Influenza

di Keeper of Memories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'insistenza di Finlandia ***
Capitolo 2: *** La dedizione di Svezia ***
Capitolo 3: *** Come essere un buon padre ***



Capitolo 1
*** L'insistenza di Finlandia ***


Quella mattina Tino si era alzato presto, felice ed eccitato allo stesso tempo. Berwald sarebbe venuto a trovarlo proprio quel giorno; era un evento raro in realtà, poiché da quando aveva lasciato Russia era sempre stato lui ad andare a trovarlo.
A differenza del passato, anche la sua casa ora era bella e accogliente proprio come quella di Berwald, e lo sarebbe stata ancora di più dopo averla rassettata e riordinata. Passò la maggior parte della mattinata così, a pulire e riordinare, concedendosi solo qualche minuto alla fine per ammirare orgoglioso la sua opera.
Guardò l’orologio e, notando che c’era ancora del tempo, decise di mettersi ai fornelli per cucinare degli spuntini. Innanzitutto, preparò dei lörtsy alle mele che lasciarono un profumo meraviglioso nella sua piccola cucina; aveva appena raccolto gli ingredienti necessari per una torta ai mirtilli quando il telefono squillò.
«Pronto?»
«Tino? Sono Berwald.»
«Berwald! Che succede? Stai arrivando?»
«No.»
«No?»
«Credo di avere l’influenza.»
Tino buttò giù senza dire una parola. Gli dispiaceva non poter mostrare la sua casa a Berwald ma, data la situazione, c’era una sola cosa da fare.
 
Pochi minuti dopo, Tino si trovava davanti alla casa di Berwald con un cestino di lörtsy appena fatti. Bussò un paio di volte.
«Perché sei qui?» gli chiese Berwald, facendo capolino da dietro la porta.
«Perché oggi dovevamo vederci» rispose Tino con un sorriso smagliante «ho preparato uno spuntino.»
«Dovresti tornare a casa. Potresti ammalarti anche tu.»
«Io non mi ammalo mai. Potrei però morire di freddo se rimango qua fuori.»
Tino sentì Berwald sospirare, prima di farsi da parte e lasciarlo entrare.
 
Un piacevole tepore proveniva dal camino acceso, riscaldando a sufficienza l’intero soggiorno. Berwald si sedette su una poltrona, coprendo con un plaid il buffo pigiama blu con i cagnolini che indossava. A Tino sfuggì un sorriso.
«Come ti senti?»
«Ho la febbre… mi sento stanco.»
Berwald prese un’altra coperta dalla pila al suo fianco, sotto cui si nascose lasciando solo visibili gli occhi. Tino prese uno dei dolci dal suo cestino e glielo porse.
«Li ho appena fatti! Sono alle mele» disse, accomodandosi sulla poltrona accanto alla sua.
«Grazie.»
I due mangiarono in un confortevole silenzio, sebbene Tino avesse come la sensazione che il suo ospite stesse cercando di tenerlo a distanza.
«Cosa stavi facendo prima che arrivassi?»
«Leggevo» fu la risposta, seguita da un cenno con la testa verso un libro, posato sul tavolino al centro del soggiorno.
«Oh! Possiamo leggere insieme. O, se sei troppo stanco, posso leggere per te.»
«No, non serve. Tu cerca solo di stare lontano da me» rispose lo svedese.
Fece per alzarsi dalla poltrona, ma Tino fu più rapido: recuperò il libro e, approfittando dell’improvvisa assenza di coperte, si sedette sulle ginocchia di Berwald. Ci fu un attimo d’esitazione, poi due braccia forti gli cinsero la vita e sentì il peso familiare del suo mento sopra la spalla.
Tino risistemò le coperte, aprì il libro e iniziò a leggere.

 
“E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color d’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano?”
Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “Piangerò”.
“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi”
“È vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“È certo”, disse la volpe.”
Ma allora che ci guadagni?”
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”.

  
Tino chiuse il libro non appena realizzò che Berwald si era addormentato. Con molta delicatezza lo spinse all’indietro, facendolo adagiare sullo schienale della poltrona. Gli tolse gli occhiali che, assieme al libro, ripose sul tavolino lì accanto.
«Buon riposo, Berwald» sussurrò, schioccandogli un bacio sulla guancia. Accoccolato tra le sue braccia, anche Tino si addormentò.

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Capitolo 2
*** La dedizione di Svezia ***


Berwald rimase alcuni istanti a guardare la porta chiusa davanti a sé. Era ormai guarito dall’influenza, per cui aveva deciso di andare a trovare Tino nella sua nuovissima casa. Tutte le volte che Tino veniva a trovarlo, portava sempre dei dolci preparati da lui; aveva provato a fare lo stesso, ma non era sicuro del risultato. Cucinare non era esattamente il suo forte, per cui aveva optato per delle semplici palline al cioccolato e cocco. Non erano granché, ma sperava comunque che andassero bene. Alla fine, si decise e bussò alla porta.
 
Passò diversi minuti prima che la porta si aprisse. Tino lo accolse con un debole sorriso e una voce molto flebile.
«Benvenuto nella mia casa!» disse, facendosi da parte per farlo entrare.
Brewald era preoccupato, gli occhi di Timo erano lucidi e il colorito molto più pallido di quello che ricordava.
«Stai bene?» gli chiese, grato di riuscire così facilmente a sembrare impassibile.
«Sono un po’ stanco, tutto qui.»
Senza dire una parola, Berwald si chinò leggermente su di lui e posò la guancia sulla sua fronte. Scottava come il fuoco.
«Hai la febbre.»
«Oh, non credo sia niente di-»
Tino non riuscì mai a concludere la frase, interrotto bruscamente da un terribile ascesso di tosse.
«Ti avevo detto di starmi lontano…»
«Ti stai sicuramente sbagliando, io non mi ammalo mai!» ribadì Tino, ad ascesso concluso.
«Va bene, va bene.»
Berwald allungò le braccia verso di lui in una muta richiesta. Tino quasi si accasciò tra le sue braccia, come se le forze gli fossero mancate all’improvviso al solo contatto con il suo corpo.
«È colpa mia, mi dispiace» gli sussurrò all’orecchio «avrei dovuto costringerti a starmi lontano. Non volevo che ti ammalassi.»
«Non dispiacerti. Ti sei sempre fatto in quattro per me, è da quando ti conosco che lo fai. Permettimi di fare lo stesso, per favore. Voglio starti accanto e sostenerti proprio come tu hai sempre fatto con me.»
Berwald strinse ancora più forte il corpicino minuto di Tino a sé e nascose il volto nell’incavo della sua spalla, la vista offuscata dalle lacrime.
Era la prima volta che qualcuno voleva genuinamente stargli accanto. Era la prima volta che qualcuno si preoccupava della sua felicità e del suo benessere. Nessuno pensava fosse necessario proteggere il grosso e spaventoso Svezia, dopotutto. Era così abituato a dare tutto sé stesso, che mai una volta aveva ritenuto necessario chiedere aiuto.
«Prendiamoci cura uno dell’altro d’ora in poi» disse, sollevando lo sguardo su Tino. Quest’ultimo annuì, accarezzandogli dolcemente la guancia con il dorso delle dita
 
Con molta delicatezza Berwald trasportò Tino fino alla camera da letto e, assicuratosi che quest’ultimo fosse avvolto da un sufficiente numero di coperte, gli schioccò un bacio tra i capelli.
«Aspettami qui» gli disse, prima di uscire dalla stanza.
Raggiunta la cucina, accese il bollitore e preparò con delle erbe che aveva trovato un infuso.
 
«Tieni, bevi.»
Berwald porse una tazza fumante al profumo di zenzero e timo al suo amato.
«Grazie. Posso chiederti un favore?» chiese Tino, sorseggiando il liquido bollente.
«Tutto quello che vuoi.»
«Ti ricordi il libro che stavi leggendo l’ultima volta? Ne ho preso una copia. Potresti leggermelo?»
Tino indicò con un cenno del mento il piccolo libro posato sul comodino accanto al letto. Molto docilmente, Berwald prese il libro e si sedette accanto a lui.

 
Non poté proseguire. Scoppiò bruscamente in singhiozzi. Era caduta la notte. Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c’era un Piccolo Principe da consolare! Lo presi in braccio. Lo cullai.
Gli dicevo: «Il fiore che tu ami non è in pericolo… disegnerò una museruola per la tua pecora… e una corazza per il tuo fiore… io…»
Non sapevo bene cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo… Il paese delle lacrime è così misterioso.

 
Berwald ripose il libro e la tazza vuota che Tino reggeva mollemente tra le mani, dopo essersi addormentato sulla sua spalla. Quindi lo strinse a sé, avvolgendo il corpicino minuto con entrambe le sue braccia, e lentamente fece scivolare entrambi sotto le coperte.
«Sogni d’oro, Tino» sussurrò, prima di chiudere gli occhi.

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Capitolo 3
*** Come essere un buon padre ***


Berwald aprì la porta di scatto, annunciando la sua presenza con un tonfo.
«Tino, sono qui!» urlò, forse per la prima volta nella sua vita. Ansimava e la fronte era imperlata di sudore per la corsa folle che aveva appena sostenuto per essere lì, in quell’istante.
«Berwald!» Tino gli gettò le braccia attorno al collo, stava tremando.
«Che succede? Stai bene?»
«Io si» rispose «Scusa se ti ho chiamato, ma non sapevo che fare! Ho chiamato un medico, ma non riesce ad arrivare prima di domani sera ed è peggiorato, io non…»
Berwald scostò delicatamente il suo compagno, quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
«Tino, calmati. Sono qui. Cosa sta succedendo?»
«Peter ha l’influenza.»
 
All’ingresso di Berwald nella camera da letto, la testolina di Peter sbucò da sotto la montagna di coperte.
«Padre?»
«Come ti senti? Hai mangiato qualcosa?» Lo svedese s’inginocchiò accanto alla testiera del letto e posò con delicatezza una mano sulla fronte del bambino, facendola sembrare quasi una carezza.
«Sono stanco e se mangio mi viene da vomitare…»
«Gli hai misurato la febbre?» chiese, rivolto invece a Tino.
 «Si. Il termometro segnava trentanove gradi…» rispose, guardandosi la punta dei piedi.
«Hai degli antipiretici?»
Tino annuì, dubbioso. «Pensi che sia sicuro per lui prenderli?»
«Una piccola dose. Vai a prenderli, per favore.»
 
Berwald rientrò nella camera dopo pochi minuti con una brocca d’acqua. Tino stava guardando dubbioso alcune scatole di medicinali, indeciso.
«Cos’è?» gli chiese, non appena lo vide rientrare.
«Dell’acqua, con un po’ di zucchero» rispose con tono pacato.
«Solo acqua? Non è meglio qualcosa di caldo?»
Berwald scosse la testa. «A Peter non piacciono molto gli infusi di erbe, c’è il rischio che vomiti. Tuttavia, ha bisogno di molta acqua e zuccheri semplici. Questo baserà, per ora. Qual è il problema?»
Tino sollevò le due confezioni che reggeva in mano con aria dubbiosa.
«Non saprei quale di questi due potrebbe andare…»
Berwald prese entrambi i medicinali e, dopo una breve ispezione della confezione ne sollevò una.
«Questo. Potresti svegliare Peter?»
Tino si chinò sul letto e gli strinse la spalla, sussurrando qualche parola. Peter aprì gli occhi e biascicò qualcosa di incomprensibile. Berwald si inginocchiò accanto al suo compagno, con una pastiglia spezzata a metà in una mano e un abbondante bicchiere d’acqua nell’altra.
«Peter, ho bisogno che tu mandi giù questa e che bevi tutta quest’acqua. Puoi farlo?» sussurrò, porgendoglieli entrambi. Peter era così stanco e provato che, per una volta, non fece storie.
 
«Sei molto bravo con queste cose, Berwald.»
Brewald abbassò lo sguardo su Tino, accoccolato tra le sue braccia. C’era un solo letto, attualmente occupato dal piccolo malato; quindi, avevano optato per passare la notte su un grande e comodo pouf.
«Ci sono abituato. Non è il primo bambino di cui mi occupo.»
Tino lo guardò confuso, come a chiedergli spiegazioni per quello che aveva appena detto.
«Non ricordi?» aggiunse Berwald «Mi occupavo sempre di te quando vivevamo con Danimarca.»
«Davvero? Perdonami, ho ricordi un po’ vaghi di quel periodo…»
Il modo in cui Tino sgranò gli occhi gli fece un po’ male, ma non lo diede a vedere.
«È così. Danimarca non era certo il tipo da prendersi cura di due bambini. Ma aveva molti libri.»
«Puoi insegnarmi? Io… se oggi non ci fossi stato tu sarei impazzito. Vorrei essere anch’io un buon padre per Peter, sai? Vorrei prendermi cura di lui… e di te.»
Le parole uscirono concitate dalla bocca di Tino, aumentando il rossore delle sue guance ad ogni secondo che passava. Berwald si chinò, per lasciargli un bacio sulla fronte.
«Ma tu ti stai già prendendo cura di me» gli disse, intervallando ogni parola con un bacio in un punto diverso del viso «più tempo passiamo insieme, più sono felice.»
Un leggero sorriso incurvò le labbra di Tino. «Anche io lo sono! Però vorrei imparare, davvero. Siamo entrambi suoi padri, vorrei fare la mia parte.»
«Penso tu sia già un buon padre. Ma se lo desideri, ti insegnerò» disse Berwald, terminando quella lunga scia di baci sulle labbra di Tino e mettendo fine al discorso per tutto il resto della serata.

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