Il silenzio della campana

di lmpaoli94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A cosa posso andare incontro adesso che sono solo? ***
Capitolo 2: *** Voci di morte su una scia di sangue ***
Capitolo 3: *** Il bambino orfano ***
Capitolo 4: *** Nascosti nel campanile ***
Capitolo 5: *** Ritorno a casa ***



Capitolo 1
*** A cosa posso andare incontro adesso che sono solo? ***


Mi svegliai di soprassalto senza capire che cosa sarebbe successo da lì a poco.
Era l’estate del 1944 e il fresco delle montagne rendeva la mia mattinata soleggiata fredda.
Non esistevano feste da molti anni ormai perché i pochi uomini rimasti non avevano più voglia di festeggiare.
San Rocco, il nostro santo protettore, sembrava averci voltato le spalle.
ma se già era un pretesto per non smettere di pregare, io uscii dalla mia abitazione guardando la vallata verdeggiante e alquanto silenziosa.
Silenzio, non riuscivo a sentire altro.
Camminavo nervosamente con la speranza che ci sarebbe stato qualcuno a tenermi compagnia, ma ero da solo.
I miei genitori mi avevano abbandonato e i miei fratelli e le mie sorelle erano fuggite per paura di incontrare quei dannati tedeschi che ormai ci avevano reso la vita impossibile.
Ricordi incommensurabili e dolorosi che mi facevano quasi piangere in quella fredda giornata d’estate che sanciva la fine delle mie paure e l’inizio della mia avventura che mi avrebbe potuto portare lontano.
Avevo poco con me e senza pensare al tempo che non passava mai, speravo che un giorno di questi io e la mia famiglia ci saremmo potuti ritrovare insieme, per essere ancora felici e per poter ancora festeggiare insieme come era successo ogni anno prima dell’inizio della fine.
Mi recai verso la chiesa di San Rocco in quella conca di montagne che sembrava quasi proteggerci dalle intemperie.
Qui i tedeschi non erano giunti o forse sorpresi da tale abbandono, non riuscirono a trovare nessun italiano come me da poter catturare.
E fu per questo che la mia resistenza sarebbe iniziata da quella sera.
Io ero solo un giovane ragazzo di vent’anni che non aveva mai combattuto prima d’ora.
Come poteva riuscire a fronteggiare il suo più grande nemico.
Avevo il timore di venire tradito da ignobili fascisti che avevano venduto la loro vita a quei dannati invasori, senza capire che anche loro avrebbero rischiato la loro stessa esistenza
Come si poteva credere che il nostro futuro sarebbe ancora stato legato a quel futuro tedesco che aveva come preciso pensiero una razza perfetta e la conquista del mondo?
Tutto ciò era folle. E ignobile.
Ma non correvo il pericolo di venir tradito.
La Turrite era quel suono rinfrancante in cui si ergeva sotto la chiesa mentre i rintocchi delle campane stavano per cominciare a suonare.
Era quasi mezzogiorno e il silenzio sarebbe stato rotto dallo scrosciare dell’acqua e dal suono della campana.
Una campana che non riusciva a suonare a festa come un tempo.
Tutto era ricoperto da un silenzio surreale, fino a quando non adocchiai un vecchio pescatore che sperava di poter portare a casa qualcosa da mangiare per poter sopravvivere ancora un giorno. Un giorno come tanti.
Mi avvicinai a lui cercando di non disturbare la sua quiete, con la paura che mi avrebbe potuto uccidere per rapinarmi.
Ma in fondo che cosa gli potevo offrire? Avevo indosso solo dei vestiti logori e fortunatamente non ero colto dagli spasmi della sete e della fame, altrimenti sarei morto di stenti.
ma quando incrociai i suoi occhi azzurri, quel vecchio pescatore mi domandò immediatamente perché non ero a combattere insieme a tutti gli altri giovani italiani che amavano la loro stessa patria.
< Non so combattere. Non riesco a fare niente con in braccio un fucile o una pistola. Ho paura di uccidere. Non sono nato per queste cose. >
< Allora che cosa vorresti fare, ragazzo? >
< Ritrovare la mia famiglia, fuggita altrove in una sola notte per paura di venire catturata. >
< Quindi sei stato abbandonato? >
< In verità sì. Non credo che i tedeschi… >
< I tedeschi non sono mai giunti fin qui. Di questo non devi preoccuparti. >
La tranquillità con cui quel pescatore di parlava, mi rendeva il cuore colmo di speranza ma allo stesso tempo di tristezza.
In fondo, che cosa ci rimanevo a fare a San Rocco in Turrite.
Perché dovevo ascoltare lo scroscio dell’acqua e il suono di quella campana mentre i rintocchi sembravano davvero infiniti?
Il mio pensiero fisso era poter scoprire perché ero stato abbandonato. Ma chi poteva aiutarmi se non la mia famiglia e i miei stessi genitori?
< Come ti chiami, ragazzo? >
< Alberto. E lei? >
< Lei chi? Dammi del tu, per favore. Mica sono una persona pi importante di te, Alberto. >
< Scusa. Non era mia intenzione. >
< Chiamami Filiberto. Filiberto il pescatore. >
< Quanti anni hai, Filiberto? >
< Troppi per combattere… Ma non abbastanza per sperare che un giorno possiamo essere liberi dall’oppressione. >
< Tu dici? >
< Giovane Alberto, la guerra è brutta per tutti, sai? Ma se tu rimani con le mani in mano senza riuscire a fare nulla, come credi di poter dare ai tuoi figli e ai tuoi nipoti un futuro roseo lontano dalla maledizione della guerra? Dobbiamo tutti fare la nostra parte. >
< Ma io non so combattere! >
< Dovrai cominciare proprio adesso, ragazzo. Perchè se vuoi ritrovare la tua famiglia, dovrai combattere. >
< Ma io… >
< Evita di lamentarti. Non ti servirà a niente. >
Cercava di spronarmi quel pescatore. Ed io che lo credevo analfabeta e ignorante… Era davvero una persona intelligente e determinata, cosa che io non ero.
< Dove posso cercare i miei genitori? Non sono mai uscito da questa conca di montagne! >
< Tu devi ascoltare il suono del vento che sferza la tua faccia e il suono della campana del tuo paese per ricordarti che potrai riuscire a combattere in ogni frangente. Ma devi crederci, ragazzo mio. Altrimenti i tuoi flebili sforzi non serviranno a niente… Tu ascolta le parole di questo povero vecchio. Io non sono un pazzo. Voglio solo cercare di aiutarti. >
< Lo so bene. Ormai l’ho capito. >
< Allora che cosa ci fai ancora qui imbambolato? Vai! La tua avventura ha inizio. >
Purtroppo però non avevo niente per riuscire a difendermi o a combattere.
Come potevo credere di riuscire in un’impresa impossibile.
Avevo ancora molte domande da fare a quel vecchio saggio, ma quando rialzai la testa per ringraziarlo, vidi che improvvisamente era sparito nel nulla.
“Che fosse uno spirito guida? O la mia coscienza?” pensai alquanto sorpreso.
Non sapevo davvero come agire, ma non potevo fermarmi.
L’avevo promesso a quel pescatore.
Lo dovevo alla mia famiglia.
Ed è per questo che la mia avventura aveva finalmente inizio.

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Capitolo 2
*** Voci di morte su una scia di sangue ***


Avevo sentito di alcune voci che mi stabilizzarono non poco.
Nella vallata lucchese si ergeva un dolore straziante che nessuno mai avrebbe potuto credere possibile.
L0eccidio di centinaia di persone per volere di generali tedeschi senza scrupoli aveva reso quelle giornate di fine estate tremende e spregevoli.
Riuscivo a malapena a scandire il dolore nel viso di quelle povere persone che ripudiavano la guerra e che attendevano i salvatori della patria che avrebbero riconsegnato a noi un futuro diverso da quello che potevamo credere.
Camminavo senza sosta con gli occhi dei pochi addosso.
Molti si domandavano come un ragazzo come me potesse essere da solo, oppure si domandavano perché io non fossi in guerra.
Potevo essere dipinto come un disertore ma a me questo non importava.
Ero sulle tracce dei miei genitori, con la speranza che un giorno li avrei finalmente rivisti.
ma più cercavo di rendermi conto che la mi era un’avventura e una missione senza fine, più il tempo passava e le possibilità di trovarli andavano affievolendosi.
Molti di quei passanti e di quei abitanti fuori San Rocco mi domandavano il motivo di tale abbandono oppure perché non era a combattere con i valorosi soldati che ancora credevano in un futuro per questa nazione ormai sull’orlo del disastro.
Non sapevo bene che cosa rispondere, ma combattere io non ne avevo il coraggio.
Potevo essere dipinto come un traditore o come un codardo, ma a me non importava.
L’importante è che non fraternizzassi con il nemico, altrimenti la mia fine sarebbe stata ormai quasi segnata.
Nessuno sembrava sul punto di aiutarmi e le poche provviste che mi ero portato, mi bastavano solo per pochi giorni.
Ma grazie all’acqua della fonte del mio piccolo paese, non incorsi in altri problemi del genere.
Tutti mi guardavano dall’alto in basso, senza capire la realtà dei miei fatti.
ma se ciò vedevo il male dinanzi a me, la strada dipinta di un sangue fluente stava cominciando a scandire il mio cammino.
Camminavo… camminavo… giorno e notte.
Fino a quando non mi ritrovai dinanzi all’orrore di quei morti che non riuscivo a comprendere nella mia ignoranza.
C’era solo un piccolo cartello che diceva che ero giunto a Sant’Anna di Stazzema.
Poi più nulla, a parte il silenzio infinito scandito da un dolore sordo che nessuno mai avrebbe potuto dimenticare.
Nemmeno dopo la morte.

 

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Capitolo 3
*** Il bambino orfano ***


Anche se il sole splendeva alto in cielo, il silenzio surreale di quelle montagne facevano presagire il più terribile orrore.
Non riuscivo a comprendere come potesse essere possibile tutto ciò, ma sentivo che i miei genitori dovevano essere vicini.
Dovevano esserlo per forza.
Si sentiva ancora quelle grida disperate che avevano colpito questo luogo sacro in cui gente come me cercava rifugio dalla morte.
Non avevo parole per descrivere tutto questo disastro.
I pochi sopravvissuti a quella scia di sangue ancora vivida nei loro occhi, si avvicinarono a me con timore e paura.
Soprattutto un bambino di appena dieci anni, che mi raccontò come aveva perso i suoi genitori in quell’eccidio che aveva cambiato il corso della storia.
Nessuno meriterebbe una fine del genere, tanto meno un bambino innocente.
Perché i tedeschi non riuscivano a comprendere tale distruzione?
Perché non riuscivano a capire tale pietà?
Un orrore misto a rabbia che aveva assoluto bisogno di essere vendicato-
Non sarebbe potuto finire in questo modo peggiore.
Ero giunto in questo luogo con la speranza che i miei genitori potessero essere vivi, ma ogni secondo che passava mi rendevo conto che le mie flebile speranze andavano svanendo.
< Come ti chiami? > gli domandai al bambino mentre faceva di tutto per non guardarmi negli occhi.
Ma il piccoletto, per quanto spaventato potesse essere, non mi degnò nemmeno di uno sguardo, rimanendo con le ginocchia avvinghiate e il volto nascosto in esse.
< Non voglio farti del male. Voglio solo aiutarti. >
Mi domandavo come avrei potuto farlo, ma sapevo che quel bambino non poteva rimanere solo per sempre.
< Tu non sei di questo paese > mi rispose con tono spento < Che cosa ci fai qui? Ti mandano quei soldati che hanno ucciso i miei genitori? >
< NO. assolutamente no. io voglio solo… >
Come facevo a raccontargli che dovevo ritrovare i miei genitori quando lui aveva perso i suoi?
Un dilemma da risolvere che non potevo nascondere.
< Hai tutto un futuro dinanzi a te. Ti prego di non piangere. >
Lo stringevo accanto a me con la speranza che la sua tristezza sarebbe svanita in un colpo.
Ma più il vento sferzava il mio volto stanco e senza forze, più la voglia di vivere andava svanendo.
In quelle memorie così presenti nella mia mente, non seppi mai come si chiamava quel bambino, scomparendo per sempre tra le mie braccia mentre la mia solitudine andava sempre diventando più snervante.

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Capitolo 4
*** Nascosti nel campanile ***


I miei ricordi presenti vengono mischiati dal calore dell’estate che mi lascia senza energie e senza cibo né acqua dinanzi a quel campanile di Sant’Anna di Stazzema che fino a poco tempo prima suonava a festa.
Quel tempo così breve ma allo stesso tempo infinito di dolore che la guerra aveva spazzato completamente via dalle nostre vite.
Non riuscivo più ad essere me stesso.
Non riuscivo più a pensare al mio stesso futuro.
Mi sentivo svenire, poi il buio dirompente del vuoto mentre sento le mie gambe cadere.


Apro gli occhi, non vedo che una luce piena di speranza.
Vedo il volto flebile della mia famiglia.
Di mio padre che lavora il legno e fa del bene alla nostra comunità.
Mia madre che fa di tutto per mandare avanti una casa sempre rumorosa e piena dei miei fratelli e delle mie sorelle che avevano sempre bisogno di cure.
Quello è il nostro volto felice, senza pensare ad un futuro incerto mentre il mondo andava sull’orlo del disastro.
Noi non sapevamo nemmeno che cosa potesse essere il fascismo, le leggi razziali, chi ci comandava e in quale luogo oscuro la nostra nazione sarebbe stata gettata.
Gli anni avversi che hanno scandito le nostre vite di operai e di poveri contadini si limitavano a lavorare come dei pazzi fino ad arrivare alla sera per rimanere tutti in compagnia.
Non avevamo niente per scaldarci nelle notti più fredde, solo il calore di chi ti rimane accanto e di chi ti vuole bene.
Cercando sempre di fare la propria parte, mi sentivo ripagato dall’amore dei miei genitori in una famiglia che non chiedeva mai aiuto ma che era rispettata da tutti.
Quei ricordi pieni di una speranza che il volto orribile della guerra aveva cancellato per sempre.
Ma io, giovane ragazzo ignorante di venti anni, che cosa mai poteva desiderare dalla vita? Niente.
Mi sarei dovuto sposare di lì a poco e la mia famiglia sarebbe stata fiera di me per come mi comportavo da bravo ragazzo e la loro fierezza di vedermi crescere e maturare ogni giorno che passava.
Ma perché tutto questo era stato cancellato?
Perché continuare a soffrire e sentire il rumore delle bombe e degli spari che squarciano il cielo?
Io non volevo continuare a vivere così.
Ero solo un poveraccio. Un poveraccio che era alla ricerca dei suoi genitori.
E mentre tutti questi ricordi andavano ad affiorarsi nella mia mente, ecco che vedo il volto dei miei genitori e la voglia di vivere mi si riempie di gioia.


Io non potevo credere che i miei desideri più recogniti sarebbero stati espressi.
Mia madre e mio padre mi stavano abbracciando e zittendo allo stesso tempo dicendomi di non fiatare mini9mamente se non volevamo essere scoperti.
L’ombra dei soldati nazisti era sempre vivido in quei luoghi ormai maledetti e la mia avventura non era che solo l’inizio di una nuova missione.
Mia madre continuava a stringermi sussurrandomi che presto sarà tutto finito e che saremmo tornati nella nostra casa.
Quella donna mia madre che mi trattava come un pargolo in fasce che aveva un assoluto bisogno d’aiuto.
Ma io riuscivo a capire.
Riuscivo a ricordare mentre i miei fratelli e le mie sorelle non erano accanto a noi a farci compagnia.
Non ebbi il coraggio di domandare di loro ma solo nel vedere la sofferenza dei miei genitori capii subito dopo che per loro non c’era stato niente da fare.
Eravamo nascosti all’interno di quel campanile mentre i poveri sopravvissuti a quell’eccidio ci sussurravano di non mollare e che la nostra via della speranza sarebbe stata presto disegnata dinanzi ai nostri occhi.
Ma l’arrivo della speranza si chiamavano americani e partigiani e chi non voleva credere in loro, sarebbe stato presto affossato in quella vita di dolore che non avrebbe mai ripagato un futuro incerto e pieno di insidie.

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Capitolo 5
*** Ritorno a casa ***


16 agosto 1945

Era tutto cambiato, eppure il giardino di casa mia sembrava più verdeggiante del solito.
Non avevo spiegazioni nel vedere che dopo un anno esatto, tutto era cambiato.
La festa di San Rocco aveva portato nuovi fedeli alla nostra chiesa ma non si poteva dire che c’era molto da festeggiare.
Gli orrendi sacrifici a cui la nostra gente era dovuta andare incontro, si riflettevano in tutti quei volti di dolore spenti da una guerra che aveva rovinato il destino di molti e cambiato la vota di tutti.
Sono qui adesso a pregare il nostro Dio e la nostra Madonna cercando di fare la nostra grazia mentre il sole sopra le nostre teste sembra più splendente del solito.
Sembrava che la messa di quel giorno potesse non finire mai e mentre mi accingo a vedere quel tale futuro dinanzi a me, sapevo che potevo davvero ricominciare a vivere un futuro diverso.
Dovevo solo aspettare.
Ormai il peggio era passato ma il dolore sarebbe rimasto con me come una cicatrice.
Mi potevo considerare fortunato nell’aver ritrovato i miei genitori, ma chi poteva dire lo stesso?
Giorno e notte ero rimasto accanto a loro mentre cercavamo di colmare il vuoto dell’assenza di una famiglia a noi strappata, nel corso di quegli eventi mentre sentivo suonare il campanile con insistenza e allo stesso momento scendeva il vuoto. Un silenzio che non sarebbe stato mai dimenticato.
E mentre camminavamo in mezzo a quelle persone durante quei giorni della memoria, io potevo solo guardare il cielo e vedere i volti dei miei fratelli e delle mie sorelle.
“non vi dimenticherò. Non potrei mai farlo… Siete stati la mia avventura nel corso di tutti i miei anni infantili e dell’adolescenza.
Siate fieri di me e datemi la forza necessaria per continuare a vivere.
Solo così potrò sentirmi ripagato.
Solo così potrò sentirmi di nuovo vivo.”
E mentre mio padre mi domanda a cosa io stessi pensando, non ci sarebbero state parole sufficienti per dirgli quanto potevo volergli bene.
< Non piangere, figliolo. Abbiamo versato fin troppe lacrime. >
< Lo so, padre. Ma per me è molto dura.
< Lo capisco. Ma tu ora hai noi. Ricordatelo bene. >
Sì, ho i miei genitori: il bene più prezioso che un essere umano possa avere.

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