Hôtel Le Mirage

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Selezione OC ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Hôtel Le Mirage
 
 
Lunedì 14 giugno, Monte Carlo
 
 
Come ogni mattina, Gideon St John iniziava la giornata leggendo le due copie di giornale che si faceva recapitare quotidianamente. Aveva già sfogliato il Journal des Sorciers, e stava iniziando a leggere le notizie in prima pagina della Gazzetta del Profeta – anche se ormai viveva nel Principato di Monaco da anni, Gideon voleva comunque tenersi informato su ciò che accadeva nel suo Paese natio – quando qualcuno bussò alla porta della sua suite.
Entre, ma chérie.”
Aprendosi, la porta di legno massiccio verniciato da un brillante blu cobalto rivelò la figura alta e slanciata di un’elegante giovane donna dai corti capelli scuri, la pelle olivastra e due grandi occhi color cioccolato. Sorridendo all’uomo dietro la scrivania, la strega si chiuse la porta alle spalle prima di avvicinarsi a Gideon tenendo le mani abbronzate intrecciate dietro la schiena:
Bonjour papà. Comment va, ce matin?” (1)            
Raggiunto il padre, Sabrina gli mise una mano sulla spalla e si chinò per depositargli un bacio su una guancia mentre Gideon, sorridendole divertito, ripiegava in due il giornale prima di lasciarlo sulla scrivania:
Bien. Stavo leggendo la Gazzetta del Profeta, pare che il Ministero britannico sia un subbuglio a causa di un’evasione di massa di manufatti incantati sequestrati. Immagina avere l’hotel pieno di museruole dotate di vita propria che disseminano terrore.”
Gideon ridacchiò mentre la figlia, facendo il giro della scrivania per sedersi su una delle due poltroncine foderate di velluto blu, accennava al contrario una smorfia con le labbra, per nulla divertita:
“Posso solo sperare che non accada mai. Volevi vedermi?”
Oui. Ma prima dimmi chérie, come è iniziata la giornata? Tutto regolare?”
“Il Conte di Langley è arrivato mezz’ora fa come previsto, con sua moglie e i loro… cinque setter inglesi.”
Sedutasi di fronte al padre accavallando le lunghe gambe affusolate fasciate da dei pantaloni blu notte a vita alta, Sabrina parlò esalando un lieve sospiro e sistemandosi i capelli scuri con leggero nervosismo. Per tutta risposta un lungo, acuto fischio si librò dalle labbra del padre, che rise prima di asserire che sarebbe stata una bella sfida, per la figlia, e la guardò con affetto mentre si appoggiava allo schienale reclinabile della sedia di cuoio che occupava:
“Senza dubbio. È una fortuna che io abbia un debole per i cani… ma sai che non rifiuto mai una sfida. Li ho messi nella Suite Lancaster e ho chiamato uno dei nostri dog sitter.”
Parfait. Sei la mia roccia, Sabrina.”
Un sorriso soddisfatto si fece strada sul volto dagli zigomi pronunciati della strega, che ringraziò compiaciuta il padre prima di chiedergli perché avesse chiesto di vederla quella mattina.
“Voglio parlarti del futuro dell’hotel...”
Osservando attentamente la figlia maggiore per analizzare la sua reazione, Gideon vide Sabrina irrigidirsi per un istante sulla sedia e spalancare leggermente gli occhi scuri, visibilmente sorpresa.
“…A te e a tuo fratello.”
“Oh. Bene.”
Sabrina non riuscì a mascherare completamente la delusione – mista ad irritazione – e Gideon sorrise nel vederla fare di tutto per non fare smorfie o commenti sarcastici nei riguardi del suo secondogenito: non era mai stato un mistero, per Gideon St John, che i suoi due figli non andassero propriamente d’amore e d’accordo, ma in sua presenza sapeva che la figlia faceva di tutto per non darlo a vedere per non arrecargli un dispiacere.
Gideon sarebbe stato curioso di sentire ciò che la figlia aveva da dirgli a seguito di quella rivelazione, ma Sabrina non ebbe modo e tempo di esprimersi: padre e figlia si stavano osservando quando la porta alle spalle della strega venne spalancata senza preavviso, lasciando che un ragazzo dai ricci e arruffati capelli neri facesse il suo ingresso sbadigliando e con solo una vestaglia color borgogna dall’aria molto costosa sopra ai pantaloni neri del pigiama a quadri blu e grigi.
“’Giorno papà… Oh, c’è anche Sabs. Se devi finire di parlare con lei perché hai mandato Pierre a buttarmi giù dal letto?” 
Fermatosi sulla soglia della suite dopo aver scorto la sorella seduta di fronte al padre, Silas aggrottò le folte sopracciglia scure e spostò lo sguardo dal volto altrettanto accigliato di Sabrina a quello rilassato del padre mentre faceva sprofondare le mani nelle tasche della vestaglia. Non capitava quasi mai che Gideon convocasse entrambi, e di solito era per dare a lui e a sua sorella cattive notizie o una bella strigliata.
“Devo parlare con entrambi, Silas. Insieme. Siediti, prego.”


Dopo una breve esitazione, Silas obbedì e raggiunse la sedia lasciata libera davanti alla scrivania trascinando rumorosamente la ciabatte sul parquet a spiga tirato a lucido. Sedutosi scompostamente accanto alla sorella, il ragazzo si passò distrattamente una mano tra i folti capelli scuri senza smettere di osservare il padre.
Si stava chiedendo in quale guaio fosse finito – e l’idea di ricevere un rimprovero davanti a sua sorella rappresentava il peggior inizio settimana di sempre – quando Gideon, ritrovato il suo placido sorriso, intrecciò le mani in grembo e riprese la parola:
“Allora. So che noi tre parliamo insieme di rado, ed è una cosa che deve cambiare. Siamo una famiglia e dobbiamo comportarsi come tale.”
“E questo ti viene in mente adesso, quando siamo entrambi adulti e vaccinati?”
Per quanto Sabrina volesse bene a suo padre, non poteva credere ad una parola: Gideon non li aveva convocati di lunedì mattina per una chiacchierata di piacere. Di sicuro c’entrava qualcosa di molto più serio.
“Gestisco questo posto da trentun anni, da quando l’ho fondato. Sapete meglio di chiunque altro quanto io ami Le Mirage, ma non sono più un giovincello, comincio ad essere stanco e ho preso finalmente la decisione di andare in pensione.”
Appoggiatosi allo schienale della sedia, Gideon osservò serafico le reazioni dei figli che, come prevedeva, non si fecero attendere: entrambi lo guardarono strabuzzando gli occhi, parlando all’unisono e sporgendosi simultaneamente verso il padre:

“COSA?”
Tu plaisantes?(2) E ce lo dici così, all’inizio della stagione, senza nessun preavviso?”
Certa che il padre avesse perso totalmente il lume della ragione, Sabrina guardò l’uomo che aveva davanti con stupore misto ad orrore e stringendo convulsamente i bordi della sedia a conchiglia su cui era seduta: era la prima volta che Gideon nominava la pensione, almeno in sua presenza, e l’idea che mollasse le redini dell’Hotel all’inizio dell’estate senza nessun preavviso non era contemplabile.
“Ragazzi, fatemi finire. Andrò in pensione della fine della stagione, non nel giro di qualche giorno. Direi che il preavviso è più che ragionevole.”
Serafico, Gideon sorrise e guardò i figli sospirare di sollievo con leggero divertimento. Ripresosi dalla sorpresa, Silas tornò a guardare il padre aggrottando la fronte e chiedendosi che cosa l’uomo avesse in mente. Amava quel posto più di qualsiasi altra cosa, ed era difficile immaginare che suo padre volesse lasciare l’Hotel che aveva costruito con le sue mani.
“Quindi? Che cosa succederà a settembre? Venderai l’Hotel?”
“Questo Hotel è una parte di me, non ho alcuna intenzione di venderlo e di metterlo nelle mani di estranei.”
“Certo sarebbe un peccato se qui qualcuno dovesse iniziare a pagarsi le vacanze invece di vivere a scrocco.”


Mentre si rigirava distrattamente l’anello d’oro bianco che portava alla mano destra Sabrina parlò con un mormorio disinvolto e non sufficientemente a bassa voce da non farsi udire da padre e fratello, che le scoccò un’occhiata truce mentre Gideon la ammoniva bonariamente con lo sguardo.
“Non vi ho chiamati per discutere delle vostre scelte di vita, ma per informarvi sul destino dell’Hotel. Non ho intenzione di venderlo, ma di lasciarlo ai miei figli. E per stabilire chi di voi dovrà dirigerlo, ho deciso di mettervi alla prova. Insieme.”
“Vuoi farci credere che hai bisogno di metterci alla prova per decidere chi dirigerà l’Hotel? Non è palese?”
Di nuovo, Sabrina parlò senza curarsi della presenza del fratello, e di nuovo Silas le lanciò un’occhiata torva mentre la maggiore, totalmente incurante, osservava il padre con la fronte aggrottata e con sempre maggior disapprovazione.
“Dirigerete Le Mirage insieme per l’estate. Senza che la mia presenza possa interferire e condizionarvi… dovrete cavarvela da soli. Alla fine della stagione in base ai risultati ottenuti prenderò la mia decisione definitiva. Parto questo pomeriggio per Londra, ho bisogno di tornare a casa per un po’.”
C’est ta maison!(3) Non puoi parlare sul serio!”
“Potresti parlare in inglese così che io capisca, per favore?”
Sabrina ignorò la richiesta del fratello, liquidandolo con un sbrigativo gesto della mano mentre i suoi occhi scuri scrutavano, increduli e furibondi, il volto del padre. Stentava a credere che l’uomo potesse davvero farle un torto simile, e il sorriso serafico che – come sempre – balenò sul volto di Gideon contribuì a farla irritare ancora di più:
“Lavoro qui da dieci anni, non puoi essere serio. Non puoi davvero fingere di non sapere a chi affidare l’hotel tra la figlia che ci ha dedicato un decennio della sua vita e quello che viene qui tutte le estati a fare la bella vita e a non combinare un bel niente! Ho rinunciato al mio sogno per te e per il tuo Hotel.”
“Questo lo so, e sai quanto io sia fiero di te. Ma anche Silas è mio figlio e merita la sua occasione.”
“Questo enfant gatè (4) non merita la metà di ciò che la vita gli ha dato. E immagino che il fatto che tu abbia fondato l’Hotel insieme a mia madre non faccia pendere la bilancia a mio favore.”
“Tesoro, temo che tua madre abbia rinunciato alla sua quota quando al divorzio si è tenuta la casa a Nizza. Sulla carta tu e Silas avete lo stesso diritto di ereditare l’Hotel.”
 
“Come mi hai definito, scusa?”
Di nuovo, Sabrina non degnò il fratello di un’occhiata mentre Silas – appuntandosi mentalmente di chiedere a Pierre di tradurgli quello che di sicuro non era stato un complimento alla sua persona – la guardava sospettoso. Alzatasi in piedi, la maggiore scrutò il padre per un ultimo istante prima di girare sui tacchi e dirigersi verso la porta a passo di marcia.
 
Quando, un istante dopo, la porta blu sbattè alle spalle di Sabrina, Silas si rivolse al padre con un sospiro annoiato e appoggiandosi mollemente il mento sul palmo della mano:
“Credo che questa volta tu l’abbia fatta incazzare davvero, papà.”
“Ne ero consapevole. Le passerà. Tu invece cerca di non mettere a dura prova la sua pazienza… hai bisogno di lei per imparare a gestire l’Hotel, su questo non nutro il minimo dubbio. Ma so che insieme potete farcela.”
“Papà, abbiamo sempre litigato anche per dividere i LEGO. Pensi davvero che sia una buona idea?”
“Io ho SOLO buone idee, figliolo. Le vostre madri non l’hanno mai capito, ma è la pura verità.”
Gideon pareva certo che il suo piano sarebbe stato un successo mentre si alzava in piedi e appellava due enormi valige piene fino a scoppiare sotto lo sguardo sempre più attonito del figlio:
“Vuoi dirmi che hai già le valige pronte?! Da quanto hai deciso di filartela, sentiamo?”
Gli occhi di Silas si ridussero a due fessure cariche di sospetto mentre guardava il padre lisciarsi compiaciuto la sua giacca di lino blu e infilarsi due costosi occhiali da sole dalla montatura di tartaruga. Un sorriso, lo stesso che aveva fatto capitolare decine di donne nel corso degli anni, illuminò il volto di Gideon St John mentre il mago suonava il campanello per richiamare un paio di facchini:
“Saranno due, tre settimane… Devo filarmela in fretta prima che tua sorella mi rinchiuda in qualche camera dell’hotel.”
“Ma grazie papà, così sarà su di me che riverserà tutto il suo sdegno. Sei consapevole che lasciandoci soli questo hotel farà la fine di quello di Shining, vero?!”
 
Mentre usciva compiaciuto dalla sua suite, Gideon St John si domandò di cosa diavolo stesse parlando il figlio. Tuttavia, decise ben presto di non farsene un crucio – non era certo una novità che Silas parlasse di cose che lui non capiva – e, la Gazzetta del Profeta sottobraccio, attraversò il corridoio tutto contento e assolutamente certo che il suo piano si sarebbe rivelato un successo colossale.
 
 
*
 

In piedi nella Hall semi deserta e illuminata da delle ampie finestre ad arco, Sabrina St John stringeva al petto le braccia esili e avvolte dal lino della camicia bianca che indossava. La strega dava le spalle alla reception e agli ospiti che giungevano al pian terreno per andare a fare colazione o per il check out, i caldi occhi scuri fissi sulla porzione di mare cristallino visibile attraverso la finestra che aveva davanti.
 
“Mi faccia sapere quando ha intenzione di fare ritorno, Monsieur.”
“Ti terrò aggiornato, e ti prego di fare altrettanto.”


Udendo la voce del padre Sabrina volse lo sguardo sui due uomini in piedi davanti alla porta d’ingresso e in particolare su Gideon, che aveva affidato i suoi bagagli ad un facchino affinché venissero portati fuori dall’edificio su di un carrello laccato d’oro. Un taxi bianco posteggiato sulla strada su cui si affacciava l’Hotel aspettava suo padre per portarlo chissà dove, una scena a cui Sabrina, nei suoi 29 anni, aveva assistito molto di frequente.
Gli occhi fissi su suo padre, Sabrina ripensò a come, negli ultimi anni, avesse sempre considerato il Le Mirage il “loro” Hotel, di suo padre e suo. Era stato quel posto ad unirli e a legarli e l’aveva sempre visto come qualcosa solo tra loro due, ma era evidente che Gideon fosse di un altro avviso.
Guardando Pierre protendersi leggermente verso suo padre per mormorare qualcosa che non poté udire, Sabrina si ritrovò a stringere le labbra. Tornata a guardare fuori dalla finestra – mai con in quel momento la vista di suo padre le avrebbe fatto ribollire il sangue nelle vene, e fare scenate davanti agli ospiti e al personale non era sua abitudine –, gli occhi di Sabrina si posarono di nuovo sul suo amato mare. Praticamente lo stesso che, anche molti anni prima, si era ritrovata spesso ad osservare dalle finestre di casa.


 
“Perché papà va già via?”
Le piccole mani abbronzate premute contro il vetro, Sabrina osservava piena di disappunto suo padre infilare la valigia nel portabagagli del taxi che aveva appena fatto arrivare davanti al cancello di casa. Sua madre, dietro di lei, di norma l’avrebbe rimproverata e le avrebbe intimato di non toccare i vetri, ma giunta a 8 anni di età Sabrina aveva iniziato a rendersi conto di come Sandrine diventasse estremamente più permissiva ogni qualvolta in cui suo padre se ne stava andando dopo uno dei suoi brevi soggiorni a Nizza.
“Lo sai che papà non vive qui, ha una casa in Inghilterra.”
“Va da Silas e Joyce?”


Sabrina sollevò la testa e si voltò per posare i grandi occhi scuri sulla madre, in piedi dietro di lei, che annuì e le accarezzò le ciocche di capelli che le incorniciavano il viso:
“Certo. Vive con loro e non può stare qui troppo a lungo, tesoro. Silas ha bisogno del suo papà.”
Sua madre glielo aveva spiegato molto accuratamente, armandosi di pazienza: certo loro due e suo padre erano una famiglia, ma non come lo erano suo padre, Silas e Joyce. Sua madre le aveva spiegato che non tutte le famiglie vivono sotto lo stesso tetto, ma che non per questo Gideon l’amava meno rispetto a Silas.
Sabrina abbassò lo sguardo e tornò ad osservare suo padre proprio mentre Gideon si voltava verso l’ingresso dell’enorme dimora bianca che dava sul mare. Sfoggiando il suo irresistibile sorriso, suo padre la guardò con affetto e si portò l’indice e il medio uniti alle labbra, scoccando un bacio nella sua direzione. Sabrina ricambiò il gesto, ma non il sorriso, restando in silenzio finchè Gideon non sparì all’interno del taxi che lo avrebbe condotto dalla sua l’altra famiglia.
“Anche io voglio il mio papà, maman.”
 
Sandrine non faceva mai mangiare il gelato a sua figlia. Tuttavia quel pomeriggio di luglio la portò al mare, e gliene comprò tre palline con panna montata.
 

 
Gideon aveva salutato Pierre ed era uscito dall’Hotel quando si voltò verso la facciata del posto che più amava al mondo. I suoi occhi scivolarono rapidamente sulla prima finestra a sinistra dell’ingresso, oltre alla quale poté scorgere sua figlia osservarlo di rimando.
Abbozzando un sorriso, Gideon le disse in labiale che le voleva bene – aveva provato ad avvicinarla quando l’aveva vista nella Hall, ma l’occhiata raggelante che strega gli aveva lanciato lo aveva convinto a tenersi ad una distanza di sicurezza – prima di portarsi indice e medio uniti alle labbra e mandarle un bacio. Si salutavano così quando si separavano fin da quando lei era piccola e anche dopo aver versato fiumi di lacrime Sabrina aveva sempre risposto al bacio. In quella calda mattina di giugno, tuttavia, tutto ciò che Gideon St John ebbe da sua figlia fu una gelida occhiata, dopodiché la strega girò sui tacchi e si allontanò a passo deciso dalla finestra.
 
Mentre la guardava allontanarsi fino a sparire dal suo campo visivo, Gideon ripensò a ciò che la sua prima moglie gli aveva ripetuto per anni, ovvero che sua figlia gli aveva sempre perdonato ogni cosa, ma che un giorno avrebbe smesso di farlo.
Era dura ammetterlo, ma sembrava che in qualche modo Sandrine dovesse vederci sempre giusto. Poteva solo immaginare lo stormo di gufi che gli avrebbe dato la caccia una volta che Sabrina avesse messo la madre al corrente della situazione.
“Dove la porto, Monsieur?”
Salito sul retro del taxi, Gideon si allacciò la cintura e si sistemò gli occhiali da sole esalando un tiepido sospiro: non vedeva l’ora di spaparanzarsi in qualche spiaggia tropicale.
“Alla stazione. Posso gestire l’indignazione di solo una delle donne della mia vita per volta.”
 
 
 *
 

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“Pierre, è una tragedia. Avevo programmato un sacco di cose per quest’estate, e ora per colpa delle idee strampalate di papà non ne potrò fare neanche mezza!”
Accasciatosi su uno dei divani scamosciati color cammello del bar, Silas parlò con un sospiro e mettendosi una mano sulla fronte con fare melodrammatico. Pierre Blanc, in piedi accanto a lui, parlò senza battere ciglio mentre dava da bere ad un bonsai: al fare da regina del dramma di Silas St John si era ormai abituato.
“Una tragedia assoluta, Signore.”
“Dico sul serio! E tu devi aiutarmi Pierre. Sarò perso senza di te.”
 
Su questo Pierre non nutriva alcun dubbio, ma l’uomo si astenne dal farlo sapere al ragazzo mentre si voltava verso di lui. Lavorava per Gideon St John da quindici anni, e aveva conosciuto suo figlio quando era solo un ragazzino in procinto per partire per quella stramba scuola inglese, Hogwarts.
Non poteva fare a meno di volergli bene, ma si ritrovava sempre a concordare silentemente con Sabrina quando la strega lo definiva un “mantenuto incompetente”.
“Signore, sarò felice di esserle utile, come sempre, ma credo che suo padre voglia fare in modo che riesca a cavarsela. E magari collaborare con sua sorella.”
“Collaborare? Pierre, sai benissimo che Sabs farò di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote e non mi aiuterà in alcun modo… Porco Godric se è permalosa. Posso contare solo su di te, quindi vedi di non metterti dalla parte di Miss Perfezione.”
“Io non intendo schierarmi dalla parte di nessuno, Signore.”
L’uomo di mezza età parlò con tono neutro e si rassettò la giacca con il cartellino dorato appuntato al petto mentre Silas, seduto sul divano, lo guardava di sottecchi di rimando:
E se ti offro la cena tre giorni a settimana per tenermi aggiornato su quello che combina Sabrina?”
“Non mi faccio corrompere, Signore. Suo padre mi ha incaricato di riferirgli quanto accade all’Hotel, non di contribuire a creare una faida tra lei e sua sorella.”
E se ti regalo un set di cravatte di seta?”
“No.”

E se ti astengo dall’obbligo di dare da bere alle piante? So quanto lo detesti, Pierre.”
Questa volta Pierre tentennò e Silas, accorgendosene, distese le labbra in un sorriso vittorioso. Stava per esultare per essere riuscito a portarsi il braccio destro di suo padre dalla sua parte quando Pierre, ripresosi dall’attimo di riflessione, si sporse verso di lui per allungargli l’elegante annaffiatoio:
“L’aiuterò con il francese, nulla di più. All’acero giapponese serve acqua.”
Silas non ebbe il tempo di ricordargli che non era un giardiniere e che non aveva mai detto che l’avrebbe fatto lui al suo posto, ma Pierre si dileguò prima di dargli il tempo di aprire bocca.
Sbuffando come una ciminiera, al giovane non restò che alzarsi e ciabattare nervosamente fino a quella dannata pianta da vaso giapponese che suo padre tanto amava. Disgraziatamente, sua sorella scelse quell’esatto momento per mettere piede nel bar, e i suoi occhi indugiarono sul fratellastro proprio mentre Silas si adoperava per annaffiare l’acero.
“Oh, finalmente ti vedo fare qualcosa che ti si addice, enfant gâté.
Il sorriso soddisfatto di Sabrina gli causò un mezzo tic nervoso all’occhio destro, e mentre la sorella si dirigeva con il suo incidere sicuro ed elegante verso il bancone del bar Silas si appuntò a denti stretti di chiedere a Pierre, per prima cosa, di tradurgli gli insulti di Sabrina.
Monte Carlo era un luogo meraviglioso, ma alla spocchia dei francesi Silas non si sarebbe mai abituato.

 

 
 
 




(1): “Come va stamattina?”
(2): “Stai scherzando”
(3): “Questa è casa tua”
(4): “Bambino viziato”
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buongiorno!
Come sempre io non dovrei essere qui, ma la voglia di dar vita a qualcosa di nuovo iniziava ad essere incontenibile e avevo questo “progetto estivo” in mente da troppo tempo.
Come sempre, qualche regoletta:
 
  • Le iscrizioni sono aperte fino al 26/09, avete tempo fino alle 19 per mandarmi le schede. Essere avvisata in caso le schede non dovessero arrivare sarebbe cosa assai gradita. Avete tantissimo tempo quindi non penso che delle proroghe siano necessarie, ma in caso potete chiedermelo con un po’ di anticipo.
  • Potete partecipare con uno o due OC, che possono essere parenti, amici, colleghi, una coppia ecc. Possono anche essere dello stesso sesso, ma vi prego di controllare le richieste giunte prima della vostra e di regolarvi di conseguenza, così da non ritrovarmi con un netto surplus di donne o di uomini.
  • L’età degli OC deve essere compresa tra i 25 e i 40 anni
  • Non accetto lupi mannari, mezze Veela ecc; accetto Animagus, ma possibilmente non più di uno.
 
Qualche piccola nota sulla storia:
  • La storia è ambientata in un Hotel, quindi potete scegliere la nazionalità e l’ex scuola che preferite per i vostri OC.
  • Si tratta di un Hotel estremamente lussuoso, quindi gli ospiti devono avere un certo reddito o al massimo trovarsi in viaggio per lavoro per qualche motivo (ad esempio potete mandarmi persone che viaggiano insieme al datore di lavoro, come assistenti e cose del genere).
  • Non accetto dipendenti dell’Hotel di alcun tipo, ma solo e soltanto ospiti.
  • Ho bisogno che ci sia qualche OC che conosce personalmente Silas o Sabrina, che sia un ex compagno di scuola/amico/ex fidanzato o altro potete deciderlo voi, se siete interessati vi prego di farmelo sapere così che possa mandarvi qualche informazione in più su di loro.
 
La scheda:
 
Nome:
Soprannome:
Età:
Nazionalità:
Stato di sangue:
Ex Casa: (per Hogwarts e Ilvermorny, in caso mettere la scuola)
Pv:
Segni particolari: (mi riferisco a caratteristiche fisiche come cicatrici o tatuaggi, ma anche allergie, modi particolari di camminare, parlare, ridere, tic di sorta ecc)
Aspetto:
Personalità:
Background del personaggio:
Famiglia e rapporto con essa:
Descrivere brevemente il percorso scolastico:
Lavoro:
Hobby/talenti:
Fobie/debolezze:
Orientamento sessuale:
Situazione sentimentale e partner ideale:
Amicizie:
Animale: (son benvoluti tutti gli animali e le creature che desiderate, possibilmente non di dimensioni superiori ad un Alano, altrimenti Sabrina vi sgrida):
Altro:



Infine, i miei OC:
 
Sabrina Marie St John
29 anni, anglo-francese, ex studentessa di Beauxbatons, Direttrice del Le Mirage, Mezzosangue, Eterosessuale

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Silas Douglas St John
26 anni, inglese, ex Grifondoro, mantenuto e nullafacente di professione, Mezzosangue, Eterosessuale
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Gideon Anthony St John
62 anni, inglese, ex Corvonero, proprietario del Le Mirage, Mezzosangue

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Se ci sono domande sapete dove trovarmi.
A presto!
Signorina Granger

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Selezione OC ***


Selezione OC
 
 
Avenue de la Madone, Monte Carlo, 7.30 am
 
 


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Erano appena scoccate le 7:30 del mattino quando, rigorosamente puntuale come un orologio svizzero, Pierre Bertrand varcò l’ingresso della sala che ospitava la piscina coperta dell’Hotel dove prestava servizio da quasi vent’anni. Un asciugamano candido ripiegato sul braccio destro, l’uomo avanzò verso il bordo della cristallina piscina rettangolare osservando la superficie perfettamente liscia dell’acqua clorata.
La sala era deserta, ma la cosa non lo stupì affatto: la piscina coperta apriva ufficialmente alle 10, e solo una persona, a parte lui, ci metteva piede di prima mattina.
“Mademoiselle? Sono le 7.30. Ci sono molti arrivi previsti per oggi, immagino che voglia fare colazione presto.”
Come sempre, Pierre non dovette aspettare a lungo per ottenere una risposta: una manciata di istanti dopo una testa emerse dall’acqua creando una lunga serie di cerchi concentrici attorno a lei. Abbozzando un sorriso, Pierre guardò Sabrina St John passarsi le mani sui capelli scuri bagnati per tirarli indietro sulla testa prima di voltarsi di lui e ricambiare il sorriso:
Bonjour Pierre. Arrivo subito, merci.
“Questo glielo lascio qui, allora. Me lo dica se le serve qualcosa, sono sempre qui per aiutarla.”
“Lo so Pierre, fai anche troppo. Sai che non è necessario portarmi sempre un asciugamano, vero?”
Impassibile, Pierre si rassettò la giacca nera che indossava limitandosi ad asserire che averne due era meglio che raffreddarsi mentre Sabrina nuotava con maestria a rana versi la scaletta di metallo. Sorridendo, la strega fece leva sulle sottili e lunghi braccia abbronzate per issarsi su di essa e uscire dalla piscina, avvicinandosi infine alla sdraio bianca dove Pierre aveva deposto l’asciugamano pulito.
“Mio fratello ancora dorme, suppongo.”
“Suppongo di sì, Mademoiselle. Vuole che lo svegli?”
Un sommesso, appena percettibile sbuffo si librò dalle labbra carnose della strega mentre si avvolgeva l’asciugamano attorno al corpo, fasciato solo da un costume intero color cremisi.
“No, non è necessario. Anzi, più dorme e meno problemi può crearmi, quindi tanto meglio così. Vado a darmi una sistemata, puoi chiedere a Claude di farmi trovare il solito pronto tra venti minuti?”
Oui Mademoiselle.”
Ringraziandolo con un sorriso benevolo, Sabrina utilizzò il secondo asciugamano per tamponarsi leggermente i corti capelli scuri. Infine, raccolti i primi abiti ripiegati con cura sul bordo della sdraio, si diresse verso gli spogliatoi sotto lo sguardo di Pierre. La strega era appena sparita dietro il vano ad arco che si apriva nella parete quando l’uomo indugiò brevemente con lo sguardo sulla piscina. L’acqua era tornata di nuovo perfettamente liscia, ma entro poche ore quella sala sarebbe stata gremita di ospiti e di membri dello staff.
Capiva perché Sabrina preferisse recarsi laggiù di mattina preso, quando ancora non c’era nessuno. A volte si domandava a che cosa pensasse quando, dopo aver fatto delle vasche, sedeva sul fondo della piscina trattenendo il respiro, ma di certo non avrebbe mai avuto la sfacciataggine di chiederglielo e di risultare inopportuno.
Ridestatosi rapidamente l’uomo girò sui tacchi e si diresse verso l’ingresso della piscina, deciso a soddisfare, come sempre, la richiesta di Sabrina.

 
*

 
Hall dell’Hotel, 9 am
 
 
“Michel, aggiornami.”
Dopo essersi lavata e vestita e aver fatto colazione nella terrazza del ristorante, Sabrina mise piede nella Hall abbottonandosi la giacca del completo di lino color borgogna che indossava sopra ad una camicia di raso nero.  Direttasi al bancone della reception, la strega si avvicinò al concierge per osservare insieme a lui lo schermo del iMac grigio.
“Per oggi sono previsti 10 check-in e 5 check-out.”
Bien. Se non sbaglio i check-in sono quasi tutti previsti, indicativamente, per le 14. Posso occuparmene io, quando dopo pranzo arriverà tu aiuta Gerard a destreggiarsi col computer e insegnagli la procedura per i nostri ospiti speciali.”
“Il ragazzo nuovo? Non può pensarci Odette?”
“Sei tu il migliore. Vado a controllare come procede la pulizia delle camere per gli ospiti in arrivo.”
Dopo aver dato una leggerissima pacca incoraggiante sulla spalla del concierge, che sbuffò piano ma non osò contraddirla, in parte compiaciuto dal complimento, Sabrina si allontanò a passo deciso verso uno dei tre ascensori, accanto ai quali sfilavano alcuni carrelli per bagagli d’orati.
E, soprattutto, a far sloggiare un certo impiastro da una delle suite migliori del suo Hotel.

 
*
 

Sabrina aveva già fatto il giro del primo e del secondo piano, assicurandosi che le pulizie nelle camere e nelle suite destinate agli ospiti in arrivo fossero iniziate, ed erano ormai le 9:30 quando si diresse verso la Suite Èmeraude(1) , i sandali col tacco neri a scandire i suoi passi sul pavimento di marmo.
Fermatasi di fronte ad una porta bianca a doppia anta, la strega bussò educatamente e attese qualche istante stringendo le mani dietro la schiena. Non ricevendo alcuna risposta Sabrina tentò di nuovo, ma dopo un altro minuto abbondante roteò gli occhi scuri al cielo ed estrasse dalla tasca interna della giacca il suo passe-partout.(2)
Appoggiata la tessera nera sulla serratura magnetica della porta, Sabrina attese il consueto scatto metallico prima di aprire l’anta di destra e mettere piede nella Suite senza battere ciglio:
“Buongiorno fratellino. Pensi di aver dormito abbastanza?”
Camminando sul parquet a spiga, Sabrina ripose la chiave magnetica mentre faceva il giro dell’ampio letto matrimoniale bianco, fermandosi di fronte ad esso per poter guardare in faccia l’usurpatore della Suite.
Silas, che evidentemente era appena stato bruscamente sottratto dall’abbraccio di Morfeo, si era messo a sedere di scatto sul materasso e ora teneva, furioso, gli occhi fissi sulla figura della sorellastra:
“Che cazzo significa? Potevo anche avere compagnia!”
“Per fortuna non sono una che si imbarazza. E se disposta a fare sesso con te, nemmeno la tua compagna di letto dovrebbe avere questi problemi.”
Un amabile sorriso increspò malignamente le labbra carnose della strega mentre il fratello, a petto nudo, si passava una mano tra i folti ricci scuri senza smettere di guardarla in cagnesco:
“Quella stupida chiave universale non ti dà il diritto di piombare nelle camere altrui, Sabs.”
“Certo che no, pensi forse che io faccia cose simili? No, sono solo venuta a buttare il mio fratellino giù dal letto e a consigliargli caldamente di fare qualcosa di utile. Hai scordato la nuova trovata di papà, forse? Penso sia ora di metterti a fare qualcosa per questo Hotel, finalmente.”
“Non mi servi tu per ricordarlo. E sono solo le 9:30, è quasi presto!”
Di fronte all’obiezione del fratello, che indicò offeso la sveglia digitale sistemata su uno dei due comodini bianchi dalle rifiniture d’oro che circondavano il letto, Sabrina non poté far altro che alzare gli occhi al cielo. Sedutasi sul bordo del materasso, coperto da un soffice piumino candido, la strega lo guardò armandosi di pazienza:
“Silas, voglio essere molto chiara. Io non ho intenzione di farmi fregare la direzione dell’Hotel da te. Ho lavorato e rinunciato a molte cose per essere qui, e non mi farò surclassare dal mio fratellino scansafatiche. Se l’Hotel passerà del tutto nelle mie mani, sappi che i tuoi giorni di vacanze gratis saranno finiti e che se vorrai soggiornare qui dovrai pagare o quantomeno renderti utile in qualche modo.”
“Vedremo.”
Oui, vedremo. Sono anche venuta a dirti di fare le valige, ti sposto nella camera 218.”
“Che cosa? Io alloggio sempre qui, non puoi cacciarmi!”
Questa volta gli occhi di Silas, quella mattina tendenti al giallo, quasi finirono fuori dalle orbite del mago: inorridito, il ragazzo guardò la sorella stentando a credere che quell’incubo potesse essere reale, ma Sabrina si limitò a sorridere pacatamente:
“Questa è una delle nostre Suite migliori, il fatto che tu e le tue amichette di turno la occupiate per tutta la stagione ci fa perdere molto denaro ogni estate. Papà finge di non vedere, ma io no. Rilassati, la 218 è una suite stupenda, dovrai solo ridimensionarti un po’.”
“Non sarà mai bella quanto questa!”
“Ti risulta forse che io alloggi nella, che so, Suite Ocean? No. Queste sono destinate agli ospiti. Ti lascio la chiave qui, vedi di lasciare questa libera per mezzogiorno, ho intenzione di assegnarla ad una coppia di ospiti e prima devo far bruciare le lenzuola.”
Alzatasi con un movimento fluido ed elegante, Sabrina lasciò una chiave magnetica bianca sul comodino del fratello prima di dirigersi verso la porta della stanza, uscendo dalla suite senza aggiungere altro.
Rimasto solo, Silas lanciò un’occhiata truce alla chiave magnetica prima di afferrare rabbiosamente uno dei cuscini decorativi color salvia che affollavano il letto per scagliarlo dall’altra parte della stanza, ai piedi della finestra coperta dalle tende bianche.
Per un istante il ragazzo pensò di andare da suo padre a protestare, ma poi si ricordò che Gideon se n’era andato. Ed era chiaro che non volesse essere messo in mezzo nelle loro diatribe.
Il Grande Capo – come era solito chiamare suo padre – se n’era andato da meno di un giorno e sua sorella lo aveva già sfrattato dalla sua amata, lussuosissima e confortevole Suite. Non voleva nemmeno provare ad immaginare che cosa avrebbe fatto Sabrina di lì ad una settimana.

 
*

 
Dopo aver pranzato ignorando deliberatamente le occhiate risentite che Silas le scoccava dall’altro lato della sala e godendosi invece la sua Bouillabaisse(3) , Sabrina aveva lasciato la sala ristorante per tornare nella Hall e, come promesso, aiutare Michel nella gestione dei check-in ormai imminenti.
Il concierge si era armato di tutta la sua scarsa pazienza per insegnare a Gerard, l’ultimo ragazzo assunto, la procedura corretta per effettuare il check-in e le informazioni da dare agli ospiti. Raggiunto l’ambio bancone della reception, la strega sorrise ai due chiedendo loro come procedessero le cose, riservando a Michel una leggera stretta di gratitudine sul braccio quando lo superò per raggiungere il secondo iMac.
Si era occupata di due check-out – salutando con sollievo una coppia che aveva portato con sé l’odiosamente viziato figlio di cinque anni, che non aveva fatto che urlare e disseminare caos in tutti gli ambienti comuni da quando aveva messo piede all’Hotel – quando iniziò a notare qualcosa di strano in tutti i dipendenti che la circondavano.
Non solo erano tutti tirati a lucido con le divise impeccabili e i capelli perfettamente pettinati, ma sembrava anche che attorno a lei aleggiasse un’impazienza impossibile da non percepire. Accigliata, la donna lanciò un’occhiata di sbieco a Michel, e stava per chiedergli spiegazioni quando lo vide raddrizzarsi il cartellino col nome appuntato sul petto e il nodo della cravatta prima di iniziare a pulirsi gli occhiali.
Stava per chiedergli sarcasticamente se gli servisse uno specchio, quando l’invisibile impazienza che aleggiava nella Hall si intensificò: voltandosi verso l’ampia porta a vetri, Sabrina vide un taxi bianco accostare davanti all’ingresso. Persino Benoit, il portiere, si stava sistemando la divisa.
Mentre i facchini bisbigliavano concitati sistemandosi i capelli, Sabrina capì cosa stesse accadendo. O meglio, chi stava per mettere piede all’Hotel.
La conferma le arrivò quando Pierre uscì da un ascensore e, dopo averle sorriso, si diresse a passo svelto verso l’ingresso: l’uomo appariva impeccabile, ma non era una novità. Fu la fretta con cui uscì dall’Hotel, mentre il taxista scaricava una pila di bagagli dall’auto, che le diede la conferma definitiva.
“Oh, ma certo. È arrivata.”
Sorridendo divertita e decisa a non perdersi lo spettacolo, Sabrina guardò il taxista aprire la portiera e un piede avvolto in un sandalo bianco scivolare dalla vettura.
Fu come se qualcuno avesse dato il via ad una gara di velocità: i tre facchini quasi si fiondarono verso la porta, trattandosi dal spintonarsi a vicenda solo per la presenza del loro superiore.
“Ah, certe cose non cambiano mai. Vero Michel?”
“Chi è arrivato?”
Confuso, Gerard spostò lo sguardo da Michel a Sabrina mentre la donna, appoggiandosi al bancone, sorrideva divertita:
“Osserva attentamente Gerard, perché se resterai a lavorare qui questa scena un giorno ti risulterà familiare. A breve capirai perché tutti erano così irrequieti.”
 
 
Un sorriso si allargò sulle labbra di Pierre Gerard quando una delle ospiti abituali dell’Hotel che più preferiva uscì dall’auto in un fruscio di seta. Uno svolazzante abito bianco lungo fino a metà polpaccio, stretto in vita e dalle vaporose maniche a sbuffo di tulle, fasciava una donna dalla pelle olivastra e dalle onde lucenti di capelli scuri a lambirle la schiena e le spalle. 
“Bonjour Mademoiselle Kumar. Spero che abbia fatto buon viaggio.”
Pierre si mosse verso la donna, che distese le labbra in un sorriso mostrando due file di perfetti denti candidi mentre l’uomo le prendeva la mano sinistra per baciarne il dorso.
“Bonjour Pierre. È bello vederti. Ti trovo bene come sempre!”
Quando l’uomo lasciò la sua mano la strega si sfilò gli occhiali dalla montatura bianca dal viso, permettendo ai facchini imbambolati di osservare due grandi occhi azzurri sormontati da lunghe ciglia.
“Troppo gentile.”
“Nient’affatto. Il viaggio è andato bene, ma sono felice di essere qui. Tenga il resto.”
La strega allungò una banconota da 50 euro al taxista, che la fissò con gli occhi fuori dalle orbite prima di sorridere, ringraziare la sua bella passeggera e infine rimontare nell’auto. Sistematasi la Birkin beige sul gomito e il foulard color avorio elegantemente annodato sul manico, Anjali lanciò un’occhiata al suo set di valige Louis Vuitton lasciate accanto a lei sul marciapiede:
“Pensi che qualcuno potrebbe pensare ai miei bagagli, Pierre?”
La strega ebbe a malapena il tempo di formulare la domanda, perché i tre ragazzi si affrettarono a raggiungerla assicurandole che ci avrebbero pensato loro. Sorridendo loro amabilmente, Anjali strinse il braccio che Pierre le stava offrendo prima di seguirlo sui gradini che con dicevano all’ingresso:
“Grazie ragazzi, siete sempre troppo gentili con me. Spero non pesino troppo.”
“Mademoiselle Kumar, le assicuro che non sono così premurosi con tutti.”
“Oh, ma lo sospetto da sempre, è una cosa che mi capita spesso. Bonjour Benoit!”
Anjali rivolse un sorriso caloroso al portiere, che ricambiò e si sfiorò il cappello con la mano mentre apriva la porta per lei e per Pierre, seguiti dalla sfilza di valige della donna.
 
Sorridendo, Sabrina fece il giro del bancone della reception per accogliere la sua ospite prediletta, che aveva appena messo piede nella Hall quando i suoi grandi occhi chiari scivolarono sulla Direttrice dell’Hotel.
“Sabs!”
Sorridendo, l’ospite fece scivolare il braccio da quello di Pierre per attraversare la Hall quasi di corsa e raggiungere l’amica. Le due si abbracciarono brevemente prima di scambiarsi il consueto doppio bacio sulle guance prima che Sabrina, prese le mani dell’amica, le sorridesse:
“Ciao Anji. Perché non mi hai detto che arrivavi oggi? Non avevo nemmeno visto il tuo nome sulle prenotazioni.”
“Oh, è stata una cosa un po’ dell’ultimo minuto, e volevo farti un sorpresa. Tuo padre come sta, non vedo l’ora di salutare Gideon.”
“Mio padre se n’è andato. è una storia ridicola, stasera ti offro da bere e ti spiego con calma.”
Anjali non avrebbe mai rifiuto un drink gratis, e nemmeno qualche succoso pettegolezzo, così accettò ben volentieri l’invito prima di rivolgere un sorriso cordiale a Michel e ad un Gerard che la fissava quasi imbambolato.
“Bonjour Mademoiselle Kumar. L’ho sistemata come sempre nella Suite Ocean.”
Michel assestò un pizzicotto sul braccio di Gerard, che parve ridestarsi e darsi un tono mentre i grandi occhi azzurri di Anjali scivolavano su di lui:
“Meraviglioso, grazie Michel, sei in assoluto il mio concierge preferito. Bonjour. Nuovo arrivato?”
Il ragazzo, momentaneamente incapace di parlare, annuì mentre l’ospite allungava i documenti presi dalla Birkin a Michel per essere registrata voltandosi verso Sabrina:
“Sembra così gentile, non trattarlo male.”
“Non è a me che devi dirlo, ma a Michel. Quanto ti fermi?” 
In piedi accanto all’amica di vecchia data, Sabrina sorrise mentre accennava a Michel, che le scoccò un’occhiata torva ma non osò ribattere mentre Anjali si sistemava distrattamente i capelli castani sulle spalle:
“Un mese e mezzo, credo. Di solito vengo a luglio, ma a Mumbai mi stavo davvero annoiando e ho deciso di fare un salto nel mio Hotel preferito e dalla mia Direttrice di fiducia.”
“Firmi qui, s’il vous plaît. »
Michel appoggiò sul bancone un foglio e una penna, che Anjali prese per firmare sul fondo del documento senza nemmeno premurarsi si leggerlo: era stata ospite dell’Hotel un numero più che sufficiente di volte per sapere benissimo che cosa ci si aspettava da lei.
“Bene Mademoiselle Kumar… come sempre, le do il benvenuto al Le Mirage.”
Sorridendo – Sabrina poteva contare sulle dita di una mano gli ospiti a cui il suo collega sorrideva così spontaneamente – Michel allungò la carta magnetica all’ospite, che sorrise di rimando con gli occhi chiari scintillanti:
“È sempre bello essere qui. Vi lascio lavorare e vado a sistemarmi, allora. Ci vediamo dopo, Sabs?”
“Certamente.”
Sabrina annuì, tornando dietro al bancone quando da un ascensore uscì un ospite carico di valige e pronto a fare il check-out. Anjali si voltò verso i propri bagagli, sorridendo quando vide il carrello e il facchino che l’aveva avuta vinta sugli altri due ad aspettarla:
“Oh, che velocità! Merci.”
Mentre il ragazzo caricava il carrello nell’ascensore Anjali lo raggiunse, ignorando l’occhiata che l’ospite che se ne stava andando le rivolse e allungando una banconota da 20 euro al facchino una volta nell’abitacolo di metallo.
Di lei avrebbero potuto dire molte cose, ma non che non fosse un’ospite alquanto generosa.
 
“Bene, ora che Anjali non c’è potete tornare a comportarvi come persone normali, per cortesia? Neanche aveste visto una Veela…”
“Io sono sicuro che la tua amica abbia sangue Veela, lo sai.”
“No Michel, non ce l’ha, fa questo effetto spontaneamente, ma ora svegliatevi.”
Sospirando, Sabrina schioccò le dita di fronte al viso di Gerard, che si scusò a profusione mentre Michel ridacchiava e la Direttrice, sospirando, scuoteva la testa rassegnata.

 
*

 
Trovare l’Hotel, uno dei più famosi di Monte Carlo, non era stato difficile: era sicura che una corsa di taxi in quella città le sarebbe costato un patrimonio, e scesa del treno aveva di gran lunga preferito muoversi a piedi. Fortunatamente Avenue de la Madone distava solo 10 minuti dalla stazione di Monaco, e in fin dei conti guardarsi intorno e ammirare luoghi mai visti prima non le era dispiaciuto affatto.
Ferma ai piedi dei gradini con la valigia accanto e la tracolla della borsa da viaggio in spalla, Medea osservava dubbiosa la facciata dell’Hotel e il suo portiere in divisa. All’improvviso si pentì di non essersi vestita con più cura, ma scacciò rapidamente quei pensieri mentre si sfiorava distrattamente la macchina fotografica che portava appesa al collo.
“Che razza di posto…”
Sentendosi fuori posto come di rado le era capitato, Medea sospirò e si decise a prendere il manico del trolley nero e a sollevarlo. Vedendola in leggera difficoltà visto il peso della valigia, il portiere si affacciò nell’ingresso dicendo qualcosa in francese, e un attimo dopo un ragazzo in divisa verse e oro la raggiunse di corsa per prenderle gentilmente la valigia dalle mani.
“Oh, grazie.”
Leggermente imbarazzata – mostrarsi in difficoltà e chiedere aiuto non era sua consuetudine – Medea sorrise al ragazzo e ringraziò anche il portiere una volta raggiunto l’ingresso, guardando l’uomo ricambiare prima di aprirle la porta.
Varcata la soglia, Medea non riuscì a trattenere un sorriso: era esattamente come se l’era immaginato. Bellissimo, grande, elegante, e che emanava aria di soldi da tutte le parti.
Ripreso possesso della valigia assicurando al facchino che superate le scale poteva farcela da sola, la strega si diresse rapidamente verso la reception. Tra le due persone dietro al bancone, Medea si diresse verso una donna che doveva avere più o meno la sua stessa età, impegnata a parlare in francese al telefono.
Fermatesi di fronte a lei, Medea attese che la telefonata finisse e ne approfittò per guardarsi attorno. Due divani vintage color cammello dall’aria molto comoda attendevano solo di essere testati, occupati da un ragazzo di bell’aspetto dai ricci capelli scuri che però sembrava di pessimo umore. Sulla parete dipinta di blu a destra della reception sfilavano i carrelli portabagagli dorati, tre ascensori e una porta a doppia anta chiusa. Alla sua sinistra, invece, accanto ad una grande copia degli Iris di Van Gogh un grande arco permetteva l’ingresso a quello che aveva tutta l’aria di essere il bar.
Quando la receptionist pose fine alla telefonata Medea fece nuovamente scivolare lo sguardo su di lei, accennando un sorriso mentre stringeva la tracolla della sua borsa:
“Salve.”
“Salve. Desidera effettuare il check-in?”
“Sì, grazie. Medea Winters.”
Medea frugò nella borsa alla ricerca del passaporto, consegnandolo a Sabrina per essere registrata mentre l’altra osservava fugacemente la macchina fotografica professionale che la nuova ospite portava appesa al collo.
“Bella macchina.”
“Grazie.”
Un sorriso si fece largo sulle labbra carnose di Medea, che sfiorò con affetto la sua Nikon D850 mentre Sabrina la registrava.
“La sua camera è la 120, al primo piano, prenda il primo o il secondo ascensore per arrivarci. Prima di lasciarla andare devo farle firmare questo.”
Sabrina appoggiò sul bancone il passaporto e la carta magnetica della camera di Medea, che prese entrambi aggrottando le sopracciglia scure: stava per chiedere a cosa servisse il terzo ascensore se non per arrivare alle camere ma Sabrina la precedette tirando fuori una penna e un foglio.
“Che cos’è?”
 

 
*

 
Sono le condizioni per i nostri ospiti speciali. Immagino capisca a cosa mi sto riferendo.”
Curioso, Sloan guardò il foglio che la strega dai corti capelli scuri gli aveva messo di fronte – dubitava fosse una receptionist vista l’assenza di divisa o di cartellino col nome, ma da come tutti scattavano ad ogni sua parole doveva essere qualcuno di più importante – leggendone le prime righe con la fronte aggrottata.
Ah, capisco. Certo, nessun problema. Posso firmare solo io o deve farlo anche mia moglie?”
Sloan prese la penna che Sabrina aveva appoggiato sul bancone accennando a sua moglie Mia, che lo aspettava seduta su uno dei due divani impegnata a guardarsi attorno ammirata.
Temo di sì, deve firmare ogni ospite mago o strega maggiorenne.”
“D’accordo. Mia? Puoi venire, per favore?”
L’uomo si voltò e si rivolse gentilmente alla moglie, quasi rammaricato di doverla scomodare. La strega però sfoderò il suo consueto sorriso e annuì, alzandosi intimandogli con un cenno di restare dov’era e che non aveva bisogno del suo aiuto.
“Rilassati, posso ancora alzarmi da sola senza problemi. Devo fare qualcosa?”
La strega dai lunghi capelli neri si avvicinò al bancone rivolgendo un sorriso educato a Sabrina, che invece indugiò con lo sguardo sull’evidente pancione della donna. Si trattò però di solo un paio di secondi, dopodiché la francese annuì e tirò fuori un secondo foglio senza battere ciglio:
“Signora Henbane, sia lei che suo marito dovete firmare le condizioni dell’Hotel per gli ospiti maghi. Potete usare la magia solo in alcuni ambienti comuni riservati, oltre che nella vostra camere. Avete creature con voi?”
“No.”
“Bene. Vi prego di fare attenzione, siamo molto severi sull’uso della Magia, in caso contrario rischiamo quai con il Ministero. Firmando vi assumete la responsabilità delle vostre azioni e accettate di pagare una multa.”
Vorrà dire che faremo attenzione.”
Parlando un francese perfetto, Sloan sorrise e firmò prima di voltarsi verso la moglie e chiederle se avesse bisogno che le traducesse il testo, ma Mia scosse il capo e finì di leggere prima di firmare a sua volta:
“Non serve tesoro, il mio è in inglese.”
Confuso, Sloan guardò Sabrina, che sorrise gentilmente e parlò in inglese per essere compresa da entrambi con l’aria di chi aveva ripetuto quelle stesse parole centinaia di volte:
“Le condizioni sono scritte in francese, ma riconoscono la lingua parlata da chi lo legge e cambiano idioma autonomamente. Vi chiamo qualcuno per i bagagli.”
Sabrina volse lo sguardo sulla Hall per cercare un facchino libero, ignorando Sloan quando le assicurò di poter benissimo pensarci da solo.
“Non sia ridicolo, sua moglie non è certo nelle condizioni di portare valige e le risparmio l’onere di portare tutto da solo. Benjamin, porta le valige dei signori… alla Suite Èmeraude. Vi lascio due copie delle chiavi.”
“Grazie.”
Mia le sorrise calorosamente, e Sabrina accennò un sorriso in risposta mentre le consegnava due chiavi magnetiche. I due coniugi seguirono il facchino verso l’ascensore, e Sabrina li seguì con lo sguardo prima che la voce divertita di Michel le solleticasse l’udito:
“Li hai spostati lì perché lei è incinta, vero? Che tenerona…”
Michel, la ferme.”(4)

 
*

 
“Salve, sono Amaryllis Lewis.”
Sabrina alzò lo sguardo dallo schermo del computer per posare i grandi occhi scuri sulla sorridente ospite che aveva davanti. Riconobbe immediatamente l’accento australiano – dopo 10 anni trascorsi in un Hotel, era in grado di riconoscere qualsiasi accento esistente – e, certa che fosse una strega, constatò che doveva avere più o meno la sua stessa età.
“Desidera effettuare il check-in?”
“Sì, anche se in realtà sono qui per lavoro.”
Amaryllis parlò senza smettere di sorridere, gli occhi luccicanti dall’emozione per il suo nuovo incarico, mentre Sabrina perse momentaneamente la sua espressione composta, lasciando spazio ad una leggera confusione che, tuttavia, durò solo qualche istante:
“Lewis… Oh, ma certo. lei è l’artista.” La francese annuì sbrigativamente, maledicendo la partenza del padre per averle fatto scordare dell’arrivo della pittrice da lui ingaggiata – farsi trovare impreparata stava al primo posto delle cose che Sabrina detestava – mentre l’australiana annuiva raggiante:
“Esatto, devo realizzare un quadro per il proprietario, Gideon St John. Forse dovrei parlare con lui, se ha tempo.”
Sabrina allungò una mano sopra al bancone per stringere quella di Amaryllis, che non si tirò indietro e si ritrovò succube della stretta decisa della Direttrice:
“Sabrina St John, Gideon è mio padre. Temo che al momento non si trovi all’Hotel, ma per qualsiasi cosa può rivolgersi a me… e conoscendo mio padre, sono sicura che le abbia dato istruzioni molto dettagliate. Mi dà i documenti, per cortesia?”
“Oh, certo.”
Amaryllis obbedì, mostrando il Passaporto australiano perché Sabrina potesse registrarla. Mentre la francese armeggiava col computer, la pittrice la guardò carica di curiosità: aveva visto Gideon St John spesso, in foto, e poteva affermare con certezza che la donna che aveva di fronte non gli somigliava affatto. Le dispiaceva solo che il proprietario non ci fosse, le sarebbe piaciuto poterlo finalmente conoscere di persona.
“Signorina Lewis, come forse mio padre le ha accennato in questo Hotel ci sono alcuni ambienti comuni riservati solo esclusivamente ai maghi… potrà usare la magia solo lì e in camera sua, altrimenti dovrà pagare una multa. Se posso permettermi, è molto salata, quindi fossi in lei farei attenzione.”
“D’accordo, ci proverò.”
“I primi due ascensori portano alle camere. La porta alla sua destra porta ad un salotto con bar dedicato solo agli ospiti come noi. A sinistra c’è il bar normale, a seguire il ristorante. Le porte alle mie spalle portano, rispettivamente, alla piscina coperta e alla spa a destra, al bagno arabo – anche quello solo per i maghi – a sinistra. Superata l’anticamera che segue l’entrata della piscina c’è l’ingresso sul retro che porta alla piscina esterna, usufruisca di tutto come le più compiace. Tutto chiaro?”
“Chiarissimo. Devo firmare qui?”
“Firmando accetta le condizioni a cui le accennavo prima. Viaggia con qualche creatura? Se sì devo chiederle di tenerla in camera sua il più possibile o di mimetizzarla con un incantesimo qualora dovesse portarla fuori.”
“No, ho solo il mio furetto.”
Amaryllis  sollevò la gabbia di Shirley, il suo furetto albino, sperando che la sua presenza all’Hotel non rappresentasse un problema. Sabrina e restituì il Passaporto mise sul bancone una chiave magnetica lanciando un’occhiata dubbiosa al piccolo animale:
“La prego di cercare di tenerlo in camera sua, non so quanto gli altri ospiti potrebbero apprezzare di trovare un furetto in giro. Soprattutto nel ristorante.”
“Chiaro.”   L’australiana restituì penna e condizioni firmate alla Direttrice, che accennò un sorriso prima di accennare alla chiave.
“Grazie. Camera 202. Le ho riservato una stanza con vista mare, magari le sarà utile per il suo lavoro.”


Amaryllis ringraziò e sorrise entusiasta – era un trattamento decisamente superiore alle sue aspettative – prima di dirigersi insieme a Shirley verso gli ascensori. Una volta sola nell’abitacolo, premette il primo bottone sorridendo al furetto:
“Hai visto che bel posto, Shirley? Spero solo di non doverti tenere al guinzaglio…”

 
*

 
“Buongiorno. Desidero effettuare il check-in, ho una doppia prenotazione a nome Carrington.”
Sabrina alzò lo sguardo sull’uomo dai gelidi occhi chiari che aveva di fronte e, pur classificandolo istantaneamente come molto attraente, qualcosa le suggerì fin da subito che non le sarebbe stato affatto simpatico.
Poco male, ormai fingere apprezzamento era diventata la sua specialità, a parte per suo fratello minore. +
“Buongiorno, controllo subito.”
Cercando “Carrington” tra le prenotazioni di quel giorno, Sabrina trovò immediatamente quella giusta. Tuttavia, quando i suoi occhi scuri indugiarono sui nomi riportati sui dati della prenotazione, qualcosa nelle sua espressione mutò: la strega strinse le labbra, imponendosi perentoriamente di non scoppiare a ridere, prima di rivolgersi all’uomo con un tono a metà tra il dubbioso e il pacato.
Ridge eBrooke Carrington?”
“Esatto. E Asher Reynolds, ho prenotato una camera per lui. Vicino a quella mia e di mia moglie, se possibile.”
Ridge e Brooke… Ma certo. Posso avere i documenti di tutti e tre, per cortesia?”
Chiedendosi come quell’assurda e ridicola coincidenza potesse essersi verificata, Sabrina fece del suo meglio per restare seria mentre Michel, invece, fingeva di cercare qualcosa sugli ultimi cassetti del bancone per nascondere alla vista altrui l’attacco di ilarità che lo aveva colpito.
Mentre Ridge si rivolgeva alla bella donna bionda e al ragazzo dai capelli scuri che lo accompagnavano per prendere i loro documenti, Sabrina assestò un calcio al collega intimandogli con un sussurro appena udibile di darsi un tono. Soprattutto perché sentendo ridere Michel trattenersi diventava ancora più difficile.
“Grazie. Viaggiate con un cane?”
Cercando di distrarsi dai nomi dei suoi nuovi ospiti, Sabrina concentrò lo sguardo sulla borsetta per cani che il ragazzo teneva tra le braccia.
“Sì, si chiama Hope. Asher è il nostro dogsitter, lui è venuto con il suo.”
La donna bionda – Sabrina fece di tutto per non pensare al suo nome – accennò affettuosamente al cane mentre Michel si sfilava gli occhiali per asciugarsi le lacrime agli occhi. Chiedendosi perché il fato ce l’avesse tanto con lei e stentando a credere all’assurdità della situazione, Sabrina sbattè le palpebre mentre prendeva i documenti:
“… Hope?”
“Sì, Hope.”
“… Bel nome. Sono subito da voi, intanto leggete e firmate questi, per cortesia.”
Sabrina tirò fuori i soliti tre fogli in un gesto ormai automatico, trattenendo un sussulto quando Hope sollevò la testa e si rese visibile attraverso la borsetta: Merlino, non aveva mai visto un cane così orrendo. Trovava orrendi tutti i Chihuahua, ma quello avrebbe di sicuro popolato i suoi peggiori incubi.
Stava per dire a Michel di chiamare qualcuno per effettuare un esorcismo, ma si affrettò a sparire dietro l’iMac mentre i tre – tutti americani, a giudicare dagli accenti – leggevano e firmavano le condizioni.
“Quindi possiamo usare la magia solo negli ambienti riservati ai maghi?”
“Esattamente.”
Sabrina annuì, sorridendo gentilmente mentre Ridge, al contrario, sbuffava un poco. Lo sguardo della francese indugiò su Asher, chiedendosi il motivo della sua presenza:
“Far soggiornare un animale implica un surplus di denaro a notte, come avrete letto. Terrei a specificare che abbiamo un servizio di dogsitting e anche un asilo per cani.”
Perché mai un ospite avrebbe dovuto portarsi dietro il proprio dogsitter, quando l’hotel lo offriva tra i suoi servizi? Cercando di non guardare il Chihuahua Sabrina rispose al sorriso di Asher prima di far scivolare lo sguardo sul guinzaglio che il giovane stringeva, ritrovandosi a sorridere ad un adorabile barboncino color albicocca.
“Sì, ma mia moglie preferisce fare affidamento su Asher, tiene molto a Hope, e poi all’occorrenza Asher ci fa anche da assistente.”
“Capisco. Suite Côte d’Azur per voi e camera 221 per il Signor Reynolds. Sono stanze comunicanti come avete chiesto nella prenotazione, ma c’è una doppia porta che può essere chiusa da entrambe le parti.”
Sabrina appoggiò le chiavi magnetiche sul bancone, ricambiando i sorrisi di Brooke e di Asher mentre Ridge, invece, prendeva la sua con fare sbrigativo. La francese aveva appena chiamato un facchino affinché portasse un carrello per loro quando, incapace di resistere, si rivolse un’ultima volta all’uomo:
Per caso suo padre si chiama Erik?”
“No, perché?”
Ridge parve perplesso, e la guardò aggrottando le sopracciglia mentre Frankie, il barboncino, si sollevava sulle zampe posteriori per appoggiare quelle anteriori sulla gamba di Asher, desideroso di ricevere qualche coccola. Sabrina però non si scompose, limitandosi a sorridere con un luccichio divertito negli occhi scuri:
“Oh, curiosità. Buona permanenza, Signori Carrington… e Signor Reynolds.”
Sabrina li guardò allontanarsi, e i tre avevano appena raggiunti gli ascensori quando Michel finalmente si rialzò, parlando con un mormorio concitato:
Brooke e Ridge. Brooke e Ridge, ma ti sembra possibile? E il cane Hope? Non ce la faccio. Quando gli hai chiesto se suo padre si chiama Erik credevo di morire.”    Michel scosse la testa, raddrizzandosi gli occhiali cercando di darsi un contegno mentre Sabrina poteva finalmente ridere liberamente:
“Magari Ridge ha una ex di nome Taylor.”      Alle parole di Sabrina i due presero a sghignazzare, certi che non avrebbero scordato quegli ospiti tanto in fretta.
“Una ex caduta in un dirupo ma magicamente risorta.”
“Forse aveva qualche Horcrux. E il cognome Carrington? Ma non era quello di Dynasty(5)?!”
“Hai ragione! Ma come sai tutte queste cose?”
“Mia madre è una fan delle soap, ho imparato per osmosi… è stato difficile non ridere. Puoi andare a prendermi un caffè? Ne ho un gran bisogno e ho ancora diversi check-in da fare.”

 
*

 
Sceso dal taxi, pagata la corsa e recuperati i bagagli – tra cui la custodia del suo sax – Joël si prese qualche istante per osservare la familiare facciata dell’Hotel. Sorridendo, l’uomo si affrettò a salire i gradini rivolgendo un saluto caloroso al portiere:
Bonjour Benoit. Comment ça va?” 
Bienvenue, Monsieur Moyal. Très bien, merci.” 
Sorridendogli, Benoit aprì la porta per farlo entrare nell’Hotel e Joël, impaziente di sistemarsi nella sua solita stanza, non lo fece attendere. Varcata la soglia, si prese un istante per guardarsi intorno prima di individuare una figura molto familiare in piedi alla reception.
Sabrina St John… prima o poi riuscirò a non vederti al lavoro?”
Sorridendo, il mago si diresse verso la reception mentre Sabrina, sentitasi chiamare sollevava lo sguardo su di lui prima di accennare un sorriso di rimando:
“Bonjour Joël. Temo proprio che ci sia sempre troppo da fare perché io posso starmene con le mani in mano.”
“Un vero peccato. Come sta Gideon?”

“Al momento non c’è, ma gli porgerò i tuoi saluti. Solita stanza, suppongo… Firma qui mentre ti registro, per favore.”
Dopo aver consegnato il Passaporto Joel firmò senza nemmeno leggere, ormai abituato, guardando invece l’ex compagna di scuola pieno di curiosità:
“Gideon non c’è?”
“Diciamo che si è preso una lunga vacanza.”
Una smorfia risentita appena percettibile si manifestò sul viso abbronzato di Sabrina, che però non scese nei particolari mentre teneva gli occhi fissi sullo schermo del computer. Curioso, Joël si appuntò di cercare di scoprirne di più mentre tamburellava le dita sul ripiano del bancone.
“Anjali è arrivata poco fa, magari ti fa piacere salutarla.”
L’espressione del musicista si distese in un sorriso divertito, lieto di sapere che l’ex compagna di classe fosse arrivata prima del tempo rispetto al solito:
“Anji è già arrivata? Certo, la saluterò volentieri. Dove pensi che possa trovarla?”
“Oh, beh… probabilmente sta facendo la lucertola su una sdraio.”
Sorridendo appena, Sabrina gli restituì il Passaporto prima di augurargli una buona permanenza e ricordargli che, come sempre, il pianoforte del ristorante era a sua disposizione tutte le volte che voleva.
Magari una sera ci farai l’onore di suonare.”
“Se mi offrite il dessert ci farò un pensierino.”
“Ci penserò. Tieni la chiave e cerca di non perderla e di farmi tirare fuori non so quante copie, per favore.”
Joël prese la chiave che Sabrina gli porgeva sorridendo, ignorando la sua aria di rimprovero e strizzandole invece l’occhio. Le promise che avrebbe fatto del suo meglio, ma non era poi tanto sicuro del risultato.
Di sicuro, constatò mentre saliva in ascensore, era felice di essere tornato e pronto a godersi la vacanza.
 

 
*

 
“Vieni, Circe.”
Il Samoiedo bianco guardava curioso la facciata dell’elegante edificio che aveva di fronte, ma si affrettò a seguire scodinzolando la padrona quando sentì una leggera pressione esercitata dal guinzaglio.
Briar-Rose Greengrass si lisciò senza rifletterci la gonna a tubino lunga appena sopra il ginocchio del completo verde menta che indossava sopra ad una maglietta bianca prima di iniziare a salire i gradini che portavano all’ingresso dell’Hotel, ringraziando il facchino che le stava portando i bagagli: trasportare valige e Circe allo stesso tempo avrebbe costituito un problema non indifferente.
“Buongiorno.”
La giovane strega salutò educatamente il portiere, che ricambiò in inglese prima di aprirle la porta e farla passare. Così come il suo amato cane, la ragazza iniziò subito a guardarsi attorno con viva curiosità, sorridendo quando scorse un familiare quadro di Van Gogh appeso ad una parete.
“Hai visto in che bel posto ti ha portata la mamma, Circe? Fai la signorina educata, però.”
Sorridendo, la ragazza diede una carezza sulla testa bianca del cane prima di dirigersi verso la reception senza smettere di guardarsi attorno. Fu così che la sua traversata attraverso la Hall ricevette una brusca interruzione: il suo sguardo indugiò un una persona seduta su un divano vintage color cammello, un bel ragazzo dai ricci neri e da degli terribilmente inconfondibili occhi gialli.
Briar si fermò d’istinto, strabuzzando gli occhi mentre riconosceva un ex compagno di scuola:
St John?!”
Il ragazzo smise di parlare con una ragazza bionda dalle gambe lunghe e dall’aria nordica per posare lo sguardo su di lei, strabuzzando gli occhi a sua volta dopo averla riconosciuta:
Greengrass?! Che fai qui?”
Considerando che si tratta di un Hotel e che ho delle valige è evidente che io sia venuta per partecipare ad una gara di torte. Secondo te? Tu che ci fai qui?”
“Ma che problemi hai, questo è l’Hotel della mia famiglia!”
Oh Merlino
Come aveva fatto a scordarselo quando aveva prenotato?!
 
Dalla reception, Sabrina approfittava di un momento di tranquillità – dopo aver ripetuto le indicazioni per il Casinò per tre volte ad una coppia di anziani tedeschi mezzi sordi – e fu subito interessata dallo scambio di battute. Capitava spesso che gli amici scansafatiche di suo fratello venissero a trovarlo – dandole molto fastidio, soprattutto a causa delle battutine sconce che le rifilavano in continuazione malgrado i costanti due di picche seccati –, o le sue ragazze di turno, ma qualcuno che non sembrava affatto essere suo amico era cosa rara.
“Sembra che quella ragazza conosca Silas…. È inglese, circa stessa età… si saranno conosciuti ad Hogwarts. Santa Chanel, speriamo che non sia una sua ex…”
Ai melodrammi amorosi del passato di Silas Sabrina non era minimamente preparata, e sospirò speranzosa invocando la protezione della sua eroina mentre Michel, visibilmente interessato, scuoteva la testa:
“In quel caso non si sarebbero salutati in quel modo, ci sarebbe stato dell’imbarazzo. Io qui vedo ben altro.”
 
“Sei venuta a mettermi in punizione anche a casa mia?”
“Non sapevo fossi qui, e le mie punizioni le hai meritate tutte!”
 
“Bingo, ex studentessa di Hogwarts. E pare mettesse in punizione Silas! Mi piace quella ragazza.”
Sabrina parlò incrociando le braccia al petto e sorridendo soddisfatta, ignorando il commento bisbigliato di Michel – “Non avevo alcun dubbio” – mentre Silas, dimenticatosi della ragazza bionda, si alzava per discutere con Briar sulle punizioni non necessarie a cui l’aveva costretto in passato.
“è stato divertente, ma ora stanno dando spettacolo… Pierre, porta Silas ad innaffiare qualche orchidea, per favore.”
Sospirando, Sabrina benedisse la presenza di Pierre quando l’uomo si armò di pazienza e andò a dividere i due ricordando a Silas di avere delle mansioni da sbrigare. Confuso, il ragazzo si vide costretto a seguirlo permettendo così a Briar-Rose di raggiungere sbuffando la reception.
“Salve, devo effettuare il check-in. Briar-Rose Greengrass, ho prenotato per me e per il mio cane.”
L’ex Serpeverde si fermò davanti al bancone con un’espressione cupa impressa sul volto, al contrario di Sabrina che le sorrise allegra e, dopo averle chiesto i documenti, allungò una mano per stringere la sua:
“Sabrina St John, sono la sorella maggiore di Silas. Andavate a scuola insieme?”
“Sì, era un anno davanti a me… piacere di conoscerla. Ha un Hotel meraviglioso.”
Quelle parole (unite all’adorabile cane della ragazza e ai suoi trascorsi con il fratello) bastarono a fare breccia nel cuore di Sabrina: la francese le sorrise e la ringraziò, appuntandosi di offrirle una colazione in camera gratis mentre la registrava.
Dopo averle fatto firmare le condizioni e averle fatto un rapido resoconto dei servizi dell’Hotel, Sabrina consegnò a Briar la chiave della sua stanza rivolgendo un sorriso intenerito a Circe e al suo soffice pelo candido:
“Se di tanto in tanto volesse uscire dall’Hotel senza il suo cane può lasciarlo all’asilo, abbiamo un personale qualificatissimo.”
“Grazie mille. Vieni Circe.”
 
Sabrina guardò la bellissima ragazza dirigersi verso l’ascensore con al seguito cane e bagagli, sorridendo nel pensare a come il suo soggiorno avrebbe probabilmente interferito ulteriormente con l’eterna vacanza di suo fratello che stava per avere fine.

 
*

 
“Avrei una domanda.”
Alphard restituì il documento firmato a Sabrina e riprese possesso del suo Passaporto sollevando lo sguardo sulla strega che aveva di fronte, restando in attesa di ricevere il permesso di parlare.
“Dica pure.”
“Il surplus a notte per gli animali va moltiplicato in base al numero di animali con cui si alloggia o è standard?”
“La cifra aggiuntiva a notte è per animale, sì. Perché, con quanti animali viaggia?”
Incuriosita dalla domanda – ma in parte ormai abituata agli strambi animali che gli ospiti portavano all’Hotel –, Sabrina guardò l’uomo inarcando un sopracciglio mentre Alphard sollevava le due gabbiette che stringeva, una per mano.
“Tre, ho la mia gatta e questi due…”
L’uomo, tuttavia, non ebbe il tempo di finire di parlare. Gli occhi scuri di Sabrina era scivolati rapidi dal magnifico esemplare di Blu di Russia che la fissava dal suo trasportino fino alla seconda gabbia, indietreggiando d’istinto e quasi impallidendo di fronte agli altri due animali che Alphard aveva portato dentro l’Hotel.
“S-scorpioni. Lei ha due scorpioni.”  Due tremendamente enormi, orrendi scorpioni.
“Sì… la spaventano? Mi scusi tanto.”
Sinceramente dispiaciuto – e quasi preoccupato per il pallore della strega – Alphard si affrettò ad abbassare il braccio mentre Michel, che si stava occupando di un altro ospite a due metri di distanza, lanciava un’occhiata di sbieco alla collega sperando di non doverla raccogliere dal pavimento da un momento all’altro.
Appoggiando una mano sul bancone e cercando di darsi un tono, Sabrina si schiarì la gola facendosi un rapido appunto mentale: aggiungere alle regole dell’hotel il divieto di portare qualsiasi tipo di aracnide, specie se con tenaglie e pungiglione.
“Mi stia a sentire, Monsieur Vostokoff. I suoi… animaletti con il pungiglione devono restare in camera sua. Nella loro gabbia. Sempre. Mi rifiuto di venire a sapere che qualche cameriera è svenuta dopo averne visto uno gironzolare sul parquet.”
“Assolutamente. Ha la mia parola.”
Serio in volto, Alphard si affrettò ad annuire mentre Sabrina evitava accuratamente di guardare la gabbia degli aracnidi e riprendeva colorito:
“Monsieur Vostokoff, io sono molto ragionevole, ma… se per caso dovessi imbattermi in uno dei suoi scorpioni in giro per il mio Hotel, temo che la creatura potrebbe sparire misteriosamente e non fare più ritorno. È tutto chiaro?”
All’improvviso immaginare quella donna tirare fuori la bacchetta e avadakerizzare Castor o Pollux gli parve un’immagine molto realistica, e Alphard le promise che non sarebbe capitato prima di ricevere la chiave della sua stanza.
Allontanandosi con bagagli e animali, il mago sussurrò ai suoi piccoli che nessuno capiva quanto fossero adorabili mentre Sabrina, alle sue spalle, chiedeva in un sussurro a Michel di portarle un brownie facendosi aria con la mano:
“Ho bisogno di zuccheri.”
“Ma Sabrina, la dieta…”
“Al diavolo la dieta, tu portamelo!”

 
*

 
“Che bel posto, dev’essere costato una fortuna arredarlo! Non serve, faccio da sola.”
Varcata la soglia dell’Hotel stringendo il manico della sua voluminosa valigia rigida, Meadow sollevò lo sguardo per osservare incuriosita la Hall dell’albergo dopo aver respinto l’aiuto di un facchino a portarle il bagaglio. Joshua, in piedi accanto a lei, fece lo stesso con tono più garbato prima di fare cenno alla ragazza di seguirlo alla reception.
“Sì, bello… Soldi superflui, a mio parere.”
Joshua non si fermò a guardarsi intorno, limitandosi ad una pigra occhiata fugace prima di incamminarsi vero il bancone di lucidissimo ebano con Meadow al seguito, che alzò gli occhi scuri al cielo prima di chiedergli perché avesse prenotato in un albergo del genere se non si curava affatto della bellezza e del lusso degli arredi e dell’ambiente.
“Capirai, gli alberghi di Monte Carlo sono pressappoco tutti uguali… impossibile trovarne uno che non ostenti lusso da ogni dove.”
L’uomo liquidò il discorso con un gesto della mano e Meadow, che moriva dalla voglia di fare il check-in per vedere la stanza e poi dare un’occhiata in giro, per una volta non replicò. I due raggiunsero la reception, fermandosi di fronte al computer dietro il quale stava una donna alta e, dai corti capelli scuri e dall’aspetto impeccabile.
Guardandola Meadow non poté fare a meno di pensare che quella doveva essere l’unica donna al mondo a cui quel taglio donava. Stava per dirle che se si fosse tagliata i capelli in quel modo lei sarebbe sembrata con ogni probabilità un bambino di 8 anni, ma Joshua la battè sul tempo salutando pacatamente la bella receptionist:
“Buongiorno. Ho una prenotazione a nome Wellick.”
Bonjour. Potete fornirmi i documenti, per cortesia?”
Sabrina prese i passaporti dei due nuovi ospiti, controllando i nomi prima di cercare il cognome “Wellick” tra le prenotazioni.
“Sì… Joshua e Meadow Wellick. Soggiorna con sua…”
Lo sguardo di Sabrina scivolò dallo schermo del computer al volto di Joshua e infine su quello di Meadow. La deliziosa ragazza dai delicati tratti orientali sembrava troppo grande per essere sua figlia, tanto che un tremendo pensiero improvviso si palesò nella mente della francese:
Dio, fa che non sia la moglie, fa che non sia la moglie, avrà la metà dei suoi anni…
Sabrina ancora non si era abituata del tutto alle mogli giovanissime che accompagnavano mariti con il doppio o più dei loro anni, e fu quasi con sollievo che sentì Joshua rispondere con un’inconfondibile accento australiano:
“Mia nipote. Ah e abbiamo un animale ciascuno.”
Sollevata di non aver a che fare con un moderno Woody Allen, Sabrina sorrise prima di porgere ad entrambi foglio e penna in un gesto automatico:
“Certo. Firmate questi mentre vi registro, per favore… Vi consiglio di leggere con attenzione.”
 
Mentre Sabrina registrava i loro dati – scoprendo con sorpresa che la ragazza era più grande di quanto non sembrasse, coi suoi 25 anni – Joshua lesse attentamente le condizioni dell’Hotel per gli ospiti maghi mentre Meadow, accanto a lui, batteva nervosamente il piede sul pavimento.
Sentì la nipote sbuffare debolmente e le scoccò un’occhiata in tralice, certo che Meadow non fosse particolarmente entusiasta delle limitazioni sull’utilizzo della magia. Nemmeno lui lo era, a dire il vero: era sicuro che sua nipote avrebbe in qualche modo violato le regole e fatto finire entrambi nei guai.
Appuntandosi di farle un accurato discorsetto una volta in camera, Joshua firmò e restituì il foglio prima che Meadow lo imitasse con un’espressione quasi seccata in viso.
“Grazie. Avete una suite con due stanze separate comunicanti grazie ad un salotto comune… ecco le chiavi. Buona permanenza, Signori.”
 
Meadow restò in silenzio finchè non fu sola nell’ascensore con lo zio, i bagagli, la gabbia del gufo Tyson e il trasportino di Lady Diana, la sua gattina.
“Che gran rottura! Perché non possiamo usare la magia dove ci va?!”
Le porte si erano appena chiuse davanti a loro quando la ragazza si voltò verso lo zio, sbottando esattamente come Joshua si aspettava. L’uomo sospirò, osservando il numero del piano rosso sul display e parlando quasi stancamente:
“Perché qui alloggiano anche Babbani… è l’unico Hotel di Monte Carlo che ospita sia Babbani che Maghi. A quanto pare per tutto questo lusso bisogna scendere ad un compromesso.”
“Che palle, zio. Se sapessero che hai la valigia piena di bacchette chissà che direbbero.”
“Lo so. Cerca di non farci sborsare fiumi di galeoni come multa, ti prego.”

 
*

 
Salvo possibili avventori imprevisti, restava solo un altro cliente da registrare. Sabrina moriva dalla voglia di staccarsi da quel bancone e fare una pausa, tanto da lanciare molto di frequente occhiate speranzose all’ingresso quando non era occupata a parlare con qualche ospite in cerca di informazioni sulla città, sui servizi dell’Hotel o anche solo di una copia della chiave dopo aver lasciato quella originale in camera ed essere rimasto chiuso fuori.
Quando Benoit aprì la porta di vetro permettendo di entrare ad un ragazzo che era certa di non aver mai visto la strega quasi sospirò di sollievo, bramando la sua agognata pausa prima di concentrarsi sul nuovo arrivato.
Non particolarmente alto – Sabrina era sicura che sarebbe stata più alta di lui anche con le scarpe basse – e dai tratti orientali, attirava inevitabilmente l’attenzione su di sé grazie al peculiare grigio-argento dei suoi capelli lisci. Entrato guardandosi brevemente attorno, ben presto si diresse dritto verso di lei accennando un sorriso con gli angoli delle labbra e non curandosi – o più probabilmente fingendo di non curarsi, dedusse la strega – degli sguardi su di sé.
“Salve.”
Quando le si fermò davanti l’accenno di sorriso non svanì, parlando in inglese con una voce cortese, bassa e dall’inflessione dolce che probabilmente seduceva quanto la sua camminata. Sabrina poté notare gli innumerevoli piercing che il ragazzo – visibilmente più giovane di lei, non poteva essere più vecchio nemmeno di suo fratello – sfoggiava sulle orecchie prima di rispondere pacatamente al saluto, difficilmente impressionabile:
“Salve. Desidera?”
“Ho una prenotazione.”
“Suppongo che lei sia il Signor Sila, in tal caso.”
“Esatto.”
“Mi può fornire i documenti?”
Artemy infilò una mano pallida nella tasca interna della giaccia, estraendone il passaporto tenuto a portata di mano prima di consegnarlo alla francese. Sabrina lo aprì, lesse il nome e poi concentrò la propria attenzione sul computer mentre il ragazzo faceva vagare lentamente lo sguardo sull’ambiente che li circondava.
“Questo Hotel è meraviglioso.”
“Riarredare la Hall mi ha preso settimane di tempo, lo prendo come un complimento. Tenga. Ha animali con sé?”
“No. L’Hotel è suo?”
Artemy parlò lasciando trapelare una leggerissima nota di stupore, guardando la bella strega che aveva davanti inarcando un sopracciglio perfettamente curato: era piuttosto difficile immaginare che qualcuno di così giovane potesse possedere un Hotel del genere. A meno che, certo, non avesse di fronte una sorta di ereditiera plurimilionaria.
“Di mio padre. Questa è la sua chiave, ma prima di lasciarla andare avrei bisogno che firmasse questo, è importante.”
Sabrina appoggiò sul bancone una chiave magnetica bianca col nome dell’Hotel riportato in turchese insieme ad un foglio e ad una penna che doveva costare una fortuna. Artemy la prese senza scomporsi, accarezzando delicatamente il foglio mentre ne leggeva il contenuto.
Per qualche istante, mentre era impegnato a leggere, Sabrina si limitò ad osservarlo in silenzio. Quando giungevano ospiti così giovani si domandava sempre dove trovassero il denaro, e spesso l’opzione più plausibile era che fossero proprio suo fratello, dei ricchi figli di papà.
“Nessun problema. Tenga.”
Dopo una rapida e svolazzante firma praticamente illeggibile Artemy restituì foglio e penna a Sabrina sfoggiando un sorriso seducente che la strega non ricambiò, limitandosi a ringraziarlo mentre riponeva la penna Montblanc e il mago prendeva la sua chiave.
“Le auguro un piacevole soggiorno, Signor Sila.”
“Lo sarà di sicuro.”
Artemy sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi con i bagagli, dirigendosi in tutta calma verso uno degli ascensori rigirandosi la chiave tra le dita.
Sabrina lo osservò brevemente prima di farsi scivolare il foglio dalle dita, lasciando che andasse magicamente ad impilarsi insieme agli altri nella cartellina che custodiva tutti i consensi firmati di quella settimana.
“Aveva un accento strano, non trovi Michel?”
“Non ho ascoltato particolarmente. Perché, che accento aveva?”
“Non saprei dirlo, è questo il punto. L’accento di tanti posti e di nessun posto in particolare.”

 
*

 
“Sabs!”
Dopo aver finito di accogliere gli ospiti previsti, Sabrina aveva chiesto a Pierre di convocare una riunione del personale prima di cena: occorreva spiegare a tutti i dipendenti la situazione e di come suo padre avesse inaspettatamente lasciato l’Hotel senza alcun preavviso.
Si era avviata verso le cucine del ristorante per assicurarsi che non ci fossero problemi col menù della cena quando era stata raggiunta da Silas, che le era praticamente corso dietro dalla Hall.
Armandosi di pazienza, la strega smise di camminare e si voltò verso il fratello, guardandolo in attesa e congiungendo le dita lunghe e affusolate delle mani:
“Sì?”
“Hai detto che devo fare qualcosa, e suppongo che papà abbia fatto questo per lo stesso motivo, no? Beh, fammi fare qualcosa. Fammi fare i check-in degli ospiti.”
Silas incrociò le braccia al petto, guardando la sorella quasi con aria di sfida. Sabrina invece sorrise divertita come se avesse appena pronunciato una battuta:
“La reception è la prima cosa in cui un ospite s’imbatte, ergo un concierge deve essere impeccabile. È la prima cosa che mi ha insegnato papà e no, non ti ci metterò da un giorno all’altro. Prima devi imparare.”
“Beh, tu l’hai fatto per cosa, due anni? Insegnami come ci si comporta e cosa si deve fare, non dev’essere troppo difficile.”
Stanco di essere reputato un incapace dalla sorella Silas, seccato, accennò alla reception con un vigoroso movimento della mano. Sabrina, al contrario, sospirò e scosse la testa come se avesse a che fare un i capricci di un bambino:
“Non ho tempo per colmare le tue lacune, Michel sta già istruendo il ragazzo nuovo, gli dirò di pensare anche a te… quando sarà di turno Odette ci penserà lei, le parlerò. C’è altro?”
“Sì. so che sei la Direttrice e tutto, ma tecnicamente io e te ci troviamo sullo stesso piano, non puoi darmi ordini e buttarmi fuori dalla mia suite. E smettila di farmi innaffiare le piante!”
“Hai esonerato tu Pierre dall’occuparsene, no? Non darò quell’incarico a qualcuno che ha già ben altro da fare, assumitene la responsabilità. Cosa pensi, fratellino, di diventare Direttore o concierge da un giorno all’altro?”
All’improvviso Sabrina parve seccata, e gli si avvicinò muovendo qualche passo verso di lui senza smettere di fissarlo dritto negli occhi. Il ragazzo si ritrovò ad indietreggiare, evitando di ritrovarsi troppo vicino alla maggiore: non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma detestava il fatto che Sabrina quando portava i tacchi lo superasse in altezza di diversi centimetri facendolo sembrare un ragazzino.
“Io lavoro qui da dieci anni, Silas. Ho fatto la cameriera e la bagnina, poi ho iniziato a lavorare alla reception con Michel. E adesso sono dove mi trovo. Non ci sono arrivata in un giorno, come chiunque altro, papà non mi ha regalato niente. Niente.”
“Insinui che a me regalerà qualcosa?”
Silas si aspettava una mezza sfuriata, o che comunque le sue parole accrescessero ulteriormente il fastidio di Sabrina. La strega invece a quella domanda si fermò, esitando nell’osservarlo finchè la sua espressione non mutò assumendo una nota quasi malinconica:
“A te ha regalato tutto e regalerà sempre tutto. Stupido, stupido enfant gâté.”
Silas la guardò di rimando, bloccato e senza parole. Sabrina, tuttavia, non gli diede il tempo di formulare una risposta: tornata impassibile girò sui tacchi e si allontanò, parlando senza guardarlo.
“Ho da fare adesso. Domani mattina alle 8 ti fai trovare da Michel alla reception e inizi a lavorare con lui. Se non ti presenti, lo fai incazzare o sento che hai combinato casini colossali annullo tutto.”
 
Rimasto solo, Silas guardò la sorella maggiore allontanarsi fino a sparire dietro la porta a vetri che collegava il bar al ristorante. Infine sorrise, soddisfatto nonostante tutto: beh, era comunque andata meglio di quanto si era immaginato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): Smeraldo in francese
(2): Chiave universale
(3): Piatto tipico di Marsiglia: zuppa a base di pomodoro e pesce serviva con pane abbrustolito
(4): “Michel, chiudi il becco”
(5): Soap opera americana degli anni ’80 poi rivisitata
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buongiorno!
Eccomi con una selezione in tempo record, negli ultimi giorni sono stata bloccata a letto e francamente non ho avuto molto altro da fare.
Come sempre grazie a tutte le persone che si sono iscritte e che mi hanno mandato i loro personaggi, e anche a coloro che mi hanno avvertita che le loro non sarebbero arrivate. Un po’ meno a chi non mi ha mandato il proprio OC senza avvertire, ma ormai ci sono più che abituata e soprassederò.
A chi non ha visto il/i proprio/i OC nella lista, mi dispiace ma come sempre chiedo di non prenderla sul personale. In generale volevo prendere pochi personaggi in ogni caso e non ho scartato nessun OC perché non l’ho gradito, ma semplicemente perché le schede che non ho selezionato avevano pressappoco la stessa caratteristica – alcune in misura maggiore o minore rispetto ad altre, s’intende –: erano piuttosto brevi. Spero di non offendere nessuno, e se volete contattarmi e chiedermi perché non ho preso il vostro personaggio siete liberi di farlo, ma in generale posso consigliarvi di creare schede più lunghe e approfondite per il futuro, perché rendono molto più semplice per chi le legge comprendere il personaggio e capire come muoverlo e come gestirlo all’interno della storia.

E ora, ecco la lista degli OC scelti:
 
Alphard Scorpius Vostokoff
36 anni, ucraino con origini inglesi e russe, ex studente di Koldovstoretz, imprenditore, Pansessuale
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Amaryllis Diana Lewis
“Amy”
28 anni, australiana, ex studentessa della scuola di magia di Kainga*, pittrice, Bisessuale
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Anjali Kumar
“Anji”
30 anni, svizzera con origini indiane, ex studentessa di Beauxbatons, ereditiera, Eterosessuale
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Artemy Somchai Sila
Ha troppi soprannomi leggete per scoprirli
26 anni, russo-thailandese naturalizzato vietnamita, Pansessuale
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Asher Jack Reynolds
“Ash”
25 anni, americano, ex Magicospino, Dog-sitter, Omosessuale
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Briar-Rose Greengrass
“Briar”
24 anni, inglese con origini neozelandesi, ex Serpeverde, gallerista, Omosessuale
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Joël Moyal
“Il Francese”
30 anni, francese, ex studente di Beauxbatons, musicista, Bisessuale
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Joshua Wellick
39 anni, australiano, ex Corvonero, Fabbricante di Bacchette, Asessuale aromantico
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Meadow Wellick
25 anni, autraliana-thailandese, ex Grifondoro, Pansessuale
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Medea Winters
“Meddy”
31 anni, inglese, ex Corvonero, fotografa, Animagus, Eterosessuale
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Sloan Henbane
“Witty Coyote”
38 anni, canadese, ex Wampus, allenatore di Quodpot, Bisessuale (sposato)  
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*: scuola di magia australiana fittizia                            
 
Prima di chiudere faccio una piccola precisazione su Medea: si tratta di un mio personaggio. Chiaramente avendone già due nella storia (Gideon sarà secondario e non apparirà in tutti i capitoli, quindi non lo considero) non era mia intenzione inserire un terzo OC di mia invenzione, ma ho ritenuto di utilizzarla per colmare il divario tra OC maschili e femminili poiché mi sono arrivate tantissime schede di uomini rispetto alle donne.
E adesso, la prima domandina per voi:

Vorrei sapere dove, secondo voi, andrebbe il vostro OC appena giunto all’Hotel tra i vari ambienti della struttura. Scegliete tra:
  • Piscina esterna
  • Piscina coperta
  • Spa
  • Bagno arabo
  • Bar
  • Salotto privato per i maghi  (che ha un bar a sua volta che vende solo bevande per maghi)
 
Chiaramente se avete due OC nella storia dovete darmi due risposte.
Direi che ho detto anche troppo, quindi vi saluto.
A presto!
Signorina Granger

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Hotel Le Mirage, Camera 114
 
 
“Ciao mamma, sono appena arrivata. Sì, tutto bene.”
Il telefono stretto nella mano destra e accostato all’orecchio, Medea sedette con cautela sul soffice copriletto bianco simile ad una nuvola: quel letto era stato rifatto in maniera così impeccabile che alla strega quasi dispiaceva intaccarne la perfezione con delle pieghe.
Prima ancora di sistemare le sue cose – valigia a borsone erano abbandonati, chiusi, accanto all’elegante scrivania bianca dai dettagli oro accostata contro la parete e sormontata da un quadro che ritraeva la zona portuaria di Monte Carlo vista dall’alto – Medea aveva immediatamente telefonato a casa come promesso prima di partire. Si era limitata a sistemare la sua preziosa Nikon sulla scrivania, aveva dato un’occhiata al bagno con la vasca più grande che avesse mai visto e al minibar che di certo non avrebbe mai toccato e poi aveva chiamato sua madre.
“Sì mamma, c’è il Wi-Fi qui… Per fortuna, perché qui non c’è il roaming.”
Un sorriso increspò le labbra carnose della strega mentre udiva sua madre asserire che il Wi-Fi fosse il minimo, visto quanto costava soggiornare in quell’Hotel. Daphne non aveva torto, e Medea si limitò a convenire con la madre – del resto Daphne aveva ragione anche quando aveva torto, come sosteneva sempre suo padre – prima di prometterle di mandarle un milione di foto.
“Adesso mi sistemo e poi do un’occhiata in giro. Sì mamma, ho mangiato quando sono scesa dall’aereo, non morirò di fame qui.”
Medea alzò gli occhi al cielo mentre sua madre, dubbiosa, diceva qualcosa a proposito della cucina francese. Medea non era mai stata in Francia e non sapeva praticamente nulla della cucina locale, ma si affrettò a tranquillizzare la madre: di sicuro in un posto così turistico non avrebbe trovato solo lumache. O almeno, lo sperava.
Dopo averle chiesto di salutarle il padre, Medea mise fine alla telefonata e lasciò il telefono nero sul letto per alzarsi e avvicinarsi ad una delle due finestre rettangolari che offrivano uno scorcio della parte alta del quartiere. Da dove si trovava vedere il Mar Mediterraneo era impossibile, ma la strega non se ne fece affatto un cruccio: poteva vederlo quando voleva uscendo dall’Hotel, e nella posizione in cui si trovava di sicuro non poteva permettersi – né le importava – di fare la pignola.
Lo sguardo della strega scivolò invece verso il basso, osservando la meravigliosa piscina esterna circondata da un lastricato bianco che quasi risplendeva sotto il sole. Camerieri in divisa che reggevano vassoi si accostavano agli ospiti distesi sui lettini coperti da materassini candidi per prendere le ordinazioni o offrirgli cocktail colorati. Era molto che non faceva una vacanza, e all’improvviso Medea venne colta da una forte voglia di fare una nuotata e di rilassarsi sotto il sole.
Abbozzando un sorriso la strega girò sui tacchi e si diresse verso la valigia per prendere costume, infradito e crema solare: giacché si trovava lì, tanto valeva godersi il soggiorno.
 

 
*

  
“Mia, sei ingiusta. Non mi va affatto di andare in piscina!”
Sloan chiuse la porta bianca della suite dove avrebbe alloggiato con la moglie, che riportava il numero 203 in oro infissi su una delle due ante, infilando la chiave magnetica della Suite Èmeraude al sicuro all’interno del suo portafoglio. Mia, accanto a lui, era già pronta nella sua mise vacanziera e con un largo sorriso sulle labbra carnose:
“Tu mi hai costretta a starmene a letto per mezz’ora e ora io ti costringo ad andare in piscina, lo trovo equo.”
“Ma io lo dico per il tuo bene, non per torturarti! Io voglio andare al bar!”
Sospirando, Sloan lasciò che Mia lo prendesse per mano, parlando senza smettere di sorridere con addosso un costume intero blu con intreccio sulla schiena, un copricostume bianco traforato e infradito ai piedi.
“Ma quella sarebbe una tortura per me, perché io non posso bere… e poi ricorda che ho accettato di andare in quella coperta, il che mi sembra un ottimo compromesso.”
Sloan borbottò che non era affatto giusto, ma si vide costretto a seguire la moglie in infradito nere, bermuda e t-shirt blu navy addosso. Sloan odiava il caldo, e tutto ciò che sognava era marcire in un ambiente con qualcosa di fresco da bere e aria condizionata, ma quando sua moglie s’intestardiva su qualcosa non c’era assolutamente nulla che potesse fare, specie da quando aspettava un bambino.
 
Marito e moglie erano appena saliti in ascensore per raggiungere il piano terra quando una porta posta dall’altro capo del piano rispetto a quella della loro Suite si aprì: Asher uscì dalla camera 221 riponendo la chiave in tasca – sperava ardentemente di non perderla e di fare di conseguenza la figura dell’idiota andandone a chiederne una copia – e tenendo Frankie, il suo cagnolino dal morbido pelo color albicocca, stretto in braccio.
“Eccoci qui. Andiamo ad esplorare i dintorni, piccolo?”
Il ragazzo mise il cagnolino sul marmo bianco del pavimento, sorridendogli prima di incamminarsi verso gli ascensori. Frankie, il guinzaglio legato al collarino color zucca, seguì trotterellando il padrone mentre Asher sospirava di sollievo:
“Per fortuna Brooke ha detto che vuole stare un po’ con Hope, o avremmo dovuto accollarcela.”
Il barboncino abbaiò come a voler rivangare la sua antipatia per la viziatissima Chihuahua, seguendo il padrone fino in ascensore. L’americano premette il tasto del piano terra e aspettò pazientemente di arrivare a destinazione mentre Frankie osservava dubbioso il proprio riflesso nello specchio che ricopriva un’intera parete dell’abitacolo, seguendo Asher nella Hall quando le porte metalliche si aprirono di nuovo.
“Vieni Frankie.”
Il ragazzo attraversò la Hall con passo sicuro, dirigendosi verso la doppia porta a vetri che, collocata alle spalle della reception, conduceva all’area sul retro dell’Hotel. Uscendo dovette strizzare gli occhi per l’improvvisa luce che lo colpì, affrettandosi a tirare fuori gli occhiali da sole dalla tasca e ad infilarseli.
Si trovava sotto un portico sorretto da colonne bianche in stile dorico da cui, scendendo quattro gradini, si arrivava alla piscina esterna.
Appuntandosi mentalmente di fare una nuotata al più presto, Asher scese i gradini raggirando il perimetro dell’area della piscina, circondata da lettini e ombrelloni dalle tinte bianche e color crema, per dirigersi invece verso il sentiero lastricato che conduceva all’area riservata ai cani.
Frankie seguì obbedientemente il padrone, guardandosi attorno con curiosità mentre insieme superavano aiuole piene di fiori colorati e qualche panchina di pietra dove qualche ospite si dedicava alla lettura o giocava con il proprio animale.
“Guarda Frankie!”
Sorridendo – un agglomerato di creature pelose riusciva sempre a renderlo di buonumore – Asher indicò il piccolo edificio a cui si stavano avvicinando. Tinto d’azzurro color carta da zucchero e dalle rifiniture bianche, circondato da uno steccato del medesimo colore, sembrava una deliziosa piccola fattoria giocattolo. Un cartello sopra l’ingresso riportava la scritta “Doggy daycare(1)  mentre una decina di cani di tutti i colori e razze scorrazzavano e giocavano all’interno della zona recintata, ricca di giochi e persino di anelli e passerelle per creare percorsi.
Il primo a scorgere lui e Frankie fu un grande cane dal liscio pelo nero focato e dalle grosse orecchie, seduto sotto al portico dell’ingresso come a voler controllare chiunque arrivasse o passasse davanti alla struttura. Avvicinandosi all’ingresso dell’edificio Asher sorrise al cane, che subito si alzò e si avvicinò verso di loro scodinzolando.
Quello era l’unico cane a trovarsi fuori dall’area recintata – tutti gli altri, accorgendosi della presenza sua e di Frankie, erano corsi ad affollarsi dietro al recinto abbaiando nella loro direzione –, perciò l’americano dedusse che quello non fosse l’animale di non semplice ospite.
“Ciao bello… fammi indovinare, sei tu il capo qui.”
Il ragazzo si chinò e allungò una mano per accarezzare il grosso cane, che parve gradire mentre Frankie si nascondeva dietro la sua gamba.
Udendo il gran baccano prodotto dagli ospiti della pensione, che vennero richiamati a giocare da un paio di ragazzi che dovevano avere circa la sua età, entrambi con una polo blu e pantaloni color crema addosso, una ragazza dai capelli biondi e gli occhi verdi varcò la soglia dell’edificio cercando il cane con lo sguardo. Quando lo vide impegnato ad accogliere i nuovi arrivati, la ragazza sospirò e alzò gli occhi al cielo mentre si affrettava a raggiungerli:
Napoleon, viens ici, tu fais peur au chien! Bonjour Monsieur!”(2)
Asher spostò lo sguardo dal cane alla strega, osservandola mentre si avvicinava. Gli fece uno strano effetto sentirsi chiamare “Signore” da qualcuno che aveva probabilmente un paio d’anni più di lui, o al massimo la sua stessa età, e abbozzò un sorriso in risposta a quello della strega mentre Napoleon la raggiungeva obbediente.
“Buongiorno. Non c’è problema, è stato buonissimo.”
“Oh, lo è, altrimenti non lo lasceremmo libero… è solo molto curioso e un tantino territoriale. Vuole lasciarci il suo cane, Monsieur?”
Accarezzando la grossa testa del Bloodhound, la ragazza sorrise prima a lui e poi a Frankie, che parve rilassarsi e smise di nascondersi dietro il padrone. Asher abbassò lo sguardo sul cagnolino, incerto sul da farsi, prima di riportarlo sulla strega che aveva davanti. Vestita come gli altri due ragazzi che si stavano occupando dei cani, Asher cercò con lo sguardo la targhetta col nome appuntata sul petto: Geneviève.
“Non saprei… volevo dare un’occhiata in giro, sono appena arrivato, ma immagino che i cani non possano andare ovunque.”
“No Monsieur, possono stare qui fuori, sulla terrazza o nel… salotto speciale. Durante i pasti può lasciarlo in camera o portarlo qui, gli animali non possono entrare nel bar o nel ristorante.”
La strega scosse la testa facendo ondeggiare il caschetto biondo che le contornava il viso dai lineamenti dolci e Asher, indeciso sul da farsi, parlò guardando il cagnolino annusare il terreno.
“Allora potrei lasciarlo qui fino a dopo cena?”
“Certo, non si preoccupi. Come si chiama questo bel signorino?”
Sorridendo allegra – c’era qualcosa in lei che gliela rese subito simpatica – Geneviève si chinò leggermente verso Frankie, che la guardò curioso di rimando.
“Frankie. Posso lasciarglielo?”
“Certo, basta che torni a prenderlo entro le 9. Vieni piccolo, ti do un biscottino.”
Dopo che Asher le consegnò il guinzaglio Frankie seguì docilmente Geneviève, e il padrone si voltò a guardarlo dirigersi verso l’interno della pensione insieme a lei e a Napoleon, che tornò a sostare nel suo angolo guardandosi attorno stando immobile, come se prendesse il suo ruolo di vedetta molto sul serio.    All’improvviso Asher si sentì come una mamma al primo giorno di scuola del figlio, ma cercò di ignorare quella dolorosa stretta allo stomaco mentre si dirigeva nuovamente verso l’Hotel.
 

 
*

 
Cucine dell’Hotel
 
 
“Claude, dimmi che hai qualche idea geniale per stasera, ti prego.”
Dopo il suo colloquio indesiderato e totalmente non previso con Silas, Sabrina varcò la soglia della cucina pregando che il suo fidato chef avesse qualche brillante piano per il menù della cena che le potesse risollevare l’umore. E perché no, magari anche qualche assaggino.
Fu da subito evidente, tuttavia, che anche Claude non stava avendo la migliore delle giornate. In piedi con la bozza del menù davanti, l’uomo stava inveendo contro il suo fornitore di pesce che, a quanto pareva, non gli aveva procurato le vongole fresche che aveva chiesto.
“Sabrina, è una tragedia! Ho mandato questi due incapaci a comprarmi le vongole, sottolineando che servivano fresche, e questi imbecilli me le hanno portate morte. Morte!”
Gesticolando come un forsennato, Claude pronunciò qualche maledizione in monegasco(3) mentre Jerome e Luc, i due malcapitati, subivano in silenzio e a testa bassa.
“Vorrà dire che stasera non avremo le vongole… sono sicura che saprai stupirmi come sempre. Non è che hai qualcosa da farmi assaggiare, vero?”
Sabrina sorrise speranzosa, ma lo sguardo omicida dello chef la fece sbuffare e sollevare le mani in segno di resa:
“Va bene, va bene, niente assaggino, sopravviverò fino alla cena. Stamattina non sono arrivati quei meravigliosi filetti di pesce spada? Puoi fare quelli alla brace con insalata, patate e una delle tue magiche salse.”
“Immagino che si possa fare. Luc, prepara i gamberi rossi per il risotto. Jerome, rompi una sola bottiglia di champagne e te la faccio detrarre dallo stipendio.”
Lo sguardo minacciosissimo dello chef fece scattare i due subordinati come se avessero avuto delle molle sulle suole: i due corsero verso la dispensa che conteneva cantina e cella frigorifero mentre lo chef correggeva borbottando il menù e Sabrina, invece, si appoggiava al bancone sorridendo divertita:
“Brutta giornata?”
Non ne voglio parlare.”
“Hai litigato con Jacques?”
Non ne voglio parlare.”
“Che noia che sei oggi, Claude…”
Sabrina incrociò le braccia al petto, parlando con un sospiro annoiato mentre lo Chef le indirizzava un’occhiata torva dietro le ciocche di capelli ramati che gli erano finiti davanti al viso nel momento in cui si era chinato per scrivere.
“Tuo padre invece? Sento storie strane su Gideon.”
“Gideon si è preso una… stagione sabbatica, ma stasera io e Pierre vi spiegheremo tutto.”
Sabrina non aveva voglia di parlare di suo padre tanto quanto Claude non intendeva parlare di Jacques, il suo compagno, e lo chef sorrise con un pizzico di soddisfazione mentre si rimetteva diritto e si sistemava i capelli, tenuti indietro da una bandana bianca arrotolata e allacciata dietro la nuca.
“Bene, direi che siamo pari. Ceni qui stasera?”
“Sì, penso che cenerò con Anjali.”
“Dirò ad Antoine di prenotarti un tavolo per due, allora. Qui o di sopra?”
“Facciamo qui, così posso controllare meglio che tutto proceda bene. Ci vediamo dopo, è l’ora della passeggiata.”
Dopo aver tamburellato brevemente le dita sulla superficie lucida del bancone di metallo Sabrina rivolse un lieve sorriso all’amico prima di congedarsi, dirigendosi verso l’uscita della cucina mentre Jerome e Luc facevano ritorno con le braccia cariche.
“Cerca di non maltrattarli troppo Claude.”
“Farò del mio meglio. Jerome, quella bottiglia costa più di quello che guadagni in un mese, attento!”

 
*

 
Sabrina si stava dirigendo verso il suo alloggio per recuperare Pascal e fare una passeggiata, ma la strega capì che i suoi piani sarebbero stati presto vanificati quando scorse Pierre correre verso di lei tenendo un biglietto in meno, visibilmente nervoso:
Mademoiselle! È arrivato questo da suo padre!”
“Che cosa accidenti vuole mio padre adesso?”
Quasi sperando che Gideon le avesse scritto che si era trattato di un colpo di sole o di una crisi di mezza età in ritardo, Sabrina prese il foglio di pergamena ripiegato in quattro parti e lo lisciò con impazienza.
Ciò che il biglietto riportava, tuttavia, non era altro che una semplice manciata di parole messe sbrigativamente in fila dall’inconfondibile calligrafia elegante di suo padre:
 
Cara Sabrina, mi sono reso conto di aver commesso un madornale errore.
 
Sabrina sospirò di sollievo: grazie al cielo, suo padre era tornato in sé. Pierre sembrò intuire i suoi pensieri vedendola sorridere, perciò si schiarì la voce e le suggerì, a disagio, di procedere con la lettura. L’uomo ebbe anche il buonsenso di tenersi ad un metro di distanza.
 
Ho completamente scordato di dirti che ho preferito lasciare i miei piccoli all’Hotel. Ho pensato che per loro sarebbe stato meglio così, meno stressante, e alla pensione si divertono tanto!
Naturalmente so quanto li adori e che con te e Geneviève sono in ottime mani.
Baci!
Papà
 
Deglutendo a fatica, Pierre guardò le mani di Sabrina tremare mentre la vista della strega iniziava a tingersi di toni molto intensi di rosso.
“Se ne va… di punto in bianco… e mi lascia non solo l’Hotel e suo figlio… ma anche… i suoi cani?! COME SE NON AVESSI ALTRO A CUI PENSARE?!”
“M-Mademoiselle, sono sicuro che suo padre avesse buone intenzioni, e sa di potersi fidare di lei e non di suo fratello per la cura di Napoleon e Lafayette. I-inoltre, lei adora quei cani, lo sanno tutti!”
Pensando ai teneri musetti dei due cani del padre Sabrina si tranquillizzò: certo, li adorava con tutto il cuore, e piuttosto che affidarli a quell’irresponsabile di suo fratello li avrebbe direttamente accolti nel suo appartamento.
Rabbrividendo alla sola idea di Silas alle prese con quei poverini, Sabrina inspirò ed espirò molto profondamente prima di assumere nuovamente un’espressione serissima e restituire a Pierre il biglietto con un gesto deciso:
“Bene. Stavo giusto andando a prendere Pascal, vorrà dire che andrò a salutare Napoleon e Lafayette. A dopo, Pierre.”
L’uomo la salutò con un educato cenno del capo e si spostò per farla passare, guardarla attraversare la Hall a passo di marcia fino a sparire dietro la porta con intarsi che precedeva gli ascensori.
Pierre era sinceramente affezionato ai St John e considerava Gideon un vecchio amico, ma doveva ammettere che in quell’occasione la stesse davvero combinando grossa alla sua primogenita.
 

*

 
Londra, Montcalm Royal London House Hotel, Piscina coperta
 
 
Non c’era membro dello staff del lussuosissimo e prestigioso Montcalm Royal London House che non conoscesse Gideon St John, ospite abituale nonché amico di vecchia data del proprietario.
Quel pomeriggio, tuttavia, il cameriere si accostò al ricco ospite per permettergli di prendere il suo drink dal vassoio senza riuscire a celare il suo sconcerto: il Signor St John, di solito estremamente alla mano, affabile e loquace con gli altri ospiti tanto quanto con lo staff, era visibilmente giù di corda.
L’uomo, disteso su un lettino foderato da un soffice materasso, guardava malinconico la fotografia che teneva in mano.
“Va tutto bene, Mr St John?”
“Cosa? Oh, sì, grazie Derek… è che sento la mancanza dei miei piccoli, sai.”
Derek non conosceva alla perfezione vita, morte e miracoli dell’uomo, ma lavorava all’Hotel da tre anni ed era piuttosto sicuro che i figli di Gideon fossero adulti. Il giovane sollevò sorpreso le sopracciglia, e stava per chiedergli se fosse recentemente diventato nonno, pronto a fargli le congratulazioni, quando l’uomo voltò la foto per fargliela vedere:
“Non sono adorabili? Mi mancano già così tanto!”
No, il Signor St John non era decisamente diventato nonno: la foto lo ritraeva inginocchiato su un prato, sorridente come sempre e con le braccia attorno a due cani di razza. Il primo, molto alto e nero, dall’aspetto serio e imperioso, era sicuramente un cane da caccia, mentre il secondo era un Basset houd dall’aria particolarmente malinconica, letteralmente da cane bastonato.
“Oh, i suoi cani… Sono bellissimi, Mr St John. Non si dia pena, li rivedrà presto!”
Sorridendo e sforzandosi di risollevargli il morale, Derek guardò il ricco ospite sospirare mentre tornava a guardare la foto con la stessa aria triste del suo Basset hound.
“Per fortuna sono in buone mani… mia figlia saprà prendersi cura dei miei piccoli. Sono dei così bravi ragazzi, sai?”
“Lo immagino. Posso portarle altro, Mr?”
“No, grazie Derek, vai pure. Peccato che Leon non sia qui, lui adora Londra!”
Come avrebbe potuto trascorrere le settimane successive senza i suoi piccoli, si chiese Gideon mentre si asciugava una lacrimuccia. Era una vera disgrazia che il suo Hotel in Polinesia non accettasse quadrupedi… quegli incivili dovevano proprio imparare un po’ di creanza nei confronti dei cani, e si appuntò mentalmente di farlo subito presente al proprietario non appena messo piede nella struttura, da albergatore ad albergatore.

 
 
*

 
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Dopo aver lasciato la sua Circe alle cure di un’allegra ragazza francese bionda di nome Geneviève – con cui Briar aveva condiviso un’intensa conversazione su quanto i cani fossero creature meravigliose – che a quanto sembrava si occupava della gestione del Doggy daycare, la giovane strega aveva deciso di concedersi un po’ di relax alla spa.
Dopo un bel massaggio rigenerante Briar aveva optato per un trattamento purificante e nutriente per il viso, tanto che si diresse verso la zona relax della spa con addosso un morbidissimo accappatoio che sembrava una piuma, un paio di pantofoline bianche, una fascetta di spugna a tenerle indietro i capelli – tutto in dotazione dell’Hotel – e una densa maschera verde spalmata sul viso.
L’ex Serpeverde puntò una delle poche poltrone – tutte color beige e dall’aria piuttosto confortevole, allineate in due file –  rimaste libere, affiancata da una lampada che produceva una piacevole luce soffusa e da un tavolino che sosteneva una pianta in vaso.
Fermatasi a raccogliere una rivista dal tavolino in vetro, Briar si accomodò sfilandosi le pantofoline e inalando piacevolmente il profumo di agrumi che avvolgeva tutta la stanza assieme ad una musica rilassante dal volume molto ridotto.
“Ah, ci voleva proprio.”
Briar si sfiorò il viso con la mano, gli occhi chiusi per godersi al meglio il momento mentre stringeva la rivista in grembo. Quasi non si era resa conto di non aver solo pensato ma di aver effettivamente dato voce a quelle parole, o almeno finchè una voce femminile vellutata e seducente non si levò dalla poltrona accanto:
“Decisamente. Dicono che quando si viaggia la pelle si stressi molto e che risenta dei cambiamenti climatici.”
Briar aprì gli occhi chiari e ruotò leggermente la testa per osservare la sua vicina, che aveva parlato sfoggiando un delicato accento che però non era sicura di essere riuscita a decifrare. Distesa sulla poltrona facendo incrociare le caviglie sottili, la donna che le sedeva accanto aveva lucenti capelli scuri raccolti in uno chignon perfetto e tra gli occhi azzurri più grandi e limpidi che Briar avesse mai visto. Persino con il viso coperto da una maschera arancione era impossibile che la sua bellezza passasse inosservata, tanto che per un istante Briar la guardò quasi imbambolata mentre l’estranea, sorridendole gentilmente e mostrando due perfette file di denti candidi e allineati, protendeva una mano verso di lei:
“Anjali Kumar. Appena arrivata, vero?”
“Non più di un’ora fa. Briar-Rose Greengrass.”
Briar ricambiò la stretta mentre ad Anjali, osservandola, si illuminavano gli occhi chiari:
“Ohh, Greengrass… lei ha studiato ad Hogwarts, allora.”
Fu il modo in cui pronunciò il nome della sua vecchia scuola che indirizzò Briar verso il sud dell’Europa, portandola a convincersi che la strega avesse origini francesi, anche se a vederla avrebbe giurato che fosse indiana:
“Sì. Lei ha studiato a Beauxbatons?”
Un sorriso colpevole fece inclinare e labbra carnose di Anjali, che annuì mentre Briar accennava un sorriso soddisfatto di rimando:
“Il mio accento mi precede... Lei sembra giovane… per caso conosce Silas St John?”
“Sì, ha solo un anno più di me… lei lo conosce?”
Oui. Sono un’ospite abituale… e ho studiato con sua sorella, Sabrina è una delle mie migliori amiche. Prima volta che viene?”
Anjali prese la rivista che aveva lasciato sul tavolino che divideva le loro poltrone facendo riflettere la luce della lampada sulle sue perfette unghie color malva, sfogliandola distrattamente mentre Briar annuiva osservandola. Amava prendersi cura di se stessa e del suo aspetto, ma accanto a lei riuscì quasi a sentirsi sciatta, ritrovandosi a maledire il suo chignon disordinato.
“Sì. Sembra davvero tutto bellissimo, qui.”
“Lo è. Se cerca cose da fare o da vedere mi chieda pure, ormai sono une experte di Monte-Carlo.”
Briar si appuntò mentalmente di chiederle dove poter gustare un buon Cosmopolitan e di indicarle qualche museo o galleria d’arte che meritasse di essere visitata, ma prima di tutto si ritrovò a chiederle da dove venisse:
“I miei genitori sono indiani, ma sono nata in Svizzera, a Ginevra. Per alcuni anni, prima della scuola, ho vissuto a Basilea, ma il tedesco non mi è mai andato a genio e da dieci anni vivo di nuovo a Ginevra.”
Ginevra
Un piccolo sorriso incurvò spontaneamente le labbra di Briar, i cui pensieri andarono immediatamente verso sua sorella maggiore.
Mademoiselle Kumar? Devo toglierle la maschera, se vuole seguirmi.”
Lo sguardo cristallino di Anjali scivolò sulla ragazza dai capelli bruni raccolti sulla nuca e con addosso un camice bianco con scollo a V che poco prima aveva applicato le maschere facciali ad entrambe, indirizzandole un lieve sorriso prima di rimettere la rivista sul tavolino e alzarsi in piedi con grazia:
Merci. Buona giornata Mademoiselle Greengrass, lieta di averla conosciuta.”
Briar ricambiò debolmente il saluto, guardando la svizzera allontanarsi prima di potersi concentrare, finalmente, sulla sua rivista. Prima di partire Ginevra glielo aveva ripetuto più volte che in un Hotel del genere, per di più situato in una località così turistica, avrebbe incontrato di certo molte persone interessanti. La minore, scettica, non aveva saputo se crederle, ma a nemmeno due ore dal suo arrivo sentiva di poter iniziare a constatare che la sorella non si era sbagliata.

 
 
*

 
Piscina coperta
 
 
Semi-disteso sul suo lettino, Sloan non faceva che sbuffare e agitarsi, incapace di stare fermo. La sua unica consolazione era l’aperitivo che Mia gli aveva promesso di lì a poco, o la sua sopportazione avrebbe di certo raggiunto il tetto massimo.
Fortunatamente sua moglie era stata abbastanza magnanima da concedergli una visita alla piscina coperta invece che a quella esterna – perfettamente consapevole del rapporto difficile che il marito, da bravo canadese, aveva con il caldo – ma Sloan stava comunque rimpiangendo amaramente il bar che tanto avrebbe voluto visitare.
Mia, che aveva appena fatto una nuotata – ignorando le ammonizioni apprensive del marito e ricordandogli che di lì a poco non avrebbe potuto fare un bel niente per settimane, motivo per cui era del tutto intenzionata a godersi la vacanza –, giaceva sorridente e felice sul lettino accanto, rilassata e con un cocktail analcolico alla frutta stretto in mano:
“Non capisco perché ti lamenti, si sta benissimo qui! E poi questa piscina è così bella, ha un che di così rilassante…”
Sloan non rispose, limitandosi a sbuffare mentre adocchiava il ventaglio con cui una donna di mezza età si stava facendo aria dall’altra parte della piscina. Stava prendendo in seria considerazione l’idea di avvicinarlesi per pregarla di prestarglielo quando Mia menzionò la spa e il suo desiderio di recarvisi presto, gli occhi scuri pericolosamente scintillanti.
L’allenatore rabbrividì, sentendosi raggelare all’idea di dover accompagnare la moglie a fare massaggi, maschere per il viso o peggio una sauna – per uno che mal sopportava il caldo come lui, una sauna era la rappresentazione più vicina all’inferno che potessero proporgli – quando vide qualcuno varcare la soglia della grande porta a vetri della piscina coperta.
Un asciugamano appoggiato sulla spalla, costume blu notte addosso, t-shirt e infradito ai piedi, il nuovo arrivato si muoveva non solo con l’aria di chi conosce bene l’ambiente, ma anche con molto più entusiasmo rispetto al modo in cui Sloan aveva trascinato controvoglia i piedi fino al suo lettino circa mezz’ora prima.
Il nuovo arrivato depositò le sue cose su un lettino, declinò con garbo il drink che gli venne offerto da una cameriera forse troppo sorridente e si diresse dritto verso la scaletta della piscina.
Quasi tutti gli ospiti dell’Hotel sceglievano come prima meta il bar, o la piscina esterna. Considerando che Joel non beveva alcolici il bar era uno degli ambienti che frequentava meno di tutta la struttura, e di solito apprezzava la piscina esterna soltanto di sera, quando era poco frequentata: il musicista adorava nuotare, attività che lo rilassava enormemente e che soprattutto gli permetteva di non pensare per un po’, ma non certo con orde di turisti attorno che gli impedivano di fare le sue vasche.
 
“Sloan, quando finisco il cocktail vieni a fare una nuotata con me?”
Mia utilizzò la cannuccia di metallo per giocherellare con i cubetti di ghiaccio del suo analcolico, guardandolo speranzosa. Distolta l’attenzione dal francese che stava facendo vasche – ma dove la trovavano gli altri ospiti tutti quella voglia di nuotare, con quel caldo che ti prosciugava le energie? –, Sloan incontrò lo sguardo della moglie senza riuscire a fare meno di sorriderle e annuire:
“Certo, se ti fa piacere.”
“Grazie. Prima di cena andiamo al bar amore, hai la mia parola.”
“Vorrei ben vedere! Altrimenti il bambino si chiamerà Gustaf.”
Noi non chiameremmo nostro figlio Gustaf in ogni caso, Sloan! E può anche essere femmina.”
No, Sloan non avrebbe mai chiamato suo figlio Gustaf – sempre che fosse stato maschio –, a volte lo faceva solo sentire un po’ meglio illudersi di avere un briciolo del potere che Mia aveva su di lui.

 
*

 
“Meadow, io vado al bar, devo vedere dei potenziali clienti… tu che cosa intendi fare oggi pomeriggio?”
In piedi davanti alla porta che faceva comunicare la stanza 214 e la 2016, Joshua guardò la nipote osservare da vicino – così vicino che il suo naso poteva quasi sfiorare la tela – il quadro appeso sopra al suo letto matrimoniale tenendo le mani pallide allacciate dietro la schiena.
“Mh, penso che darò un’occhiata in giro.”
“D’accordo… ti servono soldi?”
“No, tranquillo. Quando andiamo a vedere la città?”
La ragazza si voltò con un sorriso verso lo zio, accennando al panorama offerto dalla finestra spalancata della camera mentre Joshua, la sua valigetta di cuoio stretta in mano, si stringeva nelle spalle:
“Nei prossimi giorni, suppongo. Tu informati se c’è qualcosa di interessante da vedere.”
“Beh, c’è il Casinò, dobbiamo assolutamente andarci!”


Joshua quasi rabbrividì immaginando lui e la nipote al celeberrimo Casinò e tutti i disastri che avrebbero combinato, così si limitò a borbottare qualcosa di estremamente vago prima di salutare Meadow con la promessa di non cacciarsi nei guai.
“Per sicurezza, forse dovresti lasciare la bacchetta in camera.”
Fermatosi sulla soglia della stanza, Joshua si voltò con la mano stretta sulla maniglia un’espressione vagamente preoccupata in viso mentre osservava la nipote che, al contrario, infilò le mani nelle tasche dei jeans prima di stringersi nelle spalle:
“Ma un mago non resta mai senza la sua bacchetta, lo dici sempre o no?”
“Già, ma è per non avere la tentazione di fare magie di sorta, Meadow.”
“Disse quello che ne ha la valigia piena zeppa… Vai, non preoccuparti, ci vediamo alle 7.30 per cenare. Sii puntuale, avrò molta fame!”
Mormorando che non aveva dubbi a riguardo, Joshua lasciò la stanza con, effettivamente, la valigetta piena di bacchette e la speranza che la nipote riuscisse a comportarsi bene. Meadow ormai aveva 25 anni ed era maggiorenne da un bel pezzo, non faceva che ripeterselo, ma una parte di lui continuava imperterrita a trattarla come la bambina che aveva cresciuto molto tempo prima.
 

*

 
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Nel suo giro di perlustrazione – non era minimamente abituato a tutto quel lusso, né a soggiornare in Hotel in generale – Asher aveva visitato più o meno quasi tutti gli ambienti comuni dell’Hotel. Gli sarebbe piaciuto vedere il bagno arabo – per lui si trattava di qualcosa di del tutto nuovo –, ma si era affrettato a girare sui tacchi e a dileguarsi alla vista di Brooke e Ridge non appena aveva varcato la soglia, determinato a star loro alla larga per un paio d’ore, quindi aveva optato per uno dei pochi luoghi dove, se non altro, avrebbe potuto rilassarsi un po’ e usare liberamente la magia.
Sembrava che i Babbani la porta collocata accanto agli ascensori nemmeno la vedessero, dal modo in cui ci passavano davanti senza nemmeno voltare la testa incuriositi. Sembravano non accorgersi neanche delle persone che passavano attraverso l’ingresso per entrare o uscire dalla stanza: chiedendosi se tutto lo staff fosse composto da maghi e streghe o meno, Asher si avvicinò alla porta guardandosi attorno con leggera circospezione, un po’ a disagio.
Allungò una mano per aprire la porta incurante del fatto che nessuno stesse facendo minimamente caso a lui, e abbassò la maniglia prima che l’anta di legno si aprisse senza emettere il minimo rumore o cigolio.
Quando l’ex Magicospino si affacciò alla stanza, non riuscì a reprimere un moto di sincera meraviglia: si trovava in un ambiente molto più grande rispetto a quanto si era aspettato, tanto che si domandò se non ci fosse una sorta di incantesimo sulla stanza. Il soffitto era costituito interamente da lastre di vetro molto spesso che permettevano alla luce naturale di inondare la stanza, e oltre la zona centrale – piena di tavolini di diverse dimensioni e divani e poltroncine di colori diversi, tutti rivestiti da velluto o da pelle – c’era un’alta scala ricurva che conduceva direttamente al primo piano. C’erano moltissime piante di vario genere – non invidiò il poverino col compito di innaffiarle – oltre che una porta a vetri che costituiva un’uscita o un ingresso laterale dell’Hotel.
“Wow.”
All’improvviso, scorgendo persone di età e aspetto differenti, molti con addosso particolari vesti e tuniche tipiche dei maghi o con accanto piccole creature magiche, Asher si sentì un po’ più a proprio agio. Le labbra dell’americano si distesero in un sorriso rilassato mentre una ragazza molto giovane – forse anche più giovane di lui – dai ricci capelli neri legati in una coda e la pelle scura gli si avvicinava con un sorriso cortese:
Bonjour. Posso portarle qualcosa, Signore?”
“Una Burrobirra, grazie.”
Asher ricambiò il sorriso della cameriera, guardandola dirigersi verso il bancone del piccolo bar presente prima di andare a sedersi, allegro, su un divano giallo ocra dall’aria molto comoda.
“Scusi, è libero questo posto?”
Il ragazzo si rivolse direttamente alla strega dai lisci capelli scuri e il fisico alto e slanciato che aveva occupato l’estremità opposta del divano. Sul tavolino davanti a lei giaceva un bicchiere vuoto, e la donna sedeva tenendo le gambe accavallate mentre scarabocchiava qualcosa su un piccolo quaderno con aria concentrata.
Asher aveva pregato che la donna parlasse la sua lingua – rivolgerlesi a gesti sarebbe stato terribilmente imbarazzante –, e fu con sollievo che la guardò sollevare lo sguardo su di lui prima di annuire con un candido sorriso allegro:
“Certo! Spero solo che Shirley non le dia fastidio.”
La strega – che parlava sì inglese ma con un accento molto diverso dal suo – indicò l’animaletto che le si era raggomitolato accanto: fu così che Asher si accorse del furetto, ma si affrettò ad assicurarle che non era un problema mentre prendeva posto aspettando la sua ordinazione.
“Non mi fidavo a lasciarla sola appena arrivata, deve ancora ambientarsi. Amaryllis.”
“Asher.”
Stringendo la mano che l’australiana gli aveva porto Asher ricambiò il sorriso contagioso della strega prima che i suoi occhi chiari scivolassero sul quaderno che teneva in grembo e sul quale stava evidentemente ritraendo la stanza in cui si trovavano.
Mentre Shirley osservava curiosa il nuovo arrivato – anche se non osava lasciare la padrona, anzi non smetteva di lanciare occhiate circospette al corvo che un ospite teneva legato al braccio e che non la perdeva di vista un attimo – Amaryllis chiuse con delicatezza il quaderno per farlo scivolare nuovamente all’interno della sua borsa, sorridendo con una punta di imbarazzo:
“Devo realizzare un quadro per l’Hotel e mi sto guardando intorno per capire che cosa potrebbe armonizzarsi bene con l’ambiente. Questo posto è bellissimo, spero di dipingere qualcosa che sia all’altezza dell’arredamento.
 
Dall’altro lato dell’ampia sala Alphard aveva occupato una morbidissima poltrona color zucca posta di fronte ad un tavolino da caffè circolare e dal ripiano di marmo bianco. La sua gemella era stata occupata dalla gatta del mago, Electra, che sonnecchiava acciambellata accanto al cuscino di velluto blu mentre il padrone le dava qualche leggera carezza sulla testa di tanto in tanto.
Alphard sedeva tenendo le gambe fasciate dal completo blu accavallate e con una rivista stretta in mano, gli occhi che scivolavano sulla carta patinata in avida ricerca di informazioni. Di tanto in tanto lo si poteva scorgere sbuffare e girare pagina sperando di trovarci qualcosa di più interessante, o lanciare rapide occhiate al costoso orologio che portava al polso.
Alphard riceveva sempre moltissima posta: era abbonato a praticamente qualsiasi rivista di gossip esistente e ne sfogliava parecchie, soprattutto quando si trovava in vacanza. Quel pomeriggio, tuttavia, la lettura non lo stava soddisfacendo affatto: da giorni giravano voci e indiscrezioni su una possibile relazione tra due membri di spicco della comunità magica britannica, ma tutto si era risolto in un nonnulla quando entrambi avevano pubblicamente smentito la cosa.
“E io che pensavo che quei due sarebbero stati la coppia dell’estate, che delusione…”
Sbuffando amaramente, Alphard parlò in un cupo borbottio mentre allungava una mano per cercare la soffice testa di Electra, accarezzando dolcemente il morbido pelo grigio dello splendido esemplare di Blu di Russia prima di chiudere nervosamente la rivista.
Mentre aspettava che il suo appuntamento varcasse la soglia della stanza – le aveva fatto recapitare un biglietto in camera e sperava ardentemente che lo avesse letto, o alla peggio avrebbe direttamente bussato alla sua porta – Alphard fece vagare i suoi pensieri ai suoi teneri, dolci, adorati Castor e Pollux. Chissà se i suoi due poveri piccoli si stavano annoiando, tutti soli e chiusi in gabbia.
Quando aveva sistemato le sue cose nella suite che gli era stata assegnata aveva quasi pensato di liberarli, ma il timore di perderli era prevalso sulla repulsione di saperli perennemente chiusi in gabbia. Poco male, l’aveva ingrandita con la magia per fargli quantomeno avere più spazio per muoversi.
“Poveri tesori…”
Il mago stava compiangendo i suoi piccoli quando vide la porta d’ingresso aprirsi per l’ennesima volta. Alphard aveva osservato con piacere il via vai che aveva preso vita nel salotto, stare in mezzo alla gente gli piaceva, soprattutto quando si trattava di persone visibilmente così diverse tra loro per origini e cultura. Le sue labbra si distesero in un sorriso quando riconobbe la ragazza che era appena entrata, alzandosi in piedi e abbottonandosi il blazer prima di rivolgerle un cenno:
“Briar!”
Briar-Rose stava scrutando i numerosi volti del presenti quando finalmente scorse l’amico in piedi accanto a due poltroncine color zucca, ricambiando il sorriso prima di affrettarsi a raggiungerlo attraverso la sala:
“Ciao Alphard!”
Camminando in mezzo a divani, tavolini e poltrone Briar raggiunse l’amico, abbracciandolo prima che il mago sollevasse delicatamente Electra dal suo giaciglio per mettersela sulle ginocchia e permettere alla strega di sedersi con un cenno educato:
“Prego. Come vedi Electra ti ha tenuto il posto.”
“Per lei sarà stato un immenso sacrificio. Perdona se ti ho fatto aspettare, sono rimasta alla spa più del dovuto, ma sono corsa qui non appena ho letto il tuo biglietto e sono tornata presentabile.”
Briar si lisciò la gonna color menta mentre prendeva posto accanto all’amico, sorridendogli mentre Electra, offesa per aver perso il suo posto, la guardava torva facendosi però rabbonire dalle carezze del padrone.
“Non preoccuparti, avevo molto da leggere per passare il tempo. Allora, come stai? Credo che sia passato quasi un mese dall’ultima volta che ci siamo visti.”
“Sì, hai ragione, purtroppo ho avuto davvero molto da fare per il nuovo progetto. Più la data si avvicina e più tutto diventa stressante, ma sto bene.”
Rigirandosi lentamente uno degli anelli che portava al dito Briar accennò un sorriso carico di soddisfazione nel pensare alla sua nuova impresa che stava per prendere vita. Alphard, che ormai quasi non sentiva parlare d’altro da settimane, le sorrise di rimando con una punta d’orgoglio e annuendo con aria comprensiva:
“Lo so, non preoccuparti… mi limiterò ad aspettare l’invito per l’inaugurazione.”
“Sarai il primo a riceverlo, naturalmente. Ne approfitto anche per dirti che qui ci sono dei massaggiatori saziali, prima di partire dobbiamo assolutamente farci un massaggio insieme.”
“Se proprio insisti… prendi qualcosa da bere, Briar?”
“Vorrei un Cosmopolitan, ma ho letto che qui servono solo bevande magiche, quindi ripiegherò su qualcosa di diverso.”
La strega allungò la mano abbronzata per prendere l’elegante menù appoggiato sul tavolino di marmo, scorrendo i curiosi nomi dei drink – molti dei quali a lei del tutto sconosciuti –  mentre Alphard, che aveva già bevuto qualcosa in attesa dell’amica di vecchia data, abbassava lo sguardo su Electra, concentratissima sul furetto che faceva capolino dalla borsa di una strega dai capelli scuri che stava chiacchierando con un ragazzo che, ad occhio, doveva avere l’età di Briar.
“Electra, fa’ la brava.”
“Porco Salazar, non ti ho detto chi ho incontrato nella Hall, appena arrivata!”
Briar all’improvviso parlò sollevando la testa di scatto, guardando l’amico con gli occhi chiari sgranati. Sorpreso, Alphard spostò immediatamente l’attenzione su di lei, sorridendo speranzoso:
Una qualche celebrità in incognito con l’amante?!”
Che? Ma no, Alphard devi smetterla con tutte quelle riviste, ti fanno male!”
“Non è affatto vero e comunque io sono più vecchio e più saggio, quindi so quello faccio. Forza, continua, non tenermi sulle spine.”
Liquidato il discorso con un pigro gesto della mano, Alphard tornò ad appoggiarsi contro lo schienale della poltrona mentre Briar, dopo aver roteato gli occhi, parlava a bassa voce e sporgendosi verso di lui, come se temesse che qualcuno potesse sentirla:
“Ti ricordi quel ragazzo, quello studente che mi faceva diventare matta? Silas?”
“Ho qualche vago ricordo, sì.”
“Ecco. LUI. Silas St John. Suo padre è il proprietario, come ho potuto essere così’ stupida da non averci nemmeno pensato! Quella alla reception è sua sorella.”
L’odiatrice di scorpioni!”
“Eh?!”
“Niente, lascia stare, poi ti spiego. Raccontami di Silas, sono curioso… Credo che mia madre conosca la sua e potrei averlo visto a qualche party in Inghilterra, ma non ho presente un volto preciso.”
Felice di avere finalmente qualche storia interessante da ascoltare, Alphard si mise comodo sulla poltrona mentre Briar, di fronte a lui, si rigirava il menù tra le mani accennando una smorfia con le labbra:
“Oh, credimi Alphard. Se avessi conosciuto Silas te lo ricorderesti.”
 

*
 

 
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Dopo aver sistemato le sue cose Artemy non aveva avuto la minima esitazione prima di infilarsi un costume, inforcare occhiali da sole e infradito, prendere protezione solare e cappello e infine dirigersi verso la piscina esterna.
Poco dopo il mago se ne stava comodamente disteso su un lettino foderato da materassino, al riparo di un enorme ombrellone bianco, servito e riverito.
Sistemandosi il cappello che indossava per ripararsi il più possibile dal sole, Artemy si portò la cannuccia di metallo del cocktail di frutta che stava gustando senza smettere di guardarsi attorno con discrezione. Non si trovava in piscina per nuotare, ma solo per rilassarsi, bere qualcosa di fresco e osservare la “fauna” dell’Hotel.
Qualche personcina piuttosto interessante l’aveva già adocchiata, tra cui un’avvenente coppia – sposata, a giudicare dalle fedi – dove tuttavia il bel marito dagli occhi di ghiaccio non sembrava particolarmente interessato alla sua bellissima moglie, preferendo starsene a leggere invece che fare il bagno insieme a lei.
Certi tipi di matrimonio Artemy li riusciva a fiutare da chilometri di distanza, e guardò con un pizzico di compassione la bella strega dai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri. Un ragazzo dai ricci capelli scuri di passaggio per tornare dentro l’Hotel spostò lo sguardo da uno all’altro prima di affrettarsi a superare la piscina senza farsi notare, destando la curiosità di Artemy. Il ragazzo, che ad occhio aveva più o meno la sua età, di certo conosceva la coppia, ma si domandò perché si fosse dato tanta pena per allontanarsi. Decisamente troppo grande per poter essere il figlio… magari un nipote, o un dipendente.
Dicendosi che l’avrebbe scoperto, l’attenzione del mago venne ben presto catturata da altre due figure: una bella ragazza asiatica dai capelli neri che gironzolò a lungo per la piscina incapace di stare ferma, inciampando di tanto in tanto in qualche gioco gonfiabile da bambini e imprecando a voce non proprio bassa di conseguenza.
Alla fine la strega si sistemò su un lettino poco distante dal suo, e Artemy fece del suo meglio per non ridere quando la ragazza attaccò bottone col maritino, che parve piuttosto seccato e iniziò ben presto a risponderle a monosillabi.
Se non gli fosse dispiaciuto tanto per il modo in cui aveva ignorato sua moglie avrebbe quasi fatto un pensierino sull’andare a salvarlo. Quasi.
Sembrava che nessuno si stesse curando particolarmente di lui, almeno finchè Artemy non udì una cristallina voce femminile marcata da accento inglese provenire dal lettino più vicino al suo:
“Non sembra molto socievole, vero?”
Artemy si voltò, scorgendo il profilo di una donna dai capelli neri cortissimi, la pelle scura e che come lui non sembrava intenzionata ad entrare in acqua, a giudicare dai pantaloncini neri che ancora non si era sfilata.
Anche lei stava osservando la stramba coppia di ospiti dell’Hotel, e Artemy prese un altro sorso di cocktail alla frutta prima di rispondere:
“Non esattamente.”
“Alcune persone quando viaggiano restano comunque completamente chiuse in se stesse… è qualcosa che non ho mai capito.”
La strega scosse la testa quasi con disapprovazione mentre sollevava l’oggetto che teneva in mano. Distolto lo sguardo dall0improbabile coppia, Medea si portò la macchina fotografica all’altezza dell’occhio destro per scattare una foto allo scorcio della città che si estendeva oltre i confini della proprietà dell’Hotel.
Artemy si domandò se fotografare gli ospiti all’interno dell’Hotel fosse legale o meno, e la strega parve leggerlo nel pensiero perché parlò di nuovo con un tono di voce deciso ma pacato:
“Non fotografo nessuno, ma sono qui per lavoro… inizio a prendere le misure.”
Artemy sorrise un poco, astenendosi dal farle sapere che lui di certo non sarebbe andato a sollevare polemiche: per quanto riguardava, la sua vicina poteva scattare tutte le foto che voleva.
“Peccato.”
Commentò il mago prima di riportarsi alle labbra la cannuccia, inducendo Medea a voltarsi, perplessa, verso di lui mentre creava volontariamente una piccola pausa di suspence prima di riprendere il discorso:
“Avevo proprio bisogno di un book fotografico nuovo per lavoro…”
Questa volta Medea rise, piacevolmente sorpresa da quella risposta, e dedicò al mago maggiore attenzione prima di chiedergli che lavoro facesse con un sorriso, mettendosi a sedere sul lettino rivolgendosi direttamente verso Artemy, che invece continuò ad osservare placidamente la piscina mentre giocherellava con i cubetti di ghiaccio presenti nel bicchiere:
“Mh, parecchie cose. Lei è una fotografa, suppongo.”
“Prevedibile. Beh, lei è una delle persone più curate che vedo da quando sono arrivata, quindi immagino per il suo lavoro, o lavori, l’immagine conti parecchio.”
“Abbastanza. Se è così attenta ai dettagli suppongo sia una buona fotografa. Erosjka Sila.”
Artemy allungò pigramente una mano verso Medea, che la guardò per un istante prima di allungare la propria e stringerla con decisione, presentandosi a sua volta:
“Medea. Winters.”
Artemy la osservò brevemente, soffermandosi sui particolari quando aggraziati tratti del viso della donna inglese prima di tornare ad osservare in silenzio la piscina.
Sì, lei avrebbe anche potuto piacergli.

 
*

 
Doggy daycare
 
 
“Leon, è inutile che mi guardi così, papà ha mollato anche me, sai?”
Sbuffando, Sabrina continuò imperterrita a misurare la stanza a grandi passi, le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo che di tanto in tanto indugiava sul Bloodhound di suo padre.
Napoleon sembrava particolarmente affranto, ma cercò di non farsi impietosire mentre Geneviève, che l’aveva accolta poco prima alla pensione, sedeva tenendo il suo cucciolo di Rhodesian Ridgeback tra le braccia e guardando attonita la Direttrice:
“Ma davvero tuo padre starà via per tutta la stagione?”
“Mio padre è variabile come il tempo, ma per ora sembra di sì. Merlino Lafayette, non fare quella faccia!”
La strega sospirò mentre si fermava, cercando di non guardare il Basset hound del padre: Lafayette aveva perennemente un’espressione contrita, ma in quel momento sembrava sinceramente sul punto di piangere mentre la guardava addolorato con il muso appoggiato sul pavimento e le enormi orecchie che gli ricadevano ai lati della testa.
Incapace di resistere ai musetti tristi dei cani del padre Sabrina sedette sulla sedia che Geneviève le aveva lasciato libera con un sospiro, facendo cenno a Napoleon di avvicinarsi: obbediente, il cane la raggiunse e le sedette accanto come faceva sempre, appoggiandole la testa sulle ginocchia affinché potesse accarezzarlo. Lafayette, non volendo restare a digiuno di coccole, subito si alzò e incespicò verso Sabrina, finendo però col pestarsi le orecchie e inciampare su se stesso mentre Sabrina alzava gli occhi al cielo: quello era forse il cane più imbranato del mondo, ma non poteva fare a mano di volergli bene.
Rimessosi in piedi Lafayette riuscì a raggiungerla sano e salvo, ma troppo basso per appoggiarle la testa sulle ginocchia si limitò a sedersi accanto a lei per ricevere qualche grattatina.
“Puoi portarmi i biscotti per cani? Questi due ne hanno bisogno quasi quanto io avrei bisogno di uno Xanax.”
“Certo, li porto subito. Questo signorino è sempre più energico, vedo!”
Sorridendo, Genevieve si alzò rimettendo Pascal sul pavimento, guardandolo abbaiare e saltellarle attorno prima di avvicinarsi trotterellando alla padrona. Il cucciolo sedette di fronte a lei guardando confuso prima Leon e poi Lafayette, forse chiedendosi perché i ruoli si fossero invertiti e Sabrina non stesse coccolando lui, ma non osò avvicinarsi causa la stazza di Napoleon e rimase al suo posto mentre Genevieve prendeva da uno scaffale un barattolo di vetro stracolmo di biscottini a forma di osso.
“L’altro giorno ha combinato un disastro, altro che energico… dovrò portarlo qui più spesso, così diventerà più educato.”
Sabrina ammonì il cucciolo con lo sguardo, ma non riuscì a trattenere un sorriso intenerito prima di rivolgersi a Leon, dando un bacio sulla testa del Bloodhound mentre gli sfiorava teneramente una delle grosse orecchie nere che gli penzolavano ai lati della testa:
“Ci pensi tu ad educare questo piccoletto, vero Leon?”
“Il nostro Leon è la nostra roccia.”
Anche Geneviève sorrise con affetto al grosso cane nero e Sabrina annuì, sospirando cupa mentre guardava l’animale:
“Altroché se lo è. A lui sì che potrei affidare l’Hotel, non certo a Silas!”
Genevieve rise mentre porgeva un biscotto a Pascal e poi ai due cani da caccia, che le si avvicinarono per ricevere il loro premio sotto lo sguardo stanco di Sabrina.
“Io adoro Silas, lo sai… dovresti dargli una possibilità, Sabs.”
“Ci penserò quando avrò tempo, ovvero tra una decina di mesi circa. Pascal, andiamo, ho una cena da controllare, il pesce spada non perdona.”
La strega si alzò recuperando il guinzaglio rosso del suo cagnolino, facendolo tintinnare mentre il cucciolo sgranocchiava il suo biscotto. Pascal non sembrava impaziente di tornare a casa e cercò di scappare in cortile per giocare, ma la padrona fu più rapida e lo acchiappò prima che potesse raggiungere l’uscita:
“Pf, ne dovrai fare di strada per battermi in rapidità, piccoletto. A domani, Genevieve.”
Salutata la strega bionda e i cani del padre, Sabrina lasciò la pensione con Pascal a trotterellarle accanto. Mentre si allontanava con la coda dell’occhio scorse un gran numero di cani che la fissavano e cercavano di attirare la sua attenzione abbaiando oltre lo steccato bianco, ma la strega si impose di non voltarsi: se li avesse guardati e si fosse avvicinata sarebbe stata perduta avrebbe mandato il lavoro a farsi benedire.

 
 
*

 
“Joël Moyal! Sai che sono qui e non vieni a cercarmi per farmi un salutino? Mi ritengo sinceramente offesa.”
Joël aveva appena lasciato la sua stanza, dopo essersi lavato e pettinato per non gironzolare per l’Hotel con i capelli pieni di cloro, e stava chiudendo la porta bianca della camera 108 quando una familiare voce femminile gli solleticò l’udito. Le labbra dell’uomo si distesero in un sorriso divertito ancor prima di volgere lo sguardo sulla proprietaria della voce, che lo guardava standosene appoggiata alla prete di fronte vestita di tutto punto e con le braccia strette al petto.
“Anjali. È sempre un immenso piacere.”
“Tsz, tsz, facile dirlo ora, quando sono passate ore e ancora non sei venuto a salutare. Che modi…”
La donna scosse il capo con disapprovazione, voltando la testa con aria sostenuta mentre muoveva la mano curata nella sua direzione come a volerlo liquidare. Ormai perfettamente consapevole di come la sua ex compagna di scuola andasse presa, Joël si stampò il suo sorriso più seducente sulle labbra mentre le si avvicinava e le prendeva la mano, guardandola implorante:
“Hai ragione Anjali Kumar, sono veramente terrible. Pensi di potermi concedere il tuo perdono?”
L’espressione stizzita svanì immediatamente dal bel volto di Anjali, che al contrario sorrise con gli occhi azzurri che brillavano, conscia di essere riuscita nel suo intento e di stare per ottenere ciò che desiderava:
“Solo se mi accompagni al bar per bere qualcosa prima di cena… Sabrina mi ha dato buca e non mi va di bere da sola.”
“Ma Anji, sai che io non bevo.”
“Per questo motivo l’ho scelta come punizione per la tua scarsa considerazione nei miei confronti, Joël caro. Forza, andiamo, è tanto che non ci vediamo e abbiamo molto di cui parlare.”
Pima di dargli il tempo di aprire bocca, Anjali li prese a braccetto per condurlo sicura verso gli ascensori del primo piano. Joël avrebbe voluto ricordarle che era pressoché impossibile che si ritrovasse a bere da sola (figuriamoci se qualche uomo presente, vedendola senza compagnia, non ci avrebbe provato), ma in fondo aveva sempre trovato piacevole la compagnia di Anjali e la assecondò, sorridendole divertito mentre le domandava come mai Sabrina l’avesse abbandonata:
“Deve sistemare non so cosa per la cena. Inaudito.”
“Oh, sì, ma come si è permessa di lavorare! Che vergogna.”
Joël, serissimo, scosse la testa con tutta la disapprovazione di cui era capace, ma Anjali gli diede comunque un poderoso pizzicotto sul braccio mentre salivano in ascensore, intimandogli perentoria di non prenderla in giro mentre il musicista sorrideva divertito.
 
 
*

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Dopo aver bevuto un paio di caffè e aver concluso tutti gli appuntamenti che aveva fissato nel pomeriggio, Joshua aveva deciso di intrattenersi ulteriormente nel magnifico bar dell’Hotel prima di cena. Aveva dato appuntamento a sua nipote per le 7:30 davanti alle loro stanze e non aveva sue notizie da ore: sperando che Meadow non si fosse cacciata nei guai, soprattutto con la magia, il fabbricante di bacchette sorseggiò il suo drink facendo vagare placidamente lo sguardo nell’ambiente che lo circondava.
Degli arredi eleganti, dei magnifici lampadari e dei quadri a Joshua non importava particolarmente, preferendo invece soffermarsi sulle persone presenti. I suoi occhi scivolarono in particolar modo su un ragazzo dell’età di sua nipote, un bel ragazzo dai capelli scuri e dai magnetici occhi gialli che sedeva su un alto sgabello del bancone, impegnato a chiacchierare e a ridere con i baristi.
L’accento del ragazzo era indubbiamente britannico, e Joshua si domandò se per caso lui e Meadow non si fossero conosciuti ad Hogwarts.
 
“Ma sei ancora qui?! Non dirmi che non ti sei mai mosso!”
Udendo la voce della nipote Joshua si voltò, inarcando scettico un sopracciglio quando scorse la ragazza guardarlo con le braccia strette al petto e con lo sguardo carico di disapprovazione:
“Se anche fosse?”
“Se anche fosse? Siamo in questo posto bellissimo pieno di cose da fare e tu stai a marcire al bar!”
“Beh, è un bel bar.”
“Come se te ne fregasse qualcosa! Io ho visto un sacco di cose e un sacco di persone, sembrano tutti molto interessanti… schifosamente ricchi e interessanti, a parte uno yankee molto antipatico! A proposito, tu hai venduto qualcosa?”
Meadow allungò una mano per prendere il bicchiere semivuoto dello zio, che però l’anticipò e lo sollevò per vuotarlo dopo averle scoccato un’occhiata di ammonimento:
“Sì, non mi lamento, il pomeriggio è andato bene. Hai rispettato quella regola speciale?”
“Spero che tu non abbia intenzione di chiedermelo ogni due per tre, zio. Non si potrebbe avere qualcosa da sgranocchiare, sto morendo di fame.”
Guardandosi attorno alla ricerca di un cameriere, Meadow fece un debole cenno ad un ragazzo in camicia e pantaloni neri che subito le si avvicinò, chiedendole cortesemente che cosa desiderasse.
Pochi minuti dopo Meadow sorrise entusiasta di fronte al tagliere di crostini e alla ciotolina di arachidi che le vennero serviti davanti, affrettandosi a prendere la ciotola per impedire a Joshua di rubargliele.
“Non esagerare, tra meno di un’ora si cena.”
Joshua parlò affidando le sue parole al vento, dal momento che Meadow non gli prestò particolare attenzione e continuò a sgranocchiare arachidi guardandosi attorno. Arreso, l’uomo si limitò ad alzare gli occhi al cielo prima che la nipote, scorgendo Silas al bancone, sgranasse stupita i grandi occhi scuri:
“Porca vacca! Silas St John! Quello veniva a scuola con me!”
“Lo avevo sospettato. Ha la tua età?”
“Un anno in più, Grifondoro anche lui. Piaceva a tutte le mie compagne, è sempre stato belloccio… un po’ come te, zio. Vado a salutarlo!”
Lasciando momentaneamente perdere il suo spuntino – anche se ammonì lo zio di non fregarle le noccioline, né i crostini dall’aria più gustosa – Meadow si alzò e si diresse decisa verso il bancone e verso Silas. Joshua seguì la nipote con lo sguardo, guardandola salutare l’ex compagno di scuola prima che questi, dopo averla guardata sorpreso, le sorridesse e l’abbracciasse.
Il cognome St John gli diceva qualcosa, in effetti, ma ne ebbe la conferma solo qualche minuto più tardi, quando Meadow tornò sorridendo verso di lui:
“Ci pensi che suo padre è il proprietario dell’Hotel? Silas è simpaticissimo, dopo te lo presento… ah, ha detto che l’aperitivo lo offre lui.”
Meadow sedette facendo strisciare rumorosamente le gambe della sedia sul pavimento mentre Joshua osservava brevemente il ragazzo. Voltandosi a sua volta verso si loro Silas gli rivolse un sorriso e un cenno di saluto che l’uomo ricambiò educatamente prima di voltarsi verso la nipote:
“Gentile. Vuoi cenare con lui, dopo?”
“Come? No zio, magari un’altra volta, stasera abbiamo appuntamento noi due, no?”
Meadow lo guardò aggrottando leggermente la fronte, come chiedendosi perché le avesse rivolto una domanda simile. Joshua annuì accennando un sorriso mentre spingeva il tagliere verso la nipote, sentendosi improvvisamente un po’ più felice.
 

 
*

 
Camera 218

 
Dopo cena Silas era tornato immediatamente nella sua stanza: non gli andava di attardarsi al bar, né sulla terrazza come faceva spesso. Senza contare che il mattino seguente avrebbe dovuto mettere la sveglia all’incirca alle 7, orario che per lui corrispondeva pressappoco all’alba, quindi non era il caso di andare a letto a notte inoltrata come faceva sempre.
 Varcando la soglia il mago non aveva potuto non notare la differenza di dimensioni tra il suo vecchio e nuovo alloggio, ma aveva stretto i denti imponendosi di farselo andare bene: quell’estate intendeva dimostrare qualcosa non solo a suo padre, ma anche a sua sorella.
La sua camera non aveva nemmeno la vista sul mare, e mentre si accostava il telefono all’orecchio, sentendolo squillare, sedette sul bordo del letto lanciando un’occhiata malinconica alla finestra che aveva davanti. Certo lo scorcio della città avvolta dall’oscurità e piena di luci era splendido, ma la vista sul Mediterraneo gli sarebbe comunque mancata.
Quando sentì una dolce voce femminile rispondere il ragazzo sorrise, sfilandosi le scarpe con il solo ausilio dei piedi mentre rispondeva al saluto:
“Ciao mamma. Come stai?”
“Bene tesoro, sto ultimando i preparativi per la partenza… Tu?”
“Ah, già, mi ero scordato che vai in Italia. Potresti passare a salutare prima di tornare in Inghilterra, no?”
Silas si lasciò cadere all’indietro, incontrando il morbido materasso e il piumino bianco che lo ricopriva e giocherellando con un lembo della camicia a maniche corte che indossava mentre fissava il soffitto sopra di lui.
Joyce gli assicurò che avrebbe fatto il possibile per fermarsi prima di tornare in Inghilterra, e Silas accennò un sorriso prima che la madre gli chiedesse come stesse Sabrina.
“Sabs sta bene. La conosci, niente può scalfirla… credo che la decisione di papà l’abbia ferita molto, ma piuttosto che ammetterlo, soprattutto a me, farebbe voto di silenzio per una settimana Tu lo sapevi, mamma, che vuole andare in pensione?”
Joyce negò fermamente, asserendo che saperlo l’aveva sorpresa enormemente:
“Tuo padre ama quell’Hotel più di qualsiasi altra cosa, trovo ancora assurdo che voglia smettere di occuparsene, è la sua vita.”
Silas annuì, pensieroso, tornando indietro alla sua infanzia, quando il padre faceva avanti e indietro tra Inghilterra, dove abitava, Francia per vedere Sabrina e soprattutto il Principato di Monaco per controllare la gestione dell’Hotel. In estate, tutti e tre passavano stabilmente la bella stagione insieme o all’Hotel, o almeno fino al divorzio dei suoi genitori. Sua madre definiva sempre il Le Mirage il primo vero figlio di Gideon e Silas non se l’era mai sentita di smentirla.
“Sì, lo so. Anche Pierre mi sembra strano, ma non riesco a cavargli una sola parola di troppo.”
“Arrenditi, per quanto voglia bene a te e a Sabrina se ha dato a Gideon la sua parola non si farà scucire nulla, sai com’è fatto.”
Silas potè quasi scorgere la madre alzare gli occhi al cielo e sorrise, annuendo:
“Lo so. Ah, non ti ho detto la novità. Sai che domani inizio a lavorare con Michel e Odette? Se Michel non mi fa a pezzetti prima, certo.”
“Davvero? Mi fa piacere tesoro, è bello che tu voglia impegnarti. Papà sarà felice di saperlo.”
“Sì, credo di sì. Tra poco vado a letto, devo alzarmi presto. Non dicevo niente dal genere da quando mi sono diplomato…”
Vagamente sconvolto dal suono che quelle parole assumevano quando era la sua voce a pronunciarle, Silas strabuzzò gli occhi – era davvero passato cos’ tanto dall’ultima volta in cui aveva dovuto alzarsi presto? – mentre Joyce, dall’altro capo del telefono, rideva prima di parlargli con affetto:
“Non mi è difficile immaginarlo. Sai caro, credo che all’Hotel ci sia il figlio di una mia vecchia amica.”
“Ci sono anche due mie ex compagne di scuola.”
Pensando con affetto a Meadow – e con un po’ meno di benevolenza a Briar-Rose Greengrass – Silas udì la madre ridacchiare e fare la solita battuta sulle fidanzate che gli fece alzare gli occhi al cielo. Lui e Sabrina una cosa in comuna, a parte il padre e il cognome, l’avevano: entrambi glissavano con enorme maestria quando le rispettive madri sondavano l’argomento “relazioni”.
“No mamma, niente del genere. Chiamami quando arrivi in Italia, ok? Non fare troppo shopping.”
“Ci proverò caro, tu vai a presentarti ad Alphard, non farmi fare brutta figura!”
“Ok mamma… buonanotte.”
Alzando gli occhi al cielo – ma ringraziando che non si trattasse di una ragazza con cui la madre voleva incastrarlo – Silas augurò la buonanotte a Joyce, ponendo fine alla telefonata poco dopo. Il ragazzo lasciò il telefono sul comodino alla sinistra del letto, restando immobile sul letto fissando il soffitto per un paio di minuti.
Si domandò cosa stesse facendo sua sorella – che cosa faceva, esattamente, sua sorella quando lui di solito restava fuori fino a tardi? – e soprattutto suo padre. La tentazione di chiamarlo era forte, ma decise di lasciar perdere e di rimandare prima di alzarsi e dirigersi stiracchiandosi verso il bagno: non sapeva di preciso che cosa lo aspettasse il giorno seguente, ma di sicuro non sarebbe stata una passeggiata. Poteva solo sperare che Michel, vedendolo presentarsi ordinato, pulito e profumato, non partisse col piede sbagliato nei suoi confronti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): Pensione per cani
(2): “Napoleon, vieni qui, stai spaventando il cane!”
(3): lingua nazionale del Principato di Monaco, variante del ligure
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Buonasera!
Innanzitutto grazie per le risposte alle domande e per le recensioni, in particolare per la celerità con cui tutte voi mi avete risposto <3
Spero che questo primo capitolo, con alcune prime interazioni tra gli OC, vi sia piaciuto, se volete (e sottolineo se volete) per il prossimo potete farmi i nomi di uno/due personaggi con cui avreste piacere di vedere il/i vostro/i OC interagire.
Ci sentiamo presto con il seguito e con le altre storie, per chi vi partecipa!
Signorina Granger

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


 
 
Silas non ricordava di essersi alzato così presto da quando frequentava Hogwarts: di solito si trascinava giù dal letto poco prima dell’ora di pranzo, o comunque mai prima delle 10. Quel giorno, invece, l’ex Grifondoro dovette farsi trovare nella Hall ad un orario a sua detta “totalmente indecente”.
“Ma è legale lavorare a quest’ora?!”
Aveva chiesto sbigottito a Michel quando il concierge lo aveva accolto con il solito cipiglio serio che era solito rivolgere al minore dei St John. Il francese, alzando gli occhi al cielo, gli aveva consegnato un blazer blu navy e una camicia, ordinandogli di cambiarsi prima di informarlo che nel mondo alberghiero, quando il cliente aveva la priorità assoluta e poteva aver bisogno di qualcosa in ogni momento e a tutte le ore, gli orari erano 0 flessibili e piuttosto difficili.
“Buono a sapersi… Vado a mettermi questa roba.”
“Non puoi fare proprio niente per quei capelli, vero?”
Prima di dirigersi verso i bagni del ristorante Silas si portò una mano sugli indomabili ricci scuri impallidendo un poco, guardando Michel a metà tra il terrorizzato e il minaccioso mentre gli intimava di non fare commenti e di tenersi alla larga dai suoi capelli.
Michel sbuffò con disapprovazione, borbottando che in quel lavoro l’impressione esteriore che si dava fosse a dir poco fondamentale mentre osservava critico i capelli del ragazzo, che si affrettò a darsela a gambe temendo che l’amico della sorella potesse tirare fuori delle cesoie.
Dieci minuti dopo Silas era cambiato e in piedi dietro il bancone della reception, cercando di assimilare tutte le istruzioni e le informazioni che Michel gli stava impartendo. A dirla tutta, non aveva mai pensato a quante cose si dovesse tenere a mente per stare semplicemente dietro ad un bancone.
“Naturalmente la reception non è il posto per te, dal momento che non parli francese e siamo a Monte Carlo, ma è per farti iniziare a fare qualcosa... ti occuperai degli ospiti inglesi e americani, per lo più. Qualche parola di italiano?”
“Per lo più parolacce o modi di dire, niente di troppo utile ho idea.”
“Come diamine fai a non sapere il francese e l’italiano quando passi le estati qui da prima di imparare a camminare?!”
Silas sbuffò, astenendosi dall’informare Michel che sì, aveva avuto modo di frequentare italiani, francesi e monegaschi, ma che tutti si erano sempre – o quasi – rivolti a lui direttamente in inglese.
“Ma due anni fa non stavi con quella francese… Camille?!”
“Ah, sì, ma sai… non è che parlassimo poi molto.”
Le labbra carnose di Silas di piegarono in un sorriso colpevole e Michel, sospirando che poteva compatire Sabrina, si schiaffò esasperato una mano sul viso. Di fronte a quella reazione il ragazzo aggrottò la fronte, intimando al concierge di capire perché fosse tanto amica della sorella:
“Siete entrambi noiosi, giudiconi e bacchettoni!”
Giudiconi non esiste e lo so persino io che sono francese. Primo. Secondo, parlami di nuovo così e ti mando a pulire i water, sei avvisato, Principino.”
Certo Michel non gli si rivolgeva in francese in modo tale da non farsi capire, il che era già qualcosa, ma “Principino” scalò immediatamente la vetta dei nomignoli che Silas meno tollerava. Rosso in volto, il ragazzo borbottò qualcosa di incomprensibile prima di afferrare la cornetta del telefono che aveva preso a suonare all’impazzata.
“Pronto?”
Più educato!”
Silas ignorò il commento di Michel, concentrandosi invece sulla voce femminile – che fortunatamente gli parlò in inglese – sorprendentemente familiare che rispose dall’altro capo:
Silas?! Sei tu?”
Meadow? Che ci fai sveglia?”
“Io? Tu che ci fai sveglio! E perché rispondi al telefono della reception? Oh, no, ho fatto casino coi numeri vero?”
“No, no, è tutto a posto… poi ti spiego. Perché hai chiamato? Piantala Michel, la conosco bene!”
Silas si rivolse al concierge con un cenno spazientito, intimandogli di lasciarlo stare mentre quell’altro gli indirizzava gestacci e promesse di morte imminente.
“Scusa Meadow, dimmi pure.”
“Beh, sai, mi sono svegliata un’ora fa e non riesco a prendere sonno… e mi è venuta fame. Potrei avere delle patatine fritte, secondo te?”
“Sì, certo, chiamo subito la cucina.”
“Grazie!”
Silas riagganciò, rivolgendosi a Michel per fronteggiare la sua espressione furente e sollevando le mani per assicurare la sua innocenza:
“Era una mia ex compagna di scuola e le parlo come mi pare e piace. Vuole delle patatine, c’è Claude?”
“Sì. I telefoni della reception e quelli della cucina sono collegati, devi solo premere qui e lo chiami automaticamente.”
“Oh, bene. Posso ordinarle anche per me? Ok, ok, come non detto, non serve fare quella faccia arcigna…”

 
*

 
Meadow si alzò dal letto, infilò la sua vestaglia rosa malva sopra al pigiama e prese a marciare con impazienza da un capo all’altro della stanza, lo stomaco che brontolava e i capelli scuri spettinati: stava morendo di fame e aveva ormai accantonato l’idea di mettersi a dormire, tanto valeva strafogarsi di cose fritte e croccanti.
 
Silas era stato incaricato di portare le patatine visto che, a detta di Michel, non valeva la pena occupare un cameriere se lui e la signorina avevano parecchia confidenza. Il giovane aveva idea che non fosse altro che un modo per fargli fare lavoro extra e sfruttarlo, ma non si era lamentato e si era limitato a vendicarsi rubando un paio di patatine dall’enorme piatto.
Sbadigliando, Silas attraversò il corridoio illuminato dalle eleganti lampade da soffitto con il vassoio che gli galleggiava accanto, seguendolo passo passo.
“210…. 212… 216.”
Silas si fermò di fronte alla porta bianca della camera 216, suonando brevemente il campanello mentre aspettava che Meadow gli aprisse.
Naturalmente l’ex Grifondoro non riuscì a reprimere la sorpresa quando la porta si aprì e al posto della sua amica si trovò davanti un uomo alto che doveva avere poco meno del doppio dei loro anni, dalla carnagione pallida e parecchio spettinato, oltre che senza maglietta e visibilmente scocciato per essere stato svegliato in quel modo.
“Ma… lei non è Meadow!”
“Brillante osservazione. Desidera qualcosa da mia nipote?”
L’espressione di Joshua da seccata divenne quasi inquisitoria, scrutando il ragazzo mentre Silas, dopo lo shock iniziale, riconosceva l’uomo che aveva davanti come lo zio di Meadow intravisto al bar il giorno precedente.
“Ah, certo… scusi tanto, devo portarle il servizio in camera.”
Silas indicò il vassoio che reggeva il piatto coperto da una gloche con un sorriso colpevole mentre Meadow, udite delle voci provenire dalla stanza dello zio, apriva la doppia porta che comunicava le loro camere.
“Zio, che c’è? Ohhh, finalmente le mie patatine!”
Affacciatasi nella stanza 216 Meadow sorrise nello scorgere Silas e il suo spuntino, affrettandosi a raggiungere i due per prendere il vassoio dalle mani dell’ex compagno di scuola e rivolgergli un sorriso allegro:
“Grazie, anche se hai sbagliato porta. La mia è la 214, genio.”
“Me ne sono reso conto. Mi dispiace molto averla svegliata, Signor Wellick.”
“Non fa niente, per questa volta. Che cosa hai ordinato?”
Joshua chinò il capo verso la nipote, che stava appoggiando il vassoio sul letto sfatto dello zio e che sollevò la gloche di metallo per rivelare la montagna di patatine fritte che aveva ordinato:
“Fritto a quest’ora?!”
Un po’ arreso, un po’ contrariato, Joshua guardò le patatine mentre la nipote sedeva sul bordo del letto accavallando le gambe esili e sfoderando un sorriso soddisfatto nell’addentarne una:
“Queste sono buone a tutte le ore! Grazie Silas.”
“Di nulla. Arrivederci, emh, Signore.”
Reo della sua figuraccia, Silas rivolse un cenno imbarazzato a Joshua prima di salutare Meadow e congedarsi, allontanandosi lungo il corridoio sibilando auto-insulti mentre l’australiano chiudeva la porta.
“Quel ragazzo non è il figlio del proprietario?”
“Sì, perché?”
Meadow annuì mentre si strafogava di patatine, placando piacevolmente la sua fame mentre Joshua si avvicinava al letto aggrottando le sopracciglia:
“E porta patatine in giro? Strano. Ma è anche giusto così, fossi in suo padre lo avrei messo a lavorare anche io. Me ne offri una?”
Il mago accennò un sorriso mentre allungava una mano verso il piatto, non sorprendendosi affatto quando la nipote lo guardò torva e gli colpì la mano con un buffetto:
“Ehhh no, giù le mani!”
“Scusa, queste chi le paga?”
“Ma le ho ordinate io!”
“Non funziona così il mondo degli affari cara. Lo faccio per te, prima lo capisci e meglio sarà.”
E con queste parole, Joshua prese due patatine ignorando le proteste della nipote.

 
*

 
Due settimane prima – Mumbai

 
“Mademoiselle?”
Distesa su un lettino prendisole candido come la neve riparato da un ombrellone del medesimo colore e occhiali scuri calati sugli occhi, Anjali Kumar stava quasi per scivolare tra le braccia di Morfeo quando udì la voce del suo maggiordomo chiamarla.
La strega aprì i grandi occhi azzurri e volse la testa verso destra, accennando un sorriso con gli angoli delle labbra carnose mentre metteva a fuoco il vassoio che l’uomo le porgeva.
“Il Signor St John per lei.”
“Merci Amrit.”
Anjali si sollevò, facendo scivolare con grazia le gambe affusolate dal lettino per toccare le piastrelle levigate con i piedi prima di alzarsi e prendere il telefono vintage color crema che Amrit, il suo fedele maggiordomo assunto diversi anni prima dal padre della strega, le porgeva sul vassoio.
La strega si portò la cornetta all’orecchio destro stringendo il telefono con l’altra, avvicinandosi al bordo della piscina interrata mentre Amrit, che indossava un’elegante kurta(1) color avorio e dei churidar(2) blu notte, attendeva educatamente alle sue spalle tenendo le mani strette dietro la schiena.
“Monsieur St John?”
“Anjali, come stai mia cara?”
Udendo la gioviale voce del suo albergatore prediletto, nonché padre della sua migliore amica, Anjali sorrise, camminando in perfetto equilibro sul bordo della vasca dal fondale coperto da incisioni in stile etnico.
“Bene, e lei Gideon?”
“Mai stato meglio. Mi dispiace disturbarti, Anjali, ma ho bisogno del tuo aiuto per una questione un tantino spinosa.”
“Di che cosa si tratta?”
Sopra al costume intero color avorio scollato sulla schiena Anjali indossava una sorta di prendisole in stile vestaglia bianco traforato che le si muoveva sinuoso attorno alle gambe, accompagnando dolcemente i movimenti della strega mentre parlava osservando distrattamente i motivi incisi sulle piastrelle della piscina.
“Riguarda Sabrina e Silas, e l’Hotel. Avrei bisogno che la tua permanenza da noi iniziasse prima del previsto, quest’anno… Naturalmente, se accetterai non dovrai versare un centesimo, sarai mia ospite.”
Le parole del mago fecero storcere il naso alla bella strega, che scosse il capo e rispose in tono educato ma deciso mentre giocherellava con il filo del telefono: Anjali sapeva di essere stata molto, molto fortunata, nella vita non le era mai mancato nulla, neppure persone disposte ad offrirle di tutto e di più. Ciononostante, proprio perché consapevole della fortuna di cui disponeva, era sempre molto restia a non pagare ciò che le spettava.
“Non sia ridicolo Gideon, pago sempre ciò che c’è da pagare. Mi dica, che cosa succede?”
 
 
La richiesta di Gideon St John era, tutto sommato, piuttosto semplice.
Recarsi all’Hotel in concomitanza con la sua partenza e tenerlo informato sulle condizioni dei suoi figli.
“Pierre mi terrà informato sullo stato dell’Hotel, è naturale, ma tu sei una delle persone più vicine a Sabrina, Anjali. So che ce l’avrà con me e sai quanto è orgogliosa, non mi scriverà per settimane, e vorrei assicurarmi che tutto vada bene.”
Gideon le aveva assicurato di non volere che “spiasse” i figli nel modo più assoluto, solo assicurargli che se la cavavano bene e aggiornarlo di tanto in tanto. Conoscendo Sabrina, l’albergatore era sicuro che la figlia si sarebbe rifiutata di parlargli per un po’ di tempo dopo la sua decisione improvvisa.
Naturalmente Gideon non sbagliava, Anjali era sicura che Sabrina non avrebbe scritto al padre per diverso tempo, dopo quella particolare uscita di scena. E per quanto la cosa potesse farla sentire leggermente a disagio, come Gideon voleva semplicemente il bene dell’amica e aveva finito con l’acconsentire, soprattutto perché decisa a raggiungerla prima del solito e a fornirle un po’ di supporto.
 
Seduta nella sala del ristorante illuminata da ampie finestre e godendosi la vista di Monte Carlo, Anjali si stava godendo la sua prima colazione al Le Mirage gustando la sua consueta tazza di tè quando scorse l’amica varcare la soglia della stanza per assicurarsi che la colazione procedesse senza intoppi per i suoi ospiti.
“Oh, ecco la Direttrice più bella del mondo, assieds-toi avec moi(3) , Sabrina.”
Un sorriso sulle labbra e la tazza bianca stretta in mano, Anjali rivolse un cenno educato in direzione dell’amica mentre Sabrina le si avvicinava a passo svelto e deciso, i grandi occhi scuri fissi su di lei:
“Bonjour Anji. Dormito bene?”
“Magnificamente, le vostre lenzuola sono sempre… parfaites. Così morbide… cotone egiziano?”
“Naturalmente. Noto che gradisci la colazione come sempre.”
Un lieve sorriso incurvò le labbra rosee di Sabrina mentre faceva vagare lo sguardo su tutto ciò che l’amica aveva ordinato: oltre al thè, sul tavolo figuravano un croissants alle mandorle dall’aspetto molto invitante, un paio di fette di pane tostato coperte da un sottile e lucido strato di marmellata alle pesche e una piccola coppetta di vetro piena di yogurt e frutta.
“Una delle mie preferite tra tutti gli Hotel dove sono stata. E non guardarmi così, la colazione è il pasto più importante! Nonché quello che più si smaltisce. Non lo sai che Marie-Antoinette s’ingozzava la mattina ed era un figurino?” 
Anjali sollevò il croissant ancora tiepido agitandolo a mo’ di rimprovero verso l’amica, che represse a fatica un sorrisino mentre l’immagine di Anjali nelle vesti di una Regina di Francia moderna impegnata a distribuire croissants al popolo si figurava nella sua mente.
“Non prenderei Marie-Antoinette come modello di vita, se devo essere del tutto onesta.”
“Hai ragione, parrucche orrende.”
“E una gran pessima fine.”                
“Però è entrata nella storia. A tutto il suo prezzo, mon amie.”
La svizzera si strinse nelle spalle prima di addentare con modi superbi il suo croissant, riuscendo persino ad evitare che una sola briciola le finisse tra i capelli. Divertita, Sabrina la guardò non stentando affatto a credere che praticamente ogni uomo non omosessuale in cui Anjali s’imbatteva finisse con l’innamorarsi perdutamente di lei.
Alors, quali gossip hai per me? Qualche intrallazzo tra gli ospiti? Tra il personale?”
“Chérie, perché ogni anno giungi qui convinta che questo sia il set di una di quelle soap ambientate in grandi Hotel in Baviera?”
“Gli Hotel sono teatro di due possibili tipi di scenari, lo sanno tutti: una serie di omicidi o una lunga serie di drammi. Francamente, propenderei per la seconda, anche se troverei essere interrogata per un omicidio particolarmente entusiasmante.”
Mentre Anjali prendeva un altro sorso di tè il corpo di Sabrina venne scosso da un brivido: aveva già abbastanza problemi a cui pensare, ci mancava solo che venisse trovato un cadavere nel suo Hotel.
“Non dirlo neanche per scherzo. Ricordi quella storia dell’Avvocato inglese trovata morta su quel treno diretto a Nizza?! Era su tutti i giornali francesi!”
Sabrina scosse la testa mentre Anjali, al contrario, sorrise e annuì con entusiasmo mentre prendeva in mano una fetta di pane tostato:
“Ohhh, sììì! Che storia, fu divertentissimo seguirla. Io ero convinta fosse stato il macchinista.”
“E su quali basi?!”
“Ma perché il macchinista è l’equivalente del maggiordomo, che domande sono! Tu non mangi niente?”
“Ho fatto colazione secoli fa, non ho il lusso di potermi svegliare alle 9…”
Sabrina rifiutò la fetta di pane che l’amica le offrì con un sorriso e un cenno educato della mano, guardando la svizzera sbuffare prima di informarla piccata di non essersi affatto alzata alle 9, ma che semplicemente la sua skin care routine mattutina richiedeva parecchio tempo.
 
 
A qualche metro di distanza, Sloan stava leggendo una copia di un quotidiano francese – concentrandosi con particolare attenzione sulla pagina dello sport – mentre Mia, sedutagli accanto, studiava con attenzione millimetrica tutte le cartine e le brochure su Monte Carlo che era riuscita a racimolare.
“Allora, abbiamo tantissime cose da fare e da vedere, meglio iniziare ad organizzare.”
“Ma non è uno Stato grande come Central Park? C’è tutta questa roba da fare?”
Stupito, Sloan volse lo sguardo sulla moglie che, sbuffando, lo scolpì sul braccio con una brochure prima di intimargli che non avrebbe trascorso la vacanza a letto.
“Ma tesoro, siamo qui per farti rilassare!”
“E mi rilasserò, ma sono le ultime settimane di libertà, o almeno parziale, e me le voglio godere. C’è un’intera mostra su Grace Kelly, quando ci andiamo?!”
La giornalista, che aveva iniziato da alcune settimane il periodo di maternità, indicò entusiasta la brochure che teneva in mano mentre il marito, sospirando, si passava una mano tra i capelli mormorando che prima o poi ci sarebbero andati, se ci teneva tanto.
“E dobbiamo anche andare a vedere il Museo Oceanografico! E il giardino giapponese. Ah, e poi ovviamente c’è il Casinò.”
“C’è anche un giardino giapponese?!”
Sloan si pentì subito di averlo chiesto perché Mia, annuendo entusiasta, gli mise davanti un’altra brochure e prese a snocciolare tutte le informazioni che aveva già assimilato a riguardo del Giardino Zen di Monte Carlo.

 
*

 
Dopo aver fatto colazione Medea era intenzionata a fare un giro all’esterno dell’Hotel, tra la piscina e il giardino, con la sua macchina fotografica a portata di mano. Stava tuttavia attraversando la Hall per raggiungere gli ascensori quando i grandi occhi scuri della strega indugiarono su qualcosa che attirò inevitabilmente la sua attenzione.
Qualcosa di bianco e pieno di pelo.
Una ragazza dal fisico slanciato a dir poco invidiabile e lunghi capelli castani stava in piedi davanti al bancone della reception, impegnata a parlare con una donna sui quarant’anni dai capelli scuri impeccabili e dal sorriso dolce. Accanto alla ragazza, un grosso cane bianco che l’occhio di Medea riconobbe immediatamente come un Samoiedo sedeva sul pavimento in attesa e con la lingua di fuori, il guinzaglio allacciato ad un collare praticamente impossibile da scorgere a causa del pelo lungo e folto dell’animale.
Medea aveva una certa fretta, ma resistere le fu impossibile – aveva da sempre un insormontabile debole per i cani – e quando Briar-Rose ringraziò la receptionist e si allontanò dal bancone la fotografa le si avvicinò con un timido sorriso sulle labbra carnose:
“Mi scusi. Potrei, emh… potrei accarezzare il suo cane?”
Medea accennò con una punta di imbarazzo al Samoiedo – che la guardò curiosa – mentre Briar, dopo un’iniziale rapida sorpresa, annuiva con un piccolo sorriso: da “mamma” orgogliosa ricevere complimenti per Circe le faceva sempre molto piacere e si dimostrò immediatamente ben disposta nei confronti della fotografa.
“Ma certo. Circe apprezza molto le coccole. Seduta.”
Obbediente, Circe sedette come ordinato dalla padrona permettendo così a Medea di accarezzarla. La fotografa sorrise intenerita mentre tastava il sofficissimo pelo candido del cane, complimentandosi allegra con Briar per il suo bellissimo animale e anche per il nome che le aveva affibbiato:
“Io sono Medea, a proposito.”
“Ohhh, lei ha un bellissimo nome! Circe non era proprio la zia di Medea?”
Prendendo in simpatia la bella sconosciuta Briar le sorrise con gli occhi verdi luccicanti mentre Circe gradiva le coccole inaspettate e i complimenti di Medea, che annuì prima di raddrizzarsi:
“Sì, Medea era figlia di Eete, uno dei fratelli di Circe. Dopodiché sposa Giasone, ma quell’ingrato decide di lasciarla e così lei impazzisce e uccide i loro figli davanti a lui, una gran bella storia…”
“Proprio allegra. Briar-Rose Greengrass.”
Resasi conto di non essersi ancora presentata Briar si affrettò ad allungare la mano destra, che Medea strinse abbozzando un debole sorriso:
“Già, mia madre dice sempre che teneva particolarmente a darmi il nome di un’eroina mitologica ma che in fin dei conti fanno tutte delle fini pessime, speriamo che il mio futuro sia più roseo. Scusi se l’ho disturbata, lascio lei e Circe alla vostra passeggiata. Ciao bella.”
Medea rivolse un sorriso affettuoso alla cagnolona prima di indirizzare un cenno a Briar e infine allontanarsi, dirigendosi verso gli ascensori mentre l’ex Serpeverde la seguiva curiosa con lo sguardo.
“Hai visto signorina, non è ancora l’ora di pranzo e hai già una nuova ammiratrice. Forza, andiamo.”
Decisa a fare una passeggiata per il centro e di vedere dall’esterno il celeberrimo Casinò, Briar-Rose strattonò con dolcezza il guinzaglio e invitò Circe a seguirla prima di dirigersi con passo sicuro verso l’entrata dell’Hotel, sorridendo al portiere quando l’anziano signore le aprì la porta a vetri.
Aveva fatto colazione insieme ad Alphard come da patti, ma l’amico aveva declinato garbatamente l’invito a seguirla nella sua passeggiata asserendo di avere qualcosa di “molto urgente” da fare. Conoscendo Alphard, Briar era sicura di sapere a che cosa il ricco imprenditore si fosse riferito.
 

 
*
 

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Accanto ai tre ascensori e alla porta che permetteva agli ospiti maghi di accedere al loro salotto privato con bar, a destra dell’ingresso figurava anche una seconda porta visibile a chiunque ma a cui pochissimi potevano accedere, come sottolineato dal cartellino che riportava la scritta “RISERVATO” sistemato accanto alla porta: agli ospiti della struttura l’accesso non era consentito, se non per invito esplicito, e di norma gli unici a varcare la bella porta ad arco piena di intarsi erano Gideon, Sabrina e alcuni membri dello staff.
Sabrina si sistemò distrattamente i polsini del vestito blu con scollo a v e maniche a lanterna che indossava, la gonna svolazzante di raso lunga fino al ginocchio che si muoveva ad ogni passo, mentre si dirigeva verso la suddetta porta sotto gli sguardi curiosi di alcuni ospiti presenti nella Hall.
Aperta la porta, la strega si ritrovò in una sorta di piccolo salottino circolare dalle pareti di un tenue verde salvia dotato di un paio di librerie colme di volumi, un divanetto a due posti pieno di cuscini e affiancato da un tavolino da caffè e un paio di poltroncine. L’immagine di suo padre seduto su una di quelle due poltrone con un libro in mano mentre la invitava a fargli compagnia si impossessò rapida di lei, ma Sabrina fece del suo meglio per scacciarla e per non pensare a Gideon mentre si dirigeva verso l’elegante rampa di scale che seguiva il movimenti circolare delle pareti e che conduceva alla piccola ala del piano superiore dove vivevano lei e suo padre, un tempo riservata a buona parte dei domestici.
Attraversato il corridoio dalle pareti verdi, Sabrina si fermò davanti alla prima porta sulla sinistra e, fatta apparire una piccola chiave dalla finitura satinata con un lieve movimento della bacchetta, l’aprì.
Non aveva fatto in tempo a varcare la soglia che uno dei suoi coinquilini prese ad abbaiare furiosamente, felice di vederla, e subito Sabrina individuò il suo cucciolo di Rhodesian Ridgeback correre verso di lei scodinzolando come un matto.
“Pascal, shhh! Non puoi fare tutto questo casino ogni volta!”
Le pareti del suo alloggio erano insonorizzate, ma Sabrina intimò comunque più volte a Pascal di tacere mentre si inginocchiava per accogliere le feste del cagnolino con un sorriso, guardandolo correrle attorno esagitato prima di cercare di metterle le zampe anteriori sulle ginocchia per poterle leccare la faccia.
“Ahh, no, no no, non con questo vestito! E Salem dov’è, l’hai fatto scappare per esasperazione?”
Sabrina prese il cucciolo tra le braccia per impedirgli di rovinarle il vestito, alzandosi in piedi mentre Pascal le leccava una mano e guardandosi intorno alla ricerca del suo secondo coinquilino, il suo amato gatto nero.
Aveva appena finito di parlare quando udì i miagolii del gatto, scorgendolo quando superò la cucina e alzò lo sguardo verso il soppalco che le fungeva da camera da letto: il micio nero, adottato cinque anni prima da Sabrina quando, ancora cucciolo, l’aveva seguita fino all’Hotel durante una passeggiata per il centro, fece capolino sul primo gradino della rampa di legno che conduceva al soppalco. Miagolando, Salem scese rapidamente le scale per raggiungere la padrona e salutarla strusciandosi sulle sue gambe, facendola sorridere mentre Pascal si divincolava per tornare sul pavimento e giocare con Salem.
“Pascal, ti metto giù, ma fai il bravo!”
Consapevole di parlare a vuoto, Sabrina mise a terra il cucciolo per permettergli di avvicinarsi scodinzolando a Salem, che invece non parve affatto gradire la vicinanza del “fratello” e subito seguì la padrona verso il divano grigio dopo aver scoccato un’occhiata torva a Pascal.
“Povero Salem, costretto a fare da Babysitter a Pascal… ecco, vieni.”
Sabrina sollevò il gatto per sistemarlo sulla porzione di divano dove gli animali avevano il permesso di salire, coperta da un soffice plaid color crema. Il gatto parve gradire e si acciambellò, poggiandosi soddisfatto la testa sulle zampette mentre Sabrina, dopo avergli accarezzato dolcemente la testa, andava a scaldare l’acqua nel bollitore SMEG bianco per farsi una tazza di tè. Di norma non si assentava mai dal lavoro, ma da quando aveva adottato Pascal o lo portava all’asilo per cani da Genevieve o saliva di tanto in tanto per controllare i suoi animali. Disgraziatamente Pascal era solito disturbare molti altri ospiti canini della pensione con la sua vivacità, ragion per cui la padrona preferiva lasciarlo nel suo appartamento per alcune ore prima di lasciarlo alle cure amorevoli di Genevieve.
“Lo hai già mangiato il biscottino, non fare l’ingordo.”
L’occhiata di rimprovero non sembrò turbare il cucciolo, che continuò a cercare di impietosirla girandole attorno mentre riempieva d’acqua il bollitore.
Bevuto il suo tè e riempite le ciotole di Salem, Sabrina Appellò il guinzaglio e la piccola pettorina nera di Pascal e legò il cucciolo, portandolo con sé fuori dall’appartamento che anni prima aveva fatto ristrutturare per renderlo abituabile.
Una volta nel corridoio Pascal puntò guaendo la porta della suite di Gideon e cercò di raggiungerla, ma Sabrina sbuffò e lo strattonò gentilmente verso di sé mentre scuoteva il capo irritata:
“Il nonno non c’è, è inutile andare a vedere. Forza, andiamo da Genevieve, ma vedi di fare il bravo!”
Deluso, Pascal seguì la padrona verso le scale ma si rallegrò quando capì dove Sabrina lo stesse portando, felice di poter farsi coccolare da Genevieve e di poter disturbare gli altri cani della pensione.

 
*
 
 
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Le foto del bellissimo bagno arabo di cui disponeva l’Hotel era praticamente bastato per convincere Alphard a prenotarlo per il suo soggiorno a Monte Carlo. Immerso nella piccola piscina quadrata dal fondo coperto da piastrelle verdi, Alphard si godeva l’acqua piacevolmente calda appoggiandosi con i gomiti al bordo della piscina, gli occhi chiusi.
Alle sue spalle, la sola altra ospite presente oltre a lui si rilassava su uno dei bassi divanetti sistemati sul pavimento piastrellato della sala coperta sfogliando distrattamente delle riviste. Alphard non l’aveva vista entrare, ma aveva sentito dei passi leggeri e un fruscio mentre la donna – a giudicare dal modo discreto e silenzioso di camminare, Alphard era certo che fosse una donna – sedeva sul divanetto ed estraeva, probabilmente, le riviste da una borsa.
La donna alle sue spalle sbuffò piano, e Alphard immaginò che le sue letture non la stessero soddisfacendo. Ah, come poteva capirla, anche lui non trovava quasi nulla di interessante da almeno un paio di giorni, sfogliando invano quelle pagine patinate in cerca di qualcosa che sanasse la sua curiosità e la sua voglia di pettegolezzo.
 
Una decina di minuti dopo il mago ritenne di essere rimasto in ammollo abbastanza e si accinse ad uscire dalla piscina, sorridendo piacevolmente sorpreso quando l’asciugamano blu notte che aveva portato con sé e aveva lasciato su uno dei divanetti planò magicamente verso di lui.
Avvoltosi nel morbido asciugamano, Alphard raggiunse il divano su cui aveva disposto le proprie cose, accanto a quello occupato dall’altra ospite, e si mise comodo prendendo la copia di “La corsia n° 6”(4) in lingua originale che aveva portato con sé.
Il silenzio continuò ad avvolgere la sala semi-deserta, dove gli unici rumori erano costituiti dal fruscio della carta delle rispettive letture dei due estranei. Quando la strega, tuttavia, chiuse la rivista sbuffando delusa e la gettò sulla porzione di materasso accanto a sé per prenderne un’altra, Alphard finì col voltarsi verso di lei quasi senza rendersene conto.
“Che cosa si deve fare per avere qualcosa di interessante da leggere…”
Il borbottio amareggiato della strega – che parlò in un francese perfetto e privo di sbavature –  fece comparire un sorriso appena percettibile sulle labbra di Alphard che però svanì quando finalmente il mago si concentrò sulla sua “vicina”.
La donna che gli sedeva accanto era giovane, doveva avere non più di qualche anno in meno di lui, e i suoi tratti senza ombra di dubbio indiani erano tra i più belli che Alphard avesse mai avuto modo di vedere.
Mentre sbatteva le palpebre un paio di volte per metabolizzare tutta quella perfezione Anjali volse a sua volta lo sguardo su di lui, mostrando due file di denti candidi e perfetti mentre raccoglieva un’altra rivista:
“Scusi. Spero di non aver disturbato la sua lettura di gran lunga più impegnativa della mia.”
Non sapendo se lo sconosciuto capisse o meno il francese Anjali si rivolse ad Alphard in inglese mentre accennava al libro del mago, che si ridestò e chiuse delicatamente il sottile volume mentre ricambiava con garbo il sorriso dell’indiana.
“Non si preoccupi. Che cosa stava leggendo, se posso chiedere?”
“Vanity Fair. Terrible. Con quello che costa l’abbonamento mi aspetterei che almeno ci fosse qualcosa di succulento da leggere. Sa, non ci sono più gli scandali e gli intrallazzi di una volta, sembra quasi che nessuno di famoso si faccia più le corna.”
Anjali scosse la testa con disapprovazione, e Alphard annuì come a voler dire di comprendere perfettamente il suo sdegno prima che la strega, ripreso a sorridere, allungasse una mano verso di lui:
“Anjali.”
“Alphard.”
Il mago allungò a sua volta la mano senza esitazioni, stringendo gentilmente la mano molto più piccola della strega mentre la svizzera lo studiava con i grandi occhi azzurri pieni di curiosità come faceva sempre quando incontrava qualcuno per la prima volta. Adorava, durante i suoi viaggi, cercare di indovinare professione, età, stato civile e nazionalità di chiunque le capitasse a tiro. E dopo anni di allenamento, si riteneva ormai considerevolmente brava, anche se il forte accento dell’uomo e il racconto che stava leggendo non lasciarono spazio a molti dubbi:
“Lei è russo, vero? Perché la sua faccia mi dice qualcosa?”
Anjali parlò inclinando leggermente la testa, studiandolo assottigliando leggermente gli occhi come se stesse scavando a fondo nella sua memoria alla ricerca di un qualche ricordo in particolare. Alphard, invece, annuì abbozzando un piccolo sorriso ironico:
“Diciamo di sì. Spero vivamente che non le ricordi qualcuno che detesta.”
“No, non direi. Ohh, ma certo, devo averla vista o aver letto di lei da qualche parte. È per caso una sorta di imprenditore famoso?”
“Non mi definirei così.”
“È ciò che direbbe un imprenditore famoso.”
Certa che presto o tardi le sarebbe venuto in mente, di preciso, che cosa avesse letto su di lui Anjali annuì soddisfatta, aprendo il numero di un’altra rivista mentre Alphard la guardava incuriosito e divertito allo stesso tempo. Era evidente che la sua vicina non fosse avvezza ad essere contraddetta e abituata, invece, ad avere sempre ragione.
“Lei da dove viene, invece?”
“I miei genitori sono indiani, ma io sono nata in Svizzera. Allora lei deve aver studiato in quel postaccio tremendo e freddissimo!”
Anjali sgranò gli occhi azzurri e si portò drammaticamente una mano alla bocca, rammentando le storie tremende che aveva sentito sulle scuole di magia nordiche e quasi provando pena per lui mentre Alphard, invece, la guardava con la fronte aggrottata e un sopracciglio inarcato, perplesso:
Parla di Koldovstorez?”
“Sì, quello. Terrible.”
“Non era poi così male. Lei ha studiato a Beauxbatons?”
Oui. In mezzo a quel freddo polare non sarei durata mezza giornata, io sono fatta per il caldo e per il Sole.”
Anjali aprì la sua rivista con nonchalance, accavallando con grazie le gambe affusolate sul materasso del divanetto mentre Alphard la guardava incuriosito. Aveva come l’impressione di essere appena incappato in un tipino molto particolare.
 

 
*

 
“Oggi ho conosciuto una signorina dall’aria simpatica, nel Bagno Arabo.”
“Ah davvero? Che tipo è? C’è davvero di tutto in giro per questo Hotel.”
“Una donna di origini indiane di ottime maniere ma, devo dire, dall’aria pettegola.”
Alphard versò un po’ di vino bianco per sé e per Briar-Rose, con la quale stava pranzando dopo la passeggiata della strega e la sua visita al meraviglioso Bagno Arabo dell’Hotel. L’amica, che stava facendo del suo meglio per arrotolare delle linguine al pesto genovese senza schizzarsi di sugo o risultare troppo imbranata, lo guardò con gli occhi verdi pregni di curiosità e un sorrisetto divertito sulle morbide labbra rosee:
Ahhh, ecco perché ti ha colpito! Aspetta, per caso si chiama Anjali Kumar?”
“Non mi ha detto il suo cognome ma sì, è lei. L’hai incontrata anche tu?”
Sorpreso, Alphard inarcò un sopracciglio mentre l’amica, coprendosi la bocca con la mano mentre masticava il gomitolo di linguine faticosamente formato, annuiva. Una volta mandato giù il boccone Briar sorrise, spiegandosi meglio mentre ricordava il suo breve incontro con Anjali quando era appena arrivata all’Hotel.
“Sì, alla SPA! Che coincidenza… Beh, non mi sembra un tipo che passa inosservato. Davvero stupenda…”
Il commento scivolò dalle labbra della strega prima che Briar potesse rendersene conto e Alphard sorrise beffardo mentre annuiva portandosi il bicchiere alle labbra:
“Innegabile. Ecco perché ti ha colpito, cara.”
“Oh, ma finiscila, anche un cieco lo noterebbe! Ah, eccola. Salve!”
Anjali scelse quell’esatto momento per fare il suo ingresso nella sala ristorante, muovendosi con grazia e la disinvoltura di chi conosce perfettamente l’ambiente in cui si trova. Briar sollevò appena una mano nella sua direzione in cenno di saluto, e la svizzera indirizzò a lei e ad Alphard un candido sorriso garbato prima di salutarli e augurare loro buon appetito.
Superato il tavolo di Briar e Alphard Anjali si diresse verso un tavolo circolare sistemato accanto ad una delle ampie finestre della sala da cui si poteva ammirare buona parte del quartiere di Monte Carlo, già occupato da un ragazzo a lei familiare che sedeva con un giornale in mano e la caviglia destra appoggiata sul ginocchio sinistro.
Bonjour mon ami.”
Anjali si fermò accanto a Joël prima che questi, udendo la sua voce, alzasse gli occhi su di lei. Un piccolo sorriso increspò le labbra del bel musicista, che le strizzò l’occhio prima di ripiegare il giornale su se stesso e invitarla con un cenno galante a prendere posto accanto a lui.
Bonjour Anjali. Mi fai compagnia?”
“Speravo me lo chiedessi, non ho mai gradito mangiare da sola e Sabrina all’ora di pranzo è sempre troppo occupata per mangiare con me.”
La strega sedette sulla sedia rimasta libera più vicina all’ex compagno di classe, accavallando le gambe con grazia prima di prendere con un sorriso il menù che un cameriere le porse.
Merci! Che cosa hai fatto stamani, Joël?”
“Ho nuotato e poi sono andato a sbirciare gli ospiti pelosi dell’Hotel, c’era anche un ragazzo asiatico dai capelli color argento che sembrava molto felice di farsi assalire da tutti i cani presenti. Tu hai già fatto strage di cuori?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
Anjali scoccò all’amico un’occhiata eloquente al di sopra del menù che fece sorridere il musicista, consapevole che la strega avesse ragione mentre osservava la lista dei primi per decidere che cosa ordinare.
“Non sarai ancora arrabbiata con me per quelle vecchie, vecchissime storie, Anjali.”
“Prima di tutto se ritieni che quelle storie siano così vecchie mi stai dando della decrepita ambulante e non te lo concedo, Joël. In secondo luogo, no, non avrai mai il mio totale perdono. Penso che prenderò una salade niçoise(4).
Serissima, Anjali parlò senza guardare Joël e chiuse il menù prima di appoggiarlo sul tavolo mentre il musicista, deciso a sua volta che cosa mangiare, la imitava asserendo che per certi versi fosse sempre stata “troppo noiosa”.
“Sarei noiosa perché quando andavo a scuola me la prendevo con te quando lasciavi tutte, e dico tutte, le mie amiche col cuore spezzato?!”
“Non poi tutte…”
“Hai ragione, solo l’80%. Più tutte le compagne di classe di Sabs.”
Mentre un cameriere si avvicinava al tavolo per prendere le loro ordinazioni Anjali scoccò all’amico un’occhiata torva che allargò il sorriso del musicista e lo fece ripensare a tutte le volte in cui, a scuola, Sabrina St John gli si era avvicinata dandogli del porco mentre l’amica di turno abbandonata col cuore infranto piangeva alle sue spalle.
“Hai ragione Anji, ma adesso sono cambiato.”
Joël assunse una fintissima aria angelica con tanto di sorrisino da sberle sulla faccia mentre Anjali, prima di rivolgersi al cameriere alto e biondo per prendere le ordinazioni, fingeva di brindare sollevando ironica il bicchiere vuoto che aveva davanti:
“Davvero? Le tue relazioni si sono ampliate fino alle tre settimane? Brindiamo subito, allora!”

 
*

 
Amaryllis si era posizionata su una panchina del giardino sul retro dell’Hotel per fare dei piccoli schizzi a matita sul suo blocco da disegno, cercando l’ispirazione per il quadro che Gideon St John le aveva commissionato. Stava abbozzando la facciata del retro del bellissimo edificio bianco quando, senza volerlo, si era trovata nel bel mezzo di un’animata discussione.
L’australiana, seduta su una panchina di pietra dietro ad un magnifico cespuglio di rose, era china sul suo disegno quando udì due voci – una maschile e una femminile – che non conosceva ma che parlavano la sua lingua. L’accento era differente, ma Amaryllis riuscì comunque a sentire ogni singola parola e arrossì, imbarazzata, mentre faceva di tutto per concentrarsi su altro e pregava che i due interessati – da quel che poté intuire, marito e moglie – si accorgessero di lei per spostare altrove la conversazione.
 
Merlino, perché tra tutte le location di quell’Hotel abnorme avevano scelto proprio quel posto per tirarsi peste e corna? Desiderosa di sprofondare per l’imbarazzo e ormai arresasi al fatto che non avrebbero rimandato la discussione una volta accortisi di lei, l’australiana si alzò e praticamente corse via nella direzione opposta, disposta ad allungare il giro pur di non trovarsi faccia a faccia con i litiganti dove, a quanto sembrava, la moglie si sentiva trascurata e poco considerata e il marito delle sue lagne pareva averne abbastanza.
Aveva lasciato Shirley, il suo furetto, in camera, ma prima di tornare dall’amato animaletto da compagnia la strega decise di fare una piccola sosta al bar riservato ai maghi: rientrata nell’Hotel, si diresse spedita verso il salotto privato e, una volta entrata, ordinò qualcosa di fresco da bere prima di sedersi su un divanetto rimasto libero.
Stava studiando ciò che aveva realizzato nelle ore precedenti – dopo aver fatto colazione si era presa il lusso di fare una piccola passeggiata fuori dall’Hotel prima di mettersi al lavoro – quando una strega fece il suo ingresso nel salotto. Alta nella media, con capelli molto corti e grandi occhi scuri particolarmente espressivi, una donna dal fisico tonico e la pelle scura si guardò intorno in cerca di posti liberi prima di avvicinarsi ad Amaryllis:
“Scusi, posso sedermi o aspetta qualcuno?”
“No, faccia pure.”
Amaryllis sorrise all’estranea, che accennò un sorriso di rimando prima di sedersi. Solo allora la pittrice si accorse della macchina fotografica che la strega – britannica, a giudicare dall’accento – portava con sé. Dopo aver ordinato un’Acquaviola, Medea iniziò a scorrere con occhio critico le foto che aveva realizzato fino a quel momento mentre Amaryllis, incapace di trattenersi, sorrideva allegra e desiderosa di attaccare bottone:
“Lei è una fotografa?”
“Sì, ma oggi non è proprio giornata.”
“Ohhh, la capisco, io devo realizzare un dipinto per il proprietario ma fino ad ora oggi non sono riuscita a combinare granché, mi sono anche imbattuta in una coppia che litigava…”
“Davvero?”
Improvvisamente piuttosto interessata, Medea volse lo sguardo sull’australiana mentre quella, annuendo, allungava sorridendo una mano verso di lei, presentandosi.
“Medea Winters. Australiana?”
Amaryllis annuì senza smettere di sorridere, decretando di adorare la fotografia e che quello dell’inglese fosse un lavoro splendido. Medea ricambiò con meno enfasi il sorriso, assicurandole di adorare il suo lavoro ma che, talvolta, poteva diventare una scocciatura.
Amaryllis non riuscì a chiederle di spiegarsi meglio, anche se avrebbe voluto, perché Medea le domandò di spiegarsi meglio sulla coppia di litiganti in cui si era imbattuta, gli occhi scuri che la osservavano con attenzione.
“Beh, non è che sappia molto, non li ho nemmeno visti bene, era una coppia sposata che discuteva. Americani, credo. Però è stato abbastanza imbarazzante, e in generale mi distraggo facilmente se c’è qualcuno attorno a me mentre disegno.”
Medea annuì, mormorando di riuscire a capirla benissimo mentre distoglieva lo sguardo per osservare pensierosa il pavimento, le sopracciglia aggrottate. Quando arrivarono le loro ordinazioni Amaryllis le chiese di parlarle di Hogwarts, guardandola con curiosità mentre Medea, riportati gli occhi su di lei, accennava un sorriso gentile con le labbra:
“Volentieri. Lei dove ha studiato? Non so molto dell’istruzione magica in Australia.”
“Questo perché non è organizzata e celebre come quella britannica. Io ho studiato a Kainga, ma è un istituto molto piccolo, da noi moltissimi giovani maghi studiano a casa con la propria famiglia o con insegnanti privati. Ho sempre sognato vedere Hogwarts, dev’essere stato stupendo studiare lì.”
Amaryllis parlò con un sorriso e con gli occhi quasi luccicanti, immaginando il celebre castello scozzese mentre Medea annuiva, sorridendo nel ricordare con affetto la sua vecchia scuola.
“Lo è stato. Io sono una Corvonero, non so se sa della distinzione…”
“Qualcosa, sì. quindi lei era tra quelli intelligentissimi? Oh, e non mi dia del lei. Può chiamarmi Amy.”

 
*

 
“Che gran fame, è tutto il giorno che sgobbo, non ne posso davvero più!”
Sospirando, Silas quasi si gettò sul tavolo della cucina lagnandosi della sua estenuante giornata lavorativa e pronto a gustarsi l’ottimo pranzo preparato da Claude. Lo chef, impegnato a cuocere una fila infinita di pesci, gli scoccò un’occhiata torva prima di ricordargli di aver fatto solo mezza giornata.
“E lo chiami poco?!”
Di fronte all’espressione offesa dell’ex Grifondoro lo chef alzò gli occhi al cielo, riprendendo a cucinare e a disseminare ordini e indicazioni a destra e a sinistra mentre Sabrina, giunta a sua volta in cucina ufficialmente per controllare l’andamento del pranzo e officiosamente per scroccare del cibo, sedeva vicino al fratello mangiucchiando un asparago.
“Michel ha detto che sei veramente imbranato ma che almeno ti sei impegnato.”
Sabrina abbassò lo sguardo sul fratellastro per scoccargli una severa occhiata di sbieco, osservando Silas trangugiare bocconi abnormi con malagrazia. Udendo le parole della sorella il ragazzo portò i grandi occhi gialli su di lei, sorridendo con l’entusiasmo di un bambino a Natale:
“Davvero? Bene! E comunque non sono così imbranato, Michel è più severo della Rottermeier!”
Mentre immaginava l’amico con addosso l’iconico vestito blu della Rottermeier e con tanto di occhiali e cuffietta in testa, Sabrina attorcigliò le labbra per cercare di non ridere e, schiaritasi la gola, si diede un contegno prima di parlare con fare sostenuto, distogliendo lo sguardo dal minore:
“Michel è fantastico nel suo lavoro e se dice che sei imbranato io gli credo. Ma sono felice, beh, che tu ci stia provando.”
“Grazie! Allora oggi pomeriggio posso lavorare con Odette?”
Silas assunse la sua espressione implorante da Gatto con gli Stivali, ma Sabrina non lo guardò di striscio e prese invece un altro asparago dal piatto mentre Claude le abbaiava di stare lontana dalla sua verdura.
“No, Odette è troppo buona e potresti approfittarne, quindi ti affido a Pierre per dare da bere a tutte le piante. Inoltre, alla chiusura della piscina pulirai i lettini sdraio.”
Deluso, Silas tornò al suo pranzo giocherellando svogliato con il cibo e mormorando qualcosa con tono indispettito: se proprio doveva stare alla reception aveva almeno sperato di poter essere affidato alla dolcissima Odette, che con lui era sempre un vero e proprio angelo.
“Che palle…”
“Non ho sentito bene.”
“Sì Sabs, certo, lo farò. Ma domani posso alzarmi più tardi, è illegale alzarsi all’alba!”
“Qui l’unico che si alza davvero all’alba è Claude, quindi vedi di lagnarti di meno. Buon lavoro ragazzi, prendo anche questa Claude!”
Sabrina si alzò sgraffignando un croissant salato generosamente imbottito, scoccando un ironico bacio in direzione dello chef mentre quello, invece, le intimava di usufruire della sua cucina personale e di smetterla di scroccare.
 

 
*

 
“Sloan, smettila di rubarmi il gelato, dovevi prenderne uno anche tu se lo volevi!”
“Scusa, ma sto morendo dal caldo… l’anno prossimo ce ne andiamo in Islanda in vacanza.”
Sloan restituì il gelato al cioccolato a Mia – sempre più indispettita dai furti subiti dal marito – prima di tormentarsi il colletto della camicia a maniche corte che indossava. I due stavano passeggiando per il centro, passando davanti al celeberrimo Casinò nella piazzetta che ne prendeva il nome, quando Mia si rivolse all’allenatore di Quodpot guardandolo con i grandi occhi scuri fuori dalle orbite:
“In Islanda con la bambina?! Sei impazzito?”
“Era per dire… Scusa, in che senso bambina?! Non sappiamo il sesso!”
Mentre camminavano Sloan abbassò di scatto lo sguardo sulla moglie, guardando Mia con fare sospettoso mentre la giornalista, invece, raccoglieva una generosissima quantità di gelato con la paletta di plastica limitandosi a stringersi nelle spalle:
“No, è vero, ma forse dando voce alle mie speranze finiranno con l’avverarsi.”
“Beh, maschio o femmina che sia io in vacanza al caldo non ci tornerò tanto facilmente.”
“Bene, vorrà dire che io e lui o lei verremo senza di te, naturalmente lo o la porterò dalla mia parte e tu resterai in minoranza.”
Mia assaporò il gelato – il più buono che avesse mai assaggiato – sorridendo soddisfatta e scoccando un’occhiata particolarmente divertita a Sloan, che invece impallidì terrorizzato all’idea di dover trascorrere le vacanze in località calde per i successivi 18 anni.
 
 
Dall’altro capo della celebre piazzetta, Joshua si accingeva a fare ritorno all’Hotel dopo aver portato a termine la vendita di una bacchetta. Piuttosto soddisfatto, il mago s’incamminò verso Rue de la Madone, la via dove si trovava l’Hotel, chiedendosi a metà tra il preoccupato e il curioso come se la stesse passando Meadow: quando l’aveva informata del suo appuntamento la nipote gli aveva risposto distrattamente, ascoltandolo a malapena, la mente di certo molto lontana.
Era ironico pensare a quanto, quattordici anni prima, avesse faticato ad abituarsi alla presenza costante di Meadow nella sua vita, quella bambina che parlava troppo che gli era capitata tra capo e collo senza preavviso e che non poco tempo aveva impiegato per accettare. Adesso, quando Meadow di anni non ne aveva più nove ma ben venticinque, immaginare la sua vita senza di lei gli risultava impossibile, per certi versi anche fastidioso. Per quanto discutessero e si punzecchiassero di continuo, talvolta ancora la vedeva come la stessa bimba di quattordici anni prima.
 

 
*
 

Mentre camminava sul marciapiede Asher gettò un’occhiata furente in direzione di quella palla al piede di Hope, che alternava momenti in cui non dimostrava di avere alcuna voglia di camminare e il ragazzo quasi si ritrovava a trascinarla e momenti in cui tirava per andare a curiosare dappertutto. Frankie, trotterellando mansueto accanto alla viziatissima Chihuahua, si guardava invece intorno con curiosità e restando il solito cagnolino adorabile di sempre.
Ridge e Brooke avevano deciso di fare un giro per il centro e approfittarne per fare shopping, portandosi cane e dogsitter appresso. Asher non capiva perché diavolo si portassero dietro anche lui ed Hope – se non volevano occuparsi del cane avrebbe avuto più senso lasciare che lui si occupasse di lei all’Hotel –, ma non aveva rifiutato la passeggiata e ora camminava portandosi appresso i due cagnolini restando perennemente qualche passo dietro a marito e moglie.
Brooke stringeva già un mucchio di borsette con una mano e l’altra, invece, stringeva il braccio del marito mentre gli parlava amorevolmente, forse nel tentativo di dimenticare la discussione che avevano avuto quella mattina. Asher osservò la mano della donna stretta sul braccio del marito e poi guardò Ridge, certo che avrebbe preferito restare in santa pace all’Hotel invece di accompagnare Brooke a fare spese: il suo portamento rigidissimo e le sue gelide risposte a monosillabi erano un chiaro segno che non aveva alcuna voglia di accantonare le recenti divergenze.
Forse, realizzò improvvisamente il giovane mago, Brooke aveva insistito perché li accompagnasse per non restare sola con lui.
 
Una decina di minuti dopo Asher e Ridge attendevano più o meno pazientemente che Brooke finisse di provarsi dei vestiti nella boutique di Chanel dove li aveva trascinati, mentre i buttafuori vestiti di nero lanciavano occhiate preoccupate in direzione di Frankie e Hope, quasi temendo che i due minuscoli cani potessero assumere le sembianze di bestie incontrollabili mentre restavano obbedientemente vicino ad Asher.
“Per cosa avete litigato questa volta?”
Chinatosi per prendere Frankie in braccio, Asher si rivolse a bassa voce a Ridge mentre l’uomo, invece, teneva gli occhi chiari ostinatamente fissi davanti a sé. Fu solo alla domanda del ragazzo che si voltò verso di lui, aggrottando la fronte prima di sibilare in risposta che non erano affari che lo riguardavano in alcun modo.
“Lo so, volevo solo…”
“Non ha importanza che cosa vuoi, Asher. Vado a dire a Brooke di darsi una mossa, non ne posso più di fare la bella statuina e il marito trofeo.”
Con quelle parole Ridge sbuffò spazientito e si allontanò sotto lo sguardo di Asher, che lo osservò fastidiosamente irritato mentre accarezzava distrattamente il morbido pelo color albicocca del suo cagnolino.
“A volte è veramente uno stronzo.”
Perché si ostinasse a tenersi quel lavoro era una domanda che gli rivolgevano spesso e che persino lui si ritrovava a porsi molto di frequente, senza però mai riuscire a prendere una decisione definitiva per abbandonare quella vita e tutto ciò che comportava.

 
*

 
“Che cosa sta guardando?”
Quando si voltò Medea si ritrovò davanti una ragazzina alta e dalla corporatura esile, grandi e luminosi occhi scuri dal taglio asiatico e lucenti capelli sciolti sulle spalle.
Era sua abitudine studiare brevemente chiunque le capitasse di incontrare e dopo una rapida quanto precisa analisi – la ragazza era inglese, aveva almeno cinque anni meno di lei e parlava in modo impressionantemente rapido – la fotografa inarcò un sopracciglio prima di rispondere con tono distaccatamente garbato:
“Mi guardo intorno, come lei suppongo.”
“Non serve mi dia del lei, sono sicuramente più giovane, mi sembra ridicolo. Ha un modo davvero strano di muoversi.”
E tu sei silenziosa anche se parli a macchinetta
Il sopracciglio di Medea si inarcò ancora di più mentre osservava la bizzarra ragazza che aveva davanti, chiedendosi se fosse seria o se si stesse velatamente prendendo gioco di lei. Stava giusto per mettersi a scattare delle foto dopo aver cercato una buona angolatura quando era stata disturbata.
“Non amo farmi notare.”
“Si vede! Io sono Meadow.”
“Medea.”
“Bella macchina, deve costare un occhio!”
Meadow accennò allegra alla costosa Nikon di Medea, che annuì piano mentre la sfiorava con delicatezza con le dita e senza smettere di osservare la ragazza che le stava davanti, dai suoi capelli ai jeans rovinati e alla felpa corta oversize che indossava. Sembrava insolitamente normale, per alloggiare in un posto simile, radicalmente diversa da buona parte degli ospiti con cui si era imbattuta.
“Sì, è costata cara. Lei… Tu alloggi qui?”
“Sì, con mio zio. So cosa pensa, non sembro affatto una viziata ragazzina ricca. Neanche lei, a dire il vero.”
“Io sono qui per lavoro.”
L’espressione già perplessa di Medea si fece ancora più rigida, osservando con una punta di scetticismo la giovane strega che aveva davanti mentre Meadow, sorridendo, asseriva che “fare la fotografa doveva essere un lavoro molto stimolante”.
Medea non aggiunse altro, limitandosi a far scivolare curiosa lo sguardo sulla giovane strega e soffermandosi, in particolar modo, sul tic che le stava facendo muovere spasmodicamente la gamba sinistra.
“Beh, scusi se l’ho disturbata mentre lavora, vado a cercare un mio amico.”
Decisa a trovare Silas per chiacchierare un po’ con lui – quando era partita si era aspettata di tutto, fuorché imbattersi in un ex compagno di scuola – Meadow si congedò dalla fotografa abbozzando un sorriso, voltandosi a allontanandosi subito dopo a passo svelto verso l’ingresso sul retro dell’Hotel.
Rimasta sola, Medea osservò brevemente Meadow allontanarsi prima di voltarsi accigliata in direzione di ciò che avrebbe voluto immortalare prima di essere interrotta.
“Che strana ragazza…”
 

 
*

 
L’orario di chiusura della piscina era vicinissimo e Joël si stava godendo uno dei pochi momenti della giornata in cui si poteva usufruire tranquillamente dell’enorme vasca senza la calca degli altri ospiti, specie quando si trattava di bambini viziati urlanti e preda dei capricci.
Aveva terminato l’ennesima vasca quando si fermò vicino al bordo della piscina, emergendo con la testa e togliendosi la cuffia con una mano per poi allontanarsi i capelli umidi dagli occhi con un rapido gesto.
Salut.”
 
Gli occhi di Joël scivolarono sul bordo piastrellato della piscina fino a scontrarsi sull’alta e longilinea figura di Sabrina, che stava in piedi vicino all’acqua tenendo le mani allacciate dietro la schiena e un piccolo sorriso sulle labbra.
“Ciao Sabrina. Come mai qui?”
“A quest’ora non c’è mai nessuno, ero curiosa. Di solito detengo io il monopolio degli orari meno gettonati della piscina.”
“Preferisco nuotare senza troppa gente attorno, ma so che capisci. Dev’essere una tortura stare qui tutto il giorno e dover lavorare invece di poter usufruire dei servizi.”
Joël accennò alla piscina con una mano e Sabrina, facendo vagare distrattamente lo sguardo attorno a sé, si strinse nelle spalle prima di mormorare che ci si faceva l’abitudine. Mentre l’ex compagno di scuola usciva dalla vasca grazie alla scaletta di metallo, la strega prese l’asciugamano che Joël aveva portato con sé e glielo lanciò, sorridendo prima di parlare con tono divertito:
“Sei un po’ lento per nuotare tanto spesso.”
“Forse dovremmo organizzare una bella gara, un giorno di questi.”
“Volentieri, ma voglio Anjali come giudice.”
Il musicista sbuffò mentre si tamponava i capelli, asserendo che la strega avrebbe decretato la vittoria di Sabrina ad occhi chiusi e senza nemmeno prestare caso alla competizione mentre la Direttrice, divertita, sorrideva decretando che avrebbe vinto in ogni caso e che l’essere di parte di Anjali non avrebbe cambiato nulla.
Au revoir Joël. Fammi sapere quando vuoi farti umiliare.”
La francese girò sui tacchi e si allontanò senza dargli il tempo di replicare, lasciandolo solo con la precisa sensazione di averle scorto, per un momento, un sorriso beffardo sulle labbra.

 
*

 
Artemy aprì la porta del bagno lasciando che una nube di vapore caldo si librasse nell’ampia camera da letto con vista su Monte Carlo. Il giovane mago sollevò le braccia per congiungere le mani pallide e stiracchiarsi, inarcando la schiena prima di avvicinarsi alla finestra situata sopra all’elegante scrivania – che, aveva subito pensato Artemy quando aveva messo piede nella stanza, difficilmente avrebbe usato – e aprirla, permettendo ad un po’ di frescura di entrare nella stanza.
Artemy indugiò per qualche minuto accanto alla finestra, gli occhi scuri che scrutavano il panorama mentre un asciugamano candido gli avvolgeva la vita. La mano destra del ragazzo scivolò distrattamente fino al suo orecchio, sfiorandosi i tre piercing mentre la mano sinistra solleticava sovrappensiero il tatuaggio che faceva capolino appena al di sotto dell’anca e che faceva timidamente capolino dal bordo dell’asciugamano.
Prima di salire nella sua camera al primo piano e dedicarsi ad un lungo bagno rilassante e profumato, Artemy non aveva resistito alla tenzione di dare un’occhiata alla pensione per cani, dove aveva “fatto amicizia” con moltissimi quadrupedi. Dopo pranzo si era intrattenuto al bar e poi nel salotto riservato ai maghi, giusto per osservare le altre persone presenti e sorridere delle differenze tra le due tipologie di ospiti. Quasi lo divertiva guardare gli altri maghi muoversi con leggera circospezione e fare evidentemente di tutto per non usare la magia e la propria bacchetta per ogni piccola cosa. Per lui quel problema non sussisteva, ma vedere i suoi “simili” in leggera difficoltà, doveva ammetterlo, un po’ lo divertiva.
Certo aveva anche colto l’occasione per fare conversazione, in posti del genere si poteva sempre incontrare un mucchio di persone interessanti e, per quanto diverse tra loro, tutte schifosamente benestanti. Gli era stato offerto da bere e Artemy, dopo essersi finto sorpreso e lusingato, come se non fosse avvezzo a quel genere di situazioni, era stato felice di accettare.
Si era anche imbattuto nella fotografa britannica che, doveva ammetterlo, lo aveva incuriosito per il suo essere così palesemente fuori posto in quell’ambiente, per certi versi un po’ come lo era lui, ma l’aveva vista in compagnia di un’altra strega e non l’aveva disturbata.
Uno sbadiglio lo scosse, e Artemy si coprì la bocca – dove faceva capolino l’ennesimo piercing del mago – con una mano mentre si domandava quanto e come avrebbe dormito quella notte. Date le spalle alla finestra il ragazzo guardò il proprio letto – che, dopo averlo testato, poteva affermare fosse decisamente molto comodo – dal copriletto bianco e azzurro prima di decidersi a sciogliere il nodo che teneva legato l’asciugamano per vestirsi e uscire da lì. Difficile stabilire come avrebbe trascorso la notte successiva, ma di certo non lo avrebbe scoperto restandosene da solo nella sua stanza.

 
*

 
“È stata la giornata più faticosa della mia vita, devo assolutamente dire a mio padre di ridimensionare il numero delle piante… tu come te la sei passata?”
Dopo essersi accasciato sul divano Silas scoccò un’occhiata curiosa a Meadow, che sedeva accanto a lui in maniera scomposta e giocherellando distrattamente con i propri capelli scuri. La ragazza si strinse nelle spalle, asserendo di non aver fatto granché ma di avere intenzione di convincere suo zio a portarla in giro per la città nei giorni seguenti.
“Potresti farmi fare un giro turistico, no?”
Meadow sorrise all’ex compagno di Casa, che ricambiò e annuì mentre Briar-Rose, di ritorno da una sessione di shopping in compagnia di Alphard, superava il divanetto che i due avevano occupato scoccandogli un’occhiata piuttosto torva che il ragazzo ricambiò. Meadow, confusa, seguì la bella ragazza con lo sguardo prima di indicarla e voltarsi sorpresa verso l’amico, gli occhi spalancati:
“Ehy, ma quella non era…”
“Sì, sì, è lei, per favore lasciamo perdere, che estate del cazzo… Comunque sì, mi piacerebbe farti fare un giro, quando Sabrina riterrà di esonerarmi dai lavori forzati.”
Meadow non poteva certo affermare di avere una considerevole esperienza lavorativa alle spalle, ma associare le piantine ai lavori forzati le parve comunque vagamente esagerato. Tuttavia, decise di lasciar perdere e anzi si rianimò, mettendosi seduta comoda contro il bracciolo in modo da rivolgersi all’amico prima di strattonargli il braccio:
“Oh, mi sono imbattuta in un’ospite. Molto bella, inglese, avrà l’età di tua sorella… ma c’era qualcosa di strano nell’aria.”
“Che intendi?”
“Non so. Mi chiedo che cosa stesse fotografando, esattamente. Ohhhh, e se fosse una paparazza? Ci sono ospiti famosi qui adesso?!”
“Non ne ho idea, chiederò alla Rotterm- a Michel. Sabrina detesta che la gente venga a ficcare il naso qui dentro…”
Mentre l’amica iniziava a snocciolare tutte le teorie possibili ed immaginabili, Silas aggrottò la fronte chiedendosi se Meadow avesse preso un granchio, preda di assurdi film mentali, o se in qualche modo avesse ragione.
“Io sono decisamente brava a capire le persone, sai. Quel tipo con cui ho cercato di chiacchierare in piscina, quello antipatico... ecco, anche lui non me la racconta giusta.”
“Non starai esagerando un po’?”
“Io? Mai!”

 
*

 
Dopo cena Anjali aveva convinto lui e Sabrina ad attardarsi per bere qualcosa insieme al bar situato sulla terrazza panoramica dell’Hotel, anche quella riservata solo ed esclusivamente ai maghi. Joël e l’alcol non erano mai andati particolarmente d’accordo, ma il mago aveva accettato di attardarsi con le due ragazze per fare due chiacchiere e cercare di capire perché Gideon St John non si trovasse all’Hotel.
Quando verso le dieci il mago fece ritorno nella sua stanza, la 108, non era ancora riuscito ad ottenere una spiegazione chiara dall’enigmatica e riservata Direttrice, ma era sicuro che presto o tardi sarebbe riuscito a vederci più chiaro.
Dopo essersi chiuso la porta alle spalle Joël si avvicinò alla scrivania addossata contro la parete, sfiorando la vecchia e in parte rovinata custodia di un violino che vi aveva poggiato sopra prima di far scattare i ganci e aprirla. Tirato fuori lo strumento, Joël sedette guardando distrattamente fuori dalla finestra che dava sulla città sottostante e iniziò a pizzicare dolcemente le corde del vecchio strumento, lasciandosi trasportare pian piano nei suoi primi ricordi dell’Hotel, quando vi passava le estati in compagnia di suo nonno Alfred.
Chissà che cosa avrebbe detto vedendolo nelle vesti di ospite quando lui, invece, per anni si era esibito per le ricche persone che alloggiavano in quelle stanze. Ora che era parte di quelle persone Joël non riusciva a fare a meno di porsi quella domanda ogni qualvolta in cui faceva ritorno laggiù. 
 
 
 
 
 
(1): indumento tipico maschile indiano, costituito da una camicia molto lunga
(2): pantaloni aderenti tipici indiani
(3): “siediti qui con me”
(4): piatto tipico della Costa Azzurra costituito da uova, tonno o acciughe, pomodori e verdure varie
 
 
………………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Buonasera a tutti!
So di essere davvero molto in ritardo, ma sono stati mesi molto pieni, con poco tempo e troppa roba da scrivere. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, così come i vostri personaggi <3
Non ho domande per voi quindi vi saluto, a presto con altri aggiornamenti, qui o altrove!
Signorina Granger

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


 
 
Erano le 10 del mattino e la pazienza di Sabrina Marie St John stava già per giungere al limite. Doveva trattarsi, stando alle parole di Michel, di un vero e proprio record.
China sul bancone lustro della reception, la strega stava inutilmente tentando di spiegare ad un’anziana e facoltosissima ospite olandese che no, il suo rognosissimo Pinscher non poteva mettere piede nella piscina coperta.
“No Signora Van Hopper, anche se non entra in acqua. Non può entrare, sono desolata.”
“Ma io non vado mai da nessuna parte senza FruFru!”
Adirata e sempre più offesa, la Signora Van Hopper accennò al Pincher che teneva in braccio e che guardava Sabrina di traverso, quasi percepisse che fosse lei la causa dell’irritazione della padrona e soprattutto della sua impossibilità di entrare in una delle aree più belle dell’Hotel.
Sabrina adorava i cani, li amava davvero. Del resto era figlia dell’uomo più cinofilo che avesse mai conosciuto e Gideon aveva avuto un cane dietro da l’altro fin da bambino, tanto da non riuscire ad immaginare la propria vita senza un amico a quattro zampe con cui condividerla. Sabrina doveva aver assorbito per osmosi l’amore del padre per i cani, ma mai come in quel momento, guardando la cagnolina imbronciata e che aveva passato i precedenti dieci minuti ad abbaiare istericamente contro Michel, desiderò di afferrare un quadrupede e di defenestrarlo dal suo Hotel.
Tuttavia il cliente aveva sempre ragione, quella era la prima cosa che sua padre le aveva insegnato, e Sabrina si costrinse a trarre un profondissimo respiro prima di piegare gli angoli delle labbra carnose all’insù e parlare con il tono meccanicamente cordiale che si sentiva usare solo con gli ospiti più insopportabili:
“Signora Van Hopper, può andare in piscina se lascia… FruFru nella nostra pensione. Genevieve è bravissima con i cani, le assicuro che starà benissimo e avrà molto spazio per correre e giocare.”
“Lasciare FruFru?! Mai!”
“In tal caso dovrà stare lontana dalla piscina coperta a sua volta.”
Apparentemente scandalizzata dalla risposta gelida di Sabrina la Signora Van Hopper decretò che quello non era il modo di trattare un ospite di vecchia data, e stava per intimarle di chiamare suo padre per poter parlare personalmente con lui quando la giovane Direttrice venne salvata dal provvidenziale quanto rumoroso ingresso di una delle sue migliori amiche nell’albergo:
passare inosservata non rientrava nelle doti di Anjali Kumar, che aveva il dono innato di attirare l’attenzione di chiunque si trovasse nella sua stessa stanza anche controllandosi le doppie punte. Quando Sabrina scorse l’amica varcare la soglia dell’Hotel con le braccia cariche di borsette patinate – mentre Benoit le teneva aperta la porta e due facchini facevano a gara per raggiungere l’ospite e offrirsi di aiutarla – Sabrina non potè far altro che sorridere:
“Scusi Signora Van Hopper, credo che un’altra ospite abbia bisogno di me.”
La strega si dileguò scivolando da dietro il bancone con una rapidità sorprendente, impedendo all’odiosa ospite di intercettarla mentre si dirigeva a passo spedito verso Anjali, che si stava facendo aria con una mano sospirando con aria affaticata dopo aver lasciato sul pavimento le numerosissime borse.
“Bonjour Anji. Hai già fatto acquisti? Un record persino per te, così tanta roba alle 10 del mattino…”
Oui, solo qualche cosuccia da usare mentre sono qui, mi sono resa conto che molte delle cose che ho in valigia non starebbero per niente bene, in spiaggia. Mon Dieu, che caldo insopportabile…”
Sabrina annuì comprensiva, asserendo che effettivamente doveva essere stato molto stancante fare shopping sotto il sole e soprattutto compiere l’ardua impresa di passare dalla porta con tutte quelle borse appresso, ma Anjali sbuffò e si sistemò gli occhiali da sole firmati Chanel tra i lunghi e lucenti capelli color cioccolato per scoccare all’amica la sua celeberrima occhiata di pigro rimprovero:
“Ridi pure Sabrina, pensi che sia semplice comporre degli outfit decenti di prima mattina e con questo caldo a rimbambirmi? No che non lo è! Ora andrò a bermi un cappuccino freddo, ne ho urgente bisogno… se solo qualcuno fosse così garbato da portarmi le borse in camera!”
 
Per evitare che due dei suoi facchini finissero ricoverati in ospedale a seguito di una scazzottata, Sabrina si affrettò a chiedere a Jerome di portare le borse della Signorina Kumar nella sua suite, incarico che il giovane francese accolse con particolare entusiasmo mentre Benjamin, invece, sbuffava piano maledicendo la fortuna del collega.
Dopo aver ringraziato Jerome con un sorriso cordiale – e avergli allungato con nonchalance una banconota da 50 euro – Anjali si diede una ravvivata ai capelli e annunciò all’amica che sarebbe andata a gustarsi un buon caffè. Le avrebbe chiesto di unirsi a lei, aggiunse la svizzera sussurrando, ma aveva sinceramente paura che “la vecchiaccia” l’avrebbe fulminata, se solo ci avesse provato.
“Grazie del pensiero, ma me la caverò. Spero. Se non ricevi più mie notizie, fai controllare nella camera 115.”
Sabrina si congedò con un sospiro tetro, costretta a tornare alle sue mansioni mentre Anjali, dopo averle rivolto un’ultima occhiata dispiaciuta, girava sui tacchi per dirigersi verso il bar. Dopo una lunga sessione di shopping, la giornata doveva assolutamente continuare con una tazza – o magari anche due – di cappuccino freddo.

 
*

 
Briar-Rose gli aveva fatto recapitare in camera un biglietto dove lo informava che avrebbe passato la mattinata a cercare dei regali per sua madre Zara e sua sorella Ginevra al Métropole, il lussuoso centro commerciale di Monte Carlo. Alphard era quindi sceso da solo per fare colazione, occupando un tavolo circolare situato in un angolo della sala del ristorante e prendendo posto sul comodissimo divanetto ad angolo imbottito.
Da lì aveva una perfetta visuale di tutta la sala e il russo si stava giusto guardando intorno mentre aspettava che il suo ordine a base di caffè nero e omelette gli venisse recapitato, gustandosi divertito lo spettacolo che gli si proponeva: una coppia di tedeschi che aveva già avuto occasione di intravedere il giorno prima – dovevano alloggiare in una stanza vicino alla sua – stava discutendo animatamente, mentre un anziano francese fasciato da un completo Armani faceva puntigliose annotazioni ad una povera cameriera sulla sua ordinazione e quella che aveva tutta l’aria di essere una coppia di americani – sposati, a giudicare dalle fedi che facevano capolino sulle mani di entrambi – a stento si rivolgevano la parola. L’uomo – disgustosamente bello, giudicò Alphard – leggeva il giornale senza degnare la bellissima moglie dai lunghi capelli color grano di un’occhiata, mentre un bel ragazzo dai ricci castani e grandi occhi chiari mangiava la sua pila di pancake in silenzio senza smettere di stringere il guinzaglio di un orrendo Chihuahua e di un adorabile barboncino toy color albicocca.
Alphard si stava giusto chiedendo come facesse un cane ad essere così brutto – pensando malinconico ai suoi poveri piccoli e adorabili scorpioni che lo aspettavano in camera soli soletti – mentre Electra, la sua bella Blu di Russia tenuta a sua volta al guinzaglio per evitare che sgattaiolasse in giro per l’Hotel, mangiucchiava educata la sua colazione dalla ciotola che le avevano sistemato accanto al tavolo del padrone.
Si stava chiedendo perché non avesse visto quella coppia tanto bella – ma evidentemente molto poco affiatata – scambiarsi una sola parola da quando si era seduto quando la sua attenzione venne catturata da qualcosa, o meglio dire qualcuno, di noto che varcò la soglia della sala.
Dopo aver salutato un cameriere di passaggio con la noncurante familiarità di chi conosce perfettamente l’ambiente in cui si trova e si sente ormai “di casa”, Anjali stava ponderando dove sedersi quando Alphard, senza rifletterci troppo, scivolò verso l’estremità del divanetto per alzarsi e raggiungere la strega con poche e rapide falcate, lasciando una Electra totalmente incurante della sua momentanea lontananza alla sua colazione.
Raggiunta la bella strega Alphard accennò un sorriso garbato mentre s’infilava elegantemente una mano nella tasca dei pantaloni blu cuciti su misura, salutandola in francese mentre Anjali posava curiosa i grandi occhi chiari su di lui:
Bonjour.”  
Oh, Bonjour! Come sta?”
“Bene, grazie. Perdoni la sfrontatezza, ma mi è sembrato che non stia aspettando nessuno e non mi piace fare colazione da solo. Le andrebbe di unirsi a me?”
Mais oui, bien sûr.(1) Dove è seduto?”
Dopo aver ricambiato il sorriso della strega Alphard le fece cenno di seguirla, precedendola verso il suo tavolo. Una volta raggiunto Electra guardò dubbiosa la nuova arrivata con i suoi grandi e luminosi occhi verdi, scrutando il padrone mentre Alphard scostava con galanteria la sedia ad Anjali per farla sedere alla sua destra.
Quando tornò a sedersi al suo posto Electra ne approfittò per saltargli sulle ginocchia e acciambellarsi, rannicchiando la testa sulle zampe anteriori per mettersi a dormire sotto lo sguardo divertito e ammirato al tempo stesso di Anjali:
“Il suo gatto è bellissimo. Come si chiama?”
“Electra. È davvero bellissima, ma un gatto un tantino inutile, temo… non fa le fuse e non ama neanche le coccole, diciamo che il suo unico interesse è dormire, dormire e elemosinare qualcosa da mangiare sfruttando il suo bell’aspetto.”
Guardandola rassegnato, Alphard sfiorò la testa della gatta con una mano prima di tornare a rivolgersi ad Anjali, pregandola di dargli del tu e di chiamarlo Alphard.
“Allora tu devi chiamarmi Anjali. O Anji, è uguale.”
“Non amo i soprannomi, e Anjali è un bellissimo nome.”
“Io adoro i soprannomi, invece. Ne attribuisco uno a chiunque, sempre.”
Il sorrisino divertito di Anjali suggerì pericolosamente ad Alphard che presto la bella strega avrebbe escogitato un nomignolo anche per lui, ma non fece in tempo a cercare di dissuaderla prima che un cameriere biondi si avvicinasse con la sua ordinazione prima di chiedere ad Anjali se desiderasse prendere qualcosa.
“Per me un cappuccino freddo, grazie Jean.”
“Con sopra del cacao?”
“Certo, come sempre.”
 
La strega sorrise al cameriere, che annuì con un cenno prima di girare sui tacchi e allontanarsi sotto lo sguardo curioso di Alphard, che tornò a rivolgersi alla sua “ospite” mentre continuava a sfiorare la morbida testa d Electra con le dita:
“Sembra che tu conosca i nomi di tutti i dipendenti e che tutti conoscano te. Vieni spesso qui?”
Mais oui, tutti gli anni da… beh, da troppi anni temo. Ho conosciuto Sabrina, la figlia del proprietario, a scuola, siamo amiche da all’ora. Lei mi parlò dell’Hotel di suo padre a Monte Carlo e io convinsi i miei genitori a venire in vacanza qui durante l’estate tra il quarto e il quinto anno a Beauxbatons. Loro adorarono questo posto e ci venimmo anche l’anno seguente... L’anno dopo ancora venni da sola come oplite di Monsieur St John e non ho mai smesso di venire tutte le estati, è un modo per vedere Sabrina e adoro Monte Carlo. Ma ho paura che qui comincino ad averne abbastanza di me, potrebbero anche bandirmi tra qualche anno.”
“Dubito fortemente che sia così. Sono piuttosto sicuro che lì in fondo stiano litigando pur di portare qui il tuo caffè.”
Alphard accennò divertito a camerieri che si stavano contendendo il vassoio e Anjali si voltò per seguire la direzione del suo sguardo, sospirando e liquidando il discorso con un aggraziato movimento della mano prima di decretare che “fossero dei cari ragazzi, ma che la cotta gli sarebbe presto passata”.
 
Anjali stava finalmente per gustarsi il suo cappuccino freddo – mescolando con un sorriso sodisfatto la morbida schiuma bianca guarnita da una generosa spruzzata di cacao amaro – quando Alphard, tagliando la sua omelette, rammentò il suo primo incontro con l’amica di vecchia data della bella svizzera:
“E così sei amica dell’odiatrice di scorpioni.”
“Chi, Sabs? Oh, sì, lei non ama gli insetti e compagnia bella… ma come fai a saperlo?”
“Mi ha ordinato di tenere i miei poveri piccoli chiusi in camera mia, poveri cari… chissà quanto si annoiano.”
“Hai degli scorpioni domestici?! Wow! Beh, non mi sorprende che te l’abbia detto, penso che vedere uno scorpione in giro per l’Hotel le provocherebbe un… un bel colpo.”

 
*

 
Amaryllis aveva lasciato l’Hotel di buon’ora, subito dopo aver fatto colazione. Si era infilata un lungo e sgargiante abito estivo color papavero, aveva allacciato i sandali ai piedi ed era uscita con blocco da disegno e matite in borsa. Salita in taxi, aveva raggiunto Palazzo Grimaldi, uno dei punti più alti di Monaco Vecchia(2), per godersi l’ottima vista sul mare e scattare un bel po’ di foto.
Mentre la brezza le scarmigliava i lunghi capelli scuri l’australiana, riparatasi gli occhi con degli occhiali da sole, si fermò ad ammirare la facciata del Palazzo, appuntandosi di tornare a visitarlo prima di porre fine al suo soggiorno a Monaco, Anjali adocchiò quella che il suo occhio avvezzo ai dettagli riconobbe immediatamente come una figura nota. Un uomo alto, pallido, dal volto affilato e dai lisci capelli scuri stava in piedi scrutando serio il mare.
Amaryllis, sicura che si trattasse di un altro ospite dell’Hotel, gli si avvicinò restando dapprima in silenzio per un po’ e poi, incapace di attaccare bottone, finendo col salutarlo e presentarsi:
 
“Salve. Sono Amaryllis Lewis, credo che alloggiamo nello stesso Hotel.”
 
Voltatosi verso di lei, invece di rispondere subito Joshua restò immobile tenendo le braccia strette al petto e si prese qualche instante per osservarla, a cominciare dal suo sorriso radioso per andare ai suoi occhi chiari ed espressivi, fino ai suoi bei lineamenti per finire sul suo coloratissimo abito. Alla fine, riconosciutala a sua volta, il mago allungò finalmente una mano per stringere quella che la ragazza gli aveva porto e ricambiare la presentazione:
“Joshua Wellick. Lei è australiana.”
Non era una domanda, quanto più un’affermazione, e anche se appariva smorzato da un gran numero di anni vissuti all’estero Amaryllis riconobbe a sua volta l’accento australiano del suo interlocutore. La strega infatti annuì, guardandolo con accesa curiosità mentre stringeva la tracolla della sua borsetta di cuoio marrone:
“Sì, vengo da Byron Bay. Anche lei è australiano, sento. Di dov’è?”
“Sono nato a Birdsville, ma dubito che la conosca, è una cittadina fuori dal mondo e dispersa nel nulla… Ma vivo nella grigia Inghilterra da molti anni. Troppi. È in vacanza?”
“No, lavoro per il proprietario dell’Hotel, a dire il vero. Sono una pittrice.”
 
Joshua non aveva un grande occhio per l’arte, come per le cose belle e il lusso in generale, ma evitò di farlo sapere alla pittrice e si limitò a studiarla pigramente prima di tornare a guardare il Mare prima di asserire che sapere di non essere l’unico non in vacanza tutto sommato gli faceva piacere.
“Anche lei è qui per lavoro? Che cosa fa?”
“Io vendo bacchette. Ma i francesi… sono difficili. Impossibile trattare con loro. E questi sono francesi ricchi, la peggior specie. Mia nipote mi aveva avvertito, ovviamente non l’ho ascoltata.”
“E continuerà a cercare di venderle anche se la faranno uscire di testa?”
“Naturalmente.”
 

 
*
 
 
Métropole, Avenue des Spélugues
 
 
Quando la sera prima Michel lo aveva gelidamente informato di avere l’indomani mattina libera Silas non aveva esitato ad intercettare Meadow fuori dal ristorante dell’Hotel per chiederle se le andava di fare un giro per il centro città insieme a lui, promettendole di portarla a fare colazione da qualche parte – ma non prima delle 9, perché aveva molte ore di sonno da recuperare –. L’ex compagna di Casa non aveva esitato ad accettare, presentandosi davanti alla porta della stanza dell’amico alle 9.30 del giorno seguente e dichiarando immediatamente di avere una gran fame.
La ragazza aveva seguito piena di entusiasmo Silas dapprima fuori dall’Hotel e poi a spasso per le strade – disgraziatamente quasi sempre in salita o in discesa – del ricco quartiere, adocchiando le vetrine luccicanti dei negozi e le macchine dall’aria costosissima che circolavano per il centro.
 
“Un giorno ti faccio fare un giro sulla mia macchina, ma per andare al Métropole bastano due minuti, ci avrei impiegato più tempo a tirarla fuori dal garage che per arrivare a piedi…”
Meadow si chiese che cosa avrebbe detto suo zio dell’idea dell’amico, ma ben prestò stabilì che non le importava affatto e seguì piena di curiosità Silas all’interno di un edificio bianco a più piani che stava quasi di fronte al Le Mirage.
“Porca vacca, è il centro commerciale più da ricconi dove io abbia mai messo piede! Ma non dovevamo mangiare?”
“Io sul cibo non mento mai. Vieni.”
Sorridendo divertito, Silas aveva condotto l’amica verso una delle eleganti rampe di marmo bianco che conducevano al piano superiore, illuminato dal lampadario più grande – e di certo costoso – che Meadow avesse mai visto. C’era un gran via vai di gente, quasi tutti estremamente eleganti, ma Meadow non si sentì affatto a disagio per il suo abbigliamento decisamente casual e seguì Silas senza preoccuparsi dei suoi jeans e del suo cardigan rosso mattone troppo grande.
Stava iniziando a lamentare una gran fame e l’imminente necessità di mettere qualcosa sotto i denti quando Silas, finalmente, le comunicò che erano arrivati a destinazione. I grandi occhi scuri dal taglio a mandorla di Meadow si riempirono di meraviglia quando si ritrovò davanti ad un negozio di Ladurée, ricco dei suoi tipici colori pastello e soprattutto con una vetrina traboccante di dolci meravigliosi.
“Non ci credo… Sono anni che voglio provare i loro dolcetti, sono bellissimi! Ma non costa un patrimonio mangiare qui?”
“Non preoccuparti, offro io. Vieni, hanno talmente tanti gusti che per scegliere ti ci vorrà un’eternità.”
Dopo aver ringraziato Silas con entusiasmo Meadow fu ben felice di seguirlo all’interno della nota pasticceria, impaziente di sbafarsi una gran quantità di deliziosi macarons colorati sotto gli sguardi dei camerieri più impettiti che la ragazza avesse mai visto.
 
Dieci minuti dopo i ex Grifondoro avevano fatto le loro ordinazioni – anche se Meadow aveva finito col scegliere a caso il suo tè a causa dei gusti dai nomi altisonanti quanto totalmente incomprensibili – e si stavano gustando la loro colazione a base di tè e di un’enorme alzata per dolci piena di Macarons.
“Cavolo, costerà una fortuna… Ricordami di offrirti un brunch prima di tornare a casa.”
“Non c’è problema. Quanto vi fermate qui, tu e tuo zio?”
“Lo zio deve vendere delle bacchette, o almeno ci prova. Io provo continuamente a dirgli che con i francesi cercare di trattare è totalmente inutile, ma è più testardo di un mulo e non mi dà retta. Tu stai qui tutta l’estate?”
Silas annuì, decidendo però di soprassedere sull’assenza di suo padre e sui motivi che avevano portato Gideon ad allontanarsi dall’Hotel. Fu con sollievo che apprese che Meadow non aveva intenzione di chiedergli del padre, guardandola addentare un macaron al lampone prima di chiedergli di Briar-Rose Greengrass: Meadow ricordava piuttosto bene l’ex Serpeverde, e soprattutto ricordava benissimo quanto la ragazza e Silas si fossero detestati ai tempi della scuola.
“Presumo sia in vacanza, ma dal registro ho visto che è arrivata da sola… Tra tutti gli Hotel del mondo doveva venire proprio in quello di mio padre!”    Risentito mentre la sua mente vagava fino ai suoi anni ad Hogwarts, rammentando fin troppo bene tutti i punti che Briar gli aveva tolto e le occhiate di supponenza che la Serpeverde era solita rivolgergli, Silas prese a giocherellare con un macaron al cacao mentre Meadow, prendendone uno al caramello dall’alzata, si stringeva nelle spalle esili fasciate dal cardigan oversize:
“Beh, guarda il alto positivo. Come hai detto si parla dell’Hotel di tuo padre, non può renderti la vita difficile se giochi in casa, no?”
“Sì, ma la filosofia di papà è “Il cliente ha sempre ragione”. Se mia sorella scopre che ho mancato di rispetto ad una cliente, mi scava la fossa!”
“Vero. Allora dovrai essere… passivo-aggressivo. Disprezzala in silenzio, così tua sorella ti risparmierà. A proposito, ma che vi hanno dato da mangiare i vostri genitori quando eravate piccoli? Tua sorella è una stragnocca colossale, cavolo!”
Come sempre Silas rise di fronte alla limpida sincerità di Meadow e alla sua espressione ammirata, e non potendo darle torto si limitò ad assicurarle che le loro madri fossero entrambe due donne molto attraenti. E suo padre, beh, Gideon aveva avuto una lunga nomea di playboy prima di sposarsi, prima con Sandrine, la madre di Sabrina, e poi con sua madre Joyce.
“Ah, ma davvero? Mi ricorda qualcuno. Hai una ragazza al momento?”
La ragazza sorrise divertita mentre lo osservava con curiosità e spezzava il macaron a metà, lasciando che una lunga fila di ex compagne che avevano avuto flirt più o meno lunghi con Silas iniziasse a riaffiorare nella sua memoria.
“No, arrivo sempre single a Montecarlo, così posso divertirmi. Ma sai, credo che quest’estate mia sorella e Michel mi manderanno tutto in malora, quei due quando si coalizzano sono peggio di Jafar e Iago.”

 
*

 
Dopo essersi concesso un lungo bagno nell’enorme vasca di cui disponeva la sua stanza ed essersi cosparso una generosa dose di crema idratante alla peonia sul corpo, Artemy si era affacciato alla finestra che dava sul retro dell’Hotel vestito a metà, i capelli argentei ancora umidi tirati indietro con un pettine e una sigaretta accesa stretta indice e medio della mano destra.
Non aveva senso continuare a ripeterselo, ma ogni volta in cui al mago capitava di indugiare con lo sguardo oltre il vetro della sua finestra si ritrovava a contemplare la porzione di Mar Mediterraneo visibile, la distesa di edifici che lo separava dall’acqua e soprattutto l’enorme piscina e il giardino situati sul retro dell’Hotel. Quel posto era davvero bellissimo, provare a negarlo sarebbe stato inutile.
 
Artemy stava guardando pigramente gli ospiti divertirsi e nuotare in piscina prima di indugiare su chi, invece, sembrava preferire prendere il sole. Accigliato, il mago guardò la gente distesa sui lettini bianchi nel tentativo di abbronzarsi senza riuscire a capirli: che cosa ci trovava la gente di tanto piacevole nell’arrostirsi non sarebbe mai stato in grado di comprenderlo. Gli attenti occhi scuri del ragazzo finirono con l’indugiare su un uomo biondo che sedeva riparato da un ombrellone mentre una donna bionda, molto bella, gli parlava dall’interno della piscina appoggiandosi con le braccia al bordo lastricato.
L’ombrellone gli celava parzialmente la vista, ma Artemy riconobbe ugualmente i due. Del resto era difficile che passassero inosservati, sembravano una coppia di modelli o di attori.
Mentre si portava l’estremità della sigaretta alle labbra – non le amava particolarmente, ma gli erano pur sempre state regalate ed erano di un marchio molto costoso, quindi di buttarle non se ne parlava – Artemy stava per indirizzare la sua attenzione altrove quando una terza persona si unì alla coppia di quelli che aveva già ribattezzato “i californiani”.
Un bel ragazzo dai ricciuti capelli castani che teneva un cagnolino in braccio – Artemy rabbrividì: amava i cani, ma quello era davvero orrendo, poverino! – e che aveva visibilmente la sua stessa età raggiunse la coppia per chiedere qualcosa alla donna, che gli sorrise e gli disse qualcosa che Artemy non riuscì a sentire.
Pigramente incuriosito, il ragazzo guardò la donna dare le spalle ai due e riprendere a nuotare mentre il ragazzo, invece, si allontanava rapidamente dalla piscina e senza dire altro. Forse persino un po’ troppo in fretta, giudicò un Artemy improvvisamente un po’ più interessato.
E facendo accuratamente in modo, per di più, che il suo sguardo non indugiasse sul marito della nuotatrice.
 
Povero ragazzo, si permise di pensare Artemy prima di ritrarsi, allontanarsi dalla finestra e sollevare le braccia sopra la testa per stiracchiarsi lentamente. Però doveva ammetterlo, era quasi rincuorante che la bella coppia patinata e perfetta non fosse poi così perfetta.

 
*

 
“I setter dei nobili inglesi?”
“Lavati e spazzolati.”
“Hai portato Pascal da Genevieve?”
“Oui Miss.”
“Il bamboccio si è visto in giro?”
“No Miss, ha la mattina libera. L’ho visto lasciare l’Hotel con la signorina che alloggia nella 216.”
“Mon Dieu non avrà già rimorchiato un’ospite!”
“Non credo Miss, è una sua ex compagna di scuola, una sua amica.”
“Ah, meno male.”
 
Sabrina sembrò sollevata mentre attraversava a passo spedito la cucina con Pierre diligentemente al seguito, impegnata a controllare che tutto fosse in ordine mentre si districava tra cuochi e camerieri e tra i vapori e i profumi che avevano impregnato l’ambiente.
“Claude, mi avevi promesso kg e kg di pissaladière(3) per gli aperitivi di oggi, vedi di non deludere il mio stomaco. Le ostriche sono arrivate?”
“Sì, un’ora fa, vuoi vederle?”
Sabrina declinò l’offerta dello chef, asserendo che si fidava del suo giudizio prima di afferrare in un gesto automatico la carta dei vini che le porse Claude.
“Per me tieni da parte una bottiglia di rosso per stasera… E Anjali adora il Dom Perignon, tienile da parte una bottiglia e fa’ in modo che sappia che ne abbiamo. Grazie Claude. C’è altro Pierre?”
Congedatasi dallo chef, Sabrina superò l’amico per lasciare la cucina e dirigersi verso la sala dello staff per controllare i turni senza che Pierre smettesse di seguirla per un istante, impegnato ad annotarsi ciò che la strega gli chiedeva e a rispondere educatamente alle sue domande.
Si era appena segnato di sorvegliare la “vecchia befana” e fare in modo che il suo cagnaccio non mettesse piede nella piscina coperta quando scorse le note che si era appuntato in un angolo del foglio alcune ore prima. Leggermente a disagio ma allo stesso tempo consapevole di non poter più rimandare, Pierre si schiarì la voce prima di rivolgersi a Sabrina nel tono più neutro di cui fu capace:
“Sua madre ha chiamato mentre nuotava, stamattina. Le ho detto che avrebbe richiamato. Ha chiamato anche suo padre, mi ha chiesto come se la cava Silas.”
“E che cosa gli hai detto, Pierre?”
Come da previsione la strega si fermò, voltandosi verso di lui mentre tentava di mascherare la curiosità e di restare impassibile.
“Che con la sua guida non potrò combinare alcun danno, Miss. Lei è la migliore.”
Pierre sfoderò un sorriso e Sabrina, dopo una breve esitazione, piegò leggermente le labbra all’insù di rimando, guardandolo con gratitudine e affetto e ritrovandosi a ringraziare il padre per averle quantomeno lasciato Pierre su cui contare. Distolto lo sguardo dall’uomo per osservare distrattamente la strada sulla quale si affacciava l’Hotel attraverso la porta a vetri della Hall, Sabrina annuì lentamente prima di mormorare qualcosa in risposta.
“Sarebbe bello se lo pensasse anche Gideon, vero? Vado a controllare come procede la pulizia delle suite, poi mi prendo un’ora libera. A dopo Pierre, merci.”

Pierre aggrottò la fronte e guardò la strega con tutta l’intenzione di ricordarle che le sue opinioni erano pienamente condivise anche da Gideon, ma Sabrina finì con l’allontanarsi verso gli ascensori con il suo consueto passo rapido e deciso prima di dargliene il tempo.

 
*

 
Asher sedeva su una delle panchine del giardino sul retro dell’Hotel, Hope in braccio. Frankie, il suo barboncino, in quel momento probabilmente stava giocando con i cani di qualche altro ospite, ma Brooke era così gelosa e protettiva nei confronti della sua amata cagnolina da preferire che fosse qualcuno che conosceva bene, come Asher, a badare a lei.
Brooke era una donna bella quanto difficile da accontentare, molto intelligente ma a tratti perentoria. Con lui però era sempre gentile, tranne quando era di pessimo umore. Era questo, più di ogni altra cosa, a rendergli le cose terribilmente difficili. Che lei fosse gentile, con lui.
Forse avrebbe preferito che lo sgridasse per qualsiasi cosa, si ritrovò a considerare il ragazzo mentre chinava lo sguardo sul Chihuahua che teneva sulle ginocchia. Asher accarezzò distrattamente la testa del cane mentre, sospirando, faceva del suo meglio per non continuare ad indugiare con lo sguardo su Ridge steso su uno dei lettini sdraio.
Determinato a concentrarsi su altro, Asher si sforzò di rivolgere la propria attenzione sull’unica altra persona presente nei paraggi: la pittrice australiana sembrava aver scelto proprio quell’angolo per dedicarsi al suo lavoro, e stava confrontando alcune fotografie.
 
“Dura essere qui per lavorare mentre gli altri si rilassano e si divertono, vero?”
La voce della strega lo colse così alla sprovvista che Asher per un istante si domandò sinceramente se non fosse arrivato qualcun altro senza che se ne fosse accorto, ma dopo essersi guardato brevemente attorno e aver appurato che a parte loro non c’era nessuno si affrettò a farfugliare qualcosa in risposta:
“Un po’, sì. Però è meglio lavorare in un posto simile che altrove.”
“Questo è vero. Anche se solo per certi versi, stare qui ti fa venire ancora più voglia di mollare tutto e rilassarti.”
 
Sorridendo, Amaryllis si sfilò gli occhiali da sole per sistemarseli con cura tra i capelli, smettendo momentaneamente di confrontare le foto che aveva scattato quella mattina e iniziando a giocherellare con l’orlo della lunga gonna color rosso papavero del suo vestito. In fin dei conti però lei non poteva proprio lamentarsi: oggettivamente si trovava lì per lavoro, ma era anche vero che amava dipingere più di qualsiasi altra cosa e che quello fosse uno degli lavori più piacevoli che avesse mai accettato.
Lo stesso non sembrava potersi dire del ragazzo che aveva davanti, visibilmente giù di corda. Amaryllis, provato l’impulso di confortarlo e di distrarlo, decise di chiedergli un parere sulle foto che aveva scattato.
“Non sono una fotografa ovviamente, ma ho cercato di immortalare qualche scorcio per farmi qualche idea. Tu fai il dogsitter?”
“Anche a me piace scattare foto, ma non sono un professionista, ovviamente. Comunque sì, tra le altre cose, faccio un po’ quello che serve a Brooke e a Ridge. Cioè, i signori Carrington. Almeno tu sei qui da sola e ti godi l’indipendenza, il prezzo da pagare per alloggiare qui è dover scattare ogni volta in cui i miei datori di lavoro lo richiedono. Studio storia e archeologia magica.”
“Davvero? Dev’essere molto interessante! Io non impazzivo per Storia, a scuola, ma forse ad Ilvermorny si studiano cose più interessanti, sono sicura che abbiate una storia magica molto più ricca.”
 
Senza saperlo Amaryllis con quelle parole finì con l’aprire il vaso di Pandora: il bel volto di Asher si aprì in un sorriso e quasi dimenticatosi di avere Hope sulle ginocchia, di Brooke o di Ridge prese a parlare alla ragazza delle ultime cose che aveva studiato e soprattutto della storia della comunità magica di Salem, la sua città natale e dove viveva la sua famiglia.
Amaryllis adorava chiacchierare e conversare – lei stessa aveva spesso serie difficoltà a stare in silenzio e si sentiva spesso a disagio in compagnia di persone particolarmente posate e taciturne – e accolse con piacere il cambiamento avvenuto nello stato d’animo del ragazzo, sorridendo soddisfatta mentre si apprestava ad ascoltarlo con sincera curiosità.
Non sapeva che cosa avesse contribuito a renderlo di cattivo umore, poco prima, ma l’idea di avergli offerto quantomeno una distrazione momentanea finì col migliore il suo.
 
 
*

 
Medea si portò la tazza di caffè alle labbra senza smettere di scrutare l’uomo e la donna, entrambi con addosso abiti che dovevano valere almeno il triplo di quelli da lei indossati, che sedevano ad un tavolo a diversi metri di distanza da lei, nel ristorante dall’altro capo del pian terreno del Métropole.
Ai due era stato appena servito il brunch - ovviamente, si disse Medea, perché il brunch era roba da ricchi –, e il tavolo che li divideva era stracolmo di cibo di ogni genere. Osservando la donna bionda seduta al tavolo, davanti all’uomo che invece le dava le spalle, Medea stabilì che buona parte di quel ben di dio sarebbe finito nella spazzatura: era ridicolo anche solo ipotizzare che qualcuno con quelle gambe e quel vitino potesse mangiare metà di tutta quella roba. Sbuffando e indispettita per quel terribile spreco, Medea assaporò un altro sorso di caffè – doveva riconoscere che in quel posto, situato tra Francia e Italia, il caffè sapevano davvero come prepararlo – prima di scribacchiare in tutta fretta su block notes che aveva portato con sé. La sua inseparabile macchina fotografica giaceva abbandonata accanto a lei, sul tavolo circolare di vetro.
 
Poco prima le era passata davanti la giovane e bella ospite inglese dell’Hotel con al seguito il suo bellissimo Samoiedo, Circe. Memore del loro recente incontro nella Hall Medea aveva sorriso alla strega – e ovviamente anche al cane –, ricambiando il saluto di una Briar-Rose carica di borse ma declinando il suo invito a bere qualcosa insieme poiché impegnata a lavorare.
Quanti fiumi di monete avrebbe sborsato per potersi rilassare, invece di ritrovarsi in quella situazione. Poteva solo fare affidamento sul suo eterno e fido alleato per uscirne: il caffè.
 
“Ehy, ma quella è la fotografa!”
Meadow e Silas, terminata la loro seduta a base di colazione e chiacchiere, stavano scendendo l’elegante scalinata bianca che li avrebbe ricondotti al pian terreno del lussuoso centro commerciale – a Meadow quasi era venuto da ridere immaginando suo zio, che disprezzava il lusso, i beni materiali e oltretutto vantava anche un pessimo gusto in fatto di abbigliamento, che metteva piede in quel posto e ne usciva schifato alla velocità della luce – quando la ragazza accennò all’amico in direzione di Medea Winters, seduta ad una caffetteria in compagnia della sua macchina fotografica professionale.
“Chi, quella bella? Sì, è vero.”
Seguita la direzione indicatagli dall’amica, Silas indugiò brevemente con lo sguardo su Medea prima di annuire, sorridendo colpevole quando Meadow sbuffò spazientita e parlò agitando frettolosamente una mano pallida:
“Strano che tu ti sia soffermato sul suo aspetto… è al bar da sola. Ma perché ha la macchina fotografica?”
“Qui è pieno di scorci interessanti, magari è uscita a fare un giro in cerca di ispirazione e ha deciso di fare una pausa, no?”
“Mh. Sarà. Secondo me c’è sotto qualcosa di strano, te l’ho già detto. Non hai la possibilità di scoprire qualcosa dalla sua prenotazione, o che so io?”
“Di chiedere a mia sorella non se ne parla, Sabs mi sbrana e poi mi sguinzaglia contro Michel se scopre che ficco il naso negli affari degli ospiti. Ma se sei davvero convinta posso provare a dare un’occhiata.”
Parzialmente soddisfatta, Meadow annuì prima di prendere Silas a braccetto e scendere i gradini restanti insieme a lui. La ragazza stava giusto elencando all’ex compagno di scuola le sue teorie più folli e disparate – del resto era in vacanza e piena di tempo libero per elucubrare – sulla bella fotografa misteriosa quando i suoi curiosi occhi scuri indugiarono sulla figura alta e longilinea di un’altra strega a lei nota.
“Ehy, c’è Briar-Rose Greengrass!”
Sorridendo, Meadow sollevò una mano per rivolgere un cenno di saluto in direzione di Briar, che ricambiò dubbiosa il suo sguardo prima di ricambiare il saluto della ragazza con un cenno pacato, distogliendo lo sguardo senza invece rivolgere una sola occhiata a Silas.  Mentre l’ex Serpeverde tornava a rivolgersi alla rivista d’arte che aveva appena comprato – e Circe, sedutale accanto, si guardava attorno con curiosità e scodinzolando vivacemente – Meadow non riuscì a trattenere una risatina divertita, strattonando il braccio dell’amico mentre Silas, al contrario, scoccava un’occhiata torva in direzione di Briar:
“Cavolo, certo che non le piaci proprio per niente! E dire che quella è imparentata con i Malfoy, insomma, dev’essere abituata a stare con gente insopportabile!”
“Lascia stare Meadow… torniamo all’Hotel, devo cambiarmi prima di iniziare… bah, a fare qualsiasi cosa mi vogliano far fare oggi.”
“Povero, povero ragazzo ricco costretto a lavorare per la prima volta in vita sua.”
 

 
*

 
Le dita lunghe e pallide della mano destra di Joshua tamburellavano ritmicamente sulla tovaglia bianca che copriva il tavolo, scandendo inesorabilmente i minuti di ritardo che sua nipote stava collezionando.
Meadow era uscita in fretta e furia qualche ora prima, avvisandolo di sfuggita che “usciva a fare colazione con Silas” prima di sfrecciare fuori dalla sua stanza, diretta agli ascensori. Silas, il figlio del proprietario che ormai per lui aveva assunto il nominativo di “ragazzo delle patatine fritte che mi ha svegliato all’alba amico di Meadow”, sembrava discretamente innocuo. E se giunta a 25 anni di età Meadow ancora non riusciva a badare a se stessa, Joshua poteva decretare di aver miseramente fallito, con lei.
Guardandosi attorno in quella sala elegante e piena di gente ricca sfondata, osservando i bambini privilegiati fare i capricci per nonnulla, Joshua finì col ripensare tetro alla sua infanzia, così diversa da quella di quei bambini e, sicuramente, anche da quella della stessa Meadow. Si era spesso interrogato sulle sue capacità “genitoriali”, ma quando ripensava all’ambiente in cui era cresciuto si ripeteva che dopotutto a Meadow era andata meglio, anche se si era ritrovata a crescere con suo zio.
Joshua stava ripensando alla minuscola cittadina immersa nel nulla dell’Australia in cui era cresciuto e alle pessime dinamiche familiari in cui si era ritrovato invischiato ancor prima di venire alla luce quando un suono di maldestri passi affrettati e la familiare voce della nipote lo riportarono bruscamente alla realtà, giusto in tempo perché Meadow gli apparisse davanti per poi rendere posto di fronte a lui:
“Eccomi eccomi eccomi, scusa scusa scusa! Muoio di fame zio. Come va?”
“Muori di fame. Non sei andata a fare colazione?”
Joshua era felice di vederla, a Meadow bastò una rapida occhiata per appurarlo – del resto suo zio era la persona con la mimica facciale più eloquente che le fosse mai capitato di incontrare –, ma ben presto un punto interrogativo si palesò sul volto dell’uomo mentre la giovane strega, sorridendo divertita, si sistemava il tovagliolo bianco sulle ginocchia e apriva il menù rilegato che aveva davanti:
“Oh, sì, ma seeeecoli fa zio, che c’entra? Silas mi ha portata in un centro commerciale davvero super chic e snob, non ti consiglio di andarci se non vuoi che tutti i pasti ti risalgano lo stomaco.”
“Lo terrò in considerazione, grazie. Non mi sono mai ritrovato in un simile covo di gente ricca come questo, sembra che tutto qui sia più bello e più costoso.”
“Ma zio, Montecarlo è famosa per questo, perché siamo venuti allora?! Puoi vendere le tue bacchette ovunque, sono straordinarie e lo sanno tutti.”
“Mi fa piacere sentirtelo dire.”
Joshua accennò un piccolo sorriso che procurò una fastidiosa stretta all’altezza dello stomaco di Meadow, che si affrettò a distogliere lo sguardo per concentrarsi sul menù e su tutti quei piatti dai nomi poetici quanto pretenziosi. Suo zio era convinto che intendesse iniziare a lavorare insieme a lui producendo e vendendo bacchette, ma la realtà era ben diversa. Naturalmente Meadow aveva tentato più volte di farlo capire allo zio, ma Joshua Wellick era pur sempre la persona più testarda che avesse mai conosciuto.
In effetti, a volte si domandava se non le avessero detto un mare di balle e fosse proprio lui, in realtà, suo padre.

 
*

 
Silas aveva ricevuto l’ordine perentorio da parte di sua madre di andare a presentarsi ad Alphard Vostokoff: a quanto sembrava l’ospite della 103, al Suite Casino, era il figlio di Hydra Brigham, una strega Purosangue inglese e ricchissima che da giovane era diventata celebre nel mondo magico come modella, ma che era anche una vecchia amica di sua madre. Silas adorava sua madre, ma sapeva meglio di chiunque altro quanto Joyce Clark, poi coniugata St John, detestasse venire contrariata.
Proprio per questo motivo, con la voce della madre che gli intimava di “non farle fare brutta figura” ancora nelle orecchie e temendo una sua possibile Strillettera, il giovane aveva deciso di darle retta e di andare a presentarsi da bravo ragazzo educato. E dire che sua madre, la sera prima, lo aveva chiamato solo per tenerlo mezz’ora inchiodato al telefono a sorbirsi una sequela infinita di quelle che dovevano essere tutte le qualità di Alphard Vostokoff, tutti i suoi successi eccetera eccetera eccetera, tanto che il povero Silas aveva finito col chiedere seccato alla madre perché non gli inoltrasse una richiesta di adozione.
Così, una volta tornato in Hotel dopo la sua fuga mattutina in compagnia di Meadow e dopo essersi fatto indicare il suddetto ospite da un cameriere si era finalmente deciso a raggiungere Alphard, attraversando la terrazza del ristorante fino a raggiungere il tavolo che l’uomo aveva occupato.
Con sua somma sorpresa – condita da una buona dose di sollievo – Alphard aveva reagito piuttosto bene. Anzi, dopo aver scoperto rapidamente che lui passava ogni estate all’Hotel da anni lo aveva invitato a sedersi accanto a lui per “scoprire qualcosa in più sugli altri ospiti”.
“So che conosci Briar-Rose Greengrass, io a parte lei non conosco nessun altro, praticamente.”
“Sì, emh, eravamo compagni di scuola, ma io non le sono mai piaciuto particolarmente.”
Silas si grattò i ricci scuri imbarazzato, temendo ciò che l’ex Serpeverde poteva aver detto ad Alphard su di lui. Come facesse ad essere tanto amico di quell’arpia, per Silas sarebbe rimasto un mistero in eterno.
“Me lo ha accennato, sì. conosci Anjali Kumar?”
“Oh, certo, è molto amica di mia sorella. Sorellastra. Abbiamo madri diverse. Comunque, sì, la conosco bene, viene qui ogni anno e tutti la adorano.”
Alphard annuì pensieroso mentre si versava dell’acqua naturale fresca nel bicchiere, asserendo che da quel poco che aveva avuto modo di osservare la strega sembrava effettivamente una persona molto piacevole. Udendo quelle parole Silas non riuscì a trattenere un sogghigno, mormorando che la cosa non lo stupiva affatto e che tutti trovavano Anjali sempre molto piacevole, ma si affrettò a sottolineare anche di essere il primo a trovarla particolarmente simpatica quando Alphard gli scoccò un’occhiata in tralice.
“E dimmi, c’è qualche altro ospite abituale di cui hai voglia di condividere qualcosa?”
A quelle parole il volto di Silas parve illuminarsi, e il ragazzo annuì e sorrise energicamente quasi fosse entusiasta di poter condividere i gossip con qualcuno: quella noiosona di sua sorella non voleva mai starlo a sentire, e a Pierre aveva già spifferato tutto quello che c’era da spifferare.
“Oh, certo, so un sacco di cose su molta gente. Sabs, mia sorella, dice che sono un gran pettegolo, ma non è affatto vero, è solo che mi piace condividere le cose con gli altri… in fondo è una sorta di servizio pubblico.”
Alphard annuì e sfoderò un piccolo sorrisetto mentre si portava il bicchiere alle labbra, osservando divertito il ragazzo che gli sedeva accanto mentre decideva che sì, dopotutto gli stava simpatico. Chissà perché a Briar non piaceva. Glielo avrebbe domandato più tardi.

 
*

 
Dopo essere rimasto seduto a lungo al bar in compagnia di una alta e particolarmente bella strega olandese dai lunghi capelli biondi e gli occhi color zaffiro, Joël Moyal aveva deciso di ritirarsi nella sua stanza per cercare riparo dal caldo soffocante con una doccia e approfittare del senso di pace trasmessogli dalla vacanza per dedicarsi alla scrittura. Non prima di aver promesso con un sorriso sghembo alla sua nuova amie di rivedersi più tardi, naturalmente.
Stava scrivendo un arrangiamento quando i suoni e i rumori della città avevano finito col catturare la sua attenzione e il musicista, alzatosi dalla scrivania, si era avvicinato alla finestra che dava sull’elegante Avenue de la Madone, la via alla quale si affacciava l’Hotel, per concentrarsi sulla città, sui passanti, sulle auto di lusso che risalivano la strada, sulle donne ben vestite e piene di borse al braccio e sugli uomini che camminavano stringendo un telefono in mano per parlare di lavoro, incuranti di ciò che li circondava e incapaci di goderselo.
Suo nonno Alfred, che aveva suonato in quello stesso Hotel per diversi anni, glielo ripeteva spesso, di come le persone ricche non sapessero godersi ciò di cui disponevano. A parte Gideon St John, naturalmente. Joël negli anni aveva conservato un ricordo estremamente nitido del proprietario dell’Hotel e del padre della sua compagna di scuola ed era piuttosto sicuro nell’affermare che nessuno sapeva trarre godimento da ciò che si era guadagnato tanto quanto quell’uomo dai brillanti occhi blu e il sorriso contagioso. Oltretutto era una delle persone più alla mano e di buon carattere che avesse mai conosciuto, tanto che gli era sinceramente dispiaciuto di sapere della sua assenza all’Hotel.
Quasi come se l’universo avesse captato i suoi pensieri, mentre se ne stava con i gomiti appoggiati alla finestra, sporto leggermente in avanti e senza maglietta, il noto musicista scorse una figura alta e longilinea piuttosto familiare uscire dall’Hotel e incamminarsi lungo il marciapiede.
Sabrina St John reggeva il guinzaglio di un enorme cane nero da caccia dalle grosse orecchie con una mano e il telefono nell’altra, impegnata a discutere fitto fitto in francese con chi stava dall’altro capo della linea. Non sembrava di ottimo umore, al contrario appariva piuttosto seccata, e Joël non invidiò il suo interlocutore proprio mentre la strega, forse sentendosi osservata, sollevava lo sguardo sulla facciata dell’edificio. Gli occhi di Sabrina, celati dalle lenti scure dei suoi occhiali da sole, scivolarono dritti su Joël mentre il musicista, sorridendo divertito, sollevava appena una mano in segno di saluto.
Dopo una breve esitazione Sabrina ricambiò il gesto ma non indugiò né pose fine alla telefonata, dando le spalle all’ex compagno di scuola per tornare ad incamminarsi lungo il marciapiede insieme a Napoleon.
Joël la seguì brevemente con lo sguardo prima di sorridere, decidendo di sospendere momentaneamente la scrittura; al contrario il mago si affrettò ad infilarsi una camicia a maniche corte prima di recuperare la custodia del suo amato sassofono e uscire dalla sua stanza, colto da un’improvvisa voglia di fare una passeggiata e soprattutto di suonare qualcosa.
 
 
*
 
 
Bonsoir Gerard. Miss St John?”
Quando Anjali si piazzò davanti al bancone della reception sfoderando il suo sorriso etereo il volto abbronzato di Gerard divenne di un’accesa tonalità color cremisi alla quale, con gli anni, la strega aveva smesso di prestare attenzione. Certo l’effetto che esercitava sugli uomini – talvolta anche sulle donne – la lusingava, ma come era solita ripetere alle sue amiche se avesse perso minuti preziosi ogni qual volta in cui qualcuno dimostrava di essere stato colpito dai suoi modi e dal suo aspetto non avrebbe più avuto tempo nemmeno per farsi la manicure.
“C-credo che sia nel suo appartamento, Mademoiselle Kumar.”
“Oh, bene. Quello è arrivato da molto?”
Anjali accennò al grosso pacco rettangolare – che aveva già adocchiato prima di rivolgersi al ragazzo – avvolto in carta marrone che giaceva accanto alla tastiera dell’iMac davanti al quale stava Gerard, sorridendo e sfoggiando le sue adorabili e irresistibili fossette mentre il giovane, invece, indugiava dubbioso con lo sguardo sul pacco:
“Lo hanno consegnato una decina di minuti fa, ma sull’etichetta è riportato solo “S. St John” e non so se sia per lei o per Silas e ho pensato che fosse meglio aspettare che uno dei due passasse…”
“Oh, non c’è problema, lo prendo io. So per certo che è per Sabrina, glielo porto io.”
Anjali allungò una mano senza smettere di sorridere e gli anelli d’oro bianco scintillarono sotto la luce artificiale dell’enorme lampadario sopra di loro mentre Gerard, poco convinto, prendeva lentamente il pacco osservando prima l’oggetto, poi la mano color caffelatte della strega e infine il suo bel viso finemente truccato.
“Gerard, caro, vengo qui tutti gli anni da… beh, non dirò da quanto, o sembrerei più vecchia di quanto non sia. Ad ogni modo, credimi, Miss St John non avrà nulla da recriminarti se lo dai a me, siamo amiche di vecchia data. Anzi, so che lo aspettava con ansia e che vorrebbe riceverlo il prima possibile.”
“D’accordo, Mademoiselle Kumar.”
Arresosi, Gerard sollevò il pacco e lo consegnò alla svizzera al di sopra del bancone, arrossendo un poco quando Anjali gli sorrise e gli espresse tutta la sua gratitudine.
Voltatasi, l’ospite stava per dirigersi verso la porta che l’avrebbe condotta all’alloggio di Sabrina quando scorse Joël Moyal varcare la soglia della Hall dopo essersi fermato a salutare Benoit, il portiere.
 
“Oh, ecco il Musicista bello e dannato, l’enfant terrible, proprio te cercavo. Sei andato a suonare da qualche parte?”
Ritrovato subito il sorriso, Anjali mosse qualche passo in direzione dell’amico mentre la gonna a ruota del suo abito di raso color avorio le volteggiava sinuosa attorno alle gambe affusolate. Joël, accortosi di lei – del resto era quasi impossibile che Anjali Kumar passasse inosservata, a meno che non fosse lei stessa a volerlo – sorrise di rimando e la raggiunse sfilandosi gli occhiali da sole ormai superflui dal viso, accennando alla custodia di pelle nera del suo sax:
“Mi annoiavo, ho pensato di fare un test e di mettermi a suonare a Place du Casino(4). Devo dire che la gente qui è parecchio generosa.”
“Allora sei obbligato ad offrirmi da bere. Ma nessuno ti ha riconosciuto? Sei famoso.”
“Sì, beh, ho fatto del mio meglio per passare inosservato… e poi qui sono tutti troppo presi dal fare shopping, fare foto o sfoggiare il proprio denaro per fare troppo caso a chiunque.”
Joël si strinse nelle spalle, accennando agli occhiali da sola e al cappello che si era infilato in testa mentre Anjali, offesa, gli faceva notare che “non ci fosse nulla di male a fare shopping”.
“Anzi, dovrei proprio accompagnarti a comprare qualcosa. Sei fortunato ad essere così attraente, sai, non tutti possono permettersi di prestare così poca attenzione allo stile e avere comunque un aspetto piacevole.”
Anjali si scostò i capelli dalle spalle con un gesto elegante e con fare sostenuto, ignorando il musicista quando Joël, sorridendo, le ricordò che “lei sarebbe stata ammirata in lungo e in largo anche con addosso una salopette”.
“Io? Una salopette?! Mon dieu ma cosa ti esce dalle labbra… La salopette solo per ridipingere casa o fare giardinaggio, o neanche quello. Devo portare questo a Sabs, ti va di aspettarmi e fare aperitivo insieme?”
Joël si prese qualche istante prima di rispondere, giocherellando con le stanghette dei suoi occhiali da sole mentre i suoi occhi indugiavano sulla porta che conduceva agli alloggi privati e che non gli era mai capitato di varcare.
“Se prima ti accompagnassi e poi bevessimo qualcosa? Per me analcolico, ovviamente.”
“Come mai ci tieni tanto?”
Joël avrebbe anche potuto rifilare alla strega una frase fatta alla “perché sono un gentleman”, ma poiché la donna che aveva di fronte lo conosceva bene decise di non perdere tempo e, sorridendo, fece spallucce mentre allacciava gli occhiali allo scollo della sua camicia:
“Beh, non ho mai varcato quella porta, ammetto di essere curioso.”
Anjali non si lasciò minimamente impressionare dal sorriso accattivante che l’ex compagno di banco le rifilò, ma dopo una rapida ponderazione decise di assecondarlo e annuì sbrigativa, facendogli cenno di seguirla:
“In fondo non credo che Sabs avrà qualcosa da ridire… Su, vieni Moyal.”
 
Joël non se lo fece ripetere e si affrettò a seguire la strega verso la loro destinazione comune, ritrovandosi a chiedersi ancora una volta quale superpotere mistico concedesse ad Anjali la capacità di muoversi sui trampoli con tanta destrezza, naturalezza e rapidità. Adocchiato il pacco voluminoso che Anjali stringeva, si propose di portarlo al posto suo ma la strega declinò l’offerta, scuotendo il capo e stringendolo con maggior vigore mentre l’amico le apriva la porta, facendole galantemente cenno di precederla.
“Quindi Sabrina e suo padre vivono qui? E Silas invece?”
“No, Silas sta in una delle suite… o meglio, stava, credo che Sabs lo abbia fatto… retrocedere. Poverino, adoro quel ragazzo, ma forse in fondo fa bene ad essere severa… sua madre non lo è mai stata, da quel che ne so.”
Joël non aveva mai avuto modo di scambiare più di qualche parola con Silas, ma sapeva che tra lui e la sorella maggiore i rapporti non erano mai stati particolarmente idilliaci, fin da quando erano piccoli. Dei matrimoni di Gideon e delle madri dei suoi figli Joël non sapeva nulla, aveva solo intravisto la madre di Silas un paio di volte. Ma da quel poco che negli anni aveva potuto apprendere dalle parole di Anjali, aveva la sensazione che tra Sabrina e il proprietario dell’Hotel i rapporti si fossero distesi solo da una decina d’anni, mentre di sua madre non sapeva assolutamente nulla.
Il musicista seguì Anjali su una rampa di scale ricurva senza smettere di stringere il manco della custodia del suo sax, guardandosi però attorno con curiosità mentre la strega lo precedeva sui gradini fino a ritrovarsi in un corridoio dal parquet di rovere tirato a lucido.
“Siamo arrivati.”
 
Anjali lo oltrepassò senza esitazioni, posizionandosi di fronte ad una porta bianca prima di bussare energicamente e rivolgersi all’amica che stava all’interno della stanza:
“Sabs, sono Anjali, è arrivato il… un pacco per te e te l’ho portato. Ah, e c’è anche Joël con me!
 
Il musicista si domandò il perchè di tanta enfasi in quella precisazione, ma si limitò a scoccare un'occhiata oblicqua all'amica mentre lei, invece, simulava indifferenza controllando lo stato delle proprie unghie.
 
Sabrina sedeva comodamente sul suo enorme divano grigio con penisola, le lunghe gambe abbronzate incrociate con Salem acciambellato in grembo e impegnato a fare le fusa e a godersi le coccole della padrona. Quando sentì bussare alla porta e la voce di Anjali subito dopo Sabrina prese istintivamente il telecomando per mettere in pausa Colazione da Tiffany e alzarsi, ma finì col pietrificarsi quando udì l’amica affrettarsi ad informarla della presenza di Joël.
Merde… Ma proprio adesso?!”
 
Maledicendo in un sibilo il tempismo del musicista, Sabrina abbassò lo sguardo sulla propria mise – di norma impeccabile, ma che in quel momento prevedeva una maglia a maniche corte e i pantaloncini della tuta – e, rifiutandosi di farsi vedere in quelle condizioni da chiunque non fosse la sua amica, si affrettò ad appellare con un Accio non verbale l’accappatoio dal bagno.
Si stava allacciando la cintura in vita, camminando a piedi nudi sul pavimento mentre Salem la guardava torvo dal divano dopo essere stato abbandonato, quando si accorse appena in tempo di una grossa scatola di plastica bianca abbandonata accanto alla porta. Imprecando a bassa voce, la strega la gettò con un rapido calcio dentro all’armadio a muro prima di aprire finalmente la porta e sorridere ad Anjali:

“Bonsoir. Ti sei improvvisata facchina? Bonsoir Joël.”
“Joël ha insistito per dare un’occhiata in giro, era curioso di vedere questa parte dell’Hotel… ecco, ti ho risparmiato un viaggio inutile, è arrivato poco fa per te. Vuoi bere qualcosa con noi?”
Sfoderando il suo consueto sorriso candido, Anjali le allungò il pacco mentre Joel accennava un sorriso, indugiando con una punta di divertimento sull’accappatoio indossato dalla francese. Dopo avergli suggerito con un’occhiata eloquente di non azzardarsi a fare commenti sul suo aspetto, Sabrina prese il pacco dalle mani dell’amica e diede le spalle alle due per lasciarlo sul bancone della cucina, non accennando a volerlo aprire e chiedendo invece ai due di aspettare un paio di minuti per permetterle di cambiarsi.
Richiusasi la porta alle spalle, Sabrina gettò una rapida occhiata al pacco prima di slacciarsi l’accappatoio e lasciarlo su uno degli alti sgabelli della cucina mentre Salem, che si era spostato verso l’ingresso, la guardava curioso dal pavimento muovendo debolmente la lunga coda nera.
“Non guardarmi così Salem, non esiste che qualcuno mi veda in tuta!”
 
 
“Quel pacco era enorme, non dirmi che sei diventata una ricettatrice di scarpe.”
Non, ma mi hai dato una buona idea se dovessi finire i soldi. Merci Joël.”

 
*

 
Medea si era seduta per cenare con un umore a dir poco pessimo: era stata una giornata tremenda, lavorativamente parlando. Aveva pensato di cenare fuori – anche perché il ristorante dell’Hotel non era propriamente economico – ma la prospettiva di vagare per la città più snob in cui si fosse mai trovata alla ricerca di un posto dove mangiare l’aveva trattenuta. Insieme al suo stomaco brontolante.
Così, quantomeno rincuorata dalla prospettiva del soufflé al cioccolato inserito come dessert della serata, la fotografa si era decisa a cambiarsi e a trascinarsi fino alla terrazza panoramica del ristorante.
Stava aspettando la sua quiche con impazienza – a momenti avrebbe azzannato il tavolo pur di placare la fame – senza smettere di tamburellare le dita sul tavolo ma potendo quantomeno godersi la splendida visuale di una Montecarlo avvolta dall’oscurità, quando qualcuno le si avvicinò e le rivolse inaspettatamente la parola:
“Salve.”
Medea distolse i grandi occhi scuri dal panorama e si voltò mentre i movimenti delle sue dita cessavano. Curiosa, la strega osservò brevemente il ragazzo che le stava davanti, quello che aveva incontrato in piscina e che alloggiava nella stanza di fronte alla sua, prima di accennare un sorriso con le labbra carnose e ricambiare il saluto:
“Salve.”
“Posso?”
Artemy indicò la sedia vuota a lato del tavolo circolare e Medea annuì, facendogli cenno di sedersi:
“Se vuole.”
“Grazie. Oggi non è riuscita a fare quello che doveva? Non sembra soddisfatta.”
Artemy sedette sulla sedia vuota, scostandola di qualche centimetro per ritrovarsi più vicino al tavolo prima di prendere il menù che gli era appena apparso magicamente davanti. Medea, distolto nuovamente lo sguardo, tornò ad osservare le luci di una Montecarlo notturna mentre giocherellava con il suo tovagliolo:
“No, in effetti ho avuto giornate migliori, ma domani andrà meglio.”
 
“Ne sono certo. Che cosa potrei ordinare? I nomi francesi sono così assurdamente pretenziosi quando si parla di cibo…”
“Non glielo dica, si credono i migliori cuochi al mondo. Ti dispiace se ci diamo del tu? Sono sicura che tu sia più giovane di me e mi fa sentire decisamente vecchia sentirmi dare del lei da qualcuno più giovane.”
Medea sospirò, rassegnatasi alla tetra prospettiva di aver inesorabilmente superato la soglia dei 30 mentre Artemy, sorridendo, annuiva e chiudeva il menù:
“Penso che mi arrenderò e prenderò quello che hai preso tu. Purché sia senza crostacei.”
“Niente crostacei, solo una quiche, ma ho intenzione di rifarmi con il soufflé.”
Medea allungò una mano per prendere il bicchiere pieno d’acqua che aveva davanti, sperando che il vino arrivasse in fretta mentre Artemy chiedeva con un sorriso ad un cameriere di passaggio di portargli lo stesso ordinato dalla sua commensale. I due stavano ormai aspettando le loro ordinazioni quando il ragazzo, riportato lo sguardo sulla strega, accennò un sorriso e ruppe il silenzio:
“Sono curioso di sapere di che cosa si tratti, ma penso che scoprirlo da me sarà più soddosfacente.”
“Che cosa?”
“Parlo del motivo per cui sei qui. Del vero motivo. Credo che abbia a che fare con uno o più ospiti, ma è presto per azzardare ipotesi. Spero solo di non essere io.”
 Allibita, Medea non rispose e si limitò ad osservare Artemy mentre lo stesso cameriere di poco prima si fermava accanto al loro tavolo per versare il vino che aveva ordinato. Artemy, dal canto suo, si limitò ad accennare un sorriso mentre ricambiava in silenzio lo sguardo dell’inglese, che però finì col sorridere divertita e rilassarsi contro lo schienale della sedia quando, rimasti soli, allungò una mano per prendere il suo calice:
“Chi lo sa. Lascerò che tu lo scopra da solo.”
 
Asserendo che sarebbe stato un piacevole passatempo, Artemy la guardò inclinare il bicchiere per studiare l’aspetto del vino e sorrise prima di decretare mentalmente in via definitiva che sì, quella strega gli piaceva.
 

 
*

 
“Monsieur St John?”
“Pierre, ciao! Come va?! Io sono appena arrivato alle Bahamas, fa caldissimo qui. I ragazzi come se la passano? Stavo per chiamare Anjali, ma già che ci sono evito di disturbarla e chiedo direttamente a te.”
“Ecco, emh, stanno bene, Monsieur. Qui tutto bene.”
“Non avevo dubbi, del resto con te e Sabrina niente può andare storto. A Silas che avete fatto fare oggi?”
“Poco fa ha pulito la piscina, e prima l’ho affidato ad Odette alla reception per imparare insieme a Gerard, il ragazzo nuovo.”
La risposta sembrò soddisfare Gideon, che scoppiò a ridere dall’altro capo del telefono e annuì mentre si appoggiava alla ringhiera del terrazzo della sua suite cercando di immaginare il figlio impegnato a pulire la piscina.
“Bene. Come stanno i miei piccoli?”
Perfettamente consapevole che l’uomo si stesse riferendo ai suoi cani, Pierre si affrettò ad assicurargli che Lafayette e Napoleon stessero benissimo e che Sabrina faceva spesso loro visita, oltre che portarli a spasso quando ne aveva l’occasione.
Finito di aggiornare il datore di lavoro sulle condizioni dei suoi amatissimi cani Pierre esitò, tornando a tormentarsi le dita della mano sinistra tra loro mentre cercava il coraggio di parlare del vero motivo per cui aveva deciso di chiamare Gideon:
“Ecco, Monsieurs… ci sarebbe un’altra cosa.”
“Pierre, da quanto ci conosciamo, vent’anni? Sai che puoi dirmi tutto, coraggio.”
Rilassato, Gideon sorrise e invitò quello che ormai considerava alla stregua di un amico a parlare. Pierre, dopo una breve esitazione, annuì anche se l’altro non poteva vederlo e infine parlò, scandendo le parole con inesorabile lentezza:
“Monsieur, so che lei ha una grande stima di sua figlia e che la reputa perfettamente in grado di gestire tutto, qui, ma forse le farebbe bene se lei le esprimesse apertamente questa stima e si dicesse orgoglioso di lei. O facendole dei complimenti, ecco.”
“Ma Pierre, la mia piccola sa benissimo che la adoro e che la reputo la mia spalla! Dopo di te, certo. dici che non lo sa?!”
Il tono rilassato e sereno di Gideon improvvisamente vacillò, assumendo una nota preoccupata mentre Pierre, dall’altro capo, si dondolava nervosamente spostando il peso da un piede all’altro:
“Credo di sì Monsieur, ma sentirselo dire potrebbe farle piacere, adesso. Soprattutto adesso. … Inoltre, Monsieur… Il Dottor Lefebvre ha chiamato anche oggi. Che cosa vuole che faccia?”
Questa volta l’esitazione di Gideon si fece più prolungata, e per diversi istanti l’unica cosa che Pierre udì fu il lungo sospiro esalato dall’amico. Infine, dopo aver brevemente riflettuto e con la voce improvvisamente impastate, Gideon chiese a Pierre di aspettare l’indomani mattina:
“Domattina, quando hai tempo, ne riparliamo, d’accordo? Telefonami pure, non badare al fuso orario. Buonanotte Pierre.”
Bonne nuit Monsieur.”
 
Quando pose fine alla telefonata Pierre si ritrovò nuovamente immerso nel tetro silenzio della sua camera, in piedi accanto al suo scrittorio. Lentamente, l’uomo appoggiò il telefono sul ripiano di legno del mobile prima di sospirare e sedersi per controllare i turni e gli ordini in arrivo per il giorno successivo in un vano tentativo di allontanare i cupi pensieri.


Nel frattempo, a 12 ore di aereo di distanza, Gideon St John tirò fuori il suo portafoglio Emporio Armani dalla tasca interna della giacca di lino e lo aprì per prendere una delle due foto che portava sempre con sé. Questa volta non quella con i suoi amati cani, ma con i suoi “figli umani”.
 
 
 



 
 
 
(1): “Ma sì, certo”
(2): Uno dei quattro quartieri tradizionali del comune di Monaco, centro storico e nucleo più antico della città
(3): Focaccia salata tipica del Principato di Monaco, di Nizza e della Liguria
(4): Piazza sulla quale si affaccia il celebre Casinò di Monaco
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Chiedo scusa per averci messo due mesi per pubblicare questo capitolo, attualmente ho 3 storie in corso e faccio del mio meglio per districarmi tra i vari aggiornamenti, ma come alcune di voi sanno le altre due sono entrambe in dirittura di arrivo per il finale e di conseguenza sto dando la precedenza a quelle. Quando le avrò finite sicuramente aggiornerò più di frequente, grazie per la pazienza <3
 
Ora, spero che il capitolo seppur non lunghissimo sia stato di vostro gradimento, inoltre avrei una domanda per voi:
  • Considerando che ci troviamo nientepopodimeno che a Montecarlo, patria del più celebre Casinò d’Europa, vorrei sapere se i vostri OC sanno giocare a poker o meno e soprattutto se potrebbero essere interessati a fare una capatina al Casinò una sera o due.
 
Anche per questa volta è tutto, a presto e buona serata!
Signorina Granger
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 

 
Lunedì 21 giugno
 
 
 
“Silas, io sto andando via. Lascio te e Pierre al comando, per favore non deludere la fiducia che sto inaspettatamente e inspiegabilmente riponendo in te. Michel è giù alla reception, mi informerà di qualsiasi cazzata o danno dovesse verificarsi in mia assenza.”
 
Dopo che suo padre aveva levato le tende sua sorella aveva gentilmente ordinato alle cameriere di iniziare a smettere di pulire la sua camera, perciò Silas stava facendo del suo meglio per rifarsi il letto – era solo la terza volta in cui si ritrovava a farlo da che era nato, quindi non si stupì del risultato non proprio ottimale e anzi osservò fiero gli angoli più o meno rimboccati – quando l’ingresso di Sabrina nella sua camera lo sorprese.
Voltatosi seccato verso l’ingresso della stanza, Silas puntò torvo gli occhi gialli sulla sorella maggiore che lo guardava inespressiva in sandali col tacco bianchi, vestito con gonna midi del medesimo colore, una borsetta al braccio con un foulard Versace elegantemente annodato al manico e gli occhiali da sole dalla montatura nera tra i capelli.
“Ti dispiacerebbe bussare prima di entrare qui dentro?! Non sarebbe sgradita un po’ di privacy.”
Invidiando e maledicendo mentalmente la dannata chiave universale che sua sorella poteva utilizzare per accedere a qualsiasi area della struttura, Silas la guardò sistemarsi distrattamente i corti capelli scuri attorno al viso abbronzato e sospirare prima di gettare un’occhiata pigra al suo orologio da polso svizzero.
“Credimi, sono intenzionata a venire qui solo quando è necessario, ho ben altro da fare che perdere tempo facendoti visita. Spero che tu abbia capito quello che ho detto. Ci vediamo più tardi, pranzo fuori.”
“Aspetta, dove stai andando?”
Confuso, Silas lasciò perdere il letto e il mancato rispetto della sua privacy mentre guardava, accigliato, la sorella girare sui tacchi per aprire la porta e andarsene. Tuttavia, trattenuta dalla domanda del minore, Sabrina indugiò con le lunghe dita stretta sulla maniglia mentre si voltava nuovamente verso di lui, guardandolo con la stessa espressione neutra di poco prima:
“Oggi è il 21, Silas.”
“Sì…. e quindi…”
Continuando a non capire, Silas lasciò volutamente la frase in sospeso mentre lo sguardo serio della sorella, trafiggendolo, iniziava a farlo sentire fastidiosamente a disagio. All’improvviso il ragazzo ebbe la certezza di non aver capito o rammentato qualcosa di importante, e ne ebbe la conferma quando Sabrina ruppe la bolla di silenzio che si era andata a creare con una basso sospiro e risposta gelida:
“E quindi ho il mio appuntamento del mese. Quello a cui mi presento ogni mese, appunto. Ma per qualche motivo non mi sorprende che tu non sappia di cosa parlo. A dopo, enfant gâté.
Capendo e sentendosi in colpa di conseguenza per non aver intuito subito di cosa parlasse la maggiore, Silas deglutì e mosse qualche passo verso la sorella senza riflettere, azzardando una proposta che quasi lo stupì ma che invece non sembrò suscitare alcuna emozione particolare in lei:
“Ehy… Aspetta, vuoi che ti accompagni?!”
“Non serve, temo che dovrai adempiere ai tuoi compiti invece. Le piante ti aspettano, e quando torno inizierò a spiegarti come organizzare i turni del personale, papà vuole che impari.”
“D’accordo, ci vediamo dopo.”
 
La porta bianca si chiuse alle spalle di Sabrina prima che Silas finisse di parlare. Rimasto nuovamente solo, il giovane sospirò e si diede mentalmente del cretino prima di prendere la bacchetta e Appellare dei vestiti puliti da mettersi.

 
*

 
Je sors Michel, à plus tard.(1)
Dopo essersi allungata per scoccare un bacio sulla guancia dell’amico, Sabrina lo salutò guardando il concierge accennare un sorriso e ricambiare il saluto, promettendole di chiamarla in caso di imprevisti.
“E tieni FruFru il cane lontano dalla mia piscina!”
La piscina coperta era la parte dell’Hotel più cara alla Direttrice, che agitò l’indice in una sorta di minaccia mentre si allontanava a grandi passi dalla reception. L’eco della risata di Michel la seguì insieme alla promessa di adempiere al suo compito da parte del francese, che la seguì con lo sguardo finchè la strega non oltrepassò la porta d’ingresso.
 
 
Bonjour Benoit. Ma voiture est prête?”(2)
Uscita dall’edificio, Sabrina salutò con un sorriso l’anziano portiere che le apriva la porta da quasi due decenni, chiedendogli se la sua auto fosse pronta. Quando Benoit ricambiò il saluto e le rispose affermativamente la strega, ringraziatolo, si sistemò la borsa sull’incavo del gomito ossuto e scese con grazia i pochi gradini che la separavano dal marciapiede, dirigendosi verso l’ingresso del parcheggio coperto dell’Hotel mentre la gonna del vestito, agitata dalla leggera brezza che animava le strade in salita della città, le svolazzava attorno alle gambe lunghe ed esili.  
 
Quando scorse “la sua bambina” accostata al bordo del marciapiede le labbra di Sabrina si piegarono in un sorriso, affrettando il passo – del tutto disinvolto nonostante i tacchi – per raggiungere rapidamente la sua Alfa Romeo Giulietta Spider bianca datata 1957 e il giovane parcheggiatore che aveva provveduto a portarla all’esterno.
Merci Francois, bonne journèe.”
Sabrina sorrise al ragazzo mentre allungava una mano per farsi consegnare le chiavi e in tutta risposta il dipendente arrossì, balbettando un augurio di buona giornata a sua volta mentre le porgeva le chiavi dell’auto.
Montata sul sedile di pelle nera del guidatore della decappottabile bianca, la strega sistemò con cura la borsa su quello del passeggero di prima di inforcare gli occhiali da sole e sistemare con un gesto automatico lo specchietto retrovisore. Michel si era proposto di accompagnarla, ma a Sabrina non dispiaceva affatto guidare fino a Nizza da sola. Anzi, in tal modo poteva canticchiare tutte le canzoni che voleva senza essere disturbata o giudicata per tutta la mezz’ora di tragitto.

 
*
 

“Oh Pierre, sono proprio un idiota!”
“Se lo dice lei, signore…”
“Ehy! Dovresti smentirmi, non darmi ragione!”
“Non le sto dando ragione, sto solo assecondando la sua opinione. Se può farla sentire meglio, sono sicuro che Miss Sabrina non si sia offesa e che scorderà tutto entro stasera, è una donna troppo occupata e matura per darci peso.”
 
Una parte di Silas era certa che Pierre avesse ragione – e la sua candida sincerità era uno dei motivi che lo portavano da sempre ad essergli profondamente affezionato, oltre ad averlo reso uno dei suoi maggiori confidenti – e il ragazzo annuì mesto mentre dava da bere al dannatissimo ficus giapponese di suo padre. Eppure, una piccola componente di lui – e forse meno piccola di quanto volesse ammettere – non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Era vero, lui e la sorella non avevano mai avuto un rapporto particolarmente confidenziale, ma era consapevole di aver mostrato scarsa sensibilità nei confronti di Sabrina.
“Non so Pierre, mi sento un po’ a disagio… Non è che si sia mostrata offesa, anzi, mi è parsa quasi rassegnata. Credo pensi che non m’importi di quello che fa o che le succede.”
“Ed è così?”
“Beh, no! Non abbiamo un rapporto stretto, ma è comunque la mia unica sorella.”
“Allora faccia quello che sente di dover fare. Magari può fare qualcosa di carino per Miss Sabrina, stasera, dopo aver svolto i suoi compiti. Ora deve andare alla pensione per cani a controllare che stiano bene, poi Miss Sabrina vuole che approvi il menù della cena e che si assicuri che tutti i check-in e i check-out vengano svolti in orario.”
 
Silas non si era mai realmente reso conto di quante cose facesse sua sorella ogni giorno. Cominciava a vederla come una sorta di Wonder Woman, ma promise a se stesso di non sognarsi di dirglielo mentre Pierre proseguiva imperterrito ad elencare la lista dei suoi compiti del giorno. Avrebbe anche potuto prendere un aereo e tornarsene in Inghilterra, ma l’idea di deludere suo padre e sua sorella era troppo penosa. Per una volta avrebbe dimostrato ad entrambi di saper combinare qualcosa.
 

 
*

 
Naturalmente a differenza di Silas Anjali, da brava amica, sapeva benissimo che Sabrina avrebbe trascorso a Nizza la prima parte della giornata. Per questo motivo, mentre se ne stava in piedi davanti all’enorme specchio che ricopriva quasi tutta la parete del suo gigantesco bagno con i capelli scuri raccolti sulla nuca e trattenuti da una fascia bianca con fiocco e si tamponava delicatamente il viso con un morbido asciugamano dopo aver completato la sua skincare routine, la strega decise che avrebbe sequestrato Joeel anche contro la sua volontà e lo avrebbe costretto a passare la mattinata fuori e a pranzare con lei.
Era in vacanza, e di starsene da sola in una bella giornata come quella Anjali Kumar non ne aveva alcuna intenzione.
La svizzera si truccò i grandi occhi chiari mentre una spazzola incantata provvedeva a pettinarle a dovere i lunghi capelli scuri, si spalmò un po’ di crema solare sul bel viso e dopo aver infilato un paio di sandali bianchi con tacco largo e laccio alla caviglia e uno svolazzante vestito corto color avorio uscì dalla sua Suite con gli occhiali da sole in una mano e una piccola Lady Dior rosa cipria nell’altra.
 
Dopo aver attraversato il piano la strega chiamò l’ascensore, imbattendosi in una strana coppia che già si trovava all’interno dell’abitacolo di metallo rivestito da ampi e lindi specchi, un uomo molto alto e pallido dotato di lisci capelli neri che, ad occhio, doveva avere una decina d’anni più di lei e una ragazza asiatica molto giovane.
Dopo aver sorriso loro e averli salutati in francese Anjali salì in ascensore, non curandosi di premere il tasto del pian terreno visto che gli altri due ospiti, proveniente dal secondo piano, avevano già provveduto a farlo.
La strega si posizionò in modo da dare le spalle ai due, osservando le porte di metallo chiuse mentre gli altri due ospiti continuavano imperterriti a scambiarsi concitati mormorii in inglese. Sembrava che stessero discutendo, ma che allo stesso tempo stessero contenendo i toni a causa della sua presenza.
 
“Zio, è inutile, lo sai che la mia era molto meglio calibrata della tua! E aveva un’impugnatura più maneggevole!”
“L’impugnatura va sistemata invece, alla lunga risulterebbe scomoda. E penso che il peso non fosse distribuito in maniera del tutto omogenea sulla punta.”
La ragazza sbuffò, borbottando qualcosa a proposito della mania di suo zio di trovare difetti inesistenti nelle sue bacchette. Anche se sapeva per certo che realizzare bacchette non fosse la sua vocazione Meadow aveva presto imparato guardando suo zio e ormai riusciva a realizzarle bene quasi quanto lui, finendo spesso col dare vita a delle piccole competizioni tra lei e Joshua che finivano quasi sempre in accesi battibecchi.
 
Anjali non aveva mai conosciuto un creatore di bacchette – fatta eccezione per quello che le aveva venduto la sua vent’anni prima, naturalmente – e le sarebbe piaciuto intrattenersi per tempestare i due di domande, ma quando le porte dell’ascensore si aprirono mostrando la Hall la svizzera avanzò rapida per uscire dall’abitacolo, decisa a non disturbare quelli che, a quanto sembrava, erano zio e nipote.
Nel passare davanti al bancone della reception Anjali volse lo sguardo cristallino su Michel e gli rivolse un sorriso, salutandolo mentre il concierge faceva del suo meglio per spiegare a due ospiti come raggiungere il bellissimo giardino giapponese della città.
“Bonjour Michel!”
Gli occhi di Michel guizzarono rapidi su di lei da dietro le lenti degli occhiali dalla montatura sottile che il ragazzo indossava, accennando un sorriso in direzione della strega prima di tornare ai due ospiti mentre la svizzera attraversava rapida la Hall per raggiungere il ristorante e dedicarsi finalmente alla sua agognata colazione, il pasto della giornata che preferiva in assoluto: c’era qualcosa di meravigliosamente gradevole e rilassante nel sedersi di fronte ad un cappuccino o a un latte macchiato mangiando un croissant, specialmente in estate e con il bel tempo.
 
Proprio per quel motivo Anjali decise che avrebbe fatto colazione seduta sulla terrazza, ma prima indugiò per cercare il suo ex compagno di classe con lo sguardo mentre i fabbricanti di bacchette le passavano affianco, superandola per sedersi senza smettere di discutere di nuclei e legni.
Anjali scorse quella che aveva tutta l’aria di essere una deliziosa e bellissima coppia sposata – la donna, che sfoggiava un prominente pancione, si stava lamentando col marito perché l’uomo sembrava essersi categoricamente rifiutato di sedersi sotto il sole e l’aveva costretta a fare colazione al chiuso –, il suo nuovo amico russo seduto allo stesso tavolo della bella ragazza che aveva incontrato alla spa il primo giorno e infine un ragazzo dai ricci capelli scuri e tristi occhi chiari che faceva colazione solo con un grosso libro aperto sul tavolo e agitando distrattamente il cucchiaio in mezzo alla candida schiuma spruzzata di cannella del suo latte macchiato.
Appurando che Joël non si trovava all’interno della sala la strega decise di chiedere ad un cameriere – del resto era difficile trovare un membro del personale che non conoscesse lei o il suo amico –, avvicinandosi ad un ragazzo biondo che reggeva un vassoio pieno di tazze vuote:
“Scusami, per caso Monsieur Moyal è già sceso a fare colazione?”
La bella strega accompagnò la domanda con un candido sorriso, piegando gli angoli delle labbra carnose verso l’alto mentre il ragazzo, osservandola semi-imbambolato, si affrettava ad annuire con rapido cenno del capo dopo aver esitato a guardarla un secondo di troppo:
“O-oui Mademoiselle Kumar, è sulla terrazza.”
A quanto pareva l’enfant terrible aveva avuto la sua stessa idea, si disse la strega che, dopo aver ringraziato il ragazzo, girò sui tacchi per dirigersi verso la grande portafinestra di vetro scorrevole lasciata aperta per favorire il passaggio di ospiti e camerieri e far entrare un po’ d’aria nella sala.
Nel farlo superò il tavolo di Alphard e Briar, sorridendo ai due e rivolgendo un lieve ed educato cenno di saluto sollevando la mano destra e muovendo leggermente le dita in direzione del mago, che accennò un sorriso in risposta mentre Briar, che le dava le spalle e quindi non l’aveva vista, si voltava per capire a chi stesse sorridendo l’amico.  Quando scorse Anjali anche le labbra di Briar si piegarono leggermente verso l’alto in un accenno di sorriso, scoccando un’occhiata divertita in direzione di Alphard, che le sedeva di fronte, mentre si portava la tazza bianca piena di caffè alle labbra carnose.
“Ohhh, la bella svizzera. Pare che qui non ci sia nessuno immune al suo fascino magnetico, da quel che ho potuto osservare.”
“Credo di sì, ma tu dovresti capirlo, sei esattamente il genere di ragazza che tutti si voltano a guardare quando passa o entra in una stanza… Tu come la cara Ginevra, ovviamente. Come procede l’organizzazione delle nozze? Muoio dalla voglia di vedere che cosa riuscirà ad inventarsi tua sorella.”
Alphard rimise la tazza sul piattino sfoggiando un sorrisetto che Briar, dopo diversi anni di amicizia, conosceva ormai molto bene. L’ex Serpeverde sospirò, roteando gli occhi chiari messi in risalto dalla sua carnagione naturalmente ambrata e accentuata dai primi accenni di abbronzatura prima di scuotere la testa: sua sorella maggiore aveva ricevuto poco tempo prima la fatidica proposta dal fidanzato Pierre e ormai le nozze erano diventate l’unico argomento di conversazione in tutta la famiglia. Certo Briar era emozionata per la sorella – e per la prospettiva di fare da damigella – ma allo stesso tempo sentiva che avrebbe potuto esplodere come un palloncino se solo avesse udito altri discorsi su fiori, centrotavola e modi di piegare i tovaglioli.
 
“Direi a rilento, come sai bene Ginevra sa quello che vuole e non accetta rifiuti, quindi tutto deve essere esattamente come lei desidera che sia.”
“Beh, credo che sia una cosa normale per una sposa, no?”
Briar addentò il suo croissant alla curcuma ripieno di marmellata prima di coprirsi la bocca con le dita affusolate e curate, annuendo mentre masticava prima di sospirare piano: adorava sua sorella, ma negare che Ginevra fosse sempre stata tremendamente viziata e a tratti superficiale sarebbe stato assurdo. Abituata a ricevere sempre ciò che voleva e a mettersi su un piedistallo, da quando si parlava del suo matrimonio era diventata quasi incontentabile, nonché capace di cambiare idea ogni dieci minuti e di avanzare richieste ai limiti dell’assurdo.
“Direi di sì, ma considerando che stiamo parlando di Ginevra Greengrass ciò che rientra nella norma per una ragazza che organizza il suo matrimonio, con queste nozze tutto si amplifica di tre volte. È davvero una fortuna che anche Pierre sia piuttosto ricco, così potrà provvedere eternamente a lei e alle sue assurde pretese.”
“La fortuna di accalappiare un Medimago.”
“Puoi ben dirlo. Te l’ho raccontata la questione della statua di ghiaccio?!”
“No, ma muoio dalla voglia di sapere.”
 
 
Nel frattempo Anjali era giunta sulla terrazza, dalla quale si riusciva perfettamente a scorgere il porto e una piccola porzione di Mar Mediterraneo, aveva posato i grandi occhi chiari sull’oggetto della sua ricerca, il musicista – nonché ex compagno di scuola – più affascinante che conoscesse.
Il non trovarlo solo, ma in compagnia, non stupì affatto la strega, che però non si fece scoraggiare dalla presenza di una ragazza bionda impegnata a fumare e dotata di un paio di gambe chilometriche – che Anjali invidiò un tantino, ma solo per un istante – e si avvicinò comunque al tavolo mentre la bella sconosciuta e Joël parlavano in francese.
 
Bonjour Joël.”
Quando la svizzera si fermò accanto al tavolo con un educato sorriso sulle labbra i due smisero di parlare, portando entrambi gli occhi su di lei e gettandole occhiate profondamente diverse: se il musicista ricambiò il sorriso e le scoccò un’occhiata quasi divertita la ragazza la squadrò silenziosamente da capo a piedi, le sopracciglia quasi impercettibilmente aggrottate in segno di leggero scetticisimo. E forse anche un po’ d’invidia.
Bonjour Anji.”
Ignorando la palpabile irritazione della sua compagna di colazione dovuta all’interruzione Joël ricambiò placidamente il saluto e il sorriso dell’amica, guardandola in tiepida attesa mentre Anjali, in piedi davanti a lui, sbatteva amabilmente le lunghe ciglia scure piene di mascara:
“Perdona il disturbo, volevo solo chiederti se ti va di accompagnarmi a fare una passeggiata in centro, stamattina.”
Quando gli occhi chiari di Joël presero a brillare e il suo sorriso da schiaffi si allargò Anjali seppe che non avrebbe dovuto faticare affatto per convincerlo: lo conosceva troppo bene e aveva assistito troppe volte a quella stessa identica sceneggiata. Era evidente, dal sorriso del musicista, che il francese fosse del tutto intenzionato a cogliere la palla al balzo e infatti la sua risposta non si fece attendere, anche se Joël si premurò di assumere un fintissimo tono pensieroso, quasi stesse riflettendo su un appuntamento che non avevano mai avuto:
“Ohh, certo. non ti avevo anche promesso che avremmo pranzato fuori insieme, oggi?”
Mais bien sûr, comment ai-je pu l’oublier?(3) Allora ci vediamo dopo, vi lascio alla vostra colazione. Au revoir.”
La svizzera si congedò dopo aver rivolto una fugace strizzatina d’occhio all’amico e un amabile sorriso alla ragazza, girando sui tacchi per andare a sedersi nel tavolo libero più lontano senza riuscire a trattenere un sorrisetto.
 
Pochi minuti dopo la bella strega stava mescolando lo zucchero nel suo cappuccino freddo per farlo sciogliere, gli occhiali da sole Chanel calati sugli occhi e un cornetto caldo in mano, quando quando scorse con la coda dell’occhio l’altissima e biondissima compagna di colazione di Joël alzarsi e lasciare la terrazza. Un minuto dopo il ragazzo la imitò, affrettandosi a raggiungere il tavolo di Anjali: si stava giusto domandando come liberarsi di Annette, la sua ultima conquista, e di dirle di non avere intenzione di trascorrere la giornata con lei senza sembrare troppo scortese, e Anjali era arrivata esattamente al momento giusto.
“Mia adorata, mia salvatrice, come posso non amarti?”
Joël le si parò davanti e con fare teatrale le afferrò la mano per stringersela al petto prima di depositarci sopra un bacio, cercando di trattenere una risata quando la sua proprietaria sbuffò e si liberò con un lieve strattone prima di afferrare stizzita il manico della tazza bianca:
“Falla finita, tombeurs de femmes che non sei altro! Se non fossi mio amico ti prenderei a schiaffoni per come tratti le povere ragazze che seduci ovunque vai.”
“Ti assicuro che non faccio nessuna promessa proprio a nessuno, Anji cara.”
Joël occupò la sedia vuota davanti a quella dell’amica prima di accavallare le gambe e sfoggiare un candido sorriso rilassato, non lasciandosi minimamente scalfire dall’occhiata torva che la strega gli lanciò da dietro le lenti scure dei suoi occhiali:
“Pf, certo, ma lo sanno che non vuoi niente di minimamente serio e duraturo – e con duraturo mi riferisco ad una settimana – quando vengono a letto con te? O lo scoprono dopo, quando ti dilegui in una nube di fumo?”
“Mi hai preso per un prestigiatore per caso?”
Mon Dieu, chiudi il becco. Ma dove l’hai trovata una stangona simile, poi?!”
“Olandese. Pare siano il popolo più alto d’Europa.”
Joël fece spallucce prima di reclinare la testa sullo schienale della sedia bianca, chiudendo gli occhi per permettere al piacevole tepore della luce mattutina di scaldargli il viso mentre Anjali, sbuffando, gli agitava minacciosa contro il croissant:
“Beh, ti conviene che la fenicottera non pensi che tra noi ci sia qualcosa e che venga a darmi la caccia, perché alta com’è non ci tengo ad averla come nemica, mon idiot.”
A quelle parole il francese si rimise seduto dritto sulla sedia e tornò a guardarla, aggrottando leggermente la fronte mentre si sporgeva leggermente in avanti, verso di lei, e la guardava improvvisamente serio:
“La verità, ma chère, è semplice. Sai perché non ho mai avuto niente di serio con nessuno, uomo o donna che fosse?”
Anjali sapeva, sapeva che era in arrivo una colossale stronzata. Ma era pur sempre mattina, e decise di limitarsi a scuotere la testa, lasciandolo fare e dandogli corda mentre il musicista, assumendo un’espressione da cane bastonato che se non fosse stato per i vent’anni di conoscenza che avevano alle spalle l’avrebbe quasi convinta, si portava le mani all’altezza del petto con fare drammatico:
Perché sono innamorato di te da sempre, Anjali Kumar.”
“Ti affogo nel cappuccino.”
“Va bene, ho capito, il pranzo lo offro io.”

 
*

 
La porta della stanza 115 si aprì piano e subito dopo un ragazzo dai corti e lisci capelli argentei si affacciò nel corridoio con addosso solo dei pantaloni neri. Constatato che il corridoio del primo piano fosse deserto si voltò, rivolgendosi pacato all’uomo che, seduto sul bordo del letto matrimoniale sfatto, si stava rivestendo ed era impegnato ad allacciarsi le scarpe.
 
“Immagino che voglia andare, prima che la Hall e gli ascensori si riempiano di ospiti affamati e desiderosi di fare colazione.”
Il suo “ospite” non rispose, alzandosi e abbottonandosi rapido la camicia aperta prima di recuperare sbrigativamente le proprie poche cose rimaste in giro per la stanza. Quando si avvicinò ad Artemy accennò un sorriso al ragazzo, di almeno una decina di anni più giovane di lui, fermandosi sulla soglia per stargli davanti e osservandolo dall’alto in basso:
“Ci rivedremo presto?”
“Immagino di sì, se lo vorrà.”
Artemy abbozzò di rimando un debole sorriso con gli angoli della bocca, ma rimase perfettamente immobile e non accennò a fare alcun movimento verso il suo ultimo compagno di nottata, che ricambiò il gesto prima di uscire dalla stanza, gettarsi una rapida occhiata attorno e infine dirigersi verso gli ascensori.
 
Dopo avergli chiuso la porta alle spalle ed essere finalmente rimasto solo il ragazzo sospirò piano, passandosi stancamente una mano tra i capelli liscissimi prima di decidere di darsi una mossa a vestirsi e scendere per fare colazione: stava decisamente morendo di fame.
 
Meno di un quarto d’ora dopo Artemy sedette nella sala interna del ristorante per fare colazione, accanto al tavolo occupato da un bel ragazzo dagli occhi chiari e l’incarnato pallido – forse faceva parte a sua volta della categoria che si teneva a debita distanza dall’esposizione prolungata al Sole, si disse Artemy – che stava leggendo e sottolineando un manuale piuttosto voluminoso e pieno di foto e illustrazioni, di certo una lettura di origine accademica e non ludica.
Era per quel motivo che il ragazzo non faceva che sospirare? Forse la lettura era deprimente fino a quel punto? Artemy non ne aveva idea e non poteva giurarlo, ma ebbe come l’impressione che l’evidente malumore del suo vicino non aveva nulla a che fare con il dover studiare. Lui e l’amore avevano viaggiato su strade parallele per 26 anni, ma si riteneva perfettamente in grado di riconoscerne facilmente i segni in chi lo circondava.

 
*

 
Amaryllis non aveva alcuna intenzione di fare colazione al chiuso e di non godersi il bel tempo, perciò quando raggiunse la sala del ristorante l’attraversò rapida stringendo la tracolla della sua borsetta nude, sperando che sulla terrazza ci fosse qualche tavolo libero mentre la lunga gonna del suo vestito bianco dalle spalline sottili le si muoveva sinuosa attorno alle gambe affusolate ad ogni passo.
Quando, oltre una coppia che parlava in francese che la colpì immediatamente per il bell’aspetto di entrambi – anche se il modo in cui battibeccavano e si stuzzicavano le fece pensare più a due amici che ad una coppia – scorse un volto vagamente familiare Amaryllis accennò un sorriso e puntò dritta in direzione del suddetto tavolo affacciato sul Mediterraneo e dal quale si riusciva perfettamente a scorgere la piscina esterna, situato vicino alla barriera di vetro che delimitava il perimetro della terrazza.
“Salve. Ti dispiace se mi siedo?”
Medea distolse i grandi occhi scuri coperti dalle lenti dei suoi occhiali da sole dalla piscina per voltarsi verso l’inattesa fonte della voce che la sorprese, osservando brevemente Amaryllis sorriderle prima di inclinare leggermente gli angoli delle labbra carnose verso l’alto e annuire, indicandole con un cenno educato la sedia che le stava di fronte:
“No, assolutamente.”
“Grazie. Trovo un tantino deprimente fare sempre colazione da sola.”
L’australiana sedette sfoggiando un sorriso sinceramente sollevato, grata alla britannica per averla “accolta” al suo tavolo: da quando era arrivata al Le Mirage aveva consumato tutti i pasti da sola, e un po’ di compagnia iniziava a mancarle. Fortunatamente Medea, accavallate le gambe fasciate da una jumpsuit scollata color rosso rame, le sorrise mentre si metteva comoda sul cuscino che copriva la sua sedia e un cameriere si avvicinava per prendere le loro ordinazioni.
“A me non dispiace, ma non dico di no a un po’ di compagnia. Amaryllis, vero?”
“Te l’ho detto, puoi chiamarmi Amy.”
“Bene, allora io sono Meddy. Il mio nome è spesso associato ad una terribile tragedia greca, sfortunatamente… Per me tè nero con latte a parte e un toast, grazie.”
 
 
Pochi minuti dopo Amaryllis guardò Medea versare l’acqua calda nella tazza di vetro trasparente, mettere in infusione il tè e dopo qualche minuto versare nel liquido ambrato qualche goccia di latte. Non aveva mai fatto colazione insieme ad un inglese prima di allora, e non riuscì a trattenere lo sconcerto che scatenò un sorriso divertito sul viso di Medea:
“So che tutto il resto del mondo lo trova assurdo, ma posso giurare che è buonissimo. Solo con certi tè ovviamente, mia madre dice sempre che se osassimo versare del latte nel tè verde mia nonna si alzerebbe dalla tomba per prenderci tutti ad insulti.”
L’ex Corvonero si portò la tazza alle labbra ridacchiando, guardando la pittrice stringere la sua tazza di caffè abbozzando al contempo un sorriso colpevole:
“Non mi piace avere preconcetti, ma non sono del tutto convinta…”
“Tipico. Un giorno di questi te lo farò assaggiare, e allora mi darai ragione. Oggi che programmi hai?”
“Pensavo di andare in spiaggia, a dire il vero. Io vivo al mare e un po’ mi manca, oltretutto la Costa Azzurra è celebre per essere assurdamente meravigliosa e non ci penso neanche a perdermela.”
“Hai ragione. Ti dispiace se vengo con te? Mi farebbe bene un po’ di sole.”
Medea sollevò leggermente la testa per gettare un’occhiata al cielo terso sopra di loro, non riuscendo di conseguenza a scorgere il largo sorriso che increspò le labbra sottili di Amaryllis all’udire la sua proposta:
“Certo che no! Noi povere artiste sventurate che non sono qui solo per rilassarsi dobbiamo confortarci a vicenda, non credi?”
“Assolutamente.”
 

 
*

 
Dopo essersi recato alla pensione per cani, aver scambiato due chiacchiere con l’adorabile Genevieve e aver ricevuto una calorosissima accoglienza da parte degli ospiti a quattro zampe, specie da Napoleon e Lafayette che gli avevano teso un’imboscata – il primo gli era saltato addosso mandandolo quasi dritto disteso sul pavimento e l’altro ne aveva subito approfittato per corrergli incontro e leccargli la faccia –, Silas aveva fatto rapidamente ritorno all’interno dell’Hotel per correre in cucina e approvare il menù del pranzo. Naturalmente lui di cucina non se ne intendeva, quindi avrebbe approvato qualsiasi cosa Claude volesse rifilargli, fidandosi del giudizio dello chef di gran lunga più del proprio.
Quando Silas lasciò la cucina era sinceramente deluso: non era riuscito a spiluccare assolutamente nulla, nemmeno a sgraffignare un grissino, e la fame cominciava a farsi sentire essendo abituato a fare colazione molto tardi, per non dire praticamente a ridosso dell’ora di pranzo. Ma come faceva sua sorella a stare in piedi tutte quelle ore, per di più spesso e volentieri sui tacchi? E non la vedeva mai mangiare un fuoripasto, per di più!
No, Sabrina doveva essere un robot progettato da suo padre e dalla sua prima moglie, Sandrine, per essere una figlia e dipendente modello, Silas se ne convinse mentre, in piedi nella Hall, svitava il tappo bianco della piccola bottiglia d’acqua di vetro – sua sorella ce l’aveva così a morte con l’inquinamento degli Oceani che di plastica al Le Mirage non se ne vedeva da anni – che aveva prelevato da uno dei frigoriferi per portarsela alle labbra tenendola per il collo. L’acqua fredda gli scivolò piacevolmente lungo la gola, rinfrescandolo un poco, e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo mentre riavvitava il tappo alla bottiglia.
L’ex Grifondoro s’infilò una mano nella tasca dei pantaloni blu per estrarre il post-it dove aveva malamente e sbrigativamente annotato la lista delle cose da fare prima di pranzo, sospirando quando lesse la scritta “check-in” scarabocchiata sotto a “menù pranzo”.
Controllare i check-in e i check-out significava solo una cosa: doversi accollare a Michel, al quale non era mai piaciuto nemmeno per un istante. Naturalmente Silas sospettava che al concierge lui non piacesse per principio a causa della sua forte amicizia, che durava da dieci anni, con sua sorella, ma il motivo non era di nessuna rilevanza: Michel non lo sopportava, ed era fatto noto non solo a tutti i membri dello staff, ma anche a suo padre in primis.
La giornata non era iniziata poi da molto e già aveva preso una piega tremenda, ma Silas ebbe l’impressione di non essere l’unico a passare un estate da favola quando scorse un ragazzo, ad occhio e croce suo coetaneo, seduto su uno dei divani color caramello della Hall con un grosso libro e un evidenziatore arancione pastello in mano.
Il giovane ospite stava leggendo, ma non sembrava particolarmente concentrato e aveva, anzi, un’aria piuttosto abbattuta mentre sfogliava cupo le pagine, sottolineando delle righe di tanto in tanto.
 
Forse anche lui ha un sorella maggiore tiranna
 
Silas gettò un’occhiata fugace in direzione della reception e, vedendo che Michel era impegnato, decise di approfittarne: si avvicinò rapido al divano, sedendo accanto allo sconosciuto per gettare un’occhiata fugace al suo libro. Il grosso tomo non aveva assolutamente l’aria di essere una mera lettura di piacere, e ben presto l’ex Grifondoro appurò che si trattava di un volume di storia antica, o roba del genere. Silas si sentì quasi rabbrividire – lo studio non gli mancava, non gli mancava affatto, e quelle cose erano sempre state più nelle corde di sua sorella che nelle proprie – mentre lo sconosciuto, accanto a lui, sospirava mesto.
Non aveva affatto l’aria di uno in vacanza, si disse Silas, e non era nemmeno abbronzato.
 
“Brutta giornata?”
“In un certo senso.”
“Dovresti goderti questo posso, se ne hai la possibilità, io sono costretto a sfacchinare.”
Silas si voltò verso il giovane ospite, che fece altrettanto e gli gettò un’occhiata pregna di curiosità prima di accennare un timido, debole sorriso:
“Non sono proprio del tutto in vacanza… Ho accompagno delle persone per cui lavoro.”
“E loro adesso dove sono?”
“Sono… Beh, sono usciti per la mattinata.”
Ed era vero, Brooke e Ridge avevano preso Hope ed erano andati a farsi un giro attraverso la Riviera Francese insieme a lei, lasciandolo all’Hotel. Asher lo aveva scoperto solo quando, dopo essersi svegliato, aveva trovato il messaggio inviatogli da Ridge che diceva qualcosa a proposito di Nizza.
“Quindi di fatto sei libero adesso, vero?”    Un sorrisetto fece capolino sul bel volto che iniziava a riportare i segni dell’abbronzatura e Silas guardò Asher con un’espressione divertita che l’ex Magicospino avrebbe presto iniziato a conoscere fin troppo bene:
“Sì, ma dovrei studiare un po’.”
“Studiare, qui, con questo bel tempo? Roba da pazzi. O almeno, se proprio devi, fallo in riva alla piscina o in giardino, un po’ di Sole fa bene a tutti. Io sono Silas, comunque.”
“Asher.”
Silas gli porse la mano e Asher non esitò a stringerla, ricambiando debolmente il sorriso dell’altro. Gli era già capitato di scorgere Silas in giro per l’Hotel e naturalmente il suo bell’aspetto non era passato inosservato, ma mai avrebbe scommesso che quel bel ragazzo dall’aria così sicura di sé avrebbe finito con l’attaccare bottone proprio con lui. Eppure Silas gli sorrise allegro, mostrandosi molto più affabile di quanto il suo bell’aspetto, di cui aveva evidente consapevolezza, non potesse suggerire ad un primo sguardo:
“Piacere di conoscerti, Asher. Come vedi io non ho la fortuna di avere la mattina libera e il mio cane da guardia mi richiama all’appello, cerca di goderti la mattinata per entrambi.”
“Cercherò di farlo. Tu che lavoro fai qui?”
Asher lo guardò curioso, distogliendo seppur solo momentaneamente la sua attenzione dalla lettura e i pensieri da Ridge, che probabilmente in quel momento passeggiava sotto il sole al braccio di Brooke, mentre Silas – colta l’occhiata di fuoco lanciatagli da Michel a qualche metro di distanza – si alzava in piedi. L’ex Grifondoro si stiracchiò stancamente, dopodiché chinò nuovamente lo sguardo su Asher e accennò un sorriso mentre si stringeva nelle spalle:
“Oh, in realtà mio padre è il proprietario, ma quest’estate mi ha messo ai lavori forzati… è una lunga storia, magari uno giorno di questi ti offro da bere e te la racconto.”
Con quelle parole Silas si congedò, affrettandosi a raggiungere un Michel visibilmente seccato alla reception mentre Asher lo guardava attonito e con la bocca semi-aperta: il figlio del proprietario?! Non immaginava nemmeno quanto ricco potesse essere, il proprietario di un posto come quello.
Se non altro, alcuni dettagli come il costoso orologio e la cintura Armani, nonché l’aria così sicura di sé che solo bellezza o diponibilità economica potevano conferire ad una persona – ed evidentemente Silas disponeva di entrambe – avevano improvvisamente una spiegazione.

 
*

 
Sabrina sedeva sulla terrazza esterna del ristorante, godendosi l’unico tratto positivo della giornata: pranzare fuori, per di più con vista mare, a Nizza, città che la strega conosceva come le sue tasche e dove aveva trascorso buona parte della sua infanzia con sua madre.
Sabrina St John amava profondamente quella città, anche se sotto certi aspetti avrebbe fatto volentieri a meno di recarvisi così spesso. Seduta contro lo schienale della sedia bianca, la strega stava osservando distrattamente la spiaggia sassosa e affollata mentre la sua insalata giaceva ancora intatta per metà davanti a lei. Non aveva particolare appetito, e stava ricordando tutte le giornate che aveva trascorso con sua madre in quella stessa spiaggia, dove Sandrine le aveva anche insegnato a nuotare, quando il suo telefono iniziò a squillare.
La ragazza si ridestò chinando di scatto lo sguardo sulla sua borsa bianca, affrettandosi ad aprirla per recuperare il telefono e sospirando piano quando lesse il nome che era apparso sullo schermo. Dopo una breve esitazione, passata ad osservare cupa il nome, accettò la chiamata e si accostò il dispositivo all’orecchio destro mentre tornava ad osservare la spiaggia.
“Ciao Papà.”
Dall’altro capo della chiamata e a molti chilometri di distanza, Gideon St John esitò all’udire la familiare e calma voce della primogenita, accennando un sorriso prima di rispondere:
“Ciao tesoro. Volevo sapere come stai.”
“Sto pranzando fuori.”
Sabrina gettò una rapida occhiata alla sua insalata ancora quasi intatta mentre la leggera brezza marina le smuoveva delicatamente i corti capelli scuri attorno al viso abbronzato e Gideon, seppur percependo che la figlia non avesse molta voglia di parlargli, continuava:
“E come stai?”
“Bene direi. Tu come te la passi in vacanza?” La strega allungò la mano destra sul tavolo, prendendo a giocherellare con il coltello inutilizzato mentre Gideon sorrideva:
“Molto bene, però mi mancate, tutti quanti. Tu, tuo fratello, l’Hotel, i miei piccolini pelosi…”
“Soprattutto l’Hotel e i piccolini pelosi, suppongo.”
“Non dire sciocchezze, mi mancate soprattutto voi. Silas come se la passa?”
Nell’accennare al figlio minore il tono del padre assunse una sfumatura vagamente divertita che naturalmente Sabrina colse, stringendosi nelle spalle anche se l’uomo non poteva vederla mentre continuava ad osservare le posate.
“Abbastanza bene, lo sto mettendo al lavoro con Michel.”
“Non essere troppo dura con lui, tesoro.”    Il tono di vago, bonario rimprovero assunto dal padre non scalfì affatto la strega, che anzi alzò gli occhi al cielo prima di rispondergli pacata:
“Beh, compenso l’eccessiva permissività che tu e Joyce avete sempre dimostrato nei suoi confronti, e questo è il risultato che avete ottenuto. Ma tranquillo, il principe di casa sopravvivrà e forse per quando tornerai avrà persino imparato qualcosa.”
“Non ho dubbi, con te e Michel. Quando torni a casa?”
Sabrina si mise comoda contro lo schienale rigido della sedia, prendendo a tamburellare lentamente le lunghe dita affusolate sulla tovaglia candida e immacolata mentre spostava lo sguardo dalla spiaggia e dall’acqua limpida del mare che brillava sotto il Sole al cielo terso e azzurro.
“Entro un paio d’ore al massimo rimonto in auto e parto, sarò all’Hotel per l’ora del tè. Spero che tuo figlio non abbia sfasciato la tua creatura in queste poche ore, papà.”
“La nostra creatura, tesoro. E comunque mi fido di Pierre, non preoccuparti.”
 
Sì, in fin dei conti anche Sabrina si fidava ciecamente di Pierre e quando poco dopo pose fine alla chiamata si disse che con la sua supervisione Silas non avrebbe potuto danneggiare eccessivamente la struttura, i suoi dipendenti o gli ospiti. Di norma si sarebbe precipitata di nuovo nel Principato di Monaco per controllare che il Le Mirage, a cui aveva dedicato un terzo della sua vita, non stesse andando a fuoco, ma le parole di Gideon l’avevano rincuorata e le avevano fatto provare un profondo moto di soddisfazione. La strega si permise di sorridere, infinitamente lieta che il padre riconoscesse i suoi sforzi e il suo impegno. Per una volta si sarebbe persino concessa del tempo extra lontano dall’Hotel e decise che avrebbe passato le due ore successive a fare shopping.
Certo avrebbe dovuto nascondere le borse o Anjali, scoprendola a fare acquisti senza di lei, l’avrebbe messa sotto processo, ma Sabrina St John decise che un po’ di acquisti era esattamente ciò che si meritava. cos facendo, se anche tornando all’Hotel lo avrebbe trovato in pezzi avrebbe avuto un vestito o un paio di scarpe nuovo ad assorbire un po’ della sua ira e del suo dolore.

 
*
 

Joël Moyal non avrebbe portato delle lucide e patinate borsette di carta per nessuna donna al mondo, nessuna tranne Anjali Kumar; non tanto per il celebre fascino della strega, quanto per evitare che la vecchia amica finisse col prenderlo per sfinimento: dopo molti anni Joël sapeva che in determinate occasioni assecondarla fosse la via più semplice per mantenere pace e serenità intatte. Il braccio dell’amica stretto al suo, il musicista si lasciò placidamente guidare lungo marciapiedi in leggera discesa reggendo i sottili manici di un paio di borse con la mano libera, pregustando con gioia il momento in cui la sessione di shopping avrebbe trovato una fine: lui e Anjali avevano stretto un accordo che consentiva alla strega di decidere come occupare la mattinata, mentre a lui sarebbe spettata la prima parte del pomeriggio, ore che Joël aveva tutta l’intenzione di trascorrere in spiaggia e, per la precisione, a nuotare.
 
Alla fine, verso mezzogiorno e mezzo, Anjali si ritenne soddisfatta degli acquisti fatti e stabilì che l’ora di pranzare era finalmente giunta, con grande gioia dell’amico. Poiché si trovavano in zona la bella svizzera trascinò l’amico in uno dei suoi ristoranti preferiti della città, decretando di conoscere bene e di voler salutare lo chef.
“Ti ci ho portato l’anno scorso? Lo amerai, ha due stelle Michelin.”
Anjali sorrise radiosa all’amico mentre lo conduceva verso l’ingresso del Monte-Carlo Bay Hotel & Resort e Joël, invece, osservava dubbioso l’alta ed enorme struttura che si affacciava sul mare aggrottando le sopracciglia:
“No, non credo, e di un posto così mi ricorderei di sicuro.”
“Allora meglio rimediare subito, spero che tu abbia voglia di pesce.”
 
 
Un quarto d’ora dopo i due sedevano uno di fronte all’altro ad un tavolo circolare interamente apparecchiato in bianco, situato nell’enorme terrazza del ristorante dell’albergo. Mentre Joël si godeva pensieroso la vista sul Mediterraneo tamburellandosi distrattamente le dita della mano destra sulla gamba, seguendo un ritmo che per il momento esisteva solo nella sua mente, Anjali ordinò del vino bianco al cameriere che quasi corse verso di loro pur di avere il piacere di servire quella bellissima ragazza.
“Mi farai bere da sola, vero Joël?”
Anjali prese il calice con grazia e se lo portò alle labbra gettando un’occhiata torva all’amico e all’acqua che il musicista aveva davanti, incupendosi quando Joël le rivolse un candido, amabile sorriso:
“Temo proprio di sì.”
“Sei davvero barboso. E pensare che da uno come te nessuno si aspetterebbe quest’avversione all’alcol.”
“Uno come me in che senso, Anjali cara?”
“Mh, come dire. Sei bello, sei ricco, sei affascinante… dai tipi come te non ci si aspetta l’astemia.”
“Forse, ma in tal caso non pensi che sarebbe terribilmente prevedibile e scontato bere alcolici, da parte mia?”
Anjali non era d’accordo e bere da sola non le era mai piaciuto, ma si limitò a sospirare e a borbottare qualcosa di incomprensibile prima di tornare a dedicarsi alla lettura del menù.
 
 
“Hai assaggiato il croccante di tapioca con la tartare di pesce bianco e mango? Potrei mangiare questi crostini per tutta la vita e sarei la donna più felice del mondo.”
Mentre Anjali sospirava adorante sul suo antipasto Joël, osservata brevemente l’amica, sollevò il bicchiere di vetro pieno d’acqua mormorando qualcosa in un rapido soffio prima che le sue labbra si posassero sulla superficie fredda e liscia:
“Perché hai sequestrato me e non hai chiesto a Sabrina di uscire, oggi? Non fraintendermi, il tuo arrivo stamani è stato provvidenziale, ma sono curioso.”
Anjali addentò il crostino prima di coprirsi educatamente la bocca con le dita come era solita fare quando mangiava fuori, masticando lentamente prima di stringersi nelle spalle e osservare critica gli antipasti di pesce che facevano capolino invitanti sul suo piatto.
“Francamente detesto averti aiutato a liquidare una ragazza, ma Sabs non è qui oggi. Sentiamo il calamaro mediterraneo agli agrumi…”
“In che senso non è qui? Non è all’Hotel?”
In effetti Joël non ricordava di aver visto Sabrina da nessuna parte quella mattina, ma aggrottò comunque le sopracciglia e riservò un’occhiata perplessa all’amica mentre la svizzera rispondeva in tutta calma, gli occhi chiari fissi sul suo piatto.
“Non è a Monte-Carlo, Joël, dovrebbe tornare tra qualche ora, prima di sera. Lei adora questo posto, in effetti. Ci dovremmo proprio tornare insieme a lei. O magari ci puoi tornare tu.”
Anjali indirizzò un sorrisetto divertito all’amico, che annuì e stette al gioco mentre ricambiava il sorriso:
“Dici che Sabrina si potrebbe rendere disponibile per aiutarmi a sfuggire a qualche donna?”
“Per la barba di Merlino, no, probabilmente farebbe l’esatto contrario, non provarci neanche. Non sono tutte magnanime come me là fuori, sai?”
Anjali si portò il boccone alle labbra assumendo un tono e un’aria sostenuti che Joël di nuovo decise di assecondare, annuendo mentre una simulata espressione adorante tornava a fare capolino sul suo bel viso già leggermente abbronzato:
“Lo so bene, mia adorata.”
“Finiscila. Allora, dimmi, com’è tornare in Riviera quando ormai da anni marcisci negli USA?”
“Io non marcisco, Anjali. Io amo gli USA e amo New Orleans, a voler essere precisi. Ti dovresti proprio decidere a tornare a trovarmi, questo inverno.”  
“Lo so, è solo che mi spaventa la cucina creola, ingrasserei di venti chili se passassi una settimana in Louisiana! Ma come fai tu ad essere così bello e in forma, maledetto!”
 
Joël alzò gli occhi al cielo e le assicurò che non sarebbe ingrassata affatto e che, anche con due chili in più, sarebbe rimasta sempre e comunque una donna bellissima e ammirata in lungo e in largo.
“E dimmi, è cambiato molto l’Hotel in questi anni? Io ho iniziato a venirci dopo di te.”
La domanda di Anjali lo portò a riflettere, a ritornare mentalmente indietro di diversi anni, quando era solo un ragazzino che durante le vacanze estive accompagnava suo nonno al Le Mirage. Fece del suo meglio per ricordare come fosse stato allora l’edificio, finendo con l’annuire mentre giocherellava con il suo bicchiere, facendolo roteare.
“La Hall è molto più bella ora, e anche il bar, li hanno ristrutturati qualche anno fa… e il bar per soli maghi non c’era.”
“Lo so, prima era un’area comune, quella è stata un’idea geniale di Sabs, lei è la migliore. Non è esattamente ciò che avrebbe voluto fare, ma le riesce comunque dannatamente bene gestire l’Hotel.”
Di nuovo l’allusione di Anjali a Sabrina riuscì a sorprenderlo tanto quanto poco prima se non di più e Joël, più confuso che mai, guardò l’amica senza capire: sapeva benissimo che Sabrina St John aveva iniziato a lavorare al Le Mirage una decina di anni prima, quando si era da poco diplomata a Beauxbatons. Aveva sempre dato per scontato che fosse stata una sua scelta, altrimenti perché rimanere per tutto quel tempo?
Accantonare un sogno per seguire un’altra strada per tutti quegli anni era, per lui, non solo un’idea totalmente inconcepibile, ma anche in contrasto con l’immagine profondamente sicura di sé della suddetta strega.
“Che cosa avrebbe voluto fare, se non questo?”
“Oh, tesoro, non sta a me dirtelo. Sai bene che sono una donna molto discreta!”
Questa volta Joël non riuscì a fingere, anzi scoppiò fragorosamente a ridere destando la profonda indignazione dell’amica, che come quella mattina ricorse alle minacce utilizzando un alimento per aiutarsi, sostituendo tuttavia il croissant con un calamaro. Aveva sempre ritenuto, infatti, di essere estremamente propensa a sapersi adattare ad ogni circostanza.

 
*

 
Dopo aver fatto colazione ed essere tornata brevemente nella sua Suite per mettersi il costume Briar si era recata in piscina armata di crema solare, occhiali scuri e riviste, aveva occupato una sdraio e dopo essersi infilata i costosi occhiali firmati aveva iniziato a dedicarsi alla lettura senza sfilarsi il leggero prendisole bianco che aveva infilato sopra ad un bikini verde menta, entrambi volti a risaltare la carnagione ambrata della bella strega.
Briar si stava rilassando con una delle numerose riviste a tema d’arte a cui era abbonata quando qualcuno si avvicinò – assai rumorosamente – al lettino alla sua destra. L’ex Serpeverde non si voltò e non si mosse, ma con la cosa dell’occhio riuscì perfettamente a scorgere la figura esile e pallida di Meadow Wellick, che stava trascinando le infradito colorate sulle piastrelle mentre si dirigeva verso il lettino con un capello di paglia in testa, occhiali da sole e un buffo prendisole molto colorato.
 
Briar-Rose Greengrass e Meadow Wellick non avrebbero potuto essere più diverse, e l’ex Serpeverde aveva un ricordo molto chiaro e definito della sua ex compagna di scuola. Certo era passato qualche anno dal Diploma, ma qualcosa le suggeriva che non fosse cambiata poi così tanto. Il fatto, poi, che fosse evidentemente ancora in buoni rapporti con Silas St John – li aveva visti insieme molte volte solo negli ultimi giorni – sembrava confermare la sua ipotesi.
Se Silas le aveva sempre destato una forte, naturale antipatia lo stesso non si poteva dire per Meadow: più che non sopportare la ragazza, Briar-Rose l’aveva sempre trovata semplicemente bizzarra, nonché talvolta abbastanza snervante. Fin troppo bizzarra, per i suoi gusti.
Del resto, si disse amaramente la gallerista mentre Meadow sedeva ad un paio di metri di distanza, per andare tanto d’accordo con Silas St John non si poteva certo avere parametri del tutto normali.
 
 
Asher aveva deciso di assecondare i consigli di Silas: anche se si trattava di uno sconosciuto era innegabile che il bel figlio del proprietario avesse ragione. Se proprio doveva deprimersi studiando, tanto valeva cercare di farlo prendendo un po’ di aria, un po’ di sole e godendosi non solo il bel tempo, ma anche il magnifico contesto in cui si trovava.
Armato quindi di libro e di evidenziatori – ma anche di costume arancione infilato insieme ad una camicia a maniche corte nera – l’ex Magicospino aveva portato Frankie all’asilo per cani e poi si era recato in piscina, sperando di riuscire a distrarsi dal pensiero dei suoi datori di lavoro e di uno dei due in particolare per concentrarsi maggiormente sullo studio.
Il ragazzo sfilò davanti alla lunga successione di sdraio e ombrelloni che fronteggiavano uno dei due lati verticali della piscina, oltrepassando un paio di ragazze in occhiali da sole prima di fermarsi di fronte ad un lettino vuoto. Asher appoggiò il libro sulla fodera e sedette sbottonandosi la camicia per sfilarsela e spalmarsi la crema solare mentre la ragazza mora dava vita ad un annoiato fischiettio e quella accanto a lui, molto abbronzata e dotata di lunghi capelli castani, sospirava rumorosamente.
“Scusa, devi proprio?”
Incapace di trattenersi Briar distolse lo sguardo dalla sua lettura per gettare un’occhiata leggermente esasperata alla vicina, che ricambiò lo sguardo prima di riconoscerla, ammutolirsi e infine sorridere allegra:

“Ohhh, Briar-Rose Greengrass, non ti avevo notata, ciao!”
“Ciao Meadow.”
Briar non ricambiò il sorriso vivace di Meadow e nemmeno il tono affabile dell’ex Grifondoro, sospirando piano e salutandola con tono pacato mentre l’altra, invece, la osservava curiosa dopo essersi messa a sedere sul lettino ed essersi sfilata gli occhiali da sole per guardarla meglio. No, non sembrava affatto cambiata, era sempre bellissima, seria e dall’aria inavvicinabile.
“Ne è passato di tempo. è strano vederti qui. Cioè, non perché è un posto di lusso, tu sei ricca e lo sanno anche i funghi che spunteranno questo autunno, ma perché sei venuta in vacanza proprio nell’Hotel del padre di Silas? Voi due non vi detestavate, a scuola?”
“Assolutamente sì. E per ora non ho cambiato idea, avevo totalmente rimosso questo legame di parentela. Tu sei venuta a trovarlo?”
“No, in realtà è stata una specie di coincidenza anche per me, mio zio voleva venire qui per un po’ e siamo capitati proprio qui, ma per me è stata una gran bella sorpresa vedere Silas. Immagino che per te non lo sia stato.”
“No, diciamo di no.”
Briar sospirò seccamente prima di tornare a concentrarsi sulla sua rivista e Asher, ritrovatosi involontariamente ad ascoltare la conversazione a causa della vicinanza con le due streghe, restava in religioso silenzio aggrottando le sopracciglia: stavano parlando del ragazzo che aveva conosciuto proprio quella mattina? Sembrava così alla mano e simpatico che il giovane, seppur consapevole di non poter esprimere giudizi fondati sul suo conto, reputò strano che quella ragazza non potesse sopportarlo.
Determinato a non dare l’impressione di stare origliando Asher si affrettò a tornare a mettersi la crema solare per poi infilare gli occhiali da sole e concentrarsi sul suo libro, facendo di tutto per scacciarsi Ridge e Brooke dalla testa. In effetti, si ritrovò a constatare il ragazzo poco dopo, ripensando a loro e al bel Silas doveva ammettere che forse fare amicizia lo avrebbe aiutato, in tal senso.

 
*
 

Medea aveva deciso di prendersi una giornata di pausa e di trascorrerne buona parte nella spiaggia libera di Monte-Carlo, godendosi l’acqua cristallina, la piacevole sensazione di calore data dal Sole sulla pelle e soprattutto la lettura di un libro che rimandava di terminare da giorni. Naturalmente oltre a quella dell’ennesimo romanzo giallo che stava leggendo la fotografava poteva contare anche sulla compagnia di un’altra ospite dell’Hotel, e l’ex Corvonero sollevò lo sguardo dalle pagine stampate prima di accennare un sorriso alla vista di Amaryllis, che stava facendo ritorno verso l’ombrellone e i loro asciugamani colorati con addosso un bikini rosso papavero e strizzandosi i lunghi e lisci capelli scuri per togliere un po’ di acqua salata in eccesso.
“Stai ancora leggendo? Sicura di non voler fare una nuotata?”
“Sì, e per oggi preferisco non bagnarmi i capelli, tu non vuoi sapere che aspetto assumono a contatto con l’acqua salata…”
Medea gettò un’occhiata rassegnata e leggermente invidiosa ai lisci capelli scuri di Amaryllis, che quasi brillavano grazie al sale marino e alla luce del Sole. L’australiana sedette sul suo asciugamano e ne prese un secondo per tamponarsi piano la testa accennando un sorriso divertito, osservando prima il viso della strega parzialmente coperto dagli occhiali da sole e poi soffermandosi sulle pagine del grosso volume che Medea imbracciava da ore:
“Che cosa leggi? Sembri molto presa, non lo hai mollato per l’ultima ora e mezza, credo.”
“Quando leggo un giallo o un thriller io sono così, faccio molta fatica a smettere, voglio subito scoprire come va a finire, e soprattutto se ho azzeccato la soluzione. Mi rendo conto di non costituire la migliore delle compagnie, se c’è un libro di mezzo.”
“Non essere ridicola, sono felice che tu sia venuta. Ti va se tra un po’ andiamo a bere qualcosa di fresco?”
“Certo, volentieri. Finisco il capitolo.”
 
Mentre Medea si prodigava nella lettura per terminare il capitolo, seduta con il costume intero nero addosso e le gambe lunghe distese sull’asciugamano blu, Amaryllis inforcò gli occhiali da sole e prese a guardarsi attorno con curiosità, soffermandosi sul mare di turisti che le circondavano. La maggior parte delle persone che stava loro attorno parlava francese o italiano, ma la strega udì anche moltissime altre lingue e accenti diversi, provenienti da tutti gli angoli d’Europa.
Stava aspettando placidamente che Medea finisse di leggere guardandosi attorno quando alla pittrice sembrò di scorgere due figure familiari. Essendo una pittrice Amaryllis aveva un particolare occhio per i dettagli e per i visi, e di certo due individui del genere sarebbero stati molto difficili da scordare o da non riconoscere, perciò la strega si rivolse a Medea interrompendo la sua lettura:
“Quei due non sono altri ospiti dell’Hotel?”
“Sì. Credo che quello sia un musicista abbastanza famoso e lei dev’essere una ricchissima ereditiera.”
“Come lo sai?”
L’australiana volse sorpresa lo sguardo sulla britannica, che smise di osservare Joël e Anjali chiacchierare all’ombra di un ombrellone – attorno al quale non facevano che gironzolare, casualmente, sia uomini che donne – per tornare a concentrarsi sulla pittrice, accennando un sorriso divertito in risposta:
“Certe cose le noto facilmente, ma sono sicura che mi capisci bene.”
“Direi di sì. Sono davvero felice di averti conosciuta Medea, sono solo non sono l’unica ospite che non naviga nell’oro e venuta per lavorare, ma sei anche tu un’artista. Anche se confesso di non aver capito appieno per che cosa sei venuta a Monte-Carlo.”
Il sorriso allegro svanì momentaneamente dal viso leggermente arrossato dal sole di Amaryllis, che accigliata scoccò un’occhiata carica di curiosità a Medea mentre la fotografa, accennando un sorriso con le labbra carnose, chiudeva di scatto il libro:
“Difficile da spiegare in breve, ma magari uno di questi giorni rimedierò. Adesso sono pronta per un bell’aperitivo fresco, ho quasi stanato il mio assassino.”
Medea si alzò sotto lo sguardo dubbioso della pittrice, che tuttavia decise di non insistere e ben presto la imitò, infilandosi rapida il vestito leggero sopra al costume ancora umido mentre la fotografa si limitava ad indossare un paio di jeans corti sopra al proprio. Nel raggiungere il bar più vicino passarono piuttosto vicine agli altri due ospiti dell’Hotel, udendoli distintamente chiacchierare allegri in francese mentre disputavano una partita a carte, apparentemente ignari – o forse semplicemente incuranti a causa dell’abitudine – degli sguardi e del gran numero di attenzioni che stavano calamitando fin da quando avevano messe piede in spiaggia.

 
*
 
 
Quando aveva fatto ritorno all’Hotel insieme a Joël Anjali si era imbattuta in Alphard Vostokoff, che dopo averla salutata le aveva chiesto se le andasse di bere qualcosa con lui nel salotto riservato a maghi e streghe. Naturalmente la bella svizzera era più che avvezza a ricevere inviti di quel genere e non era nemmeno solita accettarli tutti, ma quello nello specifico ebbe il potere di lusingarla più del solito, e Anjali fu ben lieta di accettare senza pensarci due volte e sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori. C’era qualcosa in quell’uomo che glielo rendeva simpatico a pelle, e aveva la netta sensazione che fossero molto simili sotto diversi aspetti, quindi l’idea di conoscerlo meglio non poteva che allietarla.
Naturalmente prima si sarebbe cambiata, non si sarebbe mai sognata di farsi vedere in pubblico con i capelli umidi e pieni di sale, così aveva chiesto ad Alphard di precederla mentre lei si sarebbe recata nella sua Suite per darsi una sistemata.
Grazie all’aiuto di magia e bacchetta la strega riuscì a sbrigarsela molto più rapidamente del solito – per quanto ritenesse appropriato un elegante ritardo, esagerare nel farsi attendere non rientrava nelle sue abitudini – e dopo pochi minuti essere salita al primo piano si stava già infilando nuovamente nell’ascensore. Mentre attraversava la breve distanza tra l’ascensore e l’ingresso del bar con rapide quanto aggraziate falcate la strega scorse Joël seduto su uno dei divani della Hall, intento a rilassarsi mentre osservava placidamente la gente che andava e veniva.
 
“Ti sei fatta bella per il tuo nuovo amico?”
Il francese sfoderò un sorrisino e ammiccò in direzione dell’amica, che come sempre non si sognò neppure per un attimo di concedergli l’ultima parola e ricambiò il sorriso mentre si sistemava i lunghi e lucenti capelli scuri di nuovo in ordine dietro la spalla con simulata e studiata disinvoltura:
“Tu aspetti qualche altra olandese, Joël caro?”
 Le parole della svizzera andarono a segno: il musicista non replicò, chiedendosi per quanto tempo l’amica avrebbe usato quella storia per sfotterlo mentre Anjali, sorridendo vittoriosa, faceva finalmente il suo ingresso nella stanza riservata ai maghi che i Babbani non avevano nemmeno la facoltà di vedere.
I grandi occhi chiari della strega cercarono immediatamente Alphard, trovandolo ben presto seduto ad un piccolo tavolo circolare, davanti ad una sedia vuota che di certo aspettava lei. Il mago stava parlando con un uomo che sedeva al tavolo accanto con un drink davanti, uomo che ben presto Anjali riconobbe come quello in cui si era imbattuta in ascensore proprio quella mattina.
 
“Quindi è lei che ha inventato quel liquore che si ricava dal veleno degli scorpioni?”
Alphard non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto di fronte al tono sorpreso e ammirato al tempo stesso sfoggiato da Joshua, che aveva conosciuto solo pochi minuti prima quando avevano finito col sedersi a due tavoli vicini. Il mago annuì, le gambe accavallate e le mani strette sul ginocchio destro in una posa elegante mentre aspettava paziente che Anjali lo raggiungesse. La sua esperienza suggeriva infatti che più una donna era bella ed elegante più si sarebbe fatta attendere, il che voleva dire che avrebbe potuto restare in attesa della svizzera anche per il resto della giornata.

“Sì, proprio io.”
“Trovo che sia un’invenzione assolutamente fantastica, Signor Vostokoff.”
“Grazie. Oh, salve Anjali.”
Alphard dovette ricredersi sulle proprie convinzioni quando scorse la strega varcare la soglia dell’ampia sala col soffitto in vetro, guardandola con lieve stupore e un accenno di sorriso sulle labbra mentre Anjali, sorridendo di rimandogli, si fermava di fronte al tavolo.
“Ciao Alphard. Salve. Anjali Kumar.”
Dopo aver sorriso ad Alphard la strega si rivolse allo stesso modo a Joshua, allungando la mano destra mentre prendeva posto di fronte al russo. Joshua puntò gli occhi chiari su di lei per osservarla di rimando per qualche breve istante prima di ricambiare la stretta, anche se il suo sguardo attento non ebbe nulla a che vedere con le occhiate che erano solite rivolerle gli uomini quando la incontravano: assolutamente priva del benchè minimo interesse, tanto che Anjali non seppe se offendersi un tantino.
“Joshua Wellick. Credo di averla vista stamani in ascensore, mentre discutevo con la mia indisciplinata nipote.”
“Sì, ero io. Come mai è qui con sua nipote, Monsieur Wellick?”
“Io vendo bacchette, e Meadow… Dovrebbe darmi una mano, in realtà spesso e volentieri finisce col fare molto altro. Ma aveva bisogno di una vacanza e di cambiare aria, quindi l’ho portata con me. Lei ha un accento molto strano, Signorina Kumar.”
“Sono cresciuta in Svizzera parlando francese e tedesco, ma i miei genitori sono indiani, immagino sia dovuto a questo. Lei di dov’è?”
Anjali parlò inclinando dolcemente la testa di lato, osservando con curiosità quell’attraente, alto, vagamente insolito individuo. C’era qualcosa in lui che le suggeriva prepotentemente di avere di fronte un uomo piuttosto particolare.
“Australia, ma vivo in Inghilterra da moltissimi anni, credo che ormai il mio accento stia andando a farsi benedire. Le va di provare insieme a me il liquore ideato dal Signor Vostokoff a cui accennavo poco prima, Signorina Kumar?”
“Certo, se è sicuro. In caso contrario il mio bellissimo fantasma perseguiterà te e i tuoi scorpioni, Alphard.”
Anjali spostò i grandi occhi chiari su Alphard, che le sorrise assicurando alla strega che non avrebbe corso alcun pericolo – chissà perché tutti si dimostravano sempre piuttosto restii a voler assaggiare il suo liquore la prima volta! – prima di voltarsi e fare un cenno ad una cameriera vicina per affidarle l’ordinazione. Dal canto suo, la strega si adagiò comodamente contro lo schienale della sedia mentre i suoi pensieri vagavano su Sabrina, chiedendosi quando sarebbe tornata e morendo dalla voglia di aggiornarla su tutti i suoi recenti incontri all’Hotel. Incredibile quante cose potesse perdersi la sua amica in una sola mezza giornata di assenza, ma qualcosa le suggerì che Sabrina non avrebbe assaggiato un liquore fatto con veleno di scorpioni nemmeno per tutto l’oro del mondo magico.

 
*

 
Michel stava conseguendo diligentemente i suoi compiti, come sempre, quando il telefono iniziò a vibrargli silenziosamente nella tasca interna della giacca blu della divisa. Accigliato, il concierge approfittò della momentanea assenza di ospiti alla reception per prendere il telefono e controllare chi lo stesse chiamando, affrettandosi a rispondere quando lesse il nome di Sabrina sullo schermo. In fin dei conti non solo era sua amica, ma anche il suo capo, quindi era legittimati a rispondere a tutti gli effetti, anche se si trovava sul posto di lavoro.
 
“Sabs? Perché mi chiami?”
“Michel, shhh! Non dire il mio nome!”
“In che senso, scusa?!”

“Anji è lì?!”
“Anjali? No, perché? Vuoi che la chiami?”
Michel aveva visto la svizzera dirigersi al bar poco prima, e stava per mandare qualcuno a farla chiamare quando la voce carica d’urgenza dell’amica lo precedette, intimandogli di non farlo:
“No, no, no! Assolutamente no, mi servava il via libera. Adesso arrivo.”
Michel non fece in tempo a chiederle spiegazioni, perché la strega gli chiuse il telefono in faccia, lasciandolo di stucco. Che cosa accidenti aveva bevuto Sabrina per pranzo?!
Non fece tuttavia nemmeno in tempo a porsi molte domande, perché meno di un minuto dopo vide l’amica varcare la porta d’ingresso a vetri, vestita esattamente come quella mattina ma carica di borsette colorate.
“Hai fatto shopping? E perché ti nascondi da Anjali?”
Sai che mi succede se scopre che ho fatto acquisti senza di lei? Non vuoi saperlo Michel, e nemmeno io. Volo a mettere tutto a posto prima che possa fiutare il mio shopping segreto.”
 
Decisa a non farsi sorprendere dall’amica, Sabrina girò sui tacchi per correre nel suo appartamento e nascondere la refurtiva quando la vista di qualcosa – o per meglio dire qualcuno – le fece gelare il sangue nelle vene.
Joël Moyal, che non aveva assolutamente notato quando era entrata di corsa poco prima, la osservava da uno dei divani foderati di velluto color cammello, le gambe accavallate e una camicia a maniche corte leggermente umida addosso, così come i capelli castani del mago, che sembrava essere uscito dall’acqua di recente. Joël Moyal che la osservava, visibilmente divertito, un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi puntati esattamente su di lei.
 
“Ciao Sabrina. Che bizzarra coincidenza, io proprio stamani ho dovuto accompagnare la nostra amica  a fare compere perché tu non eri disponibile…”
Il ragazzo parlò sorridendo amabile e sbattendo adorabilmente le ciglia mentre l’ex compagna di scuola, guardandolo come pietrificata, deglutiva a fatica prima di avvicinarsi al divano di qualche passo e parlare nervosamente:
“Senti. Non giriamoci intorno. Tu non… tu non hai visto niente. Ok? Per favore, Joël.”
“… Forse.”
Il mago accompagnò quella breve, unica e semplice parola con uno studiato sbadiglio, fingendosi annoiato mentre l’altra lo guardava, un po’ attonita e un po’ implorante:
“Come forse?!”
“Non lo so proprio che tiri potrebbe giocarmi la mia memoria stasera, o domani, o prima di cena, chi lo sa…”
“Ok. Che cosa vuoi?”
Sabrina dirigeva un Hotel di lusso, era abituata a trattare e ad aver a che fare con persone impossibili, perciò sospirò e guardò seria l’ospite in attesa di una risposta mentre il ragazzo dondolava lentamente il piede sinistro e rifletteva, pensieroso. Dopo un paio di interminabili minuti – che Sabrina visse nel terrore che Anjali potesse fare irruzione nella Hall da un momento all’altro – finalmente il musicista sorrise e tornò a guardarla decidendosi a parlare:
“Posso suonare il piano del ristornate quando mi va?”
“Certo. Quando vuoi, a tutte le ore, considerando quanto sei bravo faresti solo un favore a tutti, in realtà. Ma non dire niente ad Anjali! A proposito, dov’è ora?”
“Quando siamo tornati dalla spiaggia poco fa si è imbattuta in un suo nuovo amico, credo, è andata a fare aperitivo con lui. Dovresti muoverti, finchè non torna.”
 
Sebbene il suo sorrisetto strafottente la irritasse, e non poco, Sabrina sapeva che Joël Moyal era nel giusto: doveva darsi una mossa. Dopo averlo salutato rapidamente la strega girò sui tacchi e quasi corse verso la porta che conduceva al suo alloggio sotto lo sguardo divertito del musicista e quello sempre più attonito di Michel, che guardò l’amica sparire rendendosi conto di non averle nemmeno chiesto come fossero andati i suoi appuntamenti della giornata. A giudicare dallo shopping le risposte potevano essere solo due: o particolarmente bene, o in alternativa particolarmente male.

 
*

 
Più tardi se ne stava distesa sul suo grande divano grigio con penisola e accarezzava dolcemente il soffice pelo color pece di Salem, che come sempre era corso a sistemarsi sulle sue gambe non appena aveva visto la sua umana mettersi seduta. Aveva finito da poco di cenare da sola nel suo appartamento, e aveva lavato stoviglie e pentole con la magia prima di andare a rilassarsi brevemente sul divano, la testa reclinata sulla spalliera e gli occhi chiusi mentre la voce di Andy Williams e le note di Moon River, la sua canzone preferita in assoluto, la cullavano dolcemente.
Quando la familiare e dolce melodia venne interrotta dal bussare alla porta Sabrina aprì i grandi occhi scuri e sollevò la testa, confusa, prima di sollevare Salem e sistemarlo con delicatezza sulla porzione di divano coperta da un morbido plaid color crema. La strega si alzò dal divano e si diresse verso la porta certa che si trattasse di un qualche dipendente o al massimo di Anjali, forse decisa a tenderle un agguato per costringerla a bere qualcosa con lei o per piazzare le tende nel suo alloggio.
Invece, aperta la porta bianca, Sabrina si ritrovò davanti l’ultima persona che si sarebbe potuta aspettare: suo fratello.
“Silas?!”
Sabrina non ricordava l’ultima volta in cui il fratellastro aveva messo piede nel suo appartamento, o quando semplicemente il ragazzo si fosse anche solo presentato alla porta. Confusa, Sabrina lo guardò aggrottando dubbiosa le sopracciglia, certa che Silas avesse combinato qualche disastro mentre il minore, invece, abbozzava un sorriso imbarazzato:
“Ciao. Come va?”
“Bene. C’è qualcosa che non va?”
“No, volevo solo portarti questo.”
 
Silas le allungò qualcosa e Sabrina, sempre più perplessa, si ritrovò a stringere tra le mani abbronzate una grossa vaschetta di gelato.
“È al caramello salato. È il tuo preferito, no? Non ero del tutto sicuro, ma ho chiesto a Michel e me lo ha confermato.”
Per una volta lavorare insieme a Iago aveva avuto una qualche utilità: Michel conosceva i gusti di sua sorella molto meglio di lui.
Il gelato al caramello salato – nonché il caramello salato in generale – costituiva in assoluto il più grande guilty pleasure di Sabrina, che dopo un attimo di smarrimento accennò un sorriso e sollevò lo sguardo dalla vaschetta per guardare il fratello:
“Sì, è il mio preferito. … Grazie Silas.”
“Prego. Ci vediamo domani.”
Silas accennò un sorriso impacciato prima di infilarsi le mani nelle tasche dei pantaloni e allontanarsi lungo il corridoio per tornare nella sua stanza, voltandosi verso la sorella quando Sabrina lo chiamò un paio di secondi dopo:
“Ragazzino?”
“Sì?”
Sabrina, immobile sulla soglia con il gelato in mano, lo studiò brevemente prima di parlare, di nuovo seria e con il consueto tono impassibile con cui era solita rivolgerglisi:
“Serata libera, fa’ un po’ quello che ti pare. Ma non fare danni e domani mattina ti voglio sveglio di buon’ora, quindi peggio per te se fai le ore piccole.”
“Davvero? Grazie Sabs!”
 
Silas non ci pensò neanche a ricordarle di dover ancora pulire la piscina, si defilò prima di darle il tempo di cambiare idea, gettandosi sulla rampa di scale per andare ad incaricare qualche altro povero sfortunato e andare a cercare Meadow per trascinarla al bar insieme a lui, o magari a bere qualcosa in uno degli innumerevoli locali chic che conosceva sparsi per il lussuoso quartiere.
 
Sabrina guardò il fratello sparire giù dalla rampa di scale prima di tornare nel suo appartamento e chiudersi la porta alle spalle, la confezione di gelato in mano e Salem che la guardava curioso dal divano. La strega sistemò il delizioso quanto inaspettato dono sull’alto tavolo circondato da sgabelli per andare alla ricerca di un cucchiaio, decisa ad approfittare della generosità di Silas mentre la melodiosa voce di Andy Williams smetteva di aleggiare nell’open space e Pascal la guardava dubbiosa dalla sua morbida cuccetta pelosa grigia:
“Non guardarmi così, tutti fanno qualche sgarro dalla dieta di tanto in tanto. E poi Silas che cerca di farsi perdonare qualcosa? È un giorno da ricordare, Pascal.”
 
 
 
 
 
 
(1): “Esco Michel, a più tardi”
(2): “La mia auto è pronta?”
(3): “Ma certo, come ho potuto scordarlo”
 
…………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
È da troppo che non aggiorno questa storia? Sì. Sono terribile ed imperdonabile? Sì. La buona notizia è che nel frattempo ho concluso una storia, quindi sono piuttosto fiduciosa sul riuscire ad accelerare i tempi degli aggiornamenti in maniera consistente.
Detto questo, grazie per le recensioni lasciate allo scorso capitolo e per le risposte che mi avete fornito.
Anche questa volta ho una domanda per voi, e chi partecipa spesso alle mie storie potrebbe averla già intuita dalla tempistica:
  • È giunto il momento della domanda fatidica, ovvero quella sulle coppie. Vi invito (ovviamente se volete, non è obbligatorio, ma consigliato se vi piacerebbe vedere il vostro OC accoppiato) a scrivermi privatamente per comunicarvi le vostre preferenze in tal senso. Se non avete le idee super chiare non importa, non dovete per forza fare un nome solo, basta che indichiate i personaggi/il personaggio che pensate potrebbero stare bene con il vostro, o anche solo escludere quelli che a vostro parere proprio non sono compatibili.
Come sempre tengo a sottolineare che accontentare tutti è impossibile, vi chiedo dunque la cortesia di non prenderla sul personale e non offendervi se non dovessi accontentare la vostra richiesta, dal momento che questa non è una storia “romantica” e che anche se lo fosse accontentare tutti è sempre comunque quasi impossibile.
Inoltre, in questo caso c’è più di un personaggio che non è disponibile per una relazione, quindi anche se volessi creare molte coppie mi sarebbe comunque impossibile.  Ve li elenco qui sotto:
  • Ricordo che Sloan è sposato.
  • Ricordo che Joshua è asessuale aromantico.
  • Asher non è disponibile, il perché credo possiate immaginarlo.
  • Personalmente sono piuttosto incline a lasciare Silas single; ritengo che debba maturare ancora prima di avere una relazione, e comunque proverei pena per la povera sfortunata a cui potrei appiopparlo, onestamente, senza considerare che quasi tutte le OC donne sono o abbastanza più grandi di lui, o lo detestano o sono sue consanguinee. Detto questo Silas, la mamma ti ama molto, ma ti è andata male.ì Spero che nessuna di voi me ne voglia.
Ricordo anche alle autrici dei signorini uomini che Briar-Rose è omosessuale, e quindi non disponibile per i loro OC.
Insomma, per le coppie questa storia è una mezza tragedia, ma se volete discuterne io sono super disponibile.
A presto, spero, con il prossimo capitolo o con altre storie per chi mi segue altrove.
 
Signorina Granger
 
 
Ps. Spero che il capitolo non sia pieno di errori e di refusi, ma è così tardi che non ho la forza mentale e fisica di rileggerlo a dovere, soprattutto a fronte di un weekend piuttosto impegnativo. Provvederò a farlo domani, nel frattempo spero che nessuno leggendolo incappi in orrori mostruosi, in caso vi chiedo umilmente scusa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
 
Sabato 26 giugno
 

 
Alphard aveva avuto a malapena il tempo di farsi una doccia, cambiarsi e sedersi sul letto della sua Suite quando qualcuno suonò il campanello, portandolo ad alzarsi e a trascinarsi verso la porta con un sospiro stanco: la sera prima era uscito a bere con Briar in centro città e aveva finito col passare la notte nella stanza d’albergo di una ragazza francese in vacanza invece che nella propria, e tutto ciò che chiedeva era di poter starsene a letto per un’ora o due, o magari bere una gigantesca tazza di caffè.
Certo che si trattasse di Briar venuta a curiosare sulla sua nottata Alphard aprì la porta senza guardare attraverso lo spioncino o chiedere l’identità della persona che si trovava nel corridoio, ammutolendo e sollevando quasi istintivamente una mano per lisciarsi i capelli castani quando i suoi occhi indugiarono sul bel viso sorridente che aveva davanti.
Bonjour. Ti disturbo? Sono molto mattiniera, spero che per te non sia troppo presto.”
Anjali sembrò incuriosita dalla sua aria leggermente più trasandata del solito, ma la sua buona educazione le impedì di fare commenti mentre Alphard scuoteva la testa accennando un sorriso e appoggiando una mano sullo stipite della porta, per qualche motivo per nulla intenzionato a farle sapere di aver passato la notte fuori e in compagnia.
“No, assolutamente no. A cosa devo il piacere?”
“Stasera volevo andare al Casinò, per me e Sabrina, la mia amica, è una sorta di tradizione che perpetuiamo ogni anno quando vengo qui. Volevo chiederti se ti va di venire e se ti va di accompagnarmi a fare compere, mi serve un vestito nuovo.”
“Volentieri. Per la prima cosa. Anzi, per entrambe.”
C’est magnifique! Allora permettimi di offrirti una colazione con vista mare visto che ti trascino fuori così presto, hai tutta l’aria di aver bisogno di un bel caffè forte.”
Il sorrisetto che Anjali gli rivolse mentre Alphard appellava ciò che gli serviva per uscire – occhiali da sole, portafoglio, chiavi della stanza – suggerì al mago che in qualche modo lei sapesse, ma fortunatamente la bella strega non fece alcun commento mentre lo prendeva per mano, trascinandolo gentilmente con sé verso gli ascensori dopo che la porta si fu chiusa alle spalle dell’ucraino.
I due erano appena entrati in ascensore quando Alphard chinò lo sguardo sulla strega, accennando un sorriso mentre la guardava attraverso le lenti degli occhiali scuri e lei gli stringeva il braccio fasciato dalla manica della camicia leggera:
“Permetti una domanda?”
“Certo, qualsiasi cosa.”
“C’è una sorta di incantesimo o Pozione che ti impedisce di essere imperfetta in qualsiasi momento della giornata, per caso?”
La curiosità dei grandi occhi azzurro-verdi di Anjali si tramutò presto in divertimento, e la strega rise asserendo che non fosse il primo a fare insinuazioni di quel tipo.
“Nessun incantesimo. Solo geni molto fortunati, ammetto che i miei genitori sono entrambi molto attraenti, e una gran cura nel truccarmi, vestirmi e trattare capelli e viso. Niente di speciale.”
La svizzera non sembrava affetta da falsa modestia mentre si stringeva nelle spalle, e la disinvoltura – nell’esperienza di Alphard piuttosto curiosa e insolita, per una donna con quell’aspetto – con cui minimizzò la sua bellezza dei suoi tratti scaturì un sorriso sul viso del mago, che se possibile la trovò improvvisamente ancora più affascinante.
“Certo, in fondo se ne vedono a decine di donne come te in giro.”
“Magari, se guardi bene…”
“Oh, credimi Anjali, io guardo benissimo.”
 

 
*

 
Ma come aveva fatto, come, a farsi convincere a trascorrere il sabato sera gozzovigliando al Casinò?
Mentre cancellava con una spugnetta l’ennesimo nome sbagliato precedentemente scarabocchiato sulla lavagna bianca della sala dello staff – quel giorno la sua mente era definitivamente naufragata su Marte –  Sabrina St John sbuffò mentre ripensava all’insistente richiesta di Anjali, che come al solito aveva finito con l’ottenere esattamente ciò che desiderava. L’affetto che Sabrina nutriva nei confronti dell’ex compagna di scuola era incommensurabile, ma quella che tre giorni prima non le era parsa un’idea poi così malvagia aveva improvvisamente assunto toni molto più drammatici quando, quella mattina, si era svegliata con addosso la consapevolezza di dover trascorrere la serata lontana dal suo Hotel, per di più in mezzo a ricconi in tiro che perdevano o vincevano cifre astronomiche, non esattamente il suo prototipo di serata ideale.
Disgraziatamente quando si dava la parola ad Anjali Kumar non ce la si poteva rimangiare, Sabrina lo sapeva bene, e si era dovuta arrendere e accontentare l’amica, capendo di non avere scampo quando Anjali si era presentata alla sua porta con uno dei suoi smaglianti sorrisi sulle labbra e un copri abito nero in mano.
 
“E quello che cos’è?!”
“Ma come che cos’è, un vestito ovviamente!”
Anjali l’aveva superata per entrare nel suo appartamento, fermandosi a salutare Pascal quando il cucciolo le corse incontro scodinzolando e con un abbaio – ma intimandogli anche di non azzardarsi a leccarle le Jimmy Choo – mentre Sabrina, allibita, chiudeva la porta alle spalle dell’amica prima di voltarsi verso di lei e guardarla adagiare con cura la custodia sullo schienale di uno dei suoi sgabelli:
“Questo l’avevo capito, intendo perché mi hai portato un vestito?!”
“Per stasera! Sai meglio di me che al Casinò non ci può presentare in t-shirt e jeans!”
Di rado Sabrina si sentì ferita nell’orgoglio come quel giorno: certo che lo sapeva, ma del resto quando mai lei aveva indossato dei jeans?! Un’espressione disgustata e offesa al tempo stesso apparve sul bel viso abbronzato della francese, che guardò l’amica abbassare con cura la lampo del copri abito mentre cercava di ricordare l’ultima volta in cui aveva anche solo toccato un paio di pantaloni del genere:
“Jeans?! Io non indosso un paio da… da mai! Ti sembro una tipa da jeans?!”
“In effetti no, ma era per dire. Insomma, stamani stavo cercando un vestito nuovo da indossare stasera, ho visto questo e ho pensato a te, quindi… ecco un regalo per te.”
Sorridendo allegra, Anjali sfilò uno vestito nero lungo fino alle ginocchia dalla custodia e lo sollevò entusiasta in direzione dell’amica, trillando che le “sarebbe stato d’incanto” mentre Sabrina la guardava, rassegnata:
“Anji, non dovevi… e poi non sono assolutamente sprovvista di vestiti, te l’assicuro.”
Sabrina si avvicinò all’amica allungando le mani per prendere la gonna nera del vestito tra le mani e sfiorarne la stoffa, e la sua espressione si addolcì mentre Anjali, davanti a lei, faceva spallucce con nonchalance:
“Questo lo so, ma come dice sempre la mia saggia Ammu(1): ogni occasione è buona per comprare un vestito nuovo! Dai, fammi vedere come ti sta.”
“Non posso, io devo andare di sotto e lavorare, non sono in vacanza.”
“Merlino, quanto sei barbosa!”
 
 
Ciò che rincuorava Sabrina dalla prospettiva di dover passare tutta la sera lontana dall’Hotel era la consapevolezza che Silas quel giorno avesse la serata libera: se non altro avrebbe potuto contare su Pierre e Michel, e il fatto che anche Silas sarebbe stato lontano dal Le Mirage le impediva di pensare ad incendi, esplosioni o tragedie del tutto simili.
“Sei sicura che tuo fratello esca, stasera?”
In piedi alle sue spalle, Michel la guardò finire di trascrivere i turni sulla lavagna magnetica (in un angolo della quale qualcuno aveva fatto delle caricature di Sabrina e del concierge, scrivendoci accanto “Jafar e Iago”) quasi sperando che l’amica non avesse sbagliato con le sue previsioni, rilassandosi quando Sabrina sbuffò e ripose il pennarello blu prima di voltarsi verso di lui e gettargli la più eloquente delle occhiate:
“Ti prego Michel, come sei ingenuo… Non ha mai trascorso un sabato sera a casa in vita sua, probabilmente, salvo febbri o influenze. Figurati se perde l’occasione di fare baldoria, il ragazzino.”
“Lo sai che ha solo tre anni in meno di te, vero?”
“Certo che lo so, ma mi piace chiamarlo così. Vieni mon ami, andiamo a disturbare Claude in cucina e a scroccare qualcosa da mangiare. Ha di nuovo litigato con Jacques a giudicare dal suo pessimo umore, e voglio saperne di più.”  Un sorrisino fece capolino sul viso di Sabrina mentre la strega prendeva l’amico sottobraccio, conducendolo verso l’uscita della stanza per dirigersi in cucina e dedicarsi a due dei loro passatempi preferiti: mangiare e stuzzicare lo chef. In particolare, quando avevano la possibilità di fare entrambe le cose nello stesso momento, non perdevano mai l’occasione di correre in cucina.
“Ma Claude non litiga con Jacques, al massimo litiga da solo! Ma non diciamoglielo, altrimenti ci roviniamo da soli il divertimento.”

 
*
 

Medea sedeva sola ad un tavolo sulla terrazza, in attesa che un cameriere arrivasse a prendere la sua ordinazione mentre scribacchiava rapida su un piccolo quadernino con la Notte stellata di Van Gogh impressa sulla copertina. Sandali passi ai piedi, una corta tutina rossa addosso e occhiali da sole a celarle i grandi occhi scuri, Medea stava cercando di affrontare il caldo asfissiante al riparo di uno dei candidi ombrelloni che adombravano la terrazza e in attesa di ordinare un caffè freddo.
Si stava distraendo momentaneamente osservando il panorama di Monaco-Ville offerta dalla terrazza quando Amaryllis, giunta a sua volta al pian terreno e nella sala interna del ristorante per fare colazione, la scorse attraverso la parete fatta interamente di vetro. Dapprima l’australiana tentennò, dicendosi che forse la fotografa avrebbe preferito godersi la colazione in solitudine, ma infine si decise a fare un tentativo e uscì a sua volta sulla terrazza, stampandosi un sorriso allegro sulle labbra mentre si avvicinava al tavolo occupato dalla britannica:
“Buongiorno! Ti dispiace se mi siedo?”
“Credo che tu ormai non me lo debba più neanche chiedere, Amy.”
Con gran sollievo della pittrice Medea ricambiò il suo sguardo accennando un sorriso dolce con gli angoli delle labbra carnose, invitandola a sedersi con un cenno del capo mentre Amaryllis scostava la sedia di fronte a lei ricambiando grata il sorriso:
“Beh, meglio non rischiare, anche se ormai abbiamo confidenza… non si sa mai, ci sono molte persone che preferiscono la pace e la solitudine di mattina, specie prima di aver fatto colazione. Cosa stai scrivendo?”
A differenza di Medea, Amaryllis adorava il caldo e il sole, del resto era perfettamente abituata a vivere vicino all’Oceano, dove il sole australiano non aveva pietà di niente e di nessuno. Per questo la strega, dopo essersi seduta di fronte alla fotografa e aver appoggiato gli occhiali scuri sul tavolo, reclinò la testa all’indietro e abbandonò le braccia sui braccioli della sedia, godendosi la piacevole sensazione di calore sulla pelle del viso mentre Medea, davanti a lei, chiudeva il block-notes con un sospiro:
“Lavoro.”
“Credevo che il tuo lavoro fosse fare foto.”
“Lo è, ma è più complicato di così. Ho un cliente difficile, al momento, ma immagino che tu sappia benissimo di che cosa sto parlando.”
“Immagini bene, fare l’artista non è facile, soprattutto a causa di persone che, beh, di arte non ne capiscono niente e si rifiutano di capire la tua.”
  
Non era propriamente quello, il caso di Medea, ma la strega evitò accuratamente di farlo sapere all’australiana mentre Amaryllis si rimetteva seduta dritta sulla sedia, sorridendole prima di infilarsi nuovamente gli occhiali da sole sul viso. Cinque minuti dopo le due streghe avevano appena ordinato e stavano chiacchierando a proposito della giornata imminente e di come l’avrebbero trascorsa quando un terzo ospite dell’Hotel uscì sulla terrazza con l’intenzione di fare colazione.
Non c’era nessun tavolo vuoto, e Artemy si guardò attorno con attenzione prima che i suoi occhi a mandorla indugiassero sul viso familiare di Medea, che sedeva e chiacchierava insieme ad una strega dal fisico esile e slanciato e lunghi capelli castani.
Artemy non solo aveva una gran fame, ma era anche del tutto intenzionato a fare colazione godendosi il bel tempo e la vista sul Mediterraneo, così si avvicinò senza indugi alle due streghe, accennando un sorriso quando la sua figura entrò nel campo visivo di Medea:
“Buongiorno. Mi dispiace disturbarvi, ma ti dispiace se mi siedo con voi?”
“No, certo che no. Lei è Amaryllis.”
Medea accennò pacata ad Amaryllis mentre l’australiana, sorridendo, porgeva la mano al ragazzo per presentarsi:
“Puoi chiamarmi Amy.”
“Erosjka.”
Artemy accennò un sorriso cortese nel presentarsi a sua volta alla strega, stringendole la mano mentre sedeva tra lei e Medea, che prese a tamburellare le lunghe dita sul ripiano del tavolo, impaziente di bere il suo caffè freddo ma allo stesso tempo per nulla allettata dai suoi programmi della serata:
“Io stasera devo andare al Casinò, credo. Non ne ho molta voglia, a dire il vero, ma non ho molta scelta.”
“Dici davvero? Io ci voglio andare da quando sono arrivata, ti dispiace se ti accompagno? Se non hai troppo da fare e non ti disturbo, ovviamente.”
“No, anzi, mi farebbe piacere avere della compagnia. Tu ci sei mai stato, ragazzo del mistero?”
“No. Non sono particolarmente interessato al gioco d’azzardo, ma credo che una di queste sere ci potrei fare un salto anche io. Come te ne farei a meno, ma quando il dovere chiama.. Chissà, magari ci vediamo lì.”
Medea aveva sempre avuto l’impressione che, a differenza sua o di Amaryllis, Artemy fosse in vacanza, un po’ come tutti gli altri ospiti dell’Hotel. A quale “dovere” stava accennando, dunque?
La strega moriva dalla voglia di sapere che cosa volesse dire, e aveva come l’impressione – a giudicare dal sorriso che incurvò le labbra del ragazzo – che a differenza sua Artemy sarebbe anche stato disposto a vuotare il sacco senza problemi. Ma il suo problema, e lo era sempre stato, era la ferma volontà, per non dire necessità, di scoprire le cose da sé: che divertimento, quale soddisfazione avrebbero mai potuto arrecarle informazioni gentilmente fornitale da altri? No, Medea voleva arrivarci da sola, a svelare quell’enigma di ragazzo, così ricambiò il sorriso sornione di Artemy e annuì, guardandolo con una punta di divertimento e di sfida al tempo stesso mentre Amaryllis, pur curiosa quanto lei, non osava porgere domande al mago per mera educazione.

 
*

 
Asher fissava il soffitto bianco della lussuosa suite, gli occhi chiari perfettamente vigili mentre le sue braccia magre e pallide – anche se il ragazzo era sicuro di aver preso un leggero tono di colore in più da quando era arrivato in Europa – giacevano abbandonate sulle morbide e costosissime lenzuola bianche e la sua testa sprofondata nel sofficissimo cuscino.
“Il massaggio di Brooke dura un’ora e mezza e finisce tra poco, te ne dovresti andare.”
Lentamente, Asher volse la testa verso l’altro lato del letto senza muoversi, indugiando ad osservare Ridge con lo sguardo mentre l’uomo, già in piedi, finiva di rivestirsi abbottonandosi una camicia bianca. Il ragazzo osservò il datore di lavoro, nonché amante, per qualche istante, finendo con l’annuire piano mentre si metteva lentamente a sedere sul morbido materasso.
“… Sì, certo. Ora vado.”
Asher fece scivolare le gambe giù dal letto senza dire altro, dando le spalle a Ridge mentre si rivestiva. Si era infilato la maglietta a maniche corte color zucca sopra i jeans e stava per tornare nella sua stanza, situata proprio accanto alla Suite di Brooke e Ridge, quando udì la voce dell’uomo chiamarlo.
“Sì?”
Asher si voltò e lo guardò con gli occhi chiari carichi di stupore e speranza al tempo stesso, chiedendosi se Ridge non stesse per dirgli finalmente qualcosa di carino quando l’uomo, invece, ricambiò il suo sguardo prima di accennare al salottino della suite, dove si trovava Hope:
“Ho detto a Brooke che avresti portato Hope a spasso.”
“Oh. Sì, certo, la prendo subito.”
Per certi versi l’idea di essere lontano da quella suite e soprattutto da Ridge al momento del ritorno di Brooke lo faceva stare meglio: non era sempre la donna più piacevole e simpatica del mondo e aveva le sue brutte giornate, ma in fin dei conti la bella strega era sempre stata gentile con lui e spesso si ripeteva quanto fosse orribile ciò che lui e Ridge stessero facendo alle sue spalle. Qualche anno prima avrebbe riso se gli avessero detto che un giorno avrebbe avuto una relazione con un uomo sposato, per di più il suo datore di lavoro, ma pur sentendosi profondamente in colpa Asher non riusciva a farne a meno. Non riusciva, suo malgrado, a fare a meno di lui.
Il ragazzo attraversò la stanza senza dire nulla, dirigendosi rapido nel salotto della suite per prendere il guinzaglio e la pettorina di Hope – entrambi di una nauseante tonalità di rosa che faceva male agli occhi se osservata a lungo – e preparare la cagnolina per la passeggiata. Straordinariamente la piccola Chihuahua si lasciò allacciare la pettorina senza fare storie e Asher si sentì improvvisamente grato nei suoi confronti, certo che gestire i capricci della cagnolina non avrebbe fatto altro che affossare ancora di più il suo umore.
“Ok, allora io vado, ci vediamo dopo.”
Questa volta, quando gli passò accanto, Ridge lo fermò prima che il ragazzo potesse superarlo: gli prese delicatamente un braccio, gli chiese di aspettare e dopo avergli indirizzato un debole sorriso gli depositò un rapido bacio sulle labbra. Avere una relazione con Ridge significava, oltre al non poter trascorrere molto tempo insieme per ovvi motivi, avere costantemente alti e bassi: c’erano giorni in cui l’uomo era gentile e affettuosissimo, altri in cui sembrava assumere le sembianze di una gelida statua di ghiaccio. Piacevolmente sorpreso da quel gesto inaspettato, Asher sorrise prima di salutarlo di nuovo con un mormorio, esitando prima di allontanarsi insieme ad Hope, uscendo insieme a lei dalla suite. Ridge, rimasto solo, rifaceva il letto con un colpo di bacchetta prima di sedersi sul morbido copriletto bianco dando le spalle alla porta, sospirando mentre guardava la finestra che aveva davanti che offriva un bellissimo scorcio sul Mediterraneo.

 
*

 
“Joël caro, ti ho preso un regalino.”
Joël stava cercando di trarre in inganno il caldo asfissiante standosene a bordo piscina, un costume blu addosso e uno spartito – dove stava scarabocchiando note e appunti che si sarebbero dimostrati incomprensibili per chiunque – in mano. Quando gli occhi chiari del mago, celati dalle lenti scure degli occhiali da sole, incontrarono la figura aggraziata ed elegante di Anjali un accenno di sorriso gli increspò le labbra: era cosa nota che Joël Moyal non apprezzasse particolarmente la compagnia prolungata di molte persone, ma Anjali Kumar era senza dubbio tra quelle. Pur conoscendola da anni, quella che un tempo era stata una compagna di banco riusciva sempre a divertirlo e a strappargli una risata.
“Un regalo? Por moi? Ma non dovevi mia cara Anjali.”
“Oh, lo so che non dovevo, e non sei il primo a dirmelo oggi… Ma mi sentivo particolarmente magnanima e generosa, questa mattina. Ecco, tieni.”
Dopo essersi accomodata sul lettino vuoto accanto al suo e aver accavallato con grazia le gambe color caffelatte, Anjali raccolse qualcosa dalla sottile busta di carta che aveva appoggiato accanto a sé e lanciò il regalo a Joël, che prese al volo una maglietta bianca prima di aprirla e tenerla sollevata davanti a sé. Quando lesse la scritta nera impressa sul tessuto il mago non battè ciglio, volgendo lo sguardo sull’amica prima di sorriderle amabilmente e ringraziarla per il bellissimo regalo:
La adoro. Direi che devo assolutamente provarla subito.”
Joël, già a petto nudo per cercare di affrontare l’alta temperatura, si infilò rapido la maglietta sotto lo sguardo soddisfatto di Anjali, che annuì e sorrise mentre un paio di ragazze francesi passavano loro davanti gettando occhiate perplesse alla maglietta indossata dal musicista:
“Come mi sta?”
Joël allargò le braccia come a volerle permettere di osservarlo meglio, sorridendo quando Anjali annuì e si sfilò gli occhiali da sole per guardalo con i grandi e critici occhi azzurro-verdi:
“Oh, direi che sembra che te l’abbiano cucita addosso. In tutti i sensi.”
“Sono lusingato.”
“Beh, non dovresti esserlo affatto!”
Anjali accennò esasperata alla scritta impressa sulla t-shirt, ovvero “Tombeur de femmes(2), mentre Joël si rimetteva comodamente disteso sul lettino e riprendeva in mano lo spartito accennando un sorrisetto con gli angoli delle labbra, per nulla colpito dalla sottile intenzione di insultarlo attraverso il regalo mentre Anjali lo guardava torva.
“Che dici, non molte persone possono vantare una maglietta che li rappresenta così bene.”
“Sei impossibile. Sono vent’anni che cerco di farti rinsavire, non so proprio perché ancora non ci abbia rinunciato. Ad ogni modo, stasera vorrei fare una capatina al Casinò, ti va di venire?”
Anjali si alzò in piedi lisciandosi le pieghe della gonna color avorio del vestito e rimettendosi gli occhiali da sole, restando ad osservare l’amico in attesa di una risposta mentre Joël – che non accennava a volersi sfilare la maglietta – continuava a concentrarsi sul suo spartito senza ricambiare il suo sguardo.
“Ci vuoi andare per giocare o per avere la scusa di indossare un bel vestito e far sì che tutti ti guardino, Anji? In ogni caso, penso che potrei venire e giocare un po’ a poker, sì, non ho niente da fare stasera.”
“Bravo. Ma ti prego, non mettere quella maglietta, lì ci si veste in un certo modo!”
“Anjali, mi conosci da vent’anni. Sai benissimo che non me ne frega niente, dei dress code.”
Disgraziatamente il musicista aveva ragione, e Anjali non poté contraddirlo mentre sospirava con rassegnazione e si sistemava il manico della Birkin bianca nell’incavo del gomito. Già riusciva ad immaginarlo presentarsi al Casinò con i jeans, ma cercò di non rabbrividire all’idea e si limitò a scoccargli un’occhiata carica di disapprovazione:
“Forse in punto di morte capirò perché tutte muoiano ai tuoi piedi. Ci vediamo dopo, vado a rinchiudermi nel bagno arabo per non sciogliermi.”
“Ciao ciao Anji, e grazie per la maglietta.”
 
Dopo essersi allontanata Anjali si diresse verso la porta di vetro che conduceva all’interno dell’Hotel – faceva così caldo, per i suoi gusti, che anche starsene a bordo piscina era troppo –, salutando Briar-Rose quando le passò accanto superando il suo lettino. Quando infine giunse davanti alla porta la bella strega indugiò mentre stringeva la maniglia di metallo, voltandosi di nuovo verso Joël per vedere se si fosse sfilato o meno la sua maglietta. Quando i suoi grandi occhi chiari indugiarono sulla bella figura dell’amico – che no, evidentemente non sembrava intenzionato a togliersi il suo regalo – la svizzera non riuscì ad impedire ad un debole verso sgomento di librarsi dalle sue labbra carnose dischiuse: seduta sul lettino vuoto che lei stessa aveva brevemente occupato poco prima si era già seduta una ragazza pallida e con una cascata di capelli rossi che le scendeva lungo la schiena, impegnata, manco a dirlo, a chiacchierare amabilmente con il suo amico.
Si era alzata da quanto, un minuto? E c’era già una ragazza che gli ronzava attorno.
 
“Ma come diavolo fa?!”
E dire che gli aveva comprato quella maglietta anche per mettere in guardia il genere femminile. Evidentemente, anche se ammetterlo le procurava una grande amarezza, il mondo era pieno di donne cretine.
 

 
*

 
Una delle più ferme convinzioni di Sabrina Marie St John, consolidatasi nella sua mente soprattutto nel corso dei 10 lunghi anni intercorsi da quando aveva iniziato a lavorare al Le Mirage, era che il mondo fosse pieno di persone per nulla adatte alla procreazione e all’essere genitori.
Una decina di minuti prima era stata costretta a recarsi alla piscina coperta per chiedere gentilmente alla Signora Van Hopper di portare il suo stramaledettissimo cane rognoso fuori da lì, e appena dopo aver chiesto a Francine, la bagnina di turno in quel momento, di portare personalmente FruFru fuori dalla stanza si era resa conto che un bambino americano di quattro anni, solo all’interno della piscina mentre i genitori chiacchieravano amabilmente come nulla fosse con due cocktail in mano, stava annaspando per restare a galla.
Quando aveva iniziato a lavorare all’Hotel, dieci anni prima, suo padre non ci aveva pensato due volte prima di proporle il ruolo di bagnina, vista e considerata la sua passione e soprattutto la sua abilità nel nuoto. Così, dopo aver completato il corso in tempo record, Sabrina era diventata una bagnina provetta. Forse fu proprio il lontano ricordo di quelle due estati trascorse perennemente a bordo piscina che spinse la strega a sfilarsi i tacchi e a tuffarsi in acqua senza pensarci due volte, raggiungendo il bambino con due bracciate e afferrandolo per la vita prima di traportarlo verso la scaletta più vicina.
Assicurando al piccolo scosso dai singhiozzi che andasse tutto bene, Sabrina lo issò alla scaletta per aiutarlo ad uscire dalla piscina, imitandolo prima di lisciarsi i corti capelli fradici all’indietro sulla testa e riportarlo ai suoi genitori. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non sbraitare insulti contro i due, limitandosi a suggerirgli a denti stretti di ricordarsi di mettere i braccioli al figlio o, quantomeno, di controllare che non entrasse in acqua da solo mentre quella rincoglionita della madre avvolgeva il bimbo in un asciugamano piagnucolando e chiedendosi “come aveva potuto non accorgersi che era entrato in piscina da solo”.
 
“Perché gente così inetta fa figli Pierre, perché? Neanche mio padre è stato sempre ideale, ma non lasciava che io e Silas entrassimo in piscina senza di lui o senza braccioli, quando ancora non sapevamo nuotare!”
Furiosa, la strega spalancò la porta di vetro che conduceva alla Hall con Pierre al seguito, tamponandosi il viso con le salviette che l’uomo le stava passando per asciugarsi il trucco che le era leggermente colato sotto agli occhi scuri.
“Ha ragione Miss, per fortuna c’era lei. Asciugamano?”
Dopo essersi premurato di controllare che la Hall fosse sprovvista di Babbani Pierre fece apparire un asciugamano candido e lo passò gentilmente a Sabrina, che lo ringraziò con un cupo borbottio prima di iniziare a tamponarsi i corti capelli scuri.
“Grazie. Per fortuna che esisti tu, Pierre.”
Michel, Gerard e Silas, tutti e tre alla reception, si immobilizzarono e guardarono attoniti la Direttrice fradicia da capo a piedi – inclusa la blusa bianca che indossava, che le si era incollata al petto e alle braccia – prima di distogliere rapidi lo sguardo, cercando di celare le risatine e i sorrisetti che avevano increspato i loro visi.
“Michel? Ridi e ti depenno lo stipendio. Gerard? Ridi e ti licenzio. Silas? … Ridi e chiamo tua madre.”
Ehy, così non vale!”
Mentre Gerard, rosso in volto, si affrettava a distogliere lo sguardo balbettando delle scuse Silas ricambiò lo sguardo severo della sorella guardandola offeso, chiedendosi perché con lui dovesse sempre giocare molto più sporco che con gli altri. Michel invece, consapevole di avere abbastanza confidenza con lei da poterselo permettere, sorrise divertito mentre guardava l’amica cercare di asciugarsi i capelli scuri pieni di cloro:
“Ma si può sapere che cosa hai fatto, Sabs? Sei caduta in acqua?”
Oh, certo Michel, ho proprio pensato di farmi un tuffo mentre sto lavorando, perché si dia il caso che farmi vedere così da tutti i clienti sia il mio sogno proibito da anni.”
 
Sabrina stava inveendo contro FruFru, “il cane malefico”, la sua “padrona bisbetica” e “gli yankee senza cervello” quando Joël, ritenendo di essere rimasto a rosolare abbastanza sotto il sole, fece il suo ingresso nella Hall con l’intenzione di tornare in camera sua, farsi una doccia e poi andare a rilassarsi al bar usufruendo del beneficio dell’aria condizionata e di un tè freddo ghiacciato. Il musicista si infilò nella Hall fischiettando un motivetto improvvisato, l’asciugamano appeso ad una spalla e le infradito blu che strisciavano rumorosamente sul pavimento tirato a lucido quando il suo sguardo indugiò su Sabrina, in piedi vicino al bancone della reception e bagnata fradicia da capo a piedi.
Il mago smise immediatamente di fischiettare, osservando allibito e divertito al tempo stesso l’ex compagna di scuola mentre si sfilava gli occhiali scuri dal viso per insilarseli sulla testa, tra i capelli.
“Hai proprio ragione Sabrina, fa così caldo che anche io mi butterei in piscina completamente vestito.”
Ah-ah-ah. Non mi va di parlarne. Gran bella maglietta, comunque.”
Del tutto intenzionata a distogliere il più rapidamente possibile l’attenzione da sé Sabrina parlò staccandosi dal bancone e accennando alla t-shirt bianca del musicista mentre Silas, alle sue spalle, accostava la testa a quella di Gerard per sussurrargli qualcosa all’orecchio. I due presero a sghignazzare divertiti, ma finirono con l’ammutolire e zittirsi quando colsero l’occhiataccia che Michel indirizzò loro.
“Grazie. Me l’ha regalata Anji.”
Per nulla imbarazzato, Joël sorrise a Sabrina mentre accennava divertito alla sua nuova maglietta, piuttosto determinato ad indossarla molto di frequente. Senza contare che il piano di Anjali era già fallito in partenza, visto che solo poco prima un’ospite britannica dell’Hotel di qualche anno più giovane di lui l’aveva usata proprio per attaccare bottone. Sabrina sembrò sorpresa all’udire quella rivelazione, anche se ben presto un sorriso apparve anche sul suo volto: regalare a Joël una maglietta del genere? Era assolutamente ed innegabilmente da Anjali.
“Anji ha regalato dei vestiti anche a te? Si è data ai regali, questa mattina.”
“Già. Perché, a te che cosa ha preso?”
Dapprima curioso, Joël guardò la strega prima di accennare un sorrisino con le labbra, gli occhi chiari carichi di un luccichio divertito mentre continuava senza darle il tempo di rispondere:
“Forse una maglietta con scritto “Plus belle femme du monde”, se il regalo per te ha seguito la stessa logica del mio.”
Alle spalle di Sabrina Michel, Gerard e Silas fingevano di lavorare mentre in realtà facevano del loro meglio per origliare la conversazione in corso; Pierre al contrario teneva le mani allacciate dietro la schiena mentre si sforzava di osservare con grande interessa la punta delle proprie scarpe, cercando in tutti i modi di estraniarsi per evitare di ascoltare. Mentre Silas assestava una leggera gomitata a Gerard, accennando con un ghigno divertito in direzione della sorella, Sabrina non sembrò affatto colpita dal complimento che Joël le rivolse, limitandosi a sorridergli pacata prima di scuotere la testa e incrociare le braccia al petto.
“No, niente del genere. Le magliette personalizzate sono un privilegio riservato solo a te, pare. Stasera vuole andare al Casinò, così mi ha preso un vestito.”
“Lo ha detto anche a me. Mi ha anche intimato di vestirmi bene, ma io ovviamente la ignorerò, quindi mi rincuora sapere che almeno uno di noi seguirà le sue indicazioni e sarà vestito come si deve, così forse non mi assillerà più di tanto. Non vedo l’ora di scoprire che cosa ti ha preso.”
Il musicista si congedò con un ultimo sorrisetto prima di superare la strega, salutando educatamente Silas, Michel, Gerard e Pierre prima di allontanarsi verso gli ascensori. Sabrina si voltò in silenzio, guardandolo salire in ascensore prima che le porte di metallo si chiudessero davanti al bel mago, togliendolo dal suo campo visivo. Una volta rimasti soli la Direttrice tornò a guardare i quattro uomini presenti, inarcando dubbiosa un sopracciglio quando colse gli sguardi divertiti quanto eloquenti che Michel e Silas le stavano rivolgendo:
“Si può sapere che avete da guardare?”
“Beh, direi che gli piaci.”
“Michel, a Joël Moyal piacciono moltissime persone, dammi retta. E ora, se permettete, vado a cambiarmi per evitare che altri ospiti mi vedano in questo stato.”   Sabrina superò il gruppetto di pettegole cercando di mantenere il miglior contegno possibile, dirigendosi verso la porta che conduceva al suo alloggio mentre Michel sogghignava, Pierre si ricordava improvvisamente di avere molte cosa da fare e si dileguava imbarazzato e Silas, invece, sbatteva con esagerato vigore le folte ciglia scure prima di parlare con voce melensa e leggermente canzonatoria:
Peccato che ti abbia visto così proprio un ospite così affascinante.”
“A volte mi sembra di gestire un asilo nido, non un Hotel. Finitela di fare le comari e lavorate, soprattutto tu ragazzino, o stasera la serata libera te la sogni.”
Merlino, quanto era permalosa sua sorella, ma Silas sapeva di non poter ribattere e si vide costretto a mordersi la lingua mentre Sabrina scoccava un’ultima occhiata torva in direzione della reception prima di sparire dietro alla porta. Rimasta finalmente sola la bella strega sospirò, passandosi una mano tra i corti capelli scuri ancora umidi prima di chinare lo sguardo sui suoi vestiti fradici.
Naturalmente a vederla in quelle condizioni non era stata l’insopportabile Signora Van Hopper, no, ovviamente era toccato ad un ospite bello e della sua stessa età, che per di più la conosceva la anni. Prima la mise casalinga fatta di pantaloncini della tuta e maglietta, poi questo.
Dannato Joël Moyal, e dannato, ancora una volta, il suo pessimo tempismo.

 
*
 

Joshua Wellick sedeva solo ad uno dei tavolini del bar riservato ai maghi, impegnato ad esaminare delle bacchette dopo aver appena concluso una vendita. O almeno, era solo finchè sua nipote non entrò nell’ampia stanza illuminata dalla luce naturale che entrava attraverso il soffitto di vetro, stampandosi un sorriso sulle labbra prima di correre – o per meglio dire saltellare – allegra verso di lui.
“Zietto carissimo e adorato!”
La ragazza raggiunse lo zio e sedette accanto a lui sul divanetto foderato di velluto color verde foresta prima di cingergli il collo con le braccia pallide e premere la guancia contro quella di Joshua, lasciando che il sottile strato di barba che copriva parzialmente il viso magro del mago le solleticasse la pelle morbida.
Naturalmente Joshua capì che la nipote volesse chiedergli qualcosa o che avesse combinato un guaio ancor prima di sentirla parlare, appoggiando cauto la bacchetta sul tavolino circolare rivestito in marmo che aveva davanti prima di voltarsi dubbioso verso la ragazza, che si allontanò leggermente da lui per poterlo guardare bene in viso a sua volta.
“Zietto? Mi devo preoccupare?”
“Ma no Zio, che ti viene in mente. È che stasera il mio amico Silas vuole andare al Casinò e mi ha chiesto se vado con lui. Ti prego, ti prego, ti prego, giuro che sarò brava e non combinerò pasticci! Non posso passare le vacanze a Monte Carlo senza vedere il Casinò, non pensi?”
Meadow prese le mani pallide e dotate di lunghe dita sottili da pianista dello zio, stringendole tra le proprie e guardandolo implorante mentre Joshua, dopo una breve riflessione, annuiva con un sospiro:
“Immagino che tu abbia ragione. Ma non ti darò montagne di soldi perché tu le perda in giro Meadow.”
“Non te lo chiederei mai, sai come la penso sul gioco d’azzardo, è un’attività che poco mi affascina e affatto mi intriga. Ma Silas dice che è un posto fighissimo e voglio andare per stare con lui, mangiare a scrocco e divertirmi a prendere in giro le persone.”
Casinò e gioco d’azzardo avevano costituito, in passato, un enorme punto di rottura tra zio e nipote, che si guardarono – ciascuno ricordando con grande amarezza giorni bui risalenti a poco meno di dieci anni prima – prima che Joshua annuisse piano, un accenno di placido sorriso sulle labbra sottili:
“Ok. Solo, fai attenzione.”
“Non mi farò usare da nessuno e resterò incollata a Silas come una cozza, te l’assicuro.”
La ragazza all’improvviso s’interruppe e distolse momentaneamente lo sguardo dal viso dello zio, osservando invece il tavolino che avevano davanti senza smettere di stringergli la mano. Aveva quasi paura a chiederglielo, ma sapeva di doverlo fare, così Meadow racimolò tutto il suo coraggio di Grifondoro e infine parlò, sempre senza guardarlo e con un timbro esitante, molto più basso del normale:
“Tu pensi di voler venire?”
Già, lui ci voleva andare, al Casinò? Non aveva sempre avuto brillanti e piacevoli esperienze con quegli ambienti, che per molti anni aveva ripudiato e che si era rifiutato di frequentare. Dieci anni prima qualcosa era cambiato, ma le conseguenze, per lui e sua nipote, non erano state propriamente rosee.
“Magari sì, visto che ci sei anche tu. Ti dispiace?”
“No. Se ti comporterai bene e farai attenzione, no. Me lo prometti?”
Zio e nipote tornarono a guardarsi, e Joshua sorrise alla nipote prima di annuire, accarezzando delicatamente il dorso della sua mano con il pollice mentre la guardava con affetto:
“Promesso.”
“Se infrangi la promessa sappi che… dovrai vestirti color confetto per una settimana, il tutto parlando sempre e solo esclusivamente in rima e blaterando frasi in tedesco almeno 10 volte al giorno.”
Era un quadro così svilente e terrificante che Joshua si sentì rabbrividire, guardando Meadow ridacchiare di fronte alla sue espressione di puro terrore prima di rimproverarla per la sua crudeltà. Allo stesso tempo però, visto quanto si somigliassero, un po’ ne andava fiero.

 
*

 
Dopo aver finito di lavorare e aver cenato Silas era corso nella sua camera per lavarsi, cambiarsi e darsi una sistemata: moriva dalla voglia di uscire finalmente dall’Hotel – quello che un tempo per lui era stato un luogo di pace e relax ma che dalla partenza del padre aveva assunto sfumature ben diverse – e di trascorrere un normale sabato sera di svago. Dopo aver detto a Meadow di aspettarlo nella Hall per dirigersi al Casinò, che distava solo una mancata di minuti di camminata dal Le Mirage, e averle chiesto di “vestirsi decentemente” Silas era sfrecciato verso gli ascensori con l’intenzione di dileguarsi il più rapidamente possibile, prima che sua sorella potesse cambiare idea e metterlo ai lavori forzati anche quella sera.
Fortunatamente Sabrina non si fece né vedere né sentire, e quando mise piede fuori dall’ascensore per incontrare Meadow Silas, impegnato a lisciarsi le pieghe della camicia nera abbinata al completo.
La sua amica ancora non era arrivata – anche se Silas non se ne stupì affatto – e l’ex Grifondoro decise che l’avrebbe aspettata standosene comodamente seduto su uno dei divani color cammello dell’ingresso quando, seduto proprio su uno dei due divani, scorse il ragazzo con cui si era brevemente fermato a chiacchierare esattamente lì solo qualche giorno prima. Di nuovo, l’americano teneva un libro in mano e non sembrava particolarmente di ottimo umore.
Silas gli sedette accanto scoccandogli un’occhiata incuriosita, prendendo a tamburellarsi le dita della mano destra sul ginocchio prima di decidersi a parlare:
“Ciao. Stai ancora studiando?”
Asher sembrò quasi sorpreso dal fatto che Silas gli stesse rivolgendo nuovamente la parola, e esitò per qualche istante tenendo i grandi occhi chiari fissi sul coetaneo prima di accennare un sorriso e annuire, leggermente imbarazzato:
“Mi tengo impegnato.”
“Ma è sabato sera, dovresti divertirti. Mi diverto persino io, che sono riuscito a sfuggire alle angherie della mia sorellastra, figuriamoci.”
“Non… Non sono molto dell’umore, onestamente. E poi qui non conosco assolutamente nessuno, perciò…”
“Beh, conosci me. Io e una mia amica stasera andiamo al Casinò, le ho detto che non si può venire a Monte Carlo senza farci un salto e lo ribadisco anche a te, quindi… ti va di venire con noi?”
Il fatto che un ragazzo come Silas – bellissimo, evidentemente ricco, sicuro di sè e sicuramente il tipico ex studente molto popolare – stesse chiedendo a lui di uscire lo destabilizzò non poco, tanto che in un primo momento l’ex Magicospino si chiese se per caso non avesse mal compreso le parole dell’altro. Vedendo però che Silas continuava ad osservarlo con i grandi ed espressivi occhi color ambra Asher si costrinse a convincersi di non aver frainteso, accennando un sorriso imbarazzato mentre si stringeva nelle spalle magre:
“Grazie, ma credo di non saper giocare a nulla rispetto a tutto ciò che si gioca in un Casinò.”
“Non devi giocare per forza, neanche la mia amica vuole farlo… ma è un’esperienza andare al Casinò di Monte Carlo, dammi retta. Ah, e da bere offro io. Allora, ti va o preferisci continuare a studiare da solo?”
 
Gli andava, di trascorrere la serata a crogiolarsi nell’immaginare Ridge e Brooke insieme e nel senso di colpa nei confronti di Brooke? Senza contare che, ne era sicuro, in quello stato non sarebbe riuscito a studiare nemmeno un po’, quindi tanto valeva uscire e distrarsi – e magari iniziare la giornata successiva con un umore migliore – piuttosto che restare chiuso lì dentro da solo.
“Ok, d’accordo. Se non disturbo, ovviamente.”
“Ma quale disturbo, ti ho invitato io. Ah, ecco Meadow. Meadow, ti dispiace se Asher si unisce a noi stasera?”
Quando da uno degli ascensori uscì una ragazza magra dai tratti orientali e lisci capelli scuri Silas si alzò, sorridendo allegro all’amica mentre Meadow raggiungeva lui e Asher guardando quest’ultimo con curiosità. Anche Asher ricambiò il suo sguardo, riconoscendo in lei la “ragazza chiacchierona” che qualche giorno prima aveva intravisto in piscina.
“No, certo che no. Ciao, sono Meadow. Come conosci Bei Riccioli? Noi eravamo a scuola insieme.”
Meadow gli si parò davanti prima di allungare la mano pallida verso di lui, ricambiando la stretta con vigore mentre Asher abbozzava un sorriso timido:
“Ciao. L’ho conosciuto solo l’altro giorno a dire il vero, ma ritiene che io non debba passare il sabato sera a studiare e mi ha chiesto di unirmi a voi.”
“Cazzarola, se ha ragione! Bravo Silas.”
“Grazie, so di essere molto saggio. Ma qui urge fare un salto di sopra, perché tu vestito così non puoi venire.”
L’espressione di Silas, mentre guardava Asher con le braccia strette al petto, si fece improvvisamente carica di disapprovazione e l’americano, arrossendo leggermente, si infilò le mani nelle tasche dei jeans prima di stringersi nelle spalle, imbarazzato: Silas era il figlio del proprietario, quindi di sicuro molto ricco, e se Meadow era ospite di un Hotel del genere neanche il suo conto in banca doveva essere proprio misero. Lui, invece, non poteva contare su una famiglia benestante e anzi faceva del suo meglio per arrangiarsi e non dover chiedere nulla a sua madre. Questo significava, oltre a non potersi permettere di andare nei Casinò a sperperare denaro, che non possedeva assolutamente niente di adatto ad un ambiente di quella portata.
“Mi dispiace, non ho niente di elegante con me.”
“Nessun problema, ci penso io. Tutti in camera mia prima di uscire, dobbiamo rifare l’outfit a questo bel ragazzo.”
Asher avrebbe voluto balbettare che non era necessario, che non era il caso, che da parte sua non sarebbe stato giusto indossare i vestiti di un mezzo estraneo e approfittarne, ma Silas raccolse il suo libro dal divano e poi lui e Meadow lo afferrarono ciascuno per un braccio prima di dargli il tempo di farlo, trascinandolo verso gli ascensori ciarlando allegramente su quanto sarebbe stato divertente, per loro, giocare agli stilisti per una sera.
Dal canto suo, il dog-sitter non sapeva se essere grato a Silas per la sua gentilezza o se, invece, preoccuparsi per il suo destino.

 
*
 

“Mon Dieu Anjali, smettila di specchiarti nelle vetrine, sei bellissima, lo eri un minuto fa e lo sarai anche tra un’ora.”
Poco meno di 300 metri dividevano il Le Mirage dalla nota Place du Casino, ma i pochi minuti necessari per percorrere quella distanza apparvero semplicemente eterni agli occhi di Sabrina, che camminava in perfetto equilibrio sui suoi sandali col tacco neri firmati Christian Louboutin stringendo il braccio di una delle sue più care amiche, che indossava un elegantissimo vestito nero che le lasciava la schiena quasi completamente scoperta, fasciata solo dalla cascata di lucidi capelli scuri piastrati con cura solo un’ora prima.
Se la loro celerità, infatti, era già stata ridotta dalle scarpe alte che entrambe indossavano, il fatto che la svizzera continuasse a fermarsi per specchiarsi nelle vetrine di ristoranti e negozi chiusi stava contribuendo ad allargare vertiginosamente i tempi delle due streghe, tanto che Sabrina finì col sbuffare, stringere con maggior vemenza il braccio dell’amica e incamminarsi decisa verso la piazza, illuminata dalle due file di lampioni che affiancavano una ventina di altissime palme e l’enorme fontana situata al centro, sormontata dalla celeberrima ed enorme scultura a specchio circolare di Anish Kapoor.(3)
“Sabs, ricorda che le tue gambe sono molto più lunghe delle mie, rallenta! Grazie al cielo si sono decisi a piastrellare la Place, era un inferno con tutto quel prato che c’era prima per i miei poveri tacchi!”
Certo Anji, si dia il caso che abbiano deciso di togliere il prato e piastrellare la Place appositamente per renderti più agibile indossare i tacchi alti in centro…”
Anjali colse il sarcasmo dell’amica ma decise di ignorarlo, stampandosi invece un largo sorriso sulle labbra carnose dipinte di rosso e sollevando una mano in segno di saluto quando scorse Alphard in piedi e in attesa, un completo nero addosso e le mani sprofondate nelle tasche, davanti all’ingresso del suntuosissimo edificio che faceva da sede del celebre Casinò e che circondava la piazza insieme agli altri due edifici che componevano il noto complesso architettonico, il Grand Théâtre e la sede de Les Ballets de Monte Carlo.
“Ecco Alphard! A Joël non ho detto un orario preciso, tanto di quel Tombeur de Femmes non ci si può mai fidare con gli appuntamenti…”
“A proposito, complimenti per la t-shirt.”
Sabrina guardò accigliata quello che lei aveva personalmente ribattezzato “L’uomo degli scorpioni” mentre Anjali, scostandosi con un elegante gesto distratto i capelli da una spalla, puntava dritta in direzione del suo “nuovo amico”. Così la svizzera aveva definito Alphard quando aveva informato l’amica di averlo invitato al Casinò con loro, ignorando Sabrina quando la francese aveva provato a farle notare come nessun uomo, mai volesse semplicemente “essere suo amico”.
“Grazie tesoro, ma non credo che servirà a molto, il nostro è un genere profondamente autolesionista che si getta su tipi come lui fregandosene delle conseguenze e dei propri stessi sentimenti. Alphard, ciao! Spero che tu non abbia aspettato troppo, ma sai, ci vuole tempo per farsi belle.”
“Non ho dubbi, e in tal caso il risultato è valso l’attesa.”
Anjali ricambiò il sorriso di Alphard con una punta di compiacimento, grata per il complimenti mentre Sabrina, alle sue spalle, salutava l’uomo con un cenno educato del capo.
“Buonasera Signor Vostokoff.”
“Buonasera. Ho visto suo fratello poco fa, lo ha mancato di poco.”
“Mio fratello? Silas è qui?”
L’espressione di Sabrina, dapprima imperscrutabile, si animò all’improvviso: la strega spalancò leggermente gli occhi scuri, sfoggiando tutta la sua sorpresa mentre Anjali cercava di non ridacchiare e Alphard, invece, la guardava aggrottando leggermente le sopracciglia:
“Sì. Non lo sapeva?”
No che non lo sapeva, e se l’avesse saputo ci avrebbe pensato due volte prima di accettare l’invito di Anjali, che invece sorrise allegra e asserì che “sarebbe stata una gran bella rimpatriata” prima di prendere entrambi per un braccio e condurli impaziente verso l’ingresso, ignorando Sabrina quando la sentì mormorare qualcosa a proposito di come quell’estate, qualsiasi cosa facesse, proprio non riuscisse a liberarsi del suo fratellino.
 

 
*

 
“Questo drink è buonissimo.”
Dopo essere entrati nel Casinò – saltando la fila grazie a Silas, al quale era stato bastato salutare i buttafuori per ritrovarsi dentro l’edificio in un battito di ciglia – ed essersi fatti controllare i documenti(4), anche se i buttafuori vestiti di nero erano sembrati comunque piuttosto scettici sulla maggiore età di Meadow, i due ex Grifondoro più Asher avevano raggiunto il lussuosissimo bar per iniziare la serata sorseggiando qualcosa. Asher, dal canto suo, si guardava attorno chiedendosi quanto costasse il drink che teneva tra le mani, sentendosi in colpa e grato allo stesso tempo nei confronti di Silas e della sua generosità.
“Va bene ma smettila di tracannarlo, se torni all’Hotel ubriaca fradicia tuo zio mi uccide, e io ho quasi paura di tuo zio quanto di mia sorella.”
Silas prese il bicchiere dell’amica con uno sbuffo e un gesto brusco, impedendole di finirlo nel giro di un minuto mentre ignorava i lamenti e le proteste dell’amica:
“Grandioso, credevo di essere uscita con il mio divertentissimo amico Silas, invece mi ritrovo il nonno di Heidi!”
Il paragone tra Silas e il burbero nonno di Haidi provocò un improvviso attacco di ilarità ad Asher, che  tossicchiò cercando di non farsi andare di traverso il drink e di non spanderlo sul pavimento di marmo mentre Meadow si riappropriava del suo bicchiere di cristallo facendo rotare il cocktail al suo interno e osservando Silas con aria sostenuta:
“E comunque non ho la benchè minima intenzione di ubriacarmi, uno dei miei compiti stasera, oltre che divertirmi, è controllare Joshua Wellick.”
“Perché? Aspetta, viene anche tuo zio?!”
Allarmato, Silas prese a guardarsi attorno – già pronto a far sparire il drink dell’amica con una manata, temendo che Joshua potesse accusarlo di “far ubriacare la sua nipotina” – mentre Asher osservava i due in silenzio, cercando di capire, e Meadow annuiva tetra:
“Sì. Noi non abbiamo bei trascorsi con i Casinò, sapete...”
“Davvero? Ti va di parlarne?”
“Ok, ma sediamoci, è una storia lunga e complicata, del resto come ogni storia che riguardi la famiglia Wellick.”
Il bicchiere pieno fino a metà in mano, Meadow annuì e puntò decisa verso un tavolo appartato con i due ragazzi al seguito. Asher, mentre camminava accanto a Silas – che gli aveva prestato dei pantaloni eleganti neri e una camicia leggera color petrolio – accostò leggermente la testa a quella del britannico, parlando a bassa voce affinché la ragazza non udisse le sue parole:
“Quindi, lei, emh, è qui con suo zio? Non voglio impicciarmi, solo preferirei non fare gaffe imbarazzanti.”
“Sì. Lei non ha i genitori, vive con lui da quando era piccola, da quello che so… ma non ne parla spesso e nemmeno volentieri, quindi non ne so molto nemmeno io perché preferisco non chiedere. Io ne so qualcosa, di famiglie complicate.”
Asher non rispose, limitandosi a gettare un’occhiata incuriosita – e anche leggermente dispiaciuta – a Silas prima di sedersi tra lui e Meadow ad un tavolo circolare. Forse dopotutto, pur con le loro montagne di soldi alle spalle, quei due ragazzi non avevano avuto una famiglia unita e amorevole quanto la sua, e all’improvviso smise di sentirsi meno fortunato di loro.

 
*

 
I tacchi la stavano uccidendo, Medea Winters non riusciva a pensare ad altro.
Maledicendo il suo cliente, maledicendo se stessa, maledicendo il dress code del Casinò più elitario e famoso del mondo, Medea arrancò sulle décolleté a spillo nere verso il tavolo da Poker dove Amaryllis, in piedi alle spalle dei giocatori, stava assistendo alla partita in corso.
“Oh, ciao. Come va con le scarpe?”
La pittrice australiana appariva allegra e raggiante come sempre, splendida nel suo vestito chiaro che metteva in risalto l’inizio di abbronzatura sulla sua pelle naturalmente pallida.
“Una vera merda Amy, una vera merda. Hai intenzione di giocare?”
“Mi piace il poker, e anche il Black Jack, non mi dispiacerebbe fare una partita o due. Ti andrebbe di unirti a me?”
“Beh, suppongo di dover occupare il tempo in qualche modo, quindi… perché no.”
“Ti va di renderlo più interessante? Se perdo o finisco la partita con un punteggio comunque inferiore al tuo, ti farò un ritratto. Viceversa, se vinco io tu mi aiuterai a scattare foto per il mio dipinto. Che ne dici?”
“Dico che si può fare, anche se non sono una grande giocatrice e non ho dubbi che vincerai tu.”
Medea parlò guardandosi attorno nell’ampia sala illuminata e dalle pareti ricche di stucchi color oro, cercando il motivo per cui si trovava laggiù con lo sguardo mentre Amaryllis sorrideva allegra, felice che l’amica avesse accettato la sua proposta. Naturalmente Medea non aveva portato con sé la sua macchina fotografica professionale quella sera, avrebbe dato fin troppo nell’occhio, ma il suo telefono era nella sua pochette nera, pronto per essere usato per scattare foto forse della migliore qualità, ma sufficienti per adempiere al loro compito.
“Mi dirai chi stai cercando, prima o poi?”
“Scusa, ma è confidenziale. E io prendo il mio lavoro molto, molto sul serio.”
“Beh, in fondo è una qualità apprezzabile. C’è il tuo amico, laggiù, ti va di chiedergli se vuole unirsi a noi?”
Amaryllis accennò con il capo in direzione di uno dei tavoli del Black Jack, dall’altro lato della sala. Voltandosi e scrutando attraverso il mare di persone eleganti presenti Medea scorse facilmente Artemy grazie alla lucentissima chioma argentea del ragazzo, osservandolo parlare con un uomo alto, moro ed elegante che doveva avere qualche anno più di lei. Quando il tizio sedette ad un posto libero rimasto al tavolo da gioco Artemy rimase in piedi alle sue spalle, le mani nelle tasche dei pantaloni, osservando il tavolo finchè i suoi occhi scuri a mandorla non indugiarono su Medea, accennando un sorriso alla britannica. Osservandolo, Medea si convinse ancora di più di come quel ragazzo così giovane avesse moltissime cose interessanti da raccontare. C’era qualcosa, in lui, anche se non era sicura di sapere di che cosa si trattasse, che lo rendeva diverso da chiunque altro avesse conosciuto nei suoi trent’anni di vita. Medea era sicura che sarebbe tornata in Inghilterra conoscendo a mala pena metà della storia di quel curioso ragazzo, ma era comunque decisa ad approfondire la sua conoscenza. Forse condividere una partita poteva essere un buon punto di partenza.
“Magari dopo, perché no.”

 
*

 
“Allora Asher… raccontaci un po’ di te. Dicci la storia della tua vita.”
“Non c’è molto da dire, a dire il vero. Sono nato in Massachusetts, mia madre è una fantastica donna Babbana di nome Willow, che lavora nel museo delle Streghe di Salem…”
“Wow, figata!”
“Meadow, fallo parlare!”
“… I miei nonni materni sono come dei secondi genitori, per me. Mio nonno è irlandese, e ha conosciuto mia nonna Agatha quando si è trasferito negli Stati Uniti. Hanno una panetteria.”
“Doppia figata, allora avrai tutti i panini che vuoi, che invidia!”
“… Ho studiato ad Ilvermorny, non so se conoscete la divisione delle Case della mia scuola ma io sono stato Smistato a Magicospino. Sono allergico ai gatti, adoro la storia, Halloween, i dolci e l’archeologia. E credo che questa sia la storia della mia vita.”
Asher finì di parlare con un tiepido sorriso, le mani pallide appoggiate sul tavolo mentre l’espressione di Meadow, invece, si faceva improvvisamente contrita mentre continuava ad osservarlo con i grandi occhi scuri dal taglio a mandorla:
“Oh nooo, sei allergico ai gatti? Allora non posso presentarti la mia gattina, si chiama Lady Diana ed è stupenda…”
“Con grande disappunto di mamma, sì. Lei è un tantino fissata con la faccenda Streghe, Salem… Il suo sogno era di avere un gatto nero e chiamarlo Salem, ma la mia nascita ha rovinato i suoi piani. Se non altro è entusiasta più di qualsiasi altra Babbana al mondo di avere un figlio mago, come potrete immaginare.”
“Stai scherzando?! Mia sorella ha un gatto nero di nome Salem. Insomma, lei si chiama Sabrina, e quando lo ha adottato al canile sua madre e mia madre dissero che era costretta a chiamarlo così, e così è stato.”
 
“Sua sorella è una stragnocca fotonica. Se non fosse che hanno dieci anni di differenza e che mio zio è allergico alle interazioni umane di natura sentimentale, cercherei di combinarli.”
“Meadow, falla finita, è mia sorella!”
 
“Quindi voi avete madri diverse?”
Astenendosi dal far sapere ai due che non solo le donne non gli interessavano affatto, ma che era anche già impegnato in una “relazione”, per quanto sbagliata fosse, Asher spostò lo sguardo su Silas, che annuì prima di tracannare ciò che restava del suo drink, appoggiare il bicchiere di cristallo vuoto sul tavolo e infine spiegarsi:
“Sì, mio padre ha sposato prima la madre di Sabs, ma hanno divorziato molto in fretta e quasi subito dopo ha conosciuto mia madre. Si sono sposati quando io avevo un anno, mi sembra. Beh, poi hanno divorziato prima che io andassi ad Hogwarts, mio padre ha capito che il matrimonio non fa per lui.”
“Oh, mi dispiace.”
“Non fa niente, probabilmente è meglio così.”
Silas accennò un sorriso, ma Asher non lo conosceva abbastanza bene da essere in grado di stabilire se fosse sincero o meno. L’ex Grifondoro, ad ogni modo, decise di cambiare argomento in fretta tornando a rivolgersi a Meadow, sorridendo all’amica prima di invitarla a parlare con un cenno:
“E adesso, Meadow, ora che ci siamo fatti gli affari di Asher… racconta. Le storie della famiglia Wellick sono sempre semplicemente assurde, tieniti pronto.”
Per certi versi Meadow non moriva dalla voglia di rivangare quei giorni risalenti ad una decina di anni prima, ma sapeva di non potersi rimangiare la parola e dopo essersi guardata in torno per cercare traccia dello zio, non trovandolo, annuì accennando un sorriso con gli angolo delle labbra:
“D’accordo.”

 
*


Sì, Artemy conosceva molti giochi di carte e sapeva giocare a poker.
No, non era assolutamente un fan sfegatato di quei passatempi, e tutte le occasioni in cui gli era capitato di presentarsi in luoghi come quello era stato sempre e solo per accompagnare qualcun altro. Ad essere del tutto onesti, Artemy sentiva di preferire di gran lunga guardare le persone intrattenersi in quei giochi piuttosto che prendere lui stesso attivamente parte in una partita; non a caso, stava proprio in piedi alle spalle del tavolo e osservava la partita in corso, limitandosi a chinarsi di tanto in tanto per dare suggerimenti all’uomo che aveva accompagno per la serata.
Gli era capitato più volte di incrociare lo sguardo di Medea da quando aveva messo piede al Casinò, e quando vide la strega parlare con la ragazza con cui avevano fatto colazione quella mattina, in piedi vicino ad un tavolo da Poker, decise di potersi concedere una pausa: asserendo di dover andare in bagno Artemy si defilò rapido e silenzioso, allontanandosi dal tavolo del Black Jack per dirigersi verso le due streghe, un sorriso sulle labbra.
“Buonasera. Siete davvero bellissime entrambe.”
“Grazie, anche se non sai quanto mi stiano uccidendo queste dannate scarpe!”
“Oh, lo so bene. So quanto possano far male dei tacchi, specie se non li si porta spesso… Non per vantarmi, ma io sono davvero abilissimo.”
Quello era l’ultimo dei commenti che Medea o Amaryllis si sarebbero aspettate da lui, Artemy lo sapeva e quasi si godette le loro espressioni sgomente, guardandole divertito prima che Medea, riscossasi dal leggero shock, accennasse in direzione del tavolo che stava alle sue spalle:
“Allora, pensi di poterti concedere una partita con noi? O devi continuare a fare… non lo so, ciò che stai facendo con il tuo amico laggiù?”
“Non è un mio amico. E sì, ritengo di potermi intrattenere brevemente con voi.”
“Io e Medea abbiamo deciso di mettere in palio qualcosa. Se ottengo un punteggio più alto del suo, lei dovrà scattare delle foto per me, al contrario io dovrò farle un ritratto.”
L’iniziativa di Amaryllis, che parlò con un sorriso mentre aspettava pazientemente che la partita in corso trovasse una conclusione per potersi sedere, sembrò colpire e interessare non poco il ragazzo, che spostò lentamente lo sguardo da una strega all’altra prima che un sorriso facesse capolino sul suo viso e contemporaneamente un’idea si affermasse nella sua testa, tanto che Medea seppe che cosa stesse per sentirgli dire solo osservando il luccichio divertito negli occhi scuri di Artemy:
“Ma davvero? Interessante. Allora se non mi dispiace mi unisco a voi… Se concludi la partita con un punteggio più basso del mio… Mi dirai che cosa stai facendo qui.”
Gli occhi scuri fissi in quelli di Medea, Artemy sorrise mentre allungava una mano pallida verso la strega, che esitò e ricambiò il suo sguardo prima di sorridere e annuire, stringendogli la mano con una presa ferrea e decisa:
“D’accordo. E tu mi racconterai come hai imparato a diventare un maestro dei tacchi alti.”
“Affare fatto.”
 
Artemy non amava affatto il gioco. Ma all’improvviso aveva una gran voglia di vincere una partita.

 
*

 
“Allora, è successo più o meno dieci anni fa, durante le vacanze estive. Io e lo zio eravamo in vacanza, e un importante cliente tedesco, un certo Neil Qualcosa davvero irritante, non ricordo il cognome, sfidò lo zio ad una partita a poker. Dovete sapere che mio zio… lui è la persona più straordinaria che esista, ma ha una sorta di problemino con i giochi in generale. Non può fare a meno di immergervisi, studiarli e vincerli, sempre. Talvolta restandovi incastrato dentro, come quella volta.”
Meadow parlò tenendo gli occhi scuri fissi sul suo bicchiere vuoto, giocherellandoci sotto gli sguardi pregni di curiosità di Asher e Silas, che la stavano ascoltando in religioso silenzio sin da quando la giovane strega aveva iniziato a parlare.
“Lui all’epoca detestava i Casinò e il gioco d’azzardo, non ci avevamo mai messo piede prima di quel momento. Ma Neil Qualcosa lo convinse a giocare facendo leva sulla tremenda competitività infantile di mio zio, che sotto questo aspetto è fermo all’adolescenza, più o meno, e così fecero una partita in questo Casinò. Mio zio è una persona davvero geniale ed era assolutamente convinto che con la sua mente superiore e le sue innate abilità strategiche avrebbe stravinto, e infatti perse rovinosamente.”
“E ci riprovò?”
“Invece di lasciar perdere, come provai a fargli capire io, decise di non poter accettare la sconfitta e per giorni non fece altro che studiare il Poker in tutte le sue sfumature, dedicandocisi con tutto se stesso, come fa sempre quando si impunta su qualcosa. Mio zio ama i giochi più di chiunque altro e anche se aveva perso era rimasto affascinato dal Poker, ma soprattutto voleva prendersi la rivincita su quel crucco coglione.”
“E vinse?”
Silas, sinceramente incuriosito e affascinato da quella storia – del resto Meadow spesso se ne usciva con storie ai limiti dell’assurdo e terribilmente avvincenti che lo tenevano inchiodato alla sedia –, guardò l’amica dimenticandosi del suo drink, che rimase consumato a metà davanti a lui mentre Meadow, continuando ad evitare di guardarlo, annuiva tetra con un lieve sbuffo infastidito:
“Joshua Wellick vince sempre, e ottiene sempre quello che vuole. Ma quando lui e il crucco coglione si rividero per giocare ancora io decisi di accompagnarlo al Casinò per controllarlo, non volevo che restasse intrappolato in… tendenze per niente sane.”
Meadow avrebbe voluto dire “tendenze viziose tipiche della loro famiglia”, ma ci ripensò all’ultimo. Parlare di suo zio era un conto, tirare in ballo ricordi della sua infanzia che avrebbe voluto rimuovere per sempre dalla sua memoria era un altro.
“Ecco, durante la serata mio zio capì che io ero, diciamo, molto brava a capire gli avversari e le loro mosse, e aiutandolo riuscì a vincere. Per altri quattro giorni mi trascinò con sé al Casinò per vincere ancora e ancora, stracciando i clienti spocchiosi e riuscendo persino a stringere accordi economicamente molto vantaggiosi. Il quinto giorni io mi rifiutai di andare con lui, non ne volevo sapere niente del poker, e litigammo seriamente credo per la prima volta in assoluto.”
“Alla fine lui si scusò, facemmo pace e capì di essersi comportato male, credo. Ce ne andammo dalla città e non mettemmo più piede in un Casinò. Io odio questi posti. Sono gabbie dorate che ti prosciugano.”
Il disprezzo con cui la ragazza parlò e si guardò attorno fu tangibile per Silas quanto per Asher, ed entrambi guardarono Meadow certi che ci fossero altri motivi dietro il suo ripudio per il gioco d’azzardo, motivi ben più profondi, privati e radicati in lei a proposito dei quali naturalmente nessuno dei due osò chiedere. Silas invece, quasi sentendosi in colpa per aver portato lì l’amica, quella sera, assunse un’espressione contrita mentre si allungava sul tavolo per mettere una mano sul braccio di Meadow, guardandola contrito:
“Meadow, se non ti andava di venire bastava dirlo, mi dispiace.”
“Non ti dispiacere, hai ragione nel dire che se vieni in questa città devi vedere questo posto. Mi basta solo stare lontana dal tavolo del poker, e non vedere mio zio che vi passa ore e ore. In quel caso, lo andrei a prendere per un orecchio e lo trascinerei molto, molto lontano da qui.”
 
*
 
Sabrina sedeva su uno degli alti sgabelli sistemati al bancone del bar, un calice di cristallo vuoto davanti. La strega stava giocherellando con il bicchiere tenendolo per lo stelo, seduta con le lunghe gambe abbronzate accavallate mentre osservava una delle ampie sale che aveva davanti.
Gli occhi scuri di Sabrina indugiarono dapprima su Silas, che stava giocando alla Roulette inglese insieme ad una ragazza asiatica che riconobbe come la sua ex compagna di scuola con cui lo vedeva spesso in giro e un ragazzo della sua età che non conosceva, e poi finirono col soffermarsi su Anjali e Alphard, in piedi davanti al tavolo da Craps insieme ad una discreta folla di persone.
Seppur leggermente dubbiosa, Sabrina guardò l’elegantissimo duo lanciare i dadi, ridere e continuare a vincere e non riuscì ad evitare di accennare un sorriso con le labbra, felice che l’amica si stesse divertendo insieme a qualcuno che, evidentemente, le piaceva.
 
“Ti hanno mai detto che ricordi Elizabeth Taylor?”
Sabrina si voltò, accennando un sorriso mentre guardava Joël sedersi sullo sgabello accanto al suo e appoggiare il bicchiere di cristallo mezzo pieno sul bancone.
“No, mai. E anche se penso che sia un complimento esagerato, merci Joël.”
 “Non lo è. E complimenti ad Anjali per il vestito.”
Joël chinò lo sguardo, gettando una rapida ma attenta occhiata al vestito nero con le spalline abbassate sotto le spalle di Sabrina prima di tornare a guardare dritto davanti a sé, sollevando il bicchiere per bere un sorso del suo drink ambrato.
“Tu la maglietta l’hai dimenticata? Peccato.”
“I dress code sono l’ultimo dei miei problemi, ma di Anjali Kumar confesso di aver paura. Tranquilla, la rivedrai domani. Perché te ne stai qui a bere da sola?”
“Non vado matta per il gioco, a dire il vero. E poi ho preferito lasciare Anji con il suo nuovo amico, laggiù.”
I due si voltarono verso i tavoli da gioco e Joël, seguendo la direzione indicatagli dalla strega, scorse la sua amica al tavolo da Craps in compagnia di un uomo alto, con la barba e vestito di nero che aveva già incrociato in giro per l’Hotel in qualche occasione nei giorni precedenti. Un sorrisino si fece largo sul bel viso del mago, che emise un lieve fischio prima di vuotare il suo bicchiere:
“Non è una novità che Anjali colpisca nel segno, ma è raro che lei dia corda a qualcuno.”
“Già. La conosci, è raro che qualcuno le piaccia. Mi incuriosisce che sia proprio L’uomo degli scorpioni, ma comunque…”
“Uomo degli scorpioni?”
“Oh, sì. Quello è Alphard Vostokoff, il tizio nordico che ha inventato il liquore ricavandolo dal veleno degli scorpioni. E ne ha anche due di domestici, quando ha fatto il check-in si è presentato alla reception con questi due mostri infilati in una gabbia… Smettila di ridere, screanzato, stavo per svenire sul colpo!”
Offesa, anche se non riuscì a non sorridere, Sabrina assestò una leggera sberla alla spalla del musicista mentre Joël rideva, accasciato sul bancone del bar, cercando di immaginare la scena.
“Perché non sono arrivato in quel momento? Avrei tanto voluto vedere Miss Perfezione alle prese con due enormi scorpioni. Ma dici che Anji lo sa, che ne ha di domestici?”
“Non ne ho idea, io di sicuro in una stanza con due bestie del genere all’interno non ci metterei piede.”
Sabrina scosse la testa con evidente disapprovazione, tornando a giocherellare con lo stelo del suo bicchiere mentre Joël, accanto a lei, la guardava. Per un paio di secondi i due restarono in silenzio, finchè l’uomo non fece sobbalzare la strega sullo sgabello battendo una mano sul bancone sfoderando un sorriso pericolosamente entusiasta:
Ho avuto un’idea.”
“Perché sono preoccupata?”
“Proviamo il liquore degli scorpioni.”
“CHE?! Tu es fou(5), Joël Moyal, io quella roba non la bevo.”
“Andiamo, se lo assaggio io che non bevo alcolici puoi farlo anche tu.”
Mentre Joël, deciso a non accettare rifiuti, si allungava sul bancone per parlare con il barman in divisa e chiedergli due bicchiere e un goccio del dibattuto liquore – non conosceva il nome, ma aveva la sensazione che fosse una bevanda molto singolare e infatti quando pronunciò la parola “scorpioni” il ragazzo annuì e sparì per cercare rapido la bottiglia – Sabrina, colpita dalle sue parole, guardò il musicista smettendo di muovere il calice vuoto e inarcando le curatissime sopracciglia scure:
“Scusa, in che senso non bevi alcolici? Quando suoni non hai sempre un bicchiere di scotch o di whiskey sul piano?”
“Ti dico un segreto, St John, solo perché stasera sei bellissima. È una finta, solo per fare scena, io detesto l’alcol.”
“Veramente?! E allora che stavi bevendo prima?”
“Questo è analcolico, ma farò uno strappo solo per provare questo fantomatico liquore. Insomma, dobbiamo promuovere il nuovo amico di Anji e per farlo dobbiamo assaggiare questa roba.”
Sabrina non sembrava affatto convinta mentre guardava, preoccupata, il barman versare due dita di liquore scurissimo, quasi nero, nei due bicchieri di cristallo. Di sicuro se era sul mercato era sicuro, ma l’immagine di lei agonizzante sul pavimento non le piaceva per nulla e continuava a tormentarla.
“Io non bevo superalcolici, solo vino.”
“Come ho detto, se faccio uno strappo io, puoi farlo anche tu.”
“Ok. Solo perché so che non la smetterai. Alla nostra amica Anji.”
“Ad Anji.”
I due fecero tintinnare i bicchieri prima di vuotarli con due sorsate, rimettendoli sul bancone in perfetta sincronia. Sabrina, quasi aspettandosi di avere un arresto cardiaco da un momento all’altro, aggrottò la fronte cercando di capire se quella roba le piacesse o meno o di che cosa sapesse mentre Joël, accanto a lei, si teneva due dita premute sulle labbra con un’espressione altrettanto stranita impressa sul viso.
Dopo qualche istante di silenzio i due si guardarono, finendo col scoppiare a ridere mentre Joël prendeva e sollevava leggermente la bottiglia che il barman aveva lasciato davanti a loro.
“Ne vuoi ancora?”
“Dio, no. Quasi quasi mi do al gioco.”
“Vengo con te, e già che ci sono sfido Anjali a poker.”
“Oh, buona fortuna, oltre che bellissima è anche la donna più fortunata del mondo. Se non le volessi bene, la odierei.”
Sabrina scivolò dallo sgabello scuotendo la testa e Joël la imitò, affrettandosi a seguirla verso i tavoli da gioco e in particolare verso Alphard e Anjali, che si erano guadagnati l’antipatia di tutti i presenti per la loro sfacciatissima buona sorte, che se abbinata al loro bell’aspetto li rendeva gli individui più invidiati di tutta la sala. Joël cantilenò qualcosa su come Anjali fosse sì bellissima, ma non la più bella donna della stanza, ma Sabrina lo ignorò e si limitò a scoccargli un’occhiataccia, finendo con l’allargare il sorriso divertito già presente sulle labbra del bel mago.
 
*
 
Sabrina aveva imparato a giocare a poker da piccola: suo padre adorava tutti i giochi di carte ed era stato lui ad insegnarle, nonché a portarla al Casinò per la prima volta quando aveva solo otto anni. Naturalmente di norma i bambini non erano ammessi, ma Gideon St John godeva sempre di favori e di comodissime eccezioni, quindi per lui portare sua figlia nel Casinò era stato semplicissimo, molto più semplice di doverlo spiegare all’ex moglie che quasi gli aveva dichiarato guerra sbraitando in francese dopo averlo saputo, certo.
Seppur conoscesse bene il gioco, la strega non amava praticarlo: era stata del tutto intenzionata a non prendere parte alla partita e a limitarsi a guardare finchè Joël non aveva iniziato a prenderla in giro, dandole della “precisina vigliacca” fino a farla cedere. Sua madre ripeteva sempre che il suo orgoglio era il suo peggior nemico, e forse Sabrina per una volta doveva ammettere di trovarsi d’accordo con lei.
Sbuffando per la sua sfortuna e per la pessima mano, Sabrina osservò con astio le sue orrende carte mentre Anjali, seduta accanto a lei, non faceva che sfoggiare carte splendide sotto gli sguardi prima attoniti e poi via via sempre più astiosi di quasi tutti i presenti, forse impegnati a chiedersi come si potesse avere così tanta fortuna. Il più fortunato del tavolo, tuttavia, restava Alphard, seduto tra Anjali e Joël, e l’unico impedimento alla vittoria dell’ucraino sembrava essere solo e soltanto la bravura di Joshua, che aveva deciso di unirsi alla partita dopo mille tentennamenti. Concentratissimo, l’australiano teneva gli occhi fissi sulle sue carte mentre Joël, accanto a lui, sbadigliava rilassato, per nulla toccato dalla possibilità di perdere mentre faceva roteare il liquido ambrato nel bicchiere di cristallo che gli era stato portato poco prima. Sabrina, guardandolo, cercò di non ridere e di tornare a concentrarsi sulle sue carte: chissà perché, ora che conosceva il suo segreto, riusciva a prenderlo molto meno sul serio.
“Io mi tiro fuori, al diavolo le scommesse, mi dichiaro sconfitta.”
Tra lo spiattellare i fatti propri ai quattro venti e perdere un mucchio di denaro, Medea sceglieva decisamente la prima opzione, e gettò le carte sul tavolo rivestito di verde con uno sbuffo mentre Amaryllis, accanto a lei, la imitava con un sospiro cupo.
“Penso che mi ritirerò anche io, non è decisamente la mia serata.”
Sabrina si affrettò ad imitare le due streghe, cercando di sforzarsi di fingersi il più contrita possibile – in realtà si sentì quasi sollevata di aver lasciato la partita – mentre Anjali, accanto a lei, le lanciava un’occhiata eloquente, come a volerle dire che non le credeva assolutamente nessuno.
“Mi tiro fuori anche io. Ma ho comunque carte migliori delle tue, quindi… Credo che domani faremo una chiacchierata, che ne dici?”
Artemy gettò le carte sul tavolo rivolgendo un sorriso a Medea, che sbuffò e borbottò qualcosa di incomprensibile mentre il ragazzo si alzava scostando all’indietro la sedia sul pavimento, dichiarando di “dover tornare dal suo appuntamento della serata” prima di lisciarsi le pieghe della giacca che indossava e dirigersi nuovamente verso il tavolo del Black Jack.
Amaryllis e Medea, ormai estranee alla partita che stava volgendo al termine, lo seguirono con lo sguardo, osservandolo allontanarsi prima che l’australiana mormorasse qualcosa con tono dubbioso, le sopracciglia leggermente inarcate: grazie al suo lavoro poteva affermare con certezza di aver conosciuto molte persone diverse tra loro in molti modi, ma un ragazzo come quello, per qualche motivo, era certa di non averlo mai incontrato prima di allora.
“Che tipo singolare.”
“Decisamente singolare.”
 
Nel frattempo, dall’altro capo del tavolo, Anjali, Alphard, Joël e Joshua avevano depositato le carte sul tavolo per dare modo al croupier di decretare il vincitore. Tutti e quattro – più Sabrina, curiosa di scoprire chi avesse vinto la partita – si sporsero sul tavolo rivestito di verde per osservare le carte degli altri, prima che Alphard, per nulla abituato a perdere in giochi di quel tipo, spalancasse sgomenti gli occhi castani.
“Scala reale di cuori contro Poker di re, Full di assi e Full di jack… Complimenti Signor Wellick.”
 
Naturalmente dei soldi non importava a nessuno dei presenti: ad Anjali, a Joël, tantomeno ad Alphard, che avrebbe anche potuto gettare banconote dal balcone della sua Suite ogni mattina, e a dire il vero neanche a Joshua, che guardò il gran numero di fiches colorate che aveva di fronte prima di accennare un sorriso con le labbra sottili:
“Grazie.”
“Beh, complimenti. Gran bella partita.”
Ci voleva davvero del talento per battere la sua immensa fortuna, e Alphard non poté fare a meno di sorridere all’avversario mentre si sporgeva verso di lui allungando la mano destra, che Joshua strinse mentre Anjali si lamentava per la sconfitta – “Dovrebbe esistere una legge che impedisca a noi signore di perdere quando abbiamo perso così tanto tempo a farci belle!” –, Sabrina fingeva di consolarla e Joël dichiarava di aver chiuso con i Casinò da lì ad un bel po’ di tempo.
“Oh, anche io. Anzi, credo proprio che me ne andrò.”
Di norma le persone che vincevano grandi somme finivano con l’investire la vincita e intrattenersi per giocare ancora, talvolta perdendo molto del denaro accumulato, e tutti i presenti guardarono Joshua alzarsi, sorridere e infine allontanarsi con il denaro con sincero sgomento. Mai si era visto qualcuno vincere la prima partita e poi lasciare il tavolo da gioco, tanto che Sabrina non riuscì a celare la sorpresa mentre spostava lo sguardo da un ospite dell’Hotel all’altro:
Il tizio degli scorpioni, quello che finge di bere alcolici, ora il maestro di Poker che si defila dopo una sola partita… che razza di clientela si è impegnato per radunare all’Hotel in una sola estate, mio padre?!”
 

 
*

 
“Allora, che cosa ne pensi di questa serata appena conclusa?”
Invece di restare e intrattenersi fino a tarda notte con Silas e Asher Meadow aveva preferito seguire suo zio fuori dal Casinò quando aveva visto Joshua dirigersi verso l’uscita, correndogli dietro fino a circondargli il petto con le braccia una volta raggiuntolo fuori dal maestoso edificio.
“Non resti col tuo amico?”
L’uomo sembrò sorpreso di vederla mentre chinava lo sguardo sulla nipote, che invece gli sorrise e lo prese a braccetto mentre i due scendevano i pochi gradini che li separavano dalla piazza per poi incamminarsi verso Avenue de la Madone, la lunga via in leggera salita in cima alla quale si trovava il Le Mirage.
“Beh, sai, visto che non intendo giocare quello che ho visto e fatto fino ad ora mi basta e avanza… Penso che tornerò con te, da brava nipote quale sono. Allora, come è andata? Ti ho visto giocare, ad un certo punto.”
“Sì, una partita. C’erano parecchi altri ospiti dell’Hotel e mi dispiaceva non partecipare… E ho vinto, ovviamente.”
“Ovviamente, perché Joshua Wellick è superiore a qualsiasi gioco esistente, una volta che ne ha appreso le regole e compreso i meccanismi.”


Meadow parlò cercando di scimmiottare meglio che poteva il timbro e l’espressione accigliata dello zio, finendo però con lo scoppiare a ridere mentre Joshua, alzati gli occhi al cielo, la conduceva gentilmente verso la loro destinazione. Erano trascorsi dieci anni, ma ricordava ancora chiaramente la notte del loro folle litigio, quando la nipote si era rifiutata di accompagnarlo al Casinò per aiutarlo a vincere e aveva riportato a galla ricordi a dir poco spiacevoli per entrambi. Ricordava la lite, e ricordava anche quando avevano finito col fare pace sul tetto dell’Hotel in cui alloggiavano, facendo colazione all’alba senza nessuno a disturbare la loro quiete e con cibo sgraffignato senza permesso.
All’epoca Meadow era solo una ragazzina, e per certi versi forse lo era stato anche lui. In fin dei conti, negli ultimi dieci anni, si erano presi cura l’uno dell’altro a vicenda finendo col crescere insieme, qualcosa che Joshua, quando era stato costretto ad accogliere una bambina nella sua vita, non era stato assolutamente in grado di prevedere.
“Sai, credo che non sia stato solo io a farti crescere, in fondo. Credo che anche tu abbia fatto crescere me.”
“Certo, io sono la migliore nipote, il miglior imprevisto giunto a sconvolgere la tua vita che ti potesse capitare, Zio.”
Meadow sorrise angelica mentre si allontanava leggermente da lui pur continuando a stringergli la mano con la propria, torcendo dolcemente il braccio dello zio affinché le facesse fare una piroetta.
“Ok. Ora non esagerare, marmocchia.”



 
 
 
 
 
(1): Modo affettuoso di dire “Madre” in Hindi
(2): Espressione francese che si può tradurre con Casanova, sciupafemmine e compagnia bella
(3): Attorno a Place du Casino si sviluppa il complesso architettonico del Casinò sviluppato da Charles Garnier, che comprende i tre edifici storici di Carrè d’Or, il quartiere in questione: il casinò stesso, il Teatro dell’Opera, e la sede del Balletto.
(4): Passato l’orario di visita che si colloca durante la mattinata, dove si entra nell’edificio solo per visitarlo, si può entrare al Casinò solo se maggiorenni e consegnando i documenti.
(5): “Tu sei pazzo”
 
 
 
……………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
 
Beh, che dire, questa volta ci ho messo solo un mese per aggiornare, facciamo progressi!
Scherzi a parte, spero vivamente di non metterci più costantemente due mesi per aggiornare, anche perché adoro questi OC e adoro scrivere questa storia.
Una fotina che ritrae la mise di Sabrina per la serata al Casinò, giusto perché devo umilmente riconoscere che la mia bambina è troppo bella per non spammare il suo outfit. Grazie Anji cara!
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*Ovviamente nella foto stava guardando e giudicando Michel, Silas e Gerard che fanno le comari invece di lavorare*
 
E continuiamo con Silas:
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Alphard:
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Asher:
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Medea:
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A presto spero, vi saluto perché sto crollando sulla tastiera, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Signorina Granger

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 

 
Martedì 29 giugno
 
Boulevard Louis II Ni Box, Starbucks


 
 
“Ma vi rendete conto?! Hanno sbagliato a scrivere il mio nome! Come si fa a sbagliare a scrivere il mio nome?!”
Meadow, Asher e Silas sedevano attorno ad uno dei tavolini quadrati collocati sull’ampia terrazza dello store di Starbucks situato a Monaco-Ville, impegnati a fare colazione sotto il tiepido sole mattutino e con davanti una splendida vista sul Mediterraneo: la sera prima, quando Silas aveva proposto a Meadow e ad Asher di fare colazione fuori, l’americano aveva timidamente proposto di recarsi da Starbucks invece che in una qualche chicchissima pasticceria francese, e con suo gran sollievo entrambi avevano accettato di buon grado. Asher non era mai stato in una sede di Starbucks simile, completamente all’aperto e con quella splendida vista, e si stava godendo la colazione con un sorriso rilassato impresso sulle labbra, felice di trovarsi in un posto dove una volta tanto, da quando era arrivato in Europa, non si sentiva affatto a disagio.
Lo stesso non si poteva dire di Meadow, che stava agitando il suo bicchiere di Iced Cappuccino in plastica trasparente con impresso il celebre logo verde e il suo nome, scritto erratamente, e il suo malcontento era papabile anche se gli occhi scuri della strega erano celati dalle lenti scure dei suoi occhiali da sole.
“Meadow, ci devi fare l’abitudine, qui sono degli pseudo francesi che non si sentono tali, un po’ francesi e un po’ italiani. La prossima volta cerca di fare lo spelling, sbagliano anche il mio metà delle volte.”   Silas, che sedeva in mezzo ai due con le braccia comodamente sistemate sui braccioli della sedia, parlò tenendo la testa leggermente sollevata verso il Sole, godendosi la piacevole sensazione di tepore sulla pelle mentre il suo Iced Americano con ghiaccio lo aspettava quasi intatto sul tavolo davanti a lui.
“Il mio lo hanno scritto giusto, non ci avrei proprio sperato.”   Asher guardò il suo bicchiere di Caramel Macchiato e il nome scarabocchiato con il pennarello nero con sincera sorpresa, sorridendo colpevole a Meadow quando la ragazza sbuffò aspramente prima di portarsi la cannuccia nera alle labbra, sibilando un appena percettibile “stupidi francesi”.
“Ritieniti fortunata, almeno non hanno scritto “Pelouse”.”
“Scusa, come mi hai chiamato?!”
Meadow, i lunghi capelli scuri mossi dalla leggera brezza marina, stava per rovesciare il bicchiere in testa a Silas, intimandogli di non azzardarsi mai più a darle della “pelosa” quando l’amico, scoppiando a ridere, si allontanò leggermente afferrandole al contempo il braccio con una mano, impedendole di fargli una doccia a base di latte e caffè:
“È prato in francese, Meadow. Lo so perché sento sempre dire a mia sorella “Il faut tondre la pelouse, il faut tondre la pelouse!(1)”, forse qualcosina di francese l’ho imparato anche io.”
“Beh, sarebbe anche ora! Tua sorella è francese, passi qui tutte le estati, sei veramente una capra!”
“Tante grazie Meadow, anche io ti voglio bene.”
Silas sorrise mentre prendeva il suo bicchiere di vetro per portarselo alle labbra, sorseggiando il caffè freddo mentre Asher, infilatosi a sua volta gli occhiali da sole per proteggere i suoi occhi chiari dai raggi solari e riuscire a vedere meglio, osservava la montagna di cibo presente sul tavolo quadrato, coperto interamente da bicchieri e piattini. Meadow aveva insistito per essere lei ad offrire la colazione a tutti, visto che Silas aveva pagato da bere il sabato precedente al Casinò e le aveva già offerto una colazione, e a nulla erano valsi i tentativi di opposizione di Asher, che aveva finito col guardare Meadow e Silas ordinare una montagna di roba senza neanche permettergli di tirare fuori un euro.
“Mi promettete di lasciarmi pagare, la prossima volta? Siede davvero troppo gentili con me.”
“Sì, va bene, se proprio ci tieni te lo lasceremo fare… Adesso strafogati pure, ho l’impressione che tu non stia mangiando da settimane.”
Meadow accennò sbrigativa ai dolci presenti sul tavolo – muffin di tutti i gusti, pain au chocolat e pancake avevano interamente ricoperto la superficie di legno insieme ai bicchieri di caffè –  mentre gettava un’occhiata leggermente critica e apprensiva al tempo stesso al fisico molto magro di Asher, che sorrise e le assicurò che non saltava mai nemmeno un pasto mentre sollevava delicatamente un profumato ed invitante cinnamon roll. Era ormai perfettamente abituato, dopo 25 anni, a sentirsi rivolgere inviti a “nutrirsi di più”, e anche se non era ancora riuscito a farsi piacere del tutto il proprio corpo – a detta di tutti troppo magro – aveva smesso di prendersela. Senza contare che Silas aveva già provveduto a rassicurarlo su Meadow, definendo la sua amica “la persona più sfacciatamente e genuinamente sincera mai esistita”, perciò l’ex Magicospino era già entrato nell’ottica di non doversela prendere per qualsiasi cosa dovesse uscire dalle labbra della strega.
“Ehy, già 300 persone hanno visto la mia storia su Instagram della colazione, siamo famosi.”
“Certo, saranno stati attratti dal mio magnetismo. Ora sbrigati a mangiare, o spolvererò tutto io mentre tu sei impegnati a guardare le reactions di qualche fighetta bionda e abbronzata.”

 
*

 
La sala interna del ristorante del Le Mirage era stata chiusa agli ospiti mentre i camerieri pulivano e apparecchiavano – aiutandosi con la magia – i tavoli per prepararla all’inizio dell’orario di servizio del pranzo. L’unico ospite dell’Hotel presente nella stanza era Joël Moyal, che sedeva di fronte al pianoforte a coda nero, deliziando i camerieri con qualche melodia mentre lavoravano. Non aveva fatto parola con Anjali dello “shopping segreto” di Sabrina risalente a qualche giorno prima, e come ricompensa aveva ottenuto di potersi recare laggiù e usufruire del pianoforte ogni qualvolta l’avesse desiderato. I vantaggi di tenere la Direttrice dell’Hotel, nonché figlia del proprietario, sotto ricatto.
Figlia del proprietario che sedeva ad un tavolo circolare dall’altro lato della sala, il più vicino all’ingresso, china su dei fogli e una penna in mano. Joël sollevò brevemente lo sguardo dai tasti bianchi e neri – le sue mani conoscevano talmente bene la canzone che avrebbe potuto suonarla anche bendato – per gettare un’occhiata in direzione di Sabrina: gli occhi chiari del mago indugiarono prima sul piede sinistro della strega infilato in una decolleté bianca che dondolava ritmicamente e poi sulle sue mani, una impegnata a giocherellare distrattamente con la penna e l’altra che reggeva il capo, immersa nella coltre di folti e corti capelli scuri della strega. Da quando era entrata nella stanza, visibilmente nervosa per qualcosa e con una cartellina blu in mano, Sabrina era l’unica a non averlo degnato di uno sguardo o a complimentarsi con lui per la sua musica.
Joël, mentre tornava a guardare i tasti del pianoforte, si chiese se per caso fosse così presa dal suo lavoro da non essersi neanche accorta della sua presenza. Ma no, era impossibile, si disse subito dopo il mago aggrottando la fronte: come si poteva non accorgersi della sua presenza? Soprattutto quando stava suonano una bellissima melodia con un bellissimo pianoforte a coda.
No, semplicemente Sabrina doveva avere di meglio da fare che badare alla sua musica. Che spreco.
Un paio di minuti dopo, quando sentì il rumore provocato dalle gambe della sedia che grattavano sul parquet, Joël sollevò nuovamente lo sguardo in direzione di Sabrina. Non seppe, di preciso, perché lo fece, ma non se ne pentì e anzi, poco dopo quasi si ringraziò per averlo fatto.
 
Sabrina, fin dalla sera precedente, aveva commesso un numero di errori insolitamente a intollerabilmente alto, per i suoi standard: capì di essersi alzata troppo in fretta dalla sedia quando, ritrovatasi in piedi accanto al tavolino che aveva occupato fino a quel momento per fare dei conti e controllare gli ordini dei i fornitori, all’improvviso la sua vista si oscurò del tutto. Capì anche di aver fatto male ad infilarsi dei tacchi così alti quando rischiò di perdere l’equilibrio a causa di un capogiro, così come appurò che saltare la cena la sera prima e anche la colazione fosse stata veramente una pessima decisione.
Una lunga sequenza di pessime idee che, se combinate all’alta temperatura e alla sua pressione bassa, probabilmente l’avrebbe portata a ritrovarsi lunga distesa sul pavimento. Mentre la musica del pianoforte cessava la strega si lasciò sfuggire un’imprecazione in francese a bassa voce, allungando una mano alla cieca verso lo schienale della sedia per aggrapparsi a qualcosa.
Provò un immenso sollievo quando sentì una mano afferrarle la sua e un braccio sostenerla per la vita: sfiorare lo svenimento di fronte ad una parte considerevole del suo staff rappresentava uno dei suoi peggiori incubi, perciò si sentì profondamente grata a Joël mentre il musicista, alzatosi in fretta e furia dallo sgabello quando aveva intuito che ci fosse qualcosa che non andava, la guardava con leggera apprensione:
“Sabrina? Che cos’hai?”
“Niente. Ho solo la pressione bassa, mi sono alzata troppo in fretta e fa troppo caldo. Sto bene.”
Sabrina scosse la testa, sbattendo ripetutamente le palpebre mentre rimetteva lentamente a fuoco il tavolo davanti a sé. Joël, continuando a stringerle una mano con la propria e a tenerla delicatamente per la vita, annuì prima di spingerla gentilmente verso la sedia per costringerla a sedersi di nuovo:
“Siediti.”
“No, devo andare di sopra nel mio…”
La strega volse lo sguardo su di lui e fece per scuotere il capo, preoccupata all’idea di rimandare il lavoro, ma Joël le sorrise e scosse la testa mentre la costringeva a sedersi, voltandosi subito dopo per cercare un cameriere con lo sguardo:
“Ci andrai tra poco, adesso siediti un momento. Ci porti in bicchiere d’acqua fredda, per favore? Merci.”
Joël accennò un sorriso ad un cameriere più giovane di lui di qualche anno e biondo, guardandolo allontanarsi rapido verso la cucina prima di tornare a concentrarsi su Sabrina, sedendo di fronte a lei mentre guardava la strega passarsi le mani nei capelli, i gomiti ossuti piantati sul tavolo.
“Soffri di pressione bassa?”
“Sì. Una rottura, in estate.”
“Lo immagino. O sei pazza o coraggiosissima, a portare scarpe come quelle… Da quanto non mangi?”
“Ieri pomeriggio.”
Le parole di Sabrina – che arrivarono alle sue orecchie come una sorta di cupo e basso brontolio, quasi la strega sperasse che così facendo lui non le avrebbe udite – destarono la sorpresa e per certi versi anche la disapprovazione di Joël, che la guardò con gli occhi chiari sgranati prima di assumere un tono di rimprovero:
“Che cosa?! Sabrina St John, ti facevo molto più responsabile. Qualcuno porti qualcosa da mangiare al Grande Capo, prima che abbia un altro mancamento.”
“Ma io devo…”
“Oh, smettila, non combinerai un bel niente comunque se continuerà a girarti la testa.”
Sabrina guardò Joël sorriderle e dopo una breve esitazione si ritrovò suo malgrado a ricambiare, annuendo piano prima di chinare il capo, fissando le proprie mani abbronzate appoggiate sulla tovaglia bianca.
“Grazie Joël.”
“Di niente.”
 
Quando Jerome fece il suo ritorno con un bicchiere d’acqua e un piatto, dove erano stati sistemati due piccoli croissant salati farciti, Sabrina lasciò persino che il musicista strappasse l’estremità di una delle due brioche per mangiarla, accennando un sorriso mentre si portava il bicchiere alle labbra:
“Solo perché mi hai impedito di fare una figuraccia davanti a tutti. Altrimenti ti avrei già tagliato un dito.”
“Vorrei propri vederti intenta a provarci.”
“Vuoi scommettere?”

 
 
*

 
Dopo aver fatto colazione Medea si era rinchiusa nel bar riservato ai maghi dell’Hotel per cercare riparo dall’afa grazie all’aria condizionata – la più grande invenzione Babbana dopo il fuoco, la ruota, il treno e Internet, a detta della britannica – e a dei grossi bicchieri di tè ghiacciato. Avrebbe sorseggiato volentieri qualcosa di ben più forte, ma il fatto che stesse lavorando e la sua estrema dedizione alla sua professione l’avevano costretta, seppur a malincuore, a ripiegare su qualcosa di analcolico. A volte quasi detestava la sua maledetta professionalità.
Stava sfogliando con attenzione il suo block-notes con la Notte Stellata di Van Gogh in copertina per leggere ciò che aveva scritto quando, all’improvviso, l’occhio attento e i riflessi ben allenati della strega le diedero la bizzarra impressione di essere osservata. Sensazione che Medea non era assolutamente abituata a provare, anzi, di norma era lei quella a trasmetterla ad altri.
Sollevando i grandi occhi scuri dal suo quadernino e dal bicchiere pieno di ghiaccio – incantato per sciogliersi più lentamente del normale – Medea puntò lo sguardo su un tavolino circolare che si trovava esattamente di fronte a lei, seppur dall’altro lato della sala, e seppe di non sbagliarsi quando vide le tre persone che l’occupavano voltarsi nuovamente verso le loro bevande con curioso tempismo. Aggrottando la fronte, dubbiosa, Medea li osservò uno ad uno: tre ragazzi, visibilmente tutti più giovani di lei di qualche anno, due ragazzi e una ragazza. Li aveva già visti all’interno dell’Hotel, soprattutto il ragazzo moro dai capelli ricci, l’unico del trio ad indossare abiti costosi.
Non aveva mai scambiato una parola con nessuno di loro. Che cosa volevano, da lei?
 
“Ve lo dico io, ci ha visti. Che figuraccia!”
Asher gemette piano e si trattenne dal mettersi le mani nei capelli solo perché era sicuro che la strega li stesse osservando a sua volta, e l’ultima cosa che voleva era manifestare il disagio che provava con ancor più evidenza, Meadow, accanto a lui, si portò la cannuccia del suo bicchiere di Coca Cola alle labbra con un leggero sbuffo, borbottando che non fosse poi successa una tragedia:
“Sentite, se dovesse venire a chiederci spiegazioni potremmo dirle che la stavamo guardando perché è molto bella. Non sarebbe neanche una bugia.
Ma a me non piacciono quelle più vecchie!”
“Zitto, idiota di un St John, ci manca solo che ti senta darle della vecchia! Asher, ci sta ancora guardando?”
Asher, l’unico dei tre seduto dando le spalle alla parete e rivolto, quindi, verso Medea, si vide costretto a distogliere lo sguardo dal tavolino circolare rivestito in marmo e bordato d’oro che aveva davanti per gettare una timida ed appena percettibile occhiata in direzione della britannica, sentendosi pervadere dal sollievo quando appurò che la strega non li stava più guardando. Quando rassicurò gli amici anche Meadow e Silas parvero rilassarsi, e il ragazzo prese con sollievo il suo bicchiere di vetro mentre Meadow, più seria che mai, asserì qualcosa con tono solenne:
“Ve lo dico io, c’è qualcosa di strano. Appena arrivati io l’ho vista fare foto in giro… e Silas, hai detto che ha prenotato all’ultimo, no? Secondo me non è affatto in vacanza. Senza contare che non l’ho mai vista né alla spa, né al bagno arabo, e anche in piscina solo un paio di volte al massimo… e sempre con la macchina fotografica. Chi è che si mette a fare foto in piscina?!”
“… Una fotografa?”
“Sì, certo, per riprendere cosa, i marmocchi che sguazzano, la cellulite altrui o le tizie che sbavano dietro al tizio francese? Nah. Secondo me è qui per lavoro. Insomma, non sembra la classica tizia che alloggia in Hotel come questo.”
Nemmeno Meadow aveva l’aria di una ragazza solita alloggiare in Hotel come quello, ma né Asher e neppure Silas tennero a farglielo sapere mentre la strega, giocherellando pensierosa con la cannuccia nera del suo bicchiere, osservava la parete bianca rivestita da alcuni specchi circolari di varie dimensioni.
“Secondo me qualcuno le ha commissionato un lavoro. Ma non semplicemente delle foto. Magari sta seguendo qualcuno.”
Alle parole della ragazza seguì una breve pausa di riflessione durante la quale tutti e tre sorseggiarono le loro bibite in silenzio, i due ragazzi ponderando sulle parole di Meadow e quest’ultima impegnata a farsi venire in mente le idee più strampalate possibili finchè qualcosa non si animò nella sua mente, portandola a sorridere mentre appoggiava il bicchiere sul tavolo e si sporgeva leggermente in avanti, verso Silas e Asher:
“Idea. Non sarebbe assurdamente fantastico se ci fossero delle corna di mezzo e una qualche moglie l’avesse ingaggiata per scoprire il tradimento del marito o fidanzato?! Come nei film!”
Quando Meadow parlò, gli occhi scuri luccicanti dall’emozione per la propria idea, Asher stava sorseggiando il suo succo di zucca ghiacciato con un a dir poco pessimo tempismo, tanto che finì col farsi andare di traverso la bibita per poi iniziare a tossicchiare rumorosamente mentre Silas gli dava colpetti sulla schiena e Meadow, invece, sospirava abbandonandosi contro lo schienale della sedia: quello sì che era un buon modo per passare inosservati e non attirare l’attenzione della fotografa misteriosa.

Maschi
Assolutamente inutili


 
*

 
“Era molto bella, quella melodia. Non credo di averla mai sentita prima.”
“Ah, ti piaceva? Ero convinto che neanche la sentissi, visto che non stavi dando il benchè minimo cenno di apprezzamento. Ed è una cosa rara, quando sono io a suonare.”
Un sorrisetto incurvò le labbra di Joël mentre il mago allungava una mano per prendere un tarallo alla paprika dalla ciotola in ceramica bianca che un cameriere aveva portato loro poco prima: i due croissants salati erano stati spolverati in fretta – anche grazie al contributo dello stesso Joël – e Sabrina aveva finito col chiedere a Jerome di portare qualcos’altro a lei e al musicista. Ben presto, sul tavolo, erano apparsi due bicchieri pieni di analcolici alla frutta ghiacciati e delle ciotoline piene di stuzzichini. Stando alle parole di un Jerome lievemente imbarazzato, Chef Claude aveva insistito per portare tutta quella roba a Sabrina per impedire che “il Capo finisse fuori gioco proprio prima dell’inizio del servizio del pranzo”. Eppure, Sabrina aveva la netta sensazione di poter immaginare il suo caro amico appostato dietro alla porta della cucina e impegnato a sghignazzare alla vista di lei e il musicista più habituée del Le Mirage seduti a bere e mangiare insieme.
“Stavo lavorando ed ero concentrata su quello. Sono fatta così. Ma ci sento ancora molto bene, grazie, e sì, gradivo molto ciò che udivo. Perché, mi stavi guardando, per caso?”
Sabrina imitò il mago allungando una mano abbronzata per prendere un tarallo a sua volta, trattenendo l’impulso di minacciarlo di rovesciargli l’analcolico in testa – disgraziatamente, era pur sempre un ospite, per di più di vecchia, vecchissima data e per cui suo padre aveva sempre un particolare occhio di riguardo – quando scorse un sorrisetto malizioso fare capolino sul bel viso di Joël:
“Certamente. Io ti guardo sempre.”
L’occhiata torva ed esasperata al tempo stesso di Sabrina – perfettamente abituata al suo savoir-faire grazie agli anni a Beauxbatons e alle numerose estati trascorse insieme all’Hotel, quando lo aveva visto rivolgerle ad innumerevoli compagne di scuole e ospiti – tramutò il sorrisetto di Joël in una breve risata, e il mago scosse la testa mentre prendeva il bicchiere di vetro per portarselo alle labbra e rinfrescarsi con un sorso della miscela fruttata mentre gettava, quasi senza volerlo, un’occhiata pregna di malinconico affetto al pianoforte a code. Sembravano passati solo pochi attimi, da quando sedeva a guardare ed ascoltare suo nonno suonare quello stesso strumento. E invece erano trascorsi decenni interi, e nel frattempo Alfred se n’era andato per sempre.
“L’ha scritta mio nonno, comunque. Non mi sorprende che tu non la riconosca. Anche se credo che tu l’abbia sentita eseguita da lui, molti anni fa, quando si esibiva qui.”
Sabrina non si aspettava che il discorso potesse prendere una qualche piega personale e le parole di Joël per un momento la spiazzarono, finchè un leggero sorriso non le incurvò dolcemente le labbra verso l’alto mentre il ragazzo continuava ad osservare il pianoforte a coda. Si ricordava piuttosto bene di Alfred Moyal e di quando suonava quello stesso pianoforte, soprattutto quando, durante le agguerritissime partite a Nascondino disputate tra lei e Silas, si nascondeva sotto uno dei tavoli della sala del ristorante e il musicista era solito aiutarla e depistare il fratellino asserendo di averla vista nascondersi da tutt’altra parte.
“Mi ricordo di tuo nonno. Era sempre gentilissimo con me e Silas. Più che altro con me, immagino perché, beh, io ero la più carina e la più adorabile.”
Un sorriso particolarmente compiaciuto addolcì l’espressione della strega – piuttosto orgogliosa delle sua reputazione di “bambina modello” mentre suo fratello, invece, aveva sempre combinato guai e si era sempre reso celebre per i suoi capricci – mentre Joël, invece, approfittava delle sue parole per accantonare rapidamente la malinconia e il ricordo di suo nonno per tornare a prenderla sottilmente in giro:
“In quale universo?”
Joël tornò a guardare Sabrina, che questa volta non riuscì a resistere: afferrò un tarallino e lo scagliò contro Joël colpendolo su una spalla, e il ragazzo e l’accusò di sprecare quel delizioso cibo mentre molti bambini, nel mondo, morivano di fame.
“Non provare a farmi discorsetti di questo genere, con tutti i cuori spezzati che ti sarai lasciato alle spalle nel corso dei tuoi trent’anni sei l’ultima persona che può venire a farmi la paternale!”
 

 
*

 
Alphard non consumava un pasto a base di cucina orientale da quando era partito per l’Europa dalla Thailandia, vale a dire davvero troppo tempo per i suoi standard. Si trattava di una mancanza imperdonabile e alla quale bisognava porre rimedio il prima possibile, tanto che dopo aver fatto colazione con Briar il mago non aveva esitato a recarsi alla Reception per chiedere all’odiatrice di scorpioni quali fossero i migliori ristoranti di sushi del Principato.
“Non posso parlare per esperienza diretta perché non sono un’esperta e nemmeno una grande consumatrice di cucina orientale, ma ci sono un paio di posti famosissimi in città.”
Odia gli scorpioni e non mangia il sushi? Ma come fa una creatura meravigliosa come Anjali ad esserle tanto amica?
Alphard fece del suo meglio per non palesare la sua cocente disapprovazione nei confronti dei gusti della bella strega, che si allungò sul bancone verso di lui per scrivere un paio di nomi su un post-it bianco.
“Pare che questi ristoranti siano ottimi. Questo qui…” – Sabrina indicò il primo nome scritto con una graziosa grafia arrotondata con la punta della penna a sfera Montbanc nera – “Ha anche una stella Michelin. Mio padre e mio fratello ci vanno, di tanto in tanto, e lo adorano.”
“Allora è proprio il caso che lo provi anche io. La ringrazio.”
Dopo aver letto il nome del posto Alphard intascò il post-it accennando un sorriso cordiale alla strega, che ripose con cura la penna dopo avergli gettato un’ultima occhiata indecifrabile che rese impossibile all’uomo capire che cosa stesse pensando e che idea avesse di lui.
“Di nulla. Buona giornata Signor Vostokoff.”
Alphard, date le spalle alla Reception e a Sabrina, aveva mosso appena qualche passo attraverso la Hall – sentendo lo sguardo attento della strega sulla propria schiena – quando la voce di Sabrina lo sorprese, pronunciando parole che mai il mago si sarebbe aspettato di sentire.
Alla mia cara amica, Mademoiselle Kumar, piace, il sushi. A differenza mia.”
Alphard si fermò, richiamato dalla voce della strega, e si voltò nuovamente verso di lei, un sopracciglio leggermente inarcato mentre Sabrina ricambiava il suo sguardo con fermezza. Alphard ancora non riusciva a capire che cosa la strega pensasse di lui, ma il fatto che lo stesse non tanto sottilmente invitando a cenare con la sua amica poteva considerarsi un buon segno.
“Davvero?”
Oui. Cerca sempre di convincermi ad andarci e si amareggia spesso di fronte ai miei frequenti rifiuti. Credo che le farebbe piacere trovare qualcuno con cui andarci, sa.”
Sabrina si strinse nelle spalle prima di chinare lo sguardo, tornando a concentrarsi sullo schermo del suo iMac bianco con nonchalance, come se gli avesse appena dato informazioni di natura metereologica.
Alphard invece accennò un sorriso, indugiando con lo sguardo su di lei per un altro istante prima di annuire, ringraziarla e dirigersi verso l’uscita dell’albergo. Quella era davvero un’informazione preziosa, tanto che sentì di poter quasi perdonare Sabrina St John per la sua avversione nei confronti dei suoi scorpioni.
Quasi, certo.

 
*

 
Fortunatamente il fantomatico ristorante stellato indicatogli da Sabrina si trovava a giusto un paio di minuti di distanza a piedi dall’Hotel, facendo parte dell’enorme centro commerciale dove aveva accompagnato Anjali a fare compere solo il sabato precedente, la mattina prima di recarsi al Casinò. Si stava recando al suddetto ristorante dopo aver ammazzato il tempo gironzolando per i negozi del Métropole – ringraziando il beneficio dell’aria condizionata – quando, sull’elegante scalinata ricurva che collegava il piano terra e il primo piano, s’imbatté in una figura nota leggermente immusonita e con in mano una voluminosa borsetta verde patinata.
“Oh, salve Signor Wellick. Ha fatto spese da Ladurée?”
Alphard sorrise mentre accennava alla borsetta stretta dalla mano pallida del mago, che annuì cupo prima di roteare platealmente gli occhi al cielo:
Mia nipote. Pare che qualche tempo fa abbia fatto colazione qui con il suo amico, il figlio del proprietario dell’Hotel, e ha ben pensato di spedirmi a comprare una vergognosamente costosa scorta di questi dolcetti colorati. Mi dica almeno che sono buonissimi, la supplico.”
“Credo che siano considerati i migliori macarons del mondo, insieme a quelli di Pierre Hermé(2). Ma convengo che siano un po’ cari, considerando che si finiscono in al massimo un paio di morsi. Se non altro farà felice sua nipote.”
“Le converrà esserlo. Come le converrà farsi piacere i gusti che ho scelto.”
“Sono sicuro che sarà così, sono deliziosi. Io sto andando a pranzare in un ristorante di sushi apparentemente molto celebre e sicuramente costoso quanto i suoi macarons. Le va di unirsi a me?”
“Beh, a quest’ora fuori ci sono 40°, e qui c’è l’aria condizionata… Penso che mi risparmierò volentieri il supplizio di mettere fuori da qui alle 13, sì. Del resto, ormai che ho iniziato a spendere cifre vergognose in cibo, tanto vale continuare.”
Alphard sorrise e dopo avergli assicurato che avrebbe pagato lui avendolo invitato fece cenno a Joshua di seguirlo, riprendendo a salire le scale insieme all’australiano per dirigersi al fantomatico ristorante.
 
Disgraziatamente il ristorante Yoshi era apparentemente pieno, ma fortunatamente Alphard decise di tentare a fare il nome dei St John, affermando che fosse stata la Direttrice del Le Mirage a mandarlo lì. Il maître a quelle parole esitò, osservando lui e Joshua prima di afferrare il telefono e far partire una chiamata, parlando in francese per appena un paio di minuti sotto lo sguardo divertito di Alphard e quello accigliato di Joshua prima di riporre il telefono, rivolgere un sorriso ai due uomini e invitarli cordialmente a seguirlo.
“Com’è che magicamente ora un tavolo ce l’hanno?”
“Ah, è sempre così nel mondo della ristorazione. Basta saper fare i nomi giusti.”
 
 Una ventina di minuti dopo i due erano infatti seduti uno di fronte all’altro ad un tavolino quadrato sistemato accanto ad una delle grandi vetrate che ricoprivano la sala, impegnati a mangiare ciò che avevano ordinato. Alphard sollevò l’ennesimo nigiri al salmone con le bacchette mentre Joshua faceva il pieno di ravioli, asserendo che quello fosse, effettivamente, uno dei posti migliori dove avesse avuto modo di mangiare cucina orientale in Europa.
L’odiatrice di scorpioni aveva ragione.”
“Perché odiatrice di scorpioni?”
“Perché io ne possiedo due, e mi ha vietato categoricamente di farli uscire dalla mia Suite, quando ho fatto il check-in. Poveri piccoli.”
Alphard prese un uramaki scuotendo la testa con disapprovazione e una punta di malinconia nel tono di voce, destando un sorrisetto divertito sul viso pallido, affilato ed inizialmente sorpreso di Joshua:
E io che quando Meadow voleva prendere un gatto pensai che sarebbe stato troppo impegnativo. Come si chiamano?”
“Castor e Pollux. Nella mia famiglia si usano spesso nomi derivati dall’astronomia, come il mio. Alphard è la stella più luminosa della costellazione dell’Idra, mia madre mi ha chiamato così perché lei si chiama Hydra.”
“Carino. Ma capisco anche le motivazioni della Signorina St John, credo che molti ospiti non gradirebbero di vedere due scorpioni scorrazzare per l’Hotel. Ma a me, se la consola, il suo liquore piace molto.”
“Grazie. E così sua nipote è amica di Silas St John? Mia madre è inglese conosce molto bene la sua, a quanto pare.”
“Sì, si sono conosciuti ad Hogwarts. Non mi è ancora molto chiaro perché lui abbia studiato lì e non abbia il benchè minimo accento francese mentre sua sorella, invece, si sente benissimo che è cresciuta in Francia.”
Joshua parlò cercando senza successo di sollevare della tempura di gamberi con le bacchette, finendo con l’arrendersi ed usare le mani – alla peggio l’avrebbero tutti guardato con disapprovazione, ma non gliene fregava granché – mentre Alphard, di fronte a lui, annuiva distrattamente mentre guardava fuori dalla vetrata, dalla quale si riusciva a vedere il complesso architettonico del Casinò di Monte Carlo.
“Mia madre mi ha detto che la madre di Silas è la seconda moglie del proprietario dell’Hotel… la prima era francese, invece, quindi sua sorella ha studiato a Beauxbatons.”
Che gran casino.”
“Le famiglie ricche sono quasi sempre complicate. A volte ci penso e trovo straordinario che la mia, invece, non lo sia.”
Alphard accennò un sorriso mentre tornava a rivolgersi al commensale e allungava una mano verso il proprio bicchiere d’acqua, guardando Joshua sbuffare piano mentre fissava, malinconico ed amareggiato al tempo stesso, la ciotolina in ceramica che conteneva la salsa di soia.
“Fortunato. La mia, anzi la mia e di Meadow, è stata il più grande disastro a cui io mi sia mai trovato ad assistere.”

 
*

 
18.00
Avenue de la Madone, Jardins de la Petite Afrique

 
 
“Certo che avresti anche potuto dirmi che questo parco è in pendenza, non mi sarei certo messa queste scarpe!”
“Anji, io te l’ho detto. E soprattutto, qui ci sei già stata.”
“Davvero?!”
“Sì, due anni fa, e anche allora avevi avuto la brillante idea di metterti i tacchi… Pascal, non tirare, sta buono.”
 
Una ventina di minuti prima Sabrina era passata all’asilo per cani per prendere Napoleon e portare lui e Pascal, il suo cucciolo, a fare una passeggiata. Lafayette aveva invece preferito restarsene comodamente spiaggiato sotto il portico, e di alzarsi non ne aveva voluto sapere: quando aveva visto Sabrina arrivare, mentre Napoleon le correva incontro abbaiando e scodinzolando felice, il Basset Hound si era limitato a sollevare semplicemente la testa, restando perfettamente immobile, lasciandosi accarezzare brevemente prima di tornare a dormire. Uscendo dall’Hotel Sabrina si era imbattuta in Anjali, che si era immediatamente auto-invitata alla passeggiata dell’amica non mettendo in conto di doversi cambiare le scarpe: mentre la francese solcava i viottoli di ghiaia in leggera pendenza del parco più vicino al Le Mirage, i Giardini della Piccola Africa(3), con dei mocassini Tod’s in pelle scamosciata blu abbinati ai pantaloni a sigaretta, la svizzera la seguiva restando due metri dietro di lei a causa dei sandali Jimmy Choo che portava ai piedi.
“Sabs, attends-moi! Già hai le gambe molto più lunghe delle mie, se poi ho i tacchi…”
“È Pascal che tira! Napoleon, sei tu il Capo, insegna a tuo nipote le buone maniere.”
Sabrina si fermò e si rivolse ai due cani con un leggero sbuffo, strattonando il guinzaglio di Pascal per trattenerlo con la pettorina blu mentre Napoleon, invece, restava obbedientemente accanto alla strega e si limitava a fissare con rassegnata pazienza il cucciolo di Rhodesian Ridgeback. Fermandosi Sabrina diede anche la possibilità ad Anjali di raggiungerla, a la svizzera le si fermò accanto mettendosi le mani sui fianchi e sospirando affannata prima di gettare un’occhiata perplessa ai due cani:
Perché suo nipote?!”
Perché per mio padre lui e Lafayette sono come dei figli, quindi Leon per me è una sorta di fratello peloso, se Pascal è il mio piccolino lui quindi è suo zio…”
“Va bene va bene va bene, discorsi da cinofili, mi sono persa. Tutto bene?”
“Sì, è solo il caldo. Oggi è davvero soffocante.”
Sabrina annuì con un basso sospiro, passandosi distrattamente una mano tra i corti capelli scuri mentre gettava un’occhiata al cielo terso sopra di loro. Anjali, dopo aver osservato brevemente l’amica, sorrise e la prese gentilmente sottobraccio, accennando alla panchina vuota più vicina:
“Sediamoci su quella panchina.”
Anjali si diresse verso la panchina trascinando gentilmente l’amica con sé mentre Sabrina, accigliata, le chiedeva se “Lo stesse facendo per lei o per se stessa”. Anjali non rispose, limitandosi a sorriderle allegra e a ricordarle di “volerle molto bene” mentre le due streghe sedevano una accanto all’altra, entrambe accavallando le gambe mentre Napoleone e Pascal si sedevano accanto a loro, il primo appoggiando la grossa testa sulla gamba di Sabrina per le coccole e il cucciolo senza smettere di scodinzolare e di guardarsi attorno.
Mentre Sabrina accarezzava distrattamente la testa di Napoleon, guardando il cane con affetto e un accenno di sorriso sulle labbra, Anjali si limitò a guardarsi attorno nell’ampio giardino, continuando a tenere il braccio dell’amica.
“Come sta tuo padre?”
“Bene. Immagino che si stia divertendo. È da un po’ che non lo sento, magari stasera gli telefono.”
“Buona idea. E tua madre?”
“Oh, lei è inscalfibile, lo sai. Ha detto che potrebbe passare a trovarmi, nel corso dell’estate… Ma come al solito non avviserà, arriverà senza preavviso e mi farà venire un’ulcera.”
Anjali rise, asserendo che sperava vivamente di trovarsi all’Hotel, il giorno dell’arrivo di Sandrine. Sabrina, invece di unirsi alla risata dell’amica, si voltò verso Anjali, continuando ad accarezzare la testa di Napoleon mentre Pascal saltellava davanti all’amica, chiedendo di essere coccolato a sua volta.
“Quanto ti fermi qui?”
“Sicuramente per tutto luglio. Ma se dovessi rendermi conto che non riusciresti a stare senza di me potrei anche chiedere a Michel di mettermi in una camera per un altro paio di settimane, ad agosto.”
Anjali accennò un sorriso mentre si protendeva leggermente in avanti per accontentare Pascal e accarezzargli la testa e le orecchie, guardando il cane chiudere gli occhi e godersi le coccole mentre Sabrina, accanto a lei, guardava l’amica con un sorrisetto divertito impresso sulle labbra:
“Sai che adoro averti qui, ma ti prego, non dire che potresti considerare di prolungare la tua permanenza a Monte Carlo solo ed esclusivamente per me, Anji.”
“E per che cos’altro, allora?! Comunque, ricordami perché siamo venute qui due anni fa, non riesco a capire come posso non ricordare di esserci già stata.”
“Oh, tu eri in un moment merdique, stavi uno schifo per colpa di Georges e hai piagnucolato tutto il tempo, praticamente.”
Sabrina si strinse nelle spalle mentre giocherellava con i guinzagli dei suoi cani, ricordando vagamente lo stato tremendo in cui si era ritrovata l’amica dopo la penosa rottura con il suo ex: durante tutto il soggiorno di Anjali a Monte Carlo di quell’estate non aveva fatto altro che consolarla, convincerla che il suo ex fosse un imbécile, costringerla ad uscire e passarle fazzolettini profumati.
Mon Dieu, ecco perché non lo ricordo, devo averlo rimosso. E non nominarmi quell’infame, o mi rovinerò la serata. Adesso, mon amie, che ne dici di andare a bere l’aperitivo che mi hai promesso?”
Il smagliante sorriso a trentadue denti di Anjali convinse Sabrina ad assentire, e la francese sorrise prima di annuire – in fondo anche lei aveva decisamente bisogno di sorseggiare qualcosa di fresco, soprattutto se con vista mare e con qualcosa da sgranocchiare – e alzarsi dopo aver lasciato un ultima carezza sulla testa di Napoleon:
“Ma certo, andiamo. Leon e Pascal ci faranno da accompagnatori.”
“Meglio loro che i tipi come Georges! Non vedo l’ora di sorseggiare un Gin Tonic, molto Gin e poco Tonic.”
 
 
 
Mentre le due streghe si allontanavano, a braccetto e con i cani al seguito, tre ragazzi giunsero dalla direzione opposta del giardino esotico, la ragazza tenendo una gigantesca cartina aperta in mano e gli altri due che la seguivano, di cui uno visibilmente preoccupato all’idea di non riuscire a trovare l’uscita del parco in compagnia dei suoi due accompagnatori e di restare bloccato lì dentro oltre l’orario di chiusura.
“Silas, a che ora hai detto che chiude, questo giardino?”
“Mi pare alle 19:30. Stai tranquillo, usciremo ben prima, intanto goditi tutte queste… piante esotiche assurde che difficilmente avremmo modo di vedere altrove.”
Quando Silas gli assestò una leggera pacca sulla spalla Asher annuì, facendo del suo meglio per credergli, rilassarsi e godersi la gita – in effetti quel giardino, pieno di piante esotiche in ogni angolo, era uno dei più belli che avesse mai visto – mentre Meadow, davanti a loro, imprecava contro la cartina del parco:
“Qui dice che c’è un laghetto. Ma dov’è?! Come si fa a non vedere un lago?! Silas, renditi utile!”
“Non ci vengo quasi mai qui, non mi ricordo dov’è il lago. Proviamo ad andare di là.”
“Perché non ci vieni spesso? È bellissimo, e neanche si paga l’ingresso… se abitassi qui ci verrei quasi tutti i giorni.”
Mentre Meadow era ancora impegnata a borbottare contro la cartina e Asher si guardava attorno con gli occhi chiari pieni di ammirazione i tre imboccarono la discesa per cercare il fantomatico laghetto. Silas, camminando accanto ad Asher tenendosi costantemente un paio di metri dietro a Meadow – forse temendo che l’ex compagna di Casa ad un certo punto potesse scocciarsi e prenderlo ad insulti per la sua scarsa utilità, o arrotolare la cartina per usarla come arma –, si strinse nelle spalle e si passò distrattamente una mano tra i ricci capelli scuri mentre si guardava attorno, rammentando chiaramente tutte le occasioni in cui gli era capitato di sentire Sabrina alludere al giardino nel parlare con suo padre o con Michel.
“Sì, ma qui ci viene spesso mia sorella con i cani e… MIA SORELLA!”
 
Quando scorse precisamente sua sorella camminare in compagnia di Anjali, Napoleon e Pascal una ventina di metri più avanti Silas provò l’impulso di nascondersi dietro una palma, prima di ricordarsi che quel giorno era libero e che avrebbe dovuto lavorare solo dopo cena – Sabrina il giorno prima lo aveva placcato a colazione, asserendo che la sera dopo avrebbe dovuto imparare a pulire la piscina prima di dargli la possibilità di mettersi in fuga – e che quindi, anche se lo avesse visto, lei non avrebbe potuto recriminargli il suo pomeriggio di cazzeggio.
“Tua sorella? Potremmo chiedere a lei dove si va per il laghetto, di certo sarebbe più utile di te.”
Se alla vista della strega Meadow sorrise, sollevata, un’ombra di terrore prese il sopravvento sul bel viso di Silas, che si affrettò a scuotere la testa e a prendere l’amica per un braccio per bloccare ogni suo possibile tentativo di avvicinamento verso sua sorella:
“Cosa? Meadow, no, ti prego, altrimenti mia sorella penserà che io sia un idiota, e in effetti lo pensa già, ma così facendo penserà che io sia un idiota ancora più clamoroso!”
Meadow aveva una gran voglia di arrotolare la cartina e usarla per colpire Silas sulla testa – anche se aveva la sensazione che sarebbe stato solo uno spreco di energie, visto e considerato che con ogni probabilità i folti ricci scuri del ragazzo avrebbero attutito il colpo –, ma di fronte allo sguardo implorante dell’amico decise di avere pazienza e di assecondarlo, abbandonando l’idea di chiedere indicazioni alla sorella di Silas prima di accennare, curiosa, alla ragazza mora dalla pelle olivastra, leggermente più bassa di Sabrina, che era con lei, un vestito bianco addosso e un grosso paio di occhiali da sole a celarle parzialmente il volto.
“Chi è quella con lei? L’ho già vista in giro per l’Hotel.”
“È la sua migliore amica, viene qui tutte le estati… si chiama Anjali, è un’ereditiera svizzera.”
“Porca miseria, che figa astronomica. Non ho mai visto una simile combo di gnocche del genere. Vero Asher?”
“Sì, immagino di sì, anche se il mio non sarà il parere più oggettivo del mondo.”
Asher stava osservando distrattamente le due streghe quando si rese conto che Meadow e Silas, accanto a lui, lo stavano fissando incuriositi. Il ragazzo si voltò verso i due, abbozzando un sorriso imbarazzato mentre si rendeva conto di non aver ancora fatto alcun cenno, in loro presenza, al suo orientamento sessuale.
“Oh. Non ve l’ho detto. A me… ecco, io sono gay.”
Per un solo, singolo istante Asher temette sinceramente che i due non l’avrebbero presa bene, e la cosa gli avrebbe procurato una buona dose di sconforto, visto che era finalmente riuscito a farsi degli amici, laggiù – cosa che non aveva mai sperato potesse succedere, essendo partito per l’Europa in compagnia di Ridge e Brooke certo che avrebbe incontrato gente come i Carrington, ovvero molto ricca e molto snob –. Mentre li guardava con una leggera dose di ansia, tuttavia, Meadow spezzò il silenzio aprendo le labbra in un sorriso, avvicinandoglisi per prenderlo sottobraccio:
“Oh, nessun problema. A Silas dispiacerà solo non avere una spalla con cui rimorchiare, tutto qui. Ora Silas, visto che mi hai impedito di chiedere a tua sorella, portaci immediatamente a quel fottuto laghetto!”
“Va bene, va bene, ci proverò. Andiamo di là.”
Asher non era del tutto sicuro che Silas li avrebbe effettivamente condotti a destinazione, ma quando lui e Meadow lo seguirono lungo la stradina coperta di ghiaia il ragazzo sorrideva lo stesso, sereno e rilassato.

 
*
 
 
Suite 103stanza-alphard
 
 
Alphard sedeva sulla comoda sedia imbottita e foderata in velluto grigio che stava davanti all’elegante scrivania bianca di cui era munita la sua Suite, i capelli ancora umidi dopo la doccia e ad avvolgerlo un morbido accappatoio bianco allacciato in vita. Il mago intinse con un gesto rapido ed ormai abitudinario la punta della sua splendida piuma di pavone nella boccetta d’inchiostro nero, riprendendo a scrivere la sua lettera mentre Electra, la sua gatta, sonnecchiava acciambellata sulla panchetta grigia, in tinta con la sedia da lui occupata, che stava ai piedi dell’enorme letto matrimoniale rifatto quella mattina.
Castor e Pollux, i suoi due scorpioni, vagavano per la grande Suite del padrone, felici di aver finalmente conquistato un po’ di libertà: la mattina, prima di uscire dalla Suite per rilassarsi in una qualche area dell’Hotel o andare a spasso per la città, Alphard era solito rinchiuderli nella loro enorme teca di vetro per evitare che potessero terrorizzare qualche povera cameriera giunta a fare le pulizie. Li lasciava liberi di vagare per la Suite solo quando era presente anche lui e i suoi “piccolini” si stavano godendo la possibilità di muoversi mentre il padrone gettava loro qualche sporadica occhiata, interrompendo la scrittura di tanto in tanto.
Quel pomeriggio, rientrato all’Hotel – faceva fin troppo caldo per restare fuori prima delle 18 – Alphard aveva deciso di dedicarsi a qualcosa che ormai stava rimandando da troppo tempo, ovvero rispondere alle lettere che gli erano state recapitate da parte di sua madre Hydra e di alcuni dei suoi più vecchi amici, conosciuti ai tempi della scuola.
Naturalmente il mago aveva deciso di dare la priorità a sua madre, temendo che la donna potesse offendersi se non le avesse dato in fretta una risposta. Benchè vivessero molto distanti ormai da tempo, da quando lui si era trasferito a Bangkok, lui e Hydra erano sempre stati legati da un rapporto molto stretto, persino “esclusivo”, a detta di suo padre, e grazie alle Passaporte si vedevano regolarmente una volta alla settimana. Hydra gli chiedeva come stesse trascorrendo le vacanze, come stesse Briar-Rose, se la Costa Azzurra fosse bella come la decantavano e soprattutto se per caso avesse incontrato qualcuno che gli piaceva, ragazzo o ragazza che fosse.
A quella domanda, al contrario delle altre, Alphard non aveva intenzione di rispondere.
Perché sua madre era così fissata con l’idea che lui avesse, finalmente, una relazione stabile? Se non l’aveva avuta fino a quel momento, o quasi, salvo sporadiche eccezioni che comunque non avevano avuto una vita longeva, era perché non aveva trovato la persona giusta. In effetti era dalla sera prima che un’idea si era infiltrata dalla sua mente e non ne voleva sapere di andarsene, ma Alphard decise di non farne parola con Hydra, per il momento, certo che la madre avrebbe preso la cosa troppo sul serio e avrebbe iniziato ad assillarlo. Il mago finì di scrivere la lettera senza fare il minimo cenno al quesito, piegando con cura il foglio prima di infilarlo nella busta. Poteva solo sperare che sua madre non iniziasse a scrivere anche a Briar-Rose, chiedendole informazioni sul conto della sua vita sentimentale.

 
*
 

Asher indugiò davanti alla porta bianca della stanza 223, la Suite Côte d'Azur, prima di bussare timidamente con la mano libera mentre la sinistra era impegnata a stringere Hope, portata a spasso non appena aveva fatto ritorno all’Hotel dopo la sua giornata di svago trascorsa in compagnia di Silas e Meadow: il giorno prima, quando aveva riportato Hope dai padroni dopo la passeggiata serale, Brooke – visibilmente di ottimo umore dopo una giornata trascorsa a Cannes con il marito – aveva ripreso con sé l’amata cagnolina sorridendogli e concedendogli una giornata libera, asserendo che avrebbe potuto badare lei ad Hope il giorno seguente. Asher quasi non ci aveva creduto, ma non se l’era fatto ripetere ed era stato ben felice di passare quasi tutta la giornata lontano dai coniugi Carrington e dalla loro Chihuahua.
Tutto quello che aveva dovuto fare, quel giorno, era stato portare a spasso Hope dopo cena, e ora si apprestava a riportarla dai suoi padroni per poi dileguarsi nella sua stanza il più rapidamente possibile: sperava che Brooke e Ridge avessero intenzione di trascorrere la serata fuori, lontano dall’Hotel, perché per qualche motivo sentiva di non avere nessuna voglia di parlare, vedere o stare con Ridge. C’erano momenti e giorni in cui non avrebbe chiesto altro se non stare con lui e passava il tempo sperando che Brooke li lasciassi soli e altri invece, come quello, dove preferiva stargli lontano. Tutto quello che chiedeva, dopo una giornata trascorsa quasi interamente fuori, era di sistemarsi comodamente sul suo letto con un libro in mano.
Asher aveva sperato che fosse Brooke ad aprirgli la porta, e si sentì sprofondare quando, invece, si trovò davanti proprio Ridge. Ridge che come al solito lo studiò dall’alto in basso – era più alto di lui di almeno una decina di centimetri – trapassandolo da parte a parte con il suo sguardo di ghiaccio prima di allungare un braccio per prendere la cagnolina.
“… Ciao. Brooke non c’è?” 
Dopo una breve esitazione Asher fece del suo meglio per sorridere, tirando le labbra in un sorriso forzato mentre porgeva Hope al padrone, che annuì senza smettere di scrutarlo con gli occhi azzurri chiarissimi.
“Si sta facendo una doccia, più tardi usciamo a fare una passeggiata in spiaggia.”
“Oh, ok.”
All’improvviso, udendo quelle parole, Asher si sentì pervadere da una piacevole ondata di sollievo, e il suo sorriso divenne sincero mentre Ridge, invece, continuava ad osservarlo tenendo una mano appoggiata sull’anta della porta.
“Dove sei stato per tutto il giorno? Non ti ho mai visto in giro per l’Hotel, praticamente.”
“Sono stato con due ragazzi che ho conosciuto qui qualche giorno fa. Abbiamo visto un po’ di cose in giro per la città.”
“Due ragazzi?”
La velata sorpresa che Ridge palesò – inarcando le sopracciglia e spalancando appena percettibilmente gli occhi chiari – nell’apprendere che fosse riuscito a fare amicizia in un ambiente del genere, dove avrebbe dovuto sentirsi una specie di pesce fuor d’acqua, non destò l’offesa di Asher, che suo malgrado giudicò quel sentimento comprensibile e si limitò ad annuire con un cenno sbrigativo mentre cercava di capire se il mago fosse semplicemente sorpreso o anche infastidito in qualche modo di sapere che avesse trovato qualcuno con cui passare il tempo, divertirsi e rilassarsi senza doversi nascondere in pubblico. Contrariamente al suo stupore l’idea che Ridge potesse infastidirsi apprendendo che trascorreva il suo tempo anche con altre persone lo innervosì: lui passava tutto il tempo con sua moglie, ritagliandogli solo le ore che gli avanzavano quando gli faceva più comodo, e lui non poteva trascorrere una giornata libera in compagnia? Avrebbe dovuto trascorrere le giornate restando semplicemente in attesa che lui si degnasse di concedergli l’onore della sua compagnia?
“Sì, un ragazzo e una ragazza. Lui è il figlio del proprietario, quindi conosce molto bene il posto.”
Asher si strinse debolmente nelle spalle mentre s’infilava le mani nelle tasche dei jeans grigi, distogliendo lo sguardo dal viso di Ridge e sentendosi improvvisamente un po’ a disagio. Eppure non doveva dargli spiegazioni di ciò che faceva quando non stavano insieme, soprattutto quando lui passava le giornate a bordo piscina o in ristoranti di lusso con sua moglie.
“Capisco. E lo vedrai anche stasera, il figlio del proprietario?”
“No, ha da fare. E io ho voglia di starmene un po’ per conto mio. Comunque, non devo giustificarmi con te, visto che ieri sei stato tutto il giorno a Cannes con Brooke mentre io badavo al tuo cane. Il tono infastidito e sarcastico potresti risparmiartelo.”
In quel momento Asher non aveva nessuna voglia di imbattersi in Brooke e di essere costretto a parlarle, e nemmeno di continuare la conversazione con Ridge, così girò sui tacchi e si diresse rapido verso la porta della sua stanza, la 221, aprendola con la chiave magnetica prima di chiuderla alle spalle senza aggiungere altro o voltarsi indietro. Sperò che Ridge non lo seguisse bussando alla porta, e per fortuna non lo fece, forse perché consapevole che Brooke avrebbe potuto uscire dal bagno in ogni momento.
Il ragazzo indugiò con un sospiro sulla soglia della stanza, appoggiando la nuca contro la porta bianca alle sue spalle mentre Frankie, che aveva riportato nella sua stanza prima della passeggiata con Hope dopo aver prelevato il barboncino dall’asilo per cani, trotterellava verso di lui abbaiando allegramente.
Non erano molte le persone con cui poteva parlare di Ridge e sfogarsi sulla loro relazione, e Asher prese in considerazione l’idea di telefonare a sua madre – che con un invidiabile sesto senso materno aveva intuito la verità in pochissimo tempo – mentre si chinava per accarezzare la morbida testa pelosa di Frankie e prendere in braccio il cagnolino.
“La mamma sarebbe stata molto orgogliosa di me e di quello che gli ho detto, vero Frankie? Anche tu sei fiero di me?”
Il barboncino abbaiò e gli leccò una guancia mentre Asher sedeva con un sorriso sul bordo del letto matrimoniale coperto da una miriade di cuscini arancioni e giallo ocra che lo avevano conquistato dal primo momento in cui aveva messo piede nella sua stanza, accarezzando il soffice pelo color albicocca del suo amico a quattro zampe mentre ripensava alla conversazione di poco prima e a tutto quello che sua madre era solita ripetergli a proposito di Ridge e della sua relazione con lui, disapprovandola fortemente.
Sua madre aveva sempre ragione, e ripeteva sempre che avrebbe finito col soffrire molto, se non avesse chiuso quella storia in fretta.
“Magari per una volta la mamma sbaglia. Che ne pensi, Frankie?”
Asher chinò lo sguardo sul suo cane senza smettere di accarezzarlo, e il barboncino ricambiò l’occhiata restandosene comodamente stretto tra le sue braccia. Eppure, Frankie non sembrava molto convinto.
E in fondo non lo era nemmeno lui.
 
*
 
 
Bar bar
 

Giornata libera un cavolo, si disse con amarezza Silas St John mentre lucidava con stizza un bicchiere Old Fashioned(4) fresco fresco di lavaggio: certo, aveva potuto fare quello che voleva e rilassarsi finchè non aveva cenato con Meadow sulla terrazza dell’Hotel, prima che Sabrina mandasse Pierre ad assicurarsi che si recasse al pian terreno per pulire la piscina interna. Ma invece di lasciarlo andare, dopo aver finito, Sabrina aveva detto qualcosa a proposito del Bar e di come il fratello dovesse trascorrere del tempo anche lì per rendersi conto di come andasse gestito. Silas aveva provato a farle notare che per lui trascorrere del tempo seduto al bancone non sarebbe stato affatto un problema, ma la sorella non gli aveva dato il tempo di fare dell’ironia e aveva chiesto a Pierre di affidare il fratello minore a Louis, il responsabile del Bar.
Fortunatamente Silas era un grande estimatore di cocktail da anni ed erano assai pochi quelli che non conosceva, quindi iniziare ad imparare a prepararli non gli risultò particolarmente difficile, di certo molto meno che pulire l’immensa piscina dell’Hotel. Anzi, per certi versi era quasi divertente trafficare con bottiglie, ghiaccio, aromi e frutta, tutto fuorché ciò che stava facendo in quel momento, ovvero caricare e scaricare la lavastoviglie.
 
Fu un sollievo, per certi versi, scorgere una faccia amica mettere piede nell’ampia stanza dalle pareti color petrolio, e un accenno di sorriso fece capolino sul bel viso del ragazzo quando vide Anjali Kumar dirigersi proprio verso il bancone, e quindi verso di lui, con il suo consueto incedere elegante e disinvolto che se sommato al bell’aspetto della strega faceva spesso e volentieri in modo che chiunque si trovasse nella sua stessa stanza si voltasse a guardarla.
Bonsoir Silas. Come te la passi?”
“Onestamente ho avuto estati migliori, ma non mi lamenterò eccessivamente finchè mia sorella non mi spedirà a pulire i bagni, lo confesso. Vuoi qualcosa?”
Silas sorrise alla strega mentre Anjali, ricambiando, si accomodava con grazia sullo sgabello davanti al ragazzo, osservandolo con i grandi occhi chiari finemente truccati mentre alle sue spalle un buon numero di ospiti presenti tornava a concentrarsi sul proprio drink dopo aver indugiato a lungo con lo sguardo su di lei. Anjali si comportava quasi sempre come se non si rendesse nemmeno conto dell’effetto che il suo ingresso in una stanza scaturiva sui presenti, e Silas si chiese ancora una volta se ne fosse del tutto consapevole o meno mentre la strega gli strizzava l’occhio:
“Ammetto che recarmi qui solo ed esclusivamente per vederti mi tenta, ma sì, ammetto di avere anche sete. Potrei avere un Cosmopolitan?”
“Certo. Te lo preparo io, poi dimmi che ne pensi. Ma sii sincera.”
“Lo sono sempre, mon petit Silas.”
 
Anjali attese con pazienza il suo drink tamburellando lentamente le dita affusolate sul ripiano del bancone e facendo dondolare distrattamente il piede destro fasciato dal sandalo bianco di Jimmy Choo che l’aveva costretta ad arrancare dietro Sabrina per tutta la durata della loro passeggiata. Passeggiata che a sua insaputa avevano condiviso, ma Silas evitò di informare la strega di averla vista in compagnia di sua sorella e si limitò ad impegnarsi per servire ad Anjali il miglior Cosmopolitan possibile, guardando la bella strega con una punta di apprensione negli occhi ambrati mentre le porgeva l’elegante bicchiere di vetro pieno del drink rosa. Lei era, dopo sua sorella, il suo giudice più severo.
Anjali prese delicatamente il bicchiere e se lo portò con grazia verso le labbra, assaggiando un sorso del suo Cosmopolitan prima di accennare un sorriso in direzione del ragazzo e strizzargli l’occhio:
“Si può migliorare, ma non è niente male. Ricordati solo, la prossima volta, che io lo preferisco con più vodka.”
“Anjali Kumar, che cosa direbbe la gente se sapesse che dietro questa facciata di perfezione si nasconde un’ubriacona?!”
“È questo il modo di rivolgersi ad un ospite? Sarò costretta a fare rapporto al Grande Capo.”
Mentre Anjali, fingendosi offesa, si voltava verso le grandi finestre che ricoprivano quasi interamente la parete del Bar che si affacciava sulla strada davanti all’Hotel scostandosi i capelli scuri dalla spalla con un gesto studiato ad arte e distratto solo all’apparenza, Silas sgranò gli occhi giallastri prima di sporgersi verso la strega e affrenarle le mani in un gesto implorante e disperato al tempo stesso:
“Anji ti prego, non tradirmi!”
“Stavo scherzando, sciocchino! Non farei mai la spia, lo sai che ti voglio bene.”
Anjali sorrise divertita mentre stringeva affettuosamente il viso di Silas – coperto da un leggerissimo strato di barba sfatta – con una mano, accostandosi con le labbra alla sua guancia sinistra per depositarci un bacio mentre il ragazzo, il cui viso aveva assunto una sfumatura in tutto e per tutto simile al drink della strega, la implorava a mezza voce di non “baciarlo davanti ai colleghi”.
“Pf, sono solo invidiosi. Anche loro vorrebbero essere baciati da me, scommetto.”
“Ma è ovvio, chi non lo vorrebbe? A parte me, in un certo senso, essendo tu la migliore amica di Sabs sei zona proibita. E poi ti vedo più come una sorella maggiore, in ogni caso.”
“Maggiore ma pur sempre giovane, Silas, mi raccomando.”            


 
*
 
 
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Joshua Wellick se ne stava comodamente disteso sul suo grande letto matrimoniale, un libro in mano e solo un paio di leggeri pantaloni del pigiama blu addosso, quando sentì la porta che comunicava la sua stanza e quella della nipote aprirsi, seguita dall’allegra e squillante voce di Meadow:
“Ciao! Sei qui?! Ah, eccoti. Già a letto in pigiama a leggere? Sei proprio un vecchietto.”
La giovane strega si lasciò strappare una risatina mentre si arrampicava vestita sul letto dello zio, avvicinandoglisi per appoggiare il capo contro la spalla – ancora pallida, considerando che Joshua aveva trascorso molto poco tempo a bordo piscina fino a quel momento – dell’uomo, che si lasciò sfuggire un debole sbuffo prima di parlare con tono neutro, senza distogliere lo sguardo dalle pagine che aveva davanti:
“Ti faccio notare che siamo ben lontani dal weekend, ergo sono più che autorizzato a starmene in pigiama, a letto e con un libro in mano alle 21.30. Hai trascorso una giornata divertente?”
“Sì, è stata bella. Abbiamo fatto colazione da Starbucks, e dopo pranzo abbiamo fatto una passeggiata in questo parco molto bello… dopo cena Silas doveva lavorare, ma sono rimasta al Bar a rompergli un po’ le scatole e a farmi offrire qualcosa prima di venire qui. Abbiamo conosciuto un ragazzo americano simpatico.”
“Mi fa piacere. Vuoi chiedermi qualcosa? Sei molto affettuosa.”
Joshua accennò distrattamente al braccio con cui Meadow gli aveva cinto il petto senza smettere di dedicarsi alla sua lettura, non potendo così scorgere il piccolo sorriso colpevole che presto increspò le labbra della ragazza. Dopo una breve esitazione Meadow annuì, osservando l’enorme specchio che ricopriva la parete della camera, arredata come la sua sui toni del bianco e del verde acqua, di fronte al letto mentre parlava:
“Dopo aver fatto colazione siamo andati in quella piazza enorme dove c’è il Casinò. Silas ci ha spiegato che il complesso architettonico comprende anche il Teatro dell’Opera e la sede del Balletto. Ti piacerebbe andare a vedere qualche spettacolo, mentre siamo qui?”
“Non vuoi andarci con i tuoi amici?”
“Sai, Silas non è esattamente tipo da Balletto e Opera. Penso che verrebbe per farmi piacere, ma che si addormenterebbe a metà spettacolo. E poi mi piacerebbe condividere con te questa esperienza.”
In un certo senso Joshua sapeva perché Meadow volesse condividere quell’esperienza proprio con lui, ma non fece alcun commento e dopo una breve riflessione, durante la quale finse di continuare a leggere, annuì mormorando un assenso:
“Ok, se ti fa piacere.”
“Grazie. Ora vado anche io a mettermi il pigiama, non ne posso più dei jeans!”
Mentre Meadow rotolava sul fianco sinistro per balzare giù dal letto Joshua distolse lo sguardo dal libro per la prima volta da quando la nipote era entrata nella sua camera per gettarle un’occhiata, chiedendosi ancora una volta come diavolo facesse ad andarsene in giro con un cardigan con quel caldo. Quel che era certo, tuttavia, si disse il mago mentre Meadow tornava in camera sua canticchiando e lasciando la porta comunicante aperta, era che il cattivo gusto in fatto di abbigliamento fosse una caratteristica di famiglia.
 
“Oh, quasi scordavo!”
Quando Meadow smise di cantare e si affacciò nuovamente nella sua stanza Joshua si voltò, osservandola con un sopracciglio inarcato e in attesa che parlasse mentre la nipote, in piedi dietro alla porta verde acqua, sorrideva divertita:
“Io, Silas e Asher ci siamo messi ad investigare!”
 
Priscilla abbi pietà di me
 
“Vale a dire?!”
“Beh, secondo noi c’è un’ospite che sta combinando qualcosa di strano.”
“E siete indotti a pensarlo a causa della vostra vastissima esperienza di detective?”
Offesa, Meadow non rispose alla domanda dello zio.
Ma in compenso afferrò un cuscino verde dalla poltroncina e glielo scagliò contro prima di fuggire, chiudendosi la porta della sua stanza alle spalle per impedire che Joshua potesse seguirla e ricambiarle il favore.

 
*

 
Dopo essersi fermata al bar per sorseggiare un Cosmopolitan ed essersi brevemente intrattenuta chiacchierando con Silas, Anjali decise che la sua giornata poteva considerarsi giunta al termine e quindi di salire nella sua Suite per togliersi i tacchi, infilare il suo amato pigiama di raso color avorio e rilassarsi davanti all’enorme tv a cristalli liquidi che si trovava davanti al suo letto matrimoniale.
Una volta giunta nella Hall le file di persone che si trovavano davanti ai due ascensori la portarono a ripiegare sulle scale, e la bella strega si diresse rapida verso l’enorme rampa di scale bianca che, dal fondo della sala, permetteva di accedere ai piani superiori. Nel superare la reception Anjali sorrise a Michel, che ricambiò quando la nota ospite gli passò accanto, ma la strega aveva fatto in tempo a salire solo alcuni gradini quando si sentì chiamare da una voce maschile marcata da un leggero accento dell’Est Europa.
Voltandosi, i grandi occhi chiari di Anjali indugiarono presto sulla figura ormai nota di Alphard, accennando un sorriso gentile con gli angoli delle labbra carnose mentre il mago le si avvicinava attraversando rapido la Hall, fino a fermarsi due gradini sotto di lei.
“Buonasera Alphard.”
“Ciao. Io mi stavo chiedendo…”


Anjali lo guardava, in silenzio e in attesa, sempre sorridendo, quasi lui la divertisse, in qualche modo. Dopo essersi schiarito la voce Alphard – non aveva mai provato il minimo imbarazzo nel chiedere qualcosa di simile a chiunque, e non avrebbe iniziato a provarlo a 36 anni compiuti, anche se aveva di fronte la donna più perfetta del mondo – riprese a parlare, lisciandosi quasi senza rendersene conto l’orlo della giacca grigia che indossava:
“Mi stavo chiedendo se ti andrebbe di cenare con me, una delle prossime sere. A parte domani, domani ho un impegno con la mia amica Briar-Rose.”
Con gran sollievo dell’imprenditore, il sorriso sul viso di Anjali si allargò all’udire quelle parole – anche se il mago aveva la netta sensazione che la strega sapesse che cosa volesse chiederle fin da quando lo aveva visto attraversare la Hall per raggiungerla – e la strega annuì mentre lo guardava con i grandi occhi chiari luccicanti. Alphard, che come detto aveva 36 anni compiuti, fece del suo meglio per non farsi ridurre gli organi interni in poltiglia alla vista di quel sorriso come un dannato quindicenne.
“Oh, mi piacerebbe molto Alphard. Vediamo, domani è mercoledì… giovedì ho convinto Sabrina a prendersi una pausa per uscire con me, ma se vuoi venerdì…”
“Venerdì va bene.”
Alphard interruppe la strega con un debole sorriso, guardandola ricambiare il suo sguardo in silenzio per qualche istante. Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma aveva la netta sensazione che molti dei presenti nella Hall li stessero osservando, così il mago decise di tagliare corto e di salutarla, augurandole la buonanotte:
“Beh, allora nel frattempo buonanotte.”
Al suo saluto invece di voltarsi e riprendere a salire le scale, Anjali stupì Alphard facendo l’opposto, scendendo un paio di gradini per trovarsi esattamente su quello sopra rispetto a dove si trovava il mago per posargli delicatamente una mano sulla spalla e poi scoccargli un leggero bacio su una guancia.
Bonne nuit, Alphard.”


Alphard guardò il viso di Anjali allontanarsi dal suo senza dire una parola, lasciandosi incantare dal suo sorriso mentre la mano della strega scivolava dalla sua spalla quasi senza che se ne rendesse conto.
Dopo essere brevemente rimasto a guardarla allontanarsi il mago si riscosse, girandosi e scendendo i pochi gradini saliti mentre Michel, in piedi davanti al bancone della reception, teneva gli occhi castani fissi sullo schermo del computer, sforzandosi di restare impassibile e di non dare il mimino segno di aver udito chiaramente tutto lo scambio dei due ospiti mentre Alphard lo superava.
A quel punto gli occhi del concierge scivolarono sulla schiena del mago guardandolo attraverso le lenti dei suoi occhiali, accennando un sorriso con gli angoli della labbra mentre si appuntava mentalmente di dirlo a Sabrina il prima possibile.
 
 

 
 
 
 
 
 
(1): “Bisogna falciare il prato”
(2): Pasticcere francese, noto soprattutto per i suoi costosissimi macarons.
(3): Ampio Giardino pubblico situato a Monaco-Ville, precisamente nella stessa strada dove idealmente si trova il Le Mirage, l’Avenue de la Madone (la via non è di mia invenzione, è una delle strade principali del centro della città) che ospita specie di piante tropicali, da qui il nome. Dentro si può trovare anche un piccolo lago, ma non assicuro che Silas, Meadow ed Asher siano effettivamente riusciti a trovarlo.
(4): Oltre ad essere il nome di un noto drink “Old Fashioned” è anche il nome del tipico bicchiere di tipo tumbler usato per servire i liquori o cocktail poco elaborati.
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Vi prego, fan del sushi non insultate Sabrina per le sue preferenze culinarie, come sua madre è una donna che ha una spiccata predilezione per la cucina mediterranea, che ci vogliamo fare. Ok, ora mi preparo anche io agli insulti.
Venendo alle cose serie: chiedo scusa ma, ok, qui stiamo tutte shippando voi sapete chi da qui fino a Venere, ma… dove sono i nomi delle coppie?! Dove sono le mie coniatrici ufficiali di shipname since 2016?! *Irene si affaccia ad una finestra urlando il nome di Bea per richiamarla ai suoi doveri*
Detto questo, che dire, non ci ho mai messo così poco per aggiornare questa storia e sono davvero molto felice di questo. Avrei anche una domandina per voi che potrebbe tornarmi utile per la scrittura dei prossimi capitoli:
  • Come avrete intuito dalla lettura di questi primi capitoli, sono del tutto intenzionata a sfruttare la bellissima e da me molto amata città in cui è ambientata la storia il più possibile, facendo recare i personaggi in molti dei suoi luoghi più amati e visitati. Ho pensato che potrebbe essere carino, per i prossimi capitoli, fornirvi una piccola lista di alcuni dei luoghi dove vorrei mandare gli OC e farvi scegliere liberamente. Perciò, se volete, ditemi quali di questi posti potrebbero interessare maggiormente al vostro personaggio, così saprò dove mandare chi nel prossimo futuro:
  • Il Museo d’arte Nazionale
  • Andare a zonzo per la Città Vecchia e il borgo medievale
  • Palazzo dei Principi, la residenza storica dei Grimaldi
  • Il Giardino Giapponese
  • Il Teatro dell’Opera già citato da Meadow nel capitolo
Naturalmente potete farmi più di un nome, scegliete liberamente. Vi chiederei solo di non scegliere tutte le opzioni subito perché queste risposte mi servono per i prossimi capitoli e ovviamente non potrò mandare tutti d’dappertutto subito, in caso ci sarà tempo per recupere, non temete. Ci sarebbe una sesta opzione molto molto carina, ma ho già deciso chi ci manderò prossimamente e perché, quindi per il momento non vi do la possibilità di sceglierla, ma potrete farlo in futuro.
Ho idea che con molta probabilità con il prossimo aggiornamento ci rivedremo direttamente a luglio, quindi nel frattempo vi saluto, vi auguro un buon inizio di stagione estiva – caldo soffocante, lavoro e studio permettendo – e un buon proseguimento di giornata.
A presto, e grazie per l’affetto che state dando a questa storia e a questi personaggi. Siete pochine, ma valete per il doppio <3
Signorina Granger
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Buongiorno e ben ritrovate!
Prima di lasciarvi alla lettura di questo settimo capitolo vi lascio questa sorta di meme che non potevo esimermi dal condividere. Lo trovo molto calzante per aprire il capitolo, visto che ne rispecchia perfettamente il grado di serietà.
In più, perdonami Joël, sei bellissimo e ti amo immensamente, spero che tu non ti offenda.
Ci vediamo in fondo, buona lettura!

 
 

Capitolo 8


meme
 


 
Venerdì 2 luglio
Place du Casino
 
 
“Grazie per la cena, era davvero deliziosa. Adoro il pesce.”
Un sorriso gentile incurvò verso l’alto gli angoli delle labbra carnose di Anjali Kumar mentre la strega passeggiava costeggiando la Piazza del Casinò, un paio di sandali color carne col tacco basso ai piedi – amava quella città, ma anni di vacanze le avevano insegnato che il Principato di Monaco fosse nemico dei tacchi alti – e un vestito di raso dalle spalline sottili color rosso mattone addosso.
Sì, la tua amica me lo ha detto
Alphard si limitò a ricambiare il sorriso e a ringraziarla a sua volta per aver accettato l’invito, astenendosi dal farle sapere di aver ricevuto precisi suggerimenti da una fonte molto attendibile mentre camminava affiancando la strega, le mani nelle tasche e il passo volutamente rallentato rispetto alla norma per adattarlo a quello di Anjali.
“Credo che la tua nazionalità sia la più intricata che abbia mai sentito. Ripetimi, tua madre è inglese…”
“Mia madre è inglese, mio padre è nato nell’ex Unione Sovietica da padre russo e madre ucraina, io sono nato a Odessa. Ma adesso vivo in Thailandia, a Bangkok.”
“Caspita… E che cosa ti ha portato fino in Thailandia, Alphard?”
Anjali volse lo sguardo verso di lui e Alphard, pur continuando a guardare dritto davanti a sé per osservare la piazza illuminata dalle file di lampioni, sentì i grandi occhi chiari della strega scalfirgli il volto. Aveva l’impressione che Anjali non gli stesse facendo quelle domande per cortesia o semplicemente per fare conversazione fine a se stessa, ma che volesse sinceramente udire le sue risposte. E la cosa gli piaceva.
“Mi innamorai di Bangkok la prima volta in cui la vidi. Tempo fa mi presi un periodo di pausa dal lavoro, diciamo che non ero felice di quello che facevo all’epoca, e ho deciso di stabilirmi brevemente lì per schiarirmi le idee. Alla fine ci sono rimasto. Ci sei mai stata? È meravigliosa.”
Prima di rispondere la strega scosse debolmente il capo e strinse con delicatezza e disinvoltura il braccio destro attorno a quello sinistro di Alphard, usandolo come “supporto” per camminare meglio mentre il mago, accanto a lei, la osservava in silenzio dall’alto in basso scrutando i suoi bei lineamenti.
“Temo di no. Ma magari prima o poi rimedierò. Sai, c’è stato subito qualcosa nel tuo nome che mi era familiare, forse è per il tuo lavoro…”
La fronte di Anjali venne solcata da una piccola ruga di concentrazione mentre la strega rifletteva, dubbiosa, sul particolare senso di familiarità che le aveva dato il cognome del mago fin dalla prima volta in cui l’aveva udito. Fu proprio Alphard, chinando lo sguardo su di lei, a porre fine ai suoi dubbi accennando un sorriso con le labbra:
“Mio padre è il Ministro della Magia ucraino. Forse è dovuto a quello.”
All’improvviso, all’udire quelle parole, Anjali smise di camminare: la strega si fermò e così facendo costrinse Alphard a fare altrettanto prima che il mago sentisse il suo braccio esile scivolare dal proprio, ritrovandosi a guardarla coprirsi il viso con le mani e gemere sommessamente:
Mon Dieu, che figura da cretina, perché non ci sono arrivata. Ora penserai che io sia la solita bella e stupida.”
Senza riuscire a trattenere un sorriso, Alphard colmò la breve distanza che li divideva per prendere con delicatezza le mani della strega e allontanarle dal suo viso; nel ricambiare il suo sguardo Anjali ebbe come l’impressione che lei gli facesse quasi tenerezza, e si ritrovò senza volerlo ad arrossire leggermente mentre guardava l’uomo sollevarle la mano destra per depositarci un bacio sul dorso:
“Non lo penserei mai. O meglio, non penso solo la seconda parte.”
La mano di Alphard indugiò nello stringere quella di Anjali forse per un secondo di troppo, ma entrambi fecero accuratamente finta di non averlo notato mentre il mago, prima di riprendere a camminare, prendeva con gentilezza il braccio della strega per allacciarlo nuovamente al proprio:
“Allora, tu vieni qui da molto, vero? Sono sicuro che conosci i gossip migliori su tutti gli ospiti abituali.”
“Ma certo! Vuoi sentirli? So che non si fa, ma spettegolare è così divertente!”
Mentre occupavano la panchina più vicina e Anjali iniziava a snocciolare i fatti altrui con l’aria di chi moriva dalla voglia di farlo da molto tempo Alphard, osservandola, ringraziò la sua buona stella per averlo condotto fino al Principato di Monaco, quell’estate.

 
*
 

La chiave magnetica aprì la serratura con uno scatto metallico e Anjali spalancò la porta bianca della sua Suite nell’esatto momento in cui le luci si accesero. La strega si addentrò nell’ampia stanza con un sospiro, passandosi distrattamente una mano tra i lisci e lucenti capelli scuri mentre si chiudeva la porta alle spalle mormorando qualcosa contro il caldo: era sicura di avere un aspetto orribile, e i suoi timori vennero confermati dall’immagine che il grande specchio rettangolare appeso sopra alla consolle da parete di legno bianco le restituì quando appoggiò chiave e borsetta sopra al mobile.
“Je suis horrible!”
Dopo aver scoccato un’occhiata pregna di disapprovazione alla propria stessa immagine – al suo sguardo critico, semplicemente terrible – Anjali prese il telecomando del condizionatore dalla superficie della consolle e lo accese, dirigendosi poi verso l’enorme letto matrimoniale bianco che occupava il centro della Suite per sedersi sul morbido materasso e slacciarsi i sandali col tacco basso color carne di Valentino con cui era uscita.
Doveva togliersi il vestito, struccarsi e dare il via al lungo procedimento con cui trattava la pelle del viso prima di dormire, ma Anjali decise di prendersi un minuto di pausa e sollevò le gambe per distendersi brevemente sul letto, contemplando il soffitto con i grandi occhi chiari mentre ripensava alla serata appena conclusasi e i lunghi capelli scuri sparpagliati sul cuscino blu polvere le incorniciavano il viso.
Stava giocherellando con uno degli anelli d’oro che portava sulle dita della mano destra quando, esattamente come poco prima, la serratura si aprì con un sonoro scatto e la porta venne spalancata: mentre Anjali sobbalzava e si metteva a sedere di scatto sul materasso pronta ad urlare e ad affrontare il suo aggressore scagliandogli contro l’abat-jour del comodino, Sabrina entrò nella Suite con un enorme sorriso stampato sulle labbra carnose, un pigiama corto di raso bianco dal taglio maschile addosso e la sua chiave universale in mano:
Bonsoir amica mia! Sono pronta al resoconto completo della tua serata!”
“Sabrina, mi hai fatto quasi morire di paura! Ora sarò sicuramente piena di capelli bianchi, e sarà tutta colpa tua!”
Mentre Anjali sospirava con aria grave e si passava le mani tra i capelli Sabrina, per nulla impressionata dalla reazione tragica dell’amica, si avvicinò al letto mostrando ciò che teneva in mano: due calici e una confezione di gelato al caramello salato. Esattamente ciò che occorreva per farsi raccontare i dettagli della serata.
“Come sapevi che eravamo rientrati, esattamente?”
Ti prego, dimentichi che qui il capo sono io e ho spie ovunque. Ho detto ad Odette di chiamarmi quando vi avrebbe visti tornare, naturalmente. Mi ha detto che avete preso l’ascensore insieme, ma so bene che tu non sei tipo da, come dire, concederti la prima sera, perciò ero sicura che non avrei interrotto niente. Allora, tu inizia a parlare, io recupero qualcosa da bere dal minibar.”
Mentre Sabrina appoggiava gelato e bicchieri sul comodino Anjali fece per ricordarle che i prodotti del minibar costavano una fortuna, ma poi, mentre Sabrina apriva il piccolo frigo per recuperare due minuscole bottigliette di champagne, si ricordò di un piccolo dettaglio: lei era il capo.
 
Una decina di minuti dopo le due streghe sedevano una di fronte all’altra sul grande letto della Suite, i calici vuoti sul comodino e la vaschetta di gelato in mezzo a loro che si stava svuotando rapidamente grazie alle cucchiaiate della due. Anjali scosse la testa mentre si portava il cucchiaio verso le labbra, sospirando che avrebbe dovuto dimenticarsi di quella delizia in fretta o avrebbe fatto ritorno in Svizzera con venti kg in più rispetto a quando l’aveva lasciata.
“Questo gelato è buonissimo, penso che tu mi abbia appena iniziata ad una dipendenza... Non va assolutamente bene, non farmelo vedere mai più.”
“Non me ne parlare, è la mia croce. E quello della Magnum è il mio preferito, sopra c’è questa spessissima lastra di cioccolato fondente così buonama stiamo divagando. Sei stata bene con l’uomo degli scorpioni?”
Sabrina, semi-distesa sul letto davanti all’amica con un gomito a sorreggerla, si portò un’ennesima cucchiaiata alle labbra mentre teneva i grandi occhi scuri fissi su Anjali, decisa a non perdersi neanche la sua minima reazione: la vide infatti accennare un sorriso mentre giocherellava con l’orlo della gonna del suo vestito, e la cosa non poté che farle piacere.
“Sì, molto. Sai, è come se ci fosse qualcosa, non so bene cosa… ma mi sembra davvero molto simile a me. Scorpioni a parte.”
Per fortuna. Beh, il fatto che tu ora stia dicendo queste cose senza guardarmi come quando eravamo a Beauxbatons e mi parlavi di una qualche cotta mi fa supporre che ti piaccia. E visto che non è così frequente che qualcuno ti piaccia, sono molto felice.”
“Credo che non mi sia più piaciuto davvero nessuno, dopo Georges… Da due anni, quindi. Non è poco.”
“No tesoro, ma credo che sia abbastanza comune, quando il tizio in questione è un grand connard crétin dégueulasse(1)…”
Sebbene ripensare al suo ex le provocasse un misto di fastidio, risentimento e amarezza, Anjali non poté fare a meno di ridere all’udire le parole dell’amica, guardandola con un luccichio divertito negli occhi chiari mentre raccoglieva un altro po’ di gelato con la punta del cucchiaio:
“Sabrina St John, tu non dici mai parolacce, che cosa ti succede?”
“È una sorta di reazione spontanea che non posso controllare che il mio corpo ha quando si parla di Georges. Quasi mi spiace che non abbia più avuto il coraggio di presentarsi qui, sarebbe un sogno, per me, farlo sbattere fuori.”
 
Il giorno seguente Sabrina avrebbe dovuto lavorare, perciò una seconda decina di minuti dopo la francese si alzò dal letto per congedarsi, lasciare sola l’amica e permetterle di prepararsi per la notte, salutandola con un bacio sulla guancia per augurarle la buonanotte prima di uscire dalla Suite.
La porta si era appena chiusa alle spalle di Sabrina quando Anjali si alzò dal letto, diretta nel suo enorme bagno bianco e azzurro per mettersi il pigiama e togliersi il trucco dal viso. Benchè fosse una cosa che le procurava sempre una gran noia quella sera Anjali lo fece sentendosi a dir poco di ottimo umore e con un sorriso perennemente impresso sulle labbra proprio mentre Sabrina, contemporaneamente, scendeva al pian terreno con l’ascensore per tornare nel suo appartamento. Del tutto incurante di che cosa l’aspettasse il giorno seguente.
 

 
*
 
Sabato 3 luglio

 
Gideon aveva incaricato Pierre di occuparsi del suo studio e di tenere sotto controllo la corrispondenza finchè non avesse fatto ritorno a Monte Carlo, pertanto l’uomo, come ogni mattina, dopo colazione si era recato nell’alloggio del suo datore di lavoro di lunga data per controllare la posta.
Seduto alla scrivania di Gideon, Pierre si sentiva terribilmente in imbarazzo nell’aprire delle buste indirizzate a qualcun altro con il tagliacarte d’argento dell’albergatore, ma benchè la reputasse una deprecabile violazione della privacy era anche consapevole che fosse stato proprio Gideon ad accordargli il permesso. Dunque non aveva scelta, doveva svolgere il suo compito senza lamentarsi, e di chiedere a Miss Sabrina di farlo al suo posto non se lo sognava neppure: quella ragazza aveva già abbastanza da fare senza che lui le chiedesse anche di occuparsi anche della posta di suo padre.
Le lettere già lette si impilavano da sole in un angolo della scrivania costituendo pian piano, giorno dopo giorno, delle piccole torri di carta, mentre le buste aperte planavano con grazia nel portadocumenti da scrivania di Gideon: Pierre era l’uomo più preciso del mondo, pertanto era intenzionato a non buttare nulla e a far sì che al suo ritorno il Signor St John trovasse tutto in perfetto ordine e in modo da potersi organizzare al meglio.
Aveva appena aperto l’ultima busta, e stava per dichiarare il suo lavoro compiuto e alzarsi per andare a controllare che il Signorino Silas si fosse svegliato quando qualcosa attirò l’attenzione dell’uomo con una forza quasi magnetica: una busta. Una busta che non aveva notato.
Pierre la prese e ripeté ancora una volta la medesima operazione, usando il tagliacarte d’argento per aprirla e leggere il contenuto della busta. Nel farlo gli occhi cerulei del mago scivolarono sul nome del mittente scritto a mano sul retro della lettera, e Pierre sentì il sangue gelargli nelle vene mentre la sensazione che ci fosse qualcosa che non andasse si faceva rapidamente strada dentro di lui.
Per poco non gli prese un colpo, al povero Pierre, quando lesse la data scritta nell’angolo superiore a sinistra della lettera contenuta nella busta. Risaliva a una settimana prima, ergo la lettera doveva essere arrivata da almeno un paio di giorni. Una lettera importantissima che gli era sfuggita.
Dimenticandosi di Silas e di dover andare svegliarlo, Pierre scattò in piedi e raggirò la scrivania per precipitarsi fuori dalla stanza, maledicendosi per quell’imperdonabile errore mentre correva verso le scale che conducevano al pian terreno e che lo avrebbero portato alla Hall: doveva assolutamente trovare Miss Sabrina, e in fretta.

 
*

 
Joshua stava facendo colazione nella sala interna del ristorante leggendo il giornale – per fortuna all’Hotel arrivava anche qualche copia della Gazzetta del Profeta, altrimenti avrebbe dovuto far finta di leggere un quotidiano francese senza in realtà capirci un’accidenti –, ma il sorso di caffè nero rischiò di andargli di traverso quando Meadow, giunta di corsa nella stanza, si avventò su di lui e gli mise le mani sulle spalle con l’energia di un tornado, cogliendolo di sorpresa:
“Zietto caro, io vado a farmi un giretto con i miei amici, Silas lavora oggi pomeriggio e stasera, stamattina è libero e ha promesso a me e ad Asher di portarci da qualche parte. Va bene? Sì? Perfetto! Ah, occupati di Lady Diana mentre non ci sono, lei purtroppo non può venire.”
Prima che Joshua avesse il tempo di rispondere – o la facoltà, visto che tossicchiò più volte per impedirsi di soffocare con il caffè – Meadow afferrò un paio di fette di bacon, mollò la sua gattina in braccio allo zio e sfrecciò via in tutta fretta, continuando a camminare anche quando lo sentì parlare alle sue spalle:
“E dove andante?!”
“Da qualche parte più in alto! Andiamo in moto, così facciamo prima!”
A quelle parole, anche se la ragazza non se ne accorse, Joshua sbiancò e il suo viso divenne quasi dello stesso colore della tovaglia che ricopriva il tavolo mentre Lady Diana, che gli stava in grembo, gettava un’occhiata storta alla padroncina che la stava lasciando sola. Meadow e moto erano due parole che, fosse stato per lui, non avrebbero mai dovuto comparire nella stessa frase.
Mettiti il casco! Mi hai sentito?! Il casco!”

 
*
 

Alphard aveva lasciato la sua Suite, quella mattina, sperando di avere l’occasione di incontrare Anjali al pian terreno, ma con gran disappunto dell’uomo il fortuito incontro non avvenne e mise piede nella sala interna del ristorante senza scorgere traccia della bella strega. Appurare l’assenza di Anjali non fu difficile visto e considerato che non si trattava di una donna in grado di passare inosservata, e ad Alphard non restò che occupare un tavolo e ordinare la colazione in solitudine.
Aspettò che cibo e caffè arrivassero tamburellando senza sosta le dita sulla tovaglia bianca, ripensando con un accenno di sorriso visibilmente impresso sulle labbra alla serata precedente trascorsa con la svizzera e al gran numero di pettegolezzi che avevano condiviso. Ora faticava a posare lo sguardo su alcuni degli altri ospiti – così abilmente descritti dalla voce vellutata di Anjali che non riconoscerli sarebbe stato impossibile – senza accennare una debole risata, ma fece del suo meglio per apparire imperscrutabile e non fare in modo che i presenti pensassero che si stesse facendo beffe di loro. Cosa che in effetti corrispondeva alla realtà, ma non teneva a farglielo sapere.
Anjali Kumar era diversa da qualsiasi altra ragazza avesse mai conosciuto, ed era piuttosto sicuro che nessuna – o nessuno, a voler ben vedere – lo avesse mai colpito così tanto dal primo momento. Non solo per il suo innegabile bell’aspetto, quello era un dato di fatto oggettivo chiaro a chiunque, c’era qualcosa in lei, nel modo in cui parlava o sorrideva, che gli rendeva difficile smettere di pensarci.
Il gomito piantato sul tavolo e la mano destra a sorreggergli il mento, Alphard stava ripensando con un che di sognante nello sguardo alle piccole e delicate mani della strega strette nelle sue quando un ragazzo dai tratti asiatici e lisci capelli argentei passò accanto al suo tavolo, superandolo con le mani sepolte nelle tasche dei pantaloni neri.
Artemy gettò una rapidissima occhiata ad Alphard e accennò un sorrisetto, certo di poter intuire che cosa stesse occupando la mente del bel mago, prima che i suoi occhi scuri indugiassero su una strega che sedeva sola e che stava sfogliando un giornale scritto in inglese che lui non conosceva.
“Ciao. Posso sedermi?”
Quando si fermò davanti al suo tavolo Medea sollevò lo sguardo dal giornale per posare i grandi occhi scuri su di lui, accennando un sorriso prima di annuire e chiudere il numero della Gazzetta del Profeta ripiegandolo su se stesso:
“Puoi smetterla di chiedermelo, a questo punto.”
“Grazie. Stai aspettando la colazione o devi ancora ordinare?”
“Già ordinato, e spero si sbrighino perché sto morendo di fame.”
Anche Artemy moriva dalla voglia di mettere qualcosa sotto i denti, soprattutto perché la notte precedente non aveva dormito molto e in compenso fatto ben altro, e attese paziente di poter ordinare mentre indirizzava un sorriso sornione verso Medea:
“Allora, visto che abbiamo fatto un accordo al Casinò… mi vuoi raccontare perché sei qui? Ho proprio voglia di iniziare la giornata con una bella storiella.”
“Mh, è troppo presto per i pettegolezzi e soprattutto, come dice sempre la mia saggia nonnina, non si possono raccontare segreti a stomaco vuoto, è necessario riempirlo prima o nel mentre.”
Quella era decisamente una prospettiva che Artemy non aveva mai considerato, ma dopo una breve riflessione il ragazzo dovette ammettere di trovarla molto sensata, e annuì serio mentre guardava Medea gettare occhiate a destra e a sinistra, sperando che uno dei camerieri si avvicinasse con la sua colazione da un momento all’altro:
Tua nonna sembra una donna molto saggia.”
“Quale nonna non lo è? Ma la mia è, modestamente, la migliore di tutte. Io ho preso da lei.”
“Non ne dubito.”

 
*

 
“Com’è che ti vedo così di buonumore questa mattina, Anji?”
Joël ripose il bicchiere di vetro ormai pieno solo a fino a metà di iced coffee senza distogliere lo sguardo da Anjali, che gli sedeva di fronte al tavolino bianco circolare che avevano occupato sulla terrazza del ristorante. Gli occhi chiari protetti dalle lenti scure degli occhiali da sole, Joël osservò divertito l’amica appoggiare con grazia la tazza bianca di cappuccino freddo sul piattino senza riuscire a far sparire del tutto il sorriso dalle proprie labbra: era successo qualcosa, Joël ne era sicuro. Non che Anjali fosse una di quelle persone totalmente intrattabili al mattino, ma di norma non se ne andava nemmeno in giro a dispensare tutti quei sorrisi a chiunque. Specialmente quando faceva così caldo.
“Nessun motivo in particolare, è solo che la colazione è il mio pasto preferito della giornata, la colazione in Hotel, si sa, è una delle grandi piccole gioie della vita… e quindi sono di buonumore.”
“Certo, come no. Sei così di buonumore che potrei anche dirti di aver rimorchiato un intero locale del centro per poi scaricare tutti senza nessuna pietà qualche ora dopo, e non ti arrabbieresti?”
“No, neanche il tuo tremendo comportamento potrebbe rovinarmi l’umore, Joël caro. Non oggi.”
“Allora non me la bevo, è successo qualcosa. Ieri sera hai incontrato un qualche erede dei Grimaldi che ti ha chiesto la mano dopo essersi innamorato di te a prima vista?”
Joël, non essere ridicolo, quello è successo due anni fa, cosa vai dicendo! No, sono uscita a cena con Alphard Vostokoff, ieri sera.”
Anjali parlò sfoggiando la massima noncuranza di cui era capace e distogliendo lo sguardo dall’amico per indirizzarlo verso lo scorcio di Mediterraneo offerto dalla terrazza, ma Joël sembrò ignorare completamente la sua finta nonchalance e parlò sfilandosi gli occhiali da sole dal viso per poter guardare meglio l’amica con gli occhi chiari spalancati:
“Aspetta, intendi quello del Casinò? Il tizio che ti faceva gli occhi dolci del liquore degli scorpioni che io e Sabrina abbiamo assaggiato? Perché non me lo hai detto? Tu guarda la piccola Anji, mi fa sempre la predica e poi appena mi volto è lì che fa la bricconcella.”
Joël prese il bicchiere per riportarselo alle labbra mentre si sistemava comodamente contro lo schienale della sedia, il migliore dei suoi sorrisetti beffardi impressi sulle labbra mentre Anjali, pentitasi amaramente di avergli accennato la cosa, gli scoccava un’occhiata torva da sopra le lenti degli occhiali da sole firmati Chanel:
“Mon Dieu, voi due che bevete liquori? Vi eravate drogati, quella sera?! E comunque, non definirmi mai più “bricconcella”.”
“Sabrina non voleva, ho insistito io. Ho ritenuto di doverlo assaggiare per poter promuovere il tuo nuovo amichetto e a questo punto direi che ho fatto bene. Allora, come è andata?”
Naturalmente Joël, che la conosceva bene da anni, sapeva benissimo che Anjali, di natura molto riservata sulla proprie relazioni personali, non gli avrebbe raccontato un solo dettaglio della serata precedente, ma la tentazione di stuzzicarla e di parlare con aria volutamente maliziosa era troppo forte, pertanto il musicista si stampò sulle labbra il suo sorrisetto più fastidioso e si sporse leggermente sul tavolo, verso di lei, per guardarla sbuffare e scuotere la testa con evidente irritazione:
“Levati quel sorrisetto malizioso e quel tono allusivo. Non è successo niente e se anche così fosse stato non lo verrei di certo a raccontare a te.”
“La solita pudica barbosa… Ma se questo tizio dovesse rivelarsi come Georges, fammelo sapere, così posso ficcarlo dentro il mio sax.”
 

 
*
 

“Quindi vuoi che andiamo… con questa?”
Meadow e Asher stavano in piedi sul marciapiede che costeggiava Avenue de la Madone in tutta la sua lunghezza, a pochi metri di distanza dai gradini che conducevano all’ingresso del Le Mirage. Silas, in piedi davanti ai due, annuì con un sorriso entusiasta mentre indicava ciò che aveva appena tirato fuori dal garage interno della struttura: uno dei gioielli di suo padre, una vespa azzurrina con tanto di sidecar.
“Non è meravigliosa? Io l’adoro e mio padre non me la fa mai guidare, ma quest’anno non c’è, quindi non può avere nulla da ridire. Fidatevi, andare lassù è una scarpinata in salita che mi sarete grati di avervi risparmiato, soprattutto sotto il sole di luglio.”
“Su questo non ho dubbi e mi piace tantissimo questa moto, ho dubbi sulla tua capacità di guida. La sai guidare?”
La tentazione di farci un giretto era tanta, del resto non era mai salita su una moto con sidecar in tutta la sua vita e la Vespa era splendida, ma Meadow continuò ad osservare la moto vintage con cipiglio dubbioso, le braccia esili e coperte da un maglioncino rosso strette al petto mentre Asher, accanto a lei, si grattava il mento e Silas invece sorrideva allegro:
“Certo! Con questa faremo prima, la mia Porsche è molto più ingombrante… E così potrete anche guardarvi attorno e prendere aria. Vi offro anche un viaggetto panoramico, cosa chiedere di più?”
Sopravvivere.”
“Cosa Meadow?”
Niente. Ce li hai i caschi?”
“Ne ho uno per entrambi. Meadow, tu monti dietro di me, Asher sul sidecar. Arriveremo in cima in un lampo lampante.”
 
Asher e Meadow si stavano infilando i caschi bianchi quando Sabrina, apprese le intenzioni del fratello da Michel, corse fuori dalla porta a vetri per precipitarsi sui gradini in cerca di Silas, sospirando di sollievo quando appurò che non era ancora partito: la strega puntò dritta verso di lui, percorrendo i pochi metri di marciapiedi che la dividevano dal terzetto mentre Silas, avvistandola, cercava invano di nascondersi all’interno del sidecar.
“Silas!”
Ma come ha fatto tua sorella a correre così sulle scale con i tacchi?! Dev’essere un’aliena proveniente da un pianeta popolato solo da persone di bellissimo aspetto.”
Asher avrebbe anche potuto ridacchiare per il commento sussurrato da Meadow, o per lo sguardo ammirato che la ragazza rivolse a Sabrina mentre la bella strega si avvicinava, ma qualcosa nello sguardo preoccupato di Silas lo costrinse a restare serio e in religioso silenzio, pregando che la Direttrice non si sfilasse un tacco per lanciarlo contro il minore:
“Silas, che stai facendo?! Michel mi ha detto che vuoi portare i tuoi amici in giro con la Vespa di papà!”
“Li porto al Museo, non sono neanche dieci minuti di strada… Ti prego Sabs, a piedi moriremmo tutti di caldo prima di arrivare in cima, lo sai bene.”
Già, nessuno lo sapeva meglio di lei, visto che aveva percorso la strada dall’Hotel fino al Museo più volte di chiunque altro. Sabrina sospirò mentre i suoi occhi scuri indugiavano sulla Vespa, facendola ritornare indietro nel tempo di molti anni, quando in estate suo padre la scarrozzava in giro per Monaco in sella a quella moto, davanti a lui, oppure facendola sedere direttamente all’interno del sidecar, spesso insieme a sua madre. Sabrina non serbava alcun ricordo dei suoi genitori quando erano ancora una coppia, si erano lasciati quando lei era troppo piccola, ma Sandrine spesso aveva insistito per accompagnare la figlia in quei brevi viaggi, asserendo di “non fidarsi affatto di lasciarla sola con suo padre”. In pratica, gli sporadici ricordi legati a quella Vespa erano tra i pochi che la vedevano fare qualcosa con entrambi i suoi genitori.
“Distruggi questa moto e te ne faccio pentire. E mettiti il casco, è pericoloso!”
“Ma ne ho solo due. Non preoccuparti Sabs, i miei ricci attutiranno ogni possibile colpo!”
“Silas, anche se sei tecnicamente adulto, se dovessi fracassarti la testa da qualche parte papà e tua madre darebbero come al solito la colpa a me, visto che sono visibilmente l’unica responsabile dei due. Mettiti. Un. Casco.”
Con quelle parole Sabrina si voltò dando le spalle al fratello, ma si era allontanata solo di un paio di passi quando sembrò ricordarsi di qualcosa e si fermò per rivolgerglisi nuovamente, osservandolo con lo stesso sguardo impenetrabile di poco prima:
“Un’ultima cosa. Quando arrivate all’ingresso, digli che sei mio fratello. Così entrerete senza pagare.”
“Davvero? Grandioso! Posso fare il tuo nome in qualche altro posto, come quei club super costosi del centro?”
No.”
Sabrina sospirò e girò definitivamente sui tacchi per allontanarsi a grandi passi verso l’Hotel, salendo rapidamente i gradini e salutando Benoit con un cenno teso prima di sparire dietro le porte di vetro dell’ingresso. Perché tra i due, tutto il senso di responsabilità era spettato proprio a lei? A volte le sarebbe piaciuto essere incosciente come suo fratello, invece di essere condannata al ruolo di sorella maggiore responsabile.
Giunta di nuovo al bancone della reception, la strega sbuffò sonoramente prima di iniziare a scorrere nervosamente il registro degli ospiti per dare un’occhiata ai check-in previsti, non badando all’occhiata dubbiosa che Michel le stava rivolgendo prima di iniziare a borbottare tra sé:
E al colpa di chi è?! Di mio padre ovviamente, come al solito, che è uguale a lui e che da tutta la vita fomenta le aspettative di tutti su quanto io debba essere non solo la figlia che non sbaglia mai, ma anche la povera idiota che deve sempre risolvere i casini di Silas. Ha 26 anni, ma puoi star sicuro che se si facesse male o se dovesse distruggere la Vespa se la prenderebbero con me per avergli permesso di farlo, non con il povero Principe Ereditario. Ma non importa, tanto se dovesse uccidersi con la Vespa poi io lo ucciderei di nuovo.”
“… Sabs, vuoi che ti porto un muffin?”
“C’è anche bisogno di chiederlo?!”
 
 
Beh, è andata male con la questione dei club, ma io ci ho provato. Forza voi due, salite, prima arriviamo e meno ci scioglieremo per colpa di questo caldo!”
Silas assestò un colpetto al sellino della Vespa sfoggiando un largo sorriso, lasciando che Meadow montasse prima di lui mentre Asher, indeciso se sentirsi emozionato o preoccupato, s’infilava nel sidecar.
“Bene, tenetevi forte, perché è tutta in salita!”
A quelle parole Meadow si voltò verso Asher e i due si osservarono in silenzio per qualche istante mentre Silas metteva in moto, finchè Meadow non allungò una mano verso l’americano affinché Asher la stringesse.
 
 
Silas, Asher e Meadow erano appena partiti in sella alla Vespa di Gideon quando Pierre giunse nella Hall tenendo una lettera in mano e con il fiatone, spalancando la porta che dalla stanza permetteva di accedere all’area dell’edificio dove vivevano Sabrina e il padre. Era proprio Sabrina che l’uomo stava cercando, e fu con gran sollievo che la vide dietro al bancone della reception, affrettandosi a raggiungerla prima di fermarlesi davanti sventolando la lettera con aria trafelata e gli occhi cerulei spalancati:
“Miss Sabrina, c’è… c’è una lettera.”
Qualcosa di grave? Gideon sta male?!”
“No Miss, peggio, peggio!”
Pierre non perdeva quasi mai il suo aplomb, e la preoccupazione della strega nel vederlo arrivare con tutta quell’urgenza aumentò a dismisura quando lo sentì dichiarare che le notizie che portava erano ancor più gravi di apprendere di un ipotetico malessere di suo padre. La strega spalancò gli occhi castani mentre anche Michel, accanto a lei, guardava allibito il mago:
“Cosa può esserci di peggio?! … Mon Dieu, ci fanno chiudere perché mio padre è segretamente pieno di debiti?!”
Peggio!”
“Peggio?! Pierre, parla! … Se mi dici che mio padre ha fatto un altro figlio rimasto segreto per vent’anni e che là fuori c’è un Silas II La Vendetta, giuro che mollo tutto e mi trasferisco in un altro continente.”
Ma Pierre non aveva il coraggio di dirlo, né di ammettere quell’errore imperdonabile, così si limitò a deglutire e a porgerle la lettera prima di chinare il capo, profondamente dispiaciuto e a disagio. Si limitò a sussurrare un “Sta arrivando” mentre Sabrina, accigliata, si apprestava a leggere la lettera insieme a un Michel ormai totalmente incuriosito.
A differenza di Michel, tuttavia, Sabrina non ebbe nemmeno bisogno di leggere che le prime due righe: bastò la visione di quella grafia per farle iniziare a percepire un inizio di giramento di testa. Il suo peggior incubo si stava materializzando.
“Non… Non può essere. Non può arrivare oggi!”
“Sabrina, non ti agitare, c’è bisogno che resti lucida. Pierre, fa’ apparire una sedia prima che Sabrina svenga! E qualcuno porti un muffin!”

 
*

 
Monaco-Ville

 
“Sai qual è l’aspetto migliore di visitare chiese e cattedrali, Anji?”
Joël inforcò nuovamente gli occhiali da sole mentre usciva dalla Cattedrale della Città Vecchia, scrutando brevemente la piazza sulla quale la grande chiesa si affacciava prima di voltarsi e allungare la mano destra verso la sua amica, che lo seguì all’esterno senza smettere di farsi pigramente aria con un ventaglio bianco:
“Direi il fatto che ci sia da sedersi e che faccia sempre più fresco che all’esterno, Joël.”
La strega accettò la mano che l’amico le porgeva, lasciandosi aiutare a scendere i grandini di pietra – arcinemici giurati dei suoi sandali, e Anjali non teneva affatto a scivolare e a rompersi l’osso del collo, o peggio fare brutta figura davanti a turisti e monegaschi –
“Precisamente. Ma immagino che tu sia venuta anche per vedere dove è sepolta Grace Kelly.”
“Naturalmente. Povera Principessa, era così bella, così giovane… Nonché la mia più grande icona di stile. È così triste che se ne sia andata in quel modo. Sabrina mi ha detto che al Palazzo c’è un’area con un’intera mostra dedicata solo a lei, ci devo assolutamente andare. Chissà se esporranno alcuni dei suoi vestiti!”
Un sorriso increspò le labbra carnose di Anjali, e il suo sguardo si fece improvvisamente sognante mentre lei e l’amico scendevano gli ultimi gradini che conducevano all’ingresso della Cattedrale; anche se Joël non poteva scorgerle gli occhi, coperti dalle lenti scuri degli occhiali a farfalla, intuì quale espressione le si fosse figurata sul viso e accennò un sorriso di rimando, perfettamente in grado di immaginare che cosa avrebbe potuto combinare la sua amica:
“Basta che tu tenga a mente di non poterli rubare, Anji.”
“Ma per chi mi hai preso? Plouc(2)…”
Joël stava per chiedere all’amica di ripetere la gentile parola che gli aveva appena rivolto, ma il curioso rombo di un motore spezzò il silenzio che aveva avvolto la piccola piazza in una bolla di pace, ed entrambi si voltarono, perplessi, verso la fonte del rumore. Era raro vedere qualcuno muoversi con dei mezzi a motore nella parte più alta della Città Vecchia, e Joël non seppe se iniziare ridere o limitarsi ad osservare sbigottito la vespa con sidecar azzurrina con tre ragazzi a bordo che stava attraversando la piazza. Uno dei tre, quello alla guida, aveva in effetti un’aria vagamente familiare.
“Ma quello non è…”
Oui. Est Silas St John.
Anjali precedette la sua domanda, limitandosi ad osservare a sua volta il bizzarro trio sfrecciare davanti a loro con una ruga in mezzo alla fronte: portavano tutti e tre gli occhiali da sole e la ragazza seduta dietro a Silas sul sellino della Vespa aveva un casco bianco allacciato sotto al mento, così come il ragazzo che sedeva sul sidecar e che aveva visibilmente un’aria molto preoccupata. La ragazza teneva inoltre una cartina in mano con la mano libera, mentre con l’altra si stringeva a Silas, e Anjali e Joël la sentirono chiaramente ammonire il guidatore per aver sbagliato strada un’altra volta.
“Ma tu non vieni qui ogni estate?!”
“Sì ma di solito vado in spiaggia o nei locali, che colpa ne ho!”
“Silas, attento al gatto!”
“Ecco, ora un gatto nero ha anche attraversato la strada davanti a noi, è un chiaro segno che indica che moriremo tutti!”
I tre ragazzi sfrecciarono davanti a loro e alla Cattedrale evitando per un soffio un gatto nero e attirando su di sé gli sguardi di tutti i presenti, ma non sembrarono farci caso – a parte forse Asher –  e Meadow continuò a dare indicazioni finchè la Vespa non sparì tra gli edifici, lasciandosi indietro solo l’eco del rombo del motore.
Quando nella piazza tornò il silenzio Joël e Anjali restarono in silenzio per un altro minuto, osservando il punto in cui la Vespa era sparita finchè il mago, le sopracciglia aggrottate, non disse qualcosa:
Beh, questa non me l’aspettavo.”
“Neanche io Joël caro, Abbiamo assistito ad un reboot francese di Vacanze Romane. Affascinante. Peccato che Sabrina non ci sia, lei adora quel film. Anche se forse le sarebbe venuto un colpo ad assistere a questa scena, quindi da una parte è meglio così. Non avevo mai visto una Vespa con il sidecar… Spero che non la distruggano. Bene, ora cosa vogliamo fare? Mi fanno male i piedi!”
“Ma se hai messo i sandali senza tacco?!”
“Appunto, non sono abituata alle scarpe basse. Ma come fa la gente a portarle?!”
“A neanche cinque minuti c’è il miglior punto panoramico di Monaco, in Rue des Remparts… Andiamo, ci godiamo la vista e poi andiamo a berci qualcosa di fresco, ti va?”
“Va bene, ma voglio andare a Cafè de Paris, sai che è il mio preferito della città. E per tornare ovviamente andiamo in taxi, io mezz’ora di cammino sotto questo sole non me lo faccio, o ne potrei morire.”
Anjali annuì con aria grave prima di riprendere a farsi aria con il suo ventaglio, ignorando la platealità con cui Joël alzò gli occhi al cielo prima di prenderlo sottobraccio e seguirlo, lasciandosi condurre verso il punto panoramico da cui si poteva scorgere il porto e la parte più bassa della città.

 
*

 
Sabrina trangugiò l’ennesimo bicchiere d’acqua ghiacciato passatole da Michel prima di tornare a spazzolarsi nervosamente i corti capelli scuri usando una minuscola spazzola da borsetta. Il tutto senza smettere di camminare neanche per un istante snocciolando ordini a destra e a sinistra controllando che tutto fosse in ordine, con Pierre che le correva dietro scusandosi a profusione per il suo imperdonabile errore.
Era una vera fortuna, se non altro, che Silas in quel momento fosse uscito. La sua presenza combinata alla situazione attuale le avrebbe sicuramente provocato un inizio di esaurimento nervoso.
“Quei vasi di fiori sono tutti storti, raddrizziamoli per favore. Vite, vite vite, sta arrivando! Che giornata de merdeAvete allineato le sedie ai tavoli?! E i cuscini dei divanetti del bar sono sprimacciati?! Oddio, mi sono dimenticata di portare Pascal da Genevieve!”
All’improvviso Sabrina si fermò portandosi le mani alla bocca, guardando inorridita un punto indefinito davanti a sé mentre Michel e Pierre, fermatisi a loro volta, la guardavano con apprensione crescente. Michel era sicuro che l’amica fosse vicinissima allo svenire, o al mandare tutti a quel paese e andarsene allee Bahamas, così le si avvicinò e le strinse entrambe le spalle con le mani, costringendola a guardarlo:
“Sabrina, calmati. Pascal da Genevieve ce lo porto io.”
Non ti sognare neanche a lasciarmi sola, tu mi servi. Pierre, smettila di scusarti, non posso avercela con te e ti ho già perdonato, ma per favore porta Pascal da Genevieve.”
La strega quasi non finì di parlare prima che Pierre corresse via, e a Sabrina non restò che sospirare e a gettare un’occhiata al suo orologio da polso.
“Ha detto che sarebbe arrivata alle 11. E lei non tarda mai, è sempre puntuale in maniera snervante. Perciò suppongo che a brevissimo sarà qui.”
Michel fece per ricordare all’amica un piccolo dettaglio, ovvero che anche lei era nota per la sua puntualità quasi maniacale, ma qualcosa glielo impedì – e a posteriori, il mago si sarebbe detto che era stato molto meglio così –: un paio di camerieri in divisa sfrecciarono verso di loro per raggiungere la sala del ristorante – in quel momento messa completamente a soqquadro dalla magia che la stava pulendo –, superandoli di corsa e dicendo qualcosa che fece gelare nelle vene il sangue di Sabrina:
“Est arrivée!”
Michel notò l’espressione grave e al tempo stesso rassegnata sul volto dell’amica e non esitò a metterle una mano sulla spalla mentre un paio di facchini si precipitavano verso la porta d’ingresso dell’Hotel per uscire all’esterno. Altri, invece, sembrarono intenzionati ad evitare la nuova arrivata perché si diedero praticamente alla fuga verso la spa, la piscina interna e il bagno arabo.
“Coraggio Sabs, puoi farcela.”
“È bello che almeno uno di noi due ne sia convinto. Ok, andiamo.”
La strega annuì come per autoconvincersi che non sarebbe stata poi una gran tragedia, e si diresse insieme a Michel verso il centro della Hall per aspettare che la loro nuova ospite facesse il suo ingresso nell’edificio.
Quando vide una donna alta, mora e abbronzata varcare la soglia dopo aver salutato Benoit con un sorriso, seguita da una schiera di valige preoccupantemente lunga, Sabrina trasse un lungo e profondo sospiro: la parte più difficile della sua estate poteva avere inizio.
La donna, che indossava un elegantissimo e leggero completo di lino bianco, si fermò davanti a lei e a Michel prima di sfilarsi lentamente gli occhiali da sole dal viso abbronzato, mostrando un paio di occhi scuri finemente truccati. Dopo aver scrutato i due per un paio di istanti, un sorriso prese lentamente a farsi largo sulle labbra della donna, che allargò leggermente le braccia in direzione di Sabrina:
“Mon petit trésor!”
“Ciao Maman.”
Sandrine era arrivata al Le Mirage, e mentre la donna l’abbracciava Sabrina si chiese se sarebbe riuscita ad arrivare sana di mente alla fine di quella lunga, lunghissima, estenuante estate.

 
*

 
La vista dell’umilissimo Cafè de Paris che si affaccia sul Casinòcafe-de-paris
 
 
“Allora, sei uscito con qualcuna, o qualcuno, negli ultimi giorni?”
Anjali scoccò un’occhiata indagatrice a Joël da sopra il calice di Mimosa che si era portata alle labbra dopo aver parlato, guardandolo giocherellare con la sua tazza di caffè ormai vuota mentre scrutava la Piazza del Casinò che si estendeva davanti ai loro occhi. Il Cafè de Paris era considerato da molti il punto migliore per guardare la Piazza, visto e considerato che dai tavolini all’esterno si poteva ammirare tutto il complesso architettonico del Casinò, nonché il caffè più caro della città, pieno di turisti eleganti carichi di borsette patinate. Non era esattamente il posto che Joël preferiva in tutta Monte Carlo e spesso ci si sentiva un pesce fuor d’acqua, ma Anjali lo adorava, pertanto si ritrovata ad esserci trascinato almeno una volta all’anno.
“No, in realtà no. Perché, hai qualcuno da presentarmi?”
“Oh, certo, dopo che hai spezzato il cuore a quasi tutte le mie amiche della scuola fremo dalla voglia di presentarti qualcuno.”
Anjali rimise il bicchiere sul tavolo roteando gli occhi al cielo con disapprovazione, gli occhiali da sole infilati tra i lunghi capelli scuri mentre si godeva la frescura offerta dall’ombra e dagli enormi ventilatori bianchi che rinfrescavano i clienti seduti all’esterno. Joël non rispose, limitandosi a strizzarle l’occhio prima che un cameriere si avvicinasse ai due reggendo un vassoio: il ragazzo appoggiò, con la sorpresa di entrambi, due bicchieri di Mojito sul loro tavolo, asserendo che “li offrisse il signore”.
Perplessi, Joël e Anjali si voltarono sincronicamente verso la direzione indicatagli dal cameriere, ritrovandosi a ricambiare lo sguardo di un bel ragazzo dai capelli biondi che, ad occhio, doveva avere un paio d’anni più di loro e che indirizzò un sorriso e un cenno educato di saluto nella loro direzione.
“Gentile, ma io non bevo alcol, quindi sono tutti e due tuoi.”
Tornato a concentrarsi sul loro tavolo, Joël spinse gentilmente il secondo bicchiere di vetro verso quello di Anjali, che sospirò prima di accingersi a finire il suo Mimosa, trovando un po’ di sollievo per il caldo con il drink ghiacciato.
“Fantastico, bel modo di tornare ubriaca all’Hotel… Beh, comunque questi gesti di apprezzamento fanno sempre piacere.”
“Scusa, chi ha detto che era per te, la galanteria? Magari gli piacevo io.”
“Non dire stupidaggini!”
“E perché dovrebbe essere una stupidaggine?!”
“… Non lo so, ma sicuramene gli piacevo io.”
“Povera Anji, non può accettare che per una volta tutti non facciano gli occhi dolci solo a lei!”
“Zitto, o ti affogo nel Mojito!”
 
I due stavano discutendo a proposito dello sconosciuto e di chi di loro avesse attirato la sua attenzione quando Anjali scorse una figura nota costeggiare la grande piazza e, dimenticandosi momentaneamente della sua accesa diatriba con l’amico, sorrise e levò una mano in segno di saluto:
“Signor Wellick! Salve. Venga a sedersi con noi, fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa. Sai Joël, penso che l’anno prossimo verrò in inverno, il caldo è davvero insopportabile!”
Mentre Joshua si avvicinava al duo Anjali, che nel frattempo aveva vuotato il bicchiere di Mimosa e si stava accingendo ad iniziare il suo Mojito, parlò sventolandosi pigramente con il ventaglio e scuotendo la testa in segno di profonda disapprovazione. 
“Buongiorno Signorina Kumar. Noi ci siamo conosciuti al Casinò, vero?”
Raggiunto il tavolo dei due, prima di sedersi sulla sedia libera Joshua porse la mano a Joël, che annuì e accennò un sorriso prima di stringerla:
“Sì, sono Joël Moyal, quello che ha perso con grande sportività. Anji, ma chi viene qui in inverno?!”
“Io. Lancerò una nuova moda. Vuole un Mojito, Signor Wellick? Ci sono stati offerti, ma il mio amico Joël non beve alcolici e io non vorrei ubriacarmi prima di pranzo, ho già bevuto un Mimosa.”
Mentre Joshua prendeva posto tra lei e Joël Anjali gli avvicinò il bicchiere di Mojito ghiacciato ancora intatto, quasi sperando che l’uomo lo accettasse per non dover fare ritorno all’Hotel incapace di camminare in linea retta e magari imbattersi in Alphard in quelle condizioni. Per fortuna Joshua accennò un sorriso e annuì, accettando di buon grado il drink mentre Anjali tirava mentalmente un sospiro di sollievo.
“Grazie. Siete stati in giro, stamani?”
“Sì, abbiamo molto coraggiosamente sfidato il caldo, ma in fondo è meglio uscire di mattina, che di pomeriggio…”
“Per caso vi siete imbattuti in uno strano trio in Vespa? Mia nipote stamattina è uscita col figlio del proprietario e sono un po’ preoccupato.”
Joshua intuì che la risposta era affermativa ancor prima che i due potessero parlare: gli bastò guardarli esitare e scambiarsi un’occhiata incerta.

 
*

 
Museo Oceanograficomuseo


 
Silas – come chiunque altro, a voler ben vedere – glielo aveva detto chiaro e tondo, che il Principato di Monaco era pieno di soldi, e se Asher aveva compreso immediatamente quanto quel posto fosse una meta abituale per gente molto benestante dai ristoranti e dalle boutique di lusso che affollavano le scale in salita e in discesa, non se ne rese conto appieno finchè non mise piede nel famoso Museo Oceanografico della città insieme a Meadow e al loro bizzarro Cicerone. La stessa facciata del mastodontico palazzo bianco, interamente costruito su uno strapiombo sul Mediterraneo, era riuscita ad impressionarlo considerevolmente, e la meraviglia di Asher, cresciuto nel Massachusetts e poco avvezzo ad ambienti e panorami di quel genere, non fece che aumentare man mano che lui e i due compagni si addentravano nell’enorme museo.
Fare il nome di Sabrina si rivelò molto utile, perché non pagarono alcun biglietto d’ingresso e riuscirono persino a saltare la fila, superando famiglie e gruppi di amici che riversarono loro sguardi pieni di stizza mentre i tre li superavano allegramente dopo aver parcheggiato la preziosa e amata Vespa di Gideon – miracolosamente ancora incolume –. La stessa espressione del bigliettaio, da seria, annoiata e inespressiva, mutò radicalmente quando Silas fece il nome di Sabrina, tanto Asher quasi si spaventò nel vedere l’uomo di mezza età dai folti capelli grigi sfoggiare all’improvviso un enorme sorriso a trentadue denti prima di chiedere al ragazzo di porgere i suoi saluti alla sua splendida sorella.
“Ora ho capito tutti, i St John sono la lobby di Monte Carlo.”
Silas scoppiò a ridere nel sentire Meadow pronunciare quelle parole mentre varcavano la soglia del Museo, ma a giudicare dalla sua espressione seria Asher ebbe la sensazione che la strega non stesse affatto scherzando.
Di norma avrebbero dovuto prima visitare il Museo e poi l’acquario, ma Meadow agguantò i due e li trascinò subito verso l’area che ospitava le enormi vasche piene d’acqua e pesci di ogni genere, decisa ad occuparsi prima della “parte più divertente”.
“Non ero mai stato in un acquario! C’E’ NEMO!”
Reprimendo a fatica un gridolino felice e senza riuscire a celare la meraviglia, Asher corse verso la vasca dei pesci pagliacci e quasi spalmò faccia e mani contro il vetro per osservare al meglio i graziosi pesciolini bianchi e rossi, stentando a credere di averne uno vero davanti.
“Ci sono TANTI Nemo! Che carini, sono bellissimi!”   Gli occhi chiari a cuore, Asher indicò una frotta di pesciolini nuotare verso il vetro, districandosi tra conchiglie e coralli mentre Meadow, alle sue spalle, osservava dubbiosa una vasca buia e apparentemente vuota. Si stava chiedendo dove fossero finiti i teneri pesciolini colorati che avrebbe voluto salutare – non poteva certo lasciare ad Asher il primato di “amico dei pesci” – quando scorse un paio di orribili affari simili a grossi serpenti dagli inquietanti occhi chiarissimi – che la fissavano inequivocabilmente, facendole accapponare la pelle – emergere dal fondo sabbioso della vasca.
Meadow si ritrasse d’istinto, scontrandosi con Silas prima di affrettarsi ad agguantarlo per usarlo come scudo umano, mettendolo tra sé e il vetro della vasca buia senza riuscire a smettere di fissare quelli che avrebbe sempre ricordato come “serpentacci schifosi”.
“Che cosa sono quei pesci cessi?! Sono disgustosi e mi fissano in modo inquietante!”
Richiamato dalla voce di Meadow, Asher distolse lo sguardo dai teneri pesci pagliacci per osservare a sua volta la vasca che stava alle sue spalle, spalancando gli occhi chiari prima indicarla: anche quelli avevano un’aria molto familiare, e seppe subito per quale motivo.
“SONO QUELLE DELLA SIRENETTA! Quelle di Ursula!”
“Chi?!”
“La strega del mare!”
“CHI?!”
“Lascia stare, magari riusciamo a vederlo uno di questi giorni. Potremmo fare un pigiama party!”
Asher capì subito di aver avuto un’idea meravigliosa, e non riuscì a reprimere un larghissimo sorriso mentre Meadow, dimenticandosi momentaneamente del recente incontro ravvicinato, spalancava gli occhi scuri prima di ricambiare il sorriso, annuire e avvicinarglisi per stringergli entrambe le mani con le proprie dichiarando il suo totale consenso per quell’iniziativa. I due stavano quasi saltellando sul posto, preda dall’entusiasmo e parlando all’unisono a proposito di ciò che avrebbero potuto mangiare e guardare, mentre Silas, avvicinatosi alla targa illustrativa appesa alla parete adiacente alla vasca, controllava con curiosità i nomi dei pesci che avevano terrorizzato la sua amica:
“Qui dice che si chiamano “Murene”. Scusate ragazze, siete proprio proprio brutte.”
“Dovrebbero chiamarle Cessene! Sappiate che se dovessero esserci nel film che Asher vuole farci vedere dovrò abbracciare uno di voi due, penso che avrò molta paura.”
 
La visita procedette tra le vasche di un gran numero di specie di meduse, deliziosi pesci tropicali coloratissimi, squali di diverse specie – nell’attraversare il corridoio buio a loro dedicato Silas si ritrovò sia Meadow che Asher appiccicati come francobolli, ma decise di soprassedere – e tartarughe marine, finchè i tre non ebbero completato il giro dell’acquario sotterraneo. Fu di nuovo Meadow a trascinare i due nuovamente ai piani superiori dopo aver letto che il Museo custodiva l’intero scheletro di una balena lungo 18 metri, e cinque minuti dopo i tre stavano in piedi uno accanto all’altro in una enorme sala del piano terra, le bocche semiaperte a gli occhi puntati all’insù, dritti sullo scheletro appeso al soffitto che li sovrastava.
“Porco Godric, sarà grande quanto la nostra Sala Comune, Meadow!”
Pensa se dovesse caderci sopra!”
All’improvviso Asher non sentì più la spasmodica voglia di contemplare quella che un tempo era stata una magnifica balena, e decise di dileguarsi per andare a curiosare nell’altra stanza del pian terreno. Attraversato l’immenso atrio calpestando il parquet del pavimento – così lucido che avrebbe potuto specchiarcisi, e infatti Silas pensò bene di controllare lo stato dei suoi capelli mentre seguiva l’amico insieme a Meadow –, l’ex Magicospino giunse in una seconda sala immensa, questa volta trovandoci non uno scheletro ma la bellissima ricostruzione interamente in rovere di una vera e propria nave.
Per qualche istante nessuno dei tre parlò: si limitarono a restare uno accanto all’altro in contemplazione, esattamente come pochi minuti prima, finchè tre parole non si librarono in un sussurro dalle labbra dischiuse di Asher.
Non. Ci. Credo.”
“Sarà lunga 30 metri, cazzo!” Silas non tardò a fargli eco osservando la nave con occhi sgranati, meravigliato, mentre Meadow, accigliata, si voltava verso di lui per osservarlo come se all’improvviso si stesse rendendo conto di essere amica di un perfetto cretino:
Tu vieni qui ogni estate e non sei mai venuto in questo posto? MA SEI SCEMO?!”
“Mia sorella me lo dice ogni anno, ma io credevo che fosse noioso come i musei normali!”
Ragazzi, qui dice che si può salire sul ponte della nave e che dentro ci sono anche dei giochi interattivi da fare!”
Emozionato come se fosse Halloween, in assoluto la sua festività preferita, Asher indicò con un sorriso e gli occhi chiari luccicanti il cartello collocato all’ingresso della sala attirando anche gli sguardi dei due amici, che si scambiarono un’occhiata prima che Meadow afferrasse prontamente Silas con un braccio:
“Non ce ne andremo da qui finchè non avremo provato ogni singolo gioco interattivo di questa sala, ma prima… Silas, andiamo a fare la scena di Titanic. Asher, facci un video!”
Mentre i due schizzavano verso la barca per cercare il punto d’ingresso e le scale che li avrebbero condotti sul ponte Asher si affrettò a cercare il suo telefono, deciso ad accontentarli. Stava aspettando di vederli a prua quando l’occhio gli cadde su un paio di ragazzini che stavano ascoltando delle spiegazioni sulle esposizioni direttamente dall’ologramma bluastro di uno scienziato, portandolo a sbattere interdetto ripetutamente le palpebre per assicurarsi di vederci bene.
Gli ologrammi?! Ma quanto ricchi sono qui?!
 
Asher moriva dalla voglia di esplorare ogni angolo di quella sala, ma prima di assecondare la sua curiosità dovette aspettare che i suoi accompagnatori si mettessero in posa sulla prua, cercando con fatica di non ridere e rovinare così il video mentre tutti gli altri turisti presenti gettavano occhiate stranite e perplesse ai suoi buffi amici. Per fortuna a Silas e Meadow sembrò non importare affatto, e continuarono la loro recita finchè Silas non venne colto da una sgradevole consapevolezza:
“… Aspetta, ma lui alla fine non crepa malissimo?!”
“Sì.”
“Ma allora col cazzo, fai tu l’uomo.”
“Non esiste, io voglio essere Kate Winslet e voglio vivere, grazie!”

 
*

 
“Non si deve preoccupare Signor Wellick, conosco Silas St John molto bene e da molto tempo, sono la migliore amica di sua sorella maggiore. È un bravo ragazzo, forse ancora un po’ immaturo, ma se lui e sua nipote sono amici può starsene tranquillo.”
Anjali e Joshua varcarono insieme l’ingresso del Le Mirage dopo che Benoit ebbe aperto loro la porta con garbo, il braccio della strega stretto con delicatezza attorno a quello pallido del mago. Per una volta Anjali non indossava i tacchi e non aveva pertanto bisogno di alcun tipo di “sostegno”, ma era abituata a prendere a braccetto chiunque le capitasse a tiro quando passeggiava, e Joshua non aveva fatto eccezione. L’uomo annuì lentamente all’udire le parole della ragazza, gettandole un’occhiata speranzosa mentre Anjali, al contrario, non la smetteva di sorridergli neanche per un attimo:
“Spero che lei abbia ragione.”
“Imparerà che io ho sempre ragione, Signor Wellick. Anzi, le dispiace se ci diamo del tu?”
“Assolutamente no.”
“Splendido. Oh, ecco Sabrina, la mia amica… MON DIEU!”
I due si erano appena addentrati nella Hall – immergendosi con sollievo nel fresco abbraccio offerto dall’aria condizionata – quando il sorriso svanì dal bel viso di Anjali, che si fermò costringendo Joshua a fare altrettanto prima di portarsi una mano davanti alle labbra dischiuse, gli occhi chiari spalancati dalla sorpresa. Difficile dire se fosse inorridita o semplicemente sgomenta, e Joshua si chiese se non fosse il caso di preoccuparsi mentre gettava un’occhiata incerta al fondo della Hall. Appurato con sollievo che nessuna Acromantula aveva invaso l’Hotel, l’australiano tornò rapido a rivolgersi alla svizzera e a posare gli inquieti occhi scuri su di lei con una ruga a solcargli verticalmente lo spazio tra le sopracciglia:
“Che cosa c’è?!”
“Vede, cioè, vedi quella donna?! Quella donna abbronzata dai capelli scuri che per inciso indossa anche un bellissimo completo di lino di Armani che penso starebbe molto bene anche a me?”
Anjali lo strattonò leggermente per costringerlo ad accostarsi e a chinarsi maggiormente verso di lei – non aveva alcuna intenzione di mettersi ad indicare apertamente la gente, o sua madre sarebbe arrivata di corsa dall’India per ricordarle quanto fosse disdicevole –, facendo cenno in direzione di una donna che stava in piedi vicino alla Hall, appoggiata con grazia al bancone e con un ventaglio in mano.
“Decisamente sì, la vedo.”
“Bene. Quella donna è l’ex moglie del proprietario dell’Hotel, nonché la madre della mia amica.”
“In effetti si somigliano, ma oserei dire che la tua amica non sembra molto entusiasta…”
Mentre la donna stava parlando senza sosta in francese, infatti, la figlia teneva gli occhi scuri fissi sullo schermo del suo iMac bianco con un’espressione quasi totalmente imperscrutabile ma che tradiva una leggerissima forma di esasperazione nelle labbra troppo serrate e nelle sopracciglia un filo troppo aggrottate.
“Si vogliono bene, ma non hanno un rapporto idilliaco. Oh, beh, quale rapporto genitoriale lo è, in fondo. Sembri molto legato a tua nipote, a proposito.”
Anjali smise brevemente di concentrarsi su Sabrina per tornare ad osservare l’australiano, accennando un sorriso con gli angoli delle labbra carnose mentre l’uomo, al contrario, continuava ad osservare Sabrina e sua madre con sguardo pensoso.
“Lei è tutta la mia famiglia e io la sua. Il che mi ricorda che mi aveva ordinato di badare alla sua gattina, sarà meglio che vada a controllarla, se dovesse scappare o morire di fame Meadow non me lo perdonerebbe mai."
"Lo credo bene. Dopo che cosa pensavi di fare?”
“Volevo fare una passeggiata in quel giardino giapponese di cui ho sentito tanto parlare… Tu resterai qui?”
“Temo di aver già affrontato il caldo a sufficienza quest’oggi, sì, penso che dopo pranzo andrò in piscina e resterò in ammollo per un po’.”
Joshua stava per suggerire con un accenno di sorriso che sicuramente la piscina si sarebbe riempita considerevolmente proprio quel pomeriggio, ma una remota vocina nella sua mente gli ordinò di tacere e così il mago si limitò ad annuire, salutando la strega prima di dirigersi rapido verso gli ascensori.
La svizzera stava guardando le porta di metallo appena varcate da Joshua chiudersi quando sentì al contempo quelle di vetro alle sue spalle aprirsi, e voltandosi finì con l’incontrare la bella figura sorridente e con un visibile inizio di abbronzatura di Joël, che le si avvicinò sfilandosi gli occhiali da sole e sollevando con evidente soddisfazione un foglietto bianco con dei numeri scarabocchiati sopra:
“Come volevasi dimostrare, sembra che a colpirlo fossi stato io, mia cara Anji… Mi ha lasciato il suo numero con la stessa rapidità che tu normalmente impieghi per cambiarti le scarpe.”
“Sei così infantile, ti sei fermato e hai detto a me e a Joshua di precederti verso l’Hotel solo per fare il galletto del pollaio e avere la soddisfazione di sbattermi in faccia questa cosa. Sai che me ne importa, comunque.”
Anjali si coprì le labbra con una mano per nascondere alla vista dell’amico un finto sbadiglio, ignorando l’occhiata divertita e piena di soddisfazione che Joël le lanciò prima di chiedergli se intendesse richiamare quel tipo.
“No, in effetti non credo… Era più che altro uno sfizio che volevo togliermi per darti fastidio, tutto qui.”
“Come ho detto, sei il solito bambino troppo cresciuto. Ti va di pranzare con me, più tardi? Stamani ho sudato da far schifo e ho tutta l’intenzione di farmi una doccia, cambiarmi e riposarmi in camera per qualche minuto, ma se ti va dopo possiamo mangiare insieme.”
“Volentieri, e credo proprio che una doccia serva anche a me. Certo non devo fare esageratamente ribrezzo, se quel bel tipo mi ha offerto da bere e lasciato il suo numero…”
Il tono cantilenante di Joël sortì l’effetto desiderato, perché Anjali sbuffò e alzò gli occhi al cielo, visibilmente esasperata:
“Continuerai a rinfacciarlo a vita? Comunque, ti prego, mangiamo qui, non ho la forza necessaria per affrontare ancora il caldo, oggi. Chiederei a Sabrina di unirsi a noi, ma è arrivata sua madre, quindi immagino che pranzeranno insieme… Vado a salutare Sandrine, a più tardi.”
“Aspetta, è arrivata sua madre?”
“Sì, eccola lì. E considerando che Sabrina non me lo aveva anticipato, ho idea che non fosse assolutamente a conoscenza del suo arrivo.”
Mentre accennava in direzione delle due donne Anjali gettò un’occhiata all’amica aggrottando leggermente la fronte, dubbiosa, proprio mentre un sorriso iniziava a farsi rapidamente largo sul viso di Joël, andando a sostituire l’espressione sorpresa sfoggiata fino ad un istante prima: mentre Anjali sembrò quasi preoccuparsi per la sua amica, certa che l’arrivo inaspettato della madre avrebbe contribuito a farla impazzire, Joël parlò con l’aria di chi è pronto a godersi un magnifico spettacolo.
“Wow… La cosa deve averla sconvolta parecchio. Riusciremo a vedere Miss Perfezione non avere tutto perfettamente sotto controllo?”
“Joël caro, ti consiglio di parlare piano, perché se Sabrina ti sente sei un bellissimo uomo morto.”

 
*

 
Dopo aver appreso di avere in comune l’amore per i cani Medea e Artemy avevano deciso di snobbare le piscine e la spa e di recarsi invece in quella che era, a detta di entrambi, forse la miglior attrazione dell’Hotel: l’asilo per cani. Naturalmente non si trattava di una vera e propria attrazione, ma la responsabile della struttura, una ragazza dai corti capelli biondi ondulati che le sfioravano il mento e un sorriso luminoso e contagioso, sembrava abituata agli ospiti che si appostavano sulla recinzione per osservare i cani correre e giocare sul prato con sguardi sognanti e anzi, invitò persino i due ad entrare. Genevieve faticò a trattenere le risate quando vide i due ospiti dell’Hotel strabuzzare meravigliati gli occhi e poi sfrecciare all’interno del recinto senza farselo ripetere due volte, godendosi la calorosa accoglienza che ricevettero da tutti i cani presenti.
È uno dei giorni più belli della mia vita! Ciao belli!”
Un sorriso increspò le labbra carnose di Medea mentre la strega, seduta sul prato, accarezzava la morbidissima testa di un piccolo barboncino dal pelo color albicocca. Artemy, accanto a lei, rise quando Circe lo assalì per leccargli la faccia, rischiando di schiacciarlo al suolo a causa dell’entusiasmo con cui gli si avvicinò e della sua considerevole mole.
“Anche per me. Se ti piacciono tanto, perché non ne hai uno?”
Mentre accarezzava il soffice pelo candido del samoiedo Artemy volse lo sguardo su Medea, ancora impegnata a manifestare la sua adorazione per Frankie con versi di natura indefinita e incomprensibili per qualsiasi orecchio umano.
“Il mio lavoro è troppo incasinato. E mio padre è allergico al pelo, quindi finchè ho vissuto con i miei non se ne parlava, naturalmente. Tu invece?”
“Direi lo stesso, in un certo senso. Ciao piccolino! Guarda che tenero!”
Gli occhi scuri di Artemy assunsero quasi la forma di due cuoricini quando il ragazzo accennò ad un cucciolo dal pelo marroncino e il musetto nero trotterellare scodinzolando verso di loro, trillando felice quando il cagnolino gli si avvicinò e gli annusò e leccò una mano. Gli ospiti di passaggio nel frattempo gettavano occhiate perplesse allo strano duo, ma nessuno dei due sembrò farci caso, troppo impegnati a manifestare il proprio apprezzamento per gli ospiti a quattro zampe.
“Porca Priscilla come è carino… Vorrei rapirli tutti quanti.”
Mentre Pascal cercava di salire in braccio ad Artemy e farsi coccolare senza smettere di scodinzolare, felice di avere qualcuno con cui giocare, il ragazzo, continuando ad accarezzargli la morbidissima testa, si voltò verso Medea inclinando leggermente la testa di lato e guardandola con curiosità:
“Perché dici “Porca Priscilla”? È un’esclamazione bizzarra.”
“Ad Hogwarts ci sono quattro Case, Priscilla Corvonero è la fondatrice della mia… I miei compagni più grandi lo dicevano sempre e ho assimilato, credo. In effetti, se non si detiene questa informazione, suona strano. Tu dove…”
“Io non sono andato a scuola. Comunque, non sarebbe servito a niente.”
Artemy tornò a guardare il cucciolo di Rhodesian Ridgeback, sorridendo teneramente al cagnolino che gli stava facendo le feste mentre percepiva lo sguardo accigliato di Medea su di sé. Era bello ricevere un po’ di affetto, di tanto in tanto.
“Mi hai mai visto con la bacchetta in mano? Sei una che osserva, sono sicuro che ci hai fatto caso.”
“No, in effetti no. Ma non sei l’unico, qui è pieno di Babbani, sarebbe strano se ce ne andassimo in giro lanciandole in aria mostrandole ai quattro venti.”
“È vero, ma non mi hai mai visto prenderla nemmeno dove siamo autorizzati ad usare la magia, a differenza di molti altri ospiti. Non ne ho una, ecco tutto.”
“Non ne hai…”
Medea aggrottò le sopracciglia, certa di non aver capito, finchè non collegò l’assenza di una bacchetta con il fatto che Artemy non fosse andato a scuola e all’improvviso tutto le fu chiaro.
“Oh. Sei un Magonò?”
“Già.”
Non le capitava spesso di trovarsi in quella situazione, eppure Medea non sapeva che cosa dire. Dirgli che “le dispiaceva” lo avrebbe fatto sentire come un malato e non era sua intenzione sfoggiare compatimento, ma aveva la sensazione che qualsiasi altra cosa avrebbe finito con il minimizzare eccessivamente la questione.
“Nessuno sa mai che cosa dirmi. Per certi versi è quasi divertente vedere quella faccia ogni volta. Ma sono felice che tu non mi stia guardando come se ti facessi pena.”  
Artemy si rivolse nuovamente alla britannica accennando un sorriso sincero con gli angoli delle labbra, guardandola con una punta di sollievo e gratitudine al tempo stesso mentre continuava ad accarezzare il pancino di Pascal, che gli si era completamente steso in grembo.
“Beh, sarebbe stupido, come se la vita senza magia dovesse per forza fare schifo… Mio padre è Babbano ed è felicissimo così com’è. Ammetto di non avere avuto una buona esperienza con i Magonò fino ad ora, ma si può sempre recuperare.”
“Perché dici così?”
“Ad Hogwarts ce n’era uno che lavorava come custode. Di gran lunga l’individuo peggiore che io abbia mai conosciuto, ma la buona notizia è che quindi tu non puoi abbassare la media, solo rialzarla.”
Medea sorrise strizzandogli l’occhio e Artemy, dopo un paio di secondi di silenzio, scoppiò fragorosamente a ridere, una risata rumorosa e libera che di rado si librava dalla sua gola.
“Sei un po’ strana, ma simpatica, devo ammetterlo.”
“Io ti sembro strana?! Ti sei visto o ascoltato, di recente?”
“Ok, adesso è il tuo turno delle confessioni attese. Mi dici che lavoro fai e per chi sei, Medea Winters?”
Medea era giunta a Monte Carlo con il presupposto di non parlarne con nessuno, ma non aveva pianificato di fare amicizia con altri ospiti – di certo non era partita aspettandosi di trovare persone vicine al “mondo normale”, ma solo un branco di ricchissimi snob – ed era consapevole di doverglielo, dopo che Artemy aveva candidamente ammesso di essere un Magonò. La strega annuì mentre chinava lo sguardo sul barboncino che teneva tra le braccia, accennando un sorriso mentre grattava con affetto le soffici orecchie pelose di Frankenstein. In effetti si chiese, leggendo il nome sulla targhetta appesa al collarino color zucca, chi mai potesse chiamare così un animale così tenero, ma accantonò quel pensiero mentre tornava a concentrarsi su Artemy, che ancora la studiava con interesse e curiosità mentre Pascal gli mordicchiava giocosamente l’indice della mano sinistra.
“Immagino di dover ricambiare, sì. Sai tenere un segreto?”
Meglio di quanto tu non possa credere.”


 
*

 
Lavorare con sua madre attorno – che naturalmente aveva sempre qualcosa su cui puntualizzare e fare precisazioni o correzioni – era un vero e proprio incubo, ma fortunatamente Sabrina era presto riuscita a liberarsi di Sandrine chiedendo a Pierre di portare la madre a vedere l’asilo per cani e i suoi ospiti a quattro zampe. Sandrine non era una cinofila dichiarata come suo padre, ma Sabrina sapeva comunque che la donna difficilmente riusciva a negarsi la vista di qualche tenero musetto peloso, e l’aveva vista allontanarsi traendo un rumoroso sospiro di sollievo.
Naturalmente avrebbero dovuto pranzare insieme, ma di fronte a del cibo e a dell’acqua fresca gestire sua madre era un’operazione che si semplificava di molto.
 
“Sono furiosa con tuo padre, da quando ho saputo. Io l’ho sempre dichiarato che Gideon sia un cretino immaturo, è ovvio…”
“Maman, lo hai comunque sposato.”
J’étais jeune et naïve!(3) Comunque, come dicevo, non interrompermi, l’ho sempre dichiarato, ma quando ho saputo di questa storia tra te e Silas sono stata a tanto così…”  Sandrine, per rendere ancor più chiaro il suo sdegno, usò la mano libera per avvicinare indice e pollice mentre con la sinistra versava del succo di limone sul suo filetto di pesce spada alla brace. “… dal fare le valige e andargli a fare un discorsetto. Ma ero in vacanza in Provenza dalla mia amica Aurore…”
“Quella che ha appena divorziato per la seconda volta e sta scannando il marito per avere la barca?”
“No, quella è Apolline, Aurore è terribilmente stressata perché sta ristrutturando la casa in campagna con i vigneti dopo il terzo divorzio, povera cara. Tu n’écoutes jamais, Sabrina.”
“Non è vero Maman, io ti ascolto, hai solo troppe amiche ricche che divorziano di continuo.”
“Io continuo a dirglielo, che è meglio fare come me, sbagliare una volta e non sbagliare mai più, ma loro sono come te, non mi ascoltano!”
“Ma non è ve…”

Sabrina aprì la bocca per protestare, indignata, ma sua madre la zittì con un cenno della mano, come a volerle dire di lasciarla parlare, mentre si riempiva fino a metà il calice di vino bianco.
“Stavo dicendo… Ne vuoi, cara?”
“No Maman, io ci lavoro, qui.”
“Hai ragione cara, scusami. Dicevo, voglio bene a Silas, sai che è così, ma tuo padre è ingiusto. Tu gli hai dato i tuoi dieci anni migliori, e lui come ti ripaga, mettendoti sullo stesso piano del figlio che non ha mai mosso un dito?! Insomma, nessuno ti ridarà indietro i tuoi vent’anni, amour!”
“Questo lo so Maman, ma ti ringrazio per averlo sottolineato, quello e che sono vecchia.”
Rassegnata, Sabrina parlò in un cupo sibilo mentre si portava il bicchiere d’acqua alle labbra – se solo non avesse dovuto lavorare in quel momento avrebbe potuto scolarsi del vino e quella conversazione sarebbe stata sicuramente molto meno difficile – mentre Sandrine, davanti a lei, si sporgeva sul tavolo per sorriderle e darle qualche colpetto affettuoso sulla mano destra con la propria, curatissima e piena di anelli d’oro:
“Non dire sciocchezze, e comunque puoi stare tranquilla, le donne della nostra famiglia rimangono splendide fino alla fine, ma che tu abbia passato dieci anni a lavorare qui è un dato di fatto.”
“Lo so Maman. Ma papà può fare come meglio crede, questo posto è suo. So che cosa stai per dire, che lo avete aperto insieme, ma tu gli hai dato la quota anni fa. Questo non vale più niente e non gioca minimamente a mio favore, sulla carta. Solo, non capisco perché abbia deciso così all’improvviso.”
“Tuo padre è un bambinone impulsivo, amour.”
“Lo so, lo so che non è lui il razionale della famiglia, ma tiene a questo posto più di ogni altra cosa. Pensavo che ci avrebbe comunicato la sua decisione di andare in pensione molto diversamente.. e non quest’anno.”
Sabrina parlò tenendo gli occhi scuri inchiodati al bicchiere, prendendo a giocherellarci distrattamente prima di sentire la mano abbronzata di Sandrine stringere la sua: quando riportò lo sguardo sulla madre vide che la donna stava sorridendo, uno dei suoi rari sorrisi affettuosi ed incoraggianti, e suo malgrado si ritrovò a ricambiare quasi senza volerlo, sentendosi un po’ meglio.
“Lo so, e ho intenzione di riempire quell’uomo di Strillettere e di indagare. Ma non perdere il sonno per cercare di capire tuo padre, mon amour. Impara dai miei errori. E comunque, tu sei il pilastro di questo posto, non ho dubbi su come andrà a finire la cosa.”
“Oui.”
Sabrina annuì piano, seppur non con piena convinzione, ma la risposta sembrò soddisfare ugualmente la madre perché la donna annuì e sorrise mentre si rimetteva seduta appoggiandosi allo schienale della sedia, le gambe accavallate con grazia allo stesso modo della figlia:
“Alors, come sta Anjali? Mi ha fatto piacere vederla, è sempre così bella… perché una sera non ceniamo tutte insieme?”
“Glielo accennerò, le farà piacere. Tu quanto ti fermi?”
“Chi può dirlo!”
Mentre sua madre prendeva un sorso di vino Sabrina sospirò, pregando affinché Sandrine non intendesse piantare le tende al Le Mirage per un mese e che avesse una qualche amica neo divorziata da andare a consolare o con cui andare a comprare tende, cuscini o soprammobili. Quando sua madre le chiese se Anjali avesse un fidanzato si sforzò di risultare il più evasiva possibile, per nulla intenzionata a menzionare il recente appuntamento dell’amica, ma evitare di parlare di Anjali aveva comunque le sue conseguenze e Sabrina lo sapeva. La domanda successiva, infatti, non tardò ad arrivare, puntuale come sempre e pronunciata con falso disinteresse:
“E tu cara, frequenti qualcuno per caso?”
“Maman, siamo circondate da persone che lavorano per me, non mi sembra il caso di affrontare l’argomento qui. E comunque no.”
No era la risposta che Sandrine si sentiva dare di continuo, quando indagava sulla vita sentimentale della sua unica figlia. E come al solito, la donna non accettò di buon grado quella risposta, appoggiando rumorosamente il calice sul tavolo e scuotendo il capo con decisione mentre osservava la figlia giocherellare con i polsini della blusa bianca che indossava evitando accuratamente di ricambiare il suo sguardo.
“Non ci credo, c’est impossible. Sei troppo, troppo bella e intelligente per non uscire mai con nessuno, e non lo dico solo perché tutti dicono che ci somigliamo! Sei solo riservata e non me ne vuoi parlare, e per il momento fingerò di accettarlo.”
“Maman, sicuramente anche se fosse vero non morirei dalla voglia di affrontare il discorso, ma non sto mentendo, è la verità. Sai come la penso sulla questione, è meglio così. Soprattutto in estate. La gente vuole divertirsi in estate, specie gli uomini che vanno in vacanza senza fidanzate al seguito, e la cosa non fa per me.”
Decisa a non ricambiare lo sguardo della madre, Sabrina prese a giocherellare con dei grissini al sesamo che però le vennero strappati dalle mani da Sandrine, che posò con decisione il grazioso cestino che li conteneva sul suo lato del tavolo e ignorò le proteste della figlia senza smettere di osservarla, ordinandole silenziosamente di guardarla di rimando. Sabrina conosceva bene quello sguardo e quell’espressione e con un sospiro si costrinse a posare finalmente gli occhi castani sul volto della madre, pronta alla sua ramanzina di rito.
“Ascoltami, Sabrina. Un’estate di molti anni fa, ho conosciuto un sorridente, bellissimo e affascinante ragazzo. Me ne sono innamorata così, in un attimo.”  Sandrine levò una mano per schioccare le dita e Sabrina annuì mentre le sue lisciavano distrattamente la tovaglia bianca, il piatto di pesce ancora intatto davanti a lei. Ogni volta in cui lei e sua madre affrontavano quei discorsi, l’appetito le passava completamente.
“Ed non è andata bene, no, perché eravamo troppo diversi. Ma pensi che mi penta di aver sposato tuo padre?”
“Non lo so, non ti sento quasi mai parlare bene del vostro matrimonio.”
Certo che no, sciocca, ho avuto te. La cosa migliore che io abbia mai fatto. A me non è andata bene, Sabrina, ma questo non significa che per te deve essere lo stesso. Non devi permettere alla mia storia di influenzare la tua vita.”
“Non è solo questo e lo sai.”
Le pieghe della tovaglia non erano mai parse così interessanti agli occhi di Sabrina, che continuò a tenere il capo chino e le dita abbronzate impegnate a lisciarle con estrema cura mentre sentiva lo sguardo affettuoso e apprensivo al tempo stesso della madre su di sé.
“Devi poterci passare sopra. Se non lo fai tu per prima, nessun’altro lo farà mai, lo capisci?”
Sabrina avrebbe voluto far notare alla madre che per quanto si sforzasse non avrebbe mai potuto comprendere lei e le sue scelte, ma Sandrine era appena arrivata e non voleva guastare l’atmosfera e il loro primo pasto insieme dopo diverse settimane, perciò decise di tenere quelle parole per sé, limitandosi ad annuire mesta. Sapeva che Sandrine, di gran lunga la donna più caparbia che avesse mai conosciuto, stava per ritornare all’attacco con un’altra ramanzina, ma proprio quando si aspettava di sentirle pronunciare le sue perle di saggezza l’attenzione della madre venne catturata da qualcosa, o per meglio dire qualcuno, che aveva appena varcato la soglia della sala del ristorante: un sorriso allargò le labbra di Sandrine mentre i suoi occhi scuri indugiavano su Silas, di ritorno dalla sua gita mattutina, e la strega non esitò a levare un braccio in segno di saluto per attirare l’attenzione del ragazzo.
“Silas, mon cher! Comment ça va? Vieni a sederti qui con noi, coraggio.”
La voce vellutata e dal marcato accento francese della donna immobilizzò l’ex Grifondoro per una manciata di secondi: Silas si fermò di scatto e i suoi occhi ambrati scivolarono rapidi sull’elegante figura abbronzata della prima moglie di suo padre, seduta con un completo bianco dall’aria costosa addosso e le gambe accavallate. Somigliava così tanto a Sabrina, voce inclusa, che per un momento Silas temette che la maggiore si fosse sdoppiata per potergli dare il tormento con il doppio dell’intensità, ma ben prestò si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo: per fortuna era solo Sandrine. Anche se, doveva ammetterlo, proprio come la figlia anche lei riusciva a metterlo in difficoltà come nessun altro.
“Sandrine?! Ciao! Non sapevo venissi questa settimana.”
“Non lo sapevo nemmeno io.”
Il basso sibilo di Sabrina, pronunciato in un soffio mentre la donna si portava il bicchiere alle labbra, scatenò un sorrisetto sul bel viso di Silas: Sandrine era l’unica persona al mondo in grado di mettere in difficoltà sua sorella. Era uno dei motivi per cui apprezzava le visite della donna. Quello e il fatto che lo riempisse di regali fin da quando era piccolo.
Oui, pare che la mia lettera non sia stata letta da nessuno… poco male, l’importante è che sono qui. Forza, siediti.”
“Ma io veramente…”
“Siediti, Silas.”
Discutere con Sandrine non serviva a nulla, era un dato di fatto di cui tutti i St John erano perfettamente a conoscenza, perciò dopò una breve esitazione Silas si vede costretto ad occupare la sedia vuota vicino alla sorella maggiore, gettandole un’occhiata incerta mentre la strega, invece, continuava ad osservare il suo bicchiere quasi sperando che l’acqua potesse magicamente trasformarsi in vino da un momento all’altro.
“Allora, Silas, ho sentito che quest’estate Sabrina ti ha messo sotto torchio. Scommetto che non vedeva l’ora.”
Scommetti bene Maman.”
“Via mon amour, sii gentile con tuo fratello. Lo dico sempre, avete solo l’un l’altro, non dovreste passare il tempo a bisticciare come chien et chat...”
“Come cosa, Sandrine?!”
“Maman, ti informo che il tuo caro piccolo Silas continua a non sapere una parola di francese.”
Il fatto che Silas non parlasse mezza parola di francese costituiva da sempre uno dei pretesti preferiti della maggiore di prendersi gioco del fratellino, sia parlandogli apertamente nella sua lingua madre di proposito per irritarlo, sia per sghignazzare alle sue spalle in presenza d’altri. Sabrina infatti non riuscì a celare del tutto il sorrisetto che d’istinto le incurvò le labbra verso l’alto, e Silas provvide come sempre a scoccarle un’occhiataccia mentre Sandrine li guardava inarcando un sopracciglio:
“E perché non glielo insegni, scusa?!”
Mentre Sandrine aggrottava le sopracciglia spostando lo sguardo da figlia a “figliastro”, Silas e Sabrina s’immobilizzarono, gli occhi fissi sulla donna. I due si scambiarono una breve occhiata silenziosa e poi, con grande disappunto della francese, scoppiarono rumorosamente a ridere all’unisono.
“Perché ridete?! Non ci sarebbe niente di assurdo, se vi comportaste come due fratelli normali! Ah, è tutta colpa di vostro padre!”
“Maman smettila, dai la colpa a papà anche quando ti salta la corrente a casa, non sei attendibile da circa venticinque anni, quando si parla di lui.”

 
*

 
Artemy e Medea si stavano godendo la pace e la frescura offerte dalla piscina interna – con grande gioia di entrambi, quasi tutte le famiglie con bambini erano all’esterno, pertanto quel pomeriggio i loro timpani erano stati risparmiati da grida, lacrime, capricci e schiamazzi – semideserta, stesi su due comodissimi lettini coperti da morbidi cuscini bianchi.
“Non ha alcun senso stare stesi qui, in realtà, visto che non siamo esposti ai raggi solari.”
“Ma noi non siamo qui per prendere il Sole, siamo qui per poltrire, Medea.”
“Hai ragione. Al diavolo la vitamina D.”
Vitamina D o non Vitamina D, Artemy detestava esporsi al Sole e tutte le volte in cui si era recato nella piscina esterna lo aveva sempre fatto con un cappello in testa, occhiali scuri e restando rigorosamente all’ombra. Dopo un’estenuante mattinata trascorsa a giocare sotto il sole cocente con gli ospiti a quattro zampe dell’albergo rilassarsi a bordo piscina era proprio ciò che ci voleva, soprattutto se al riparo da possibili ustioni e dagli schiamazzi altrui.
I due stavano in silenzio, distesi ad occhi chiusi sui lettini con i costumi addosso, e stavano riflettendo su quanta pace ci fosse e su quanta fortuna avessero avuto quando una terza persona fece il suo ingresso nella piscina interna spalancando silenziosamente una delle due ante della porta a vetri.
Anjali appurò con gioia che la piscina era deserta mentre si dirigeva, le infradito bianche ai piedi, verso uno dei tanti lettini liberi che costeggiavano il lato lungo della piscina. Si sfilò e appoggiò sui cuscini il kimono da spiaggia bianco traforato, la borsa di tela firmata Dior color crema con il suo nome ricamato in avorio al centro, si sfilò le infradito e finalmente poté sedersi sulle piastrelle bianche del bordo della piscina, infilando con grazia i piedi in acqua. Sorridendo allegra, la strega strinse delicatamente il bordo muovendo lentamente le gambe immerse in acqua fino ai polpacci avanti e indietro, godendosi la piacevole sensazione dell’acqua fresca sulla pelle. Aveva appena sollevato i piedi per farli affiorare dalla superficie, controllando con occhio critico lo stato dello smalto rosso che le adornava le unghie, quando lei, Medea e Artemy sentirono la porta aprirsi di nuovo e un gran scalpitio di piedi.
“Che cavolo succede? Oh no…”
Incuriosita dal rumore improvviso e chiedendosi perché la pace fosse andata a farsi benedire, Medea sollevò leggermente capo e busto dallo schienale del lettino e si sfilò gli occhiali scuri per guardare con i propri occhi, finendo col gemere sommessamente prima di abbandonarsi nuovamente, rassegnata, sul suo comodissimo giaciglio.
“Che cosa c’è?”
Anche Artemy, incuriosito, si sfilò gli occhiali – inutili visto e considerato che erano al chiuso, ma Medea sosteneva che conferissero un’aria misteriosa e che la gente fosse scoraggiata a disturbare qualcuno con quelli addosso, pertanto li avevano tenuti entrambi – per gettare un’occhiata all’ampia stanza dalle pareti esterne di vetro in cui si trovavano. Indeciso se ridere o scocciarsi, il ragazzo inarcò un sopracciglio perfettamente arcuato quando vide una ragazza dai grandi occhi chiari e setosi capelli scuri seduta sul bordo piscina e un gran numero di uomini iniziare a ronzarle attorno come mosche rumorose, alcuni occupando altri lettini, altri entrando in piscina per far sì che la strega potesse guardarli nuotare.
“Te lo dico io che cosa c’è. La solita solfa, è arrivata la stragnocca delle stragnocche dell’Hotel e un branco di tizi bavosi l’ha seguita, naturalmente. Perché gli uomini fanno così? Perché siete così cretini?”
“Non saprei dirti. Ma la cosa più divertente è che lei sembra non fare minimamente caso a nessuno di loro, poveri galletti.”
Ridacchiando, Artemy si affrettò si regolare lo schienale del lettino in modo da ritrovarsi semi-disteso, la posizione ideale per poter osservare in tutta libertà lo spettacolo che l’albergo stava gentilmente offrendo a lui e a Medea. Mentre il ragazzo, sorridendo, incrociava le braccia pallide al petto Medea, sbuffando piano, decise di imitarlo: di riposare non se ne poteva più parlare, ma almeno avrebbe potuto sghignazzare alle spalle di qualcun altro, con un po’ di fortuna.
Nel mentre Anjali continuava a stare seduta sul bordo della piscina, gli occhi chiari che osservavano la cristallina acqua clorata senza fare minimamente caso agli uomini che la osservavano avidamente o che cercavano invano di attaccare bottone: ogni volta in cui qualcuno le si avvicinava la strega declinava con garbo e con un sorriso l’inizio di ogni possibile conversazione, per nulla interessata. Aveva deciso di passare un’oretta in piscina per rilassarsi, non per farsi fare il filo, e per un amaro scherzo del destino l’unico che avrebbe visto volentieri e con cui avrebbe voluto chiacchierare non si fece vedere per tutto il tempo che la strega trascorse all’interno della piscina coperta.
In compenso un’ora dopo, mentre usciva per andare a farsi una doccia – era generalmente avversa ad ogni tipo di bagno pubblico, men che meno avrebbe fatto la doccia negli spogliatoi della piscina quando fuori ad attenderla avrebbe trovato una decina di paia di occhi pronti a scrutarla – con le infradito di nuovo ai piedi e il costume nero umido, la svizzera s’imbatté in Joël, il costume già infilato insieme alla maglietta bianca che portava la scritta “Tombeur de femmes” e un asciugamano blu in spalla.
“Ci siamo mancati di poco, vedo. Nuotato un po’?”
“Non come avrei voluto, la piscina si è riempita dopo che sono arrivata io, purtroppo.”
“E pensi che sia un caso sfortunato? Per fortuna ti sei messa il costume intero, se avessi messo il bikini non si potrebbe nemmeno passare dalla porta.”
I ridenti occhi chiari di Joël indugiarono sul costume nero dell’amica che, con un taglio sul fianco destro, le lasciava scoperto l’ombelico e buona parte del ventre, ignorando l’occhiata velenosa che la svizzera gli lanciò prima di affrettarsi a coprirsi allacciandosi il kimono con uno stretto nodo all’altezza della vita.
“Dovrei poter essere libera di farlo senza… tutto questo. La prossima volta che voglio andare in piscina ti userò come finto fidanzato, sei avvisato.”
“Sono sempre più che disponibile se la meta è la piscina, lo sai. Ma sei sicura che a qualcuno non potrebbe dispiacere?”      Joël parlò reprimendo a fatica un sorriso e sbattendo con esagerato vigore le ciglia, fingendosi preoccupato finchè Anjali, ormai esasperata, non lo colpì giocosamente sul braccio usando la sua ampia borsa color crema:
Smettila. Porta il tuo sorrisetto e la tua maglia in piscina, io vado a farmi una doccia.”
Anjali lo superò con un sospiro e Joël si diresse ridacchiando verso le porte a vetri della piscina interna, sinceramente dispiaciuto di essere arrivato tardi e di essersi quindi perso quello che, ne era certo, sarebbe stato uno spettacolino niente male. Il fatto che una ragazza dalla pelle scura e un ragazzo asiatico dai capelli argentei stessero ridacchiando su due lettini appartati tenendo cocktail colorati in mano glielo provò, e il musicista avrebbe potuto giurare di scorgere un certo grado di tristezza e delusione collettiva quando mise piede in piscina, stato d’animo di certo causato dall’allontanamento della sua cara amica.
Forse in fin dei conti farle da finto fidanzato non sarebbe stata una buona idea, si disse Joël mentre occupava uno dei pochi lettini liberi rimasti con il suo asciugamano blu cobalto: la sua filosofia di vita si poteva riassumere nel “vivi e lascia vivere” e qualcosa gli suggerì che fingersi impegnato con Anjali gli avrebbe procurato non solo un certo numero di antipatie in tutto l’Hotel, ma anche il rischio di finire in qualche trappola disseminata tra una piscina e un corridoio e l’altro.

 
*

 
Le Jardin Japonais giardino-giapponese
 
 
Alphard adorava l’Asia e la sua cultura e aveva deciso di recarsi nel Giardino Giapponese fin da quando aveva sentito nominare per la prima volta quel luogo qualche giorno dopo il suo arrivo a Monte Carlo. Il contrasto tra l’interno paradisiaco ed esotico del giardino e i grattacieli alle sue spalle era impressionante, così come l’atmosfera autentica del luogo, conferita da laghetti, lanterne di pietra, siepi di bambù, costruzioni e materiali tipici del Giappone: chiudendo gli occhi e dimenticandosi della sua vacanza Alphard avrebbe sinceramente creduto di trovarsi in un altro continente.  In piedi su un grazioso ponticello di legno, il mago stava osservando ammirato delle coloratissime carpe koi nuotare in mezzo a ninfee e fiori di loto quando un leggero scricchiolio gli suggerì di non essere più solo e che qualcun altro stava attraversando il ponte.
“Ciao.”
Quando udì una voce maschile salutarlo in inglese e con un leggero accento australiano Alphard si voltò, accennando un sorriso senza smettere di appoggiarsi alla balaustra del ponte con le braccia, leggermente chino in avanti.
“Oh, ciao. Eri curioso anche tu?”
“Sì, e devo ammettere che ha superato le mie aspettative.”
Joshua lo raggiunse e lo imitò, appoggiandosi a sua volta con le braccia alla balaustra per gettare un’occhiata alle carpe che nuotavano sinuose e rapide sotto di loro, sparendo e riapparendo tra le ninfee.
“Anche le mie. E conosco bene l’Asia. Tua nipote di dove è originaria?”
“Thailandia.”
Alphard non colse la leggera esitazione di Joshua nel pronunciare quella parola, e si voltò verso il fabbricante di bacchette spalancando leggermente gli occhi, sinceramente colpito da quella curiosa coincidenza:
“Davvero? Io vivo in Thailandia, a Bangkok. Amo quel Paese, è un posto meraviglioso.”
“Sì, è vero. Ma Meadow… beh, diciamo che lei si sente più che altro australiana e britannica. Suo padre non è mai esistito.”
“E sua madre?”
“Mia sorella non si sentiva tagliata per fare la mamma, e probabilmente a ragione. L’ha ceduta a nostra madre come un pacco postale e poi è sparita nel nulla. Sono stato arrabbiato con lei per molto tempo per questa decisione, ma dopo tutti questi anni credo di poter dire che forse è stata la cosa migliore che potesse fare. Lei vive con me da quando ha otto anni.”
Joshua non era stato sempre del tutto sicuro di essere tagliato per crescere una bambina, specialmente una chiacchierona, testarda e incapace di stare ferma o zitta per più di cinque minuti di fila. Si era chiesto spesso se stesse facendo la cosa giusta per la nipote, ma ormai Meadow aveva 25 anni e non era venuta su poi così male, quindi in un certo senso poteva affermare di sentirsi soddisfatto. Nessuno avrebbe scommesso nulla sull’assurda famiglia che avevano creato, eppure se l’erano sempre cavata e in un certo senso avevano finito col crescere insieme, con alti e bassi.
“Sei un bravo zio. Io ho una sorella maggiore che ancora non si è decisa ad allargare la famiglia, con grande disappunto di mia madre. Lei sostiene che a 38 anni dovrebbe aver già sfornato una intera squadra di Quidditch. Ma credo che potrei vedermici, nella veste di irresistibile zio fantastico.”
Alphard si astenne dal far sapere a Joshua che spesso scriveva alla sorella maggiore Denebola sottolineando quanto stesse invecchiando in fretta e di come dovesse sbrigarsi a farlo diventare zio solo per farla infuriare, accennando un sorriso – non sarebbe stato male avere un nipotino da viziare all’inverosimile, prese in giro a parte – mentre l’australiano annuiva piano, ripensando con una punta di malinconia a quando Meadow era entrata nella sua vita:
“Io ho Meadow con me da quando ne avevo 23, ero un ragazzino. A volte realizzo che all’età di Meadow me ne andavo già in giro con una bambina di 10 anni sempre appresso che mi assillava con le sue domande e mi rendo conto di quanto sia cresciuta. E mi chiedo come io abbia fatto a sopravvivere ai vent’anni con lei a cui badare.”
 “Sei stato un eroe, io a 23 anni avevo in mente solo ragazze, ragazzi e divertirmi.”
Alphard era piuttosto sicuro che se gli avessero affidato una bambina già grandicella a soli 23 anni quella creatura non avrebbe fatto una bella fine, e gettò un’occhiata sinceramente ammirata a Joshua mentre l’altro, sorridendo, seguiva i movimenti di una carpa koi ripensando ad una piccola Meadow con i codini che lo assillava giorno e notte:
“Alcuni di noi devono crescere prima di altri.”
 
*
 
 
“Zio, ci sei?”
Meadow aprì senza bussare la porta comunicante tra la sua stanza e quella dello zio, sfoggiando un largo sorriso quando vide Joshua steso sul suo letto matrimoniale, senza maglietta e con un libro in mano. Gli occhi del mago scivolarono via dalle pagine del libro per posarsi su di lei, scrutandola brevemente da capo a piedi per controllare che fossa tutta intera. Non scorgendo ferite o arti mancanti l’uomo accennò un sorriso di rimando, salutandola con tono pigro senza muovere un muscolo:
“Ciao. Vedo che sei tornata illesa dalla tua gita.”
“Silas e Asher dovevano lavorare questo pomeriggio, quindi siamo tornati prima di pranzo, ma non ti ho visto in giro. Me ne sono stata a poltrire a bordo piscina da sola. Lady Diana, ciao!”
Quando vide la sua gattina nera zampettare verso di lei con un mite e tenero miagolio Meadow sorrise, chinandosi per prenderla delicatamente in braccio e stringerla a sé con affetto.
“Ti ha trattato bene lo zio Joshua? Mi sembra di sì, direi che sei viva e vegeta.”
Mentre Meadow accarezzava con un dito il musetto della micina Joshua chiuse il libro con un sono sbuffo, indispettito per la scarsissima fiducia che la nipote era solita riporre in lui:
“Perché quel tono sorpreso, quando eri tu quella che spesso e volentieri si scordava di darle da mangiare, i primi giorni?! Se ho cresciuto te sono in grado anche di crescere un gatto.”
“Erano i primi giorni, smettila di rinfacciarmelo, non ero abituata a questa responsabilità. E comunque non è più successo.”
“Per fortuna, direi. Ti sei divertita?”
“Tantissimo, ho visto un Museo fighissimo, c’era anche l’acquario. Poi siamo stati mezz’ora al negozio dei souvenir perché io e Asher non riuscivamo a decidere che cosa comprare.”
I negozi dei souvenir, agli occhi di Joshua Wellick, erano il male assoluto sceso in Terra: sordidi buchi neri che risucchiavano i turisti e li imbambolavano con file e file di stronzate inutili, cose di cui nessuno aveva realmente bisogno e che naturalmente si facevano pagare un occhio della testa. Ora che ci rifletteva, i negozi dei souvenir erano come le gioiellerie.
Per questo motivo l’uomo quasi impallidì e si preparò al peggio quando sentì la nipote accennare a quel genere di acquisti, e la vide depositare Lady Diana sulla trapunta turchese del suo letto per infilare una mano nella sua borsa di tela color crema sperando di non ritrovarsi davanti ad un altro portaocchiali, o un grembiule da cucina o l’ennesimo block-notes. O peggio, un servizio di piatti a tema marittimo.
“Ti prego, dimmi che non mi hai preso una tazza con una balena sopra…”
“Erano finite, uno stramaledetto marmocchio mi ha soffiato l’ultima. Non volevo lasciargliela, ma Asher ha insistito…”
Joshua non condivise la profonda amarezza con cui Meadow parlò – ripensando con stizza al bambino francese di otto anni con cui aveva discusso pur parlando in lingue diverse –, anzi non riuscì a trattenere un sorriso profondamente sollevato. O almeno finchè la nipote non tirò fuori dalla borsa un morbidissimo peluche verde e azzurro a forma di tartaruga marina.
“Ti ho preso questa. L’ho chiamata Josh.”
La ragazza porse il pelouche allo zio con un sorriso, guardandolo aggrottare le folte sopracciglia color pece mentre allungava una mano pallida per prendere la tartaruga
“… Josh come Joshua?”
“Esatto. Tranquilla piccola, ho preso qualcosa anche a te. Ecco, questa è tua.”
Meadow estrasse una seconda tartaruga di pelouche dalla borsa, almeno tre volte più piccola rispetto a quella donata allo zio, e la sistemò sul letto accanto alla sua gattina. Mentre Lady Diana osservava con curiosità la sua “nuova amica” Joshua spostò accigliato lo sguardo da un pelouche all’altro – forse avrebbe preferito fare a cambio e tenersi quella più piccola, ma non ebbe il coraggio di dirlo né alla nipote né alla gattina, che stava già picchiettando una zampetta sul morbido carapace del giocattolo – e Meadow, visibilmente molto orgogliosa dei suoi acquisti, sorrideva soddisfatta:
“Lei la chiamiamo Kate!”
“Come Kate Middleton?!”
“Certo.”
 
 
 
 
 
(1): “Un grandissimo stronzo cretino disgustoso”
(2): “Buzzurro”
(3): “Ero giovane e ingenua”
 
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
*Una piccola nota introduttiva: tutti i fatti narrati in questo capitolo ambientati al Museo Oceanografico di Monaco corrispondono a fatti realmente accaduti e che hanno coinvolto me medesima, vi prego di ricordarlo e di essere clementi con loro in caso aveste intenzione di sottolineare quanto siano idioti Silas e Meadow nei commenti. E se ve lo steste chiedendo sì, le murene mi fanno venire la pelle d’oca.*
Buongiorno!
Vi avevo dato appuntamento a luglio per il capitolo 7 ed eccoci qui di nuovo con i nostri vacanzieri preferiti (più i miei OC, vale a dire i poveretti che lavorano, che madre crudele). Il capitolo non mi convince e potevo di sicuro fare di meglio, ma non volevo farvi aspettare ancora molto T.T Ok, forse quando ho detto che avevo una meta in mente per qualche OC pensavate a qualcosa di serio/romantico, mi scuso se vi ho creato false aspettative ma io dovevo scrivere quelle scene con la vespa e il Museo. Museo che a mio umile parere è uno dei più belli e fighi di tutta Europa, quindi se avete l’occasione correteci senza esitare. E preparate il mutuo per comprare le tartarughe marine di peluche al bookshop T.T
Diciamocelo, c’è chi ha riso immaginando un’ignara Anjali che arriva in piscina seguita da un branco di bufali muschiati e chi mente. Di sicuro Joël stava sghignazzando come un pazzo da qualche parte, lo so per certo.
Vi lascio anche una sua foto nel previamente descritto costume, così può apparire chiaro il motivo del sovraffollamento della piscina:
anji  
Mi duole però comunicarvi l’eliminazione di Amaryllis, come al solito speravo di riuscire a portare a termine una storia senza perdite appresso e come al solito le mie speranze sono state vane. Elimino OC da anni, sono stanca di ripetere le stesse cose e in più molte di voi partecipano alle mie storie dai tempi in cui il covid non esisteva e Charlotte Selwyn andava a zonzo per Hogwarts insultando William Cavendish, quindi non sto qui ad ammorbarvi l’esistenza con i soliti discorsi che sapete a memoria e passo oltre, mi limito a sottolineare la mia speranza di non dover eliminare qualcun altro, so che lo dico sempre ma a maggior ragione in questa storia visto che gli OC non sono molti. Ve lo dico sinceramente, non ho nessuna voglia di riaprire le iscrizioni, non è una cosa che mi va molto a genio e anche se la storia non è ancora a metà ammetto che avrei qualche difficoltà ad integrare nuovi OC con quelli già presenti, quindi vi supplico, non datevi alla macchia più rapidamente di Sabrina di fronte agli scorpioni di Alphard.
Parlando di cose più piacevoli, diamo inizio al toto shipname! *sigla* 
Allora, i nomi papabili per Sabs e il Tombeur de Femmes quotati sono stati:
  • Jabrina
  • Sabël
Li trovo molto carini entrambi, ma visto che Sabël è stato proposto dalla cara Em, madre di Joël, penso che questo debba avere la precedenza.
Per Anjali e Alphard abbiamo invece Anjard che per la pronuncia somiglia paurosamente ad en garde e ha senso visto che mi figuro chiaramente Anjali mentre sfida a duello qualche ex fiamma di Alphy con il bastoncino di uno costosissimo spiedino di pesce del Mediterraneo mentre Joël fa il tifo e Sabrina cerca invano di fermarla ma so che l’unica cosa che vi interessa sono i nomi delle vere ship di questa storia, ovvero:
  • Alphua (Alphard + Joshua)
  • Sierre (Silas + Pierre)
  • Seasher (Silas + Meadow + Asher), che sembra il nome di un piatto di pesce, perciò ci piace.
Ora che abbiamo stabilito i nomi delle ship di questa storia, una più fantastica dell’altra, vi saluto, vi ringrazio come sempre per i commenti e per l’affetto che date ai miei ragazzi e alla storia e vi do appuntamento al prossimo capitolo, dove sicuramente leggerete dei vostri bambini impegnati a recarsi nei posti che mi avete indicato nelle risposte che qui non ho avuto modo di inserire.
Un bacio!
Irene
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 

Martedì 6 luglio
 
 
“Che stile, che classe, che eleganza. La amo. La venero.”
Anjali Kumar parlò lasciandosi sfuggire un sospiro pieno di ammirazione mentre sedeva sul divano grigio dell’appartamento della sua migliore amica, le gambe ripiegate contro il corpo e poggiate con grazia sul divano e i lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle lasciate scoperte dall’elegante canottiera di raso bianco che la strega indossava.
Stai parlando di Grace Kelly o ti limiti a ripetere i complimenti che ti hanno rivolto dall’inizio della settimana?”
Come Anjali, Sabrina parlò allungando una mano verso l’enorme ciotola bianca situata in mezzo a loro e contenente una generosissima dose di popcorn ancora caldi, portandosene un paio alle labbra mentre la svizzera, accanto a lui, sbuffava e scuoteva la testa senza smettere di fissare con attenzione l’enorme schermo della tv appesa alla parete di fronte:
“Di Grace, è ovvio. Come se esistesse qualche essere vivente in grado di potersi paragonare a lei. Guarda questo vestito, è meraviglioso, quanto vorrei poterlo indossare!”
Sabrina osservò brevemente l’iconico vestito – oggettivamente splendido – dall’ampia gonna midi bianca e il corpetto nero indossato da Grace Kelly nelle sue prime apparizioni in “La finestra sul cortile” prima di voltarsi leggermente verso l’amica, accennando un tiepido sorriso prima di parlare: il fatto che Anjali idolatrasse l’attrice era cosa nota a chiunque la conoscesse bene, ma talvolta trovava quasi adorabile il modo in cui persino lei, quella che per strada tutti si voltavano a guardare, riusciva a provare tanta ammirazione per un’altra donna.
“Sono sicura che ti starebbe d’incanto. Scommetto che molto non ci crederebbero, che persino tu puoi provare invidia verso qualche altra donna. Ma dimmi, stiamo guardando il film per il film in quanto tale o per commentare gli outfit della Principessa?”
“Per entrambe le cose, logicamente. In tutte le sue performance indossa vestiti meravigliosi, ma quelli di questo film non hanno eguali. Ricorda che mi hai promesso di andare a Palazzo, domani.”
Certo Altezza, la carrozza è già lucidata e attende solo che voi le facciate l’onore di salirvi.”
“A proposito, per il mio compleanno sappi che ho intenzione di trascinarti a Vienna per tornare allo Schönbrunn. Voglio rivedere il palazzo della Principessa Sissi!”
Il bel volto di Anjali si caricò di un’espressione sognante mentre la strega ripensava alla sua ultima visita alla capitale austriaca e alla famosa residenza nello specifico, non prestando minimamente caso al modo in cui Sabrina roteò gli occhi scuri mentre prendeva un’altra manciata di popcorn dalla ciotola: si erano conosciute solo all’inizio dell’adolescenza, ma immaginare una piccola Anjali che giocava giorno e notte a fare la principessa con tanto di corona in testa non le risultava affatto difficile. I rimasugli di quella fissazione erano ancora ben visibili, e risiedevano soprattutto nella mania della svizzera di mostrarle le foto degli outfit di Kate Middleton per commentarli, criticando spesso aspramente la Duchessa per la sua capacità di non sbagliare mai un colpo e di essere sempre perfetta anche dopo tre figli, ma come faceva?!
“Trovo che tu sia troppo ossessionata dalle Principesse e dalle famiglie reali in generale, ma so che non potrò oppormi quindi non spreco neanche una briciola di tempo a provarci.”
“Brava Sabrina, vedo che ormai mi conosci bene! Adesso però shh, Grace e Jimmy Stewart stanno discutendo perché lui non vuole impegnarsi seriamente con lei nascondendosi dietro alla scusa del suo lavoro. Pf, uomini, tutti uguali!”


 
*
 
Mercoledì 7 luglio
 
 
Joël stava facendo colazione da solo, il Journal des Sorciers aperto sul tavolo per tenersi pigramente aggiornato sulle notizie inerenti al mondo magico francese, quando una donna a lui molto nota lo raggiunse camminando a passo svelto e sedendoglisi davanti senza nemmeno aspettare che alzasse lo sguardo:
“Pensi che questo outfit vada bene per la visita a Palazzo?!”
Il musicista sollevò la testa per distogliere lo sguardo dalle pagine del giornale aperto sul tavolo e puntare gli occhi chiari su quella che poteva a tutti gli effetti considerarsi forse la sua unica vera amica donna al mondo, osservandola brevemente al di sopra della tazza di caffè che aveva sollevato davanti a sé proprio quando Anjali era arrivata prima di inarcare un sopracciglio, perplesso, rassegnato e divertito al tempo stesso:
“Perché ti stressi tanto? Primo, staresti bene anche travestita da clown, secondo, non penso che incontrerai un qualche Principe da sposare, quindi io mi impegnerei così tanto…”
Le sue parole stizzirono fortemente Anjali, ma naturalmente il francese non si scompose affatto mentre la strega invece distoglieva lo sguardo con fare sostenuto e rivolgeva un cenno sbrigativo con la mano verso di lui, offesa:
“Ma tu che ne vuoi sapere, non hai il minimo senso dello stile! È una fortuna che tu sia così bello, te lo dico sempre, o non avresti così tante avventure alle spalle. E comunque che c’entra, non ci vado vestita bene per adescare qualcuno, ma per non stonare con l’ambiente e non mancare di rispetto agli stessi pavimenti che furono attraversati dalla Divina Grace…”

Di nuovo l’espressione di Anjali si fece sognante, e Joël si limitò ad alzare gli occhi al cielo – per poi affrettarsi a tornare a concentrarsi sull’amica quando si rese conto che una ospite dell’Hotel con cui era stato durante i primissimi giorni di vacanza lo stava fulminando con lo sguardo dall’altra parte della sala interna del ristorante – mentre Sabrina, un vestito color avorio con le maniche a sbuffo, coperto da minuscoli pois neri e lungo fino a metà polpaccio addosso, si avvicinava al loto tavolo per salutarli:
Bonjour…”
“Sabs eccoti, per fortuna ci sei tu. Questo outfit va bene per il Palazzo?!”
Sabrina non ebbe il tempo di dire altro, perché quando si fermò davanti al tavolo stringendo delicatamente lo schienale della sedia rimasta vuota con le mani abbronzate Anjali sollevò subito lo sguardo su di lei e indicò speranzosa la propria figura, guardandola come se da lei avesse dipeso tutta la sua vita.
“Anjali, staresti bene anche vestita da fornaio.”
Poiché si trattava di una scenetta che si replicava ogni anno la Direttrice non si scompose, limitandosi a rivolgere un tiepido sorriso paziente all’amica – che sembrò rilassarsi e decise che il suo abito di raso con le maniche lunghe color rosa antico e chiuso frontalmente da una fila di piccoli ed eleganti bottoncini poteva andare bene – mentre Joël, scorta la strega, annuiva chiudendo il giornale per metterlo da parte:
“Io ho suggerito il paragone con il clown, lo trovo più azzeccato, ma il succo non cambia.”
“A proposito di succo, fai colazione con noi chérie, s'il te plaît.(1)
All’improvviso Anjali sembrò dimenticarsi del problema insormontabile del suo look per la gita prevista per quella mattina e si voltò verso l’amica sfoderando il più ammaliante dei suoi sorrisi, mostrando due perfette file di denti candidi allineati al millimetro mentre allungava una mano per sfiorare con gentilezza il braccio di Sabrina fasciato dalla manica leggera del suo abito: non facevano mai colazione insieme per colpa del lavoro dell’amica, e considerando che si era finalmente decisa a prendersi un giorno libero Anjali era del tutto intenzionata ad approfittarne. Sabrina sapeva di non avere molto margine di scelta e di non poter dire di no – aveva promesso ad Anjali che durante il suo giorno libero avrebbero recuperato il tempo che era stato sottratto loro dal suo lavoro – e dopo una brevissima indecisione finì con l’annuire, scostando la sedia per sedersi tra Anjali e Joël.
“… Très bien. Jerome?”
Mentre sedeva Sabrina ruotò leggermente la testa verso destra per richiamare l’attenzione del giovane cameriere dietro di loro, che sentendosi chiamare le apparve subito accanto sfoggiando un sorriso educato:
“Oui?”
“Un cappuccino freddo decaffeinato, succo d’arancia…”
“E pancake al cioccolato, devi ingrassare un po’. Non guardarmi così, mi interessa la tua salute!”
La svizzera rispose all’occhiataccia dell’amica sollevando entrambe le sopracciglia con fare innocente e spalancando leggermente i grandi occhi chiari, finendo col sorridere mentre Joël ridacchiava piano e Sabrina scuoteva la testa con rassegnazione consentendo ai corti capelli castani di solleticarle il mento e gli angoli del viso.
Très bien, pancake siano. Hai frequentato un corso per riuscire sempre a costringere la gente a fare quello che vuoi, Anji?”
“Ma certo che no, me l’ha insegnato mia madre! Allora Tombeur de Femmes, Sabs oggi finalmente non lavora e andiamo a Palazzo, vuoi unirti a noi?”
“Che tenera, ti piacerebbe godere della mia sublime compagnia?”
Un sorrisetto fece capolino sul bel viso di Joël mentre il mago sollevava la tazza di caffè per portarsela alle labbra, gli occhi chiari carichi di un luccichio divertito mentre osservavano Anjali rispondere amabilmente al sorriso scuotendo il capo con nonchalance:
No caro, è solo che vorrei qualcuno disposto a tenermi la borsa mentre Sabs mi fotografa…
La colazione di Sabrina arrivò poco dopo a tempo record – dopo che Joël, dichiarando di non avere nulla da fare, ebbe accettato di accompagnarle dichiarando che però non si sarebbe assolutamente prestato a fare l’appendiabiti antropomorfo –, e la strega aveva appena preso in mano il suo bicchiere pieno di succo ghiacciato quando Joël volse lo sguardo su di lei, la fronte aggrottata e un’ombra di rassegnazione sul viso:
“Quindi noi saremmo i suoi valletti?”
Sabrina sorrise, divertita, e annuì guardandolo come a chiedergli se davvero ci aveva messo così tanto per rendersene conto prima di avvicinare il bicchiere di succo a quello ormai semivuoto del francese per farli tintinnare:
Touché.”
 
 
Quando i tre lasciarono la sala del ristorante un quarto d’ora dopo, Joël impegnato a domandarsi se accettare l’invito fosse stata una buona idea, Anjali con un sorriso a trentadue denti sulle labbra e Sabrina chiedendosi amaramente perché in fondo le facesse quasi piacere l’occasione di passare del tempo con il musicista, quest’ultima avanzò attraverso la Hall sfilando i suoi occhiali da sole firmati Dior dalla custodia per inforcarli, dandosi una rapida ravvivata ai corti capelli castani mentre Anjali la seguiva tenendo felicemente Joël a braccetto:
“Ho chiesto a Pierre di farmi portare l’auto qui fuori, non ho nessuna intenzione di andare a piedi fino al Palazzo…”
Se anche fosse io te lo avrei impedito, sia per la tua pressione, sia per i miei tacchi nuovi che avevo intenzione di mettere oggi. Alphard, ciao!”
Quando le porte di uno dei due ascensori che conducevano ai piani superiori si aprirono e Alphard mise piede nella Hall Anjali si voltò verso di lui sfoggiando un sorriso radioso e fermandosi di scatto, costringendo Joël a fare altrettanto prima di far scivolare il braccio dalla presa dell’amico e affrettarsi a raggiungere l’imprenditore:
“Buongiorno Anjali.”
L’uomo la salutò per primo, accennando un sorriso e fermandosi per aspettare che lei lo raggiungesse con l’aria di chi è sinceramente felice di imbattersi in qualcun altro. la cosa rasserenò la strega, che ricambiò apertamente il sorriso mentre si fermava davanti a lui
Bonjour. Vai a fare colazione? Io sto uscendo e sono scesa prima del solito, peccato non esserci incrociati.”
La strega lo osservò con un sorriso gentile a incurvarle le labbra carnose verso l’alto e le sue ultime parole sembrarono sincere e non una mera forma di cortesia mentre Alphard, ricambiando placidamente il sorriso, la osservava brevemente da capo a piedi:
“Lo vedo. Dove sei diretta, così bella?”
“Vado a fare il mio consueto giretto annuale a Palazzo.”
“Davvero? Anche Briar voleva andarci questa mattina, credo che abbia preso un taxi poco fa… Penso che la incrocerai.”
 
 
“Pensi che si ricordi della nostra esistenza?”
Le mani sprofondate nelle tasche dei suoi bermuda con nonchalance, Joël si rivolse a Sabrina mentre la strega continuava ad osservare i due da dietro le lenti scure dei suoi occhiali. Loro e anche gli ascensori, in realtà, i secondi in particolare con una punta di apprensione.
“In questo momento? No di certo. Ma spero che si sbrighi e ci permetta di andare prima che arrivi mia madre.”

La strega prese a muoversi irrequieta, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro mentre il musicista accennava un sorrisetto verso di lei osservando il bel viso della strega:
“Se le somigli almeno un po’, immagino che sia un bel tipo.”
“Non sai quanto.”
 
 
“Pensi che questo vestito vada bene? Sai, ero indecisa su cosa indossare, ma i miei amici mi prendono in giro!”
“Certo che va bene. E non dovrebbero prenderti in giro, è normale volersi vestire a modo quando si va in certi posti.”
“È esattamente quello che penso io!”


 
“Oh Mio Dio… Sono anime gemelle…”       Parzialmente incredulo da ciò a cui stava assistendo e vagamente sconvolto al tempo stesso, Joël parlò in un sussurro sgomento senza riuscire a staccare gli occhi dall’ucraino e dalla svizzera, che stavano chiacchierando amabilmente a pochi metri di distanza e apparentemente del tutto incuranti di chi e cosa stava attorno a loro.
“Merlino sì, sono fatti l’uno per l’altra….”
Al contrario di Joël Sabrina – già parzialmente consapevole prima di quel momento di quanto la sua amica e l’ospite sembrassero essere simili, passione per gli scorpioni a parte – parlò con tono divertito, sinceramente felice che Anjali avesse conosciuto qualcuno che sembrava piacerle per la prima volta da quando aveva lasciato il suo ex. Forse se almeno una delle due fosse giunta al termine dell’estate con qualche storia romantica da raccontare sua madre sarebbe stata comunque parzialmente soddisfatta, in fondo.  
“Dovremmo fingere di non star origliando, secondo te?” 
Sabrina si prese un paio di istanti prima di rispondere senza smettere di osservare Anjali e Alphard, lasciando che infine un accenno di sorrisetto divertito le incurvasse le labbra mentre si voltava a sua volta verso Joël:
No.”
 
 
Seppur a malincuore, pochi minuti dopo Anjali si vide costretta a salutare Alphard, sia per lasciarlo alla sua colazione sia perché, alle sue spalle, Sabrina aveva preso a schiarirsi la voce in modo più rumoroso della norma e Joël a dichiarare a voce appena più alta del solito come il suo bel trucco avrebbe rischiato di sciogliersi se fossero usciti tardi e con qualche grado in più. Il timore di ritrovarsi con il make up sfatto aveva spinto Anjali a decidersi a lasciar andare Alphard, salutandolo con un bacio su una guancia prima di girare sui tacchi e affrettarsi a raggiungere i suoi amici.
La strega era quasi tornata da una Sabrina e un Joël visibilmente sollevati quando Alphard la chiamò, portandola a voltarsi di scatto verso di lui con un sorriso speranzoso sulle labbra mentre Sabrina, dietro di lei, sospirava esasperata passandosi una mano tra i capelli:
“Anjali? Ti piacerebbe se cenassimo di nuovo insieme una di queste sere?”
“Certo! Quando vuoi! Cioè, ovviamente sono molto impegnata, ma mi piacerebbe molto.”
 
Sabrina, ferma vicino all’amica, spostò lo sguardo dal suo viso a quello di Alphard prima di roteare gli occhi scuri, decidere che ne aveva abbastanza di vederli farsi gli occhioni dolci e infine prendere saldamente Anjali per un braccio prima di rivolgersi con tono sbrigativo quanto pacato all’uomo:
“Scusi Signor Vostokoff ma dobbiamo portargliela via. Le auguro una buona giornata, vieni Anji.”
La francese trascinò via Anjali prima di darle il tempo di opporsi, dirigendosi a passo spedito verso le porte mentre la svizzera protestava sommessamente e Joël, seguendole, sghignazzava divertito dopo aver rivolto un cenno di saluto in direzione di Alphard:
“Sei proprio una guastafeste St John.”
“Senti, bello, se vuoi farti la strada a piedi sei sulla strada giusta. Detesto interrompere gli idilli romantici altrui, ma ho caldo e indosso scarpe belle quanto scomode!”


 
Cinque minuti dopo, dopo aver salutato Benoit, i tre riuscirono finalmente a salire nella Giulietta retrò bianca di Sabrina – Joël venne naturalmente relegato sui sedili posteriori da Anjali, che dichiarò che il posto del passeggero spettava a lei –, che si allacciò la cintura di sicurezza e si sistemò gli occhiali da sole sul naso prima di mettere in moto l’auto.
Joël, dietro di lei, decise di approfittare di tutto lo spazio a disposizione sedendosi al centro del sedile, esattamente nello spazio lasciato vuoto tra Sabrina e Anjali per poter guardare la strada davanti a sé, ma proprio mentre Sabrina si accingeva a partire l’amica la bloccò, le mani impegnate a frugare all’interno della sua costosissima borsa:  
“Fermi tutti, aspetta a partire Sabs. Prima le cose importanti.”
Anjali aprì la sua Birkin bianca per estrarre i suoi occhiali Chanel prediletti e un bellissimo foulard rosa cipria e nero di Hermes: si infilò gli occhiali e, osservando il proprio riflesso nello specchietto retrovisore, si allacciò con cura il foulard sotto al mento in modo che le coprisse i capelli scuri mentre Joël, dietro di lei, si allungava verso Sabrina senza smettere di guardare l’amica con un sopracciglio inarcato:
“Che cosa sta facendo?!”“Pensi che questo vestito vada bene? Sai, non sapevo cosa indossare, ma i miei amici mi prendono in giro!”
Sabrina aveva assistito a quella scena un milione di volte e si limitò a sospirare, la testa abbandonata contro il sedile di pelle mentre osservava rassegnata l’amica sistemarsi il foulard sui capelli:
“Immagino che stia imitando Grace Kelly in Caccia al Ladro. Aspetta, quindi io sarei il tuo Cary Grant?!”
“Di che ti lamenti, Cary era un figo!”
“Hai ragione, non mi lamento. Ora possiamo partire?!”
“Certo, partiamo pure, ma non andare troppo veloce, non vorrei che il foulard mi scappasse via. Sia perché costa un patrimonio, ma soprattutto perché non voglio finire come Bridget Jones e arrivare a destinazione con i capelli cotonati.”
Di nuovo Sabrina alzò gli occhi al cielo, ma approfittò del consenso dell’amica per partire mentre Joël, dietro di loro, si sistemava distrattamente i capelli castani tenendo un braccio appoggiato sullo schienale di pelle del sedile e gli occhi coperti dalle lenti scuri degli occhiali rivolti pigramente verso il cielo azzurro:
Sapete, quando noi arriveremo a destinazione, ci saranno donne nel mondo rimaste incinte questa mattina che staranno partorendo.”
“Zitto Joël, o ti lasciamo a piedi!”
“Mi hai invitato tu!”
“Ma non per fare commenti acidi su di me! Sabs, quest’auto ha un pulsante Espelli-Uomini?”
“Non è mica la Batmobile!”

 
*
 

Meadow mise piede nella sala del ristorante sbadigliando sonoramente e destando qualche sguardo accigliato attorno a sé, ma per fortuna la ragazza si infischiò delle reazioni altrui e seguì lo zio per accomodarsi insieme ad un tavolo libero. La strega scivolò con malagrazia su una sedia prima di sbadigliare di nuovo, borbottando come in vacanza avrebbe dovuto essere dichiarato illegale alzarsi prima delle 9.
“Meadow, sai come funziona, se arriviamo tardi quegli stramaledetti crucchi ci soffiano tutte le brioche migliori, perché a loro la colazione salata non basta, vogliono anche quella dolce!”
E lui ai crucchi non l’avrebbe mai data vinta.
Al contrario della nipote Joshua sedette con grazia disinvolta, ignorando gli sguardi ammirati destati in qualche donna nei paraggi mentre apriva con pochi e rapidi gesti decisi il suo giornale per dare una letta alle prime pagine mentre Meadow quasi si spalmava sul tavolo per la stanchezza:
“Lo so zio, e io voglio poter scegliere liberamente tra la brioche alla marmellata, al cioccolato, alla mandorla, al pistacchio, integrale, al miele, ai frutti rossi e alla crema di ricotta, ma il prezzo da pagare è comunque alto.”
Esagerata. Sei sempre troppo drammatica.”
La voce di Joshua giunse da dietro il giornale che il mago teneva aperto davanti a sé e Meadow si ritrovò a scoccare un’occhiata torva ad un foglio di carta invece che alla faccia di suo zio, ma mise da parte il suo malumore quando si ricordò della promessa che Joshua le aveva fatto pochi giorni prima:
“Certo, amo la recitazione. Ricorda che nel weekend mi hai promesso di andare a teatro!”
Il pensiero della promessa fattale dallo zio sembrò ridestarla e ridarle tutte le energie, tanto che la ragazza si mise improvvisamente a sedere dritta e sfoggiò un largo sorriso mentre un cameriere si avvicinava per prendere la loro ordinazione.
“Certo Meadow, lo so, sabato hai detto. Non sono ancora così vecchio da avere problemi di memoria.”
Quando i Wellick appresero che i crucchi non avevano minato in alcun modo la loro varietà di scelta per la colazione si sentirono immensamente sollevati, e dopo aver ordinato liberamente non dovettero fare altro che attendere, Joshua leggendo il giornale e Meadow, incapace di restare ferma, agitandosi sulla sedia e muovendo ritmicamente le dita sul tavolo.
“Meadow?”
“Eh?”

“Stai facendo ballare tutto il tavolo.”
“Ops, scusa.”
 
Per Meadow stare ferma e seduta composta era sempre stato difficile, sin da bambina, ma fece del suo meglio per non far tremare tutto il tavolo e cercò di limitare i movimenti alle dita, tamburellandole sul tavolo. Si stava guardando attorno, sperando che il suo caffè freddo arrivasse in fretta, quando scorse finalmente un viso familiare varcare la soglia della sala del ristorante, sorridendo d’istinto ad Asher mentre il ragazzo si avvicinava al loro tavolo:
“Asher, ciao! Come va?”
Meadow rivolse un sorriso radioso all’amico, che si fermò accanto al tavolo prima di ricambiare e spostare lo sguardo su Joshua, salutandolo mentre l’uomo abbassava il giornale per gettargli un’occhiata. Per certi versi era un sollievo che sua nipote avesse fatto amicizia con un ragazzo dall’aria così gentile e normale, si ritrovò a considerare Joshua mentre Asher gli rivolgeva un timido sorriso:
“Ciao Meadow. Buongiorno Signor Wellick.”
“Ciao Asher.”
“Oggi devo occuparmi di Hope, so che Silas è impegnato qui e volevo chiederti se ti andrebbe di portarla a spasso insieme a me, così facciamo un giro. Possiamo portare anche Frankie, il mio cagnolino, se ti va.”
Lo sguardo della giovane strega si illuminò nel sentir nominare il delizioso barboncino di Asher e Meadow non esitò ad annuire, quasi saltellando sulla sedia mentre si affrettava ad accettare l’invito:
“Ohh sì, il tuo cagnolino è cosììììì carino, anche a me piacerebbe averne uno se non fosse che lo zio…”
No.”
“Vedi? È cattivo! Beh, comunque verrò, certo!”
“Bene, allora ci vediamo dopo nella Hall con i cani. Vi lascio fare colazione.”
Asher si congedò con un sorriso prima di girare sui tacchi e allontanarsi, diretto ad un tavolo sulla terrazza – Ridge e Brooke stavano facendo colazione all’interno e non aveva alcuna intenzione di farsi andare di traverso il suo zuccheratissimo caffelatte guardandoli amoreggiare – ma udendo comunque quale strascico della discussione in corso tra Meadow e suo zio, che sembrava un tipo veramente molto serio ma che, come la ragazza aveva più volte assicurato a lui e a Silas, “in realtà era un po’ un cretino con l’aria da bell’aristocratico”:
 
“Perché non posso avere un cane?!”
“Non sei abbastanza responsabile, un gatto è sufficiente.”

“Ma se io…
“No.”
“E un’iguana?!”
“Ma che orrore, io non lo voglio un dinosauro in casa mia!”
 
 
 
“Mia, che cosa vuoi fare oggi?”
Se Sloan sperava che sua moglie dichiarasse di essere stanca, di essere esausta, di non poter sopportare il caldo e di volersene stare a poltrire godendo dell’aria condizionata tutto il santo giorno, il noto allenatore di Quodpot vide le sue più rosee speranze infrangersi e finire nel dimenticatoio quando la strega, sorridendo allegra, rimise il suo bicchiere di tè freddo sul tavolo dichiarando di avere proprio voglia di fare una passeggiata, dopo pranzo.
“Dove vorresti andare?”
“Vorrei vedere il Giardino Giapponese e il Roseto dedicato a Grace Kelly.”
Il sorriso di Mia non contagiò il marito, che sospirò mentre si metteva comodo contro lo schienale della sedia, arrendendosi all’idea di dover trascorrere mezza giornata sotto il sole cocente della Costa Azzurra:
“Tutto meraviglioso, se solo non ci fossero 3000° all’ombra.”
“Tesoro, so che mal sopporti il caldo, ma se ce la faccio io che sono incinta credimi, puoi farlo anche tu.”
“Non vedo l’ora che nasca, sia perché voglio conoscerlo, o conoscerla, sia perché così la smetterai di giocarti la carta della gravidanza per farmi fare qualsiasi cosa tu voglia.”
Mia dichiarò con aria innocente di non avere la più pallida idea di che cosa il marito stesse parlando, ma sorrise divertita a Sloan e gli strizzò l’occhio mentre addentava il suo pain au chocolat. Mentre masticava il suo delizioso dolce la strega, ripulendosi con grazia gli angoli delle labbra carnose dalle briciole, decise di poter concedere un po’ di sollievo e soddisfazione al suo adorato, gentile e affettuoso marito con una proposta che di certo Sloan non avrebbe mai rifiutato:
“Ok, senti, non voglio vederti con il muso, quindi facciamo così. Stamattina facciamo quello che vuoi tu, dopo pranzo usciamo. Che cosa te ne pare della mia generosa e diplomaticissima proposta?”
“Dico che mi sta bene, quindi preparati a trascorrere la mattinata nel Bagno Arabo, che è sempre meravigliosamente fresco!”
Sloan sorrise, sollevato e vittorioso, mentre Mia allungava una mano sul tavolo per prendere la sua scuotendo visibilmente il capo:
“Ti adoro, ma spero che il bambino non prenda da te, o non potrò mai più trascorrere una vacanza al caldo.”
“In pratica un sogno ad occhi aperti, per me.”

 
*
 

“Il tuo cagnolino è dolcissimo, gli voglio già così bene e siamo già amici!”
Meadow parlò gettando un’occhiata intenerita a Frankie, il barboncino di Asher che trotterellava davanti a lei sul marciapiede, la pettorina color zucca legata al guinzaglio stretto dalla strega. La ragazza, che portava un cappello di paglia sulla testa acquistato strada facendo per ripararsi il più possibile da sole, dopo aver parlato gettò un’occhiata torva in direzione di Hope, cambiando radicalmente tono ed espressione:
“Lei invece è antipatica, quando mi ha vista non ha fatto che ringhiare! E sì che a me gli animali piacciono anche.”
“Non prendertela, non le sta simpatica molta gente… Credimi, all’inizio non è stato facile badare a lei, ma per fortuna col tempo si è abituata a me.”
Asher, che camminava accanto all’amica stringendo il guinzaglio della Chihuahua con una camicia a maniche corte bianca coperta da fiori arancioni addosso e gli occhiali da sole calati sul viso, sospirò stancamente mentre osservava con sguardo rassegnato la cagnolina, chiedendosi per quanto altro tempo avrebbe dovuto badare a lei mentre Meadow smetteva di osservare i cani per rivolgere la sua attenzione a lui, guardandolo con curiosità:
“Lavori per loro da molto?”
“Abbastanza. Mia madre non gradisce, ma qualcosa devo pur fare mentre finisco di studiare, la mia famiglia non è nelle condizioni di permettermi di stare con le mani in mano.”
Ai suoi adorati anni materni Agatha ed Evander Asher non avrebbe mai chiesto un centesimo, avrebbe preferito lavorare giorno e notte piuttosto che andare da loro, che lavoravano duramente da anni al loro panificio e che si erano sempre occupati di lui, e chiedere del denaro. Per non parlare di sua madre, che lo aveva cresciuto da sola. Sentirsi un peso economico per la sua famiglia era qualcosa che Asher non sarebbe mai riuscito a tollerare, ma si rese presto conto del significato spiacevole che le sue parole avrebbero potuto avere per Meadow e si affrettò a voltarsi verso la ragazza, mortificato, per scusarsi:
“Non volevo dire che…”
“Non preoccuparti, so di essere fortunata ad avere lo zio che provvede a me, davvero. Tu ti impegni molto, sei un bravissimo ragazzo. Perché a tua madre non sta bene che lavori per i Carrington? Non le piacciono?”
Fortunatamente Meadow gli rivolse un sorriso allegro e sembrò sincera nell’affermare di non essersela presa, rincuorando l’amico: Asher aveva sentito Silas affermare più volte che Meadow fosse sempre molto schietta e si convinse di non averla realmente offesa con quanto aveva detto, tornando così a concentrarsi sulle parole dell’amica incupendosi leggermente. Dire che a sua madre i Carrington non piacessero sarebbe stato una sorta di eufemismo, si disse Asher con amarezza mentre ripensava a tutte le volte in cui sua madre lo aveva pregato di lasciare quel lavoro e di trovarsi qualcos’altro. Sua madre non aveva avuto nulla da ridire su quell’impiego finchè non aveva iniziato ad intuire i sentimenti del figlio nei confronti di Ridge, e da quando aveva appreso della loro relazione non faceva che ripetergli di lasciar perdere l’uomo e di andarsene, sia per la disapprovazione nei confronti di una relazione adultera, sia per quanto spesso vedeva il figlio stare male per colpa dei comportamenti del suo amante.
Ma non era qualcosa che poteva dire a Meadow, così si limitò ad annuire senza guardarla, gli occhi chiari fissi su Hope e Frankie, assentendo con un basso mormorio prima di sforzarsi di accennare un sorriso e
“Sono felice che tu sia venuta con me, è bello avere compagnia.”
“Di niente, è divertente portare Frankie a spasso, e poi così possiamo farci compagnia a vicenda. Mio zio stamani doveva vendere delle bacchette, una barba, e c’è un limite al tempo che posso passare seduta al bancone del bar a prendere in giro Silas. Inoltre, così possiamo approfittarne per fare un giretto nella Città Vecchia, l’altro giorno in Vespa con Silas ero troppo preoccupata a controllare l’itinerario e a pregare di non schiantarci per guardarmi attorno.”
Le sue parole fecero scoppiare a ridere Asher, che si fermò per proporre all’amica di prendere un gelato prima di continuare la loro passeggiata, e anche se Meadow assentì volentieri rivolse comunque un’occhiata stranita all’americano: non stava affatto scherzando, proprio non capiva perché spesso la gente non prendesse sul serio le sue parole.
Mentre aspettava che Asher prendesse il gelato per entrambi Meadow, seduta su una panchina fortunatamente riparata dal sole dall’ombra degli edifici del centro storico in compagnia dei due cagnolini, si allungò per riempire di carezze la sofficissima testa di Frankie, che prevedendo le sue intenzioni la guardò scodinzolando e issandosi sulla panchina con le zampette anteriori per farsi coccolare:
“Sei proprio proprio carino! Dev’essere vero che animali e padroni si somigliano, tu e Asher siete due cucciolotti. E infatti Lady Diana, come me, è molto carina e divertente. Tu invece no, brutta antipatica! Se somigli alla tua madre umana non mi sorprende che lei non piaccia alla mamma di Asher!”

 
*

 
Quello era stato in assoluto il viaggio in auto più surreale che Joël Moyal avesse mai fatto in tutti i suoi 30 anni di vita – soprattutto a causa di Anjali e alle sue continue preghiere a Sabrina di andare piano perché, a quanto sembrava, il suo stesso idolo era morto a causa di una delle ripite curve a gomito che risalivano Monte Carlo e naturalmente la svizzera, seppur amasse idolatrare Grace Kelly ed imitarne il vestiario, non teneva a subire lo stesso destino. L’unico aspetto positivo del loro breve viaggio era stato il canticchio di Sabrina delle note di La Vie En Rose, ma il mago non si premurò di farlo sapere alla strega – e fu quasi un sollievo scendere da quella bellissima auto bianca decappottabile mentre Anjali si sfilava con cura il foulard, apprendendo con gioia che i suoi capelli non avevano assolutamente risentito del tragitto.
“Ci credo, lei non è davvero umana… Non l’ho mai vista con un capello fuori posto.”
Sabrina scese dall’auto con un cupo borbottio che fece sorridere il mago, ma Joël non ebbe il tempo di dire nulla a causa della loro amica, che li invitò a muovere i sederini e a seguirla prima che il Palazzo si riempisse di altri turisti che le avrebbero rovinato le foto e l’esperienza.
“Mon Dieu, sembro un Umpa Lumpa, povera me. Forse dovrei iniziare a farmi prestare qualche foulard!”
Dopo aver brevemente controllato il proprio aspetto nello specchietto retrovisore Sabrina parlò sfoggiando una sincera smorfia, cercando di appiattirsi i capelli corti sulla testa mentre Joeel, sbuffando, camminava a passo svelto accanto a lei per raggiungere Anjali. Quando voleva quella piccoletta riusciva a muoversi ad una velocità sorprendete, persino con i tacchi.
“Non dire cazzate, stai benissimo. Forza, sbrigati, non voglio che Anjali ci usi come bersagli per il suo Lancio-della-Birkin!”
“Beh si dia il caso che io sia la sua migliore amica, non sono contemplabile, al massimo quello sacrificabile da colpire saresti tu, caro.”
L’aspetto peggiore era che Sabrina a conti fatti non aveva torto, pertanto Joël si affrettò a seguire Anjali sui gradini che conducevano all’ingresso del Palazzo riservato ai visitatori – fortunatamente era appena passato l’orario di apertura per le visite, quindi non trovarono alcuna fila all’ingresso – pregando che la strega non avesse davvero intenzione di utilizzare come facchino ambulante.
 

 
*
 

Il bar di mattina era quasi sempre semi-deserto, e Silas si stava limitando a riordinare le bottiglie degli alcolici – quella pazza pignola di sua sorella voleva le marche in ordine alfabetico, da non credere che fossero parenti stretti – dando le spalle al bancone quando sentì una vellutata voce femminile dal marcato accento francese salutarlo in inglese:
“Silas caro, buongiorno.”
Voltandosi, il ragazzo si ritrovò ad osservare la madre di sua sorella tenendo una bottiglia di Baileys in mano, sbattendo ripetutamente le palpebre – non aveva mai visto la donna al bar di mattina da quando era arrivata – prima di sorridere e salutarla gentilmente:
“Ciao Sandrine, ti porto qualcosa?”
“Solo tè freddo, merci, non è decisamente ancora l’orario opportuno per bere alcolici e non voglio sembrare un’alcolista alle persone che lavorano per mia figlia e il mio ex marito. Tua sorella è uscita con Anjali e un altro ospite, me l’ha detto Michel... Ieri l’ho trascinata a fare shopping e penso che abbia fatto un’indigestione di sua madre. La tua come sta?”
Sandrine ricambiò il sorriso gentile mentre giocherellava con un paio di sottobicchieri, portando Silas a chiedersi come facesse la donna a nascondere così bene il suo lato autoritario dietro quei modi perfetti ed amabili. Suo padre diceva sempre che lo aveva portato a sposarla così, per la sua bellezza e i suoi modi deliziosi, e la cosa non lo stupiva. Certo anche sua sorella aveva l’indole da dittatrice, ma Sabrina non si sforzava affatto di nasconderlo e infatti serbava un triste ricordo di tutte le volte in cui, da bambini, lo aveva infilato a forza nel passeggino della sua bambola per portarlo a spasso con tanto di cuffietta rosa in testa. Aveva cercato di nascondere tutte le prove di quei momenti terribilmente imbarazzanti della sua vita, ma sua madre aveva ben pensato di conservare una foto, incorniciarla per poi preoccuparsi di indicarla sghignazzando a tutte le riunioni di famiglia.
“Oh, bene. Ieri sera mi ha chiamato, le ho detto che sei qui e mi ha chiesto di salutarti.”
Merci, ricambia.”
“Sai Sandrine, penso che dopo tutti questi anni potresti smettere di farle le condoglianze per aver sposato mio padre ogni volta in cui la vedi… Cioè, a lei non dà fastidio, è molto autoironica e ci ride su, ma papà si offende.”
“È bene rimarcare le cose importanti, povera Joyce.”


Mentre allungava il bicchiere pieno di ghiaccio e tè freddo alla pesca a Sandrine Silas maledisse suo padre per essersene andato mollando lui e Sabrina da soli all’Hotel, questa volta per un motivo molto diverso dal solito: sarebbe stato semplicemente meraviglioso vedere Gideon e Sandrine battibeccare tutto il tempo, specie considerando che la donna era l’unica persona al mondo capace di esaurire suo padre. I compleanni suoi e di Sabrina, non a caso, costituivano da sempre spettacolini indimenticabili.
 

 
*

 
Briar-Rose stava contemplando con occhi pieni di ammirazione i gioielli, le foto e gli abiti indossati da Grace Kelly anni prima, inclusi quelli della sua carriera di attrice, prima di sposare un Grimaldi, quando nella stanza scorse qualcuno impegnato nella medesima operazione e, con sua somma sorpresa, qualcuno di noto in una città dove non conosceva pressoché nessuno:
“Anjali? Ciao!”
Era piuttosto difficile non riconoscere la svizzera, con i suoi abiti impeccabili, i lucenti capelli scuri e soprattutto quegli enormi e splendidi occhi che sembravano biglie celesti, e infatti quando la strega alzò la testa Briar si ritrovò a contemplare il viso perfettamente truccato e simmetrico di Anjali, che dopo una breve sorpresa iniziale ricambiò subito il sorriso:
“Oh, Bonjour! Sei venuta a rifarti gli occhi? Adoro questo posto, ci vengo tutti gli anni.”
“Sì, giorni fa avevo letto che il palazzo è molto bello, così come la mostra. Peccato che Alphard non abbia deciso di seguirmi, ma sono sicura che se avesse saputo che saresti venuta un pensierino ce lo avrebbe fatto.”
Briar sorrise e Anjali la imitò, visibilmente divertita, ma la svizzera non si lasciò andare ad alcun commento particolare e si limitò a raggirare il tavolo da dove fino a poco prima aveva ammirato quelle bellissime collane di diamanti su cui tanto le sarebbe piaciuto mettere le mani per raggiungere la più giovane e prenderla sottobraccio con un sorriso gentile:
“Sai, sono venuta qui non so quante volte. Posso farti da guida, così la smetterò di sentire una certa persona lagnarsi e potrò invece parlare con qualcuno a cui questo posto interessa veramente. A proposito, la suddetta persona è un bel tipo con modi seducenti, stagli alla larga.”
“Non c’è pericolo, gli uomini non mi interessano affatto.”
“Che ragazza saggia! E anche fortunata, forse, per certi versi. È così difficile trovarne uno decente di questi tempi!”
Anjali sospirò con una tale amarezza da indurre Briar a pensare che fosse del tutto sincera, portandola a guardare la strega aggrottando visibilmente le sopracciglia curate: se era difficile per lei, che cosa avrebbero potuto affermare le donne normali sulla possibilità di trovarsi un uomo decente? Ma con un po’ di fortuna, si disse l’ex Serpeverde mentre Anjali le indicava uno splendido vestito rosso per poi iniziare a snocciolare i dettagli riguardanti l’occasione in cui la defunta Principessa lo aveva indossato, forse Anjali Kumar lo aveva trovato, un uomo decente adatto a lei.
 
 
Nel corridoio adiacente, fuori dalla stanza, Sabrina stava osservando un bellissimo vestito da sera nero con un po’ di invidia quando Joël la raggiunse di corsa, accostandolesi per parlare con un mormorio appena percettibile:
“Anjali ha trovato una povera ragazza da tartassare, possiamo filarcela!”
“Ma sei impazzito, quella è capace di prenderci al lazo! No, faremo così: ci nasconderemo al bar. È la cosa migliore. Lei perderà tre quarti d’ora al negozio dei souvenir, avremo il tempo di tracannare qualsiasi cosa.”
“Mi piace come ragioni, St John.”

 
 
*


Quando Asher aveva espresso il desiderio di vedere il Giardino Giapponese Meadow non aveva esitato a trascinare lui, Hope e Frankie su un taxi per dirigersi nel noto giardino turistico, ignorando le lamentele, le preghiere e le proteste dell’amico finchè non ebbe pagato la corsa e i due ragazzi si ritrovarono all’ingresso del giardino insieme ai due cagnolini.
Hope e Frankie ancora stretti tra le braccia, Asher sottolineò ancora una volta con tono cupo come Meadow non avrebbe dovuto insistere per prendere un taxi e pagare la tratta molto salata, ma la ragazza fece spallucce e liquidò il discorso con un gesto della mano prima di prendere delicatamente Frankie dalle sue braccia – non senza risparmiare un’occhiata torva ad Hope, che la guardò in cagnesco di rimando –:
“Puoi ripagarmi permettendomi di stare con questo piccolino morbidissimo.”
“Avremmo potuto Smaterializzarci!”
Meadow ignorò per l’ennesima volta la protesta dell’amico e si incamminò verso l’ingresso tenendo Frankie in braccio, impegnata a guardarsi attorno e ad accarezzargli le soffici orecchie pelose mentre Asher si affrettava a seguirla per non restare indietro:
“Smaterializzarsi se non si sa di preciso dove andare è un asino e anche rischioso, e se finisco all’ospedale Spaccata in due poi mio zio arriva e mi riduce a pezzettini ancora più piccoli. E noi questo non lo vogliamo, quindi in marcia.”
“Sai, non so se i cani possono entrare qui, in realtà…”
“Ne dubito fortemente, ma noi entreremo lo stesso.”
“E se ci vedono?!”
Scappiamo. Oppure li Confondiamo con la magia! Povero caro, io e Silas non abbiamo una buona influenza su di te, non è vero?”
Meadow si voltò verso il ragazzo prima di accennare un sorriso divertito e di scuse al tempo stesso, colpendolo affettuosamente per due volte su una guancia prima di suggerirgli allegramente di seguirla. Era difficile evitare di trovare Meadow bizzarra, ma ad Asher piaceva comunque moltissimo la sua compagnia e la ragazza lo divertiva molto, senza contare che aveva preso in ostaggio il suo amato cagnolino, pertanto Asher capì di non avere scelta e la seguì pregando di non finire nei guai: se si fosse fatto arrestare in Europa al suo ritorno sua nonna lo avrebbe minacciato con il suo mattarello, e non aveva alcuna intenzione di assistere a quello spettacolo come accoglienza.
“Allora, perché non mi parli di Ilvermorny? Mi sono sempre chiesta come siano le altre scuole di Magia!”
“Beh, è stata fondata nel XVII secolo e si trova su un monte in Massachusetts, dove sono nato anche io. L’ha fondata una strega irlandese emigrata in America di nome Isotta Sayre insieme ad un Babbano di nome James Steward. Anche noi abbiamo 4 Case, ma si chiamano come quattro specie di creature magiche tipiche del Nord America… Isotta, James e i loro figli adottivi scelsero i nomi delle loro creature predilette.”
Asher conosceva quella storia a memoria, tante volte l’aveva sentita a scuola, ma comprendeva la curiosità di Meadow – essendo cresciuto circondato solo da Babbani, quando aveva appreso di essere un mago e aveva messo piede a scuola aveva fatto il possibile per farsi raccontare il più possibile sulla comunità magica e sulla storia di Ilvermorny – e non esitò a snocciolare le informazioni principali su Ilvermorny come già tempo prima aveva fatto con sua madre, entusiasta di avere un figlio mago e di farsi raccontare il più possibile su quella parte della sua vita a cui lei non poteva avere accesso ma che la incuriosiva profondamente.
Proprio come sua madre Meadow sembrò piuttosto interessata, anche se non riuscì a concentrare su di lui la sua completa attenzione e non smise di guardarsi attorno mentre lei e il ragazzo si avvicinavano ad un delizioso ponticello rosso che sormontava un torrente pieno di carpe koi.
“Carino, da noi invece si chiamano come i Fondatori!”
“Le Case sono quattro anche da noi perché i figli di Isotta avevano origini inglesi, conoscevano Hogwarts e volevano che anche la loro nuova scuola avesse lo stesso numero di Case.”
“Insomma se Hogwarts non fosse esistita neanche Ilvermorny esisterebbe? Guarda, dei pesci colorati, che carini!”
Mentre persisteva a stringere Frankie a sé con un braccio Meadow afferrò la ringhiera del ponticello e indicò entusiasta le carpe sotto di loro, osservando i pesci con interesse mentre Asher, rimessa Hope a terra – la cagnolina aveva preso a ringhiargli e voleva evitare di indisporla – si appoggiava a sua volta alla ringhiera per osservare i pesci e annuire con un debole sorriso:
“Probabilmente no. Ma di solito cerchiamo di non ammetterlo ai britannici per evitare che la loro convinzione che Hogwarts sia migliore si consolidi ulteriormente.”
“E perché si chiama proprio Ilvermorny?”
Asher stava per rispondere, ma la vista di un paio di persone che si trovavano ad una decina di metri di distanza – un uomo e una donna troppo alti, belli ed eleganti per passare inosservati e non essere riconoscibili – gli fece morire le parole in gola. L’ex Magicospino spalancò inorridito gli occhi chiari e afferrò Meadow per un polso prima di sfrecciare verso l’estremità opposta del ponte, deciso a non farsi notare da Ridge e Brooke:
“Perché stiamo correndo?! Hai forse visto una svendita di Cinnamon rolls? O di gelati?”
“Mi piacerebbe molto, ma no, ho visto il mio… Ho visto i miei capi e non mi va di parlarci.”
“Porca palettina, ma sono così antipatici? Posso andare a dirgliene quattro se ti trattano male.”
Asher sapeva che Meadow non scherzava affatto e si affrettò a rassicurarla e a pregarla di non farlo, cercando di fare il giro inverso del giardino per evitare di imbattersi in Ridge e Brooke. Si stavano allontanando quando Meadow, Frankie ancora in braccio, si voltò in direzione della coppia aggrottando le sopracciglia corvine con perplessità:
“Ma scusa, perché la fanno portare a spasso a te se anche loro escono a passeggiare? Potrebbero farlo direttamente loro!”
“Meadow quella è gente ricchissima, non sa dove buttare i soldi e hanno bisogno di circondarsi di persone che facciano tutto al posto loro. Ci sono i ricchi carini, come te e Silas, e poi ci sono i ricchi come loro.”
“Lo capisco, mio zio detesta la gente ricca. Anche se è ricco anche lui. Beh, mio zio è strano, hai capito!”
 
 
Al di là del ponticello, ad alcuni metri di distanza da Brooke e Ridge, un’altra coppia sposata – meno propensa a litigare e senza altarini da celare – passeggiava all’ombra delle piante che popolavano il giardino:
“Che caldo insopportabile.”
“Per l’amor del cielo Sloan lo hai ripetuto già 4 volte negli ultimi dieci minuti. Continuare a sottolineare quanto faccia caldo non abbasserà le temperature! E in più...”
Mentre camminavano tenendosi a braccetto Mia alzò la testa per scoccargli un’occhiataccia che fece ammutolire il marito, consapevole di essere sul punto di ricevere una piccata frecciatina sulla gravidanza e di come, nonostante quella incinta fosse lei, lui continuasse comunque a lamentarsi del caldo:
“Ti ricordo che sono io quella incinta di diversi mesi che porterà a termine la gravidanza in estate, quindi stai pur certo che il caldo pesa molto più a me.”
“Ma se hai scelto tu di venire in vacanza qui, se è così avremmo potuto andare in Alaska. Poco male, ci andremo l’anno prossimo.”
“In Alaska con il bambino, o la bambina, piccolissimo?! Con quel freddo?! Sei impazzito?!”
“Allora niente Alaska, ma non rimetteremo piede nel Sud dell’Europa per un bel po’ di tempo. Al massimo ti concedo il Nord. Quanto mi manca il Canada…”
Mentre Mia alzava gli occhi al cielo lo sguardo di Sloan si fece improvvisamente sognante, rimpiangendo amaramente la sua terra natia e pregustando al tempo stesso il momento in cui avrebbe potuto tuffarsi in piscina per rinfrescarsi. Era a tanto così dal tuffarsi direttamente nel torrente, ma era piuttosto certo che nessuno avrebbe gradito e che lo avrebbero ripescato a suon di insulti e denunce.
 

 
*
 
 
Nuovo Museo Nazionalenuovo-museo-nazionale
 
 
Al termine della sua visita al Palazzo dei Grimaldi Briar non aveva fatto ritorno al Le Mirage, raggiungendo invece Alphard al Cafè de Paris per pranzare insieme all’aperto prima della visita al Nuovo Museo Nazionale che avevano in programma per il primo pomeriggio.
Briar-Rose girovagava sotto il sole da quella mattina e moriva dalla voglia di farsi un tuffo in piscina o di rilassarsi nel Bagno Arabo, ma nemmeno il caldo smorzò la sua curiosità di visitare il Museo data la sua grande passione per l’arte, passione che condivideva con Alphard e insieme a cui varcò la soglia della grande villa risalente alla Belle Époque che ospitava le mostre.
“Allora, ti sei divertita questa mattina?”
“Sì, molto, è stata una bella visita e la mostra dedicata a Grace Kelly è semplicemente meravigliosa. Tu che come hai occupato il tuo tempo?”
Briar si fermò accanto all’amico, osservando insieme a lui il quadro che avevano davanti mentre l’uomo si stringeva debolmente nelle spalle, come se la sua mattinata non fosse stata segnata da nulla che valesse la pena di raccontare:
“Mi sono rilassato a bordo piscina, un po’ prendendo il sole e un po’ nuotando.”
“Muoio dalla voglia di fare altrettanto quando torneremo all’Hotel, per fortuna qui c’è l’aria condizionata. Sai chi ho incontrato, a Palazzo? Qualcuno con un aspetto davvero molto in linea con quello di una Principessa.”
Questa volta Briar parlò volgendo lo sguardo sull’amico e sorridendogli, un luccichio divertito negli occhi verdi, ma Alphard non le diede la soddisfazione sperata perché annuì, ricambiando lo sguardo divertito prima di scorgere la delusione farsi strada sul bel viso abbronzato dell’ex Serpeverde:
“Già lo so, mi dispiace deluderti.”
“Davvero? Che peccato, volevo proprio stuzzicare la tua curiosità. Ti ha detto che sarebbe andata?”
“Sì, l’ho incrociata stamani prima di andare a fare colazione. E le ho chiesto di cenare insieme in settimana.”
La noncuranza con cui Alphard parlò mentre si allontanava lentamente dal quadro per raggiungere quello successivo, muovendosi con eleganza tenendo le mani in tasca, non contagiò Briar, che invece lo seguì e lo prese a braccetto senza smettere di sorridere, guardandolo con l’aria di chi la sa lunga. Non era affatto scontato che il suo amico chiedesse ad una donna o ad un uomo di uscire una seconda volta e l’impressione che le suggeriva che Anjali gli piacesse particolarmente stava riscontrando sempre più conferme:
“Sono molto felice! Morirei dalla voglia di vedervi insieme ma non voglio fare la terza incomoda per nulla al mondo… penso che mi limiterò a spiarvi da un qualche angolo del Le Mirage. E penso che presto le chiederò di bere qualcosa con me, mi piacerebbe conoscerla meglio, se ha attirato la tua attenzione deve avere qualcosa di speciale.”
“Briar, è solo un’altra cena, non mi devo sposare. Ragion per cui non vedo il motivo di fare parola della questione con mia madre, capisci cosa voglio dire?”
“Quando dici così vuoi far intendere che io non ne debba parlare neanche con la mia, di madre? Perché se è così temo di aver già fallito…”
All’improvviso Alphard si fermò nel bel mezzo dell’ampio corridoio dal pavimento rivestito in parquet e, dimentico dei quadri e del motivo per cui si erano recati lì, chinò lo sguardo sull’amica con aria di rimprovero mentre Briar si mordicchiava nervosamente il labbro inferiore ricambiando il suo sguardo con espressione colpevole:
BRIAR! Lo sai che qualsiasi gossip entri nell’orecchio di tua madre finisce poi in quello della mia e viceversa!”
“Scusa, dolevo dirlo a qualcuno, ma mia sorella in questo periodo non vuole sentir parlare di niente che non abbia a che fare con fiori, bomboniere, centrotavola e matrimoni in generale. Le voglio bene ma porco Salazar quanto è egocentrica, neanche mio cognato Draco!”
“Delle manie di protagonismo della tua famiglia ne discutiamo più tardi, adesso dimmi esattamente che cosa hai raccontato a Zara! Merlino, ora lei e mia madre staranno bevendo tè con pasticcini discutendo del mio matrimonio, di dove si farà e quando!”
“Ma Alphard, le tue preoccupazioni sono ridicole, smettila.”
La convinzione con cui Briar parlò spiazzò Alphard, che la guardò allibito prima di inarcare un sopracciglio, chiedendosi come potesse serbare tanta buona fede nelle loro pettegolissime madri:
“Lo pensi davvero?”
“È naturale! Adesso stanno tutti pensando al matrimonio di Ginevra, insomma, pensi davvero che lei permetterebbe che si parli di qualcos’altro?! Ovvio che no, nessuno parlerà di un tuo ipotetico matrimonio, sta’ tranquillo.”
Non era esattamente il genere di rassicurazione che si sarebbe aspettato o di cui Alphard sentiva di avere bisogno, ma decise di farsela andar bene comunque e dopo aver sospirato invitò Briar a seguirlo con un pigro cenno del capo, riprendendo ad avanzare lungo il corridoio per farsi fare per filo e per segno il resoconto di ciò che l’amica aveva raccontato a sua madre su di lui e Anjali.
Poteva solo sperare che l’imminente matrimonio di Ginevra tenesse occupate quelle due comari e che al suo ritorno non avrebbe trovato la madre in procinto di mostrargli delle location per il suo matrimonio.

 
*

 
Sabrina non aveva avuto scelta quella sera, era stata costretta ad accettare di cenare con sua madre. Certo la presenza congiunta di Anjali e incredibilmente anche di Silas – non pensava che si sarebbe mai ritrovata a gradire la sua presenza al suo stesso tavolo, eppure l’arrivo di sua madre destava miracoli ogni anno – l’aveva fatta ben sperare: Sandrine adorava Silas e anche la sua migliore amica, di sicuro sarebbe stata di buonumore, senza contare che la presenza di altre persone avrebbe indirizzato altrove l’attenzione della donna invece di concentrarla tutta su di sé.
Eppure, Sabrina non era stata comunque capace di reggere fino alla fine della cena: Jerome e Luc avevano appena portato i dessert al tavolo – per tutti tranne che per lei, che come al solito lo avrebbe saltato – quando la strega si era alzata, aveva chiesto ai presenti di scusarla e aveva lasciato la terrazza del ristorante per restare sola. Non ne andava affatto fiera ed era consapevole di non essere stata la miglior “padrona di casa”, ma le parole di sua madre, per quanto bene le volesse, più passavano gli anni e più avevano il potere di insinuarsi dentro di lei come un tarlo e portarla allo sfinimento. Ciò che diceva sua madre su di lei, sulla sua vita, sulla sua forse eccessiva dedizione al suo lavoro, era tutto vero, ma sentirlo ripetere a voce alta non l’aiutava. E pensare che quel lavoro non era stata nemmeno lei a volerlo, ma loro, come si era premurata di ricordare a sua madre prima di alzarsi e andarsene.
Forse l’aspetto peggiore, in verità, era la tendenza di Sandrine, seppur non in mala fede, ad insistere sulla vita sentimentale di sua figlia. Per Sabrina non era mai stato facile come per tutte le persone che la circondavano e come la sua stessa madre e non lo sarebbe mai stato, ma Sandrine sembrava volersi ostinare a non capirlo.
Sabrina appoggiò la sua chiave universale sul tastierino digitale che apriva e chiudeva la piscina interna, e si sentì grata nei confronti di Odette quando la receptionist non diede segno di aver notato la sua presenza e non le rivolse alcun interrogativo, permettendole di aprire la porta della piscina e di entrare mentre le luci si accendevano senza essere fermata.
La strega percorse qualche metro prima di mettersi stancamente a sedere su un lettino vuoto e prendere a tormentarsi lentamente le mani, quelle mani abbronzate dalle dita troppo lunghe ed affusolate che non le erano mai piaciute. Da 29 anni le chiedevano se suonasse il piano, con quelle dita, ma a malincuore doveva riconoscere che quelle dita che detestava non le erano nemmeno mai state di nessuna particolare utilità.
Sua madre l’amava forse più di qualsiasi altra persona al mondo. E allora perché, si chiese Sabrina, si ostinava a non volerla capire?
 
 
 
Silas era piuttosto certo di sapere dove avrebbe potuto trovare sua sorella, e un accenno di sorriso gli incurvò le labbra verso l’alto quando indugiò davanti alla porta dalle ante di vetro della Hall che conduceva alla piscina interna. Non poteva affermare che fossero i fratelli con il legame più stretto al mondo, ma conosceva Sabrina abbastanza da sapere che in momenti di stress la strega andava sempre in cerca dell’acqua.
Sperando che non gli tirasse contro un asciugamano – o qualcosa di molto più pesante e doloroso da prendersi in faccia – Silas spinse l’anta della porta che scivolò silenziosa davanti a lui, permettendogli così di entrare nell’ambia stanza dal soffitto di vetro dal quale si poteva facilmente ammirare il cielo notturno. Avanzò silenzioso verso la sorella, seduta su un lettino vicino al bordo della piscina con gli occhi scuri fissi sull’acqua turchina e le mani abbronzate strette sui bordi dello sdraio, e sedette sul lettino accanto senza che la strega desse segno di aver notato la sua presenza. Per trenta secondi i due restarono immersi nel silenzio della piscina, finchè il ragazzo non ruotò leggermente il capo verso la maggiore e si decise a parlare con un tono che si sforzava di apparire sicuro ma che al contempo tradiva una punta di titubanza:
“Sai, tua madre non fa quei discorsi per farti pesare qualcosa. Vuole che tu sia felice.”
“Lo so.”
Le due parole pronunciate dalla sorella sembrarono quasi un basso sospiro che risuonò nell’ampia stanza deserta, e Sabrina si ostinò e tenere gli occhi castani fissi malinconicamente sull’acqua mentre Silas la osservava.
“Siamo stati fortunati. Abbiamo avuto delle brave madri, non pensi?”
“Sì, penso di sì.”
Il ragazzo chinò la testa, sforzandosi di osservare con interesse il pavimento piastrellato mentre cercava il coraggio di dire qualcosa a cui negli anni si era ritrovato a pensare spesso, ma che non si era mai deciso a pronunciare a volte alta. Per lo meno, non davanti a lei.
“Mi dispiace che papà sia stato più vicino a me. So quanto ti vuole bene, ma da piccolo non mi rendevo conto che anche tu avresti avuto bisogno di vederlo di più e non solo ogni tanto. Per me lui era mio padre e viveva con me e mia madre, tu eri mia sorella ma vivevi con la tua, di mamma.. e per me andava bene così, credo. Posso capire perché fossi sempre così scostante con me, quando eravamo piccoli, ma papà non vuole più bene a me, non è mai stato così. Tu sei il suo grande orgoglio, non io.”
A 29 anni Sabrina St John era in grado di gestire praticamente qualsiasi situazione e qualsiasi discussione, ma quando si trattava della sua famiglia, di suo padre e del suo fratellastro la strega cercava quasi sempre di fare un passo indietro. Sabrina sospirò di nuovo, tormentandosi le mani mentre continuava a tenere il capo chino, come Silas, per evitare di guardare il fratello.
Forse a volte era stata davvero troppo dura con lui, nel corso degli anni. E forse doveva ammettere che il suo fratellino non fosse poi così male, a conti fatti, e che ciò che da sempre faticava a perdonargli non era stata responsabilità sua, ma dei loro genitori.
“Non è colpa tua, avrebbero potuto organizzarsi diversamente e fare meglio di come hanno fatto, ma ormai non ha più importanza. E so che mia madre mi vuole bene, penso solo che a volte non capisca quanto per me sia difficile.”
“Credo che si sforzi di capirlo, come facciamo tutti noi. Ma è difficile immedesimarsi totalmente in qualcosa che non vivi, e lei parla con le migliori intenzioni.”
“Lo so.”
Silas si voltò finalmente verso la sorella giusto in tempo per vederla annuire piano e passarsi l’indice destro al di sotto di un occhio, come per asciugarsi una lacrima. Dispiaciuto, il ragazzo la guardò senza dire nulla per qualche istante – non si era mai reputato particolarmente empatico e capace di consolare egregiamente le persone, soprattutto se si parlava della sua quasi perennemente perfetta sorella maggiore – prima di schiarirsi la voce e muoversi nervosamente sul lettino, un po’ a disagio:
“Vuoi che chiami Anji? Lei sicuramente ti tirerebbe su il morale meglio di me, per quanto io possa sforzarmi di farlo.”
“Non fa niente. Anzi, per favore, torna e dì a lei e a mia madre che sto bene ma che non penso che tornerò. Digli che sono stanca e che voglio riposarmi.”
“Sicura?”
“Sì.”
 
A Silas dispiaceva l’idea di lasciare sua sorella da sola in quel momento, ma conosceva lei e la sua tendenza ad allontanare le persone nei momenti di difficoltà e sapeva che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea. Decise quindi di assecondare la sua volontà e si alzò lentamente, augurandole la buonanotte in un soffio appena percepibile prima di allontanarsi. Si chiese se la sorella lo avrebbe finalmente guardato mentre usciva dalla piscina, ma non si voltò per accertarsene.
 
Quando tornò da Sandrine e Anjali trovò le donne sedute vicine, una sporta verso l’altra per parlare fitto fitto in francese a bassa voce davanti ai piatti del dessert ormai vuoti. Quando lo sentirono arrivare smisero immediatamente di parlare e si voltarono verso di lui per chiedergli in silenzio se avesse trovato la sorella e come stesse, ma Silas si limitò ad afferrare lo schienale della sua sedia per farla indietreggiare sul pavimento e sedersi sfoggiando un debole sorriso:
“Sta bene, è in piscina, ma dice di essere stanca e che preferisce restare da sola e andare a dormire.”
“Finisco sempre con lo stressarla, mi sento così male. Ti è sembrata molto giù? Tua sorella ha abbastanza cose a cui pensare senza che io la innervosisca ancora di più, mi dispiace che finisca sempre così. Voglio solo che stia bene e sia felice!”
“Ti è sembrato che stesse male?”
“No. No, sta bene. È più forte di tutti noi messi insieme. Domani se lo sarà già dimenticato Sandrine, non ti preoccupare.”
Silas sorrise, questa volta con maggior convinzione, alla prima moglie del padre, e allungò persino una mano sopra al tavolo per stringere quella della donna. L’espressione cupa di Sandrine sembrò rasserenarsi leggermente e la donna ricambiò il sorriso del ragazzo, guardandolo con affetto prima di ringraziarlo a bassa voce mentre Anjali li osservava come intenerita:
“Non pensa davvero che tu sia un buono a nulla. Sei un bravo ragazzo, Silas. Un po’ adorabilmente sciocchino, ma un bravo ragazzo.”
“Beh, meglio adorabilmente sciocchino che bambino viziato come mi chiama sempre lei, stiamo facendo progressi.”
 

 
*
 
 
Joël era sceso nella Hall dalla sua stanza per fermarsi alla reception e chiedere altri prodotti da bagno, ma mentre si avvicinava al bancone e ad Odette, la receptionist dai lunghi capelli scuri e sorridenti occhi neri che lo accoglieva all’Hotel da quando era un ragazzino e lei aveva appena iniziato a lavorare al Le Mirage, la sua attenzione venne catturata dalle luci accese all’interno della piscina interna. Non le aveva mai viste accese a quell’ora prima di quella sera, e la curiosità lo spinse a deviare appena prima di raggiungere il bancone, superando Odette – che gli rivolse un sorriso gentile che il mago ricambiò – per gettare un’occhiata all’interno della stanza grazie alle porte di vetro.
Se la piscina fosse stata aperta avrebbe anche potuto prendere in considerazione di farsi una nuotata rinfrescante, ma il musicista si ritrovò ad osservare la piscina deserta e silenziosa, fatta eccezione per la strega dai corti capelli scuri seduta vicino al bordo che osservava l’acqua con aria pensosa. Perplesso, Joël esitò nell’osservare Sabrina, chiedendosi che cosa ci facesse lì sola a quell’ora – e nemmeno impegnata a nuotare, ma seduta sul bordo perfettamente vestita – prima di decidersi ad entrare.
In fondo, chi era lui per lasciare sola una bellissima ragazza dall’aria triste?
Proprio nessuno.
Era certo che a quell’ora la piscina coperta tecnicamente fosse chiusa, ma vedendo Sabrina all’interno – dopotutto il capo era lei, quindi se non lo avesse cacciato lei nessun altro avrebbe potuto ammonirlo per essere entrato a quell’ora – il musicista si avvicinò comunque alla porta a vetri, gettando un’ultima, breve occhiata in direzione di Odette – che stava deliberatamente facendo finta di non vederlo, scrutando con grande interesse un modulo vuoto – prima di spingere silenziosamente una delle due ante.
Sabrina si era sfilata le scarpe – come facesse ad andarsene in giro per tutte quelle ore al giorno con i tacchi a spillo, Joël non ne aveva idea – che ora giacevano abbandonate vicino ad uno dei lettini e si era seduta sul bordo della piscina tenendosi però lontano dall’acqua, le lunghe gambe incrociate. Alzò la testa quando lo sentì entrare, voltandosi verso di lui e inarcando un sopracciglio:
“Che ci fai qui Joël?”
“Passavo da queste parti e ti ho vista, così ho pensato di entrare… la piscina di solito a quest’ora non è chiusa?”
“Tendono a fare uno strappo per te, quando sei la figlia del proprietario, sai com’è.”
Sabrina distolse lo sguardo per tornare a concentrarsi sull’acqua, evitando di guardare il musicista mentre, sfilatosi le ciabatte, sedeva accanto a lei sul bordo della piscina senza toccare l’acqua. Non era mai stato lì a quell’ora, con tutto quel silenzio e col cielo buio sopra di lui, e doveva ammettere che non era affatto male.
“Sai, da piccolo venivo qui con mio nonno e vedevo questo grande Hotel bellissimo pieno di gente ricca… Mio nonno amava suonare e so che non avrebbe mai voluto fare nient’altro, ma ho sempre pensato che avrebbe meritato molto più successo e, quando venivo qui, mi domandavo come fosse per te essere la figlia del proprietario di un albergo così bello e caro.”
“Ci sono i pro e i contro, come per qualsiasi cosa. Pro: ho sempre potuto ospitare gli amici gratis…”
Lo sapevo che avrei dovuto provarci con te a scuola.”
“Ti avrei tirato un due di picche dietro l’altro, lascia stare. Come dicevo… Pro, ospitare gratis, alloggiare gratis, mangiare gratis in un ottimo ristorante, piscina, spa… contro: restare intrappolata qui.”
“Non ti piace stare qui?”
Sabrina sentiva il pelo dello sguardo di Joël su di sé, ma si ostinò a non ricambiarlo e a continuare a guardare l’acqua turchina della piscina prima di stringersi debolmente nelle spalle, restia a tirare in ballo una delle sue più grandi croci:
“Monte Carlo è bellissima e l’adoro, ma non era esattamente questo che avrei voluto fare.”
“Che cosa avresti voluto fare?”
Joël aveva già sentito dire qualcosa di simile ad Anjali giorni prima, ma ancora non aveva capito perché Sabrina lavorasse lì da anni, se non corrispondeva a ciò che avrebbe voluto fare. Non gli aveva mai dato l’idea di qualcuno capace di farsi mettere i piedi in testa tanto facilmente, e la guardò con curiosità crescente mentre Sabrina continuava invece a fissare, impensierita, le vetrate davanti a loro.
“Se sei rimasta a lavorare qui per via di tuo padre, perché tu sì e tuo fratello no? Lui non viene solo in estate?”
“Per noi le cose sono sempre state molto diverse. Mio padre voleva tenermi vicino a lui. È complicato.”
Era davvero complicato e la prospettiva di affrontare l’argomento non era allettante, di certo non quella sera. Così Sabrina dopo aver parlato volse finalmente lo sguardo sul viso di Joël, ritrovandosi a contemplare brevemente i suoi bei lineamenti e gli occhi azzurro scuro del mago prima di, vigliaccamente dovette ammetterlo a se stessa, spostare l’attenzione su di lui:
“Dev’essere bello fare ciò che hai sempre voluto.”
“Per me, sì. Per la mia famiglia non tanto.”
“Scusa, anche tuo nonno suonava, che cos’hanno da lamentarsi?”
Suo padre si faceva andar bene che Silas bighellonasse tutto l’anno e la famiglia di Joeel Moyal non gradiva che deliziasse l’udito altrui con la sua musica? Doveva esserci qualcosa che non andava in quelle persone, oppure nella sua capacità di comprendere le parole altrui.
Il sorriso visibilmente amaro che Joël sfoggiò prima di stringersi debolmente nelle spalle confermò la prima delle sue ipotesi:
“Per loro non è un lavoro vero. i miei genitori non sono entusiasti, non fanno che ricordarmi che i miei fratelli sì, loro fanno un lavoro vero, con le loro lauree. E la cosa più divertente è che io guadagno più di tutto loro, ma neanche questo basta a garantirmi la loro stima.”
“È triste. Mi dispiace. Ma è affare loro se non capiscono, tu ti guadagni da vivere in un modo splendido che ti rende felice e rende giustizia al tuo talento, è questo che conta. Scusa, ma ti hanno mai sentito suonare?! Io ucciderei per essere così brava in qualcosa, a parte dare ordini.”
Come si poteva non essere felici e orgogliosi del successo di un talento come il suo Sabrina non riusciva a concepirlo. Certo aveva finito col far prendere alla sua vita una strada diversa per assecondare suo padre, ma era sicura che Gideon sarebbe stato felice per lei in ogni caso.
“Sì, di tanto in tanto, anni fa… Ho passato tantissimo tempo con mio nonno da piccolo, credo che ora se ne pentano perché mi ha portato sulla cattiva strada…”
Joël parlò virgolettando con le dita le ultime parole e sfoggiando un sorriso dalle note amare che non venne ricambiato da Sabrina, che si limitò a guardarlo accigliata continuando a stringere il bordo della piscina con le mani, come se stentasse a credere al mare di idiozie sottoposte al suo udito:
“È ridicolo. Silas sì porterebbe dei bambini sulla cattiva strada, perché li porterebbe sempre a cazzeggiare, ma quello è un altro discorso, non certo tuo nonno.”
“Non è così grave, vivo comunque serenamente la mia vita anche senza la loro approvazione. Mia madre è Babbana, mio padre un Magonò, sono sempre stato diverso da loro in ogni caso. L’unico altro mago della famiglia era mio nonno, forse è anche per questo che siamo sempre stati molto legati, anche prima che la musica iniziasse ad unirci. Era l’unico che mi capiva in tutti i sensi.”
Come Sabrina anche Joël era sempre piuttosto restio a parlare dei suoi genitori, della sua infanzia e del suo defunto nonno, così volse lo sguardo sulla strega e dopo aver sfoggiato uno dei suoi famosi sorrisetti obliqui imitò ciò che aveva fatto lei poco prima cambiando abilmente argomento:
“E tu perché te ne stai nascosta qui mentre c’è tua madre a farti visita?”
“Mia madre a volte è difficile. Per me ha fatto qualsiasi cosa e non so nemmeno esprimere quanto le voglia bene, ma a volte è difficile. Siamo sempre state solo noi due e siamo molto legate, forse è anche per questo che, alla lunga, le cose si sono un po’ complicate. Per questo e perché abbiamo entrambe caratteri molto forti.”
“Non dev’essere una passeggiata stare con voi nella stessa stanza.”
“Pensa stare con me, Anji e mia madre a cena. Povero Silas.”
Sabrina non avrebbe mai pensato di sentire quelle due parole uscire dalle sue stesse labbra, ma si ritrovò suo malgrado a provare una sincera, piccola punta di compassione nei confronti del suo pigro fratellino mentre scuoteva la testa fissando le vetrate davanti a loro con un accenno di sorriso sulle labbra e Joël, accanto a lei, scoppiava rumorosamente a ridere:
Povero, povero ragazzo.”
“Via, non siamo poi così male.”
“Non posso parlare per tua madre, ma anche se adoro Anjali e apprezzo la tua compagnia sono sicuro che insieme siate una bella sfida. Il prezzo da pagare per stare con donne bellissime.”
“Come sai che mia madre è bellissima?!”
“L’ho intravista di sfuggita un paio di volte da quando è arrivata. E poi…”
Sabrina scorse il sorrisetto malizioso di Joël allargarsi e alzò gli occhi al cielo ancor prima di udire le sue parole successive, intuendo perfettamente che cosa stesse per dire:
“Se è tua madre è facile da immaginare che lo sia, specie considerando che non somigli affatto a tuo padre ed è di conseguenza quasi ovvio che somigli a lei.”
Queste cretinate funzionano davvero? Seriamente?”
“Di solito sì. Ma le cose che dico le penso davvero, sempre. Non ho bisogno di false lusinghe per conquistare nessuno.”
Sabrina borbottò che con lei le lusinghe poteva risparmiarsele in generale e che poco le importava che cosa pensasse del suo aspetto, ma parlò giocherellando con un lembo della canottiera di raso rossa infilata dentro ai pantaloni neri a vita alta e senza guardarlo, sperando ardentemente che non notasse il suo imbarazzo.
Le facevano spesso complimenti per il suo aspetto e seppur le piacesse essere sempre in ordine e curare il proprio vestiario non era mai stato qualcosa a cui aveva badato molto. Eppure sapere che proprio lui la trovasse bella in fondo le faceva piacere, più di quanto sarebbe stata disposta ad ammettere.

 
*
 

Silas entrò nella sua stanza con un sonoro sbadiglio ad accompagnarlo, semplicemente sfinito dopo il lavoro e la cena con sua sorella, Sandrine e Anjali. Voleva bene a tutte loro, ma insieme andavano necessariamente accompagnate da fiumi di alcol che, fortunatamente, il ragazzo reggeva splendidamente. Dopo essersi chiuso la porta bianca alle spalle e aver acceso le luci con la chiave magnetica Silas si avvicinò al proprio letto trascinando i piedi, lasciandosi cadere stancamente sul materasso e abbandonando la testa sul cuscino per chiudere brevemente gli occhi. Stava cercando di trovare la volontà di alzarsi, cambiarsi e lavarsi i denti – non invidiava affatto le donne, con i loro chili di gioielli da riporre e il trucco da togliere – quando un tintinnio emesso dal suo telefono lo informò di una notifica: Silas si sfilò il telefono dalla tasca dei pantaloni neri che ancora indossava, sorridendo quando lesse il messaggio appena ricevuto:
 
Meadow🍃 ha mandato un messaggio nel gruppo “The Golden Trio”
 
Meadow🍃: Ciao Asher, ciao Cespuglio. Quando organizziamo il nostro pigiama party a tema film?!
Asher🎃: Quando volete io ci sono! 😍😊
Tu: Domani ne parliamo, ora sono troppo stanco, la cena con mia sorella, sua madre e Anjali mi ha ucciso. Comunque lo facciamo da me, così non disturbiamo lo zio di Meadow e neanche i capi di Asher.
Meadow🍃: Era scontato. Comunque, che concentrato di manze!
 
Silas scoppiò a ridere, scuotendo la testa prima di abbandonare il telefono accanto a sé sul materasso e chiudere nuovamente gli occhi: adorava quella curiosa, chiacchierona pazzerella freddolosa.
Meadow, invece, trillò entusiasta mentre si dirigeva saltellando nella stanza dello zio tenendo al contempo Lady Diana in braccio, ignorando l’espressione scontenta della gattina nel ritrovarsi sballottata e anche quella vagamente preoccupata che figurò sul viso di Joshua nel vederla arrivare con tutta quell’allegria:
“Stiamo organizzando un pigiama party a tema film, che bello!”
“… Ti prego dimmi che non includerai anche me.”
Meadow smise di sorridere e di saltellare – con gran sollievo di Lady Diana – e scosse la testa prima di alzare gli occhi al cielo, come stupita dal fatto che suo zio avesse potuto pronunciare una simile assurdità prima di voltarsi e liquidarlo con un pigro gesto della mano:
“Ma ti pare, no! Tu sei vecchio!”
“… Come prego?!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Con un capitolo più striminzito del solito, ma ci sono! Scusate la lunghezza e la presenza ridotta degli OC ma mi sono ritrovata con i tempi un po’ strettini questa volta, nei prossimi due giorni non avrò modo di scrivere e volevo assolutamente pubblicarlo prima. Spero di rifarmi col prossimo 😊
Che dire, nello scorso capitolo mi avevate chiesto Sabrina e Joël e che Sabrina e Joël siano *.* Tranquille, erano mancati anche a me. 
Concludo condividendo con voi la bellissima macchina di Sabs, gentilmente offerta per garantire ad Anji le sue imitazioni di Grace Kelly.

Auto-Sabri


A presto!
Signorina Granger

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 


Venerdì 9 luglio

 
 
Sua madre possedeva un dono innato, Sabrina la conosceva meglio di chiunque altro e poteva affermarlo con certezza: non solo Sandrine riusciva a catalizzare l’attenzione su di sé fino all’ultima briciola, ma aveva anche il potere di rendere degno di nota e clamoroso qualsiasi suo gesto, persino il più semplice. Quella sera, ad esempio, mentre si accingeva a lasciare il Le Mirage, Sandrine era riuscita a radunare sui gradini e sul marciapiede dell’edificio metà dello staff dell’albergo, tutti in procinto di salutarla e di augurarle buon viaggio.
Sabrina aveva guardato la madre salutare tutti con il suo consueto fare un tantino melodrammatico facendo del suo meglio per non sorridere troppo apertamente – sapeva che in quel caso Sandrine l’avrebbe presa come una derisione, o peggio ancora come scarso rammarico di fronte alla sua partenza – e quando era finalmente giunto il suo turno per i saluti la giovane aveva fatto del suo meglio per restare seria:
“Come mai ogni volta che parti sembra che tutti vengano a salutarti neanche dovessi imbarcarti oltreoceano, Maman?”
Un accenno di sorriso inclinò suo malgrado l’angolo destro delle labbra di Sabrina verso l’alto e Sandrine si strinse nelle spalle con noncuranza, strizzandole l’occhio prima di sollevare le mani – curatissime e piene di anelli – e stringerle con dolcezza le spalle esili:
“Evidentemente la mia presenza una volta assaporata è ardua da vedersi scivolare via dalle dita, mia cara. Silas mi ha già salutato, pare che stasera avesse un impegno con dei suoi amici, quindi mi resti solo tu tesoro.”
“Strano a dirsi, ma il suo impegno non prevedeva qualche costosissimo locale esclusivo, per una volta. Forse questi amici gli fanno bene, ma si vedrà.”
“Sii buona con lui, è un ragazzo dolce e sensibile, a modo suo. Tu sei sempre stata la più forte, forse perché sei più grande e non hai avuto un padre così presente… Lui ti adorava e ti voleva seguire ovunque quando eravate insieme, peccato che ora tu l’abbia dimenticato.”
All’improvviso Sabrina ebbe l’impressione che il sorriso di sua madre si fosse arricchito di una lieve nota di tristezza, ma scosse il capo e mormorò che non l’aveva dimenticato, solo aveva sempre trovato difficile stringere un legame forte con suo fratello a causa delle divergenze caratteriali e di quanto poco tempo avevano passato insieme fin da bambini.
“Quando andavo da papà, è brutto da dire, lo so, ma mi interessava più stare con lui che con il mio piccolo fratellino rompiscatole. Silas non lo capiva, che io avevo meno tempo con Gideon di lui e che quindi volevo trascorrerlo con mio padre.”
“Col senno di poi lo ha capito e comunque rimuginare eternamente sul passato non serve a niente. Ma sarebbe bello, per me, Joyce e tuo padre, vedervi più legati adesso…”
Sandrine s’interruppe lasciando la frase in sospeso, gli occhi scuri fissi sul volto della figlia che invece annuì, sorridendo con amarezza prima di riprendere le parole della madre da dove la donna le aveva lasciate:
“Finchè è possibile. Stavi per dire quello.”
Non, chérie…”
Sabrina guardò Sandrine affrettarsi a scuotere la testa, guardandola con gli occhi castani che condividevano leggermente spalancati mentre la presa sulle sue spalle si intensificava appena, ma la figlia non ci badò e si limitò a sospirare prima di interrompere sul nascere quelle che sarebbero state solo scuse prive di senso:
“N'était pas une question, Maman.”(1)
Sandrine non disse nulla e la guardò, sinceramente dispiaciuta, senza aggiungere altro. Aveva zittito sua madre, qualcosa in cui chiunque falliva costantemente. Forse poteva considerarsi dotata di un qualche super potere a sua volta, dopotutto. Sabrina raccolse delicatamente le mani della madre dalle proprie spalle per stringerle nelle sue, sforzandosi di accennare un sorriso prima di scoccarle i tipici baci alla francese su entrambe le guance:
“Bon voyage et bonne nuit. Sbrigati, ora, il treno per Nizza aspetterà ma non in eterno.”
D’accordBonne nuit, Sabrina.”
Accomiatarsi da sua madre non fu mai rapido come quella sera e Sabrina la guardò dirigersi verso il taxi nero che l’aspettava con i numerosi bagagli già caricati nel bagagliaio certa che si fosse lasciata salutare così rapidamente – e senza consigli o puntualizzazioni spinose – per una sorta di vago senso di colpa. Eppure, come sempre, Sandrine riuscì a sorprenderla: aveva aperto la portiera e stava per infilarsi nella vettura quando si voltò verso di lei, indirizzandole un ultimo, radioso sorriso arricchito da una punta di malizia:
“Quasi dimenticavo. È davvero un bel ragazzo!”
“Di chi parli?!”
Sabrina naturalmente seppe a chi sua madre alludesse ancor prima di udire la sua risposta e si sentì sprofondare all’interno del marciapiede, desiderando come mai prima d’allora che una voragine la inghiottisse mentre il sorriso sul viso abbronzato di sua madre si allargava. Sandrine non poteva andarsene tranquillamente, certo, doveva prima trafiggerla con un’ultima frecciata in pubblica piazza:
“Del musicista, il nipote di Moyal. E chi lo sapeva, che si era fatto così bello, la mia sconsiderata e fin troppo riservata figlia non me l’ha mai detto. Per fortuna c’è la cara Anjali.”
Sandrine accompagnò le sue ultime parole con un aggraziato bacio aereo, premurandosi di strizzare l’occhio alla figlia prima di sparire all’interno dell’auto – probabilmente per evitare che la giovane strega potesse raggiungerla e vendicarsi – e lasciarla con le braccia rigide abbandonate lungo i fianchi, le mani strette a pugno e gli occhi di tutti i presenti su di sé.
“Mia madre è anziana, comincia a non starci più con la testa.”
Non provando il benchè minimo senso di colpa per la cattiveria appena pronunciata, anzi, reputandola più che altro una sorta di rivincita nei confronti della madre, Sabrina s’infilò una mano nella tasca dei pantaloni a sigaretta che indossava per estrarre il proprio telefono dopo averlo sentito vibrare: mentre tutti, dietro di lei, si accingevano a tornare all’interno dell’Hotel bisbigliando la strega lesse accigliata il messaggio – scritto interamente in maiuscolo – che la sua migliore amica le aveva appena inviato:

 
                            Anji💄: VIENI SUBITO!!!!!         
       
 
Di che cosa poteva trattarsi? Un ragno nel bagno? Nel letto? Il bagnoschiuma alla lavanda invece che alla rosa canina? Il messaggio non dava molte informazioni e a Sabrina non restò che sospirare e rientrare seguendo il fiume di colleghi proprio mentre il taxi di Sandrine svoltava l’angolo verso la stazione ferroviaria e la donna al suo interno armeggiava allegra con il proprio telefono per scrivere al suo ex marito che lei aveva avuto ragione e lui torto. Come al solito.
 
Visto che era attesa Sabrina non si premurò di bussare alla porta o di suonare il campanello, aprendosi da sé con la propria chiave universale – Pierre suggeriva da un paio di giorni che forse avrebbe potuto darne una anche a Silas per farlo sentire più partecipe, e Sabrina stava considerando l’opzione insieme alla possibilità di tingersi i capelli di fucsia – prima di addentrarsi nella magnifica suite dalla quale un mese prima aveva sfrattato il fratellino:
“Anji, che cosa c’è? Devo andare ad approvare il menù di domani e controllare la cantina dei vini con Claude…”
“AL DIAVOLO I VINI!”
Sabrina non ebbe la possibilità di scorgere la sua amica quando la voce di Anjali interruppe il suo discorso a causa di qualcosa che le oscurò completamente la vista, qualcosa di morbido, liscio e setoso al tatto che le finì dritto in faccia. Un attimo dopo, levandoselo di dosso, Sabrina appurò con scarsa sorpresa che l’amica le aveva lanciato un vestito rosa per darle il benvenuto.
Una volta chiusasi la porta alle spalle con un gesto brusco la strega sollevò il vestito e lo indicò all’amica, più seria che mai, guardandola con sincera aria di rimprovero:
È così che tratti uno Chanel?! Vergognati!”
“Lo so che è un crimine, ma sono molto stressata! Domani ho la cena con Alphard e non ho niente da mettermi!”
Sabrina avrebbe potuto obbiettare sulla parte che prevedeva che Anjali non avesse nulla da mettersi, ma a quello pensarono i fatti stessi e la povera Suite completamente ricoperta dall’armadio della svizzera, che si coprì disperata il bel viso con le mani mentre indossava un tubino rosso con la cerniera aperta sulla schiena. Sabrina invece scosse la testa, avvicinandosi all’amica prima di agitare nuovamente il vestito verso di lei:
“Non ha nessuna importanza, niente e nessuno ti autorizza a trattare così uno Chanel! … Comunque questo colore per una cena non va bene.”
Sabrina gettò il vestito sul letto – il copriletto bianco era scomparso sotto al cumolo di abiti firmati di Anjali – e si mise le mani sui fianchi mentre i suoi occhi scuri scrutavano attenti l’invidiabile guardaroba dell’amica, che annuì e piagnucolò qualcosa mentre si chinava per abbracciarla per la vita, preda della disperazione pre-appuntamento:
“Lo so, aiutami ti prego!”
“Comunque tu sei una stragnocca colossale e lui ti sbava dietro dal giorno 1, potresti anche andare con un sacco di juta e gli piaceresti lo stesso. Anzi, sai quale sarebbe la scelta più furba e comoda, a questo punto?”
“Quale? Un Saint Laurent?!”
Anjali all’improvviso drizzò la schiena e si rimise in piedi, guardando l’amica con gli occhi azzurri spalancati pieni di speranza e un largo sorriso di sollievo ad abbellirle il volto: Sabrina sarebbe stata la sua salvezza, come al solito, e le avrebbe trovato qualcosa da mettere!
“No, ricorrere a La Perla.”
“Ma La Perla fa solo lingerie! …. Stupide.”
Forse Sabrina ultimamente stava passando troppo tempo in compagnia di Joël, si disse Anjali mentre scuoteva severamente la testa dopo aver assestato un leggero colpetto sulla spalla di Sabrina, il cui sorriso ebbe però vita breve una volta rammentate le parole con cui Sandrine l’aveva salutata poco prima:
“A proposito, com’è che sei andata da mia madre ad indicarle Joël?!”
“Mi ha chiesto se ci fosse un bel ragazzo a cui piacevi e io ho risposto, che c’è di male!”
“Che c’è di male? Vediamo, se io domani ti facessi indossare… non lo so, un vestito verde di Dior con delle scarpe gialle, che cosa ci sarebbe di male?”
Per rendere la sua minaccia ancora più efficace Sabrina si premurò di afferrare il suddetto abito verde e di sollevarlo, gli occhi color cioccolato pregni di sfida mentre Anjali indietreggiava coprendosi inorridita le labbra con una mano: mai in tutta la sua vita era stata messa di fronte ad una prospettiva tanto terrificante.
“V-verde e giallo?! Mai verde e giallo insieme! E di sera poi! E a me il giallo non sta bene!”
“Bien, allora la prossima volta che mia madre ti fa quella domanda tu indicale un manichino della boutique di Chanel in centro! Quelli adorano essere svestiti da me e io amo svestire loro. Ma ora torniamo a te, mia bellissima amica.”
Fortunatamente un sorriso tornò ad incurvare verso l’alto le belle labbra di Sabrina e Anjali si sentì autorizzata a tranquillizzarsi, tirando un sospiro di sollievo quando la francese tornò a darle le spalle per spostare i vestiti ammucchiati sul letto e darsi ad un’attenta e selettiva ricerca:
“Vediamo, che cosa vuoi che pensi l’Uomo degli Scorpioni? “È la donna più bella che abbia mai visto”? “È così perfetta, sofisticata ed elegante”, “Voglio sposarla” o “Penso che le toglierò quel vestito”?”
“Sono una signora, quindi direi la prima o la seconda.”
“Ma la prima già la pensa e forse anche la quarta, povera illusa... Alla terza ci arriveremo presto, se continui così.”

 
*
 
 
Stanza 214stanza-meadow


 
Quando era sgattaiolato in cucina Silas aveva trovato Claude ancora in piedi, chino sul menù del giorno seguente, e aveva capito che stesse aspettando sua sorella quando lo Chef non era riuscito a celare la delusione nel trovarsi davanti il St John sbagliato.
“Ha mandato te?”
“No, io sono venuto per, emh, sgraffignare qualcosa. Posso?”
Claude, evidentemente per nulla intenzionato a preoccuparsi di lui, aveva annuito liquidandolo con un rapido cenno della mano prima di tornare a concentrarsi sul menù, asserendo che se Sabrina non fosse stata d’accordo sarebbe andata a farglielo sapere di persona. Sperando ardentemente che ciò non accadesse Silas aveva fatto ritorno nella stanza di Meadow il prima possibile e con due sacchetti di plastica gonfi, trovando la ragazza e Asher – entrambi in pigiama, quello della ragazza bianco a righe rosa pastello e verde menta e quello del ragazzo bianco coi bordi arancioni, coperto da piccole zucche e stecche di cannella – distesi sul letto matrimoniale coperto da una trapunta bianca e soffici cuscini a guardare il profilo Instagram dell’americano.
“Ciao capellone. Il tuo profilo è cosìììì carino Asher, starei ore a guardare la storia in evidenza sul tuo cane. E anche quella sul tuo gatto siberiano. Si chiama Snow perché è bianco, che carino.”
“In realtà si chiama Snowflake. Mia mamma ama i gatti, ma io sono allergico e così si è dovuta accontentare di una delle poche razze che non la provocano… lei ne voleva uno nero e chiamarlo Salem, che originale.”
“Come quello di mia sorella. Ma io non gli sto molto simpatico. Sono più un tipo da cani.”
Silas si chiuse la porta alle spalle e appoggiò le buste bianche sull’ottomana foderata in cuio color cammello mentre Asher appoggiava il telefono sul letto per raggiungere le buste e controllarne il contenuto con grande curiosità – il richiamo delle schifezze era, per lui, irresistibile – e Meadow si dichiarava dispiaciutissima per l’allergia dell’amico e per aver dovuto confinare la sua gattina, Lady Diana, nella camera di suo zio.
“Non era troppo contento nemmeno lui, anche perché Lady Diana e il gufo dello zio non vanno d’accordo, ma non potevo certo mandare il dolce Asher in ospedale! Che hai portato, capellone?!”
Asher e Meadow gradirono molto le scelte di Silas, che aveva portato patatine di tre gusti diversi, marshmallow, cioccolatini belga, popcorn, nachos e salse in cui intingerli.
Cinque minuti dopo i tre sedevano uno accanto all’altro sul grande letto di Meadow, ciotole piene di cibo e tovagliolini di carta davanti, mentre il castello della Bella Addormentata appariva sullo schermo della Smart Tv appesa alla parete davanti a loro, sancendo l’inizio della Sirenetta.
“Mia forella dife che quefta roba la tengono per i bambini.”  Le mani e la bocca piena di pocpron, Silas chinò lo sguardo sul cibo che aveva portato chiedendosi se si stessero comportando nel modo più corretto, ma Meadow liquidò il discorso con un rapido gesto della mano senza smettere di tenere gli occhi a mandorla incollati allo schermo:
“Peggio per loro!”
“Qualcuno mi passa la salsa ranch?!”
“Eccola Asher caro!”
 
 
Joshua stava cercando, inutilmente, di dormire, intendo resogli arduo dalla stramaledetta gattina di sua nipote che miagolava incessantemente disturbando lui e il povero Tyson, il suo gufo – l’unico al mondo che lo capiva –, e cercava di saltare sul suo letto per dormire con lui. Joshua, profondamente contrario, puntualmente prendeva la gattina e la rimetteva sul pavimento, destandone i miagolii imploranti e i nuovi tentativi di arrampicarsi sul suo letto.
A ciò, ad un certo punto, si unì il vociare sommesso proveniente dalla stanza affianco: sospirando amaramente, Joshua si passò una mano tra i liscissimi capelli scuri tenendo gli occhi castani fissi sul soffitto, certo che quella sarebbe stata una notte molto lunga.
Si era infine arreso di fronte alla testardaggine di Lady Diana – aveva provato a minacciarla ricordandole che la sua omonima umana non aveva fatto una gran bella fine, ma quella non l’aveva ascoltata e si era comunque acciambellata ai piedi del letto accanto a Kate Middleton, la tartaruga di peluche che Meadow gli aveva donato – e stava quasi considerando di poter dormire un po’ quando le voci della nipote e dei suoi amici tornarono a fargli visita dalla stanza accanto.
 
“Ariel è una cretina! Come si fa a voler lasciare la propria famiglia per un tizio visto una volta?!”
“Io voglio essere Sebastian.”
“Silas, tu sei il gabbiano, vi somigliate un sacco.”
“Ursula è una gran cessa invidiosa… Ma Ariel è scema comunque.”
“Le patatine al pepe rosa sono finite?! E quelle alla paprika?!”
“Rinuncia alla voce per un uomo?! Questo film è molto diseducativo per le bambine! Però le canzoni sono carine.”
“Dobbiamo imparare a memoria In fondo al Mar e cantarla.”
 
Di cosa stavano parlando?
Chi era Ariel? Ursula? Sebastian? Gabbiani?
Joshua non capiva, ma in compenso capiva che voleva dormire – il giorno seguente sarebbe andato a Teatro con la nipote e per affrontare quell’esperienza aveva bisogno di energie e ore di sonno alle spalle – e poco dopo, saturo, si alzò per aprire la porta comunicante tra la stanza 216 e la 214.
Quando videro la porta aprirsi con un cigolio e l’alta, spettinata figura di Joshua stagliarsi sulla soglia senza maglietta e con solo i pantaloni blu del pigiama addosso i tre si zittirono di colpo: Asher con una manciata di patatine in mano a metà strada tra la ciotola e la sua bocca, Silas smise di masticare i popcorn e Meadow di intingere un nachos nel ketchup.
“… Ciao zio. Ti stiamo disturbando?”
“Giusto un pochino.”
“Scusi Signor Wellick, parleremo piano.”
Asher si fece piccolo piccolo e pigolò delle scuse mentre Silas annuiva energicamente, scusandosi a sua volta mentre l’australiano, alzati gli occhi al cielo, girava sui tacchi per tornare nella sua stanza e chiudersi la porta alle spalle.
“A tuo zio non piacciamo!”
Il bel viso pallido di Asher si incupì un poco con il mormorio mesto del ragazzo, che si guardò i pantaloni del pigiama mentre Silas mormorava qualcosa a proposito di come “lui non gli piacesse di sicuro” e Meadow guardava i due con gli occhi scuri spalancati e affrettandosi a scuotere la testa con vigore:
“Ma no, non è vero, che dite! Una volta dovreste cenare insieme a noi.”
“Ma io ho paura di tuo zio!”
“Dovresti avere più paura di Ursula, credimi.”
E in effetti Asher in po’ di inquietudine per Ursula la provava da quando era piccolo, ma non lo disse e ingoiò finalmente le sue patatine mentre Silas, accanto a lui, concordava silenziosamente con l’amico e nella stanza accanto Joshua si rimetteva a letto chiudendo gli occhi e sorridendo per il sollievo conferitogli dall’improvviso silenzio ritrovato.
Era sicuro che sarebbe durato cinque minuti al massimo, doveva approfittarne e addormentarsi in fretta.
 

 
*
 
Sabato 10 luglio
 
 
Sabrina non aveva quasi chiuso occhio, la notte precedente: era rimasta nella Suite di Anjali fino a tardi – trovare un outfit che soddisfacesse la sua amica e placare la sua ansia aveva richiesto più tempo, pazienza, dedizione e gelato del previsto: aveva esaurito la dose mensile che poteva concedersi – e poi, non sapeva come, aveva trovato la forza necessaria a trascinarsi in cucina, parlare con Claude del menù del giorno successivo e controllare la cantina dei vini per decidere quali e quante bottiglie ordinare la settimana seguente. Esausta, la strega aveva infine varcato la soglia del suo appartamento, accolta da Pascal e da Salem, si era finalmente sfilata i tacchi e quei vestiti belli quanto scomodi per sostituirli col pigiama e si era lasciata cadere sul suo letto con un sospiro pregno di sollievo, troppo stanca per prepararsi qualcosa da mangiare.
Per uno sgradevole quanto ricorrente scherzo del destino, tuttavia, la stanchezza era misteriosamente sparita non appena aveva avuto la possibilità di addormentarsi e la strega si era ritrovata a rigirarsi tra le candide lenzuola per ore, la mente ridotta ad un teso turbinio di pensieri. Insomma, Sabrina aveva pochissime ore di sonno alle spalle e ancor meno calorie in corpo quella mattina, tanto da ritrovarsi a chiedere a Joël di ripetere quello che credeva di avergli appena sentito dire senza smettere di fissarlo, leggermente imbambolata:
“Scusa, puoi ripetere?”
“Ti ho chiesto se stasera vuoi venire a Teatro con me.”
Se Joël si accorse del suo sconcerto non lo diede a vedere, anzi, il bel musicista si limitò a sorridere gettando la strega in uno stato confusionale se possibile ancora più profondo: non era ciò che si era aspettata di sentire quando lo aveva visto uscire dall’ascensore e dirigersi dritto verso il banco della reception invece che verso il ristorante per fare colazione. In effetti Sabrina non sapeva che cosa si fosse aspettata, esattamente, ma di sicuro non di ricevere un invito.
In piedi e immobile con gli occhi castani piantati sul viso sorridente – forse divertito? – di Joël e Michel, accanto a lei, che cercava di dare indicazioni ad un’anziana coppia di tedeschi, Sabrina cercò di trovare una risposta sensata da dargli, ma l’unica cosa che riuscì a sentire fu il ronzio del suo cervello evidentemente andato in pappa.
“Ok. A vedere cosa?”
Aveva forse appena accettato di andare a teatro, e quindi di restare per un tempo prolungato da sola con lui, quasi senza rendersene conto? Sua madre doveva averla incantata a distanza, era l’unica risposta che le veniva in mente. Forse Joël aveva immaginato di dover insistere perché sembrò sorprendersi un poco di fronte alla sua risposta affermativa così immediata – anche se non sorpreso quanto lei –, ma lo stupore lasciò presto il posto ad un sorriso compiaciuto mentre il mago annuiva appoggiando i gomiti sul bancone per farlesi più vicino:
“Fanno Il barbiere di Siviglia. La versione di Rossini.”
E lei adorava il barbiere di Siviglia!
“D’accordo. Alle 21, immagino.”
Qualcuno le aveva di certo drogato il caffè decaffeinato. Sicuramente una spia di sua madre.
“Come lo sai?”
“Iniziano sempre alle 21. Ora devo andare. Ci vediamo lì.”
Non doveva andare assolutamente da nessuna parte, ma Sabrina sgusciò via dal bancone per fuggire il più rapidamente possibile intimandosi di cercare Pierre e di chiedergli di “darle il cambio” alla reception mentre Joël, sempre con quel sorriso a metà tra il compiaciuto e il divertito stampato in volto, la seguiva con lo sguardo senza allontanarsi di mezzo centimetro dal bancone:
“Non vuoi che chi lavora per te ci veda, vero?”
“Esattamente.”
 
Sabrina aspettò di essere sparita dalla visuale di Joël – appiattendosi dietro la parete del breve corridoio che dalla Hall conduceva alla spa – per estrarre il suo telefono dalla tasca dei pantaloni, entrare nella chat di Anjali e scriverle trafelata mentre due massaggiatrici le passavano davanti con le braccia cariche di asciugamani e la salutavano quasi senza che la francese se ne rendesse conto:

 
Tu: Joël mi ha chiesto di andare a teatro e gli ho detto di sì.
Anji 💄: COOOOOOSAAA?! Vuoi farmi andare di traverso il cappuccino freddo?! Vieni subito e spiegami!
Tu: Non posso, tra due secondi lui si siederà al tuo stesso tavolo, rimandiamo a dopo!
Anji 💄: Avevo il sospetto che ti piacesse, del resto è schifosamente bello e ci sa fare, ma ero convinta avessi troppo buonsenso per dargli corda!
Tu: Lo pensavo anche io. È tutta colpa di mia madre!

 
 
Dare la colpa a sua madre era sempre un’ottima soluzione ma disgraziatamente quel giorno nemmeno addossare la responsabilità su Sandrine l’avrebbe salvata dall’impiccio in cui si era cacciata, e mentre Anjali le scriveva entusiasta che sarebbe stato molto divertente avere un appuntamento la stessa sera e il giorno dopo spettegolare Sabrina sentì un brivido gelido percorrerle la schiena e una smorfia preoccupata incurvarle le labbra verso il basso mentre un terribile pensiero si faceva rapidamente strada nella sua mente: che cosa accidenti avrebbe indossato?!
 
 
Bonjour.”
Joël sedette sulla sedia vuota di fronte ad Anjali allargando le labbra in un delizioso sorriso, sorriso che la strega non ricambiò mentre la svizzera lo scrutava con il telefono ancora in mano e gli occhi chiari ridotti a due minacciosissime fessure che avrebbero fatto fuggire quasi chiunque:
“Perché?”
Joël non perse tempo a chiederle di che cosa stesse parlando e si limitò a fare spallucce mentre si adagiava comodamente contro lo schienale della sedia, fissando l’amica senza smettere di sorridere e intrecciando le dita delle mani sul ginocchio sinistro accavallato sul destro:
“Ci deve essere un motivo particolare?”
“Si tratta di te. Quindi sì.”
“Via Anji, non offendere la tua stessa intelligenza parlando come se non sapessi che Sabrina mi piace.”
“Beh a te piacciono molte persone, e lei è bellissima, quindi la cosa non mi tange particolarmente. So che sa badare a se stessa, ma ti devi comportare bene con lei.”
Anjali scelse quell’esatto momento per riporre il telefono nella sua Dior color crema e prendere invece un coltello per imburrare il suo croissant, tanto che Joël la fissò chiedendosi se non si trattasse di una voluta minaccia prima di sorridere e assumere l’espressione angelica che era solito sfoggiare quando si parlava delle sue malefatte:
“Io mi comporto sempre bene!”
“Certo, e io sono bionda!”
“Non dovresti pensare al tuo appuntamento galante, Anjali? Hai deciso cosa indossare?”
Se con quelle domande il mago sperava di destare l’amica dal suo interrogatorio si sbagliava: Anjali non si scompose, anzi, annuì mentre si scostava i capelli dalla spalla sinistra con un gesto sostenuto, aggraziato e fintamente casuale:
“Non pensare di distrarmi, certo che ho deciso. E ripeto, comportati bene o domani questo coltello non fenderà un panetto di burro, ma qualcosa di meno dolce e più strafottente. La tua faccia.”
 

 
*

 
Quella mattina Silas aveva già rifornito di asciugamani la piscina interna, parlato al telefono con suo padre, fatto diversi check-in, portato Pascal all’asilo per cani, salutato Napoleon e Lafayette e dato da bere alle piante. Decisamente troppo per l’esiguo numero di ore di sonno che aveva alle spalle, tanto che quando Pierre varcò la soglia del bar per parlargli trovò il ragazzo semi-accasciato sul bancone, gli occhi chiusi, uno strofinaccio in mano e i ricci scuri sparsi davanti al viso.
Preoccupato che Sabrina potesse arrivare e trovare il fratello minore in quello stato – situazione che avrebbe certo seguito l’esilio immediato dalla struttura per il minore dei St John – Pierre si guardò freneticamente attorno per appurare di essere solo prima di sfrecciare verso il bancone, raggirarlo e prendere Silas per le spalle per scuoterlo con rapidi gesti frenetici:
“Signorino, che cosa direbbe sua sorella se la vedesse dormire sul bancone?! Dovrebbe pulirlo, non farci un pisolino!”
“Scusa Pierre, ma ieri ho dormito poco, sono stato fuori fino a tardi…”
Silas si ridestò dallo stato di dormiveglia sollevando la testa dal bancone e passandosi stancamente una mano tra i ricci con uno sbadiglio mentre pensava all’assurdità della situazione in cui si trovava: mai avrebbe scommesso di ritrovarsi a perdere il sonno per fare ciò che aveva fatto la sera prima. Naturalmente Pierre non immaginava neanche lontanamente che cosa avesse tenuto sveglio il suo pupillo e annuì dandogli qualche colpetto bonario sulla spalla, certo che avesse tardato a qualche festa:
Mais oui, mais oui, capisco…”
“No, non capisci, non ero a fare festa, ero a guardare vecchi film della Disney…”
Silas comprese che non avrebbe potuto sorprendere Pierre più di così quando, una volta pronunciate quelle parole, guardò il viso dell’uomo assumere un’espressione dubbiosa ed esterrefatta al tempo stesso e sentì la sua mano smettere di picchiettargli la spalla: Pierre lo guardò come se stesse cercando di capire se fosse serio o se si stesse prendendo gioco di lui, cosa che offese non poco l’ex Grifondoro. Possibile che nessuno lo prendesse sul serio, nel Principato di Monaco?!
“… Mi sta prendendo in giro, Signorino?”
“Cosa? No! Che uomo di mala fede sei, Pierre. Perché mi cercavi, comunque? E grazie per avermi svegliato, se mi avesse trovato Sabrina sarebbero stati dolori.”
“Sua sorella vuole vederla, venga con me.”
Il sollievo provato poco prima sparì in un baleno una volta udite le parole di Pierre, e Silas si ritrovò ad impallidire e a boccheggiare mentre l’uomo si allontanava dal bancone facendogli cenno di seguirlo:
“Dici che sa tutto? Qualcuno ha fatto la spia? Maledetto Michel!”

 
*
 

“Mamma, so che ci tieni a chiamare, ma Mia non se la sente di parlare adesso, non sta molto bene stamattina.”
Sloan sedette sul bordo dell’enorme letto sfatto della Suite che condivideva con la moglie, la mano destra che reggeva il telefono accostato all’orecchio mentre la sinistra si allungava per raggiungere la spalla di Mia e stringerla con delicatezza. Il canadese gettò un’occhiata adorante alla moglie, che giaceva semi-distesa sul materasso appoggiandosi alla testiera imbottito e ad un muro di cuscini, mentre la voce della madre, al telefono, si faceva improvvisamente ansiosa e alterata di qualche tono.
“Perché glielo hai detto, lo sai che si preoccupa…”
Mia sospirò stancamente, il viso più pallido del normale e tirato dalla stanchezza a causa delle poche ore di sonno che aveva alle palle, e Sloan sfoderò un adorabile sorriso di scuse mentre la sua mano scivolava dalla spalla per stringere quella della moglie. Mentre sua madre gli chiedeva ansiosamente notizie della moglie Sloan recitò delle scuse in labiale a Mia e poi si affrettò a tranquillizzare Lucille sulle sue condizioni di salute:
“Niente di preoccupante, ha dormito poco e ha molta nausea, stai tranquilla. Sì Mamma, certo che non la lascio sola. Certo che ci penso io. Cos’è, non ti fidi?!”
Mia alzò gli occhi al cielo mentre allungava una mano verso il comodino per prendere un bicchiere d’acqua, mormorando che Sloan fosse il futuro padre più ansioso del mondo e che a stento le permetteva di scendere le scale senza lanciarsi in filippiche eterne sulla sicurezza. Di certo non si poteva dire che non fosse un marito attento.
“Del resto da qualcuno devi pur aver preso.”
La strega si portò il bicchiere alle labbra strizzando l’occhio al marito, che sorrise di rimando prima di tornare a rivolgersi alla madre per salutarla e mettere fine alla telefonata:
“Sai Mamma, Mia sta molto meglio, sta recuperando la sua vena ironica. Te la saluto, ciao. Vuoi che ordini qualcosa per colazione?”
Sloan appoggiò il telefono sul copriletto bianco accartocciato sul suo lato del letto allargando le labbra nel sorriso tenero che la moglie tanto amava, mostrando due perfette file di denti candidi mentre Mia, ricambiando, scuoteva lentamente la testa senza smettere di accarezzarsi il ventre con le dita ambrate:
“Non ho molta fame, ma tu scendi pure se vuoi.”
“Non ti lascio sola, sei impazzita? Ordino il servizio in camera.”
Sloan riprese in mano il telefono per controllare il menù sul sito dell’Hotel mentre la mano libera andava in cerca di quella della moglie per portarsela alla labbra e baciarne il dorso e Mia, sorridendo divertita, studiava il suo bel profilo con sguardo intriso di tenerezza:
“E poi prendi in giro tua madre, ma ti senti quando parli?!”
Eppure, anche se lo prendeva affettuosamente in giro e a volte la sua apprensione un po’ la esasperava, Mia gli era sinceramente grata per tutte le sue attenzioni e per la dedizione che metteva nei preparativi per l’arrivo del loro primo figlio. Quando l’allenatore di Quodpot si alzò e uscì dalla stanza per dirigersi nel salottino e chiamare la reception e ordinare la colazione Mia chinò lo sguardo sulla canottiera di raso del pigiama che le copriva il pancione, si accarezzò il ventre con delicatezza e sorrise mentre qualche ciocca di lisci capelli scuri le scivolava davanti al viso:
“Sei molto fortunato, sai? Avrai il padre migliore del mondo. Anche se, devo avvisarti, se fossi femmina potrebbe risultare un po’ iperprotettivo.”

 
*
 
 
Ufficio del Grande Capo/SabrinaStudio
 
 
Silas era sicuro che qualcuno lo avesse colto in flagrante mentre dormiva e che fosse poi corso dal Grande Capo a fare la spia per leccare il culo a sua sorella, tanto che seguì Pierre nell’ufficio della maggiore a capo chino giurando mentalmente vendetta e pronto ad una mega sfuriata che, stranamente, non arrivò: quando lui e Pierre entrarono trovarono la strega seduta sulla sedia girevole di cuoio bianca che stava dietro ad un ampio tavolo di legno coperto da libri, documenti, post-it, un portapenne, una bottiglia di vetro piena d’acqua con bicchiere semivuoto accanto e una pinzatrice rossa. Sabrina scrutò il fratellino aggrottando la fronte e inarcando un sopracciglio arcuato mentre sedeva con grazia, le lunghe gambe accavallate e le mani giunte in grembo:
“Silas, perché hai quella faccia da funerale?”
“Non mi vuoi rimproverare?!”
“Non saprei, pensi di aver fatto qualcosa che meriti un rimprovero?”
Conscio di rischiare di mettersi nei guai da solo Silas si affrettò a scuotere il capo e a dissentire mentre distoglieva lo sguardo dal bel volto della sorella, certo che avrebbe finito con lo smascherarlo se avesse perpetuato il contatto visivo, e affrettandosi ad obbedire quando Sabrina, seppur dubbiosa, decise di lasciar perdere e invitò lui e Pierre a prendere posto sulle due poltrone di cuoio marrone invecchiato.
“Silas, Pierre dice che ti stai comportando bene e francamente per ora non ho grosse lamentele da rivolgerti o danni esagerati di cui accusarti… Papà è contento.”
“Davvero? Bene!”
“Sì. E lui e Pierre, la cui opinione io rispetto molto, sono convinti che dovrei…”
Sembrava che pronunciare quelle parole fosse quasi doloroso per Sabrina e che le richiedessero un grande sforzo, tanto che la strega tergiversò giocherellando con l’unico l’anello che indossava, una fedina d’oro appartenuta a sua madre anni prima, senza guardare il fratello minore. Silas, perplesso, guardò prima lei e poi Pierre in cerca di risposte, ma l’uomo stava osservando con insistenza la strega e non ricambiò il suo sguardo con decisione, quasi volesse che fosse lei a chiudere il discorso.
“… Darti una delle mie chiavi. Per. Farti… Sentire più coinvolto e con qualche responsabilità in più.”
Quelle sembravano proprio parole di suo padre e la stessa Sabrina le pronunciò con tono cupo e quasi le avesse imparate a memoria, ma dopo un attimo di incredulità Silas si permise comunque di sorridere mentre si agitava irrequieto sulla sedia:
“Davvero? Sarebbe bello! Sarò responsabile, giuro.”
Ti converrà esserlo, perché con questa entri ovunque, ma devi usarla con giudizio e parsimonia. Ad esempio, mai per entrare nel mio appartamento. Mai.”
Il tono, le parole e lo sguardo di Sabrina non avrebbero potuto essere più chiari e Silas ai affrettò ad annuire e a giurare che non avrebbe deluso la sua fiducia mentre la sorella, dopo averlo scrutato brevemente con quell’espressione indecifrabile che tanto lo aveva messo in soggezione quando era adolescente, annuiva e gli allungava una tessera bianca e blu delle dimensioni di una carta di credito e quasi del tutto identica alle normali chiavi magnetiche che aprivano le porte delle stanze dell’Hotel.
“Non perderla.”
“Nossignora.”


Silas la afferrò con un sorriso e si alzò decretando di “avere un mucchio di cose da fare e di dover andare”, più per la fretta di andare a telefonare a suo padre e condividere la notizia con lui e per il desiderio di svignarsela prima che la sorella cambiasse idea che per una effettiva fretta di tornare al lavoro, ma Sabrina non obbiettò e si limitò ad osservarlo dal basso per un paio di istanti prima di annuire e fargli cenno di andare. Pierre e Silas erano appena usciti dalla porta quando l’uomo rientrò, affacciandosi tenendo una mano sullo stipite e una sulla porta per rivolgersi nuovamente alla strega:
“Miss, c’è qui un signore che desiderare parlare con lei. Un ospite.”
Sabrina non riceveva mai gli ospiti lì dentro – non lo trovava molto appropriato e soprattutto temeva che una volta iniziato frotte di ricchi maghi, streghe e Babbani si sarebbero presentati alla sua porta per avanzare richieste e lamentele di ogni sorta – e per un istante guardò Pierre con la fronte aggrottata e un’espressione di pura sorpresa sul volto, ma finì col realizzare di chi potesse trattarsi e si rilassò mentre si allungava leggermente sulla scrivania guardando l’uomo intrecciando le dita delle mani sotto al mento:
“Capelli castani, lieve accento dell’est, alto, vestito bene?”
“Oui.”
“Fallo entrare, grazie Pierre.”
Come volevano le sue previsioni quando Pierre sparì dall’uscio Alphard entrò nella stanza, un lieve accenno di sorriso educato sulle labbra sottili mentre si avvicinava alla scrivania della strega con falcate lunghe e decise:
“Bonjour Signor Vostokoff. So che cosa è venuto a chiedermi e la rassicuro: è tutto a posto.”
“È sicura?”
“Sempre sicura. Andrà benissimo.”
Un sorriso sincero – e vagamente soddisfatto – incurvò le labbra di Sabrina mentre si adagiava contro lo schienale bianco della sua sedia, il piede sinistro che dondolava piano mentre il destro, piantato sul pavimento e fasciato da dei sandali col tacco alto blu notte, faceva ruotare lentamente la sedia a destra e a sinistra di pochi gradi.
Alphard ricambiò il sorriso e dopo averla ringraziata si congedò, uscendo dalla stanza e salutando Pierre – che lo guardò perplesso e chiedendosi che cosa stesse macchinando la sua cara Miss Sabrina – prima di allontanarsi lungo il corridoio con un sorriso allegro e compiaciuto stampato in faccia.
Rimasta finalmente sola, Sabrina stava per iniziare a fare delle telefonate quando la porta venne bruscamente spalancata facendola sobbalzare sulla sedia: la strega stava per rimproverare Silas per i suoi modi e ricordargli che esisteva da secoli una pratica socialmente consolidata chiamata “bussare” quando si ritrovò davanti non il suo fratellino, bensì la sua migliore amica. Sconcertata, la francese guardò Anjali entrare nel suo ufficio reggendo diverse grucce che sostenevano altrettanti lucidissimi copriabiti neri:
“Tesoro eccomi, sono arrivata, ho portato degli abiti che potresti considerare di mettere stasera…”
“Anji! Perché non mi hai avvisata che saresti venuta?!”
“Scusa tanto, avevi forse ospiti più importanti di me da ricevere?!”
Anjali appoggiò con cura i copriabiti sulle poltrone per avere le mani libere e scostarsi i capelli scuri dalla spalla sinistra nel suo abituale gesto sostenuto a cui Sabrina era ormai avvezza, portando l’amica ad emettere un basso sospiro – ringraziando la buona sorte per aver impedito ad Anjali di arrivare in concomitanza con Alphard –  prima di gettare un’occhiata alle grucce dandosi una nervosa ravvivata ai corti capelli castani:
“Sei gentile, ma non penso di poter indossare i tuoi vestiti, sono più alta e tu hai, emh, più fianchi.”
“Questo lo so bene, cosa credi, infatti ho portato abiti tuoi!”
“… Sei stata nel mio appartamento?!”
“Ovvio! Allora, secondo me dovresti mettere quello blu, è così bello e ti sta così bene… Anche quello rosa mi piace tanto, ma quello blu è più da teatro…”
Anjali si chinò sulle custodie patinate per aprire le cerniere e mostrare all’amica quello che le aveva portato mentre Sabrina la guardava senza dire una parola e ormai rassegnata all’idea che quella mattina non sarebbe riuscita a lavorare per più di dieci minuti di fila.

 
*

 
Quella mattina, quando Brooke si era chiusa in bagno per lavarsi, lui e Ridge avevano discusso. In piedi nell’angolo del salotto della suite più lontano dalla porta chiusa del bagno, i due maghi si erano scambiati sussurri concitati mentre Hope, seduta sul divanetto bianco più vicino, li osservava.
Asher si era sforzato di non guardare la cagnolina per tutto il tempo, sentendosi quasi in colpa persino nei suoi confronti per quello che stava facendo alla sua amata padrona e chiedendosi, a disagio, se lei in qualche modo capisse.
Ridge, come sempre, era rimasto in piedi davanti a lui dando le spalle all’animale e aveva parlato per quasi tutto il tempo: la discussione, in realtà, era nata in modo abbastanza ridicolo e Asher si chiedeva perché l’uomo avesse voluto discutere per motivi tanto futili. Per quanto sapesse di non essere nel torto le parole di entrambi gli sarebbero rimaste in testa per tutto il resto della giornata, costringendolo in uno stato di mogia malinconia e guastandogli persino il tempo libero.
In effetti quel giorno di tempo libero Asher ne avrebbe avuto non poco, e una parte di lui si chiedeva se Ridge non l’avesse fatto apposta, a discutere con lui, per rovinargli quelle ore di libertà e costringerlo a pensare a lui per tutto il giorno. Era un pensiero tremendo, applicato all’uomo per cui provava qualcosa, ma in fondo non del tutto irrealistico.
E come poteva, soprattutto, Ridge accusarlo di “avere la mente altrove” e di non passare molto tempo con lui, ultimamente? Era lui quello sposato, quello che condivideva il letto con qualcuno e che doveva sempre tener conto di quel qualcuno. Lui si era semplicemente fatto degli amici. Avrebbe dovuto starsene sempre buono buono, in attesa, aspettando che lui fosse disposto a concedergli qualche briciola del suo tempo e chiamarlo?
Non capiva se Ridge fosse geloso o se, come sosteneva sua madre, semplicemente non riuscisse ad accettare che ci fosse qualcun altro a condizionare le sue decisioni, qualcuno con cui Asher avrebbe potuto parlare della loro relazione e forse fargli comprendere quanto sbagliata fosse.
“Amore, se tenesse a te nel modo giusto si comporterebbe diversamente. E non ti farebbe sentire in colpa solo perché passi del tempo con i tuoi amici. Nelle relazioni le persone come Richard spesso cercano di allontanare il partner da chi gli sta attorno.”
Sua madre era di quell’avviso e in fondo Asher sapeva che la donna aveva ragione. Era solo molto difficile da accettare, visto che si parlava di qualcuno a cui lui, in un modo o nell’altro, comunque teneva moltissimo.
E quanto sarebbe stato liberatorio parlarne con Meadow o Silas, sentire la loro opinione. Ma la sola idea di dirgli della sua relazione extraconiugale con il suo capo era raccapricciante e in grado di provocargli violenti attacchi di nausea: piaceva a Meadow e Silas, in qualche modo loro lo avevano accettato e coinvolto nella loro amicizia, e non voleva che scoprissero la sua parte peggiore.
“Che hai, zuccotto di zucca? Sei mogio mogio.”
Seduta di fronte a lui su una deliziosa poltroncina a conchiglia foderata da velluto color petrolio e dalle gambe dorate, Meadow si adagiò comodamente contro lo schienale portandosi la cannuccia del suo drink fruttato alle labbra, lasciando che il dolce liquido ghiacciato e lievemente frizzante le rinfrescasse la gola mentre l’amico, il bicchiere ancora intatto in mano, scuoteva piano la testa:
“Ho solo un po’ di pensieri.”
“Di che genere? Stai pensando alla tua famiglia? I nonni hanno problemi con la panetteria? Sai, stavo pensando che io e lo zio dovremo venire a trovarvi in Massachusetts, non andiamo da tantissimo in America, e allora io svaligerà la panetteria e vi farò guadagnare per bene, che ne pensi?”
Asher si costrinse a sorridere, asserendo che fosse un’idea meravigliosa mentre si chinava per raccogliere qualche tarallo alla paprika dalla ciotola color mattone che la sorridente cameriera bionda con l’accento francese aveva portato insieme ai loro drink, patatine e minuscoli sandwich.
“Ma bravi, io sgobbo e voi qui a fare aperitivo!”
Mentre i due si godevano i loro deliziosi stuzzichini Silas passò accanto al tavolo tenendo un vassoio nero sottobraccio, una camicia bianca e pantaloni neri addosso insieme ad un grembiule color borgogna allacciato in vita. Quando l’amico si fermò accanto al loro tavolo mettendo una mano sullo schienale della sua poltrona Asher gli indirizzò un sincero sorriso di scuse mentre Meadow, sbuffando, lo liquidava con un gesto della mano:
“Cameriere, portaci delle bruschette invece di assillarci con le tue lagne. Non so cosa siano, le bruschette, ma suona bene e voglio provare.”
Sei una gran rompipalle.”
La cameriera che li aveva serviti poco prima udì le parole di Silas mentre portava da bere a Joshua, che stava discutendo con un francese dall’altro capo della grande sala dal soffitto di vetro, e si fermò per scoccare un’occhiata stravolta al britannico prima di intimargli di “non parlare così agli ospiti!”
“Rilassati Lorraine, questi mica sono ospiti normali, lei è una mia vecchia amica.”
“Beh, comunque potrei fare rapporto alla tua bellissima sorellona, sai?”
Meadow si riportò la cannuccia alla labbra per celare un sorrisetto beffardo, strizzando l’occhio all’amico quando Silas le scoccò un’occhiataccia prima che Lorraine, spazientita e mormorando qualcosa in francese che il ragazzo non comprese (“Sono stufa di aver a che fare con i bambini!”), lo trascinasse di nuovo verso il bancone del bar.
Rimasti soli, Meadow sorrise mentre appoggiava il bicchiere rumble sul sottobicchiere che avrebbe protetto il tavolo di vetro sottostante, mettendosi poi comoda sulla poltrona sedendoci scompostamente senza smettere di osservare il volto teso e pallido dell’amico:
“Sicuro di non volerne parlare? Io parlo troppo, lo so, ma quando voglio bene a qualcuno non sono male ad ascoltare, giuro.”
“Non ho dubbi, ma non è qualcosa di cui parlo volentieri. Soprattutto con determinate persone.”
Asher distolse lo sguardo dal viso dell’amica, concentrandolo con insistenza sulla parete alle spalle di Meadow mentre la strega continuava ad osservarlo, la fronte improvvisamente aggrottata a conferirle un’espressione di leggera perplessità. Conscio di non poter abbandonare l’argomento in quel modo il ragazzo sospirò piano, scuotendo la testa prima di chinare lo sguardo sulle proprie mani e mormorare qualcosa con tono mesto:
“Non vorrei che tu o Silas cambiaste opinione su di me.”
“Ma questo non potrebbe mai accadere, sei troppo gentile, adorabile, dolce. Come si fa a non volerti bene, piccolo Asher?”
Meadow sorrise, incoraggiante e di buon umore, ma Asher non rispose e continuò a non guardarla, gli occhi chiari fissi sulle proprie mani giunte in grembo.
Merlino, quanto odiava vedere qualcuno a cui voleva bene di quell’umore, si disse la strega mentre scrutava l’amico con occhi attenti. Asher era così una bella persona. Non voleva costringerlo a condividere ciò che lo tormentava con lei, ma almeno farlo sentire meglio: era un suo dovere come amica, così decise di fare il primo passo e di essere lei a raccontare qualcosa di privato e intimo che di rado le era capitato di condividere con chiunque che non fosse suo zio:
“Sai, non so di cosa parli, ma non potrei mai cambiare opinione su di te. Credo che si debba giudicare qualcuno in relazione a come si comporta con te, non per cosa ha fatto in passato o con altri. E tu con me sei gentile, non tutti lo sono sempre stati.”
“Quando ero bambina mi hanno diagnosticato l’ADHD. Sembra una malattia terminale, lo so, invece è semplicemente la sindrome da deficit di attenzione. Per me era difficile stare ferma, a scuola, e in silenzio come gli altri… Mio zio mi ha fatto controllare, il che detto così suona proprio male.”
Meadow parlò virgolettando con le dita “fatto controllare” sotto lo sguardo stupito di Asher, che sì aveva sempre trovato la ragazza adorabilmente bizzarra, ma nulla di più, e non aveva mai immagina
“Quando cercarono di spiegarmelo mi preoccupai, perché il nome era strano e un po’ spaventoso. Ma poi ho guardato lo zio, e lui mi sorrideva. Sembrava contento, e non capii perché, quel giorno, ma capii che se lui era contento e sembrava sereno, allora dovevo stare tranquilla anche io. Credo che sia stato davvero felice, quel giorno, e anche se so di essere difficile so che lui mi vorrà sempre bene e mi sosterrà sempre. A questo servono la famiglia e gli amici, quindi sono sicura che io e Silas non ti giudicheremmo mai. Io di certo sono l’ultima a poterlo fare ma anche lui non scherza.”
“Perché dici così?”
Il mormorio di Asher fece sorridere la ragazza, che si strinse nelle spalle e indicò la propria intera figura con un rapido cenno della mano, per nulla restia a parlare di sé in quei termini:
“Guardaci. Io discuto con mio zio, la sola persona che mi ama davvero al mondo, perché non condivide le mie aspirazioni. Silas ha iniziato adesso a combinare qualcosa per la prima volta in vita sua. Non siamo certo nelle posizioni di poter giudicare.”
“Perché era contento, tuo zio, quando ti hanno diagnosticato l’ADHD?”
“Aveva paura che fosse qualcosa di molto peggio. Quando hai aspettative spaventose, una diagnosi de genere non può che rasserenarti. Mia madre soffriva di disturbo bipolare.”
“Oh.”
Era la prima volta, da quando la conosceva, in cui Asher sentiva Meadow fare cenno a membri della sua famiglia che non fossero suo zio: una parte di lui aveva sempre dato per scontato che fosse orfana e che per quel motivo fosse cresciuta con lui, ma la guardò in silenzio per lasciarla continuare, rapito da quel racconto mentre Meadow, incapace di restare ferma a lungo nella stessa posizione, si agitava con lieve nervosismo sulla poltroncina e si protendeva in avanti per giocherellare con il suo bicchiere:
“Penso che per lo zio crescere con la sua famiglia sia stato terribile. Mia nonna non era un tipo facile, e posso parlare per esperienza visto che i primi anni di vita li ho passati con lei in Australia, era sempre molto aggressiva e incline ad infuriarsi per un nonnulla. Poi mi ha mollato allo zio, due anni prima di Hogwarts, e sono andata a vivere con lui nella vecchia, grigia Inghilterra. All’inizio ero spaventata, poi ho capito quanto lui fosse diverso da sua madre.”
“Non hai mai conosciuto tua madre?”
“Né mia madre né mio padre, che resta un mistero per chiunque, anche per lo zio. Mia madre rimase incinta, io nacqui, lei e mia nonna si scontrarono e lei scappò di casa. Lo zio mi ha detto che lo aveva sempre fatto, anche da adolescente, ma era sempre tornata a casa. Quando nacqui io non tornò più.”
Asher guardò Meadow stringersi nelle spalle provando un profondo moto di tristezza e compassione: lui era cresciuto con una famiglia molto amorevole, eppure il vuoto lasciato dall’assenza di suo padre si era sempre fatto sentire comunque. Non riusciva ad immaginare come fosse, vivere nella consapevolezza di essere stati abbandonati persino dalla propria madre.
“È terribile, mi dispiace. Io non ho mai conosciuto mio padre, ma… ma ho mia madre.”
“Beh, io ho lo zio, non mi è andata poi così male. Anzi, della nostra famiglia credo che fosse l’unica persona in grado di crescermi come si deve. Mia madre era instabile, mia nonna in un certo senso anche, mio nonno è morto molto tempo prima che nascessi… è una fortuna, in realtà, che lei mi abbia abbandonato. Non ce l’ho con lei.”
Meadow sorrise e parlò con una tranquillità invidiabile; Asher la guardò, stupito e allo stesso tempo meravigliato da quel racconto e dalla sua serenità, prima che un lieve mormorio quasi involontario scivolasse dalle sue labbra dischiuse:
“Davvero?”
“Tu ce l’hai con tuo padre?”
“Non lo so. Forse. A volte. Lui e mia madre si sono lasciati quando ero piccolissimo e non l’ho mai più visto.”
“A volte chiedevo di lei, poi ho smesso, vedevo che allo zio la cosa non faceva piacere… Avevano tantissimi anni di differenza, sai, lei era molto più grande di lui e hanno avuto un rapporto particolare, credo. Ma credo di averla perdonata, mia madre.”
Asher la guardava come se non capisse ma Meadow non sembrò scomporsi e si limitò a stringersi nelle spalle, il bicchiere gelido ancora stretto tra le mani pallide mentre il suo sorriso, forse inasprito da un alone di malinconia, si allargava con una tensione appena percettibile dei muscoli facciali:
“Niente rovina un figlio quanto una madre inadatta. Forse ha fatto la cosa migliore, abbandonandomi.”
 

 
*
 
 
Spa


Poteva un matrimonio risultare stressante anche da 1.430 km di distanza? Sì, Briar aveva controllato. E la risposta era sempre sì, poteva, specie se il matrimonio in questione era quello di sua sorella Ginevra.
Nemmeno sua cugina Astoria aveva dato di matto fino a quel punto per il suo matrimonio con Draco Malfoy e più trascorrevano i giorni più Briar si convinceva che andare in vacanza fosse stata una splendida idea, compatendo invece i suoi genitori, il suo futuro cognato Pierre (un vero santo, secondo il giudizio dell’ex Serpeverde) e anche i suoi adorati nonni. Stando alle lettere di sua madre sua nonna Celeste era così stressata da trascorrere giornate intere a impastare e preparare dolci, finendo così col rischiare di far ingrassare tutta la famiglia, soprattutto suo nonno Tamati, e di non farli entrare negli abiti da cerimonia. Con gran disappunto del nonno materno e del padre Ginevra aveva ovviato al problema mettendo tutti a dieta e stando alle parole di sua madre ora erano pieni di dolci sfornati da nonna Celeste di cui non sapevano proprio che farsene.
Come sua madre Zara, che a quanto pareva trascorreva giornate intere nei saloni per cercare di rilassarsi e non farsi venire troppe rughe in vista delle nozze, Briar aveva deciso di ricorrere ad un mezzo estremo: i trattamenti.
Dopo aver guardato innumerevoli foto ritraenti innumerevoli centrotavola pressoché identici (naturalmente questo non l’avrebbe fatto notare a sua sorella, suo padre si era azzardato e stando al resoconto di sua nonna si era quasi guadagnato una maledizione) ed essersi occupata di un bel po’ di scartoffie legate alla sua nuova galleria d’arte Briar aveva portato Circe all’asilo per cani e si era rinchiusa nelle spa dell’Hotel per farsi coccolare: ora giaceva comodamente distesa su una poltrona color crema, accappatoio bianco addosso, reduce da manicure, pedicure, un massaggio ai piedi e con una maschera rinfrescante ed energizzante allo zenzero e limone spalmata sul viso.
La musica che avvolgeva la spa la cullava piacevolmente insieme all’aroma delicato della candela accesa sul tavolino accanto a lei e la strega si stava giusto dicendo quanto sarebbe stato facile addormentarsi, rilassata com’era, quando una profonda voce maschile la chiamò, facendola sobbalzare e mandando in frantumi tutta l’atmosfera:
“Briar!”
“Porco Salazar… Che c’è?!”
La strega spalancò gli occhi chiari e si sollevò d’istinto per mettersi seduta sulla poltrona, trattenendo l’impulso di scagliare la candela profumata alla rosa canina contro il suo migliore amico quando si trovò davanti Alphard vestito di tutto punto e con gli occhi castani carici d’impazienza fissi sul suo viso:
“Devi aiutarmi, stasera ceno con Anjali e non so cosa mettermi. Urge dello shopping.”
“Trovo sinceramente adorabile il tuo nervosismo, dico davvero, ma vacci da solo.”
Briar sospirò mentre tornava supina sulla poltrona, sistemandosi comodamente contro i cuscini prima di chiudere gli occhi mentre Alphard, che aveva appena ribaltato completamente il suo armadio senza trovare niente da mettersi, si chinava su di lei guardandola implorante:
“Ti prego, tu hai così buon gusto!”
Sì, è vero, ho molto buon gusto, ma ho anche bisogno di questa maschera. Anzi, servirebbe anche a te.”
“Quanto tempo deve stare in posa?”
“Altri 5 minuti.”
“Bene, aspetterò, poi ti rivesti e andiamo a fare spese. Urge una capatina da Prada.”
 
Che cos’era quell’orrenda sensazione così fastidiosa? Quel leggero mal di stomaco, come se un buco nero gli avesse inghiottito le interiora, quel senso di malessere generale e di inquietudine. Alphard non era abituato a provare niente del genere e si accomodò sulla poltrona vuota accanto a quella di Briar con un basso sbuffo, provando un sincero astio per quella terribile sensazione: era forse ansia? No, lui non provava mai ansia, nemmeno per questioni di lavoro. Di certo non prima di un appuntamento galante, insomma, che fosse non abituato ad uscire, uomini o donne che fossero, era una delle cose che di certo non si poteva dire di lui.
“Sei nervoso?”
“Un po’. Non so perché, insomma, ci sono già uscito una volta.”
Alphard parlò lisciandosi nervosamente le pieghe dei pantaloni blu che indossava, gli occhi fissi sulle proprie gambe e la fronte leggermente aggrottata mentre Briar, ancora distesa accanto a lui, si voltava per rivolgere un sorrisetto divertito in direzione dell’amico, gli occhi verdi luccicanti:
“Hai riflettuto sul fatto che, in effetti, tu sia poco abituato ad uscire per due volte con la stessa persona? Forse è per questo che sei nervoso.”
“Non credo proprio.”
“Insomma, a quando risale la tua ultima relazione che si possa definire tale?”
Una massaggiatrice si avvicinò ai due per chiedere ad Alphard se fosse lì per un trattamento, ma l’uomo declinò con garbo – forse un massaggio gli avrebbe anche fatto bene, ma non aveva tempo da perdere – e la guardò allontanarsi pensando alla domanda dell’amica. Anche se avevano molti anni di differenza lui e Briar erano cresciuti in famiglie molto legate tra loro ed erano presto diventati molto amici grazie alla maturità, di gran lunga superiore rispetto a molto suoi coetanei, della ragazza. Briar-Rose Greengrass lo conosceva bene, molto bene, e conosceva tutti i dettagli della sua vita sentimentale: Alphard non aveva mai avuto una relazione della durata superiore ai due mesi, era solito stancarsi e annoiarsi dopo un breve lasso di tempo, e in ognuna delle sue passate frequentazioni non ricordava comunque di aver sentito sentimenti forti di sorta. Aveva 36 anni e non si era mai innamorato, un pensiero a tratti spaventoso e che sua madre non mancava mai di sottolineargli. Forse, per quanto fosse sempre stato restio nei confronti delle relazioni durature, sentiva che era arrivato il momento di sperimentare il sentimento più agognato, terrificante e al tempo stesso rifiutato dell’umanità.
“Rilassati, andrà bene, tu le piaci molto, quando si parla di te si illumina. Immagino che possa far paura uscire con qualcuno che per una volta ti piace davvero, ma vedrai che ne varrà la pena.”
Briar si tastò delicatamente le guance e sentendo che la maschera si era ormai solidificata si mise nuovamente a sedere per alzarsi e farsela togliere – con gran gioia dell’amico –, ma prima di infilare i piedi nelle sofficissime pantofoline bianche che l’attendevano sul pavimento ruotò la testa verso Alphard, guardandolo incerta:
“C’è solo una cosa che mi lascia sinceramente perplessa.”
“Cosa?”
“Come cavolo fa quella donna ad essere arrivata qui single?!”
Alphard non ne aveva idea e quella, in effetti, era proprio una bella domanda, ma decise che non gli importava, anzi: tanto meglio per lui.

 
*

 
Medea era perfettamente consapevole degli sguardi di quei due ragazzi – la graziosa ragazza asiatica e il ragazzo dai ricci castani e i magnifici occhi chiari – su di sé già da diversi minuti, e a dire il vero non era la prima volta in cui si ritrovava ad essere oggetto della loro attenzione, ma non se ne curava: distesa sul lettino, riparata dall’ombrellone che lei e Artemy condividevano, la strega stringeva la sua Nikon tra le mani cariche di sottili anelli d’oro e i grandi occhi scuri riparati dalle lenti degli occhiali scrutavano attenti il ragazzo che le sedeva accanto attraverso l’obbiettivo.
“Ti diverte fotografarmi?”
“Beh, sei un bel soggetto, sei un bel ragazzo. Non penso di dovertelo dire io. Guarda, sei carino.”
Dopo aver scattato una foto con un lieve “click” metallico Medea si sporse sorridendo dal lettino per mostrare il piccolo schermo quadrato della costosa fotocamera al ragazzo, che ci gettò solo una rapida occhiata prima di accennare un tiepido sorriso, i lisci capelli argentei che gli ricadevano attorno al viso e davanti alla fronte:
“O tu una brava fotografa.”
“Quello è assodato, tesoro.”
Medea gli rivolse un sorriso e una strizzata d’occhio che il ragazzo non ricambiò, limitandosi ad osservarla per un breve istante prima di tornare ad osservare, pensoso, gli altri ospiti affollare la piscina. Per qualche istante nessuno dei due proferì parola, Medea impegnata a dare uno sguardo alle foto recenti e Artemy a riflettere, finchè la britannica non disse qualcosa senza nemmeno distogliere lo sguardo dal piccolo schermo della sua Nikon:
“Così carino che quei due continuano a fissarci. Magari piaci ad uno dei due.”
“Perché dovrei piacergli io? Tu sei una donna bellissima, e mi sembra che guardino più te che me.”
“Nah, io sono vecchia per quei due. Comunque, scherzavo, non è la prima volta che mi ci imbatto e penso mi fissino per il mio lavoro. Non so come o perché, ma credo abbiano intuito che sono qui per conto di qualcuno.”
“E la cosa non ti disturba?”
“Semmai mi diverte. Mi sento l’affascinante, misteriosa detective di un qualche vecchio romanzo.”
Medea sorrise mentre riponeva con cura la telecamera al sicuro nella sua custodia, rimettendosi distesa supina sul comodo lecchino e ruotando la testa in modo da guardare il suo curioso amico anziché la piscina e tutti i suoi chiassosi bagnati di tutte le nazionalità.
“Mi sembri strano oggi.”
Prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’argomento, Artemy lo sapeva: negli ultimi giorni non avevano passato troppo tempo insieme, tra il lavoro di Medea e la sua compagnia spesso richiesta altrove, ma prima o poi quel momento sarebbe arrivato per forza. Per un minuto tenne il capo chino, impegnato a disegnare figure astratte con la punta dell’indice sul bordo del suo lettino, finchè non si schiarì la voce per parlare, leggermente a disagio:
“Non avevo mai parlato del mio lavoro con qualcuno che conosco appena. Mi fa piacere che tu abbia reagito con tanta naturalezza, ma al tempo stesso mi stranisce.”
“Perché avrei dovuto reagire diversamente? È la tua vita, il tuo corpo, non il mio. Non penso di approvare questo tipo di mercificazione, ma se a te sta bene… beh, conta il tuo consenso, non quello di chi non è coinvolto.”
Perché lei era così gentile e bendisposta nei suoi confronti? Se c’era una cosa a cui, in 26 anni di vita, non si era mai abituato, era la gentilezza gratuita. Nel suo mondo tutto aveva un prezzo, sempre, in ogni senso.
“C’è solo una cosa che vorrei chiederti.”
“Che cosa Meddy?”
Artemy si voltò per guardarla in viso e la chiamò per la prima volta con il tenero soprannome che la nonna materna di Medea aveva coniato molti anni prima e verso cui la ragazza provava un profondo affetto. Udire quel nomignolo destò un accenno di sorriso sul volto della strega, che trovò buffo sentirlo pronunciare da un accento particolare come quello del ragazzo, ma l’ex Corvonero fece del suo meglio per accantonare quel pensiero e tornare seria, conscia di dovergli chiedere qualcosa che richiedesse la massima serietà e alcuna traccia di sorriso sulle sue labbra carnose:
“Hai iniziato per volontà tua?”
“È una storia lunga e complicata. La mia famiglia non mi ha più voluto, ad un certo punto, per via del mio essere un Magonò. Da quel momento la mia vita è cambiata. Un giorno o l’altro te la racconterò, se ti andrà.”
Artemy distolse lo sguardo dal viso della strega per osservare i propri piedi pallidi appoggiati sul lettino con finto interesse, stranito dall’idea di raccontare la storia della propria vita ad una ragazza gentile, sì, ma che probabilmente entro qualche settimana non avrebbe mai più rivisto. O forse era questo, si chiese, a rendergli semplice parlare con lei? La consapevolezza che non sarebbe rimasto a lungo nella sua vita, che lei un giorno lo avrebbe dimenticato, o al massimo sarebbe rimasto un ricordo sfuocato di un particolare incontro durante un soggiorno in Costa Azzurra. Forse sarebbe rimasto impresso nella mente di Medea come “lo strano ragazzo che faceva la escort”, o forse no, non ne aveva idea, ciononostante, per qualche assurdo motivo, quella consapevolezza rendeva l’aprirsi con lei incredibilmente semplice.
“Ma in fondo poteva andarmi molto peggio. Ho incontrato persone che mi hanno voluto bene e mi hanno aiutato, in qualche modo… La mia famiglia non l’ha fatto, ma la famiglia non è tutto, contrariamente a quanto dicono.”
“Mi dispiace molto. Per la tua famiglia, intendo. Di solito cerco di non giudicare, ma sono stati orribili.”
Artemy non rispose, limitandosi a fissare l’acqua cristallina della piscina gremita di maghi e Babbani di tutte le età finchè non sentì Medea toccarlo e si irrigidì d’istinto, poco avvezzo a contatto fisico per cui non venisse pagato: la fotografa si era sporta verso di lui e gli circondò le spalle con le braccia, intrecciando le mani all’altezza del suo petto, e appoggiò il mento sulla sua spalla.
Medea lo stava abbracciando, e non aveva idea di quando qualcuno lo avesse fatto l’ultima volta.
“Mia nonna diceva che un abbraccio non risolve tutto, ma è sempre un buon inizio. Come le tazze di tè.”
“Voi inglesi siete pazzi.”
“Lo so.”
 

 
*

 
Quando Mia aveva dichiarato di voler fare shopping – dopo aver trascorso tutta la mattina a letto si sentiva molto meglio ed era del tutto intenzionata a uscire e recuperare le ore passate al chiuso – Sloan aveva fatto i salti di gioia per la prima volta in vita sua: certo attendere per ere geologiche la moglie fuori dai camerini non corrispondeva alla sua idea di pomeriggio ideale, ma era estate, faceva caldo e rinchiudersi nei negozi voleva dire solo una cosa. Aria condizionata. Persino fungere da facchino sembrava allettante, rispetto a trascorrere le ore più calde della giornata sotto il cocente sole della Costa Azzurra.
Certo, Sloan non aveva tenuto conto di una cosa: i saldi, il momento dell’anno che i mariti temevano di più in assoluto. E Mia, partita con l’idea di comprare nuovi abiti premaman, aveva finito con l’innamorarsi di troppi abiti che non avrebbe potuto indossare ancora per diverse settimane.
“Sloan, guarda che belle queste scarpe!”
“Amore, ma adesso i tacchi non riesci a portarli, ti fanno male e rischiano di farti perdere l’equilibrio…”
Sloan evitò accuratamente di menzionare le caviglie gonfie, cosa di cui Mia gli fu molto grata, ma la donna sorrise mentre agitava quei bellissimi sandali col tacco basso rossi e i lacci alla caviglia, asserendo che li avrebbe messi quando il bambino fosse nato.
“Ma ha senso comprare qualcosa che non potrai mettere nell’immediato? Non sarà, emh, triste vederli in camera e non poterli mettere?”
E soprattutto, la loro valigia non sarebbe esplosa, con tutto quello shopping? Per fortuna erano maghi, si disse Sloan mentre Mia adocchiava lo stesso modello in un altro colore e lui, carico di buste, si vedeva costretto a seguirla facendo lo slalom tra altri uomini con l’aria mesta e donne in cerca del loro numero tra le pile di scatole sugli scaffali.
“Dopo andiamo a comprare qualcosa per il bambino. O la bambina. È così difficile resistere alla tentazione di non sapere il sesso, ho visto abitini così carini senza poterli comprare…”
Sloan sarebbe stato felicissimo di avere una bambina, ma all’improvviso vide se stesso più vecchio di qualche anno con moglie e figlia a trascinarlo per negozi e rabbrividì, pregando che fosse maschio ma sorridendo a Mia mentre la donna osservava un tubino blu notte dall’aria molto attillata.
“Pensi che questo potrò metterlo, dopo il parto?”
“Emh…”
Quello era il genere di domanda proibita a cui non si doveva rispondere, mai. Lui doveva solo annuire e ripeterle quanto bella fosse, così si limitò a biascicare qualcosa di incomprensibile mentre alle loro spalle una ragazza dalla pelle ambrata, capelli piastrati legati in una coda alta, tubino color crema e sandali di cuoio Oran firmati Hermes ai piedi si faceva largo tenendo sollevate delle grucce che reggevano camice e giacche estive.
“Alphard sbrigati, dobbiamo accaparrarci un camerino, prima ho già sfiorato la rissa con quella stangona tedesca che voleva soffiarti l’ultima camicia bianca della tua taglia! E prendi le scarpe di vernice!”
Alphard voleva bene a Briar, ma c’erano momenti in cui un po’ lo spaventava e i saldi estivi erano tra quelli, così si affrettò a stringere con fare protettivo le scarpe di cuoio italiano – temendo che qualche avvoltoio potesse rubargli l’ultimo numero – insieme a tutti gli abiti che la ragazza aveva arraffato al reparto donna della boutique di Prada e a seguirla verso i camerini.
Chissà se anche Anjali stava dando di matto per scegliere cosa indossare. No, si disse Alphard scuotendo la testa mentre Sloan, a poca distanza, cercava di convincere Mia di non aver bisogno di un nuovo completo a tre pezzi: lei era sempre talmente perfetta che le sarebbe bastato indossare la prima cosa rinvenuta nell’armadio.
 
Briar lo riscosse dai suoi pensieri sulla bella svizzera intimandogli di restare concentrato e di muoversi, perché “erano in guerra e dovevano uscirne vincitori”.
“Briar, ricordami di non fare mai più shopping con te durante i saldi.”
“E ringrazia di non avermi vista quando io e Ginevra abbiamo scelto gli abiti delle damigelle. Avanti, sbrigati.”
Briar scostò con un gesto secco la tendina nera del camerino – dopo essercisi appostata davanti a braccia conserte e aver cacciato una ragazza francese con un’occhiata di fuoco – e quasi ci spinse dentro l’amico insieme a tutti gli abiti da provare, asserendo che dopo sarebbe toccato a lei e che quindi non avrebbero mollato il camerino neanche sotto tortura.
“E se devo andare in bagno?!”
“Siamo da Prada, qui il bagno lo hanno, anzi, ti portano anche caffè e pasticcini se solo lo chiedi! Basta che ci alterniamo e non molliamo il camerino per nulla al mondo.”
Alphard rifletté mentre si sbottonava la camicia: un caffè non era male come idea, e neanche qualche delizioso pasticcino francese. Ma poi si ricordò della sua cena con Anjali e decise che no, non poteva abbuffarsi, quella serata avrebbe dovuto rasentare la perfezione.
 

 
*

 
Alphard era uscito per fare compere e con suo gran sollievo era riuscito meravigliosamente nel suo intento, ma invece di ritornare in Hotel e dare il via ad un lungo, lento e il più possibile rilassante processo di preparazione – forse rifiutare la maschera di Briar non era stata una brillante idea dopotutto – si era ritrovato a pagare il prezzo della richiesta inoltrata alla sua amica di accompagnarlo per le più costose boutique del centro: attendere che anche lei provasse una miriade di abiti.
Gli occhi castani del mago continuavano senza sosta a scivolare sul suo orologio firmato Cartier mentre Briar apriva e richiudeva la spessa tenda nera per mostrargli gli abiti, eternamente indecisa su cosa scegliere – nonostante avesse la possibilità economica di acquistare tutto ciò che voleva non le piaceva sprecare – mentre Alphard ripeteva continuamente la stessa cantilena, ovvero che tutto le stesse benissimo. Il che non corrispondeva a false lusinghe per trascinarla fuori da lì, bensì al vero, ma Briar continuava a dichiararsi indecisa e a chiudere e riaprire la tenda per mostrargli un vestito dietro l’altro.
Nel camerino di fronte un uomo alto e dall’aria stranamente familiare sembrava costretto nella sua stessa situazione: appoggiato malinconicamente contro la parete con le braccia cariche di qualsiasi genere di indumento inventato dall’uomo, Sloan si massaggiava ripetutamente la barba mentre sua moglie inveiva contro le gravidanze e tutti gli abiti del suo armadio che non avrebbe potuto rimettere per molto altro tempo ancora.
Se trovo il bifolco che ha deciso che devono essere le donne a partorire lo strozzo!”
“Mia, amore, se fossimo noi a partorire l’umanità si sarebbe già estinta, è una fortuna che spetti a voi…”
Quello che voleva essere un complimento non suonò come tale alle orecchie di Mia, che si affacciò dalla tenda per fulminare il marito con lo sguardo, passargli una blusa bianca di lino leggeri per dirgli che la comprava e intimargli di non ripetere mai più una cosa del genere.
“Intendevo che voi siete molto più forti di noi… Lascia stare, ma ricorda che ti amo tanto!”
Mia non rispose, limitandosi ad emettere qualche borbottio indistinto che Sloan non comprese mentre cercava di provarsi i sandali, maledicendo le caviglie gonfie, e il marito sospirava.
Quando lo sguardo del canadese scivolò su Alphard, che aveva tutta l’aria di essere impegnato nella sua stessa operazione, ovvero assistere nelle compere una donna dedita allo shopping: era un tipo di disperazione tangibile da km di distanza.
“Lei alloggia al Le Mirage, per caso? Mi sembra familiare.”
“Sì. Alphard Vostokoff.”
“Sloan Henbane.”
Il canadese allungò la mano e strinse quella dell’ucraino con un sorriso e una stretta decisa, ma prima che potesse dire qualsiasi altra cosa la voce impaziente di Briar – accento inequivocabilmente britannico, giudicò l’allenatore – giunse impaziente da dietro la tenda del camerino:
Alphard, passami il blazer verde, voglio riprovarlo con questo vestito sotto!”
“Arriva…”  Mentre Alphard armeggiava con la montagna di abiti che teneva tra le braccia con un sospiro impregnato di rassegnazione Sloan non poté fare a meno di sorridere, divertito e al tempo stesso pieno di compassione:
“Sta facendo compere con la sua fidanzata?”
“Grazie al cielo no, è una mia amica.”
Alphard allungò il braccio alla cieca all’interno del camerino per porgere il blazer a Briar, che lo ringraziò allegra e asserì che “quella fosse l’ultima cosa da provare” mentre Sloan attendeva che Mia finisse di rivestirsi dopo aver abbandonato il proposito di infilarsi quei sandali tanto stretti:
“Ah, le è andata bene, io sono con mia moglie. Ne consegue una maggiore possibilità di minacciarmi e ricattarmi.”
“Stai parlando di me, caro? Salve!”
“Salve. Oh, congratulazioni.”
Alphard accennò con un lieve sorriso garbato al pancione di Mia fasciato dal vestito leggero bianco che la strega indossava e che risaltava la sua pelle ambrata, guadagnandosi un sorriso da parte della donna mentre stringeva il braccio del marito:
“Grazie. Sloan, andiamo? Qui c’è un delizioso profumo di caffè che io, disgraziatamente, non posso bere.”
“Non desidero altro da dieci minuti, Mia. Andiamo a sederci da qualche parte, sei in piedi da troppo. Arrivederci.”
Dopo aver sorriso gentilmente alla moglie Sloan fece lo stesso con Alphard, rivolgendogli un cenno educato prima di allontanarsi con Mia sotto lo sguardo assorto dell’ucraino, che si chiese se sarebbe mai riuscito ad avere un rapporto così intimo e a sposarsi mentre Briar tirava finalmente la tenda del suo camerino e ne usciva con l’aria trionfante e soddisfatta di chi sta per acquistare un mucchio di abiti nuovi:
“Eccomi, ho deciso che comprerò questi! Con chi parlavi?”
“Una coppia che alloggia all’Hotel.”
Alphard accennò in direzione di Sloan e Mia mente gettava l’ennesima occhiata leggermente ansiosa al quadrante di marmo nero del suo costosissimo orologio e Briar, seguendo il suo cenno, guardava la coppia pagare gli acquisti prima che un sorriso intenerito le addolcisse la curva delle labbra e i lineamenti:
“Ohhh, che carini, lei è incinta! … Per la barba di Salazar, ti immagini se e quando Ginevra sarà incinta?!”
Un’ombra di terrore puro prese il posto della tenerezza sul bel viso d Briar, che guardò inorridita l’amico mentre si portava una mano davanti alle labbra: se da un lato la prospettiva di diventare zia la riempiva di gioia, dall’altra poteva solo immaginare quanto Ginevra sarebbe stata intrattabile per nove mesi consecutivi.
Cetriolo(2) in modalità partoriente? Tesoro, io per quel giorno sarò fuggito in Thailandia senza più dare mie notizie, ma se vorrai raggiungermi sarai la benvenuta. Ora andiamo, ho bisogno di un caffè ghiacciato.”
“Non qualcosa di forte?”
“Non voglio arrivare al mio appuntamento con l’alito che puzza di alcol, grazie!”
Ci mancava solo che Anjali lo prendesse per un alcolizzato, si disse l’uomo mentre – carico dei vestiti scelti da sé e da Briar – si dirigeva verso le casse e le impeccabili commesse francesi con la puzza sotto il naso e l’amica lo seguiva, ridacchiando e asserendo che “in effetti il suo alito avrebbe dovuto essere perfetto, quella sera”.
“Alito a parte spero che con Anjali vada bene, con i vostri geni avreste dei figli bellissimi e io potrei essere la loro fantastica zia che porta regali!”
Briar già si vedeva, lo sguardo sognante mentre Alphard alzava gli occhi al cielo: la fantastica Zia prediletta, single, ricca, di successo che portava regali da tutti gli angoli del mondo e istruiva i suoi “nipotini” alla bellezza dell’arte. Un quadretto meraviglioso, non fosse stato per l’acidità con cui Alphard spazzò via tutti i suoi sogni:
“Diventi sempre più simile a tua madre. E alla mia.”
“Pretendo comunque di fare da madrina.”
Alphard non rispose mentre Briar organizzava mentalmente il baby shower dei suoi futuri nipoti immaginari, pagando i suoi recenti acquisti senza neanche badare ai vani tentativi della commessa di attirare la sua attenzione.
 

 
*

 
Sabrina non aveva avuto molto tempo per prepararsi e aveva finito con il seguire il suggerimento di Anjali di indossare un abito di taffettà blu notte stretto in vita dotato di lunghe maniche a sbuffo e uno spacco laterale – a suo giudizio troppo profondo quando si sedeva, ma Anjali aveva liquidato le sue preoccupazioni asserendo che a Teatro le luci sarebbero state spente tutto il tempo –, sia per la carenza di tempo a disposizione, sia per paura che in caso contrario l’amica potesse offendersi e non rivolgerle la parola per un giorno intero.
Naturalmente i suoi capelli avevano deciso di avere un aspetto orrendo proprio quella sera, e Sabrina era scivolata rapida e silenziosa fuori dalla porta d’ingresso dell’Hotel spalancatale da Benoit cercando di appiattirseli sul capo e ignorando la voce di Michel, che l’aveva chiamata dal bancone della reception chiedendole dove stesse andando con tono decisamente canzonatorio. Come se Michel non lo sapesse, dove stesse andando, visto che aveva udito il suo breve scambio di battute con Joël risalente a quella mattina; poteva solo sperare che non fosse già andato a spettegolare con Claude per poi divulgare la notizia a tutto l’Hotel.
Sì, era esattamente per quel motivo che mai, mai aveva accettato un invito da un ospite, non importava quanto insistente o bello potesse essere, anni prima si era imposta quella regola e l’aveva sempre rispettata. Fino al maledetto Joël Moyal e ai suoi begli occhi azzurro scuro – che un po’ si intonavano al suo vestito, ma Sabrina si diede della decerebrata per aver anche solo sfiorato quel pensiero da quindicenne e lo relegò subito in un angolo della sua mente – che, non sapeva come, l’avevano fatta capitombolare. E dire che conosceva anche fin troppo bene la nomea del musicista: i ricordi delle sue compagne di scuola, più grandi, più piccole o coetanee che fossero, col cuore infranto erano ancora perfettamente vividi nella sua mente.
Probabilmente, si disse la strega con scarsa convinzione mentre camminava rapida verso la Place du Casinò giocherellando con la sua piccola borsetta, deliziosa quanto inutile visto che riusciva a contenere solo un rossetto, il portadocumenti e il telefono, aveva finito con l’accettare per colpa di sua madre, dei suoi discorsi snervanti, delle sue parole che nonostante le buone intenzioni riuscivano sempre ad atterrirla e a ferirla come proiettili.
Sabrina attraversò la piazza con lunghe falcate, camminando con il suo incedere deciso ed elegante al tempo stesso grazie ad anni di esperienza sui tacchi ignorando gli sguardi ammirati dei passanti, gli occhi scuri finemente truccati che studiavano la maestosa facciata del Teatro in cerca di una sagoma familiare.
Era arrivato prima di lei – la cosa non la stupì, in fondo aveva perso dieci minuti buoni per cercare di prenotare un tavolo al Cafè de Paris ad una coppia italiana in luna di miele – e quando lo scorse da lontano, qualche ciocca di capelli che gli ricadeva davanti alla fronte, una sigaretta in mano e il telefono nell’altra, impegnato a scrivere qualcosa, il suo stupidissimo cuore prese a battere più forte.
Il suo stupido, stupidissimo cuore.
 
 
Anji: Come ti sei vestito? Non ho avuto tempo di passare a controllarti, sto aspettando Alphard. Se ti sei presentato con i bermuda il mio spirito ti perseguiterà, sappilo.
Tu: Non immagini quanto io ti voglia bene, ma col tempo somigli sempre di più ad una vecchia zia acida.
Anji: Non è vero, brutto…

 
Joël non lesse il messaggio completo e l’insulto che Anjali gli rivolse perché l’inconfondibile picchiettio di un paio di tacchi a spillo sui gradini sotto di lui, insieme al “Bonsoir” che una dolce voce femminile gli rivolse, lo indussero a distogliere lo sguardo dallo schermo del telefono. I suoi occhi blu accarezzarono la figura di Sabrina prima che un sorriso spontaneo gli incurvasse gli angoli delle labbra verso l’alto, mostrando le fossette che facevano andare chiunque in brodo di giuggiole mentre riponeva il telefono in una tasca dei pantaloni neri che indossava.
Sì, la sua amica poteva stare tranquilla, per una volta si era vestito con un minimo di criterio.
Bonsoir. Quale splendore, pensi che ti faranno entrare in sala?”
“Non dovrebbero?”
 
Joël le porse il braccio e Sabrina lo accettò – più per la quantità di gradini da salire per arrivare all’ingresso che per rispetto del Galateo –, guardandolo con un accenno di sorriso sulle labbra dipinte di un tenue rosso mattone mentre il musicista spegneva la sigaretta consumata a metà e la gettava con precisione nel cestino poco distante.
Quando tornò a guardarla Joël sorrise di nuovo, aggiustandosi distrattamente i capelli mentre iniziavano a salire il pezzo di gradinata restante; lui le strizzò l’occhio e un tiepido sorriso incurvò le labbra di Sabrina, conscia della sviolinata in arrivo. Lei dal canto suo lo trovava terribilmente bello, con quella camicia bianca addosso, ma naturalmente non tenne a farglielo sapere.
“Non saprei, la gente dovrebbe guardare il palco, ma penso che saranno tutti più impegnati a contemplare te.”
Non cominciare.”

 
*
 

Anjali aspettava nervosamente nella Hall, vestita di tutto punto e totalmente incurante degli sguardi ammirati dei passanti: i capelli scuri erano una cascata lucente e setosa sulle sue spalle, i suoi occhi apparivano ancora più splendenti del solito grazie al trucco e il suo vestito nero la fasciava delicatamente. Sì, stava bene, lo sapeva, ma Anjali teneva gli occhi incollati agli ascensori e non si curava di nessuno: le importava di piacere ad Alphard, non agli altri ospiti dell’Hotel.
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono e poté vedere Anjali Alphard dovette impegnarsi con tutto se stesso per non avere una reazione esagerata. Possibile che non vedendola per una manciata di ore potesse scordarsi quanto bella fosse per poi rammentarsene e restare abbagliato da lei all’incontro successivo?
Quella sera in particolare Anjali sembrava ancora più eterea del solito, un vero angelo caduto dal cielo, e Alphard le si avvicinò sorridendo compiaciuto, estremamente orgoglioso del fatto che fosse così bella solo per lui.
“Buonasera. Non so come dirti quanto sei splendida.”
Quando la raggiunse Alphard le prese una mano e ne baciò il dorso, studiandola con occhi pieni d’ammirazione mentre la strega gli sfiorava la spalla fasciata dalla giacca indaco lucida del suo completo:
“Grazie. Anche tu stai bene, mi piace molto il tuo vestito. Ti dona questo colore.”
“Grazie. Pronta ad andare?”
“Certo, e sono anche molto affamata.”
Non aveva mangiato niente tutto il giorno per far sì che quel vestito le stesse alla perfezione, ma non glielo disse e si limitò a guardarlo sorriderle prima di condurla, sempre tenendola per mano, verso gli ascensori:
“Penso di non averti detto che ceniamo di sopra.”
“Davvero? Adoro la terrazza, la vista è così bella!”


Alphard era sicuro che il panorama migliore lo avrebbe avuto lui, a prescindere dalla location, ma si limitò a sorridere mentre lui e Anjali salivano sull’ascensore, invisibile ai Babbani, che portava direttamente alla terrazza dell’Hotel.
Il tragitto durò circa trenta secondi che i due trascorsero intenti ad osservarsi, Anjali con un accenno di sorriso sulle labbra e Alphard chiedendosi se ripeterle quanto fosse bella sarebbe sembrato inopportuno, ma i suoi dubbi vennero spazzati via dall’apertura delle porte di metallo, che permise a lui e alla sua bellissima accompagnatrice di mettere piede sull’ampia terrazza illuminata da candele e piccole luci sparse ovunque. Mentre Anjali si guardava attorno – stupendosi nel non notare nessun altro ospite seduto ai tavoli – Alphard continuò a studiarla sentendo ogni traccia di nervosismo scivolargli via dal corpo. Stare con lei era piacevole e semplicissimo, non c’era alcun motivo di preoccuparsi, doveva solo fare attenzione a non fare niente di sbagliato per impedire a quel meraviglioso angelo di scivolargli dalle dita, ora che lo stava sfiorando.
“Strano che non ci sia nessuno, non è troppo presto!”
“Non è… strano. Saremo solo noi stasera.”
“Che vuoi dire?”
Anjali si voltò verso di lui mentre un sorriso colpevole si faceva strada sul viso dell’uomo, che non disse nulla mentre la strega, osservandolo, comprendeva il senso delle sue parole prima di spalancare gli occhi chiari e portarsi una mano davanti alle labbra:
“Alphard, non dovevi farlo!”
“Perché no?”
“Ma… Avrai pagato una fortuna per prenotare tutta la terrazza!”
“Non è qualcosa di cui tu ti debba preoccupare. Beh, direi che puoi scegliere il tavolo che preferisci.”
Anjali era senza parole: nessuno aveva mai speso tanto solo per stare con lei, e anche se era perfettamente consapevole che non fosse quella la cosa più importante per la prima volta si permise di pensare che forse ad Alphard lei interessava davvero, non solo per il suo aspetto e di certo non per il denaro della sua famiglia.
“… Grazie. Ma la prossima volta pago io, intesi?”
Anjali si diresse verso un tavolo vicino alla ringhiera, così da potersi godere la vista sul mare, puntando perentoria l’indice contro Alphard, che rise e la seguì infilandosi le mani nelle tasche e guardandola adorante:
“Ogni tuo desiderio è un ordine.”
 

 
*
 

Dieci minuti dopo Sabrina e Joël sedevano uno accanto all’altra su due di quelle deliziose, comodissime poltroncine rosse che la donna adorava occupare fin da quando era piccola: era andata così tante volte a teatro negli anni, con sua madre o suo padre, da aver perso il conto. Eppure la Salle Garnier, così si chiamava la maestosa, immensa sala del Teatro in stile Belle Epoque progettata da Charles Garnier centocinquant’anni prima, ancora esercitava su di lei un fascino irresistibile. Stava contemplando il soffitto stuccato d’oro e l’immenso lampadario – quante volte, da piccola, aveva chiesto ansiosamente a Gideon se avrebbe potuto staccarsi dai ganci di sicurezza e cadere sopra di loro – di cristallo, la testa reclinata sullo schienale foderato da velluto, quando Joël, che fino a quel momento aveva atteso che spegnessero le luci sfogliando il libretto, volse lo sguardo su di lei.
“Non credevo che avresti accettato.”
Non? Cielo, dubiti delle tue capacità seduttive?”
“No, ma pensavo di dover insistere di più. Ero convinto che non volessi uscire con un ospite.”
La rapidità con cui Sabrina aveva accettato il suo invito lo aveva ovviamente lusingato, ma per certi versi persino un po’ infastidito. Era un pensiero davvero stupido, ma nel corso della giornata si era chiesto almeno un paio di volte se la strega avesse già accettato in altre occasioni di uscire con qualche ospite con quella stessa rapidità, finendo con l’immaginare file di bellimbusti con vasti conti in banca che le ronzavano attorno 4 stagioni all’anno.
Un pensiero stupido, certo, ma profondamente fastidioso.
“E infatti è così. Di solito. Non l’ho mai fatto.”
Sabrina si rimise a sedere dritta e si adagiò le mani curate in grembo prendendo a giocherellare con l’orlo dello spacco del vestito sulla coscia senza ricambiare lo sguardo di Joël che, invece, dopo lo stupore iniziale sorrise: sorrise così tanto da forse sembrare sciocco ma non se ne curò, troppo impegnato a godersi quella piacevole sensazione conferitagli dalle parole della strega.
“Davvero? Allora perché con me hai…”
Joël purtroppo non riuscì a finire di parlare: qualche idiota scelse quell’esatto momento per spegnere le luci. Il musicista si lasciò sfuggire una bassa imprecazione sufficiente a far voltare con indignazione la vecchietta francese che gli sedeva accanto e a fargli guadagnare un rimprovero mentre Sabrina, alla sua sinistra, si premeva la mano chiusa a pugno contro le labbra per soffocare una risata.
“Che hai da ridere?!”
Sabrina non rispose, si limitò a scuotere la testa e a premersi la mano contro le labbra con maggior veemenza invece di unirsi all’applauso che si levò dalla platea, facendo del suo meglio per non scoppiare a ridere nel bel mezzo della sala mentre Joël, accanto a lei, la guardava nella semi-oscurità con cipiglio divertito prima di sorridere a sua volta.
Peccato che la vecchietta avrebbe finito col picchiarlo con la sua borsetta se avesse aperto bocca di nuovo, altrimenti le avrebbe detto quanto fosse bella quando rideva.

 
*

 
Joshua aveva fatto a Meadow una promessa solenne: ascoltare, prestare attenzione, non fare commenti esageratamente acidi o maligni, cercare di godersi la serata.
In fin dei conti però, si ritrovò a considerare l’uomo mentre sedeva accanto alla nipote sugli ottimi posti che aveva acquistato e Meadow leggeva con attenzione il libretto, si trattava di una promessa semplicemente utopica. Insomma, lei lo conosceva meglio di chiunque, come poteva pretendere da lui tutti quegli sforzi immani?!
“Questa commedia è famosissima e amatissima zio, non potrà non piacerti. Hai presente Le Nozze di Figaro? Sono nella stessa trilogia.”
“Trilogia? Cos’è, una saga fantasy? Comunque, solo perché una cosa è comunemente apprezzata, non significa che sia gradevole. Guarda quel ciarpame di Twilight, ancora rabbrividisco per l’orrore a cui mi hai sottoposto, nipote crudele.”
Joshua scosse la testa con aria grave mentre agitava mollemente la gamba sinistra fasciata dai pantaloni neri del suo completo – aveva cercato di vestirsi male, quando si conciava in quel modo le donne gli gettavano strane occhiate, ma Meadow aveva iniziato a blaterare sul dress code dei teatri e aveva desistito per quieto vivere – accavallata sulla destra e la nipote, distolto lo sguardo dal libretto, gli gettò un’occhiata inespressiva prima di parlare:
“Sai che cosa sento, guardandoti?”
“No.”
“Sento “Gne gne gne, gne gne”! Cerca di non partire prevenuto, per una volta. So che non ami il teatro, il cinema e tutto il resto… ma io sì. Io sì, e mi vuoi bene, so che è così, quindi prova a fare uno sforzo. Per me. Per favore.”
“Posso guardare tutte le commedie che vuoi, la mia opinione resta la stessa. Non voglio vederti sprecare la tua vita in questo mondo così volubile e imprevedibile.”
E non voglio proprio perché ti voglio bene. Joshua sapeva che Meadow non si sentiva capita da lui sotto quell’aspetto: lei amava la musica, la danza e il cinema più di qualsiasi cosa, tutte cose che per lui – musica a parte, non a caso era stato lui ad insegnarle a suonare il piano – erano insignificanti perdite di tempo e denaro. Forse perché era cresciuto in una cittadina sperduta nel nulla con enormi difficoltà economiche, ma le aspirazioni di sua nipote per lui erano del tutto incomprensibili.
Era per questo che evitava di condividere quelle esperienze con lei: finivano sempre col discutere, e lui odiava discutere con lei più di qualsiasi altra cosa. Joshua teneva gli occhi fissi davanti a sé, sul sipario ancora calato, ma sentiva quelli gonfi di lacrime della nipote scrutarlo e chiedersi perché non volesse capirla, perché non volesse appoggiarla.
“Non è sprecare la propria vita, è fare ciò che si ama. Pensi davvero che questo sia uno spreco di tempo? Non fare ciò che si ama è uno spreco di tempo, non il contrario. A te piace creare le bacchette, beh, a me no!”
“Io non ti costringerò mai a seguire la mia strada. Capito? Mai. Io voglio che tu sia felice, ma non sul lastrico. È un mondo difficile dove pochi ce la fanno e molti finiscono in miseria. Non sapere se arriverai a fine mese non è piacevole, Meadow.”
“So di essere fortunata, credi che non ne sia consapevole? Non sono più una bambina!”
Meadow sentiva gli sguardi dei vicini su di sé ma non se ne curò e continuò a parlare con il busto ruotato verso il corpo dello zio, che sospirò pesantemente mentre si strofinava gli occhi con le dita della mano destra. Arrivavano sempre a quel punto, ripetendo sempre le stesse cose, ma Meadow era stanca di quelle discussioni sterili, voleva arrivare ad un punto, voleva che trovassero un modo per uscire da quel vicolo cieco di incomprensioni che da anni si era insinuato nel loro rapporto.
“Io non…”
Joshua lasciò la frase in sospeso per un paio di istanti e chiuse gli occhi per far sparire il teatro, la platea, le persone attorno a loro, in modo che ci fossero soltanto lui e Meadow. Chiuse gli occhi e la nipote continuò a fissarlo, avvilita e con gli occhi lucidi, e sentì la propria voce tremare leggermente quando riprese a parlare:
“Io non ci sarò sempre a badare a te. Oggi sono qui, domani chi lo sa. Io voglio passare il resto della mia vita sapendo che hai una situazione stabile, non preoccupandomi costantemente. Mi importa solo di te e voglio che tu sia felice.”
“Perché adesso te ne esci dicendomi che non ci sarai sempre a badare a me?! Io ho solo te, non puoi prenderti il lusso di andartene troppo presto!”
Suo zio era un brutto idiota, avrebbe voluto picchiarlo con tutte le sue forze e forse, non fosse stato per l’ambiente in cui si trovavano, lo avrebbe anche fatto. La voce di Meadow si spezzò mentre due prime, grosse lacrime salate iniziavano a rotolarle lungo le guance, fino al mento e la terrificante idea della sua vita senza Joshua prendeva forma nella sua mente.
Suo zio era un brutto idiota: perché quelle stupide illazioni su quella prospettiva spaventosa e di certo lontana? No, si disse Meadow mentre sollevava una mano per asciugarsi le lacrime e l’anziana coppia dietro di loro sussurrava qualcosa di incomprensibile in tedesco che di certo li riguardava, suo zio era giovane, non aveva nemmeno quarant’anni, sarebbe rimasto a romperle le palle ancora per molto tempo. tantissimo tempo. Non aveva senso parlare in quei termini, e lo detestò profondamente per averla fatta piangere.
Meadow era avvilita e furente, ma si lasciò comunque stringere dalle braccia dello zio quando Joshua si allungò sul suo sedile per abbracciarla, premendole la testa contro la sua come quando era piccola e mormorando delle scuse prima di depositarle un bacio sulla tempia.
“Non vado da nessuna parte, per il momento. Voglio solo che tu capisca cosa intendo dire.”
Meadow si morse la lingua per non riprendere a discutere, per non dare del cretino allo zio nel bel mezzo di un meraviglioso Teatro dell’Opera. Le luci si spensero, il sipario venne sollevato per mostrare il palco e Meadow chiuse gli occhi per scacciare le lacrime, lasciandosi trasportare dolcemente nella magia della rappresentazione ancora stretta nel rassicurante abbraccio dello zio.
 

 
*
 

Solo un paio di minuti di camminata dividevano il Teatro dal Le Mirage e Sabrina e Joël, terminata la rappresentazione, fecero la strada discutendo della nota commedia appena vista e della bizzara storia d’amore in essa rappresentata mentre un leggero e fresco venticello arieggiava la strada in salita rendendo più piacevole la breve passeggiata.
“Come fai a camminare in salita su quei trampoli, me lo spieghi?”
“In realtà molti non immaginano che scendere sia molto più arduo che camminare in salita, con i tacchi. Comunque, quando vivi qui per anni arriva il momento in cui smette di essere un problema. Devo solo…”
All’improvviso Sabrina si fermò e Joël si vide costretto ad imitarla per non distanziarla, restando fermo un metro davanti a lei mentre guardava dubbioso la strega tenere gli occhi scuri fissi sul lato opposto della strada, assorta, mentre con una mano si sfiorava il costato.
“Va tutto bene?”
Il musicista la guardò aggrottando la fronte mentre muoveva un passo verso di lei, studiandola respirare piano, con la bocca semiaperta, come se si stesse concentrando. C’era stato un momento, a teatro, avvolti dal vociare dirompente degli attori e dall’oscurità, in cui gli era sembrato che lei si fosse irrigidita nella poltroncina accanto alla sua, ma alla sua domanda Sabrina aveva subito sorriso, dichiarando di stare benissimo con un lieve mormorio.
Quando si fece più vicino Sabrina si affrettò a riportare lo sguardo su di lui e ad annuire, abbozzando un sorriso prima di riprendere a camminare, ma quando fece per superarlo Joël le strinse delicatamente il braccio con il proprio, costringendola a rallentare il passo e ad adeguarsi al suo finchè non giunsero di fronte all’ingresso del Le Mirage.
Benoit li salutò allegro e aprì loro la porta – Sabrina il giorno seguente gli avrebbe allungato una banconota per non farne un gossip alberghiero – per farli entrare nella Hall deserta, dove Odette stava leggendo Vanity Fair dietro il bancone per ammazzare il tempo. La strega, scorto il capo, si affrettò a sorridere, salutare e a far sparire la rivista con una rapidità sorprendete mentre Joël, invece di lasciare il braccio di Sabrina, accennava in direzione dell’arco nella parete accanto che conduceva al ristorante:
“Ho il permesso di suonare quando voglio, giusto?”
“Giusto. A meno che tu non venga a strimpellare alle due del mattino, in quel caso mi vedresti arrivare in pigiama, furiosa e con una ciabatta in mano e non sarebbe una bella scena.”
Sabrina fece per far scivolare il proprio braccio da quello del musicista, ma lui glielo impedì appoggiando la mano sul suo gomito con un sorriso, conducendola gentilmente verso il ristorante insieme a lui. Non voleva suonare e basta, voleva suonare e che lei lo ascoltasse, tanto che un minuto dopo Sabrina si ritrovò seduta sulla panchetta mentre Joël apriva il pianoforte.
Quando le sedette accanto Joël le chiese se avesse qualche preferenza, accontentandola quando la strega dichiarò di adorare il Rondò alla Turca di Mozart con un mormorio imbarazzato.
 
Joël era bravissimo, un pianista meraviglioso. Sabrina sedette accanto a lui in silenzio, incapace di distogliere lo sguardo rapito dalle sue mani che si muovevano agili e delicate sui tasti bianchi e neri tirati a lucido. La sala era praticamente buia, eppure lui riusciva comunque a suonare correttamente, quasi le sue dita si muovessero da sole sulla tastiera.
Quando terminò di eseguire il brano Sabrina sollevò le proprie mani e ci gettò un’occhiata mesta, studiando con amarezza quelle dita troppo lunghe che mai era riuscita a farsi piacere e che chiunque aveva sempre decantato come “mani da musicista”. Eppure non aveva mai imparato.
Joël seguì la direzione del suo sguardo e si ritrovò a studiare a sua volta le mani della strega, inarcando un sopracciglio quando realizzò quanto fossero particolari quelle dita affusolate:
“Hai delle dita incredibilmente lunghe.”
Raccolse la mano destra della strega per studiarla meglio e Sabrina annuì, abbozzando un sorriso mentre rifletteva su quante volte doveva essersi sentita ripetere quelle parole.
“Lo so. Ma no, mai suonato niente.”
“Saresti stata brava St John, un peccato.”
Tu sei bravo. È meraviglioso ascoltarti, non te l’ho detto giorni fa ma posso rimediare adesso.”
Joël sembrò stupito da quel candore e la guardò spiazzato per qualche istante prima di accennare un sorriso, ringraziandola mentre la strega ringraziava la semi-oscurità che aveva avvolto la sala: se non altro lui non avrebbe visto il volto andarle a fuoco, anche se erano talmente vicini che forse avrebbe potuto percepirne l’improvviso calore.
Sabrina chinò la testa per guardare la propria mano ancora stretta da quella di Joël, che esitò prima di schiarirsi la voce e chiederle ciò che aveva già provato a domandarle prima dell’inizio dello spettacolo:
“Perché hai accettato di uscire con me, se non l’hai mai fatto prima per nessuno?”
Sabrina non rispose e tenne ostinatamente il capo chino e gli occhi fissi sulla propria mano, la mente in subbuglio mentre sentiva la testa di Joël avvicinarsi alla sua e l’altra mano del pianista sistemarle i capelli dietro l’orecchio. Quando la mano di Joël, invece di allontanarsi, le accarezzò dolcemente uno zigomo Sabrina si ritrovò a chiudere gli occhi quasi senza volerlo, godendosi quel contatto delicato mentre sentiva le dita del ragazzo sfiorarle il mento e costringerla delicatamente a sollevare la testa verso di lui.
Quando sentì il suo respiro caldo sul viso e la sua mano scivolare sulla sua nuca, tra i suoi corti capelli castani, Sabrina si chiese se fosse davvero la cosa giusta da fare, se non volesse tirarsi indietro, ma prima che Joël potesse baciarla un suono improvviso fece sobbalzare entrambi e scosse l’intera sala buia e silenziosa:
“Che cazzo…”
Sabrina spalancò di scatto gli occhi, si allontanò d’istinto da Joël e chinò lo sguardo sulla borsetta che giaceva accanto a lei sulla panchetta, squillando allegramente e vibrando. La strega l’afferrò, l’aprì e si alzò frettolosamente senza voltarsi verso Joël, rispondendo alla telefonata appena in tempo esalando un sospiro stanco:
Oui?”
Mentre Sabrina rispondeva allontanandosi di qualche passo dal pianoforte a coda Joël la guardò chiedendosi perché qualcuno sembrava avercela con lui, quella sera: era stato a tanto così dal baciarla, finalmente. Chi aveva scelto quel terribile momento per telefonarle?!
Il musicista ebbe la conferma della sua teoria un minuto dopo, quando un’imbarazzatissima Sabrina gli si avvicinò schiarendosi la voce e guardandolo con lieve nervosismo, il telefono nuovamente silenzioso stretto in mano:
“Temo di dover andare.”
“Adesso?”
“C’è un… problema di sopra. Due… piccioncini non lasciano la terrazza. Devo andare.”
 
Beh, beati loro

Provando un sincero moto di invidia per i due fortunati Joël annuì, mormorando un assenso senza muoversi dalla panchetta mentre Sabrina lo guardava accennando un sorriso di scuse. La strega gli augurò la buonanotte e poi si allontanò per uscire dalla sala, lasciandolo solo con i suoi pensieri e un pianoforte silenzioso mentre il rumore dei suoi tacchi si faceva sempre più lontano.

 
*

 
Anjali non si era proprio resa conto dello scorrere del tempo, aiutata dall’assenza di chiunque altro sulla terrazza dove aveva consumato forse una delle migliori cene della sua vita. E non solo per il cibo che le era stato servito.
Era stato un tantino imbarazzante vedere Sabrina avvicinarsi, bellissima nel suo vestito blu, per informare lei e Alphard che i camerieri avrebbero dovuto iniziare a pulire prima di chiudere. Senza contare che Anjali esigeva di conoscere i dettagli della sua serata, ma di fronte al suo accompagnatore aveva ovviamente dovuto tacere e si era limitata a meravigliarsi di fronte all’ora tarda, alzarsi e scusarsi a profusione con i poveri Jerome e Luc, i camerieri che li avevano serviti, per la sua sbadataggine.
Alphard le aveva messo una mano sulla schiena fasciata dal vestito nero e l’aveva condotta con delicatezza verso l’ascensore, ma Sabrina non li aveva seguiti, un po’ per tatto e lasciarli alla loro intimità, un po’ – Anjali ne era sicura, ma non ebbe la possibilità di dire nulla – interrogare i due camerieri sulla serata e farsi fare un resoconto molto dettagliato.
 
In ascensore Anjali aveva tenuto i grandi occhi chiari fissi davanti a sé, le mani impegnate a tormentarsi tra loro mentre sentiva lo sguardo di Alphard su di sé.
“Curioso che siamo rimasti di sopra così a lungo, non mi era affatto sembrato. A te?”
La strega si voltò verso il mago per rivolgergli un sorriso che Alphard ricambiò, annuendo mentre teneva le mani in tasca e continuava a studiarla avidamente, quasi volesse imparare a memoria i dettagli del suo viso e tenerli per sé per sempre.
“No, ma se anche fosse avrei fatto finta di niente per non dovermene andare.”
Alloggiavano entrambi al primo piano e ben presto le porte dell’ascensore si aprirono con un lieve tintinnio, ma quando fece per uscire dall’abitacolo di metallo Anjali si vide bloccata dalle braccia di Alphard, che la attirarono a sé per poterla baciare. Dapprima paralizzata, la strega sentì le braccia del mago cingerle la vita per premerla contro il suo petto prima di abbandonarsi a quella piacevole stretta, circondandogli il viso coperto dalla barba con le mani finchè Alphard non allontanò il viso dal suo, il fiato corto e guardandola in un modo che Anjali non avrebbe mai dimenticato.  
“Sei la donna più bella e straordinaria che io abbia mai conosciuto.”
Il mormorio di Alphard fece apparire un sorriso radioso sul bel viso della strega, che si sentì gonfiare il cuore di gioia mentre un intero stormo di farfalle si librava all’interno del suo stomaco. Stava per dire qualcosa, spaventata ed emozionata al tempo stesso per tutte le emozioni che provava, quando i due si resero conto che le porte dell’ascensore si stavano chiudendo, portando Alphard a lasciarla andare e a spostarsi verso l’uscita, bloccando le porte con la mano destra mentre la sinistra ancora stringeva quella della strega.
Alphard uscì dall’ascensore senza smettere di guardare Anjali, che accennò un sorriso prima di seguirlo e prendergli il viso tra le mani per stampargli un altro bacio sulle labbra. Le loro Suite erano la 101 e la 103, le porte erano una affianco all’altra, e quando ci si trovarono davanti Anjali osservò le loro mani intrecciate prima di riportare lo sguardo sul viso dell’uomo che la studiava, combattuto.
“Se non…”
Anjali sapeva perfettamente che cosa volesse dirle, quindi ascoltare le sue parole non le servì: lo interruppe baciandolo di nuovo, delicatamente e alzandosi in punta di piedi, e questa volta lo sentì sorridere contro le proprie labbra prima di prendere la chiave magnetica dalla tasca interna della giacca del completo, aprire la porta alla cieca e trascinarla all’interno della stanza senza smettere di baciarla.
Anjali gli fece scivolare la giacca dalle spalle ma, prima che questa potesse cadere per terra, si allontanò di scatto dal mago stringendone saldamente il tessuto, gli occhi chiari spalancati:
“Aspetta!”
“Cosa?”
“Non possiamo gettarla per terra, è Prada!”
 

Alphard non disse nulla, pietrificato: restò immobile a guardarla, senza parole, e Anjali si disse terrorizzata che probabilmente l’avrebbe presa per una pazza prima che lui, lasciandole sfilargli delicatamente la giacca dalle braccia, scuotesse la testa guardandola ipnotizzato.
Dove sei stata fino ad ora?”
“In Svizzera!”
“Ci sarei dovuto venire dieci anni fa.”

Anjali scoppiò a ridere, sollevata, prima di appoggiare con cura la giacca ai piedi del letto di Alphard. Quando si voltò di nuovo verso il mago gli sorrise, e lo guardò inarcare un sopracciglio prima di indicare il costoso indumento piegato:
“Posso andare avanti adesso?”
“Certo.”
Anjali sorrise con candore, deliziata, e Alphard non se lo fece ripetere, prendendola in braccio per baciarla e appoggiarla con cura sul suo letto, quasi fosse il più prezioso dei beni che gli fosse mai capitato di stringere tra le mani.

 
*

 
La porta si aprì e si richiuse con uno scatto subito dopo, permettendo a Sabrina di addentrarsi nel suo appartamento con un basso sospiro stanco. La strega abbandonò chiave, telefono e borsa sull’isola della cucina e si passò una mano tra i capelli, arruffandoli senza riuscire a non pensare alla mano di Joël che li aveva toccati poco prima.
Sabrina scosse la testa e si disse di smetterla: non era una buona idea, non importava che cosa ripeteva sua madre, non lo era e lei lo sapeva. Raccolse la scatola di plastica bianca trasparente che aveva lasciato sul ripiano prima di uscire qualche ora prima e si diresse verso l’ampio divano grigio mentre Pascal dormiva beato nella sua cuccia e Salem, avvistata la padrona, le zampettava incontro fino a seguirla sul divano e acciambellarsi accanto a lei.
La strega appoggiò il contenitore accanto a sé prima di sfilarsi le scarpe, lasciandole sul pavimento senza curarsi di riporle come faceva di solito e sollevando invece le lunghe gambe abbronzate per raccoglierle contro il petto. Sabrina sospirò e si sentì scossa da un brivido mentre appoggiava il capo contro le ginocchia, i grandi occhi scuri incatenati alle innumerevoli scatoline bianche coperte da scritte che affollavano il contenitore. Ne raccolse una a casaccio, una delle tante confezioni di betabloccanti, scrutandola con astio prima di scagliarla contro la parete opposta, verso l’enorme televisore appeso al muro. La scatola atterrò sul tappeto con un lieve tonfo che fece sobbalzare Salem, ma Sabrina non ci fece caso mentre continuava a fissare insistentemente quelle tante, troppe confezioni bianche e un paio di prime, calde lacrime iniziavano a sgorgarle dagli occhi, rotolando sulle sue guance fino a bagnare il suo bel vestito blu che si abbinava alle iridi di Joël.
 
Il suo stupido, stupidissimo cuore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): "Non era una domanda, Mamma"
(2): Alphard chiama la sorella di Briar Ginevra "Cetriolo" perchè a quanto sembra è la traduzione di "cetriolo" in thailandese
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Mi dileguo il più rapidamente possibile perché dopo la conclusione di questo capitolo temo sinceramente per la mia incolumità, mi limiterò a mostrarvi i bellissimi abiti sfoggiati in questo capitolo da Anjali e Sabrina:
 
abito-Anjali abito-sabrina

Mi dissolvo, a presto!
Irene

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 

 
Domenica 11 luglio
 
 
Anjali Kumar aveva sempre trovato qualcosa di indescrivibilmente confortevole nella domenica mattina, specie quando era estate e a svegliarla era la luce che filtrava nella sua camera dalle finestre aperte e la destava dall’abbraccio di Morfeo accarezzandole dolcemente il viso. Il risveglio lento e rilassato, l’aroma del caffè bollente che presto le faceva puntualmente visita insieme alla colazione servitale su un vassoio da un domestico – esisteva qualcosa di meglio di fare colazione a letto indossando un pigiama di raso? – e poi un lungo rituale in bagno… Sì, la domenica mattina aveva sempre avuto un sapore dolce e profondamente rilassante per Anjali. Ma il risveglio di quella domenica di luglio in particolare, quella che si sarebbe presto rivelata una piovosa domenica di metà estate, Anjali non l’avrebbe mai dimenticato.
A svegliarla fu un raggio di sole molto timido che la bella strega, giacendo supina su uno dei comodissimi materassi del Le Mirage, accolse sollevando pigramente le palpebre mentre un accenno di sorriso le sollevava gli angoli delle labbra. Anjali li richiuse subito dopo, per nulla invogliata ad alzarsi e ad iniziare la giornata, mentre il suo corpo scivolava contro le lenzuola bianche per girarsi sul fianco. Aveva sistemato un braccio al di sotto dei due cuscini coi quali aveva dormito e raccolto le gambe in posizione fetale da un minuto quando, all’improvviso, i grandi occhi chiari della strega si spalancarono: non era nel letto della sua Suite. All’improvviso rammentò come si fosse conclusa la precedente serata e ruotò nuovamente su se stessa per guardare verso l’altro lato dell’enorme letto matrimoniale, sentendo il cuore sprofondarle nel petto quando scorse l’uomo che le dormiva serenamente accanto: il viso premuto contro il cuscino mostrandole il profilo, le labbra dischiuse, i capelli leggermente spettinati – Anjali ricordò di averci passato le mani più volte e sorrise, resistendo alla tentazione di accarezzarglieli di nuovo –, la schiena nuda e il braccio sinistro sistemato al di sotto del guanciale. Alphard era bello, si disse la donna mentre gli accarezzava dolcemente il viso con lo sguardo, non l’uomo più bello che avesse mai incontrato, ma c’era qualcosa in lui che le era piaciuto e che l’aveva attratta fin dal primo momento come non le era mai capitato prima.
In effetti era da molto tempo che non passava la notte con un uomo: dopo Georges aveva perso molta fiducia nel genere maschile e di relazioni e appuntamenti non aveva voluto saperne per un bel po’. Resasi conto di indossare solo la biancheria intima – e ringraziando di aver preso sul serio le parole di Sabrina e aver indossato un completo di La Perla – e preoccupata per il suo aspetto, Anjali decise di svignarsela in bagno: non voleva certo che lui si svegliasse, la vedesse e scappasse in Thailandia da dove era venuto!
Con sé aveva solo il suo vestito nero – decisamente inadatto e scomodo per usarlo come pigiama –, perciò una volta scivolata fuori dal letto con movenze impercettibili arraffò la camicia di Prada di Alphard e si diresse in punta di piedi verso l’immenso bagno della Suite.
“Per la buon’anima di Karl Lagerfeld, è più grande del mio!”
Stabilito che l’anno seguente avrebbe richiesto la Suite di Alphard – i suoi prodotti per capelli, viso e corpo richiedevano molto spazio –, Anjali si infilò rapida la costosissima e candida camicia immacolata, infilò qualche bottone nelle rispettive asole arrossendo nel ricordare il momento in cui aveva eseguito l’operazione inversa solo qualche ora prima e infine si posizionò davanti all’immenso specchio che ricopriva quasi tutta la parete.
“Mon Dieu, quel désastre!”
Aveva urgente bisogno di un pettine, o di una spazzola, ma per fortuna ne trovò subito uno sul ripiano di marmo bianco, pettinandosi con cura i lunghi capelli scuri prima di riporre l’oggetto e avvicinarsi allo specchio per studiarsi il volto. Il trucco era un po’ colato, ovviamente, e dubitava che Alphard disponesse di lozione struccante, dunque prese a strofinarsi il viso fino a rimuovere le tracce scure sotto agli occhi, lo sciacquò con cura e infine aprì qualche armadietto per cercare del collutorio, decisa ad avere un freschissimo alito di menta per quando Alphard si fosse svegliato.
Cinque minuti dopo Anjali si infilò di nuovo a letto con tutta la lentezza di cui era capace – rammentato di aver infilato nella borsetta mascara, cipria e rossetto si era data una sistemata –, pregando che Alphard non si svegliasse mentre sollevava il lenzuolo tenendo gli occhi inchiodati al viso addormentato del mago, decisa a cogliere anche il minimo segnale, ma per fortuna riuscì a sistemarsi sotto il lenzuolo senza che l’uomo si svegliasse, sorridendo vittoriosa mentre adagiava la testa sul cuscino in modo che i capelli scuri le ricadessero con grazia e un lieve disordine creato ad arte attorno alla testa.
Anjali si prese qualche altro istante per contemplare il volto del mago, ora molto più vicina a lui rispetto a quando si era svegliata, prima di tossicchiare piano e poi affrettarsi a serrare le palpebre, fingendo di dormire.
 
Alphard non era particolarmente avvezzo a dormire con le persone con cui andava a letto: talvolta capitava ma spesso si ritrovava a dormire da solo, specie quando si recava nell’alloggio del suo partner e finiva col rivestirsi e tornare a casa, o nella sua camera d’albergo. La trovava una cosa molto intima e non adatta ad essere condivisa con chiunque, specie considerando che spesso aveva rapporti con persone che a stento conosceva.
Quella domenica di luglio, al contrario, iniziò per Alphard con un sorriso quando l’uomo aprì gli occhi e accanto a sé vi trovò Anjali, il lenzuolo a coprirla fino al petto che le lasciava scoperte le spalle e le braccia avvolte dalla sua camicia e i lunghi capelli scuri a ricaderle attorno al bellissimo viso. Alphard la guardò e si chiese se fosse opportuno baciarla, ma finì col non riuscire a resistere e ad allungarsi verso il suo viso, sfiorandole delicatamente uno zigomo con una mano mentre le depositava un bacio sulle labbra.
Quando la vide aprire gli occhi il sorriso si allargò sulle labbra di Alphard, che contemplò affascinato i lineamenti perfetti della strega mentre Anjali sollevava le braccia per fingere di stiracchiarsi:
Bonjour. Che ore sono?”
“Le 9.”
Anjali lo sapeva benissimo che ore fossero, aveva controllato poco prima, ma i dettagli erano importanti per simulare una recita alla perfezione.
“Hai messo la mia camicia.”
“Oui… mi sono svegliata all’alba e avevo freddo, spero che non ti dispiaccia.”
Anjali parlò sbattendo adorabilmente le palpebre e Alphard sorrise mentre appoggiava di nuovo il capo contro il cuscino, il viso vicinissimo a quello della strega, guardandola mentre le sfiorava il colletto della camicia con un dito:
“Al contrario, non so come sia possibile ma così ti trovo ancora più bella che con uno dei tuoi bellissimi vestiti.”
“Pensi che dovrei acquistarne qualcuna e metterle sempre?”
Anjali parlò spalancando gli occhi con finta ingenuità e Alphard scosse la testa, avvicinando di nuovo il viso al suo per mormorarle qualcosa sulle labbra prima di baciarla nuovamente:
“Non serve, posso prestarti le mie.”
Mentre si baciavano Anjali gli prese il viso tra le mani, come la sera prima, e sentendo le sue dita accarezzargli la barba Alphard si sentì sciogliere come neve al sole, allontanando il viso da quello della strega quando si ritrovò sopra di lei, i gomiti piantati sul materasso ai lati della sua testa mentre Anjali lo guardava. Avrebbe potuto restare a contemplare quegli occhi meravigliosi per minuti interi, ma l’uomo finì col sorridere e ridestarsi, scuotendo la testa prima di iniziare a sfiorarle la fronte con un dito:
“Come fai ad essere così bella di prima mattina?”
“Non dire sciocchezze, sono certa di avere un aspetto tremendo!”
“Sono sicuro che non l’hai mai avuto in vita tua. E a tal proposito, non so se prestarti le mie camice sia una buona idea.”
“Perché?”
Questa volta Anjali spalancò spontaneamente gli occhi, quasi temendo che Alphard non volesse prestarle nulla di suo – o peggio intendere che tra loro non sarebbe mai successo nient’altro, dopo la notte precedente – mentre il mago, dopo averle stampato un rapido bacio sulla fronte, si spostava da sopra di lei per rimettersi disteso sul materasso con un sospiro:
“Non credo di riuscire a trattenermi.”
Anjali scoppiò a ridere, riempiendo l’enorme camera da letto con la sua risata cristallina mentre si sistemava contro il petto di Alphard, che sorrise e sentì qualcosa di strano smuovergli lo stomaco all’udire quel suono mentre la cingeva con un braccio per stringerla a sé e chinava la testa per guardarla:
“Vuoi ordinare la colazione?”
Che cos’era la domenica mattina senza la colazione a letto? Qualcosa di tristemente, terribilmente incompleto. Anjali sollevò la testa per guardarlo, sorridendo prima di scuotere la testa quasi credesse di poterlo vedere svanire da un momento all’altro: poteva davvero aver avuto tanta fortuna da trovare qualcuno che rispecchiasse così perfettamente il suo prototipo di uomo ideale durante una vacanza?
“Sei l’uomo perfetto. E grazie per avermi fatto dormire qui.”
“Grazie a te per aver dormito qui.”
 
 
Anjali era rimasta distesa sul quel materasso così terribilmente comodo, coprendosi col lenzuolo candido mentre guardava Alphard, disteso sul fianco per guardarla di rimando, contemplarle il viso.
Non aveva il coraggio di chiederglielo e non sapeva che cosa fare, col risultato che dopo essersi infilata nuovamente la biancheria era rimasta bloccata in quel letto: voleva che lei se ne andasse? La possibilità, doveva ammetterlo, l’atterriva, anche se la sua stanza era letteralmente dietro la porta accanto. Ma quel letto era così comodo, e il desiderio di restare con lui così forte, da rendere insopportabile l’idea di doversi rivestire e uscire da quell’enorme Suite.
“Dormi qui.”
“Sicuro?”
“Ti prego.”
Anjali aveva sorriso, il cuore gonfo di gioia che le martellava nel petto, astenendosi dal fargli sapere che non c’era alcun motivo di pregarla affinché restasse mentre Alphard le si avvicinava per depositarle un bacio sulle labbra e poi le cingeva il corpo con un braccio, stringendola da sopra il lenzuolo. Si erano addormentati con le teste vicinissime, entrambi stupiti dall’enorme senso di intimità che stavano provando nei confronti di qualcuno che in fin dei conti conoscevano appena.

 
*

 
“Alphard, devo andare. Adesso devo davvero andare.”
Ok, lo andava ripetendo per l’ennesima volta, era vero, ma Anjali Kumar era ormai decisa: erano passate tre ore e mezzo da quando si era svegliata nel letto della Suite di Alphard e dopo aver fatto colazione aveva dichiarato di dover togliere il disturbo, non fosse stato che il “padrone di casa” l’aveva zittita baciandola e tenendola inchiodata al letto sbottonandole la sua stessa camicia come lei aveva fatta la sera prima.
Ora Anjali si era finalmente riappropriata del suo vestito e stringeva la sua piccola pochette firmata Chanel, ma ancora non era riuscita a mettere piede fuori dalla Suite per colpa delle braccia di Alphard che, in piedi contro la scrivania con i pantaloni del pigiama nero addosso, la tenevano stretta mentre il mago la guardava implorante e con la sua miglior espressione da cucciolo bastonato:
“Proprio non vuoi pranzare con me?”
“Ho appuntamento con Sabrina, mi spiace.”
Mpf, poteva perdonare l’odiatrice di scorpioni per privarlo di qualche ora in compagnia di Anjali solo perché lo aveva aiutato per l’appuntamento della sera prima, quando aveva casualmente disdetto un gran numero di prenotazioni solo per lasciare la terrazza a lui e alla bella svizzera.
Alphard accolse con una punta di amarezza le parole e il sorriso tenero che Anjali gli riservò mentre gli accarezzava dolcemente una spalla, cercando di celare il suo malcontento per rilanciare con un’altra offerta:
“Va bene… Ceniamo insieme stasera?”
“Se ancora ti va la mia compagnia, certo.”
“Oh, povera bellissima ingenua.”
Un sorrisetto malizioso allargò le labbra di Alphard prima che il mago rubasse un ultimo bacio alla strega, ma subito dopo si vide comunque costretto a sciogliere a malincuore la stretta e a guardarla scivolare dal suo abbraccio; la borsetta in una mano e i sandali col tacco dorati nell’altra, Anjali si diresse verso la porta prima di aprirla, voltarsi un’ultima volta verso di lui e sorridergli prima di strizzargli l’occhio:
“D’accordo, allora a dopo. Alphy.”


Come lo aveva chiamato?
Alphard detestava i soprannomi, ma Anjali svanì con un risolino senza dargli il tempo di dire nulla e si ritrovò a guardare la porta chiusa, stranito, prima di scuotere la testa: in fondo poteva chiamarlo come voleva, era certo che non avrebbe mai trovato la forza necessaria ad impedirglielo.
 
Anjali uscì dalla Suite 103 con un sorriso e sentendosi leggera e felice come non le capitava da tempo, ma il suo sorriso finì col morirle sulle labbra quando, aperta la porta, s’imbatté in una altro ospite dell’Hotel in procinto di aprire la porta della propria con una chiave magnetica.
Stupida, stupida Anjali, come aveva potuto non controllare attraverso lo spioncino, prima di uscire? Avrebbe dovuto pensarci. Eppure non lo aveva fatto, un errore imperdonabile, specie considerando quale altro ospite alloggiava praticamente di fronte alla sua stanza: Joël la stava fissando, incredulo e impietrito davanti alla porta della stanza 108. Gli occhi blu del musicista schizzarono sulla porta alle sue spalle, sul numero 103 e poi su quella accanto, la 101, prima di tornare su Anjali e sulle scarpe che la strega teneva in mano mentre la donna arrossiva copiosamente, improvvisamente privata della facoltà di parola o di movimento.
“Non… dire…”
No, Joël non disse nulla, ma in compenso scoppiò a ridere così fragorosamente da indurre l’amica a pensare che Alphard sarebbe potuto uscire, lui o altri ospiti che alloggiavano nelle stanze vicine, spingendola a precipitarsi verso la porta della sua stanza per aprirla e chiudersi dentro mentre la risata di Joël ancora le risuonava nelle orecchie.
La svizzera si chiuse la porta alle spalle e vi rimase brevemente appoggiata contro con la schiena, sospirando prima di lasciare i sandali col tacco sul pavimento e dirigersi verso l’enorme letto matrimoniale della Suite. Doveva lavarsi e cambiarsi per incontrare Sabrina, ma si prese qualche istante per distendersi sul letto, sollevando le gambe fasciate dalla gonna del vestito fino a metà polpaccio e abbracciando il cuscino mentre ripensava alla notte precedente e alla mattina appena conclusasi con un sorriso radioso ad addolcirle le labbra. Anjali adorava la domenica mattina, ma quella in particolare l’avrebbe ricordata per sempre.
 
Joël entrò nella sua stanza ancora vagamente incredulo, ma sorridente: quindi era lei la piccioncina della sera prima, poteva perdonarla per aver interrotto il suo momento con Sabrina solo perché le era terribilmente affezionato. Se non altro, pensò con una punta di amarezza il musicista mentre sedeva sul bordo del letto, qualcuno era riuscito a concludere qualcosa, a differenza sua.

 
*

 
Essere molto amica del figlio del proprietario del Le Mirage aveva i suoi vantaggi, Meadow Wellick aveva potuto constatarlo nel momento in cui Silas, dopo averla sentita ammirare il pianoforte a coda presente nella sala interna del ristorante, le aveva assicurato con un sorriso affettuoso di poterlo suonare, se mai ne avesse avuto voglia. Naturalmente Meadow aveva deciso di non sprecare la preziosa occasione concessale e quella mattina, mentre attorno a lei i camerieri preparavano la sala per il servizio del pranzo, la ragazza sedeva sull’ottomana nera suonando una melodia di Ludovico Einaudi.
I grandi occhi a mandorla della strega, leggermente strizzati per la concentrazione, seguivano con dedizione i movimenti delle sue dita da un tasto all’altro, il capo leggermente chino in avanti, quando Silas – quel giorno incaricato di servire al ristorante, anche se Claude già si stava pentendo di aver accettato di prendersi a carico il ragazzo vista la quantità di bicchieri che aveva già rotto – le si avvicinò sfoggiando un largo sorriso allegro sulle labbra carnose:
“Che bella canzone. Sei brava a suonare.”
Quando sentì la voce dell’amico Meadow smise di suonare prima di annuire piano e senza alzare lo sguardo dallo strumento, restando seduta sull’ottomana mentre sfiorava un tasto con l’indice destro e lo osservava pensosa, la mente altrove:
“Mi ha insegnato lo zio. Lui è davvero, davvero bravo, uno di questi giorni lo convincerò a suonare qualcosa.”
“Fa pure, di giorno questo non lo usa mai nessuno, a meno che non ci sia qualche evento particolare… a inizio giugno abbiamo avuto un matrimonio dietro l’altro, una palla infinita, ma almeno era ancora più pieno di ragazze carine del solito.”
Le labbra di Silas si distesero fino a formare un sorrisetto compiaciuto che Meadow, voltandosi finalmente verso l’amico, smorzò sfoggiando un piccolo ghigno a sua volta:
“Vestito da cameriere faresti colpo di sicuro.”
Quando l’amica accennò alla sua camicia bianca e ai pantaloni neri Silas sbuffò, borbottando di star morendo dal caldo ma che tutti lì dentro dovessero vestirsi così, sfortunatamente.
“Tua sorella ti sta facendo fare proprio di tutto, eh?”
“Sì, Pierre dice che lei ha fatto effettivamente qualsiasi cosa qui negli ultimi dieci anni e che quindi è giusto che faccia anche io una gavetta condensata in un lasso di tempo notevolmente ridotto. Sprizzo gioia da tutti i pori, come puoi vedere.”
Il ragazzo fece cenno all’amica di fargli spazio sull’ottomana con un rapido movimento del capo, sedendole accanto prima di accarezzare distrattamente un tasto bianco e lucidissimo. Meadow appoggiò la testa sulla sua spalla e Silas la fece fare, continuando ad osservare i tasti prima che la ragazza gli chiedesse se sapesse suonare con un lieve mormorio:
“No, mia madre provò a farmi prendere lezioni, lei ama la musica, ma io non riuscivo a starmene seduto, non avevo pazienza.”
“Oh, beh, anche per lo zio insegnarmi è stato tosto, ovviamente. Ma a lui piaceva così tanto suonare che volevo capire che cosa si provasse, credo… Perché sembrasse così tanto speciale, e devo ammettere che lo è davvero. Ti trasporta in un mondo dove ci sei soltanto tu, o al massimo alle persone che la musica ti evoca. E poi era bello avere qualcosa in comune.”
“Intendi oltre a quello strano gioco che fate?”
“Noi due siamo strani.”
“Oh, credimi, lo so. Ma nemmeno la mia è proprio una famiglia normale, quindi capisco benissimo. Spero che mia madre riesca a passare, mi piacerebbe presentartela, sono sicuro che ti adorerebbe.”
Meadow asserì che sì, le sarebbe piaciuta sicuramente visto che suo figlio la adorava e condividevano parte del DNA mentre Claude, affacciatosi dalla cucina, intimava esasperato a Silas di tornare al lavoro e di trattare le stoviglie con più delicatezza:
“Quando i piatti avranno il cibo sopra non basterà ripararli con la magia, Silas.”
Ma perché siete tutti così stressati qui, dovreste proprio farvi una serata di tisane tranquillanti e di relax, tu, Michel e mia sorella.”
“Forse perché noi lavoriamo, non siamo in villeggiatura.”
In tutta risposta Silas si alzò dall’ottomana spalancando le labbra con indignazione, informando lo Chef che se davvero pensava che lui fosse in vacanza allora doveva avere una concezione di relax davvero molto, molto distorta, destando una lieve risatina in Meadow – che sapeva di doversi preparare ad un pomeriggio da trascorrere insieme a suo zio per sistemare e collaudare definitivamente le ultime bacchette realizzate – mentre la ragazza si guardava attorno chiedendosi quando gli ospiti avrebbero iniziato a presentarsi per pranzare.
Nel farlo i grandi occhi scuri di Meadow indugiarono sulla figura di una persona che sedeva nella Hall, perfettamente visibile grazie al vasto arco che collegava le due aree comuni principali dell’Hotel, occupando parte di uno dei due divani scamosciati color caramello. Le lunghe gambe accavallate e le dita della mano destra che tamburellavano ritmicamente sul bracciolo foderato, forse seguendo una melodia quasi senza rendersene conto, Joël Moyal sedeva tenendo i grandi occhi chiari insistentemente fissi su qualcosa – o qualcuno – che Meadow dalla sua prospettiva non poteva scorgere, ma il riconoscere quel volto le bastò per spalancare gli occhi e non curarsi affatto di quel piccolo dettaglio prima di allungare alla cieca una mano per cercare il braccio di Silas e strattonarlo:
“Silas!”
“Che c’è? Mi vuoi rimproverare anche tu? Se sì me ne vado.”
“Guarda che il mondo non gira attorno a te, stupido! Silas, quello è Joël Moyal!”
Meadow indicò il musicista quasi avesse avvistato il Sacro Graal, con l’aria di chi ha appena fatto una clamorosa scoperta, reagendo di conseguenza con puro sconcerto quando vide l’amico spostare brevemente lo sguardo su Joël per gettargli un’occhiata prima di tornare a guardarla inarcando un sopracciglio:
“Sì, e quindi?”
“Come e quindi, io lo adoro! È così bravo, e anche così bello devo dire… Perché non lo avevo mai notato?! È qui da molto?!”
“Credo un mese, circa quando sei arrivata tu.”
“UN MESE?! Com’è possibile che non l’abbia mai visto? Sono una stupida!”
“Perché hai la testa tra le nuvole e, soprattutto, sei sempre stata accecata dalla mia, di bellezza
.”
Silas ammiccò ma Meadow, ancora scioccata per l’avvistamento e soprattutto per la consapevolezza di non essersi imbattuta nel musicista in un mese intero, non stette al gioco e continuò a guardare prima Joël e poi lui tenendo le labbra dischiuse:
“Tu lo conosci?!”
“Vagamente, mi ricordo che quando ero piccolo e venivo d’estate spesso c’era anche lui perché suo nonno lavorava qui…”
Silas però non riuscì a continuare il discorso perché Meadow, gli occhi sgranati in un misto di stupore ed orrore, si portò le mani sul viso per coprirsi le labbra, impossibile stabilire se inorridita o arrabbiata con l’amico:
Tu mi rompi sempre le palle con le marche dei tuoi prodotti per i capelli e tieni per te un’informazione così preziosa?! Ma bravo! E lo conosce anche la tua fighissima sorellona, quindi. Non hanno circa la stessa età?”
“Sì, lui ha uno o due anni in più, non ricordo… so che è molto, molto amico di Anjali, la migliore amica di Sabs, hanno tutti e tre frequentato Beauxbatons negli stessi anni…”
Silas i sguardò brevemente attorno per assicurarsi che nessuno li stesse ascoltando e poi si chinò leggermente verso Meadow, ancora seduta sull’ottomana, poggiandosi la mano sinistra accanto alle labbra per sussurrare qualcosa che la ragazza poté udire solo allungandosi verso di lui, profondamente incuriosita dal suo improvviso atteggiamento cospiratorio:
“Ieri sera sono usciti insieme, me l’ha detto Anji. Il che è molto sospetto, perché Sabs non è mai uscita con qualcuno che alloggia qui, è la sua seconda regola d’oro. E credimi, ho visto dei poveretti fare di tutto per avere la sua attenzione, ma mai niente. Una volta un tizio la ricoprì di cioccolatini e di scatole di Macarons di Ladurée.”
Meadow, sempre più sorpresa, spalancò le labbra, un po’ impietosita per tutti gli ospiti dell’Hotel che negli anni dovevano averci provato con Sabrina e un po’ in fibrillazione per aver appreso del possibile flirt tra la sorella dell’amico e Joël Moyal:
“E lei non ci uscì comunque? Poverino.”
In realtà non li ricevette mai, li mangiai io. Ma comunque…”
Cretino. E la prima qual è?!”
Ricorda sempre di onorare il tuo meraviglioso fratellino. No, scherzo, è “Non bere superalcolici”.”
“E non sai come è andata?!”
Meadow era avida di pettegolezzi, e anche Silas, ma con gran disappunto di entrambi il ragazzo si vide costretto a scuotere la testa, amareggiato:
“No, Anjali stamani non si è vista da nessuna parte, altrimenti l’avrei già torchiata, quindi non so ancora nulla, ma sicuramente qualcosa mi dirà, a lei Sabrina dice tutto.”
“Per tutti i boxer di Merlino, hai idea di che cosa sarebbero quei due insieme? Sarebbero così, cosììì belli! Veramente da far schifo. Sarebbe fantastico, li shippo già.”
Un sorriso sognante e vagamente ebete apparve sul viso della strega, che congiunse le mani davanti al viso mentre pensava a quell’ipotetica, bellissima coppia mentre Silas, ancora in piedi accanto a lei appoggiandosi al pianoforte con una mano, scoccava un’occhiata incerta ed accigliata al musicista – impegnato a studiare sua sorella chiedendosi amareggiato quando lo avrebbe degnato della sua attenzione, ma l’ex Grifondoro questo non poteva saperlo –:
“Non so Meadow, da quello che dice Anji e da quello che ho visto in questi anni non mi sembra tipo da relazione seria. Mia sorella di norma rifugge tipi così penso per colpa di nostro padre e di come sono andati i suoi matrimoni, ma non ha mai avuto molti uomini attorno, li respinge sempre tutti da quando ha finito di studiare.”
Non importa, dobbiamo fare in modo che si mettano insieme lo stesso! Se vedi che lui guarda un’altra tu chiudila in uno sgabuzzino. Oppure potremmo chiudere loro due in uno sgabuzzino, ma ammetto che sarebbe un tantino estremo.”
Mentre Meadow si fermava a riflettere sulla possibile realizzazione del suo piano Claude si affacciò di nuovo dalla cucina, sempre più spazientito e con una bandata rossa e bianca arrotolata e allacciata sulla fronte per tenergli indietro i capelli color ruggine, per richiamare Silas ai suoi doveri. Questa volta l’ex Grifondoro non se la sentì di temporeggiare – lo Chef era pur sempre armato di piastre incandescenti e coltelli di tutte le dimensioni –, affrettandosi ad assentire a voce alta prima di chinarsi su Meadow per depositarle un rapidissimo bacio su una guancia:
“Mi chiamano, al piano ci pensiamo dopo. Tu non chiudere nessuno in nessun sgabuzzino senza di me!”
“Ci proverò. Ora vado a spiare. Devo solo trovare un giornale, nei film spiano sempre fingendo di leggerne uno.”
 
 
 
Sabrina quella mattina stava facendo del suo meglio per evitarlo, era piuttosto chiaro. Dopo aver fatto colazione Joël aveva fatto ritorno nella sua camera per provare a scrivere qualcosa, ma niente, dalla sera prima non aveva in mente altro che i suoi grandi occhi color cioccolato da cerbiatta e il suo viso così terribilmente vicino al proprio. Il non essere riuscito a baciarla gli risultava terribilmente frustrante ed era una fortuna, per Anjali, che le fosse tanto affezionato, o si sarebbe presentato alla sua porta per maledire lei e il suo appuntamento andato a buon fine.
Era tornato al pian terreno senza un motivo apparente, finendo col sedersi su uno dei divani solo per poter tenere Sabrina a portata d’occhio e ricordarle la sua presenza e il non poterla ignorare in eterno: la strega per certi versi si stava comportando esattamente come si era aspettato, ossia evitando di trovarsi faccia a faccia con lui o qualsiasi occasione per parlargli. C’erano tante ragioni che potevano spingerla a comportarsi in quel modo, prime tra tutte, secondo il musicista, la sua pessima fama e le storie che Anjali doveva averle raccontato sul suo conto nel corso degli anni.
Forse avere un’amica di lunga data molto pettegola in comune non sarebbe poi stato un grande vantaggio per lui, ma Joël di una cosa era sicuro: prima o poi avrebbe dovuto parlargli, non le avrebbe permesso di ignorare ciò che era quasi successo la sera precedente.
Stava considerando di alzarsi e andare alla reception per chiederle qualcosa di totalmente inutile – provando un consistente moto di fastidio nei confronti di un irritante ospite biondo e vestito firmato da capo a piedi che la stava monopolizzando da quasi dieci minuti standosene persino appoggiato al bancone per protendersi leggermente verso di lei, che invece lo guardava impassibile e con un sopracciglio appena percettibilmente inarcato – quando scorse con la coda dell’occhio una ragazza alta, bionda e abbronzata che si stava avvicinando al divano dove si era seduto, gli occhi fissi irrimediabilmente su di lui.
Joël non aveva tempo, energie e voglia per occuparsi delle moine di una donna – soprattutto non davanti a Sabrina, dandole la perfetta scusa per sollevare un muro tra loro –, e stava considerando la possibilità di darsi alla fuga cogliendo anche l’occasione per abbaiare all’uomo-sanguisuga di cercarseli da solo, i ristoranti migliori della città, quando nella Hall dell’albero si verificò un evento bizzarro: la ragazza anziché incedere verso di lui all’improvviso si fermò di colpo, come irrigidita, prima di voltarsi in un bizzarro modo meccanico e dirigersi altrove, verso l’uscita dell’albergo, e l’ospite che stava facendo gli occhi dolci a Sabrina la imitò poco dopo sotto lo sguardo attonito del musicista.
Quella sembrava proprio opera di un incantesimo e guardandosi attorno il mago soffermò la propria attenzione su una ragazza pallida e dai tratti asiatici che sedeva su una poltroncina a conchiglia blu cobalto situata ad una decina di metri di distanza, dall’altra parte della Hall. La giovane teneva un giornale in mano, e Joël ebbe l’impressione che stesse riponendo qualcosa nella tasca del larghissimo cardigan color burro che indossava mentre osservava la reception con un sorrisetto compiaciuto dipinto sulle labbra.
Anche Sabrina parve piuttosto confusa dall’insolita uscita di scena del tizio che non sapeva più come levarsi di torno, e stava osservando perplessa i presenti – facendo del suo meglio per non arrossire o distogliere lo sguardo troppo in fretta quando i suoi occhi indugiarono su Joël – quando Meadow, forse sentendosi osservata, volse la testa in direzione del musicista continuando a sorridere soddisfatta. Quando si accorse che anche il mago la stava studiando perplesso il sorriso di Meadow si fece più rilassato e spontaneo, sollevando persino una mano per salutarlo con un cenno prima di affrettarsi ad aprire il giornale e mettersi a leggere.
Una parte di Joël avrebbe voluto indagare sull’accaduto e approfondire, ma la consapevolezza che in quel momento Sabrina fosse libera lo costrinse ad accantonare la questione e ad alzarsi, dirigendosi a passo di marcia verso la reception tenendo gli occhi blu fissi con decisione sulla strega. Sabrina accorgendosi del suo avvicinamento si sentì avvampare, indietreggiando d’istinto mentre pregava che qualcuno giungesse in suo soccorso, avrebbe gradito anche l’arrivo dell’insopportabile Signora Van Hopper e dell’ancor più insopportabile cane FruFru. Quando nessuno la salvò e Joël si fermò davanti al bancone appoggiandocisi con gli avambracci alla strega non restò che sperare di non sentirsi mancare. Quello non era decisamente stato il giorno più adatto per decidere di saltare la colazione.
 
“Ciao Sabrina.”
“Ciao. Ti… serve qualcosa?”
Mais oui. Avrei proprio bisogno di parlare con te in privato, se non sei troppo occupata.”
 
Per Michel fu davvero molto arduo continuare a concentrarsi sull’anziana coppia di ospiti che aveva davanti e continuare a spiegargli l’itinerario per raggiungere i pittoreschi paesini limitrofi e non origliare troppo apertamente, ma si sforzò di farlo solo con discrezione senza smettere di snocciolare informazioni in italiano mentre l’amica, in piedi a poca distanza da lui, deglutiva a fatica:
“In realtà oggi sono molto occupata. Davvero molto. Devo andare di sopra a fare delle telefonate, in effetti. Michel, dì a Gerard di venire a darti una mano qui e a Silas di darti il cambio dopo pranzo.”
Sabrina indietreggiò ancora per allontanarsi, distogliendo lo sguardo da quello di Joël mentre il musicista la guardava incredulo da dietro il bancone:
“Sabrina, non puoi evitarmi, viviamo sotto lo stesso tetto al momento.”
Naturalmente la strega sapeva che aveva ragione, ma si limitò a scusarsi con un filo di voce prima di voltarsi e allontanarsi con lunghe falcate, i tacchi a scandire ogni suo passo sul pavimento tirato a lucido mentre Meadow e Joël la seguivano con lo sguardo, la prima con delusione e il secondo non potendo fare a meno di chiedersi che cosa avesse fatto di sbagliato.
 
 
Ritrovatasi sola nel suo ufficio Sabrina si era lasciata scivolare stancamente sulla sedia girevole bianca adagiandosi completamente contro lo schienale, i grandi occhi scuri piantati sul soffitto mentre faticava a togliersi dalla mente l’espressione infastidita e rammaricata al tempo stesso che aveva scorto sul viso di Joël.
Cercò di ripetere a se stessa che sarebbe ripartito entro un paio di settimane e che non ne valeva la pena, in una circostanza come quella, di investire sentimenti. Per quel motivo e perché non sapeva quale prospettiva la facesse stare peggio, se l’idea di Joël che come suo solito si stancava in breve tempo o la sua malattia che si faceva insopportabilmente ingombrante.
Era ancora impegnata a meditare, il capo reclinato verso l’alto e abbandonato contro lo schienale rivestito di pelle, quando qualcuno bussò energicamente alla porta. Quando chiese al suo visitatore di entrare Sabrina raddrizzò la schiena e accavallò le lunghe gambe, posando lo sguardo sulla porta nell’esatto istante in cui Alphard Vostokoff l’aprì.
Bonjour. Mi sembra che ieri sera sia andata bene.”
Un tiepido sorriso sollevò gli angoli della labbra di Sabrina mentre Alphard si chiudeva la porta alle spalle per avvicinarlesi, annuendo frettolosamente prima di piantarsi davanti alla sua scrivania e parlare con un tono neutro che tuttavia tradiva una leggera nota di apprensione:
“Ho un problema, Signorina St John.”
“Direi che date le circostanze può chiamarmi Sabrina. Di che cosa si tratta?”
Sabrina era perfettamente abituata a risolvere ogni tipo di problema – eccezion fatta per i suoi, naturalmente, a quelli preferiva non pensare il più a lungo possibile – e parlò adagiandosi con calma contro lo schienale della sedia, gli occhi castani fissi sul volto di Alphard mentre l’uomo, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, sospirava piano prima di parlare:
“Stasera cenerò con Anjali e vorrei che per lei fosse speciale. Mi può dare un suggerimento?”
“Il Cafè de Paris è il suo preferito.”
Sabrina si strinse nelle spalle facendo ruotare lievemente la sedia mentre Alphard annuiva, leggermente infastidito dalla situazione in cui si trovava: l’idea di doversi affidare a qualcun altro per la seconda sera di fila non lo allietava, ma quella dannata città a lui semi-sconosciuta pullulava di turisti e residenti ricchissimi che a quanto sembrava condividevano gli stessi gusti sofisticati di Anjali e i ristoranti migliori erano sempre pieni. Non sapeva di preciso come facesse Sabrina ad ottenere tutto quello che voleva solo usando il telefono, ma tanto gli bastava:
“Credo che me l’abbia accennato, ma sappiamo entrambi che è impossibile trovare posto il giorno stesso.”
Sabrina annuì piano, sorridendo con una leggera punta di compiacimento prima di allungare una mano abbronzata verso la scrivania per recuperare il suo telefono:
“Certo. A meno che non ci pensi io. Stia tranquillo Monsieur Vostokoff, mi basterà minacciarli di non rivedere mai più un St John lì dentro e correranno e prepararle un tavolo. Sa, mio padre è un ottimo cliente.”

 
*

 
“Ridge? Posso disturbarti?”
L’uomo stava prendendo il sole a bordo piscina, disteso sul lettino con gli occhiali da sole calati sul viso, quando Asher gli si avvicinò torturandosi nervosamente le mani pallide. Sentendo la voce del ragazzo Ridge sollevò la testa e si guardò brevemente attorno per controllare che Brooke stesse ancora facendo il bagno, dopodiché fece cenno ad Asher di sedersi sul lettino lasciato vuoto dalla moglie.
“Sì, ma fa’ in fretta, o Brooke potrebbe insospettirsi. Che cosa c’è? Merlino Asher, sei così pallido, dovresti proprio prenderlo, un po’ di sole.”
“Continui a dimenticare che io non sono in vacanza. Devo studiare. E lavorare. A proposito, ho riportato Hope alla pensione per cani.”
Asher sedette sforzandosi di parlare con il tono più calmo e controllato che gli riuscì – Brooke non poteva sentirli, ma erano comunque in pubblico e la donna avrebbe potuto volgere lo sguardo su di loro in ogni momento –, cercando di non dare troppo peso alle parole dell’uomo – sapeva di avere un incarnato molto pallido, ma sapeva anche che non tutti amavano esporsi al sole o potevano permettersi di farlo in continuazione – mentre Ridge si sistemava sbuffando piano i costosi occhiali da sole sul naso:
“So benissimo che non sei in vacanza, dal momento che sono io a pagarti. Che cosa c’è?”
 “Tu non pensi che Brooke… Che lei sospetti qualcosa, vero?”
Com’era prevedibile, la domanda del ragazzo fece crollare la maschera di indifferenza di Ridge, che si voltò di scatto verso di lui per guardarlo preoccupato da dietro le lenti scure dei suoi occhiali, il corpo abbronzato improvvisamente teso:
“Perché? Che cosa ti ha detto?!”
“Niente, assolutamente niente, si comporta come al solito, ma c’è una ragazza qui… una fotografa, credo, ma a volte ho l’impressione che si trovi qui per tenere d’occhio qualcuno e non vorrei che…”
Udendo le sue parole Ridge parve rilassarsi, e tornò a giacere supino sul cuscino bianco del lettino mentre un accenno di sorriso carico sollevato e divertito al tempo stesso gli allargava gli angoli delle labbra:
“Brooke che, cosa, assume una specie di investigatrice privata per mettermi alle strette? Impossibile, non sarebbe da lei… No, lei farebbe una scenata, non sarebbe in grado di restare in silenzio se sospettasse qualcosa.”
“Quindi pensi che non sospetti nulla?”
Asher, non del tutto convinto, si agitò leggermente sul bordo del lettino mentre Ridge si stampava un sorriso gentile sulle labbra e sollevava una mano per rivolgere un cenno di saluto in direzione della moglie, che si era voltata verso di loro e sembrava chiedersi che cosa i due si stessero dicendo.
“No Asher, conosco mia moglie. E, senza offesa, penso che non si preoccupi abbastanza di te per poter fare pensieri simili. Se te lo chiede sei venuto a riferirmi delle telefonate che sono arrivate mentre eravamo in piscina, d’accordo?”
“… D’accordo. Allora vado.”
Asher annuì e si alzò, allontanandosi rapidamente per tornare dentro l’Hotel, salire nella sua stanza e prendere i suoi libri per andare a studiare un po’ in cortile – forse la vicinanza alla pensione per cani avrebbe contribuito a migliorargli l’umore grazie ai suoi deliziosi ospiti a quattro zampe – sforzandosi di non voltarsi verso Ridge, sia per evitare che Brooke potesse vederlo sia per prendersi quella minuscola soddisfazione personale, conscio che l’uomo si aspettava che lo facesse.

 
*

 
Alors, dimmi. Ieri sera sei… tornata in camera da sola o accompagnata?”
Mentre aspettava che la Bouillabaisse fumante, uno dei suoi piatti preferiti in assoluto, si intiepidisse per poterla gustare Sabrina si versò un po’ d’acqua fresca appena tirata fuori dal frigo nel bicchiere, impaziente di conoscere i dettagli della cena di Anjali e Alphard mentre l’amica, seduta di fronte a lei, frantumava una fetta di pane per poterne inzuppare un pezzetto nella saporitissima zuppa di pesce:
“Ieri sera non sono tornata in camera.”
Fu una fortuna che Sabrina avesse deciso di invitare Anjali nel suo appartamento invece di mangiare in pubblico e di farsi portare il pranzo da un cameriere, perché quando la svizzera parlò la francese stava sorseggiando un po’ d’acqua, acqua che finì con l’andarle di traverso e farla tossire e sputacchiare con ben poca grazia quando udì le parole dell’amica: incredula, quando si fu ripresa Sabrina appoggiò di nuovo il bicchiere sul tavolo e guardò Anjali accennare un sorriso che conteneva a malapena l’entusiasmo della bella strega.
Sérieusement? Io te l’ho chiesto più che altro per scherzare! È meraviglioso! E poi avete dormito insieme?”
Sabrina, dimenticatasi completamente del pranzo, sguainò un largo sorriso mentre appoggiava i gomiti ossuti e abbronzati lasciati scoperti dal vestito bianco a maniche corte sull’alto bancone della cucina attorno a cui erano sedute, gli occhi scuri pieni di curiosità mentre scrutava il viso sorridente dell’amica: Anjali annuì, visibilmente di ottimo umore mentre i grandi occhi chiari quasi le brillavano, e Sabrina non poté fare a meno di pensare a quanto vederla così le provocasse un moto d’affetto e una piacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
Oui. È stato cosììì carino, Sabs, non immagini quanto, è adorabile. Penso di piacergli davvero, insomma, non ho la preoccupazione che si interessi a me solo per i soldi, visto quanto è ricco… E penso che non sia nemmeno solo per il mio aspetto, altrimenti non penso che mi avrebbe chiesto di dormire con lui e non sarebbe così dolce con me, no?”
Gli uomini sono creature misteriose e stupide, ma sì, sono sicura che gli piaci moltissimo.”
Sabrina annuì e riservò un gesto sbrigativo all’amica prima di prendere il cucchiaio per assaggiare la zuppa. Anjali la imitò, ma invece di iniziare a mangiare continuò a sorridere, troppo presa dal racconto per ingurgitare qualcosa, mentre ripensava sognante alla sua mattinata in compagnia di Alphard:
“Mi aveva chiesto di pranzare con lui, ma ovviamente non sono una di quelle donne orrende che appena si trova un uomo svanisce nel vuoto cosmico e gli ho detto che ero già impegnata con te. Però penso che sia un buon segno!”
Vorrei ben vedere. E comunque, fai bene a farti desiderare… Certo che è un buon segno Anji, sono sicura che in questo momento è profondamente amareggiato per la tua assenza e ti sta pensando. Non è solo il tuo aspetto, so che è la prima cosa che tutti vedono, ma sei una persona splendida e se dovesse innamorarsi di te in un lampo, beh, non mi sorprenderebbe affatto.”
Le labbra carnose di Anjali si allargarono in un sorriso tenero mentre guardava l’amica con occhi pieni d’affetto e allungava una mano per prendere delicatamente quella di Sabrina, mormorando un grazie mentre l’amica la guardava di rimando con un accenno di sorriso sulle labbra a sua volta. Era felicissima per lei, Anjali era una delle persone a cui più teneva al mondo e per quanto la riguardava nessuno meritava di trovare qualcuno che l’amasse più di lei. Eppure, felicità a parte, un po’ la invidiava per ciò che avrebbe potuto avere e che lei invece non si sognava di desiderare.
“Adoro parlare di me, lo sai, ma voglio sapere anche di te. Non hai niente da raccontarmi? Vi abbiamo interrotti, io e Alphard?”
Questa volta fu di Anjali il turno di sfoderare un sorrisetto, affamata di gossip e del tutto intenzionata a fare ciò che non aveva potuto fare la sera prima, ovvero indagare, mentre ritraeva la mano da quella di Sabrina per riprendere a gustarsi la zuppa. Era sua una impressione, forse perché quel giorno tutto le appariva più luminoso, o era più buona del solito?
“Perché non continuiamo a parlare di te, invece? Ad esempio, ti ha presentato i piccoli?”
Se la svizzera colse l’ironia nelle parole dell’amica non lo diede a vedere, limitandosi a scuotere la testa mentre si portava il bicchiere d’acqua con dentro una fetta di limone verso la labbra:
“Gli ho detto che per me era un po’ presto. Ma ho conosciuto la sua gatta. È così bella!”
“Mi sembra uno che ama le cose belle. Non sorprende che ti sbavi dietro dalla prima volta in cui ti ha vista.”

 
*

 
Alphard sembrava a dir poco di ottimo umore quel giorno, Joshua se n’era accorto nel momento stesso in cui l’aveva visto. Certo si era sempre considerato estremamente abile nella sottile arte della comprensione dei sentimenti e degli stati d’animo altrui, ma quel giorno Joshua Wellick dovette ammettere che della serenità dell’imprenditore se ne sarebbe potuto accorgere persino un cieco: Alphard si era presentato nella Hall con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, un sorriso che faticava ad andarsene dal suo viso e che si estendevano fino agli occhi, per non parlare del suo tono di voce, rilassato e allo stesso tempo arricchito da una nota di euforia.
“Non è per immischiarmi, ma… ti è successo qualcosa di piacevole? Mi sembri davvero di ottimo umore oggi.”
“Ieri ho cenato con Anjali. Sai, la ragazza indiana bellissima, elegantissima, perfetta, divina…”
Alphard avrebbe potuto continuare con la lista degli elogi per la sua bella Anjali per una buona mezz’ora, lo sguardo quasi adorante, ma Joshua annuì e tagliò corto con un pigro gesto della mano mentre cercava inutilmente di arrotolare degli spaghetti attorno alla forchetta. Ma come facevano gli italiani a riuscirci? Imparavano a scuola?
“Sì, sì, ho presente, è un tipo impossibile da dimenticare persino per me.”
“Lo trovo perfettamente logico. Beh, insomma, è andata bene e sono felice, era da molto che non mi imbattevo in una persona così stimolante e che riesca a non annoiarmi dopo breve tempo.”
“Io sono la persona meno indicata per parlare di queste cose, e non parlo afflitto da falsa modestia, ma sono felice per te. Insomma, mi sembrate persone piuttosto simili.”
Se c’era qualcuno che amava le cose belle e il lusso quasi quanto lui lo odiava, rifletté Joshua mentre sollevava finalmente un piccolo gomitolo di spaghetti, quel qualcuno era visibilmente Anjali Kumar. Qualcosa che aveva di certo in comune con l’uomo che gli sedeva davanti e che annuì, sorridendo e con gli occhi castani quasi luccicanti:
“Lo credo anche io. Detesto dirlo perché mi sembra di essere diventato la protagonista cretina di quei romanzetti rosa smielati, ma penso che lei sia perfetta per me.”
Alphard sorrise, continuando a non toccare cibo perché troppo occupato e ripensare alla sua mattinata trascorsa con Anjali un po’ sotto alle lenzuola e un po’ raccontandosi amabilmente l’uno dell’altra mentre Joshua sibilava un’imprecazione: era stato a tanto così dal poter assaggiare gli spaghetti, ma poi quei maledetti erano scivolati dalla forchetta e atterrati inevitabilmente di nuovo sul piatto.
“Maledizione, quale italiano sadico ha inventato questa forma ignobile di pasta?! Scusa, continua pure, ti ascolto anche se litigo con il cibo.”
“Vuoi tagliarli, per caso?”
Alphard accennò, divertito e perplesso al tempo stesso, al coltello che giaceva sul tovagliolo di Joshua, ma l’australiano scosse la testa con vigore mentre allungava una mano verso il cestino del pane (non voleva arrendersi agli spaghetti ma stava anche morendo di fame, quindi mentre aspettava di riuscire a mettere un po’ di pasta sotto ai denti si sarebbe accontentato di quello) per prenderne una fetta e addentarla infastidito:
Non mi farò sconfiggere da un piatto di pasta! Mi dispiace solo per te che tu sia qui con me invece che con la tua bellissima Anjali. Perché sei con me quando potresti essere con lei?!”
“L’odiatrice di scorpioni, ecco perché. Ma ho deciso di concederle il mio benestare visto quanto mi sta aiutando. In fondo lo dice anche quella canzone delle Spice Girls, che bisogna essere amici delle amiche della donna che ti interessa.”
Alphard si strinse nelle spalle mentre tagliava pensoso la sua enorme bistecca, inarcando le sopracciglia quando notò il modo in cui Joshua lo stava guardando: fronte aggrottata, sguardo a punto interrogativo, l’aria di chi non ha idea di che cosa tu stia dicendo.
Joshua, ma da dove vieni?!”
“Birdsville. L’angolo più remoto e sconosciuto dell’Australia.”

 
*

 
Per quanto si fosse sforzata di tenere la conversazione su Anjali e Alphard il più a lungo possibile Sabrina si era infine dovuta arrendere di fronte a una delle tante cose che legava lei e la sua migliore amica: la testardaggine. Anjali le aveva raccontato della sua serata di buon grado, ma in seguito anche per la svizzera era arrivato il momento di condurre l’interrogatorio, decisa a chiederle di Joël. La bella ereditiera non era ancora del tutto certa di aver compreso come la facesse sentire l’idea dei suoi due migliori amici che uscivano insieme. Certo teneva molto ad entrambi, ma molti anni prima aveva fatto giurare solennemente Sabrina di non farsi mai spezzare il cuore dal Tombeur de Femmes, conscia di quanto Joël fosse inaffidabile. Aveva visto quasi tutte le sue compagne di classe disperarsi per lui quando ancora studiavano a Beauxbatons e non aveva intenzione di aggiungere alla lista anche Sabrina. Dopo lunghe riflessioni, Anjali aveva preso una decisione: avrebbe acconsentito e si sarebbe impegnata a non sabotare i loro incontri, visto che per qualche motivo sconosciuto a Sabrina Joël sembrava piacere, ma al minimo segno di sofferenza nella sua amica avrebbe sfondato la porta della camera del musicista e lo avrebbe personalmente bandito dal Le Mirage vita natural durante.
Voleva troppo bene a Sabrina e sapeva fin troppo bene quanto già avesse sofferto nel corso della sua vita per permetterle di soffrire ancora.
“Io… Io non credo che per me sia giusto avere una relazione o provare sentimenti forti per qualcuno.”
“Che cosa stai dicendo?! Tu sei una donna bellissima e una persona meravigliosa, pensi di non meritare di essere felice?”
“Non è questo. Io penso che non sia giusto. Per quanto poi potrebbe essere difficile. Per l’altra ipotetica persona, ma anche per me. Non voglio soffrire più del dovuto, Anji. Ne provo già abbastanza, di dolore, da tutta la vita senza aggiungerne di altro tipo.”
“Penso che quando chiudiamo il nostro cuore al mondo escludiamo la possibilità di soffrire… ma viviamo anche una vita a metà, Sabs. Io ho capito di averlo fatto, negli ultimi due anni. Ero così arrabbiata e delusa da ciò che aveva fatto Georges che ho chiuso la porta. E forse avrei potuto viverli meglio, questi due anni, se non l’avessi fatto. Ascoltami. Tu a Joël piaci e lui piace a te, per questo metterò da parte le mie riserve sul suo comportamento in questi frangenti. Ma io lo conosco bene, meglio di te, ha le spalle larghe, lo può affrontare!”
“Non penso che il suo interesse per me potrebbe davvero perdurare, sappiamo com’è fatto. Io ho paura per me. Quanto pensi che sarebbe doloroso arrivare al punto di allontanare una persona per non coinvolgerla, o per non dover aspettare che sia quella persona ad allontanarsi? Non è facile stare accanto a qualcuno che ha una malattia congenita. E se il problema non dovesse presentarsi perché lui si stancherebbe prima, soffrirei lo stesso. E io non ho voglia di soffrire, non sopporto di vedere le persone andare via, sono già cresciuta senza mio padre. Mi risulta più facile tenerle lontane e basta.”
Per Anjali non era affatto consueto non sapere che cosa dire, ma guardando la sua migliore amica evitare il contatto visivo per concentrarsi invece sul suo piatto ancora parzialmente intatto, i grandi occhi castani visibilmente lucidi, la svizzera si rese conto di non avere idea di come esprimere a parole ciò che stava provando. All’improvviso ebbe la sensazione che qualsiasi cosa avesse detto avrebbe finito con il risultare indelicata e inappropriata, tanto che finì col lasciarsi scivolare dallo sgabello che aveva occupato per raggiungere l’amica e abbracciarla, appoggiando il mento sulla spalla di Sabrina. Anjali sentì l’amica ricambiare la stretta, quasi sentisse il bisogno di aggrapparsi a qualcuno, prima di sussurrare che le dispiaceva.
Era a conoscenza della malattia di Sabrina da ormai 10 lunghi anni, quando un’estate, la stessa in cui Sabrina aveva iniziato a lavorare all’Hotel, si erano come da tradizione incontrare al Le Mirage e Anjali aveva notato la particolare apprensione con cui Gideon St John si rivolgeva alla figlia maggiore durante i suoi turni come bagnina, pregandola in più occasioni di occuparsi di qualcosa che richiedesse un minor sforzo fisico. Eppure Sabrina, ostinata, dichiarava che se proprio doveva lavorare nel suo Hotel almeno voleva nuotare il più possibile.
Quando l’amica aveva citato i suoi “appuntamenti mensili” a Nizza Anjali si era ingenuamente convinta che avesse un fidanzato segreto che viveva fuori dal Principato di Monaco, finendo con lo scoprire con sconcerto che si trattava invece di visite mediche quando una sera, sedute a bordo-piscina, Sabrina le aveva finalmente raccontato tutto e ogni piccola stranezza notata negli anni aveva acquisito un senso.
Eppure, anche dopo 10 anni, Anjali faticava a capacitarsi di come quella sfortuna che colpiva un bambino su 5000 fosse spettata proprio alla sua adorata migliore amica.

 
*

 
La stanza 216 era avvolta dal silenzio più totale, scalfito solo dal suono prodotto dai taglierini che lavoravano il legno. Joshua e Meadow sedevano uno di fronte all’altra, il tavolo di vetro circolare ingombro a dividerli, ciascuno impegnato in silenzio nel proprio lavoro tenendo gli occhi fissi sulle bacchette che avevano tra le mani.
La strega stava intagliando il manico della bacchetta di noce che aveva in mano quando vide suo zio appoggiare quella di biancospino che stava ultimando sul tavolo e frugarsi nelle tasche nei pantaloni. Meadow sapeva che cosa stava per fare, ma non sollevò la testa e continuò il suo lavoro finchè non vide Joshua allungare la mano pallida sul tavolo e appoggiarle davanti un pacchetto di fazzoletti.
“Fazzolettini. Davvero? Come la prima volta?”
Meadow puntò finalmente gli occhi sullo zio, smettendo di intagliare il legno della bacchetta mentre guardava Joshua distendere le labbra in un sorriso:
“Allora lo rammenti.”
“Certo che rammento la prima manciata di ore che trascorremmo insieme da soli, il ricordo è impresso nella mia memoria. Non mi sembra che ci trovammo particolarmente simpatici, all’inizio.”
“No, infatti, tu eri una bambina sospettosa e diffidente, ricordo ancora quando ti ho visto per la prima volta, appollaiata su un albero, mentre mi guardavi storto. Mi guardi ancora così quando dico qualcosa che non ti aggrada particolarmente.”
Meadow si strinse nelle spalle, asserendo che qualsiasi bambina si sarebbe dimostrata diffidente vedendosi arrivare uno sconosciuto a casa propria per poi scoprirlo essere suo zio e vedersi costretta ad andarsene insieme a lui. Col tempo naturalmente aveva capito che quella fosse stata la sorte migliore a cui avrebbe potuto aspirare, ma sul momento la sé di 9 anni non l’aveva pensata propriamente allo stesso modo. I primi momenti trascorsi insieme da soli furono alla fiera delle corse di Birdsville, una giornata che difficilmente entrambi avrebbero dimenticato e durante la quale Joshua aveva provato a mettere in pratica quello che per molto tempo era stato un gioco che lo aveva legato al defunto padre: aveva porto alla nipote un pacchetto di fazzoletti e lei, dopo aver frugato nelle tasche del suo vestitino leggero ricucito in diversi punti, gli aveva allungato un omino di legno intagliato grezzamente. In quell’esatto momento Joshua aveva compreso di doverla prendere con sé, di portarla via da quell’angolo di mondo dimenticato come già suo padre aveva fatto con lui molti anni prima, quando lo aveva mandato a vivere in Inghilterra dai suoi zii. Da ragazzino Joshua aveva interpretato quel gesto come un rifiuto, come un modo per dirgli che nessuno di loro, né suo padre Scott, né la sorella né sua madre Ymir lo volevano, ma col tempo aveva capito che suo padre mandandolo via dall’Australia non aveva fatto altro che dargli la possibilità di migliorare la sua vita, lo stesso che lui aveva fatto per sua nipote.
Meadow ripose delicatamente sul tavolo la bacchetta per frugare nelle tasche del cardigan che indossava e cercare qualcosa da consegnare allo zio come voleva il loro gioco: lui le dava qualcosa, lei doveva ricambiare, una pratica che l’uomo aveva iniziato a mettere in atto da bambino con suo padre, il nonno che lei non aveva mai conosciuto, morto prima della sua nascita. Scott Wellick non era un uomo di molte parole, così sosteneva suo zio, e fin da molto piccolo il loro modo per comunicare era stato sempre rappresentato dagli oggetti che si scambiavano.
“Non ho omini di legno, purtroppo, per ora ho intagliato solo bacchette.”
Meadow accennò un sorriso mentre porgeva allo zio lo scontrino di un frappuccino e di un cookie che aveva acquistato da Starbucks quella mattina, ridacchiando quando vide l’uomo aggrottare la fronte e poi sbuffare:
“Un caffè e un biscotto?!”
“Non prenderla male, non sto dicendo che per me vali come un caffè o un biscotto. Cioè, era un caffè davvero buonissimo. E anche il cookie lo era, devo ammetterlo. Com’è andato il pranzo col tuo fidanzatino?”
“Mi ha parlato per tutto il tempo di questa donna che gli piace…”
“HAI GOSSIP E NON MI DICI NULLA?! Ti sembra corretto tenere per te le informazioni importanti?! Avanti, chi è?!”
Meadow sorrise mentre si agitava sulla sedia, fremendo per la sua sete di notizie in campo amoroso – con Joël Moyal e la sorella di Silas quel giorno non aveva avuto grandi soddisfazioni, necessitava di rifarsi altrove – mentre Joshua al contrario si stringeva nelle spalle mentre tornava a concentrarsi sulla sua bacchetta, per nulla interessato ai pettegolezzi al contrario della nipote:
“Una certa Anjali Kumar, indiana, molto bella…”
“Ma è la stessa Anjali amica di Silas e di sua sorella! E esce con il tizio del liquore?! Caspita, il mondo è piccolo in questo Hotel.”
 
 
*

 
“Sicuro di non voler fare una nuotata?”
Medea e Artemy camminavano uno accanto all’altra sulla sabbia tiepida, entrambi tenendo le scarpe in mano e il braccio della strega ancorato a quello del ragazzo. Il sole stava iniziando a tramontare sulla Riviera Francese e la spiaggia era avvolta da una calda luce dorata che faceva brillare più che mai l’acqua del Mediterraneo sotto agli occhi ammirati di Artemy, che alla domanda dell’amica scosse la testa accennando un debole sorriso con gli angoli delle labbra:
“Sì, so nuotare ma non è qualcosa che amo fare particolarmente.”
“A me non dispiace, ma i miei capelli sono un bel problema. Questi capelli non sono fatti per essere bagnati, ed è un uno dei motivi che mi ha spinta a tagliarli così tanto.”
Medea accennò con un sospiro alla propria testa, scuotendo la testa e gettando un’occhiata carica d’invidia ai liscissimi capelli argentei di Artemy che brillavano sotto la luce del Sole. Il ragazzo invece sorrise, assicurandole che con i capelli corti fosse bellissima:
“Sei sincero? Perché secondo me spesso fai complimenti che non pensi.”
“In effetti ogni tanto mi capita, ma non è questo il caso, ti assicuro che ti stanno benissimo. A proposito, ti dispiacerebbe se per una volta ti facessi io una foto?”
Il ragazzo smise di camminare, fermandosi davanti all’amica per accennare alla macchina fotografica che Medea portava appesa al collo come sempre. La donna parve sorprendersi per quella domanda, chinando lo sguardo sulla sua compagna di viaggio prima di guardare Artemy con sincera sorpresa:
“Perché?”
“Mi piace avere foto dei miei amici. Ricordare momenti e persone. Sono stato allontanato dalla mia famiglia da un giorno all’altro, mi hanno letteralmente sradicato dalla Russia asiatica per spedirmi in una landa desolata del Vietnam, e non ho mai avuto nulla che mi ricordasse i miei fratelli o i miei genitori.”
“Non mi piace farmi fotografare, ma se la metti così direi che non posso proprio rifiutare. Fa’ attenzione, è la cosa a cui tengo di più al mondo.”
Medea annuì mentre si sfilava la macchina fotografica dalla testa – amava fotografare quanto odiava che la fotografassero, ma come poteva non assecondare il suo desiderio? –, porgendola ad Artemy prima di allontanarsi di qualche passo, superandolo mentre gli intimava di non dirle di mettersi in posa, di fotografarla senza che lei se ne accorgesse.
“Perché, scusa?”
Artemy rise mentre guardava l’amica mettere i piedi nudi in acqua e infilarsi la mano libera nella tasca dei pantaloncini color mattone che indossava, scrollandosi nelle spalle mentre scrutava la distesa d’acqua che le brillava davanti agli occhi:
“Se mi dicono di mettermi in posa non so cosa fare o come mettermi e vengo malissimo, fidati, ho trent’anni di esperienza alle spalle.”
“Sei una donna strana, Medea.”
Artemy era sinceramente convinto che le sue fossero tutte semplici paranoie e che mai avrebbe potuto venire male in una foto, con il bel viso che si ritrovava, e si portò la costosa macchina fotografica davanti agli occhi giusto in tempo per scorgere un sorriso farsi largo sul suo volto e affrettarsi ad immortalarlo.
“Bellissima. Ti posso rubare il lavoro.”
Artemy guardò la foto appena scattata con un accenno di sorriso soddisfatto sulle labbra, ammirando compiaciuto il suo lavoro mentre Medea, sbuffando, gli si riavvicinava per controllare di persona:
“Non credo proprio, signorinello. Fa’ vedere, c’è bisogno del mio giudizio critico. Ok, ne ho avute di peggiori, devo riconoscerlo, potresti essere uno dei miei pochi, pochissimi amici in grado di fare una foto decente. Dai, andiamo a sederci un po’, voglio fermarmi per vedere il tramonto.”
Medea si diresse verso la spiaggia, allontanandosi dalla riva dopo essersi riappropriata della sua amatissima macchina fotografica, e Artemy la seguì senza esitare, andando a sedersi accanto a lei sperando che la sabbia non gli rovinasse i vestiti.
“Davvero ti hanno sradicato dalla tua casa da un giorno all’altro?”
“Quando avevo otto anni capirono che ero un Magonò, non avevo mai dato alcun segno di possedere qualche traccia di magia, al contrario di tutti i miei fratelli. Per mia madre non costituì un grosso problema, ma mio padre e mio nonno e la loro cultura russa non poterono accettarlo… Così mi allontanarono.”
Artemy si strinse nelle spalle, ripensando al ricordo sbiadito dei suoi fratelli maggiori e di sua madre che lo salutavano e di suo padre che lo portava a casa di suo nonno affinché un uomo lo portasse via con una Passaporta. Per anni aveva cercato di rimettere a posto i tasselli di quel ricordo e di rammentare ciò che suo padre gli aveva detto prima di salutarlo per sempre, ma per quanto si sforzasse non ci era mai riuscito. Forse che gli sarebbe mancato, che era dispiaciuto per la sua sorte? Ma in fondo Ieromin Fedorov di figli ne aveva avuti altri 11, anzi 12 contando il bambino che sua madre portava in grembo al momento del suo allontanamento, il fratellino o la sorellina che non aveva mai conosciuto, di certo avrebbe trovato facilmente il modo per sostituirlo.
“Ma non avrebbero potuto mandarti dalla famiglia di tua madre in Thailandia, invece che in Vietnam?”
Medea appoggiò il capo sulle ginocchia, riservando un’occhiata dispiaciuta all’amico mentre una breve risata cupa si librava dalle labbra di Artemy: il ragazzo scosse la testa, continuando a disegnare forme astratte sulla sabbia tracciando i solchi con l’indice pallido.
“Magari. No, mio nonno Igor voleva spargere voce che mi ero ammalato e poi morto tragicamente, e mandarmi dalla famiglia di mia madre poteva essere rischioso. Mi spedirono in un orfanotrofio Babbano e lì rimasi per un bel po’ di tempo. Gli altri bambini mi insegnarono il vietnamita, un po’ alla volta, e fino ai miei 13 anni sono rimasto lì.”
“Poi che è successo?”
“Ho capito che la mia famiglia non sarebbe mai venuta a cercarmi, che i miei fratelli maggiori non avrebbero mai potuto trovarmi neanche volendo, se mio nonno non lo avesse voluto. Ai miei fratelli più grandi dissero la verità, i piccoli immagino che mi videro semplicemente svanire da un giorno all’altro… Mi chiedo spesso se e quanto si ricordino di me.”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia mentre smetteva di giocherellare con la sabbia per guardare il Mare, tornando a chiedersi per la prima volta dopo diverso tempo se e quali ricordi serbassero di lui i suoi numerosissimi fratelli. I più piccoli, che avevano semplicemente smesso di vederlo dall’oggi al domani, si ricordavano di lui in qualche modo? Qualcuno aveva mai fatto domande sulla sua morte improvvisa? E chissà se i fratelli più grandi lo avevano mai cercato.
“Dio, che cosa disgustosa. Non li hai mai cercati?”
“Mi sono fatto delle altre famiglie, in qualche modo. I bambini dell’orfanotrofio all’inizio mi guardarono con diffidenza, non parlavo la loro lingua e avevo questi… questi assurdi capelli senza colore. Ma poi mi accettarono e furono gentili con me, mi insegnarono anche la loro lingua. Non hanno mai capito perché sono nato così, sai, mia madre propose di portarmi da un medico Babbano quando ero molto piccolo, ma ovviamente mio nonno non se ne curò. Penso che si sarebbe strappato un arto, piuttosto che portare uno dei suoi nipoti da un Babbano.”
Artemy pronunciò quella parola con tutto il disprezzo di cui era capace, scimmiottando il tono che tante volte aveva sentito utilizzare dal nonno paterno mentre sollevava la testa per scrutare il cielo sopra di loro coperto da soffici nubi rosa simili in tutto e per tutto a batuffoli di zucchero filato. Da piccolo sognava di toccarle, quando ancora viveva in una bella casa con la sua famiglia e la vita non sembrava poi così difficile.
“Per un paio d’anni ho smesso completamente di parlare russo o thai, ero così furioso con la mia famiglia che non voleva più saperne niente, volevo dimenticare. Poi un giorno una nave thailandese si arenò vicino all’orfanotrofio e insistettero per mandarmi in veste di traduttore. Di lì a poco ho smesso di vivere all’orfanotrofio, mi sono trasferito nella città più vicina e ho iniziato a lavorare, facevo le pulizie e sognavo di andarmene dal Vietnam. È lì che ho riscoperto la danza, facevo le pulizie in una scuola di danza classica, e ho conosciuto una ragazzina, Tien, che viveva sopra ad uno strip club. Mi propose di trasferirmi lì visto che ovviamente non avevo molti soldi, ed è lì che mi sono fatto un’altra famiglia, per così dire. Un mondo luccicante fatto di piume, strass e risate, dove tutti erano gentili con me e tutti si spogliavano per qualcun altro… Ho iniziato a fare le pulizie anche lì come secondo lavoro, poi la donna che mi aveva assunto precedentemente mi licenziò perché non voleva avere a che fare con qualcuno che lavorava in una sorta di bordello.”
“Quando ero piccolo ero bravissimo nella danza classica. Adoravo esibirmi, era l’unico momento in cui esistevo soltanto io. Non i miei fratelli, io e soltanto io. Grazie a Tien ho ripreso a ballare dopo molti anni, anche se in un modo diverso.”
Artemy sorrise e Medea lo imitò, appoggiando la testa sulla sua spalla mentre tornava a circondargli affettuosamente il braccio con il proprio: si sentiva così male ad ascoltare la sua storia, e al tempo stesso sapeva di non poter fare nulla per lui, che tutti quegli eventi orribili erano passati e che niente avrebbe potuto cancellarli. L’unica cosa che Medea riuscì a fare fu cercare di trasmettergli un po’ di affetto, come sua nonna faceva sempre con lei nei momenti di sconforto.
“Scommetto che sei bravissimo sui tacchi.”
“Lo sono eccome. Ma tu sei più brava a fotografare, ad ognuno i suoi talenti.”

Artemy appoggiò il capo contro quello della strega, scrutando insieme a lei il riflesso del Sole sul Mediterraneo mentre la sera avanzava inesorabile verso di loro.
La sua famiglia non lo aveva voluto e lo aveva allontanato, o almeno parte di essa, ma per fortuna era riuscito a farsene altre. I suoi amici erano la sua famiglia da quasi tutta la sua vita e un po’ gli dispiaceva l’idea di aver inaspettatamente stretto un legame di quella natura a Monte Carlo, dove era giunto pensando di trascorrere semplicemente qualche settimana di relax con qualche cliente occasionale.
“Credo di essermi abituato alla tua compagnia… Penso che un po’ mi mancherai.”
“Non ce ne andiamo mica al fronte, quando partiremo. Possiamo rivederci, basta una Passaporta. Non sparirò nel nulla, promesso.”
Medea sollevò la testa per scoccargli un sonoro bacio su una guancia, provocandogli un rarissimo sorriso imbarazzato che fece scoppiare a ridere la bella strega: lui, col lavoro che faceva, si imbarazzava per un suo bacetto?
“Non sono abituato a troppe manifestazioni d’affetto, la natura del mio lavoro è ovviamente tutt’altra. Stupida.”
Medea sorrise mentre Artemy le assestava una lieve gomitata sul fianco, strizzandogli l’occhio prima di alzarsi e spolverarsi la sabbia dai pantaloncini a sacchetto a vita alta:
“Che ne pensi di andare a cena? Ho una voglia matta di sushi.”
“Ci sto, ma pago io. A volte mi diverte spendere per la compagnia altrui, lo trovo ironico.”

 
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Anjali aveva appena finito di gustare il miglior Île flottante aux amandes caramélisées(1) della sua vita, ma persino il suo amore cieco per la cucina francese quella sera era sceso in secondo piano a causa del suo accompagnatore: era stata così presa da lui per tutta la sera da badare a malapena ai cibi deliziosi che aveva assaporato. Il che, trattandosi di una cena al Cafè de Paris, uno dei suoi ristoranti preferiti al mondo, rappresentava un vero e proprio evento.
Alphard le stava raccontando dei suoi incidenti di percorso durante l’ideazione del suo particolarissimo liquore senza mai distogliere gli occhi castani dal suo viso, o smettere di accarezzarle con delicatezza l’incavo del braccio che la donna aveva appoggiato sul tavolo con l’indice e il medio uniti della mano destra. Quando Anjali rideva anche lui accennava un sorriso, guardandola con un che di adorante – quasi una parte di lui stentasse a credere di star vivendo davvero quel momento – e godendosi quel suono meraviglioso e delicato con la consapevolezza di essere stato lui a provocarlo.
“Hai una risata deliziosa. Sei deliziosa in tutto ciò che fai o dici. Scommetto che sei una di quelle donne che riescono persino a starnutire in quel modo così delicato e adorabile da risultare quasi irritante.”
Per certi versi Anjali era così perfetta da risultare quasi irritante, ma Alphard, che aveva sempre amato le cose belle, si godeva di quella perfezione. Ancora stentava a credere di aver incontrato una donna tanto bella e dolce, Anjali esercitava su di lui un tale magnetismo che avrebbe potuto trascorrere il resto della sua vacanza senza mai separarsi da quei meravigliosi occhi chiari e da quella voce dolce e delicata quanto una carezza sul viso.
“Non confermerò e non smentirò. La mia Ammu ci ha sempre tenuto molto alle buone maniere e di fare di me una signorina educata e composta… E lei era sempre così magnifica ed elegante che io stessa volevo essere come lei. La mia Ammu è la donna più bella che esiste al mondo.”
Anjali chinò lo sguardo sulla mano di Alphard, prendendo a far scorrere dolcemente il proprio indice sul palmo per sfiorarne le linee che lo solcavano mentre l’uomo invece la guardava, attonito e divertito al tempo stesso, e attorno a loro camerieri e ospiti seduti sugli eleganti tavolini circolari che si affacciavano sulla Place du Casino scoccavano ai due occhiate un po’ cariche d’ammirazione, un po’ d’invidia, un po’ intenerite per il modo in cui non riuscivano a stare seduti vicini senza guardarsi o toccarsi:
“Stai dicendo che tua madre è più bella di te? Non me la bevo.”
“Invece è così.”
“Siete di stirpe divina, per caso?”
Un sorriso allargò le labbra carnose di Anjali, che scosse la testa con un movimento appena percettibile del capo senza smettere di osservare la mano di Alphard con i grandi occhi grigio-azzurri:
“No. Ma mio padre lo dice sempre, di essere stato molto fortunato… Il loro è stato un matrimonio combinato, ma sono felici, stanno molto bene insieme. Lo avevano proposto anche a me, qualche anno fa.”
“Davvero?”
Alphard non aveva idea di che cosa avesse portato Anjali ad evitare un matrimonio combinato, ma mentre la guardava spalancando leggermente gli occhi e sollevando entrambe le sopracciglia per la sorpresa – anche se proveniva da famiglie molto benestanti e da ambienti altolocati per lui le unioni di quel tipo rappresentavano un mondo lontano ed inarrivabile – non poté fare a meno di provare un profondo moto di sollievo, grato alla sorte di avergli permesso di incontrarla mentre la strega annuiva piano senza smettere di sfiorargli il palmo con l’indice:
“In India si usa ancora molto, ma io all’epoca mi rifiutai fermamente perché ero…”
Questa volta Anjali si interruppe, esitando prima di far scivolare la mano da quella di Alphard e tornare a guardarlo accennando un lieve sorriso con gli angoli delle labbra, mal celando una punta di disagio che unita alle sue parole incuriosì fortemente l’uomo:
“Scusa, non so perché scendo così nei dettagli. Ci conosciamo da poco, probabilmente è inopportuno.”
“No, anzi, mi interessa, raccontami pure tutto ciò che vuoi. Voglio conoscerti meglio.”
Non era particolarmente usuale per lui nutrire un sincero interesse per le persone con cui usciva, ma Alphard accantonò rapidamente quella considerazione mentre Anjali, dopo averlo guardato con gratitudine e sorpresa, annuiva prima di distogliere lo sguardo dal suo viso per iniziare a giocherellare distrattamente con il proprio tovagliolo, quasi volesse evitare il contatto visivo durante il suo racconto:
“All’epoca ero fidanzata. Siamo stati insieme per quattro anni, da quando ne avevo 24  fino a due anni fa. Lo avevo conosciuto di sfuggita a Beauxbatons, lui era un anno più vecchio di me, e poi tempo dopo ci siamo incontrati di nuovo al matrimonio di una mia ex compagna di classe.”
“Pensavo che prima o poi ci saremmo sposati. Due anni fa mi stavo domandando se volesse chiedermelo, ma poi un bel giorno ho scoperto che no, non me l’avrebbe chiesto visto che era troppo occupato a farsi la sua segretaria di nascosto.”
Alphard sbattè le palpebre, certo di aver frainteso anche se non aveva mai sentito Anjali parlare con tanta franchezza: il suo ex fidanzato l’aveva tradita? Persino lui, allergico da tutta la vita alle relazioni stabili, non solo era sempre stato fermamente contrario al tradimento, ma trovava inconcepibile che un uomo potesse sognarsi di tradire Anjali Kumar. Come poteva un uomo averla e volere qualcos’altro? La strega invece smise di giocherellare col tovagliolo per guardarlo, accennando un sorriso amaro mentre annuiva e ripensava alle sue ultime conversazioni con Georges e in particolare il momento in cui aveva spedito tutti i suoi vestiti e le sue valige fuori di casa con la magia.
“Sì, è un bel cliché, vero? Glielo dissi, che avrebbe potuto fare di meglio. Essere quantomeno un po’ più originale. Penso sia per questo che, per quanto apprezzi le lusinghe, ora mi fanno meno effetto… Possono lusingarti e ripeterti quanto sei bella fino allo sfinimento, ma a che serve?”
“E lui che cosa disse?”
“Oh, sai, le solite cose. Che è sempre colpa di tutti e due eccetera. Forse non ero una buona fidanzata come credevo, dopotutto… Ma poi ammise che pensava di lasciarmi da qualche tempo, ma che non l’aveva fatto per non perdere i privilegi legati alla mia famiglia. Credo che sia stata quello a ferirmi di più, a conti fatti.”
Anjali, dopo aver ripreso a concentrarsi sul tovagliolo per non dover incontrare il suo sguardo mentre terminava il racconto, tornò a guardarlo con un velo di malinconia ad adombrarle il bellissimo viso e Alphard, osservandola, si chiese come avesse potuto il suo ex essere tanto stupido e tanto stronzo al tempo stesso. Anche se la conosceva da poco non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto meritarsi un simile trattamento.
“Ti è mai capitato di pensare che la gente fosse gentile con te solo per il tuo denaro?”
“Certo. Non voglio piagnucolare per la ricchezza della mia famiglia, trovo stupido e snervante chi lo fa, ma penso che per persone come noi sia normale. Ma stare con qualcuno per tanto tempo e illuderlo è diverso. Mi dispiace, ma penso che sia stato un bene che tu l’abbia scoperto, alla fine. Sono sicuro che starai molto meglio senza di lui.”
Alphard allungò di nuovo una mano per posargliela gentilmente sul braccio, accarezzandole la pelle morbida e liscia accennando un sorriso garbato, anche se avrebbe tanto voluto scoprire il nome del tizio in questione per chiedergli come si fosse permesso di far soffrire una creatura tanto bella e delicata. Quello e poi prenderlo a calci.
Mon Dieu, oui. Mi dispiace aver perso anni della mia vita con una persona così, ma per fortuna ora è un ricordo lontano. Anche se ammetto che negli ultimi due anni il mio rapporto con gli uomini è stato difficile, avevo sempre l’impressione che tutti mi stessero attorno solo per il mio cognome, il denaro o il mio aspetto.”
L’espressione della strega si rabbuiò e Alphard, colto da un inusuale moto di tenerezza, si allungò sul tavolo per avvicinarsi alla donna e metterle delicatamente una mano sul viso, parlando in un sussurro tenendosi a pochi centimetri da lei e con gli occhi castani incatenati ai suoi:
“Anjali, ascolta. Sei così bella da rendere impossibile non guardarti quando entri in una stanza… Davvero, trovo che tu sia bella quasi da far star male. Ma se ti trovassi solo bella dopo ieri notte forse ora non sarei qui con te, e lo dico riconoscendo di non essere il miglior uomo che esista.”
Anjali sorrise, quel sorriso tenero che quella mattina, quando lo aveva ammirato appena sveglio, Alphard si era ritrovato a contemplare desiderando di poterlo scorgere ininterrottamente per giorni interi. La strega appoggiò la sua mano su quella di Alphard e poi se la fece scivolare dal viso per sollevarla e depositarci sopra un bacio, mormorando un sommesso ma sincero “Grazie” prima che l’uomo, dopo averle sorriso di rimando, proponesse di tornare in Hotel.
 
La breve distanza fino al Le Mirage i due la attraversarono tenendosi mano nella mano, finchè Benoit non aprì loro la porta d’ingresso e non salirono in ascensore: quando le porte di metallo si chiusero Alphard, approfittando dell’assenza di altre persone, le prese delicatamente il viso tra le mani per accarezzarle le guance con i pollici e guardarla speranzoso, perdendosi ancora una volta nelle grandi iridi chiare della strega.
“Sarebbe troppo chiederti di restare da me anche stasera?”
Per fortuna, e con gran sollievo dell’imprenditore, il viso di Anjali si aprì in un largo sorriso: la strega scosse la testa mentre sollevava le braccia per allacciare le mani sul retro del suo collo, allungandosi verso di lui per baciarlo mentre scuoteva la testa:
Non.”
“È un sollievo. Sai, non mi sono mai dovuto preoccupare di poter risultare appiccicoso, fino ad ora.”
“È un effetto collaterale che causo. È difficile rinunciare alla mia presenza, quando ci si abitua.”
Anjali sfoggiò un sorriso divertito mentre le porte dell’ascensore si aprivano, accompagnate dal consueto scampanellio metallico, e Alphard ricambiò mentre la strega lo prendeva per mano, conducendolo fuori dall’abitacolo verso la sua Suite. Con gran sollievo di Anjali, tuttavia, questa volta non c’era traccia di Joël nel largo corridoio del primo piano.
Chissà come se la cavava il suo amico alle prese con le peine d’amor.
 
Un paio d’ore più tardi, Anjali giaceva comodamente raggomitolata sotto le lenzuola pregiate del letto di Alphard – questa volta con addosso la sua camicia da notte di raso che si era premurata di recuperare dalla sua stanza –, gli occhi chiusi e un accenno di sorriso rilassato sulle labbra carnose mentre le braccia di Alphard la stringevano in modo da far aderire perfettamente la sua schiena contro il suo petto. Era quasi sul punto di addormentarsi quando Alphard sussurrò il suo nome, destandola dal suo stato di dormiveglia e depositandole un bacio tra i lisci capelli scuri che le coprivano la nuca:
“Anjali?”
“Sì Alphy?”
“Lui è stato il più grande coglione del mondo. Non permettere mai più a nessun altro di minare la tua autostima.”

 
*

 
Apprendere che i suoi amici non avevano mai vissuto l’esperienza del bagno notturno in mare era stato un duro colpo per Silas, la cui mascella si era snodata quando, seduto ad un tavolino del bar insieme ad Asher e a Meadow dopo aver finalmente finito le sue mansioni della giornata, aveva accennato all’ultima volta in cui gli era capitato di farlo un paio d’anni prima e i due avevano dichiarato con candore di non aver mai provato a fare il bagno di sera.
“State scherzando?! Che vita avete vissuto fino ad ora?”
“Non quella di chi ha amichetti fighetti con lo yacht di papino che ti invitano sulla loro barca per una festa, ho idea.”
“Io vivo in Massachusetts…”
Silas non aveva voluto sentire ragioni, aveva intimato ad entrambi di andare a mettersi il costume e poi di ritrovarsi tutti insieme nella Hall entro un quarto d’ora al massimo, spalmandosi una mano sul viso quando dirigendosi verso gli ascensori aveva sentito Asher e Meadow chiedersi se avrebbero dovuto mettersi la crema solare.
“Devo insegnarvi proprio tutto.”
“Detto da uno che ha imparato a leggere l’ora a 13 anni…”
“MEADOW, TE L’HO DETTO IN CONFIDENZA! E comunque non è facilissimo per tutti!”
 
Un quarto d’ora dopo i tre erano di nuovo nella Hall, infradito ai piedi, i costumi infilati sotto ai vestiti e un asciugamano per uno sottobraccio – quello di Asher inevitabilmente color zucca e quello di Meadow ricoperto da tante piccole fette di pizza –. Uscirono dall’edificio ignorando le occhiate oblique che gli elegantoni di passaggio riservarono loro e poi iniziarono a risalire Avenue de la Madone per cercare un angolo isolato da cui potersi Smaterializzare senza essere visti. Dovettero aspettare quasi venti minuti per trovare un momento di tranquillità e privo di turisti nei paraggi, ma riuscirono infine ad apparire in una stradina che si trovava a pochi minuti a piedi dall’unica spiaggia libera del Principato.
I tre si incamminarono sul marciapiede uno accanto all’altro, diretti verso il lungomare illuminato dalle alte file di lampioni e pieno di famiglie e coppie che passeggiavano, mentre Asher si convinceva sempre di più di trovarsi nel posto meno adatto a lui in tutto il continente e Meadow tempestava Silas di domande
“Com’è possibile che ci sia una sola spiaggia libera?!”
“Siamo nell’angolo di mondo più snob d’Europa e ancora ti sorprendi? Le altre sono tutte riservate agli Hotel che si affacciano sul Mediterraneo. Glielo dico sempre, a papà: “Dovevi comprare proprio quello che non ha la spiaggia?!”, sarebbe stato fantastico potersi anche prendere il sole in santa pace solo uscendo.”
“Oh, poverino, povero piccolo, il suo papà non gli ha comprato l’Hotel in riva al mare ma solo quello con due piscine, una terrazza stratosferica e il giardino sul retro con anche la spa…”
Meadow scosse la testa fingendosi comprensiva e dispiaciuta per l’amico, dandogli qualche piccolo colpetto sulla spalla destra mentre Silas si lamentava delle sue prese in giro costanti – non era certo colpa sua se era nato in una famiglia ricca! – e Asher restava sorridendo in silenzio per non rischiare di schierarsi e offendere qualcuno dei due.
 
Una decina di minuti dopo i tre avevano disteso i loro asciugamani – Meadow fece appello a tutto il suo autocontrollo per non fare commenti su quello firmato Porche di Silas, di fronte all’espressione dell’amica sostenne che glielo avessero regalato quando aveva preso l’auto – sulla sabbia ancora leggermente tiepida grazie alle ore ed ore di esposizione ai cocenti raggi solari e si erano tolti i vestiti per fare il bagno. Silas si era immerso completamente nell’acqua salata nel giro di un minuto scarso, lasciandosi indietro i due amici e ridendo quando li vide in piedi sulla riva, immersi solo fino alle ginocchia e visibilmente titubanti.
Non ditemi che siete quelle persone che per entrare in acqua ci impiegano secoli!”
“Ma è fredda!”
Sì, Asher era esattamente quel tipo di persona, e indicò mesto l’acqua scura mentre Meadow, sbuffando piano, lo prendeva per mano per farsi forza a vicenda e riuscire ad affrontare l’acqua gelida:
“Dai, andiamo, o ci sfotterà in eterno. Carino il tuo costume arancione, comunque.”
“Grazie, non sai quanto l’ho cercato di questo colore. Anche il tuo è bello.”
Asher accennò con un sorriso al costume intero rosso scollato sulla schiena di Meadow, che ricambiò il sorriso e ringraziò l’amico mentre Silas galleggiava nell’acqua buia qualche metro più avanti, in attesa e minacciando di schizzarli se non si fossero dati una mossa.
Schizzami con quest’acqua freddissima e io ti taglio i capelli nel sonno, Silas St John. Ora arriviamo!”
“Speriamo non ci siano meduse!”
Asher deglutì mentre si guardava attorno, leggermente preoccupato dall’assenza di luce che non gli avrebbe consentito di vedere qualsiasi cosa, ma Meadow gli suggerì di non pensarci e tenendolo per mano lo costrinse dolcemente a seguirla, avanzando per poter raggiungere Silas. I due erano finalmente riusciti ad immergersi fino alle spalle, rabbrividendo un poco quando ebbero il primo contatto con l’acqua fredda, quando raggiunsero l’ex Grifondoro e il ragazzo, dopo essersi immerso completamente ed esserti tirato indietro i capelli bagnati sulla testa, rise facendo loro un piccolo applauso di scherno. Meadow, per sua sfortuna, si vendicò gettandosi su di lui e afferrandogli la testa per spingergliela sott’acqua.
 
 
Asher era uscito dall’acqua rabbrividendo per il freddo e non aveva esitato a recuperare il proprio asciugamano per sedersi sulla sabbia avvolgendoselo completamente attorno alle spalle. Il ragazzo rimase seduto a guardare Meadow e Silas schizzarsi a vicenda con i piedi sulla riva, abbozzando un sorriso quando vide Meadow strillare e iniziare a correre quando Silas recuperò un po’ di sabbia bagnata per spalmargliela addosso. Mentre la ragazza lo minacciava di morte e l’amico la inseguiva fino a raggiungerla – non era poi così difficile intuire chi fosse il più atletico dei tre – e afferrarla per ricoprirla di sabbia bagnata Asher pensò a quanto sarebbe stato strano lasciare Monte Carlo e salutarli. In fondo loro avrebbero avuto sicuramente modo di vedersi spesso, Silas trascorreva la maggior parte dell’anno in Inghilterra, ma lui viveva letteralmente dall’altra parte dell’Oceano. Era davvero felice di averli conosciuti ed era consapevole che la loro presenza avesse allietato moltissimo la sua estate altrimenti molto solitaria, ma non riusciva a fare a meno di immaginare i loro saluti con una fastidiosa morsa all’altezza dello stomaco.
Asher si chiedeva, soprattutto, se avrebbe dovuto essere sincero con loro e parlargli di Ridge. Non voleva rovinare il bel rapporto che avevano costruito nelle precedenti settimane, ma al tempo stesso l’idea di andarsene dal Principato senza avergli detto tutto lo faceva sentire un amico non del tutto sincero. Dopotutto, per permettere a Silas e a Meadow di conoscerlo davvero avrebbe dovuto aprirsi al 100%.
 
“Asher, saluta Cespuglio e se hai ancora qualcosa da dirgli fallo ora, perché domani sarà un uomo morto.”
Dopo essersi rituffata in acqua per togliersi la sabbia di dosso Meadow raggiunse l’ex Magicospino strizzandosi i lisci capelli neri e gettando occhiatacce in direzione di Silas, che invece sfoggiava il suo solito sorriso innocente e scanzonato mentre sedeva accanto ad Asher sul proprio asciugamano e appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia, per nulla infreddolito. Meadow invece imitò Asher e sedette alla sua destra, gettandogli un’occhiata incerta quando notò l’espressione tesa sul viso dell’amico:
“Guarda che scherzavo, non voglio ucciderlo davvero, insomma, prima devo almeno finire la vacanza per non destare sospetti…”
“No, è che… C’è una cosa che non vi ho ancora raccontato, ma non voglio farvi cambiare idea su di me.”
“Asher, sei il ragazzo più dolce e carino che io abbia mai conosciuto, per favore, non mi faresti mai cambiare idea su di te. A meno che tu non abbia ucciso qualcuno, certo.”
Meadow sorrise mentre assestava una lieve, giocosa gomitata all’amico, che però continuò a tacere e a fissare cupo la sabbia ai suoi piedi. Di fronte al silenzio del ragazzo la strega sbarrò gli occhi e sollevò di scatto la testa verso Silas, che guardava accigliato l’americano, chiedendogli in labiale se pensava che Asher avesse davvero ucciso qualcuno. L’ex Grifondoro alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa prima di stamparsi un sorriso rassicurante sulle labbra e stringere la spalla sinistra di Asher con una mano:
“Asher, non devi raccontarci tutto, ma se vuoi farlo prometto che non ti giudicheremo. È questo che fanno gli amici, a parte quella rompi palle di Meadow che mi sfotte sempre per i miei gusti raffinati e per la mia aiuto. Ma prometto che non lo faremo.”
“So che lo pensi davvero, ma credimi, è impossibile che riusciate a non farlo.”
“Faremo del nostro meglio. Ricordi quanto ci hai detto di essere gay? Non ce ne è importato assolutamente nulla, forse ti preoccupi per niente e andrà così anche questa volta.”
Asher annuì mentre disegnava ghirigori sulla sabbia con l’indice, sforzandosi di credergli. Era sicuro che si sarebbe sentito molto meglio se si fosse finalmente aperto con qualcuno, e dopo un lungo sospiro si decise a parlare:
“Avete presente il mio capo? Richard?”
Biondo, alto, bello, sguardo di ghiaccio, atteggiamento distaccato e di superiorità. Sì, certo.”
Meadow annuì seria, ricordando quando appena arrivata all’Hotel aveva semplicemente provato a chiacchierare e l’uomo l’aveva trattata con una freddezza raggelante. E pensare che aveva notato lui e non Joël Moyal. Stupida Meadow, stupida!
“Ho una relazione con lui.”
Asher non osò sollevare la testa per assistere alle reazioni dei due amici, continuando a stringersi mesto nel suo asciugamano e a fissare tristemente la sabbia mentre Meadow spalancava le labbra e lei e Silas si guardavano, esterrefatti:
“Tu hai… Per tutti i boxer di Merlino, questo plot twist non me l’aspettavo proprio! Io e Silas andiamo a caccia di drama da settimane e ce lo avevamo sotto agli occhi?!”
Porco Godric, la fotografa non sarà mica stata assunta dalla moglie, quella che si chiama come quella di Beautiful…”
Silas, guardi Beautiful?!”
Non io, mia madre, non cambiamo argomento!”
“Onestamente non ne ho idea. Non credo che Brooke sospetti qualcosa, a dire il vero… Ma sto vivendo un’ansia che non potete immaginare, devo capire se quella ragazza ha a che fare con lei. In ogni caso so che sto facendo una cosa orribile, sbagliatissima e deplorevole e giuro che mi sento malissimo tutto il tempo, ma spero che vogliate comunque continuare ad essermi amici.”
Asher appoggiò il mento sulle propria ginocchia, circondandosi le gambe con le braccia per occupare il minor spazio possibile mentre Meadow e Silas, dopo essersi scambiati un’ultima occhiata stralunata, tornavano ad osservarlo. La ragazza sorrise e gli circondò le spalle con un braccio, asserendo gentilmente che fosse un cretino per averlo pensato mentre Silas, annuendo, gli chiedeva di spiegarsi meglio:
“Raccontaci tutto per bene, così ci capiremo di più. Ma certo che resteremo tuoi amici comunque, insomma, io non sono mai stato con una donna sposata ma di cose discutibili ne ho fatte anche io, stanne certo. Un paio di volte sono uscito con due ragazze nello stesso momento, alcune le ho scaricate non troppi gentilmente e una volta ci ho provato con una fidanzat-“
“Taci Casanova, non stiamo parlando di te, fa’ parlare Asher!”
Silas strinse le labbra, trattenendosi dal far sapere all’amica che stesse diventando sempre più simile ad una sua vecchia prozia acidissima per lasciare che Asher potesse spiegarsi mentre Meadow gli dava qualche colpetto incoraggiante sulla schiena. Chissà perché lo maltrattava sempre, mentre con lui diventava uno zuccherino!

 
*

 
Tutto ciò che Sabrina St John desiderava era potersi riposare un po’ senza pensare a niente e senza nessuno a disturbarla: aveva trascorso la notte precedente quasi senza chiudere occhio e quella era stata decisamente una giornata intensa, se a tutte le sue esagerate ore di lavoro si sommava l’ingombrante presenza di Joël Moyal nella sua testa. Poteva quasi udire distintamente la voce di suo padre, che le aveva telefonato poco prima per chiederle come stesse – con un tempismo curioso, ma Sabrina aveva stabilito di non avere le energie per fare elucubrazioni quella sera – suggerirle di alleggerire il proprio carico e di riposarsi, ma per certi versi lavorare rappresentava l’espediente migliore per non pensare ai suoi problemi personali e proprio per questo la strega ci si era buttata a capofitto.
Bonsoir Odette.”
Sabrina salutò Odette con un cenno del capo e un lieve sorriso mentre attraversava la Hall deserta per raggiungere la cucina – chiusa da parecchio, ma voleva controllare la cantina prima di andare a dormire – i suoi passi scanditi come sempre dai tacchi delle sue scarpe che moriva dalla voglia di sfilarsi per sostituirle a delle morbide, comodissime pantofole. Odette ricambiò il sorriso e il saluto, distogliendo lo sguardo dallo schermo dell’iMac per gettarle una rapida occhiata mentre Sabrina si addentrava nella sala interna del ristorante che credeva deserta e dove invece finì con lo scorgere niente meno che Joël, seduto sull’ottomana del pianoforte dandole le spalle. Il musicista non stava suonando – altrimenti si sarebbe ben guardata dall’avvicinarsi –, si limitava ad osservare pensoso i tasti d’avorio del pianoforte e a disegnare forme astratte con l’indice su un Fa reggendosi mollemente il capo con la mano destra. Sabrina si fermò di colpo, gli occhi sgranati, maledicendo mentalmente Odette per non averla avvisata – dovevano per forza aver formato una coalizione, lei, Michel e forse anche Pierre, che le aveva candidamente suggerito di controllare la cantina quella sera per togliersi un impiccio  dal giorno seguente – mentre scrutava la figura di Joël avvolta dalla semioscurità interrogandosi sul da farsi. Mai come quella sera si pentì di aver indossato dei tacchi quando provando ad allontanarsi lui inevitabilmente udì il suono dei suoi passi sul pavimento: il mago smise di osservare la tastiera del pianoforte e si voltò verso di lei, accennando un sorriso mentre si alzava in piedi.
“Scusa, non sapevo che fossi qui. Non volevo disturbare.”
Sabrina indietreggiò con un paio di passi prima di voltarsi, allontanandosi a fatica dalla stanza mentre una parte di lei sperava che lui non la seguisse e l’altra invece quasi agognava il contrario; si trovava di nuovo nella Hall quando sentì il suono dei passi di Joël alle sue spalle anticipare la sua voce, che la chiamò con urgenza e decisione:
“Sabrina, aspetta!”
Quello fu il momento in cui Odette decise di dover sparire brevemente dalla circolazione e mentre Joël seguiva Sabrina nella Hall la donna si allontanò silenziosamente dal bancone della reception per recarsi nella stanza accanto senza dare nell’occhio, pur certa che i due fossero così concentrati l’uno sull’altra che non avrebbero fatto caso a lei nemmeno se si fosse congedata facendo esplodere dei fuochi d’artificio.
 
I momenti di debolezza era sempre stati cosa rara nella vita di Sabrina Marie St John, una vita rigorosa, segnata dall’assenza di suo padre, dalla sua malattia e da tutto ciò che sua madre le aveva imposto. Da che aveva memoria, Sabrina ricordava di aver sempre seguito una dieta molto rigida: sua madre non le faceva mangiare il gelato, i dolci con la panna, i succhi di frutta o le bibite salvo casi eccezionali, tutti alimenti che avrebbero nuociuto al suo apparato cardiocircolatorio e la cui assenza l’aveva sempre fatta sentire una bambina diversa dagli altri. Aveva pregato sua madre di permetterle di sfruttare il suo talento nel nuoto e di gareggiare per anni, ma senza successo: Sandrine e Gideon non glie l’avevano mai permesso, e anche se dopo vent’anni Sabrina riconosceva le loro ragioni la frustrazione che aveva provato all’epoca era stata talmente cocente da poterla rivivere ancora. A volte le bastava chiudere gli occhi e sentirsi ancora quella bambina troppo magra che guardava il suo fratellino mangiare kg e kg di gelato e che sognava di vincere una medaglia per mostrarla a suo padre con orgoglio.
Forse in fondo era questo che aveva sempre invidiato, e mai perdonato, a Silas: lui non solo aveva avuto un padre che a lei spesso era mancato, lui era stato un bambino come gli altri. Lui aveva avuto tutto. Ogni minuto della sua infanzia, al contrario, era stato segnato dall’assenza di Gideon e dalla sua malattia.
Quali erano i momenti di debolezza presenti nella vita adulta di Sabrina Marie St John? Gli sporadici dolci che sempre le erano stati negati, qualche cucchiaiata di gelato, talvolta dello Champagne che non avrebbe dovuto sorseggiare. E nuotare, far vivere suo padre col fiato sospeso quando si dirigeva in spiaggia per fare snorkeling o immersioni dopo aver ingerito dei betabloccanti. Sabrina adorava immergersi in mare, restare sola con i pesci, in pace e in silenzio, senza nessuno a dirle che cosa non dovesse fare o che cosa fosse meglio fare, peccato che quell’esperienza finisse sempre troppo presto e si ritrovasse puntualmente a dover tornare alla realtà, ai consigli, ai giudizi e alle limitazioni.
La sera prima di certo lo era stato, un momento di debolezza. Forse avrebbe preferito tornare all’Hotel di pessimo umore, reduce da una serata terribile e sentire la sua infatuazione per Joël scivolarle via dal corpo e dalla mente, sarebbe stato infinitamente più semplice. Lui invece non solo era ancora nella sua testa, ma ora la stava anche seguendo nella Hall, evidentemente intenzionato a non farsi liquidare facilmente e a non permetterle di sfuggire non solo a lui, ma anche a ciò che provava.
Alla fine Sabrina, incapace di fuggire fino in fondo, si fermò a pochi metri dalla porta che avrebbe condotto al suo appartamento, voltandosi verso Joël facendo muovere sinuosamente la gonna bianca del vestito attorno alle gambe lunghe e abbronzate per sforzarsi di sostenere il suo sguardo. La strega incrociò le braccia esili al petto, quasi sentisse il bisogno di proteggersi da qualcosa, e lo guardò fermarsi davanti a lei prima di guardarla con sconcerto scuotendo lentamente la testa, i grandi occhi blu fissi sul suo viso:
“Perché fai così? Sono sicuro di non parlare per effetto di allucinazioni se penso, anzi so, che ieri sera sei stata bene con me. Perché adesso fuggi?”
“È complicato.”
“A meno che tu non sia segretamente sposata sono sicuro che non lo è affatto.”
“Non sono sposata.”
Nel vederla accennare un sorriso anche l’espressione di Joël si rilassò, ma continuò ad indugiare ad un paio di metri da lei tenendo le braccia abbandonate lungo i fianchi e senza riuscire a smettere di guardarla:
“Ottimo. Nemmeno io, quindi non c’è nulla di complicato.”           
Joël sapeva, naturalmente, di piacere alle donne. Lo sapeva da almeno quindici anni e ne aveva sempre approfittato, e nonostante la reticenza di Sabrina era sicuro che anche lei non facesse eccezione, altrimenti non sarebbe uscita con lui e non si sarebbe quasi lasciata baciare. Il distacco che la strega aveva manifestato dall’inizio della giornata rappresentava invece un mistero: certo, Joël sapeva di piacere alle donne, ma non si sarebbe mai sognato di comprenderle.
Il mago accennò un sorriso di rimando, ma quando mosse un passo verso di lei Sabrina indietreggiò di riflesso, scuotendo lentamente la testa mentre lo guardava con gli occhi scuri pieni di tristezza e le braccia strette al petto con vigore, quasi pregandolo di non avvicinarsi. Avvicinarlesi significava scendere a patti con il peso che si portava appresso da 29 anni, peso che non tutti avrebbero accettato di condividere e questo Sabrina lo capiva, tanto che l’idea di far soffrire qualcun altro con la propria malattia la spaventava quasi quanto la malattia stessa. Ma se il pensiero di allontanare qualcuno a cui teneva pur di non coinvolgerlo la atterriva, la strega era ancor più terrorizzata dall’idea che fosse quel qualcuno stesso ad allontanarsi, ad un certo punto. Tenere lontana una persona per cui provava qualcosa sarebbe stato difficile e doloroso, ma non quanto vederla andarsene di sua spontanea volontà. E considerando che Joël aveva perso suo nonno proprio a causa di una malattia, molti anni prima, Sabrina avrebbe compreso perfettamente il suo desiderio di tenersi a distanza da altre situazioni simili.
Ma come poteva spiegarglielo, che aveva talmente paura di soffrire da arrivare persino a precludersi qualcosa che magari avrebbe potuto donarle dei momenti di gioia?
“Joël, tu mi piaci molto, non offenderò l’intelligenza di entrambi provando a negarlo, ma non posso.”
“È perché lavori qui e io qui ci alloggio? Perché posso sempre andarmene altrove, se per te è un problema insormontabile.”
“Non è solo questo.”
Sabrina chinò lo sguardo, distogliendolo da quello del musicista mentre indietreggiava tremando leggermente, gli occhi color cioccolato fissi sulle gambe di Joël. Avrebbe voluto pregarlo di smetterla di avvicinarlesi e di renderle tutto ancora più difficile di quanto già non lo fosse.
“E allora cosa?! Io non ti capisco. Se è perché Anjali ti ha riempito la testa di storie su quanto io sia tremendo e inaffidabile… Cazzo, ha ragione, sarebbero tutte storie vere, ma non puoi sapere come andrà se non ci provi.”
Mentre Joël la fissava scuotendo la testa e con gli occhi blu spalancati, impegnato nello sforzo di cercare di comprendere il suo comportamento, Sabrina si ritrovò ad annuire pressoché in automatico, quasi grata a Joël per aver tirato in ballo qualcosa che avrebbe potuto facilmente usare come scusa ma che nascondeva comunque un fondo di verità: non aveva l’energia per farsi spezzare il cuore da lui.
“Io non riesco a smettere di pensare a te da quando sono tornato qui. E forse ti pensavo anche prima di arrivare sapendo che ti avrei rivista. So che la mia tremenda fama mi precede, ma non è una cosa che mi capita spesso.”
Sabrina non rispose, continuando a non guardarlo e a tenere le braccia strette al petto, e Joël ne approfittò per continuare a parlare senza riuscire a smettere di guardarla, chiedendosi – forse anche con una punta di leggero fastidio – perché una persona come lei volesse sprecare la sua vita.
“Sai che ho ragione, ma ti precludi la possibilità di fare qualcosa che potrebbe, Dieu m’en garde(2), farti stare bene. Dieci anni fa hai iniziato a lavorare qui invece di seguire le tue aspirazioni, non ho idea del perché. Sei una delle donne più belle, intelligenti e con carattere che io abbia mai incontrato, avresti potuto avere il mondo ai tuoi piedi eppure non riconosci il tuo valore e così facendo impedisci anche agli altri di farlo… E chissà quanti uomini avranno trascorso le loro vacanze a corteggiarti negli ultimi dieci anni, ma tu li avrai respinti tutti. Per una volta nella tua vita, fa’ quello che vuoi senza pensare al resto o alle conseguenze.”
Questa volta quando mosse un ulteriore passo verso di lei Joël abbozzò un sorriso non vedendola allontanarsi: si fermò davanti a lei mentre la strega ricambiava il suo sguardo con occhi tremanti, immobile, e le scostò con gentilezza una ciocca di capelli dal viso per sistemargliela dietro l’orecchio. Sabrina si disse che forse avrebbe dovuto allontanarsi, ed era quello che faceva sempre, ma era ciò che voleva fare? No, non era ciò che voleva, appurò quando Joël le mise una mano sul viso senza smettere di guardarla: con i tacchi Sabrina era alta quanto lui, permettendo ad entrambi di guardarsi perfettamente negli occhi.
Fu quasi un sollievo per entrambi quando infine Joël la baciò, tenendole una mano sul viso e una sulla schiena mentre Sabrina gli accarezzava i lisci capelli castani con una e il retro del collo con l’altra. Probabilmente non era ciò che avrebbe dovuto fare, ma per una volta decise di concedersi di fare ciò che desiderava e nient’altro, sforzandosi di non pensare alle conseguenze.
 
Odette non aveva idea di cosa stesse succedendo nella Hall, e decise di affacciarsi – del resto non poteva starsene nascosta nella sala del ristorante in eterno – per controllare la situazione con un’occhiata. Quando lo sguardo della strega indugiò sul suo capo e su Joël Moyal, che si stavano baciando abbracciati nel bel mezzo della Hall deserta con l’irruenza di chi si è dovuto trattenere a lungo, Odette spalancò gli occhi castani e le labbra per la sorpresa prima di dare un’occhiata in giro per appurare che non ci fosse nessuno e poi tornarsene da dove era venuta, decisa a lasciarli soli – e soprattutto a non interromperli – con un sorriso compiaciuto ed emozionato sulle labbra: non vedeva l’ora di dirlo a Michel e a Pierre!
 
Quando le loro labbra si staccarono per la necessità di riprendere fiato Joël sorrise, gli occhi azzurri luccicanti mentre Sabrina, le mani ancora strette sulle sue braccia, invece lo guardava seria. Il musicista stava per chiederle, accigliato, se ci fosse qualcosa che non andasse quando la strega lo precedette avvicinando di nuovo il viso al suo per depositargli un rapido bacio sulle labbra e poi prenderlo per mano: Sabrina si voltò e si diresse verso la porta più vicina senza dire una parola, aprendola e varcando la soglia con Joël al seguito. Il bel volto del mago si aprì in un sorriso mentre la seguiva lungo la rampa di scale ricurva che già una volta aveva risalito in compagnia di Anjali, depositandole qualche bacio sull’incavo tra collo e spalla e stringendola delicatamente per la vita quando giunti al piano superiore Sabrina si fermò davanti a lui per aprire la porta del suo appartamento.
“Non riesco ad aprirla se fai così.”
Sabrina smise di armeggiare con la chiave magnetica per voltarsi verso di lui e rivolgergli un tiepido sorriso, un po’ ammonitore e un po’ divertito, mentre Joël allontanava le labbra dal suo collo e sfoderava lo stesso sorriso innocente che gli insegnanti gli avevano visto sulle labbra decine e decine di volte nel corso dei sette anni a Beauxbatons.
“Pardonne-moi.”
Joël si sforzò di non toccarla finchè Sabrina non ebbe aperto la porta, ma la strega aveva fatto appena in tempo ad entrare quando il ragazzo, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, la raggiunse e l’afferrò per costringerla a voltarsi e baciarla di nuovo. Poco dopo Joël allontanò il viso dal suo per guardarsi attorno e cercare traccia di un letto, sospirando con amarezza quando realizzò che si trovava sull’enorme soppalco sopra di loro.
“Scale. Una scelta grandiosa. Dovevamo andare da me.”
Sabrina lo guardò spalancando gli occhi castani con indignazione, intimandogli di non criticare casa sua prima che Joël la baciasse di nuovo facendo vagare le mani lungo la sua schiena, cercando qualcosa che non avrebbe trovato e che infatti lo portò a smettere nuovamente di baciarla per guardarla esasperato:
“Ma dov’è la cerniera?!”
“Non c’è la cerniera. Bottoni.”
Sabrina accennò con una punta di divertimento alla lunga fila di bottoni bianchi presente sulla parte frontale del suo bell’abito midi mentre sfilava i piedi dai sandali col tacco, cercando di non ridere quando Joël sospirò con esasperazione prima di iniziare a sfilarli con urgenza uno ad uno dalle asole.
“Il prezzo da pagare per vederti un così bel vestito addosso.”
Quando ebbe finito di lottare anche contro l’ultimo bottone Joël esultò mentalmente, perdendosi momentaneamente nella contemplazione del bellissimo viso di Sabrina e delle sue labbra arrossate prima di farglielo scivolare delicatamente dalle spalle. Il raso toccò il pavimento e il vestito divenne un soffice mucchio candido ai piedi di Sabrina nell’esatto momento in cui Joël la baciò di nuovo, tremando leggermente quando la strinse a sé e sentì la sua pelle premuta contro i suoi vestiti. Ripensando a quell’esatto momento, l’indomani, Joël si sarebbe ritrovato a considerare di non aver mai provato quella sensazione in vita sua.
 

 
*

 
Sabrina fissava il soffitto bianco sopra di lei, i capelli corti sparsi sul cuscino attorno alla sua testa mentre il petto le si alzava e riabbassava seguendo il ritmo dei suoi respiri ancora leggermente irregolari. La strega deglutì e chiuse gli occhi mentre si portava una mano sul viso per scostarsi i capelli dalla fronte mentre Joël, disteso sul fianco accanto a lei per guardarla, le sfiorava dolcemente la clavicola lasciata scoperta dal lenzuolo candido con un dito:
“Tutto bene?”
Sabrina annuì, mormorando un assenso mentre riapriva stancamente gli occhi per girarsi sul fianco a sua volta. Il corpo le sembrò pesare quanto un macigno e un lieve, appena percettibile sospiro di sollievo si librò dalle sue labbra quando si fu sistemata più comodamente sul materasso, poggiando la mano sul cuscino, accanto a quella di Joël, mentre lui continuava imperterrito a guardarla, quasi volesse imprimere chiaramente quel momento nella sua memoria.
“Ti va bene se resto?”
“Certo.”
Joël accolse l’assenso di Sabrina con un sorriso che si allargò quando vide la strega ricambiare e appoggiare la mano sulla sua, permettendogli di raccoglierla e di accostarsela alle labbra per depositarci un bacio sopra mentre lei si spostava leggermente sul materasso per farglisi più vicina, finchè non si ritrovarono a guardarsi con le teste a solo una decina di centimetri di distanza.
“Ricordi quando ho detto che Anjali avrebbe dovuto regalare una maglietta personalizzata anche a te?”
Joël si protese verso di lei per depositare un lieve bacio sulla punta del naso deliziosamente all’insù di Sabrina, che annuì e parlò senza smettere di guardare le loro mani giacere ancora intrecciate sul cuscino.
Oui, con su scritto “Plus belle femme du monde”.”
“Immagino che tu abbia pensato che ci stessi provando e ovviamente lo stavo facendo, ma sarebbe comunque una scritta adatta a te. Quanti cuori hai spezzato negli ultimi 10 anni, rifiutando le avances di tutti gli ospiti?”
Sicuramente meno di te.”
“E perché non hai spezzato il mio?”
Di nuovo Joël si protese verso di lei per baciarla, questa volta prima sulle labbra e poi tracciando una breve scia che iniziò dalla base del collo di Sabrina e terminò sul suo braccio mentre la donna osservava pensosa un punto indefinito della grande vetrata che ricopriva quasi interamente la parete esterna:
“Ho provato a mettere da parte la mia infatuazione per te, ma non ci sono riuscita.”
Sabrina finì di parlare chiudendo gli occhi e con uno sbadiglio che destò un sorriso sul volto di Joël mentre il musicista tornava ad appoggiare la testa sul cuscino, suggerendole con un mormorio di dormire mentre le scostava con delicatezza delle ciocche di capelli castani dal viso. Erano trascorsi alcuni minuti di silenzio quando Sabrina, che Joël credeva addormentata, sussurrò qualcosa continuando a stringere la mano del musicista e senza aprire gli occhi o allontanare la testa dalla sua: non poteva negare che quella vicinanza un po’ la spaventava, ma al tempo stesso non voleva privarsene.
“Molti anni fa ho promesso ad Anjali che non mi sarei mai fatta spezzare il cuore da te.”
“Chi ti dice che voglia farlo?”

Joël parlò accarezzandole il viso e talmente piano da renderle quasi difficile udire le sue parole, guardandola scuotere piano la testa senza smettere di stringere la sua mano:
“Non so che cosa tu voglia, Joël. Ma per favore, non lo fare.”


 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): Dessert tipico francese, letteralmente “isola fluttuante”, composto da una base di crema inglese arricchita da una meringa, caramello e mandorle.
(2): “Dio non voglia”

 
 
………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice che sta sospirando e disegnando cuoricini su una foto del PV di Joël con addosso una maglietta con scritto TEAM ANJARD:
 
Penare con queste coppie vi ho fatto penare, ma direi che con questo capitolo – che in fatto di coppie, per una volta me lo dico da sola, è veramente tanta roba – vi ho un po’ ricompensate. E lo so che per la sorte che ho riservato a Sabrina mi odierete per un po’, ma consoliamoci pensando a quanto siano belli lei e Joël, che tutte noi (Meadow inclusa) amiamo.
Preparatevi perché con queste coppie che adoro follemente si è risvegliato il mio lato melenso che se solleticato si può fare assai pericoloso, vi propinerò momenti teneri su di loro fino alla nausea, siete avvisate.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto (sorvolando sulla sgradita presenza di Ridge), alla prossima e grazie come sempre per le recensioni e per l’affetto che date a questa storia <3
Un abbraccio,
Irene
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Lunedì 12 luglio



sabrina


Quando la sveglia delle 6:30 impostata sul suo iPhone aveva iniziato a risuonare per tutto l’appartamento Sabrina aveva aperto gli occhi e come ogni mattina si era sollevata a sedere di scatto per prendere il telefono e spegnerla. Se l’umanità può essere classificata in due categorie in base alla reattività di ogni individuo al mattino, tra chi impiega ore ad alzarsi dal letto e chi invece riesce ad essere attivo fin da quando apre gli occhi Sabrina St John apparteneva innegabilmente alla seconda: non ritardava mai una sveglia e non restava mai sotto le coperte un minuto di più. Quella mattina, tuttavia, invece di alzarsi immediatamente come era solita fare la strega si voltò per posare lo sguardo sul ragazzo che stava dormendo nel suo letto, disteso prono con la testa ruotata di lato e il braccio abbandonato sulla porzione di materasso dove fino a poco prima si era trovato il suo corpo. Fu con sollievo che Sabrina appurò di non aver svegliato Joël, e si prese qualche istante per contemplare le ciocche di capelli castani che erano scivolate davanti al bel viso del ragazzo. Quando si rese conto di star sorridendo in modo sicuramente molto sciocco la ragazza sbuffò e si ridestò, chiedendosi perché Joël Moyal dovesse essere così carino prima di scostarsi lentamente il lenzuolo di dosso, scivolare fuori dal letto e raggiungere in punta di piedi la rampa di scale che conduceva al pian terreno. Salem stava sonnecchiando, acciambellato sul suo enorme cuscino color crema, mentre Pascal, pronto come sempre per la sua passeggiata mattutina, la guardò scendere le scale stringendo una pallina tra i denti prima di trotterellare scodinzolando verso di lei.
“Aspetta piccolo.”
Sabrina si chinò per accarezzare la piccola testa del cucciolo prima di dirigersi in bagno, chiudendosi lentamente la porta alle spalle prima di sedere sul bordo della vasca da bagno bianca e telefonare a Pierre, che sapeva essere già sveglio da mezz’ora visto che l’uomo, come lei, era molto mattiniero e soprattutto terribilmente abitudinario.
L’uomo rispose subito e con una leggera nota di apprensione nella voce, quasi temendo che Sabrina lo stesse chiamando così presto per qualcosa di grave, e la strega si sentì in colpa come non mai quando gli confessò di non sentirsi molto bene e di aver bisogno di una giornata di riposo. Subito il tono di Pierre si fece allarmato mentre le chiedeva che cosa avesse e se voleva che chiamasse il medico, ma Sabrina si sforzò di rassicurarlo come poteva, assicurandogli di essere solo stanca e pregandolo di non farne un affare di Stato:
“Per favore Pierre, non chiamare Gideon, ok? Non è necessario, mi sento solo molto stanca.”
Non fu un’impresa facile ma alla fine Sabrina riuscì a far promettere a Pierre di non telefonare a suo padre, chiedendogli infine se poteva mandare qualcuno a prendere Pascal per portarlo all’asilo per cani. Poco dopo la strega uscì dal bagno aprendo la porta facendo più piano che poteva, sorridendo quando vide Pascal aspettarla con la pallina tra i denti prima di inginocchiarsi sul pavimento per riempirlo di coccole:
“Scusa piccolino, oggi niente passeggiata… Ci rifacciamo stasera, promesso.”
Dopo aver allacciato il guinzaglio al collare di Pascal a Sabrina non restò che aspettare, seduta sul divano mentre il cucciolo cercava di salirle sulle ginocchia. Quando sentì bussare delicatamente alla porta la strega si alzò, attraversando l’open space camminando a piedi nudi sul parquet nero fino a raggiungere l’ingresso. Non fu una sorpresa trovarsi davanti i grandi occhi cerulei di Pierre e la sua folta capigliatura argentea pettinata con cura all’indietro, e la strega sorrise con affetto all’uomo mentre gli porgeva il guinzaglio di Pascal:
“Non era necessario che venissi tu, sto bene.”
“È sicura?”
L’occhiata ansiosa che Pierre le rivolse non la scalfì e Sabrina si limitò ad annuire mentre stava in piedi sulla soglia avvolta dal suo pigiama bianco dal taglio maschile, sorridendogli gentilmente mentre Pascal guardava prima l’uno e poi l’altra chiedendosi se e quando qualcuno lo avrebbe finalmente portato fuori.
“Oui. Ho solo bisogno di staccare un po’.”

Un paio di minuti dopo, salutati Pierre e Pascal, Sabrina risalì silenziosamente la rampa di scale a gradini galleggianti addossata alla parete bianca per tornare sul soppalco dove si trovava la sua camera, infilandosi di nuovo sotto il lenzuolo candido e sollevando leggermente il braccio di Joël per poter tornare ad occupare il proprio posto sul letto. Fu un vero sollievo fare ritorno nel suo comodo giaciglio, constatò la strega mentre sistemava il braccio di Joël attorno alla propria vita, richiudendo gli occhi appena prima di sentire il ragazzo muoversi lentamente per girarsi sul fianco a sua volta e stringerla a sé:
“Dov’eri?”
“Da nessuna parte.”

Quando si svegliò per la seconda volta, un’ora e mezza dopo, Sabrina sollevò lentamente le braccia sopra la testa per stiracchiarsi, mugugnando piano prima di recuperare il telefono dal comodino e controllare l’ora. Le 8:30. Non ricordava l’ultima volta in cui si era svegliata dopo le 8. La strega ripose lentamente il telefono sul mobile prima di volgere lo sguardo sul soffitto, restando immobile per un paio di minuti mentre i ricordi della sera precedente si susseguivano rapidi nella sua mente destandole un piccolo accenno di sorriso sulle labbra. Invece di alzarsi dal letto Sabrina si girò sul fianco in modo da poter guardare Joël che ancora dormiva, premendo la guancia contro la federa candida e stringendo il cuscino tra le braccia mentre osservava le linee del bel volto del musicista.
Non aveva idea di che cosa avrebbe detto o fatto quando si sarebbe svegliato, né tantomeno di come avrebbe gestito quella situazione, ma per una volta si sforzò di non pensarci e di lasciarsi semplicemente trasportare dagli eventi.

*


Alzarsi dal letto non era stata un’impresa facile quella mattina per Meadow Wellick, ma la ragazza aveva appuntamento con Silas nella Hall alle 8 per fare colazione insieme, perciò era stata costretta a racimolare tutte le sue forze, rotolare giù dal letto, vestirti e darsi una pettinata per avere un aspetto quantomeno decente. In quell’Hotel erano tutti così terribilmente fighetti, si disse la giovane strega mentre usciva dalla sua stanza chiudendosi la porta alle spalle mentre suo zio, in quella accanto, probabilmente ancora dormiva o al massimo se ne stava a leggere a letto. Esattamente ciò che avrebbe voluto fare anche lei, ma dieci minuti dopo, quando Silas le aprì la porta affinché potesse precederlo all’interno di un’elegante pasticceria e gli occhi di Meadow indugiarono su un’enorme quantità di bellissimi dolci, la ragazza dovette ammettere che era valsa la pena di alzarsi presto.
“Come mai hai voluto lasciare l’Hotel per fare colazione?”
Meadow si portò la tazza di latte macchiato alle labbra per prenderne un sorso mentre Silas, seduto di fronte a lei ad uno dei tavolini all’aperto e con gli occhiali da sole a coprirgli gli occhi, si sistemava comodamente contro lo schienale della sedia stringendosi nelle spalle mentre faceva vagare pigramente lo sguardo attorno a sé:
“Non volevo che qualcuno rischiasse di sentirci.”
“Immagino che tu voglia parlare di Asher. Oh mio Dio, quefto è buoniffimo!”
Meadow indicò estasiata l’Eclair al cioccolato che teneva in mano e che aveva appena addentato, guardando l’amico con gli occhi a mandorla pieni di meraviglia mentre Silas, che aveva già vuotato con un paio di sorsi la sua tazzina di Espresso, le sorrideva divertito:
Lo so. Sì, insomma… davvero stento a crederci. Te lo saresti mai aspettato?”
“No! Da te magari sì, da lui no!”
Meadow scosse la testa con vigore senza smettere di guardarlo con gli occhi spalancati e di tenere in mano il dolce – al quale aveva già giurato amore eterno –, destando un’espressione perplessa sul bel viso dell’amico, che la guardò inarcando un sopracciglio:
“Ma se io sono etero?!”
“Intendo con una donna, genio.”
“Ah, ecco. Anche se bisogna ammettere che il suo capo è davvero figo.”
“Decisamente. Anche lei è bellissima però.”
Meadow annuì mentre masticava distrattamente un pezzo di Eclair, fissando assorta un punto della strada sopra alla spalla di Silas mentre pensava ai Carrington, ovvero la prova tangibile di come non bastasse essere belli e ricchi per essere felici.
“Comunque sia, è veramente assurdo. E noi che pensavamo che quella donna così bella, la fotografa, stesse pedinando qualcuno. Ti immagini se l’avesse assunta proprio la moglie del tizio?!”
Gli occhi di Meadow tornarono a posarsi preoccupati sull’amico, che al suono di quelle parole annuì mentre un ampio sorriso si faceva largo sulle sue labbra carnose:
Sarebbe fantastico! Cioè, no, terribile per Asher, certo, ma il drama che ne verrebbe fuori sarebbe fantastico. Però non mi convince del tutto, Asher e quei due sono americani, mentre lei è inequivocabilmente inglese…”
“Quindi pensi che lei non sospetti niente? Cavolo, allora devono essere davvero furbi, o lei molto scema, perché gliela stanno facendo letteralmente sotto al naso.”
“Mia madre dice che le mogli lo sanno sempre, a volte si limitano a fingere di non farlo… Ma lei non la conosciamo, impossibile dirlo.”
Silas si sfilò gli occhiali da sole, rigirandoseli tra le dita e osservandoli assorto con gli occhi ambrati che, esposti alla luce del mattino, si erano fatti ancor più gialli del solito. Meadow, di fronte a lui, vuotò la sua tazza di caffè e poi addentò l’ultimo boccone di Eclair prima di rivolgersi all’amico indicandosi il viso:
“Fono sporca?”
Il mento e le labbra di Meadow erano piene di crema al cioccolato, tanto che Silas sorrise e annuì prima di allungarsi verso di lei per porgerle un tovagliolino:
“Giusto un po’. Cavolo, tra dieci minuti devo iniziare a lavorare, meglio tornare all’Hotel.”
“Devo ancora abituarmi del tutto a tu che dici “devo iniziare a lavorare”… A proposito, attendo sviluppi su tua sorella e su Joël Moyal.”
Silas si alzò scostando la sedia all’indietro e alzando gli occhi al cielo prima di rimettersi gli occhiali da sole, asserendo all’amica, mentre rientravano per pagare, che sua sorella non sarebbe di certo corsa da lui per raccontargli della sua vita sentimentale. No, quello che avrebbero dovuto fare era estorcere le informazioni ad Anjali.

*


“Sono piuttosto sorpreso.”
Joël parlò stando semi-disteso a rovescio sul grande letto matrimoniale di Sabrina, la testa rivolta verso i piedi del letto e viceversa, il gomito destro piantato sul cuscino sul quale aveva dormito a sorreggergli il capo per consentirgli sia di guardare Sabrina, seduta contro la testiera del letto, sia di portarsi la tazza bianca piena di caffè alle labbra. La strega, i corti capelli scuri ancora leggermente arruffati e la maglietta di raso bianco del pigiama addosso, si portò con grazia la tazza di cappuccino decaffeinato alle labbra per assaporarne un sorso prima di risistemarla sul suo piattino che stringeva nell’altra mano, accennando un sorriso senza che i suoi occhi scuri lasciassero quelli blu di Joël:
“Perché mai?”
“In tutta onestà mi aspettavo di svegliarmi e di non trovarti, ero sicuro che saresti sgattaiolata via all’alba per sovraccaricarti di lavoro.”
Joël ricambiò il sorriso mentre si allungava per prendere un pain au chocolat dal vassoio che un cameriere aveva portato poco prima, addentando la sofficissima e ancora tiepida pasta sfoglia mentre Sabrina si stringeva debolmente nelle spalle:
“Oggi non lavoro, in realtà.”
“Caspita, ti è già così insopportabile l’idea di separarti da me?”
Sabrina bevve un altro sorso di cappuccino mentre un sorrisetto incurvava le labbra di Joël, che le strizzò l’occhio senza smettere di guardarla e di masticare lentamente la sua deliziosa brioche al cioccolato. La strega invece, appurò il musicista mentre la guardava indirizzare lo sguardo oltre la ringhiera del soppalco per gettare un’occhiata pensosa fuori dalle ampie vetrate dell’appartamento, non aveva ancora toccato cibo.
“Penso di aver bisogno di staccare per un giorno, tutto qui. Mi sento spesso molto stanca, ultimamente.”
“Credo di aver conosciuto poche persone nella mia vita che lavorano quanto te.”
“Almeno non possono darmi della raccomandata.”
“Direi proprio di no.”
Joël ripose il dolce sul suo piattino senza smettere di appoggiarsi al cuscino, osservando Sabrina finchè la strega non ebbe finito il suo caffè e non la vide riporre la tazza vuota sul vassoio che, appoggiato sul lenzuolo candido, li divideva. Joël la guardò mentre un turbinio di pensieri gli affollavano la mente, parlando sporgendosi leggermente verso di lei quando uno tra i tanti si fece più insistente: c’era una domanda che si poneva ormai da parecchio e che lo incuriosiva non poco.
“Che cos’è che avresti voluto fare davvero, invece di lavorare qui?”
“Te l’ha detto Anjali?”
Sabrina lo guardò e Joël annuì, osservandola in silenzio con sincera curiosità mentre disegnava cerchi concentrici sulla superficie del lenzuolo con la punta dell’indice. Gli era sempre sembrata una persona così forte da rendergli terribilmente difficile il figurarsela mentre mandava all’aria le sue aspirazioni per adeguarsi ai desideri dei suoi genitori, lui per primo aveva fatto di tutto pur di fare della sua passione la sua vita e per quanto di norma non avesse una grande considerazione di coloro che si facevano condizionare dalla propria famiglia provava quasi una sorta di sincera amarezza nei confronti di quella donna che, se solo ne avesse avuto l’occasione, avrebbe potuto avere il mondo ai suoi piedi.
“Mi sarebbe piaciuto molto studiare Biologia Marina dopo Beauxbatons, in un’Università del Nord America. Ma i miei genitori erano scettici. Era molto lontano.”
Sabrina parlò chinando il capo e abbracciando il suo cuscino, osservando le proprie braccia esili e abbronzate mentre una punta di quell’amarezza di vecchia data e a lungo messa a tacere riaffiorava in lei. Provò una sorta di nostalgia nel ripensare alla sé diciannovenne, a tutte le discussioni avute con i suoi genitori, per una volta d’accordo su qualcosa, e a tutte le lacrime che aveva versato sull’argomento prima di farsi convincere a restare nel Principato di Monaco con Gideon.
“Mi risulta un po’ difficile immaginare che desisti solo perché i tuoi genitori non sono convinti della tua scelta.”
Sabrina si prese qualche istante prima di rispondere, cercando un modo per spiegarsi senza dover menzionare il motivo fondamentale per cui i suoi genitori l’avevano pregata di restare in Europa. L’idea che studiasse dall’altra parte del mondo aveva terrorizzato i suoi genitori e forse in fondo aveva spaventato anche lei, ma dopo settimane di discussioni e riflessioni aveva ceduto. Forse il momento in cui aveva definitivamente accantonato l’idea degli Stati Uniti era giunto quando Gideon si era seduto di fronte a lei, le aveva stretto le mani nelle sue e l’aveva pregata di restare con lui, visto il poco tempo che avevano trascorso insieme in passato. Le parole del padre avevano stretto lo stomaco della figlia in una morsa dolorosissima mentre ciò che Gideon non aveva avuto il coraggio di pronunciare era rimasto ad aleggiare, invisibile, tra loro: avevano trascorso troppo poco tempo insieme nei suoi primi 19 anni di vita, e non avevano idea di quanto altro tempo avrebbero potuto avere a disposizione per stare insieme.
“Io ho sempre vissuto a Nizza con mia madre. Non ho mai passato molto tempo con Gideon da piccola… Immagino di essermi lasciata convincere perché una parte di me voleva avere la possibilità di stare con suo padre.”
“E così è stato?”
“Sì. Sì, insomma, direi che negli ultimi 10 anni abbiamo recuperato quello che avevamo perso, laddove possibile. A volte mi chiedo se sia stata la scelta giusta, ma in fondo non me ne pento, nessuno mi ha mai tenuta rinchiusa qui contro la mia volontà, avrei potuto cambiare idea uno o due anni dopo… Se sono rimasta qui è perché mi andava di farlo.”
Sabrina si strinse debolmente nelle spalle senza smettere di sfiorare la federa del cuscino con le dita affusolate, sollevando la testa per tornare a guardare Joël solo dopo che il musicista ebbe spostato il vassoio per avvicinarlesi, tornando a stendersi accanto a lei sul materasso guardandola con un sorriso sulle labbra:
“E non pensi mai al mondo che c’è fuori dal Principato?”
Joël parlò tenendosi a pochi centimetri di distanza dal viso della strega, che ricambiò il sorriso mentre sollevava una mano per accarezzargli gentilmente la guancia sinistra senza smettere di osservare le sue iridi blu. La prima volta in cui si era ritrovata a considerare quanto Joël Moyal fosse bello era stato nell’enorme Sala da Pranzo di Beauxbatons, quando il suo sguardo si era momentaneamente soffermato su quello studente più grande di lei di un anno. Il sorriso sul volto di Sabrina si allargò nel ripensare alla versione dodicenne di se stessa, chiedendosi che cosa avrebbe pensato se avesse saputo che cosa sarebbe successo tra loro di lì a diciassette anni.
“Io vivo e lavoro in un Hotel. Vedo ogni giorno piccoli frammenti di quel mondo nelle persone che passano di qui. Ti stupirebbe sapere quanto può essere interessante lavorare in un Hotel e le cose che senti. Ci credi che due anni fa un imprenditore belga venne qui con la moglie e prenotò la stanza accanto alla sua per l’amante?”
Mentre l’indice di Sabrina gli sfiorava il mento Joël scoppiò a ridere e la strega ben presto lo imitò, asserendo che fosse stato uno dei suoi ospiti prediletti in assoluto: lui e Michel avevano trascorso la sua intera permanenza al Le Mirage scommettendo su se e quando la moglie avrebbe scoperto l’amante della porta accanto.
“Nella stanza accanto? Coraggioso.”
“Coraggioso o troppo pigro per prendere l’ascensore o anche solo fare qualche metro, difficile dirlo.”
Anche quando finì di parlare il sorriso rimase cesellato sulle labbra di Sabrina, che guardò il viso di Joël sopra di lei, in parte ancora stentando a credere di aver davvero trascorso la notte precedente con lui, prima che il mago la baciasse immergendo una mano tra i suoi capelli scuri, infinitamente grato della sua decisione di mettere da parte il lavoro e di restare con lui. Quando le loro labbra si staccarono Joël non allontanò il viso da quello della strega, guardandola continuando ad accarezzarle i capelli con le dita senza riuscire a smettere di sentire qualcosa svolazzargli nello stomaco, sensazione che lo accompagnava da quando qualche ora prima aveva aperto gli occhi e l’aveva vista accanto a sé.
Tu es magnifique, Sabrina St John.”
“Siamo già andati a letto insieme, non serve che tu faccia l’adulatore.”
“C’è un modo per tenerti in questo letto con me fino alla prossima settimana?”
Una parte di lei aveva sinceramente temuto che dopo quella notte Joël avrebbe finito col perdere interesse nei suoi confronti, ma il modo in cui la stava guardando la spinse a concedersi di sperare che le cose sarebbero potute anche andare diversamente e il sorriso sulle sue labbra si fece più largo, sentendosi rilassata e a suo agio come non le capitava da molto tempo. Di nuovo Sabrina rise, come se avesse appena udito qualcosa di particolarmente divertente, tanto che Joël si premurò di farle sapere con un sussurro che non scherzava prima di baciarla.

*

Domenica 18 luglio
Jardins Saint-Martin



picnic

“Credo che potrei restare qui per sempre.”
Alphard sedeva sulla coperta bianca a motivi geometrici beige che Anjali aveva disteso sul prato verde poco prima, le gambe fasciate dai pantaloni leggeri lunghe distese e i gomiti che lo sorreggevano piantati sulla coperta. L’uomo parlò tenendo la testa sollevata e osservando sereno le piccole porzioni di cielo azzurro frastagliate dalle fronde degli alberi che li circondavano mentre una leggerissima brezza marina gli accarezzava la pelle e i vestiti, rinfrescandolo piacevolmente. Era una domenica bellissima ma il punto in cui si trovavano, uno dei più alti della città, in cima ad una piccola collina rivolta verso il mare, li riparava dal caldo, circondandoli invece di alberi, aiuole piene di fiori variopinti, viottoli acciottolati, statue di rame ossidate dal tempo e garantendogli un’ottima visuale sul Mediterraneo e sul porto.
Alphard amava la bellezza, fin da quando era piccolo, non a caso amava l’arte, amava le simmetrie e i giochi di colore. Gli piaceva raccogliere tutta la bellezza possibile solo con lo sguardo per poterla stringere a sé in eterno, e tutto di quel momento era talmente bello che avrebbe voluto dilatare il tempo e farlo durare il più a lungo possibile. Quando udì una lieve risata, un tintinnio di posate e una vellutata voce femminile assicurargli che di certo lei non lo avrebbe cacciato Alphard smise di tenere lo sguardo sopra di sé per posarlo di nuovo su Anjali, che sedeva con grazia sulla coperta indossando un lungo abito rosa pallido adornato da un motivo floreale e stava disponendo uva e ciliegie in due piattini.
Un piccolo sorriso incurvò verso l’alto gli angoli delle labbra di Alphard mentre la guardava tirare fuori dal delizioso cestino da picnic di vimini un tagliere, un’enorme e profumatissima pagnotta sfornata quella mattina e un involucro di carta bianca che si rivelò contenere un pezzo di formaggio. La strega tirò fuori dal cestino un piccolo coltellino prima di guardarsi intorno per assicurarsi che nessuno fosse nei paraggi o li stesse guardando, dopodiché incantò il coltello affinché tagliasse il pane da solo per poi tirare fuori dal cestino due calici, una bottiglia di vino bianco e un cavatappi.
Alphard amava la bellezza, amava guardarla, e per questo si prese qualche lungo istante per studiare il viso di Anjali, i suoi grandi e meravigliosi occhi chiari, la curva del piccolo naso e le linee delle labbra carnose e del mento fino a soffermarsi sul collo e sulle clavicole lasciate in vista dal vestito e dai lunghi capelli scuri della strega sistemati dietro le spalle. Incapace di starle lontano troppo a lungo Alphard cambiò posizione per avvicinarlesi, spostarle delicatamente i capelli dalla spalla sinistra e poi disseminarle qualche bacio sul collo, sorridendo con le labbra premute contro la sua pelle liscia quando sentì Anjali ricordargli per l’ennesima volta che così facendo le provocava il solletico.
“Scusa, ma è colpa tua, sei troppo bella.”
Oui, oui, la solita frase da casanova incallito. Tieni, assaggia questo.”
Dopo aver spalmato un po’ di formaggio su una fetta di pane Anjali la avvicinò alle labbra di Alphard, che la addentò prima di aggrottare le folte sopracciglia scure:
“Buono. Che cos’è?”
“Camembert, è il mio formaggio francese preferito.”
“Camembert…”
Alphard si allontanò leggermente dal corpo della strega osservando pensoso la fetta di pane che teneva in mano, stendendosi comodamente sulla coperta tenendosi una mano dietro la testa prima di saggiarne un altro boccone: il nome del formaggio gli suonava familiare, anche se era quasi del tutto certo di non averlo mai assaggiato prima d’allora, e ben prestò capì perché.
“Conosci La persistenza della memoria, di Dalì?”
“Oui, è il quadro con gli orologi, no?”
Anjali annuì prima di addentare a sua volta una fetta di pane, ripulendosi con la punta delle dita le labbra dalle briciole con un gesto aggraziato e disinvolto mentre Alphard annuiva senza smettere di osservare la sua fetta:
“Esatto. Pare che lo dipinse in solo un paio d’ore dopo aver mangiato il Camembert a cena. La consistenza del formaggio lo fece riflettere sullo scorrere del tempo, infatti anche gli orologi sono molli nel dipinto.”
“Davvero? Non lo sapevo. Il mio Alphy sa un sacco di cose.”
Un sorriso interito e divertito al tempo stesso allargò le labbra carnose di Anjali mentre la strega si sporgeva verso di lui, accarezzandogli i capelli con un gesto delicato mentre Alphard si sforzava di apparire seccato e i capelli della strega gli solleticavano il petto:
“Sempre detestati i soprannomi, ma con te non riesco ad impormi.”
Il sorriso sul bel viso di Anjali si allargò mentre la strega annuiva, mormorando che lo sapeva mentre gli accarezzava il viso con una mano. I due si guardarono, avvolti dalla bolla di pace in cui si trovavano, ripensando alla settimana appena trascorsa: ad Alphard sembrava assurdo che fossero passati solo sette giorni da quando si era svegliato con Anjali accanto per la prima volta, erano stati giorni così piacevoli e frenetici, trascorsi quasi costantemente insieme all’Hotel o in giro per la città, da dargli l’impressione che fosse trascorso molto più tempo. Ogni mattina avevano fatto colazione insieme e poi Anjali lo aveva preso per mano e portato in ogni angolo di Montecarlo, mostrando luoghi a lei ormai familiari ai suoi occhi estranei. Avevano cenato insieme quasi tutti i giorni, fatta eccezione per la sera precedente che Anjali aveva trascorso con Joël e lui con Briar, e la strega aveva dormito quasi sempre nella sua Suite, tanto che quella mattina quando si era svegliato senza di lei accanto Alphard si era ritrovato a provare quasi una sorta di fastidio.
Ma era semplicemente ridicolo che lei potesse essergli mancata dopo una sola sera passata distanti e Alphard, guardandola, si chiese se non si stesse rimbambendo un po’ troppo. Come poteva sentirsi così dopo una sola settimana?


*


“Bravissimo ragazzone!”
Silas rivolse un largo sorriso a Napoleon quando vide l’enorme cane dal pelo nero focato correre verso di lui stringendo tra i denti la pallina che gli era stata appena lanciata, fermandosi davanti al padroncino e posandola ai suoi piedi prima di guardarlo in attesa. Silas si chinò, recuperò la pallina gialla e dopo aver accarezzato la testa del cane la lanciò di nuovo, guardandolo correre a prenderla con un sorriso divertito sulle labbra mentre Lafayette gironzolava sul prato a testa china ad un paio di metri di distanza, il naso che annusava il suolo.
“Non ti sembra che Sabrina sia stata strana, negli ultimi giorni?”
Mentre Napoleon correva a recuperare la sua pallina Silas si voltò per posare lo sguardo su Pierre, in piedi alle sue spalle e con Pascal tra le braccia. L’uomo stava accarezzando dolcemente la piccola testa del cucciolo, che gli leccava le dita grato delle sue attenzioni, e si prese qualche istante di riflessione prima di rispondere, gli occhi cerulei che scrutavano i confini recintati del giardino della pensione per cani in cui si trovavano:
“Non strana. Forse un po’ distratta.”
“La settimana scorsa si è presa un intero giorno libero, non ricordo che sia mai successo… Non pensi che non si senta bene, vero? Cioè, lo direbbe, no?”
Silas continuò a guardare Pierre con una leggera nota di ansia nei grandi occhi ambrati, conscio che l’uomo fosse una delle persone che meglio conosceva la sorella maggiore al mondo. La settimana prima, quando Sabrina non si era fatta vedere e Pierre lo aveva informato che quel giorno non avrebbe lavorato, Silas era quasi sbiancato e corso a vedere come stesse, prima che Michel lo trattenesse intimandogli di lasciarle un po’ di respiro: Silas sapeva quanto la sorella maggiore poco tollerasse di sentirsi costantemente il fiato sul collo e percepire l’apprensione collettiva ogni qualvolta in cui diceva o faceva qualcosa che usciva dall’ordinario, perciò seppur a malincuore aveva deciso di dare ascolto a Michel e si era tenuto alla larga per tutto il giorno, limitandosi a chiederle timidamente come stesse la mattina seguente.
Sabrina aveva reagito a quella domanda scoccandogli una rapida occhiata stranita prima di ricomporsi, stringersi nelle spalle e abbozzare un lievissimo accenno di sorriso:

“Bene. Non c’è bisogno di preoccuparsi, ero solo stanca.”
“Sei sicura?”

“Sono umana, posso sentirmi stanca senza che questo implichi necessariamente qualcosa di più grave.”

“Sua sorella è molto, molto orgogliosa e non ama sentirsi vulnerabile. Ma se davvero non si sentisse bene lo direbbe, ne sono certo. In realtà non mi è sembrato che stesse male questa settimana, anzi, mi è sembrata solo un po’ più rilassata. Per non dire di umore migliore del solito.”
“Beh, è strano per me. Non sono abituato a vederla fare le cose con calma. Lei di solito è così… stacanovista. Instancabile.”
“A meno che non sia cambiato qualcosa.”
Silas continuò a studiare Pierre mentre l’uomo si stringeva nelle spalle con nonchalance senza smettere di accarezzare Pascal, chiedendosi che cosa sapesse che a lui sfuggiva. Era fin troppo bizzarro che Pierre, così affezionato a sua sorella, non fosse preoccupato: doveva esserci qualcosa che lui ignorava, e se c’era qualcuno in quell’Hotel che poteva sapere di che cosa si rattasse, ecco lui, era il migliore amico di sua sorella. La prospettiva di farsi una chiacchierata con Iago non era così allettante e Silas sospirò rumorosamente mentre Napoleon tornava da lui con la pallina, destando un sorriso affettuoso sul bel volto del ragazzo mentre la riprendeva accarezzandogli la testa:
“Bravo ragazzo. Vieni con me, il tuo fratellone, a minacciare Michel di vuotare il sacco? Rilassati Pierre, non fare quella faccia, sto scherzando! Ma a volte vorrei capire perché mi respinge sempre.”
Silas lanciò di nuovo la pallina sul prato, guardando Napoleon correre a prenderla con un leggero moto di sconforto. Da bambino adorava sua sorella, era sempre felicissimo delle sue visite e smaniava per avere la sua attenzione, ma da adolescenti Sabrina si era allontanata sempre di più fino a creare un divario che Silas non era più riuscito a superare, tanto da smettere di provarci. Era stato difficile, quando era piccolo, capire che sua sorella non poteva fare le stesse cose che faceva lui, che non sempre stava bene e quando veniva tirata in ballo la sua salute non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei, che però si ostinava a minimizzare, almeno con lui, e ad escluderlo, quasi dando per scontato che non gli importasse.
“Sua sorella le vuole bene. Non è facile costruire un rapporto fraterno solido se si cresce con genitori diversi in Paesi diversi… e l’invidia è difficile da mandare giù.”
“Lo sai tu e lo so io che adesso mio padre è molto più legato a lei. So che ho avuto un’infanzia e una vita da sogno in confronto alla sua, ma non è colpa mia.”
L’espressione di Silas si fece un tantino cupa mentre si infilava le mani nelle tasche e guardava Napoleon correre di nuovo verso di lui mentre Pierre, accanto a lui, si chinava per mettere Pascal sul prato e permettergli di correre a giocare a sua volta: l’uomo rivolse un caloroso sorriso al ragazzo mentre gli si avvicinava, stringendogli una spalla con la mano con fare affettuoso e rassicurante:
“Magari si sta preoccupando per niente, sua sorella sta lavorando un po’ meno del solito ma mi sembra stare benissimo, forse non è dovuto alla sua salute. E sono sicuro che vostro padre quando tornerà sarà molto fiero del fatto che siete riusciti a convivere senza di lui senza, beh, distruggere l’Hotel... Penso anche che la troverà molto più responsabile, e ne sarà sicuramente felice.”
Le parole di Pierre restituirono il sorriso sul volto di Silas, che si voltò verso di lui mentre Pascal cercava invano di rubare la pallina dalle fauci di Napoleon, che si era seduto sul prato e lo lasciava fare placidamente, osservando il cucciolo con aria annoiata quasi chiedendosi quanto ci avrebbe messo ad arrendersi.
“Dici?”
“Quando mai le ho mentito?”
Un mucchio di volte, quando avevo 10 anni mi attiravi fuori dalla cucina con l’inganno e poi mi spedivi a letto!”
“Questo perché disturbava tutto il personale standosene lì a gironzolare e cercare cose da mangiare. Era carino quanto pestifero, da bambino.”
Pierre scosse la testa con disapprovazione – pur consapevole di quanto affetto avesse riversato su quel bambino dalla testa piena di ricci e i grandi occhi ambrati che durante le sue visite all’Hotel gli stava sempre appresso – mentre Silas rideva, annuendo mentre gli assestava una leggera pacca sulla spalla:
“Lo so, ero proprio un amore!”


*


L’umore di Joshua Wellick quel pomeriggio non era dei migliori: era riuscito a concludere una vendita dopo una trattativa semplicemente infinita e a dir poco estenuante, tutto per colpa dei soliti irritanti clienti francesi.
“Mi spieghi perché perseveri a sbattere la testa contro i francesi, se non li sopporti e ti innervosiscono e basta?”
Meadow raccolse una generosa quantità di gelato alla crema dalla gigantesca coppa che aveva davanti con l’aiuto del cucchiaino senza guardare lo zio, che le sedeva di fronte ancora imbronciato dopo la vendita. Joshua, come sempre quando si toccava l’argomento, sbuffò e borbottò sommessamente che non si sarebbe mai arreso, non con i francesi, mentre a Meadow non restava che roteare gli occhi scuri e chiedergli se volesse un po’ di panna. Quando Joshua scosse il capo e declinò l’offerta con un cenno Meadow asserì che proprio non aveva idea di che cosa si stesse perdendo prima che le tornassero in mente i suoi “compagni di vacanza”, ingurgitando un’ennesima cucchiaiata di gelato delizioso prima di rivolgergli un’occhiata speranzosa:
“Ti va se nei prossimi giorni ceniamo con Silas e Asher? Mi piacerebbe che li conoscessi meglio.”
Purché nelle loro vene non scorra sangue francese.”
“Beh, la sorella di Silas lo è, ma tecnicamente il sangue di Silas è a posto. A proposito di francesi, io e Silas sospettiamo che ci sia qualcosa tra sua sorella e Joël Moyal. Sai, il pianista bello da far schifo.”
“E sono affari nostri?”
Joshua guardò la nipote aggrottando la fronte mentre accavallava le lunghe gambe fasciate dai pantaloni blu, chiedendosi perché gli stesse raccontando gli affari della Direttrice dell’albergo mentre Meadow, esasperata dalla sua scarsissima inclinazione al gossip, scuoteva la testa:
“Certo che no, per questo è interessante!”
Capisco.”
“Nah, tu non capisci proprio zietto. Possibile che siamo parenti? E ricorda che hai promesso di andare a visitare quei pittoreschi paesini che si trovano qui attorno, prima di tornare in Inghilterra.”
Joshua fece appello a tutte le sue forze per restare impassibile e non palesare il suo vago disappunto, ma si disse che per fare felice la nipote sarebbe stato disposto a gironzolare per tutti i paesini francesi necessari mentre la guardava vuotare la sua coppa di gelato con panna. Doveva ammettere di non averla mai vista tanto rilassata e a proprio agio in vacanza come quell’anno, probabilmente era dovuto alla presenza del suo vecchio compagno di scuola ricciuto e del suo aver fatto amicizia con il ragazzo timido con gli occhi chiari, in ogni caso gli faceva piacere e avrebbe fatto di tutto per preservare il suo buonumore, tanto che si ritrovò suo malgrado ad annuire e a confermare la sua promessa.
“Benissimo. Ti va di andare a suonare qualcosa?”
Quando udì la domanda della nipote Joshua sollevò entrambe le sopracciglia corvine, piuttosto certo che non fosse il caso di mettersi a suonare il pianoforte dell’albergo senza permesso, ma Meadow gli rivolse un largo sorriso allegro e si alzò dopo aver vuotato la sua coppa di gelato, asserendo di aver ricevuto il benestare di Silas per suonarlo quando e come le pareva:
“I benefici di essere l’amica del raccomandato!”
“Se lo dici tu…”
Joshua, seppur non del tutto convinto, si alzò e seguì senza obbiettare la nipote fuori dal bar per dirigersi verso la sala del ristorante, sedendo infine accanto a lei sull’ottomana nera del pianoforte a coda mentre i camerieri attorno a loro sistemavano e pulivano per poter successivamente iniziare il servizio del pranzo. Vedendoli entrare tutti i presenti volsero lo sguardo su zio e nipote, ma Joshua capì che Meadow avesse detto il vero nell’affermare di avere il permesso di suonare il costosissimo strumento quando nessuno disse una parola e non tentò in alcun modo di impedir loro di suonare.
“Che cosa vuoi suonare?”
Meadow volse lo sguardo su di lui con curiosità, le mani in grembo in attesa mentre Joshua, il capo chino e gli occhi scuri fissi sulla tastiera del piano, sfiorava uno dei tasti d’avorio e uno di quelli d’ebano con l’indice pallido ed affusolato:
“Für Elise. Una volta, quando eri piccola, mentre la suonavo iniziasti a dirmi di quanto Beethoven fosse brutto e che non potesse assolutamente aver avuto una fidanzata di nome Elise.”
“Dici davvero? Non me lo ricordo… Quindi non ero una bambina adorabile?”
Un sorriso allargò le labbra di Meadow e una profonda, vibrante risata si librò da quelle dello zio, che iniziò a suonare scuotendo debolmente la testa e affermando che sì, sua nipote era indubbiamente stata la bambina più adorabile che avesse mai incontrato.

*


La porta dell’ufficio di Sabrina venne spalancata e Joël si ritrovò ad uscire dalla stanza indietreggiando fino a fermarsi appena fuori dall’uscio, le labbra premute su quelle della strega e le braccia lasciate scoperte dalla maglietta a maniche corte blu che indossava a cingerle la vita.
“Ok, adesso te ne devi andare, devo lavorare.”
Fu con un grande sforzo che Sabrina allontanò il viso da quello del musicista – andava ripetendogli che se ne doveva andare da almeno dieci minuti, ma invano – stringendogli le spalle e parlando con tutta la poca convinzione che riuscì a racimolare mentre Joël le depositava un paio di baci sulla mascella:
“Perché non posso restare a farti compagnia?”
Fu ancora più difficile per lei non farsi abbindolare dal suo tono speranzoso e dai suoi occhi blu, costringendosi a scuotere la testa e allontanarsi leggermente da lui sempre tenendolo per le spalle:
“Perché so che cosa significa “farmi compagnia”, e per quanto possa apprezzare non lavorerei per niente.”
“Potrei anche promettere di fare il bravo, ma in tutta onestà non penso che ci riuscirei fino in fondo.”
Un sorriso incurvò gli angoli delle labbra di Joël, le cui mani andarono a stringere quella della strega mentre si prendeva, ancora una volta, qualche istante per osservare il viso di Sabrina e assuefarsi della sua bellezza. Era trascorsa esattamente una settimana da quando avevano intrapreso quella sorta di relazione che nessuno dei due sembrava aver voglia di definire, e anche se quei giorni erano passati in un attimo ed erano stati di gran lunga i più piacevoli di tutte le sue vacanze al Le Mirage, Joël avrebbe preferito che il tempo scorresse più lentamente: non aveva voglia di vedere l’estate finire e di dover lasciare il Principato di Monaco per tornare a New Orleans. Era una vera disdetta, si era più volte ritrovato a considerare il musicista nel corso di quei sette giorni, essersi infatuato di una delle pochissime donne in circolazione a non essere in vacanza e quindi impossibilitata a passare con lui la maggior parte del tempo.
“Preferirei restare con te, credimi, ma non posso proprio, questa settimana ho già delegato molto più del solito, a breve cominceranno a pensare che ho improvvisamente perso il mio stacanovismo o che la mia salute stia precipitando.”
Pierre e Silas già lo pensavano, in realtà, ma Sabrina si astenne dal farlo sapere a Joël mentre il musicista annuiva, asserendo che sarebbe tornato nella sua stanza per cercare di scrivere un po’. Il mago colmò la breve distanza che li divideva per depositarle un ultimo, brevissimo bacio sulle labbra prima di sorriderle e lasciare che le proprie mani scivolassero dalle sue, allontanandosi subito dopo percorrendo a ritroso il corridoio con molta fatica. Non era del tutto certo che sarebbe davvero riuscito a scrivere qualcosa, si disse Joël mentre Sabrina lo guardava allontanarsi prima di rientrare nell’ufficio e chiudersi la porta alle spalle, ma tanto valeva provarci per cercare di ammazzare il tempo. Peccato non poter nemmeno importunare Anjali, dal momento che ultimamente trascorreva moltissimo tempo con il suo nuovo “amico”.

*


“Quindi suoni il violino?”
“Mia madre ama la musica e secondo lei è un passatempo adatto a “gente come noi”… Quindi mi chiese se preferissi il violino o il pianoforte. L’idea per stare seduto per ore ed ore non mi piaceva, così scelsi il violino. Ma crescendo mi piacque davvero, suonarlo.”
Alphard parlò continuando a tenere gli occhi chiusi, godendosi la brezza marina che gli accarezzava il viso insieme al tocco delicatissimo di Anjali, che con un braccio lo teneva stretto a sé e con l’altro gli sfiorava viso e capelli mentre sedeva sulla coperta alle sue spalle, abbracciandolo. La strega allontanò la mano dal viso del mago per prendere uno dei due calici adagiati sul tagliere di legno, sollevarlo e bere un piccolo sorso di vino prima di prendere un paio di acini d’uva dalla ciotola e avvicinarli alle labbra sottili di Alphard, che aprì la bocca per assaggiarne uno mentre e allo stesso tempo gli occhi per guardarla di nuovo, studiandola pensoso.
“Ti vorrei disegnare. Sei troppo bella per non farlo. Forse è questo che mi ha colpito fin da subito in te: io amo l’arte e guardare i visi della gente, e tu hai il viso più bello che io abbia mai visto.”
“Penso che non riuscirei mai a stare in posa, mi metterebbe troppo in imbarazzo, ma se vuoi ritrarmi fa’ pure.”
“Non c’è bisogno che tu ti metta in posa, con tutto il tempo che spendo a guardarti conosco già il tuo viso alla perfezione... Però è un peccato che tu non sia tipo da posare, stavo proprio pensando di chiederti di farmi da modella per uno dei miei disegni. Mi piace ritrarre le persone e tu sei, beh, meravigliosa.”
“Interessante, sei come Leo con Kate in Titanic.”
Anjali sorrise mentre riprendeva ad accarezzargli i capelli, chiedendosi se avrebbe colto il riferimento e stupendosi un poco quando lo vide aggrottare leggermente la fronte per riflettere e infine annuire con nonchalance:
“Sì, direi di sì.”
“Vuoi dire… Vuoi dire che stavi parlando di nudi artistici?”
Alphard annuì e Anjali, dapprima sbigottita, rise, scuotendo la testa e affermando che a differenza di Kate lei difficilmente gli avrebbe chiesto di “ritrarla come le sue modelle francesi”.
“Peccato, il tuo sarebbe stato il più bello di sempre. Quelli che faccio non li tengo mai, comunque, mi piace farli e basta, poi li restituisco ai soggetti… E non sai quanto è difficile trovare persone da ritrarre, per qualche motivo tutti pensano sempre male quando si fa cenno all’argomento. Ma non lo faccio per un qualche interesse sessuale, penso solo che il corpo umano sia meraviglioso.”
“Quindi non c’è una sfilza di modelle e modelli nascosti sotto il tuo letto in questo momento?”
Anjali tornò a sfiorargli i capelli attorno al viso con un sorriso che Alphard ricambiò, guardandola divertito e trattenendosi dal chiederle se per caso non si sentisse un tantino gelosa:
“Forse ti sorprenderà, ma non sono mai andato a letto con un modello.”
“E dimmi, il mio ritratto lo avresti tenuto?”
Quella che fu una delle domande più sciocche che Alphard Vostokoff avesse mai avuto modo di sentire: il mago si sollevò e si voltò per ritrovarsi con il viso alla stessa altezza di quello di Anjali, sorridendo prima stringerle la vita con un braccio e attirarla a sé per baciarla:
“Tu che ne pensi? Ma di certo non lo appenderei in giro, non è una mia opera che gradirei vedessero altre persone.”
Alphard scosse la testa mentre accennava una smorfia infastidita con gli angoli della labbra, facendo ridere Anjali mentre la strega gli sfiorava il colletto bianco della camicia con le dita. La svizzera appoggiò la testa sulla sua spalla e istintivamente Alphard la abbracciò, depositandole un bacio su una guancia prima di mormorare che la notte prima gli fosse mancata.
“Tu dovresti ripartire durante la seconda settimana di agosto, vero?”
Anjali parlò sollevando la testa per guardarlo e Alphard annuì mesto mentre sentiva il cuore sprofondargli nel petto: l’idea che il suo periodo a Monte Carlo con lei avesse una scadenza lo incupiva, tanto che stava cercando in tutti i modi di non pensarci, a quello e a quanto vivessero distanti. Avrebbe sinceramente voluto restare lì con lei in eterno, a perdersi nell’azzurro del cielo e dei suoi occhi luminosi.
“Quindi poco meno di un mese. Beh, cerchiamo di godercelo allora.”
Anjali gli sorrise e Alphard annuì, sforzandosi di ricambiare prima che lei, dopo averlo guardato brevemente, appoggiasse dolcemente le labbra sulle sue. Alphard rispose al bacio e la strinse a sé, ripromettendosi di non farsela scivolare via dalle dita per nulla al mondo.

*


C’erano poche, pochissime cose al mondo che Medea Winters detestava più delle telefonate, specie quelle orribilmente prolisse, tanto da invidiare i maghi Purosangue che non dovevano mai avere a che fare con quella durissima prova di pazienza. Eppure c’era una persona, una soltanto, le cui chiamate erano sempre ben accette, l’unica che, quando ne leggeva il nome sul display luminoso del telefono, non faceva mai attendere: Medea era appena entrata nella sua stanza quando aveva sentito il telefono vibrarle nella tasca dei pantaloncini che indossava, inducendola a trarre un profondo sospiro mentre lo prendeva in mano, ma un sorriso si fece presto largo sul bel viso della strega quando lesse il nome della persona che desiderava parlarle e non attardò a rispondere.
“Nonna! Ciao, come stai?”
Sicuramente peggio di te, visto che sei in Costa Azzurra.”
Medea rise mentre si chiudeva la porta della camera alle spalle, ricordando alla nonna materna di non essere comunque propriamente in vacanza prima di dirigersi verso il letto matrimoniale per sedersi sul bordo, dando le spalle all’ingresso e rivolgendosi invece verso le finestre e gli scorci di una Monte Carlo notturna e piena di luci.
Hestia rispose che non importava, che di certo la sua unica, amatissima nipote se la passasse comunque di gran lunga meglio di lei e Medea riuscì quasi a figurarsela mentre le parlava al telefono, seduta sulla sua poltrona preferita del soggiorno, la stessa dove lei si appollaiava per leggere quando era bambina.
“Puoi venire con me la prossima volta.”
“Io? Non penso proprio.”
“Magari potresti farmi da assistente.”
Se Hestia colse l’ironia nel tono della nipote non lo diede a vedere, asserendo che di certo un’ex insegnante di Fisica della sua età non le sarebbe stata utile in alcun modo.
“Dai Nonna, sei molto più arzilla di gente più giovane di te, dammi retta. Non fare la vecchietta pantofolaia, non ci crede nessuno.”
Medea roteò i grandi occhi scuri mentre si lasciava cadere all’indietro, ritrovandosi distesa supina sul materasso con un braccio sollevato sopra la testa e lo sguardo puntato sul soffitto bianco della camera d’Hotel mentre la voce calma e vellutata di sua nonna, la stessa che fin da bambina aveva sempre amato più di qualsiasi altra, tornava a solleticarle l’udito:
“Sai, quando ti abbiamo regalato la prima macchina fotografica e hai deciso di iniziare a studiare fotografia non era esattamente questo che mi aspettavo.”
“Nessuno si aspettava che la figlia e la nipote di due insegnanti universitarie facesse quello che faccio io. Proprio non mi ci sarei mai vista, seduta davanti ad un mucchio di ragazzini a cercare di infilare qualcosa nelle loro teste.”
“Non hai mai avuto un solo briciolo di pazienza.”
Il sorriso di Medea non vacillò mentre la strega annuiva sfiorandosi lentamente i capelli cortissimi, immaginando chiaramente il modo in cui sua nonna stava scuotendo la testa mentre l’accusava di essere la donna meno paziente che avesse mai conosciuto, qualcosa che andava ripetendole fin da quando era bambina e faticava ad aspettare persino che i biscotti si raffreddassero prima di poterli assaggiare.
“No, infatti.”
“Perciò l’hai beccato, l’uomo fedifrago?”
“Certo. Attendo sviluppi.”
Medea ridacchiò, asserendo che per certi verso il suo fosse decisamente un lavoro molto spassoso. Certo la sua fiducia verso il genere umano si faceva sempre più fievole di anno in anno, con tutti i tradimenti che si ritrovava ad avere per le mani, ma quello era un altro discorso. E sapeva anche che Hestia, seppur fingesse di non approvare e di non essere interessata a qualsiasi forma di pettegolezzo, sotto sotto si divertiva terribilmente ad ascoltare i suoi resoconti.
“A volte ripenso a quanto ti regalai quel libro su Nancy Drew. Che sia tutto merito mio?”
“Attribuirti ogni merito è così terribilmente da te, Nonna. Ma corrisponde quasi sempre a verità, del resto.”

*


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Sabrina stava parlando ininterrottamente al telefono da almeno mezz’ora facendo avanti e indietro per il suo appartamento, del tutto incapace di stare ferma mentre parlava prima con suo padre e poi con qualche fornitore, Joël non aveva inteso altro. Quando la voce della strega si fece a lui più vicina, segno che stava salendo le scale, il musicista sedeva sul letto con una matita e uno spartito in mano, gli occhi blu puntati su ciò che aveva scritto fino a quel momento: lei gli aveva chiesto, il giorno prima, come facesse a creare una successione di note senza un pianoforte davanti e lui si era limitato a sorridere e a stringersi nelle spalle, asserendo di non averne più strettamente bisogno dato che riusciva facilmente ad immaginare le note nelle sua mente.
Gli occhi di Joël accarezzarono il titolo che poco prima aveva inciso con un tratto leggero della matita sulla parte superiore del foglio, Côte d'Azur, prima di sollevare la testa e puntarli sulla figura slanciata di Sabrina, che stava camminando a piedi nudi sul soppalco con la fronte aggrottata e i grandi occhi color cioccolato che fissavano assorti il lenzuolo candido del letto.
La Costa Azzurra gli era sempre piaciuta, quei luoghi gli ricordavano suo nonno e anche la città dove era nato e cresciuto, Marsiglia. Da piccolo, quando suo nonno lo portava con sé a Monte Carlo, non aveva mai opposto resistenza: c’era il mare, si poteva nuotare, al piccolo Joël questo bastava e avanzava. Benchè vivesse negli Stati Uniti da diversi anni e amasse New Orleans Joël doveva ammettere a se stesso che svegliarsi e guardare il Mediterraneo spesso gli mancava, e finiva con il rendersene conto soprattutto quando tornava in quei luoghi e il sole del Sud della Francia tornava a scaldargli la pelle. La Costa Azzurra era bellissima e un luogo a lui familiare, ma dovette ammettere che mai sarebbe stato difficile lasciarla come al termine di quell’estate.
Sabrina nel frattempo sedette sul bordo del letto senza smettere di discutere in francese al telefono sotto lo sguardo dapprima pensoso, poi vagamente divertito di Joël. Trascorsero un altro paio di minuti, poi il mago ripose spartito e matita sul comodino e infine si sporse verso la strega per prenderle il telefono di mano, riattaccare e baciarla prima che l’espressione indignata sul bel viso di Sabrina potesse sfociare in una serie di esclamazioni colorite.
Joël aveva lanciato distrattamente il telefono in un angolo del letto prima di baciarla e con suo sollievo quando poco dopo le loro labbra si allontanarono Sabrina non cercò di riprenderselo, limitandosi a scoccargli un’occhiata torva mentre gli stringeva le braccia attorno alle spalle:
“Stavo parlando!”
“Me ne sono accorto, tu forse non ti sei accorta che è tardi e che non hai fatto altro per tutto la sera. Li richiamerai domani, ti devi rilassare ogni tanto.”
Quella era rapidamente diventata di gran lunga la migliore di tutte le sue estati al Le Mirage, ma il suo soggiorno in Costa Azzurra non poteva durare per sempre e l’estate prima o poi sarebbe finita, Joël lo sapeva e voleva usare il tempo che aveva per stare con lei il più possibile. Sabrina sembrò capirlo perché dopo una breve esitazione annuì con un cenno appena percettibile del capo, mettendosi più comoda sul materasso prima di iniziare ad accarezzargli dolcemente i lisci capelli castani:
“Cosa scrivi?”
“Te lo farò sentire quando avrà finito. Voglio che ti piaccia.”
“Mi piacerà sicuramente.”
Sabrina allargò le labbra in un sorriso e Joël ricambiò, guardando la strega negli occhi mentre sentiva le sue dita accarezzargli in capelli senza smettere di stringerle le braccia attorno alla vita, quasi temendo che se l’avesse lasciata andare lei avrebbe finito con l’alzarsi di nuovo. Il musicista la baciò di nuovo, cercando di non pensare al momento in cui la sua estate nel Principato sarebbe finita mentre slacciava, tirandone dolcemente un lembo, il fiocco della sua camicia di seta bianca.









…………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice

Buongiorno!
Se nella parte che vede Sabrina e Joël impegnati in un’adorabile chiacchierata a letto ci avete visto un riferimento a Notting Hill, brave, avete fatto i compiti.
Rieccomi con questo capitolo, un po’ cortino lo so, scusate ma in questo periodo sono presa con le bombe, e come mio solito vi informo con un po’ di anticipo che non penso manchino molti capitoli alla fine della storia (💔), Epilogo escluso sono incline ad affermare che potrei scriverne altri 5/6 al massimo, non di più, in fondo è pur sempre una storia estiva che verte sulle vacanze degli OC, non avrebbe senso andare oltre il 31 agosto come cronologia interna alla storia e con questo capitolo siamo già al 18 luglio. Naturalmente quando ne mancheranno solo un paio di avviserò <3
  • Per Bea, Em e Sesy, le autrici degli OC che fanno parte di una coppietta:
Se per caso c’è qualcosa di specifico che vorreste veder far fare ai vostri piccioncini dite pure e sarò felice di accontentarti
Alla prossima!
Irene

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13


 
 
Mercoledì 21 luglio
 
 
Erano le nove del mattino, non faceva eccessivamente caldo e un cielo terso sovrastava i palazzi, le dolci colline e il porto del Principato di Monaco, rendendo le spiagge calde distese dorate che si affacciavano su una vasta distesa di acqua blu e scintillante. Era una mattinata splendida che avrebbe tranquillamento potuto essere il preludio di una giornata perfetta, ragion per cui c’era una lieve, appena percettibile traccia di amarezza nei grandi occhi blu di Joël Moyal mentre accarezzavano la figura della persona che da qualche tempo stava allietando particolarmente le sue vacanze. Il musicista sedeva sull’ampio divano grigio dell’appartamento di Sabrina accarezzando meccanicamente la soffice testa nera di Salem, che gli si era acciambellato in grembo per una razione di coccole, senza tuttavia riuscire a distogliere lo sguardo dalla stessa Sabrina, osservandola riempire la sua borsa a mano bianca firmata Prada stando in piedi accanto agli alti sgabelli della cucina dove avevano fatto colazione solo poco prima. Mentre Sabrina frugava all’interno della borsa per assicurarsi di avere tutto il necessario per uscire Joeel non riusciva a non guardare i suoi corti capelli castani sfiorarle il mento, la frangetta disordinata che le ricadeva deliziosamente davanti al viso o le linee dolci del suo naso e delle sue labbra rosee messe particolarmente in rilievo dall’abbronzatura.
“Sei sicura che non vuoi che venga con te?”
Udite le parole di Joël, la cui voce tradì un pizzico di delusione per il non poter trascorrere la giornata con lei, Sabrina sollevò lo sguardo sul musicista e per breve istante, mentre lo guardava con Salem in braccio, provò il forte desiderio di dirgli tutto e di chiedergli di accompagnarla. O di mandare a quel paese i suoi impegni, gettare in un angolo scarpe e borsa e restare lì con lui. Disgraziatamente Sabrina non aveva il coraggio di fare nessuna delle due cose, e tutto ciò che riuscì a concedergli fu un sorriso:
“Ti annoieresti. Ci vediamo nel tardo pomeriggio, esci pure quando vuoi, la serratura è automatica.”
Con quelle parole Sabrina attraversò l’ampia stanza per colmare la distanza che li divideva, raggiungendo il divano per chinarsi leggermente e scoccare un bacio sulla guancia sinistra di Joël, che annuì e accennò un sorriso di rimando mentre la guardava raddrizzarsi:
“Come preferisci. Ma ricorda la promessa che mi hai fatto.”
“La settimana prossima mi sono presa un’intera giornata libera, te l’ho detto, e faremo quello che vuoi, ma ora devo andare o farò tardi. E mia madre non sopporta i ritardatari, credo sia uno dei motivi per cui ha lasciato mio padre.”
Mentre Sabrina alzava gli occhi al cielo sistemandosi distrattamente il manico della borsa nell’incavo del gomito Joël rise, augurandole buona fortuna prima di guardarla dargli le spalle e allontanarsi verso l’ingresso. Una parte di lui avrebbe voluto chiederle per l’ennesima volta se il suo assentarsi per mezza giornata dall’Hotel fosse strettamente necessario, ma Joël era anche determinato a non apparire eccessivamente appiccicoso e melenso, perciò non disse nulla mentre accarezzava la sua figura con lo sguardo, già pregustando il momento in cui sarebbe tornata al Le Mirage e avrebbe potuto baciare le sue labbra carnose fino a renderle arrossate. La seguì con lo sguardo finchè poté, finchè la porta bianca non si chiuse dietro di lei, e a quel punto Joël, rimasto solo, chinò lo sguardo sul grosso gatto nero che gli sonnecchiava sulle ginocchia:
“Tu non hai intenzione di alzarti, vero?”
 
 
 
Sabrina era scesa al pian terreno, si era fermata nella Hall per salutare Michel, ricordargli per l’ennesima volta di chiamarla in caso di emergenza e di fare in modo di farsi recapitare gli asciugamani puliti che tardavano ad arrivare ad ogni costo, minacce incluse, poi era finalmente uscita dal Le Mirage, trovando la sua auto bianca ad aspettarla vicino al marciapiede come da lei espressamente richiesto la sera prima.
Dopo aver fatto il giro dell’auto era montata sul sedile del guidatore, sistemando la borsa su quello del passeggero per poi attardarsi, prima di mettere in modo, per cambiarsi le scarpe: dopo aver slacciato i laccetti alla caviglia dei sandali col tacco basso che indossava li sfilò, scambiando con un colpo di bacchetta quelle scarpe belle quanto inadatte alla guida con delle sneakers bianche che nessuno mai le aveva visto indossare – e mai nessuno lo avrebbe fatto –. Sabrina stava per mettere in moto proprio quando Benoit aprì la porta al minore dei fratelli St John, che salutò allegro il portiere prima di sfrecciare rapido giù dalle scale e raggiungere la sorella chiamandola a gran voce:
“Sabs!”
“Silas? Che cosa c’è?”
Sabrina guardò il fratello minore raggiungerla inarcando un sopracciglio dietro alle lenti scure degli occhiali, guardandolo sempre più attonita fermarsi accanto alla sua auto decappottabile e scavalcare lo sportello del sedile del passeggero senza nemmeno aprirlo, ritrovandoselo seduto accanto un istante dopo con la sua borsa sulle ginocchia e un largo sorriso sulle labbra.
“Ho pensato di accompagnarti, nel caso volessi compagnia.”
Il sorriso compiaciuto di Silas non contagiò la sorella, che lo guardò sgomenta infilarsi con tutta calma gli occhiali da sole che prima di uscire aveva appeso allo scollo della camicia a maniche corte color sabbia: Silas non le aveva mai chiesto di accompagnarla da nessuna parte, che razza di novità era quella?
“Non mi serve compagnia, posso benissimo andare da sola. Come faccio sempre.”
“Pazienza, ho già avvisato Sandrine del mio arrivo, e tu non vuoi certo deludere le sue aspettative e che io le dica che sei stata tu a vietarmi di accompagnarti…”
Silas volse nuovamente lo sguardo su di lei, deciso a non scendere dall’auto e sfoggiando un adorabile sorrisetto beffardo mentre si sistemava gli occhiali scuri sul naso. Sabrina avrebbe voluto sbatterlo fuori, Silas lo sapeva, ma sapeva anche di averla messa all’angolo tirando in ballo sua madre e che sarebbe stata costretta ad accettare la sua compagnia.
La strega rimase infatti immobile, le mani sul rivestimento di cuoio del volante d’epoca, guardandolo torva da dietro le lenti scure firmate prima di scuotere lentamente il capo:
“Sei perfido.”
“A mali estremi… sapevo che non mi avresti voluto.”
“Ok, puoi venire, ma sappi che a me in auto piace ascoltare musica e che tu non hai alcun potere decisionale in merito.”
“Ok, come vuoi, io mi metto comodo. Non hai qualche spuntino, vero?”
Sabrina non rispose, si limitò a riportare lo sguardo sulla strada mettendo in moto e Silas lo prese come un no, sistemandosi più comodamente contro il sedile e passandosi distrattamente le dita tra i ricci capelli scuri. Erano appena passati davanti a Place du Casino con una canzone di Frank Sinatra in sottofondo quando Silas, volto lo sguardo sulla sorella per chiederle se non avesse qualcosa di più allegro, si accorse sgomento di quali calzature Sabrina portasse ai piedi.
“Porco Godric e tutti i Fondatori! Allora tu non guidi con i tacchi! Sei umana dopotutto!”
Mentre Silas  indicava allibito a i piedi della sorella – ormai immaginava sua sorella con i tacchi anche sotto le coperte –  e un sorriso divertito si faceva rapidamente largo sul suo bel viso Sabrina si sentì avvampare, tremando alla sola idea che la cosa potesse trapelare prima di volgere lo sguardo sul minore e ordinargli perentoria di tenere la bocca sigillata:
“Non una parola con nessuno.”
“Mia sorella con le sneakers, devo fare una foto ricordo!”
Sabrina sapeva di aver a che fare con un poppante, e ne ebbe la triste conferma quando il fratellino tirò fuori ridacchiando il suo telefono dalla tasca dei pantaloni, costringendola a togliere una mano dal volante per tentare, invano, di strapparglielo di mano:
“Provaci solo e ti faccio mangiare il telefono. Silas, dammelo! Sapevo di non doverti far salire.”
Quello sarebbe stato senza dubbio il tragitto Monte Carlo–Nizza più lungo della sua vita, si disse la strega dopo aver convinto il fratello a non farle una foto, corrompendolo con una razione di turni inferiore per la settimana seguente.

 
*

 
Quella mattina Meadow aveva fatto colazione molto presto insieme ad Asher e in seguito i due erano usciti insieme dall’Hotel, poiché il ragazzo doveva adempiere ai suoi doveri di dog-sitter. Joshua era dunque sceso da solo al pian terreno e da solo aveva posto ad uno dei tavolini bianchi della terrazza per una colazione in solitudine, preparandosi psicologicamente alla giornata socialmente impegnativa che lo attendeva: nel pomeriggio doveva vendere delle bacchette, e quella sera Meadow lo aveva ingabbiato nell’impegno della cena con i suoi amici. L’australiano non ne era particolarmente entusiasta, ma in fondo era profondamente felice di sapere che Meadow stesse passando una vacanza molto piacevole e che avesse sempre compagnia, perciò aveva accettato ripromettendosi di essere il più piacevole possibile con i suoi amici, fino a quel momento incontrati solo di sfuggita. A sentire Meadow quei due provavano persino soggezione nei suoi confronti, cosa che lo aveva sorpreso non poco mentre la nipote al contrario si sbellicava dalle risate sul divanetto della sua stanza: lui? Incutere soggezione? Era proprio strano. All’apparenza, dunque, non sembrava la persona più affabile del mondo?
Quella domanda aveva se possibile incrementato ulteriormente l’acceso attacco di ilarità che aveva colpito Meadow, lasciando il fabbricante di bacchette più confuso che mai.
Si stava preparando all’incombente resto della giornata con un caffè bollente – ma forse sarebbe stato più prudente ordinarne un altro – quando un figura leggiadra, sorridente ed elegante uscì sulla terrazza facendo voltare tutti i presenti. Dopo essersi guardata brevemente attorno Anjali scorse Joshua, seduto da solo ad un tavolo, e decise di approfittarne per raggiungerlo. Tutte le teste seguirono i suoi movimenti guardandola avvicinarsi al tavolo dell’australiano, e quando salutò Joshua con un amabile sorriso gentile sulla terrazza si diffuse una certa dose di profonda invidia.
“Buongiorno Joshua. Mangi da solo stamani?”
“Temo che mia nipote mi abbia abbandonato per un amico, ma vista la sua età devo semplicemente farci l’abitudine. Niente Alphard per te, oggi?”
“Alphy si è alzato presto, aveva lunghe lettere di affari da scrivere, pare. E il mio migliore amico è con la sua belle, quindi sono tutta sola anche io.”
“Vuoi sederti?”
“Volentieri, merci.”
Anjali parlava uno splendido inglese, ma di tanto in tanto la bella strega veniva colpita da uno scivolone lasciandosi scappare qualche sporadica parola od espressione nella sua lingua madre. Joshua i francesi li detestava, ma si sforzò di tenere a mente di come la strega non fosse francese, bensì svizzera, mentre Anjali appoggiava la sua borsetta sulla sedia vuota alla sinistra di Joshua e prendeva posto di fronte a lui sistemandosi con grazia la gonna del vestito rosa cipria sotto alle gambe che ormai riportavano una più che discreta abbronzatura.
I grandi occhi chiari di Anjali sembravano ancora più luminosi del solito con il contrasto dell’abbronzatura, risaltando come non mai sul suo bel viso come i suoi vestiti, sempre molto chiari, che le consentivano di farsi notare ancora più del solito. Le donne non erano mai state di suo particolare interesse, ma Joshua dovette riconoscere che quella che aveva di fronte fosse forse di gran lunga la più attraente che avesse mai incontrato, e i persistenti sguardi che suscitava ovunque andasse non lo stupivano affatto.
“So che tua nipote è amica di Silas. È un ragazzo adorabile, gli voglio un gran bene. Un po’ viziato, ma è davvero un bravo ragazzo.”
Anjali gli donò uno dei suoi sorrisi, mostrando file di denti candidi e perfettamente allineati. L’ennesima prova della perfezione di quella donna, e Joshua annuì pensando ad Alphard e a quanto di certo fosse rapidamente diventato l’uomo più detestato di tutta Monte Carlo.
“Lo spero.”
“Lo conosco da quando era un bambino, puoi fidarti della mia opinione. Io e Sabrina siamo diventate amiche quando lei era al primo anno e io al secondo, un giorno sedemmo allo stesso tavolo in Biblioteca. Stavamo entrambe facendo i compiti di Botanique, iniziamo a lamentarci di quanto la materia ci fosse sgradita e da lì abbiamo iniziato a studiare insieme un paio di giorni tutte le settimane. Io ero più grande e l’aiutavo con i compiti, oltre a guidarla nella vita scolastica con i miei preziosissimi consigli. Durante l’estate tra il mio terzo e quarto anno venni qui con i miei genitori per la prima volta per stare con Sabrina per un paio di settimane e conobbi anche Silas, che non aveva ancora 10 anni.”
“Stasera ceno con Meadow, Silas e un altro suo amico.”
“Sono sicura che ti divertirai, Silas è molto simpatico. Durante quella prima estate faceva di tutto per ronzare attorno a me e a sua sorella, credo che volesse stare con lei. Io lo trovavo tenero, Sabrina un po’ meno. Poverino, gli intimava sempre di lasciarci stare. Ma immagino sia tipico dei fratelli maggiori.”
La conversazione venne interrotta dall’arrivo di un cameriere, che chiese ad Anjali che cosa volesse ordinare guardandola con la meraviglia con cui si ammira un’opera d’arte. Quando Anjali gli chiese in francese un cappuccino con caramello e un pain au chocolat e lo ringraziò con un sorriso Joshua credette sinceramente che il ragazzo si sarebbe sciolto sulla terrazza come neve al sole, ma per fortuna resistette e si allontanò con l’ordinazione consentendogli di tornare a rivolgersi alla strega:
“Tu sei figlia unica?”
Oui. Tu suppongo di no, visto che hai una nipote.”
Anjali tamburellò con grazia le dita affusolate piene di sottili anelli d’oro sul tavolo, impaziente di gustare la propria colazione mentre Joshua esitava, chinando lo sguardo sulla propria tazza vuota. All’improvviso si rese conto di non parlare seriamente di sua sorella da talmente tanto tempo da nemmeno ricordare l’ultima volta in cui era successo.
“Ho una sorella. Ma non la vedo da anni, nessuno l’ha più vista da quando è nata Meadow.”
“Oh, mi dispiace. Scusa, sono stata indiscreta.”
Anjali spalancò leggermente i grandi occhi azzurri e lo sguardò sentendosi sinceramente mortificata, maledicendosi per la propria lingua troppo lunga e la sua curiosità, caratteristica che le aveva garantito gli ammonimenti della madre fin da quando era bambina e andava a chiedere alle sue amiche nubili perché non avessero un marito. Per fortuna Joshua accennò un sorriso sollevando gli angoli delle labbra, per nulla offeso e invitandola a non preoccuparsi:
“No, non preoccuparti. Lei era… è molto più grande di me, non abbiamo mai avuto un vero legame fraterno.”
Senza contare del bipolarismo di cui era affetta Judith, disturbo che le aveva sempre impedito di instaurare un legame sano con la sua famiglia, tantomeno di crescere sua figlia, ma di quello naturalmente non ne fece parola con Anjali, che lo guardò un poco dispiaciuta mentre il cameriere tornava al loro tavolo sistemando una tazza enorme, un bicchiere d’acqua e un piattino davanti alla bella strega.
Merci.”
Anjali rivolse un altro sorriso al cameriere, che di nuovo rischiò di liquefarsi mentre arrossiva e ricambiava prima di allontanarsi in tutta fretta sotto lo sguardo divertito di Joshua, che lo guardò lasciare la terrazza prima di gettare un’occhiata al bicchiere d’acqua di fronte ad Anjali:
“Non ho mai capito perché nel sud dell’Europa portano l’acqua col caffè.”
“Il caffè provoca sete, ma soprattutto macchia i denti. L’acqua frizzante smacchia.”
Anjali si strinse nelle spalle mentre versava una bustina di zucchero di canna nel caffè, mescolando la schiuma arricchita dal topping al caramello prima di raccoglierne un po’ col cucchiaio e portarsela alle labbra. Se c’era qualcosa di più piacevole di un’enorme tazza di cappuccino al mattino, Anjali doveva ancora scovarlo.
“Ne sai una più del diavolo, Anjali Kumar. Dimmi qualcos’altro su Silas St John.”
Anjali raccolse un altro po’ di schiuma chiedendosi che cosa condividere con lui e che cosa no. Forse accennare alle sue innumerevoli frequentazioni-lampo non era una buona idea, pertanto decise di ripiegare su qualcosa di più rassicurante da sentire:
“Silas è sempre stato un po’ cocco di mamma, ma penso sia normale… ultimogenito, i genitori divorziano dopo qualche anno… I genitori si sentono in colpa quando si lasciano con i figli ancora bambini e li viziano. Ma penso che sia un ottimo amico, molto generoso e affatto arrogante. Sa di essere più fortunato di molti e se c’è bisogno aiuta sempre chiunque. I St John non sono affatto snob.”
Anjali prese il tanto agognato pain au chocolat per addentarlo, premurandosi di coprirsi educatamente le labbra con una mano mentre masticava e Joshua, rincuorato, la guardava accennando un sorriso:
“Di solito i ricchi lo sono. Nemmeno tu lo sembri affatto.”
“Mon Dieu, lo spero. Niente mi infastidisce più di quelle elegantone che se ne vanno in giro guardando tutti dall’alto in basso. Sai, come le commesse di Pretty Woman.”
Ma Joshua non aveva idea di chi fossero le commesse di Pretty Woman, né tantomeno di cosa Pretty Woman fosse, e guardò la svizzera aggrottando la fronte con evidente perplessità, costringendola a sospirare mentre posava il saccottino di sfoglia per prendere la tazza:
C’est honteux, Joshua Wellick!”      [Che vergogna]
“Non ho capito che hai detto, ma forse è meglio così. Tu da che parte della svizzera vieni, invece?”
“Un po’ qua, un po’ la… Sono nata a Basilea. Mio padre è indiano, mia madre è una svizzera figlia di indiani immigrati a Ginevra, che è la città natale della mia Ammu. Le loro famiglie si conoscevano bene, combinarono il matrimonio e poi nacqui io. Mio padre naturalmente si trasferì in Svizzera e per un po’ vissero a Basilea, ma quando avevo cinque anni tornammo a Ginevra… Ora vivono a Zurigo. A Basilea parlano tedesco, ma a casa Ammu mi parlava in francese o in hindi, quindi ho imparato prima il francese.”
“Ma parli anche tedesco.”
Oui, lo imparai all’asilo. Parlo francese, tedesco, hindi e naturalmente inglese. Mio padre me lo faceva studiare durante le estati, ci teneva molto che lo parlassi per viaggiare. Dopo il Diploma mi spedì a Londra per un mese, pentendosene quando mi vide tornare con due valigie in più per contenere tutto ciò che avevo comprato.”
Anjali si strinse nelle spalle mentre tornava a sorseggiare in tutta calma il suo caffè al ricordo del suo shopping sfrenato da Harrods sotto lo sguardo ammirato di Joshua, che si domandò quanto dovesse essere stata straordinaria la sua vita e non poté fare a meno di pensare a quanto di certo fosse stata profondamente diversa dalla sua, con un’infanzia trascorsa nel bel mezzo del nulla, una madre bizzarra e molto assente e una sorella affetta da una malattia che non erano mai stati in grado di gestire.
La sua vita era cambiata solo quando suo padre lo aveva mandato in Inghilterra, da suo zio, da ragazzino, mettendo così le basi a quello che sarebbe diventato il suo futuro. Quando si riferivano a lui come ad una persona molto benestante Joshua, memore della sua infanzia, ancora quasi scoppiava a ridere: non importava quanti soldi guadagnasse, non sarebbe mai stato come le persone che lo circondavano quando soggiornava in Hotel di quel tipo.
 

 
*

 
Lei e Silas erano rimasti in sala d’attesa per quasi una mezz’ora, ma invece di inalberarsi lei ne aveva semplicemente approfittato per fare delle telefonate e rispondere a delle e-mail, le gambe fasciate dai pantaloni leggeri a sigaretta bianchi accavallate e la borsa poggiata in grembo mentre Silas, accanto a lei, faticava invece a stare fermo. Le sue gambe e le sue mani erano in perenne movimento, così come la sua testa per consentirgli di guardarsi attorno, e Sabrina proprio non riusciva a comprendere il motivo di tutto quel nervosismo: erano visite che faceva tutti i mesi, per lei non c’era più niente di nuovo o di preoccupante già da molto, senza che contare che ultimamente, stanchezza a parte, si sentiva abbastanza bene.
“Perché sei venuto, oggi? Non penso per l’impellente desiderio di vedere mia madre.”
Dopo aver discusso con il fornitore di accappatoi Sabrina tornò a rivolgersi la fratello, guardando il minore con un sopracciglio inarcato. Silas lesse una visibile traccia di sorpresa e scetticismo sul bel viso della sorella, e forse quella consapevolezza un po’ lo ferì: era vero che lui e Sabrina non avevano mai avuto un rapporto particolarmente stretto da quando erano bambini, ma sa sorella non poteva davvero pensare che non gli importasse della sua salute. Silas si strinse nelle spalle, conscio di non trovarsi nella sede e nel momento giusto per farle sapere come si sentiva, e abbozzò invece un sorriso:  
“Volevo accompagnarti. So che vieni sempre a queste visite da sola, e io al posto tuo lo odierei. Ho pensato che un po’ di supporto morale ti avrebbe fatto bene.”
Se la sua risposta la sorprese Sabrina non lo diede a vedere, limitandosi ad osservarlo di rimando per qualche istante prima di scuotere lentamente il capo e distogliere lo sguardo dal suo viso per tornare a fissare il pavimento ricoperto da piastrelle bianche quadrate.
“Non è un problema venire da sola. Ma mia madre sarà felice di vederti, ergo sarà di buon umore, ergo il pranzo dovrebbe filare liscio. In fondo sono contenta che tu sia venuto.”
Sabrina si strinse a sua volta nelle spalle distogliendo lo sguardo, le dita della mano sinistra che tamburellavano sul polso destro mentre il sorriso sul volto di Silas si allargava, conscio di come quello sarebbe stato il massimo che avrebbe potuto ottenere dalla maggiore. Già che c’era, l’ex Grifondoro decise anche di provare a togliersi un dubbio che ormai perseguitava lui e Meadow da diversi giorni a quella parte:
“Posso chiederti una cosa?”
“Sì.”
“Tra te e Joël Moyal c’è qualcosa? Lui ti guarda sempre, e dico sempre.”
“Non sono affari tuoi.”

 
*

 
Visto che Sabrina era fuori città Anjali aveva deciso di approfittarne per passare qualche ora in compagnia di Joël, presentandosi alla porta della sua stanza con un sorriso smagliante sulle labbra e avanzando allegra la proposta di pranzare insieme. Evidentemente il musicista non impazziva all’idea di non sapere cosa fare nell’attesa del ritorno di Sabrina, perché accettò di buon grado e le permise persino di scegliere liberamente dove mangiare.
Dopo esseri riempiti di pesce in uno dei ristoranti con la miglior vista sul Mediterraneo di tutta la città Anjali e Joël decisero di fare una passeggiata per il centro, anche se la svizzera dovette promettere solennemente all’amico che non si sarebbe fatta tentare dalle vetrine e che non avrebbe in alcun modo tentato di trascinarlo all’interno di un qualche negozio.
“La tua partenza per quando è prevista?”
“20 agosto. Per te invece?”
“Se non erro una settimana dopo. Alphy se ne va il 15, tu il 20… sarà una noia stare qui da sola gli ultimi giorni. Cercherò di convincere Sabrina a lavorare un po’ meno per stare in sua compagnia.”
Joël sorrise divertito mentre lui e Anjali camminavano su un marciapiede pulitissimo, sintomo di una città enormemente ricca, con il braccio dell’amica allacciato attorno al proprio, assicurandole che non sarebbe stata un’impresa facile ma che impegnandovisi ci sarebbe riuscita sicuramente.
“E tu e il tuo Alphy come farete, quando andrà via? Tu non sei tipo da storie estive, Anji.”
“No, non lo sono. Lui invece è un po’ come te, sai… molto libero. Ma mi ha già detto di volermi venire a trovare spesso e viceversa. È così carino.”
Un sorriso distese le labbra carnose della strega, che appoggiò la testa sulla spalla di Joël con sguardo sognante mentre l’amico osservava pensoso le facciate dei negozi che si affacciavano sulla strada e il via vai di turisti, molti dei quali con le braccia cariche di borsette patinate.
“E a te dispiacerebbe se dopo l’estate tra voi finisse?”
Così come sentiva che lui avrebbe faticato a sopportarlo, se dopo l’estate non avesse più visto Sabrina, ma invece di affrontare direttamente l’argomento Joël preferì stare a sentire che cosa ne pensasse Anjali, visto che l’amica si trovava nella sua stessa situazione.
Oui. È che abitiamo così lontani… Dovevo proprio trovarmelo in vacanza, l’uomo dei miei sogni, invece che a Zurigo? È proprio ingiusto.”
Anjali sospirò e il suo sguardo si fece improvvisamente cupo mentre scrutava torva le coppiette che li circondavano camminando mano nella mano, invidiandoli non poco per ciò che loro avevano e lei no, ovvero la possibilità di tornare a casa insieme e un futuro certo davanti. Certo essendo lei e Alphard una strega e un mago vivere distanti sarebbe stato molto meno complicato, ma Anjali non era mai stata una sostenitrice delle relazioni a distanza e nonostante le parole di Alphard temeva che presto o tardi lui si sarebbe stancato di quella situazione, che vedendosi sporadicamente avrebbe smesso di piacergli.
“Già.”
Joël annuì, chiedendosi perché l’unica che aveva finito con l’interessargli davvero per la prima volta dopo anni dovesse abitare in un altro Stato. Anche se, considerando che Sabrina gli era sempre piaciuta, in fondo se l’era andata a cercare andando in vacanza a Monte Carlo praticamente ogni anno. Quasi intuendo i suoi pensieri Anjali raddrizzò la testa per voltarsi verso di lui, accantonando i cattivi pensieri per stamparsi un sorriso radioso sulle labbra, felice che anche Sabrina, come lei, stesse trascorrendo una bella estate. La sua amica non era incline ad esprimere facilmente i propri sentimenti, ma l’aveva vista talmente tante volte guardare Joël con sguardo adorante negli ultimi giorni da aver capito quanto rapidamente si stesse intensificando il loro attaccamento.
“Come va con Sabrina? Non ti sei ancora stufato, promette bene!”
Se si fosse trattato di una persona diversa, e non fosse stato per i suoi tremendi trascorsi in campo sentimentale, Joël avrebbe anche potuto offendersi, ma il sorriso di Anjali era sincero, del tutto privo d’ironia, e in fondo il musicista sapeva che si sarebbe potuto meritare anche di peggio per quante ne aveva combinate già a partire dall’adolescenza.
“No. Non penso che mi stuferò in fretta, questa volta. Lei è bellissima, intelligente, mi fa ridere e non me la rende facile in nulla. Non credo di voler tornarmene a casa senza più vederla, Anji. Ma non posso di certo chiederle di venire con me negli States, è troppo meticolosa e ponderata per fare una cosa del genere dopo così poco. Sarebbe folle, e lei non lo farebbe mai.”
Joël sollevò la mano libera per sistemarsi distrattamente i capelli, la fronte aggrottata mentre puntava lo sguardo al suolo ritrovandosi per l’ennesima volta a riflettere sulla sua situazione con Sabrina. Non le avrebbe mai chiesto di lasciare l’Hotel, ma il pensiero di interrompere la loro relazione di lì a qualche settimana gli era insopportabile, e per quanto ancora nessuno dei due avesse voluto approfondire l’argomento per affrontare la realtà la data della sua partenza si avvicinava inesorabilmente, rendendogli impossibile non pensarci.
“Ho sempre detto che ti serviva una persona stimolante, non l’ennesima gallina, e francamente Sabrina è meravigliosa. Ma mai nessuno ascolta Anjali! Ma hai ragione, difficilmente mollerebbe tutto quando vi frequentate da poco, anche se so per certo che ci tiene molto a te... State così bene insieme, siete una gioia per gli occhi!”
Anjali sorrise, lo sguardo sognante e gli occhi chiari scintillanti, prima di asserire di dover assolutamente organizzare una cena a quattro prima delle loro partenze. Joël sapeva di non potere nulla contro la ferrea volontà dell’amica e assentì, lasciandola gongolare affermando la necessità di aprire un’agenzia matrimoniale.
“Ho sempre pensato che sareste potuti stare bene insieme, tralasciando le tue pessime abitudini che spero tu ora abbia appeso al chiodo.”
“Naturalmente. Non so nemmeno chi mi faccia più paura, se te e o Sabrina.”

 
*

 
Meadow non aveva mai conosciuto sua madre, e nemmeno suo nonno, morto prima della sua nascita, ma da quel poco che sapeva della sua famiglia qualcosa si era presto consolidato nella sua giovane mente: i Wellick avevano tutti un tratto in comune, ovvero un’avversione naturale per il buon gusto nel vestire.
La giovane strega si era fatta una lunga doccia calda – anche in piena estate la sola idea di usare l’acqua fredda la faceva rabbrividire –, si era lavata i lisci capelli neri e li aveva asciugati spazzolandoli con cura. Ora indossava l’accappatoio candido più morbido che l’avesse mai avvolta, gentile concessione dell’Hotel, e stava in piedi in infradito rosa davanti al suo letto matrimoniale cercando di decidere che cosa indossare per andare a cena: di norma non si curava particolarmente di che cosa si metteva addosso, ma quella sera avrebbe voluto essere carina, era certa che avrebbe ricordato a lungo quel momento e non voleva certo serbare un’immagine orrenda di se stessa. Oltretutto, quella pignola pettegola di Silas glielo avrebbe rinfacciato a vita, se avesse messo qualcosa di terribile.
“Zio, non so che mettermi!”
Joshua, in piedi nella stanza accanto, udì la voce della nipote anche attraverso la porta comunicante chiusa, e s’immobilizzò di botto mentre infilava i bottoni della camicia nelle asole. L’uomo ruotò lentamente il capo verso la porta chiusa e laccata di verde, tanto che quasi si confondeva con le pareti, per gettarle un’occhiata stranita, stentando a credere di aver appena udito quelle esatte parole pronunciate con la voce di sua nipote.
Era una di quelle classiche cose che ti aspetti di sentire da una ragazza, ma non da Meadow, per Meadow era la prima volta. Che anche sua nipote in fondo fosse una ragazza come tutte le altre?
“Posso aprire?”
Passato lo shock iniziale quando sentì l’impaziente voce della nipote chiedergli il permesso di entrare in camera sua l’uomo assentì, annuendo con un cenno sbrigativo del capo anche se lei non poteva guardarlo in faccia mentre riprendeva ad abbottonarsi la camicia:
“Sì, vieni pure.”
Meadow aprì la sua porta e poi quella dello zio, facendo irruzione in camera sua mentre Tyson, il gufo di famiglia, sonnecchiava placidamente sul suo trespolo in una angolo della stanza. Quando furono finalmente uno di fronte all’altra tra zio e nipote intercorse un più che perplesso scambio di sguardi, entrambi dovuti a ciò che l’altro stava indossando:
“Ma sei ancora in accappatoio?”
Lo sguardo di Joshua indugiò inorridito sul vestiario della nipote, che in effetti consisteva in accappatoio e infradito. Di quel passo avrebbero fatto tardi e la cosa non lo aggradava per nulla: non che morisse dalla voglia di doversi sorbire quella cena, ma a prescindere dalla compagnia aveva una gran fame e non intendeva attendere più del dovuto per mettere qualcosa sotto i denti.
“Te l’ho detto che non so cosa mettermi! Sono stata così cretina a trovarmi solo amici maschi qui, non posso certo chiedere a Silas di prestarmi qualcosa! Porco Godric, ma che ti sei messo?”
Quando lo sguardo di Meadow si focalizzò sulla camicia che Joshua stava finendo di indossare, lasciando libero l’ultimo bottone, la ragazza accantonò momentaneamente le proprie disgrazie per concentrarsi invece su ciò che indossava lo zio, spalancando inorridita gli occhi a mandorla con e labbra tirate in una smorfia mentre Joshua chinava lo sguardo sulla propria camicia, chiedendosi che cosa avesse che non andava prima di tornare ad osservare la nipote aggrottando la fronte:
“Camicia.”
“Lo vedo, ma che razza di colore è?! Melanzana?!”
“Credo che si possa definire in tal modo, sì.”
“Senti Zio, io voglio andare a cena, non sedermi accanto ad una portata a base di verdura!”
Meadow scosse la testa spazientita e incrociò le braccia la petto, decisa ad impedirgli di andarsene a cena con lei e i suoi amici con quel colore addosso mentre Joshua, sempre più scettico e portato a chiedersi perché mai avesse accettato la proposta della nipote, la guardava torvo inarcando un sopracciglio:
“Mi stai dando della melanzana ambulante?!”
“Certo! Sei veramente, veramente fortunato ad essere un bell’uomo, la gente non si sofferma tropo su cosa indossi.”
“Allora va bene, cambierò camicia. Metterò quella color senape.”
Un poco risentito Joshua iniziò a slacciare i bottoni per sfilarsi la camicia e metterne un’altra, ma anziché gioire per la decisione dello zio l’espressione sul viso di Meadow si fece ancora più preoccupata, guardandolo implorante mentre scuoteva freneticamente la testa:
“Ma sai che la detesto! Mi fa male agli occhi!”
“Lo so benissimo, infatti. Vatti a vestire, ho fame e non voglio cenare tra un’eternità!”
“E va bene, ma per colpa tua non potrò mettermi il vestitino color salvia. Non possiamo mettere entrambi un colore derivato da un alimento, per Merlino!”
Meadow sbuffò risentita prima di girare sui tacchi e dirigersi a grandi passi verso la propria stanza, chiudendosi la porta alle spalle per tornare ad esaminare i vestiti che aveva sparso sul letto prima di sollevare Lady Diana, che già si stava dirigendo verso gli abiti per calpestarli con la massima cura, per metterla nella sua cuccetta. La gattina nera puntò i grandi occhioni ambrati sulla padrona, come a chiederle il perché di tutto quel nervosismo, e Meadow rispose sbuffando prima di gettare un’occhiataccia agli abiti che aveva sparso sul letto:
“Vedessi cosa vuole mettersi, Lady D, quella robaccia color senape! La tua omonima si sta sicuramente rivoltando nella tomba, lei sì che aveva stile.”

 
*

 
In fondo Sabrina aveva apprezzato la presenza di Silas – anche se il fratello aveva insistito per detenere il monopolio della musica nel viaggio di ritorno, e la strega si era dovuta sorbire una mezz’ora di musica commerciale da lei giudicata ignobile –, che aveva allietato infinitamente il pranzo che quasi ogni mese aveva luogo tra lei e Sandrine dopo le sue visite a Nizza. Sua madre adorava il suo fratellastro, Sabrina lo sapeva, e in qualche modo tra i due riusciva ad esserci un’affabilità che tra lei e Sandrine non era mai riuscita ad instaurarsi, forse a causa dell’educazione molto rigida che la donna le aveva impartito quando era piccola. C’era una sorta di muro invisibile tra lei e sua madre, per quanto simili fossero, e forse non sarebbero mai riuscite a valicarlo del tutto.
Certo avere Silas accanto dopo la visita era stato un vero supplizio: il suo fratellino si era dimostrato apprensivo e preoccupato in maniera quasi irritante, tempestandola di domande e di curiosità mentre uscivano dalla clinica quando lei, al contrario, non avrebbe desiderato altro che sedersi e bere un caffè freddo – ovviamente decaffeinato, come intimato dal cardiologo –.
“Silas, sto bene, mi stai creando un’angoscia allucinante. Devo fare visite frequenti per controllare che l’aorta non si dilati o che i tessuti non si lacerino, ma sto bene.”
Anziché rassicurarlo l’allusione alla possibilità che la sua aorta potesse dilatarsi aveva inquietato Silas non poco – un paio d’anni prima aveva provato a documentarsi per bene sulla sua malattia, e aveva finito col chiudere tutto pieno di un’opprimente angoscia –, ma l’ex Grifondoro aveva fatto del suo meglio per mettere da parte le proprie preoccupazioni e per apparire il più rilassato possibile quando lui e Sabrina si erano presentati a casa di Sandrine, che si era precipitata a stritolarlo in un abbraccio soffocante.
Il pranzo era andato bene, Silas era stato il più gentile, scherzoso e amabile possibile, e lui e la sorella erano persino riusciti a percorrere il viaggio di ritorno senza nemmeno una discussione, in silenzio ed entrambi concentrati sulla musica e sui propri pensieri mentre percorrevano uno dei più celebri tratti della Riviera Francese.
Quando fecero ritorno all’Hotel erano quasi le cinque – i pranzi con Sandrine potevano protrarsi per intere ere –, e Sabrina sistemò l’auto nel parcheggio interno dell’Hotel prima di spegnere il motore e la musica con lui. Improvvisamente avvolti dal silenzio, gli occhi scuri di Sabrina scrutarono brevemente il logo Alfa Romeo sul volante prima di ruotare il capo verso il fratello, sforzandosi di seguire ciò che Pierre le consigliava da tempo, ovvero di interessarsi di più alla vita del minore:
“Stasera che cosa fai?”
“Ceno con Meadow, Asher e lo zio di Meadow. Sto pensando a cosa indossare.”
“Potevi dirmelo, ti avrei fatto prenotare un ottimo tavolo.”
“Non serve, mi sono arrangiato io. Spero che vada bene, Meadow ci tiene.”
Silas tamburellò con lieve nervosismo le dita della mano destra sul ginocchio, lo sguardo fisso su un punto indefinito davanti a sé mentre Sabrina, al contrario, studiava pensosa il suo profilo.
“Evita le tue orrende barzellette sconce, gli aneddoti osceni e sii gentile. Vuoi bene a Meadow, vedrai che suo zio lo capirà e andrà bene.”
Sabrina si strinse nelle spalle mentre riponeva le chiavi all’interno della sua borsa, aprendo lo sportello per uscire dall’auto bianca mentre Silas si affrettava ad imitarla sospirando con aria grave:
“Io risulto più simpatico, ma tu in queste cose sei grandiosa… Beata te.”
Tante grazie.”
 
I due erano ormai giunti nella Hall, in procinto di separarsi – i capelli ricci di Silas, per essere lavati, necessitavano di un processo estenuantemente lungo –, quando Sabrina invece di dirigersi verso la reception per salutare Michel e chiedergli come fosse andata la giornata fino a quel momento si voltò verso di lui:
“Comunque, grazie per essere venuto. Sei stato gentile.”
Le sue parole sembrarono cogliere sinceramente di sorpresa Silas, che la guardò esterrefatto per un paio di lunghi istanti prima di accennare un sorriso e stringersi nelle spalle, le mani sprofondate nelle tasche:
“Oh. Beh, prego. Potrei venire anche il mese prossimo se vuoi.”
“Vedremo. Ti auguro una buona cena.”
Sabrina si voltò e si allontanò verso il bancone della reception senza dargli il tempo di aggiungere altro, e a Silas non restò che guardarla allontanarsi e avvicinarsi a Michel prima di dirigersi verso gli ascensori con una lieve traccia di sorriso soddisfatto sulle labbra.
 
 
*

 
Le porte dell’ascensore si aprirono consentendo a chi occupava l’abitacolo di affacciarsi nella Hall illuminata dalla luce calda delle lampade e dove aleggiava un lieve, rilassatissimo sottofondo di musica jazz. Meadow e Joshua fecero per uscire all’unisono, finendo con lo scontrarsi e discutere brevemente per stabilire chi dovesse lasciare per primo l’abitacolo di metallo. Ad averla vinta su Meadow, che superò lo zio per uscire rapida dallo zio prima che l’uomo la seguisse, finendo con l’affiancarla per attraversare la Hall a passo svelto e chinandosi leggermente per sussurrarle seccato qualcosa all’orecchio:
“Ti dovevi proprio vestire di rosso?!”
“Che ha che non va il rosso? È il colore della mia Casa, e in più avendo i capelli neri e la carnagione chiarissima mi dona tantissimo. È così per tutti gli Inverno, pare.” Meadow non aveva idea di che cosa significasse ciò che aveva appena proferito, ma assunse la sua espressione sostenuta più convincente per persuadere lo zio del contrario mentre Joshua, accigliato, la guardava chiedendosi se per caso non avesse perso qualche rotella nel tragitto che separava le loro camere al pian terreno.
“Che accidenti stai farneticando?”
“Non me lo chiedere, me l’ha detto Silas giorni fa, ho fatto finta di capire questa cosa delle stagioni ma ancora non mi è chiara. Mi dici che problemi hai col rosso?”
“Sembriamo due bottiglie di salsa in un diner americano, ecco cosa.”
“E meno male che detesti il teatro, vedessi come sei tragico!”
Joshua preferì non rispondere per quieto vivere, poiché erano ormai giunti alle porte della sala interna del ristorante e l’elegante maître di sala aveva gli occhi fissi di loro. Zio e nipote si avvicinarono e Meadow sfoderò un gran sorriso prima di fare il nome di Silas, troppo contenta ed emozionata per riuscire a stare ferma e finendo così con lo spostare ripetutamente il peso da un piede all’altro, esibendosi in una sorta di balletto che ebbe fine quando il maître li invitò gentilmente a seguirlo – fortunatamente in inglese – e Joshua le mise una mano su una spalla per pilotarla.
Silas e Asher avevano già preso posto a tavola e sedevano vicini, leggermente protesi l’uno verso l’altro in modo da accostare le proprie teste e parlare liberamente, senza che i vicini di tavolo li sentissero.
Meadow sorrise, allegra, e levò una mano in segno di saluto quando vide Asher voltarsi verso di lei, affrettando il passo per raggiungere il tavolo prima di fermarsi davanti agli amici:
“Ciao! Come siete puntuali!”
“Ciao. Come sei carina, ti sta bene il rosso.”
Asher rivolse un sorriso caloroso all’amica, che lo ringraziò allegra mentre un cameriere le scostava la sedia per aiutarla a sedersi – qualcosa di affatto necessario, ma la strega decise che non fosse la sede adatta per sollevare polemiche e lo lasciò fare –, scoccando un’occhiata eloquente allo zio come a dirgli “Te l’avevo detto” che fece alzare gli occhi al cielo a Joshua.
“Salve Signor Wellick! Grazie per, emh, essersi unito a noi.”
Silas si sforzò di sorridere mentre un cameriere disponeva i menù sul tavolo, consentendo a Meadow di afferrarne uno dichiarando allegra di star morendo di fame. Silas quasi sentì i lamenti della propria madre da qualche parte, in lontananza, a proposito di come lo avesse educato molto meglio di così, non certo per fargli recitare frasi fatte a casaccio, e mentre imitava la nipote Joshua sbuffò piano, scuotendo la testa con un appena percettibile cenno del capo:
“Potete chiamarmi Joshua, non sono poi così tanto più vecchio di voi.”
“Io e lo zio abbiamo quattordici anni di differenza, in effetti.”
Meadow sollevò momentaneamente lo sguardo dal sofisticatissimo menù – anche se lei si sarebbe volentieri sbafata un hamburger gigante con patatine – per posarlo su Asher e Silas, sorridendo allegra mentre un’espressione si sincera sorpresa compariva sul viso pallido dell’ex Magicospino:
“Davvero? Non pensavo. C-cioè, n-non è che lei s-sembri vecchio…”
Asher si sentì avvampare, maledicendosi in tutte le lingue esistenti per ciò che aveva detto mentre Silas alzava gli occhi al cielo, chiedendo alla sua buona stella di impedire al Signor Wellick di strangolarli entrambi. Quando Asher, nel disperato tentativo di rimediare, si lasciò persino scappare un commento a proposito di come Joshua fosse attraente a Meadow andò di traverso l’acqua che le era appena stata versata nel bicchiere, finendo con lo sputacchiare ripetutamente per poi scoppiare fragorosamente a ridere, contorcendosi sulla sedia.
Silas avrebbe voluto imitarla, ma temeva che Joshua avrebbe potuto assumere la sua reazione come un insulto al proprio aspetto fisico, e ad indispettire lo zio dell’amica non ci teneva affatto. Mentre Meadow, quasi preda delle convulsioni, nascondeva il viso dietro al tovagliolo di lino bianco destando sguardi di rimprovero dai vicini Joshua posò il proprio sguardo su Asher, che avvampò ancora di più e si fece piccolo piccolo sulla sua sedia mentre l’australiano inarcava un sopracciglio. Dopo una lunga esitazione il mago finalmente parlò di nuovo, spezzando il silenzio rotto dalle risatine in sottofondo di Meadow, parlando con tono neutro e pacato prima di tornare a concentrarsi sul menù rilegato nero:
Grazie. Sapete, voi due mi sembrati piuttosto strambi. Evidentemente andate bene per Meadow. Qualcuno saprebbe tradurmi questi piatti francesi dai nomi astrusi? So per esperienza che i francesi sono maestri nel dare nomi scenografici per poi rifilarti delle emerite stronzate e fartele pagare fior di quattrini.”
“Zio, parla piano, i francesi ti sentiranno, ricorda che qui siamo circondati.”
“Che sentano pure.”
In tutta la sua vita Silas non fu mai grato delle sue origini non-francesi come quella sera. Era proprio una fortuna che suo padre dopo aver divorziato da Sandrine avesse deciso di mettere un punto fisso alle sue relazioni con donne francesi, arrivando persino a suggerirgli più volte di fare altrettanto una volta arrivato all’adolescenza.

 
*

 
Joël si immerse in profondità fino a sfiorare le piastrelle bianche del fondo della piscina con il petto, gli occhi chiusi per godersi al meglio la pace e la tranquillità offertagli dal silenzio e dal fatto che la struttura fosse inconsuetamente deserta. Mentre si lasciava ritrasportare verso la superficie nuotando verso il bordo Joël esalò una generosa quantità dell’ossigeno che aveva trattenuto prima di immergersi, aprendo gli occhi appena prima che la sua testa riaffiorasse dalla superficie dell’acqua clorata.
Il musicista aveva fatto in modo di riemergere trovandosi esattamente di fronte a Sabrina, che sedeva sul bordo con le gambe immerse fino alle ginocchia e un costume a due pezzi rosso addosso, i capelli ancora asciutti e un sorriso sulle labbra che si allargò alla vista di Joël, guardandolo lisciarsi i capelli castani all’indietro sulla testa prima di ricambiare il sorriso e incrociare le braccia appoggiando i gomiti direttamente sulle sue cosce.
“Non ti sembra vero di averla tutta per te, vero?”
“Fare il bagno da solo dopo la chiusura, senza tutto quel tremendo marasma, è sempre stato uno dei miei desideri proibiti. Ma anche con la tua presenza di certo non mi lamento.”
Joël si strinse debolmente nelle spalle mentre le accarezzava la pelle nuda delle gambe con i polpastrelli, sollevandosi quel che gli bastava per depositarle un bacio sulle labbra prima di tornare a guardarla accennando alla piscina vuota:
“Non vieni?”
“Confesso di aver lavato i capelli solo ieri sera e che la prospettiva di riempirli di cloro non è delle più allettanti.”
Joël guardò incredulo Sabrina sfoggiare un piccolo sorriso colpevole prima di alzare gli occhi al cielo e sollevare le braccia per stringere le sue mani con le proprie, determinato a non ottenere un no come risposta e a poter approfittare della piscina vuota per fare una nuotata insieme a lei:
“Dai, non fare la perfettina… Se vuoi posso sempre venire in doccia con te e allietartela.”
“Pensi davvero che attaccherà?”
Per quanto i suoi capelli fossero molto corti lavarli costituiva una delle cose che in assoluto Sabrina trovava più sgradevole, e di certo la prospettiva di ripetere quel lungo e noioso rituale per due sere di fila non l’allettava per nulla. Nemmeno i begli occhi blu e il sorriso seducente di Joël Moyal, per quanto avesse presa su di lei, l’avrebbero persuasa e Sabrina sorrise mentre inclinava leggermente la testa di lato, guardando il musicista con un luccichio divertito negli occhi scuri.
“Volevo essere carino. Non volevo dire a voce alta che in fondo hai paura che se facessimo una gara io ti batterei senza battere ciglio.”
Joël parlò con tono sostenuto, stringendosi nelle spalle, e per concludere la sua grande interpretazione finse persino di nuotare verso la scaletta per uscire dalla piscina per ricreare un’uscita di scena degna di una diva, facendo appello alla sua miglior faccia da Poker per non sogghignare mentre sentiva il peso dello sguardo di Sabrina sulla propria nuca. Naturalmente la strega sapeva perfettamente che cosa lui stesse facendo e Joël stesso ne era consapevole, ma l’affascinante musicista sapeva anche quanto fosse acuta l’inguaribile competitività di Sabrina e che se sollecitata in merito lei avrebbe comunque finito con l’assecondarlo.
Joël non aveva nemmeno raggiunto la scaletta, infatti, quando Sabrina sbuffò e scivolò dal bordo dandosi una leggera spinta con le mani, immergendosi in acqua e rabbrividendo un poco per il freddo prima di raggiungere il musicista vicino al bordo della vasca:
“Ok. Tre vasche, chi perde domani paga la cena.”
Sabrina gli puntò contro un dito con fare perentorio, serissima in volto, ma invece di preoccuparsi il sorrisetto che Joël aveva finalmente potuto sfoggiare si allargò, annuendo mentre allungava le braccia per stringerla per la vita e attirarla a sé:
“Quindi stai dicendo che domani ti prenderai la serata libera e ceneremo insieme? Beh, allora ho già vinto.”
“Mi fa piacere sentirtelo dire, visto che perderai.”
Joël stava per baciarla, ma quando a dividere i loro visi furono solo una manciata di centimetri Sabrina smise di tenere le mani allacciate attorno al collo del musicista per spostarle sulla sua testa e spingerla verso il basso, costringendolo ad immergersi per alcuni istanti e approfittandone per iniziare a fendere l’acqua con delle bracciate.
Quando Joël riemerse e si scostò l’acqua dagli occhi Sabrina era già ad un terzo della piscina, e al musicista non restò che roteare gli occhi blu prima di affrettarsi a seguirla, fingendosi seccato pur non riuscendo a trattenere un sorriso divertito prima di iniziare a nuotare a stile libero:
“Sei assurda, Sabrina St John!”
Ed era forse esattamente per questo che non riusciva a smettere di pensare a lei costantemente.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Vi ho fatto aspettare un mese e mezzo per questo tredicesimo capitolo, e per di più è vergognosamente corto? Sì, e me ne dispiaccio profondamente, ma il numero di personaggi che in questo capitolo non appaiono è vergognoso e sarò sincera, di meglio non sono riuscita a fare. Ho dovuto persino estromettere la mia stessa OC per l’impossibilità di scrivere ciò che mi ero prefissata per Medea a causa di questa carestia di personaggi.
Vorrei spendere qualche parola senza alcuna intenzione di fare polemica, siete tutte persone che conosco da tempo e con cui ho ormai una certa confidenza, adoro tutte voi e lo sapete, quindi penso di poter parlare chiaramente senza che nessuno si offenda: questo capitolo, come il precedente, vede una certa carenza di OC al suo interno e infatti è considerevolmente più corto rispetto al mio solito.
Come ho già sottolineato alla fine dello scorso capitolo non ne mancano molti alla fine, e sinceramente mi dispiacerebbe scrivere le ultime fasi di questa storia, che adoro, senza un terzo dei personaggi che dovrebbe contare. Sarebbe un peccato per voi, per i vostri personaggi e per la storia in generale, che ne risentirebbe pesantemente. Negli anni mi sono ritrovata spesso a dovermi mettere sul pulpito per fare prediche perché mi ritrovavo nella condizione di eliminare degli OC, questa volta vi vorrei sinceramente pregare di essere più partecipi da qui fino alla fine, e lo dico perché gli ultimi quattro capitoli (pubblicati dal 1° agosto ad oggi, 4 dicembre, non nell’arco di un paio di settimane) sono stati commentati sempre dalle stesse persone. So che abbiamo tutti i nostri impegni, ci mancherebbe, ma dalla fine dell’estate non sono stata poi così celere ad aggiornare, quindi ritengo che negli ultimi quattro mesi il tempo per commentare almeno un capitolo su quattro lo avreste avuto tranquillamente. Mi dispiace scrivere queste cose, ma non solo non voglio assolutamente eliminare qualcuno quando siamo così a ridosso della fine, cosa che non farò, ma sarebbe davvero un peccato e poco sensato anche continuare a scrivere capitoli con tutti questi personaggi in meno, ragion per cui se continuerò a dover escludere tutti questi OC invece di scrivere altri 4 capitoli come avevo intenzione di fare dovrò ridurre il numero a 3. Adoro scrivere questa storia, non fraintendete, ma poiché si basa interamente sulle interazioni tra i personaggi non trovo sensato scrivere più capitoli con sempre le stesse dinamiche a ripetersi, sarebbe snervante per me da scrivere e noioso da leggere per voi.
Penso che ci rivedremo su questi lidi attorno a Natale, quindi tra due/tre settimane, spero di riuscire ad inserire qualche personaggio in più nel prossimo capitolo.
A presto,
Signorina Granger

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

 
 
 
 
Mercoledì 28 luglio
Antibes, Plage de la baie des milliardaires

spiaggia  
 
 
Un sole cocente brillava su Antibes, quel mercoledì mattina di fine luglio, e Sabrina St John era felicissima di poterselo godere: distesa su un lettino a sdraio bianco, sul quale aveva sistemato il suo asciugamano rosso fiamma, con gli occhiali da sole calati sugli occhi e un costume a due pezzi bianco addosso che risaltava la sua abbronzatura, la strega si stava rilassando lasciando che i raggi solari le asciugassero la pelle, gli occhi chiusi e la testa rivolta verso l’alto: per alcuni il calore sulla pelle era insopportabile, lei invece aveva sempre amato a ricercato quella sensazione, tanto che da bambina sua madre aveva preso a chiamarla petit lézard, piccola lucertola.
“Direi che è valso la pena di insistere per portarti qui.”
Quando udì una voce maschile alla sua sinistra Sabrina aprì gli occhi e ruotò la testa per incrociare lo sguardo di Joël, che le sorrideva tenendosi una mano davanti al viso per ripararsi la vista dai raggi solari. La strega ricambiò il sorriso e annuì, guardandolo con gratitudine mentre allungava una mano per stringergli la sua:
Mas oui. Merci, Joël.”
Joël non rispose, limitandosi ad accarezzarle il dorso della mano abbronzata con il pollice prima di tornare a guardare davanti a sé, studiando l’acqua salata blu resa più scintillante che mai dalla luce del sole e la breve porzione di sabbia che costituiva la splendida caletta in cui si trovavano, a suo avviso una delle più belle di tutta la Costa Azzurra.
“Antibes è sempre bellissima. Non mi rendo mai conto di quanto la Riviera mi manchi fino a quanto non ci torno.”
“Penso che sia sempre così, per tutti. Prendi mio padre, per quanto possa amare questi luoghi Londra per lui sarà sempre il centro del mondo.”
“Pensi che tornerà a viverci stabilmente, quando andrà in pensione?”
“Credo di sì. Magari passerà qui le estati, non lo so. E anche per Silas Londra è casa sua, insomma, non vivrebbe mai qui, non parla nemmeno francese. Se anche mio padre dovesse lasciargli l’Hotel non resterebbe mai a gestirlo di persona.”
Tornata a guardare a sua volta la spiaggia, reduce da una sessione si snorkeling e più stanca di quanto non avrebbe ammesso di fronte a Joël, Sabrina si aggiustò distrattamente la montatura degli occhiali sul naso mentre i suoi pensieri fluivano su suo padre, immaginandolo in panciolle su qualche spiaggia mentre lei si crogiolava nell’insicurezza e nel timore di non aver fatto abbastanza per renderlo orgoglioso di lei. Tornò a guardare Joël solo quando sentì la sua stretta intensificarsi attorno alla sua mano, inducendola a voltarsi di nuovo per poter osservare il suo sorriso:
“Silas non appartiene a questi posti, tu sì. Sono sicuro che tuo padre lo sa meglio di me, e sono sicuro che è fiero di te.”
“Dici?”
“Chi non lo sarebbe, ti fai in quattro per il suo Hotel. Quale genitore non sarebbe fiero di te?”
Una sottile amarezza adombrò il viso di Joël, e all’udire il suo tono incrinarsi un poco Sabrina si mise a sedere sul lettino per poi alzarsi e avvicinarglisi, sedendo sul bordo del suo per sorridergli senza smettere di stringergli la mano: ancora stentava a credere ciò che i genitori di Joël pensavano sul suo lavoro, per lei era inammissibile che non apprezzassero il suo talento e le meraviglie che scriveva e suonava. Lei sarebbe rimasta ad ascoltarlo per ore ed ore, se solo ne avesse avuto l’occasione.
“I tuoi, a non esserlo di te, sono i più sciocchi di cui io abbia mai sentito. Ucciderei per avere un talento come quello che hai tu, ma mi accontento di sedermi vicino a te sull’ottomana del pianoforte e metterti la testa sulla spalla mentre ti ascolto.”
“E ti assicuro che sei il miglior sprono a suonare egregiamente che io abbia mai avuto.”
Joël si mise a sedere a sua volta, le sorrise e la baciò sentendo la salsedine sulle sue labbra carnose, profondamente grato di quella giornata insieme e al contempo desideroso di averne altre. Amava New Orleans come mai aveva amato altre città, eppure l’idea di tornarci, sempre più incombente e pressante, non lo rallegrava affatto.
“Facciamo una gara fino alla boa più vicina?”
“Tra una mezzora, ho voglia di bere qualcosa di ghiacciato e di rosolare un altro po’… Ho rubato una caraffa di succo di zucca ghiacciato solo per te, l’uomo che rinnega l’alcol.”
Sabrina si alzò dal lettino di Joël per aprire mini-frigo preso gentilmente in prestito da Claude e infilato sul sedile posteriore della sua Alfa Romeo quella mattina, quando lei e Joël avevano lasciato Monte Carlo per una giornata fuori. Aveva persino acconsentito a spegnere il telefono per evitare contatti con il lavoro: quell’uomo la stava trasformando nell’ombra di se stessa, ma strano a dirsi non la riteneva una cosa negativa.
“Che gentile. Tu non lo bevi?”
“No, oggi festeggio la mia fuga con un po’ di Kir Royal(1).”
Sabrina sollevò la caraffa di succo di zucca e la passò a Joël prima di prendere due calici e la bottiglietta di vetro dove si era fatta travasare un po’ del suo drink preferito – che non avrebbe dovuto bere e che si concedeva estremamente di rado – versò il succo per Joël e poi versò il liquido rossastro per sé, sorseggiandolo davanti al sorriso sornione e allo sguardo divertito del musicista:
“Champagne a quest’ora, che ragazzaccia. Sono fiero di te. E tanto perché tu lo sappia, ho lasciato il tuo telefono in auto, quindi non hai scampo, siamo solo io, te, la sabbia e il Mediterraneo. Non potrai inventarti emergenze all’Hotel per fuggire via.”
Joël si portò il bicchiere alle labbra mentre Sabrina, preso un sorso di drink, sorrideva tornando a sedersi sul suo lettino, protendendosi un poco verso di lui per mormorare qualcosa a pochi centimetri dal suo bel viso:
“Non chiedo niente di meglio.”


 
*

 
Quando Silas, appreso di avere il giorno libero, aveva proposto a Meadow e ad Asher di passare la giornata in spiaggia la prima aveva assentito senza esitare, mentre l’ex Magicospino era dovuto andare da Brooke per chiederle il permesso: lui e Ridge avevano discusso di nuovo un paio di giorni prima, da allora a stento si erano rivolti la parola e Asher non aveva alcuna intenzione di chiedergli il permesso di stare con i suoi amici. Fortunatamente Brooke glielo aveva accordato subito, asserendo allegra che quel giorno lei e il marito sarebbero andati a Nizza portando Hope con loro. Il sorriso che gli aveva rivolto e la gentilezza della donna avevano stretto dolorosamente lo stomaco di Asher, che non aveva potuto fare a meno di pensare a come le cose tra lei e Ridge andassero meglio sempre e quando tra lui e il marito l’aria si faceva tesa.
Quella mattina Asher dopo colazione aveva portato Frankie all’asilo per cani – salutando naturalmente tutti gli ospiti a quattro zampe, ormai diventati suoi amici – e poi, tornato in camera, aveva tirato fuori l’enorme borsa arancione che sua madre lo aveva costretto a portare, asserendo l’impossibilità di andare nel Sud della Francia senza una borsa da spiaggia.
Effettivamente, dovette riconoscerlo, ancora una volta lei ci aveva visto giusto. E si era persino premurata di prendergliene una del suo colore preferito. Dopo averci infilato telo da mare – arancione –, crema solare 50 – arreso alla certezza di scottarsi in ogni caso, tanto delicata era la sua carnagione e poco abituata all’esposizione al Sole –, evidenziatori, il Manuale di Storia Magica Medievale del Nord Europa e un libro Asher si era infilato costume, maglietta e occhiali da sole prima di gettare un’occhiata critica al proprio aspetto, giudicandosi come sempre troppo pallido e troppo magro. Meadow continuava a ripetere quanto sbagliasse a giudicarsi e di quanto carino fosse, ma per quanto la sua amica potesse essere gentile lui stentava a crederle, certo che parlasse solo per affetto. Silas sì che era un bel ragazzo, con i suoi magnetici occhi gialli, abbronzato e ben piazzato, senza contare del suo ottimo gusto nel vestire: una parte di lui continuava a chiedersi che cosa potesse aver a che fare, con un tipo come Silas St John.
Talvolta, in effetti, ancora stentava a credere che Ridge, un uomo bellissimo spostato con una donna altrettanto splendida, potesse essersi interessato a lui. Perché si era interessato a lui? Non era niente di speciale, non aveva proprio nulla da offrire, niente da aggiungere alla sua vita perfetta. Gli piaceva davvero, o gli piaceva l’idea di avere un passatempo diverso dal solito?
“Cenerentolo, ti muovi? La carrozza attende!”
Il flusso di pensieri di Asher venne bruscamente interrotto dall’energico bussare alla porta e dalla voce squillante di Meadow, portando l’americano ad issarsi la borsa in spalla e a recuperare chiave e telefono prima di aprire la porta. Sorrise all’amica, trovandola con addosso un prendisole giallo e una specie di kimono da spiaggia bianco traforato, anche se il paragone rifuggiva alla sua comprensione:
“Scusa, ma perché, emh, Cenerentolo?”
“Ti credevo più sveglio. Non sei fissato con le zucche, scusa?!”
Meadow sbuffò e scosse la testa prima di girare sui tacchi e allontanarsi lungo il corridoio sfilando davanti alle file di porte bianche chiuse, chiedendosi come potessero i suoi amici essere così tanto ottusi.
 
Asher non si era interrogato a lungo su come avrebbero raggiunto la spiaggia, dando per scontato che sarebbero andati a piedi, o al massimo Smaterializzandosi. Invece, quando lui e Meadow misero piede fuori dall’ingresso, si trovarono davanti alla splendida Porsche nera decappottabile di Silas, che li salutò allegro già al volante con gli occhiali da sole calati davanti agli occhi.
“Forza, salite, o l’unica spiaggia libera di Monte Carlo si riempirà di bambini urlanti che ci fregheranno il posto!”
“Ma non ti sembra di dare troppo nell’occhio?!”
Raggiunta la costosissima vettura Meadow spalancò lo sportello del passeggero per montare accanto all’amico gettandogli un’occhiata in tralice – certa che avesse preso l’auto solo per far colpo sulle ragazze – mentre Asher saliva dietro di lei facendosi piccolo piccolo e abbracciando la sua borsa cercando di occupare il minor spazio possibile e, soprattutto, di non rovinare in alcun modo quei sedili di pelle beige che dovevano valere più della sua vita,
“È la mia macchina, che cosa dovrei usare, il triciclo di quando ero piccolo?! Asher indossa maglia arancione e costume arancione e io do troppo nell’occhio, secondo te?”
Silas mise in modo accennando con il mento in direzione di Asher, che dopo aver allacciato la cintura di sicurezza chinò allarmato lo sguardo sul proprio outfit: aveva sbagliato qualcosa? Era troppo? Sembrava ancora più pallido?
“Cos’ho che non va?”
“Nulla tesoro, sei perfetto. Comunque, St John, io ti batterei di sicuro, in una gara di tricicli.”
“Domani ne riparliamo, saputella.”
 

 
*

 
Quando aveva letto delle aree dell’Hotel accessibili solo ed esclusivamente per maghi e streghe Artemy aveva sinceramente temuto di non potercisi recare: in fondo, anche se era nato in una famiglia di maghi, lui di fatto non lo era, non possedeva alcun briciolo di magia, tanto meno una bacchetta. Fortunatamente, come aveva appreso una volta al Le Mirage, non serviva una bacchetta o recitare la formula di un qualche incantesimo per accedere alla terrazza, né al bar riservato ai maghi: per qualche motivo, immaginava fosse dovuto al sangue che gli scorreva nelle vene, a differenza dei Babbani scorgeva l’ascensore segreto, e anche la porta del secondo bar dell’albergo.
Era una vera fortuna, per lui, poter accedere anche a quelle aree: non facendolo si sarebbe precluso, tanto per cominciare, una fetta di potenziali clienti, ma soprattutto si sarebbe perso tutti i singolari personaggi che popolavano quelle zone dell’Hotel e tutte le dinamiche e i discorsi che da loro prendevano vinta. Per citare un’altra degli ospiti dell’Hotel, Artemy avrebbe dovuto trascorrere meno tempo con Medea, che passava buona parte del suo tempo libero proprio al bar, al riparo dal caldo e dal caos che renava sovrano attorno alle piscine.
Era proprio con lei che Artemy sedeva attorno ad un tavolino circolare del bar sul cui ripiano giacevano due bicchieri rumble di vetro ormai vuoti, occupando due poltroncine a conchiglia blu notte dalle gambe dorate foderate di velluto. Artemy rideva, una mano premuta sul bracciolo della poltroncina e l’altra sulle proprie labbra per attutirne il suono, e francamente ricordava di aver riso tanto con qualcuno di rado, negli ultimi anni. era proprio un peccato che i suoi clienti difficilmente fossero divertenti quanto poteva esserlo Medea, soprattutto quando la strega si lanciava nei racconti di aneddoti legati al suo lavoro. erano decisamente un duo bizzarro, assortito chissà per quale caso, con vite e professioni atipiche, e forse proprio per questo Artemy trovava così preziosa la compagnia della strega.
“Te lo giuro Eros, non sto scherzando, l’amante del marito della donna che mi aveva assunta era sua sorella, insomma, non era un tipo molto originale, e quelle due si sono prese per i capelli davanti a tutta la famiglia. E nessuno interveniva, stavano tutti a fare video!”
“E io che pensavo che la mia famiglia fosse strana. Insomma, che io sappia non ci sono stati adulteri di questo tipo, almeno non fino a quando ci sono stato io. dopo, chissà, anche se mi piace pensare di essere io il più spregiudicato della famiglia.”
Se solo suo nonno, quello stronzo infame che lo aveva cacciato dalla famiglia, dalla sua vita, persino dal suo Paese, avesse potuto vederlo ora, si rammaricò Artemy con un sorriso amaro: con ogni probabilità gli sarebbe venuto un infarto.
“Su questo ho pochi dubbi. Insomma, ammetto che i casi di tradimento sono i più comuni e i più divertenti, ma alla lunga anche i più noiosi. Davvero, ho capito che uomini e donne sono di una banalità inaudita, sempre gli stessi schemi, sempre le stesse storie… questa volta è molto più divertente, per certi versi.”
“Davvero?”
“Certo. C’entra un’eredità, e quando ci sono i soldi di mezzo la gente dà il pezzo di sé. Il che rende un lavoro, per me, molto più divertente. Figurati, quando si è presentata al mio studio a Londra ho capito che avrei accettato dopo appena due frasi, mi sono fatta un po’ pregare solo per aumentare la paga.”
Medea sorrise, divertita, mentre si metteva più comoda contro lo schienale della poltroncina accavallando le gambe lunghe e toniche sotto lo sguardo altrettanto divertito di Artemy, che osservandola ancora una volta si persuase si quanto fossero simili. Il racconto della britannica venne interrotto dal passaggio di una cameriera, alla quale Artemy non esitò a chiedere un altro paio di drink. Stava già tirando fuori dalla tasca dei pantaloni neri il suo portafoglio di pelle firmato quando Medea, intuito che cosa volesse fare, si protese verso di lui scuotendo la testa e levando una mano, improvvisamente seria in volto:
“Non puoi pagare tu di nuovo.”
“Medea, andiamo, è giusto, guadagno più di te.”
“Non mi interessa, non è una scusa buona. Questa volta pago io, se proprio vuoi fare il generoso appena hai una sera libera andiamo a sfondarci di sushi.”
Artemy aveva visto Medea rapportarsi con la cucina orientale già un paio di volte, da quando la conosceva: la quantità di sushi che la strega riusciva ad ingurgitare mantenendo un fisico invidiabilissimo lo aveva sconcertato non poco: era sempre una continua sorpresa da scoprire, e la cosa lo divertita profondamente. Decise di lasciarla fare e ripose in silenzio il portafoglio – aveva anche imparato come fosse poco saggio farla arrabbiare, visto il caratterino che si celava dietro il suo modo di fare posato – mentre al contrario la britannica estraeva il proprio, lasciando delle monete d’oro sul tavolo.
Un paio di minuti dopo la cameriera francese fece ritorno con i loro bicchieri, caricandosi quelli vuoti per portarli dietro al bancone del bar. Si stava ancora allontanando dopo aver ravvolto il denaro di Medea quando la strega sollevò il proprio bicchiere, portandoselo alle labbra per lasciare che il liquido fresco e ghiacciato le scivolasse piacevolmente lungo la gola, avvolgendole la bocca. Dopo aver preso un sorso del suo Mojito Medea rimise il bicchiere sul tavolino, leccandosi le labbra carnose per assaporare l’aroma della menta prima di tornare a rivolgersi all’amico appoggiandosi mollemente allo schienale della poltroncina blu:
“Dove ero rimasta? Ah, sì, Mrs Dalloway.”
“Ti prego, non puoi essere seria. Non si chiama davvero Mrs Dalloway.”
“No, sarebbe meraviglioso. No, uso sempre nomignoli per i clienti, è molto più comodo e di gran lunga con minor potenziale compromettente. Insomma, arriva da me questa signora, visibilmente di famiglia ricca… Insomma, lo si capisce quando uno nasce nell’oro, e sai di che cosa parlo.”
Artemy, in religioso silenzio dinanzi al racconto dell’amica, si limitò ad annuire: lo sapeva benissimo, sia perché era a sua volta cresciuto in una famiglia benestante, sia perché era da quell’ambiente che provenivano i suoi clienti.
“Sua madre era appena morta, e ho subito immaginato che c’entrasse un’eredità, che altro motivo poteva esserci? Mi ha detto che sua madre era rimasta vedova di suo padre quando lei era piccola e che si era risposata una decina di anni fa con un uomo che Mrs Dalloway non ha mai sopportato. Lei ha sempre pensato che la tradisse, e forse alla fine se ne era persuasa anche la madre, perché pare che nel testamento abbia inserito una clausola: dividere il denaro in due parti uguali, che però sarebbero rimaste vincolate per sei mesi, se nel frattempo fosse saltata fuori la prova di qualche tradimento allora al marito non sarebbe andato niente. Così mi ha mandata qui, a seguirlo durante le vacanze, a cercare il marcio… è qui con una donna, chiaramente di almeno dieci anni più giovane di lui, e devo dimostrare che avevano una tresca anche prima della morte della moglie. Cosa neanche troppo difficile, in realtà, visto che Mr X non è affatto discreto.”
Un sorrisino incurvò le labbra carnose di Medea mentre la strega riprendeva in mano il suo bicchiere, profondamente divertita: il suo lavoro poteva anche non essere compreso da una buona parte della società, ma lei lo adorava e non avrebbe mai desiderato di fare nient’altro. Spesso e volentieri era meglio di guardare un qualsiasi film, tante erano le situazioni assurde con cui si ritrovava ad interfacciarsi ogni mese. Anche Artemy sorrise, deliziato dal suo racconto, mentre giocherellava con la cannuccia del suo drink, facendola tintinnare contro i cubetti di ghiaccio.
“Allora lo sapeva.”
“Secondo la mia esperienza le mogli lo sanno, lo sanno sempre. Avrei voluto vedere la faccia di questo tizio all’apertura del testamento… C’è da dire che questo lavoro mi ha quasi del tutto tolto ogni traccia di fiducia per il genere umano, uomini e relazioni romantiche in primis. Non so se riuscirò facilmente ad averne una fidandomi del tutto.”
Medea si sporse nuovamente verso il tavolo per rimettere a posto il bicchiere stringendosi nelle spalle, ma sfoggiando al contempo un sorriso amaro che non sfuggì allo sguardo attento di Artemy, che invece sorrise gentilmente guardandola con affetto, capendo, in parte, come si sentiva:
“Non lasciare che il tuo lavoro abbia implicazioni serie sulla tua vita. E lo dico anche se sono il primo che non ha relazioni e chissà quando riuscirà ad averne, ma la tua situazione è pur sempre meno complicata della mia.”
“E ti va bene?”
“Per il momento credo di sì, insomma, sono molto giovane, più avanti chissà. Di sicuro non sarà facile mentre farò questo lavoro, ma non mi vedo a fare molto altro.”
Artemy si strinse nelle spalle, sforzandosi di prendere il discorso con leggerezza, di non dare a vedere di come talvolta un po’ lo preoccupasse: aveva 26 anni e non si era mai innamorato. Ci sarebbe mai riuscito e, soprattutto, sarebbe mai stato ricambiato?
“Questo mi ha appena ricordato che sei molto più giovane di me, Porca Priscilla. E comunque, non sminuirti, potresti benissimo fare altro. E magari lo farai, e magari troverai qualcuno. Chissà. Io sarò sempre dietro ad una scrivania o in giro a fotografare mariti fedifraghi o truffatori, saprai dove trovarmi.”
Medea sorrise, gli strizzò l’occhio e infine vuotò il bicchiere di Mojito destando un sorriso sulle labbra di Artemy, che non tardò ad assicurarle che se lo sarebbe ricordato:
“Potrei anche finire a farti da assistente. Però ti avverto, costo caro.”
“Sempre che io ti voglia o ti reputi all’altezza, cocco.”
 

 
*
 

Quel pomeriggio Anjali aveva un appuntamento con Alphard previsto per le 15 nella Hall, e si stava appunto preparando per uscire quando il suo telefono aveva iniziato a squillare: la strega era ormai quasi pronta quando l’enorme suite venne improvvisamente avvolta dalle note della sua canzone preferita, Everlasting Love, e Anjali, in piedi davanti all’enorme specchio che ricopriva quasi un’intera parete del bagno, smise di fissare concentrata il proprio riflesso mentre annodava un foulard bianco, nero e oro di Chanel alla sua alta ed ordinata coda di cavallo per voltarsi verso la fonte del rumore. Il telefono giaceva abbandonato sul copriletto bianco che una cameriera aveva provveduto a sistemare con la massima cura solo poche ore prima, e Anjali non esitò a lasciar perdere i propri capelli per affrettarsi a raggiungere il letto percorrendo a piedi nudi la breve distanza che intercorreva tra il mobile e la porta del bagno spalancata, sollevando il dispositivo con occhi pieni di curiosità. Un sorriso allargò le labbra carnose della bella strega quando scorse un nome noto sul display luminoso, e Anjali non esitò a rispondere mentre sedeva sul bordo del materasso, avendo cura di sistemarsi la gonna del vestito rosa sotto alle gambe per evitare di sgualcirla:
Bonjour Gideon! Ça va?”
Negli anni Gideon aveva conosciuto, spesso anche ospitato all’Hotel, un gran numero di amici ed ex compagni di scuola dei suoi figli, ma Anjali Kumar sarebbe sempre rimasta la sua prediletta. La sua sola presenza, persino la sua voce vellutata e allegra, ma mai troppo squillante, sapevano sempre rallegrarlo e metterlo estremamente di buon umore: Gideon, semi-disteso su un lettino a sdraio sotto il sole cocente del Mediterraneo, ebbe cura di sistemare il suo cocktail di frutta ghiacciato sul tavolino che aveva accanto prima di stamparsi un sorriso sulle labbra, gli occhi azzurri celati da un paio di occhiali scuri firmati Tom Ford.
Bonjor ma chérie, je vais bien… Come vanno le cose all’Hotel? La cucina è andata a fuoco? I cani sono fuggiti dai recinti?”
“Per quello che ne so io va tutto benissimo, ma forse non sono la persona più competente a cui chiedere. La tua vacanza?”
“Sono a Saint-Tropez.”
Gideon si sistemò i costosi occhiali sul naso mentre osservava distrattamente il bordo dell’immensa piscina del suo albergo, anche se naturalmente la giudicò molto meno bella di quella che aveva fatto costruire al suo Hotel. Anjali, dall’altro capo della chiamata, spalancò invece leggermente i grandi occhi grigio-azzurri, sorpresa di sapere del suo ritorno sulla Riviera:
“ Saint-Tropez? Ma allora sei qui vicino!”
Oui chérie, il fuso orario mi stava uccidendo, era un caos parlare con Pierre e i ragazzi. E poi alle Maldive faceva troppo caldo.”
“E per quando prevedi di tornare?”
“Tra un mese, aspetterò la fine della stagione. Tu per quanto ancora ti fermi?”
“Più o meno per quando tornerai tu, magari riusciremo a salutarci e cenare insieme, chissà.”
Anche se Gideon non poteva scorgerla in volto Anjali fece comunque foggio del suo sorriso più seducente, al quale l’uomo non tardò a rispondere asserendo come non rifiutasse mai una cena con una donna bellissima come lei. Anjali per tutta risposta ridacchiò, non potendo fare a meno di pensare a quanto la sua assenza si stesse facendo sentire, quell’estate:
“Lo stesso vale per me. Ma immagino che tu non mi abbia chiamata solo per fare il galante.”
Anjali si mise più comoda salendo completamente sul letto, appoggiandosi mollemente alle pile di cuscini di piume dalle federe bianche e azzurre in tanto con tutto il resto della suite. Gideon, dopo una breve interruzione dettata dalla necessità di rinfrescarsi con un sorso di cocktail, annuì prima di tornare a parlare con una calma che però alle orecchie attente di Anjali tradì una sottile e appena percettibile preoccupazione:
“Volevo chiederti come stanno Sabrina e Silas. Sabrina è la persona più orgogliosa del mondo, non me lo direbbe mai, se dovesse esserci qualcosa che non va. Naturalmente ho Pierre a farmi da spia, ma tu per Sabrina sei una fonte più sicura.”
Di nuovo le labbra carnose di Anjali si distesero in un sorriso rilassato mentre la strega giocherellava con l’orlo della sua gonna chiara e plissettata, infinitamente sollevata di avere buone notizie da dargli: quando le aveva confessato la sua discutibile idea la svizzera aveva sinceramente temuto di ritrovarsi ad assistere alla completa distruzione e rasa al suolo del suo Hotel preferito, ma fortunatamente l’estate aveva finito col prendere una piega ben diversa per l’edificio e per i St John.
“Stanno bene, stanno litigando meno di quanto non avessimo immaginato. Diciamo che sono entrambi un po’ distratti. Silas ha un paio di amici e lavora molto… Sabs…”
La strega esitò lasciando la frase in sospeso, ringraziando che l’uomo non potesse vedere né lei né il suo largo sorriso, a metà tra il divertito e il compiaciuto. Le sarebbe piaciuto terribilmente fare gossip con lui – un estraneo sarebbe rimasto sconcertato da quanto Gideon potesse essere pettegolo –, ma no, non poteva essere lei a parlargli di Joël.
“Credo che dovrebbe dirtelo lei, Gideon, je suis désolé.”
“Anjali, proprio tu, mi tradisci così! Dimentichi le nostre ore ed ore di pettegolezzi a bordo piscina!”
Gideon gemette dal suo comodo lettino, ignorando una coppia di francesi che iniziò a gettargli occhiate incuriosite mentre Anjali, ancora comodamente raggomitolata sul suo letto, non riusciva a trattenere un sorriso divertito:
Excuse-moi Gideon, è per una buona causa. Sai che non rinuncerei mai al gossip, se non fosse proprio necessario! Quando torni potresti avere sorprese più gradite di quanto non avessi immaginato alla partenza.”
“E va bene, aspetterò che questo mese passi lento, inesorabilmente lento. Allora parliamo di te, se i ragazzi stanno bene. Silas mi ha detto che quest’estate hai un bel pretendente.”
Quando Gideon prese a sghignazzare le labbra di Anjali si dischiusero e subito la strega si sollevò per mettersi a sedere sul letto, maledicendo mentalmente il suo giovane amico prima di parlare indispettita:
“Quel maledetto, adorabile, bellissimo pettegolo di tuo figlio… Devrait s’occuper de ses oignons!(2)
Gideon rise dal suo lettino, ma Anjali, indispettita, non si unì a lui, troppo occupata a maledire Silas e la lingua lunga ereditata dal padre. essere affascinanti e pettegoli doveva essere un gene ereditario, per gli uomini di quella famiglia.
 

 
*

 
Métropole
 
 
Agosto si stava ormai avvicinando inesorabilmente e il caldo, nella Riviera Francese, si stava facendo sempre più soffocante man mano che i giorni passavano. Per questo motivo Anjali e Alphard avevano deciso di ripiegare sul Métropole come meta del loro shopping, godendosi il beneficio dell’aria condizionata gentilmente offerta dal centro commerciale: anche i soli pochi metri che avevano dovuto percorrere a piedi dall’Hotel erano stati quasi una sofferenza, e varcando la soglia delle porte di vetro scorrevoli del centro commerciale i due erano stati colti da un sentito sospiro di sollievo, lasciandosi l’afa e il sole cocente alle spalle per immergersi invece nella piacevole frescura.
“Non mi sorprende che ci sia tanta gente, oggi fa davvero troppo caldo.”
Mentre camminava fianco a fianco di Alphard tenendo il braccio sinistro allacciato al suo Anjali parlò guardandosi attorno e sventolandosi con grazia con il suo ventaglio – naturalmente rosa, abbinato al suo vestito – preoccupandosi silenziosamente dello stato del suo make up e appuntandosi mentalmente di fare al più presto un salto in bagno per controllarsi il viso: non poteva certo permettersi di fare compere in quelle costosissime boutique di alta moda piene di commesse spocchiose pronte a giudicarla con il trucco sfatto e mezzo sciolto dal caldo.
“Se è insopportabile per te, che sei abituata a questo clima, immagina per me.”
“Povero Alphy, il tuo sangue inglese ed est-europeo ti rende delicatuccio, vero?”
Un sorrisino divertito sollevò gli angoli della labbra di Anjali mentre la strega puntava lo sguardo cristallino e fintamente angelico sul viso del mago, che ricambiò con un’occhiata in tralice che voleva sforzarsi di apparire seccata, ma che finì a sua volta col tramutarsi in un sorriso: per quanto si sforzasse, proprio non riusciva a contemplare anche solo la possibilità di indispettirsi con lei o di tenerle il muso.
“Ne parleremo quando verrai a trovarmi, Miss Kumar.”
“Non mi sfidare Alphy, sono una sciatrice provetta e ho passato più inverni sulle Alpi di chiunque altro. Il freddo non mi spaventa affatto. Anzi, per certi versi penso che sia più tollerabile del caldo: almeno con il freddo non ti si rovina il trucco.”
“Pagherei per vederti sciare. Scommetto che prima di buttarti su una pista tiri fuori uno specchietto e ti dai una controllata.”
Alphard sghignazzò mentre le accarezzava dolcemente il dorso della mano appoggiata sul suo braccio con la propria, e Anjali non rispose gettandogli invece un’occhiata stranita: era ovvio che lo facesse, ma non aveva idea del perché stesse ridendo, per lei era una questione molto seria.
“Gli ambienti dove scio sono piene di celebrity. Se incontrassi, laisse-moi réfléchir… Leonardo DiCaprio, con i capelli in disordine? Non me lo perdonerei mai.”
“Quest’estate ti è andata male, temo. Hai incontrato me.”
L’espressione sul viso di Alphard si addolcì mentre chinava di nuovo lo sguardo sul suo viso, sollevandole con gentilezza la mano per depositarci un bacio sul dorso mentre Anjali, guardandolo adorante, ricambiava prima di premere una guancia contro la sua spalla.
“Mi è andata benissimo, invece. Che ne pensi di una sosta da Ladurée? Volevo parlarti di una cosa.”
L’esperienza di Alphard in merito di relazioni sentimentali era molto scarna, ma persino lui sapeva una cosa, ovvero di dover sempre drizzare le antenne e mettersi in guardia quando l’altra componente di una relazione alludeva a qualcosa di cui voler discutere. Il mago perciò non poté far altro che annuire, lasciandosi pilotare da Anjali verso le scale mobili gremite di turisti e monegaschi che cercavano riparo dall’afa, iniziando a percepire una sensazione fastidiosissima all’altezza del proprio stomaco. Che Anjali volesse partire prima del previsto, cancellando le loro ultime due settimane insieme? Che volesse smettere di frequentarlo in anticipo per rendere i loro saluti meno difficili?
Gettò un’occhiata critica al bellissimo viso della strega, cercando qualche inizio, ma Anjali sorrideva serena e sembrava l’immagine della tranquillità. Forse, allora, non era niente di grave, ma non poteva esserne sicuro.
Il tragitto fino ad uno degli eleganti, deliziosi tavolini vintage bianchi di metallo fu per Alphard semplicemente estenuante: era così nervoso che non ordinò nemmeno un macarons, limitandosi ad un caffè – una parte di lui gridava per correggerlo con qualcosa di forte per rilassarsi, ma non voleva nemmeno far capire ad Anjali di essere nervoso –, e Anjali così indecisa sui gusti da scegliere da impiegarci quasi cinque minuti buoni. Quel maledetto di Ladurée doveva proprio produrre così tanti gusti assurdi di macarons? Chi mai lo avrebbe ordinato, un dannato dolcetto al pompelmo, tanto per citarne uno?
Quando finalmente sedettero aspettando la loro ordinazione le dita della mano destra di Alphard presero a tamburellare nervosamente sul ripiano di metallo gelido, e il suo piede a muoversi allo stesso modo. Anjali, al contrario perfettamente a suo agio, gli sorrise mentre sistemava con grazia la sua Lady Dior rosa cipria sulla sedia libera tra loro, appoggiandosi comodamente allo schienale prima di guardarlo con curiosità:
“Va tutto bene, Alphy?”
“Certo. Di che cosa vuoi parlarmi?”
Mon cher, non si parla mai di cose serie senza qualcosa da bere.”
Anjali scosse un poco la testa facendo sì che la sua lunga coda le solleticasse il collo, portando Alphard a desiderare ardentemente di sbattere la testa contro la superficie del tavolo. L’ansia stava iniziando a fargli venire mal di stomaco, e il sentirsi talmente preoccupato lo preoccupò, se possibile, ancora di più: come avrebbe fatto, due settimane dopo, a lasciare il Principato e Anjali, se la sola idea lo faceva sentire in quel modo orribile? Forse per la prima volta in vita, a 36 anni, avrebbe capito che cosa fossero le “pene d’amore” di cui tanto sentiva parlare in quelle canzoni stucchevoli e lamentose di cui sua madre gli aveva sempre riempito la testa.
Quando finalmente un elegante ed impettito cameriere uscì dal cafè dirigendosi verso di loro con un vassoio Alphard tirò mentalmente un sospiro di sollievo, fissandolo in attesa di vederlo sistemare caffè e dolcetti sul loro tavolo. Il cameriere, tuttavia, doveva essere nuovo, perché per timore di rovesciare vassoio e ordinazione stava procedendo verso di loro con inesorabile lentezza. Alphard, esasperato, trattenne l’impulso di alzarsi e prendere il vassoio lui stesso, rigido come un tronco sulla sedia, mentre invece Anjali sedeva tenendo le gambe accavallate e le mani curate e piene di anelli incrociate sul ginocchio con la sua solita grazia.
Merci.”
Anjali sorrise gentilmente al cameriere quando quello finalmente li raggiunse e sistemò caffè e macarons tra loro due; Alphard invece, ormai prenda di un inizio di nausea, non disse nulla, ma scoccò un’occhiata di sbieco al ragazzo quando quello invece di allontanarsi esitò, sia per invitarlo a lasciarli soli per poter finalmente stare a sentire che cosa Anjali avesse da dirgli, sia per suggerirgli di smetterla di fissarla imbambolato.
Quando il ragazzo finalmente si allontanò lasciandoli soli Alphard guardò Anjali zuccherare il suo caffè con la mascella serrata, in attesa, aspettando che la strega assaggiasse un po’ di schiuma raccogliendola con il cucchiaino prima di sorridergli allegra:
“Delizioso. Non bevi il tuo? Si raffredderà.”
Anjali accennò sorpresa alla tazzina di espresso di Alphard, ma invece di imitarla lui scosse la testa, protendendosi invece leggermente verso di lei:
“Con questo caldo, non sarà un problema. Di che cosa vuoi parlarmi, Anji?”
Se percepì il suo nervosismo e lo trovò divertente Anjali non lo diede a vedere, troppo educata e di classe per farlo: si limitò a sorridere mentre allungava una mano sul tavolo, invitandolo a stringerla con la propria. Alphard obbedì in silenzio, deglutendo mentre puntava i propri occhi castani in quelli che ormai da qualche settimana erano diventati i suoi preferiti al mondo.
Ci siamo, si disse amareggiato: ora Anjali lo avrebbe scaricato e lui sarebbe diventato l’immagine di quelle rimbambite protagoniste dei romanzetti rosa che dopo essere state mollate si struggevano in tuta tracannando gelato a tutte le ore. Per fortuna era estate, e il gelato lo avrebbe reperito facilmente. Ma poi sarebbe ingrassato, e sarebbe diventato l’ombra di se stesso!
Una lunga concatenazione di catastrofi prese rapidamente vita nella mente del mago, che tuttavia fece comunque del suo meglio per restare in silenzio ed impassibile. Anjali gli sorrise, accarezzò il dorso della sua mano con il pollice e poi, finalmente parlò:
“Tu dovresti partire tra due settimane, giusto?”
Alphard non disse nulla, annuì: aveva la netta sensazione che in caso l’avesse fatto la sua voce sarebbe apparsa molto strana rispetto al solito.
“Ecco, in questi giorni ci ho pensato molto.”
La morsa allo stomaco si fece più serrata.
“Io parto a fine agosto, due settimane dopo di te… Insomma, ho pensato che se non hai impegni importanti fissati per quei giorni potresti restare qui un po’ più a lungo, e trasferirti nella mia camera per quelle due settimane. Immagino che l’Hotel sia tutto prenotato per il resto di agosto, e la mia camera è già pagata, mi basta parlare con Sabrina per sistemare tutto.”
Alphard non aveva assolutamente preso in considerazione l’eventualità di una proposta simile, troppo occupato a figurarsi scenari tragici e che avrebbero comportato solo sofferenza, e la sorpresa fu tanta che l’uomo non rispose, limitandosi a fissare sconcertato la strega continuando a stringere la sua mano quasi senza rendersene conto. Mentre Alphard metabolizzava in silenzio fu Anjali a guardarlo con un primo, lieve accenno di nervosismo, osservandolo aggrottando leggermente le sopracciglia per cercare di capire che cosa stesse pensando, preoccupata all’idea di un rifiuto:
“So che hai del lavoro da sbrigare, ma la mia camera è enorme, c’è una scrivania che a me non serve granché, e giuro che non ti darò fastidio. Insomma, ovviamente ti lascerei i tuoi spazi e…”
Alphard, ripreso possesso della facoltà di parola, finalmente si rilassò, distese la tensione e sorrise, guardandola con sincera gioia e stringendole la mano con maggior vigore, infinitamente sollevato e soprattutto sinceramente entusiasta della sua proposta. Il mago interruppe il flusso di parole della strega, rassicurandola con gentilezza: non c’era assolutamente bisogno che Anjali tentasse di convincerlo.
“Non vedo come potresti infastidirmi. Certo che resto, se vuoi. Insomma, stiamo comunque insieme per la maggior parte del tempo, non penso che stando nella stessa camera le cose cambierebbero più di tanto.”
Proprio come era stato per lui poco prima, Anjali si sentì pervadere da una piacevole ondata di sollievo all’udire le parole del mago, finendo col sorridergli felice ed entusiasta, gli occhi azzurri scintillanti per l’emozione:
“Lo penso anche io. Allora stasera parlo con Sabrina.”
“Ma non mi sembra giusto restare a scrocco, dovrei contribuire…”
“Sciocchezze, sarai mio ospite. Forza, su, bevi ora, l’espresso tiepido è un’eresia.”
Anjali fece cenno ad Alphard di assaggiare il suo caffè prendendo un macarons al lampone per addentarlo felice, e questa volta Alphard non si fece pregare, affrettandosi a sollevare la sua tazzina ritrovando improvvisamente fame e sete. Nausea e mal di stomaco, ormai, non erano altro che un lontanissimo ricordo.
“C’è solo una cosa che mi preoccupa, se devo essere onesto.”
“Che cosa, mon cher?”
Anjali masticò il costoso dolcetto coprendosi educatamente le labbra con la mano destra, guardando il mago con un velo di preoccupazione nei grandi occhi chiari: forse Alphy aveva paura di trovarla insopportabile, trascorrendo tanto tempo in sua compagnia? Alphard di rimando, la fronte aggrottata, rimise la tazzina ormai piena solo fino a metà sul piattino bianco prima di parlare, più serio che mai e un poco pensieroso:
“Ci staranno mai tutti i nostri abiti?”
“Mon Dieu, non ci avevo pensato. Dovremo usare la magia per ingrandire i miei armadi a muro. Ma come fanno i Babbani, proprio non lo so.”

 
*

 
Asher non ci aveva messo molto a rendersi conto, dopo averli conosciuti, di quanto Silas e Meadow fossero in tutto e per tutto simili a dei bambini quando si metteva in gioco una qualsiasi forma di competizione: nel corso delle settimane li aveva visti scannarsi a Cluedo, a Monopoly – si erano dichiarati guerra soffiandosi a vicenda le proprietà più convenienti e costruendo alberghi a tutto spiano –, Risiko era stato persino formalmente abolito dal Codice della loro amicizia dopo una terribile partita che aveva rischiato di far voltare le teste di entrambi. Ad UNO si erano fatti pescare a vicenda un numero indefinito di carte e lasciato contro maledizioni verbali – fortunatamente Asher aveva ben pensato di inserire nel Codice una regola che vietava di avere sottomano le bacchette quando si era impegnati in una qualsiasi attività ludica –, e preso fin troppo seriamente il Trivial Pursuit.
Quei due erano molto amici, ma era anche indubbio che avessero un rapporto bizzarro, Asher lo aveva capito in fretta. Eppure, in qualche modo, erano perfettamente assortiti: seduto sul suo asciugamano arancione, lasciando che i raggi solari gli asciugassero e scaldassero la pelle lasciata umida dall’ultimo bagno, l’ex Magicospino li stava guardando sfidarsi a ping pong con forse fin troppa veemenza, finendo col scagliare la pallina gialla di qua e di là con tanta violenza da fargli desiderare di non entrare nel loro campo visivo per nulla al mondo. E pensare, si ritrovò a considerare Asher con un sorriso mentre recuperava gli occhiali da sole dalla sua borsa – doveva essere l’unico in tutta Monte Carlo a non possedere occhiali firmati, forse lo avrebbero potuto anche inserire nel Guiness dei Primati – che quando li aveva conosciuti aveva ipotizzato che potessero diventare più che amici. Ora, avendoli conosciuti meglio, la sola idea l’avrebbe fatto scoppiare a ridere come avrebbe fatto scoppiare a ridere i diretti interessati.
Dopo aver gettato un’ultima occhiata ai bambini che costruivano castelli di sabbia attorno all’area di gioco di Silas e Meadow, sinceramente preoccupato che uno di loro potesse prendersi la pallina in testa, Asher tornò a frugare nella sua borsa per ritrovare il libro che aveva portato con sé e il tubetto della crema solare, deciso a fare il possibile per evitarsi una scottatura.
Si stava spalmando la crema sulle braccia cosparse di efelidi quando Meadow, furiosa dopo aver perso la partita, lo raggiunse affondando con rabbia i piedi nella sabbia con falcate lunghe e decise. Per un attimo il ragazzo temette che potesse prendersela con lui, ma per fortuna la strega gettò amareggiata la racchetta della sconfitta sulla sabbia prima di sederglisi accanto:
“Ho perso, porco Godric e il suo cappello! Ma avrò la mia rivincita, in questo Paese o in Inghilterra. Vuoi una mano con la crema, tesoro?”
Grato e sollevato per il repentino cambiamento di atteggiamento in Meadow, che non appena gli si fu seduta accanto gli sorrise gentilmente, Asher annuì e le porse il tubetto di crema, lasciando che gliela spalmasse sulla schiena e permettendogli così di aprire il suo libro per dedicarsi alla lettura.
“Che cosa leggi?”
Il Diario di Bridget Jones. Adoro il film, e voglio leggere anche il libro. Silas dov’è finito, invece?”
“A prendere i gelati. Gli conviene, perché non voglio vederlo per un po’.”
Asher sentì l’amica sbuffare con rancore alle sue spalle mentre gli massaggiava la pelle pallida della schiena per far assorbire la crema – che Silas, poco prima, aveva definito candidamente “malta da edilizia” – e non riuscì a celare un sorriso, sia perché quella faida infantile lo divertiva, sia per la gratitudine rivolta a Meadow e al suo non ridere o fare commenti sgradevoli sulla sua lettura. Era bello che per una volta qualcuno non lo deridesse per la sua passione per le rom-com.
“Di che parla il tuo libro?”
“Il solito, Bridget si invaghisce dell’uomo sbagliato, quando il suo vero amore è altrove.”
“E l’uomo sbagliato è uno stronzo? Mi ricorda qualcuno.”
Ormai Asher era abituato al candore di Meadow, e invece di prendersela allargò le labbra in un sorriso amaro, annuendo mentre accarezzava distrattamente la copertina del libro e i suoi pensieri fluivano su Ridge e sulla loro ultima lite.
“Sì, direi di sì.”
“So che non ha senso continuare a ripeterlo, che è una tua decisione e che di certo non sono la prima a dirtelo… Ma dovresti proprio chiuderlo fuori dalla tua vita. Troverai un altro lavoro, e soprattutto troverai un’altra persona. Migliore, sicuramente, e migliore per te. Non sono la persona migliore per dare consigli, ma credo che dovresti valutare che cosa concretamente aggiunge alla tua vita il suo farne parte. Se i pro sono superiori ai contro allora va bene, in caso contrario riflettici.”
Meadow richiuse il tubetto di crema e lo infilò nuovamente nella borsa di Asher prima di sedersi accanto a lui, abbracciandosi le ginocchia con le lunghe braccia esili e osservando l’acqua cristallina del Mediterraneo mentre una leggera brezza le faceva ondeggiare i lisci capelli scuri attorno al viso. Non ne sapeva quasi nulla, lei, di relazioni romantiche, ma per quel poco che sapeva avere una persona accanto avrebbe dovuto costituire un arricchimento, non una fonte di frustrazione e di stress.
Asher, gli occhi chiari chini sulla copertina del libro, annuì, del tutto consapevole di come l’amica avesse ragione. Tutti avevano ragione, anche sua madre, lo sapeva. Ma l’idea di lasciar andare Ridge gli risultava comunque ancora difficile da sopportare, seppur si sentisse ben poco appagato da quella relazione sempre più di frequente.
“Lo so. Non hai idea di quanto io mi senta stupido, in fondo so che è una relazione sbagliata, sia per come è nata, sia per come va avanti. Non capisco perché sia così difficile.”
“Se Bridget lascia lo stronzo puoi farlo anche tu. So che è bello, e sicuramente avrà delle qualità per essersi sposato e aver attirato il tuo interesse… Ma ti corrodi nel senso di colpa molto più di quanto tu non sia felice, ne vale la pena?”
“Forse no.”
Asher tornò finalmente a guardare l’amica e lei gli sorrise, allungando una mano per stringere la sua. Stava per ringraziarla, per farle sapere quanto fosse felice di aver incontrato lei e Silas, quando quest’ultimo fece ritorno brandendo i tre coni gelato più grandi che Asher avesse mai visto.
“Ecco qui, il gelato della concordia. Scusa Meadow, mi duole averti stracciato con la mia somma bravura. Tieni Asher: cioccolato e caramello salato con topping alla Nutella, ho preso la cosa più dolce e calorica che c’era.”
Silas, gli occhi celati dalle lenti scure degli occhiali, si chinò verso l’amico per porgergli il suo cono e Asher lo accettò con un sorriso grato, riponendo il libro al sicuro nella borsa per scongiurare possibili danni mentre Meadow, gli occhi scuri fissi su Silas, sorrideva angelica:
“Sei fortunato che tu stia tenendo i gelati, Silas, altrimenti ti strangolerei. Ti conviene non avermi rifilato osceni gusti alla frutta, tra l’altro.”
“Chi mangia gelati alla frutta non può essere mio amico, povera illusa.”

 
*

 
Quando avevano fatto ritorno al Le Mirage Anjali non aveva esitato a trovare Sabrina per invitarla a cena fuori – o meglio, costringerla a cenare con lei – per condividere con lei le novità, pertanto Alphard, imbattutosi in Joshua al bar, gli aveva chiesto a sua volta se per quella sera avesse impegni di sorta, del tutto incapace di scollarsi un largo sorriso dalle labbra. A vedersi da fuori, si disse il mago, di certo si sarebbe preso a schiaffi, ma era troppo allegro per preoccuparsi della smorfia beota che probabilmente si sarebbe portato appresso per tutto il resto della giornata.
L’australiano non a caso lo aveva guardato con un accenno di perplessità negli occhi scuri, forse chiedendosi se non si fosse fumato qualcosa di strano, ma aveva accettato il suo invito dichiarando che la nipote avrebbe cenato con i suoi amici. Sembrava sollevato, in effetti.
Si erano dunque dati appuntamento nella Hall per le 20, e quando le porte dorate dell’ascensore si erano aperte Alphard aveva visto Joshua in piedi davanti allo schienale di uno dei divani color cammello dell’ingresso, appoggiato mollemente al mobile foderato di velluto con le braccia conserte e lo sguardo puntato distrattamente sulla parete alle spalle della reception dipinta di blu e ricoperta da eleganti motivi dorati, la mente altrove.
“Ciao. Ti va se ceniamo qui?”
Quando Alphard gli si avvicinò per salutarlo Joshua poté scorgere nuovamente in lui quel larghissimo sorriso e quel buon umore affatto contenuto – tutto, persino la sua postura rilassata ma eretta, suggeriva quanto Alphard fosse euforico –, e per quanto avesse la sensibilità di un cucchiaino d’argento qualcosa gli suggerì comunque che quello stato emotivo avesse a che fare con una loro comune conoscenza. Chissà, forse stava persino migliorando.
“Sì, sono stato in giro a litigare con clienti vari tutto il giorno, non mi dispiace restare qui. Andiamo di sopra?”
 Joshua parlò staccandosi mollemente dallo schienale alto del divano e riuscendo quasi a sentire le risatine di Meadow e la voce canzonatoria della nipote suggerirgli come in effetti la terrazza fosse una location più romantica. Un poco seccato dall’onnipresenza di Meadow, persino nei suoi pensieri, Joshua si affrettò a scacciare quella voce mentre Alphard assentiva, precedendolo verso l’ascensore che portava esclusivamente alla terrazza, visibile solo ai maghi.
I due si avvicinarono alla parete e attesero con nonchalance che la Hall si facesse un po’ meno affollata, dopodiché Alphard premette il pulsante di apertura delle porte e salirono finalmente nell’abitacolo ricoperto da specchi, diretti al punto più alto dell’albergo.
“È davvero un sollievo che ci siano parti dell’edificio dove i Babbani non accedono, trovi?”
Mentre l’ascensore saliva rapido superando il primo e il secondo piano Alphard si rivolse a Joshua, sollevato all’idea di poter usare la magia e di non doversi preoccupare di dover evitare di parlare di certi argomenti almeno in alcune zone dell’albergo: solo il giorno prima, al bar, la sua gatta gli aveva strappato una manica della camicia con le lunghe e per riparare il danno con la magia aveva dovuto aspettare di fare ritorno nella propria camera. Nessuno aveva fatto caso allo strappo, ma per Alphard si era comunque trattato di uno smacco infinitamente snervante al suo bellissimo outfit.
“Assolutamente. Per il mio lavoro, poi, sarebbe stato piuttosto complicato, siamo venuti qui proprio per questo motivo. E perché avevo letto che si mangiava benissimo.”
Ed era proprio nei riguardi della cucina dell’Hotel che Joshua, quella sera, aveva intenti precisi: durante l’ultimo pasto condiviso con Alphard aveva miseramente fallito con gli spaghetti. Quel giorno si sarebbe preso la sua rivincita, e infatti ordinò spaghetti allo scoglio senza nemmeno preoccuparsi di consultare il lunghissimo e sofisticato menù.
“Mi sono allenato dall’ultima volta, stasera non farò nessuna figuraccia con gli italiani.”
Joshua si sistemò il tovagliolo candido sulle ginocchia con tanta serietà che Alphard, che gli sedeva di fronte, proprio non se la sentì di ridacchiare o di concedersi una battuta sarcastica: l’imprenditore si limitò ad annuire e a fare appello a tutta l’impassibilità possibile, ritrovandosi a ringraziare tutti gli anni di partite a poker che aveva alle spalle.
“Allora, perché sei così allegro? E perché passi il tempo con me, quando potresti stare con una donna deliziosa?”
“Non sminuirti, sei delizioso anche tu.”
Alphard ridacchiò e Joshua, raccolto un grissino al sesamo dall’elegante cestino che aveva di fronte, lo spezzò a metà per addentarlo cercando di non pensare a quanto Meadow avrebbe riso ascoltando la loro conversazione. Doveva assolutamente tenere il suo nuovo amico alla larga dalla nipote, o avrebbe perso tutta la sua dignità.
“Seriamente, stasera cenava con la Direttrice dell’Hotel. Oggi mi ha chiesto di restare per altre due settimane, quindi posticiperò la partenza.”
“Allora partirai nel mio stesso periodo. Bene, mi fa piacere. E sono contento per voi, ovviamente.”
Joshua sollevò gli angoli delle labbra in un accenno di sorriso, persuaso del fatto che Anjali e Alphard, anche se si conoscevano da poco, costituissero già una delle coppie meglio assortite che si fosse mai ritrovato davanti. Alphard ricambiò, visibilmente felice a sua volta, prima che la loro conversazione venisse interrotta dall’arrivo di un cameriere: l’imprenditore, desideroso di festeggiare, ordinò forse la bottiglia più costosa del menù, ma Joshua lo lasciò fare senza opporsi. Chi era lui, dopotutto, per negargli di festeggiare?
 
Quindici minuti avevano entrambi i loro piatti eleganti e fumanti davanti, e Joshua impugnò la forchetta osservando astioso gli spaghetti sfumati con una dose abbondante di vino bianco e coperti dai gusci delle vongole.
“Questa volta non avrò bisogno di tagliarli.”
“Aspetta, fermo così, ti faccio un video da tramandare ai posteri.”
“Non sei affatto divertente, Alphard.”
 

 
*

 
Quando lo aveva informato dell’invito di Anjali – che di certo doveva avere qualcosa da raccontarle, a giudicare dall’entusiasmo con cui l’aveva bloccata fuori dal suo ufficio – Joël le aveva detto che quella sera avrebbe cenato in camera sua, asserendo di essere ispirato e di voler scrivere, e che sarebbe uscito solo per fare una breve passeggiata una volta consumato il pasto. Quando aveva fatto ritorno all’Hotel con Anjali Sabrina si era dunque recata senza indugi verso la camera del musicista al primo piano, bussando senza però ottenere risposta. Dopo una breve esitazione la strega decise di utilizzare la sua chiave per aprire, giusto per assicurarsi che non ci fosse, spalancando l’anta bianca quel che le bastava per gettare un’occhiata all’interno della camera dalle pareti di un intenso blu cobalto.
“Joël?”
La stanza era vuota, il letto ancora rifatto ma occupato da una custodia nera di cuoio chiusa, da penne e fogli gettati alla rinfusa, segno che la mente di Joël era stata messa all’opera. Sabrina stava per chiudere la porta, persuasa che ancora non fosse rientrato quando sentì lo scroscio dell’acqua provenire dalla porta chiusa del bagno. Provò quindi a chiamarlo di nuovo e questa volta Joël rispose, chiedendole di aspettarlo per un paio di minuti.
Sabrina obbedì, entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle prima di avvicinarsi al letto, sforzandosi di vincere la propria curiosità per non guardare gli spariti: Joël non voleva che sapesse niente di ciò che stava scrivendo fino a che non avesse finito, e anche se la tentazione era molta fece del suo meglio per indirizzare tutta la propria attenzione sulla custodia chiusa. La aprì delicatamente e si trovò di fronte ad un violino, sfiorandone a malapena le corde tese mentre rammentava di quando Joël aveva accennato al violino di suo nonno, che ancora possedeva.
Stava osservando lo strumento, un po’ pentita di non aver mai imparato a suonare nulla, quando la porta alle sue spalle si aprì e Joël uscì dal bagno avvolto da un accappatoio bianco che riportava il logo dell’Hotel, i piedi nudi e i capelli bagnati pettinati all’indietro. Istintivamente il mago sorrise alla vista della strega, avvicinandolesi per abbracciarla, quando si rese conto con orrore di aver lasciato tutti gli spartiti sparsi sul letto. Ebbene, giunto a 31 anni forse avrebbe dovuto a malincuore dar ragione a sua madre: il suo disordine prima o poi gli si sarebbe rivolto contro.
“Non starai mica sbirciando, vero signorina?”
Joël raggiunse un poco allarmato il letto, appurando con sollievo di come Sabrina stesse guardando il violino di suo nonno per poi affrettarsi a raccogliere con gesti rapidi e urgenti tutti gli spartiti sperando che la strega non avesse sbirciato niente, nemmeno i titoli scarabocchiati a matita.
“Certo che no, sono una brava ragazza educata, io, anche se tutto questo mistero comincia ad insospettirmi.”
“Vuoi dire una perfettina noiosa. Va bene, mi hai scoperto, tanto vale dirtelo.”
Joël annuì, la voce grave mentre stringeva a sé gli spariti, guardando la ragazza mentre dava vita ad una pausa teatrale perfettamente studiata: attese di vedere il sopracciglio sinistro di Sabrina sollevarsi – riusciva a sollevarne uno alla volta, cosa che lo divertiva terribilmente – e infine parlò, sospirando come se dovesse confessarle qualcosa di terribile.
“Sto componendo un pezzo per dichiarare il mio amore a Silas.”
Il cuscino di piume sferzò l’aria e raggiunse infine la sua faccia con un impatto mediamente violento, ma Joël se l’era aspettato a si limitò a ridacchiare mentre lo prendeva, rigettandolo sul letto prima di dare le spalle a Sabrina e andare a riporre gli spartiti nel cassetto della scrivania, al sicuro dal suo sgaurdo.
“Ci devi solo provare. Il mio cuore non reggerebbe un simile colpo.”
Quando Joël tornò a guardarla le sue labbra si allargarono in un sorriso, sollevando le braccia quel tanto che bastava per avvolgerle attorno alla vita di Sabrina e stringerla a sé. Si baciarono a lungo, finchè Joeel non allontanò leggermente il viso dal suo per guardarla meglio e accarezzarle i capelli con la mano sinistra, studiando il tubino nero che lasciava le spalle scoperte indossato dalla strega.
“Sei bellissima stasera. Mi devi per caso confessare anche tu qualcosa?”
Oui. Tu sei solo una copertura, in realtà amo Anjali e stasera intendevo fare colpo, ma disgraziatamente tra lei e Alphard sembra una cosa seria, mi dovrò arrendere.”
Sabrina gli allacciò le braccia abbronzate attorno al collo e sospirò mentre scuoteva la testa, usando la stessa espressione mesta che da bambina sfoggiava per convincere sua madre a concederle un po’ di dolce, e Joël annuì, sconsolato come quando molti anni prima cercava di risparmiarsi una predica dopo una marachella:
“Ah, lo sapevo, ecco perché state sempre insieme. Ma tornando a tuo fratello…”
Mentre parlava accarezzandole dolcemente la vita con la punta dei polpastrelli Joël vide lo sgomento farsi rapidamente largo sul bel viso della strega, portandolo a sorridere divertito mentre si affrettava a finire la frase: era divertente darle il tormento, ma se avesse continuato poi l’avrebbe pagata.
“Mi piacerebbe se mangiassimo con lui, prima della mia partenza.”
Mon Dieu, per un terribile istante ho temuto che davvero volessi dirmi qualcosa su mio fratello. Non spaventarmi mai più così.”
“Silas è un bellissimo ragazzo, ma tu sei più il mio tipo.”
“Vorrei vedere, se stai con me! Comunque sì, se ci tieni, penso che si possa fare.”
L’idea di cenare con Joël e Silas allo stesso tempo non era per lei la più entusiasmante del mondo, ma se lui ci teneva non se la sarebbe mai sentita di negarglielo, perciò assentì. Joël dovette percepire la sua leggera reticenza perché le sorrise, grato, stampandole un brevissimo bacio sulle labbra prima di tornare a guardarla:
Merci. Ora, mi puoi dire una cosa? Dov’è la cerniera di questo dannato vestito? Perché le nascondono in tutti i modi? Sicuramente questo vestito non l’ha disegnato un uomo.”
 
 
Il profumo dello shampoo al muschio bianco di Joël era forte e pungente tanto che Sabrina, la guancia premuta contro la sua spalla nuda, riusciva perfettamente a percepirlo e a lasciare che le solleticasse piacevolmente le narici. Adorava quel profumo, specie se lo sentiva su di lui.
Gli occhi scuri di Sabrina, puntati sulla finestra chiusa e sullo scorcio del cielo notturno offerto dalla sua prospettiva, si spostarono sulla cassettiera di legno e sulla custodia che Joël ci aveva appoggiato sopra poco prima. Quasi senza che lei lo volesse i suoi pensieri andarono al violino, al nonno di Joël, e a quanto lui dovesse aver sofferto la sua perdita, finendo col precipitare in una spirale di senso di colpa: continuava a dirsi di aprirsi completamente con lui, che era giusto farlo, ma puntualmente quando lo vedeva i suoi propositi sfumavano, lei che aveva sempre avuto una volontà d’acciaio. Una parte di lei voleva che niente cambiasse, pur sapendo che fosse sciocco: tutto sarebbe cambiato, che lei lo volesse o meno, di lì a poche settimane. E parlare con Anjali non aveva fatto altro che rendere ancora più viva quella consapevolezza.
“A cosa stai pensando, ma belle?”
Il mormorio di Joël, che le stava accarezzando dolcemente i capelli con una mano e le scapole lasciate scoperte dal lenzuolo bianco con l’altra, le solleticò l’orecchio, ridestandola, e dopo una breve esitazione Sabrina rispose mormorando una parte di verità:
“Ad Anji.”
“Come scusa?!”
Le dita di Joël si fermarono di colpo, e Sabrina lo sentì irrigidirsi contro di lei prima di sbuffare e alzare la testa, spostandosi leggermente per poterlo guardare in viso e godersi la sua espressione sgomenta e un poco offesa:
“Non in quel senso, idiot. No, a cena mi ha detto che ha chiesto ad Alphard di fermarsi per altre due settimane. Doveva andarsene il 15, si fermerà fino alla partenza di Anji e alloggerà nella sua Suite.”
L’indignazione di Joël subito si distese, tramutandosi in un sorriso compiaciuto e profondamente divertito: non vedeva l’ora di incontrare la sua amica, il giorno seguente per stuzzicarla un po’ sull’argomento.
“La nostra Anji è proprio innamorata, non c’è niente da fare. Speriamo vada meglio dell’altra volta.”
“Peggio non può certo andare, non pensi?”
“Hai ragione.”
“Io ho sempre ragione.”
Joël, come di recente aveva imparato a fare, non replicò: Sabrina era il capo e poteva buttarlo fuori quando voleva, meglio non farla indispettire. Si limitò a sorridere continuando ad accarezzarle i capelli, guardando i lineamenti del suo viso, dalla curva delle labbra fino alle sue ciglia folte, ritrovandosi ancora a considerare su quanto bella fosse. Il viso di Sabrina, tuttavia, non era rilassato: le sopracciglia erano contratte, segno che stava riflettendo su qualcosa, ma invece di sollecitarla Joël aspettò che decidesse da sola di condividere con lui i suoi pensieri, guardandola chinare lo sguardo sul suo mento per evitare il contatto visivo e impedirgli così il più possibile di vederla arrossire, cosa che allargò il sorriso del mago.
“Senti… E se restassi anche tu, fino alla fine di agosto?”
“Mi piacerebbe, ma penso che sia tutto prenotato.” 
Ci aveva già pensato anche lui, a quanto avrebbe voluto prolungare il suo soggiorno, e più volte si era maledetto per non aver prenotato la camera per una decina di giorni in più: certo, mesi prima non aveva messo in conto di prendersi una sbandata colossale per Sabrina St John.
“Puoi, emh… Puoi restare da me. Insomma, ultimamente dormi quasi sempre da me comunque, non penso farebbe una grandissima differenza. E sono solo una decina di giorni. Se ti va, ovviamente.”
Il rossore sul viso di Sabrina aumentò mentre la strega tracciava forme astratte sul suo petto usando l’indice, e Joël la trovo terribilmente adorabile e sciocca al tempo stesso: come poteva pensare che non volesse allungare il suo soggiorno a Monte-Carlo e, dunque, stare con lei il più possibile? Le prese il viso tra le mani per sollevarlo e costringerla a guardarlo, sorridendo prima di scoccarle un bacio sulle labbra. Quando tornarono a guardarsi vide che anche lei sorrideva, sollevata, e ricambiò mentre le accarezzava gli zigomi con i pollici:
“Certo che mi va. Ho detto sì a un concerto a Marsiglia il 20, ma posso andare e tornare in un attimo.”
“Bene allora. Anche se ovviamente dovrai mettere in conto di essere il terzo, in linea di importanza, dei miei coinquilini.”
“Lo so già. Pascal, Salem, e poi in fondo, molto in fondo, il povero musicista. A proposito, prima ho portato Pascal e Napoleon a spasso, ci siamo molto divertiti. Lafayette dormiva, strano a dirsi.”
Joël sorrise e Sabrina lo imitò mentre tornava ad abbracciarlo appoggiandosi alla sua spalla, non potendo però fare a meno di pensare a quanto Joël stette pian piano entrano sempre di più nella sua vita: stava quasi sempre da lei, nuotavano insieme tutti i giorni, portavano insieme i suoi cani a passeggio… voleva anche conoscere meglio suo fratello.
Anji aveva ragione, non aveva più senso aspettare e mentire a se stessa. Doveva dirglielo.
 




 
 
(1): Drink francese composto da champagne e crema di cassis
(2): Modo di dire francese che letteralmente significa “occuparsi delle proprie cipolle” ma che viene utilizzato per dire a qualcuno di farsi gli affari propri.
 




 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice🎄❤️💚
Buonasera mie care!
Avevo detto che avrei aggiornato per Natale e come sempre arrivo proprio all’ultimo, scusate, ma meglio tardi che mai.
Vi rubo solo qualche breve istante per, naturalmente, augurarvi buone feste e ringraziarvi per le recensioni lasciate allo scorso capitolo. Volevo inoltre farvi sapere che a gennaio ho intenzione di pubblicare ben due capitoli di questa storia, uno attorno al 10 e l’altro attorno al 20, ve lo comunico con largo anticipo così da darvi modo di gestirvi meglio con le tempistiche. L’ultimo capitolo arriverà quindi con ogni probabilità ai primi di febbraio, e successivamente pubblicherò l’Epilogo. Mi duole, ma sta proprio arrivando l’ora di salutare questi personaggi.
Eee finalmente sapete per chi lavora Medea, ovvero non per Brooke. Avevo già in mente il suo lavoro e ben chiaro che cosa l'avesse portata nel Principato, ma ammetto che approfittare della situazione di Asher per mettere a lui e a voi la pulce nell'orecchio è stato molto divertente, scusatemi.
Buon Natale e Buon Anno a tutte, ci risentiamo su questi lidi a gennaio!
Un abbraccio,
Irene

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 

 
 
 
Giovedì 5 agosto
 
 
 
Quella mattina faceva talmente caldo che Anjali non era nemmeno riuscita a racimolare le forze necessarie per vestirsi e lasciare la sua Suite per dirigersi al pian terreno: si era svegliata alle 7 come sempre – quando non dormiva con Alphard, che settimane addietro aveva appreso con estrema contrarietà delle abitudini mattiniere della donna quando Anjali aveva iniziato a sgusciare fuori dal letto “troppo presto” – e si era chiusa nel suo enorme, immenso bagno quasi interamente rivestito di marmo bianco con venature tendenti all’azzurro per concedersi una lunga doccia e un adeguato rituale di skin care routine.
Anjali era uscita dal bagno avvolta dal suo morbidissimo accappatoio bianco con tanto di “A” rosa ricamata su un lato che portava con sé ad ogni viaggio e di ottimo umore: doccia e skincare avevano sempre il potere di rilassarla e di farle iniziare la giornata nel migliore dei modi. Aveva deciso di uscire brevemente sul suo terrazzo per godersi il panorama, ma varcata la soglia della portafinestra bianca la strega era stata colpita da un caldo torrido e alquanto insopportabile, tanto che se fosse rimasta all’aperto anche solo un minuto di più si sarebbe ritrovata con la crema idratante sciolta sul viso e sudata come un ciclista. Sbuffando la strega era subito rientrata all’interno della Suite maledicendo il clima Mediterraneo, improvvisamente affatto invogliata a vestirsi e a lasciare il suo alloggio rinfrescato dall’aria condizionata, tanto che decise di fare colazione in camera: era in vacanza, dopotutto, e non c’era nessuno a dirle cosa poteva o non poteva fare. Dopo aver ordinato la colazione Anjali si dedicò alla contemplazione del proprio armadio a tre ante, dove quando era arrivata all’Hotel aveva disposto tutto il suo guardaroba estivo e il set di valige Vuitton per decidere che cosa avrebbe indossato quel giorno: disgraziatamente non poteva restarsene in accappatoio tutto il giorno e prima o poi avrebbe dovuto mettere il naso fuori dalla Suite.
Dopo aver tirato fuori dall’armadio e aver adagiato con cura ai piedi del letto un completo di leggerissimo lino bianco Anjali si era seduta sul materasso per prendere il telefono e scrivere ad Alphard, che con suo gran disappunto non era online: strano, che stesse ancora dormendo? Non era da lui, che era sempre così attivo. Fortunatamente un attimo dopo le arrivò un messaggio da parte di Sabrina, che la distrasse da quelle domande e sembrò quasi leggerle nel pensiero:

 
Sabs👠: L’anno prossimo mi trasferisco in Siberia
Tu: Ottimo, ci prenoteremo un Airbnb e faremo colazione con le renne, ho giusto in mente un completo da neve di Dior che muoio dalla voglia di comprare.
Sabs👠: Il tuo fidanzato è appena uscito, comunque, è passato davanti alla reception.
Tu: Non è proprio il mio fidanzato. Dove stava andando?
Sabs👠: Come faccio a saperlo? Aspetta, sta arrivando quell’orribile coppia tedesca.

 
Anjali ridacchiò al pensiero dell’amica costretta a servire gli spesso incontentabili ospiti dell’Hotel – 30 di vita privilegiata vissuti in ambienti di lusso le avevano insegnato che spesso e volentieri più la gente era ricca, meno poteva rivelarsi garbata e flessibile –, ma prima di potersi arrovellare su dove si trovasse Alphard sentì il campanello della sua Suite suonare e, affamata com’era, corse alla porta per aprire e farsi consegnare il vassoio della colazione.
Nonostante il caldo la giornata sembrava procedere ottimamente, le era persino stato recapitato il numero settimanale del Hebdomadaire des Sorciers(1) insieme alla colazione. Non c’era niente di meglio, per Anjali, che sorseggiare caffè leggendo fiumi di gossip, e dopo essersi sistemata sul letto e aver zuccherato il suo latte macchiato subito aprì la rivista. Avrebbe preferito spostarsi sul tavolino bianco del suo terrazzo, tanto per atteggiarsi a diva di Hollywood in un film ambientato nel Sud dell’Italia del secolo passato, ma faceva davvero troppo caldo: come facevano le donne di quei film ad avere quell’aria così elegante anche con più di 30°?
La svizzera si dovette dunque accontentare del suo immenso letto sfogliando la rivista tra un boccone di pain au chocolat e l’altro, finchè un pezzo di brioche quasi non le andò di traverso: a pagina 7 la foto di una sottospecie di donna-fenicottero alta e bionda, con gambe lunghe quanto la distanza tra Cannes e Monte Carlo. E sotto, una foto di Alphy. Perché Alphy stava nella stessa pagina della Fenicottera?!
Dimenticata la colazione, Anjali afferrò la rivista con entrambe le curatissime mani e se la avvicinò al viso per leggere l’inserzione, gli occhi celesti spalancati e le sopracciglia a pochi centimetri dall’attaccatura dei liscissimi capelli scuri. L’orrore si intensificò sempre di più sul bel volto della donna con lo scorrere delle righe, finchè la strega non venne colpita da un tremendo attacco di nausea. Ed ecco che la sua perfetta mattinata andava miseramente in frantumi.
Passato il breve shock iniziale Anjali scattò in piedi, si vestì in tutta fretta e dopo aver vuotato il caffè corse fuori dalla Suite con solo la chiave in mano: doveva subito parlarne con Sabrina.
 
 
Sabrina si era appena liberata dei tedeschi, e stava giusto sparlando animatamente di loro con Michel quando da uno dei due ascensori spuntò Anjali, che subito corse verso la reception sventolando una rivista con fare urgente, i capelli scuri meno impeccabili del solito e un completo di lino bianco addosso.
“Sabs! Sabs! C’est terrible!”
“I tedeschi? Oui. Ti rendi conto che sono venuti a lagnarsi perché la cucina non serve crauti? Che se li mangino nella loro Monaco, i crauti! … Perché indossi gli occhiali da sole?”
Resasi conto che l’amica aveva lo sguardo celato da un paio di lenti scure firmate Dior Sabrina smise di lamentarsi dei tedeschi e inarcò un sopracciglio, guardando l’amica con scetticismo mentre Anjali, invece, gemeva e scuoteva la testa senza smettere di sventolarle la rivista aperta davanti:
“Non mi sono truccata, che domande fai! Stamattina mi è arrivato il numero del Hebdomadaire des Sorciers, e per poco non mi andava di traverso la colazione!”
“Io non l’ho ancora letto, per colpa dei tedeschi, che succede?”
Il numero era arrivato anche a Sabrina, che lo aveva nascosto in un cassetto del bancone morendo dalla voglia di leggerlo tra una pausa tra un cliente e l’altro, e subito Anjali si conquistò la sua più completa attenzione: l’estate si avviava verso la conclusione, quale coppia famosa si era già lasciata? I suoi pronostici si erano forse rivelati più azzeccati rispetto a quelli dell’amica? Ma disgraziatamente le notizie di Anjali non avevano nulla a che fare con qualche celebrity, e Sabrina poté appurarlo un attimo dopo:
“C’è una ex di Alphy in città!”
Anjali gemette disperata mentre le allungava il numero per invitarla a prenderlo e a leggere l’inserzione, portando Sabrina ad aggrottare la fronte prima di studiare con occhio critico prima la foto di Alphard e poi la foto della bionda misteriosa, sicura di non averla mai vista in vita sua.
“Beh, non alloggia qui. Non l’ho mai vista. Michel?”
Tanto per esserne sicura Sabrina allungò la rivista verso l’amico, che fu ben felice di essere incluso nella conversazione dopo aver origliato: Michel diede subito un’occhiata alla foto della donna, tradendo un modo di entusiasmo e di ammirazione che gli valse un’occhiata truce da parte di Sabrina.
“Wow! Cioè, volevo dire… Che orrore. Quelle scarpe non si abbinano al vestito. No, mai vista.”
Michel scosse la testa sforzandosi di mostrarsi il più disgustato possibile dalla foto della bionda mentre Anjali, annuendo, si portava le mani sul viso gemendo disperata:
Oui! Come ha potuto Alphard uscire con una che non sa abbinare le scarpe?”
E soprattutto, dove si era cacciato Alphard quella mattina, mentre lei leggeva l’inserzione su di lui e sulla Fenicottera, alias modella francese di cui non voleva nemmeno ricordare il nome?
Per Anjali quello era evidentemente un brutto colpo, e dopo aver abbandonato la rivista sul bancone Sabrina provvide subito ad avvicinarlesi e a metterle una mano sulla spalla per consolarla, parlando con tutta la gentilezza di cui era capace:
“Anji, certo, tu sei infinitamente più bella ed elegante di lei. Non devi dar peso a quello che scrivono qui, sono tutte illazioni per destare curiosità, solo perché sono in vacanza nello stesso posto non vuol dire che si debbano rifrequentare per forza. E poi te lo ha detto anche lui mille volte, che non ha mai avuto relazioni rilevanti, sarà stata una cosa superficiale e basta. Ora torna di sopra e aspetta di parlarci, e non leggere più la rivista.”
“Ok… Vado.”
Anche se visibilmente giù di tono Anjali annuì, girò sui tacchi e si trascinò mesta verso gli ascensori sotto lo sguardo dubbioso di Michel e critico di Sabrina, che osservò l’amica finchè non la vide sparire dietro alle porte dorate dell’ascensore. Solo allora Michel si permise di rivolgerlesi, gettandole un’occhiata incerta prima di parlare:
“Non pensi che…”
“Certo che no. Quale uomo sano di mente vorrebbe vedere un’altra se può stare con Anjali Kumar?”
Rifiutandosi categoricamente di anche solo considerare quella possibilità Sabrina interruppe l’amico scoccandogli un’occhiata torva, negandogli persino la possibilità di finire di parlare, ma Michel inarcò un sopracciglio, dubbioso, facendole presente un piccolo dettaglio:
“Il suo ex non l’ha tradita?”
In fin dei conti era vero, si ritrovò a considerare accigliata Sabrina, chiedendosi ancora una volta come si potesse essere tanto idioti quanto l’ex della sua migliore amica. Infine la strega si limitò a scrollare le spalle, raddrizzando la schiena mentre scorgeva un’ospite avvicinarsi tenendo per mano un bambino di cinque o sei anni.
“Beh, nessun problema. Se anche fosse, ammazzo il sovietico.”


 
*
 
Starbucks
 
 
Ormai era passato più di un mese da quando Meadow aveva conosciuto Asher Reynolds, la sera in cui insieme a Silas avevano visitato il celeberrimo Casinò di Monte Carlo. Un mese che non aveva mai smesso di regalarle sorprese crescenti in merito al suo nuovo amico statunitense – in primis la scoperta della sua relazione con l’uomo sposato per cui lavorava –, ma anche dopo diverse settimane una domanda, per Meadow, era rimasta ancora senza risposta: come faceva Asher ad ingurgitare tutte quelle calorie senza apparentemente ingrassare di nemmeno un etto?
Mentre sorseggiava con calma il suo Chai Latte i grandi occhi a mandorla della strega continuavano ad indugiare sul ragazzo che sedeva tra lei e Silas attorno al tavolino circolare che avevano occupato all’interno di una delle sedi di Starbucks del Principato di Monaco, guardandolo ingurgitare un’enorme treccia di sfoglia coperta da noci pecan e sciroppo d’acero tra un sorso di Caramel Macchiato e l’altro.
“Persino in Europa sei riuscito a trovare la brioche più americana possibile.”
E probabilmente la più calorica, ma Meadow evitò quel particolare commento mentre sistemava la sua tazza ormai piena solo fino a metà sul suo piattino, seduta scompostamente sulla sedia con le gambe pallide e nude accavallate l’una sull’altra e un paio di occhiali da sole indossati tra i capelli neri a mo’ di cerchietto. Asher, mentre Silas armeggiava distrattamente col proprio telefono, posò sull’amica i grandi occhi cerulei e abbozzò un sorriso un po’ colpevole e un po’ imbarazzato, annuendo mentre si toglieva le briciole dallo scollo della camicia a maniche corte che indossava:
“La magia di Starbucks. Un po’ mi manca la East Coast, lo ammetto.”
“E per fortuna siamo da Starbucks, in territorio neutrale, se qualcuno di qui ti vedesse mangiare qualcosa he non è un croissant o pain au chocolat” – Silas parlò senza alzare gli occhi dallo schermo del suo telefono e ponendo una particolare enfasi su queste ultime parole, cercando di scimmiottare nel miglior modo possibile l’accento di sua sorella – “saresti già condannato alla gogna in pubblica piazza.”
“I francesi sono troppo permalosi, così dice mio zio almeno.”
“Qui tecnicamente non sono neanche francesi, è anche peggio.”
Silas scosse la testa con lieve disapprovazione mentre prendeva la sua tazza per vuotare con un solo sorso ciò che era rimasto del suo Espresso, gli occhiali da sole infilati tra i ricci capelli scuri a sua volta e la caviglia sinistra appoggiata sul ginocchio destro mentre continuava a scorrere annoiato l’indice sulle Storie della sua Home di Instagram cercando qualcosa di non terribilmente barboso da guardare: possibile che in estate la gente sapesse solo postare la solita foto in spiaggia?
“Non lo so, negli States si sente sempre quanto voi inglesi siate noiosi, e così impostati… ma voi non lo sembrate affatto.”   Mentre Silas iniziava a dondolarsi all’indietro sulla sedia Asher si ritrovò ad aggrottare la fronte mentre osservava i suoi amici, entrambi assai poco noiosi e assai poco impostati, certo a non dare mai più adito ad uno stereotipo su una determinata nazionalità per tutti il resto della sua vita.
“Eccerto, siamo l’eccezione che conferma la regola. Anche se tecnicamente io sono australiana.”
“Io invece sono un british doc, e sono un magnifico esemplare. Porco Godric!”
Silas dovette aver finalmente scovato qualcosa di interessate su Instagram, perché smise di dondolarsi svogliatamente sulla sedia e sbarrò i grandi occhi ambrati, parlando senza riuscire a staccare dallo schermo occhi e indice per impedire alla storia di una sua ex compagna di scuola di sfuggire alla sua vista:
“Che c’è?”
“Meadow, ti ricordi Robert Flint? Quello belloccio, moro, giocava a Quidditch…”
Non è che parli di te stesso?”  Meadow sollevò la tazza di Chai Latte per vuotarla gettando un’occhiata in tralice all’amico facendo dondolare in tutta calma il piede fasciato dal sandalo Birkenstok Arizona color cuoio, non avendo alcuna idea di chi Silas stesse parlando mentre il ragazzo, invece, sbuffava infastidito dalla sua scarsa memoria:
“No, cretina, quello era Corvonero! Ora sta con Josephine Prescott, a meno che in questa foto non stiano giocando a trasformarsi in ventose!”
Silas parlò sfoderando un sorrisetto beffardo, estremamente orgoglioso del suo umorismo, ma di nuovo Meadow non gli diede alcuna soddisfazione, guardandolo con la fronte aggrottata e un sopracciglio inarcato mentre Asher, seduto tra loro, spostava in silenzio lo sguardo da un amico all’altra cercando sconsolato di capirci qualcosa.
“Chi?!”
“Per le mutande di Merlino, ma sei Dory sotto mentite spoglie?! La migliore amica di Natasha Baxter, Grifondoro tutte e due come noi… Stavano sempre appiccicate, ti ricordi?”
Per un singolo, brevissimo istante il volto di Meadow parve illuminarsi dopo diversi attimi di evidente confusione, ma il sorriso vittorioso dato dalla consapevolezza acquisita in merito a chi l’amico si stesse riferendo ebbe vita breve: quando la strega individuò le due ragazze in questione abbassò gli angoli delle labbra in una smorfia, chiedendosi come avesse potuto scordare quelle due oche per anni erano passate davanti alla porta della sua camera parlando a vanvera a voce troppo alta e sparlando persino degli Elfi Domestici che pulivano la loro camera:
“Oh, sì. Non le ho mai sopportate, quelle ragazze che se ne vanno in giro a braccetto a ridacchiare manco fossero incollate per le braccia… E quelle due erano davvero delle oche. Ma lei non stava con lui, durante gli ultimi due anni?”
“Sì! E ora lui sta con la migliore amica della sua ex!”
Silas sorrise sfoggiando una specie di sguardo sognante che destò un sorriso divertito anche sul volto di Asher, che solo un mese e mezzo prima guardando quel ragazzo mai avrebbe immaginato l’animo pettegolo che si celava dietro al bel viso, i bei vestiti e i modi galanti di Silas St John, che sembrava nutrirsi più di gossip che di ossigeno. Anche Meadow sorrise, provando un malsano piacere nell’immaginare quelle due oche snob divise da un belloccio da due soldi, gli occhi scuri improvvisamente resi luccicanti da una punta di malizia:
“Che scandalo! Dovreste proprio organizzare una rimpatriata del vostro anno, ci sarebbe da ridere!”
Silas ignorò l’ironia dell’amica e non tardò a reputarla una splendida idea, chiedendosi se non fosse il caso di essere lui stesso a proporlo per assistere al drama mentre Asher, finita la sua dolcissima e caloricissima colazione, quasi rabbrividiva solo sfiorando mentalmente l’idea: ritrovarsi ad un tavolo e sentire quanto fossero diventate meravigliose le vite dei suoi ex compagni di scuola? Non ci teneva affatto.
“Io spero che i miei compagni non ci pensino proprio, non ci tengo a dirgli che faccio il Dog Sitter.”
“Però ti fai anche il tuo capo, che sarà una merda ma è comunque un gran figo. Magari ne sarebbero colpiti.”
Silas parlò sfoderando un sorrisino malizioso simile in tutto e per tutto a quello che poco prima aveva fatto capolino sul viso di Meadow, che tuttavia questa volta non lo imitò e gli intimò invece di tacere con un’occhiata severa che portò l’ex Grifondoro a sollevare entrambe le mani a mo’ di scuse, sorridendo colpevole ad Asher:
“Scusate, devo dire ora tutte le stronzate del giorno, stasera ceno con Sabrina e Joël e la mia dolcissima sorellona mi taglierà la lingua, se dovessi uscirmene con qualcosa di controproducente in presenza del suo fidanzatino.”
“Non preoccuparti.”  Asher sorrise all’amico, per nulla imbarazzato dalla limpidissima sincerità che subito aveva contribuito a rendergli simpatico Silas tanto quanto Meadow, che al sentir nominare la sorella maggiore di Silas e il musicista parve subito dimenticare le sue intenzioni di rimproverarlo per l’indelicatezza dimostrata un attimo prima: la ragazza distese le labbra in un sorriso mentre fissava sognante il vuoto davanti a sé, ricordando quando giorni prima aveva visto Joël Moyal sporgersi oltre il bancone della reception per rubare un bacio a Sabrina e il modo in cui lei aveva cercato di rimproverarlo senza però riuscire a celare un sorriso divertito. Non era mai stata una tipa romantica, né tantomeno incline alle smancerie, ma non avrebbe mai smesso di guardare incantata quella coppia meravigliosa.
“Io li adoro, sono così belli, così perfetti… Perché a noi non è capitata una persona così?!”
Meadow sospirò e scosse la testa amareggiata, maledicendo le componenti della sua nuova ship preferita per la loro fortuna sfacciata mentre Asher si ritrovava a concordare sconsolato con lei in silenzio e Silas, invece, le sorrideva con afre ammiccante dopo aver inforcato gli occhiali da sole e aver sfilato il portafoglio firmato Emporio Armani dalla tasca dei bermuda:
“Di che ti lamenti, tu hai me.”
Appunto per questo mi lamento. Asher, non posso credere che tornerai in America a mangiare dolci e panini sfornati da tua nonna lasciandomi con questo qui!”
Questo qui ti offre la colazione e ti fa scorrazzare sulla sua Porsche, donna ingrata che non sei altro!”

Asher conosceva Silas e Meadow da ormai quasi un mese e mezzo, ma talvolta continuava a ritrovarsi a fare considerazioni su come quei due finissero spesso col sembrare esattamente una vecchia, bisbetica coppia sposata. Ma invece di farglielo notare si limitò come sempre a sorridere, alzandosi per seguirli verso l’uscita senza smettere di sentirli battibeccare: era troppo divertente starli a sentire per informarli e indurli così a smetterla.
 
 
*


Quella mattina Monte Carlo sembrava essere stata inglobata da una cappa invisibile di caldo infernale, e mentre aspettava il suo migliore amico standosene in piedi sul marciapiede immediatamente davanti al Le Mirage Briar-Rose Greengrass stava pressochè sfiorando la liquefazione, pur restando all’ombra dell’edificio. Mentre stringeva la sua borsetta bianca Michael Kors in una mano e con l’altra accarezzava la sofficissima e altrettanto candida testa di Circe, che respirava affannosamente mostrando la lingua, Briar si stava chiedendo come potesse fare già così caldo di prima mattina, e soprattutto per quale motivo era stata tanto cretina da decidere di aspettare Alphard all’esterno, e non godendo dell’aria condizionata gentilmente offerta dall'Hotel in cambio dei prezzi stellari che venivano richiesti di pagare agli ospiti:
“Scusa Circe, la tua mamma ogni tanto ha proprio delle grandissime idee di merda…”
Mentre si pentiva amaramente di aver scelto quella borsa tanto deliziosa quanto non adatta a contenere un ventilatore portatile – quella non sembrava proprio destinata a diventare la sua giornata migliore della stagione – Briar sbuffò con amarezza mentre gettava un’occhiata preoccupata a Circe attraverso le lenti scure dei suoi occhiali firmati dalla montatura bianca. Fortunatamemte la sua cagnolona sembrava amarla fin troppo anche per avercela con lei anche solo per un istante, e al sentire il suono della sua voce Circe si limitò a sollevare la testa e a guardarla adorante, spingendo ulteriormente il capo contro la mano di Briar per invitarla a non smettere di accarezzarla.
Fu un immenso sollievo, per Briar, scorgere finalmente Alphard uscire dall’Hotel e dirigersi verso di lei con un sorriso dopo aver salutato educatamente il portiere, scendendo in tutta calma i quattro gradini che li separavano con le grandi mani infilate nelle tasche. Alphard sembrava rilassato e impeccabile in camicia bianca, pantaloni leggeri color sabbia e scarpe da barca Ralph Lauren ai piedi, tanto che Briar si ritrovò a detestarlo silenziosamente mentre lo scrutava torvo raggiugerla: lei non aveva nemmeno avuto il coraggio di mettersi il fondotinta, e lui arriva rilassato e sorridente, fresco come una rosa.
“Si può sapere perché non sei sudato?! Ti odio.”
“Sarà il potere benefico dell’amore. Ma perché mi hai aspettato fuori, scusa?”
Alphard guardò l’amica inarcando un sopracciglio, perplesso, e Briar strinse i denti trattenendo l’impulso di affatturarlo: aveva anche il coraggio di rinfacciarle le sue pessime scelte quando c’erano 30° all’ombra? Invece di rispondere Briar sbuffò, afferrandolo per un braccio e spingendolo lungo il marciapiede, diretti verso una pasticceria per fare colazione:
“Taci. Non ricordarmi le mie scelte di vita di merda. Andiamo a bere un caffè e poi a comprare ciò che dobbiamo comprare, spero vivamente in un posto con l’aria condizionata.”
 
Alphard non si era mai trovato di fronte ad una scelta tanto ardua in tutti i suoi 36 anni di vita: stava in piedi davanti al bancone luccicante ed immacolato di Pierre Hermé, pieno di tutti quei meravigliosi e coloratissimi dolcetti tipicamente francesi, e non aveva la più pallida idea di che cosa scegliere.
“Scusa se ci metto tanto, ma sono davvero troppi gusti…”
Alphard parlò senza alzare la testa per rivolgersi all’amica, continuando a scrutare assorto le file e file di macarons mentre Briar, alle sue spalle, si sforzava di mantenere le ultime briciole di decoro che le stavano impedendo di abbracciare la parete e godersi la frescura dell’intonaco. O alla peggio, sdraiarsi sul pavimento di marmo come invece aveva saggiamente deciso di fare Circe.
“Tranquillo, restiamo qui tutto il tempo che vuoi.”
Briar avrebbe anche potuto restare lì dentro, avvolta dall’aria condizionata, per tutto il resto della sua vita: adorava l’estate, adorava essere in vacanza, ma il clima britannico iniziava a mancarle. Certo non osava dirlo a voce alta, altrimenti la componente neozelandese della sua famiglia avrebbe potuto sentirla e revocarle il saluto a vita.
Sfortunatamente quando Alphard si ritrovò a stringere i manici della borsetta che conteneva la deliziosa scatolina di cartoncino arancione piena di macarons Briar e Circe dovettero dire addio all’aria condizionata e scollarsi dal pavimento di marmo, seguendo svogliatamente Alphard fuori dal negozio mentre l’uomo, al contrario, continuava imperterrito a sorridere, fastidiosamente felice. Faceva troppo caldo per essere felici, quel giorno.
“Bene, ora torniamo indietro e prendiamo i fiori. Quali dovrei prendere?”
Alphard iniziò ad incamminarsi sul marciapiede ruotando leggermente la testa in direzione di Briar, che ormai arresa e vinta dal caldo si stava legando i lunghi e lucenti capelli castani in una coda alta, agognando più che mai una lunghissima sessione di trattamenti alla spa e nell’idromassaggio per rilassarsi e refrigerarsi un po’.
“Sai qual è il suo preferito?”
“Peonie, credo.”
“Ci avrei giurato, è troppo elegante per amare qualsiasi altra cosa. Credo che a breve non se ne troveranno più, dovresti prenderle quelle.”
Alphard assentì – e come dargli torto, lei dava sempre splendidi consiglio – e appena dieci minuti dopo il mago si ritrovò a stringere delicatamente un mazzo di fiori chiari avvolti da nastri e fogli di sottilissima carta velina color cipria.
“Hai ragione, è il fiore giusto. Bellissimo come lei.”
Un sorriso che solo due mesi prima Alphard avrebbe additato come ridicolo e idiota increspò le labbra del mago mentre guardava i fiori che stringeva nella mano destra, sfiorandone i petali rosa pallido con un dito con la stessa dolcezza che avrebbe riservato ad una carezza sul viso della donna a cui erano destinati. Briar invece, accanto a lui, sbuffò e impugnò più saldamente il guinzaglio rosa di Circe per prenderlo sottobraccio e spingerlo ad incamminarsi più rapidamente:
“Sì, va bene, sono belle, ora torniamo indietro, sto iniziando a sudare persino sulle palpebre!”
“Ma è una città bellissima, vale la pena di camminare con calma e godersela!”
Alphard guardò l’amica spalancando un poco gli occhi castani, quasi non riuscisse proprio a capire perché avesse tanta fretta. E Briar, conscia di quanto fosse assurdo il suo non patire il caldo, nordico com’era, capì che ormai doveva essersi del tutto rincoglionito. I suoi così sinceri sentimenti per Anjali avrebbero anche potuto intenerirla, se solo non fosse stata sul punto di sciogliersi lì, su quel marciapiede bollente.
“Con questo caldo ci si può godere solo una granita. La passeggiata romantica falla con Anjali di sera, quando si respira, io e Circe esigiamo il fresco.”

 
*

 
Quello sì che era relax, si disse con un sospiro Briar mentre sorseggiava un Rose Lemon Spritzer dal calice di vetro che le era stato recapitato direttamente all’interno della Spa, distesa su una comodissima poltrona color crema con una maschera energizzante agli agrumi spalmata sul viso e i piedi avvolti da fogli di carta stagnola, in attesa che la maschera idratante facesse effetto. Poteva solo sperare che nessuna faccia nota varcasse la soglia della Spa in quel preciso istante, perché di certo con i piedi in quelle condizioni non era particolarmente invogliata a farsi vedere in giro.
Dopo aver appoggiato il bicchiere sul tavolino posizionato proprio accanto alla sua poltrona Briar mise mano su una delle riviste disseminate in giro affinché le ospiti potessero sfogliarle, aprendola con una discreta dose di curiosità: il suo numero del Settimanale delle Streghe le era arrivato via gufo proprio quella mattina e aveva già avuto modo di leggerlo, ma era curiosa di poter dare un’occhiata ad un numero della stessa rivista, solo prodotto dall’edizione di un altro Paese, in quel caso la Francia.
Non potendo leggere articoli e didascalie Briar si accontentò di osservare le foto inserite sulle pagine patinate, capendo quel che poteva dai titoli colorati sparsi in giro, finchè non giunse a pagina 7, che da come le sembrò di intendere doveva essere dedicata agli amori estivi.
Briar stava per passare oltre, quando l’occhio le scivolò sulla fotografia di una donna che aveva un che di familiare, e leggendo il nome sottostante subito le fu chiaro perché: era una ex di Alphard, oltretutto orribilmente spocchiosa. Briar serbava un ricordo tremendo della strega in questione, che si era rapidamente rivelata bella quanto difficile da digerire, e stava giusto rammentando l’orribile momento in cui era stata costretta a fingere di farsela andare a genio per quieto vivere e affetto per Alphard quando si ritrovò ad osservare la foto subito sottostante. Precisamente una foto del suo migliore amico.
Per un istante la mente della strega si svuotò, e Briar si limitò a fissare in silenzio la foto chiedendosi per quale motivo una rivista francese stesse parlando di lui. Subito dopo, tuttavia, l’ex Serpeverde rammentò il titolo che stava in cima alla pagina, collegò la foto di Alphard – inequivocabilmente scattata proprio lì, nel Principato, in Place du Casino – a quella di Camille Bernard, immortalata in quella che aveva tutta l’aria d’essere proprio una spiaggia della Riviera Francese e subito sbiancò, capendo a che cosa si stesse riferendo l’autrice dell’articolo. Articolo che si era capitato sotto al suo sguardo, di certo non sarebbe sfuggito a quello d Anjali Kumar.
Subito Briar chiuse la rivista e la rimise al suo posto, facendo per alzarsi e correre ad avvertire Alphard, ma poi si rammentò dello stato dei suoi piedi, attualmente avvolti da fogli di carta stagnola argentata.
Merda!”
Quella sembrava proprio una giornata costellata di pessime decisioni, ma prima che la strega potesse effettivamente riflettere sul da farsi (strapparsi la carta stagnola? Avrebbe disseminato maschera all’aloe ovunque, o alla peggio sarebbe scivolata e si sarebbe rotta qualcosa) qualcuno entrò nella stanza, le braccia cariche di accappatoi candidi e freschi di lavaggio.
 
Silas stava per superare la sala relax, costellata da poltroncine – comodissime, una volta ci aveva schiacciato un pisolino – e andare a sistemare gli accappatoi nell’armadio, quando gli sembrò di scorgere una faccia nota su una delle suddette poltroncine. Non era solito prestare particolare attenzione alle ospiti della Spa – Sabrina gli aveva ordinato a perdifiato di dover diventare quasi invisibile – ma in quel caso non poté proprio farne a meno: il ragazzo si fermò e ruotò la testa esattamente in direzione di Briar-Rose Greengrass, che alla sua vista parve come irrigidirsi del tutto prima di assumere un’accesa sfumatura cremisi in volto.
Mentre la strega desiderava ardentemente di sparire, o ancor meglio di poter essere inghiottita dalla poltrona, Silas chinò silenziosamente lo sguardo sui suoi piedi avvolti dalla stagnola, e dopo una breve esitazione sfilò il telefono dalla tasca dei pantaloni per scattarci una foto.
“Non ti permettere, brutto stronzo! Cancellala o ti faccio passare le pene dell’inferno!”
“E come pensi di inseguirmi e impedirmelo, Lady Aluminim?”
Per nulla impressionato dalla sua minaccia Silas prese a sghignazzare apertamente e senza alcuna pietà, intascando il telefono prima di dirigersi baldanzoso verso ripostiglio e armadi sotto lo sguardo fiammeggiante di Briar, che gli giurò vendetta e continuò a inveirgli contro quando poco dopo lo guardò fuggire dalla Spa. Prima o poi si sarebbe tolta quella roba dai piedi, si disse furiosa, e avrebbe potuto prenderlo a calci con estremo piacere.

 
*

 
Alphard era proprio di ottimo umore quella mattina. Si era alzato presto, si era fatto la doccia – possibile che da quelle parti facesse così caldo che si svegliava già sudato un giorno sì e uno no? – e dopo essersi vestito e aver nutrito e coccolato brevemente i suoi amati piccoli – ovvero soprattutto Castor e Pollux, gli scorpioni, e solo in un secondo momento la sua gatta – era subito uscito insieme a Briar, anche se l’amica aveva manifestato una fretta inaudita di tornare all’Hotel. A volte proprio non le capiva, le donne della sua vita, che ne era stato della Briar che smaniava per fare shopping compulsivo?
Aveva rimesso piede all’Hotel più o meno mezz’ora dopo e solo a quel punto lui e l’amica si erano divisi, lasciando che lei si recasse alla spa per dirigersi invece verso gli ascensori con un gran sorriso sulle labbra e un mazzo di peonie in mano. In effetti passando davanti alla reception gli era sembrato di scorgere un’occhiata truce indirizzata a lui da parte di Sabrina, in piedi dietro al bancone con un completo blu notte addosso, ma aveva liquidato in fretta il problema: probabilmente si era solo svegliata di cattivo umore, perché mai avrebbe dovuto avercela con lui?
Del tutto ignaro dei gossip che lo riguardavano che stavano iniziando a circolare i Francia e nel Principato Alphard si era diretto verso la Suite di Anjali, premurandosi con la copia della chiave che la strega gli aveva fornito la settimana prima per non disturbarla: pur sapendo quanto la strega fosse mattiniera Alphard aprì la porta sperando che stesse ancora dormendo, desideroso di scorgere l’espressione che si sarebbe fatta strada sul suo viso qualora l’avesse svegliata porgendole un mazzo dei suoi fiori preferiti, le ultime peonie dell’anno.
Una rapida occhiata al letto matrimoniale sfatto bastò per spazzare via le speranze di Alphard, che però non si lasciò comunque abbattere e anzi continuò a sorridere mentre chiudeva la porta della Suite chiamando Anjali, lasciando che i suoi occhi castani vagassero sull’immensa stanza in cerca della sua splendida figura senza però riuscire a trovarla. Ci vollero due richiami perché Anjali uscisse dal bagno, già vestita, con gran sorpresa di Alphard. La strega teneva le braccia strette al petto e senza tacchi, con i quali era abituato a vederla, sembrava semplicemente minuscola. Mentre lei lo salutava – con un tono un po’ strano, privo della solita dolcezza – Alphard si affrettò a colmare la distanza che li divideva con qualche falcata, allargando il proprio sorriso mentre accarezzava la sua figura con lo sguardo:
“Buongiorno. Ti ho preso questi. E questi.”
Dopo esserlesi fermato davanti Alphard le porse i fiori e la borsetta di macarons firmata Pierre Hermé, riuscendo a scorgere, per un istante, una traccia di addolcimento sull’espressione tesa della strega:
Merci.”
Anjali accettò i fiori e si sforzò di accennare un sorriso con gli angoli delle labbra, ma invece di abbracciarlo dopo averli annusati dichiarò di aver bisogno di un vaso, dirigendosi verso il suo comodino per recuperare la bacchetta e farne apparire uno.
“Tutto bene? Hai dormito male? Mi sembri un po’… tesa.”
Alphard si ritrovò ad inarcare un sopracciglio mentre, in piedi davanti all’enorme portafinestra a vetri che si affacciava sul terrazzo della Suite, guardava la strega far apparire un vaso e poi sparire nuovamente all’interno del bagno per riempirlo d’acqua: Anjali era sempre così spumeggiante, così allegra e di buon umore, che quella di certo non era la reazione che aveva immaginato. Di norma lo avrebbe abbracciato e gli avrebbe scoccato come minimo un bacio, ringraziandolo come si doveva. C’era qualcosa di inequivocabilmente strano nell’atteggiamento della donna, che uscì dal bagno reggendo i fiori prima di dirigersi verso il comodino bianco che affiancava il lato sinistro del letto per posizionarlo sul ripiano di legno.
“No, ho dormito bene. Solo…”
Dopo aver raddrizzato il vaso accanto all’abat-jour bianca e celeste Anjali ruotò su se stessa per tornare a rivolgersi all’uomo, ritrovandosi a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore e a tormentarsi le nocche. Si sentì improvvisamente una sciocca adolescente e si detestò per questo, soprattutto perché odiava l’idea di fare la figura della paranoica, ma con i trascorsi pessimi della sua passata relazione proprio non poteva farne a meno, di innervosirsi. Anjali, maledicendo George per averla resa un’orribile persona sospettosa, arrossì imbarazzata e chinò lo sguardo sui piedi di Alphard per biascicare qualcosa di a malapena comprensibile:
“C’è-una-tua-ex-a-Monte-Carlo.”
“Come?!”
“C’è una tua ex. Qui.”
Questa volta Anjali parlò trovando il coraggio di ricambiare lo sguardo di Alphard, che dopo una breve, prevedibile esitazione di pura sorpresa la guardò inarcando un sopracciglio, scettico:
“Qui in camera tua?!”
Non, qui a Monte Carlo! L’ho letto stamattina.”
Anjali si strinse nelle spalle prima di tornare a stringere le braccia al petto, a disagio più che mai mentre distoglieva lo sguardo da lui per puntarlo fuori dalla finestra, certa di sembrare assurda e ridicola. Alphard invece, ancora piuttosto confuso, le si avvicinò senza smettere di guardarla con evidente stupore:
“E… di chi si tratterebbe?”
“Non ricordo il nome. Bionda, alta, gambe da passerella. Francese o belga, dal nome.”
Disgraziatamente quella descrizione era un tantino generica e potenzialmente applicabile a più di qualcuna tra le ex frequentazioni – spesso occasionali – dell’uomo, che impiegò qualche istante per inquadrare la donna in questione. Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco un volto Alphard si sentì quasi scuotere da un brivido: certo, la ricordava bene. Molto bene. Erano stati insieme per circa due mesi più o meno tre anni prima, e quando lui aveva chiuso la storia lei l’aveva presa non proprio nel migliore dei modi.
“Ah, sì. Sì, ho capito. È per questo che sei strana?”
Anjali non rispose, ma Alphard scorse il breve, appena percettibile fremito delle sue labbra e non poté fare a meno di addolcirsi mentre le si avvicinava, stringendole dolcemente le braccia con le mani mentre si chinava per cercare di incrociare il suo sguardo:
“Anjali Kumar, non sarai mica gelosa?”
C’era qualcosa, nel sorriso e nel tono di Alphard, di così visibilmente soddisfatto e divertito che la irritò non poco, portandola ad arrossire ulteriormente e a sbuffare prima di scoccargli un’occhiata risentita e un tantino sostenuta:
“Beh, vorrei vederti al mio posto, se saltasse fuori che c’è uno dei miei ex a Monte Carlo e la gente facesse speculazioni sulla cosa!”
“Sei proprio una donna sciocca.”
Ormai più offesa che mai Anjali avrebbe voluto girarsi e fare un’uscita di scena sostenuta in piena regola, ma Alphard la precedette sollevandola per la vita per diminuire il loro divario d’altezza e posare finalmente le labbra sulle sue, aggiudicandosi il bacio che bramava fin da quando aveva aperto gli occhi.
Quando le loro labbra si staccarono Anjali, che aveva stretto quasi inconsapevolmente le braccia attorno al suo collo per reggersi, allontanò il viso di qualche centimetro da quello di Alphard e lo vide sorriderle dolcemente, guardandola come probabilmente George non aveva mai fatto per tutto il tempo in cui erano stati insieme.
“Non hai ancora capito quanto ci tengo a te, vero?”
Quelle parole riuscirono definitivamente a mandare a fuoco il viso di Anjali, che si strinse ad Alphard per nascondere il viso contro la sua spalla mentre sentiva le sue braccia reggerla e avvolgerla saldamente. Mentre il profumo dell’uomo le solleticava le narici Anjali sbattè più volte le palpebre per ricacciare indietro le fastidiosissime, stupide lacrime che le avevano inumidito gli occhi, non riuscendo a dirgli quanto non sopportasse l’idea che quell’estate prima o poi dovesse finire.
 

 
*

 
Joël amava i cani, ma non ne aveva mai avuto uno suo: la sua vita, il suo lavoro, decisamente non erano adatti ad un animale domestico, che necessitava di tempo, attenzioni e stabilità. Quella che da più di un decennio a quella parte era la sua vita non era adatta ad un sacco di cose, in effetti, forse una relazione prima tra tutte, e Joël stava iniziando a rifletterci seriamente proprio in quel periodo.
“Vieni piccolo.”
Varcata la soglia della Hall e salutato Benoit Joeel strattonò dolcemente il guinzaglio di Pascal per invitare il discolo cucciolo a seguirlo verso la porta che conduceva all’alloggio della sua padrona, sorridendo divertito quando vide il piccolo Rhodesian Ridgeback cercare di mordergli giocosamente una scarpa. Poteva quasi sentire le risate di scherno di chiunque lo conoscesse vedendolo portare a spasso il cane della sua ragazza, poteva sentire le voci dei suoi amici dargli del rammollito, ma non gli interessava granché: adorava quel cane, e soprattutto adorava Sabrina, che per la prima volta era persino riuscita a fargli mettere in discussione la sua vita.
Non che non ne avesse mai avute, prima di allora, delle relazioni. Ma nessuna, mai, lo aveva portato a formulare pensieri di quella natura.
Aperta la porta dell’appartamento di Sabrina e liberato Pascal dall’impiccio del guinzaglio Joël si aspettava di trovare l’alloggio deserto, perfetto per accendersi la pipa, rilassarsi e scrivere, invece fu proprio la voce della strega a fargli visita, salutando lui e Pascal quando il cucciolo sfrecciò felice verso la padrona:
Petit tresor… Come sei carino oggi. Sei stato bravo con Joël?”
Sabrina sedeva al centro dell’enorme divano grigio, t-shirt bianca e pantaloncini rossi e bianchi addosso mentre sorrideva e accarezzava la testa di Pascal, che si era issato con le zampe anteriori sul bordo del divano per potersi godere le coccole senza smettere di scodinzolare. Salem, che fino a quel momento aveva sonnecchiato pacificamente tra le gambe della padrona, dopo essere stato svegliato dagli abbai del cane aprì i grandi gialli, gettò un0occhiata glaciale al cucciolo e infine sgusciò dal suo giaciglio per stiracchiarsi e accoccolarsi sull’angolo più lontano del divano mentre Joël, piacevolmente sorpreso di vedere Sabrina, raggiungeva il divano dopo essersi sfilato le scarpe e aver appoggiato la copia della chiave magnetica sull’alto tavolo bianco collegato alla penisola della cucina:
“Ciao… Come mai sei qui così presto? Mi scombini i piani, dovevo vedere un’altra per pranzo.”
Joël accennò un sorrisino con gli angoli delle labbra mentre giunto davanti a lei si chinava per baciare Sabrina, che per tutta risposta lo colpì sulla spalla mentre si scostava, punendolo per quella battutina privandolo delle sue labbra:
“Oggi ho staccato prima, mon idiot. In realtà mi ha costretta Pierre, non mi sono sentita molto bene, un’ora fa.”
Mentre Salem tornava a sonnecchiare e Pascal lo imitava dirigendosi verso la sua cuccia Sabrina sfoggiò un sorriso quasi colpevole mentre si passava una mano tra i corti capelli scuri con leggero nervosismo. Nervosismo che si acuì quando vide ogni traccia di sorriso svanire dal bel volto di Joël e l’espressione del musicista farsi seria mentre sedeva accanto a lei sul divano, sfiorandole un braccio nudo e abbronzato con la mano sinistra:
“Che cos’hai?”
“Niente, è solo il caldo e la pressione bassa.”
Sabrina sorrise mentre appoggiava una mano su quella di Joël con fare rassicurante, evitando di menzionare la spiacevolissima sensazione provocata dalla tachicardia e le leggere fitte al petto mentre accarezzava le dita del mago con le proprie, guardandolo studiarla brevemente con occhio critico prima di annuire e mettersi più comodo sul divano accanto a lei, sorridendo mentre sollevava la mano libera per sfiorarle gentilmente i capelli scuri che le incorniciavano il viso:
“Allora senti che cosa faremo oggi: niente. Oggi divano, aria condizionata, tv e gelato.”
“Sei appena diventato il mio uomo ideale. A proposito di vedere un’altra, sai che oggi è spuntata fuori una ex di Alphard nel Principato?!”
Ogni traccia di dolcezza svanì improvvisamente dal bel viso di Sabrina quando nominò la spinosissima questione – in merito alla quale moriva dalla voglia di sentire altro –, portando la strega a spalancare gli occhi scuri e a sorridere divertita mentre stringeva le mani di Joël tra le sue. Il musicista, di norma immune al gossip, sollevò rapidamente entrambe le sopracciglia, guardandola stupido prima di abbozzare un sorrisetto a sua volta: avrebbe pagato pur di vedere come se la stesse passando Anjali – terribilmente insicura in fatto di relazioni, specie dopo la tragica fine dell’ultima che l’aveva coinvolta – in quel momento, immaginandola piagnucolare nascosta da una piramide di scatole di scarpe firmate.
“Raccontami tutto, Anji starà dando i numeri. Aspetta, prendo la tua scorta segreta non più tanto segreta di gelato.”
Prima di darle il tempo di parlare Joël fece scivolare le sue mani dalla presa di Sabrina e si affrettò verso la cucina per recuperare il gelato dal freezer, lasciando la strega a seguire i suoi movimenti con occhi pieni d’affetto un sorriso sulle labbra. avrebbe potuto tranquillamente definirsi il suo uomo ideale a tutti gli effetti, dopo quell’uscita sul gelato.
 
 
Dopo aver divorato un bel po’ di gelato e aver letto – e riso di conseguenza – con i suoi occhi l’articolo incriminato Joël aveva lasciato a Sabrina il permesso di mostrargli tutto ciò che desiderava: lei non se l’era fatto ripetere due volte, proiettando sullo schermo dell’enorme tv appesa alla parete di fronte al divano uno dei suoi film preferiti in assoluto, How to steal a Million.
Fu mentre seguiva le immagini ormai familiari del film, stesa sul divano appoggiandosi alla spalla di Joël con il capo e accarezzando distrattamente il soffice pelo nero di Salem, che si era acciambellato accanto a lei, che Sabrina venne colta da un’improvvisa consapevolezza. E non la stupì poi molto, considerando che aveva sviluppato un debole per il protagonista maschile di quella pellicola fin dalla prima visione.
“Lo sai, hai un che di Peter O’Toole in questo film.”
Sabrina abbozzò un sorriso mentre sollevava il capo per guardare Joël in viso, accarezzandogli con l’indice la cicatrice che il mago sfoggiava sulla base del mento, ricordo delle innumerevoli cadute di un bambino fin troppo vispo. Il musicista ricambiò il sorriso mentre chinava il capo per guardarla a sua volta con gli occhi blu luccicanti:, divertito e lusingato al tempo stesso:
“Lo prendo come un complimento.”
“Certo che lo è. Sei affascinante, carismatico, irriverente e orribilmente marpione.”
Sabrina finì di parlare assestando un paio di lievi colpetti sulla guancia destra di Joël, che spalancò gli occhi e fece del suo meglio per sfoggiare un’aria del tutto innocente mentre la guardava scuotendo debolmente il capo:
“Ma che dici, se sono un angelo.”
“Certo. Come no.”
Sabrina si era appena raddrizzata, tornando a posare gli occhi sullo schermo appoggiandosi alla sua spalla, quando il suo telefono iniziò a squillare, avvolgendo la stanza con le dolci note di Moon River.
“Non rispondere.”
Per Joël voltarsi e pregarla di ignorare il telefono fu quasi istintivo, specie considerando che era stata costretta a prendersi il resto della giornata libera, ma Sabrina sorrise e scosse la testa, scivolando dalla sua stretta per alzarsi dal divano:
“Controllo solo chi è. Se è per lavoro non rispondo, giuro.”
“Ok.”
Seppur sbuffando Joël prese il telecomando e mise in pausa il film, guardando dubbioso la strega raggiungere il telefono esiliato sul tavolo – da tempo aveva iniziato ad obbligarla a tenerlo a distanza quando stavano insieme – e prenderlo in mano per leggere il nome sul display luminoso.
“È Joyce, la madre di Silas. Sono autorizzata a rispondere?”
Sabrina gettò un’occhiata in direzione di Joël inarcando un sopracciglio e sorridendo, divertita, leggendo l’indecisione sul suo bel viso. Alla fine parve vincere la consapevolezza di non poterle impedire di intrattenersi per qualche minuto con un membro della famiglia, perché annuì e sospirò, rassegnato, prima di farle cenno di rispondere:
“Immagino di sì.”
Ma fa’ in fretta, si disse Joël mentre incrociava le braccia al petto e tornava ad osservare lo schermo e i volti immobili di Audrey Hepburn e Peter O’Toole, sperando che il momento in cui avrebbe potuto tornare a stringerla e a rilassarsi insieme a lei si ripresentasse in fretta: mancava meno di un mese alla sua partenza, e voleva trascorrere con lei più tempo possibile, quando la strega non lavorava. Sabrina sparì in bagno per qualche minuto per parlare con l’ex matrigna, e quando ne uscì, poco dopo, aveva sulle labbra un sorriso talmente diabolico da portarlo a pensare che la donna le avesse proposto una rapina al Casinò:
“Che cosa ti ha detto? Ti sei fatta troppo prendere dal film e organizzate un colpo alla Ocean’s Eleven?”
“Pare che voglia venire qui. All’Hotel. A salutare me e Silas. E lui non lo sa.”
“Glielo dirai?”
Joël, iniziando a capire il perché dell’euforia che si era impossessata della strega, la guardò inarcando divertito un sopracciglio mentre Sabrina tornava a sedersi accanto a lui sul divano, prendendogli le mani per far sì che le sue braccia tornassero a stringerla prima di scuotere la testa, gli occhi scuri pericolosamente scintillanti:
“Sei pazzo? Cetto che no, non vedo l’ora di vedere la sua faccia, sarà meraviglioso!”
“Sei una donna tremenda nascosta dietro ad un aspetto impeccabile. Ecco perché ti adoro.”
 
Tre ore dopo Sabrina stava in piedi davanti allo specchio circolare del bagno e appoggiò la punta del suo rossetto rosso firmato Chanel al centro del labbro superiore per tracciare una linea volta a ricoprirlo perfettamente con la massima precisione e delicatezza possibile, decisa a non fare errori: sbavare il rossetto rosso rappresentava, forse, ciò che di più irritante poteva capitare ad una donna in procinto di uscire.
Data una passata di rosso anche al labbro inferiore Sabrina richiuse il coperchio del costosissimo cosmetico – sua madre aveva sempre e solo comprato Chanel, e disgraziatamente la figlia aveva finito con l’assorbire quasi automaticamente quella dispendiosa abitudine – e fece schioccare le labbra mentre osservava critica il riflesso del proprio volto abbronzato, dandosi una ravvivata ai corti capelli scuri spettinati ad arte mentre una voce maschile si levava dietro di lei:
“Sei bellissima.”
Sabrina si voltò, pur sapendo perfettamente a chi la voce appartenesse, e istintivamente sorrise quando attraverso la porta aperta del bagno i suoi occhi scuri scivolarono sul viso di Joël, sul suo sorriso e sui suoi occhi blu. Il mago sedeva su uno degli alti sgabelli della cucina, pantaloni neri e camicia bianca addosso, e dava le spalle al resto dell’open space per poter guardare lei con il piede sinistro appoggiato al sostegno dello sgabello. Sabrina, che indossava un vestito di raso rosso scuro lungo fino a metà polpaccio con le spalline sottili e uno spacco sulla gamba destra, abbandonò il rossetto sul mobile bianco del bagno e uscì dalla stanza per raggiungerlo, allargando il suo sorriso mentre sollevava le braccia per allacciargliele attorno al collo, facendo vagare lo sguardo sul viso del mago fino a dire qualcosa a bassa voce:
“Tu sei bellissimo. Non. Non con il rossetto rosso.”
Quando Joël fece per avvicinare ulteriormente il viso al suo Sabrina istintivamente si scostò allontanandosi leggermente, abbozzando un sorriso divertito quando scorse l’indignazione farsi strada sul bel viso del musicista:
“Si leverà comunque al primo boccone!”
Oui. Ma con quello che costa, fammelo almeno sfoggiare fino alla prima portata.”
Tutto quello che Sabrina gli concesse fu arricciare le labbra carnose e scoccargli un bacio aereo, decisamente lontano da ciò che Joël desiderava, ma subito dopo la strega scivolò dalla sua leggera stretta per andare ad infilarsi i sandali col tacco, sfuggendo ad ogni eventuale protesta e rivendicazione.
Il rossetto rosso donava terribilmente a Sabrina, si ritrovò a considerare Joël mentre la guardava sedersi sul divano grigio e infilarsi i tacchi neri dalla suola rossa firmata Christian Louboutin cercando al contempo di respingere, ridendo, gli affettuosi attacchi di un Pascal in cerca di coccole. Si sposava meravigliosamente con il colore dei suoi capelli, dei suoi occhi e del suo incarnato, specie ora che era così abbronzata. E proprio per quel motivo quando la guardava si ritrovava ad avvertire ancor più del solito il desiderio di baciarla, ragion per cui i rossetti rossi avrebbero dovuto sparire dai cassetti della strega il più rapidamente possibile.
“Non siamo troppo eleganti per una cena con tuo fratello?”
Ormai, si ritrovò a constatare Joël mentre scivolava lentamente dallo sgabello abbassando al contempo lo sguardo, permettendosi di gettare un’occhiata al proprio abbigliamento, non era che l’ombra di se stesso: un tempo se una donna gli avesse chiesto di vestirsi elegante non solo non le avrebbe dato retta, ma avrebbe riso e si sarebbe presentato nelle peggiori condizioni pur di scorgere la sua reazione indispettita. E invece ora indossava una camicia. Sabrina e Anjali, per lui, erano state semplicemente deleterie.
“Una volta una donna saggia ha detto che ogni scusa è buona per sfoggiare un bel vestito. E poi andiamo al ristorante del Métropole, e quello è così elegante che ti farà schifo. Ci vediamo dopo piccoli, fate i bravi.”
Dopo aver recuperato una borsetta nera dal divano e una stola di cashmere e seta del medesimo colore del vestito Sabrina parlò chinandosi per lasciare una carezza sulla testa di Pascal mentre Salem, dopo aver ricevuto la sua attesissima cena, sonnecchiava pacifico nella sua cuccetta rotonda grigia.
“Per vederti vestita così farei di tutto, ma non dovrò mica scegliere tra 6 forchette diverse, vero?”
Aveva chiesto lui a Sabrina di poter cenare insieme a Silas prima della sua partenza, e non si sarebbe mai sognato di contestare sulla scelta della location dopo che la strega aveva deciso di assecondare la sua richiesta. Si era persino messo la camicia, ma l’idea di trovarsi davanti a 10 tipi di posate diverse lo preoccupò non poco mentre Sabrina, al contrario, sorrideva divertita sistemandosi con grazia la stola sulle spalle nude:
“Tranquillo Julia Roberts, niente forchette di 6 dimensioni diverse.”
Un sorriso distese a loro volta le labbra di Joël, che si sentì pervadere dal sollievo mentre Sabrina gli si avvicinava ticchettando sul pavimento immacolato e allungando una mano per stringere la sua mentre si dirigevano verso la porta, raccogliendo la chiave magnetica da un’elegante ciotola di marmo prima di uscire. Dopo essersi chiusa la porta bianca alle spalle strega stava infilando la chiave nella borsa prima di scendere la scala lievemente inclinata che li avrebbe condotti al pian terreno quando Joël, massaggiandole dolcemente la mano con il pollice, le chiese qualcosa:
“Per fortuna. La donna saggia chi sarebbe, comunque? Coco Chanel?”
“No, Anjali Kumar. Andiamo.”
Joël rise mentre seguiva Sarina lungo la rampa, ma si disse che in fondo avrebbe dovuto immaginarlo.

 
*

 
Nel corso dei suoi 29 anni di vita Sabrina non aveva mai presentato nessun ragazzo alla sua famiglia: niente mai che ne valesse la pena, così la strega era andata ripetendo per anni a fronte delle domande speranzose di sua madre, di suo padre, persino della sua affezionata matrigna. Non aveva mai avuto una relazione particolarmente seria o particolarmente duratura, mai nessuno che l’avesse spinta a fare progetti o a sperare che durasse: ad un certo punto si era sempre fatta indietro, troppo timorosa di soffrire per rischiare e investire troppi sentimenti.
E poi, anche se lo conosceva pressochè da sempre, quell’estate era arrivato Joël Moyal, un fulmine a ciel sereno che ancora non sapeva come ma l’aveva spinta a buttarsi, a rischiare, e anche se Sabrina temeva terribilmente la fine dell’estate e l’idea di dover porre fine a quella relazione era grata a Joël per averlo fatto: Sabrina non faceva che ripetersi che se anche fosse finita almeno aveva avuto la possibilità di sperimentare la felicità, quella vera, qualcosa che niente avrebbe mai potuto cancellare.
Sabrina non aveva mai presentato nessun ragazzo alla sua famiglia, ma spesso si era chiesta come sarebbe andata, cercando di figurarsi vari scenari. Di sicuro la realtà aveva superato di gran lunga ogni sua aspettativa: mai avrebbe pensato che il primo a cui un suo ipotetico fidanzato si sarebbe approcciato seriamente sarebbe stato il suo fratellino, eppure eccoli lì, lei, Silas e Joel, seduti attorno ad un tavolo circolare ed elegante del costosissimo ristirante del Métropole.
Sabrina fece ondeggiare lievemente il vino rosso nel suo bicchiere – pressochè l’unico alcolico che si concedeva, in quanto antiossidante – prima di assaporarne una sorsata senza smettere di tenere d’occhio i suoi commensali attraverso il vetro, studiandoli mentre erano intenti a chiacchierare amabilmente davanti ai piatti ormai vuoti: sembrava che tra Silas e Joël fosse scoccata la scintilla, perché non avevano smesso di parlare un attimo da quando si erano seduti, e dopo un’accesa conversazione sul Quidditch che a lei era parsa dolorosamente eterna – sua madre l’aveva cresciuta a pane e Audrey Hepburn, lo sport non era mai entrato nell’equazione, nuoto a parte – ora avevano iniziato a parlare di lei e delle storielle imbarazzanti che Joël stava cercando di estorcere a suo fratello.
“In realtà non mi viene in mente quasi nulla, è sempre stata una tale perfettina…”
“Sì, capisco benissimo, a volte è snervante.”
Joël annuì imitando il tono grave di Silas, anche se si premurò di indirizzare un rapido sorriso a Sabrina mentre le accarezzava dolcemente la gamba fasciata dalla gonna rossa del vestito, facendole alzare gli occhi al cielo: era stata una pessima idea, quella di assecondare la richiesta di Joël. Che cosa le era passato per la testa? Si stava inequivocabilmente ammorbidendo, constatò con orrore la strega mentre Silas annuiva gettando un’occhiata esasperata in direzione della sorella maggiore:
“Pensa crescerci insieme!”
“Sapete, voi due mi sembrate proprio anime affini, forse dovrei andarmene e lasciarvi proseguire la serata da soli.”
“Poverina, è gelosa, ma ormai è abituata al fatto che tutti preferiscano me.”
“Niente affatto, chi sono io per ostacolare la vostra affinità? In effetti voi due avete in comune qualcosa, avete questo modo di fare irritante che per qualche strano motivo alle donne piace molto.”
La cosa peggiore era che sua madre glielo aveva ripetuto per anni, di stare alla larga dai tipi carismatici e ricchi di savoir faire come suo padre. E invece lei ci era cascata completamente, e Joeel non tardò a ricordarglielo con un sorriso divertito, gli occhi blu luccicanti alla luce fioca che illuminava elegantemente la sala del ristorante.
“Te inclusa.”
“Forse.”
Sabrina ricambiò il sorriso di Joël prima di portarsi il bordo del calice alle labbra per bere un altro po’ di vino cercando di non dar peso all’occhiata un poco ansiosa che Silas le lanciò. Solo in quel momento la strega si rese conto di non aver detto nulla al fratello, di non avergli chiesto di non lasciarsi sfuggire commenti potenzialmente equivoci, e si stava giusto pentendo di non averlo fatto quando Silas parlò, ripetendo quasi senza volerlo parole che per anni aveva sentito pronunciare dai loro genitori:
“Non esagerare, Sabs.”
Immaginando uno dei due St John ammonire l’altro in merito all’alcol Joël avrebbe senza alcun dubbio puntato di Sabrina – specie perché non aveva mai visto la strega bere più di un bicchiere di fila –, ragion per cui le parole di Silas lo stupirono non poco: il musicista volse lo sguardo sul minore inarcando curioso un sopracciglio, guardandolo sorpreso mentre gli occhi ambrati del diretto interessato, resi ancora più luminosi dalle candele accese al centro del tavolo, scivolavano rapidi su quelli scuri di Sabrina. Silas lesse la muta supplica nello sguardo della sorella, e all’improvviso capì che Sabrina ancora non aveva fatto parola con Joël della sua malattia. Seppur stupito il ragazzo si costrinse a tornare a sorridere, affrettandosi a correggere la gaffe con una rilassata scrollata di spalle: era una fortuna che avesse mentito ai suoi genitori pressochè per tutta l’adolescenza e che ormai ci avesse fatto il callo.
“Regge malissimo l’alcol. È proprio una tremenda perfettina che non beve mai.”
Joël rise, asserendo che in caso fossero fatti l’uno per l’altra, dal momento che lui non beveva affatto; il musicista si sporse per scoccarle un tenero bacio su una guancia mentre lo sguardo di Sabrina incrociava brevemente quello del minore, che la guardò chiedendole per quale motivo ancora non glielo avesse detto.

 
*

 
Artemy sedeva su una delle panchine di Place du Casino, godendosi la frescura della tipica leggera brezza che di sera avvolge le città portuarie. Era un sollievo, dopo il caldo della giornata, poter trascorrere un po’ di tempo all’esterno senza patire la temperatura, ragion per cui aveva presto imparato ad apprezzare particolarmente ore notturne del Principato di Monaco, quando strade, edifici e piazze venivano illuminate e Monte Carlo acquisiva una magia del tutto nuova.
Quella sera non faceva eccezione, e attorno a lui oltre alle luci che rendevano ancora più maestose le facciate imponenti del Casinò, dell’Hotel de Paris e del Teatro dell’Opera brillavano i lampioni e i fari delle costosissime auto di chi parcheggiava nei pressi della piazza, tanto per mettere sotto gli occhi di tutti i passanti una vettura che pochi si sarebbero potuti permettere e dimostrare il proprio status economico.
Medea sedeva accanto a lui tenendo le lunghe gambe nude raccolte contro il petto, una giacca leggera a coprirle le spalle altrimenti nude mentre la strega teneva le braccia strette al petto e come lui faceva vagare in silenzio lo sguardo attorno a sé, o almeno finchè l’amico non si voltò verso di lei e le sorrise:
“Sei inglese e hai freddo qui. Sei strana, Medea Winters.”
“Non sono abituata a questo tipo di vento, ok? Non vivo sulla costa, saputello.”
Artemy sorrise, per nulla offeso mentre guardava l’amica stringersi nella giacca con fare sostenuto, stanca delle battutine che si sentiva spesso rivolgere su quanto fosse freddolosa. Per qualche istante nessuno dei due parlò, finchè gli occhi a mandorla di Artemy non tornarono a solcare la facciata del Teatro dell’Opera:
“Dovremmo andarci una sera. A teatro. Prima di andare via. Adoro la musica.”
Una delle poche cose che rammentava chiaramente della sua vita passata, della vira con la sua famiglia d’origine, prima che suo nonno lo cacciasse, era proprio la musica. La musica e la danza con lei, ciò che lo aveva appassionato per tutta la vita, anche se ormai non ballava più.
“Credo che costi una fortuna.”
Medea gettò a propria volta un’occhiata alla facciata del Teatro, guardandola scettica mentre Artemy, al contrario, si stringeva nelle spalle con la massima nonchalance:
“Pago io.”
“Non devi pagare tu solo perché sei più ricco di me, Eros.”
“Giarda che mi fa piacere. Anche perché di solito sono gli altri che pagano per me, ogni tanto è bello ricambiare.”
Artemy sorrise e accompagnò le proprie parole da una strizzata d’occhio che fece ridere Medea, oltre a far guadagnare al ragazzo una leggera pacca sulla spalla. Poi, all’improvviso, Medea sembrò colta da un’improvvisa consapevolezza che la portò a guardare l’amico indicandolo e con gli occhi sgranati:
“Santa Priscilla… Saresti come in Pretty Woman, ma al contrario!”
“Se carina Medea, ma non illuderti, non quanto Richard Gere. Però il rosso donerebbe a me quanto a Julia, sì.”
Indossava spesso colori neutri, ma forse avrebbe dovuto dare qualche chance il più al cremisi, si disse Artemy distendendo le gambe e incrociando le braccia al petto mentre reclinava la testa appoggiando la nuca al bordo della panchina, fissando il cielo notturno sopra di loro mentre Medea si sporgeva verso di lui arruffandogli con affetto i capelli argentei che per molto tempo aveva creduto essere il risultato di una colorazione artificiale: solo pochi giorni prima Artemy le aveva confidato di essere nato con quell’esatto colore di capelli, destando sincera meraviglia nell’amica così come in chiunque altro l’avesse mai raccontato.
“Quanto te la tiri. E poi a Richard sono venuti i capelli grigi prestissimo, quindi più che a me somiglia a te, con i capelli che ti ritrovi.”
Artemy non rispose, limitandosi ad assentire con un lieve cenno del capo e ad accennare un sorriso con gli angoli delle labbra prima di tornare a fissare assorto il cielo buio sopra di loro. Ricordava fiumi e fiumi di stelle, nei luoghi dove era nato e cresciuto dopo essere stato abbandonato. Lì, invece, per colpa delle luci artificiali, tutto ciò che riusciva a scorgere era un’unica, triste distesa color pece.  Medea rimase per qualche istante a studiare il volto dell’amico, i suoi tratti delicati, la pelle diafana e i sottilissimi capelli argentei che gli sfioravano la fronte liscissima, finchè non inarcò un sopracciglio, osservandolo dubbiosa:
“Non lavori spesso, ultimamente.”
“A volte mi piace passare il tempo con qualcuno a cui piaccio davvero.”
“Quando non ti starà più bene potrai e dovrai smettere, lo sai vero?”
Lo sguardo attento ed indagatore di Medea si caricò di una sottile traccia di preoccupazione a cui Artemy, ormai, non era più avvezzo da tempo. Il ragazzo si limitò a guardarla per alcuni istanti prima di annuire e accennare un sorriso per tranquillizzarla, sentendosi scaldare dalla piacevole e sopita da tempo sensazione di avere qualcuno che in qualche modo lo aveva a cuore:
“Certo. Non preoccuparti.”

 
 
*

 
Martedì 10 agosto


 
Quando Alphard aprì gli occhi la luce del primo mattino gli fece subito visita, ma ormai ci era abituato: ad Anjali piaceva dormire senza chiudere le serrande o tirare le tende, lasciando che spesso fosse la luce del Sole a destarla dall’abbraccio di Morfeo. Qualcosa a cui Alphard non era avvezzo, ma stava finendo col farci l’abitudine, specie se quando apriva gli occhi, svegliato dalla luce naturale che filtrava attraverso le finestre, ciò su cui poteva posare lo sguardo era uno dei più bei volti che avesse mai visto in vita sua.
E così fu anche quel giorno, quando Alphard si girò sul fianco verso l’altra metà del letto e scorse Anjali, già sveglia e seduta contro la testiera bianca imbottita del letto con una rivista e una penna in mano.
“Non dirmi che stai facendo un cruciverba.”
“Certo che sto facendo un cruciverba, sai che lo adoro. Devo pur passare il tempo mentre il mio Alphy dorme.”
Se solo fosse stata una qualsiasi altra voce a pronunciare quel nomignolo Alphard si sarebbe sentito rabbrividire dalla testa ai piedi, ma non quel giorno, non se era lei a farlo: si era reso conto già da tempo di come a lei tutto fosse concesso, e anche se all’inizio la cosa lo aveva un po’ preoccupato ormai ci si era completamente e definitivamente arreso. Anjali parlò senza distogliere lo sguardo dalla pagina della rivista che teneva in mano, una ruga a solcarle il mezzo della fronte per la concentrazione, e Alphard si sollevò quel tanto che gli bastava per depositarle un bacio su una guancia e poi uno sulle labbra, finendo col cingerle con un braccio la vita fasciata dalla canottiera di raso del pigiama rosa cipria prima di sfoggiare un sorrisetto:
“Potremmo passare il tempo anche facendo altro.”
“Finisco qui. Nantes…”
Anjali scarabocchiò una parola sulle caselle corrispondenti senza distogliere lo sguardo dal foglio di carta che aveva davanti, ignorando deliberatamente l’espressione offesa che prese rapidamente il posto del sorriso sul volto di Alphard:
“Preferisci le parole crociate a me?!”
“Shhh, devo finire, mi manca pochissimo!”
Alphard la passione di Anjali per cruciverba e parole crociate proprio non la capiva, ma lei aveva accolto positivamente il suo amore malsano per le commedie romantiche trash – qualcosa che non aveva pressochè mai confidato a nessuno e che per fortuna Anjali, dopo averlo colto in fragrante con in mano una copia di “Appuntamento a Central Park”, aveva preso sul ridere prima di chiedergli di poter leggere quei libri insieme a lui – e sfortunatamente non poteva avere nulla da ridere in merito. Non gli restò quindi che starsene buono buono in attesa, seppur immusonito e steso supino sulla sua parte di letto con le braccia nude serrate, finché Anjali non ebbe terminato il suo cruciverba: la strega sancì la fine del suo supplizio sorridendo vittoriosa e sventolando la rivista davanti ad Alphard.
“Finito! Sei proprio fortunato, oltre che bella sono anche intelligente!”
“Fortunatissimo, sì.”
Alphard non aveva nessuna voglia di mettersi ad interloquire in merito a cruciverba, parole crociate e stronzate simili, pertanto non esitò a prendere la rivista dalle mani della strega e a scagliarla con mala grazia sul pavimento ai piedi del letto prima di sporgersi verso di lei per prenderle il viso tra le mani e baciarla, soffocando la risata di Anjali con le sue stesse labbra.

 
                                                                                                                                     *

 
Il Cafè de Paris era forse uno dei punti di Monte Carlo che Anjali preferiva in assoluto e per lei sedersi attorno ad uno di quei tavolini che si affacciavano sulla Place du Casino costituiva sempre puro relax, specie quando poteva condividere quei momenti con qualcuno di piacevole compagnia: proprio per questo motivo quella sera, prima di cena, ci aveva trascinato Joël, e quando, appena seduti, aveva adocchiato Joshua a passeggio non aveva esitato a salutarlo e ad invitare l’australiano ad unirsi a loro, lieta di avere compagnia mentre Sabrina lavorava e Alphard era rimasto nella sua Suite a fare telefonate. Possibile che due tra le sue persone preferite al mondo fossero così ligie al dovere e barbose?
Persino il suo Kir Royal le parve più buono del solito quella sera, ma mentre Joël e Joshua chiacchieravano a proposito delle rispettive professioni nel campo visivo della strega entrò qualcosa che rischiò di farglielo andare di traverso: lei, la ex di Alphard. Lì, seduta a pochi metri da lei, attorno ad un tavolo identico al suo.
Come si permetteva di rubarle persino il suo locale preferito?! Di tutta Monte Carlo, proprio lì era andata a sedersi?!
Quando Anjali si scostò bruscamente il bicchiere dalle labbra tossicchiando Joël smise di parlare e la guardò inarcando un sopracciglio, sbattendo amabilmente le palpebre mentre Anjali tossicchiava debolmente maledicendo la sua mala sorte:
“Che hai, tesoruccio?”
“C’èlaexdiAlphard.”
Anjali deglutì mentre distoglieva lo sguardo facendo di tutto per far sì che non indugiasse eccessivamente sulla donna in questione – che aveva una risata orribile e indossava un vestito di pessimo gusto –, sibilando quelle parole tra i denti mentre Joshua, chiedendosi che cosa stesse succedendo e perché la strega si fosse improvvisamente fatta così strana, spostava allibito lo sguardo dal suo viso a quello di Joël in cerca di risposte:
“Che cosa sta farfugliando?”
“Dopo anni sono esperto nel decifrare i borbottii di Anjali Kumar: pare che ci sia la ex di Alphard. E chi sarebbe, cara?”
Joël si voltò senza alcun ritegno, ma non ebbe bisogno della risposta di Anjali – che lo maledisse con un filo di voce, parole che il musicista finse di non sentire –: aveva visto la foto della donna incriminata, e la riconobbe con una rapida occhiata. Quando tornò a raddrizzarsi sulla sedia Joël sorrideva, ma prima che potesse formulare un qualsiasi commento sul suo aspetto l’occhiata gelida ed eloquente di Anjali lo zittì:
“Prima di dire qualsiasi cosa ricorda che stai con la mia migliore amica, che è ciò di quanto più bello e meraviglioso a cui tu potrai mai aspirare.”
“Non stavo per dire nulla, infatti!”
“Certo, e io sono bionda!”
Anjali scosse la testa con disapprovazione mentre tornava a stringere il gambo del suo calice per bere un altro sorso del suo drink – sua madre diceva sempre che lo champagne curava ogni male, e fortunatamente lei ne aveva a disposizione in abbondanza –, ma Joël bloccò il suo gesto mettendole una mano sul braccio, scuotendo la testa mentre fingeva di guardarlo dispiaciuto:
“Anji, tu sei davvero carina, non devi sentirti minuita. Solo perché Alphard stava con una bionda bellissima non vuol dire che le preferisca e che tu debba farti la tinta…”
“Ti affogo nel Kir Royal, Joël. E tu cosa ridi, Joshua?”
Sebbene Anjali fosse molto più bassa di lui, l’occhiata che gli lanciò bastò affinché Joshua facesse sparire il sorriso che alle parole di Joël gli aveva increspato le labbra, portando l’australiano a tornare serio e a rimpicciolirsi sulla sedia mentre scuoteva la testa, pregandola di non affogarlo da nessuna parte:
“Chiedo scusa, non c’è proprio nulla da ridere. Di che nazionalità è la signorina?”
Desideroso di distogliere l’attenzione da sé il più rapidamente possibile Joshua si affrettò a tornare a stringere il suo bicchiere di vino con la massima disinvoltura, facendo ondeggiare il liquido color sangue sui bordi di vetro tondeggianti mentre Anjali rispondeva gettando un’occhiata torva in direzione della diretta interessata, che rideva stando seduta ad un tavolo insieme a due uomini molto eleganti e che, alla svizzera fu chiaro con un’occhiata, morivano dalla voglia di portarsela in camera da letto.
“Francese.”
“Ah, ecco.”
Joël Moyal si sarebbe potuto facilmente definire come la persona meno permalosa che avesse mai messo piede nel Principato di Monaco – ancora indossava fiero la maglietta che gli aveva regalato Anjali, destando puntualmente grosse risa da parte di Sabrina –, ma inarcò un sopracciglio e gettò comunque un’occhiata divertita in direzione di Joshua mentre questi, a seguito del suo conciso quanto eloquente commento, sorseggiava un po’ di vino rosso:
“In che senso “Ah, ecco”?”
“Niente, niente… Non voglio offendere, ma in genere non vado matto per i francesi.”
Joshua si strinse nelle spalle mentre si leccava le ultime tracce di vino dalle labbra sottili, tornando a poggiare la base del calice sul tavolo mentre Anjali, gettata un’ultima occhiata torva in direzione di Camille Bernard, annuiva con aria sostenuta:
“Da oggi anche io!”
“Ma io sono francese! E Sabrina anche.”
Joël guardò l’amica non sapendo se sentirsi offeso o meno ma in fondo divertito di fronte alla piccata gelosia della strega che, invece, si strinse debolmente nelle spalle prima di liquidare i suoi argomenti con un pigro gesto della mano, quasi volesse scacciare una mosca fastidiosa:
“Lei è mezza francese. E per quanto riguarda te, pazienza.”


 
                                                                                                                                             *

 
Sabrina stava in piedi dietro al bancone della Reception, china davanti ad uno degli iMac bianchi per controllare i check-in che ancora dovevano essere completati e, quindi, il numero di ospiti che avrebbero dovuto giungere all’Hotel in serata.
“Penso che sia arrivata.”
Le parole di Michel bastarono per far svanire nel nulla ogni singola traccia di concentrazione in Sabrina, che subito distolse lo sguardo dallo schermo per indirizzarlo sulla porta a vetri, giusto in tempo per scorgere una ribelle chioma ricciuta dondolare dolcemente mentre la proprietaria di quei capelli salutava e sorrideva al portiere in divisa fuori dalla porta. Un sorriso si fece immediatamente largo anche sul bel viso abbronzato di Sabrina, che non esitò, approfittando del fatto che la Hall fosse deserta, a raggirare il bancone e dirigersi verso la porta proprio mentre questa veniva spalancata, consentendole di incrociare lo sguardo di una donna alta, abbronzata e dai lunghi e lucenti capelli neri.
“Ciao Joyce!”
Sabrina conosceva Joyce da talmente tanto tempo da nemmeno poter ricordare il loro primo incontro, e sapeva che dagli abbracci della sua ex matrigna non si poteva sfuggire: quando Joyce, i ridenti e grandi occhi ambrati che tanto l’avevano sempre affascinata da piccola fissi su di lei, allargò le labbra mentre un facchino depositava le sue valige sul pavimento della Hall alle sue spalle Sabrina annullò la distanza che le separava con poche falcate e infine si lasciò abbracciare, stringendola a sua volta mentre Joyce quasi la stritolava asserendo quanto le fosse mancata. Non appena si staccarono subito l’occhio critico della donna corse su e giù lungo la figura longilinea della figliastra, finendo con lo scuotere la testa con finta disapprovazione mentre la guardava con piglio severo:
“Ma perché sei sempre più orribilmente bella ogni volta che ti vedo?”
“Tu stai benissimo, al massimo. Sono felice di vederti.”
“Anche io tesoro. E non vedo l’ora di vedere Silas. Gli verrà un colpo, poverino!”
Joyce ridacchiò divertita mentre si ravvivava i ricci scuri con una mano, deliziata all’idea di non aver avvertito il figlio della sua visita, e Sabrina subito sorrise, rammentando perché quella donna le fosse sempre andata particolarmente a genio.
“Oh, anche io non vedo l’ora. Andiamo al bar, ti faccio offrire qualcosa. Michel, trova una scusa per mandarmi Silas, e alla svelta.”
L’ultima cosa che Sabrina scorse prima di prendere a braccetto Joyce e condurla verso il bar fu il sorrisino maligno che increspò le labbra dell’amico, assolutamente certa che Michel fosse a sua volta deliziato dalla presenza della seconda moglie del proprietario. Specie se si trattava dell’unica persona a cui Silas dava pienamente retta.
 
“Non capisco perché Michel ha insistito tanto, che cavolo, ero in pausa!”
Quando Michel aveva mandato Pierre a chiamarlo Silas stava cazzeggiando a bordo piscina con Meadow, Asher e una birra – che aveva provvidenzialmente ficcato in mano all’amico per fingere che non fosse sua quando aveva visto Pierre varcare la soglia della piscina coperta – nel pieno di una pausa volta in primis a consolare Asher e ad ascoltare il suo resoconto dell’ultima discussione avuta con Ridge, ma era stato rapidamente e perentoriamente richiamato all’ordine, costringendolo a seguire di controvoglia Pierre verso il bar.
“Temo proprio che sia di vitale importanza, Signorino.”
Pierre parlò senza voltarsi a guardarlo insospettendolo sempre di più, portando Silas a chiedersi il perché di tutto quel mistero, e soprattutto perché si stessero dirigendo verso il bar quando fino a mezz’ora prima stava pulendo la piscina – mansione che non aveva ancora finito di svolgere –. Infastidito dall’essere stato interrotto nel pieno del racconto pieno di dettagli succosi di Asher e dalla consapevolezza che Meadow avrebbe appreso quei dettagli prima di lui Silas non poté far altro che sperare che non stessero per affibbiargli l’ingrato compito di lavare tutte le stoviglie sporche del bar, ma quando seguì Pierre all’interno dell’ampia stanza dalle pareti blu cobalto subito il suo sguardo si focalizzò su due delle persone presenti, due donne a lui particolarmente note sedute vicine su due sgabelli dal rivestimento in cuoio e intente a chiacchierare amabilmente davanti a due bicchieri.
Sua sorella e sua madre stavano facendo conversazione. Probabilmente uno dei suoi peggiori incubi ricorrenti.
Pierre non disse nulla, limitandosi a schiarirsi educatamente la gola per rendere nota la loro presenza e interrompere così le chiacchiere di Sabrina e Joyce, che volsero in sincro lo sguardo sui due e sull’uscio del bar mentre lo sguardo di Silas si riempiva rapidamente di orrore, quello di Joyce di gioia e quello di Sabrina di sadico divertimento.
“Silas, tesoro!”
Joyce scivolò rapida dallo sgabello per dirigersi verso il figlio allargando le braccia, sforzandosi di non ridere di fronte alla sua espressione sgomenta mentre il ragazzo la guardava incredulo:
Mamma?!”
Tutto quello che Silas riuscì a fare fu boccheggiare prima di essere inglobato dal forte abbraccio della madre. Solo allora lo sguardo ambrato del ragazzo scivolò sulla sorella, guardandola sogghignare dietro ad un bicchiere di vino rosso: gli bastò un’occhiata per appurare non solo che Sabrina aveva sempre saputo, ma che si stava anche divertendo da matti.
Maledetta.
 
 
 
 
 
(1): Edizione francese del Settimanale delle Streghe
 
 
 
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Angolo Autrice:

Sono veramente in ritardo, ma ultimamente sono un disastro ambulante e non riesco proprio a rispettare le scadenze che mi prefiggo di mantenere.
È tardissimo come sempre e io sono sinceramente sfinita, quindi mi limito a ringraziarvi come sempre per le recensioni dello scorso capitolo❤️ Il prossimo sarà il penultimo, ovviamente vedremo Silas alle prese con sua madre, Sabrina e Joël alle con una certa questione che attende di essere affrontata, Asher tirare le somme della sua relazione e ovviamente tanto tanto amore come sempre. In questa storia sono un tantino melensa, ma capitemi, in OMITB affronterò tematiche super pesanti e un po’ di ammmore ogni tanto ci vuole.
A prestissimo (giuro!) col prossimo capitolo.
Un abbraccio a tutte voi,
Signorina Granger

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

 
 
Giovedì 12 agosto
8.00


 
 
Sabrina sentiva il forte bisogno di riflettere e di schiarirsi le idee, pertanto aveva deciso di iniziare la giornata nel migliore dei modi a lei conosciuti, ovvero nuotando. E non in una delle piscine dell’Hotel, che per quanto grandi e confortevoli potessero essere non le avrebbero mai trasmesso il senso di pace che solo l’acqua salata del suo amatissimo Mediterraneo era in grado di infonderle, specie quando, di prima mattina, le spiagge erano praticamente deserte.
Dopo essersi sfilata l’attillatissima muta nera dotata di strisce laterali bianche e blu che dal collo scendevano fino alle caviglie Sabrina era scesa dal motoscafo bianco che l’aveva accompagnata al largo dalla spiaggia ed era presto tornata a riva camminando con calma sulla sabbia, i corti capelli scuri bagnati che le solleticavano il viso e un costume intero rosso scuro addosso. La spiaggia era semi-deserta, il clima reso ancor più sopportabile dalla tenue brezza marina e la sabbia non scottava: quello era, per Sabrina, il momento ideale per andare in spiaggia, specie quando si concedeva di dedicarsi in solitaria – era una fortuna che lei e suo padre conoscessero praticamente tutti i proprietari di barche e attrezzature da sub in città, e che in molti erano sempre bendisposti ad offrire giri in motoscafo gratis ai St John in cambio di qualche cena offerta al ristorante dell’Hotel – ad una delle sue attività preferite: le immersioni e lo snorkeling.  
L’acqua salata e la sabbia bagnata sotto ai suoi piedi avevano da poco lasciato il posto ai sottili granelli dorati di quella asciutta quando Sabrina, diretta verso i bagni dove aveva chiuso vestiti asciutti, telefono e bacchetta in un armadietto, scorse con sincero sgomento una silhouette a lei familiare che la scrutava, in piedi a pochi metri dalla riva con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni leggeri beige e un paio di scarpe strette sottobraccio.
“Che cosa ci fai qui?”
“Pierre mi ha detto che eri uscita molto presto, e ho immaginato fossi qui.”
Gli occhi color ambra di Silas erano celati dalle lenti scure dei suoi occhiali da sole mentre il ragazzo scrutava la sorella mentre lei lo raggiungeva, ma anche non potendo scorgere del tutto l’espressione sul suo viso Sabrina intuì comunque che cosa lo avesse spinto a raggiungerla grazie al tono chiaramente contrariato del fratello minore, portandola a sospirare e ad alzare gli occhi al cielo mentre lo raggiungeva e lo superava senza fermarsi, affondando in tutta calma i piedi scalzi e abbronzati nei granelli di sabbia.
“Il tono di rimprovero puoi anche risparmiarmelo, non sei mia madre.”
Sabrina parlò con tutta la pacatezza possibile mentre chinava il capo per tenere lo sguardo fisso sui propri piedi, decisa a non farsi turbare da niente e da nessuno mentre Silas, dopo essersi voltato, si affrettava a seguirla guardandola torvo da dietro le lenti scure fino a raggiungerla con un paio di lunghe falcate, ritrovandosi a camminarle accanto senza smettere di scrutarla dall’alto in basso – per una volta che la sorella non indossava i tacchi, era di qualche centimetro più alto di lei – con sguardo critico:
“Non mi serve essere Sandrine per rimproverarti, specie quando nemmeno papà è qui per farlo. Devi finirla con le immersioni, Sabs.”
Sabrina non era di certo abituata a sentire il suo fratellino rivolgerlesi con quel tono perentorio, e la strega finì con l’alzare la testa per ricambiare lo sguardo di rimprovero di Silas, inarcando un sopracciglio mentre si fermava per fronteggiarlo e indicarsi con le proprie stesse mani, spazientita:
“Silas, ho preso i betabloccanti. Mi vedi? Sto benissimo. Apprezzo il pensiero, ma convivo con questa malattia da quando sono nata, so gestirla e so quello che ogni tanto posso permettermi di fare. So di non poterlo fare tutti i giorni e infatti non lo faccio, ma di tanto in tanto non mi va di rinunciarci. Hai idea di che cosa voglia dire vivere con tutte le limitazioni che devo subire da sempre? Come sia rinunciare a tutto quello che avresti voluto fare?”
Per una volta Silas tacque, e Sabrina conosceva abbastanza bene suo fratello da sapere quanto zittirlo fosse difficile. Del resto era una caratteristica di famiglia, e ne approfittò per continuare a parlare scuotendo debolmente il capo mentre abbassava le braccia, lasciandole ricadere rigidamente lungo i fianchi:
“Volevo nuotare, e non ho potuto farlo. Volevo studiare lontano da qui, e non ho potuto farlo. Non posso e non voglio reprimere sempre quello che vorrei fare, Silas. E tu dovresti essere con tua madre, non qui con me.”
“Ieri sera mi ha detto che vorrebbe fare colazione con entrambi. Sono qui anche per questo. E anche se sei orribilmente testarda e finisci sempre col fare comunque come ti pare noi non smetteremo mai di preoccuparci per te, temo.”
“Potresti fare a meno di dirglielo? Non la vedo mai, e detesto discutere con tua madre.”
Chiunque avrebbe fatto di tutto per evitare di discutere con sua madre, nessuno lo sapeva meglio di lui, ma Silas si costrinse ad evitare qualsiasi battutina di sorta e dopo una breve esitazione in cui lui e la sorella si guardarono tesi si limitò ad annuire, serio, con un lieve cenno del capo:
“D’accordo.”
Sabrina non disse nulla, ma Silas sapeva quanto spesso sua sorella fosse orgogliosa e spesso reticente nel dire “grazie” e il modo in cui lo guardò gli bastò, limitandosi a seguirla verso il limitare della spiaggia quando Sabrina riprese ad incamminarsi. I due percorsero qualche metro in silenzio, mentre ad avvolgerli non erano altro che gli stridii acuti dei gabbiani e il dolce infrangersi delle onde sulla riva, finchè Silas non ripensò alla cena che aveva condiviso con la sorella e Joël e decise di approfittare del suo essere solo con la sorella maggiore per chiederle qualcosa che da quella sera non aveva mai smesso di ronzargli in testa:
“Lo hai detto a Joël?”
Sabrina esitò prima di rispondere, forse spiazzata dalla domanda improvvisa, ma infine Silas la vide scuotere la testa senza smettere di fissarsi pensosa i piedi, evitando di guardarlo come se in qualche modo si vergognasse di ciò che stava per dirgli:
“Lo farò molto presto. Stamattina avevo bisogno di pensare. Da sola.”
“Non penso che le cose cambieranno poi molto. Ti adora, è evidente.”
Silas non si sarebbe mai definito un esperto di relazioni, no di certo, ma persino lui, che mai si era innamorato, era in grado di capire quando due persone provavano sentimenti sinceri l’una verso l’altra, e quello era decisamente il caso di sua sorella e di Joël. In qualche modo non capiva la reticenza della sorella a confidarsi con il musicista, talmente era irrazionalmente sicuro che le cose tra loro sarebbero andate bene in ogni caso, ma riusciva comunque ad immaginare perché Sabrina non volesse spezzare quell’idillio. E infatti non si stupì quando vide Sabrina scuotere leggermente il capo e sospirare prima di parlare:
“Per me cambieranno. Volevo solo vivere almeno una parte della mia vita con un po’ di spensieratezza, per una volta. Pensi che non averglielo ancora detto faccia di me una persona orribile?”
Quando finalmente la maggiore riportò lo sguardo su di lui e la sua voce vibrò leggermente dalla preoccupazione Silas provò un caldo modo d’orgoglio irradiarsi dal centro del suo petto fino a tutto il resto del corpo, felicemente sorpreso di sentirla rivolgerglisi per chiedergli il suo sincero parere su qualcosa di tanto personale e che le stava a cuore. Silas non poteva e non avrebbe mai potuto immaginare come Sabrina avesse vissuto la sua vita o i sentimenti che aveva mai provato per qualcuno e non si sarebbe mai permesso di giudicarla, come di certo nemmeno Joël o chiunque altro avrebbe fatto. Il ragazzo abbozzò un sorriso gentile e rassicurante, allungando la mano destra per sfiorare la spalla della sorella come a voler cercare di confortarla mentre i grandi occhi scuri di Sabrina lo scrutavano, ansiosi e preoccupati di udire la sua risposta.
“No Sabs. Solo una persona normale.”


 
*
 
 
Piscina esterna
10.30

 
 
Quella mattina Anjali e Briar si erano date appuntamento per fare colazione insieme sulla terrazza del ristorante dell’Hotel e dopo aver gustato un’enorme tazza di caffè e un pain au chocolat ciascuna si erano spostate a bordo piscina, occupando un paio di lettini per prendere il sole in costume.
Entrambe con gli occhiali scuri calati sugli occhi, le due stavano distese con le teste rivolte verso l’alto per godersi il calore dei raggi solari in silenzio, Briar con un bikini bianco che esaltava l’abbronzatura e Anjali con addosso un costume nero. Quest’ultima, che moriva dalla voglia che arrivassero le 11 per poter sorseggiare un Kir Royal e completare così il quadro di una mattinata perfetta, allungò una mano verso il tavolino che divideva i due lettini per dare un’occhiata al suo telefono, appurando di dover aspettare ancora mezz’ora per non essere erroneamente scambiata per un’alcolista prima di rimettersi comoda e sorridere, soddisfatta:
“Finalmente oggi non fa talmente tanto caldo che si soffoca…”
“Già, questo sì che è relax. Dovremmo farlo capire anche a quel pazzo di Alphard, lui adora le vacanze avventurose. Bah.”
Briar sbuffò con evidentemente disapprovazione senza muovere un muscolo, restando immobile nella comodissima posizione in cui si era adagiata sul letto mentre immaginava l’amico in una delle sue tanto amate escursioni. Anche se non poteva vederla Anjali la immaginò scuotere la testa, ritrovandosi così a sorridere e ad annuire, divertita:
“Sì, me l’ha detto.”
“Tu sei una che scala montagne? Perché ammetto che non ti ci vedo.”
“No, direi di no. Al massimo potrei scalare una piramide di borse se quella che dovessi desiderare si trovasse in cima.”
Briar capiva perfettamente e annuì comprensiva mentre ruotava il capo per poter osservare la svizzera, sfilandosi gli occhiali da sole per scrutarla con gli attenti e brillanti occhi verdi facendosi improvvisamente molto seria:
“Sì, penso sia l’unico aspetto che mi impedisce di pensare che vi abbiano progettati scientificamente per stare insieme. E già che siamo in argomento, non che siano affari miei, ma in quanto amica di Alphard mi sento in dovere di ficcanasare… Partirete tra un paio di settimane, giusto?”
“Oui.”
Anjali già sapeva, naturalmente, dove la britannica stesse per andare a parare, ma restò impassibile e si limitò ad annuire, anche se il lieve nervosismo con cui sollevò una mano per toccarsi i lunghi e lucenti capelli scuri la tradì.
“E avete parlato seriamente di cosa succederà tra voi dopo quella data?”
“Non proprio.”
Per Anjali quello era progressivamente diventato un chiodo fisso ormai da alcuni giorni, ma per qualche assurdo motivo ancora non si era decisa a sedersi di fronte ad Alphard e ad intavolare l’argomento. Forse temeva che lui potesse non pensarla come lei, o che le cose non funzionassero, ma nel frattempo i giorni passavano, la partenza di entrambi si avvicinava e Anjali ancora non sapeva che cosa sarebbe successo alla loro relazione dalla fine di agosto in poi. Non provò infatti il minimo stupore quando Briar la guardò inarcando un sopracciglio con scetticismo, guardandola con una sorta di rimprovero per il quale Anjali non poté biasimarla:
“E cosa aspettate, che un fulmine vi colpisca? Tu non vuoi smettere di vederlo e di certo Alphard non vuole smettere di vedere te, se così fosse lo avrei già preso a calci per la sua cecità di fronte all’immensa fortuna che gli è capitata… Allora ditevelo e basta.”
“Ma abitiamo così distanti… E lui non è proprio tipo da relazioni serie e durature. Mentre io sono esattamente quel tipo di donna, le storielle fugaci e senza significato non hanno mai fatto per me.”
“Senti, Alphard lo conosco da tantissimo tempo, ho più o meno assistito a tutte le sue relazioni e ti assicuro che la sua vita sentimentale ha sempre fatto pietà, non si è mai davvero impegnato con nessuna. Ma non è solo perché non avesse voglia di farlo, non ha mai incontrato una persona che lo prendesse seriamente. Prima di te. Sono piuttosto sicura che non si sia mai innamorato seriamente in vita sua, prima di quest’estate.”
Briar tornò ad indossare gli occhiali da sole con una scrollata di spalle, ma mentre sollevava una mano per ravvivarsi i lunghissimi capelli color castano chiaro scorse tracce di sgomento, imbarazzo e rossore sul bel viso di Anjali, vista che la indusse ad irrigidirsi e a bloccare la mano a mezz’aria per un istante mentre guardava la svizzera con il massimo stupore: i sentimenti tra lei e Alphard li avrebbe notati chiunque, erano talmente palesi da averla portata a dare per scontato che se li fossero già dichiarati apertamente l’un l’altra. Un lieve sorriso divertito – forse anche un po’ intenerito – si fece presto largo sul viso della britannica, che guardò la svizzera trovando assolutamente adorabile il suo imbarazzo: più la conosceva più non le risultava difficile comprendere perché quella donna avesse colpito così tanto il suo amico eternamente scapolo.
“Oh, non ve lo siete ancora detti? Che carini. Fate tenerezza. Ma sul serio, parlatevi, o vi costringerò a farlo in qualche altra maniera.”
“Dovrei preoccuparmi?”
Anjali sorrise, certa che la britannica scherzasse, ma Briar annuì, seria, mentre tornava a sistemarsi supina sul lettino puntando lo sguardo sul cielo azzurro e terso sopra di loro:
“Assolutamente sì. Anche perché non ne posso più di sentir parlare del matrimonio di mia sorella, ho fisicamente bisogno di avere un’altra coppietta nella mia vita, giusto per diversificare.”

 
*

 
Medea era profondamente grata di trovarsi in una bellissima località turistica: fotografare non era mai stato tanto semplice, poteva andarsene in giro con la macchina fotografica appesa al collo, sedersi e scattare a destra e a sinistra senza che nessuno facesse caso a lei, senza che nessuno le gettasse occhiate stranite. Del resto agli occhi dei passanti non era altro che l’ennesima turista che scattava foto ricordo di una vacanza.
Certo Medea era grata anche alla donna che le aveva commissionato l’incarico offrendosi persino di pagarle aereo e alloggio, lo stesso dell’uomo che doveva tenere d’occhio, perché al suo ritorno a Londra le avrebbe rimpolpato generosamente le finanze, il tutto per smascherare quello che Medea non aveva tardato a riconoscere come un perfetto imbecille.
La britannica stava seduta di sghimbesci su una panchina, rivolta con la massima nonchalance verso la terrazza di uno de ristoranti più lussuosi del centro del Principato con il telefono stretto tra l’orecchio e la spalla destra mentre reggeva la sua costosissima Nikon con entrambe le mani, gli occhiali da sole calati davanti agli occhi e una leggerissima jumpsuit di lino color avorio indossata insieme a dei sandali bassi color cammello.
“Nonna, lascia perdere, questo è veramente un imbecille. Lo sto guardando ora. Si è piazzato proprio su un tavolo vicino alla ringhiera della terrazza, non si sarebbe potuto mettere più in vista di così nemmeno se glielo avessi chiesto espressamente. No che non sospetta nulla, sta vivendo la sua vacanza di lusso con l’amante di quindici anni più giovane con la massima nonchalance.”
La schiena appoggiata al bracciolo della panchina e le lunghe gambe comodamente accavallate, Medea ascoltò distrattamente la voce di sua nonna ammonirla di non essere troppo sicura di se stessa mentre sollevava la macchina fotografica per portarsela all’altezza degli occhi, l’obbiettivo puntato dritto sul tavolo incriminato, dove due persone stavano facendo colazione. La strega zoomò sulle mani dei due che si sfioravano sopra alla tovaglia bianca e scattò una foto prima di puntare l’obbiettivo sul viso della donna, chiedendosi come si potesse scendere così in basso.
“Lei è bella, ovviamente. Ma come si può avere così poca integrità? Sta con lui solo per i soldi, probabilmente. Soldi che non avrà perché sta per perdere l’eredità, ma il poverino ancora non lo sa. Nonna, rilassati, nessuno fa caso a me. Se qualcuno dovesse chiedermelo sto solo fotografando le facciate degli edifici barocchi.”
Assurdo che con il tuo cervello tu sia finita a fotografare uomini fedifraghi.”
La disapprovazione di sua nonna era talmente spiccata da apparire evidente anche a tutti quei chilometri di distanza, ma come sempre quando veniva toccato l’argomento Medea non si scompose: di sicuro il suo non poteva definirsi un lavoro monotono, non si annoiava mai e di certo non guadagnava male. Quando si ritrovava a lucrare alle spalle di persone tanto idiote e ingenue come in quel caso un po’ finiva quasi col sentirsi in colpa, ma in fin dei conti le passava in fretta, specie quando si rendeva conto di quanto quegli individui ferissero i sentimenti di chi le commissionava il lavoro.
“Tranquilla, penso di aver chiuso per un po’… potrei dedicarmi ad incarichi diversi per qualche settimana, scontrarsi con tutte queste corna atterrisce, alla lunga.”
No, forse all’idillio del “vero amore” Medea aveva smesso di credere da tempo. Era diventato sempre più difficile osservare una coppia e non immaginare i peggiori retroscena, ma di tanto in tanto si ostinava a ripetersi di non essere tanto negativa, che le coppie sincere esistevano ancora, tutto sommato.
Il materiale che aveva raccolto solo quella mattina era decisamente sufficiente e Medea salutò sua nonna prima di spegnere la macchina fotografica, prendendosi qualche minuto di relax per godersi il tepore del sole sulla pelle delle braccia nude e sul viso mentre sedeva scomposta, del tutto incurante dell’approvazione o della disapprovazione che avrebbe ricevuto dai passanti per il suo occupare la panchina in quella posizione. La strega si stava rilassando facendo vagare distrattamente lo sguardo attorno a sé mentre le voci dei passanti la cullavano insieme ai lievi scrosci dell’acqua che sgorgava dalla fontana di Place du Casino, osservando distrattamente i turisti che passavano accanto alla sua panchina, quando i suoi occhi scuri indugiarono su quelle che le parvero due figure note: un uomo e una donna, molto belli e molto eleganti, entrambi con i capelli scuri, che camminavano tenendosi per mano. Medea era sempre stata dotata di un’ottima memoria fotografica e non tardò a riconoscerli come due ospiti del Le Mirage che già le era capitato di incrociare – di certo lei in particolar modo non era il tipo di persona in grado di passare facilmente inosservata – e si prese qualche istante per osservarli camminare uno a fianco all’altra costeggiando il perimetro della piazza, parlare e sorridersi. I loro corpi non si allontanavano mai esageratamente l’uno dall’altro, le loro teste erano quasi sempre ruotate per guardarsi e così le loro spalle, rivolte appena percettibilmente verso l’altro. Probabilmente non avrebbero potuto sembrare più in armonia di così e Medea, pur non conoscendoli, si ritrovò a sperare di assistere ad un esempio di relazione stabile e fatta di onestà e rispetto: era talmente abituata alle bugie e ai tradimenti più scabrosi da sentirne il bisogno, talvolta, di cercare amori così attorno a sé.

 
*

 
La presenza di sua madre era stata accolta da Silas con sentimenti a dir poco contrastanti: se da un lato Sabrina gli aveva accordato il permesso di lavorare meno per godersi il breve soggiorno di Joyce, dall’altro la vicinanza della madre lo costringeva a comportarsi bene. O almeno meglio del solito.
Naturalmente la donna aveva subito insistito per conoscere Asher e Meadow, e solo la mattina dopo il suo arrivo Silas si era ritrovato a fare colazione con lei, Sabrina e i suoi amici. Joyce era sembrata deliziata nell’apprendere di avere di fronte un’ex compagna di scuola del suo unico figlio e Meadow non aveva esitato a condividere con lei una marea di aneddoti imbarazzanti e compromettenti che di certo nessun figlio avrebbe mai scelto di condividere coscienziosamente con la propria madre.
Quando la ragazza menzionò la volta in cui Silas aveva chiuso nello sgabuzzino il Prefetto che lo aveva messo in punizione l’ex Grifondoro fece del suo meglio per sprofondare nella sedia, desiderando di sparire il più rapidamente possibile mentre Asher sorseggiava con discrezione il suo caffelatte condito da una generosissima spruzzata di cannella – i camerieri ormai gli lasciavano direttamente la boccetta – per non ridere apertamente in faccia all’amico. Livello di educazione non era invece stato eguagliato da Sabrina, che di nascondere i suoi sogghigni nemmeno ci provava e continuava a guardare il fratellino come se quella fosse la miglior colazione della ultima decade. Per quel che la riguardava, Joyce avrebbe dovuto trasferirsi all’Hotel già due mesi prima.
“Silas, vergognati! E dire che da bambino era così carino e bravo.”
Joyce guardò il figlio scuotendo la testa con tetra disapprovazione mentre Silas bofonchiava delle scuse sommesse senza guardarla in faccia, maledicendo mentalmente il momento in cui aveva acconsentito a fare colazione tutti insieme. Sapeva che quella situazione gli si sarebbe ritorta contro alla velocità della luce, e ne ebbe la conferma quando scorse il sorrisino che incurvò le labbra di Sabrina prima che sua sorella si rivolgesse, angelica, ai suoi amici facendo roteare il suo caffelatte decaffeinato nella tazza con la massima disinvoltura:
“Ho io qualche aneddoto delizioso sulla sua infanzia, se può servire… sapevate che adorava la mia bici rosa di Barbie? Me la rubava sempre.”
Il viso abbronzato di Silas avvampò mentre Meadow sputacchiava il suo caffè prima di iniziare a contorcersi sulla sedia a causa di acceso attacco di risa, maledicendo la sorte per averle impedito di assistere allo spettacolo offerto da un Baby Silas che rubava la bici di sua sorella maggiore per poi darsi alla fuga.
“È vero, faceva tutto il giro dell’Hotel mentre Sabrina lo inseguiva furiosa.”   Joyce annuì e sorrise dolcemente al figlio mentre Sabrina sogghignava dietro alla sua tazza, ma Silas non sembrò gradire quel viaggio nel tunnel dei ricordi e subito si affrettò a cambiare argomento mentre puntava malevolo lo sguardo sulla sorella maggiore:
Aveva il sellino più comodo della mia! Mamma, lo sai che Sabrina ha il fidanzato?”
Desideroso di vendicarsi Silas si rivolse alla madre emulando l’amabile sorriso sfoggiato da Sabrina appena un attimo prima, sentendosi travolgere dalla soddisfazione quando vide Joyce spalancare meravigliata i grandi occhi ambrati prima di voltarsi di scatto verso la figliastra, che invece s’irrigidì rivolgendo uno sguardo truce al fratellino mentre questi si adagiava comodamente contro lo schienale della sedia, soddisfatto.
“E perché non me lo hai detto?! Come si chiama?”
“Joël.”
Sabrina non aveva fatto parola di Joël né con i genitori né con Joyce, e borbottò il nome del musicista chinando colpevole lo sguardo sulla propria tazza piena a metà, certa che il segreto non sarebbe durato ancora a lungo ora che l’ex matrigna lo sapeva. Poteva solo sperare che sua madre non le mandasse una Strillettera stizzita per rimproverarla per il riserbo.
“Beh, giacché sono qui me lo devi presentare. Anche se tua madre ti ucciderebbe sapendo che lo hai presentato prima a me, quindi sarà meglio non dirle nulla.”
Joyce rivolse un sorriso divertito alla figliastra, che accolse le sue parole con un’ondata di sollievo e annuì ricambiando grata il sorriso, appuntandosi mentalmente di raccomandare Joel di fingere di non aver mai incontrato nessun membro della famiglia se e quando avesse incontrato Sandrine. Evento che, per quanto la riguardava, poteva anche aspettare ancora molti decenni.
“Grazie Joyce.”
“Allora, che tipo è?”
“È un musicista. È bravissimo. E loro sono bellissimi.”
Con gran stupore di tutti i presenti radunati attorno al tavolo – fatta eccezione per Asher, ormai avvezzo all’indole da fangirl dell’amica – a parlare fu Meadow, che in men che non si dica si ritrovò tutti gli sguardi puntati su di sé. Resasi conto di aver, come spesso le accadeva, aperto bocca senza riflettere la ragazza abbozzò un sorriso sollevando gli angoli delle labbra, schiarendosi la voce prima di parlare:
“Mi piace, emh, la sua musica. E poi beh che siate bellissimi entrambi penso sia palese agli occhi di tutti.”
Meadow, taci, smettila!
L’ex Grifondoro si rivolse a Sabrina quasi senza rendersene conto, e ancora una volta desiderò di tagliarsi la lingua per non aprire mai più bocca. Fortunatamente la francese, dopo una brevissima esitazione in cui la guardò stupita, distese le labbra in un sorriso grato, piacevolmente sorpresa dalle sue parole:
“Grazie Meadow. È carina la tua amica. Era ora che ti trovassi degli amici che non fossero i soliti rincoglioniti perdigiorno, Silas.”
Silas avrebbe voluto contestare, ma una rapida riflessione lo spinse a rendersi conto di non avere i mezzi per farlo visto che la sorella non era poi particolarmente nel torto. Così tacque, nascondendo l’umiliazione dietro ad un sorso di Espresso.

 
*

 
Artemy non era solito ricevere visite da quando alloggiava al Le Mirage – o almeno non visite non programmate, s’intende – e quando sentiva bussare alla porta della sua camera era sempre quasi del tutto certo di sapere di chi si trattasse, ragion per cui l’aprì senza nemmeno controllare attraverso lo spioncino e subito un sorriso gli si disegnò sulle labbra quando si trovò davanti Medea.
“Ciao, sono appena stata in centro a fare foto, volevo fartele vedere. Perché i tacchi?”
La britannica lo superò senza aspettare di ricevere un invito ad entrare, inoltrandosi nella camera dell’amico – tristemente molto più grande della sua e con una vista sul mare nettamente migliore – fino a fermarsi accanto al letto che era già stato rifatto da una cameriera, probabilmente quando Artemy era uscito per fare colazione. In particolare lo sguardo della strega, che ancora teneva la macchina fotografica appesa al collo visto che aveva raggiunto la camera di Artemy non appena aveva fatto ritorno al Le Mirage, indugiò su un paio di scarpe rosse con il tacco che erano state abbandonate sul pavimento, accanto alla valigia di Artemy.
“Ieri notte il tizio che ho accompagnato a quell’evento ha voluto che gli camminassi sulla schiena.”
Artemy si strinse nelle spalle mentre superava l’amica per raccogliere le scarpe, darci una controllata premurosa per controllare di non averle rovinate e infine riporle sotto lo sguardo di Medea, che si affrettò a scuotere la testa e ad agitare una mano come a volerlo invitare di non continuare:
“Ok, non dire altro, tranquillo, ho afferrato. Non vorrei giudicare, davvero, ma la gente è pazza.”
Artemy si chinò per aprire la valigia e riporre le scarpe in una sottile sacca di tela bianca con la massima cura, voltandosi brevemente verso l’amica per sorriderle divertito e strizzarle l’occhio mentre teneva entrambe le mani sullo sportello superiore della valigia, fermo in procinto di chiuderla:
De gustibus. Ah, prima che tu mi mostri le fotoHo un regalo per te. Che in realtà è più che altro per me, ma spero che tu voglia condividerlo.”
Il ragazzo abbassò con cura la parte superiore dell’enorme trolley nero – non aver avuto nulla per buona parte della sua vita gli aveva insegnato ad avere cura delle sue cose forse più di ogni altra cosa – e si alzò per raggiungere il comodino bianco posizionato accanto al lato del letto dove era solito dormire. Aperto il primo cassetto lo sguardo di Artemy indugiò sul pelouche vecchio e ormai malconcio che conservava da quando era bambino, che portava con sé ovunque andasse e di cui era gelosissimo, forse uno dei pochi ricordi tangibili della sua vita passata, ma il ragazzo finì col distoglierlo in fretta – era un dettaglio particolarmente privato che non aveva mai condiviso con nessuno, forse per timore di non essere capito e di essere deriso per quell’abitudine infantile – per sollevare invece due sottili pezzi di carta rettangolari e tornare da Medea, che nel frattempo si era seduta ai piedi del letto e lo guardava curiosa, in attesa.
Artemy le sedete accanto e le porse i due sottili pezzi di carta, guardandola inarcare dubbiosa le sopracciglia, poi sgranare gli occhi e infine scoccargli un’occhiata di rimprovero, il tutto sfoggiando un sorrisetto divertito sulle labbra.
“Stai scherzando?! Avrai speso una fortuna. E per una persona che non ci capisce nulla e che di certo non apprezzerà come dovrebbe!”
Medea sventolò i biglietti scuotendo la testa con disapprovazione, perfettamente conscia di quanto dovessero essere costati e di quanto i soldi, per persone come loro, non fossero affatto scontati. Artemy poteva anche essere più ricco di lei, ma l’idea che buttasse del denaro in quel modo la irritò comunque non poco, e stava per proseguire con la sua ramanzina quando l’amico, sorridendo divertito, allungò una mano per posargliela sul braccio:
“Lo so, lo so che sei una capra. Ma tranquilla, ti perdono. Voglio solo condividerlo con qualcuno che mi piace, qualcuno che gradisce la mia compagnia non dal punto di vista sessuale del termine.”
Per un istante ad Artemy sembrò che l’espressione sul viso di Medea si fosse addolcita, quasi si fosse lasciata convincere da quella manifestazione di affetto nei suoi confronti. Ma durò solo per un istante, perché la strega si divincolò subito dopo dalla stretta per puntargli contro minacciosa i biglietti incriminati:
“Allora, intanto dammi di nuovo dell’ovino e ti defenestro, tu e i tacchi a spillo che, maledetto, io non so nemmeno indossare. E ti detesto per questo, ma visto che per te sono indispensabile accetto di accompagnarti.”
Medea si sforzò di assumere un’aria sostenuta mentre si alzava in piedi, lisciandosi le pieghe del lino della jumpsuit mentre Artemy la guardava, felice di averla convinta a seguirlo a teatro, senza smettere di sogghignare con un’aria da tenero angioletto impressa sul bel faccino:
“Non sai portarli perché sei una deboluccia.”
“Sono più alta di te, vedi di chiudere il becco, ragazzino. E porta rispetto a chi è più vecchio di te. Vado a vedere se ho qualcosa di adeguato da mettere ma non temere, non ti oscurerò con il mio charme.”


 
*

 
14 agosto
 

Sloan Henbane era stato piuttosto felice di mettere mano sull’unica rivista sportiva anglofona che era riuscito a trovare nella Hall dell’Hotel – per quanto parlasse perfettamente la lingua non nutriva poi particolare interesse nei confronti della cronaca sportiva francofona –, e stava sorseggiando il suo caffè – rigorosamente freddo per cercare di contrastare il caldo, naturalmente – leggendo in tutta calma. Sua moglie Mia, al contrario, aveva già vuotato la sua tazza di tè e stava aspettando pazientemente che il marito ultimasse la sua lettura facendo vagare distrattamente lo sguardo sulla terrazza del ristorante dell’Hotel, soffermando i propri grandi e curiosi occhi scuri sugli ospiti di diverse etnie e nazionalità, maghi e non, che li circondavano. Pur senza nutrire l’intenzione di farsi gli affari altrui l’attenzione della strega non aveva potuto fare a meno di soffermarsi su una coppia atipica: un uomo alto, biondo e molto attraente, ma dagli occhi talmente chiari e penetranti che Mia si ritrovò a provare pena per chiunque si fosse mai visto trafitto da quelle iridi gelide, sedeva in compagnia di un ragazzo magro e dai ricci capelli castani visibilmente più giovane di lui di diversi anni. I due, da quel che Mia poteva intendere – era piuttosto sicura che stessero parlando in inglese, ma a causa della distanza e del vociare degli altri ospiti le risultava difficile estrapolare più di qualche parola dalla conversazione in corso – stavano discutendo piuttosto animatamente, e c’era qualcosa nel modo in cui parlavano, gesticolavano o si guardavano da renderle difficile pensare che potessero essere parenti, o amici.
Mia si ritrovò quasi senza volerlo ad osservare i due commensali, che sedevano soli ad un tavolo mentre un paio di cagnolini gironzolavano attorno alle loro gambe legati al guinzaglio, un chihuahua e un barboncino, entrambi tenuti sotto tiro per mano del ragazzo, con curiosità crescente, osservandoli parlare, gesticolare e muoversi in una sorta di danza conversazionale, sporgendosi e poi ritraendosi dall’altro con più o meno lievi movimenti del corpo o delle mani.
“Che cosa stai guardando?”
La voce di Sloan, quando il canadese distolse brevemente lo sguardo dalla rivista che teneva in mano per posarlo sulla moglie e notò la sua distrazione, riportò Mia alla realtà e costrinse la donna a volgere nuovamente lo sguardo sul marito, abbozzando un sorriso prima di accennare con un lievissimo movimento del capo in direzione dei due ospiti che avevano attirato la sua attenzione:
“Quei due. Credo che stiano discutendo. E che abbiano una relazione.”
“Cosa?”
Sloan ruotò a sua volta il capo per gettare un’occhiata nella direzione indicatagli dalla moglie, accigliato, e lo stupore sul suo viso aumentò quando capì di chi Mia stesse parlando. L’idea che quei due stessero insieme parve assurda all’allenatore, specie perché era piuttosto sicuro di aver già visto uno dei due insieme ad una donna che doveva per forza essere la moglie o la fidanzata.
“Sono piuttosto certo di aver visto quel tipo con una donna bionda.”
“Può essere, ma quei due stanno insieme, fidati. Guarda come si parlano, come si guardano… solo chi ha una relazione o un qualche tipo di coinvolgimento discute in quel modo. Dammi retta.”
Mia sfoderò un sorrisino soddisfatto, come compiaciuta di aver tratto una conclusione che invece sembrava essere sfuggita al marito mentre Sloan, poco convinto, gettava un’ultima occhiata in direzione di Asher e Ridge prima di tornare a guardarla con un sopracciglio inarcato:
“Ma non è parecchio giovane, il ragazzo?”
“Sai com’è, c’è chi ha la passione per i toy boy… Tranquillo, io non ti lascerò per uno più giovane.”
Mia parlò ravvivandosi i capelli neri con un movimento di noncuranza della mano destra, ridacchiando quando vide Sloan gettarle un’occhiataccia in risposta:
Vorrei anche vedere.”
“Oddio, sta arrivando! La donna. Vediamo come si comportano…”
Quando vide Brooke varcare la soglia della terrazza Mia s’irrigidì sulla sedia, facendo del suo meglio per non guardare in maniera evidente il tavolo incriminato mentre Sloan, di fronte a lei e improvvisamente dimentico della rivista, malediceva la decisione di sedersi da quella parte del tavolo: non poteva certo girarsi per dare un’occhiata senza rendere palese il loro farsi gli affari altrui, dopotutto. Tutto quello che l’uomo poté fare fu affidarsi a Mia, che getto un’occhiata discreta al tavolo – fortunatamente la sua carriera giornalistica l’aveva resa un esperta in tal senso – per assistere alla reazione dei due litiganti all’arrivo della donna: fu Ridge, rivolto come lei verso l’interno dell’edificio, a scorgere la moglie e a zittirsi all’istante, e Mia non poté fare a meno di notare un lieve ed improvviso irrigidimento mentre l’uomo guardava la moglie avvicinarsi al tavolo.
“Hanno guarda caso smesso improvvisamente di parlare non appena lui l’ha vista. Chiaramente. Certo che ce ne vuole di coraggio, per tradire tua moglie persino in vacanza!”
“Dici che lei lo sa?”
Mia si prese qualche breve istante di riflessione prima di rispondere, guardando Brooke sedersi sul lato del tavolo tra Ridge e Asher, che naturalmente stavano facendo di tutto e di più per non guardarsi reciprocamente negli occhi, e gettare un’occhiata piuttosto strana prima al marito e poi al ragazzo. Forse non lo sapeva, ma Mia immaginò che stesse iniziando ad avere qualche dubbio.
“Credo che abbia notato qualcosa, del resto ora ci sarà un gelo immane, a quel tavolo… E poi le mogli lo sanno quasi sempre, molti uomini sembra che quasi si impegnino, a farsi scoprire.”
“Io non oserei mai.”
Sloan chiuse la rivista scuotendo la testa, quasi a voler sottolineare la sua disapprovazione verso quelle pratiche mentre Mia, sorridendogli amabile, annuiva allungando la mano sinistra per stringere la sua e sfiorandosi al contempo il pancione coperto da un vestito leggero color crema con la destra:
“Lo so caro. Anche perché in quel caso brucerei tutte le tue scope da corsa.”
 

 
*
 
 
Stanza 108stanza-joel

 
Forse per la prima volta da quando Joël Moyal vi si era trasferito la stanza 108 era in perfetto ordine: il letto era stato rifatto e tutte le cose del musicista, comprese le custodie del suo sassofono e del violino di suo nonno, erano state radunate sul copripiumino blu notte, in attesa di essere portate via.
Joël sedeva invece su una delle due sedie di metallo nere disposte sul terrazzino di quella che per diverse settimane era stata la sua abitazione nel Principato di Monaco, dei fogli davanti sparsi sul tavolino, anch’ello di metallo color pece, e una pipa accesa tra i denti. Stava leggendo la sua più recente composizione, riuscendo persino a sentire il suono delle note nella sua mente tanto la musica faceva ormai parte di lui, quando un educato e gentile bussare alla porta lo riscosse: Joël sollevò la testa per voltarsi in direzione della soglia della stanza, sorridendo istintivamente mentre si alzava in piedi piegando i due partiti e infilandoseli rapido nella tasca dei pantaloni. Attraversò la camera con poche e lunghe falcate, finendo con l’aprire la porta senza nemmeno chiedere alla sua visita di identificarsi o sfilarsi la pipa dalle labbra.
Esattamente come aveva supposto davanti a lui si stagliò la figura alta e longilinea di Sabrina, che probabilmente gli avrebbe sorriso se solo non avesse visto che stava fumando: l’espressione della strega si fece subito tesa, e la francese alzò gli occhi al cielo mentre lo superava per varcare la soglia della camera, parlando con una piccata nota di disapprovazione nella voce.
“Se potessi cambiare una sola cosa in te, sarebbe farti smettere di fumare.”
“Lo sai che quando scrivo fumo. Ma ricorda che questa fa molto meno male delle sigarette, se può farti sentire meglio.”
Joël sorrise mentre chiudeva la porta alle spalle della strega, affrettandosi a sfilarsi la pipa dalle labbra per appoggiarla sulla cassettiera di legno vicino alla porta per poter raggiungere Sabrina e circondarle la vita con le braccia per poterla attirare gentilmente a sé. Sabrina appoggiò delicatamente le mani sulla sua camicia, all’altezza del patto, ma quando lui fece per baciarla ritrasse leggermente il capo arricciando stizzita il naso in una smorfia schifata:
“Sai di tabacco. ”
“Tutte queste scuse che accampi per non baciarmi mi infastidiscono parecchio, St John.”
Joël aggrottò la fronte per cercare di apparire il più scocciato possibile mentre la scrutava torvo in viso dall’alto in basso, ma invece di farsi impressione Sabrina sfoderò come da sua aspettativa un sorriso angelico, guardandolo divertita mentre gli tamburellava gentilmente le dita sul petto:
“Affari tuoi. Hai preso tutte le tue cose?”
“Certo, sono puntualissimo, attendo con grande trepidazione che la bellissima e perfida Direttrice dell’Hotel mi sbatti fuori.”
“Quella stessa perfida Direttrice che sta per accoglierti calorosamente a casa sua? Che ingrato.”
Sabrina alzò teatralmente gli occhi al cielo e ruotò la testa di lato con aria sostenuta, permettendo a Joël di sorridere e di approfittarne per scoccarle un bacio sulla guancia.
“Ma infatti io sono felicissimo di farmi sbattere fuori.”
Questa volta anche Sabrina sorrise – anche se azzardò un lamento quando Joël approfittò della sua distrazione per rubarle un rapido bacio –, guardandolo recuperare la valigia blu notte che aveva magicamente ingrandito per farci stare tutte le sue cose e la custodia del violino. La strega lo aiutò prendendo il manico della custodia del sax prima di prenderlo per mano per condurlo fuori dalla stanza e Joël si lasciò guidare finchè non si trovò davanti alla porta aperta, con lei già fuori in corridoio ad aspettarlo: il mago si fermò sulla soglia per guardarsi indietro, facendo vagare lentamente lo sguardo sulle pareti blu e sui mobili della stanza che tante volte aveva ospitato sia lui, sia suo nonno.
“Mi mancherà questa stanza. Ci vengo ogni anno. Ed era quella di mio nonno.”
La voce di Joël vibrò leggermente, preda della nostalgia, e l’espressione di Sabrina non poté che addolcirsi mentre accennava un sorriso comprensivo sollevando gli angoli della labbra, annuendo mentre accarezzava dolcemente il dorso della mano del musicista con il pollice.
“Lo so. Ma forse quella nuova ti piacerà anche di più.”
Joël si voltò verso la strega e la guardò per un istante prima di annuire e ricambiare il suo sorriso: era quasi del tutto certo che non avrebbe mai più alloggiato in quella stanza, ma se ciò significava stare con lei la prospettiva non lo atterriva né lo spaventava.
“Sono sicuro che sarà così.”
Si chiuse la porta alle spalle aiutandosi con il piede e subito la serratura automatica scattò, racchiudendo al proprio interno tutti i ricordi che serbava di quella camera mentre Joël si allontanava insieme a Sabrina verso gli ascensori, mano nella mano.
 

 
*

 
Briar gli aveva scritto chiedendogli di incontrarsi nel Bagno Arabo, e aveva sottolineato di dover approfondire una questione talmente tanto urgente (aveva scritto “urgente” in grassetto, seguito da un mare di punti esclamativi) da spingere Alphard a lasciare in fretta e furia la spa al termine del suo trattamento al viso (beh, anche lui doveva curare la pelle dopotutto) per raggiungerla. Aveva trovato l’amica stesa su una stola bianca sul bordo della splendida vasca rettangolare, impegnata ad asciugarsi dopo il bagno con un libro fotografico sull’arte moderna aperto in mano e i lunghi capelli castani sparsi attorno alla testa, e le si era avvicinato fino a fermarsi accanto a lei per chiederle che cosa ci fosse di tanto urgente.
“E me lo chiedi? Anjali mi ha detto che stasera cenate insieme.”
Briar chiuse il libro ma non si mosse, limitandosi a scrutarlo torva dalla sua stola mentre Alphard ricambiava confuso il suo sguardo penetrante, chiedendosi che cosa mai avesse combinato.
“Sì, beh, non è proprio una novità. Perché tanta agitazione?”
“Le parlerai come hai parlato a me ieri, quanto ti ho dato una strigliata?”
“Sì.”
“E pensavi di dirmelo?! Dobbiamo andare a fare shopping, ti serve un vestito per l’occasione.”
Alphard non era né mai sarebbe stato tipo da rifiutare lo shopping, ma non era nemmeno del tutto certo che servisse un abito nuovo per la serata – del resto non doveva chiedere ad Anjali di sposarlo –, ma non appena provò ad esporre la sua posizione a Briar quella scosse la testa con vigore, si alzò in piedi e recuperò la borsa di tela raffigurante la Venere di Botticelli per rimetterci il libro al proprio interno, fronteggiando l’amico guardandolo più seria che mai:
“Certo che ti serve. Andiamo, mi cambio e poi usciamo, ma prima devo portare Circe all’asilo per cani perché nelle boutique di lusso non può entrare. E già che ci siamo ci beviamo un drink.”
“Ma perché sei tanto fissata?!”
Briar si era già avviata verso l’uscita del luogo dove settimane prima Alphard aveva visto Anjali per la prima volta – visione celestiale che mai avrebbe lasciato i suoi ricordi, ne era certo – senza degnarsi di aspettarlo o di interpellarlo in merito al programma che lei stessa aveva stabilito, costringendo l’amico ad affrettarsi a seguirla per cercare di stare al passo. La britannica sbuffò e scosse la testa, ravvivandosi i capelli ancora leggermente umidi mentre s’infilava rapida un kimono da spiaggia bianco e avorio sopra al costume:
“Sono stressata per il matrimonio di Ginevra e per l’apertura della galleria d’arte, mi serve concentrarmi su qualcosa che non mi faccia ingrigire i capelli prima del tempo.”
“Va bene, ma stasera cerca di non appostarti dietro al mio tavolo per spiarmi.”
“farò la brava. Lo giuro! Ma voi due dovete darvi una mossa, non vedo l’ora di partecipare all’organizzazione del matrimonio. Dopo quello di mia sorella sono un’esperta, visto che si parla della donna più incontentabile del pianeta.”

 
*

 
Meadow stava suonando seduta sull’ottomana nera del pianoforte della sala interna del ristorante, cercando di replicare una delle composizioni più famose di Joël Moyal pregando che il bel musicista non passasse proprio in quel momento: si sarebbe sotterrata dall’imbarazzo, visto che ancora non era in grado di eseguirla alla perfezione e stava vistosamente litigando con gli accordi. Stava giusto imprecando contro la scarsa coordinazione del suo piede nel premere il pedale al momento giusto, bloccata ad un passaggio sul quale stava sbattendo la testa da diversi minuti, quando un’altra persona fece il suo ingresso all’interno della stanza: di norma Asher non avrebbe avuto alcun motivo per recarsi laggiù al di fuori dell’orario dei pasti, ma sapeva di avere ottime probabilità di trovarvi l’amica. L’ex Magicospino si sentì scuotere dal sollievo quando scorse la figura esile della strega seduta davanti al pianoforte, dandogli le spalle, e affrettò il passo per raggiungerla sentendosi ancora tremare leggermente, scosso dalla rabbia e dallo sconforto.
“Posso disturbarti?”
Quando si fermò alle spalle dell’amica Asher la guardò smettere bruscamente di suonare per voltarsi verso di lui, gettandogli un’occhiata sorpresa che si fece rapidamente quasi preoccupata mentre Meadow scrutava il suo viso pallido e teso e i suoi occhi resi quasi innaturalmente chiari dal rossore che li contornava.
“Certo Zuccotto, che cosa c’è? Problemi a casa?”
“No, stanno tutti bene. È Ridge.”
Meadow si fece da parte per consentire all’amico di sederlesi accanto sull’ottomana, roteando gli occhi a mandorla con evidente disapprovazione quando Asher borbottò cupo il nome di quello che da qualche settimana era ormai diventato il bersaglio principale della sua antipatia:
“Ah. Quel coso. Che è successo?”
“Non ne posso più. Davvero, non… Non ne posso più. mi sento sempre così tanto in colpa, e mi sembra peggiori col passare dei giorni… E poi a volte non lo sopporto, lo trovo così insopportabilmente spocchioso e maleducato. A volte mi tratta come se non contassi nulla, e poi ritorna magicamente gentile, e si scusa. E io sono cretino due volte, perché continuo a dargli corda.”
Asher scosse la testa mentre fissava affranto i tasti d’avorio del pianoforte a coda, sentendosi più che mai uno schifo: solo quella mattina lui e Ridge si erano quasi fatti sorprendere nel pieno di una discussione da Brooke, che da come lo aveva guardato per tutto il giorno di certo aveva intuito che fosse successo qualcosa di strano tra lui e il marito. E la scusa di un semplice diverbio in merito a questioni di orari, compiti o salario non sarebbe campata a lungo, ne era sempre più convinto.
L’espressione sul viso di Meadow, che si era fatta tesa fin da quando aveva sentito pronunciare il nome di Ridge, subito si addolcì di fronte allo sfogo dell’amico, portandola ad allungarsi verso di lui per circondargli le spalle con un braccio e stringerlo a sé con fare il più rassicurante possibile: Asher era di gran lunga la persona più gentile e di buon cuore che avesse mai conosciuto, e l’idea che soffrisse tanto in qualche modo faceva soffrire persino lei. Aveva persino finito col confidare il segreto dell’amico a suo zio per chiedergli se secondo lui fosse lecito attirare Ridge in piscina con l’inganno e cercare di affogarlo. Disgraziatamente Joshua non si era dimostrato particolarmente d’accordo.
“Tesorino, io sono una frana con le relazioni, ma so per certo che non sei il primo e nemmeno l’ultimo a vivere una situazione del genere. È pieno di gente al mondo che soffre, che deve sbatterci la testa più e più volte prima di capire che cosa deve fare.”
“E che cosa devo fare?”
“Quello che ti farà stare meglio. Ovvero lasciarlo. Fuggire. Davvero, fuggire, a molti chilometri di distanza. Uno stato molto lontano dal Massachusetts?”
“Il… Nevada?”
“Ecco, fuggire in Nevada. Molto molto lontano. Dimenticarlo e trovartene uno di meglio, ma prima devi trovare te stesso.”
Meadow fece spallucce, un po’ come se stesse parlando di una passeggiata di salute, e Asher la guardò inarcando dubbioso un sopracciglio, in parte sollevato e in parte spaventato all’idea di mettere fine a quella turbolenta relazione che in qualche modo, anche in mezzo a molti momenti di sconforto, in un certo senso lo faceva sentire amato.
“E come faccio a trovare me stesso?”
“Beh io questo non lo so, ma è quello che nei film dicono sempre a quella che si molla dopo essere stata per tanto tempo con il brutto ceffo di turno.”
Di nuovo Meadow si strinse nelle spalle e inarcò le sopracciglia dando vita ad un’espressione pensosa tanto buffa da riuscire a strappare una risata ad Asher, che si sentì scaldare un tantino il cuore nel riflettere su quanto fosse fortunato ad aver trovato, se non altro, un’amica come lei. Forse sarebbe tornato a casa senza Ridge, ma ci avrebbe guadagnato due amici meravigliosi.
 

 
*

 
Terrazzaterrazza
20.00
 

Quella sera lei e Alphard avevano deciso di cenare insieme sulla terrazza panoramica dell’Hotel e Anjali, dopo averne discusso approfonditamente con Sabrina quella mattina a colazione, aveva deciso fermamente di parlargli seriamente a proposito della loro relazione. Niente e nessuno l’avrebbe fatta desistere da quell’intento, si era più e più volte ripetuta la svizzera per tutto il giorno – forse anche per convincere se stessa e non solo Sabrina, alla quale aveva probabilmente rifilato quelle stesse parole almeno una dozzina di volte nel giro di poche ore –, anche quando si era chiusa nel bagno della sua Suite, che ora condivideva con Alphard, per prepararsi per la serata.
Fu quasi strano aprire quella porta bianca e varcare la soglia del bagno trovando Alphard ad aspettarla seduto sul bordo del letto, già vestito, pettinato e improfumato. Fu quasi strano vederlo sorridere e sentirgli dire di trovarla splendida mentre si alzava per avvicinarlesi e guardarla più da vicino, senza incontrarsi nella porzione di corridoio che fino ad appena il giorno prima aveva separato le loro porte. Strano ma piacevole e quasi familiare in un modo bizzarro, visto da quanto relativamente poco i due si conoscevano, e Anjali finì con lo scogliere le labbra carnose in un sorriso mentre guardava Alphard prenderle entrambe le mani nelle sue per guardarla meglio.
“Adoro come hai abbinato il vestito bordeaux con delle scarpe della stessa, identica tonalità. C’è gente che non coglie la differenza tra bordeaux e vinaccia, cosa che trovo semplicemente inconcepibile.”
Proprio quella mattina aveva cercato di spiegare la differenza a Joshua; inutile dire che aveva fallito miseramente.
Il sorriso di Anjali si allargò all’udire quelle parole e guardò Alphard se possibile ancora più convinta di ciò che aveva intenzione di dirgli una volta seduti uno di fronte all’altra, ma non potendo cogliere la natura dei suoi pensieri l’uomo finì con l’inarcare dubbioso un sopracciglio prima di assicurarle, perplesso, di essere assolutamente serio.
“Lo so, è proprio questo il punto.”
Anjali gli donò un altro dei suoi candidi sorrisi prima di prenderlo per mano e condurlo verso la porta della Suite, recuperando al volo la borsetta dai piedi del letto con un gesto rapido mentre Alphard la seguiva guardandole dubbioso la schiena lasciata parzialmente scoperta dal vestito che la strega indossava, non del tutto certo di aver compreso che cosa avesse voluto dirgli.
 
Pochi minuti dopo erano già seduti sulle comodissime poltroncine di velluto dai dettagli di metallo laccati d’oro, uno di fronte all’altra davanti ad un tavolo addossato alla ringhiera che delimitava il perimetro dell’ampia terrazza dotata di cucina esterna a vista e lounge bar. Un cameriere in divisa bianca e blu si era appena allontanato dal tavolo dopo aver servito un Vodka Martini ad Anjali e un Old Fashioned ad Alphard quando l’uomo, preso un profondo respiro, puntò gli occhi scuri in quelli cristallini della svizzera e parlò ancor prima di darle il tempo di portarsi il bordo dell’elegante bicchiere alle labbra:
“Vorrei parlarti stasera. Seriamente.”
Anjali fermò istintivamente la mano a mezz’aria all’udire quelle parole, guardandolo attonita e quasi incredula: possibile che volesse farle lo stesso discorso? Oppure l’esatto opposto? Anche solo contemplare l’opzione conferì un tremito al suo labbro inferiore, ma la strega si limitò ad annuire, tesa, mentre rimetteva in silenzio il bicchiere al suo posto sul tavolo. Alphard invece si schiarì la voce, allungando la mano destra sul tavolo per prendere quella della strega, piccola e cosparsa di sottili ed eleganti anelli indiani d’oro, prima di tornare a guardarla negli occhi e trovare il coraggio di parlarle a cuore aperto:
“Ascolta Anjali… Lo so che abitiamo distanti, davvero molto distanti, ma sei tutto ciò che avrei mai sperato di trovare, forse anche di più, e davvero non voglio che tra noi finisca. Non ho mai provato per nessuno quello che provo per te.”
“Non è tanto che ci conosciamo, lo so, e il mio curriculum relazionale fa schifo, ma so che quello che c’è tra noi può essere davvero importante. Che ne pensi se continuassimo a vederci, in qualche modo?”
Alphard smise di parlare guardandola speranzoso e Anjali, dal canto suo, si ritrovò improvvisamente con la mente del tutto annebbiata: stentava a credere in quell’assurdo tempismo, visto e considerato che si era seduta a quel tavolo con l’intenzione di dirgli esattamente le stesse cose, ma dopo qualche breve istante di spaesamento finì col sorridere, annuendo mentre gli occhi celesti le brillavano dall’emozione.
“Volevo dirti lo stesso stasera, vale tutto anche per me. A parte la questione curriculum ovviamente, perché mi reputo una fidanzata esemplare.”
“Lo so. E prometto che farò il possibile per renderti felice come meriti.”
Non fossero stati in pubblico e circondati da altre persone probabilmente Alphard si sarebbe anche deciso a dirle chiaramente di essersi innamorato di lei, ma si costrinse a trattenersi a causa del brusio che li circondava: avrebbe voluto dirglielo in circostanze un po’ più private, solo lui e lei, pertanto si costrinse a levarsi dalla faccia il sorriso ebete che gli aveva deformato le labbra sottili e ad annuire per riprendere il filo del discorso.
“Ok, ci sono le Passaporte. Non ricoprono distanze così grandi, ma se ne possono prendere due, o una sola e un aereo. In qualche modo faremo. Potremmo vederci da me o da te, o a metà strada, ogni tanto… E io potrei tornare più spesso in Inghilterra e poi passare da te in Svizzera.”
“Certo. Sono sicura che andrà bene, comunque vada. Basta volerlo e impegnarsi, per come la vedo io.”
Anjali annuì mentre gli sorrideva, felice e improvvisamente più serena rispetto a solo quella mattina, e Alphard ricambiò prima di sollevare la mano che ancora stringeva nella sua per depositarvici un bacio sul dorso, un po’ come a suggellare silenziosamente una promessa.
 

*

 
“Davvero non capisco perché mi hai costretto a venire, io non ne capisco nulla di abiti.”
E fare shopping per lui era un supplizio: doveva esserci un girone infernale dantesco inerente ad un centro commerciale, Joshua Wellick ne era più che sicuro. L’unico aspetto positivo di quell’uscita e di quella terribile sessione di shopping era rappresentato dall’aria condizionata: una tortura, sì, ma almeno una tortura rinfrescante.
L’australiano se ne stava in piedi come in stato di trance vicino ad un manichino, semi-appiattito contro la parete per timore delle commesse e delle donne isteriche in cerca di un abito nuovo: le commesse non osava nemmeno guardarle negli occhi per timore che fiutassero la sua paura e lo attaccassero, mentre le donne isteriche aveva iniziato a temerle dopo che una di loro aveva quasi rischiato di investirlo per gettarsi su un vestito rosso con lo scollo a v. O a cuore. Ma che differenza faceva, poi?
“Perché mi serve un parere, persino il tuo è meglio di niente!”
In una qualsiasi altra circostanza Joshua si sarebbe offeso, ma dovette riconoscere che le parole della nipote era sagge e veritiere: lui di moda non ci capiva nulla. E nemmeno di colori, o di quelle stronzate delle stagioni che ancora non aveva compreso appieno. Meadow stava vagliando disperata un insieme di abiti eleganti appesi alle grucce nere – senza osare chiedere consiglio ad una commessa a sua volta per timore di finire ricoperta di abiti da provare –, e ne prese uno rosso prima di mostrarlo accigliata allo zio:
“Secondo te questo colore mi sta bene?”
“Credo. Forse. Non lo so.”  Joshua non ne aveva sinceramente idea, ma lo avrebbe detto anche pensando che le sarebbe stato orribilmente: desiderava di uscire da quel posto il più in fretta possibile.
“Sei utile quanto un forno nel Sahara! Beh, ho i capelli neri, quindi dovrebbe starmi bene. Ma il modello mi starà bene? Sarà adatto per andare a teatro?! Zio, fai una foto al vestito e mandala ad Alphard, lui saprà!”
Meadow allungò la gruccia allo zio facendogli frettolosamente cenno di rendersi finalmente utile, ma l’uomo non si mosse di un muscolo e la guardò torvo scuotendo la testa, le braccia incrociate: non avrebbe mai scritto ad Alphard qualcosa del genere. Ancora lo derideva per la sua lotta contro gli spaghetti.
“No. Non ho nessuna intenzione di farlo.”
Qualsiasi traccia di nervosismo sparì come magicamente dal viso pallido di Meadow al suono di quelle parole, e gli occhi a mandorla della strega si ridussero a due fessure minacciosissime mentre la ragazza gli si avvicinava senza far rumore, fermandosi a pochi centimetri da lui per porgergli l’abito e puntargli l’indice contro il petto:
Fallo o vado da quella commessa e le dico che ti serve un completo nuovo.”
La sua nipotina, la sua esile nipotina con i lineamenti dolcissimi da ragazzina, non gli era mai sembrata minacciosa come in quell’istante: Joshua sentì ogni fibra del proprio corpi irrigidirsi per il terrore, e i suoi occhi castani si spalancarono mentre cercava a fatica di deglutire, terrorizzato.
“Non oseresti.”
Era ciò che Joshua sperava, ma dal modo in cui Meadow lo guardò e annuì, più seria che mai, l’australiano intuì che invece lo avrebbe fatto eccome, se si fosse sognato di non darle ascolto. E ciò che Meadow pronunciò subito dopo fu ancora più spaventoso:
“E anche le scarpe. E la cravatta. Tutto. Non farmi arrivare ai gemelli.”
Solo sentir parlare di gemelli rischiò di fargli venire un capogiro, e Joshua sollevò subito entrambe le mani ruvide, piene di calli, da artigiano, in segno di umile resa mentre guardava la nipote annuendo terrorizzato e implorando la sua pietà:
“Ok, sta’ tranquilla, non c’è bisogno di arrivare a tanto, gli scrivo subito.”
Bravo.”
Subito i lineamenti di Meadow tornarono a farsi dolci come sempre, e la strega annuì allegra prima di appendergli l’abito sul braccio e allontanarsi verso altre file di vestiti, come se all’improvviso il costoso indumento fosse diventato un problema suo. Sbuffando infastidito a fronte di quel vergognoso trattamento del tutto immeritato Joshua appese l’abito sull’asta di metallo orizzontale più vicina e tirò fuori il telefono per scattarci una foto e mandarla ad Alphard, pregandolo di rispondere il prima possibile.
Fortunatamente Alphard e il suo spirito critico si palesarono in fretta, consentendo finalmente a Joshua di tornare a respirare normalmente. No, non per l’ansia, una commessa aveva orribilmente puntato nella sua direzione ed era stato costretto a correre per seminarla con l’abito appresso!
 

 
Tu: Meadow vuole sapere se questo vestito va bene per andare a teatro.
Alphard🦂 : Che foto di merda.
Tu: Oggi mi date tutti addosso, non sono mica un fotografo! E poi ho dovuto fare di fretta per nascondermi da una commessa, cosa pretendi?
Alphard🦂 : Il colore va bene. Credo anche il modello, da quel poco che si capisce da questa foto obbrobriosa. Anjali dice di raccogliere i capelli e di mettere orecchini pendenti.
Tu: Tanto le avrei detto che andava bene in ogni caso, non ho intenzione di stare qui un minuto di più.
 

Joshua si era nascosto dietro ad un espositore dei residui della collezione autunno-inverno, trovando riparo dietro a delle sottospecie di finte pellicce, e stava ancora terminando di scrivere il suo messaggio pieno di stizza per inviarlo ad Alphard quando Meadow lo trovò, chinandosi dietro alle pellicce per scoccargli un’occhiata perplessa: a volte si chiedeva perché fosse così bizzarra, ma poi pensava a suo zio e tutto acquisiva un senso.
“Che cacchio fai, giochi alle Cronache di Narnia? Allora, che dice l’esperto di moda?”
“Che va bene. Provalo. Alla svelta. Poi ce ne andiamo. E non guardare le commesse negli occhi, potrebbero attaccarti.”


 
*

 
15 agosto
 
 
Joël sedeva sul sedile del passeggero di cuoio della Giulietta Spider decappottabile di Sabrina, i capelli lisci mossi dal vento mentre l’auto bianca scivolava rapida sulla Moyenne Corniche, risalendo la nota strada asfaltata che conduceva ai punti più alti e panoramici di Monte Carlo. Il mago si guardava attorno attraverso le lenti scure dei suoi occhiali, godendosi la traversata e la bellissima vista che la strada offriva tenendo un gomito appoggiato contro lo sportello della portiera mentre Sabrina, accanto a lui, canticchiava La Vie En Rose a bassa voce.
Quando i suoi grandi occhi chiari indugiarono sulla guidatrice Joël si lasciò strappare un sorriso, allungando una mano per posarla delicatamente su quella strega, stretta sulla leva del cambio.
“Quindi non solo sei bellissima, ma sai anche cantare discretamente bene. Non finisci mai di sorprendermi.”
“Detto da uno che suona egregiamente ben tre strumenti musicali, suona quasi divertente. Adoro questa canzone.”
Sabrina distolse brevemente lo sguardo dalla strada per gettare un’occhiata a Joël e sorridergli, tornando a concentrarsi sulla guida mentre lui le accarezzava in silenzio il dorso della mano. Mentre risalivano le strette curve a gomito i due rimasero in silenzio per qualche minuto, godendosi la pace e il panorama finchè la strega non parlò di nuovo:
“Sai, questa scena mi è duplicemente familiare. Mi sento un po’ Grace Kelly in Caccia al ladro mentre guido su questa strada con un bellissimo Casanova accanto… ma forse sono anche Audrey Hepburn mentre canta La Vie En Rose ad Humphrey Bogart mentre sono in auto.”
“Che film è?”
Sabrina. Uno dei preferiti di mia madre. Mi ha chiamata così per quello, anche se la sua prima scelta sarebbe stata proprio Grace… ma a papà non piaceva, diceva di aver conosciuto una Grace orribile ad Hogwarts e che mai avrebbe voluto una figlia con quel nome. Siamo arrivati.”
Sabrina abbandonò la strada asfaltata per parcheggiare l’auto su uno spiazzo erboso da cui si poteva ammirare la città e anche il mare, che in quel momento brillava più che mai grazie alla luce dorata del tramonto, scendendo dall’auto mentre Joël faceva altrettanto, gli occhi chiari pieni di ammirazione inchiodati al panorama:
“Wow. Assurdo pensare che vengo qui da anni e non sono mai stato qui.”
“Questo perché non hai mai avuto una guida adeguata.”
Sabrina gli si avvicinò con un sorriso e Joel, ricambiando, non si lasciò sfuggire l’occasione: l’afferrò per la vita stretta fasciata dal vestito bianco cosparso da ricami floreali e la strinse a sé, baciandola mentre sentiva le mani della strega tra i suoi capelli chiari. Quando le loro labbra si staccarono Joël sorrise, prendendole il viso tra le mani per accarezzarle gli zigomi con i pollici e lasciandole un tenero bacio sulla fronte prima di parlare con un mormorio:
“La guida di Monte Carlo più bella che si possa desiderare.”
“Dici che potrei iniziare a farmi pagare?”
“Faresti milioni, ma visite come queste le voglio riservate solo a me.”
“Beh, vedremo.”
Sabrina rise di fronte all’espressione seccata che Joël si sforzò di inscenare, baciandogli dolcemente le labbra prima di recuperare la bacchetta da una tasca dello sportello dell’auto:
“Vedi di levarti le scarpe.”
Con un lieve movimento della bacchetta della strega una coperta bianca coperta da un delicato motivo floreale rosa e un grosso cestino di vimini si librarono dai sedili posteriori, galleggiando a mezz’aria fino ad adagiarsi sul prato davanti a loro, non molto lontano dallo strapiombo.
Joël di disobbedire non se lo sognava neppure, e si affrettò a sfilarsi le scarpe mentre Sabrina faceva altrettanto, sfilandosi solo con l’ausilio dei piedi le scarpe da ginnastica con cui era solita guidare prima di sistemarsi accanto a lui sulla coperta a fiorellini.
“Visto che non bevi alcolici, ho deciso di farti compagnia e ho portato solo tè freddo e sidro di mele.”
Un largo sorriso si fece largo sul bel viso del mago mentre Sabrina estraeva due calici e una caraffa piena di liquido ambrato e ghiaccio, versando del sidro per entrambi prima di porgergli un bicchiere.
“Ti adoro.”
Sabrina gli sfilò gli occhiali da sole dal viso con la mano libera per guardarlo meglio, appoggiandoli accanto a sé sulla coperta prima di intrecciare le dita lunghe e abbronzate con quelle del musicista. Joël la guardava, ne era sicura, come nessuno aveva mai fatto prima d’ora, e la strega cercò di sostenere quello sguardo così intenso e adorante senza imbarazzarsi, mormorando un ringraziamento prima di vuotare il suo bicchiere con una lunga sorsata. Imitata ben presto da Joël, la francese guardò perplessa il musicista sfilarle il bicchiere vuoto di mano per riporlo insieme al proprio al sicuro nel cestino di vimini, rispondendo alla silenziosa perplessità della strega quando la cinse per la vita per baciarla di nuovo, questa volta con tanto trasporto da farla finire lunga distesa praticamente sopra di lui sulla coperta. Quando si staccarono Sabrina sollevò leggermente la testa per allontanare il capo da quello di Joël e poterlo così guardare negli occhi mentre gli stringeva il viso tra le mani, accarezzandogli gentilmente le guance mentre i suoi corti capelli scuri le scivolavano davanti al viso, a pochi centimetri da quello del musicista. Il mago sollevò la mano destra per spostarle alcune ciocche dietro l’orecchio, trattenendo la mano sull’incavo tra il collo e la mascella di Sabrina mentre la guardava negli occhi, finendo col sorridere e farsi scivolare dalle labbra parole che era del tutto certo di non aver mai pronunciato in vita sua:
“Ho proprio paura di essermi perdutamente innamorato di te.”
Parole che sembrarono aver l’effetto di impietrire Sabrina per qualche istante, quasi l’avessero colta di sorpresa, e Joël la guardò ricambiare il suo sguardo con gli occhi color cioccolato improvvisamente sgranati prima di farsi rapidamente lucidi, come se la strega stesse facendo del suo meglio per trattenere le lacrime mentre si mordicchiava il labbro inferiore.
“Vale anche per me.”
Gli occhi lucidi di Sabrina colpirono Joël più delle parole che la strega sussurrò, ma prima che potesse chiederle se ci fosse qualcosa che non andava guardandola preoccupato lei si chinò per baciarlo di nuovo, zittendolo sul nascere.
 

*
 
 
Quando aveva saputo l’Opera di Monte Carlo avrebbe messo in scena il Don Chisciotte di Marius Petipa Artemy non aveva esitato a chiedere a Medea di accompagnarlo a vedere lo spettacolo: aveva sorpreso la strega porgendole direttamente i biglietti e la britannica, dopo avergli gettato una rapida occhiata come a voler verificare dalla sua espressione quanto effettivamente ci tenesse, aveva preso assentito, non senza ricordargli più e pià volte quanto fosse ignorante in materia:
Ma sappi che io di balletto non ci capisco un fico secco, quindi non sarà di grande compagnia. Aspetta, ma mi devo vestire elegante?!”
In Francia e dintorni il culto del balletto era rimasto intaccato dal tempo e dalle innovazioni musicali e tecnologiche, ragion per cui Artemy moriva dalla voglia di assistere ad uno spettacolo messo in scena in un teatro europeo, dove si respirava danza in ogni angolo. Quando lui e Medea presero posto uno accanto all’altra sulle poltroncine rosse foderate di velluto Artemy si rese rapidamente conto di faticare a stare fermo sul suo posto, fremendo dall’attesa mentre se ne stava leggermente sporto in avanti verso il palco dalla minuscola balconata in cui si trovavano mentre Medea, accanto a lui, sfogliava dubbiosa il libretto.
“Conosco l’opera letteraria vagamente, forse riuscirò a capirci qualcosa…”
“Non serve capire, basta guardare e farsi rapire. In Inghilterra non avete molta considerazione della danza classica, vero?”
Artemy smise di scrutare il palco e i pesanti tendaggi color sangue del sipario per tornare a rivolgere la propria attenzione sull’amica, guardandola con un che di rimprovero indirizzato più al suo Paese che alla sua persona mentre Medea si stringeva nelle spalle prima di iniziare a farsi aria con il libretto, ignorando deliberatamente lo sguardo sgomento che la donna dietro di lei le rivolse per quella vergognosa mancanza di rispetto verso il testo dell’opera.
“Beh, non la metterei così, c’è la Royal Ballet School, che credo venga considerata una delle migliori Accademie del settore… e il Royal Opera House a Covent Garden è famosissimo, ma non ci sono mai stata.”
“Troppo occupata a sventare intrighi.”
“Gli intrighi mi pagano l’affitto. Anzi, grazie a quel troglodita che si è messo a limonarsi l’amante in terrazzo mi potrò fare un gran bel regalo quando tornerò a Londra. Magari prima o poi dovrò andarci per lavoro, chissà. Ti chiamerò.”
“Brava ragazza.”
Artemy annuì e le indirizzò un sorriso prima di mettersi a sedere più comodamente sul suo posto, appoggiandosi allo schienale con la schiena fasciata dall’elegante giacca nera con i dettagli argentati che indossava mentre Medea, dopo aver fatto vagare accigliata lo sguardo sulla platea cercando traccia di qualche spettatore con in mano qualche spuntino, non parlò di nuovo: aveva cenato pochissimo e molto alla svelta per andare a prepararsi e non avrebbe affatto sgradito l’idea di poter mettere qualcosa sotto ai denti.
“Senti Eros, ma qui non si mangia come al cinema?”
Artemy si voltò di nuovo verso di lei per guardarla sgomento e inorridito quasi quanto la donna che Medea aveva alle spalle, scrutando l’amica come se le avesse appena sentito pronunciare un’eresia. Medea aveva parlato con tutta l’ingenuità possibile, ma a giudicare dallo sguardo di Artemy intuì che no, probabilmente a teatro non era uso consumare cibi e bevande.
“Beh, scusa, era solo per sapere! Mi sento estranea come Julia in Pretty Woman.”
“Ci siamo invertiti i ruoli.”


A molti metri e molti posti di distanza, in platea, Silas si stava lamentando: aveva fame, e in quel postaccio non si poteva bere né mangiare. Una specie di girone infernale, specie considerando che aveva avuto la sfiga di finire bloccato tra Meadow e sua madre, di gran lunga le donne più chiacchierone che avesse mai incontrato in tutta la sua vita.
“Sentite, visto che avete vita, morte e miracoli da raccontarvi e mi state assordando, perché io non faccio a cambio con Meadow e mi sposto vicino ad Asher, così voi due potete continuare indisturbate?!”
Silas si era cocentemente pentito di aver presentato Meadow ed Asher a sua madre: con il secondo non c’erano stati problemi ovviamente, ma Joyce aveva subito preso Meadow in gran simpatia e le due non facevano che parlottare e sghignazzare alle sue spalle. Era anche sicuro che la donna avesse già raccontato alla sua amica dettagli scabrosi e imbarazzantissimi della sua infanzia quando lui non era stato nei paraggi. E che tragedia quando aveva malauguratamente detto a sua madre della passione di Meadow per la danza classica e il suo avere in programma di fare delle audizioni per delle compagnie una volta tornata in Inghilterra: Joyce l’aveva invitata a Teatro, e non si sapeva bene come lui era stato costretto ad unirsi a loro. Lui che l’Opera non la poteva sopportare.
“E privarti così dell’immenso privilegio di startene in mezzo a noi? Non esiste signorinello. Peccato solo che Sabrina avesse da fare.”
Joyce, seduta alla sua sinistra, scosse il capo dispiaciuta smuovendo tutti i suoi lucenti e meravigliosi ricci scuri mentre Silas, cupo e seduto scomposto sulla poltrona tenendo le braccia strette al petto, bofonchiava qualcosa a basa voce.
“Oh certo, un peccato, ci mancava solo mia sorella per completare il quadretto.”
“Nessuno ti ha chiesto un parere, tesoro. E il suo fidanzato mi piace moltissimo!”
Joyce sorrise allegra, ignorando l’espressione offesa con cui il figlio la guardò mentre Meadow, accanto a lui, si sporgeva leggermente oltre l’amico per guardare la britannica annuendo energicamente con il capo:
“Oh sì è meraviglioso, ed è un pianista bravissimo, e loro sono bellissimi insieme!”
“Lo penso anche io, anche se ho dovuto giurare di non dire ai genitori di Sabrina di averlo conosciuto prima di loro, o Sandrine vorrà prima la testa di Sabrina e poi la mia…”
Basta vi prego, non ne posso più! Asher, al mio segnale ce la diamo a gambe.”
Questa volta a sporgersi oltre Meadow per rivolgersi a qualcun altro fu Silas, che si allungò più serio che mai verso Asher mentre l’ex Magicospino se ne stava seduto composto, in silenzio, temendo di disturbare i vicini di posto o di assumere atteggiamenti che mal si conformavano all’ambiente sconosciuto in cui si trovava. Il ragazzo deglutì a fatica, gettando un’occhiata intimorita al posto dietro il suo – occupato da una minacciosissima signora di mezza età che parlava in tedesco – prima di rivolgersi all’amico in un sussurro preoccupato:
“Vorrei, ma la donna dietro di me mi sembra pronta a picchiarmi qualora dovessi alzarmi e oscurarle la visuale del palcoscenico…”
Che palle!”
“Silas, linguaggio, non ti ho cresciuto così io! Tutta colpa di tuo padre.”
“Su questo tu e Sandrine sarete sempre, eternamente d’accordo mamma.”
Il borbottio di Silas si perse nell’aria e venne rapidamente sovrastato dal lieve fragore degli applausi quando i pesanti tendaggi scuri del sipario iniziarono a scivolare di lato per offrire agli spettatori la visuale sul palcoscenico, e Meadow non tardò ad ammonire l’amico e ad intimargli di stare zitto assestandogli una spigolosa gomitata sul fianco:
“Chiudi il becco, inizia!”
“IO?! Ma se siete voi che non siete state zitte un secondo?!”
Silas non si era mai sentito tanto offeso in vita sua, e decise che mai più avrebbe permesso a sua madre e alla sua amica di incontrarsi e di passare del tempo insieme con lui nella stessa stanza, ma prima che potesse dar voce alle proprie lamentele la donna tedesca seduta dietro di loro lo zittì sonoramente, facendo sobbalzare Asher sulla poltroncina:
Shhhhh!”
Le donne era creature perfide e maligne, appurò Silas mentre come Asher sprofondava nella poltrona per nascondersi, terrorizzato all’idea che la signora potesse colpirlo con la pochette. Ma lo appurò solo mentalmente, perché all’improvviso perse tutto il suo coraggio di parlare.
 
 
“È un peccato che tu abbia smesso.”
Medea riuscì a capire quanto Artemy avesse profondamente e visceralmente amato la danza solo quella sera, guardandolo seduto di fronte ad uno spettacolo con gli occhi pieni di meraviglia, lo sguardo rapito quasi paragonabile a quello di un bambino, lo sguardo pregno di un amore viscerale che si riserva solo a qualcosa che ha segnato profondamente il proprio passato. Artemy, che fino a quel momento si era estraniato in una sorta di bolla, concentrato solo sui movimenti perfetti dei ballerini che animavano il palcoscenico, guardò l’amica impiegando qualche istante per mettere a fuoco ciò che aveva detto tanto era stato il suo isolarsi, finendo con l’abbozzare un sorriso dalle note malinconiche mentre annuiva, parlando in un sussurro sommesso:
“Sì, beh, non ho mai davvero smesso di ballare. Solo che crescendo mi sono dovuto adattare alla mia seconda vita e la danza classica è rimasta solo un vago e lontanissimo ricordo. Forse sarei diventato bravo davvero, se avessi continuato.”
Artemy finì di parlare tornando a guardare mestamente e con aria adorante il palco, ricordando le sue lontane lezioni di danza risalenti a quando ancora viveva insieme alla sua famiglia natia mentre Medea, accanto a lui, annuiva con fare comprensivo e un po’ dispiaciuto.
“Sono sicura di sì.”
“Beh, ormai non ha molta importanza. E poi, modestamente, a ballare sui tacchi sono bravissimo.”
Il ragazzo tornò a focalizzarsi sull’amica stringendosi debolmente nelle spalle e abbozzando un sorriso per cercare di non guastare l’atmosfera della loro serata con la malinconia dei suoi ricordi, guardandola rispondere al sorriso mentre gli metteva una mano sulla spalla a mo’ di conforto. Non fosse stato per la location in cui si trovavano forse Medea avrebbe persino riso e risposto con una delle sue taglienti battutine, ma l’idea di essere cacciata a calci la terrorizzava e restò in silenzio. In quei posti la gente si prendeva davvero troppo sul serio per i suoi gusti.
 

 
*

 
Sabrina era stata insolitamente silenziosa, quasi spenta, per tutto il viaggio di ritorno, e quando fecero ritorno al Le Mirage Joël decise che quello fosse il momento perfetto per darle finalmente il suo regalo: dopo che ebbero parcheggiato l’auto e varcato la soglia dell’Hotel – lei con il cestino in mano e ai piedi i sandali col tacco basso con cui aveva sostituito prontamente le scarpe da ginnastica per evitare che qualcuno potesse vederla in quelle condizioni scabrose – anziché dirigersi verso l’appartamento della strega Joël indugiò nel bel mezzo della Hall, chiedendole con un sorriso di seguirlo all’interno della sala del ristorante.
L’orario del servizio era finito da poco, nessuno lo sapeva meglio di Sabrina, e la strega si ritrovò quasi senza volerlo ad annuire, lasciandosi pilotare verso la sala dalla mano di Joël che stringeva la sua. Quando li videro entrare nella stanza i camerieri di dileguarono come per magia, talmente alla svelta da portare la strega a chiedersi se per caso non li avesse semplicemente immaginati, ma invece di farci caso Joël la condusse deciso verso il pianoforte a coda davanti al quale si erano quasi scambiati il loro primo bacio, chiedendole di sedersi accanto a lui proprio come quella sera.
Sabrina obbedì senza controbattere – di certo non si sarebbe lamentata se Joël avesse deciso di suonare qualcosa per lei – e sedette prima di guardarlo estrarre qualcosa dalla tasca dei pantaloni: quattro fogli, o meglio degli spartiti, piegati in quattro parti che il pianista adagiò sul leggio disponendone due uno accanto all’altro e altri due sotto di essi, in modo che la strega potesse scorgere solo i primi.
“Finalmente mi fai sentire un nuovo brano?”
Sabrina gettò un’occhiata agli spartiti prima di riportare lo sguardo su Joël, che annuì e accennò un sorriso prima di appoggiare le dita sui tasti e iniziare a suonare, riempiendo la sala vuota e buia con le note della nuova melodia. Sabrina lo stava ascoltando in silenzio, incantata ma continuando allo stesso tempo a serbare quella sgradevole sensazione che l’accompagnava da tempo e che si era acuita non appena aveva sentito Joël dichiararle i propri sentimenti, quando gettò un’occhiata agli spartiti, curiosa di leggere il titolo dell’opera. Sabrina non sapeva leggere uno spartito e subito il suo sguardo si posò sulle due parole che Joël aveva scarabocchiato al centro del primo foglio, sorridendo quando le trovò incredibilmente familiari.
Per un paio di minuti Sabrina restò in silenzio, lasciandosi cullare dalla musica per cercare di non farsi opprimere eccessivamente da ciò che doveva dirgli e dal timore di quella che sarebbe stata la reazione di Joël, limitandosi ad ascoltare e ad osservarlo suonare con la massima concentrazione ed estraniarsi da tutto ciò che lo circondava proprio come accadeva a lei ogni volta in cui nuotava o s’immergeva in mare aperto. Quando Joël smise di suonare le sue dita si fermarono, accarezzando un’ultima volta i tasti prima di sollevarle, e Sabrina si permise finalmente di parlare, abbozzando un sorriso mentre accennava al titolo della composizione:
Côte d'Azur. È davvero bellissima. E un gran bel titolo.”
“Diciamo che questo posto mi ha molto ispirato quest’anno. Penso che sia stata un’estate che scorderò difficilmente. In realtà ne ho scritta anche un’altra...”
Joël tornò a guardare il leggio del pianoforte per togliere i due spartiti del brano che aveva appena suonato, appoggiandoli sulla parte superiore del costosissimo strumento per consentire alla strega di osservare quelli che aveva lasciato al di sotto. Di nuovo lo sguardo di Sabrina indugiò sul titolo, e leggendo l’unica parola che lo componeva si sentì stringere dolorosamente lo stomaco in una morsa ferrea. Joël fece per rimettersi a suonare ma questa volta Sabrina lo bloccò, stringendogli il braccio sinistro mentre scuoteva la testa fissando destabilizzata la tastiera del pianoforte, incapace di guardare lui quanto il suo nome scritto in cima ad uno dei due spartiti: non poteva assolutamente permettergli di suonare qualcosa che aveva scritto appositamente per lei senza sapere.
“Aspetta.”
Joël indugiò, sorpreso, con le braccia sollevate verso la tastiera mentre posava lo sguardo su di lei, inarcando dubbioso e preoccupato le sopracciglia prima di metterle una mano sulla spalla e cercare invano il suo sguardo mentre la strega fissava con ostinazione i tasti d’avorio del pianoforte.
“Che cosa c’è? Anche prima mi sei sembrata strana, c’è qualcosa che non va? È per quello che ti ho detto? Mi dispiace se ti ha messo in crisi o se per te era troppo presto, ma per me non lo è.”
Joël non aveva mai provato sentimenti così forti per nessuno e per lui esprimerli a parole era stato meraviglioso, ma all’improvviso iniziò a temere che lo stesso non fosse stato per Sabrina, e la guardò con preoccupazione crescente mentre la strega scuoteva la testa, gli occhi scuri di nuovo lucidi.
“Non è questo. Cioè, in parte sì. Devo dirti una cosa da un sacco di tempo e mi sento malissimo per non averlo ancora fatto.”
“Beh, io scherzavo quando ho supposto che fossi segretamente sposata, spero di non averci azzeccato.”
Joël si sforzò di sorridere cercando di allentare la tensione che lui stesso stava iniziando a provare, ma quando Sabrina tornò a ricambiare il suo sguardo capì che non doveva esserci nulla di divertente in ciò che la strega si stava accingendo a dirgli.
“Se ti arrabbierai lo capirò, perché avresti pienamente ragione. Non ti ho detto qualcosa che condiziona fortemente la mia vita e avrei dovuto farlo.”
“Soffro di una… malattia congenita. Del tessuto connettivo, che nel mio caso interessa il sistema cardiovascolare. Si chiama Sindrome di Marfan. È molto rara, non mi aspetto che tu la conosca, è… per questo che non ho mai nuotato a livello agonistico. Per questo che sono rimasta qui, per questo che non bevo quasi mai, che seguo una dieta che tutti trovano strana visto che sono magra. E le mie dita…”
Sabrina chinò lo sguardo sulle proprie mani, abbandonate in grembo, e Joël la imitò d’istinto, guardando quelle dita lunghe che spesso si era ritrovato ad osservare e a riflettere su come fossero simili alle sue, così lunghe e affusolate, senza sapere quanto la strega invece le avesse sempre detestate.
“Si chiama aracnodattilia. Le persone che soffrono di questa malattia hanno spesso le dita straordinariamente sottili e lunghe. E sono alte, e magre.”
Joël non era del tutto sicuro di sapere cosa dire. O di sapere come si sentisse a riguardo. In effetti non sentiva niente mentre guardava Sabrina stentando a credere a ciò che stava uscendo dalle sue labbra, troppo schioccato per quel mare di informazioni che mai si sarebbe aspettato di ricevere. Non da lei.
“Che cosa… che cosa significa?”
“È una malattia genetica. Mia nonna ne soffriva, ma se ne sono resi conto solo quando era già abbastanza anziana… non esiste una cura definitiva, io prendo i betabloccanti per ridurre la pressione arteriosa.”
“È per questo che sei spesso stanca?”
Joël le prese la mano guardandola ansioso, il busto leggermente proteso verso di lei mentre iniziava rapidamente a sentirsi un perfetto idiota: avevano passato tantissimo tempo insieme nelle ultime settimane, come aveva fatto a non rendersi conto di nulla? Sabrina invece annuì, momentaneamente incapace di parlare, mentre un paio di prime e calde lacrime iniziavano a rotolarle dalla base degli occhi scuri per scendere rapide e silenziose lungo zigomi a guance. La strega guardò la propria mano stretta da quella di Joël e si sentì sprofondare nel senso di colpa, stentando a credere di poter essere causa di sofferenza per qualcuno a cui teneva così tanto.
“Mi dispiace.”
“È una… una cosa molto grave?” 
Pronunciare quelle parole costò una fatica indicibile a Joël, che all’improvviso ebbe come la sensazione di essere rimasto sprovvisto di saliva, con un nodo alla base della gola e una voragine a divorargli lo stomaco solo immaginando ciò che Sabrina avrebbe potuto dirgli. All’improvviso si sentì quasi trasportato indietro nel tempo di molti anni, quando suo nonno gli aveva taciuto per mesi le sue penose condizioni di salute per non farlo preoccupare, e mentre lui bighellonava a Beauxbatons la persona a cui più teneva al mondo soffriva in silenzio, senza di lui.  Il mago dovette sforzarsi per deglutire mentre non osava distogliere lo sguardo dai profondi e lucidi occhi scuri di Sabrina o lasciare la sua mano, quasi aggrappandosi a quella stretta con tutto se stesso.
“Di solito si arriva ai 60 anni, se si prendono le cure e si segue un certo stile di vita.”
All’udire quelle parole Joël si sentì pervadere dalla più piacevole ondata di sollievo che avesse mai sperimentato in tutta la sua vita: per alcuni orribili istanti aveva sinceramente temuto di sentire Sabrina dirgli di avere una bassissima aspettativa di vita davanti a sé e sapere il contrario gli permise di tornare a respirare normalmente e cercare di analizzare la situazione con tutta la lucidità che gli era consentita mentre le asciugava le lacrime sulla guancia sinistra con le proprie dita, guardandola con mite e affettuoso rimprovero mentre le sue mani indugiavano attorno al suo viso, stringendolo dolcemente:
“E perché non me l’hai detto?”
“Non lo so. Credo che fosse bello che qualcuno per una volta non lo sapesse, mi ha fatto sentire più normale di quanto non mi sia mai sentita. E so quanto hai sofferto per tuo nonno, detesto l’idea di poterti far soffrire anche io. Mi dispiace tantissimo Joël.”
Sabrina si protese verso di lui per appoggiare il capo sulla sua spalla traendo un profondo respiro, infinitamente sollevata di essersi finalmente tolta quel peso, e Joël la lasciò fare, circondandole la vita con le braccia e appoggiando la testa contro la sua mentre fissava assorto e ancora disorientato un punto indefinito della sala buia, momentaneamente incapace di realizzare pienamente ciò che Sabrina gli aveva appena rivelato. All’improvviso si sentì come fluttuare in una specie di sogno, come se quel momento non potesse essere davvero reale e fosse destinato a finire da un momento all’altro.
“Andiamo di sopra, ti va? Ne parliamo con calma. Va tutto bene, non sono arrabbiato, ma voglio capire.”
“Ok.”
Sabrina annuì, sollevò una mano per asciugarsi gli ultimi residui di lacrime che le erano colate sul viso e infine si alzò senza lasciare la mano di Joël, che la seguì in silenzio fuori dalla sala dopo aver recuperato gli spartiti, circondandole le spalle con un braccio per attirarla a sé e scoccarle un bacio sulla tempia per confortarla mentre s’incamminavano verso la Hall. 
Avrebbero praticamente trascorso una notte insonne a parlare e l'ultima composizione di Joël avrebbe dovuto aspettare ancora un po’ per vedere la luce, ma quando il musicista si ritrovò a fissare il soffitto, molte ore più tardi, mentre Sabrina gli dormiva accanto abbracciandolo, l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu a come restarle accanto il più possibile dopo la fine dell'estate. 

 
*

 
16 agosto

 
Asher stava studiando, seduto a gambe incrociate sul copriletto bianco del letto matrimoniale della sua camera con un libro di storia medievale aperto davanti insieme ad evidenziatori gialli e arancio pastello e ad un mare di post-it abbinati. Frankie stava invece sonnecchiando pacifico nella sua cuccia, godendosi come il padrone l’aria condizionata, ma il cagnolino venne bruscamente destato dal sonno quando qualcuno prese a bussare alla porta bianca della camera, portando Asher a smettere di sottolineare la prima pagina del capitolo che avrebbe dovuto iniziare a studiare di lì a breve per alzarsi e andare ad aprire. Era talmente abituato a ricevere un numero di visite decisamente ristretto (rispettivamente da parte di Silas, Meadow o Ridge) da nemmeno porsi il problema di dare un’occhiata al corridoio attraverso lo spioncino: il ragazzo impugnò la maniglia e semplicemente aprì la porta, quasi del tutto certo di trovarsi di fronte una sorridente Meadow con l’intento di proporgli una passeggiata o un tuffo in piscina. Trovandosi di fronte, al contrario, una donna alta, dai grandi occhi celesti contornati da lunghe ciglia e una folta chioma bionda lo stupì non poco, e Asher strabuzzò gli occhi chiari in segno di sincero sgomento mentre Brooke, al contrario, lo guardava stando in piedi sulla soglia e sorridendogli con la massima tranquillità:
“Ciao caro. Posso parlarti per un momento?”
Asher aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono, perciò si affrettò ad annuire e a spostarsi di lato per farla passare, chiudendole la porta alle spalle mentre Frankie sgusciava dalla cuccia per andare a farle le feste scodinzolando. Brooke si inginocchiò sul parquet della camera per accarezzare la sofficissima testa color biscotto del tenerissimo barboncino ed Asher rimase a guardarla stando immobile sulla soglia, la salivazione improvvisamente azzerata e il cuore in tumulto mentre un unico pensiero gli affollava la mente:
Merda
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
*si asciuga una lacrimuccia*
Ho alcune cose da dire ma vorrei partire con lo scusarmi con voi per il ritardo con cui ho aggiornato dall’inizio di gennaio fino ad ora. Mi sono presa ben più indietro rispetto a quanto non avessi voluto con gli ultimi aggiornamenti di questa storia e me ne dispiaccio molto, sapete quanto io detesti visceralmente non rispettare le scadenze che mi prefiggo e delle quali vi informo, ma sto vivendo settimane dove arrivo alla sera molto stanca e spesso purtroppo poco ispirata nonostante io adori scrivere questa storia.  
Il prossimo capitolo sarà l’ultimo (Epilogo escluso, s’intente), e non posso fare a meno di chiedermi come io e questi personaggi siamo arrivati fin qui. Come sarebbe a dire che questa storia è ormai giunta al termine, se solo era l’altro ieri quando pubblicavo il Prologo durante un’afosa mattinata di fine agosto?
I discorsi strappalacrime cercherò di risparmiarveli per l’Epilogo, stasera voglio limitarmi a spendere qualche parola in merito a questo capitolo, dove ho cercato di “chiudere” un po’ tutte le questioni rimaste in sospeso, a partire dalla tossicissima relazione tra Asher e Ridge – ringrazio Bea per avermi permesso di scrivere anche di questo, penso che trovarci di fronte a situazioni così orribilmente realistiche anche in un’opera ludica e di finzione faccia comunque riflettere su chi non dobbiamo includere nella nostra vita – fino a Sabrina e alla sua malattia. Per certi versi scrivere della sua condizione mi addolora profondamente, è pur sempre una mia creatura e mi ci sono davvero affezionata nel corso di tutti questi mesi, ma ci tengo a sottolineare che la mia non è stata una forma di sadismo, che lei e Joël hanno comunque davanti il futuro splendido che entrambi meritano e che la decisione di affibbiarle questo peso è stata dovuta solo ed esclusivamente ad una presa di consapevolezza, ovvero che delle malattie congenite non si parla abbastanza. Anche se di OC con vite costellate da tragedie di ogni tipo ne ho visti e rivisti in tutti questi anni, prima di Sabrina avevo avuto modo di affrontare una tematica di questo tipo solo una volta, e parlo di molti anni fa, perciò ho deciso di cimentarmici ora, quando sono disgraziatamente molto più adulta, matura e consapevole di parecchie cose. E anche per questo motivo sono ancor più felice di aver donato molta più gioia nella vita di Sabrina, grazie Em per avermi permesso di farlo mandandomi Joël, che è davvero la sua anima gemella.
Gran parte di ciò che andava detto è già stato detto qui, perciò vi preannuncio che il prossimo capitolo sarà a tutti gli effetti un capitolo di chiusura e più breve del solito, anche se perle come Ridge preso a calci da Brooke sicuramente costituiranno uno spettacolo gradevole. Questa volta spero che arrivi presto davvero, anche se in parte non sono pronta a lasciar andare questi OC.
Ne approfitto anche per ringraziare tutte voi che partecipate per esservi iscritte anche alla mia nuova storia, sono sicura che mi manderete personaggi che amerò tanto quanto ho amato quelli di questa storia.
A presto e un abbraccio a tutte!
Signorina Granger
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


 
Capitolo 17
 

 
16 agosto


 
Silas St John, comodamente disteso sul letto matrimoniale della sua camera, si stava accordando con una ragazza che aveva conosciuto ad una festa una settimana prima – quando quei barbosi di Meadow e Asher lo avevano abbandonato per giocare a Monopoly – per uscire quando qualcuno, bussando alla porta con urgenza, interruppe la conversazione in corso. Silas lasciò il telefono sul letto e anche se leggermente di controvoglia si alzò per andare ad aprire – poteva essere sua sorella e non aveva nessuna intenzione di contrariarla –. Il gesto segnò fatalmente la sua serata, perché quando aprì la porta e si trovò davanti Asher con Frankie al guinzaglio, il manico del trolley color zucca stretto in mano e gli occhi chiari arrossati e lucidi capì immediatamente che quella sera non sarebbe affatto uscito. Tantomeno non con un’avvenente ragazza inglese rossa di capelli.
“Asher, cosa è successo?!”
“Brooke sa tutto. Si stanno urlando contro da dieci minuti, dopo avermi gentilmente invitato a lasciare la stanza.”
“Porco Godric, come lo ha saputo?! Dai, vieni dentro.”
Subito Silas si spostò di lato per far passare l’amico, affrettandosi a chiudergli la porta bianca alle spalle prima di raggiungere il letto e recuperare il telefono per informare la sua recente conoscenza di aver avuto un contrattempo per la serata. Asher depositò la valigia sul pavimento mentre sedeva sul bordo del letto con un sospiro, mettendosi Frankie sulle ginocchia per accarezzarlo e trovare un po’ di conforto nel suo amato animaletto.
“Mi spiace disturbarti, ma non sapevo dove altro andare.”
Il tono e l’espressione di Asher mentre fissava tetro il pavimento rivestito dal parquet furono talmente mesti e sconsolati da destare un profondo moto di tenerezza nell’ex Grifondoro, che gli sorrise comprensivo mentre gli metteva una mano sulla spalla dopo aver rigettato il telefono sul copriletto candido:
“Non preoccuparti. Vado da mia sorella a chiedere se c’è una stanza libera, alla peggio stanotte dormi qui. Torno subito, tu mettiti comodo e se vuoi chiama Meadow, poi mi racconti meglio. E ordina pure quello che ti pare col servizio in camera, offro io.”
Asher mormorò grato un ringraziamento mentre affondava le mani nel soffice pelo di Frankie che, del tutto incurante della situazione, si guardava attorno con curiosità. Dopo aver rivolto un ultimo sorriso incoraggiante all’amico Silas uscì dalla stanza, lasciando Asher solo a crogiolarsi nella cupa consapevolezza di essere un peso per l’amico.
Quasi gli sembrava di sentire ancora le grida di Brooke attraverso le pareti. O era solo una sua impressione?
 
 
Silas sfrecciò al pian terreno usando le scale, per nulla invogliato ad aspettare l’ascensore, e attraversò rapido la Hall per dirigersi nell’alloggio di sua sorella, sperando vivamente di trovarla lì. In realtà avrebbe anche potuto fermarsi alla reception e chiedere direttamente a Michel, ma di parlare con Iago proprio non gli andava, pertanto salì due gradini alla volta la scala ricurva che conduceva agli alloggi di sua sorella e di sua padre prima di fermarsi davanti alla porta bianca dell’appartamento di Sabrina. Il ragazzo esitò per un istante, sperando che la sorella gli desse ascolto, ma dicendosi che in fin dei conti ultimamente si era comportato bene e che Sabrina non avrebbe avuto motivo di sbattergli la porta in faccia si decise a bussare, attendendo tamburellandosi con nervosismo le dita sulla coscia. La sua parte pettegola moriva dalla voglia di sapere per filo e per segno che cosa era successo, ma prima di tutto come amico doveva cercare di dare una mano ad Asher. Il gossip avrebbe dovuto aspettare.
Ad aprire la porta non fu sua sorella, bensì Joël Moyal. Joël Moyal con i capelli bagnati e un asciugamano allacciato in vita. Per un breve istante Silas si chiese quanto ci avrebbe potuto guadagnare se avesse fatto una foto per poi venderla su Ebay a quella visione celestiale, ma accantonò rapidamente il pensiero – quello e quanto Meadow si sarebbe strappata i capelli per l’invidia una volta appreso il suo racconto – per focalizzarsi sul suo obbiettivo mentre Joël, del tutto incurante del suo aspetto, gli sorrideva rilassato:
“Ciao Silas. Sabrina è di là.”
“Grazie, devo chiederle una cosa.”
“Chi è?!”
La voce di Sabrina giunse soffocata alle orecchie del fratello, come se la maggiore stesse mangiando qualcosa, e Joël si fece da parte per farlo passare mentre ruotava la testa in direzione della voce, annunciandolo:
“Tuo fratello.”
Sabrina sedeva sul divano e stava effettivamente sgranocchiando delle patatine al formaggio – Silas non l’aveva mai vista mangiare schifezze in vita sua e per un attimo si chiese se per caso quella non fosse una gemella segreta – davanti alla tv accesa e con Salem sulle ginocchia, quasi stesse aspettando Joël per guardare un film. La strega gettò un’occhiata perplessa al fratello quando Silas si posizionò tra lei e lo schermo appeso alla parete di fronte, chiedendosi il perché di quella visita e soprattutto di tutta quella preoccupazione.
“Sabs, è successo un casino.”
“Che cosa hai fatto?!”
Lo sguardo di Sabrina si fece subito sospettoso ed esasperato al tempo stesso mentre Joël tornava ridacchiando in bagno per vestirsi e Silas la guardava profondamente offeso, stizzito dalla sua malafede totalmente ingiustificata.
“Non io! Perché pensi sempre male… No. È il mio amico Asher. Allora, in pratica lui è venuto qui con due tipi, una coppia per cui lavora…”
“Sì, mi ricordo, quelli che si chiamano come quelli di Beautiful. Vai avanti.”
“Beh, in pratica lui si faceva il marito, la moglie lo ha scoperto, stanno litigando e lo hanno sbattuto fuori. Ora è in camera mia, volevo sapere se c’è una stanza libera dove può dormire per stanotte, almeno.”
“Aspetta… Asher. Asher quello carino? Americano? Quello che quasi non mi guarda negli occhi da quanto è timido? Asher si faceva il suo capo sposato?!”
“Chi si faceva il capo sposato? Per una volta io sono innocente.”
Joël fece ritorno in soggiorno con la t-shirt da Casanova che gli aveva donato Anjali e i pantaloni a scacchi blu e bianchi del pigiama, rivolgendo un sorrisino divertito a Sabrina – che ricambiò con un’occhiataccia – prima di sedersi accanto a lei e guardare Silas con genuina curiosità.
“Asher, il mio amico. pallido, carino, capelli ricci…”
“Ah, sì, ho capito. Sta sempre con la nipote di Joshua Wellick. Aspetta, lui stava con un uomo sposato?! Sei sicuro?!”
Joël reagì con la stessa sorpresa di Sabrina – e in effetti la stessa che avevano palesato lui e Meadow stessi tempo prima, quando Asher si era confidato con loro – spalancando sgomento gli occhi blu e Sabrina, ancora sotto shock, annuì mentre si voltava verso di lui:
“Roba da non credere. Anjali non ci crederà mai!”
“Sì ma non è il momento di pensare al gossip, bisogna pensare alle camere!”
Silas schioccò le dita un paio di volte per riportare la sorella alla realtà, e fortunatamente Sabrina annuì e si ridestò, ridandosi un tono, prima di sollevare Salem per depositarlo sulle ginocchia di Joël e alzarsi per andare a recuperare il suo telefono.
“Hai ragione. Chiamo Michel e glielo chiedo.”
 
 
Disgraziatamente le stanze erano tutte occupate, e Silas fece ritorno nella propria per informare Asher che quella sera lo avrebbe ospitato. Trovò Meadow in compagnia dell’amico, lei e una gran quantità di cibo e bibite. I tre passarono un paio d’ore a parlare, ingozzarsi e a consolare Asher, o almeno provarci, finchè Meadow non tornò in camera sua dopo avergli donato un ultimo abbraccio e la promessa che le cose, da quel momento in poi, sarebbero andate meglio.
“Forse ora non ti sembra, ma sarà così. Ti sei tolto un peso.”
Asher continuò a ripensare a quelle parole mentre cercava di dormire, avvolto dal lenzuolo candido del letto di Silas – si era proposto di dormire per terra, ma Silas aveva insistito per “dare vita al solito cliché delle commedie romantiche” –, a quelle e a quelle con cui Brooke lo aveva informato di sapere. In realtà glielo aveva semplicemente chiesto e il suo silenzio sgomento era stato sufficientemente eloquente.
Ridge, convinto che Brooke lo stesse aspettando al bar, aveva scelto il peggior tempismo del mondo per entrare nella stanza del ragazzo, trovandolo più pallido che mai e con nientemeno che la moglie davanti. In realtà Asher si sentiva profondamente in colpa e dispiaciuto con Brooke, che tutto sommato era stata gentile con lui fin proprio alla fine: gli aveva semplicemente chiesto di fare i bagagli e lasciare la stanza che lei stessa pagava e poi era uscita chiedendo al marito di seguirla, evidentemente poco intenzionata a fare una scenata di fronte a lui. Asher aveva radunato le sue cose sentendo le urla al di là del muro che divideva le due camere, la mente annebbiata e ancora troppo sconvolto da ciò che era successo – mai si sarebbe aspettato di sentirselo chiedere esplicitamente da Brooke – per analizzare lucidamente la situazione. Tutto ciò a cui era riuscito a pensare, fuori dalla porta, era stato andare da Silas.
Forse i Carrington sarebbero partiti in anticipo il mattino dopo, non l’avrebbe stupito. O forse sarebbe partita solo Brooke. Non sapeva che cosa sarebbe successo, ma si chiese se Ridge sarebbe andato a salutarlo, a dirgli qualcosa. Si addormentò con quel pensiero ma il mattino dopo, preso in mano il telefono, ebbe la sua risposta: Ridge gli aveva scritto per dirgli che sarebbero partiti quella mattina, che sarebbe stato meglio non rivedersi più ma che gli avrebbe comunque fatto avere i soldi del mese.
“Che ha detto?”
“Se ne vanno. Non so se lo rivedrò.”
Ancora steso sul materasso, sotto le coperte, Asher chiuse la chat con Ridge e si ritrovò a fissare inerme la tv appesa davanti al letto, non del tutto certo di sapere come si sentisse mentre Silas, che si era svegliato ben prima di lui, si tamponava i capelli bagnati con un asciugamano dopo aver fatto una doccia.
“Forse è meglio così.”
“Forse.”
Asher annuì senza dire altro, fissando in imbarazzo le proprie mani adagiate sul lenzuolo, e dopo averlo osservato per qualche istante Silas sorrise, dirigendosi verso il telefono della camera:
“Colazione in camera come le vere coppiette?”
Asher avrebbe trascorso i giorni seguenti in camera di Silas, fino al primo volo per Boston che, ovviamente, i Carrington non avrebbero finanziato. Aveva già chiamato sua madre per spiegarle la situazione e per chiederle di prestargli i soldi, cosa che lo fece sentire ancor peggio della consapevolezza di essere stato scoperto da Brooke, quando Silas una sera gli mandò il pdf del biglietto aereo.
“Abbiamo fatto a metà io e Meadow. Non preoccuparti.”
“Mi sento in debito.”
“Non pensarci. Ci ospiterai a casa tua quando verremo a trovarti e saremo pari, ok?”
 

 
*
 
 
18 agosto
Cafè de Paris

 
“… E quindi Asher, l’amico di Silas, aveva una relazione con il suo capo.”
Sabrina terminò il suo racconto accostandosi il calice pieno fino a metà di vino rosso alle labbra, sorseggiandone un po’ mentre Anjali e Alphard, seduti di fronte a lei e a Joël ad un tavolo quadrato di uno dei più costosi ristoranti della città, la guardavano con gli occhi sgranati e pendendo letteralmente dalle sue labbra, decisi a non perdersi nemmeno un dettaglio della succosissima storia che la strega aveva appena finito di raccontare.
“Con quella donna bionda così attraente?!”
Grazie alle luci soffuse dei lampadari gli occhi chiari di Anjali sembravano quasi ambrati e ancor più brillanti del solito, e la strega parlò senza riuscire a distogliere lo sguardo dal viso finemente truccato dell’amica, del tutto dimentica, come Alphard, della cena e del vino che erano stati serviti loro. Dopo una studiatissima pausa ad effetto Sabrina scosse la testa con un cenno, appoggiando di nuovo il calice sulla tovaglia bianca mentre Joël, divertito tanto quanto lei, l’ascoltava in silenzio guardando i suoi capelli, pettinati all’indietro sulla testa in una specie di effetto bagnato, come se fosse appena uscita dalla doccia o dalla piscina dopo una nuotata. Era persino quasi più bella del solito quella sera, ma non osò dirglielo per paura che Anjali lo colpisse con una forchetta da insalata dopo aver intralciato il racconto dell’amica e la sua sete di gossip.
“No. Con il marito.”
Sabrina fece in modo di godersi appieno le reazioni di Alphard e Anjali, che trasalirono e spalancarono occhi e labbra all’unisono prima di guardarsi, stralunati:
“Il marito?! Quello biondo? Bello? Aria perennemente innervosita?”
Oui.”
Sabrina annuì alla domanda di Alphard, deliziata dall’avere la più totale attenzione dei due commensali su di sé mentre Anjali annuiva con aria sostenuta, come se lei lo avesse sempre saputo:
Mas oui, una volta è venuto a chiedermi qualcosa in piscina. Ho pensato che ci stesse provando, poi ho visto la fede e ho voluto pensar bene, ma è evidente che così non fosse.”
Fino a due mesi prima Anjali avrebbe anche aggiunto qualcosa a proposito di come gli uomini fossero tutti uguali, bugiardi e fedifraghi, ma si trattenne a causa della presenza di Alphard e Joël e dispensò invece un sorriso dolce al suo cavaliere, che parve indignarsi e le chiese stizzito quando Ridge Carrington ci avesse provato con lei.
“Beh, non ricordo, difficile dirlo.”
Anjali si strinse nelle spalle con una grazia che solo lei avrebbe potuto mettere persino in quel gesto di noncuranza, tornando a concentrarsi sulla sua bistecca al sangue mentre Joël, l’unico con il bicchiere pieno d’acqua, le sorrideva beffardo accarezzando la schiena di Sabrina lasciata nuda dal vestito nero che indossava:
“Difficile dirlo quando ci prova con te qualsiasi uomo non omosessuale che respiri.”
“Ma non è vero, che esagerazione… e poi proprio tu parli?!”
“Bambini, state buoni.”
Sabrina roteò brevemente gli occhi scuri prima di affondare la forchetta nella sua insalata, sforzandosi di mandarla giù immaginando delle patatine fritte al posto delle foglie verdi mentre Alphard, di fronte a lei, scuoteva la testa risentito a fortemente amareggiato:
“Non posso credere che noi non lo sapessimo, di questa storia da soap opera. Chissà quante altre cose ci sono sfuggite in tutto questo tempo.”
“Tesoro di che ti sorprendi, si chiamano Brooke e Ridge, e di cognome come quelli di Dynasty. Era scritto, che ci fossero corna in giro. In ogni caso, fossi stata in lei io sarei partita da sola. E gli avrei defenestrato i bagagli dall’aereo, ad alta quota.”
Anjali tornò a sorseggiare il suo campagne con disinvoltura sotto gli sguardi dei presenti, portando Joël e Sabrina a chiedersi come Georges potesse essere sopravvissuto alla loro disastrosa rottura e Alphard a ripromettersi di non farla mai soffrire. Mai e poi mai.
 

 
*
 
 
21 agosto
 
 
Gli addii non erano e non sarebbero mai stati il suo forte, ma Asher Reynolds stava facendo di tutto per darsi un tono ed evitare di commuoversi eccessivamente mentre, in piedi nella Hall con la sua valigia e il trasportino di Frankie depositati dietro di lui, si accingeva a salutare Meadow e Silas.
“D’accordo, ad ottobre verremo a trovarti, è deciso. Voglio vedere questo fantomatico Massachusetts in autunno, e il Museo di Salem ovviamente. E mangiare qualcosa preparato da tua nonna.”
“Sarà felicissima di conoscervi. E anche mia madre. Vi ospiteremo volentieri.”
Mancavano poche settimane al suo mese preferito dell’anno – che di certo avrebbe atteso anche con maggior trepidazione del solito in previsione della visita dei due amici britannici –, e Asher sorrise già prefigurandosi uno dei migliori Halloween della sua vita mentre Meadow, davanti a lui, scuoteva la testa con decisione:
“Nah, tranquillo, se mi dovessi portare dietro lo zio andremo in Hotel, siamo penosi e decisamente non fatti per essere ospiti in casa d’altri per preservarne la sanità mentale.”
“In tal caso ti ospiterei volentieri per scorpacciate di cibo a base di zucca.”
“Non vedo l’ora. Mi mancherai, zuccotto!”
Meadow non tardò a sopraffare Asher con un poderoso abbraccio, riuscendo quasi a stritolarlo nonostante la magrezza delle sue braccia tanto fu l’entusiasmo che mise in quella stretta. Anche se con qualche difficoltà Asher riuscì a mormorare che sarebbe mancata molto anche a lui – il naso iniziò pericolosamente a pizzicargli, segno di lacrime imminenti, ma Asher le ricacciò indietro dandosi dell’idiota: non li stava certo salutando per sempre, dopotutto – mentre Silas, in piedi davanti ai due, li osservava con qualche traccia di disapprovazione sul bel viso abbronzato, ricordo di un’estate che anche per lui stava per volgere al termine: presto sarebbe tornato nella grigia Inghilterra e la sua pelle si sarebbe sbiadita, ma in quel momento la differenza tra il suo incarnato e quelli dei due amici era ancora notevole.
“Mi state facendo venire il voltastomaco.”
“Sei un cacchio di insensibile, di che ti sorprendi! Non negare che Asher ti mancherà!”
Meadow allentò la stretta attorno al collo di Asher quel tanto che le bastò per voltarsi verso l’amico e indicarlo con l’indice, guardandolo cupa e risentita mentre Silas, roteati gli occhi ambrati al cielo, si stringeva nelle spalle:
“Certo, ma abbiamo i telefoni, possiamo scriverci ogni giorno. E ad ottobre mancano poche settimane! Non sta partendo per arruolarsi.”
“Insensibile.”
Meadow scosse la testa mentre tornava ad abbracciare Asher e a nascondere il viso contro la sua spalla, sibilando a bassa voce mentre l’ex Magicospino si domandava quanto gli sarebbero mancati gli assurdi e costanti battibecchi di quei due. Silas infatti non tardò a sbuffare, mettendo una mano sulla spalla dell’amica per scostarla e poter salutare Asher a sua volta:
“Ma finiscila, se ho anche condiviso la camera con lui per dargli un tetto sulla testa! Ora levati, tocca a me salutarlo.”
Meadow diede vita, offesa, ad una lunga e sentita sequela di insulti, ma Silas la ignorò deliberatamente e sorrise invece con calore ad Asher mentre gli metteva entrambe le mani sulle spalle, parlandogli come una madre che ripassa le raccomandazioni con un figlio prima di spedirlo in campeggio:
“Allora Asher, mi raccomando: non studiare troppo, non stare troppo lontano dalla luce del sole, riduci gli zuccheri e pensa al tuo fantastico amico Silas ogni tanto.”
“Tenterò. A parte gli zuccheri, quello sarà difficile.”
Asher ricambiò il sorriso dell’amico e anche Silas infine lo abbracciò, assestandogli una poderosa pacca sulla schiena che lo fece sussultare – quei due si erano forse messi d’accordo per farlo giungere a casa dolorante? – mentre Meadow, dietro di loro, annuiva con vigore tenendo le braccia magre strette al petto e spostando quasi senza rendersene conto il peso da un piede all’altro come suo solito:
“E trovati un ragazzo carino. E gentile. E che non si chiami Richard.”
“Lo farò. Devo anche trovarmi un altro lavoro, ma penso che lo cercherò in libreria, o in una caffetteria… Mi è sempre piaciuta l’idea di lavorare con i libri.”
Quando aveva informato sua madre della rottura con Ridge lei – dopo aver faticosamente evitato di esultare apertamente al telefono – lo aveva subito invitato a non preoccuparsi per il lavoro o per i soldi, invitandolo invece a prendersi qualche settimana di riposo per concentrarsi solo sullo studio e tornare alla normalità, ma Asher non era d’accordo: lavorare non gli era mai pesato, anzi ciò che voleva era proprio non pesare sulla sua famiglia. E più si sarebbe distratto meno avrebbe pensato a Ridge.
“Come Hugh in Notting Hill! Magari ti trovi una figa come Julia… Beh, o un figo, nel tuo caso. Ma poi perché quando in libreria ci vado io i fighi dei film non ci sono mai?!”
Mentre Meadow si interrogata su quel dilemma cruciale Silas sorrise all’amico, assestandogli un’altra pacca sulla spalla che quasi gli incrinò un osso:
“Bravo, basta dog-sitting, meglio cambiare aria. E poi fatemelo dire, adoro i cani ma Hope era orrenda!”
Silas quasi rabbrividì al ricordo dell’antipatica e orrenda cagnolina – che gli aveva fatto ricordare quotidianamente perché prediligesse, come suo padre, i cani di taglia superiore – e Asher rise, annuendo divertito senza riuscire a non concordare con lui:
“Assolutamente sì. Sono felice di essermene liberato.”
Il ragazzo parlò sfilandosi il telefono dalla tasca dei bermuda – li aveva sempre odiati perché mettevano in bella vista le sue gambe, a lui detta eccessivamente magre, ma nel corso dell’estate Silas e Meadow lo avevano progressivamente convinto a fregarsene e a metterli comunque –, dando una rapida occhiata al display per controllare l’ora prima di sospirare con lieve amarezza: era felice di tronare a casa, la sua famiglia gli mancava dopo tutti quei mesi in Europa, ma anche i suoi amici gli sarebbero mancati.
“Meglio che vada, ma vi scrivo dopo, avrò bisogno di compagnia nelle due ore in aeroporto a Nizza prima del volo.”
“Ti terremo compagnia noi, tranquillo. Meadow ha scaricato Cluedo online. Ma scrivi anche quando arrivi, anche se staremo dormendo.”
“Assolutamente. Ciao tesoro!”
Incapace di trattenersi Meadow raggiunse l’amico per donargli un ultimo e rapido abbraccio, sorridendogli con affetto mentre lo lasciava andare e lo guardava ricambiare il sorriso, rivolgendo un ultimo cenno di saluto a lei e a Silas prima di recuperare valigia e trasportino e dirigersi verso l’uscita.
Asher e Frankie erano appena usciti dalla porta a vetri – lo videro salutare Benoit e poi scendere i gradini per raggiungere il marciapiede e dirigersi verso la stazione per prendere il treno per Nizza, che fortunatamente distava pochi minuti di camminata consentendogli di risparmiarsi i soldi del taxi – quando Silas volse lo sguardo su Meadow, inarcando un sopracciglio e pronunciando parole che aveva trattenuto fino a quel momento:
“Chi è Richard?!”
“Ridge si chiama Richard, cretino.”
“Seria?! E io lo scopro solo ora!”
“Senza di me saresti perduto.”
Meadow roteò vistosamente gli occhi scuri mentre incrociava le braccia al petto, certa che nel corso della settimana che lei e Silas avrebbero dovuto trascorrere da soli prima della partenza sua e dello zio si sarebbero scannati quotidianamente. L’amico invece diede vita ad una risata di scherno, come se avesse appena pronunciato un’idiozia, e liquidò il discorso con un pigro gesto della mano prima di circondarle le spalle con un braccio e costringerla a voltarsi per dirigersi, insieme, verso il bar:
“Ma smettila. Andiamo a berci un caffè zuccheratissimo e dolcissimo in onore di Aaher, forza.”


 
*
 
23 agosto
 
 
“Hai preso tutto?”
“Non scordo mai nulla, e ho controllato la stanza tre volte.”
“Allora credo che tu possa andare.”
Artemy aveva insistito per accompagnarla a Nizza, che distava solo una mezz’ora di treno da Monte Carlo, e poi fino in aeroporto. Medea aveva tentato di dissuaderlo, ma lui aveva presto replicato asserendo di non avere nulla da fare e di voler, anzi, vedere la città, approfittando di doverla accompagnare per vedere il centro e la spiaggia dopo la sua partenza. I due erano ora arrivati in aeroporto e Medea, bagagli alla mano, era pronta per i controlli e per le due ore di solitudine che la separavano dal volo che l’avrebbe finalmente riportata nella sua amata Londra. Mancavano solo gli ultimi saluti per potersi lasciare Monte Carlo e quella bizzarra estate alle spalle, e Medea appoggiò le due valige – una piena di rullini e attrezzatura fotografica – sul pavimento piastrellato dell’aeroporto prima di sfilarsi gli occhiali da sole e allacciarli allo scollo della candida camicia leggera che indossava, rivolgendo un largo e affettuoso sorriso ad Artemy prima di allungare le braccia verso di lui:
“Direi proprio di sì, ma prima devo salutare il mio accompagnatore.”
Prima di avere il tempo di dire qualsiasi cosa Artemy si ritrovò stretto dall’abbraccio di Medea, che lo cinse con affetto mentre il ragazzo, poco avvezzo agli abbracci, si ritrovava silenziosamente a constatare due cose: che gli sarebbe mancata un bel po’, la sua strana amica, e che in effetti Medea era davvero più alta di lui. Naturalmente Artemy si guardò bene dal dirlo all’amica, limitandosi a ricambiare impacciato la stretta e a sorriderle quando i loro visi tornarono a farsi sufficientemente distanti da consentir loro di guardarsi.
“Fa’ buon viaggio.”
“Tu cerca di non annoiarti troppo senza di me prima di partire. O al contrario, di non divertirti troppo.”
Medea si allontanò lievemente da lui per stringere i manici dei suoi due trolley, rivolgendogli un ultimo sorriso che Artemy non tardò a ricambiare facendo spallucce con finta noncuranza:
“Sai, penso di aver lavorato abbastanza quest’estate. Penso che mi rilasserò e basta prima del mio volo. Ah, e ovviamente piangerò ogni giorno sentendo la tua mancanza.”
“Mi sembra giusto. Ma non prosciugarti di lacrime, ci vediamo presto, verrai a Londra e ti costringerò ad un estenuante tour delle mie sale da tè preferite.”
“Non vedo l’ora.”
Artemy sorrise mentre la guardava scoccargli un bacio aereo arricciando le labbra prima di sorridergli a sua volta, strizzargli l’occhio e dargli le spalle per andare a depositare il trolley più grande con le valige destinate a viaggiare in stiva. Medea si voltò solo una volta per gettargli un’ultima occhiata e non potendo salutarlo avendo entrambe le mani occupate gli sorrise, inducendolo a ricambiare mentre rifletteva su quanto quell’incontro fosse stato inaspettato: mai avrebbe pensato di legare così tanto con qualcuno quando era partito, settimane prima. Forse stava diventando orribilmente sentimentale, ma Artemy non se ne curò mentre guardava l’amica allontanarsi, già immaginando con gioia il momento in cui avrebbe comprato un biglietto aereo per Londra.
 

 
*

 
29 agosto

 
 
“D’accordo, allora ci vediamo la prossima settimana, quando tornerò in Inghilterra anche io… Ok?”
Silas sciolse l’abbraccio in cui aveva stretto Meadow per guardare l’amica in viso, scorgendo il sorriso allegro che si fece strada sul viso pallido della strega mentre Lady Diana, infilata nel trasportino, si guardava attorno spaesata e intimorita pregando che la padrona la facesse uscire in fretta dalla gabbia.
“Certo, fammi sapere di preciso quando torni, così ci organizziamo. È davvero un peccato che Asher viva così lontano, ma almeno ho sempre il mio fidato cespuglio a portata di mano.”
Come al solito Meadow accompagnò le sue parole con un gesto della mano con cui si premurò di arruffare i capelli dell’amico, che alzò gli occhi al cielo – ormai troppo arreso persino per replicare – mentre l’amica, vedendo Joshua allontanarsi dalla reception insieme ai bagagli dopo aver effettuato il check-out, si affrettava a sollevare il trasportino di Lady Diana per seguirlo fuori dall’Hotel.
“Tutto a posto, possiamo andare. Arrivederci Silas.”
L’australiano si fermò davanti all’ex Grifondoro per tendergli la mano pallida e dopo una brevissima esitazione Silas si affrettò a stringerla – con decisione, come gli ripeteva sempre suo padre –, abbozzando un sorriso allo zio dell’amica:
“Arrivederci Signor Wellick.”
“Puoi chiamarmi Joshua.”
Dopo aver rivolto un ultimo cenno al ragazzo Joshua si voltò e si diresse insieme alla sua valigia e alla gabbia del suo gufo Tyson verso la porta a vetri della Hall, ben presto seguito dalla nipote quando anche Meadow strinse il manico della sua valigia: la ragazza, ormai pronta per partire, si gettò un’ultima occhiata alle spalle e alla Hall con un po’ di tiepida malinconia, finendo col sorridere allegra e col strizzare l’occhio a Silas prima di seguire lo zio fuori dall’edificio.
“Gli stai simpatico, te l’ho detto. Ci vediamo cespuglio.”
Silas non rispose, limitandosi ad un ultimo cenno della mano, ma quando anche Meadoe ebbe varcato la soglia grazie a Benoit, che si premurò di aprirle la porta per non scomodarla, il ragazzo si avvicinò ad una delle ampie finestre che fiancheggiavano l’ingresso per osservare la discreta massa di persone radunate sul marciapiede di fronte all’edificio: Sabrina e Joël erano usciti, in piedi sui gradini, impegnati a salutare Anjali, che lui invece aveva salutato a colazione un paio d’ore prima, mentre due taxi aspettavano davanti al marciapiede e un pio di facchini in divisa verde sistemavano il set di valige Louis Vuitton di Anjali nel bagagliaio di una delle due vetture. Alphard Vostokoff stava salutando Briar-Rose Greengrass, e Silas accennò una lieve smorfia con gli angoli delle labbra alla vista dell’ex compagna di scuola: adorava Anjali, ma se si fosse legata definitivamente all’amico della sua ex tiranna dei tempi della scuola non sarebbe più stato tanto felice di recarsi alle sue feste di compleanno.
 
“Fa’ buon viaggio tesoro.”
Sabrina sorrise dolcemente all’amica mentre stringeva le proprie mani sulle spalle esili e lasciate scoperte dal vestito bianco smanicato di Anjali, che ricambiò il sorriso prima di stamparle due ultimi baci su entrambe le guance.
“Lo sarà senz’altro, adoro viaggiare in prima classe, e poi è un volo breve. Joël, comportati bene, saprò e sentirò tutto anche se sarò lontana.”
Dopo aver opportunamente salutato Sabrina Anjali si rivolse a Joël, abbracciando anche lui e risparmiandogli una minaccia: quel giorno si sentiva particolarmente magnanima, ragion per cui non vide la necessità di informarlo di cosa gli avrebbe fatto se avesse dovuto mancare di rispetto alla sua migliore amica.
“Mi mancherai anche tu, bisbetica che non sei altro.”
Come nella migliore tradizione francese anche Joël scoccò due baci sulle guance imbellettate da blush e fard di Anjali, che roteò esasperata gli occhi al cielo prima di scoccargli un’occhiata di mite rimprovero mentre si sistemava con disinvoltura la borsetta firmata Dior sull’incavo del gomito.
Che maleducato. Ma vedi di chiamare se capiti in Francia, ne approfitteremo per vederci.”
“Senz’altro, so che a lungo senza di me non puoi stare.”
Joël le strizzò l’occhio e le sorrise mentre Sabrina allacciava il braccio al suo, e Anjali si allontanò per salutare Briar scoccando un bacio aereo ai suoi due migliori amici, salutandoli definitivamente. Mentre la svizzera abbracciava Briar Alphard, dopo aver salutato l’amica, si diresse a sua volta verso Joël e Sabrina mentre Meadow e Joshua uscivano dall’ingresso dell’Hotel. Meadow fu ben felice di lasciarsi aiutare da un facchino per sistemare i bagagli sul retro del taxi ma Joshua insistette per fare da solo, più che mai sollevato di tornare a casa: non ne poteva più di tutto quel lusso, cominciava ad essere asfissiante.
“È stato un piacere conoscervi. Grazie per tutto Sabrina.”
Alphard si fermò con un sorriso davanti a Joël e a Sabrina, stringendo la mano ad entrambi ed enfatizzando leggermente la presa sulla mano della strega, come a volerla ringraziare mutamente per tutti i consigli che gli aveva dispensato su Anjali Kumar nel corso delle settimane. Un sorrisetto divertito spuntò sulle labbra della francese, che annuì e ricambiò la stretta mentre Joshua e Meadow litigavano a proposito della disposizione delle valige nel bagagliaio: secondo la ragazza lo zio avrebbe dovuto chiederle consiglio vista la sua vasta esperienza in Tetris, ma lui ovviamente voleva fare da solo, col risultato di non riuscire a farci stare una valigia.
“È stato un piacere anche per me. Fai buon viaggio.”
Alphard ricambiò il sorriso prima di stringere la mano anche a Joël, che accennò divertito in direzione di Anjali mentre la svizzera parlava con Briar vicino al ciglio della strada.
“Buona fortuna. Anjali Kumar è impegnativa.”
Il sorriso sul viso di Alphard non vacillò, ma qualcosa nella sua espressione sembrò addolcirsi mentre annuiva, riferendosi alla strega con un che di vagamente adorante nella voce e nello sguardo:
“Lo so. La adoro.”
 
“Non prendi l’aereo con Alphy? Pensavo tornaste insieme.”
Briar, pronta a partire per Londra insieme a Circe e ai suoi bagagli, sorrise e scosse la testa mentre Anjali la guardava sorpresa e forse anche un po’ dispiaciuta perché impossibilitata a compiere il tragitto in treno fino a Nizza in sua compagnia:
“No, non vengo con voi in aeroporto… Non metterei mai Circe in stiva. Prendo una Passaporta, ma rivedrò Alphard a casa ovviamente, le nostre madri ci hanno già costretti ad una cena di famiglia collettiva domani sera.”
“Allora a presto cara. Ciao anche a te signorina, sei proprio una principessa deliziosa.”
Anjali chinò lo sguardo per rivolgersi a Circe e salutare a sua volta la bellissima cagnolona, accarezzandole la testa con un gesto tenero prima che Alphard, alle sue spalle, le ricordasse di dover partire alla svelta per evitare di perdere il treno per Nizza. Anche Joshua e Meadow, che avrebbero preso lo stesso aereo per Londra di Alphard, erano miracolosamente pronti per partire: Joshua aveva minacciato di lasciare nel Principato una delle valige della nipote, ma Meadow, decisa a non tornare a casa senza biancheria intima, aveva rivoluzionato tutta la disposizione del bagagliaio pur di farcela stare. A Joshua, a lavoro ultimato, non era restato che guardare sbigottito la gestione degli spazi prima di rivolgersi stranito alla nipote:
Ma come hai fatto?!”
“Tetris. Forza, sali zio, che perdiamo il treno e voglio tornare a Londra prima di cena!”
“Ultimamente sei sempre più tiranna, sappilo!”
 
Mentre Joshua e Meadow salivano sul primo taxi Anjali si voltò in direzione di Alphard, che l’aspettava accanto al secondo con le mani nelle tasche dei pantaloni fatti su misura e gli occhiali da sole davanti agli occhi scuri.
“Arrivo! A presto Briar.”
Anjali scoccò un ultimo bacio sulla guancia di Briar, che le sorrise prima di guardarla allontanarsi svelta sui tacchi verso Alphard, i capelli perfetti quanto trucco e vestiario. Anjali Kumar doveva essere una di quelle donne odiose che salgono e scendono da un aereo in perfette condizioni, ma in fondo non avrebbe mai potuto nutrire dubbi a riguardo.
“A presto. Ci vediamo domani, Alphy.”
Alphard spalancò con galanteria la portiera del taxi bianco per Anjali, che s’infilò in auto dopo aver spedito un bacio aereo ciascuno per Sabrina e Joël. L’uomo, udito il nomignolo pronunciato dall’amica, s’irrigidì e la fulminò con lo sguardo
“Non ti sognare di chiamarmi così. Mai.”
Dopo aver pronunciato quelle parole Alphard seguì la svizzera all’interno del taxi, ignorando la risatina con cui Briar dimostrò la propria totale incuranza. I taxi stavano ormai partendo quando Meadow abbassò totalmente il finestrino e, essendo seduta sul sedile che dava sulla facciata dell’Hotel, ne approfittò per sporgersi leggermente e informare Joël di quanto adorasse la sua musica mentre l’auto si allontanava lungo la strada. Joël sorrise e la ringraziò con un cenno di saluto della mano, udendo a fatica ciò che Meadow gridò mentre l’auto si allontanava lungo la discesa di Avene de la Madone. Sabrina, che non era riuscita a decifrare l’ultimo messaggio dell’amica del fratello, si voltò accigliata verso il fidanzato senza smettere di tenere il proprio braccio allacciato al suo, guardandolo curiosa:
“Che ha detto?”
“Che siamo bellissimo e non ci dobbiamo lasciare.”
“L’ho detto, che quella ragazza mi è simpatica.”


 
*

 
L’indomani Joël avrebbe lasciato il Principato di Monaco per gli Stati Uniti e quella stessa mattina Sabrina, dopo aver salutato Anjali, aveva dichiarato di volerlo portare in un posto per la loro ultima sera insieme. La strega non aveva voluto saperne di dirgli dove volesse portarlo e dopo molti tentativi di estorsione Joël si era infine arreso, limitandosi a seguirla fuori dall’Hotel dopo aver cenato e a salire in macchina con lei, lasciandosi trasportare per le vie in salita, pittoresche e illuminate dai lampioni della città.
Quando la Giulietta si fermò in uno dei punti più alti della città Joël guardò Sabrina senza capire, chiedendosi perché lo avesse portato davanti ai Jardins Saint-Martin mentre la strega si slacciava la cintura con la massima noncuranza. Di nuovo Sabrina ignorò la sua perplessità e si limitò ad invitarlo a scendere dall’auto, finendo col prenderlo per mano per condurlo, dopo appena un paio di minuti di camminata, davanti all’alta ed imponente facciata del Museo Oceanografico che, naturalmente, era chiuso vista l’ora tarda.
Fu con una certa sorpresa che Joël vide Sabrina dirigersi con estrema disinvoltura verso la massiccia porta d’ingresso a forma d’arco e aprirla con una chiave arrugginita che si sfilò dalla borsetta sotto il suo sguardo attonito, sorridendogli divertita mentre apriva la porta con un cigolio:
“Vivo qui da anni, pensi che non abbia i miei contatti? È il mio posto preferito in città, ti ci volevo portare almeno una volta. Senza la ressa che c’è di solito.”
Di nuovo Sabrina lo prese per mano e lo condusse all’interno dell’edificio, conducendolo prima in una sala che, con gran sgomento del mago, riportava al suo interno la riproduzione in scala di una vera e propria nave e poi al piano inferiore, dove si trovava l’acquario del museo.
I due passeggiarono in silenzio per diversi minuti senza mai lasciare le proprie mani, vagando per i corridoi bui dell’acquario mentre i loro sguardi vagavano sulle finestre delle vasche illuminate dalle luci bluastre e finendo col sedersi sulla panchina posizionata di fronte alla vasca che ospitava una moltitudine di piccoli pesci tropicali, coloratissimi e piuttosto adorabili. Sabrina sedette accanto a Joël appoggiando la testa sulla sua spalla, lasciandosi avvolgere da quel silenzio quasi surreale che tanto aveva sempre apprezzato di quel posto, soprattutto di sera, quando non c’era nessuno. Non aveva mai portato qualcuno con sé in quelle visite serali prima di quella sera, ma voleva che la sua ultima sera con Joël fosse speciale.
“So che devi tornare alla tua vita, ma vorrei che non partissi.”
Sabrina parlò in un sussurro senza smettere di guardare una frotta di minuscoli pesciolini arancioni nuotare in perfetta sincronia, uno accanto all’altro, mentre al contrario Joël distolse lo sguardo dalla vasca per posarlo su di lei, accennando un sorriso mentre annuiva e le sfiorava gentilmente una ciocca di capelli castani che le era quasi scivolata davanti al viso:
“Nemmeno io, ma ci vedremo molto presto. Forse è tempo che io torni in Europa, dopotutto.”
“Ma tu adori gli Stati Uniti. E adori la Louisiana.”
Questa volta Sabrina parlò smettendo di guardare i pesci per ricambiare lo sguardo del mago quasi con una lieve nota di rimprovero, perché in fondo l’idea che stravolgesse la sua vita per lei la faceva sentire in colpa, ma quando vide Joël sorriderle si rilassò. E il suo stomaco, come sempre, fece una capriola all’indietro.
“Ma adoro più te. Non dico che tornerei subito, e mi piacerebbe che tu venissi a trovarmi almeno una volta, perché New Orleans è davvero una città che merita di essere vissuta… Ma penso che poi tornerei, se le cose tra noi dovessero andare bene.”
“Solo se lo vuoi davvero.”
“Certo che lo voglio.”
Joël le sorrise e la guardò con affettuoso rimprovero, come a dirle di non dover nemmeno fare allusioni di quel tipo, prima di tornare a guardare la vasca stringendola a sé con un braccio e appoggiando la testa contro la sua. Dopo qualche altro lungo istante di silenzio Joël la ringraziò di averlo portato lì con un flebile mormorio e Sabrina non rispose, la guancia premuta contro la sua spalla e gli occhi chiusi per imprimere il più possibile quel momento nella sua memoria.
 

 
*

 
30 agosto
 
 
Artemy ebbe l’impressione di vivere una sorta di dejà vu quando scese nella Hall insieme ai suoi bagagli e si diresse al bancone della reception per effettuare il check-out, aspettando pazientemente dietro ad una coppia che parlava con un riconoscibile accento canadese mentre si guardava attorno, catturando le ultime immagini dell’ampia stanza rettangolare dalle pareti blu e i mobili eleganti e costosi.
“Spero che il vostro soggiorno sia stato piacevole… e congratulazioni.”
La stessa strega alta, mora e con gli occhi scuri stava in piedi dietro al bancone esattamente come il giorno in cui Artemy era arrivato. Era solo un po’ più abbronzata rispetto a due mesi e mezzo prima, e anche se non avrebbe saputo dire il perché ebbe l’impressione che fosse anche un po’ più felice e rilassata. Forse l’estate aveva dato i suoi frutti anche per lei, si ritrovò a pensare Artemy mentre la guardava sorridere gentilmente alla coppia che lo precedeva in fila e porgere all’uomo alto che aveva davanti i documenti.
“Grazie.”
La donna mora, con grandi e gentili occhi scuri  e la pelle color caffelatte ricambiò il sorriso di Sabrina mentre con una mano stringeva la borsa e l’altra stava poggiata, forse senza pensarci, per abitudine, sulla pancia prominente. L’uomo invece intascò i documenti prima di prendere le valige, impedendo con un gesto perentorio della mano alla moglie di aiutarlo, e infine ricambiare a sua volta il saluto di Sabrina:
“Lo è stato, grazie. À bientôt.”
Au revoir.”
Sabrina regalò un ultimo sorriso agli Henbane prima di guardarli voltarsi per allontanarsi e dirigersi verso l’uscita. Artemy si spostò di lato per farli passare con maggiore comodità, accennando a sua volta un lieve sorriso di saluto mentre gli sembrava di udire l’attraente concierge con gli occhiali e i lisci capelli castani che più e più volte aveva scorto dietro al bancone nel corso delle settimane riferirsi divertito alla collega dandole della “tenerona”. La donna non sembrò gradire, perché lo fulminò con lo sguardo e gli intimò qualcosa che ad Artemy suonò molto come “Taci e lavora” prima di rivolgersi direttamente a lui essendo giunto il suo turno.
Bonjour. Deve effettuare il check-out?”
“Sì.”
Artemy appoggiò documenti, carta di credito e chiave della sua stanza sul bancone, salutandola per sempre mentre Sabrina tornava ad osservare lo schermo del suo computer, digitando qualcosa con una rapidità impressionante. Forse a furia di stare dietro a quel bancone le dita iniziavano ad avere vita propria, si disse Artemy mentre aspettava pazientemente la fine della procedura stringendo il manico di una delle sue due valige nere.
Quando Sabrina strisciò la carta e Artemy sentì immediatamente il suo conto alleggerirsi di parecchio la strega tornò a rivolgerglisi, guardandolo con i profondi occhi castani e accennando un sorriso proprio come aveva fatto diverse settimane prima:
“Spero che il suo soggiorno sia stato piacevole, Signor Sila.”
“Assolutamente. E il suo albergo è bellissimo.”
Artemy distese le labbra per dar vita ad uno suoi sorrisi migliori e più magnetici mentre riprendeva le carte che Sabrina gli stava porgendo, potendo osservare perfettamente una lieve traccia di compiacimento farsi strada sul bel viso della strega.
“Grazie. Arrivederci. E faccia buon viaggio.”
Artemy ricambiò il saluto prima di girare sui tacchi e allontanarsi insieme alla sua valigia, che era miracolosamente riuscito a farsi bastare per tutte quelle settimane. Non aver avuto quasi nulla per una buona fetta della sua vita gli aveva insegnato a quante cose non fossero affatto indispensabili quando si viaggiava. Mentre si dirigeva verso l’uscita Artemy si sfilò il telefono dalla tasca per avviare una chiamata mentre il portiere gli apriva gentilmente la porta per farlo uscire per l’ultima volta, sorridendo quando qualcuno rispose dopo appena un paio di squilli:
“Ciao straniera. Sto andando all’aeroporto. Vedi di farmi un po’ di compagnia mentre aspetto il volo.”
“Non puoi comprarti un libro o una rivista di gossip come fanno tutti?”
Medea cercò di fingersi infastidita, e Artemy la immaginò seduta da qualche parte con un libro aperto sulle ginocchia dopo aver interrotto la lettura.
“Sei tu la mia rivista di gossip ambulante, sciocca. Hai incontrato qualche potenziale cliente in settimana? Dammi novità.”
 

 
*

 
Aeroporto di Nizza

 
Sabrina si era presa una pausa pranzo libera un po’ più lunga del solito per accompagnare Joël all’aeroporto in auto, sia per rendergli il viaggio più comodo, senza dover prendere il treno, sia per tardare il più possibile l’inevitabile momento dei saluti. Momento che, con gran disappunto di entrambi, arrivò inesorabilmente quando i due si ritrovarono di fronte ai controlli dell’aeroporto.
“Hai qualcosa per passare il tempo? È un volo lungo per la Louisiana.”
“Ho qualcosa de leggere, e poi ci sarà la tv…. E quando proprio non saprò che fare penserò a te, quindi sono sicuro che arriverò a New Orleans prestissimo.”
Joël sorrise, quel sorriso un po’ marpione che due mesi prima avrebbe fatto alzare gli occhi al cielo a Sabrina ma che quel giorno destò un sorriso anche sulle labbra della strega mentre gli solleticava la mascella con le dita, accarezzandogli il viso.
“Chiamami quando atterri. I voli lunghi mi mettono un po’ di inquietudine.”
“Lo farò, promesso. Grazie per avermi accompagnato.”
Joël, che era riuscito ad infilare tutte le sue cose – anche grazie alla magia – in un borsone da viaggio, custodie di violino e sax incluse, si avvicinò alla strega per abbracciarla, stringendole la vita sottile con le braccia mentre le appoggiava la testa sulla spalla, respirando un’ultima volta il suo profumo firmato Chanel mentre i capelli corti di Sabrina gli solleticavano il viso. La strega ricambiò la stretta, anche se la mano destra era impegnata a stringere l’impugnatura del guinzaglio di Pascal, e i due restarono abbracciati e in silenzio per qualche lungo istante, entrambi desiderando di non separarsi, finchè il cagnolino non spezzò la bolla abbaiando giocosamente e mettendo le zampe anteriori sulle gambe di Joël per partecipare ai saluti a sua volta. Il musicista sorrise mentre chinava il capo sul cane, inginocchiandosi davanti a lui per coccolarlo un’ultima volta e lui gli leccava affettuoso le mani:
“Grazie anche a te Pascal, per essere venuto. Mi mancherai. Sarai cresciutissimo quando ci rivedremo. Ovvero molto presto.”
“Io non ti mancherò?”
Sabrina inarcò un sopracciglio mentre guardava Joël smettere di coccolare il cucciolo, che era piuttosto cresciuto rispetto all’inizio dell’estate, per ricambiare il suo sguardo scettico e sfoggiare un ennesimo sorrisetto mentre si rimetteva in piedi:
“Una domanda idiota per una donna così intelligente.”
Sabrina stava per, manco a dirlo, alzare gli occhi al cielo, ma prima di darle il tempo di farlo Joël la baciò, premendole la nuca contro il suo viso con la mano destra mentre con la sinistra tornava a cingerle la vita. Quando le loro labbra si staccarono Sabrina gli sorrise, e lui ricambiò prima di allontanare il viso dal suo, deciso ad andarsene prima che l’idea di separarsi da lei diventasse esageratamente insopportabile:
“Vado, più aspetto e più sarà difficile. Ti aspetto in Louisiana.”
“Non vedo l’ora.”
Sabrina sorrise mentre lo guardava incamminarsi verso i controlli insieme a Pascal, restando immobile dove si trovava per aspettare che lui si voltasse. Quando Joël lo fece e le sorrise un’ultima volta, mandandole un bacio con una mano, il sorriso si allargò sulle labbra di Sabrina mentre Pascal guardava mugolando il musicista allontanarsi e il cuore della padrona si riempiva di qualcosa di completamente nuovo e mai provato.
Sabrina aspettò che Joël si mettesse in fila e che si mescolasse tra le persone in partenza dalla Francia, chi partiva per una vacanza tardiva e chi tornava a casa, e quando non riuscì più a distinguere chiaramente la sua figura tornò a guardare Pascal, rivolgendogli un sorriso tenero e un po’ triste al contempo mentre strattonava con gentilezza il guinzaglio per spingerlo a seguirla:
“Andiamo piccolo. Andiamo a casa.”
 

 
*

 
31 agosto
 

Gideon non aveva avvisato nessuno del suo ritorno, solo e soltanto Pierre, il suo buon, caro e vecchio amico Pierre. In un Hotel non si smetteva mai di lavorare, nessuno lo sapeva meglio di lui, e infatti non si era certo aspettato di varcare la soglia del Le Mirage trovando tutti i suoi dipendenti ad accoglierlo, ma quantomeno si sarebbe aspettato un’accoglienza un po’ più calorosa con almeno si suoi figli ad aspettarlo per salutarlo. Dopo essere sceso dal taxi quando varcò la porta d’ingresso dopo aver calorosamente salutato Benoit ed essersi fermato brevemente a chiacchierare con lui, infatti, trovò solo Pierre ad aspettarlo nella Hall semi-deserta: il sole stava tramontando sul Principato di Monaco e la maggior parte degli ospiti dovevano star cenando, all’Hotel o fuori da lì.
“Monsieur, ben tornato!”
Quando gli occhi cerulei di Pierre si posarono sulla figura alta e slanciata di Gideon, il ricordo di quello che un tempo era stato un fisico piuttosto prestante, l’uomo sorrise e gli si avvicinò per salutarlo, i suoi passi a riecheggiare nella stanza semi-deserta mentre Michel, dietro di lui, assistiva allibito all’inaspettatissimo ritorno del capo supremo.
“Grazie Pierre, è bello vederti. Ma dove sono i ragazzi?! Il loro vecchio padre torna dopo due mesi e non si fanno trovare a salutarlo?”
Dopo aver assestato una poderosa e amichevole pacca sulla spalla di Pierre Gideon si guardò attorno offeso e stizzito, chiedendosi come accidenti potessero i suoi ragazzi essere tanto insensibili mentre l’amico, visibilmente sorpreso, lo guardava perplesso:
“Ma Monsieur, lei ha informato solo me, non i suoi figli.”
“Beh, ma tu non glielo hai detto?”
“Mi ha detto eli di non dirglielo!”
“Ma era psicologia inversa per spingerti a farlo e spingere loro a farmi una sorpresa!”

“Monsieur, lei a volte è davvero troppo contorto. Me lo poteva dire e basta di informarli!”
Pierre guardò l’amico con un raro cipiglio di rimprovero – che di solito riservava solo alle malefatte di Silas – e scuotendo la testa con disapprovazione, ma Gideon liquidò il tutto come sempre con un pigro gesto della mano, quasi stesse scacciando un insetto: era appena tornato e di sicuro non gli andava di discutere. Era fortemente affaticato dopo le sue lunghe vacanze.
“Va beh, va beh, pazienza. Dove sono?”
“Sono usciti una mezz’ora fa.”
Gideon non poté fare a meno di stranirsi parecchio sapendo che i figli fossero usciti in contemporanea, e l’idea, assurda, che fossero usciti insieme lo sfiorò con stupore mentre Michel, raggirato il bancone della reception, si avvicinava per salutare a sua volta il superiore:
“Monsieur, bentornato! Non sapevo rientrasse oggi, Sabrina non me l’ha detto.”
“Sabrina non lo sapeva, per colpa di Pierre. Ma tranquillo amico mio, ti perdono.”
Lei è troppo gentile, Monsieur.”
“Ma Silas e Sabrina sono usciti nello stesso momento o sono usciti insieme? Perché è una cosa ben diversa.”
“Credo insieme. Almeno è l’impressione che ho avuto.”
Pierre si strinse nelle spalle mentre Michel, accanto a lui, si asteneva dal chiedersi a voce alta che cosa fosse successo di recente alla sua amica, che ultimamente gli era sembrata straordinariamente più bendisposta nei confronti del fratello minore. Michel poteva solo sperare che i tempi delle loro coalizioni ai suoi danni non fossero finiti, ma ovviamente non disse nulla davanti a Gideon mentre l’uomo, dopo aver riflettuto brevemente, annuiva con un cenno del capo:
“Bene, penso di sapere dove poterli trovare. Occupatevi delle mie valige e avvisate Claude che sono tornato, quando tornerò voglio gustarmi la cena, mi è mancata la sua cucina.”
“Oui Monsieur.”
Michel annuì, aspettando che Gideon desse le spalle a lui e a Pierre per dirigersi verso l’uscita per chiamare un facchino e fare in modo che i bagagli del proprietario venissero portati nel suo appartamento al piano di sopra.
I due erano appena rimasti soli quando il concierge si rivolse con evidente scetticismo a Pierre, che invece sembrava sorridere divertito e piuttosto compiaciuto:
“Davvero quei due sono usciti insieme?”
“I miracoli della bella stagione, Michel.”


 
*
 

Non fu difficile trovare i suoi figli, per Gideon St John, e nemmeno una sorpresa arrivare nel posto giusto al primo tentativo. La sorpresa, semmai, fu il trovarli insieme.
La spiaggia libera di Monte Carlo era deserta: la maggior parte dei bagnanti l’aveva già lasciata per cenare, anche se alcuni di loro sarebbero di certo tornati per godersi l’esperienza di un bagno notturno, senza la luce del sole a brillare sul Principato e sul Mediterraneo. Gideon, quindi, individuò le sagome dei suoi due figli, forse le uniche persone che davvero aveva amato in tutta la sua vita, non appena giunse sul limitare della spiaggia, sfilandosi i mocassini Tod’s per non sporcarli prima di incamminarsi sulla spiaggia che ormai conosceva più di qualsiasi altra a piedi scalzi.
Silas e Sabrina sedevano vicino alla riva, stagliati contro la calda luce dorata del tramonto e il cielo striato di rosa, entrambi con le gambe raccolte contro il petto con le braccia abbronzate. Stavano parlando, Gideon non poteva sapere di cose, ma avvicinandosi si chiese se i due si fossero resi conto di essere seduti nella stessa identica posizione, cosa che allargò il sorriso sul volto abbronzato del padre. L’uomo li raggiunse mentre qualche gabbiano strideva in lontananza e un’onda s’infrangeva con un dolce fragore sulla sabbia bagnata davanti a loro, sorridendo prima di fermarsi e palesare la propria presenza:
“Allora avete imparato qualcosa, quest’estate.”
“Papà?! Che ci fai qui? Pensavamo tornassi domani!”
Dopo una breve esitazione dettata dalla sorpresa Silas si alzò e subito abbracciò il padre, gettandogli le braccia al collo per stringerlo in una morsa calorosa e piena d’affetto. Sabrina, da sempre più abile nel celare le proprie emozioni, si limitò a guardare i due salutarsi senza muoversi, osservando accigliata il padre e i suoi occhi celesti brillare ancor più del solito grazie all’abbronzatura mentre Gideon arruffava affettuosamente i ricci scuri del secondogenito:
“Pierre mi ha detto che ti sei comportato bene, sono fiero di te.”
“Lo sapevo che ti facevi passare informazioni da Pierre. Anche Sabrina è orgogliosa di me, e lei è il mio critico più severo.”
Silas sorrise compiaciuto mentre accennava in direzione della sorella maggiore, ancora seduta sulla sabbia con una camicia bianca troppo larga, rubata a Joël, allacciata sopra ad un costume rosso.
“Beh, non ho proprio detto così, ho detto che mi sento piacevolmente sorpresa dal tuo comportamento. Ciao papà.”
“Ciao tesoro.”
Visto che Sabrina non accennava a volersi alzare fu Gideon a raggiungerla, chinandosi per darle un bacio su una guancia prima di sedersi accanto a lei sulla sabbia con un po’ di fatica – le sue ginocchia non furono molto d’accordo, ma cosa non si fa per i propri ragazzi? – e prendersi qualche istante per godersi a sua volta il panorama, godendosi il suo ormai familiare e amato Mediterraneo e respirando piacevolmente l’aria salmastra. Silas tornò a sedersi a sua volta alla sinistra della sorella e per un paio di minuti nessuno dei tre disse nulla, finchè Gideon non tornò a sorridere senza smettere di guardare il mare:
“Ci voleva proprio una bella vacanza prima di andarmene in pensione. E lo sapevo anche prima, ma adesso ho la certezza che l’Hotel sarà in buone mani.”
Gideon volse lo sguardo sulla figlia e Sabrina ricambiò, guardandolo inarcando un sopracciglio a metà tra il sentirsi scettica e speranzosa: non aveva mai voluto nient’altro a parte rendersi degna della sua attenzione e viceversa rendere suo padre fiero di lei.
“Davvero?”
“Certo. E ovviamente Silas potrà darti una mano, se vuole. In caso contrario parleremo della sua necessità di trovarsi un lavoro quando farà ritorno in Inghilterra.”
“Non penso di volermi trasferire qui papà. Mi manca l’Inghilterra, ma potrei aiutare Sabs in estate d’ora in poi.”
“Beh, in ogni caso quest’estate ti è stata di lezione. A tutti e due. Non che tu prima non lavorassi bene e non ti impegnassi Sabrina, ma senza di me avete imparato ad andare più d0accrdo, da quello che so. Forse c’era proprio bisogno che io levassi la mia ingombrante presenza, ma ci ho messo molti anni per rendermene conto.”
Suo padre era forse la persona più egocentrica che avesse mai conosciuto e Sabrina non se ne stupì affatto, ma si limitò a sorridere senza dar voce ai suoi pensieri mentre si allungava verso di lui per circondargli le spalle con un braccio, donandogli finalmente un abbraccio di bentornato a casa.
Per qualche minuto i tre si limitarono ad osservare le onde infrangersi sulla riva, ognuno immerso nel proprio mare di pensieri, finchè Gideon non sorrise, non battè le mani e si alzò invitando con un cenno i figli a fare altrettanto:
“Bene, ora alzatevi e torniamo all’Hotel, devo salutare i miei bambini adorati.”
“Certo, pensavi forse che noi gli fossimo mancati più dei suoi cani?”
Una volta alzatosi in piedi Silas allungò le braccia verso Sabrina per aiutarla a fare altrettanto gettando un’occhiata in tralice in direzione del padre, che gettò loro una rapida occhiata sostenuta mentre Sabrina ridacchiava prima di incamminarsi precedendoli verso la strada sempre con i mocassini in mano, l’indice della mano destra sollevato come se volesse impartir loro una lezione importante:
“Vi dirò una cosa. Loro non si lamentano, non litigano, non pretendono nulla e non mi danno rogne. Dovreste prendere esempio.”
Silas e Sabrina non risposero, si limitarono a seguire il padre scambiandosi un’occhiata in tralice. Infine sorrisero prima di raggiungerlo e prenderlo ciascuno per un braccio, chiedendogli se avesse portato qualche regalo per loro dal suo viaggio come quando erano piccoli.
“Quasi mi fate venire voglia di tornare a Saint Tropez.”
 



 
 
 
 
 

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Angolo Autrice:
E miracolosamente questa volta sono effettivamente puntuale, halleluja!
Spero che questo ultimo capitolo di chiusura sia stato di vostro gradimento, ci vediamo molto presto, spero la prossima settimana, con l’epilogo e la conclusione vera e propria.
A presto e buon weekend!
Signorina Granger

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 

 
Un anno dopo
 
Nizza

 
 
Era una bella giornata di fine estate e le stanze dell’appartamento all’ultimo piano di un elegante condominio che si affacciava sul mare, a poche centinaia di metri dalla spiaggia, erano inondante di luce naturale grazie alle ampie vetrate dagli infissi bianchi che costellavano la facciata rivolta verso il Mediterraneo. Stanze e corridoi erano ancora praticamente vuoti e i passi di Sabrina echeggiavano all’interno dell’appartamento, così come la voce della strega mentre parlava al telefono con la sua migliore amica:
“Vorrei tanto raggiungerti per un weekend di shopping e aperitivi mentre Alphard è a Londra, ma non mi fido a lasciare Joël da solo a sovraintendere ai lavori.”  Sabrina parlò mentre attraversava la porzione di corridoio, il pavimento ricoperto dal parquet chiaro a spiga che lei stessa aveva scelto qualche settimana prima, che consentiva di affacciarsi all’interno del salone ancora vuoto, accennando un sorriso con gli angoli delle labbra mentre guardava gli operai montare le librerie bianche che presto avrebbero contenuto i libri e i vinili suoi e di Joël.
“Non preoccuparti, capisco perfettamente, non mi fiderei nemmeno io. E poi l’arredo è la parte più divertente di comprare casa, non te ne farò privare nemmeno per fare compagnia alla tua povera migliore amica rimasta sola a Zurigo per il weekend.”
A molti chilometri di distanza, in panciolle sul suo comodo ed immenso divano color crema, Anjali Kumar sfogliava l’ultimo numero di Vogue America – era abbonata a più edizioni per tenersi il più aggiornata possibile naturalmente – con le AirPods bianche infilate nelle orecchie, il telefono appoggiato sull’elegante tavolino da caffè di marmo bianco con venature che lei stessa aveva comprato, insieme ad Alphard, solo pochi mesi prima. Una ciotola di frutta di ceramica giaceva accanto al telefono, dalla quale la strega di tanto in tanto prelevava un mirtillo o un lampone succoso.
Dall’altro capo del telefono a Sabrina non restò che sorridere mentre si fermava di fronte al quadro che aveva appeso sulla porzione di parete bianca dell’ampio e luminoso corridoio che affiancava la porta a doppia anta di quella che sarebbe stata la sua nuova camera da letto, osservando con affetto le Ninfee di Monet mentre una tela che raffigurava un’elegante gigantografia di Audrey Hepburn di profilo in bianco e nero aspettava di essere appesa sopra alla testata del letto, appoggiata alla parete. Sabrina sfiorò la tela che aveva imposto a Joël di appendere in camera da letto senza riuscire a non sorridere, facendo appello a tutte le sue doti attoriali per non farsi sfuggire nulla nella conversazione in corso:
“Guarda il lato positivo, hai del tempo tutto per tè. Di tanto in tanto fa bene anche alle coppie.”
“Certo, ma non capisco proprio perché Alphard sia stato così vago e abbia quasi insistito perché non andassi con lui. Se non mi fidassi ciecamente avrei qualche sospetto.”
Anjali sbuffò leggermente dal suo enorme salotto zurighese mentre addentava un lampone, facendosi avvolgere la bocca dal succo dolce e acidulo al tempo stesso del frutto mentre ripensava, corrucciata, a quando Alphard aveva fatto la valigia per Londra assicurandole che seguirlo sarebbe stato inutile: sarebbe stato talmente impegnato che non avrebbero potuto passare molto tempo insieme in ogni caso, quindi tanto valeva che restasse a casa a rilassarsi, in Svizzera. Teoricamente il discorso filava, ma di norma Alphard la lasciava sola con un po’ più di rammarico, invece il giorno prima se l’era filata in aeroporto quasi con cenni di allegria sospetta.
“Sono sicura che sono solo paranoie, Alphard ti adora e adora stare con te. Sapeva di avere molti impegni di lavoro in programma e ha immaginato che ti saresti annoiata, probabilmente. Credimi, penso sia stato un bene per te restare a casa, sono solo due giorni.”
“Sì, ha detto qualcosa di simile anche lui. Suppongo che sia la visione più razionale della cosa.”
Sabrina annuì, anche se l’amica non poteva vederla, sperando che la svizzera non si stesse interrogato sul perché lei e il fidanzato le avessero esposto le medesime argomentazioni. Fortunatamemte Joël la salvò avvicinandolesi prima di fermarsi alle sue spalle, abbracciandola per la vita e appoggiando il mento sulla sua spalla per scoccarle un bacio sul collo:
“Chi è che ti sta monopolizzando? La Svizzera?”
“Temo proprio di sì. Parlaci, se hai da ridire.”
Sabrina ruotò leggermente il capo verso il fidanzato per passargli il telefono e Joël non si fece pregare prima di prenderlo e rivolgersi all’amica senza smettere di stringere a sé la francese:
“Anjali, ti voglio bene ma smettila di monopolizzare la mia fidanzata. Abbiamo delle stronzate da comprare, come federe, cuscini o… non lo so, sottobicchieri che non servono a nulla.”
“Servono eccome, non passerò l’esistenza a pulire aloni sul costosissimo tavolo di marmo che ho comprato! E servono anche i portatovaglioli per quando verranno ospiti.”
“Brava, quelli sono importantissimi!”
Era una fortuna che Anjali non li avesse raggiunti per il weekend, si ritrovò a considerare Joël mentre alzava gli occhi al cielo e Sabrina ridacchiava, o avrebbe convinto la fidanzata a proposito dell’estrema necessità di un mucchio di accessori futili di cui non avevano alcun bisogno.
“Sabrina ti richiama dopo, non voglio che tu le consigli altre trecento cazzate da comprare. Come hai già fatto per due settimane quando tu e Alphard siete stati all’Hotel e voi andavate troppo spesso nei vostri amati negozi di cose per la casa.”
Anjali obbiettò, o almeno ci provò, ma prima di darle il tempo di farsi ripassare Sabrina Joël pose alla chiamata, restituendo il telefono alla legittima proprietaria mentre costei si voltava per poterlo guardare in volto e circondargli il collo con le braccia.
“Io adoro i negozi di cose per la casa.”
Sabrina parlò abbozzando un adorabile ed irresistibile broncio di fronte al quale Joël non poté che sorridere, annuendo mentre le accarezzava il braccio abbronzato lasciato nudo dalla sua camicetta smanicata con il fiocco di raso:
“Lo so. È solo per questo che mi ci faccio portare.”
Sabrina sorrise prima di baciarlo, appoggiando dolcemente e brevemente le labbra sulle sue prima di staccarsi di qualche centimetro, accarezzandogli i lisci capelli castano con la mano destra prima di parlare con il tono che sfoderava solo quando era in vena di fare richieste che sapeva il fidanzato non avrebbe gradito:
“Joël?”
“Mh?”
“Penso che comprerò i portasapone e i portaspazzolini abbinati per tutti i bagni. Che ne dici di beige per il nostro e bianchi per quello degli ospiti?”
Un sorriso radioso – come si poteva essere così elettrizzati per degli accessori per il bagno, Joël proprio non lo capiva – apparve sulla labbra carnose di Sabrina mentre la strega gli accarezzava i capelli con una mano e il colletto della camicia a maniche corte con l’altra, portando il francese a scuotere il capo affranto:
“Povero me. Mi hai trasformato nell’ombra di me stesso. Ora compro accessori per il bagno.”
Joël scosse la testa con un sospiro studiato e Sabrina rise, ricordandogli di essere stata così buona da cedergli un’intera stanza per insonorizzarla e renderla la sua oasi per scrivere e suonare.
“Ho rinunciato alla sala film per te, se non è amore questo non so che cosa sia!”
“Sbaglio o hai la cabina armadio?”
“Dettagli. Anjali non sospetta nulla, credo. Insomma, ho fatto del mio meglio. Vorrei che Alphard non me l’avesse detto, sarà difficilissimo tenere la bocca chiusa.”
Sabrina sospirò mentre tornava ad allacciare le dita delle mani abbronzate sul retro del collo del fidanzato, che accennò il suo celebre “sorrisetto marpione”, così ribattezzato da Anjali, prima di attirarla a sé per baciarla stringendola delicatamente per la vita:
“Tranquilla, a non farti parlare con lei ci penso io. Pensi che ci vorrà molto perché la camera da letto sia pronta? Lo monto io il letto, se necessario.”
Sabrina rise e lo colpì dolcemente sulla spalla per intimargli di stare zitto, ma Joël le assicurò di non scherzare mentre accennava un sorriso a sua volta e appoggiava la fronte contro la sua. Felice in maniera incommensurabile.
 
 
*
 
 
Londra
 
 
Artemy non era mai stato circondato da una dose tanto massiccia di rosa in tutta la sua vita: la pareti della pasticceria in cui si trovava erano rosa; le sedie erano rosa, così come la facciata del locale, i fiori che decoravano tavoli e mensole. Persino i piattini delle tazze di caffè erano tinti di una delicata tonalità rosa pallido e, ciliegina sulla torta, anche tutti i dolci che venivano serviti. Tra lui e colei che gli stava facendo da guida per il weekend era stata infatti posizionata un’alzata per dolci – miracolosamente bianca – ricca di cupcake, delicate tartine glassate e macarons, ognuno decorato con almeno un più o meno consistente tocco di rosa.
“Posso essere onesto? Non ti facevo tipa da posti così… stucchevoli.”
“Vero? nemmeno io. Ma i dolci sono ottimi. E poi tutti i turisti si fiondano qui, ormai non puoi dire di aver visto Londra senza essere stato da Peggy Porschen.”
Medea si strinse debolmente nelle spalle mentre si portava la tazza di porcellana rosa piena di cappuccino alle labbra, assaporando piacevolmente una sorsata di caffè arricchito da una generosa dose di schiuma lattea e una spruzzata di cannella. La strega si leccò soddisfatta le labbra carnose mentre sistemava nuovamente la tazza sul piattino prima di accennare un sorriso all’amico, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolino dal ripiano marmoreo che avevano occupato per dedicargli tutta la sua attenzione:
“Allora, che mi racconti? E soprattutto, sei pronto a conoscere mia nonna?”
“Spero di sì. ammetto di essere un po’ intimorito, e non è una cosa che mi capita spesso.”
Artemy allungò una mano verso l’alzata per dolci per prelevare un cupcake glassato di rosa, osservando il dolcetto quasi con rammarico prima di abbassare i bordi del pirottino di carta che avvolgeva la tortina per assaggiarlo: erano talmente carini, quei dolci, da far quasi desistere dall’intento di mangiarli, ma mentre ne masticava un primo boccone si ritrovò a concordare silenziosamente con l’amica. Era davvero delizioso.
“Nonna lo prenderà come un complimento. Ricorda solo di chiamarla Hestia, non Signora, la fa sentire vecchia. In realtà è una nonna piuttosto giovane, ha avuto mia madre ad appena 20 anni.”
Medea si strinse nelle spalle mentre prendeva un macaron bianco come il latte, addentandolo e ripensando alle file e file di persone che aspettavano il proprio turno di essere servite davanti ai negozi di Pierre Hermé o di Ladurée per acquistare deliziosi e delicati, nonché costosissimi, dolcetti francesi del tutto simili a quello. Era già passato un anno dalla sua “vacanza” nel Principato di Monaco, eppure ricordava quei giorni afosi e vissuti in mezzo ad un lusso al quale non si era mai del tutto abituata come fossero passati da pochissimo, sensazione che si acuiva ogni volta in cui lei e Artemy si vedevano: ad ogni incontro sembrava che le settimane e i mesi passati separati da ampie distanze si dissolvessero, quasi non avessero mai lasciato la Costa Azzura.
“Me lo ricorderò. È strano, non sono esattamente il tipo di persona che si presenta alla famiglia. Che le hai detto del mio lavoro?”
“Oh, a lei non si può mentire. Glie l’ho detto, ma non l’ha presa male. È una donna moderna, del resto mi ha praticamente cresciuta lei, quando mia madre insegnava per troppe ore al giorno per poter badare a me. Ci è rimasta un po’ male, al tempo quando le dissi di aver fatto amicizia si illuse seriamente sul mio poter aver finalmente trovato un fidanzato. Mi disse che ero come la protagonista di Rebecca la prima moglie, che trova un uomo in un Hotel di lusso a Monaco.”
“E invece hai solo trovato un amico che di norma fa pagare la propria compagnia. Ma non ti è andata male, per te è gratis.”
Artemy sorrise con fare seducente e le strizzò l’occhio prima di bere un sorso di caffè a sua volta, stupendosi di quanto incredibilmente gradevole fosse quella brodaglia britannica mentre Medea alzava gli occhi al cielo prima di rubargli l’ultima crostatina alla crema di ricotta.
“Forse è questo il nostro destino. Ci sederemo uno di fronte all’altra a bere, mangiare e chiacchierare fino alla fine dei tempi, senza storie romantiche da raccontare.”
“Non essere così fatalista, siamo giovani. Beh, io più di te.”
Questa volta Medea non gli risparmiò una poderosa pedata sullo stinco, strappandogli una risata prima che il ragazzo si allungasse per prendere a sua volta un macaron:
“C’è chi è più o meno fortunato di altri, ma forse prima o poi troveremo qualcuno anche noi, chissà. Alla peggio, c’è gente che fa quei patti sul vivere insieme una volta compiuti 40 anni se si dovesse essere ancora single.”
“Sì, ma i 40 anni di chi? Miei o tuoi? Per i miei manca meno, facciamo i tuoi, così abbiamo più speranze.”
Artemy annuì per suggellare quel patto prima di sollevare la propria tazza rosa, gli occhi scuri fissi in quelli dell’amica mentre pronunciava il suo brindisi con la massima solennità:
“Alla totale assenza di romanticismo nelle nostre vite.”
“All’assenza di romanticismo.”  Medea annuì mentre lo imitava, sollevando la propria tazza per farla tintinnare contro quella dell’amico prima di sorseggiare come Artemy un altro po’ di caffè. Avevano entrambi appena risistemato le tazze sui rispettivi piattini quando la britannica, dopo aver riflettuto brevemente fissando assorta la strada di Belgravia affollata da turisti e passanti attraverso la finestra accanto alla quale erano seduti, tornò a rivolgersi all’amico con le sopracciglia aggrottate e un’espressione quasi grave impressa sul bel viso:
“Posso venire a trovarti a San Valentino? Londra a San Valentino diventa nauseabonda. Tutto quell’amore nell’aria e quell’atmosfera alla Love Actually… orripilante.”
“Pazzesco che tu non abbia un fidanzato, sei una donna talmente romantica e aperta all’amore…”
 
 
*
 
 
“Allora, alla fine hai deciso?”
Briar-Rose sorrise al suo migliore amico mentre camminava per Bond Street tenendolo sottobraccio, una piccola Michael Kors bianca in spalla abbinata ai sandali col tacco del medesimo colore e un bicchiere di carta pieno di caffè freddo alla nocciola in mano, avvolta da un completino leggero color menta composto da gonna e top abbinato mentre Alphard, al contrario, vestiva di blu e cammello.
“Sì, Harry Winston. Anjali lo adora.”
Gli occhi scuri celati dalle lenti degli occhiali firmati Tom Ford, Alphard camminava tenendo il braccio destro allacciato a quello esile dell’amica e la mano sinistra infilata in tasca, vagliando le vetrine luccicanti dei negozi tra i più costosi della metropoli in cerca della loro destinazione ultima, ovvero una costosissima gioielleria.
“Tesoro, praticamente ogni donna sul pianeta lo adora. Comunque ottima scelta, sono sicura che troveremo qualcosa di fenomenale. Del resto hai il mio ottimo gusto dalla tua.”
Briar sorrise, gongolando visibilmente mentre si portava il bicchiere di carta alle labbra per vuotarlo prima di giungere a destinazione – di sicuro gli imponenti buttafuori in abito scuro non le avrebbero permesso di varcare la soglia di un negozio il cui contenuto valeva milioni con una bevanda alla mano – mentre Alphard, incapace di reprimere un sorriso a sua volta, smetteva di guardarsi attorno per posare lo sguardo su di lei:
“Sai che apprezzo molto il tuo gusto, e infatti sono qui per questo, ma non darti tante arie. Anche il mio è fenomenale. Solo, ritengo che questo sia un acquisto che necessita di un consiglio.”
“Vorrei ben vedere, è uno degli acquisti più importanti della tua vita. Quello che la cambierà, per lo meno. Non riesco a credere che ti sposi, tu, l’allergico alle relazioni serie, non sai quanto siamo felici in famiglia! Insomma, quando siamo partiti per Monte Carlo, l’anno scorso, lo avresti detto, che entro un anno ti saresti fidanzato ufficialmente?”
“No di certo, ma ricorda che prima di essere fidanzato ufficialmente Anjali deve dirmi di sì.”
I due si fermarono sul marciapiede per consentire alla strega di gettare il bicchiere vuoto in un cestino e Briar, dopo essersi sistemata la borsetta sulla spalla, sbuffò sonoramente gettandogli un’occhiata esasperata:
“E perché dovrebbe dirti di no, scusa, ti ama follemente quanto tu ami lei. Siete perfetti insieme, aspettare non ha senso. Qualcuno potrà anche dirvi che state facendo le cose di fretta, vi conoscete da un anno e siete andati a vivere insieme già a marzo… e ora le chiederai di sposarti, ma fai bene, se è la persona giusta aspettare è sciocco, anche perché tu non ringiovanisci col tempo.”
Grazie tante.”
“Beh, scusa, ma hai già aspettato parecchio per sistemarti, ora che hai trovato la tua metà della mela è ora di darsi da fare.”
“Spero solo che mia madre non cominci a chiedere quando diventerà nonna il giorno dopo il matrimonio. Conoscendola, non mi stupirebbe.”

 
*

 
Toronto
 
 
“Chi è la bambina più dolce e carina del mondo?”
Mia Henbane di storie sui padri che finivano con il rincoglionirsi totalmente di fronte ad una figlia ne aveva sentite tante, e quando aveva dato alla luce la sua primogenita e scoperto così il suo essere una femmina aveva immaginato che potesse succedere anche a suo marito. Di sicuro non aveva contemplato una situazione così drastica, si disse la giornalista mentre riordinava i costumini e i body puliti della figlia, che a breve avrebbe compiuto un anno, per rimetterli nella cassettiera della sua cameretta bianca e color crema.
Mentre piegava i vestiti con gesti ormai rapidi e quasi automatici a fronte di mesi e mesi di esperienza Mia gettava occhiate divertite in direzione del marito, che aveva appena cambiato Rosaleen e le stava parlando con la solita vocina stridula e dall’intonazione imbecille che solo un tenero cucciolo o un bambino erano in grado di destare in una persona adulta.
Naturalmente Rosaleen non poté rispondere alla domanda del padre, ma gli sorrise e si esibì in una risatina adorabile mentre il padre le solleticava delicatamente il pancino pallido.
“Non so proprio come farai al suo compleanno, il mese prossimo. Davvero, piangerai per tutto il tempo?”
Mia sorrise al marito mentre chiudeva il primo cassetto della cassettiera di legno bianca per passare al successivo e riempirlo con i costumi e le cuffiette variopinte della bimba, guardandolo infilarle una minuscola magliettina sopra al body bianco prima di prenderla in braccio.
“Probabilmente sì, per fortuna io sarò quello che farà le foto e i video, quindi non resterà il ricordo dei miei fiumi di lacrime da papà orgoglioso. Come fai ad avere già undici mesi, signorina?”
Sloan scoccò un sonoro bacio sulla guancia paffutella, pallida e liscissima della figlia prima di picchiettarsi la propria con un dito, invitandola a ricambiare. La bambina gli mise le minuscole mani sul viso e gli regalò un bacio con un sorriso semi sdentato mentre ricambiava lo sguardo del padre con i grandi e profondi occhi scuri ereditati dalla madre, che invece smise di piegare i suoi vestitini per scoccare un’occhiata perplessa alla maglietta che il marito le aveva infilato. Una maglietta che di sicuro non era stata lei a comprarle e che non le aveva mai visto addosso.
“Scusa Sloan, da dove viene quella?”
“La maglia di Rosie? Glie l’hanno regalata i ragazzi della squadra, me l’hanno data ieri dopo l’allenamento, ti piace?”
Un sorriso ancor più radioso allargò le labbra di Sloan mentre accennava alla maglietta a maniche corte indossata dalla figlia, con tanto di numero 1 dorato stampato sul davanti e, come Sloan non tardò a mostrare alla moglie, la scritta in stampatello “Henbane” sulla schiena.
“La stai già indottrinando a diventare una giocatrice di Quodpot? Non hai intenzione di regalarle una mini scopa giocattolo per il suo primo compleanno, vero?”
A dire la verità la scopa giocattolo Sloan l’aveva già comprata e fatta incartare proprio per evitare che la moglie la vedesse prima del dovuto visto quando Mia era notoriamente contraria all’idea che la figlia svolazzasse dentro casa rischiando di schiantarsi contro mobili e pareti, anche se la scopa si librava al massimo ad un metro da terra. Ma il suo regalo Mia lo avrebbe visto solo alla festa della piccola e circondata da parenti e amici non avrebbe potuto sgridarlo. Il suo piano era perfetto.
“No, no, assolutamente. Cioè, se non dovesse piacerle il Quodpot lo accetterò. Mi ci vorrebbero dieci anni, fiumi di lacrime e molte bottiglie, ma lo accetterò. Tutto fuorché non diventi fan del Quidditch.”

 
*

 
Salem
 
 
“Quefto cheeseburger è buoniffimo.”
Meadow parlò stringendo tra le mani un enorme doppio cheeseburger farcito, lo sguardo sognante e adorante mentre ne masticava un boccone con gli angoli delle labbra sporchi di honey mustard.
Silas, seduto di fronte a lei accanto ad Asher, annuì mentre rimetteva il suo enorme panino mangiato a metà sul piatto per prendere un paio di nachos alla paprika farciti da formaggio filante dall’enorme piatto circolare che era stato depositato un mezzo a loro, sgranocchiando con estrema gioia le patatine di mais leggermente piccati:
“Assolutamente, morivo dalla voglia di tornare qui da quando ci siamo stati a marzo.”
“Sì, qui tutti adorano il Village Tavern.”
Asher annuì mentre immergeva un paio di patatine nella ciotola di maionese alle erbette che gli era stata portata insieme al suo cheeseburger, felice di poter finalmente gustare un pasto in uno dei suoi posti preferiti della città insieme ai suoi amici che vivevano oltreoceano.
“Lo zio era felicissimo di andare a vedere il Museo delle Streghe di Salem, tua mamma è stata gentile e offrirsi di fargli da guida.”
“Sei matta, lei vive per il suo lavoro, lo adora. L’anno scorso, quando siete venuti per Halloween, mi ha ordinato di portavi al museo affinché lo vedeste. A proposito, mia nonna ci aspetta nel pomeriggio per offrirvi tutto ciò che vi pare.”
Asher addentò il suo hamburger mentre Silas sbuffava debolmente mentre prendeva il suo boccale di birra, non tanto per il suo non gradire la proposta quanto per la spiacevole sensazione di scroccare:
“Non credo sia giusto che i tuoi nonni ci regalino roba, con tutto quello che lavorano.”
“Sbaglio o a dicembre tu, Silas, mi hai ospitato a casa tua per una settimana intera e tu, Meadow, mi hai pagato il volo di ritorno? È il minimo. E oggi, infatti, offro io.”
Come sempre Meadow fece per ribattere prontamente, in procinto di portarsi alle labbra e ingurgitare una generosa manciata di nachos, ma l’occhiata che Asher lanciò a lei e a Silas fu sufficientemente eloquente e perentoria da far desistere la strega, che finì con l’arrendersi prima di accennare un sorriso accondiscendente e cambiare discorso:
“Come va il lavoro in libreria?”
“Bene, anche se mi costa molto: non faccio che ritrovarmi tra le mani libri che vorrei comprare, quindi lavoro per pagarmi ciò che mi costa il lavoro stesso. Però mi piace molto.”
“Beato te, io in ufficio con il fratello di mamma mi annoio da morire. Quasi rimpiango Michel che mi fa lavare la piscina. Quasi. Per lo meno quest’estate lui e Sabrina non mi hanno torturato particolarmente, lei era troppo impegnata ad amoreggiare col suo fidanzato.”
Silas fece spallucce mentre prendeva una salvietta per pulirsi le dita dal sale e dall’unto rilasciato dal fritto e Meadow, captato un qualche accenno alla sorella dell’amico, subito si voltò verso di lui per guardarlo sognante e piena di invidia al tempo stesso:
“Come sta la coppia più bella che esista?”
“Bene, stanno arredando casa a Nizza, la prossima settimana siamo tutti invitati a cena da loro.”
“Quanto li invidio. Non fossero bellissimi li odierei. E a proposito di relazioni, c’è qualche novità? No Silas, non parlo con te, so tutto della tipa con cui ti vedi da fine luglio e non vedo l’ora di vederti mollarla da quanto è odiosa.”
Meadow puntò eloquentemente gli occhi a mandorla su Asher, piena d’aspettativa e in attesa, liquidando Silas con un gesto della mano senza neanche guardarlo e ignorando così l’espressione offesa che fece rapidamente capolino sul bel viso abbronzato dell’amico. Asher esitò mentre sentiva un accenno di rossore diffonderglisi sul volto pallido, chinando lo sguardo imbarazzato sul suo piatto prima di lasciarsi rotolare un flebile mormorio dalle labbra:
“Beh, c’è un ragazzo molto carino che viene spesso in libreria…”
Meadow aveva avuto la pessima idea di bere un sorso d’acqua proprio quando Asher era stato in procinto di rispondere alla sua domanda, e la strega finì col farsela quasi andare di traverso e tossicchiare rumorosamente prima di rimettere il bicchiere sul tavolo e puntare, una volta ripresasi, gli occhi scuri resi momentaneamente lucidi dallo sforzo sull’amico con aria sgomenta e meravigliata al tempo stesso:
“Porca paletta, come in Notting Hill! Tu sei Hugh!”
Naturalmente Asher sapeva che quelle sarebbero state esattamente le parole che Meadow avrebbe pronunciato sin da quando era stato costretto a guardare quello che lei aveva definito “un classico intramontabile”, dove un affascinante librario si innamorava di una diva del cinema. E sapeva anche che i suoi due amici britannici avrebbero appreso la notizia con entusiasmo spropositato visto e considerato che per mesi e mesi, a seguito della brusca rottura con Ridge, non ne aveva voluto sapere di uscire con nessuno, né di prendere anche solo vagamente in considerazione l’idea di potersi far piacere qualcuno. Per questo motivo, essendosi preparato, si affrettò a smontare gli entusiasmi con il tono più pacato che gli riuscì, sforzandosi di dissimulare il proprio interesse per il ragazzo in questione:
“Non penso che sia un attore famoso in incognito, a dire il vero… e poi è troppo bello per me, non c’è speranza.”
“Tu sei carinissimo, cretino che non sei altro. E devo ricordarti che l’ultima persona con cui sei stato era, ad onor del vero, pessima quanto obbiettivamente attraente? Sei troppo insicuro in maniera immotivata.”
Meadow scosse la testa con disapprovazione mentre rubava un paio di patatine dal piatto di Silas avendo esaurito le proprie, ignorando l’occhiataccia che l’amico le scoccò prima che il ragazzo si rivolgesse ad Asher sporgendosi verso di lui sul tavolo con il preciso intento di farsi gli affaracci altrui:
“Concordo con tutto, ma basta piagnistei, faccelo vedere. Fuori il profilo Instagram.”
 
Mezz’ora, molte chiacchiere, troppo cibo e un profilo Instagram stalkerato dopo Silas, Asher e Meadow uscirono dal pub dopo che il secondo ebbe pagato il conto, felice di essere stato lui, per una volta, ad offrire un pasto ai suoi amici. I tre avevano appena messo piede nel parcheggio quando Meadow, mentre alle sue spalle Silas cercava di convincere Asher a fare il primo passo nei confronti del cliente per cui si era preso una cotta e offrirgli un caffè, scorse suo zio che li aspettava, reduce dalla sua visita al museo, con le mani in tasca e gli occhiali da sole a celare i suoi occhi scuri, del tutto incurante degli sguardi ammirati che raccoglieva da buona parte delle donne che gli passavano accanto.
“Ah, eccovi qui. Avete pranzato?”
“Pranzato è un eufemismo, sto rotolando… abbiamo preso anche la cheesecake. Deliziosa, ma forse è stato troppo.”
Meadow sbuffò mentre raggiungeva lo zio per prenderlo a braccetto mentre Asher, alle sue spalle, si pentiva amaramente di aver aperto bocca con lei e Silas in merito alla questione cliente-carino a seguito delle cocenti insistenze esercitate dai due amici. Stavano anche cercando di estorcergli l’indirizzo della libreria per capitarci casualmente e sperare di avere la fortuna di adocchiare il soggetto in questione prima della loro partenza, ma Asher stava facendo del suo meglio per opporre resistenza ed evitare di ritrovarseli semi-nascosti dietro ad uno scaffale con tanto di occhiali da sole, impermeabili e giornali.
“Allora non vi devo accompagnare dai nonni di Asher?”
Joshua inarcò un sopracciglio mentre faceva rimbalzare lo sguardo su ciascuno die tre ragazzi, chiedendosi come potessero essere tutti così in forma con tutte le schifezze che ingurgitavano quotidianamente. Stava giusto invidiando il metabolismo dei giovani quando la nipote, guardandolo come gli fossero spuntate le antenne, parlò spalancando inorridita gli occhi a mandorla:
“Ma che domande fai zio, ovvio che devi, noi vogliamo le magiche focaccine dei Reynolds!”
“Ma se hai appena detto…”
“Mpf, c’è sempre spazio che avanza! Venite gente, le focaccine e gli adorabili nonni di Asher ci aspettano.”
Sempre con lo zio sottobraccio Meadow fece cenno ai due amici di seguirli per spostarsi in un punto meno in vista del parcheggio e potersi Smaterializzare lontano dagli sguardi indiscreti dei Babbani che li circondavano, e ad Asher e a Silas non restò che obbedire e seguire lei e un considerevolmente esasperato Joshua. Mentre camminavano l’ex Magicospino si rivolse al britannico accennando un sorriso:
“Sono davvero felice che siate qui. Pazzesco che sia passato un anno, vero? In un certo senso non sembra che sia cambiato niente.”
“In realtà ne sono cambiate, di cose… guarda il tuo lavoro, la tua situazione sentimentale… la mia vita, che piega ha preso… E Meadow è sempre la stessa rompipalle di sempre, non ci sono dubbi, ma finalmente balla, studia recitazione, è felice e segue la sua strada. Però sì, in realtà sembra che quest’anno non sia mai passato.”
Silas ricambiò il suo sorriso prima di assestargli un’affettuosa quanto poderosa pacca sulla schiena e poi far risalire la mano verso la sua testa per arruffargli i ricci capelli castani, destando un profondo moto d’affetto, forse anche con un pizzico di gratitudine, in Asher: da quando si erano salutati a Monte Carlo, un anno prima, si era spesso chiesto se quell’amicizia sarebbe effettivamente continuata e se avrebbe superato le ardue prove del tempo e della lunga distanza. Un anno dopo poteva affermare con certezza che così era stato e anche che la sua vita aveva preso una piega ben diversa, di sicuro più piacevole, rispetto a quei giorni nell’Europa Meridionale: un mese e si sarebbe laureato, faceva un lavoro che gli piaceva, si sentiva incredibilmente meglio sotto ogni aspetto e aveva acquisito due meravigliosi nuovi amici.
Silas aveva ragione, le cose erano cambiate, e non avrebbe potuto sentirsi più felice di così.

 
 
 
 


 
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Angolo Autrice:
Buonasera mie care.
Dopo un anno e mezzo eccoci qui alla fine di questa storia, che tristemente aggiorno per l'ultima volta. Vi ringrazio ancora una volta per esservi iscritte, per avermi mandato questi fantastici personaggi e per averla seguita, per me scriverla è stato un piacere e un grandissimo divertimento, quindi spero che lo sia stato anche per voi. Ho, anzi abbiamo dato vita a delle bellissime amicizie e a delle coppie splendide che personalmente penso mi resteranno nel cuore per un bel po’ di tempo – e con loro naturalmente non ho finito, no no, pensate che lascerò in sospeso l’intenzione di Alphard di chiedere ad Anjali di sposarlo? –, ho iniziato questa storia con l’intento di scrivere qualcosa di estremamente rilassante, romantico, “estivo” e anche se la sto portando a termine in pieno inverno per quanto mi riguarda posso dire di aver raggiunto pienamente il mio intento.
Insomma, grazie a Bea, Em, Fran, Phoebe, Sesy e Rebecca per esservi iscritte e a chiunque può aver letto silenziosamente la storia, spero l’abbiate apprezzata tanto quanto io ho apprezzato scrivere questi capitoli nel corso di tutti questi mesi.
Posso quasi vedervi arrivare inferocite per il mio non aver inserito a tutti gli effetti la proposta di Alphard ad Anjali, ma non temete, la leggerete prossimamente.
Che dire, partecipate tutte ad altre mie storie quindi anche se a malincuore dobbiamo salutare Monte Carlo e il Le Mirage ci sentiremo presto altrove in ogni caso🤍
Un bacio a tutte voi,
Signorina Granger

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