Dove tutto ha avuto inizio

di Be_Yourself
(/viewuser.php?uid=156713)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


NOTE ALLA STORIA (Icarus and the Sun AU)
Il titolo di questa storia, Dove tutto ha avuto inizio, si riferisce al fatto che la prima fanfiction che io abbia mai scritto su Da Vinci’s Demons e per cui ho creato il personaggio di Emilia è proprio questa.
Era una storia scritta per puro diletto, senza l’intenzione di pubblicarla, ma alcuni anni dopo l’ho fatta leggere alla mia cara amica
Merlin_Colin_Emrys
 che aveva cominciato ad appassionarsi alla serie, e a lei è piaciuto così tanto il personaggio di Emilia, che mi ha convinta a riscrivere una versione della serie inserendoci però questo nuovo personaggio, ed è nata Icarus and the Sun.
Ora, a distanza di quasi sette anni, ho voluto riprendere questa storia e, fatte le dovute correzioni, ho deciso di pubblicarla.
La storia può essere tranquillamente letta anche se non conoscete Icarus and the Sun, il collegamento tra le due storie è minimo e, anzi, questa è stata addirittura creata prima.
Se conoscete l’altra fanfiction, invece, vi informo che i toni di questa sono molto meno seri e solenni, è una storia scritta soprattutto per divertimento, senza troppe pretese, perciò non prendetela troppo sul serio.
Inoltre, per ragioni di trama, ho dovuto modificare un po’ le età dei personaggi, rendendoli più giovani o più grandi ed aumentando o accorciando le differenze d’età tra di loro.
Fatte tutte queste premesse, non mi resta che augurarvi buona lettura!

 
 
 
 
 
CAPITOLO 1


Un nuovo anno era cominciato all’Università de’ Medici, l’accademia più prestigiosa di Firenze e forse dell’intera Toscana, nonché una tra le più conosciute anche all’estero.
Leonardo Da Vinci camminava per i corridoi dell'università insieme a due dei suoi migliori amici: Zoroastro e Nico. Dopo un anno sabbatico passato in giro per il mondo, tutti e tre avevano deciso di riprendere gli studi ed erano tornati alla de’ Medici.
Giunti a pochi passi dall'aula in cui si sarebbe tenuta la loro prossima lezione, però, Leonardo si bloccò di colpo, la sua attenzione era stata catturata da una donna di rara bellezza e portamento, con due meravigliosi e magnetici occhi di smeraldo.
Si guardarono per un istante, poi lei proseguì per la sua strada, superando Leonardo e i suoi amici, ma prima di sparire in un'aula si voltò a lanciare un'altra fugace occhiata all'uomo che non le aveva ancora tolto gli occhi di dosso.
«Chi è?» sussurrò appena, continuando a guardare la porta dietro la quale era sparita quella meravigliosa donna.
«Qualcuno a cui faresti bene a non pensare troppo» era stata una voce femminile a parlare. Leonardo si voltò verso la persona in questione.
In piedi davanti alla porta dell’aula se ne stava una ragazza interamente vestita di nero, il volto ovale circondato da lunghi capelli castani da cui spuntava una frangia scalata tinta con le tonalità pastello dell’azzurro, del viola e del verde che andava a coprirle l’occhio destro. Sul sopracciglio sinistro spiccava un piercing di metallo con una borchia appuntita sul lato superiore
Per un brevissimo istante Leonardo non la riconobbe, non conciata in quel modo.
«Possibile che tu stia sempre a cercare di infilarti nel letto di qualcuno?» continuò lei, spostando il ciuffo di capelli colorati che le ricadeva davanti all’occhio.
In un attimo Zoroastro e Nico videro Leonardo correre ad abbracciare la ragazza.
«Emilia!» esclamo allegro, stringendola così forte che quasi avrebbe potuto stritolarla.
Dopo alcuni istanti la lasciò andare e continuò a fissarla, facendo correre lo sguardo tra il suo volto, i suoi capelli ed i suoi vestiti.
«E questo look così…punk?» domandò in un tono tra il divertito e l’incredulo.
L’altra fece spallucce «Che posso dire? Si vede che l’aria di Firenze ha una brutta influenza su di me».
Zoroastro tossicchiò per attirare l’attenzione di Leonardo, sia per chiedergli come mai tutto quell’entusiasmo e chi fosse quella ragazza, sia per fargli notare che stavano bloccando la porta dell’aula e si era creata una fila abbastanza lunga di studenti che li guardavano in cagnesco.
Entrarono in aula e presero posto in una delle file al centro, a quel punto Leonardo fece le dovute presentazioni e finalmente gli altri due capirono che la ragazza era la famosa Emilia di cui il loro amico gli aveva tanto parlato.
Lei e Leonardo erano amici di vecchia data, si conoscevano fin dall’infanzia perché vicini di casa e praticamente erano cresciuti insieme quasi come se fossero fratelli, almeno fino al secondo anno di superiori, dopodiché Emilia e la sua famiglia si erano trasferiti all’estero.
Ovviamente erano rimasti in contatto, anche se non erano più riusciti a vedersi di persona fino a quel momento.
Poco più di un anno prima Emilia lo aveva chiamato e gli aveva detto di aver fatto domanda per entrare alla De’ Medici, dove Leonardo aveva già frequentato il primo anno… ma quella telefonata era arrivata nel momento esatto in cui Leonardo aveva messo piede fuori dall’aeroporto di New York, prima tappa del suo viaggio in giro per il mondo.
Una tra le tappe programmate era Vienna, durante il viaggio di ritorno verso casa, per andare finalmente da Emilia e rivederla dopo quattro anni in cui non erano mai riusciti a farlo, ma a quanto pareva sarebbe dovuto ritornare a Firenze per poter riabbracciare la sua più cara e vecchia amica.
Ora, con Emilia iscritta dall’anno precedente e Leonardo, Nico e Zoroastro che invece si erano presi un anno di pausa, si ritrovavano a frequentare tutti il secondo anno di università.
«È proprio come ai vecchi tempi. Io e te a seguire insieme le lezioni, pronti ad imparare i segreti del mondo» disse Leonardo con una buffa espressione solenne che fece scoppiare Emilia a ridere.
«Io ricordo che ai vecchi tempi eri più interessato ad imparare come toccare nel modo giusto un clitoride o come succhiare perfettamente un…».
«Emilia!» Leonardo la fisso con una strana espressione, un misto di sconcerto e divertimento. Era strano sentire Emilia parlare in quel modo, davanti a persone che aveva appena conosciuto e in un’aula piena di gente che non conosceva. Non che lei fosse mai stata timida o in imbarazzo nell’affrontare certi argomenti, tutt’altro, ma lo aveva sempre fatto con una certa discrezione. Veniva da una famiglia importante, di origini nobili, e l’educazione che aveva ricevuto era stata di un certo tipo.
Era anche vero, però, che l’ultima volta che Leonardo le aveva parlato di persona avevano soltanto sedici anni, quindi era molto probabile che Emilia avesse cambiato atteggiamento in quegli anni. Dopotutto le era bastato un solo anno a Firenze per decidere di tingersi i capelli di colori improponibili e farsi un piercing.
Lei rise ancora per l’espressione di Leonardo, così come fece anche Zoroastro. Nico, invece, arrossì vistosamente per quello che aveva detto Emilia.
Non ci fu più tempo per chiacchiere e battute, perché il professore entrò in aula e la lezione di storia dell’arte moderna ebbe inizio, inaugurando quella prima giornata del nuovo anno accademico.
 
 
Lorenzo de’ Medici, ad appena trent’anni, era già il rettore dell'università che portava il nome della sua famiglia. Suo nonno Cosimo aveva fondato l'università e, alla morte del suo figlio prediletto, padre di Lorenzo, aveva riposto tutte le sue speranze nel giovane nipote.
Quella mattina si era alzato presto, molto prima di quanto fosse necessario per andare al lavoro, reduce da una notte di sonno agitato. Si sentiva come se avesse un brutto presentimento per l’inizio del nuovo anno accademico… e in effetti non si sbagliava.
Appena giunto nel suo studio aveva appreso con sgomento che il rettore Sforza dell'università di Milano, con cui aveva un rapporto di gemellaggio, era stato sollevato dall'incarico a causa di alcuni scandali, e che il nuovo rettore aveva intenzione di sancire un rapporto di gemellaggio con l'università di Roma. Pessima notizia, soprattutto perché Sisto, il rettore e fondatore dell'università di Roma, sembrava intenzionato a distruggere la famiglia Medici ed impossessarsi della loro università per farne una succursale della sua Accademia Santa Sede, di stampo fortemente religioso. Che uomo presuntuoso.
Lorenzo era immerso in quei pensieri quando sua moglie Clarice entrò nello studio senza neppure bussare, il corpo snello e slanciato avvolto in un tailleur grigio che, assieme alla sua espressione tragicamente seria, contribuiva a conferirle un’aria ancor più austera del solito.
«Avevo detto alla segretaria di non far entrare nessuno, ho dei seri problemi da risolvere con l'università di Milano» disse Lorenzo osservando la moglie avvicinarsi alla scrivania.
«Lo so» rispose lei, con un tono che lasciava ben intendere la sua preoccupazione a riguardo «Tutta l'accademia lo sa, le notizie viaggiano in fretta tra gli studenti».
Lorenzo sbuffò cominciando a massaggiarsi le tempie in cerca di una soluzione. Il gemellaggio con l'università di Milano era fondamentale. Entro pochi mesi si sarebbe tenuto il concorso nazionale per scegliere le migliori università italiane, un’occasione importante che avrebbe portato indubbi vantaggi.
Per il concorso ogni università avrebbe dovuto presentare un progetto di importanza tecnologica, artistica, economica o sociale che poteva essere il frutto di un lavoro individuale o di un gemellaggio tra due università, gli istituti vincitori avrebbero avuto automaticamente diritto a partecipare al concorso mondiale ed avrebbero ottenuto finanziamenti e sovvenzioni.
La De’ Medici vantava i migliori corsi e i più capaci studenti in ambito umanistico, soprattutto per quanto concerneva le arti grafiche, ma era carente in altri ambiti, e il gemellaggio con l'università di Milano avrebbe consentito un reciproco scambio di competenze e studenti così da creare un progetto che avrebbe permesso ad entrambe le università di vincere.
«Non temere, marito mio, non abbiamo bisogno dell'università di Milano per vincere» disse Clarice in tono rassicurante, appoggiandosi alla scrivania di legno massiccio «Cosa ne pensi di una festa, invece?»
Lorenzo la guardò allibito, come se fosse uscita di senno e quell’idea fosse la più sciocca ed inopportuna che avesse mai sentito «Una festa?».
«Solleverebbe il morale di tutti, dimostrerebbe che non abbiamo bisogno del gemellaggio con l'università Sforza per vincere e che dunque ciò che è accaduto non ci preoccupa».
Il rettore si strofinò il mento, l’espressione pensierosa. Forse non era una cattiva idea, in effetti. Una festa in pompa magna avrebbe dato l’idea che quella situazione non lo spaventava, avrebbe mostrato che, nonostante tutto, confidava ancora di poter vincere e che non si sarebbe certo lasciato distrarre o intimorire dagli sporchi sotterfugi di Sisto della Rovere.
«Inoltre potresti chiedere ad alcuni studenti di realizzare l’intrattenimento per la festa, magari uno spettacolo che sia degno di nota. Questo ti aiuterà a trovare qualche valido candidato per la realizzazione di un progetto per il concorso» continuò Clarice in tono pratico, come se fosse la cosa più ovvia da fare.
Lorenzo non lo avrebbe mai ammesso, ma spesso sarebbe stato perduto senza Clarice. Tra i due lei era quella in grado di pensare lucidamente senza lasciarsi sopraffare troppo dalle emozioni e dallo sconforto anche di fronte alle difficoltà e agli imprevisti.
Dopotutto era una donna che continuava a stare con un uomo incapace di esserle fedele, e neppure quello era riuscita a sconfortarla.
Lui le sorrise, le prese la mano e gliela baciò «Tu sai sempre qual è la cosa migliore da fare» disse con tono di sincera gratitudine «Penso che mi convenga andare a parlare con Andrea Verrocchio, lui saprà suggerirmi su quale studente riporre la mia fiducia».
 
 
Approfittando della pausa prima delle lezioni e laboratori extra del pomeriggio, Leonardo, Emilia, Nico e Zoroastro erano andati a sedersi sulle scale che portavano a quella che un tempo era stata la cappella del palazzo signorile che ospitava l'università. Stavano passando il tempo chiacchierando e mangiando pizzette comprate al bar, dato che nessuno di loro aveva voglia di mangiare in mensa a causa della folla.
«Devo dire che è un vero piacere averti finalmente incontrata» stava dicendo Zoroastro ad Emilia «Da quando l’ho conosciuto, tre anni fa, Leonardo non ha fatto altro che parlarmi di te ad ogni occasione. Però non mi aveva detto che fossi così bella ed interessante».
Lei, che stava dando un morso alla pizzetta, si bloccò con i denti affondati a metà nella morbida pasta lievitata e prese a fissare Zoroastro con un sopracciglio inarcato in un’espressione tra il perplesso e lo schifato. Infine morse la pizzetta, masticò, deglutì e guardò Leonardo.
«Oh quindi è lui l’amico di cui mi parlavi, quello che fa sempre l’affascinante e ci prova con qualunque cosa dalle forme femminili che sappia respirare».
Leonardo ridacchiò e annuì, cercando di non strozzarsi con il pezzo di cibo che aveva in bocca.
Zoroastro gli scoccò un’occhiata fintamente offesa «Ah perciò è così che parli di me in giro? Come se tu fossi un santarellino!»
«Ma io non ci provo con tutte come fai tu, ci provo solo con chi attira in modo particolare la mia attenzione» ribatté Leonardo prendendo un sorso d’acqua.
«Beh, anch’io ci provo solo con chi attira in modo particolare la mia attenzione».
«Certo, Zo’, il problema è che tutte le ragazze attirano in modo particolare la tua attenzione».
Emilia e Nico scoppiarono a ridere, mentre Zoroastro guardava tutti e tre con un’aria fintamente offesa, ma non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito e, alla fine, anche lui scoppiò a ridere.
«Tu segui qualche laboratorio extra?» domandò Leonardo alla sua vecchia amica, dopo che ebbero finito di mangiare.
La De’ Medici metteva a disposizione degli studenti, oltre alle attività curriculari, un gran numero di laboratori extra per ottenere crediti in più ma soprattutto per ampliare le conoscenze e coltivare interessi anche al di fuori dei piani di studio del corso di laurea scelto, e tali laboratori potevano essere affini agli studi oppure riguardare tutt’altro: partivano dal laboratorio di pittura pratica e arrivavano fino a quello di cucina. C’era davvero una vasta scelta.
Leonardo seguiva quello di pittura e quello di informatica applicata alle arti grafiche.
Emilia annuì «Seguo il laboratorio di teatro e recitazione, e sono il caporedattore del giornale dell’università, per il laboratorio di giornalismo e scrittura».
Gli altri tre la guardarono stralunati.
«L’università ha un proprio giornale?» domandò Leonardo sorpreso.
«Abbiamo un laboratorio di giornalismo e scrittura?» gli fece eco Nico.
«Sì, beh, non mi sorprende che non lo sappiate, in effetti quasi nessuno lo sapeva quando sono arrivata qui l’anno scorso» disse Emilia, poi guardò Leonardo «Tu sai che sono sempre stata appassionata di scrittura e mi piace l’ambito giornalistico, dopotutto sto studiando perché un giorno mi piacerebbe diventare una critica d’arte ed avere una mia rivista dedicata a quest’ambito. Per queste ragioni ho cercato di capire se ci fosse un laboratorio affine al mio interesse, così ho scoperto il laboratorio di scrittura e giornalismo, ma è un laboratorio creato e gestito da studenti, e prima erano davvero in pochi, inoltre senza la direzione di un docente non sapevano bene come organizzare il tutto. Il giornale usciva sporadicamente, soltanto in versione digitale, e gli articoli non erano accattivanti, quasi nessuno lo leggeva e la maggior parte degli studenti ne ignorava addirittura l’esistenza» smise di parlare un istante per poter prendere un sorso d’acqua.
«Ovviamente era un peccato che un laboratorio tanto interessante dovesse trovarsi sull’orlo dell’estinzione, così mi sono unita al gruppo e ho provato a risollevare le cose. Alla fine, con un po’ di organizzazione sono riuscita a far uscire il giornale ogni settimana, stampandolo anche, gli studenti e i professori hanno cominciato a leggerlo e sempre più persone si sono iscritte al laboratorio di giornalismo e scrittura».
Nico e Zoroastro la guardavano ammirati per la sua intraprendenza e tenacia, Leonardo, invece, aveva su un’espressione divertita e un po’ irriverente.
«Maniaca del controllo come al solito, eh? Se le cose non funzionano come secondo te dovrebbero allora fai di tutto per farle andare come vuoi tu» disse infatti lui con aria canzonatoria.
Lei alzò gli occhi al cielo «Così mi fai sembrare una psicopatica».
«Ma tu sei una psicopatica, Emilia» lo disse con affetto, come se più che altro le stesse facendo un complimento. E lei, in effetti, non sembrò prendersela.
Cinque minuti dopo salutarono Nico e Zoroastro, che quel pomeriggio dovevano seguire alcune lezioni. Emilia, invece, non avrebbe avuto impegni almeno per un’altra ora, così aveva deciso di accompagnare l’amico nell’aula in cui il professor Verrocchio teneva il laboratorio di informatica applicata alle arti grafiche. Era stato Leonardo ad insistere perché lei andasse con lui, dicendole che sicuramente quel laboratorio le sarebbe piaciuto e che il professore era davvero eccezionale.
Emilia sospettava che Leonardo volesse passare più tempo possibile con lei ora che finalmente erano di nuovo vicini dopo anni ad accontentarsi esclusivamente di messaggi, telefonate e qualche sporadica videochiamata. In effetti separarsi era stato traumatico per entrambi dopo quasi una vita passata a condividere praticamente ogni singolo momento della giornata, talmente legati l’uno all’altra che nessuno credeva che non fossero fratelli.
Una volta entrati in aula, trovarono il rettore Lorenzo de’ Medici intento a discorrere con il professore.
«Oh, lo studente di cui le parlavo, il prodigioso Leonardo da Vinci» disse il più anziano, indicando Leonardo «Sono certo che lui potrà soddisfare le sue richieste».
Lorenzo si avvicinò a Leonardo con un sorriso di circostanza che non raggiungeva nemmeno lontanamente gli occhi «Lieto di conoscerla» disse osservandolo da capo a piedi, con fredda diffidenza.
Emilia si guardò intorno, osservando l’aula decorata con riproduzioni di dipinti di varie epoche, ma con una particolare attenzione per l’arte contemporanea, intanto ascoltava il rettore parlare con Leonardo di una certa festa e di qualcosa di spettacolare che l'artista doveva creare per l'evento.
«Signorina Rinaldi?» la chiamò Lorenzo quando ebbe finito di parlare con Leonardo.
Lei distolse la propria attenzione da un’opera che aveva iniziato ad osservare con particolare attenzione «Sì, signor de’ Medici?» rispose con tono piatto, ma dentro si sentiva piuttosto agitata. Non aveva dei lieti trascorsi con il rettore.
«Le invierò un’e-mail con tutti i dettagli dell’evento che stiamo organizzando e mi aspetto che lei ci dedichi un buon numero di pagine nelle prossime uscite del giornale, magari senza mettere in imbarazzo l’università. Se farà un buon lavoro, potrei anche decidere di dimenticare l’inconveniente di alcuni mesi fa».
Un sorriso tirato e finto apparve sul volto di Emilia «Certamente».
Lorenzo si congedò, salutando il professore ed uscendo a passo svelto dall’aula.
A quel punto, mentre anche gli altri studenti arrivavano, Emilia e Leonardo presero posto ad uno degli ultimi banchi della piccola aula.
«Cosa hai combinato con il rettore? Sembrava che volesse fulminarti. E di che inconveniente parlava?» domandò Leonardo all’amica, incapace di trattenere la propria curiosità.
Lei lo guardò assumendo un’espressione fintamente contrita, ma si notava lontano da chilometri che in realtà la cosa la divertiva «Sì, ecco, diciamo che da come sono arrivata qui mi sono fatta notare. Prima ho avuto una discussione con il rettore quando non ha accettato di stanziare dei fondi in più per il laboratorio di giornalismo, perché a detta sua non valeva la pena investire più di tanto in un laboratorio creato e gestito da studenti. Poi, prima della fine delle lezioni dello scorso semestre…» e qui Emilia dovette mordersi il labbro inferiore per riuscire a trattenere un sorrisetto irriverente «Devi spere che si vocifera di una relazione tra Lorenzo e una studentessa, Lucrezia Donati, la ragazza che stamattina hai guardato come se volessi spolpartela viva».
«Allora è così che si chiama!» esclamò Leonardo, tutto contento per aver appreso inaspettatamente chi fosse la ragazza in questione, e per nulla turbato al pensiero che potesse essere l’amante segreta del rettore.
«Leonardo!» lo ammonì Emilia, come per dire che non era quello il punto della loro conversazione, ma poi non riuscì a trattenersi dal ridacchiare «Comunque è successo che alcuni mesi fa un vignettista del giornale ha fatto questo disegno che alludeva alla relazione “segreta” tra il rettore e Lucrezia Donati... beh, a lui la cosa ovviamente non è piaciuta, e se l’è presa con me per il fatto che avessi approvato che una cosa simile venisse pubblicata».
Leonardo la guardò con un misto di sorpresa, ammirazione e divertimento «Sei diventata proprio una teppistella. Chi sei? Che ne hai fatto della Emilia sempre attenta alle regole che conoscevo io?».
Lei fece spallucce, continuando a sorridere «Che posso dirti? Mi mancavi. Tra noi due eri sempre stato tu il combinaguai che rendeva meno noiose le mie giornate e bilanciava il mio essere una signorina tutta precisione ed eleganza, perciò da quando siamo stati separati ho dovuto arrangiarmi da sola»
L’altro le rivolse uno sguardo ed un sorriso carichi di sincero affetto, poi le cinse le spalle e l’attirò a sé «Devo ammettere che mi piace questa nuova versione di te» disse per poi darle un bacio sulla fronte.
«Signor da Vinci, potrebbe limitare queste effusioni con la sua ragazza a luoghi che non siano la mia aula? Gliene sarei molto grato» era stato il professore a parlare, attirando l’attenzione di tutti gli altri studenti su loro due.
«Lei non è la mia…» farfugliò Leonardo, separandosi rapidamente da Emilia. Entrambi erano arrossiti.
Spesso erano stati scambiati per fratelli, ma fino ad allora mai nessuno aveva pensato che fossero una coppia.
Gli altri li guardavano sghignazzando, e persino Verrocchio parve divertito. Un attimo dopo attirò nuovamente l’attenzione della classe e cominciò la lezione che aveva preparato per quel primo giorno di laboratorio.
Ancora rossi per l’imbarazzo, Emilia e Leonardo si guardarono e a stento riuscirono a trattenersi dallo scoppiare a ridere.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2


L’anno accademico era appena iniziato, ma da quando Lorenzo de’ Medici aveva annunciato la sua idea di tenere una festa in maschera in occasione della sera di halloween, tutta l’università era in fermento. In particolare gli studenti dei laboratori direttamente coinvolti nell’organizzazione, perciò l’intero mese di ottobre fu stressante per gran parte degli studenti, che dovevano destreggiarsi tra studio, lezioni e laboratori.
«Per iniziare in allegria il nuovo anno accademico ha detto?» borbottò Emilia parlando con Giuliano de’ Medici, fratello del rettore, studente e creatore del laboratorio di teatro e recitazione di cui anche lei faceva parte.
«Certo! Cosa c’è di meglio del farsi in quattro tra lezioni, studio, laboratori e l’organizzazione di questa pagliacciata per tenere alto l’umore?» continuò la ragazza con tono scocciato ed irrispettoso, mentre tirava fuori dallo sgabuzzino una scatola di nastri e piante finte da usare per decorare il cortile dove si sarebbe tenuta la festa.
Giuliano la guardò con espressione strana, come se fosse indeciso se mostrarsi più offeso o più sorpreso «Non credo sia bello che tu parli male di mio fratello con me».
Lei alzò un sopracciglio con aria quasi di sfida «Perché? correrai a riferirglielo? Non che mi importi. Parlerei male di lui anche davanti a lui».
L’altro la fissò per alcuni istanti, poi sospirò con fare quasi rassegnato mentre prendeva un altro scatolone, ma stava sorridendo, perché dopotutto neanche lui condivideva le idee del fratello, il più delle volte, e poi conosceva Emilia da un anno ormai, e aveva capito che quella spaventosa ma affascinante ragazza era fatta in quel modo… e, dopotutto, a lui piaceva.
Ma Emilia non era la sola ad avere il suo bel da fare per quella festa, anche Leonardo passava quasi tutto il suo tempo libero a lavorare al suo progetto per lo spettacolo finale della serata. Un progetto che, a quanto pareva, doveva restare un segreto, dato che non aveva detto a nessuno a cosa diavolo stesse lavorando.
«Speriamo che quel tuo amico, Leonardo, non faccia disastri, a quanto so non è un tipo molto affidabile» disse Giuliano mentre iniziava a montare alcuni pannelli sul palco che avevano allestito e che per l'occasione avrebbe ospitato un concerto gentilmente offerto dalla band del laboratorio di musica.
Emilia lo osservò, un sorriso impertinente dipinto sulle labbra «Non credo sia bello che tu parli male di mio fratello davanti a me».
Giuliano spalancò gli occhi «Lui è…? Aspetta, non è possibile, non avete lo stesso cognome… almeno non mi sembra» la sua espressione si fece pensierosa. Evidentemente non ricordava il cognome di Leonardo… o quello di Emilia.
Lei rise divertita per l’espressione dell’altro «Non siamo fratelli, ma siamo cresciuti insieme praticamente per tutta la vita fino ai sedici anni, perciò è come se lo fossimo».
L’espressione fintamente pensierosa che si dipinse sul volto dell’altro aveva un che di comico «Quindi come devo comportarmi? Se voglio chiederti di uscire devo preoccuparmi che tuo fratello tenterà di uccidermi, oppure posso stare tranquillo?».
Emilia lo guardò con espressione tra il rassegnato e lo scocciato «Non puoi proprio rassegnarti all’idea che io non voglia uscire con te? Devi proprio farti tutte le agazze di Firenze?».
«Oh no, non direi. So che quello è il tuo obiettivo» ribatté lui irriverente, riferendosi al fatto che Emilia, da quando era arrivata lì un anno prima, aveva già guadagnato un certo numero di conquiste tra le ragazze dell’università e non solo «Perciò non vuoi uscire con me perché, vista la mia fama di donnaiolo, io per te rappresento la concorrenza?».
L’altra non riuscì ad impedirsi di scoppiare a ridere «Sì, possiamo dire che è così. Basta che tu smetta di provarci con me».
L’altro alzò le mani in segno di resa, poi continuarono ad allestire il palco in silenzio, mentre gli altri membri del laboratorio di teatro si occupavano di decorare il resto del cortile.

 
La sera della festa infine arrivò, e finalmente Da Vinci si decise a riemergere dalla sua fossa... espressione calzante considerato il fatto che aveva optato per un costume da zombie.
Emilia lo guardò con aria di estrema disapprovazione «Pensavo fosse accuratamente specificato, nell’articolo sul giornale e nei volantini, che il dress code per la serata dovesse essere sobrio, elegante e soprattutto privo di eccessi» disse togliendo per un attimo dagli occhi la maschera di pizzo e piume così da osservare meglio l’amico.
Beh, tecnicamente stava indossando quello che poteva definirsi un completo adatto alla serata: camicia rossa, una sottile cravatta nera, pantaloni anch’essi neri e scarpe classiche. Solo che la cravatta era allentata e stropicciata, così come era stropicciata anche la camicia i cui primi tre bottoni non erano stati abbottonati, per non parlare poi dei capelli scarmigliati e del trucco che l’altro aveva usato per far apparire il suo volto cadaverico come quello di un morto.
Leonardo fece spallucce e si stampò in volto la sua solita espressione indolente «Ma è halloween! Che gusto c’è a fare una festa in maschera in questo giorno se poi devo vestirmi come un impiegato ad una festa aziendale».
Emilia sospirò con fare rassegnato, ma non poté impedire ad un sorriso divertito di spuntarle sulle labbra «Sei sempre il solito…».
Rimise la maschera e, insieme a Leonardo, si avviò verso il cortile interno, i tacchi a spillo delle scarpe che ticchettavano ad ogni passo. Lei indossava un abito completamente nero, lungo e stretto, con uno spacco sul lato destro della gonna che arrivava fino a metà coscia; le spalle nude esposte senza alcun timore all'umidità della sera, con soltanto una cascata di riccioli a fare da debole barriera contro il freddo. Unica nota di colore nel suo abbigliamento di quella sera erano le ciocche dalle tenui tonalità di verde, viola e azzurro sulla frangia dei suoi capelli castano scuro.
Nico e Zoroastro erano già ad aspettarli all'arco che consentiva l’ingresso al cortile.
Il primo indossava dei semplici pantaloni blu scuro, una camicia bianca e una giacca azzurra, sugli occhi portava una semplice maschera dello stesso colore della giacca.
L'altro invece era vestito interamente di nero, fatta eccezione per la cravatta color oro e la maschera tempestata di brillantini dorati. Alto com'era e vestito in quel modo, con quella maschera così luminosa, da lontano sarebbe potuto passare per un palo della luce, e quando rimase a fissare Emilia con lo sguardo da stoccafisso e la bocca spalancata rischiò davvero di inghiottire qualche moscerino.
Emilia li salutò entrambi con un cordiale «Buonasera, ragazzi» ignorando completamente il fatto che Zoroastro la stesse guardando come se non avesse mai visto una donna in vita sua.
Dopo averli salutati, Nico prese ad osservare Leonardo con un cipiglio contrariato, esprimendo il suo disappunto sul fatto che l'amico avesse il vizio di esagerare ogni volta.
Terminate le ramanzine e riportato Zoroastro ad una realtà diversa dalle curve sinuose di Emilia, l'allegro gruppetto si incamminò verso il luogo della festa, dove la maggior parte degli studenti era appena arrivata e dove l'orchestra del laboratorio di musica aveva già cominciato a suonare.


Alcune persone avevano cominciato a ballare nel piccolo spazio davanti al palco, altre semplicemente se ne stavano ai margini del cortile chiacchierando amabilmente, mentre qualcuno si stava già scolando uno dietro l'altro diversi bicchieri di alcolici. Il gruppo di studenti del laboratorio di cucina continuava a vantarsi di quanto fossero eccellenti gli stuzzichini che avevano preparato per quella sera e cercavano di invogliare tutti ad assaggiarli, ma Emilia aveva qualche dubbio sul fatto che quelli lì fossero capaci di creare qualcosa di commestibile.
Ovunque si girasse, la ragazza vedeva gente mascherata elegantemente vestita, eppure non riusciva a trovare l'unico zombie in quella marmaglia. Leonardo era sparito... di nuovo, e proprio sotto il suo naso.
A cosa era servito chiedergli di farle da cavaliere se poi appena arrivato spariva?! D'accordo, lo aveva fatto solo per evitare discretamente gli inviti di altri ragazzi che avrebbero potuto provarci con lei, e soprattutto per tenere a distanza Giuliano, ma proprio per questa ragione Leonardo le sarebbe dovuto restare appiccicato come una cozza sullo scoglio.
E invece adesso era da sola, un po’ nascosta dietro una delle colonne che circondavano il cortile.
«Ma dove diavolo è sparito? Avrebbe almeno potuto avvisare» borbottò tra sé e sé mentre si passava le mani sulle braccia nude, pentendosi di non aver portato almeno uno scialle.
«Hai l'aria di una che ha bisogno di qualcosa di forte» Zoroastro apparve nel suo campo visivo tenendo in mano due bicchieri con dentro qualcosa di non ben definito e di uno strano azzurro pallido.
Ne porse uno ad Emilia, che lo afferrò, ma senza bere, limitandosi a guardare con aria dubbiosa quel drink dall’aria molto alcolica e molto poco salutare.
«Grazie del pensiero, ma… non amo i superalcolici» rispose facendo una smorfia «E poi come faccio ad essere certa che non ci hai messo dentro qualcosa che ti consenta di approfittarti di me?».
Il ragazzo sospirò e prese un paio di sorsi dal proprio drink prima di rispondere «Non sono il tipo che fa certe cose, non mi approfitto delle ragazze che non sono nel pieno delle loro facoltà mentali. Per non parlare del fatto che, se lo facessi con te, Leonardo probabilmente mi ucciderebbe e getterebbe i miei resti nell’Arno»
Un sorriso inquietante apparve sulle labbra di Emilia «Oh ma non ci sarebbe bisogno di lui, perché appena ritrovate le mie facoltà mentali sarei io stessa a farti a pezzi» lo disse in un tono quasi dolce, ma Zoroastro capì che non scherzava affatto e gli si gelò il sangue nelle vene.
Prese nuovamente il bicchiere dalle mani dell’altra, lo portò alle labbra e bevve alcuni sorsi «Visto? Niente di cui preoccuparsi» disse per poi porgerle nuovamente il bicchiere.
Emilia sembrò finalmente convincersi ed assaggiò un paio di sorsi di quel drink dallo strano colore «Davvero buono!» esclamò, senza nascondere una certa sorpresa «Che cos’è?».
«Non ne ho idea!» rispose l’altro facendo spallucce e mettendo su un’espressione da schiaffi «Ho chiesto al tizio dell’open bar di mescolare insieme vari alcolici che mi ispiravano, ma non so davvero cosa ci ho fatto mettere dentro».
Emilia spalancò gli occhi, poi afferrò il bicchiere di Zoroastro poco prima che questi prendesse un altro sorso, guadagnandosi uno sguardo di protesta.
«Evitiamo di sentirci male, d'accordo?» disse, svuotando il contenuto di entrambi i bicchieri in un vaso per i fiori lì vicino.
«Credo di essere abbastanza grande da poter decidere da solo cosa bere» protestò Zoroastro incrociando le braccia al petto con aria offesa.
Anche lei incrociò le braccia al petto e lo guardò con aria quasi di sfida «Non ti terrò la testa mentre vomiti quell'intruglio».
«Nessuno te lo ha chiesto» ribatté ancora lui, ma un angolo delle sue labbra si piegò in un sorrisetto. Doveva ammettere che si divertiva a discutere con Emilia.
Lei aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma poi restò in silenzio, lo sguardo fisso in un punto oltre la spalla di Zoroastro.
«Merda» borbottò prima di voltarsi come per non farsi vedere da qualcuno.
Zoroastro rimase interdetto e diede uno sguardo alle proprie spalle, dove una ragazza dai lunghi riccioli biondi stava fissando insistentemente nella loro direzione.
«Perché quella ragazza ci fissa?» domandò confuso.
«Perché qualche mese fa sono andata a letto con lei, e da allora è diventata un tormento, è convinta che il nostro sia vero amore e tutte quelle stronzate là»
«Ooooh! Capisco…» disse, senza riuscire a trattenere un certo divertimento nella voce. Oh quante volte era capitata anche a lui una cosa simile
«Quella tua aria divertita mi irrita» rispose lei lanciandogli un'occhiata torva.
Lui ridacchiò, poi guardò ancora alle proprie spalle «Comunque ti conviene pensare a qualcosa» disse con aria impertinente «La tua bella biondina sta venendo dritta dritta qui… e non sembra per niente felice».
Emilia emise uno sbuffo esasperato. Non sapeva più come spiegare a Giada... no, Giulia... o forse era Giorgia? Insomma, qualunque fosse il nome di quella biondina lei non sapeva più come spiegarle che tra loro non c'era nulla.
Dannazione, era stata solo una notte e neppure si conoscevano, che cosa pretendeva? Non poteva sperare che ogni persona per cui aprisse le sue lunghe gambe da modella poi si gettasse ai suoi piedi giurandole amore eterno.
Le venne un'idea, probabilmente la più malsana della sua esistenza, ma non aveva importanza, in quel momento contava soltanto togliersi da quella scomoda situazione.
Si voltò verso Zoroastro, gli afferrò la cravatta e, con un movimento rapido e deciso fece scontrare le loro labbra.
Dopo l’iniziale sorpresa che lo aveva reso immobile come una statua di sale, il ragazzo si decise a ricambiare il bacio. Posò le proprie mani sui fianchi di Emilia, saggiando la morbidezza delle sue curve e si spinse un po' di più contro quel corpo snello ma morbido. Accarezzò con la lingua il labbro inferiore della ragazza, sentendo il sapore del lucidalabbra alla ciliegia, e stava per approfondire ancora di più quel contatto tra loro, quando la magia finì.
Emilia aveva interrotto il bacio in modo tanto brusco come lo aveva iniziato, una volta resasi conto che la scocciatura bionda non era più nei paraggi. Scostò le mani di un imbambolato Zoroastro dai propri fianchi e gli diede una pacca sulla spalla.
«Devo dire che baci bene. Spero tu non ci sia rimasto male per quello che ho fatto, è stata l'unica cosa che mi è venuta in mente in quel momento. Ci si vede» così dicendo si incamminò verso il tavolo adibito ad open bar a prendere qualcosa che non fosse un intruglio indefinito di superalcolici.
Zoroastro rimase a fissarla andare via con quella sua camminata sensuale e sicura che avrebbe fatto perdere la testa a chiunque. Non ci era rimasto male, aveva capito fin da subito il motivo di quel bacio, ma non per questo si sarebbe fatto scappare l'occasione di goderselo. Gli era piaciuto, e anche tanto.
Si leccò le labbra, dove poteva ancora sentire il sapore del lucidalabbra alla ciliegia mischiato a quello della ragazza.
 

Leonardo si sentiva un po' in colpa, aveva promesso alla sua cara Emilia di farle compagnia quella sera, ma appena arrivato aveva preferito controllare che tutto fosse pronto e in ordine per lo spettacolo di fine serata che lui aveva così accuratamente ideato.
Era importante, quel progetto avrebbe potuto concedergli un biglietto diretto per il concorso nazionale, e forse anche portarlo a vincere.
Una volta controllato che tutto fosse al proprio posto, era tornato alla festa in cerca di Emilia, ma poi si era imbattuto in due magnetici occhi color smeraldo nascosti dietro un'elegante maschera nera e rossa finemente decorata. Quegli occhi lo osservavano insistenti, lo scrutavano comunicandogli un tacito invito che era anche una piacevole promessa, e il ragazzo si ritrovò a domandarsi se la proprietaria di quei magnifici occhi fosse consapevole del fatto che lui l'avesse riconosciuta.
Lo scambio di sguardi si interruppe quando la ragazza vestita da fenice si spostò verso la pista da ballo insieme al proprio accompagnatore, il lungo abito che svolazzava intorno al suo corpo come fiamme vive.
Da quel momento in poi ciò che accadde fu quasi di poca importanza per Leonardo, passò il resto della serata chiacchierando con alcuni compagni di corso, bevendo, assaggiando qualche stuzzichino vegetariano, ma con lo sguardo cercava continuamente la ragazza fenice, era così distratto che quasi non sentì nemmeno i complimenti del rettore riguardo l'idea che gli aveva presentato quella mattina per concludere in bellezza l'intrattenimento della serata.
E quando arrivò il momento del suo spettacolo, che lasciò tutti a bocca aperta, lui quasi non ci fece neppure caso, a stento udì i complimenti dei suoi amici, troppo preso da colei che già settimane prima aveva catturato la sua attenzione e che quella sera gli aveva fatto capire di ricambiare.
Forse fu a causa dell'alcol che gli aveva annebbiato un po’ la mente, forse fu a causa del magnetismo di quegli occhi verdi che lo avevano completamente rapito. Fatto sta che poco dopo, senza nemmeno sapere come, si ritrovò in un vecchio ufficio ormai in disuso, con il corpo nudo di Lucrezia Donati contro il proprio, e i loro appena accennati sospiri di piacere a riempire la stanza.
Bruciarono in fretta come il fuoco che sembrava lambire l'abito della ragazza, e si ritrovarono stretti l'uno all'altra su quella vecchia scrivania cigolante e polverosa.
Leonardo allungò una mano verso la maschera che la donna aveva tenuto per tutto il tempo e fece per toglierla, ma lei gli afferrò il polso fermandolo.
«Credi che non ti abbia riconosciuta, Lucrezia?» disse sorridendo, e a quel punto lei si lasciò spogliare anche della maschera.
Si baciarono ancora, e ancora, e ancora, fino a lasciarsi travolgere nuovamente dalla passione.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3


L’idea di Leonardo per la sera della festa aveva fatto un tale successo che da giorni tutti non parlavano d’altro, e il nome del ragazzo era stato prontamente inserito nella lista di coloro che avrebbero partecipato al concorso nazionale. Una grande soddisfazione, certo, ma anche un impegno non da poco, dato che avrebbe dovuto ideare e realizzare, entro sei mesi, un progetto estremamente innovativo.
Ma il suo successo era stato notato ben al di fuori delle mura dell’università, giungendo fino a Roma, un po’ grazie ai social, ma soprattutto grazie ad un informatore di cui tutti erano ignari…
Girolamo Riario scese dal treno una volta giunto alla stazione di Santa Maria Novella, meta del suo viaggio.
Non era mai stato a Firenze prima, non ne aveva avuto motivo, Roma era bella, la città eterna la chiamavano, così piena di vita e di storia che difficilmente a lui era venuto il desiderio di visitare altre città. Inoltre, fare il turista non era proprio da lui, infatti non si perse troppo ad osservare i palazzi storici e le chiese che incontrava sul suo cammino mentre si dirigeva verso l’hotel che aveva prenotato.
Era lì per un motivo e non aveva intenzione di perdere tempo inutilmente. Suo zio, Sisto Alessandro della Rovere si aspettava dei risultati concreti, perciò aveva deciso di mandarlo lì a trattare personalmente con Lorenzo de’ Medici, e lui non lo avrebbe deluso.
Lasciò il piccolo trolley da viaggio nella stanza e, dopo essersi dato una rapida sistemata, si diresse direttamente all’Università de Medici.
Non aveva un appuntamento, né aveva provveduto ad annunciare in alcun modo il proprio arrivo, ma era certo che il rettore lo avrebbe ricevuto senza esitazione una volta saputo chi volesse parlare con lui. E così fu.
Lui e Lorenzo si salutarono con la fredda cortesia tipica di due persone che non nutrono alcuna stima o rispetto l’una per l’altra, ma che sono comunque intenzionate a mostrare una parvenza di educazione.
«Perciò l’ex senatore della Rovere ha mandato nientemeno che suo nipote, nonché suo segretario, a trattare direttamente con me. Confesso che sono quasi lusingato» disse Lorenzo con tono beffardo.
Girolamo si lasciò sfuggire una smorfia di fastidio appena percettibile, ma non perse la sua abituale calma «Questioni di tale importanza non possono certo essere lasciate a chiunque» rispose «Parlerò francamente, signor de’ Medici. Come sa, mio zio è interessato ad una… unione, diciamo così, tra le vostre università, ed è inutile negare che la cosa sarebbe vantaggiosa soprattutto per la de Medici».
«Sul serio? Beh, allora mi illumini su quali sarebbero questi vantaggi, perché tutto quello che vedo io è il nome della mia famiglia che viene cancellato dalla stessa istituzione che ha fondato» ribatté Lorenzo, con lo stesso tono beffardo usato poco prima.
L’altro dovette fare un enorme sforzo per non rispondere in modo sgarbato a quel tono beffardo e a quell’atteggiamento ostile.
«Ovviamente nessuno vuole portarle via l’università della sua famiglia, lei continuerebbe ad essere il rettore, sebbene sotto il nome e le direttive dell’Università Santa Sede» risponde sempre in tono calmo e formale «Riguardo i vantaggi…beh, l’università di mio zio ha stipulato accordi e gemellaggi con molte università italiane, e anche con alcune università estere, per non parlare del fatto che abbiamo molti più studenti e con una miglior preparazione. Per noi sarà una passeggiata vincere il concorso nazionale, al contrario di voi, che ora non potete contare più neanche sull’appoggio dell’università di Milano».
Quella volta Lorenzo non riuscì a trattenere una risatina di scherno «Che premura da parte di suo zio, preoccuparsi così tanto per le sorti della mia università» disse sarcastico «Ma – e credo che troverete i miei dubbi legittimi – se davvero siete convinti di poter vincere il concorso, perché cercare così ardentemente di togliere la mia università dai giochi? Io credo, signor Riario, che suo zio tema la de’ Medici, perché forse, nonostante ciò che avete detto, i nostri studenti sono più capaci dei vostri».
«Oh io non ne sarei così convinto» ribatté il romano, senza trattenere una nota di rabbia nella voce «Fate come credete, Lorenzo, ma vi assicuro che mio zio ha molti modi per ottenere ciò che vuole».
Quella era una minaccia in piena regola, ma Lorenzo non volle accogliere la provocazione «Adesso avrei del lavoro da sbrigare. Magari la prossima volta avrebbe potuto inviare un’e-mail e risparmiarsi questo viaggio. Sa, forse suo zio non se ne è accorto, ma siamo nel Ventunesimo secolo».
Senza ribattere più nulla, Girolamo uscì dallo studio del rettore.
Sicuramente Sisto non sarebbe stato contento dell’esito di quella conversazione, ma in realtà il proprio compito lì non era ancora concluso. C’erano tanti modi per convincere qualcuno a cedere.
Ovviamene aveva saputo di quello studente, Leonardo da Vinci, e della sua favolosa invenzione che rivelava un prodigioso talento. Ora doveva solo trovarlo e convincerlo a lasciare la de’ Medici per andare a studiare a Roma, ma quella seconda parte era certo che non sarebbe stata un problema: l’Accademia Santa Sede era una delle più esclusive università d’Italia, e lui gli avrebbe offerto anche una cospicua borsa di studio. Chi mai avrebbe rifiutato?
E se anche lo avesse fatto, lui avrebbe comunque trovato un modo per indurlo ad accettare.
La provvidenza volle che, proprio mentre controllava sul cellulare le informazioni che Lucrezia Donati gli aveva inviato, per capire dove potesse trovare Leonardo da Vinci a quell’ora, una ragazza gridò poco distante dal lì proprio quel nome.
Girolamo si voltò nella direzione da cui era arrivata quella voce e notò un ragazza dai capelli scuri striati con varie ciocche pastello correre verso un ragazzo.
«Razza di zuccone, hai dimenticato il libro in aula studio» stava dicendo lei mentre gli porgeva un grosso tomo, probabilmente di architettura, a giudicare dalla foto sulla copertina.
Erano ad appena pochi metri di distanza, e non è che la ragazza stesse parlando a bassa voce, perciò Girolamo  riusciva senza difficoltà a sentire cosa si stessero dicendo.
«E tu dovresti essere lo studente più talentuoso della de’ Medici? Sei sempre così distratto che mi sorprende che la tua idea per la festa non sia esplosa ammazzando qualcuno» continuò lei.
Sì, ora non c’erano dubbi, quel ragazzo era proprio il Leonardo che lui stava cercando.
Lui rise, probabilmente divertito dall’atteggiamento dell’altra «Oh Emilia, è sempre bello vedere quanta fiducia tu abbia in me».
L’altra sospirò e scosse la testa con aria rassegnata «Vedi di non dimenticare anche il cervello da qualche parte. Io adesso devo andare al laboratorio di giornalismo. Ci vediamo più tardi» detto ciò, si allontanò, sparendo oltre un ampio portone.
A quel punto Girolamo si avvicinò al ragazzo e, sorridendo con aria cordiale, lo salutò «Salve! Tu sei Leonardo da Vinci? Il ragazzo che ha ideato quel meraviglioso spettacolo di cui tutti parlano.
L’altro lo guardò stralunato per qualche istante, poi fece un sorrisetto «Sì, sono io» rispose, con l’aria di chi si era sentito rivolgere quella domanda già decine di volte negli ultimi giorni.
Il romano allungò la mano «Io sono Girolamo Riario, piacere di conoscerti».
Leonardo esitò qualche istante, quasi con diffidenza, poi sembrò rendersi conto che non sarebbe stato educato non stringergli la mano, così ricambiò la stretta «Piacere… mio…?!».
«Sono qui per conto dell’Accademia Santa Sede, l’università di Roma. Il tuo recente successo è giunto fino a noi. Un semplice studente che con ben pochi mezzi riesce ad ideare uno spettacolo di tale portata tecnologica è qualcosa che non si vede tutti i giorno».
«Oh!» Leonardo ritrasse la mano quasi scottato e la diffidenza nel suo sguardo divenne ancora più palese. Pareva quasi che stesse trattando con il diavolo in persona ma non avesse alcuna intenzione di lasciarsi ammaliare dalle sue promesse.
Girolamo non si lasciò scoraggiare da quell’atteggiamento «Sisto Alessandro della Rovere, il rettore dell’università, sarebbe ben felice di averti tra i suoi studenti» disse con tono sicuro «Penso tu sappia quanto rinomata ed esclusiva sia la nostra università. Disponiamo di corsi di studio all’avanguardia ed un’invidiabile archivio con volumi inediti che appartengono alla famiglia della Rovere da secoli, e la cui consultazione è consentita soltanto agli studenti della nostra università».
Leonardo ora lo fissava con un sopracciglio inarcato «Perciò, proprio come un serpente, mi state offrendo il frutto proibito per convincermi a passare dalla vostra parte?».
Girolamo rise per quella scelta di parole, trovandola sinceramente divertente «Se proprio ti piace vederla così, potremmo dire che hai ragione» rispose «Ma questa non è mica una guerra, non devo convincerti a passare dalla parte di nessuno, solo offrirti un’opportunità».
«Beh, visto l’imminente concorso nazionale, tecnicamente, lo è» ribatté Leonardo, il tono saccente.
«Oh, è così che la vedete voi fiorentini?».
«È così che la vedete voi romani, a quanto pare. Altrimenti tu non saresti qui a cercare di convincermi a cambiare università» Leonardo iniziava a spazientirsi «Comunque ora devo andare. Riferisci pure a Sisto che non ho intenzione di stravolgere la mia vita per venire a Roma, non importa quanto esclusiva sia la sua università» concluse per poi allontanarsi a grandi passi.
Girolamo digrignò i denti mentre guardava l’altro sparire in un’aula.
Quella giornata si era rivelata un vero fiasco, Sisto sarebbe stato ancor più contrariato di quanto si sentisse lui in quel momento. Ma non tutto era perduto. Non sarebbe andato fin lì senza avere almeno un altro piano di riserva.
Se non poteva ottenere con le buone ciò che voleva, lo avrebbe fatto con le cattive.
 
 
Leonardo stava cercando di tirar fuori qualche idea per il concorso nazionale, ma niente, il vuoto totale. Tutte le geniali idee che aveva di solito sembravano aver deciso di farsi un giro da qualche altra parte in quel periodo.
Inoltre non smetteva di pensare alla conversazione avuta un paio di giorni prima con quel ragazzo, Girolamo Riario. Non sapeva spiegarsi il perché, ma quel loro incontro gli aveva messo addosso una strana inquietudine, come se avere un emissario di Sisto in giro per Firenze non lo facesse stare tranquillo.
… Diamine, iniziava davvero a pensare a tutta quella faccenda nei termini di una guerra. Neanche fossero nel Rinascimento e Sisto stesse cercando di assoggettare al suo volere l’intera Firenze.
Sbuffando accartocciò il foglio pieno di scarabocchi che aveva davanti e lo gettò via. Si disse che doveva smettere di pensare a quella situazione, era ridicolo ed irrazionale preoccuparsi così tanto per una cosa del genere, e lui aveva bisogno di concentrare tutte le proprie energie per farsi venire qualche nuova idea.
Ma non ora. Per il momento aveva soltanto bisogno di staccare la mente da tutto.
Erano le sei di sera di un venerdì e l'università era quasi completamente deserta. Leonardo uscì dall’aula studio in cui si era rinchiuso nelle ultime ore e andò dritto in quella di giornalismo, dove sapeva che avrebbe trovato Emilia intenta a revisionare l’edizione del giornale del prossimo lunedì.
«Dovresti iniziare a farti pagare visto l’impegno che ci metti per questo giornale» commentò Leonardo, entrando nell’aula in cui era rimasta soltanto Emilia.
«Mi ripagano in crediti universitari, che per uno studente sono il bene più prezioso» rispose lei divertita, rivolgendo un cenno di saluto all’amico, per poi tornare a fissare lo schermo del PC che aveva davanti, esaminando con aria dubbiosa un articolo su una nuova mostra agli Uffizi.
«A te com’è andata? Ti è arrivata qualche miracolosa illuminazione?» gli domandò.
Leonardo sedette su una delle sedie presenti nell’aula, sbuffando sconsolato «Niente di niente. La mia mente è completamente vuota» rispose, per poi fare un gesto con la mano come a dire che non importava, che non voleva pensarci «Comunque sono qui perché volevo sapere se ti va di venire con me e gli altri al pub Artist, stasera».
L’altra smise per un attimo di correggere l’articolo sugli Uffizi per poter guardare Leonardo, il sopracciglio sinistro inarcato in un’espressione a metà tra lo scettico e il divertito «Degli studenti di arte che si incontrano al pub Artist? La cosa è voluta o non ci avete fatto caso?».
Lui sorrise divertito «Beh, siamo a Firenze, è piuttosto difficile trovare qualcosa che non abbia riferimenti all’arte o alla storia» rispose «Ma no, non lo abbiamo fatto apposta. La nostra amica Vanessa lavora lì nel weekend, perciò, siccome non può mai uscire con noi per questo motivo, andiamo noi da lei».
«Oh, dici Vanessa Moschella? La conosco, viene al laboratorio di teatro» rispose Emilia, poi guardò l’altro con aria maliziosa e divertita «E so che tu e lei avete avuto una mezza relazione, prima che tu partissi per il tuo viaggio in giro per il mondo».
Leonardo mise su un’espressione fintamente innocente e fece spallucce, come a dire “che ci posso fare? Cose che succedono”.
Emilia rise di gusto, poi riprese a fare le ultime correzioni all’articolo «Comunque ci sono per stasera» rispose mentre chiudeva tutti i programmi e spegneva il computer «A che ora?».
«Alle nove» rispose l’altro.
Uscirono dall’aula e si avviarono verso l’uscita, parlando di quanto fosse faticoso per Leonardo dover prendere ogni volta i mezzi pubblici per tornare a casa dall’università, e viceversa, visto che l’unico appartamento libero abbastanza decente che aveva affittato insieme a Nico e Zoroastro era piuttosto lontano dal centro, e quanto invidiasse Emilia per il suo grazioso appartamento a pochi passi dall’università, affacciato direttamente sulla cupola del duomo.
Emilia era ricca di famiglia, molto ricca, si sarebbe potuta permettere qualunque cosa. Non che lui fosse povero, suo padre era abbastanza facoltoso e non lo lasciava certo senza soldi, anche se per lo più lo ignorava, ma comunque non era così ricco da potersi permettere di comprare un appartamento come quello di Emilia, e quando lui e gli altri erano tornati dal loro viaggio, con l’anno accademico ormai alle porte, era stato praticamente impossibile trovare un appartamento in affitto nei pressi dell’università.
«Oh maledizione!» sbottò Emilia all’improvviso, quando erano ormai quasi arrivati all’uscita.
«Sì, lo so, è triste che io non sia riuscito a trovare un appartamento in centro, ma non è necessario prenderla così tanto a cuore» disse Leonardo, scherzoso, pur sapendo benissimo che non era a quello che Emilia si stava riferendo.
«Ma no, ho dimenticato la giacca nell’aula di giornalismo» rispose lei «Aspettami qui, torno subito».
«E poi sarei io lo zuccone che rischia di dimenticarsi anche il cervello, eh?» le gridò lui dietro, in tono irriverente, mentre l’altra già stava correndo su per le scale.
In risposta, Leonardo si guadagnò un dito medio alzato.
Emilia corse più rapida che poteva, dando per scontato che a quell’ora di venerdì nessuno fosse più in università, ma quando svoltò l’angolo che l’avrebbe portata nel corridoio in cui c’erano le aule dei vari laboratori, andò a scontrarsi con un ragazzo.
Barcollò indietro e molto probabilmente sarebbe caduta se questi non l’avesse prontamente sorretta cingendole la schiena.
«Stia attenta, signorina».
Signorina? Ma da dove era uscito quel tipo? Da un romanzo dell’Ottocento?
Lei aprì gli occhi, che per istinto aveva chiuso aspettandosi un imminente impatto con il pavimento, e si ritrovò a fissare quelli grandi e scuri del ragazzo.
Non aveva idea di chi fosse, ma la prima cosa che pensò fu che era affascinante. Molto affascinante.
«Chiedo scusa. Non pensavo ci fosse qualcuno» disse mentre l’altro scioglieva quella stretta tra loro. Notò altri dettagli di lui, come il fatto che fosse vestito interamente di nero e che il suo abbigliamento era leggermente più elegante di quello della maggior parte degli studenti. Che fosse un professore? No, non sembrava nemmeno così tanto più grande di lei da poter essere un professore.
Decise di non pensarci troppo e si congedò in fretta, riprendendo la propria strada verso l’aula di giornalismo
Recuperò in fretta la giacca, e si accorse che lo schermo del PC era acceso. Strano, era certa di aver spento tutto, forse era stata solo una svista.
Quando uscì dall’aula per tornare da Leonardo, lo sconosciuto era già sparito. Non lo vide nemmeno sulla strada verso l’uscita.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4


Un timido raggio di sole, sfuggito per puro caso dall'opprimente morsa delle nubi cariche di pioggia che quel giorno sovrastavano Firenze, superò le tende lasciate leggermente aperte per posarsi proprio sugli occhi della ragazza dai capelli rossi che placidamente dormiva tra candide lenzuola, disturbando il suo sonno.
Emilia, già sveglia da un po', abbandonò sul comodino gli appunti di storia del cinema che stava ripassando e si affrettò a chiudere le tende per evitare che la luce disturbasse il sonno di quella che era stata la sua compagna per quella notte, poi si diresse in bagno per fare la doccia.
Aveva conosciuto Beatrice alcune settimane prima, quando lei si era unita al laboratorio di teatro, la sera precedente si erano incontrate per puro caso in un bar in centro, avevano bevuto qualcosa e poi erano finite a letto insieme, con immenso piacere di entrambe.
Finito di lavarsi, Emilia indossò un paio di jeans grigio scuro un po' sbiaditi in alcuni punti, un maglioncino nero e gli immancabili stivaletti di pelle con le borchie, dopodiché andò in cucina per preparare la colazione, e lì Beatrice – ancora assonnata e mezza sfatta per la loro intensa attività della notte precedente – la raggiunse.
«Caffè?» domandò la padrona di casa con tono fin troppo neutro viste le circostanze.
«Si, grazie» rispose la rossa poggiandosi al tavolo rettangolare al centro della stanza «Abbiamo passato proprio una bella serata insieme. Quando mi sono svegliata pensavo che saresti stata ancora accanto a me» aggiunse vagamente timida.
Emilia si voltò verso di lei tenendo tra le labbra una fetta biscottata che addentò in fretta per poterle rispondere «Devo andare a lezione tra poco, non potevo permettermi di dormire fino a tardi».
L'altra ragazza afferrò la propria tazzina di caffè e se la rigirò tra le mani con fare incerto «Che ne dici se più tardi ci vediamo? O magari anche un altro giorno, quando hai tempo»
Emilia sospirò «Beatrice, non voglio illuderti, ma devi sapere che io non sono il tipo da relazioni serie o cose del genere. Solitamente è difficile che io passi con una persona più di una notte».
L’altra mise su un’espressione delusa, offesa e vagamente truce «Allora è vero quello che si dice di te! Che praticamente fai a gara con Giuliano de’ Medici su chi di voi due conquisti più ragazze!»
«Eh? Chi l’ha messa in giro questa voce? Io non faccio a gara proprio con nessuno».
«Certo! Chi ci crede!» borbottando quelle parole, Beatrice poggiò con rabbia la tazzina sul tavolo, rovesciando tre quarti del caffè sulla superficie in vetro, per poi dirigersi in bagno sbattendo la porta.
Emilia si massaggiò le tempie «Forse è il caso di smetterla con tutto questo. La situazione sta diventando imbarazzante» mormorò tra sé e sé.
Quel lunedì non era certo iniziato nel migliore dei modi, il fatto stesso che fosse lunedì era motivo di lutto, inoltre c'era un tempo da cani, poi la discussione con Beatrice.
Come se tutto quello non bastasse si era anche svegliata con un tremendo mal di testa, e per lei il mal di testa era come una sorta di sesto senso: qualcosa di terribile stava per accadere.
Il suo cellulare vibrò e sullo schermo apparve il nome di Claudio, il vignettista del giornale.
 
Qualunque lezione, impegno, influenza o funerale tu abbia, dimenticatene! È successo un casino e il rettore ha convocato una riunione urgente con noi del giornale tra mezz'ora. CORRI IMMEDIATAMENTE QUI!
 
Emilia rimase a fissare il messaggio con aria interdetta per un paio di minuti, rileggendolo diverse volte. Cosa diavolo poteva essere accaduto di così grave? Questa volta lei era certa di non aver messo in circolazione nulla che non fosse stato approvato da Lorenzo in persona.
Abbandonò il cellulare sul tavolo e decise che quello era troppo, doveva sistemare almeno una questione, o alla fine di quella giornata l'avrebbero dovuta ricoverare in un ospedale psichiatrico.
Trovò Beatrice in camera da letto che finiva di indossare il cappotto, la rossa le lanciò uno sguardo torvo senza guardarla davvero negli occhi e non disse nulla, continuando a far scivolare i grossi bottoni nelle asole.
«Beatrice ascolta, mi dispiace, non era mia intenzione ferirti, mi hai solo presa un po' alla sprovvista. Io pensavo che anche per te fosse soltanto una notte di divertimento, non potevo immaginare che sperassi in qualcosa di più» le disse sinceramente dispiaciuta «E poi ti assicuro che non c’è nessuna strana gara tra me e Giuliano. Figurati se mi metto a fare gare di così cattivo gusto con quell’idiota».
Quelle parole riuscirono a far sorridere Beatrice, poi sospirò, ora più rilassata ma vagamente triste «No, devo chiederti io scusa. So chi sei e cosa cerchi, mi hanno detto che vuoi solo divertirti e solitamente non concedi più di una notte, sono stata io stupida a sperarci… e non avrei dovuto accusarti di fare a gara con Giuliano».
Da quelle parole e dal tono con cui le aveva pronunciate, Emilia si accorse che Beatrice doveva davvero essere interessata a lei.
«Senti» iniziò a dire guardandola intensamente negli occhi «è vero che solitamente non concedo più di una notte, ma non sono nemmeno una persona completamente senza cuore. Partendo dal presupposto che non posso prometterti che tra noi diventerà una cosa seria, Sono disposta a fare un’eccezione per te. Se ti fa piacere, potremmo vederci ancora».
Beatrice la guardò stupita, poi sorrise «No, va bene così. Tu sei fatta in questo modo, non voglio che ti senta costretta a comportarti in modo diverso per me» detto questo, le lasciò un rapido bacio sulle labbra, per poi andarsene.
Rimasta sola Emilia sospirò di sollievo, tutto sommato era andata bene. Certo, le dispiaceva per Beatrice, ma almeno avevano chiarito in modo pacifico.
Il sollievo durò appena un attimo, perché adesso aveva un'altra questione ben più complicata da affrontare.
 

Tutti gli studenti del laboratorio di giornalismo erano seduti attorno al tavolo ovale posto in fondo all'aula, ascoltavano in silenzio la ramanzina che Lorenzo De' Medici, fuori di sé, stava facendo a tutti loro. Solo Emilia sembrava non udire una sola parola, da ormai dieci minuti continuava a fissare con aria assente e sconvolta l'articolo in prima pagina che no, lei assolutamente non aveva mai visto, né tanto meno avrebbe mai potuto approvare.
Il giornale dell'università era una via di mezzo tra qualcosa di serio – visto il numero di articoli su eventi o argomenti di rilevanza artistica e letteraria, avvisi dei docenti, date d'esame – e una frivola rivista di gossip, ma quello era troppo anche per loro.
Il titolo a caratteri cubitali diceva: “LA VITA SEGRETA DI UN ARTISTA APPAENTEMENTE PROMETTENTE. SVELATA LA RELAZIONE TRA LEONARDO DA VINCI E JACOPO SALTARELLI”
Nell'articolo era scritto che il talentuoso Leonardo da Vinci, candidato al concorso nazionale, aveva più volte intrattenuto rapporti sessuali con il suddetto Jacopo, uno studente con la fama di prostituto, proprio tra le mura della prestigiosa università, usando il laboratorio di pittura, in cui si intratteneva spesso fino a sera, come luogo del misfatto. L'articolo induceva anche ad una riflessione riguardante l'università stessa: se fosse normale e tollerabile che un’istituzione di tale prestigio permettesse tali oscenità proprio all'interno delle stesse aule dedicate all’apprendimento e alla cultura, e se il livello dell'insegnamento fosse davvero adeguato visti gli eventi che si verificavano tra quelle mura.
Emilia non sapeva cosa dire, cosa fare o cosa pensare, nella sua mente si affollavano tanti diversi scenari possibili, troppi perché riuscisse a metterne davvero a fuoco qualcuno in modo razionale. Una sola cosa era certa: lei non aveva fatto nulla, ma era nei guai. Lei e l'intero laboratorio di giornalismo.
«Mi sta ascoltando, signorina Rinaldi?» la voce del rettore era furiosa e spazientita.
Emilia alzò pigramente gli occhi dalla copia del giornale per puntarli in quelli dell'uomo in piedi dalla parte opposta del tavolo e scosse quasi impercettibilmente la testa, troppo sconvolta per riuscire a parlare.
Lorenzo si passò una mano sugli occhi in un gesto esasperato «Mi sa spiegare cosa significa questo articolo? Ha forse deciso di mandare in rovina questa università?»
«Io non c'entro nulla con questo!» sibilò, assottigliando lo sguardo. Non tollerava l'idea che qualcuno potesse, anche solo per ipotesi, ritenerla in grado di ferire in quel modo Leonardo, il suo migliore amico.
«Allora mi spieghi come è finito quell'articolo in prima pagina!» urlò Lorenzo perdendo del tutto le staffe.
La ragazza sostenne lo sguardo dell'uomo in modo sicuro «Non avrei mai potuto fare una cosa del genere, tengo a questa università, e se non vuole credere a questo creda almeno al fatto che non avrei mai potuto fare una cosa del genere al mio più caro amico» disse senza il minimo tentennamento nella voce, per poi rilassarsi un po' contro lo schienale della sedia e riprendere a parlare «Inoltre lo stile di scrittura non è di qualcuno di questo laboratorio, ma piuttosto di qualcuno che non ha la minima idea su come si scriva un articolo di giornale, e qui nessuno è così incapace».
Il rettore si sedette, le mani giunte davanti al volto. In effetti si era accorto anche lui di quello. Prima dell'arrivo di quella ragazza il giornale dell'ateneo era praticamente privo di importanza, ma Emilia era riuscita a dare nuova vita a quello che era un decadente quanto anonimo laboratorio, facendo guadagnare qualità – sia nell'ambito dei contenuti sia in quello dello stile – ad un giornale prima ignorato dalla maggior parte degli studenti. Quel fastidioso articolo non rispecchiava minimamente il salto di qualità fatto nell'ultimo anno, né per contenuti, né per stile.
«Quindi lei mi sta dicendo che probabilmente qualcuno è entrato nei nostri sistemi informatici ed ha inserito quell'articolo prima dell'invio in stampa?». Non gli era difficile crederlo, e capiva anche chi potesse essere stato a farlo, ma non osò palesare quei sospetti, perché era meglio che gli studenti non sapessero degli attriti che aveva avuto con il rettore dell’università di Roma.
«Non so esattamente come, ma probabilmente è successa una cosa del genere» fu la risposta di Emilia.
Però lo scoprirò! Altroché se lo scoprirò, e poi farò a pezzi quel vile bastardo che ha osato fare una cosa del genere.
Pensò poi.
Il silenzio calò nell'aula, il rettore si accarezzava il mento mentre rifletteva sul da farsi, Emilia tornò a fissare il vuoto, arrabbiata per quanto accaduto, ma anche preoccupata per Leonardo.
«In ogni caso siamo in un bel guaio» disse ad un certo punto Lorenzo «I coniugi Ferdinando e Isabella, rettore e vicerettrice dell'università aragonese, verranno presto a farci visita, sembra vogliano fare un gemellaggio con noi nel caso vincessimo il concorso nazionale e accedessimo a quello internazionale, pertanto ci finanzieranno. Il problema è che la loro è un'università di stampo cattolico, basata su ferrei principi morali, se venissero a conoscenza delle cose scritte in questo articolo – non mi interessa se sono vere o false – potremmo dire addio ai loro cospicui finanziamenti. Perciò mi ascolti bene signorina Rinaldi, lei per prima cosa farà sparire ogni singola copia di questa maledettissima edizione del giornale, inoltre troverà il colpevole di tutto questo disastro. Se non lo farà le assicuro che il laboratorio di giornalismo cesserà di esistere. Sono stato chiaro?».
«Cristallino!» rispose Emilia. In ogni caso avrebbe trovato un modo per smascherare il colpevole e fargliela pagare, non erano neppure necessarie le minacce da parte del rettore.
La riunione fu sciolta, ma per i membri del laboratorio i problemi erano appena cominciati e lo sapevano tutti, infatti rimasero immobili attorno al tavolo, in attesa delle disposizioni da parte della loro direttrice. Emilia si prese un lungo momento per pensare, poi li guardò uno ad uno per fermarsi infine su un ragazzo mingherlino con indosso un paio di occhiali quasi più grandi della sua stessa faccia.
«Giorgio!» tuonò improvvisamente, facendo sobbalzare l'interessato «Tu ti intendi di informatica, non è vero? Potresti facilmente tirare fuori qualunque cosa da un computer»
Il ragazzo annuì, ma un po’ sulla difensiva «Sì. Ma non sono stato io, se è questo che stai pensando».
Emilia alzò gli occhi al cielo «Lo so perfettamente! Potrete anche impegnarvi a scrivere in modo diverso, ma so riconoscere ognuno di voi anche da come mettete le virgole, e so che nessuno dei presenti ha scritto quell'articolo» ribatté «Quello che voglio è che tu ti metta in cerca di una traccia, una qualsiasi, di questo fantomatico hacker – o quel che è – che ci ha messi nei guai».
Detto ciò, spostò l'attenzione su altri membri del laboratorio, dando disposizioni perché facessero sparire copie cartacee e digitali di quel numero del giornale e distribuissero quelle corrette.
Non appena tutti si furono messi a lavoro secondo le sue disposizioni, Emilia si apprestò ad uscire dall'aula, ma quando andò per prendere la propria giacca, che aveva lasciato in tutta fretta sulla postazione che lei usava solitamente, si accorse di una pendrive nera su cui erano state scritte con un pennarello bianco le iniziali G.R. Domandò ai presenti se appartenesse a qualcuno di loro, ma nessuno di loro ne sapeva nulla, così se la mise in tasca, ripromettendosi di mettere un annuncio sulla bacheca degli oggetti scomparsi.
Quando uscì in cortile delle sottili gocce di pioggia le bagnarono i capelli, ma non ci fece troppo caso, impegnata com'era a cercare Leonardo tra le poche persone presenti. Sapeva che probabilmente avrebbe dovuto affrettarsi a raggiungere l'aula della prossima lezione per evitare di mandare al diavolo l'intera giornata di corsi, visto che già aveva saltato storia contemporanea a causa della riunione imprevista, ma in quel momento cercare l'amico le sembrava la priorità assoluta.
In lontananza, sotto i porticati ben al riparo dalla pioggia, vide Nico e Zoroastro intenti a parlare. << «Ciao ragazzi, avete visto Leonardo?».
Non capì l'occhiataccia che Nico le lanciò finché Zoroastro non si decise a parlare.
«È tornato a casa. Complimenti, Emilia, bella mossa quella dell'articolo su Leonardo, peccato che mi sarei aspettato qualcosa di positivo» non aveva tentato nemmeno lontanamente di nascondere l'astio e il disgusto che trapelavano senza veli dal suo tono di voce.
Per la ragazza fu come un pugno nello stomaco «Zoroasto, cosa…?» sussurrò incredula «Davvero credi che sarei capace di pubblicare un articolo del genere su Leonardo?».
Il ragazzo si umettò le labbra in un gesto nervoso «È un articolo del giornale che tu dirigi, che cosa dovrei pensare?».
Emilia aprì la bocca per parlare, ma venne interrotta dalla voce di qualcuno a pochi passi da loro.
«E quindi lei è la studentessa che dirige il giornale. I miei complimenti».
Quando Emilia si voltò, trovò un paio di occhi scuri ad osservarla con un'espressione a metà tra il canzonatorio e il trionfante. Lo riconobbe immediatamente, era l’uomo che aveva visto venerdì sera, quando aveva dimenticato la giacca nell’aula del laboratorio, quello con cui si era scontrata.
«Articolo interessante quello in prima pagina» continuò lo sconosciuto senza attendere una risposta «lo studente più promettente dell'intera università si rivela essere in realtà un depravato senza pudore. Che vergogna! Deve essere sicuramente imbarazzante sapere di condividere l'ambiente di studio con simile gentaglia».
Ciò che accadde dopo fu un susseguirsi così rapido di azioni che sarebbe stato difficile stabilirne l'esatta cronologia. Zoroastro era già pronto a scattare per assestare un pugno a quel bastardo, chiunque fosse; Nico, intercettate le intenzioni dell'amico, lo fermò e gli lanciò un'occhiata eloquente, come a dirgli che non ne valeva la pena.
La persona che il biondino non aveva messo in conto di dover fermare, invece, era Emilia, e si accorse di ciò che stava accadendo quando era ormai troppo tardi.
Incurante della pioggia che aveva cominciato a cadere con più prepotenza e che le inzuppava i vestiti, la ragazza teneva bloccato sotto di sé lo sconosciuto, con una forza che non si sarebbe mai attribuita ad una donna così esile.
«Non osare mai più parlare in questo modo di Leonardo!» urlò lasciando che le parole raschiassero una contro la gola, dando vita ad un suono gutturale simile al ringhio di un animale feroce, per poi sferrare un ennesimo pugno al volto del ragazzo.
Ad un tratto sotto la sua schiena c'erano l'erba umida e il terriccio fangoso, le posizioni si erano invertite. Lo sconosciuto, con i capelli fradici appiccicati alla fronte, il labbro spaccato e una guancia rossa su cui probabilmente si sarebbe formato un bel livido, la sovrastava e cercava di tenerle le braccia ferme ai lati della testa, ma senza successo, infatti poco dopo si ritrovò nuovamente schiena a terra.
Questa volta a fermare Emilia furono altre braccia, quattro per la precisione, e riuscirono con difficoltà a trascinarla via scalciante e ringhiante di rabbia.
«Sei stato tu!» urlò furiosa «Ti faccio a pezzi».
 

Una piccola folla di curiosi si era radunata poco distante da lì, ma a nessuno di loro sembrava importare più di tanto. Zoroastro e Nico, ancora intenti a trattene Emilia si scambiarono un'occhiata sconvolta in cui però si poteva leggere una chiara consapevolezza: non era stata lei a pubblicare quell'articolo su Leonardo.
«Però! Hai un bel caratterino» mormorò lo sconosciuto, rimettendosi in piedi. Non aveva perso il suo irritante sorriso spavaldo e la sua aria di superiorità, nonostante le avesse appena prese di santa ragione da una donna e avesse gli abiti zuppi e sporchi di fango.
Dal canto suo Emilia non accennava minimamente a calmarsi, continuando ad urlare minacce e insulti.
«Ora basta, Emilia» le sussurrò ad un tratto Nico «Quello è Girolamo Riario, il nipote di Sisto della Rovere, rischi sul serio di metterti nei guai se non ti dai una calmata».
La ragazza smise improvvisamente di agitarsi, ma la sua mente cominciò a lavorare in fretta.
Il nipote di Sisto della Rovere.
Girolamo Riario.
G.R.
Con uno strattone si liberò dalla presa degli amici e puntò i suoi occhi scuri in quelli altrettanto scuri dell’altro «Sappi che non finisce qui, ti pentirai di quello che hai fatto» senza attendere una risposta, afferrò lo zaino che aveva abbandonato a terra e si diresse all'interno della struttura, seguita da Nico e Zoroastro. Era zuppa dalla testa ai piedi e sporca di fango, inoltre le facevano male le braccia laddove Girolamo l'aveva stretta per tentare di scrollarsela di dosso, ma non le importava nulla di tutto quello.
«Emilia fermati! Dove stai andando conciata così? Ti verrà una polmonite» disse Zoroastro afferrandola per una spalla e costringendola a voltarsi. Era sinceramente preoccupato e si sentiva in colpa per aver dubitato di lei.
«Quel bastardo di Riario… è stato lui a mettere quel maledettissimo articolo sul giornale, e io devo dirlo al rettore» non ci aveva messo molto a collegare i pezzi sparsi: Riario era il nipote del rettore dell'università di Roma, l'università di Roma voleva distruggere quella di Firenze, Emilia aveva già visto Riario circolare in modo sospetto nei pressi dell'aula di giornalismo il venerdì precedente, inoltre aveva trovato una pendrive che, ci avrebbe scommesso anche l'anima, era la sua e conteneva sicuramente qualcosa che potesse incastrarlo.
«D'accordo» sussurrò il moro in maniera cauta, spaventato da una possibile reazione dell’altra. Diamine, l’aveva appena vista fare a botte senza troppe difficoltà con l’inquietante e pericoloso Girolamo Riario! Certo, per quel po' che la conosceva aveva capito che Emilia non fosse un tipo docile, ma vederla in quella situazione, vedere la furia distruttiva che si celava dietro quei graziosi lineamenti, lo aveva davvero sconvolto.
«Adesso però ascoltami» continuò «non puoi andarci conciata in questo modo, inoltre devi avere delle prove certe prima di accusare qualcuno, o rischi solo di metterti nei guai».
La ragazza sospirò in segno di rassegnazione. In effetti cominciava a sentire il freddo, e Zoroastro aveva ragione, doveva raccogliere delle prove che fossero certe – non due iniziali scarabocchiate su una pendrive – prima di parlare con il rettore.
 
 



Piccole curiosità per i miei lettori che stanno seguendo anche l’altra fanfiction Icarus and the Sun:
  1. Il personaggio di Beatrice (così come Emilia) è nato per questa storia, e poi ho deciso di inserirlo anche nell’altra fanfiction.
  2. La scena del processo (in Icarus and the Sun) in cui Emilia picchia Francesco Pazzi esiste in onore alla scena di questo capitolo in cui Emilia prende a pugi Girolamo.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4047308