A reason for living

di SSONGMAR
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa + Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Premessa + Capitolo I ***


PREMESSA

Torno su efp dopo ben quattro anni e lo faccio in un pomeriggio in cui riesco a sentirmi un po’ più coraggiosa, poiché è veramente tanto tempo che non espongo qualcosa di mio a qualcuno diverso dal mio ragazzo o la mia migliore amica.
La storia che (mi auguro) andrete a leggere è nata come un racconto breve e non ha pretese di essere nient’altro, tuttavia per comodità ho deciso di dividerla in capitoli per rendere la lettura più accattivante. È una storia che non ha un tempo precisato perché volevo sentirmi libera dal rispettare determinati vincoli e per questo motivo va letta con la stessa leggerezza con cui è stata scritta e pensata. Se avete voglia di immergervi in qualcosa di leggero e romantico qui siete i benvenuti. Spero vivamente sia di vostro gradimento. 


 

 

                                             A Reason for living
                                                    Capitolo I



 

                                                                                         
                                                                                                     Inghilterra,
                                                                                                in un’epoca presente,  passata o futura.
Fin dove la mente desidera arrivare.



L’aria primaverile carezzava le pallide gote dell’anziana signora Liburn, seduta in veranda ad attendere la compagnia di sua nipote. Raggiungere la tenuta estiva era stato per lei un toccasana, poiché si era lasciata alle spalle gli affari di suo figlio James circa l’accettare la sconveniente proposta di un noto imprenditore in cerca di moglie. Le sue precarie condizioni di salute non le permettevano di ribattere o contrastare una tale incapacità di stringere affari e per questo motivo agire a suo modo non le era sembrato poi così scorretto o meschino, giacché la posta in gioco era la vita della sua unica e giovane nipote. Elizabeth era ciò che di più bello e caro potesse desiderare, una giovane donna cresciuta a modo, intelligente ed educata. A guardarla dava l’impressione di essere uscita da un dipinto o da un romanzo di Jane Austen, con i suoi modi di fare pacati, i capelli ramati e le guance sempre tendenti al cremisi.
Da bambina le raccontava spesso il modo in cui era venuta al mondo: «ti abbiamo trovata sotto un cesto di peonie» le diceva, e la piccola Elizabeth le credeva sempre.
Quando sei mesi prima aveva ricevuto la notizia del suo cancro terminale, sua nipote le era stata accanto giorno e notte, accettando il tutto con estrema filosofia e maturità, nonostante il dolore che le era stato provocato. Aveva stilato per lei una lista di cose da fare e insieme le stavano facendo tutte, nella maniera più totalizzante possibile; ciò aveva reso il loro rapporto ancora più unico e speciale. Per questo motivo desiderava per lei il meglio dalla vita e un amore che potesse farla sentire esattamente come meritava.
Reece Woodville non poteva essere quell’amore.
Non aveva conosciuto quell’uomo in prima persona ma aveva sentito parlare spesso di lui nei Venerdì che trascorreva assieme alle colleghe de “Il libro sventurato”, un club creato al fine di riportare alla luce vecchi romanzi finiti nel dimenticatoio. I primi cinque minuti erano dedicati al fine per il quale il club era stato fondato, mentre i restanti quaranta minuti erano fatti di gossip e pettegolezzi sull’alta società.
Ad ogni modo Reece era certamente un uomo di bell’aspetto, pragmatico e diligente nel lavoro ma mai nessuno aveva speso parole gentili sui suoi modi nei confronti del gentil sesso. C’era stato in passato uno scandalo con una principessa di un paese estero ma la faccenda era stata presto insabbiata dai piani alti. Da quel momento in poi nessuno aveva osato commentare oltre e tutto era stato archiviato come una “frivolezza passeggera”. Adesso cercava moglie ed Elizabeth era il suo bersaglio, sebbene l’avesse vista di sfuggita una sera a una cena di beneficenza. Per quella occasione la ragazza aveva indossato un abito azzurro di seta pregiata e i capelli ramati erano stati raccolti in una crocchia elegante. La sua bellezza era tale da non dover necessariamente indossare gioielli per rendere più gradevole il tutto, bastava la semplicità e il portamento elegante che già naturalmente aveva. Era stato in quel momento che l’uomo aveva avanzato la sua proposta a James, indorando la pillola con una storia su una vigorosa alleanza che avrebbe giovato a entrambi e l’immagine di una intera concorrenza messa alle brache; dettaglio che aveva fatto storcere il naso alla signora Liburn e che l’aveva spinta a portare via con sé sua nipote.
Tuttavia, malgrado le sue preoccupazioni, Reece si era dimostrato un uomo amabile, gentile e cortese.
Si era presentato un giorno alla tenuta su invito di James, creando un forte scompiglio ai pochi domestici presenti che si erano fatti in quattro per portare a termine i preparativi di quell’improvviso pranzo. Elizabeth quel giorno era impegnata a leggere ad alta voce un libro all’ombra di un faggio. Nella lista di cose da fare aveva inserito quell’attività al fine di intraprendere un viaggio che sua nonna non poteva più fare, e tale era stata la premura da rendere l’avventura viva e palpabile.
L’uomo indossava un abito elegante di stoffa Italiana, poco adatto alla campagna e alle enormi distese di verde che perimetravano la tenuta. Si era fermato poco distante ad osservare la giovane donna sorridere amabilmente a sua nonna e quella visione aveva riconfermato in lui la certezza di volerla al proprio fianco; si era avvicinato a salutare solo quando la signora Liburn si era sapientemente accorta della sua presenza.
«Lei deve essere Elizabeth» aveva detto guardando ammaliato la giovane donna.
«La prego, mi dia del tu» aveva risposto lei.
Elizabeth non si era pronunciata sulla decisione del padre, aveva accettato di incontrare quell’uomo nonostante per lei fosse un completo sconosciuto.
Da quando sua madre l’aveva abbandonata a soli sei anni per seguire il suo sogno di prima ballerina, Elizabeth era cresciuta accogliendo qualsiasi cosa la vita le proponesse, bella o brutta che fosse. Aveva maturato la convinzione che tutto quello avesse un fine, come se qualcuno di molto più grande e importante avesse scritto per lei il destino da percorrere, sebbene non credesse in alcun Dio.
L’uomo aveva passeggiato a lungo con lei nei giardini della tenuta, presso le colture e i fiori appena sbocciati. Oltre la cortesia, e il gradevole aspetto, le aveva mostrato il suo lato più allegro, dimostrandosi intelligente e un ottimo oratore. Aveva un sorriso ammaliante, iridi nocciola e uno sguardo incorniciato da lunghe e folta ciglia nere, come lo erano i suoi capelli. Elizabeth lo aveva guardato negli occhi una sola volta ed era stato abbastanza, il suo giovane e ingenuo cuore aveva ceduto alla curiosità di accettare una nuova figura nella sua vita. Altrettanto Reece era rimasto folgorato da lei e dalla sua testa e dai pensieri che esprimeva come fossero racconti. Avevano trascorso, poi, il resto del pomeriggio con i piedi immersi nel terriccio bagnato dalla pioggia improvvisa che aveva colpito la tenuta, ritornando per qualche istante inevitabilmente bambini, lontani dalle preoccupazioni e dalla compostezza che la società imponeva. Quella passeggiata era stata sufficiente, avevano camminato l’uno nell’animo dell’altra senza neanche mai sfiorarsi, solo guardandosi negli occhi.

Nei mesi successivi al loro primo incontro, lo scambio epistolare tra i due amanti era diventato costante. Elizabeth aveva aggiunto al tempo trascorso in compagnia di sua nonna un piccolo ritaglio da dedicare all’uomo che, al di là delle aspettative di quest’ultima, le aveva rubato il cuore.

Mio adorato Reece,
amo il mare perché non sa mentire. Con le sue sfumature azzurre è sempre vero.
Del mare mi piacciono i suoi fondali, il profumo, le conchiglie posate a riva e la sensazione della sabbia fresca sotto i piedi. Mi piace chiudere gli occhi e ascoltare il verso dei gabbiani o stendermi di notte a guardare la luna e a contare quante stelle ci siano in cielo. Amo il mare agitato come il mio cuore quando sono con te, o calmo come sei tu sempre, in ogni occasione. Amo il mare perché conserva i ricordi e i nomi segretamente incisi sulla sabbia e che le onde baciano a riva. Amo il mare perché quando guardi l’orizzonte non scorgi mai nulla, se non l’infinito e il punto di giunzione tra il cielo e il mare stesso, dove il tramonto stanco si riposa.
Voglio andare presto al mare.
Sinceramente tua,
Elizabeth.


Reece aveva accolto quella lettera come un desiderio espresso dalla sua amata.

Mia adorata Elizabeth,
al sud della costa orientale, dove l’acqua si fa spumosa, la mia umile dimora fa capolino oltre la vegetazione. Sei invitata a trascorrere un weekend in mia compagnia se il tuo cuore lo desidera.
Sinceramente tuo,
Reece. 



 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


                                         A Reason for living
                                                    Capitolo II
 
La famiglia Woodville aveva sostenuto per anni il peso di calunnie e dicerie. Ogni rampollo dell’alta società aveva messo in discussione i suoi titoli nobiliari passati. Si diceva, secondo alcune fonti sconosciute, che l’ultimo discendente rimasto era stato giustiziato senza lasciare alcun erede. Ma come volevasi dimostrare, il chiacchiericcio passato di bocca in bocca era rimasto tale. I Woodville non si erano mai estinti, al contrario avevano vissuto a lungo nelle campagne Francesi e lì il loro patrimonio era cresciuto a dismisura, al punto da creare un intero impero imprenditoriale una volta tornati in Inghilterra.
La tenuta, infatti, era tutt’altro che umile. Elizabeth si era persa ad ammirare le stanze enormi e luminose. Le pareti erano finemente decorate con della carta da parati pregiatissima e le siepi in giardino creavano dei meravigliosi ricami nel verde.
Il più anziano dei Woodville, il padre di Reece, ormai costretto a letto da una malattia cronica, aveva espresso il desiderio di vedere il proprio figlio a capo di tutto ciò che lui e suo padre avevano creato in passato. Reece, da sempre coinvolto in affari di natura politica e simili, era cresciuto con un’idea d’impresa alquanto moderna e innovativa rispetto ai tempi che viveva. Da solo aveva stretto alleanze e compiuto gesta ammirevoli; non a caso era lo scapolo più ambito della contea. Ma era arrivato il momento anche per lui (a ormai trentaquattro anni), di mettere su famiglia e dare vita a un erede che potesse occuparsi, in futuro, di tutte le questioni in sospeso. A tale scopo i suoi occhi si erano posati su Elizabeth quella sera. Il suo cuore non aveva saputo resistere alla implacabile bellezza della giovane donna. Aveva visto in lei un’innocenza mai incontrata prima e una sensibilità tale da renderla eterea. Qualsiasi poeta, giurava, avrebbe desiderato dedicarle dei versi e qualsiasi scultore avrebbe desiderato scolpire nel dettaglio il suo volto. Lui non poteva fare altro che ammirarla e desiderarla con tutto se stesso, nell’attesa di poterla rendere veramente sua un giorno per saggiare la sua bocca e morire sulla sua pelle.

All’arrivo di Elizabeth i domestici erano corsi ad attenderla in fila all’ingresso della tenuta, curiosi di scorgere il viso della donna tanto discussa in casa Woodiville. Difatti, l’anziano padrone di casa, sembrava non essere d’accordo con la decisione del figlio in quanto i Liburn, secondo il suo parere, non possedevano alcun titolo che andava oltre l’essere semplici aristocratici, pertanto non avevano nulla da offrire. Ma Reece era rimasto fermo sulla sua scelta e le voci su una loro presunta relazione erano diventate di dominio pubblico.
Trascorsero il loro tempo insieme a rimirare il mare, a scambiarsi silenziose promesse e a raccontarsi miti e leggende apprese dai libri. Elizabeth aveva raccontato la sua preferita con gli occhi appannati dalle lacrime, ripensando all’immagine di sua nonna ancora in salute.
«In origine non esistevano ancora la notte e il giorno» aveva detto all’uomo e lui l’aveva guardata con sincero interesse.
«Il sole e la luna condividevano il cielo e inevitabilmente finirono con l’innamorarsi, ma qualcuno pensò di separarli a causa della forte luce che la loro unione emanava. Infatti entrambi risplendevano di luce propria ed erano destinati a qualcosa di più grande. Il sole divenne il re del giorno, il più importante degli astri e fonte di calore per gli umani, mentre la luna regina della notte e motivo di poesia per gli innamorati.» Reece ancora ascoltava.
«Tuttavia la luna si intristì a causa di quel terribile destino e ignorò qualsiasi altro tipo di compagnia, né le stelle né gli umani stessi riuscirono a conquistarla, poiché il suo pensiero andava sempre al suo amato sole. Così Dio, nell’assistere a un tale dolore, decise che nessun amore sarebbe mai stato impossibile e concesse loro un modo per incontrarsi…» «Quale?» l’aveva interrotta l’uomo.
«L’eclissi» sorrise lei «un momento unico e raro. Nell’esatto momento in cui il sole e la luna ritornarono a sfiorarsi, nacque l’eclissi.»
«E secondo te, mia cara Elizabeth, quale morale ci vuole insegnare questa leggenda?» Elizabeth si era posta spesso questa domanda. Con le dita aveva lievemente spostato la sabbia e disegnato piccoli ghirigori pensierosa. «Ci insegna che nessun amore è veramente impossibile se vi è la volontà di trovarsi.» In quel momento gli occhi nocciola dell’uomo si persero in quelli smeraldo della giovane donna. Le loro bocche smisero di emettere suoni e senza indugio si avvicinarono, incontrandosi a metà strada. Il viaggio, per entrambi, era stato bello poiché alla fine avevano incontrato la morbidezza delle labbra dell’altro. Si mossero in una danza dapprima timida, poi sempre più curiosa. Reece aveva posato le dita sulle guance luna di lei ed Elizabeth aveva ritrovato il suo sole.
«Questa spiaggia, questo mare…Sulle tue labbra sono approdato come Odisseo sull’isola di Ogigia. Promettimi che mi sposerai, mia Calipso.» E un altro bacio aveva sigillato quella promessa.

Il ritmo cadenzato della pioggia sembrava accompagnare gli ultimi attimi di vita della signora Liburn. Al suo capezzale Elizabeth leggeva un libro a voce alta, scandendo le parole una ad una in modo che arrivassero pulite all’orecchio dell’anziana nonna. Le immagini che prendevano forma nella sua testa erano simili alla scogliera a ridosso del mare, simili alla sabbia bianca, all’acqua spumosa e alle immense distese di verde che aveva visto in compagnia di Reece. Dopo quella esperienza la salute di sua nonna era peggiorata drasticamente, come se le vita le avesse dato qualcosa in cambio di altro, ma il suo spirito combattivo e deciso non era appassito. Aveva espresso, infatti, guardando negli occhi sua nipote, il desiderio di conoscere quell’uomo: «prima che la morte arrivi a portarmi via.» Aveva persino preparato per lui un cofanetto dal contenuto ignoto a chiunque, anche ad Elizabeth.
Nonostante la feroce battaglia d’orgoglio e successione che stava combattendo contro suo padre, Reece aveva accettato l’invito di buon grado e quella stessa sera si era presentato alla tenuta munito di coraggio. Aveva portato con sé delle peonie, cioccolatini e un anello di pietra blu nella speranza di riuscire finalmente a inginocchiarsi al cospetto della sua amata per chiederle la mano in seguito alla benedizione di sua nonna. Una benedizione che aveva avuto, purtroppo, un tacito dialogo; la signora Liburn si era spenta prima del suo arrivo tra le braccia di sua nipote, avvolta da un amore pure e sincero. Elizabeth aveva pianto fino allo sfinimento e gli occhi smeraldo erano stati deturpati dal gonfiore. Reece le aveva carezzato le guance ancora provate dalle lacrime e l’aveva sorretta quando le sue gambe avevano minacciato di cedere. Dinanzi a quella scena era rimasto in silenzio e si era limitato a stringerla, ad asciugarle le lacrime e ad esserci.
Poco più tardi, quando la notte si era fatta nera come la pece, una domestica con il capo chino aveva chiamato Reece in disparte. In camera da letto erano rimasti Elizabeth e sua padre assieme ad un dottore che aveva confermato la morte. La domestica aveva consegnato all’uomo il cofanetto che la signora Liburn aveva preparato per lui e con esso gli aveva riferito un messaggio: «La signora Liburn prima di morire mi ha detto di darle questo. Contiene un regalo di nozze e una lettera e mi ha pregato di dirle di leggerla assolutamente da solo. Elizabeth non dovrà mai sapere di questo incontro.» Alla notizia Reece aveva sgranato gli occhi sorpreso e recuperato il cofanetto si era chiuso in bagno.

Rispettabile Reece Woodville,
ho sentito spesso parlare di lei negli ultimi anni, in qualche modo il suo nome è sempre stato al centro dei pettegolezzi da salotto più succulenti e ciò ha alimentato l’interesse di tante signore. Tuttavia non avrei mai immaginato che le nostre vite potessero intrecciarsi.
Le scrivo questa lettera perché non sono certa di essere ancora in vita il giorno che avrà la possibilità di passare a trovarmi, la mia salute non fa altro che peggiorare e giorno dopo giorno sento la forza abbandonare il mio corpo. A essere sincera non mi piaceva. Da essere umani fragili quali siamo talvolta commettiamo l’errore di non verificare le fonti prima di credere a tutto quello che le persone dicono, soprattutto se queste persone sono donne annoiate che trascorrono i loro giorni a sparlare della vita altrui. Trovavo inopportuno e discutibili i suoi modi di passare il tempo e a dir poco deplorevole il suo atteggiamento nei confronti delle donne, per questo motivo non desideravo che lei si avvicinasse a mia nipote. Come immagino abbia intuito, Elizabeth è ciò che di più caro io abbia avuto e avrei lottato con tutte le forze che mi erano rimaste pur di tenerla lontana da lei, ma nell’osservarla nel tempo ho compreso di aver commesso un errore di giudizio. Negli ultimi mesi ho visto Elizabeth rinata in sua compagnia e ho scorto una luce nei suoi occhi che faticavo a trovare da tempo, pertanto mi sento sicura ad affidarla a lei poiché mi fido del pensiero che lei ha maturato nei suoi confronti. Mi ha parlato di lei a lungo e ha lodato i suoi modi da gentiluomo. Spero abbia sempre la premura di amarla e rispettarla senza mai spegnere la sua luce, perché Elizabeth merita il meglio che la vita possa offrirle. In caso contrario è bene che lei sappia che avrà mie notizie dal regno dei morti e che le sue notti saranno lunghe e tormentate per il resto della sua vita.
Cordialmente,
Margaret Liburn.

Ps: la chiave presente in questo cofanetto apre la porta d’ingresso della mia tenuta estiva, lo consideri un regalo di nozze da parte mia. Elizabeth avrà tutto chiaro una volta ricevuto il testamento, confido nel suo buon senso.


Alla sorpresa si era ben presto aggiunta anche l’incredulità. Reece aveva letto e riletto la lettera tante volte. Suo padre non avrebbe potuto niente contro la decisione del suo cuore e contro il volere di una donna che, ormai, non c’era più. Si era affrettato a richiudere tutto e a custodirlo, dopodiché si era precipitato ai piedi di Elizabeth proprio come aveva precedentemente deciso. Davanti a James, e al corpo senza vita di Margaret, aveva chinato il capo e aveva espresso il suo desiderio di prenderla in moglie, promettendole un futuro ricco di amore. Elizabeth, seppur affranta dalla morte della sua amata nonna, aveva accettato, consapevole che anche l’anziana avrebbe voluto così.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


 A Reason for living
Capitolo III
 
Trascorsi sei mesi di lutto, alla tenuta dei Liburn cominciava a sentirsi nell’aria il fermento per le nozze. Nel frattempo Elizabeth aveva compiuto ventiquattro anni e secondo alcuni la sua bellezza era sbocciata in una primavera anticipata.
Lo stesso non si poteva dire per i Woodville.
Roger Woodville, infatti, aveva minacciato suo figlio e l’intera eredità nel caso avesse davvero deciso di sposare la figlia dei Liburn: «Piuttosto preferirei vederti calpestare il mio cadavere anziché legato a quella famiglia. Non avrai mai la mia benedizione per questo inutile matrimonio!» Per dissuaderlo aveva invitato alla proprietà la figlia di un suo vecchio amico, nonché ricco e potente imprenditore che sicuramente avrebbe portato vantaggiosi profitti al loro già indistruttibile impero.
Catherine, una donna sulla trentina dall’aspetto curato e accattivante, aveva sentito parlare a sua volta dello scapolo d’oro tanto ambito dalle nobildonne che la circondavano. Che fosse in sartoria, alle sale da tè o in qualsiasi altro luogo di ritrovo, Reece Woodville era sempre presente e sulla bocca di tutti. Vi erano persone che lo amavano e altri che lo criticavano a causa dello scandalo passato con la principessa Alexandra, uno scandalo che aveva alimentato maggiormente la curiosità della donna. Pertanto aveva colto quella occasione al volo e aveva risposto all’invito con estrema positività. Il suo scopo era sedurre quell’uomo e sapeva che ce l’avrebbe fatta.
«Il viaggio è stato di vostro gradimento?» Roger aveva lasciato il letto solo per accogliere con il sorriso la sua ospite, nonostante avesse i baffi arruffati e ancora i calzoni del pigiama. Catherine gli aveva sorriso amabilmente, mostrando una dentatura perfettamente bianca oltre il rosso accecante del suo rossetto.
«È un piacere essere vostra ospite, signor Woodville. Mio padre le manda i suoi più cari saluti.» Naturalmente Reece, impegnato nel suo ufficio tra scartoffie e proposte d’affari, era completamente all’oscuro dei progetti di suo padre e aveva pensato a Catherine come un’ospite qualsiasi. Ma Catherine aveva sin da subito mostrato un marcato interesse per l’uomo, sferrando le sue mosse seduttrici alla luce del giorno.
Per festeggiare quell’incontro “voluto dal destino”, Roger Woodville aveva organizzato una cena con diversi invitati ed Elizabeth, inconsapevole tanto quanto Reece, era tra questi. La sua gioia nell’accettare l’invito era tale da farsi confezionare un abito esclusivamente per quella occasione, ignara della sorpresa che l’attendeva.
La casa era stata decorata a dovere. Le stanze erano illuminate da enormi candelabri e la sala grande era stata allestita con un palchetto per i musicisti e un ampio tavolo dove i commensali avrebbero dovuto accomodarsi.
Nonostante la vita agiata della giovane donna, tutto quello sfarzo era per lei motivo di sorpresa. Si era presentata in perfetto orario con un abito lungo blu notte, i capelli raccolti con un diadema impreziosito da pietre luminose e dei guanti che le coprivano le braccia fino ai gomiti. Reece era rimasto ancora una volta stupefatto dalla sua bellezza, per non dire intontito dall’eleganza e la grazia che sfoggiava con estrema disinvoltura. Tuttavia Catherine si era posta al suo fianco senza indugiare, convinta del ruolo che presto l’avrebbe attesa. Tra gli ospiti, infatti, si vociferava un annuncio importante. Roger Woodville avrebbe finalmente presentato a tutti la futura moglie di suo figlio, nonché nuora e madre dei suoi nipoti. Stava seduto sulla sua enorme sedia in via del tutto eccezionale, incoraggiato dai medici che gli avevano assicurato che, almeno per qualche ora, la sua malattia non sarebbe stata così preoccupante da rendergli impossibile una cena in compagnia. Reece si era avvicinato ad Elizabeth con lo scopo di invitarla a danzare al centro della sala, sebbene alcun ospite stesse facendo lo stesso. Con imbarazzo ed emozione Elizabeth aveva sfilato i guanti, allungato la mano e stretta in quella del suo amato. L’anulare sinistro era impreziosito dalla presenza dell’anello che l’uomo le aveva donato. I due si guardarono negli occhi con amore e quel dettaglio tanto importante non era sfuggito all’attenzione dei presenti, tanto meno a quella di Catherine che, con disappunto, aveva lanciato uno sguardo eloquente a un infastidito Roger. La musica stava accompagnando i due al centro della sala quando, con un colpo di tosse impaziente, il padrone di casa si era alzato richiamando l’attenzione di tutti. Immediatamente i musicisti avevano smesso di suonare e un brusio di voci si era presto propagato tra i presenti. Nel cuore di Elizabeth un brutto presentimento si stava man mano insediando e tra le braccia di Reece cercava riparo e sicurezza.
«A tutti voi che avete risposto positivamente al mio invito, voglio fare un annuncio importante. Mio figlio, il mio unico figlio, finalmente ha scelto la sua sposa.» L’uomo aveva invitato tutti ad alzare i calici che erano stati generosamente riempiti. Reece ed Elizabeth si erano guardati negli occhi confusi.
«Diamo un caloroso benvenuto alla signorina Catherine Finch, una perla rara in questo mare ricco di imitazioni.» La donna si era fatta avanti nel suo abito grigio e il trucco appariscente. Aveva lasciato che i capelli biondo cenere le cadessero morbidi lungo la schiena e con un inchino aveva salutato la schiera di invitati rimasti in silenzio. Per giorni, se non mesi, il matrimonio di Elizabeth e Reece era stato sulla bocca di tutti e adesso quell’improvviso cambio di carte in tavola aveva lasciato sul volto dei presenti un velo di sorpresa. Elizabeth, con le lacrime agli occhi, si era staccata dal suo amato indietreggiando di qualche passo, mentre Reece dal suo canto stava fissando insistentemente suo padre con un cipiglio.
«Che cosa significa tutto questo?» aveva borbottato a denti stretti in una maniera così piccata da alimentare il fastidioso brusio.
«Che cosa intendi?» aveva domandato Roger fintamente confuso «non era forse questa la notizia che attendevi con affanno?»
Il vecchio imprenditore aveva riso di gusto, mostrando ai presenti un atteggiamento puramente goliardico. Elizabeth si era sentita improvvisamente ricoperta d’imbarazzo, nonostante non fosse stata lei a mettersi in ridicolo di fronte ad un numero indefinito di persone. Aveva chinato il capo ed era scappata via, mossa da confusione e stordimento…solo da lontano le era parso di sentire la voce di Reece che l’aveva disperatamente chiamata a sé.

Qualcosa di grande o qualcuno di straordinariamente potente poteva sapere quanto Margaret Liburn avrebbe odiato quell’indecente situazione. Sua nipote Elizabeth, nonostante la tacita benedizione data sul letto di morte, aveva lasciato la festa con rammarico e con le gote arrossate aveva percorso a grandi falcate la navata principale per lasciare la tenuta.
Roger Woodville beveva nel frattempo il suo calice di vino con aria soddisfatta. Con quel gesto plateale aveva alimentato le terribili voci che già circolavano sulla totale incapacità che aveva suo figlio nel tenere a sé salde le relazioni, ma ciò che per lui contava era l’aver finalmente ottenuto ciò che bramava da tempo.
Reece era rimasto imprigionato. Inconsapevole, forse, per tutta la vita.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


 A Reason for living
Capitolo IV
 
 
 
Il club de “Il libro sventurato” si era riunito nuovamente un anno dopo la morte della co-fondatrice Margaret Liburn, e sua nipote, Elizabeth Liburn, aveva offerto la propria abitazione come ritrovo.
Da quando sua nonna l’aveva lasciata, la tenuta estiva era diventata più silenziosa del normale. Il vociare delle donne che si erano riunite in salotto, non era più alto del rumore smorzato delle pagine del libro che stavano distrattamente esaminando.
Tra lo scricchiolio del legno invecchiato e il ticchettio nervoso al parquet di una gamba vibrante, Elizabeth aveva servito del tè in raffinatissime tazze di porcellana, consapevole delle numerose domande che le donne avevano in serbo per lei: “Hai rivisto l’uomo, dolcezza?” – “Avete intenzione di scappare insieme?” – “Suo padre ti ha minacciato?” In quegli ultimi sei mesi trascorsi dall’accaduto, nessuno, in sua presenza, aveva osato pronunciarsi ma molto spesso le sue passeggiate erano accompagnate da occhiate eloquenti e un continuo bisbiglio. Le persone si erano volontariamente divise in due fazioni: vi erano quelli comprensivi e dispiaciuti dalla vicenda e quelli che amavano alimentare un fuoco che era già sul punto di eliminare un’intera foresta.
Ad onor del vero l’intera contea aveva saputo dell’accaduto e le due famiglie coinvolte, Woodville e Liburn, erano inevitabilmente diventate rivali.
«Avrei dovuto dare ascolto a mia madre» aveva esordito un deluso James, rammaricato per il dispiacere che aveva lui stesso arrecato alla sua unica figlia.
«Quell’infame di un Woodville ha saputo plasmare i miei pensieri a suo piacimento e mi ha spinto a sbagliare» aveva ripetuto ai domestici «e alla fine non è stato neanche in grado di tenere la donna che diceva di amare.»

La reputazione di Reece era calata a picco. Tutto, nella sua vita, sembrava andare a rotoli da quella sera. La salute di suo padre era irrimediabilmente peggiorata e, secondo l’equipe di medici che lo seguiva, non avrebbe visto la prima alba del vicino inverno.
Negli ultimi sei mesi aveva cercato disperatamente di contattare Elizabeth, ma le numerose lettere che aveva scritto erano andate tutte misteriosamente perse. L’aveva cercata nei luoghi da lei frequentati, tra i sentieri di campagna, nella città e di nuovo in periferia, ma della sua presenza non vi era alcuna traccia. Allo stesso modo Elizabeth aveva cercato invano di raggiungerlo, ma anche le sue lettere le erano sempre state rese. Intanto Roger Woodville aveva aggiunto una clausola al testamento: solo il matrimonio con Catherine avrebbe permesso a suo figlio di ereditare il suo impero, nonostante questo gli spettasse di diritto.
Aveva fatto di tutto per ostacolare quella unione insulsa (così come lui la descriveva), e facendo leva sulla sua condizione di salute, ci era riuscito. A questo punto Reece non poteva sottrarsi ai suoi doveri, alla volontà del padre e al potente giudizio delle persone che stringevano in un pugno la sua reputazione. Che lui lo volesse o meno, Catherine Finch sarebbe diventata la nuova signora Woodville.

Intanto, in un campo di lavanda nascosto dietro una collina, Elizabeth aveva trovato riparo lontana dagli indiscreti occhi del mondo. A farle compagnia delle api laboriose e i suoi pensieri più intimi. Tra questi aveva ricordato una preziosa lezione che sua nonna le aveva dato un giorno, o per meglio dire un’enorme finestra sul mondo che aveva spalancato per lei.
Durante i suoi anni migliori, Margaret Liburn aveva viaggiato tantissimo. Non vi erano terre che non avesse esplorato o culture che non avesse assaporato. Ogni viaggio per lei rappresentava una nuova prospettiva, qualcosa che le permetteva di osservare la vita con occhi diversi. Da ciò ne traeva delle importanti lezioni da impartire a chiunque avesse avuto a cuore, e quando Elizabeth era nata, Margaret aveva compreso che avrebbe dovuto vivere solo grandi cose.
In Giappone esisteva un termine che Margaret non aveva sentito da nessuna altra parte al mondo. Ikigai: un viaggio introspettivo che conduce le persone a cercare e trovare la propria “ragione di vita”.
Elizabeth aveva scolpito nel cuore le parole che sua nonna le aveva più volte confidato. Mentre le spazzolava i capelli con dolcezza le diceva: “Trovare la propria ragione di vita può sembrare difficile e talvolta lo è sul serio. Oltre la difficoltà può assumere le fattezze di un’arma a doppio taglio, perché vivere ogni cosa con passione potrebbe portare chiunque ad auto sabotarsi e a lasciarsi consumare dalle conseguenze. Ma tu, figlia mia, sei destinata a grandi cose e il tuo cuore merita di trovare il proprio ikigai. Non lasciare che la paura ti freni.” A pensarci bene Elizabeth aveva lasciato che gli eventi le scorressero davanti senza mai agire, il suo vissuto aveva modellato in lei un pensiero passivo che le impediva di venire fuori e smussare i bordi appuntiti laddove era più necessario; questo aveva completamente compromesso la sua personalità.
Sua nonna aveva sempre visto in lei una indole estremamente forte e coraggiosa, e per onorare la sua memoria, Elizabeth aveva deciso di sguainare la spada e finalmente agire per afferrare con ardore la propria ragione di vita.
L’amore che non aveva chiesto, ma che era inevitabilmente arrivato nella sua vita, ormai lo aveva perduto, ma che cosa aveva fatto lei per evitare che ciò accadesse?



 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


A Reason for living
Capitolo V
 
«Signorina Elizabeth, il suo mi sembra un gesto sconsiderato. Per favore, riconsideri l’idea…Suo padre non ne sarà molto felice.» Penny Abbot, una anziana cameriera che serviva la famiglia Liburn da tempo, aveva tentato invano di dissuadere Elizabeth dalla scelta che aveva fatto. Difatti, la giovane donna, dopo le ultime notti trascorse insonni, aveva deciso di attraversare a testa alta i cunicoli di parole sprezzanti e senza volto e recarsi personalmente alla tenuta dei Woodville.
«Pensi a tutto quello che potrebbero dire o fare le persone se lei decidesse realmente di andare lì. Le famiglie sono già spezzate dai rancori e il matrimonio è stato deciso, un suo intervento condurrebbe tutti al devasto. È davvero questo quello che vuole?» A quella domanda Elizabeth si era fermata di colpo sulla soglia della porta. In viso le ricadevano delle ciocche arricciate dei suoi lunghi capelli ramati che andavano ad incorniciare uno sguardo che non lasciava passare altri sentimenti se non quelli tormentati (ma decisi) che stava provando. Era solo quello che desiderava a contare sul serio in quel momento, e i consigli donatole, seppur sinceri e sentiti, le sembravano ciarpame.
«Mi ascolti, Penny» aveva detto voltandosi verso la donna «questa storia può avere solamente due epiloghi…Ed io sono pronta ad affrontarli entrambi.»

Catherine aveva scelto e organizzato ogni dettaglio per le nozze, mentre Reece subiva in silenzio. Si era impossessata di un completo madreperla appartenuto alla signora Meryl Woodville, madre del suo futuro sposo, e i camerieri rispondevano già a tutte le sue esigenze.
In città si era sparsa la voce tra i commercianti e i loro acquirenti, e parenti e amici, si stavano preparando alla celebrazione di ben due eventi: un matrimonio e un funerale. Roger Woodville, infatti, stava vivendo gli ultimi istanti della sua vita e tale condizione aveva completamente plagiato il cuore e i pensieri del povero Reece.

Elizabeth era giunta alla tenuta nel tardo pomeriggio, quando il cielo era già rivolto verso l’imbrunire. Senza dare troppo nell’occhio, aveva chiesto a una domestica di poter incontrare Reece in segreto, e dopo diversi tentativi di persuasione, questa aveva accettato.
«Questo gesto potrebbe costarmi il posto di lavoro. Per favore, signorina Elizabeth, stia qui nascosta e non si faccia assolutamente vedere.» Il nascondiglio era un piccolo e stipato giardino alle spalle della casa. Le alti e imponenti mura lo circondavano completamente donandogli una forma prettamente esagonale mentre le siepi ne seguivano il perimetro tutto intorno. La luce del tramonto difficilmente arrivava fin lì, ma le stelle spruzzate nel cielo riuscivano a farvi lo stesso capolino. In quell’interminabile istante di solitudine, Elizabeth aveva ripensato a tutti i momenti trascorsi in compagnia del suo amato e i mesi che li avevano visti distanti le erano sembrati anni. Tuttavia, quando l’uomo l’aveva raggiunta, il suo volto era tornato ad essere quello di uno sconosciuto. Aveva una marcata ruga al centro della fronte, un segno tangibile del disagio che stava vivendo e che si portava dentro senza esternarlo.
Nel notarlo Elizabeth aveva sentito una feroce morsa alla bocca dello stomaco; quella notte lei era scappata e quel suo atto di vigliaccheria le era costato un paio d’occhi che la osservavano come a volerla inspiegabilmente attraversare.
«Che cosa ci fai qui?» le aveva domandato l’uomo. Il suo tono di voce era cambiato, era più impostato e schivo di come ricordasse.
Tuttavia Elizabeth non aveva indugiato nel rispondergli. «Sono venuta per vederti» ma a quella confessione Reece aveva serrato la mascella e stretto i pugni.
«Hai idea di quanto io ti abbia cercato negli ultimi mesi?»
«Lo so!» lo aveva interrotto. «Mi hai cercata ovunque, tranne nel luogo dove sapevi che mi avresti trovata sul serio.» In quel periodo Elizabeth aveva ricevuto il testamento che sua nonna le aveva lasciato. In questo la donna aveva specificato che la tenuta estiva a cui era tanto affezionata, doveva appartenere a lei e all’uomo che avrebbe presto sposato. Ma Reece non era mai andato lì, forse intimorito dal giudizio altrui o peggio ancora spaventato da una possibile reazione di James. Stava quindi ad Elizabeth farsi avanti e con un po’ di coraggio lo fece, convinta di volergli spiegare che la vita andava presa a morsi, che entrambi potevano finalmente ribellarsi alle stupide ideologie con le quali erano stati cresciuti e che insieme potevano trovare una diversa e personale ragione di vita. Ma Reece non sembrava della stessa idea; non era disposto a mollare tutto ciò che aveva faticato ad avere per inseguire una libertà che gli sembrava un’utopia. Non poteva e non voleva.
«Mi dispiace Elizabeth ma le cose non possono cambiare, sposerò Catherine così come è stato deciso.» Aveva detto atono.
«Ma tu non ami Catherine!»
«Non amo neanche te.»

A un tratto si era trasformato in tutte quelle cose che a lei facevano paura, e con sicurezza le vestiva senza battere ciglio.
Quelle parole avevano avuto un riverbero profondo dentro di lei, una fastidiosa risonanza che l’aveva portata a irrigidire gli arti dall’incredulità. Il loro amore per Elizabeth era stato serafico. I momenti trascorsi assieme, e che aveva ripercorso poco prima che lui arrivasse, erano stati di una tale intensità da farle credere che tutto ciò che aveva letto nei libri, non fossero solo illusioni partorite da menti abituate a sognare mondi ideali; ma in quel momento si era resa conto di essere stata sciocca e ingenua a pensarlo. La vita, per l’ennesima volta, le aveva sbattuto in faccia la realtà per quella che era davvero: un evento solitamente amaro.
«Ma allora cosa ne sarà di tutte le nostre lettere, gli sguardi e le promesse in riva al mare? Non è forse questo quello che tutti chiamano amore?» aveva domandato con tono soffocato all’uomo. «Baggianate!» aveva risposto, si era avvicinato e le aveva lasciato tra le mani una chiave. Le loro dita si erano sfiorate ma il tocco era stato freddo e impercettibile. Elizabeth aveva guardato distrattamente l’oggetto ma lo aveva riconosciuto. Quel dono era stato l’inizio e la fine di una storia mai veramente iniziata.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


A Reason for living
Capitolo VI
 
Lo specchio rifletteva la figura di un uomo che faceva fatica a riconoscersi. Mentre annodava la cravatta, infatti, Reece si era reso conto di aver trascorso gli ultimi mesi in compagnia di una versione di se stesso peggiorata.
Il denaro, il potere, la successione e la convenienza erano diventati così importanti da fargli dimenticare completamente l’ultimo anno trascorso, e ad abbracciarlo alla fine dei conti erano rimasti solo il fallimento e lo sconforto.
Era consapevole di essere bravo in tante cose, di aver avuto quasi sempre il coltello dalla parte del manico grazie al suo fascino e alle sue competenze, ma aveva compreso di essere altrettanto bravo anche a complicarsi la vita e a prendere decisioni che non lo avevano mai reso veramente felice.
Quello era il giorno del suo matrimonio con Catherine, una donna che non amava e che probabilmente non avrebbe amato mai, avvezza tanto quanto lui alla fama e al potere. Il loro sarebbe stato un matrimonio prettamente politico, privo di qualsiasi forma d’affetto o dialogo. Non a caso, da quando Catherine era arrivata, non una parola era stata pronunciata tra loro, se non le tipiche frasi di cortesia puramente sporadiche. L’unico ad appoggiare e pretendere quel matrimonio era stato Roger, ormai ad un passo dalla morte.

La piccola chiesetta che era stata scelta per il rito si ergeva su di una collina, dove Roger e Meryl in passato avevano scambiato le loro promesse. Gli invitati erano accorsi numerosi, spinti e incuriositi dai pettegolezzi circa il “lieto” evento; nessuno, infatti, sapeva che fine avesse fatto Elizabeth.
Mentre la sposa percorreva la navata, il silenzio era stampato sulla bocca di tutti. La musica era l’unica ad accompagnare i passi della donna e a riempire gli interminabili spazi vuoti che svolazzavano sulle teste dei presenti. Solo in quella di Reece vi era un rumore assordante…I pensieri non facevano altro che confondersi tra loro e riversarsi con una certa prepotenza.
Roger Woodville e Alfred Finch (padre di Catherine) erano seduti in prima fila l’uno di fianco all’altro e un’espressione soddisfatta e compiaciuta li accomunava, ma più Catherine si avvicinava, più i pensieri di Reece si proiettavano altrove.
Quel giorno, nei suoi ricordi, il cielo sospeso sul mare era di un pesante grigio piombo. E sebbene le temperatura non fosse proprio mite, Elizabeth indossava un meraviglioso vestito dal taglio scozzese. Reece ne ricordava i lineamenti morbidi sotto la punta delle dita e la sua candida voce faceva riverbero nei suoi pensieri.
Solo in quel momento si era reso conto di averla lasciata andare e che il suo sciocco e offuscato orgoglio gli aveva chiuso gli occhi.

«Oggi siamo qui riuniti per accompagnare i nostri fratelli nel Sacro vincolo del matrimonio…»
Prima che riuscisse ad accorgersene Catherine lo aveva raggiunto. La musica aveva smesso di suonare e il parroco si era schiarito la voce per cominciare a parlare. Ma Reece seguiva il tutto in disparte, distante dalla realtà che lo circondava. Fisicamente era lì, ma il suo cuore era rimasto su quella spiaggia.
«Catherine Finch, vuoi tu accogliere Reece Woodville come tuo sposo, promettendogli di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarlo ed onorarlo tutti i giorni della sua vita?»
«Sì, lo voglio.»
Catherine aveva detto di sì a un’enorme casa, a una vita fatta di svaghi, gioielli e feste di lusso. Di abiti ricamati ed esseri umani costantemente al suo servizio; una condizione che già naturalmente viveva ma in uno stato nubile che alla sua età non era ben visto dalla società. Reece era stato il suo pollo da spennare, la gallinella dalle uova d’oro che le avrebbe dato sempre esattamente ciò che desiderava, senza nulla chiedere in cambio, poiché per lei era stato quasi impossibile sedurlo.
Il parroco aveva ripetuto la domanda all’uomo che per qualche istante aveva esitato a rispondere.
“…Così Dio, nell’assistere a un tale dolore, decise che nessun amore sarebbe mai stato impossibile e concesse loro un modo per incontrarsi…”
«Reece?» Il parroco aveva richiamato la sua attenzione.
“Quale?”
“L’eclissi, un momento unico e raro. Nell’esatto momento in cui il sole e la luna ritornarono a sfiorarsi, nacque l’eclissi.” «
Reece!» Con tono imperativo questa volta era stata Catherine a chiamarlo.
“E secondo te, mia cara Elizabeth, quale morale ci vuole insegnare questa leggenda?”
“Ci insegna che nessun amore è veramente impossibile se vi è la volontà di trovarsi.”

D’improvviso Reece sembrava essere stato destato da un sogno. Aveva spalancato gli occhi e respirato a pieni polmoni, quasi come se avesse trattenuto il fiato tutto quel tempo. Si era guardato intorno e aveva notato gli occhi di tutti i presenti puntati su di lui, compresi quelli del suo malato padre. Come poteva aver promesso e consegnato il suo cuore a una donna e poi sposarne un’altra? Quanto Elizabeth aveva sofferto a causa sua? Le ultime parole che le aveva rivolto erano state così dure che adesso gli esplodevano violentemente nelle tempie. Le aveva mentito ammettendo di non amarla e da responsabile ne avrebbe pagato le conseguenze. Nessun amore è veramente impossibile se vi è la volontà di trovarsi, ma lui quella volontà, purtroppo, non era più in grado di trattenerla poiché piegato a un volere terzo e minacciato da una clausola testamentaria.
«Sì, lo voglio» aveva risposto dopo interminabili istanti e un respiro di sollievo si era propagato nell’aria.

Qualsiasi rispettabile romanzo o storia d’amore avrebbe visto i protagonisti, nonché eroi della storia, ricongiungersi alla fine del libro e uscire vittoriosi dalle sgradevoli vicende vissute. Ma la vita di Elizabeth e Reece non era un romanzo e la realtà era come una donna violenta e assetata di sangue, pronta a trafiggere le proprie vittime con lame infuocate. In un mondo come quello che li aspettava l’amore non era abbastanza ed era poco in grado di sopperire le mancanze e vincere sulle difficoltà. Elizabeth non lo avrebbe mai saputo e a Reece stava bene così. Egoisticamente aveva deciso per entrambi il loro destino; quella che lei avrebbe considerato una Ragione per vivere.

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