MARKET 24

di lolloshima
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CONTANTI, CARTA O ANIMA? ***
Capitolo 2: *** PRIMO CLIENTE ***
Capitolo 3: *** INSIEME ***
Capitolo 4: *** ADDIO ***
Capitolo 5: *** PER SEMPRE ***
Capitolo 6: *** VERITA' ***



Capitolo 1
*** CONTANTI, CARTA O ANIMA? ***


PROLOGO

Narra una leggenda metropolitana che esista un negozio, aperto 24 ore su 24, che ogni giorno, alle 00.05 si materializza in un luogo diverso. Una Nazione, un continente, una città, sempre completamente diversi.
Di giorno, sembra un negozio come tutti gli altri, frequentato da normali clienti.
Ma se una persona, alle 24.00 precise spende una di queste cifre: 6,66, 66,60 o 666,00, la cassiera offrirà alcune alternative di pagamento: “Carta, contanti o anima?”
Se il cliente decide di pagare con l'anima, gli restano 5 minuti per firmare lo scontrino con il proprio nome.
Se lo farà, ha diritto ad esprimere un desiderio, che dovrà essere proporzionato alla somma pagata.

Se la cifra è 666,00, il cliente può esprimere qualsiasi desiderio.

* * *

PROMPT CAPITOLO 1:

- America
- Fuori città
- Ad X viene affidato qualcosa di importante
- X è una persona appassionata del proprio lavoro

*

Anche quella sera James aveva fatto tardi al lavoro.

Dylan si sarebbe arrabbiato moltissimo. Si arrabbiava sempre quando si tratteneva fino a tardi in ufficio, e trascurava la sua salute e la sua vita privata. Già, Dylan...

La riunione era durata più del previsto, e l'aereo privato aveva dovuto modificare il piano di volo, nel rispetto del traffico in partenza da New York.

James era atterrato nel piccolo aeroporto di Roseburg, nell'Oregon, solo alle undici passate, e così aveva irrimediabilmente perso la cena per festeggiare l'anniversario di matrimonio dei suoi genitori.

D'altra parte, non avrebbe potuto certo disertare quell’importante incontro d’affari per una stupida cena in famiglia.

Anche di questo, Dylan non sarebbe stato contento. Diceva sempre che c'erano cose più importanti della carriera e del denaro, e una di queste era la famiglia. E lui lo sapeva bene, visto che era cresciuto senza una madre e aveva perso il padre troppo presto.

Ma James era pur sempre il proprietario della società che portava il suo nome, oltre ad esserne l'unico amministratore, e certe decisioni spettavano solo a lui.

La Cannon Corporate, società da milioni di dollari, con centinaia di dipendenti e sedi in tutti gli Stati Uniti, era una sua creatura.

L'aveva fondata cinque anni prima, non ancora trentenne, grazie ad un'intuizione geniale nel campo dell'energia alternativa, e da allora era in costante crescita.

Dalla prima sede a Roseburg, sua città natale, dove aveva mosso i suoi primi passi nel campo societario, aveva ben presto trasferito il quartier generale a New York, dove dirigeva l'intera azienda.

Molte persone dipendevano da lui.

Capitava regolarmente che si trattenesse fino a notte fonda in ufficio, e che saltasse i pasti.

I pasti. Ecco un’altra cosa alla quale Dylan teneva particolarmente.

Ti devi nutrire come si deve, non maltrattare il tuo fisico. Se non ti prendi cura tu di te stesso, chi altri può farlo?

Scacciò dalla mente quel triste pensiero. Dylan apparteneva al passato, doveva smetterla di tormentarsi così, erano passati quasi due anni, perdio!

Una volta per tutte doveva rassegnarsi al fatto che Dylan era uscito dalla sua vita e non ne avrebbe mai più fatto parte. Ed era stao proprio lui, a lascialo andare.

Troppe verità, tutte insieme, possono far paura.

Ne era bastata una, di verità. Quella che James nascondeva da troppo tempo, e che Dylan non era pronto a sentire. E così se n'era andato, per sempre, dall’altra parte del mondo, a vivere la sua vita con un'altra persona.

Si impose di non pensarci e si sistemò meglio sul sedile posteriore della Maserati, cercando di guardare attraverso il finestrino. Il buio della notte gli restituì solo l’immagine del suo stesso volto, rigato da mille gocce di pioggia che scorrevano sul vetro.

“Ci mancava anche il temporale, adesso...” brontolò tra sé, mentre toglieva i guanti di pelle e apriva i bottoni del cappotto scuro.

“Carlos, devo rivedere l’agenda per domani” disse distrattamente poco dopo, rivolgendosi al suo autista. “Andremo più tardi in azienda, e dovrò far slittare il volo. Prima è il caso che passi dai miei genitori, per scusarmi, visto che ho disertato la cena per il loro anniversario.”

“Certo, signore, mi sembra una buona idea. Ci penso io.”

“Già li sento. Il Giudice Cannon sentenziare sull’inaffidabilità del suo indegno figlio, e mia madre lamentarsi di essere stata abbandonata dal suo piccolo…”

“Non si preoccupi, capiranno. Potrebbe, signore, magari portare loro un bel regalo.”

Già, il regalo.

Non aveva tempo per mangiare, figurarsi se poteva andare per negozi.

“Carlos... lei per caso se ne intende, di regali?”

“Spiacente, signore, no. Di solito di queste cose se ne occupa mia moglie” rispose sorridendo l'autista.

“Nel mio caso se ne occupa Jennifer.” Si maledisse mentalmente per non aver incaricare la sua assistente di provvedere al regalo nei giorni precedenti.

“E' quasi mezzanotte! Dove diavolo trovo adesso un negozio aperto in questo posto sperduto nel nulla?” estrasse il cellulare, certo di trovarvi ogni risposta.

“Non ci posso credere! Non c'è neppure campo! Non posso pensare di aver trascorso la mia infanzia in un posto tanto arretrato!”

James gettò sconsolato la testa bruna all'indietro.

“Signore, se mi permette... potremmo cercare un market aperto 24 ore”.

“Un market? E cosa mai potrebbe esserci in un supermercato per le emergenze che sia adatto ad un giudice dispotico e ad una snob capricciosa?” sbottò. “Mamma, papà, buon anniversario! Godetevi questa bella confezione di pizza surgelata e questa cesta di carote biologiche!” continuò con una vocina cantilenante, sentendo la frustrazione crescere.

Dylan avrebbe saputo cosa fare. Lui sapeva sempre come toglierlo dai guai. E come fargli vedere uno spiraglio di luce anche nelle situazioni più disperate.

Accidenti, stava ancora pensando a Dylan! Si concentrò di nuovo sul finestrino, oltre al quale c’erano ancora solo buio e pioggia.

“Pensavo piuttosto ad una bottiglia di vino, o ad un liquore” continuò calmo l'autista, incurante del tono sarcastico del suo titolare. “In genere i padri lo apprezzano. E so per certo che ad una signora potrebbe far piacere ricevere un profumo, o qualche infuso particolare”.

“In effetti sarebbe un regalo perfetto per loro due! Un goccetto ogni tanto per sopportare mia madre e una buona tisana per non farsi venire l’ansia a causa di mio padre” ridacchiò James.

“Questo l’ha detto lei, signore” ribattè sorridendo Carlos. “Ad ogni modo è bello vederla ridere, signore. Era da tanto tempo che non capitava.”

Da quando Dylan...

Sbuffò tornando subito serio. “Lascia stare, chiederò in hotel di farmi avere qualcosa per domani...”.

“Come vuole, signore.”

L'auto avanzava nella pioggia e i fari tagliavano il buio della notte. Carlos svoltò in una laterale in direzione dell’hotel. Dopo poche centinaia di metri, nel buio più totale, improvvisamente sul lato destro della carreggiata si materializzò un'insegna che James non aveva mai notato, nonostante fosse già stato varie volte in quella zona.

I mille desideri – Liquori rari e prodotti naturali – Aperto H24”.

“Accosta” ordinò d’istinto. Odiava fare acquisti, e di solito non se ne occupava, per quelle cose c'erano assistenti e domestici. Eppure, era stranamente attratto da quell’insegna e incuriosito dalla incredibile coincidenza. Quel posto faceva proprio al caso suo.

Carlos si fermò poco distante dall'entrata del negozio. “La aspetterò fuori, signore.”

“No, Carlos, è quasi mezzanotte. Ho approfittato di te anche troppo. Vai a casa, il mio hotel è a due passi. Mi farà bene camminare un po'”.

“Ne è sicuro, signore?”

“Sicuro. Piuttosto, chiama l'agenzia. Fammi trovare in camera uno di quei ragazzi...”.

“Certamente. Qualche preferenza?”

“No, nessuna. Basta solo che non sia...”

“Basta che non sia biondo. Lo so, signore.”

Da quando Dylan era uscito dalla sua vita, non era più riuscito ad innamorarsi.

Preferiva pagare le sue avventure sessuali, sfogarsi senza avere alcun legame né alcun coinvolgimento sentimentale.

Ordinava, usava e pagava. Nient'altro.

Ma anche in questo modo, non riusciva più a fare sesso con i ragazzi biondi. Gli ricordavano Dylan. L'ultima volta, era scoppiato a piangere nel bel mezzo di una sessione di dbsm. Il suo partner allora aveva certamente pensato che fosse frutto della sua sadica punizione, e ne era rimasto lusingato. Ma in realtà, vedere quella testa bionda tra le sue gambe e infilare le dita tra i ciuffi morbidi e dorati gli aveva fatto ripensare all'unica persona che aveva mai amato. E che gli aveva spezzato il cuore.

“Altro?”

“Accertati solo che domattina se ne vada prima che mi svegli. Grazie, Carlos.”

“Certamente, come al solito. Troverà i suoi bagagli in camera. Insieme al ragazzo. Verrò a prenderla domani mattina per portarla dai suoi genitori. Ah, la prego, prenda il mio ombrello. Piove. Me lo restituirà domani”.

James afferrò l’elegante ombrello nero che Carlos gli porgeva e scese dall'auto.

Un campanello trillò quando aprì la pesante porta di vetro del negozio.

Quando fu dentro, appoggiò l'ombrello ancor chiuso in un angolo. Non lo aveva neppure aperto, scendendo dalla macchina, per percorrere il breve tragitto che lo separava dall’ingresso del locale. Si scrollò dalle spalle del cappotto alcune gocce di pioggia e passò una mano tra i capelli scuri bagnati.

All'interno, la stanza era molto più ampia e luminosa di quanto ci si poteva aspettare guardando dall’esterno, e i prodotti erano esposti con eleganza e gusto su scaffali di legno chiaro.

All'interno non c'era anima viva. James si guardò intorno, gettando lo sguardo in tutte le corsie.

“Benvenuto” disse alle sue spalle una voce glaciale, che lo fece sussultare.

Dietro ad un ampio bancone, posto davanti all'ingresso, era comparso dal nulla un commesso, molto alto, con capelli biondi e corti e due occhi color ambra incorniciati da un paio di occhiali dalla montatura scura. Indossava un completo elegante e una cravatta gialla, impeccabile. Aveva un aspetto decisamente piacevole.

James era sicuro di non aver visto nessuno, quando era entrato. Evidentemente era proprio stanco, altrimenti avrebbe sicuramente notato un uomo tanto bello. Una targhetta all'altezza del cuore indicava che il ragazzo rispondeva al nome di Kei.

“Buonasera” esordì confuso. “E' aperto?” chiese senza una vera ragione, dal momento che il logo del negozio appariva ovunque e ribadiva, togliendo ogni dubbio, che si trattava di un negozio aperto 24 ore su 24. Oltre al fatto evidente che lui ci era appena entrato.

“Certo signore. Però la avviso che sono le 23.55. Le restano 10 minuti. Desidera?”

James decise di ignorare quella evidente contraddizione, non aveva nessuna voglia di iniziare una conversazione inutile.

“Guardi, farò presto. Vorrei il liquore più costoso che avete. Ah, e anche una confezione di tisane. Roba buona, naturale, mi raccomando. Non le solite cose commerciali.”

“E' nel posto giusto. Ecco.” Sul piano del bancone, tra le mani del commesso, erano comparse una bottiglia di cristallo lavorato a forma di mezza luna, contenente un liquido ambrato, ed una scatola di legno intarsiata. Il coperchio era sollevato e all'interno erano ordinatamente posizionati numerosi sacchettini di yuta colorata. L’aroma che sprigionavano era intenso e piacevole, e invase tutta la stanza.

James non si era neppure accorto che il commesso si fosse spostato. Imputò anche questa stranezza ad una sua distrazione dovuta alla stanchezza.

Ammirò gli oggetti eleganti che gli venivano proposti, e annotò mentalmente di tornare quanto prima in quel negozio, dove i commessi erano tanto efficienti. Ed affascinanti.

“Vanno benissimo, grazie. Me li può incartare?”

“Non vuole sapere il prezzo?”

“No no. Il costo non è un problema per me. Mi dica solo quanto le devo”

“Mi sento in obbligo di avvertirla che questo non è il whisky più caro che abbiamo. Costa 600,00 dollari. Ma è una produzione limitata, imbottigliato esattamente oggi, 50 anni fa...”

Il giorno del matrimonio dei miei genitori.

“Va bene, va bene, non importa” tagliò corto, senza far trasparire il suo stupore per quella incredibile coincidenza.

“...Le tisane costano 64,00 dollari. Le essenze sono estratte da piante che crescono esclusivamente in una piccola zona alle pendici dell'Etna. E' un vulcano che si trova in Sicilia, in Italia.”

La Sicilia, la terra d’origine della famiglia della mamma.

Dylan sarebbe stato affascinato da queste coincidenze, ne avrebbe parlato per ore. Ma Dylan non c'era. Non c'era più.

“Se vuole anche il biglietto, sono altri due dollari” continuò il commesso. “Le faccio presente che è mezzanotte”.

“Le ho detto che va bene, faccia pure” rispose distrattamente, ma quando abbassò lo sguardo, si stupì nel vedere i due pacchetti già confezionati. Un sacchetto di velluto verde con un nastro dorato e una carta pregiata impreziosita da un fiocco di seta rosa.

Una busta color avorio conteneva un cartoncino. Lo estrasse e lesse la dedica vergata in elegante corsivo: “Dalla casualità di un incontro, può cambiare un’intera vita”.

Decisamente ci doveva tornare, in quel market.

Mezzanotte.

“Sono 666,00 dollari. Contanti, carta o... anima?”

“Bella questa... anima! Perchè, c’è chi ne possiede ancora una?” ironizzò James.

“Perfetto signore, come vuole. Ha diritto ad un desiderio.”

Dylan.

Perchè diavolo aveva pensato a lui?

“Come ha detto, scusi?” chiese James, pensando di aver capito male.

“E' mezzanotte, e lei ha speso 666,00 dollari. Può esprimere qualsiasi desiderio.”

Dylan.

Perché era la cosa che desiderava di più al mondo, ecco perché.

“Lei è davvero simpatico, ma sono molto stanco. Vorrei solo pagare a andarmene in camera a finire la mia serata.”

“Prego, firmi qui, per favore”.

Il commesso aveva allungato sul banco una penna d’oro e uno scontrino, che James firmò meccanicamente. Era talmente esausto che non ricordava neppure di avergli consegnato la carta di credito. Una bella serata di sesso estremo era proprio quello che gli ci voleva quella notte. Gli avrebbe conciliato un buon sonno. La mattina dopo doveva ricordarsi di controllare che non ci fossero strani movimenti sul suo conto.

Alzò lo sguardo per salutare, ma Kei non c'era più.

Uscì dal negozio con il sacchetto contenente quei singolari regali e si incamminò lungo la strada buia in direzione del suo hotel.

Era stanco, e gli mancava maledettamente Dylan. Ma almeno aveva smesso di piovere.

Attraversò distrattamente la strada, quando fu assalito da un pensiero improvviso.

L'ombrello di Carlos!

Lo aveva dimenticato nel negozio. E chi avrebbe sentito l'autista, il giorno dopo!

Ancora in mezzo alla strada, tornò repentinamente sui suoi passi, beccandosi una suonata di clacson da un'auto che gli stava passando accanto, proprio nel momento in cui lui aveva inaspettatamente cambiato di direzione.

Imprecò, e con grandi falcate raggiunse di nuovo il negozio.

Era irriconoscibile. L'insegna era spenta, l'unica vetrina era scura e ricoperta da brandelli di pagine di vecchi quotidiani. La porta era sbarrata e impolverata.

James guardò l'orologio. Mezzanotte e sei.

Sembrava impossibile che quella catapecchia abbandonata, fino a pochi minuti prima fosse un negozio caldo e accogliente, ricolmo di prodotti ricercati, e di ogni ben di Dio.

E meno male che era un negozio aperto 24 ore, pensò irritato.

Un'altra seccatura si aggiungeva a quelle del giorno seguente. Avrebbe dovuto ritornare per recuperare l'ombrello di Carlos prima del suo arrivo.

Mentre si lamentava tra sè, alle sue spalle sentì un rumoreggiare crescente. Le poche persone in giro a quell'ora si erano radunate attorno all'incrocio poco distante, e da lontano si sentiva la sirena della polizia che si avvicinava.

Questa serata non finirà mai! Che succede ora?

Cercò di stare il più possibile alla larga dalla piccola folla, ma era impossibile, visto che era costretto ad attraversarla se voleva raggiungere l’hotel.

Non poteva essere più infastidito. I suoi occhi scuri lanciavano saette, era pronto a fulminare chiunque gli si parasse davanti.

Nell'assembramento generale, tra il grigiore confuso di tutte le altre persone immerse nel buio della notte, i suoi occhi furono catturati da un punto di luce. Una chioma bionda.

Il cuore si fermò. Succedeva ogni volta che vedeva una testa chiara, o qualcuno che gli ricordasse Dylan, ma questa volta...

Il sorriso largo, il ciuffo che ricadeva su un lato del volto, la camicia bianca aperta sul petto ampio e muscoloso... era esattamente come lo ricordava, non potevano esserci dubbi.

Dylan!

 

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Capitolo 2
*** PRIMO CLIENTE ***


PROMPT:

- X ha perso qualcuno e si è da poco trasferito in una nuova città
- Nuove relazioni
- X diventa maggiorenne
- X nota ogni dettaglio

*
La prima volta che lo aveva incontrato, James andava ancora alle elementari.

Insieme a suo padre, Dylan si era trasferito in città dalla Grecia, dopo la morte improvvisa della madre. Il signor Kanakis aveva rilevato una piccola bottega che si affacciava sulla piazza del paese, per continuare il mestiere che suo padre e suo nonno prima di lui avevano portato avanti con dedizione nella piccola cittadina greca di Xanthi: il barbiere per uomo.

Il Giudice Cannon nutriva una vera e propria fissazione per la cura del viso e della barba, e considerava la rasatura tradizionale un vero e proprio rito sacro e irrinunciabile.

Il volto è l'immagine che ognuno offre al mondo. Se una persona non si prende cura del proprio viso, come potrà mai prendersi cura di altre cose?” era solito ripetere in famiglia.

E questo era anche il suo metro di valutazione quando, dal suo scranno, era chiamato a decidere le sorti di qualche malcapitato sottoposto al suo giudizio. “La barba di un uomo è lo specchio della sua anima” diceva. “Più una barba è curata e ordinata, e più sarà integra la sua moralità”.

Da quando ne aveva avuto l'età (e la peluria) adatta, l'appuntamento più importante della settimana era per il giudice Cannon quello dal barbiere. E si era ben presto affezionato al nuovo barbiere greco, che univa abilità ed esperienza ad una gentilezza non comune nei confronti dei clienti. Cascasse il mondo, ogni sabato mattina, subito dopo aver preso il caffè in veranda e letto il giornale, il Giudice Cannon si recava a piedi alla bottega, e si abbandonava al rito della rasatura tradizionale sotto le mani esperte di Kanakis.

Non appena James aveva compiuto dieci anni, il Giudice Cannon aveva ritenuto che fosse abbastanza grande per accompagnarlo nel suo appuntamento settimanale,

James avrebbe preferito utilizzare il suo tempo in ben altre cose molto più importanti e divertenti, come giocare, o dormire, o leggere. Ma di fronte agli ordini di suo padre, non aveva altra scelta, e quindi non poteva fare altro che starsene seduto composto e in silenzio sulla panca, ad osservare l’antica gestualità che il signor Kanakis ripeteva ogni volta, come se si trattasse del più serio e sacro dei riti.

Faceva sedere il cliente roteando leggermente l'ampia sedia, e lo avvolgeva con un ampio telo candido e profumato.

Poi reclinava lo schienale, e osservava con attenzione la barba e la pelle circostante, verificando che non ci fossero arrossamenti o peli incarniti.

Procedeva quindi alla scelta del rasoio, di sicurezza o a mano libera, e del pennello. A seconda del risultato che voleva ottenere, utilizzava le setole di tasso, di maiale o di cavallo.

Preparava con cura il sapone, lavorandolo opportunamente fino a produrre una schiuma soffice e profumata, che veniva stesa sul volto con il pennello.

Questa era la parte che James preferiva. Suo padre chiudeva gli occhi e per il resto del tempo era come non esistesse. Non parlava, non commentava, non lo rimproverava.

Sulle guance e sul mento imbiancati dal sapone, il barbiere passava il rasoio con cura, appoggiando le dita della mano libera sul volto per produrre la giusta tensione, e James poteva sentire distintamente il rumore della lama raschiare la pelle inspessita di suo padre.

Dopo ogni passaggio, la lama veniva pulita su un panno umido, per poi tornare a passare su una zona diversa del volto.

Una volta completata la rasatura, il signor Kanakis tamponava delicatamente il volto con un asciugamano per eliminare i residui di schiuma, e infine lo copriva per qualche minuto con un telo caldo, così da rilassare la pelle ed eliminare eventuali arrossamenti.

Di tanto in tanto, dal retro faceva capolino un ragazzo, più o meno della sua età, che faceva ogni tipo di lavoro all'interno del negozio. Passava la scopa per terra, lavava i pennelli, raccoglieva i teli usati, preparava il sapone per la schiuma. A lui il signor Kanakis si rivolgeva in una lingua strana, e spesso gli lasciava una carezza sulla testa o un buffetto affettuoso.

James capì ben presto che si trattava del figlio del titolare, nonostante avesse dei capelli biondissimi, a dispetto della capigliatura scura del padre. Aveva un paio di anni più di James, e quando non andava a scuola lavorava in negozio.

Ogni tanto il ragazzino lo guardava e sorrideva, o faceva delle smorfie buffe per commentare i clienti particolarmente strani. Chi aveva i ciuffi dei baffi lunghissimi e arricciati, chi copriva la testa calva con un ridicolo riporto, chi si lasciava crescere la barba a dismisura. E chi, come il Giudice Cannon, era un perfezionista del taglio, e controllava centimetro per centimetro che la sua barba fosse regolata esattamente come voleva lui.

James ridacchiava con la mano davanti alla bocca, attento che suo padre non lo vedesse.

“Da grande sarò anch'io un barbiere” gli disse una mattina in un inglese stentato, mentre sistemava i tubetti di brillantina nella vetrina del negozio.

James non rispose, preso alla sprovvista, limitandosi a guardarlo con gli occhi sgranati.

“Sarò il più bravo barbiere del paese. Anzi, del mondo! Diogene, piacere!”

“Diogene? E che nome sarebbe?”

“E' un nome greco. Ma puoi chiamarmi Dylan. Mia mamma mi chiamava così. Anche lei era americana”.

“E Dylan sia!” aveva concluso James afferrando la sua mano e stringendola con forza. “E voglio essere il tuo primo cliente!”

“Promesso?”

“Promesso!”

*

Qualunque cosa fosse successa sulla strada davanti all'hotel, si era risolta velocemente. L'auto della polizia se n'era andata e le persone che si erano fermate a curiosare, pian piano si stavano disperdendo, allontanandosi in ogni direzione incontro al buio della notte.

James era certo, certissimo, di aver riconosciuto Dylan tra la folla.

Probabilmente era tornato in città per qualche motivo, e si trovava lì per caso.

Girò la testa in ogni direzione, con la speranza di individuarlo, ma non lo vedeva più. Si avvicinò alle poche persone che si aggiravano ancora in zona, ma lui non c'era. Girò su se stesso, sempre più in ansia, finchè per la strada non rimase più nessuno.

Probabilmente si era trattato di un'allucinazione. Doveva assolutamente toglierselo dalla testa, altrimenti la situazione gli sarebbe sfuggita di mano!

Stava ricominciando a piovere, era meglio entrare in albergo. Si avviò direttamente al bar dell'hotel. Aveva bisogno di bere qualcosa, e comunque era troppo nervoso per andare a dormire.

Gli bastò un cenno al barista, che ben conosceva, e questi gli fece trovare sul bancone il suo brandy preferito.

“Grazie Nathan, le mie mance sono ben spese con te” ironizzò, senza ottenere alcuna reazione da parte dell'imperturbabile barista.

Dei pochi clienti presenti al bar, nessuno attirò particolarmente la sua attenzione. C’erano alcuni uomini d’affari sprofondati nei loro tablet alla fine di una giornata di lavoro, qualche coppia attempata che tentava di allontanare la noia, un gruppo di ragazzi che festeggiava in fondo alla sala. I palloncini dorati agganciati alla parete suggerivano che si trattava di un diciottesimo compleanno.

Di nuovo, senza volerlo, fu rituffato violentemente nel suo passato.

*

“Buon compleanno James!” il suo incontenibile sorriso sbucava dalla sciarpa. Dylan allungò una mano guantata verso di lui, porgendogli un cartoncino.

“E questo cos'è?”

“Come cos'è, è il tuo regalo! Ammettilo, ormai ti eri convinto che il tuo migliore amico non ti avesse fatto niente per il tuo diciottesimo compleanno!”

Stavano tornando a casa a piedi dopo aver trascorso la serata in compagnia degli amici per festeggiare il compleanno di James, e si trovavano davanti al negozio del padre di Dylan.

“Avanti, leggilo! Non è facile fare un regalo a chi ha già tutto, ma questo non ce l'hai... ancora”.

Era vero. Apparentemente a James non mancava niente, e non solo a livello materiale. Una famiglia benestante, una bella casa, un aspetto più che gradevole, dei buoni amici, una buona istruzione. E un numero imprecisato di ragazze che avrebbero fatto qualunque cosa pur di entrare nelle grazie della coppia di amici più popolare e attraente della città.

Ma la cosa per cui si sentiva più fortunato era il suo legame con Dylan. Dopo quel primo incontro di tanti anni prima, erano diventati inseparabili. Molto più che fratelli.

James prese il cartoncino con mani infreddolite e lo lesse.

“Ma... è un buono...”

“Certo!” esclamò con orgoglio Dylan. “Adesso sei un uomo, e ti voglio regalare la tua prima rasatura a mano”.

“Hai coinvolto tuo padre?”

“Non mio padre. Io! E' per quello che ti ho portato qui”.

“Vuoi dire che tu mi vuoi rasare la barba... adesso?”

Dylan allargò le braccia, come se volesse distribuire nella piazza deserta il suo incontenibile entusiasmo. “Sì, adesso! E quando se no?”

“Ma è notte fonda... E tu sei ubriaco!”

“Sciocchezze. Forse non te ne sei accorto, ma ho smesso di bere più di due ore fa. Ci tengo alla mia futura professione. E ci tengo al tuo bel visino. Altrimenti chi me le procura le ragazze?”.

James fece una smorfia e osservò di sottecchi l'amico.

La sua bellezza era folgorante. I capelli biondi che arrivavano alle spalle, la pelle ambrata, i lineamenti greci e il perenne sorriso erano una calamita per qualsiasi ragazza. Certo, lui non era da meno, ma il suo fascino era più dovuto al suo aspetto ombroso e distaccato che ad una vera e propria bellezza. Inoltre, James era timido e impacciato, e non poteva reggere il confronto con la giovialità e la simpatia dell’amico. Ragion per cui, ogni ragazza che riuscivano a conoscere, veniva immancabilmente dirottata tra le braccia di Dylan.

“E va bene” cedette, seguendo l'amico che nel frattempo aveva alzato la serranda del negozio.

Dopo pochi minuti, James si trovava adagiato comodamente sulla sedia reclinata del barbiere, avvolto in un telo bianco, con il viso cosparso di schiuma profumata, e gli occhi scuri irrimediabilmente persi in quelli azzurri e profondi di Dylan.

“Me lo avevi promesso che saresti stato il mio primo cliente”.

E mentre Dylan avvicinava la lama del rasoio al suo volto, facendogli assaporare il profumo della sua pelle, James realizzava di non avere più alcuno scampo, perchè il suo cuore gli sarebbe appartenuto per sempre.

*

Quei ricordi erano ancora troppo ingombranti.

Distolse lo sguardo dal gruppo presente al bar e si concentrò sul suo drink.

Cazzo!

Improvvisamente si rammentò del ragazzo dell'agenzia. Probabilmente era ancora in camera, e lo stava aspettando! Da quando Carlos aveva chiamato, doveva essere passata più di un'ora!

Lasciò una banconota più che generosa sul bancone e uscì dal bar. Svoltò l'angolo del corridoio appena in tempo per vedere il fisico asciutto di Dylan entrare in uno degli ascensori. Le porte si chiusero prima che James potesse raggiungerlo e l'ascensore iniziò la sua corsa.

Quindi non era un'allucinazione! Dylan si trovava davvero lì, per di più probabilmente alloggiava nel suo stesso hotel, e forse poteva rivederlo e parlarci.

Con il cuore che batteva all'impazzata, corse alla reception. Il Direttore era al telefono, ma James era sicuro che non avrebbe esitato ad interrompere la telefonata per ascoltare la richiesta di uno dei suoi migliori clienti.

“Janpaul, mi scusi se la interrompo...”

“Mi dica” rispose subito sottovoce il direttore, senza staccare la cornetta dall'orecchio.

“Ho appena visto salire un mio amico in ascensore”.

“Capisco”.

“Lo volevo salutare, ma non ricordo il numero della camera. Si chiama Dylan Kanakis. Alto, biondo, fisico muscoloso...”

“Sì, confermo, è qui da noi”.

Allora era vero, Dylan alloggiava nel suo stesso hotel!

“Mi potrebbe dare il numero della camera? Ma non lo avvisi per favore, vorrei fargli una sorpresa”.

“Mi dispiace, mi dispiace molto....”

“Lo so, conosco la vostra discrezione, ne ho goduto anch'io, diverse volte, ma sono sicuro che si può trovare un compromesso...” James inserì una mano nella tasca dei pantaloni, e afferrò una mazzetta di banconote. Non fece in tempo a sfilarne una da offrire al direttore, che questi lo interruppe.

“Il fatto è che c'è un ospite in camera sua. Una persona è salita qualche tempo fa, prima di lui... Vuole che vada ad avvertirla?”

Di fronte a quelle parole, James si ammutolì.

Certo, ovvio che Dylan non era solo. Soltanto uno stupido avrebbe potuto pensare che Dylan fosse tornato in città da solo.

Era pur sempre un uomo sposato.

Niente di più logico che avesse fatto un bel viaggio insieme alla moglie.

“Lasci stare, grazie” bofonchiò sottovoce lasciando la reception.

Non gli restava altro da fare che andare in camera.

Quando aprì la porta della sua suite, vide un ragazzo di colore disteso sul divano dell'anticamera. Indossava solo uno striminzito perizoma di pelle nera, e delle cinghie borchiate incrociate sul petto nudo gonfio di muscoli. Dormiva profondamente, abbracciando un frustino.

Ai suoi piedi uno zainetto, probabilmente pieno dell'attrezzatura necessaria ai giochi erotici che di solito lui preferiva.

James si avvicinò quasi intenerito. Guardandolo così abbandonato nel sonno, non gli avrebbe dato più di vent'anni.

Prese un plaid dall’armadio a muro, glielo adagiò delicatamente sul corpo, e si diresse in camera sua. Aveva proprio bisogno di un sonno ristoratore, dopo quella giornata infinita.

 

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Capitolo 3
*** INSIEME ***


Prompt:
- Mezzogiorno
- Alla luce
- Tutte le forze
- Cinque anni dopo

* *

Quando si svegliò, il giorno dopo, il sole era già alto e la luce entrava prepotentemente attraverso le tende aperte della camera.

James si rese conto di aver dormito completamente vestito. Ricordava di essersi buttato sopra il copriletto, e probabilmente si era addormentato di colpo. Quanto era accaduto la sera precedente era confuso nella sua testa. Ricordava vagamente di aver comprato qualcosa di speciale, e poi di aver pensato a Dylan. Come al solito, del resto.

Si diresse verso il bagno, lasciando alle sue spalle un letto praticamente intatto.

Dopo essersi rinfrescato in fretta, si affacciò nell’anticamera. Il ragazzo che aveva prenotato la sera precedente se n’era andato portando via tutti i suoi giochetti, e anche i suoi bagagli erano già stati portati fuori dalla stanza.

Guardò il suo costoso orologio. Era quasi mezzogiorno. Non ci poteva credere! Non ricordava di aver mai dormito così tanto. Avrebbe dovuto fare una bella ramanzina a Carlos per non averlo svegliato prima. Adesso era costretto e riorganizzare tutta la sua agenda.

Raccolse velocemente il cappotto e si diresse all’ingresso dell’hotel. Nessuno si curò di lui, il conto era già stato pagato dalla sua assistente. Lanciò comunque un fugace saluto al direttore, impegnato dietro al bancone della reception tra telefonate e nuovi clienti.

Quando uscì dall’hotel, la Maserati lo stava aspettando davanti all’ingresso con il motore acceso. Ci entrò di fretta, e si sistemò sul sedile posteriore.

“Carlos, ti sei reso conto di che ora è, vero?”

“E’ quasi mezzogiorno, signore” rispose un uomo, che decisamente non era Carlos.

“Che fine ha fatto Carlos?” il suo tono era quasi minaccioso.

“Carlos è mortificato, signore. Purtroppo ha avuto un grave problema, oggi non è al lavoro. Lo sostituirò io”.

Adesso si capiva perché non era stato svegliato. Evidentemente questo incompetente sconosciuto non era efficiente come il suo affezionato autista.

“Mi chiamo Kei. Sono a sua disposizione, signore”.

Kei. Ma Kei non era…

Lo scrutò dallo specchietto, e intravide un paio di occhiali scuri, e un ciuffo di capelli biondi che uscivano dal cappello blu della divisa. Non era del tutto sicuro che questo Kei gli sarebbe piaciuto.

“Va bene, andiamo. Sono in ritardo su tutto. Avevo anche promesso di andare dai miei genitori, maledizione!”

“Signore, mentre dormiva mi sono permesso di passare dai signori Cannon per avvisarli dell’imprevisto. Ho lasciato loro i suoi regali. Sono rimasti molto dispiaciuti, ma la pensano con affetto”.

Ben fatto, Kei. Una rottura in meno per oggi.

“Devo avvertire in azienda...”

“Ci ho pensato io. E anzi, signore” il sostituto gli allungò un bigliettino piegato in due. “Hanno lasciato questo per lei. Mi sono permesso di ritirarlo, in modo da non perdere altro tempo”.

Il biglietto conteneva un indirizzo e un orario. Evidentemente il suo appuntamento con i giapponesi era stato spostato. Ovvio, visto il suo ingiustificabile ritardo. Il suo nervosismo era alle stelle.

“Conosce l’indirizzo scritto qui?”

“Certamente”

“Allora si sbrighi. Abbiamo pochi minuti. Secondo l’appunto dovremmo trovarci lì a mezzogiorno esatto.”

L’auto partì. In men che non si dica si trovarono davanti ad una piccola chiesa ortodossa, circondata da un vasto prato curato, spruzzato qua e là da macchie di ogni sfumatura di rosso a causa delle foglie cadute dagli alberi secolari che lo circondavano. Ovunque, un mare di piccole lapidi, alcune sormontate da semplici croci bianche.

Nel momento in cui l’autista spense il motore, le campane del campanile batterono l’ora. Mezzogiorno in punto.

“Perché siamo in un cimitero?” chiese James sempre più teso.

“E’ il luogo indicato nel biglietto, signore”.

James scese dall’auto e si guardò intorno incuriosito. In mezzo al prato, alla sua destra, un uomo biondo, in camicia bianca osservava una delle lapidi.

Non aveva bisogno di chiederselo. Questa volta era davvero lui, ed era solo a pochi passi di distanza. Non ci provò neanche ad imporsi di camminare. Lasciò che le sue gambe corressero per raggiungerlo.

Dylan si voltò nel momento stesso in cui James gli fu accanto.

Le sue labbra erano piegate nel sorriso che ricordava, la luce che emanava era quella che lo aveva stregato. Lo guardò inebetito, e le parole gli restarono bloccate tra i denti.

“Ehi, ma che faccia! Sembra che tu abbia visto un fantasma!”

Raccolse tutte le sue forze per frenare l’istinto di abbracciarlo. Non voleva farlo fuggire. Di nuovo.

“S… Scusa… Dylan. Sono solo sorpreso. Pensavo che non ti avrei più rivisto”.

“E invece eccomi qui! E’ davvero una gioia vederti”.

“Anche per me, Dylan” allungò una mano nella sua direzione, rendendosi subito conto di quanto quel gesto formale risultasse ridicolo, tra loro due. E infatti Dylan lo ignorò, stringendolo in un abbraccio. James chiuse gli occhi e affondò il viso sul suo collo, inalando il profumo fresco e delicato che emanava. Se ne deliziò, senza capire se provenisse dalla sua pelle o dalla sua camicia, o da entrambe le cose.

Quando si staccarono, Dylan tornò a guardare la tomba di suo padre.

“Ti manca?” Domanda inutile. James conosceva già la risposta.

“E’ successo più di cinque anni fa. E poi, adesso so che è felice. E’ insieme alla mamma”,

Kristos Kanakis era morto come era vissuto. Nella sua amata bottega, impugnando un pennello da barba, con il sorriso sulle labbra. Quando l’infarto aveva aggredito il suo cuore, in negozio non c’era nessuno. Prima di accasciarsi al suolo, si era aggrappato alla poltrona, ed era riuscito a sdraiarsi. Lo aveva trovato lì, poco dopo, uno dei suoi clienti. Ormai senza vita, ma ancora sorridente e sereno.

Sul prato del cimitero si alzò un vento gelido, ma a Dylan non sembrò dare fastidio, nonostante indossasse solo una camicia e un paio di pantaloni leggeri.

James avrebbe voluto fargli mille domande, aveva tanti buchi da colmare, e non sapeva da dove cominciare. Avrebbe voluto chiedergli dove era stato in tutto quel tempo, cosa aveva fatto, perché non si era fatto vivo, perché l’aveva abbandonato. Ma la paura delle risposte era troppo angosciante, e il silenzio gli sembrò la scelta meno rischiosa.

Dylan nel frattempo lo scrutava serio, socchiudendo i suoi grandi occhi azzurri. “Ti sei fatto crescere la barba”. Non era un domanda, e detto da lui sembrava quasi un rimprovero.

“Da quando non sei più tu a farmi la rasatura…” non sopporto di farmi toccare il viso da altri, avrebbe voluto dire. “Faccio quello che posso” si giustificò abbassando gli occhi a terra.

“Dai, facciamoci un giro” propose d’un tratto Dylan, con il suo solito entusiasmo. Si diresse sicuro verso la macchina e, come succedeva sempre, James lo seguì rapito.

“Dove andiamo?” chiese impaziente non appena fu in auto, come un bambino in un parco divertimenti che debba scegliere quale giostra fare per prima.

James fu costretto a tornare con i piedi per terra. “Purtroppo sono obbligato a passare in azienda. Stamattina avrei dovuto incontrare degli investitori giapponesi. Credo che mi stiano ancora aspettando. Mi dispiace, non posso proprio farne a meno. Però, per farmi perdonare, dopo ti posso offrire il pranzo, che dici?”

“Ti ho sempre detto che lavori troppo, James. Il tempo non è infinito, e quando lo sprechi per cose poco importanti non ti viene restituito” lo rimproverò serio. “Ricorda, nessuno è indispensabile. Ma vedrò volentieri il tuo vecchio ufficio!” concluse ritrovando il buonumore.

“In azienda” ordinò James all’autista, cercando di ignorare la sensazione che gli provocava quel sorriso accecante.

In un tempo breve, ma indefinibile, l’auto si ritrovò di fronte ad un palazzo di una trentina di piani. Un logo immenso collocato sul tetto, toglieva ogni dubbio sul fatto che si trattasse della sede locale della Cannon Corporate. Kei parcheggiò l’auto e attese.

Dylan scese per primo, e si diresse verso ad una piccola entrata laterale, alla quale si accedeva scendendo alcuni gradini. James lo raggiunse e con le chiavi che aveva in tasca aprì la vecchia porta.

Adesso tutto il palazzo apparteneva a lui, ma cinque anni prima, quando aveva iniziato la sua attività, tutto quello che James poteva permettersi era prendere in affitto la stanza del vecchio custode, nel seminterrato. Lì era nata la sua impresa, e in pochi anni era cresciuta talmente tanto da consentirgli di acquistare l’intero edificio. Il suo primo ufficio però era rimasto esattamente com’era quando lui aveva iniziato, nulla era stato modificato.

“E’ rimasto esattamente come me lo ricordo” Dylan si aggirava nell’unica ampia stanza guardando in giro. Un pulviscolo leggero sembrava danzare nell’aria, giocando con i coni di luce che entravano dalle finestrelle a bocca di lupo poste direttamente sul bordo strada. Sotto, c’era ancora il lungo tavolo di legno che fungeva da scrivania. In un angolo, erano accatastati vecchi fogli con disegni e calcoli, tavole e planimetrie. Le restanti pareti erano occupate da una serie di scaffali carichi di libri e vecchie riviste specializzate.

“Non ho toccato niente, è tutto com’era quando ho cominciato”.

Sparsi un po’ ovunque, diversi posacenere di varie fogge e misure, compagni inseparabili del giovane James.

“Fumi ancora?”

Per sua fortuna non fece in tempo a rispondere, perché fu distratto dal rumore di alcune persone che erano uscite dall’edificio e si erano fermate sulla strada, davanti alle finestre. Dalla sua posizione, senza essere visto, riconobbe il direttore della filiale in compagnia di alcuni signori dai tratti orientali.

Gli investitori giapponesi! Maledizione, se ne stavano andando...

Gli orientali sorridevano e si inchinarono più volte congiungendo i palmi delle mani davanti al petto, e alla fine strinsero la mano al direttore. Evidentemente l’incontro si era svolto in sua assenza, ed era più che evidente che aveva avuto un esito positivo.

Stava per uscire per raggiungerli, quando Dylan lo bloccò.

“Come vedi, il tuo collaboratore ti ha sostituito. E a giudicare dalle loro facce, la riunione è andata molto bene. Se tu arrivassi adesso metteresti in ombra il suo successo. Oltre al fatto che tutti si accorgerebbero del tuo ritardo. Lascialo essere orgoglioso di quanto ha ottenuto per te”.

Dylan, come sempre, aveva ragione. James voltò le spalle alla finestra, tornando a immergersi nei ricordi legati a quel piccolo e polveroso ufficio.

Era stato proprio in quella stanza sotto il livello della strada che, cinque anni prima, Carlos li aveva avvisati della morte del signor Kanakis.

James stava illustrando a Dylan la sua idea innovativa, cercava di spiegargli con le parole più semplici che conosceva tutte le innumerevoli possibilità che ne sarebbero potute derivare nel campo dell’energia. Dylan lo ascoltava ammirato, anche se di chimica e di fisica non ne capiva niente, e meno ancora di economia. Ma era molto fiero di quanto il suo migliore amico fosse intelligente.

L’elegante macchina dei Cannon era sbucata nel parcheggio e ne era sceso l’autista con la faccia tirata e gli occhi lucidi. Quando aveva dato la triste notizia, James aveva dovuto sorreggere Dylan e poi abbracciarlo e tenerlo stretto per evitare che la disperazione lo divorasse.

Quella notte, James aveva dormito a casa sua, nel piccolo appartamento sopra la bottega, e così la notte dopo e quella dopo ancora. Col passare dei giorni, James aveva cominciato a portare lì la sua roba e quella che era una situazione d’emergenza, si trasformò in una consolidata abitudine.

La mattina, Dylan scendeva in bottega, dove aveva preso il posto del padre, mentre James si chiudeva in ufficio, impegnato a far decollare la sua azienda. La sera, Dylan si metteva ai fornelli e quando James tornava dal lavoro, cenavano insieme.

Iniziarono a convivere quasi senza accorgersene, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

* * *
ANGOLO AUTRICE
Questo capitolo si è fatto aspettare un po'. Come capita spesso, i personaggi hanno preso in mano la storia e avevano una gran voglia di raccontarsi e di perdersi nei dettagli. Ho quindi dovuto fare una gran lavoro di 'limatura' per non perdere di vista il disegno che è nella mia testa (perchè un disegno c'è, ve l'assicuro XD).
Ringrazio chiunque sia arrivato fino a qui, e spero che questi due personaggi continuino a stuzzicare la vostra curiosità.
Al prossimo capitolo! <3


 


 

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Capitolo 4
*** ADDIO ***


PROMPT: 
- Lontano dagli occhi
- E adesso dove vai?
- Non vorrei dire che te l'avevo detto, ma... te l'avevo detto
- Esplosione

* * 
 

“Allora James, sei pronto?”

“Aspetta, la cravatta…”

“Dai damerino, non siamo nel tuo ufficio, dobbiamo andare al pub. Debra e Ally ci aspettano. E da che mondo è mondo un uomo non deve mai far aspettare una donna…”

“Ti ho già detto che non mi va di uscire stasera, sono stanco”.

“Tu hai qualcosa che non va, amico mio. Le gemelle più sexy della città hanno deciso di uscire con noi, e tu ti sfianchi al lavoro? Dimmi che non finirà come al solito, che te la fili proprio sul più bello” lo canzonò Dylan mentre si dava l’ultimo ritocco ai capelli guardandosi nello specchio del bagno.

“Come sarebbe a dire?” sbuffò James. “Io non me la filo affatto! Però non moriremmo mica se una volta ogni tanto la sera ce ne stessimo tranquilli a casa a guardare un film”.

“Stronzate! Cosa c’è di più rilassante dopo una giornata di lavoro che uscire con due belle ragazze a bere qualcosa, divertirsi e magari poi… Invece sembra che tu non voglia mai arrivare al dunque. Non sarai mica uno snob che non trova nessuno alla sua altezza?” Dylan rise.

Ovviamente non era snob e la stanchezza non c’entrava niente. Ma preferiva di gran lunga che il suo amico lo pensasse, piuttosto che sapesse come stavano realmente le cose.

La verità era che la cosa più bella di uscire con delle ragazze insieme a Dylan era… uscire insieme a Dylan! Avrebbe fatto volentieri a meno di qualsiasi donna pur di stare da solo con lui. Ma non poteva certo farglielo sapere.

“E poi, che male c’è se preferisco andarci piano?”

“Se continui così, prima o poi le ragazze si stancheranno di essere lasciate a bocca asciutta” Dylan gli sorrideva attraverso lo specchio, mentre controllava che la sua pelle fosse uniforme dopo la rasatura. “E dovrò fare io anche la tua parte. Lontan dagli occhi…” lo schernì.

“Finiscila...”

James amava quando avevano quei piccoli battibecchi. Gli consentivano di rimanere a guardare Dylan mentre si muoveva all’interno della casa. Mentre si lavava, o si vestiva, o cucinava. Adorava il fatto che gli prestasse attenzione anche mentre faceva altro: rosolare un soffritto, abbottonarsi la camicia, radersi. Era come sapere di essere nei suoi pensieri in ogni momento.

“Allora sei pronto?” Dylan si voltò verso di lui, e gli afferrò il nodo della cravatta. Lo sciolse, e con una mano tirò lentamente verso di sé un lembo del nastro di seta, facendoglielo scivolare lungo il collo, fino a sfilarlo del tutto.

“Stasera questa non serve. Andiamo!”.

Irresistibile.

Infilò la giacca e lo seguì.

La serata con le gemelle si rivelò fin da subito frizzante. Le ragazze bevvero qualche bicchiere in più e fu chiaro a tutti come sarebbe finita la serata. Le labbra di Ally non volevano staccarsi da quelle di Dylan, e Debra era incollata a James con ogni centimetro del suo corpo.

Quando le portarono nel loro appartamento, il clima era già bollente. I vestiti iniziarono a cadere da ogni parte, e ben presto tutti e quattro si trovarono mezzi nudi e avvinghiati sul divano.

Dylan e James erano di schiena, l’uno appoggiato all’altro, tra le braccia delle due ragazze. Mentre Debra lo baciava con passione, James era concentrato a percepire il contatto della pelle sudata di Dylan, le sue scapole che si muovevano, i suoi muscoli che si contraevano ad ogni tocco di Ally.

Si ritrovò le mani di Debra dentro i boxer, che stuzzicavano la sua erezione. Alle sue spalle, Dylan aveva il capo reclinato all’indietro, mentre Ally lo baciava sul petto. James chiuse gli occhi. Immaginò su di sé le mani di Dylan, la sua lingua dentro la bocca, il corpo sopra il suo. Allontanò delicatamente Debra prendendola per le braccia, e si sfilò dal gruppo. Raggiunse la poltrona dall’altra parte della stanza e si sedette.

Debra non si scompose. Annullò le distanze da Dylan e fece aderire i suoi seni alla schiena dell’uomo abbracciandolo da dietro. Dylan si girò e la baciò, mentre con una mano stringeva i capelli di Ally, impegnata a succhiare con il viso affondato in mezzo alle sue gambe.

James si accese una sigaretta e restò sulla poltrona, a guardare: le mani di Dylan che esploravano il corpo nudo delle due donne, la sua schiena perfetta che si muoveva ritmicamente, i glutei che si contraevano mentre le penetrava con lentezza.

Per mesi si accontentò di amarlo così, da lontano, sognando segretamente di poter vivere, un giorno, le sensazioni che si potevano provare essendo al posto di quelle donne. E con la costante consapevolezza che la situazione avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro, insieme al segreto dei suoi sentimenti.

Successe molti mesi dopo, un tardo pomeriggio d’estate.

*

James uscì dal lavoro prima del solito e tornò a casa di corsa.

“Dylan, la nostra vita sta per cambiare!” esordì entrando i cucina.

Dylan era seduto a tavola. Alzò il viso dal piatto che aveva davanti. James notò che aveva apparecchiato per due. Il solito dolce e premuroso Dylan. Ultimamente James faceva sempre tardi al lavoro e da settimane non riuscivano a cenare insieme, se non durante il week end. Ma Dylan preparava sempre anche per lui, oppure gli lasciava sul tavolo un piatto coperto, scrivendo su un foglietto le istruzioni per scaldare le pietanze.

“Siediti e mangia qualcosa. E poi raccontami tutto, sono curioso. Anche io ho qualcosa da dirti”.

“Non ho fame. Piuttosto, dobbiamo programmare il nostro futuro. Fai i bagagli, andiamo a New York!”

“New York? E cosa ci andiamo a fare?”

“Ho avuto una proposta di trasferire lì la sede dell’azienda. E’ un’opportunità che non posso lasciarmi scappare!”

“Ne sono davvero felice James! Te lo meriti! Vuoi che andiamo in avanscoperta? Weekend a New York, niente male, amico!”

“Non solo il weekend. Avrei già trovato un appartamento per noi due. All’inizio dovremo adattarci un po’, ma col tempo le cose possono solo migliorare”.

“Come sarebbe un appartamento per noi due? Io che c’entro?” il sorriso di Dylan era improvvisamente scomparso.

In che senso?

“Non vorrai mica lasciarmi da solo…” rise, ma il suono che uscì dalla sua bocca risultò involontariamente forzato. “Ci farà bene cambiare aria”.

“Su questo sono d’accordo, ma perché mai dovrei venire a New York? Niente mi lega a quella città. A dire il vero, a parte te, non ho alcun legame neanche qui. La mia famiglia è a Xanthi, le mie origini sono lì, tutti i miei parenti sono in Grecia. Ecco, a proposito...”.

“E allora? A New York puoi avere tutti i legami che vuoi, puoi avere tutto quello che vuoi! Non puoi neanche paragonarla a un paesino dimenticato dal mondo in uno staterello piccolo e insignificante come la Grecia!”

“Dimentichi che in quel ‘piccolo e insignificante paesino’ io ci sono nato. E infatti, anch’io ti volevo parlare di una proposta che riguarda il mio lavoro...”

“Ah, il lavoro non è un problema. Troveremo anche un buco per te, vedrai”.

Aggrottò le sopracciglia, il suo tono si fece più duro. “Un ‘buco’, James?”

“Non sottilizzare, adesso. Se le cose vanno come spero, potrei anche farti lavorare per me!”

“Ma che cazzo stai dicendo?” Dylan si alzò di scatto, facendo cadere la sedia alle sue spalle. I suoi occhi azzurri erano diventati bui come il cielo prima di una tempesta, il suo sorriso sostituito da una smorfia di disgusto. “Sei impazzito, forse? Io non voglio lavorare per te”.

James rimase impietrito.

“D’accordo… potrai continuare il tuo lavoro lì…”

“Forse non sono stato chiaro. Io non voglio andare a New York!”

James sentì un brivido gelido corrergli lungo la schiena.

“E va bene. Rinuncerò all’offerta. Resteremo qui. Come adesso. Insieme”.

“Non devi rinunciare, James. E’ giusto che tu pensi alla tua carriera”.

“Ma noi...”

“Non c’è nessun noi! E anzi, se mi vuoi ascoltare, volevo dirti che sto pensando di tornare in Grecia”.

James si sentì come se qualcuno gli avesse tirato addosso un secchio di acqua gelata. Si aggrappò ad un’ultima, flebile speranza, come un naufrago in mezzo al mare in tempesta che si aggrappa ad un ramoscello.

“In... vacanza?”

“A lavorare. A viverci. Mio cugino ha continuato l’attività di mio padre e mio nonno, a quanto pare il negozio va alla grande, e ha bisogno di un socio”.

“Tu non puoi accettare!” ormai era in preda al panico. “Dobbiamo stare insieme”.

“Io ho già accettato, James”.

“Allora verrò io con te in Grecia. Tanto lo so che non durerà molto. Il tempo che tu apra gli occhi e capisca che enorme errore stai facendo. Vedrai che sarò costretto a dirti ‘Te l’avevo detto…’”.

“Non essere ridicolo! Hai dato il sangue per la tua azienda, è giusto che tu segua la tua strada. E che io segua la mia, che torni dalla mia famiglia”.

James sentì la terra aprirsi sotto i suoi piedi.

Pensavo di essere io la tua famiglia.

“Stronzate! Me lo immagino! Tu e quel tuo cugino che non conosci per niente! Proprio un bel quadretto familiare!” Il tono era sarcastico, ma gli girò le spalle perché non vedesse i suoi occhi diventati lucidi.

“E poi” continuò Dylan, ignorando l’ultimo commento “Il fatto è che... non mi piace più. Quello che facciamo. Non voglio farlo più”.

“Quale delle cose che facciamo? Mangiare? Dormire? Lavorare? Vivere?” ironizzò James, fingendo di darsi un tono.

“Le ragazze”.

James tornò a girarsi fissando l’attenzione su di lui.

“Il nostro gioco non mi piace più” buttò fuori Dylan tutto d’un fiato.

“In che senso? Non ti diverti?”

“No, non mi diverto. L’ho capito, sai? Ho capito che a te piace guardare, che ti ecciti così. Io non ti voglio giudicare, James, rispetto le tue esigenze. Però a me non basta, io voglio qualcosa di più”.

Possibile che...

“Non è come pensi Dylan. Però forse hai ragione. Anche a me non basta più” James si avvicinò. Doveva fare qualcosa prima di perderlo definitivamente. Doveva alzare la posta in gioco, doveva rischiare.

Dylan stava per dire qualcosa, ma James gli chiuse la bocca con le labbra, e con il corpo lo spinse addosso al muro. Insinuò la lingua tra i suoi denti e succhiò avido il suo sapore.

Dylan appoggiò le mani sul suo petto e lo allontanò con forza.

“Allora è questo? E’ perché ti piacciono gli uomini? E’ per questo che ti tiri indietro davanti alle ragazze, è per questo che lasci fare tutto a me! Per quale motivo non me ne hai mai parlato prima?”

James fu preso dal panico.

E’ forse disprezzo quello che vedo sul volto di Dylan?

Lo sentiva nelle sue parole, nel tono della sua voce. All’improvviso si vergognò. “No, non è questo…”

“E allora cos’è, spiegami” Dylan sembrava furioso.

E’ che ti amo, che sono innamorato di te, da sempre.

“E’ solo che… che è divertente”.

“Ah, divertente. Quindi è solo un gioco per te?”

No!

“In fin dei conti è solo sesso...”

“Ma che dici? Sei impazzito? Allora non hai capito niente! Io voglio qualcuno da amare e che mi ami... Voglio fidanzarmi, sposarmi, e un giorno avere anche dei figli. Voglio una famiglia, capisci?”

Il silenzio calò tra di loro, fino a quando Dylan non uscì dalla stanza.

“E adesso dove vai?” gridò con voce rotta James alla cucina vuota.

Dylan tornò sui suoi passi e gli si mise di fronte, con aria di sfida.

“Dammi una ragione, una sola ragione per venire a New York con te, James. Dammene una sola!” lo guardò negli occhi, alla ricerca della verità e del coraggio che non ci aveva mai trovato.

Perchè ti amo!

James restò in silenzio.

“Ecco, come immaginavo. Partirò tra una settimana”.


 

Il giorno della partenza di Dylan, James non aveva neppure voluto salutarlo.

Era andato in ufficio prestissimo, cercando di ignorare le valigie accatastate davanti alla porta di casa.

Seduto alla scrivania, con una serie di bilanci sotto gli occhi, non riusciva a concentrarsi. Gli unici numeri ai quali riusciva a pensare erano quelli dell’orario di partenza del volo di Dylan. Mancava meno di un’ora.

Improvvisamente, sentì come un’esplosione nella sua testa, e il velo di ipocrisia e paura che fino a quel momento aveva avvolto tutte le sue decisioni, fu squarciato. Finalmente capì cosa doveva fare, e quando doveva farlo: subito! Preso da un istinto incontrollabile, lasciò l’ufficio e salì in macchina.

Doveva correre in aeroporto, arrivare prima che l’aereo decollasse, doveva fermare Dylan, impedirgli di partire, confessargli i suoi sentimenti, supplicarlo di non lasciarlo solo. O almeno salutarlo.

Non si rendeva conto del traffico, della gente, della strada. Riusciva solo a calcolare mentalmente i minuti che lo separavano dalla partenza di Dylan. Trenta minuti, venti minuti, quindici minuti.

I controlli di sicurezza, l’attesa al gate, l’imbarco...

Quando finalmente fu in vista dell’aeroporto, si trovò imbottigliato nel traffico. Forse lavori stradali, forse un incidente, o un banale ingorgo… di qualsiasi cosa si trattasse, quel maledetto ingorgo gli stava facendo perdere tempo preziosissimo. Cinque minuti alla partenza, tre minuti….

L’aereo decollò, passando proprio sopra la sua testa.

E’ finita.

James si accasciò sul volante, lasciandosi andare a un pianto disperato.


 


 

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Capitolo 5
*** PER SEMPRE ***



 

“Ma… come?” James pensò di avere capito male. “Cosa?…”

Dylan continuava a fissarlo, senza cambiare espressione.

“Ho capito, mi stai prendendo per il culo” James cercò di sdrammatizzare. “Dai, lo scherzo è finito. Adesso, dimmi come stai davvero”.

“Sto benissimo. Sono morto” allargò le mani davanti a sé e piegò la testa di lato, come per sottolineare una ovvietà.

James arretrò terrorizzato.

“Ma come sarebbe, morto? Non è possibile, no! Ma tu sei qui, sei davanti a me in carne e ossa”.

“Beh, carne e ossa non direi…” scherzò Dylan.

“Io ti vedo, ti tocco, ti posso parlare! Oggi ti hanno visto tutti, insieme a me”.

“Beh se vogliamo essere precisi, mi hai visto solo tu. E Kei, ovviamente”.

Già, Kei. Ma lui non era...

“Non è vero! Tu ieri sera eri all’hotel, sei salito in ascensore. Io ti ho visto, ti hanno visto tutti! Il direttore mi confermato che eri in albergo. E che c’era qualcuno con te, in camera”

“E’ vero. Ero lì. Ma non ero del tutto sicuro che tu fossi pronto per incontrarmi. E francamente non credo che Jeanpaul ti abbia parlato proprio di me”.

No. Adesso che ci pensava bene… In quel momento il direttore era al telefono. Non parlava di Dylan. E non si rivolgeva neanche a lui. Stava solo rispondendo al telefono.

“E perché sei qui? Perchè saresti tornato dall’oltretomba? Solo per tormentarmi?”

“Sono qui perché mi hai chiamato tu. E adesso, finalmente, potremo stare insieme. Per sempre”.

James si portò le mani al volto, come per contenere il suo terrore. Improvvisamente tutto gli fu chiaro.

“Ho capito! Tu non esisti! Tu sei un’allucinazione! Sei solo nella mia testa, ti ho creato io. Per anni ti ho pensato e desiderato, e il mio cervello è andato in tilt!” iniziò a urlare muovendo le braccia.

“Calmati James. Io sono qui, mi vedi? Sono davanti a te!”

“No, non è vero! Non sei reale! Non sei altro che un’allucinazione, vattene, vattene dalla mia testa! Ecco perché sei ovunque, ecco perché non hai mai freddo anche se indossi quei vestiti leggeri” urlò, indietreggiando verso l’uscita della terrazza.

Lo distanziò di qualche passo, e poi si voltò con la testa bassa, allontanandosi con passo veloce.

“James calmati” se lo trovò davanti, che gli bloccava la strada. “Questi sono i vestiti che indossavo il giorno della mia partenza. E no, nella mia condizione non sento né freddo né caldo”.

“Ma come hai fatto… Sto impazzendo, vattene, lasciami in pace!”

“Non ti agitare. Volevi rivedermi no? Volevi stare con me a qualunque costo?” Il suo tono era quasi beffardo, il suo dolce sorriso simile ad una smorfia. “Ebbene, il tuo desiderio è stato esaudito. Io non me ne posso andare, sono qui per te”.

“Mi libererò di te! Andrò in terapia, guarirò. Per non pensarti mi butterò sul lavoro!”

“Peccato che tu non ce l’abbia più un lavoro”.

“Ma cosa diavolo stai dicendo?”

“I Giapponesi. Erano qui per compare l’azienda. Tu non c’eri e allora è stato gioco facile convincere il tuo sostituto”.

“Come scusa? Io ero solo in ritardo, e poi tu non sai un cazzo, cosa vuoi capirne tu?”

“Sei tu che devi capire James. Mi hai voluto tu, ricordi? Non sono altro che la realizzazione dei tuoi desideri” gli disse avvicinandosi con tono minaccioso.

“Beh, adesso non ti voglio più! Vattene, lasciami in pace. Tu non sei la persona che ricordavo, non sei il mio Dylan”.

“Ah no? E quale Dylan vorresti? Quello che ti trascinava sempre con lui? Quello che scopava al posto tuo? Quello che mentre lavoravi ti faceva da domestico in casa? Quello che spiavi di nascosto mentre si spogliava? Quello che hai sempre amato di nascosto senza dirglielo? Dimmi, James, quale Dylan vorresti?”

“No, io non credevo…”

Sul volto di Dykan all’improvviso comparve una cicatrice rossa e sanguinolenta che squarciava in diagonale tutta la faccia, dall’angolo sinistro della fronte fino allo zigomo destro. Lungo il percorso slabbrato della cicatrice, l’occhio sinistro era scoppiato, all’altezza del naso si vedeva l’osso esposto e tutto il lato destro delle labbra era spaccato, lasciando parte dei denti in evidenza. Intorno all’unico occhio sano si era formato un livido nero e giallognolo e la pelle si era gonfiata, fino a renderlo una fessura. La camicia candida adesso era intrisa di un liquido rosso scuro, e i pantaloni erano lacerati in più punti.

“Scommetto che invece questo Dylan non ti piace. Non vuoi dirmi quanto mi ami, adesso?”

James indietreggiò terrorizzato.

“E’ per colpa tua se è successo. Sei tu che mi hai ridotto così. Io ti aspettavo a casa, ero convinto che mi avresti almeno salutato. Mi sentivo in colpa, non volevo lasciarti così, senza un saluto. Mi sembrava di farti un torto. Ho aspettato fino all’ultimo momento. Troppo. Ho dovuto dire al tassista di correre il più possibile, perché ero in ritardo. Gli ho detto io di passare con il rosso, di rischiare. Se tu non fossi stato così egoista, James, tutto questo non sarebbe successo” Dylan era furioso.

“E questo non ti è bastato” continuò, avvicinando la sua faccia mostruosa al viso di James. “Hai dovuto farmi tornare, mi hai voluto ancora con te. Ebbene eccoti accontentato!”

“Ma io non ho fatto niente!” cercò di giustificarsi James, distogliendo lo sguardo. “Io non ti ho chiamato, non ho desiderato…”

Lei ha diritto ad un desiderio, signore. A qualsiasi desiderio...”

In effetti la sera prima aveva espresso un desiderio. E lui aveva pensato a Dylan. Era stato il commesso, quel… Kei!

Ecco chi era Kei! L’autista era la stessa persona che la sera prima era all’interno del negozio.

“C’era Kei! Ieri sera, in un negozio, mi ha chiesto di esprimere in desiderio e io… è vero, ho pensato a te, ma non credevo che… Possiamo risolvere tutto. Adesso andiamo al parcheggio da Kei, ci facciamo portare al negozio, e vedrai che tutto tornerà come prima”.

“Impossibile. Il negozio non esiste più, James”.

“Ma come? Certo che esiste. Lo ha visto anche Carlos, ieri sera era con me”. A James era tornata la speranza di liberarsi da quell’incubo. “A proposito. Che fine ha fatto Carlos?”

“Carlos non è disponibile, oggi.”

“Lascia che vada da lui, così potremo chiarire tutto”.

“Ha perso tragicamente una persona di famiglia. Lascialo nel suo dolore. E comunque non potresti fare niente. Nè per lui, né tanto meno per i tuoi genitori.

I suoi genitori sono molto dispiaciuti, ma la ricordano con affetto’ gli aveva detto Kei.

Perchè i suoi genitori dovevano ricordarlo con affetto?

“Cosa c’entrano i miei genitori?”

“Nessuno ti può aiutare, James. Adesso siamo solo io e te. Tra un po’ nessuno si ricorderà più di nessuno dei due. Ti resto solo io”.

“TU. NON. ESISTI! E io troverò il modo di liberarmi di te!” James barcollò in avanti e si aggrappò con le mani alle spalle di Dylan, quasi temesse di cadere da un momento all’altro.

“Troppo tardi. Sai come si dice: ‘fai attenzione a quello che desideri, perché potresti ottenerlo’” lo sguardo di Dylan era sempre più ostile. “Non sei contento di poter stare insieme a me, finalmente?”

“Perchè? Perchè proprio adesso?” gli gridò in faccia disperato.

“Per essere un genio degli affari, caro James non sei tanto perspicace. Cosa puoi dirmi di ieri sera?”

“Ieri sera?” James portò le mani alla testa e alzò gli occhi al cielo in preda alla disperazione, sforzandosi di rivivere le ultime 12 ore. “Io ho fatto molte cose ieri, ho visto tanta gente”.

“Chi di preciso?”

“Beh, Jeanpaul, tanto per cominciare...”

Lui parlava al telefono...

Cosa gli aveva detto? Maledizione, non ricordava le parole esatte...

“...poi sono stato al bar, Nathan mi ha servito un drink...”

che però non era per me, c’era un altro cliente seduto al bancone. Il brandy era per lui.

Nathan non gli aveva rivolto la parola, forse non lo aveva neanche visto.

“Ecco! C’era un ragazzo, in camera mia, lui può testimoniare…”

E cosa potrebbe testimoniare?

Quando era salito in camera il ragazzo dormiva, non lo aveva neppure sfiorato, non ci aveva parlato e la mattina dopo non lo aveva neppure visto.

“Io ho dormito in albergo…”.

Senza bagagli, senza disfare il letto, senza lavarmi.

“Stamattina siamo stati in azienda. Ci hanno visti tutti…” la rabbia stava prendendo il posto della paura.

“Non hai parlato con nessuno. Nessuno ti ha visto. La riunione si è svolta senza di te. E poi, non ti sembra strano che nessuno ci abbia fermato prima di arrivare agli ascensori? E che nessuno abbia salutato il grande capo?” Dylan sembrava divertirsi, a tormentarlo.

“Smettila, non sai quello che dici!”

“Ricordi di aver mangiato o bevuto qualcosa da ieri?”

“Questo non vuol dire…” In effetti non aveva mangiato niente dal giorno precedente, e non ne sentiva per nulla lo stimolo. Non aveva neppure sentito mai il bisogno di andare in bagno.

Che significa...

James si sforzò di tornare indietro con la memoria.

Come dei flash, all’improvviso, nella sua mente, una dopo l’altra si fecero strada a ritroso, nitidissime, le immagini dei momenti vissuti, come se una luce si fosse accesa in una stanza buia.

Gli ospiti giapponesi avevano comprato l’azienda, approfittando dell’assenza del titolare.

Carlos aveva perso qualcuno che amava come un figlio e non era andato al lavoro. E i suoi genitori lo ricordavano con affetto.

Il direttore dell’Hotel confermava alla polizia la sua prenotazione per quella sera e avvisava della presenza del suo giovane ospite in camera sua.

Sulla strada davanti all’hotel pioveva, c’era molta gente, guardavano curiosi. Era successo qualcosa, un incidente.

Le sirene che sentiva non erano della polizia. Era un’ambulanza. Avevano investito qualcuno, c’era un corpo a terra.

Lui aveva dimenticato l’ombrello di Carlos. Era tornato indietro per riprenderlo.

Una macchina aveva sterzato all’ultimo momento, aveva suonato il clacson...

“Noooo, noooo…” James fecce due passi indietro, in preda alla terribile consapevolezza.

Perchè quell’uomo, disteso sull’asfalto in mezzo alla strada, immerso in una pozza di sangue, sotto una pioggia scrosciante che non accennava smettere, aveva la sua faccia.

In quello che rimaneva degli occhi di Dyaln si accesero due fiamme rosse, e le sue labbra dilaniate si distesero in un ghigno diabolico.

“Sì James. L'unico modo per far avverare il tuo desiderio è che anche tu sia…”

Morto.

*


 


 


 

EPILOGO

Narra una leggenda metropolitana che esista un particolare negozio, aperto 24 ore su 24, che ogni giorno, alle 00.05 si materializza in un luogo sempre diverso. Una nazione, un continente, una città completamente diversi.

Di giorno sembra un negozio del tutto normale, frequentato da clienti di ogni genere.

Ma se qualcuno, alle 24.00 precise spende una di queste cifre: 6,66, 66,60 o 666,00, qualunque sia la moneta utilizzata, la persona alla cassa gli chiederà come intende pagare: “Carta, contanti o anima?”

Se il cliente sceglie di pagare con l'anima, gli restano 5 minuti per firmare lo scontrino con il proprio nome. Se lo fa, ha diritto ad esprimere un desiderio, proporzionato alla cifra spesa.

Se la cifra è pari a 666,00, si può esprimere qualsiasi desiderio.


 

Se non si chiede niente, o si chiede troppo, dopo 5 minuti si viene risucchiati all'inferno per l’eternità, come punizione per aver ceduto l'anima in cambio di beni o piaceri. O di desideri impossibili.


 


 

* * *

ANGOLO AUTRICE

Eccomi arrivata alla fine della mia prima long originale.

Questa storia mi ronzava in testa da tempo, così come i personaggi, con le loro vite e i loro caratteri. La cosa difficile è stata arginare tutte le idee che si accavallavano per uscire, e contenere le personalità tanto diverse di Dylan e James, che tendevano a farsi strada nei miei pensieri e volevano esprimersi a modo loro.

Alla fine, neanche farlo apposta, anche senza volerlo sono venuti fuori 6 capitoli, in linea con lo spirito del racconto ;-)

Grazie a tutti coloro che sono arrivati a leggere fino a qui. Spero che l’esperimento sia riuscito e che abbia stuzzicato la vostra curiosità.

Grazie ancora, alla prossima. <3


 

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Capitolo 6
*** VERITA' ***



 

In silenzio lasciarono l’ufficio e James chiuse a chiave la porta dietro di sé.

L’affare appena concluso con i giapponesi avrebbe portato altri miliardi all’azienda, oltre che un possibile ingresso in Borsa. Eppure lui non riusciva a sentire nessun entusiasmo. Quella notizia lo lasciava del tutto indifferente.

Sentiva solo un grande vuoto nel cuore. Ancora non aveva avuto alcuna risposta da Dylan. Dove era stato, con chi? Perchè era tornato, perché adesso? Ma soprattutto, era tornato per restare? Voleva sapere tutto, e lo voleva sapere adesso!

Dylan lo distolse dai suoi pensieri.

“Sei così serio! Direi che per oggi basta con il lavoro”. Gli afferrò la mano. “Vieni, andiamo in un posto tranquillo”.

Al tocco della sua pelle, James fu invaso da una sensazione di calore che si irradiò in tutto il corpo. Era da tanto tempo che non sentiva il suo tocco. Ma sembrava tutto così naturale che si lasciò trascinare verso l’ingresso principale del palazzo.

Quando entrarono nell’ampio androne, nessuno degli addetti alla sicurezza o degli impiegati alla reception fece loro domande. Avevano senza dubbio riconosciuto la persona che pagava il loro stipendio, e si limitarono a sorridere sull’attenti. Lui, invece non conosceva nessuno di loro. Non si occupava di certo lui delle assunzioni.

Fu tentato di sfilare la mano da quella di Dylan, guidato dall’abitudine ormai radicata di nascondere le sue vere inclinazioni. Ma scacciò subito quel pensiero, godendosi ancora un po’ il calore e la stretta di quella mano che tanto aveva desiderato.

In ascensore salirono fino all’ultimo piano, e fecero a piedi l’ultima rampa di scale, fino alla terrazza sul tetto. Si affacciarono ad ammirare la città che si stendeva sotto i loro occhi.

“C’è sempre pace qui. Questo posto mi è mancato, sai?” Dylan osservava estasiato il lento scorrere del fiume che attraversava la città, i riflessi dorati del sole sulla superficie dell’acqua, le mille sfumature che l’autunno regalava alle chiome degli alberi che si alternavano ai tetti della case basse. Sembrava davvero che ne sentisse la mancanza. O che lo vedesse per la prima volta.

“Anche se, devo ammetterlo, dove sono adesso di pace ce n’è anche troppa” aggiunse con un sorriso divertito.

Già. Il tuo minuscolo paesino greco...

“Sei qui di passaggio?” chiese finalmente James. “O intendi restare?”

“Questo dipende da te”.

“Non è mai dipeso da me. Se fosse stato per me , tu non te ne saresti neppure andato! E invece sei partito. Sei andato in Grecia a lavorare, a farti la tua famiglia, e chissà che altro. Mi hai lasciato qui, e io avevo tante cose da dirti, tante cose che volevo fare con te”.

“Non sempre le cose vanno come da programma, James. Ma adesso non ha più importanza, perché sono qui. Finalmente siamo insieme. E potremo fare tutte quelle cose, e anche di più”.

“Perdonami, ma sono confuso. Mi vuoi spiegare una buona volta? Quindi tu in Grecia non...”

“No, James, non mi sono sposato. A dirla tutta, non sono neanche diventato socio di mio cugino”.

James lo guardò sentendo la speranza farsi strada tra i mille pensieri negativi che ormai affollavano quotidianamente la sua testa.

“Quindi hai cambiato idea sulla Grecia? Non vorrei dire che te l’avevo detto, ma… te l’avevo detto” sbuffò ridacchiando.

“No, non è questo. Il fatto è che io non ci sono mai andato in Grecia”.

“Come?” sussurrò incredulo James, incapace di respirare.

“Non sono andato in Grecia. Non sono mai partito”.

James continuava a guardarlo incredulo. Non riusciva capire.

Se non era partito, dove era stato tutto quel tempo? Perchè non lo aveva cercato? Perchè non era tornato da lui? Troppe domande affollavano la sua mente, ed era difficile dare loro una priorità. E più ci pensava, più lo stupore lasciava il posto alla rabbia.

“E si può sapere dove sei stato in tutto questo tempo?”

Ma soprattutto, perché cazzo non mi hai chiamato!

Il vento si era fatto più insistente e faceva sventolare il bordo del lungo cappotto di James.

“Ti stai chiedendo perchè non mi sono fatto vivo con te, vero?” come al solito, Dylan era capace di leggergli dentro. Non rispose, non era necessario.

“La mattina che dovevo partire” continuò calmo Dylan, “proprio sulla strada che portava all’imbocco dell’aeroporto, è successo un incidente grave, tanto che il traffico è stato deviato e si è creato in ingorgo. E io non sono riuscito a prendere l’aereo”.

“Lo stesso incidente che mi ha impedito di arrivare da te in tempo...” quindi anche Dylan era rimasto imbottigliato, probabilmente era a poche decine di metri da lui! “Non ho mai saputo cosa fosse successo quel giorno”.

“Un taxi. E’ passato con il rosso, e ha tagliato la strada ad un furgone. Il tassista è morto sul colpo”.

“E passeggeri?” chiese distrattamente James, senza essere veramente interessato. Per lui era già sufficiente sapere a chi poter dare la colpa di averlo tenuto distante da Dylan.

“Sì, uno. Era in ritardo, aveva fretta, e ha insistito perché il tassista corresse più veloce possibile”.

“Ha ha, e tu come lo sai? Te lo ha detto lui? Lo conoscevi?” reagì James, sentendosi preso in giro.

“Era un cliente anonimo, di cui nessuno ha mai parlato. Il cliente ideale da far sparire: nessun parente negli Stati Uniti, nessun legame ufficiale, nessuno che si sia fatto avanti per rivendicare un risarcimento. Nè la compagnia dei Taxi, né l’assicurazione avevano alcun interesse ad andare a fondo con le ricerche di parenti o amici”.

“Quindi tu hai assistito all’incidente? Eri molto vicino?”

“Direi di sì. Ero nel taxi”.

James si sentì gelare.

Che significa? Anche lui era nel taxi? Ma allora...

“Sei rimasto ferito? Sei stato in ospedale? In coma?” James lo prese per le braccia, cercando con lo sguardo qualche segno di lesioni sul suo corpo, qualche cicatrice a testimonianza di tutto il tempo che lo aveva tenuto distante da lui.

“Niente coma. Niente ospedale”.

“Allora sei solo stronzo! Perché non mi hai chiamato? Perché sei sparito? E perché nessuno mi ha avvertito?”

“Te l’ho detto... Il mio telefono è andato distrutto nell’incidente, quindi niente contatti...”

“E quindi? Mi potevi chiamare tu, idiota!” lo interruppe rabbioso.

“...tutti i miei amici, te compreso, mi credevano in Grecia a rifarmi una vita” continuò imperterrito. “L’assicurazione ha attribuito tutta la colpa al guidatore, ha coperto per intero le spese dei funerali…”

Funerali?

“...e ha chiuso in fretta la pratica. E così ha fatto la polizia. Nessun dubbio sulla responsabilità, nessun conto in sospeso, nessuno insoddisfatto. Caso chiuso”.

Caso chiuso?

James era paralizzato “Ancora non capisco…”

“Eddai, James”. Dylan lo guardò con occhi dolci, dietro cui si leggeva tutta la shoccante verità.

Gli balenò davanti agli occhi l’immagine della lapide davanti alla quale si erano incontrati quella mattina.

Si concentrò al massimo. Cosa diavolo c’era scritto?

In memoria eterna…’

Strinse forte gli occhi per mettere a fuoco il suo ricordo.

..di Kristos Kanakis...’

Ma c’era dell’altro, ne era sicuro…

‘… e Dimitri Kanakis…’

“Ma tu sei… tu sei…”

...che il Signore ha voluto troppo presto con se’.

“Eh, sì James! Sono morto!”


 


 

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