Figli della luna

di steffirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Personaggi ***
Capitolo 3: *** Prologo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Hello!
Grazie per aver deciso di entrare in questa storia ❤️

Prima di cominciare a condividerla con voi, è doveroso fare una premessa.

Due anni fa ho cominciato a pubblicare libri attraverso SelfPublishing, ma a lungo andare mi sono resa conto che mi manca scrivere e condividere storie solo per divertirmi, per staccare dalla realtà e sentirmi libera e leggera. Soprattutto, mi manca scrivere dei personaggi delle CLAMP. Ecco perché dopo tanto tempo ho deciso di riprendere "Figli della luna", sperando che stavolta riesca anche a completarla.

Si tratta di una storia senza pretese, scritta come passatempo, per rilassare me e voi. Non essendo editata, potreste trovare refusi e incongruenze che possono variare in corso d'opera; nel caso dei primi, vi prego di segnalarmeli, così che possa correggerli tempestivamente.

La storia nasce come una Fanfiction di "Card Captor Sakura". I protagonisti sono i personaggi delle CLAMP (quindi non mi appartengono), ma per necessità di trama e ambientazione ho dovuto cambiare quasi tutti i nomi. Ecco perché nella pagina a seguire inserirò un elenco dei personaggi, sottolineandovi chi sono - tralasciando quelli inventati da me. Non ci sono tutti, ma solo i più importanti e quelli comparsi finora, essendo ancora in corso. Non so nemmeno a che punto sto con la trama, se mi trovo a metà o se manca poco al finale, perché per quanto io mi sforzi di fare una scaletta e "controllarli" i personaggi fanno sempre tutto di testa loro 🙈

Per ora esistono una quarantina di capitoli. Ne pubblicherò due o quattro al mese, nei fine settimana, in base agli impegni, sia qui che su Wattpad (quindi volendo potete trovare anche lì la storia, seppure sotto il mio account ufficiale da autrice, @Himemoonofficial) 🥺 Sperando che nel frattempo riesca ad andare avanti, perché insieme a questa ho in corso un'altra ventina di storie (già, non mi faccio mancare nulla e devo sempre sovraccaricarmi 😅). Se malgrado tali incertezze deciderete di restare ve ne sarò estremamente grata TwT 💕

Passando alla storia, essa si ispira a dei drama xianxia e wuxia che ho visto negli ultimi anni, in particolare "Legend of Yunxi" e "The legend of White Snake". Le canzoni che meglio la rappresentano sono: "Da Yu" di Zhou Shen, "Falling flowers and mud", "Sighs" e "Fu Rong" di Ju Jingyi. 

Per quanto riguarda la narrazione, per ora soltanto il prologo è scritto in terza persona (il programma sarebbe riutilizzarla anche per l'epilogo, sebbene ciò non escluda che decida di variare qualcosa - insomma, da me ci si può aspettare di tutto, soprattutto perché con le fanfic mi piace sperimentare). A partire dal primo capitolo si passa alla prima persona, e a parlare saranno sia Xiaoying sia Xiaolang (vi farò capire chi parla usando il colore rosa con lei e il verde con lui nei titoli).
 

*-*-*
 

A seguire vi faccio un elenco di alcune delle parole cinesi/onorifici usati per appellarsi agli altri che troverete con maggiore frequenza:

Dàgē Nome-gēgē = fratello maggiore (non necessariamente di sangue, si usa anche con una persona più grande)

Ādì / Nome-dìdì = fratello minore

Nome-jiějiě = sorella maggiore

Mèimèi = sorella minore

Fūren = "signora", è un titolo usato con la moglie di gente importante o di governatori/ufficiali

Dàren = "signore", viene usato con un ufficiale o una persona autorevole

Gōngzǐ = "giovane signore", si usa con i figli di nobili/ufficiali e i giovani cultori; Shàoyé = "giovane signore" (usato dai servitori)

Xiǎojiě / Gūniang = signorina (siccome non capisco bene la differenza tra i due, ho reso il primo più formale e il secondo meno formale)

Yīshēng = dottore (più formale); dàifū = dottore (più informale)

Shīfù = maestro di arti marziali

Lǎoshī = insegnante

P.S.: Non ho mai studiato il cinese, quindi con questa storia sto un po' osando 🙈 Se qualcuno di voi lo parla e, leggendo, trova degli errori, non esiti a farmelo notare 🥺❤️

 

Detto ciò, vi auguro una buona lettura! 😊

Baci baci,
Steffirah

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Capitolo 2
*** Personaggi ***


Elenco personaggi:

 
 
 
FAMIGLIA LI:

Li Lang ♡ Li Yelan
Prima figlia Li Fudie ♡ duca Wu (figlio Longwei)
Seconda figlia Li Xuehua ♡ duca Liu (figlia Mingmei)
Terza figlia Li Huanglian ♡ duca Chen (figlia Yuming)
Quarta figlia Li Feimei ♡ marchese Zhu (figli Huifang e Minzhe)
Quinto figlio Li Xiaolang
Trovatella/Figlia adottiva Yinghua (chiamata affettuosamente Xiaoying) = Sakura
Ministro Li ♡ sorella di Yelan Li Meifen (figlia Meiling)


SERVITÙ:

Yuanmei = Sonomi (madre surrogata di Yinghua)
Shanyuan = Yamazaki ♡ Chunhua = Chiharu, figlia della dama di compagnia di Yelan Hualing ♡ cuoco Taichun
Liling = Naoko
Servitrici varie: Chun, Yanlin, Chenguang, Luli, Zhilan, Ju
Enlai = Eriol (ex compagno d'accademia, ora al servizio di Xiaolang)
Qingzhao (dama di compagnia di Meiling)


***


ALTRI PERSONAGGI

Wang Wei (maestro di arti marziali all'accademia)
Chung Lin = Clow Reed (maestro, cultore/letterato all'accademia)
Renxiang = Rika (proprietaria della bottega della seta)
Zhishi = Tomoyo (medico)
Bingqing = Akiho (apprendista medico)
Kuo = Kaito (apprendista medico)
Song Tenglong = Fujitaka (medico) / figlio Tengfei = Touya
Baiyue Qing = Yukito (Yue)
Yueliang = Ruby Moon (proprietaria di una casa di piacere)
Taiyang = Suppi (gatto di Enlai)

 

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Capitolo 3
*** Prologo ***


PROLOGO

 
 

 
Heavy rain and wet memories
No medicine can cure partings filled with hate
The Heavens forbade that the humans love, like clouds they all disperse
Leaving the bright moon to sigh
 
(Ju Jingyi 鞠婧祎 |  落花成泥 Falling flowers and mud)







Era una notte di luna piena. Una donna bellissima, nel fiore degli anni, stava piangendo in silenzio, seduta con eleganza su una sponda renosa. Le sue lacrime cadevano nel fiume, mescolandosi alle acque di quell’emissario. Il sale tornava al sale, svanendo. Proprio come egli.
Egli non sarebbe mai più tornato.
Avrebbe voluto raggiungerlo, ma per il bene dei suoi figli non poteva permetterselo. Si asciugò pertanto il viso con una manica, scuotendo leggermente il capo. Doveva trovare la forza di riprendersi. Doveva farlo, ad ogni costo, unicamente per essi.
Si alzò in piedi con grazia e riprese a passeggiare lungo il corso d’acqua, accarezzandosi i lunghi capelli corvini con aria malinconica. Il suo mesto sguardo era rivolto verso il mare, ma in realtà non lo vedeva. I suoi occhi scuri vagavano lontano, verso quel campo di battaglia in cui aveva perso la vita il suo amato marito.
Si arrestò nei suoi passi soltanto quando si accorse che qualcosa giaceva su una pietra. Sembrava un ammasso di vestiti dimenticato lì, ma quando vi si avvicinò e tolse alcune coperte scoprì si trattasse di una bambina.
Per un terribile istante temette che potesse essere morta, ma poi avvertì il suo leggero respiro su un dito; risollevata, le sentì anche il polso, scoprendo che il suo minuscolo cuore batteva fortissimo.
La prese tra le braccia e la coprì meglio, per ripararla dal freddo. Si guardò intorno, scrutando tra le ombre della notte, superando il fogliame dei boschi. Chi lasciava una bambina tutta sola in un luogo incustodito? A meno che non avessero voluto abbandonarla...
«Nemmeno la tua vita è facile, non è così?» domandò sofficemente.
Udendo la sua tenue voce la bambina sembrò riscuotersi; strizzò le palpebre, sollevandole lentamente, rivelando così due meravigliose iridi verdi. Le immerse direttamente in quelle due pozze nere, tristi e sole.
La donna si sorprese nel vedere un colore tanto inconsueto, come fossero fatti di giada. La luce della luna ne carezzò la figura, rivelando i suoi capelli chiari, tinti da nettare mescolato a pigmenti di quarzo rosa. Che quella bambina fosse nata da una divinità celeste?
La vide rivolgerle un minuscolo sorriso, così simile ad un bocciolo in fiore. Inevitabilmente, un flebile sorriso spuntò anche sul viso della nobile signora.
Si guardò un’ultima volta intorno, prima di incamminarsi verso la sua dimora. Non l’avrebbe cresciuta come sua figlia, ma avrebbe chiesto alla sua servitrice più fidata – che purtroppo non era riuscita ad averne – di considerarla come la propria.
Una volta rientrata fu accolta dalle sue figlie, le quali le corsero incontro, notando immediatamente la pargoletta tra le sue braccia. Rispose brevemente alla loro curiosità, prima di richiamare a gran voce la sua servitrice, Yuanmei. Non appena ella giunse le mostrò la bambina, ordinandole di prendersene cura e educarla a dovere, per essere degna di quel casato.
Questa accettò, ringraziando profusamente la sua padrona.
La bambina esitò per un attimo prima di staccarsi da colei che l’aveva trovata, tra le cui braccia si sentiva scaldata e al sicuro. E anche quando fu affidata all’anziana donna, continuò a guardarla, sentendone già la mancanza nel suo cuore.
«Piccola bambina, promettimi che almeno tu non mi abbandonerai mai.»
Quasi l’avesse capita, il suo sorriso si allargò, i suoi occhi luccicarono.
«Come la chiameremo, madre?» domandarono le figlie in coro, eccitate per la nuova arrivata.
La padrona di casa la guardò attentamente, e in maniera spontanea recitò:

Un giorno ormai lontano, mentre stavo ai piedi di una roccia nascosta,
in mezzo ad una distesa abbagliante di risplendenti fiori di ciliegio
scorsi improvvisamente una persona tutt’intenta a raccogliere i boccioli.
Col volto illuminato da un sorriso andava cercando la primavera.
Talvolta pareva che respirasse, ma quasi non si sentiva il respiro,
e la sua figura mandava un’ombra che a volte sembrava scomparire.
Com’era possibile immaginare di assistere ad un simile prodigio?
Oh, quanta bellezza si può incontrare nello splendore delle nove primavere.
[1]

Tacque, riconoscendo di essersi ritrovata in quel poema.
«Yinghua. La chiameremo Yinghua» decretò solennemente.
Da quel giorno, quella bambina priva di origini fu così battezzata col nome di un ciliegio.


 
 

[1] “La rapsodia dei fiori di ciliegio” è una poesia composta dall'imperatore Heizei, che salì sul trono del Giappone dall'806 all'809 d.C.

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Capitolo 4
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1










 
Il mio nome era Yinghua. Esso era stato scelto dalla mia venerabile padrona, la donna cui dovevo tutta la mia vita.  Anni addietro, era stata lei a trarmi in salvo, a farmi dono di una casa, di una famiglia, di un amore che altrimenti non avrei mai conosciuto.
Quando mi aveva trovata mi aveva affidata alle cure della signora Yuanmei, a capo di tutta la servitù. Per quanto fosse insolito per il suo rango, ella occupava uno degli edifici più vicini alla parte posteriore e più privata della proprietà, ove mi aveva cresciuta con sé, come se fossi sua figlia.
Anche la sua era una storia triste: una volta era stata sposata, ma pur avendo provato tutti i rimedi e aver recitato sutra e preghiere nella speranza di poter generare un erede, non era mai riuscita ad avere figli. Per questa ragione il marito l’aveva abbandonata, lasciando la città con una concubina. Prima che in preda alla disperazione potesse porre fine alla sua vita, la nostra padrona, essendo una sua conoscente e avendo un animo gentile, le aveva offerto di lavorare per lei. Fu un privilegio per la signora Yuanmei essere presa al suo servizio.
Aveva così cominciato una nuova vita, con un nuovo nome: anche ad ella era stato assegnato dalla nostra padrona. Significava “splendido giardino”, ed ero certa che fosse stato scelto affinché potesse armonizzarsi al meglio al suo ruolo, essendo noi tutte i fiori[1] della famiglia Li. 
Non c’era quindi nulla ad accomunare me e la signora Yuanmei. Mi rivolgevo ad ella chiamandola “madre” per il grande affetto che, nel corso di tutte quelle primavere, avevamo sviluppato l’una per l’altra, ma a livello fisico non vi erano somiglianze tra di noi. I suoi lunghi capelli erano d’un castano rossiccio, nella penombra tendevano al colore delle prugne mature, ed erano costantemente legati in un’alta acconciatura per comodità. I miei, invece, erano talmente chiari da avere riflessi dorati. A detta della mia padrona, era un colore particolare, che in un modo o nell’altro andava celato agli occhi del mondo. Quando la interrogai al riguardo, spiegò che se qualcun altro li avesse visti avrebbe desiderato possederli, proprio perché non esisteva nessuno in tutti i regni di simile a me. Pertanto, ero costretta a tingerli di nero. E per questa stessa ragione, mi era sempre stato proibito di uscire dalle mura della dimora Li. Eppure, non me ne rammaricavo. Ero lieta e grata della vita che conducevo. Ero cresciuta insieme a ogni singolo membro di quel casato, a scapito della posizione che in esso ricopriva. Inoltre, nel corso del tempo avevo stretto un legame molto forte con Chunhua.
Ella era poco più grande di me, ed era la figlia del cuoco e della dama di compagnia della mia signora. Di norma, la loro sarebbe stata una relazione che avrebbe suscitato uno scandalo; una volta scoperti sarebbero stati mandati via, o forse persino giustiziati, se fossero stati al servizio di qualunque altro nobile. Ma la signora Li era una donna compassionevole e indulgente.
Noi tutti costituivamo il suo nucleo familiare, soprattutto da quando anche il suo ultimo figlio l’aveva lasciata per studiare nella capitale. Le figlie più grandi si erano già maritate, e negli ultimi tempi anche le minori avevano cominciato ad essere corteggiate. C’era sempre serenità fusa a mestizia nei suoi gesti, nelle sue azioni, nei suoi sguardi, nelle sue parole. Quanto più crescevo, tanto più avrei voluto essere in grado di risollevarla da tutti i suoi affanni.
Bussai prima di aprire la porta, annunciandomi: «Mia signora, le ho portato il tè».
Ella sobbalzò, quasi l’avessi interrotta mentre era immersa in un profondo pensiero, prima di voltarsi nella mia direzione.
«Entra pure» concesse.
Feci una lieve riverenza col capo. Mi inginocchiai a poca distanza, posando il vassoio su un basso tavolino in legno, e cominciai ad occuparmi della preparazione del tè. Mi dedicai con perizia ad ogni singola azione, per poi versarglielo in una tazzina e porgerglielo, finché era ancora caldo.
«Sai, Xiaoying, è da un po’ che ci penso.»
Sollevai leggermente il capo, interrogativa, mentre lei prendeva la tazzina dalle mie mani. Notai che sul suo viso era sbocciato un piccolo sorriso.
«I tuoi modi di fare non sembrano quelli di una fanciulla della tua casta.»
Sbiancai e mi inchinai profusamente.
«Se le sto mancando di rispetto la prego di perdonarmi, non era mia intenzione. Se non sono abbastanza formale cercherò di -»
Lei rise, afferrandomi con delicatezza un braccio per farmi rimettere dritta.
Sapevo di avere ancora molto da imparare, sapevo di essere ancora giovane e avere tanta inesperienza. Ma non avrei mai e poi mai voluto deludere la donna cui dovevo tutto.
«Al contrario» mi contraddisse, saggiando il suo tè. «Sei molto formale, ma nei tuoi movimenti, nel tuo tono di voce, nel tuo modo di porgerti agli altri, riesci ad essere elegante quanto una nobildonna.»
Arrossii, non aspettandomelo.
«Le mie figlie ti stanno insegnando a suonare e danzare, non è così?»
Assentii, col cuore in gola. Sapevo che quello non era il mio posto, avevo anche provato a farglielo notare alle signorine, ma di certo non potevo osare ribattere, né ribellarmi, se quella era la loro volontà. Sarei parsa unicamente ingrata.
«Mi hanno riferito che sei piuttosto abile. Un giorno mi piacerebbe assistere.»
«Se è ciò che lei desidera, mi esibirò volentieri.»
Mi inchinai brevemente, mostrandole la mia gratitudine.
Quando mi rimisi composta la vidi sviare lo sguardo, rivolgendolo alle peonie in vaso adagiate accanto alla finestra. Sapevo che fossero i fiori preferiti del suo defunto marito. Sapevo che simboleggiassero onore e ricchezza, per cui crescevano rigogliose nel loro lussureggiante giardino, con le loro sfumature bianche, rosate o tendenti al rosso. Avevo sentito dire anche che in poesia simboleggiassero la bellezza femminile. L’atto di coglierle e riporle in un recipiente indicava l’ineluttabilità della vecchiaia, essendo destinate a sfiorire. Considerato il legame che aveva con il coniuge, il fatto che le ammirasse ogni giorno dimostrava che non fosse ancora riuscita a superare la sua morte.
Li-fūren assumeva sempre un’aria malinconica e triste, ogni volta che si ritrovava sola nella sua stanza. A volte richiedeva la mia presenza, forse per distrarsi, ma sapevo che io non ero abbastanza. Non avevo il potere di riportarle indietro ciò che le era stato strappato.
Abbassai lo sguardo, contrita, domandandomi cosa fare. Mi guardai frettolosamente intorno, in cerca di un suggerimento, finché gli occhi non mi caddero su un foglio arrotolato posato accanto ai quattro tesori del letterato.[2]
Mi schiarii la voce, notando con gaiezza: «Ha ricevuto buone nuove?»
Supponevo fosse una missiva da parte di una delle due figlie maggiori, con cui intratteneva uno scambio epistolare regolare.
Quando si voltò mi stupì, mostrandomi un sorriso enorme. Forse il più grande che avessi mai visto sul suo viso. Un sorriso che, in ogni caso, non avrebbe mai sfoggiato in presenza di nessun altro.
La sua espressione si addolcì mentre negava, con dolcezza.
«È da parte di Xiaolang.»
Schiusi le labbra, sbalordita. Sovente la mia signora si doleva perché non riceveva epistole da parte del figlio, eccetto per porgerle gli auguri nel giorno del nuovo anno. Da quando egli era partito il suo animo s’era fatto sempre più ombroso, e quante più figlie perdeva tanto più sembrava che esse portassero via con sé una parte di lei. Pertanto mi mostrai lieta, capendo che quello poteva essere un ottimo argomento per distrarla dalle nubi che oscuravano il suo animo.
«Se posso permettermi di chiederlo, cosa le scrive?»
Il suo viso risplendette ancor più mentre rivelava: «La prossima primavera farà ritorno».
Mi aprii a mia volta in un sorriso, partecipe della sua gioia. Se era vero ciò che affermava sarebbe stato l’evento che più l’avrebbe risollevata. Ero consapevole che vedesse in suo figlio, il suo unico erede maschio, un riflesso del padre, e si auspicava per egli la migliore vita che il destino potesse donargli.
«Dovremmo prepararci, per offrirvi una buona accoglienza» osservai.
Si mostrò d’accordo, nascondendo poi una risatina dietro una manica.
«Chissà cosa penserà, non appena ti vedrà.»
Mi sforzai di reggere il mio sorriso, senza palesare altro.
A dire il vero, il mio rapporto con egli non era mai stato dei migliori, e temevo che fosse dovuto a tutte le attenzioni che la sua onorevole madre riservava nei miei confronti. Forse era presuntuoso da parte mia supporre che potesse esserne geloso, ma sovente mi aveva dato l’impressione di detestarmi perché finivo per trascorrere sempre troppo tempo con ella. Era anche diffidente, a causa delle mie origini incerte, e di questo ero sicura, considerata la minaccia con cui si era congedato: «Una volta che sarò alla capitale indagherò sul tuo conto, puoi starne certa». Non aggiunse altro, ma era chiaro che, se avesse scoperto che le mie origini non rientravano nella sua concezione di “accettabilità”, mi avrebbe cacciata al suo ritorno.
Chiusi gli occhi e sospirai, chiedendomi cosa ne sarebbe stato di me se quelle sarebbero realmente state le conseguenze delle sue ricerche. Era per quella stessa ragione che in quei nove anni avevo tentato di essere perfetta: di riuscire in tutto ciò che mi veniva richiesto, di essere docile e ubbidiente, educata e responsabile, prendendo anche il posto di mia madre non appena era divenuto chiaro che fosse troppo anziana per potersi dedicare a tutto. Lo facevo per non deludere nessuno, ma lo facevo anche perché così speravo di riuscire a cavarmela, se da un giorno all’altro mi fossi ritrovata a mendicare.
«Stai ripensando al messaggio con cui ti lasciò?»
Confermai mogia, fissandomi le dita chiuse in pugno sulle ginocchia.
«Non devi darvi troppo peso. Era solo la dichiarazione di un bambino immaturo, dopo tutti questi anni lo avrà dimenticato.»
Dubitavo di ciò; volenti o nolenti, in quegli otto anni che avevano preceduto la sua partenza eravamo cresciuti insieme, e sapevo bene che il nostro giovane padrone non si rimangiava mai la parola data.
Tuttavia, non osai contraddirla, e mi appigliai a quella sua speranza. Anche perché non avevo altri posti in cui andare.
Vedendomi sconfortata mi versò del tè, facendomi segno di farle compagnia mentre beveva.
Accettai umilmente, voltandomi insieme a lei verso il mare di peonie in fiore che si intravedeva dalla finestra. Con le loro scie di colori disegnavano onde sinuose, sospinte da una leggera brezza estiva.
Fissai lo sguardo sui loro petali delicati, pregando in cuor mio che la mia signora potesse presto risollevarsi. E che io potessi continuare a vivere con ella, senza mai dover abbandonarla: perché era ciò che da bambina le avevo promesso, e mai mi sarei rimangiata quel voto.




 
 

[1] Ciascuno dei membri della servitù porta il nome di un fiore, o comunque richiama un elemento naturale.
[2] Si tratta dei quattro strumenti fondamentali per chiunque pratichi l'arte della calligrafia, quindi il pennello, la barretta di inchiostro di china, la carta di riso e la pietra concava usata per contenere l'inchiostro.

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Capitolo 5
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2








 

Quel freddo giorno d’autunno sedevo nel padiglione d’osmanto con la signorina Feimei e la signorina Huanglian, dedita ad una nuova attività. Con le figlie della mia padrona era impossibile tediarsi, poiché riuscivano sempre a trovare qualcosa di nuovo con cui impegnarsi, coinvolgendo di volta in volta anche me. E ora, la loro nuova passione era diventata l’intaglio.
Entrambe stavano per maritarsi, e se da un lato erano entusiaste di poter finalmente vivere insieme agli uomini che amavano, dall’altro si sentivano prostrate all’idea di abbandonarci. Tentai pertanto di tirargli su il morale, facendo notare che non si sarebbero trasferite molto lontano dalla loro dimora d’origine, e che per questo, ogni volta che ne avrebbero sentito il desiderio, avrebbero avuto la possibilità di ritornare.
Entrambe mi guardarono con le lacrime agli occhi, stringendomi in un abbraccio.
«Mèimèi, ci mancherai così tanto!»
Avvolsi a mia volta le braccia attorno alla loro esile schiena, chiudendo gli occhi. Sarebbero mancate tantissimo anche a me; tuttavia, per non rattristarle ulteriormente, mi tirai leggermente indietro, con aspettativa.
«Mi racconterete delle vostre nozze, non appena ci rivedremo?»
«Ovvio che te ne parleremo!» confermò Huanglian-jiějiě, ammiccando.
«Ti descriveremo tutto nei minimi dettagli» assicurò Feimei-jiějiě.
Sorrisi loro grata.
Sempre perché c’era il veto sulla libera uscita, finora non avevo potuto presenziare a nessun matrimonio. Sia con Fudie-jiějiě che con Xuehua-jiějiě avevo solo avuto modo di aiutarle a prepararsi, per poi salutarle all’ingresso, dicendo così loro addio – per quanto non si trattasse di un congedo eterno, visto che anch’esse tornavano con assiduità per assicurarsi che la madre fosse in buona salute. Negli ultimi tempi sembrava soffrire di emicranie ricorrenti, ma per nostra fortuna in città si era trasferito un nuovo medico nella spezieria gestita dal signor Song e da suo figlio. Un giorno, quando venne in casa per visitare la mia padrona, ebbi modo di sbirciare da una fessura tra le travi, e grande fu la mia sorpresa quando scoprii si trattasse di una donna. Era indubbiamente un’esperta, considerando che con sole cinque sedute era riuscita a stabilizzare le vertigini della mia signora, attraverso l’agopuntura e prescrivendole dei decotti. Da allora ogni mese veniva a trovarci, per assicurarsi che le condizioni di Li-fūren fossero stabili.
Scossi leggermente la testa, concentrandomi sul mio operato. La mia intenzione era riuscire a ricavare la mia signora da quel ciocco di legno, per poi fargliene dono. Sembravo starci riuscendo abbastanza bene, per quanto fosse complessa l’elaborata acconciatura che usava portare.
Le signorine, invece, stavano raffigurando i loro futuri mariti. Adoperarsi tanto in una nuova arte soltanto per essi, dimostrava quanto affetto provassero.
Chissà com’era innamorarsi. Era uno dei tanti interrogativi che mi ponevo, insieme a “Chissà com’è vedere il mondo di fuori”. Non che avessi di che lamentarmi, non mi dispiaceva la mia vita; ma dopo diciassette anni avevo memorizzato ogni singolo angolo e anfratto, ogni singola stanza, ogni singolo padiglione, ogni singolo stagno, ogni singola infiorescenza di quella dimora. Le uniche novità erano le persone, le conversazioni, le stagioni che variavano e il cielo, che non era mai lo stesso.
Amavo guardare il cielo. Amavo farlo soprattutto di notte, quando spuntava la luna. Amavo ammirarla in silenzio, e amavo ascoltare i racconti che si tramandavano sulle vite nel cielo e gli abitanti della luna. Forse era quella la forma del mio innamoramento? Una sorta di nostalgia, di struggimento, che mi portava ad anelare una libertà che non mi era concessa?
 
 
꧁꧂
 
 
Prima del previsto giunsero le nozze di Huanglian-jiějiě e di Feimei-jiějiě. Insieme alle loro due fedeli servitrici, che sarebbero andate via per restare al loro fianco, chiesero anche a me di aiutarle a prepararsi nei rispettivi giorni di congedo; per me fu un onore poterle avvolgere nelle loro pregiate vesti di seta scarlatta, truccarle con finezza e adornarle di preziosi gioielli. Con gli anni mi ero esercitata in segreto su Chunhua, avendo quest’ultima già previsto che mi sarebbe stato chiesto, conoscendo i loro caratteri, affinché potessi renderle talmente belle da mozzare il fiato.
Quando la loro onorevole madre ebbe modo di vederle, a stento trattenne le lacrime. Si mantenne composta, come sempre in pubblico, e abbracciò le figlie, prima di permettere loro di intraprendere la propria strada.
Fu la notte del matrimonio di Feimei-jiějiě, dopo che ella ci aveva già lasciati, che trovai la mia signora nel padiglione del silenzio, a contemplare tacita la luna sulla superficie del laghetto.
Mi avvicinai ad ella con passo felpato, per non disturbarla. Mi sedetti composta al suo fianco, seguendo il suo sguardo, rivolto verso il buio.
Quello era un giorno propizio e fortunato, scelto con cura dal calendario. La casa era adorna di fiori, nodi e drappeggi rossi; eppure, era come se la prosperità, il calore e l’amore l’avessero lasciata per sempre.
«Xiaoying…» sussurrò la mia signora in un tono fragile, che trasmetteva tutta la sua vulnerabilità. Una vulnerabilità che osava manifestare solamente in mia presenza. Continuava a fissare le increspature sull’acqua, senza sembrare realmente vederle. «Mi sei rimasta solo tu.»
Sgranai gli occhi, avvertendoli riempirsi di lacrime.
«Non è vero» negai con dolcezza, prendendo una sua mano tra le mie. «Le signorine hanno promesso che verranno sovente a trovarla. E poi, non deve dimenticare che mancano soltanto due cicli lunari al ritorno del giovane signore.»
Assentì col capo, prima di poggiarlo su una mia spalla.
«Fino ad allora mi terrai compagnia?»
«Tutte le volte in cui lo desidera» assicurai, stringendo la sua mano.
 
 
꧁꧂
 
 
Dopo quella promessa, trascorsi ogni giorno insieme alla mia padrona, pur continuando a portare avanti le mie mansioni.
Un mattino mi convocò di punto in bianco, mentre mi stavo occupando delle pulizie; affidai il resto a Luli e Chenguang, affrettandomi a raggiungerla nel giardino, dove già sapevo l’avrei trovata seduta su una roccia al di sotto di un hoang mai[1] in fiore. Un tappeto di petali dorati si apriva sotto i suoi piedi. L’oro la circondava, facendo scintillare tutta la sua figura. Vista così, era la degna cugina dell’imperatore.
«Mia signora, cosa posso fare per lei?»
«Ah, Xiaoying, eccoti qui. Mi servirebbe della stoffa all’emporio gestito dalla signora Renxiang. Pensavo di cucire a Xiaolang un nuovo shenyi,[2] per quando torna.»
Consapevole del buongusto di Chunhua, suggerii di mandare lei.
Ella approvò, cogliendomi alla sprovvista nell’aggiungere: «Puoi andare con lei».
Sbattei le palpebre, facendomi più vicina. Dovevo aver capito male.
«Mando Chunhua…» ripetei, confusa.
«E puoi andare anche tu» confermò, lasciandomi a bocca aperta.
«Ma…»
Tacqui, incapace di formulare alcunché. Avrei voluto domandarle come avrei dovuto comportarmi dinanzi agli estranei, cosa avrei dovuto fare se mi avessero guardata con insistenza, come spostarmi senza perdermi, ma, soprattutto, perché avesse improvvisamente cambiato idea.
Scambiai uno sguardo con la signora Hualing, la madre di Chunhua, in cerca di spiegazioni. Ella semplicemente sorrise, facendo un cenno d’assenso col capo.
Li-fūren si voltò allora a guardarmi, con aria compiacente.
«Le mie figlie mi hanno scritto, chiedendomi di lasciarti un po’ di libertà.»
Impallidii, sentendomi venir meno. Ora avrebbe erroneamente pensato che avessi avuto da lamentarmi…
«Inizialmente non volevo assecondare le loro richieste, ma devo ammettere che hanno ragione. Non sei più una bambina, di certo te la sai cavare. E poi, non saresti da sola. Chunhua ha una bella parlantina, ed è piuttosto astuta. Saprebbe come proteggerti.»
Non sapevo cosa dire. Se non era un sogno, se era tutto vero, per quanto provassi un po’ di timore, non vedevo l’ora di uscire.
Ella dovette accorgersi del mio fremere, perché mi congedò, trattenendo un sorriso.
La ringraziai di cuore, correndo via felice. Raggiunsi in fretta le cucine e saltai al collo della mia amica, esclamando: «Chunhua! Possiamo uscire insieme!»
Si voltò a guardarmi stupita, prima di sorridere con scaltrezza.
«Scommetto che sono state le signorine ad intercedere.»
«Come lo sai?» domandai sbigottita, allontanandomi da lei per darle possibilità di sciacquarsi le mani dalla farina.
«Perché una volta stavano discutendo al riguardo» spiegò sottovoce.
Si avvicinò al padre, dicendogli che saremmo tornate subito, prima di portarmi fuori dalle cucine, prendendomi a braccetto.
«Provi un po’ d’ansia?» si accertò con premura.
«Un po’» ammisi. «Ciononostante, non vedo l’ora di scoprire com’è fatta la città!»
Rise con me, e mi scortò fino all’ingresso. Poggiò una mano sul portone, assicurandosi che io fossi pronta; ad un mio cenno di assenso lo aprì.
Quasi rimasi accecata dal bagliore che trovai ad aspettarmi al di là di esso.
Immediatamente fui sopraffatta dal vociare assordante dei compratori che contrattavano sul prezzo, dalla lucentezza delle collane di perle e dei braccialetti di giada esposti nelle bancarelle, dall’olezzo pungente delle spezie e delle vivande che giungeva dai ristoranti. Pittori esponevano con orgoglio le proprie opere, maestri di calligrafia scrivevano con pennellate fluide nomi e poesie su giganteschi ventagli e lanterne, artisti di strada si esibivano per allietare il loro pubblico. C’era un viavai di uomini e donne, adulti e anziani, bambini che giocavano scorrazzando per le strade, voci allegre e spensierate che si fondevano ai vivaci richiami dei venditori…
Seguii Chunhua meravigliata, continuando a tenerle un braccio per non perdermi per le vie del mercato. A mano a mano che procedevamo, lei mi indicava gli edifici e le botteghe che fiancheggiavano la strada, informandomi sulla loro funzione. Salimmo poi su un ponte in legno più alto e lungo degli altri, dal quale si intravedeva il mare. Sapevo già che noi vivevamo in una città portuale, dove erano frequenti gli scambi e i commerci, e che per questo apportavamo prosperità al regno; tuttavia, non avevo mai visto il porto, né le giunche e le navi che vi attraccavano, né i fiumi del delta che si insinuavano per le strade. Schiusi le labbra, rapita dalla lattiginosa luce invernale che si posava sulle onde, rendendole luminescenti. Prima di imbambolarmi del tutto, però, e rischiare così di perderla di vista, affiancai Chunhua.
Continuai a guardarmi curiosamente intorno, finché non giungemmo alla bottega della seta, dove su alte file di scaffali che toccavano il soffitto c’era una quantità incommensurabile di stoffe e vestiti. La signora Renxiang, una giovane donna coi capelli acconciati in uno chignon doppio, ornato da ciocche sorprendentemente ondulate, venne subito a servirci, riconoscendo Chunhua. Non avevo mai visto capelli con curve così sinuose! Forse in città non era poi così straordinario vedere rarità.
Lasciai che fosse Chunhua a selezionare il broccato che più avrebbe donato al nostro signore, spostandomi intanto verso corridoi delimitati da appendiabiti. Scorsi vesti di cotone, organza e lino, sempre più stupita. Ne esistevano di infiniti colori, tipologie e varietà. Noi di norma sfoggiavamo abiti aranciati, che richiamavano i colori del tramonto, anche se in occasioni particolari ci era concesso di indossare persino abiti di seta dalle tonalità delicate di rosa e celeste, oppure di un verde brillante quando avevamo ospiti – perché il verde, insieme all’oro, era il colore del casato Li.
Allungai una mano verso un completo dello stesso colore dei glicini, affascinata da quella tinta così realistica; contemporaneamente, qualcuno fece altrettanto. Riconobbi il medico che aveva in cura la mia signora. Ora che la guardavo meglio da vicino, rimasi completamente incantata. Non avevo mai visto prima una persona tanto… eterea. Come fosse uscita da un dipinto.
Vedendomi ella sgranò gli occhi, prima di prendere entrambe le mie mani nelle sue, con giubilo.
«Lei lavora presso la famiglia Li, non è così?»
Confermai a mezza voce, colta alla sprovvista da tanto entusiasmo e tanta formalità. E poi, non mi aspettavo mi conoscesse.
«L’ho già vista nella dimora, ma non c’è mai stata occasione per presentarci, e non volevo disturbarla mentre lavorava» spiegò, forse leggendo le mie domande nei miei occhi. «Io mi chiamo Zhishi, da poco mi sono trasferita qui. Ma immagino che la sua padrona gliel’abbia già riferito.»
Annuii, rivolgendole un breve inchino: «Zhishi-gūniang, è un piacere conoscerla. La ringrazio per tutto quello che sta facendo per la mia signora».
«La prego, non sia così formale con me. Sono soltanto un umile medico.»
«In tal caso, anche tu, sii informale con me.»
Rifiutò, spiegando: «Preferisco esprimermi in questo modo, sono più abituata».
Non ci avevo pensato, ma in effetti, considerati i suoi lineamenti, la sua pelle più candida della neve, i suoi occhi del colore delle orchidee e i suoi capelli neri e ondulati, molto probabilmente proveniva da qualche paese del nord. Forse il linguaggio formale le sarebbe risultato più facile e naturale, per quanto io non fossi abituata a ricevere tanto rispetto.
«Il suo nome è…?»
Avvertii le mie guance scaldarsi. Come avevo potuto dimenticare di presentarmi?
«Yinghua.»
Si aprì in un sorriso più grande, volgendosi poi verso il vestito che aveva attirato l’attenzione di entrambe.
«Era intenzionata ad acquistarlo?»
Scossi la testa.
«Mi aveva incuriosita il colore. A ben guardarlo, ti starebbe benissimo.»
Quel giudizio uscì spontaneamente dalle mie labbra, ma non pensavo che potesse renderla talmente felice da spingerla a provarselo e a comprarlo senza pensarci due volte.
Mentre lo pagava mi accostai a Chunhua, notando che aveva scelto una stoffa d’un brillante color smeraldo, ricamata con motivi floreali argentei poco sfarzosi, a malapena visibili in controluce.
Mentre la signora Renxiang la piegava per bene, incartandocela, Chunhua adocchiò Zhishi-gūniang.
«Buongiorno Zhishi-yīshēng» le si apostrofò, chinando di poco la testa.
«Buongiorno a lei, Chunhua-gūniang. Siete qui per fare compere?»
Chunhua confermò, prendendo il pacco e ringraziando la signora Renxiang, prima di invitarmi ad uscire. Poi parve improvvisamente ricordare qualcosa, perché si voltò verso Zhishi-gūniang, domandandole se quel pomeriggio dovesse venire a portarci un nuovo impacco; dato che confermò propose: «Se vuole posso evitarle il viaggio, di certo avrà anche altri pazienti di cui occuparsi».
«In effetti, sarebbe più comodo se ve li dessi adesso» approvò, facendoci strada. «Chunhua-gūniang, ha ancora la ricetta col procedimento?»
«Sì, ma anche se la perdessi non sarebbe grave. Ormai l’ho memorizzata.»
«Sarebbe un’ottima apprendista» osservò Zhishi-gūniang, ridacchiando.
«Non ne ha?»
«Una fanciulla, trasferitasi qui da poco, e il suo servitore. Si chiamano Bingqing e Kuo, ma hanno ancora molto da imparare.»
Lasciai chiacchierare loro due, memorizzando intanto il percorso che conduceva dallo speziale: magari, con un po’ di fortuna, dalla volta successiva la mia padrona avrebbe permesso anche a me da sola di venire fin qui, a prendere le sue medicine.
Ci arrestammo dinanzi ad un grosso portone ligneo, che fu aperto da Zhishi-gūniang. Entrammo dietro di lei, percorrendo un vialetto sterrato che conduceva fino all’ingresso. Ai lati di esso, sotto il riparo di un porticato, erano allineati vassoi con diverse tipologie di erbe. Una giovane fanciulla dagli occhi celesti come il cielo e i capelli del colore della cenere le stava suddividendo, appuntando a mano a mano qualcosa su un rotolo. Era talmente presa dal suo compito da non accorgersi neppure di noi.
Zhishi-gūniang le si avvicinò, al che lei si affrettò a raddrizzarsi, salutandoci cordialmente. Facemmo altrettanto, prima che la sua maestra le indicasse dove dovesse mettere la radice di aconito rispetto ai semi di crotontiglio, in base al trattamento.
Chunhua parve perplessa quando udì il nome del primo.
«Da quel che sapevo, l’aconito è velenoso.»
«Molti veleni vengono utilizzati in medicina, come terapia.»
Zhishi-gūniang  non potette aggiungere altro, che una delicata voce maschile aggiunse: «L’importante è essere accorti al dosaggio e alle reazioni dei pazienti, giusto?»
«Vedo che stai imparando» sorrise, annuendo.
Mi voltai verso il nuovo arrivato, scoprendo un giovane dagli occhi del colore delle viole e i capelli d’inchiostro. Che fosse un fratello di Zhishi-gūniang? Per quanto i loro lineamenti non si somigliassero affatto: i suoi erano affilati, avrei osato dire volpeschi; Zhishi-gūniang invece aveva un volto ovale, delicato, e i suoi occhi erano molto grandi, simili a un litchi.
«Lui è Kuo, mentre lei è Bingqing» li presentò.
Ci inchinammo, facendo altrettanto; dopodiché proseguimmo verso l’interno dell’edificio, lasciandoli lavorare.
«Ad ogni modo» riprese Zhishi-gūniang, «tutto sta nel coglierlo nel posto e al momento giusto, affinché la quantità di veleno sia minima e non si corrano rischi».
Corrugai la fronte, accertandomi: «Nel decotto prescritto alla nostra padrona non ci sono veleni, vero?»
Mi sorrise compiacente, rassicurandomi: «Contiene come ingredienti principali fiori di crisantemo, rénshēn[3] e zenzero. Nulla di cui preoccuparsi».
Ci accompagnò fino al bancone, dietro il quale sostava un uomo ancora giovane, dall’aria austera. Salutò Chunhua, guardandomi poi con un sopracciglio alzato.
«E questa bambina?»
Bambina?
Assottigliai gli occhi, mentre Chunhua tossicchiò, replicando: «Tengfei-yīshēng, non siate scortese. Si chiama Yinghua, anch’ella è al servizio della nostra signora».
«Oh? È così piccola che non l’avevo mai notata» celiò, irritandomi maggiormente.
Gonfiai le guance, sbottando: «Non sarò cresciuta molto in altezza, ma non per questo sono una bambina!»
Mi stupii di me stessa: era la prima volta in vita mia che mi sentivo tanto criticata, e anche se di solito riuscivo a tenermi i miei pensieri per me, con questo famigerato Tengfei-yīshēng – che supponevo essere il figlio del proprietario della spezieria – non riuscivo proprio a tacere.
«Che caratterino.» Mi scrutò con attenzione, aprendosi poi in un ghigno enorme. «Hai la faccia di un mostriciattolo.»
«Come?!»
Guardai Chunhua in cerca di supporto, ma lei era piegata in due dalle risate.
«Non vi date troppo peso, fa così con chiunque» ci pacificò Zhishi-gūniang, avvicinandomisi poi per sussurrare: «Può essere informale con lui, e chiamarlo anche “fratellone”. Facciamo tutti così».
«Tengfei-gēgē, se non ti sbrighi a servirci ne parlerò con la mia padrona, e vedremo poi quali saranno le conseguenze» lo minacciai, puntandogli un dito contro.
Sembrava essere sul punto di ribattere, ma Zhishi-gūniang intervenne tempestivamente: «Dàgē,[4] ci penso io qui».
Lui superò il bancone per prendere una borsa, annunciando che aveva delle visite casalinghe di cui occuparsi; prima di andarsene, però, passò accanto a me, dandomi dei colpetti leggeri in testa.
«Spero di vederti più spesso, mostriciattolo.»
«Non sono un mostriciattolo!» gli urlai dietro.
Lui proseguì per la sua strada senza voltarsi.
«Per essere le tue prime interazioni con degli estranei, devo ammettere che sono piuttosto interessanti. Ma non preoccuparti, non ne farò parola con la nostra padrona» sibilò Chunhua.
La ringraziai con uno sguardo; ci sarebbe solo mancato che Li-fūren scoprisse che fossi stata tanto indisponente.
«Lo perdoni se può» intervenne Zhishi-gūniang, porgendomi il sacchetto con le erbe. «Credo che in lei abbia rivisto la sua sorellina, e per questo si comporta così.»
«Ha una sorellina? Non ne avevo idea!» esclamò Chunhua.
Zhishi-gūniang chinò lo sguardo, contrita.
«Purtroppo lo ha lasciato molti anni fa, quando era ancora una bambina. Nemmeno noi medici siamo onnipotenti. Non abbiamo la capacità di curare qualsiasi malattia. Dàgē e Song-dàifū hanno tentato il tutto per tutto, ma alla fine non sono riusciti a salvarla. È per questo che considera tutti noi che lavoriamo in questo posto come suoi fratelli e sorelle minori.»
Ci mortificammo entrambe, ma io presi nota di questa nuova informazione: se tale era il caso, per quanto mi irritasse, avrei cercato di assecondarlo. Magari sarei riuscita a portare anche nel suo cuore un po’ di gioia.
Prima di rientrare, davanti al portone d’ingresso, fermai Chunhua, tirandola indietro per una manica.
«Chunhua, tu credi che sia presuntuoso da parte mia desiderare di poter fare qualcosa per risollevare l’animo degli altri?»
Lei mi sorrise con gentilezza, riprendendomi per mano.
«No, Yinghua. È solo indice di generosità, e ritengo che sia una delle tue migliori doti. Per questo la nostra padrona ti adora.»
Mi aprii in un piccolo sorriso, e sentendomi più leggera le misi fretta per raggiungere la nostra signora, in modo da narrarle della mia prima esperienza in città.




 

[1] Si tratta di un fiore giallo, conosciuto come ochna integerrima.
[2] Veste lunga caratteristica dell’hanfu (abiti tradizionali utilizzati durante gran parte del periodo precedente alla dinastia Qing, quindi prima del XVII sec.)
[3] Nome cinese del ginseng.
[4] Fratello maggiore

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Capitolo 6
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3










 
Stavo rileggendo la copia che da poco avevo finito di compilare dello Shan Hai Jing,[1] quando Enlai mi si approcciò, affacciandosi sul tavolo.
«Xiaolang, non hai ancora finito?» mi mise fretta, picchiettando la superficie lignea con la punta dell’indice.
Chiusi il volume, capendo che ormai non sarei riuscito a finire di rileggerlo prima del termine di consegna. E in ogni caso, non sembravano esserci stati errori.
Enlai me lo tolse dalle mani, scartabellandolo con indolenza.
«Come sempre, una calligrafia impeccabile.»
«Che ore sono?» mi stiracchiai, nascondendo uno sbadiglio.
«È ora di allenarti» rispose piccato, a malapena contenendo il tono derisorio. «Wei-shīfù stava per dare di matto non vedendoti arrivare.»
Mi alzai in fretta, uscendo. Strano che non avesse mandato Meiling a chiamarmi.
Quasi avesse sentito i miei pensieri, eccola che apparve da un angolo, saltandomi al collo.
«Xiaolang-gēgē! Anche tu hai fatto tardi oggi? Perfetto, verremo sgridati insieme!» ne gioì, prendendomi una mano per trascinarmi nella foresta di bambù. Già immaginavo la ramanzina che ci aspettava.
Scoccai un’occhiata esausta a Enlai, il quale non si sforzò neppure di nascondere il diletto. Che pessimo carattere.
Mi rassegnai a seguirla, e quando arrivammo dinanzi al maestro tutti e tre ci inchinammo. Io e Meiling ci scusammo in coro, ma il maestro si rivolse direttamente a lei, sospirando.
«Xiǎojiě, cosa ci fate qui? Se vostra madre lo scoprisse -»
«Shīfù, sapete che non mi perderei neppure una delle vostre lezioni.»
Vedendolo piuttosto rassegnato, presi mia cugina per le spalle, voltandola verso di me.
«Meiling, ormai non sei più una bambina. Ci sono altre lezioni che devi seguire, no?» le ricordai, sperando di farla ragionare.
«Ma in quelle tu non ci sei…» si lamentò, mettendo su un broncio.
«È vero che durante le lezioni non sono con te, ma sai che possiamo vederci in qualsiasi altro momento della giornata. Non avevi detto che presto saresti diventata la migliore in tutte le arti?»
A tale riferimento i suoi occhi lampeggiarono. Drizzò la schiena, guardandomi determinata.
«Vedrai, ti lascerò completamente senza parole» proclamò tronfia. Si inchinò dinanzi al maestro e corse via, girandosi a metà strada per salutarmi con la mano, urlando: «Ci vediamo più tardi, Xiaolang-gēgē!»
La salutai brevemente, voltandomi poi verso il maestro – che intanto sembrava aver già fatto andare Enlai dagli altri. Mi sorrise con mestizia, facendomi notare: «Xiaolang, sono le tue ultime lezioni qui. Cerca di essere più puntuale».
Annuii, inchinandomi di nuovo per scusarmi, prima di estrarre la spada e correre nel boschetto, senza perdere ulterior tempo.
Non c’era bisogno che mi avvisasse, sapevo già che i miei compagni mi avrebbero teso un agguato. Era una consuetudine con tutti coloro che stavano per andarsene, per mettere alla prova le loro abilità. Sicuramente avevano già accerchiato anche Enlai.
Mi guardai intorno con circospezione, affinando i sensi.
I miei compagni non ci impiegarono molto a comparire, tutti mascherati da mercenari. Reagii con prontezza, aiutandomi coi fusti di bambù per spostarmi più rapidamente, saltare e aggirarli.
Nel giro di poco riuscii a disarmarli tutti, ma avvertendo un’altra presenza alle mie spalle mi voltai con sveltezza, chinandomi per menare un fendente dal basso; così e io ed Enlai ci ritrovammo con la spada puntata alla gola. Questo non l’avevo previsto. Sogghignò compiaciuto, al che deviai la sua arma e lo colpii al torace col palmo, costringendolo ad arretrare. Continuai ad attaccarlo e a difendermi, sfruttando ancora l’ambiente a mio vantaggio, finché non lo atterrai.
«Sessantacinque a cinquantotto.» Sorrisi sghembo, aiutandolo a rialzarsi.
«Oh? Caro amico mio, la vecchiaia ti fa brutti scherzi. Sono abbastanza sicuro che sia io ad aver superato le sessanta vittorie.»
Finsi di pensarci su, mentre si ripuliva la spada dall’erba per rimetterla nel fodero.
«Che strano, eppure la mia memoria è infallibile.»
Stava per ribattere, quando i nostri compagni ci raggiunsero. Data l’occasione erano tornati anche alcuni shīxiōng,[2] che si complimentarono con noi. Ritrovammo il contegno, inchinandoci dinanzi ad essi.
«Più sudate nella pratica, meno sanguinerete in battaglia. È quello che vi auguro, miei preziosi allievi» proferì il maestro in tono accorato. «Che la fortuna sia al vostro fianco e vi accompagni lungo il vostro cammino, sempre.»
«Xièxie, shīfù[3] esclamammo io ed Enlai all’unisono, prima di raddrizzarci. «In nostra assenza, abbiate cura di voi.»
Ci sorrise grato, ma immediatamente si ricompose, affinché potessimo proseguire con il consueto allenamento quotidiano.
Quando fummo congedati per cenare Enlai sospirò teatralmente, facendo dondolare le braccia, cosicché le ampie maniche oscillassero al vento, simili alle ali di un’avocetta.  
«Confesso che mi mancheranno queste vesti leggere.»
«Ero convinto che non ti piacesse questa divisa» feci notare, ricordando tutte le lamentele che ne avevano seguito il cambio.
«Dapprincipio no, perché non sono interamente bianche, come gli altri anni. Ma le ho rivalutate. Adesso mi piace il tocco di nero che hanno aggiunto» puntualizzò, indicandone i decori di canne di bambù e volatili. «Così sono molto più elegante, no?»
Si arrestò per mettersi in posa da nobile, con la schiena ritta e il mento alto, battendosi il ventaglio chiuso sul palmo.
Mi limitai ad alzare gli occhi al cielo, preferendo ignorarlo. Avevo altre grane di cui occuparmi, non potevo perdere tempo dietro alle sue sciocchezze.
Accelerò il passo per raggiungermi, aggiungendo con un pentimento artefatto: «Non volevo mancarle di rispetto, Li-dàren![4] Non se la prenda, non mi punisca!»
Si portò le mani sulla testa, fingendosi intimorito.
Schioccai la lingua al palato, seccato.
«La smetti con questa farsa?»
Scoppiò a ridere, dandomi una pacca su una spalla.
«Lo so che non ti diverte, ma io non vedo l’ora di tornare a Xian’an.»[5]
Evitai di commentare, risalendo le scale che conducevano verso la mensa.
«Anche perché mi incuriosisce vedere dal vivo come ti comporterai con la tua sorellina
Serrai le labbra in una linea stretta, inghiottendo il malessere che quella parola mi provocava.
«Oooh? Non mi vorrai dire che non ti manca, la tua cara, adorata, sorellina, con cui andavi così taaaanto d’accordo?»
«Enlai, piantala una volta per tutte!» sbottai, non riuscendo più a trattenermi. «Uno: lei non è la mia “sorellina”, e mai lo sarà. E due, sai che ti è vietato fare qualsiasi riferimento a lei e a tutto ciò che la coinvolge.»
Gli voltai le spalle stizzito, entrando con lunghe falcate nell’edificio.
«Non posso crederci, dopo tutti questi anni sei ancora geloso di lei?» si stupì, portandosi le mani sulle guance.
Dannato sbruffone. Prima o poi avrei dovuto dargli una lezione, così che capisse come doveva comportarsi in mia presenza; ma d’altronde, quel suo essere beffeggiatore e strafottente non erano tratti che mi dispiacevano. In altre situazioni tornavano utili. Non era certo un caso che fosse il mio uomo più fidato, nonché il mio unico amico.
«Non sono mai stato geloso di lei» rettificai, sforzandomi di calmarmi. «È che mi innervosisce, e ho già troppe cose per la testa.»
«Lo so lo so.»
Alzò le mani in segno di resa, prendendo posto a tavola.
Mentre mangiavamo isolai il chiacchiericcio di sottofondo, per concentrarmi sui miei pensieri. Erano troppe le questioni che mi turbavano.
La prima, riguardava la morte di mio padre. Durante quegli anni in Accademia non avevo avuto modo di indagare a fondo sulla faccenda, ma una volta tornato a casa non avrei più perso tempo.
Era avvenuto per caso, o forse fatalmente: durante una giornata libera, io e alcuni compagni – tra cui Enlai – eravamo andati in giro per la capitale, in modo da visitarla. Ben presto avevo notato alcuni uomini che vociferavano in un vicolo buio. Avendo sempre avuto un animo sospettoso, mi ero allontanato con una scusa insieme a Enlai, curioso quanto me di scoprire cosa stesse succedendo. Grazie al kung fu sapevamo celare la nostra presenza, grazie al nostro addestramento sapevamo essere silenziosi come formiche, e il nostro udito poteva carpire anche suoni lontani. Così ci eravamo nascosti sul tetto di un edificio, e restando in ascolto li avevamo sentiti parlottare della battaglia di diciassette anni fa: quella in cui aveva perso la vita mio padre.
Sapevo che fosse proibito parlarne, come era proibito discutere in alcun modo di qualunque sconfitta subita dal regno. Ma quel che registrò il mio orecchio fu l’insinuazione che non si fosse trattato di un incidente ineluttabile. Secondo essi, il generale Li era stato tradito dai suoi stessi soldati, quei pochi che tornati emaciati e pieni di ferite avevano ammesso la sconfitta, poco prima di perire.
Non avevo idea di quali fossero le fonti di tale supposizione, se potessero essere attendibili o meno, né avevo modo di accertarmene finché ero legato a quel posto. Ecco perché me ne sarei occupato una volta tornato a casa. Quei soldati erano morti, ma qualcuno doveva pur essere rimasto in vita come testimone, soprattutto… soprattutto l’eventuale mandante.
Tra l’altro, dopo aver studiato in maniera più approfondita la geografia locale, avevo scoperto che le migliori strutture difensive del Xiangang erano costruite lungo il delta inferiore, proprio là dove si era tenuta la battaglia. Com’era possibile che avessimo perso? I fiumi e le insenature avrebbero dovuto favorirci, non rovinarci. Era evidente che ci fosse qualcosa di essenziale che mi stava sfuggendo.
Un altro problema, non di poco conto, era legato alle origini di Yinghua. Non c’era nulla di male nel chiedere di una fanciulla, soprattutto se fingevo che fosse una mia amica in cerca delle sue radici, ma le risposte ricevute non erano mai state esaurienti. Possibile che, in tutto il regno, nessuno ne sapesse nulla di una bambina abbandonata? Era forse caduta dal cielo?!
Non era come pensavano tutti: non ce l’avevo con lei per un capriccio, né ero geloso di lei. Semplicemente non mi fidavo, perché tutte le altre persone che popolavano la nostra casa erano state scelte e selezionate con cura da mia madre, mentre lei era piombata di colpo nelle nostre vite, e da esse non ne era più uscita.
E poi, come se non bastassero i miei turbamenti da desto, si erano aggiunti quei bizzarri sogni…
«Xiaolang-gēgē!»
Meiling apparve dal nulla, riempiendo il mio campo visivo con un sorriso enorme.
Spostai lo sguardo sulle ciotole quasi vuote, finendo di mangiare.
«Meiling, come sono andate le lezioni?»
«Benissimo!»
Si accomodò all’altro lato, rubandomi il braccio libero. Col passare del tempo avevo cominciato ad abituarmici, tanto che ormai non ci facevo nemmeno più caso.
Prese a ciarlare della sua giornata, e fortunatamente per me ci pensò Enlai a darle corda.
Tornai nei miei pensieri circolari, tentando di venire a capo di tutti quei nodi, quando la voce squillante di mia cugina mi riportò al presente.
«Ah! Xiaolang-gēgē, mio padre mi ha chiesto di riferirti di andare da lui dopo cena.»
«Vado ora, ho finito» annunciai alzandomi.
«Eeeh? Dai, aspettami, andiamo dopo insieme!» protestò.
La guardai indulgente, sorridendole con aria di scuse.
«Meiling, mi sento piuttosto stanco.»
«Continuano gli incubi?» si impensierì.
Mi limitai a un mormorio in conferma. “Incubi”. Talvolta lo erano, ma il più delle volte erano… fantastici. In tutti i sensi.
«Ci vediamo domani» mi congedai, prima che avesse altro con cui ribattere.
Mi incamminai lungo un sentiero lastricato, che spiraleggiava in un complesso di edifici e pagode costruite su più livelli. Al piano più alto era situato un santuario, sulle cui torri laterali svettavano due draghi di pietra, simbolo dell’imperatore. Una cascata d’acqua scendeva su un fianco della montagna, incastonata come un gioiello dentro una natura lussureggiante. Era proprio in prossimità di quel luogo ameno che si trovava il padiglione occupato da mio zio.
Egli era il finanziatore della nostra accademia, così come sua moglie – precedentemente dama di compagnia dell’imperatrice madre – istruiva le fanciulle che sarebbero entrate a palazzo. In virtù della loro posizione, a Meiling era stato concesso in via del tutto eccezionale di frequentare le nostre stesse lezioni per alcuni anni, finché sua madre non aveva cominciato a lamentare il fatto che stesse crescendo sempre più simile a un maschiaccio, e non come la signorina di buona famiglia che avrebbe dovuto essere.
Era tipico di mia cugina, preoccuparsi di me e della mia solitudine. Eppure avevo fatto del mio meglio per farle capire che non avevo bisogno della sua compagnia: pur essendo cresciuto in una famiglia numerosa e chiassosa, preferivo starmene da solo, meditare e ascoltare il silenzio. Solo così riuscivo realmente a rilassarmi, a distendere tutti i nervi e a ragionare in maniera lucida, tenendo a bada le mie emozioni – sebbene da quando si avvicinava il mio ritorno a casa i momenti di quiete non facessero che ridursi.
Mi schiarii la gola sulla sommità delle scale, prima di annunciarmi.
«Lang-er,[6] entra pure!»
Aprii le porte, trovando mio zio seduto scomposto attorno ad un tavolino, su un cuscino color porpora. A un suo cenno mi accomodai di fronte a lui.
«Zio, avevate bisogno di vedermi?»
«Via via, con tutte queste formalità. Ecco, bevi.»
Mi versò del vino di riso e me lo porse, con un sorriso eccezionalmente simile a quello che sua figlia mi aveva rivolto solo poco prima. Brindai con lui, fingendo di berlo. Neppure se ne accorse, essendo troppo impegnato a ingollarlo in un sol sorso.
Sbatté la tazzina sul tavolo ed emise un sospiro soddisfatto, prima di versarsene dell’altro, lamentandosi: «Non ci posso credere che stiamo per perdere il nostro campione».
Sorrisi tirato, posando anche la mia tazzina, con maggiore delicatezza.
«Vi rammento che il mio periodo qui sta per scadere. A breve sarei andato via in ogni caso.»
«Sei proprio sicuro di non voler diventare un ufficiale governativo? Hai tutti i requisiti, anzi ne hai più di quelli richiesti! E potrei raccomandarti io!»
«Me ne sento lusingato, ma come sapete, ho altre aspirazioni.»
«Sì sì, lo so.» Sbruffò, agitando la mano come se stesse scacciando via una fastidiosa mosca. «Non ti interessa tutto quello che ruota attorno a governo e corte. Questo perché tua madre ti ha convinto che sia un ambiente terribile, pieno di falsità e doppi giochi, dove ci si ammazza pur di scavalcarsi. Non ascoltarla, ti assicuro che saresti beneamato, e come ufficiale potresti ottenere tutto quello che vuoi con grande facilità, soprattutto considerate le tue origini. Soldi, donne, fama, arriveranno a palate. E sarà anche più facile diventare generale.»
«Farò domanda per l’esercito a tempo debito» lo interruppi flemmatico.
«Se il padre è un leone il figlio non può essere un cane.»[7] Schioccò la lingua al palato, guardandomi in tralice. «Sei proprio sicuro di star facendo la cosa giusta?»
«Immagino vi sarà giunta voce che mia madre negli ultimi tempi ha accusato dei malori. Le mie sorelle sono tutte maritate, e non c’è nessuno a prendersi cura di lei; pertanto, finché non mi sarò assicurato che si è stabilizzata, non la lascerò sola.»
«Davvero lodevole la tua pietà filiale.» Brindò a me stavolta, esclamando: «Fossero tutti i figli come te!»
Non replicai nulla, sostenendo il suo sguardo con distacco. Quella era solo una parte della questione: finché non mi liberavo di ogni dubbio, non avrei mai servito un potenziale nemico della mia famiglia.
«Se non c’è altro vorrei ritirarmi, ho ancora da consegnare un libro a Lin-lǎoshī.»
«Sì, vai pure» rise ormai ebbro. «Avrò comunque di che vantarmi con te, anche quando sarai fuori di qui.»
«Ne sono onorato.»
Lo salutai brevemente e mi affrettai ad allontanarmi, prima che il suo inebriamento rapisse anche me.
Recuperai dalla mia stanza il libro che avevo completato e lo portai in biblioteca, dove sapevo avrei trovato il maestro con la testa infilata tra poemi, trattati filosofici e saggi sull’arte di governare. Ciascuno di quei volumi era stato scritto dagli eruditi del passato, con lo scopo di forgiare la tempra dei futuri statisti.
«Lǎoshī, ho completato lo Shan Hai Jing» lo informai, consegnandoglielo.
Tra tutti i maestri, egli e Zhang-lǎoshī, che ci insegnava a suonare il qin,[8] erano coloro nei confronti dei quali provavamo tutti un’incrollabile riverenza, sebbene avessero caratteri completamente opposti – l’uno era gentile, amichevole e disponibile, mentre l’altro era di poche parole, riservato e severo. Ciò non toglieva che fossero entrambi ottimi maestri, i migliori che potessimo chiedere.
«Eccellente.»
Lo sfogliò rapidamente con soddisfazione, riponendolo poi in una pila con gli altri.
«Sono pronto a scommettere che tutti ti stanno dicendo che sentiranno la tua mancanza.» Non ci fu neppure bisogno che confermassi, dovette leggermi in viso la risposta. «Sembrerà brutto dirtelo, ma io sono lieto di saperti a casa.»
«Non è brutto dirmelo» negai. «Vi ringrazio.»
«In ogni caso, non avremmo potuto trattenerti qui per sempre» scherzò. «Considerati i tuoi risultati, sarebbe stato tempo sprecato. E lo stesso vale per Enlai.» Fece una pausa, guardandomi di sottecchi. «Mi auguro non cessiate di essere amici.»
«Non penso riuscirò a liberarmi facilmente di lui» ribattei sarcastico, al che rise, riconoscendolo come vero.
Si alzò e fece un giro attorno al tavolo, venendo a posarmi le mani sulle spalle.
«Ti ho visto crescere, e sono fiero di ciò che sei diventato.»
Trattenni qualsiasi emozione, mostrandomi stoico come mi avevano educato. Lasciai trapelare unicamente gratitudine.
«So che per te io e Wei-shīfù siamo stati come due figure paterne, ma non dovrai sentire la nostra mancanza. La nostra assenza sarà compensata da altre presenze.»
Annuii, capendo quello che voleva dire. Mi ero costruito qui valori, affetti, culture condivise, ma a casa mi attendeva la mia famiglia. O almeno, quel che ne restava.
Rimasi in sua compagnia per un po’, scortandolo fino alla sala delle preghiere, dove accesi un incenso e lo aiutai a tenere lontani gli spiriti anche per quella notte. In gran segreto egli mi insegnava le nozioni di magia in cui ero ancora carente, e per questo sovente mi ero attardato con egli in camere nascoste agli occhi e alle percezioni degli altri.
Quando la stanchezza cominciò a sopraffarmi gli augurai una buonanotte, dirigendomi verso la zona alta dell’Accademia. Giunto al dormitorio mi chiusi nella mia stanza, grato che il mio status sociale, aggiunto ai miei risultati accademici, mi permettesse di averne una singola. Sbarrai le porte, calciai via le scarpe e mi buttai sul letto, stando supino.
Un leggero velo di speranza avvolse il mio cuore. Presi un respiro profondo, prima di chiudere gli occhi e prepararmi ad accoglierla.
Lei era lì.
 
 
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Negli ultimi tempi, il luogo in cui la incontravo era sempre lo stesso: sostavamo al centro di un ponte di pietra, in mezzo a tanta altra gente, dai contorni indefiniti a causa della pioggia. L’unico tocco di colore era dato dagli ombrelli, che coprivano le nostre teste; l’unica figura cangiante, in una plumbea atmosfera invernale, era lei.
Come ogni volta, procedeva con grazia verso di me. I suoi passi erano lenti, felpati. I suoi movimenti erano talmente leggiadri da sembrare sospesa in aria. Anzi, ella stessa sembrava essere fatta d’aria. Le sue ampie e leggere vesti, dai colori tanto chiari, tanto pacificanti, le fluttuavano attorno, oscillando insieme ai suoi lunghi capelli, incorniciandone dolcemente la figura.
Io restavo lì fermo ad osservarla, senza mai riuscire a scorgerne nel dettaglio le fattezze; senza mai riuscire a sbirciare sul suo viso, a scoprire di più del suo vago e roseo sorriso.
Puntualmente il sogno si concludeva con ella che mi superava, mentre io, nonostante il mio ardente desiderio di conoscerla, non riuscivo a muovere neppure un muscolo, finché non mi destavo.
Stavolta, tuttavia, andò diversamente. Stavolta riuscii a voltarmi, ad afferrare il suo braccio, a farla girare verso di me.
I nostri ombrelli caddero al suolo, innalzando le goccioline trasparenti di quella pioggia battente, rendendole simili a cristalli.
Ella sollevò il viso, fissandomi stupita. Non potei che riempirmi della sua stessa meraviglia.
Schiusi le labbra, incapace di pronunciarmi, totalmente incantato. Poteva mai esistere una creatura di una tale bellezza? La sua pelle splendeva più delle perle. I suoi grandi occhi erano del colore della giada più pregiata e brillante. Le sue rosee labbra erano un vergineo bocciolo di pura sorpresa. I fiori che adornavano i suoi capelli rilucevano del bagliore dorato che essi emanavano. I suoi lineamenti, ogni singola curva che la costituiva, era così… familiare…
Parve riprendersi prima di me, perché mi sorrise con dolcezza, posandomi una mano su una guancia. Il suo tocco era estremamente tenue, delicato. Le sue labbra sembrarono pronunciare qualcosa, ma la sua bocca non emise alcun suono. E nel silenzio assoluto sprofondai, fino al mio successivo risveglio.





 
 

[1] “Libro dei monti e dei mari”, è una descrizione geografica e culturale - in gran parte favolistica e mitologica - della Cina di epoca pre-Qin, risalente ad oltre 2000 anni fa.
[2] Shīxiōng = indica un compagno di accademia o un apprendista di arti marziali più anziano (sia d’età che di esperienza) rispetto a chi parla.
[3] “Grazie, maestro.”
[4] Nella prefazione vi ho detto che dàren (che significa “signore”) è un onorifico usato con gli ufficiali o con persone che hanno cariche autorevoli; in questo caso Enlai lo sta usando come uno sfottò, per quanto in seguito verrà effettivamente utilizzato con Xiaolang.
[5] Il nome della città è ispirato alla pronuncia in mandarino di Hong Kong.
[6] -er è un suffisso usato solitamente in famiglia, coi propri figli, in maniera affettuosa.
[7] Modo di dire, simile a “Tale padre tale figlio”.
[8] Il qin (anche conosciuto come guqin) è uno strumento musicale appartenente alla famiglia delle cetre, dal suono caldo e armonioso. Si compone di 7 corde e viene disposto in posizione orizzontale per essere suonato. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4










 
«Xiaolang-gēgē, non andare, ti prego! Ti scongiuro, come faccio a vivere senza di te!»
Meiling se ne stava avvinghiata al mio corpo come una scimmia su un ramo. I suoi singulti cominciavano a darmi sui nervi, e il parlottare dei miei compagni stava diventando sempre più irritante. Già giravano troppe voci sul nostro conto, e ora doveva anche fare queste scenate melodrammatiche.
«Meiling» la richiamai con fermezza, mentre anche la sua servitrice tentava di staccarmela di dosso, facendole notare quanto fosse disdicevole il suo comportamento. «Anche se vado via -»
«Xiaolang-gēgē!»
Se possibile il suo pianto divenne ancora più disperato e, di conseguenza, ancora più pietoso. Mi si allontanò, soltanto per gettarsi a terra, prostrandosi ai miei piedi.
«Abbi pietà del mio povero cuore!»
Ignorai le occhiate dei nostri spettatori e mi inginocchiai, poggiando le mani sulle sue braccia per aiutarla a rialzarsi. Lei si nascose il volto tra i palmi, singhiozzando.
«Meiling, è vero che sto per andare via, ma ciò non significa che non potremo più vederci.»
«Ma è stato così improvviso!» continuò a lamentarsi, tirando su col naso. «Solo io non ne sapevo niente!»
Sviai lo sguardo, colpevole. Se non gliel’avevamo annunciato prima era proprio per evitare che una situazione simile si protraesse per più giorni. Già stava andando avanti da un’ora.
«È tutta colpa vostra!»
Ecco, ora se la prendeva con il padre.
Scossi la testa, guardandolo mortificato. Anch’egli stava tentando di placarla in tutti i modi, con scarsi risultati.
«Piccola mia, il periodo di studio qui è finito per Lang-er. Credimi, spiace anche a me, ma non posso trattenerlo.»
«Non è finito!» replicò Meiling, probabilmente non stando neppure a sentire il resto. «Dovrebbero essere minimo tredici anni, ne sono trascorsi soltanto dieci!»
«In questi dieci anni ha già appreso tutto ciò che avevamo da insegnargli. Per cos’altro dovrebbe restare?» argomentò il padre.
«Per…» Sembrava stesse per dire qualcosa – potevo già immaginare la risposta –, ma alla fine parve mordersi la lingua e ragionare in fretta, ribattendo: «Per migliorare!»
«Ma se è già un prodigio così!»
«Lo so che Xiaolang-gēgē è il migliore al mondo, ma non si può che progredire col tempo, no?»
Mi portai una mano alla fronte. Ecco che diventava tutto ancora più imbarazzante.
«Certamente, ma può continuare ad apprendere anche senza il nostro aiuto! Ne abbiamo discusso insieme, e tutti i maestri si sono ritrovati d’accordo.»
«Traditori» sibilò mia cugina, adocchiandoli come una serpe.
«Mio signore.» Mi voltai alla mia sinistra, trovando un servo costernato. Lo riconobbi come quello del cocchiere. «Mi perdoni se oso tanto, ma dovremmo partire…»
Feci un cenno di comprensione e mi schiarii la voce, per attirare nuovamente l’attenzione di mia cugina.
«Meiling, zio ha ragione. Ormai ho raggiunto il massimo dell’educazione che potessi ricevere. Ho studiato e ricopiato tutti i classici che mi sono stati presentati, conosco a memoria poesie, biografie, trattati, antologie e dialoghi di filosofi e letterati. Ho portato avanti uno stile di vita stoico, privo di distrazioni, piaceri e divertimenti. Mi sono costantemente dedicato a lettura e scrittura, pittura, musica e combattimento. Ho quotidianamente meditato e mi sono allenato giorno dopo giorno, per perseguire la perfezione spirituale e carpire l’importanza della virtù alla base degli ideali di quest’accademia, e soltanto così facendo ho potuto vincere il campionato scolastico ogni anno e sono divenuto abile alla pari dei maestri di spada e di oratoria. Ora posso finalmente tornare a casa e prendermi cura di mia madre. Riesci a capirlo, no, che lo faccio per lei?»
Chinò lo sguardo, rimuginando, finché non ritrovò la dignità perduta.
«D’accordo. Se te ne vai perché sei in pensiero per zia Yelan e vuoi liberarti delle tue preoccupazioni, non ti fermerò. Abbi cura di lei, e… ogni tanto ricordati anche di me.»
Mi aprii in un piccolo sorriso, promettendoglielo.
Mi strinse a sé in un ultimo abbraccio, quasi stritolandomi. Salutai anche mio zio, i maestri e i miei compagni, a loro volta sull’orlo delle lacrime; dopodiché raggiunsi Enlai in carrozza.
Nel momento in cui furono spronati i cavalli scostai la tenda, affacciandomi. Meiling continuava ad allungare drammaticamente una mano nella mia direzione, quasi fosse una madre che diceva addio al proprio figlio. Anzi, neppure una madre l’avrebbe fatta tanto tragica – o perlomeno, questa non era stata la reazione della mia.
Quando ero dovuto partire per la capitale avevo otto anni; a dire il vero, ero già in possesso di gran parte dei requisiti richiesti nella formazione, per cui negli anni a venire i maestri non avevano fatto altro che affinare le mie conoscenze e competenze. Forse mia madre se lo aspettava, e per questo la sua unica dimostrazione di affetto alla mia partenza era stata coprirmi con un mantello che ella stessa aveva ricamato, dicendomi di usarlo in inverno. Naturalmente crescendo aveva iniziato ad andarmi piccolo, per cui negli anni me ne aveva fatto recapitare un altro identico, più lungo. Lo stavo indossando anche in questo momento, per tornare, se non uguale, almeno simile a come ci eravamo lasciati.
Chiusi la tenda, fronteggiando Enlai. Sorseggiava del tè alternandolo a dei datteri, senza pronunciarsi.
Me ne versai anche per me, domandandogli: «Hai deciso dove starai?
«Pensavo di pernottare alla casa di piacere di mia sorella.»
«Non puoi.»
Si aprì in un sorriso volpesco.
«Non sarai invidioso? Guarda che potrai venire a trovarmi anche tutti i giorni.»
Posai la tazzina, guardandolo austero.
«Mi servi.»
«Oh ecco, ammetti che hai bisogno di me!»
«Vieni a vivere da noi» tagliai corto. «Ti permetterò di andare a trovare Yueliang-gūniang. E puoi portare con te anche Taiyang» precisai.
Fissò il soffitto, poggiando la schiena contro il sedile.
«Insomma, avevi già capito che volevo riprendermi il mio gatto.»
«Perché so che a parte il gatto e tua sorella non hai altro interesse.»
«Potrei divertirmi con qualche donna» ammiccò.
«Quando sarai libero potrai avere il tuo harem, ma per adesso devi servirmi. Abbiamo fatto un patto.»
«Lo so, non posso tirarmi indietro» si arrese, intrecciandosi le dita dietro la nuca. «Vivrò con voi, ma non nella tua stessa stanza.»
Rabbrividì raccapricciato, al che gli lanciai un dattero, che mangiò al volo.
«Idiota. Naturalmente occuperai una delle vecchie stanze delle mie sorelle.»
«Hoho, dormirò nello stesso letto di una donna!»
«Mi duole infrangere i tuoi sogni da dongiovanni mancato, ma ho già avvisato mia madre e sono certo che abbia già deciso dove sistemarti. Di conseguenza, sarà stato cambiato anche il mobilio.»
«Sempre previdenti voi Li.»
Non riuscii a mascherare un sorriso. Questo era vero. Noi eravamo strategici, calmi, riflessivi. Ecco perché non riuscivo a spiegarmi come mio padre potesse essere stato assassinato a tradimento. Dovevo assolutamente scavare più a fondo nella faccenda, e per farlo mi serviva un uomo astuto e carismatico. Tale ruolo non poteva che essere ricoperto da Enlai.
 
 
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Quando giungemmo alle porte della città il sole era alla massima altezza nel cielo, nascosto da poche nubi sottili.
Mi sedetti composto, rassettandomi. Non osavo mostrarmi trasandato al cospetto di mia madre. Sicuramente si sarebbe erta in tutta la sua magnificenza. Non era ammissibile neppure un capello fuori posto.
«Xiaolang, tranquillo. Ti assicuro che sei perfetto, bellissimo come sempre. Se Meiling-shīmèi[1] fosse presente convolerebbe a nozze con te senza pensarci due volte.»
Poco ci mancò che rigettassi la colazione.
«Non dire stupidaggini.»
«Che cuore di ghiaccio» mi criticò, scuotendo la testa. Non appena ci inoltrammo nel traffico del mercato, tuttavia, si esaltò, alla pari di un bambino. «Ci siamo quasi! Sto per incontrare la famosa Li-fūren!»
«Comportati a dovere» lo misi in guardia. Mia madre era sempre stata una donna rigida e severa, con poca predisposizione a tollerare sgarberie.
«Sarò impeccabile e non ti farò fare brutta figura. Anzi, non parlerò proprio se non vengo interpellato» assicurò, picchiettandosi la bocca.
«Ci conto.»
Non appena la carrozza si fermò mi alzai, aggiustandomi il mantello. Presi un respiro profondo, prima di uscire.
La prima persona che vidi fu Shanyuan, il quale prontamente allungò una mano per aiutarmi a scendere. Erano trascorsi dieci anni, quindi ormai avrebbe dovuto avere ventiquattro anni; eppure il suo aspetto non sembrava quasi per niente mutato, se non in altezza e nei lineamenti non più delicati e tondi, come una volta. Lasciai perdere il suo aiuto e lo esortai a recuperare i nostri bagagli.
Toccato terra sollevai lo sguardo verso il portale d’ingresso della nostra dimora. Seguii ogni pietra dello scalone, avvertendone la solennità e pesantezza trasferirsi nel mio animo. Giunsi fino a una figura dalle vesti cupe ma sontuose. La misi a fuoco in tutta la sua interezza, chiedendomi che espressione avrebbe ospitato il suo viso. Quando i miei occhi incontrarono i suoi, quel che ne ricevetti mi lasciò senza parole. Malinconia e stanchezza erano lì a tinteggiare le sue iridi d’inchiostro, ma su di esse scintillava una felicità a stento repressa.
Mi affrettai a raggiungerla, inchinandomi.
«Madre, sono tornato.»
A un suo cenno mi risollevai.
Non disse nulla. Continuò a fissarmi a labbra serrate, con un contegno forse forzato. Ne approfittai per osservarla con scrupolo. Era più magra di quanto ricordassi, la sua pelle sembrava molto più sottile e trasparente, e tra i capelli si intravedevano sottili fili argentei.
Accorgendomi che Enlai mi aveva affiancato mi affrettai a presentarglielo ufficialmente. Lei gli diede il benvenuto, in tono cordiale. Agli occhi di chiunque sarebbe parso strano che le sue prime parole le avesse rivolte ad un estraneo piuttosto che al figlio, ma io me lo aspettavo. Sapevo già che non avrebbe mai reagito come le classiche madri che accoglievano i figli di ritorno dalla capitale. Non avrebbe pianto. Non avrebbe mai ammesso di aver sentito la mia mancanza. Non si sarebbe lasciata sopraffare da alcun sentimento, in presenza di altre persone.
Ci fece segno di entrare, ordinando a qualcuno di chiudere il portone; solo dopo che fu fatto ciò si fermò dinanzi a me, adagiando l’intero suo palmo su una mia guancia. Enlai, alle sue spalle, mi fissò sbalordito. Ero altrettanto costernato.
Mi contemplò tacita per un tempo interminabile, con iridi che andavano inumidendosi sempre più, mentre correvano lungo tutto il mio viso. Si aprì in un minuscolo sorriso e mi strinse brevemente tra le sue braccia, facendomi così notare che ero io ad avvolgere del tutto lei, nella sua piccolezza, e non viceversa.
«Bentornato» sussurrò accanto al mio orecchio.
Prima che potessi rispondere si allontanò, aggiustandomi capelli e abiti, sembrando lieta del fatto che avessi indossato il mantello.
Ci invitò poi a procedere, e noi la seguimmo in cortile, dove trovai la servitù ad attendermi. Si inchinarono tutti insieme, salutandomi cortesemente. Scrutai i loro visi: ce n’erano molti di giovani e nuovi. Mi arrestai dinanzi a Yuanmei, notando che malgrado la vecchiaia manteneva ancora la gagliardia di dieci anni fa. Mia madre mi aveva assicurato che adesso, oltre ad ella e alla sua precedente dama di compagnia, Hualing, la affiancavano la figlia di quest’ultima, Chunhua, e Yinghua, nel prendersi cura di lei. Ma a questo non volevo ancora pensarci.
Siccome faceva freddo ordinai a tutti di tornare alle proprie mansioni.
«Shanyuan, mostra a Enlai dove alloggerà. Tu, prepara un tonico per mia madre» aggiunsi, rivolgendomi alla prima cameriera più prossima a noi.
«E del tè per mio figlio» soggiunse mia madre, posandomi una mano sull’avambraccio. «Andiamo nel padiglione delle peonie» propose. Ossia, il padiglione che aveva condiviso con mio padre, tuttora occupato da lei.
Nella sala da tè cedetti a lei la poltrona più morbida, sedendomi trasversalmente alla finestra.
«Madre, come vi sentite?»
«Sto bene, Xiaolang» mi rassicurò.
Cercai conferma in Hualing, la quale assentì col capo.
«Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che era quando è partita» recitò mia madre, non capivo se con aria malinconica o meno. «Adesso sembri più premuroso e meno viziato.»
Sorrisi forzatamente, rammentandole: «Allora ero immaturo. Se vi ho mai mancato di rispetto mi dispiace».
«Non mi hai mai mancato di rispetto. Al contrario, mi sei sempre stato devoto.»
Si scambiò uno sguardo con Yuanmei, prima di tornare da me, con aria solenne.
«Ricordi cosa dicesti prima di partire?»
Scavai nei miei ricordi, tentando di capire a cosa si stesse riferendo. Celando ad arte l’agitazione mi schiarii la gola, negando.
«Non mi sovviene.»
Sorprendentemente si aprì in un placido sorriso.
«Molto meglio così. Magari le cose non andranno male come temevamo» ridacchiò con Yuanmei.
«Non è soltanto chi parte a cambiare, ma anche chi resta, a quanto pare» mi feci sfuggire.
«Xiaolang, si dice che la vita sia come un fiume che scorre sempre in un’unica direzione. Tuttavia, col passare delle stagioni l’acqua cambia, può ingrossarsi o prosciugarsi, può diramarsi in rigagnoli, può trovare un ostacolo lungo il percorso ed essere costretta a confluire in nuovi sbocchi. Così siamo anche noi. Oramai sono anziana, ho vissuto e affrontato innumerevoli perdite, ma è proprio grazie a ciò che ho compreso quanto sia essenziale fare tesoro di ogni momento che ci è dato per poter stare con le persone a noi care. Un giorno, quando avrai la mia età, lo capirai anche tu.»
Si voltò verso la cameriera che le stava porgendo il suo tonico, mentre replicavo: «Madre, siete ancora giovane. Non dovreste fare questi discorsi funesti. So che avete avuto tanto da sopportare in questi anni, ma adesso sono tornato. Non dovete più preoccuparvi di nulla, gestirò io la casa. Vi solleverò da ogni carico».
«Ti ringrazio.»
Soffiò sul liquido contenuto nella ciotola e ne bevve un sorso, prima di fissarmi, come se fosse in attesa. Mi feci teso, sentendomi sotto pressione. A un suo cenno col mento adocchiai la fanciulla inginocchiata in mezzo a noi, intenta a versarmi il tè.
Sembrava avere su per giù la mia età, ma ero abbastanza sicuro di non averla mai vista. Il suo capo era incoronato da trecce tenute da fermagli floreali che mi sembravano troppo pregiati per il suo rango. Il resto dei capelli era diviso in due code morbide, leggermente allentate, che le incorniciavano il pallido viso, scivolandole fino al ventre. Per un attimo mi chiesi se non fosse qualche signorina ospite da noi, ma i suoi abiti erano gli stessi indossati dalla servitù: la parte superiore del ruqun[2] era di un caldo arancio, ricamata da rametti di pruno in fiore, mentre quella inferiore era di diverse sfumature color pesca.
Tornai a fissare mia madre, perplesso.
«Xiaolang» mi richiamò, come se mi fossi comportato in maniera sgarbata, indicando la cameriera. «In accademia non ti hanno insegnato a ringraziare?»
Tornai dalla fanciulla, chiedendomi se non fosse sul serio la figlia di qualche nobile. Che le avesse chiesto di travestirsi per mettermi alla prova? Con quale scopo? Non intendeva mica combinare un matrimonio tra noi?
Mantenendo la testa china, la sconosciuta allungò la tazzina nella mia direzione, senza neppure fiatare.
Perché non parlava? Le sue dita stavano tremando? Che avesse paura di me? Possibile?
«Grazie» bofonchiai, togliendole il tè dalle mani. Lo annusai con discretezza, prima di berlo. Il sapore non aveva nulla da invidiare alla sua aromatica fragranza.
Posai la tazzina sul vassoio, e lei prontamente la riempì. Per essere tanto celere, doveva essere abituata a farlo da una vita. Quindi o era davvero una cameriera, oppure era un’attrice professionista.
Mia madre tenne gli occhi fissi su di noi anche mentre beveva, come se stesse studiando i nostri movimenti. Cos’aveva architettato?
«Certo che non me l’aspettavo» osservò dopo poco, mentre io accettavo nuovamente la tazzina.
«A cosa vi riferite?»
«Al fatto che tra tante persone che sono al nostro servizio tu abbia dato l’ordine proprio a Xiaoying.»
Per poco il tè non mi andò di traverso. Tossii, poggiando la tazzina di lato.
La cameriera – Yinghua – mi porse un fazzoletto, allarmandosi.
«Shàoyé, prego, si pulisca con questo.»
Finalmente sollevò lo sguardo da terra, ma non appena lo posò nel mio mi rubò del tutto il respiro. Il suo viso ovale sostituì completamente quello paffuto che in qualche modo ancora sopravviveva, nei miei ricordi. Grandi occhi verdi incorniciati da lunghe ciglia le illuminavano il volto, come un mattino di primavera. Le sue labbra erano candide e delicate, simili a un bocciolo di rosa. Quelle fattezze…
Sgranai gli occhi, sentendo la mia testa farsi pesante.
Perché era tanto simile alla fanciulla che mi appariva in sogno? Possibile che fosse stato un sogno premonitore?
Ma era davvero Yinghua? Era… diversa. Una volta i suoi capelli non erano così scuri, quasi dello stesso colore della notte. Il suo portamento, in passato, era molto meno aggraziato. Non faceva che combinare guai, imbranata com’era. E la sua voce era sempre stata squillante, vivace, mentre adesso era così… così pacata, sottile. Era totalmente sconosciuta, eppure… eppure mi era altrettanto conosciuta.
«M-mi dispiace se non le ho rivolto prima la parola, ma temevo che lei… che…»
Si morse il labbro, come in difficoltà. Aggrottai la fronte, chiedendomi perché fosse tanto intimorita, ma mi bastò pensare a come l’avevo trattata in quegli anni di convivenza per capire. E improvvisamente ricordai anche la minaccia con cui ci eravamo separati.
Le resi il fazzoletto, facendole segno di lasciar perdere.
«Puoi stare tranquilla. Confesso che ho provato a chiedere di te in giro, ma non ho scoperto nulla.»
E il problema stava proprio in quello. Da dove diamine era spuntata fuori? Qual era la sua famiglia d’origine?
Mi guardò stupita. Emise solo un tenue «Oh…», prima di domandare: «Quindi non… non ha intenzione di cacciarmi?»
Alzai un sopracciglio, offeso.
«Mi consideri tanto insensibile? So che mia madre ci tiene a te, non ti allontanerei mai da lei, a meno che non sia necessario.»
«N-non volevo insinuare questo!» si affrettò a riparare, nervosa, scuotendo le mani davanti al viso.
Guardò mia madre in cerca di aiuto, e anch’io mi volsi verso di lei, supponendo che ne avessero già discusso.
«Madre, potete mettere pace nel vostro animo.»
«Quindi accetti di vivere nuovamente con lei? Non sarai più geloso?»
Sospirai pesantemente, sforzandomi di mantenere un’espressione neutrale.
«Non sono mai stato geloso, né ho ragione di esserlo.»
«Visto, Xiaoying? Non hai nulla da temere» la rassicurò, sorridendole calorosamente.
Guardai Yinghua con la coda dell’occhio, notando che annuiva con iridi lucide, quasi fosse profondamente commossa. Oh, per l’amor del cielo…
Prima che potessi pensarci io mi tolse la tazzina dalle mani e la rimise sul vassoio, rivolgendomi un timido sorriso, insieme a un accorato bentornato. Mi lasciò basito, ma tale sconcerto durò un attimo fugace quanto un fulmine. Il mistero continuava ad avvolgerla e, per questo, non potevo assolutamente permettermi di abbassare la guardia. Non in sua presenza. Sarei riuscito a scavare nel suo passato, a qualsiasi costo.





 
 

[1] Shīmèi = indica una compagna di accademia o un’apprendista di arti marziali più giovane (sia d’età che di esperienza) rispetto a chi parla.
[2] Tipologia di abiti tradizionali femminili (consiglio di cercare le immagini per visualizzarlo meglio).

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Capitolo 8
*** Capitolo 5 ***


 

CAPITOLO 5











Rivolsi una muta preghiera al Cielo, chiedendo agli dei di conferirmi una grazia. Quanto potevo essere sfortunata? Possibile che, tra i tanti domestici del casato, dovessi essere proprio io a servire Li-shàoyé? Perdipiù, al momento del suo arrivo! Senza poter neppure concedergli il tempo di abituarsi a noi, di abituarsi a me. A quel punto potevano anche gettarmi direttamente nelle fauci di una tigre, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Avevo temuto il suo ritorno, il suo giudizio, il suo verdetto, come non avevo mai temuto nulla nella mia vita.
Eppure, nel momento in cui lo servii, non mi aspettavo che potesse essere tanto gentile nei miei confronti. Nessuna occhiataccia. Nessun insulto. Nessuna riprensione o parola di scherno. Non mi aveva detto che ero una seccatura, che dovevo sparire dalla sua vista, che ero un’incapace. Mi aveva concesso di portare avanti il mio dovere, senza lamentarsi, senza cacciarmi.
Ciò mi dava da riflettere. Forse ero io che ne avevo una visione distorta, di un bambino orgoglioso che mi detestava perché ricevevo più attenzioni di quante ne ricevesse egli da sua madre? Che il timore che provavo nei suoi confronti lo avesse reso più temibile di quanto realmente fosse, ai miei occhi?
Ipotizzando che fosse così, cercai di vederlo sotto una nuova luce. Anche perché erano trascorsi molti anni dalla nostra convivenza, e si sa, col tempo si cambia. Si cresce, si matura, ci si rinforza; pertanto sarei stata coraggiosa, e avrei cercato di trascorrere del tempo con egli, per capire quanto fosse differente dal sé del passato.
Malgrado mi fossi ripromessa ciò, se potevo evitavo di parlargli, o anche solo di guardarlo, sentendomi ancora in soggezione in sua presenza. Forse ciò dipendeva dal fatto che fosse diventato talmente alto da farmi sentire minuscola, considerando che a malapena arrivavo all’altezza del suo collo. E questo mi dava anche l'impressione che, quando mi stava di fronte, torreggiasse su di me. Non era affatto piacevole.
Fortunatamente sembrava che egli fosse piuttosto impegnato, per cui erano rari i momenti in cui le nostre strade si incrociavano. Inoltre, negli ultimi tempi avevo cominciato ad occuparmi di mansioni che mi tenevano lontana dalle camere dei miei padroni, pur di scongiurare un nostro eventuale incontro.
«Ecco che sospiri di nuovo» mi prese in giro Chunhua, ridacchiando insieme a Liling. «Chissà a chi stai pensando…»
«A Li-shàoyé» risposi con onestà, rilasciando un altro sospiro.
«Non lo nascondi nemmeno!» esclamò Chunhua, mettendo a posto nella cesta la veste che aveva appena finito di strizzare.
«Via, la sincerità è uno degli aspetti che maggiormente apprezziamo della nostra Yinghua» rise Liling, prendendo un nuovo abito.
La aiutai a strofinarlo nelle acque del fiume per sciacquarlo, spiegando: «Devo confessare che mi sento intimorita dalla sua presenza».
«Ma perché mai? Io ricordo che quando eravate bambini andavate molto d’accordo.»
Mi voltai di scatto verso Chunhua, restando senza parole.
«Molto d’accordo?» ripeté Liling.
Naturalmente lei non poteva saperlo, essendo stata assunta da pochi anni.
«Eccome! Questa birbantella gli correva sempre dietro, praticamente era la sua ombra. Si interessava a tutto quello che faceva, lo cercava costantemente per chiedergli di giocare insieme -»
«E lui mi cacciava via, a buona ragione.» Mi portai le mani sul viso, imbarazzata. «Lo tormentavo.»
«Io penso che sotto sotto gli facesse piacere.»
Storsi le labbra, guardando con afflizione le rocce nel fiume.
Lo dubitavo fortemente; già ci pensavano le sorelle a non dargli pace, poi mi ci mettevo anch’io…
«Questa non me l’aspettavo» ammise Liling, osservando: «Quindi va tutto a favore di Li-fūren».
La fissai confusa, non capendo.
«A cosa ti riferisci?»
«Al vostro rapporto. Li-fūren ti considera come una figlia, Li-shàoyé come una sorella minore.»
Scossi vigorosamente la testa, ribattendo: «Piuttosto, penso che mi consideri come un demone che infesta questa casa…»
Rabbrividii a questo mio stesso pensiero, per il quale Chunhua mi schizzò dell’acqua addosso, facendomi trasalire.
«Che sciocchezza. Considerando tutto il bene che vi hai apportato, andresti paragonata a una divinità benefica.» Smise di trottare avanti e indietro, puntandomi un dito contro. «Ma anche nella tua semplice umanità, devi tenere in considerazione la crescita del nostro signore. Ormai è un uomo maturo, non ti tratterà più con freddezza e diffidenza» affermò convinta.
Io non ne ero del tutto sicura, ma finsi di crederle.
Mi alzai per portare la prima cesta di panni puliti in casa, attraversando la foresta di bambù. Sollevai lo sguardo verso le alte cime, riflettendo. Come avrei potuto farmi apprezzare da Li-shàoyé?
Ci ragionai su, seguendo con gli occhi il vento che smuoveva le rigogliose fronde. Nell’aria fluttuavano petali di ciliegio, mescolandosi alle verdi foglie. Sorrisi, inalandone la dolce e delicata fragranza. Feci una giravolta al di sotto di essi, chiudendo gli occhi. Lasciai che mi carezzassero, mentre piano piano giungevo ad una conclusione piuttosto semplice: mi bastava essere me stessa e continuare a comportarmi come avevo sempre fatto. Forse sarei riuscita a fare breccia nei suoi scudi, disintegrando il suo disdegno.
Tornai a camminare composta, ritrovandomi tra le mura domestiche. Non appena intrapresi il sentiero che conduceva verso l’area in cui stendevamo i panni dovetti fermarmi, trovando un gatto nero a bloccarmi la strada.
«E tu da dove sei spuntato?»
Posai la cesta a terra, accovacciandomi. Allungai una mano, facendogli segno di avvicinarsi. Mi sniffò la punta delle dita, per poi strofinarci la testa, lasciandosi carezzare. Il suo pelo era lungo e lucidissimo. Chissà a chi apparteneva.
«Taiyang, ecco dove ti eri cacciato!»
Nel sentirsi chiamare scattò con le orecchie e la testa ritta, schizzando via dalla mia mano.
Mi rimisi in piedi, seguendolo con lo sguardo, finché non lo vidi saltare tra le braccia dell’ospite del nostro padrone – a quanto avevo capito, si sarebbe trasferito qui a tempo indeterminato.
Egli lo carezzò brevemente, prima di sollevare i suoi occhi grigi su di me; che colore bizzarro, quasi si avvicinava a quello delle nubi portatrici di pioggia.
Abbassai immediatamente lo sguardo, facendo un breve inchino, e recuperai la cesta. Pur tenendo gli occhi fissi a terra, intravidi i suoi piedi giungere paralleli ai miei.
«Tu sei…?»
«Yinghua.»
«Oh, la famosa Yinghua!»
Involontariamente scattai in su con la testa. Lui sorrise a trentadue denti. Sembrava una persona amichevole.
«Grazie per aver ritrovato il mio gatto, Yinghua-gūniang.»
«È il vostro gatto che è venuto da me» spiegai, aprendomi in un piccolo sorriso.
«In effetti, sembra averti preso in simpatia. Finora si è lasciato toccare soltanto da Xiaolang, ma non appena gli altri domestici hanno tentato di carezzarlo è scappato via, venendo da te. Chissà, magari percepisce una certa affinità tra voi.»
Per qualche ragione, avvertii le mie guance scaldarsi. Spostai lo sguardo sul gatto tra le sue braccia, sorridendogli con affetto.
«Per me non è che un onore.»
«Dove stavi andando con quella cesta?» si interessò.
«Oltre il padiglione delle orchidee, lì stendiamo i panni.»
«Ti accompagno.»
«Eh? Ma no, non ce n’è bisogno!»
«Non negarmelo. Già so che dirai di no se ti chiedessi di far portare a me la cesta.»
«Assolutamente, è il mio lavoro.»
«Per l’appunto. Quindi permettimi di essere un gentiluomo e quanto meno scortarti fin lì. Così puoi anche trascorrere altro tempo con Taiyang.»
Sorrise compiacente, al che non me la sentii più di rifiutare. Era tanto cortese con me.
Gli permisi di starmi accanto, mentre si interessava del mio lavoro.
«Quindi ti occupi di lavanderia?»
«No, di un po’ di tutto. Solitamente servo Li-fūren insieme a mia madre, ma da quando è tornato Li-shàoyé sembra essersi rimessa in forze. Pertanto mi ha concesso di tornare alle mie precedenti mansioni. Perlopiù mi occupo della pulizia delle sue stanze e del giardino.»
«Anche del giardino? È immenso!» osservò colpito.
«Lo so, ma trovo piacere nello stare all’aperto, e…»
Mi morsi il labbro, chiedendomi se fosse consono espormi tanto.
«E…?» mi spronò a continuare, visibilmente intrigato.
«E mi permette di non annoiarmi. Perché le piante sono ogni giorno diverse, e gli uccelli e il cielo hanno sempre nuove visioni da offrirmi» spiegai brevemente, sentendomi in imbarazzo.
Essendo giunta a destinazione mi voltai verso di lui, inchinandomi agitata.
Lui mi fece rialzare mentre proferiva, con un’onestà imprevista: «Yinghua-gūniang, sei una persona così semplice, eppure tanto profonda».
Sarei stata toccata dalle sue parole, sennonché con ogni sillaba che pronunciava muoveva un passo verso di me; al che di riflesso ne mossi qualcuno indietro. Sorrise forgiando una smorfia che sembrava il muso di una volpe, guardandomi dritto negli occhi. Il cuore prese a palpitarmi con furia nel petto. Cosa stava succedendo?
«Confesso che susciti il mio interesse.»
«V-voi mi lusingate…» riuscii a malapena a balbettare.
In qualche modo, finii con le spalle contro un pilastro. Trattenni il fiato, colta alla sprovvista. Non mi ero mai ritrovata in una situazione simile. Come dovevo comportarmi?
Sfoggiò un ghigno divertito, sussurrando: «Se mai dovessi aver bisogno di qualcosa, qualunque cosa, basta che ti rivolgi a me. Mi metto completamente al tuo servizio». E detto ciò mi diede le spalle, sparendo su uno dei tetti.
Mi portai una mano al petto, ritrovando il respiro. Scrollai vigorosamente il capo e mi tirai degli schiaffetti sulle guance, liberandomi da frivoli pensieri. Tornai al mio dovere, e non appena ebbi finito posai la cesta al suo posto, prima di andare alla ricerca di Li-fūren, chiedendomi se avesse bisogno dei miei servigi.
Nonostante gli impegni del figlio, la mia signora stava cercando di trascorrere quanto più tempo possibile con egli; così facendo, il suo spirito sembrava essersi liberato di tutte quelle oscure ombre che lo avevano offuscato in questi anni. Sembrava anche essere ringiovanita, e il suo corpo aveva ritrovato vigore. Non potevo che esserne felice.
La trovai seduta al centro del padiglione dei loto, in contemplazione dei fiori sul laghetto, con Li-shàoyé. Non avrei voluto disturbarli, sennonché fu ella stessa a notarmi.
«Ah, Xiaoying cara, eccoti.»
Non persi tempo ad avvicinarmi e inchinarmi.
«Perdonatemi, non volevo disturbarvi.»
«Non preoccuparti, resta pure con noi.»
Li-fūren diede un colpetto sullo spazio libero al suo fianco. Seppure con riluttanza mi accomodai, leggermente a disagio.
«Ho saputo che Enlai-gōngzǐ non ha perso tempo per importunarti» celiò. Le voci giravano più rapidamente di quanto immaginassi.
Scossi la testa, spiegando: «È stato molto gentile. Mi ha presentato il suo gatto».
«Un’adorabile creatura. Non è vero, Xiaolang?»
Egli mormorò appena un consenso, continuando a guardare i fiori con tedio.
Sua madre non parve preoccuparsi più di tanto della sua scarsa partecipazione, perché tornò immediatamente da me, prendendomi entrambe le mani.
«Stavo proprio sperando che venissi a cercarmi. Pochi giorni fa è stato il tuo compleanno, e purtroppo non ho avuto modo di uscire personalmente per cercarti un regalo.»
«Mia signora, non deve darsene pensiero.»
«Non potevo non darti nulla. E stai tranquilla, non sono uscita da sola. Mi ha accompagnata Xiaolang stamani.»
Prese dal tavolino circolare un cofanetto in legno che non avevo notato. Ne feci scorrere il coperchio, scoprendo uno spillone con un mazzetto di ciliegi in fiore ad un’estremità, dai quali pendevano fili dorati terminanti in minuscole perle, simili a gocce di pioggia che avevano rubato l’arcobaleno.
La guardai con le lacrime agli occhi.
«Non posso accettarlo…»
«Si abbina perfettamente al pettine di cui già ti ho fatto dono. Osi rifiutarlo?»
«No, ma… è troppo prezioso…»
Sospirò, togliendomelo dalle mani. Mi pettinò i capelli con le dita, ne afferrò due ciocche unendole e le arrotolò, annodandole con esso. Mi sfiorò poi una guancia, sorridendomi amorevolmente.
«Ti sta benissimo.»
Abbassai lo sguardo, sentendomi arrossire.
«Xiaolang, non lo pensi anche tu?»
«Madre, non mi intendo di moda femminile.»
Sbagliavo o c’era una nota renitente nella sua voce?
«Non c’entra nulla, saprai almeno fare un complimento a una donna, no?»
Il tono della mia signora divenne più tagliente, e lui quasi grugnì, guardandomi controvoglia.
«Mh, ci stai bene» la fece breve, tornando a mirare dritto dinanzi a sé.
La mia signora rilasciò un lungo sospiro. Sollevò leggermente le spalle, quasi cercasse di giustificarlo.
«Devi perdonarlo. Sarà anche cresciuto in questi anni, ma resta un bambino schivo.» Non c’era bisogno che parlasse, né che mi voltassi, perché lo sdegno di Li-shàoyé era palpabile. «Avrai notato anche tu che, nonostante l’altezza, dentro di sé è rimasto com’era.»
Chissà se lo stava punzecchiando appositamente, per stizzirlo.
Trattenni un sorriso, cercando di non risultare offensiva. Osai guardarlo in viso e lo scrutai accuratamente, ricordando quello che mi aveva detto Chunhua: pareva che il suo ritorno avesse sconvolto la servitù, perché chi lo ricordava bambino non si aspettava quel giovane uomo, mentre chi non lo conosceva aveva perduto un battito al suo cospetto. Lo consideravano il nobile più bello che avessero mai visto in tutto il regno. Per me era naturale, considerata la sua famiglia d’origine. Tra le sorelle e la madre non avrei saputo dire chi somigliasse più a una divinità. E se realmente i suoi lineamenti erano gli stessi del padre, allora anch’egli doveva essere stato un uomo bellissimo.
Spostò finalmente lo sguardo da sua madre a me, e allora mi parve quasi che il tempo si bloccasse. Cos’era quella sensazione assurda?
Scandagliai i suoi occhi, in cerca di una risposta. Sostenne il mio sguardo senza vergogna, senza ritrosia, e soltanto così mi accorsi di un piccolo particolare.
Mi rivolsi di nuovo alla mia signora.
«Fūren, devo contraddirla.»
Lei mi guardò incuriosita.
«Hai notato qualcosa?»
Annuii, elencando tutte le differenze col passato: «Li-shàoyé è molto diverso dal sé dei miei ricordi. È vero, è diventato più alto e slanciato, i suoi tratti sono più marcati, il suo portamento è più posato e autorevole, e la sua voce è più bassa e profonda». Tornai a guardarlo, compunta. «Nelle sue iridi ambrate continua ad ardere determinazione, ma talvolta tale fiamma sembra quasi essere soffiata via da una vaga malinconia. Shàoyé, le manca qualcosa? O qualcuno?»
Non mi rispose, sembrando sbigottito dalla mia analisi.
Presi un respiro, tentando: «Se posso fare qualcosa per alleggerirle lo spirito, la prego di dirmelo».
Se fossi riuscita ad essere di conforto anche per lui, a supportarlo in caso di bisogno, magari mi avrebbe apprezzata di più.
«Xiaoying è la compagnia migliore che si potrebbe desiderare» intervenne sua madre. «Soprattutto nei momenti di maggiore solitudine.»
Le sorrisi addolcita, inchinandomi.
«Per me è un piacere servirla, e sono grata di essere in grado di apportarle serenità.»
«Perciò Xiaolang, non chiuderti in te. Se dovessi mai sentire il bisogno di sfogarti, sappi che sei libero di farlo con Xiaoying. Saprà ascoltarti, consigliarti e confortarti.»
Assentii, inchinandomi verso di lui, sperando di permettergli così di fidarsi di me.
Quando tuttavia sollevai lo sguardo lo trovai a fissarmi truce. Mi pietrificai, con l’impressione che non avessi fatto altro che spingerlo a detestarmi ancora di più.
«Madre, non ho bisogno di supporto psicologico.»
«Lo so. Mi riferisco al futuro. Non essere orgoglioso, prova a fare affidamento su qualcuno.»
Li-shàoyé si limitò ad annuire muto, prima di sollevarsi e annunciare che aveva alcune faccende da sbrigare.
Lo osservai andare via col cuore pesante. Sarebbe stato più difficile del previsto.
 

 
꧁꧂
 
 
 
L’indomani mattina mi recai nelle stanze della mia signora, per portarle la sua medicina. Sorprendentemente la trovai non ancora vestita, seduta sul letto, con lo sguardo fisso nel vuoto. Immediatamente mi allarmai.
Posai il vassoio su un cassonetto, correndo al suo fianco.
«Mia signora, cosa le succede?» Le presi le mani, guardandomi intorno. «Perché la signora Hualing non è con lei?»
«L’ho congedata io» rispose fiacca.
Le passai la medicina, soffiandovi sopra per raffreddarla.
«Beva questo, la farà stare meglio.» Non esitò a svuotare la ciotola e ripulirsi la bocca, sempre più avvilita.  Le liberai le mani, rioccupandole con le mie. «È accaduto qualcosa?»
Fece un solo cenno col capo, spiegando con voce distante: «È giunto un editto imperiale».
Rimasi in attesa di maggiori delucidazioni. Ella sorrise amareggiata.
«Sapevo che sarebbe stato impossibile far cambiare idea a mio fratello. Ce l’ha messa tutta per raccomandare Xiaolang all’esercito, ed è stato anche velocissimo nel persuadere l’imperatore.»
«Non è una buona nuova…?»
«Non volevo che la corte mi portasse via anche lui.»
Qualche lacrima le sfuggì, e io prontamente mi allungai verso di lei, asciugandogliele con le mie maniche.
«Li-shàoyé come ha reagito?»
«Non poteva far altro che accettare. Dopo pranzo dovrà partire per la capitale, ma andrà da solo. Lascerà tutte le guardie qui, in nostra difesa. Ma io non mi sento tranquilla…»
«Andrò anch’io» mi offrii, sperando di risollevarla. Se avesse dovuto accadergli qualcosa di spiacevole, mi sarebbe bastato sfruttare il mio potere, quello su cui per anni avevamo lavorato insieme, per potenziarlo e controllarlo. Bastava che stessi accorta a mantenere un profilo basso.
«Non volevo chiederlo a te, ma tu sei l’unica che ha le capacità di proteggerlo in caso di bisogno. Mi auguro vivamente che non serva…»
«Non si preoccupi, le assicuro che andrà tutto bene. E le garantisco anche che sarò irriconoscibile. Chunhua è un’abile truccatrice, le chiederò di cambiare i tratti del mio viso, rendendomi meno… appariscente, più comune. Manterrò costantemente lo sguardo basso, non incrociando gli occhi di nessuno. E continuerò a tingermi i capelli di nero.»
Mi tolsi dai capelli i due fermagli e spilloni di cui mi aveva fatto dono ai miei ultimi compleanni, porgendoglieli.
«Le chiedo di averne cura, in mia assenza.»
Li ripose delicatamente nel suo portagioie, prima di stringermi tra le sue braccia.
«Grazie, Xiaoying.»
«Non mi ringrazi.» Chiusi gli occhi e poggiai la testa sulla sua spalla, carezzandole la schiena. «Sono qui per questo.»





 
NdA: Avviso da adesso che il prossimo pov è doppio, il primo colore che trovate nel titolo è quello del primo pg che parla.

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Capitolo 9
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6
 










Quella stessa mattina, sul tardi, seguii il mio padrone in carrozza, sentendomi un tantino tesa. Avevo cercato di stargli lontana il più possibile, e alla fine io stessa mi ero offerta di stare al suo fianco, per un giorno e una notte intera. Chiaramente, non ne era molto contento.
Per buona sorte, salvo imprevisti saremmo ritornati l’indomani al primo albeggiare, visto che quella stessa sera si sarebbe tenuto il colloquio con l’imperatore e gli altri cortigiani, al cospetto dei quali Li-shàoyé avrebbe dovuto mettere alla prova le sue abilità per dimostrare se corrispondevano o meno a quelle che ne aveva decantato il fratello di Li-fūren.
Naturalmente la mia padrona aveva dovuto spiegarmi tutto per filo e per segno, e a quanto pareva oltre al titolo nobiliare egli voleva che il nipote ottenesse qualche altra alta carica – sebbene ciò andasse completamente contro i desideri di Li-fūren, che aveva rinunciato volontariamente al suo titolo di imperatrice, onde evitare di essere coinvolta negli intrighi di palazzo.
Mantenni lo sguardo di lato, evitando quello di Li-shàoyé come potevo, finché non mi accorsi che stava per servirsi del tè; lo anticipai, visto che ero andata con lui per servirlo, e gli sorrisi mortificata per non averci pensato per prima, porgendoglielo.
Egli a malapena mi degnò di uno sguardo, prima di tornare a guardare fuori da una fessura della hengpi. [1]
Mi mortificai, certa che una delle cause all’origine del suo malumore potessi essere io. Eppure speravo che anch’egli, vedendomi così conciata, potesse dimenticare che si trattava di me, considerati i nostri dissidi. Dopotutto, sembravo un’altra persona. Chunhua era una maga nella trasformazione, tanto che il mio viso sembrava più affilato, avvizzito e stanco. Le mie labbra erano state a malapena tinte di un fard leggero, poco appariscente, e mi aveva persino cambiato taglio degli occhi, rendendolo più comune, aggiungendomi delle lentiggini sul naso e qualche neo finto su una gota.
«Mio signore» osai, con un filo di voce. Attesi che si voltasse verso di me, ma di nuovo spostò subito gli occhi altrove. Abbattuta domandai: «Ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare?»
«È solo che… sei diversa» spiegò, sembrando alquanto teso. «Non è facile rilassarmi con una “sconosciuta”.»
Non mi aspettavo questa risposta.
Attesi che incontrasse di nuovo i miei occhi e gli sorrisi, tranquillizzandolo.
«Sono sempre io, questo è soltanto trucco. Se mi guarda bene riuscirà a riconoscermi oltre la maschera.»
Lui mantenne lo sguardo fisso nel mio per un po’, quasi ci stesse realmente provando, ma poi emise un profondo sospiro. Indicò con gli occhi la frutta essiccata nei piatti, facendomi segno di favorirne.
«Mangiala pure.»
«Ma non posso!»
«Se ti dico che puoi puoi» tagliò corto.
Non osai contraddirlo e allungai una mano, mormorando: «Allora ne favorisco».
Afferrai del mango e le scorze degli agrumi, gustandomeli contenta. Erano deliziosi.
«Sembrano piacerti» osservò dopo un po’.
«Mh, li adoro» confermai, prendendone ancora.
«Puoi anche finirli, tanto io non li mangio» concesse.
«No?» mi accertai, e a una sua conferma ci diedi dentro – pur sempre con moderatezza.
Quel suo comportamento, comunque, era spiazzante. Continuava ad essere così gentile con me… Che davvero avesse dimenticato tutto del nostro turbolento passato?
«Non fissarmi, non riesco a concentrarmi» mi rimproverò, cogliendomi in flagrante.
Mi rimisi composta, tentando di giustificarmi.
«Sembra essere preoccupato, e mi domandavo se… se posso fare qualcosa per lei…»
«Grazie per il pensiero, ma non serve. Me la caverò da solo.»
Mantenne gli occhi oltre la tenda, al che aggrottai le sopracciglia.
«Non sono tanto inaffidabile…» borbottai, impermalita.
«Hai detto qualcosa?»
«Solo che spero riesca a risolvere ogni suo problema quanto prima!»
Sorrisi candidamente e tornai al mio spuntino.
Non lo degnai più di attenzioni, finché la carrozza non si fermò. Scesi per prima e una volta a terra mi voltai, porgendogli una mano, ma egli rifiutò l’aiuto e si avvicinò a passo lesto verso l’ingresso del palazzo imperiale. Con una grande pazienza gli stetti dietro, sbirciando sull’ambiente che ci circondava.
Per poco non mi sfuggì un’esclamazione di pura meraviglia. Non avevo mai visto tanta opulenza prima. Era tutto così sfarzoso, imponente, elegante. Persino le cameriere, con le loro movenze aggraziate, sembravano dame d’alto rango!
Cercai di non farmi notare mentre continuavo a occhieggiare i loro movimenti, prendendone nota. Avrei dovuto replicarli a casa, magari sarei riuscita a far ridere Li-fūren imitandole.
Dopo essere saliti su per una mastodontica scalinata, che mi sembrava interminabile, giungemmo finalmente a destinazione. La voce altisonante di un eunuco annunciò l’arrivo di Li-shàoyé. Ci inginocchiammo al cospetto dell’imperatore, e anche quando egli disse a Li-shàoyé di rialzarsi rimasi con la fronte poggiata al freddo pavimento. Ascoltai la loro conversazione, non lasciandomi sfuggire nulla. Come avevo supposto, l’imperatore sembrava molto compiaciuto di suo nipote. Mi parve, dal suo tono, che lo accogliesse con un certo favore.
Mi alzai solo dopo che ricevetti un ordine diretto da Li-shàoyé. Uscimmo insieme, e seguendo una cameriera attraversammo un ponte ad arco dipinto di un arancione intenso, sotto il quale fluiva silenzioso un fiumiciattolo popolato da carpe dorate. Dopodiché ci spostammo verso un porticato, dove senza farmi notare continuai ad assorbire tutto ciò che ci circondava. Le pareti marmoree erano di un bianco brillante, in completo contrasto con le tegole rosse e le sculture dei draghi d’oro e di giada, che affiancavano gli ingressi degli edifici.
Lungo il tragitto furono presentati a Li-shàoyé l’imperatrice, la consorte imperiale, l’imperatrice madre – se avevo capito bene, doveva essere la zia di Li-fūren –, insieme a vari ministri e principi. Cominciò a venirmi il mal di testa nell’udire tutti quei titoli e quei nomi, per cui smisi di prestare attenzione, finché non si parlò dell’evento che si sarebbe tenuto quella sera: poco prima di cena, si sarebbe svolta una competizione nelle arti marziali col loro combattente più abile. Se Li-shàoyé avesse vinto, gli avrebbero assegnato senza indugio il titolo di generale dell’esercito, come lo era stato una volta suo padre.
Dopo che completarono il giro di saluti Li-shàoyé fu libero di fare quello che voleva. Decise di ritirarsi nel padiglione in cui sarebbe stato ospite, e una volta dentro congedò tutti i presenti, tranne me.
Quest’edificio mi ricordava di più casa, malgrado i materiali. Agli angoli del salone, alti pilastri sostenevano un soffitto spiovente. Soprammobili in ferro battuto sorreggevano candele di cera gialla, e al centro di essi un grosso incensiere di metallo disperdeva nell’ambiente un profumo dolcissimo e intenso. Per certi versi, era asfissiante.
Li-shàoyé si lasciò cadere su una luohan chuang[2] e poggiò la guancia su una mano chiusa in pugno, sembrando seccato.
Mi schiarii la gola e mi mossi dalla mia posizione laterale, inchinandomi dinanzi a egli.
«Posso servirla in qualche modo?»
Dato che il tempo passava ma non rispondeva sollevai di poco il viso, notando che sembrava star rimuginando.
«Yinghua» sussurrò all’improvviso, in un tono bassissimo, quasi temesse che qualcuno potesse udirlo. «Cosa ne pensi di tutta questa faccenda?»
«Penso che normalmente sarebbe un onore ricevere un’alta posizione a corte, ma…» Mi morsi il labbro, esitando. Potevo o non potevo essere diretta?
«Dici quello che pensi davvero, solo, parla piano.»
Mi avvicinai, per riprendere in tono ancora più basso: «Mi è parso di capire che la sua onorevole madre non sarebbe lieta di saperla immischiato nella corte, e neppure lei mi sembra molto convinto».
«Sono combattuto» mi diede conferma. «Ho la tendenza ad essere ambizioso, ma ancora non ho la certezza di potermi fidare.»
«Dell’imp-»
Mi zittì con un gesto e io ammutolii, coprendomi le labbra.
Ci ragionò su per qualche altro momento, prima di decretare: «Stasera sarò accorto nella difesa, ma contenuto nell’attacco. Così non dovrei lasciare un’impressione eccellente».
«Saggia decisione.»
Mi fissò poco convinto, ma io gli sorrisi persuasa, certa che potesse essere la migliore soluzione, se non voleva esporsi troppo.
 
 
꧁꧂
 
 

Allo scoccare dell’ora del gallo[3] ci riunimmo tutti in un ampio spiazzo del cortile interno, privo di fauna e flora, più brullo e arenoso. Oltre alla famiglia imperiale e le consorti, erano presenti anche le alte sfere militari, fra le quali si distingueva il generale attualmente in carica, palesemente contrariato da quelle circostanze. Provai avversione nei suoi confronti con una semplice occhiata. Sembrava una persona priva di scrupoli e senza cuore; se Li-shàoyé avesse realmente preso il suo posto, sarebbe senz’altro stato una manna dal cielo per tutti.
Ben presto si diede avvio a quella che fu presentata come una sfida amichevole, ma quando vidi la stazza e l’età del contendente mi sentii venir meno. Sicuramente doveva aver avuto molta esperienza sul campo di battaglia. Non osavo neppure immaginare quante vite avessero strappato quelle grosse mani ruvide e callose, così diverse da quelle di Li-shàoyé. Ciononostante, il mio padrone non parve scomporsi. Rimase calmo e controllato, sia quando si confrontarono col tiro con l’arco, che nell’uso della lancia, che nel combattimento corpo a corpo, con e senza spada.
A dire il vero non ero un’intenditrice di arti marziali, sapevo solo che coloro che le praticavano coltivassero contemporaneamente corpo, mente ed energia, e che la loro bravura stava proprio nell’ascoltare e controllare le proprie pulsioni per utilizzarle al meglio in battaglia; nondimeno, mi trovavo d’accordo con gli altri astanti, quando presero a elogiare l’eccellente kung-fu del mio signore. Immagazzinai tutto nella mia memoria, con l’intenzione di riferirglielo in seguito.
Come aveva deciso poche ore prima, Li-shàoyé si stava focalizzando più sulla difesa che sull’attacco, ma quel tanto era sufficiente per capire quanto fosse eccezionale. Ogni suo colpo era preciso e pulito, andando a segno. Ancor più era straordinaria la reazione del pubblico, quasi si aspettasse che il soldato fosse intoccabile. E forse era realmente così, perché sentii qualcuno dire che nessuno aveva mai osato sfidarlo prima, temendo la sua forza bruta.
Rimasi in ammirazione dell’agile corpo di Li-shàoyé, e per un minuscolo istante vidi ogni suo singolo movimento come se eseguisse passi di una danza. Sbattei le palpebre, chiedendomi cosa mi avesse spinta a tessere una simile illusione. Che fosse per le lunghe maniche e le ampie vesti che gli fluttuavano attorno? Peccato che non avesse i capelli sciolti, sicuramente sarebbe sembrato ancora più spettacolare.
La sfida terminò nel momento in cui Li-shàoyé venne disarmato. Non mi accorsi neppure di come accadde, ma visto che non mi sembrava fosse stato toccato, supposi che fosse una finta.
L’imperatore decise che tanto bastava. Finì di ingollare un bicchiere di vino di riso e gli si avvicinò, sembrando estasiato. Dato che ora si trovava a pochi passi da me, riuscii a sentire tutto quello che diceva.
«Come mi ha riferito tuo zio, sei veramente un prodigio, caro nipote.»
Li-shàoyé si inchinò posando un ginocchio a terra, mostrando unicamente umiltà.
«Vostra maestà, non sono degno di ricevere un simile elogio. Sono stato sconfitto.»
«Sei solo stato disarmato, ma gli hai tenuto testa più a lungo di qualsiasi altro avversario, senza ricevere neppure un graffio.»
Aggrottai la fronte, provando un certo disagio. Perché avevo l’impressione che il suo tono suonasse troppo… melenso? Stucchevole?
«Ora alzati e unisciti a noi, ci aspetta una cena luculliana.»
Li-shàoyé si sollevò e attese che l’imperatore gli voltasse le spalle, prima di volgersi verso di me e farmi un impercettibile cenno, per dirmi di raggiungerlo.
Nel breve percorso che ci separava provai un’altra brutta sensazione. L’aria si impregnò di negatività, odio, invidia. Mi voltai istintivamente verso la fonte di essa, sul lato occidentale del giardino. Dalla sommità delle mura alle nostre spalle una losca figura scoccò una freccia, che sfrecciò inesorabilmente nella direzione dell’imperatore… Nella direzione di Li-shàoyé.
Presa dal panico, gridai il suo nome per attirare la sua attenzione e mi gettai su di lui. Non mi importava se veniva colpito l’imperatore. Non mi importava se mi avrebbero giustiziata, come complice dell’assassino di sua maestà. Ma Li-shàoyé non poteva assolutamente essere toccato, da nessuno, perché se lui fosse morto… la mia signora sarebbe morta con lui. E io non potevo assolutamente permettere che accadesse.
Cademmo entrambi a terra, mentre tutt’attorno a noi imperversava il caos.
«Assassinio!»
«Non lasciatelo fuggire!»
«Proteggete sua maestà!»
«Xiaoying!»
Riaprii gli occhi a fatica, focalizzando il viso di Li-shàoyé. Ma com’era possibile che fosse contro il cielo…? Non avrebbe dovuto essere, invece, sotto di me…? Non avrei dovuto proteggerlo col mio corpo, da qualsiasi pericolo? Il mio corpo… Perché non lo avvertivo più?
«Xiaoying, non azzardarti ad addormentarti! Capito? È un ordine! Devi assolutamente restare sveglia!»
Ma mi sentivo le palpebre così pesanti…
La testa così leggera…
La notte così vicina…
Ben presto, non sentii più nulla. Nemmeno la sua voce.
 
 
🌙🐺🌙
 
 
«Xiaoying! Xiaoying!» Imprecai tra i denti, capendo che avesse perso i sensi.
Enlai mi raggiunse in fretta, apparendo dall’ombra al mio fianco.
«Seguilo, e guai a te se te lo fai scappare» sibilai, congedandolo con freddezza.
Presi Xiaoying tra le braccia e mi alzai, dirigendomi verso l’esterno.
«Nipote, dove stai andando? Possiamo farvi vedere da un medico di corte!»
Non mi curai neppure di voltarmi per fronteggiare l’imperatore, proseguendo per la mia strada.
Avevano appena tentato di assassinarmi, e presumevano persino che io restassi?
Mi affrettai a salire nella carrozza, ordinando al cocchiere di riportarci quanto prima a casa. Spostai malamente la roba dal tavolo e ci stesi sopra Xiaoying, a pancia in giù. Le strappai di poco i vestiti, là dove si era raccolto più sangue. Tirai un sospiro di sollievo, notando che aveva ricevuto solo un graffio superficiale. Anche se non mi spiegavo come avesse potuto deviare la freccia con la spalla, facendola piantare nel terreno sterrato.
In ogni caso, non era il momento di stare a rimuginarci sopra; dovevo riuscire in qualche modo a bloccare il veleno, prima che si diffondesse nel resto del suo corpo.
Ne succhiai via una parte, sputando il suo sangue a terra, per poi cacciare dalla cintura la boccetta che avevo preventivamente portato con me, prevedendo una situazione del genere. Ne cosparsi la polvere sulla ferita aperta, pregando che funzionasse. Sapevo quanto potesse bruciare, e il fatto che non emettesse neppure un lamento non era confortante. Le fasciai la zona strappandomi una manica e prestai la massima attenzione nel girarla. Controllai il suo respiro e il suo battito sul polso: entrambi erano fiochi e lenti, a malapena udibili.
Imprecai nuovamente, pregando che arrivassimo quanto prima. Se fosse morta, a mia madre si sarebbe spezzato definitivamente il cuore.
La carrozza si fermò all’improvviso, stupendomi. Non era possibile che fossimo già arrivati.
«Che succede?!» urlai al cocchiere, ma la risposta mi giunse da una fanciulla sconosciuta, che entrò in fretta, guardando Xiaoying allarmata.
«Li-gōngzǐ, mi chiamo Zhishi.» Il medico di mia madre? «Ho qui un antidoto contro il veleno, dovrebbe ber-»
Glielo tolsi dalla mano, lo stappai coi denti e senza perdere tempo lo appoggiai contro le labbra di Xiaoying. Per quanto ci provassi, però, non ne voleva proprio sapere di aprirle.
«Stupida, lo sto facendo per te, vuoi collaborare?! Sto cercando di salvarti!»
Pur alzando la voce, non ottenni alcuna reazione. Non trovando alternative ricorsi all’ultima carta che avevo. Mi riempii la bocca di quel liquido amaro e posai le labbra sulle sue. Fu quasi ridicolo come, a contatto col mio calore, non perse tempo a schiuderle.
Mi allontanai dopo che gliel’ebbi passato tutto, e Zhishi-yīshēng la aiutò a inghiottirlo.
Quando il pericolo parve essere passato, Xiaoying rimase incosciente tra le mie braccia. Continuai a tenerla ferma contro gli scossoni, mentre raggiungevamo la nostra dimora, e intanto adocchiai il dottore, che metteva a posto la boccetta miracolosa.
Come ci aveva trovati? Come faceva a sapere che avevamo bisogno di lei?
Prima che riuscissi a formulare qualsiasi domanda mi porse una specie di compressa, consigliando: «Mastichi questa, le toglierà il sapore amarognolo dalla bocca».
Sapeva di freschezza, simile alla menta.
Tornai a guardarla, notando che ci osservava con uno sguardo che era un misto di dolcezza e amarezza.
Mi schiarii la voce, domandandole: «Come hai fatto a trovarci?»
«Stavo ritornando in città dal paese limitrofo, quando ho incrociato un giovane signore che sembra lavorare per voi. Egli stesso mi ha detto quale strada avreste imboccato e mi ha informata dell’accaduto.»
«Enlai?»
«Non conosco il suo nome, ma sono stata fortunata, ad aver riconosciuto subito la vostra carrozza.»
Per quanto mi sembrava che ci fossero dei buchi nella sua storia lasciai perdere, tornando a guardare Xiaoying. Le spostai alcuni capelli dal viso, percependo anche al di là della maschera l’alta temperatura.
«Li-gōngzǐ, ha reagito prontamente» osservò il medico, notando la fasciatura.
«Fortunatamente avevo con me un medicinale prodigioso. Mi è stato dato in accademia da Lin-lǎoshī, ed è sempre stato efficace contro qualsiasi ferita.»
«Sono certa che guarirà in fretta. Yinghua-xiǎojiě è più forte di quanto si possa pensare.»
Fui colpito dall’affetto di cui intrise le sue parole e il suo sguardo, oltre che del rispetto che sembrava serbare nei suoi confronti.
Le soffiò lievemente sul viso, tamponandole il sudore con le proprie maniche. C’era qualcosa che non quadrava, ma non riuscivo bene a capire cosa.
Qualche istante dopo arrivammo finalmente a casa. La presi in braccio e la portai direttamente nella mia stanza, essendo la sua più lontana. Dopodiché la affidai alle cure di Zhishi-yīshēng e della servitù e uscii nel cortile, per prendere una boccata d’aria.
Fui raggiunto ben presto da mia madre, la quale, nel vedere il sangue impregnarmi le vesti, per poco non ebbe un mancamento.
«Xiaolang, sei ferito?!»
«Sto bene, madre. Xia-» Mi autocensurai, rendendomi conto solo allora di averla chiamata per tutto il tempo “Xiaoying”. Quello era il modo affettuoso con cui si appellava a lei mia madre. Evidentemente, doveva avermi involontariamente influenzato, a furia di sentirla chiamare così ogni giorno. «Yinghua mi ha protetto» mi corressi.
Ella impallidì, un attimo prima di correre al suo capezzale.
Mi tolsi la sopravveste e me la poggiai su un braccio, fissando lo sguardo sulle mura, in attesa.
Non appena intravidi l’ombra di Enlai mi spostai verso lo studio, sedendomi oltre il tavolo. Lui mi comparì immediatamente davanti, inginocchiandosi.
«Brutte notizie» arrivò dritto al punto. «Quando l’ho trovato si era già tolto la vita.»
«Si è suicidato?»
«Così si direbbe.»
«La sua identità?»
«Sconosciuta. Non sappiamo neppure se stesse mirando a te o all’imperatore.»
Sbattei un pugno sul tavolo, irato.
«A chiunque stesse puntando, resta un crimine contro la famiglia reale, che andrebbe severamente punito!»
«Lo so bene» aggiunse, guardandomi di sottecchi.
«Non sappiamo chi ha ucciso mio padre, non sappiamo chi ha molto probabilmente tentato di uccidere me, non sappiamo chi ha ferito Yinghua. Non possiamo andare avanti così.»
«Se posso permettermi, considerato il risultato, direi che chiunque sia stato il mandante deve essere qualcuno di importante. Dubito che l’assassino si sarebbe tolto la vita, se l’ordine non fosse arrivato da molto in alto.»
Mi trovai d’accordo, valutandolo con scrupolo.
«Potrebbe essere un ministro, un nobile, o persino l’attuale generale» ipotizzò.
Era comunque un elenco troppo ampio di sospettati, vago e inconcludente.
Mi mantenni lucido, mentre ordinavo: «Dobbiamo restringere il campo. Enlai, continua ad indagare senza farti notare, e cerca di scoprire chi potrebbe covare rancore contro la mia famiglia e per quale ragione».
«Agli ordini.»
Lo congedai e poggiai la fronte contro le mani, ragionando. Mi strofinai le palpebre, capendo che anche per quella notte sarebbe stato difficile, se non del tutto impossibile, riuscire a chiudere occhio.





 
 

[1] Si tratta di un tipo di finestra orizzontale posta sopra un architrave, il cui utilizzo principale è la ventilazione, visto che da essa passa poca luce.
[2] Un tipo di seduta simile al triclinio romano.
[3] Corrisponde alle cinque di sera.

 
NdA: Chiedo scusa per la prolungata assenza, ma purtroppo in questi mesi sono stata molto impegnata dietro una storia che ho pubblicato su Wattpad (se qualcuno potrebbe essere interessat*, il titolo è "Dieci lettere d'amore", potete leggerla qui: https://www.wattpad.com/1349761049-dieci-lettere-d%27amore-prefazione). Prometto di ritornare attiva anche su questa piattaforma, in questo fandom, anche perché non vedo l'ora di poter condividere il resto di questa fanfic con tutti voi, per sclerare insieme <<3 Credetemi, ce ne saranno eccome di ragioni per farlo, soprattutto quando si arriverà a certe rivelazioni... Ma via, non voglio spoilerarvi niente.
A presto! ^w^

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Capitolo 10
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 
 
 







Stavo visionando le ultime informazioni che aveva raccolto Enlai, quando mi sentii chiamare a gran voce.
«Li-shàoyé, Li-shàoyé!»
Misi i fogli da parte e sollevai il viso, vedendo Yinghua entrare di corsa nella stanza. Dopo due giorni di riposo si era ripresa del tutto, e ora sprizzava energia da ogni poro.
Si piegò in due per riprendere fiato, prima di gettarsi sul pavimento.
«Che stai facendo?»
«Non potrò mai smettere di ringraziarla per avermi salvato la vita!» esclamò con enfasi, continuando imperterrita a inchinarsi.
«Alzati» le ordinai secco, prima di rivolgermi a Enlai, porgendogli un foglio con il nome di un altro sospettato. «Puoi andare.»
Lui assentì e si avvicinò a Yinghua, aiutandola a rialzarsi.
«Yinghua-gūniang, sono lieto di vedere che ti sei ripresa in fretta.»
Lo avevo congedato proprio perché sapevo che altrimenti avrebbe perso tempo in chiacchiere, ma a quanto pareva non era servito a niente.
«È grazie a Zhishi-gūniang, è un ottimo medico. Ora non mi fa più male nulla.» E a dimostrazione di ciò roteò la spalla ferita, dandovi dei colpetti.
«Sono lieto di sentirlo, ma non esagerare.»
Enlai mi guardò con la coda dell’occhio, abbozzando un sorrisetto scaltro.
Mi alzai dalla seduta, in procinto di cacciarlo via con la forza.
Stavo ancora girando attorno al tavolo quando aggiunse, subdolamente: «Sarebbe bello se Xiaolang continuasse ad appellarsi a te come ha fatto l’altro giorno, vero?»
«Come l’altro giorno?» ripeté lei, confusa.
«Esatto. Sarebbe più familiare. D’altronde, salvandogli la vita si diventa automaticamente fratelli. E poi, considerando quello che ha fatto per te -»
«Aaah!»
La attirai a me e le coprii le orecchie con le mani, spergiurandogli contro.
«Pussa via» lo intimai, lasciandogli intendere che se si fosse fatto scappare un’altra parola non gliel’avrei fatta passare liscia.
Lui in tutta risposta rise con allegria e ci salutò, tornando al suo dovere.
Solo quando lo vidi chiudersi le porte alle spalle tolsi le mani dalle orecchie di Yinghua, allontanandola da me.
«Non far caso a quello che dice.»
Ritornai al mio posto, ma dato che non ribatteva nulla le rivolsi uno sguardo, notando che aveva le gote arrossate e una mano posata sul petto.
«Ti senti male?»
Sobbalzò e scosse rapidamente la testa.
«No, no, sto benissimo! Solo, mi chiedevo… come mi ha chiamata l’altro giorno?»
«Ti ho sempre chiamata Yinghua.»
Si portò un dito al mento, picchiettandoselo.
«Però ho un vago ricordo, di quando andammo a palazzo…»
Mi feci teso, cominciando a sudare freddo. Non era consapevole di nulla di quello che avevo fatto per lei, vero? Mi auguravo vivamente che nessuno gliene avesse parlato. Le uniche persone a saperlo erano Zhishi-yīshēng ed Enlai – già mi pentivo di averglielo rivelato, ma quella volpe aveva approfittato della mia stanchezza per strapparmi le parole di bocca. Ad ogni modo, a quest’ultimo avevo proibito di parlarne, mentre nel caso del dottore… Non ero certo di poter tenere a freno anche la sua lingua. Potevo solo sperare che avesse avuto il buonsenso di tenerselo per sé.
«Prima che perdessi i sensi, mi è parso di sentirla pronunciare “Xiaoying”.»
«Ah, quello… dev’essere stata l’influenza di mia madre, non farci caso.»
«Non mi fraintenda, mi ha resa molto felice. Come ha detto anche Enlai-gōngzǐ, crea un clima di familiarità.»
«Quindi adesso, solo per quello che ha detto lui, mi consideri un fratello?»
Avvampò, scuotendo la testa.
«Non oserei mai tanto, ma almeno… potrei essere sua amica» mormorò con voce fine, facendosi piccola sul posto.
«Prima vuoi essere mia confidente, poi mia sorella, poi mia amica» elencai, sul punto di perdere la pazienza. «Se tu fossi mia amica, in qualità di nostra servitrice, sarebbe indecoroso.»
«Ha ragione» ammise, coprendosi il viso con le mani.
«Ciò non toglie che io abbia la libertà di chiamarti come più mi aggrada; per cui, se talvolta mi dovesse scappare “Xiaoying”, non restarne sorpresa» conclusi secco.
Abbassò le mani di scatto, mostrandomi due occhioni luccicanti di gioia.
«Io posso chiamarla Xiaolang?»
La fissai basito.
«Certo che no!»
Mi guardò ferita, e per un attimo mi sentii come se mi stesse strappando il cuore dal petto. Cos’era quella sensazione?
Per non badarci concessi, con un borbottio: «E va bene. Basta che ci aggiungi un titolo, per mostrarti meno ingrata».
«Xiaolang-shàoyé! Mi piace come suona» cantilenò, al che mi portai una mano alla fronte, scuotendo leggermente la testa.
Tornai sul foglio che avevo messo da parte, piegandolo, ma lei non colse il messaggio perché rimase lì; al contrario, si fece ancora più vicina, poggiando le braccia sul tavolo. Cos’era quell’improvvisa confidenza?
«Posso chiederle un’ultima cosa?»
«Cosa?» domandai fiacco.
«Siccome in questi giorni ho usato la sua stanza non ha riposato molto, e di questo mi sento in colpa.»
«Non devi sentirti in colpa, ho deciso io di cederti il mio letto.»
Guardai il foglio bruciare finché non rimase che cenere. Allora mi accorsi che anche lei lo aveva puntato.
La adocchiai circospetto, ma lei non parve farci caso.
«Nondimeno, posso permettermi di farle una richiesta?»
«Dipende dalla richiesta.»
«Come le dicevo, poiché è essenzialmente colpa mia, queste sere posso servirla?»
«Non mi lascio servire da nessuno.»
«Lo so, ma potrei farle un massaggio» propose, cogliendomi totalmente alla sprovvista. «Le assicuro che sono molto brava, facevo massaggi anche alle signorine quando vivevano ancora con noi.»
Sospirai pesantemente, strofinandomi le tempie. Come faceva ad essere così ottusa?
«Xiaoying, sarò diretto. Non ho alcuna intenzione di farmi toccare da te. Non sai che è considerato indecente il contatto tra un uomo e una donna?»
«Oh, è preoccupato per la sua reputazione» suppose, facendomi quasi scoppiare la testa.
«Non è la mia reputazione a preoccuparmi.»
«Ma allora non vedo che male c’è. Potrei apportarle benessere!»
«Il problema è che -»
Non riuscii a concludere la frase che Shanyuan accorse trafelato, annunciando: «Shàoyé, è giunto un decreto imperiale!»
Non avevano atteso molto per prendere una decisione.
Mi alzai, aggiustandomi meglio gli abiti, e passando accanto a Xiaoying le dissi solo: «Ne riparleremo in un altro momento».
Mi affrettai a uscire, non facendo attendere ad oltranza l’eunuco che aveva portato il messaggio di sua maestà. Lo ascoltai per niente stupito e ringraziai, andando a cambiarmi per recarmi con loro a palazzo.
Fortunatamente Enlai, quasi avesse fiutato la notizia, fece marcia indietro.
«Vengo con te?» chiese, mentre mi aiutava a stendermi il mantello sulle spalle.
Mai avrei pensato che a una sì giovane età potessi indossare l’armatura di mio padre.
«No, resta qui. Verrà Shanyuan con me, anche lui è piuttosto astuto. Tu tieni d’occhio i confini e assicurati che non accada nulla.»
Fuori trovai ad aspettarmi mia madre. Quando mi guardò, nei suoi occhi navigava un misto di orgoglio e afflizione.
Le sorrisi rassicurante ed entrai rapidamente nella carrozza, non voltandomi indietro. Era giusto che andasse così, e tanto valeva trarne beneficio: d’ora in avanti, avrei cercato di approfittare della mia rinnovata posizione per riuscire a dissipare ogni mio dubbio.
Non appena il cocchiere annunciò il nostro arrivo scesi, lasciandomi aiutare stavolta da Shanyuan.
Mi ersi in tutta la mia statura, camminando a testa alta, finché non mi trovai al cospetto dell’imperatore. Mi inginocchiai per accettare la carica e lasciai che si svolgesse la cerimonia di conferimento, partecipe solo a metà. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che anni addietro tutto questo era stato vissuto anche da mio padre. Mi chiedevo cos’avesse provato, ma soprattutto mi chiedevo dietro quale di quelle centinaia di sorrisi si nascondeva colui che lo aveva pugnalato alle spalle.
A termine della cerimonia ciascuno dei presenti venne a congratularsi, chi con gioia genuina e chi perché era tenuto a mantenere una buona facciata, al cospetto dell’imperatore. Il precedente generale, in particolare, sprizzava veleno dagli occhi, che ricambiai con un sorriso gelido e misurato.
Coloro che ne parvero maggiormente felici furono le nuove reclute, le quali si mostrarono piene di aspettativa, dopo aver assistito alla dimostrazione dell’altro giorno. Si misero nelle mie mani e io garantii che non avevano nulla da temere: avrei riportato l’esercito al suo antico splendore, costi quel che costi.
Nel pomeriggio raggiunsi insieme a loro il campo di addestramento, in modo che potessi già cominciare a familiarizzare con l’ambiente. Scandagliai con occhio critico la grandezza dell’edificio, le armi e gli agi che offriva, mentre il capitano, un uomo maturo, con poca barba sul viso, i capelli tenuti insieme da uno spillone di legno poco ingombrante e l’aria responsabile, fungeva da guida. Mi mostrò la stanza che avremmo occupato durante le riunioni, la mensa e l’arena in cui avrei dovuto addestrare i soldati. Mi informò sui giorni e gli orari in cui si incontravano, e mi sarei stupito di quanto fossero pochi, se non avessi saputo che stavamo attraversando un periodo di pace. Una volta i soldati vivevano lì, ma per il momento il nostro regno era in buoni rapporti con i regni confinanti, grazie essenzialmente agli scambi commerciali.
Non volendo sprecare tempo, ordinai ai soldati di mostrarmi le loro abilità. Li osservai uno per uno, con zelo. I movimenti dei veterani erano puliti, si muovevano come se fossero un unico insieme, dando vita a sequenze impeccabili; i più giovani, invece, andavano affinati in diversi aspetti.
Ne discussi col capitano, il quale parve positivamente stupito da tanta meticolosità.
«L’avevo detto anche al generale Wang, ma lui non mi aveva mai dato ascolto.»
«È stata una sua mancanza» mi limitai a commentare.
Stilai un nuovo regime d’allenamento per le reclute, assicurandomi che avessero le capacità e la forza necessaria per eseguirlo e completarlo, dopodiché cedetti alle loro insistenze per cenare con loro. Mandai Shanyuan a casa con un messaggio, in modo da informare mia madre che per quella notte mi sarei fermato lì con i miei nuovi compagni e assicurarle che non c’era da preoccuparsi.
Dovevo familiarizzare con tutti, farli sentire a proprio agio in mia presenza, rassicurarli che in caso di bisogno potevano contare su di me; ma, soprattutto, dovevo stringere amicizia con gli ufficiali più anziani, così da garantirmi degli alleati.
 
 
֍
 
 
Il giorno successivo ritornai alla mia dimora.
Durante il tragitto tenni lo sguardo fisso sulla strada, e per un istante, tra le bancarelle del mercato, mi parve di intravedere Xiaoying. Sapevo che non potesse uscire da sola e che le era stato concesso solo di recente, unicamente per recarsi dallo speziale, per cui non era possibile che si trovasse al bazar. Mi massaggiai le palpebre, accusando la stanchezza per quell’abbaglio.
Poggiai il capo contro la parete interna del palanchino, distendendo tutti i nervi. Meditai per un po’ in quella posizione, isolando tutti i suoni e rumori esterni, finché non mi avvisarono che fossi arrivato.
Scesi e, in primo luogo, andai a fare un bagno e a cambiarmi, sentendomi indolenzito. Non ero esattamente abituato a portare un’armatura per tutte quelle ore. Dopodiché la lucidai e ripulii e affilai anche la spada, ripensando alle parole di mio zio.
Poco prima che me ne andassi, mi aveva ricordato di rispondere ai miei doveri di fronte all’imperatore – il che consisteva prettamente nel non prendere decisioni senza essermi prima consultato e accordato con egli e non mancare alle riunioni importanti. Sentivo che sarebbe stata una rottura di scatole.
Sospirai, rimettendo la spada nel fodero, proprio quando entrò una servitrice. La riconobbi come Chunhua dalle sue alte trecce castane.
«Li-dàren,[1] vostra madre richiede la vostra presenza.»
Misi tutto al suo posto, prima di seguirla in giardino. Ad essere onesto, non desideravo altro che farmi una bella dormita, ma mi rendevo conto che, finché non avessi conferito con mia madre, sarebbe stato impossibile.
La trovai seduta attorno a un tavolino, di fronte alle peonie nella loro prima fioritura. Con lei c’erano Hualing, Yuanmei e Xiaoying. Ridevano di buon umore, e quando mi chiesi quale fosse la fonte di tanto diletto trovai risposta proprio in Xiaoying. Non ci misi molto a capire che stava imitando il modo di camminare e parlare delle dame a corte.
Anche Chunhua si fece scappare una risatina, ma immediatamente tornò composta, annunciandomi.
Notandomi, tutte si inchinarono, e la risata di mia madre si affievolì gradualmente. Ordinò loro di lasciarci soli e mi fece segno di accomodarmi alla sua destra.
«Com’è andata?» si interessò, senza troppi giri di parole.
«Bene. Sembra che tutti i soldati mi abbiano preso a cuore.»
«Questa è una splendida notizia.»
Trasse un sospiro di sollievo, e io aggiunsi, accorto: «Ieri il capitano Zhou, nell’ebbrezza, si è fatto sfuggire alcune parole su mio padre. Posso condividerle?»
Contemplò tacita i fiori rosati distesi dinanzi a noi, limitandosi ad annuire con un sottile movimento del capo.
«Ha rimpianto i giorni in cui egli era vivo. Ha condiviso i racconti di alcune delle sue campagne, ne ha celebrato l’eroismo, e alla fine ha brindato in mio onore, nella certezza che sarei stato il suo degno erede.»
Mia madre si asciugò rapidamente una lacrima e mi rivolse un’occhiata carica di orgoglio.
«Sembrano riporre molta fiducia in te.»
«Non deluderò le loro aspettative.»
«Sarai molto assente?» si informò, mentre mi versava del tè.
Capii che quella fosse una delle sue preoccupazioni principali, per cui mi affrettai a mettere pace nel suo animo.
«No. Considerando l’epoca di pace in cui viviamo, hanno concesso a noi tutti il congedo. Ci incontreremo periodicamente per addestrarci, per quanto abbia invogliato i soldati ad allenarsi anche a casa, da soli. È bene che temprino non solo il corpo, ma anche lo spirito, e nulla è meglio della solitudine per riuscirci.»
Accettai il tè, bevendolo a piccoli sorsi.
«Molto saggio da parte tua.»
«Così sono stato addestrato da Wei-shīfù.»
Si aprì in un sorriso, rivelando: «Sai che è stato anche il maestro di tuo padre?»
Posai la tazzina, sorpreso.
«Non ne ero a conoscenza.»
Abbozzò un sorriso, rivolta verso le peonie, prima di cambiare argomento.
«È di tuo gradimento?»
Supponendo parlasse del tè assentii, notando già da quando ero tornato a casa: «Avete cambiato tipologia?»
«È il jin suochi,[2] proviene dalle piantagioni dei monti Wuyi. La fragranza e il sapore sono molto floreali, per cui lo preferisco ai precedenti.»
Ne contemplai il colorito limpido, di una lieve tonalità di verde dorato. Sembrava essere stato fermentato appositamente per noi.
«Raccontami della vita in Accademia. Ti sei sentito solo?»
Negai, narrandole brevemente: «Ho conosciuto dei fidi compagni, tra cui Enlai».
«È un giovane molto ammodo. A quale famiglia appartiene?»
«Purtroppo ha perso entrambi i genitori in tenera età. La sorella maggiore, Yueliang-gūniang, è proprietaria di una casa di piacere. Non potendo vivere lì, da bambino è stato affidato alle cure di Lin-lǎoshī, essendo un conoscente dei suoi genitori, con i quali pareva fosse in debito. Pertanto ha deciso di crescerlo come fosse un figlio suo.»
«Lin-lǎoshī… Colui che ti ha insegnato le arti magiche» osservò.
«Ufficialmente, colui che ci ha insegnato i classici.»
«Mi chiedevo se anche Enlai-gōngzǐ potesse avere abilità magiche.»
«Essere in dubbio è lecito. È una sua specialità nascondere segreti.»
«E per questa ragione l’hai preso al nostro servizio» giunse alle sue conclusioni, sembrando approvare. «Meiling sta crescendo bene?»
«Negli ultimi tempi è diventata più raffinata, meno sfrontata. Ma resta combattiva» tentai di elogiarla. In realtà, era ancora piuttosto ribelle.
«Un’ottima caratteristica, per una Li.»
Sarebbe stato così, se non fosse stata estremamente insistente e appiccicosa, in determinati momenti.
Non osai tuttavia contraddirla, e lei cambiò nuovamente argomento: «Sei lieto di essere tornato?»
«Contavo i giorni al mio ritorno.»
«Non hai appena detto che ti trovavi bene in Accademia?»
«Certamente. Ciononostante, non riuscivo ad allontanare i miei pensieri da voi. Soprattutto in seguito al matrimonio delle mie sorelle, ero…» Cercai il termine più adatto, che non le risultasse offensivo, ma senza darmene il tempo mia madre rise sottilmente, stringendo una mia mano nelle sue.
«Figlio mio, la gentilezza è sempre stata una delle tue migliori qualità. Apprezzo il tuo essere filiale, ma non devi darti pena per me. Da quando le tue sorelle sono andate via, non mi sono sentita sola. Ho la servitù al mio fianco, lo sai che mi è estremamente fedele. E poi, c’è Xiaoying.»
Ed ecco che ricominciava a parlare di lei.
Mi annullai, ascoltandola soltanto a metà.
«Solitamente prendeva ella il tè con me, ma da quando sei tornato sembra aver deciso di allontanarsi, per permettermi di trascorrere quanto più tempo possibile con te.»
«Siete molto legate» rimarcai, cercando di non far trasparire nulla.
«Sai bene che è come un’altra figlia per me.»
Sapevo che lo fosse prettamente perché il suo ritrovamento era avvenuto a pochi giorni dal funerale di mio padre, quando il suo spirito ormai era pronto per reincarnarsi. Probabilmente sperava che, essendo ella neonata, potesse rappresentare una sua nuova esistenza.
Rilasciò un tenue sospiro, spostando lo sguardo verso il cielo limpido.
«Sono già trascorse diciassette primavere da allora.»
Non commentai nulla, chinando invece il capo. Non desideravo si deprimesse, ma non avevo alcuna idea di come potessi confortarla.
Tempestivamente, quasi avesse percepito il suo cambio d’umore, apparve dinanzi a noi Xiaoying, reggendo un vassoio tra le mani. Lo adagiò sul tavolo senza fare rumore e porse a mia madre una ciotola, contenente dei fiori e un liquido ancora fumante di un colore pallido, semitrasparente.
«Mia signora, è l’ora della medicina. Ho seguito a dovere le indicazioni di Zhishi-gūniang, ma è la prima volta che preparo il decotto completamente da sola» si scusò, sembrando contrita.
«Chunhua e Yuanmei non erano con te?»
Scosse leggermente il capo, spiegando: «Mia madre è uscita con Xiaoju, per mostrarle dove acquistare la seta, mentre Chunhua si sta occupando della cena insieme a suo padre e non ho voluto disturbarla».
«Ciononostante, hai assistito molte volte al procedimento per prepararlo e hai seguito le indicazioni del dottore. Non vedo perché dovresti sentirti tanto mortificata.»
«Perché… se dovessi aver sbagliato qualcosa…» Si morse il labbro, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Davvero era così preoccupata?
Senza aggiungere altro, mia madre bevve tutto il medicinale, accettando poi l’acqua per sciacquarsi la bocca, che sputò nella ciotola vuota nascondendosi dietro la lunga manica.
Xiaoying le porse prontamente un fazzoletto per ripulirsi, e intanto chiese, agitata: «Era molto amara?»
«Meno rispetto al solito.»
Tirò un sospiro di sollievo, sembrando finalmente rilassarsi.
«Zhishi-gūniang mi ha consegnato delle nuove erbe che servono ad alleggerire il sapore, ma dato che le ho aggiunte per la prima volta temevo che non le sarebbe piaciuto.»
Mia madre le rese il fazzoletto, rivolgendole un sorriso così spontaneo da lasciarmi spiazzato.
«Non dubitare di te stessa.»
«Farò del mio meglio» promise.
Osservai ammutolito il loro scambio.
In quegli ultimi giorni mi ero accorto di una cosa. Ero certo di non aver mai visto mia madre abbassare tanto le difese in presenza di qualcuno che non fosse un membro stretto della famiglia; per quanto il suo tono fosse affettuoso, persino con la servitù manteneva un portamento fiero e severo. E poi, nei miei ricordi Xiaoying era una bambina chiacchierona, ficcanaso, solare e pasticciona. Come poteva essere cambiata tanto? Aveva seguito la rigida educazione di mia madre?
No, c’era qualcosa che non tornava. Tutti coloro che prestavano servizio presso la nostra famiglia erano stati educati da mia madre, ma nessuno era come lei; perché seppure fosse vestita, acconciata e truccata come le altre servitrici, c’era qualcosa in più in lei, che la rendeva tanto… tanto…
«Xiaolang-shào- ehm, volevo dire, dàren» mi chiamò spontaneamente, facendomi impallidire.
Dannazione Xiaoying, non davanti a mia madre!
Guardai quest’ultima terrorizzato, ma ella si limitò a fissarla colpita.
«Ti appelli così a lui?»
«Perché Xiaolang-dàren ha cominciato a chiamarmi “Xiaoying”» spiegò candidamente.
Mia madre mi guardò incuriosita, al che rimproverai Xiaoying.
«Sbaglio o ti avevo detto di non farlo in presenza di altri?»
«Non è vero, lei non ha posto alcuna condizione» confutò.
Maledetta.
«Come temevo, è più stanco di quanto voglia dare a vedere. Si ritiri nella sua stanza, le porterò la cena lì» decise per me, prima di ritirarsi.
Ma da quando era diventata così sfrontata?
Mi voltai stancamente verso mia madre e la delucidai sulla situazione, temendo che potesse farsi un’idea sbagliata.
Al di là di ogni mio timore, se ne mostrò più che lieta.
«Lasciala fare, vedrai che non te ne pentirai.»
La assecondai, contenendo a stento uno sbadiglio. Notandolo, anch’ella mi esortò a raggiungere la mia stanza.
Non potevo neppure immaginare che, non appena mi fossi poggiato sul letto, sarei crollato in poco tempo, venendo accolto dalla dolce fanciulla dei miei ricorrenti sogni.





 
 

[1] Da questo momento in poi verrà usato quest’onorifico con Xiaolang, visto che gli è stata assegnata una carica autorevole, quella di jiāngjūn (generale).
[2] Tipologia di tè conosciuto in inglese come Golden key.

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