Una storia di grande conto

di MadameGirodelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


‘Oscar… perché mai?’

Sospirò… 

‘È sempre stata una testa calda… sempre, non si smentisce mai. Quella ragazzina è così snervante, certe volte’. 

Un soldato gli si avvicinò, richiamando la sua attenzione.

“Tenente”.

Lo chiamò, mettendosi sull’attenti.

“Soldato scelto Maurice de Jossy, primo plotone, seconda compagnia, signore. Il comandante vi desidera nel suo ufficio”.

“Riposo, soldato… riposo”. 

‘Bene… adesso, coglierò la palla al balzo e gliene dirò quattro… quell’impulsiva…’

Si incamminò a passo marziale verso il suo studio. 

Bussò, ricevendo il permesso per entrare.

“Avanti”.

“Colonnello, comandi”.

“Riposo, tenente”.

Quando la guardò… tutte le sue convinzioni avute poco prima di mettere piede lì dentro, crollarono. Non si sentì di rimproverarle un atteggiamento che aveva reputato poco consono alla sua persona, un atteggiamento che le avrebbe permesso di mettere a rischio la sua vita… ancora una volta.

“Tenente… ho bisogno di chiedervi un favore… come amici, però”.

Mise perfino in dubbio se avesse sentito bene o non si fosse lavato bene le orecchie, quella mattina. Ma, nonostante ciò, decise di proseguire il discorso. 

“Dite… ditemi pure Colonnello”.

Disse con un certo imbarazzo. 

Oscar… Oscar… la sua Oscar… lo consideravo un amico… allora aveva sentito bene. Il cuore gli scoppiò di gioia.

“Sicuramente vi sarà arrivata la notizia del duello contro il Duca De Germain”.

“Beh… sì, qualcosa…”

Finse, mascherando i suoi tormenti e quell’irrefrenabile voglia di mettersi a piangere come un bambino, davanti a lei, supplicandola di lasciar perdere quella follia. Che, se proprio teneva a quel maledettissimo duello, lui sarebbe stato pronto a prendere il suo posto. 

“Ebbene… ebbene vorrei foste voi a farmi da padrino, se per voi non è d’impiccio”.

Certo, non era una cosa semplice da chiedere, dato che se fosse morta… lui avrebbe dovuto proteggere il suo onore, mettersi nelle sue mani. 

‘Tutto per te, Oscar… lo sai…’

Si ritrovò a pensare.

Sembrava un cagnolino che le scodinzola dietro… aveva ragione Dominique, quando lo prendeva in giro, apostrofando questo suo modo di fare, quando si trovava di fronte a lei… allora, il buon Victor pensò che non gli avrebbe fatto veramente male, in quel momento, una secchiata d’acqua gelida, per farlo risvegliare dallo stato di trance in cui si immergeva ogni volta che la vedeva… ed anche perché, onestamente, si sentì avvampare. E, probabilmente, anche lei doveva essersene resa conto visto che glielo chiese.

“Girodelle? Tutto bene? Vi vedo un po’ …”

“Sì, naturalmente non ci sono problemi, comandante. Sarò lieto di essere il vostro padrino”.

‘Sarò lieto? Sarò lieto? Ma sei impazzito? Ti sei rintronato?’ 

Continuò mentalmente a darsi dell’idiota.

L’ultima domanda era quella che gli volgeva il padre spesso e volentieri, quindi naturale fu che assunse la sfumatura di voce del buon vecchio Conte De Girodelle… 

“Bene… vi ringrazio davvero molto”.

“Oscar… a tal proposito…”

“Sì?” 

“Sono un po’ preoccupato, riguardo al duello, mi spiego. E, da quando me n’è arrivata voce, non ho fatto altro che chiedermi il perché”.

“Il perché abbia accettato?”

“Beh… sì, vorrei saperlo”.

“Vedete Conte… il duca ha asserito, senza alcun ritegno, davanti a tutti, quanto fosse ridicola la scelta di mio padre nel del farmi prendere il suo posto. Sottolineandone l’ambiguità e la bizzarra situazione”.

“Vi ha ferita nell’orgoglio, dunque… beh, su questo ci avevo pensato, dato che vi conosco abbastanza bene… nei limiti che VOI avete imposto, naturalmente. Più che altro mi chiedevo perché aveste accettato con tanta fretta. Non è stata una decisione un po’ azzardata, Oscar?”

“Affatto…”

“Oscar… non credo voi abbiate bisogno di dimostrare il vostro coraggio, ne avete dato sufficienti prove”.

“Non si tratta solo di coraggio… ma del fatto che voglio dimostrargli che lui non può e non ha diritto di ergersi a giudice di tutti e tutto, dichiarando anche chi ha diritto di fare o non fare qualcosa, di dichiarare chi possa vivere o morire”.

“Capisco perfettamente, ma quell’uomo è noto per la sua cattiva fama. Mi preoccupa il fatto che possa accadervi qualcosa, che lui possa agire in maniera sleale. Sappiamo com’è fatto”.

“Per questo ho chiesto a voi di assistermi… perché mi avete dato prova, in questi anni, di potermi fidare ciecamente di voi e, se dovesse mai capitarmi qualcosa…”

“Non ditelo nemmeno per scherzo, ve ne prego”.

“Non scherzo affatto, metto solo in conto le possibili realtà dei fatti”.

“Non potrei sopportare di perdervi…”

“Conte… capisco che nutriate dell’affetto per me, come io ne nutro per Voi, ma addirittura…”

“No Oscar… è diverso”.

“Prego…?”

“Io non accetto l’idea di perdervi, non riuscirei a sopravvivervi”.

“Siete un po’… eccessivo, non credete?”

“Io vi amo”.

Le disse, tutto d’un fiato.

 

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“E, poi, e poi?”

Chiesero in coro in coro i due bambini che ascoltavano, affascinati, il racconto di quell’uomo.

“Cosa successe? Chi vinse il duello?”

“Oh, beh…”

Ricominciò a raccontare, seduto su una sedia a dondolo, mentre carezzava le testoline ricce di quelle due piccole pesti.

Intanto una donna, smise di mettere i fiori nel vaso e si avvicinò di soppiatto, curiosa anch’ella di sentire quella storia. 

 

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 “Conte… io… non ne avevo idea. Posso solo dirvi che mi dispiace. In tutti questi anni non ho fatto che trattare tutti, compreso voi, con sufficienza. Ma non perché fossi crudele, ma al fine di evitare che qualcuno potesse… affezionarsi… nutrire un affetto diverso da quello che sono capace di nutrire per gli altri… Non avrei mai voluto succedesse ciò”.

“Ho imparato, Madamigella che o vi si ama, o vi si odia. Non c’è una via di mezzo. E… dubito fortemente che voi siate incapace di nutrire quel genere di affetto, d’altronde prima di essere un soldato, siete umana, come tutti”.

“Nel… nel mio caso è diverso. Io non posso”.

Così decise di prenderla di sorpresa, poggiando le labbra morbide su quelle del suo colonnello. Forse lo immaginò, ma gli sembrò che il bacio fosse ricambiato con altrettanta enfasi. Lei si staccò dopo poco, fissandolo negli occhi con aria colpevole, come quando la sua cara Nanny scopriva le marachelle che combinava e l’accusava giustamente. Incapace di dire altro, se non rimettere la maschera che era sempre stata costretta ad in indossare.

“Vi aspetto a casa, dopo il servizio. Ci alleneremo con la pistola”. 

Disse, infine, scansandolo. 

“Facciamo finta non sia successo nulla, ve ne prego Girodelle”.

Oh, ma, invece, qualcosa era successo. Uno dei due, in questo momento, soffriva amaramente… e non era difficile indovinare chi.

“Sissignore… vi prego di scusarmi”.

Lei annuì, dandogli le spalle, prima di afferrare il pomello e girarlo per uscire da quella stanza, la cui aria divenne sempre più pesante. 

 

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“Quindi non era innamorata?”

“Oh si che lo era, solo che non aveva il coraggio di ammetterlo”.

I tre sobbalzarono, sentendo quella voce angelica che li colse di sorpresa. 

“La bella abitudine di bussare, tesoro?”

“Oh beh, non volevo disturbare il tuo racconto. Mi stava incuriosendo, sai? Di cos’è che parla?”

“Del colonnello Oscar François De Jarjayes… e di quanto il suo luogotenente l’ami”.

“Sembra davvero interessante. Allora mi seggo qui, tu continua”.

“Come desideri”.

I due bambini continuavano a girarsi in direzione delle voci opposte di quella coppia. 

“Allora bambini? Posso continuare?”

“Siiii”.

Risposero in coro i due ficcanaso.

 

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“No vi preoccupa, Generale?”

“No, ho allevato personalmente Oscar. È abile con la pistola, tanto quanto con la spada”.

“Sì, ma dovete tener presente che il duca è un uomo vile”.

“I padrini servono ad evitare spiacevoli incidenti, a controllare che sia tutto in regola. So che vincerà Oscar”.

I tre uomini continuarono a confabulare, quando Oscar si girò verso di loro, per in frazione di secondo, in cui lo guardò negli occhi, mentre ricaricava la pistola. A qualcun altro, quell’espressione, avrebbe fatto paura, ma non a lui… perché lui era ben cosciente di cosa tormentasse i pensieri del suo biondo colonnello.

Lui lo aveva capito che Oscar provava qualcosa, il problema stava nel capire cosa provasse. 

 

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“Bene, bambini. Adesso è tardi, però. Riprenderemo questa storia domani sera”.

“Noo, voglio sapere come finisce. Voglio saperlo adesso”.

Disse, indispettendosi la piccola dai capelli dorati. Capricciosa come la madre, pensò l’uomo, sorridendo. 

“Tuo padre ha ragione: è tardi, dobbiamo metterci a dormire, senza storie, Aurore”.

“Mmh… anch’io sono curioso di conoscere questa storia… anche perché mi ha colpito questa donna, che è andata contro tutti”.

Disse il bambino con i capelli più scuri e poco più alto della sorellina.

“Ti assicuro, Damien, che questa donna è la migliore che abbia mai conosciuto in vita mia, la più bella e buona”.

“Non esageriamo con i complimenti che, poi, sono gelosa”.

Gli pizzicò la spalla, mentre glielo disse, scaturendo anche una risata generale.

“Perfino più bella della mamma?”

S’intromette Damien.

“Mmh… direi che non ha nulla da invidiarle, ahahahaha”.

“Io-voglio-sentire-la-fine-della-storia”.

Continua a crucciarsi la piccolina.

“Sai che si dice che l’erba “voglio” non cresce mai. Su, piccola mia, fa’ la brava”.

“No, no, no”.

Disse, portando le braccia al petto, alzando la testa con aria di sufficienza.

Era tutta sua madre, nonostante avesse la tenera età di 5 anni, era una bambina molto intraprendente, che già sapeva cosa voleva e quando lo voleva. Testarda, fin quando non otteneva ciò che voleva, si ribellava sempre. Ma non oggi, oggi i genitori non gliel’avrebbero data vinta. È già da un po’ che cercavano di insegnarle cosa fosse l’attesa, ma, alla fine, il padre (innamoratissimo della sua bambina, quanto del suo primogenito Damien), non riusciva a vedere la figlioletta così corrucciata e cedeva. Ma la moglie, col pugno di ferro, glielo vietò categoricamente;

*”Mio caro Marito, se oserai nuovamente accontentare i capricci di nostra figlia, mi assicurerò che il tuo amato colonnello ti dia un bel rapporto disciplinare di un mese”*

Gli disse, una volta, alzando l’indice mentre parlava. Con quel tono di rimprovero che apparteneva solo a lei.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


L’indomani sera lei li trovò ancora lì: lui seduto su quella poltrona di velluto rossa, con in braccio i due bambini, i quali gioivano per le carezze dategli dal padre, mentre con la sua voce calda iniziò a parlare. 

“Anche tu qui, mia cara?”

“Mamma”.

Urlarono i due bambini in coro. Lei si avvicinò, poggiando a ciascuno un bacio sulla fronte. 

“Stavolta non voglio perdermi nulla del racconto”.

“Di questa incantevole storia, vorrai dire”.

Lei gli sorrise, lui ricambiò, iniziando a narrare la storia ai suoi tre gioielli più preziosi: sua moglie ed i suoi bambini. Nessun gioiello, nessun palazzo, nessuna moneta poteva avere il valore che avevano loro. Ammetteva, tuttavia, quanto fosse insolita la loro famiglia… così piena d’amore, così anti convenzionale, così fuori dalle righe… d’altronde lo era anche la loro storia.

 

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“Non riesci a dormire, Oscar?”

“Non devi preoccuparti”.

“Non mi preoccupo… so che vincerai. Ma sarà meglio tu vada a dormire, domani dovremmo alzarci all’alba”.

“Non c’è bisogno che venga anche tu. Il mio padrino è Girodelle”.

“E va bene… ho capito; vuoi rimanere sola”.

“No, aspetta André”.

Lui si girò verso di lei, guardandola curioso. Era un po’ che non riusciva a capirla. Notò anche l’accento che ricadde voracemente su quelle che parole: MIO padrino è GIRODELLE. L’aveva fatto di proposito o era stata una sciocca sua fantasia? Tuttavia, voleva che fosse lei a parlargli.

“Il duello non mi preoccupa, André. Tuttavia debbo dirti che… non ho alcuna intenzione di uccidere il duca. È vero, è un uomo vile, senza ritegno, ma nessun uomo, anche il più disprezzabile, merita di morire per mano di altri… volevo solo dirtelo”.

Rimase attonito da quelle parole.

“Oscar… so che non lo avresti fatto. Sei troppo leale per uccidere qualcuno a sangue freddo”.

“Già… eppure… ho imparato a camminare, duellare, danzare e parlare come un uomo, ma non riesco ad uccidere come un uomo”. (1)

“Perché non lo sei”.

Lei lo fulminò con lo sguardo. Notò solo quel suo sguardo furente, prima di scusarsi.

Lei, d’altro canto, fu messa davanti alla realtà, così schiettamente, come solo l’amico di una vita avrebbe mai potuto fare… o forse no… già, perché, nonostante l’uniforme, un altro uomo riusciva a considerarla come una donna. E lo sapeva. 

“Ascolta… non fa nulla, non scusarti. Volevo solo dirti che… ricordi il tesoro che seppellimmo? Quel coltello dal manico…”

“…Rosso ed una trottola. Certo, lo ricordo. Perché me lo chiedi?”

“Se morissi vorrei che tu li tenessi… come un ricordo”.

“Oscar… non morirai, ne sono sicuro”.

Disse, poi, invitandola nuovamente coricarsi per fare un sonno ristoratore.

“Sì… André, ascolta… debbo chiederti una cosa”.

“Dimmi tutto”.

Eccola… sapeva dove volesse arrivare. È vero, si comportava in modo indecifrabile, ma quella peculiarità di Oscar non era cambiata… si arrampicava sugli specchi, raggirando discorsi, per arrivare a domande che considerava troppo vergognose o sconvenienti.

“Se… se tu stessi per rischiare la vita… cos’è la cosa che più faresti?”

‘Farei l’amore con te, Oscar’.

Si diede dello stupido solo per aver osato formulare quel pensiero.

“Farei qualcosa che mi renderebbe felice”.

Non aveva mentito, aveva solo omesso. Sperando che quel calvario finisse quanto prima, prima che lei osasse un’altra domanda.

“Del tipo?”

Ecco.

Touché.

“Ehm… tipo mangiare una torta”.

“Mi prendi in giro, André?”

“Assolutamente, Oscar”.

Lei lo sorpassò, non del tutto convinta della sincerità dell’amico.

“Se tu provassi… affetto… per qualcuno, glielo diresti?”

Sentì il respiro fermarsi.

“Certo… non bisogna temere nulla”.

Mentì, stavolta.

“Grazie André, buonanotte”.

“Buonanotte… Oscar”.

 

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“Anche io voglio una trottola”.

Disse la bambina, incrociando le braccia al petto.

“Tutte quelle che v…”

Si trattenne, quando vide l’occhiata fulminante che gli rivolse la moglie.

“Si chiede perfavore, Aurore”.

Disse il fratello maggiore, guadagnandosi una linguaccia dalla pestifera.

“Victor, ricorda cosa ci siamo detti”.

“Perdono, amore… beh… facciamo così, al tuo prossimo compleanno ti regaleremo una trottola. Adesso, però, piccola mia, se non volete ritrovarvi orfani di padre, non mettetemi in difetto davanti a vostra madre. Sa essere davvero terribile”.

Disse, ridendo e guardando la moglie con aria scherzosa.

“Papà, potresti continuare la storia, per favore?”

Nessuno avrebbe mai detto che fossero fratelli… eppure entrambi erano stati educati nella medesima maniera. Eppure Damien, a differenza di Aurore, era sempre pacato, dolce, gentile ed aveva la stessa malinconia velata del padre, negli occhi. Certo è anche vero che il padre l’aveva, da quando nacque, considerata fin da subito come la principessa di casa. Non che provasse un amore superiore rispetto a quello per Damien, eh. Solo che, in quella piccola bambina, rivedeva tanto della sua amata moglie, lo stesso carattere, gli stessi occhi. Quelli capaci di essere più eloquenti delle parole. Quando nacque decise che le avrebbe dato tutto ciò che sua madre non aveva potuto avere. Che si trattasse di bambole, vestiti o spade e soldatini. Ma sopratutto di amore, quell’amore che sua moglie non aveva mai ricevuto. Nemmeno lui, d’altronde. Quando, invece, nacque Damien, decise di voler essere il suo eroe, il suo confidente, il suo migliore amico, oltre che ad essergli padre. E così sarebbe stato. Damien, infatti, non faceva altro che guardare con occhi innamorati e sognanti i suoi genitori. Così forti, così belli, così innamorati… e, i due genitori, ogni giorno si auguravano che i figli potessero, un giorno, assaporare la stessa immensa felicità.

Si ritrovò a pensare Victor, guardando per qualche secondo Damien. 

“Certo, mon petit guerrier”.

“Anche io sono una guerriera?”

“Ma che dici, Aurore, tu sei una femmina. Il guerriero sono io, però ti proteggerò sempre”.

Rispose il fratello, ma si rese conto troppo tardi che si era guadagnato un’occhiata malcontenta da parte dei suoi genitori. Così abbassò la testa, imbarazzato.

“Scusate”.

Il padre sorrise, lasciandogli una carezza su una tenera e paffuta guancia. Poi si rivolse alla piccola.

“Certo che sì, piccola mia. Come te, anche la mamma”.

La bambina gli sorrise, prima di dargli un tenero e goffo bacio sulle labbra. Quei baci che erano solo di amore pure tra figli e genitori.

 

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Era, da poco, passata la mezzanotte, ma il sonno non voleva coglierla. Così, decise di sana pianta di uscire, prendere il cavallo ed andare più lontano possibile.

Non così lontano da dove ci si potesse aspettare. Infatti si fermò ai cancelli di un grande castello, divorato dalle ombre notturne, ove gli unici rumori che si sentivano erano quelli degli alberi che muovevano le loro foglie verdi, quello del vento che fischiava leggero e quello delle cicale che cantavano canzoni conoscibili soltanto a loro.

Si sentì una stupida… andare lì, col rischio di essere vista e di disturbare qualcuno. Come si sarebbe giustificata? 

Tuttavia, mentre fece per andarsene, scuotendo la testa con aria di chi avesse capito troppo tardi ciò che stava facendo, una voce richiamò la sua attenzione.

“Oscar…”

Si sentì trasalire.

“Ah… Girodelle, perché siete ancora sveglio?”

Gli chiese, guardandolo dall’alto, sul suo destriero bianco.

“Colonnello… con tutto il dovuto rispetto, se me lo consentite, non sono io ad aggirarmi per i cancelli delle residenze altrui”.

Disse col suo solo tono neutro. 

Si sentì ancor più stupida.

“Tuttavia, Oscar… non penso TU sia venuta qui per controllarmi. C’è qualcosa di cui VUOI parlarmi?”

Annullò di proposito le distanze, costringendola a scendere da cavallo.

“Victor… io… le vostre…”

“Ti prego, Oscar. Non siamo a Versailles, non siamo costretti ad indossare le maschere che coprono quotidianamente le nostre giornate… e non sopporti nemmeno tu questo distanze fin troppo formali”.

“D’accordo… volevo dirti che… ho pensato molto alle tue parole e ne sono rimasta colpita”.

“Mai quanto tu hai colpito me, lasciandomi lá, senza nemmeno darmi l’opportunità di spiegarti… non ti sei nemmeno scomodata a rispondermi, se non con lo stesso tono sufficiente che mi rivolgi da quando ci conosciamo”.

“Sono qui per questo, Victor. Non vorrei…”

“Già… facciamo finta non sia successo nulla, giusto?”

Lei abbassò lo sguardo, sospirando.

“È più facile così, no? Facciamo finta non ti abbia mai detto nulla, che non sia successo niente. Quando, poi, qualcosa è successo… ed uno dei due si è fatto più male dell’altro”.

“Victor, mettiti nei miei panni. Come può un soldato amare un uomo?”

“Perché sei donna. Sei umana, Oscar. È nella natura amare ed essere riamati. Non c’entra che tu sia un soldato, un medico o chiunque tu voglia essere”.

“Ti rendi conto di cosa potrebbe succedere, Victor? Hai idea di come faremmo soffrire le persone intorno a noi?”

“Hai idea che l’unica persona della quale mi interessa sia tu? Dimmi che non è lo stesso e ti lascerò andare. Non oserò mai più dirti del mio amore. Non mi rivedrai nemmeno più, te lo giuro”.

“Non l’ho mai pensato in questi termini…”

Lui le si avvicinò ancora di più.

La mise con le spalle attaccate al tronco di una quercia vicino. Le bloccò le mani sulla testa e la costrinse a guardarlo negli occhi.

“E come l’hai pensata?” 

“Io… Victor… non posso. Ti prego di scusarmi… e di comprendermi”.

“No, non ti comprendo affatto”.

“Immaginati noi due, le voci che ne usciranno, le nostre famiglie disonorate. Io sono un soldato. Tu devi sposare l’arciduchessa de l'Epine. Non possiamo Victor”.

“Allora perché sei qui?”

“Perché… volevo dirtelo. Volevo dirti che, dopo il duello, non ci vedremo più. O vado io o tu”.

“Se sono solo io a provare dell’amore, dunque sono facile alla tentazione, perché mi allontani? Significa che ti faccio anch’io qualche effetto. O hai paura di me? Pensi possa farti mai del male? Perché, mia cara, se pensi questo allora non mi conosci davvero”.

“Ti sbagli”.

Si mise sulla difensiva.

“Io credo di no… se provassi a…”

Avvicinò pericolosamente le labbra alle sue. Diavolo tentatore, che poggiò le labbra sulle sue, con l’intento di scoprire che sapore avesse il paradiso.

 

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“La mamma prima di sposarsi con te era un’arciduchessa?”

Chiese il figlio, curioso.

Il padre sorrise benevolmente.

“Ti sbagli, mio tesoro. La tua mamma è…”

“Victor, non rovinargli il finale, sennò non c’è gusto”.

“Ma mamma”.

“Su, fate parlare vostro padre”.

“Va bene”.

Risposero, in coro.

 

__________________

 

Si lasciò baciare, inebriata dal sapore di quelle labbra che, dopo un paio di minuti, si spostarono sul collo. Lei reclinò il capo all’indietro. Fu solo un attimo, un attimo lacerante.

“F… fermati. Ti ordino di fermarti, Victor”.

Lui si bloccò di colpo.

“Perdonami… non avrei dovuto”.

“Cosa… cosa dovesse succedere se… se facessimo l’amore?”

Rimase spiazzato.

“Vuoi davvero?”

“Io… sì”. 

“Perché?”

“Perché… forse… hai ragione: vorrei provare ad essere donna… potrebbe essere l’ultima notte che vedo”.

“Morirei con te”.

“No… non lo faresti”.

“Scommettiamo?”

Si guardarono. Non avevano bisogno di altre parole. 

Lui la prese tra le braccia, la strinse forte e la portò in casa. Come si farebbe con le neo spose.

“Dopo il duello… vorresti accettare di essere mia moglie?”

“E la tua fidanzata?”.

“Chi? Ah… beh… mi dispiace, non sono il tipo da far soffrire una donna, ma non posso proprio sposarla. Ha ragione che ho avuto da fare, per colpa del mio colonnello che ha acconsentito a questo duello, sennò sarei già andato dai suoi genitori dicendogli che non darò credito agli ordini di mio padre e che non posso sposare l’Arciduchessa”.

Rispose lui, sincero.

Dopodiché la portò in camera, dove fecero l’amore per tutta la notte, prima di crollare l’uno tra le braccia dell’altro. All’indomani si sarebbero alzati presto. Lei doveva tornare a casa, prepararsi e fingere che nulla fosse successo. Poi, se ne fosse uscita viva… ci avrebbe pensato. Una cosa era certa: stava iniziando ad ascoltare il suo cuore, che gridava il nome del suo Luogotenente. 

 

_________________

 

“Ed il duello?”

“Ovviamente lo vinse lei”.

“E, poi, cosa è successo?”

“Che… quella notte… io ho dato tanto tanto amore a tua madre, lei ha custodito questo amore per 9 lunghi mesi… e sei nato tu”.

“Non ci credoooo”.

Disse il bambino, sconvolto.

“Non ho capito”.

Disse la piccolina.

“La mamma è il soldato di cui era innamorato papà”.

La donna dai lunghi capelli biondi, sorrise.

“Uhhhhh… Allora anche io voglio fare il soldato, con le spade ed i cavalli”.

I due sposi si guardarono sorridendo.

“Io voglio diventare uno scrittore”.

“Siete ancora troppo piccoli per decidere… ne avrete di tempo, amori miei”.

Disse la madre, abbracciandoli.

“Ma, poi, com’è che papà non sposò l’Arciduchessa?”

“Perché… andai contro tutto e tutti per stare con la tua mamma… anche contro tuo nonno”.

“Contro mio nonno?”

“Sì… il generale Jarjayes”.

Rispose lei, con un sorriso malinconico.

“Ma è ancora vivo?”

“Da quanto ne so… sì”.

Continuò.

“Mamma, possiamo vederlo?”

Chiese Damien.

Già donna cercò lo sguardo di suo marito, il quale prese parola.

“Vedi, piccolo mio… sono successe tante tante cose… e la tua mamma… non ha più voluto vedere il suo papà”.

Poi si girò a guardarla.

“Anche se… i genitori sono i genitori e, per quanto possano sbagliare, avranno sempre bisogno dei propri figli”.

Lei abbassò lo sguardo, tristemente.

Sospirò.

“Bene, ma, adesso, non pensiamoci più. Forza, a nanna. Il finale ve lo racconterà la mamma, domani sera”.

“La storia finisce sempre sul più bello”.

Rispose, sbuffando, la piccola.

“Ma perché avete deciso di raccontarcela?”

Chiese Damien, guardando i suoi genitori.

“Per farvi sapere chi è vostra madre, quanto sia forte e per farvi capire quanto sia importante combattere per amore e…”

“Per farvi capire che, a volte, è necessario infrangere delle regole troppo strette, assecondando i vostri sentimenti… quando sarete più grandi”.

Rispose la donna, interrompendolo.

L’uomo sorrise, prendendo in braccio i suoi due figli, i LORO due figli. 

Li misero a letto, dandogli un bacio sulla fronte e rimboccargli le coperte, come facevano ogni sera.

Fuori dalla stanza di Aurore, lui le prese la mano ed, insieme, camminarono fino alla loro camera, al loro rifugio d’amore.

“Ti manca… domattina vieni con me a Vers…”

“No”.

“Oscar… io lo vedo tutti i giorni tuo padre… ed anche se non parliamo vedo quanto sta male. Non sai quante volte ha cercato di vederti, parlarti…”

“Non gliel’ha mai impedito nessuno…”

“Sei stata tu a mettere barriere tra voi”.

“Avrebbe preferito morissi, piuttosto vedere ‘suo figlio’ incinta”.

“Ha sbagliato, ma era solo molto arrabbiato… quante cose orribili diciamo in momenti in cui ci sentiamo fragili? Siamo umani, amore mio”.

“Non riuscirei mai a trattare i miei figli, un domani, allo stesso modo in cui lui ha trattato me”.

“Capisco…”

“Davvero gli hai perdonato il fatto che abbia messo la mia vita e quella di Damien in pericolo, quella sera?”

Lui non le rispose.

“Voglio solo che tu stia bene. Non voglio vederti triste vedendo me ed i bambini insieme”.

“Ti sbagli, Victor”.

“Dimmi la verità, Oscar; quante volte ti sei ritrovata a pensare che avresti voluto anche tu una famiglia come l’abbiamo costruita noi?”

“Ma io ce l’ho… ce l’ho questa famiglia e sono felice così”.

“Ma tuo padre ti manca”.

“Non voglio parlarne, ti prego”.

“Come desideri…”

“Buonanotte, Marito”.

Disse, dandogli un bacio ed accoccolandosi a lui.

“Buonanotte, Moglie”.

Rispose, abbracciandola ancor più forte.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Come sarebbe a dire?”

“Quello che vi ho detto, padre”.

“No, non è possibile. Tu…”

Lo vide alzarsi, battendo le mani sulla scrivania, in maniera talmente violenta che l’inchiostro del calamaio cadde, macchiando i fogli sparsi.

Ecco. Così si sentì, quando scoprì di quel bambino. Macchiata. Ma questo, suo padre, non poteva saperlo. Non poteva accettarlo.

Mentre rimuginava su ciò, non vide arrivare lo schiaffo, violento, così tanto da buttarla a terra.

Le lacrime iniziarono ad offuscarle la vista. Non per lo schiaffo, perché di quelli ne aveva sempre avuti, ma il pensiero che avesse deluso suo padre… il pensiero che lei avesse quella responsabilità, di quella piccola vita che era dentro di lei… se gli fosse accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonata. Ed, infine, il pensiero di lui… quella notte a Saint Louis, a casa sua… tra le sue braccia. Ma non poteva piangere, no. Avrebbe dovuto affrontare l’ira di suo padre, adesso. Ma come? Come, poi, poteva dire a Victor di quel bambino, senza aver paura di macchiare anche il suo nome? Che diritto avrebbe avuto di farlo? No… era fin troppo leale.

Il generale, suo padre, l’afferrò per il bavero, costringendola ad alzarsi. 

“COME HAI OSATO?”

Abbassò gli occhi, portandosi le braccia al ventre, cercando di proteggere quella minuscola creatura dall’ira di suo padre.

“DI CHI È?”

Lei non rispose.

“RISPONDIMI”.

Sollevò lo sguardo, riflettendosi in quegli occhi così simili ai suoi, ma con uno sguardo così diverso.

“RISPONDIMI”.

Un altro ceffone in pieno viso.

Rotolò nuovamente in terra.

Stava per darle un calcio, ma sua madre arrivò in tempo.

“FERMATI, FERMATI AUGUSTIN. Ti prego… ti prego”.

Disse Madame Jarjayes, con le lacrime agli occhi, vedendo sua figlia riversa al suolo, raggomitolata. Quella figlia che l’era stata strappata troppo presto. Quella figlia tanto amata.

Con il suo corpo le fece da scudo.

Il generale, che non aveva mai visto sua moglie così triste, adirata, si fece da parte, sconvolto. Aveva bisogno di aria… di riflettere, di prendere la decisione più ovvia. Uscì, lasciando sole sua moglie e… no, non poteva più considerarla ‘figlio’ data l’evidenza dei fatti e, no, non poteva nemmeno considerarla figlia… 

Intanto Oscar si alzò su un braccio, guardando sua madre. Iniziò a cacciare quelle lacrime che aveva recriminato fino a quel momento.

“Madre…”

Sua madre l’abbracciò forte, le accarezzò i capelli e l’aiutò ad alzarsi.

“Tesoro… sapevo che, prima o poi, sarebbe accaduto. Sei umana, dopotutto è normale amare…”

“Madre… non ho mai avuto così paura come… come la provo adesso”.

Disse, con voce sommossa dal pianto.

“Lo so, bambina. È normale. Stai tranquilla, adesso risolveremo tutto insieme, ti va?”

Fu la prima ed unica volta in cui trovò l’appoggio di sua madre… ma non perché lei non volesse, ma… colpa di suo padre… sempre. 

Annuì, allora, alle parole di sua madre.

“Madre.. Cosa debbo fare adesso?”

“Quello che senti”.

“Ma… lui non…”

“Lo so… ma devi decidere tu cosa fare: se tenerlo o meno”.

“Non posso… non voglio che muoia”.

“Devi dirlo al padre”.

“No… no”.

“È Andrè?”

“Cosa? No…”

“Capisco…”

Si aspettava fosse Andrè, perché non aveva mai visto nessun uomo avvicinarsi più del dovuto a sua figlia. Con André aveva sempre avuto un rapporto speciale, pensò che sarebbe stato più che ovvio che fosse lui… ed invece… chissà. 

Si chiese Madame, mentre continuava a consolare sua figlia.

Ma André… forse lui… lui sapeva. 

“Vieni, andiamo da Nanny. Ti faccio preparare un the caldo… dopo parliamo, ti va?”

Chiese con dolcezza.

Lei annuì.

Insieme si incamminarono verso le cucine.

Sapevano entrambe che il generale fosse uscito, sentirono il rumore degli zoccoli del suo cavallo, poco prima, allontanarsi sempre di più dal palazzo.

“Oh… bambina mia… come stai?”

Le chiese Nanny, circondandole il viso con le mani”.

Lei si guardò intorno. Notò che André non era lì. Se ne preoccupò. Si preoccupò del fatto che suo padre avesse potuto avere un pensiero analogo a quello di sua madre.

“Dov’è André?”

“In camera sua”.

Rispose la governante, porgendole una tazza di the.

Lei annuì, rasserenata.

Parlarono a lungo le tre donne. 

E lei… lei decise che non avrebbe spezzato quella vita innocente, che quel bambino avrebbe visto la luce… che lei glielo doveva. Perché era stata solo colpa sua. Tuttavia… omise un piccolo dettaglio: Victor. Nessuno avrebbe dovuto sapere che fosse lui il padre. Sia perché… la carta matrimoniale con l’arciduchessa de l'Epine era stata firmata, ormai, dal re (contro il volere del Conte, ovviamente. Più ci pensava più capiva quanto non fosse l’unica a subire le decisioni di un padre che pensa solo al bene del proprio casato), sia… beh… non avrebbe potuto e basta.

Da quel giorno, i giorni a venire, i mesi, passarono.

Il padre, alla fine, aveva deciso che quel bambino, appena nato, sarebbe stato mandato in qualche buona famiglia, che ‘suo figlio’ avrebbe ripreso il posto nelle guardie reali (o, nel peggiore delle ipotesi, l’avrebbe reclusa in convento, se si fosse messa nuovamente contro di lui) e nessuno avrebbe saputo nulla di quell’increscioso ‘inconveniente’.

Infatti, saggiamente, il generale decise di mandarla in campagna, con una scusa di una qualche malattia a lungo termine. Tubercolosi, ad esempio. E risultò un’ottima scusa… tranne che ad una persona… una persona estranea ai fatti successi a casa Jarjayes… il tenente Girodelle.

Continuò a chiedersi perché il suo comandante non si fosse più presentata a Versailles… davvero una malattia? O, semplicemente, non voleva più vederlo? Solo una mattina, in una calda giornata primaverile, successe l’impensabile.

“Conte…”

Lo sorprese, alle spalle. 

“Grandier? Che ci fate qui? Il colonnello è tornato a Versailles? Dov’è?”

“No… non è qui… debbo parlarvi, se me lo permettete”.

“È grave?”

“Dipende dai punti di vista”.

Il tenente alzò gli occhi al cielo. 

“Va bene, ma non qui. Seguitemi nel mio studio”.

Si accomodarono, uno di fronte all’altro, dopo aver chiuso la porta dello studio, accertandosi che non ci fosse nessuno a sentirli.

“Conte, voi, amate Oscar, non è vero?”

“Non meno di quanto non l’amiate voi”.

“Con la differenza che… il vostro amore è corrisposto”.

Il Conte sgranò gli occhi. Che avesse capito? Che sapesse?

“Voi… siete stati insieme, non è vero?”

Tum… tum… tum…

Victor iniziò a sudare freddo, mentre, dall’altra parte, André sperava che gli dicesse di sì. Almeno sarebbe vissuto col pensiero che la donna amata sarebbe stata felice. 

“Io… perché siete qui? Arrivate al dunque, vi prego”.

“Rispondetemi”.

“Sì… sì, è così”.

“Allora… siete voi… il padre”.

“Suo padre? Cosa c’entra? È successo qualcosa? Ha saputo di…”

“No… non suo padre… o meglio… sì, ma non intendevo… È difficile da spiegare. Avete… fatto i conti dal giorno in cui siete stati… insieme, ecco”.

“La notte prima del duello col duca de Germain”.

“Luglio… quindi… mesi fa”.

“Sì, ma… rispondere alla mia domanda; cos’è successo?”

“Sono passati nove mesi da allora…”

“Sì e…”

Si bloccò di colpo. Tutto acquisì un senso. Il congedo… che stupido… si era congedata dalle guardie reali solo 6 mesi fa… poteva essere normale che non si vedesse… Dio. 

“Prima che vi venga un colpo, vi porto da lei. Sta partorendo e… non ha fatto altro che piangere, in questi mesi. Il bambino non conoscerà mai i suoi veri genitori”.

Avrebbe dovuto immaginarlo.

 

~~~~~~~~~

 

“Spingete, forza. O spingete o il bambino morirà”.

“CI STO PROVANDO. FA COSÌ MALE. ARGHHHHHHH”.

“Forza”.

Giurò su suo figlio che se quella maledetta ostetrica avesse nuovamente detto quella parola, si sarebbe alzata e l’avrebbe passata a fil di spada. Evidentemente non aveva mai provato il dolore del parto. 

“Se andrà tutto come deve andare… arghhhhh… spero che questa sia la prima ed ultima volta… arghhhh”.

“Siete una madre sola”.

“Arghhhhh... TACETE”.

“Spingete ancora, vedo la testa”.

Dopo circa tre ore il bambino si decise ad uscire, liberandola da ogni pena dell’inferno.

“Vi prego… vi prego… prima di portarlo via… voglio… voglio solo vederlo, vi prego. Vi prego, solo uno sguardo”.

“Non è possibile. Vostro padre non vuole che lo vediate”.

“Ve ne prego… vi pagherò il doppio, fatemelo solo vedere… qualche… qualche secondo, non chiedo altro”.

Supplicò, piangendo.

In quei mesi aveva sognato tante volte il volto di quel bambino.

L’ostetrica commossa, glielo porse tra le braccia.

“Ciao… ciao piccolino… scusa… ti chiedo perdono per non essere riuscita ad essere forte… ti chiedo scusa se non saprai mai di me, ma ti prometto che i tuoi… la tua famiglia ti amerà tanto… tanto quanto ti amo io…”

Gli diede un bacio sulla testolina piena di ricci, piangendo.

Il bambino sicuramente non avrebbe avuto il suo carattere, dato che era tranquillo già appena nato. Ma lei, questo, non poteva saperlo… non avrebbe mai potuto scoprirlo. 

“Ti amo, ricordalo sempre… e sono sicura che anche il tuo papà, anche se non sa di te, ti avrebbe amato tanto”.

“Devo portarlo via, Madamigella, mi dispiace”.

“Sì… un ultimo addio”.

“I genitori lo stanno aspettando…”

La porta si aprì di colpo, il generale fece il suo ingresso.

“Muoviti, Giselle”.

Disse, mentre la donna strappava dalle braccia materne quel fagottino, che iniziò ad urlare, piangendo disperatamente.

Fu un attimo…

Un solo attimo.

Un uomo alto, strappò dalle braccia dell’ ostetrica il bambino, mentre il generale era fisso a guardare quella figlia ingrata, che piangeva disperatamente, con il volto soffocato nel cuscino.

“Questo bambino… questo bambino non si muoverà da qui. Mio figlio non verrà strappato dalle braccia di sua madre”.

Il generale si voltò di scatto, sentendo quella voce. Guardò l’uomo, che teneva tra le braccia, stretto stretto, quel figlio illegittimo. Quel bastardo, secondo lui. 

“Voi… siete voi, quello che ha osato mettere incinta mio figlio?”

“Sì, sono stato io ad amare vostrA figliA. E, nonostante abbia scoperto solo ora di essere padre, nessuno ha più diritto di me ed Oscar su questo bambino”.

Disse, avvicinandosi a lei, che assistette immobile alla scena. 

“Io e te parleremo dopo. Adesso devo prima risolvere con tuo padre”.

Disse, mettendole suo figlio, il loro figlio, frutto del LORO amore, il SUO seme, il sangue del SUO sangue, nelle braccia di sua madre.

Quel fagottino che si calmò, non appena sentì il calore di sua madre. 

 

______________________

 

“Quel bambino ero io, padre?”

“Sì, Damien… eri proprio tu”.

“Quindi se non fosse stato per mio padre, maman, noi non saremmo qui? Io starei in un’altra famiglia”.

“Già… ma non è successo, no? Ed è questa la cosa importante…” 

Rispose, carezzando la testa del figlioletto.

“Ed anch’io sarei in un’altra famiglia?” 

“Tu… beh… non saresti nata…”

“Ecco. Lo sapevo. Volete più bene a Damien che a me”.

“Non è così, bestiolina. Ti sbagli. Noi vi amiamo allo stesso identico modo. Solo che le circostanze in cui siete venuti al mondo… beh… sono diverse, anche i nove mesi di gravidanza. Quanto aspettavo tuo fratello ero sola… quando aspettavo te c’era e c’è sempre stato il tuo papà con me”.

“E questo cosa c’entra?”

“Beh… che, a differenza di quando aspettavo te, mi sento molto in colpa nei confronti di tuo fratello…. Come se gli avessi tolto un po’ dell’amore di suo padre”.

“Ah, beh, moglie. Qui ti sbagli. Certo, mi sono perso un po’ di cose, ma l’amore è stato, fin da quando l’ho scoperto, immenso ed incommensurabile”.

“Pardonnez, Mon Chère. Un po’ di affetto, non di amore”.

“Ecco, va già meglio”.

Disse Victor, beffandosi bonariamente di lei.

“E del tuo amico André?”

Chiese Aurore. 

“Beh… lui… è andato via, lontano, in America… però ci scriviamo, lui è felice, ha una bambina poco più piccola di te”.

Damien sospirò.

“Cos’hai, ometto?” 

Chiese suo padre, guardandolo.

“Che… hai sempre parlato di Oscar come una persona fortissima, poi… voleva abbandonarmi”.

Sua madre, a sentire quelle parole, le si lacerò il cuore.

“Non è così, Damien. Tua madre è e rimane tutt’ora quella Oscar forte di cui hai sentito storie e non voleva abbandonarti. Era stata costretta”.

“Sì, ma…”

“Niente ‘ma’”.

Lo interruppe, suo padre, guardandolo con aria di rimprovero.

“Scusate”.

Disse, a quel punto, Oscar, alzandosi e uscendo fuori dalla stanza.

“Hai fatto piangere Maman, contento?”

“Ehh, buona Aurore. Damien… non preoccuparti. State qui, tra poco veniamo a prendervi.

Disse, togliendo suo figlio da sopra le sue ginocchia e poggiandolo sul divano, affianco a sua sorella.

 

~~~~~~

 

“Hey… hey, ferma, ferma. Dove vuoi andare?”

“L’hai sentito anche tu? Ha ragione, Victor. Ha ragione”.

“No, no. Non ne ha. È un bambino, quando si farà più grande lo capirà, te lo assicuro. Scusa, è stata colpa mia, non avrei dovuto raccontargli questa storia… non ora”.

“No… no, l’avevamo deciso insieme ed era giusto così… ma… adesso lui… mi vedrà come una delusione e…”

“No, Oscar, ti sbagli. Damien ti idolatra, ti ammira e non…”

“Maman…”

Si sentì tirare la gonna.

Si asciugò velocemente le lacrime e si voltò in direzione di suo figlio.

“Scusami maman… non volevo intristirti”.

“No… no, amore, è tutto a posto. La mamma sta bene e… ti ama, anzi, vi ama tanto”.

Disse, inginocchiandosi alla sua altezza e stringendolo forte.

“Posso dormire con te e papà, questa notte?”

“Certo… sì, piccolo mio”.

Disse prendendolo in braccio.

Mentre Victor prese in braccio Aurore.

“Damien, non offendetti, ma sono io la figlia preferita”.

Disse la pestifera, generando le risate dei genitori.

“Aurore… si dice ‘offenderti’… e, poi, no, come ha già detto tua madre non abbiamo preferenze su di voi”. 

“Lo soooo. Stavo scherzando. E non ridere perché sbaglio, io sono piccolina”.

“Lo so che sei piccolina… e vorrei che restasse così piccoli per sempre”.

Disse, stringendo ancora di più sua figlia.

Si addormentarono tutti e quattro, tutti stretti in un unico abbraccio che sapeva di amore e di felicità. 

All’indomani sarebbe spettata loro un’altra sorpresa: quella del mitico generale Jarjayes. 

Che, negli anni, aveva solo sentito parlare di quei due bambini e, finalmente, aveva trovato il coraggio e puntare i piedi sia per conoscere i suoi nipoti, sia per riavvicinarsi a sua figlia… magari… magari scusandosi, a modo suo.

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