Stuck with you

di Lizzyyy02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Aveva il fiato corto, l’Hero-Suite strappata in più punti, ferite sparse su tutto il corpo e probabilmente si era lussata una spalla. A fianco a lei Froppy e Deku non si trovavano certo in condizioni migliori. Per quanti continuassero ad annientarli, altrettanti ne arrivavano; sembravano non finire mai. Intorno a loro regnava caos: colpi, esplosioni, grida. L’unico pensiero che riusciva a mantenere integro quel poco che rimaneva della sua lucidità era il fatto che avevano già evacuato la zona: nessun rischio che qualche innocente rimanesse coinvolto in questo massacro. Uraraka si concesse il lusso di fermarsi solo un secondo ad analizzare la situazione, ma fu un tentativo inutile: non appena riusciva ad intravedere altri suoi compagni o altri Hero, subito li perdeva nella folla di Villain. 
«Uraraka!» La voce di Deku la fece voltare di scatto. Rese senza peso un masso abbastanza grande abbandonato a fianco a lei, arpionandolo grazie al nuovo upgrade della sua tuta, e, una volta averlo reso nuovamente del suo peso originale, lo lanciò al Villain che si stava scagliando contro di lei, tramortendolo. Guardò il suo compagno in un muto ringraziamento; lui annuì stirando un angolo delle labbra come a risponderle, per poi riprendere a sferrare calci e pugni micidiali. Voltò lo sguardo a cercare Froppy, che però se la cavava alla grande. Si concentrò allora davanti a lei, pronta a ripetere la stessa tecnica con un altro Villain che subito aveva preso il posto del precedente, quando una luce accecante e un colpo violento riempirono il suo campo visivo e i suoi timpani. 
In meno di una frazione di secondo realizzò a chi appartenesse quel Quirk. Almeno poteva dire di aver individuato un altro suo compagno. Lui sembrava non averla nemmeno notata, sul viso la sua solita espressione: un misto di foga, furia e rabbia. Ma nei suoi occhi c’era il guizzo tipico della battaglia, due dardi dai quali sprizzavano scintille, più esplosive del suo Quirk. Nemmeno lui era messo bene, anzi. Per un attimo si chiese come facesse ancora a muoversi, ma subito eliminò quel pensiero: nella mente di Bakugo non esisteva il concetto di “mollare”, non era contemplato. Per un secondo solo, i loro occhi si incrociarono, ma lui tornò subito a fissare il Villain, il quale si stava già rimettendo in piedi, un sorriso sadico e folle che non prometteva nulla di buono.
«Sei quello che hanno rapito» Fece, i denti ricoperti di sangue mentre continuava a sorridere sadico. Anche Bakugo scoprì i denti, in una smorfia di ira e disgusto «Io non so chi cazzo sia tu, e non mi importa. Preparati a morire» Il solito tono, reso ancora più graffiante dalle polveri ad aleggiare in quell’ambiente disastrato.
Il Villain reagì allargando il sorriso. La ragazza sentì un brivido lungo tutta la schiena. Sapeva di non dover rimanere impalata lì, che avrebbe fatto meglio a continuare la battaglia, che Bakugo non aveva bisogno di aiuto e nemmeno lo voleva. Eppure, qualcosa le diceva di rimanere, che quel Villain non era come gli altri che avevano sconfitto: stava nascondendo qualcosa, e non vedeva l’ora di mostrarlo. In quel preciso istante gli occhi del Villain si spostarono su di lei, la fissò come soppesandola, senza mai abbandonare quel sorriso sadico e sanguinante «Si, credo di riuscire a farcela con due» Mormorò, quasi tra sé e sé. Uraraka si irrigidì tutta.
«Oi, stronzo, dico a te» Ringhiò il biondo, prima di partire all’attacco con un rapido slancio. Uraraka non fece in tempo a richiamarlo. Forse anche se l’avesse sentita non l’avrebbe ascoltata. Immediatamente, dal corpo del Villain scaturì un fascio di luce accecante, tanto che fu costretta ad assottigliare gli occhi. Il paesaggio intorno a lei, le persone, sempre più sfocate. La battaglia, sempre più lontana, il suo corpo sempre più intorpidito. Tutto girava sconnesso, senza tempo, senza luogo. L’ultima cosa che sentì fu una risata sguaiata. E poi più nulla.
.-.-.-.-.
Silenzio. La prima cosa che notò una volta ripresa conoscenza fu il silenzio, ma non solo: sotto di lei c’era del morbido. Eppure, non era esattamente morbido…era più…granuloso, sabbioso. E si rese anche conto che il silenzio si stava pian piano riempiendo di rumori soffusi: una brezza le solleticava la pelle, diversi uccelli cantavano in lontananza, e…c’era anche un altro rumore, familiarissimo, ma che in quel frangente non seppe esattamente definire. Tuttavia, passare dal frastuono della battaglia a questo doveva dire che non era affatto mal…un attimo. 
La ragazza spalancò gli occhioni nocciola. La battaglia. Si, stava combattendo un’orda di Villain insieme alla sua classe e ad altri Hero. Cos’era successo?
Davanti ai suoi occhi si stagliava un cielo infinito color cobalto. Il corpo era ancora intorpidito, quasi non si sentiva le gambe. Alzarsi era fuori questione per ora. Rimase a osservare quel cielo così azzurro stesa sulla schiena, mentre cercava disperatamente di ricordare. Era con Deku e Tsuyu, stava lottando…poi una luce accecante e poi il nulla. Non ricordava altro.
«MA CHE CAZZO…DOVE CAZZO SONO FINITO»
Uraraka spalancò gli occhi, tanto che credette dovessero uscirle dalle orbite. Quelle parole avrebbero sorpreso chiunque, ma era stata la voce a farla rabbrividire tutta, tanto che sentì di nuovo le gambe. Quando si alzò di scatto, realizzò due cose simultaneamente: uno, ricordò che non si trovava da sola quando il Villain l’aveva colpita con quella luce accecante; due, capì finalmente cos’era a produrre quel terzo rumore che sul momento non aveva identificato. Erano onde. Davanti a lei si stagliavano chilometri e chilometri di mare.

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Capitolo 2
*** 1 ***


Dove si trovava?
Questa la prima domanda che le balenò in testa mentre osservava il paesaggio. Anzi, la risposta in questo caso era scontata, l’aveva davanti ai suoi occhi: era al mare. Sotto di lei sabbia, rimasta attaccata anche al sangue delle ferite, e davanti acqua blu e verde smeraldo a perdita d’occhio, a confondersi col cielo all’orizzonte. Non era quella la domanda che avrebbe dovuto porsi bensì un'altra, che una voce non troppo distante pensò a esprimere per lei:
«COME CAZZO CI SONO FINITO QUI?»
Uraraka si voltò come a rallentatore. Non era possibile, doveva essere uno scherzo. Magari aveva battuto la testa nella battaglia e tutto questo non era altro che un sogno. Anzi, un incubo. Ma il bruciore ancora persistente delle ferite e l’immagine di un Bakugo a dir poco furioso di fronte a lei, erano così vivide che qualsiasi speranza crollò al suolo. Così come lei stessa, che si lasciò cadere di nuovo con le ginocchia nella sabbia. Era su quella che sembrava un’isola deserta, circondata dal nulla, senza sapere come diavolo ci fosse arrivata o come fare per tornare indietro. Insieme. A. Bakugo.
Lo shock la lasciò interdetta, bloccata. Fissava inerme la sua figura agitarsi e strepitare finché quegli occhi rossi non si puntarono su di lei, come durante la battaglia. Solo che stavolta non era stato uno sguardo fugace dettato dalla circostanza. Stavolta la fissava davvero, e Ochaco sentì di nuovo quella strana sensazione alla bocca dello stomaco, quella che sentiva ogni volta che quegli occhi rossi si puntavano su di lei. Dopo un primo sconvolgimento, la sua solita espressione tornò sul suo volto contratto. Lo vide iniziare a dirigersi verso di lei a grandi falcate, continuando a strepitare cose incomprensibili. Il primo istinto di Uraraka fu quello tuffarsi e mettersi a nuotare in mare aperto.
«Faccia Tonda, come cazzo ci sono finito qui?» Riuscì a captare, tra un’imprecazione e l’altra, prima di ritrovarselo a pochi passi. Ma era possibile che riuscisse sempre ad innervosirla?
«In caso non lo avessi notato, siamo entrambi qui. Non sei l’unico bloccato su in isola» Fece a tono. L’assurdità della situazione, il panico, la rabbia, la facevano sentire più sicura, tanto da riuscire a fronteggiarlo, anche se forse ne avrebbe pagato le conseguenze «E no, non so come ci siamo finiti. L’ultima cosa che ricordo è quella lu…» Subito realizzò. Lo guardò e in un attimo capì che anche lui aveva capito «…quel Villain…» sussurrò inconsciamente, rivedendo mentalmente quel ghigno sadico e sporco di sangue.
«Figlio di puttana» Digrignò lui «quando lo rivedo gli stacco le braccia» Fece, mimando anche il gesto. Riprese a camminare in circolo mentre Uraraka si alzava, non senza qualche tremore. «Che facciamo adesso?» Chiese, senza realmente aspettarsi una risposta, continuando a guardarsi intorno. Sembrava davvero una di quelle isole paradisiache che compaiono sulle riviste turistiche, ma degli ombrelloni, delle sdraio, delle persone in copertina, nessuna traccia. Fino a prova contraria erano loro le uniche anime vive su quell’isola.
«Torniamo indietro, cazzo facciamo»
Ovvio, come aveva fatto a non pensarci. Ochaco si impose di restare calma, qualcuno doveva pur farlo e quel qualcuno non era certamente il suo compagno d’avventura improvvisato.
Eppure, non riuscì a trattenersi del tutto «E come pensi di farlo?»
Infatti, lui le scoccò subito un’occhiata delle sue. Di nuovo, quel bruciore allo stomaco. Si aspettava chissà cosa invece esordì semplicemente con un sonoro «Tsk», per poi iniziare a guardare in altro, verso il cielo così azzurro e senza una nuvola. Le sembrò quasi un gesto d’amarezza in principio, ma gli occhi rossi erano attenti, come se stesse cercando di scrutare qualcosa in quel manto azzurro.
«C-cosa…» Iniziò timidamente Uraraka. Con lui non si poteva mai sapere.
«Non sappiamo che Quirk ha quello stronzo di un Villain» la interruppe «potrebbe anche essere simile a quello scemo con le biglie» Eccolo, il suo lato da stratega. Uraraka capì subito che si stava riferendo al membro dell’Unione dei Villain, Mr. Compress. «Cosa intendi?» Chiese.
«Ti devo stare a spiegare tutto, Faccia Tonda? Dico, magari è una sottospecie di trappola o che ne so. Insomma, come quello scemo rinchiude le persone nelle biglie, anche lui ci ha rinchiuso in questo posto del cazzo»
Era pur sempre un’ipotesi, per quanto azzardata.
Ochaco si chinò sulle ginocchia, fece scorrere le dita tra la sabbia, raccogliendola in un pugno per poi farla scivolare via. Fissò il mare, lo scrosciare ripetitivo delle onde.
«Eppure è tutto così…reale» Disse piano, sperando di non innervosirlo «non mi sembra un luogo fittizio»
«Cazzo ne sai. Magari è questa la presa per il culo»
Ochaco credeva di sapere perché Bakugou si fosse impuntato su questa idea. Le parole uscirono prima che riuscisse a fermarle «Ti conviene che sia così, vero? Una trappola sarebbe qualcosa da poter distruggere, qualcosa da cui riuscire ad uscire con le tue sole forse. Se davvero il suo Quirk fosse semplicemente di teletrasporto, non potresti fare niente, saresti impotente» Avrebbe voluto tapparsi la bocca. Ma perché non era rimasta zitta. E infatti vide subito risalire la rabbia dentro quegli occhi che non sembravano quasi conoscere altre emozioni.
«La mia era solo una fottuta ipotesi. Te lo dico qui e ora Faccia Tonda, non ci penso proprio a starmene in mezzo al nulla a farmi psicanalizzare. Piuttosto, stattene sulle tue, io sto sulle mie, e non abbiamo rotture di coglioni» Detto questo girò i tacchi, diretto chissà dove. 
Solo allora, mente con passi sicuri si allontanava, Uraraka notò lo squarcio che aveva dietro la schiena; non sembrava troppo profondo, ma andava dalla spalla destra a perdersi dentro quello che rimaneva della sua Hero-Suite completamente strappata, probabilmente fino al fianco sinistro. Doveva fargli un male cane.
Ochaco tornò con lo sguardo verso il mare aperto, lasciandosi sfuggire un sonoro sospiro.
Iniziamo bene

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Capitolo 3
*** 2 ***


20 minuti. Mezz’ora. 40 minuti.
Ochaco si era obbligata a tenere conto del tempo che passava, non solo per non perdere completamente il senso della realtà, ma anche per capire da quanto Bakugou fosse sparito nel mezzo di quella fitta vegetazione che si ergeva incontaminata al centro di quell’isola. 
Inizialmente non se ne era fatta un così grande problema, era troppo arrabbiata con lui: per come le aveva risposto, per dover essere odioso anche in una situazione come quella. Poi, dopo il primo quarto d’ora, aveva osato avvicinarsi cauta verso quelle palme alte e quei fitti cespugli, mossi placidi dalla brezza marina. Avrebbe dovuto addentrarsi anche lei? E per cosa? Sicuramente anche in una situazione di pericolo Bakugou non avrebbe voluto il suo aiuto. 
E poi cosa poteva esserci lì di così pericoloso da rappresentare una minaccia per lui? 
Così era tornata a sedere sulla sabbia granulosa, ma lo shock iniziale era passato, e il dolore alle ferite, inizialmente sopito dall’adrenalina, era tornato a farsi sentire. 
Si era alzata in piedi, camminando in cerchio, ma il dolore era una costante, così come i pensieri.
Maledizione.
Ora erano 50 minuti. Quasi un’ora. 
Sospirò ancora, arrendendosi ed entrando in quella vegetazione fitta. 
Per la maggior parte si trattava di palme, ma più si allontanava dalla spiaggia, più la sabbia spariva per lasciare posto a terreno e la flora variava. Non sapeva bene cosa fare tranne continuare a camminare. Forse aveva sbagliato, forse sarebbe stato più cauto aspettarlo lì sulla spiaggia. 
Ma non ce l’avrebbe fatta a rimanere lì inerme un secondo di più. Il tarlo del dubbio si era insinuato e non la lasciava andare: ci stava mettendo troppo tempo. 
Forse davvero si trovava in pericolo, forse la sua supposizione di prima si era rivelata giusta e quell’isola non era che l’invenzione di quel Villain, che avrebbe potuto cambiarla a suo piacimento. Magari si era trovato a scontrarsi contro qualcosa che il Villain aveva messo lì.
O forse stava davvero solo perlustrando la zona, non curandosi del fatto che l’avesse lasciata lì sulla spiaggia a preoccuparsi.
Ma preoccuparsi per cosa, poi? Cosa mai ci sarebbe potuto essere su quell’isola che avrebbe potuto rappresentare una minaccia per lui?
Continuava a ripeterselo. Non era più una domanda retorica quanto un modo per tranquillizzarsi.
Accelerò il passo.
Più andava avanti più sembrava essere in un bosco che in un’isola. Lentamente, un altro suono si confuse con la brezza che scuoteva dolcemente le chiome; decise di seguirlo, accontentando il suo istinto, e dopo pochi metri apparve davanti ai suoi occhi altra rilucente acqua. Ma non si trattava di mare.
Era una sorgente. Scorreva raccogliendosi in un piccolo lago cristallino. Sembrava l’ambientazione di una fiaba, la casa delle ninfe negli antichi miti.
Si avvicinò quasi in trance, come una falena attratta dalla luce. Arrivò sul bordo, piegandosi sulle ginocchia e immergendo una mano. Era gelida nonostante il caldo torrido. Ed è li che lo vide: era a torso nudo, chinato, seduto sulla riva opposta a dove si trovava lei. I guantoni e tutti gli upgrade della sua tuta erano abbandonati accanto a lui. Sembrava stesse lavando qualcosa in acqua. Beh, “lavare” era un parolone se riferito a quello sfregare energico e ripetitivo accompagnato da grugniti e diverse imprecazioni. Doveva star cercando di rimuovere il sangue che macchiava la parte superiore della sua hero-suite. Ma Ochaco l’aveva vista strappata sulla schiena…anche volendo, non avrebbe potuto riutilizzarla. 
Lui sembrava non essersi accorto della sua presenza, gli occhi rossi affilati puntati solo sull’indumento, sul quale stava sfogando tutta la sua ira. Uraraka si rimise in piedi, continuando a fissarlo. Era uno spettacolo strano, la presenza del ragazzo stonava in quell’angolo di paradiso, eppure allo stesso tempo…Ochaco ne era quasi incantata. I raggi del sole colpivano il suo corpo perfetto e scolpito da tutti quegli allenamenti insostenibili. I muscoli delle braccia e delle spalle si tendevano e rilassavano a intermittenza, sfregando la maglietta; sembrava dovesse distruggerla in mille pezzi invece che pulirla dal sangue. Solo quando fu a pochi metri da lui si rese conto di essersi effettivamente avvicinata. Percorse gli ultimi passi che la separavano da lui senza pensarci troppo. Ora era palese che si fosse accorto della sua presenza, eppure non alzò lo sguardo. Si limitò a smettere di muovere freneticamente le mani in quell’acqua cristallina, solo i suoni di quel boschetto a rompere il silenzio. Uraraka prese fiato per dire qualcosa, qualsiasi cosa. Ma, sorprendentemente, la precedette.
«Ce ne hai messo di tempo» Fece, semplicemente, per poi riprendere da dove si era interrotto.
La ragazza sentì montare il nervosismo «Ti ricordo che mi hai abbandonato su quella spiaggia per un’ora. Ero…» Si interruppe, le sue intenzioni bellicose scemarono. Non era certa se rivelarglielo, ma alla fine si arrese «ero preoccupata per te».
Bakugou fece uno sbuffo di risata «Tsk. Come se servisse. Mi stai per caso sottovalutando, Faccia Tonda? Per qualsiasi cosa qui, sono io la minaccia» Ringhiò. Sembrava il suo ennesimo modo di essere odioso, ma forse, ben celato, vi si nascondeva anche un modo per tranquillizzarla. Ochaco scosse la testa. Ricordati di chi stai parlando.
«Cosa stai facendo» Gli fece, cambiando discorso. Il silenzio con lui era insopportabile.
Per tutta risposta alzò gli occhi al cielo. «Hai perso la vista?»
«Non capisco il senso di lavare una maglia non più utilizzabile» Rispose a tono.
«Grazie al cazzo. Non la sto pulendo per rimettermela. La uso come fottutissima benda»
In effetti era scontato. La ragazza lasciò di nuovo cadere lo sguardo sulla sua schiena, solo che sta volta quello squarcio cadde in secondo piano, troppo distratta da quei dorsali, quelle spalle. Subito distolse gli occhi, imbarazzata. Doveva smetterla. 
D’improvviso tolse le mani dall’acqua, strizzando il tessuto. Pareva avesse deciso che fosse abbastanza pulito. Ma la ferita non lo era.
«Cosa fai?»
«Ancora? Hai problemi di comprensione?»
«No, intendo, non puoi bendarla così»
«Invece posso, e lo farò»
Con un movimento secco la ragazza staccò una manica della sua hero-suite, il tessuto ormai sgualcito, facile da strappare. Imitò i suoi gesti di poco prima, immergendola in acqua. La fece riemergere, e si avvicinò a lui.
«Che diavolo pensi di fare?»
«Ti aiuto a pulirla»
«Non mi sembra di avertelo chiesto» Grugnì. La voce bassa dai toni rabbiosi, gli occhi ridotti a fessure. Uraraka tentennò. Quello era il Bakugou che conosceva ormai da tempo: quello irascibile, testardo, cocciuto e…beh, di cui aveva timore. Eppure, allo stesso tempo, era un Bagugou che apparteneva al passato. Aveva imparato a conoscere molte più sfaccettature di lui, del suo carattere. E anche lei era cresciuta, maturata. Per questo rimase imperturbabile. L’incertezza di poco fa, dissolta.
«Dammi retta per una volta» Fece, le mani strette sulla manica dalla quale colavano ritmicamente gocce di quell’acqua cristallina.
Lui la fissò dritto negli occhi. Sembrava stesse cercando di leggerle nel pensiero, scovare l’insicurezza che stava ben celando per poter far leva su quella. Ma Uraraka non cedette. Per tutta risposta sbuffò, alzando nuovamente gli occhi al cielo. Non disse niente, semplicemente girò la testa verso il laghetto. 
Con cautela, lentamente, come stesse avendo a che fare con un animale selvatico che avrebbe potuto reagire e scattare al minimo movimento sbagliato, iniziò a passare il tessuto su quello squarcio rosso. La ferita era ancora fresca, in effetti se l’era procurata meno di due ore fa, anche se sembravano essere lì ormai da molto di più. L’acqua non avrebbe potuto fare granché, sarebbe servito del disinfettante, ma pensò almeno a rimuovere bene tracce di sabbia e piccoli grumetti di sangue. Nonostante i suoi fossero più tocchi impalpabili, lo vide affondare le dita ad artiglio nel terreno. Non poteva vedere il volto ma lo immaginava stringere i denti, quei canini pronunciati a sfregare tra loro, davvero come una bestia feroce. In un attimo di distrazione data da quei pensieri, fece una pressione leggermente più forte vicino al fianco e lo sentì trattenere un gemito di dolore. Sussultò anche lei.
«Scusami»
«Sbrigati e basta» Fece, a denti stretti.
Sentiva le guance imporporate, il cuore aveva aumentato il ritmo, non solamente per l’imbarazzo di avergli fatto male. Quel…quel verso. Era stato quello a imporporale le guance, farle stringere in un riflesso istintivo le mani intorno alla manica. Chiedendosi cosa le stesse prendendo, andò avanti, facendo più attenzione. Pensò di parlare per distrarlo.
«Hai…hai perlustrato la zona?» Subito se ne pentì. Parlando avrebbe fatto più fatica a mascherare il dolore che sentiva, e Bagugou si sarebbe scavato la fossa piuttosto di ammettere una qualsiasi parvenza di debolezza. 
Bene. Ottimo Ochaco.
Eppure, le rispose.
«Non c’è un emerito cazzo. Niente. Di. Niente» Fece, marcando le ultime parole. Sembrava quasi avesse sperato ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse confermare l’ipotesi della gabbia fittizia.
«Mh» Mormorò lei in risposta. Aveva finito gli argomenti. Ma fortunatamente aveva anche finito di pulire il taglio.
«Dammi, già che ci sono te la metto io» Fece, riferendosi alla maglietta-benda.
«Te lo scordi. Questa me la metto io. Hai…già fatto abbastanza» Era una parvenza di ringraziamento? Uraraka scelse di interpretalo in quel modo. Era già tanto che si fosse fatto aiutare. 
Con movimenti abili e guizzi sinuosi di braccia e spalle, arrotolò la maglia intorno al taglio, riuscendo a coprirlo bene, e legando le due maniche all’altezza dello sterno. Anche così non risultava meno altero, meno…ultraterreno. Era un pensiero che le aveva attraversato la mente anche prima di quel momento: Bagugou era diverso da tutti gli altri, sembrava quasi fatto di un'altra pasta rispetto alle persone comuni, ma anche rispetto ai loro stessi compagni: nel suo fisico, nella sua attitudine, nell’aura di timore che riusciva ad ispirare nelle persone.
Di nuovo si ritrovò a cacciare via i pensieri sul suo compagno esplosivo. Doveva davvero smetterla.
Si alzò in piedi, fronteggiandola, ma solo per un attimo. Si mise a raccogliere i guantoni e gli altri oggetti della sua suite. 
«E adesso?» Uscì spontaneo ad Ochaco.
«Che cazzo ne so. Questo bosco sembra grosso ma è uno sputo, l’unica area più rigogliosa è questa, proprio per la fonte qua. Per quanto ne so è potabile» Fece.
«E tu hai deciso di lavare la maglia dal sangue proprio qui» Le uscì di getto.
L’occhiata che le rivolse la fulminò. «Ormai ero qui, cazzo. E poi non rompere i coglioni Faccia Tonda, non devo renderti conto di niente».
Lei mise le mani sui fianchi e inarcò un sopracciglio «Hai finito?»
«Tsk» Fece solamente.
La ragazza ragionò, guardandosi intorno. «Quindi siamo in un puntino in mezzo all’oceano. Almeno abbiamo acqua potabile, e poi qui intorno ho visto degli alberi con della frutta. Riusciremo a sopravvivere» Non c’è alternativa. Dobbiamo sopravvivere.
«Non me ne frega un cazzo, io non rimarrò in questo posto di merda. Invece che sprecare energie a pensare a come farti il soggiorno qui, pensiamo a un modo per andarcene» Fece, iniziando a incamminarsi verso un punto imprecisato.
Lei lo seguì. «Bakugou, anche riuscissimo a costruire una zattera, qualsiasi cosa, non sappiamo in che direzione andare, rischiamo…di morire in mezzo all’oceano» Fece la ragazza, rabbrividendo al solo pensiero.
Il ragazzo a quelle parole si fermò. Anche Uraraka, a pochi passi da lui. Era convinta le urlasse contro nuovamente, invece non disse nulla.
«Devo provarci» il tono basso, deciso ma…quasi calmo, una voce che non gli aveva mai sentito prima.
Dopo un primo sconvolgimento, scosse la testa e corse, coprendo quei pochi metri che li separavano. Lo afferrò per il braccio muscoloso, fermandolo.
«Non te lo permetterò» Iniziò, ma con uno scatto repentino, si sentì spingere finché non sentì la superficie rugosa e dura di un tronco alle sue spalle.
Bagugou torreggiava sopra di lei, il respiro pesante; gli occhi erano due braci ardenti, folli.
«Lo sai cosa significa per me, rimanere immobile qui mentre un Villain del cazzo se la ride, credendo di avermi sconfitto? Mh?!» Le Fece, a pochi centimetri dal volto. «Io non voglio stare ai suoi giochi, alle sue regole, io non sto alle regole di nessuno. Me ne andrò da qui, Faccia Tonda, e se credi di potermi fermare non hai proprio capito con chi hai a che fare» Ringhiò. Riusciva a percepire le vibrazioni della sua voce nel petto, quell’odore solo suo, dolciastro e di bruciato, la intossicava. Quelle parole la colpirono più forte di quanto avesse fatto l’esplosione che decretò la sua sconfitta al festival sportivo, di ormai diverso tempo fa, ma ancora marchiato a fuoco nella sua mente. Sentiva il corpo completamente paralizzato. Da lui, da quegli occhi. 
Sprezzante, la abbandonò in un soffio (di nuovo), riprendendo a camminare, probabilmente diretto verso la spiaggia.
Chiuse gli occhi, ritrovando la calma, e il respiro. Sentiva il suo odore farsi sempre più debole, fino a scomparire. Si fermò a riflettere su ciò che aveva detto, lasciando in secondo piano il fatto che l’avesse di nuovo lasciata da sola, completamente paralizzata da quelle parole che gli aveva sputato addosso senza pietà. 
Contava solo il fatto che lui volesse andare via da lì, in mare aperto, diretto verso morte certa. E lei l’avrebbe impedito. Ad ogni costo.

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Capitolo 4
*** 3 ***


Uraraka impiegò qualche minuto a ritrovare il regolare ritmo del respiro. Purtroppo, doveva ammetterlo: il compagno esplosivo esercitava ancora su di lei quella soggezione che la portava a mettersi sulla difensiva, ad…agitarsi. Eppure, per il tutto il tempo, i suoi occhi corteccia avevano mantenuto una scintilla, quella della sua determinazione, del suo coraggio.
Doveva inoltre riconoscere che per un nano secondo la sua mente aveva valutato di lasciarlo fare.
Non ti ascolterà mai. Farà comunque di testa sua perché lui è fatto così. E poi che ne sai? Potrebbe aver ragione.
Ma subito aveva scosso la testa, cancellando quel pensiero.
Bakugo voleva andare volontariamente incontro alla morte. E sapeva fosse da sciocchi tentare di dissuaderlo, ma lo sarebbe stato ancora di più assecondarlo.
Strinse i pugni, avanzando a passo di marcia di nuovo verso la spiaggia dove si erano risvegliati. La scena che le si parò davanti la lasciò interdetta: aveva già iniziato a costruire una parvenza di zattera.
Come avesse potuto farlo in così poco tempo, Uraraka non sapeva spiegarselo. Avanzò verso di lui quasi correndo.
«Fermati!» Gli urlò da lontano, nemmeno intendesse salpare in quel momento. Non avrebbe potuto farlo, ovviamente: aveva solo raccattato insieme dei tronchi di medio piccola grandezza e stava provando a legarli insieme con una liana.
La ignorò bellamente, continuando ad imprecare a bassa voce mentre continuava il suo lavoro.
«Dannati alberi di merda. Dannata isola del cazzo. Maledetto Villain del cazzo. Maledetta vita»
«Bakugo! Ti vuoi fermare?!»
«NO! Faccia Tonda basta rompermi i coglioni!» Le urlò di rimando, finalmente degnandola di attenzione.
Ochaco si fermò trafelata davanti a lui, che come un ossesso, continuava a maneggiare quella liana che non ne voleva sapere di stare ai suoi ordini. Continuava a spostarsi e non stringersi abbastanza. E dire che solitamente era bravo in qualsiasi cosa facesse.
La ragazza ne approfittò subito: afferrò la liana, riuscendo per miracolo a strappargliela di mano.
Lo sguardo che le lanciò sembrava capace di uccidere «Che cazzo fai!?» Ringhiò
«Ti impedisco di andartene»
«Faccia Tonda, ridammi quella cosa, non sto scherzando» Fece, lento, il tono basso e minaccioso.
C’erano altre liane, ovviamente, ma Uraraka sapeva bene che non sarebbe mai andato a prenderne un’altra a quel punto, perché avrebbe voluto dire farla vincere, e Bakugo non perdeva. Mai.
Era la sua occasione per farlo ragionare. Attivò il quirk, facendo sollevare la liana che iniziò a penzolare senza gravità, allontanandosi sempre più da loro.
«Sai che posso comunque riprenderla, vero?» Fece, sprezzante. Arcuò le dita lunghe e forti; dai palmi iniziava a scaturire una lieve luce aranciata.
Certo che lo sapeva, ma era l’unica cosa che le era venuta in mente sul momento per distrarlo. Con un lungo soffio tirò fuori l’aria trattenuta, per poi rialzare lo sguardo su di lui, con tutta la determinazione di cui era capace.
«Adesso sturati le orecchie, perché non ho intenzione di ripetertelo» Per tutta risposta, lui sollevò un angolo delle labbra in un ghigno, a mostrare un canino, come a deriderla, ma Uraraka continuò imperterrita «Andare in mare aperto, con un…qualsiasi cosa questo sia, è andare a suicidarsi. Bakugou, non sappiamo dove siamo. Cosa succederà quando continuerai a vedere mare e mare, anche dopo giorni? Quando ti sembrerà che la pancia debba aprirsi in due per la fame? E avrai la gola così secca per la sete che farai fatica a respirare? E…»
«Stai provando a spaventarmi, Faccia Tonda?» Fece lui, però con un tono strano, non era esattamente rabbioso…
Uraraka a quelle parole si aggrappò di getto alle sue braccia, più solide del marmo, fissandolo dritto in quei suoi dardi rossi come il fuoco, come le sue esplosioni.
«Sto cercando di dirti che non voglio che tu muoia»
Vide le sue sopracciglia bionde alzarsi impercettibilmente. Credeva si sottraesse al suo tocco, invece rimase immobile, a fissarla di rimando.
«E che la vera sfida non è andarsene da qui. È riuscire a sopravvivere» Aumentò la stretta «e se te ne vai, la perderai»
A quel punto lo mollò lentamente, distogliendo lo sguardo dal suo, diventato troppo intenso da sopportare. Rimase così, per un tempo indefinito, finché due singole parole le fecero sgranare gli occhi.
«Hai vinto»
A rallentatore girò il viso, guardandolo di nuovo «Cosa hai detto?»
«Hai sentito, non iniziare ad allargarti, posso sempre cambiare idea di nuovo»
Uraraka allargò un sorriso da un orecchio all’altro. Ebbe l’istinto fortissimo di allungarsi ad abbracciarlo, ma si trattenne. Già, non doveva allargarsi.
Bakugo era davvero come una bestia feroce: serviva pazienza, avvicinarsi piano, guadagnarsi poco a poco la sua fiducia. E lei avrebbe fatto così. Solo in questo modo avrebbero potuto avere una convivenza almeno…pacifica.
«Mbe? Intendi mandarla nella ionosfera?» Fece.
Uraraka sussultò, si era completamente dimenticata della liana. Unì i polpastrelli e la rilasciò. Era quasi scomparsa alla vista; la segui con lo sguardo mentre cadeva sempre più veloce, finché ad interrompere la sua corsa verso terra non fu la sabbia, ma la testa del biondo.
Uraraka cercò di trattenere la risata con una smorfia, ma all’ultimo scoppiò a ridere. Quello alzò la testa ancora coperta, con un ringhio, ma ormai la ragazza aveva imparato a distinguere quando in quegli occhi passava vera rabbia.
 
Nelle ore successive si organizzarono per passare la notte. In realtà non si dissero nulla di che: erano futuri Hero, e a all’accademia avevano già fatto prove di sopravvivenza. Inoltre Bakugo restava un enigma per la ragazza, e quando l’aveva visto iniziare a spostare i tronchi che aveva raccolto per formare un grande falò, l’aveva lasciato fare senza dire nulla. Lei era tornata nel bosco, a raccogliere qualcosa da mangiare e bere un po’ da quella fonte che sembrava magica. Bakugo aveva ragione, era potabile. La sentiva fresca scendere in gola, buonissima, mentre goccioline fuoriuscite alla sua bocca le scorrevano lente sul mento. Vide un cespuglio muoversi con la coda dell’occhio; si voltò di scatto per poi scorgere una lepre selvatica, seguita dai suoi cuccioli. Uraraka sorrise a quella vista. Allora dopotutto non erano le uniche anime vive su quell’isola.
Era tornata da Bakugo, offrendogli la frutta che aveva raccolto. Lui aveva accettato senza dire nulla.
Era già qualcosa.
Le ore scorrevano lente e veloci allo stesso tempo. Ochaco assistette allo spettacolo del cielo che da azzurro si faceva sempre più arancione. Doveva ammettere che il tramonto lì era uno spettacolo senza paragoni. Si sedette vicino alla costa per ammirarlo meglio.
Con la coda dell’occhio tentò di scorgerlo. Anche lui era seduto, tutta la sua attenzione concentrata su un bastone che stava rendendo appuntito con una roccia. Ochaco sospirò. Certo, sarebbe stato peggio essere lì da sola – molto peggio – ma non poteva certo dire che Bakugo fosse di compagnia. Abbandonò il viso tra le ginocchia, pensando ai suoi genitori, ai suoi compagni di classe, a Deku…chissà cosa stavano pensando, se avevano notato la loro assenza e iniziato a cercarli. Quanto avrebbe voluto un modo per comunicargli almeno che stava bene.
Chiuse gli occhi negandosi quella vista per un po’, ascoltando solo le onde.
Mamma, papà, Deku…spero di riuscire a tornare da voi.
Riaprì gli occhi notando il cielo che diventava sempre più scuro. A breve sarebbe calata la notte. Si riavvicinò verso il falò ancora spento, dove c’era anche lui.
«Penso che possiamo accenderlo» Disse.
Lui le lanciò uno sguardo annoiato, puntando la mano verso quei tronchi e facendo scaturire un’esplosione, contenuta, ma il cui eco si sparse per tutta la spiaggia. Quelli presero subito fuoco, dando vita a un falò pieno e grande.
Uraraka si sedette a qualche metro da lui. Se non voleva rivolgerle parola, bene; voleva dire che gliel’avrebbe rivolta lei.
«Saranno riusciti a vincere? La battaglia intendo»
«Tsk. Erano dei Villain del cazzo, solo a noi è capitata la sfiga» Fece, continuando ad armeggiare con quella roccia ed il bastone.
«Credi che riusciranno a trovarci?» Fece Ochaco, esternandogli i suoi dubbi.
«Ma spero di no, cazzo»
La ragazza aggrottò le sopracciglia «Che vuoi dire?»
«Che non voglio che ci trovino, non ho bisogno di essere salvato»
Eccolo, il familiare nervosismo che sentiva nascere da dentro «So che ti ostini a pensarlo, ma non c’è niente di male nell’essere salvati»
«Si, se sei un debole che non riesce a salvarsi da solo»
«Tutti possono aver bisogno di essere salvati» Affermò la ragazza con decisione «persino tu, e soprattutto in questa situazione»
«Non puoi capire»
Uraraka si alzò in piedi, presa dalla rabbia
«Ti ricordo che ti ho quasi battuto, al Festival Sportivo, il primo anno» Non sapeva perché lo avesse detto. Miliardi di cose erano cambiate da allora e comunque non era qualcosa che sostenesse la sua tesi, quindi perché gli era uscito di getto?
Lui ghignò di nuovo, la luce del falò che lo illuminava lo rendeva ancora più ultraterreno.
«Per poi essere brutalmente sconfitta»
«Tante cose sono cambiate, potrei batterti ora» Fece. Non sapeva da dove montasse tutta quella sicurezza. E soprattutto decisamente non era convinta di ciò che aveva appena detto.
Lui infatti sbuffò una risata «Continua a crederci, Faccia Tonda»
«Ci credo, e posso anche dimostrartelo» Protese un pugno alzato di fronte a lei «Combatti con me»
Questa volta la fissò serio. Stava ponderando davvero la sua proposta.
«Se ci tieni tanto. Ma a una condizione» Fece «Se vinco non dovrai più rompermi i coglioni sulle mie decisioni, se voglio andarmene me ne andrò e basta» Disse. Uraraka si irrigidì ma infine annuì meccanica.
«Se vinco io però…dovrai abbandonare una volta per tutte l’idea di salpare in mare aperto. E dovrai iniziare ad ascoltarmi di più, e…essere meno odioso»
Subito le lanciò un’occhiata storta
«Fanculo» Le disse, a bruciapelo. La ragazza non si fece scalfire.
«Allora?»
«Andata» Disse, e si strinsero le mani. La ragazza poté sentire la sua mano grande e callosa per le esplosioni e gli allenamenti nella sua.
Il ragazzo si alzò in piedi, allontanandosi leggermente e mettendosi subito in posizione d’attacco.
«O-ora?» Fece Ochaco, colta alla sprovvista.
«Vuoi aspettare l’anno prossimo?» Ruggì.
«L’anno prossimo no, domattina si. È stata una giornata già abbastanza devastante, direi» Fece.
«Bah, ti ricordo che sei tu che l’hai proposta» Borbottò, risiedendosi con uno sbuffo.
«E lo farò, solo…non adesso»
«Come ti pare» Fece, per poi sistemarsi più vicino al falò, il corpo steso sulla sabbia, le mani incrociate dietro la testa su una roccia lì vicino.
«B-Bakugo?»
«Mhpf?»
«T-tutto bene?»
«Voglio solo dormire, Faccia Tonda, me lo stai rendendo un po’ difficile»
«Ah, scusa» Uraraka si stese anche lei, sempre vicino al falò ma al lato opposto. Sentiva altra sabbia attaccarsi alla suit e si disse che per domani avrebbe preso una foglia abbastanza grande per poterci dormire sopra.
Me lo stai rendendo un po’ difficile, mamma mia quanto la faceva innervosire. Si girò su un fianco, dando la schiena al falò e a lui. Di fronte a lei tenebra totale. Eppure era strano: non aveva minimamente paura.

Quel raggio di sole che la colpì in pieno volto le fece battere più volte le palpebre e mettere a fuoco il paesaggio di fronte a lei. Per un attimo quasi si sorprese fosse giorno: si era addormentata in fretta e senza rendersene conto, sicuramente a causa di tutta la stanchezza accumulata. Si sollevò seduta, con una smorfia. Dormire sulla sabbia non era stato decisamente un toccasana per il suo corpo già provato. Voltò di poco il viso scorgendo i rimasugli di legna consumata del falò ormai spento, ma di Bakugo, nessuna traccia.
Immediatamente trattenne il fiato: e se avesse approfittato del fatto che dormiva per andarsene davvero? Si alzò in piedi di scatto, lo sguardo rivolto al mare.
Eppure, credeva di averlo convinto, credeva…
Dei grugniti provenienti da dietro di lei la fecero voltare. A pochi metri di distanza, aggrappato con le mani ad un ramo, Bakugo faceva trazioni come niente fosse.
Un sospiro di sollievo inaspettato lasciò le sue labbra. Perché si sentiva così sollevata?
Lo fissò, le gambe piegate indietro e incrociate, la schiena composta da fasci di muscoli tesi al massimo, i bicipiti gonfi.
Volto il viso, sentiva le guance farsi più calde. Eppure, non era la prima volta che vedeva un suo compagno allenarsi, anche senza maglia, capitava spessissimo a scuola, se non ogni giorno. E allora perché era così imbarazzata?
Lui è diverso
Quel pensiero le fece andare a fuoco gli zigomi. Stava impazzendo, non c’era altra spiegazione.
Solo in quel momento notò la maglietta-benda che ancora lo fasciava. Riusciva a fare una ripetizione costante di trazioni nonostante quello squarcio.
Di colpo si staccò dal ramo, atterrando agilmente a terra.
Si girò verso di lei, fissandola in modo strano, intenso. Uraraka si sentì perforata da quegli occhi rossi. Le scavavano dentro.
«I-io…non…ti stavo…» Le parole gli morirono in gola. Fece due passi avanti e lei arretrò d’istinto.
«Allora?» La voce più roca a causa del sonno, il tono basso.
«O-ok…ti stavo guardando. E quindi? Stavo solo cercando di…di…capire la tecnica delle trazioni e come…» Smise di parlare quando notò il suo sopracciglio inarcato.
«Ma che diavolo stai blaterando? Parlavo della sfida» Fece.
Uraraka avrebbe voluto darsi una manata in faccia. L’aveva proposta lei e se ne era anche dimenticata.
«Non me ne sono dimenticata!» Esordì, quasi stesse ribattendo alla sua stessa coscienza.
«Mh. Vabbè. Quindi?»
«S-si. Facciamola. Anzi dammi un attimo. Tu hai avuto tempo di riscaldarti»
Quello grugnì, riappiccandosi all’albero e riniziando da dove si era interrotto.
Uraraka chiuse gli occhi piano. Era una futura Hero. Alunna alla UA. Era abituata ad allenarsi e le piaceva. Niente come muovere il corpo, faticare, riusciva a liberare la mente da qualsiasi pensiero. In quel caso, l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee. Mentre iniziava a fare qualche esercizio, tanto per riscaldarsi, ripensò al suo primo Festival Sportivo. La sua strategia era stata buona, per un attimo aveva persino creduto di avere la vittoria in pugno, ma non aveva potuto niente contro di lui. Ancora ricordava quel suo sorriso agitato e soddisfatto, che la incitava a continuare, ma aveva perso conoscenza un attimo dopo.
Dovrei seguire la stessa strategia? Si chiese, mentre si allungava. Sì e no. Avrebbe comunque dovuto provare a toccarlo per farlo galleggiare, ma stavolta c’era solo sabbia intorno a lei, niente che potesse trasformarsi in un asso nella manica. Uraraka sospirò. In cosa mi sono cacciata, si disse, mentre si fermava a guardarlo. Ora stava facendo flessioni. Si mise dritta e lo guardò. Se ne accorse, e anche lui smise di fare flessioni. Era arrivato il momento.

Erano di fronte adesso, in mezzo alla spiaggia. Nessuno ad assistere a quel loro faccia a faccia, solo lo sfondo del mare. Si guardavano e basta; in effetti adesso non c’era nessun altoparlante ad indicare l’inizio della sfida. Ma non ce ne fu bisogno. Appena vide i palmi di Bakugo farsi sempre più luminosi, partì all’attacco, come la prima volta. Lui era già pronto a colpirla, e in un attimo lanciò una delle sue esplosioni micidiali. Ma stavolta era diverso.
Uraraka rese senza peso il suo corpo, saltando più in alto che poté e lasciando che la gravità la sollevasse. Era riuscita ad evitare una sua esplosione. Si sorprese lei stessa, ma non si lasciò distrarre: lui, infatti, stava per colpire ancora, una mano in alto verso di lei. Subito Uraraka rilasciò, prendendolo alla sprovvista e atterrandogli addosso. Non si rivelò un’idea esattamente geniale: la sua mano bollente era piantata a un centimetro dalla sua faccia «Non mi sono mai fatto scrupoli, Faccia Tonda. Non inizierò certo ora» Ringhiò. Rotolò appena in tempo, prima che l’esplosione potesse colpirla in pieno viso, ma fu comunque sbalzata lontano, cadendo di schiena. Perse per un attimo fiato, ma nonostante il dolore, sorrise. Vide il suo compagno di classe iniziare a sollevarsi piano, la sua faccia sempre più confusa. Uraraka allargò il sorriso. Era riuscita a toccarlo! Era riuscita a fare quello che al Festival Sportivo era risultato impossibile. Forse aveva una speranza, forse…
Non fece nemmeno in tempo a pensarlo che Bakugo si sospinse con un esplosione verso di lei, dandosi lo slancio e colpendola di nuovo. La ragazza atterrò di nuovo lontano, con un gemito di dolore. Aveva sfruttato il suo stesso Quirk a suo vantaggio. Uraraka strinse la sabbia tra i pugni, rialzandosi.
Il compagno esplosivo continuava a galleggiare, senza gravità, ma sembrava perfettamente a suo agio. Incazzato, si, sbilanciato, ma il fatto di averlo toccato decisamente non aveva aumentato la sua possibilità di vittoria. Uraraka partì nuovamente all’attacco, ignorando i suoi pensieri. Cera una cosa però in cui l’aveva avvantaggiata: i suoi movimenti, erano più lenti. Infatti, riuscì ad afferrargli il polso prima che lui lanciasse l’esplosione, attuando la tecnica di lotta che aveva imparato durante l’apprendistato, atterrandolo, facilitata anche dal fatto che era senza peso. Quello ringhiò di nuovo, irritato. Non riuscì a tenerlo fermo nemmeno per due secondi, che con un’altra esplosione si liberò, facendola ruzzolare di nuovo a terra.
Pensò di farlo cadere per indebolirlo. Aspettò che la gravità lo facesse salire ancora, poi rilasciò. Ma era di Bakugo che si trattava: con un’altra esplosione attutì la caduta, atterrando perfettamente. Uraraka abbassò lo sguardo, la frustrazione ad impadronirsi di lei, ma nemmeno allora mollò. Batté un pugno contro la sabbia, alzandosi barcollante. Per un attimo vide sfocato, ma strinse gli occhi. Doveva. Rimanere. In piedi.
«Finiamola una volta per tutte, Faccia Tonda» Lo sentì dire, prima di partire a razzo verso di lei, per la prima volta. Si sarebbe aspettata un esplosione, invece ingaggiò un combattimento corpo a corpo, senza Quirk. Uraraka lo sostenne, mostrando tutto ciò che aveva imparato nella lotta, riuscendo persino a rifilargli un pugno. Lui rivoltò il viso verso di lei a rallentatore, furioso. Dopodiché, con tutta la sua forza, la sovrastò, bloccandola a terra definitivamente.
Con una mano teneva entrambe le sue mani sopra la testa, le gambe bloccavano la parte inferiore del corpo, e la destra era piantata nuovamente davanti alla sua faccia. Solo che stavolta non aveva vie d’uscita. Uraraka strinse gli occhi, dolorante e frustrata. Lo fissò un’ultima volta prima di chiuderli, serrati. Quell’esplosione le avrebbe fatto male. Forse avrebbe perso la vista. O ne sarebbe uscita sfigurata. Rimase in attesa, tremante sotto di lui. Ma quella sensazione di bruciore talmente intenso da fondere le carni non arrivò. Sentì la sua presa mollarla, uno spostamento d’aria, e la sua presenza non più su di sé. La ragazza riaprì piano gli occhi. Si era alzato e la fissava dall’alto. Uraraka realizzò in quel momento: aveva perso…per la seconda volta.
Portò un braccio sugli occhi, iniziando a singhiozzare forte. Non voleva piangere di fronte a lui, davvero non voleva, ma le lacrime non smettevano di uscire e il respiro si era fatto troppo irregolare. Ora non potrò più fermarlo se vorrà andare. Ma davvero pensavi di batterlo, Ochaco? Hai scommesso tutto su questo, ma non avresti mai potuto batterlo. Lui è Bakugo e tu…sei solo tu. Pensieri devastanti, questi, che non facevano altro che renderle difficile, anzi impossibile, smettere di piangere.
«Oi» La sua voce la fece sussultare. Pensare che la stava guardando in quel momento, stesa a terra a piangere, la fece sentire ancora più patetica.
«Non guardarmi» Sussurrò, implorandolo. Perché doveva rimanere lì? Stava provando soddisfazione nel vederla sconfitta? Umiliata? Conoscendolo, non era da escludere del tutto.
«Non intendo consolarti, Faccia Tonda. Tu mi hai sfidato, e ti ho battuto. Ora dovrai rispettare le condizioni poste alla sfida» Uraraka si sentì travolta da un’altra ondata di pianto «Lo so» Ebbe la forza di rispondergli, ma senza osare guardarlo ancora. I pensieri le si rimescolavano confusi in testa, riusciva solo a pensare che quello voleva dire che se ne sarebbe andato «So bene quello che ti ho detto, ma ti prego…non te ne andare, ti prego» Singhiozzava lei, ancora a terra, ancora con il braccio sul volto «Ti prego, Bakugo, morirai e io non voglio, non voglio, ti prego…» Stava blaterando senza senso. I pensieri, sempre più confusi.
«Da adesso non importano i tuoi tentativi» Lapidario. Cattivo. Senza riguardi per nessuno. Sapeva che era una sua malsana forma di rispetto, quella di trattare tutti allo stesso modo. Ma in quel momento faceva semplicemente male. Non riuscì a rispondergli. Si girò su un fianco, non tollerava più nemmeno la sua presenza «Okay» Mormorò. Se l’era cercata, questo doveva ammetterlo. Aveva proposto la sfida e aveva perso. Non aveva senso ora starci così per qualcosa che già sapeva. Se davvero voleva andare, che andasse. Bastava così.
«Ad ogni modo» Continuò lui «sei migliorata. Sai che non ho bisogno di regalare cazzate per far stare meglio la gente. Dico ciò che penso. E sei migliorata» Il tono era fermo, ma meno ruvido del suo solito. Uraraka ebbe la forza di togliere la mano dal braccio, il mare si stagliava di fronte a lei. Strinse gli occhi rigati di lacrime. Odiava che quelle parole l’avessero resa così fiera, così…felice. Passò un altro po' di tempo, poi sentì i suoi passi sulla sabbia. Si stava allontanando, finalmente. Uraraka sospirò forte. Probabilmente stava andando a costruire un’altra zattera. La ragazza continuava fissare il mare come in trance, senza forze, mentalmente e fisicamente. Già si immaginava il suo compagno esplosivo li in mezzo, a scappare da quell’isola che li aveva imprigionati, a salvarsi da solo. Ciò che aveva voluto fin dall’inizio. E lei che, impotente lo guardava dalla riva. Ti prego…Bakugo.

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Capitolo 5
*** 4 ***


La ragazza si trovava sulla riva del laghetto cristallino, a fissare l’acqua…beh, in realtà fissava il suo riflesso, anche se quella ragazza pallida, piena di lividi e stravolta le sembrava quasi un’estranea.

Aveva decisamente bisogno di lavarsi. Sciacquare via tutta la sporcizia, la sabbia e…quel senso di umiliazione.

Tentennò ancora una volta pensando che Bakugo sarebbe potuto arrivare e vederla lì, aveva pensato anche di avvertirlo, ma quando l’aveva visto, non aveva avuto la forza di avvicinarsi.

Confidava nel fatto che se l’avesse scorsa, se ne sarebbe andato. Aveva saldi valori, Bakugo, non se ne sarebbe mai approfittato mettendosi a sbirciare. Non se lo immaginava proprio…anzi, in effetti non gli aveva mai sentito fare un commento su nessuna ragazza all’accademia. Sembrava che queste cose non gli interessassero minimamente.

Scosse la testa. Erano pensieri senza senso.

Quando iniziò a sfilarsi la suite, però, arrossì, guardandosi intorno. Si tenne l’intimo, tanto si sarebbe asciugato presto sotto il sole dell’isola. E poi non era certo uno dei suoi completini pastello: quando portava la sua suite voleva stare comoda, e pantaloncini e reggiseno sportivo erano perfetti.

Mise prima un piede, poi l’altro, entrando piano. Era gelida nonostante il caldo. Le venne subito la pelle d’oca.

Si immerse completamente lasciando che l’acqua la avvolgesse, lasciando andare il fiato trattenuto. Quanto ne aveva avuto bisogno.

Con poche bracciate si avvicinò alla piccola cascata, lasciando che il forte getto le colpisse i muscoli tesi. Non pensava a nient’altro in quel momento, i brutti pensieri, volatilizzati, ed era esattamente quello che voleva.

Si sfregò i capelli alla meglio; non avendo niente con cui lavarli sarebbero comunque rimasti un po’ sporchi, ma meglio di niente.

Quando iniziò a sentire le dita raggrinzite, ed il corpo tremare sempre più di freddo, stabilì che era arrivato il momento di uscire.

Con un abile mossa si tirò su dall’acqua, tornando in piedi e strizzando i capelli gocciolanti. Batté veloce le palpebre per scacciare le goccioline dalle ciglia.

Stava bene, finalmente. Meglio, almeno. Sentiva il corpo fresco, la mente più lucida e…

«Che fai»

Sussultò violentemente. Raccolse subito la suite da terra, portandosela davanti al corpo e girandosi, fronteggiando il suo compagno sbucato dal nulla.

«Tu che fai! Non lo vedi che sono…sono in…» Si sentiva troppo imbarazzata persino per parlare. Ma perché continuava a rimanere lì? Perché non se ne andava? Almeno non sembrava squadrarla. La guardava fisso in faccia, con la sua solita espressione assolutamente neutra.

Voltò la testa di lato «Sei?»

Uraraka alzò gli occhi al cielo. Voleva ribattere ma sentiva la faccia bordò. Andò dietro l’albero più vicino, scomparendo alla sua vista.

«Te ne vuoi andare!?» Fece, quasi isterica, stringendo la tuta tra le mani

«Guarda che non stavo mica guardando. Non sono un pervertito come quegli scemi dei nostri compagni. Ho visto una lepre qui ieri. La stavo cercando»

Sul momento non comprese bene.

«Per cosa…?» Fece, ancora dietro l’albero.

«L’acqua fredda ti ha ghiacciato anche il cervello? Per mangiarla, cosa sennò»

Uraraka sgranò gli occhi.

«Non puoi!» Fece, il tono di un’ottava più alto del normale.

«Uh? Non ti ho chiesto il permesso, mi sembra»

«Non puoi e basta!» Nell’impeto della rabbia lasciò cadere la suite, uscendo dal suo nascondiglio. Non riusciva nemmeno a pensare di essere in pantaloncini e reggiseno davanti a lui. E comunque sembrava non sortirgli alcun effetto.

«Già l’avevo capito che eri strana, adesso ne ho la conferma. Che c’è, sei diventata animalista tutta di botta?» Incalzò, gli occhi che iniziavano a serrarsi.

«Non puoi uccidere quella lepre!»

«Santo Dio, mi vuoi dire perché o vuoi continuare a fare il disco rotto!?»

«È una madre! Ha dei cuccioli che morirebbero senza di lei. E poi…sono le uniche altre anime vive su quest’isola a parte n…»

«Mangiamo tutta l’allega famigliola, allora. Dobbiamo pur nutrirci»

Uraraka non ci vide più. Non l’aveva detto sul serio, vero?

Tentò di nuovo di dargli un pugno, ma stavolta fu più veloce, bloccandole il polso.

«Non ti è bastato prima? Ne vuoi ancora?» Fece, il tono graffiante.

«Tks» Le uscì, strattonando via il polso dalla sua presa. Gli occhi di nuovo ricolmi di lacrime, ma che trattenne con tutte le sue forze.

«Non ti sopporto» Le uscì, con voce spezzata.

Fece per andare via ma in un secondo si ritrovò di nuovo bloccata contro un albero, il corpo del biondo a pochi millimetri dal suo, fin troppo scoperto. Se ne rese conto solo in quel momento, arrossendo fino alle punte dei capelli gocciolanti. Parte della sua pelle sfiorava la sua, e in quei punti sembrava bruciare.

«Perché sei così dannatamente testarda. Perché non mi fai fare come cazzo voglio?»

Nonostante la vergogna, però, gli lanciò lo sguardo più sprezzante che riuscì «Senti da che pulpito. E comunque credo tu abbia dimostrato fin troppo bene che non sarei comunque in grado di fermarti» Fece.

«È questo il problema» Grugnì, guardandola fissa.

Lei aggrottò le sopracciglia e lui sbuffò forte, distogliendo lo sguardo.

«Non conti niente, sei solo una stupida comparsa. Ti ho anche battuto quindi non hai più voce in capitolo sulle mie scelte…»

Fu il turno di Uraraka di sbuffare, ma lui continuò.

«Eppure, che cazzo, io non so perché…» Si fermò, fissandola di nuovo negli occhi. Erano così rossi, fuoco liquido.

«Perché…?» Lo incalzò, quasi inconsciamente.

«Perché io non riesca a fregarmene. Io faccio sempre come mi pare. Sempre. E allora perché…dannazione…»

Uraraka ingoiò un groppo in gola.

«Questo…è…iniziare a rispettare un po dì più gli altri, Bakugo»

«È una merda» Biascicò tra i denti.

«E invece…ti rende molto meno odioso…» Si guardarono per un po’. Lei vide di nuovo quel luccichio che ogni tanto gli illuminava lo sguardo, finché non sbuffò forte, lasciandola.

«E quindi che cazzo mi dovrei mangiare, uh?»

«N-non stavi appuntendo un bastone? Potresti…catturare del pesce…»

«Tsk» Alzò gli occhi al cielo, per poi riportarli su di lei «Vuoi andare in giro così?»

Ma che domanda era? Di nuovo si fece bordò, sentendo risalire l’imbarazzo.

«Guarda che non sono mica nuda! E poi la mia è una tuta intera e non volevo entrare in acqua vestita…e comunque non devo giustificarmi con te!»

Per tutta risposta lui fece un’alzata di spalle, si girò per andarsene ma si bloccò sui suoi passi.

Si portò una mano ai ribelli capelli biondo cenere, stringendoli e ringhiando, quasi frustrato.

Uraraka non capiva cosa gli stesse prendendo quando, ancora girato, se ne uscì con un «Oi»

La ragazza drizzò la schiena, nemmeno potesse vederla.

Sospirò, per poi continuare «Dannazione…senti…mi dispiace, okay?»

Uraraka spalancò piano gli occhi. Bakugo…si stava scusando.

Ma per cosa? Era per come l’aveva trattata? Per il suo carattere impossibile da sopportare? Per tutte quelle volte che le aveva fatto perdere la pazienza? Non capiva proprio a cosa si riferisse. O forse comprendevano tutto quanto…eppure le sembrava strano che si scusasse per queste cose, non l’aveva mai fatto con nessuno da quando lo conosceva…

D’improvviso lo sguardo le cadde sulle sue stesse braccia, sul suo corpo. Segnato da lividi, alcuni già sbiaditi, altri più freschi e doloranti.

Rialzò lo sguardo su di lui. Doveva averli notati, in fondo erano ben visibili, soprattutto ora, senza suite.

Era per quelli che si stava scusando.

Sapeva bene che per lui la forza era forza, donna o uomo non contava niente se doveva dimostrare la sua, lo avrebbe fatto con chiunque senza distinzioni…eppure magari gli aveva fatto effetto vederla così…magari, in questo caso, aveva considerato che delle differenze c’erano tra uomo e donna. Sotto un punto di vista esclusivamente di…corpo.

E di cosa dei lividi e cicatrici rappresentassero sulla pelle dell’uno o dell’altro sesso.

Era quasi certa fosse questo. Anzi, poteva dire del tutto.

Improvvisamente sentì il cuore battere nel petto con più forza. Ingoiò un groppo in gola. Non sapeva cosa dire per tranquillizzarlo.

Perché si, anche se non era affatto da lui, anche se forse non era così, Bakugo in quel momento doveva star provando…senso di colpa, per quanto strano fosse anche solo associare quest’emozione al biondo esplosivo che conosceva.

E lei voleva davvero…rassicurarlo.

Ma non credeva le parole sarebbero bastate. Con lui, non bastavano mai. In fondo Bakugou era un tipo d’azione.

E anche lei ora doveva esserlo.

Scacciò la voce della sua coscienza che le diceva che era una pessima idea e si avvicinò cauta, lui ancora girato.

Subito il suo odore la investì in pieno. Chiuse gli occhi coprendo quell’ultimo metro di distanza, allungando le braccia e avvolgendo il suo torso fasciato.

«Che cazzo fai?! Staccat…»

«È tutto okay. Non mi hai fatto male. C’è un po’ sì, ma voglio essere una Hero, Bakugo, quindi non ti trattenere mai con me. Mostrami sempre il tuo massimo. E poi un giorno…chi lo sa…»

Lo sentì irrigidirsi sotto il suo tocco. La ragazza non riuscì a trattenersi dall’arrossire. L’aveva già avuto a questa distanza, mentre lottavano, quando le inveiva contro, ma ora era decisamente diverso.

Io suo solito tono strafottente la distolse dai pensieri «Io “un giorno”, come dici tu, sarò il numero uno, mentre tu, boh, nemmeno nella Top 50, nella Top 100…»

«Ma non mi sottovaluterai lo stesso se ci scontrassimo, vero?»

La ragazza aprì gli occhi nocciola, alzando lo sguardo.

Lo vide voltare il viso di lato, l’occhio rosso destro che la fissava, per poi tornare a guardare dritto di fronte a lui.

«Mai»

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