caldo scialle
che Demelza aveva cucito in fretta per lei e Prudie delle nuove
pantofole in feltro visto che si lamentava sempre di aver freddo ai
piedi. Ross regalò a Demelza un nuovo ciondolo con un
pendaglio
d'oro raffigurante il numero 7, come i loro figli. Julia compresa...
Demelza,
commossa, gli regalò invece dei gemelli per la giacca con
cui andava
in Parlamento e anche un cilindro. A Londra aveva visto tanti
gentiluomini portare quel cappello e anche se sapeva che Ross lo
trovava orribile, non aveva resistito a compragliene uno. Lui le
promise, ridendo, che per amor suo lo avrebbe messo una volta...
Infine
i bimbi recitarono una poesia per tutti loro, come dono.
Passarono
poi a
sfidarsi con dei giochi di
carte e Ross
ne approfittò per insegnare a Clowance e a Jeremy a barare a
poker,
come aveva fatto Jud con lui quando aveva la loro etò
Demelza
protestò ma alla fine si errese e con
i
più
piccoli si
dedicò a tranquilli giochi
di società.
Infine, quando ormai era molto tardi,
giocarono ai pirati fingendo che il rifugio che si era costruita
Clowance per dormire fosse una grotta magica da
conquistare.
Fu
una serata divertente e nessuno in cuor suo avrebbe voluto che
finisse...
Difficile
credere che il male albergasse fuori dalla casa e fosse pronto ad
allungare le mani su di loro, quasi impossile. Eppure quella magia
faceva sentire loro reale quell'effimera sensazione di sicurezza.
Anche
se Jeremy,
più volte in quella sera, tornava
alla realtà chiedendosi
cosa stesse facendo Odalyn con suo padre e se anche loro stessero
festeggiando il Natale in qualche modo.
Ma
non sapeva darsi risposte positive e con frustrazione si metteva a
pensare a quanto fosse inutile essere un ragazzino quando c'era
qualcuno che si voleva aiutare. Sì, Odalyn era ancora un
mistero per
lui ma sentiva di volerle dare una mano per vivere meglio. Forse non
poteva fidarsi del tutto ma come dono di Natale, decise, voleva
fidarsi di lei almeno un pò. E poi come avrebbe potuto fare
diversamente dopo quei baci che gli erano più o meno
piaciuti?
Passata
la mezzanotte, fu Demian il primo ad addormentarsi in braccio a
Demelza che, anche a causa della maternità, alla sera
sentiva il
bisogno di andare a dormire prima.
La
donna augurò
a tutti buona notte e poi si
mise a letto con
il
bambino mentre Prudie russava di già
sul
divano, spinta fra le braccia di Morfeo dai mille brindisi che si era
concessa. Clowance, coi Garrick
e Astrid,
si mise nel suo accampamento improvvisato e in poco tempo si
addormentò, seguita da Jeremy che perso in mille pensieri,
chiuse
gli occhi quasi subito avvolto in
quel
suo sacco a pelo da soldato
che lo faceva sentire più grande.
In
compagnia di Daisy e Bella che non volevano ancora dormire ed erano
eccitate per i doni e la festa, Ross si mise con le piccole sulle
ginocchia sul divano, accanto ad Inge che osservava le bambine con
aria divertita. Gli altri dormivano, la stanza era avvolta dal calore
del camino e dalle luci soffuse delle candele e degli addobbi ma loro
erano ancora piene di energia.
"Mi
racconti un'altra storia dei vichinghi?" - le chiese Daisy.
"Vichighi
soldati o vichinghi pirati?".
Daisy
e Bella si guardarono negli occhi. "PIRATI!!!" - dissero
all'unisono.
"Dove
abito io ci sono, lo sai?" - esclamò Daisy.
La
donna fece una faccia stupita. "Davvero?".
"Davvero!
Uno è amico di papà!".
Ross
si accigliò. "Chi sarebbe?".
Bella
rise. "Tholly che canta le canzoni da osteria...". Poi
osservò sua madre e dopo essersi accertata che dormiva,
canticchiò
una delle canzoni che il vecchio pirata le aveva insegnato.
"BumBumBum, solchiamo i mari veloce con un bel bicchiere di
ruhm".
Ross
si mise le mani nei capelli... Per fortuna Demelza dormiva oppure lo
avrebbe ucciso assieme a Tholly al loro ritorno in Cornovaglia.
Inge
invece, divertita,
le accontentò, facendosi promettere che poi avrebbero
dormito.
"Forse dovreste mettervi a letto con mamma e vostro fratello
mentre vi racconto la storia"
- suggerì loro.
Ma
entrambe le piccole si strinsero a Ross che fece loro il solletico
sui pancini. "No, vogliamo stare con papà!".
"Oh,
che bimbe viziate!" - scherzò Inge.
Ross
le sorrise. "Sono il loro eroe ed idolo".
Inge
gli lanciò un'occhiataccia, era decisamente un padre molto
arrendevole con le bambine. "E sia, vi racconterò di Erik il
rosso...".
"Rosso
come mamma?" - domandò Bella.
"Mamma
è più bella" - la corresse la donna, prima di
iniziare a
raccontare imprese leggendarie del vichingo Erik che, si diceva,
avesse scoperto l'America prima di Colombo.
Le
bimbe la ascoltarono facendo mille domande ma alla fine, fra le
braccia del padre, cedettero anche loro al sonno.
Inge
si bloccò, pensando che lui volesse portarle a letto, ma
Ross rimase
fermo. "Se mi sposto ora, si risveglieranno, hanno il sonno
leggero
appena addormentate!
E poi voglio sapere come va a finire la storia".
"Il
resto della vita di Erik ve lo racconto a Capodanno". Inge
rise, finendo il bicchiere di vino che aveva lasciato sul comodino.
"E' davvero delizioso! Come avete detto che si chiama?".
"Porto".
"Porto...
In Norvegia non abbiamo vini tanto buoni".
Ross
annuì. "Anche mia moglie lo adora".
Inge
osservò la donna che a letto, dormiva col piccolo Demian
abbracciato. "E' una persona adorabile, vostra moglie. I suoi
occhi brillano e trasudano amore e dolcezza. Sembra generosa e
gentile e il dottor Enys aveva ragione, è impossibile non
volerle
bene. Mi ha fatta sentire a casa e questo è davvero stato un
bellissimo Natale. Non è facile per me trovarmi in una terra
straniera fra sconosciuti ma lei mi fa sentire 'di casa'. Siete una
bella famiglia, voi Poldark".
Ross
si sentì lusingato. "Vi
ringrazio e mi fa piacere avervi quì. In fondo questo Natale
in
cattività è venuto tanto bene anche grazie a voi".
Inge
sospirò. "Vedete, ho visto molti Natali a corte, quando vi
lavoravo da bambinaia. Feste rigide, senza calore, coi bimbi
costretti a stare fermi e ritti sulla sedia in lunghissime e noiose
cene. Quì ho trovato calore, vita, l'amore di una famiglia".
Si
voltò verso Daisy e le accarezzò la guancia con
delicatezza.
"Vivono la vita che avrebbero voluto per loro i genitori".
Ross
baciò i capelli biondi della piccola. "Non posso dar loro un
trono ma di certo posso cercare di essere un buon padre".
"Oh
capitano, in fondo la maggior parte di noi cresce benissimo anche
senza un trono. Si sopravvive...".
"Direi
di sì" - sussurrò Ross, da sempre allergico alle
forme di
potere. "Resterete con noi anche dopo la fine di questa
storia?".
Inge
ci pensò su. "Ecco, non è la mia terra questa
e questo fatto va considerato.
Ma mi trovo bene e in fondo in Norvegia sono sola. Non ho
più
l'energia della gioventù ma se mi vorrete a servizio,
sarò ben
felice di aiutarvi coi bambini
anche per tenere fede alla promessa fatta ai genitori dei gemellini.
Ma
tutti, tutti
questi bimbi,
sono adorabili. Come la vostra famiglia. Siete speciali voi e vostra
moglie".
Ross
strinse le bimbe a se, lasciandosi andare senza quasi accorgersene a
una confidenza. "Non siamo così perfetti
come voi e molti ci vedete,
io e Demelza
abbiamo avuto i nostri alti e bassi come tutti. E i nostri 'bassi',
sono stati profondamente bassi. Abbiamo rischiato di perderci almeno
due volte...".
Inge
scosse la testa. "Beh, le persone perfette sono noiose, così
come una vita senza scossoni. Le crisi servono a temprare gli amori
veri e a distruggere quelli che poggiano su basi di sabbia. E il modo
in cui vi guardate voi e vostra moglie mi fa pensare che apparteniate
alla prima categoria,
sembrate così innamorati anche dopo diversi anni di
matrimonio.
Siete uno scavezzacollo ma a vostra moglie piacete così e
trovo che
lei compensi in un modo meraviglioso il vostro carattere sicuramente
non sempre facile".
Ross
la guardò storto. "In cosa sarei uno scavezzacollo?".
Inge
rise. "Chi se non uno scavezzacollo avrebbe potuto rischiare
quanto voi quando avete preso i gemelli a casa mia quattro anni fa?".
Anche
Ross rise e poi col braccio indicò Demian. "In effetti...
Anche
se devo dirvelo, se avessi saputo che quel piccolo vichingo avrebbe
insidiato il mio posto nel letto accanto a mia moglie, lo avrei
regalato al primo pescatore di salmoni che avessi incontrato lungo
la
strada
per il porto".
Inge
rise. "Oh, non ne dubito. Ma il piccolo Demian a quanto pare non
ha potuto molto, considerando che vostra moglie è di nuovo
incinta...".
Ross
stavolta arrossì e ringraziò che ci fosse buio.
"A volte vinco
qualche battaglia".
Bella
si mosse fra le sue braccia e Ross capì che era il momento
di
mettere a letto le bambine.
"Portatele
dalla loro mamma, al calduccio. E' tardissimo e queste monelle devono
dormire".
Ross
annuì ed aiutato
da Inge si alzò, le portò nel lettone e senza
svegliare nessuno, le
mise accanto a Demelza e al fratello e poi coprì le
con
delle morbide coperte.
Bella si mise a sederino insù, Daisy si voltò di
lato e si
rannicchiò abbracciando il cuscino.
Baciò
le piccole sulla fronte e
infine, dopo aver salutato Inge ed averle augurato la buona notte, si
mise sulla sua poltrona accanto a Demelza, mettendo le gambe su un
poggia piedi. Si coprì e poi si guardò attorno,
gustandosi la magia
di quel Natale tanto singolare ma a suo modo unico. Le persone che
più amava e che per lui erano vita erano lì, sane
e salve tutte
accanto a lui, in pace e armonia. Il respiro placido dei bambini si
mischiava a quello più pesante di Prudie e le ombre colorate
delle
candele e delle decorazioni rendevano ancora più bello il
volto
della donna accanto a lui.
La stanza era magica e anche se per forza di cose era diventata una
specie di prigione, la magia di quanto creato insieme aveva distrutto
ogni ombra. Forse non era il Natale lussuoso di tante dimore
signorili vicino alla sua, forse non c'erano sfarzo e nemmeno ospiti
importanti ma la semplicità e l'armonia di quella serata non
l'avrebbe cambiata con nulla al mondo. Si sentiva ricco di cose che
non potevano essere comprate col denaro, amato, in pace col mondo.
C'era stato un tempo dove, tornato dalla guerra, aveva trovato il
nulla ad attenderlo. Fosse anche morto ubriaco in mezzo a un prato,
nessuno se ne sarebbe accorto. La sua vita era in rovina,
così come
la sua casa, la donna che pensava di sposare gli aveva voltato le
spalle, suo padre era morto e non aveva il becco di un soldo. E poi?
E poi a una fiera aveva incontrato una monella coraggiosa che per il
suo cane avrebbe rischiato tutto e la sua vita era cambiata. Insieme,
si erano sostenuti e salvati a vicenda e poi erano cresciuti
imparando ad amarsi. E ora aveva una famiglia grande, armoniosa, era
un marito amato e
innamorato di sua moglie e
un padre adorato dai suoi figli. Poteva volere di più? No,
non
poteva e nemmeno voleva di più. Se quel giorno, al ritorno
dalla
guerra, qualcuno gli avesse detto che da quella miseria che aveva
trovato sarebbe scaturita ricchezza, non ci avrebbe creduto. E
invece, che meravigliosa meraviglia sapeva essere la vita...
Guardò
sua moglie. Demelza
dormiva con la mano poggiata sul suo ventre mentre l'altra teneva
stretto Demian. Era bellissima e in fondo non così cambiata
da
quando si erano sposati. Certo, i tratti da ragazzina erano spariti
ma avevano lasciato il posto a un viso di donna incantevole, dai
lineamenti delicati e fini e dallo sguardo dolce ed impossibile da
non amare, come aveva detto Inge. Era pazzo di lei e rabbrividiva al
pensiero di quanto aveva rischiato di perderla in passato. Come aveva
potuto? Come sarebbe sopravvissuto senza di lei? Come aveva fatto a
permettere ad Armitage di minare il loro rapporto senza fare nulla?
Eppure
tutto era servito e tutto era passato... Ed Inge, a conti fatti aveva
ragione. Ciò che non distrugge, fortifica e di certo lui e
Demelza
ne erano usciti più forti dai momenti cupi e dal dolore.
Avrebbe
solo voluto che lei soffrisse meno a causa sua
perché lo sapeva, in passato era andato molto vicino a
spezzarle il
cuore.
Ma
i ricordi brutti furono poi soppiantati da quelli belli, mentre la
guardava. La loro prima volta, i primi mesi di matrimonio, Julia,
Jeremy, Clowance e Bella e poi i gemellini... Le risate, i
battibecchi, la passione, la loro squadra che insieme affrontava ogni
avversità. Santo cielo che avventura fantastica che era
anche
il matrimonio!
Se sposavi la persona giusta, certo...
Ma
più di tutto, un ricordo lo colse forte, forse proprio
perché
legato alla
ricorrenza di
quella sera.
Ricordò
quel primo Natale da sposati, a Trenwith, ricordò
Demelza che aveva il terrore di affrontare la sua famiglia, i suoi
dubbi, i suoi timori... E poi lei che cantava per lui con quella voce
di cui era così geloso e che tanto lo aveva fatto soffrire
quando
aveva intonato un canto per un altro... Quella voce che in quel
Natale lontano lo aveva fatto innamorare senza possibilità
di
ritorno. E infine
lei che dormiva sul cuscino proprio come in quel momento, con le luci
delle candele che le illuminavano in viso e l'espressione pura e
dolce che mai l'aveva abbandonata. E come allora, un figlio che
cresceva dentro di lei...
C'era Julia in arrivo, in quel Natale. E ora un nuovo bambino sarebbe
arrivato a colmare la loro vita di nuova gioia.
"Buon
Natale, amore mio" - aveva detto quella volta...
Si
chinò piano, sfiorandole il viso per baciarla sulle labbra.
"Buon
Natale, amore mio" - disse ancora.
Avrebbe
voluto non svegliarla ma lei aprì gli occhi e senza dire
nulla, lo
guardò negli occhi. Poi sorrise, gli si avvicinò
e lo baciò
lentamente, in un modo sensuale che lo faceva impazzire, sulle
labbra. Piano, con dolcezza ma anche con una sensualità che
non era
venuta meno con la maternità.
I loro baci prima di andare a dormire non erano mai stati innocenti
ma anzi, pieni di desiderio e passione, anche se magari arrivavano
dopo momenti d'amore e fusione totale fra loro.
Ricambiò
il bacio e non si dissero niente, certi momenti non avevano bisogno
di parole e fra lui e lei molto spesso bastavano gli sguardi ad
esprimere ciò che davvero sentivano nel cuore.
Infine
le sorrise, le strinse la mano e quando le loro dita furono
intrecciate, lei richiuse gli occhi tranquilla, continuando a
dormire.
Rimase
a guardarla ma poi la magia dell'atmosfera, la dolcezza del momento,
il sapere che i suoi figli erano salvi e che le luci del Natale
illuminavano il loro riposo, chiuse gli occhi e si
addormentò.
Non
seppe mai quanto dormì ma si svegliò di
soprassalto. Un rumore di
vetri rotti ruppe il silenzio, seguito poi dal trambusto di assi di
legno spezzati e mobili buttati a terra in una camera vicina. Troppo
vicina per non essere altro che quella dei bambini più
piccoli...
Ross
schizzò in piedi e si guardò attorno. Anche gli
altri si erano
svegliati e con terrore, si accorsero che qualcuno era entrato e che
fuori da quella porta non erano più soli.
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Capitolo 28 *** Capitolo ventotto ***
Demelza
strinse a se i bambini e Clowance corse sul letto accanto a lei
tenendo fra le braccia la piccola Astrid. Anche Inge e Prudie,
pallide e tese, si avvicinarono al lettone e Ross fece segno a tutti
loro di stringersi e non fare rumore. Garrick fece per abbaiare ma lo
sguardo del suo padrone gli fece capire che non era il caso e come
gli altri, si unì al gruppo poggiando il musetto sulle gambe
di
Demelza.
Poi,
mentre nella stanza affianco i rumori diventavano sempre più
violenti, Ross osservò Jeremy. "Qualunque cosa succeda, non
spostarti dal fianco di tua madre!" - bisbigliò.
"Ma
papà...".
Ross
bloccò sul nascere ogni protesta del ragazzo che forse
voleva
aiutarlo come avrebbe fatto un uomo ma che lui non avrebbe messo in
pericolo per niente al mondo, finché fosse stato possibile.
"Jeremy,
fai così E BASTA!".
Il
ragazzo annuì, sedendosi sul letto e prendendo la mano della
madre.
Il tono di suo padre era raramente perentorio ma quando lo
utilizzava, sapeva che non c'era da obiettare.
Demelza
strinse a se Demian che tremava. "Tesoro, tranquillo, non è
nulla" - sussurrò, tuttavia con poca convinzione. Ma un
rumore
di vetri rotti fece nuovamente sobbalzare tutti. La magia del Natale
pareva svanita.
"Mamma..."
- piagnucolò Bella.
Demelza
si sentì impotente ma fu Inge a salvare la situazione. "Oh,
piccola! Sono gli elfi dispettosi del Natale! A volte capita che
vengano per fare un dispetto ai bimbi che hanno ricevuto i doni che
volevano loro e quindi succede che facciano un pò di
baccano. Ma se
faremo silenzio e staremo zitti zitti, andranno via e cercheranno
un'altra casa!".
"Davvero?"
- chiese Daisy.
"Davvero".
"Non
possiamo andare di la e picchiarli?" - chiese la piccola,
dimostrandosi piuttosto risoluta circa le modalità con cui
risolvere
le questioni.
L'anziana
tata norvegese la guardò con ammirazione. Era decisamente la
discendente dei suoi bellicosi avi e in lei scorreva il sangue
selvaggio che molti norvegesi possedevano per nascita.
Ross
sorrise ad Inge che pareva aver calmato i bimbi. "Ci pensa
papà
a spaventarli!".
Demelza
lo guardò. "Cosa vuoi fare?".
Ross
fissò la porta. Poi si avvicinò all'armadio e da
un doppio fondo ne
tirò fuori una fodera. Ne estrasse una pistola che teneva
ben
nascosta e celata da quando era iniziata la faccenda con Haakon, la
caricò e si avvicinò alla porta.
Inge
fu un razzo. Silenziosa come un gatto ma veloce come una pantera, lo
raggiunse e lo bloccò prima che la spalancasse ed uscisse.
"No!
Non uscite, aspettano solo che apriate le porta! Nel momento che lo
farete, diventeremmo estremamente vulnerabili".
"Dovrei
asserragliarmi quì come un codardo?".
"No,
non come un codardo ma come un uomo assennato! Quì avete le
barriere
che vi aiutano a proteggere la vostra famiglia, aperta quella porta
perderete questo vantaggio. Siete l'unico uomo con due donne non
più
giovani, una donna incinta e dei bambini. Restate quì e
affrontateli
solo se sarà necessario".
Ross
sospirò, rendendosi conto che lei aveva ragione. Ma i rumori
erano
forti, qualcuno era in casa sua e cercava qualcosa nella stanza dei
suoi bambini più piccoli. I rumori provenivano da
lì e quanto detto
da Inge al suo arrivo era diventato reale: chi è abituato a
muoversi
nel buio, è con le tenebre che cerca di sferrare il suo
colpo
mortale. Se non avessero portato i bambini in camera loro, quella
gente sarebbe entrata nella loro stanza mentre dormivano e li avrebbe
portati via e poi chissà cosa sarebbe successo... Era
giusto, doveva
rimanere e non aprire la porta e anche se questo gli pareva sulle
prime un comportamento da codardo, si rendeva conto che non poteva
rischiare un azzardo giocando all'eroe. Doveva star loro vicino, non
perderli di vista. E nel caso, proteggere chi amava.
Annuì
quindi ad Inge, si allontanò dalla porta e raggiunse la
finestra. La
casa era avvolta nel gelo e nella nebbia, la neve cadeva ormai rada e
fuori era tutto silenzio, pace... La pace della notte di Natale di
cui aveva goduto anche lui fino a poco prima...
Rumori,
di nuovo... E passi nel corridoio che fecero sobbalzare tutti.
Fu
un istinto quello di Ross, giunto senza nemmeno pensarci troppo, ma
per fortuna si rivelò esatto.
Con
un gesto veloce aprì la finestra, puntò la
pistola fuori,
nell'oscurità e sparò due colpi di avvertimento.
Forti, potenti
e sicuramente uditi a grande distanza tanto che di certo qualcuno
sarebbe uscito di casa per vedere cosa stesse succedendo!
Dei
testimoni sarebbero stati scomodi ed inoltre chiunque
ci fosse in quella casa,
sarebbe
stato
a conoscenza del fatto che era armato! E che con quegli spari,
l'attenzione
di qualche curioso sarebbe stata risvegliata...
I
passi infatti si fermarono...
Poi
tornarono velocemente indetro da dove erano venuti, ripresero la
strada verso la cameretta e Ross riuscì solo a vedere tre
ombre
scure che saltavano giù dal cornicione, sparendo di corsa.
La
casa tornò nel silenzio e Ross rilasciò il
respiro che aveva
trattenuto. Gli altri fecero altrettanto e per un attimo respirarono
la sensazione dello scampato pericolo.
"Papà,
sono andati via?" - chiese Bella.
Ross
annuì, poggiando la testa contro il vetro. La sua mano,
quella con
cui teneva la pistola, tremava ancora. "Sì...".
"Avranno
preso i nostri giochi gli elfi cattivi?" - domandò Demian.
Demelza
lo baciò sulla fronte. "Sono sicura di no. Papà
li ha fatti
scappare".
Daisy
sorrise. "Papà è un eroe!". Sembrava la meno
spaventata
di tutti.
Jeremy
si alzò dal letto e andò dal padre. Non disse
nulla ma lo abbracciò
come non faceva da tanto. "Sì, un eroe..."
- aggiuse in un soffio.
...
Il
mattino dopo, quando la vita riprese possesso di Londra e sarebbe
stato più difficile tentare nuove incursioni, Ross
uscì dalla
stanza per controllare i danni.
La
casa era a posto, eccetto la stanza dei bambini. I vetri della
cameretta erano stati sfondati, alcuni mobili ribaltati, i giochi
erano sparsi sul pavimento e i lettini erano
stati completamente disfati.
Impronte di stivali erano ben visibili sui tappeti e sul pavimento e
poi sul corridoio esterno. Si fermavano a pochi metri dalla camera da
letto matrimoniale dove forse, se non avesse sparato, avrebbero
cercato di fare irruzione. Non aprire quell'uscio era stata la sua
salvezza.
Dietro
di lui Demelza, che aveva affidato i bambini a Prudie ed Inge, lo
cinse con le braccia. "Ross... E ora? Giuda, ora che facciamo?
Dovremo sentirci in pericolo ogni momento del giorno?".
Ross
le strinse le mani, preoccupato per la sua famiglia e per lei che
incinta, aveva solo diritto a pace e tranquillità. "Ora
agiremo
in fretta, dobbiamo essere più veloci di loro".
"Ma
se stanotte i bambini...".
La
interruppe, non voleva che avesse questi pensieri così
foschi, non
lei. Almeno Demelza doveva conservare il suo ottimismo e sorriso.
"Amore mio, i bambini erano con noi e quindi non ha senso
pensare a mille se o ma. Erano con noi e staranno con noi, ne
usciremo e torneremo a casa in pace con tutti i nostri figli".
Demelza
lo guardò angosciata. "Come?".
Decise
di apparire ottimista e sicuro del da farsi, anche se non lo era
affatto e lei probabilmente lo avrebbe capito. "Te l'ho detto,
agendo velocemente. Ora abbiamo dalla nostra la luce del sole che
potrebbe inibire ulteriori attacchi... Andrò subito a
sporgere
denuncia da Wichman e alla Polizia cittadina, questo dovrebbe
costringere i nostri nemici a stare fermi per un paio di giorni per
non destare sospetti. Poi con Jones deciderò i passi futuri.
Ricordi
che gli ho detto settimane fa che avevano bisogno, nel caso di un
rifugio?".
"Sì".
"Beh,
esiste e ci ha pensato lui".
Demelza
non allentò la stretta su di lui. "Jones? Il tuo socio?".
Lo conosceva di vista, sapeva che lui e Ross collaboravano insieme da
anni e che era la sua spalla nelle missioni straniere e sapeva anche
che c'erano poche persone che godevano della fiducia di suo marito
come lui. Ma sapeva
che era
anche uno scavezzacollo, un
uomo dalle visioni del mondo e della vita alternative e che non
sempre lei approvava
e soprattutto una persona senza troppi limiti morali, poteva essere
il migliore amico del mondo ma anche un nemico temibile.
Però
conosceva il male e l'oscurità degli uomini, sapeva come
muoversi in
mezzo ai peggiori delinquenti e soprattutto, era avvezzo ad
affrontare situazioni difficili. Sì, non era un tipo
ordinario e
a volte poteva risultare indigesto ma
era anche un ottimo alleato e con lui e Ross insieme, forse poteva
sentirsi più sicura. "Andrai oggi? E' Natale...".
Ross
ridacchiò, nonostante tutto. "Oh, per Wichman non esiste il
Natale, lui lavora praticamente sempre! Per Jones il Natale significa
infiniti pranzi coi suoi odiati parenti, mi ringrazierà per
averlo
salvato".
"Sicuro?".
"Sicuro,
amore mio" - sussurrò, baciandola. "Ti affido i bambini,
io esco subito e vado da Wichman. Da lì sporgerò
denuncia e
manderemo a chiamare Jones".
"Saremo
al sicuro mentre sarai via?".
"Sì,
credo che per oggi si possa stare al sicuro. Entro sera avrò
ideato
un piano perché la sicurezza sia con noi anche di notte. Nel
mentre,
tu...".
Ross
appoggiò la fronte contro la sua e lei si rilassò
al suo tocco. "E
io?".
"Ho
bisogno di saperti forte e combattiva come sempre. E che i cattivi
pensieri se ne staranno lontani da te... Sei o non sei l'ottimista
della famiglia?".
"Stavolta
è difficile, amore mio. Ci sono di mezzo i bambini".
"Lo
so. Ma come sempre, ne usciremo fuori. Ti fidi di me?".
"Sempre".
"E'
tutto ciò di cui ho bisogno, amore mio".
E
così dicendo, dopo averla baciata, uscì subito di
casa. Passò dal
giardino dove,
fra la neve,
notò
le impronte degli stivali dei loro assalitori, le seguì e
vide da
che
punto della recinzione erano
entrati ed usciti. Poi, dopo aver controllato che non ci fosse
nessuno, uscì e si diresse verso la sua meta.
...
Clowance
si sentiva in cattività, così abituata com'era
alla libertà, a
correre sulla spiaggia o fra la brughiera. Era vivace, con la lingua
lunga, competitiva e decisamente orgogliosa come suo padre.
Sapeva
che dovevano restare in casa per un motivo serio e capiva quanto
fosse necessario essere uniti, ma nonostante questo soffriva a non
poter uscire a giocare con la neve e i cani. Era Prudie a far fare i
bisogni a Garrick e Astrid in giardino e dopo quanto successo al
parco alcuni giorni prima, non le era stato più permesso di
accompagnarla. Si chiedeva quando tutto questo sarebbe finito e come
suo padre avrebbe potuto risolvere la situazione.
Al
piano di sopra la sua mamma, assieme ad Inge, stava intrattenendo i
bambini con dei giochi. Jeremy e Prudie invece erano occupati a
sistemare la stanza messa sottosopra dai loro nemici e i cani
sonnecchiavano davanti al camino placidamente.
E
lei si annoiava, aveva bisogno d'aria.
Era
scesa al piano di sotto per vedere quando suo padre sarebbe tornato,
in modo da poter organizzare insieme, quanto meno, una merenda e una
cena di Natale divertente e degna della ricorrenza. Ma suo padre
tardava, il pomeriggio avanzava e sulla casa, dopo il rischio corso
la notte precedente, sembrava calata una cappa di immobilismo e
torpore.
Fece
tre giri del salotto,
aggiunse legna al camino, cercò senza successo di svegliare
i cani e
poi si gettò sul divano indecisa sul da farsi. Poi, annoiata
da se
stessa e dal suo torpore, si avvicinò alle finestre,
sbirciando in
giardino per vedere se aveva ripreso a nevicare.
Fu
in quel momento, seminascosta dalla tenda, che vide un movimento
furtivo dietro ai cespugli vicini alle mura di cinta.
Si
accigliò e tremò, indecisa se si trattasse di un
animale che aveva
oltrepassato la recinzione o di un nemico nell'ombra, pronto a
sferrare un altro attacco non appena si fosse fatto buio.
E
suo padre non c'era...
Forse
avrebbe dovuto dirlo a sua madre ma Clowance era incerta anche su
questo. Era incinta, aspettava il suo fratellino e farla spaventare
non le avrebbe fatto bene.
Beh,
c'era Jeremy ma lui era così occupato ad aiutare Prudie in
quel
momento che non le sembrava giusto disturbarlo...
Il
suo papà che avrebbe fatto se fosse stato lì?
Ovvio,
non se ne sarebbe stato con le mani in mano e sarebbe corso fuori a
vedere chi osava entrare nella sua proprietà. E lei era
decisamente
figlia di suo padre, lo dicevano tutti...
Spinta
dalla voglia di uscire e auto-convintasi che fosse l'unica cosa da
fare senza disturbare gli altri, Clowance si mise la mantella e si
avvicinò alla porta.
Ma
quando fece per girare la maniglia, una vocina la bloccò.
"Dove
vai?".
Clowance
sussultò e poi, colta in fallo, si girò
trovandosi davanti Bella.
Santo cielo, quella piccola ficcanaso che ci faceva lì?
"Torna
di sopra?".
"Non
puoi uscire!" - disse la piccola. "Ci sono gli elfi cattivi
del Natale".
Clowance
si morse il labbro, poi si inginocchiò davanti alla sorellina
cercando di apparire gentile.
"Lo so, esco solo un momento a mettere una trappola. Ma è un
segreto! Sai tenerlo un segreto? Voglio fare una sorpresa alla mamma
ed aiutare papà a cacciare via gli elfi cattivi".
Bella
parve vacillare, divisa fra il crederle o non crederle. "Che
trappola?".
"Come
quelle che a Nampara usiamo per catturare i topi. Ne ho trovata una
fuori e vado a posizionarla".
"Vengo
anche io!" - disse Bella, picchiando il piedino
ed alzando un pò troppo la voce.
"Shhhh"
- le intimò, per paura di essere scoperta.
"Vengo
anche io" - ripeté la sua sorellina.
Clowance
sudò freddo. "No, fa freddo,
troppo per te!
Torno subito ma tu non dire niente. Sai farlo? Vuoi essere la mia
socia in questo segreto?
Faremo una sorpresa a mamma e papà insieme".
Beh,
essere una socia di sua sorella sembrava una gran cosa e Bella alla
fine annuì,
anche se non era così convinta di quanto le stava dicendo
Clowance.
Ma voleva fare una sorpresa a mamma e papà, certo!
"Sì".
"Ottimo,
torna su da mamma ed Inge
e fa finta di niente. Torno subito".
Indecisa,
alla fine Bella corse di sopra. E appena fu sola, Clowance
aprì la
porta e veloce come un purosangue corse in giardino a vedere cosa
stesse succedendo.
L'aria
fredda di neve e ghiaccio le sfiorò il viso ma le parve
bellissimo
poter respirare fuori casa. Santo cielo, era così bello
sentire il
cric-cric della neve sotto gli stivali, le guance farsi rosse per il
freddo e odorare il profumo del vento unito agli aromi tipici del
Natale che provenivano dalle altre case.
Quella era vita, pensò!
Fu
forse quella sensazione effimera di ritrovata libertà che la
tradì,
facendole abbassare la guardia.
Non
si accorse, se non all'ultimo, di alcuni passi dietro di lei.
Una
mano guantata di nero la afferrò per la vita mentre con
l'altra mano
le bloccò la bocca, impedendole di urlare.
Si
sentì sollevare, tentò di girarsi per vedere chi
fosse ma quella
persona era troppo forte e con la mano premuta sulla sua bocca non
riusciva a respirare bene.
Tentò di dimenarsi per liberarsi ma anche quel tentativo
fallì.
La
vista le si annebbiò, si sentì sollevare e poi
tutto divenne nero.
No,
forse non era stata una buona idea, pensò mentre da dentro
casa
sentiva provenire l'abbaiare furioso dei suoi cani.
E
poi non sentì più nulla.
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Capitolo 29 *** Capitolo ventinove ***
All’oscuro
di quanto successo a casa a sua figlia, Ross raggiunse a grandi
falcate l’ufficio governativo di Wikhman per sporgere
denuncia. Non
si preoccupò nemmeno di essere seguito e nel caso, i suoi
nemici
avrebbero saputo che si stava muovendo – ANCHE –
attraverso i
canali ufficiali per proteggere la sua famiglia.
Era
arrabbiato, con se stesso e coi suoi nemici allo stesso modo. Avrebbe
potuto fare qualcosa per impedire tutto ciò? Aveva lasciato
troppo
spazio ad Haakon e alle sue trame? Avrebbe dovuto affrontarlo a viso
aperto?
Con
gli anni era diventato più accorto, Inge aveva saputo
consigliarlo
al meglio e il suo ruolo di padre e marito lo aveva fatto muovere coi
piedi di piombo ma era indubbio il grosso rischio corso la notte
precedente da tutti loro.
Pensò
ai suoi figli e a sua moglie e anche se era Natale, entrò da
Wikhman
come una furia, deciso a risolvere quanto prima la situazione.
L’uomo
era impegnato in un brindisi natalizio con alcuni colleghi ma appena
fu avvertito dell’arrivo di Ross, lo ricevette subito nel suo
studio. “Poldark, che ci fate qui? Con tutti quei bambini in
giro
per casa, dovreste aver ben altro da fare che venire qui a vedere la
mia faccia”.
I
bambini, già… Con un sospiro e senza girarci
troppo attorno, Ross
si sedette ed iniziò a raccontare quanto successo la notte
precedente e tutti i fatti che da Oslo avevano portato alla
situazione attuale. Wikhman conosceva la storia dei gemelli
perché
Ross a lui l’aveva raccontata di ritorno dalla Norvegia
quattro
anni prima per garantire un’ulteriore protezione ai piccoli,
la
conosceva meglio di Jones e da subito gli aveva detto di aver fatto
una scelta avventata ma comunque di cuore. Negli anni tutto era
andato bene ma ora Wikhman, ancor più di Ross, da politico
si
preoccupava delle possibili conseguenze che un attrito con la
delegazione norvegese avrebbe provocato. Le castagne sul fuoco erano
particolarmente calde e la questione dei gemelli di difficile
soluzione se non ci si voleva esporre troppo mettendo in pericolo i
due bambini. “Poldark, voi siete un maestro nel procurarvi
– e
procurarci – guai” – disse in tono
leggero ma comunque
preoccupato. “La vostra famiglia sta bene,
comunque?”.
“Sì,
il rintanarci nella stessa camera è stato la nostra
salvezza”.
Coi
suoi occhietti indagatori, Wikhman lo fissò sornione.
“E ora? Che
si fa? Siete persuaso che non possiamo scatenare una guerra con
accuse senza prove verso la delegazione norvegese? Il re ci
manderebbe sulla graticola, molte transazioni commerciali potrebbero
saltare e noi, pur essendo nel giusto, non potremmo provare la natura
delle nostre accuse”.
Ross
alzò le spalle. “Quindi sappiamo chi è
il nemico ma la burocrazia
ci impedisce di attaccare per difenderci?”.
“Non
la burocrazia Poldark. Il buon senso… Non avete visto Haakon
nella
camera dei vostri figli e per quanto ne sapete, potevano essere
banali ladri”.
Ross
strinse i pugni. “Ma sappiamo che non è
così”.
“Ma
non possiamo provarlo. Siete una spia Poldark e dovete agire come
tale, nell’ombra e con astuzia. Come i vostri nemici. La
faccenda
va sistemata in silenzio, senza che il mondo ne sappia
niente”.
“Non
è nel mio stile, per quanto riguarda le faccende
personali” –
ribatté Ross.
“Ma
è nel mio!” – lo stoppò
Wikhman. “L’identità dei gemelli
è
qualcosa di troppo grande e scottante e se il re sapesse che abbiamo
nascosto i legittimi eredi del trono di Norvegia senza dirgli nulla,
io e voi ci troveremmo nel migliore dei casi in una colonna penale
del nuovo mondo. Si agisce con GRAZIA! La pazienza è la
virtù dei
forti e manca agli stolti”.
“Avrò
il vostro appoggio?” – chiese Ross, serio ed
irritato per la
risolutezza di Wikhman. Era saggio ciò che lui diceva, ma
quanto era
difficile scendere a patti con la logica quando di mezzo
c’erano di
mezzo gli affetti più importanti della sua vita?
Wikhman
annuì. “Ovviamente. Vi state già
organizzando per proteggere la
vostra famiglia?”.
“Sì,
ho già chiesto aiuto a Jones”.
A
quelle parole, Wikhman suonò il suo campanello
affinché giungesse
un valletto. “Deve essere chiamato, subito!”.
“E’
Natale” – fece notare Ross – “E
non escludo di essere stato
seguito”.
Wikhman
sorrise. “Poldark, questo edificio è sorvegliato
dai miei uomini.
Chiunque vi abbia seguito, a un certo punto si è fermato.
State
facendo denuncia ‘di furto’ in un palazzo
governativo, molte
persone vanno e vengono da qui e Jones lo voglio nel mio ufficio
SUBITO in quanto mio collaboratore come voi”.
E
così dicendo, senza ascoltare eventuali contestazioni,
consegnò al
suo valletto un biglietto da recapitare quanto prima
all’altra sua
spia.
…
“Poldark,
potrei odiarti per avermi sottratto all’estasi del pranzo
natalizio
coi parenti ma in realtà siete venuti a chiamarmi nel
momento esatto
in cui mia zia Clothilde iniziava ad intonare alla spinetta un
diavolo di canto celtico di buon auspicio per l’inverno che
ha
imparato chissà dove… Questo mi rende tuo
debitore a vita”.
“Perché?”.
“Se
la sentissi cantare, lo capiresti”.
Ross
rise. Jones era sempre così, entrava in scena con una strana
e
inesauribile carica di pungente ironia e anche se
all’apparenza era
un uomo da prendere poco sul serio, un giullare, sapeva bene che
dietro ai suoi modi si nascondeva un cervello fine e un’abile
stratega con una capacità tattica nel muoversi per risolvere
i
problemi rara da trovare.
Ross
gli sorrise. “Ti prenderò in parola sul fatto che
sei in debito
con me”. “Non del tutto… Mi hai comunque
privato del budino di
zia Carola, questo ti rende meno simpatico…”.
“Lo
mangerai stasera”.
Wikhman
tossicchiò, riportando all’ordine i due.
“Ti hanno seguito?”.
“Forse
sì, forse no. Di certo non fino
all’ingresso… Con il via vai che
c’è sempre in questo posto persino a Natale,
è facile che sia
passato inosservato. Inoltre ho preso… le mie
precauzioni…” –
rispose Jones, mettendo sul tavolo una bottiglia di pregiato Porto
infiocchettata come si conviene a un dono natalizio. “In
fondo che
ci sarebbe di sospetto in un amico che porta a un amico una bottiglia
per festeggiare il Natale?”.
Wikhman
prese la bottiglia. “Infatti. Grazie del pensiero…
E ora,
parliamo di cose serie”.
“Sorseggiando
quel porto…?” – chiese Jones, indicando
la sua bottiglia.
Wikhman
scosse la testa, riponendola sullo scaffale. “Non
è un dono per
me?”.
Jones
sbuffò. “Niente vino, niente budino… Ma
che triste Natale…”.
Ross
tossicchiò, riportando l’attenzione al suo
problema.
Jones
lo occhieggiò. “Giusto, si deve parlare di cose
serie. I tuoi
diabolici marmocchi biondi, scommetto!”.
Wikhman
annuì ed assieme a Ross gli raccontò degli eventi
dell’ultima
notte. Jones, che già era stato informato da Ross circa i
rischi
connessi all’ambasciatore Haakon, alla fine del racconto
picchiettò
l’indice sulla scrivania. “Sono pericolosi e tu
vivresti una vita
più tranquilla caro Ross, se ogni tanto mi dessi retta. Ma
ora i
marmocchi sono Poldark, tu sei mio amico, io ho imparato a tollerarli
e gli ho anche perdonato il fatto che a causa loro mi sono quasi
gelato le chiappe quattro anni fa e quindi direi che abbiamo due
strade: l’opzione A, la mia preferita, ossia prendere a calci
nel
didietro il caro Haakon, cogliendolo di sorpresa fra il chiaro e lo
scuro. Ma al caro Wikhman che è sempre MOOOLTO diplomatico e
noioso
non piacerà questa soluzione e quindi, piano B, mettiamo in
sicurezza la tua famiglia e poi diamoci il tempo necessario per
coordinare una offensiva più o meno INCISIVA per far finire
questa
congiura senza esporci troppo. Ci sarebbe il piano C, regalargli quei
diabolici mocciosi e aspettare che li conosca e te li restituisca
infiocchettati, ma ovviamente nemmeno questa soluzione…
”.
Wikhman
lo guardò storto, Ross si trovò
d’accordo con lui sull’opzione
A ma NON sull’opzione C e alla fine il capo mise il veto
sulla
scelta. “La famiglia di Poldark andrà messa in
sicurezza in un
luogo segreto. Avete già un luogo prestabilito,
giusto?”.
Jones
annuì. “La mia casa. Ha un’ala nel retro
dove ho fatto costruire
un seminterrato arredato completamente celato ad ogni visitatore e
invisibile per chi guarda dalla strada. Ci ficco…
ehm… ci ospito
i miei parenti quando vengono a farmi visita, è
completamente
nascosta all’esterno e ci si accede solo da scale interne.
Ross
l’ha vista, ha due camere da letto, un salottino e il
necessario
per lavarsi. Ovviamente non ci sono che delle piccole feritoie nel
muro per far luce ed è po’ angusto per una grande
famiglia ma
perfetto per nascondersi. Io sarò praticamente lì
a vegliare, Ross
pure e tutto sarà sotto controllo”.
Ross
annuì, era un luogo studiato e predisposto da lui e Jones da
settimane e anche se sperava non sarebbe mai servito utilizzarlo, ora
si rendeva conto che non c’era scelta. “Dovremo
portare tutti lì
quanto prima, il problema è capire come farlo in sicurezza
senza
essere visti”.
Jones
accavallò le gambe. “Semplice”.
“Che
intendi dire?” – chiese Wikhman.
La
spia sorrise sorniona. “Si fa come quattro anni fa ad Oslo.
Come
abbiamo portato via i gemelli da quella casa in cui si rintanavano
con la loro tata?”.
Ross
deglutì, quell’idea per quanto buona non gli
piaceva per niente e
Demelza era incinta. “Mia moglie aspetta un bambino, per le
fogne
NO!”. Jones alzò gli occhi al cielo.
“Tua moglie, Santa donna
che non capirò mai come ha fatto a sposarti,
ha più grinta e carattere di un cosacco! Per lei
sarà una
passeggiata, per quei briganti dei tuoi figli un pomeriggio diverso
che troveranno pure divertente
e le domestiche… Ci
interessa cosa pensano le domestiche?”.
Wikhman
fissò Ross con serietà. “Non credo ci
siano altre soluzioni. Hai
una casa con un bagno con acqua corrente e quindi un accesso diretto
dalle cantine alle condutture pubbliche della città.
E’ spiacevole
ma il metodo più sicuro. Una volta sbucati in
prossimità della casa
di Jones, vi nasconderete lì e sarà difficile
trovarvi a meno che
Haakon, a cui Jones è totalmente sconosciuto, non setacci
ogni casa
di Londra”.
Ross
strinse i pugni, l’idea non lo allettava per niente e temeva
che
potesse essere pericoloso per Demelza.
Jones
percepì la sua riluttanza. “Finiscila, tua moglie
ti seppellirà!”.
Ross
sospirò, che altre scelte c’erano? “E
sia…”.
“Quando?”
– chiese Jones.
“Stasera,
non voglio rischiare nuovi attacchi questa notte”.
Sì, era la cosa
giusta da fare per mettere tutti in salvo e anche se non sarebbe
stato il massimo, Demelza avrebbe approvato non essendoci altre
strade da fare. Sì, tutti dovevano essere portati in salvo
in
qualsiasi modo…
Ma
Ross ancora non lo sapeva che forse era già troppo tardi e
quando
giunse a casa il mondo gli crollò sulle spalle.
Demelza,
con gli occhi lucidi lo raggiunse e lo abbracciò tremando.
“Ross…”.
“Amore
mio, che è successo?”.
“Clowance
è scomparsa”.
…
Quando
la piccola Clowance si svegliò, si ritrovò in un
ambiente
sconosciuto che sembrava una cantina. Aveva freddo, le facevano male
le braccia e sulle prime le sembrò di avere dei capogiri e
la vista
annebbiata.
Ci
mise alcuni istanti per mettere bene a fuoco cosa la circondava e
sì,
alla fine si trovava in una cantina dalle pareti in pietra, chiusa
con una porta in pesante legno. Per terra c’era della paglia,
alla
parete una fiaccola e una minuscola finestrella con delle pesanti
sbarre in ferro era tutto ciò che faceva filtrare un
po’ d’aria
e luce dall’esterno.
Si
mise a sedere cercando di rimettere in ordine le idee e si accorse di
non essere sola.
Haakon,
poggiato alla parete, la guardava con aria arrogante con le braccia
incrociate sul petto.
Clowance
sussultò, quello era ‘il cattivo’,
l’uomo che suo padre temeva
e che attentava alla vita dei suoi fratellini. Erano stati a cena da
lui mesi prima e si era finto gentile ma i suoi genitori le avevano
spiegato chi era e cosa probabilmente voleva. La bambina
tremò, in
che guaio si era cacciata? Il suo papà dov’era?
Sapeva che era
stata rapita? Perché di certo non si trovava lì
per una cena né
per un tè. Lui era cattivo, senza scrupoli e la sua mamma
glielo
aveva detto. Ma come spesso faceva, lei aveva disubbidito, era uscita
di nascosto e ora si trovava nei guai e aveva messo nei pasticci
anche tutta la sua famiglia. Era colpa sua e ora doveva essere forte
per sistemare il pasticcio, anche se aveva paura…
Haakon
la fissò, gelido. “Credevo ti saresti svegliata
prima ma
evidentemente, come tutti gli inglesi, sei una ragazzina
pigra”.
Clowance
nascose la sua paura sostenendo lo sguardo dell’uomo.
“Dove
sono?”.
“Sei
mia gradita ospite per un po’…”.
“Perché?
Per quanto?”.
“Per
il tempo necessario a tuo padre per darmi ciò che voglio.
Piccola
sciocchina, sei stata davvero gentile a uscire sola soletta da casa
tua, mi hai risolto un sacco di grane”.
“Voi
avete fatto entrare dei ladri a casa mia!” –
affermò,
raccogliendo tutto il suo coraggio.
Haakon
non si scompose. “Davvero?”.
Clowance
strinse i pugni per la frustrazione. “E mio padre non ha
nulla da
darvi!”.
Lui
le si avvicinò facendola arretrare. Era alto e aveva degli
occhi
così freddi da farle paura, era così diverso dal
suo papà
che gli occhi li aveva scuri e certe volte sembravano tanto seri ma
quando la guardavano o guardavano la sua mamma, erano sempre gentili
e scintillanti…
“Oh,
mocciosetta, sì
invece. E lo sai anche tu…”.
“Non
ha niente” – ribatté lei.
Haakon
scoppiò a ridere, divertito da come quella nanetta
bionda
cercasse di tenere a bada l’evidente paura facendo la
gradassa.
“Oh, gioca pure a fare l’eroina, la cosa non mi
turba. Tu sei qui
e tuo padre farà tutto ciò che vorrò
per riaverti.
Per il resto puoi urlare, strepitare, fare capricci e picchiare i
piedi ma da quì non ti sentirà nessuno”.
Clowance
pensò ai suoi fratellini e la rabbia la invase, contro di
lui e
anche contro se stessa e la sua avventatezza. Chissà sua
madre come
doveva essere preoccupata... E anche il papà e i suoi
fratelli!
Chissà se Bella aveva detto cosa si erano dette prima che
lei
uscisse? Era nei guai, aveva paura, sperava che qualcuno sarebbe
arrivato presto ma per il momento si impose di essere coraggiosa
perché nei guai ci si era cacciata da sola e da sola doveva
gestirsi
per uscirne al meglio. Dicevano tutti che era sempre stata un
po’
selvaggia e che per carattere assomigliava a suo padre. E suo padre,
nei suoi panni… “Mio padre sì, ha
qualcosa da darvi in
effetti…”.
“Davvero?”
– chiese Haakon con tono di sfida.
La
bambina annuì. “Sì, molti calci nel
sedere quando saprà cosa
avete fatto”.
Sì,
Clowance era molto simile a suo padre. Ma anche a Jones che poco
prima aveva proposto una opzione del tutto identica, anche se lei non
lo sapeva. In effetti a lei Jones era sempre stato
simpatico…
Haakon
la osservò, dopo tutto era colpito dal coraggio di quel
soldo di
cacio… “Vedremo, vedremo…”.
E
così dicendo aprì la porta, uscì dalla
cantina che chiuse a chiave
e si allontanò affidando la guardia della bambina a uno dei
suoi
uomini. Era ora di giocare col caro Poldark a un divertente gioco del
gatto col topo.
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Capitolo 30 *** Capitolo trenta ***
Vedere
Demelza piangere era qualcosa che da sempre era in grado di
sconvolgerlo. Sua moglie era di solito la roccia di famiglia, il
perno della forza di tutti loro, la parte migliore e ottimista del
suo mondo.
E
ora piangeva e questo, unito all’orrore e alla preoccupazione
per
quanto successo a Clowance, lo atterriva.
“Papà,
mamma piange…” – aveva mormorato Bella
guardando la madre in
lacrime fra le sue braccia. “Clowance non
c'è più perché è
andata solo a caccia di elfi cattivi. L’hanno portata
via?”.
Ross
strinse i pugni. “Sì, e ce la andremo a
riprendere”.
Sarebbe
andato anche subito a casa di Haakon, gli avrebbe buttato
giù la
porta a calci, avrebbe messo a soqquadro ogni cosa e si sarebbe
ripreso sua figlia senza mezze misure e diplomazia. Era sua
prigioniera, ne era sicuro con assoluta certezza e questo lo rendeva
furioso
e decisamente meno diplomatico di quanto avrebbe voluto Wickman.
Come aveva osato? Come aveva potuto compiere un atto tanto meschino
come quello di mettere di mezzo una bambina? Ma d’altronde,
di cosa
si stupiva? Haakon quattro anni prima non aveva esitato a uccidere
una donna innocente e a mettere a ferro e fuoco Oslo per far lo
stesso con due neonati e di certo non aveva sviluppato alcun tipo di
scrupolo di coscienza per
ripetere quelle azioni anche a Londra. Era come un ratto, si muoveva
con grazia e di nascosto e colpiva alle spalle con ferocia. Chiunque,
grandi o piccoli...
Ma
una cosa positiva c’era, Clowance gli serviva di certo come
merce
di scambio e quindi era tutto suo interesse che la bambina stesse
bene. Su quello poteva stare tranquillo ma solo su questo. Non
avrebbe ceduto i gemelli, avrebbe salvato tutti i suoi figli e
quindi…
Quindi
avrebbe portato la sua famiglia al sicuro a casa di Jones e poi
avrebbe fatto sputare sangue ad Haakon. In un modo o
nell’altro
avrebbe ripreso Clowance e l’avrebbe riportata a casa.
“Papà,
mi dispiace, avremmo dovuto stare più attenti”.
La
voce seria e rammaricata di Jeremy lo intenerì, era ovvio
quanto si
sentisse responsabile. “Sta tranquillo, non c’era
niente che tu
potessi fare e il compito di proteggervi spetta a me”.
Poi
si rivolse a Demelza, asciugandole con le dita le lacrime che le
rigavano il viso. “Amore mio, risolveremo tutto!”.
“Come?”
– chiese lei, disperata.
“Mettendo
per prima cosa in salvo te e i bambini. Ti porterò a casa di
Jones,
c’è un rifugio sicuro dove starete assieme a Inge
e Prudie”.
Demelza
scosse la testa con decisione. “No!”.
Bella
sussultò al suo grido e anche i gemelli, tenuti per mano da
Inge e
Prudie,
spalancarono gli occhi nel vederla tanto spaventata. Era
inusuale che vedessero sua madre in quelle condizioni e anzi, forse
non avevano mai visto il suo lato più vulnerabile e questo
doveva
sconvolgerli.
“Che
vuol dire no?” – chiese Ross capendo che doveva
usare tatto e
pazienza.
“Che
io non starò nascosta mentre mia figlia è in
pericolo”.
Ross
le accarezzò i capelli, rendendosi conto che la grinta e la
forza di
Demelza non potevano essere imprigionate, soprattutto in un momento
come quello. Ma era incinta e avevano altri figli a cui pensare e
quindi doveva farle capire che il suo posto era da Jones. Erano una
squadra loro due e mentre lui avrebbe pensato a Clowance, lei avrebbe
pensato a tutto il resto e a stare tranquilla. “Demelza, per
la
faccenda di Clowance lascia fare a me. Abbiamo altri figli, ce
n’è
uno in arrivo e servi a loro”.
“Non
voglio nascondermi”.
“Non
ti stai nascondendo, stiamo facendo un lavoro di squadra. Per il bene
di Clowance, per riportarla da noi il prima possibile, ho bisogno di
muovermi sapendo che sei al sicuro. Puoi farlo? Puoi, per il bene di
Clowance?”.
Demelza
tremò, il suo esile corpo fu invaso da una sgradevole
sensazione di
freddo. Ross aveva ragione, ne aveva da vendere ma tutto in
lei era in subbuglio e l’idea della sua bambina sola, in mano
a un
mostro, la annientava. “E se stesse male ora? Se piangesse,
se
fosse spaventata, se quell’uomo dovesse farle del
male…?”.
Ross
la strinse ancora a se. “A lui serve una bambina in salute. E
nostra figlia la conosci, è una Poldark e una testa calda
come me.
Sono sicuro che sta tenendo testa ad Haakon meglio di me e te messi
insieme. Non mi stupirei se lo stesse già facendo ammattire
e
pentire del suo gesto”.
Demelza
tentò di sorridere a quella battuta forzatamente leggera,
pur con
scarsi risultati. “Sei sicuro?”.
“Certo”.
La
donna si afferrò al cappotto del marito cercando in se
stessa tutta
la forza di essere ragionevole ed affidarsi alle sue scelte. Si era
mai meno che fidata di Ross? Avevano passato momenti difficili,
guerre, separazioni ma in fondo nemmeno per un attimo aveva mai
vacillato ad affidarsi alle sue decisioni. Era vero, lui aveva
ragione, avevano dei figli, lei era scossa ed incinta e incaponirsi a
fare l’eroina non avrebbe risolto la situazione e non avrebbe
aiutato Clowance. Solo Ross poteva farlo!
“D’accordo!” –
sussurrò in un soffio, con aria sconfitta.
Ross
la baciò sulla nuca. “Ecco, temevo di aver perso
la mia assennata
moglie”.
Demelza
deglutì. “Che hai in mente? Come andremo a casa di
Jones senza
essere pedinati?”.
Ross
alzò lo sguardo, osservando le domestiche e i suoi figli.
“Non
sarà divertente più di tanto ma è un
metodo sicuro che ho già
adottato e se lo prenderete nel verso giusto, anche avventuroso e
divertente”.
Daisy
corse da lui, incuriosita. “Cosa? Quando?”. Era
sempre
decisamente attratta dall’avventura.
Lo
sguardo di Ross si riempì di amarezza. “Meglio che
tu non lo
sappia” – rispose, ripensando a Jasmine, al primo
incontro con
lei e il suo gemello e a tutto quello che ne era conseguito.
Inge
si avvicinò loro con sguardo grave, avendo già
compreso quali erano
i piani
visto che aveva visto di persona come si muoveva Ross in
certe situazioni quella
prima volta ad Oslo.
“Sarà sì
un’avventura, bambini! Una specie di caccia al tesoro sotto
terra”.
“E
che tesoro troviamo?” – domandò Bella
che si era aggrappata alla
gonna di sua madre.
Ross
baciò sua moglie sulla fronte. “Vostra
sorella”. E spiegò loro
quanto concordato, cercando di renderlo il meno pietoso possibile.
Nessuno fece obiezioni e anche se una 'passeggiata' fra i canali di
scolo sotterranei non sarebbe stata esattamente 'piacevole' tutti
capirono che non c'erano altre strade da percorrere. Letteralmente!
…
Nel
tardo pomeriggio lasciarono accese le candele del salone e in alcune
camere in modo che sembrasse che erano tutti in casa e poi, coi
bambini imbacuccati e con dei borsoni con le cose strettamente
necessarie, raggiunsero la cantina e da lì entrarono nei
sotterranei
che portavano alle fogne.
Ross
aveva detto che era come un’avventura nelle gallerie della
sua
miniera e i tre bambini la presero come tale anche se Bella si
lamentò un po’ per la puzza, sulle prime.
In
Daisy invece prevalse il suo spirito d’avventura e la piccola
si
divertì un mondo ad esplorare quel posto tanto strano.
Demian invece
si rannicchiò in braccio ad Inge frignottando per la paura
del buio
ma Demelza lo confortò, anche se con scarsa convinzione. Era
troppo
provata per essere anche in quel momento la donna energica di sempre
e una strana rabbia pareva corroderle le vene. Non era tanto per
quella situazione nei sotterranei della città, era cresciuta
ad
Illugan e di certo non si scandalizzava per quella gita inaspettata e
poco piacevole, era tutto il resto che andava a rotoli. Non era stata
capace di proteggere sua figlia e anzi, forse era stata lei stessa a
mettere in pericolo tutti loro quando aveva insistito per tenere con
loro i gemelli nonostante le perplessità di suo marito.
Guardava
quei due bambini e un lato di lei che la spaventava pareva ora
respingerli tanto che non riusciva nemmeno a essere tenera verso le
paure di Demian che da sempre era legatissimo a lei.
Jeremy
la osservava in silenzio quasi carpendone i sentimenti. E prendendola
per mano quasi a darle conforto perché ci era passato a sua
volta,
la aiutò in quell’avanzata difficoltosa.
Giunti
a destinazione, scoprirono che le stanze interrate adibite da Jones a
rifugio si rivelarono capienti e accoglienti. L’uomo aveva
sistemato la zona notte alla meglio e il salottino era arredato con
gusto con due divanetti, un tappeto per far giocare i piccoli, una
stufa e una grossa cesta per i cani.
Ross
aiutò la donne e i bambini a sistemarsi, confortato dal
fatto che
tutto fosse filato liscio e nessuno sapesse che fine avevano fatto.
Spariti nel nulla senza mettere il naso fuori casa era stato in fondo
facile con le indicazioni delle fognature che gli aveva donato Jones.
Erano sbucati nel boschetto dietro casa sua, erano scivolati in
giardino e di lì, di corsa, erano andati al piano di sotto.
Fino
alla fine di quella storia, nessuno avrebbe dovuto uscire di
lì.
Nessuno
eccetto Ross e Jones…
Dopo
aver sistemato le cose portate ed essersi accertato che Demelza
stesse meglio, Ross salì al piano di sopra per confrontarsi
con
Jones sui prossimi passi da fare. Scalpitava per risolvere in fretta
la situazione per il bene di Clowance soprattutto ma anche per
placare l’ansia sua e di Demelza.
Rimasti
soli nel piccolo appartamento ricavato dalla grande villa di Jones,
alla periferia di Londra ma in una zona elegante dove antiche dimore
circondate da giardini la facevano da padrone, i bimbi si rifugiarono
in quella che sarebbe stata la loro stanza. Jeremy e Prudie andarono
con loro e Demelza si sedette per terra, con la schiena poggiata alla
parete a fianco della stufa.
Inge
la raggiunse e anche Demian, sbirciando dalla porta, corse da lei.
Per il bambino, che viveva in simbiosi con la madre, era fin troppo
evidente che ci fosse qualcosa di diverso nel suo modo di fare e ne
avvertì la forte tensione.
“Mamma…”
– la chiamò, prima che Inge potesse fermarlo.
Demelza
alzò lo sguardo e per un attimo non vide il suo bambino ma
la causa
dei suoi problemi. Un attimo solo di cui si vergognò subito
e che la
fece sentire cattiva ma di colpo, in tutta risposta, con la mano lo
allontanò. Gli occhi di Demian divennero lucidi.
“Mamma…”.
Inge
lo raggiunse subito, prendendolo in braccio. “Shhh, tesoro,
la
mamma non voleva essere brusca. E’ stanca e preoccupata, ha
un
bimbo nella pancia e non sa dove sia tua sorella. Lasciala
tranquilla, verrà da te più tardi appena si
sarà riposata”.
“Ma…”.
Inge
non gli diede il tempo di protestare. Lo portò nella
stanzetta, lo
affidò a Prudie e poi, dopo aver chiuso la porta,
tornò da Demelza.
Nonostante
l’età si sedette per terra, accanto a lei,
gustandosi quanto meno
il tepore della stufa che dava sollievo alle sue ossa provate
dall’umidità del percorso sotterraneo appena
affrontato. Con
gentilezza accarezzò il braccio di Demelza e si accorse che
le
guance della donna erano rigate di lacrime.
“Sono
orribile, lo so” – singhiozzò Demelza
come se fosse una bambina.
“Non è colpa di Demian o Daisy, sono io ad essere
un mostro. Ma
Clowance è stata rapita e se penso a un
colpevole…”.
Inge
sospirò, lasciando che Demelza poggiasse la testa sulla sua
spalla.
“Mia cara, io non vedo nessun mostro ma una donna forte,
gentile e
con un cuore grande. Vedo una madre eccezionale e… un essere
umano.
Con le sua fragilità, con il suo dolore, con il suo carico
di gioie
e con tante responsabilità sulle spalle. Non siete orribile,
siete
una donna a cui hanno rapito una figlia e se non foste angosciata,
sarebbe grave. Cercate un colpevole e forse vi sentite voi stessa
tale. O date la colpa ai gemelli che in fondo, involontariamente,
hanno dato vita a tutto questo pasticcio. Ma in fondo al cuore sapete
bene che la colpa non è di nessuno di voi, la colpa
è di Haakon.
Solo sua e del principe Magnus e di tutti quegli uomini che bramano
il potere a discapito delle persone”.
Demelza
la ascoltò in silenzio e lasciò passare diversi
secondi prima di
rispondere. “Per un attimo mi è sembrato di odiare
i gemelli”.
“Non
è detto che qualcosa che sembra, poi sia effettivamente
ciò che
proviamo. Siete annebbiata dalla preoccupazione ma io vi ho visto e
so che amate i gemelli come i figli da voi partoriti e so che in voi
hanno trovato una vera madre”.
Demelza
scosse la testa continuando a singhiozzare. “Eppure Ross mi
aveva
avvertito che avremmo potuto correre dei rischi ma io no, ho
insistito che avremmo affrontato tutto e con leggerezza ho voluto
andare avanti…”.
“Non
si tratta mai di leggerezza quando c’è di mezzo il
cuore. Sapreste
immaginare una vita senza i gemelli?”.
“No,
ovviamente”.
“E
se vi chiedessero in cambio di Clowance i due piccoli, che
fareste?”.
Demelza
fece un sorriso amaro. “Giuda, dovrebbero passare sul mio
cadavere
a una richiesta del genere. Non lo permetterei e nemmeno
Ross”.
Inge
le sorrise, porgendole un fazzoletto perché si asciugasse le
guance.
“E allora, lo vedete?”.
“Cosa?”.
“Che
siete la loro mamma. E che come tutte le mamme avete avuto un momento
di debolezza dettato dal dolore. Quando soffriamo, a volte cerchiamo
in chi ci è più vicino il responsabile di
tutto”.
Demelza
chiuse gli occhi, aggrappandosi alla vicinanza di quella donna che in
quel momento stava facendo per lei qualcosa che avrebbe fatto una
madre: sorreggerla. “Grazie, Inge. E ti prego, resta con
noi”.
“Ci
penseremo alla fine di questa storia”.
“E’
un quasi-sì, vero?”.
Inge
rise, nonostante tutto. “Oh, in fondo sarà
divertente insegnare ai
piccoli qualcosa delle loro origini. E vedere la mia cucciola correre
sulla sabbia della vostra spiaggia. Il giovane Jeremy dice che avete
una spiaggia stupenda tutta vostra”.
Demelza
chiuse gli occhi, immaginando con nostalgia di essere a casa.
“Sì,
Hendrawna… Clowance ci gioca spesso e a volte si getta in
acqua
vestita solo con la sottoveste. E’ sempre stata
così vivace…”.
La sua voce si spezzò al nominare la bambina e ancora una
volta
cercò rifugio in Inge. “Tornerà sana e
salva, vero?”.
“Oh,
lei sì! E’ più per la salute di Haakon
che temo. Vostro marito lo
conosco poco ma mi da l’impressione di essere una persona
molto
passionale e sanguigna quando si toccano i suoi affetti”.
Demelza
sorrise. “Lo è, anche se col tempo si è
ammorbidito”.
“Santo
cielo…”.
Demelza
le strinse la mano e poi si alzò. Si asciugò le
lacrime, si
rinfrescò il viso e poi decise che voleva essere positiva.
“Per
ora qui siamo al sicuro, giusto?”.
“Sì”.
“E’
già qualcosa”. Poi si avvicinò alla
porta della cameretta dove
sentiva vociare i bambini, decisa a tornare ad essere la madre forte
e positiva di sempre. Tutto ciò che voleva era stringerli a
se,
soprattutto i suoi – SUOI – due gemellini. Dopo il
suo momento di
debolezza voleva solo far capire loro quanto li amasse e che mai si
sarebbe pentita della scelta di averli tenuti. Che cosa sarebbe stata
la sua vita senza cononscere il sorriso biricchino e la
vivacità di
Daisy? E senza la dolcezza di Demian?
Inge
annuì. “Mi sembra un’ottima
idea”.
Demelza
allora entrò nella stanza e Bella le corse subito incontro.
La
prese in braccio e poi guardò i gemelli. Daisy si dondolava
su un
cavallino-giocattolo che Jones aveva fatto trovare loro, stringendo a
se il suo orsacchiotto preferito che si era portata da casa. Le
sorrise, a lei bastava uno sguardo per capire i sentimenti altrui e
in quel momento era chiaro che avesse compreso
che stava meglio.
Demian
invece le si avvicinò guardingo, succhiandosi il pollice.
Demelza
mise a terra Bella e poi si inginocchiò davanti a lui,
stringendolo
forte a se. “Amore mio, scusa. Anche le mamme a volte hanno
dei
brutti momenti ma non è colpa tua”.
Lui
alzò i suoi occhioni azzurri come il ghiaccio, testimonianza
perenne
delle sue origini. “Mi vuoi bene ancora? Non sei
più arrabbiata?”.
Gli
sorrise, accarezzandogli i capelli. “Certo, che domande fai?
Ti
vorrò bene sempre! E per quanto riguarda l’essere
arrabbiata, lo
sono ancora… con chi ha portato via Clowance. Non certo con
te”.
“Quando
torna a casa Clowance?” – chiese il piccolo.
Lo
ristrinse a se, come a cercare in lui la forza. “Presto,
presto
amore mio”.
E
Demian, fra le sue braccia, si tranquillizzò.
Anche
Daisy, solitamente avara di abbracci, sentì che voleva stare
vicino
alla mamma. Corse da lei e le cinse con le sue piccole braccia il
collo e Demelza inspirò il suo odore. Gli abbracci di Daisy
erano
rari quanto preziosi e in quel momento erano la migliore delle
medicine alle sue preoccupazioni.
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Capitolo 31 *** Capitolo trentuno ***
La
prima notte passata nel loro rifugio improvvisato fu tumultuosa per
Demelza che, nonostante fosse al sicuro con gli altri suoim figli,
non riusciva comunque a trovare pace. Il suo cuore di madre
sanguinava e la preoccupazione per Clowance le attanagliava lo
stomaco in una morsa micidiale. I pensieri foschi del giorno,
addolciti dalle parole di conforto di Inge, non avevano comunque
lasciato la sua testa e la preoccupazione per la sua bambina,
lancinante e a cui faticava a dar voce, le corrodeva l’animo.
Ross,
di fianco a lei nel letto, pareva percepire quasi a pelle il tumulto
della moglie. Che poi era anche suo perché
l’angoscia per la
figlia e la rabbia tipicamente maschile dettata dall’orgoglio
ferito per non essere riuscito a proteggere tutta la sua famiglia,
non gli avrebbero premesso di chiudere occhio.
Con
Jones avevano ideato un piano e ora, solo con Demelza, glielo avrebbe
esposto. Ma prima, voleva tentare di calmarla perché anche
se a
malapena riuscivano a parlarne, era essenziale condividere le loro
angosce senza chiudersi a riccio. Lo avevano fatto dopo la morte di
Julia e quell’atteggiamento di distacco lo avevano pagato
caro
negli anni successivi, finendo entrambi per allontanarsi e commettere
errori quasi mortali per il loro matrimonio. Non ci sarebbe ricaduto!
Allungò
la mano, accarezzò i lunghi capelli della moglie che
ricadevano
molli sul cuscino e poi la attirò a se. “Tutta
questa agitazione
non ti servirà a nulla e non ti farà
bene!”.
Demelza
alzò gli occhi su di lui. “Tu riesci a stare
calmo?”.
“Certo
che no, sono furioso e mi sento impotente… E’
difficile da
ammettere, ma ho fallito nel compito di proteggervi e ora scalpito
per riprendermi nostra figlia!”.
Demelza
lo strinse a se, avvertendo quella sua irrequietezza così
tipica.
Ross non era uomo da accettare sconfitte e sapeva anche quanto
furioso lo rendesse non essere riuscito a proteggerli. In
realtà non
aveva nulla da rimproverargli, avevano tutti cercato di fare del loro
meglio, solo che le circostanze avevano remato loro contro…
Però,
nonostante le mille preoccupazioni, la inteneriva
questo nuovo
e più maturo Ross,
capace di ammettere i suoi sentimenti e quelle che lui
considerava…
sconfitte. Era tanto per lui, per il suo orgoglio e per il suo
carattere e questo dimostrava quanto fosse cambiato e cresciuto nel
corso degli anni. “Tu non hai fallito. Ci possiamo riempire la
testa di
sentimenti negativi, possiamo incolparci di mille cose
perché
trovare un colpevole ci fa sentire forse meglio ma sai, oggi Inge mi
ha spiegato che se agisci col cuore, nulla puoi rimproverarti. Ho
solo paura Ross, paura per nostra figlia… Vorrei
semplicemente
sapere se sta bene”.
Come
se quelle parole di Demelza fossero state un balsamo sul suo cuore,
Ross le baciò la fronte. Sapeva sempre come calmare il suo
spirito
in tumulto, sua moglie… “Da che mondo e mondo, gli
ostaggi
vengono trattati con cura. E’ tutto loro interesse che
Clowance
stia bene”.
“Ma
sarà spaventata, Ross!”.
“No,
non nostra figlia!”. Lo disse per consolare Demelza, certo,ma
Ross in cuor suo ci credeva davvero che quella piccola peste avrebbe
fatto vedere i sorci verdi ai suoi rapitori.
Era una Poldark fatta e finita Clowance e come Bella sapeva farsi
rispettare. Jeremy sembrava più pacato ma le sue bambine
erano delle
piccole e combattive leonesse e di certo Clowance non se ne stava in
un angolo a piagnucolare, di questo ne era certo.
Demelza
alzò lo sguardo su di lui. “Ma come ostaggio, se
noi siamo
scomparsi dalla circolazione, come faranno a… trattare
con noi?”.
Ross
cercò di inquadrare il carattere di Haakon e grazie alla sua
esperienza come spia, tentò
di rassicurare sua moglie. “Beh, non si faranno certo fermare
da
questo e in ogni modo cercheranno di farci giungere il messaggio di
volerci contattare. Ma non servirà, non gli daremo il tempo
di fare
questo,
ci riprenderemo Clowance ben prima che si organizzino…”.
“Che
vuoi dire?”.
Ross
sospirò, era ora di metterla al corrente del piano ideato
con Jones
nel pomeriggio. “Sono o non sono una spia?”.
“Beh,
da quel che so quando parti e te ne stai via per mesi, lo
sei”.
Ross
sorrise, nonostante tutto adorava il brivido dell’avventura e
se
non fosse stato che di mezzo c’era sua figlia, avrebbe
apprezzato
le
avventure
londinesi
con uno spirito più indomito. “Lo sono e a detta
degli altri, sono
anche bravo! Io e Jones siamo bravi, sappiamo nasconderci
nell’ombra
e arrivare ovunque senza essere visti! Londra sarà il nostro
campo
d’azione, la casa di quel dannato console norvegese la nostra
meta
e Clowance il nostro trofeo. Domattina usciremo presto e muovendoci
senza essere visti, indagando, arriveremo dove dobbiamo! Studieremo
il da farsi e colpiremo quando saremo sicuri di vincere! Tu nel
frattempo starai qui, al sicuro, con gli uomini messi da Jones a
vegliare su di voi. Si travestiranno da servitù, non daranno
nell’occhio ma non vi toglieranno gli occhi di dosso.
Tornerò
quanto prima con nostra figlia sana e salva
ma nel frattempo, anche se ovviamente non potrò farti avere
mie
notizie perché dovrò muovermi in incognito quanto
più possibile,
non ti angustiare per me”.
Demelza
rabbrividì, quel gioco al rischio che Ross spesso amava
correre la
metteva ancora a disagio e anche se sapeva che non c’erano
alternative, non poté non preoccuparsi per lui.
“Ross, ho paura”
– ammise.
La
strinse a se ancora più forte. “Lo so ma so anche
che ti fidi di
me! Voglio solo che mi aiuti ad agire nel modo più sereno
possibile”.
“Come?”
– domandò lei, esasperata per la sua impotenza in
quella dannata
situazione.
“Stando
qui. So che la cattività ti disturba, so che vorresti essere
libera
di correre all’aria aperta ma per ora ti prego, sta coi
bambini in
questa casa, prenditi cura di te e di loro e soprattutto, del nostro
figlio più piccolo non ancora nato. Mi muoverò
meglio se saprò che
sei al sicuro”.
Demelza
lo baciò sulle labbra. “Lo farò. Ma
promettimi che andrà tutto
bene”.
“Te
lo prometto!”.
“E
che tornerai presto con Clowance!”.
“Ti
prometto SOPRATTUTTO
questo…”.
“E
che poi torneremo a casa e ce ne staremo in pace. Voglio Nampara,
Ross! La nostra casa, la nostra tranquillità, la nostra
gente, i
nostri amici, la nostra miniera, la nostra spiaggia. Odio Londra,
questa dannata città non ci ha mai portato
fortuna!”.
Ross
annuì, non poteva che darle ragione. Da Adderly in poi,
quella città
era sempre stata fucina di disgrazie per loro. “Torneremo
presto a
casa, te lo prometto”.
“Coi
gemelli sani e salvi, vero? Sai Ross, oggi mi sono sentita cattiva
perché per un attimo… dentro di me… ho
incolpato loro di tutto
questo”.
Ross
notò il tremore della sua voce e capì che se per
lui era stato
doloroso ammettere di aver fallito nella difesa della sua famiglia,
per Demelza era stato altrettanto complicato ammettere quel pensiero
umano e comprensibilissimo ma che per una come lei doveva essere
stato atroce da provare. Era una brava madre, era splendida, per lui
era perfetta ma in fondo era umana come tutti e di certo non le
avrebbe fatto pesare quanto appena confessato. “Demelza,
quando si
è fuori di se, escono pensieri che mai davvero proviamo nel
cuore”.
“Ma
tu… tu non hai provato lo stesso” –
tentennò lei, in cerca di
risposte.
Ross
decise di essere sincero. “No, ma semplicemente
perché io so
dall’inizio a che tipo di guai andavamo incontro. Tu lo hai
scoperto nel giro di pochi giorni e il rapimento di Clowance non ti
ha permesso di fare ordine nei tuoi pensieri. So che ami i bambini, a
me questo basta per non farmi pentire della scelta di averli tenuti!
Non potrebbero avere una madre migliore di te e in noi hanno trovato
la miglior casa e la miglior famigli che potessero incontrare. So che
ovunque siano, noi siamo quello che i loro veri genitori avrebbero
voluto per loro”.
Lei
sorrise, con gli occhi lucidi. “Anche Inge ha detto qualcosa
di
simile ma dopo oggi, fatico a crederci”.
Lui
le sorrise, baciandola ancora. “Inge è saggia,
dalle retta!”.
“Ci
proverò”.
"Ma
quel mio pensiero di oggi..." - tentò ancora, cercando nel
marito l'assoluzione a quella che lei sentiva essere una colpa
terribile.
"Ami
i nostri gemelli?".
"Con
tutto il cuore".
Ross
sorrise. "E allora non c'è altro di cui discutere. Lascia
stare
i cattivi pensieri e concentrati su cose più importanti".
"Del
tipo?".
"Il
nome del nostro prossimo marmocchio. Non vorrei trovarmi davanti al
reverendo Halse, il giorno del Battesimo, balbettando che lo vogliamo
chiamare come il nostro cane".
A
quelle parole, Demelza non poté non ridere. Leggerezza, ecco
ciò di
cui aveva bisogno e se lei spesso era capace di acquietare l'animo in
tumulto di Ross, lui dal canto suo sapeva farla sorridere nei momenti
più difficili. Erano una bella squadra e cullata da quel
pensiero,
lo abbracciò.
Rimasero
in silenzio per lunghi istanti, cullandosi nel suono del cuore
l’uno
dell’altra, impauriti ma pronti a combattere per riprendersi
la
loro figlia.
Dopo
alcuni minuti, Ross la baciò sulla guancia. “Posso
partire
tranquillo, all’alba?”.
“Sì,
puoi. Fidati di me come io mi fido di te”.
Ross
annuì, serio. “Lo farò, amore
mio”.
…
Odalyn
aveva captato movimenti strani sia in casa che fuori casa.
In
una passeggiata pomeridiana dove si era spinta fino alla casa dei
Poldark, l’aveva trovata abbandonata e vuota e sapendo che il
padre
di Jeremy era un parlamentare e non era in programma una sua
partenza, quella sparizione in toto di tutta la famiglia
l’aveva
messa in allarme considerando soprattutto quanto suo padre fosse
invischiato con le loro esistenze.
I
Poldark si sarebbero dovuti fermare a Londra fino alla primavera, era
stato Jeremy a dirglielo, quindi cosa poteva significare tutto
questo? Ovviamente si era guardata bene dal farne parola col padre e
aveva scelto di indagare da sola un po’ per
curiosità, un po’
perché ormai si sentiva coinvolta dal giovane Jeremy e aveva
scelto
di dargli una mano, un po’ perché ormai da quei
baci che si erano
scambiati, la sua sicurezza era diventata anche affar suo e
soprattutto perché di certo suo padre era già a
conoscenza di ogni
cosa e fingere di non sapere nulla non avrebbe gettato sospetti come
invece sarebbe successo se avesse fatto domande.
Il
tempo da quel giorno si era fatto pessimo e una incessante pioggia
ghiacciata aveva reso impossibile fare altre passeggiate fra le
strade deserte e nebbiose di Londra.
Ma
proprio stando in casa in cattività, si era accorta di quel
qualcosa
di ‘diverso’ nella routine di famiglia. I due
uomini più fidati
di suo padre facevano spesso capolino ad orari strani della sera e si
fermavano a parlare – o meglio, a bisbigliare –
fino a tardi
nello studio grande al piano di sotto. E a volte, dopo pranzo, quando
si ritirava nel salottino dove leggeva o suonava il pianoforte,
notava degli strani via vai del cuoco nelle cantine.
E
non solo quello perché spinta dalla noia e origliando dal
buco della
serratura del salottino, aveva anche scoperto una tresca amorosa fra
la cameriera personale di suo padre e il capo-maggiordomo. La cosa la
divertiva tantissimo perché era sempre dopo pranzo, quando
credevano
di non essere visti, che i due si lasciavano andare a delle effusioni
non troppo innocenti nel corridoio principale. Sapeva che era
sbagliato spiare ma santo cielo, era più forte di lei ed era
curiosa
di scoprire nuove sfaccettature dell'amore.
Ma
più che dal gossip casalingo, era incuriosita per i
movimenti del
cuoco. Forse si sbagliava ma se quell'uomo portava cibo di soppiatto
in cantina, la sotto ci doveva essere qualcuno che lei non aveva mai
visto. Aveva
quindi
spiato i movimenti dell’uomo
e alla fine aveva deciso che di sotto c'era qualcosa su cui
investigare e che magari - non se ne sarebbe stupita affatto -
riguardava proprio la strana sparizione dei Poldark. D’altronde
era già successo ad Oslo con
altri nemici e
sapeva bene che era consuetudine di suo padre agire in certi modi per
ottenere ciò che voleva. Da bambina, di notte, urla di
prigionieri
torturati raggiungevano la sua camera e anche se a Londra non aveva
sentito nulla del genere, la curiosità di sapere chi ci
fosse di
sotto stava diventando incontrollabile,
così come il desiderio di distinguersi agli occhi di Jeremy
dalle
losche trame di suo padre.
Per
alcuni giorni il suo comportamento fu ineccepibile e si
comportò
come nulla fosse, attenta a non irritare suo padre. Cenava e pranzava
compostamente, conversava del più e del meno con la
servitù,
leggeva, suonava, a volte tentava di abbozzare qualche capriccio
dettato dalla noia ma con la mente rimaneva vigile e pensava e
ripensava a cosa fare…
Annotò
mentalmente i movimenti all’interno della casa: il cuoco
scendeva
nelle cantine di soppiatto con del cibo dopo i pasti principali, dopo
che lei si era chiusa nel
salottino,
suo padre non si muoveva dalle sue stanze di lavoro per tutto il
pomeriggio e se di giorno riceveva ambasciatori ufficiali, era di
sera che si incontrava con le sue spie… La
servitù andava a
dormire dopo aver sistemato le stoviglie per cena e la casa cadeva
nel silenzio del sonno della notte. Solo una persona rimaneva vigile,
a parte suo padre e i suoi scagnozzi chiusi nello studio: il
guardiano alle celle. Ma c’era un modo per farlo smammare ed
era
creare caos… E Odalyn sapeva come fare.
In
realtà pur avendo paura, l’idea di uscire di casa
e provare il
brivido del pericolo la attirava e quindi decise di agire per cercare
di capire chi fosse il prigioniero nelle cantine e nel caso, come
aiutarlo.
Chiusa
in camera dopo cena, Odalyn prese il suo portagioie, regalo della sua
nonna materna per il suo ottavo compleanno. Da allora lo aveva
portato in ogni viaggio che aveva fatto e aveva una
particolarità
che agli occhi di Odalyn lo rendeva magico: la chiave per aprirne il
lucchetto. Sua nonna, sapendo quanto lei fosse sbadata, le aveva
spiegato che quella era una chiave ‘universale’,
una di quelle
chiavi che apre ogni porta. “Pas par tout”
– bisbigliò, in
lingua francese ripetendo le parole della nonna.
Da
allora si era portata quella chiave ovunque e se le capitava di
perdere qualche chiave nei vari ostelli e alberghi dove alloggiava
nel corso dei suoi viaggi, risolveva con quella chiave magica. E
visto che apriva ogni porta, avrebbe funzionato anche con quelle
della cantina…
Ma
come fare a creare scompiglio in modo da lasciarle libera la strada?
Beh,
fingere un tentativo di infrazione da parte dei ladri poteva
benissimo essere credibile. Quale grande città non ha
delinquenza
notturna? Quale ladro non sognerebbe di rubare in casa di un
facoltoso ambasciatore straniero? Era un buon piano, sì!
E
così quella sera rimase vestita. Finse di andare a letto,
spense la
candela e quando sentì il portone aprirsi per far accedere i
compagni di merende del padre, aspettò che questi si
chiudessero
nello studio e che la casa piombasse nel silenzio.
Poi
si alzò, si mise un pesante mantello, aprì la
finestra della sua
stanza e
aggrappandosi a un ramo, saltò giù nel giardino.
Rabbrividì,
il freddo era pungente e anche se era una vichinga, si trovò
a
tremare. Poi si guardò in giro e dopo aver visto un grosso
masso
sotto a una pianta, lo prese. Era viscido e rischiava di caderle di
mano, quindi fece un profondo respiro, le strinse più che
poteva e
dopo aver preso la rincorsa, lo scagliò contro il vetro
della
finestra del salone principale.
In
un attimo i cani da guardia di suo padre iniziarono ad abbaiare
ferocemente, le luci si accesero e iniziò il trambusto.
Odalyn,
velocemente, si arrampicò sulla pianta usata per scendere e
da lì
rientrò in camera. Si mise a letto, si coprì del
tutto con le
coperte perché non ci si accorgesse che era vestita e quando
una
domestica corse da lei per accertarsi che stesse bene, fingendosi
assonnata la rassicurò, chiedendo cosa fosse successo.
Le
fu detto che qualcuno aveva rotto i vetri del salone di sotto e che
tutti gli uomini di suo padre stavano correndo in giardino alla
ricerca di un fantomatico ladro e che quindi lei doveva stare
tranquilla.
Odalyn
annuì, si finse assonnata
e quando rimase sola, aspettò alcuni istanti e poi
uscì dalla
camera.
Molte
voci la raggiunsero dal giardino e lei, approfittando del fatto che
tutti fossero fuori, scese velocemente le scale, attenta a non essere
vista. I
pochi rimasti in casa presidiavano il portone d'ingresso,
anche suo padre non era più nel suo studio
e scendendo dalla scala di servizio, nessuno avrebbe captato i suoi
movimenti.
Strinse
a se la chiave del portagioie, si nascose in uno sgabuzzino e quando
vide il
guardiano delle celle
salire dalle cantine di corsa, armato di mazza, prese la stessa scala
e scese nei sotterranei.
Come
aveva pronosticato, tutti erano usciti per stanare chi aveva osato
violare la loro intoccabile dimora. Come suo padre spesso faceva con
le sue prede, ora era quasi comico immaginarlo gonfio di bile nel
ruolo del topo cacciato dal gatto come una preda. Se solo avesse
saputo, lei avrebbe passato dei grossi guai… Ma orami
c’era
dentro e anche se aveva paura, non poteva più tirarsi
indietro.
Avanzò
nel corridoio, solo delle piccole fiaccole appese alle pareti
illuminavano il suo passaggio. E poi, a bassa voce, chiamò.
“C’è
nessuno?”. Era quasi certa che alla sua voce avrebbe risposto
quella di Ross Poldark. O di Jeremy, magari… E grossa fu
quindi la
sua sorpresa quando da una delle porte, sentì la voce di una
bambina. “Chi sei?”.
Odalyn
ci mise un attimo a capire da dove provenisse ma quando ci
riuscì,
veloce come un gatto arrivò alla serratura e con la sua
chiave,
aprì. E si trovò davanti Clowance Poldark.
Sporca, infreddolita ma
decisamente LEI. "Santo cielo!" - esclamò, riconoscendola
all'istante. "Sei sola?".
Clowance
si sfregò gli occhi. "Sì... Ma tu sei... Sei la
strana amica
di mio fratello!".
Erano
entrambe stupite ma Odalyn sapeva che non c'era tempo da perdere.
"Stai bene?" - chiese con urgenza. "Sai correre?".
"Assolutamente
sì".
Odalyn
fece un cenno col capo verso la porta. "E allora vedi di farlo
velocemente. Seguimi, non abbiamo molto tempo!".
Clowance
annuì e Odalyn si mise a correre con la piccola Poldark alle
calcagna. Risalirono la scala di servizio, si nascosero in un piccolo
sgabuzzino per osservare che ancora non ci fosse in casa nessuno e
poi, constatato che la strada era libera, la condusse nella sua
stanza.
Fece
nascondere Clowance sotto il letto, aprì la finestra e
osservò i
movimenti degli uomini di suo padre in giardino. Correvano qua e la
ma quando i cani smisero di abbaiare, capirono che non c'era
più
nessuno a cui dare la caccia e che il ladro, forse, era scappato.
Rientrarono
e alla fine Odalyn decise di agire.
Chiamò
Clowance e le indicò i rami dell'albero con cui aiutarsi a
scendere.
Per
nulla intimorita, la giovane Poldark fece quando le veniva detto e le
due ragazzine arrivarono al giardino. E da lì, di corsa,
fino al
muro di cinta su cui si arrampicarono con l'agilistà di uno
scoiattolo.
E
quando furono fuori, in strada, anche se non sapevano dove andare,
tirarono un sospiro di sollievo.
Erano
salve... Almeno per ora...
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Capitolo 32 *** Capitolo trentadue ***
La
pioggia ghiacciata era noiosa ma sollevava da terra una fitta nebbia
gelida utile
a coprire
le loro figure che correvano per le vie di Londra nella notte.
La
città era deserta, in giro non si vedeva nessuno e anche le
osterie
e le stamberghe che ospitavano i viandanti e gli avventori che
desideravano affogare le loro vite nei fumi dell’alcol erano
ormai
chiuse. Londra sembrava spettrale e anche se Clowance era sempre
stata indomita e coraggiosa, si sentiva vagamente frastornata ed
intimorita. Che stava succedendo? Tutto era successo talmente in
fretta che stentava a comprendere come fosse passata in pochi minuti
dall’essere prigioniera ad essere fuggitiva. E la ragazza
norvegese, Odalyn? Perché la stava aiutando? Si stava
mettendo
contro suo padre? Per quanto Clowance amava il suo, le sembrava
impensabile che un’altra ragazza potesse tradire
così il suo
genitore. Oppure Odalyn stava mentendo e stava portandola in
trappola? Doveva fidarsi o essere guardinga? O metà e
metà?
Davanti
a lei, col cuore in gola, Odalyn correva senza fermarsi e senza
nemmeno conoscere la direzione che stava prendendo. Londra era un
dedalo di piccole vie e allontanate dai grandi palazzi signorili del
centro, tutto sembrava un formicaio di casette e viuzze che si
intrecciavano e fondevano in un intricato labirinto. Certo, era un
buon modo per non essere rintracciate e nascondersi ma era anche un
modo perfetto per cacciarsi ulteriormente nei guai e perdersi.
Le
guardie e suo padre ci avrebbero messo un po’ a scoprire la
loro
fuga e al momento avevano un po’ di vantaggio ma una volta
allontanatesi abbastanza, Odalyn capì che era il momento di
fermarsi
e ragionare. Continuare a correre come forsennate senza un piano su
dove andare era decisamente una scelta idiota. Faceva freddo, erano
in pericolo e se non stavano attente, ai guai che già
avevano se ne
sarebbero aggiunti altri.
Quindi,
vista una stalla abbandonata fra due casupole cadenti, la ragazza
prese improvvisamente per mano Clowance, costringendola a seguirla e
a nascondercisi dentro.
Una
volta all’interno, si misero dietro un cumulo di fieno
vecchio e
maleodorante, guardandosi negli occhi in modo indagatore.
Fu
Clowance la prima a parlare. “Che succede? Cosa fai,
perché?”.
Si sentiva stupida e di certo non era il miglior modo di iniziare una
conversazione con quella che sicuramente al momento doveva
considerare la sua salvatrice, ma era sempre stata una bambina
diretta che non faceva giri di parole e non le veniva in mente
nient’altro da dire. Non ci capiva niente e odiava questo
stato di
cose!
Col
fiato corto, Odalyn mantenne lo sguardo fisso su di lei.
“Nemmeno
tuo fratello all’inizio era un campione di simpatia ma tu sei
decisamente peggio. Mio padre forse su qualcosa ha ragione, voi
Poldark cornici siete decisamente un po’ selvaggi”.
“Orgogliosa
di esserlo! Come la mia terra!”.
Odalyn
le riservò un’occhiataccia.
“Sicura?”.
“Mi
vien da ridere che me lo stia chiedendo una vichinga selvaggia e
feroce”.
A
quell’affermazione che dimostrava un certo coraggio e una
certa
faccia tosta, Odalyn decise che Clowance Poldark era decisamente un
personaggio più caratteriale e deciso del fratello. Jeremy
era dolce
e onesto per natura, Clowance sembrava avere in se l’ardore
del
padre e della madre unito a una irrefrenabile lingua lunga e pungente
che forse poteva anche piacerle. Era decisamente stufa di quel mondo
di buone maniere londinesi finto e artefatto in cui da mesi si era
trovata catapultata e Clowance rappresentava a suo modo una boccata
d'aria fresca. “In fondo non hai torto”.
Le
due si misero con la schiena contro la parete, studiandosi a vicenda
per alcuni secondi.
“Perché
mi hai… aiutata?” – chiese alla fine
Clowance, con tono
guardingo.
“Perché
non mi piace ciò che fa mio padre e liberarti mi sembrava un
modo
originale per farglielo capire".
Quelle
parole lasciarono Clowance interdetta. Certo, Haakon non piaceva a
lei e a nessuno della sua famiglia, suo padre aveva raccontato a
tutti che poteva e voleva far del male ai gemelli e che dovevano
difendersi perché era pericoloso. L’aveva rapita e
se avesse messo
le mani su Daisy e Demian avrebbe fatto di peggio, ma… Ma ai
suoi
occhi di bambina innamorata di suo padre era così assurdo
pensare
che esistessero figlie che non apprezzavano il loro papà.
Deglutì.
“Sei seria?”.
“Ti
pare che possa scherzare? Ti sembra che lui ti abbia presa per
portarti in vacanza?”.
“No…
Ma è tuo padre ed è uno che a guardarlo fa anche
un po’ paura.
Perché dovresti cacciarti nei guai con lui?”.
Quella
domanda fece tremare Odalyn perché in effetti aveva agito
d’impulso
pur conoscendo la pericolosità delle sue azioni e
inconsciamente non
aveva mai voluto pensare alle conseguenze con suo padre. Era vero,
lui faceva paura, da sempre si era sentita intimorita con lui e i
suoi modi bruschi nei paraggi. Non le aveva mai negato nessun vizio o
capriccio ma era stato sempre avaro di affetto e gesti gentili. Forse
era per questo, per essersi sentita considerata solo come mezzo per i
suoi piani di governo che aveva scelto di ribellarsi, di dire no, di
fargli vedere che era una persona con pensieri e sentimenti e non un
oggetto da usare e riporre a piacimento. Non era stato un gesto del
tutto disinteressato e guardandosi dentro si rese conto che
ribellarsi non era stato solo un gesto gentile e altruista verso i
Poldark ma piuttosto un qualcosa fatto per rivendicare se stessa
davanti agli occhi di suo padre. Aveva fatto qualcosa di
spregiudicato e pericoloso, in fondo non era diversa da lui e dalla
sua indole in un certo senso, ma sicuramente, a differenza di lui,
aveva una morale. Stranamente stava dimostrando di averla tradendo il
sangue del suo sangue ma il fine mica giustifica i mezzi?
“Non ha
importanza che lui sia mio padre e inoltre non sono affari tuoi. E
ora non voglio pensarci!”.
Clowance
parve interdetta. Fuori aveva preso a piovere più forte e il
buio
della notte si era fatto più minaccioso. Abbassò
quindi lo sguardo
capendo di essere stata impertintente. “D’accordo,
non sono
affari miei, scusa. E grazie”.
Odalyn
sussultò. “Grazie?”.
Clowance
arrossì. “Beh, sì. Mi hai liberata e io
non ti ho ancora
ringraziata per questo. Sai, mi sono cacciata nei guai
perché ho
disubbidito e tuo padre mi ha…”.
La
bambina si bloccò e Odalyn finì la frase per lei,
chiudendo
bruscamente quel momento di imbarazzo che non aveva motivo di
esistere in Clowance. Erano entrambe due fuggitive nei guai, che
avevano disubbidito ai genitori e si erano ribellate alle loro
regole, non aveva certo senso fare le timide. “Lui ti ha
rapita,
non dovrebbe essere difficile per te dirlo a voce alta. Non mi
offendo, sai? Io so che mio padre vuole qualcosa dalla tua famiglia e
so anche che è un uomo senza scrupoli, in Norvegia molti lo
temono e
il nostro re si fida di lui non certo per il suo buon cuore. Non so
cosa voglia da voi Poldark ma credo, la nonna mi ha
insegnato… che
si deve chiedere, non prendere con la forza”.
Clowance
rimase stupita per la freddezza e la schiettezza di quella ragazza.
Non doveva essere facile per nessuno parlare del proprio padre in
quel modo, anche se era un mostro, e questo le faceva apprezzare la
sua compagnia e la sua persona. “Io so cosa vuole da noi ma
anche
se chiedesse, mio padre non glielo darebbe mai”.
“Puoi
dirmi cos’è?” – chiese Odalyn,
curiosa sul serio di tutti quei
segreti e stupita dall’ammissione della bambina.
“In
realtà non potrei…”. Clowance parve in
difficoltà, era evidente
che si sentisse in debito e in colpa per non poter essere
più
sincera ma il segreto della loro famiglia circa i gemelli doveva
rimanere tale in qualsiasi caso. Ma doveva essere
così anche
con la sua salvatrice? “Sai, credo che mia mamma o mia
papà
potrebbero dirtelo, se vogliono e pensano che sia giusto. In fondo mi
hai tirata fuori dai guai e se andiamo a casa
mia…”.
Odalyn
la bloccò. “Non farti illusioni, non è
così facile! I tuoi
genitori sono spariti assieme ai tuoi fratelli e casa tua è
deserta”.
“Cosa?”
– sussultò Clowance, ora davvero spaventata.
“E ora?”.
Odalyn
sospirò. “Ora dobbiamo stare attente a come ci
muoviamo o gli
uomini di mio padre ci troveranno e allora non potrà
più aiutarci
nessuno”.
Clowance
scosse la testa, ancora sconvolta. “Mio padre e mia madre non
possono essere spariti senza di me. Non mi abbandonerebbero
mai!”.
Alzò
la voce e Odalyn le mise la mano sulla bocca. “Shhh stupida!
Non
urlare! Lo hai capito che dobbiamo stare nascoste e che non dobbiamo
farci trovare?”.
Con
gli occhi lucidi, Clowance si trovò immobilizzata fra Odalyn
e il
muro. Annuì e solo allora la ragazza ritrasse la mano.
“Scusa”.
Dopo
averle riservato una occhiataccia, Odalyn si rilassò.
“Non farlo
più. E comunque non ho detto che i tuoi famigliari sono
scappati, ho
solo detto che la tua casa è vuota. Sicuramente, dopo la tua
sparizione, tuo padre ha messo al sicuro tua madre e i tuoi fratelli
e ora ti sta cercando”.
Le
parole di Odalyn tranquillizzarono Clowance. Aveva senso, di certo
era così, nessuno della sua famiglia avrebbe mai potuto
abbandonarla e immaginava già suo padre nero di
rabbia che
cercava lei e il modo di far pagare ad Haakon quanto fatto. Ma questo
non si sentì di dirlo a Odalyn…
“Sì… Ma ora, io e te? Che
facciamo se non sappiamo come raggiungere chi può
aiutarci?”.
Odalyn
si morse il labbro. “Non conosci nessuno che possa darci una
mano?”.
“Non
sono di Londra. A casa ne conoscerei tante di persone, in Cornovaglia
tutti ci sono amici. Ma qui…”.
“Eppure
tuo padre è un parlamentare e secondo me anche qualcosa di
più
visto il modo in cui lo considera mio padre… Sicura che non
c’è
nessuno che possa aiutarci?”.
Clowance
sospirò. Sicuramente suo padre conosceva molte persone ma
lei al
momento sentiva la sua mente vuota e stanca. Chi c’era a
Londra che
potesse aiutarle? Caroline e Dwight, certo, ma davvero potevano
andare da loro col rischio di metterli nei guai? Dove potevano
essersi nascosti i suoi famigliari? Il Governo stava aiutandoli?
Certo, il suo papà conosceva persone importanti che potevano
proteggere tutti loro ma chi… ma di chi potevano fidarsi lei
ed
Odalyn per chiedere aiuto senza combinare guai e farsi scoprire?...
“Jones…”
– esclamò dopo alcuni istanti, come colta da
improvvisa
ispirazione.
“Cosa?”.
Clowance
scattò in piedi. “Jones, certo! Lui so di sicuro
che è uno di cui
mio padre si fida, viene spesso a casa mia ed è quello
giusto…”.
Odalyn
sospirò. “Come fai a saperlo?”.
Ovviamente
Clowance non poteva raccontarle che Jones era il compagno di
avventure da spia di suo padre e il suo più fidato
collaboratore ma
lui era perfetto. “Lo so e basta!”.
“Vive
lontano questo Jones?”.
“Vicino
a Regent’s Park! Papà mi ci ha portato un giorno a
cavallo appena
arrivate qui. Lo abbiamo visto davanti casa e ci siamo fermati a
parlare”.
Regent’s
Park? Beh, non era vicinissimo ma nemmeno lontano! “Dobbiamo
andarci subito e chiedere il suo aiuto se sei sicura sul suo
conto!”.
“Sono
sicura!”.
Odalyn
si alzò in piedi. “Dobbiamo stare attente. Io
direi di aspettare
la mattina. Ora ce ne staremo qui nascoste, non
c’è in giro
nessuno e se come penso, gli uomini di mio padre ci stanno
già
cercando, non passeremmo inosservate. Al mattino, fra la gente, ci
mischieremmo meglio”. Era un azzardo, Odalyn sapeva di non
avere la
certezza che fossero già alla loro ricerca e che aspettare
il
mattino avrebbe dato rischi in più ma ogni scelta che
avrebbero
preso ne comportava. Quanto meno al mattino, se qualcuno avesse
tentato di prenderle con la forza, avrebbero potuto urlare per
attirare l’attenzione dei passanti…
“Sicura?”.
“Sì,
credo…”.
Clowance
si rimise allora a sedere, nascondendosi sotto al fieno anche per
ripararsi dal freddo. “Lo hai davvero fatto solo a causa di
tuo
padre?” – chiese infine, giusto per far passare il
tempo e fare
conversazione.
“Cosa?”.
“Salvarmi”.
Odalyn,
a quella domanda, inaspettatamente arrossì. E a Clowance non
sfuggì
la cosa…
“Ohhh,
lo hai fatto anche per farti bella agli occhi di mio fratello
allora!” – disse, con fare birichino.
Di
tutta risposta, ancora più imbarazzata, Odalyn le
tirò in faccia
della paglia. “Se non stai zitta, ti riporto da mio
padre!”.
Clowance
rise. “Ohoh, ci ho proprio preso!”.
“Per
niente!” – sbottò la norvegese.
“E comunque…”.
“Cosa?”.
Odalyn
si fece seria, decisa sia a cambiare discorso sia a togliersi una
curiosità che le parole di poco prima di Clowance avevano
risvegliato in lei. “Davvero i tuoi genitori potrebbero
decidere di
fidarsi e raccontarmi il vostro segreto?”. Lo chiese, avrebbe
voluto chiedere se anche Jeremy avrebbe potuto fare altrettanto e le
sarebbe piaciuto che qualcuno credesse in lei e si fidasse. Anche se
si trattava di perfetti sconosciuti…
Clowance
annuì e tornò seria. “Sta a loro,
è una cosa importante e io so
tenere i segreti. Ma loro capiranno se ne vale la pena”.
“Vuoi
dire che capiscono chi è nemico e chi no senza
l’uso di spie?”.
Suo padre non muoveva un passo prima di aver sguinzagliato spie che
gli riportassero ogni cosa. Era nella sua natura non fidarsi ed
essere sospettoso e da quel momento in poi avrebbe sospettato pure di
lei. Non sapeva se esserne spaventata o elettrizzata…
Clowance
sorrise. “Sì, hanno buon occhio. Soprattutto la
mamma”.
…
Se
quella notte si stava dimostrando insonne per due ragazzine, lo
stesso si poteva dire per i loro genitori. Il cuore di ognuno era in
tumulto, anche se per motivi diversi…
Haakon
aveva scoperto di essere vulnerabile e che i nemici si potevano
nascondere sia fuori che dentro casa. La sua preziosa prigioniera era
sparita e dubitava che fossero stati ladri improvvisati a liberarla.
Anche sua figlia era sparita e anche nel suo caso dubitava che si
trattasse di ladri o rapitori. La ragazzina era a letto ad inizio
trambusto ed era scomparsa proprio mentre nessuno faceva caso a lei,
durante un ipotetico tentativo di effrazione. Era stato Poldark che
era venuto a riprendersi la figlia e lo aveva punito rapendo a sua
volta Odalyn? Ne dubitava, era troppo ligio alla correttezza per
coinvolgere una ragazzina, era un idiota codardo che cercava
stupidamente di stare dalla parte del giusto invece che dalla parte
del più forte. Stupido uomo… E sciocca Odalyn.
Forse non c’entrava
nulla ma spezzando una matita e lanciandola nel camino, decise che
nel caso, la sua punizione sarebbe stata tremenda. Era ora che sua
figlia capisse chi comandava e a chi doveva sottostare. E che cercare
di fare la furba con uno più furbo di lei non le avrebbe
portato
nulla di nuovo. Voleva trovarla ma era per rabbia e di certo la
preoccupazione era l’ultimo dei sentimenti che provava. Si
sentiva,
per la prima volta, preso in giro. Da sua figlia per giunta! Odiava
perdere e odiava non avere avuto il controllo della situazione.
Doveva aspettarselo che una adolescente poteva essere volubile ma che
Odalyn lo tradisse, MAI se lo sarebbe aspettato! Anche se la
conosceva poco e in passato, quando era troppo piccola per servire a
qualcosa, l'aveva sempre affidata a tate e alla nonna e quindi non si
era mai soffermato sulla sua indole. Ma mai avrebbe creduto che,
ordinandole di sedurre il giovane Poldark, avrebbe finito col farsi
sedurre da lui. Non sarebbe più successo e se Odalyn era
colpevole
della liberazione di Clowance Poldark, le avrebbe fatto capire ben
presto che una cosa del genere non avrebbe mai dovuto farla. E di
certo non si sarebbe ripetuta...
Ben
diversa era la preoccupazione
che invece attanagliava Demelza nel suo letto, mentre si stringeva a
Demian e Bella che le erano sgattaiolati vicini approfittando
dell’assenza del papà. Amavano le calde braccia
della madre e
percepivano la sua preoccupazione. Cercavano di starle vicino come
sapevano fare, così come Jeremy cercava di farla ridere con
delle
battute o stringendole la mano o Daisy facendo capriole e
raccontandole barzellette da osteria imparate da Tholly. Ma voleva
sua figlia Clowance a casa. Lei e Ross, in missione con Jones per
trovarla. Si accarezzò il ventre ancora poco gonfio,
cullando
l’effimera illusione di poter avere il totale controllo sulla
sicurezza di almeno uno dei suoi bambini. Per il momento,
certo… Ma
un pensiero positivo era tutto ciò di cui aveva bisogno per
non
affondare.
Ross
invece si muoveva nella nebbia assieme a Jones come era spesso
successo in passato. Era la motivazione che però ora era
diversa ed
era estremamente personale: sua figlia.
Ne
aveva già persa una e mai avrebbe permesso che succedesse
ancora,
mai, MAI avrebbe rivissuto lo strazio che lo aveva quasi inghiottito
quando era morta Julia. Doveva salvare sua figlia, stavolta lo
avrebbe fatto come non aveva potuto anni prima con la sua
primogenita. Per Clowance, per Demelza, per i suoi fratelli e per
lui. Perché in caso contrario, ne sarebbe impazzito
stavolta… Lui
era suo padre e a lui spettava proteggere Clowance, anche a costo
della vita, a lui spettava salvaguardare il sorriso bello di Demelza,
la sua voglia di vivere e il futuro dei suoi figli e lo avrebbe fatto
a ogni costo.
La
rabbia a volte sembrava sopraffarlo ma si imponeva di non farle
prendere il sopravvento facendogli perdere lucidità. Quindi
era una
rabbia sorda quella che lo animava e forse proprio per questo, per
Haakon, era più pericolosa. Ma muovendosi fra i vicoli di
Londra
alla ricerca di indizi, spesso aveva iniziato a chiedersi quanto
valesse la pena desiderare vendetta. Un tempo l’avrebbe
pretesa ma
ora voleva solo riabbracciare Clowance per portarla in salvo, al
resto ci avrebbero pensato Jones e Wickman. E anche se non lo aveva
chiesto, era piuttosto certo che un pensiero e un piano
d’azione lo
avessero già fatto perché erano entrambi
estremamente bravi a
ordire trame nascoste. In un certo senso, pensandoci bene, entrambi
si muovevano con la stessa spregiudicatezza di Haakon e come lui
progettavano e agivano.
“Lo
uccidi tu o lo uccido io?” – chiese Jones mentre
spiavano la casa
di Haakon dalla stanza presa in affitto in una locanda vicina dove
erano arrivati solo pochi minuti prima, perdendosi per una manciata
di ore il trambusto che poteva portarli subito a risolvere il
rapimento di Clowance.
Cupo
in volto, Ross annuì. ‘Io’ avrebbe
voluto urlare. Ma gli uscì
solo un mogio “Vedremo cosa succederà dopo aver
salvato Clowance”.
Jones
strinse i pugni. “Mi lasci il divertimento,
quindi?”.
“Vuoi
creare una frattura con la delegazione norvegese? Wickman non ci ha
raccomandato prudenza?”.
Jones
scoppiò a ridere. “Prudenza? Certo, prudenza per
come la
intendiamo noi…”.
Ross
abbassò lo sguardo e decise di non voler sapere.
“Non essere
idiota”.
Jones
divenne serio. “Idiota? In realtà voglio solo dare
una spintarella
al naturale corso degli eventi con la benedizione di chi di
dovere”.
Spintarella?
Ross decise che non voleva saperne di più. Lo conosceva
piuttosto
bene e sapeva che Jones, se parlava così, era
perché un piano lo
aveva già in mente. E visto come scalpitava, gli doveva
piacere
anche molto…
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Capitolo 33 *** Capitolo trentatre ***
“Come
possiamo raggiungere la casa di Jones? Io ci so arrivare ma se gli
uomini di tuo padre sono ovunque…”.
L’osservazione
di Clowance diede ad Odalyn il pretesto di mettersi a pensare
seriamente sul da farsi. In effetti lei era la più grande,
aveva la
responsabilità di quanto stava succedendo e anche se era
riuscita a
portare a termine la prima parte del suo strampalato piano, non era
affatto scontato che ci riuscisse con la seconda.
La
ragazza si guardò attorno e nella semioscurità si
accorse che in
quella stalla c’erano diversi oggetti che potevano fare al
caso
loro: uno sgangherato baule di legno marcio contenente
chissà cosa,
utensili da taglio, briglie, stracci, mantelli logori alle
pareti…
“Dobbiamo renderci irriconoscibili”. Era l'unica
possibilità...
“Come?”.
Odalyn
deglutì, poi si alzò e da un tavolaccio prese
delle grosse forbici
da contadino arrugginite. “Quanto frigneresti a tagliarti un
po’
i capelli?”.
“Come
un maschio?” – chiese Clowance.
“Più
o meno”.
“Piangerei
poco o nulla. Tanto ricrescono e se sembro un maschio, magari a casa
i ragazzi mi faranno far parte del loro gruppo e mi consentiranno di
esplorare le miniere con loro. Ora dicono che son troppo femmina per
andare ad esplorare con loro, fanno andare solo Jeremy”.
Odalyn
ridacchiò. “Che giochi da bambini”.
“Non
sono da bambini e la Cornovaglia è una terra tanto bella da
esplorare”.
“Mai
come la Norvegia! Noi abbiamo cose che voi non vi sognereste
nemmeno”.
"Bla,
bla, blaaa... Sì lo so, gli orsi e quella cosa colorata che
vi si
forma in cielo... Ma noi abbiamo i banchi di sardine, le miniere e le
nostre scogliere e il mare più bello del mondo". Clowance
balzò
in piedi. “Facciamo così! Un giorno tu vieni da
noi a conoscere la
mia terra e un altro giorno io vengo da te e tu mi fai vedere la
tua”.
Odalyn
sorrise, in fondo avrebbe potuto essere diverte. Certo, se fossero
riuscite a togliersi dai guai e ad uscirne vive ovviamente. Ma ora
non era certo il momento di tergiversare in inutili conversazioni,
tanto alla fine nessuna delle due avrebbe cambiato idea.
Osservò le
forbici e poi si prese fra le mani una ciocca dei suoi biondissimi
capelli. Erano umidi di pioggia ma belli, profumati, setosi…
Ci
aveva messo molto a farli crescere ma Clowance aveva ragione,
sarebbero ricresciuti di nuovo. Quindi chiuse gli occhi, prese un
profondo respiro e poi, con un taglio netto, li accorciò fin
sopra
le spalle. Poi guardò Clowance con aria grave. “Se
l’ho fatto
io, ora devi farlo anche tu!”.
Clowance
osservò per alcuni istanti le forbici, poi si decise a
procedere. In
fondo non era ancora nell’età per essere vanitosa
e assomigliare a
un maschietto per qualche mese forse sarebbe stato anche divertente.
E poi era un buon modo per non farsi riconoscere e riabbracciare i
suoi genitori che dovevano essere decisamente in ansia. Quindi prese
le forbici e con un gesto veloce e con la mano libera, i suoi
capelli. Poi li tagliò ancora più corti di quanto
avesse fatto
Odalyn. “Visto, vichinga?”.
“Sei
coraggiosa” – dovette ammettere l’altra.
“Anche
tu, anche se scommetto che ora vorresti piangere per la perdita dei
tuoi capelli vichinghi” – rispose Clowance col suo
solito
cipiglio sfrontato.
Odalyn
distolse lo sguardo imbarazzata. In effetti…
Poi
sospirò e si avvicinò con Clowance al baule che,
una volta aperto,
lasciò scoprire il suo contenuto: vestiti da lavoro laceri e
da
uomo. “Credo che oggi non saremo esattamente damine da ballo
delle
debuttanti” – cercò di sdrammatizzare.
Clowance
prese in mano dei pantaloni laceri e poi rise. “Fantastico
davvero,
così sembrerò in tutto e per tutto un monello
cornish. Come la
mamma una volta”.
“Tua
madre si vestiva così?” – chiese Odalyn,
sconcertata. Da quel
poco che aveva visto, la signora Poldark era una donna bella, dai
modi graziosi e dall’eleganza sobria e fine.
Clowance
annuì. “Oh, era così che era vestita
quando ha conosciuto il mio
papà, un maschiaccio vero e proprio che faceva a botte in
mezzo alla
strada per proteggere il nostro cane Garrick. Sarà
divertente
vestirmi come lei quel giorno. Mamma, quando lo racconta, dice che
è
stato il suo giorno fortunato. Lo dice anche
papà”.
Odalyn
abbassò lo sguardo soffermandosi a pensare a quanto diversi
fossero
i Poldark dalla sua famiglia. Un uomo appartenente a una antica
casata
che incontra una ragazza vestita di stracci, da maschiaccio, che se
ne innamora, se la sposa e con lei forma una famiglia felice e fuori
dagli schemi… Sembrava la trama di un bel romanzo, dopo
tutto. “Se
ti eccita tanto, indossali!”.
Clowance
scelse una casacca marrone troppo grande per lei, lacera, che
rivoltò
sulle braccia diverse volte perché decisamente
enorme,
dei pantaloni in flanella scuri e un berretto nero. Odalyn scelse dei
pantaloni verdi, una casacca bianca e poi,
con una coperta, si fece un mantello per celarle il viso.
"Non
ci riconosceranno. Ma stiamo attente lo stesso”.
Clowance
annuì. “Certo. Quando ce ne andremo da
qui?”.
“All’alba,
quando le vie si riempiranno di persone”.
Clowance
si sedette allora dietro a una balla di fieno. “E allora
abbiamo
tempo per dormire un po’, giusto?”.
Odalyn
si stese accanto a lei. “Sì, ne abbiamo
bisogno”.
Si
appisolarono un paio d’ore anche se Odalyn si mantenne
comunque
vigile in un agitato dormiveglia. Clowance, nonostante
l’esperienza
del rapimento appena vissuta, non sembrava turbata più di
tanto e
pareva invece elettrizzata da quel tipo di avventura. Forse era
troppo giovane ancora per capirne i pericoli e forse era anche
abituata a cacciarsi nei guai nella sua terra, quindi era temprata
alle difficoltà. Per lei invece si trattava della prima
avventura e
aveva scelto di viverla ribellandosi a suo padre. Che cosa le avrebbe
riservato in futuro questo suo comportamento? Clowance aveva dalla
sua una famiglia amorevole, lei era sola. E probabilmente lo sarebbe
stata, nella migliore delle ipotesi, del tutto.
Quando
le prime luci del giorno, attutite dal buio del maltempo e
dell’inverno, giunsero, dalla strada iniziarono a levarsi le
grida
e gli schiamazzi di venditori e massaie.
Bimbi
vocianti e chiassosi presero a correre nella via, gli ambulanti
iniziarono a urlare i costi dei loro prodotti, le donne iniziarono
col loro via vai giornaliero di faccende e incombenze. Il rumore di
piccoli carretti e di carri più grandi prese a fendere
l’aria e
Odalyn decise che era arrivato il momento di uscire. Svegliò
quindi
Clowance scuotendola e poi entrambe si misero in piedi.
“E’
ora, giusto?” – chiese la piccola Poldark.
“Sì,
adesso viene il difficile”.
Clowance
rise, calandosi il berretto bene sul viso, nascondendovi sotto i suoi
capelli più corti. “Forse no. Di un monello di
strada, a nessuno
importa”.
Odalyn
si mise il suo mantello improvvisato. “Ammiro molto il tuo
modo di
fare la spiritosa”.
“Dovremmo
piangere?”.
“No,
dobbiamo sbrigarci!”.
Odalyn
spinse Clowance fino alla porta, l’aprirono lentamente e dopo
essersi accertate che nessuna faccia sospetta fosse nei paraggi,
uscirono di soppiatto. Veniva giù una leggera pioggerellina
invernale fredda e che rendeva tutto scivoloso e una nebbia sottile
avvolgeva la via.
Uomini
e donne infreddolite e strette nei loro scialli andavano a passo
spedito verso la loro meta e loro vi si unirono.
“Forse
dovremmo camminare con calma e senza essere frettolose”
– suggerì
Clowance.
“Sei
matta? Vuoi farti una passeggiata?”.
“No.
Ma se sembriamo nervose, daremo nell’occhio alle spie di tuo
padre
mentre se saremo come gli altri, nessuno ci
noterà”.
Odalyn
ci ragionò su e alla fine capì che la piccola
Poldark aveva ragione
e che era fondamentale non farsi prendere dal panico e dalla fretta.
Quindi rallentò il passo e anzi, quando videro dei ragazzini
che
giocavano per strada con un barattolo di lattaa, ci si unirono e
rimasero con loro alcuni minuti.
Rise,
come non le era mai successo. Lei aveva sempre giocato al chiuso o al
massimo nei giardini di palazzo ma mai in strada, con giochi
improvvisati. Spesso
da bambina, nei ricchi salotti delle corti di Oslo si era arrampicata
fino alle finestre ed era rimasta fuori ad ammirare bambini poco
vestiti che giocavano nella neve senza paura di freddo e ghiaccio. Li
aveva invidiati e in fondo in quel momento poteva essere una di
loro... Crescendo aveva smesso di sognare di vivere in modo
più
selvaggio e aveva
sviluppato
il desiderio di
sembrare più grande ma ora iniziava a comprendere
e a ricordare che
essere una ragazzina non era affatto male.
Anche
Clowance si divertì ma alla fine,
dopo aver salutato,
ripresero la loro strada chiamandosi buffamente con nomi maschili.
Odalyn divenne Ubert e Clowance fu ribattezzata Amadeus
dalla giovane vichinga. Ci risero sopra, come due ragazzine qualunque
che giocavano a fare le sciocche e via dopo via, si avvicinarono alla
loro meta, Regent’s Park, dove abitava Jones.
In
realtà non incontrarono difficoltà fino a quel
momento e anche se
sicuramente la città era piena di spie del padre, non erano
state
riconosciute. Inoltre Haakon aveva meno uomini a disposizione
rispetto a quanti ne aveva in Norvegia e quindi sicuramente li aveva
mandati dove era più facile trovarle, ossia nella zona dove
c’era
la dimora dei Poldark. I bassifondi della città erano troppo
ampi e
cercarle sarebbe equivalso a cercare un ago in un pagliaio e questa
era stata la loro fortuna. E la sfortuna di suo padre che sicuramente
aveva dovuto concentrare le ricerche in pochi, selezionati posti.
A
tutto questo pensava Odalyn quando avvertì chiaramente,
sulle loro
schiene, occhi insistenti che le scrutavano.
La
ragazzina si fermò e si guardò attorno, prendendo
Clowance per
mano. Erano ormai fuori dal centro di Londra e i dedali di vie
avevano lasciato spazio a strade più ampie delimitate da
giardini e
prati incolti. Le case erano più rade, più grandi
e di certo gli
spazi per nascondersi fra la folla molti meno. Qualcuno le aveva
seguite fin lì? Più andavano verso
Regent’s Park e la periferia,
più sarebbe stato possibile acciuffarle… Gli
uomini di suo padre
l’avevano vista e seguita nonostante il loro travestimento?
Davvero
era successo, senza che se ne accorgessero? Odalyn strinse la mano di
Clowance e si avvicinò al suo orecchio. “Temo che
qualcuno ci
segua”.
Clowance
fece per voltarsi ma la Odalyn la bloccò. “Ferma,
fa finta di
nulla e continua a camminare come se niente fosse”.
“Ma…”.
“Niente
ma, o raggiungiamo la meta in fretta camminando o iniziamo a correre
molto velocemente. Quanto è distante la casa di questo
Jones?”.
Clowance
si guardò attorno. Non erano lontane ma nemmeno ancora
così vicine
da considerarsi salve. “Circa dieci minuti a piedi, se
camminiamo.
Forse cinque o sei, se corriamo”.
“Continua
a camminare”.
Proseguirono,
entrambe col cuore in gola per l’ansia. Attorno
c’erano poche
persone, la ressa del centro era ormai uno sbiadito e rimpianto
ricordo e anche se avessero urlato, forse nessuno si sarebbe
affrettato ad aiutare due monelli di strada magari anche ladri, quali
loro sembravano.
Era
una sensazione strana perché chi le stava inseguendo
sembrava un
fantasma invisibile eppure avvertivano chiaramente una presenza
dietro di loro in impercettibili rumori di passi sul fango. Chi le
stava seguendo, doveva essere avvezzo ed abile in questo genere di
cose ed Odalyn sapeva che gli uomini di suo padre erano maestri nei
pedinamenti.
A
un certo punto sentirono i passi più vicini. Stavano
costeggiando
una fila di alberi a ridosso di un terreno incolto pieno di brina ed
erbacce e le case stavano lontano, ville sbiadite dall’altra
parte
della strada, immerse nella nebbia. E Odalyn decise che era ora di
correre. “Clowance”.
“Sì?”.
“Se
sei veloce come affermi, è ora di esserlo sul serio. Uno,
due,
tre…”.
Iniziarono
a correre veloci, due ragazzine sole sperse fra mille insidie nelle
campagne attorno a Londra, inseguite da chissà chi che
voleva far
loro chissà cosa. Corsero veloci più che
potevano, inciampando nel
fango più volte, con passi dietro di loro sempre
più vicini. Era
ormai chiaro ad entrambe che qualcuno le stava seguendo e le stava
braccando come gatti coi topi.
Clowance
avrebbe voluto urlare, chiedere aiuto, ma la sua gola sembrava secca
e bloccata. Lo stesso valeva per Odalyn, resa veloce dal cupo terrore
di cosa sarebbe successo loro se suo padre le avesse acciuffate. Era
così ingiusto, a un passo dalla meta...
A
un certo punto sentirono il fiato dei loro nemici sul collo, la loro
presenza incombente e le loro mani sulle loro braccia.
Clowance
fu afferrata per la vita, Odalyn per il braccio. Ed entrambe si
trovarono immobilizzate dai loro inseguitori. La fuga era
finita…
…
La
cucciola Astrid giocava con Garrick. O quanto meno ci provava, anche
se l’anziano cane non sembrava molto interessato a farsi
coinvolgere e se ne stava accovacciato davanti al camino del loro
nascondiglio improvvisato nella dimora di campagna di Jones.
Demelza
stava cucendo una coperta per il bambino in arrivo, Inge e Prudie le
erano accanto cercando di distrarla con qualche chiacchiera frivola
mentre il paziente Jeremy tentava, senza successo, di coinvolgere i
bambini in una spiegazione più grande di loro sulle regole
degli
scacchi.
Ma
Bella sembrava annoiata e i gemelli decisamente più
divertiti dal
buttare in terra alfieri e regine che dall’apprendere nozioni
e
alla fine optarono per giocare ai pirati coinvolgendo anche la
piccola Astrid.
Demelza
li guardò con un sorriso triste, imponendosi di gioire della
serenità che le davano i figli che le erano rimasti, in
attesa che
Ross salvasse Clowance e la riportasse da lei.
“Che
bella gioventù” – sussurrò
Inge guardando i bambini. “Ogni
piccolo dovrebbe essere felice come loro in questo momento”.
“Sono
in cattività, però. E di solito sono abituati a
spazi aperti…”.
Inge
strinse la mano di Demelza. “Ci torneranno”.
“Verrai
con noi, vero? Ci hai pensato?”.
Inge
guardò i gemellini, i lasciti viventi di due persone che
aveva
profondamente amato, soprattutto il loro padre. “Avere
l’opportunità di crescerli sarà per me
un onore”.
“E
la tua terra? Ti mancherà?” - chiese Demelza,
temendo forse di
chiederle troppo e di essere diventata egoista a volerla con lei. Ma
Inge era dolce, gentile, le infondeva pace e le dava quel supporto
quasi materno che le era sempre mancato e che ora, anche se era
adulta, sentiva il bisogno di provare.
Inge
la rassicurò. “Sì ma nella vita non si
deve mai avere paura dei
cambiamenti. Un bel posto può essere casa ovunque”
– rispose la
donna con saggezza. "E' la compagnia che conta".
Demelza
annuì, ripensando alle traversie della sua vita e come da
subito,
dopo anni di nulla, avesse deciso che Nampara era la sua casa.
“Staremo bene, farò in modo che sarà
così”.
Improvvisamente
la calma apparente del piccolo salottino fu interrotta da un violento
bussare.
Prima
che Prudie riuscisse ad alzarsi dal divano, i tre bambini
più
piccoli erano già alla porta e l’avevano
spalancata.
Demelza
fece per sgridarli, più volte aveva spiegato loro di
chiedere chi
fosse prima di aprire, ma non ci riuscì e il fiato le si
strozzò in
gola quando vide chi era arrivato.
Si
alzò dal divano e davanti a lei comparvero due dei
più fidati
uomini di Jones che in quei giorni avevano lo scopo di tenere
d’occhio la casa. Due apparenti brutti ceffi alti, corpulenti
e dal
viso poco raccomandabile. Ma di certo due guardie ben addestrate al
loro lavoro.
Erano
bagnati fradici e dai loro mantelli neri gocciolava tanta acqua da
macchiare i tappeti. Ma a Demelza non importava perché era
ciò che
avevano fra le mani che le fece sobbalzare il cuore.
Gli
uomini lasciarono la presa
e due ragazzine bionde caddero a terra.
Il
cappuccio di Odalyn scivolò dietro la sua schiena, il
berretto di
Clowance cadde sul tappeto e Demelza si trovò davanti sua
figlia.
Sporca, coi capelli più corti, vestita da maschiaccio come
lei un
tempo ma
sana e salva.
Prudie,
Inge e Jeremy la raggiunsero e rimasero senza fiato. Così
come i tre
piccolini che appena videro la sorella, esclamarono il suo nome ad
alta voce.
Roger,
uno dei due scagnozzi di Jones prese parola. “Le abbiamo
notate da
lontano, stavano venendo qui. Accidenti, corrono veloci ma le abbiamo
acciuffate prima che lo facesse qualcun altro. Il capo ci avrebbe
ucciso se fosse successo, accidenti a lui! Abbiamo riconosciuto il
faccino della piccola Poldark ed eccole quì. Non so se noi
eravamo
la loro meta ma abbiamo risparmiato al capo e a Master Poldark un bel
pò di grane e lavoro. Al pensiero che il mio capo sta
soggiornando
al freddo in una stamberga alla loro ricerca, già rido
quando
inizierà ad urlare i suoi improperi nei confronti di vostro
marito
che lo trascina ovunque senza motivo, signora”.
L’uomo
emise una grassa e sguaiata risata ma a Demelza non importava.
Con
le lacrime agli occhi si inginocchiò e senza dire nulla,
senza
chiedere, senza voler sapere altro, strinse a se la sua bambina. Era
sana e salva, apparentemente in salute e con la sua solita
espressione vivace e corrucciata. Come fosse arrivata lì,
non le
importava. Dopo l'avrebbe tormentata di domande, l'avrebbe
rinfocillata, l'avrebbe ascoltata, forse sgridata e mille altre cose
ma ora voleva solo stringerla. “Clowance,
Clowance…” –
sussurrò fra i suoi capelli, rilasciando una tensione che
aveva
accumulato in quei lunghi e faticosi giorni. Santo cielo, era felice
come nel giorno in cui era nata… Avrebbe solo voluto che
anche Ross
fosse lì, andarsene tutti insieme e ritornare a casa
dimenticandosi
quella brutta storia. Ma presto sarebbe tornato.
Odalyn
intrecciò lo sguardo stupito di Jeremy e il suo cuore prese
a
battere quando ne percepì l’emozione. Poi
tornò a guardare
Clowance con sua madre, rendendosi conto che lei un abbraccio
così
non lo aveva mai avuto. E che tanta della forza e del coraggio
dimostrato da quel soldo di cacio cornish nascevano da lì,
dall'amore e dalla sicurezza che Clowance aveva respirato in famiglia
fin da quando era nata.
La
invidò, per un attimo, prima di ricordarsi che in un modo o
nell'altro avevano incontrato gli scagnozzi di questo misterioso
Jones e non quelli di suo padre. Stessi metodi ma per fortuna,
mandanti diversi. Ed ora
erano salve, almeno per il momento. E questo, nella sua posizione
tanto incerta, al momento le bastava.
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Capitolo 34 *** Capitolo trentaquattro ***
Aveva
aiutato Clowance a fare il bagno, le aveva dato da mangiare, le aveva
messo caldi abiti puliti e sua figlia non aveva fatto altro che
parlare della sua avventura, eccitata e per nulla spaventata dalla
gravità di quanto vissuto.
Demelza
sapeva che Clowance era la più simile a Ross e che nelle
avventure
ci si buttava come un pesciolino in mare e nel vederla era sollevata.
Jeremy l'aveva ascoltata in silenzio, quasi imbarazzato forse per la
presenza di Odalyn, i piccoli l'avevano sommersa di domande e lei
aveva potuto tirare un sospiro di sollievo nel vedere che non era
rimasta traumatizzata dal rapimento. Anche se Clowance, anche se lei
non lo aveva voluto dare a vedere, una volta a letto le aveva chiesto
se stesse bene e se era stata in ansia. Era una bambina vivace e
sensibile, attenta agli umori e ai sentimenti di chi aveva
più a
cuore. Come Jeremy del resto, mentre Bella e i gemellini erano ancora
troppo piccoli e a loro modo concentrati su loro stessi e i loro
bisogni per sviluppare quel tipo di sensibilità che sarebbe
venuto
con gli anni.
"Un
pò, ma sapevo pure che mia figlia era forte e io e tuo padre
non
abbiamo mai smesso di avere fiducia in te. Sapevamo che te la saresti
cavata" - le aveva risposto Demelza, ricacciando indietro le
ennesime lacrime, di sollievo stavolta.
"Papà
quando tornerà?".
Demelza
le accarezzò i capelli. "Presto. Gli uomini di Jones lo
stanno
andando ad avvertire e sono certa che appena saprà che sei
quì,
correrà da te".
Clowance
aveva annuito, poi si era addormentata, esausta. Accanto a lei
c'erano i fratellini e nel guardarli tutti insieme, sani e salvi,
Demelza aveva potuto tirare nuovamente
un
sospiro di sollievo. Momentaneo, certo, Haakon avrebbe tentato nuovi
attacchi, ma per il momento voleva godere di quella pace ritrovata
e dei suoi bambini. Tutti i suoi bambini, quelli che erano figli di
sangue e quelli che aveva adottato e scelto il suo cuore.
Rimboccò
le coperte a Daisy e Bella che come al solito si erano scoperte,
osservò Jeremy il cui viso addormentato, nella penombra,
sembrava
adulto e serio e poi Demian, biondo e pacifico come sempre, che amava
ancora dormire col pollice in bocca come quando era piccolo e Ross lo
aveva portato a casa loro dalla fredda Norvegia. Li baciò
sulla
fronte, tutti, poi andò nel salotto.
Aveva
lasciato che Inge si occupasse di Odalyn e le avevano preparato il
divano affinché fungesse da letto e ora quella ragazza
misteriosa
era lì, con indosso una delle camicie da notte che le aveva
prestato, anche se troppo grande per le sue forme ancora molto esili,
seduta davanti al camino.
Demelza
sorrise nel'oscurità, grata per quanto aveva fatto e decisa
a
fidarsi nonostante Prudie avesse borbottato che non era una buona
idea. Era la figlia del loro nemico, vero, ma a Demelza non sembrava
altro che una ragazzina infreddolita e sola, con indosso abiti
più
grandi di lei, smarrita e senza protezione alcuna, come era stata lei
un tempo. Una ragazzina coraggiosa, l'unica che al momento potesse
ringraziare per averle riportato Clowance.
Le
si avvicinò ed Odalyn sussultò, presa alla
sprovvista.
"Scusa,
non volevo spaventarti. Inge dov'è?".
Odalyn
arrossì, imbarazzata. Era in una casa sconosciuta e a parte
Jerermy
e Clowance che ormai dormivano, fra estranei che il padre le dipinto
con toni foschi descrivendoli come nemici. "Mi ha aiutata a
lavarmi e mi ha dato del pane con della ciocciolata. E' stata
gentile, le ho detto che poteva andare a riposare".
"Hai
bisogno di altro? Stai bene? C'è qualcosa che posso fare per
te?".
Odalyn
scosse la testa mentre Demelza le si sedeva accanto. "No, sto
bene signora. Vi ringrazio".
Demelza
la osservò. Era bella, con colori simili a quelli dei suoi
gemellini
con cui condivideva le origini e sentiva di essere terribilmente in
debito nei suoi confronti. "Sono io che devo ringraziare te, hai
salvato mia figlia".
"Gli
uomini che presidiano la casa e ci hanno portate quì pensano
che sia
una spia... Non sono sciocca, so che mi controlleranno e mi terranno
quì anche contro la mia volontà".
Demelza
la osservò. Faceva 'la dura', voleva apparire forte e
coraggiosa ma
le faceva tenerezza pensare alla sua situazione. Era vero, gli uomini
di Jones le avevano detto che la ragazza non doveva lasciare la casa
ma a lei importava poco e si sarebbe presa cura di quella giovane
come faceva coi suoi figli. Forse era una spia, forse il salvataggio
di Clowance era stato ideato a tavolino, forse, forse... Ma non aveva
scelto da sempre di seguire il suo cuore? E il suo cuore in quel
momento non le stava forse consigliando di prendersi cura senza
riserve di quella ragazza? "Quello che dicono loro a me non
importa. Per quel che mi riguarda, dobbiamo stare tutti in questa
casa per una questione di sicurezza e tu sei una di noi. Se vuoi...".
"Una
di voi?".
Demelza
annuì. "Suppongo tu ti sia messa nei guai con tuo padre,
giusto?".
Odalyn
sorrise con amarezza. "Suppongo sia un modo delicato di
descrivere la mia condizione".
"Sistemeremo
tutto" - tentò scioccamente di rassicurarla anche se si
rendeva
conto di essere ridicola e che Odalyn tutto era fuorché una
bambina
a cui raccontare frottole, anche se a fin di bene.
Infatti...
"Non credo, voi non conoscete mio padre".
Demelza
osservò la stanza dove dormivano i suoi figli.
"Sì invece, ha
rapito mia figlia e questo mi basta per pensare di conoscerlo bene.
Ma tu sei sua figlia, sangue del suo sangue...".
Odalyn
sorrise con ancora più sarcasmo. "Voi vivete in una bella
favola con la vostra bella famiglia felice. Ma vi assicuro che i
legami di sangue non valgono allo stesso modo da altre parti".
Demelza
le sfiorò una ciocca di capelli che, ormai corti, si
ribellava e
ricadeva disordinata sulla testa della ragazza. "E allora
perché
hai rischiato tanto per mia figlia?".
"Voi
non pensate che sia una spia? Potrebbe essere un piano di mio padre,
come pensano gli uomini di guardia... Potrei aver fatto finta di
salvare Clowance per arrivare a trovare il vostro nascondiglio".
"So
che non è così. Clowance ha buon occhio e anche
io, per le persone
oneste".
Odalyn
sospirò. Come rispondere a quella donna tanto gentile e a
suo modo,
saggia? Come poteva se non sapeva nemmeno lei perché lo
aveva fatto?
"Credo di non essere così altruista come pensate voi. Volevo
dimostrare a mio padre che esisto e che so scegliere anche senza di
lui. Contro di lui... Credo che mio padre..." - tremò,
pensando
a cosa gli aveva chiesto di fare con Jeremy, cosa che di certo non
avrebbe rivelato a Demelza Poldark - "Credo... Che abbia
interesse in me solo come pedina per i suoi piani. Non ha mai avuto
molto... spirito paterno...".
Demelza
sorrise tristemente, non ci era forse già passata anche lei.
"Credo
di capirti bene".
Odalyn
la fissò stupita e poi sorrise con sarcasmo. "Voi? Come
potreste capirmi voi, signora? Siete bella, amata, con una famiglia
forte ed unita attorno e dubito possiate capire una come me".
Demelza
rimase per un attimo incerta sul da farsi, poi decise che lei ed
Odalyn erano talmente simili che forse proprio quella ragazzina
avrebbe potuto essere una sua confidente su cose accadute tanti anni
prima di cui nemmeno con Ross aveva parlato. Lasciò che la
vestaglia
le scivolasse dalle spalle e invitò la ragazza a guardarle
la
schiena, sollevando un pò il colletto della sua camicia da
notte.
"La vedi quella piccola cicatrice sotto la scapola destra?".
Intimidita,
Odalyn la guardò brevemente, scostando il tessuto
dell'indumento.
"Come ve la
siete fatta?".
Demelza
chiuse gli occhi, ripensando a quanto patito da bambina, alle ferite
guarite sulla pelle e alle cicatrici nel cuore rimarginate ma mai
scomparse del tutto. Ogni giorno ringraziava il fatto di aver
incontrato Ross e che i suoi figli stessero vivendo una infanzia
diversa con un padre diverso e ogni giorno ricordava ciò che
era e
quanto la sua vita fosse cambiata. "Mio padre... Ne avevo altre
ma con il tempo sono sparite. Quella no, era profonda e ricordo bene
quando me la fece, con la cinghia".
Odalyn
la guardò con orrore. "Con la cinghia? Vostro padre vi
picchiava?".
"Sempre".
"Perché?
Eravate una cattiva figlia?".
"No,
facevo del mio meglio. Eravamo tanti bambini, io ero la più
grande,
mia madre era morta, eravamo poveri e ci mancava tutto... Lui beveva
e bastava poco, uno spiffero d'aria o la mancanza di gin a farlo
imbestialire. E allora ogni scusa era buona per picchiarmi, sempre.
Dici che ho una bella famiglia ed è vero, ora ho accanto
persone per
cui darei la vita. Ma in fatto di padri orribili, ne so quanto te...
Saranno
forse diversi nel modo di fare ma il risultato è tristemente
simile.
Ho
una certa esperienza e se non fosse stato per l'incontro con mio
marito, la mia vita oggi sarebbe ben diversa e ben più difficile".
Odalyn,
sorpresa, rimase per un attimo attonita e in silenzio, immagazzinando
quanto Demelza le aveva appena detto. Era sempre stata convinta che
fosse una lady per nascita, che avesse contratto un matrimonio
combinato ma poi rivelatosi vincente e invece arrivava dal nulla, non
aveva avuto nulla e aveva trovato un uomo che aveva sposato per
amore... "Vi ha salvato vostro marito?" - chiese, sperando
che magari salvasse pure lei, in qualche modo. O che lo facesse -
arrossì pensandolo - Jeremy...
Demelza
sorrise dolcemente. "Sì, lui mi ha letteralmente salvata
portandomi a casa sua. Prima come domestica e poi, come moglie...".
"Sembra
la trama di un bel romanzo d'amore".
"Un
romanzo d'amore spesso tormentato ma meraviglioso. Non vorrei
cambiare nulla di ciò che ho, di ciò che ero, di
ciò che sarò".
"Anche
vostro padre?".
"In
fondo ha avuto il suo ruolo in tutto questo pure lui" - concluse
Demelza.
"Lo
vedete ancora?" - chiese Odalyn.
"Chi,
mio padre?".
"Sì".
"E'
morto anni fa, quando ero incinta di Clowance. Ma dopo l'incontro con
Ross non ci siamo quasi mai visti e non approvava la mia vita con
lui".
Odalyn
alzò un sopracciglio. "Beh, aveva ben poco da recriminare".
Demelza
le strizzò l'occhio. "Esatto, infatti non ho più
lasciato
Nampara, la mia casa". Si voltò poi verso il fuoco che si
stava
spegnendo, prendendo un pezzo di legno per metterlo nel camino. "Hai
freddo?".
Odalyn
rise, sollevata e rinfrancata da quello scambio di parole fra loro.
Era una bella donna la madre di Jeremy, dolce e gentile, e parlare
con lei non era affatto spaventoso
come si sarebbe aspettata. Ora
capiva perché quel ragazzino tanto corretto ed educato fosse
così
sereno e attaccato alla sua famiglia. "Parlate
con una vichinga del grande nord. Il freddo fa parte di noi".
Demelza
rabbrividì a quelle parole ricordando i suoi gemelli, il
perché di
tutto quello che stavano vivendo e quanto i suoi piccolini fossero
simili a quella ragazza. Anche loro non temevano il freddo, non lo
avvertivano e anzi, nei giorni di gelo e neve amavano correre
nell'aia di Nampara lamentandosi perché lei voleva metter
loro una
mantellina. "Anche i miei bambini più piccoli sono come te,
amano freddo e neve più di quanto io potrei mai tollerarli".
Odalyn
si morse il labbro anche perché sapeva, anche se non ne
conosceva il
motivo, che era ai gemellini dei Poldark che suo padre mirata. "Credo
siano molto simili a me in tante cose".
"Tuo
padre..." - sussurrò Demelza, quasi come a volersi confidare
con lei. Era sciocco far finta di nulla e di fatto non voleva nemmeno
farlo.
Ma
poi si bloccò e fu Odalyn a decidere di essere franca e
parlarne.
"Mio padre e i vostri gemelli. Lui li vuole... Non so perché
ma
tutta questa storia è nata da lì. Sono bambini
molto simili a
quelli norvegesi, ma credo ci sia sotto altro perché di
solito non
si mette a dare la caccia a un bambino biondo... e a nessuno in
generale, se sotto non c'è qualche grosso interesse".
Odalyn
rimase in silenzio e Demelza si accorse che sperava che lei
proseguisse il discorso, raccontando ogni cosa. Forse lo avrebbe
fatto, di certo quella ragazza meritava la sua fiducia ma aveva
timore di sbagliare e soprattutto sentiva di doverne parlare prima
con Ross. Ma optò per non mentire e decise che dire una
mezza verità
sarebbe bastato, al momento. Odalyn non era sciocca, i suoi
ragionamenti erano adulti ed era stupido negare l'interesse di Haakon
per Demian e Daisy. "Sì, c'è sotto altro e tuo
padre vuole i
miei due bimbi".
Odalyn
deglutì. "Sono vostri davvero?".
Demelza
sorrise. "Per il mio cuore, sì".
La
ragazza abbassò il capo, capendo che quella donna non poteva
dire
oltre ma che con semplici parole le aveva dato
fiducia e confidato
più di quel che poteva. "E' che le questioni di cuore a
volte,
sono belle forti. Più dei legami
di sangue".
Demelza
annuì, scostandole nuovamente il ciuffo ribelle. "Nel mio
caso,
è sempre stato così".
E
con quelle parole, fra loro calò il silenzio. Non c'era
altro da
dire, non c'era altro da aggiungere ed erano talmente simili che non
serviva dire altro per capirsi.
Poi,
come aveva fatto coi suoi figli, Demelza augurò ad Odalyn la
buona
notte e poi la lasciò riposare al caldo e al sicuro sul
divano. I
pericoli per ora potevano stare fuori da quella casa.
...
Ross
e Jones avevano notato movimenti concitati fuori dalla casa del
console Haakon, movimenti che denotavano una certa irrequietezza e
nervosismo.
I
giorni erano stati uggiosi, freddi, e la pioggia leggera che di
giorno rendeva umida l’aria, la notte si trasformava in un
gelido
nevischio capace di far congelare chiunque si trovasse per strada.
Jones
era taciturno e Ross sapeva che quando era così, poco
ciarliero e
poco propenso alla polemica, stava maturando
qualche idea anche pericolosa nella testa.
In
effetti pure lui pensava e ripensava a come farla pagare ad Haakon
per aver rapito Clowance e gli erano venute in mente ingegnose
torture poco degne di un gentiluomo, ma poi si fermava e capiva che
le sue priorità erano altre. Aveva fretta di recuperare
Clowance, di
riabbracciare sua figlia e di riportarla a casa affinché
Demelza si
rasserenasse ma sapeva che bisognava fare con calma e attenzione
perché la sua bambina era nelle mani di gente pericolosa e
si doveva
agire con cura.
Qualcuno
bussò alla porta della loro stanza alla locanda e Jones, con
circospezione, l’aprì. Era ormai sera e non
aspettavano ospiti ma
l’uomo riconobbe la voce al di la dell’uscio e non
si fece
problemi a lasciare entrare i nuovi arrivati.
Due
uomini vestiti di lunghi mantelli neri entrarono e Ross riconobbe in
loro i due più fidati collaboratori di Jones, i suoi
tirapiedi che
ingaggiava per le missioni più delicate.
Jones
sorrise. “Oh, simpatiche facce amiche! Che meraviglia poter
spezzare questi attimi di noia mortale”.
Gli
uomini, di poche parole, annuirono senza scomporsi. Gli diedero un
biglietto e si misero appoggiati alla parete in attesa di istruzioni.
Jones
lesse, spalancò gli occhi e scoppiò a ridere.
“Ross Poldark, hai
più sedere che anima! Avessi
la
tua fortuna al gioco, sarei ricco da far schifo a
quest’ora”.
Ross
si avvicinò senza capire. “Che è
successo? Che c’è scritto in
quel biglietto?”.
Con
fare dispettoso, Jones scostò il foglietto che teneva fra le
mani
affinché lui non potesse leggerlo. “La tua
mocciosa è sana e
salva a casa mia con tua moglie. Si è data alla fuga con la
piccola
vichinga figlia di Haakon… Pare l’abbia aiutata a
scappare e che
i miei uomini le abbiano acciuffate nei pressi di casa mia”.
Il
cuore di Ross accelerò i battiti.
“Cosa?”. Non poteva crederci,
stava sognando?
“Tua
figlia è salva, la mocciosa di Haakon è con la
tua famiglia e forse
è stata gentile o forse si tratta di un piano congeniato fra
padre e
figlia per tenderci una trappola. Ma poco importa, ora la ragazza
è
a casa mia e i miei uomini la terranno amorevolmente
d’occhio, tua
figlia è salva e noi possiamo prendere a calci nel sedere
Haakon
prima che lui faccia alcunché”.
Di
colpo, tutta la tensione accumulata in quei giorni, parve lasciare il
corpo di Ross che si sentì improvvisamente pieno di
adrenalina.
“Clowance? Sta bene?”.
“Benissimo,
da quel che scrive tua moglie sul foglio”.
Ross
lo guardò storto. “TU stai leggendo un messaggio
di MIA moglie?”.
“Portato
dai MIEI uomini. Sì, sempre carina la signora Poldark,
continuo a
chiedermi cosa ci abbia trovato in un orso come te per decidere di
sposarti”.
“Devo
andare a casa, subito” - disse Ross, ignorando le
provocazioni
dell'amico.
Jones
annuì. “Sono d’accordo, non ti sopporto
più. Con la tua faccia
cupa e il tuo scarso sarcasmo di questi giorni, stavi facendomi
morire di noia. E io odio annoiarmi!”. Poi si rivolse ai suoi
uomini. “Scortatelo a casa, io resto qui… un altro
po’”.
Ross
si accigliò. Conosceva Jones e il fatto che volesse restare
quando
apparentemente non ce n’era motivo, non lo lasciava
tranquillo. Era
irruento il suo amico, più di lui, non aveva peli sullo
stomaco e di
certo non provava rimorsi di coscienza quando si muoveva in una
missione. Sapeva per certo che lui e Wichman avevano discusso di
Haakon e dei pericoli che rappresentava per Ross e la sua famiglia e
anche a livello diplomatico, ma non sapeva a che conclusioni fossero
giunti. E il fatto che non gliene avessero parlato lo faceva
propendere per il fatto che entrambi sapevano che non sarebbe stato
d’accordo. “Perché resti qui?”
– chiese, a denti stretti.
“Perché
a casa mia ci sono troppi mocciosi e io amo il silenzio”.
“Jones!”.
“Ross
Poldark, ascoltami bene! Tua figlia è salva ma Haakon
continua a
rappresentare un rischio. Meglio tenere d’occhio ancora un
po’ i
movimenti attorno a casa sua”.
“Farai
solo quello?”.
“Fumerò
anche qualche sigaro, mi dai il permesso?”.
“Jones,
non fare idiozie!”.
L’uomo
sospirò. “Mi hai mai visto fare qualcosa di non
calcolato?”.
“No,
ma ti ho visto fare cose CALCOLATE piuttosto folli e discutibili.
Cosa hai in mente?”.
Jones
gli mise una mano sulla spalla. “Osservare, cenare, fumare e
farmi
portare in camera
una donna che per qualche ghinea sarà compiacente e disposta
a farmi
divertire. E ora va, torna a casa, controlla i pupi, fa divertire
anche
tu tua
moglie e appena puoi, torna qui. Abbiamo ancora qualcosa da dire a
questi norvegesi”.
“Mi
aspetterai?”.
“Ti
aspetterò”.
Ross
non ne era convinto ma aveva voglia di credergli e andarsene.
“Mi
fido”.
"Fai
male ma lo apprezzo".
"Ribadisco
che ti do fiducia, Jones!".
“Grazie
MAMMA” – rispose l'amico.
Poi ordinò a uno degli uomini di andare con Ross mentre
all’altro
chiese di rimanere per consegnare un messaggio a Wichman circa le
ultime novità.
Ross
corse via e Jones, rimasto solo col suo tirapiedi, si fece serio.
“Dì
a Wichman che la piccola Poldark è al sicuro e che al
momento non ci
sono ostaggi. Ma potrebbero essercene di nuovi se non agiamo come
deciso, quanto prima”.
“Sì
signore”. L’uomo si calò il mantello sul
viso e scomparve dietro
la porta.
Jones
chiuse l’uscio a chiave, si avvicinò al comodino e
lo aprì,
estraendone una pistola. Ne annusò il profumo di polvere da
sparo e
poi con gesti lenti e metodici la caricò. “Cena,
una puttana e un
sigaro. E un po’ di sano… tiro al bersaglio. Caro
Ross mi spiace
che tu non apprezzi le delizie del mestiere e che stavolta
dovrò
fare senza di te ma ho idea che non apprezzerai affatto come io e
Wichman abbiamo deciso di porre fine alla questione.
Guardala così, manterrai pulita la tua anima. La mia
è già persa
invece, quindi non mi resta che divertirmi
per non pensarci troppo su”.
Poi
rimise via l’arma, scese di sotto, chiese del pollo con
patate alla
locandiera, della birra e una donna che salisse a tenergli compagnia
per un po’. Sarebbe stata una notte divertente…
Peccato
davvero che lui e il suo amico Ross avessero modi di concepire il
divertimento così diversi.
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Capitolo 35 *** Capitolo trentacinque ***
Quando
Ross raggiunse la casa di Jones, cavalcando a spron battuto in una
Londra gelida, per prima cosa abbracciò talmente forte
Clowance da
rischiare di strozzarla. Sua figlia, col suo viso da monella
irriverente e la sua proverbiale capacità di cavarsela in
ogni
situazione, sua figlia che amava vestirsi da ragazzo e sgattaiolare
con gli altri bambini nei cunicoli della miniera nonostante i
divieti, sua figlia che aveva sempre la risposta pronta e non sapeva
mentire risultando a volte spudoratamente sincera – anche
troppo –
era lì, davanti a lui, fresca come una rosa e senza un
graffio.
Santo cielo, ne conosceva la tempra ma vedersela lì davanti
tutta
tranquilla mentre lui e sua madre avevano vissuto un incubo, lo
rendeva ebbro di gioia ma anche un po’ indispettito verso
quella
ragazzina che si cacciava sempre nei guai. Ma dopo tutto, chi era lui
per giudicare? Era stato forse più tranquillo di Clowance da
bambino?
Dopo
di lei abbracciò Demelza, la più provata da
quella situazione. Si
era mantenuta salda e aveva cercato di essere forte ma la gravidanza
e la paura avevano lasciato segni di profonda stanchezza sul suo viso
che però stava ricominciando a prendere colore. Era un
sollievo, non
poteva veder davanti ai suoi occhi sgretolarsi la sua amata roccia
oppure si sarebbe sgretolato lui stesso. Ma ora tutto si sarebbe
risolto in un modo o nell’altro perché erano
uniti, erano di nuovo
tutti insieme e anche se Haakon era ancora a piede libero, con
l’aiuto di Wickman avrebbero risolto anche quel problema.
Diede
una amichevole pacca sulle spalle a Jeremy che si era preso cura di
tutti loro in sua assenza, si fece avvolgere dagli abbracci e dagli
schiamazzi dei gemelli e di Bella, salutò Prudie e Inge e
poi, dopo
aver accarezzato Garrick e Astrid, salutò gentilmente la
giovane
Odalyn. Era la figlia del loro nemico ma apparentemente dovevano a
lei la salvezza di Clowance. Non sapeva molto di quella ragazzina dai
tratti nordici tanto simili a quelli di Daisy e Demian e forse non
era così limpida come sembrava, ma guardandola si era
accorto che
era solo una ragazzina a cui per sfortuna era capitato di crescere
con un padre orribile e senza scrupoli che forse la manovrava e da
padre si sentì di darle fiducia e proteggerla. Sapeva che
gli uomini
del suo amico Jones la tenevano sotto controllo ma per quanto lo
riguardava, Odalyn in quel momento era una sua gradita ospite.
Lei
annuì senza dire nulla al suo ringraziamento, forse per
timidezza o
forse perché in mezzo a una famiglia così unita
come i Poldark, si
sentiva di troppo e in imbarazzo.
La
lasciò stare, raggiungendola solo la sera assieme a Demelza,
quando
tutti erano a letto, trovandola rannicchiata sul divano intenta a
guardare il fuoco che ardeva nel camino. Sua moglie guardava alla
ragazza nel suo identico modo, amichevolmente, e del resto da Demelza
e dalla sua natura gentile non si sarebbe aspettato nulla di diverso.
Dal canto suo Odalyn sembrava ben educata e anche Jeremy non pareva
del tutto immune al fascino della ragazzina anche se ancora non
sembrava aver capito come comportarsi col gentil sesso e pareva
impacciato nell’avere a che fare con lei. Beh, avrebbe
imparato
così come lui, ai tempi, aveva imparato a farsi ben volere
dalla sua
prima cotta, Jasmine, la madre naturale dei gemellini che
involontariamente era diventata la causa di tutto il trambusto che
stavano vivendo.
“Mia
moglie dice che sei una ragazza adorabile” – le
disse, sedendosi
con Demelza sul divano davanti a quello dove c’era la ragazza.
Odalyn
sorrise ironicamente. “Lo dice perché forse non mi
conosce ancora
bene. Le mie balie dicono da sempre che sono viziata, sfrontata e
piuttosto ribelle”.
Ross
allungò le gambe davanti al fuoco, stiracchiandosi e godendo
di
quella ritrovata dimensione di pace apparente. “Tutte ottime
qualità dal mio punto di vista”.
Demelza
lo guardò storto ma poi sorrise. In fondo sì,
Odalyn non doveva
essere così diversa da Ross a ben vedere.
“Inoltre”
– proseguì Ross – “Il fatto
che tu sia ribelle ha aiutato
tutti noi a ritrovare Clowance e per questo ti sono debitore e ti
ringrazio”.
Odalyn
parve sorpresa perché Ross sembrava sincero e non nutrire
dubbi su
di lei come d’altronde sarebbe stato naturale avere.
“E’
strano, sapete…?”.
“Cosa?”.
“Che
vi fidiate così, a scatola chiusa. Un uomo di governo e di
potere
non dovrebbe farlo mai, almeno così dice mio padre. Lui ci
mette
molto a dare confidenza a qualcuno e sono pochi quelli che godono
della sua massima fiducia e forse nemmeno a loro dice tutti i suoi
segreti. Una piccola verità ciascuno, mai tutta, salva dalla
tomba
precoce. Così mi ha insegnato…”-.
Ross
si accigliò. La figura di Haakon era ancora piuttosto oscura
ai suoi
occhi e a parte il fatto che fosse un uomo senza scrupoli e
pericoloso, ben poco sapeva di lui. “Una buona filosofia di
vita
per chi ha molto nemici, concordo con tuo padre. Ma io non sono un
uomo di potere e al governo della Camera dei Lords ci sono finito per
caso, praticamente. Mi piace pensare a me stesso come a un piccolo
proprietario terriero e minerario, indipendente da trame di potere e
da obblighi verso chicchessia. Forse per questo mi fido o comunque
ascolto il mio istinto. O forse, semplicemente, so di avere accanto
qualcuno che mi sostiene sempre e quindi mi è più
facile dare
fiducia agli altri perché so a prescindere che
avrò accanto chi
saprà capire i miei errori” – concluse,
stringendo le dita calde
di Demelza che strinse le sue di rimando.
Odalyn
si morse la lingua, indecisa su cosa dirgli ma soprattutto colpita da
quelle parole non melense, non sdolcinate ma che raccontavano di
grande fiducia e un grande amore. “Piccolo proprietario
terriero?
Mio padre pensa altro di voi, mio padre vi crede un uomo di immenso
potere e custode di molti segreti”.
“Conosco
ogni mistero delle miniere, in questo sono esperto. Ma di altri
‘segreti’ più…
incisivi… non ne so molto e mi va bene così.
Si vive meglio”. Mentì, non era del tutto sincero
perché
lavorando come spia si era imbattuto in molti segreti di stato e del
resto anche i gemellini erano a modo loro ‘un
segreto’, eppure si
sentiva di non aver mentito del tutto. I segreti di Haakon erano per
lo più tradimenti e sotterfugi, lui si sentiva superiore a
questo
modo di fare e soprattutto, nel giusto.
Odalyn
osservò Demelza, tranquilla e pronta a supportare suo marito
nelle
sue scelte e parole, come aveva detto lui. Le piacevano quei due,
erano il simbolo di come dovrebbe essere l’amore e una
famiglia.
Ross Poldark era un uomo affascinante e tempo qualche anno, anche
Jeremy sarebbe diventato molto simile a lui. Demelza invece aveva
quello sguardo dolce e gentile di una donna onesta, buona,
amichevole. Era delicata, bella, non di una bellezza volgare ma di
una bellezza pulita che ti faceva sentir bene osservare. Anche la
gravidanza non la appesantiva ma anzi, la rendeva ancora più
luminosa e bella, con una luce particolare negli occhi. “E
sia…”.
Decise di essere sincera. “Mio padre in fondo non vuole voi.
Non so
perché ma pare molto interessato ai vostri figli
più piccoli, i
gemellini”.
Ross
la osservò negli occhi, diventando serio e ricordando quanto
sicuramente il padre di quella ragazza avesse preso parte al brutale
assassinio di Jasmine e di come avrebbe volentieri rifatto lo stesso
con Daisy e Demian se li avesse avuti fra le mani. Ma Odalyn non era
suo padre e anche se non poteva dire tutto, poteva dirle abbastanza.
“Lo so…”.
“Perché?
Perché somigliano tanto ai bambini norvegesi?”.
Demelza
sospirò, prendendo la mano di Ross per stringerla.
“Perché spesso
legami di sangue e di cuore sono di origine differente ma a volte
possono intrecciarsi pericolosamente. Daisy e Demian sono i nostri
figli ma sono anche figli della tua terra”.
Odalyn
deglutì, era molto più di quello che le aveva
detto suo padre e
anche se le parole di Demelza potevano essere interpretate in tanti
modi, in fondo le aveva confermato il sospetto di un legame fra i
gemelli e la Norvegia. “Come una delle vostre bambinaie?
Inge,
giusto? Anche lei è della Norvegia…?”.
Osò, anche se non si
aspettava di sapere più di quanto gli era stato
già detto. Osò,
assaporando la dolcezza dell’essere oggetto di fiducia da
parte di
quelle due persone.
Ross
osservò Demelza, in fondo non contrariato da quanto aveva
rivelato.
“Amiamo la tua terra, a modo nostro…”
– disse solo.
“E’
una terra feroce” – asserì Odalyn.
Demelza
sorrise di nuovo. “Anche i gemelli”.
"Voi
nel nostro inverno norvegese, quando soffiano i venti dal nord e il
buio è perenne, non sopravvivereste per più di
mezza giornata".
Demelza
annuì. "Probabilmente sì, ma i gemelli sono
feroci, loro ce la
farebbero di certo".
Odalyn
sospirò. “Feroci...Anche mio padre lo
è. E io sono in grossi guai
con lui. Voi siete gentili ma quando arriverà il momento di
tornare
da lui, non ci sarà nessuno a proteggermi”.
“Sei
sua figlia, dopo tutto” – disse Demelza.
Ma
Odalyn fece un sorriso triste. “Come voi stessa mi avete
detto, a
volte i legami di sangue non vogliono dire molto. E se a volte le
origini sono diverse ma ci si ama ugualmente, a volte capita che non
succeda affatto anche se le origini sono comuni. Per mio padre le
persone sono pedine, me compresa”.
“Ma
sei solo una ragazzina” – la corresse Ross.
“Sua figlia”.
“Anche
i gemelli sono solo bambini, signor Poldark. Ma pensate che questo
possa fermarlo? Io non vi chiedo perché gli dia la caccia,
non lo so
e non voglio saperlo perché venirne a conoscenza potrebbe
farmi
scoprire ulteriori cose di lui che finirebbero per farmi perdere
anche l’ultimo briciolo di rispetto per ciò che
rappresenta ai
miei occhi. Ma so che come non si fermerà coi gemelli,
così nulla
lo fermerà dal punirmi”.
Ross
non seppe risponderle e di rimando strinse la mano della moglie.
“Sistemeremo tutto, in un modo o
nell’altro”.
“Spedendomi
nel nuovo mondo?” – chiese Odalyn cercando di
scherzare.
Ma
Ross non ne aveva affatto voglia. “Se sarà
necessario, sì. Fidati
di noi come noi abbiamo scelto di fidarci di te”.
La
ragazza alzò le spalle. “In fondo ho sempre amato
vedere posti
nuovi…” – rispose solamente, vaga.
Ross
la osservò. Non sapeva come avrebbe potuto aiutarla ma di
certo non
avrebbe permesso che le fosse fatto del male. “Abbiamo
conoscenze
nel nuovo mondo. Anni fa abbiamo aiutato a fuggire due donne e con
una lettera di presentazione da parte nostra, sono certa che in caso
di necessità ti accoglierebbero da loro.
Odalyn
sospirò. “Credete che sarà
necessario?”.
“Meglio
essere pronti”.
…
Jones
sentiva di essere estremamente amico di Ross anche se negli ultimi
anni aveva un po’ accusato il colpo sul fatto che
invecchiando, il
suo compare fosse diventato più assennato. Ai primi tempi
della loro
collaborazione aveva adorato vivere avventure pericolose con lui ma
col tempo Ross era diventato un uomo più accorto, maturo,
attento e
responsabile. Certo, forse era normale per una persona con moglie e
parecchi figli e magari era anche normale che, come gli ricordavano i
suoi anziani genitori, crescendo si mettesse la testa a posto
mettendo a bada gli estremi che muovono i caratteri
nell’età
giovanile. Beh, a Ross era successo questo, a lui non ancora, con
buona pace di sua madre e suo padre. Poi c’era Wickman, che
era un
miscuglio fra la maturità di Ross e il suo desiderio di
risolvere i
problemi senza troppi fronzoli. E Haakon di Norvegia era una faccenda
da archiviare quanto prima senza affannarsi ad usare la diplomazia.
Dopo tutto lui e Wickman erano maestri in questo e visto che Ross non
sarebbe stato troppo d’accordo sul metodo,
l’inaspettata
liberazione di Clowance ad opera della figlia del loro nemico faceva
al caso loro. Avrebbero potuto agire liberamente, in fretta, in via
definitiva senza se o ma… Dopo tutto Haakon avrebbe potuto
inclinare i buoni rapporti commerciali fra Inghilterra e Norvegia a
causa di due mocciosi e nessuno voleva questo. Un piccolo incidente e
i gemelli ben lontani dalla terra natìa avrebbero fatto
felici sia
l’Inghilterra che il re vichingo che dopo tutto non voleva
che
evitare fastidi alla sua posizione sul trono.
Jones
aspettò che calasse il buio e poi, mantello e cappuccio in
testa,
uscì in strada dirigendosi verso una piccola via laterale da
cui
scivolò nelle fogne. Era ormai un metodo collaudato da lui e
da Ross
con successo quello e lo avrebbe condotto dritto in casa del console
norvegese. I suoi due più fidati uomini erano con lui a
coprirgli le
spalle, armati e istruiti sui passi da seguire. Una operazione pulita
senza dare nell’occhio, ecco cosa ci voleva.
I
tre uomini scivolarono nel buio delle fogne e con le mappe in loro
possesso, fornite da Wickman, sbucarono nei sotterranei
dell’elegante
casa di Haakon. Era un uomo vanitoso, aveva preteso acqua corrente in
casa e questo sarebbe stata la sua rovina.
Jones
e i suoi uomini scivolarono nello scantinato del console, si
ripulirono alla meglio e poi attesero che i rumori nella casa
cessassero. Fuori era pieno di guardie ma nessuno avrebbe potuto
sospettare che i nemici sarebbero entrati da sottoterra. Appena ogni
rumore si interruppe, i tre aprirono la porta con una chiave
pas-par-tout e poi con circospezione salirono ai piani superiori. Al
piano terra tutto era buio e nemmeno dalle cucine giungevano voci,
segno che la servitù già dormiva, mentre dalle
finestre arrivava
fioco il bagliore che indicava che in giardino c’erano
sentinelle
appostate a vedetta. Jones sorrise, l’essere troppo sicuro di
Haakon era sintomo di arroganza ma in fondo anche di
stupidità.
Rapidamente salirono le scale, i mantelli neri che avevano indosso
che fondevano le loro figure col buio dell’ambiente.
Al
piano di sopra tutto pareva deserto, buio, assorto. La notte era
fonda e solo all’ultimo, prima di essere scoperti, Jones
notò una
guardia che faceva avanti e indietro nel corridoio. I tre si
nascosero in un antro e quando la guardia passò loro
davanti, con
passo disinvolto e senza aspettarsi la loro presenza, lo afferrarono
e gli tagliarono la gola. L’uomo cadde a terra senza il
minimo
lamento e fu nascosto in una camera la cui porta fu chiusa. Non ci
sarebbe forse voluto molto prima che qualcuno si accorgesse della sua
assenza e quindi, in fretta, andarono alla porta padronale. Il
pas-par-tour fece di nuovo il suo lavoro e in un attimo si
ritrovarono nell’immensa ed elegante camera da letto di
Haakon.
Era
sontuosa, con un enorme letto a baldacchino in centro, grandi arazzi
alle pareti, immense finestre ornate da eleganti tendaggi che davano
sul giardino interno, una enorme scrivania piena di carteggi e
tappeti di pregio a terra.
Jones
prese un coltellino dalla tasca dei suoi pantaloni, con passo felpato
si avvicinò al letto e visto il console, poggiò
la fredda lama
contro il suo collo.
Haakon
si svegliò di colpo, come se il suo sonno fosse stato solo
apparentemente profondo. Guardò l’uomo con occhi
sgranati ma non
emise un suono.
Jones
invece era più propenso alla chiacchierata.
“Tirati su mostrando
le mani e ricordati che non sono solo. La minima mossa sbagliata e ti
ritrovi nella stanza di fianco con la gola tagliata, come la tua
guardia”.
“Chi…
chi siete?” – domandò con un filo di
voce Haakon, con meno
baldanza del solito.
Jones
si inumidì le labbra con la lingua. “Una specie di
maestro… che
ora vuole vedere quanto sarai bravo a scrivere una bella
letterina”.
Lo prese poi per il colletto, strattonandolo.
“Alzati!”.
“E’
pieno di miei uomini qua fuori, sarete morti prima del canto del
gallo!” – tentò di minacciarli Haakon.
Jones
guardò i suoi due amici, ridendo.
“Vedremo”. Poi lo spinse verso
il tavolo, lo costrinse ad accendere una sola candela
affinché non
fosse vista fuori e gli diede un foglio. “Ora io detto e tu
scrivi
quello che ti dirò al tuo principe. Bada di scrivere
esattamente ciò
che dico perché uno dei miei silenziosi amici conosce bene
la tua
lingua e se per caso ti venisse in mente di fare di testa tua, ti
troveresti uno squarcio nella gola”.
“Cosa
dovrei scrivere? A chi?”.
Jones
gli porse il foglio. “Al tuo principe, te lo ripeto, sta
attento a
ciò che dico! E ora scrivi!”.
“Illustrissimo
principe Magnus, purtroppo ho da comunicarvi che la pista seguita a
Londra circa il figlio o i figli del principe Harald e della donna
spagnola chiamata Jasmine si è rivelata errata ed
inconcludente.
Sono entrato in possesso degli atti di nascita dei due gemelli figli
di Ross Poldark e sono assolutamente autentici, quindi questa pista
è
da ritenersi senza fondamento alcuno. I bambini hanno tratti somatici
chiari come parte della famiglia Poldark e come la loro sorella
maggiore e nulla hanno a che fare con la nota faccenda che ci vede
impegnati da anni. Riprenderemo comunque le ricerche senza
risparmiarci. Come sempre stato. Il vostro fedele servitore”.
Haakon
scrisse sotto dettatura con nervosismo, rendendosi conto del mittente
di quell’attentato e ancora più sicuro di averci
visto giusto sui
gemelli. Potevano fargli scrivere ciò che volevano ma
tornato in
Norvegia, avrebbe spinto Magnus ad una vera e propria guerra verso i
Poldark e l’Inghilterra, reclamando quanto di diritto della
sua
terra e del suo signore. I due mocciosi dovevano morire
perché
rappresentavano un pericolo alla stabilità del governo e
perché
potevano usurpare il trono al suo padrone e a lui il potere di cui
godeva. In un modo o nell’altro ne sarebbe uscito come sempre
e
allora la sua vendetta sarebbe stata indicibile.
Ma
Jones aveva altri piani. Finita la lettera, lo costrinse a sigillarla
col sigillo reale di Haakon e poi la prese, per spedirla
personalmente. Poi costrinse Haakon a vestirsi.
“Dove
andiamo?”.
“A
fare un giro al parco!”.
Haakon
sorrise freddamente. “Appena fuori di qui, i miei uomini vi
scuoieranno vivi”.
Jones
scosse la testa. “Che gente barbara che siete! Noi inglesi
uccidiamo con più stile” –
mormorò, gettando un altro foglietto
piegato sul tavolo.
Disse
quelle parole in modo sibillino e forse per la prima volta nella sua
vita Haakon sentì di avere paura perché
quell’uomo non stava
scherzando e fino a quel momento non gli aveva promesso né
salvezza
né vie di fuga. “Che vuoi dire?”.
Jones
lo prese per il bavero. “Vestiti!”.
Haakon
ubbidì, guardato a vista dai due silenziosi amici di Jones.
Sembravano due fantasmi letali quei due, silenziosi ma pronti a
trascinarlo con loro nelle tenebre.
Una
volta vestito, gli fecero indossare un mantello nero e facendo la
strada a ritroso, si ritrovarono in cantina e poi nelle fogne. Giunti
nella melma, nascosti dal mondo, Haakon comprese come avevano fatto
ad entrare in casa e soprattutto, che nessuno poteva aiutarlo. Urlare
non sarebbe servito, era solo e quei tre uomini, chiunque fossero,
erano letali.
Lo
spinsero nell’oscurità, camminarono a lungo nelle
tenebre e
sbucarono fuori solo quando furono lontani dal centro, da casa sua,
da tutti quelli che avrebbero potuto aiutarlo. Raggiunsero un parco,
uno di quei parchi dove i gentiluomini, all’alba, si
sfidavano a
duello di nascosto.
“Mi
cercheranno, sono un console e voi state commettendo un grosso reato
che pagherete con la vita” – minacciò.
Ma
Jones rise ancora. “Sì, vi cercheranno e avranno
tutte le risposte
che vorranno, quando vi troveranno”.
“Che
volete dire?”.
Ma
Jones non rispose, avevano perso già fin troppo tempo e non
vedeva
l’ora di farsi un bagno e togliersi di dosso
quell’odore di
fogna. Lo spinse contro un albero, con un gesto veloce estrasse dal
mantello una pistola e prima che Haakon potesse anche solo opporsi,
gli sparò nel petto.
Haakon
non emise un gemito, un grido, nulla…
Poi
Jones guardò il corpo cadere, vi poggiò sopra un
altro foglio
scritto con calligrafia incerta e guardò i suoi amici con
fare
soddisfatto. “Bel lavoro, pulito. Ma ora si va via veloce,
dai
duelli. Spariamo da qui”.
Poche
ore dopo, al primo timido tentativo di luce, un passante
trovò il
corpo di Haakon in un mare di sangue. Accanto a lui un biglietto
recitava:
“Chi
porta a letto le mogli altrui, merita di finire con viso a terra come
i vermi”.
Nella
stanza da letto dell’uomo invece un altro bigliettino, anche
questo
non firmato, fu trovato sulla scrivania.
“Prima
dell’alba, ad Hyde Park, sistemeremo ogni cosa e laveremo
l’onta
arrecata alla mia famiglia seducendo una moglie e una madre. Non
portate testimoni, uscite da casa usando le fognature che partono
dalla cantina e potremo sistemare le cose fra noi in
libertà”.
E
sui giornali del giorno dopo, uscì la notizia del console
norvegese
che aveva portato a letto la moglie sbagliata dell’uomo
sbagliato
che per il momento risultava misterioso. Il governo garantì
–
ufficialmente – di indagare sull’accaduto. Ma in
privato Wickman
si congratulò per l’ottimo lavoro con Jones,
garantendo che ne
avrebbe lodato l’operato col re in persona.
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Capitolo 36 *** Capitolo trentasei ***
Quello
che per molti londinesi era motivo di sussurri e pettegolezzi,
insospettiva decisamente Ross. La morte di Haakon, il successivo
sguardo di vittoria di Jones tornato a casa gongolante dalla missione
in cui lo aveva lasciato momentaneamente solo in una taverna per
tornare a casa a controllare che Clowance fosse effettivamente sana e
salva e le sue successive parole “Poldark, la faccenda
norvegese è
sistemata, puoi prenderti i marmocchi, la moglie, le domestiche e i
cani e tornare a casa tua quando vuoi” lo rendeva quasi certo
del
coinvolgimento del suo amico nella misteriosa dipartita del loro
nemico. Era tipico di Jones essere criptico quando grandi faccende lo
riguardavano personalmente e poi quel suo sguardo sornione, ebbro di
orgoglio e di divertimento era inequivocabile… Non credeva
nemmeno
un po’ alla storia dell’omicidio, per duello, del
console che
aveva insidiato la moglie di un nobile un po’
perché Haakon aveva
ben altri interessi in quel di Londra, un po’
perché era troppo
intelligente per fare una fine del genere, un po’
perché le donne
parevano il suo ultimo pensiero e se ne voleva una di certo aveva
ampia scelta senza bussare alle porte delle lady altrui. Vero, Ross
stesso anni prima aveva rischiato di finire i suoi giorni in un prato
dopo un duello con Monk Adderly ma la sua situazione personale era
diversa da quella del norvegese e dopo tutto lui era una testa calda
e non un calcolatore freddo e spietato come il console.
Aveva
dovuto comunicare, cercando di usare tutto il suo tatto e facendosi
aiutare da Demelza, la notizia alla figlia di Haakon, Odalyn, ancora
nascosta con loro nella casa di Jones, e la ragazzina aveva reagito
stoicamente. I suoi occhi si erano fatti lucidi ma non aveva versato
una lacrima. Contegno nordico, si era detto Ross, anche se non era
così certo dell’affetto della ragazza per quel
padre tanto freddo
e distante. Era sola al mondo e al momento questo rappresentava un
problema da risolvere, era troppo giovane ovviamente per affrontare
la vita senza una guida ma a questo ci avrebbero pensato in un
secondo momento, magari coinvolgendo Wickman che, se tanto gli dava
tanto, era coinvolto nella morte di Haakon quanto il caro Jones.
In
mattinata lui e la sua famiglia, assieme ad Odalyn, sarebbero tornati
nella villa affittata per il loro soggiorno londinese che avevano
lasciato a Natale a causa dell’attacco notturno dei seguaci
di
Haakon che volevano rapire i gemelli ma prima, mentre tutti ancora
dormivano, Ross aveva decisamente bisogno di parlare con Jones.
Uscì
in giardino e bussò alla porta d’ingresso dei suoi
appartamenti.
Un valletto venne ad aprirgli e lo fece entrare.
Jones
era già sveglio e in vestaglia, spettinato e con la faccia
di uno
che la notte precedente aveva fatto baldoria, sorseggiava un
tè sul
divano del salotto mentre leggeva svogliatamente un quotidiano.
“Poldark, quando mi han detto che avevo visite, speravo si
trattasse di una bionda prosperosa. Che
delusione…”.
Ross
sospirò, sedendosi accanto a lui deciso a non farsi
coinvolgere dal
suo sarcasmo che solitamente apprezzava perché gli veniva
spontaneo
e non era artefatto. “Beh, non sono né biondo
è prosperoso. Che
stai leggendo?”.
Jones
stropicciò il giornale che aveva fra le mani. “Il
giornale, sai
quell’insieme di fogli con le ultime notizie?”.
Ross
sbuffò alzando gli occhi al cielo e accavallò le
gambe. “Sì, ho
presente. Qualche notizia in particolare?”.
“Mhhh,
la duchessa Bligny ha intenzione di organizzare un ballo per il
debutto della sua orribile figlia piena di brufoli… Cerca di
farle
trovare marito probabilmente e la giudico una missione più
impossibile della nostra in Francia, se devo essere onesto”.
“Poi?”.
Jones
sorrise, in fondo conosceva Ross e sapeva a cosa mirava e dove voleva
arrivare col discorso. “Poi era interessante questo articolo
su
questi stranieri che vengono a Londra e tessono intime amicizie con
le mogli dei nostri stimati aristocratici. Ci credo poi che la morte
per duello in giovane età sia la causa principale di decesso
fra le
persone. Quando uno non sa tenersi su i pantaloni, diventa un
macello…”.
“Jones…”.
“Chissà
chi era la donzella?”
“Jones?”.
“Magari
quella contessa, come si chiama…”.
“Jones,
tu c’entri qualcosa?” – sbottò
infine Ross.
“IO???
Io sono zitello e felice di esserlo. Meglio pagare una che certe cose
le fa di mestiere che mettersi nei guai con donne già
sposate a
gelosi mariti che non comprendono la bellezza della
condivisione”.
Ross
lo occhieggiò, divertito ma deciso a non farsi distrarre
dalla
meravigliosa filosofia di vita del suo amico. “Jones, ho
bisogno di
sapere la verità su Haakon e tu lo sai. Al piano di sotto
dorme sua
figlia che ora è sola al mondo, orfana! Come la
mettiamo?”.
Jones
si appoggiò al divano non abbandonando la sua aria sorniona.
Gli
veniva naturale fare il pagliaccio anche dopo un omicidio e il fatto
che questo dovesse rimanere top secret rendeva la faccenda ancora
più divertente. Sapeva che Ross sapeva o immaginava, ma gli
ordini di
Wickman erano stati chiari e purtroppo questo gli impediva di essere
del tutto sincero con uno dei suoi migliori amici e soprattutto gli
negava il divertimento di vivere un accorato discorso filosofico
sulla bellezza o meno di far fuori i propri nemici con
quell’idealista di Ross Poldark. “La ragazzina non
ha perso un
gran che, come padre non mi pareva portato…”.
“Ma
la ragazza ha quattordici anni, è una bambina e lui era
l’unico
genitore che aveva”.
“E
io che posso farci?”.
Ross
si fece serio. “Lo hai ucciso tu?” –
chiese, senza giri di
parole. Non gli importava del come e del perché ma sentiva
di
volerlo sapere.
“Lo
ha ucciso chi ha ritenuto che lo meritasse” –
rispose Jones,
glaciale stavolta.
“Non
hai risposto alla mia domanda”.
Jones
si stiracchiò e poi lanciò il giornale sul
tavolino davanti a lui.
Poi si alzò e si avvicinò alla finestra.
“Ross, che ti importa?
E’ morto e hai risolto tutti i tuoi problemi. Non sei
felice?”.
“Come
fai a sapere che li ho risolti? Come fai a sapere che fosse
l’unico
a nutrire dubbi sui gemelli?”.
Jones
si voltò, gli si avvicinò e amichevolmente, gli
poggiò una mano
sulla spalla. Ross non era stupido e l’uomo lo immaginava
perfettamente che da solo era riuscito ad arrivare alla
verità. “Lo
so e basta e se sei intelligente come credo, so che capirai che ti
conviene credermi. I tuoi mocciosi biondi sono al sicuro ora, nessuno
ti disturberà più per loro e tu te ne puoi
tornare in Cornovaglia a
crescerli come meglio preferisci. Haakon è morto e fatti
bastare
questo: la corona inglese ha chiuso brillantemente ogni conto, anche
quelli più spinosi, con lui. Salvaguardando i rapporti fra i
due
Stati, te, i tuoi figli e il loro futuro. Fine del discorso!”.
Non
gli aveva risposto ma in un certo senso lo aveva fatto e Ross sapeva
che Jones non avrebbe detto di più. Lo aveva ucciso lui
Haakon e
Ross non era così ipocrita da non ammettere a se stesso che
questo
gli avrebbe reso la vita facile e serena. Haakon non era una brava
persona ed aveva assassinato in modo orribile i suoi oppositori,
compresi i genitori naturali di Daisy e Demian. Compresa
Jasmine…
Una parte di lui, quella idealista, gli gridava che era sbagliato.
L’altra gli gridava invece di non farla lunga e accettare i
fatti
così come erano stati raccontati. “In fondo chi
sono io per
giudicare?” – concluse infine, arrendendosi
all’evidenza che la
verità non avrebbe alterato lo stato delle cose per come
ormai
erano. “Un tempo anche io mi sono fatto tentare da un duello,
dopo
tutto” – ammise.
Jones
ridacchiò. “Quello leggendario con quella canaglia
di Adderly?”.
“Come
lo sai?”.
“Ah
Poldark, ingenuo che non sei altro, se ne parla ancora… Come
mai
successe?”.
Ross
sospirò, ricordando uno dei periodi più duri del
suo matrimonio.
“Mi dava fastidio. E ne dava a Demelza”. Poi si
bloccò.
“DAVVERO?”.
“Davvero,
cosa?”.
“Davvero
ne parlano ancora?”.
“Sei
una star, non te ne eri accorto”.
“Bah…
Io non mi ritengo tale e in fondo ho agito in modo
sbagliato”.
Jones
fece un sorriso furbo. “Capisco…”.
“Capisci
cosa?”.
“Beh,
che fai il moralista ma lo sai benissimo che Adderly ERA FASTIDIOSO.
Ci provò pure con mia madre”.
Ross
spalancò gli occhi. “Scherzi?”
Lui
lo fissò piccato, offeso che ne fosse sorpreso.
“Guarda che mia
madre da giovane faceva girare la testa a molti uomini. Da dove avrei
preso la mia bellezza altrimenti?”.
Ross
lo guardò storto. “Questa cosa mi ha bloccato la
digestione”.
“Peggio
di Adderly?”.
“No
ma ci siamo vicini”.
Jones
si risedette sul divano cambiando argomento. “Che farai con
la
ragazzina norvegese?”.
“Non
lo so, mi affiderò al sesto senso di Demelza, lei in queste
cose ha
più istinto di me”.
“Buona
idea” – rispose Jones con un sospiro –
“In effetti l’ho
sempre pensato”.
“Cosa?”.
“Che
Demelza ha più istinto e sagacia di te”.
Ross
sospirò, in fondo non poteva ribattere nemmeno su questo.
...
Era
strano per Jeremy osservare Odalyn nel suo muto vivere quel lutto che
per lui sarebbe stato devastante ma che nella ragazza sembrava aver
lasciato solo una scia di composta freddezza.
Da
quando suo padre e sua madre le avevano comunicato
dell’improvvisa
morte del padre Haakon, lei non aveva versato una lacrima, aveva
appreso la notizia con una sorta di muta rassegnazione e poi non ne
aveva parlato più, rimanendo in silenzio per la maggior
parte del
tempo.
Jeremy
non capiva appieno cosa provasse, era troppo giovane per riuscire a
comprendere le profondità dell’animo umano e non
riusciva nemmeno
a decidersi se fosse giusto o meno piangere un padre tanto mostruoso
verso sua figlia. Lui avrebbe perso ogni appiglio senza i suoi
genitori ma Odalyn che aveva perso? Un padre freddo, assente,
distaccato e che ti vede unicamente come una pedina da muovere per i
suoi interessi personali è meritevole di lacrime? Come
doveva
comportarsi con lei? Consolarla? Far finta di nulla? Sentirsi in
colpa perché la morte
di quell’uomo risolveva ogni problema di sicurezza per i suoi
fratellini? Chiederle semplicemente se avesse bisogno di qualcosa?
Avrebbe voluto essere più grande, i grandi sanno sempre cosa
fare in
certe situazioni ma
i ragazzini come lui?
Con
un sospiro le si avvicinò, raggiungendola davanti alla
finestra del
salotto. Avevano lasciato la casa di Jones due giorni prima ed erano
tornati nella dimora che suo padre aveva preso in affitto per i mesi
che avrebbero dovuto trascorrere nella capitale. Prudie e Inge, con
altre tre domestiche appena assunte, avevano risistemato stanze e
saloni e la casa era tornata a vivere allegramente nel baccano
prodotto da Bella e dai gemellini.
Quando
sentì i suoi passi, Odalyn si voltò verso di lui.
“Oh, sei tu”.
“Sì…”
– le rispose, impacciato. “Ti ho
disturbata?”.
“No,
stavo solo pensando ad alcune cose”.
Con
un moto di coraggio che non avrebbe saputo spiegarsi, Jeremy si
spinse a chiederle direttamente circa il fulcro della questione.
“A
tuo padre?”.
Odalyn
sospirò. “Siete davvero un popolo impiccione, voi
inglesi”.
Jeremy
arrossì. “Sc… Scusa…
E’ che mi preoccupavo un po’”.
Odalyn
tornò a guardare fuori, in giardino. L’erba era
coperta di neve…
“Noi siamo un popolo che non chiede mai. Gli altri la vedono
come
un modo di fare freddo, per noi è solo rispetto
dell’intimità
altrui”.
“Scusa,
non volevo essere invadente”.
A
dispetto di tutto, Odalyn sorrise. “Lo so. Comunque, non
stavo
pensando a mio padre, non del tutto almeno. Stavo solo cercando di
decidere cosa fare ora”.
Jeremy
comprese. Era per lei tempo di grandi decisioni visto che era rimasta
sola al mondo e pienamente padrona della sua vita. “Puoi
sempre
considerare la proposta che ti ha fatto mia madre”.
La
ragazza scosse la testa. “Andare in Giamaica, da quelle
vostre
amiche?”.
“Sì.
Cecily e Kitty Despard sono brave persone, simpatiche. Ti troveresti
bene con loro, con un gruppo di donne sole e coraggiose che vivono al
sole dei Caraibi. Cecily ha avuto un padre così simile al
tuo dopo
tutto… Mamma dice che potreste diventare come sorelle. E poi
ora
c’è il bambino di Kitty”.
Odalyn
abbassò il capo, torcendo con le mani il tessuto della sua
gonna.
“Non ne dubito ma sai… Sai cosa vorrebbe dire per
una norvegese
vivere in un posto dove non fa mai freddo?”.
“Sarebbe
fantastico!” – sbottò Jeremy che non
poteva ancora comprendere
il profondo legame delle persone con la loro terra d’origine.
E
infatti. “Non per me… Io sono nata dove il
ghiaccio c’è per la
maggior parte dell’anno, dove la neve viene giù
talmente fitta da
non farti vedere dall’altro lato della strada, dove spesso
non c’è
nemmeno il sole per mesi”.
“E
ti piace?” – chiese il ragazzino, incredulo.
“Sì”.
Jeremy
rimase in silenzio, incapace di comprendere appieno. “Ma sei
sola,
ora. Potresti vivere in un posto nuovo dove non ci sarebbe nulla a
ricordarti tuo padre”.
Odalyn
sospirò. “Non… Non ho mai avuto nessun
buon rapporto con mio
padre. Era uno sconosciuto, non era come per te coi tuoi genitori. Io
sono addolorata per lui, certo, ma… Ma mi trovi cattiva se
ti dico
che oltre a questo mi sento libera da una prigione? Per lui non ero
che un oggetto da muovere a suo piacimento, una pedina. E per aver
fatto scappare Clowance…” –
rabbrividì – “beh, avrei
vissuto l’inferno appena mi avesse avuta sotto
mano”. Ripensò a
come voleva spingerla a donare il suo corpo a Jeremy Poldark per
ottenere informazioni circa i gemelli e la rabbia la invase, assieme
alla gratitudine per quel ragazzo che aveva saputo rispettarla.
“Tu
Jeremy sei stato gentile, infinitamente, nemmeno immagini quanto.
Come tua madre e tuo padre e tutta la tua famiglia. Vi ringrazio per
ciò che avete fatto per me e per come volete aiutarmi ma io
non
voglio andare ai Caraibi, io voglio tornare a casa”.
“A
Olso?” – domandò Jeremy.
Odalyn
strinse i pugni con fermezza. “No, quella era la casa di mio
padre,
io sono cresciuta sui fiordi, ancora più a nord, con gli
zii”.
“Cosa
sono i fiordi?”.
Odalyn
rise. “Oh Jeremy, sono luoghi gelidi dove voi inglesucci
morireste
di freddo in pochi minuti. Luoghi da uomini e donne VERE!”.
“Mettimi
alla prova! Se venissi a trovarti in quel posto, io
sopravviverei”.
Odalyn
gli strizzò l’occhio. “Lo farai? Guarda
che ti aspetto per
vedere se sarà vero!”.
Jeremy
allungò la mano e gliela strinse. “Affare fatto!
Ma sei sicura di
voler tornare fra i ghiacci?”-.
Lo
sguardo della ragazza si addolcì. “Non ci sono
solo ghiacci ma
terre piene di fascino. Ci sono montagne, gole, canali
d’acqua,
casette di legno tutte colorate, villaggi piccoli dove ci si conosce
tutti e insieme si è una grande famiglia. Ci sono i piccoli
porti da
dove partono i pescatori e quando tornano, la sera, a volte si
arrostisce il pesce in piazza e lo si mangia tutti insieme.
E’ la
mia terra e per voi sarà sicuramente un posto inospitale ma
per me è
CASA. Ed è a casa, dagli zii
con cui sono cresciuta,
che voglio tornare. In fondo hai ragione tu, siamo ancora troppo
piccoli per fare i grandi e io voglio la mia
famiglia, quella che mi ha sempre amato”.
“E
i Caraibi?”.
“Magari
un giorno ci andrò per una breve vacanza”.
Poi
si guardarono e con dolcezza, Odalyn lo baciò sulla guancia.
Un
bacio innocente, gentile, lontano miglia e miglia da quanto avrebbe
preteso suo padre da lei. “Per ora, posso solo dirvi grazie
di
tutto”.
Sulla
porta del salone, non viste, Demelza e Inge ascoltarono tutto.
La
vecchia bambinaia osservò Demelza e il suo pancione mentre
in
sottofondo i gemelli facevano un chiasso incredibile. “La
ragazza
ha ragione, i fiordi sono per noi dei posti unici
ed irrinunciabili”.
“Vorresti
tornarci anche tu?” – chiese Demelza triste al
pensiero che
quella donna se ne andasse e un pò sconbussolata da quella
conversazione dove suo figlio le era apparso per la prima volta
'grande' e non più un bambino.
Inge
scosse la testa. “Io ormai sono anziana, per me sarebbe
troppo dura
tornare e vivere da sola in quei luoghi e ho l’impressione di
avere
una missione qui. I gemelli, che mai avrei creduto di rivedere,
devono pur sapere qualcosa della loro terra e io, se mi volete,
sarò
ben felice di restare a prendermi cura di loro e dei vostri altri
figli”.
Demelza
la abbracciò. “Certo che ti vogliamo”.
“La
Cornovaglia è ventosa come raccontano?”.
“Anche
di più, Inge”.
“E
allora sarà come essere a casa, dopo tutto”. Poi
Inge si voltò,
guardando nuovamente la giovane Odalyn. “Ma lei…
Lei è giusto
che ci vada davvero nella sua casa. Quella in cui ha lasciato il
cuore quando suo padre l’ha presa con se. E’ la
scelta giusta ed
è troppo giovane per sperimentare l'ignoto”.
Demelza
non sapeva nulla dei fiordi ma sentiva di trovarsi d’accordo
con
Inge su tutto. Era giusto che Odalyn tornasse a casa. Come lei, a
quattordici anni, aveva fatto una scelta. E si augurava di cuore che
si rivelasse fortunata come era accaduto a lei il giorno in cui aveva
scelto di seguire Ross Poldark a Nampara.
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Capitolo 37 *** Capitolo trentasette ***
Avevano
deciso che sarebbero stati Ross e Jeremy ad accompagnare Odalyn al
porto dove si sarebbe imbarcata sulla nave che l’avrebbe
ricondotta
in Norvegia.
La
ragazzina, dalle idee ben chiare, aveva già in mente il
viaggio e le
tappe che l’avrebbero condotta a casa degli zii sui fiordi e
dimostrava di avere un’ottima conoscenza della sua terra.
Ross
sembrava scettico ma Demelza era stata ferma nel darle fiducia. Lei a
quattordici anni aveva fatto la sua scelta di vita e ne era stata
perfettamente in grado, Odalyn non sarebbe stata da meno.
Preoccupata
che non mangiasse, Demelza le aveva preparato per il viaggio dei
panini ripieni di carne secca e dei biscotti mentre Inge aveva cucito
a maglia per lei un pesante mantello di lana che le sarebbe tornato
utile nelle ultime tappe del viaggio.
Erano
partiti tutti da Londra il mattino presto, verso due direzioni
diverse: Ross, Jeremy e Odalyn si sarebbero recati verso le navi in
partenza da Soutemphton mentre Demelza, Inge, Prudie e i bambini
avrebbero preso la strada di casa vero la Cornovaglia. Il tempo di
Londra era finito e al diavolo tutto e tutti gli intrighi e i
pericoli! Demelza si avvicinava al parto e voleva accadesse a
Nampara, i bambini avevano bisogno di pace e di ritrovare il loro
mondo e Ross desiderava solo tornare alla placida vita delle sue
miniere. Londra, lo spionaggio, il potere e la politica e
sì, anche
quella calamità umana di Jones sarebbero stati lontani per
un po’.
Arrivati
al porto, Odalyn era sembrata inizialmente spaesata ma poi aveva
ripreso il consueto coraggio, si era avvolta nella mantella di Inge e
aveva sorriso, allungando la mano a stringere quella di Ross.
“Capitano Poldark, grazie per avermi accompagnata. E
grazie… per
tutto il resto. Senza di voi in queste ultime settimane, non avrei
davvero saputo come fare”.
Ross
annuì. “Di nulla, aiutarti l’ho sentito
come un mio dovere e so
che anche per mia moglie è stato così. Ma ora
dovrai camminare da
sola e sulla tue gambe e anche se questa mia raccomandazione ti
sembrerà paternalistica, sta attenta durante il ritorno. E
scrivici
appena arrivi o mia moglie mi darà il tormento e mi
spedirà fra i
ghiacci per controllare che tu stia bene e sia sana e salva”.
“Lo
farò” – rispose lei, mascherando un
sorriso. Avrebbe davvero
voluto che suo padre fosse stato così protettivo con lei ma
quello
sarebbe rimasto un sogno irrealizzabile e doveva accettarlo. Poi si
voltò verso Jeremy. “Ti scriverò e ti
aspetto quando sarai più
grande. Ricorda che mi hai detto di voler dimostrare che voi inglesi
sapete resistere ai nostri ghiacci!”.
Ross
guardò il figli, accigliato. “Davvero? Sei matto?
Nessun inglese
potrebbe resistere a lungo in un luogo del genere, fidati, io ci sono
stato”.
Odalyn
rise. “Fidati davvero, Jeremy! A quei ghiacci, ci scommetto,
potrebbero resistere solo quei due gemelli che ti sei trovato come
fratellini”.
Lo
disse in maniera sibillina, leggera, eppure Ross colse in lei una
acuta intelligenza. Dei gemelli avevano parlato tramite mezze frasi e
lei aveva accettato di non sapere la vera verità ma in cuor
suo
aveva riconosciuto appieno la loro origine comune.
Jeremy
stette al gioco. “Resisterò anche io!”
– disse, alzando le
spalle.
“E
allora ti aspetto”. E poi, anche se c’era presente
Ross, Odalyn
si allungò a dargli un bacio leggero sulle labbra che lo
fece
avvampare. Poi rise e senza dargli occasione di dire
alcunché, corse
sulla nave.
Si
affacciò poi al parapetto mentre il ragazzino, rosso come un
pomodoro, non osava alzare il viso su di lei e il padre.
“Jeremy
Poldark, ricorda, ti aspetto! Arrivederci”.
Ross
alzò il sopracciglio, cercando di non ridere per
l’imbarazzo del
figlio. La salutò e poi, dopo infiniti secondi, una volta
che la
ragazza fu sparita nelle cabine, pose la mano sulla spalla del
ragazzo. “Credi di riuscire a respirare e a muoverti o vuoi
rimanere lì impalato fino alla maggiore
età!”.
Jeremy
deglutì. Lo aveva baciato davanti a suo padre, mannaggia a
lei, lui
non era di certo così aperto a questo genere di cose!
Ross
sospirò. “Jeremy, era un banale bacio…
Capiterà ancora”
“Davanti
a te”.
Ross
rise. “L’importante è che per un bel
po’ non capiti davanti
agli occhi di tua madre!”.
“Perché?”.
“Perché
per me non ci sarebbero problemi ma per lei… Sai, sei il suo
adorabile bimbetto…”.
Jeremy
lo guardò storto. “Non sono un
bimbetto!”.
“Per
lei lo sarai ancora per parecchio”.
Jeremy
sospirò. “Quanti anni avevi quando hai baciato la
mamma la prima
volta?”.
Ross
lo guardò, sorpreso dalla domanda. “Oh,
ventisette”.
“E
lei?”.
“Diciassette!
Due settimane dopo l’ho sposata!”.
Jeremy
spalancò gli occhi e Ross lo bloccò subito,
capendo che stava
entrando nel panico. “Ah, tranquillo, tu non dovrai sposarti
tra
due settimane per un bacetto! Fra me e tua madre c’era stato
ben
altro!”.
Jeremy
arrossì di nuovo, ricordandosi i baci appassionati che si
erano
scambiati prima del rapimento di Clowance.
“Papà…”.
Ross
si accigliò, iniziando ad intuire che forse fra i due
ragazzi non
c’erano stati solo innocenti approcci da adolescenti.
“Jeremy…
E’ giusto, vero, c’è stato solo un
bacetto…?”.
“Più
di uno…”.
“E
basta?”.
Jeremy
sospirò. “Basta! Forse lei voleva altro ma ho
preferito fare la
figura del bamboccio”. Era abbastanza umiliante quello
scambio di
battute fra lui e suo padre ma proprio pensando ad Odalyn, si rese
conto che era bello sapere di avere un genitore con cui confrontarsi
in quel mare di dubbi che assalgono ogni ragazzino che inizia a
sperimentare la vita da adulto.
Ross
sorrise, poggiandogli la mano sulla spalla mentre si allontanavano
dal porto. “Sei saggio, come tua madre”.
Jeremy
sorrise, colpito da quel complimento. “E tu papà?
Avevi la mia età
quando hai conosciuto Jasmine?”.
“Sì,
più o meno. E come te mi sono fermato a qualche
bacio”.
“Sei
saggio anche tu come mamma, allora?”.
Ross
sospirò. “Più che altro non volevo
assomigliare a tuo nonno!
Ribelle anche dove non mi conveniva!” – concluse,
ridendo.
Jeremy
ricambiò la risata. “Ora i gemellini sono salvi e
saranno per
sempre Poldark?”.
Ross
annuì. “Saranno ciò che vorranno ma
sempre parte della nostra
famiglia”.
Jeremy
annuì, finalmente in pace col ruolo dei due bambini nella
loro casa.
“Sono contento e anche mamma adesso starà
tranquilla. Eccetto
quando a casa ci sarà Loveday che litigherà con
Bella su chi deve
essere la capa e ci si metterà pure Daisy che vuole
comandare più
di tutti!”.
Ross
sospirò osservando il cielo, grato di quel ritorno alla loro
routine
e normalità così pesantemente messa in pericolo a
Londra. Grato che
fossero tutti insieme. Grato perché ne erano usciti
più forti di
prima e il suo figlio maggiore stava diventando un giovane ragazzo di
cui essere fieri. “Il prezzo da pagare per non avere Jones
attorno
ai piedi”.
“Ti
mancherà?”.
Ross
scoppiò a ridere. “Per niente, è troppo
temerario persino per
me!”.
“E
tu mancherai a lui?”.
Ross
ci pensò su. Fra donne, denaro, gioco d’azzardo e
rischi ben
calcolati, il suo fido socio avrebbe avuto mesi intensi.
“Naaa, non
credo!”.
Jeremy
ridacchiò prima di correre verso la carrozza. “Dai
papà,
sbrighiamoci! Se facciamo in fretta raggiungiamo la carrozza di mamma
e torniamo a casa tutti insieme!”.
Ross
la trovò un’ottima idea, ma…
“Niente carrozza, ragazzo!
Noleggiamo due buoni cavalli e facciamo la strada verso la
Cornovaglia al galoppo! La carrozza va bene per donne e
poppanti”.
“E
noi siamo uomini?”.
Ross
gli scompigliò i capelli. “Puoi dirlo forte anche
tu, ormai!”.
…
Demelza
camminava sulla spiaggia scalza, nonostante il clima fosse ancora
decisamente invernale. Ma sentire il vento della sua terra sul viso e
sulla pelle dopo i mesi di paura vissuti a Londra era una sensazione
talmente rigenerante che non poteva farne a meno. Erano a casa, tutti
sani e salvi e i suoi bambini erano con lei.
Quei
mesi a Londra erano stati complicati, ma in fondo fonte di notevole
crescita individuale per ognuno di loro. Ora lei sapeva tutto sui
suoi gemelli, sapeva cosa aveva portato Ross sulla loro strada e un
pezzo del passato di suo marito che le era sconosciuto, Jeremy era
diventato di colpo un giovanotto abbandonando per sempre
l’infanzia
e sì, aveva anche conosciuto i primi sussulti amorosi,
Clowance
aveva vissuto una avventura che l’aveva resa ancora
più coraggiosa
ed avventata e i tre piccoli di casa erano diventati ancora
più
pestiferi e giocosi.
Inge,
che camminava accanto a lei con la piccola Astrid che scopriva la
gioia di affondare le sue zampette nella sabbia, si guardava attorno
incuriosita. “Farà meno freddo che in Norvegia ma
questo vento è…
diabolico”.
“Sì,
è una delle caratteristiche della nostra terra”
– rispose
Demelza accarezzandosi il pancione. “A noi piace, ti ci
abituerai”.
“Sicura?”.
“Assolutamente”.
L’anziana
tata osservò i bambini che giocavano davanti a loro, a
diversi metri
di distanza. Daisy era già caduta (o si era buttata di sua
volontà
fingendo di cadere) in acqua diverse volte e rideva divertita, Bella
urlava a squarciagola una strana canzone e Demian tentava senza
successo di disegnare nella sabbia ma veniva puntualmente disturbato
o da un’onda o da una delle sorelline.
“E’ così bello vedere
com’è ora la loro vita…”.
Demelza
sorrise. “Sapete, sono contenta che vivano la loro
fanciullezza in
questo modo. Per me ma in fondo anche per Ross, non fu così
per
tanti motivi…”. Pensò a sua madre,
morta di stenti e nel
degrado, pensò a Grace, amatissima ma cagionevole,
pensò a cosa
avessero provato nel momento in cui avevano capito di dover
abbandonare i loro figli e si rese conto di aver vissuto quasi la
stessa paura a Londra. Poi scosse la testa, non voleva più
soffermarsi su pensieri negativi, quindi cambiò discorso.
“Vorrei
capire in che modo hanno cavalcato mio marito e mio figlio per
arrivare a Nampara prima di noi”.
Inge
le poggiò una mano sul gomito. ”Oh, cose da
maschi, meglio non
chiederselo se non volete veder comparire i primi capelli bianchi
sulla vostra bella chioma”.
“Giuda…”.
Inge
rise. “Mi piace questa espressione tutta cornica, anche Daisy
la
usa spesso”.
“Giuda…”
– ripeté Demelza, osservando quella piccola peste
bionda di sua
figlia. Sua figlia, già…
Proprio
in quel momento Demian cadde in acqua e a differenza della gemella,
scoppiò a piangere nonostante si fosse bagnato solo fino
alle
ginocchia.
Inge
corse da lui con Astrid, lo sollevò e gli asciugò
le lacrime con le
mani. “Su piccolo uomo, non si piange per così
poco”.
“Ma
io sono un bambino, non un piccolo uomo” –
obiettò il piccolo.
“Ma
non si piange lo stesso, va bene piccolo principe?”.
Lui
scosse la testa mentre Demelza, ridendo, li aveva raggiunti.
“Non
sono nemmeno un piccolo principe”.
Inge
lo osservò, sentendo una morsa allo stomaco. ‘Lo
sei, eccome se lo
sei’ – urlò la sua mente. Ma poi lo
guardò e si rese conto che
era, come gli altri bambini, il principino dei Poldark e di Nampara e
che la sua fortuna stava tutta lì. Non aveva bisogno di
altri
titoli…
Come
seguendo il flusso dei suoi pensieri, Demian corse dalla madre che lo
prese in braccio.
Ormai
lo aveva capito pure Inge, era quello l’unico modo per farlo
smettere di piangere, non servivano vezzeggiativi o vizi, bastavano
le braccia di Demelza. Le braccia di sua madre…
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Capitolo 38 *** Capitolo trentotto ***
Henry
Vennor Poldark nacque in piena primavera quando ormai il clima
ventoso e spesso impetuoso della Cornovaglia iniziava ad abbracciare
i tepori estivi e i campi erano pronti per la mietitura del grano.
Venne
al mondo in un giorno di sole, poco prima di mezzogiorno, dopo un
travaglio piuttosto lungo che fece comparire a Ross più di
qualche
capello bianco. Ma per fortuna Dwight fu pronto a sorreggere Demelza
e a fronteggiare qualsiasi problematica di una nascita che, rispetto
agli altri figli, si rivelò più insidiosa e
complicata. Ma tutto
andò bene e anche se Demelza fu costretta poi ad ammettere
che nei
momenti più convulsi del parto aveva avuto paura di non
farcela,
alla fine tutto era filato liscio.
I
bambini, a parte Demian e Bella che sulle prime apparvero sospettosi,
gelosi e poco propensi a salutare il nuovo fratellino, si
dimostrarono entusiasti. Jeremy concluse che quanto meno ora maschi e
femmine erano in parità, Clowance decretò che
dopo tutto il suo
fratellino era abbastanza carino e Daisy decise che gli avrebbe
spiegato tutti i misteri del mare e della loro spiaggia che conosceva
solo lei.
Inge
e Prudie aiutarono Dwight nel difficile compito di assistere la
partoriente e il
neonato e il piccolo nacque in un ambiente affollato ma caloroso. Gli
fu subito chiaro che difficilmente si sarebbe annoiato in una casa
tanto affollata e che la privacy sarebbe rimasta a lungo una pura
utopia.
Era
un bimbo minuto, moro come il padre e con gli occhi grigi e il suo
nome fu causa di numerosi dibattiti in famiglia. Ross aveva proposto
persino di chiamarlo Garrick (ricevendo una cuscinata in faccia da
sua moglie), i bambini avevano partorito nomi assurdi e talmente di
fantasia che il povero Harry – come era stato subito
soprannominato
– se ne sarebbe vergognato a vita e alla fine giunsero alla
decisione di usare il nome di famiglia di un antenato e poi Vennor,
che era il secondo nome di Ross e il cognome di famiglia di nonna
Grace.
Di
carattere tranquillo ma con sguardo furbo ed indagatore di chi cerca
di capire il prima possibile dove fosse capitato, Harry si
rivelò un
bambino semplice da accudire per Demelza, nonostante la sua famiglia
numerosa. Lo battezzarono nella Chiesetta di Sawle e furono invitate
le persone più vicine ai Poldark, dai minatori
più cari a Ross a
Geoffrey Charles per finire con i fratelli di Demelza e le loro
famiglie.
Fu
una festa grande e felice dopo i mesi di angoscia a Londra e
arrivò
persino un regalo da Jones, un libro sui piaceri proibiti della
capitale che il piccolo Harry avrebbe trovato piuttosto interessante
da leggere, una volta cresciuto. Demelza mise il libro in un punto
remoto della cantina, piuttosto propensa a non farlo vedere a nessuno
dei suoi figli e a lasciarlo nel dimenticatoio anche se a Ross la
cosa aveva divertito parecchio e aveva sentenziato che a suo padre
quel libro sarebbe piaciuto molto e che poteva diventare una lettura
'educativa'.
Nel
giorno del Battesimo arrivò una lettera da Odalyn. Era
intestata a
tutti i Poldark e li informava di essere arrivata a casa degli zii
sana
e salva e
di essersi ripresa pienamente da tutte le avventure inglesi e di
aver fatto pace ed accettato
sia
la figura negativa del
padre che
la sua
perdita. Dentro la busta c’era un bigliettino più
piccolo
indirizzato a Jeremy con scritto semplicemente: “Ti
aspetto…
quando sarai cresciuto”.
Demelza,
non vista per evitare che Clowance facesse battutine, fece scivolare
il biglietto di nascosto fra le mani del figlio che era arrossito
come un pomodoro e poi, con un sorriso, lo aveva lasciato solo ai
suoi pensieri ed era tornata a prendersi cura di Harry che aveva
iniziato a strillare per la fame.
Era
così, nelle famiglie grandi: c’erano ragazzi che
parevano
cresciuti da un giorno all'altro diventando quasi uomini e che
assaporavano i primi batticuori della vita, bambini vivaci che
urlavano e correvano da mattina a sera e neonati che dipendevano in
tutto e per tutto da lei. Che bello essere madre, che bello essere a
casa, che bello appartenere a Nampara, a Ross e ai Poldark…
Si
sentiva fortunata e guardando i gemelli, cullata da quei pensieri,
aveva provato più di una volta una sorta di tristezza nei
confronti
dei genitori dei piccoli che per loro avevano dato la vita e che
quelle gioie non avrebbero mai potuto provarle. Non c'era gelosia in
lei e nemmeno c'erano sospetti circa quell'amore giovanile di Ross ma
solo una muta rassegnazione su quanto la vita, nel bene e nel male,
sapesse dimostrarsi imprevedibile.
…
Demian
e Daisy sgattaiolarono in spiaggia di nascosto, nelle prime ore del
pomeriggio, approfittando del fatto che Demelza e le domestiche si
stavano occupando di Harry e del bucato, che Jeremy fosse uscito a
pescare con gli amici e Clowance e Bella erano intente a suonare la
spinetta.
Faceva
caldo e Demelza aveva detto loro che in spiaggia ci sarebbero andati
tutti insieme appena le temperature si fossero un po’
abbassate nel
tardo pomeriggio ma non volevano aspettare e da monelli quali erano,
si erano dati alla macchia seguendo il sentiero che conoscevano a
memoria che dalla casa portava a Hendrawna Beach.
Si
misero a correre come matti, a piedi scalzi, lanciando le scarpe fra
la sabbia. L’acqua era fresca e frizzante ma piacevole con
quel
caldo e ci finirono dentro bagnandosi fino alla vita.
“Io
sono la pirata di Nampara!” – disse Daisy. Era il
suo sogno
diventarlo e lo ripeteva da almeno un anno.
“E
io?” – chiese il fratello.
Lei
lo fissò come se la risposta fosse la cosa più
ovvia del mondo. “Il
mio servo”.
“Non
mi piace essere un servo, i servi sono grassi e brutti come
Prudie”
– rispose lui, picchiando il piedino nell’acqua con
stizza.
Daisy
fece per replicare ma poi la sua attenzione fu catturata da due
bellissime farfalle che presero a volar loro sulla testa. Una era
azzurra, color ghiaccio, l’altra di un rosa brillante.
La
bambina rise e Demian, molto più sensibile di lei alla
bellezza
della natura, rimase a bocca aperta.
Si
misero a saltare per cercare di raggiungerle ma le farfalle volarono
verso riva costringendoli a uscire dall’acqua. Volavano, poi
si
voltavano e tornavano verso i bambini quasi a volerli attirare a se,
lontani dal mare che senza adulti attorno, poteva rappresentare un
pericolo. Poi giocarono con loro, svolazzando nella lunga distesa
sabbiosa, facendosi rincorrere e a volte poggiandosi sulle loro
teste.
Il
gioco andò avanti parecchi minuti finché le voci
di Ross e Demelza
interruppero l’incanto.
I
due avanzarono verso i gemelli con aria seria. “Quante volte
vi
abbiamo detto che non potete venire al mare da soli?”.
I
gemelli si bloccarono, guardandosi fra loro accigliati, in cerca di
una scusa comune e plausibile da esibire a loro discolpa.
“Faceva
caldo a casa mamma!” – tentò di dire
Daisy.
“Non
è una buona scusa”.
Demian
esibì la sua miglior faccia da ruffiano e poi
saltò in braccio alla
madre. “Scusa, giuro che faccio il bravo da
adesso”.
Ross
lo guardò storto, quel piccolo mammone impertinente riusciva
sempre
ad aprire una breccia nel cuore di Demelza, ci riusciva quasi meglio
di lui ad uscire da situazioni 'complesse' evitando castighi. Gli
prese una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi e la tirò
scherzosamente. “Certo, come no! Ma bambini, sono serio,
siete
piccoli per stare da soli e anche se il mare vi pare amico,
può
diventare pericoloso”.
“Ma
non eravamo soli, papà!” –
obiettò Daisy.
Ross
si guardò attorno, la spiaggia era deserta. “A
sì? E chi c’era?”.
Daisy
si guardò attorno e anche Demian, in cerca delle due
farfalle che li
avevano attirati fuori dall’acqua. Ma erano come
sparite…
“Oh,
sono andate via…” – mormorò
la bimba, sentendo una strana
pressione sul cuore, come di mancanza.
“Chi?”
– chiese Demelza.
“Due
farfalle, mamma! Ci hanno curato loro, una rosa e una azzurra! Sono
venute e per giocare con loro siamo usciti dall’acqua e
abbiamo
giocato sulla sabbia… Ma ora sono sparite, sono andate via!
E giuro
mamma, non è una bugia!”.
Demelza
osservò Daisy. Era una piccola e furba canaglia e spesso
diceva
bugie ma non quella volta, la conosceva bene e sapeva capire quando
era sincera e quando non lo era. Guardò verso il mare e le
vide e
anche se non nitidamente, le parve di scorgere due piccole luci
luminose che si allontanavano nell’immensità del
cielo e del mare.
Erano state lì coi gemelli e avevano vegliato su di loro
finché ce
n’era stato bisogno e ora parevano intenzionate a tornare
verso la
luce. Strinse a se Demian e poi Daisy mentre anche Ross sembrava
essere giunto alla medesima, strana sensazione.
Si
voltarono entrambi verso il mare e in silenzio mormorarono un grazie
ad altri due genitori che anche sotto forma di luce, avevano
adempiuto al loro compito.
E
dal mare parve giungere una risposta. “Grazie a
voi…”.
Poi
le luci sparirono e sulla spiaggia rimasero un uomo, una donna e due
dei loro bambini, pronti a vivere la vita che il destino aveva scelto
per loro.
Misero
i piccoli a terra, poi Demelza prese a braccetto suo figlio mentre i
bambini correvano lontano. "Ross, credi che esistano legami che
non si spezzino mai?".
Lui
la baciò sulla nuca. "Assolutamente, amore mio,
assolutamente".
E
inseguendo i loro figli, tornarono verso la loro casa e la loro
famiglia.
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