Tre minuti e quaranta secondi

di Rumenna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sedici anni ***
Capitolo 2: *** @Cinz_i_am Su Followgram ***
Capitolo 3: *** #LunedìMattina #Pioggia #BruttaGiornata ***
Capitolo 4: *** #Lite #GiornoDiChiusura #RicordoPrezioso ***
Capitolo 5: *** #Treno #Gommose #Gemelli ***
Capitolo 6: *** #TortaAlCioccolato #ChiacchiereTraDonne ***
Capitolo 7: *** #DopoDieciAnni #VoglioRivedervi #Nostalgia ***
Capitolo 8: *** #Succo #SicuramenteNonUnFlirt ***
Capitolo 9: *** #Autocommiserazione #TuttoAPuttane ***
Capitolo 10: *** #GiovaniEBelle #SpeedDate ***
Capitolo 11: *** #DopoLaTimidezza #Istinto ***
Capitolo 12: *** #LaMiaAmicaCarolina #Chitarra #Fenomeno ***
Capitolo 13: *** #ConcertoDiNatale #Mostro #Snob ***



Capitolo 1
*** Sedici anni ***


Estate dei sedici anni: il momento in cui credi che sarete amici per tutta la vita, in cui pensi che basti crederci per farcela, in cui essere ricambiata dalla tua crush sia il dilemma più grande della tua esistenza, in cui una canzone da tre minuti e quaranta secondi può risollevarti di morale.

Eravamo sempre i soliti casinisti.
Rita detta la scalmanata, che cantava a squarcia gola in prima fila davanti al palco del Festanotte sperando di venir notata dal cantante, un tipo i cui testi parlavano solo di feste e gente ubriaca e strafatta.

Giorgia la seduttrice, che aveva un sacco di frequentazioni per cercare di attirare l'attenzione della madre, troppo concentrata nell'organizzare il matrimonio con un uomo più grande di vent'anni molto benestante, giravano un sacco di brutte storie e nomignoli cattivi sul suo conto che la facevano piangere una sera si e l'altra pure.

Lucio la salamandra arcobaleno, lo chiamavano così per via della sua passione per i rettili e per il fatto che fosse gay, il cui coming out non stupì affatto la sorella maggiore, l'unica che si occupava di lui dopo la morte dei genitori in quel tragico incidente ferroviario.

Ed infine c'ero io, Carolina la corta, per via della mia statura esile e mingherlina: credevo che per essere fighi e famosi l'importante fosse avere un'apparenza da dura, che maggiore eccentricità estetica significasse avere più chance di spiccare rispetto agli altri quando non si aveva avuto una vita particolarmente travagliata e drammatica su cui speculare.

Ma poi in un batter d'occhio ti ritrovi a sfogliare un vecchio album di fotografie e a chiederti dove siano finiti quei sogni, quelle serate a confidarci di quanto detestavamo il mondo e soprattutto a chiederti dove siano finiti quegli amici che per te valevano più di qualsiasi altra cosa, standotene chiusa in casa davanti alla TV mentre sorseggi tristemente un bicchiere di vodka, al termine di una giornata di schiavismo che vorresti solamente dimenticare.

 

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Capitolo 2
*** @Cinz_i_am Su Followgram ***


Bocciata.

Non può essere vero.

Ricontrollo più è più volte il tabellone appeso nella hall della scuola: non ci sono dubbi, è proprio una bocciatura.

Ricordo di non essere andata bene all'esame, ma speravo di cavarmela quanto meno col diciotto.

La verità è che ero troppo stanca per studiare, in piena settimana festiva della grande fiera. A Rosadoro si festeggia per un mese intero l'anniversario della fondazione della città, per me che lavoro alla pizzeria di famiglia è stato un inferno: il mio part-time è stato stravolto in full time con straordinari, quel vecchio avaro e bisbotico di mio zio non mi ha dato nemmeno un soldo in più.

Lo squillo del telefono mi distoglie dal mio pensare: è Cinzia, la mia amica, anche lei stamattina doveva ricevere gli esiti di un suo esame.

«Cinzia, dimmi che ti è andata bene almeno stavolta, ti prego.»

«Abbiamo le università adiacenti, andiamo al baretto insieme, ho bisogno di taaaaanto caffè!»

Saluto il vecchio professore d'inglese, anche oggi impegnato a mangiucchiare frutta secca dal sacchetto sotto il braccio, dirigendomi all'esterno dove un gruppo di studenti animatamente discute di quanto è stato facile l'esame, facendomi innervosire ancora di più.

Alla punta della strada, in mezzo alla folla anonima, eccola spiccare intenta a farsi delle foto con il suo bastone per i selfie: capelli rosa chiaro, trucco abbinato, giacchetta bianca spruzzata di colore e gonna corta, come la ricordo dal primo giorno in cui ci siamo conosciute.

Agita la mano nella mia direzione e mi abbraccia energicamente.
«Carol, facciamoci il selfie della tristezza insieme!» dice "selfie della tristezza" ma sul suo volto c'è un grande sorriso. Io che la conosco, direi che è un sorriso nervoso.
Cinzia è una spilungona e oltre quello adora indossare sempre dei tacchi molto alti, insieme sembriamo un duo comico. Cerchiamo di avvicinarci come possiamo e in meno di un minuto la nostra foto è già sui social, commentata da centinaia di persone.

«L'hai scampata per un soffio anche stavolta?» mi guarda curiosissima con i suoi grandi occhi azzurri.

«Bocciata.» le dico a denti stretti.

Quasi le vengono le lacrime agli occhi, inizia a stringermi e a darmi delle pacche sulla schiena.

«Smettila, non sono mica una poppante! Ci guardano tutti...»

E proprio in quel momento, il suo radioso sorriso illumina la strada intera: «E non è quello che vogliamo? Diventare famose?» mi fa l'occhiolino.

«Tu forse, io no.» mi sistemo la borsa mentre ci accingiamo ad entrare nel piccolo bar, in cui tutti i dipendenti ci conoscono e salutano, ovviamente a causa della bellezza di Cinzia e del suo carattere solare.

Ci sediamo ad uno dei pochi tavoli disponibili e ordiniamo, poi Cinzia mi stringe le mani tra le sue, curate e bellissime. «Carol, ti ricordi del messaggio che mi hai mandato ieri?»

«Quale? Te ne ho mandati tanti...» cerco di far finta di non capire.

«Quello sui tuoi vecchi amici di scuola.»

Oh no, non voglio parlare della serata pietosa di ieri, che sarà identica a quella di oggi dopo questa bella bocciatura che proprio non ci voleva.

«Mi hai raccontato che volevi essere famosa a quei tempi, che insieme avevate una band tutta vostra.»

«Band... Non esageriamo, eravamo solo in due, le altre non suonavano. Ma sì, avevamo un gruppo e gli avevamo anche dato un nome. Chissà perché ieri mi ci sono messa a pensare...»

«Forse perché in TV davano quel reality sull'amicizia? Comunque, torniamo al punto!»

«Ecco a voi, due cappuccini, due cornetti con panna e crema alla nocciola, un milkshake alla vaniglia e i cannoli! Buon appetito!» il ragazzo dolce ci sorride prima di tornare al suo lavoro.

«Eccolo, il punto! Il mio punto debole! Hai visto Kevin quanto è bello oggi? Si è messo l'orecchino a forma di stellina!» Cinzia è diventata tutta moine e battiti di ciglia, come fa di solito quando di mezzo c'è Kevin... o qualsiasi altro ragazzo bruno di bell'aspetto.

Ma sì, meglio approfittarne per cambiare discorso: «E che mi dici di Michele, il ragazzo che fa il controllore dei biglietti alla stazione centrale?»

«Quello lì? Sì è carino e tutto quello che vuoi, ma non è che posso prendere il treno avanti e indietro solo per vederlo due secondi! Invece con Kevin è diverso... Io sto qui, mangio, lo guardo lavorare, mangio un altro po'...»

«E diventi una balena. Cosa diranno poi i tuoi amati followers?»

«Che sono sempre stupenda, che domande!»

Beata lei che crede così tanto nel suo sogno e ci si impegna con tutto il cuore e la dedizione possibile.

Io invece...

Pensiamo ad altro che è meglio.

 

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Capitolo 3
*** #LunedìMattina #Pioggia #BruttaGiornata ***


Fuori casa piove a dirotto, come nella mia stanza, a causa del pianto di Cinzia: ha litigato con i suoi genitori, come al solito.

Per fortuna sembra che abbia esaurito le energie e si sia sfogata per bene: sono contenta che si senta al sicuro con me.

Suonano alla porta.

«Dev'essere il bar, arrivo subito.» vado ad aprire, mi si para davanti un ragazzo bellissimo e bagnatissimo, con degli occhi profondi: ordino spesso qualcosa a domicilio dal bar dietro l'angolo della strada, ma non l'ho mai visto in giro. Mi saluta con gentilezza, noto che al dito porta un anello particolare, con una rosa rossa: mi sono sempre piaciuti gli accessori, quindi l'ho guardato piuttosto incuriosita.

«Il tuo anello è davvero bello!» gli dico con sincero interesse. «Dove l'hai comprato?» l'amore per gli accessori si era radicato in me dopo tutti quegli anni di adolescenza a cercare di diventare una rockstar famosa.

Il ragazzo trattiene una risata: «Non me lo ricordo, mi dispiace.»

Ci salutiamo e mentre chiudo la porta noto che il ragazzo solleva il sopracciglio. È riferito a me?

«Evviva, è arrivato il cappuccino!» il flash dello scatto fotografico del cellulare di Cinzia mi acceca, immortalandomi con espressione stizzita. In men che non si dica, vengo presa a modello come tipica espressione del lunedì mattina.

«Sbaglio o il numero dei tuoi followers è aumentato in modo significativo dall'ultima volta?»

«Già, sembra che un sacco di gente abbia a cuore la mia carriera! Ho pubblicato un post sfogo senza entrare nel dettaglio della mia vita privata e mi sono piovuti followers da tutte le parti!»

Ci sediamo e sorseggiamo il cappuccino, guardando la pioggia iniziare a cadere con cattiveria e ferocia: non posso fare a meno di compiacermene ripensando al tipo di prima.

«Lo sai che puoi smettere di andare all'università quando vuoi, no? La scuola dell'obbligo l'hai passata da un pezzo.» le dico prendendole la mano.

«Anche tu non sei obbligata a fare la schiava per due soldi al ristopizza.» mi stringe la mano di ritorno.

«Parliamo di te, hai appena finito una brutta lite con i tuoi.»

«Appunto, sono stanca di pensarci! Mi hanno praticamente buttata giù dal letto a suon di urla... a proposito, dammi una medicina per il mal di testa.»

Mi rattrista sempre molto vederla in questo stato, di solito è sempre così piena di energie e mi da la forza di tirare avanti. Ma è questo che fanno le amiche, quindi sarò io oggi a tirarla su di morale.

«Perché non ordiniamo qualcos'altro dal bar? Giusto per aumentare gli zuccheri nel sangue e la serotonina! Il nuovo tipo del bar è antipatico, facciamolo bagnare per bene!»

Ci mettiamo a ridere e ordiniamo dei panini. «Senti ma perché non ci divertiamo un po' con il karaoke?» il karaoke è l'attrazione di casa: tutti adorano venire a casa nostra a causa del karaoke, anche se principalmente lo uso io. Una volta mia madre ha giurato di aver dato una festa con le sue amiche e di aver cantato tutta la sera, disse che aveva fatto un figurone e che tutte volevano tornare presto a trovarla.

«E se prendessi anche la chitarra sarebbe meglio!» mi sorride Cinzia.

Già, la chitarra.

La mia chitarra.

Cinzia ci prova sempre. «Non la uso da un sacco di tempo...»

«Daaaai, non ti ho mai sentita suonare! Fallo per me che sono triste triste!» mi si aggroviglia addosso come un serpente.

«Va bene, va bene, ma solo per poco. L'ho messa via quando ci siamo trasferite qui, è nel garage. Se mi dai cinque minuti vado a prenderla.»

«Sì, che bello!» Cinzia ha iniziato a sprizzare felicità ed impazienza da tutti i pori della pelle.

Prendo l'ombrello e scendo in strada. Cavolo quanto piove. Incrocio il tipo del bar di prima, ci guardiamo e ci ignoriamo, lui suona il citofono ed io tiro su la serranda.

Il vecchio garage è strapieno di materiale di edilizia, probabilmente la rimanenza di quando mamma e zio hanno aperto il locale. Apro tutte le scatole ed i grandi sacchetti neri dell'immondizia, colmi di cianfrusaglie.

La chitarra ha una custodia rigida ed è completamente ricoperta di adesivi, dovrebbe essere facile da trovare.

Non c'è.

La chitarra non c'è.

Dov'è finita la mia chitarra?

«No, no, no!» non può essere sparita, forse mamma l'ha messa nel ripostiglio... ma nel ripostiglio ci abbiamo fatto la dispensa alimentare, me ne accorgerei se il mio tesoro fosse finito in mezzo ai barattoli dei carciofi sott'olio.

Prima che l'ansia mi divori del tutto, noto il tipo del bar uscire dal portone di casa e irrazionalmente lo chiamo. «Ehi, tu! Scusa, forse sono un'imbecille io, ma... Per caso vedi la custodia di una chitarra qua dentro?»

Il ragazzo perplesso mi si avvicina, completamente bagnato, dando un'occhiata veloce al garage. «Certo che per abbordare le provi davvero tutte tu, eh?»

«È una cosa seria!» gli urlo contro.

Mi guarda stranito ed entra nel garage, spostando cartoni qua e là, non trovando nulla.

«Non c'è niente qua.»

«È una custodia rigida, che si usa di solito per gli strumenti musicali! È grande più o meno così e...»

Mi zittisce di colpo, con la sua voce fredda e seccata: «So com'è fatta, sono un musicista anch'io.» poi mi si avvicina. «Se per te è così importante non avresti dovuto buttarla in questo schifo di garage.»

«Lo so benissimo!» inizio a piangere, alzando la voce contro di lui. «Eravamo in lite e l'ho messa via per un po' di tempo! A te non capita mai di litigare con i tuoi amici?»

Il ragazzo sbuffa, passandosi una mano sui capelli neri rasati. «Ti ricordi dove l'hai messa?»

«L'ho messa quasi davanti, perché credevo che l'avrei tirata fuori dopo due o tre giorni!»

«Forse qualcuno l'ha spostata. Abiti da sola? Chi altro ha accesso al garage?»

Un lampo attraversa il mio cervello.

Un lampo di rabbia estrema.

Stringo i pugni, sapendo che il colpevole di tutto ciò non solo mi sta rovinando la vita, ma lo sta facendo prendendoci gusto.

Oggi a casa Villa volerà il tavolo e anche le sedie.

 

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Capitolo 4
*** #Lite #GiornoDiChiusura #RicordoPrezioso ***


La scenata che ho messo su all'ora di pranzo probabilmente i vicini la ricorderanno per anni... addirittura per secoli.

Ho reso mia madre piccola piccola e non le ho dato il tempo di dire una sola parola, le ho vomitato addosso tutto l'odio che ho accumulato verso lo zio, la sua famiglia e verso la ridicola condizione nella quale viviamo.

Sono andata in camera, sbattendo la porta così forte da rompere la maniglia e mi sono messa a piangere.

Mia madre bussava ma non le ho mai aperto.

Dopo qualche ora mi sono decisa ad uscire: mi sento in colpa verso di lei, dopotutto anche lei è una vittima del fratello.

La casa è buia, mamma non c'è. Mi avvicino all'immondizia per gettare i fazzolettini impregnati di lacrime, ma altri, probabilmente di mia madre, sono già sulla superficie.

Devo averla davvero ferita.

Mi dispiace tanto per lei, non avrei dovuto aggredirla così. Purtroppo ho un carattere schifoso e lei che si è sempre messa da parte per gli altri ha avuto la peggio come al solito.

La colpa è tutta di quell'idiota dello zio, il garage è il suo.

Così come la casa, così come le nostre vite.

L'unico peccato che io e nostra madre abbiamo commesso è stato accettare "l'aiuto" dello zio.

Dopo che i miei si sono separati la casa in cui abitavamo fu messa in vendita, mia madre investì quei soldi per mettersi in società col fratello più grande, aprendo questo locale dove servo ai tavoli pizze e pietanze varie.

Nel frattempo lui ci disse che potevamo vivere qui, nella sua seconda casa, dove paghiamo comunque l'affitto e senza nemmeno uno sconto.

Una casa di cui lui ha il duplicato delle chiavi, una casa in cui ogni week end piomba senza preavviso, per controllare che quella scimmia di sua nipote, cioè io, non l'abbia distrutta: era così che mi chiamava spregiudicatamente quando ero piccola e non si preoccupava nemmeno che io stessi ascoltando.

Nel suo piccolo cervello ha sempre creduto che la mia passione per la musica fosse roba da sbandati, che bevono, si drogano e che demoliscono qualsiasi cosa abbiano davanti, idea che si era fatto quando avevo quattordici anni, ma che naturalmente si applica benissimo anche oggi.

Sia gli zii che i cugini mi hanno sempre tenuta a distanza a causa del mio carattere vivace e diretto.

Se ci aggiungiamo anche il fatto che ero piuttosto vistosa e che ho sempre difeso le minoranze, in famiglia mi sono sempre fatta qualche nemico.

Eppure sono diventata estremamente docile con gli anni, per non far litigare la mamma con lo zio, che dopotutto ci dava del lavoro e un posto dove stare.

Oh, ma se lo può scordare che io resti a vivere qui un giorno di più e che gli faccia da schiava al locale, così da potermi avere sul palmo della mano.

Mamma è sempre stata un po' debole, sarò io a darle una svegliata: sono stanca di vederla con le borse sotto agli occhi, a fare la sottomessa di un sessantenne ignorante che ha a malapena frequentato la scuola media. Un uomo senza moglie che ha vissuto in casa della madre fino ai cinquant'anni, senza nemmeno uno straccio di amico con cui andarsi a fare una birra.

Mi sono infilata nella stradina che porta alla pizzeria, oggi è lunedì, giorno di chiusura, eppure le luci sono accese, la serranda è mezza aperta.

Dei ladri?

Dall'interno si sente litigare: sono le voci di mamma e dello zio.

Con un leggero chinare della testa, tanto sono una nanerottola, riesco ad entrare: mi accovaccio dietro al bancone cercando di origliare.

«Come ti permetti di parlarmi in questo modo, quando ti ho dato un tetto sopra la testa e un luogo dove lavorare?» la voce grassa e stupida dello zio sembra ancora più disgustosa stasera.

«No, sono io che ti ho dato un posto dove lavorare dopo che hai finito di scontare gli arresti domiciliari!»

Arresti domiciliari? Questa è una novità.

«Che sorella ingrata che sei, non vedevi l'ora di rinfacciarmelo, vero? Ricordati che dove vivi c'è il mio nome sul citofono!»

«E tu ricordati che pur di aiutarti ti ho anche pagato le bollette della luce a mesi alterni quando sei stato in difficoltà!» la mamma sbatte i pugni su un tavolo. «E che la casa dove vivo, dove mi fai pagare l'affitto e dove non c'è nemmeno il mio nome sul citofono, é stata intestata ad entrambi!»

«E che male c'è? Quando ho avuto bisogno di un lavoro mi hai aiutato ad aprire il locale, mentre io ti ho lasciato stare in quella casa, che come hai detto non è solo tua!»

«Ma tu avevi già un posto dove stare!» mamma continua a sbattere i pugni sul tavolo.

«Allora potevi evitare di divorziare! Così potevi restare in quella casa e magari evitare di rovinare il tavolo del locale a furia di prenderlo a pugni con la fede che ancora ti ostini a portare al dito!»

«Fred è stato molto importante per me ed è il padre di Carolina, non hai nessun diritto di accusarci di non essere riuscite a dimenticarlo! Come hai potuto dare via la chitarra della bambina senza chiedere? Solo perché non ti è mai piaciuto…» la mamma si asciuga le lacrime con affanno.

Ma come si permette di parlare in questo modo della nostra famiglia, questo perdente?

«Carolina una bambina? Io a quell'età avevo già anni di lavoro alle spalle, mentre lei a malapena sa portare due piatti in tavola ed ha iniziato a studiare con anni di ritardo…»

Adesso basta.  Mi sono alzata dal nascondiglio e l'ho guardato con l'espressione più cattiva e disgustosa che mi può riuscire: «Alla mia età avevi anni di lavoro alle spalle, eh? E che lavoro facevi, svaligiavi le casse dei supermercati? Una bella carriera, davvero.» ho applaudito più forte che ho potuto, mentre lui è diventato rosso in viso.

Grugnendo come un maiale mi si è avvicinato  puntandomi il dito contro, a pochi centimetri da me: «Brutta viziata, come ti permetti di parlare così a tuo zio più grande? Io alla tua età…»

«... Alla mia età eri in galera? Pensa alla tua vita prima di giudicare quella degli altri!»

«Carolina, ti prego…» mia madre mi prega di stare in silenzio.

«No mamma, io non ci sto più a farmi mettere la merda in faccia da questo troglodita! Mi licenzio, tu fai quello che ti pare!»

«Carolina, aspetta…»

«Non sperare di convincermi! Quest'idiota mi ha rubato la chitarra che mi avete regalato tu e papà e l'ha gettata via, venduta, solo lui sa che ne ha fatto!»

Mamma ha iniziato a balbettare: «Ti prometto che te ne comprerò un'altra, non fare così…»

«Non me ne frega niente della chitarra, era un ricordo!»

È l'ultimo regalo che mi avete fatto quando eravamo ancora tutti insieme. Lo so che il ricordo rimarrà per sempre nel mio cuore e tutte quelle cavolate, voglio solo andare via da quella casa, smettere di fare quel lavoro sottopagato, di sentirmi sempre giudicata da un imbecille solo perché siamo sciaguratamente imparentati… E se posso usare la perdita della chitarra come pretesto, certo che lo farò!

Era la mia preziosa chitarra.

 

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Capitolo 5
*** #Treno #Gommose #Gemelli ***


Non vado più alla pizzeria, non parlo a mio zio da giorni e anche mia madre pare trattarlo freddamente.

Mi ha consigliato di andare a stare da mio padre per qualche giorno, ovviamente ho preso subito la palla al balzo ed ho invitato anche Cinzia, se non l'avessi fatto si sarebbe comunque autoinvitata, si può dire che ormai è di famiglia.

L'mmancabile selfie di Cinzia ai finestrini del treno le fruttano un sacco di commenti, io invece sono presa da altrettanto importante faccenda: aprire tutte le buste degli snack che ho svaligiato al distributore automatico della stazione.

«Carol non puoi capire, ieri ho visto Kevin uscire dal cinema con una ragazza sotto il braccio!»

«La delusione d'amore del secolo.»

«Cos'è questo sarcasmo adesso? Non starai ancora pensando al carcerato?»

«No, ma non mi rallegra il fatto che me lo ricordi. Comunque non credevo che fossi così presa da quel Kevin…» mi ingozzo come un cinghiale assalendo la busta di patatine al pomodoro.

«No, presa non direi, però un po' mi dispiace di averlo perso…» si infila una stecca di liquirizia tra le guance.

«Ma non dire scemenze, quando ti piace sul serio un ragazzo non te lo lasci mai sfuggire e quando l'hai acchiappato te lo mangi in un boccone!»

«Ma non è vero!» Cinzia fa un'espressione estremamente stupita e sconvolta.

«Ti ricordi Marco come e dove l'hai conosciuto?» alzo il sopracciglio.

«Marco ed io eravamo predestinati, ci siamo sentiti attratti dalle stelle fin dalla prima volta che ci siamo visti, al diavolo il contesto!» Cinzia si fa aria con le lunghe unghie che oggi sono imbrilloccate a tema acquario.

«Eravamo imbucate ad una festa di laurea di uno sconosciuto in una discoteca dalla reputazione discutibile! Da un momento all'altro mi sono voltata e ti ho vista avvinghiata a ballare con questo ragazzo che non si sa nemmeno da dov'è sbucato fuori! Tu fai tutte le cose al contrario...» ci litighiamo l'ultima patatina al formaggio e anche la busta delle gommose a forma di pesciolini.

«Che c'entra com'è iniziata? Ci siamo voluti bene davvero finché è durata, molla subito il mio pesciolino alla fragola!» mi da un piccolo schiaffo sulla mano, impossessandosi del pesciolino.

Marco è stato il fidanzato più importante e duraturo di Cinzia, si sono lasciati poco dopo che lui l'ha portata a conoscere sua madre, che per i suoi gusti non era altro che un'oca senza cervello. Quella strega ha fatto di tutto per dividerli, ho saputo che quando finalmente ci è riuscita ha dato una grande festa in un noto ristorante di Rosadoro.

Dopo aver divorato patatine di tutti i gusti possibili ed immaginabili, focaccine, gommose e caramelle varie, inizio ad avere un po' di nausea.

«Carol manca ancora un po' all'arrivo, dovresti andare al bagno prima di vomitarmi sulla gonna nuova!»

«Non mi piacciono i bagni pubblici...» già, ma il mio stomaco non la pensa allo stesso modo. I binari decidono di fare una curva prepotente che causa al mio stomaco l'unico stimolo di cui aveva bisogno per farmi alzare di scatto e correre verso il bagno.

A un passo dalla porta una ragazza mi spintona via e si infila nel bagno prima di me, sbattendo la porta.

Addio dignità.


                                                                                  *
 

Mi sono nascosta dietro Cinzia per tutto il tragitto in stazione per la vergogna, ringrazio la mia statura per questo.

«Fred non dovrebbe essere qui ad aspettarti?» mi domanda Cinzia accarezzandomi la testa.

«Ha detto che mi sta aspettando fuori.» la ragazza che mi ha soffiato la porta del bagno mi passa accanto con il suo gruppo di amici indicandomi e ridendo. «Ehi!» Cinzia mi ferma e mi trascina via. «Lasciami, Cinzia! Non mi faccio mettere i piedi in testa da una sciacquetta del genere!»

«Vuoi litigare proprio adesso mentre tuo padre ti sta aspettando? Da quanto tempo non vi vedete? Ti sembra giusto mostrarti davanti a lui spettinata e con un occhio nero?»

A volte Cinzia è così saggia, è come un amuleto per me, che mi rassicura e mi fa restare di buon umore. Respiro profondamente e riprendo a camminare senza voltarmi.

All'uscita della stazione ecco la macchina rosso fiammante di papà, mi avvicino e solo dopo riesco a vederlo.

«Ciao, belle! Che facce tristi, non vi è piaciuto il viaggio? Il tragitto da Rosadoro a qui è piacevole, c'è un lungo tratto di mare!»

Papà, che è della mia stessa statura, mi abbraccia energicamente e saluta Cinzia, poi prende entrambe le nostre valigie e le sistema nel bagagliaio.

Dall'interno dell'auto si intravede del movimento: i gemellini stanno saltellando sui sedili posteriori ansiosi di assalirmi di coccole.

Faccio un sospiro ed entro, finendo inghiottita dalle loro urla felici e dalla loro cascata di ricci a forma di funghetto.

«Un momento, tutti fermi e zitti, indovino io!» dico loro fingendo di essere in difficoltà, mentre i bambini ridacchiano convinti di non essere riconoscibili. Per me è semplicissimo distinguere Ethan da Filippo, sono diversi: Ethan ha i lineamenti dei viso più rotondi e gli occhi un po' all'ingiú anche se in molti fanno fatica a capirlo. Sbaglio di proposito ma loro se ne accorgono, poi iniziano ad assalirmi con le canzoni che stanno imparando a scuola durante tutto il tragitto.

Adoro questi bambini, in realtà non c'è nessunissima storia tragica dietro la separazione dei miei genitori: non si amavano più e si sono lasciati, vanno anche piuttosto d'accordo.
Papà si è risposato con Laura che ha origini africane, ma nella sua famiglia sono italiani da due generazioni, da cui sono nati questi due splendidi marmocchietti.

Ci sono tutti i presupposti per trascorrere una vacanza piacevole.

 

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Capitolo 6
*** #TortaAlCioccolato #ChiacchiereTraDonne ***


L'appartamento nel quale papà e Laura vivono è composto da soli due piani e i loro unici vicini sono una coppia tranquilla: avrò molto tempo per rilassarmi, bambini permettendo.

La casa è abbastanza grande ed accogliente, tinteggiata con colori caldi e piena di piante stupende, che ho scoperto solo di recente e con estrema sorpresa essere finte. Laura ci saluta calorosamente e ci accompagna nella stanza degli ospiti, dove io e Cinzia lasciamo i bagagli.

«Laura sembra simpatica, ha un sorriso bellissimo!» mi dice Cinzia appoggiando i bagagli sul letto, mentre io ci sono sprofondata di peso. «Ma che fai te ne stai sdraiata sul letto proprio adesso che siamo arrivate?» eccola che inizia a fare i capricci.

«Lasciami in pace, sono reduce da vomito e bambini urlanti nelle orecchie.»

Ma Cinzia decide di ignorarmi facendomi il solletico, a cui non posso non rispondere: iniziamo una battaglia senza sosta finché non sentiamo bussare alla porta.

«Arrivo!» apro la porta, Laura mi sorride con un bel piatto sul quale ci sono due fette di torta al cioccolato.

«Spero di non aver interrotto niente… Ho pensato che aveste fame dopo il viaggio in treno e vi ho portato una fetta di torta!»

Mi sistemo i capelli fuori posto. «Figurati, stavamo…» un momento, qualcosa non va: «Ehi, che vuoi dire? Non mi accoppierei mai con lei fosse l'ultimo essere vivente sul pianeta! Io sostengo la comunità LGBT+ da una vita ma non ne faccio parte!» mi sono riseduta sbuffando.

«Beh, che c'è di male, anche io sono di mentalità aperta!» fa una risata e si siede accanto a me: ho provato a dirle di tutto negli anni, ma non l'ho mai vista arrabbiarsi. Che santa donna. Poi inizia a bisbigliarci con fare confidenziale: «A dire la verità, quando avevo quindici anni ho avuto una storia con la mia compagna di banco.»

La guardo sbigottita: «Stai mentendo!»

«No, no, si chiamava Carla e tra di noi è durata per un annetto circa…» fa una smorfia buffa ed un cenno con la mano cercando di cacciare via quel ricordo adolescenziale finito male.

Chissà se papà lo sa.

«Che cos'avete da confabulare tutte e tre?» ci chiede papà davanti alla porta con una macchinina in mano.

«Parlavamo di quanto era buona la torta!» Cinzia risponde a fatica a causa delle guance piene.

«Te la sei mangiata tutta tu?!» le urlo, lei mi risponde sorridendo con la faccia da scema.

«Ti sto facendo un favore! È meglio che tu non la mangi, visto che hai dato di stomaco sul treno!»

Ah, mi ha fregato la torta e dovrei anche ringraziarla? La volevo mettere da parte per dopo…

«Non ti sei sentita bene? Influenza?» Laura mi mette una mano sulla fronte.

«Non ho l'influenza!»

Papà mi si avvicina con aria grave: «Tua madre mi ha chiamato dicendo che avete avuto una lite furiosa e che venivi a stare qui per qualche giorno a riflettere, ha detto che eri così presa dai tuoi problemi che hai avuto una bocciatura all'esame. Non sarà che… quella cosa?» lo vedo agitare le mani davanti alla pancia.

«Oh, bontà divina!» mi sto innervosendo davvero. «Ma potete lasciare alla mia povera nefasta sfera sessuale un po' di privacy? Ma che avete tutti quanti?» sbuffo istericamente.

Mio padre fa un'espressione arrendevole e si allontana dalla stanza con le mani in alto.

«Tesoro, credo che sia proprio questo il problema.» mi dice Cinzia con una pacca sulla spalla, mentre la fulmino con lo sguardo «La tua situazione è nefasta, come dici tu. Hai bisogno di trovarti un ragazzo.»

«Non c'è nessun ragazzo che ti piace? Quando ero ragazzina io avevo una cotta alla settimana!» Laura e Cinzia si scambiano un cenno d'intesa.

«No! No e non ne voglio cercare uno! Sto bene da sola!»

Le due mi guardano con aria triste e con evidente commiserazione.

Non ho bisogno della loro pietà, lo so benissimo da sola che merito di restare zitella per tutta la vita per colpa del mio brutto carattere, che le cose non accadono mai per caso e che sono un'idiota totale.

Non credo di meritare le delusioni che ho avuto in passato, ma se mi sono capitate vorrà dire che c'è qualcosa di sbagliato in me ed io non voglio più soffrire… quindi me ne resto per i fattacci miei.

Tanto al ruolo di zitella acida mi ci sto già conformando a meraviglia.

Mi asciugo le lacrime e vado in bagno a lavarmi, mettendo fine alla conversazione.

 

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Capitolo 7
*** #DopoDieciAnni #VoglioRivedervi #Nostalgia ***


«Carolina, a che pensi?» papà si siede accanto a me, sulla panchina del parco, mentre controlla che i bambini non si facciano male sulle giostre.

«A niente.» li sto guardando da parecchio tempo ormai, i gemellini sono perfettamente integrati nel loro gruppetto di amici: Ethan è il capo del gruppo, mentre Filippo che è più timido lo segue come gli altri bambini.

«Secondo te da piccola ero più come Ethan o Filippo?» Ethan ha iniziato il dibattito su quale sia la tappa migliore per incominciare a fare il giro del mondo.

Papà sospira. «Tu non eri né come Ethan, né come Filippo.»

Lo guardo nei suoi occhi azzurri, mi sorride con le labbra sottili e mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Tu eri quella energica, che voleva vedere tutti felici, testarda e che voleva diventare una rockstar. Hai ancora i piercing alle orecchie, guarda qua.» mi accarezza l'orecchio mentre sorrido nostalgica.

Già, che ironia.

Volevo che tutti i miei amici fossero felici ed è stato proprio per quello che ho rovinato tutto.

«Sai che ho visto la tua amica l'altra settimana? Quella con cui andavi sempre al Festanotte

Sobbalzo sul posto: «Chi?»

Sarà stata Rita, a quei tempi Giorgia era in procinto di trasferirsi all'estero nella villa del nuovo - anche se anagraficamente mica tanto - e abbiente marito della madre.

«Adesso non mi ricordo chi è chi delle due, ma era quella ragazza che aveva i capelli biondi e lunghi… ho fatto fatica a riconoscerla perché adesso ha i capelli diversi ed è un po' ingrassata, ma sono sicuro fosse lei perché aveva il neo sul mento.»

Un tuffo al cuore.

È Giorgia.

Che strano, che ci faceva in questa città se doveva trasferirsi con la madre all'estero?

«Dove l'hai vista?» stringo i pugni.

«Vicino alla chiesa, non ci siamo salutati perché ero di fretta, stavo accompagnando i bambini a scuola.»

«Capisco.» ricaccio indietro le lacrime, devo assolutamente cambiare discorso. «Quindi a che ora è il barbecue stasera? Cinzia ed io volevamo andare a fare un po' di shopping questo pomeriggio!» forzo una risata, ma anche se papà non la beve, dovrà farsene una ragione.

«Alle otto.» mi carezza la testa.

«All'orario dei bambini?» lo guardo con espressione indispettita.

«Secondo te quanti anni hanno Ethan e Filippo? Mangiamo presto così che possano mettersi a letto presto. Le birre le compro io, tranquilla.» mi sorride e va verso i bambini, io rimango con espressione ebete a sognare di fare il bagno in fiumi di alcolici e a ballare sulla sedia, ma è solo una cena con papà e Laura, mica una festicciola tra ragazzi.

Lo shopping è andato come al solito, Cinzia è stata difficile da gestire a causa del suo volere la botte piena e la moglie ubriaca, senza contare le moine imbarazzanti per ricevere degli sconti.

Arrivate all'ora di cena, dopo due aperitivi di troppo con ordinazione extra di cocktail, ci presentiamo a casa piuttosto divertite.

«Avete bevuto?» ci chiede papà aprendoci la porta.

Tratteniamo le risate, poi Cinzia risponde: «Ci siamo fatte un aperitivo! Perché? Non possiamo? Siamo giovani, single, belle, alte…»

«Parla per te, io passo da sotto la serranda mezza chiusa del ristopizza!»

Scoppiamo a ridere. Non so perché, ma la parola ristopizza associata a quella faccia da rana spelacchiata dello zio mi fa incredibilmente divertire.

«Non voglio fare il paranoico, ma siete sotto la mia custodia in questo momento. Se dovete bere, dovete farlo in mia presenza, capito?» è inutile che dice così, papà voleva semplicemente essere invitato a farsi un aperitivo con noi.

Il karaoke è d'obbligo nella nostra famiglia quindi, dopo un'abbuffata di carne, papà ha tirato fuori il microfono e le casse audio collegandole al computer portatile.

Tra le canzoni dello zecchino d'oro dei gemelli e quelle anni cinquanta di papà, la serata è trascorsa piuttosto piacevolmente.

«Credo che potrei diventare vegetariana dopo stasera…» Cinzia si accascia sulla tavola.

«Io invece credo che potrei farmi un altro goccino di limoncello!» canticchio una canzone senza senso e sorseggio il liquore.

Laura si stiracchia sbadigliando: «Scusate tanto, ma io ho una serranda da tirare su domani, quindi vado a letto, voi divertitevi pure!» da un bacio sulla testa ad ognuno, seguita da papà, che andando via decide di togliere di mezzo le bottiglie.

Io e Cinzia rimaniamo a parlare dello shopping che abbiamo fatto, del ragazzo bruttarello del locale dove siamo state e poi le racconto ciò che mi ha detto papà di Giorgia.

«Incredibile, Giorgia e Fred si sono trasferiti nella stessa città nel corso degli anni!» Cinzia si versa dell'acqua fino all'orlo del bicchiere.

«Chissà cosa le è successo, l'ho creduta all'estero per tutto questo tempo…»

«Ed è solo perché credevi fosse all'estero che non l'hai mai cercata? Ma non prendermi in giro.» Cinzia svuota il suo bicchiere d'acqua tutto d'un colpo.

Ha ragione, sono stata io a non voler cercare nessuno di loro.

«Mi piacerebbe molto rivederla… Ma con che faccia mi presento da lei?»

Dopo che sono stata io a distruggere la nostra amicizia…

Affondo il capo sulle braccia conserte, mettendomi comoda sul tavolo.

«Con la tua, ovvio! Certo, prima dovresti risistemarti il look… Magari puoi seguirla su Followgram!»

«Pensi che possa accettarmi dopo tutto quello che è successo?»

«Tesoro mio, avevate tutti sedici anni! Le facce ricoperte di fondotinta per coprire i brufoli, le voci squillanti che stavano cambiando, gli ormoni impazziti e le cotte sbagliatissime! Tu pensi di essere la stessa di allora? Di non essere cresciuta nemmeno un po'?»

«Lo sai? Sei convincente.»

«Lo so, lo so! E so anche che cosa faremo!»

«E cosa faremo?» l'ho guardata pendendo dalle sue labbra.

«Pubblica un post sulla pagina di gruppo "Butterfly"

Il profilo "Butterfly" …

È un profilo social su Followgram che abbiamo aperto tutti insieme quando avevamo sedici anni. Butterfly è il nome che avevamo dato al nostro gruppo.

Cerco il profilo e clicco sull'ultimo post, che è datato un 4 dicembre di ormai anni addietro.

Doveva essere appena prima della rottura, ricordo che quel Natale fu molto doloroso perché era il primo che trascorsi senza di loro.

Nella foto ci siamo tutti, sorridiamo.

I miei occhi si riempiono di lacrime.

«Che aspetti? Scatta una foto alla luna e pubblicala subito!» Cinzia mi prende la mano e mi guida verso il cielo.

Scatto.

«Non credo di poter riprendere a pubblicare qualcosa qua sopra Cinzia, gli altri probabilmente si saranno dimenticati del gruppo.»

Non voglio essere la scema che dopo dieci anni si mette a pubblicare post sul profilo di quando era piccola per nostalgia, sembrerò una sfigata.

«Dov'è finita la tua solita grinta? Dammi qua!» Cinzia mi sfila il cellulare di mano, pubblicando il post alla velocità della luce.

All'improvviso un messaggio sul cellulare mi avverte che dopo un sacco di tempo la pagina "Butterfly" ha pubblicato un nuovo post.

Ricordo che collegammo il profilo ai nostri numeri telefonici, se gli altri li hanno mantenuti presto sapranno che li sto cercando.

 

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Capitolo 8
*** #Succo #SicuramenteNonUnFlirt ***


Canticchio allegramente la canzone commerciale alla radio mentre do una mano al bar di Laura pulendo il pavimento.

Oggi è giorno di chiusura e ne stiamo approfittando per allestire le vetrine a tema invernale.

Sentiamo bussare alla porta.

«Siamo chiusi!» dice Laura dall'altra parte del locale, ma io la fermo subito per andare ad aprire.

«Ciao!» Sorrido al ragazzo, titubante dopo avermi vista aprire con le chiavi.

«Scusate, non sapevo foste chiusi.» il suo tono di voce è freddo, a contrasto con l'atteggiamento educato.

«Non preoccuparti, per te possiamo fare una eccezione!» gli sorrido amichevolmente. Se mostro gentilezza il potenziale cliente è più propenso a ritornare e se diventa un cliente abituale è più probabile che porti anche i suoi amici.

I nostri sguardi si incrociano.

Alto, bellissimo, gli occhi blu scuro, capelli scuri nascosti da un cappello, un viso che però non mi è nuovo.

Sorride abbastanza divertito: «Allora devi essere proprio pazza di me, eh?»

Oh, no. Abbasso lo sguardo trovando l'anello con la rosa rossa. È proprio lui, il ragazzo antipatico del bar. Tra tutti i posti e momenti in cui potevo incontrarlo doveva essere proprio in un'altra città, mentre sono in visita da mio padre?

«Dev'essere il tuo buon gusto a portarti sempre dove ci sono io! Entra, avanti!» sorrido mostrando i denti e gli spalanco la porta, accompagnandolo all'interno. Si siede al bancone e si sfila il cappello, mostrando i capelli rasati corti, poi poggia a terra la custodia rigida di uno strumento musicale sfilandosela dalla spalla.

«Mi dai del succo d'arancia rossa per favore?»

«Subito!» mi infilo sotto al bancone e prendo un grande bicchiere, lo riempio di ghiaccio e verso il succo d'arancia, infine decoro il tutto con un ombrellino di carta giallo. «Se non hai idea di cosa prendere da mangiare ti consiglio un panino alla mortadella con uova strapazzate!»

Laura mi guarda incuriosita mentre tira fuori un manichino dalla stanza sul retro.

«Allora prendo quello.»

«Perfetto!» gli sorrido: «Il panino te lo faccio a metà prezzo!» Inizio a prendere il pane e a preparare le uova.

«L'hai trovata alla fine? La tua amica?»

Se n'è ricordato. «No, a quanto pare avevi ragione tu. È stato mio zio.» gli porgo il piatto.

«Parenti serpenti, eh?» Addenta con forza il panino, così decido di lasciarlo mangiare in pace, pulendo il ripiano. «Ce l'hai un'altra amica adesso?»

«No.» Faccio un sospiro. «Ma è quello che ti meriti dopo aver trascurato le tue amicizie, no?»

«Quindi non puoi farti nuove amicizie perché quella di prima è andata male? Non ha senso.»

Mi volto verso di lui: «Senti, ehm…» ci fissiamo in silenzio: io imbarazzata perché non so cosa rispondergli, lui continuando a masticare a guance piene. «Ma ce l'hai un nome?» gli faccio una smorfia.

«Credevo che lo sapessi già, mia piccola stalker.»

«Stalker io?» questa è buona. «Perché dovrei sapere come si chiama il ragazzo del bar dietro casa?»

«Non fare la finta innocente, non vedi che sei dovunque ci sono anch'io? Vado a trovare mio fratello e quando gli do una mano al bar ti trovo là che cerchi di abbordarmi con la più stupida delle scuse, prendo il treno e ti trovo lì che mi vomiti davanti, vado a fare una pausa pranzo e ti trovo al banco del bar dicendomi che "siamo chiusi ma per te possiamo fare un'eccezione!"»

Mi sta imitando?! «Per prima cosa non imitarmi che ti viene malissimo, seconda cosa io non sono affatto la tua stalker!» Era pure sul treno tra l'altro… Devo stare calma, devo sorridere, é un cliente.

«Allora se non sei una stalker sei una mia ammiratrice.»

«Ammiratrice di cosa, del caffè macchiato?» gli ho fatto una smorfia. «E comunque dovresti smetterla di essere così narcisista da credere che tutti sappiano come ti chiami, che tutti ti sbavino dietro, che tutti ti seguano! È un consiglio per la vita, credimi. Comunque se non vuoi dirmi come ti chiami stai tranquillo che dormirò beatamente stanotte anche senza saperlo.»

«La prossima volta te lo farò assaggiare il mio caffè macchiato.» Mi sorride e mi porge una banconota.

Gli do il resto sorridendo a denti stretti. «Non vedo l'ora.»

Mi sorride: «Lo so.» si infila il cappello, si rimette in spalla lo strumento e se ne va.

Sbuffo.

«Non hai mai pensato di prendere in gestione un locale tutto tuo?» mi chiede Laura.

«Perché dovrei? C'è sempre stato il ristopizza.» tolgo il piatto di mezzo e inizio a pulire il banco.

«Sei stata in gamba a farlo entrare, hai chiacchierato con lui e ti ha lasciato anche la mancia.»

La mancia?

Laura mi indica lo sgabello dov'era seduto il ragazzo, sopra vi è una banconota.

«Ma credo che vi conosciate già voi due, vero?» Laura si avvicina con lo sguardo sognante e pettegolo. «Avevi detto che non volevi cercare un ragazzo, che stavi bene da sola… Però con lui ci stavi flirtando e anche alla grande.»

«Flirtando? Ci stavo litigando, è diverso!»

«Ma dai a chi vuoi darla a bere?» Laura mi da delle pacche sul braccio.

«Senti, io non sono il tipo di ragazza che ha relazioni basate sul battibecco! Io sono dolce, affettuosa, premurosa…»

Laura inizia a ballare e a cantare a ritmo di musica. A quanto pare ha deciso di non ascoltarmi e di farsi un film.

«A proposito, hai litigato con Cinzia per caso?»

«No, perché?» Forse Cinzia si è alzata di malumore? L'avrei notato, anzi, stamattina si è alzata piuttosto agguerrita perché aveva da fare un vlog al centro commerciale sui saldi al reparto scarpe… sul quale mi farà sicuramente un dettagliato resoconto.

«Credevo che l'amica con cui hai litigato di cui stavi parlando fosse Cinzia, scusa.»

«Ah no, era… Lasciamo perdere.» Non posso dirglielo, lo riferirebbe a papà e non voglio che sappia che fine ha fatto il regalo di natale che mi ha fatto quando ero piccola.

Dopo aver sistemato a lungo e per tutto il giorno, il bar adesso ha una deliziosa vetrina festiva, sul quale spuntano caramelle, fiocchi di neve, tazzine con slitta e omaggi vari.

 

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Capitolo 9
*** #Autocommiserazione #TuttoAPuttane ***


«Ecco qui il campione del torneo di bowling!» sollevo Filippo e lo faccio roteare per aria cantando qualcosa di celebrativo, mentre le sue urla mi sfondano i timpani. Poi sollevo anche Ethan che ride tutto contento: «Ed ecco qui il vincitore morale del torneo di bowling!», poi spiego ai bambini che cosa significa essere il vincitore morale e dopo aver giocato a nascondino, agli indiani e ai mostri mutanti, finalmente crollano dal sonno.

Peccato che anche io sia stremata.

«Carolina, sei ridotta uno straccio! Sono solo dei bambini!» papà mi prende in giro ridendo, ma sulla fronte ha ancora il livido del pugno che ha preso in faccia giocando al solletico.

«Tregua.» Mi accascio sul divano come un palloncino sgonfio.

Cinzia è dovuta tornare a casa dopo aver litigato con i genitori al telefono e sono rimasta sola a badare ai bambini.

«Cosa si può fare di divertente stasera?» chiedo svogliatamente a papà.

«Stanno addobbando la piazza sud, perché non facciamo una bella passeggiata solo io e te?» Arriccio il naso. «Ti comprerò anche una fetta di torta, va bene?»

«Sì, evviva!» Mi alzo di scatto e vado al bagno a cercare uno smalto da mettere, voglio essere carina per l'appartamento con papà.

«Le hai parlato?» È la voce di Laura.

«Non ancora.»

«Dovrà prendere una decisione prima o poi, non potrà restare qui fino alla fine delle vacanze di Natale, che non sono ancora iniziate!»

Stanno parlando di me?

«Laura, non è una decisione facile da prendere e sicuramente non la aiuteremo standole addosso.» papà sbuffa, allargo la porta per spiare dalla fessura: si sta passando una mano tra i capelli, sedendosi al divano.

«Sì ma non può impigrirsi e gozzovigliare tutto il giorno! È una ragazza, dovrebbe sprizzare energie da tutti i pori!»

Laura sta parlando male di me... stringo i pugni e mi faccio aria con la mano per non piangere.

«Io penso che stia facendo la cosa giusta. Prendersi una pausa quando si è smarriti e avere qualcuno che ti supporti...  È qualcosa che a me è mancato e voglio assolutamente esserci per mia figlia. E poi sta facendo un ottimo lavoro con i bambini, da una mano in casa e ti ha anche aiutata a sistemare il negozio se non sbaglio. Proprio tu non dovresti lamentarti.»

«Lo sai che la adoro, Fred. È solo che mi dispiace saperla senza un lavoro, che fa fatica a studiare, in lite con lo zio e senza un ragazzo.»

Ma perché tutti vogliono vedermi accoppiata per forza? Faccio così pena?

«È stata sfortunata in amore, può capitare. Anche io sono stato sfortunato prima di incontrare sua madre e anche con lei alla fine l'amore è finito. Pensi che non mi roda saperla a fare la schiava da quell'imbecille analfabeta del fratello di Doriana? Se lo avessi avuto davanti gliele avrei suonate di grosso.»

Papà ha sempre detestato lo zio Gaetano e anche la maledetta ristopizzeria, però è sempre stato contro la violenza.

«A proposito di suonare, ma Carolina non suonava la chitarra?»

«Già, ha smesso dopo aver litigato con i suoi amici. Che peccato, le piaceva così tanto…»

Perché non faccio altro che fare pena alla gente? Perché sono una perdente, una patetica, una brutta imitazione di ragazza. Sono inaffidabile e petulante, é naturale che le persone mi trattino male e che i ragazzi mi lascino.

Il viso di George, quello di Nathan e persino quello stupido di Lucas il cantante fighettino mi tornano alla mente.

Un idiota dopo l'altro, a rovinare il mio carattere forte e spensierato, a rovinare le mie certezze una dopo l'altra.

Ma la verità è che se voglio che la gente la smetta di commiserarmi, sono io per prima che devo smetterla di farlo.

Quindi basta autocommiserarsi.

Ho avviato la mia playlist preferita a tutto volume e mi sono ficcata sotto la doccia, cantando.

Questa canzone era una delle mie preferite, ci feci anche una cover al Festanotte, fu un vero successo.

Mi ricordo, io e Lucio infiammammo il palco quella notte: era la serata di San Valentino, eravamo vestiti con giacca e cravatta, io portavo una rosa rossa tra i capelli. Ci diedero un sacco di mance e con le ragazze andammo tutti in pizzeria, ma c'era una coda di tre ore.

Quanto vorrei ritornare indietro a quei tempi.

Se solo qualcuno avesse risposto al mio post sulla pagina 'Butterfly'... mi hanno ignorata alla grande.

Mi preparo per uscire e controllo il cellulare, in particolare followgram.

Cinzia mi ha detto che avrei anche potuto cercarli in tutti questi anni…

Devo solo fare un respiro profondo.

Cerco il nome di Giorgia e i risultati sono davvero tanti. Non riesco a riconoscerla nelle foto profilo di queste ragazze, in più alcuni di questi profili hanno la privacy.

Il profilo che più cattura la mia attenzione è quello privato con la foto di un gatto dal manto arancione. La mia Giorgia adorava i gatti arancioni e aveva un album con i ritagli delle immagini prese da riviste e articoli vari.

Nella biografia c'è una frase:

"Non so dove vanno le persone quando scompaiono, ma so dove restano… •*¨'Ƹ̵̡Ӝ̵Ʒ"

Il simbolo di una farfalla.

È una coincidenza, sicuro.

Vorrei seguirla ma ho paura della sua reazione.

Proverò a caricare una foto sul profilo 'butterfly'.

Inserisco la password ed entro nel profilo, notando che il mio post con la luna è stato cancellato.

Ma solo ieri c'era ancora…

Vuol dire che qualcuno l'ha visto… E non ha gradito.

Non credo che cercherò di seguire più il presunto profilo di Giorgia, questa situazione mi fa paura.

Il fatto che se si siano accorti del post di per sé è fantastico, ma se l'hanno cancellato vuol dire che non sono più una presenza gradita.

Non so neanche quanti di loro l'abbiano visto prima che venisse cancellato.

Cosa dovrei fare? Dovrei arrendermi?

Mi sono appena fatta un discorso motivazionale nella mia testa ed è già andato tutto a puttane.

 

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Capitolo 10
*** #GiovaniEBelle #SpeedDate ***


«Papà, noi usciamo!»

«E dove andate così in tiro?»

«Abbiamo da fare una cosa molto importante, adesso non possiamo spiegartelo! Come sto?» Faccio una giravolta su me stessa e mi sistemo il cappellino scuro, mentre Cinzia annuisce soddisfatta.

«Appuntamento galante?» Papà mi sorride. «Non mi piace questo profumo, è troppo dolce.»

È il mio profumo preferito alla nocciola, come fa a non piacergli?

«Fattelo dire da un uomo, ti serve qualcosa di più sensuale che del profumo di caramelle.»

«E mi dici adesso come faccio a levarmelo di dosso? L'ho messo dovunque!»

«Tesoro, te l'ho detto di usare il mio profumo speciale del rimorchio, ma tu hai insistito a voler fare di testa tua come al solito...» Cinzia si sistema il lucidalabbra allo specchio.

«Ho capito con chi devi uscire...» Laura si avvicina dandomi una pacca sulla spalla. «È il musicista dell'altra volta, vero? Quello bello con cui flirtavi al bar!»

«Ancora lui?! No, per bontà divina!» "Bontà divina"? C'è ancora gente che usa queste parole in giro?

«E chi sarebbe, scusa?» Cinzia mi guarda sconvolta. Non avevo motivo di raccontargli quell'episodio al bar, dato che per me non ha significato nulla. Anzi, se potessi dimenticarmi di quel suo sorrisino da schiaffi sarebbe molto meglio, solo a ripensarci mi torna il nervoso.

Esco frettolosamente seguendo Cinzia, trattenendo il cappellino sulla testa per non farmelo portare via dal vento freddo, sperando di non odorare troppo di caramelle. Dopo giorni di tristezza oggi sto uscendo per uno Speed date.

L'idea ovviamente non è stata mia ma di Cinzia, che è tornata appositamente per accompagnarmi.

«Carol, secondo me dovevi passare dal parrucchiere oggi pomeriggio, come ho fatto io!»

«E chi badava ai marmocchi?»

«Ti stai comportando come la zia single e acida, sei la loro super sorellona! Un po' di spirito, sei giovane e bella!»

«Smettetela di dirmi in continuazione che sono giovane, come a volermi ricordare che sto sprecando gli anni migliori della mia vita. Sai quali sono gli anni migliori? Quando hai quattro anni: quando vieni coccolata, amata, giochi tutto il giorno con le automobiline e non vai a scuola!»

«Le automobiline, Carol? Ecco perché sei bassina, non hai fatto un'infanzia di trash e telenovela come la mia! Se avessi giocato con le bambole come ho fatto io saresti una rockstar famosissima a quest'ora!»

«Cosa c'entra l'essere una rockstar famosa con le bambole?»

«Carol, svegliati!» Cinzia mi schiocca le dita davanti al viso, a momenti mi cieca con quelle sue unghie lunghe. «Hai idea di quante storie mi sono dovuta inventare per far rimettere insieme Barbie e Ken quando litigavano per colpa del tradimento di lei con il suo gemello?»

«Ken ha un gemello?»

«Ovviamente no, ma ne avevo due di Ken, quindi capiscimi... Comunque l'importante è che se avessi fatto come me, a quest'ora saresti bravissima a scrivere i testi delle canzoni!»

«Sarà... Ma tanto è qualcosa che non sta in piedi, perché io non voglio diventare più una rockstar famosa.»

«Ah, no?»

«No. Solo tu vuoi diventare famosa.»

«Giuralo sui tuoi fratellini!» mi fissa dritta negli occhi.

Perché dovrei giurare su quelle povere creature?

Perché sto esitando?

Ho davvero rinunciato a voler diventare famosa.

Sul serio.

Perché la risposta mi rimane bloccata in gola?

«Siamo arrivate! Uomini, arrivo!» Cinzia si affretta ad entrare nel locale.

All'interno c'è della musica jazz in sottofondo e un chiacchiericcio piuttosto insopportabile. Mentre una ragazza gentile ci da il nostro numero, dall'altra parte della stanza i maschi della nostra specie ci stanno già facendo la radiografia... Avvicinandomi alla lunga tavola, noto che già sedute, le ragazze non sono da meno.

Mi viene dato il numero trenta, mi siedo nervosamente accanto a Cinzia che sta già scegliendo la merce.

Ma perché ho accettato di venire in un posto del genere? Mi sto vergognando a dire basta.
Do un'occhiata veloce ai ragazzi: mi sembrano tutti un po'... disperati.

«Come fai ad essere così tranquilla, Cinzia?» le sussurro.

«E come faccio a non esserlo? Pensi davvero che ci sia il mio match qua intorno? Che io possa dare l'ok ad uno di quei perdenti laggiù?» mi prende il viso e lo sposta in direzione di tre ragazzi grassi: uno di loro si sta sistemando il riportino, un'altro sta cercando di tranquillizzare la madre che nessuna gatta morta potrà portarlo via da lei per sempre, mentre il terzo cerca di sistemarsi la camicia da dentro i pantaloni grondante di sudore. «Se non c'è un interesse reciproco non ci verranno scambiati i numeri di telefono. Quindi assicurati di imparare a memoria i numeri dei tre porcellini: non vorrai mica sbagliarti e finire con calvizie-precoce?»

«Che male c'è se si vergogna ad avere perso i capelli?»

«Cazzo Carol, non ti fai il riportino così giovane! Comprati una parrucca, rasali, che diamine!»

«Smettila, mi stai facendo venire da ridere e non è carino. Scusi, mi può portare qualcosa di alcolico?» ordino qualcosa da bere, meglio non essere lucidi. Vorrei solo scomparire, vorrei dimenticarmi di essere qui.

Ma perché la ascolto e la assecondo in continuazione?

In queste cose mi rendo conto e mi ricordo che lei è più piccola di me di qualche anno.

Suona il primo campanello, i ragazzi iniziano ad avvicinarsi.

Che ansia, che ansia.

«Ciao.» un ragazzino magrissimo mi saluta con la mano. Li avrà compiuti i diciotto anni?

«Ehi.» Non posso essere tesa, questo qui è messo peggio di me. «Mi chiamo Carolina!» provo a sorridere come se fosse un cliente del bar, magari riesco a mettere entrambi a nostro agio.

«Francesco... Bella serata, vero?» si tocca l'enorme ciuffo castano nervosamente.

«Già.» alle orecchie un po' a sventola indossa un orecchino a forma di grifone. «Mi piace il tuo orecchino!»

«Ah, ehm... Grazie. Anche i tuoi orecchini sono belli. Cioè, sono normali, mi piace che siano molti.»

«Plettro!» indico il plettro autografato che pende dalla sua collana «Tu suoni?» i miei occhi iniziano a brillare, finalmente ho trovato qualcosa di cui parlare.

Il campanello suona proprio adesso e ci salutiamo.

Mi siede davanti un tipo con i capelli lisci e lunghi, sotto strati non quantificati di lacca, con la faccia da bambolotto.
«Ciao, ti sei fatta molto male?»
Per carità, adesso tira fuori la battuta del paradiso...

«Quando?» tiro su un sopracciglio con aria seccata, ne ho già abbastanza di questa buffonata.
«Quando i tuoi occhi hanno incrociato la mia stupenda figura?» si passa una mano tra i capelli e mi fa l'occhiolino.

Oh, cielo.

La colpa è mia, è tutta colpa mia perché vado dietro alle stronzate che propone Cinzia.

Me la pagherà, certo che che lo farà.

Risparmiando i tragici dettagli sui tre porcellini, alla fine della serata finalmente ci sono arrivata, anche se mezza ubriaca: ho dovuto farlo per tirare avanti.

Il mio unico match è stato con il numero uno, Francesco, anche se è un po' troppo piccolo, per lo meno l'ho fatto per interessi comuni.

Fuori dal locale però, si è già dileguato. È timido, avrei dovuto immaginarlo.

Non vedo il marciapiede e per questo cado, Cinzia mi raddrizza per un braccio: «Ma quanto hai bevuto, Carol?»

«Bevo per dimenticare. Tu non hai trovato nessuno?»

«Vuoi scherzare? Aspetta, prima ci facciamo un selfie!»

«No, non mi va.»

Troppo tardi, la foto viene pubblicata in pochissimo tempo, con un sacco di riscontri positivi e battutine sugli Speed date.

 

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Capitolo 11
*** #DopoLaTimidezza #Istinto ***


Il sole è alto in cielo, gli uccellini cinguettano ed io mi ritrovo con un altro post cancellato sul profilo 'Butterfly'.

Ormai è diventata un'abitudine: io carico una foto e dopo un giorno o due me la ritrovo cancellata.

Ma oggi nulla può sopprimere il mio buonumore. Dopo un po' di fatica ed una buona spinta, sono riuscita ad ottenere un appuntamento con Francesco, il diciannovenne dello speed date.

Ho iniziato io a scrivergli e con piacevole sorpresa ho scoperto che nonostante di persona si sia dimostrato timido, scambiandoci qualche messaggio si è molto aperto con me: è un ragazzo dolce ma determinato, mi ha raccontato del suo sogno di diventare un chitarrista professionista e di far parte di una band.

Mi ha raccontato che ha sempre fatto fatica a trovare delle persone con cui suonare e che veniva sempre rimpiazzato perché non abbastanza bravo.

So bene a cosa si riferisce, quello del chitarrista è un ruolo abbastanza popolare ed è piuttosto facile trovare dei sostituti, al contrario di come si fa con i batteristi: se si ha un buon batterista nel gruppo solitamente si tende a volerselo tenere stretto.

Io avevo un batterista fantastico... e adesso chissà che fine ha fatto.

Probabilmente parleremo di musica per tutto il pomeriggio, l'incontro è al parco.

 

 

*

 

 

L'aria sta diventando sempre più fredda, dalla mia bocca si espandono delle nuvolette di vapore. Mi stringo la sciarpa attorno alla gola mentre mi avvicino alla figura di Francesco, magro e alto come uno stecchino.

«Cioccolata calda?» È la prima cosa che gli dico.

«Caffè, magari...» si tocca nervosamente il grande ciuffo castano davanti alla fronte.

«Vuoi insinuare che mangio come un maiale per caso?»

«No! Ma perché voi ragazze siete sempre così suscettibili?»

«Perché non dovrei esserlo, se metto su troppi chili si vedranno tutti con la mia misura così corta!»

«Sarà... Ho una sorella più grande che si fa un sacco di paranoie per piacere ai ragazzi e davvero non lo capisco... Quel giorno dello speed date é stata lei ad insistere perché l'accompagnassi... Non mi sono mai vergognato tanto, davvero...»

«Immagino che scena quando vi siete seduti uno davanti all'altra!»

«Già...»

Nella piccola caffetteria c'è una piacevole musica di sottofondo natalizia. Ci sediamo ad un tavolino in disparte ed ordiniamo qualcosa di caldo.

«Carolina.» Francesco si stringe nelle spalle mentre arrossisce. «Io probabilmente non sono così bravo, ma vorrei formare una band. Vorresti partecipare con me a questo progetto?»

Oh.

Continuo a girare in silenzio il cucchiaino nella tazza.

«Magari posso farti da accompagnamento, non pretendo di essere un solista.»

Mi sento una stretta al cuore. «Dovresti prima sentirmi suonare per dirlo, non tocco la chitarra da un sacco di tempo... Poi devo studiare e immagino anche tu, tra poco devo anche ritornare a casa a Rosadoro.»

«Sai, io voglio davvero fare questo. Continuo a studiare, ma nel tempo libero voglio diventare talmente bravo da riuscire a cambiare il mio destino. Mio padre vuole che io vada a lavorare nella sua autofficina, ma io detesto tutto ciò che riguarda i motori, dalla puzza della benzina al grasso.»

«Per non parlare della tuta da lavoro! Ti capisco, anche io ho fatto la sguattera al ristopizzeria, te ne ho scritto.» sorseggio la cioccolata.

«Posso prendere il treno per venire a trovarti per le prove, non ho nessun problema per questo.» con i suoi occhi chiari e limpidi mi fissa quasi implorandomi, come un cerbiatto.

Faccio un respiro profondo, cercando di respingere le lacrime che si stanno accumulando nei miei occhi gonfi.

«Ti prego, Carolina. Io voglio suonare.»

«Non posso, non ho più la mia chitarra.»

Francesco mi prende le mani tra le sue, magre e freddissime, ma salde da cui riesco a sentire tutta la sua determinazione. «Penseremo con calma a questo! Ti prego, non ho nessun amico con cui parlare... non voglio più restare da solo.»

Vuole per forza farmi vacillare, com'è testardo questo ragazzo.

«Quando avevo sedici anni avevo degli amici e tra di loro c'era il mio compagno di duetto musicale, ma per colpa mia è andato tutto in pezzi. Sono stata io a rovinare tutto. Non vorresti mai un'amica come me, te lo assicuro.»

«Che c'entra, è passato molto tempo! Quanti anni hai adesso?»

«Ma sentiti! Se finisci agli speed date è per colpa delle cose che dici! Ti do un consiglio: non chiedere mai l'età ad una ragazza più grande!» per fortuna sdrammatizzare mi aiuta a restare in me. Ho il cuore che mi batte forte, il solo nominare una cosa del genere...

Avere una seconda possibilità.

Poter fare ciò che davvero mi rende felice e poter condividere questa gioia con qualcuno.

Avere un nuovo obiettivo nella mia vita, familiare eppure rinnovato ripartendo da zero.

«Se non riprovi concedendoti  esperienze nuove, per te suonare continuerà ad essere un tasto dolente.»

«Hai sul serio diciannove anni?»

«Sì.» Ha parlato come un adulto. «Cosa posso fare per convincerti... Ascolta qua! Io e mia sorella siamo cresciuti facendo visita quasi ogni pomeriggio agli zii materni. Lì c'era mio cugino, di qualche anno più grande di me: siamo sempre stati rivali e non siamo mai riusciti ad andare d'accordo. Abbiamo iniziato a suonare la chitarra nello stesso periodo, ma lui è stato notato da un agente e adesso è diventato piuttosto famoso. Io non riesco a mandare giù questo boccone, ci sto ancora rosicando sopra. Ho provato ad unirmi a molte band ma mi hanno sempre mandato via. Voglio diventare famoso anch'io e fargli vedere di che pasta sono fatto: non solo a lui, ma a tutte quelle persone che mi hanno sempre deriso.»

«Fai leva sul mio innato senso di competizione?»

«Se vuoi posso farti anche pietà. Sono davvero molto bravo.»

Avevo già avuto la sensazione che dietro la sua iniziale timidezza ci fosse un bel caratterino combattivo... Ma direi che così è troppo.

Sarà per via della sua giovane età?

Oppure sono io che sto invecchiando e mi sento sentimentale?

«Quando avevo sei anni e facevo la prima elementare mi hanno fatto cadere la merenda...»

Lo interrompo bruscamente: «Okay, va bene! Basta! Va bene, ci sto... Però prima dobbiamo fare un periodo di prova.»

«Va bene.» i suoi occhi chiari si sono illuminati talmente che non riesco nemmeno a notare la mia figura nel loro riflesso.

Alla fine ho agito d'istinto.

Chissà perché ma ho sempre avuto la convinzione che il mio istinto sia più forte e saggio del mio cervello, che non si sia mai sbagliato, che se l'avessi seguito da subito la mia vita oggi sarebbe molto diversa.

E quindi alla fine, a furia di sopprimerlo, è esploso davanti alla proposta di Francesco.

 

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Capitolo 12
*** #LaMiaAmicaCarolina #Chitarra #Fenomeno ***


«Tornerò a Rosadoro la settimana prossima.» annuncio a tavola infilandomi una forchettata abbondante di pasta tra le guance.

I gemellini reagiscono con protesta e lamentele varie.

«Starai bene là?» papà mi carezza la mano.

«Sì.»

«C'è qualcosa di nuovo in te. Nella tua risposta, nei tuoi occhi...» Laura mi da una pacca sulla spalla. «È lui, vero?»

«Lui chi?»

«Il ragazzo col cappellino!» Ancora lui?! L'avrò visto si e no due volte in vita mia, ma Laura ci sta ricamando sopra un intero corteo di carnevale in festa. «Avevi ragione tu Carolina, ieri è passato a prendere un caffè con degli amici! Hai fatto proprio una bella mossa ad aprirgli la porta del bar. Ma adesso dovresti aprirgliene anche un'altra, non credi?»

«Visto? Sono un'imprenditrice nata!» mi verso dell'aranciata, poi la verso anche ai bambini.

«Parlo della porta del tuo cuore! Ma lo fai apposta a non capire certi segnali?»

«Cara Laura, ci sono porte che portano ad una destinazione non pronunciabile davanti ai bambini e quella che immagini tu è proprio una di queste!»

«La vita è imprevedibile, tesoro mio.» Papà mi accarezza.

«Già, e anche i 'va-a-fa-un-giro'.» gli sorrido a denti stretti.

«Cosa farai per le feste? Vieni con Doriana?» mi chiede Laura mentre i gemellini iniziano a scalpitare.

«Non lo so, vorrei capire come vanno le cose al locale prima di decidere, non posso lasciare mamma con lo zio in quel buco schifoso nel momento del bisogno. A proposito di momenti del bisogno, oggi esco con Francesco, non so se torno per cena!»

Papà e Laura si guardano perplessi dal sentirmi fare un nuovo nome.

«E chi sarebbe Francesco?» Chiede Laura con fare teatrale.

«Francesco è Francesco.»

«Il tuo fidanzato?» Chiede Ethan curioso.

«No tesoro, avete quasi la stessa età.» Gli accarezzo la folta chioma con affetto.

 

*

 

Mi sistemo il maglioncino e do un'occhiata alla boccetta del mio profumo alla nocciola, ripensando alle parole di papà: lo metto comunque, perché è il mio preferito.

Prima di uscire scatto una foto al cielo e come al solito la pubblico sul profilo 'butterfly'.

Il tempo di infilare le scarpe e scopro che non c'è già più.

Ah, vuole sfidarmi? Carico una foto tutta nera, nella descrizione scrivo:
"Chi sei?"

Dopo aver infilato la giacca il post è stato cancellato di nuovo.

Ci rinuncio, scusa mia cara e rancorosa vecchia amicizia, ma ho di meglio da fare. Ho un destino da plasmare: il mio.

Oggi vado alla sala prove con Francesco, sono abbastanza tesa.

Saluto tutti ed esco.

La sala prove è sul retro di un grande negozio di musica. Il locale mette a disposizione diverse stanze e noleggia anche gli strumenti.

Francesco mi sta aspettando fuori all'entrata nonostante il freddo ed il mio ritardo, poverino.

«Credevo non venissi più.»

«Scusa, ma sono in ritardo solo di cinque... Trentacinque minuti?! Scusa, sono un essere infame! Puoi ripudiarmi se vuoi!»

«All'interno ci sono dei distributori automatici, prendiamoci un caffè.»

L'interno del locale a due piani è enorme, ci sono installati strumenti di tutti i tipi e ci sono CD e vinili esposti tra gli scaffali. Un ragazzo sta suonando un pianoforte al secondo piano, diversa gente gli si è ammucchiata attorno.

Saluto la donna al bancone e noleggio una chitarra elettrica, poi mi indica la sala 02, accompagnata da Francesco, che sembra conoscere bene il posto.

Dopo il caffè, entriamo nella piccola stanza insonorizzata, il cui colore dominante è il rosa. Nella stanza c'è già montata una batteria ed una chitarra acustica è poggiata nell'angolo.

Impugno lo strumento con mano tremanti, faccio un respiro profondo e percorro la tastiera lentamente con nostalgia, poi faccio vibrare le corde.

Ecco il vero suono del battito del mio cuore.

«Faccio un giro di prova.» dico a Francesco, poi cerco di ricordare quella vecchia canzone che suonavo all'infinito per la festa di San Valentino insieme a Lucio.

Le mie mani si muovono velocemente e senza sbagliare, come se il mio cervello avesse impresso dentro di sé la sequenza delle note.

«Giusto per restare a tema, che ne dici di jingle bells?»

«Ok!»

Inizio a suonare con il sorriso stampato in faccia, è come ritrovare qualcosa di molto speciale che si credeva perduto per sempre.

Francesco batte le mani a tempo sorridendo. «Puoi andare più veloce che puoi?»

«Non sfidarmi, bello!» inizio ad aumentare la velocità in modo crescente, Francesco ride contento, ha un viso molto carino, dovrebbe cercare di distendersi un po' più spesso.

Infine sbaglio, ingarbugliata con le dita. Rido, asciugandomi velocemente una lacrima.

«È stato grandioso! Sono senza parole!»

«E dire che sono anche rimasta ferma un bel po'... Non sottovalutarti amico mio, va ' e mostrami chi sei!»

«Uhm, va bene... Non aspettarti troppo, però.» fa un respiro talmente forte da sollevare il ciuffo sulla testa. Inizia, anche lui con jingle bells, poco dopo aver aumentato la velocità si ferma, inceppato. «Te l'avevo detto, non sono così bravo.»

«Sei solo teso! Hai mai suonato jingle bells?»

«No.»

«Che vita triste. Fa quello che ti riesce meglio, dai. Io mi giro dall'altra parte se vuoi.»

«No, mi metterebbe più a disagio. Ce la faccio.» Dopo qualche respiro ad occhi chiusi, inizia a suonare.

È un ritmo heavy metal, molto veloce. Lo guardo concentrata, ha detto di essere scarso, ma a me non sembra proprio.

Rimango in silenzio ad ascoltarlo concentrata, ma lui improvvisamente si interrompe.

«Non sono un granché, ma ti prometto che mi impegnerò al massimo per essere decente!»

«Puoi fare un assolo e smetterla di spalarti merda addosso da solo per favore?» gli chiedo.

Francesco inizia il suo assolo.

È bravo. È molto bravo, alla sua età non ero capace di fare la metà di tutto ciò... e poi ho smesso del tutto.

«Credo che non mi sia mai venuto così bene, é la prima volta che riesco a finirlo senza errori! Carolina, mi porti fortuna!»

«Allora è deciso, saremo un duo! Il periodo di prova è finito!» gli dico, abbracciandolo.

«Già finito?»

«Essere volenterosi é l'unica qualità di cui ho bisogno e tu ne hai da vendere! E sei anche molto bravo!»

«Bene.» si sistema il ciuffo.

«Forse ti manca un po' di carisma, però.»

«Mi dispiace.» balbetta. Accidenti a lui, se avesse la parlantina sarebbe super popolare con le ragazzine.

«Puoi farmi un video? Lo mando alla mia migliore amica, che non mi ha mai sentita suonare.» povera Cinzia, ci teneva tanto.

Dopo avergli inviato il breve video da quaranta secondi, il messaggio viene visualizzato, ma di una risposta non c'è traccia.

Mi arriva invece sul cellulare una notifica per il suo nuovo post: è il video che le ho appena mandato.

In men che non si dica i commenti positivi di centinaia di persone riempiono lo schermo.

 

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Capitolo 13
*** #ConcertoDiNatale #Mostro #Snob ***


«Incredibile, il video dell'altro giorno ha davvero raggiunto un sacco di visualizzazioni! La tua amica è pazzesca, come fa ad avere tutto quel seguito?» Dice Francesco controllando il profilo di Cinzia.

«È una tipa un po' eccentrica, ma è davvero una ragazza buona come il pane! A proposito, cosa vuoi dal distributore? Io ho una fame...» Siamo chiusi nella sala prove da ore a preparare delle cover da registrare perché vogliamo aprire un canale su Followideo.

«Una barretta integrale e del succo di frutta, per favore.»

«Come sei educato... Mi commuovi. Sicuro che non vuoi un tramezzino, un sacchetto di patatine o un panino col kebab?»

«Carolina sono le cinque di pomeriggio, non posso mangiare un panino al kebab...»

«Mi dispiace per te, amico mio.» gli do una pacca sulla spalla ed esco, spedita verso i distributori automatici in corridoio: io li adoro, sono tanti, super forniti e dalla macchinetta del caffè non esce acqua sporca.

Un paio di ragazzi stanno chiacchierando e ridacchiano davanti ai distributori automatici.

«È un mostro, è inutile provare a soffiargli il posto per il concerto di Natale.»

«Capirai, l'ha ottenuto scopandosi la figlia del sindaco...»

«C'è un concerto di Natale?» chiedo ai due ragazzi. «Cosa si deve fare per partecipare?» se c'è una possibilità di visibilità, vorrei sfruttarla.

«Essere una parente stretta degli organizzatori, oppure scoparti la figlia del sindaco...»

«Non essere idiota!» lo interrompe l'amico. «Lui è un mostro, è ovvio che la sua richiesta sia stata accettata. Non dargli ascolto, se sei brava, ti prendono anche all'ultimo momento! Anche se credo i posti siano finiti ormai...»

«Oh, che peccato. Ma quando sarebbe il concerto?»

«Lo danno il 23 ed il 24 dicembre alla piazza sud della città vecchia. Credo che manchi un'organista, se conosci qualcuno digli di farsi vedere.»

Un'organista? Allora è un concerto di musica classica... Non credo si tratti di quello che avevo in mente.

Mi avvicino alla sala prove verso cui i dure ragazzi lanciano le loro occhiate per sbirciare, ma uno dei due bussa alla porta «Se vuoi ascoltare basta chiedere, no?» mi sorride, poi apre senza aspettare risposta: «Signor Dario Longhi, ha un'ammiratrice! Perché non le fai ascoltare qualcosa di breve prima di tornare alle tue prove?»

C'è bisogno di disturbare qualcuno solo perché mi sono incuriosita un attimo? Che vergogna...

Il ragazzo che impugna un violino poggiato sulla spalla, si volta con un'espressione fredda.

Occhi penetranti del colore dell'oceano, capelli neri rasati corti, alla mano con cui tiene stretto l'archetto porta un anello con una rosa rossa.

Non ci posso credere. Voglio sparire.

«Allora avevo ragione io, sei un'ammiratrice.» mi sorride beffardamente con la sua bellissima faccia da schiaffi.

«Direi di no, è solo un caso! Questi ragazzi ti stavano facendo dei complimenti e mi sono incuriosita, tutto qui! Quindi ti chiami Dario, eh?»

«Farmi i complimenti? Ivan è un ragazzo umile, ma il compare in corridoio credo che piuttosto che i complimenti mi stesse augurando di strozzarmi con il caffè.»

Lancio un'occhiata al ragazzo in corridoio, diventato rosso di rabbia.

«Il tuo nome?» mi chiede fissandomi con fare divertito.

«Carolina.» faccio finta di sorridere.

«Per incontrarci qui vuol dire che hai fatto pace con la tua amica... Ah, già, sei qui per pedinarmi come fai di solito.» la sua espressione cambia rapidamente, il suo viso diventa una maschera gelida. «Ti faccio ascoltare qualcosa allora. Così capirai perché non sopporto il modo in cui hai trattato la tua amica, gettandola in mezzo alla polvere, abbandonandola, facendotela togliere da sotto al naso dopo non essere neanche andata a salutarla di tanto in tanto.»

«Vuoi farmi sentire in colpa?» gli chiedo, con i pugni stretti, incatenata dal suo sguardo freddo e perforante.

«Ti suono qualcosa di semplice, così magari ti ricordi cos'è una scala di note.»

Lo guardo con rabbia, in silenzio. Non lo sopporto. Più apre la bocca meno lo tollero, il problema è nel contenuto di quello che dice: mi fa male perché lo penso anche io, ma se lo può scordare che lo ammetta.

Mi sorride freddamente da dietro al violino, poi inizia a suonare.

 

Lo guardo suonare ammutolita. Le sue dita si muovono troppo in fretta sulla tastiera.

Sento il ragazzo che mi ha aperto la porta sussurrare: «Per fortuna che ha detto "qualcosa di semplice"...»

Arriva anche Francesco, che si ferma ad ascoltare a bocca aperta.

Nonostante sia alto e abbia un fisico decisamente più mascolino rispetto a quello pelle e ossa di Francesco, l'eleganza nei movimenti di Dario è strabiliante. Sta suonando una canzone molto difficile e veloce, ma le bracciate con l'archetto sono dolci e leggere.

A giudicarlo dall'aspetto, con il suo stile da rocker, con gli orecchini, i capelli corti e i vestiti scuri attillati, non si direbbe capace di tale grazia. Questo suo contrasto lo fa spiccare ancora di più.

«Ti sei innamorata di me ancora più di prima?»

«Come, prego?» lo guardo piuttosto sotto shock.

«Mi stai guardando completamente in estasi.»

«Non dire stronzate! Sono scioccata dal constatare quanta sfacciataggine può risiedere in un unico essere umano! Ma chi ti credi di essere?»

Il ragazzo di nome Ivan mi da una pacca sulla spalla: «Come ti dicevo, è un mostro di bravura, ma il suo caratteraccio gli procura un sacco di nemici...»

«Puoi anche dirlo che sono stato fantastico, non mi scandalizzo.»

Sto per mandarlo a quel paese quando Francesco mi stringe le spalle con le mani. «Sei stato fantastico! Complimenti, sei davvero molto bravo!»

«Non accontentarlo!» gli urlo contro.

«Ma è vero! Io mi chiamo Francesco, molto piacere!» le sue guance sono arrossate, sembra un fan davanti al suo idolo.

«Dario, per gli amici Rio.» i due si stringono la mano.

«Per caso hai già una band? Io e Carolina ne stiamo formando una!»

«Che cosa? Fai inviti senza interpellarmi? E poi lui suona il violino, preferirà un'orchestra, no?»

«Cosa dici? Hai mai sentito un pezzo hard rock con un violinista? Che gruppi segui?» l'espressione sulla faccia di Francesco è abbastanza sconvolta, teatrale direi.

«Per il momento sono impegnato altrove. Quando sarò libero valuterò meglio la tua proposta.» che sorriso finto.

«Non vedi che ci sta prendendo in giro? Al principino snob non importa nulla di fare cose ridicole e plebee come formare una band. Non che la cosa mi dispiaccia, una spina nel culo in meno.» lo guardo con rabbia.

«Ufficializziamo il no, allora. Comunque si dice "una spina nel fianco", non "nel culo".» mi sorride riponendo lo strumento. «Vado a farmi un caffè. Alla prossima.»

Nella stanza piomba il silenzio.

«Perché l'hai trattato male? È un fenomeno! Dobbiamo chiedergli di unirsi a noi! Le band con dei violinisti sono molto popolari ultimamente!»

«Perché è uno snob saccente del cazzo, non l'hai visto? È un narcisista, è convinto che io sia cotta di lui quando invece non lo sopporto!»

«Io lo voglio a tutti i costi invece. Cercherò di convincerlo.»

Sbuffo arrendevole: «Certo che hai un bel caratterino tu da sotto a quel ciuffone di capelli. Fai come credi, io non ci perdo la testa di certo, anche perché tra due giorni ritorno a casa.»

«A proposito, ho un regalo per te.» Francesco cerca qualcosa all'interno del suo portafogli a forma di maialino rosa.

 

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