Il Resto è Storia

di road chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Uno

Questa è politica o

Grandi tette

 

 

Raven si appoggiò al bancone della cucina, annuendo in silenzio e masticando l’aria circostante come una pantera che fiuta la preda e si prepara ad attaccare senza pietà.

Tamburellò con le unghie della mano destra contro la fredda e levigata lastra di granito bianco, osservando con particolare attenzione il giovane ragazzo seduto di fronte a lei, intento a leggere il giornale sul divano color cachi.

“Allora! Chi sarà l’affascinante donzella che ti accompagnerà alla cena con i tuoi probabili – anzi più che certi – nuovi colleghi di lavoro?”

Bellamy sollevò un sopracciglio folto, allontanando il quotidiano dalle ginocchia e scuotendo una spalla con fare spazientito.

“Mh? Pensavo che saresti venuta tu.”

Lei fece un sorrisetto, ammettendo che , era alquanto affascinante e , loro due si conoscevano davvero bene – specialmente da quando un paio di anni prima erano andati a letto insieme – ma no, lei non l’avrebbe accompagnato alla sua vecchia e spocchiosa cena di archeologi perché aveva appena iniziato a frequentare qualcuno.

“Cosa?” chiese Bellamy, attonito, siccome gli unici argomenti di conversazione di Raven ruotavano, di solito, attorno al lavoro da consulente finanziario che aveva ottenuto meno di un anno prima da una grande e importante impresa legale alla quale – per quel che ne sapeva lui – dedicava la maggior parte del suo tempo libero.

“Chi? E da quando?”

“Calma, Sherlock” gli rispose, sfoggiando un sorrisetto rilassato.

“Tutto a suo tempo. Chi sarebbe la tua seconda scelta?”

Bellamy scrollò le spalle, aggrottando la fronte e agitando i riccioli neri. “Uh…Miller?”

Raven scoppiò a ridere, staccandosi dal bancone e diffondendo, dentro la stanza, un’invisibile scia di profumo dolciastro e fruttato.

“La prima volta che ho parlato seriamente con Miller è stata anche l’ultima. Per Nathan non sei degno di attenzione se non sei un tifoso dei New York Giants e a meno che i tuoi futuri collaboratori non si rivelino essere anche dei patiti di football…”

“O sta finendo la seconda specializzazione alla Brown; potrei chiedere a lei.”

Raven scosse la testa.

“Impossibile, la sessione d’esami è dietro l’angolo. In più” aggiunse, fissandolo con gli occhi color nocciola e mordicchiandosi le labbra carnose “penso tu abbia bisogno di una partner che non sia anche tua sorella. Mostrerebbe loro che sei una persona affidabile.”

Bellamy acconsentì lentamente, ingobbendosi sul divano mentre l’amica, decisamente soddisfatta, si sedeva davanti a lui, accavallando le gambe ambrate e atletiche.

“Okay” insistette la mora. “Che tipo stiamo cercando, esattamente?”

“Intelligente” propose lui, sollevando l’indice con l’intenzione di tenere il conto con le dita della mano.

“Caparbia” replicò Raven.

Il moro, confuso, si raddrizzò per squadrarla meglio.

“Mmh?”

Raven ruotò gli occhi di trecentosessanta gradi, agitando ripetutamente una gamba incrociata.

“Tu sei un personaggio carismatico; un leader, per così dire. Hai bisogno di una persona equilibrata che sappia anche tenerti testa. Una con la lingua tagliente e il cuore freddo come il ghiaccio. Preferibilmente con le tette grandi.”

Raven.

“So come mi chiamo” rispose la mora, per nulla turbata dall’occhiataccia torva dell’amico.

“Sei un ragazzo fastidiosamente seccante ma altrettanto piacevole – meriti una compagna che sia al tuo stesso livello.”

Bellamy incassò la prima parte del discorso e riprese a parlare in modo imperturbabile, come un avvocato esperto durante l’arringa finale.

“Perciò, stiamo cercando qualcuno d’intelligente, caparbio, magari una stronza ma di bell’aspetto che voglia frequentarmi per finta e accompagnarmi a una cena di lavoro che potrebbe solo cambiarmi la vita. Non potremmo saltare direttamente alla parte del…è troppo bello per essere vero?”

Raven ignorò volutamente la battuta sarcastica e rimase in silenzio per qualche secondo, strofinandosi la lingua sui denti scivolosi e pregustando con calma la sensazione di vittoria imminente.

“Veramente te ne ho già trovata una.”

Lui la studiò, guardingo. “Oh?”

“Sua madre è una dottoressa e suo padre lavorava per una grossa società simile all’Ark. È appassionata d’arte, di scienze politiche e legge; è anche la prima ragazza che vorresti dietro l’angolo se dovessero spararti a una gamba. È la più intelligente, altruista e ostinata ricercatrice che io conosca. Ha anche delle tette grandiose. E mi deve un favore!”

“Hai imparato il suo curriculum a memoria? Perché non me l’hai presentata prima?” chiese Bellamy, scettico.

Raven guardò altrove, arricciando le labbra.

“Vi siete già incontrati.”

“Oh, Dio, dov’è la fregatura? Perché c’è sempre una fregatura, vero?”

Lei si astenne dall’affermare che ovviamente no, non c’era alcuna fregatura e si limitò a sbuffare spazientita, alzandosi in piedi. 

“Voi due non vi siete approcciati nel migliore dei modi ma ascoltami Bell” – lo zittì, notando che il ragazzo stava per scattare come una molla impazzita – “lei è quella giusta e ti farà ottenere il lavoro, maledizione!”

Improvvisamente, calò un silenzio preoccupante tra loro, nel quale Bellamy temette di soffocare.

Fissò Raven, incredulo.

“Vuoi che esca con la Principessa? Cazzo – con Clark Griffin?”

Raven lo studiò, abbassando le sopracciglia ed evitando intenzionalmente di prenderlo a pugni sulle gengive.

“Quanto disperatamente vuoi questo lavoro?”

“Non lo farà mai” insistette Bellamy, incrociando le braccia e aggrottando la fronte…ma Raven aveva un’espressione così decisa sul volto. 

“Credimi quando ti dico che mi deve un favore, Bellamy.”

Lui imprecò sottovoce, rinunciando a discutere con la mora.

“Fammi parlare con lei” continuò Raven, docilmente. “Tipo stasera. Potreste vedervi domani. Sei libero per pranzo?”

“Raven, dovresti sapere che non sono il genere di persona che esce a pranzo.”

“Bene” sbuffò lei, seriamente vicina a un esaurimento nervoso.

“Preferiresti incontrarla per cena, allora?”

Il ragazzo grugnì.

“Se le cose dovessero andare così tanto male, potrai sempre decidere di trascinarti dietro quel caso umano di Miller. La cena ti sembra un’opzione tanto spaventosa, adesso?”

Bellamy alzò gli occhi al cielo.

“Qualunque cosa è meglio del pranzo.

Il ragazzo era sicuro come non mai che per nessun motivo al mondo Clarke Griffin avrebbe accettato di cenare con lui, figuriamoci di aiutarlo, ma Raven non l’aveva mai deluso prima e guarda caso, qualche minuto dopo essere arrivato al ristorante e aver occupato un tavolo per due, Clarke fece il suo ingresso, vestita meno come una soldatessa e più come se effettivamente desiderasse trovarsi lì.

Bellamy si alzò cortesemente e le spostò la sedia, cosa sorprendente - almeno per Clarke.

“Rilassati, Principessa” borbottò lui, sedendosi al lato opposto del tavolo per paura che potesse prenderlo a pugni – di nuovo.

“Raven crede che per fingere di essere fidanzati sia necessario fare prima un giro di prova.”

“Non ho bisogno delle tue spiegazioni da quattro soldi.”

Bellamy Blake si morse la lingua mentre una cameriera con qualche ciuffo argentato tra i capelli si affrettò a ripulire il ripiano, versando due bicchieri d’acqua liscia ed evitando così che la situazione potesse subito sfuggirgli di mano.

La cameriera tornò dopo qualche secondo con un paio di menù che Clarke sfogliò distrattamente prima di rivolgersi a Bellamy con tono austero.

“Punto numero uno: non sono una di quelle ragazze che si sente lusingata quando l’uomo sceglie loro il cibo al primo appuntamento. Punto numero due: non aspettarti di vedermi mangiare una misera insalata e Punto numero tre!: ricordati che amo ordinare il dolce alla fine della cena.”

Bellamy la guardò divertito dall’altro capo del menù, preparandosi a una delle sue solite battutacce strafottenti ma prima che potesse aprire bocca, con la coda dell’occhio, intercettò un ragazzo seduto al bar che sembrava parecchio interessato al loro tavolo.

“L’unica cosa che desidero per te, Principessa, è un po’ di veleno.”

“Disse il mio – cito – fidanzato, il cui lavoro dipende da me e da questo appuntamento infernale.”

La cameriera dai capelli argentati ricomparve, strisciando i piedi sul pavimento cosparso di piastrelle a scacchi bianche e nere ed entrambi i ragazzi ordinarono senza esitazione.

Bellamy, a fatica, cercò di guadagnare tempo, proponendo alla ragazza di condividere con lui un contorno di verdure o di patate fritte mentre Clarke sembrava sorridere più spontaneamente alla cameriera che al suo finto partner e non c’era la benché minima speranza che assieme potessero portare a termine quella missione altamente suicida.

“Niente alcolici?” chiese Clarke, non appena la cameriera strisciò via goffamente, portandosi dietro le ordinazioni al completo.

“Credevo avessi bisogno di liquori forti per riuscire a sopportare una serata con la sottoscritta.”

“Mi aspettavo lo stesso da te. Che fine hanno fatto i tuoi Spritz?”

“Qualcuno suggeriva del veleno, prima...”

“Divertente” borbottò Bellamy, rimpicciolendo gli occhi neri e sorridendo con arroganza.

“Non credo che tu mi voglia ubriaco mentre ti riaccompagno a casa in macchina.”

“Non noto alcuna differenza tra quando sei sobrio e quando non lo sei” rispose la bionda, sdegnosamente.

“Adesso, mettiamo in chiaro il punto numero quattro: sono qui solo per fare un favore a Raven.”

“Sapevo che in fondo al cuore eri una buona samaritana” affermò lui, incapace di smettere di provocarla.

“E comunque, anch’io.”

La cameriera arrivò con i piatti – una pasta alle vongole per Bellamy e una bistecca a cottura media per Clarke, con contorno di verdure miste e noci per entrambi.

Quando l’attenzione tornò finalmente l’una sull’altro, tuttavia, Clarke parlò nuovamente, agitando il tovagliolo beige con decisione.

“Come giustifichiamo la nostra relazione? Non possiamo certo dire ai tuoi capi di esserci fidanzati due giorni prima della cena di lavoro.”

Bellamy sorseggiò l’acqua fresca, sentendola mischiarsi al sapore del pesce caldo contro il palato sensibile e rugoso.

“Stavo pensando a una galleria.”

“Cosa?”

“Io mi trovavo là per la storia e tu per l’arte” spiegò, fissandola. “Non ti piace l’arte?”

Lei annuì, distrattamente, accigliandosi impensierita. “E…e forse stavi litigando con un assistente. Riguardo alla data di alcuni pezzi esposti questo mese – un Oppenheim.”

“Cosa; Robert Oppenheimer? Sono diventato Morte?”

“No, no. Ehm, la surrealista Svizzera.”

“Oh, immaginavo.”

“Comunque, tu stavi discutendo riguardo all’Oppenh – ”

“ – E tu ti sei intromessa, dandomi ragione?” le suggerì Bellamy.

Di nuovo, Clarke annuì, assottigliando le sopracciglia bionde.

“Sì, credo di sì. E dopo abbiamo iniziato a parlare, delle nostre vite, della galleria e…”

“E forse mi avevi chiesto se avevo notato quel locale sulla 47esima, con le ricostruzioni di antiche statue romane?”

La facciata cadde per un momento e gli occhi di Clarke s’illuminarono.

“Oh mio Dio, sei andato davvero?”

Bellamy trattenne un sorrisetto soddisfatto perché effettivamente le aveva scoperte il giorno prima, sotto stretto consiglio di Raven.

“Ah ah – e dopo ti avevo suggerito che, anche se come regola ferrea non esco mai a pranzo, sarei stato felice di portarti là, una volta libera da impegni.”

Clarke fece una smorfia divertita.

“Ho detto di sì ed è stato un vero, romantico appuntamento?”

“Tu ed io? L’appuntamento è stato un fiasco totale; ci siamo tirati dietro un paio di bicchieri di vetro e abbiamo fatto piangere uno psicologo. Fine della conoscenza.”

Per poco la ragazza non scoppiò a ridere ma Bellamy la vide mentre cercava di contenersi.

“Come alla festa di Capodanno a casa di Raven?”

Esatto” rispose lui “e non abbiamo più parlato fino a tre settimane fa, quando stavo in giro con Raven e ho scoperto per caso che la sua fastidiosa amica del college altri non era che la cocciuta bionda con cui ero uscito e che per poco non mi aveva ammazzato.”

Clarke sorrise, prepotentemente sdolcinata.

“Hai pensato che fosse un segno del destino e mi hai supplicato di darti un'altra chance.”

“Principessa, io non supplico.”

“Beh, l’hai fatto, quella volta. Come un bambino piccolo.”

Dato che lui non rispondeva, la ragazza si piegò più vicina, infilandosi in bocca l’ultimo pezzettino di bistecca, sorridendo beata.

“Non ti aiuterò, se non mi supplichi.”

Bellamy alzò gli occhi al cielo.

“Bene. Hai detto sì, abbiamo cenato e il resto è storia. Letteralmente. Perché ho bisogno di questo lavoro.”

Il sorriso sul volto di Clarke sembrò più genuino.

“E quanto tempo fa è successo, il fattaccio?”

Bellamy sollevò le spalle. “Cinque mesi?”

“Sicuro.”

Quando finirono di cenare, il moro costatò che il curiosone del bar li stava ancora fissando.

Si pulì la bocca e tornò a indossare la solita maschera prepotente e sarcastica prima di farlo notare alla compagnia di fronte.

“Vedi laggiù, al bar? Non ha mai smesso di guardarti per tutta la sera – presumo” confermò, con un cenno del capo.

“Non lo biasimo; anch’io farei lo stesso se non fossi il tuo finto fidanzato. Dev’essere a causa dell’enorme bastone che tieni infilato su per il culo o per l’aura da portatrice di morte che ti aleggia intorno.”

Clarke tornò a squadrare il tovagliolo accuratamente ripiegato davanti a se, senza lasciar trasparire alcuna emozione. Sembrava una sfinge intoccabile e impossibile da scalfire, con la faccia di pietra e gli occhi di vetro.

“Comico, Bellamy. Forse dovresti baciarmi.”

Il moro, per poco, non sputò il resto del suo drink sulla tovaglia.

Principessa.”

“Beh, se tu fossi stato davvero il mio ragazzo, mi avresti dato ragione?”

Bellamy valutò attentamente la domanda.

“Avrei atteso fiducioso il momento in cui te lo saresti preso, quel bacio.”

Diede un’occhiata al suo piatto vuoto e poi a quello di Clarke.

“Allora, che dessert vorresti ordinare? La red velvet cheesecake potrebbe sicuramente soddisfare la tua sete di sangue.”

Lei esaminò il menù che la cameriera aveva lasciato cadere sul tavolo.

“Mi è passata la fame; vorrei solo uscire di qui.”

Dopo aver pagato – cosa per cui Bellamy aveva insistito, pur sapendo che potenzialmente avrebbe dovuto a Clark molto di più se la cena con l’Ark sarebbe andata a gonfie vele – i due s’incamminarono nella notte.

O, più precisamente, lungo il pezzo di strada che separava il ristorante dalla macchina parcheggiata del moro.

“Vuoi andare da qualche parte?” chiese a Clarke che, nel frattempo, aveva tirato fuori dalla borsa uno scialle elegante e si era coperta le spalle.

“Non salto di gioia a sprecare il mio tempo con te, Bellamy.”

“Ottimo” replicò lui, sentendosi allo stesso modo.

Eppure, stasera, le cose non erano andate poi così male come aveva previsto.

Per lo meno non si erano azzannati; non letteralmente.

E Raven aveva ragione: Clarke aveva delle tette da capogiro; sicuramente portava una quarta.

“L’importante è che escogitiamo qualcosa prima di Venerdì.”

Clarke schioccò la lingua.

“Ci abbiamo già pensato. Siamo una squadra fantastica.”

“Ci hai appena fatti sembrare come gli Avengers.”

“O come quei terribili e inutili film su Wolverine.”

Bellamy ridacchiò.

“Ce ne sono davvero troppi. Io sarei Xavier e tu Magneto.”

“Sei tremendo” disse Clarke, scuotendo la testa bionda.

“Perché devo fingere di stare con te?”

“Perché sono disperato e perché la nostra fittizia vita sessuale è straordinaria.”

I due ragazzi raggiunsero una quattro ruote, ben tenuta anche se segnata dalle intemperie che Octavia, la sorella di Bellamy, non voleva lasciargli vendere.

I lampioni, nascosti dagli imponenti edifici e da qualche albero sparso, non riuscivano a illuminare tutto il veicolo.

Bellamy aprì cortesemente la portiera alla bionda e si diresse al posto di guida, facendo una giravolta.

“Non vorrei fare il pessimista della situazione” affermò, accendendo il motore e inserendosi in mezzo al traffico.

“Ma che succede se qualche pezzo grosso mi chiede i dettagli e le nostre storie non coincidono?”

Clarke tirò su col naso, picchiettandosi il mento con le dita.

“Possiamo sempre dire che ci siamo sbagliati. Nessuno farà caso a noi.”

“Difficile non notare una coppia di piccioncini che aspetta solo di prendersi a coltellate nel bel mezzo della cena.”

Lei grugnì.

“Ho ancora bisogno di sapere di più sul tuo lavoro, credo. Se devo sembrare informata su qualunque cosa tu stia passando il tuo tempo a fare, dovrai apparire più entusiasta al riguardo.”

“Io sono entusiasta!” protestò Bellamy, ma alla fine concordò silenziosamente con lei.

“Forse le cose dovrebbero seguire entrambe le direzioni. Che succede se qualcuno mi chiede del tuo, di lavoro?”

Clarke lavorava per il procuratore distrettuale quando non era impegnata a dipingere qualsiasi parete di casa sua o a irritare Bellamy a morte.

Lei era una delle due persone che esercitavano in quell’ufficio; non che l’altra dipendente fosse stata tanto diversa dalla bionda.

Lexa o il Comandante, come tutti la chiamavano – avevano tentato di spiegargli il motivo durante il suo primo anno di college, senza successo – era intelligente, come Clarke, ed era spaventosa, come Clarke, e astuta, forte e pragmatica, come Clarke, ma c’era una sfumatura bianca e nera nel modo di pensare di Lexa che Bellamy dubitava Clarke potesse condividere.

Non era sicuro del perché si fosse inaspettatamente concentrato su Lexa mentre scortava la bionda a casa, ma non se ne preoccupò più di tanto.

La voce di Clarke, chiara e distinta, infranse le sue fantasticherie.

“Allora digli che ho cominciato a lavorare subito dopo aver finito il college – forse gli piacerà, dato che non è una cosa da tutti. Inizialmente mi ero inscritta a medicina” aggiunse “ma le circostanze sono cambiate e le opportunità di leadership si sono ampliate e scienze politiche era l’unica strada da percorrere, l’unico modo per eccellere, l’unica possibilità per sopravvivere.”

Bellamy non poté non sorridere di fronte a quella dichiarazione quasi teatrale.

“La Principessa è una sopravvissuta?”

“La Principessa” disse Clarke, tra i denti “è più di quello che pensi. Ha anche bisogno di essere lasciata a casa di Raven.”

“Saltiamo la parte del bacio della buonanotte e andiamo direttamente al punto in cui lo racconti a tutti i tuoi amici, eh?”

Clarke roteò gli occhi – e Dio, la ragazza doveva avere una forte propensione a farlo perché non appena Bellamy cambiò corsia, stringendo fermamente il volante, comprese che era una delle solite cose che faceva quando stava con lui.

Lei roteava gli occhi, borbottava tra i denti o si lamentava o perdeva la testa o gli gridava contro.

Non c’era alcuna possibilità che ce l’avrebbero fatta.

“Ti propongo una cosa” annunciò, non appena gli venne in mente un’idea. “Perché non ci incontriamo un’ultima volta prima della cena, giusto per essere sicuri che la storia combaci?”

“Pensavo fossi più il tipo che trascura gli eventi e improvvisa.”

“Lo sono” ammise, un lato della bocca sollevato verso l’alto.

“Ma questa è politica, Principessa.”

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Due

Treesome o

A Bellamy Blake piace il jazz

 

 

Bellamy accompagnò Clarke davanti all’appartamento di Raven, aprendole nuovamente la portiera e continuando a fissarla con quel ghigno divertito e ambiguo che tanto le urtava i nervi.

La bionda gli diede velocemente la buonanotte, scappando all’interno del palazzo e continuando a percepire dietro la propria schiena lo sguardo indagatore e rovente del moro.

S’infilò dentro l’ascensore, pigiando insistentemente con l’indice della mano destra il terzo bottone dorato e sospirò di sollievo quando vide le porte della cabina chiudersi di colpo.

Non fece in tempo a cacciare fuori una scarpa che si ritrovò Raven, in piedi e scalpitante, davanti alla soglia di casa.

“Com’è andata?” chiese a Clarke, dischiudendo soddisfatta le labbra polpose e ben proporzionate.

“Ho visto che è ancora vivo.”

“Ci hai spiato dalla finestra?” domandò sconcertata la bionda, togliendosi lo scialle e attraversando l’androne per fermarsi di fronte alla mora.

Per un momento se la immaginò nascosta dietro le tende, munita di binocolo e macchinetta fotografica.

“Certo” ammise tranquillamente lei, sollevando appena le spalle.

“Non che ci fosse tanto da spiare, lì sotto. L’unica parte interessante è stata quella in cui te la davi a gambe e per poco non cadevi dallo scalino del marciapiede.”

“Smettila di viaggiare con la mente nello spazio” replicò la ragazza, facendosi largo dentro l’appartamento.

“Comunque, non lo so com’è andata.”

“Nessun bicchiere lanciato?”

Clarke scosse la testa.

Raven sembrò seriamente impressionata.

“Però! Il galateo delle buone maniere non ha più segreti per voi due. E…?”

“E vuole che ci rivediamo per studiare meglio i dettagli prima di Venerdì.”

“Allora è andata una meraviglia.”

“Sì, forse” borbottò Clarke, titubante.

Seguì Raven attraverso il corridoio fino alla cucina, notando solo in quel momento l’outfit informale della ragazza: pantaloni della tuta e canottiera bianca.

Doveva essersi cambiata dopo il lavoro, anche se, generalmente, gli abiti che usava per la palestra non si distaccavano tanto da quelli che aveva addosso.

La bionda avvertì un forte aroma di frutti tropicali, segno che Raven si era fatta anche la doccia.

Entrarono in salotto, sedendosi entrambe sopra uno dei divani color cachi che riempivano la stanza illuminata dalle luci artificiali delle piantane.

“A parte il fatto che è un coglione colossale e trae piacere dal farmi perdere la pazienza; perché ha deciso di portarmi alla cena, se non mi sopporta? Perché mai diresti che ci odiamo?”

“Tu e Bellamy?” si accertò Raven, afferrando una mela dalla scodella della frutta e dandole un morso mentre Clarke annuiva.

“Non lo so. Penso sia per la testardaggine che avete in comune e le caratteristiche da leader – in più, sai, la strana tensione sessuale.”

Clarke la fissò, meravigliata.

Non c’è tensione sessuale.”

“L’ho beccato più volte a fissarti il sedere. E non sembrava affatto disposto a smettere.”

Raven.”

“So come mi chiamo” borbottò lei, continuando a sgranocchiare la mela.

“Perché no? Lui è un ragazzo carino. Tu sei una ragazza carina. È una cosa normale. E nessuna donna sana di mente si sarebbe mai fatta scappare un falso appuntamento con Bellamy Blake.”

Clarke stava per replicare che non sarebbe stata attratta da Bellamy Blake nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo presente sulla terra e che, piuttosto, lo avrebbe fatto fuori lei stessa al fine di preservare pura la specie umana ma un curioso dettaglio catturò la sua attenzione, facendole morire in gola qualsiasi parola di dissenso.

C’era un cappotto nero, appallottolato a casaccio sotto il divano. Lo raccolse da terra e si rivolse a Raven.

“È nuovo?”

“Oh Dio, avevo dimenticato che fosse qui!”

La mora tirò fuori il cellulare da dentro una delle tasche dei pantaloni e digitò rapidamente un messaggio.

Clarke sollevò un sopracciglio.

“Di chi..?”

“Un’amica della palestra deve averlo dimenticato qui dopo cena” rispose vaga e il suo telefonino vibrò un paio volte. Poi tre. E infine altre due.

“Tutto bene?” chiese la bionda.

Raven si morse il labbro, impedendosi di sorridere a trentadue denti.

“Mi ha appena scritto Bellamy. Ha detto che avevo ragione.”

“Su cosa?”

“Le tue tette grandiose” rispose, spalancando gli occhi color nocciola.

“E che sei la ragazza perfetta per il lavoro.”

Clarke fece finta di non aver ascoltato la prima parte dell’affermazione.

“Porterò a termine questa specie di pagliacciata solo perché ti devo un grosso favore che mi hai obbligato ad accettare tramite il senso di colpa. Non voglio che ci siano fraintendimenti o altro. Passare del tempo con Blake non mi procura alcun tipo di piacere. Io lo so, tu lo sai.”

“Stai facendo una buona azione, però. Il tuo aiuto gli serve davvero tanto. Lo capisci…vero?”

La bionda sospirò, arricciando le labbra sottili davanti alla faccia da cane bastonato di Raven.

“Lo so.”

Raven annuì, mollando i resti della mela sul bancone.

“Sono seria. Questo lavoro sarebbe una grossa opportunità, per Bellamy: è internazionale, tratta di storia classica e offre soldi buoni e potrebbe vedere Octavia tutte le volte che torna a…perché mi guardi così, Clarke?”

Così, come?”

“Conosco quello sguardo” – insistette Raven, esortandola con uno schiocco di dita.

“È quello sguardo alla Miss Marple che tiri fuori quando pensi a qualcosa di terribile e geniale. Sputa il rospo.”

Clarke restrinse gli occhi azzurri.

“Perché hai detto soldi buoni in quel modo?”

“In che modo?” chiese Raven ma la bionda sapeva di aver fatto centro.

Dopo alcuni minuti e un sospiro profondo, Raven affermò: “Giusto per chiarire, l’unico motivo per cui Bellamy ha problemi con te è per l’intera faccenda de “la ricca e il povero”. Lo so che non è colpa tua” aggiunse in fretta, non appena Clarke provò a controbattere, “ma da quello che mi è stato raccontato, Bellamy non ha avuto esattamente un’infanzia felice.”

“Cosa? Per sua sorella?”

“Octavia?”

Raven sorrise. “L’ha praticamente allevata lui.”

“E allora perché?” domandò ancora Clarke.

La mora agitò la testa.

“Non stiamo parlando di qualcosa di mio. Ti dirò solo che il padre – o padri, al plurale – non stava con loro e che la madre lavorava fin troppo. Morì non appena Bell entrò al college che avrebbe volentieri mollato per prendersi cura di O, ma lei lo forzò a rimanere. Si trasferì con lui terminando gli studi – che riuscirono a pagarsi perché Bellamy, nel frattempo, si era laureato con il massimo dei voti e Octavia era andata alla Brown. Quindi, qualsiasi tipo o forma di stabilità economica non ha mai raggiunto quella famiglia.”

“È per questo che mi chiama Principessa? Perché pensa che la mia vita sia sempre andata avanti senza problemi?”

Raven allungò una mano dalla carnagione olivastra e strinse quella pallida dell’amica.

“Lui non sa niente di te, Clarke. Non sa di tuo padre, di Wells o…” farfugliò.

Loro due sapevano, però.

“Hai ragione” sussurrò la bionda, deglutendo nervosamente e spostando lo sguardo da un lato all’altro della camera.

Accarezzò la mano di Raven prima di lasciarla andare e si aggiustò la maglietta.

“Adesso che abbiamo ripassato le mie tragedie esistenziali e quelle di Bellamy, è possibile parlare d’altro?”

Raven annuì. “Tutto quello che vuoi.”

Il suo cellulare vibrò di nuovo.

“Ancora Bellamy” commentò, fingendosi annoiata.

“Sta chiedendo se domani sera potete cenare di nuovo insieme. Magari con me. Così possiamo lavorare alla storia di copertura.”

Clarke aggrottò la fronte.

“Abbiamo già una storia di copertura.”

“Immagino sia da aggiustare, per questo vuole vederci.”

Supponendo che Raven avesse ragione, la bionda ripassò mentalmente i suoi programmi lavorativi.

“Non ho nulla da fare fino a pranzo.”

Raven grugnì.

“Bellamy odia l’idea di pranzare fuori. Sono abbastanza sicura che te l’abbia accennato.”

“L’ha fatto” ammise Clarke, sorridendo. “Possiamo sempre cenare insieme, allora.”

Raven sollevò un sopracciglio.

“Cenare con Bell per due sere di fila? Voi due vi state davvero frequentando. E dovreste seriamente scambiarvi anche i numeri di telefono, o invece che una storia a due sarete costretti a fingere una relazione a tre. Non che la cosa mi dispiaccia” le disse, facendole l’occhiolino.

“Sei così divertente. Sto ridendo fragorosamente. Giuro.”

“Certo, Clarke.”

Bellamy parcheggiò la macchina sul marciapiede opposto al palazzo dove abitava Raven, scorgendo dallo specchietto retrovisore la familiare sagoma di una ragazza bionda che camminava speditamente stringendo in mano una cartelletta di plastica semitrasparente.

Diede un colpo di clacson deciso, sporgendosi dal finestrino mentre la ragazza si bloccava sul posto, sobbalzando appena.

Quando scese dall’auto e le fu sufficientemente vicino, la vide socchiudere gli occhi e puntare saldamente i piedi a terra come un soldato che si preparava a serrare i ranghi poco prima di un attacco nemico.

Clarke indossava ancora i suoi vestiti da lavoro: un’immacolata camicetta color cipria infilata dentro una gonnellina nera, costose e pratiche scarpe col tacco – pratiche come potevano essere le scarpe col tacco – ai piedi.

La differenza d’altezza tra lei e Bellamy continuava a essere significativamente notevole, dato il suo metro e ottanta contro il metro e sessantacinque della bionda.

Non appena lui glielo fece notare, Clarke commentò acida che era meglio così, almeno non sarebbe stata costretta a guardarlo in faccia mentre stavano assieme.

Presero l’ascensore per salire da Raven ma si scontrarono con la ragazza scura una volta arrivati davanti all’appartamento.

“Non vedevi l’ora di andartene, Rave” le fece notare Clarke.

“Va tutto bene? Siamo appena arrivati insieme.”

Indossando la scarpa sinistra, la mora replicò “Sì, è meraviglioso – nessun riferimento a The Lego Movie, Bellamy.”

“Non ho mai visto The Lego Movie.”

“Oh, sì invece – tu, io e Miller – lo scorso weekend.”

Raven si voltò verso Clarke. “Il tuo finto ragazzo è un completo nerd.”

Si raddrizzò, facendo passare una mano tra i capelli sottili, tenuti indietro da una coda ordinata e li affrontò entrambi a viso aperto.

“C’è stato un piccolo contrattempo perciò non potrò restare a cena con voi ma – non fare quella faccia, Clarke – troverete un paio di biglietti attaccati al frigo per questo concerto Indie al The Dropship. Prendeteli, andate all’appuntamento, inventate la vostra stronzata e chiamatemi domani mattina!”

Detto ciò, dopo un pugno ben assestato alla spalla di Bellamy, saltò dentro l‘ascensore, lasciando i due amici, soli, davanti alla porta dell’appartamento.

Clarke guardò il ragazzo, leggermente basita.

“Ti sei accorto anche tu che qualcosa non quadra?”

Bellamy sollevò un sopracciglio. “Sapevi che si vede con qualcuno?”

Dall’espressione meravigliata sul suo viso, il moro ipotizzò che no, Raven non le aveva comunicato quel piccolo dettaglio particolare.

“Sì, ci sono rimasto anch’io” commentò, in modo burbero.

Poi, puntò gli occhi scuri sulla porta di casa dell’amica, dietro le spalle della bionda.

“Allora, vuoi andare a quel coso…al The Dropship?”

Clarke si morse un labbro. “Sì, sicuro, perché no?”

Questa è la storia di come, un’ora più tardi, Bellamy e Clarke si ritrovarono incastrati in mezzo a un centinaio di persone dentro a una minuscola e sudicia sala, mentre la musica metallica vibrava a un ritmo tale che Bellamy avrebbe senza dubbio definito di pessimo gusto.

Dopo circa dieci minuti e a metà della terza canzone agghiacciante, il ragazzo si piegò verso Clarke e le sussurrò all’orecchio: “Fanno abbastanza schifo.”

Lei sospirò profondamente e annuì.

“Qui non posso litigare con te.”

“Conosco un locale di musica jazz piuttosto bello, vicino al Museo” le suggerì. “Ti andrebbe di dargli un’occhiata?”

Clarke sembrò confusa.

“A Bellamy Blake piace il jazz?”

“Sono pieno di sorprese.”

“Sai ballare?” domandò lei, mentre lui si girava a fatica, in cerca dell’uscita.

“Abbastanza per mia sorella, credo. Lei danzava molto. In realtà, le ero utile solo perché la facevo roteare” confessò. “Ma so cucinare piuttosto bene.”

Clarke ridacchiò.

“Oh cavolo, io no. Brucio tutto quello che tocco, acqua compresa.”

“E ti eri pure iscritta a Medicina?”

Lei rise di nuovo e lo spinse via.

“È diverso” protestò.

“Come?”

“Curare una coltellata è più semplice che cucinare gli spaghetti alla Carbonara, per esempio.”

Bellamy non batté ciglio.

“Stai scherzando.”

Lei scosse la testa bionda, quasi orgogliosamente.

Raggiunsero la macchina del moro che ripeté il gesto di aprire la portiera a Clarke; ma una volta che i due si furono sistemati e instradati, lui non riuscì a lasciar correre l’argomento.

“È ridicolo; lo sai? Che cosa dovrei raccontare al mio capo? – Buonasera, Dottor Kane. Questa è la mia fidanzata, Clarke. Può suturare qualsiasi ferita da accoltellamento a occhi chiusi e acciuffare senza fatica il colpevole ma Dio ce ne scampi, se si mette ai fornelli a cucinare.”

Clarke sorrise divertita, evitando di prenderlo a pizze sulla coscia.

, Dottor – com’è? – Kane. Dovrebbe assolutamente assumere il mio Bellamy. È tanto esperto di jazz quanto di storia e fa parte della Crew di ballo della famiglia Blake. Lo amo così tanto.”

Bellamy la fissò di traverso mentre sfrecciava lungo la strada.

“Mi ami così tanto, uh?”

“Non posso odiarti tutto il tempo.”

Lui si ritrovò a sorridere.

“No, sono troppo bravo a ballare.”

Il locale di jazz era pieno come un uovo e la band suonava con trasporto, riempiendo la stanza di calore e intimità.

Bellamy aveva sempre catalogato Clarke come un tipo da musica classica o da pop commerciale o da tutte e due, perché assolutamente lo sembrava, ma quando la vide ondeggiare con i fianchi a ritmo di musica, come se fosse stata la cosa più naturale e facile del mondo, con uno dei sorrisi più teneri stampati sul viso, capì che forse, dopotutto, anche il jazz le calzava bene.

“Sai, dicono che il jazz si riferisca meno all’ascolto e più al sentimento” le bisbigliò, alitandole sul collo.

La bionda sollevò le sopracciglia.

“Dicono?”

“Ok, ok. Dico.”

La bocca di Clarke si allargò. “È una cosa…”

“Presuntuosa?” suggerì Bellamy, che già ne era consapevole poiché tutti lo prendevano sempre in giro.

Clarke non lo fece.

Scosse la testa e obiettò con voce gentile: “No, penso che sia una cosa dolce.”

Lui sorrise – non era la prima volta, accanto alla ragazza – e quando se ne rese conto, fu colto alla sprovvista.

Si stava divertendo? Con Clarke Griffin?

Per insabbiare il tutto, fece finta di controllare l’ora.

“Siamo sentimentali, Principessa? L’orologio non segna ancora la mezzanotte.”

Lei alzò gli occhi al cielo.

Erano tornati alla normalità.

 

 

Cerca di non scambiare tutto questo per un servizio di taxi con cena inclusa, Principessa.”

Clarke si slacciò la cintura di sicurezza.

Bellamy l’aveva accompagnata a casa dopo aver passato la serata a ballare e a chiacchierare al locale.

Scoprì che era davvero un bravo ballerino, mentre lei non lo era per niente – sempre che i balli studenteschi non contassero qualcosa.

Adesso lui le stava sorridendo – un vero sorriso – e Clarke non credeva fossero stati quei due drink di troppo che si erano scolati, a farla divertire con Bellamy Blake.

Gli fece la linguaccia.

“E tu smettila di fare sempre la stessa cosa, allora.”

Bellamy annuì. “Sì, certo, come ti pare.”

Clarke aprì la portiera, ma un attimo prima di scendere si voltò indietro a guardarlo.

“Grazie per stasera, Bellamy.”

Il ragazzo percepì la sincerità nella voce della bionda e annuì di nuovo.

“Stessa cosa per te, Principessa.”

“Ci vediamo alla cena ufficiale, quindi?”

“Ti passo a prendere prima” si offrì lui. “Inizia alle sette, perciò sarò qui intorno alle sei e mezzo. Va bene?”

Clarke sorrise.

“Sembra perfetto. Oh, giusto perché tu lo sappia” aggiunse “ho salvato il mio numero tra tuoi contatti mentre stavi prendendo da bere.”

Bellamy la fissò.

“Principessa, questo è piuttosto inquietante.”

“Beh, almeno adesso puoi chiamarmi se ci sono dei cambi di programma” rispose Clarke, uscendo dal veicolo. “Anche se non ci sono.”

“Giusto.”

Bellamy contrasse le labbra carnose.

“Sei e trenta, Venerdì sera – non scordarti o ti farò cucinare qualcosa per punizione.”

Clarke sospirò, stavolta più affettuosamente.

“Lascerò a te quell’incombenza.”

“A Venerdì, Principessa.”

“A Venerdì.”

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Tre

Il Galà o

Un fan di Taylor Swift

 

 

Clarke si stava esaminando, meticolosa, davanti allo specchio a figura intera accanto alla porta, quando percepì la voce penetrante di Bellamy filtrare dal corridoio.

Era in perfetto orario e stava spettegolando al telefono con Nathan Miller – il suo migliore amico – di tutte le persone che sarebbero state presenti quella sera al galà.

“Sterling e Mel?” mormorò, ridacchiando.

“Certo che stanno ancora insieme per i soldi; il sesso non è mai stato il loro forte.”

Clarke arricciò il naso per lo sdegno.

“Sì, se vedrò qualche paleontologa sexy ti organizzerò un incontro.”

Miller rispose qualcosa, lasciando la bionda in sospeso mentre origliava da dentro la stanza, trattenendo il fiato.

“No, sarò troppo concentrato sul mio appuntamento perché possa accadere.”

Un minuto di silenzio.

“E da quando? Di solito sono le donne a cadere ai miei piedi.”

Clarke si lasciò sfuggire una risatina sarcastica e si voltò un’ultima volta per controllarsi allo specchio.

L’avrebbe data a bere a tutte quelle persone? Uno storico l’avrebbe davvero frequentata?

Aveva raccolto i capelli biondi in uno chignon disordinato e il makeup minimale – un filo di eyeliner e un rossetto rosso – le risaltava perfettamente la carnagione rosata e gli occhi azzurri; per non parlare del vestito riesumato che sua madre le aveva regalato ai tempi del college: bianco antico, lungo sino alle ginocchia, con tacchi abbinati.

Anche quelli erano stati un regalo della madre; abbastanza costosi da vantare un paio di lucide suole rosse.

Se Bellamy voleva dipingerla come una principessa, lei si sarebbe presentata come tale, al fine di dominare la situazione a suo vantaggio.

“Sì, ho trovato qualcuno!” stava raccontando Bellamy a Miller, quasi entusiasta.

“Clarke Griffin.”

Clarke poteva sentire le imprecazioni sorprese di Miller attraverso il telefono, dall’altra parte della camera.

Raccolse la borsetta e aprì la porta proprio mentre Bellamy affermava: “No, sono sicuro che andrà tutto bene.”

Strappò il cellulare dalla presa del suo finto fidanzato e ripeté a Miller: “Andrà tutto più che bene. Sarà fantastico. Vai a nanna, Nathan.”

Poi terminò la chiamata e si voltò verso Bellamy, che la stava guardando da capo a piedi con espressione meravigliata.

“Pronto ad andare?”

Lui si schiarì la gola e annuì.

“Sì – certo. Ti sei ripulita per bene, Principessa.”

Clarke si regalò qualche secondo per studiare il ragazzo con attenzione, dai ricci scuri sopra la testa al completo fatto minuziosamente su misura, sino alle scarpe eleganti.

“Non sei tanto male nemmeno tu.”

Lui le fece l’occhiolino, poi le avvolse la vita con un braccio.

“Da adesso in poi, ti amo.”

Lei gli mostrò il suo sorriso migliore.

“Ed io amo te, Bellamy Blake.”

L’Ark Enterprises non scarseggiava certo di fondi, perciò la scelta di una sede regale si armonizzava perfettamente con l’ambiente raffinato e ricercato – una sala da ballo arricchita da un altissimo soffitto di cristallo con portoni che davano su un lussureggiante cortile, abbastanza grande da poter ospitare cerimonie nuziali per sposi abbienti.

Bellamy parcheggiò l’auto a un isolato di distanza e s’incamminò al fianco di Clarke.

Ripassarono il loro piano: cosa avrebbero dovuto rispondere a questa o a quella domanda, finché non si ritrovarono dinanzi al portone dove il ragazzo, ancora una volta, circondò la vita della bionda con un braccio – puntuale come un orologio.

La prima persona che si avvicinò loro fu un uomo alto, dai lineamenti marcati e dai capelli scuri – il famoso Dottor Kane.

Diede a Bellamy una stretta di mano decisa.

“Come stai, figliolo?”

“Sto bene, grazie. Felice di essere qui. Oh” puntualizzò Bellamy, spostando l’attenzione del potenziale datore di lavoro sulla ragazza che lo accompagnava. “Dottor Kane, questa è la mia fidanzata, Clarke.”

Clarke gli porse una mano.

“Piacere di conoscerla, Dottor Kane. Ho sentito molto parlare di lei.”

“Solo cose buone, spero” disse il Dottor Kane, stringendo la mano della bionda. “E ti prego, chiamami Marcus.”

Clarke ricambiò il sorriso e ci fu un momento di confortevole silenzio prima che qualcuno, attraversando la sala, gridò: “Marcus – abbiamo bisogno della tua opinione da esperto riguardo alle differenze tra Umanesimo e Rinascimento!” e il Dottor Kane si scusò con Bellamy e Clarke prima di voltarsi per raggiungere il gruppo.

“Beh, l’inizio è stato buono” sussurrò il ragazzo a Clarke.

Lei fece una risatina. “Sono io, o quello è decisamente un argomento di conversazione piuttosto improbabile?”

“Cosa, le differenze tra Umanesimo e Rinascimento?”

“Già – non ti suona un po’ troppo forzato?”

Imitò la voce della donna che aveva appena chiamato il Dottor Kane, simulando un orribile accento francese: “CaVo, sto peV zittiVe l’inteVa sala dentVo a una stanza supeV affollata così che tutti sappiano quale elaboVata conveVsazione stiamo perV aveVe! – Mi divertirò un mondo!”

Bellamy alzò gli occhi al cielo, senza riuscire a non lasciarsi scappare un ghigno divertito.

“Non hai tutti i torti.”

“Non sbaglio mai, Bellamy” rispose Clarke, autorevolmente, incontrando il suo sguardo.

“Prima regola della nostra relazione.”

Di nuovo, il ragazzo alzò gli occhi al cielo.

“La prima regola della nostra relazione, Principessa, è che chi siamo e chi dobbiamo essere per sopravvivere a questa situazione atipica, sono due cose completamente diverse.”

“Beh, è vero. Non posso sapere come sei, quando non stiamo insieme.”

Ahi, Blake! La tua fidanzata è intransigente!”

Bellamy si girò per vedere chi aveva parlato e improvvisamente, sul suo volto, si manifestò un’espressione da stanco genitore preoccupato.

“Clarke Griffin, ti presento Jasper Jordan. Sta facendo tirocinio presso il laboratorio forense dell’Ark che spera possa diventare un lavoro a tempo pieno. Jasper, questa è Clarke – lavora per il Procuratore Distrettuale.”

Jasper, il tipo di ragazzo che ti abbraccia subito dopo averti conosciuto, sorrise raggiante a Clarke.

“Dev’essere divertente…risolvere casi e roba del genere. Come sei finita assieme al nostro irritabile, vecchio Blake, qui?”

Bellamy e Clarke si scambiarono un cenno d’assenso.

“ – Pura fortuna.”

“ – Una surrealista Svizzera.”

La bruna vicino a Jasper corrugò la fronte.

“Una surrealista Svizzera?” domandò a Clarke.

La bionda annuì.

“Oppenheim. La galleria in centro aveva uno dei suoi pezzi esposti qualche mese fa ed è così che ho conosciuto Bellamy – stava litigando con un impiegato.”

“Mettiamo in chiaro una cosa: avevo ragione io” intervenne Bellamy.

“Aspetta, non l’opera ritrovata dalla Wallace & Co.” si accertò la ragazza di Jasper.

“Proprio quella” rispose Clarke.

Jasper le sorrise nuovamente. “È fantastico! Maya lavora là!”

Bellamy e Clarke si scambiarono un altro cenno; questa volta leggermente innervosito.

Il braccio del moro strinse più forte la vita della bionda.

“Oh, davvero?” la sollecitò Clarke, con gli occhi azzurri che brillavano.

Si scansò dal fianco di Bellamy e posò una mano sulla spalla della bruna – di Maya.

È pazzesco!”

Poi si voltò in direzione di Bellamy e Jasper.

“Vi rubo Maya per qualche minuto. Voi due cercate di tenervi fuori dai casini.”

La bionda si fece più vicina a Jasper.

“Sto parlando con lui più io che te. Tienilo d’occhio, ti spiace?”

Il petto di Jasper si gonfiò.

“Sarebbe un onore, signorina.”

Clarke annuì con devozione e fece l’occhiolino a Bellamy.

“Ci ritroviamo più tardi.”

Quindi era quella la loro strategia – dividi e conquista.

Una volta che Jasper se ne fu andato, Bellamy si ritrovò a conversare con una ragazza di nome Harper, con cui aveva già lavorato in precedenza e che non sembrava provare molta simpatia per Jasper.

Bellamy non sapeva se darle ragione o meno.

“Chi è la bionda con cui sei arrivato, quindi?” gli chiese Harper, sorseggiando dello champagne che aveva agguantato da un vassoio da portata.

“Sembra molto ricca. Hai notato le Louboutin?”

Per un ragazzo come lui, con una sorella come Octavia, era stato davvero difficile non fare caso alla famosa marca di scarpe.

Ma comunque, Bellamy non si era soffermato troppo sui piedi della bionda.

“Si chiama Clarke” rispose.

La sua compagna stava ancora parlando con Maya e adesso anche con Jasper, che aveva portato alle ragazze da bere.

“Fidanzata?” domandò Harper.

“Come l’hai capito?”

“Dal tono della tua voce” gli spiegò. “In più, Connor e John ne stavano chiacchierando prima.”

Bellamy sollevò entrambe le sopracciglia. “Murphy è qui?”

Harper rise.

“No, non John Murphy; lui sta ancora cercando quella nuova fonte di energia di cui gli blaterava in continuazione Jaha. John Mbege.”

“Oh – merda! – dove diavolo sta? Mbege è il miglior…”

Harper scosse le spalle. “Credo sia andato via con Fox.”

Vedendo che la bionda stava ritornando indietro, lo pungolò.

A proposito di volpi…piacere di conoscerti, Clarke. Sono Harper.”

Clarke fece un gran sorriso, avvolgendo con un braccio il torso di Bellamy. “Dimmi che lavori per l’Ark. O che ti piacerebbe.”

“Entrambe le scelte” disse Harper. “Perché?”

“Finora ho conosciuto solo uomini e non hanno fatto grandi cose per contraddistinguersi dal resto della mobilia.”

Bellamy alzò un sopracciglio. “Ci sono anch’io.”

“E ho ragione in questo momento, vero?” protestò Clarke.

Tutto quello che vuoi, Principessa” rispose Bellamy, fingendo di essersi stancato a causa della discussione – mentre non fingeva affatto quello strano formicolio sul fianco, dove la bionda lo aveva toccato con la mano.

Si rivolse a Harper e a Clarke, che stavano entrambe impugnando due bicchieri vuoti di champagne.

“Prendo questi e ve ne porto altri; poi possiamo fare un brindisi al femminismo. Che ne dite?”

 Clarke sapeva di aver raccontato a Raven che suo padre, una volta, aveva esercitato per una società simile all’Ark; ma la verità era che Jake Griffin aveva lavorato dentro l’Ark Enterprises stessa.

Se la ragazza non avesse sentito intimamente quel profondo senso del dovere, avrebbe sicuramente iniziato a correre, da sola o al fianco di Bellamy, non appena i suoi occhi incontrarono il cipiglio pensieroso di Thelonious Jaha.

Quella fu la ciliegina sulla torta: quando le cose le erano finalmente sembrate abbastanza tollerabili da fingersi la fidanzata di Bellamy, l’universo aveva dovuto gettarle contro il migliore amico del padre defunto.

Per non parlare del fatto che il suddetto migliore amico era stato anche l’ex socio in affari di Jake Griffin.

In breve – non era per niente contenta di vederlo. E lui sembrò parecchio sorpreso nel vedere lei.

Si maledì per aver lasciato indietro Bellamy e gli altri due che aveva appena conosciuto.

“Clarke?” si accertò Thelonious, come se la bionda fosse stata una specie di morta che cammina. “Che cosa ci fai qui?”

“Non sono un’archeologa” rispose lei, velocemente.

“Ho accompagnato Bellamy Blake.”

Per sicurezza, Clarke fece un cenno in direzione del suo finto fidanzato, che nel frattempo stava conversando animosamente con i due amici che le aveva introdotto prima come Monroe e Sterling.

Bellamy sembrava avere una forte propensione nel chiamare le persone con i loro cognomi.

Theloniuos lo fissò attraverso la sala.

“Oh – Marcus mi aveva menzionato il suo notevole curriculum.”

“Proprio quello di Bellamy.”

Non poteva non essere un poco fiera di lui.

L’uomo di colore sollevò un sopracciglio. “È il tuo…?”

La parola fluttuò nell’aria in mezzo a loro, facendo eco a ciò che non era stato ancora detto.

– Più di quanto lo era Wells. Più di quanto sarebbe potuto esserlo Wells.

Il respiro di Clarke le s’incastrò in gola.

“Sì” riuscì a sussurrare.

Thelonious apparve confuso.

“Abby non me ne ha mai parlato…”

“Mia madre non lo sa” affermò Clarke.

“Io e lei…non siamo rimaste molto in contatto. Non negli ultimi due anni.”

Corrugò la fronte. “Ma tu lo sai già, questo.”

Come durante il precedente incontro con Marcus Kane, qualcuno chiamò Thelonious dall’altra parte della sala, all’improvviso.

Lui se ne accorse, ma non diede segno di volersi separare da Clarke.

“Non ti dispiace?” le domandò, indicando con un cenno il mittente.

“No” rispose Clarke, che si sentiva come se stesse ancora annegando, “vai pure. Io dovrei tornare da Bellamy, in ogni caso.”

Bellamy doveva essersi accorto che qualcosa non quadrava quando il sorriso felice di poco prima si dissolse dal viso della bionda.

Si allontanò da Monroe e Sterling e la placcò, posandole una mano sopra ciascuna spalla.

“Clarke, che c’è che non va?”

Lei si era imposta, come regola generale, che non si sarebbe mai messa a piangere davanti a Bellamy Blake, nemmeno di fronte alla più tragica delle catastrofi.

“Niente. Sto bene, è che – conosco il tuo capo. Jaha.”

“Oh…” sospirò Bellamy, un po’ confuso. “Lo conosci?”

“È un vecchio collega di lavoro di mio padre” gli disse. “Ero molto amica di suo figlio.”

Bellamy annuì. “Giusto.”

Fecero un altro giro della sala, durante il quale Bellamy osservò parecchie volte Clarke e la metà di queste non era stata per convincere nessuno.

Lui si era confrontato con moltissimi pezzi grossi, con gli emergenti e perfino con i rivali e sembrava che anche Clarke avesse scoperto per caso uno o due dei suoi colleghi.

Dopo un momento di silenzioso imbarazzo, il moro si avvicinò a lei, sussurrandole all’orecchio: “Sicura di stare bene?”

Clarke si tirò indietro e lo affrontò.

“Sì, certo, sto benone.”

“Perché siamo rimasti abbastanza a lungo e ho parlato con tutti quelli di cui avevo bisogno – possiamo andarcene, se vuoi. A prendere la cena o qualcos’altro.”

Lei restrinse gli occhi azzurri.

“Perché fai così?”

“Oh, non lo so, perché hai fatto una cosa carina per me e adesso voglio ricambiarti il favore?”

Perché sembra che tu stia crollando a pezzi. Questo lui non lo disse, ma lei sapeva che il moro l’aveva pensato.

Lui le stava regalando una scappatoia e lei gli stava rovinando la serata e lui era Bellamy Blake e non sarebbe dovuto essere così dolce nei suoi confronti.

“Coraggio, Principessa” la sollecitò lui, qualche minuto dopo, il tono di voce più disinvolto.

Le mise un braccio attorno alle spalle.

“Andiamo a ordinare cibo da asporto e ad ascoltare allegra musica pop.”

“Perché è questa la ricetta del successo?” chiese Clarke.

“Non lo so. Però funziona sempre.”

Saltò fuori che Bellamy Blake conosceva a memoria tutte le parole delle canzoni dell’ultimo album di Taylor Swift.

Spiegò a Clarke che era perché aveva una sorella e che una volta gli aveva lasciato il cd in macchina, ma quando Clarke aveva cominciato a canticchiare Out of the Woods, Bellamy si era unito a lei ripetendo il ritornello con un entusiasmo tale che mai gli aveva visto esprimere.

Il suo finto fidanzato era un fan di Taylor Swift.

“In tutta onestà” le disse Bellamy, una volta parcheggiata la macchina e aver ritirato il loro takeaway “le uniche canzoni che troverai qui dentro sono dei The Cure o di Kanye. Taylor rappresenta il mio scivolone nella cultura del pop eccessivo. Perché mi stai sorridendo?”

“Perché è dolce” rispose lei. “Il modo in cui pensi di doverti difendere da me.”

“Non voglio che tu ti faccia un’idea sbagliata. Ho una reputazione da mantenere.”

“Una reputazione da coglione colossale, forse.”

Lui la guardò in cagnesco.

“Mi piaci di più quando cerchi di farmi ottenere il lavoro.”

“Ce l’avresti fatta anche da solo, Bellamy.”

Lo guardò. “Non hai bisogno di me.”

“Ho sempre bisogno di te, Principessa” replicò il moro distrattamente, scavando dentro la busta di plastica in cerca di qualcosa: un utensile per mangiare, forse, o la ragione del perché avesse detto quello che aveva appena detto – ad alta voce – a Clarke Griffin.

Soprattutto mentre stavano ascoltando This Love.

Oh, Dio.

Lei non avrebbe voluto parlare di quello che era successo con Jaha ma Bellamy sapeva che qualcosa era accaduto.

Il ragazzo decise che non avrebbe tirato fuori l’argomento finché Clarke non si fosse sentita abbastanza pronta.

Mangiarono e conversarono praticamente del nulla e poi lui la riaccompagnò a casa.

Quando Bellamy si accostò al marciapiede, entrambi si scambiarono un’occhiata.

“Grazie per quello che fai, Clarke.”

Sperava che la bionda capisse quanto sincero suonasse.

Lei gli sorrise.

“Tutto qui? Serviva solo fingere di essere fidanzati al galà? Hai bisogno di altro?”

Bellamy scrollò le spalle.

“C’è una cena la prossima settimana, ma non credo che ci sia bisogno che tu venga. Adesso che tutti ti hanno conosciuto e hanno capito quanto sei incredibile, le cose procederanno lisce come l’olio.”

“È divertente quando lo dici” mormorò Clarke, “perché sembra quasi che tu abbia passato l’intera serata a vendere me e non te stesso.”

“Un finto fidanzato soddisfatto non ha mai fatto male a nessuno, vero?”

Clarke scosse la testa. “Non stasera.”

Lei raccolse il contenitore vuoto della cena e la borsetta, posò una mano sopra la maniglia della porta, poi si voltò ancora una volta verso Bellamy.

“Ci vediamo quando ci vediamo, allora?”

Lui sorrise a metà.

“Non se ti vedo prima io.”

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Quattro

Lo stratagemma continua o

Come un film di Woody Allen

 

 

Come ogni consueto Venerdì sera, Clarke giunse a casa di Raven per guardare un film.

Gli spettatori erano improvvisamente aumentati di numero: oltre alle due amiche, infatti, si aggiunsero Miller, Monty e perfino Lexa.

Il quintetto si radunò in salotto, con le donne sul divano e i ragazzi per terra.

Il sofà si rivelò parecchio scomodo dato che la padrona di casa aveva deciso di allungare le gambe e occupare gran parte dello spazio vitale di Clarke e Lexa.

Ma in qualche modo, c’entrarono tutti.

La visione del film procedette senza troppi problemi, dopo un iniziale battibecco riguardo a quale genere fosse più adatto alla situazione.

Con una commedia si rimaneva sempre sul sicuro, perciò scelsero quella, aggiungendo al piatto già pieno, un condimento di sarcasmo e ironia.

C’era una regola, sul Venerdì sera, secondo cui a nessuno era consentito l’uso del cellulare, non prima della fine del dvd ed era una regola che Clarke stessa aveva imposto e fatto rispettare almeno diciassette volte.

Miller, di solito, si dimostrava il peggior trasgressore.

Certe volte si annoiava a metà film e incominciava a cercare su internet qualsiasi possibile spoiler sul telefilm del momento (ultimamente si era fissato con The Blacklist).

Raven era la seconda peggiore, subito dopo Nathan, nonostante fosse anche la più veloce nel colpire qualcuno in testa con un cuscino per aver scritto un sms. 

Di conseguenza, quando il cellulare di Clarke squillò, non fu esattamente ben accetto.

“Giuro su Dio – dovrai scusarti con Woody Allen dopo aver ignorato quella cazzo di chiamata.”

La bionda non fece caso a Miller e tirò fuori il cellulare per vedere chi fosse il mittente.

“Cavolo. Devo rispondere. È Bellamy” sussurrò a Raven, alzandosi dal divano e spostandole una gamba.

“Non mettete in pausa – sarò veloce.”

Si allontanò rapidamente dalla stanza, non prima di captare la voce smarrita di Monty che chiedeva per quale motivo Clarke ricevesse telefonate da Bellamy Blake.

Premette il pulsante verde e si accostò il telefono all’orecchio.

“Bellamy.”

“Principessa, ho bisogno di te.”

Clarke si morse un labbro.

“Non sei alla cena?”

“Esattamente” rispose Bellamy, suonando leggermente disperato. “So di aver detto che sarei stato capace di cavarmela da solo ma non avevo calcolato che si sarebbero tutti innamorati della mia fidanzata.”

“Faccio questo effetto alle persone” scherzò lei, prima di domandarsi se fosse davvero il momento adatto.

“Ascolta, quanto ci metteresti a venire qui? Sei persone mi hanno chiesto di te, incluso Kane.”

Clarke restrinse gli occhi azzurri.

“Perché stai dando per scontato che mi presenterò e ti salverò il sedere?”

“Perché mi ami” disse Bellamy, senza esitazione. “E sei quel genere di persona che farebbe qualsiasi cosa per quelli che ama.”

“Ho smesso di amarti la scorsa settimana, Bellamy.”

Ci fu una pausa.

“Clarke, per favore.”

Era spacciata.

“D’accordo, va bene – dove sei?”

Con voce rotta dal sollievo, affermò: “Vicino alla Stazione, a due isolati da Raven.”

Clarke sollevò un sopracciglio biondo, nonostante sapesse che lui non poteva vederla.

“È perfetto. Io sono da Raven.”

Cosa? Mi prendi in giro!”

“Proprio no. Sarò lì tra venti minuti” disse, “e farai meglio ad aspettarmi all’ingresso.”

“Indossa qualcosa di carino” replicò il moro, con lo stesso suo tono di voce.

Poi, un momento dopo, replicò: “Okay, a tra poco Principessa. Ti amo.”

E Clarke rispose con un “Ti amo anch’io” anche se attorno a lei non c’era nessuno con cui dover fingere.

“Che cosa voleva Bellamy?” domandò Raven, sedendosi sul divano non appena la bionda tornò in salotto.

“Lo devo incontrare tra venti minuti davanti alla Stazione” annunciò autorevolmente. “Devi prestarmi qualcosa di tuo.”

Monty e Miller rimasero positivamente stupefatti.

“Non sapevo che tu e Bellamy foste amici” sostenne Lexa, con un’occhiata disorientata.

“Sono diventata la sua fidanzata, in realtà” rispose Clarke, senza preoccuparsi di spiegare quello che aveva appena detto.

Al contrario, s’incamminò in direzione della stanza da letto di Raven, seguita a ruota dalla migliore amica dai capelli corvini.

“Perciò, siete tornati allo stratagemma del fidanzamento” dedusse Raven, mentre Clarke rovistava dentro il suo armadio.

“Sì, ha bisogno di me – tipo, adesso, quindi se riuscissi a trovarmi un vestito adeguato sarebbe grandioso.”

Raven sollevò un sopracciglio.

“Pensavo non potessi sopportare Bellamy.”

“Infatti” disse Clarke, valutando gli abiti eleganti selezionati dalla ragazza mora.

“Allora perché stai scappando nel bel mezzo della Serata Film del Venerdì per parargli il culo? Avresti potuto dirgli di andare a farsi fottere.”

Clarke si girò verso Raven.

“Perché mi stai suggerendo di piantare in asso il tuo miglior amico?”

“Non è così!” esclamò Raven.

“Ti sto solamente facendo notare che ti stai comportando come una reale fidanzata.”

Clarke la ignorò.

“Beh, per fortuna l’Ark lo pensa.”

Scelse un vestito. “Questo mi starà bene, no?”

Clarke si affrettò a raggiungere i cancelli della Stazione e un attimo prima di intravedere l’ingresso, venne sollevata in aria da due braccia possenti, rimanendo sul momento sbigottita.

Intuendo dalla familiare acqua di colonia che si trattava di Bellamy, lo circondò con le braccia e lo strinse forte.

“Grazie, Principessa” le sussurrò, tra i capelli biondi.

“Mi sto perdendo davvero un ottimo film per te, Bellamy” borbottò Clarke.

“Lo so” replicò lui, sciogliendo l’abbraccio ma continuando a sostenerla. “E ti amo per questo.”

Lei gli sorrise raggiante.

“Proprio quello che volevo sentire.”

“Clarke!” gridò qualcuno. “Ce l’hai fatta!”

Bellamy e Clarke si voltarono in direzione Jasper che stava camminando verso di loro.

“Dov’è Maya?” chiese Clarke, non appena lo smilzo li raggiunse – notando che era senza accompagnatrice.

“Doveva lavorare” spiegò Jasper.

“C’è una grande mostra, questa settimana, organizzata dal gruppo dei Terrestri – hai presente quelli che manifestano per i diritti dei Nativi Americani, per le loro foreste e roba del genere? In realtà, è piuttosto interessante” continuò, distraendosi “l’esposizione di adesso s’intitola Cage – propone scene alquanto cruente, tipo gente dissanguata a testa in giù – immagina che lavoro per l’impresa di pulizie – ”

“ – Affascinante, Jasper” lo interruppe Bellamy. “Dovremmo andarci, qualche volta.”

Jasper ridacchiò.

“Sono sicuro che Maya sarebbe contenta di rivedere Clarke. Voi due sembravate grandi amiche” aggiunse, squadrando la bionda.

“Già, anche se stavo quasi per pugnalarla con il tacco della mia scarpa quando ha iniziato raccontarmi del suo capo” scherzò Clarke.

Bellamy la osservò, corrucciando la fronte.

“A che proposito, Principessa?”

Clarke scosse le spalle. “Cose da donne.”

“Come no” rispose lui, lanciando un’occhiata a Jasper.

“Adesso, che ne dite se ci andiamo a sedere e la smettiamo di far aspettare gli altri?”

Tempismo perfetto! – s’intrufolarono dentro la sala proprio mentre la forchetta di Thelonious Jaha cozzava contro il bicchiere di vino.

“Buona serata a tutti. È un vero piacere avervi qui con noi, alla fase finale delle nostre selezioni.”

Come segno di buona fede, Clarke si accomodò dietro al tavolo di fianco a Bellamy, stringendogli la mano.

Lui le sorrise e le fece un minuscolo cenno col capo, riconoscente.

“Molte delle persone presenti a questa cena sono notevolmente qualificate e l’Ark Enterprises è orgogliosa di poter assumere candidati tanto meritevoli. Ognuno di voi rappresenta uno strumento in grado di aiutarci a scoprire il futuro, nel passato, grazie alle vostre doti come storici sul campo, dentro una biblioteca o attraverso un microscopio.”

Un timido applauso echeggiò attorno al tavolo e Thelonious annuì.

“Adesso, sono consapevole che la maggior parte di voi è qui solo per il cibo gratis” – si girò verso Jasper e tutti risero sommessamente – “quindi, forse, sarebbe meglio mangiare, prima di occuparci degli affari.”

E immediatamente comparvero una ventina di camerieri e assistenti, silenziosi come gatti, che posarono sopra il tavolo vassoi ricolmi di ricche e deliziose vivande.

A Clarke, di colpo, non dispiacque l’idea di essersi persa il film di Woody Allen.

“Pensi che potrei infilarne qualcuna dentro la borsa per farmi perdonare da Raven?" mormorò a Bellamy, sorridendo, indicando delle tartine di pesce.

Lui ricambiò il sorriso.

“Penso che con questo vestito potresti prendere tutto ciò che vuoi, Principessa. Dovrei proprio ringraziare Raven.”

Clarke sollevò un sopracciglio.

“Mi hai controllato per bene, Mister Blake?”

Bellamy scosse le spalle. “È un bel vestito.”

Jasper si voltò verso di loro con la bocca piena di cibo, fortunatamente ignaro dell’intera situazione, concentrato solo sulla cena.

“Gagazzi, è sdupendo!”

Bellamy scoppiò a ridere. “Certo, lo è davvero, amico.”

Harper, che sedeva dall’altro lato del tavolo, interruppe la sua conversazione con Kane.

Guardò Bellamy di sottecchi per poi rivolgersi a Clarke.

“Sono così contenta che tu ce l’abbia fatta a venire.”

Clarke sorrise, realizzando di non essere ancora stata presentata come si doveva alla ragazza dai capelli color caramello.

Bellamy se ne accorse, intervenendo.

“Clarke, questa è Harper. Fa il mio stesso lavoro, ma probabilmente meglio.”

Clarke sogghignò. “Non credo che sia molto difficile, Bellamy. Piacere di conoscerti, Harper.”

“Questo qui” disse Harper, additando il moro, “non ha mai smesso di parlare di te.”

Bellamy non ebbe il coraggio di guardare Clarke in faccia quando lei lo fissò con espressione interrogativa.

La bionda ipotizzò che facesse tutto parte della recita e che sicuramente, se fossero stati da soli nella stanza, lui le avrebbe dato ragione – ma non erano soli e Harper stava aspettando una risposta.

“Stai rovinando la mia reputazione da duro, Harper” borbottò Bellamy, con tono traboccante di finta irritazione.

Clarke alzò gli occhi al cielo.

“Non sei un duro. Sei uno sciocco. Ne abbiamo già discusso.”

Jasper rise. “Adesso non fai più così paura, Bellamy.”

“Maledizione, Principessa” disse Bellamy – non provò nemmeno a farlo suonare affettuoso.

John Mbege, accanto ad Harper, grugnì.

“Sei stato fottutamente sconfitto, Blake.”

Clarke fece un sorrisetto.

“Visto?”

Scoppiò a ridere.

“Adesso, discutiamo di storia e smettiamo di imbarazzare il mio fidanzato, per quanto divertente possa essere.”

“Hai ragione” rispose Harper. “È davvero divertente.”

“Lavori per il Procuratore Distrettuale, vero?” chiese Mbege a Clarke.

“Sì, perché?”

“Non è, tipo, super faticoso e difficile?”

Clarke sollevò un sopracciglio.

“Lavorare per Anya? All’inizio, forse – è solo molto forte nelle sue convinzioni o nel dare alle persone quello che si meritano. Cosa che talvolta condanna a una vera e propria condanna.”

Diede un’occhiata a Bellamy, che non stava ridendo per il gioco di parole.

Lei alzò gli occhi al cielo e continuò.

“Il mio senso dell’umorismo è sprecato con te; comunque, Anya è tranquilla, se capisci quello di cui ha bisogno. Non regala niente per niente, ok?”

Bellamy rideva, adesso.

“Forse dovresti essere tu il prossimo Procuratore Distrettuale.”

Jasper si protese verso Harper e Mbege. “È una battuta sessuale?”

Bellamy lo colpì sulla fronte.

“Mangia i tuoi spring rolls e stai zitto, Jasper.”

 

Riuscirono a sopravvivere al resto della cena, nonostante i continui commenti di Jasper e l’entusiasmo esagerato dell’intero gruppo per la relazione tra Bellamy e Clarke.

Fu solo quando finalmente si mossero per andare via, che le cose presero una piega inaspettata.

Thelonious, che a malapena aveva avuto l’opportunità di parlare con Clarke per tutta la sera, li salutò un minuto prima di vederli scomparire dietro la porta.

“Spero sarai dei nostri in Grecia, Clarke.”

Clarke si bloccò, con il braccio attorno alla vita di Bellamy.

Squadrò il moro, che dava le spalle a Jaha in preda al panico e si girò dall’altra parte.

“Cosa?”

Thelonious sembrò confuso.

“Per il weekend introduttivo; dà il benvenuto ai nostri nuovi membri e alle loro metà. Credevo che Bellamy te ne avesse…”

“Oh” disse Bellamy, inventandosi una scusa su due piedi “beh, l’avrei fatto, Thelonious, ma Clark è così impegnata con il lavoro, al momento e – ”

“Sono certa di riuscire a prendermi qualche giorno di ferie per venire in Grecia con il mio fidanzato e i suoi colleghi…” la bionda cercò di non pensare all’architettura, alla scultura, alla magnificenza di entrambe e sorrise raggiante a Jaha. “È il minimo che possa fare.”

L’uomo di colore annuì.

“Passate una buona serata, voi due.”

E adesso che Clarke si era proposta per il viaggio in Grecia, avrebbe sicuramente mantenuto la parola data senza tirarsi indietro.

Bellamy le strinse la mano e la sua presa era vigorosa, sudata.

Le aprì la porta una volta lasciata la Stazione e una seconda quando salì dentro l’auto, ma la sua mascella rimase serrata durante tutto il viaggio di ritorno.

Alla fine, Clarke sbottò.

“Sai, mi dispiace se non volevi portarmi a questa maledetta gita in Grecia, ma stasera ho lasciato a casa i miei migliori amici – e i tuoi – per venire ad aiutarti, senza nemmeno pensarci un minuto e non credo di meritarmi di essere trattata con questa…questa cazzo di protesta da mascella serrata!”

Bellamy le lanciò un’occhiata dal posto di guida.

“Non so di cosa stai parlando, Clarke.”

“Oh – non lo sai? Finora sei stato l’unico ad aver tratto beneficio da quest’accordo. Intendo riscuotere la mia metà dell’affare, la parte in cui io ottengo ciò che voglio.”

“Buon per te” affermò lui, ancora con quel frustrante tono tagliente.

Clarke rimase in silenzio, troppo arrabbiata per parlare.

Non sapeva nemmeno cos’altro avrebbe potuto dire che già non avesse detto.

“Sai qual è la cosa spaventosa, Clarke?”

“Cosa?” chiese lei, bruscamente.

“Tu che accetti di venire in Grecia per cinque cazzo di giorni, durante i quali dobbiamo convincere tutti di essere una coppia – mentre sto anche lavorando –”

“ – Ma almeno potrai fare quello che tanto ti piace, stronzo!” lo rimproverò Clarke. “D’accordo, condivideremo la stanza dell’hotel, ma sarai occupato a scavare ogni giorno e probabilmente ci rivedremo solo durante i pasti o quando non ci sarà nessuno attorno, perciò non preoccuparti di fingere troppo che io ti piaccia!”

Bellamy brontolò.

“Non è che non mi piaci, Clarke, è che…non lo so – questo non è solo un gioco per me. Non sarò sempre un raggio di sole per tutto il tempo – ”

“Oh – perché è questo che sei?”

“ – Mi stresserò nel tentativo di riuscire ad accaparrarmi il lavoro e di fare una bella impressione e non voglio che tu – ”

Il telefono del moro squillò all’improvviso ma dato che stava guidando non riuscì a leggere il messaggio.

Allora, suggerì a Clarke “Tasca della giacca” e la ragazza si chinò verso di lui per afferrare il cellulare nella tasca interna del vestito.

Tentò di ignorare quanto la maglietta mettesse in risalto i suoi pettorali.

“È di Octavia” disse Clarke, non volendo leggerne il contenuto senza permesso.

Lui era più tranquillo, adesso.

“Oh – cosa dice?”

Due settimane a partire da oggi, per tre settimane” lesse la ragazza.

Bellamy imprecò.

“Mmh?”

“Il tempismo di O non poteva essere peggiore.”

“Ancora non ti seguo.”

Bellamy sospirò.

“Mia sorella. Viene a stare da me durante le vacanze. Il problema è che il mio appartamento sarà fuori uso per i lavori di disinfestazione. Cioè, io starei a casa di Miller ma non c’è posto per entrambi…”

Clarke ebbe un’idea grandiosa…garantito, una piuttosto ridicola, ma comunque un’idea.

“Perché non venite a stare da me?”

“…Scusa, Principessa?”

Lei si accigliò.

“Il mio appartamento ha una stanza di riserva con un bagno privato. Octavia può usare quella e tu puoi condividere la mia.”

Per poco Bellamy non si strozzò da solo.

Cosa?” farfugliò.

“Oh, ma per favore. Ragiona. Teoricamente saremmo fidanzati da sei mesi – stare nel mio letto non dovrebbe spaventarti.”

Clarke scosse le spalle. “Ma se ti fa tanta paura, puoi sempre dormire sul divano, anche se ti farà più male che bene.”

“Sei sicura, Clarke?”

Lei annuì.

“E Octavia può sorvegliarmi la casa mentre siamo in Grecia.”

Bellamy sollevò un sopracciglio, ancora scettico. “E a te va bene? Ti fidi di mia sorella?”

“Beh, io mi fido di te, giusto?”

Lui rimase in silenzio.

“Cosa?” chiese Clarke. “Cos’ho detto?”

“Niente” rispose il moro, schiarendosi la gola.

“Grazie per la sistemazione, Principessa.”

Lei gli sorrise, ma gli occhi di Bellamy stavano di nuovo fissando la strada.

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Cinque

Indovina chi viene a casa o

La festa di Raven

 

 

L’immediata reazione di Raven circa il temporaneo trasferimento di Bellamy – e, per estensione, di Octavia – a casa di Clarke fu: “Per quale motivo non vi saltate addosso una volta per tutte e non la fate finita?”

Bellamy, perché era a lui che la mora stava parlando, sollevò un sopracciglio scuro.

Si mostrò indifferente, anche se stringeva la tazza del caffè con le nocche delle mani ormai bianche.

“O a casa di Clarke o in mezzo alla strada, Raven.”

Raven borbottò sospettosamente qualcosa del tipo “stiamo ancora parlando della disinfestazione?” ma Bellamy non insistette troppo sull’argomento.

Il volo di Octavia da Providence sarebbe atterrato tra meno di due ore: momento magico che avrebbe dato il via a una festa organizzata da Raven.

A questo party avrebbero partecipato Bellamy, Clarke, Octavia, Monty, Miller e Lexa, che ultimamente trascorreva parecchio del suo tempo insieme a loro – così come la pletora di gente che Bellamy non aveva mai visto in vita sua, tipo questo ragazzo di nome Wick o alcune ragazze che si buttavano addosso a chiunque dopo aver trangugiato le loro gelatine alcoliche.

Comunque, Bellamy si era ripromesso di non dire nulla a Raven del trasferimento a casa della bionda per evitare che l’amica potesse sospettare qualcosa di strano. Naturalmente non c’era niente di fraintendibile, sotto.

Clarke Griffin era una donna troppo ricca e troppo pragmatica e maledettamente troppo forte per desiderare uno come lui.

E Bellamy…beh, Bellamy non avrebbe mai avuto alcuna chance.

Ma Raven era stata destinata a scoprire fin dal primo momento che Bellamy e Octavia sarebbero andati a casa di Clarke, quindi le aveva raccontato la verità, con una valigia e un borsone depositati dentro il bagagliaio della sua macchina.

E adesso lei e Bellamy stavano bevendo il caffè.

Il moro sarebbe dovuto uscire presto per andare a recuperare Octavia che, come al solito, avrebbe aggiunto ancora più bagagli da incastrare con suoi dentro l’auto.

Dato che Clarke sarebbe arrivata alla festa direttamente dopo il lavoro – assieme a Lexa – qualsiasi spostamento di bagagli e di esseri umani sarebbe stato posticipato al dopo festa.

Bellamy era ancora parecchio preoccupato all’idea di Octavia a casa di Clarke, e di Octavia con Clarke, e di lui nella stanza di Clarke, e di lui con Clarke.

Il viaggio in Grecia si stava avvicinando – in fretta – e loro ne avevano parlato a malapena.

Non c’era molto da dire, aveva scoperto Bellamy.

Aveva anche scoperto che stava diventando sempre più difficile odiarla.

Lui non era molto bravo a odiare qualcuno che gli stava facendo un enorme favore – cosa che Clarke gli stava facendo, malgrado avesse avuto anche altri motivi.

Infatti, Clarke gli aveva fatto tre grossi favori, seriamente, se si contavano il galà, l’aver mollato tutto per raggiungerlo alla cena solo perché era andato fuori di testa e l’aver aperto casa sua ai Blake.

Al plurale.

Bellamy la trovava ancora piuttosto frustrante, ma odiarla?

Si rese conto di no.

“Lo dirai a O?” gli chiese Raven, rigirando il cucchiaino dentro il caffè e prestando attenzione più al ragazzo che all’oggetto.

“Le dirò cosa?”

Raven lo fissò, alzando un sopracciglio.

“Di te e Clarke.”

Il moro contrasse le labbra carnose.

“Primo, non dirlo così.”

“Dire cosa, come?”

“Lo sai.”

“Non ho detto niente di niente” rispose Raven, con sufficienza. “Te lo stai immaginando. Perché ti piace Clarke.”

Bellamy indurì la mascella.

“Non so di cosa tu stia parlando. Sì” affermò, facendo del suo meglio per dirottare l’argomento di conversazione “dovrò dirlo a Octavia. Io e Clarke non possiamo fingere 24 ore su 24.”

Raven sogghignò e quando il moro le chiese spiegazioni, lei dichiarò: “Stavo solo pensando a come potrà reagire Octavia. Tipo, sì, certo, suo fratello aveva bisogno di una finta fidanzata per una cosa di lavoro e adesso lei dovrà sistemarsi in una camera degli ospiti mentre voi due vi farete le coccole a letto insieme – e dovrà anche guardare la casa a Clarke, quando partirete per la Grecia. Non credi che questo renda le cose strane? Quasi come se stessi fingendo di non avere una relazione?”

Lui sospirò.

“Non è una situazione tanto convenzionale, Raven.”

“Puoi scommetterci” tossì la ragazza.

Prima che Bellamy potesse replicare, il cellulare di Raven squillò.

Lei fece la linguaccia all’amico, tirò fuori dalla tasca il telefonino e gli diede una rapida occhiata prima di rispondere.

“Hey.”

La sua voce era più leggera, più felice – significativamente meno asciutta rispetto a quella cui Bellamy era abituato.

“No, è perfetto, ho appena finito con Bellamy.”

“Grazie, Raven” borbottò lui, sarcasticamente.

Lei gli lanciò un’occhiataccia alla sai cosa intendo.

“Sì – inizia alle otto. Non c’è problema se arrivi in anticipo – potrebbe essere pure meglio. Però” aggiunse, con un’espressione diabolica sul viso “se fai tardi, dormirai da me. Nessuno abita tanto lontano quanto te. Quindi, davvero, prenditela con comodo.”

Bellamy alzò un sopracciglio e quando Raven terminò la chiamata, dinanzi al suo comportamento, s’informò.

“Era quel ‘qualcuno’ con cui ti stai vedendo?”

Raven si morse il labbro. “Forse.”

“Non so, prima o poi mi racconterai qualcosa, di lui?”

Lei alzò le spalle. Fu solo un momento, poi lo trafisse con uno sguardo provocante.

“Chi l’ha detto che è un lui?”

Ogni volta che Bellamy rivedeva Octavia, gli sembrava di trovarla sempre un po’ più alta.

Più alta e più forte e più intelligente ma, Dio, sempre la stessa piccola O, che lo costringeva a portarla a cavalluccio dentro il loro minuscolo appartamento e che ballava in salotto a ritmo di musica pop.

Il ragazzo si lanciò addosso alla sorella non appena lei superò la dogana e decise di non volersene più separarsene almeno per le prossime ore.

“Anch’io sono contenta di vederti, fratellone – mi lascerai respirare, prima o poi?”

Lui rise, allontanandosi per farla riprendere.

Quando entrarono in macchina – “È Achille!” gridò Octavia (l’auto si chiamava così perché era robusta, ma il più piccolo e imprevedibile tra i problemi l’aveva fatta subito fermare) – e il moro cominciò a sommergerla di domande sul college, lei lo bloccò con un “non è successo nulla di nuovo da quando ci siamo visti ieri sera su Skype, Bell” e si diressero a casa di Raven.

“Comunque” disse Bellamy, tenendo gli occhi fissi sulla strada, “ho trovato una specie di finta fidanzata.”

Octavia sollevò un sopracciglio perfettamente scolpito.

“Cosa? Non sei un po’ troppo vecchio per questo?”

Bellamy sospirò.

“È una persona vera, O, sta solo fingendo di essere la mia ragazza per una faccenda di lavoro.”

“Già, ancora non afferro il perché una cosa del genere dovrebbe essere meno strana dell’avere una fidanzata immaginaria…”

“Puoi sempre chiedere a Raven di spiegartelo” brontolò lui. “È stata una sua idea.”

Octavia rise.

“Ok, quindi chi è la nostra speciale Cenerentola?”

Il moro staccò una mano dal volante e si grattò il retro del collo.

“Uh… ti ricordi per caso di Clarke Griffin?”

Le iridi blu di Octavia si allargarono come piatti da portata.

Cosa? Stai fingendo di scoparti la Principessa? Pensavo la odiassi!”

Bellamy la esortò a tacere ma lei continuò, borbottando: “Ma insomma, te ne vai al college per sei mesi e improvvisamente tuo fratello subisce un trapianto di personalità…”

Rilassati, O” affermò Bellamy, con un breve e caldo sorriso sul volto – il tipo di sorriso che riservava esclusivamente a sua sorella. “Clarke non è la persona che credevamo. Beh” si corresse, “in realtà è esattamente chi credevamo – ma ho iniziato ad apprezzarla.”

Di nuovo, una delle sopracciglia di Octavia si tese verso l’alto.

“Oh, davvero, uh?”

“Smettila di guardarmi in quel modo.”

“Smetterla di guardarti come? Non mi stai nemmeno vedendo!”

“Riesco a sentire il peso del tuo sguardo su di me e ti suggerisco di piantarla.”

Lei roteò gli occhi.

“Quindi la tua preziosa principessa verrà a casa di Raven, stasera?”

Bellamy annuì.

“E dato che il mio appartamento è pieno di pesticida fino all’orlo, tu ed io staremo da lei per le prossime settimane.”

Octavia sembrò confusa.

“Da Raven?”

“No, Clarke.”

Se possibile, Octavia sembrò ancora più confusa.

“Cosa? Perché?”

“Perché ha una stanza degli ospiti e un bagno per te” rispose Bellamy, con un tono che non ammetteva repliche, svoltando l’angolo e ritrovandosi vicino a casa di Raven.

“Per non parlare del fatto che staremo in Grecia per una settimana intera, perciò sarai una perfetta sorvegliante.”

Octavia tacque per un momento, prima di recitare con finta voce allegra: “Sicuro, Bell, sorveglierò la casa della tua finta fidanzata mentre voi due partirete per una romantica vacanza sul Mediterraneo. Non c’è nulla di strano in tutto ciò.”

Bellamy alzò gli occhi al cielo, parcheggiando davanti alla porta di Raven. “Quando lo dici così, lo fai suonare davvero strano.”

“È fottutamente strano!” replicò lei. “Dove dormirai tu, a casa della Principessa?”

Bellamy si fiondò fuori dall’auto come pretesto per non rispondere ma la sorella fu più veloce ed entrambi si ritrovarono faccia a faccia sul marciapiede.

“Oh, quindi non solo stai trascinando tua sorella nella casa di un’estranea ma ci condividi con lei anche il letto?”

Aggrottò le sopracciglia quando il rumore di una moto cominciò a riempire l’aria. “Mi domando: le mura della camera di Clarke saranno insonorizzate?”

I guidatori del motorino posteggiarono sul bordo della strada, giusto in tempo per ascoltare Bellamy esclamare: “Per l’ultima volta, Octavia, non mi scopo Clarke!”

L’universo aveva deciso di prendersi gioco di Bellamy Blake – quel giorno, o così lui si convinse – quando la ragazza sul retro del motorino si tolse il casco dicendo: “E buonasera anche a te, Bellamy.”

Clarke saltò giù dallo scooter, scuotendo i capelli biondi lungo le spalle e raggiungendo i Blake sul marciapiede.

Anche il conducente del veicolo allontanò il proprio casco dal viso – ed era Lexa, cosa ovvia, perché chi altri poteva arrivare dall’ufficio del Procuratore Distrettuale su un cavolo di motorino con ancora l’eyeliner intatto?

Lexa si passò una mano sulle trecce intricate dei capelli non appena Octavia incontrò il suo sguardo e poi quello di Clarke.

Bellamy si schiarì la gola. “Uh – O, questa è – ”

“ – Clarke” s’intromise la bionda, porgendo la mano alla sorella del moro.

Octavia la strinse, sorridendo educatamente.

“Piacere di conoscerti. Sono Octavia.”

“Conosci già il Comandante, vero, O?” chiese il ragazzo, lanciando un’occhiata a Lexa.

Entrambe annuirono e la studentessa affermò: “Le tue trecce spaccano.”

“Non tanto quanto me” rispose Lexa, con un debole sorriso sulle labbra carnose. Gli occhi scuri guizzarono sulla porta. “Dovrei entrare – ho bisogno di chiedere un paio di cose a Raven prima che arrivino i miei amici.”

“I suoi amici?” chiese Bellamy alla bionda, non appena Lexa scomparve all’interno della casa.

Clarke alzò le spalle.

“Nessuno mi ha accennato nulla.”

Venne fuori che ‘gli amici’ di Lexa altri non erano che i membri dello spettacolo artistico che si svolgeva in questo periodo alla Wallace&co.

Clarke passò la maggior parte della serata tra i Terrestri e i suoi amici, entrambi troppo nervosi per tentare un approccio. 

Miller sedeva sul divano assieme a Bellamy, disquisendo di sport e dell’ultimo singolo di Kanye West ma l’argomento di conversazione fu totalmente dirottato quando Monty s’inserì tra loro, interrompendoli.

Lexa e Raven avevano trascorso tutto il tempo a parlare in disparte e fu solo quando Bellamy le vide sostare in piedi, l’una vicina all’altra, mentre Lexa stava intrecciando i capelli scuri di Octavia, che notò che anche la solita coda di cavallo di Raven era stata intrecciata lungo la nuca.

Scosse le spalle.

Forse era una cosa da donne. Avrebbe chiesto a Clarke.

Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, la bionda lo raggiunse furtivamente accanto alla finestra.

“Lo sai, prima Raven mi ha detto che dovremmo comportarci di più come una coppia.”

Bellamy sollevò le sopracciglia, tentando di ignorare il rossore che gli si stava formando lungo il collo. Contrasse la mascella.

“Cosa?”

Clarke rise.

“È quello che ho detto anch’io. Mi ha spiegato che la gente potrebbe pensare che è strano se stiamo lontani per tutta la festa e un paio di settimane dopo ce ne voliamo su una romantica isola in Grecia.”

Bellamy sogghignò sommessamente.

“Vacci piano, Clarke. La gente penserà che siamo fuggiti per sposarci in segreto.”

“Quindi ti piacerebbe sposarti in Grecia” suppose la bionda, alzando quasi gli occhi al cielo.

“Che, a te no?”

Clarke sorrise beffardamente. “Non ho mai detto questo.”

Bellamy annuì, trionfante.

“Giusto. Ma adesso, Principessa, non aspettarti che io ti faccia la proposta su una spiaggia di Santorini…”

“Non me lo sogno nemmeno” disse la ragazza, prima di venire interrotta da un acuto e pronunciato “Clarke!” dall’altra parte della stanza.

Lei si voltò.

Era Lexa, che stava intrecciando automaticamente un’altra sezione dei capelli di Octavia senza nemmeno controllare.

“Ti ricordi la mascotte contro cui gareggiammo durante i test di simulazione alla conferenza dell’ONU, al liceo?”

Clark annuì. “Difficile dimenticare un gorilla con problemi di gestione della rabbia” rispose.

Lexa si voltò – “Te l’avevo detto che era un gorilla!” – verso Raven, che stava sghignazzando con le lacrime agli occhi.

“Pensavo scherzassi! Devi ammettere che suona come una stronzata gigantesca” sostenne, con il respiro che ancora non era tornato alla normalità.

Bellamy catturò l’attenzione di Clarke.

“Aspetta, andavi a scuola con Lexa?”

Clarke sorrise, facendosi più vicina al ragazzo quando un Terrestre dietro di loro iniziò a ridere – una rumorosa risata straniera.

“Vivevamo nello stesso quartiere; abbiamo fatto le simulazioni e altra roba insieme. E i comitati.”

La bionda ricambiò l’occhiata intensa di Lexa, che nel frattempo aveva finito di sistemare i capelli di Octavia, la quale si stava ammirando deliziata dietro lo specchio impugnato da Raven.

“Eravamo piuttosto amiche.”

“Anche lei conosceva il figlio di Jaha?”

E adesso s’insinuò qualcosa di tagliente nell’espressione di Clarke cui Bellamy non riuscì proprio a dare un senso.

“Ne ha solo sentito parlare” disse. “Tutto qui.”

Bellamy le si avvicinò, tentando di incontrare il suo sguardo.

“Ascolta, mi dispiace se ho detto qualcosa di –”

“Non l’hai fatto” rispose Clarke, con un tono tale da suggerire al moro che, sì!, invece, l’aveva fatto. 

“Non preoccuparti.”

Dopo aver deciso di lasciar scorrere le cose, Bellamy affermò: “Dovresti andare a divertirti. Non rimanere nascosta dietro l’angolo a parlare con me – saremo coinquilini per le prossime settimane, comunque. Ti meriti una serata senza il sottoscritto.”

Clarke gli sorrise.

“Lo stesso vale per te, Bellamy.”

Clarke si allontanò per chiacchierare con Raven, Lexa e Octavia, mentre Bellamy si versò da bere.

Non poteva ubriacarsi siccome doveva guidare, ed era sempre molto prudente con O – si era allenato a esserlo da solo molto tempo prima – ma da Raven non c’erano poi tante scelte liquide decenti e oh!, aspetta, qualcuno stava parlando con lui.

“Scusami, non ho capito cosa…”

L’appariscente Terrestre lo stava fissando furiosamente attraverso i capelli lunghi. “Ho detto, puoi levarti? Ho bisogno di un cazzo di drink.”

Bellamy sbatté gli occhi per un istante, prima di serrare la mascella.

Si spostò dall’enorme frigorifero portatile che Raven aveva sistemato sul tavolo e permise alla ragazza di prendersi quel cavolo di drink.

“Sono Anya disse in modo burbero, una volta afferrata una bottiglia di vetro ghiacciata.

“Bellamy.”

E con voce delusa: “Oh – sei uno degli amici di Lexa –”

Lui la interruppe annuendo.

“Giusto perché tu lo sappia, quella” – indicando una bottiglia semivuota contenente il mix segreto di Monty, soprannominato Chiaro di Luna Brillante – “è meglio di qualunque altra schifosa birra organica che voi ragazzi state tracannando laggiù.”

Anya avrebbe potuto vincere l’Oscar per lo sguardo più pericoloso. Si piegò in avanti e sollevò un sopracciglio.

“Seriamente” affermò Bellamy “potrebbe abbattere un impero, ma almeno ti porterà ovunque tu voglia essere.”

Gli occhi di Anya lo squadrarono, investigando.

“Dove vorresti essere portato tu, Bellamy?”

“Qualcosa mi dice che già conosci la risposta” replicò a voce bassa, incontrando i suoi occhi.

“Forse.”

Adocchiò il Chiaro di Luna. “Se è così eccezionale, perché non lo stai bevendo?”

Bellamy scosse le spalle.

“Non posso bere e guidare.”

“Abito in fondo alla strada” disse Anya. “Non ti serve la macchina.”

Strinse gli occhi. “Sempre che tu non sia qui con qualcuno.”

Bellamy rimase in silenzio, ricercando con lo sguardo il punto in cui si trovava Clarke – che sostava accanto alla sorella, ammirando meravigliata il tatuaggio a forma di farfalla di Octavia.

Se l’era fatto a sedici anni in stile watercolour e nonostante il fratello si fosse espresso assolutamente contrario, lei era andata via di casa e se l’era fatto tatuare lo stesso.

Improvvisamente, Clarke guardò in alto, intercettando gli occhi scuri del moro. Dopo un momento, gli regalò un piccolo sorriso, a cui lui rispose non sapendo in quale altro modo reagire.

Anya contrasse le labbra.

“Capisco.”

Diede una pacca sulla spalla di Bellamy, abbastanza bruscamente. “Grazie per la benzina, Bellamy.”

“Cosa?”

Ma quando il ragazzo spostò l’attenzione da Clarke e Octavia, Anya era già scomparsa.

 

 

Era ormai passata la mezzanotte quando Bellamy afferrò un apribottiglie dalla mano di Clarke.

“O sta per crollare” disse a mo’ di saluto e spiegazione.

Clarke sollevò un sopracciglio.

“In che senso? Sta bene – guarda, è insieme a quei Terrestri –”

“Non penso sia una decisione intelligente, farsi ricoprire di tequila dal capellone con i dreadlock laggiù, Principessa” dichiarò sgarbatamente, aggiungendo “e comunque, conosco O; tra poco si lamenterà di avere sonno. Ci vogliono una quindicina di minuti per arrivare a casa tua, perciò potremmo almeno avvantaggiarci.”

La bionda annuì lentamente, d’accordo con l’analisi di Bellamy.

“Ok, vado a salutare Monty e gli altri.”

“Perfetto; io prendo O. Aspetta, che diavolo!, dov’è finita?”

Clarke gli strinse il braccio, pilotandolo nella giusta direzione.

“Sta là, con la tua fidanzata.”

Bellamy sollevò un sopracciglio.

“È ridicolo. Sei tu la mia fidanzata.”

Clarke simulò una risata.

“Ahah, che spiritoso. La ragazza con cui stavi flirtando prima. Quella.”

Tanto per confermare il concetto, la bionda puntò un dito in direzione di Anya e di altri Terrestri.

Bellamy abbassò la mano della ragazza, stancamente.

“Ok, Clarke. Dì ciao a tutti e aspettami davanti alla porta.”

“Da che lato? Fuori o dentro?” chiese lei.

“Simpatica” disse Bellamy.

E fu all’ingresso che Clarke finì per incontrarsi con Bellamy, una volta finito di litigare con Octavia, lontano dai Terrestri, e di aver ascoltato la sua spiegazione riguardo uno dei più autorevoli membri-guida del loro comitato, una donna di nome Indra, che secondo Echo le avrebbe insegnato le loro particolari forme d’arte.

“O” iniziò Bellamy, non appena lui, Octavia e Clarke furono fuori dall’appartamento, “stai finendo una doppia specializzazione alla Brown – e una di queste è Mediazione Linguistica, per l’amor di Dio. Non credo avrai problemi a trovarti un lavoro dopo la laurea.”

“Sono confusa” disse Clarke, puntando al sedile posteriore.

“Mia sorella vorrebbe essere una Terrestre” spiegò Bellamy, contraendo le labbra. Si voltò verso Octavia e scosse la testa in direzione della bionda, un’espressione tagliente sul viso.

“Passa avanti tu, Clarke” comunicò immediatamente la ragazza.

“Sei sicura?” domandò Clarke, sollevando un sopracciglio.

Octavia annuì. “Bell ha comunque bisogno di un navigatore. Io non so dove stiamo andando.”

“Giusto.”

Perciò Clarke si spostò sul sedile anteriore vicino al moro, che non era mai stato tanto sull’attenti come in quel momento.

Octavia sedeva dietro, canticchiando ininterrottamente qualsiasi canzone passasse alla radio, finché, pochi minuti prima di arrivare a casa della bionda, non annunciò di essere stanca e si raggomitolò come un gatto, chiudendo gli occhi.

L’appartamento di Clarke si trovava su uno dei piani più elevati di un edificio ben costruito, verso la parte artistica della città.

Le porte del complesso residenziale erano alte e fatte di vetro, talmente trasparente che Bellamy dovette fermare un’assonnata Octavia dall’attraversarle e dallo schiantarsi contro con tutti i bagagli appresso.

Clarke digitò il codice di sicurezza e si avviarono dentro l’ascensore.

Si ritrovarono in un piccolo atrio, con una porta sulla sinistra dell’ascensore e una sulla destra.

Quella della bionda era la sinistra, dipinta di bianco, senza neanche un graffio.

Aperta quest’ultima, li accolse un corridoio, da cui s’intravedeva – a parte il bagno e la lavanderia – il resto della casa.

Era immensa, decorata al minimo, con un’opera d’arte sopra ogni muro.

Clarke lasciò le scarpe all’ingresso ma riferì entusiasticamente a Bellamy e a Octavia che non erano tenuti a farlo.

Indicò a Octavia la stanza degli ospiti.

“Ti ho lasciato un asciugamano sopra la maniglia e un altro sopra il termosifone in bagno, in caso servisse” – e infine guidò Bellamy alla propria.

O lui avrebbe dovuto chiamarla: la loro?

No. Certo che no. La camera era di Clarke e lui magari non ci avrebbe neanche dormito.

Il letto era attaccato al muro, riordinato e pulito, con due comodini su entrambi i lati, muniti di lampade. C’erano un pila di libri, una toletta e una specchiera – anche le porte scorrevoli erano di vetro. Adesso le tende erano chiuse, ma Bellamy era sicuro come non mai che di giorno gli avrebbero offerto una vista spettacolare.

Il ragazzo posò a terra la valigia e il borsone, mentre Clarke si schiariva la gola.

“Quale lato del letto preferisci?”

“Quello che non vuoi tu, immagino” rispose Bellamy, con un’alzata di spalle. “Forse quello più vicino alla porta?”

Clarke annuì e recuperò il suo pigiama – una maglietta larga e un paio di pantaloncini – prima di dire al ragazzo di fare come se fosse a casa sua.

Dopo che la bionda ebbe lasciato la stanza per cambiarsi, Bellamy si domandò se avrebbe dovuto togliersi la maglietta.

Di solito dormiva senza t-shirt, fuorché non fosse inverno inoltrato, per non ritrovarsi durante le prime luci dell’alba congelato fino alle ossa; ma Clarke lo avrebbe trovato strano?

Dormire con un uomo mezzo nudo che a malapena trovava simpatico mentre sua sorella russava due porte più avanti?

Finché non realizzò che Clarke aveva come madre un medico e lei stessa lo era quasi e probabilmente l’anatomia non era un grosso problema.

Clarke Griffin non sembrava il tipo di donna che si lasciava intimidire da un paio di pettorali, specialmente se appartenevano a Bellamy Blake.

Si cambiò prima che la bionda potesse rientrare e s’infilò sotto le coperte con il naso schiacciato contro una copia dell’Odissea, quando Clarke bussò alla porta.

“Lo sai, non sei tenuta a bussare alla tua porta, Principessa” le disse, fissandola da sopra il suo libro.

“Giusto per essere sicura di non vedere qualsiasi cosa tu non voglia che io veda” replicò lei, attraversando la camera e raggiungendo il letto.

La maglietta era davvero troppo grande per lei – più in modo disordinato che alla moda. E anche il taglio era diverso. Da uomo.

“L’Odissea?” notò Clarke – distruggendo le riflessioni del ragazzo. “Ti sei appena ridicolizzato fino a questo punto?”

Bellamy sorrise e chiuse il libro, posandolo sul comodino.

“Credo di sì. Ma non si può fare nulla se è quello che si ama.”

“No” disse Clarke. “Non si può.”

Il ragazzo pensò che se due mesi prima gli avessero fatto vedere il suo futuro, avrebbe preso tutti per pazzi.

Dormire con Clarke Griffin? Avrebbe preferito farsi ricoverare in ospedale, grazie. Ma era piacevole, invece, stare qui con lei.

Il suo piumone era caldo, il materasso era comodo. Il piedino di lei aveva appena sfiorato quello del moro, maldestramente, cosa di cui nessuno dei due disse nulla – troppo imbarazzante.

Bellamy sospirò, affondando la testa nel cuscino e tirando più in alto le coperte.

“Sei esausto la metà di quanto lo sono io?” domandò la bionda, sbadigliando e allungando una mano per spegnere la lampada.

Si bloccò all’improvviso, annunciando: “Se vuoi leggere, non sentirti obbligato a smettere. C’è un motivo se ci sono due lampade.”

“Nah, sto bene. Ho bisogno di una buona notte di sonno.”

La verità era che, anche se aveva mentito a Clarke Griffin – lanciandole un’occhiata di traverso e osservandola chiudere gli occhi, il viso tranquillo sotto la sfumatura arancione della lampada – Bellamy non poteva sentirsi più sveglio.

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Sei

La convivenza Blake-Griffin o

Vita domestica e discorsi profondi

 

 

Bellamy scoprì diversi particolari durante i giorni che seguirono il suo temporaneo trasferimento a casa di Clarke.

La bionda beveva caffè nero ogni volta che poteva; scarabocchiava su qualunque cosa, al punto che tutti i muri dell’appartamento esibivano un’opera d’arte originale più una serie di aggiunte da parte di Clarke.

La ragazza smise di dormire il più lontano possibile da lui come aveva tentato fisicamente di fare le prime sere, dentro il letto matrimoniale che condividevano, e, oltretutto, non era – come se non fosse stressante abbastanza –per niente mattiniera.

Sfortunatamente per lei, quando i Blake si svegliavano, i Blake si svegliavano.

Octavia faceva jogging al piano di sotto la mattina presto ed era l’addetta alla raccolta del giornale e del resto della posta dalla cassetta delle lettere di Clarke; Bellamy preparava la colazione, giacché, chissà come, era stato benedetto con la capacità di improvvisare un pasto perfetto dal nulla.

Durante la terza serata del loro soggiorno, Clarke aveva passato più di un’ora a esaminare un mucchio di carte per un processo che si sarebbe tenuto in tribunale la mattina successiva, ma quando la suddetta mattina era arrivata, Bellamy era stato il primo a svegliarsi – facendo scivolare un braccio da sotto il fianco di Clarke – e a darle un colpetto sulla spalla.

“Muoviti, Principessa!”

Clarke aveva sollevato gli occhi al cielo e gli aveva detto di andare a quel paese.

Naturalmente, la bionda si era alzata e dopo essersi lavata e vestita mentre Bellamy si era misteriosamente dileguato da quella che per entrambi era diventata mentalmente la loro camera, aveva sentito odore di cibo.

Venne fuori che Octavia aveva messo in ordine i documenti della ragazza e li aveva inseriti dentro la cartellina sul ripiano della cucina, di fianco a una tazza Starbucks riciclabile fumante di caffè e un panino incartato per la colazione, appena fatto, con del bacon croccante.

Octavia era tornata nella sua stanza, a fare la doccia, mentre Bellamy stava seduto sul divano a guardare uno speciale programma di storia.

“Ti avviso” aveva detto O a Clarke dopo il lavoro, “mio fratello guarda esclusivamente documentari storici e il telegiornale.”

In breve, Octavia e Bellamy erano i migliori ospiti che Clarke potesse desiderare; o prevedere.

 

Era il sesto giorno di convivenza Blake-Griffin (Raven, Monty e Miller si erano trovati d’accordo sul fatto che il nome presentasse un solo, ovvio difetto: somigliava a quello di una squadra di basket) e Bellamy sostava davanti alle porte dell’ufficio del Procuratore Distrettuale, per pranzare con Clarke.

Ricapitolando: a Octavia serviva un passaggio per una lezione di kick-boxing e nel mezzo del suo servizio di taxi professionale per portare la sorella in palestra, Bellamy Blake aveva ricevuto un messaggio da Clarke nel quale la bionda gli riferiva di avere un paio di ore libere per la pausa pranzo e che lo avrebbe incontrato volentieri se – magari – il moro non aveva nulla di meglio da fare.

Ovviamente, Octavia ne aveva approfittato per prenderlo in giro, beffandolo di essere stato sconfitto.

Trovava divertente il fatto che un ragazzo come suo fratello, che era sempre stato sicuro della propria strada tracciata, fosse stato fuorviato tanto facilmente da Clarke Griffin.

Bellamy, per poco, non aveva deciso di unirsi alla lezione di kick-boxing.

Prevedibilmente, finì di fronte all’ufficio del PD, sentendosi terribilmente fuori luogo dentro la maglietta blu scuro e i pantaloni cargo neri.

Ci vollero circa tre minuti prima che si accorgesse della presenza di qualcuno che conosceva – sebbene quel qualcuno non fosse stato Clarke.

“Lexa! Comandante!”

Lexa si voltò, sollevando un sopracciglio e facendosi più vicina.

“Bellamy Blake.”

“Hai visto Clarke?” le chiese.

“No” ripose sospettosamente. “Perché?”

“Pranziamo insieme. Sai dove potrebbe essere?”

Lexa lo esaminò, con espressione indecifrabile.

“Ti mostrerò il suo ufficio. Dovevo comunque passare di lì. Ma prima, voglio parlarti di una cosa.”

Bellamy alzò le sopracciglia, positivamente intrigato.

“Lo sai che al liceo ero molto amica di Clarke, no?”

Lui annuì.

“Voglio solo darti qualche dritta.”

Lexa sospirò pesantemente; poi annunciò: “Parlando per esperienza, ti consiglio di essere molto sicuro di te stesso semmai dovessi innamorarti di Clarke Griffin.”

Il respiro di Bellamy si bloccò in gola.

“Non sono innamorato di lei.”

Lexa non commentò.

“Clarke ha dovuto prendere parecchie decisioni difficili ma la vera forza risiede nel suo cuore. Dove gli altri sono deboli, lei è forte. Comunque, era per avvisarti: se Clarke dovesse sospettare che la ami, non te lo lascerà fare. Crederà di proteggerti. Ripensandoci, potrebbe davvero.”

“Sai che non ci stiamo frequentando sul serio, vero? Che è solo per aiutarmi?”

Lexa annuì.

“Sono consapevole delle tue intenzioni iniziali, sì. Adesso ti porto da lei.”

Proseguirono lungo un corridoio e a metà di una rampa di scale s’imbatterono casualmente in Clarke.

Lei sorrise raggiante non appena lo vide.

“Ehi.”

“Ehi, Principessa.”

Clarke spostò lo sguardo da Bellamy a Lexa.

“Che succede?”

Bellamy scosse le spalle mentre Lexa declamava: “Ho solo mostrato a Bellamy come trovarti.”

“Ci siamo incrociati all’ingresso” aggiunse il moro, annuendo.

“Adesso vado” annunciò Lexa. “Devo incontrarmi con Anya.”

Poi si rivolse a Bellamy, prima di continuare a salire le scale: “Non dimenticare quello che ti ho detto.”

Clarke aggrottò le sopracciglia. “Di che stava parlando?”

“Oh – uh – solo che la Wollace&co. ha fatto saltare l’esibizione dei Terrestri” improvvisò, ricordando una vaga notizia che aveva sentito la serata precedente.

“Rimarranno qualche altro giorno e O vorrà probabilmente andare a trovarli.”

Riuscì a imbrogliare Clarke, che replicò con un semplice “Ah, ok” e lo accompagnò al ristorante (Bellamy odiava sempre pranzare fuori; eppure, avrebbe mentito a se stesso se avesse detto di non essersi divertito in compagnia della bionda).

Alla fine della prima settimana della convivenza Blake-Griffin – e Dio, avrebbero dovuto trovare un soprannome migliore – Bellamy si svegliò, come al solito, dentro il letto di Clarke, con il petto nudo e il braccio incastrati attorno alla ragazza.

Un cellulare squillò, quello di Clarke, e la bionda brontolò non appena si sporse in avanti per raggiungere il telefono e rispondere.

Lo accostò all’orecchio e il tono in cui disse “Mamma?” fece pensare a Bellamy che forse non avrebbe dovuto ascoltare.

Clarke sembrava non essersi accorta del braccio del moro ancora conficcato sotto di lei, nonostante avesse la maglietta sollevata e adesso la mano di Bellamy le stava toccando la pelle morbida del torso.

Lui finse di essere addormentato ma Clarke non lo stava nemmeno guardando.

“Aspetta, di che stai parlando?” chiese alla madre, dall’altro capo del cellulare. “No, non puoi venire e rimanere.”

Sospirò profondamente.

“Non questo weekend, neanche il prossimo – Bellamy e sua sorella alloggiano qui; non ci sono camere libere.”

Bellamy sperò che la bionda non avesse percepito lo shock scorrergli attraverso le dita al suono del suo nome.

“Per favore, non…”

Ci fu una pausa.

“Lui è il mio – oh. Oh, Thelonious te l’ha detto, vero?”

Cazzo. Naturalmente Jaha l’aveva detto alla madre di Clarke. Erano amici. Che cosa sarebbe successo se Clarke le avesse confessato la verità? Lui era così –

“Beh, non credo siano affari tuoi.”

Bellamy ebbe una mezza idea di abbracciarla forte, come se l’enormità della sua gratitudine potesse essere espressa dalla vicinanza dei loro corpi.

“Non posso venire il quindici, sarò in Grecia” disse Clarke, buttandola in caciara. La bionda si lamentò.

“Sì, mamma, hai sentito bene. Grecia. La Guerra di Troia, hai presente? Io…sì, è dove Thelonious porterà i nuovi membri – è per questo che ci andiamo.”

Clarke sospirò, posando nuovamente la testa sul cuscino.

L’arto falsamente assopito di Bellamy scivolò più vicino al dolce fianco di lei. “Bellamy ci va. Beh, sono stata invitata, no?”

Attraverso le sopracciglia socchiuse, il ragazzo intravide Clarke mordersi il labbro. “Troppo presto?”

Si lasciò scappare una risatina amara.

“Ultimamente non sei stata molto presente.”

Si fece tutto più tranquillo, tanto che il moro riuscì ad ascoltare la voce della signora Griffin da dietro il telefono: “Bene, allora, parlami di lui. Del tuo Bellamy.”

Il suo cuore batté più velocemente.

Lo stratagemma aveva avuto effetto se le persone iniziavano a pensare a lui come ‘il Bellamy di Clarke’.

“Parlarti di cosa? Che vuoi sapere?”

La bionda gli lanciò un’occhiata ma lui ebbe il buon senso di continuare a fingere di dormire.

“Beh, è uno storico – e uno bravo; sai che genere di talento predilige l’Ark. Si è laureato con il massimo dei voti mentre lavorava e si prendeva cura di sua sorella, Octavia. È fantastica anche lei, mamma. Se la cava perfettamente, capisce al volo. Uh…” si morse di nuovo il labbro.

“È abbastanza alto, ma non alto come lo era Wells.”

La sua voce si soffermò sul nome ‘Wells’ e Bellamy si chiese chi fosse e perché parlasse di lui al passato.

“Ha i capelli scuri e le lentiggini ed è probabilmente più simpatico quando sorride. Ma è anche un nerd assoluto. Tipo, può leggere qualcosa sull’Antica Grecia e passare il resto del suo tempo ad analizzare Homer Simpson e lui lo ama davvero, davvero tanto. Io…”

La mamma di Clarke disse qualcosa di quasi inudibile. Bellamy realizzò cosa avesse chiesto solo dopo averlo ripetuto mentalmente.

Lo ami?”

Clarke esitò. “Io…”

Non sembrava aver capito quanto lontano potesse andare avanti con le bugie. “Amo chi sono quando sto con lui e come mi sento quando siamo insieme. Amo chi sto diventando grazie a lui. Ha senso?”

Bellamy avrebbe voluto dirle che l’amore non doveva avere per forza un senso – poi realizzò che lei lo sapeva, che stava recitando una parte per il bene di sua madre e che stava specificatamente dichiarando tutto ciò per evitare di mentirle. Clarke Griffin non odiava nessuno più di Bellamy Blake.

Non ne erano consapevoli entrambi?

“Sì, mamma. Sono felice.”

La madre di Clarke disse qualcos’altro ma Bellamy non era più concentrato a origliare.

La ragazza s’irrigidì.

“No, grazie. So bene cosa è giusto per me.”

Un secondo dopo, aggiunse: “No, mamma. Devo andare.”

Terminò la chiamata, posando il cellulare sul comodino e affondando nuovamente dentro il letto; il tutto con la mano di Bellamy ancora arpionata contro il suo stomaco.

La bionda sospirò, probabilmente più per soddisfazione personale che per amarezza e poi chiese debolmente: “Quanto hai sentito della conversazione?”

Bellamy sollevò le sopracciglia.

“Buongiorno, Clarke.”

“Non sei così bravo come attore, Bellamy.”

Lui le diede un colpetto sull’addome con la mano incastrata.

“Sono bravo abbastanza da fingere di amarti.”

Lei gli fece l’occhiolino. “Touché.”

Dopo un momento, gli domandò: “Seriamente, quanto hai sentito?”

Il moro alzò le spalle.

“Solo qualcosa. Non lo so – un po’. Tutto.”

Gli occhi di Clarke guizzarono lungo la camera.

“Sì, beh, adesso sai che non ho esattamente la migliore delle relazioni con mia madre.”

Bellamy, girandosi su un fianco per guardarla meglio, annuì.

“Devo ammettere che è vero.”

Eppure, il ragazzo non le chiese il perché. Non le chiese una ragione.

Se lei voleva dargliela, gliel’avrebbe data a tempo debito e non prima di quel momento.

Bellamy realizzò quanto spesso dovesse ragionare a quel modo con Clarke.

Lei si alzò dal letto, quindi la mano del moro ricadde sul lenzuolo.

Quando raggiunse la porta, si voltò verso di lui, con una smorfia di disappunto sul viso.

“Che c’è, Principessa?”

La bionda alzò le spalle.

“Thelonious è uno spione.”

Quattordici ore dopo, Clarke era tornata a letto.

Aveva raccolto i capelli dentro una crocchia disordinata e aveva ammassato quattro enormi fascicoli sul lato di Bellamy, ognuno di essi inerente a un caso diverso.

Octavia cenava con Raven e probabilmente sarebbe rimasta a dormire da lei – aveva accennato a una certa discoteca di cui il fratello non era proprio un grande fan – e Bellamy era stato via tutto il giorno.

Clarke, del resto, era stata troppo occupata per scrivergli un messaggio e, inoltre, non era davvero la sua fidanzata.

Che importanza aveva se non era ancora tornato a casa – merda, erano davvero le undici di sera?

Clarke si promise che si sarebbe concessa solo altri trenta minuti (era occupata, comunque, perciò non è che desiderasse avere Bellamy tra i piedi a distrarla) prima di chiamarlo e di controllarlo.

Era quello che qualunque amico responsabile avrebbe fatto.

Ciononostante, cinque minuti dopo, sentì la porta d’ingresso aprirsi e la voce di Bellamy pronunciare un: “Clarke?”

“Sono qui – in camera!”

Bussò. “Sei presentabile?”

“Sempre. Vieni e smettila di tergiversare. Devo lavorare.”

La faccia di Bellamy spuntò da dietro la soglia, con un sorrisetto.

“Ne sono consapevole.”

Entrò in camera, dando un colpetto alla porta con il fianco, tenendo in mano un sacchetto con del caffè caldo.

“Raven mi ha detto che hai una cosa come quattro casi aperti, quindi ho pensato di portarti un regalo per tirarti su. E di far riposare la macchina dell’Espresso in cucina.”

La bionda mise da parte i documenti e lo guardò con un sorriso, caldo e genuino. 

Si piegò in avanti per afferrare la tazza di caffè che il moro le stava allungando. 

Lui ne tirò fuori un’altra, la propria, dal trasportatore di cartone e la posò sul tavolo – accanto alle altre cose random che collezionava.

“Sono uscito con Nate, abbiamo mangiato una pizza. Stavo per scriverti…”

Clarke sorseggiò il caffè e gli sorrise.

“Tutto ok. Confidavo nel fatto che non fossi morto in un fosso” aggiunse, sollevando la tazza delicatamente.

“Era il minimo che potessi fare” rispose Bellamy.

Il ragazzo si tolse le scarpe con un calcio e si levò la maglietta da sopra la testa, ma si fermò prima di abbassarsi i pantaloni.

“Non ti dispiace se rimango qui, vero? Mi metterò a leggere qualcosa sulla mitologia o altra roba. Ma non voglio disturbarti se stai ancora lavorando.”

“No” disse Clarke “va bene. Ho fatto comunque abbastanza, per oggi. Il mio cervello non ne può più di elaborare dati.”

Diede un altro sorso al caffè, prima di posarlo sul comodino.

“Magari puoi raccontarmi qualche mito. Sono sicuramente più interessanti di questi” sottolineò, afferrando i documenti e spostandoli per terra. “Dai, dov’è il tuo libro?”

Bellamy rise, giudicando l’intera situazione ridicola; eppure, scavò dentro il borsone e le trovò il libro sui miti.

Clarke iniziò a sfogliare le pagine, mentre il moro si toglieva i pantaloni.

Quando salì sul letto di fianco a lei, notò che la bionda stava leggendo la storia di Atena.

“Sei troppo prevedibile, Principessa.”

Clarke sollevò un sopracciglio. “Cosa? Mi piace, Atena! E allora?”

Bellamy alzò gli occhi scuri al cielo.

“Sì, tu e l’altra metà dei fan di Percy Jackson.”

“Sai, per essere qualcuno che conosce la trama di Percy Jackson, dovresti sapere che Atena ricopre un ruolo piuttosto importante nei suoi libri.”

Lui sogghignò. “Ok, certo.”

Bisticciarono per qualsiasi cosa, dal rapimento di Persefone al sacrificio di Estia che aveva donato il suo trono sull’Olimpo a Dioniso, ma concordarono sul fatto che Zeus fosse, nel complesso, un padre terribile.

“Almeno ha lasciato ai figli un destino grandioso” disse Bellamy, amaramente. “Il mio se l’è squagliata non appena ha potuto.”

Clarke distolse lo sguardo. “Il mio è morto.”

Bellamy si voltò verso di lei, a bocca aperta. “Cosa?”

Clarke annuì.

“Di solito, gli uomini che amo fanno sempre una brutta fine” sussurrò aspramente.

Gli occhi del ragazzo cercarono quelli azzurri della bionda.

“Che vuoi dire?”

Con un sospirò, Clarke spiegò.

“Mio padre è morto quando avevo sedici anni.”

Bellamy aprì la bocca per scusarsi ma Clarke gli parlò sopra.

“Aveva scoperto una serie di operazioni illegali da parte di alcuni dirigenti dell’Ark. Li avrebbe denunciati alla stampa. Ovviamente la cosa non piacque a molti. Così, una sera, dopo il lavoro…qualcuno si assicurò che non fosse più in grado di tornare a casa.”

Il cuore di Bellamy si spezzò, fissandola.

“Jaha non…”

Lei incontrò il suo sguardo. “Non lo so.”

Sospirò nuovamente e continuò.

“Poi, durante l’ultimo anno di liceo, Wells, il mio migliore amico, il figlio di Jaha, fu scambiato per qualcun altro – durante una passeggiata. Una ragazza lo accoltellò al collo e lui morì e lei – lei ebbe la faccia tosta di dire che si era trattato di autodifesa.”

Clarke digrignò i denti.

“Conoscevo Wells meglio di chiunque altro. Lui odiava la violenza. La odiava.”

“Clarke, sono così…”

Era come se lei non potesse più sentirlo.

“E poi sono uscita con questo ragazzo, Finn. Beh, in realtà non ci stavamo ancora frequentando. Lui stava con Raven ma mi tenne nascosto questo minuscolo dettaglio e venne a letto con me mentre eravamo fuori in campeggio. Storia lunga. Comunque, si lasciarono e Finn s’innamorò di me.”

Clarke deglutì.

“Mi stava accompagnando in macchina, una sera, ed era troppo impegnato a guardarmi per vedere che la luce arancione di quel semaforo era diventata rossa. Lui continuò a guidare e ci scontrammo contro un autobus. L’autobus si capovolse. Non so come, noi no. Ma il lato della macchina di Finn…urtò contro l’autobus. Diciotto persone morirono, insieme a Finn. Tutto perché stava guardando me.”

Scrutò Bellamy, che si sorprese del fatto che la bionda si ricordasse ancora che lui fosse lì.

“L’ho ucciso, Bellamy. Ho ucciso Finn.”

E improvvisamente, tutto ciò cui Bellamy riuscì a pensare fu a una particolare notte di tanti anni prima, quando Raven si era presentata nel suo appartamento in lacrime, afferrando la bottiglia di Chiaro di Luna che Monty aveva dimenticato dentro casa.

All’inizio non gli aveva detto niente ma dopo aveva avuto bisogno di lui e l’aveva voluto in quel modo – cosa che lui le aveva permesso – e adesso tutto aveva molto più senso.

Bellamy non sapeva che fare, perciò la raggiunse e la strinse tra le braccia e Clarke pianse.

Il moro rimase talmente scioccato da quello che era appena accaduto che i pezzi del puzzle iniziarono a ricomporsi dentro la sua testa: il dolore della bionda alla vista di Jaha, l’identità di Wells e la ragione per cui ne parlava al passato, l’apparente debito di Clarke nei confronti di Raven, Lexa che lo avvisava che Clarke lo avrebbe protetto non permettendogli di amarla.

Ed era stato lui a trascinarla dentro tutto ciò.

Lei non avrebbe mai più avuto nulla a che spartire con l’Ark Enterprises se lui non gliel’avesse chiesto.

“Oh Dio, Clarke, mi dispiace tantissimo.”

Lei tirò su col naso. “Perché? Non eri tu alla guida dell’autobus e sono abbastanza sicura che tu non abbia nemmeno accoltellato il mio migliore amico.”

Il moro non sapeva cosa rispondere e non sapeva nemmeno se avrebbe voluto farlo.

Dopo un momento, Clarke gli domandò: “Perché sei cosi gentile con me?”

“Sono sempre gentile.”

“No, non lo sei.”

Bellamy le stampò un bacio sui capelli biondi. “Sono gentile con te.”

Clarke alzò la testa e lo guardò, realizzando che forse sì!, lo era davvero.

Le portava il caffè quando doveva lavorare e le preparava la colazione quando si svegliava tardi e le stava disegnando dei cerchi con le dita sulla schiena e le stava baciando la fronte invece dei capelli e perché quest’uomo impertinente e anarchico la faceva sentire a casa?

Gli occhi di lei incontrarono quelli di lui per un secondo, cercandoli, e poi la ragazza si sporse in alto e lo baciò.

Le loro labbra si sfiorarono e gli occhi di Bellamy erano aperti e lui stava sussurrando “Clarke…” con il tono più vulnerabile che lei avesse mai udito.

Sì, era stupido, e sì, era pericoloso, ma lei stava affogando sotto il peso di suo padre e di Wells e di Finn e Bellamy era l’unica persona che fosse in grado di tenerla a galla.

Perciò lo baciò di nuovo, più forte, con più urgenza, con la mano sul collo del ragazzo e, oh Dio, se solo il pollice di lei non fosse stato premuto nel punto in cui la mascella s’incontrava con l’orecchio, avrebbe potuto strangolarlo, ma forse sarebbe da sempre dovuta andare in questo modo – nel modo in cui le braccia di Bellamy erano strette attorno a Clarke, avvicinandola più che potevano.

Ma alla fine lui andò via, spostandosi.

E con voce rotta disse, respirando profondamente: “Non è in questo modo che volevo accadesse.”

Clarke sbatté gli occhi, fissandolo.

“Bellamy.”

Il moro scosse la testa, coprendosi la faccia con la mano.

“Clarke, sei sconvolta e non stai pensando lucidamente.”

“Io…”

Lui si sedette sul bordo del letto, guardando la parete al posto della bionda.

Il momento dopo, afferrò i pantaloni e li strattonò.

“Credo che dormirò sul divano.”

“Non devi…”

Serrando la mascella e chiudendo gli occhi, quasi come per trattenersi, Bellamy rispose: “No, dovrei eccome. Avremo un sacco di tempo per, uh, le chiacchiere da letto, in Grecia.”

Prese il suo cuscino, tanto per rafforzare il concetto e brontolò qualcosa sul trovare delle coperte extra dentro l’armadio.

Dopo un paio di passi verso la porta, si voltò verso la bionda, con espressione sofferente.

“Senti, Clarke, mi dispiace tanto. Uh…dormi bene.”

Infine, sgattaiolò fuori dalla stanza, lasciando Clarke con il libro sulla mitologia Greca e il pensiero che forse Bellamy Blake era in grado di fingere che lei gli piacesse meglio di quando credeva.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Sette

Garofani rosa o

Colpa delle Stelle

 

 

Clarke Griffin si risvegliò la mattina successiva, consapevole di tre cose.

Primo, doveva piantarla di posare i documenti per terra accanto al letto perché finiva inevitabilmente per calpestarli sempre, sempre, sempre.

Secondo, essendo ormai cresciutella, avrebbe dovuto smetterla di indossare la vecchia maglietta di suo padre per dormire.

Quella di adesso sfoggiava diversi buchi e qualche macchia, mentre sulle altre non era rimasto nemmeno più l’odore del genitore.

Terzo, sconvolta o no, baciare Bellamy le era piaciuto molto.

Il moro aveva trascorso tutta la notte sul divano, probabilmente in una posizione scomoda e disagevole.

Clarke aveva sentito Octavia rincasare la mattina presto ma i passi della ragazza si erano fermati non appena aveva visto il fratello.

“Perché stai sul divano? Che hai fatto?”

Bellamy si era lamentato, forse per il sonno, e aveva sussurrato: “Io, uh, sono rimasto da Nate fino a tardi. Non volevo disturbare Clarke.”

C’era stata una pausa, durante la quale la bionda aveva digerito la bugia.

Poi, Octavia gli aveva detto: “Sei così devoto, fratellone.”

E Clarke aveva quasi sorriso, assaporando il sapore amaro dentro la bocca.

Se solo Octavia avesse saputo.

Bellamy non era e non sarebbe mai stato minimamente interessato a lei.

Se lo fosse stato davvero, non sarebbe mai saltato giù dal letto come se qualcuno gli avesse dato la scossa.

Eppure, una minuscola parte di Clarke affermava che lui doveva volerle bene almeno un po’, in qualche modo, altrimenti non avrebbe mai risposto al suo bacio (e siccome l’intera vicenda bruciava ancora dentro la testa della ragazza, ne era assolutamente certa.)

Quindi, Clarke iniziò la giornata con la consapevolezza che Bellamy volesse dimenticare per sempre quello che era successo la notte precedente.

Si alzò e si fece una doccia ma era Sabato e non doveva andare al lavoro.

Sperando di evitare un’imbarazzante situazione con Bellamy o Octavia o entrambi i Blake, inviò un messaggio a Monty e gli chiese se voleva fare colazione con lei.

La risposta dell’amico cominciò con un MeravigliosoPer favore.

Per poi menzionare qualcosa sul fare anche uno spuntino.

Quando finì di vestirsi e di mettere le cose essenziali dentro la borsa, arrivò il momento di affrontare il resto della casa.

Dio, Clarke, riprenditi.

È il tuo appartamento. Qui tu sei la Principessa. Sei la Regina.

Bellamy doveva essersi cambiato la maglietta mentre lei stava ancora dormendo, dato che adesso ne indossava una nuova – notò la bionda quando gli finì addosso in cucina – letteralmente.

Teneva una tazza piena di caffè e la ragazza saltò via per evitare di macchiarsi la t-shirt bianca.

“Scusa” disse Bellamy, scuotendo dalla mano libera il liquido scuro.

“Devi smetterla di scusarti con me.”

Gli occhi del moro scattarono, incontrando i suoi.

Dopo una pausa, ripeté: “Scusa.”

“Faccio, uh, faccio colazione con Monty” annunciò Clarke, annuendo alle sue stesse parole ed evitando di guardare Bellamy.

“Oh – vuoi un passaggio?”

Doveva anche smetterla di dirle cose del genere. Doveva smetterla di fingere di essere carino quando non c’era nessuno in giro.

“Veramente possiedo una macchina” replicò Clarke, forse troppo duramente. “Non ho avuto molte occasioni per guidarla, ultimamente, ma sta ancora dentro il garage al piano di sotto.”

Bellamy serrò la mascella. “Clarke, io…”

“Dio, è già così tardi?” lo interruppe la bionda, fissando l’orologio a muro dietro le spalle del ragazzo.

“Ho detto a Monty di vederci verso le dieci. Devo sbrigarmi se voglio arrivare in tempo.”

Si voltò per uscire ma Bellamy la raggiunse e la trattenne per un polso.

Lei roteò su se stessa, affrontandolo.

“Possiamo parlare?” le chiese.

Clarke strinse le labbra.

“Avremo un sacco di tempo per le…chiacchiere da letto in Grecia, no?”

Lui apparve sofferente.

“Clarke…”

“Devo andare da Monty.”

Quindi lui la lasciò e lei andò via.

Clarke scoprì che il The Dropship era un locale tremendo per ascoltare la musica, ma un posto abbastanza decente dove mangiare.

Lei e Monty si sedettero vicino alla porta, accanto a una radio mezza rotta che trasmetteva canzoni oscene.

Quando un cameriere che portava al petto un cartellino con la scritta Myles  la spense, Clarke e Monty rimasero in parziale silenzio.

Non era insopportabile ma finirono per parlare lo stesso.

Clarke iniziò volontariamente dal colpo di scena.

Infatti, afferrando la colazione, annunciò: “Ho baciato Bellamy.”

Monty fece cadere la forchetta, quasi sul punto di soffocare.

Fissò la bionda e balbettò: “C-cosa?”

Lei annuì.

“Ieri sera. Ha dato di matto e ha detto che avremmo dovuto smetterla ed è andato a dormire sul divano.”

Monty continuò a fissarla, in silenzio.

“Tu…hai baciato Bellamy. Bellamy Blake. Bellamy Blake lo stronzo che non sopporti. Quel Bellamy Blake?”

Lei scosse la testa e sospirò. “Non è davvero uno stronzo.”

“Oh, sei arrivata a questa conclusione dopo solo una settimana di convivenza con lui?”

“Ho capito che non era un coglione prima di invitarlo a rimanere a casa mia” spiegò Clarke.

Monty la guardò come se fosse pazza.

“Ti ha fatto rompere tre dei nuovi piatti di Raven! Non ti ricordi a Capodanno?”

Poi aggiunse: “E perché hai detto ‘è andato a dormire sul divano’? Dove dormiva, prima?”

Clarke sorseggiò il suo caffè, alzando le sopracciglia e facendole ricadere velocemente in basso.

Monty brontolò. “Oh, andiamo, Clarke! Sua sorella sta letteralmente a due porte di distanza dal corridoio e non ti è venuto in mente di farli dormire insieme?”

La bionda posò la tazzina del caffè sopra il piattino.

“Volevo dare a Octavia un po’ di spazio.”

Dormendo con suo fratello?”

Alcune persone si voltarono verso di loro e gli occhi azzurri di Clarke catturarono quelli neri a mandorla dell’amico.

“Non puoi semplicemente esporre i fatti in questo modo! Stai…stai stravolgendo la verità e francamente è inutile. Dato che, per quanto riguarda Bellamy, potrebbe finire in qualunque momento – l’intera messinscena.”

Monty sollevò un sopracciglio. “Questo… suona tanto da relazione.”

“Non è vero” disse la ragazza. “Partiremo per la Grecia fra tre giorni e non so se riuscirò a far funzionare le cose.”

“Clarke, deve funzionare. Hai già mentito a tutti sul fidanzamento, inclusa tua madre.”

La bionda alzò gli occhi al cielo.

Thelonious l’ha raccontato a mia madre. È diverso.”

“Come?”

“Non lo è” ammise lei, sospirando e lasciandosi praticamente cadere sulla sedia. “Ma avevo la sensazione che io e Bellamy ci stessimo finalmente avvicinando, che stessimo diventando amici e ho rovinato tutto. Tipico di me.”

“Non è vero” la rassicurò Monty.

“Nate mi ha detto che Bellamy parla sempre e solo di te. E non come, tipo ‘la maledetta Principessa’.”

Clarke alzò il viso dalla colazione, invitando Monty a continuare.

“Ok, è fastidioso, però. – ‘È davvero tardi, forse dovrei scrivere a Clarke’ – oppure – ‘Dovrei pagare le bollette di Clarke mentre abito con lei?’ – , – ‘Clarke lo troverebbe così divertente’ –, – ‘Non ho idea di come risolvere questo problema, fammi chiamare Clarke’ –. A quanto pare,” concluse Monty “Nate ne ha fin qui” sollevò in aria una mano “di te e del fatto che tu l’abbia sostituito nella vita del suo migliore amico; quindi, se pensi di aver rovinato le cose baciando Blake, ti avverto che non l’hai fatto.”

Lei si prese un momento, poi sollevò le sopracciglia.

“Come fa Nate a sapere che Bellamy non sta solo facendo finta? Lui vuole davvero questo lavoro.”

La bionda non capiva perché mai qualcuno al mondo volesse lavorare per Thelonious Jaha.

Ma non erano affari suoi. Letteralmente.

“A Blake potranno anche piacere le tragedie Greche, Clarke, ma non è interessato a viverne una.”

Sperando di cambiare argomento, Clarke s’informò: “Perciò sei uscito parecchie volte con Nate?”

Monty annuì, fissando il proprio piatto.

“Voi due…?”

Lui scosse le spalle.

La bionda si sporse in avanti e gli prese un braccio, obbligandolo a guardarla. “Monty…”

“Ok, d’accordo!” confessò il ragazzo asiatico, come un bambino piccolo pizzicato a rubare i biscotti al cioccolato dentro la scatola. “Sì! Dalla scorsa settimana!”

“Stai scherzando” esclamò Clarke, con un sorriso smagliante stampato in faccia. “Perché non me l’hai detto prima?”

“Avevi già i tuoi bei problemi.”

“Oh, ma non erano importanti quanto questo” replicò velocemente. “Andiamo, com’è successo?”

Monty alzò le spalle.

“È successo e basta. Siamo andati nel suo appartamento e uno dei cavi elettrici era saltato perciò l’ho riaggiustato. Dopo che è tornata la corrente abbiamo finito per parlare di suo padre, non so perché. Si chiedeva se potesse essere fiero di lui – di Nate – e della sua omosessualità, e cose così. E allora, ovviamente, io ero tipo, Cosa? E lui era tutto un…Già.”

Clarke sollevò le sopracciglia. “È fantastico, Monty.”

Gli sorrise e annuì. “Sul serio.”

“Ma che farai tu, con Bellamy?”

Lei sospirò, abbassando lo sguardo e scuotendo delicatamente i capelli biondi.

“Hai mai pensato che forse eri destinata a baciarlo? E a tutta la faccenda con l’Ark!” suggerì lui, cogliendo un difetto nei loro calcoli.

“Tua madre è amica del futuro capo di Bellamy – cosa farai quando avrà ottenuto il lavoro? Improvviserai una separazione? Tutti quanti sono stati imbrogliati credendo che siete così innamorati! Fingerete una relazione a distanza? E se vuoi frequentare qualcun altro? Che…?”

“Non lo farò” sussurrò la ragazza, digrignando i denti.

“E non eravamo destinati a niente – Raven mi ha chiesto un favore e Bellamy era disperato ed io ho solo pensato di aiutare un amico. Non ho mai nemmeno parlato come si deve con mia madre per anni e non sapevo che Thelonious lavorasse ancora lì. Non ha mai fatto parte del dipartimento di Storia quando papà era vivo.”

Monty sospirò.

“Sì, tu e Blake dovreste prima fare un po’ di chiarezza tra voi.”

“Penso che abbia ricambiato il mio bacio” dichiarò Clarke.

Non era sicura del perché lo stesse dicendo all’amico, ma ne aveva bisogno.

“Mi ha baciato e poi non ha più voluto.”

Monty ci rifletté su.

“Parlane con Raven – è la psicologa di Blake. Oppure con Octavia.”

“Non chiederò a Octavia se piaccio a suo fratello, Monty.”

“D’accordo. Dico solo che hai voluto il tuo letto e adesso ci devi dormire. Con Bellamy, naturalmente.”

Clarke simulò una risata, spingendolo dall’altra parte del tavolo.

Più tardi la ragazza tornò a casa, trovandola con successo senza nessun Blake dentro.

Si versò un bicchiere di vino, dato che era sicura di meritarne uno, e si rannicchiò sul divano con un libro di Van Gogh sulle ginocchia che non ricordava di aver mai comprato – ma lo aveva fatto per forza, altrimenti per quale ragione era stato abbandonato sopra il tavolino da caffè?

Iniziò ad adocchiarne la bibliografia – magari era solo un vecchio dono di Raven, i cui soliti regali consistevano in gadget del computer, giochi di società o lingerie sexy – quando sentì il portone aprirsi.

“Oi, Bell, sei qui?”

Era la voce di Octavia e la ragazza si trascinò svogliatamente in salotto dentro gli anfibi neri.

“Bell?”

I suoi occhi si posarono su Clarke.

“Oh, scusa. Bell non è casa, vero?”

Clarke scosse la testa. “No. Che succede?”

Octavia sospirò. “Ho un appuntamento e volevo che mi accompagnasse.”

“Oh, un appuntamento? Con chi? – Se non ti dispiace dirmelo.”

Octavia si sedette su uno sgabello, togliendosi gli stivali.

“Uh, ho conosciuto questo Terrestre di nome Lincoln a casa di Raven e dobbiamo andare o a fare un’escursione o a giocare a Paintball; uno dei due.”

Clarke sollevò un sopracciglio, mettendo da parte il libro.

“Sembra fantastico. Hai detto che ti serve un passaggio?”

La mora si drizzò entusiasta, intuendo dove voleva andare a parare la bionda. “Non è vicino – voglio dire, Bellamy probabilmente sarà già tornato per quell’ora. Non devi preoccuparti.”

Clarke scosse la testa.

“Non mi preoccupo. Ti accompagno.”

“La Principessa ha una carrozza?” domandò Octavia e Clarke non era sicura se si trattasse di una presa in giro o di un complimento.

“La Principessa ha una biga” rispose. “Dimmi quando sei pronta.”

Bellamy era arrivato a casa di Miller da circa un’ora, quando si era ritrovato non solo di fronte a Nate, ma anche dinanzi a Monty.

I tre ragazzi avevano lasciato l’appartamento e si erano rintanati dentro Achille, la macchina dei Blake, per comprare dei fiori a Octavia, visto che il moro aveva scoperto da una fonte piuttosto attendibile alla Brown – una sorta di uomo eccentrico, chiamato Shumway, che lavorava per il preside – che la sorella aveva superato a pieni voti gli esami.

“Ovvio” commentò Miller, una volta messo al corrente della situazione.

“La tua è una famiglia di geni.”

Bellamy annuì e mantenne il sorrisetto per il resto del viaggio.

Il negozio di fiori era luminoso e ben rifornito; l’odore talmente travolgente che dopo nemmeno dieci minuti Miller iniziò a starnutire ed era decisamente allergico a qualcosa.

Monty stava per lasciare la bottega assieme al ragazzo quando una voce familiare lo attirò.

“Monty?”

Il cinese si voltò, seguito da Bellamy e Nate.

“Maya.”

Maya” ripeté Bellamy, quasi immediatamente, rendendosi conto di trovarsi nella merda.

“Oh, ciao, Bellamy” rispose Maya, immobile lungo il corridoio elegante, con un dolce sorriso sul viso quadrato.

Indossava un maglioncino rosa e dei pantaloni color crema, spostando lo sguardo dal moro a Monty.

“Voi due vi conoscete?”

Bellamy sbatté le palpebre, fissando di rimando lei e il ragazzo orientale.

Voi due vi conoscete?”

Maya annuì lentamente. “È stato il coinquilino del mio fidanzato.”

“E prima di quello, il dirimpettaio” aggiunse Monty. “Io e Jasper ci conosciamo da una vita.”

“Monty ha conosciuto Nate che conosceva me” spiegò Bellamy a Maya.

Era quasi la verità.

Monty era anche un amico di Clarke ma non c’era bisogno di confessare tutto. Tentando di dirottare la conversazione, sollevò l’indice della mano destra ruotandolo attorno a loro.

“Cosa ci fai qui?”

Scoprì che Maya stava frequentando un corso d’arte come incremento della galleria e aveva bisogno di fiori per un ritratto che rappresentasse il decadimento e il rinnovo.

Clarke l’avrebbe adorato e ne avrebbe discusso per ore con Maya, se fosse stata lì con loro: sulle scelte dei colori, il materiale da utilizzare.

Bellamy strinse le labbra. Non era venuto là per pensare a Clarke.

“Cosa mi dici di te? Stai preparando una sorpresa a Clarke?”

Tornò alla realtà. “Cosa?”

“Sì” rispose Monty, più veloce di Bellamy a reagire.

“Sta facendo un regalo alla sorella per celebrare i suoi grandiosi esami di metà trimestre e uno per Clarke. Perché è un tontolone. Vero, Bellamy?”

Il moro serrò la mascella ma Maya replicò prima di lui.

“Oh, è fantastico!” e afferrò un bouquet di eleganti garofani rosa.

“Penso che a Clarke potrebbero piacere – ma comunque, la conosci meglio di me.” 

Il suo telefono squillò e dopo averlo tirato fuori dalla giacca, annunciò: “È Jasper. Devo andare – gli dirò che ci siamo incontrati, Monty, e congratulazioni per gli esami di tua sorella, Bellamy!”

E scappò via, senza nemmeno i fiori per il dipinto.

Il silenzio calò tra i tre ragazzi: Bellamy, Monty e Nate.

Dopo un momento, Nate scoppiò. “Prenderai i fiori a Clarke?”

Bellamy lo squadrò. “Scusami?”

“Dovresti comprare a Octavia delle campanule o qualcosa del genere e a Clarke quel bouquet.”

“Perché dovrei comprare dei fiori a Clarke?”

“Non lo so” s’intromise Monty “perché ti ha baciato e tu hai pensato bene di lasciare la stanza?”

Nate abbassò la testa verso il pavimento lucido e Bellamy si concentrò su Monty. Era pallido.

“Te l’ha detto lei?”

“È vero?” lo pressò il ragazzo orientale.

“Naturale” ripose Bellamy, le labbra scure in confronto all’espressione cerea.

Nate non sembrava particolarmente colpito.

“Problemone, hai baciato Clarke – possiamo parlare d’altro, adesso?”

“Perché sei tanto menefreghista su questo?” chiese Monty, avvicinandosi al fidanzato.

“Non è stata una grande sorpresa che sia successo.”

“Davvero?” domandò Bellamy. “Io ero abbastanza scioccato.”

Nate alzò le spalle.

“Era prevedibile. Adesso compra alla tua finta ragazza quei cavolo di garofani e prendi a tua sorella qualcosa di abbastanza delicato e potente da uccidere qualcuno, prima che mi stufi.”

 

 

“Che cosa significa che non è qui?” sollecitò Bellamy.

Fortuna che aveva già lasciato un bouquet sul letto di O e uno su quello di Clarke, perché ciò che la bionda gli aveva appena riferito lo avrebbe fatto desistere.

“Significa esattamente questo” rispose Clarke.

Da quando lui era tornato a casa, lei aveva a malapena alzato gli occhi dalla biografia di Van Gogh.

Bellamy imprecò avvicinandosi al divano, dove strappò alla ragazza il libro di mano, tenendole il segno con un dito.

“Dove è andata?”

“Aveva un appuntamento” scattò Clarke, chiaramente arrabbiata, giacché le aveva appena confiscato il suo libro-barriera.

“Un appuntamento?” Bellamy sollevò un sopracciglio. “Non conosce nessuno in città. Con chi sarebbe uscita?”

Clarke scosse la testa.

“Un Terrestre di nome Lincoln? Non lo so – ”

“È uscita con un Terrestre? Clarke, li hai visti; sai come sono – ”

“ – Sono minacciosi da morire” ammise Clarke. “Ma anche Octavia. E mi sono accertata che avesse il tuo numero, il mio numero e quello di Raven – in caso di emergenza – e il nostro attuale indirizzo, se per caso le servisse.”

Bellamy, calmatosi, la guardò.

“Suona tanto da mamma, Principessa.”

Lei alzò le spalle. “Meglio essere prudenti che dispiaciuti. Adesso posso avere indietro il mio libro?”

Lui si lamentò.

“Non è il tuo libro. È il mio.”

“Non è vero – ma di che stai parlando?”

“Leggi la prima cazzo di pagina, Clarke.”

Poi il moro le mostrò la pagina in questione, dove era stata incisa una piccola iscrizione: Proprietà di Bellamy Blake.

La bionda chiuse la bocca, stizzita.

“Beh, in questo caso, posso riavere indietro il tuo libro?”

“Stava sul tavolo perché lo leggevo stamattina” rispose attraverso una facciata da mascella serrata.

In realtà era felice che potessero parlare normalmente come sempre.

“C’è uno speciale programma di storia su Augusto” negoziò Clarke.

L’aveva sentito la scorsa settimana, al notiziario delle dieci.

“So già tutto quello che c’è da sapere su di lui” disse il ragazzo.

Eppure, quasi immediatamente, aggiunse: “Probabilmente dovrei guardarlo.”

Clarke annuì e come Bellamy si sedette sul divano, le porse il libro con una sola, rapida occhiata.

Lei lo prese e si avviò in camera.

La prima cosa che notò, dopo aver scoperto che il moro le aveva tenuto il segno, fu il bellissimo bouquet di fiori rosa.

Non sapeva il loro nome, ma li aveva notati un giorno dalla vetrina del fioraio e probabilmente profumavano di fresco e di dolce.

Posò il suo libro – il libro di Bellamy – sul letto e raccolse il bouquet.

Vi era attaccato un biglietto, scritto a mano con dell’inchiostro nero.

Ehi – scusa per aver reso le cose strane la notte scorsa. Ho reagito come un idiota ma smetterò di scusarmi, adesso. Buon mesiversario (suona come una stupidaggine – perché la gente lo scrive? E in realtà sono passati alcuni giorni più che un mese, ma a chi frega) alla miglior finta fidanzata che abbia mai avuto. Non vedo l’ora di disseppellire antiche civiltà e leggere libri di storia e rilassarmi a bordo piscina con te – Bellamy.

Clarke si ritrovò a sorridere come si doveva per la prima volta in quella giornata. 

Non lo riteneva un tipo da fiori a sorpresa, ma comunque, lo aveva visto portarne un mazzo anche nella camera di Octavia – da qui l’inizio della discussione sul lei non è a casa – quindi forse era uscito con l’intenzione di comprare dei fiori alla sorella ed era tornato a casa con un mazzo in più.

Clarke decise che Chi lo sa? Chissenefrega? e avvicinò i fiori al viso per annusarli.

“Clarke, devi proprio venire a vedere…”

Bellamy si affacciò alla stanza da letto con le mani sulla porta. “Hai trovato il bouquet.”

La bionda annuì. “Sono bellissimi.”

Lui annuì di rimando. “Lo sono.”

Dopo una breve pausa, le chiese se voleva guardare lo speciale documentario su Augusto con lui. “Stanno per parlare di sua sorella.”

Clarke sollevò un sopracciglio.

“Ottavia” suggerì Bellamy.

“Una coincidenza pazzesca” disse la ragazza.

Bellamy scosse la testa.

“Mia madre mi ha lasciato decidere il nome ed io ho scelto Octavia.”

Alzò le spalle. “Ero un bambino; avevo appena letto la storia di Augusto.”

La bionda roteò gli occhi, sorridendo. “Naturalmente.”

Mise i fiori accanto a lei e si alzò. “Credo che lo guarderò con te.”

Bellamy sembrò piacevolmente sorpreso.

Clarke lo condusse fuori dalla stanza, aggiungendo: “Chiunque abbia una sorella di nome Octavia deve essere per forza un bravo ragazzo.”

“Questa era piuttosto sdolcinata, Clarke.”

Lei poteva immaginare il sorriso nella voce del moro e lui poteva percepirlo in quella della bionda, quando gli disse: “Non mi riferivo a te.”

“Mi ferisci.”

“Ok, Augustus.”

Ci fu un momento di confortevole silenzio; poi, Bellamy le domandò: “Avevi intenzione di citare John Green?”

Clarke sbatté gli occhi blu. “ No, ma l’ho fatto comunque.”

“È stato grande.”

“Come Alessandro Magno?”

Si buttarono sul divano e Bellamy avvolse la ragazza con un braccio, ridacchiando.

“Lascia la storia a me.”

“Ma se sono uno spasso.”

“Principessa” sospirò, “sei sicuramente qualcosa.”

Cinque ore dopo, Octavia fece il suo ingresso (era talmente tardi da sembrare mattina) e la testa assopita del fratello moro era ancora appoggiata sulla spalla destra di Clarke.

La televisione si era spenta da poco ma la bionda era rimasta seduta in silenzio senza muovere un muscolo.

“Com’è andata?” sussurrò entusiasticamente, sorridendo a Octavia.

La brunetta le si fermò accanto. “Bene, sì. È piuttosto figo.”

“Paintball o escursione? Quale avete scelto, alla fine?”

Octavia fece una smorfia compiaciuta.

“Paintball. E l’ho preso a calci nel culo. Ci rivedremo tra qualche giorno quando avrà finito con la galleria.”

Fece una pausa. “Mio fratello è stato, come dire, estremamente territoriale quando ha saputo dov’ero?”

Clarke aggrottò la fronte.

“Di solito lo è” spiegò Octavia. “Quando mi sono messa con un ragazzo al liceo – a quel tempo vivevamo insieme – è diventato pazzo. Quasi un militare.”

Roteò gli occhi. “Mi ha resa più furtiva.”

Clarke rise di cuore.

“Vado a letto, va bene?” Octavia le sfiorò la spalla con il pollice. “Notte, Clarke.”

“Notte, Octavia.”

Quando la porta della camera di Octavia si chiuse dietro di lei, Clarke fissò il ragazzo addormentato sulla sua spalla.

Non era un ragazzo, in realtà, ma un uomo, e c’era una bella differenza, ma quando la bionda pensava a un uomo, lo pensava sposato con figli e nel bel mezzo di una potenziale crisi di mezza età.

Pensava anche alla barba e al pericolo e al padre morto.

Forse perché nessuno dei ragazzi che aveva amato nel corso della sua vita era cresciuto abbastanza da diventare un uomo.

Forse perché Bellamy sembrava così pacifico, molto meno inquieto di quanto fosse in realtà.

Gli diede un colpetto con delicatezza. Lievemente, sussurrò: “Bellamy.”

Lui non si mosse.

Bellamy.”

Tentò un altro paio di volte, finché il moro non si svegliò borbottando.

Senza aprire gli occhi, chiese intontito: “Cosa?”

“Octavia è a casa.”

“Mmkay.”

“E io devo andare a dormire perché sono molto stanca. E anche tu lo sei.”

Bellamy sbadigliò. “Non so di cosa parli.”

Clarke rise. “Forza, portiamoti a letto.”

“Dormirò sul divano” disse, ancora con gli occhi chiusi.

“Stupidaggini. Andiamo.”

Lui la assecondò e lei lo fece appoggiare con il braccio a mo’ di stampella.

Quando raggiunsero la stanza, Bellamy praticamente collassò sopra il letto.

“Attento a non schiacciare i miei fiori.”

“Sono contento che ti piacciano, Clarke.”

“Certo che mi piacciono” rispose lei. “Non puoi addormentarti con i jeans, te ne pentirai non appena ti risveglierai. Anzi, probabilmente presto.”

Bellamy si lamentò. “Smettila di farmi da mamma.”

“Non ti sto facendo da mamma.”

“Cosa stai facendo, allora?”

Clarke s’interruppe. “Non lo so, ti sto facendo da amica?”

Bellamy grugnì. “Mi stai facendo da fidanzata” decise, aprendo a malapena un occhio.

“Devo spogliarmi, Principessa. Non serve che tu faccia anche questo per me.”

“Credimi” mentì “è l’ultima cosa che voglio fare.”

Percorse la camera e afferrò il suo pigiama. “Vado a cambiarmi.”

“Non devi andare da nessuna parte” la fermò lui non appena la bionda si diresse verso la porta. “I miei occhi non sono esattamente aperti.”

Lei ci pensò su.

Bellamy si addormentò quasi immediatamente ed è per questo che Clarke decise che doveva essere esausto, ma lo avrebbe seguito poco dopo, appena il tempo di leggere il loro itinerario sulla Grecia.

L’aereo sarebbe decollato dopodomani.

Clarke realizzò che dovevano ancora fare i bagagli ma la sua mente stanca non riuscì ad allontanarsi da un unico, singolo pensiero – a parte la straordinaria bellezza del Mediterraneo.

Ci sarà un sacco di tempo per le chiacchiere da letto in Grecia.

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Otto

In viaggio o

How I met our mother

 

 

Ben cinque persone, ammassate all’interno di Achille, la macchina della famiglia Blake, raggiunsero l’aeroporto centrale di Londra.

Octavia li aveva seguiti per augurare buon viaggio a suo fratello e per ringraziare Clarke di averle permesso di sorvegliare l’appartamento nella zona più elegante della città.

Raven era l’unica persona di cui i Blake si fidassero abbastanza da lasciarle guidare la loro auto mentre Lexa, che si trovava assieme a Raven quando il trio dei Blake-Griffin era sopraggiunto, si era offerta di accompagnarli anche lei.

Alla fine, sia Bellamy che Raven avevano occupato i sedili anteriori, con Clarke, Octavia e Lexa schiacciate contro quelli posteriori a mo’ di sandwich.

Bellamy aveva usufruito della pausa dal lavoro del giorno precedente per rinchiudersi dentro la casa di Raven e per raccontarle, così, quello che era successo.

Aveva trovato anche Lexa, logico, e il ragazzo aveva avuto una mezza idea di domandare loro se si stessero frequentando, tipo Monty e Nate, ma il pensiero gli era scivolato di mente quando – una volta rivelato a Raven del bacio con Clarke – lei aveva alzato gli occhi al cielo e brontolato: “Sono l’unica a non aver mai limonato con quella ragazza?”

La mascella spalancata di Bellamy aveva raggiunto il terreno e il ragazzo aveva fissato Lexa, che nel frattempo stava ridacchiando, nascosta dietro alla sua stessa mano.

Lui doveva incarnare la perfetta personificazione del punto interrogativo, poiché il Comandante gli aveva suggerito: “Te l’avevo detto, no? Che parlavo per esperienza quando ti avevo avvisato riguardo a Clarke.”

Bellamy aveva mormorato un semplice “Uhm”, incapace di reagire sul momento ma una volta realizzata la situazione, aveva domandato confusamente: “Sei uscita con Clarke?”

Raven era scoppiata a ridere.

“È stata alle conferenze di simulazione dell’ONU con Clarke e si sono baciate una volta. Non so se questo abbia davvero contato come frequentazione.

“Non è giusto” decise Lexa, con un leggero incurvamento delle labbra. “Avremmo potuto.”

“Dovrei chiedere” disse Raven, annuendo a Lexa. “Pensi che sarebbe strano?”

“Cosa? Più strano di te e Clarke che avete avuto una fidanzata in comune?” aveva scherzato Lexa.

Bellamy aveva aggrottato le sopracciglia. “Ho ancora qualche amico etero?”

Raven aveva scosso le spalle. “Wick è etero.”

“Wow, grazie, Raven – esempio grandioso – il laureato in Ingegneria con cui sei andata a letto al college.”

Bellamy aveva serrato le labbra. 

“Abbiamo parlato una volta sola. Ma è così che abbiamo conosciuto Monty” lo contestò Raven, puntualizzandone l’aspetto positivo.

Era vero: Monty andava in un’altra università in città (assieme a Jasper, realizzò dopo Bellamy) e lui e Wick si erano conosciuti ai corsi di scienze della scuola. Tramite Monty, Raven aveva incontrato Clarke – che già conosceva Finn.

Ma riflettere su Monty lo fece pensare a Miller e per estensione a Clarke, portandolo al punto di partenza.

“Sì, ho baciato Clarke. Beh – no – Clarke ha baciato me e le cose si sono fatte imbarazzanti ma adesso sono tornate più o meno normali. Aiuto?”

Raven lo aveva fatto sedere sopra uno degli sgabelli in cucina e Lexa gli aveva versato da bere.

“Quindi” aveva iniziato Raven, sollevando delicatamente un sopracciglio. “Ti piace Clarke.”

Bellamy aveva compresso le labbra. “Non mi piace Clarke.”

Lexa aveva scosso le spalle, non credendo a una singola parola del moro. “Io penso che a te piaccia Clarke.”

“È una ragazza facile da gradire, il più delle volte” aveva aggiunto Raven. (Lei e Lexa si erano date il cinque, continuando a guardare Bellamy).

“Forse dovreste frequentarla voi due.”

Entrambe avevano scrollato le spalle.

“Probabilmente ti direi di comportarti in maniera normale” gli aveva detto Raven, dopo una lunga pausa.

“Tipo, torna a essere quello che eri prima di iniziare ad avere un po’ di sale in zucca. Goditi la Grecia con una bella ragazza, le sue tette grandiose e ringrazia il cielo di aver ottenuto il lavoro e di aver fatto credere a tutti che ti stai scopando Clarke.”

Lexa aveva annuito, a labbra serrate. “Potresti scopartela per davvero”, gli aveva suggerito. “Se capita l’occasione e siete entrambi d’accordo.”

Bellamy non lo avrebbe mai ammesso, ma da sotto le lentiggini era arrossito.

Si era schiarito la gola e aveva borbottato: “Giusto. Uh – sì. Buona idea.”

Raven aveva sollevato il sopracciglio, con un sorrisetto compiaciuto.

“La prima parte” si era corretto il moro, velocemente. “Non quello che ha detto Lexa dopo.”

E adesso si era ritrovato mentre stava abbracciando sua sorella e Raven, e Lexa non era tipo da abbracci perciò si erano limitati a scambiarsi un cenno convinto, finché non s’incamminò con un paio di valigie e la sua finta fidanzata all’interno dell’aeroporto.

Clarke si accostò più vicina al ragazzo, una volta raggiunto il bancone della reception, afferrando la mano di Bellamy e intrecciandone le dita tra le sue. Malgrado l’apparente imperturbabilità dinanzi all’inusuale gesto affettuoso, il moro scrutò la ragazza dagli occhi blu, sollevando leggermente le sopracciglia, incuriosito.

“Riesco a vedere Jasper e Maya” spiegò Clarke.

Lui le sorrise, come se lei gli avesse appena comunicato qualcosa in grado di ricordargli quanto profondamente la amasse.

Quando raggiunsero Jasper e Maya, Bellamy stava ancora sorridendo.

“Maya!” esclamò Clarke, emozionata. “Sei dei nostri anche tu?”

Maya fece un largo sorriso, annuendo. “Prendo lezioni di educazione artistica alla galleria, quindi non potevo perdere quest’occasione – finirò probabilmente per realizzare un’orrenda e vergognosa scultura di una qualche statua greca.”

Clarke scoppiò a ridere. “Bellamy mi aveva detto del corso d’arte ma adesso che vieni possiamo lavorarci su insieme. Ci terrà occupate mentre i ragazzi qui presenti saranno fuori a disseppellire Teseo.”

Bellamy aprì la bocca per correggerla ma la bionda lo precedette rapidamente: “Sì, Bellamy, so che tecnicamente Teseo è una figura mit…”

Poi si voltò verso Jasper. “Ho sentito che abbiamo un amico in comune.”

Gli occhi di Jasper s’illuminarono. “Monty! Sì! Che figata!”

Perciò iniziarono a discutere su quanto perfetto fosse Monty Green, finché Bellamy posò una mano sulla schiena di Clarke e mormorò: “Dobbiamo fare il check-in, Principessa.”

Maya si offrì di aspettarli mentre i ragazzi si univano alla fila ma Jasper desiderava un menù medio da Burger King – che si trovava al piano di sopra – e il ragazzo diventava abbastanza piagnucoloso quando voleva, perciò i due fidanzati si allontanarono insieme.

Clarke e Bellamy, invece, s’intrattennero chiacchierando piacevolmente con l’addetta al check-in, finché qualcuno non gridò “Clarke!” ghiacciando il sangue nelle vene della bionda.

Bellamy notò il sorriso scomparire dal volto di Clarke, contemporaneamente alla pronuncia del suo nome.

Non era sicuro del perché la donna che l’aveva chiamata – una donna dai capelli castani, si era reso conto solo adesso – era stata la causa di una tale reazione, specialmente se accompagnata da… oh, Cristo. Certo.

A procedere verso di loro, insieme a Thelonious Jaha, altri non era che la madre di Clarke.

Bellamy afferrò la mano della bionda, per la seconda volta, e le diede una stretta veloce.

“Mamma” disse la ragazza, chiaramente sorpresa.

La donna dai capelli scuri fissò prima la figlia, poi Bellamy, e infine le loro mani intrecciate.

“Abby, questo è Bellamy Blake” comunicò Thelonious alla mamma di Clarke, annuendo in direzione dello storico in questione.

“Il ragazzo di cui ti ho parlato.”

Abby annuì a sua volta e Bellamy sollevò le sopracciglia.

Dopo una pausa imbarazzante, il moro lasciò la mano di Clarke per stringere quella della donna, con un sorriso ingessato sul viso.

“Signora Griffin, è un onore.”

Abby allargò le labbra, quasi severamente, e accettò la mano di Bellamy.

Lo trafisse con gli occhi. “Per favore, chiamami Abby.”

“Mamma” ripeté Clarke, ancora congelata sul posto. “Che ci fai, qui?”

“Solo augurarti buona fortuna e vederti partire.”

Clarke non stava affatto sorridendo. “Vedere qualcuno partire comporta che tu lo abbia anche frequentato prima.”

Abby iniziò a scuotere la testa. “Tesoro, non qui…”

“Abbiamo già salutato tutti, vero Bellamy?” domandò la bionda, agganciandosi al suo braccio e guardandolo.

“Clarke, forse dovresti ritagliarti un po’ di tempo con tua – ”

“ – Octavia, la sorella di Bellamy, è venuta a salutarci” lo interruppe Clarke, girandosi verso la madre. “Va alla Brown ed è bravissima. Ti ho raccontato di lei al telefono. E Raven, e Lexa.”

L’espressione si fece dura come l’acciaio non appena disse: “Non mi pare ti sia mai piaciuta.”

“Non è questione di piacere, Clarke, ma di fiducia e io – ”

Bellamy si allontanò dalla ragazza per prenderle la mano. “Beh, lei e Raven sono molto felici insieme, quindi alla fine si è risolto tutto per il meglio.”

Abby alzò un sopracciglio.

Clarke strinse la mano di Bellamy più forte e lui tentò di ignorare il battito accelerato del cuore.

“Lexa esce con Raven? Raven Reyes?”

“Sì, mamma” rispose Clarke stancamente, nonostante lo avesse scoperto da appena un paio di minuti. “La stessa Raven Reyes che ti ha aiutato a sistemare un velivolo durante l’estate prima del terzo anno di college, adesso frequenta Lexa.”

Abby deglutì. “Oh, va bene.”

Thelonious, rimasto miracolosamente in silenzio durante l’intera discussione, si fece avanti.

“Dovrei controllare il resto del gruppo. Posso lasciarti qui, Abby?”

Abby annuì a Thelonious, a labbra serrate.

Clarke e sua madre continuarono a fissarsi e Bellamy avrebbe potuto tagliare la tensione con un coltello.

Apparentemente, i finti convenevoli venivano prima di quelli veri, in questa famiglia.

Almeno c’era ancora una famiglia.

“Quindi, Bellamy” proclamò Abby. “Lavorerai per l’Ark?”

Bellamy sollevò un sopracciglio. “Si spera” replicò.

Dopodiché, gli fece una serie di domande riguardo molteplici argomenti.

Gli chiese della sua occupazione, per quanto tempo sarebbe stato oltremare e dove sarebbe andato, quanti soldi avrebbe guadagnato e cosa avrebbero significato per i suoi amici, per sua sorella, per la sua fidanzata.

Bellamy non sapeva cosa gli sarebbe potuto scappare dalla bocca senza un’attenta riflessione, ma era consapevole dell’autenticità di ogni singola parola grazie a una fastidiosa e familiare secchezza che si era formata all’interno della bocca.

“Voglio stare con Clarke più di quanto io voglia lavorare con l’Ark, se è qui che la conversazione sta andando a parare.”

Non guardò la bionda, perché altrimenti sarebbe stato reale, perciò mantenne la concentrazione su Abby, anch’essa allibita.

“Vi lascio da sole” decise, dopo un momento. “È stato un piacere incontrati, Abby.”

Si piegò e stampò un bacio sulla guancia di Clarke. 

“Sarò da Burger King con Jasper e Maya. Vienimi a salvare il prima possibile.”

Clarke scivolò sullo sgabello del Burger King vicino a Bellamy, con uno sguardo omicida. Era il suo sguardo da dura, quello che indossava quando sentiva di stare per crollare.

“Come ha potuto intrappolarmi così.”

“Non penso intendesse farlo, Clarke.”

“Oh, ma questo non l’ha mai fermata prima d’ora” lo aggredì la ragazza, sempre a voce bassa, anche se Jasper e Maya stavano davanti al bancone a ordinare altro cibo.

“Lo fa sempre – e la cosa peggiore, questa volta, è che ha messo in mezzo anche te!”

Le sopracciglia di Bellamy si toccarono. “Che intendi?”

Clarke alzò gli occhi al cielo e Bellamy tolse velocemente le mani dalla schiena della bionda per paura che lei potesse scacciarlo.

“Ho pensato che le cose che hai affermato, di me al di sopra dell’Ark, siano state un tantino melodrammatiche ma comunque efficaci. Sfortunatamente, lei l’ha percepito come il segno che tu tenga a me più di quanto io tenga a te, perché se sei stato capace di farle un discorso del genere ed io non mi sono nemmeno mai degnata di menzionarti alla mia stessa madre” pronunciò le ultime parole in tono quasi sarcastico, “c’è sicuramente qualcosa di sbagliato nella nostra relazione.”

“Clarke, dubito fortemente che ci sia qualcosa di sbagliato nella nostra relazione, e se tua madre la pensa così, allora, forse, dovrebbe riesaminare quella che ha con te.”

Clarke sollevò un sopracciglio. “Ti rendi conto che sono qui solo per una vacanza gratis e per un’eventuale pomiciata, vero?”

“Divertente” rispose Bellamy.

“Già, specialmente la seconda parte. Comica. L’ultima volta che è successo, per poco non ti sei messo a piangere.”

Bellamy serrò la mascella.

“Non mi hai mai concesso il permesso di spiegarti.”

“Spiegare cosa?” s’intromise Jasper, tornando assieme a Maya e a un secondo panino.

“Niente” disse Bellamy.

Il volo verso Atene era un diretto: non si fermava, così come la recita che Bellamy e Clarke avrebbero dovuto portare avanti.

Si rilassarono un pochino sull’aereo ma erano in seconda classe, perciò non avevano a disposizione abbastanza spazio.

In più, tutti i sedili in prossimità del proprio posto erano occupati da un membro dell’Ark.

Nemmeno a dirlo, la mano di Clarke era rimasta dentro quella di Bellamy durante l’intero viaggio.

A un certo punto, lui si era addormentato contro la spalla di lei e la bionda si era accoccolata accanto a lui, stringendo forte la sua mano e lasciandosi circondare dalle braccia del moro.

Poi, quando entrambi erano si concentrati nel guardare gli intrattenimenti offerti dall’aereo – Bellamy CSI: New York e Clarke l’originario CSI: Las Vegas, perché sì, loro amavano CSI, e sì, CSI: Miami era il peggiore a causa di Horatio Caine e dei suoi occhiali da sole ridicoli, e no, loro non avevano ancora visto CSI: Cyber ma forse lo avrebbero fatto insieme – Clarke aveva posato una mano sopra il ginocchio di Bellamy.

Più tardi, quando la testa di Clarke era dolcemente seppellita contro il sedile, con gli occhi chiusi e il respiro regolare, Bellamy si era messo a studiarla, incuriosito. Erano talmente vicini che non avrebbe dovuto impegnarsi più di tanto per posare le labbra sui capelli biondi di lei.

La recita era andata avanti anche in aeroporto, con Bellamy che afferrava la loro valigia condivisa dal nastro trasportatore (Raven aveva detto che era una cosa che facevano solo le vere coppie malate – la valigia condivisa – ma Clarke si era sentita leggermente in imbarazzo al pensiero di Bellamy che guardava la sua biancheria intima, quindi, fortunatamente, si era impossessata di una valigia a doppio scomparto) e sul pullman, in direzione dell’hotel, con Clarke spaparanzata contro la schiena di Bellamy mentre chiacchierava con Marcus Kane.

L’hotel era straordinario; il tipo di posto che i genitori di lei avrebbero senz’altro adorato.

C’era inoltre una vista spettacolare dalla camera di Bellamy e Clarke, che si affacciava in direzione dell’Acropoli e del Partenone.

Dopo aver cenato con il resto del gruppo (erano rientrati in camera, entrambi parecchio esausti), Bellamy aveva raccontato a Clarke della Pallade Atena e della maestosa iconografia situata sul frontone occidentale del Partenone; opera che in quel periodo non era possibile osservare ma che se la bionda avesse potuto vedere, ne sarebbe rimasta certamente ammaliata.

Lei si era fatta pericolosamente vicina dal confessargli che era questo ciò che la ammaliava maggiormente: parlare con Bellamy del più e del meno e che forse era solo a causa della stanchezza mentale, ma ciò non rendeva i suoi sentimenti meno autentici.

Alla fine rimase in silenzio. Ad ascoltarlo.

Il moro chiese se la stava annoiando, una volta arrivato al mito di Demetra e Persefone e quando Clarke scosse la testa, lui tacque comunque.

“Cosa?” domandò Clarke, con gli occhi semichiusi.

Allungò una mano per istigarlo a continuare ma finì per tastargli il viso.

“Perché ti sei fermato?”

Bellamy espirò profondamente. “Dovresti parlare con tua madre.”

Clarke si ghiacciò.

“Stai rovinando una serata diversamente piacevole dicendomi questo perché?”

“Perché dovresti e sai che ho ragione.”

Clarke sospirò, voltandosi dalla parte opposta del letto.

“Non sai niente, Bellamy.”

Lui esitò un momento.

“So che riparando adesso il rapporto con tua madre ti eviterai una serie di conseguenze orrende che ti perseguiteranno se non lo farai.”

“Che diavolo significa?”

“Avere l’opportunità di passare del tempo con tua mamma e scegliere di non farlo è letteralmente la cosa peggiore che potresti commettere, Clarke.”

“E perché mai?” gridò lei, più forte di quando avesse immaginato.

“Perché alcuni di noi non hanno avuto quest’occasione.”

Rimasero in silenzio, finché la bionda non si girò dalla parte di Bellamy, comprensiva.

Le si spezzò il cuore a guardarlo.

“Bellamy, mi dispiace, non intendevo – ”

“ – Va tutto bene” replicò. “Solo… concedile un tentativo, Clarke. Almeno provaci, così potrai dire di aver fatto davvero il possibile.”

Clarke incontrò il suo sguardo; si contemplarono tacitamente.

Poi, sul volto di lei, apparve un piccolo sorrisetto e Bellamy le chiese il motivo.

“Perché sono qui ad Atene con te” affermò onestamente. “Un mese fa ci odiavamo.”

Il moro accartocciò il viso. “Uscivamo insieme un mese fa.”

“Già, ma vorrei ancora commettere un omicidio.”

“Mi pare giusto” disse Bellamy. “Io stavo scherzando sul veleno.”

“Sì, l’hai fatto.”

Clarke lo studiò sospettosa. “Ci odiavamo. Tu eri uno stronzo.”

Bellamy sogghignò.

“Sarai d’accordo con me sul fatto che io sia ancora uno stronzo. E tu sei ancora la Principessa.”

“Credo che a fare la differenza, qui” analizzò lei “sia il fatto che io sia nella tua stessa squadra.”

Bellamy sollevò un sopracciglio.

“Nessuno dei due è più solo, adesso” spiegò la bionda.

Dopo un minuto cambiò idea, scuotendo la testa.

“Non esattamente. Tu non – tu non sei mai stato solo…tu hai Octavia, e…”

“No, ho capito.” Bellamy si puntellò su un gomito e la guardò, intontito dalla stanchezza e dal jet lag.

Eppure, sarebbe rimasto sveglio altri cento anni se questo avesse significato parlare sinceramente con Clarke Griffin.

Lui non aveva mai amato le conversazioni profonde, ma con Clarke, nulla era lo stesso.

Siamo una squadra, tu ed io.”

“La Principessa e il suo cavaliere dall’armatura scintillante?”

Bellamy sorrise. “Non hai bisogno di un cavaliere, Clarke. Riesci a proteggerti benissimo da sola.”

“Questo non significa che io non voglia il tuo aiuto” replicò. “È faticoso governare un regno da soli, sai.”

“Forse non sono un cavaliere, allora” disse il moro, con un sorriso sghembo sul volto. “Forse sono il re.”

Clarke scosse la testa. “Sei troppo anarchico per essere un re.”

“Che c’è di male in un po’ di caos?”

“Tanto” obiettò la ragazza.

Bellamy si chiese se Clarke stesse pensando alla morte del suo migliore amico o all’autobus rovesciato. Forse stava solo pensando a lui.

Si schiarì la gola, augurandosi lo stesso per la sua testa.

“Uh – dovremmo dormire. Abbiamo la sveglia presto. Starai tutto il giorno con Maya?”

Clarke sospirò. “Non lo so – a che ora dovresti tornare?”

Bellamy si abbandonò a peso morto contro il materasso. “Non ne sono sicuro ma se t’impedisce di fare ciò che desideri, non pensare a me.”

“Ti dimentichi che sei il mio fidanzato, Bellamy. Sei tu che desidero.”

Forse era davvero stanca, ecco perché aveva formulato la frase in quel modo. Comunque sia, quelle quattro parole avevano continuato a vorticare all’interno del cervello di Bellamy per parecchio tempo.

Se solo fossero state vere. Se solo fossero appartenute alla vera Clarke e non all’attrice.

Smettere di fingere sarebbe stato un miracolo.

“Buono a sapersi, Principessa.”

Si schiarì nuovamente la gola non appena Clarke spense l’interruttore del lume accanto al comodino.

Sarebbe stato facile allungarsi e baciarla adesso, solo per il gusto di augurarle la buonanotte – ma no.

Lei non voleva; lei non voleva lui e non c’era nessuno attorno per costringerla a recitare. Dio, cosa gli stava succedendo?

“Ci inventeremo qualcosa domani a colazione, ok?”

Clarke sospirò contro il cuscino, spalancando gli occhi blu dopo averli tenuti chiusi.

“Ok, Bellamy.”

“Notte, Clarke.”

Una pausa infinita e poi: “Notte, Bellamy.”

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Nove

Dalla Grecia con il jet lag o

Baci rubati

 

 

Bellamy Blake era solito svegliarsi sempre all’alba.

Eppure, quella sua abituale routine quotidiana sembrava essersi ormai consolidata unicamente nell’appartamento di Clarke Griffin; letteralmente dall’altra parte del mondo.

Quando, alla fine, i suoi occhi si aprirono, sbattendo stancamente le palpebre, un paio di volte di troppo, percepirono il presagio di un lenzuolo vuoto e di un tavolino estraneo ai piedi del letto.

Nessuna Clarke assonnata cui dare il buongiorno.

Le mani del moro continuavano a stringere, febbrili, le coperte di lino bianco che, nonostante la pregiata e rinomata tessitura variopinta, non erano poi così morbide come la striscia di pelle fredda, tra la canottiera e i pantaloncini di cotone, che la bionda indossava per dormire.

O che aveva indossato, piuttosto, fino all’altra sera, quando una camicia da notte color salmone era comparsa al suo posto, tutta seta e pizzo…

“Stavo iniziando a preoccuparmi di dover fare colazione senza di te.”

Bellamy si voltò al suono della voce di Clarke e la trovò in piedi accanto alla finestra, ancora dentro quella dannata camicia da notte, con le tende aperte e il cellulare stretto tra le mani.

“Mi dispiace se non sono abituato ai viaggi quanto te” si lamentò.

Trattenendo uno sbadiglio, aggiunse: “Miller non scherzava riguardo al jet lag.”

Clarke rise. “Vieni e guarda.”

Bellamy si tirò giù dal letto e fece qualche passo in direzione della bionda.

Diede un’occhiata al paesaggio e non si sentì più così stanco.

“Cazzo.”

Clarke lo fissò incuriosita.

Il puro e infantile stupore sul viso del moro la invogliò a sorridere genuinamente.

“Clarke, siamo ad Atene!”

Quasi per abitudine, le cinse le spalle con un braccio e la tirò più vicino a sé. “Clarke, quella è l’Acropoli – proprio lì! Guardala – beh, l’impalcatura, ma – ” si fece sfuggire una risatina. “Fanculo, è così eccitante.”

Rimasero così ancora per un po’, con Bellamy che balbettava su quanto fosse meraviglioso e stimolante tutto ciò in mezzo ai colori sbiaditi dell’alba e con Clarke appagata nel vederlo tanto elettrizzato; e poi, la rumorosa suoneria elettronica di Skype iniziò a risuonare dal telefono della ragazza.

“Come rovinare il momento, Clarke” scherzò Bellamy, mentre la bionda accostava lo schermo al suo raggio di visuale.

“È tua sorella, acidone.”

Le sopracciglia di Bellamy si aggrottarono all’unisono.

“Perché hai mia sorella su Skype?”

“Mi ha aggiunto lei mentre stavamo sull’aereo” disse Clarke rapidamente, selezionando l’opzione Risposta Video Automatica.

La faccia di Octavia comparve attraverso lo schermo del cellulare, assieme alla metà di quella che Bellamy e Clarke riconobbero essere di Raven.

“Ciao a Clarke e…” Raven fece una pausa. “…Apparentemente al bicipite sinistro di Bellamy.”

Il moro si abbassò al livello di Clarke, posando le mani sulle ginocchia, mentre la bionda aggiustava il telefono per inquadrare entrambi.

“Hey, O” disse Bellamy. “Hey, Raven.”

La conversazione non durò moltissimo ma in quella mezz’oretta i due ragazzi raccontarono del viaggio in aereo e scoprirono che alcuni tubi a casa di Monty erano scoppiati dopo nemmeno un giorno che erano partiti e invece che assumere un idraulico, Monty aveva chiamato tutti i suoi amici e Nate si era presentato con un “potentissimo martello da combattimento” che aveva immediatamente indotto Octavia – l’unica persona che non era stata invitata a casa di Monty – a chiedere “È per caso un riferimento a Thor?”

Quando l’accesso a internet di Clarke si esaurì, Bellamy controllò l’ora sul cellulare.

“Vuoi fare la doccia prima te?” le chiese, dato che avevano circa venti minuti di tempo per non arrivare vergognosamente in ritardo a colazione.

Gli occhi blu di Clarke si staccarono dal mini schermo e la bionda annuì.

“Certo, sicuro – farò in fretta. Tu dovresti iniziare a preparare le borse per la gita di oggi.”

Si allontanò da lui per afferrare uno degli enormi asciugamani che lo staff dell’hotel aveva lasciato sopra il letto e Bellamy sollevò un sopracciglio.

“Lo sai, si tratta di una gita di un giorno. Non credo che avrò bisogno di altro, oltre al portafoglio e al telefono.”

Clarke si voltò verso il moro non appena raggiunse la soglia del bagno.

“Può succedere di tutto in un giorno.”

L’ultima cosa che Clark Griffin desiderava, mentre faceva la fila per una seconda porzione di frutta, era sostenere una conversazione con Thelonious Jaha.

Ma ancora, l’universo non era mai stato minimamente interessato nel dare a Clarke Griffin ciò che voleva; quindi, non appena l’uomo di colore si avvicinò, la bionda tentò di sfoggiare il suo sorriso migliore.

“Buongiorno, Clarke. Confido tu abbia dormito bene.”

“L’ho fatto – o almeno, meglio di chiunque debba ancora adattarsi alle sette ore di differenza.”

Thelonious rise di gusto. “Te la cavi meglio degli altri. Stiamo ancora cercando di svegliare Drew e Diggs.”

“Il jet lag è un assassino” disse Clarke, riempiendosi la ciotola con del cocomero e qualche fico.

“Bellamy ha praticamente inventato l’espressione persona mattiniera, eppure, stamattina, è rimasto intontito per almeno mezz’ora dopo che mi sono svegliata.”

Thelonious annuì appassionatamente, gesto che Clarke associava ai diplomatici e ai dirigenti delle aziende.

Era un cenno del capo che ti faceva capire che stava ascoltando, che comprendeva e apprezzava ciò che gli veniva detto, anche se non aveva ancora previsto in che modo rispondere all’interlocutore.

La ragazza non credeva che non fosse genuino ma non riusciva nemmeno a riconoscere, nelle sue azioni, una parvenza di sincerità.

“Tua madre è stata contenta di vederti all’aeroporto. Sia te che Bellamy.”

Clarke si trattenne dal rispondergli a tono, sforzandosi di pensare che quest’uomo era il capo del suo fidanzato e che lei non aveva il diritto di mettere tutto a repentaglio.

Doveva essere educata per il bene di Bellamy.

“Non la vedevo da parecchio tempo” disse invece.

“Troppo tempo” rispose Thelonious.

Il piatto di Clarke era pieno e con il rumore di una gola che si schiariva a mo’ di esortazione dietro di lei, la bionda liberò rapidamente la fila.

Il turista scocciato, la cui colazione era stata ritardata a causa della conversazione di Clarke e Thelonious, iniziò ad accaparrarsi il cibo, selezionando la frutta dal vassoio.

Thelonious rimase momentaneamente in silenzio.

“La gita di oggi agli Archivi Generali non dovrebbe durare molto” riferì a Clarke. “Abbiamo pensato che ci saremmo subito tolti di mezzo la classica riunione noiosa, in modo tale che i nostri futuri impiegati potessero avere l’opportunità di portare con loro i relativi partner nei giorni successivi.”

L’uomo di colore le sorrise.

“Immagino che Bellamy soffrirebbe al pensiero di farti perdere l’occasione di vedere così tante sculture classiche.”

Clarke annuì. “Lui sa quanto io ami l’arte.”

“Bene” disse Thelonious. “Pensi di riuscire a sopravvivere stamattina, rilassandoti in piscina e riprendendoti dal volo o tu e la ragazza di Jasper – uh – Maya, preferireste fare un giro turistico in città?”

Lei non ci aveva ancora minimamente riflettuto, perciò glielo comunicò.

“Sono sicura che Bellamy tornerà indietro con abbastanza storie da raccontare, da durare per almeno settantacinque anni; nel frattempo, credo di potermi concedere qualche ora di pace e tranquillità.”

“Meraviglioso.”

Thelonious sembrò notare solo in quel momento il piatto pieno tra le mani di Clarke e dichiarò: “Non dovrei interrompere la tua colazione. È stato bello vederti, Clarke.”

Lei gli disse che era sempre un piacere, anche se non era vero, e quando tornò al tavolo dove Bellamy stava ridacchiando per qualcosa che aveva appena detto Harper e Jasper stava quasi per ingoiare il cucchiaio, fu colpita da un pensiero improvviso.

Aveva mentalmente identificato Bellamy come il suo fidanzato?

Quando raggiunsero la camera dopo colazione, Bellamy si lasciò scappare un profondo sospiro.

“Ancora cinque minuti e avrei potuto uccidere Jasper Jordan.”

Clarke rise, allontanandosi dal protettivo tocco della mano del bruno attorno alle sue spalle per attraversare la stanza.

“Ti avrei probabilmente aiutato.”

“Con una lancia in pieno petto” rifletté Bellamy. “In realtà ne stavo parlando con Murphy davanti alla macchinetta del caffè.”

“Oh, è per questo che c’è voluto tanto per un Espresso?”

Bellamy le lanciò un sorrisetto sarcastico.

“C’è questa scuola di gladiatori, a Roma, e Murphy si chiedeva se sarebbe stato possibile andare a vederla e magari iscriversi per qualche mese.”

I lati della bocca di Clarke si alzarono contro la sua volontà.

“T’immagino a correre in battaglia con una lancia.”

Ci rifletté ulteriormente. “O con una spada. O – ”

“In pratica, mi stai descrivendo come un essere incline alla violenza.”

“Non alla violenza, necessariamente, ma senza dubbio alla sopravvivenza.”

C’era qualcosa che lei non riusciva a decifrare nel modo in cui lui la guardava. Era sempre lo stesso modo, ma con dell’altro.

Era nostalgico, riconoscente – era così tante cose nel giro di quell’ultimo minuto che lei si voltò dall’altra parte e ogni cosa sparì.

L’itinerario di Bellamy, che Clarke aveva infilato dentro il suo bagaglio a mano nonostante il moro l’avesse quasi imparato a memoria per quante volte lo aveva letto, affermava che l’escursione del giorno sarebbe durata solo quattro ore.

“Pensi che potrai sopravvivere qualche ora senza di me, Clarke?”

Il tono scherzoso della sua voce era doloroso; doloroso perché le solleticava tutti i capelli dietro la testa, come se lui le stesse alitando quelle stesse parole dentro l’orecchio e ogni respiro si faceva sempre più profondo e stuzzicante lungo il suo collo.

Le labbra di Clarke si strinsero di colpo.

“Non sono sicura” replicò, piegando l’itinerario e voltandosi per affrontarlo.

Non sapeva a che razza di gioco stessero giocando ma era determinata a non commettere errori.

“L’ultima volta che siamo stati separati per così tanto tempo, io lavoravo.”

Bellamy le lanciò un’occhiata, dimenticandosi del libro ingiallito che teneva tra le mani. “Non hai portato nessun tipo di lavoro, vero?”

“Ho solo un caso aperto, al momento” rispose onestamente la bionda.

“Ma sono certa che Gustus potrà gestirlo da solo – di solito ci pensa lui, alle cose che Lexa non fa in tempo a finire.”

Bellamy fece un passo in direzione di Clarke, posando il libro sopra il comodino di fianco a lei.

“Se vuoi, ho l’Eneide e circa tre mattoni sull’arte che potrebbero interessarti. Potresti scendere in piscina, ricaricarti. Te lo meriti.”

“Che cosa te lo fa dire?” chiese lei, restringendo gli occhi e scrutandolo intensamente.

Bellamy sogghignò.

“Clarke, vivo con te. La tua esistenza, il cento per cento delle volte, è fottutamente incasinata.”

Questo fece ridere anche lei.

“Ok, mi tocca ammettere che è vero. Però non dovevi sprecare la metà dello spazio nel tuo bagaglio con tutti quei libri solo per evitare di farmi annoiare.”

“Certo che dovevo” disse Bellamy, perdendo un battito. “Sei la mia ragazza migliore.”

Dopo un momento, aggiunse: “Non dire a O che te l’ho detto.”

“Le mie labbra sono serrate” rispose Clarke, diligentemente.

Afferrò il libro di Bellamy e lo esaminò (anche se era stata più assorbita dal proprietario del libro che in quel momento le stava pure fissando la bocca).

L’Eneide di Virgilio.”

Bellamy annuì. “È meglio dell’Odissea. Cavolo, perfino la metà del primo capitolo è più eccitante di tutti e ventiquattro i volumi dell’Odissea.”

Qualcuno bussò alla porta e Bellamy si voltò.

La voce di Jasper Jordan risuonò attutita.

“Andiamo, Bellamy! Voglio accaparrarmi un posto buono sul pullman!”

Il moro fissò nuovamente Clarke, mormorando: “Dio, qualcuno chiuda la bocca a quel marmocchio prima che lo uccida.”

E poi qualcun altro – Harper – gridò: “Fanculo, Jordan! Lui è mio sin da quando stavi ancora studiando la sabbia del suolo Americano!”

Clarke incontrò gli occhi di Bellamy, sollevando un sopracciglio.

“Sei un ragazzo ambito.”

Bellamy fece una smorfia divertita.

“In tutta onestà, preferirei sedermi vicino a Harper per quarantacinque minuti piuttosto che a Jasper per qualsiasi lasso di tempo.”

“Buona cosa che tu sia suo allora, uh?”

Bellamy spinse Clarke, il sorriso ancora sul viso.

Si voltò e afferrò il cellulare, ficcandolo dentro la tasca posteriore dei pantaloni assieme al portafoglio e a una penna.

Poi camminò a grandi passi verso la porta, spalancandola e gridando: “Da fratello maggiore, posso dire che l’essere di qualcuno è sicuramente l’impegno più vincolante tra tutti.”

Harper mostrò il dito medio a Jasper.

Con Bellamy, Harper e Jasper riuniti a casaccio lungo il corridoio, la testa di Monroe spuntò da dietro l’angolo dell’androne.

“Ragazzi, il pullman parte tra cinque minuti. Smettetela di preoccuparvi dei cavolo di posti a sedere e portate giù i vostri culi.”

Jasper li salutò e Harper si voltò verso Bellamy. “Pronto ad andare?”

Bellamy annuì lentamente.

Le sue mani tastarono la tasca posteriore, dove c’era tutto ciò di cui aveva davvero bisogno e poi disse: “Merda.”

Clarke, guardandolo dalla porta d’ingresso con le braccia incrociate, gli chiese: “Che, hai dimenticato qualcosa?”

“Sì.”

E poi, prima che lei potesse domandargli altro, accorciò la distanza tra loro e premette un bacio sulle labbra della bionda.

La mano destra sfiorò il suo viso per una frazione di secondo e lei tentò di allungare un braccio per scostarlo ma lui si era già allontanato e le stava facendo l’occhiolino.

“A dopo, Clarke.”

Harper aveva probabilmente alzato gli occhi al cielo e Jasper stava gongolando come un bambino di quattro anni ma Clarke non poté fare altro che sorridere.

“Ci vediamo, Bellamy.”

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Dieci

Fonti di energia o

Costumi da bagno

 

 

Bellamy si rese presto conto che l’essersi seduto sul pullman vicino a Harper non aveva comunque impedito a Jasper di urlargli nelle orecchie per tutto il viaggio; anzi, la cosa peggiore era stata che l’incessante raffica di domande da parte del ragazzino provenisse direttamente dal sedile dietro di lui.

Bell si sentiva in colpa per quella povera anima disperata che sedeva accanto all’invasato; era più che ovvio, infatti, che anche se non li conosceva, non era minimamente interessato all’incasinata vita di Bellamy Blake.

Al contrario, guarda un po’, di Jasper Jordan.

“Quindi, perché tu e Clarke avete fatto tardi a colazione, mh? Le cose si sono fatte un po’ piccan…”

Harper si lamentò, borbottando qualcosa del tipo: “Perché cazzo volevo andare a letto con te?” e Bellamy serrò la mascella.

No, Jasper.”

“Allora perché?”

“Perché certe volte, quando passi più di dieci ore sopra un aereo, viaggiando da un lato del mondo a un altro, puoi contrarre un buffissimo disturbo chiamato jet lag. Mai sentito?”

“Sentito, certo. Provato, mai.”

Se c’era una cosa che Bellamy proprio non capiva, era il perché una ragazza come Maya volesse frequentare un cavo umano sotto tensione come Jasper.

Sicuramente, aveva altre scelte.

“Beh, sì. E abbiamo parlato su Skype con delle persone –”

“ – Su Sky?”

“ – Skype” ripeté Bellamy, già esausto. “Senti, non hai nulla di meglio da fare che chiedere cosa abbiamo fatto, io e la mia ragazza, ieri sera? La Grecia ti sta scorrendo fuori dal finestrino – è solo la culla della civiltà moderna – perché non ti ci soffermi a riflettere un pochino?”

“Sai, Bellamy, sono un ragazzo sveglio.”

Harper brontolò di nuovo.

“So riconoscere quando qualcuno cerca di evitare una – ”

“ – Jordan, se sento uscire un’altra sola parola da quella bocca abbandonata da Dio prima di arrivare ai cazzo di vecchi archivi, ti gonfierò personalmente di botte.”

Questo scoppio, proveniente – prevedibilmente – da John Murphy, nella fila di fianco a Bellamy e Harper, obbligò Jasper al silenzio.

Il ragazzino annuì, mimando con la bocca “Capito” e tornò al suo posto.

Bellamy si piegò in avanti, dopo Harper, per osservare Murphy.

Un pensiero improvviso s’impossessò di lui.

“Non dovevi essere su una qualche isola remota a cercare una nuova fonte di energia per Jaha?”

Murphy sbuffò.

“Sì, certo, se possiamo soprannominare la sua teoria nuova fonte di energia.”

Si fece più vicino.

“Jaha mi ha fatto scavare nei deserti e navigare in mezzo alle tempeste per cercare l’ubicazione di quella cosa – quando è uscito fuori che era soltanto una mezza informazione che aveva sentito l’anno scorso a una conferenza di scienze. Non posso lamentarmi, comunque. I finanziamenti sono stati imponenti. Nello stesso minuto in cui abbiamo trovato ciò che stavamo cercando – o meglio, che non abbiamo trovato – mi sono concesso una villa fichissima su una qualche isoletta. Una vita da sogno.”

“Allora perché sei ancora tra noi?” chiese Harper. “Se hai già ottenuto quello che volevi, che stai facendo qui?”

Murphy alzò le spalle. “Tecnicamente, per dare consigli. Agisco da collaboratore, di per sé. Perciò ho potere su tutti voi scemi disoccupati.”

Bellamy serrò la mascella. “Murphy, non c’è bisogno di fare lo stronzo.”

“Non sto facendo lo stronzo, Blake. Sono dalla vostra parte – non sempre da quella di Mister Chiacchiera Ambulante” – annuì in direzione di Jasper.

Appoggiò la schiena contro il sedile. “Qualcuno tra voi soldatini otterrà un lavoro ed io sarò fottutamente contento.”

“A proposito di soldati” dichiarò Harper “non eri stato coinvolto in un qualche giro mafioso nel bel mezzo del deserto? O Roma sta divulgando cazzate?”

Murphy chiuse gli occhi.

“Nah, è successo davvero qualcosa, laggiù. Non ho capito cos’era finché non mi ci sono trovato dentro. Sicuramente un’organizzazione criminale che cercava la nostra stessa merda.”

Aprì gli occhi e lanciò uno sguardo tra Harper e Bellamy.

“Lo sapevate che sono quasi stato pugnalato?”

“In base a quello che mi hai raccontato, Murphy, l’essere pugnalati non rientrava tra i programmi del viaggio.”

Bellamy non aveva aggiunto che Murphy non gliene aveva parlato un granché, dato che prima di questo viaggio non si erano visti da mesi.

“Beh, è una cosa abbastanza ovvia. Siamo rimasti bloccati con questo gruppetto di criminali per qualche giorno, solo accampandoci e camminando e accampandoci e camminando ancora – una noia e una monotonia del diavolo. Comunque, la situazione è peggiorata e questa ragazzina con cui andavo d’accordo, Emori, mi ha puntato un cazzo di coltello alla gola e ha detto al resto del team che mi avrebbe ucciso se le cose non fossero andate come volevano loro.”

Murphy alzò le spalle. “Peccato, avrei potuto innamorarmi di lei. Sorvolando sull’intera questione mafiosa.”

“Io ti avrei pugnalato” disse Harper.

“Non c’è problema, baby, tanto non ti avrei comunque scopato.”

Bellamy si voltò verso Murphy. “Devi per forza dire stronzate come questa?”

“Come cosa? È la verità.”

“Non mi frega un cazzo se è vero” rispose Bellamy. “Cosa ti fa credere che alla gente interessi se vuoi o non vuoi fare sesso con loro?”

Harper sospirò. “Non ti preoccupare, Bellamy. Sta solo cercando di fare lo stronzo.”

“Beh, per una volta nella vita, sta riuscendo in qualcosa.”

Il sorrisetto libertino sul viso di Murphy scomparve.

“Blake, ricordo distintamente un atteggiamento più sul facciamo tutto quello che vogliamo.”

Bellamy non lo degnò di un’occhiata. “Le cose cambiano.”

“Oh, giusto, dimenticavo che ti hanno strappato le palle.”

Di nuovo, Bellamy lo ignorò.

“Raccontami, le hai per caso regalate a Clarke dentro a un piccolo sacchetto di seta, stile eunuco, o te le ha tagliate lei?”

Bellamy inspirò profondamente, mormorando “Murphy, smettila prima che finisca per odiarti davvero”, mentre Harper esclamava: “Chiudi quella cazzo di bocca, Murphy. Sappiamo già che hai un solo talento ed è parlare con il culo.”

Murphy rise.

“Bene, perfetto – ho capito l’antifona.”

Poi, un momento dopo, aggiunse: “Dimmi, Bellamy. Com’è, essere tenuti al guinzaglio?”

Dopo mezz’ora che Bellamy aveva lasciato la stanza, Clarke ricevette una telefonata dalla camera dell’hotel.

“Uh, pronto?”

“Clarke?” disse una voce dall’altra parte dell’apparecchio. “Sono Maya. Ho chiesto il tuo numero alla reception; spero vada bene.”

Clarke si mosse per sdraiarsi sopra il letto ancora sfatto – il lato di Bellamy.

“No, va benissimo. Certo. Come posso aiutarti?”

“Alcuni di noi stanno scendendo alla spa dell’albergo, vuoi venire?”

Clarke non conosceva quasi nessuno degli altri partecipanti del viaggio, né tantomeno sapeva cosa poteva offrire la spa dell’albergo.

Ciò nonostante, si ricordava della voce di Bellamy che le suggeriva di prendersi del tempo per riposare e decise che forse lo avrebbe fatto.

Sarebbe stato certamente meglio che starsene in camera per tutto il giorno, pensando al fatto che il suo finto fidanzato di-circa-sette-mesi l’aveva baciata davanti a due dei suoi potenziali colleghi.

Cosa che naturalmente non aveva fatto nell’ultima mezz’ora.

Certo che no.

“Sì, con piacere.”

“Meraviglioso!” disse Maya, sembrando genuinamente contenta per l’assenso della bionda.

“Possiamo vederci davanti alla tua stanza se vuoi – io e Jasper siamo dietro l’angolo, non tanto lontano.”

Quindi, Clarke approvò la proposta e scelse un costume da bagno da mettere (che altro s’indossava a una spa?).

Quindici minuti dopo, Maya bussò alla sua porta e le due scesero alla spa con un’altra coppia di ragazze che si erano presentate a Clarke come Roma e Mel.

Roma lavorava al Dipartimento delle Risorse Umane dell’ARK ed era amica di Harper da molto prima che entrambe diventassero associate della Compagnia.

Clarke non conosceva così bene né Roma né Harper da chiedere se la loro amicizia si fosse trasformata in altro, perciò decise che sarebbe stato meglio farsi gli affari suoi.

Mel era un’alpinista dilettante, tra le altre cose, finché non aveva quasi fatto una brutta caduta e non aveva deciso di smettere; usciva con Diggs da circa un anno.

Durante tutto il tempo che le quattro ragazze avevano trascorso nella spa, situata all’interno della piscina principale, dopo essere passate dalla Jacuzzi alla crio camera, Clarke aveva avuto l’impressione di aver scoperto tutto quello che c’era da conoscere riguardo ognuna di loro.

Ovviamente, la prima dichiarazione che qualcuna fece nei confronti di Clarke – dopo un collettivo apprezzamento su come apparisse in costume da bagno, abbastanza divertente – aveva a che fare con l’apparente relazione della bionda con Bellamy.

“Come sapevi che era il ragazzo giusto per te, Clarke?”

Clarke sospirò in direzione di Mel, perché era lei che l’aveva chiesto.

Con Bellamy non aveva parlato di questo – non avevano più discusso di nessuna delle possibili complicazioni della loro “relazione” da mesi.

In tutto il tempo che avevano trascorso insieme, non avevano macchinato niente. Combatté contro l’urgenza di sospirare nuovamente.

Era da sola – ma poteva farcela.

“Quando ho capito che Bellamy era il ragazzo per me?” ripeté lentamente.

“Uh…a essere completamente onesta con voi, all’inizio non lo sapevo. Pensavo che fosse il più grande stronzo sulla terra – non potevamo nemmeno stare in una stanza insieme senza iniziare una gara di strilli. Era tremendo. Una volta, il mio amico Monty scoppiò in lacrime – è stato così brutto. Comunque, ho odiato Bellamy per un sacco di tempo. Non ci siamo più visti di persona e altro. Poi, un giorno, dovevamo incontrarci con la nostra comune amica Raven, che è direttamente e indirettamente la ragione per cui Bellamy ed io siamo finiti insieme ma ci ha mollati e quindi siamo rimasti con questi tremendi biglietti in questo tremendo concerto dentro a un qualche bistrot. Siamo andati e ha fatto schifo. Abbiamo provato a non farci a pezzi e abbiamo fatto schifo. Quindi, Bellamy ha suggerito questo bar di jazz, ed era così strano perché era meraviglioso e inaspettato ma sentirlo parlare di jazz…l’ha fatta sembrare come la cosa più bella del mondo. È il modo in cui parla dei Classici, anche – è ciò che l’ha portato qui. Perciò, il bar di jazz ha avviato gli ingranaggi, mi ha fatto pensare che forse non era un ragazzo così terribile e poi immagino di aver continuato a passare del tempo con lui. Con Bellamy, sono le piccole cose – come il fatto che si sveglia all’alba e fa sempre abbastanza cibo per due persone e come mi porta il caffè quando lavoro e come mi dà sempre una mano, in qualche modo – era diventato così strano, vederlo e non sentirlo vicino a me. E una cosa che apprezzo davvero, davvero tanto di lui…è che non fa mai pressioni dove vede un’ammaccatura. Sembra stupido nel modo in cui l’ho detto, ma quello che intendo è questo, se capisce che c’è una parte sensibile, non chiede mai troppo. Aspetta che sia io a dirglielo, se e quando voglio. Non so nemmeno se sia una decisone consapevole, ma lo fa.”

Improvvisamente, si sentì come se fosse tutta sudata.

“Scusa, Mel, qual era la domanda?”

Maya rise. “Penso che tu abbia risposto, Clarke.”

“Siete in sintonia l’uno con l’altra” disse Roma. “Ho sempre pensato che è così che devi sentirti quando…lo sai.”

“Sai cosa?” chiese Clarke.

Avrebbe dovuto essere contenta di averle ingannate così bene ma tutto quello cui riusciva a pensare era che alla fine aveva dimenticato di recitare.

“Diciamo solo che, tra noi quattro, sarai tranquillamente la prima a passare sotto la navata.”

Clarke scosse la testa, cercando di non sorridere. “Io e Bellamy non stiamo insieme nemmeno da un anno – non è – no.”

Ma Roma le stava comunque lanciando quello sguardo da Io lo so, ed era uno sguardo che la terrorizzava.

Proprio mentre uscivano dalla piscina e raggiungevano gli asciugamani, il telefono di Clarke iniziò a squillare.

Quasi era stata sul punto di lasciarlo in camera ma quando vide il nome sullo schermo, fu contenta di non averlo fatto.

“Hey, Bellamy.”

“Siamo in pausa caffè. Volevo controllare come stessi.”

Clarke trattenne un sorriso. “Sto bene. Sono scesa alla spa con alcune delle ragazze.”

“Com’è la spa?”

Si guardò intorno. “È davvero carina. Rilassante. Sarebbe più rilassante se potessi riposarmi invece che raccontare a tutti la storia di come ci siamo innamorati. Ma hey! che altro deve fare una ragazza?”

Bellamy rise. “Però ti stai divertendo? Ti stai riposando al meglio?”

“Sì, direi di sì. Ho messo il costume da bagno e tutto il resto. Mi sto rilassando sempre di più.”

Ci fu una pausa, poi Bellamy disse: “Cerca di non sedurre metà dell’hotel prima del mio ritorno.”

“Beh, forse se non fossi nel bel mezzo delle antiche scritture, avrei qualcuno di diverso da sedurre.”

Immediatamente, Clarke si raggelò. Aveva appena detto quello che pensava? Che cosa avrebbe immaginato Bellamy?

Inconsapevoli della realtà della situazione, Roma e Mel si scambiarono un’occhiata.

La prima fece una battuta su qualcuno che non aveva mai letto dei registri tanto velocemente.

Clarke percepì il deglutire del moro da dietro al telefono.

“Merda, Clarke.”

Lei rise. “Ok, scorda il Kamasutra – ”

“A nessun punto di questa telefonata ho pensato al Kamasutra – ”

“ – Come sta andando il viaggio?”

“Va bene, sì! È un privilegio poter vedere gli archivi; sono così ben tenuti, ed è tutto così meraviglioso, Clarke. È onestamente appagante.”

“È stupendo, Bellamy. Certo, sarà più appagante quando lo sperimenterai in prima persona con me.”

“Simpatica.”

“Non cercare di fare il figo o l’indifferente, Bellamy. Non sei nessuna delle due cose e lo sappiamo entrambi.”

Lui rise. “Perché devi farmi a pezzi, Clarke?”

“È un trucco per nascondere quanto ti amo. Non posso ammettere di voler baciare la tua faccia tutto il tempo, Bellamy; non è così che funziona.”

“Dio! Sono un tale idiota.”

“Certo che lo sei. Adesso è meglio che vai e che torni a essere uno storico spaccaculi.”

“Sì, hai ragione. Ci vediamo tra un paio d’ore.”

Sospirò. “Ti amo, Clarke.”

Lei sorrise, anche se lui non poteva vederla. “Ti amo, anch’io, Bellamy.” 

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


Undici

Il Dio del fuoco o
Acari della polvere

 

 

Clarke scoprì, prima di separarsi dal gruppetto della spa, che quella sera si sarebbe tenuta una cena di benvenuto con i piatti tipici della cucina greca – a spese dell’Ark!, ci aveva tenuto a sottolineare Roma – preceduta dalla peculiare “filotesia” del posto: un brindisi di buon auspicio per conoscere meglio i diversi addetti e collaboratori che li avrebbero accompagnati durante i successivi quattro giorni di permanenza.

Clarke e Maya, le uniche due entusiaste più per la messa in scena del tradizionale simposio greco che per l’open bar, si erano dette d’accordo per scendere insieme e avevano concordato di sentirsi al telefono nel momento stesso in cui una delle due fosse stata pronta.

Tornata in camera, avvolta dal profumo di biancheria pulita e di candele aromatizzate al bergamotto, la bionda notò un paio di biglietti finemente ripiegati e adagiati sopra ciascun cuscino.

La ragazza posò la chiave magnetica sul letto e afferrò il biglietto più vicino.

Il pezzettino di carta, ruvido al tatto, era stato scritto a mano, in corsivo, e li invitava a visitare, il giorno successivo, il famoso Tempio di Efesto, assieme a tutti gli altri ospiti dell’albergo.

Secondo le istruzioni riportate sul foglio, elegantemente decorato di bianco e di azzurro, il pullman sarebbe partito in tarda mattinata – per le 10:30 – e una guida turistica li avrebbe accompagnati per l’intero tragitto.

Clarke diede un’occhiata veloce all’orologio e tirò fuori il cellulare dalla tasca dell’asciugamano.

Scattò una foto al biglietto d’invito e allegò un commento all’immagine.

Sei pronto a fare la conoscenza del Dio del fuoco?

La risposta di Bellamy non tardò ad arrivare.

Io non ti basto o hai conosciuto qualcuno più focoso del sottoscritto?

Il messaggio in entrata la fece sorridere.

La ragazza scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli umidi da una parte all’altra della schiena.

L’autocombustione è uno degli effetti collaterali della vanità; lo sapevi?
scrisse, espirando pesantemente e continuando a fissare lo schermo del cellulare in attesa di una riposta.

Oh, cavolo! Credevo che valesse soltanto per le esperte di medicina che non sanno cucinare.

La ragazza si distese contro il materasso, accavallando le gambe nude e ridacchiando divertita.

No, per loro c’è un girone dantesco a parte: quello dei finti fidanzati indisponenti.

Perché, in effetti, la loro poteva essere una nuova Divina Commedia, con tanto di Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Si trattava solo di capire in quale mondo si sarebbero lasciati o ritrovati alla fine della storia.

Ed io che mi ero illuso di essere il tuo Virgilio!

Clarke alzò gli occhi al cielo, arricciando il naso.

Il mio Cerbero, semmai!

Un paio di minuti e il telefono vibrò di nuovo.

Ottima osservazione…Cerbero era superdotato.

Per poco, Clarke non lasciò cadere il telefono a terra, rossa come un peperone, mentre le immagini dei pettorali del ragazzo le scorrevano a tutta velocità davanti agli occhi.

BELLAMY

Un trillo di cellulare e:

Che hai capito? Mi riferivo alle tre teste!

La ragazza poteva quasi vedere l’espressione del moro; un misto tra il soddisfatto e lo strafottente.

Perché Bellamy Blake era così: imprevedibile.

Lo stesso Bellamy che s’imbarazzava nel vedere Clarke in pigiama, che era capace di provocarla a suon di battute maliziose, che le preparava sempre la colazione e che incredibilmente considerava i suoi spazi.

Ecco; quel Bellamy – il Bellamy stupido, rispettoso e focoso – le piaceva davvero tanto.

Ma la consapevolezza di aver incasinato tutto con quel bacio le bruciava ancora sulle labbra, sulla pelle, sulla punta dei polpastrelli.

La reazione di Bellamy – il suo tirarsi indietro, il fingere che non fosse successo assolutamente nulla – continuava a ricordarle, come un insistente promemoria che non si può interrompere, di non lasciarsi più coinvolgere.

Perché loro non sarebbero mai stati una vera coppia.

Recitavano una parte, producevano un copione come due attori provetti; e tutto fino alla prossima chiusura di sipario.

Clarke si massaggiò le tempie, improvvisamente con meno voglia di scherzare.

Ce la fai a tornare in hotel per le 19:00?

Bellamy le mandò un punto interrogativo, cui Clarke rispose mettendolo al corrente della serata di benvenuto.

A detta del Dottor Kane, dovremmo arrivare intorno alle 19.45. Ci vediamo direttamente alla cena?

Nonostante un vago dispiacere di sottofondo, la ragazza rispose che naturalmente non ci sarebbero stati problemi e che si sarebbero, di conseguenza, incontrati alla hall.

E così, Clarke mise da parte il telefono e s’impose di darsi una lavata e di sistemarsi per bene prima di scendere e di raggiungere gli altri partecipanti.

Si tolse di dosso il costume, si diresse in bagno, ed entrò nell’imponente box doccia, lasciandosi cullare dall’acqua tiepida del getto a cascata.

Una buona mezz’ora dopo, si stava dando un’ultima controllata allo specchio: aveva optato per una gonna midi di raso color argento e un top cipria; ai piedi, invece, indossava un paio di sandali comodi ma eleganti.

Dopo aver riempito la borsetta con tutto il necessario, mentre finiva di truccarsi e di spalmarsi la crema idratante, controllò al volo il telefono e trovò un nuovo messaggio in entrata.

 

 

 

La visita dell’Ark agli Archivi Generali si era rivelata una delle esperienze formative più interessanti e più sfamanti che Bellamy avesse mai sperimentato prima.

Terminata la classica riunione di rito, tenuta da Jaha e presidiata dal Dottor Kane, al team di aspiranti assunti era stato concesso il permesso speciale di visitare le diverse aree dell’edificio e Bellamy, dopo una pausa caffè e una rapida telefonata a Clarke – che nel frattempo si stava rilassando alla spa – si era unito a un gruppetto di studiosi assieme a Jasper, Diggs e Harper.

La guida, una ragazza dai capelli castani e dai lineamenti marcati, li aveva condotti in una stanza denominata Stanza delle memorie, piena zeppa di vecchi fascicoli e di carte profumate di storia e di cultura.

Lì, aveva spiegato loro la nascita del rito di conservazione dei documenti, della derivazione del termine greco archivio (acquisito solo in seguito dalla lingua latina) e della sacralità dell’atto della preservazione.

“Immagina quanta dedizione” aveva sussurrato Harper, perdendosi tra gli innumerevoli pezzi di carta ingiallita.

“Immagina quanta polvere” aveva commentato subito dopo Jasper, allungando il viso da faina e soffiando via del pulviscolo da un tavolo di legno grezzo.

“Sei il solito nerd” l’aveva rimbeccato Diggs, regalandogli una pacca sulla schiena.

“Sono solo un biologo attratto dagli acari e dalle loro interferenze di RNA!”

“Bambini” li richiamò Bellamy, lanciandogli un’occhiataccia, “fate i bravi e no! Jasper, non toccare nulla che non si possa risarcire o che contenga più di cento acari.”

“Mi ricordi perché l’Ark ha considerato il tuo curriculum?” domandò Harper, avvicinandosi al naso di Jasper che, a sua volta, fece un passo indietro, chiazzato di rosso in volto.

“N-non…p-perché si era liberato un posto in laboratorio.”

“E tu sei un maledetto nerd” aveva aggiunto Diggs.

“…Anche.”

“Hey” l’aveva preso in giro Bellamy, cingendogli le spalle con un braccio muscoloso “cerca di non sottovalutarti tanto. Sei un maledetto nerd ma cazzo!, uno bravo.”

“Sono commosso, fratellone” aveva sorriso Jasper, illuminandosi, mentre Diggs e Harper ridacchiavano divertiti.

“Bellamy.”

La voce calda e profonda di Marcus Kane interruppe l’ilarità del quartetto.

L’uomo, vestito casual ma elegante, dentro i suoi cargo neri e la sua maglietta di cotone grigia, aveva chiesto di rimanere un momento da solo con Bellamy.

“Allora, cosa ne pensi?” lo interrogò, indicando con un rapido cenno di mento gli archivi.

La domanda lo fece trasalire.

Non perché non sapesse come rispondere; al contrario.

Bellamy non si era reso conto di quanto, fino a quel momento, gli fosse mancato qualcuno con cui condividere la felicità e la meraviglia che gli archivi gli avevano scaturito.  

“È fantastico – qui tutto lo è. Ma questo posto…c’è qualcosa di assolutamente prezioso nel modo in cui i documenti vengono conservati. Il rispetto e la passione per la tradizione sono la storia che preferisco.”

L’espressione di Kane si addolcì, come se le parole del ragazzo l’avessero in qualche modo appagato.

“Sono contento, figliolo. Sapevo che avresti apprezzato. Anch’io, la prima volta che li vidi, ebbi il tuo stesso scatto d’entusiasmo.”

“Siete già stato qui?” s’informò Bellamy che, in effetti, ben poco sapeva della vita di Kane.

“Molto tempo fa” rispose Marcus, ridacchiando, come se fosse passato davvero parecchio tempo. “Ero un bambino, allora. Mia madre…beh, lei percepiva la necessità di trovare il senso dell’esistenza umana. Di carpirne lo scopo ultimo. Vedi, era una donna estremamente religiosa.”

Il Dottor Kane strinse le labbra, come se il ricordo della madre, di cui aveva appena parlato al passato – cosa che non era sfuggita a Bellamy – gli procurasse ancora della sofferenza.

“Comunque” riprese a dire, scacciando un fantasma invisibile che solo lui riusciva a vedere, “è così che ho scoperto questo luogo. Mia madre credeva che i documenti antichi, conservati nel tempo, potessero suggerire le risposte ai grandi interrogativi della vita. In parte, sono d’accordo con lei.”

In quel momento, la ragazza dai lineamenti marcati, che aveva fatto da guida al gruppo, si rivolse a Marcus, parlando in tono deciso: “Dottor Kane, il vostro tempo è terminato. Gli archivi stanno per chiudere. Dovreste riunire il team per le firme all’uscita.”

“Naturalmente” rispose l’uomo, annuendo garbato.

Poi, posando una mano sopra la scapola di Bellamy, le annunciò: “Permettimi di presentarti uno dei nostri storici più validi. Bellamy Blake.”

Dopo aver atteso che i due ragazzi si scambiassero le classiche cortesie di rito, Kane continuò: “Figliolo, lei è Echo; sarà la nostra traduttrice nei giorni a venire. Ora scusatemi, vado a cercare Thelonious.”

 

 

 

So cos’è successo a tuo padre

Clarke aveva visualizzato il messaggio misterioso, inviato da un numero anonimo, poco prima di incontrarsi con Maya e da allora non aveva fatto altro che rimuginare sull’ambiguità del testo in memoria.

Non era la prima volta che qualcuno si prendeva gioco di lei.

Già in passato aveva ricevuto messaggi che si erano poi rivelati delle false piste, illudendola e ferendola sempre di più, finché un giorno, semplicemente, non aveva deciso di interrompere qualsiasi tipo di ricerca e di risposta.

Allora perché, adesso?

Perché stava succedendo di nuovo?

E soprattutto, chi sapeva cosa?

Ma in quel momento, con un bicchiere di vino in mano, circondata da ogni genere di personalità e di musica, le risultava difficile partorire un pensiero di senso compiuto.

Poco distante da lei, Maya degustava un Assyrtiko – il vino bianco, tipico di Santorini – e chiacchierava del più e del meno con una Mel alquanto alticcia.

Il rito della Filotesia era stato davvero interessante e Clarke era convita che Bellamy l’avrebbe sicuramente apprezzato.

A quanto pare, nell’antica Grecia, si usava levare la coppa in onore di un amico: si chiamava il suo nome, si beveva un sorso di vino passandogli il bicchiere perché ne bevesse anche lui e gli si lasciava la coppa come pegno d’amicizia.

Ovviamente, l’ultima parte della cerimonia era stata solo simulata dai partecipanti ma era stato bello poter urlare il nome di un amico all’unisono – Clarke aveva gridato Raven! a gran voce – bevendo alla sua salute e sollevando la coppa verso il cielo.

La sala della hall – un ambiente enorme che avrebbe fatto invidia perfino all’Ark Enterprises – ospitava diversi tavoli imbanditi e altrettanti banconi con innumerevoli bevande (alcoliche e non).

Clarke avanzò in direzione del cibo, attardandosi nell’osservare i pasti particolari della tradizione greca, indecisa su quale pietanza provare.

Vari tortini di carne avevano attirato la sua attenzione ma nel momento stesso in cui allungava il braccio, un nuovo piatto dall’aspetto invitante la costringeva a fermarsi e a riconsiderare le sue scelte.

A pochi passi da lei, un ragazzo massiccio che aveva assistito all’intera scena, si affiancò a Clarke, indicandole un flan di carne e verdure.

“Dovesti assaggiare la nostra Moussaka” disse, con perfetto accento greco. “È uno sformato di melanzane, patate, carne d’agnello, besciamella e formaggio fresco. Non mangiarlo sarebbe un affronto verso il popolo ellenico.”

Clarke abbozzò un sorriso, sorpresa ma anche lieta di essere stata tirata fuori dall’impasse.

“Certo – sembra deliziosa. Non voglio scatenare un’altra guerra di Troia.”

Lo straniero – una sorta di Jack Sparrow greco, dai capelli castani lunghi e semi raccolti in un mezzo chignon e dalla folta barba – grugnì divertito, spalancando gli occhi azzurri a goccia.

“La guerra di Troia è scoppiata perché il principe Paride, interrogato delle dee dell’Olimpo su chi fosse la più bella, scelse Afrodite, regalandole la mela d’oro.”

“Non credo di aver visto mele d’oro nei dintorni, fortunatamente.”

“Dipende dai punti di vista; io potrei essere Paride e la Moussaka potrebbe essere una succosa mela della discordia.”

“Mi stai suggerendo di non mangiare la Moussaka, quindi?”

“Ti sto dicendo che sei la più bella.”

Clarke aprì la bocca per controbattere, richiudendola subito dopo, resasi conto di essere… in imbarazzo – da quando Clarke s’imbarazzava?

Riempì il momento di silenzio con l’assaggio dello sformato (talmente buono da tentarla con un bis) e tornò a guardare il ragazzo, che, nel frattempo, non aveva mai smesso di fissarla con quell’aria seriosa tra lo sfidante e l’urgente.

Solo in quel momento la bionda si accorse della cicatrice a forma di mezzaluna sulla parte destra del viso del barbuto.

Era una cicatrice quasi invisibile, del tutto rimarginata; eppure era lì e qualcosa, nel modo di fare dello straniero, le suggeriva che non doveva aver avuto una storia semplice.

“Sono solo Clarke ma…grazie. Il principe ha un nome?”

Il ragazzo grugnì di nuovo, squadrandola un ultima volta prima di affermare “Non stasera” e se ne andò via, lasciandola da sola, con un piatto vuoto in mano e con la sensazione di essere appena stata catturata.

 

...

 

Quando Bellamy arrivò – meglio tardi che mai, giusto? – alla cena di benvenuto, la prima cosa che fece fu di cercare Clarke.

La hall dell’albergo era enorme e il look raffinato dell’ambiente sembrava degno di uno stylist professionista; infatti, le pareti erano abbellite da foglie d’ulivo e ogni ripiano esibiva un centrotavola dorato, accompagnato da candele e da corone di alloro.

Accanto a lui, Jasper scodinzolava eccitato, mentre un cameriere, vestito interamente di bianco, fatta eccezione per la cravatta blu, offrì loro un paio di bicchieri di Ouzo, un distillato a base di anice.

I ragazzi si fecero largo in mezzo alla folla quando videro, in lontananza, due facce familiari.

“Maya, Mel!” gridò Jasper, sollevando il bicchiere verso l’alto.

La ragazza di Jasper li esortò a raggiungerla con un cenno di mano, aspettando che fossero più vicini per salutarli.

“Finalmente! Credevamo che non ce l’avreste mai fatta!” esclamò, abbracciando Jasper di rimando.

“Allora, com’è stata la visita agli Archivi?” domandò Mel, farfugliando – la ragazza doveva aver bevuto un bel po’ di vino e Bellamy dedusse che tra lei e Diggs era successo qualcosa, poiché il ragazzo non era voluto scendere con loro per raggiungere le rispettive fidanzate.

“Davvero appagante” – “Piena di acari” – risposero all’unisono Bellamy e Jasper.

Mel restrinse gli occhi scuri, aggrottando la fronte.

“Sono ubriaca ma qualcosa decisamente non torna.”

“Già, Bellamy, in che senso, appagante?” chiese Jasper, afferrando da un vassoio quello che sembrava uno spiedino di carne.

“Si riferisce a te, Mastro Lindo” rispose il moro, dandogli un buffetto dietro la testa.

“Cosa ci siamo perse?” sospirò Maya, consapevole dell’eccentricità del fidanzato.

“Shai…” cominciò Jasper, masticando la carne grigliata, “sh’erano tutti queshti documenti antichi, alcuni rishalenti all’VIII shecolo – ”

“ – Ingoia, Jasper” lo canzonò Maya.

“ – Scusha. Insomma, immaginate quanti piccoli esserini devono essersi depositati sopra ciascuno di quei fogli. Alcuni ancora giovani…” sussurrò, guardando in direzione dell’amico.

“Giovanni?” biascicò Mel.

“No, giovani” ripeté Jasper.

“Chi è giovane?” chiese Maya, confusa.

“Gli acari di Bellamy.”

“Che?” fece Bellamy, disorientato anche lui.

“Sono io quella ubriaca…” disse Mel, alzando le spalle.

“Oh, sai, mi riferisco all’acaro femmina che non vedeva l’ora di depositare le sue uova su di te!”

“Non ti seguo” rispose Bellamy, che stava cominciando seriamente a irritarsi.

Per tutto il viaggio di ritorno, infatti, Jasper non aveva fatto altro che metterlo in guardia sulla traduttrice, Echo, sostenendo che la donna l’aveva guardato come un aracnide pronto ad azzannare la preda prescelta.

“Qualcuno sa che fine ha fatto la mia fidanzata?”

“L’ho vista andare al tavolo da buffet” lo informò Maya, mentre Mel e Jasper avevano cominciato a bisticciare circa la stramberia di quest’ultimo.

Perciò, Bellamy, contento di aver avuto un motivo valido per allontanarsi dal gruppetto, s’incamminò in direzione della bionda, che scorse in lontananza – elegantemente vestita con una gonna argentata e un top rosa – insieme a uno sconosciuto.

Il moro si fermò a osservarli.

Non gli sembrava di aver mai visto il ragazzo in questione, ma il modo in cui quell’uomo stava squadrando Clarke non gli piacque per niente.

Lei era bellissima, quella sera.

Non che non lo fosse stata sempre, intendiamoci.

Ma in quel momento, con i capelli biondi arricciati e il raso che le risaltava le curve, sembrava una Dea dell’Olimpo.

La Dea della vita e della morte.

Intravide la bionda aprire e chiudere la bocca un secondo dopo – come se avesse voluto dire qualcosa, ma avesse subito cambiato idea.

Bellamy lesse sul viso di Clarke del disagio misto a imbarazzo e la consapevolezza di non essere l’unico in grado di spiazzarla lo ferì più di quanto avesse immaginato.

Adesso, la ragazza stava assaporando qualcosa, mentre gli occhi del suo interlocutore continuavano a sondarla avidamente.

Bellamy serrò la mascella, stringendo i pugni.

Lui non aveva il diritto di essere arrabbiato; era normale che gli altri uomini la guardassero.

Ma in quel momento, per lui, Clarke rappresentava qualcosa di più di una semplice bella ragazza: lei era la sua principessa e lui poteva essere geloso o infastidito quanto voleva.

Quando l’attenzione di Bellamy si concentrò nuovamente su di loro, vide che lo sconosciuto non c’era più.

Clarke, invece, continuava a sostare immobile, vicino al tavolo da buffet, con le sopracciglia aggrottate e un’espressione confusa stampata sul viso.

Il moro sospirò profondamente, prima di rilassare i muscoli tesi e di raggiungere la sua fidanzata.

Note autrice:

Sono tornata!
So che è passato parecchio tempo, forse troppo, ma spero di riuscire a farmi perdonare.
Che dite, parliamo del finale di The 100?
Concordo, meglio di no. 
#Jasoninfamepertesolopollame

Per fortuna, ci hanno pensato Bob ed Eliza a renderci felici con un matrimonio e una gravidanza.
Qualche considerazione sul prossimo capitolo:


- taaaanta gelosia nell'aria

- scropriremo l'identità del nostro Jack Sparrow greco (a proposito...avete capito di chi si tratta?) 
- in arrivo una bella litigata

Se vi fa piacere, ovviamente, lasciatemi un feedback <3




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