Ombre dal passato

di Monsieur Futrelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo parte 1 ***
Capitolo 2: *** Prologo parte 2 ***
Capitolo 3: *** Prologo Parte 3 ***
Capitolo 4: *** Elfi in Andoran Parte 1 ***
Capitolo 5: *** Elfi in Andoran Parte 2 ***
Capitolo 6: *** Elfi in Andoran Parte 3 ***
Capitolo 7: *** Elfi in Andoran Parte 4 ***
Capitolo 8: *** Elfi in Andoran Parte 5 ***
Capitolo 9: *** Elfi in Andoran Parte 6 ***
Capitolo 10: *** La chiamata Parte 1 ***
Capitolo 11: *** La chiamata Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo parte 1 ***


*** PROLOGO PARTE 1 ***
Iadara, Kyonin - 21 Kuthona (XII) 4688
Le nere nubi della notte si aprono per un momento formando una finestra da cui ammicca la mezza luna del solstizio invernale che posa il suo sguardo su una radura ammantata di neve, non lontana dai confini della capitale del regno degli elfi.
La sua debole luce argentea illumina una dozzina di umanoidi sparsi per tutta la radura, circondata da alti alberi spogli coperti da un sottile manto di neve indurita dal gelo notturno. Sono grandi come gli umani, ma molto più muscolosi: le teste, su cui spiccano le orecchie appuntite e i crudeli occhi arancioni, sono tonde e glabre e la pelle grigioverde e rugosa che ricopre tutto il corpo dà l'impressione che siano fatti di legno marcio. Sono hobgoblin, creature che farebbero qualsiasi cosa pur di provocare sofferenza e dolore al popolo elfico. Il vento freddo e pungente, quasi come se fosse preso da compassione, spinge nuovamente le nuvole per nascondere quelle creature allo sguardo puro della luna.
«Hagla, finalmente! L'avete presa?»
La voce rauca e cavernosa viene dall'imponente figura al centro della radura mentre si volta verso le tre ombre che si avvicinano dal folto della boscaglia. Un leggero tremolio ne tradisce il nervosismo.
«Dobbiamo allontanarci da qui il più presto possibile!»
L'hobgoblin a cui si è rivolto, coperto da un pesante mantello scuro e seguito da altri due hobgoblin più piccoli, tiene un sacco sulle spalle da cui spuntano un paio di piedi esili e pallidi. Dando una possente manata sul sacco annuisce, un mugolio di dolore proviene dal rozzo e sporco sacco.
«Tutto a posto Hogs, ma questa schifosa ragazzina pallida mi ha morsicato. Spero che non mi infetti con qualche malattia elfica!» Alcune figure in piedi lì intorno sghignazzano malignamente mostrando bianchi denti aguzzi.
«A proposito! Le ho trovato al collo questo bel gingillo.»
Hagla mostra a Hogs una catenella in metallo a cui è appeso un medaglione. Hogs lo guarda con interesse, poi, come ricordandosi improvvisamente di qualcosa, si rivolge al suo compagno bruscamente
«Rimettiglielo al collo subito. Il druido mi aveva avvertito che questo deve rimanere all'elfa fino al giorno del rituale. Non chiedermi spiegazioni, è roba magica»
Il grosso hobgoblin getta con noncuranza l'elfa a terra, provocandole un altro mugolio di dolore, quindi sfila via il sacco mostrando una giovane, esile elfa imbavagliata e con una parte del volto tumefatto e sanguinante. Gli occhi spalancati per il terrore, i lunghi capelli sporchi di fango e sangue. Quando questa cerca di districarsi dalle corde che la tengono legata, il calcio di Hagla la raggiunge allo stomaco, lasciandola senza fiato. Alcune risate provengono dagli hobgoblin lì intorno. L'unico a non ridere è il capo
«Idiota, ci serve viva, o avremo fatto tutto questo per niente. Sarà tua responsabilità, se lei muore porterò la tua testa ai druidi!»
Hagla rimette il medaglione al collo dell'elfa, la infila nel sacco e se la butta nuovamente in spalla.
«Non ti preoccupare per lei, preoccupati di riportarci a casa!»
Un'improvvisa forte raffica di vento gelido spira fra gli alberi e spazza la radura facendo rabbrividire il gruppo, che attende trepidante gli ordini del loro capo. Questo, con un lungo sospiro di sollievo e un ghigno malvagio sul viso grinzoso, si avvia verso un sentiero semi nascosto da alberi e arbusti che porta a sud.
«Questi maledetti elfi avranno una gran brutta sorpresa al loro risveglio. Il druido pazzo ha visto giusto a farci rapire la mocciosa questa notte! Grazie a lui e a questa pallida, Valle Lunascura sarà finalmente nostra!»
Un mormorio di approvazione corre per tutta la radura.
«Forza è ora di muoversi prima che gli elfi ci mandino dietro il loro intero esercito! E chi sta in retroguardia copra le nostre tracce, se non volete che il nostro viaggio di ritorno sia molto breve!»
La squadra di hobgoblin si prepara ad intraprendere il lungo cammino verso casa, portando via con sé qualcosa che fino a poco tempo prima non avrebbero mai nemmeno sognato di poter sottrarre ai loro eterni odiati nemici.
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Capitolo 2
*** Prologo parte 2 ***


*** PROLOGO PARTE 2 ***
Colline dei Lupi, Andoran - 28 Pharast (III) 4689
Il viaggio che li ha riportati verso sud, vicini a casa, ha decimato il gruppo di hobgoblin. È stato un viaggio estremamente lungo e pericoloso che ha fatto loro attraversare luoghi infestati da demoni, con cui hanno dovuto stringere patti sanguinosi sacrificando alcuni dei loro compagni, regioni montuose abitate da altri nemici giurati, i nani, le cui pattuglie li hanno obbligati a lunghe deviazioni attraverso pericolosi passi montani e ha messo continuamente a dura prova la loro forza di volontà. Ma è la giovane prigioniera che più di ogni altro ha sofferto il peggiore tormento che potesse mai provare e che l'ha portata più volte a pregare le sue divinità di darle una morte veloce e compassionevole.
Mentre l'ormai esiguo gruppo cammina lungo la riva orientale del fiume Andoshen, ai piedi delle brulle colline che sono la porta d'ingresso per Valle Lunascura - dove li aspetta il loro clan - la luce argentea della luna piena che splende nel limpido cielo notturno dei primi giorni di primavera fa risaltare l'esile figura scarna dell'elfa. Il suo viso è scavato a causa della malnutrizione, i pochi stracci che indossa ormai non coprono quasi più nulla del suo corpo martoriato, lasciando scoperta la sua pelle bianca così tirata che sembra quasi che ogni osso voglia strapparla e uscirne. I piedi nudi scorticati e sanguinanti, la schiena e le gambe ricoperte di ferite e tagli inflitti dalla frusta del suo aguzzino, una pesante catena di ferro arrugginita stretta attorno al collo lacerato usata come collare per tenerla al guinzaglio, come se fosse un cane. Per due mesi Hagla ha sfogato le proprie frustrazioni sulla giovane elfa, tormentandola e umiliandola in modo crudele. Hogs non ha avuto nulla da ridire, fino a che fosse rimasta in vita. Durante questo terribile viaggio è stata trattata come una bestia e ormai sono settimane che non esce più un suono dalle sue labbra secche e spaccate, nemmeno un lamento per il dolore che ancora prova ad ogni passo. Gli occhi, una volta brillanti, ora sono scuri e privi di qualsiasi emozione, i suoi lunghi capelli incrostati di sporcizia e sangue hanno perso il naturale colore di un tempo.
La forza di volontà della ragazza è scomparsa ormai da molto tempo. E lo strattone dato dai suoi rapitori alla corda attaccata alla catena ne è la prova: l'ennesima straziante ferita da cui il sangue fuoriesce non provoca nessuna reazione in lei che invece, come un costrutto senza volontà, si ferma obbediente. 
«Siamo quasi arrivati alla fine del nostro viaggio, razza di idioti!» 
Hogs, il loro capo, si rivolge ai suoi compagni, fermandosi sulla riva del fiume, la voce è ancora potente e imperiosa nonostante il viso mostri profondi segni di stanchezza. 
«In questo punto possiamo guadare il fiume senza preoccuparci di scendere fino al ponte e rischiare di farci trovare dai puzzolenti umani che vivono in questa regione.» 
Hagla, che mesi prima ha portato per la prima volta la prigioniera in spalla, lo guarda torvo, ora con le possenti spalle curve sotto il peso della stanchezza di questo lungo viaggio. 
«Capo, ormai siamo quasi a casa, ma sei sicuro che ne sia valsa la pena? Siamo rimasti solo in quattro, abbiamo rischiato più volte di essere scoperti dagli umani. Il sangue di questa pallida vale veramente tutti questi nostri sacrifici?» 
La voce è piena di sconforto e rabbia. Alle parole fa seguire un violento calcio sulla schiena dell'elfa che stramazza al suolo, senza proferire il benché minimo suono. Hogs quindi si avvicina a lui premendogli un grosso dito sul petto. 
«Vuoi forse che quei druidi pazzi ci uccidano e distruggano il nostro clan? Hanno chiesto espressamente questa pallida, l'importante per loro è che sia viva e casta, anche se un po' ammaccata.» 
Guarda per un momento con disprezzo il corpo dell'elfa rannicchiato fra i sassi. 
«E ricordati che il rituale a cui verrà sottoposta l'elfa porterà enormi vantaggi anche al nostro clan.» 
A questa affermazione il gruppetto mormora il proprio assenso. Poi, quasi urlandolo 
«Il sangue di questa elfa rafforzerà notevolmente la nostra alleanza con i Druidi del Terzo Velo!» 
Le parole del loro capo sembrano aver avuto l'effetto di alzare il morale ai sopravvissuti di quella missione. 
«Forza, ci siamo quasi, non appena arriveremo al luogo che ci hanno indicato saremo sommersi di oro e potremo prenderci un lungo periodo di riposo.» 
Detto questo si avvia verso il guado e rudemente prende per il collare la ragazza e la tira in piedi strattonandola e spingendola verso il fiume 
«Da qui in poi mi occupo io della pallida!» 
Per qualche motivo il contatto dei piedi martoriati con l'acqua gelida riporta per un fugace momento un lampo di vitalità negli occhi dell'elfa e per la prima volta da quando è stata rapita alza il viso che per tanto tempo è stato rivolto verso terra. Nonostante le ferite e la sporcizia mostra ancora i lineamenti affilati e ben definiti, di una bellezza non comune anche fra il suo popolo. Con i suoi grandi occhi, tendendo le lunghe e delicate orecchie all'indietro, guarda verso l'alto, verso la splendente luna argentata che quella notte sembra quasi sorriderle.
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Capitolo 3
*** Prologo Parte 3 ***


*** PROLOGO PARTE 3 ***
 
Colline dei Lupi, Andoran - 29 Pharast (III) 4689
La luna piena è la protagonista incontrastata della notte, illumina quasi come fosse giorno le brulle e basse colline che gli hobgoblin stanno attraversando. Hogs si guarda intorno nervoso 
"È da quando abbiamo messo piede sulle colline che questi dannati lupi ci seguono senza farsi vedere! Se ci attaccassero almeno saprei cosa devo affrontare, ma così… maledizione!" 
Gli ululati di un branco di lupi li stanno seguendo ormai da molte ore, e lui ha i nervi a fior di pelle. I suoi compagni sono anche più tesi di lui, ma ormai manca poco per arrivare al punto di incontro con il druido, questo è il loro unico pensiero. Qualche ora prima aveva deciso di prendersi in spalla l'elfa per poter camminare più in fretta, ma gli ululati dei lupi si facevano sempre più vicini. Fra la luna e la quasi totale mancanza di vegetazione inoltre è impossibile per loro trovare un qualsivoglia nascondiglio.
«Forza smidollati, in mattinata saremo arrivati e potremo andarcene da questo posto infestato! Non fatevi prendere dal panico, sono solo dei cani pulciosi.» 
Ma le parole che gli escono dalla bocca non hanno la stessa sicurezza mostrata il giorno prima. 
Non appena scendono in un leggero avvallamento fra due alture gli ululati smettono improvvisamente e il silenzio si abbatte sul gruppo come un maglio, lasciandoli paralizzati. 
"Maledetti cani troppo cresciuti, farò scorrere molto del vostro sangue prima che possiate avere la mia vita!" 
Hogs butta a terra il sacco in cui aveva avvolto la giovane elfa, che rotola a qualche metro di distanza sbatacchiato sulle pietre aguzze che fanno parte di quel paesaggio brullo e tira fuori una lunga catena chiodata  arrugginita
«Fuori le armi sfaticati, fate loro capire che con gli hobgoblin non si scherza!» 
Gli altri hobgoblin sfoderano le loro sciabole, preparandosi a un imminente attacco, Hagla si mette al suo fianco.
Il lungo viaggio è stato estenuante non solo per loro, ma anche per il loro equipaggiamento: le armi ormai sono arrugginite e quasi senza filo, alle armature mancano alcuni pezzi, gli scudi e gli elmi sono stati lasciati molto tempo prima sulle montagne dei nani, per alleggerire il carico che trasportavano.
Dopo pochi secondi sulle alture ai loro fianchi appaiono, distintamente illuminati dalla luna, dozzine di lupi silenziosi fra i quali risaltano un grande lupo nero alto quanto un cavallo affiancato da un altro più piccolo, una femmina con gli occhi d'argento e sulla pelliccia nera una chiazza bianca a forma di farfalla. Il segnale di attacco da parte del branco è un terrificante ululato del grande lupo: dalle alture i lupi si riversano in massa verso gli hobgoblin ormai consapevoli della loro imminente fine. Questi trovano il tempo di abbattere qualche lupo con i loro fendenti, ma sono troppo deboli per reggere un combattimento prolungato e contro così tanti assalitori e soccombono quasi tutti sotto il violento attacco nel giro di breve tempo, morendo fra atroci sofferenze mentre le loro carni vengono strappate e le ossa vengono spezzate dalle possenti fauci dei lupi. 
Hogs, l'ultimo rimasto ancora in piedi, vede Hagla, il suo compagno più fidato, cadere sotto l'attacco dei lupi e, pervaso da una rabbia che mai prima aveva provato, riesce a difendersi abbattendo una decina di lupi con colpi feroci, spezzando loro le ossa e squarciando le loro carni con la lunga e pesante catena chiodata, non senza rimanere gravemente ferito da zanne e artigli. Poco dopo i lupi, come rispondendo a un ordine silenzioso, si allontanano da lui ringhiando e mostrando le lunghe zanne insanguinate, lasciando un corridoio per far passare il loro capobranco: il grande lupo dal manto nero e dagli occhi rossi alto quanto l'hobgoblin. Dietro Hogs i corpi straziati dei suoi compagni sopravvissuti al viaggio e caduti sulla soglia di casa, tutto intorno i corpi di lupi morti o agonizzanti, alcuni di quelli feriti riescono ad allontanarsi con le proprie forze. Il campo di battaglia è intriso di sangue e la luna si specchia nelle pozze rosse che si allargano sul suolo prima di essere assorbite dal terreno arido. L'ultimo hobgoblin si guarda attorno e poi punta il suo sguardo dritto verso quello del grosso lupo fermo a pochi metri da lui. Quindi, pervaso da una cieca ira, parte caricando a testa bassa, il sangue che schizza dalle molte ferite ricevute nel primo assalto, un sorriso folle e crudele che gli contorce i lineamenti del volto. La catena è scivolosa nella sua mano ferita e intrisa di sangue, ma il suo potente colpo si abbatte comunque verso la testa del grande lupo. Questo però con un movimento fulmineo schiva l'attacco saltando da un lato e, dandosi una spinta con le possenti zampe posteriori, si avventa contro il suo avversario e con le fauci spalancate affonda le sue mortali zanne nella gola dell'hobgoblin, strappandogli la vita e ponendo termine al suo lungo viaggio. Gli occhi dell'umanoide, un momento prima di perdere l'ultimo barlume di vita, mostrano una tetra luce di disperazione 
“Proprio quando eravamo finalmente arrivati...”
Mentre la battaglia imperversa nell'avvallamento fra le strazianti grida di dolore, gli schiocchi di ossa spezzate e gli ululati rabbiosi dei lupi, la lupa dagli occhi d'argento, seguita da altri due lupi, si muove veloce e agile verso il fagotto gettato a terra dal Hogs. Il sacco è intriso di sangue, i piedi tumefatti e scorticati che ne spuntano sono squassati da terribili convulsioni come il resto del corpo. Mentre la lupa prende delicatamente fra le sue fauci le caviglie dell'elfa, gli altri due lupi, altrettanto delicatamente addentano l'altra estremità del sacco e lo sfilano liberando il corpo dell'elfa. Solo quando la lupa si avvicina a lei cominciando a leccare le ferite su viso e testa con l'amore che solo una mamma lupa può dare al proprio cucciolo, le convulsioni si trasformano in tremori e infine il corpo martoriato si rilassa. La lupa si blocca improvvisamente, guarda intensamente l'elfa e i suoi occhi argentei si illuminano per un momento. 
Una voce si insinua nella mente dell'elfa “Piccola mia, tu diverrai la mia figlia prediletta.”
In quel momento i rumori della battaglia terminano, il branco rivolge un potente ululato di cordoglio verso la luna per onorare i compagni caduti e infine il silenzio cala nuovamente nella notte. La giovane elfa viene delicatamente posata sul dorso del grande lupo nero affiancato dalla lupa e il branco, guidato dai due, comincia a muoversi veloce verso ovest, attraverso le colline che scompaiono all'orizzonte, verso una vasta e altissima catena montuosa. 
La luna, unica testimone dei fatti della notte non ancora giunta al termine, si riflette negli occhi d'argento dell'elfa da cui finalmente è caduto il velo oscuro che li copriva, occhi ricolmi di gratitudine di una ragazza che aveva perso ogni speranza e che finalmente sprofonda in un tanto agognato sonno senza incubi. Ma la stessa luna è anche l'unica testimone di un lieve fugace movimento fra i corpi straziati degli hobgoblin, le dita di una mano rugosa e grigiastra che si stringono sulla grossa catena chiodata.

 
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Capitolo 4
*** Elfi in Andoran Parte 1 ***


*** CAPITOLO 1 PARTE 1 ***
 
Nicchia del Falcone, Andoran - 2 Calistril (II) 4711
Nicchia del Falcone, conosciuto semplicemente come la Nicchia, è un villaggio che sorge sulla sponda nord del fiume Spumoso, a ovest delle Colline dei Lupi. Il sole appena sorto, ancora troppo basso per illuminare il piccolo villaggio di taglialegna, illumina l'imponente catena montuosa che si erge al di sopra della ormai piccola foresta Lunascura e che fa da confine naturale fra l'Andoran e il regno dei nani delle Montagne dei Cinque Re. Nonostante la grande distanza si possono vedere chiaramente le fumarole del maestoso cono vulcanico, il Picco di Droskar, sbuffare copiosamente, ricordando agli abitanti della regione il potere che può essere scatenato dalla natura, nonostante i quasi otto secoli di inattività. 
Il soldato, fasciato in una splendente armatura a maglie, si avvicina a una figura incappucciata appoggiata al parapetto della chiatta che li sta trasportando attraverso il fiume. 
«Lorsan, siamo quasi arrivati. Dobbiamo prepararci a sbarcare.»
La figura sospira stancamente riportando i suoi pensieri sulla missione - che sta intraprendendo ormai da troppi anni - e si aggiusta il mantello preparandosi a scendere dall'imbarcazione.
«Speriamo solo che non sia l'ennesimo buco nell'acqua, Tanyl, amico mio. Dopo tutto questo tempo non possiamo tornare in patria senza nulla in mano.»
Il cappuccio spostato dal vento mostra il volto stanco e tirato di un vecchio elfo con gli occhi ricolmi di tristezza. Tanyl gli poggia la mano guantata sulla spalla in un gesto amichevole «So che abbiamo già perso tre dei nostri, ma sappi che nessuno di noi ti abbandonerà o rinuncerà alla ricerca. Ci siamo imbarcati in questa missione volontariamente, ben sapendo che ci avrebbe portati lontano da casa e senza una reale speranza di trovare le informazioni che cerchiamo, ma dobbiamo continuare a seguire ogni pista, anche se ci sta costando caro!» La chiatta ormai aveva finito le operazioni di attracco al molo malandato del villaggio. Lorsan annuisce con gratitudine all'amico e fa segno agli altri tre soldati, che durante la traversata si sono occupati dei cavalli, di seguirlo. 
In questo piccolo centro dedito al taglio e al commercio del legname, guidato dal pugno di ferro del Consorzio del Legname e in cui la stragrande maggioranza degli abitanti sono umani, un gruppo di elfi ben equipaggiati non può passare inosservato. Fin dal primo momento in cui mettono piede a terra ogni singola persona che incontrano li squadra con sguardi pieni di sospetto e si tiene alla larga da loro. Lorsan, seguendo le indicazioni ricevute giorni prima dai più amichevoli abitanti di Olfden, l'unica città degna di questo nome in tutta la regione, che si trova a sud, si incammina verso l'ufficio dello sceriffo, seguito dai suoi fedeli compagni. Ognuno di loro resta all'erta in caso di eventuali problemi, cercando di non sembrare minacciosi nei confronti delle persone che incrociano per strada. Dalle informazioni in loro possesso sembra che le uniche persone in tutto il villaggio a essere disposte a parlare con degli stranieri potrebbero essere lo sceriffo e i suoi sottoposti e probabilmente i seguaci del tempio di Iomedae. Camminano su strade strette, sporche e fangose, passando fra edifici che sembrano più baracche che abitazioni, e infine emergono in un'ampia piazza affollata di persone intente a comprare merci di vario genere, dagli alimentari alle attrezzature da lavoro, esposte su banchi disposti in file disorganizzate sul terreno sconnesso e fangoso. 
Mentre il gruppetto di elfi si dirige verso l'edificio in cui sperano di trovare l'aiuto che cercano, attraversano il mercato e la folla presente si ammutolisce come fossero rane in uno stagno all'avvicinarsi di un predatore. Tutti quanti si girano per guardare i nuovi arrivati con sospetto o con astio, ma subito dopo il loro passaggio, quando finalmente il gruppetto di estranei esce dal loro campo visivo, il mormorio ricomincia, fino a diventare nuovamente il vociare tipico di un mercato. 
Arrivati di fronte al tribunale due dei soldati elfici si fermano e legano i cavalli a un palo rimanendo di guardia, mentre il resto del gruppo entra nell'edificio che non è in condizioni molto migliori delle baracche cadenti viste fino ad ora, solo un po' più grande e con un aspetto appena un po' più robusto. Le persone qui se non altro sembrano meno ostili.
«Per gli dei, cosa ci fanno qui degli elfi? Vi siete persi? Se state cercando gli altri della vostra razza siete arrivati un po' troppo a nord!»
L'imponente mezz'elfo che ha parlato si alza dalla scrivania a cui stava lavorando, guardando con sincera curiosità quello strano gruppo appena arrivato. Lorsan si fa avanti con cautela
«Salve, siamo appena arrivati con il traghetto e vorremmo parlare con lo sceriffo di questo… ehm… accogliente villaggio.»
L'accento sarcastico su queste ultime due parole non passa inosservato
«Ci hanno informato che dovrebbe trovarsi in questo edificio.»
La risata improvvisa del mezz'elfo sorprende un po' tutti quelli che stanno lì intorno: raramente si sente un suono simile alla Nicchia.
«A quanto pare abbiamo un elfo con il senso dell'umorismo! Roba rara normalmente e mai vista da queste parti. Potresti diventare il mio nuovo migliore amico.»
Il mezz'elfo torna serio a fa un gesto verso alcune sedie.
«Prego accomodatevi dove volete. Sono io lo sceriffo che cercate. Deldrin Baleson al vostro servizio.»
Senza tante formalità Deldrin si siede nuovamente dietro la sua scrivania e guarda Lorsan con occhi dorati colmi di curiosità.
«Signori, siate i benvenuti a Nicchia del Falcone, il più cupo dei centri abitati della valle Lunascura, nonché unico centro di lavorazione e di commercio del legno nero di tutto l'Andoran, o del mondo per quanto ne so! Beh, almeno fino a quando resterà qualcosa da tagliare… Cosa posso fare per voi? Se siete giunti in un posto simile dovete avere delle più che ottime ragioni, non credo che abbiate perso l'orientamento.»
Il capo degli elfi si guarda intorno prima di rispondere, controlla le persone che lavorano in quegli uffici e si rilassa un po', non percependo astio nei loro confronti, né malvagità nei loro cuori, ma solo una cauta curiosità. Quindi si rivolge nuovamente allo sceriffo
«Stiamo cercando una persona che in passato potrebbe essere stata da queste parti. Alcuni indizi scoperti nel corso degli ultimi anni ci hanno guidato fino a qui, mi spiace ma non posso essere più specifico. Dalle informazioni in nostro possesso in questa zona dovrebbe trovarsi una sorta di casa per orfani e rifugiati provenienti da terre straniere e la persona che stiamo cercando potrebbe ess…»
Deldrin con gli occhi sgranati per la sorpresa interrompe bruscamente l'elfo
«Voi state cercando la Casa Accogliente? Quel luogo maledetto non esiste più da quattro anni!»
Gli elfi si guardano fra loro con stupore e lo sconforto aleggia fra loro. Lorsan non riesce a nascondere il suo grande turbamento, le mani tremanti e gli occhi ricolmi di disperazione. Tanyl si alza dandogli una leggera stretta al braccio, si rivolge quindi quasi con rabbia, allo sceriffo
«Ascolti sceriffo, non siamo venuti fino qui per niente. Sono anni ormai che giriamo senza sosta per mezzo continente e la nostra migliore possibilità si trova qui da voi! Ci racconti tutto quello che sa di questa Casa Accogliente, ci sarà sicuramente qualcosa che potrà aiutarci!»
Molte teste si girano verso di loro a quello scatto
«Calma, calma. Non immagino cosa possa esserci di interessante per degli elfi in quel mucchio di rovine, ma vi racconterò tutto quello che posso, considerato che sono stato io a fare le indagini sull'incidente avvenuto in quel posto abbandonato dagli dei.»
Deldrin li fa alzare e li accompagna in una stanza poco più in là.
«Accomodatevi su quelle poltrone, qui possiamo parlare con più tranquillità.»
Lorsan e Tanyl entrano, la loro compagna invece, a un cenno del suo capo, si avvia per raggiungere gli altri due rimasti fuori. Lo sceriffo si avvicina a una stufa accesa su cui si trova una pentola con acqua bollente e prepara una tisana che offre ai suoi due ospiti. Apre la porta, chiama uno dei suoi sottoposti e gli dice qualcosa. Questo con un sorriso annuisce e si avvia alla sua destinazione. Lo sceriffo chiude a chiave la porta mentre gli elfi lo guardano con un certo sospetto.
«Solo qualche precauzione visto che dobbiamo parlare di un tema molto delicato. Ho chiesto al mio vice di portare i vostri uomini in un ostello dove potrete riposare tranquillamente. Ora ascoltatemi senza interrompere, ci vorrà un po' per rimettere ordine nei miei ricordi. Devo recuperare memorie di oltre vent'anni fa, se volete la storia dall'inizio.»
Si siede su un divanetto e sorseggiando la tisana da una tazza sbeccata sprofonda nei ricordi e inizia, lentamente, a parlare.
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Capitolo 5
*** Elfi in Andoran Parte 2 ***


*** CAPITOLO 1 PARTE 2 ***
Nicchia del Falcone, Andoran - 2 Calistril (II) 4711
«La Casa Accogliente venne costruita nella prima metà dell'anno 4687 da una coppia di buon cuore arrivata qui da Carpenden, di cui non ricordo i nomi, saranno fra le varie scartoffie del nostro archivio. Lo fecero per dare sollievo agli orfani e a rifugiati scappati dall'Isger, in cui la schiavitù era ed è ancora adesso la normale condizione per la povera gente, mentre i bambini orfani vengono salvati dalle strade solo per essere indottrinati dalla Chiesa di Asmodeus oppure vengono lasciati morire di stenti se non sono adatti. Erano due anziani molto altruisti, che pensavano solo a prendersi cura delle persone che non avrebbero ricevuto aiuto da nessun altro. Ovviamente aiutavano chiunque lo richiedesse, quindi la Casa ha sempre avuto ospiti di qualunque tipo, a volte anche criminali fuggitivi, ma loro non rifiutavano mai nessuno e non ebbero mai problemi con i loro ospiti.»
Ogni tanto Deldrin si sofferma con lo sguardo perso nel vuoto, sorseggiando brevemente la sua tisana, come per ricomporre i suoi ricordi.
«In effetti erano molto amati dai bisognosi e odiati dagli sfruttatori, in particolare quelli che comandano qui alla Nicchia. Nei loro cinque anni di attività furono molto occupati per via del gran numero di persone che si presentarono alla loro porta, ma un paio di anni prima che morissero - erano già anziani quando arrivarono qui - qualcosa cambiò. La Casa ebbe come ospiti solo pochi bambini, molti dei rifugiati cominciarono a tenersi a distanza da quel posto, parlando di strani avvistamenti o suoni raccapriccianti provenienti dalla casa stessa. Io ho sempre pensato a una qualche azione del Consorzio del Legname per far chiudere a tutti i costi quel posto, ma non ho mai trovato prove che confermassero la mia ipotesi. Comunque sono quasi sicuro che nel 4690 fosse arrivato l'ultimo dei loro ospiti di cui si abbia avuto una qualche notizia, ma nessuno, per quanto ne so, è certo della sua identità. Tutti i documenti sono stati distrutti nell'incendio di 4 anni fa. Comunque, secondo alcune dicerie - che sembrano giungere dai miti antichi delle ere perdute - un branco di lupi lasciò il bambino misterioso davanti alla porta, altre voci parlano di una notte di luna piena in cui tutti i lupi della zona ulularono all'unisono richiamando un angelo d'argento per proteggere la Casa. Roba per le canzoni di qualche bardo senza fantasia. Io al tempo ero uno dei tanti disperati venuti fin qui nella speranza di ricominciare una vita. Cosa che successe, a dirla tutta: un giorno di una dozzina di anni fa ebbi uno screzio con il capo locale del Consorzio e gli strappai via il naso con la mia ascia. La settimana successiva mi elessero sceriffo. Un modo come un altro per fare carriera e avere un bersaglio sulla schiena, ma cercare di ripulire questo posto è un lavoro che toglie molte soddisfazioni.»
Deldrin mostra un ghigno divertito mentre ne parla, ma ai due elfi sembra sinceramente devoto alla causa di dare una ripulita al villaggio anche se pare prenderla alla leggera
«Dunque, dicevo… due anni più tardi, era il 4692, i due anziani benefattori morirono di qualche malattia, o forse di vecchiaia. Alcuni testimoni giurarono di aver sentito quella stessa notte l'ululato di almeno un centinaio di lupi tutto intorno alla zona della Casa Accogliente. Gli ululati durarono quasi un'ora e poi si attenuarono, allontanandosi lentamente verso est. Poco più tardi ci furono anche delle lievi scosse di terremoto, causate immagino dall'attività di quel mostruoso vulcano che ci troviamo alle spalle. Probabilmente i lupi erano nervosi per quel motivo!»
Lo sceriffo a questo punto si alza dalla poltrona e si avvicina alla finestre, guardando in distanza, grattandosi pensieroso la barbetta incolta sul mento.
«I residenti della Casa per quanto ne so non proferirono mai parola sui fatti avvenuti quella notte, ma non la lasciarono. Anzi, portarono avanti quell'attività al meglio delle loro possibilità, con un minimo di aiuto da parte della Chiesa di Iomedae e di pochi cittadini della Nicchia. Poi, nel 4697, dopo lo scoppio della Guerra dei Goblin nell'Isger, arrivò qui una donna di Almas, nella sua bella carrozza comoda. Si presentò con i suoi bei vestitini lindi nell'ufficio del sindaco e, come se nulla fosse, chiese di comprare la Casa Accogliente, per poterne fare un rifugio sicuro per i profughi della guerra. La sua offerta a quanto pare era una di quelle che non si poteva rifiutare, visto che con grande stupore di tutta la comunità, il sindaco, o meglio dire il Consorzio, la accettò.»
Lo sguardo di Deldrin si fa triste, volta le spalle alla finestra e torna a sedersi e sorseggiare la sua tisana, ormai quasi fredda.
«Elara, la Buona Signora veniva chiamata da molti. Non avevo mai conosciuto una persona come lei: solare, sempre sorridente, felice del lavoro che aveva deciso di fare, riusciva a tirare su il morale anche al più disperato reietto che si trovasse a passare di qua. Ero in buoni rapporti con Elara, a dirla tutta eravamo ben più che amici, ma non ci siamo mai impegnati in una relazione seria per via dei nostri impegni. Tutti e due abbiamo sempre dato la precedenza al nostro lavoro, lei a salvare i disperati e io a tenere insieme questo posto che ormai era diventato casa mia. Per dieci lunghi anni Elara ha lavorato per dare una vita dignitosa ai disgraziati di questa regione e facendolo si è procurata le antipatie del Consorzio, che non è rinomato per le buone maniere nei confronti di chi ostacola i suoi affari.»
Lorsan nota che ogni volta che lo sceriffo pronuncia il nome di quella donna lo fa come se si stesse separando da qualcosa di prezioso per lui.
«Mi chiedo come sarebbero andate le cose se fossi stato più vicino a lei soprattutto negli ultimi anni.»
Deldrin sembra pronunciare queste parole più per sé stesso che per gli elfi in ascolto. Poi si scuote di dosso quello che sembrava essere rimpianto.
«Comunque… quattro anni fa venimmo a sapere da un mercante di passaggio che grandi spire di fumo si alzavano dalla zona dove sorgeva la Casa. Io e un esiguo gruppo di persone, fra cui alcuni fedeli della chiesa locale di Iomedae, che hanno sempre aiutato Elara, ci affrettammo verso il luogo dell'incendio, ma era troppo lontano e arrivammo quando ormai le fiamme avevano distrutto ogni cosa. Solo il giorno dopo riuscimmo ad avvicinarci alle macerie ancora calde per scoprire con orrore che tutti gli ospiti della Casa Accogliente erano morti bruciati mentre dormivano. Trovammo quello che presumo fosse il corpo di Elara totalmente incenerito, lo riconobbi dai resti mezzi fusi di un grosso bracciale in acciaio che portava sempre al polso, un ricordo di famiglia.»
Improvvisamente il tono dello sceriffo si fa duro e si alza di scatto lasciando un sorpresi i due elfi.
«Di una cosa sono certo: un semplice incendio, anche causato da una stufa, non avrebbe mai potuto essere così violento da incenerire delle ossa e provocare danni così imponenti, ma per quanto mi fossi sforzato a trovare qualche altro indizio non sono mai stato in grado di capire cosa fosse realmente successo laggiù. Ma c'è un particolare che ricordo con chiarezza e inquietudine.»
Deldrin torna a sedersi, fa una lunga pausa prima di continuare, impallidisce e alcune gocce di sudore gli imperlano il viso, nonostante non sia per nulla caldo nella stanza. Poi con un profondo respiro e un evidente sforzo di volontà continua il suo racconto.
«La notte successiva all'incendio, in attesa che le macerie si raffreddassero abbastanza da poterci avvicinare, sentimmo innalzarsi l'ululato di almeno un centinaio di lupi tutto intorno alla zona della Casa Accogliente. Ho avuto per la prima volta brividi di terrore. Gli ululati durarono quasi un'ora e poi si attenuarono, allontanandosi lentamente verso est. Esattamente come successe la notte in cui morirono i due anziani quindici anni prima. Se doveste chiedere alle persone che erano con me negherebbero di avere sentito qualcosa quella notte. Eravamo tutti terrorizzati, ebbi incubi per un mese intero dopo quella notte. E ora ricomincerò ad averli…»
Lo sguardo quasi perso nel vuoto durante il racconto torna a focalizzarsi sulla tazza con la tisana ormai fredda, gli elfi fissano in silenzio lo sceriffo aspettandosi qualcos'altro.
«Ormai da quel giorno nessuno si avvicina più a quei ruderi anneriti, tutta la zona è considerata maledetta dalla gente del posto, negli anni sono anche spariti alcuni temerari che pensavano di poter trovare qualcosa di valore. Viaggiatori ignari scappano terrorizzati da strani rumori provenienti dai resti della casa. Per quanto mi riguarda, sono passati quattro anni da quel maledetto giorno e non ho nessun motivo e nessuna voglia di tornare da quelle parti. Sulla strada che porta alla Casa è segnalato chiaramente quanto sia pericoloso continuare in quella direzione: chi va laggiù lo fa a suo rischio e questo vale anche per voi. Probabilmente da quelle parti si aggirano ancora resti di bande di goblin sfuggiti all'epurazione nelle guerre di dieci anni fa e io sto ancora cercando di tenere assieme i pezzi di questo villaggio. Tutto quello che potevo fare l'ho fatto e dover ricordare quei giorni è stato più doloroso di quanto immaginassi.»
Deldrin si alza, prende le tazze degli ospiti e le posa su un tavolo, quindi si avvia verso la porta sbloccando la serratura.
«Il mio sottoposto vi accompagnerà all'ostello dove si trovano i vostri compagni. Vi consiglio di partire domattina presto, vi assicuro che non volete passare la notte alla Casa.»
Lorsan e Tanyl si guardano cupi in volto e si apprestano ad andarsene. Lorsan si ferma vicino allo sceriffo
«Grazie sceriffo Baleson, ho percepito amore e dolore mentre parlava di Elara, doveva essere una grande donna e molto più importante per lei di quanto abbia voluto farci pensare. Mi dispiace aver fatto riaffiorare il dolore di una così grave perdita, capisco bene cosa prova. Ma le sue informazioni sono state di vitale importanza per noi. Forse finalmente troveremo altri indizi sulla persona che stiamo cercando da anni, potremo portare notizie in patria e prenderci il giusto riposo anche noi. Grazie di cuore, non so se ci rivedremo!»
Come colpito da un'idea improvvisa Deldrin si blocca sulla soglia.
«Un momento per favore.»
I due elfi si girano a guardarlo.
«Se doveste mai scoprire qualcosa che è sfuggito a me, vi prego di farmelo sapere. Chissà, anche se sono passati tanti anni qualcuno motivato come voi potrebbe vedere con occhio diverso certi particolari. Prendete tutta la documentazione che ho su quello che è successo e riportatemela prima di partire.»
Si avvicina alla sua scrivania e si sfila una collanina a cui è appesa una chiave con la quale apre un pesante cassetto da cui prende un grosso plico di pergamene ingiallite, facendo intravedere sul fondo un bracciale annerito e mezzo fuso. Gli elfi prendono i documenti, ringraziano nuovamente e si incamminano verso l'ostello pronti a passare il resto della giornata e della nottata a studiare la documentazione ricevuta.

 
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Capitolo 6
*** Elfi in Andoran Parte 3 ***


*** CAPITOLO 1 PARTE 2 ***
Casa Accogliente di Elara, Andoran - 3 Calistril (II) 4711
«Lorsan, ho percepito presenza magica qua sotto, ma è molto debole!»
Il tono eccitato di Tanyl è cosa rara da sentire, soprattutto negli ultimi due anni di ricerche. Il vecchio elfo si avvicina a lui e guarda il punto che il suo amico gli indica: un cumulo di macerie e travi annerite, spezzate e marcite ricoperte dalla neve. L'incendio che ha distrutto quella costruzione doveva essere stato incredibilmente violento. Non solo aveva bruciato e quasi incenerito ogni singolo elemento infiammabile, ma aveva fuso e deformato oggetti che le fiamme di un normale incendio avrebbero dovuto al massimo annerire. Inoltre gli elfi avevano notato subito fin dal loro arrivo che c'era una zona troppo ampia tutto intorno alla casa colpita dal calore e dalle fiamme. La quasi completa mancanza di vegetazione ne era una chiara prova. Dopo quattro anni qualche arbusto avrebbe dovuto attecchire e riprendere vita, almeno in parte. Tutto faceva pensare all'utilizzo di potenti magie di fuoco, e solo degli esperti di magia come loro potevano accorgersene. Probabilmente il gruppo che aveva effettuato le indagini subito dopo l'incendio non aveva abbastanza conoscenze per notare alcuni dettagli.
«Tanyl, pensi che possa esserci una cantina qui sotto? Oppure è seppellito sotto le macerie?»
Lorsan si avvicina al cumulo di macerie provando a tastarne la resistenza per spostarle, ma sembravano un tutt'uno con il pavimento, i sedimenti incrostati negli anni avevano saldato il tutto a terra e il ghiaccio di certo non rendeva migliore la situazione.
«L'unico modo per saperlo è tirare via tutta questa roba, ma le mie conoscenze magiche non ci aiuteranno. Dovremo usare i vecchi metodi. Lorsan, lascia fare a noi e riposati. Ci vorrà tutta la mattinata, se siamo fortunati.»
Mentre si toglie la pesante giacca di pelle per prepararsi al lavoro pesante, Tanyl richiama gli altri tre elfi e comincia a tastare il terreno per capire da dove fosse meglio iniziare. Lorsan si siede non lontano dai loro cavalli e, coperto da un pesante mantello per riparasi dal vento gelido che arriva dalle montagne alle loro spalle, guarda quelli che ormai considera amici - un gruppo che lo ha seguito per tanti anni in questa folle ricerca senza speranza - mentre si affannano per liberare la zona occupata dalle macerie. Dopo oltre quattro ore, tanti graffi, molto sudore e una quantità infinita di imprecazioni irripetibili, il pavimento è finalmente libero. I quattro elfi si accasciano stremati a terra dissetandosi dalle loro borracce e coprendosi nuovamente con i loro mantelli, mentre Lorsan si avvicina e comincia a ripulire meticolosamente il pavimento inginocchiandosi a terra. Con un sussulto di sorpresa scopre che sotto quelle macerie si trova una botola. Dalla posizione deduce che possa essere l'entrata per il magazzino dove conservare i viveri, e quando cerca di aprirla tirando una maniglia in metallo inchiodata alle assi, la botola non si muove. Posizionando le mani vicino alla maniglia mormora alcune parole e si sente un leggero scatto metallico dall'interno. Tanyl e gli altri elfi si alzano e stanno all'erta per qualunque possibile pericolo.
«Chiusa dall'interno?»
Lorsan guarda i suoi compagni e riprova ad aprire la botola. Con qualche sforzo la sblocca e finalmente riesce a tirarla su, facendola ricadere rumorosamente dall'altra parte. Uno spaventoso tanfo di putredine mischiata a chissà che altro colpisce come un pugno tutti loro, lo stomaco di Lorsan non regge nemmeno un secondo e l'elfo fa giusto in tempo a voltarsi per rigettare la colazione fermando i conati solo qualche minuto più tardi. Agli altri non va molto meglio e, anche riuscendo a tenere la colazione nei loro stomaci, non hanno quasi le forze per avvicinarsi all'apertura. Decidono così di attendere un'altra ora per far arieggiare per quanto possibile il locale sotterraneo e infine, con fazzoletti che coprono naso e bocca, Lorsan e Tanyl scendono la ripida scala mezza marcia. 
Grazie alla loro vista acuta riescono a vedere chiaramente l'interno con la sola luce che entra dalla botola. Si trovano in una stanza scavata rozzamente nel terreno al di sotto della casa, alcune travi tengono in relativa sicurezza il soffitto e le pareti sono ricoperte di scaffalature ormai marcite e per la gran parte penzolanti da ciò che resta dei loro supporti. Casse e barili sono relativamente in ordine, ma il loro contenuto è ormai da tempo avariato o distrutto dal passare del tempo. 
Senza indugiare né guardarsi intorno, Lorsan si incammina verso il centro della stanza .
«Tanyl, devo usarlo, ti prego aiutami come hai sempre fatto in questi momenti.»
L'elfo più giovane ha un'espressione preoccupata sul volto.
«Ne sei certo? L'ultima volta ne sei uscito troppo indebolito, devi riposare ancora, non vorrei…»
Tanyl non riesce a terminare la frase. Lorsan lo zittisce posandogli il palmo della mano sulle labbra.
«Sai bene che il rituale è l'unico modo per sapere se qui c'è quello che stiamo cercando e ormai l'unico aiuto che puoi darmi è quello di sostenermi come hai fatto in precedenza. Non ho nessuna intenzione di attendere ancora, e certamente non in un posto simile! E nemmeno i nostri compagni, ne sono sicuro.»
Tanyl annuisce e silenziosamente si posiziona al fianco di Lorsan. Quest'ultimo si inginocchia, con un pezzo di legno disegna alcuni intricati simboli sul terreno, dopodiché si alza la manica sinistra e afferrando un pugnale con la destra si infligge una profonda ferita dal polso fino all'incavo del gomito. Il sangue sgorga copioso dal taglio e si accumula sul terreno al centro degli antichi simboli senza essere assorbito dal terreno. 
Tanyl non può reprimere una smorfia di sofferenza guardando quella ferita che si aggiunge ad altre due cicatrici simili sullo stesso braccio, ma sostiene l'amico che già inizia a barcollare per via del dolore e della spossatezza causata dalla perdita di sangue. 
Con il passare dei secondi Lorsan diventa sempre più pallido e sempre più debole, poi comincia a mormorare parole in quello che Tanyl sa essere un antico dialetto elfico ormai quasi dimenticato dal suo popolo. Il sangue a terra inizia a muoversi di vita propria, riempiendo tutti i solchi dell'intricato disegno e infine, come un piccolo ruscello, si dirige verso una parete della stanza fermandosi contro un cumulo di terriccio, chiaramente il crollo di quella che doveva essere un'altra stanza, forse dovuto ai terremoti di cui aveva parlato lo sceriffo Baleson nel suo racconto. 
Lorsan si accascia sfinito contro la spalla di Tanyl, che lo stende delicatamente a terra e comincia a fasciargli la ferita al braccio per fermare l'emorragia e dopo aver finito si alza e si avvia nel punto dove il rivolo di sangue si è fermato, iniziando a scavare con l'aiuto di un asse di legno mezzo marcio. Il lavoro è arduo, e nonostante usi uno strumento, le dita dopo un po' cominciano a sanguinargli, ma dopo poco trova qualcosa che non è terra e pietre. Scopre che sotto quel cumulo di terriccio si trova una piccola cassetta in legno ormai marcito per via dell'umidità. Dopo qualche altro minuto libera la piccola cassetta e mentre la tira fuori dal buco, il rivolo di sangue ancora fresco sembra vibrare leggermente. Poggia quindi il contenitore di fronte a Lorsan. Quest'ultimo apre il coperchio con lentezza, quasi con devozione, e quando il suo sguardo si poggia sul contenuto il suo respiro si ferma per un momento. Ma deve fare ancora una cosa per essere sicuro che sia quello che pensa o che spera. Prende la sottile catenella di mithril poggiata sul fondo, la tira fuori dalla cassetta con delicatezza e molto lentamente, fino a quando anche il medaglione d'oro appeso alla catenella esce dall'oscurità di quella scatola marcita. Lo alza all'altezza degli occhi e lo guarda a lungo con rispetto e speranza. Delicatamente avvicina il medaglione al rivolo di sangue che ancora sembra muoversi come se fosse vivo. Nell'istante in cui viene a contatto con il denso liquido rosso, il medaglione risplende di luce argentea tanto forte da illuminare perfettamente tutta la stanza per un attimo, mentre il sangue si trasforma prima in una lunga striscia di argento e poi si liquefa nuovamente e viene assorbito dal terreno. Gli occhi di Lorsan brillano anch'essi di luce argentea per un breve istante, la sua voce tremante.
«Era il suo, Tanyl. È stata qui molti anni fa e sono anche sicuro che sia riuscita a evitare un pericolo mortale. I lu…»
Un forte spasmo di tosse gli squassa il corpo e con un fremito si affloscia fra le braccia di Tanyl. I ricordi imprigionati nel medaglione che si erano riversati nella sua mente, si offuscano e lentamente spariscono, lasciando dentro di lui il vuoto. L'unica certezza è che colei che da anni sta cercando è stata qui, viva.
Troppo preoccupati dalla loro ricerca, nessuno degli elfi nota la figura incappucciata che li ha seguiti per tutto il tragitto, controllando ogni loro mossa. 
Dopo poche ore, poco prima che il sole cali dietro le immense montagne alle loro spalle e non appena Lorsan è abbastanza in forze da stare in sella, il gruppo torna il più speditamente possibile all'ostello in cui alloggiano. Tanyl lascia il suo amico e capo alle cure dei suoi compagni e come concordato si avvia verso l'ufficio di posta locale per mandare un messaggio all'ambasciata elfica di Almas, capitale dell'Andoran, per avvertirli che sarebbero arrivati entro due settimane e che avrebbero avuto necessità di incontrare le autorità locali. Poi si ferma al tribunale per dare le poche informazioni che ha riguardo alle loro scoperte alla Casa. Lo sceriffo, con entusiasmo gli stringe la mano.
«Quindi quell'incendio è stato causato effettivamente dalla magia… sapevo che non poteva essere un semplice incidente. Grazie di cuore, forse uno di questi giorni riaprirò le mie indagini e troverò il vero colpevole della morte di Elara e dei suoi bambini!» 
In serata gli elfi discutono sul da farsi nell'immediato futuro. Lorsan, ancora debole dopo il rituale di sangue eseguito in mattinata, si alza dal letto dove riposava e guarda i suoi compagni, i suoi occhi sempre più stanchi e il suo viso smunto incorniciato dai lunghi capelli ormai completamente bianchi.
«Miei fedeli compagni, ormai sono giunto al limite, il rituale mi ha prosciugato quasi completamente delle mie ultime forze, ma vi chiedo un ultimo sforzo. Dobbiamo tornare a Carpenden per mandare il nostro messaggero a Iadara, prima di dirigerci nuovamente a sud verso Almas.»
Uno degli altri elfi, la più giovane del gruppo, lo guarda un po' perplessa con i suoi grandi occhi dal colore della lavanda.
«Per quale motivo dobbiamo deviare così tanto dalla nostra strada? Non possiamo mandare un messaggio a Carpenden da qui?»
Lorsan si alza in piedi e si avvicina alla giovane poggiandole le mani sulle spalle minute e sorridendo amorevolmente.
«Ynasell, figlia mia, sei sempre stata precipitosa nelle decisioni e spesso agisci prima di pensare. So che più di chiunque fra noi vuoi ritrovare la tua amica, ma devi essere più cauta.»
La giovane elfa arrossisce un po' imbarazzata e abbassa la testa a queste parole.
«Se dovessimo mandare un messaggero da qui ci sarebbero due problemi fondamentali: il primo è che ci vorrebbero almeno dieci giorni prima che il messaggio arrivi a Carpenden. Un messaggero seguirebbe la strada a sud verso Olfden e quindi a est verso il ponte sull'Andoshen per poi riprendere nuovamente la strada verso nord. Noi invece cavalcheremo direttamente verso est, attraversando le Colline dei Lupi e guadagneremo circa quattro giorni. Il secondo problema, che è quello che più mi preme, è che un messaggio di questa importanza lo voglio dare in mano direttamente a uno dei nostri. Nessuno deve anche solo intuire le nostre scoperte. Se lei dovesse essere ancora viva si ritroverebbe in pericolo, di nuovo, anche se sono passati tanti anni. Non possiamo scartare nessuna possibilità fino a quando non avremo certezza del suo destino.»
La giovane Ynasell alza gli splendenti occhi viola pieni di amore nei confronti del vecchio elfo e ora ricolmi di nuova speranza.
«Padre, lei era una mia cara amica, la consideravo una sorella e ti seguirò fino in fondo all'Abisso se servirà a ritrovarla!»
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Capitolo 7
*** Elfi in Andoran Parte 4 ***


*** CAPITOLO 1 PARTE 4 ***
Nicchia del Falcone, Andoran - 4 Calistril (II) 4711
La pesante porta in legno rinforzato dell'ufficio del capo locale del Consorzio, viene aperta con violenza da una figura imponente, ansimante e sudata. La sua voce nasale dal timbro troppo acuto, causata dal naso rotto e piegato fin quasi a toccare la guancia con la sua punta, risulta bizzarra su un uomo che normalmente incute timore. Mentre parla sbatte i piedi a terra rilasciando nell'aria la polvere grigiastra che non manca mai alla Nicchia.
 «Sono partiti questa mattina, capo!»
Seduto dietro l'ampia scrivania nel centro della stanza, si trova Thuldrin Kreed, l'odiato e temuto padrone di Nicchia del Falcone. Le sue guance gonfie, il naso schiacciato con la punta che guarda verso l'alto, la testa tonda e i corti capelli riccioli e folti, ricordano molto le fattezze di un cinghiale, ma in città le voci su di lui si limitano alla presenza di qualche orco nel suo albero genealogico. Comunque stiano le cose, parlarne in sua presenza significherebbe nel migliore dei casi essere fustigato a sangue, nel peggiore rischiare la morte fra terribili sofferenze. Kreed non ha rispetto per la legge, né per la gente. Il suo potere ha sottomesso la gran parte dei cittadini della Nicchia e a seconda del suo umore decide della vita e della morte di chiunque si trovi sulla sua strada, letteralmente. Di solito è la persona che gli sta di fronte che si occupa dei lavori sporchi, ma quando è di pessimo umore, si sfoga con il primo sfortunato che gli capita sotto mano.
Togliendosi dal naso gli occhialini che usa quando deve leggere o scrivere documenti importanti, alza lo sguardo verso Payden Teedum, la sua fidata guardia del corpo, oltre che esattore del Consorzio. Poi guarda infastidito il fango e la polvere che l'uomo sta lasciando sui lucidi pavimenti di legno pregiato del suo ufficio. Le prime luci del mattino che entrano dalla finestra dietro la scrivania, colpendo il pulviscolo che circonda la figura di Payden, formano un'aura splendente quasi mistica intorno all'uomo. Thuldrin deve sopprimere un sorriso, fingendo un colpo di tosse e coprendosi la bocca con la mano.
«Hai scoperto perché quegli elfi hanno ficcato il naso dove non dovevano? A quanto pare sono riusciti ad aprire la cantina. Cosa hanno trovato la sotto di interessante, oltre a scaffali ammuffiti e topi?»
«Non abbiamo idea dei motivi che li hanno portati qui, niente è trapelato dall'ufficio di Baleson. Da quando quel mezzelfo bastardo è sceriffo, il quel posto è una specie di fortezza impenetrabile.»
L'odio di Payden per lo sceriffo è palese e mentre lo nomina si tocca il naso storto, come per tenere bene a mente il motivo per cui lo odia così tanto.
«Non siamo riusciti a corrompere nessuno, e quando ci abbiamo provato uno dei nostri è finito in cella. Ma di sicuro erano eccitati per qualche scoperta fatta lì sotto. Che abbiano o meno trovato i resti...»
La mano di Thuldrin calata pesantemente sul piano della scrivania blocca Payden a metà frase e il volto di quest'ultimo prende l'espressione di un cane colpevole di aver fatto qualcosa di sbagliato.
«Razza di idiota, non voglio sentire una sola parola a riguardo, hai capito bene? Da quando Baleson è sceriffo, i muri hanno orecchie. Se non vuoi avere lui e i suoi cani addosso, o peggio ancora, la Legione alla Nicchia, sarò meglio che cominci a tenere la lingua a freno, o te la strappo con le mie mani!»
Poi, ricomponendosi, si alza e si mette di fronte alla finestra, dando le spalle al suo braccio destro. Inspira lentamente come godendosi la luce solare che alla Nicchia arriva sempre troppo tardi, per via delle colline a est, e sparisce troppo presto, dietro le immense catene montuose a ovest. Senza voltarsi continua a parlare con voce calma.
«Bene, se avessero scoperto qualcosa di sconveniente per noi, Baleson ci avrebbe già fatto una visita molto poco amichevole. Ad ogni modo il fatto che stiano attraversando le Colline dei Lupi ci rende il lavoro più semplice. Fai rapporto a chi sai tu, ci penseranno lei e i suoi amici a quegli elfi.»
Un brivido corre lungo la schiena di Thuldrin. 
"Maledizione, quella donna mi rende maledettamente nervoso, e per ottimi motivi. Spero che se ne vada presto e che sparisca per sempre dalla mia vita!"
Come percependo i pensieri del suo capo, Payden sposta nervosamente il suo peso da un piede all'altro.
«Devo per forza incontrarla di persona? Non posso farle avere un messaggio? Mandare uno degli halfling?»
Thuldrin girandosi nuovamente verso di lui, lo guarda con un misto di compassione e disprezzo, la sua voce è tesa e bassa.
«In quanti sanno quello che sappiamo noi due? Vuoi spifferarlo in giro a qualcun altro? Sì, devi andarci tu da lei e se tutto va bene sarà anche l'ultima volta. Non so cosa abbia in mente e ammetto che mette i brividi anche a me, ma ci è stata di grande aiuto. Nonostante tutto dobbiamo ringraziare chi l'ha mandata qui da noi.»
Payden non sembra per nulla convinto da quelle parole. Nervosamente si gratta la guancia ispida e tiene lo sguardo fisso a terra.
«È innegabile che grazie a loro i nostri affari stiano andando meglio del solito, ma lei è pazza e i suoi amici sono imprevedibili. Ho il brutto presentimento che ci porteranno presto problemi. E di quelli grossi.»
Thuldrin fa uno sforzo per restare calmo, ma la voce esce bassa e minacciosa.
«La testa ce l'hai lì solo per tenere separate le orecchie o a volte la usi anche per pensare? Secondo te chi sta tenendo hobgoblin e licantropi lontani dai nostri campi di lavoro? Limitati a fare quello che ti si dice. Pensare, per te, è tempo sprecato.»
Il capo torna a sedersi e con un gesto della mano congeda Payden. Poi ripensandoci lo ferma sulla soglia.
«Ancora un paio di cose: manda qui l’halfling… come si chiama… Robinia… ecco, spediscimela qui a pulire il porcile che hai lasciato in casa mia. Poi vai dal Magistrato e fai in modo che faccia uscire di cella il nostro uomo. E un'ultima cosa: la prossima volta, se non bussi prima di entrare, ti taglio le mani.»
Mentre Thuldrin torna leggere i documenti sparpagliati sulla scrivania, Payden chiude la porta e si avvia mestamente a compiere il proprio dovere. Il solo pensiero di dover parlare con quella donna gli fa rizzare i pochi capelli che ha sulla testa!
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Capitolo 8
*** Elfi in Andoran Parte 5 ***


*** CAPITOLO 1 PARTE 5 ***
Colline dei Lupi, Andoran - 6 Calistril (II) 4711
L'hobgoblin e il licantropo sembrano imponenti in confronto al corpo minuto, fasciato in un lungo mantello grigio stracciato sul fondo e macchiato di sangue, della persona in piedi di fronte a loro. Questa è rivolta verso un altare di pietra grezza ricoperto di sangue fresco, sul quale si trova il corpo quasi completamente scarnificato dalla vita in giù di una giovane donna. Nei loro sguardi è evidente l'orrore per la scena a cui hanno appena assistito e la paura che provano al cospetto di quella ragazza, che non sembra aver ancora superato gli anni dell'adolescenza: i lunghi capelli sono del colore del sangue secco e fuoriescono dal cappuccio tirato sulla testa, posandosi al di sotto delle spalle, gli occhi esprimono odio per tutto quello che incontrano e il riflesso delle torce su di essi dà l'impressione che le iridi rosse siano fatte di sangue fresco e sempre in movimento, le dita aggraziate e affusolate delle mani ricoperte di intricati tatuaggi e ora grondanti di sangue, terminano con lunghe unghia nere che sembrano più pericolose di una lama affilata. Nonostante la ragazza sia esile, l'arma che impugna è una lunga falce dal manico di legnoscuro e la lama d'osso, attraversata a tratti da piccole fiammelle, infine, a rendere l'atmosfera ancora più inquietante è l'orribile creatura che le fa da guardia del corpo: uno scheletro sulle cui ossa ricoperte di sangue sono ancora attaccati brandelli di carne fresca, armato di due lunghi pugnali arrugginiti e incrostati di sangue secco, e nelle orbite del cranio, su cui sono ancora attaccate alcune ciocche di capelli, due bulbi oculari che si spostano a scatti in tutte le direzioni. Gli scricchiolii provocati da ogni più piccolo movimento dello scheletro rendono ancor più inquiete la gran parte delle persone che le stanno intorno, e la ragazza trova piacere nel constatarlo ogni volta. Ama definirsi la sacerdotessa prediletta di Urgathoa, dea delle malattie, dell'ingordigia e della non-morte, o come viene spesso chiamata dai suoi accoliti, la Principessa Pallida, amante dei piaceri portati all'eccesso, e i terribili atti che compie per compiacerla ne sono una prova concreta. Si porta le dita alle labbra assaporando con la punta della lingua il sangue che, ancora caldo, scorre sulle sue lunghe unghia, dopodiché si gira verso le due persone che attendono, atterrite, dietro di lei.
«Mi è stato riferito che il Consorzio ha bisogno di disfarsi di alcuni elfi troppo curiosi, ma io sono attesa ad Almas e non ho tempo di occuparmi di loro.»
La sua voce è roca e bassa, il tono è quello di chi non ammette nessuna replica, le parole escono lentamente, ma ben scandite, come se parlasse con dei bambini. Il suo sguardo si ferma sul licantropo, le cui evidenti curve rivelano il sesso della creatura nella sua forma umana. Questa, con grande sforzo di volontà, tiene gli occhi sulla sacerdotessa evitando di seguire l'orribile scheletro, i cui movimenti a scatti sono quasi ipnotizzanti.
«Zenesha, voglio due di loro vivi e li voglio qui quando ritornerò, anche fosse fra un mese. Strappa loro la lingua, molti possono usare la magia usando solo le parole. Non farteli scappare, non vuoi costringermi a prendere provvedimenti!»
Zenesha a quelle parole rabbrividisce e il pelo che la ricopre si rizza, avendo ben chiaro cosa intende la sacerdotessa: un errore potrebbe renderla la portata principale di uno degli osceni rituali di quel gruppo di fanatici di Urgathoa, come testimonia il corpo straziato sull'altare. 
«I tuoi druidi del Terzo Velo non mi hanno mai deluso, avete scovato anche questa spia.»
Le sue parole sono seguite da una risatina acuta, mentre passa distrattamente le dita sul sangue sopra l'altare. Quando se le porta alle labbra lasciano una striscia rossa sul lato della bocca, un guizzo della lingua la ripulisce in un momento.
«E so che anche adesso farete felice me e la mia dea. Ora muoviti, gli elfi sono partiti da quella fogna della Nicchia due giorni fa!»
Zenesha fa un cenno di assenso e chinando la sua testa di lupo, indietreggia di qualche passo prima di voltarsi e uscire di corsa da quella stanza rozzamente scavata, inoltrandosi lungo i cunicoli scavati al di sotto delle brulle Colline dei Lupi, per raggiungere il suo branco.
Quando il ticchettare delle zampe del licantropo si allontana fino a sparire, l'hobgoblin fa un passo verso la sacerdotessa, pentendosene subito: senza quasi rendersene conto si ritrova con due pugnali puntati allo stomaco e la lama della lunga falce della sacerdotessa appoggiata alla base del collo. Sente alcune gocce di sangue scendergli dalle piccole ferite appena aperte, si blocca immediatamente con gli occhi sbarrati per il terrore.
«M-mi dispiace. N-non volevo m-metterti in allarme! Per favore, perdonami mia signora Beatrix!»
Lentamente le lame dello scheletro si allontanano, così come la falce. Gli occhi pieni di odio e di sospetto di Beatrix restano fissi sull'hobgoblin, mentre questo crolla in ginocchio strofinandosi la mano sulla ferita al collo.
«Non ti taglio la testa solo perché il Ragno ha ancora bisogno di te, ma fammi uno scherzo simile ancora una volta e farò mangiare la tua putrida carne a tutto il tuo clan! Troverò qualcun altro che faccia il tuo lavoro!»
«Perdonami mia signora, non succederà mai più, te lo posso assicurare. Qualunque cosa possa fare p…»
«Piantala di blaterare, sei più intelligente di così, quindi comportati come tale. Solo ricordati sempre di non avvicinarti senza prima chiedermelo. Ora alzati! Segui quei cani randagi e assicurati che facciano quello che ho ordinato loro. Dopo prepara i tuoi guerrieri per raggiungermi al punto prestabilito la settimana prima della quarta luna piena. Il Ragno non accetta ritardi o fallimenti!»
L'hobgoblin si alza, la tensione di pochi attimi prima svanisce per aver ricevuto un complimento dalla sua Signora e per il nuovo incarico ricevuto e poi finalmente potrà uscire da quella caverna impregnata dell'odore di sangue e di morte e dimenticare le urla terrificanti della giovane spia, mentre veniva scarnificata viva. Appena si volta per andarsene la voce di Beatrix lo fa fermare di colpo.
«Ho un'ultima richiesta, Hagla. Voglio cinque dei tuoi entro stasera, verranno con me ad Almas.»
Senza attendere una risposta  la sacerdotessa si volta e ritorna verso quel che resta del corpo sull'altare. Dopo alcuni minuti solleva le mani verso il proprio viso e quando si volta, i graziosi ma duri lineamenti della giovane donna sono nascosti da una macabra maschera formata dalla parte frontale di un teschio umano sporco di sangue, lasciandole scoperta solo la mascella coperta dagli stessi intricati tatuaggi che ha sulle mani.
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Capitolo 9
*** Elfi in Andoran Parte 6 ***


*** CAPITOLO 1 PARTE 6 ***
Colline dei Lupi, Andoran - 7 Calistril (II) 4711
Gli elfi ormai sono spossati dalla lunga cavalcata notturna per fuggire al branco di licantropi che li insegue dal giorno prima. La pioggia battente che li ha accompagnati per tutto il viaggio ha stremato i cavalli, che incespicano e scivolano in continuazione su quelle spoglie colline rocciose. Lorsan, con respiro pesante, si avvicina a Tanyl in un momento in cui sembra che i loro inseguitori abbiano dato loro una pausa.
«Amico mio, non possiamo andare avanti così. I cavalli ormai non ce la fanno più e noi siamo messi anche peggio. È la prima volta che vedo dei licantropi così insistenti nel loro inseguimento e mi preoccupa molto il fatto che abbiano preso prigioniero Ruvyn!»
Tanyl si guarda indietro per controllare che non ci siano gli inseguitori in vista, il viso è tirato per la stanchezza e il nervosismo. Le vesti che coprono l'armatura sono macchiate di sangue, che la pioggia battente non riesce a lavare via. Nella notte era riuscito ad uccidere uno dei loro inseguitori, avvicinatosi troppo incautamente, ma non prima che uno dei cavalli si fratturasse una zampa, crollando malamente a terra e bloccando il suo cavaliere sotto il suo peso. Tanyl non aveva avuto il tempo per aiutarlo: nel giro di pochi istanti Ruvyn era stato circondato da alcuni dei loro inseguitori che, sorprendentemente, lo avevano tirato fuori da sotto il cavallo. Senza ucciderlo.
«Non lo so Lorsan, questi non sono licantropi comuni, ho visto uno di loro usare incantesimi. Forse sono druidi, giravano voci a riguardo, ma nessuna prova concreta. E il destino ha voluto che le prove le trovassimo noi. Comunque sono sicuramente guidati da qualcuno con del raziocinio, non ho mai visto branchi così organizzati!»
Lorsan osserva per un momento con sguardo addolorato sua figlia Ynasell, poco più in là: il suo bel viso è stravolto dalla fatica e dal dolore per la perdita dell'ennesimo compagno, gli occhi color lavanda sono ricolmi di lacrime che si mischiano con la pioggia, guarda dritto di fronte a sé, come a cercare una speranza nascosta dietro l'orizzonte nero di nuvole e carico di cattivi presagi. Infine il vecchio elfo torna con lo sguardo su Tanyl.
«Sai che non riusciremo a sfuggire loro, per questo dobbiamo fermarli e fare in modo che il medaglione arrivi a Iadara. Lì sapranno cosa fare. Voglio che almeno lei sopravviva… e che gli dei la aiutino a ritrovare la sua amica!»
Il loro compagno in ascolto appena dietro, li guarda e fa un cenno di assenso, sapendo cosa deve fare. Rallenta il cavallo, così come Tanyl rallenta il suo. Lasciano che Lorsan possa parlare con la propria figlia, per darle un ultimo saluto. Ynasell guarda suo padre avvicinarsi e, incuriosita e preoccupata, vede che gli altri stanno rimanendo indietro.
«Cosa sta succedendo padre mio, perché rallentiamo?»
Lorsan prende da una delle sue borse il medaglione trovato fra le rovine del vecchio orfanotrofio e lo porge a Ynasell.
«Figlia mia, solo noi tre rallentiamo, ma tu dovrai correre più veloce che puoi senza fermarti mai a guardarti indietro. Cercheremo farti guadagnare abbastanza vantaggio da poter lasciare queste maledette colline. I licantropi non oseranno andare oltre!»
Ynasell ha il volto sconvolto dalla paura. Paura di perdere suo padre, paura di restare sola, paura di non riuscire a portare a termine la missione affidatale.
«No padre, non posso farlo da sola! Io non…»
Lorsan non la lascia finire, le stringe le mani fra le sue, appoggia la sua fronte su quella della figlia in una dimostrazione di grande amore paterno.
«Vita mia, ascoltami! Questo medaglione deve arrivare al messaggero a qualunque costo. Ora che finalmente sappiamo cosa è successo venti anni fa, dobbiamo far arrivare la notizia a Iadara. Poi tu dovrai continuare la ricerca, ovunque essa ti porterà.»
Con le lacrime che scendono sulle sue guance pallide, Ynasell abbraccia il padre. I singhiozzi del pianto non le lasciano modo di parlare. Con dolcezza, ma con fermezza, Lorsan si stacca da lei.
«Ora vai e non guardarti indietro, mai!»
Ynasell lancia un ultimo triste sguardo al padre, mette il medaglione al sicuro in una borsa alla cintura e poi si volta. Sussurrando alcune parole alle orecchie del cavallo, parte nuovamente al galoppo verso est, verso il fiume che finalmente la separerà da quel luogo maledetto dove ha perso tutto.
Gli elfi, troppo stanchi per pensare ad altro, tranne che ai loro inseguitori, non si sono resi conto che qualcun altro li sta tenendo d'occhio. Hagla, dalla distanza, segue tutta la scena e quando vede la giovane elfa andarsene via da sola, sale in sella al suo grande worg, una specie di lupo grande quanto un cavallo, la cavalcatura preferita dagli hobgoblin, e la segue ben sapendo che i licantropi verranno rallentati dagli altri tre e non riuscirebbero a raggiungerla, prima che l'elfa attraversi il fiume. Accarezzandosi con la rozza mano una vecchia cicatrice che gli deturpa la gola e parte del volto sorride malignamente ripensando al giorno in cui per colpa di una giovane elfa ha perso molti compagni e quasi la vita. "Da quella volta non ho avuto modo di potermi vendicare! Appena sarai fra le mani della mia signora Beatrix, mi divertirò a guardarti mentre preghi le tue divinità di liberarti dalle sofferenze!". In quel momento smette di piovere e Hagla si lancia all'inseguimento con la sua cavalcatura, pregustando il momento di una parziale vendetta nei confronti degli odiati nemici.
Dopo poco tempo dalla sua separazione dal resto dei suoi compagni Ynasell si rende conto di essere seguita, ma il suo cavallo non è agile come il worg, che la raggiunge affiancandosi a lei. Il ghigno del suo cavaliere le mette i brividi e cerca di spronare la sua cavalcatura, senza però riuscire a distanziare l'hobgoblin che la insegue. Arbusti e rocce passano veloci sotto di lei, in ogni momento il suo cavallo potrebbe inciampare e spezzarsi una zampa e per lei sarebbe stata la fine. Le lacrime di tristezza e di paura ricominciano a sgorgare dai suoi occhi color lavanda, non si rende conto che il worg e il suo cavaliere l'hanno superata e solo all'ultimo vede una lunga catena chiodata scintillante che si abbatte inesorabile verso di lei. Il colpo è violentissimo, le punte artigliate in acciaio le squarciano la sottile armatura e penetrano nelle carni in profondità, le ferite sulla gola e sul petto sono devastanti. Ynasell perde la presa sulle redini e crolla da cavallo, ma un piede resta incastrato nella staffa. 
Hagla non poteva prevedere quel che sarebbe successo sotto il suo sguardo impotente: il cavallo dell'elfa, impazzito dal terrore, galoppa trascinandosi con se il corpo dell'elfa, questa nonostante la tremenda ferita, cerca invano di liberasi il piede, ma il violento impatto del collo con un masso blocca il suo tentativo, il suo corpo adesso sembra un involucro vuoto sbatacchiato sul terreno mentre Ynasell perde i sensi. L'hobgoblin tenta senza successo di prendere le redini del cavallo prima che questo si getti a capofitto in un dirupo che finisce nel fiume Andoshen, ma alla fine deve guardare con rabbia l'elfa che cade nelle gelide acque del fiume, trascinata dalla sua cavalcatura. I due corpi spariscono trascinati dalla forte corrente causata dalle piogge delle ultime settimane. Hagla prova a seguire il corso del fiume per un po', ma poi si ricorda la punizione che riceverebbe se qualcosa andasse storto con gli altri elfi. "Ormai questa pallida comunque è spacciata!". Non immagina quanto quel pensiero possa essere sbagliato!
Ynasell, all'impatto con l'acqua gelida, riprende i sensi, solo per scoprire che, nonostante sia libera dalla staffa della sella, non ha più nessun controllo sul suo corpo. A malapena riesce a muovere il braccio destro e la testa, e per un lunghissimo momento è sicura che morirà annegata nei flutti gelidi di un fiume che la sta portando sempre più lontano da casa, ma gli dei sembrano avere altri piani per lei. Dopo essere stata sbattuta come una marionetta per un tempo che le sembra infinito, senza sentire dolore in nessuna parte del suo corpo, a parte braccio e testa, e avere inghiottito più acqua di quanto ne avesse mai desiderata nel disperato tentativo di respirare, un capriccio della corrente la porta verso la sponda orientale dell'Andoshen e la lascia a poca distanza dalla strada che costeggia la riva pietrosa del fiume. Completamente impotente, impossibilitata a muoversi, e ormai senza forze per la grave perdita di sangue, Ynasell tossisce e sputa l'acqua che le ha invaso i polmoni, poi si lascia andare alla disperazione più completa e piange le sue ultime lacrime, pronunciando il nome della sua amica, aspettando che il velo pietoso della morte cali su di lei. Poco più avanti la piccola borsa di cuoio che Ynasell aveva alla cintura, viene trascinata dalla corrente.
Quando Hagla finalmente ritorna nel luogo in cui ha visto i licantropi e gli elfi l'ultima volta, si rilassa. Zenesha ha seguito gli ordini alla perfezione. Uno dei suoi compagni licantropi è morto carbonizzato, il vecchio elfo è riverso a terra, morto anche lui,  in un lago di sangue uscito dalla profonda ferita alla gola. Gli altri due, ancora vivi, ma evidentemente feriti. Hagla nota con una certa soddisfazione il sangue che sputano dalla bocca.
«Hai fatto un buon lavoro Zenesha, la mia signora sarà soddisfatta, di nuovo! Appena avete finito lo spuntino portiamo indietro i due elfi. Ricordati che devono rimanere vivi!»
Zenesha e i suoi licantropi ritornano alla loro forma umana, indistinguibili da qualunque altra persona normale. Mentre gli altri indossano lunghe vesti marroni e nere, Zenesha porta una veste color verde bordata di rosso, simbolo della sua carica di capo della setta di druidi che si fa chiamare Terzo Velo. Hagla si è sempre chiesto il perché di questo nome, ma Zenesha non è mai stata disposta a rendere pubblica questa informazione. La donna ha un'espressione preoccupata.
«Hagla, abbiamo perso di vista l'elfa che era con loro. Ti prego, dimmi che te ne sei occupato tu!»
L'hobgoblin, sentendo il tono di supplica della druida, scoppia in una fragorosa risata. Conoscendo Beatrix capisce perfettamente perché Zenesha è così preoccupata, ma decide di non tenerla sulle spine.
«Sono venuto qui apposta per evitare possibili problemi. Con i pallidi ci si può aspettare qualunque cosa, anche che si sacrifichino in molti per salvarne uno. È morta e purtroppo ho dovuto rinunciare all'idea di donarla alla mia signora, visto che è stata portata via dalla corrente.»
L'hobgoblin tranquillamente si incammina verso l'entrata delle caverne dove vive il suo clan e si prepara per la sua prossima missione, mentre il gruppo di licantropi, con i prigionieri si avvia verso il loro rifugio, in attesa del ritorno della terribile sacerdotessa di Urgathoa.
»»» FINE CAPITOLO 1 »»» 

Per chiunque mi abbia seguito fino a qui, i prossimi capitoli saranno scritti in formato di riassunto di sessioni di gioco effettuate sulla base della storia che sto scrivendo. Mettere in formato romanzato tutto mi richiede tantissimo tempo, è letteralmente un lavoro. In un futuro non troppo distante comunque pubblicherò il resto dei capitoli romanzati su una piattaforma differente.

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Capitolo 10
*** La chiamata Parte 1 ***


Ciao a tutti, sono tornato, dopo tanto tempo, e alla fine ho ricominciato a scrivere questa fanfiction normalmente, senza riassunti. Ovviamente ci vorrà più tempo tra una pubblicazione e l'altra, ma spero possa essere interessante ugualmente! Nel mentre sto facendo aggiustamenti nei capitoli precedenti per rendere più scorrevole la lettura e più completa la storia (nulla che ne stravolga la trama, comunque) e in futuro pubblicherò le nuove versioni. Buona lettura!

*** CAPITOLO 2 PARTE 1 ***
Almas, Andoran - 17 Calistril (II) 4711
«Buongiorno madre!»
Ancora assonnato Railey sbadiglia rumorosamente rischiando di inciampare nei due gatti che gli si strusciano sulle gambe. Quei due felini prima o poi lo faranno ammazzare giù per le scale, ne è sicuro. Sono in famiglia da quando Railey ha ricordi, quindi da molto tempo. Se Aki, il nero, è qui significa che sua sorella è già uscita, infatti non si stacca mai da lei quando è in casa. Mika invece è il "suo" gatto, un albino sordo e con un’eterocromia tale e quale a quella del suo umano preferito: un occhio azzurro e l’altro verde, una coincidenza quasi inquietante secondo Railey, però lo adorava. Attraverso le imposte aperte delle finestre non entra ancora luce, il sole sorge tardi in inverno, e pensando al freddo che c’è fuori Railey rabbrividisce, anche se in casa c’è un bel tepore che si diffonde dalla grande cucina del piano inferiore insieme a un delizioso profumo di uova e formaggio fuso che gli pervade le narici svegliandolo definitivamente. Proprio dalla cucina giunge la risposta di sua madre intenta a preparagli la colazione.
«Buongiorno dormiglione, muoviti altrimenti lascio tutto ai gatti!»
Ogni volta che sua madre parla sembra quasi che canti, tanto chiara e melodiosa è la sua voce: Railey pensa che sia piacevole essere svegliati o anche sgridati da lei.
«Tuo padre e tua sorella sono già usciti, dovrai accontentarti del pane di ieri, così impari a fare le ore piccole.»
La notte prima era in servizio di ronda al Campo dell’Armonia insieme alla Guardia Cittadina, uno dei suoi tanti doveri da Paladino di Iomedae. Un piccolo passo nel lungo cammino per riuscire finalmente un giorno a indossare il mantello dei Cavalieri dell’Aquila.
«Madre, lo sai che sono l’ultimo arrivato e mi rifilano sempre i turni peggiori. A volte penso che il Paladino Voiles mi odi.» Aggiungendo subito dopo in tono ironico «Potresti parlare con il mio Alto Prelato magari…»
In realtà Railey dopo un anno di addestramento al tempio non sapeva nemmeno che faccia avesse il capo del tempio, l’unica persona di alto rango con cui ha rapporti è il suo addestratore. Una squillante e piacevole risata giunge in risposta.
«Lascia perdere, Railey. Quel tipo è troppo pieno di sé, non ascolterebbe il defunto dio Aroden, se dovesse tornare in vita!»
Ranae Gholin è un chierico di Desna di alto rango e conosce tutte le personalità di spicco dei templi della città. Railey si fa una risata a questa affermazione un po’ blasfema, si avvicina alla madre da dietro, la abbraccia e poggiando la testa sulla sua spalla, aspirando profondamente il profumo di lavanda dei suoi lunghi capelli neri, le schiocca un bacio sulla guancia che lei gli porge volentieri. Senza girarsi Ranae gli arruffa affettuosamente i capelli.
«Vatti a sedere, che ti porto tutto a tavola. E poi muoviti a prepararti o sarai in ritardo. Aimi ti ha già preparato il bagno e le vesti, non farla arrabbiare perdendo altro tempo!»
Il ragazzo si siede e mangia voracemente tutta la colazione ripulendo il piatto fino a farlo scintillare - l’ultimo pasto risale al pranzo del giorno prima - quindi va nella sala da bagno dove si immerge in una grande vasca già piena di acqua calda e profumata, facendola traboccare dai bordi. Finito il rilassante bagno torna in camera senza nemmeno coprirsi e, come previsto, trova le vesti pulite e ben stirate sopra il letto già rifatto. “Aimi… Quella donna è incredibile, so che si trova in casa, ma la vedo così raramente… comunque meno male che c’è lei!”
Railey è sempre stato affascinato dall’efficienza della loro governante, una donna proveniente dal lontano oriente che lavora per la loro famiglia da sempre ed è particolarmente affezionata a sua madre. Qualche anno prima provò a cercarla per tutta la casa senza trovarla e all’improvviso se la ritrovò alle spalle che lo guardava con uno sguardo inquietante. Ne rimase così traumatizzato che da quel giorno non cercò più di scoprire che fine facesse quando non la vedeva. Finalmente pronto per uscire, come al solito senza nemmeno darsi il disturbo di pettinarsi i corti capelli neri, apre l’armadio per il tocco finale: fra i vari cappelli a tesa larga allineati sullo scaffale ne prende uno azzurro pastello e da una contenitore in vetro lì di fianco sceglie una lunga, voluminosa e soffice piuma rosa che inserisce su un lato del cappello. La sua passione per i colori sgargianti è ormai una specie di leggenda fra le sue conoscenze. Scendendo le scale percepisce un movimento con la coda dell’occhio vicino alla stanza dei genitori, ma girandosi non vede nulla. “Prima o poi riuscirò a trovarti quando non vuoi farti vedere, Aimi!”  pensa fra sé socchiudendo gli occhi e sorridendo “So che adesso mi stai guardando!” Affrettandosi verso l’uscita saluta la madre, accarezza i gatti che lo seguono, viziandoli con i soliti bocconcini del mattino e, cappello in testa e mantello stretto attorno alle spalle, apre la porta di casa inoltrandosi nella nebbia mattutina della città di Almas, in direzione del tempio di Iomedae.
La sua casa, un elegante edificio in pietra su due piani, si affaccia su una piazzetta del Distretto della Libertà - uno dei quartieri più ricchi della città - circondata da altri eleganti edifici simili. Su questo lato del fiume Andoshen, che divide la città in due, vivono le famiglie più benestanti e fioriscono piccole e grandi botteghe, dal fornaio al commerciante di articoli di lusso. Tutte le strade sono larghe, ben illuminate dai tanti lampioni situati a lati delle strade e, grazie all’innovazione dei sistemi fognari che collegandosi alle singole abitazioni passano sotto il manto stradale, anche pulite. Molti degli edifici residenziali sono in pietra e di recente costruzione e quasi tutti quelli in legno sono ben tenuti. L’unica nota stonata è la puzza che arriva dai distretti industriali sulla sponda opposta del fiume, quando il vento spira da occidente a oriente. “Pensare che a qualche centinaio di metri vivono nella quasi completa povertà e nel lerciume mi fa imbestialire. Tutto questo dovrà cambiare prima o poi!” Perso nei suoi soliti pensieri di giustizia sociale e uguaglianza e nei progetti per poterli un giorno mettere in atto partendo da questa città, copre il breve tragitto tra casa sua e il tempio incrociando molti negozianti che si preparano ad aprire le propria attività, un gruppo di guardie nel loro servizio di ronda e un paio di individui che portano in giro i loro adorati cani.
I suoi passi veloci lo portano a fermarsi alla base di un’ampia e lunga scalinata di pietra bianca lucida per l’umidità, che sale fino ad arrivare all’enorme entrata del tempio più grande della città. Dopo la grandiosa Cattedrale Dorata - votata un tempo al defunto dio Aroden e ora trasformata in luogo di incontro fra culture - che sovrasta imponente la città di Almas, il tempio di Iomedae è la costruzione più alta. Il grande edificio di pietra bianca si trova sul Viale degli Dei, dove sorgono praticamente tutti i templi piccoli o grandi di quasi ogni divinità conosciuta. Con la sua semplice e funzionale architettura a croce e l’enorme cupola ricoperta di lamine dorate che la sormonta, questo tempio si può scorgere quasi da ogni punto della città e spicca particolarmente quando si arriva in nave dal mare. Non è un caso che sia un edificio tanto imponente, in quanto il culto di Iomedae è il più praticato in tutto l’Andoran: lei incarna i principi di giustizia e uguaglianza sui quali è stata fondata la giovane democrazia che governa il Paese.
Togliendosi rispettosamente il cappello Railey si avvia su per la scalinata arrivando di fronte alla grande porta in legno nero e lucido decorata in tutta la sua altezza con lo stesso simbolo che ha sul suo mantello: un spada dorata dalla cui elsa si dipanano lunghi raggi di sole. Le grandi finestre della facciata sono illuminate dall’interno, rivelando vetrate colorate che rappresentano i momenti più importanti della vita di Iomedae, da araldo del defunto Aroden fino alla sua ascesa a divinità. Railey entra dalla porticina intagliata in una delle due grandi ante principali e si ritrova nell’enorme spazio interno del tempio illuminato da lunghe file di alti bracieri accesi che riscaldano l’ambiente con fiamme che si riverberano su una moltitudine di simboli e disegni dorati che decorano le pareti e i soffitti. Le due ali laterali del tempio sono delimitate da alti colonnati che dall’entrata arrivano fino all’ampia abside al cui centro si trova l’imponente statua di Iomedae, una fiera donna in armatura completa. Intorno a questa si trovano pochi devoti mattinieri seduti su alcune delle numerose panche posizionate ad arco di fronte all’altare ai piedi della statua. Ogni volta che Railey passa questa soglia si sente pervadere da una grande calma e sente che la sua voglia di giustizia e la volontà per cambiare il mondo in cui vive si rafforzano.
«Buongiorno addestratore Voiles!»
Si rivolge con un inchino formale e un espressione seria a un’alta giovane donna dall’aspetto autorevole e vestita in una scintillante armatura metallica. Lei è la persona che occupa la carica di vice prelato e addestratore delle nuove reclute, incredibilmente giovane per questa posizione. Subito dopo, sfoggiando il suo miglior sorriso, si esibisce in un inchino degno di una menzione nel galateo del perfetto gentiluomo e segue un elegante svolazzo di cappello e piuma.
«Siete splendida come sempre mia signora, ma quell’armatura non rende giustizia alla vostra persona.»
La risposta arriva con tono severo, ma i brillanti occhi verdi sorridenti puntati direttamente in quelli così interessanti del ragazzo tradiscono emozioni molto differenti.
«Stai attento a quello che dici cadetto Gholin, se le tue parole dovessero colpire in profondità, potresti pentirtene in futuro.» Poi, il suo sorriso diventa beffardo «Hai mai pensato di convertirti a Shelyn? La dea dell’amore potrebbe essere attratta dai tuoi modi.»
Vedendo però l’espressione vagamente adombrata di Railey chiude la discussione tornando a un tono più formale.
«Per il momento ripulisci quella tua linguaccia impertinente all’altare e non farti vedere fino a quando non sarai sicuro di aver assolto tutti i tuoi peccati.»
Voltandogli le spalle per tornare ai suoi doveri più impellenti Anwen Voiles, uno dei paladini più importanti della città, deve nascondere ai presenti il grande sorriso che le si disegna sul bel viso segnato dalle dure esperienze passate e, passandosi una mano sui corti capelli neri, si allontana. Railey, ancora un po’ perplesso per le parole della donna - quando la sua fede in Iomedae viene messa in discussione in qualche modo, lui diventa molto suscettibile - la segue con gli occhi ancora per qualche momento, attratto da quel movimento della sua mano forte ma delicata passata sui capelli, quindi lascia il suo cappello all’interno di una piccola stanza adibita a guardaroba, attraversa lo spazio sotto la grande cupola decorata incombente sulla sua testa e, arrivato ai piedi della statua di Iomedae, si inginocchia e inizia a pregare “Non ti tradirò mai, mia Signora! Porterò giustizia in questo mondo, te lo giuro sulla mia stessa vita.”

 
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Capitolo 11
*** La chiamata Parte 2 ***


*** CAPITOLO 2 PARTE 2 ***
Almas, Andoran - 17 Calistril (II) 4711
Nel grande, confortevole e lussuoso appartamento situato nel centro del rinomato Poggio Orientale - ricco distretto mercantile di Almas - Laren, come ogni mattina da quando aveva solo 10 anni, prepara la colazione per sé e per sua madre. Il padre morì a causa di un incidente nel frantoio di proprietà della famiglia nella sua città natale, Carpenden, nella regione nord dell'Andoran, poco prima della sua nascita e da allora vivono da soli. Laren cerca sempre di fare del suo meglio sia a casa che all’università per aiutare la madre, che ha sacrificato così tanto della sua vita per crescere il figlio senza fargli mancare mai nulla. Il profumo del pane appena sfornato si diffonde per tutte le stanze fino ad arrivare alle narici dell’esile figura distesa su un grande letto a baldacchino, troppo grande per una persona da sola. Stiracchiandosi e brontolando per il sonno interrotto la donna si alza dal letto e, ancora avvolta nelle vesti di seta che usa per dormire, si trascina a piedi nudi fino alla sala da pranzo dove si lascia cadere pesantemente su una delle sedie imbottite che si trovano intorno al grande tavolo, già apparecchiato dal figlio “Chissà che fine avrei fatto se tu non fossi stato sempre con me, figlio mio!”
Helena Trellis non ha avuto vita facile a Carpenden quando suo marito Farlon Hadria era ancora vivo: a causa delle sue origini povere la famiglia Hadria non ha mai visto di buon occhio il loro matrimonio. Quando poi il marito morì tragicamente dovette vendere l’attività e venire a vivere ad Almas, riprendendo possesso del suo cognome. Fortunatamente al tempo ormai aveva soldi e abilità sufficienti per mettere su quella che adesso, dopo anni di duro lavoro, è la sartoria di lusso più rinomata in città.
«Mamma, è un piacere vederti sempre di ottimo umore al mattino! Ma sai, dovresti cominciare a tornare un po’ prima a casa la sera!»
Laren, sorridente, entra nella sala da pranzo con un vassoio di pane caldo tagliato a fette su una mano, mentre con l’altra porta una piccola giara di ceramica piena di marmellata di fragole, la preferita di Helena. La madre grugnisce qualcosa in risposta, ma i lunghi capelli biondi arruffati che le coprono il viso, nascondo anche il sorriso e l’espressione di infinito amore che prova per il proprio figlio. È così orgogliosa di lui e di quello che sta diventando, ma allo stesso ha paura che sia cresciuto troppo in fretta.
«Mangia con calma, intanto ti riscaldo l’acqua per il bagno.»
Altri grugniti incomprensibili escono dalla massa di capelli davanti al viso della donna. Laren appoggia vassoio e giara sul tavolo davanti alla madre e spostandole delicatamente i capelli la bacia sulla guancia.
«Ti ricordi che oggi deve venire in sartoria la moglie di quel mercante di Qadira. Dovrai presentarti al meglio, se ti va bene questa vendita potremmo prenderci un mese di vacanza!»
Sghignazzando si gira per uscire dalla stanza, ma una voce che sembra provenire dal profondo degli abissi infernali lo pietrifica sul posto.
«Figlio mio, visto che sei tanto bravo e sai tante cose potresti andarci tu in negozio oggi al posto mio!»
Un sogghigno malefico si disegna sul viso di Helena mentre pronuncia quella frase. Laren non si volta verso la madre per non farle vedere la faccia rossa per l’imbarazzo e inizia a balbettare.
«Come p-potrei mai lavorare da solo in m-mezzo a tutte quelle d-d-donne che girano mezze n-n-nude per il negozio e parlano di scarpe, vestiti e… e… biancheria femminile!»
Le ultime due parole uscite dalla gola di Laren in un gridolino stridulo. In fondo è ancora un ragazzino, certi discorsi forse sono ancora un tabù per lui. Dopo pochi secondi di silenzio completo i due scoppiano in una risata fragorosa. Sono sempre stati in sintonia e sanno cosa passa per la testa dell’altro in ogni momento, si sono sempre sostenuti nei periodi bui della loro vita come in quelli felici e questo ha sempre dato la forza a Helena di andare avanti e crescere al meglio delle sue possibilità Laren, anche senza l’amato marito.
«Va bene, va bene. Riempimi la vasca e poi vai a prepararti. Non voglio che arrivi tardi all’università a causa mia, e soprattutto non voglio inimicarmi il rettore!»
Il ragazzo lascia la madre alla sua colazione andando a preparale il bagno e poi torna in camera sua per vestirsi e uscire. L’Università di Almas lo aspetta come ogni giorno, e lui non vede l’ora di entrare in quelle grandi stanze ricolme della conoscenza di cui è sempre affamato. Grazie alle sue incredibili capacità mentali e fisiche a soli 15 anni è stato accettato in una delle istituzioni più importanti dell’Andoran, dove entrare è un’opportunità per pochissimi soggetti selezionati dal rettore in persona e Laren al momento è il più giovane studente in assoluto. Senza parlare dei costi di iscrizione che pochi possono permettersi.
Nonostante i grandi cambiamenti degli ultimi anni l’Andoran è ancora un Paese in cui i ricchi sono privilegiati, contano di più e hanno maggiori opportunità, ma Laren deve andare avanti per la sua strada e non può fermarsi in continuazione ad aspettare gli altri, deve pensare al benessere di sua madre, prima di ogni altra cosa. 
Aprendo le imposte delle finestre della sua camera vede una fitta foschia nascondere le strade sottostanti vagamente rischiarate dai lampioni ancora accesi, decide così di vestirsi con braghe in panno pesante, camicia e giacca in pelle, il tutto rigorosamente all’ultima moda. Praticamente nell’armadio ci sono solo vestiti fatti su misura, che deve cambiare ogni anno, nel migliore dei casi. Sua madre ci tiene davvero molto alla sua immagine. Prima di uscire aggiunge il tocco finale, uno sfizio personale: tre piccoli anelli di tre diversi metalli e colori, due al sopracciglio destro e uno a quello sinistro. Questa sua peculiarità l’ha ereditata da Gus, un vecchio halfling conosciuto nel Mantice, il quartiere in cui vivono principalmente nani e halfling, con il quale negli anni passati ha stretto un rapporto di amicizia profondo, tanto che Laren considera l’halfling come un padre. Helena non può che essere contenta che suo figlio abbia trovato una figura paterna in una persona che lei reputa degna di fiducia. Se Laren è la persona che è adesso deve ringraziare anche gli insegnamenti che Gus gli ha trasmesso in questi anni: rispetto per gli altri e per se stesso, altruismo e profondo amore per la famiglia. Laren esce finalmente di casa, ma giunto nel grande atrio dell’edificio dove si trova il loro appartamento, decide di fermarsi ad aspettare la madre, per accompagnarla fino in negozio: in fondo deve passare di lì per andare all’università. Si siede sui gradini esterni che danno su una strada larga e ben illuminata, a quell’ora del mattino ancora poco trafficata. Da qualche tempo un pensiero lo tormenta, perché ogni volta che vede una certa persona il suo cuore sobbalza. È simile al sentimento di amore che prova per la madre, ma allo stesso tempo è completamente differente e questo lo spaventa. Pensava di sapere cosa fosse l’amore, ha già avuto qualche esperienza, ma quelli erano sentimenti effimeri, come i contorni degli oggetti nascosti dalla foschia di queste buie mattinate invernali. Questa volta è diverso, sente come un potente pugno nello stomaco quando vede il viso pallido e dai lineamenti delicati della ragazza di cui si è infatuato, si sente bruciare il viso dall’imbarazzo quando lei gli rivolge la parola con la sua voce così melodiosa. È assolutamente e completamente terrorizzato dalla possibilità che lei possa scoprire quali sono i suoi sentimenti e che questo possa rovinare il rapporto che si è instaurato fra loro. “Come posso solo pensare che lei abbia qualche interesse nei miei confronti… sono solo un amico nel migliore dei casi o mi vede come un fratello nel peggiore! Ah, perché proprio di lei dov…”
«Ah quello sguardo da sognatore perso nel vuoto era tanto che non lo vedevo! Chi è la fortunata che ha attirato le tue attenzioni?»
Sua madre gli arriva alle spalle tanto silenziosamente che Laren fa un sobbalzo ritornando improvvisamente nel mondo reale.
«Mamma, quante volte ti ho detto di non prendermi così alla sprovvista!»
Rosso in volto e arrabbiato con se stesso per la brutta reazione, si alza di scatto e porge il braccio in modo che sua madre possa appoggiarsi. Lei sospirando accetta di buon grado di poter camminare di fianco al suo adorato figlio e iniziano a camminare affiancati a passo lento sulla pavimentazione stradale scivolosa per l’umidità. Prendendo coraggio Laren fa una domanda che non credeva gli sarebbe mai uscita dalla bocca.
«Mamma, come ci si sente quando si ama qualcuno?»
Helena lo guarda senza sorpresa, ma con la comprensione che solo chi ha già sofferto per amore può avere.
«Elettrizzati come se si potesse volare fino alle stelle, terrorizzati come se in un momento il mondo intero potesse crollarti addosso. Ma i tuoi occhi mi dicono che conoscevi già la risposta.»
Staccando la mano dal suo braccio la porta sulla sua testa per accarezzarlo dolcemente.
«Una cosa sola posso dirti: se pensi anche solo per un momento che i tuoi sentimenti non saranno ricambiati, non allontanarti da lei, ma stalle vicino e fa di tutto per renderla felice. Non smetterai di soffrire, ma allevierai il peso sul tuo cuore.»
Per tutto il tragitto fino al negozio restano in silenzio accompagnati solo dal rumore dei loro passi e il chiacchiericcio delle poche persone già in strada fino a quando arrivano a destinazione, non lontano dal Grande Scambio, il più grande centro di scambio commerciale dell’Andoran.
«Ciao mamma, buon lavoro e mi raccomando, non farti fregare dalla Qadirana. Loro sono noti per essere eccezionali mercanti e spesso hanno la meglio nel contrattare!»
Helena lo squadra con un sorrisetto ironico prima di dargli una delicata carezza sulla guancia
«Grazie amore mio, se avrò bisogno ti manderò a chiamare.»
Laren fingendosi offeso si gira per prendere la strada che lo porta fino all’università alzando poi la mano per salutare senza girarsi: sa che sua madre è ferma in mezzo alla strada a guardarlo. La strada che percorre attraversa il Viale degli Dei, da lì può vedere chiaramente in distanza il grande tempio di Iomedae e proprio in questo momento, anche se non può saperlo, il suo migliore amico sta varcando il grande portone d’ingresso.
L’Università di Almas si trova nel distretto Fronte Nord - il più grande e variegato della città - quindi Laren si dirige ancora in quella direzione passando di fronte alla maestosa Cattedrale Dorata che si trova all’estremità orientale del Campo dell’Armonia, per poi addentrarsi nelle stradine più strette che lo portano finalmente di fronte al familiare grande edificio costruito con pietre squadrate di colore rossiccio. La facciata principale ricurva è decorata per tutti I tre piani con alte colonne bianche sormontate da figure di aquile. A quest’ora c’è già un gran vai e vieni di studenti e insegnanti che entrano ed escono dal grande portone in legno massiccio che durante il giorno resta sempre aperto e molte delle ampie finestre dell’edificio sono illuminate dai grandi lampadari che si intravedono attraverso i vetri. Laren sale la scalinata ed entra nel grande atrio semicircolare e senza incrociare lo sguardo con la gente intorno a sé, a testa bassa si dirige subito verso l’aula dove lo attende la prima lezione della giornata. Finalmente i suoi pensieri potranno concentrarsi su qualcosa di concreto.
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