Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila

di Jigokuko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ❀ ; Tempesta di Fuoco ***
Capitolo 2: *** 1 ; Svekets Prins ***
Capitolo 3: *** 2 ; And Plague Flowers the Kaleidoscope ***
Capitolo 4: *** 3 ; Tapestry of the Starless Abstract ***
Capitolo 5: *** 4 ; The Frozen Tears of Angels ***
Capitolo 6: *** 5 ; Zeit ***
Capitolo 7: *** 6 ; When Demons Awake ***
Capitolo 8: *** 7 ; Ich hasse Kinder ***
Capitolo 9: *** 8 ; Intra Venus ***
Capitolo 10: *** 9 ; The Forsaking ***
Capitolo 11: *** 10 ; Giftig ***
Capitolo 12: *** 11 ; Ghost of Perdition ***
Capitolo 13: *** 12 ; Was ich liebe ***
Capitolo 14: *** 13 ; The Lotus Eater ***
Capitolo 15: *** 14 ; All the Scarlet Tears ***
Capitolo 16: *** 15 ; Nightingale ***
Capitolo 17: *** 16 ; Children of the Sun ***
Capitolo 18: *** 17 ; The Grand Conjuration ***
Capitolo 19: *** 18 ; Asche zu Asche ***
Capitolo 20: *** 19 ; Krigsgaldr ***
Capitolo 21: *** 20 ; Devour Me, Colossus (Part I): Blackholes ***
Capitolo 22: *** 21 ; Devour Me, Colossus (Part II): Contortions ***
Capitolo 23: *** 22 ; The Funeral Portrait ***
Capitolo 24: *** 23 ; Equus ***



Capitolo 1
*** ❀ ; Tempesta di Fuoco ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

 

Tempesta di Fuoco


Luna del Grande Albero; Trentesimo giorno
1186

 

- Edelgard! Tu... Ti ucciderò!
Conoscerai la sofferenza di mio padre, che fu ucciso per te! E quella di mia madre adottiva, uccisa da sua figlia, dal suo stesso sangue!
Ti inchinerai di fronte a tutte le persone che hai calpestato per i tuoi ideali... e morirai!-
- La tua ossessione nei miei confronti è disgustosa...
Se fossi normale, di certo saresti già crepato da un pezzo...
Addio, Re degli Illusi.
Forse, se fossimo nati in tempo di pace, avresti potuto avere una vita felice da monarca benevolo.-
- Che tu possa bruciare all'inferno... El.-

Un colpo secco, sofferto, e quella testa bionda cadde nel fango seguita da una fontana di sangue che velocemente si trasformò in un lago scarlatto.
Il cielo tuonò come a voler piangere il Re delle Tempeste e, subito dopo, mutò in un urlo femminile, disperato, come mai l'Imperatrice aveva sentito. Il suo cuore saltò un battito e quasi con paura si voltò.
Dietro di lei una giovane donna, pressata a terra da due soldati, un terzo le stava pugnalando la schiena con insistenza. L'urlo straziante non era a causa del suo stesso dolore, lei aveva pronunciato un nome.

"Mitya"

Edelgard fece alcuni passi in avanti e si prese in pieno viso uno sguardo di ghiaccio; due occhi azzurri, chiarissimi, pieni di lacrime. Lunghi capelli color pesca si appiccicavano al suo viso pallido, nascondendo gran parte dei lineamenti.
Non poteva dire se fosse bella oppure no, era fradicia di pioggia, sangue e terra, né sapeva chi fosse. Intuì solo che doveva tenere molto a Dimitri per avere una tale reazione.
Ma tutto ciò non aveva alcuna importanza. Chiunque fosse, era dalla parte del nemico, forse proprio della Chiesa, e come tale andava eliminata.

- Perché hai tradito la tua famiglia? Perché hai distrutto la pace?

Le domande non ricevettero risposta. Quella donna non aveva nessun diritto di parlarle così, lei non sapeva nulla, di quanto stesse soffrendo per aver appena ucciso qualcuno di tanto importante. Per cancellare un male più grande, però, i sacrifici erano inevitabili.
Alzò Aymr al cielo e la punì con una morte lenta, un fendente che si sovrappose a tutti gli altri già inferti.

I due vennero seppelliti l'uno accanto all'altra. Lei ancora respirava a fatica, rannicchiata su sé stessa, la testa del Leone stretta in grembo come il più prezioso dei tesori.

Fhirdiad era stata data alle fiamme e niente avrebbe potuto salvarla. Il piano meschino della Purissima aveva giocato a sfavore di entrambi gli eserciti; tutti morivano come mosche, ma a quell'abominio, ormai, importava solo disintegrare la sua stessa creazione.
Cieca dalla rabbia, finì per aggiungersi alla lista dei caduti e, con la sua morte, morì anche il rimasuglio della Dea all'interno del corpo di Byleth.
L'Imperatrice credeva fosse la fine anche per lui, ma quando rivide i suoi occhi blu trattenne a stento le lacrime.
Avevano vinto, la Chiesa ed il suo dominio avevano finalmente cessato di esistere.

Qualcosa le impedì di festeggiare. La reggia di Fhirdiad sembrava essere stata immune alle fiamme ed una sensazione la stava invitando ad entrare. Byleth e Hubert la seguirono chiedendosi il motivo, ma lei continuò imperterrita a camminare lungo gli infiniti corridoi, ignorando i dipinti dei precedenti sovrani, finché non giunse ad una stanza con la porta aperta.
Una sontuosa culla ed un bambino all'interno. Il suo petto si alzava ed abbassava lentamente, pochi capelli biondi, i vestiti ricamati con il segno di Blaiddyd.
La donna lo prese ed il piccolo si destò.
Aveva gli occhi più freddi che avesse mai visto.


Ciao a tutti! Dopo più di un anno e mezzo mi sono decisa a tornare a scrivere su Three Houses, stavolta portando qualcosa di diverso dal solito.
Questo è un AU in realtà. La storia originale del protagonista è in realtà una golden route a cui sto lavorando con due amiche, ma vederlo in questo contesto mi ha sempre ispirata, quindi... why not lol. Ringrazio anche l'uscita di Three Hopes per avermi smosso.
Quindi nulla, beccatevi un post CF scritto da una che ha giocato Azure Moon e sposato Dimitri sei volte. :')

I nomi dei mesi così non impazzite a capirli:
Gennaio: Luna Tutrice
Febbraio: Luna del Pegaso
Marzo: Luna Solitaria
Aprile: Luna del Grande Albero
Maggio: Luna dell'Arpa
Giugno: Luna della Ghirlanda
Luglio: Luna del Mare Blu
Agosto: Luna delle Piogge
Settembre: Luna dell'Arco Corneo
Ottobre: Luna della Viverna
Novembre: Luna del Lupo Rosso
Dicembre: Luna Eterea


Reminder che l'anno inizia ad aprile.

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Capitolo 2
*** 1 ; Svekets Prins ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

1

Svekets Prins


Luna del Grande Albero;
1206

L'unico rumore nella stanza era quello dei lunghi e lisci capelli biondi che venivano spazzolati. Ogni ciocca delicatamente separata e districata con maestria e dolcezza, quegli occhi verde smeraldo scrutavano ogni centimetro della chioma alla ricerca del minimo errore.
Mentre era assorta nei suoi pensieri a svolgere il suo lavoro, uno sbuffo la fece tornare alla realtà.

- Perché ci metti sempre così tanto?-
- Altezza... capelli così lunghi sono difficili da mantenere belli e, se non volete farlo voi, devo pensarci io.-
- Quante volte ti ho detto di non darmi del Voi? – Il giovane ruotò la testa all'improvviso, guardandola negli occhi. La chioma le scivolò di mano. – Siamo soli qui, Sera.-
- Scusa, so che ti da fastidio... ma ho paura di essere sentita. Se i tuoi genitori venissero a sapere della nostra vicinanza sarebbero guai per entrambi.-
- Non mi importa, ormai te l'ho detto: presto o tardi salirò al trono... e tu con me.-
- Una contadinella, costretta qui solo per sfamare la famiglia, imperatrice? Non scherzare, Benedikt...-
- Io non scherzo mai. – Le rubò la spazzola e la poggiò sulla specchiera, poi le prese le mani e le strinse delicatamente tra le sue. – Soprattutto riguardo a noi due.-
- E se a causa mia la corona passasse a tuo fratello?-
- Allora ce ne andremo da qui. Forse non te ne sei resa conto, ma tutto ciò che mi circonda perde valore se tu non ci sei.-
- Benedikt... io...-
- È tardi.-

Si alzò in piedi, lasciandole le mani controvoglia.
Era sempre stato bravo a mentire, ma si era ripromesso di non farlo mai con Sera; quella ragazza fin troppo semplice rappresentava una specie di sentiero per la retta via e starle accanto gli permetteva di non morire di noia.
Le avvolse un braccio attorno alle spalle e l'abbracciò stretta, facendole poggiare quella testa di riccioli castano chiaro contro il suo petto. Lei ricambiò subito e quella sensazione lo fece sentire subito meglio.
Era davvero bella, con quella sua carnagione ambrata, le lentiggini sul naso e quegli occhi da cerbiatta di un verde raro e prezioso; se non l'avesse conosciuta avrebbe giurato si fosse trattata di una qualche principessa originaria di un regno lontano... ed invece era solamente una ragazzina venuta dalla campagna. Ma era la sua campagnola... e così sarebbe stato, fino alla fine dei suoi giorni.

- Mi mancherai immensamente.- Le confessò, carezzandole la schiena.
- Non esagerare, saranno solo pochi giorni.-
- Giorni in cui non ti potrò vedere, giorni vuoti.-
- Sono sicura che ti divertirai al punto da non pensare a me, Benedikt. Tornare all'Accademia Ufficiali farà sicuramente riaffiorare i bei ricordi di quando eri a capo delle Aquile Nere...-
- ... Certo, un anno intero circondato da nobili di tutto il Fódlan sempre pronti a stendermi un tappeto rosso, tutto ciò perché ero l'erede al trono. – Sbuffò, lasciandola andare. – Vieni con me, Sera!-
- Assolutamente no! Come lo spieghi a tuo fratello il motivo per cui vuoi portarti dietro la tua cameriera? Lo sai che a lui piace ficcare il naso in giro...-
- E va bene, smetto di chiedertelo. Ora devo andare.-

Visti allo specchio l'uno accanto all'altra non ci azzeccavano proprio nulla. Lei abbronzata, capelli corti, non troppo bassa, con vestiti sciatti; lui molto alto, pelle diafana, lunghissimi capelli biondi, abiti costosi quanto un palazzo ed addirittura un diadema con due corna d'oro sulla testa.
Rappresentavano chiaramente il ceto sociale a cui appartenevano, eppure erano inseparabili.
Benedikt le diede un bacio sulle labbra e poi uscì dalla sua camera da letto; unico problema che con la fretta ruppe la maniglia della porta. Come se niente fosse successo imprecò un "dannazione!" e sparì per i corridoi.
Non era la prima volta, né sarebbe stata l'ultima, stupirsi era inutile.
Sera trovava estremamente divertente il suo rompere tutto ciò che toccava senza fare attenzione, nonostante negli anni fosse stato più volte un problema ed un handicap piuttosto debilitante – il principe non era adatto ai lavori di precisione.
Sospirò, iniziando a rassettargli il letto. Le sarebbe mancato come l'aria.

Un rumore di tacchi alti in lontananza gli fece capire che, finalmente, era pronto a partire. Hans si stupì: per una volta era in orario! ... Circa.
Voleva bene a Benedikt, ma spesso e volentieri se la prendeva comoda per tutto, giustificandosi con "sono un principe, posso fare quello che mi pare", o cose simili.
Suo fratello maggiore era sempre stato fuori dalle righe, la mosca bianca dell'Impero Adrestiano, e a volte stentava a credere che sua madre lo avesse scelto come erede al trono – ma dopotutto era il figlio primogenito, quel posto gli spettava di diritto. E gli stava bene così, quando ci si metteva sapeva essere un buon comandante.

- Ce ne hai messo di temp— ... cosa sono quelli?-
- Fiffott— – Ingoiò il boccone. – biscotti.-
- Poss—-
- No.-
- Dai!-
- Ho detto no.-
- Benedikt... per favore...-
- Vatteli a prendere alle cucine.-
- Ma dobbiamo partire! Per colpa tua stiamo facendo tardi e il viaggio è lungo.-

Il biondo fece spallucce e si diresse giù per la scalinata che portava al di fuori del castello, lasciandolo lì come un pesce lesso.
Maledizione a lui.
Si soffiò via una ciocca candida dagli occhi e lo inseguì a passo svelto, scendendo gli scalini a due a due.

Al contrario di Benedikt, Hans era un tipo piuttosto allegro, dall'immane curiosità quasi bambinesca e completamente estraneo al valore di tutto ciò che lo circondava. Non che il maggiore fosse una persona seriosa come lo zio Hubert, anzi... prediligeva solamente il menefreghismo all'apprezzare qualunque cosa gli si parasse davanti.
Avevano poco meno di due anni di differenza; lui era nato il terzo giorno della Luna della Ghirlanda nel 1187, mentre il fratello il venticinquesimo giorno della Luna Solitaria nel 1185; nonostante ciò, quest'ultimo si era già diplomato all'Accademia Ufficiali tre anni prima.
I fratelli Hresvelg non sembravano nemmeno tali: non si somigliavano, caratteri e approcci totalmente diversi... eppure andavano d'accordo. C'erano davvero poche persone che Benedikt von Hresvelg non odiasse, e quelle erano i suoi genitori, Hans... e Sera, ma questo non lo sapeva nessuno.

- Allora? Com'è l'Accademia?-
- La vedrai presto.-
- Beh... vorrei farmi un'idea prima di arrivare.- Al biondo girava la testa. Quel ragazzino -che ragazzino non era- continuava a passargli a destra e a sinistra come una molla impazzita.
- ... Si trova sopra una montagna.-
- E poi?-
- È grande.-
- E poi?-
- C'è uno stagno dove puoi pescare.-
- E po—-

Lo zittì ficcandogli un biscotto alle mandorle in bocca e, con nonchalance, percorse gli ultimi gradini e salì sulla carrozza che li stava attendendo. Se prima Hans ne era rimasto completamente disorientato, subito assaporò la dolcezza della pasta frolla e della frutta secca.

- Alla fine hai condiviso uno dei tuoi biscotti, non è da te, Bennie!-
- Muoviti, è tardi.- Gli fece il verso.

Il lungo viaggio fu stranamente silenzioso. Hans per tutto il tempo aveva ammirato le infinite distese d'erba che pian piano si trasformavano prima in colline e poi in montagne. Mentre Benedikt, terminati a suo malgrado i biscotti, si era addormentato; quando aveva aperto gli occhi erano già giunti a destinazione.
Il centro del Fódlan non era cambiato di una virgola dal suo diploma; stessi edifici, stessa serra, stesso stagno e stessa biblioteca grande quanto una cattedrale. Ci aveva passato così tante ore perso là dentro a studiare le arti magiche... esperienza da non ripetere, odiava quel girone dell'inferno.
Erano arrivati il mattino successivo e subito i due fratelli si erano separati; il più giovane non ci aveva pensato due volte a correre in giro per esplorare il luogo. Il maggiore, invece, si era preso il suo tempo, dopotutto sarebbe partito per Enbarr l'indomani, aveva accompagnato Hans solo per fare un favore a suo padre, ma già se n'era pentito.

Decise di farsi un giro per le classi per ammazzare il tempo e vedere se gli studenti erano gli stessi di tre anni prima, oppure se in loro ci fosse qualcosa di diverso... purtroppo anche la minima speranza si estinse; erano relativamente passate poche Lune e la monotonia di volti era rimasta tale e quale.
Forse avrebbe dovuto aspettare almeno un altro decennio prima di tornare in quel posto, allora sì che si sarebbe stupito per qualcosa.
Passando dalla casa del Leone Blu notò finalmente delle persone differenti; davanti all'ingresso si trovava una ragazza di bassa statura, i capelli castani arricciati in grossi boccoli, gli occhi scurissimi e vestita di nero con un mantello che le scendeva lungo la spalla. Doveva essere la capocasa di quell'anno, era davvero carina.
Assieme a lei un uomo molto alto che indossava un'armatura pesante, i capelli biondi fino alle spalle sbiaditi dalla vecchiaia, seguiti dalla barba incolta e decine di rughe sul viso pallido. Gli occhi azzurri erano stanchi, provati. Un duo davvero insolito.
Nell'istante in cui passò di fronte al vecchio, lui lo notò e rimase sconvolto.

... Dimitri.- Pronunciò, facendo un passo in avanti.
- Perdonatemi?- Il principe imperiale si fermò, squadrandolo con un sopracciglio alzato.
- Tu... tu sei... vivo?- Farfugliò.
- Il mio nome non è "Dimitri", signore, vi state confondendo con qualcun altro.-
- No, non posso sbagliarmi. Quel viso, è— è—-
- Nonno, è inutile insistere, la tua vista non è più quella di un tempo... – A quel punto, la ragazza intervenne. – mi scuso per il suo comportamento, purtroppo la vecchiaia non sta giocando bene le sue carte. Mi chiamo Artemiya Rosenrot Blaiddyd, mentre lui è mio nonno: Rufus Thierry Blaiddyd, quest'anno guiderò la casa del Leone Blu, in rappresentanza delle terre a nord dell'Adrestia.- Si inchinò elegantemente.
- È un piacere conoscervi, Lady Artemiya, il mio nome è Benedikt von Hresvelg, principe ereditario dell'Impero.-
- Oh—! A-altezza, non avevo la più pallida idea foste voi, rinnovo le mie scuse per il comportamento indecoroso di mio nonno...!- Appresa la notizia, lei iniziò ad agitarsi ed a lisciarsi la gonna con nervosismo.
- Non preoccupatevi, mi mostro raramente al pubblico, è normale non essere riconosciuto, per un certo senso preferisco anche così.-
- Vi ringrazio per la vostra clemenza... posso domandarvi il motivo della vostra visita?-
- Mio fratello minore quest'anno rappresenterà la casa dell'Aquila Nera, sono qui solamente in veste di accompagnatore. Ha insistito tanto perché venissi...-
- Sarà un piacere essere compagna di studi del principe, seppur in classi diverse.-
- Lady Artemiya, vi siete già ambientata all'Accademia?-
- Io? Oh... assolutamente no, siamo arrivati questa notte e non ho ancora avuto il tempo di visitarla.-
- Posso offrirmi di accompagnarvi a fare un giro?-
- Non dovreste perdere tempo con me... ve ne ho già rubato così tanto.-
- Perderò il mio tempo solamente se continuassi a girovagare in completa solitudine. Gradirei una compagnia femminile e la vostra è ben accetta.-
- Allora non posso fare a meno di accettare, Altezza.-
- Ne sono felice.-

Benedikt le offrì il braccio e lei, dopo un po' di incertezza, vi si attaccò timidamente. A quel punto, mentre si stavano allontanando, Rufus fece un altro passo in avanti ed appoggiò la mano sulla spalla di lui, facendolo voltare.
Lo guardava con gli occhi di chi avesse appena visto un fantasma, sembrava volesse dirgli tutto, ma al contempo qualcosa lo stesse trattenendo. Era inquietante, gli faceva paura, stentava a credere che quella ragazza così carina fosse sua nipote.

- Ricordati una cosa, prima: i tuoi occhi, non appartengono agli Hresvelg. Loro non sono così. Quell'azzurro... l'ho visto solo una volta, tanti anni fa, e poi mai più. Rifletti sulle mie parole.-
- ... Lo farò.-
- Prenditi cura della mia Artemiya, è tutto ciò che mi rimane.-

Il principe rispose con titubanza, più per toglierselo di torno che per un reale coinvolgimento, e la strategia ebbe successo, perché il vecchio lo lasciò andare via con la nipote.
I due camminarono l'uno accanto all'altra rimanendo in silenzio per qualche minuto; Artemiya era di indole estremamente timida ed essere a braccetto proprio con l'erede al trono adrestiano le metteva ancor più ansia di quanta già non ne avesse. Quantomeno, l'aria fresca della primavera ed il paesaggio mozzafiato le permettevano di distrarsi un poco e darsi un contegno.
Benedikt la condusse subito verso sud, scesero una scalinata in pietra e si trovarono di fronte ad uno stagno alla cui destra sorgeva una grande serra. Era sempre stato il suo luogo preferito, con quelle alte vetrate e la gran quantità di piante che vi crescevano al suo interno; lei ne rimase estremamente affascinata... Itha era un luogo freddo e spesso coperto di neve, vedere una così grande varietà di fiori, frutta e verdura era quasi impossibile nella sua città natale.

- Vi piace? Quando volevo rimanere solo questo posto era sempre la mia prima scelta, è raro trovarci qualcuno.-
- È davvero un peccato che non sia apprezzato, io lo trovo splendido. Non credevo nemmeno potessero esistere fiori tanto belli e diversi... considererò di rubarvi l'idea e passare qui i miei momenti di ricercata solitudine.-
- Anche a voi piace stare sola?- Le domandò, accompagnandola fuori.
- Diciamo che non sono amante della confusione... cerco di evitare il più possibile forti rumori. Preferirei cento volte un buon libro ed una tazza di tè.-
- Siamo simili, a quanto pare. È confortante sapere di non essere l'unico a preferire la tranquillità. Se mai dovessi tornare qui, vi inviterò sicuramente.-
- Ne sarei onorata, Altezza...!- Rispose lei, arrossendo.

Successivamente, tornarono indietro, superarono le classi ed attraversarono il ponte che conduceva alla biblioteca. Era di architettura tipicamente imperiale, relativamente nuova in confronto a tutto il resto dell'Accademia; un luogo davvero gigantesco, in mezzo a quelle pile di libri perdersi era più semplice del previsto. Artemiya rimase ancor più sbalordita, con i suoi occhioni neri spalancati ed il naso rivolto all'insù.

- Posso farvi una domanda, Lady Artemiya?-
- Certamente, sarò lieta di rispondervi.-
- Vostro nonno... perché mi ha chiamato "Dimitri"? Si tratta di un vostro conoscente?-
- Se devo essere sincera, non lo so. È sempre stato una persona taciturna, difficile capire cosa gli passi per la testa... non lo avevo mai visto così. Presumo sia a causa della vecchiaia, la sua vista è calata di molto negli ultimi tempi. Vi ha offeso?-
- No, affatto... posso capire la situazione. Forse somiglio vagamente a qualcuno di sua conoscenza e mi ha scambiato per lui, magari era importante, mi guardava in modo strano.-
- Mi spiace di non potervi aiutare, purtroppo non conosco nessuno che si chiami così, né l'ho sentito nominare, è stata la prima volta anche per me.-

Il giro turistico si concluse con la visita alla biblioteca e, dopo aver riaccompagnato la ragazza da Rufus, Benedikt si congedò salutandola amichevolmente e ringraziandola per la compagnia. L'uomo non gli parlò, ma continuò a rivolgergli quello sguardo pesante e confuso, motivo per il quale se ne andò il più in fretta possibile.

Alle prime luci dell'alba, dopo aver salutato Hans ed avergli augurato buona fortuna con gli studi, il principe saltò sulla sua carrozza in rotta verso Enbarr. Nonostante avesse apprezzato la conoscenza di Artemiya, la sua mente correva sempre verso una singola persona: Sera.
Separarsi da lei gli risultava ogni volta complicato, con nessun altro poteva essere veramente sé stesso... si pentì di non averla convinta a venire con lui, avrebbe voluto far visitare il Garreg Mach e la sua immensa biblioteca anche a lei.
Varcò i cancelli della città a notte ormai inoltrata, con un magnifico cielo stellato e la luna piena. Sulla scalinata che conduceva al castello notò una figura femminile. Non era alta, i capelli candidi erano legati in una crocchia ordinata solcata da una corona in oro massiccio e rubini; rossa era anche la sua lunga veste, la quale la faceva sembrare un faro. La rappresentava a pieno, perché Edelgard von Hresvelg era il faro dell'intero Fódlan, e così sarebbe stato fino alla sua morte.

- Madre... è bello rivedervi.- Pronunciò, salendo i gradini ed accogliendola in un abbraccio una volta raggiunta.
- Bentornato, Benedikt. Com'è andato il viaggio?-
- Benissimo, nonostante Hans non volesse farmi ripartire.-
- Fece la stessa cosa quando eri tu a dover guidare le Aquile Nere. – La donna rise, entrando nell'edificio. – Non cambierà mai.-
- Meglio così, qualcuno dovrà pur portare allegria in questo buco di signoroni.-
- Non parlare in questo modo del luogo che un giorno governerai, Benedikt.-
- Scusate, scusate.-

Separatosi dalla madre, il giovane si diresse nelle sue stanze, stremato dal viaggio e con l'unica voglia di buttarsi nel suo letto fino al mattino dopo.
Quando aprì la porta -la maniglia distrutta era già stata sostituita fortunatamente- e se la richiuse alle spalle udì come uno squittio, per poi venire assalito da una furia che gli saltò dritta in braccio.

- Da quanto sei qui?! Non ti avevo notata, Sera!-
- Sei tornato finalmente, mi sei mancato...! – Gli disse, strofinando affettuosamente la guancia contro la sua. – Mi stavo assicurando che non ci fosse nulla fuori posto per il tuo imminente ritorno.-
- Anche tu mi sei mancata... grazie mille per la tua premura.- La strinse forte, poi la lasciò ritoccare terra con i piedi.
- Ti ho fatto preparare anche una crostata alle fragole, so che l'adori. Forse è troppo tardi per mangiarla o— – La castana si voltò e lo vide già seduto sul letto intento a divorarsela. – hey, così dormirai in mezzo alle briciole!- Lo rimproverò mal nascondendo una risata. Era adorabile.
- Sei la migliore, è per questo che ti amo. – Farfugliò, ingoiando un boccone. – Comunque, il mio viaggio a qualcosina ha portato, devo ammetterlo.-
- Davvero? Raccontami!-
- Ho conosciuto la capocasa dei Leoni Blu. Una ragazza davvero carina e gentil— sei gelosa? Stai facendo una faccia...-
- Assolutamente no. E sai perché? Ti conosco, Benedikt.- Sera accavallò le gambe, esortandolo a continuare.
- Con lei c'era anche suo nonno. Un vecchio enorme, ma mezzo cieco e probabilmente pazzo; continuava a chiamarmi "Dimitri" e diceva che i miei occhi non appartengono agli Hresvelg. Se alla sua età diventerò così, uccidimi per favore.- Si lamentò, addentando un'altra forchettata.

Un uomo stava in piedi davanti a lui. Era alto, vestito da un'armatura bianca e con una grossa pelliccia sulle spalle.
Fradici di pioggia, i capelli biondi erano tutti appiccicati al suo viso pallido e sporco, gli occhi azzurri che lo fissavano dritti nell'anima.
Stava urlando, era coperto di sangue, una serie di lance e frecce gli fuoriuscivano dalla schiena, mentre una profondissima ferita alla gola continuava a sgorgare sangue come un rubinetto aperto.
Non riusciva ad udire alcun suono, a parte la tempesta incessante.

Si svegliò di colpo, agitando un braccio per lo spavento e facendo inesorabilmente cadere la lampada ad olio sul tappeto. Imprecando, scese dal letto ancora frastornato e cominciò a metterne insieme i cocci, finché un dolore lancinante non lo svegliò completamente.
Si era tagliato il palmo della mano sinistra con il vetro, facendosi una ferita piuttosto profonda che sanguinava copiosamente. Strinse i denti per cercare di alleviare la sua sofferenza, ma all'improvviso essa svanì.
Il sangue si fermò ed i lembi di pelle iniziarono a ricucirsi da soli, chiudendo la ferita quasi all'istante.

 


Piccola nota riguardo alla conformazione del Fódlan in questa storia:
Dato che non mi va di scrivere una tesi di laurea sulla fantageopolitica(???) all'interno della fic, vi spiego a grandi linee com'è governato il continente.
Siamo dopo la route Crimson Flower, quindi Edelgard ha prima sconfitto il capo dell'Alleanza (Claude) e poi ucciso il re del Faerghus (Dimitri) e la Purissima (Rhea/Seiros come vi pare), perciò ora è tutto sotto il dominio dell'Impero. La gerarchia dei Segni è stata abolita ed i casati nobili hanno la sola funzione di conservare le rispettive reliquie.
Il Garreg Mach è rimasto intatto, ma la religione (e con essa la cattedrale) è stata completamente cancellata, così come la guerra avvenuta dal 1181 al 1186 (poi capirete perché), è stata attuata una damnatio memoriae e la storia è stata cambiata come se l'Impero fosse stato sempre come tale, pena la morte per chiunque rivelasse la verità.
La biblioteca gigantesca che ho nominato sorge dove una volta era presente la cattedrale.
Hans appartiene alla mia amica Goldah.

 

 

 

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Capitolo 3
*** 2 ; And Plague Flowers the Kaleidoscope ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
  2

And Plague Flowers the Kaleidoscope


- Cosa succede? Sei strano... non hai nemmeno toccato la tua fetta di torta ed il tè si è ormai freddato.

Benedikt si comportava in modo strano negli ultimi tempi, da quando era tornato dal Garreg Mach era più taciturno, si perdeva spesso a guardare nel nulla o si fissava la mano sinistra con aria impaurita; non lo aveva mai visto avere simili atteggiamenti, sembrava tutta un'altra persona. A Sera la cosa che più dava fastidio era il suo stare zitto a riguardo.

- Vuoi dirmi che hai? Sono quattro giorni che fai così!- Esclamò, spazientita dal suo silenzio.
- Tanto non capiresti.- Finalmente si degnò di rivolgerle la parola.
Ovviamente non capisco se non mi dici nulla.-
- Mi prenderesti per pazzo, Sera.-
- Dannazione, non potrei mai! Lo sai che sono sempre dalla tua parte.-
- Mh...-
- Su, parla.-
- ... C—c'è un uomo morto dietro di me... non ha la testa... – Ansimò, chiudendo la mano e stringendola con forza. – tutte le notti vedo la sua fine e lui mi urla contro. Sembra arrabbiato, piange, ma non lo posso sentire, la pioggia copre il rumore della sua voce.-

La ragazza alzò la testa d'istinto, solo per non vedere nulla alle sue spalle – ovviamente. Non c'era nessuno e quello le fece venire il dubbio sul prenderlo sul serio o deriderlo, ma quell'espressione terrorizzata la fece desistere.

- Stai avendo gli incubi?-
- No, – Lui scosse violentemente il capo. – adesso sono sveglio, eppure lo vedo.-
- Chi è? È qualcuno che conosci? Descrivimelo.-
- È alto... con lunghi capelli biondi... il viso pallido e pieno di sangue e gli occhi azzurri. Credo... credo che mi somigli, ma non sono sicuro— ogni volta non faccio in tempo a vederlo bene perché gli viene tagliata la testa ed il sogno finisce. Quando sono sveglio è acefalo.-

Le sembrava di star ascoltando una storia dell'orrore. Un uomo simile a lui che tutte le notti gli veniva decapitato davanti e di giorno lo seguiva mostrandosi senza testa?
Uno scenario terrificante, così atroce che lei, povera ragazzina ignorante e terrorizzata dal sangue, non aveva nemmeno la capacità di immaginarsi.

- Sei... sei sicuro non siano solo allucinazioni dovute alla stanchezza? Non sei mai stato uno che dorme molto, la sera conversiamo sempre fino a tardi.-
- Te lo giuro, anche sulla mia vita: è tutto reale. Lui e... no, lascia perdere.-
- Lui e cosa?-
- ... nulla, credimi.-
- No, non ti credo. Voglio aiutarti, Benedikt, ma per questo devi parlarmi. Non sono di certo una veggente.-

Il principe inspirò una gran quantità d'aria fino a farsi gonfiare il petto, poi sospirò rumorosamente. Prese il coltello sul piatto della torta, lo pulì con il tovagliolo ed infine poggiò la lama sul polso, esattamente nel punto in cui si poteva scorgere la vena.
Qualche secondo di esitazione e successivamente, con un colpo secco, recise la pelle del braccio. Una ferita profonda e dolorosissima con un copioso sanguinamento, esattamente come quando si era tagliato con il vetro della lampada.

- Benedikt, che ti salta in mente?! – La ragazza urlò, distogliendo lo sguardo con disgusto. – Ah, diamine, devo subito fasciarti la ferita o—-
- Sera, guarda.-
- No, o vomiterò.-
- Per favore, è importante. Fa davvero male, non voglio rifarlo perché ti fa schifo il sangue.-

Le tremavano le mani, ma si fece coraggio e, lentamente, posò i suoi occhi verdi su quello squarcio scarlatto. A quel punto l'emorragia si fermò e i lembi della ferita si saldarono tra di essi.
Benedikt si versò il tè ormai freddo sul braccio lavando via il sangue e lasciando la pelle immacolata. Nessuna cicatrice, era tornata bianca e perfetta come lo era sempre stata.
Si stropicciò gli occhi più volte per capire se ora fosse lei ad avere le allucinazioni, era ovvio però che quella ferita non esisteva più, la tovaglia macchiata di rosso slavato lo confermava: tutto reale.

- Cosa... cosa vuol dire? Sei sempre stato così...?- Ora il disgusto aveva fatto spazio all'incredulità.
- No, o non avrei quella cicatrice sul fianco sinistro che mi procurai quattro anni fa. È cominciato tutto nello stesso momento in cui ho sognato per la prima volta l'uomo senza testa.
Ho provato più volte a procurarmi delle lievi ferite, ma esse non guariscono mai a questa velocità, sembra che accada solamente se la situazione risulta pericolosa per la mia vita.-
- Che sia il potere di un Segno? Da quel poco che so tua madre ne possiede uno.-
- Io sono nato senza Segno, mi visitarono sia a pochi mesi di vita, sia quando diventai capo delle Aquile Nere, senza mai trovare nulla.-
- E se avessero sbagliato? Oppure si stesse manifestando solo ora, in età adulta?-
- Impossibile. – Scosse il capo, asciugandosi il braccio con un tovagliolo. – Errare due volte? Improbabile, a meno che non l'abbia fatto un incompetente. I Segni non si manifestano nel tempo, sono presenti già alla nascita ed anche se non fosse così... il Segno di Seiros non ha di certo effetti simili.-

In quel momento, un fresco venticello si levò scompigliando i capelli di entrambi; in quel periodo dell'anno a Benedikt piaceva rintanarsi nei giardini della reggia a sorseggiare tè, gustarsi qualche dolciume -andava letteralmente pazzo per i dolci- e stare in compagnia della sua adorabile cameriera... amava passare ogni istante della giornata con lei, ma il pomeriggio era sicuramente il suo preferito.
Si sforzò di mangiare quella tremendamente invitante fetta di torta nonostante la presenza dello spettro gli mettesse una certa ansia, poi si alzò dalla sedia su cui stava seduto.

- Mi spiace lasciarti così a pulire il macello che ho fatto, – Si riferiva alla tovaglia pregna di sangue e tè. – ma voglio cercare più informazioni possibili prima che mio padre torni, potrei non riuscire a farlo come vorrei con lui nei dintorni. La prossima volta sistemerò tutto io.-
- Benedikt, è il mio lavoro, non c'è—-

Parole al vento. Si era già allontanato come un fulmine.

Il principe iniziò a percorrere i corridoi dell'edificio cercando di dare il meno nell'occhio possibile; camminava a passo lesto ma felpato come un felino e, ogni qualvolta sentiva un inserviente avvicinarsi, subito si nascondeva infilandosi in una porta o cambiando strada. Poteva sembrare stupido farlo, ma spesso avevano fatto la spia ai suoi genitori riguardo le marachelle che lui e suo fratello facevano da bambini, quindi non si fidava nonostante fosse ormai un adulto.

Raggiunta finalmente la biblioteca, si chiuse la porta alle spalle e subito si fiondò a mettere in rassegna i titoli di cui essa disponeva. Non sapeva cosa cercare nello specifico, ma le supposizioni di Sera gli avevano dato uno spunto, perciò iniziò a visionare alcuni vecchi manuali di segnotica che aveva rinvenuto.
Sfogliò un libro dal titolo "I Dieci Campioni ed i loro Segni, storia ed effetti"; esso parlava nello specifico dei Segni posseduti dai dieci alleati di Nemesis, escludendo però quelli dei quattro santi. Leggendolo non trovò niente di utile, finché non si soffermò su uno in particolare: "Blaiddyd".
Dove lo aveva già sentito?
Gli ci volle un po' per ricordarsi, ma fu come un'illuminazione: Artemiya, la ragazza dell'altro giorno! Quindi lei discendeva da uno dei Dieci Campioni e probabilmente ne portava il Segno?
Sotto il titolo e l'illustrazione, però, del Segno di Blaiddyd non vi era scritto nulla, anzi, un tempo sicuramente c'era stato, ma qualcuno aveva cancellato tutta la descrizione con una mano d'inchiostro nero come la pece, perciò tutti i dati ormai erano andati perduti.
Fu frustrante. Avrebbe voluto sapere qualcosa in più su quella famiglia, ma proprio le informazioni su di essa erano state eliminate... una coincidenza abbastanza inquietante, considerando l'incontro avvenuto con quell'uomo.
Alzò la testa e si rimise a sedere composto. Il fantasma era in piedi davanti a lui, impossibile decifrarlo senza il volto.

- Chi sei?

Una domanda azzardata da fare ad un cadavere a cui mancava l'intera testa.
Inaspettatamente, esso fece un passo in avanti verso il tavolo ed allungò la mano destra verso di lui, fino a poggiarla sulla sua, ancora posizionata sulla carta rovinata. Benedikt percepì un gelo doloroso attraversargli la pelle ed un istante dopo lo spettro era sparito.

- Che razza di risposta è?!

Quasi urlò, amareggiato. Ormai aveva compreso che da lui non avrebbe ottenuto nulla – se lo aspettava, in realtà, da uno che non faceva altro che morire sei suoi sogni.

Passò in rassegna un altro paio di volumi senza però giungere a nulla; sembrava che ogni informazione utile fosse stata cancellata, tra pagine mancanti o volutamente imbrattate, non ci stava più capendo nulla. Quei libri dovevano valere molto, perché rovinarli così?
Prese un'altra enciclopedia, promettendosi che sarebbe stata l'ultima. Era quasi ora di cena e la stanchezza si stava facendo sentire.
Le prime due pagine raffiguravano la mappa del Fódlan con tutti i luoghi meticolosamente posizionati.
A sud la capitale Enbarr, ad est Derdriu, il gran ponte di Myrddin ed il Gronder, ad ovest Arianrhod la Donzella Argentea, a nord l'Ailell ed al centro il Garreg Mach.
Non ci aveva mai fatto caso, ma sembrava che a nord non ci fosse un capoluogo più importante, ma per quale motivo? Era una gran porzione di territorio, governarla da così lontano non doveva essere facile... sua madre aveva un gran lavoro che le gravava sulle spalle.

Sera aveva appena finito di smacchiare la tovaglia sporcata da Benedikt e si stava chiedendo se avesse trovato qualcosa in biblioteca che potesse essergli utile a capire la sua condizione. Non aveva mai sentito parlare di qualcosa di simile -anche perché lei era un'ignorantella che sapeva leggere e scrivere, neanche così bene, solamente grazie al principe-, né credeva potessero esistere abilità del genere.
Camminando nei corridoi per raggiungerlo e chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, scorse una figura familiare da lontano. Era un uomo dai capelli corti e bluastri, vestito di scuro e l'aria tranquilla.
Subito si irrigidì quando si fermò di fronte a lei.

- Buonasera, Sera.- L'imperatore si ricordava il suo nome?
- B–Buonasera, Maestà!- Balbettò, inchinandosi in fretta.
- Sai dirmi dove si trova mio figlio? Sono giorni che non lo vedo, vorrei salutarlo ed informarlo del mio ritorno.-
- Uhm, – Che fare? Dire una bugia così da dare più tempo a Benedikt, oppure dire la verità? – l'ultima volta che l'ho visto è stata qualche ora fa, non so esattamente dove sia... presumo in biblioteca, questa mattina ha accennato di voler scegliere un nuovo romanzo da leggere.-
- Comprendo, grazie per l'aiuto.-
- È—è un onore!-

La ragazzina si congedò da Byleth facendo finta di nulla, ma non appena svoltò l'angolo iniziò a correre come una pazza per raggiungere la biblioteca prima di lui. Non voleva assolutamente che Benedikt venisse sorpreso a leggere qualcosa di cui non era autorizzato, perciò doveva avvertirlo.
Avrebbe potuto mentire all'uomo, ma se l'avesse scoperta le cose sarebbero peggiorate – rispondere "non lo so" l'avrebbe messa nei guai perché, essendo incaricata di prendersi cura di lui, sarebbe risultata come un'incapace; e poi a dire bugie faceva schifo.
Per sua fortuna conosceva molto bene l'enorme dimora e, tramite varie scorciatoie, era riuscita a raggiungere in tempo la stanza.

Finalmente aveva trovato qualcosa. Chiunque si fosse divertito a deturpare i libri di quella biblioteca aveva dimenticato una pagina, ed essa parlava proprio del nord dell'Adrestia... circa. La mappa era quella, ma essa veniva chiamata "Sacro Regno di Faerghus" e dove sembrava esserci un buco nelle cartine a lui conosciute, vicino ai territori dei Blaiddyd, era presente un nome nuovo: Fhirdiad.
Non aveva tempo di farsi ulteriori domande, perciò strappò la pagina incriminata e la nascose in un romanzo che si era procurato come alibi, poi rimise il volume al suo posto.
Iniziò a guardare dentro i cassetti della scrivania di suo padre, ma oltre a pergamene, inchiostro e piume d'oca non vi aveva trovato nulla di utile... o almeno, fino all'ultimo. Era stranamente chiuso a chiave, ma per lui non fu un problema, perché gli bastò uno strattone per romperlo – questo avrebbe potuto fargli saltare la copertura, ma poco importava ormai. Al suo interno erano contenute alcune pagine di libri, ma una in particolare lo colpì: vi era raffigurata quella che sembrava una lancia dall'aspetto simile all'ascia dell'imperatrice, con una gemma rossa al suo centro.
"Areadbhar, la Macellaia"; a quanto pare una reliquia potentissima brandita dai possessori del Segno di Blaiddyd.
Non poté leggere altro, perché dalla porta chiusa provenne un suono: due colpi lenti e tre veloci, ovvero il segnale che Sera usava per avvertirlo di qualcosa.
Prese con sé anche l'ultimo ritrovamento, mise tutto al suo posto ed uscì in fretta, ma dovette arrestarsi di colpo per non travolgere suo padre, il quale stava proprio per entrare. Il principe si irrigidì, stringendo il romanzo a sé.

- P—Padre, siete tornato! Com'è andato il viaggio?-
- Molto bene, le Brigid sono sempre magnifiche, un giorno dovresti venire con me e vederle con i tuoi occhi.-
- Certo... volentieri.-
- Vedo che hai scelto un romanzo cavalleresco, non rientra nei tuoi gusti.-
- Mi sono detto che dovrei variare di più gli argomenti delle mie letture. Questo me lo ha consigliato Hans. – Bugia, ma Byleth sembrò credergli. – Lo comincerò sicuramente dopo cena.-
- Buona lettura, Benedikt.-

Per fortuna suo padre aveva sempre quell'atteggiamento freddo e non amava parlare – o almeno, non amava parlare con lui. Negli anni aveva iniziato a credere di non stargli simpatico... ma simpatizzare per Benedikt von Hresvelg ed i suoi continui disastri non era poi tanto facile, perciò non se n'era mai veramente preoccupato.

Dopo aver cenato il principe e la sua cameriera si ritrovarono nella stanza di lui per esaminare le prove.
Sera era impaziente di sapere cosa Benedikt avesse scoperto ma, oltre qualche nome in più, le informazioni scarseggiavano.

"Macellaia"... che epiteto terrificante, anche per un'arma così mostruosa.- Le vennero i brividi mentre leggeva le informazioni.
- Io trovo esilarante che una ragazza minuta come Artemiya, perché è davvero piccolina, credimi, possa essere colei destinata a brandire una lancia dal nome simile. È come chiamare un gattino "Distruttore dei Cieli".- Ridacchiò lui, mentre ispezionava un'altra pagina.
- Su questa pergamena c'è scritto che la lama di Areadbhar si incendia se un possessore del segno di Blaiddyd prova a brandirla. Succede anche con l'arma dell'Imperatrice?-
- Quelle poche volte che l'ho vista usare Aymr essa si illuminava ed iniziava a pulsare come se fosse viva, ma non mi ha dato la sensazione che fosse incandescente, solo un senso di schifo a vedere quelle ossa semoventi.-
- Forse queste armi speciali hanno abilità diverse... a me fanno solo paura— qui dice che è sempre stata custodita a Fhirdiad e brandita dal re o la regina del Sacro Regno di Faerghus. – Se prima lo aveva detto con tranquillità, poi le domande nella sua testa avevano iniziato a moltiplicarsi. – ... Cos'è il "Sacro Regno di Faerghus"?-
- Questo, a quanto pare. – Benedikt le mostrò la mappa del Fódlan dove era evidenziato il regno. – Tra la Valle del Tormento e la Donzella Argentea. Purtroppo la cartina non è datata, non possiamo sapere se è di un millennio o un secolo fa.-
- Nel Fódlan c'era un regno...? Credevo che l'Impero Adrestiano avesse sempre avuto il controllo sull'intero continente.-
- Lo credevo anche io, Sera... ma secondo quel vecchio libro non era affatto così ed il fatto che qualcuno volesse cancellarne l'esistenza mi rende ancora più curioso. Come siamo finiti a governare anche le terre del nord?-
- E se lo chiedessi proprio a tua madre?-
- Non se ne parla. Potrebbe aver ordinato lei stessa questa damnatio memoriae, finirei solo nei guai. Inoltre mi domando perché sia stata così stupida da nascondere informazioni cruciali sotto al mio naso. Non è da Edelgard von Hresvelg.-

- Edelgard... devo parlarti.

Byleth entrò nella stanza, trovando la moglie sul letto, illuminata solo dalla fioca luce di una lampada ad olio ed intenta a leggere un libro.
Sentendo la sua voce, lo chiuse tenendo le dita della mano in mezzo.

- Ti ascolto.

L'uomo in realtà non disse nulla, si limitò ad avvicinarsi al giaciglio ed a porgerle la mano aperta.

- ... La maniglia di un cassetto?-
- È della scrivania in biblioteca.-
- Benedikt l'ha rotta di proposito, non è vero?-
- Esatto, e mancano le pagine su Areadbhar.- La donnà trasalì, ma cercò di tornare subito composta.
- Perché mai avrebbe dovuto rubarle? Ha... ha scoperto qualcosa? Che ci abbia sentiti parlare?-
- Non so rispondere. Per quanto ne sappiamo potrebbe averlo fatto per errore e trovato quelle informazioni per pura coincidenza. Ruba spesso, quindi non mi stupirei se lo avesse fatto senza pensarci.-
- Sai, penso sia ora di trovargli un attendente. Uno vero, quella cameriera lo asseconda un po' troppo, serve qualcuno che lo tenga d'occhio e si assicuri rimanga nell'ignoranza.-
- Mi domando perché tu abbia preso una tale decisione quel lontano giorno, se poi avresti passato la vita a tenerlo in gabbia come un uccellino.-

Edelgard non rispose.

Si prese uno schiaffo in pieno viso, così forte da farla barcollare e poi cadere sul pavimento a peso morto. Quella donna era davvero robusta per essere una cameriera, con due braccia possenti e forzute degne quasi di un cavaliere fortezza, eppure non si faceva scrupoli a picchiare una ragazzina indifesa come lei.

- Dovevi colpirla più forte!- La voce di un'altra donna, ormai ridotta ad un rumore di fondo incomprensibile. La botta l'aveva stordita.
- È ciò che si merita facendo la sanguisuga con il principe.-
- Se la colpissi con troppa foga si formerebbero dei lividi. Perché rovinare un così bel visino?-
- Così Sua Altezza non la vorrebbe più! Sfiguriamola!-
- Magari dopo, prima roviniamole un po' il resto del corpo.-

Detto ciò, una delle cameriere la immobilizzò, un'altra le teneva premuto un cuscino sul volto per non farla urlare ed una terza aveva iniziato a colpirla allo stomaco con un grosso mattarello di legno.
"Perché? Perché?" si domandava, ma ogni volta non riceveva risposta. Dovette arrivarci da sola dopo l'ennesima volta che la picchiarono: la sua vicinanza al principe, erano invidiose.
Benedikt richiedeva sempre e soltanto le cure di lei, sin da quando era entrata a far parte della servitù a palazzo; era la più giovane ed inesperta e per tale motivo la odiavano e sfogavano le loro frustrazioni riempiendola spesso di botte.
Non aveva mai avuto il coraggio di rivelarglielo, anche perché avevano sempre fatto in modo di colpirla in punti dove nessuno avrebbe potuto vedere le ferite.
La donna continuò a percuoterla finché non smise di scalciare e divincolarsi, ritenendosi ormai soddisfatta del lavoro. Se avesse mangiato avrebbe sicuramente vomitato tutto.
Il cuscino le venne tolto dal viso e la tirarono in piedi con la forza – come riusciva a stare sulle sue gambe, proprio non lo sapeva. Tutto ciò di cui era a conoscenza era che non avevano finito. Doveva dire addio al suo viso, a quanto pare.
La terrorizzante visione al pentolone ricolmo d'olio bollente venne interrotta da un suono: qualcuno aveva appena bussato alla porta. Raccolse tutte le sue forze proprio per essere lei stessa ad aprire, ma non fece in tempo a vedere chi fosse che venne afferrata per una mano e trascinata fuori. Solo vedendo una folta e fluente chioma biondissima riconobbe il suo "rapitore".

- Bene— cioè, Altezza? Dove stiamo andando?- Stava cercando con tutte le sue forze di non stramazzare sul pregiato pavimento della reggia.
- Dobbiamo fare presto, prima che qualcuno se ne accorga. E chiamami Benedikt.-
- Ma è notte fonda...!-
- Proprio per questo dobbiamo muoverci, prima che arrivi l'alba.-

Il principe intrecciò le dita con quelle della cameriera, infondendole nuova forza e calore. Per fortuna non le avevano toccato le gambe a quel giro, o non sarebbe riuscita a percorrere tutta quella strada da sola.
I due si ritrovarono nelle stalle, un cavallo nero pece era già stato preparato per affrontare un viaggio molto lungo. Benedikt avvolse una mantella sulle spalle di lei e la mise in sella, poi fece lo stesso posizionandosi davanti e prendendo le redini.

- Dove hai intenzione di andare a quest'ora?-
- Al Garreg Mach.-

 

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Capitolo 4
*** 3 ; Tapestry of the Starless Abstract ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

3

Tapestry of the Starless Abstract


Il passo lento del cavallo le stava facendo venire sonno, ma doveva rimanere vigile quel tanto che bastava per non lasciare Benedikt e cadere giù di faccia.
Faceva così strano vederlo in abiti più comuni e meno sfarzosi, indossava una camicia larga color crema, dei pantaloni attillati neri ed un paio di stivali in pelle marrone – forse non lo aveva mai visto nemmeno senza tacchi alti, anche quella corona con le corna mancava. Le sembrava di averlo più vicino, che fosse più umano, non credeva lo avrebbe preferito così.
Erano partiti al galoppo attraversando Enbarr il più in fretta possibile, poi usciti dalla città l'animale aveva rallentato fino ad andare pianissimo ed in quel momento stavano percorrendo un sentiero nel bosco. Poteva risultare inquietante al buio, ma avere il corpo pressato contro la schiena del principe infondeva a Sera un senso di sicurezza... non aveva niente di cui preoccuparsi se c'era lui.

- Perché siamo partiti così tardi...? Potevamo farlo domani— e poi, a che ti servo io?-
- Ti ho portata con me nel caso non dovessi tornare, non ti avrei mai lasciata là. Ho deciso di iniziare il viaggio adesso per giungere a destinazione tra due giorni, in piena notte.-
- Non... dovessi tornare? Perché?-
- Voglio sapere perché i miei genitori o chi per loro ha deciso di cancellare parte della storia del Fódlan ed il titolo ai Blaiddyd... sento che c'è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, ma non capisco perché. È strano da spiegare.-
- Quindi siamo scappati come due ladri solo per una tua "sensazione"? – Qualche secondo di silenzio. – Non cambierai mai, ed io continuo a starti dietro!- Ridacchiò, stringendo un po' di più le braccia attorno ai suoi fianchi.
- Scusami se ti ho rapita...-
- Non c'è bisogno che ti scusi, ti seguirei in capo al mondo.-

Il cammino proseguì per un altro po', finché la stanchezza non prese anche Benedikt e decise di fermarsi a riposare. Scese per primo, attaccò la lanterna ad un ramo ed aiutò Sera a scendere, poi legò il cavallo all'albero.
Si sedette ai piedi di esso ed invitò la ragazza ad unirsi a lui.

- Era proprio necessario mettersi a dormire qui? Non sappiamo cosa vi si nasconda... potrebbero esserci animali, cacciatori o, peggio, i mostri!-
- Non c'è nulla di cui preoccuparsi, – Sbadigliò, poggiando la nuca sulle mani intrecciate. – ti proteggerò. E poi non possiamo sostare negli ostelli, nessuno deve scoprire la mia identità.-
- Hai ragione... ma vivere in quel palazzo lussuoso mi ha abituata un po' troppo bene.-
- "Troppo bene"? Stai peggio di quando vivevi nel tuo villaggio.-
- Eh? Ma che dici?-

Lui non disse niente, si limitò ad afferrarla per le spalle ed a spingerla sul manto erboso fino a distendersi. Successivamente iniziò ad armeggiare con i bottoni della sua camicetta immacolata, facendola agitare.

- Sta ferma...-
- No, lasciami, cos'hai intenzione di fare?!-
- Shh, non gridare, o attirerai gli animali.-
- Certo che urlo, maniaco! Ti sembra  il momento di fare queste cose in mezzo ad un bo—-
- La maniaca qui sei tu, Sera.-

Il suo busto era completamente scoperto, pelle, seno e lividi in vista. Quelle macchie violacee erano vecchie e nuove, alcune più rosse, altre quasi bluastre. Gli occhi di ghiaccio del principe li fissavano quasi inespressivi e lei faticava a guardarlo in faccia, mortificata per avergli offerto visione tanto aberrante. Tentò di coprirsi e girarsi su un fianco, ma le venne impedito.
Benedikt avvicinò la mano alla sua pancia, ma la ritirò subito dopo.

- Perché non me lo hai detto...? – Il suo tono di voce era cambiato. – Ho sentito per tutto il tempo il tuo respiro pesante, pensavo saresti svenuta da un momento all'altro.-
- Non voglio essere un peso per te, hai già tante cose a cui pensare...-
- I miei capricci sono meno importanti della tua salute.-

Impose le mani a pochi centimetri dalla pelle tumefatta ed esse iniziarono ad illuminarsi di una tenue luce bianca. La magia curativa non era il suo forte, era più portato per quella offensiva, ma voleva aiutarla ad ogni costo, come lei lo aiutava ogni istante della sua giornata.
I lividi si asciugarono diventando più giallo-verdognoli ed il dolore che la ragazza stava provando meno insopportabile. Quel calore la stava facendo rilassare, si sentiva anche più calma, ma forse quell'effetto veniva più dal mago che dalla magia in sé.
Dopo qualche tempo Benedikt mormorò di non poter fare di meglio e l'aiutò a rivestirsi. Si guardò la mano aperta e fece scaturire qualche scarica elettrica che gli solleticò le dita... quella era la sua magia: fulmini azzurri capaci solo di devastare e radere al suolo ogni ostacolo. La chiuse e l'elettricità cessò.
Successivamente attirò Sera a sé e l'abbracciò; le carezzò la schiena, i capelli, i fianchi e lei non poté far altro che chiudere gli occhi e sentire i battiti del suo cuore contro il petto.

- Stai meglio ora? – Annuì, annusando il suo profumo. – Te lo chiedo per favore: non nascondermi mai più una cosa del genere.
Sei ciò che ho di più importante e perderti mi porterebbe sicuramente alla pazzia.-
- Mi dispiace, Benedikt...-
- Quando tornerò ad Enbarr staccherò la testa a tutte loro e le infilzerò su delle picche per esporle alla città.-

Quasi spaventata da quella frase si allontanò immediatamente da lui, pentendosene subito dopo aver visto la sua espressione: pressava le labbra l'una contro l'altra, lo sguardo era basso e delle lacrime minacciarono di fuoriuscire. Vinsero loro.
Piccole gocce salate emersero e percorsero quel viso tanto bello e delicato, facendo commuovere anche lei. Erano solo parole di rabbia, non era il tipo di persona che avrebbe fatto un'atrocità del genere.
Gli posò una mano sulla guancia in un tentativo di asciugarla e lui chiuse gli occhi, apprezzando il dolce tocco.

Dopo aver dormito nel bosco per due notti, la terza iniziarono finalmente a scorgere il Garreg Mach in tutta la sua interezza; altissime guglie fuoriuscivano da uno spesso muro di cinta che lo circondavano rendendolo una fortezza quasi inespugnabile.

- Bene, come hai intenzione di entrare di nascosto?- Mormorò lei, per non farsi sentire dai piantoni.
- Distraendoli e passando per l'entrata, ovviamente.-
- Sei scemo?!- Dovette trattenersi dall'urlare.

Ma Benedikt non la stava più ascoltando. Trovò un grosso masso e lo sollevò come se fosse fatto di carta, poi... lo lanciò all'interno delle mura con una facilità che risultò ridicola, sufficiente a far correre i due uomini a guardia del cancello abbastanza lontano da poter entrare indisturbati.
Spinse una delle gigantesche ante in ferro battuto del cancello principale, fece entrare la ragazza e sgattaiolò all'interno anche lui; successivamente la prese per mano e corsero a nascondersi – fortunatamente, durante la sua permanenza, era andato in giro in piena notte così tanto da avere una mappa mentale dei luoghi sicuri da ogni controllo.

Il suo obiettivo era uno solo: trovare Artemiya, farle delle domande e poi andarsene, il tutto senza farsi vedere da suo fratello Hans per evitare che spiattelli tutto ai genitori.
Dubitava che non si fossero accorti della sua assenza a palazzo, ma poco importava, non era la prima volta che se ne andava in giro per il continente senza avvertire, qualche scusa qua e là e tutto si sarebbe risolto.
D'altra parte, Sera era molto meno convinta della riuscita del piano. Sua Altezza era un po' troppo impulsivo, un passo falso e sarebbero stati nei guai – e poi, bussare alla porta di una ragazza a quell'ora assurda?! Allora era davvero scemo!
Il giovane la condusse fino agli alloggi, in particolare quello della capocasa dei Leoni Blu, ma quando si avvicinarono alla porta essa si aprì improvvisamente.
Benedikt si trovò davanti al naso un tizio. Era più basso di lui di almeno dieci centimetri ed inizialmente lo aveva scambiato per una donna a causa degli occhi truccati di azzurro ed il viso delicato. Aveva capelli lilla che scendevano più lunghi sul lato destro della testa, mentre a sinistra erano tirati indietro. Le ciocche che gli si posavano sulle spalle erano invece di un biondo molto chiaro, così come le sopracciglia.
Grossi orecchini a goccia viola gli pendevano dai lobi, rendendo la sua figura ancor più ambigua. Indossava l'uniforme dell'accademia, era uno studente.
Si fissarono negli occhi per qualche secondo, azzurro con violetto, entrambi confusi dalla situazione.

- Chi cavolo siete, voi due?

Sera sparì dietro al principe. Ecco, li avevano già beccati, lo sapeva che era una pessima idea!
E adesso? Doveva assolutamente trovare una soluzione -sperava non violenta-, o chissà come sarebbe andata a finire.
Il tizio continuava a fissarlo con le mani sui fianchi, ovviamente aspettandosi una risposta.

- ... Benedikt von Hresvelg, principe ereditario dell'Impero Adrestiano. Gradirei più rispetto per la mia persona, ora che conoscete il mio nome.

Quel ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre facendo ondeggiare le sue lunghe ciglia e, dopo qualche secondo di silenzio, scoppiò a ridere come un matto tenendosi la pancia.

- Oh, diamine, mi verrà un cramp— – E ricominciò a ridere. – questa è la battuta più bella dell'anno!-
- Non è una battuta, ingrato.-
- Seh, se tu sei il principe imperiale io sono un drago!- Si asciugò una lacrima con l'indice.
- Se non la smetti ti tiro un pugno in faccia!-
- Non vorrai rovinare il mio splendido viso, principino?-

A quel punto, Sera prese coraggio e si frappose fra i due, dividendoli prima che Benedikt lo prendesse per davvero a cazzotti, non era la prima volta che minacciava qualcuno e poi lo faceva senza esitazione.

- Basta, per favore...! Se continuate a bisticciare è probabile che ci scoprano, finiremmo tutti e tre nei guai!-
- Se è davvero un principe cos'ha di cui preoccuparsi? Un ordine qui, uno lì e tutto si risolve. Sbaglio?-

La ragazza rivolse uno sguardo al biondo, il quale sembrava stesse per esplodere.

- È che— uhm... non siamo nella posizione di far presente la nostra permanenza.-
- Oh, ma davvero? E se, per caso, andassi a chiamare una delle guardie?-
- No, per favore...! Non abbiamo cattive intenzioni, lo giuro.-

Lo sconosciuto ghignò, ma in quel momento la porta dietro di lui si aprì. Una testa di grossi boccoli castani fece capolino, seguita da due perle nere d'ebano. Si trattava di una ragazza piccolina, dai lineamenti dolci e di una rara bellezza.

- Che succede qui fuo— – Non appena incrociò lo sguardo con Benedikt sembrò spaventarsi e si affrettò ad inchinarsi. – A—Altezza?!-
- Buonasera, Lady Artemiya, gradirei parlare con voi.-
- Entrate pure.-
- Artemiya, sei matta? Fai entrare così gli sconosciuti nella tua stanza?- Replicò l'altro.
- Non posso negare una visita dal principe.-

La ragazza aprì di più la porta invitando tutti e tre all'interno, poi la chiuse di nuovo e si sedette sul letto. Ci fu un silenzio imbarazzante che durò un bel po', alternato da sguardi fugaci, soprattutto tra il principe ed il ragazzo senza nome. A quanto pare ancora non credeva che lui fosse di stirpe reale, soprattutto dato il suo abbigliamento poco sfarzoso e l'essere accompagnato da una ragazzina ancor più sciatta.
Artemiya sembrava nervosa a vederli così, di certo non si aspettava una visita del genere, né a quell'ora, né vederlo così in astio con il suo amico!

- Altezza, permettetemi di presentarvi Mitja Leclerc; è un mio compagno di classe, nonché amico.-
- Era davvero necessario dirgli come mi chiamo?- Lei gli rivolse uno sguardo sorprendentemente omicida, riuscendo ad ammutolirlo. Benedikt sospirò.
- Questa invece è Sera Mayer, la mia attendente. Ma non sono qui per fare conoscenza, devo chiedervi delle cose importanti, motivo per cui mi sono rivolto a voi a quest'ora assurda.-
- Comprendo... se è davvero così, allora vi ascolto.-

Benedikt rovistò nella bisaccia che si era portato dietro e tirò fuori le pagine trovate in biblioteca qualche giorno prima. Le diede alla capocasa e lei, dopo averci dato un'occhiata, sembrò trasalire, ma cercò di rimanere composta con scarso successo: le sue mani tremavano.

- Ho pensato che voi sapreste completare le informazioni mancanti. Siete una Blaiddyd, queste pagine parlano della vostra famiglia.-
- Come le avete ottenute?-
- Erano nascoste nella biblioteca del castello di Enbarr.-

I suoi occhi neri corsero qua e là non sapendo dove andare; se avesse potuto, sarebbe scappata anche dalla finestra. Tutti quegli sguardi addosso la stavano mandando in completa confusione.

- Io non ne so nulla.

I presenti si sorpresero, più di tutti Mitja. Sera sospirò e Benedikt spalancò gli occhi mostrando incredulità.

- Nulla...? Ma io ho bisogno di queste risposte! Cosa diamine è il Sacro Regno di Faerghus? Perché le informazioni a riguardo sono state cancellate?-
- Non tutto viene scritto nei libri di storia, soprattutto se si parla di qualcosa di superfluo e inutile.- Artemiya gli rispose con tono freddo e distaccato.
- E a te sembra inutile il fatto che un tempo l'Impero non governasse i territori tra l'Ailell e Arianrhod?! "Areadbhar viene brandita dal re o la regina portatore del segno di Blaiddyd", è scritto lì, la tua famiglia è di stirpe reale e tu la definisci un'informazione superflua?- Anche lui cambiò tono, adirandosi.
- Ho già detto di non essere a conoscenza delle vostre risposte. Forse la storia è stata modificata perché inesatta.-
- Mi rifiuto di credere a queste sciocchezze.-
- Areadbhar non esiste, come non esiste nessun Segno di Blaiddyd. Ora vi chiedo di andarvene, non ho altro da dire.-
- No.-
- Benedikt, andiamo... non intestardirti...- A quel punto intervenne Sera, la quale riuscì a fargli cambiare idea.
- Ah, dannazione!-

Il principe, in preda alla rabbia, tirò un pugno contro il muro ed irrimediabilmente una serie di profonde crepe iniziò ad espandersi sotto la sua mano chiusa. In quel momento Artemiya si alzò in piedi come se avesse visto un fantasma ed iniziò ad avvicinarsi lentamente a lui; Mitja si intromise tentando di farla desistere e ripetendole che quel tizio poteva essere pericoloso, ma le sue furono parole al vento.
Con entrambe le mani avvolse il pugno chiuso che ancora era poggiato sulla parete e tirò a sé la mano. Nonostante il colpo devastante, non aveva alcuna ferita sulle nocche e ciò la fece rimanere a bocca aperta.

- Voi... vi capita spesso?-
- Il numero di oggetti che ha rotto involontariamente è prossimo all'infinito.- Le rispose la cameriera.
- La vostra forza deriva dall'allenamento?-
- Sono sempre stato così, io ho studiato come mago.- Stavolta fu l'interessato a prendere parola.
- Questi... – Esitò. – sono gli effetti del Segno di Blaiddyd.-
- Il Segno di Blaiddyd...? Non è possibile, io sono nato senza.-
- Vi dico che è così: nessuno sarebbe in grado di fare questo ad un muro di pietra senza essersi mai allenato in vita sua.-

La ragazza continuava a tenergli stretta la mano tra le sue, spostando lo sguardo tra essa e gli occhi celesti di Benedikt. In quel momento si rese conto anche lei che ci fosse qualcosa di strano in tutta quella situazione: aveva avuto modo di conoscere di persona entrambi i principi d'Adrestia, eppure se non gliel'avessero detto non avrebbe mai pensato che fossero fratelli. Non avevano assolutamente nulla in comune, nessun lineamento, colore di occhi o capelli... zero.
E più guardava il maggiore, più dubbi nascevano in lei. Senza contare quella neonata scoperta: la forza devastante del Segno di Blaiddyd, il Segno del Re, quello andato perduto vent'anni prima durante la battaglia alla pianura di Tailtean, perché lei faceva parte di quel ramo della famiglia incapace di ereditarlo.
Non l'aveva suo nonno, non l'aveva sua madre, non l'aveva lei, ma il principe ereditario dell'Impero sì. Perché?

- Principe, perché siete venuto al Garreg Mach appositamente per chiedermi informazioni riguardo alla mia famiglia?-
- È partito tutto per caso, dopo una serie di eventi, com'è stata casuale la mia scoperta. Volevo solo capire perché sembra sia stata fatta una damnatio memoriae nei vostri confronti.-

A quel punto Artemiya gli lasciò la mano e fece un passo indietro chinando il capo. Mitja si fece avanti e le poggiò le mani sulle spalle in segno di conforto; Benedikt pensò che anche lui fosse a conoscenza di qualcosa. Sera, invece, ascoltava in silenzio la conversazione.

- Non conosco i veri motivi di tutto ciò, ma ho sempre pensato che l'Imperatrice volesse umiliarci. La vita di mio nonno fu salva solo perché si arrese alle sue nuove leggi, ma questo fece decadere il nostro casato, come tutti quelli che appoggiarono il re durante la guerra. I nobili servono solo a custodire le reliquie ed evitare che cadano in mani sbagliate, mentre il sud prolifera e si arricchisce sempre di più.
Il Rosso Adrestiano non è nient'altro che il sangue delle vittime brutalmente uccise da Edelgard von Hresvelg ed il suo esercito. – Vedendo il principe a bocca aperta, si spaventò e fece per indietreggiare nuovamente, scontrandosi però con il petto del ragazzo dietro di lei. – Mi— Mi dispiace, non volevo infangare il nome di vostra madre— perdonatemi, io— io—- Si morse il labbro, quasi sull'orlo del pianto. Era terrorizzata.
- Se avete qualcosa da dire, non sarò di certo io a tapparvi la bocca. So bene che non tutti nel Fódlan amano l'Imperatrice, non posso uccidervi perché voi provate legittimo rancore. Parlate, ditemi tutto ciò che volete.-
- E chi me lo dice che non le farai del male dopo aver appreso tutto? Artemiya ti ha già detto troppo, non avrebbe dovuto rivelare nemmeno un'informazione, se qualcuno parla della guerra di vent'anni fa o del Regno viene condannato a morte! Sei qui solo per tagliarle la testa, non è vero? Perché è una Blaiddyd? Non posso credere che il principino ereditario di tutto il dannato continente non sappia nemmeno della storia di sangue che ha unificato i suoi territori, se non ti mettono nemmeno al corrente di tutti i loro sotterfugi, beh... scordati il trono.-
- Vorrei dire io una cosa: – Sera si fece finalmente avanti, guardando Mitja negli occhi. – so che può sembrare ovvio da parte mia dirlo considerata la mia posizione, ma il principe che avete davanti non farebbe mai una cosa del genere. Benedikt è un uomo dal cuore puro e dalla bontà assoluta, sepolta sotto una spessa maschera di sarcasmo e rispostacce, ma io ho avuto il privilegio di vedere la sua vera essenza tante volte... fino ad innamorarmene. Non avrei mai voluto rivelare questo segreto, ma se ciò può portare entrambi a fidarvi di noi, sono subito pronta a farlo. – Rivolse un'occhiata al diretto interessato, il quale sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto. – È vero che siamo qui per pura coincidenza, non avevamo idea della storia che si nasconde dietro qualche pagina trovata in una biblioteca polverosa, ad Enbarr siamo cresciuti nell'ignoranza e nessuno si è mai permesso di farsi sfuggire una parola a riguardo... ed ora ne capisco il motivo, condannare a morte? Perché? Perché nascondere una grande vittoria come la conquista di un continente?-
- Grazie Sera, basta così.
Io... vorrei saperne di più a riguardo, se davvero porto il Segno di Blaiddyd, allora forse potrei essere coinvolto in questa assurda storia. Non farei mai del male a chi è a conoscenza delle risposte che non ho mai avuto. Quindi ve lo chiedo per favore, Lady Artemiya, ditemi di più. Se dovessi cercare di farvi del male, offrirò a voi la mia testa.-

Benedikt arrivò addirittura ad inginocchiarsi davanti a lei con il capo chino pur di dimostrare che stesse dicendo la verità. A quel punto Artemiya si liberò da Mitja e si inginocchiò anch'essa, gli prese il viso tra le mani e lo alzò in modo da poterlo guardare negli occhi. In lui scorgeva il gelo più puro, un freddo capace di uccidere, ma anche di alleviare il dolore delle ferite.
La neve del nord, il ghiaccio limpido.
Era davvero un adrestiano?

- Dimitri Alexandre Blaiddyd, questo è il nome completo del Re dei Leoni, il Re delle Tempeste, colui che sfidò l'Impero mentre imperversava il temporale, colui che fu pronto a marciare dalla capitale per tentare di proteggerla. Quel giorno vi dissi di non conoscerlo perché temetti la morte, così come prima ho detto che Areadbhar ed il Segno di Blaiddyd non esistono. In questo credevo, pensavo fossero scomparsi, ma se voi possedete davvero quel sangue, allora è possibile che la Macellaia sia ancora da qualche parte.
Se volete venire a conoscenza di tutto ciò che è stato nascosto, però, dovrete venire ad Itha e parlare con mio nonno.-

 

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Capitolo 5
*** 4 ; The Frozen Tears of Angels ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

4

The Frozen Tears of Angels


I quattro stabilirono un piano per il giorno dopo: Mitja avrebbe ospitato Benedikt nella sua stanza per la notte, mentre Artemiya avrebbe fatto lo stesso con Sera. Successivamente, i due studenti si sarebbero dati malati per saltare le lezioni e così decidere come andare ad Itha a soli pochi giorni dall'inizio dell'anno scolastico senza destare alcun sospetto.

- I tuoi capelli sono proprio belli, e con un po' di accorgimenti potrebbero esserlo ancor di più.

Artemiya non aveva potuto fare a meno di toccare con mano quei corti ricciolini che incorniciavano il viso abbronzato della cameriera, quasi estasiata dalla forma dei boccoli. Avevano un colore simile, ma i suoi erano molto più grossi e spessi, quelli di Sera erano invece sottili come delle molle.

- Davvero? – La diretta interessata se li toccò, arrossendo un poco. – Purtroppo non ho molto tempo per curare la mia persona, i miei compiti vengono prima.-
- Mi spiace che tu debba farti carico di così tante responsabilità... sembri davvero giovane, quanti anni hai?-
- Alla Luna dell'Arpa ne compirò diciotto.-
- Siamo quasi coetanee, io ne avrò diciassette alla prossima Luna del Pegaso.-
- Il penultimo mese dell'anno... Benedikt li compie il successivo.-
- Dal modo in cui ne parli sembri tenerci tanto, sei davvero innamorata di lui come hai detto prima?-
- ... Sì, con tutto il cuore, ma temo che il mio sogno di rivelarlo al mondo non potrà mai realizzarsi. Io sono solo una ragazzina di campagna che a malapena sa leggere e scrivere, mentre lui è uno stupendo principe di rara bellezza che un giorno erediterà un Impero. La mia paura è continuare a servirlo dopo il suo aver sposato un'altra donna... probabilmente non reggerei il colpo.-
- Dev'essere dura... in ogni caso, tifo per voi. I romanzi dove il principe di turno sposa una popolana o viceversa sono i miei preferiti perché l'amore tra i due è sempre sincero ma travagliato, le storielle tra nobili sono noiose e prevedibili.-
- Spero di vivere una storia degna di un romanzo, allora... Benedikt è sempre sincero con me e si è sempre fatto avanti per primo, eppure quella paura rimane sempre insita nel mio cuore. Se dovessero combinargli un matrimonio lui non avrebbe alcun potere per rifiutare, finché è principe deve sottostare agli ordini della madre.-
- Sentendo queste storie sono quasi contenta che il mio casato sia decaduto, così sarò molto più libera di sposare chi vorrò in futuro.-
- Intendete il ragazzo di prima?-
- N—no! – Artemiya arrossì di colpo, poggiandosi le mani sulle guance. – Mitja è un caro amico, non un fidanzato...!-
- Capisco... sembrate molto affiatati.-
- Forse è perché ci conosciamo sin da quando eravamo bambini. È sempre in viaggio per il continente insieme a suo padre e spesso veniva a trovarmi, se non lo avessi convinto ad iscriversi qui probabilmente starebbe ancora vagabondando con lui.-

Mitja stava conducendo Benedikt nella sua stanza. Era piuttosto distante da quella di Artemiya e, soprattutto, la strada in un punto era sorvegliata da alcune guardie, perciò dovettero fare ancor più attenzione per non farsi vedere.
Entrambi tacquero per tutto il tragitto, ma appena la via fu sgombra il più basso iniziò subito a parlare.

- Sappi una cosa: Artemiya si fida di te, ma io assolutamente no; rimani uno spocchioso principe per quanto mi riguarda, un passo falso e ti taglio la gola mentre dormi.

Il biondo dovette trattenersi dal dirgli qualcosa del tipo "tagliala pure, tanto la ferita si chiuderà in tempo zero", ma probabilmente lo avrebbe reso ancor più sospettoso agli occhi di quello strano tizio. E soprattutto, se fosse stato intelligente, sarebbe passato direttamente alla decapitazione; con quella aveva dubbi sulla propria sopravvivenza, meglio non rischiare.

- Cos'hai contro i nobili? Ci conosciamo da venti minuti e già stai diventando noioso.-
- Non sopporto il loro ostentare ricchezza. Quando l'Imperatrice vinse la guerra promise di eliminare le classi sociali, ma tutto è rimasto come prima o peggio: il Faerghus sta morendo ed il Leicester sopravvive solo perché più florido e coltivabile. Ops, ho parlato di argomenti proibiti. Vuoi uccidermi?-
- Questo è l'ultimo motivo per cui potrei farlo, onestamente.-
- Quanto sei antipatico, si vede che sei un nobile.-
- Smettila, Comediaminetichiami.-
- Mitja, te l'ho già detto.-
- Non che m'importi.-
- E allor— uff, di benedetto non hai proprio niente.-

Mitja accelerò il passo a braccia incrociate, seccato da quel tizio troppo altezzoso. Probabilmente era anche stupido.
Non somigliava a nessuno dei reali dell'Impero -e lui poteva dirlo di certo, li aveva visti entrambi in volto-, anche le sue abilità differivano dalle loro e, addirittura, si portava dietro una mostruosa forza che poteva provenire da un posto soltanto: il nord. Quindi, a meno che l'Imperatrice non avesse avuto un'ambigua relazione con un portatore del Segno di Blaiddyd – addirittura il Re, Coso non era figlio neanche suo.
Restava da capire da quale buco l'avessero pescato e perché non sapesse nemmeno di avere quel Segno dal potere devastante.

- Eccoci.

Aprì la porta della stanza e lo fece accomodare all'interno. Lo osservò guardarsi intorno con curiosità, chiedendosi se davvero fosse sincero.

- Tu puoi prendere il mio letto, io mi farò andare bene la poltrona.-
- Ho dormito per due notti in un bosco appoggiato al tronco di un albero, la poltrona mi basta.-
- Oh, il principe si è sacrificato? Allora avrà bisogno di un comodo e caldo materasso. Dormi lì, insisto.-
- Mh? – Benedikt aggrottò la fronte. – Prima mi tratti come feccia e poi insisti per lasciarmi il letto; cosa stai tramando?-
- Niente, non posso cercare di ingraziarmi un reale? Oppure il mio gesto è solo di pura gentilezza?-
- Allora proverò a fidarmi, grazie per il posto comodo. Goditi la poltrona.-
- Prima consegnami le armi che hai, non si sa mai.-
- Te l'ho detto, sono un mago, non ho bisogno di armi.-
- Perché non me lo dimostri?-

Benedikt si avvicinò a Mitja, il quale ormai si era spiaggiato sul divano, poi aprì la mano con il palmo rivolto verso l'alto. Dapprima non successe nulla, ma dopo qualche secondo da essa iniziarono a generarsi luminose scariche elettriche blu. Corsero all'impazzata lungo la mano e si concentrarono tutte in un'unica sfera di energia, piccola ma dall'aria potente, capace anche di smuovergli le ciocche bionde ed i vestiti come se nella stanza stesse soffiando il vento.
L'altro lo osservava con un sorriso stampato sulle labbra ma senza parlare, finché il principe non decise di serrare le dita ed essa scoppiò come una bolla di sapone. Contro ogni pronostico, invece di esplodere e fare danni, i rimasugli si ricongiunsero al loro evocatore.
Il ragazzo si mise ad applaudirgli fingendo disinteresse, ma ciò che provava era tutto il contrario. Quei fulmini avevano una potenza spropositata a dir poco e lui non sembrava curarsene – come biasimarlo, era stato allevato in quel modo.
Ma ciò che sapeva era che il Segno di Blaiddyd ampliava solo la forza fisica, non la magia. Allora come faceva ad averne così tanta? Artemiya gli aveva detto di essere negata con essa e così anche la sua intera famiglia.
Si aspettava una fiacca saetta da parte sua, mai e poi mai una forza del genere, questo era assolutamente stranissimo. Il suo sguardo volò per un attimo verso l'armadio a doppia anta chiuso; se ci avesse guardato dentro sarebbe stato in pericolo, seriamente.

Il mattino dopo non tardò ad arrivare -anche perché erano andati a dormire davvero tardi- e, messi in atto gli accordi ed aspettato il momento giusto, i quattro si erano ritrovati nella stanza di Artemiya, pronti ad organizzare il loro "piano di fuga" che fuga non era, o almeno per metà del gruppo.
La giovane Blaiddyd, sfruttando una serie di "per favore", lagne ed occhioni dolci era riuscita a convincere uno dei cavalieri a guardia del Garreg Mach ad organizzare tempestivamente una carrozza con la scusa di essere molto preoccupata per il nonno, perché ad Itha faceva sempre freddissimo e non potersi prendere cura di lui la faceva stare male.
Certo, era una pessima attrice, ma il suo aspetto a dir poco adorabile aveva decisamente giocato a suo favore. Disse di avere Mitja come accompagnatore per essere più sicura, omettendo un importante dettaglio: Benedikt e Sera.
I due li avrebbero seguiti a cavallo da lontano, alla prima sosta in un paese avrebbero regalato l'animale a qualcuno e, fingendosi bisognosi mendicanti, si sarebbero infilati nella carrozza con loro.

Inizialmente il cavaliere era stato titubante a permettere a due sconosciuti di sedersi con una -seppur decaduta- nobile nella medesima carrozza, ma la ragazzina aveva insistito parecchio sul voler aiutare "quei poveretti", perciò aveva permesso loro di salire dopo un'approfondita perquisizione. Il principe si stupì: bastava legare i capelli in una crocchia ed indossare abiti normali per diventare improvvisamente un popolano della più bassa lega? Ironico.
Dopo un paio di giorni finalmente giunsero a destinazione e lo capì dal totale cambiamento dei paesaggi; tutto era diventato grigio, arido, coperto di neve o fango, ma soprattutto povero. Quel luogo era il completo opposto della sempre soleggiata Enbarr, del suo cielo azzurro ed il caldo torrido.
Eppure Benedikt sembrò apprezzare tutto ciò. I suoi primi passi sulla neve furono magici, quasi gli dispiacque rovinare il manto bianchissimo con le impronte delle scarpe, ma il suo lieve croccare era tremendamente soddisfacente. Nonostante fossero già alla prima Luna dell'anno, faceva molto più freddo che durante il peggior inverno della capitale imperiale, per questo Sera si stava congelando, abituata com'era a temperature ben più alte.
Per sua fortuna Mitja aveva lo stesso problema, motivo per il quale, prima del viaggio, si era munito di un vestiario adatto, perciò la ospitò sotto il suo pesantissimo mantello di pelliccia, mentre gli altri due sembravano resistere senza particolari problemi.
Il castello di Itha era proprio davanti a loro, più simile ad una fortezza che ad una reggia vera e propria – Artemiya spiegò che quell'architettura era tipica del Faerghus. Interamente costruito di pietra, esso era posto su un'altura lievemente al di sopra della città semideserta di cui doveva essere il fulcro.
Benedikt era rimasto stupito dalla desolazione a cui aveva assistito negli ultimi giorni; abituato com'era alla folla frenetica, quel luogo gli trasmetteva solamente tristezza.

Artemiya fece loro strada portandoli all'interno. Anche lì era tutto di pietra, con le pareti decorate da arazzi blu e sul pavimento tappeti del medesimo colore. Parecchie armature riempivano l'ambiente, con le lance inforcate sembravano in procinto di prendere vita ed infilzare chiunque avesse osato proseguire.
Dopo aver percorso un lungo corridoio il quartetto si trovò al cospetto di due troni poco raffinati, dietro di essi quello che sembrava uno stendardo strappato, altre due armature incrociavano le spade proprio davanti ad esso.
Un uomo era seduto sulla sinistra, con le mani sui braccioli, la testa china e gli occhi chiusi, i capelli biondi gli incorniciavano il viso. Non appena udì i passi alzò il capo ed agì con sorpresa ritrovandosi davanti sua nipote, un tizio che ogni tanto gli bazzicava in casa, una ragazzina sconosciuta e... Dimitri— no, non Dimitri, il principe d'Adrestia, si erano incontrati l'altro giorno.

Mimi...? Perché sei qui? E con loro?-
- Avrei dovuto avvisare, ne sono consapevole, ma è successo tutto all'improvviso e ho pensato che la soluzione migliore fosse tornare immediatamente ad Itha.-
- Ti è successo qualcosa di grave?-
- Non sono qui per me— a dire il vero potrebbe riguardarmi, per il momento preferisco però starne fuori. La persona che ha bisogno di te è proprio lui, – La nipote rivolse uno sguardo all'interessato. – Benedikt, il principe. Ma in privato, e nessuno dovrà ascoltarci.-

Rufus alzò lo sguardo oltre i presenti ed in lontananza vide uno dei pochi soldati che ancora lavoravano sotto il suo comando. Sospirò e, dopo essersi alzato, invitò il quartetto a seguirlo.
Li condusse nel suo studio, un'ampia stanza con una finestra che dava su un balcone, una scrivania in legno massiccio, alcune librerie ricolme di manoscritti ed uno stendardo, stavolta integro, affisso al muro.
Era di colore blu, con un cavaliere in sella ad un grifone ricamato in argento e sotto di esso un simbolo; Benedikt lo riconobbe come il Segno di Blaiddyd che aveva visto sui libri ad Enbarr.
Il vecchio rimase in silenzio a scrutare il principe per un bel po', con tutta l'aria di una persona al contempo spaventata e che non credeva ai suoi stessi occhi. Solo in un secondo momento gli chiese il motivo della visita, facendosi raccontare tutto ciò di cui era venuto a conoscenza nell'ultimo periodo -ma omise la storia delle ferite che guarivano in fretta e del possibile Segno in suo possesso- e, ad ogni parola, ogni dettaglio aggiunto dai presenti, l'uomo sembrava essere sempre più incredulo.
Se quel ragazzo non era Dimitri tornato dall'inferno, allora chi era? La Dea era finalmente giunta per punirlo?

- Voi c'eravate quando si svolse questa guerra, siete l'unico che può darmi le risposte che cerco, perché mia madre ha fatto tutto questo? Cancellare parte della storia del Fódlan? A che scopo?-
- Per quale motivo vi preme così tanto saperlo?-
- Voglio essere al corrente di tutto ciò che riguarda il paese su cui un giorno dovrò regnare.-
- ... Dannazione, – Emise un verso simile ad un grugnito. – è per questo che sei qui a chiedermi informazioni delle quali se parlassi dovrei subire la pena di morte, principe? Sei qui per uccidermi? Per togliermi anche i rimasugli di ciò che mi è rimasto?-
- Cosa diamine state confabulando? Non ho detto nulla di tutto ciò.-
- Vattene, non cadrò nella trappola dell'imperatrice, lei vuole che io muoia, e per farmi fuori ha inviato il frutto dei miei incubi. Non mi lascerà mai in pace!-
- Voi siete completamente pazzo, mi chiedo perché abbia viaggiato così tanto solo per parlare con un vecchio che ha perso la testa. Dovrò arrendermi all'ignoranza, a quanto pare, tornerò ad Enbarr e farò finta di nulla.-
- Via di qui, quel volto continua a perseguitarmi da più di trent'anni, non ho alcuna intenzione di rivederlo.-

Benedikt, arrabbiato come non mai, fece per uscire e lasciare tutti lì. Immaginava una possibilità di ricevere la stessa reazione avuta da Artemiya, ma a quel punto...? Odiava tutto ciò.
Fu proprio lei a fermarlo; gli afferrò il polso sinistro con entrambe le mani e si impuntò con i piedi, pregandolo di arrestare la sua avanzata.
Rufus le stava intimando di lasciare quel "leone", ma lei rimase sorda e fissa sull'obiettivo. Il principe si fermò solo per domandarle con stizza cosa volesse, ma a quel punto si voltò indietro ed urlò:

- Nonno, forse lui porta il Segno di Blaiddyd!

L'uomo spalancò gli occhi e rimase a bocca aperta. Aveva sentito bene? Quel giovane con la faccia del Re dei Leoni ne portava anche il Segno?

- Dice il vero?- Si rivolse direttamente a lui.
- Io... io non lo so, sono cresciuto con la convinzione di non possederne alcuno, ed invece vostra nipote sostiene fermamente che io lo abbia per via della mia forza sopra la media.-
- Avete mai rotto qualcosa, anche di molto resistente, in modo inspiegabile?-
- Casi del genere sono all'ordine del giorno.-
- A meno che un esperto di segnotica competente e, soprattutto, non corrotto dall'impero non ti visiti, è impossibile essere sicuri al cento per cento della presenza di un Segno, ma se questi avvenimenti fossero reali, è molto probabile che tu lo possieda.-
- Nonno, per favore, raccontagli tutto ciò che vuole sapere... potrebbe essere importante e servire a capire come mai il principe adrestiano sembri provenire direttamente dalle terre dei Blaiddyd. Lo vogliamo sapere tutti, qui.- Lei incrociò lo sguardo con gli altri tre, poi tornò a guardare Rufus.

A quel punto si lasciò andare, e scoppiò in un fiume di parole. Raccontò di come fosse strutturato il Sacro Regno di Faerghus, la pestilenza che quasi sterminò la famiglia reale, di suo fratello e di come fu brutalmente assassinato in Duscur. Successivamente parlò del principe che poi divenne re solo in parte e con un certo disagio, sembrava temerlo anche dall'aldilà, l'unica nuova informazione acquisita su di lui era il suo combattere brutalmente e lasciare una scia di cadaveri macellati ad ogni scontro.
Benedikt rimase molto incuriosito da quella figura, ma ormai aveva capito che Rufus non gli avrebbe più detto nulla a riguardo – solo un miracolo poteva permettergli di mettere finalmente insieme tutti i pezzi del puzzle.
Quella notte l'uomo senza testa tornò a fargli visita in sogno.

Il mattino dopo Artemiya aveva fatto svegliare tutti prima dell'alba. Si era presentata in stanza di ognuno con addosso un'armatura pesante beige, i  capelli legati in due codini, spada in mano e oggetti per i suoi nuovi compagni. A Benedikt portò un cappotto, un paio di guanti, scarponi da neve ed una lancia d'argento, mentre a Sera un intero completo invernale che l'avrebbe protetta dal gelo ed un pugnale.
Quando il gruppo fu pronto aveva fatto riunire tutti nel giardino sul retro del castello. Fortunatamente non nevicava, ma il sole aveva appena iniziato a fare capolino ed il freddo era estremo, da congelare all'istante il naso e far perdere sensibilità ad ogni centimetro di pelle scoperta.

- Era proprio necessario uscire a quest'ora? E perché, poi?- Sera abbracciava sé stessa e si era nuovamente rifugiata nel mantello di pelliccia di Mitja per cercare di resistere. Non era affatto abituata a quelle temperature.
- Il freddo tempra corpo e mente, per questo il Faerghus vantava così tanti nobili guerrieri.
Ho deciso di portarvi nel bosco dietro il castello perché desidero cacciare e testare le abilità del principe, voglio essere più sicura delle mie congetture sfidandolo in battaglia. – Artemiya si rivolse all'interessato. – Per voi va bene?-
- Non c'è problema, aiuterà anche me.-
- Ottimo, andiamo.-

La ragazza si mise di nuovo in testa al gruppo. Nonostante la fitta foresta di alberi spogli sembrasse tutta uguale, lei sembrava orientarsi perfettamente in essa, segno che in quel luogo ci fosse stata parecchie volte.
Nel tragitto Sera domandò a Mitja cosa fosse quell'oggetto lungo, sottile ed avvolto da un lenzuolo affisso alla sua schiena, ma il ragazzo si era limitato a sorridere un po' ambiguamente ed aveva risposto solamente "Mimi vuole cacciare, e così faremo".
... Quel tizio era strano.
Il lungo ed impervio cammino terminò in uno spiazzo vuoto, ovale e abbastanza largo da ospitare sia un duello che i due spettatori.
Benedikt andò avanti ed i suoi piedi affondarono nella neve. Si chinò, ne prese un po' tra le mani e la lanciò dritta verso Sera, colpendola al petto e facendola arrabbiare.

- Dannato, io mi sto congelando e tu infierisci!

Bastò questo per infervorarla. Lasciò il posto caldo sotto il mantello, gli corse incontro e gli diede pan per focaccia.
Mitja ed Artemiya li guardavano azzuffarsi ridendo, notando chiaramente che il principe si stesse facendo colpire di proposito, giusto per farla felice.
La ragazzina si allontanò un po' dal gruppo per prendere altra neve fresca, ma rimase paralizzata. Davanti a lei si era palesato un lupo, anormale e gigantesco, con gli occhi bianchi ed una folta pelliccia che lo faceva somigliare vagamente ad un leone, le ringhiava.
Il suo sistema nervoso andò in tilt, diventò completamente sorda e le gambe si bloccarono sul posto.
Mitja si lanciò su Artemiya, la immobilizzò perché non corresse da lei ed iniziò a srotolare le lenzuola avvolte attorno all'oggetto che si era portato dietro.
In quell'istante, la bestia colpì Sera con una zampata in modo tanto violento da lanciarla a molti metri più in là come una bambola di pezza, una fontana di sangue e le budella fuoriuscirono dal suo addome completamente squarciato, la neve che si tingeva di rosso.
L'ultima cosa che sentì fu l'urlo lacerante di Benedikt gridare il suo nome.
Perché sembrava disperato...?


Ciao a tutti, ho creato una carrd di questa storia per raccogliere i capitoli ed altre info sui personaggi che arriveranno in futuro. C’è anche una playlist a tema dentro quindi guardatela. uwu

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Capitolo 6
*** 5 ; Zeit ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

5

Zeit


Artemiya si dimenava sotto il peso di Mitja, il quale l'aveva bloccata mettendosi letteralmente a cavalcioni su di lei e con le ginocchia piantate sugli avambracci. Complice la pesante armatura, difficilmente si sarebbe potuta liberare da lui.
Non poté far altro che guardarlo; aveva lo sguardo fisso sul mostro, faticava persino a sbattere le palpebre, i denti stretti.
L'oggetto che si era portato dietro risultò essere ancor più misterioso di quanto non fosse da coperto di stracci: consisteva in un sottile tubo metallico, molto lungo, incassato in un pezzo di legno con degli incavi geometrici sigillati dal vetro. Ad una delle estremità il legno formava quella che sembrava un'impugnatura. L'afferrò con la mano destra, mentre il resto veniva sostenuto dall'altra. Chiuse l'occhio sinistro, se lo portò vicino al viso ed in quell'istante le "finestre" di vetro si riempirono di una forte luce verde.
Magia del vento...? Era un'arma quella cosa?!
Tutto ciò che le era consentito di fare era aspettare e vederla in azione, momento che però non arrivò mai.
Mitja si bloccò.

Benedikt si dimenticò completamente del lupo gigante per correre da Sera, la quale era riversa su un fianco con la faccia nella neve, un lago di sangue attorno a lei e le interiora sparse subito sotto il suo corpo. Fece il grande errore di prenderla tra le braccia e girarla a pancia in su; l'orrore si impadronì di tutti i suoi sensi e scoppiò a piangere, mentre come un'automa cercava di rimetterle le budella al loro posto.
Perché proprio lei?! Sera non aveva fatto niente! Dovevano prendere lui, per una volta quello strano potere capace di curargli le ferite avrebbe avuto un senso!
Se solo fosse stato lui ad essere sbudellato... ma non lei... non poteva morire così. Era tutta colpa sua, del suo capriccio, perché l'aveva costretta a seguirlo in una missione inutile rivelatasi suicida.
Non se lo meritava, non se lo meritava, non se lo meritava, non se lo meritava.
A quel punto era ormai pieno di sangue dalla testa ai piedi, anche in viso, perché costretto più e più volte ad asciugarsi le lacrime che gli annebbiavano la vista.

- Sera, Sera, Sera, Sera— – Singhiozzò. – non lasciarmi, ti prego, o impazzirò, te l'ho detto. Non voglio far del male a nessuno, ti scongiuro, vivi, sei ciò che ho di più importante, più di me stesso, il mondo ha bisogno di te, di una luce in mezzo a tutto questo buio opprimente. Per favore, per favore, per favore...-

La povera ragazza aveva gli occhi schiusi e per miracolo ancora, seppur con parecchia fatica, respirava. Ormai non sentiva nemmeno più il dolore, non aveva neanche capito di essersi persa metà tubo digerente. Tutto ciò che udiva erano il pianto e le suppliche di Benedikt, completamente ricoperto di sangue. Gli avrebbe chiesto "perché piangi? Non lo fai mai", ma per qualche motivo non riusciva a parlare, a consolarlo. Odiava essere impotente.
Una figura sfocata e nera apparve dietro il principe; voleva avvertirlo, ma uno strano calore iniziò a riscaldarla, facendola pian piano cadere in un sonno profondo.

- No...! Riapri gli occhi, Sera...!

Fino a quel momento si era concentrato solo sul suo viso, ma quel lento addormentarsi oltre ad averlo allarmato poco dopo lo aveva anche stranito. La pelle del volto non era più tesa, era rilassata, ed il petto non aveva cessato di alzarsi ed abbassarsi.
Solo quando abbassò lo sguardo rimase completamente incredulo; stava sognando...? Vide chiaramente le sue interiora rientrare nel corpo e rimescolarsi nel giusto ordine, addirittura il sangue staccarglisi di dosso per tornarle nelle vene e, pezzo per pezzo, muscoli e pelle ricucirsi fino a riassumere il loro stato originale, senza quei rimasugli di lividi che non era riuscito a curare.
Sembrava che il tempo per lei si fosse riavvolto, era sicuro che nemmeno il suo potere gli avrebbe permesso di rigenerarsi tanto in fretta. Finalmente Sera tornò a respirare regolarmente.
Nel silenzio udì un lievissimo suono che lo fece voltare di colpo e spaventare a morte.
Due iridi di ghiaccio, chiarissime e quasi trasparenti, lo stavano guardando. Nello stesso momento in cui li incrociò, quegli occhi accerchiati da ciglia lunghissime e trucco nero e pesante si spalancarono.
Appartenevano ad una donna dalla pelle bianchissima, piccola e magra ma dalle forme generose, soprattutto il seno. Indossava un vestito nero lungo fino ai piedi, con un profondo spacco laterale e spalle e petto completamente scoperti, le maniche lunghe inutili perché talmente leggere e larghe da essere trasparenti. Portava un velo scuro sulla testa il quale le nascondeva i capelli ed era piena di gioielli: il capo era avvolto da un diadema d'oro e pietre azzurre, con lo stesso schema ripetuto per la grossa collana al collo, gli orecchini e la decorazione attorno ai fianchi.
Gli occhi erano grandi, le sopracciglia rosa pesca folte, le labbra sottili tinte di un bordeaux lucido.
Aveva ancora il braccio teso in direzione del corpo esanime di Sera, quando si accorse di essere guardata lo ritirò subito e all'istante sembrò chiudersi in sé stessa.

- Si riprenderà presto... forzare il corpo a rigenerarsi tanto in fretta lo stanca.

Aveva un tono di voce estremamente triste ma al contempo dolce, piacevole da ascoltare seppur il suo fu quasi un sussurro.
Benedikt rimase incantato dalla sua bellezza, sembrava provenire da un altro pianeta. Chi era quella donna?

- Come... come avete fatto? La vostra magia bianca è la più potente che abbia mai vi—

Non riuscì a completare la frase che alle sue spalle sfrecciò un'ombra nera e, quando si voltò in sua direzione, vide un ulteriore mostro grande più del doppio del lupo che aveva aggredito Sera. Era una bestia piena di muscoli e bipede, con una maschera in ferro sul muso e sulle zampe, aveva un aspetto terrificante.
L'animale non riuscì a far altro che soccombere sotto il peso del demone, il quale aveva iniziato a divorarlo mentre era ancora vivo.

- Lui non le farà del male.

Fu l'unica cosa che la donna gli disse, ma non ricevette risposta perché in quel momento si era palesato Mitja. Le stava puntando quell'aggeggio contro, la luce verde gli rifletteva sul viso.
Lei emise un verso di sorpresa alla vista dell'arma, sembrava averla riconosciuta.

- Chi sei? Perché una bestia demoniaca è sotto il tuo comando?-
- Io—- Indietreggiò di un passo, spaventata, alzando le mani. All'anulare sinistro aveva un anello d'argento.
- Sta ferma, o premo il grilletto. Lo sai cosa succede se lo faccio, non è vero?- La donna sembrò pietrificarsi ancor di più.
- Mitja, non essere cattivo, ha appena salvato Sera e tu vuoi attaccarla?- Artemiya cercò di farlo ragionare, ma senza successo.
- Non possiamo sapere cos'ha in mente, per quanto mi riguarda anche il lupo che l'ha quasi uccisa può essere suo, considerando il modo in cui ha ordinato a quella bestia gigante di avventarglisi sopra. Quelle cose sono impossibili da istruire.-
- Lui non è una cosa...!-
- Zitta, devi rispondere alle mie domande! Allora? Chi sei?-
- ... Mi chia—-
- Basta così.-

In un battito di ciglia, dietro alla sconosciuta si materializzò un uomo vestito di nero, i capelli covini tirati all'indietro racchiusi in una coda bassa, pelle bianchissima ed il lato destro del viso completamente sfigurato. Ulteriori dettagli non furono visti perché lui, con sua protesta, le afferrò il polso e nel giro di un secondo non erano più lì. Si erano volatilizzati e con loro anche quell'orrendo mostro.
Mitja abbassò l'arma, la quale si spense, e sospirò con amarezza.

- Cosa... cosa diamine è successo?

Benedikt ancora non credeva ai suoi occhi. Chi era quell'ambigua coppia? Quell'uomo aveva un volto terrificante, il contrario di quello della donna, bellissimo e delicato nonostante il trucco pesante. Dovevano essere entrambi molto potenti ed esperti di magia, lei con un'abilità innata nella cura, mentre lui... qualcosa di incomprensibile, non aveva mai visto nessuno sparire così all'improvviso.

- Forse dovremmo riportare Sera a casa e rimandare a dopo le domande, ha davvero bisogno di riposo.- Artemiya si inginocchiò davanti a Benedikt, guardando la ragazza tra le sue braccia con aria preoccupata.
- ... avete ragione, andiamo.-

Detto ciò, si alzò tenendo Sera in braccio ed in quel momento Mitja si tolse il grosso mantello di pelliccia e glielo mise addosso come coperta; l'unico elemento a non essersi rigenerato erano i suoi vestiti ed avere l'addome scoperto con quelle temperature non era proprio l'ideale.
Il principe camminava a ritroso in testa al gruppo, completamente distaccato dalla realtà, ancora sconvolto dell'accaduto. Quella visione fu traumatica. Vedere in diretta la ragazza che si ama venir dilaniata in un battibaleno era stato il momento peggiore della sua vita.
E se non ci fosse stata quella donna ora lei non ci sarebbe più. Da quando era così inutile...? Lui era un principe, il primogenito dell'imperatrice Edelgard von Hresvelg! Tutti l'avevano sempre elevato quasi a divinità, eppure la verità era questa: era solo un uomo pieno di sé, un esperto di magia incapace di far asciugare tre lividi.

Più indietro, i due più giovani lo seguivano. La ragazza controllava anche che Benedikt non sbagliasse strada ed ogni tanto ne correggeva il tragitto rimanendo lontano. Fortunatamente lui seguiva i suoi consigli.
Anche Mitja sembrava turbato dalla scena, camminava in allerta, guardandosi in giro continuamente e con quella strana arma imbracciata ed attiva. Artemiya non aveva idea di cosa fosse, non aveva mai visto un oggetto simile, nemmeno sui libri.

- ... Mi spieghi cos'è quello?- Finalmente si decise a domandarglielo.
- Chi me l'ha venduto lo chiamava "fucile", so solo questo a riguardo.-
- Dove l'hai preso? Non credevo esistessero armi di questo tipo. E soprattutto, qual è la sua utilità?-
- ... Forse non è il momento di parlare da dove viene, lo spiegherò a tutti e tre in un'altra occasione. Per quanto riguarda il suo funzionamento va infuso di magia, in questo caso del vento, e quando si preme il grilletto essa viene eiettata dal tubo di ferro in forma ridotta ma estremamente concentrata; può colpire punti lontanissimi a velocità esorbitanti. Spesso un solo colpo è letale.-
- Ora che me ne hai parlato mi fa quasi paura...- La ragazza si allontanò da lui di qualche passo.
- Non preoccuparti, non lo rivolgerei mai contro di te, Mimi.-
- Lo so, Mitja... ma non si sa mai che scoppi con tutta quella magia al suo interno.
Comunque, secondo te chi è quella donna? Il suo potere è impressionante.-
- Non importa molto chi sia, ma solo che non si tratti di una nemica. Preferirei non incontrare di nuovo l'uomo che era con lei, mi ha dato una sensazione terrificante.-
- Hai ragione, il suo volto faceva davvero paura...!
Di lei in realtà vorrei sapere di più, era così bella... ma sembrava triste dal suo atteggiamento. Ci era rimasta davvero male quando hai chiamato quella bestia "cosa".-
- Fidati, forse è meglio non sapere.-

- Perché?-
- "Perché" cosa?-
- Non fare la finta tonta. Hai salvato un'inutile discendente di quelle bestie.-
- Odio sentirvi parlare così. Era solo una ragazzina, non voglio vedere nessun altro morire davanti ai miei occhi.-

La donna non aveva il coraggio di guardarlo, perciò si distraeva ripulendo dal sangue la maschera di ferro del suo più caro amico. Non voleva si arrugginisse; almeno lui... almeno lui doveva stare bene in tutta quell'orrenda situazione.

Anaxagoras... sono passati così tanti anni, eppure rimani sempre fissa su quel singolo giorno. Devi crescere.-
- Non sono io a dover cambiare, padre. – Chinò il capo in avanti, appoggiando la fronte sul metallo ed accarezzandolo come se appartenesse al più docile degli animali. La creatura sembrò apprezzare il gesto amorevole. – ... è la superficie. L'avete vista? Stanno morendo tutti, io... io non ne posso più... sono stanca di rimanere qui sotto.-
- Mio angelo, credi davvero che lascerei il gioiello più bello del continente alla vista di quegli abomini?-
- Io non sono un gioiello.-
- Ti stai comportando in modo strano, non è da te essere così velenosa.-

Finalmente alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi di ghiaccio in quell'unico speculare e l'orbita vuota. Premette le labbra l'una contro l'altra, stropicciò i lembi della gonna e si strinse nelle spalle.
Lui la esortò a parlare più volte, finché non riuscì a convincerla. Non era sicura se sarebbe stata una buona idea rivelargli i suoi pensieri, ma ormai aveva accettato.

- La previsione... mi sono accorta di averla interpretata male solo in seguito al suo avverarsi.-
- Ancora quella storia? Ne sei ossessionata.-
- Non è un'ossessione la mia, dovreste saperlo anche voi che la Luna Crescente non erra mai.-
- Questa è solo una tua convinzione, non l'ho creata a questo scopo, perciò non ha senso affidarvisi ciecamente. E da quella previsione sono passati più di vent'anni.-
- Voi stesso mi avete insegnato a leggere le carte quando ero una bambina, spiegandomi che le loro risposte sono capaci di dilatarsi nel tempo quasi all'infinito. Sin dalla mia nascita non ho mai sbagliato... e neanche questa volta è successo.
Mi ha... mi ha resa felice. Voglio tornare in superficie ed essere completamente sicura di ciò che ho visto.-
- La risposta è no, Anaxagoras. I miei progetti per te sono ben altri.
Ed ora vieni con me, è ora del rituale.-
- ... Sì, padre.-

Anaxagoras si allontanò dalla bestia, la quale sembrava contrariata dal suo seguire quell'uomo. Ma ormai succedeva sempre più spesso e lei gli obbediva come un'automa.
Da una stanza semibuia passarono ad un'altra, con delle tenui luci azzurre passanti per soffitto e pavimento ed entrambi si sedettero ad un tavolo, su di esso erano presenti un pugnale ed un'ampolla vuota.
Lui lo chiamava rituale, lei razzia, tutto ciò per somigliarle ed essere sempre giovane allo stesso modo.
Gli offrì il braccio destro, pulito ed immacolato, la pelle elastica semplicemente perfetta. Suo padre non ci pensò due volte a rovinargliela con il coltello, lacerando i tessuti per giungere al nettare divino: il suo sangue.
Scese a fiotti ed ormai la donna aveva preso l'abitudine di guardare e sopportare in silenzio il dolore, mentre ogni goccia veniva utilizzata per riempire l'ampolla di vetro.
L'uomo raccolse il sangue finché la ferita non si richiuse di propria spontanea volontà e la pelle tornò al suo stato originale, come se nulla fosse successo.
Anaxagoras si alzò barcollando e se ne andò senza parlare – odiava vedere il padre bere il suo sangue. Tornò al luogo precedente e subito il mostro l'accolse, lei gli mormorò "non temere" e proseguì la sua marcia nella penombra fino a raggiungere del metallo bianco, al quale si appoggiò con tutto il corpo, la mano destra che lo accarezzava lentamente.

- Sono davvero felice... dopo tanto... le mie speranze non sono morte. Vedrai, esaudirò il nostro sogno, di tutti e tre.-

L'aria era fredda, la neve gli scendeva addosso ma a lui non importava, anzi, sperava che il gelo fosse in grado di intorpidirgli tutti i sensi.
Stava seduto sui gradini dietro il castello, con le ginocchia al petto e la testa incastrata tra di esse. Faceva fatica a rimanere tranquillo, ogni qualvolta ricordava un dettaglio accaduto la stessa mattina gli veniva da piangere e non poteva farci nulla oltre a ribollire di rabbia.
Dopo un po' sentì dei passi alle sue spalle; non si voltò nemmeno, in quel momento poteva essere anche un assassino e non gli sarebbe importato.

- Sai, – Riconobbe la voce. Avrebbe preferito chiunque altro, anche il morto senza testa. – mi dà sinceramente fastidio vederti piagnucolare in questo modo.-
- E allora cosa dovrei fare?- Non si mosse da lì.
- La prima cosa sarebbe andare da lei, farle sentire la tua presenza. Si risveglierà prima.-
- ... No.-
- Sei stupido?- Mitja si stupì.
- Non voglio più stare con Sera. Le ho sempre creato problemi, la costringevo ad assecondare le mie malefatte, a rimanere con me ad ogni costo. E poi l'ho rapita in piena notte e l'ho portata al Garreg Mach, l'ho fatta venire anche qui e ho permesso ad un lupo di sventrarla.
Come posso avere il coraggio di mostrarmi ancora a lei dopo tutto questo? Sono io la causa di ogni cosa, per un mio capriccio è quasi morta.-
- ... Sei proprio un idiota, si vede che sei un principe.
Sarai anche il suo signore, capo, datore di lavoro o quello che ti pare, ma a lei chiaramente non frega nulla. Ha la faccia di chi scapperebbe alla prima occasione, ma ti è rimasta vicino per tutto. Non era nemmeno obbligata a seguirci, però l'ha fatto nonostante chiaramente non sopportasse il freddo.
Per te, l'ha fatto per te, stupido, di me e Artemiya non gliene importa nulla, siamo solo due sconosciuti a caso.-
- Proprio per questo voglio allontanarmi da lei, se continua a seguirmi succederà di nuovo qualcosa di brutto e— e—-

Benedikt si mise le mani sul volto, ormai incapace di trattenere singhiozzi e lacrime. Non voleva che Mitja lo vedesse in quello stato, ma a causa sua aveva pensato, di nuovo, al peggio, a cosa sarebbe successo senza il miracoloso salvataggio da parte di quella bellissima sconosciuta, a come sarebbe andato fuori di testa senza di lei.
Ne era convinto, la morte di Sera lo avrebbe fatto impazzire e portato ad un bivio: distruggere tutto ciò che aveva intorno o... uccidersi, e la seconda opzione ormai sembrava impossibile a causa di quel suo nuovo inspiegabile potere. Sera teneva saldamente le sue redini, una volta lasciate è impossibile sapere come agirà l'animale.
Il giovane seduto accanto a lui non disse più nulla e lo lasciò piangere in silenzio – solitamente si divertiva un mondo ad infierire sulla gente, ma in quel momento si sentì buono.

- ... Sei ridicolo.

No, non era il tizio con i capelli bicolor.
Quella voce, quella splendida voce, era lei.
Mitja si alzò e si scambiò un'occhiata complice con Sera: missione compiuta – il principe non la notò, intento a piangersi addosso. La ragazzina lo aggirò, gli si inginocchiò davanti e gli tolse a forza le mani dal volto.
Il viso era rosso, gli occhi gonfi ed annacquati.

- No, Sera, va via, davvero. Ti riporterò a casa e non ci vedremo mai più.-
- Cosa diamine stai dicendo, Benedikt?!-
- Lo hai visto anche tu cosa ti è successo a causa mia.-
- Ascolta, è stata anche colpa mia, la paura mi ha paralizzata, se fossi corsa via non mi sarei ferita a quel punto.-
- D'ora in poi non dovrà più accadere, perciò per noi finisce qu—-

Si beccò uno schiaffo in pieno viso, così forte da lasciargli un segno rosso sulla pelle bianca. Poi, invece di infierire, lo baciò sulle labbra, già pentitasi del gesto.
Rimase avvinghiata al suo corpo con la testa sul suo petto, ad ascoltare ogni battito del cuore, per comunicargli "non ti libererai mai di me".

- Non dovevi lasciarli soli una volta portata qui?

Mitja venne preso per l'orecchio da un'Artemiya ancora in armatura, accigliata come non mai e con una mano su un fianco.

- Lo sai che non rinuncio mai al gossip, e neanche tu visto che sei qui.-
- ... Forse hai ragione.-
- Comunque, con quell'armatura sei tutta un'altra persona, Mimi.-


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Capitolo 7
*** 6 ; When Demons Awake ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

6

When Demons Awake


Benedikt fu lanciato in mezzo alla neve per l'ennesima volta.

Nonostante le apparenze, in quella settimana aveva potuto comprendere che con Artemiya Rosenrot Blaiddyd non ci si poteva soffermare sulle apparenze da bambolina di porcellana, neanche solo pensare di poterla sovrastare facilmente in duello perché piccola e carina.
Quella ragazza era un mostro nella lotta con la spada, ma tirava fuori tutto il suo potenziale quando brandiva una lancia; il suo stile di combattimento era caratterizzato da una furia apparentemente cieca, velocità assurda che non dava tempo all'avversario di agire e, per ultimi, dei movimenti leggiadri che lo facevano sembrare una danza della morte. Aveva anche il tempo di far vorticare l'arma nelle mani dopo ogni affondo; era incredibile, al Garreg Mach non insegnavano certo mosse simili.
Dopo averla vista metterle in atto per la prima volta le chiese dove le avesse imparate. Lei rispose che quello era lo stile di combattimento con la lancia dei Blaiddyd; il re combatteva allo stesso modo -seppur, a detta di Rufus, più ferocemente-, e così quello precedente, suo nonno anche, perciò lo avevano insegnato anche a lei.
Ma gli confidò di preferire la spada semplicemente perché l'Imperatrice usava un'ascia. Il sogno di Artemiya era seguire le orme di Felix Hugo Fraldarius, il figlio dell'ultimo duca, e diventare il nuovo Scudo del Faerghus, proteggere dall'Impero ciò che restava della sua casa devastata dalla guerra e mai ricostruita.

Rotolò e si rialzò in fretta per evitare il colpo che lo avrebbe di nuovo sconfitto e tornò all'attacco, tentando di sfruttare la loro differenza di altezza colpendola dall'alto. Il fallimento fu inevitabile come il clangore delle lance che si scontravano a mezz'aria, ogni fendente eccellentemente replicato in modo da respingerlo.

Al principe quella ragazza così potente e combattiva faceva però tanta pena; lottava con immane foga e si allenava per riprendersi una terra ormai inabitabile, come se volesse sconfiggere l'Adrestia con le sue sole forze. In realtà era anche invidioso della sua testardaggine.
Durante le sue intense lezioni di lancia i due avevano avuto modo di capirsi meglio ed avvicinarsi molto, formando uno stretto legame che non avrebbe mai immaginato di poter avere con qualcuno come lei. Ormai erano complici ed insieme si divertivano parecchio, al punto che Benedikt non sentiva nemmeno la fatica, nonostante lo avesse riempito di pesi per "abituarsi meglio". Anche lei indossava una pesante armatura, quindi non era di certo una subdola mossa per diminuire il loro divario. Lei era davvero fortissima.

Artemiya tornò alla carica, ma il suo colpo venne parato dal principe con una potenza tale da spezzarle in due la lancia d'argento. Non appena si accorse di aver fatto breccia, le mollò un calcio in pancia che la fece cadere di schiena, poi si lanciò su di lei assaporando la vittoria, ma si trovò un pugnale puntato alla gola, posato proprio sulla giugulare.

- Hai perso. – Un sorrisino vittorioso. – Mai buttarsi sul nemico senza avere a portata di mano un modo per finirlo.-
- Uff, – Lui si lamentò. – hai ragione.-
- Mi è venuta un'idea!-
- Sentiamo.- Mentre si alzava aveva tirato in piedi anche lei.

Andò a recuperare l'unica lancia rimasta intatta e lo guidò sul come maneggiarla nel modo giusto, secondo la tradizione. Gambe divaricate, mano sinistra vicino la lama e mano destra verso la base dell'asta, avere l'arto dominante in quel punto permetteva una maggiore spinta e di conseguenza più probabilità di trafiggere qualcuno in profondità. Non che un portatore del Segno di Blaiddyd ne avesse bisogno, ma l'obiettivo era essere il più letali possibile.

- Ecco, così... la posa è perfetta. Mi domandavo se potessi infondere l'arma con la tua magia, secondo me elettrificare la lancia ti aiuterà a colmare le lacune che presenti.-
- In effetti non sembra una brutta idea, per qualche motivo mi è sempre stato vietato l'uso di armi, sfruttare la mia conoscenza della magia potrà sicuramente rendermi un avversario migliore.-
- Io penso che il motivo sia il tuo Segno... con la magia non si attiva, perciò sarebbe stato impossibile sapere della sua esistenza.-
- Artemiya... perché mi stai insegnando tutte queste cose riguardo al tuo casato, addirittura lo stile di combattimento? Io sono il figlio della donna che tanto odi, rischi addirittura la pena di morte...-
- Lo faccio perché sento che sei diverso da lei, forse con quell'unica speranza che le nostre storie e tradizioni non vadano perdute dopo la mia morte. Arriverà il momento in cui sarò l'ultima Blaiddyd rimasta e non voglio portarmi nella tomba tutto questo.
I miei antenati non devono essere cancellati di nuovo dalla storia, per tale motivo voglio trasmetterli a te, che sembri portare il nostro Segno, cosa che noi stessi non possediamo più. Ho sempre voluto vedere Areadbhar con i miei occhi, partecipare alla visione della sua potenza... se dovessi trovarla, mi faresti assistere?-
- ... È una promessa, Artemiya.-
- Grazie, Benedikt.-

Rimanendo in quella posa, il principe chiuse gli occhi e si concentrò per capire come elettrificare l'arma senza che essa si spaccasse o lanciasse saette a destra e a manca. Fece un profondo respiro e piano piano iniziò a far scorrere piccole quantità di magia dalle mani all'argento; minuscole scariche elettriche si manifestarono lungo l'interezza della lancia, le quali si intensificavano man mano che il mago vi infondeva più potenza.
Il risultato finale fu avere dei fulmini avvolti attorno tutto l'oggetto come un serpente di luce bianca e bluastra.
La ragazza rimase sia affascinata che compiaciuta dalla sua idea. Non aveva sinceramente il coraggio di combatterci al primo colpo -non poteva sapere se fosse in grado di controllare questa nuova abilità-, perciò optò per insegnargli i movimenti mimandoli a debita distanza.
Dato che lui le aveva rotte tutte, finse di avere una lancia e lo invitò a copiarla in ogni movimento, cosa che eseguì.
La magia si spostava verso la lama ad ogni affondo diretto, oppure si espandeva ad un colpo laterale quasi come una falce. Fu anche in grado di colpire un albero molto lontano solo facendo finta di avere un bersaglio davanti a sé; la lancia aveva scagliato parte dei fulmini e ne aveva abbrustolito la corteccia con una facilità disarmante.

Dal balcone, qualcuno osservava il demone biondo con il terrore negli occhi. Non credeva che qualcuno potesse fargli ancor più paura.

Benedikt però si fermò quando udì un verso di stupore provenire dall'ingresso sul retro del castello. Si voltò con ancora la magia attiva e vide Sera, accompagnata da Mitja, scendere la scalinata per raggiungerlo.

- Ti avevo detto di rimanere dentro, non è sicuro stare qui.-
- Non puoi segregarmi in un castello per tutta la vita, Benedikt!-
- Qui non siamo ad Enbarr, questo posto è circondato da un fitto bosco abbandonato, non sappiamo cosa ci sia in mezzo.-
- Suvvia, siamo a pochi metri dall'entrata, voglio solo assistere all'allenamento...-
- Eddai, principino, smettila di lamentarti, la proteggerò io.- Mitja intervenì dandole man forte. In effetti, appoggiato sulla spalla vi era quella strana arma denominata "fucile", al momento spenta.
- Spero che quel tuo tubo di ferro sia davvero motivo di vanto e funzioni.-
- Certo che funziona! Come potrei mentire?-
- Dimostralo.-

Lui fece spallucce, imbracciando il fucile e mirando verso un particolare albero secco dal tronco grosso. Le finestrelle di vetro si riempirono di luce verde e, dopo mezzo secondo, il ragazzo premette il grilletto.
All'istante dal foro uscì come una freccia luminosa, talmente veloce da scuotere tutte le fronde e sollevare neve al suo passaggio, finché essa non si conficcò esattamente nel punto prestabilito, provocando un buco da parte a parte. Quel legno era sempre stato molto duro, trafiggerlo in modo simile con una magia come quella del vento era un'impresa quasi impossibile.
Tutti rimasero in silenzio, completamente sbalorditi da ciò a cui avevano appena assistito. Il fucile eiettava per davvero magia concentrata, non era una menzogna!
Lo stupore di Benedikt scemò in fretta; quest'ultimo smise di infondere il suo potere nella lancia e mosse alcuni passi verso Mitja, guardandolo dal fondo della scalinata.

- ... Da dove viene quel coso?-
- Mh... diciamo da un posto sia vicino sia lontano.-
- Non è una risposta sensata.-

Il più giovane sorrise, poi fece un cenno verso l'alto. L'altro si accorse di una presenza in più, perciò decise di rientrare con al seguito le ragazze.
I quattro si ritrovarono all'interno della stanza di Artemiya, finalmente lontano da occhi indiscreti ed ascoltatori indesiderati. La camera della ragazza stonava molto con il suo aspetto attuale: era sudata, spettinata e sporca di terra e neve, mentre l'ambiente che la circondava era pieno di peluche, splendide bambole di porcellana ed un sacco di oggetti carini, uno splendido abito nero e bianco costellato di fiocchi e merletti infilato ad un manichino stava in un angolo, accanto ad un'enorme specchiera sulla quale presenziavano trucchi e profumi.

- Ora rispondi in modo sincero.-
- Quello era un modo sincero, Vostra Altezzosità. Il fucile proviene davvero da un luogo al contempo lontano e vicino: può essere sotto ai nostri occhi come a centinaia di chilometri, dipende.-
- Come si chiama questo posto?-
Agartha. Ne hai mai sentito parlare? Non credo, se l'Imperatrice è arrivata a cancellare la storia del Faerghus non vedo perché avrebbe dovuto mantenere viva quest'ultima.-
- È un altro regno che ha sconfitto durante la guerra di vent'anni fa?-
- Non proprio, l'Agartha originale è stata mandata in pezzi dalla Dea più di mille anni fa, al tempo dell'ultima guerra esisteva solo Shambhala, una città costruita nel sottosuolo dove i superstiti si erano rintanati. Dopo la caduta di Fhirdiad l'Imperatrice ha mandato le sue forze anche lì per distruggere i rimasugli della civiltà.-
- Ha annientato un altro popolo innocente...?- Al principe tremarono le mani.
- Loro non erano, anzi, non sono affatto innocenti. Dalla caduta di Agartha hanno sempre cercato un modo per conquistare il Fódlan attraverso atti barbarici ed atroci crimini. Si sono sostituiti ad importanti figure politiche ed influenti, hanno rapito ed ucciso bambini per sperimentarvi sopra... i Segni che portiamo e le reliquie a loro annessi sono stati creati proprio da loro. Fecero bere il sangue dei draghi ai Dieci Campioni per assumerne il potere e con le ossa fabbricarono armi infuse dell'essenza del loro cuore.
Freikugel, Thyrsus, Blutgang, Tonitrus, Areadbhar... ogni singola reliquia è stata creata dal cadavere di un drago.-

Mitja continuò il suo discorso per un altro po', raccontando ai presenti una storia assurda riguardante divinità, banditi, un popolo sotterraneo e di come il Fódlan fosse finito ad essere governato dai possessori di Segni. Per tutti, ma sopratutto per Benedikt, erano informazioni del tutto nuove, quasi al limite dell'incredibile.
Non poteva sapere se egli stesse raccontando un mare di bugie, ma l'intera storia gli aveva messo una certa curiosità, voleva saperne di più.

- ... Questo è il loro marchio, – Il giovane mostrò un simbolo scolpito nel legno del fucile: un occhio all'interno di un cerchio e strane decorazioni in basso. – non c'è dubbio che l'arma sia stata creata da un agartheo.-
- E com'è entrata in tuo possesso...? Hai detto che l'Imperatrice ha distrutto Shambhala.- Domandò Sera, visibilmente confusa.
- È vero, ma io sono certo che esistano dei superstiti ancora nascosti da qualche parte, quelle persone sono parassiti, se neanche la Dea Sothis li aveva sgominati, una donna al comando di un esercito non ha speranze— comunque il fucile me lo ha dato mio padre, ha detto di averlo comprato da un uomo durante uno dei nostri viaggi. L'ha trovato interessante e... beh, eccoci qui, ora uso quotidianamente un'arma futuristica e probabilmente illegale.-
- Mitja, hai detto che gli agarthei praticavano la magia oscura, non è vero? Il teletrasporto ne fa parte?- Artemiya intervenne nel discorso.
- "Teletrasporto" è un incantesimo di magia bianca, ma non funziona su chi lo scaglia, può muovere solamente una persona e nemmeno troppo lontano. – Il principe rispose per lui, finalmente un argomento che conosceva. – Se lo chiedi perché la donna che ha salvato Sera e quell'uomo sono scomparsi... non credo sia questo il caso.-
- Ma loro possiedono tecnologie avanzate, – Mitja riprese la parola. – è possibile che abbiano creato un dispositivo in grado di teletrasportare più persone contemporaneamente, compreso l'utilizzatore.-
- Secondo te erano agarthei, quindi?-
- Possibile, oppure qualcuno venuto in possesso di questi strumenti, come è successo a me. Non possiamo escludere alcuna possibilità.-

Benedikt era sempre più interessato a questo popolo sotterraneo, in particolare alle loro avanzatissime invenzioni. Cos'altro avrebbero potuto creare? Mezzi di trasporto in grado di muoversi in modo autonomo e molto velocemente? Strumenti capaci di comunicare tra luoghi a giorni di distanza? Il fucile di Mitja ne era una prova: erano capaci di cose inimmaginabili, la loro scienza avrebbe sicuramente giovato all'Impero, se con la medicina erano allo stesso livello, si sarebbero potute salvare moltissime vite.
Gli agarthei, secondo il breve racconto, avevano sperimentato sulla gente del Fódlan in un tentativo disperato di poter tornare in superficie, non capiva perché sua madre li avesse sterminati invece di offrire loro libertà in cambio di conoscenza. Che ci fosse stato altro?
Mitja aveva raccontato tutto ciò di cui era a conoscenza, ma lui stesso rivelò di non essere al corrente dell'intera storia.

- ... Dove si trovava Shambhala prima di venire distrutta?-
- Vicino al territorio degli Ordelia, tra le montagne di Hrym.-
- Bene, domani ci metteremo in viaggio.-
"Ci metteremo"? Per chi ci hai scambiati, per i tuoi sudditi?-
- Tecnicamente lo siete.- Il principe assottigliò lo sguardo, facendo irritare Mitja.
- Questo è il Faerghus. Conquistato o no, non abbiamo intenzione di sottostare a voi dannati imperiali.-
- Faerghus...? Il Faerghus non esiste più, anzi, il solo nominarlo implica la pena di morte. Vuoi offrirmi subito il collo scoperto, oppure provare a lottare?-
- Lo sapevo, lo sapevo che non dovevo permettere ad Artemiya di portarti qui. Sei solo uno stupido, ingrato e viziato, ti aspetti che ti serviamo e riveriamo come se fossimo ad Enbarr?
Questa è una terra di cavalieri, un popolo basato sull'onore, nessuno lo farà!-
- Taci.-

Artemiya aveva sempre visto il suo migliore amico come una persona calma e scanzonata, mai avrebbe pensato di assistere alla sua ira.
Mitja si scagliò contro Benedikt nel tentativo di tirargli un pugno sul viso, ma il biondo lo scansò e lo prese per il collo. Con una sola mano lo alzò da terra portandoselo alla propria altezza.
La vittima stringeva le mani contro il polso del carnefice in un tentativo di fargli allentare la stretta, ma sembrava inamovibile. Si sentiva soffocare, le forze venire meno... quel tipo era un vero e proprio mostro; uccidere qualcuno così, con una sola mano... solo un demone ne sarebbe stato capace.
Sull'orlo dello svenimento udì un suono ovattato e acuto, la vista sfocata di una figura interporsi tra loro ed afferrare il braccio dell'uomo. L'istante dopo si ritrovò a terra in ginocchio, in preda a spasmi per assimilare più aria possibile, due mani che, preoccupate, da dietro si avventarono sulle sue spalle.

La prima cosa che vide furono gli occhi verdi di Sera. Stava piangendo.
Lo sguardo passò velocemente da lei alla sua stessa mano, ancora aperta a mezz'aria e con il braccio teso in avanti. Cosa... cosa stava facendo?
Vide Mitja a terra, si teneva la gola e stava chino in avanti, Artemiya dietro di lui si assicurava che stesse respirando correttamente.
...
In quel momento realizzò.
Era stato lui, lo aveva preso per il collo in un impeto di rabbia e lo aveva quasi ammazzato. Se non ci fosse stata Sera... come l'avrebbe ucciso? Soffocamento? Recisione del midollo spinale? Oppure della vena giugulare? Dell'arteria carotide? Decapitato con la sola forza di una mano? Non era da escludere, poteva riuscirci.
Abbassò il braccio e si guardò attorno con il fiato sospeso.
Giusto, quella non era Enbarr. Si trovavano ad Itha, nella stanza di Artemiya, aveva appena detto loro di voler andare a cercare Shambhala e Mitja aveva rifiutato, urlandogli contro. I pezzi si stavano finalmente rimettendo insieme.
Shambhala... la città senza luce... quella splendida donna ed il mostro...
Senza dire nulla se ne andò, lasciando gli altri perplessi. La cameriera lo seguì.

- Non— non avvicinarti più a— – Mitja aveva la voce rauca e faticava a parlare, ogni due parole veniva interrotto dalla tosse. – quel demone.-
- Non sforzarti troppo, peggiorerai la situazione...!-
- Mimi, non è per me che devi preoccuparti, ma per te stessa, per il tuo regno, quel dannato principe è una minaccia.-
- Perché devi dire queste cose? Quando Benedikt diventerà imperatore... ci sarà un portatore del Segno di Blaiddyd al comando. Se non posso avere il Sacro Regno di Faerghus, fammi almeno essere felice per questo.-
- Ti senti quando parli? In questi giorni lui ti ha plagiata; dai per scontato che abbia quello stupido Segno quando non ne abbiamo affatto le prove e continui a difenderlo a spada tratta dopo aver visto con i tuoi occhi cos'è capace di fare. Sta manipolando anche te come ha fatto con quella ragazzina che è più un cagnolino obbediente di una fidanzata o quale-diamine-sia-il-loro-rapporto.
È pericoloso, avrebbe potuto farlo a chiunque. Se avesse preso te per il collo ora cosa diresti?-
- Io... io non lo so... è che quella minima speranza di vedere la mia casa florida e prospera...-
- Aggrapparsi solamente a vaghe speranze e desideri non porterà a nulla.-

Era ormai notte fonda. Dopo il violento evento si era chiuso nella stanza in cui aveva pernottato durante l'ultima settimana, lasciando fuori Sera ed ignorando i suoi schiamazzi per intimarlo ad aprirle la porta.
Aveva guardato la neve che scendeva fuori dalla finestra per tutto il tempo, senza pensare a nulla, completamente rapito dal paesaggio sempre più bianco. Ormai, però, non poteva rimanere lì.
La sua mente si era già fissata con qualcos'altro: Shambhala, gli agarthei... ma soprattutto quella misteriosa donna domatrice di mostri. Voleva, doveva vederla ancora una volta, parlarle, avere con lei una conversazione a mente lucida.
Con tutti o con nessuno, sarebbe partito, anche alla cieca, non gli importava. Meglio morire durante una missione suicida che di vecchiaia stravaccato su un trono.
Si mise addosso una mantella, alzò il cappuccio sulla testa e, con una lanterna come unico supplemento, spalancò la finestra e si lanciò dal terzo piano, usando la magia per rallentare la caduta ed atterrare sano e salvo.
Senza guardare indietro iniziò il suo nuovo viaggio, neanche la tormenta sarebbe stata capace di fermarlo.


Illustrazioni dei personaggi.
In ordine: Benedikt, Sera, Artemiya, Mitja, Anaxagoras. Le altezze non sono accurate perché non le so fare.
Trovate le immagini ad una qualità decente qui.

 

 

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Capitolo 8
*** 7 ; Ich hasse Kinder ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

7

Ich hasse Kinder


Il vento soffiava forte, il buio regnava e la tormenta di neve non accennava a fermarsi; faceva davvero tanto freddo, ma Benedikt era infastidito solamente dall'aria perché faticava a tenere gli occhi aperti e vedere davanti a sé. Doveva continuare, fermarsi non era contemplato, o la noia lo avrebbe assalito di certo.
Non aveva paura di morire, ma di annoiarsi sì, e parecchio.
Con sua poca sorpresa, quel viaggio non lo stava affrontando da solo: al suo fianco camminava l'uomo dei suoi sogni, sempre acefalo, sempre ricoperto di sangue. Negli ultimi giorni non si era quasi mai manifestato, forse perché si era trovato in compagnia la maggior parte del tempo, invece quella notte era rimasto con lui per tutto il tempo. Non gli aveva rivolto la parola -non aveva la bocca, sarebbe stato inutile-, ma dentro di sé era contento di avere qualcuno con cui condividere l'esperienza di viaggiare a piedi fino alle montagne di Hrym.
Difficilmente sarebbe tornato ad Itha in un secondo momento, probabilmente avrebbe proseguito fino ad Enbarr rassegnandosi per tutte le domande rimaste senza risposta. Sera l'aveva lasciata là di proposito: la verità era che continuando a servirlo avrebbe solamente ricevuto percosse da parte delle inservienti più anziane, perciò la sua vita sarebbe stata migliore con la dolce Artemiya, lei l'avrebbe accolta.
Fu una notte estremamente lunga e con l'alba arrivò anche un enorme senso di stanchezza; aveva marciato controvento per interminabili ore, onestamente non sapeva nemmeno come avesse fatto a resistere così a lungo senza morire di freddo o esaurimento delle forze. Finì per accasciarsi contro un albero ed addormentarsi di colpo.

Mitja venne svegliato all'improvviso dalla porta della sua stanza, la quale era stata aperta con la forza di un elefante. Non ebbe il tempo di realizzare che una ragazzina si fiondò sul suo letto parlando a raffica di cose che non capiva, agitava le braccia come una pazza e sembrava veramente disperata.
Cosa diamine stava succedendo...?

- Sera, riparti, mi sono appena svegliato, non sono nelle condizioni di capire il tuo discorso se urli e ti dimeni come un'anguilla—-
- Sua Altezza, cioè, il principe, Benedikt, è scomparso! Sono riuscita a farmi dare una chiave di scorta da Rufus e quando ho aperto la porta della sua stanza l'ho trovata piena di neve, ma di lui nessuna traccia!-
- Io la considero una vittoria, perché ti preoccupi?- In seguito alla sua risposta si girò su un fianco, dandole le spalle.
- Mitja!-
- ... Ascolta, per quanto mi riguarda non ho intenzione di averlo tra i piedi. Ho ancora dolore alla gola. – Sera lo guardò; la pelle in quel punto era viola scuro. – Dovresti stargli lontana anche tu.-
- Non posso, è questo il problema. Lui... lui tende ad esagerare, il suo comportamento è autodistruttivo, se non gli sto vicino... non voglio immaginare cosa sarebbe capace di fare.-
- Con la tormenta di stanotte potrebbe non essere nemmeno più in vita, lo capisci?-
- E allora cerchiamo il suo cadavere. Per favore, non ti sto chiedendo di fare finta che nulla sia successo, voglio solamente tornare con Benedikt. Poi le nostre strade si divideranno, vi lasceremo in pace.-

Mitja si ritrovò a sospirare, combattuto sul da farsi. Non voleva davvero sentir parlare nuovamente di quel matto estremamente viziato, e tenerlo lontano da Sera poteva essere la miglior cosa -avrebbe giovato anche a lei-, ma in quei pochi giorni passati aveva iniziato ad affezionarcisi, renderla triste o arrabbiata con lui l'avrebbe sicuramente fatto sentire più in colpa. E se, anche lei, avesse deciso di scappare all'improvviso in piena notte, durante una tormenta? Allora di cadaveri ne avrebbero trovati ben due. Non gli piacevano i morti, soprattutto se trasformati in ghiaccioli, il sangue congelato li rendeva poco interessanti.

- Sei sicura al cento per cento della tua scelta?-
- Ovviamente!-
- Anche se dovessi trovare il suo cadavere congelato?-
- ... Certo...-
- Stai esitando, Sera.-
- È che il solo pensare a questa eventualità un po' mi spaventa. Ma se fosse così, dobbiamo trovarlo in ogni caso, avrebbe bisogno di una degna sepoltura.-
- Ho capito. Vestiti pesante e aspettami tra un'ora davanti alla porta della tua stanza.-
- Grazie, Mitja... grazie davvero.-

- È passato quasi un mese.

Edelgard aveva abbandonato la sua maschera da imperatrice glaciale e composta e stava per dare di matto. Benedikt se n'era andato all'improvviso, senza dire nulla e stavolta portando con sé anche la loro unica possibile fonte di informazioni: la ragazzina che gli stava sempre attorno.
Si era divorata talmente tanto le unghie delle mani dallo stress da essere passata a strapparsi la pelle circostante con i denti -per sua fortuna indossava sempre i guanti, nessuno avrebbe sospettato-. Da fuori agiva come se nulla fosse accaduto, perfettamente conscia di dove il primogenito stesse viaggiando, ma la verità era tutt'altra.
Né lei, né il marito, né la servitù avevano carpito informazioni da lui; era partito all'improvviso, apparentemente a caso. Ma la donna sapeva che non lasciava mai nulla al fato, bastava una scintilla di curiosità e subito si metteva all'opera.
Ciò che la stava allarmando e facendo impazzire era il periodo in concomitanza alla sua sparizione: la sera Byleth le aveva riferito delle pagine relative ai Blaiddyd scomparse e, il mattino dopo, Benedikt non c'era già più.
Che avesse scoperto qualcosa? No, impossibile, si era assicurata che tutte le informazioni venissero modificate o addirittura eliminate, non poteva aver saputo nulla dalla biblioteca, le pagine rubate erano state appositamente rese inutili e poco interessanti. L'unico evento particolare che potesse venirle in mente era l'aver accompagnato il fratello al Garreg Mach... ma anche lì conoscevano la sua identità, nessuno sarebbe mai stato tanto stupido da accendergli una curiosità a riguardo.

- Se non ti calmi peggiorerai solamente la tua salute mentale, Edelgard.

Byleth stava in piedi sulla soglia della stanza di Benedikt, mentre la moglie la stava letteralmente mettendo a soqquadro. Ogni cassetto era stato svuotato sul pavimento, il letto rivoltato come una pezza ed ora si stava adoperando contro l'armadio, ormai pieno solo a metà. Era lì da quella mattina, ormai si avvicinava il tramonto e non si era nemmeno presentata a pranzo.

- Allora aiutami, per favore...

L'uomo, stoico come sempre, sospirò e finalmente entrò. Si guardò attorno facendo lo slalom tra vestiti e oggetti, osservò i muri, guardò dietro la porta... ma niente gli sembrava strano. Solo dopo una più approfondita ispezione si ricordò di un dettaglio inusuale: sul comodino non c'era sempre stata una lampada ad olio?
Si avvicinò al mobile incriminato ed iniziò a guardare con più attenzione in quel punto e nei suoi dintorni; spostò una camicia lanciata sul tappeto dalla donna e sgranò gli occhi. Era difficile da vedere sul rosso a primo impatto, ma quella era una macchia di sangue...?
Anche Edelgard si avvicinò, rimanendone confusa.

- È il suo sangue quello?-
- Solamente due persone entravano giornalmente qui: Benedikt e Sera, può essere solo o di uno o dell'altra.-
- Sembra secco e qui da un po', ormai la macchia è scura. Escludendo le tre settimane in cui è mancato, quanto prima è accaduto secondo te?-
- Io nell'ultimo periodo mi trovavo alle Brigid, non lo hai mai visto con delle ferite? Ad esempio alle mani? La mia ipotesi è che abbia rotto la lampada ed erroneamente si sia tagliato, spiegherebbe anche i piccoli pezzi di vetro che sto notando in questo momento.-
- No, non che io ricordi...-
- Neanche sulla ragazza?-
- Lei non la vedo mai, l'ultima volta è stata poco prima della sparizione di entrambi, non mi è sembrato di vedere delle ferite sulle sue mani.-
- È strano, il sangue è parecchio... non dev'essere stata una ferita da poco, eppure non sembra aver lasciato segni da nessun'altra parte. Forse è il caso di fare qualche domanda alla servitù, potrebbe non avere correlazioni riguardo alla scomparsa di quei due, ma è sempre meglio chiarire ogni dubbio per arrivare prima alla verità.-
- Hai ragione. Nel frattempo contatterò Hubert, se dovesse tornare saremo già pronti. È ora che la smetta di fare come gli pare e piace... se solo fosse stato remissivo, zitto e buono non sarei arrivata a questo punto.-
- Sembra che tu abbia perso la pazienza. Ci hai messo vent'anni.-
- Credevo di poter gestire la situazione in modo migliore... sono stata stolta a voler domare un leone.-

Appena saputa la notizia, Artemiya era subito scattata sull'attenti e nel giro di cinque minuti già aveva un piano preciso per la ricerca del principe.
Quella ragazza era incomprensibile; alla prima apparenza sembrava una persona estremamente timida, fragile e docile. E lo era, ma nel momento del bisogno si trasformava, fino ad assumere lei stessa il comando usando carisma e forza, una grande leader dalla corazza impenetrabile.
Per prima cosa aveva lasciato da parte la sua pesantissima armatura per indossarne una leggera e vestiti molto più caldi, poi aveva portato entrambi nelle stalle. Assicuratasi che Sera -seppur fosse inesperta- sapesse cavalcare in autonomia, assegnò un cavallo per uno, mentre lei aveva preso le redini di un pegaso.
Erano animali davvero affascinanti, ma purtroppo nel Faerghus lui era l'ultimo rimasto; prima della guerra i Galatea erano famosi per i loro allevamenti, ma quando il casato cadde in disgrazia furono costretti a cederli tutti all'Impero.
Il piano era semplice: Sera e Mitja avrebbero proseguito a cavallo verso sud, mentre lei li avrebbe sorvolati dall'alto coprendo così un'area più vasta.

- Lo hai mai visto un cadavere, Sera?-
- Ti prego... smettila di parlarmi di queste cose, non voglio neanche pensare—-
- E invece devi. Hai bisogno di abituarti all'idea che sì, potremmo trovarlo, ma morto. Allora, ne hai mai visto uno?-
- No...-
- Preparati, perché è un'esperienza particolare. Lo sai che dopo qualche tempo diventano duri come il marmo? Altri svuotano addirittura l'intestino, è esilarante.- Lui ridacchiò.
- Perché parli di queste cose in modo tanto divertito...? Non è bello sentirti.- 
- Perché di lui non me ne frega proprio niente. Se fino a ieri avrei potuto assecondarlo perché sembrava interessato ad aiutare il territorio dell'ex Regno, ora che ho visto quel suo atteggiamento tipico dei nobili cresciuti nella bambagia lo preferirei morto. Non vedo l'ora di trovarlo congelato, con la bocca aperta e le brache sporche.-
- Sei rivoltante.-
- Cosa?-
Sei rivoltante. Parlare così di qualcuno che non conosci... come se fosse la peggior feccia mai esistita. Benedikt non è la persona che credi, non voglio sentirti dire che sarebbe meglio da morto, sei peggio tu. Tu sei peggio di lui.-

Mitja aveva il fucile dietro la schiena, pronto per sparare ad ogni evenienza, ma non le importava, quelle parole taglienti le erano uscite involontariamente dalla bocca come un fiume. Avrebbe potuto ucciderla così facilmente... dopotutto sarebbe stato un gioco da ragazzi nascondere la morte di un'insignificante ragazzina il cui unico scopo nella vita era far da balia ad un esuberante principe. Di quelle se ne trovavano all'infinito di quei tempi.
Poté sentire i suoi occhi bluastri schiacciarla, l'espressione del viso indurita, ma ciò che più la inquietò fu il suo silenzio. I cavalli proseguivano dritti, ma lui continuava a fissarla, pietrificandola completamente. Non c'era stato momento in cui si era sentita così poco al sicuro in vita sua; senza Benedikt cosa poteva fare? Artemiya cos'avrebbe fatto?
A salvarla dallo sguardo omicida di Mitja fu proprio lei, la quale atterrò con il pegaso in mezzo a loro, facendolo proseguire al passo.

- Nessuna pista? Dall'alto non si vede nulla... solo neve, neve ed ancora neve!-
- Niente di niente, Mimi. – Lui tornò improvvisamente la persona di sempre. – Se non ci fosse stata una tormenta seguire le impronte sarebbe stato facile, purtroppo non è questo il caso.- Sera si chiese quanto fosse falso quel "purtroppo".

Le ricerche proseguirono per tutto il giorno finché il sole non aveva iniziato a calare, perciò furono costretti ad interromperle e tornare alla reggia. Non aveva senso proseguire in lungo e in largo verso sud, a piedi non poteva essersi allontanato così tanto.
Artemiya l'aveva comunque cercato dall'alto per un altro po', tornando però con un pugno di mosche. Si era volatilizzato, sembrava impossibile.

Sera si era rinchiusa nella sua stanza a piangere, a pensare al peggio. Ormai aveva il terrore di stare lì; Rufus le faceva paura, Mitja ancor di più, di Artemiya non sapeva se fidarsi per davvero, era sempre così gentile con lei... ma anche Mitja lo era stato prima della sua infelice uscita. Se le avesse risposto male le avrebbe torto il collo?

- Penso che la ucciderò.-
- Cosa diavolo stai dicendo, Mitja?-
- Mi ha stancato.-

I due avevano fatto un piccolo falò nel giardino sul retro del castello e ci si erano seduti attorno per guardare le stelle. Lo facevano sempre quando lui andava a trovarla, ma quella sera Artemiya era meno felice del solito, complice quell'ultima frase dell'amico.

- Non ha fatto nulla di male, vuole solo ritornare da Benedikt.-
- Ha detto che sono rivoltante.-
- Le hai parlato di cadaveri per tutto il giorno!-
- Vorrei vedere lei morta... quelle budella... di nuovo...-
- Pensavo ti importasse un minimo di lei. Non è nobile, è dolce ed umile, il contrario delle persone che tu odi.-

A quel punto Mitja ruotò il busto verso di lei, con la mano le afferrò il viso da sotto e la attirò a sé, portando i loro nasi a sfiorarsi. Entrambi si persero l'uno negli occhi dell'altra, immobili in stato catatonico.
Era da tanto che non erano rimasti veramente soli, lontani da chiunque altro -e soprattutto dal quel bastardo di Rufus, nella testa di Mitja-, ciò era mancato parecchio a tutti e due. Le dita delle mani finirono per essere intrecciate.

- Ci sono cinque persone nel mondo di cui mi importa: le mie sorelle, i miei genitori e te, Artemiya. Chiunque altro... non esiterò ad ucciderlo se necessario, o semplicemente mi va.
Voglio vedere l'interno dei loro corpi, studiarne il funzionamento. Perché tieni tanto a lei?
Non importa nemmeno al principe stesso, dato che l'ha mollata qui.-
- Io penso l'abbia lasciata nel castello proprio perché a lei tiene. Non sarebbe mai sopravvissuta a quella tormenta, e se davvero gli agarthei fossero ancora situati nelle montagne di Hrym l'avrebbe solamente messa in pericolo.-
- Non avrebbe comunque senso. Shambhala è molto più vicina ad Enbarr, avrebbe dovuto fare avanti e indietro per tornare a prenderla.-
- Durante le pause tra un allenamento e l'altro mi ha confessato che veniva spesso picchiata dalla servitù per invidia, penso sia il secondo motivo per cui l'abbia lasciata qui. Questo è amore, Mitja. Lo ha fatto perché la ama, per questo non voglio vederla uccisa da te.-
- Lo desidero così tanto...-
- No. Promettimi che non lo farai. Per favore...-

Lui cedette. Uno dei suoi hobby era proprio il litigare, soprattutto mettere sotto torchio qualcuno, ma con Artemiya Rosenrot Blaiddyd le cose erano ben diverse, perché riusciva sempre a farsi dare ragione – o semplicemente le bastava poco per intenerirlo.
Appoggiò la fronte contro la sua e serrò gli occhi. Odiava eseguire ordini, reprimere i suoi istinti... per lei, però, lo avrebbe fatto. Questo ed altro, era pronto a tutto, anche andare di persona ad assassinare quella squallida imperatrice egemone, a costo di non tornare vivo, solo per esaudire il suo sogno e ridarle l'amato Regno.

- Se sei tu a chiedermelo... sono obbligato a desistere.-
- Grazie, grazie mille. Ti amo.-

Mitja riaprì gli occhi, contemplò le sue iridi scurissime ed inevitabilmente la baciò.
No, non erano affatto amici loro due, ma molto, molto di più. Fin da bambini erano stati inseparabili, tant'è che lui le chiese di sposarlo quando aveva solamente dieci anni.
Rufus però lo odiava e aveva espressamente proibito alla nipote di frequentarlo in tal senso – lei non disobbediva mai a suo nonno, però quell'ordine non poteva eseguirlo. Amava Mitja e lui ricambiava, non avrebbe sposato un nobilotto a caso senza conoscerlo -tra l'altro i nobili del nord erano tutti decaduti, che senso avrebbe avuto preservarsi per uno di loro?-.
Perciò avevano spacciato la relazione come pura e semplice amicizia, non raccontando a nessuno della loro unione, nemmeno agli amici più stretti. Quello era il loro segreto e tale doveva rimanere, almeno finché Rufus era in vita.
La ragazza di sentiva una persona spregevole ad avere tali pensieri verso l'unico membro della famiglia rimastole: non aveva mai conosciuto i genitori, era figlia unica e l'altro ramo dei Blaiddyd era stato spazzato via ancor prima della sua nascita. Non aveva nessun altro con cui condividere il sangue e ciò la rendeva davvero triste.
Ma Mitja, seppur fosse un tipo davvero strano e fuori come un balcone, era capace di smuoverla e farla sorridere ogni qualvolta ne avesse bisogno, senza che lei dicesse nulla, lui lo intuiva e si metteva subito all'opera. Con gli altri era però completamente insofferente, zero importanza equivaleva a zero aiuto da parte sua.
Ognuno aveva i suoi difetti e le andava bene così – dopotutto lei non era nella posizione di criticare qualcun altro: si ammazzava di allenamenti ogni singolo giorno, rovinando permanentemente il suo corpo da bambolina con muscoli, calli e cicatrici. Odiava farlo, voleva essere soltanto una nobile la cui unica preoccupazione era scegliere quale sontuoso vestito indossare il giorno successivo.
Per il Faerghus, il Sacro Regno che non aveva mai visto, però, avrebbe anche dato la sua miserabile vita. Tutte quelle persone meritavano una vera e propria casa, di stare bene e non venire costantemente divorati dalla povertà.

Passarono le settimane ma, miracolosamente, il principe a destinazione ci era arrivato, le montagne di Hrym erano proprio davanti a lui.
Era stato un viaggio assurdo, faticoso, ma fu grato di averlo percorso interamente a piedi; gli aveva dato modo di immergersi completamente nei luoghi che aveva attraversato, assaporarne il cibo, scoprirne la cultura... il Fódlan ad est era molto diverso dal nord e dal sud, sembrava che anch'esso fosse il rimasuglio di un regno a sé stante – ed in tutta sincerità, considerando la storia del Faerghus, sembrava un'ipotesi più che valida.
Il fantasma acefalo non lo aveva mai abbandonato, era rimasto con lui giorno e notte ed anche nei sogni. A volte aveva finito per rivolgergli qualche parola e, dal suo linguaggio del corpo, gli era sembrato che in qualche modo provasse affetto nei suoi confronti. Senza la voce, però, come poteva veramente capirlo?
La sua figura si dissolse nel momento in cui proseguì per cercare l'entrata di quel fantomatico luogo sotterraneo.

 

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Capitolo 9
*** 8 ; Intra Venus ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

8

Intra Venus


Benedikt aveva passato tutto il pomeriggio a cercare ed ormai il sole era quasi sparito all'orizzonte... stava per perdere le speranze di trovare chissà quale indizio, quando si trovò davanti qualcosa di diverso: coperto da uno spesso strato di felci, incavato ai piedi della montagna, c'era quello che sembrava un buco.
Si adoperò per sradicare le piante e ci guardò dentro, ma era talmente buio... vedeva solo nero davanti a sé. Non poteva però fermarsi lì – a cosa sarebbe servito quel lunghissimo viaggio?
Senza rimuginarci troppo sopra, entrò nella caverna con la lanterna accesa, la quale risultò inutile ed incapace di illuminargli la via. Ad un certo punto si voltò, ma anche dietro di sé non vedeva più nulla; l'unica opzione era proseguire e scoprire dove sarebbe arrivato.
Scese un vasto numero di scalini ripidi per minuti che parvero interminabili, finché non arrivò in fondo ed accadde qualcosa di sensazionale: quando il suo piede poggiò terra, a terra iniziarono a disegnarsi linee di una tenue luce azzurra che proseguirono per tutto il pavimento ed illuminarono l'ambiente circostante. Si trovava in un corridoio molto largo ma basso, con le pareti ed il soffitto attraversati da decine di tubi di ferro di diametro variabile. Non aveva mai visto niente del genere, non capiva da dove venisse la luce, non riusciva a percepire alcuna fonte magica, né vedeva del fuoco... semplicemente assurdo.
Il silenzio tombale rendeva tutto ciò ancor più inquietante.
Riprese a camminare seguendo l'unica via percorribile -a volte sulle pareti incontrava anche delle frecce luminose di colore giallo che fornivano indicazioni-, finché non si trovò di fronte ad un vicolo cieco: sul pavimento era disegnato un triangolo rosso, il quale ne conteneva un secondo assieme alla scritta "GO" e sotto dei caratteri che non riusciva a leggere. Le strisce luminose si arrampicarono sul muro e solo dopo il principe capì che quella era una porta. Ma come aprirla?
Provò a toccare con i piedi quell'insolito segnale senza successo, ed in quel momento comprese che avrebbe dovuto usare la pura e semplice forza bruta. Tastò con la mano il metallo alla ricerca di un punto debole, ma inaspettatamente quel gesto suscitò una reazione. Sulla porta le strisce di luce si mossero come serpenti fino a formare un particolare disegno: all'interno di un grosso rombo ne erano contenuti altri e da essi partivano quelle che sembravano le estremità di una luna crescente rivolta verso il basso, altri tre rombi di dimensioni diverse, uno sopra e due sotto, erano collegati al principale.
Non ebbe il tempo di studiarlo ulteriormente perché la porta si aprì.
Ciò che si trovò dinanzi fu quella che sembrava una piccola città completamente diroccata ma dall'architettura stranissima ed al suo centro un palazzo simile ad una piramide, anch'esso attraversato da linee e disegni luminosi.
Benedikt proseguì guardandosi attorno e rimanendo in allerta; seppur vuoto, quel luogo sembrava contenere tracce di vita – che senso avrebbero avuto, allora, tutte quelle luci funzionanti? La sua destinazione fu la piramide, della quale iniziò a salire la gradinata che portava all'entrata.
C'era un'altra porta, perciò si mise a tastarla come la precedente ed essa, ancora, rispose al comando e si aprì. Si domandò come mai riuscisse ad entrare tanto facilmente, un luogo del genere aveva davvero una così bassa sicurezza?
Dovette abbandonare il quesito per seguire la strada ed arrivare al cuore del palazzo. Al contrario di come sembrava, la costruzione si estendeva ancor più in profondità nel terreno e non verso l'alto; percorse corridoi e scalinate per svariati minuti finché, di nuovo, non trovò una porta, l'ennesima – in cuor suo sperò fosse l'ultima, già non ne poteva più, era esausto. Stesso procedimento, uguale successo.
Quella era una grande stanza quasi interamente spoglia, illuminata dalle solite luci come tutto il resto della città, ma non fece in tempo a studiarla.
In un angolo c'erano due figure, una era seduta ad un tavolino che non c'entrava nulla con tutto ciò a cui aveva assististo fin'ora, mentre l'altra... l'altra era un gigantesco mostro con una maschera di ferro il quale, non appena percepì la sua presenza, scattò su due zampe come una molla e gli corse incontro, pronto ad attaccarlo ed ucciderlo.

- DEDUE, NO!

Una voce, più precisamente un urlo di donna.
Aprì lentamente gli occhi -li aveva chiusi?!- e si vide davanti la bestia, la sentì respirare attraverso quel pezzo di ferro, sembrava fissarlo nonostante non riuscisse a capire dove fossero gli occhi. L'abominio indietreggiò e, alle sue spalle, vide avvicinarsi qualcuno con fare a metà tra il preoccupato ed il timoroso.
Passato lo spavento iniziale, trasalì: pelle diafana, occhi di ghiaccio, vestita di nero come se fosse in lutto e trucco pesante... era lei, la salvatrice, la donna che tanto aveva desiderato rivedere per ringraziarla propriamente.

- Voi...—-
- Ti stavo aspettando, sapevo che ci saremmo incontrati di nuovo.-
- Lo sapevate? Come...-
- Le carte lo hanno riferito alla Luna Crescente. Vent'anni...-

La sua voce si spezzò e la costrinse a mordersi il labbro. Si avvicinò ulteriormente, gli prese una mano tra le sue -erano così calde...- e successivamente lo portò a sedersi a quel tavolino. Sopra c'erano due tazze nonostante fosse sola.
Gli versò del liquido che dall'odore riconobbe come camomilla poi, dopo qualche istante di silenzio, gli parlò nuovamente.

- Ho atteso per così tanto questo giorno... stento a crederci che tu sia qui, vivo.- Si commosse e, stropicciandosi un occhio, irrimediabilmente rovinò il trucco sul suo bel viso.
- Voi... perché state piangendo?-
- Sono solo felice. Dalla battaglia di Tailtean il mio mondo, la mia mente, tutto ciò che possedevo ed amavo mi fu strappato dalle mani. Ed invece tu ci sei ancora, la mia speranza, il frutto di un profondo amore, ciò per cui abbiamo dato la vita.
Figlio mio... averti qui, davanti a me, mi rende di nuovo degna di esistere.-

Benedikt udì la bestia accovacciarsi dietro la sua sedia, ma subito dopo la sua mente subì un blackout.
"Figlio mio"...? Aveva sentito bene? Quella donna l'aveva appena chiamato "figlio"? Figlio? Cioè... il prodotto del parto di una madre? Quella creatura nata dopo l'accoppiamento di due persone? La cosa che viene fuori dall'unione di sperma ed ovulo?
No, no, no, no, no? Perché?
Non poteva essere sua madre, quella era matta, tra l'altro sembrava sua coetanea. Dove si era andato a cacciare? Doveva restarsene ad Enbarr, mai partire né per il Garreg Mach, né per Itha, né per la fantomatica Shambhala, né—
Incrociò il suo sguardo, in quegli occhi gelidi e chiari. "I tuoi occhi sono bellissimi, Benedikt, di un azzurro così chiaro...", "Il principe ha occhi di ghiaccio, sono inquietanti", "Altezza, occhi freddi come i vostri sono una rarità. Splendidi".
...
Erano del suo stesso colore. Prima l'aveva visto solo su di sé.
Strinse i pugni. Continuava a fissarla. Anche lei lo guardava, conscia di dovergli dare tempo per elaborare.
Strinse più forte, le nocche si sbiancarono, sospirò rumorosamente, la guardò di nuovo -era troppo bella e giovane, troppo inquietante-.
Poi, finalmente, si decise a parlare.

- Cosa diamine stai dicendo?! Pazza!- No, non così! Perché così rude?!
- La verità, – E per quale motivo lei non se ne stava curando?! – io sono tua madre, Aleksei.-
Primo: il mio nome non è "Aleksei", ma Benedikt. Secondo: mia madre è l'Imperatrice Adrestiana, non una tizia a caso che beve camomilla sottoterra assieme ad un mostro!- "Ale—, no, Benedikt, non volevi ringraziarla? Perché ora la stai insultando?", quello fu il suo pensiero, ma per qualche motivo cervello e bocca non erano connessi.
- Dannata strega.- La sentì sibilare.

Si mise le mani nei capelli, confuso ed arrabbiato con sé stesso. Non voleva insultarla, davvero, non sapeva cosa gli fosse preso. Lei aveva salvato Sera, era una specie di santa, la sua magia così potente— ... e gli aveva detto di essere sua madre, la mamma, la genitrice, la donna che lo aveva partorito.
Era giovane, non aveva senso, ma il colore degli occhi... lo stesso azzurro... Edelgard non li aveva così, neanche Byleth, quei due non avevano i capelli biondi, ma nemmeno la donna davanti a lui. Quelli da dove venivano?
Gli faceva male la testa, così tanti pensieri gli frullavano nel cervello, così forti da spappolarlo, demolirlo, annientarlo.

- Scusa... scusa, scusa, scusa, scusami— mi dispiace, non volevo essere così... così... così stronzo, ecco. Giuro, di solito non mi comporto in questo modo, hai salvato Sera da morte certa, io la amo, capisci? Se non ci fossi stata tu, con quella magia, lei— lei—-
- Ho solamente fatto ciò che era giusto. Chiunque fosse stato, gli avrei salvato la vita, perché perdere una persona amata è la più grande delle tragedie.-
- Tu— anzi, voi... – Il principe alzò la testa, guardandola di nuovo negli occhi. – siete... siete davvero mia madre?-

In risposta, lei si alzò in piedi e gli diede le spalle. Da sotto il velo nero fuoriusciva una cascata di capelli color pesca, quasi rosa.
Si strinse nelle spalle, come se i ricordi fossero una ferita aperta e sanguinante. Solo dopo qualche secondo si calmò; alzò la testa verso l'alto, prese un profondo respiro e tornò a mostrarsi in viso.

- Era il venticinquesimo giorno della Luna Solitaria, anno millecentottantasei, ventunesimo arcano: Il Mondo.
A Fhirdiad non nevicava da tanto tempo e ciò era insolito, come se il cielo avesse paura della guerra – l'armata dell'imperatrice si avvicinava sempre più.
La mia gravidanza, così come il mio matrimonio con tuo padre, furono tenuti nascosti e quella notte nascesti in segreto, in pochi seppero della tua esistenza. Ma, di quei tempi, far sapere al popolo della nascita di un erede al trono avrebbe solamente comportato rischi per il bambino.
Il venticinquesimo giorno della Luna Solitaria venne alla luce il principe ereditario del Sacro Regno di Faerghus: Aleksei Irek Blaiddyd.

Al giovane sembrò fermarsi il cuore.
Blaiddyd, Blaiddyd, Blaiddyd, Blaiddyd... ancora quel nome, quella parola. Artemiya, Rufus, Areadbhar, il Segno, il Re dei Leoni, adesso lei gli veniva a dire di essere sì un principe ereditario, ma di un luogo diametralmente opposto a quello che si aspettava!

- Solamente un mese dopo, però, lo Squadrone dell'Aquila Nera giunse alla pianura di Tailtean, pronto a marciare verso la capitale. Il re in persona decise di scendere in campo ed io, incapace di stare buona ad aspettarlo, lo seguii per combattere fianco a fianco.
Un violento temporale aveva reso tutto un mare di fango, ma le armate non si fermarono – i due sovrani duellarono all'ultimo sangue e, purtroppo, il re perse. Mentre cercai di aiutarlo fui presa e pugnalata decine di volte alla schiena, quei soldati mi costrinsero a vedere l'uomo che amavo venire decapitato davanti a me. La sua testa cadde in una pozzanghera ed io urlai con tutte le mie forze.
L'imperatrice mi notò, le parlai e lei in risposta mi diede quello che doveva essere un colpo di grazia, ma attuato in modo da avere una morte lenta e sofferta. Mi fece seppellire viva assieme al corpo di tuo padre, stringevo la sua testa mozzata in grembo e piangevo... piangevo come mai avevo fatto in vita mia. Avevo perso tutto in un istante, ero rimasta da sola, non riuscivo a soffocare a causa del mio stesso potere, i vermi divoravano le mie carni ed entravano sempre più in profondità. Rimasi là sotto per dieci giorni.-
- Sepolta per dieci giorni... come... come fate ad essere ancora viva? È fisicamente impossibile...-
- È per il Segno che porto, si chiama Luna Crescente. Il suo funzionamento principale è quello di amplificare la magia, ma è molto potente e mi permette di prevedere il futuro attraverso le carte, vedere gli spettri ed impedisce di invecchiare e morire per ferite gravi. Se non lo avessi avuto sarei morta, ma la sofferenza è stata inimmaginabile... fui ferita da una reliquia e i vermi continuavano a cibarsi della mia carne, più passava il tempo e più stavo male.-

Quelle parole, se vere, facevano acquisire più senso alla storia. Lei sembrava così giovane perché erano gli effetti del Segno e sempre per esso era sopravvissuta senz'aria tutto quel tempo... era tutto talmente surreale da fare il giro e diventare realistico.
Da come ne parlava, il modo in cui si esprimeva... o era un'attrice magistrale, o stava dicendo la pura verità. Gli aveva trasmesso la sua sofferenza, per un istante giurò di sentire degli insetti strisciargli sulla schiena.
La domanda però rimaneva una. A parte il colore degli occhi non si somigliavano così tanto, perché sosteneva così fermamente di essere sua madre...?

- Siete sicura che io sia vostro figlio, questo "Aleksei"? Prima di quell'evento non ci eravamo mai incontrati, come fate a saperlo?-
Una madre sa.
... O almeno, questo direbbe chiunque. Io invece l'ho capito in un altro modo: sei la copia identica di tuo padre. La forma del viso è la stessa, avete lo stesso naso, le stesse labbra, gli stessi capelli, quasi la stessa altezza e corporatura.
Ma... c'è un dettaglio in più... che al momento della tua nascita non era presente.-
- Di cosa state parlando?-
- Anche tu hai ereditato la Luna Crescente, Aleksei. Io ne sono l'unica portatrice mai esistita, solamente mio figlio avrebbe potuto possederla.
Sento il suo potere, la sua maledizione scorrere in te, nel tuo sangue. Ma è estremamente acerbo, ha iniziato a manifestarsi da poco, vero? Ti è capitato di ferirti gravemente e vedere la carne ricucirsi? – Il giovane non riuscì a far altro che annuire, incredulo. – ... come temevo, allora è davvero un parassita che si è affiancato al Segno di Blaiddyd.-
- Blaiddyd... questo nome è sempre stato una ricorrenza negli ultimi tempi. Prima non ne avevo mai sentito parlare, ed ora chiunque io incontri lo nomina, mi dice che io ne porto il Segno. Perché... perché nessuno me ne aveva mai parlato?-
- Io non ne ho idea... sono rimasta segregata qui sotto per tutto questo tempo. Tutto ciò di cui sono a conoscenza è che il Faerghus sta morendo. La mia casa... il luogo che avrei dovuto governare al fianco di Dimitri...- La donna fu di nuovo sull'orlo del pianto, ma si trattenne.
- Fino a pochi mesi fa ero ignaro, con zero problemi per la testa, spensierato, mentre ora vengo a scoprire che la mia vera madre vive in una città interrata, sono il principe di un regno perduto e porto non uno, ma due Segni. È... è troppo volere una vita tranquilla?-
- Questo dovresti chiederlo alla tua finta madre, è stata lei stessa a muovere guerra ed uccidere l'ultimo membro della famiglia rimastole. – Il principe la osservò, ancor più confuso. – Quando era una bambina, sua madre sposò il padre di Dimitri, i due erano fratellastri.-

Aleksei faticava a tenere su la testa, era come se quel mare di informazioni gliel'avesse resa talmente pesante da impedirle di stare dritta. Dall'additarla come pazza squinternata era passato a crederle, perché a pensarci aveva molto più senso tutto ciò che lei gli aveva raccontato della sua intera esistenza di inganni.
Lui era il principe delle bugie, né più né meno. Sembrava che il mondo intero si divertisse a prenderlo in giro e raccontargli baggianate per farlo andare fuori di testa.

- Voi mi avete detto il mio vero nome, ma io non so il vostro. Come vi chiamate...?-
- Mi chiamo Ksenia, Ksenia Arnim. Qui non lo usano mai, ma per favore, rivolgiti a me in tale modo, questo è il mio nome, il nome che Mitya scelse e che mi porterò nella tomba.-
- Ksenia, anzi, madre, venite con me ad Itha, vi prego. C'è qualcuno con cui vorrei parlaste.- Si alzò, la raggiunse e le prese le mani.
- Io non posso. Mio padre, l'uomo che mi ha portata via a forza prima che potessi parlare, mi impedisce di uscire da Shambhala in autonomia.-
- Perché?!-
- Perché il mio sangue è estremamente prezioso, ne ha bisogno. Mi tiene in scacco, se scappassi distruggerebbe qualcosa a cui tengo al pari di te.-

Senza dire altro, sempre tenendolo per mano, lo accompagnò in un'altra stanza -spiegò che quei ghirigori comparsi sulle porte erano la rappresentazione del Segno della Luna Crescente e fungevano da chiave-; in essa faceva più freddo e l'aria era meno umida. Il mostro gigante li stava seguendo.
Le tenui luci sul pavimento si accesero ed in fondo illuminarono una figura umana, immobile in piedi, proseguendo riuscì a distinguere un'armatura familiare, bianca con il mantello blu e la pelliccia sulle spalle.
Solo a pochi metri di distanza si rese conto che quella era in realtà una mummia; la pelle del viso era rinsecchita, gli occhi erano socchiusi, la bocca semiaperta ed i capelli biondi le incorniciavano il volto.
Quell'uomo... quell'armatura caratteristica, il Segno di Blaiddyd inciso sul petto... era lui, lo spettro che lo seguiva ed infestava i suoi sogni. Ma ora aveva la testa cucita grossolanamente sul collo ed era un cadavere vero e proprio. Sussultò, indietreggiando di un passo, lei però gli strinse la mano.

- Lui è Dimitri Alexandre Blaiddyd... tuo padre.-
- Questo è davvero il suo corpo...?-
- Certamente.-
- Perché si trova qui?-
- Perché non volevo, non voglio lasciarlo andare.-

Ksenia si avvicinò a ciò che restava di Dimitri ed appoggiò il corpo contro il metallo dell'armatura, la testa sul petto come se volesse sentirne i battiti del cuore. Chiuse gli occhi e poi gli prese la mano.
Aleksei la osservava sconcertato. Normalmente, se avesse visto qualcuno comportarsi così, si sarebbe fatto delle grasse risate, ma non ce la faceva... guardare quella che da poco aveva scoperto essere sua madre abbracciare la mummia del suo defunto marito gli metteva addosso un'angoscia incredibile. Aveva passato vent'anni in questo modo...?
Non poteva nemmeno immaginare tutto il dolore provato da lei.

- Quando gli agarthei mi disseppellirono, stringevo ancora la sua testa contro il mio ventre e mi rifiutavo di lasciarla. Ero entrata in uno stato di trance, non rispondevo a nessuno ed impiegavo quella poca magia che riuscivo a produrre in quello stato per impedire che si decomponesse... ogni tentativo di togliermela dalle mani metteva in atto un meccanismo di difesa che irrigidiva i miei muscoli tanto da diventare inamovibili.
...
Ad essere sincera, non so quanto sia durato quel periodo, non ne ho memoria, ciò che so mi è stato raccontato. Sono riuscita a tornare a vivere grazie alle parole di mio padre, il quale passava ogni singolo momento libero a parlarmi, a cercare di svegliarmi da quella specie di coma.
Il mio primo ricordo dopo lo scontro a Tailtean è stato il momento in cui gli ho finalmente consegnato la testa. Lo feci perché mi aveva promesso che l'avrebbe restituita al suo legittimo proprietario... e così mi convinse. Questo è il risultato.
Aleksei... io non posso abbandonarlo qui, non è importante solo per me, ma anche per Dedue.-
- Dedue...?-

Il principe si voltò, la bestia era dietro di lui. La prima volta che la vide ne fu inorridito e spaventato, ma più la guardava... più quella cosa gli faceva pena. Perché aveva una maschera così pesante sul muso...?
Notò anche che appeso al suo collo c'era un ciondolo d'oro.
Era lui Dedue? Aveva un nome?
Durante la sua permanenza all'Accademia Ufficiali aveva imparato che le bestie demoniache erano fuori di testa, assetate di sangue ed accecate per via del potere derivato dalle pietre segno, non erano di certo domabili... o degne di nome. Non esitavano ad uccidere, l'istinto di sopravvivenza le spingevano ad attaccare a testa bassa, eppure quella davanti a lui era tranquilla e docile.

- Dedue era l'attendente del re, l'uomo più buono che abbia mai conosciuto, il "gigante gentile". Quando erano giovani Dimitri gli salvò la vita e da quel momento giurò di non abbandonarlo mai ed essergli sempre leale.
A Tailtean, quando la battaglia si fece aspra, usò una pietra segno per trasformarsi in una bestia... sai ormai com'è andata a finire. Lui fu ferito gravemente, ma riuscì a sopravvivere e mi seguì qui, da quel momento è sempre rimasto al mio fianco. Credo di aver conservato un briciolo di sanità mentale solo grazie a lui.

Aleksei aveva ora il quadro più o meno completo, quasi tutto aveva finalmente un senso.
Il Segno, anzi, i Segni che portava, il motivo per cui Rufus lo aveva chiamato "Dimitri" al loro primo incontro, la somiglianza inesistente con la sua "famiglia"...
C'erano sicuramente altre cose che Ksenia non gli aveva raccontato, ma non voleva pressarla ulteriormente, sembrava profondamente provata dall'aver dovuto tirare fuori ricordi tanto dolorosi; la storia di lei che non voleva mollare la testa lo aveva destabilizzato e probabilmente il volto rinsecchito di suo padre lo avrebbe perseguitato tutte le notti – già lo faceva, ma vederlo decapitato gli faceva meno senso, la mummia sembrava dovesse svegliarsi e rincorrerlo da un momento all'altro.

- Madre... Dedue... rimanere sottoterra con un cadavere non è la soluzione per superare il dolore della perdita. Dovete lasciare il passato dove si trova ed iniziare a costruire il futuro... è già tardi.
Venite entrambi con me ad Itha... per favore.-
- Anche se scappassi da Shambhala, mio padre riuscirebbe a rintracciarmi per via della vasta scia magica che lascio al mio passaggio... se dovesse tornare e fossi abbastanza vicina mi troverebbe subito. Saresti in pericolo, non voglio che accada.-
- Deve pur esistere un modo...-

Iniziò a pensare. Lei non poteva sicuramente reprimere tutto quel potere, lo percepiva forte e chiaro, sarebbe stato impossibile nasconderlo.
Correre il rischio era da stupidi ed incoscenti, lui poteva tornare in qualunque momento – anzi, anche in quell'istante erano in pericolo, doveva pensare più in fretta.
Itha era lontanissima, ci sarebbero voluti giorni o addirittura settimane per raggiungerla, non avevano tempo.
...!

- Quella volta, come siete spariti?-
- Al nostro primo incontro...? Con un'invenzione agarthea simile all'incantesimo del teletrasporto.-
- Lo sapevo! Possiamo usarla, vero?-
- Io... non so...-
- Ascoltatemi bene: o la va, o la spacca. Il tempo scorre: più ne passa, più si avvicina il momento in cui vostro padre sarà qui.
Se è davvero pericoloso come dite, tanto vale fallire ma averci almeno provato.-
- ... Va bene, verrò.-

La donna si prese qualche secondo per salutare, forse per sempre, Dimitri, poi li accompagnò in quello che sembrava il laboratorio di uno scienziato pazzo.
Era sporco, con vetri rotti dappertutto, inquietanti fiale colme di sangue, organi ed oggetti non identificati immersi nella formaldeide... quel posto era talmente surreale da mettergli i brividi.
Ksenia, da persona calma e tranquilla, mentre cercava chissà cosa iniziò ad agitarsi, l'ansia e la fretta avevano preso il sopravvento, le parole del figlio le avevano davvero messo paura e la possibilità che suo padre potesse scoprirla l'aveva destabilizzata.
Quando finalmente trovò quel cristallo, si rilassò di colpo.

- Vuoi andare ad Itha, Aleksei...?-
- Proprio così.-
- Cercherò di portarci tutti e tre, allora.-

Chiuse gli occhi ed iniziò a recitare una formula magica. Dapprima non successe nulla, ma qualche istante dopo un fumo nero e viola li avvolse.
In un battito di ciglia, Shambhala era vuota.


... FINALMENTE. Finalmente sappiamo il vero nome di Benedikt: Aleksei Irek Blaiddyd.
Aleksei significa "Difensore", mentre Irek "Libertà"; l'ho sempre trovato un accostamento stupendo.
Non potete capire il mio mal di testa ogni volta che dovevo scrivere il suo nome e cercare di non spoilerare quello vero. Credo di essere diventata pazza.
Comunque— siamo giunti ad una svolta, tante domande hanno ricevuto risposta, ma nel frattempo ne sono sorte altre. Qualche capitolo fa la madre di Aleksei veniva chiamata Anaxagoras, ma ora si è presentata al figlio come "Ksenia"... sicuramente è un personaggio particolare.
Io l'adoro, ho una specie di preferenza per lei perché è stata la mia prima OC di Three Houses e colei da cui è partito tutto, she's my queen e guai a chi me la tocca.
Per finire, scusatemi per l'immenso spiegone che è stato questo capitolo, ma era necessario e Ksenia si era tenuta dentro tutto per due decenni, doveva sfogarsi. Personalmente mi sono divertita molto a scriverlo, soprattutto il punto in cui lei lo chiamava "figlio" ed il suo cervello si è spappolato.
Spero sia piaciuto anche a voi e che in generale la storia sia di vostro gradimento.

 

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Capitolo 10
*** 9 ; The Forsaking ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

9

The Forsaking


Artemiya era seduta davanti alla specchiera e si stava truccando gli occhi. Non riusciva però a concentrarsi come avrebbe voluto, perché qualcosa la distraeva: Sera era seduta sul suo letto, con la schiena ricurva e le mani giunte, come al solito era abbattuta a causa dell'assenza di Benedikt e, soprattutto, perché non erano nemmeno sicure fosse vivo. Nonostante Mitja l'avrebbe rimproverata, in cuor suo sperava anche lei che non gli fosse successo nulla di grave; era l'unica speranza per il Faerghus, doveva essere sopravvissuto a quello stupido viaggio.
La ragazza si alzò dalla sedia, raggiunse l'amica sul materasso e l'abbracciò, poggiandole la testa sulla spalla. Lei fece un profondo sospiro.

- Non puoi continuare a comportarti come un cane bastonato, sono passate settimane...-
- Mi manca, Artemiya... io non ce la faccio più... voglio, devo rivederlo.-
- Ascolta. Lo abbiamo cercato in lungo e in largo fino ai territori dei Galatea, se è riuscito a passarli sano e salvo allora è facile che sia sopravvissuto, da lì in poi il clima è sempre più sopportabile e meno imprevedibile, dovresti saperlo, visto che abitavi ad Enbarr...-
- Non è solo il clima a preoccuparmi. Se qualcuno gli avesse fatto del male? È partito disarmato, come al solito! Pensa sempre di fare affidamento sulle sue abilità di mago, ma come può essere al massimo delle forze se per arrivare fin là deve camminare tutto il giorno...?-
- Sai perché il Faerghus era chiamato "Sacro Regno"? – La ragazza le puntò i suoi occhi verdi addosso, confusa. – La pianura di Tailtean è il luogo dove Santa Seiros uccise Nemesis, e settecento anni dopo Loog sconfisse l'imperatore Adrestiano per ottenere l'indipendenza.
La Chiesa di Seiros fece da mediatrice tra Impero e Regno, dando vita al Sacro Regno di Faerghus. Ovviamente anche queste informazioni sono state cancellate, ma quello rimane un luogo benedetto dalla Dea.
Nel nostro paese siamo sempre stati devoti alla Chiesa, le preghiere ci portarono all'indipendenza... vuoi pregare insieme a me, chiedendo che il principe torni sano e salvo?-
- Pregare...? È giusto pregare pur non essendo devoti o credenti? Mi sembra irrispettoso...-
Artemiya le prese le mani e, stringendole tra le sue, sorrise.
- La Dea Sothis ama tutti incondizionatamente, Sera...-
- Allora... allora forse farò un tentativo...-

La ragazza scese dal letto, si inginocchiò davanti ad esso a mani giunte ed invitò l'amica a fare lo stesso, la quale la imitò con titubanza. Mentre lei pregava, Sera si domandava cosa stesse facendo, se tutto ciò avesse davvero un senso... questa fantomatica "Dea" le avrebbe davvero ascoltate? Avrebbe davvero riportato l'uomo che amava da lei, vivo e vegeto?
Voleva tornare a casa, ma non ad Enbarr, né al suo villaggio d'origine, casa per lei aveva un nome ed un cognome: Benedikt von Hresvelg.
"Oh, Dea Sothis, te lo chiedo per favore: fa sì che Benedikt non incontri ostacoli sul suo cammino e che torni da Shambhala sano e salvo..." poteva bastare? Doveva metterci più passione? Struggersi? Mostrare più riverenza? Non ne aveva idea... in realtà nemmeno sapeva esistesse una religione fino a pochi minuti prima, ed ora stava chiedendo aiuto alla sua divinità. Si sentiva ridicola, ma la disperazione portava anche a quello.
Guardò Artemiya: aveva gli occhi chiusi ed un sorriso sul volto, sembrava aver raggiunto la pace dei sensi... forse avrebbe dovuto impegnarsi di più, oppure era lei stupida ad affidarsi a qualcosa di astratto per salvare una persona...? Può darsi, ma loro non avevano affatto i superpoteri – solo Mitja a quanto aveva capito portava un Segno, raffigurato sul suo mantello, ma non sapeva localizzare le persone... e poi era stato chiaro: non le avrebbe più aiutate a cercarlo.
Con quello stupido principe non ci voleva più avere a che fare, parole sue. Rimaneva ad Itha solo per Artemiya, ma entrambi avevano detto che presto sarebbero tornati a studiare al Garreg Mach, nessuno dei due voleva sprecare l'anno e non avevano tutti i torti.
Ma lei dove sarebbe andata dopo? Rufus le faceva davvero paura, non voleva affatto rimanere in quel castello con lui, chissà cosa le avrebbe fatto... forse era solo pregiudizio, rimaneva però il fatto che lo trovasse terrificante.

- Come ti senti ora, Sera?-
- Non lo so, è stato strano. Ad essere sincera, penso che difficilmente questa Dea mi ascolterà... non sappiamo nemmeno se esiste.-
- Che esista o no, io ho sempre trovato conforto nel rivolgerle qualche preghiera, sperare di essere ascoltata. Voglio aggrapparmi a qualunque cosa per dare al popolo la giustizia che merita.-
- Saresti una brava regina, sai?-
- Purtroppo non è ciò che mi spettava. Non porto un Segno, mio nonno era il fratello maggiore del re, ma fu mandato qui perché nemmeno lui lo possiede... se tutto fosse rimasto come prima sarei diventata granduchessa. Questo titolo mi sarebbe bastato, a me basta combattere per difendere gli innocenti.-
- È ammirevole.-
- Ma cosa dici? Mi farai arrossire!-

Artemiya rise e poi scese dal letto. Aveva rinunciato a truccarsi, perciò entrambe le ragazze uscirono dalla stanza e si incontrarono all'esterno con Mitja, il quale sembrava spazientito.

- Certo che ce ne hai messo di tempo, non ti sei nemmeno truccata...- Lui, invece, aveva gli occhi impeccabilmente sfumati di azzurro e le labbra rosee come al solito.
- Ho deciso di lasciar perdere.- Sospirò in modo teatrale.
- Vieni, lo faccio io.- Fece per prenderla e riportarla in camera, ma lei lo fermò.
- No, non importa, dai! Usciamo piuttosto, ho bisogno di una boccata d'aria.-

I tre uscirono dall'ingresso principale del castello e si diressero in città. Quella mattina c'era il mercato, eppure ciò che vendevano i mercanti era poco o niente – ormai nemmeno quelli lontani dal Faerghus venivano più e di conseguenza ottenere merce importata era quasi impossibile, oppure a prezzi esorbitanti che, ovviamente, nessuno poteva permettersi.
Ad Artemiya però piaceva sempre recarvisi perché quello era effettivamente l'unico momento in cui Itha acquisiva un po' di vita. Come nipote di Rufus lì la conoscevano tutti e le volevano bene per la sua gentilezza ed il desiderio di prestare aiuto in un modo o nell'altro, che fosse economicamente o anche solo di sistemare la merce al proprio posto.
Gli abitanti la credevano un vero e proprio angelo.
Sera invece invidiava quella sua grande spensieratezza tanto da sentirsi ampiamente fuori posto – non era mai stata tanto triste in vita sua, aveva paura di avvelenarle l'entusiasmo. Mentre lei e Mitja si erano fermati per aiutare una venditrice a sistemare la frutta, la ragazzina proseguì da sola con la volontà di schiarirsi un po' le idee.
Si strinse nel pesante cappotto ed osservò la gente muoversi in direzione opposta alla sua. I bambini giocavano per strada con palle di stracci, alcune donne stendevano i panni e dalle finestre di una taverna poteva sentire schiamazzi e risate... quelle persone, seppur povere, sembravano davvero felici; nonostante Enbarr fosse più ricca, raramente aveva visto scene simili passeggiando per la città.
Una palla rotolò e si fermò proprio contro la sua caviglia. Si guardò intorno e vide un trio di ragazzini che la stavano guardando con un certo timore -ipotizzò fosse per il suo incarnato ambrato, lì erano tutti pallidi e bianchi come il latte-, ma non ci diede affatto peso. Accennò un sorriso e la prese, iniziando ad avvicinarsi per restituirla.
A quel punto uno di loro iniziò ad urlare e scapparono via tutti. Capì che esso non era rivolto a lei, perché quando si voltò una nebbia viola e nerastra era appena apparsa sul ciottolato. Rimase immobile con il fiato sospeso finché essa non si diradò, rivelando tre figure.
La prima era un'enorme creatura con una maschera di ferro, la seconda una donna vestita come se dovesse partecipare ad un funerale e la terza... la terza aveva dei lunghissimi capelli biondi che mai nessun altro poteva avere.

- Be... Benedikt...

Tutte le altre parole le morirono in gola, si sentì improvvisamente andare in fiamme ed il cuore accelerare senza sosta. Era lui, era vivo, era tornato...!
Le preghiere avevano funzionato...? La Dea esisteva davvero?
Dopo un attimo che parve infinito, le sue ginocchia finalmente si sbloccarono e partì di corsa verso di lui, che quando la vide allargò subito le braccia e l'accolse. Gli saltò addosso com'era solita fare, ma notò qualcosa di strano: all'impatto aveva indietreggiato di un passo, non era mai successo prima.

- Non ci credo... sei vivo, sei vivo, sei vivo...

Ad ogni parola la sua voce diventava sempre più flebile ed acuta, mentre lo stringeva forte ed annusava il suo profumo come prova di non essere protagonista di un sogno o un'allucinazione.
Anche lui l'abbracciò e nel mentre anche Artemiya e Mitja li avevano raggiunti – la prima era entusiasta, l'altro era stato l'unico a dar peso alla presenza del mostro e la donna.

- Ancora tu, con quel mostro? Cosa vuoi da noi?-
- Loro sono dalla nostra parte.- Il principe mise giù Sera, facendo qualche passo in avanti.
- Sei stato a Shambhala, vero? Li hai trovati lì? – Annuì. – Allora come un'agarthea può essere nostra alleata? Ti ho già spiegato il loro ruolo nella storia del Fódlan, te lo sei già dimenticato?-
- No, ma ti assicuro che né lei né lui sono ciò che credi. Artemiya, mi scuso per il mio comportamento infantile. Ci accetteresti ancora nel tuo castello?-
- Mh... – Lei guardò Mitja: assolutamente contrario. Poi Sera: favorevole al cento per cento. Infine guardò gli occhi glaciali di quella donna che fino a quel momento era stata rinchiusa in sé stessa. In lei c'era qualcosa di strano... avrebbe voluto parlarle faccia a faccia. – va bene.-
- Mimi, sei pazza?!-
- Scusa, Mitja, ma sento che se non assecondo questa richiesta potrei pentirmene. Potete venire al castello, ma la bestia deve stare fuori, rimarrà nel giardino sul retro.-
- Grazie mille, sei un angelo...- Il biondo le sorrise.

Il gruppo si incamminò verso la reggia, ma quando il principe salì il primo scalino ebbe un mancamento e cadde in avanti. Subito Ksenia lo afferrò, ma non avendo la forza necessaria rischiò di fare la sua stessa fine, perciò Sera si aggiunse ed insieme riuscirono a sorreggerlo. Era talmente esausto e provato da aver avuto un colpo di sonno: stava dormendo.
Con l'aiuto di Artemiya e della sua forza, lo portarono nella sua stanza e lo misero sul letto; in tutto il tragitto non aveva mosso un muscolo, né si era reso conto di essere trascinato in giro come un sacco di patate, sembrava morto.
La donna sconosciuta si era seduta sul bordo del materasso e gli aveva tastato la pelle del collo e della fronte alla ricerca di sintomi di febbre o raffreddore, ma il giovane respirava normalmente e la sua temperatura non presentava anomalie.

- Non è in pericolo, ha solo bisogno di dormire... forse non lo fa da due giorni.-
- Grazie al cielo... – La donna si alzò e Sera prese il suo posto, iniziando ad accarezzargli la guancia. – ma voi chi siete?-
- Un'alleata.-
- Tutto qui? Non ci rivelerete nemmeno il vostro nome?-
- Oh— scusami... il mio nome è Ksenia, per ora dirò solo questo. Il resto lo racconterò quando anche il principe potrà ascoltare.-

Detto ciò, la donna se ne andò lasciando le due ragazze con il figlio inerme.

Mitja era furioso.
Furioso con quel maledetto principe, ma soprattutto con Artemiya. Da quando era diventata così? Perché non lo ascoltava più? Perché non capiva quanto quell'adrestiano fosse pericoloso?
Era figlio dell'imperatrice, la stessa donna che aveva permesso al suo regno di morire sotto le sue stesse nevi. Rischiava ogni giorno di essere giustiziata per aver infranto la damnatio memoriae, eppure continuava a fidarsi di lui come si fa con un parente stretto.
Mentre l'avevano portato a riposare, lui aveva gironzolato nel castello e borbottato per almeno venti minuti, finché non aveva deciso di uscire a prendersi una boccata d'aria o picchiare qualche tronco d'albero per ammazzare lo stress.
Quando aveva varcato l'uscio sul retro, però, era rimasto immobile, qualcuno lo aveva preceduto.
Si trattava del mostro e di quella donna vestita di nero. Le sue scarpe erano rimaste sulla scalinata mentre lei, a piedi nudi, danzava sulla poca neve rimasta; era leggiadra come una farfalla, i tessuti sottili che la coprivano svolazzavano ed accompagnavano ogni suo movimento assieme a delle scie di luce magica.
Sembrava quasi una fata o una ninfa, una divinità dei boschi che performava un rito per dare vita alla natura circostante.
Ne rimase completamente folgorato.
Quando lei lo notò, però, tutta l'atmosfera si dissolse ed i suoi occhi di ghiaccio lo guardavano curiosi.

- Tu sei il ragazzo che brandiva un'arma agarthea, vero?-
- La conoscevi veramente, allora...-
- ... Purtroppo. – Lei sospirò, abbassando lo sguardo. – Strumenti di morte, non dovrebbero esistere invenzioni così violente.-
- Chiamale come vuoi, ma non esiterò ad usare quel fucile contro chiunque minacci la sicurezza di Artemiya.-
- Come ti chiami?-
- ... Mitja.-
- È un diminutivo? – Lui scosse il capo. – Che bel nome... ha un suono molto simile al soprannome con cui chiamavo mio marito: "Mitya".-
- Chiamavi?-
- È morto tanti anni fa... il suo nome era Dimitri.-
- Dimitri, come il re. – La vide sorridere. – Il re... tu hai sposato il re di Faerghus? Sei la regina?!-
- Non credo di potermi definire ancora tale. Sono stata costretta ad abbandonare il mio regno, dovrei solamente essere giustiziata.-

Mitja non seppe cosa rispondere a quella frase. Doveva crederle? Quella donna non aveva il minimo senso, come poteva essere stata la moglie del re se non era mai trapelata notizia di un matrimonio? E, soprattutto, perché non dimostrava più di vent'anni?
Se Benedikt l'aveva incontrata a Shambhala quasi sicuramente era agarthea, un altro motivo per stare all'erta: quelle serpi erano solite infilarsi ovunque e manovrare le loro marionette nell'ombra, non si sarebbe stupito se la caduta del Faerghus fosse stata a causa sua – sempre se non era una pazza e quell'uomo lo aveva sposato per davvero.

- Sinceramente non posso affatto dire di crederci. Ci sono tante cose che non tornano, parole così forti vanno dimostrate.

Lei si fece strada tra la neve, per niente infastidita dal gelo sotto i suoi piedi nudi, finché non lo raggiunse. Alzò la mano sinistra e gliela portò fino al viso, mostrandogli l'anello d'argento puro che indossava all'anulare. Era una fede nuziale con il Segno di Blaiddyd inciso sopra; doveva averlo creato un gioielliere esperto, era semplicemente magistrale ma dall'aspetto semplice che caratterizzava l'estetica del Faerghus.

- Non sono qui per raccontare favole, né costringervi a credere ad ogni singola parola che fuoriesce dalla mia bocca. Ho deciso di tornare in superficie perché ho una faccenda importante da sbrigare, ti chiedo solo di non considerarmi come tua nemica.-
- Per il momento non mi fido, con il tempo... forse... potrei chiudere un occhio.-
- Ti ringrazio, Mitja.
... il mio nome è Ksenia, comunque.-

Quella donna era strana. Il suo sguardo freddissimo, accentuato da quell'intenso smokey eye nero, era quasi inquietante, ma dall'interezza del suo viso traspariva soltanto quella che sembrava sofferenza, sicuramente aveva dovuto attraversare molti ostacoli nella sua vita.
Prima che potesse replicare, udì dei passi alle sue spalle e si voltò, vedendo Artemiya.

- Finalmente vi ho trovata, Ksenia. Volevo presentarmi a dovere, siete andata via prima che potessi farlo...-
- Mi dispiace, sono stata scortese...!-
- Il mio nome è Artemiya Rosenrot Blaiddyd, mentre l'altra ragazza si chiama Sera Mayer. Desideravo ringraziarvi per averle salvato la vita.-
Blaiddyd...? – La donna strabuzzò gli occhi, guardandola dalla testa ai piedi. – Sei figlia di Ekaterina?-
- Ekaterina è il nome di mia madre, sì. La conoscete...?-
- Eravamo amiche. Dove si trova ora?-
- Io... io non lo so... non l'ho mai incontrata...-

Ksenia conosceva molto bene Ekaterina Zelenia Blaiddyd. Quando, a seguito della Tragedia del Duscur, Rufus acquisì il titolo di reggente, lui e la figlia avevano soggiornato nel castello di Fhirdiad fino all'incoronazione del nuovo re. Aveva quattro anni in più di Dimitri e, nonostante suo padre fosse una pessima persona, lei era come un angelo. Il suo aspetto lo suggeriva anche con quei lunghi boccoli biondissimi e gli occhi azzurri tipici della famiglia reale.
Era sempre stata dalla parte dei duscuriani ed un gran supporto emotivo per il povero cugino che aveva perso entrambi i genitori in quel tragico giorno; per lei, invece, era come una sorella maggiore e non le aveva mai fatto pesare i loro sette anni di differenza. Le aveva insegnato a truccarsi, ad acconciarsi i capelli e a danzare, inoltre aveva sempre spronato la sua relazione con Dimitri... forse era solo grazie a lei se si erano sposati, era anche una dei pochi a conoscenza del fatto e l'unica presente in vece di testimone.
Più guardava Artemiya, più in lei rivedeva quei tratti dolci, il viso delicato e lo sguardo furbo, ma al contempo non capiva da chi venissero quei capelli castani ed il nero pece dei suoi occhi... non conosceva nessun nobile che corrispondesse alla descrizione. Chi era suo padre?

- Mi addolora dover apprendere una simile notizia, desideravo poterla rivedere...-
- Se davvero la conoscevate, potreste parlarmi di lei? Mio nonno è sempre stato zitto, non vuole dirmi nulla sul suo conto, ho scoperto che si chiamava Ekaterina solo di recente. Per favore.-
- Ekaterina Zelenia, aveva un secondo nome come tutti i nobili del Faerghus.-
- Ekaterina... Zelenia...-
- Te ne parlerò, Artemiya, lo prometto. Prima però ho una faccenda urgente da sbrigare.-

Mentre si allontanava dai due ragazzi e rientrava nel castello, la rabbia di Ksenia ribolliva nel suo corpo gracile come una pentola a pressione sul punto di esplodere.
Maledetto, maledetto Rufus, cos'hai fatto a tua figlia?!
Lo odiava a morte per così tante cose, eventi che aveva causato, gesti riprovevoli, ed ora veniva a sapere che Ekaterina era "scomparsa", o qualunque diavoleria avesse raccontato alla nipote. Erano passati vent'anni, ma ormai era il momento di affrontarlo faccia a faccia ancora una volta, mettere dei paletti. Usare finalmente il suo titolo di regina e spodestarlo dal suo finto ed inutile trono. Rufus Thierry Blaiddyd, non varrai mai niente, né come uomo, né come capo, né come padre. Soprattutto come padre.
Come avrebbe reagito alla vista della donna che aveva creduto morta? Sperava di vederlo farsela nei pantaloni o urlare allo spettro, piangere, disperarsi, o tutte e quattro le cose. Tutto ciò che sapeva era che avrebbe giocato con lui, si sarebbe divertita.
Per te, Dimitri.

 

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Capitolo 11
*** 10 ; Giftig ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

10

Giftig


I tacchi delle sue scarpe rimbombavano sul pavimento di pietra come le trombe dell'Apocalisse, una malefica canzone che precedeva un vero e proprio inferno imminente.
Lapidaria, Ksenia marciava spedita tra i corridoi della reggia, il cuore in procinto di esploderle nel petto per la rabbia. Mancava poco, lo avrebbe rivisto e, più si avvicinava, più accanto all'ira bruciante si formava un nodo allo stomaco. In realtà non avrebbe voluto incontrarlo di nuovo, ma doveva.
Si ritrovò in piedi davanti ad una porta di legno, quasi pietrificata. Allungò una mano verso la maniglia, ma quando la vide tremare la ritirò e fece un profondo respiro fino a riempirsi i polmoni. Non poteva presentarsi così, o quel bastardo avrebbe colto l'occasione per sovrastarla... e chissà cosa le avrebbe fatto.
Rimase immobile per qualche secondo finché non decise che, finalmente, il momento era giunto: aprì la porta senza nemmeno bussare e se la chiuse alle spalle.
Rufus, dapprima infastidito, subito dopo averla vista in volto spalancò gli occhi dall'incredulità e quasi cadde dalla poltrona dietro la scrivania.

- Cornelia...?!- Nel mentre, si alzò.
- Non mi sorprende che tu abbia ancora in mente il suo nome, vi divertivate molto sotto le coperte.- Il tono della donna divenne gelido.

L'uomo fece dei passi in avanti fino ad esserle di fronte. Era altissimo, imponente e la vecchiaia lo aveva reso ancor più disturbante; tutte quelle rughe su quel volto pallido e scavato le facevano ribrezzo.
All'improvviso le mise le mani sui fianchi stretti, stringendoli così forte da provocarle dolore, ma cercò di non scomporsi. Puzzava di alcol, come al solito. Se solo avesse distolto lo sguardo dalle sue iridi azzurre, si sarebbe scavata la fossa. Era necessario che rimanesse immobile nonostante le facesse schifo anche solo essere sfiorata da quel viscido, finché la palpava e basta poteva anche sopportare.

- Io ho sempre voluto te...- Sibilò.
- Ero una ragazzina, brutto maniaco.-
- Proprio questo mi piaceva: eri come tua madre, ma carne giovane e vergine, un sogno. Sono contento tu sia ancora viva.-
Dovette cercare di non vomitargli sulle scarpe.
- Desiderare la donna del proprio nipote, non avrei mai creduto che Lambert potesse avere un fratello tanto schifoso.-
- Parli di Dimitri? Quello stolto non si meritava il titolo di re; ha mandato allo sfacelo tutto il suo regno in soli cinque anni, ci vuole talento.-
- Non osare parlare di lui in questo modo. Ha dato la sua vita per il bene del Faerghus, confidava in te... e tu, morta la Purissima, ti sei arreso a quella dannata imperatrice senza battere ciglio.-
- È stato lui ad ospitare la Chiesa Centrale. – La sua stretta si fece più forte. Nonostante fosse un senzasegno, lui rimaneva un Blaiddyd e lei una donna di carta. Le stava facendo malissimo. – Se avesse negato loro asilo forse sarebbe ancora vivo, felice e contento con la sua cara mogliettina ed un mare di fratelli e sorelle per quel leone selvaggio che hai lasciato crescere dalla parte sbagliata del continente. L'ho capito subito che è vostro figlio, è identico a Dimitri ma ha i tuoi occhi. Questi... splendidi... occhi...- Si chinò tanto da poter sentire il suo respiro pesante. Non. Distogliere. Lo sguardo.
- Lui non ha avuto scelta, il Regno aveva un enorme debito nei confronti della Chiesa di Seiros. Sapeva benissimo che tutto ciò avrebbe messo in pericolo il popolo, per questo era sempre in testa quando si trattava di combattere.-
- Che importa... ormai è successo da un bel po'. Ma noi siamo qui, entrambi vivi. Credimi, lui non ti vorrebbe così triste ed arrabbiata, ti aiuto io a distrarti un po'.-

Le sue grosse mani allentarono la presa. La sinistra scese fino a toccarle una natica, mentre la destra aveva percorso la sua schiena nuda fin troppo lentamente, per poi fermarsi alla chiusura della grossa collana d'oro che aveva al collo. Nel momento in cui aprì il gancio, non fece in tempo a bearsi della vista della sua gola nivea che la donna non era più lì, ma in piedi davanti alla libreria e con il gioiello stretto in una mano. Quando Rufus la trovò con lo sguardo, parlò.

- Dov'è Ekaterina?-
- Non so di cosa tu stia parlando.-
- Te lo ripeto un'altra volta: dov'è Ekaterina?-
- Lei non si trova qui. Perché dovrebbe importarti?-
- Voglio sapere perché quella ragazzina è cresciuta senza i suoi genitori e nessuna informazione su di loro.-
- Ksenia... non sono affari che ti riguardano. Torna qui e fammi assaporare la tua pelle, realizza il sogno di un vecchio.-

L'uomo tentò di avvicinarsi ancora, ma lei gli sfuggì: il suo corpo sembrò smaterializzarsi in una scia di luce, per poi riapparire integro seduto sulla scrivania di legno. Accavallò le gambe.

- Artemiya vuole che le parli di sua madre perché tu non hai alcuna intenzione di farlo. Se non vuoi che le riveli qualche dettaglio scomodo che ti riguarda devi sottostare alle mie regole.-
Tu, vuoi comandare me? Eri una bambina allora e bambina sei rimasta, pensi davvero di potermi trattare come un cane dopo che sei sparita per vent'anni?-
- Ho capito, allora sa già con quante donne sei stato a letto promettendo loro fama e ricchezza, quanti figli illegittimi nati da queste storie hai abbandonato, quante volte hai molestato me ed altre giovani ragazze, il modo in cui hai distrutto la psiche di tuo nipote chiamandolo continuamente "mostro" nonostante fossi l'ultimo membro della famiglia su cui potesse contare. Conosce già il bastardo che sei, Rufus.-

I ricordi riaffiorarono in Ksenia come una tempesta. Il periodo in cui Rufus viveva a Fhirdiad era stato terrificante, sia per lei che, soprattutto, per il povero Dimitri.
Quando era ancora in vita aveva l'abitudine di nascondere i suoi veri sentimenti sotto una maschera da "principe modello", ma solo lei sapeva cosa stesse davvero provando. Aveva perso il conto di tutte le volte in cui si era presentato in piena notte nella sua stanza a causa degli incubi o delle cattiverie rivoltegli da suo zio, allora doveva rassicurarlo, abbracciarlo forte e dargli una spalla su cui piangere.
Il pianto di Dimitri non aveva mai smesso di rimbombarle nella testa.
Quando tutto ciò iniziò aveva solamente dieci anni e fino ai venti si era portata dietro quel fardello; il quale, nonostante fosse ogni volta un momento tragico, era servito a consolidare il loro rapporto e a farli diventare la coppia inseparabile che erano stati. Senza l'uno, l'altra non può vivere. O almeno così credeva.
Tante volte aveva maledetto sé stessa ed il suo potere per essere sopravvissuta a quella tragica battaglia, ma ora voleva solo rivendicare tutto ciò che Edelgard aveva strappato al legittimo erede al trono.
Uscì dalla stanza senza voltarsi indietro. Rufus non disse nulla, solo uno sguardo torvo ed i pugni stretti.

Riaperti gli occhi, la luce nella stanza era davvero poca, forse era colpa delle tende davanti alla finestra...?
No, qualcos'altro gli impediva la visuale, più precisamente una persona. Gli occhi verdi di Sera si incatenarono ai suoi e subito la vide sorridere e sospirare di sollievo.

- Mi hai fatto prendere un colpo... come stai?-
- Ora molto meglio... – Si sollevò, per poi tirarla a sé ed abbracciarla. – mi sei mancata.-
- Dovrei prenderti a calci per avermi abbandonata qui senza alcun avvertimento.-
- Lo so e mi dispiace, ma non potevo portarti con me, io stesso sono sopravvissuto per miracolo alle prime notti. Se non l'avessi fatto ora non saremmo qui a parlare.-
- Perché sei tornato con quella donna?-
- Lei è mia madre.-
- Cosa?! Ne sei davvero sicuro?-
Il principe annuì, sciogliendo l'abbraccio.
- Mi ha raccontato tante cose troppo credibili, che finora non avevano mai acquisito senso. Là sotto ho anche visto il mio vero padre...-
- Quindi i tuoi genitori sono gli agarthei di cui parlava Mitja?-
- No, non del tutto. Mio padre era l'ultimo re di Faerghus e... anche lo spettro acefalo in armatura bianca che infesta i miei incubi da mesi. A Shambhala è conservata la sua salma mummificata.-
- Benedikt, è una storia assurda, non so se—-
- Non chiamarmi più così, per favore, il mio vero nome è Aleksei Irek Blaiddyd.-
- Aleksei... Aleksei... Aleksei... – Lo ripeté così tanto da fargli perdere significato. – ... a dire il vero ti sta meglio. "Benedikt" non mi è mai piaciuto.-
- ... Nemmeno a me se devo essere sincero. Ed ora so anche perché lo sentivo sempre così tanto fuori posto. – Contro le proteste di Sera, scese dal letto. – Dov'è andata mia madre? Vorrei parlarci.-
- Non lo so, è uscita dopo essersi assicurata che stessi bene.-
- Ho capito, allora cerchiamola.-

Nonostante fosse ancora stanco, uscì insieme alla ragazza alla ricerca di quella donna misteriosa. La cercarono in lungo e in largo, ma sembrava essersi volatilizzata; in giardino c'era Dedue, all'ingresso nessun'anima, incontrarono solamente qualche domestica che non l'aveva nemmeno vista.
Aleksei iniziò a temere che fosse davvero una specie di maga delle bugie o un'attrice provetta e che fosse fuggita... almeno finché non approdarono nella sala da pranzo. Seduta in un angolo del lunghissimo tavolo in legno massiccio c'era proprio lei, accompagnata da una teiera che emanava un forte odore di camomilla e circondata da pasticcini.
Su un piattino era presente metà di una grossa fetta di torta alle fragole, mentre il resto se lo era appena infilato in bocca tutto intero, tanto da gonfiarsi le guance come uno scoiattolo. Quando li notò entrambi ingoiò il malloppo e fece un sorriso colpevole. Il rossetto bordeaux si era sbavato.
Per tutto il tempo Sera non aveva creduto ad una singola parola di Aleksei, ma vedendo una scena del genere... test del DNA completato: compatibilità al cento per cento. Quella era davvero sua madre.

- Accomodatevi. Ne volete un po'?

Con sé aveva quattro tazzine in più. Versò l'infuso in due di esse e gliele offrì.
La ragazzina si mise a capotavola e prese la tazza tra le mani per scaldarsi mentre lui, accanto alla donna, approfittò subito di un pasticcino alla crema.

- Vi piace la camomilla? La stavate bevendo anche a Shambhala.-
- Mi piace molto... ma preferisco i ricordi legati ad essa. Era la preferita di tuo padre.- Il suo sguardo rimase fisso sul liquido giallino ed il riflesso del suo viso in esso, dirlo le aveva buttato giù il morale e neanche quella magnifica fetta di torta sortiva più il suo effetto.
- Siete davvero la madre del principe... di Aleksei?-
- Certamente, so che è difficile da credere.-

Ksenia alzò la testa e, quando Sera vide i loro volti l'uno accanto all'altro, non poté fare a meno di notare che avevano lo stesso colore degli occhi. Non sfumature simili, ma quello. Conosceva bene la tinta delle iridi del principe, le aveva guardate fino allo sfinimento, non poteva confonderle, né credeva che qualcun altro nel mondo potesse avere occhi tanto belli.
La ragazza deglutì, stringendo di più la tazzina tra le sue manine.

- Perché siete stata lontana da lui per tutti questi anni...? Se era figlio del re e voi siete in vita non dovrebbe essere cresciuto qui?-
- L'imperatrice me lo ha rubato. Maledetta, lei...—-
- Aspettate, madre. – Aleksei intervenne. – Non volevate raccontare la vostra storia a tutti? Artemiya e Mitja non sono qui.-
- ... Hai ragione.-
- Vado a cercarli.-

Aleksei, non prima di aver rubato un altro pasticcino, si alzò da tavola e sparì nel castello alla ricerca dei due assenti, lasciando sole le due.
Non si parlarono, Sera aveva bevuto parte della camomilla, mentre Ksenia l'aveva osservata per un po' e poi era tornata sulla sua torta. Ne andava pazza, da quanto non mangiava qualcosa di tanto buono...? Il Regno era famoso per avere cibo che non era un granché a causa della scarsità di ingredienti, ma nessuna pasticceria in quel dannatissimo impero poteva superare i dolci del Faerghus, soprattutto quelli alcolici.
Poco dopo il biondo tornò accompagnato da Artemiya e Mitja e, finalmente, Ksenia poté raccontare loro ciò che aveva detto al figlio il giorno prima, dal matrimonio segreto, alla battaglia a Tailtean, la vera identità della bestia che l'accompagnava e tutto ciò che successe dopo essere stata seppellita insieme a Dimitri.

- Quindi... lui è sempre stato mio cugino e, soprattutto, il figlio del re?

Artemiya aveva fissato Aleksei, il quale stava continuando a strafogarsi di dolci, per tutto il racconto della donna, senza mai distogliere lo sguardo.
Solo quando finì fece la fatidica domanda retorica ed i suoi muscoli sembrarono sciogliersi e diventare di melma. La vista si annebbiò e ben presto un sacco di lacrime cominciarono a scorrerle lungo il viso. Si portò le mani a cercare di fermare il pianto, ma non ci riusciva, era come se fosse appena esplosa una bomba.
Tutti quegli anni, triste e sola, con la convinzione che di lì a poco sarebbe stata l'ultima Blaiddyd in vita... e invece, dall'altra parte del continente, ne stava crescendo un altro, uno che addirittura ne aveva ereditato il Segno.

- Mimi... che succede?- Mitja le poggiò una mano sulla spalla, preoccupato.
- Sono felice, è la prima buona notizia dopo così tanto... ho sempre pregato che esistesse qualcuno con cui ho legami di sangue e sembra che esse siano state esaudite. Non sono più l'ultima nell'albero genealogico...!-

Il principe si alzò da tavola e raggiunse la ragazza. Lei lo guardò per qualche secondo e poi si gettò tra le sue braccia.
Il cuore le batteva forte, ora che sapeva di avere un legame tanto stretto con lui non l'avrebbe più lasciato andare.

- Sono felice che tu sia parte della mia famiglia.- Gli sussurrò, appoggiando la testa sulla sua spalla.
- Anch'io, credimi.-

Mitja però non ci credeva poi così limpidamente. Ksenia poteva sì essere la vera madre di Aleksei -dopotutto si somigliavano, anche in certi atteggiamenti-, ma il resto della storia? Perché gli agarthei l'avrebbero dovuta tirare fuori da quel buco dopo dieci giorni? E, soprattutto, da dove veniva quel Segno che addirittura conferiva una quasi immortalità? C'era qualcosa sotto, tra quelle persone era presente un uomo che lei chiamava "padre".

- Perché un'agarthea è finita in sposa alla più alta carica del Faerghus? Volevi usare lo status di regina per muovere tutto il Regno come se fosse la tua marionetta personale?-
- ... Io non sono come loro.- Il suo tono di voce si indurì.
- Dimmi perché sei speciale, allora.-
- Solo mio padre viene da Shambhala, è lo scienziato più abile ed importante tra gli agarthei. Mia madre invece era una donna proveniente dall'Impero, forse la conoscete come la santa che salvò il Regno dalla pestilenza, il suo nome era Cornelia. Morì dandomi alla luce e venne sostituita da Cleobulus, che prese le sue sembianze e mi portò a Fhirdiad spacciandomi per sua figlia.
Cercò di farmi crescere credendo nei loro subdoli scopi, ma l'influenza dell'allora principe Dimitri e di suo padre mi permisero di avere una mia personalità e di non obbedire mai a lei.
Sono solo l'unico esperimento riuscito in anni ed anni di fallimenti e morti, il Segno della Luna Crescente è falso, un parassita che è inevitabile trasmettere alla prole. Io al tempo non lo sapevo e di conseguenza Aleksei lo ha ereditato.
Puoi credermi o no, ma nonostante le mie origini io non sono mai stata dalla parte degli agarthei e per questo sono stata torturata per anni. E dovevo stare zitta, o minacciavano di fare del male alle persone che amavo.-
- Quindi hai tenuto nascosto tutto questo?-
- No, Dimitri sapeva, il mio nome agartheo, le torture, ciò che ho fatto... ma gli feci promettere di non dire o fare nulla a riguardo, che finita la guerra avremmo sistemato insieme le cose.-
- Ciò che hai fatto? Cosa, di preciso?-
- Io— no, non ci riesco.-

La donna si alzò di colpo dalla sedia e fuggì. Mitja tentò di inseguirla, ma si vide preso per un polso dal principe, il quale lo guardava con sguardo quasi assassino.

- Lasciala in pace.

- Sei sicuro? Hai controllato bene?-
- Certo, Vostra Signoria. Il cuore ha smesso di battere, è sicuramente morta, ho continuato a pugnalarla anche dopo il suo ultimo respiro... per sicurezza.-
- Comprendo. Grazie per i tuoi servigi, domani riceverai la tua paga.-
- È un un onore tornare a fare l'assassino per vostro conto, Lord Rufus.-

Alla notizia, Rufus non poté fare a meno di sorridere. Ovviamente gli dispiaceva aver tolto di mezzo ciò che aveva desiderato per così tanti anni, ma lei sapeva troppo... e non poteva rischiare. Prima di andare finalmente a dormire, voleva concedersi un goccetto per festeggiare la vittoria, perciò si stava dirigendo nel suo studio. A Mimi non piaceva quella sua abitudine, ma era notte fonda, lei non l'avrebbe visto.
Aprì la porta assicurandosi che nessuno stesse spiando, ma quando la richiuse gli venne quasi un infarto.
Tutte le candele nella stanza si erano accese ad una ad una ed avevano illuminato un corpo femminile adagiato sulla sua sedia. Aveva le gambe accavallate, le mani giunte su un bracciolo, lunghissimi capelli color pesca ed addosso una camicia da notte bianca completamente impregnata di sangue e strappata in più punti. Sul petto c'era ancora piantato un pugnale d'argento la cui ferita continuava a sanguinare. Aveva un piccolo sorriso sulle labbra e gli occhi aperti. Lo stava guardando.
Il vecchio trattenne un urlo e tentò di fuggire, ma la donna alzò un braccio e, in tutto il muro dietro di lui, fino a raggiungere la finestra, si formò un muro di ghiaccio ed enormi stalattiti spesso quasi mezzo metro.

- Rufus, forse non hai capito, ma se non mi obbedisci io racconterò tutto a tua nipote.-
- Tu— strega...! Come fai ad essere ancora viva?! Eri morta!-
- A ripensarci, feci proprio bene a tenere nascosto il potere del mio Segno. In breve: sono immortale, non puoi uccidermi.-

Quello era un bluff, lei non era affatto immortale, quasi. Tagliarle la testa sarebbe bastato, ma rivelargli un'informazione simile sarebbe contato come suicidio, perciò aveva preferito girare un po' la realtà a suo favore.
Rufus era in trappola, non sapeva cosa fare, era pietrificato.

- ... Che cosa vuoi fare, quindi?-
- Riprendermi il Faerghus e darlo in mano a mio figlio, ovviamente. L'imperatrice non ha diritto di "governare" sul nostro paese. Io sono ancora il capo, qui.-
- E come dovrei aiutarti, io? Sei una stolta se pensi che abbia un esercito da mettere a disposizione per i tuoi comodi, a malapena questo castello si regge in piedi. Il Regno non esiste più, mettitelo in testa.-
- Ti ho forse detto che puoi lamentarti? Te lo ripeto una terza volta: io so cose che ad Artemiya non farebbe piacere sentire.-
- Non ho paura di te, ragazzina.-
- So che hai fatto uccidere Ekaterina.-
- Come ti vengono in mente discorsi simili? Era sangue del mio sangue!-
- L'ho vista con i miei occhi, alle spalle di sua figlia, quando si è accorta che potevo vederla mi ha detto di essere stata giustiziata... proprio da te. Lo hai fatto perché voleva sposarsi con l'uomo che amava e padre della bambina, ma era un unione illegittima e lui un poveraccio.
Ti sei tenuto Artemiya solo per mandarlo in esilio con la consapevolezza di non vedere mai sua figlia crescere. O sbaglio?-

Rufus divenne ancor più pallido. Come si permetteva, lei, di comandare in casa sua? Nel regno che doveva spettargli? Maledetta, maledetta, maledetta...
Perché sapeva tutte quelle cose? La morte di Ekaterina era un segreto, nemmeno i suoi più fidati collaboratori sapevano!
Ksenia alzò nuovamente il braccio. Il fuoco delle candele si espanse e si concentrò sul ghiaccio, iniziando a scioglierlo velocemente e liberando finalmente la porta e la finestra. Successivamente abbandonò la sedia e si diresse verso l'uscita.

- Spero che lavoreremo bene insieme, Rufus.


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Capitolo 12
*** 11 ; Ghost of Perdition ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

11

Ghost of Perdition


Ansimava forte, le gambe tremavano, il sangue continuava a rigenerarsi solo per uscire da quella dannata ferita tenuta aperta dal pugnale. Nonostante avesse finto di essere illesa, il dolore c'era eccome ed era lancinante. La lama era conficcata esattamente nel cuore e ad ogni suo battito rischiava di contorcersi come un pezzo di carta straccia.
Ad ormai forze esaurite, riuscì a raggiungere la camera di Aleksei ed entrare. Il giovane era ancora sveglio, stava rileggendo le pagine prese ad Enbarr alla luce di un candelabro.
Nel momento in cui vide la madre in quello stato scattò in piedi come una molla e si precipitò a sorreggerla un attimo prima che stramazzasse a terra.

- Cos'è successo? Chi è stato?!-
- Potresti prima estrarre il pugnale? È incastrato tra le costole, non riesco a toglierlo da sola...-
- E se doveste morire?-
- No che non muoio, non ti preoccupare.-

Il principe deglutì, ma le diede ascolto. La mise sul suo letto e poi, dopo averla rassicurata, afferrò il pugnale per l'elsa. Aveva paura di farlo, soprattutto a lei, però di certo non poteva lasciarla in quello stato. Tirò un poco, constatando che fosse effettivamente incastrato, perciò doveva scordarsi la delicatezza. Un colpo secco e lama uscì; al suo posto un taglio profondo che sanguinava ancor di più. Mentre le teneva i lembi della ferita chiusi con le mani -irrimediabilmente imbrattandosi-, lei aveva ribaltato gli occhi e dalla sua bocca uscivano lamenti terrificanti. Il corpo si era completamente irrigidito dal dolore, le dita bloccate sembravano artigli. Solo dopo qualche minuto finalmente tornò a rilassarsi; l'emorragia cessò e pian piano anche la pelle si ricucì.

- Come state?-
- ... Ora bene.- Ancora ansimava, la fronte imperlata di sudore.
- Siete in grado di dirmi cosa vi è accaduto?-
- È stato Rufus, – Mentre parlava, si mise a sedere a gambe incrociate. – ha assoldato un assassino per uccidermi, è venuto a pugnalarmi mentre dormivo. Ad un certo punto ho dovuto fingermi morta perché non la smetteva di colpirmi nel petto...-
- Che cosa?! Per quale motivo?-
- Perché io so cos'è successo ad Ekaterina, la madre di Artemiya. Evidentemente ha paura che glielo riveli.
Aleksei, qualunque cosa accada, non fidarti di lui. Mai. Intesi?-
- Sembra che gli piaccia nascondere segreti alle persone.-
- Ti ha tenuto nascosto qualcosa?-
- Quando giunsi qui gli chiesi informazioni sul Re delle Tempeste, ma disse poco e niente, aveva omesso tante cose. Mi lasciò spiazzato, dopotutto era suo nipote...-
- Rufus è sempre stato terrorizzato da Dimitri, perciò lo sovvessava additandolo a mostro. Penso non ti abbia detto abbastanza perché aveva capito che fossi figlio suo e ha paura anche di te. Potrei usarlo a mio vantaggio...-
- È davvero utile a qualcosa quel vecchio?-
- Certamente. Se è riuscito ad assoldare qualcuno per tentare alla mia vita, non dubito che abbia i mezzi necessari a portare avanti il mio piano.-
- Cos'avete intenzione di fare?-
- Semplice: rendere il Faerghus di nuovo indipendente, sono stanca di vederlo nelle mani dell'Adrestia.-
- Sembra un'impresa impossibile...-
- Fidati di me.-

Aleksei osservò la madre. Aveva i pugni stretti ed uno sguardo estremamente determinato.
Era matta, o davvero sapeva a cosa poteva andare in contro schierandosi contro Edelgard von Hresvelg? Dopo qualche secondo di silenzio, fece per scendere dal letto e tornare nella sua stanza, ma venne afferrata per un polso da lui e fatta riaccomodare.

- Aleksei, lasciami, voglio andare a dormire...-
- Rimanete qui, per favore. Sapervi là da sola, con quello che è successo, mi rende inquieto. Non voglio accada di nuovo.-
- Ad una condizione: – Il figlio la guardò un po' stranito. – non usare più onorificenze o il Voi con me. Ora che finalmente ci siamo riuniti, voglio esserti il più vicina possibile, non essere tua madre, ma la tua mamma. Tra noi non devono esserci stupide barriere da nobili, un tempo eravamo una cosa sola, non avrebbe senso...-
- È che ho sempre chiamato Edelgard in questo modo, forza dell'abitudine. Se lo desiderat— desideri, da ora sarai soltanto "mamma", non "madre".-

Le fece posto sotto le lenzuola. Era così piccola da sparirci dentro, sentiva l'urgenza di proteggerla ad ogni costo.
Conosceva quella donna da pochissimo tempo, eppure con lei sentiva una connessione estremamente forte, un legame invisibile che con quella che credeva sua madre non c'era mai stato. Per questo credeva ad ogni sua parola, era sicuro al cento per cento che dicesse la verità e l'avrebbe difesa da chiunque avesse osato dire il contrario.

- L'ultima volta che ti ho visto eri così piccolo... quando ti prendevo in braccio ti aggrappavi sempre al mio petto o giocavi con i miei capelli, tante volte strappandoli a causa del Segno che porti. – Ridacchiò, per poi toccargli la punta del naso con l'indice. – Invece guardati ora: sei diventato un uomo bellissimo, rimpiango di non poterti più tenere come facevo prima.-
- Mi dispiace, non avrei mai voluto la—-
- Shh, non è colpa tua, Aleksei, avevi solo un mese di vita. – Gli accarezzò la guancia e lui chiuse gli occhi. – Ho seguito io tuo padre a Tailtean contro la sua volontà... se fossi rimasta a Fhirdiad avrei ucciso io stessa quel drago prima che potesse anche solo pensare di appiccare le fiamme in città. Purtroppo il destino ha voluto questo e dobbiamo ringraziare di esserci finalmente riuniti, almeno noi due...-
- Posso... posso chiederti cos'hai fatto per essere scappata alla domanda di Mitja?-
- Non voglio dirtelo, almeno per ora. Mi conosci poco e potrebbe farti cambiare idea su di me, mi crederesti una persona spregevole, non voglio incrinare il nostro rapporto già da ora.-
- Ho capito, però desidero che tra noi non ci siano segreti, prima o poi dovrai dirmelo. Ad Enbarr mi hanno tenuto nascosto troppe cose, sono stanco.-
- Affare fatto.-

Aleksei spense il candelabro e si tirò il lenzuolo sopra la spalla. Ksenia si addormentò quasi subito -doveva essere stanchissima dopo tutto il sangue perso-, mentre lui rimase a rimuginare un bel po' ascoltando il suo respiro. Voleva renderla felice, ma doveva capire in che modo, non la conosceva così bene.
Sapeva che anche a lei piacevano i dolci, conosceva il suo dolore, un po' della sua storia e quasi nient'altro.
Pensò, pensò, pensò finché, un istante prima di addormentarsi, non si ricordò di una cosa: se avesse funzionato, quella sicuramente l'avrebbe resa contenta, alleviato un po' il suo male.

Il mattino dopo si svegliò da solo, l'unica traccia della sua ormai ex presenza nel letto le macchie di sangue che dai vestiti si erano trasferite sulle lenzuola. Si alzò e camminando con i piedi scalzi spalancò le tende della finestra. Essa dava sul giardino e subito Dedue gli saltò all'occhio; stava divorando la carcassa di un lupo simile a quello che aveva quasi ucciso Sera, sua madre era lì con lui, seduta ai piedi di un albero lo osservava e sembrava parlargli.
Chiuse di nuovo le tende ed inspirò profondamente.

- ... Vieni qui!

Niente.

- ... Per favore?

Ancora nulla.

- Andiamo, sei stato con me giorni e giorni ed ora non ti fai vedere?
Sei mio padre, vero? E quelle laggiù sono persone che conosci ed ami, allora perché ti ostini a non uscire allo scoperto? Anche mia madre può vederti, lo sai? Se non sei un'allucinazione ed io non sono pazzo, per favore, mostrati... parla con lei, ricordale che non è da sola. Ti prego...

Si sentiva ridicolo a parlare in quel modo al nulla più totale, sperava che nessuno stesse origliando dietro alla porta.
Trovava assurdo che quello spettro si manifestasse a lui quasi solamente quando si trovava da solo, eppure nessun altro era capace di vederlo, a quanto sapeva... più o meno. Sua madre aveva detto che quella speciale abilità derivava dal loro Segno, perciò anche lei doveva possederla.
Dopo infiniti attimi di vuoto cosmico, si decise finalmente a lasciar perdere ed iniziare a cambiarsi gli abiti. Quando si voltò, però, gli venne quasi un infarto. Ormai non avrebbe dovuto più stupirsi, ma vedere all'improvviso un uomo senza testa lo aveva davvero spaventato.
Dal suo linguaggio del corpo sembrava quasi addolorato; le spalle erano leggermente piegate in avanti e così anche il busto.

- L'amavi veramente...? Se sì, per favore, incontrala, dimostrale che non l'hai dimenticata.
Per tutti questi anni è rimasta solo in compagnia di quella bestia gigantesca incapace di parlare, è ora il momento di riunirvi.

Lo spettro si raddrizzò e fece un passo in avanti come se avesse acconsentito – o questo era ciò che aveva capito, era troppo difficile decifrare un acefalo. Aleksei sorrise.
Dopo essersi messo dei vestiti adatti, uscì dalla stanza ed attraversò i corridoi del castello in direzione del giardino ove si trovavano Ksenia e Dedue; suo padre era sparito, ma gli aveva raccomandato di uscire nuovamente allo scoperto una volta arrivato il momento giusto.
Nell'istante in cui lo vide, la madre si alzò in piedi e si pulì i residui di terra rimasti sull'abito nero.

- Aleksei...! Scusami se non ti ho avvertito, dormivi così bene e mi è sembrato un peccato svegliarti.-
- Sono qui per un altro motivo, in realtà. – Prese un profondo respiro, stringendosi nelle spalle. – Fino a questo momento ho omesso un dettaglio, non so nemmeno io il perché, ma voglio farti vedere una cosa. Spero che essa ti renda felice e non ti faccia più venir voglia di tornare in quel buco freddo ed umido in cui vivevi.-

Lei, dapprima stranita dalla scelta di parole, subito dopo spalancò gli occhi. Da dietro il figlio si materializzò, lentamente, una figura estremamente familiare: l'armatura nivea, la pelliccia sulle spalle che la rendeva ancor più imponente, il lungo mantello blu.
Mancava la testa, ma non aveva bisogno di essa per darle un nome: Dimitri Alexandre Blaiddyd. Il sangue colava sul metallo, imbrattava la pelliccia... il suo aspetto portava direttamente a quel tragico momento.
Mosse dei passi in avanti e, man mano che scendeva le scale, mutava forma; gli abiti si ricucivano, le ammaccature sparivano, la testa riapparve assieme ad una cascata di capelli biondi che incorniciavano un viso splendido.
Due occhi meravigliosi le guardarono dritto nell'anima, le iridi color del cielo si scontrarono con le sue estremamente gelide. Le sorrise.
La donna cedette e crollò sulle ginocchia, le lacrime che già avevano sciolto il trucco nerissimo portandolo lungo tutto il volto. Nonostante fosse a terra, la testa era sempre rivolta verso l'alto, incapace di distogliere lo sguardo.

- Mitya... allora sei sempre stato con lui...- La sua voce era rotta, il cuore che batteva all'impazzata.
- Credimi, non avrei voluto scegliere. Mi dispiace, so di averti abbandonata.-
- Non osare dirlo... sono felice che, almeno tu, gli sia stato accanto, abbia visto crescere Aleksei.-
- Ma tu sei rimasta da sola e ne sei uscita distrutta. Non me lo perdonerò mai, Ksenia.-
- Io non ho mai avuto alcuna valenza in questo mondo. Esisto solo per creare dolore e sofferenza.-
- Eppure per me eri e sei ciò che ho avuto di più importante, la mia spalla su cui piangere, il perno capace di tenermi in piedi, le mie redini. Mi addolora sapere cosa ti è successo dopo la mia morte, se solo avessi insistito perché rimanessi a Fhirdiad... – Lo spirito si chinò e cercò di accarezzarle il viso senza successo, perché la trapassò. Si guardò la mano e strinse forte il pugno, impotente. – Alzati, il tuo posto non è questo, ma al di sopra di chiunque altro. Tu sei una regina, non dimenticarlo, il Faerghus è ancora nelle tue mani.-
- Non mi sento più tale da anni, – Obbedendogli, si rimise in piedi. Faticava comunque ad arrivargli alla spalla. – questa è diventata una landa di nulla, mi sono mostrata sicura con mio figlio ed i suoi amici, ma la verità è che non so cosa fare... non voglio mandare a morire quattro ragazzi così giovani. Dimmelo tu, Mitya, cosa... cosa devo fare?-
- La prima cosa è cercare e ritrovare Areadbhar, la zampa del leone. Deve tornare in possesso del legittimo proprietario, è estremamente pericolosa in mano nemica.-
- Se solo sapessi dove trovarla...-
- Ksenia, tu sai dove trovarla.-

La donna spalancò gli occhi come se le si fosse accesa una lampadina in testa. Aveva ragione, lei poteva arrivare a tutto con gli strumenti adatti, trovare un oggetto inanimato con un'energia tanto densa era il più semplice dei compiti.
Per tutti quegli anni si era sentita così debole, inutile, impotente, e cinque parole dette da un morto erano bastate a motivarla per davvero. Solo Dimitri aveva quel potere su di lei, come lei lo aveva su di lui. Si completavano, insieme diventavano un'unica mente ed un unico corpo.
E sapere che non avrebbe mai più potuto toccarlo ed accarezzarlo la faceva sentire vuota, un guscio d'uovo rotto senza tuorlo.

- Il mio tempo in questa forma è limitato. Vorrei che dicessi qualcosa a Dedue da parte mia, prima che vada.-
- Ti ascolto...-
- Fagli sapere che gli sarò sempre grato per essere stato un così valido attendente e, soprattutto, amico, per essere rimasto al tuo fianco quando io non potevo e per aver continuato a proteggere il Regno fino alla fine.-
- Lo farò.- Con un macigno sul petto, iniziò ad allontanarsi per raggiungere la bestia.
- Un'ultima cosa. – Lei si voltò, guardandolo di nuovo negli occhi. – Ti amo, Ksenia. Grazie per aver domato questo leone, mia amata.-
- Ti amo anch'io, Mitya. Nemmeno la morte può separarci, sarai per sempre l'esperienza più bella della mia intera esistenza.-

Nel momento in cui, finalmente, aveva visto il volto intatto di suo padre, Aleksei non era più riuscito a rimanere a guardarli. Se n'era andato come un codardo, rifiutandosi di assistere ulteriormente alla "riunione" dei suoi genitori... quelli veri. Se di Ksenia aveva gli occhi, di Dimitri possedeva tutto il resto.
Aveva cercato di rifugiarsi in camera sua per rimanere da solo, ma Sera lo aveva preceduto prima che potesse chiudersi a chiave, infilandosi nella stanza con lui ed iniziando a tartassarlo di domande sul suo stato emotivo.
Lui la guardò in silenzio per qualche secondo, ma successivamente si coprì il volto con entrambe le mani ed inarcò la schiena in avanti, cercando di soffocare un singhiozzo.

- Aleksei...? Hey, che succede?- Tentò di spostargli una delle mani per vedergli il viso, ma senza successo.
- È tutto reale... io, fino all'ultimo, speravo di no, che Ksenia fosse pazza e mi stesse riempiendo di frottole, ma in realtà la bugiarda è la donna che ho creduto mia madre per vent'anni. Tutta la mia vita è stata una menzogna, Sera, non so più chi io sia, anni ed anni persi con la convinzione di essere il primogenito della grande imperatrice Edelgard von Hresvelg... e invece guardami, sono il principe di un regno che ormai non esiste più, con una madre innamorata di un cadavere ed un padre fantasma che infesta i miei incubi.
Non avrei mai voluto cominciare questo viaggio se avessi saputo che avrebbe stravolto la mia intera esistenza. Tutto ciò che avevo prima si è improvvisamente sgretolato. Non sono più un adrestiano, non sono più uno Hresvelg, non sono più un fratello maggiore... cosa sono, Sera? Chi sono davvero?-

Ciò che più gli faceva male era non essere più imparentato con suo fratello Hans. Gli sembrava di averlo tradito non essendo più "Bennie", come si divertiva a chiamarlo. Quel legame si era incrinato nel momento in cui aveva scoperto di non condividere più i genitori, di non avere lo stesso sangue. Come avrebbe preso la notizia? O lui sapeva già della damnatio memoriae, di tutto ciò che era stato nascosto?

- Non è cambiato nulla, Aleksei. Tu sarai sempre te stesso, che il tuo nome sia Benedikt von Hresvelg, Aleksei Irek Blaiddyd o qualunque altro tu scelga. Non sono i legami di sangue, i nomi, le cariche a definire una persona, soprattutto quando è forte come te. Tu sei più di tutto questo.-
- Sera...-
- Prova a dire altre idiozie del genere e giuro che ti prendo a schiaffi! Ti sei rammollito, brutto stupido?-
- Scusa, mi dispiace!-
- Ora rialzati e smettila di piangere, vai da tua madre e stritolala in un abbraccio, quella povera donna se lo merita.-
- ... Hai ragione.-

Il quintetto si ritrovò seduto attorno al tavolo in sala da pranzo. Ksenia a capotavola, Sera e Aleksei alla sua destra e Mitja ed Artemiya dall'altro lato.

- Vi ho convocati qui perché ho un piano, ma prima voglio sapere da tutti voi una cosa: siete disposti a rischiare il tutto e per tutto, anche la vostra stessa vita, per riportare alla luce il Sacro Regno di Faerghus?-
- Certamente.- Artemiya non esitò nemmeno per un secondo.
- Se è questo che Mimi desidera, non mi tirerò indietro.- Mitja rivolse un'occhiata alla castana.
- Sono stanco di tutte le bugie a cui ho creduto, ormai non ho più nulla da perdere.- Aleksei strinse la mano di Sera da sotto il tavolo.
- Non posso tollerare il degrado a cui ho dovuto assistere per tutto questo tempo, voglio aiutare per quanto mi è possibile.-
- ... Sono contenta di avervi tutti dalla mia parte.
Come già saprete, la mia specialità consiste nella magia, ma il mio potere può fare ben altro. C'è chi ci crede o no, e siete liberi di scegliere.
Il Segno della Luna Crescente permette estrema precisione nelle arti divinatorie, con un margine di errore che potrei azzardare quasi a zero, considerando il mio non aver mai sbagliato.-
- Significa che puoi prevedere il futuro?- Domandò Mitja.
- Con dei limiti, ma sì, in passato ho previsto molti avvenimenti.
Per farlo ho però bisogno dei miei strumenti personali già intrisi con la mia magia, ed essi si trovano a Fhirdiad, perciò la nostra prima tappa sarà lì.
Ho bisogno del pendolo e delle carte, devo trovare Areadbhar. Se essa sarà nelle nostre mani, anzi, in quelle di Aleksei, – Lo guardò per un attimo. – allora tutta questa storia avrà la remota possibilità di essere a lieto fine.
Partiremo all'alba di domani, perciò preparate tutto il necessario per il viaggio. La città è vicina, dovremmo arrivarci in meno di un giorno.-

Come da prestabilito, all'alba era iniziata la loro spedizione. Ksenia aveva costretto Rufus a darle una carrozza, alla quale al posto del cavallo aveva legato Dedue -era molto più efficiente di essi e la creatura stessa le aveva fatto intendere di volerla aiutare a quel modo-. I quattro ragazzi erano stati stipati nel piccolo veicolo, mentre la donna aveva passato il viaggio seduta in cima alla sua maschera di ferro per dargli indicazioni.
Grazie alla potenza di gambe dell'ex umano, il viaggio fu più corto ed arrivarono a destinazione nel tardo pomeriggio, facendo però un'amara scoperta.
La donna si aspettava di trovare una città carbonizzata e la reggia in pessime condizioni, ma tutt'altro.
Di Fhirdiad non c'era alcuna traccia, erano rimasti solo i canali che la circondavano, il resto era tutta pianura.
Sul terreno, il simbolo di Agartha era marchiato a fuoco e ricopriva quasi tutta l'area dove un tempo sorgevano le abitazioni.

 

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Capitolo 13
*** 12 ; Was ich liebe ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

12

Was ich liebe


Ksenia corse all'impazzata, la gamba sinistra che usciva completamente dallo spacco del vestito. Ad ogni passo rischiava di storcersi le caviglie a causa dei tacchi a spillo, ma il rischio non le era nemmeno passato per l'anticamera del cervello.
Si lanciò a terra, in ginocchio sul quel marchio nero impresso nel terreno, l'occhio al suo centro che la fissava e giudicava.
Dov'era Fhirdiad? Dov'era la sua casa?! Perché al suo posto c'era invece il simbolo di Agartha?
Gli urlò contro come se fosse senziente e lo colpì con un debole pugno. Imporci le mani non sortiva alcun effetto, la sua funzione sembrava diversa da quella delle porte a Shambhala.
Mentre i giovani, da lontano, osservavano la scena in completa confusione, lei dopo un po' riuscì a ricomporsi e calmarsi quel minimo che bastava per pensare a mente più lucida.
Appoggiò di nuovo i palmi al centro del cerchio e cominciò ad infondervi la sua magia, in un tentativo disperato di spezzare un sigillo o scatenarne gli effetti ma, di nuovo, nulla accadde e si ritrovò con un pugno di mosche e tantissime, infinite domande.
Cos'era successo in quegli ultimi vent'anni?
Dedue si fece avanti, i suoi passi erano pesanti e scuotevano il terreno. Le si affiancò, per poi circondarle il corpo minuto con la sua enorme zampa in un rudimentale tentativo di abbraccio. Era stanco di vedere tutte quelle lacrime bagnare il suo viso, un giorno dopo l'altro lei stava sempre peggio e non poterla consolare con la voce era per lui motivo di rabbia. Così grande, forte e letale, ma completamente incapace di sostenere la sua regina, la donna che aveva giurato di proteggere fino alla morte. Dimitri l'amava e, anche se lui non c'era più, il suo compito non si era esaurito.
Quando gli agarthei si presentarono sul campo di battaglia dopo dieci giorni, era stato lui stesso, agonizzante ed ormai sull'orlo di esalare l'ultimo respiro, ad indicare loro la posizione dei corpi dei due sovrani, con la convinzione che fossero morti, ma quando vide Ksenia, piena di ferite infette e vermi che la divoravano, respirare affannosamente con gli occhi semiaperti e la testa del marito stretta in grembo, capì che quegli uomini vestiti di nero cercavano proprio lei.
Uno di loro, con il lato destro del viso completamente fasciato ed un unico occhio azzurro ghiaccio, lo ringraziò personalmente per averlo aiutato a ritrovare sua figlia, come premio gli permise di seguirli e fece curare le sue ferite, arruolandolo successivamente come suo guardiano.
Il padre di Ksenia era un uomo particolare, con una voce profondissima, farfugliava spesso di "odiare i discendenti delle bestie", beveva giornalmente il sangue di sua figlia e rimaneva per ore chiuso nel suo laboratorio dal quale provenivano rumori atroci, ma con lei era sempre stato gentile, non le aveva mai fatto fare nulla contro la sua volontà e, soprattutto, era stato colui che l'aveva risvegliata da quello stato di torpore successivo alla riesumazione, quando tutti gli altri scienziati l'avevano data per spacciata. A quanto pare volevano trasformarla in una specie di dispenser di sangue incosciente, ma lui si era sempre opposto, "Anaxagoras può essere curata" diceva, ed aveva ragione, ci era riuscito. Avrebbe fatto più comodo avere una bambola, eppure si era rifiutato di perderla.

- Mamma. – Anche Aleksei si era avvicinato, inginocchiandosi davanti a lei. – Cos'è successo?-
- L'intera città... è scomparsa, addirittura le strade in pietra... Fhirdiad... Fhirdiad non c'è più, neanche le sue macerie. – Si asciugò una lacrima stropicciandosi l'occhio con la mano. – Può essere stata solo opera degli agarthei, questo è il loro sigillo. È intristo di magia... starci sopra fa risuonare quella presente nel mio corpo.
Solo spezzandolo potremmo avere della risposte.-
- Cosa c'entrano gli agarthei? Non è stata Edelgard a portarmi con sé quand'ero piccolo?-
- Il gruppo di persone che durante la guerra aveva agito in superficie veniva chiamato "Serpi delle Ombre". I suoi membri erano ovunque nel Fódlan, soprattutto nell'Impero, avevano uno stretto legame con l'imperatrice, probabilmente è stata lei ad ordinare questo scempio.-
- Ma perché? Quale vantaggio avrebbe dovuto trarre arrivare a tanto?-
- Lo ha fatto per te, Aleksei, adesso me ne rendo finalmente conto. Ciò che hai trovato ad Enbarr, la damnatio memoriae ed ora questo... è servito tutto a nascondere la verità, non saresti mai dovuto venire a sapere della tua vera identità.
Un preciso motivo non lo so, ma non credo che raccontare di aver rapito un bambino nella sua culla, dopo avergli ucciso i genitori, fosse considerabile una buona idea.-

Aleksei si strinse nelle spalle, rivolgendo al cielo il suo sguardo di ghiaccio. Perché ogni parola uscita dalla bocca di quella donna acquisiva sempre un senso per lui? Quando lo faceva, però, tutto il suo Io perdeva un pezzo, si sgretolava sempre più.
Sua madre si stava adoperando così tanto per distruggere la sua maschera e tirare fuori la sua vera identità...

- Mi spiace, a causa mia così tante persone innocenti stanno soffrendo, non avrei mai voluto una situazione del genere.-
- Aleksei, tu non sei né colpevole né causa, ma solo il mezzo, l'arma usata per compiere il delitto. Una spada non taglia mai una testa per propria volontà, serve qualcuno che la brandisca.-

Quelle parole erano state dette anche a lei, tanti anni prima, perciò aveva deciso di rivolgerle al figlio, pensava potessero essere più adatte a lui piuttosto che a lei, che un'effettiva colpa l'aveva.
Prese un profondo respiro, si asciugò meglio gli occhi ancora umidi di lacrime e raddrizzò la schiena. Ora era calma.

- Dobbiamo tornare subito ad Itha, ho bisogno di pensare ad un nuovo piano il prima possibile, quello attuale è fallito prima di cominciare.

Dopo il viaggio a ritroso, conclusosi ad ormai notte inoltrata, Ksenia aveva iniziato a comportarsi in modo strano. Fino al giorno prima era sempre stata tranquilla, dai modi posati, ma da quel momento era diventata agitata, non riusciva a stare ferma, camminava avanti e indietro e si martoriava le unghie delle mani con i denti. Artemiya lo notò e le domandò anche se stesse bene, ma lei la liquidò rispondendole di essere solo arrabbiata per doversi inventare un nuovo modo per cercare la reliquia di suo marito.
Successivamente tentò di rinchiudersi nella sua stanza -doveva pensare, doveva pensare, doveva dannatamente pensare!-, ma poco dopo il figlio si palesò al suo cospetto.
La trovò seduta sul bordo del letto, senza il velo sulla testa e le mani giunte. Di nuovo, non era felice; di nuovo, le sue speranze sparivano in una nuvola di cenere.

- È permesso? – Lei gli fece posto al suo fianco. – Volevo sapere come stavi, è da quando siamo ripartiti che ti comporti in modo strano.-
- Non è nulla, non preoccuparti, è solo rabbia la mia. Passerà.-
- Avevamo promesso di non avere segreti tra noi, perché stai mentendo?-
- Io non— – La donna sospirò rumorosamente, iniziando a tormentare la pelle immacolata delle sue dita. – In realtà... voglio fare le cose di fretta perché presto morirò. – Si strinse nelle spalle, le tremavano le mani.-
- Cosa?! – Lui rimase stralunato, i suoi occhi azzurri che correvano lungo la sua figura minuta alla ricerca di qualche indizio. – Sono state le ferite dell'altra notte? È una malattia?-
- La mia, anzi, la nostra malattia si chiama "Luna Crescente", Aleksei, il nostro Segno.-
- Vuol dire che anch'io morirò...? Perché lo possiedo?- Era una notizia terrificante.
- Non posso esserne sicura. Sei ancora molto giovane e porti anche quello di tuo padre, il quale rende il tuo corpo più robusto. Potresti sopravvivere più a lungo di me, ma non saprei quanto... – La donna si prese una pausa prima di ricominciare il discorso. – La Luna Crescente è falsa, frutto di macabri esperimenti da parte degli agarthei. È estremamente potente e spinge l'organismo a produrre immense quantità di magia, per questo motivo quando tentavano di trapiantarlo su bambini rapiti questi morivano in un istante.
Io sono l'unica sopravvissuta perché il sangue modificato era stato iniettato a mia madre mentre era incinta; io crescevo nel suo ventre e lei lentamente moriva, ha scambiato la sua vita con la mia tra atroci sofferenze. Io ho ucciso la mia vera madre... – Si fermò per un attimo. – lei era una donna influente nel Faerghus, perciò venne successivamente sostituita da un'agarthea che ne prese le sembianze. Mio padre è lo scienziato che creò il Segno e capo degli esperimenti di sangue, è stato lui a dirmi che, avendo una discendenza "debole, di coloro che sono nati dalle bestie", il mio corpo probabilmente non avrebbe retto oltre i cinquant'anni.-
- Mamma, sono solo congetture, stai pensando al peggio per la frustrazio—-
- No, non è così. Sarei dovuta arrivare a cinquant'anni, ma tutti gli shock che ho subito negli ultimi venti hanno accorciato drasticamente la mia vita, sono almeno cinque anni che sento di star perdendo il controllo e negli ultimi tempi la situazione ha cominciato a degenerare.
Non voglio lasciarti da solo prima di essere sicura che vivrai una vita serena e con ciò che ti spetta, perciò mi sto trattenendo il più possibile.
Con la mia magia avrei potuto far saltare in aria il sigillo posto a Fhirdiad, o direttamente l'intera Enbarr, ma questo avrebbe accorciato ancor di più il mio tempo... ho rischiato grosso per salvare Sera, mio padre era furioso.-
- Io... io non riesco a capire perché creare un Segno del genere se avrebbe ucciso il suo possessore, non ha senso...-
- Perché sarebbe dovuto essere per gli agarthei. Hanno ucciso i draghi e li hanno somministrati ai Dieci Campioni e a Nemesis, ma non a loro stessi.
Mio padre ha passato gran parte della sua vita a cercare un modo per rendere il suo popolo immortale perché in via di estinzione, un Segno capace di amplificare la magia in questo modo è perfetto per loro.-
- Per quale motivo hanno preso tua madre, allora? Lei non era agarthea.-
- Tu uccideresti mai qualcuno del tuo gruppo di amici? Cornelia era la cavia perfetta, una donna con grande potere decisionale ed enorme fonte di magia.
Io sarei dovuta servire a ripopolare Agartha, ma è scoppiata la guerra ed il re mi ha sposata, ero diventata intoccabile.-
- Hai avuto altri figli, ora che sei tornata nel tuo luogo d'origine?-
- No...-
- ... Meglio così, non avrei voluto combattere contro altri fratelli. – Sospirò, guardandola negli occhi. – Ho un piano, prometto che finiremo tutto in fretta.- Finita la frase, le prese una mano ed intrecciò le dita tra le sue, giocherellando con l'anello che portava all'anulare.
- Cos'hai in mente?- Lei lo guardò negli occhi, era estremamente serio.
- Andrò ad Enbarr e parlerò con Edelgard. Voglio dirle che non c'è più bisogno di nascondere così tante cose, ormai so la verità, e di dirmi come spezzare l'incantesimo a Fhirdiad.-
- No, non voglio che tu lo faccia, Aleksei, è pericoloso!-
- Ma hai le ore contate!-
- È meglio se sono io a morire, cosa potrebbero farti se ti presentassi da solo?-
- So difendermi, mamma.-
- Contro un intero esercito? Sei matto, non hai alcuna esperienza su un vero campo di battaglia, finiresti solo per soccombere!-
Le lasciò la mano, prendendola per le spalle con impeto.
- Ascolta... so che la odi per tutto ciò che ti ha fatto, ma se Edelgard ha deciso di allevarmi e salvarmi da morte certa... forse non è una persona tanto spregevole.
Si è guadagnata la nomenclatura di madre, voglio darle un'altra possibilità... è l'unica con cui non ho parlato di questa storia, devo sentire anche la sua versione.-
- Aleksei...-
- Hai ancora quei cristalli per il teletrasporto? – Lei annuì. – Ottimo, domattina partirò.-

Ksenia continuava ad avere un'espressione turbata, quasi di terrore. Lui le accarezzò il viso, le stampò un bacio sulla guancia e poi l'abbracciò stretta a sé; voleva farle capire che ormai era l'unica per lui, il loro legame si era consolidato, avrebbe fatto ogni cosa in suo onore.

- Tu sapevi della scomparsa di Fhirdiad?

Artemiya in quel momento si stava infilando la camicia da notte, ma a quella domanda si congelò, rimanendo svestita dalla vita in giù. Mitja, a gambe incrociate sul suo letto, alzò un sopracciglio.

- Io... ecco... no...?-
- Mimi...-
- Va bene, lo sapevo! Circa... tempo fa avevo origliato mio nonno che ne parlava con qualcuno, ma con "cancellata" pensavo solo si riferissero al suo essere stata data alle fiamme; non pensavo assolutamente di trovarmi davanti a quello spettacolo, mi ha fatto molto male vedere, anzi, non vedere la capitale ridotta in quel modo...- Si lisciò la gonna lunga con nervosismo.
- Mi dispiace, è chiaro che la situazione sia molto più complicata ed oscura di ciò che credevamo.
Le possibilità di riprenderci il Faerghus sono ancora meno.-
- Non possiamo arrenderci, Mitja... non voglio, non voglio...-

La ragazza si mise le mani nei capelli, quasi sull'orlo del pianto. A quel punto lui le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani.

- Va tutto bene, non azzardarti a versare alcuna lacrima, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutare questa causa.-
- Anche se non ti fidi di Ksenia, Aleksei e Sera?-
- Per te farei qualunque cosa, anche mettere da parte le divergenze ed affidarmi completamente a loro.-

"Andrò ad Enbarr, da solo."
Quella frase aveva quasi fatto svenire Sera, la quale dovette essere sostenuta per le spalle da Mitja, o sarebbe crollata sul pavimento come un sacco di patate.
Sua cugina -era così strano definirla sua parente- rimase spiazzata e cercò di farlo desistere, ripetendogli che ormai nella capitale imperiale non aveva più alcun alleato, che se ci fosse andato si sarebbe solamente messo in pericolo. Mitja non ne era turbato -nonostante avesse giurato di essere partecipe, il suo disprezzo era rimasto tale-, ma diede man forte ad Artemiya dicendogli che fosse l'idea più stupida da quando si erano conosciuti a quella parte.
L'unica a non dire nulla era stata Ksenia, rimasta impassibile, quasi apatica, fuori dal suo personaggio. Aveva preferito dissociarsi dalla situazione e pregare -nonostante non fosse mai stata credente-, sperare che tutto sarebbe andato per il meglio.
A malincuore, gli consegnò il dispositivo agartheo per il teletrasporto e gli spiegò il suo funzionamento. Il cristallo aveva però quasi esaurito la sua energia; escludendo l'andata, essa era necessaria solo per un viaggio, perciò si raccomandò di non sprecarlo e, se le cose fossero andate male, di tornare immediatamente ad Itha.
Aleksei rassicurò lei e Sera, la quale si era successivamente avvinghiata a lui sperando di farlo desistere – senza successo. Ormai una decisione l'aveva presa, la ragazza avrebbe dovuto sapere che, quando accadeva, essa era sempre definitiva.

Si teletrasportò poco fuori da Enbarr -comparire all'improvviso davanti all'imperatrice gli avrebbe solo scavato la fossa- e, cercando di distogliere alcun sospetto su di sé, attraversò la città a piedi.
Guardandola, ora gli faceva quasi vomitare; in giro era pieno di persone ingioiellate, un via vai immenso di mercanti, menestrelli che suonavano canzoni in ogni dove, il cielo terso ed il sole che scaldava gli animi. Tutto il contrario di Itha.
Il palazzo imperiale era come sempre gigantesco, svettante su ricchi e poveri, ancora faticava a credere di averci vissuto così tanti anni.
Salì le scale e, dopo essersi fatto riconoscere dai piantoni che gli diedero il bentornato, si inoltrò nel castello. Mentre attraversava i corridoi che conducevano alla sala del trono, tutto quel rosso aveva cominciato a dargli il mal di testa, era sempre stato così esageratamente lussuoso?
La sala del trono era la più ricca di tutte, a partire dal gigantesco portone in oro massiccio, i tappeti vermigli intarsiati, vessilli dell'Adrestia ed un gigantesco trono posto su un'altura.
Edelgard era seduta lì, con le mani sui braccioli, gli occhi viola che lo guardavano con estrema freddezza.
Il principe si inchinò al suo cospetto e lei si alzò in piedi. Come sempre era vestita di Rosso Adrestiano, coperta del sangue delle sue vittime -la frase di Artemiya gli rimbombava nella testa-, sulla testa un'immensa corona con quattro corna d'oro che si ricongiungevano ad una piastra riportante il Segno di Seiros, i capelli nivei perfettamente acconciati... era sempre la stessa donna che aveva chiamato "madre" sin dalla sua nascita, ma ora la sua persona gli dava sensazioni completamente diverse.

- Rimettiti in piedi, Benedikt, – "Chiamami con il mio vero nome." – non è necessaria tutta questa formalità, sono tua madre.-
Il principe eseguì gli ordini.
- Madre—-
- Dove sei stato? Eravamo tutti immensamente preoccupati.-
- ... sono stato ad Itha, volevo vederla con i miei occhi.-
- Per quale motivo ti sei interessato a quella landa desolata?-
- Perché voi mi avete nascosto tantissime cose, volevo sapere la verità.-
- E quale sarebbe questa verità, Benedikt?-
- Il mio vero nome, "Aleksei Irek Blaiddyd", la mia vera identità di principe del Sacro Regno di Faerghus, il mio vero padre, Dimitri Alexandre Blaiddyd.
Non sono qui per chiedere chissà quali motivazioni, voglio solo che restituiate il nord del Fódlan a chi ne ha il diritto.-

Un suono di applausi provenne da dietro di lui, facendolo voltare. Vide un uomo alto, con il viso scarno ed i capelli neri che gli coprivano un lato del viso, con lui c'erano sei corazzati in armatura completa. Hubert von Vestra, il braccio destro dell'imperatrice.

- Bel discorso, principe, davvero commovente, peccato che con "voglio", qui non si ottenga nulla. Le cose si guadagnano se ti comporti bene, e tu non sei stato un bravo bambino, mio caro.-
Non appena Hubert finì di parlare, i soldati gli si buttarono addosso, costringendolo a mettersi in ginocchio. Uno di loro gli mise delle manette dietro la schiena e subito si sentì più debole – probabilmente ne sopprimevano il Segno.
- Benedikt, capisci che non posso "restituire" proprio nulla? Io il Regno l'ho conquistato perdendo tantissimi soldati, non l'ho rubato. La guerra funziona così: ucciso il re, la terra è tua, dovresti averlo studiato all'Accademia Ufficiali.-
- Lasciatemi andare! Perché mi avete legato?!-
- È così che si fa con i traditori.- La voce calma dell'uomo alle sue spalle lo faceva solo arrabbiare.
- Io non ho tradito nessuno, la stirpe del Blaiddyd ha ancora un erede al trono, sono venuto a reclamare pacificamente ciò che mi spetta dalla nascita.-
- Benedikt, – La donna aveva ignorato totalmente il suo vero nome. – stai cercando di dirmi che, essendo tu ancora vivo, allora io non ho mai veramente conquistato il Faerghus?-
- Perché non lo facciamo ora, Lady Edelgard?- Nonostante non lo vedesse, Aleksei percepì comunque quel sorriso.
- Figlio mio, provavo così tanto affetto per te, e tu mi hai ripagata in questo modo... sei come tuo padre, voi Blaiddyd finite sempre per abbandonarmi, e nemmeno stavolta esiterò.
Hubert, fallo.-

In una manciata di secondi, una lama gli si appoggiò alla giugulare ed uno scatto felino gliela recise in profondità. Il sangue uscì subito a fiotti; gli macchiò la gola, i vestiti, le armature dei soldati, il tappeto rosso e dorato.
Il dolore era immenso, mai ne aveva provato tanto in vita sua. Tentò di urlare, ma il sangue gli stava riempiendo l'esofago ed i polmoni, stava affogando nei suoi stessi liquidi.
La vista si annebbiava lentamente, era quella la fine che il destino aveva in serbo per lui?

 

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Capitolo 14
*** 13 ; The Lotus Eater ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

13

The Lotus Eater


Non riusciva a respirare. Ad ogni tentativo di riempirsi i polmoni d'aria, il sangue dentro di essi finiva per impedirglielo.
Era diventato cieco, le forze lo stavano abbandonando, non riusciva a capire se fossero tutti in silenzio o se era lui stesso a non sentirli. I soldati gli impedivano di crollare, Hubert gli teneva la testa all'indietro per lasciare aperta la ferita il più possibile e velocizzare l'emorragia.
"Maledetto bastardo"... a quanto pare, riusciva a pensare ancora lucidamente.
La Luna Crescente avrebbe funzionato, con quelle manette strette ai polsi, o sarebbe morto per davvero? Aveva promesso a sua madre, a Sera, a tutti di tornare a casa sano e salvo, ma ormai non gli sembrava più una certezza, nonostante sapesse di avere quel potere di rapida rigenerazione.
Iniziò ad avere dei violenti spasmi, riuscì a liberarsi dalla mano di Hubert e buttarsi in avanti, per poi vomitare tutto il sangue che gli si era riversato all'interno. Uscì anche dal naso, liberando finalmente le vie respiratorie.
Ansimò profondamente, le lacrime che scendevano lungo il viso, i capelli biondi gli crollavano sul petto e si impregnavano di rosso. Sbatté più volte le palpebre, riuscendo a mettere a fuoco il viso sconcertato di Edelgard. Sentì la mano dell'uomo sul suo collo, alla ricerca disperata del taglio che avrebbe dovuto ucciderlo, ma tutto ciò servì solo a sporcargli il guanto immacolato.
Gli afferrò la lunga chioma bionda a mano piena, costringendolo a guardarlo in volto. Il principe aveva le labbra schiuse, dalla bocca e dal naso uscivano ancora dei rivoli scarlatti che gli macchiavano la pelle di porcellana.

- Quale stregoneria è mai questa?!

Non lo aveva mai sentito alzare la voce in quel modo, in un certo senso era contento di aver fatto scomporre l'uomo più freddo e calcolatore d'Adrestia.
Hubert riprese il pugnale e, senza pensarci due volte, stavolta glielo piantò nell'arteria carotide la quale, non appena estratto, provocò letteralmente una fontana a causa dell'elevata pressione sanguigna. Aleksei provò di nuovo indicibili sofferenze, ma nel giro di pochi minuti tutto era già tornato come prima.
Era felice di constatare che il suo secondo Segno, per quanto una maledizione, fosse capace di non perdere le sue proprietà curative una volta soppresso; se non l'avessero decapitato sul posto forse una possibilità per salvarsi l'aveva.
Sentì i passi della donna sul pavimento e quei soldati allontanarsi. Gli prese il viso tra le mani, i suoi occhi viola gli correvano lungo i lineamenti, ma sembrava distante, non riusciva a capire cosa stesse pensando.

- Da dove deriva quest'abilità? La tua magia è stata annullata.-
- Se anche lo sapessi, perché dovrei dirvelo? Avete appena ordinato di uccidermi.- La gola bruciava ancora immensamente.
- Perché sono tua madre, Benedikt, ho il diritto di saperlo.-
- Voi non siete proprio nulla, quale madre cancella la storia di un intero regno e ne fa sparire la capitale solo per nascondere un'identità?-
- L'ho fatto per proteggerti, se avessero saputo la verità ti avrei messo in pericolo.-
- Chi?! – Alzò la voce, il bruciore aumentò. – È una vostra paranoia, se mi aveste detto del mio Segno di Blaiddyd aiutandomi a sfruttarlo, sarebbero stati gli altri ad essere in pericolo, di certo non io.- Nel frattempo tentava di rompere quelle manette, finendo solo per ferirsi i polsi.

Aleksei avrebbe davvero voluto perdonarla, dirle che nonostante tutto le voleva bene per essersi presa la briga di crescerlo. Non era stato un bambino facile con la sua iperattività e da adolescente era ancora peggio, eppure l'aveva sempre trattato con pazienza ed amore.
Non riusciva a capire quel suo ordine lapidario, detto con un tono così gelido... se avesse avuto le mani libere, le avrebbe torto il collo.

- Cosa facciamo, Lady Edelgard? Sembra che la bestia voglia rimanere selvatica.-
- Gestisci la situazione a tuo piacimento, ma toglilo dalla mia sala del trono. Non ucciderlo almeno fino a domani, devo pensare a cosa farne.-
- Come desiderate, Maestà.-

I corazzati si avventarono di nuovo su di lui, afferrandolo malamente e mettendolo in piedi a forza. Il principe iniziò ad urlare, a dimenarsi, ma si prese un pugno dritto sul viso da Hubert stesso, ormai esasperato, il quale successivamente gli lanciò un incantesimo del sonno.
Si sarebbe divertito.

- Come stai?

Byleth posò un mano sulla schiena di Edelgard. Non era mai stato bravo con le sue emozioni, ma quelle altrui era in grado di percepirle, soprattutto se si trattava della moglie, perciò si era sentito in dovere di farle quella domanda. Aveva saputo del ritorno finito quasi in tragedia del loro figlio adottivo, ad eccezion fatta per tutti i dettagli inerenti al caso.
La donna era seduta a gambe incrociate sul letto che condividevano, con ancora il suo sontuoso vestito rosso addosso; aveva la testa china e gli occhi chiusi.

- Ho fatto un errore. – L'uomo tacque, spronandola a parlare. – Senza battere ciglio, ho detto a Hubert di ucciderlo. L'ho visto tagliargli la gola senza pietà, il sangue uscire a fiotti dalla ferita... in quel momento mi sono sentita un mostro.
Ma lui ha tradito l'Impero, si è sicuramente alleato con Rufus, chi infrange la damnatio memoriae va ucciso senza alcuna esitazione, nessuno escluso.
Lo sono, Byleth...? Sono un mostro senza cuore?-
- Edelgard, hai solo applicato le leggi. Tu stessa hai detto che lui ha infranto la più importante, non puoi fartene una colpa tanto grande.-
- Ma io gli volevo bene come se fosse stato il mio vero figlio, tutto questo l'ho fatto per lui, non potevo permettere che gli agarthei lo trovassero e sperimentassero su un portatore del Segno di Blaiddyd. Nonostante abbia distrutto Shambhala, ho il sentore che il mondo non si libererà mai di loro.-
- Ormai sei un'imperatrice ed il nostro popolo conta su di te, se lo lasciassimo in vita come si comporterebbe? Lasceresti andare una singola persona con il rischio che torni e faccia del male ai cittadini, oppure preferisci lasciarlo in una cella a soffrire finché non muore di stenti? La terza opzione è applicare la legge.-
"Decapitazione in pubblica piazza"...-

Quell'opzione era terribile ed a mente fredda non avrebbe mai fatto nulla di simile a suo figlio, eppure non poteva liberarlo -Byleth aveva ragione. Era molto forte, fare del male agli altri poteva venirgli fin troppo facile-, e tenerlo imprigionato in una stanza buia ed umida fino a morire poteva risultare nella più crudele delle ipotesi.
Ironicamente, la decapitazione era davvero la miglior soluzione. Avrebbe sì estirpato il problema alla radice, ma anche evitatogli inutili sofferenze.

- Ho preso la mia decisione. – Ora convinta, si decise a scendere dal letto. – Mi servono una pergamena, penna e calamaio. Se qualcuno dovrà essere punito, intendo farlo con tutti i colpevoli di questo affronto.
Spedirò una lettera ad Itha, sarà il capitano della Guardia Imperiale, il generale von Gerth, a portarla di persona a Rufus, non posso permettere che venga persa.-

Ad Ephraim le viverne non erano poi così simpatiche ma, per spedire una missiva di tale importanza -così l'aveva definita lady Edelgard- dall'altra parte del Fódlan, erano quasi d'obbligo, i cavalli si limitavano a seguire strade e sentieri, mentre in volo non vi era alcun ostacolo.
Si chiedeva cosa fosse successo quel giorno; lui non era presente, uno dei suoi sottoposti gli aveva riferito di aver sentito urla disumane provenire dalla sala del trono, per poi aver visto di sfuggita un'orda di corazzati trascinare di peso un ragazzo talmente pieno di sangue da risultare irriconoscibile – "nemmeno sua madre l'avrebbe riconosciuto in quello stato". Probabilmente era tutto collegato al documento che stava trasportando nel cappotto.
Avrebbe voluto leggerlo, ma spezzare il sigillo in ceralacca lo avrebbe letteralmente mandato a morte... non voleva terminare la sua vita, gli piaceva davvero l'impiego che si era guadagnato così duramente.
Erano passati decenni dall'ultima volta in cui era stato a nord del Fódlan; e sinceramente non voleva nemmeno tornarci, oltre al clima pungente, quei luoghi gli portavano alla mente ricordi che avrebbe preferito rimanessero sepolti per sempre.
Ma data l'alta carica che ricopriva e la devozione nei confronti dell'Adrestia, era suo dovere sottostare agli ordini dell'imperatrice, anche se questi potevano relegarlo a comune messaggero.

La viverna planò e posò le sue zampe in cima alla scalinata che portava al castello di Itha. L'uomo si domandò perché al suo ingresso non vi fosse alcuna guardia, anzi, il portone era aperto per metà, per cui si intrufolò senza troppe difficoltà.
La lettera era indirizzata a Rufus Thierry Blaiddyd, doveva solo trovarlo, consegnargliela e, dopo essersi assicurato che l'avesse letta, andarsene... un compito semplice, no?
Lo sarebbe stato, se solo qualcuno gli avesse indicato dove poterlo incontrare in quel mare di pietra! Per giunta, tutte le porte erano uguali...
Riuscì a trovare un'inserviente solo dopo svariati minuti di zigzag in completa confusione; la santa donna lo accompagnò all'ufficio del destinatario, davanti al quale era presente una guardia, l'unica del castello a quanto pare.
Bussò e, solo dopo aver sentito "avanti", entrò nella stanza, annunciandosi come messaggero.
Senza dire nulla, l'anziano ruppe il sigillo, immergendosi nella lettura. Più leggeva, più il suo linguaggio del corpo si distorceva: spalancò gli occhi, irrigidì il corpo e le dita quasi stracciarono la carta di cui era composta la missiva. Lui rimaneva immobile come un soldatino.
Ad un certo punto, sbraitò, facendolo sussultare.

- Tu! – Al soldato. – Vai subito a chiamare quella megera, che ha combinato un altro guaio! Maledetta a lei e a chi l'ha partorita!-

Ephraim alzò un sopracciglio, confuso. Pochi minuti dopo arrivò una bellissima e giovane donna, tutta vestita di nero e con un velo in testa. Sembrava un po' scocciata, forse non andava d'accordo con Rufus.
Lui la intimò di raggiungerlo e le consegnò la lettera.

"Luna del Mare Blu, diciottesimo giorno

È giunta voce all'Impero Adrestiano che Rufus Thierry Blaiddyd, ex granduca di Itha, avrebbe violato la damnatio memoriae condividendo informazioni con il qui incarcerato Aleksei Irek Blaiddyd.
Essendo l'imputato ormai anziano, chi pagherà al suo posto sarà la nipote Artemiya Rosenrot Blaiddyd.
L'esecuzione di entrambi, consistente nella decapitazione in pubblica piazza, avverrà il trentunesimo giorno della Luna delle Piogge, pertanto la ragazza dovrà seguire il Generale von Gerth nella capitale imperiale.
Per un paese sicuro, l'Adrestia ritiene che il loro sacrificio farà da insegnamento a chiunque non voglia rispettare le nostre leggi.

Enbarr,
Imperatrice Edelgard von Hresvelg"

Anche lei ebbe una reazione simile a quella di Rufus, ne rimase totalmente sconvolta, quasi impietrita.

- È colpa tua, strega!-
- Sta zitto Rufus, qui c'è il nome di mio figlio, vogliono decapitare anche lui, siamo nella stessa situazione!-
- Se tu fossi morta, – Il vecchio si alzò in piedi, sovrastandola. – adesso Mimi non avrebbe ricevuto una condanna d'esecuzione, sei tornata per togliermi tutto, non è vero?!-
- Pensi che condannerei tutto ciò che mi resta solo per fare un torto a te? Quanto egoismo!-

Invece di risponderle, Rufus la colse di sorpresa tirandole un destro dritto sul viso, causandone la caduta a terra istantanea. Senza curarsi di essere visto, cominciò a prenderla violentemente a calci e pestoni, non facendo distinzione tra le varie parti del corpo, sembrava volesse annientarla completamente, cancellare la sua esistenza partendo dalla sua forma fisica.
La donna rimaneva rannicchiata su sé stessa e subiva in silenzio, quasi non fosse la prima volta che una cosa simile le accadeva.
A quel punto, il generale non ci vide più; scagliò un incantesimo del vento sul suo carnefice e lo lanciò contro al muro, provocandogli uno svenimento. Atterrò con facilità anche la guardia e raccolse da terra la vittima, correndo via il più velocemente possibile. Non sapeva dove andare, perciò si fermò nel primo punto del castello a sembrargli deserto e, soprattutto, sicuro per lei.
Sembrava solo fortemente rintronata, perciò l'adagiò delicatamente contro il muro e le pulì il viso insanguinato con il suo fazzoletto. Durante il tragitto si era persa quel velo scuro e, vedendo i suoi capelli rosa, ne rimase estasiato.

- Perché mi avete aiutata? Non siete un soldato imperiale?-
- Proprio perché sono a capo della Guardia Imperiale, lasciare una donna in balia del suo carnefice macchierebbe a vita il mio onore. Come state? Avete ferite particolarmente dolorose?-
- ... No, sto bene, ho un'alta soglia del dolore. Vi ringrazio comunque per il pensiero.-
- Ne sono sollevato, davvero, ho sempre mal sopportato la violenza.-

Ksenia si decise finalmente a guardare il viso del suo interlocutore, pentendosene quasi all'istante.
Era un uomo apparentemente di qualche anno più vecchio della sua effettiva età, aveva occhi verde acqua, quasi tendenti al turchese – le ricordavano fin troppo qualcuno.
I suoi capelli erano lunghi, mossi e legati in una coda bassa. Il loro colore... rosa pesca, molto simili ai suoi.
Anche il suo viso le risvegliava dei ricordi. Più lo guardava, più le faceva paura.
Lui, d'altro canto, vedendola bene in volto rimase sbalordito. Era davvero bellissima, ma ciò che lo colpì ulteriormente furono i suoi lineamenti particolari.

- Posso chiedere il vostro nome?-
- Ephraim von Gerth, figlio adottivo del Duca Gerth, generale sotto il vessillo dell'Adrestia a capo della Guardia Imperiale e scorta dell'Imperatrice stessa.-

La donna distolse lo sguardo, incapace di guardarlo ulteriormente in volto. La metteva parecchio a disagio nonostante l'avesse aiutata in modo tanto gentile e per lui rischioso.

- Come ci si sente ad essere sotto il comando di una simile tiranna?-
- Parlate così perché non la conosce—-
- Secondo voi, se qualcuno invadesse la vostra casa, la mettesse a ferro e fuoco, mandasse a morte tutti i vostri cari, decapitasse la vostra persona amata e vi rubasse un figlio, questa persona sarebbe definibile "buona"?-
- Questa è la guerra.-
- No, questa è una barbarie, Generale von Gerth.-

Ephraim si morse il labbro, incapace di replicare. Se lo ricordava bene quel periodo... lui non avrebbe mai voluto partecipare, ma la sua posizione gli aveva impedito di andarsene.

- Io, a quella guerra, ho partecipato; questa non è la mia prima volta nel nord Adrestia... o Faerghus.
Sono stato nello Squadrone dell'Aquila Nera fino alla presa di Arianrhod, nella quale mi ferii gravemente e dovetti ritirarmi per avere salva la vita.
Quella battaglia fu terrificante, in campo vi era una donna... lei...-
- ... Parlate di Cornelia?-
Lui annuì.
- Non potevo sbagliarmi, era impossibile che dimenticassi il suo volto. Eppure lei sembrava aver dimenticato il mio, arrivando a ferire a morte suo figlio.-

Ksenia rimase a bocca aperta, girandosi nuovamente di scatto verso l'uomo. Era uguale a Cornelia, stessi occhi, stessi capelli, stessa pelle... tratti che condivideva in gran parte anche con lei.
Inizialmente rimase immobile, poi scoppiò a ridere. No, non poteva essere; se davvero avesse avuto un fratello, almeno suo padre avrebbe dovuto dirglielo.

- Lord Ephraim, quella donna non era vostra— nostra madre, lei è morta dandomi alla luce. Diamine, non sapevo di avere un fratello ed ora che lo scopro è addirittura un generale imperiale... perché ogni aspetto della mia misera esistenza deve essere tanto tragico? Forse me lo merito.-
- State dicendo che Cornelia Arnim è anche vostra madre?! Per favore, ditemi il vostro nome...-
- Mi chiamo Ksenia. Un tempo regina, ora solo madre del principe condannato a morte che chiamate "Benedikt".-
- Ksenia... – Senza preavviso, la tirò a sé e la strinse in un delicato abbraccio. – i miei genitori sparirono all'improvviso quando ero molto piccolo, se non fosse stato per il duca Gerth ora sarei morto. Sono davvero felice di sapere che, da qualche parte, un pezzo della mia famiglia c'è sempre stato, che non sono più solo.-
- Siamo su due fazioni diverse, però, e la vostra vuole cancellare ciò che mi è più caro.-
- Sarò anche dalla parte degli assassini, ma sono venuto a conoscenza solo adesso del contenuto della lettera. Voglio bene all'imperatrice e le sarò sempre fedele, ma quel principe l'ho visto crescere e molto spesso me ne sono preso cura. Non permetterò a Hubert di influenzarla con le sue idee di morte, lei da sola non avrebbe mai pensato ad una soluzione del genere, che voi ci crediate o no.
Posso aiutarvi a salvarlo se avete un piano che non mi porti ad uccidere i miei alleati.-
- Davvero rischiereste così, a testa bassa?-
- Ve l'ho detto, non mi piace la violenza, soprattutto quella ingiustificata. Tutta la storia della damnatio memoriae è stupida, com'è aberrante la sua esecuzione; se andare contro Edelgard le farà capire i suoi errori, allora non mi tiro indietro. Il dovere di un soldato è anche proteggere il popolo.-

La donna non fece in tempo a rispondere che un fendente diretto al generale si frappose tra i due. Lui, fulmineo, estrasse la sua spada dal fodero e contrattaccò facendo sbilanciare l'avversario il quale, invece di desistere, tornò alla carica con ancora più veemenza.
Continuando a parare i colpi con maestria, Ephraim si alzò in piedi. Cercava di disarmarla, ma quella ragazzina con i capelli ricci e la pesante armatura era forte ed inarrestabile come un toro, e soprattutto abile, maneggiava quella spada come se fosse parte integrante del suo corpo.

- Voi, che portate l'Aquila Bicefala sul mantello, non osate sfiorare la regina con le vostre mani insanguinate! Assassino!-
- Vi sbagliate, non sono qui per fare del male, sono stato solo impiegato come messaggero!-

Fece orecchie da mercante, proseguendo con i suoi attacchi. L'uomo voleva far finire lo scontro, ma senza farle del male – lo avrebbe sicuramente reso più sospetto agli occhi di quel tizio con i capelli lilla che lo stava osservando con sguardo truce.
Ksenia si alzò ancora acciaccata per i calci subiti ed afferrò la ragazzina per le spalle, fermandola all'istante.

- Artemiya, ferma, dice il vero, non è nostro nemico!-
- Ne siete sicura?-
- Pensi che mi fiderei di un Adrestiano tanto alla leggera? Ricordi cosa mi sta più a cuore dopo Aleksei? – Lei annuì debolmente e chinò il capo, mortificata. – Ecco, brava, riponi la spada.-

Quando entrambi posarono le armi, la donna procedette ad informare i due della corrente situazione, oltre che alle dovute presentazioni.
Scambiò anche qualche informazione in più con Ephraim ed i due constatarono di essere molto probabilmente fratellastri; la vera Cornelia era madre di entrambi, avevano cinque anni di differenza e quasi sicuramente non era stato preso dagli agarthei semplicemente perché proveniva da un'umile famiglia senza casi accertati di portatori di Segno. Le spiegazioni non andarono avanti a lungo perché non c'era tempo; mancava una luna esatta all'esecuzione del principe.

Ephraim però aveva percepito qualcosa di strano per tutto il tempo, come una strana presenza proveniente dalle lunghe tende davanti alla finestra. Vi si avvicinò con sospetto e, quando le aprì, si ritrovò davanti ad un'altra ragazza, con i capelli corti, la pelle bronzea e due bellissimi occhi verdi. Quando lo vide fece un urletto, tentando di nascondersi ulteriormente tra lo spesso tessuto.

- ... Sera! Sono contento tu stia bene, temevo fossi tornata ad Enbarr e ti avessero fatto del male...!-
- Mi dispiace, Generale von Gerth, non sarei dovuta andarmene senza—-
- Ma che dici...? Preferisco tu stia qui, a palazzo ti picchiavano.-
- Come fate a saperlo?-
- Me ne ha parlato il principe, era molto preoccupato per te. Prima che succedesse tutto, stavamo cercando una soluzione insieme. Vieni, è pieno di polvere qui, ti prenderai una malattia.-

Le offrì la mano e lei, con titubanza, accettò.
Con il gruppo finalmente riunito, Ksenia iniziò a pensare a tutte le soluzioni più disparate; l'aiuto del fratello doveva essere la parte più importante, essendo lui l'unico capace di muoversi liberamente nel castello di Enbarr.
Non c'era tempo da perdere.

 

 

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Capitolo 15
*** 14 ; All the Scarlet Tears ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

14

All the Scarlet Tears


Gli occhi si aprirono a fatica, tutti incrostati dal lungo sonno. Mosse le iridi a destra e sinistra, mettendo lentamente a fuoco l'ambiente circostante.
Vide per prime delle pareti in pietra, poco illuminate da fiaccole poste molto in alto; il pavimento era liscio, quasi scivoloso, la puzza di umido gli invadeva le narici. In un angolo c'era quello che sembrava un tavolo; cinghie di cuoio pendevano dal legno.
Solo dopo realizzò quanto gli mancasse il respiro.
Era seduto a terra, con un grosso collare di ferro legato attorno al collo. Esso era appeso ad una catena attaccata ad un gancio, in modo da tenerlo leggermente sollevato ed impedirgli di respirare completamente. Adesso anche i piedi nudi erano legati stretti tra loro, le manette erano diventate più sottili ed erano attaccate ad una grossa palla di ferro talmente vicina da impedirgli di alzarsi in piedi o stendersi, era tenuto in una posizione incapace di dargli sollievo. Avrebbe potuto tranquillamente spezzare tutta quella ferraglia, ma quel collare stava inibendo tutta la sua forza.
Per ultime, vide le sbarre e dietro di esse due figure: la prima, alta, magra e scura, la riconobbe subito come Hubert, mentre la seconda sembrava una donna, aveva capelli azzurri molto corti e spettinati, gli occhi erano gialli ed indossava un lungo abito bianco.

- Si è svegliato, finalmente! – Esclamò, insolitamente contenta. – Ora è tutto mio, marchese?-
- Aspetta... prima le dovute presentazioni.-

Aleksei tentò di replicare, ma quel principio di soffocamento indotto gli aveva paralizzato le corde vocali, non sarebbe riuscito ad emettere altro che versi e gorgoglii.
La porta della cella si aprì ed i due si avvicinarono; lui con la sua solita flemma, lei saltellando come una bambina. Gli prese il viso tra le mani, cominciando a scrutarlo a fondo come se fosse un topo da laboratorio.

- Principe, lei si chiama Marle. Fino alla vostra esecuzione, si prenderà cura di voi.-
Lei tolse la catena dal gancio, finalmente poté respirare correttamente.
- Esecuzione...?-
- Chi infrange la damnatio memoriae viene condannato alla decapitazione in pubblica piazza. Verrete giustiziato insieme ad una ragazza di nome Artemiya Rosenrot Blaiddyd, vi dice nulla? Il generale von Gerth è già partito verso Itha per portarla qui.-
- MALEDETTO BASTARDO, LEI NON HA ALCUNA COLPA, COME OSATE CONDANNARE ANCHE LEI?! HUBERT, GIURO CHE SE LE VIENE TORTO UN CAPELLO TI AMMAZZO, POI AMMAZZO EDELGARD E POI—-
Gli fu impedito di dire altro; non appena iniziò ad agitarsi, Marle subito riattaccò la catena al gancio ancor più in alto, impiccandolo all'istante.
- Che carino, si agita così tanto...- Ridacchiò, allontanandosi di poco per ammirarlo.
- Fagli tutto quello che vuoi, ma niente mutilazioni, vivisezione o taglio dei capelli, dovrà presentarsi al popolo immacolato così com'è.-
- È davvero un peccato, avrei voluto prendere con me quegli occhi stupendi e farci dei gioielli...-
- Se eseguirai bene il tuo compito, potrei fare in modo che ti siano consegnati a decapitazione avvenuta.-
- Siete davvero gentile, Marchese Vestra!-

Ksenia ci aveva pensato a lungo; aveva bisogno di un piano perfetto ed infallibile per andarsi a riprendere suo figlio prima dell'esecuzione, a costo di distruggere l'intera capitale dell'Impero. Se non fosse arrivata a nulla, si sarebbe recata là e, anche con il rischio di perdere il suo stesso corpo, avrebbe messo tutto a ferro e fuoco, da sola.
Aveva invitato anche i presenti, soprattutto Sera ed Ephraim, conoscitori del castello, a pensare a fondo... i pensieri per la testa erano talmente tanti da impedirle di essere completamente lucida.

- Il palazzo imperiale è sempre presidiato da orde di corazzati, provare a sfondare le loro difese a testa bassa sarebbe come suicidarsi, non lo consiglio – e ve lo avrei impedito, quelli sono miei soldati, non voglio vederli coinvolti.-
- Non puoi ordinare loro di lasciarci passare, se sono sotto il tuo comando?- Domandò Mitja, sospettoso.
- La legge prevede che, qualora il comportamento del generale portasse ad una situazione eventualmente pericolosa per l'imperatore, i suoi sottoposti avrebbero il permesso di disobbedire agli ordini.
In ogni caso, io voglio solamente salvare il principe, non ho alcuna intenzione di mettere in pericolo la mia sovrana.-
- Non credo ti lasceranno il tuo bel posto se impedirai la condanna a morte di un prigioniero.- Il giovane ghignò, guardandolo negli occhi.
- Aspetta, non è detto che debba aiutarci alla luce del sole, può farlo anche di nascosto. – La donna cercò di evitare ulteriori frecciatine, dovevano rimanere tutti calmi e concentrarsi sul piano. – Fratello, ci sono altre entrate, magari segrete, dalle quali si può entrare indisturbati?-
- C'è un'entrata secondaria proprio vicina alle prigioni, ma anch'essa è sempre ampiamente sorvegliata. Che io sappia, non ci sono entrate segrete... e se ci fossero, di certo Edelgard non le lascerebbe incustodite. Il prigioniero ha vissuto tra quelle mura per tutta la vita, se scappasse non avrebbe problemi a trovare vie di fuga.-
- Dannazione, se solo fossimo riusciti a prendere Areadbhar...- Artemiya borbottò, digrignando i denti. Era arrabbiata.
- Areadbhar? – L'uomo alzò un sopracciglio. – La lancia che se lasciata incustodita si incendia e si anima?-
- L—La conoscete?- La ragazza strabuzzò gli occhi.
- Certamente, tra noi guardie imperiali circolano storie assurde su di essa, i miei sottoposti ne sono terrorizzati... è incatenata ad una grossa stele per evitare che prenda vita, si trova nei sotterranei del castello.-
- È sempre stata a portata di mano e non ne sapevamo nulla?! – Sera in quel momento alzò improvvisamente la voce. – Generale, perché non ce lo avete mai detto?-
- Perché non ne ho mai sentito il bisogno. Credimi, Sera, non avevo idea della vera identità di Aleksei, io sapevo solo che era stato adottato, non avrei mai immaginato fosse figlio del re, né avrei potuto supporlo; in guerra non l'ho mai visto e ai tempi dell'Accademia lo incontrai molto raramente, era impossibile fare simili collegamenti. Per me Areadbhar era un semplice bottino di guerra.-
- Areadbhar... esiste ancora... e gli è vicina... – La voce di Ksenia era quasi stridula. – potete... potete fargliela avere?-
- Da quando è stata sigillata ad Enbarr, l'arma è diventata estremamente pericolosa, temo che se dovessi liberarla io stesso dalle catene potrei trasformarmi in un mostro— tutto ciò che posso fare è dirgli come arrivarci, ma dovrà farlo da solo.-

Anche la Macellaia piangeva il Re delle Tempeste. Strappata al suo legittimo proprietario e chiusa in una gabbia come un animale... provava immensa pena per lei. Le reliquie erano vive, sigillarle un atto barbarico.
Sapevano che Aleksei poteva essere liberato e che aveva un modo per difendersi, ma al contempo, se fosse rimasto là, avrebbero potuto riprenderlo e giustiziarlo ancor prima del tempo. Era pur sempre contro un intero esercito in territorio nemico, poco importava la sua forza sovrumana, la parte più importante del piano era capire come riportarlo nel Faerghus sano e salvo.

- Maestà, vostro padre sarebbe in grado di aiutarci? Avete detto che è un grande scienziato, forse può riaprire le porte di Fhirdiad e—-
- ... No. Sera, sono scappata da Shambhala, se ci andassi potrebbe rinchiudermi di nuovo là e stavolta facendo in modo che io non possa più uscire. Per quanto gli sia legata, a lui importa solo che io sia viva e vegeta, non felice.-
- Ma è la nostra unica speranza...! Gli agarthei hanno tecnologie avanzate, non credo che il nonno di Mimi sarebbe in grado di fare effettivamente qualcosa.-
- Ha ragione. – Mitja prese la parola. – Quel vecchio non ha più nulla, è solo in grado di picchiare una donna a tradimento, – Artemiya abbassò lo sguardo. – mentre Agartha è ormai nemico mortale dell'Adrestia. L'imperatrice stessa è stata colei che ha distrutto Shambhala vent'anni fa.
"Il nemico del mio nemico è mio amico", non si dice così? In più tu sei figlia di un'importante figura, possiamo mettere su un'alleanza provvisoria. Dopotutto a te importa di salvare solo tuo figlio, vero? Allora non avrai problemi a sacrificarti per lui.-

Mitja sapeva sempre dove colpire e ciò lo rendeva un temibile avversario in una discussione. Era abile a far sentire in colpa gli altri, prenderli nei loro punti deboli... e così aveva fatto con la povera Ksenia che, prima tormentata dai dubbi, aveva poi deciso di darsi anche in pasto ai lupi pur di liberare Aleksei dalle grinfie di quella ladra ignobile.
E così il loro elaborato piano prese vita: Ephraim sarebbe tornato ad Enbarr con una scusa per non aver portato con sé Artemiya. Quest'ultima, assieme a Sera, avrebbe accompagnato Ksenia a Shambhala come guardia personale, la quale avrebbe chiesto disperatamente aiuto al padre. Se qualcosa fosse andato storto, si sarebbe recata lei stessa alla capitale ed avrebbe usato tutta la magia rimastale in corpo per carbonizzare il palazzo imperiale – quest'alternativa, però, l'aveva tenuta per sé.
Mitja, invece, si era inaspettatamente tirato fuori dal piano, annunciando che sarebbe tornato per un po' a casa. Vista la stizza di Artemiya, la rassicurò che non l'avrebbe abbandonata, anzi, doveva prendere qualcosa capace di aiutarli a vincere.

Marle era dannatamente pazza. Tutti i giorni, tutto il giorno, era sempre con lui nella cella, gli iniettava nelle vene della robaccia che lo rendeva un manichino vigile e poi si divertiva a commettere soprusi al suo corpo.
Le più gettonate erano le arterie tagliate, quella pioggia scarlatta la mandava letteralmente in estasi e, più le impregnava il vestito bianco, più ne voleva. Gli aveva piantato aghi roventi sotto le unghie, aperto il ventre e gettatoci dentro acqua bollente, bruciato le piante dei piedi e costretto a camminare su vetri rotti. L'idea, secondo lei, più geniale che ebbe fu quella di piantargli un lunghissimo chiodo arrugginito nella tempia usando un martello. Gli aveva trapassato il cranio ed il cervello e prima l'aveva lasciato in preda alle convulsioni per un giorno intero, poi lo aveva estratto ammirando la sua ripresa di coscienza con lo sguardo di bambina.
Questo amava del suo nuovo bambolotto: poteva giocarci quanto voleva e lui era sempre lì a guardarla con quei bellissimi occhi di ghiaccio... se n'era innamorata perdutamente, avrebbe voluto tenerlo per sempre con sé e non doverlo consegnare all'imperatrice, lei lo avrebbe ucciso, l'amore della sua vita!

Quel giorno -quanti ne erano passati?- gli stava spazzolando i lunghi capelli biondi; li accarezzava, li annusava, ci passava le dita attraverso... come osava? Quello era compito di Sera, non suo.

- Oh, mio principe, che bei capelli avete, e che bella gola... peccato sia nascosta da questo coso che blocca i vostri poteri, vorrei tagliarla così tanto...

Non poteva risponderle, l'aveva narcotizzato al punto da impedirgli di parlare – in ogni caso, le avrebbe rivolto solo insulti e minacce. Odiava l'impossibilità di reagire.
La giovane gli prese il viso tra le mani, lo accarezzò e poi lo baciò a fondo, ficcandogli la lingua in bocca. Se solo avesse avuto la forza... gliel'avrebbe strappata a morsi. Lo spinse a stendersi sul pavimento e si mise a cavalcioni su di lui, iniziando ad armeggiare con i suoi pantaloni.

- Ci amiamo così tanto, facciamo l'amore...

- Sono arrivati i risultati dal conte Hevring.-
- Linhardt ha scoperto qualcosa con le fiale di sangue che gli sono state inviate?-
- Molto più di quanto pensiate, Lady Edelgard.-

Hubert si era presentato al cospetto dell'imperatrice con una lunga lettera indirizzata a lei. Non riuscendo a capire perché Aleksei fosse sopravvissuto al taglio della gola per ben due volte e a tutte le torture a cui Marle continuava a sottoporlo, avevano mandato dei campioni di sangue a Linhardt von Hevring, loro ex compagno di classe all'Accademia Ufficiali ed esperto di segnotica.

- Mi sono già permesso di leggerla in modo da potervi fare un riassunto: il conte ci informa che nel suo sangue, accanto al Segno di Blaiddyd, è presente quello che sembra un morbo con un'elevata energia magica. Dopo vari esperimenti, esso ha preso la forma di un ulteriore e sconosciuto Segno... iniettando un po' di sangue in un topo, l'animale è improvvisamente ringiovanito; sembrava non aver subito ulteriori effetti, almeno finché non è impazzito e ha cominciato a sbattere la testa contro le pareti della gabbia fino alla morte. Anche separando i due segni, il risultato rimaneva invariato: i topi a cui era stato somministrato quello misterioso finivano tutti per suicidarsi brutalmente dopo immensi picchi di energia.-
- Un... Segno sconosciuto? Com'è possibile, Hubert? Come fa a possederlo? Quando è nato è stato rilevato solamente quello di suo padre.-
- È possibile che qualcuno glielo abbia inoculato ad Itha, o da qualunque altra parte sia stato in questi ultimi mesi.-
- Non lo so... – La donna iniziò a fare mente locale, a cercare qualche indizio nei ricordi, finché non le venne in mente un fatto particolare. – no, non è possibile! Poco tempo dopo la sua sparizione, io e Byleth abbiamo rinvenuto una copiosa macchia di sangue secco sul tappeto della sua stanza, la quale sembrava provenire da una ferita molto profonda, ma nessuno lo ha visto ferito o con delle fasciature.-
- Lady Edelgard, perché non parlate direttamente a lui?-

L'imperatrice deglutì; immaginava che, prima o poi, il suo attendente le avrebbe fatto quella domanda estremamente scomoda. Parlare con suo figlio era la via più semplice, ma aveva paura di percorrerla, di vederlo in uno stato pietoso.
Benedikt era sempre stato impeccabile, al di sopra di chiunque altro, una figura austera capace di far inchinare a sé anche gli animali da macello, non voleva che la figura empirica nella sua testa venisse rovinata -nonostante fosse stata lei stessa a dare carta bianca a Hubert, il quale ovviamente si era divertito fin troppo-.
Dopo un lungo rimuginare, si decise ad alzarsi, insistendo di andare al suo cospetto da sola. Percorse la via verso le prigioni in completo silenzio, cercando di prepararsi mentalmente al peggio – non ci sarebbe mai riuscita a pieno.
Arrivata da lui, lo trovò a gambe incrociate, la schiena ricurva e la testa fissa verso le sbarre, i polsi tagliati che ancora sanguinavano appoggiati agli arti inferiori. La camicia un tempo bianca che indossava era ridotta quasi a brandelli e sotto di essa si intravedeva la muscolatura priva di ogni antico vigore. I pantaloni erano leggermente abbassati e bruciati in corrispondenza delle caviglie.
Mentre quegli occhi gelidi la fissavano senza mai sbattere le palpebre, la ragazzina inquietante gli stava facendo delle treccine canticchiando una canzone. Quando si accorse della sua presenza, si affrettò ad alzarsi e ad inchinarsi al suo cospetto.

- Benarrivata Imperatrice, al vostro servizio.-
- Il prigioniero è in grado di parlare?-
- Sì, gli effetti delle medicine stanno svanendo, ma ormai sono giorni che non mi rivolge la parola. Sembra arrabbiato!- Rise, facendo inorridire Edelgard.
- Bene, lasciaci soli, devo parlargli di cose importanti.-
- Come desiderate, Maestà.-

La donna gli si inginocchiò davanti e lo guardò a fondo, non riuscendo a vedere nulla trasparire dal suo viso martoriato e sporco. Si sporse ed avvolse il suo corpo con le braccia, lo tirò a sé e gli fece appoggiare la fronte nell'incavo del collo. Lo strinse forte, tanto da aver paura di fargli male, sentiva le ossa delle scapole e della spina dorsale sporgere.
Cosa gli stava facendo subire? Perché era arrivata ad un punto tanto basso? Avrebbe voluto urlargli "mi dispiace", con tutte le sue forze, ma in cuor suo sapeva di non poter tornare indietro. Aveva tutto il popolo sotto la sua responsabilità, non poteva liberare quella bestia selvaggia e rischiare che lo decimasse... se solo non avesse avuto tutto quel potere allora, per quel bambino che aveva cresciuto come suo, avrebbe tradito anche l'Adrestia stessa. Quel lontano trentesimo giorno della Luna del Grande Albero lo aveva portato con sé come modo per scusarsi con suo fratello, salvando almeno il figlio per cui aveva combattuto fino allo strenuo delle forze, chiudendolo in una gabbia per cercare di tenerlo al sicuro da tutto il male che serpeggiava nel mondo, a costo di tarpargli le ali... ma a quanto pare il destino di ogni Blaiddyd era sempre quello di perdere la testa per mano od ordine di una donna imperiale.

- Vattene.- Ad un tratto, la sua voce roca e stanca le rimbombò contro il petto, gelida quanto le sue iridi.
- Non lo farò finché non risponderai alle domande che ho da porti.-
- Buona permanenza qui, dannata assassina.- Il suo fu quasi un grugnito.
- Non parlarmi in questo modo, Benedikt. – Lo lasciò andare per osservare il suo volto pieno d'ira. – Ci sono cose che devo sapere. Perché hai un secondo Segno? Da dove arriva?-
- Non ho idea di cosa tu stia parlando. Io sono un senzasegno, me lo hai detto tu per vent'anni, convinciti della tua stessa bugia e lasciami in pace. Fammi almeno vivere i miei ultimi giorni senza averti tra i piedi.-
A quel punto, la donna gli diede uno schiaffo.
- Come osi parlare a tua madre in questo modo? Non ti ho cresciuto così.-
- Non sei mia madre, lei l'hai seppellita mentre era ancora viva. È morta soffocata con la testa di mio padre sul ventre.-

Edelgard schiuse le labbra, assolutamente confusa dalla sua ultima frase: ora aveva la conferma che quella donna fosse la sua madre naturale, ma d'altra parte non capiva come potesse essere giunto a tale affermazione. Chi glielo aveva raccontato, Rufus?
Se sì, perché rivelargli una cosa simile? E com'era venuto a sapere simili dettagli, lui?

- Il suo spettro mi fa visita costantemente, è qui anche ora. Mi ha detto che l'hai uccisa solo perché ti ha fatto una domanda— anzi, sei stata talmente codarda da non finirla, lasciando che fossero i vermi a divorarla e la terra soffocarla per te, essere ignobile. Hai decapitato con le tue stesse mani l'ultimo membro della  famiglia che ti era rimasto, hai lasciato bruciare la sua casa ed il suo popolo, hai rubato suo figlio e, solo per perpetrare la tua insulsa bugia, hai istituito leggi su leggi ridicole, arrivando a sigillare un'intera città ed a farne sparire il simbolo ed ora, a causa delle tue stesse assurde regole, nel braccio della morte c'è proprio quel bambino che hai rapito quando ancora non poteva riconoscere sua madre. Non ti vergogni?

La donna avrebbe voluto replicare con tutte le sue forze; la risposta era già pronta ad uscire, ma non ci riuscì. Tutto ciò che le disse era motivo di ricordi velocissimi l'uno sull'altro, si scavalcavano, mescolavano... avrebbe voluto perderli. Non capiva come facesse ad essere al corrente di tutte quelle cose -non credeva allo "spettro"- ma, in quel momento, più lo guardava, più vedeva Dimitri, con quella stessa espressione iraconda che gli aveva visto fare poco prima di morire, e poi scorgeva le iridi gelide e giudicanti di quella donna apparentemente irrilevante.
Si alzò in piedi, ormai incapace di sostenere il suo sguardo.

- Tornerò quando risponderai correttamente alle mie domande, buonanotte.

Aleksei chinò il capo, osservando le ferite sulle braccia che lentamente si ricucivano, un sorriso sulle labbra screpolate. Avrebbe voluto piangere, ma se lo era proibito per quella situazione.

- Mamma, Sera, mi mancate così tanto... mi dispiace, ho fatto un grave errore.

Successivamente a quel sussurro, Marle tornò da lui.

Ephraim era pronto a ripartire per Enbarr. Erano tutti davanti all'entrata del castello di Itha, la viverna già pronta a trasportarlo.

- Spero sia tutto chiaro, il piano.- Ksenia era rigida, osservava l'uomo negli occhi.
- Fidatevi di me, dovessi tradirvi, avrete il permesso di giustiziarmi. – Le si avvicinò, sovrastandola. Non era un uomo particolarmente alto, era lei ad essere piccola. – Posso... abbracciarvi prima di salutarci?-
- Se è ciò che desiderate...-
La avvolse con le braccia e la strinse delicatamente a sé, con nessuna malizia. Sentì il suo cuore battere forte.
- Quando tutto ciò sarà finito, vorrei conoscervi meglio, se siete d'accordo.-
- Mi piacerebbe, abbiamo tanto di cui parlare.-

Si separarono, scambiandosi un sorriso. La donna non ebbe il cuore di dirgli che probabilmente di lì a poco sarebbe morta, ma sperò davvero di sopravvivere fino a poter intrattenere un discorso vero ed un legame con quell'uomo che sentiva incredibilmente vicino.
Ephraim partì e la loro missione si poté dire ufficialmente iniziata.

 

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Capitolo 16
*** 15 ; Nightingale ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

15

Nightingale


Ksenia osservò la viverna nera sparire tra le nuvole che coprivano il cielo grigio, con la speranza di non essere stata ingannata da quell'uomo. Parlava in modo sincero, ma lei non riusciva a fidarsi totalmente a causa dei suoi occhi... erano uguali a quelli della donna che, per la prima metà della sua vita, l'aveva seviziata fino allo sfinimento. Sapeva che quel colore era stato rubato, eppure in lei continuava ad esserci un grande blocco.
Artemiya le si avvicinò, alzando anche lei gli occhi all'orizzonte.

- Maestà, dobbiamo partire il prima possibile.-
- ... Hai ragione, non c'è tempo da perdere. Non avrei dovuto soffermarmi sui miei sentimenti.-
- Per favore, non reprimete le vostre ansie e paure, vi farà male a lungo andare.-

La donna le sorrise e le appoggiò una mano sul capo tentando di rassicurarla. Quando era tornata da Shambhala aveva rubato più cristalli; uno lo aveva dato ad Aleksei, mentre un altro lo aveva tenuto per sé in caso di emergenza – per fortuna lo aveva fatto, o chissà quanto tempo avrebbero sprecato solo per i viaggi di andata e ritorno, il Fódlan era immenso e per spostarsi da una parte all'altra ci si mettevano sempre tantissimi giorni.
Le tre salutarono Mitja e poi la più anziana attivò l'oggetto magico, teletrasportando tutte ai monti Hrym, proprio in corrispondenza della grotta che conduceva nel sottosuolo. Ksenia era in testa e le teneva per mano entrambe – se si fossero perse nel buio, sarebbe stato un completo disastro; ma la donna, più proseguivano, più diventava timorosa. Stava portando due ragazzine nella tana del lupo, non poteva prevedere la reazione che avrebbe avuto suo padre alla loro vista. Sperava solo di essere ascoltata, che non facesse orecchie da mercante com'era solito quando non gli andavano bene i suoi discorsi.
Quando finalmente giunsero nel lungo tunnel con le pareti piene di tubi e le luci azzurre si accesero, Sera iniziò a guardarsi intorno stralunata, completamente confusa da tutto ciò che la circondava. Sotto la catena montuosa proprio accanto al suo luogo di nascita era davvero presente una cosa simile, oppure stava sognando?

- Rimaniamo vicine, anche se c'è luce è facile perdersi in questo labirinto.

In tutta risposta, la ragazza le si attaccò subito al braccio.
Artemiya era invece più tranquilla, lei era maggiormente a conoscenza della tecnologia agarthea grazie a Mitja, il quale ne sapeva molto a riguardo, ma doveva ammettere che, di persona, era tutta un'altra cosa e lo stupore non mancò.
Attraversarono la città distrutta ed entrarono nelle profondità della piramide. Ksenia deglutiva spesso ed aveva iniziato a sudare per l'ansia; davanti alla porta che la separava dal padre, aveva pensato di attivare il teletrasporto e fuggire dall'altra parte del globo, ma non poteva, la vita di suo figlio era in gioco, quindi finalmente si decise ad entrare.

Ciò che le si presentò davanti fu la solita stanza in cui prima passava le sue giornate in compagnia di Dedue. Era rimasto tutto immacolato, dal suo letto sfatto alla camomilla ancora in tazze e teiera, sembrava che, dopo la sua fuga, il tempo si fosse congelato lì.
Un suono provenne al di là della porta a sinistra e subito Sera passò a nascondersi dietro Artemiya – nonostante fosse molto più bassa di lei. Una figura scura si palesò al loro cospetto e la donna le si avvicinò subito, per poi abbracciarla.
La strinse forte ed essa ricambiò accarezzandole il capo.

- Mi sei mancata, Anaxagoras.

Quando si separarono, l'uomo che ebbero di fronte era diverso da quello incontrato ad Itha, ma alcuni elementi facevano presagire che fossero comunque la stessa persona.
Era abbastanza alto, la sua pelle talmente pallida e cadaverica da sembrare violacea, indossava un'armatura nera con alcuni dettagli dorati, il lungo mantello munito di una pelliccia di un magenta molto acceso ne accentuava l'imponenza. I capelli erano lisci, lunghi e neri con qualche ciocca bianca sporadica, l'occhio sinistro aveva quel particolare color ghiaccio, mentre il destro era completamente nero, entrambi avevano la forma identica a quelli del principe. Il viso era scavato e solcato da profonde occhiaie e segni dell'età non troppo marcati, il lato destro attraversato da crepe scure che proseguivano anche lungo il braccio privo dell'armatura.

- Perché queste due discendenti delle bestie sono con te?

La ragazza in armatura deglutì intimorita, ma era già pronta ad estrarre la spada dal fodero se fosse stato necessario. Nonostante si mostrasse calmo, quell'uomo sembrava avere un gigantesco segnale di pericolo piantato nel cranio.

- Artemiya è la mia guardia personale, mentre Sera è la futura moglie di Aleksei.‐ L'ultima nominata quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
- Quindi è da lui che sei andata, è ancora vivo.-
- Sono tornata perché non lo sarà ancora per molto, l'imperatrice ha intenzione di decapitarlo tra meno di un mese, devo— devo salvarlo, padre, aiutatemi, per favore...-
- Sei già andata in superficie rischiando la vita e per questo dovrei punirti severamente, ma sei qui solo per ricevere aiuto? Non se ne parla. È pericoloso per Shambhala, è pericoloso per il nostro popolo e, soprattutto, è pericoloso per te, figlia mia. Ti rendi conto di cosa potrebbero farti se venissero a conoscenza della Luna Crescente?-
- Possono farmi tutto ciò che vogliono, anche uccidermi al suo posto, l'importante è che mio figlio abbia salva la vita.-
- Anaxagoras, sei rimasta senza di lui per vent'anni, dovresti essere abituata ad esserne priva. Da quando hai scoperto della sua sopravvivenza sei diventata disobbediente, magari se morisse torneresti docile come un tempo.-

Dopo l'ultima, spregevole frase, il losco figuro tornò da dov'era venuto, lasciandole lì. Una volta girato l'angolo, Ksenia scoppiò in lacrime come una bambina e si accasciò sul pavimento. Sera si inginocchiò accanto a lei e cercò di consolarla, ma senza successo. Non credeva che un padre sarebbe mai stato capace di dire una cosa del genere riguardo alla progenie della figlia, ma a quanto pare questi fantomatici agarthei erano fatti di tutta un'altra pasta.
Artemiya non poteva sopportare di sentire nuovamente tutto quel dolore, perciò si allontanò da loro ed iniziò a girovagare nell'edificio, finché non si ritrovò in una camera completamente buia. Un passo avanti e quelle strane luci azzurre si accesero fino ad illuminare una figura umanoide. A primo impatto si spaventò a morte e volle fuggire, ma dopo pochi secondi notò che essa sembrava più una statua, perciò decise di avvicinarsi presa dalla curiosità.
Sembrava un uomo, con i capelli biondi lunghi fino alle spalle ed un'armatura bianca che gli copriva quasi tutto il corpo tranne il viso. Solo quando si trovò molto vicino si accorse che quello era un cadavere vero e proprio e che l'incisione sul petto era una parte del Segno di Blaiddyd.
Il... re? Era lui?!
Impaurita, iniziò ad indietreggiare, ma un tocco sulla spalla la fece saltare. Quando si voltò, vide il padre della regina che la fissava austero dall'alto. Rimase paralizzata.

- Conosci questo cadavere? Hai legami di sangue con lui? – Lei annuì in modo meccanico. – Lo immaginavo.-
- Cosa volete da me?-
Lo scienziato si allontanò da lei e posò una mano sul petto della mummia.
- Quest'uomo aveva un potere devastante che persisteva anche da morto, bastava solo analizzare il suo sangue per capire perché a salire al trono erano esclusivamente i portatori del suo Segno. Quando accadde il regicidio era nei piani rapirlo per sottoporlo ad esperimenti, ma tutti ebbero il terrore di farlo... eppure, da bambino aveva un viso così angelico. Un angelo che nascondeva un vero e proprio demonio.
Tu fai parte del ramo inutile della famiglia, attorno a te non c'è quell'alone di innata potenza. Vorresti ottenerlo? Finalmente sentirti degna di essere una "Blaiddyd"? Avete un legame di parentela, sei predisposta ad accettare il suo sangue.
Svilupperesti il Segno di Blaiddyd, la sua immensa forza...-

Artemiya lo fissò dritto negli occhi. Lei... predisposta a sviluppare il simbolo della sua famiglia, che tanto aveva bramato sin da bambina...? Se solo lo avesse avuto, se solo ci fosse nata, avrebbe potuto fare molte più cose per riuscire a riprendersi il suo regno, invece era solo una normalissima ed inutile ragazzina che doveva allenarsi come chiunque altro per ottenere risultati che Aleksei aveva superato in pochissimi giorni.

- ... Qual è il vostro nome, signore?-
- Il mio nome è Myson, rinomato scienziato di Agartha ed attuale Agastya delle Serpi delle Ombre.-
- Myson... non sapete quanto, durante tutta la mia vita, io abbia desiderato quel potere, ma se sono nata senza è perché il destino ha voluto così, non posso abbandonarmi all'egoismo quando il suo ultimo possessore è nel braccio della morte proprio a causa di esso.
Penso che voi vogliate più preservare quella fantomatica "Luna Crescente", non vostra figlia. Ebbene, una seconda Luna Crescente, mescolata con il Segno di Blaiddyd, su cui avete tanto voluto mettere le mani, è rinchiusa ad Enbarr e, tra meno di un mese, scomparirà per sempre. Volete davvero perdere un oggetto di studi tanto importante?
Vi prego, se davvero amate la regina, per favore, salvate suo figlio, salvate il principe, o le spezzerete il cuore. Ha già sofferto così tanto...-
- Voi discendenti delle bestie siete stati i primi ad assassinare senza pietà, ma parlate comunque di pace e amore. Siete rivoltanti.-

- Mitya... cosa devo fare? Dimmelo, per favore... parlami ancora una volta, senza di te sono persa, lo sai.

Era ormai arrivata la notte -non che in quel luogo illuminato artificialmente facesse differenza-, le due ragazze dormivano e Ksenia era al cospetto del marito, seduta a terra e con le braccia avvolte attorno alle sue gambe. Se non l'avesse trovato ancora lì, ad aspettarla, forse sarebbe andata completamente fuori di testa, ma lui, seppur silente, aveva ancora la capacità di tranquillizzarla.

- Sei sempre appresso a quel mucchio di carni rinsecchite. È morto, non ti risponderà. – Lei non si voltò. – Mi serve il tuo sangue, vieni.-
- ... – No. – ... Sì, padre.-

Myson la prese per mano, conducendola nel suo laboratorio, sul tavolo erano già presenti i suoi strumenti. Come al solito, con una lama affilata tagliò le vene del braccio sinistro e raccolse il sangue in un'ampolla, ma stranamente non lo bevve.

- Ho avuto un dialogo con la Blaiddyd, prima.-
- Non osate toccare le due ragazze, se non avete intenzione di aiutarmi le farò tornare ad Itha.-
- Sei sempre così precipitosa. Ma non è nei miei piani far loro qualcosa, ormai gli esperimenti sui Segni non mi divertono più.
È vero che tuo figlio ne possiede due? – Lei annuì. – Magnifico, la Luna Crescente è stata un completo successo, sono sicuro che il re di Agartha ne sarà molto felice e ci farà avere l'aiuto dei tre principi.-
- State dicendo che mi aiuterete a salvare Aleksei?-
- Lo faccio solo per la scienza.-

- ... e così l'ex granduca ha avvelenato con l'inganno la nipote pur di non consegnarmela, io stesso l'ho vista contorcersi in agonia fino alla morte.

Ephraim odiava dire bugie, ma per raccontare quella si era impegnato come mai prima d'ora. Aveva anche consegnato una delle ciocche castane e boccolute della ragazza in questione come pegno, ma il terrore di essere scoperto era ben vivido.
Sotto il suggerimento della sorella aveva omesso molti particolari della sua sosta ad Itha, primo fra tutti la presenza sua, di Sera e di Mitja; l'Impero avrebbe potuto volere anche loro e la situazione si sarebbe aggravata, soprattutto se avessero scoperto che la regina, la donna che l'imperatrice stessa aveva seppellito, fosse ancora viva e stesse tramando per detronizzarla.

- Quell'uomo è sempre stato una persona orribile. Ho capito, puoi andare, mi spiace che tu abbia dovuto fare un viaggio tanto lungo per nulla.- Edelgard sembrava parecchio irritata.
- È il mio dovere, Maestà, l'ho fatto volentieri.-

Non c'era altro tempo da perdere. Mancavano solamente tre giorni all'esecuzione, doveva assolutamente dire al principe dove trovare Areadbhar e pregare che, primo, non lo scoprissero e, secondo, che il loro piano andasse liscio, ovviamente implicando che Aleksei riuscisse a camminare sulle sue gambe -e fossero ancora attaccate al bacino, soprattutto-.
Scese le scale fino alle prigioni e, sulla via, incontrò una giovane donna vestita di bianco, la quale subito gli domandò chi fosse. Lui le rivelò la sua identità e spiegò che fosse lì per comunicare qualcosa al prigioniero in nome di Edelgard, ma erano informazioni riservate perciò dovevano rimanere soli.
Lei non si fece troppe domande -forse era poco astuta-, si limitò a consegnargli una siringa dal liquido trasparente e gli disse di usarla in caso fosse diventato violento, a quanto pare non lo aveva ancora incontrato quella mattina e non era sedato. Gli aprì la porta della cella e se ne andò.
Le condizioni del principe a primo impatto non sembravano pessime; i suoi vestiti erano bruciacchiati ed impregnati di sangue più o meno secco -l'odore era nauseabondo-, ma sulla pelle in vista non c'erano ferite, era solo molto sporco. Il generale non riusciva a capire come facesse a dormire con mani e piedi legate ed impiccato con una catena al collo.
Per prima cosa la tolse dal gancio, facendolo svegliare; i suoi occhi avevano perso tutta la loro lucentezza, come se fossero avvolti dalla nebbia.

- E—- Tentò di parlare dalla sorpresa, ma finì solo per tossire.
- Non sforzatevi, Altezza, abbiamo poco tempo ed io ho molte cose da dirvi.
... sono stato ad Itha, ho saputo della vostra incarcerazione solo tramite la lettera che ho dovuto consegnare. Lì ho fatto la conoscenza di una donna di nome Ksenia.-
- Mamma...- Aleksei non aveva mai pianto per le torture, ma pensare a lei, al suo dolore...
- Proprio così. – L'uomo gli asciugò una lacrima che viaggiava sul suo viso. – Io e lei abbiamo parlato molto di argomenti al momento superflui— – Era importante salvarlo, non comunicargli la loro parentela. – alla fine, sono giunto alla conclusione che non permetterò la vostra esecuzione, vi aiuterò a tornare da lei.-
- E Artemiya... Mimi... lei dov'è...?-
- Non preoccupatevi, ho detto all'imperatrice che Rufus l'ha avvelenata. Sta bene, è con vostra madre e Sera.-
- Qual è il piano?-
- Dovete recuperare Areadbhar, che si trova nel punto più profondo del palazzo e poi risalire in superficie, ma dovrete farlo da solo: se venissi scoperto giustizierebbero anche me e non posso nemmeno portarvi la lancia perché il suo potere è fuori controllo ed io non ho il Segno capace di domarla. Se riuscirete nell'intento di raggiungere la sala del trono, il punto più alto dell'edificio, allora avrete salva la vita. Purtroppo non ho tempo per raccontarvi i dettagli.-
- Come dovrei rubare la reliquia di mio padre se non conosco nemmeno le segrete labirintiche di questo luogo? Questo collare inibisce quasi completamente i miei poteri, non so—-
- Principe. – Il tono dell'uomo diventò lapidario. – Avete visto quella donna? È stolta quanto un caprone e voi siete estremamente abile a prendere in giro i furbi, per voi è una sfida già vinta, tirate fuori le vostre armi.
Per quanto riguarda l'altro problema, ho un messaggio da parte di vostra madre: "Ascolta la Luna Crescente e consolida il legame con il tuo primo Segno. Non hai bisogno di occhi, essa illuminerà la via. La Zampa del Leone è viva e vegeta, i battiti del vostro cuore vanno all'unisono, seguili".-
- ... Ho capito.-
- Dovete promettermi di salvarvi, ne siete in grado, basta solo la forza di volontà. Non siete completamente solo, qualcuno vi tenderà la mano.-
- Grazie... grazie, Ephraim.-
- Ora però devo andare. Scusatemi per quello che sto per fare.-

Il generale prese la catena e riappese il prigioniero, poi svuotò a terra il contenuto della siringa ed uscì. Incontrata la donna, le disse che lo aveva già sedato e non c'era da preoccuparsi.
Aspettava solo che il principe iniziasse a scatenare l'inferno.

Shambhala era solo l'ultima città, quella "esca", più esposta e vicina alla superficie, ma la capitale Agartha era  oltre ad essere estremamente nelle profondità del Fódlan -si trovava sotto all'ex territorio dei Gautier, alla fine di un lungo tunnel che partiva dai monti Hrym-, la più florida e, soprattutto, viva.
Ksenia ci era già stata più volte negli ultimi vent'anni, ma Sera ed Artemiya erano completamente disorientate e sconvolte alla vista di tutto ciò che le circondava. Agartha era disseminata di enormi palazzi a parallelepipedo illuminati da migliaia di luci, sulle strade lisce e nere sfrecciavano cavalli e carrozze di metallo capaci di muoversi in autonomia, in cielo -che cielo non era- si potevano addirittura vedere veicoli volare senza ali.
Sembrava che, visitando quel luogo sotterraneo, si fossero istantaneamente catapultati in un futuro estremamente lontano, migliaia di anni avanti.
Non avevano però il tempo di fare una visita di piacere, la loro destinazione era la gigantesca piramide, grande almeno tre volte quella a Shambhala; il palazzo reale.
Myson aveva già scambiato della corrispondenza con il re in persona e, in cambio del preziosissimo sangue della figlia, aveva avuto modo di accelerare i tempi e fargli incontrare i suoi eredi.
Quando si avvicinarono al bizzarro edificio, i tre erano già lì ad aspettare gli ospiti. Il primo era un uomo molto alto, sui trent'anni, magro, vestito interamente di nero, pallido quanto un cadavere e con occhi scurissimi circondati da trucco sbavato, i capelli corvini erano rasati sul lato destro del capo e dall'altro arrivavano quasi alle spalle.
La seconda era una ragazzina, quindicenne per esagerare. Era piccola, acerba e sembrava una bambolina. I capelli erano neri, lisci e lunghi fino al bacino, la frangia era molto corta e le tempie rasate. Le sopracciglia mancavano e anche i suoi occhi erano molto scuri. Vestiva di viola, nero e bordeaux, legato alla cinta aveva un tomo.
Il terzo era di qualche anno più giovane del primo, di statura poco inferiore, indossava un'armatura viola e dorata, al collo e ai polsi aveva dei collari con delle borchie molto appuntite. A differenza degli altri fratelli, lui era però albino e, con quei capelli bianchissimi e le iridi scarlatte, spiccava tra tutti.
Quest'ultimo, non appena incrociò lo sguardo con Ksenia, prese l'iniziativa ed iniziò a correre giù per la lunga scalinata. Quando la raggiunse, le prese le mani e le strinse tra le sue, un sorrisone in viso ed un luccichio negli occhi.

- Ksenia, siete sempre più bella...! Sono ammaliato.-
- Si chiama Anaxagoras, chiamala con il nome della nostra patria.- Il corvino aveva una voce gelida ed atona.
- Smettila di fare il pignolo, Malkuth, la chiamerò soltanto con il nome che desidera lei.-
- Sei sempre così gentile con me... grazie, Thamiel. Ma dobbiamo parlare del perché ho richiesto questo incontro. – Lasciò le mani del giovane per rivolgersi a tutti e tre. – Vostro padre vi ha informati del motivo per il quale ho chiesto aiuto?-
- Al re importa solo del vostro sangue, Anaxagoras, – Fu il più anziano a parlare. – non penso abbia letto per intero la lettera che gli è stata inviata. Ma, qualunque cosa si tratti, siamo obbligati ad obbedirvi.-
- Ho capito, vi spiegherò tutto in breve. Avrò bisogno soprattutto dell'aiuto di Thamiel, – Si rivolse all'interessato. – e di Behemoth. Come sta? Può unirsi?-
- Certamente, sarà felice di farlo se sono io a chiedere. Anche se dovessimo emergere in superficie.-

 

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Capitolo 17
*** 16 ; Children of the Sun ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

16

Children of the Sun


Le parole di Ephraim gli erano entrate dritte nel petto ed ora stavano ardendo al suo interno, molto più dell'acqua bollente che quella maledetta pazza si divertiva a buttargli addosso tutti i santi giorni. Se non avesse avuto quel potere rigenerante, chissà come sarebbe stato ridotto il suo intero corpo a quel momento. Non voleva pensarci.
Lei venne da lui per la prima volta quella mattina, già pronta a mettergli le mani addosso e a fargli chissà quali angherie; ad occhi chiusi la sentiva canticchiare, sembrava felice... brutto segno, o forse poteva usare la situazione a suo vantaggio.

- Mio caro Benedikt... – Gli si inginocchiò davanti, accarezzandogli il viso con le mani. – presto dovremmo separarci, quanto vorrei che il nostro sogno d'amore possa continuare per sempre. Ma, purtroppo, anche le cose belle arrivano ad una fine. – Tolse la catena dal gancio, lui schiuse gli occhi e la guardò con iridi vuote. – Fortunatamente, il marchese sarà così gentile da regalarmi i vostri occhi. Mancano solo tre giorni, ma quella gola... quella gola rimane intatta, la voglio tagliare, recidere la sua pelle di porcellana...-

Lui la guardava, zitto. Era al suo limite, lo percepiva, sembrava una bomba sul punto di esplodere.
Fingendo uno svenimento, si accasciò finendo per appoggiare la fronte contro la sua, dandole una vista migliore del suo bellissimo collo attraverso tutto quel ferro. Sentì chiaramente la pelle di lei avvamparsi -gli fece ribrezzo- e le sue dita gelide infilarsi in quella piccola fessura dovuta alla larghezza del collare.

- Sembrate più stanco del solito, oggi, mio principe... e poi siete sedato... forse, potrei... – Fallo, FALLO. – manca pochissimo, non posso mandarvi a morire prima di essermi liberata di questo sfizio.-

La giovane lo prese per le spalle ed appoggiò il suo corpo esanime contro il muro poi, con la chiave che aveva al collo, sbloccò la serratura e l'oggetto cadde sul pavimento con un suono metallico.
Non appena ciò accadde, entrambi i Segni si attivarono, uno infondendogli una forza sovrumana e l'altro iniziando a curare ogni stanchezza ed affaticamento nel suo corpo.
Marle nemmeno se ne accorse, con un singolo movimento Aleksei spezzò le manette dietro la sua schiena, con una mano la prese per il collo, l'altra le afferrò il volto e, in un istante, la sua testa esplose sotto la sua presa. Il principe si strappò anche le catene ai piedi e si alzò come se niente fosse, nessun rimpianto.

- E comunque, il mio nome è Aleksei Irek Blaiddyd.

Ksenia era contenta di avere i tre fratelli -soprattutto Thamiel, del quale si fidava maggiormente- dalla loro parte, non si aspettava di ricevere aiuto da Agartha, ma Mitja aveva ragione: lo stavano facendo per vendetta contro l'Impero e, molto probabilmente, in futuro sarebbero riemersi di nuovo dalle viscere della terra.
C'era però qualcosa che continuava a tormentarla nel profondo, che ancora non aveva mandato giù: Fhirdiad.
Suo padre doveva sapere qualcosa, eppure non gliene aveva mai parlato, forse per proteggerla o semplicemente perché nasconderle una cosa simile andava bene per il suo tornaconto personale. Non poteva stare zitta a riguardo perciò, mentre percorrevano a piedi il tragitto che conduceva al teletrasporto per Shambhala, decise di porgli la fatidica domanda. Loro due erano in testa al gruppo, accanto a lei Thamiel.

- Padre, prima di tornare da voi, sono andata a Fhirdiad, o a ciò che ne rimaneva. Cos'è successo? Perché il simbolo di Agartha è marchiato a fuoco sul terreno dove un tempo sorgeva la città?-
- Ordini dell'Adrestia. L'imperatrice ci obbligò a sigillarla permanentemente, appena il lavoro fu concluso tentò di sterminarci tutti.-
- Sigillarla?! Allora esiste ancora? Come si spezza il sigillo?-
- È impossibile, l'ho creato in modo che non si possa mai più aprire, scordati di tornarci.-
- Ma— per favore, io devo tornare a Fhirdiad, nella mia casa, la casa di mio figlio...-
- Anaxagoras, non comportarti come una bambina, non hai più l'età adatta.-
- Io...-
Il ragazzo albino le mise una mano sulla spalla, sorridendole.
- Myson, non credo che tu sia nella posizione di mentirle. Ti trovi davanti al futuro re di Agartha e, come tale, ti ordino di spezzare quel sigillo. Lo hai creato tu stesso e, se anche al momento non ci fosse, voglio, pretendo che si trovi il modo. Pena la morte qualora non dovessi soddisfare il mio desiderio.-

L'uomo guardò il principe con il suo occhio azzurro. Sorrideva, ma sapeva che faceva sul serio. Per sua sfortuna, quel dannato ragazzino aveva un debole per sua figlia fin da quando era un bambino; aveva sempre pensato di poter sfruttare la cosa a suo vantaggio, ma al momento sembrava esserglisi ritorta contro.
Sospirò, ormai era inutile puntare i piedi. Non voleva morire.

- ... Un modo per riaprire le porte di Fhirdiad c'è: – Il suo sguardo si spostò sulla donna. – e sei tu, figlia mia. Tu stessa sei la chiave che può spezzare il sigillo, ma ti serve la reliquia che l'Impero ha rubato al cadavere del re: Areadbhar. Presi questa misura per sicurezza e come atto di ribellione. Ma davvero, non voglio che tu veda la città. Il modo in cui era ridotta...-
- Non importa, io devo tornarci... e restituire al Regno la sua capitale ed il suo principe perduto.-

Più indietro, i membri restanti del gruppo seguivano il trio. Sera e Artemiya camminavano strette l'una all'altra, per niente sicure di potersi fidare di quei due accanto a loro, soprattutto del tizio alto e dalla faccia serissima. La ragazzina senza nome, invece, sembrava essersi concentrata proprio su Sera; la fissava con i suoi occhioni neri e ne era ampiamente interessata.

- ... Che bei capelli. – Esordì dopo un bel po', allungando la mano ai suoi riccioli castani e tirandoli leggermente per vedere l'effetto "molla". – Li voglio anche io così. Anche il colore della tua pelle, non l'avevo mai visto.-
- Ehm... vi ringrazio...-
- Sono Yolandi. Piacere. – Nessuna delle due seppe rispondere "anche per me", dopotutto si trovavano davanti ad un'agarthea. – Sembrate entrambe così impaurite. Non vi mangiamo di certo— non io, almeno.-
- Mi dispiace, Altezza. – Artemiya prese la parola. – Non volevamo essere scortesi, è solo che il vostro popolo viene sempre dipinto in maniera negativa, in superficie.-
- Non tutti gli agarthei sono dei mostri rapitori di bambini e scienziati pazzi come Myson, il nostro è in realtà un popolo oppresso e costretto a vivere sottoterra dai figli della dea, spesso per futili motivi come una diversa religione. Non si può fare di tutta l'erba un fascio. – Si avvicinò a Sera, sussurrandole all'orecchio. – Malkuth è uno dei mostri, non fidatevi.-

Aleksei uscì dalla cella lasciandosi il corpo macellato della donna alle spalle. Le sue mani grondavano del suo sangue, ne aveva anche sul petto e sul volto. Ci volle poco per incontrare la prima guardia.
Quando lo attaccò, prese anch'essa per il collo e glielo spezzò facilmente. Continuò a combatterle a mani nude finché non ne incontrò una con una lancia e gliela rubò, iniziando a mietere vittime ancor più in fretta. Gli tornarono in mente gli insegnamenti di Artemiya, lo stile dei Blaiddyd; usarlo in combattimento, con forza, era tutta un'altra storia... le teste volavano e, presto, il sangue della sua aguzzina si mescolò con quello di decine di altre persone.
Una freccia gli si piantò dritta nella spalla sinistra, ma senza battere ciglio se la strappò di dosso e la scagliò al mittente, centrandolo in fronte e spaccandogli il cranio. Uccideva i suoi assalitori senza guardarli in volto; sapeva di conoscere anche solo di vista tanti di loro, ma non poteva soffermarcisi sopra, ormai era nemico mortale dell'Impero, doveva andarsi a riprendere Areadbhar.
Riuscì a seminare i soldati ed avere finalmente un momento libero per pensare e riflettere sulle parole di sua madre.
Chiuse gli occhi, focalizzandosi sul suo battito cardiaco, cercando con tutti i sensi una via per il sotterraneo indicatogli da Ephraim. Quando li riaprì, una sensazione mai avuta prima lo pervase e decise di seguirla -non che avesse alternative, presto lo avrebbero trovato anche i corazzati-. Percorse i corridoi costantemente in allerta con la lancia rubata stretta tra le mani -nonostante fosse d'argento, essa era però vicina a spezzarsi, non sarebbe durata molto-. Mentre scendeva una rampa di scale, però, uno dei corazzati di ronda lo avvistò ed esortò i compagni ad inseguirlo.
Non poteva stare lì a combattere e sprecare tutta l'adrenalina in corpo, perciò prese a correre più veloce che poteva, quasi senza una ragione. Non sapeva più dove andare, né se si stesse avvicinando o allontanando dall'obiettivo.
Lo avevano quasi raggiunto, finché, ad un bivio, non vide una figura in armatura bianca, acefala, puntare il dito verso destra. Non aveva bisogno di farsi domande, né di maledire suo padre per non essersi più manifestato da quando l'aveva fatto parlare con sua madre, seguì solamente la direzione indicatagli finché non vide un portone chiuso. Normalmente non l'avrebbe mai fatto, ma ci si lanciò contro con una violenza tale da scardinarlo e buttarlo giù. Successivamente, si voltò e scagliò un potentissimo Thoron contro i suoi inseguitori, friggendoli all'istante.
Raccolse da un cadavere la sua fiaccola, ma non appena guardò nella stanza capì che sarebbe servita a poco.
Al suo centro c'era un'enorme stele di pietra ed incatenata ad essa una lancia. Era più grande di lui, l'asta in un metallo grigiastro, la punta aveva una forma particolare, sembrava davvero una zampa in osso. Brillava di una luce incandescente ed emanava energia propria.
Il giovane si avvicinò e, quasi con timore, la toccò; nello stesso istante sentì qualcosa di estremamente potente pervaderlo. Strappò le catene che la tenevano imprigionata e, tenendola finalmente tra le mani, i loro cuori si allinearono e la sua forza gli fluì nel corpo come il mare in tempesta. Areadbhar stava urlando, era adirata, bramava sangue e voleva che fosse lui, unico umano compatibile sulla faccia della Terra, a nutrirla.
In quel momento non era nella posizione di negarglielo, entrambi erano stati chiusi per vent'anni in una gabbia... era ora di uscire.

Avere Areadbhar in suo possesso lo metteva altre dieci spanne sui nemici; con essa la potenza dei suoi attacchi si era triplicata e non doveva preoccuparsi del suo Segno ogni qualvolta si attivasse, l'arma resisteva perfettamente ai suoi picchi di forza e, anzi, lo accompagnava per renderlo ancor più letale. Riusciva ad usare facilmente anche quella tecnica inventata con Artemiya, elettrificando la lancia per scagliare attacchi lontani o folgorare chiunque ne venisse a contatto.
Seguendo le istruzioni del Generale von Gerth, stava risalendo dalle viscere del castello fino al punto più alto, la sala del trono. Non sapeva se fosse la giusta mossa buttarsi nelle grinfie dell'imperatrice, ma di lui si fidava e, se gli aveva lasciato prendere la reliquia, allora non poteva mentire.

Era da tanto che Hans non tornava a casa e, di certo, non sarebbe voluto essere lì per assistere ad un'esecuzione. Non sapeva di chi, ma sembrava davvero importante data la richiesta della sua presenza.
Lo avevano prelevato con urgenza dal Garreg Mach pochi giorni prima ed ora, stanco e provato dal viaggio appena svolto, si trovava al cospetto della madre, con la quale stava conversando. Si aspettava di trovare anche suo fratello ad accoglierlo, ma di lui neanche l'ombra.
Si divertiva sempre a prenderlo in giro ed a fingere di odiarlo, ma il giovane sapeva che non lo avrebbe mai evitato di proposito.

- Madre, dov'è Benedikt?-
- Non è qui, si trova in viaggio.-
- Davvero...? Dov'è andato, perché lui non assisterà, mentre io sì?-
- Abbiamo preso questo criminale da poco e, data la sua pericolosità, abbiamo deciso di abbreviare il rito. Purtroppo tuo fratello si trova molto a nord, per farlo arrivare qui ci sarebbe voluta un'eternità.-

Avrebbe voluto farle altre domande, ma la loro rimpatriata venne interrotta da un cavaliere che, allo stremo delle forze, comunicò loro che nelle prigioni si era svolta una strage e che il carnefice si stava dirigendo proprio lì, con la forza di un toro ed un'arma incendiata in possesso.
Edelgard scattò in piedi come una molla, Yagrush già pronta in mano; da quando la reliquia era stata fabbricata a partire dal cadavere della Purissima, non aveva mai avuto modo di usarla... sembrava che, dopo vent'anni, fosse finalmente arrivato il suo momento.

- Hans, devi andartene da qui. Quell'uomo è estremamente pericoloso.

Il principe non fece in tempo ad ascoltarla che, una figura imbrattata di sangue dalla testa ai piedi, fece il suo ingresso nella sala del trono, scagliandosi dritta verso sua madre. Aveva con sé una lancia gigantesca ricoperta di fuoco e scariche elettriche con cui attaccò la donna, la quale riuscì a bloccarlo con l'ascia.
I suoi occhi blu seguirono lo scontro, il corpo incapace di muoversi. Sembravano alla pari, ma quell'uomo mostrava una parvenza di fatica e, dopo poco, si mostrò chiaramente in svantaggio. Ma in lui c'era qualcosa di familiare.
Lo guardò meglio.
Capelli biondissimi, lunghi fino al bacino, molto alto, pelle -quella poca non sporca di sangue- bianca, occhi di ghiaccio.
...

- BENEDIKT?!

Urlò di colpo il suo nome, ma entrambi furono sordi al richiamo. Continuavano a duellare in silenzio, ogni colpo sempre più violento, le reliquie sempre più luminose.
L'unica soluzione che gli venne in mente fu quella di buttarsi in mezzo a loro in un tentativo di separarli e, per sua fortuna, i due si fermarono immediatamente.
Hans guardò prima Edelgard e poi il fratello maggiore, sconvolto dalle sue condizioni disumane – non sapeva come fosse riuscito a riconoscerlo, di lui non c'era neanche l'ombra. Tutti i suoi vestiti perdevano gocce scarlatte, era a piedi nudi, spettinato...
Fece un passo in avanti e gli appoggiò le mani sulle spalle, guardandolo in quegli occhi gelidi ‐anche più freddi del solito, vuoti-.

- Cosa... cos'è successo...?

Aveva paura a dirlo, forse dentro di sé sperava di ricevere una risposta differente da quella ovvia: il prigioniero era lui. Ma perché?
Lui ricambiò lo sguardo ma, invece di parlare, gli mise la mano libera dalla lancia sulla schiena e lo tirò a sé, abbracciandolo in silenzio.
Hans voleva delle risposte, non vedere metà della sua famiglia combattersi in modo così feroce. Strinse il corpo del fratello più forte che poté, non curandosi del rosso che si stava trasferendo anche ai suoi vestiti. Gli era mancato così tanto...
Nemmeno Aleksei sarebbe voluto arrivare ad un punto simile, erano state le circostanze a metterlo in una posizione tale da fargli ammazzare mezza guardia reale, chissà quanti soldati semplici ed attaccare a testa bassa la donna che lo aveva cresciuto.
Si separarono ed Areadbhar divenne meno luminosa.

- Dovresti fare queste domande a tua madre, chiedile perché prima ha rinchiuso il figlio del fratellastro che ha ucciso in una gabbia e poi, quando esso ha voluto la sua libertà, ha deciso di metterlo alla gogna. Chiediglielo, Hans.-
- Io... io non capisco, Bennie, cosa—-

Il rosone sul soffitto esplose ed una gigantesca figura si infilò nel foro con prepotenza. Sembrava una viverna, ma non lo era affatto, quello era un vero e proprio drago.
Atterrò con tutto il suo peso sul pavimento di marmo ad ali spiegate, facendo tremare l'intero palazzo tanto forte da dare una parvenza di crollo. La bestia era totalmente nera, il muso grosso ricoperto di squame e pelliccia; sei corna svettavano sulla sua testa, un occhio rosso ed il destro reso cieco e lattiginoso da una grossa ferita cicatrizzata in modo grossolano. Il collo era lunghissimo e le ali sembravano quelle dei pipistrelli, con la pelle che in controluce lasciava intravedere la struttura ossea all'interno. Quando si posò a terra aveva volontariamente separato Aleksei dai due con l'ausilio della zampa anteriore sinistra, enorme, magra ed artigliata.
Il biondo si accorse però che la creatura aveva in sella un cavaliere. Era un giovane uomo, forse suo coetaneo, con pelle e capelli bianchi come il latte ed iridi sanguinolente. Era vestito con un'armatura viola e, con un sorriso innocente in volto, gli stava tendendo la mano guantata di rosso. Non sapeva chi fosse, ma quel gesto gli fece riaffiorare le parole del generale: "Qualcuno ti tenderà la mano".
... E sia.
Tenendo ben salda Areadbhar, accettò l'invito dello sconosciuto, il quale lo tirò in sella al drago e lo fece posizionare dietro di lui.
La bestia spiegò le ali e, con un unico battito, si librò in volo ed uscì da dov'era entrato. Volarono per un po', ma in corrispondenza del bosco essa iniziò a planare e, prima di impattare contro gli alberi a causa della sua stazza, iniziò a rimpicciolirsi. Quando i due giovani piombarono sul manto d'erba, davanti a loro si era palesato un uomo.
Era alto, molto magro, dalla pelle chiara. Aveva i capelli di un biondo verdastro che si intensificava verso le punte, legati in una treccia mescolata con un nastro bianco ed uno rosa ed arrotolata attorno al collo come una sciarpa. L'occhio sinistro era verde scuro, il lato destro del viso attraversato da una grossa cicatrice e l'iride biancastra, le sue orecchie erano a punta.
Si tolse il mantello che aveva sulle spalle e subito lo mise in testa all'albino, coprendolo dai raggi del sole mattutini.

- Altezza, come state?!- Sembrava tremendamente preoccupato. "Altezza"? Era un principe, quel tizio?
- Ti ringrazio... – Lui ansimava, stropicciandosi gli occhi. – Ho pensato che la mia pelle avrebbe preso fuoco da un momento all'altro, non vedo più nulla...-
- Vi avevo detto di non uscire con tutta questa luce, siete estremamente sensibile ad essa.-
- Lo so, ma la Luna Crescente aveva previsto questo specifico arco della giornata, se fossimo arrivati stanotte il principe sarebbe potuto essere morto!-
"Luna Crescente"...?!
- Scusate— – Aleksei li interruppe, ancora ampiamente rintronato dalla caduta e da tutto quel combattere. – chi diamine siete, voi due?- Nonostante fosse seduto a terra, la sua mano rimaneva salda su Areadbhar.
- Oh—! – Il tizio si alzò in piedi. Era ridicolo con quel telo sulla testa. – Il mio nome è Thamiel, secondo principe e futuro re di Agartha, mentre lui è Behemoth il Notturno, mio fedele attendente. È un piacere fare la tua conoscenza, Aleksei Irek Blaiddyd... hai gli stessi occhi di Ksenia, quel meraviglioso azzurro ghiaccio. Vorrei dirti anche quanto somigli alla mummia del defunto re, ma il tuo viso è talmente una maschera di sangue da risultarmi impossibile capirlo.- Ridacchiò. Il drag— uomo si preoccupò di tenergli il capo coperto mentre si muoveva.
- Agartha...? Perché mai il principe ereditario in persona dovrebbe aiutarmi, rischiando addirittura la vita?-
- Ordini dal re. Va pazzo per il sangue di tua madre, Myson gliene ha offerto un po' e, senza battere ciglio, ci ha spediti a Shambhala per contribuire alla causa. Stupido vecchio.-
- Non dovevi venire a prendermi se non ti andava.-
- Stai fraintendendo: sono stato io ad offrirmi volontario, Ksenia è molto importante per me, non voglio vederla soffrire di nuovo.-
- Voi vi conoscevate già...?-
- Vent'anni fa ha vissuto nella reggia di Agartha per qualche tempo e si è presa parecchio cura di me. Ero molto piccolo, ma mia madre già pretendeva da me fatiche indicibili a causa dell'albinismo... lei mi consolava spesso, la consideravo come il mio vero ed unico genitore. Salvare la vita della persona più importante per lei è il minimo che possa fare per ripagarla.-
- Per quale motivo dovrebbero chiederti di faticare a causa dell'albinismo? Non è una patologia in parte invalidante?-
Epimenides. – Fece una pausa, trattenendo la risata. – Pensano che io sia la reincarnazione di questo agartheo, albino anch'esso, che combatté contro i draghi un millennio fa. Il fatto che io abbia ereditato il Segno delle Fiamme dopo secoli nella famiglia mi rende una specie di divinità salvatrice agli occhi del mio popolo. La verità? Sono solo un tizio malaticcio, soggetto ad infezioni e che rischia di bruciare ed accecarsi alla minima luce del sole.
Sono il secondogenito del re, eppure sarò io ad ereditare il trono, l'ho rubato a mio fratello e questo mi fa sentire in colpa.-

Aleksei non si aspettava che un agartheo, dopo tutte le storie sentite, fosse una persona del genere. Pensava fossero tutti dei pazzi che si divertivano a sperimentare sugli innocenti, ma quel Thamiel sembrava tutt'altro, forse più sincero e gentile di tanti altri nobili con cui aveva avuto a che fare.
I tre decisero di aspettare il calar del sole nascosti nel bosco -difficilmente sarebbero venuti a cercarli, con tutti i soldati uccisi e l'enorme danno fatto alla struttura della reggia-, e partire verso Shambhala, dove il resto del gruppo li stava aspettando.
Il principe si lavò il sangue da pelle e capelli in uno specchio d'acqua, ma per i vestiti non c'era molto da fare.
La luce stava venendo meno, il momento si avvicinava.


Spettacolare illustrazione della mia amica Goldah. Seguitela su instagram: solarockk

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Capitolo 18
*** 17 ; The Grand Conjuration ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

 

17

The Grand Conjuration


Quando sua madre lo vide, barcollante, si fiondò addosso a lui, seminando Sera e stritolandolo. Gli affondò la testa nel petto e strinse il tessuto della sua camicia lacera tanto forte da rovinarla ancor di più. Solo dopo la ragazza riuscì ad aggiungersi all'abbraccio, commossa dal poterlo toccare di nuovo.

- Non fare mai più una cosa simile, dannazione... sono già due volte che mi lasci da sola. Alla terza, piuttosto ti uccido con le mie stesse mani...!- Aleksei sorrise, poggiandole una mano sulla testa riccioluta.
- Mi dispiace. Ho fatto un gravissimo errore. – Si separò dalle due. Aveva bisogno di un po' di respiro. – Voglio ringraziare tutti voi, che avete contribuito a salvarmi la vita, non ci sono parole per spiegare quanto io abbia apprezzato questo gesto.- Vedere tutte quelle persone a Shambhala era davvero strano, l'ultima volta che c'era stato la desolazione era fin troppo palpabile.
- Aleksei... quella... quella è... – Artemiya lo guardava con la bocca spalancata. Tutti si erano concentrati su di lui, ma... – Areadbhar... la Macellaia...-
- Sì, è proprio lei. Ci ho sempre vissuto sopra, ignaro.-

Non appena finì la frase, ebbe uno svenimento e riuscì a tenersi in piedi proprio grazie alla reliquia. In fretta e furia venne portato a riposare e gli furono dati cibo ed acqua -Marle aveva deciso di testare la sua semi-immortalità anche negandogli ogni tipo di nutrimento-, che accettò volentieri. L'unico sapore che aveva sentito nell'ultimo periodo era stato quello del suo stesso sangue. Subito dopo il pasto, crollò addormentato sul letto in cui era seduto, per la prima volta libero dalle catene.
Mentre Artemiya e Sera tenevano un occhio vigile su di lui, Ksenia prese con sé Areadbhar. Era davvero pesante per le sue braccia mingherline, capiva bene perché non si rompesse sotto la forza dei suoi portatori.
Si diresse da suo marito, una tenue luce azzurra illuminava la sua salma. Nel momento in cui fu abbastanza vicina, sentì il potere della reliquia fluirle dentro, il suo spirito urlare.
Areadbhar era adirata, strepitava alla vista del suo vecchio possessore, tremava, brillava e piangeva lacrime dolorose. La donna strinse forte l'asta tentando di calmarla, ma l'arma non sembrava sopportare la situazione.

- Mi dispiace... se solo fossi stata più forte, quel maledetto giorno... avrei voluto avere il coraggio di disobbedirgli, di bruciare l'intero campo di battaglia e quella strega con le mie stesse mani. Ma non l'ho fatto, ed ora mi ritrovo qui, in un buco sottoterra, a parlare con una lancia ed un cadavere.

Accennò una risata, ma presto essa convertì in singhiozzi sommessi e, poi, un pianto. Scivolò lentamente sul pavimento portandosi la reliquia con sé e bagnandola di lacrime. Essa tremò più forte, quasi come se avesse assimilato parte della sua tristezza. Anche se non erano connessi tramite lo stesso Segno, lo spirito al suo interno la riconosceva ed empatizzava con lei. La ricordava bene al fianco del suo vecchio proprietario.

- Areadbhar, ti chiedo di aiutarmi a riaprire le porte di Fhirdiad. Solo insieme possiamo riprenderci ciò che ci è stato rubato... questo non porterà indietro Mitya, ma assicurerà un futuro ad Aleksei, porterà avanti la stirpe dei Blaiddyd...

Smise di tremare e splendere, iniziando a sembrare una -quasi- normalissima lancia. Ksenia accarezzò con la mano la Pietra Segno, lei stava ancora piangendo.
Se Areadbhar poteva rattristarsi per la morte di uno dei leoni, ci era però abituata; era passata tra tantissime mani, alcune più violente, altre più miti... lei, invece, aveva avuto una sola persona di cui potesse fidarsi nel primo arco della sua vita ed essa gli era stata portata via all'improvviso.
Trovarsi completamente sola era ciò che aveva aperto una crepa dentro di lei; più si allargava, più la sua magia si disperdeva all'esterno e, più magia usciva, più il buco si ingigantiva, in un circolo vizioso inarrestabile.
Una mano le si appoggiò sulla spalla e la risvegliò di colpo dal torpore. Senza che potesse controllarsi, aveva quasi interamente congelato la reliquia con la magia, la quale si dissolse nel momento in cui si riprese.
Voltò il capo, incontrando gli occhi scarlatti di Thamiel.

- Mi hai fatta spaventare...-
- Che succede? Ti ho sentita piangere e— ho visto Areadbhar mezza congelata.-
‐ Nulla di grave, – Si asciugò il volto con il dorso della mano. – mi rattrista sempre stare in compagnia di Dimitri. Vorrei tornasse a rispondermi.-
So quanto ti fa stare male tutto ciò... ma non ti ho mai vista lasciar uscire tutta quella magia. Ti prego, dimmi che non morirai da un momento all'altro...-
- Mi sono ripromessa di rimanere in vita finché Aleksei non sarebbe diventato re. Non mi lascerò sopraffare, questa causa è estremamente importante per me.-
- Non voglio che tu ti spinga al tuo limite per morire il più tardi possibile, voglio che tu non muoia e basta. Possiamo trovare una soluzio—-
- Venticinque anni fa, ancor prima dell'inizio della guerra, feci un sogno. In esso c'era un ragazzo con dei lunghi capelli biondi, inginocchiato nella neve e con un corpo smembrato tra le braccia. Mi dava le spalle ed io pensai fosse Dimitri, che quella premonizione riguardasse lui, ma morì cinque anni dopo e quell'evento non successe.
Da quel momento aspettai e, intanto, iniziavo a morire anch'io. Quando, pochi mesi fa, è accaduto, ho pensato di aver previsto gli ultimi istanti della mia vita, perciò ho usato tutti i miei mezzi per salvare Sera. Poi l'ho visto in volto, il ragazzo, e ho capito di aver sognato mio figlio.
Sono vent'anni che aspetto e desidero la mia morte, Thamiel, mi dispiace dover lasciare Aleksei, te e tutti gli altri a cui tengo, ma questo è il mio più grande desiderio. Mio marito mi aspetta.-

Il principe non riuscì a risponderle, limitandosi ad offrirle aiuto con Areadbhar e a darle la mano per farla rialzare. Nonostante indossasse degli spessi guanti, riuscì a percepire il gelo della sua pelle, la magia fuori controllo che continuava ad uscire. Sperava davvero che non collassasse da un momento all'altro; senza di lei, tutto il suo piano si sarebbe sgretolato. A lui non importava nulla di Fhirdiad o del Regno, voleva solamente aiutarla nella sua causa come ringraziamento per essergli stata accanto quand'era bambino e, finalmente, vederla felice per la prima volta dal loro primo incontro.

Il mattino dopo giunse in fretta, ma Aleksei non accennava a svegliarsi, dormiva da quasi un giorno intero -anche quando si trovava nel bosco con Thamiel era presto crollato-, la sua stanchezza era immane.
Ksenia gli accarezzò la guancia, ammirando il suo bambino; era così bello ed al contempo dolce quando si mostrava vulnerabile... non osava immaginare cosa gli avessero fatto quei dannati imperiali, a giudicare da come si era ripresentato a Shambhala. I vestiti non sarebbero mai tornati come un tempo, perciò li aveva fatti portare via ed al loro posto gli vennero dati dei nuovi capi.

- Qual è la nostra prossima meta?- Anche Artemiya era sveglia. Sera, invece, dormiva accanto ad Aleksei.
- ... Fhirdiad. Finalmente, abbiamo i mezzi per poter riaprire le porte.-
- Siete seria? Non ci credo... Fhirdiad... finalmente potrò vederla con i miei occhi...-
- Non dovresti esserne tanto contenta, – La voce profonda di Myson si intromise nel discorso. – la città è un cumulo di macerie bruciate.-
- E noi la ricostruiremo.-
- Con quali mezzi, Anaxagoras? Anche il resto del regno è in rovina e ancora devastato dalla guerra. Questa ragazzina lo sa bene.-
- Troverò una soluzione. Ora la priorità è la reggia.-
- Cerca di non morire nel tentativo.-

L'uomo se ne andò ed Artemiya osservò Ksenia, la quale si torturava il labbro inferiore con i denti, in modo confuso. Cosa intendeva dire...?

Il viaggio per la capitale fu più veloce del solito. Thamiel e Malkuth erano tornati ad Agartha, lasciando con il gruppo Yolandi per le comunicazioni e Behemoth temporaneamente per un veloce trasporto verso la meta.
Al momento dell'arrivo, Dedue li stava aspettando dopo aver protetto il sigillo in caso di invasione da parte dell'Impero -se si fosse rovinato, sarebbe stato impossibile da riaprire-.
Quando la bestia vide il principe scendere dal drago e brandendo Areadbhar, emise un verso straziante, simile ad un pianto. Non poteva crederci, l'arma di Sua Maestà... per tutti quegli anni era stato convinto che Edelgard l'avesse distrutta o fatta disassemblare, ma invece era lì, nelle mani del suo legittimo erede.

- Dedue... – La regina gli si avvicinò, accarezzando la sua maschera di ferro. – ho trovato la soluzione che spezzerà il sigillo: – A quelle parole, lui ebbe un sussulto. – siamo io ed Areadbhar. Non è ironico? Solo il re e la regina hanno le chiavi del proprio regno.
... Padre, cosa devo fare?-
- Trafiggi la pupilla dell'Occhio di Agartha con la reliquia e fai assorbire le vostre essenze magiche al terreno. Aiutati recitando una formula, renderà l'incantesimo più stabile.-

Il figlio le diede l'arma e tutti si alzarono in volo con Behemoth, mentre Dedue si allontanò il più possibile. Una minima contaminazione energetica da parte di terzi avrebbe potuto compromettere l'incantesimo o, addirittura, mettere in pericolo chi lo stava lanciando.
Finalmente rimasta sola, la donna capovolse Areadbhar e piantò la lama in osso proprio al centro dello stemma. Le tremavano le mani, sapeva di essere instabile in quel momento, ma non poteva fermarsi proprio ad un passo dal compimento del suo obiettivo. Chiuse gli occhi, iniziando a sussurrare parole su parole e ad infondere la sua magia attraverso l'asta della reliquia.
Il cerchio si illuminò di luce viola e si espanse, generando un forte vento che le alzava le vesti ed i capelli. Più andava avanti, più l'aria ed il bagliore si intensificavano.
Suo padre era capace di fare anche incantesimi di chiusura così ostici...?
Riaprì gli occhi ed intorno a sé vide quelli che sembravano edifici sbiaditi, la terra sotto i suoi piedi ora un pavimento di mattoni grigi. Il centro del sigillo spariva lentamente e, con esso, la città cominciava a materializzarsi. Non l'aveva mai vista dopo l'incendio, fu un colpo al cuore vedere le case ridotte a macerie annerite, ma al contempo era felice di sapere che la sua casa ancora, anche se almeno in parte, esisteva.
L'incantesimo arrivò agli atti finali e, un istante prima della sua conclusione, giurò di aver visto Dimitri sorriderle in lontananza.

- Ce l'ho fatta, Mitya...

Un istante dopo, la sua gola si riempì bloccando tutte le vie respiratorie. Areadbhar le scivolò dalle mani, il suono metallico dell'asta coperto dall'impatto di lei, caduta in ginocchio sulla nuda e fredda pietra. Aveva gli occhi e la bocca spalancati e si strappò di dosso la grossa collana che portava. Si contorse, incapace sia di prendere che di buttare aria fuori dai polmoni.
Finì, solo dopo quasi un minuto di agonia, per vomitare grossi grumi di sangue scuro proprio sulla lama della reliquia, la quale incredibilmente lo assorbì come una spugna. Non se ne accorse nemmeno, non vedeva più niente, né comprendeva l'ambiente circostante.
Myson saltò giù da Behemoth e la raggiunse, sorreggendola con un braccio dietro le spalle. Un rivolo di sangue scendeva lungo il mento ed i suoi occhi azzurri erano riversi all'indietro, in uno stato di semi-incoscenza.

- Ti avevo avvertita, stupida...! Dovrei prenderti a schiaffi dopo una bravata simile. – La colpì delicatamente sul viso, facendola sobbalzare. Finalmente riuscì a vederlo. – Sei l'unica con poteri curativi, se muori come farai a perseguire questo inutile piano?-
- Io... non sono... importante...-

Subito dopo, cadde in un sonno profondo. L'uomo la scosse e provò a chiamarla per nome, ma nulla, il suo respiro era fin troppo lieve ed il cuore andava pianissimo, sembrava quasi un cadavere.
Anche Aleksei scese dal drago per verificare le condizioni della madre, ma l'agartheo gli intimò di starle lontano.

- Voi, discendenti dalle bestie, leoni indomabili, avete rovinato questa donna, la mia miglior creazione. È colpa tua, colpa di quella mummia, se lei è in queste condizioni. Non la toccare.-
- Io conosco un po' di magia bianca, posso provare ad aiutarla...!- Il giovane cercò di passare sopra a quelle cattiverie, salvare lei era più importante.
- Un Blaiddyd non può aiutare nessuno, chiunque porti quel Segno è destinato a distruggere tutto ciò che tocca, la stessa cosa succederà ad Anaxagoras.-
- Senti, – Si abbassò, fissandolo negli occhi. Era impressionante come fossero uguali ai suoi. – questa è mia madre, dannazione, non potrei mai farle del male. Ma non ci metterei nulla a farne a te, a torcerti il collo come se fosse un ramo d'albero secco.
E mi vedrò costretto a farlo, se non mi lascerai fare ciò che voglio.-

Myson assottigliò lo sguardo, ma poi finì per assecondarlo. Non che ne avesse paura, semplicemente quel ragazzo era un ottimo soggetto per esperimenti, ucciderlo gli avrebbe solo fatto perdere materiale – inoltre, sua figlia l'avrebbe odiato al punto di non obbedirgli più, un ennesimo fallimento che non poteva permettersi.

Aprì gli occhi, riconoscendo immediatamente il luogo in cui si trovava. Un letto a baldacchino con le lenzuola bianchissime, le pareti blu finemente decorate da motivi d'argento, la luce del giorno che arrivava dalla sua destra e si posava delicatamente sulla sua pelle. Mise a fuoco una sagoma umana dalla pelle diafana, i capelli biondi ed un viso bellissimo, la figura maschile la osservava con apprensione, una mano intrecciata nella sua.

- Dimi— – No, impossibile. – ... Aleksei...-
- Mamma...! – Le strinse la mano. – Sei viva, per fortuna, temevo non ti saresti più svegliata. Come ti senti?-
- Bene, come sempre. Perché ci troviamo qui...?-

Non chiese dove si trovassero, quello l'aveva già capito: la stanza da letto che condivideva con Dimitri una volta celebrato il matrimonio, luogo a lei estremamente caro perché l'unico in cui le era concesso di essere debole senza mai venire giudicata.
Suo figlio si guardò intorno alla ricerca della risposta più consona; sembrava difficile da trovare.

- Dopo aver spezzato il sigillo di Fhirdiad, hai vomitato ingenti quantità di sangue e sei svenuta, perciò ho deciso di portarti nella reggia. Una strana sensazione mi ha fatto scegliere questa stanza in particolare.

Ksenia si mise a sedere, osservando le pareti più a fondo. Tanti ricordi riaffiorarono e non poté fare a meno di commuoversi. L'ultima volta in cui era stata su quel letto, il suo bambino era nato da pochissimo e si trovava in una culla in fasce, mentre ora le stava tenendo la mano, cresciuto grande e forte e quasi dell'età di suo padre. Il cerchio si era chiuso.
Aleksei le asciugò un lacrima con il pollice e poi l'abbracciò cercando di essere il più delicato possibile. Anche lui era contento di essere finalmente giunto al suo luogo di nascita, nonostante non ci fosse più stato, sentiva un forte collegamento con quel gigantesco edificio, forse trasmesso proprio da sua madre stessa.

- Voglio mostrare il castello a te ed al resto dei nostri compagni, ci sono cose che vorrei vedeste.-
- Ti sei appena svegliata, non sarà presto? C'è tempo per una gita, adesso devi ripo—-

Lei non lo ascoltò e scese dal letto come se la sua fosse stata una dormita di piacere. Era stato allarmante ciò che le era successo dopo aver eseguito l'incantesimo di apertura, ma non poteva mostrarsi debole a chi non sapeva, la sua imminente morte era sconosciuta a quasi tutti e tale doveva rimanere – inoltre, era lei quella a possedere quel miracoloso Segno che "tutto ripara"... e casa sua le mancava da morire, non voleva rinchiudersi in quelle quattro pareti ora che dopo tanto tempo ci era tornata, desiderava solamente vivere di nuovo la reggia, sentirsi la regina di cui ormai aveva solo il titolo.
Aleksei la seguì, sia per preoccupazione, sia perché invitato da lei stessa. La donna lo condusse a ritroso lungo i corridoi che aveva percorso precedentemente, fino a giungere alla stanza del trono dove le tre ragazze e Behemoth -ora umanizzato- stavano sostando; non vi era traccia di Myson, ma nessuno se ne curò. Dopo aver convinto i presenti di stare bene -il drago, però, si mostrava più restio a crederle-, iniziò a mostrare a tutti il castello con minuziosità ed amore.
Sul muro dietro al trono era presente un gigantesco dipinto raffigurante i due sovrani da giovanissimi, appena dopo il matrimonio. Dimitri aveva i capelli corti, vestiva di blu e bianco e posava accanto alla moglie, avvolta in un sontuoso abito color vinaccia, piena di gioielli e con i capelli raccolti in un'intricata acconciatura di trecce; invece che un re ed una regina sembravano due poco più che bambini, eppure dai loro sorrisi sulla tela traspariva un grandissimo amore l'uno per l'altra.
Mentre passavano ad uno dei corridoi adiacenti, Ksenia raccontò che il loro matrimonio non era affatto in programma; lei avrebbe dovuto frequentare l'Accademia Ufficiali l'anno successivo a quello di Dimitri, aspettare la maggiore età e solo dopo diventare la moglie del re ma, a causa delle circostanze, fu costretta a sposarsi ad appena quindici anni e, per dare un futuro al regno in caso di morte del sovrano, avere un erede pronto ad ereditare tutti i suoi averi. Nessuno di loro voleva avere un figlio a quell'età e nel mezzo di una guerra, eppure si videro obbligati ad averne almeno uno. L'unica fortuna di quella tragica storia fu che riuscirono ad avere Aleksei dopo ben cinque anni, ormai a conflitto terminato.

I volti dei portatori del Segno di Blaiddyd impressi sulle tele erano tutti estremamente simili; sia uomini che donne avevano visi di rara bellezza, la pelle diafana, i capelli biondi e degli intensi occhi azzurri. Ognuno di loro somigliava parecchio ad Aleksei, mentre una regina vissuta secoli prima era tale e quale ad Artemiya e ciò la faceva sentire più vicina a quella famiglia a cui aveva sempre preferito rimanere lontana per via del suo non avere né i poteri né l'aspetto che li caratterizzava dal primo all'ultimo.
Ksenia, raggiunta una porta in legno a doppia anta, si fermò e smise di parlare, voltandosi ai presenti. Sembrava seria, più del solito, la malinconia che aveva sempre caratterizzato il suo sguardo ormai sovrastata.

- Nonostante sia una città morta, Fhirdiad è molto importante non solo per la storia del Sacro Regno di Faerghus, ma anche per me stessa. Io sono cresciuta qui, qui ho la maggior parte dei miei ricordi, qui mi sono successe le cose più belle, qui mi sono successe le cose più brutte.
Ma l'importanza non è data solo dalle esperienze vissute, in questo posto è celata una cosa che, se solo non fossi stata negligente e l'avessi portata con me, forse le sorti di quello scontro sulla Pianura di Tailtean si sarebbero ribaltate.
Ed ora voglio mostrarvela, perché questa volta non la lascerò mai più.

 

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Capitolo 19
*** 18 ; Asche zu Asche ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

18

Asche zu Asche


"Lonnbéimnech".
Così, Ksenia, aveva chiamato la corona adagiata sul cuscino di velluto. Non c'erano dubbi, quella era una vera e propria reliquia; era formata da sei spuntoni di cui quattro forati, un unico osso plasmato in uno splendido diadema. Sui lati, una Pietra Segno divisa in due parti.
La donna la prese tra le mani e si avvicinò a Behemoth, il quale alla sua vista sembrò essersi irrigidito, l'unico occhio sano fisso sull'oggetto.

- Queste ossa un tempo erano parte di te, vero? – Lui d'istinto si sfiorò la guancia ferita con le lunghe ed appuntite unghie. – ... ho il permesso di usarle in battaglia?-
- ... anche se rifiutassi, ciò non riporterebbe la mia mascella al suo posto, Maestà. Ormai sono passati decenni dalla creazione di quella reliquia, è vostra, fatene ciò che volete.-
- Mi dispiace che tu abbia dovuto subire tutto questo per colpa mia—-
- Dovete smetterla di prendervi le colpe di vostro padre e delle Serpi delle Ombre. Sono stato prigioniero di Agartha per un millennio, la creazione del drago artificiale che ha generato il vostro Segno è solo l'ultimo degli esperimenti che io ed il mio sangue abbiamo subito. Voi non c'entrate nulla, siete solo una delle tante vittime di quei mostri. – Il drago rivolse un'occhiata all'agarthea. – Scusatemi, principessa Yolandi, spero di non avervi offesa.-
Draghetto, non devi chiedere scusa a me, ti hanno fatto tanto male, è tuo diritto lamentartene.- La ragazzina rispose con tono piatto.
- In ogni caso, mi dispiace. Vostro fratello Thamiel mi ha salvato la vita e ridato la libertà, non tutti gli agarthei sono spregevoli, non ho intenzione di fare di tutta l'erba un fascio.-

Ksenia osservò la reliquia. Al contrario di Areadbhar, Lonnbéimnech non aveva un'anima al suo interno, non era viva come lei, ma solo uno strumento da usare in battaglia. La struttura in osso proveniva dal figlio della dea lì presente, mentre il cuore diviso in due parti era stato preso al drago artificiale creato unendo il Segno del Novilunio -quello di Behemoth- e quello delle Fiamme. Suo padre le disse che furono scelti quelli in particolare per l'elevata capacità magica del primo e rigenerante del secondo; la creatura nata dagli esperimenti era un abominio, ma dal sangue perfetto.
Incapaci di utilizzarlo per altro, dopo la riuscita del progetto "Luna Crescente", il mostro venne ucciso ed il suo cuore usato sulla nuova reliquia. Le ossa provenivano da Behemoth perché compatibili e molto più resistenti.
Nonostante si sentisse in colpa a portare sulla testa uno strumento nato dalla sofferenza altrui, non poteva fare a meno di riprendersi quella corona. Oltre a darle nuove abilità, essa era in grado di amplificare ed incanalare la magia, nelle sue condizioni ormai precarie l'avrebbe aiutata ad usare i poteri senza fare del male a sé stessa, così da essere in grado di scendere in campo; non poteva rimanere a guardare.
Successivamente, proseguì il suo tour all'interno del castello e, quando ebbe finito, invitò il figlio a parlare in solitaria, perciò si ritrovarono di nuovo nella stanza in cui aveva ripreso conoscenza poco prima. Con sé, un particolare mazzo di carte: tarocchi. Erano finemente decorati, ma vecchi, rovinati, li aveva recuperati proprio in quella stanza.
Iniziò a mescolarli energicamente e, una volta soddisfatta, li divise in due parti e fece scegliere al figlio una carta da ognuna.

- Primo Arcano: il Mago, posizione diritta.
Hai le capacità di ottenere tutto ciò che desideri, è il momento giusto per iniziare a muoversi verso l'obiettivo che ti sei stabilito. Devi agire, le cose non si sistemeranno da sé, usa ogni mezzo a tua disposizione per convincere gli altri a seguirti.
...
Ventesimo Arcano: il Giudizio, posizione diritta.
Qualcosa d'improvviso accadrà e, dato che è accompagnato da una carta positiva, l'esito sarà sicuramente favorevole. Una vittoria, una conquista, o semplicemente una svolta che sarà in grado di risolvere conflitti, chiarire dubbi, superare ostacoli.-
- Dopo tutto ciò che mi è successo, trovarmi davanti ad una simile previsione non può far altro che rincuorarmi. Avevo bisogno di sentirmi dire che le cose andranno bene.-
- ... Aleksei, indubbiamente questa è una bellissima lettura, ma non puoi adagiarti sugli allori e lasciar fare tutto al destino. Io ho previsto il futuro in questo momento, ma nulla vieta alle tue azioni prossime di modificarlo ora che ne sei a conoscenza.
Il Mago parla chiaro: devi passare all'azione, ne hai le capacità, ma al contempo il Giudizio è una carta che si risolve a breve, se lascerai passare troppo tempo, la previsione perderà valore ed il suo esito cambierà.
Ed ora dimmi: – Lasciò andare le carte, prendendogli la mano. – qual è il tuo obiettivo, figlio mio?-
- Il mio... obiettivo? – Lui chinò il capo, pensando ad una risposta. – Io... sinceramente voglio solo sapere perché. Perché Edelgard ha deciso di portarmi via da Fhirdiad e crescermi, ma cancellando gran parte della cultura del Fódlan e rinchiudendomi in una gabbia di menzogne? Non poteva lasciarmi morire e basta?-
- ... Allora troveremo queste risposte, te lo prometto. Ti basta agire, lo dice la Luna Crescente, essa non erra mai, ricordalo. Pensa bene a ciò che vuoi fare.-
- ... Grazie per essermi sempre vicina, ti voglio bene. Mi è concesso dormire, vero? Sono... sono ancora esausto...-
- Certamente, con una mente lucida potrai pensare al meglio. Vieni qui.-

La madre lo prese, lo baciò sulla fronte e gli fece appoggiare la testa sulle sue gambe. Gli accarezzò il viso ed i capelli, aiutandolo ad addormentarsi. Delle risposte... non sapeva cosa potesse farsene, soprattutto se avute da una donna tanto spregevole.
Fosse stata in lui, avrebbe solo avuto voglia di ucciderla, strangolarla con le sue stesse mani finché non si fosse attivato il Segno di Blaiddyd che per tanto gli era stato nascosto, però suo figlio voleva altro e lei doveva solamente aiutarlo ad ottenere ciò che desiderava. Ma se solo avesse osato di nuovo torcergli un capello... non si sarebbe trattenuta, solo il tagliarle la testa avrebbe potuto fermarla.
... Era così simile a Dimitri... a volte faceva fatica a guardarlo in viso, la sua sola visione le faceva ricordare che non avrebbe più rivisto il volto integro di suo marito, accrescendo la sua voglia di morire il più presto possibile.

I giorni successivi furono estremamente laboriosi.
Ksenia aveva inviato Behemoth ad Itha con una lettera da consegnare a Rufus; il suo contenuto consisteva in un comunicato sugli ultimi avvenimenti a Fhirdiad ed una richiesta di volontari che aiutassero nella sua ricostruzione. L'uomo, sapendo di non poterle disobbedire, si mise subito all'opera e, in poco tempo, la capitale si era riempita di persone provenienti da ogni angolo del Faerghus, tutte desiderose di dare una mano ed incontrare la loro perduta regina ed il principe ereditario.
Nonostante fosse ben lontana dal suo originale splendore, finalmente era tornata in vita, come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri.

Anche Mitja era approdato in città e non aveva potuto fare a meno di stupirsi; Itha sembrava sempre così morta seppur integra, mentre Fhirdiad, ancora ampiamente danneggiata, emanava vitalità da ogni mattone, l'aria fredda riscaldata dalle canzoni cantate dai nuovi abitanti. Appena varcata la soglia delle mura, un paio di bambini, forse gemelli, lo avevano accolto regalandogli una mela rossissima e lui aveva accettato di buon grado.
"È questo il Regno che tanto desideravi, Mimi?"
Diede il primo morso al frutto solamente quando aveva iniziato a risalire l'immensa scalinata che portava all'altrettanto enorme reggia, finendolo una vola giunto in cima. Nulla a che vedere con il castello ad Itha.
Il portone era aperto ai cittadini, perciò entrò senza farsi troppi problemi; nella sala principale c'erano delle donne intente a pulire e a sistemare vasi di fiori freschi come ornamenti, completamente incuranti del bestione -si chiamava Dedue?- addormentato su uno dei tappeti – ormai, dovevano averci fatto l'abitudine. Si avvicinò ad una di loro e le chiese se avesse visto una ragazzina dai boccoli castani, probabilmente accompagnata da un'altra con la pelle più scura od un biondo altissimo e lei rispose di averla vista poco prima, assieme al principe in persona, andare verso i giardini sul retro. Il giovane la ringraziò e seguì le sue indicazioni.

- Ora sì che sembri un principe del Faerghus. Il rosso ed il viola ti stavano male.-
- Lo pensi davvero?-
- Certo. Il bianco ed il blu sono i nostri colori... li indossava anche tuo padre, ricordi?-
- Ad essere sincero, preferirei dimenticare il suo volto raggrinzito.-

Aleksei aveva addosso una splendida armatura bianca, con il Segno di Blaiddyd inciso sia sul petto che sul bacino; gli indumenti sottostanti erano neri, mentre i pantaloni grigi. Gli stivali erano blu con un tacco molto alto e rinforzati da placche di metallo bianco; sulle spalle un pesante mantello blu con l'effige del Sacro Regno di Faerghus ed una pelliccia che scendeva anche sul davanti.
I lunghi capelli biondi erano invece legati in una coda alta, in modo da risultare meno ingombranti.
Con Areadbhar in mano, sembrava molto più imponente ed autorevole, un vero comandante.
Anche Artemiya indossava la solita armatura, la sua molto più pesante e focalizzata sulla difesa, mentre quella del principe si limitava a proteggere i punti vitali, lasciando però grande libertà di movimento.

- Sei sicura di voler combattere contro Areadbhar? Non posso assicurare di potermi trattenere, è lei a guidarmi.-
- Certamente. Ho bisogno di migliorare le mie abilità, inoltre anche l'imperatrice brandisce una reliquia, se dovessimo scontrarci non mi troverà impreparata.- La ragazza strinse le mani sull'elsa della spada, mettendosi in posizione.
- Non fatevi male, voi due.-

La voce della principessa Yolandi giunse alle loro orecchie. Aveva insistito per assistere al loro allenamento, si era seduta per terra ed era rimasta in silenzio ad osservarli. Non parlava spesso né faceva trasparire particolari emozioni, eppure sembrava interessarsi molto, al punto da risultare un'impicciona, a tutto ciò che la circondava.
Aleksei indietreggiò di qualche passo, brandendo la sua arma con due mani come gli era stato insegnato. I due Blaiddyd si guardarono negli occhi ed il più grande partì all'attacco, la reliquia incendiatasi.
Iniziò con un affondo, schivato da lei miracolosamente, per poi passare ad un altro, stavolta parato dall'avversaria. Con un'improvviso picco di forza, lo respinse e contrattaccò, ma lui indietreggiò per un soffio, limitando il danno ad un lungo graffio sulla guancia destra.
Si sorrisero e lo scontro ricominciò in modo più violento, il clangore delle armi che rompeva il silenzio sempre più frequentemente.
Artemiya non era un'avversaria da sottovalutare; ad Enbarr aveva ucciso tantissimi soldati in un batter d'occhio, ma se ci fosse stata lei tra quelle fila... probabilmente sarebbe stato sconfitto. Era piccolina, però dalla forza e la determinazione pari a nessun altro che avesse mai conosciuto, per non parlare della sua abilità nel combattimento, sembrava una veterana di guerra tanto era capace ed il suo carattere timido, assieme all'aspetto da bambolina, fregavano l'avversario ed esso andava a sottovalutarla, firmando una vera e propria condanna a morte. Era contento di averla come alleata tanto stretta.
Aleksei indietreggiò di colpo, correndole attorno tenendo Areadbhar con un sola mano e confondendola. Allontanatosi, fece un salto altissimo e con un forte slancio le scagliò Areadbhar contro come un meteorite infuocato. Presa alla sprovvista, riuscì ad evitare il giavellotto improvvisato per puro caso e si pietrificò. Il giovane la raggiunse, mettendole le mani sulle spalle.

- Oh Dea, mi dispiace...! Stai bene? Non ti ho colpita, vero?
- Principe... mai sottovalutare l'avversario, né disarmarti così. – Un ghigno e la lama della spada fu poggiata sul suo collo. – Hai perso~! Sei morto!-
- Dannazione, ed io che mi sono preoccupato! Infame!-

Il biondo sospirò rumorosamente, sconfitto più nell'orgoglio che in battaglia. Perché lei era così dannatamente forte?! Se avesse avuto il Segno di Blaiddyd sarebbe stata una macchina da guerra!

- Vedo che anche con una lancia magica rimani un fallito.

Si voltò, mentre la ragazza lo scansò e corse dritta verso la fonte della voce. Gli si lanciò letteralmente in braccio, buttandolo a terra completamente dimentica del peso della sua corazza. Mitja riuscì a respirare solamente quando lei si accorse di starlo schiacciando. Si guardarono negli occhi e lui le spostò una ciocca ribelle dal viso accaldato, entrambi persi l'uno nello sguardo dell'altra.
Stava per baciarla, desiderava farlo ardentemente, ma poi si rese conto di essere osservato da non una, due persone, di cui una sconosciuta, perciò i due si rialzarono sperando di non aver destato troppi sospetti.

- Speravo fossi morto.- Il principe, raccolta Areadbhar, si avvicinò.
- Ah! È lo stesso pensiero che ho avuto verso di te! ... Vedo che hai trovato la reliquia.-
- Era ad Enbarr.-
Mitja rise, mettendosi le mani sui fianchi.
- Che situazione ridicola, ci hai sempre vissuto vicino e non l'hai mai scoperta.-
- Non l'ho fatto perché non avevo domande per la mente, né idea della sua esistenza, né tantomeno del mio Segno. Se non ne fossi stato ignaro l'avrei sicuramente cercata in circostanze migliori, dopotutto l'incontro con Artemiya e Rufus è stato per puro caso.-
- Scusate— – Yolandi si intromise nel discorso letteralmente mettendosi in mezzo tra loro, rivolta verso il nuovo arrivato. – chi sei?-
- Chi sei tu, piuttosto—- Lui rimase abbastanza interdetto.
- Yolandi.-
- Okay, Yolandi, mi chiamo Mitja.-
- Bene. Grazie.-

Detto ciò, se ne andò senza dire altro, lasciando il giovane ancor più confuso.

- ... Chi diamine è quella bambina?-
- Ah, lei? È una principessa agarthea.- Disse Artemiya.
- Capi— cosa?! Che ci fa qui una principessa di Agartha?-
- In realtà sarebbero tre... lei è la più piccola. La regina e suo padre hanno stretto un accordo con il re.-
- Temo di essermi perso...-
- Non preoccuparti, posso spiegarti tutto più tardi, ma sappi che è nostra alleata. Suo fratello Thamiel è andato personalmente ad Enbarr per salvare Aleksei, pur rischiando la vita.-

- Mi state mettendo in imbarazzo...-
- Oh, mi dispiace, è che sei così carina. – Ksenia accarezzò la guancia di Sera, rivolgendole un dolce sorriso. – Non mi stupisce che tu piaccia tanto a mio figlio.-
La ragazza arrossì, abbassando i suoi occhi verdi.
- Lo pensate davvero? O lo dite solo per circostanza?-
- Certo. Sono contenta che abbia qualcuna come te al suo fianco, avete intenzione di sposarvi?-
- Non credo sarebbe giusto, sono solo una serva...-
- Sera, io da giovane ero molto peggio di una serva. Portavo bei vestiti, ma venivo trattata al pari, o peggio, di una prigioniera. Ed ora guardami, sono l'unica rimasta a poter governare il Faerghus. Se Aleksei vorrà sposarti, sappi che ne sarò molto felice.-
- Vi ringrazio...-

La donna l'abbracciò, stringendola forte a sé. Era felice di aver rischiato la vita per salvare la sua quella fredda mattina ad Itha... ci voleva una regina come lei, dolce, sensibile e nella quale anche le ragazze più comuni potessero immedesimarsi.

- Perché ora non vai a vedere l'allenamento nel giardino? Areadbhar è spettacolare quando sprigiona la sua forza.-
- Vorrei veniste anche voi, in realtà. È da quando sono arrivati gli aiuti da tutto il Faerghus che non uscite da questa stanza.-
- Non penso di esserne in grado, se— se— mi vedessero... non sono degna, dovrebbero solo tirarmi le pietre, li ho abbandonati...-
- Maestà, ma voi siete la regina e vi siete impegnata così tanto per arrivare a questo punto, non potete rinchiudervi qua dentro per sempre, sono sicura che il vostro popolo sarebbe felicissimo di vedervi finalmente in volto.-
- Sono stata lontana per vent'anni, avrei potuto palesarmi prima, eppure non l'ho fatto, ho preferito rimanere nascosta sottoterra e rivangare quell'unico, tragico momento ancora ed ancora, ogni singolo giorno, come posso meritare l'affetto di quelle persone, che hanno perso tutto a causa di una mia decisione avventata?-
- La vostra non è stata una decisione avventata. Anche se foste rimasta alla capitale, cosa sarebbe cambiato? Non avreste potuto dare l'ultimo saluto a vostro marito e l'imperatrice sarebbe comunque giunta qui. Volevate davvero combattere, da sola, sia contro l'esercito dell'Adrestia, sia contro un drago? Probabilmente sareste rimasta uccisa ed ora non ci sarebbe stato nessuno capace di rimettere tutto ciò in piedi, di restituire il Regno al legittimo proprietario.
Per favore, uscite da questa stanza...-
- Sera...-
- Vi scongiuro.-
- ... Va bene, ma non posso assicurare nulla di buono da tutto ciò.-
- Avete dei vestiti in questo armadio? – La giovane iniziò a frugare, trovando una grande scelta di abiti. – Dovreste presentarvi come una donna nuova, non una vedova in lutto. I colori vi starebbero sicuramente benissimo.-

La regina emise un profondo sospiro, le mani giunte che giocavano nervosamente con la fede al dito. Sera era dietro di lei, la spinse delicatamente in avanti per spronarla a camminare. Era davvero difficile, per lei, mostrarsi per la prima volta come sovrana, da giovane non lo aveva mai fatto... e farlo senza un re rendeva tutto più complicato ai suoi occhi.

- Per favore, raduna i cittadini dentro al castello.

La ragazza annuì, correndo via.
Lei iniziò a percorrere il corridoio a passo lento, incerta non sul percorso ma sulle intenzioni, il cuore che batteva a più non posso.
Arrivata a destinazione, sentiva un gran vociare, segno che in tanti erano già approdati alla sala del trono. Trattenne il respiro e si palesò, iniziando a scendere la scalinata.

Quando Aleksei vide sua madre, rimase a bocca aperta. Sembrava una divinità, la corona come un sole brillante sulla sua testa.
Portava un lungo vestito blu e viola con intarsi argentati, sul petto un lembo di tessuto rosa antico al quale si attaccavano le maniche, lunghe ma aperte ed il mantello, sul quale era stato ricamato il Segno della Luna Crescente posto in mezzo a quello di Blaiddyd. Al collo portava una grossa collana d'oro e pietre azzurre, i grandi orecchini romboidali erano rimasti gli stessi.
Il viso era completamente struccato e, sorprendentemente, ancor più bello al naturale, mentre i capelli non erano più tirati e costretti, ma i ciuffi sul davanti si andavano ad unire ad una lunga treccia sopra alla chioma sciolta ed altre due ciocche si posavano delicatamente sul petto voluttuoso e scendevano fino ai fianchi.
Scendeva ogni scalino con apparente calma, le mani sul ventre, ma poteva percepire fino a lì quanto fosse spaventata. I popolani bisbigliavano, alcuni sorpresi, altri meravigliati... finalmente potevano vedere la loro regina in carne ed ossa, una speranza di tornare a vivere c'era.
Nel momento in cui lei raggiunse il trono, il principe si mosse in sua direzione, affiancandola davanti alla seduta. La donna lo guardò in viso ed impose la mano destra sulla sua ferita guarendola in un istante, per poi sorridergli. Infine, si rivolse al popolo,  il suo popolo.

- Il mio nome è Ksenia.
Durante la guerra di vent'anni fa, avevo la carica di regina e consorte dell'ormai defunto re Dimitri Alexandre Blaiddyd. Ero presente alla strage attuata dall'imperatrice a Tailtean, alla quale sopravvissi per pura fortuna.
Ingenti ferite mi costrinsero a scomparire, finendo per perdere anche il mio amato figlio, il qui presente Aleksei, rapito da quella donna e cresciuto dall'altra parte del continente come un falso imperiale.
Ora che ci siamo riuniti, prometto di ripristinare il nostro regno al suo antico splendore, perché il Faerghus non merita di morire sotto le sue gelide nevi.
Sono una maga, se qualcuno di voi si ferisce, non esiti a venire da me, sarò ben disposta a curare le vostre ferite, anche se molto gravi.
Spero di potermi redimere e che mi accetterete come sovrana, la mia vita è vostra. Quando sarà tutto finito, potrete anche giustiziarmi, non mi opporrò.-


Psst psst, se volete vedere un'illustrazione della madonna tornate al capitolo 16. :3

 

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Capitolo 20
*** 19 ; Krigsgaldr ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

19

Krigsgaldr


La polvere aleggiava ancora nell'aria assieme a piccoli pezzi di vetro e pietra che, continuando a cadere, rompevano il silenzio tombale creatosi. Sembrava tutto così surreale.
Edelgard lasciò andare l'ascia e si accasciò sul trono, la bocca schiusa e gli occhi rivolti all'enorme buco sul soffitto. Hans si guardava le mani ed i vestiti impregnati del sangue trasferito sui tessuti da quell'abbraccio e ripensava a tutto ciò che era successo solo pochi secondi prima.
Un enorme drago aveva sfondato il rosone e si era infilato di prepotenza nel buco. Al suo comando, un cavaliere albino si era portato via il suo amato fratello, sparendo di nuovo nel cielo terso.
Si voltò di colpo in direzione di sua madre, lei sembrava calma, ma confusa... probabilmente non si aspettava un simile svolgimento degli eventi.
"... chiedile perché prima ha rinchiuso il figlio del fratellastro che ha ucciso in una gabbia e poi, quando esso ha voluto la sua libertà, ha deciso di metterlo alla gogna."
Le ultime parole di Benedikt furono come una coltellata al cuore; possibile che dicesse il vero? Sua madre aveva un fratellastro... che ha ucciso? Ne aveva preso il figlio... chiudendolo in una gabbia? E poi messo alla gogna? Quel bambino era proprio lui, suo fratello maggiore? Non erano imparentati...?
...
...
...

- PERCHÉ?! – Sbottò, di colpo. – PERCHÉ MI AVETE MENTITO?! BENEDIKT ERA QUI, NON IN VIAGGIO CHISSÀ DOVE.- Più alzava la voce, più iniziava a sentire caldo.
- Hans, non è il momento di mettersi ad urlare.- Edelgard aveva una mano sulla fronte.
- Perché non dovrei?! Ho appena scoperto di essere stato riempito di chissà quante bugie! Perché mio fratello ha detto quelle cose? Perché era pieno di sangue dalla testa ai piedi? Quella lancia cosa diamine era? Rispondetemi!-
- Principe... portate rispetto a vostra madre. – Hubert e Byleth avevano fatto il loro ingresso nella sala del trono. Il corvino sempre con quel sorriso sghembo, mentre suo padre zitto ed apatico. – ... Stupefacente, un danno enorme. Ci vorrà un sacco di tempo per aggiustare il soffitto. Dovremmo aumentare le tasse... io proporrei al nord.-
- Hubert, padre... – Il giovane strinse i pugni. – anche voi sapevate tutto—-
- Proprio così, io stesso ho rinchiuso quel ragazzino nelle prigioni e mi sono premurato che lo torturassero per bene fino al giorno dell'esecuzio— oh, lady Edelgard, mi è stato comunicato che anche Marle è morta. Qualcuno le ha fatto esplodere la testa a mani nude. – Lo sguardo dell'imperatrice faceva trasparire menefreghismo. In fondo, era contenta della sua fine, aveva fin troppo esagerato. – Tornando a noi... grazie a questo metodo ed all'aiuto del Conte Hevring, abbiamo scoperto qualcosa di molto interessante riguardo "Benedikt", come lo conoscete voi... trattasi di una presunta immortalità.-
- Immortalità... cosa state dicendo? Vi siete dimenticati quando, qualche anno fa, cadde da cavallo e si ferì tanto gravemente da rischiare la morte? Mio fratello non ha queste capacità!-
- Lo credevamo anche noi, ma a quanto pare non è così. Vedete—-
- Basta così, Hubert.- Sua madre lo fermò.
- No, voglio sapere!-
- Hans, ti stai comportando come un bambino, questo non è un atteggiamento da futuro imperatore.-
- Non sono mai stato l'erede al trono.-
- Il primogenito eredita l'Adrestia.-

A quel punto, il principe raggiunse suo padre, aggrappandosi a lui con tutte le sue forze. Voleva, pretendeva delle risposte, pensava di meritarsele. Passò anche a lui il sangue di cui era sporco, ma l'uomo rimase impassibile, con quel suo solito atteggiamento da pezzo di ghiaccio, apatico.

- Padre, almeno voi, per favore, ditemi la verità.- Il suo tono, da adirato, divenne disperato.
- Figlio mio, non sono io a doverti dire come stanno le cose, ma la persona che ha deciso di prendere con sé quel bambino in fasce: tua madre. Anche il diretto interessato voleva parlassi con lei; solo l'artefice ha tutte le risposte.-

Hans, nuovamente sconfitto, lasciò andare il padre, tornando al cospetto dell'imperatrice. La guardò negli occhi, determinato più che mai.

- Madre, Voi mi direte tutto, non la smetterò di assillarvi finché non mi avrete raccontato ogni singolo dettaglio di tutta questa storia.-

Ksenia era seduta sul trono, sulle sue ginocchia un bambino molto piccolo. Era davvero magro, ma ciò che la preoccupava di più era il suo viso tutto insanguinato; la madre le raccontò che, per pura sfortuna, il figlio si era trovato proprio sotto ad un balcone da cui era piovuto un vaso di terracotta, il quale si era infranto sulla sua testa e gli aveva aperto una ferita molto profonda. La donna, nel panico più totale, lo aveva preso in braccio ed era corsa fino al castello alla ricerca della regina, iniziando a pregarla di salvare il suo bambino una volta incontrata.

- Vi prego, Maestà, ditemi che siete in grado di aiutare mio figlio...- Aveva le mani giunte, come se si trovasse di fronte ad una dea.
- Non temete, la mia magia è a disposizione di tutto il Faerghus, nessuno escluso.-

La donna gli accarezzò il volto, asciugandogli una lacrima fuoriuscita dal suo occhio chiuso. Povera creatura... così debole e fragile, una ferita del genere lo avrebbe sicuramente portato alla morte dopo un'ingente infezione.
Impose la mano sul taglio ed in quel momento Lonnbéimnech si illuminò, aiutandola ad incanalare la magia bianca nel palmo, che iniziò ad emanare una luce pallida e tiepida. Lentamente i lembi di pelle si riavvicinarono fino a saldarsi tra loro, dell'incidente rimasto solo il sangue caldo ormai versato.
La vittima riaprì i suoi occhioni nocciola qualche secondo dopo, incrociando lo sguardo con le iridi di ghiaccio della sua guaritrice, la quale gli rivolse un sorriso dolce e materno.

- Bella...!

Fu tutto ciò che disse, prima di scendere dalle sue gambe e correre dalla madre piangente di gioia. La regina si raccomandò di fare attenzione e di tornare ogni qualvolta ne avessero bisogno.
Rimasta sola, però, non ebbe il tempo di rilassarsi che davanti a lei si alzò una nebbia viola, rivelando poi la figura di suo padre una volta diradata. Aveva il suo aspetto umano, con l'ampio cappello in testa e gli abiti da warlock per distogliere gli sguardi dal volto sfigurato e l'occhio mancante.

- Anaxagoras, devo parlarti urgentemente.-
- Vi ascolto...-
- È stato avvistato un battaglione con il vessillo dell'Adrestia marciare in direzione nord. Pensiamo sia diretto a Shambhala... oppure qui.-

La donna deglutì, alzandosi di colpo in piedi, gli occhi spalancati fissi sul viso di Myson. Fece qualche passo in avanti e lo afferrò per un polso, conducendolo di fretta e furia nei meandri del castello; sulla via incontrarono Yolandi, alla quale chiese il favore di cercare suo figlio e mandarlo da lei.
Lo portò in una stanza al penultimo piano, lo studio personale del sovrano. Un tempo Dimitri rimaneva giornate intere chiuso lì dentro a compilare documenti, ora il compito era passato a lei. Aprì le tende e la luce del giorno entrò dall'ampia finestra, poi si sedette alla scrivania.
Aleksei li raggiunse qualche minuto dopo, ancora pregno di sudore dall'allenamento intensivo appena svolto e pezzi d'armatura solo sulle gambe; nel momento in cui vide suo nonno si irrigidì, non era contento della sua presenza.

- Cosa sta succedendo?- Domandò, passandosi il dorso della mano sulla fronte, le guance rosse di fatica.
- L'Impero sta mandando delle truppe verso nord. Non si sa se siano dirette a Shambhala o addirittura fino a Fhirdiad, hanno raggiunto da poco il Forte Merceus e la prossima tappa potrebbe essere il territorio dei Bergliez.-
- Perché dovrebbero attaccare Shambhala? Non erano convinti di averla completamente distrutta già vent'anni fa?- La donna incrociò le braccia sul legno, pensierosa.
- Non saprei, Anaxagoras, la mia è solo una supposizione, quel che è certo è che stanno risalendo il continente passando da est, la via più semplice.-
- Io forse avrei un'idea a riguardo... – Il principe, nervoso, si strinse nelle spalle. – durante la mia prigionia ad Enbarr hanno raccolto il mio sangue, devono averlo fatto analizzare al conte Hevring perché non riuscivano ad uccidermi. È fattibile che trovando la Luna Crescente abbiano pensato ad un coinvolgimento da parte degli agarthei?-
- Non è da escludere, – Rispose lo scienziato. – la sua struttura è così complessa che anche un novellino vedrebbe quanto è palese la sua natura artificiale. E loro sanno che sono proprio le Serpi delle Ombre a sperimentare su queste cose.-
- Dannazione... – Ksenia sospirò, tormentandosi i capelli con rabbia. – Aleksei, tu cosa vuoi fare?-
- ... Perché lo chiedi a me?-
- Le carte. L'evento improvviso. Ricordi la lettura?-
Il giovane ripensò alle parole della madre, ricordando ciò che gli aveva detto.
- È... è possibile attaccare quel battaglione mentre siamo ancora in tempo?-
- Sei matto? Sono all'interno di una fortezza inespugnabile.- Myson era fortemente scettico.
- Un portone di legno e l'assenza di un tetto non sono sinonimo di "inespugnabile"... vi siete dimenticati che abbiamo un drago?-
- Il Notturno... potremmo impiegare anche i Giavellotti di Luce.-
- NO! – La regina batté forte i pugni, alzandosi dalla sedia. – Vi proibisco di usare quell'arma infernale, morirebbero tutti!-
- ... E con ciò? – L'uomo alzò un sopracciglio. – Cosa cambia?-
- Noi non siamo l'Adrestia, non uccidiamo innocenti senza motivo.- Si risedette, lo sguardo di ghiaccio puntato sul padre.

I tre elaborarono così un piano da mettere in pratica nel giro di un giorno scarso, arrivati alla conclusione che, se volevano vincere con i pochi mezzi a loro disposizione, dovevano giocare d'astuzia ed usare il Forte Merceus a proprio vantaggio, trasformandolo in una prigione ed attuando una manovra a tenaglia sfondando le due entrate all'unisono.
Ora dovevano solo trovare dei soldati.
Myson tornò subito ad Agartha per informare i principi e rimettere in sesto l'esercito delle Serpi delle Ombre, mentre Aleksei e Mitja si recarono in città a racimolare volontari che volessero combattere per il proprio paese, sorprendentemente raccogliendo un discreto numero di partecipanti – dopo vent'anni, la voglia di riscatto era ancora forte, sia tra i veterani che tra i giovani nati dopo la grande tragedia.

- Artemiya... avrò bisogno del tuo aiuto.-
- Sono a vostra disposizione, Maestà.-
- ... Te ne sono grata. Dobbiamo andare subito ad Itha, ho urgentemente bisogno di tuo nonno e solo con la tua presenza posso avere garanzia di essere ascoltata.-
- Io non credo di avere un così forte ascendente su di lui...-
- Non preoccuparti, ce l'hai. Ci sarei andata da sola, ma come ben sai la situazione è grave ed abbiamo bisogno di più uomini possibile per la spedizione di domani.-

Non aveva dubbi di poterlo convincere anche senza la nipote, ma voleva evitarsi le sue solite lagne e le molestie viscide che le rivolgeva, vedere la ragazzina accanto a lei lo avrebbe messo ancor più in soggezione ed avrebbe accelerato i tempi.
Le prese le mani e chiuse gli occhi, infondendo la sua magia in Lonnbéimnech. Ogni reliquia permetteva al suo possessore di acquisire un'abilità propria; Areadbhar aveva Atrocità, Lúin Terremoto Fiammante, la Lancia della Distruzione Cielo Caduto.
La sua era estremamente semplice e non si basava sull'offensiva: Teletrasporto. Grazie ad essa, poteva spostare sé stessa ed eventualmente un'altra persona in un luogo a lei conosciuto o di cui sapeva le coordinate, un funzionamento depotenziato ma molto simile ai cristalli usati dagli agarthei.
La corona si illuminò e le due scomparvero in una colonna di luce.

Riapparvero un istante dopo già all'interno della sala principale, facendo prendere un grosso spavento alle guardie e lasciando sbalordito l'ex granduca, il quale era seduto sul trono. Quando vide la donna, il suo sguardo si assottigliò e fece una smorfia, ma attenuò l'espressione dura nel momento in cui si accorse della presenza della nipote.

- Immagino che chiedere come sia possibile tutto questo sia inutile, dopo che un uomo drago si è presentato qui solo pochi giorni fa.-
- Nonno, non abbiamo più tempo, è urgente!-
- ... Di cosa stai parlando?-
- L'Impero Adrestiano ha mandato una truppa verso nord, probabilmente diretta a Fhirdiad. – Fu Ksenia a parlare, facendosi avanti. – Domani stesso li attaccheremo al Forte Merceus, abbiamo bisogno di soldati.-
- Ti è dato di volta il cervello, ragazzina?! Vuoi attaccare un forte conosciuto per essere inespugnabile con i rimasugli di un esercito devastato da vent'anni? Per giunta, domani? Per raggiungere un luogo così lontano ci vorrà quasi un mese, non un singolo giorno.-
- Stai disobbedendo agli ordini della tua regina?- Lei alzò un sopracciglio.
- Ho tutto il diritto di farlo quando la richiesta è tanto stupida. Forse non te ne sei ancora resa conto, ma qui siamo poveri e le tasse imposte da quella dannata imperatrice non fanno che aumentare. Credi che io non voglia ammazzarla con le mie mani? Siamo spacciati ormai, se ne avessi avuto la forza avrei marciato io stesso su Enbarr, ancor prima che tu ti fossi decisa ad emergere da quel buco in cui stavi.-
- Nonno, per favore, devi aiutarci, sei l'unico che ha ancora a disposizione dei soldati, possiamo farcela veramente, abbiamo—-
- Mimi... non mettertici anche tu, sai bene in che situazione ci troviamo. Vi sto già aiutando con la ricostruzione della capitale, non posso andare oltre.-
- Ti prego...-

L'uomo alzò lo sguardo, incontrando gli occhi magnetici della regina, in piedi dietro Artemiya. Lo guardava con le palpebre socchiuse, le labbra serrate in un'espressione poco rassicurante. Sapeva di essere in mano sua, ma doveva farla ragionare, farle capire perché tutto ciò fosse sbagliato. Però il coltello dalla parte del manico lo aveva solo e soltanto lei... maledetta cagna e maledetto quel leone assassino che se l'era presa in sposa, anche da morto continuava a creargli problemi.

- ... E va bene, Rufus, se non vuoi aiutare il tuo paese ce ne andiamo, nessun problema, mica ti obbligo. Vieni, Artemiya, troveremo un'altra solu—-
- No. – Dannatissima... – Vi fornirò ciò di cui avete bisogno, ma non aspettatevi molto.-
- Grazie, lo apprezzo, il Faerghus ne sarà felice. – La sua espressione cambiò totalmente in un dolce sorriso. – Domattina voglio le truppe schierate in città, al resto penseremo noi.-
- Ti ringrazio, nonno, sei il migliore...!-

La ragazzina abbracciò il vecchio, il quale la strinse forte a sé come se volesse tenerla lontana da quella donna dall'aspetto angelico e gli occhi più freddi del gelido inverno del Faerghus. Sorrideva, ma dal suo viso traspariva qualcosa di diabolico, era contenta del ricatto avvenuto con successo, lo capiva. Ecco perché aveva portato Artemiya, in modo da non lasciargli vie di scampo.
Quando si separò da lei, le due sparirono di nuovo come furono apparse e, nuovamente solo, poté rilassare i muscoli. Si mise le mani nei capelli biondi, lasciando fuoriuscire un profondo sospiro amareggiato.
"Dannata strega, quando tutto ciò sarà finito ti farò pentire di essere immortale."

- Hai intenzione di abbandonarmi di nuovo, non è vero?!

Sera diede dei pugni sul petto ad Aleksei, finendo solo per fare più male a sé stessa a causa dell'armatura che indossava. Lui non reagì, preferendo farsi colpire ed insultare... lei doveva sfogarsi, o in quelle condizioni non sarebbe mai rimasta a sentirlo.
La mattina successiva, prima della partenza, l'aveva portata in un posto isolato del castello per parlare faccia a faccia. Sapeva che avrebbe avuto una simile reazione, ma le aveva comunque proibito di venire in Adrestia con l'esercito.
Non era capace di combattere, e anche se fosse non voleva assolutamente metterla in pericolo, il campo di battaglia non era il posto per lei.

- Aleksei, di me non ti importa nulla, vero...?

Un altro pugno e lentamente scivolò in avanti, tra lacrime e singhiozzi, fino ad appoggiare la fronte sul freddo metallo che gli ricopriva il petto.

- Sera, se non tenessi a te, credi davvero che sprecherei il mio tempo a dirti di rimanere a Fhirdiad ad aspettare il mio ritorno...?-
- Eppure non mi ascolti mai ed agisci sempre d'impulso. Ogni tanto mi abbandoni senza dire nulla ed io passo il tempo a strapparmi la pelle dal terrore che tu non possa più tornare, hai idea di come mi sento? Stai andando a combattere in una fortezza inespugnabile, non a fare un giro di piacere! Perché sei così superficiale? Perché attaccare il nemico in casa sua?-
- Ho deciso di sferrare un attacco il prima possibile proprio perché ho paura che possano arrivare fino a qui, in questo luogo così fragile... dove ci sei anche tu. Preferisco mille volte mettere in pericolo me stesso piuttosto che vederti anche solo farti un graffio a causa loro.-
- Io però non voglio che tu ti ferisca, non mi importa se hai quei poteri di rigenerazione, di certo non cancellano il dolore atroce che provi ogni volta.-
- Eppure sono pronto a farmi del male, se questo proteggerà te. Ho ancora gli incubi riguardo alle tue interiora sparse sulla neve, se dovesse succederti ancora qualcosa di simile... io...-

Le mise le mani sulla spalle, allontanandola da sé. I suoi occhi annacquati dalle lacrime sembravano due smeraldi incastonati nel viso, era così bella... se l'avesse persa, se non avesse mai più potuto ammirarla... che senso avrebbe avuto vivere un singolo giorno di più?
Stava tremando, lo sentiva sotto la sua presa. Non gli piaceva farla sentire in ansia, ma stava facendo tutto ciò solo per lei, per darle un luogo in cui potesse vivere la vita felice che meritava, lontano dal posto infernale in cui veniva giornalmente sovvessata.
Le spostò un ricciolo ribelle dietro l'orecchio e si chinò in avanti, per poi poggiare le labbra sulle sue in un bacio casto, lei in punta di piedi. Si separò, ma subito dopo la ragazza lo raggiunse di nuovo, stavolta stringendo la presa sulla pelliccia che gli avvolgeva le spalle con tutte le sue forze, come se potesse tenerlo in pugno per sempre. Il secondo bacio durò di più e lei si prese tutto il tempo per assaporare le labbra del suo principe, sentirne il profumo, toccare la sua pelle morbida.
Quando finalmente si decise a lasciarlo, fu come se le mancasse il respiro, avrebbe voluto continuare per sempre.

- Aleksei, promettimi che tornerai... per favore... e che poi non mi lascerai mai più da sola.-
- Te lo prometto, lo giuro sulla mia stessa vita. – Le prese le mani, intrecciando le dita tra le sue. – Tornerò da te, Sera, e non ci lasceremo mai più.-

Prima di separarsi definitivamente, le diede un ultimo bacio sulla fronte.

L'aria mattutina era particolarmente gelida e la brina aveva formato uno spesso strato sulle piante secche del giardino. Era talmente rovinato... le dispiaceva parecchio vederlo in un simile stato, quand'era giovane era sempre rigoglioso e curato alla perfezione, ora solo l'ombra di sé stesso.
La regina si fece strada tra archi di metallo e statue di grifoni in pietra, finché non arrivò nel cuore pulsante di quel luogo un tempo splendido, ove sorgeva un cimitero. Due leoni di alabastro ne sorvegliavano l'entrata e, nonostante il loro sguardo la mettesse in soggezione, aprì il cancello in ferro ed entrò.
Si soffermò davanti ad una lapide in particolare, la più giovane tra quelle presenti, sulla quale vi era inciso il nome "Lambert Egitte Blaiddyd".
Chiuse gli occhi e si lasciò andare in un profondo sospiro.

- So di non essere la benvenuta in questo luogo, di star disturbando il vostro sonno... ma ho voluto farvi visita perché meritate che qualcuno si ricordi di voi— – Si bloccò, un nodo alla gola. – mi... mi dispiace, ciò che ho fatto è imperdonabile, scusatemi, Maestà... voi siete sempre stato come un padre per me, ed io— io—

Si strofinò il viso umido con la mano, singhiozzando come una bambina.

- La verità è che mi mancate così tanto... odiatemi pure per questo, me lo merito, sono una grandissima egoista.
...
Sono qui anche per dirvi che quest'oggi sarà un giorno di rinnovamento per il Faerghus, finalmente il castello di carte dell'impero verrà buttato giù. Il regno che amavate risorgerà.

La donna si chinò, lasciando un fiore dai petali blu sulla tomba. Si voltò, Dedue era lì ad aspettarla.

- Hai ragione, è tardi.
... Addio, Lambert. Che possiate finalmente trovare la pace.-


Illustrazioni di Ksenia e Aleksei.

 

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Capitolo 21
*** 20 ; Devour Me, Colossus (Part I): Blackholes ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

20

Devour Me, Colossus (Part I): Blackholes


Il momento era finalmente giunto, il piano perfettamente scritto nelle menti di ogni singolo individuo che ne avrebbe preso parte.
Era l'ora del riscatto, il giorno in cui, nel bene o nel male, la ruota avrebbe girato in un nuovo senso ed il serpente smesso di mordersi la coda.
La regina era seduta sulla maschera della bestia gigante, in testa ad un esercito di maghi in abiti neri, teneva alto lo stendardo del cavaliere e il grifone. Accanto a lei, reliquia pronta a scendere in campo, il principe nella sua armatura nivea avvolta dal blu intenso del regno. Più indietro l'Agastya, vero capo del sinistro squadrone, aspettava con altri due principi, una bambina ed un uomo, l'ordine della figlia per sferrare l'attacco alla porta est del Forte Merceus.

Sul lato nord, un'armata dalle tinte blu attendeva trepidante.
Al suo vertice una ragazza in armatura, un giovane albino dalla testa avvolta di stracci, un altro armato di fucile ed un uomo molto alto dagli insoliti capelli verdi.
Le bianche mura svettavano nel cielo e grandi scalinate portavano a gigantesche porte in legno.
E così quello era "Il Generale Testardo"... ma davvero avevano la possibilità di abbattere le truppe al suo interno? Artemiya se lo stava domandando ormai da ore, potevano il solo aiuto di un drago e tre reliquie aggiungere la forza necessaria ad un esercito di fortuna per conquistare una fortezza riconosciuta come inespugnabile...?
Sospirò, prendendo la mano a Mitja e stringendola forte, mano sulla quale erano state indossate le Catene di Dromi, compatibili con il suo Segno. Lui si limitò a ricambiare in segno di conforto; lei era tra i più abili, non poteva farsi abbattere dai pensieri proprio ora che le era stato affidato il comando di mezzo esercito.
Quella era un'occasione d'oro, due armate si erano appena teletrasportate alle porte del forte ed i nemici erano stati colti impreparati.
La ragazza fece qualche passo in avanti, affiancandosi a Behemoth e scambiando uno sguardo con lui, tornando successivamente alla posizione precedente.
A quel punto, l'uomo cambiò velocemente forma e si trasformò in drago; Thamiel e Mitja salirono velocemente sul suo dorso, il principe alle redini ed il passeggero con l'arma imbracciata.
La creatura salì di qualche metro, per poi sparare una gigantesca fiamma dalla bocca che andò ad incendiare le mura e, obiettivo principale, il gigantesco portone in legno.

Quando Ksenia vide il drago sbucare in lontananza, scese dal capo di Dedue e tese entrambe le braccia in avanti. Aleksei la imitò caricando di elettricità Areadbhar e subito vennero seguiti da tutti gli altri maghi presenti.
Dalle mani di lei nacque un cerchio di magia del fuoco, dal quale scaturì un Bolganone di dimensioni gigantesche che si infranse contro l'entrata del forte, primo di centinaia di attacchi da parte di ogni utilizzatore magico alleato.
Nel momento in cui entrambe le porte furono carbonizzate e le entrate sgombre, la regina salì nuovamente sul suo vassallo e gli eserciti si introdussero nel forte.
La struttura di esso era simile ad un labirinto in pietra bianca, con altissime mura e vie come se si trattasse di una città, un minimo errore e si sarebbero persi, dando un vantaggio all'esercito nemico.

Prima che il lucertolone volasse all'interno ritrasformandosi in umano, Mitja era saltato giù dal suo dorso, atterrando sul tetto di una delle torri agli angoli della fortezza. Aveva così una visione dell'insieme da una prospettiva perfetta, in quel momento chiunque sarebbe stato un bersaglio facile. All'interno di fortini rialzati erano già accorsi i maghi agli onagri, presi alla sprovvista gli adrestiani stavano assumendo velocemente una posizione offensiva, dando loro un grosso vantaggio.
Imbracciò il fucile e si portò la canna vicino al viso, infondendola di magia del vento. Chiuse un occhio, indice sul grilletto... e sparò. Si sentì un forte botto e, meno di un secondo dopo, uno dei warlock venne colpito alla testa da un proiettile lanciato a velocità esorbitante che lo uccise sul colpo.
In tal modo rivelò la sua posizione, ma fu fulmineo ad infilarsi nella torre e bloccare la sua entrata. Avrebbe colpito di nuovo.

I due squadroni alleati giunsero al centro del Generale Testardo, circondando il nemico da ogni lato. I soldati in rosso erano parecchi e li superavano di gran lunga in numero, ma ciò non bastava a scoraggiarli, la posta in gioco era troppo alta per mollare.
Silenzio, tutti erano immobili, solo qualche brusio confuso aleggiava nell'aria.
Un'orda di corazzati sgombrò la via al capo dell'intero esercito, un uomo dall'aspetto non nuovo: Ephraim von Gerth, fedele generale e vertice della Guardia Imperiale.
Avvolto in un soprabito viola intenso, si spostò una delle lunghe ciocche color salmone lontane dal viso, gli occhi turchesi fissi sul principe.

- Ephraim?! Ci sei tu a guidare l'operazione?-
- Principe Benedikt, si tratta di una missione davvero urgente, dovreste sapere che vostra ma— l'imperatrice assolda sempre me per spedizioni simili o, semplicemente, compiti di grande importanza.
... qualcosa mi diceva che avreste attaccato, ho fatto bene a sostare qui dentro. Siete circondati dal solo ed unico esercito dell'Impero Adrestiano, baliste ed onagri mirano alle vostre teste.-
- Perché stai facendo tutto questo? Dopo che mi hai a— dopo che mi hai sempre sostenuto, sei sempre stato dalla mia parte fin da quando ero bambino... pensavo non fossi come loro. Eravate davvero diretti nel Faerghus?-
L'uomo annuì.
- Altezza, sapete bene che, per quanto affetto io possa provare, ho giurato fedeltà all'Aquila Bicefala, a solo e soltanto lei. Agisco in nome di Edelgard von Hresvelg, io sono la sua spada, la sua parola è legge.
E con questo... ho finito di parlare. – Alzò la lama verso l'alto. – Soldati, in nome dell'Adrestia, attaccate!-

Non appena abbassò la spada e la puntò in direzione di Aleksei, metà dell'esercito partì alla carica, infrangendosi come le onde del mare contro gli uomini in nero, mentre i restanti dalla parte opposta, verso lo squadrone di fortuna capitanato dalla seconda Blaiddyd.
La ragazza incrociò subito le lame contro un mastro di spada, mettendoci un gran sforzo a buttarlo giù, i suoi commilitoni ugualmente in difficoltà. Capì subito che quello fosse un vero esercito addestrato, non sarebbe stato facile, cominciava già a dubitare.
Evitò per miracolo una freccia arrivata da chissà dove e Behemoth si affiancò a lei come supporto. Lanciò un incantesimo bellissimo ma terrificante: una gigantesca luna piena apparve inghiottendo una manciata di uomini e velocemente si voltò verso un paladino, facendo uscire grossi spuntoni neri dal terreno che colpirono sia lui che il cavallo, disarcionandolo. Era davvero forte, non aveva mai visto qualcuno usare la magia oscura in modo tanto abile.
Thamiel, dal canto suo, nonostante avesse la testa completamente avvolta per proteggersi dai forti raggi solari, non sembrava soffrire in alcun modo la vista limitata; aveva con sé una spada dalla lama molto lunga e leggermente ricurva, simile ad una wo dao, con la quale affettava i nemici come se fossero fatti di burro. Loro tre compensavano parecchie lacune del gruppo, ma non sarebbe stato facile.
Il discorso del generale von Gerth aveva destabilizzato Artemiya, non credeva avesse potuto avere il sangue freddo di combattere così aspramente dopo l'enorme aiuto che aveva dato nel salvataggio del principe, ma d'altro canto ammirava la grande fedeltà che lo caratterizzava, era difficile trovare persone simili di quei tempi.

Prima che venissero raggiunti, Ksenia saltò giù da Dedue ed incrociò per un secondo lo sguardo con il fratellastro. Lui aveva un'espressione dura, ma la sentì tremare, come se faticasse a mantenerla. Sospirò, guardandolo sparire nella folla. Sperava di non dover combattere, ma ormai erano in ballo.
Vide suo figlio buttare giù un uomo dopo l'altro, elettrificarli con la lancia e scagliare pezzi di carne e schizzi di sangue tutt'intorno a sé. Era carico di rabbia, lo percepiva... ma non gli avrebbe permesso di combattere fino allo strenuo delle forze, di finire come suo padre.
La bestia si lanciò nella mischia, calpestando e mietendo facilmente vittime e lei ne approfittò per scagliare dei Nosferatu. Non voleva uccidere nessuno, solo mettere fuori combattimento più persone possibile, al contrario di quanto stava pensando Malkuth: aveva un'arma molto simile a quella di Mitja, ma talmente piccola da stare in una mano, con la quale sparava colpi di magia oscura a chiunque giungesse nel suo campo visivo, mirando appositamente a punti vitali. Yolandi cercava invece di limitare i danni del fratello maggiore evocando rovi spinati con i quali lanciava lontano tutti coloro che si avvicinavano troppo al duo.
Myson lasciava invece combattere i suoi maghi, attaccando soltanto saltuariamente e se personalmente in pericolo.

La battaglia si era inasprita ed i tre colori diversi mescolati tra loro mettevano piuttosto in confusione, ma una cosa era certa: tanti alleati li avevano persi a causa di onagri e baliste, che attaccavano a distanza ed erano protetti da piccoli fossati, perciò difficili da raggiungere. Mitja uscì dalla torre in cui si era rifugiato ed, indisturbato, si mise a correre sulle mura con l'arma attiva.
Sparò ad un onagro, facendo esplodere la gemma carica di magia e ferendo gravemente il suo utilizzatore, poi si diresse velocemente verso una balista e colpì a morte l'arciere di turno. Fece la stessa cosa con gli ultimi due rimasti e, successivamente, passò a fare il cecchino contro i nemici impegnati con la squadra capitanata da Artemiya, essendo essa più debole.
Ephraim si accorse del problema quando uno dei suoi corazzati venne decapitato davanti ai suoi occhi. Si voltò di scatto verso la direzione del colpo, scorgendo una figura con un cappuccio nero in testa.
Malgrado fosse lontano, lo riconobbe come quel ragazzo dalla lingua lunga incontrato ad Itha. Nel momento in cui incrociarono gli sguardi, lui gli sparò contro, ma il generale deviò il colpo usando la spada.
Non poteva sentirlo a causa del fracasso, ma sapeva che non era affatto contento del fallimento, perché tentò di colpirlo di nuovo, ancora ed ancora. Ma il generale von Gerth non aveva raggiunto la sua posizione grazie al cognome che portava, se l'imperatrice stessa aveva messo un mago schermidore a capo della sua scorta di corazzati un motivo c'era... ed esso era che, in Adrestia, lui era uno dei pochi capace di fondere alla perfezione le arti della spada e della magia, affermandosi come arma devastante.
Mitja era stanco di lui e mirò dritto nella sua fronte; lo aveva puntato perché, morto il capo, l'intero esercito si sarebbe sfasciato ed allora sì che avrebbero avuto una concreta chance di vincere. Premette il grilletto ed il colpo partì ma l'uomo, invece di pararlo con la lama della spada, tese il braccio sinistro ed un cerchio magico di colore verde si aprì oltre la sua mano, aveva appena evocato un Excalibur ed inglobato in un tornado il colpo concentrato del fucile, dissolvendolo.
Successivamente, corse in direzione del muro su cui stava l'avversario, ma esso si spostò velocemente lungo tutto il suo perimetro, non mancando di attaccare ad ogni occasione. Li evitò per la maggior parte, ma qualcuno riuscì a graffiarlo e, dannazione, facevano malissimo, come se una lama affilatissima lo avesse tagliato in più punti.

- Scendi di lì e combattiamo faccia a faccia!

Il ragazzo fece lo gnorri e gli sparò di nuovo; lui schivò per miracolo... quel giovane aveva un tempo di reazione inimmaginabile per uno della sua età.
Dovette giocare d'astuzia... ed infamia. Senza esporsi troppo, buttò uno sguardo dietro di sé, scorgendo Artemiya, la nipote di Blaiddyd, combattere da sola contro un maestro di guerra e tenergli testa senza troppi problemi.
Non era nel suo stile, affatto, ma tese un braccio in sua direzione, lei troppo impegnata nello scontro per notarlo.
Un cerchio magico rosso si disegnò nell'aria: fuoco.

- Indossa una pesante armatura, non è vero? Cosa le succederebbe se la colpissi? Resisterebbe alla fornace in cui si trasformerebbe quell'ammasso di metallo?

Mitja scattò come una molla. Si portò velocemente il fucile dietro la schiena e sfoderò la spada che aveva attaccata alla cintura, iniziando a correre giù per le mura di pietra con l'agilità di un gatto, l'obiettivo sempre fisso su quell'uomo.
Ephraim reagì dissolvendo l'incantesimo e parando un potente fendente che puntava dritto alla sua gola, incrociando finalmente lo sguardo ravvicinato del suo avversario. I suoi occhi bluastri erano carichi di rabbia e risentimento, i denti stretti.
Colpiva ad una velocità esorbitante, non troppo potente ma compensava facilmente con l'agilità. Vedendo la reliquia luminosa affissa sulla mano sinistra, capì che quel giovane era speciale, non l'aveva nemmeno riconosciuta, quale Segno portava? In ogni caso, doveva stare attento.

- Dannato adrestiano, non mi importa se sei imparentato con la regina, prova anche solo a sfiorare Artemiya e giuro che ti faccio a pezzi e poi metto ciò che resta in dei barattoli di vetro!

Rise a quella minaccia, deviò un fendente e gli diede un calcio in pancia, colpendolo dritto sulla bocca dello stomaco con la punta dello stivale. L'avversario venne sbalzato via e rotolò un paio di volte, prima di mettersi in ginocchio e guardarlo con sguardo torvo, un rivolo di sangue gli scendeva sul labbro rovinandogli il rossetto. Si rialzò con la spada in mano e tornò alla carica, stavolta visibilmente rallentato a causa del dolore, ma non accennava a fermarsi, mai.

Aleksei saltò in alto e decapitò un gran cavaliere mentre il cavallo ancora galoppava ed atterrato scagliò un Thoron ad un arciere che puntava in sua direzione. Vedeva quei soldati cercare di evitarlo il più possibile, intimoriti dalla sua lancia infuocata e dal suo usarla in modo così fulmineo... e sanguinolento, ma non poteva farci nulla. Doveva, voleva ucciderli, non avrebbe permesso a nessun imperiale di andare a Fhirdiad e fare del male a Sera, prima di anche solo poterla vedere, lui sarebbe dovuto essere sottoterra di qualche metro e senza testa.
Mentre approcciava un ennesimo avversario, vide in lontananza sua madre lanciare incantesimi, la quale subito dopo venne circondata da uomini in pesante armatura e grosse armi. A quel punto Dedue si gettò in sua direzione per proteggerla e ne buttò giù alcuni come birilli, facendole nel frattempo scudo con il suo corpo.
Una freccia arrivò in direzione della donna e la bestia la avvolse con le braccia, prendendosela al suo posto. Un istante dopo erano di nuovo circondati da arcieri che continuavano a scagliare dardi su di lui. Il principe sentiva Ksenia urlare, ma l'attendente si chiudeva sempre più per evitare che venisse colpita.
Un mercenario si arrampicò quindi sulla sua schiena muscolosa, piantandogli la spada dritta nella spina dorsale e facendolo urlare di dolore e dimenarsi, dando così il via ad altri che cercarono di infilzarlo con le loro armi.
Aleksei fece per correre ad aiutarlo, ma a causa della distrazione il suo avversario gli tagliò la gola in profondità, provocandogli un dolore atroce. Ebbe solo la forza di piantargli Areadbhar nella pancia ed inginocchiarsi a terra, in attesa che la ferita si rimarginasse.
Il gigante si dimenava come un pazzo, colpendo chiunque cercasse di avvicinarsi con la sua lunga coda e scagliandoli a metri di distanza, mentre la donna gli urlava di fermarsi perché stava perdendo troppo sangue e che non sarebbe riuscita a curarlo di quel passo. Un giavellotto gli si piantò nella schiena, seguito da tanti altri, i quali si infilavano solo superficialmente nella sua pelle dura.
Eppure... eppure di colpo emise un verso straziante, vomitò sangue e, come un albero tagliato, cadde sul pavimento di pietra, provocando un grosso tonfo.
Quando Ksenia rivide la luce del sole, si voltò di colpo e si accorse che Dedue era steso a terra, immobile, con un lago di sangue sotto il suo corpo che si espandeva a macchia d'olio. Subito si inginocchiò ed impose le mani su di lui. Curò le ferite del suo corpo, ma non si muoveva... né respirava. Tentò di sentire il battito cardiaco, nulla, non c'era.
Era morto.
Era... morto, così, all'improvviso.
Come... com'era possibile?
La donna schiuse le labbra, gli occhi spalancati, le lacrime che risalivano.
Qualcosa in lei si ruppe.
Sprigionò un urlo straziante, dilaniante per chiunque lo stesse ascoltando, talmente forte che tutti, nemici ed alleati, cessarono di combattere.
Aprì le mani rivolte verso il basso e due cerchi magici apparvero i quali, dalla solita colorazione pallida della magia bianca, si colorarono del viola intenso tipico della magia oscura. Lonnbéimnech brillava fortissimo, sembrava aver preso fuoco.
Sotto i suoi piedi iniziò a formarsi velocemente un miasma sicurissimo e viscido che si espanse in ogni direzione, intrappolando in esso chiunque ne venisse a contatto stretto.
Myson era confuso, sua figlia non era mai stata capace di utilizzare la magia oscura, ed ora all'improvviso aveva usato un incantesimo tanto potente... stupefacente, la sua creazione continuava a meravigliarlo anche dopo tutti quegli anni.
La regina smise di urlare, ma la situazione non migliorò affatto. I cerchi magici cambiarono improvvisamente colore per una seconda volta, diventando bordeaux, le iscrizioni su di essi sconosciute.
Le sue iridi di ghiaccio assunsero una colorazione rossa e sulla corona si espanse una grossa crepa che quasi la divise in due. Sulle mani, partendo dalle unghie, si formarono dei profondi tagli irregolari lunghi fino ai gomiti.
Tese un braccio e dalle ferite iniziò a sgorgare una grossa quantità di sangue che andò a raccogliersi nel palmo, per poi venire proiettato in avanti. Colpì uno degli uomini intrappolati nella melma e la sua pelle si sciolse, penetrando in profondità ed uccidendolo all'istante.
Da quel momento, anche il miasma sotto di lei si colorò di rosso ed iniziò a corrodere tutto ciò con cui veniva a contatto... compreso il cadavere di Dedue, il quale scomparve in pochissimo tempo nonostante la sua stazza.
La donna, oramai cieca e sorda a tutto ciò che la circondava, si mosse e, in una danza della morte, teletrasportandosi in continuazione, iniziò ad attaccare ed uccidere chiunque le si parasse davanti.

Yolandi rimase a bocca spalancata, non per tutto ciò che era successo, ma per il sorriso impresso sulle labbra di suo fratello. La canna della sua pistola fumava ancora.
...

- Sei stato tu, Malkuth! – Gli urlò contro, facendolo voltare. – Per quale motivo lo hai ucciso?!-
- Sorellina, quanto urli... la regola non era quella di vincere ad ogni costo? Ho solo eseguito l'ordine.-
- Bell'idea fare fuori uno degli alleati più stretti del nostro capo, ora è impazzita e ci ucciderà dal primo all'ultimo, sei un idiota!-
- Voglio vederla distruggere ogni cosa... è ancor più bella in questo momento.-

La ragazzina si morse il labbro ed iniziò a correre finché non raggiunse Thamiel, al quale si aggrappò disperata e gli raccontò tutto ciò che aveva appena visto. A quel punto lui si infiammò e raggiunse il maggiore, tirandogli subito un pugno sul viso.
Il corvino si mise una mano sulla guancia, assottigliando lo sguardo; con quei quanti di ferro gli aveva fatto parecchio male.

- TI È DATO DI VOLTA IL CERVELLO?! – Inveì. – PERCHÉ HAI DATO IL COLPO DI GRAZIA ALL'ATTENDENTE DI KSENIA? È FURIOSA!-
- Per vincere, non capisci? Adesso lei farà tutto il lavoro e sterminerà tutti gli imperiali e, se siamo fortunati, anche gli altri discendenti delle bestie.-
- Io non ti ho dato quest'ordine, non puoi fare tutto quello che vuoi!-
- Vedi di tacere, ragazzino, ti credi chissà chi solo perché ti porti dietro il sangue di quella lucertola morta, ma sei solo malaticcio e debole.-

A quel punto, Malkuth prese l'iniziativa e strappò gli stracci che proteggevano il volto del fratello, esponendolo ai forti raggi solari. Subito l'albino si coprì gli occhi ed il viso perché troppo sensibili, finendo per diventare inoffensivo in un istante e completamente incapace di difendersi dai calci che si stava prendendo.
Il corvino rideva, contento per aver finalmente sopraffatto quel dannato impertinente che aveva osato rubargli il titolo di principe ereditario. Sotto il sole era in netto vantaggio.
Passarono pochi secondi che però si ritrovò a qualche metro di distanza. Artemiya, non appena aveva visto la scena, si era lanciata in sua direzione come una furia e lo aveva colpito con una spallata. Magro com'era, spedirlo così lontano era stato un gioco da ragazzi.
La corazzata si strappò il mantello di dosso e subito lo cedette al principe agartheo, assicurandosi che stesse bene. Poi, si frappose tra lui e suo fratello.

- Infame, come hai osato picchiare il tuo futuro re? Ed uccidere Dedue?! Ho sentito cos'hai fatto, se devi prendertela con qualcuno fallo con me!-
- Tch, taci... piuttosto, attenta a non farti ammazzare.-

Aleksei, sconvolto, quando vide sua madre impazzire a quel punto, corse direttamente da Myson. L'aveva creata lui, doveva sapere come fermarla!

- Cos'è quella magia?!-
- È una tipologia che credevamo perduta... e invece eccola lì, guardala, è sensazionale. Quella è magia del sangue, l'utilizzatore apre i vasi sanguigni ed il loro contenuto viene impiegato negli incantesimi.-
- Come si ferma? Sta facendo un disastro!-
- L'unico limite è l'anemia... ma la Luna Crescente forza il corpo a produrre cellule ematiche all'infinito, potrebbe continuare per sempre.-
- Dannazione...-

Doveva assolutamente pensare ad una soluzione, anche solo per farla rinsavire, di quel passo il suo corpo sarebbe collassato e avrebbero perso anche lei oltre a Dedue. Come fare... come?!
... Anemia.
Doveva funzionare.

Ksenia stava combattendo contro Behemoth. Il drago, vista la situazione, aveva deciso di tenerla impegnata perché non uccidesse alcun alleato e, doveva ammetterlo, era in difficoltà. Con il potere di quella dannata reliquia continuava a teletrasportarsi ovunque ed in modo imprevedibile, ma sapeva di non potergliela togliere perché manteneva stabile l'abnorme quantità di magia che fluiva nel suo corpo, senza sarebbe probabilmente morta.
Tutto ciò che poteva fare era schivare e continuare ad attirare la sua attenzione. Risultava straziante vederla in quello stato, lei che era sempre stata così rigida sui suoi obiettivi...
Dopo interminabili minuti di lotta a senso unico, con l'occhio vide in lontananza una coda bionda correre ad una velocità esorbitante in mezzo alla palude di sangue e con una spada in mano. La donna, quando lo sentì vicino, lo prese di mira e tentò di attaccarlo, ma lui come un fulmine si spostò. Continuò ad evitare i suoi attacchi, aspettò il momento giusto, le andò alle spalle e...
La infilzò, trapassandole il corpo con la lama dell'arma.


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Capitolo 22
*** 21 ; Devour Me, Colossus (Part II): Contortions ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

21

Devour Me, Colossus (Part II): Contortions


Dedue aveva conosciuto Ksenia subito dopo l'evento che gli aveva portato via tutto: la sua casa, i suoi genitori, sua sorella... quando giunse a Fhirdiad assieme al principe che lo salvò, lei era sempre nella sua stanza, giorno e notte, rannicchiata in un angolo con le braccia avvolte attorno alle gambe magrissime. Se qualcuno tentava di approcciarla, scoppiava a piangere.
Lui non parlava affatto la lingua del Fódlan e gli era quasi impossibile comunicare, ma con quella bambina le probabilità scendevano addirittura sotto lo zero. Aveva provato tante volte a capire quale fosse il suo problema -che fosse sconvolta dall'accaduto era plausibile, eppure c'era qualcosa di strano, di non detto-, ma ad ogni tentativo di anche solo avvicinarsi, lei fuggiva, gridando parole a lui incomprensibili.
Solo quando imparò il loro significato riuscì a mettere insieme i pezzi; credeva fosse spaventata dal fatto che venisse dal Duscur, invece le frasi erano sempre rivolte a sé stessa.
"Sta lontano, sono un mostro, la peste ti avvelenerà".
... perché una bambina di undici anni avrebbe dovuto dire una cosa del genere?
Aveva continuato a domandarselo per tanto tempo, finché non se ne dimenticò. Piano piano, mentre Dimitri si riprendeva dalle sue ferite, aveva avuto modo di fargliela conoscere ed alla fine si legò anche a lei, nonostante fosse estremamente timida e tentasse sempre di evitarlo.
Crescendo quel divario sparì; Ksenia per lui rimaneva un mistero, ma le voleva davvero bene ed era contento che il principe avesse al suo fianco qualcuna come lei.
Nove anni dopo la tragedia del Duscur, esattamente prima di scendere in campo a Tailtean, il re l'aveva preso da parte e gli aveva fatto giurare che l'avrebbe protetta ad ogni costo, perché lei era estremamente importante e non doveva assolutamente morire.
Non c'era bisogno di dirglielo, ciò che per Dimitri era sacro, lo era anche per lui.
Le amare parole di quella bambina le comprese solo dopo che tutto si sgretolò un'altra volta. Lui era un mostro, lei un cadavere che teneva stretta in grembo una testa umana, gli occhi fissi nel vuoto. Avrebbe potuto andarsene, lasciarla al suo destino, eppure non ci riuscì... e non fu per l'ordine datogli in precedenza, ma perché si rese conto di provare un affetto veritiero nei suoi confronti. Nonostante tutto, aveva continuato a stare al suo fianco.
Per tutti quegli anni aveva odiato sé stesso per non essere riuscito a proteggere il suo re, ma ora che era morto per aver salvato la donna che più gli stava a cuore, era felice.
Aveva svolto bene il suo compito.

Emise un verso strozzato, gli occhi si spalancarono e lentamente le iridi persero il colore rosso, tornando di ghiaccio. Si toccò il ventre con le mani, percependolo bagnato di qualcosa di caldo.
Solo dopo sentì un fortissimo dolore in tutto il corpo, ma non riusciva ad urlare tanto era confusa. Vedeva tutto bianco, la luce del sole le colpiva il volto con un'immane prepotenza.
Una voce ovattata proveniva alle sue spalle; "ma... a... mm... mam... mamma... mamma?!"
Aleksei... dov'era suo figlio?! Cosa stava succedendo?!
Qualcosa di affilato uscì e lei cadde all'indietro a peso morto, ma venne sorretta in tempo. Vide dei capelli biondi, uno splendido viso ed occhi freddi... eccolo, l'aveva trovato.
Era in armatura...? Ebbe un sussulto, ricordandosi improvvisamente tutto: l'assedio al forte, la battaglia in corso... la morte di Dedue.
Tirò su col naso e singhiozzò, iniziando a piangere. Sentiva le profonde ferite rigenerarsi lentamente, ma il dolore emotivo era decine, no, centinaia di volte più forte e lacerante.

- Perché... perché lui...?-
- Ti ha protetta fino alla fine, ha dato la vita per te.-
- Io non me lo meritavo, Aleksei...-
- Smettila di dire sciocchezze. Piuttosto... scusami se ti ho trafitta con la spada, eri come impazzita, non sapevo come farti riprendere la ragione—-
- Non scusarti. Hai... hai fatto bene, non riuscivo a controllarmi, ad ogni attacco le ferite diventavano più profonde, il dolore era atroce.-

La donna sollevò il braccio, i tagli simili a crepe su di un terreno arido stavano ancora sanguinando, tutte le unghie delle mani erano saltate via. Il suo intero corpo faceva malissimo, non sapeva se sarebbe riuscita a stare in piedi da sola. Che caduta in basso... sperava di poter durare di più ed invece aveva fatto un disastro e non era nemmeno arrivata ad Enbarr.
Riuscì a mettersi seduta e solo dopo notò il lago di sangue ed i corpi umani irriconoscibili, corrosi da quel liquido velenoso. Cos'aveva fatto...
Era un mostro, un dannatissimo mostro incapace di controllarsi.

Ad Enbarr il sole splendeva, come succedeva quasi ogni singolo giorno. Eppure, stavolta non bastava a mettere di buonumore il principe. Stava in piedi davanti alla finestra della sua stanza, osservando l'immenso giardino interno del palazzo imperiale. Nelle ultime settimane gli erano mancati tantissimo i tempi in cui, con suo fratello, passava intere giornate a correre laggiù. Ricordava sempre con un sorriso quando Benedikt lo costringeva a giocare a nascondino, a fare la conta ed a spaventarlo, sin da bambino era sempre stato dispettoso, ma gli voleva bene così, anche quando non lo faceva dormire per notti consecutive dopo avergli raccontato tremende storie su mostri e fantasmi.
E allora perché tutto doveva cambiare a tal punto? Perché non poteva più giocare con lui? Perché non poteva nemmeno più stare in sua compagnia, osservarlo mangiare biscotti rubati dalle cucine e sentirlo lamentarsi di tutti quei nobili che cercavano di entrare nelle sue grazie?

- Bennie...

Sussurrò, stringendo la tenda color borgogna tra le dita.
Sua madre non aveva parlato. Aveva insistito, ci aveva provato con tutte le sue forze... ma lei, dannazione, lei non aveva alcuna intenzione di aprir bocca, come se fosse estranea a tutto ciò! Era sconcertato, si sentiva completamente demoralizzato, sconfitto. Che imperatore sarebbe stato...?
In realtà lui non ambiva affatto a quel titolo e scoprire che lo sarebbe diventato, a dire la verità lo spaventava parecchio. Non si vedeva come sovrano, non quando aveva passato l'intera vita con la convinzione che non sarebbe mai diventato tale; lui era solo il secondo figlio, l'Impero andava al primogenito.
... che era sempre lui, a quanto pare.
Qualcuno bussò alla porta facendolo riprendere dai pensieri che viaggiavano alla velocità della luce e si voltò di colpo dopo un sussulto. Mormorò un "avanti" e dallo stipite sbucò una testa di capelli blu-verdastri... suo padre. Si fece strada nella sua camera, fino ad essergli a pochi passi di distanza, lo sguardo serio -meno apatico del solito, forse addirittura preoccupato-. Incrociò le braccia e lo guardò dalla testa ai piedi, poi si decise finalmente a parlare.

- ... Hans, – Mormorò. – devi venire con me.-
- Di cosa si tratta?-
- Vieni e lo scoprirai. Porta il tuo tomo, ti servirà.-
- ... No, voglio saperlo ora, da te. Quando ci sono mia madre, o Hubert... tu sei più freddo del solito, ma per favore, almeno tu, dammi delle risposte... anche solo una parte di esse. Il resto lo chiederò a Bennie, ti prego, dimmi qualcosa, o non obbedirò più a tutti voi— me ne tornerò al Garreg Mach e riprenderò gli studi. Sto perdendo fin troppe lezioni.-

L'uomo sospirò profondamente e si guardò intorno, sospettoso. Alla fine, decise di chiudere a chiave la porta e di sedersi sul letto con il figlio.
Sapeva che Edelgard non avrebbe approvato la sua decisione, ma Hans ormai non era più un bambino a cui nascondere le cose importanti... come non lo era più Benedikt stesso, il fulcro di tutta quella storia.

- ... Ci fu una guerra, venticinque anni fa, in cui l'Impero Adrestiano invase ciò che un tempo si chiamavano Alleanza del Leicester e Sacro Regno di Faerghus. La Chiesa Centrale, obiettivo primario di tua madre, aveva chiesto asilo a quest'ultimo, perciò lo scontro fu inevitabile.
Tuo fratello è figlio del re che la protesse, Dimitri Alexandre Blaiddyd, il quale morì in uno scontro all'ultimo sangue. Probabilmente anche il cadavere di sua madre è seppellito nella Pianura di Tailtean, luogo dove si svolse quella sanguinosa battaglia.
Venne trovato da Edelgard a Fhirdiad, la capitale, ad un mese di vita, e decise di portarlo via con sé. A distanza di vent'anni, ancora non ho compreso un gesto simile, per lui ha deciso di cancellare anche la sua stessa gloria.-
- E... e come è venuto a sapere di tutto ciò?-
- Presumibilmente attraverso Rufus Blaiddyd di Itha, suo zio. Potrebbe essere coinvolta la nipote, la quale ora è a capo dei Leoni Blu. Ma ci sono dettagli che solo chi si trovava a Tailtean il giorno della morte del re può sapere. Questo rimane un mistero.-

Al giovane tremavano le mani, incapace di fissare altro oltre i suoi stessi piedi che dondolavano nervosamente. Benedikt era un principe strappato alla famiglia... da sua madre, la quale aveva fatto scoppiare una guerra? Ora un po' comprendeva la rabbia con cui l'aveva sfidata a duello, la violenza dei suoi colpi... il problema era che tutto il resto continuava ad essere torbido, perché continuavano a tenerlo all'oscuro. Cercò lo sguardo blu di suo padre, i cui occhi bastavano per dire "da me non saprai altro".

- Ora verrai con me?

Annuì placidamente, alzandosi e seguendolo come un'ombra.

Ephraim evitò per il rotto della cuffia un fendente di Mitja proveniente da sinistra. Lo prese saldamente per un polso e lo tirò a sé, colpendolo violentemente allo stomaco con una ginocchiata. Era la seconda volta che lo prendeva proprio in quel punto e finalmente riuscì a sortire un effetto più marcato.
Il suo avversario indietreggiò di qualche passo tenendosi il ventre con la mano, finché non fu costretto a piegarsi in due e rimettere un miscuglio di cibo mezzo digerito, saliva e sangue; lacrimando dallo sforzo, lunghe strisce azzurre di trucco sciolto si disegnarono sul suo viso.
L'uomo rinfoderò la spada e si mise le mani sui fianchi, stiracchiandosi.

- Diamine, certo che sei proprio duro da buttare giù, non credevo potessi tenermi testa a tal punto, complimenti.-
- Non ho ancora finito...- Mitja tossì, sputando altro sangue.
Sì che hai finito, ragazzino. Non ti reggi nemmeno in piedi, di questo passo potresti avere dei danni permanenti.-

Ignorando le sue proteste, finalmente poté concentrarsi sull'inferno che era appena accaduto: in un batter d'occhio aveva perso mezzo esercito, tutto a causa di una singola persona, sua sorella.
Cos'aveva, esattamente, dentro di sé per essere riuscita a causare tutto quel disastro, per giunta usando un tipo di magia che non aveva mai visto? Ad Itha non avevano avuto occasione di parlare e conoscersi bene, tutto ciò che aveva saputo erano le sue origini per metà agarthee – ma quella non era affatto magia agarthea. Lo era sembrata all'inizio, con quel miasma viola, nero ed appiccicoso, ma poi aveva iniziato ad usare il suo stesso sangue per uccidere e lì ci aveva capito ancor meno.
Iniziò ad avvicinarsi a lei, al momento distesa a terra, sorretta con un braccio dietro la schiena da un uomo estremamente inquietante dalla pelle cadaverica, il quale la stava aspramente rimproverando con una voce profondissima ed oscura. Quando lo vide, un brivido gli percorse violentemente la spina dorsale, quasi congelandolo sul posto. Chi era...? Il padre? C'era qualcosa di strano in lui... come se lo avesse già visto, gli avesse già parlato, eppure non ricordava di averlo mai incontrato, nemmeno quando fu selezionato per introdursi a Shambhala e combattere le Serpi delle Ombre.
Il principe era in piedi accanto a loro e, quando lo vide, gli rivolse uno sguardo torvo, gli occhi talmente stretti tra loro da distorcere la pelle delle palpebre inferiori e formare piccole rughe. Si mosse in sua direzione, i tacchi altissimi dei suoi stivali producevano un tonfo ad ogni passo pesante. Si fermò a pochi centimetri, sovrastandolo con la sua stazza. Tutto l'insieme – armatura, spessa pelliccia, scarpe, lo faceva sembrare più gigantesco di quanto già non fosse; l'ultima volta che lo aveva visto era magrissimo, denutrito, privato di ogni vitalità, mentre ora il suo viso si era riempito, la pelle aveva ripreso colore ed i capelli erano lucenti, anche la muscolatura si era notevolmente accentuata... sembrava un leone, o lo era per davvero?

- Ephraim, – Parlò, con voce gutturale. – sta lontano da mia madre. O ti ammazzo.

La sua stretta sulla spada ancora bagnata del sangue di Ksenia si fece più forte. Poteva aver fatto cambio d'arma con quel giovane pallido come un cencio, ma a lui non serviva per forza una reliquia degli eroi per frantumargli tutte le ossa; tutti quei soldati ad Enbarr non erano stati uccisi dalle ferite provocate dalla lancia, ma a causa del totale annichilimento dei loro organi interni, ridotti a mera poltiglia.
Lui scosse il capo.

- Non sono qui per farle del male, voglio... voglio solo assicurarmi che stia bene.-
- Cosa importa? Siamo nemici, l'hai dimenticato?-
- Altezza, non potrei mai essere vostro nemico, siete come un figlio per me. Non ho alcuna intenzione di sporcarmi le mani con il vostro sangue, né con quello di quella donna.-
- ... Lei sta bene, ma voglio che dimostri la veridicità delle tue parole. Ferma questa buffonata, generale.
Non voglio che raggiungiate Fhirdiad, Sera si trova lì, non ho alcuna intenzione di lasciarti invadere il luogo in cui sono nato e farle del male.-
- Fhirdiad è stata ritrovata...? La... la capitale del Regno?-
- Sì... grazie al tuo aiuto. Se non avessi trovato Areadbhar, sarebbe rimasta nascosta per sempre.-
- Capisco.-

"Mi dispiace... El", mormorò, prima di prendere un profondo respiro.
Si trovava tra due fuochi e dalla parte di entrambi— lui, che era sempre stato fedele al cento per cento verso la sua imperatrice, aveva fallito, miseramente.
Ma quelle erano questioni tra non-più-madre e figlio, la sua intromissione serviva solo a perdere tempo, causando una rabbia sempre più crescente dalla parte di colui che si era sentito tradito, usato. E l'affetto che provava per quel principe gli faceva desiderare che venisse messa la parola fine a tutta quella farsa arrivata addirittura a mietere vittime – povera creatura, chissà quanto aveva sofferto.
Fece un paio di passi indietro e mise una mano sull'elsa della spada -in quel momento poté vedere Aleksei alzare la guardia- e la estrasse, puntando la sua lama argentata verso il cielo, l'astro solare diviso in due perfette metà. Come quello scontro era iniziato, allo stesso modo decise di finirlo.

- Soldati d'Adrestia! – Tuonò, usando il diaframma. La voce potente, come ci si aspetterebbe da un leader di quel calibro. – In nome dell'Aquila Bicefala, deponete le armi. Questo esercito non combatterà una battaglia ingiusta, ritirata! Salvate le vostre anime!-

E tutti si fermarono, come congelati nel tempo. Il viola scuro del campo di battaglia si separò, diventando rosso, blu e nero, la distinzione tornò ad essere netta, marcata.
Tutto tacque.
Ephraim depose anch'esso l'arma, riponendola nel fodero e, cautamente, si avvicinò al corpo di Ksenia, guardandola da pochi metri di distanza – quell'uomo, la sua aura di malvagità gli impediva di muovere un ulteriore passo. Qualcosa lo frenava, come se potesse ucciderlo se solo l'avesse sfiorata.
Lei aveva i suoi occhi di ghiaccio semiaperti, lo guardava con un piccolo sorriso, il viso pallido e cadaverico. Un buco era aperto sul suo ventre -giurò di averne visto i tessuti ricucirsi lentamente- e le braccia erano attraversate da profondissime crepe che grondavano sangue fin sulle e dalle mani.
Nonostante ciò, rimaneva bellissima.
Fece per dirle qualcosa, ma dovette bloccarsi. Qualcuno aveva parlato e non era un soldato del Faerghus, ma una voce a lui ben familiare.

Era un uomo di nome Adonis, un corazzato di alto rango facente parte dei suoi subordinati, con una fede nell'Aquila Bicefala seconda solo alla sua... peccato fosse molto più spietato.
Ed in quel momento, il generale capì di aver commesso un errore, nella sua scelta di parole. Se solo avesse comandato una ritirata, non sarebbe successo nulla, ma—

- In nome della Legge, mi permetto di disobbedire all'ordine del generale Ephraim von Gerth, il quale va contro la nostra imperatrice Edelgard von Hresvelg. In suo nome, Guardia Imperiale, seguitemi contro questi traditori, seppelliteli nelle viscere del Generale Testardo!

E fu il caos.
Un vortice scarlatto tornò alla carica verso l'ormai stremato esercito avversario, ancor più violentemente di prima.
Artemiya urlava maledizioni contro chiunque l'approcciasse, combatteva da sola contro quattro persone alla volta per proteggere Mitja, il quale ancora non era riuscito a riprendersi; inginocchiato sul selciato, faticava a respirare ed ogni tre per due vomitava sangue. Le diceva di lasciarlo perdere e salvarsi, ma lei sembrava sorda ai suoi richiami ed ignara dei colpi che stava ricevendo.
Aleksei e Thamiel si raggiunsero l'un l'altro e fecero nuovamente scambio d'armi, iniziando ad attaccare schiena contro schiena e proteggersi a vicenda, mentre Yolandi faceva da scudo a Myson e Ksenia con le sue piante velenose magiche – e nel frattempo tenendo imprigionato il fratello maggiore con una spessa liana spinata. A darle man forte c'era Behemoth, il quale aveva innalzato una barriera magica intorno ai due; salvare la regina, ad ogni costo.
La maggior parte dei soldati si era rivolta proprio contro il suo stesso generale che, a malincuore, aveva iniziato ad ucciderli – cos'aveva fatto?! Davvero aveva commesso un errore tanto grossolano?!
Era esausto, anche se non voleva ammetterlo lo scontro con Mitja aveva drenato tutte le sue energie, la magia ormai esaurita. Perse per un attimo l'equilibrio e quell'errore gli costò caro.
Il suo avversario lo pugnalò ad un fianco e lui crollò a terra, privo di forze. Urlò di dolore, cercando di estrarre il pugnale dalla carne -invano-, una macchia di sangue che si espandeva sulla sua camicia bianca. La vista si annebbiò, tutto si ridusse ad una massa di macchie multicolore e sconclusionate.
Aleksei vide la scena con la coda dell'occhio e, in un istante, si gettò contro il ladro acrobata. Senza dargli il tempo di realizzare, Areadbhar si schiantò dritta sul suo collo, facendogli saltare via la testa come una bottiglia di spumante appena stappata. Il corpo cadde all'indietro, schiantandosi al suolo e mescolando il suo sangue con quello già presente, ormai innocuo, riversato da quella magia assurda.

- Ephraim! EPHRAIM! – Urlò, quasi rovinandosi le corde vocali. – Dannazione, se solo mia madre fosse—-
- Mi dispiace, Altezza...-
- No, no, no, che stai dicendo? Non è colpa tua, tu avevi detto loro di ritirarsi—-
- Ho... ho sbagliato le mie parole. Se solo ci avessi pensato di più... lasciatemi morire, me lo merito, ho tradito l'Adrestia...-
- Taci, o ti prendo a pugni! – Sbottò, estraendo di colpo il pugnale dalla sua carne. – La mia magia bianca non è un granché, ma deve, deve tenerti in vita finché non potrai ricevere cure appropriate.-

Aleksei impose la mano dritta sulla ferita imbrattandosi il guanto di rosso, ed iniziò a recitare a bassa voce una formula magica. Emanò un vago calore, una luce pallida che proveniva dal suo palmo. In poco tempo il dolore sparì e, seppur rimasto aperto, il taglio smise di sanguinare. Se solo si fosse fatto insegnare la magia bianca dalla madre, pensò, ma con i "se" e con i "ma" non si arrivava mai da nessuna parte, né tantomeno nel bel mezzo di un campo di battaglia.

- Behemoth... Behemoth...- La donna chiamò il drago, il quale teneva ancora lei ed il padre rinchiusi in una gabbia di magia oscura.
- Zitta, Anaxagoras. Dannazione, fatichi pure a respirare, di questo passo morirai prima di domattina! Ti ridurrai in cenere se continuerai a sforzarti, testa dura!- Myson la rimproverò duramente, una grande rabbia nella voce profonda, crepe di terrore.
Lei scosse violentemente il capo.
- Non posso stare qui a guardare la mia gente morire, padre. Behemoth—!-

Con l'ultima frase alzò la voce, finendo per mettersi a tossire. Stille di sangue le bagnarono le labbra come un macabro rossetto, reso ancor più scarlatto dall'epistassi in corso.
Fortunatamente, quel verso di disperazione fu udito dal suo destinatario, il quale indietreggiò di qualche passo per poterla sentire al meglio ed evitarle ulteriori sforzi, la guardia sempre alta e la barriera ben solida.

- Come posso esservi d'aiuto, Maestà?-
- Behemoth, dobbiamo salvare i nostri alleati, qui sta succedendo un pandemonio, moriranno tutti! Dobbiamo ritirarci...!-
Il suo interlocutore sospirò, abbassando lentamente le braccia.
- ... L'ordine era quello di vincere ad ogni costo ed io non ho intenzione di ritirarmi, non dopo aver visto il vostro attendente sacrificarsi per voi— volete rendere tutto vano? Il vostro sogno, quello di incoronare Aleksei re del Sacro Regno di Faerghus...?
... Mi dispiace, ma il mio di principe vuole per voi la felicità e, se ci ritirassimo, non potreste ottenerla.
Mi prendo tutta la responsabilità di ciò che sto per fare. Non fatevene una colpa.-

Behemoth dissolse la barriera, lasciando padre e figlia scoperti. Si mise a quattro zampe ed iniziò a mutare forma; grandi ali di pelle scure come la notte gli fuoriuscirono dalla schiena e presto anche il suo intero corpo cambiò. Una testa gigantesca ricoperta di scaglie e pelliccia su cui svettavano sei corna, il collo lunghissimo, le zampe magre con artigli grandi quanto due uomini adulti, la coda sottile come una frusta. Un occhio scarlatto ed uno bianco e lattiginoso.
Con un colpo d'ali si sollevò di qualche metro da terra, il petto si gonfiò per permettere a più aria possibile di entrare nei polmoni e, una volta pieni, soffiò fuori tutto il loro contenuto incendiandolo, creando un vero e proprio lanciafiamme, la sua gola illuminata dal fuoco al suo interno.
Myson strinse a sé Ksenia e ne avvolse il corpo ferito e stremato con il suo mantello, Aleksei si gettò su Ephraim per fargli da scudo, Artemiya afferrò Mitja, se lo caricò in spalla e fuggì verso il resto del gruppo, Yolandi si abbassò fino al suolo -schiantando a terra anche la liana che imprigionava Malkuth- e Thamiel rimase immobile, l'inferno si rifletteva nei suoi occhi scarlatti illuminandoli con tante piccole pagliuzze dorate.
Era una visione che in pochi avrebbero avuto l'occasione di vedere nella loro vita, splendida e lucente ma bollente, letale. I draghi erano magnifiche creature.
Le urla dei malcapitati che venivano inghiottiti dalle fiamme si estinguevano velocemente, le loro uniformi scarlatte mescolate con il fuoco e ridotte poi in cenere.
Quando Behemoth cessò il suo attacco, una spessa coltre di fumo si alzò accecando i presenti come se fosse calata la notte. Piano piano si diradò, rivelando... il nulla.
I soldati adrestiani erano stati carbonizzati al punto da scomparire e nel muro di cinta che circondava il Forte Merceus si era formato un gigantesco buco e di conseguenza gli aveva fatto perdere l'epiteto di "inespugnabile".
La creatura si voltò ed abbassò il capo fino a raggiungere la regina, il suo occhio scarlatto che la scrutava. Si udì un eco distante ed al contempo potente, "perdonatemi", le disse.

Aleksei si alzò, spostò delle ciocche bionde cadute sugli occhi ed iniziò a guardarsi attorno spaesato, quasi come se avesse improvvisamente perso la memoria e si fosse dimenticato il suo stesso nome. Guardò Artemiya, i suoi occhi neri erano spalancati e terrorizzati, Mitja era collassato sulla sua spalla già da un po'. Guardò Thamiel – lui era calmissimo. Guardò Yolandi, lei era ancora buttata a terra. Guardò la coppia mamma-nonno più il colpevole di tutto quel casino. Li raggiunse, barcollando.

- Era... era necessario?- Biascicò.
Il drago tornò uomo.
- Mi dispiace non aver chiesto il permesso a nessuno, ma o noi o loro, Altezza.-

Behemoth si spostò, rivelando dietro di sé un gruppo di soldati, metà erano maghi vestiti di nero con maschere che nascondevano il loro viso, metà guerrieri di tutti i tipi in uniforme blu. Non erano tantissimi, cinquecento arrotondando per eccesso.

- Sono rimasti solo loro... l'ultimo attacco è stato violentissimo.-
- Comprendo... ti ringrazio, ma per favore, non fare una cosa simile quando andremo ad Enbarr.-
- Vuoi ancora andarci, Aleksei...?- Artemiya si intromise nel discorso. Lui annuì.
- Non ho intenzione di scatenare un'altra battaglia come questa, ma devo andarci. O tutte queste morti saranno state inutili.-
- È contro l'imperatrice che combatteremo, la prossima potrebbe essere ancor più violenta—-
- Se hai paura, puoi tornare a Fhirdiad.-
- Lo sai che non ti abbandono. È solo che siamo tutti feriti e stremati... se ci andassimo ora, firmeremmo la nostra condanna a morte.-
- E tua madre morirebbe.-

Myson si alzò in piedi, tenendo Ksenia in braccio. I suoi occhi erano socchiusi e quel poco di iride che si poteva intravedere sotto la coltre di ciglia nere e lunghe era opaco, ghiaccio sporco. Il taglio che le aveva squarciato il ventre era ancora lì e ciò fece sentire il principe talmente in colpa da mordersi l'interno della guancia – anche le ferite sulle braccia persistevano, doveva essersi indebolita parecchio con quel suo attacco di furia cieca.

Si portò una mano al mento, pensieroso. In effetti, anche lui era piuttosto stanco, se avesse attaccato Edelgard in quelle condizioni, non sarebbe andata diversamente da quando ci aveva combattuto l'ultima volta: uno scontro futile, nel quale avrebbe sicuramente perso altri uomini.

- ... Avete ragione. – Constatò, accarezzando il viso di sua madre. Era fredda. – Dovremmo accamparci e teletrasportare l'esercito alla capitale solo una volta che ne avremmo le forze... non sarà facile.-
- Se posso intromettermi, – Ephraim era riuscito ad alzarsi, ma faticava a rimanere in piedi. Una mano sul fianco pressata sulla ferita ancora aperta. – il muro che è stato distrutto per vostra fortuna era vuoto, ma le altre parti della fortezza contengono le stanze per i soldati e, ovviamente, delle infermerie. Le guaritrici si troveranno sicuramente ancora lì, potranno aiutarci a rimetterci in sesto se sono io a chiederglielo.-
- Dovremmo fidarci? L'esercito che è stato fatto fuori era il tuo, sarebbe giusto uccidere anche te.- Myson parlò, pugnalandolo una seconda volta con quei suoi occhi inquietantissimi. L'uomo rabbrividì, il dolore al fianco improvvisamente più acuto.
- Io non—-
- Lui è dalla nostra parte. Faremo come dice.- Aleksei si frappose tra loro, offrendogli un sostegno fisico.
- Ti fidi troppo delle persone sbagliate... ecco perché metà del tuo esercito è composto da agarthei.-

Il principe si voltò, incapace di ascoltarlo ulteriormente. Sua madre era una persona sbagliata? Se l'avesse detto un'altra volta, gli avrebbe volentieri spezzato l'osso del collo – e probabilmente sarebbe stata la sua prima azione una volta finito tutto ciò.
Dato che non era in grado di camminare da solo, si era caricato il generale sulla schiena e, seguendo le sue indicazioni, guidò l'esercito all'interno delle spesse mura del Forte Merceus. La scena era abbastanza esilarante nella sua testa; quand'era bambino, Ephraim lo portava sempre in giro in quel modo, ed ora era molto più grande di lui e le loro posizioni si erano invertite.

I feriti vennero subito soccorsi -soprattutto Ksenia, la quale aveva fatto svenire almeno tre guaritrici a causa delle sue condizioni-, mentre a chi stava meglio erano state assegnate delle stanze singole (da dividere però in due data la loro scarsità). Aleksei era finito con Thamiel, mentre Yolandi con Artemiya – ed un Malkuth costantemente imprigionato e narcotizzato da chissà che. Myson non aveva abbandonato la figlia neanche per un secondo e Behemoth si era scusato ripetutamente con ogni singola persona dalla parte dell'impero che aveva trovato, per poi offrire il suo aiuto con i feriti.
Ironicamente, Ephraim e Mitja erano stati messi in due letti vicini.

Aleksei aveva lasciato Areadbhar nella sua stanza ed era uscito per prendersi una boccata d'aria. Dall'alto vide Artemiya al centro della piazza e decise di raggiungerla. Si era spogliata della sua pesante armatura ed era rimasta con un completo blu aderente, le maniche a sbuffo la facevano sembrare quasi possente, gli stivali bianchi conferivano uno stacco di colore ed i suoi capelli erano sciolti, grossi boccoli castani scendevano dolcemente sulle sue spalle e sulla schiena.
Quando lo vide arrivare, gli rivolse un dolce sorriso e lui ricambiò.

- Cosa fai qui? Sei talmente stanca che ancora ti tremano le gambe.- Gliele guardò. Era vero.
- Volevo offrire una preghiera per Dedue... e a tutti gli altri caduti ovviamente. Ti va di farlo con me?-
- Io... Artemiya, non ho mai pregato in vita mia, non sarebbe irrispettoso?-
Lei ridacchiò.
- Sera mi disse la stessa cosa.-
- ... Davvero?-
- Quando partisti da solo, – Aleksei pensò di udire anche uno "stupido" tra le sue parole. – per Shambhala, era davvero disperata, perciò le proposi di pregare un po' insieme, tutto qui. Era titubante, ma lo abbiamo fatto insieme, è stato bello.-
- Allora penso lo farò anch'io... recita la preghiera, io ti seguo.-

La ragazza annuì, congiunse le mani, chinò il capo e chiuse gli occhi. Lui la imitò.

"Oh, Dea Sothis, che tu possa perdonare tutto il sangue versato quest'oggi sul campo di battaglia. Perdona Ksenia Arnim, Aleksei Irek Blaiddyd, Artemiya Rosenrot Blaiddyd, Mitja Leclerc, Ephraim von Gerth, Behemoth, Myson, Thamiel, Yolandi, Malkuth e tutti coloro che hanno contribuito a tutto ciò. Soldati imperiali, soldati del regno, soldati agarthei, non fare distinzione, siamo tutti tuoi figli. Che le anime dei caduti possano trovare la pace e si ricongiungano al Principio."

Quando ebbe finito, la sentì tirare un profondo sospiro, perciò aprì gli occhi e la guardò. Stille salate scendevano lungo il suo viso di porcellana, gli occhi lucidi rivolti verso il cielo terso. Si avvicinò per metterle una mano sulla spalla, ma lei si fiondò tra le sue braccia, fregandosene del sangue ancora impresso sull'armatura immacolata. L'avvolse con il suo mantello, stringendola a sé e lasciandola sfogare per un po', le dita intrecciate nei suoi riccioli.

- Aleksei... perché? Perché le persone devono farsi la guerra? Edel— l'imperatrice ti ha fatto da madre per vent'anni, perché allora abbiamo dovuto uccidere così tanti suoi soldati per sperare di ottenere ciò che ci, ti spetta?-
- È proprio ciò che voglio chiederle, sta tranquilla. Risolveremo tutto, avrai, avremo il nostro regno.-

Era scesa la notte ed ogni luce dell'infermeria era stata spenta, il buio era totale.
Eppure Ephraim non riusciva a chiudere occhio, ripensava alla scena terrificante accaduta lo stesso giorno, l'urlo straziante di sua sorella, le vittime che aveva mietuto... ogni volta che provava a dormire, le immagini di lei gli tornavano subito alla mente, non le avrebbe scordate per un po'.
All'improvviso, sentì qualcosa di caldo appoggiarsi sulla sua mano e sussultò.

Shh. – Un sibilo. – Non vorrete svegliare gli altri.-
- Ksenia...? Sei tu? Dovresti tornare nel tuo letto, hai un buco nella pancia—-
- Si è chiuso, non preoccupatevi.-

La silhouette di una corona si illuminò, proiettando una piccola luce anche su di lei, accentuata dalla fiammella magica che aveva acceso sulla mano.
Quando riuscì a vederla, sembrava un fantasma; aveva una camicia da notte bianca che le lasciava le braccia ferite  -ora, stranamente, i tagli sembravano meno profondi- scoperte, i capelli rosa sciolti e spettinati. Aprì i bottoni del suo vestito, noncurante di starsi mostrando mezza nuda ad un semi-sconosciuto e si tolse le bende che le avvolgevano il busto.
Nulla. Non c'era più nulla, a parte un piccolo graffio.
Lui spalancò la bocca e lei gli sorrise, iniziando a rivestirsi.

- Questo è il mio Segno, si chiama Luna Crescente. L'ha creato mio padre, quell'uomo inquietante che sta dormendo accanto al mio letto.-
- "Creato"...? È artificiale?-
- Sì... è una lunga storia, quando avremo più tempo ve la racconterò. Sono qui perché voglio curare la vostra ferita, è profonda, probabilmente vi porterà alla morte.-
Lui deglutì.
- Ma anche tu sei in condizioni precarie, tuo padre continuava a dire cose come "morirai", "ti ridurrai in cenere" allo sfinimento. Non voglio avere la responsabilità della tua morte.-
- Finché Lonnbéimnech è intatta sulla mia testa, non morirò, generale, non preoccupatevi per me. Davvero.-
- Ksenia... per favore, chiamami con il mio nome, senza onorificenze. Sono tuo fratello, ricordi?-
- Va bene, Ephraim...-

Gli alzò le vesti, togliendo le bende dai suoi fianchi. Come pensava, la ferita era già infetta, presto gli sarebbe venuta la febbre e, nel giro di pochi giorni, sarebbe morto. Vi impose le mani ed una luce pallida si sprigionò dalle sue mani.
Ephraim sentì chiaramente tutti i tessuti ricucirsi e sanarsi, il dolore dissolversi velocemente. Nel giro di pochi secondi, la pelle era tornata liscia e tonica, neanche un graffio era presente. La guardò, incredulo.
Non aveva mai incontrato nessuno con simili poteri curativi.

- Posso... posso dormire accanto a te, stanotte?

Lui le sorrise, facendole posto nel letto striminzito, chiaramente pensato per una singola persona. Ksenia si tolse la reliquia dal capo e si infilò sotto le coperte, appoggiando la testa nell'incavo del suo collo. La coprì fin sulle spalle con il lenzuolo e la tenne accanto a sé – seppur non sapesse bene come toccarla a causa dei tagli sulle braccia.

- Sai... ho sempre desiderato avere un membro della mia famiglia che fosse normale, pensavo di avere solo mio padre, ma quando ho saputo di avere te sono stata davvero felice. Mi dispiace non averlo dimostrato adeguatamente quando ci siamo conosciuti, ero... e sono in uno stato mentale precario. Non sono in grado di esprimere le emozioni positive come vorrei.-
- Vale lo stesso per me. Sei la cosa più bella che mi sia capitata in decenni, spero di poterti conoscere al meglio dopo che tutto ciò sarà finito.-
- Ho capito subito che avevi ordinato quell'attacco a malincuore, Ephraim.-
- Me ne sono accorto... non sono riuscito a guardarti. Mi dispiace che le mie azioni abbiano portato alla morte di quella bestia a te così cara.-
- Non fartene una colpa, io per ripicca ho ucciso tantissimi dei tuoi soldati.
Ephraim, – Il suo tono si fece più serio. – verresti con me a Fhirdiad?-
- Fhirdiad...? Io sono il capo della Guardia Imperiale—-
- Non ne sei più sicuro, ormai. Vorrei che guidassi la Guardia Reale di Aleksei quando sarà re. Lui si fida di te, avere una faccia conosciuta lo aiuterà sicuramente.-
- Io... non lo so, Ksenia, mi fai questa domanda così a bruciapelo... vorrei avere del tempo per pensarci.-
- E lo hai, anzi, scusa se te l'ho chiesto così, di colpo. Non dev'essere facile voltare le spalle alla causa che hai servito per decenni.-

Detto ciò, dopo qualche altro scambio di battute, la donna si addormentò tra le braccia del fratello, il respiro leggero. Stargli accanto l'aveva calmata, aiutata a distogliere i pensieri dalle disgrazie successe solo poche ore prima.
Ephraim, invece, non aveva chiuso occhio a causa di quella domanda pesante come il piombo.

- Ti sei preso tutto il lenzuolo.-
- Hey, ne ho più bisogno io. Sono fragile, delicato e tu vieni da una terra che è ricoperta di neve per tre quarti dell'anno, puoi sopportare un po' di aria fresca!-
- Thamiel, essere nato al freddo non mi rende automaticamente immune, ho vissuto tutta la mia vita nella città più calda del continente. Tu vivi letteralmente sottoterra, dovresti essere quello che lo tollera meglio.-

Aleksei tirò la coperta così forte che il suo compagno di letto finì per girarsi a pancia in giù, interamente scoperto e con la faccia stampata sul cuscino.
Nonostante il principe agartheo fosse molto più magro, due uomini adulti in una branda singola non potevano dormirci decentemente. Il biondo aveva la schiena appiccicata contro il muro gelido, mentre l'altro rischiava di cadere sul pavimento se solo si fosse spostato di qualche centimetro... ed essere appiccicati in quel modo non piaceva a nessuno dei due.

- Non potevi fare cambio con Artemiya ed andare a dormire con tua sorella?-
- Divertirsi con una donna ti stancherebbe, domani ci sarà un'altra battaglia, ricordi?-
- Io non— ma che vai a pensare?! È mia cugina, siamo parenti! Avrei solo preferito dormire con lei perché, a confronto tuo, è piccola e ci sarebbe stato più spazio per entrambi.-

Finita la frase gli diede un calcio sul fianco che lo fece rotolare giù dal letto. Dannato agartheo.
Thamiel ci tornò velocemente sopra, il contatto con il pavimento ghiacciato lo aveva fatto rabbrividire dalla testa ai piedi.

- Non pensavo che quell'angelo di Ksenia potesse avere un figlio così... così...-
- Così cosa?-
- ... Antipatico. – Sbuffò, portandosi quel poco di coperta sopra al naso. – Sai, lei ti vuole un bene immenso, ti ha cercato per così tanto, pur non essendo sicura che fossi vivo.
Ed ora sta distruggendo sé stessa pur di rendere giustizia a te.-
- Allora tu sei a conoscenza della sua condizione...-
L'albino annuì.
- Non se lo merita. Non voglio vederla morire.-
- Sembri tenere a lei.-
- Beh, mi ha fatto da madre per tanto tempo, come non potrei? Sai che originariamente doveva essere una delle mogli di mio padre? Ma dopo lo scoppio della guerra ha sposato il tuo ed i piani sono saltati.-
- Quel matrimonio è durato poco, perché il re di Agartha non l'ha sposata dopo?-
- ... Non lo so, forse perché la sua sanità mentale era venuta meno, ma a questa ipotesi do poco valore, io credo che Myson gliel'abbia sottratta. Seppur sia una persona tremenda, ama sua figlia -od il suo Segno-, se fosse stata costretta a fare figli con mio padre, probabilmente sarebbe già morta a causa dello stress.-

Aleksei sospirò profondamente. C'erano tante cose di sua madre che ancora doveva imparare, ma tutto ciò di cui era a conoscenza era la sua immensa sofferenza, che negli anni si erano sovrapposti tanti elementi e traumi. Ma lei si era sempre rialzata e questo glielo invidiava parecchio; così fragile ed al contempo forte... non poteva chiedere donna migliore da cui discendere.

Attorno ad un tavolo si erano radunati tutti i capisaldi di quell'esercito improvvisato, una mappa rudimentale del palazzo imperiale stesa sul legno.
C'era Ksenia, agghindata nel suo splendido abito blu con la corona in testa, le ferite sulle braccia ora sottili crepe scarlatte impresse nella pelle, accanto a lei Ephraim, i lunghi capelli sciolti che continuavano a cadergli sul viso, Aleksei in armatura alla sua destra assieme a Myson.
Dalla parte opposta c'erano Artemiya, Mitja, Thamiel, Behemoth e Yolandi, già pronti per partire alla volta della capitale.
Stavano tutti bene ed erano in perfetta forma perché, quella mattina, Ksenia aveva usato Balsamo di nascosto da suo padre, curando al meglio delle sue capacità tutti i feriti dell'infermeria.

- La Sala del Trono ha tre entrate. – Ephraim indicò dei punti sulla mappa. – Per quella est bisogna attraversare i giardini, la sud la si raggiunge più velocemente, ma ci sono delle rampe di scale sulle quali si può essere rallentati, mentre la ovest passa per la Sala Ricevimenti ed è la più semplice da percorrere... per entrambi gli eserciti, tenetelo a mente.-
- Tu cosa consigli?- Ksenia lo guardò, puntandogli addosso i suoi occhi di ghiaccio.
- Io... – L'uomo incontrò lo sguardo di Myson, rabbrividendo. – ovest, indubbiamente. Il percorso non è lungo come quello est e, soprattutto, è interamente all'interno del palazzo.- Il suo pensiero andò a Thamiel, il quale era estremamente indebolito sotto al sole.

Lui non voleva assolutamente rivelare quelle informazioni, nonostante fosse in buoni rapporti con Ksenia ed Aleksei, non era sua intenzione tradire ulteriormente l'Impero dando un così grande vantaggio ai suoi nemici, dopotutto non sapeva le complete e reali intenzioni del principe – aveva provato a domandarle alla sorella, ma a dire il vero nessuno sapeva perfettamente cosa gli passasse per la testa. Eppure era lì, attorno a quel tavolo, a rivelare ogni segreto del luogo che avrebbe dovuto proteggere.
La verità era che quell'uomo, il cadavere, lo sfigurato in abiti scuri lo aveva minacciato, gli aveva mostrato un pugnale dalla lama nera -lo stesso materiale che aveva usato quell'abominio delle Serpi delle Ombre per uccidere il capitano Jeralt, ricordava- e gli aveva assicurato che avrebbe riaperto la sua ferita se non avesse collaborato, aggiungendo che nemmeno la magia del "suo angelo" avrebbe potuto aiutarlo in quel caso.
Ephraim non voleva morire, tutto qui. Poteva sembrare egoista da parte sua, un così devoto sostenitore dell'Aquila Bicefala, ma non poteva farci nulla, il suo sacrificio poteva arrivare fino ad un certo punto. Ed in ogni caso sarebbero partiti per Enbarr, con o senza i suoi consigli.

- Buona idea, Ephraim, – Aleksei parlò. – io avevo pensato di teletrasportarci nei giardini, ma con un sole del genere perderemmo Thamiel, non può combattere al meglio con degli stracci avvolti attorno alla testa.-
- Che carino, mi pensi!- Si intromise l'albino, con un tono scherzoso.
Il principe gli lanciò un'occhiataccia.
- ... Ed apparire direttamente nella Sala del Trono ci esporrebbe ad una tripla manovra a tenaglia. Ergo, suicidio. È meglio sconfiggere più soldati possibile prima di arrivare nel cuore pulsante del palazzo. Sarà anche invecchiata, ma Edelgard von Hresvelg rimane un avversario temibile, dobbiamo ponderare ogni nostra mossa e risparmiare le energie per quando arriveremo a lei.-

Anche quella mattina il sole splendeva ad Enbarr. Come, d'altronde, tutte le altre.
Le notizie del giorno prima erano state devastanti; l'esercito e parte della Guardia Imperiale, compreso il suo capo, erano stati attaccati al Forte Merceus da due gruppi di soldati che portavano il vessillo del cavaliere ed il grifone -del quale Hans non sapeva i dettagli, non avendolo mai visto-, accompagnati da una gigantesca bestia completamente nera -il drago che aveva sfondato il soffitto...?-. Il rapporto era arrivato per via aerea il tardo pomeriggio e la notte sarebbe dovuto arrivarne un altro, così come quella stessa mattina, ma nessuna nuova era più giunta. Silenzio.
"Bennie, sei stato tu...? Cos'hai fatto?", si ritrovò a pensare mentre, ancora una volta, i suoi occhi lilla erano fissi sui giardini in cui i due giocavano da piccoli, la tazza di tè sul tavolino ormai fredda e la fetta di torta squagliata nel piatto. Non che avesse voglia di mangiare, in quella situazione.
Qualcuno bussò alla porta e lui iniziò a credere di essere tornato indietro nel tempo di ventiquattr'ore, perché era tutto così uguale al giorno prima?
Stavolta però non era Byleth, ma uno dei tanti cavalieri a protezione del castello. L'incantesimo si era (quasi) spezzato.

- Principe Hans, siete atteso alla Sala del Trono, ci sono notizie importanti di cui dovete venire a conoscenza. Seguitemi, subito. Prendete con voi il vostro tomo.L'uomo sembrava essersi pentito di aver usato un tono rude.
- È successo qualcosa di grave? – Hans si alzò, iniziando a seguirlo a passo svelto. – Sono giunte altre notizie dal Forte...?-
- Per la vostra sicurezza, è meglio che prima raggiungiamo la destinazione, parlare ci rallenterebbe.-

Il giovane non capiva tutta quella fretta, ma eseguì gli ordini. Dopotutto non aveva scelta.
Quando il gigantesco portone a doppia anta venne aperto, non fece in tempo a guardare al suo interno che sua madre lo raggiunse e lo abbracciò, stringendolo forte a sé e trascinandolo dentro.

- Per fortuna stai bene...!

Lui era confuso, soprattutto dopo averla vista con l'armatura addosso. Da quanto non la vedeva così? Anni, sicuramente.
Anche suo padre era vestito come se dovesse partecipare ad una battaglia. Cosa diamine stava succedendo...?

- Hans, ci sono intrusi nel palazzo.- Edelgard parlò.
- I—intrusi?!-
- Sembra siano gli stessi che hanno attaccato il Forte ieri, si stanno facendo strada nell'ala ovest.-
- Com'è possibile che siano già qui? Da Enbarr alla fortezza sono giorni di viaggio via terra!-
- Loro sono... comparsi all'improvviso, in città non c'è alcuna traccia di scontri, si trovano tutti qua dentro. E stanno risalendo.-

La donna stringeva forte i pugni. Era preoccupata ma, soprattutto, arrabbiata, come se il solo metodo d'intrusione la mandasse su tutte le furie. Il teletrasporto era un incantesimo comune -anche se non aveva mai sentito di interi eserciti apparsi dal nulla-, eppure ciò l'aveva agitata parecchio.
Era qualcos'altro che gli stava nascondendo? Qualcuno che conosceva faceva cose simili? Questo "Faerghus", in particolare?
Il principe assottigliò lo sguardo, osservandola andare a prendere la sua reliquia: Yagrush. La Pietra Segno di Seiros prese vita e con essa tutta l'ascia, la quale si illuminò come se avvolta dalle fiamme.

- Madre, chi sono veramente i nostri nemici? Perché un semplice incantesimo di teletrasporto vi ha agitato a tal punto?-
- Hans, non c'è tempo per parlare. Presto arriveranno da noi, devi prepararti a combattere, dimostrami di essere uno Hresvelg e futuro imperatore.-
- Perché continuate a scappare dalle mie domande?! Che imperatore sarò, se non mi mettete nemmeno a conoscenza di quella che è la storia del mio paese?
C'è Benedikt là in mezzo, non è vero? È per questo che rimanete zitta? Perché lui viene dal Faerghus? – Edelgard spalancò gli occhi e schiuse le labbra, quella domanda sembrò esserle caduta come un macigno sulla testa. – Se voi non volete parlare con me, allora lo chiederò a mio fratello!-

Hans prese a correre per la Sala del Trono in un moto di rabbia. Byleth, Hubert, Edelgard stessa e gli altri soldati lì presenti tentarono di afferrarlo, ma lui fece in tempo a lanciare un incantesimo che alzò una barriera di fuoco per tenerli distanti ed a fuggire, dirigendosi dritto nell'ala ovest.
Mentre attraversava i giganteschi corridoi finemente scolpiti nel marmo, iniziò a pensare, in un barlume di lucidità, di essere diventato proprio come Benedikt. Era sempre stato lui a prendere le decisioni più avventate e suicide ed ora lo stava bellamente imitando. Quel dannato altezzoso gli aveva fatto addirittura disobbedire a sua madre, la donna che amava di più al mondo! L'essere coscienti di essere l'erede al trono portava a questo, quindi? Cos'era, una maledizione?
Raggiunto un portone in legno massiccio dipinto per farlo sembrare d'oro, si fermò, trovandosi ansimante, il cuore che batteva nel petto così forte da sentirlo nelle orecchie ed in tutti i muscoli del corpo. Impose le mani sulla doppia anta ed essa si aprì, rivelando l'ambiente della sala ricevimenti.
Si presentava come un corridoio dal soffitto altissimo, con i lampadari spenti che pendevano, decine di colonne ed archi ed il pavimento di pietra adornato da un tappeto scarlatto. In quella stanza si facevano spesso grandi feste a cui partecipavano nobili e comuni cittadini, tutti uniti sotto le ali protettive dell'Aquila Bicefala.
Ma ora era pieno di soldati i quali, quando lo videro, si misero subito in formazione a sua protezione.
Hans strinse il suo tomo tra le braccia, pronto a scagliare un incantesimo in caso di evenienza.
Dall'altra parte della sala, dietro al secondo portone, si poteva sentire una cacofonia di urla e metallo che strideva, fendenti in lontananza perfettamente udibili. Finché esso non venne sfondato ed una mandria di uomini entrò a testa bassa come un ariete.
Il principe riconosceva due tipi di soldati là in mezzo; maghi con il volto coperto, gli abiti neri ed utilizzatori di magia oscura e guerrieri di ogni tipo di colore blu acceso, i quali si mescolavano con il rosso suo e dei suoi alleati. Non ci pensò troppo ad immergersi nella calca, evocando fiamme dal suo tomo e lanciandole contro chi gli si avvicinava, carbonizzandoli.
Era già stato mandato, come capo delle Aquile Nere, in campi di battaglia contro dei banditi ed uccidere era sempre stata un'esperienza orribile, ma quel preciso scontro era ancor più complicato, sia perché quelli erano veri e propri soldati, sia perché, a quanto pare, quell'armata era guidata da suo fratello.
Il capitano che gli offriva più protezione venne colpito al petto da quello che sembrava un attacco magico del vento e la sua spessa armatura si frantumò, i pezzi di metallo gli si piantarono nella carne e lui crollò a terra, rantolando e perdendo immense quantità di sangue. Lui, spaventato, tentò di salvarlo usando un incantesimo curativo, ma nello stesso istante venne scagliato un incantesimo di magia oscura che lo colpì nella spalla sinistra.
Urlò, sembrava come se migliaia di spine lo avessero punto e si stessero scavando una strada per conficcarsi sempre più in profondità. Barcollò, la vista sfocata.

In quell'istante, vide una figura bianca saettare tra la folla e si sforzò di mettere a fuoco la scena. Vide un uomo altissimo, con i capelli biondi e le spalle avvolte da una spessa pelliccia, il mantello blu che seguiva ogni suo movimento. Diede un pugno in faccia ad un mago in nero così forte da fargli esplodere la maschera che aveva addosso e frantumargli il volto, deturpandolo completamente; il sangue gli schizzò sul braccio e tinse la sua armatura di rosso. Aveva attaccato un alleato?!
Passò poi ad uccidere vari soldati imperiali, sia con pugni devastanti, calci capaci di ammaccare armature al punto da far soffocare chi le indossava e, nel modo più brutale, tagliando a metà corpi con una lancia avvolta da fuoco e fulmini.
Solo dopo realizzò che quella macchina da guerra fosse in realtà suo fratello.
Benedikt si era fatto strada tra la milizia con una facilità disarmante ed in pochissimi secondi lo aveva raggiunto. Hans chiuse gli occhi, pronto a ricevere la morte, ma pochi secondo dopo fu obbligato a riaprirli.
Lui gli aveva messo un braccio attorno alle spalle e lo aveva avvicinato a sé, avvolgendolo con il mantello usando la mano libera. Alzò lo sguardo, incontrando il suo volto di porcellana macchiato di sangue non suo, gli occhi di ghiaccio serrati in due fessure e rivolti verso il suo stesso esercito. Se uno sguardo fosse stato in grado di uccidere, metà di quelle persone sarebbero già morte.
Era cambiato parecchio dal Bennie che conosceva; l'ultima volta era magrissimo, emaciato, con gli occhi persi ed il corpo livido, mentre ora sembrava una montagna, il viso aveva preso colore e si era nuovamente riempito, i capelli erano lucenti, l'espressione stoica.

- CHE NESSUNO, – Tuonò, la sua voce potente quanto mille catastrofi. – NEMICI OD ALLEATI, OSI TORCERE UN CAPELLO A MIO FRATELLO. O RIDURRÒ I VOSTRI MISERI CORPI IN MELMA. – Poi, abbassò il capo, guardandolo finalmente negli occhi. – Dimmi che stai bene.-
Hans schiuse le labbra per parlare, ma si costrinse a stringere i denti.
- Benn— è... è profondo...- Tremò, ma venne tenuto in piedi.
- Cazzo, – Il biondo inveì. – bastardo agartheo. Avrei dovuto distruggere il suo intero corpo, non solo la sua faccia. Maledetto...-
- Cal—calmati...!-

Quando i due principi si erano riuniti, il combattimento si era fermato, come se tutti fossero stati colpiti da un incantesimo congelante.
Aleksei si voltò di nuovo verso l'esercito del Faerghus, cercando con lo sguardo qualcuno in particolare.
Poco tempo dopo, in mezzo a facce sconosciute emerse una figura femminile. La corona sulla sua testa, seppur attraversata da una grossa crepa, sembrava un sole, il vestito blu in perfetto contrasto con i capelli color pesca e la pelle diafana. Sulle braccia aveva quelle che sembravano crepe, le quali la facevano somigliare ad un'antica bambola di porcellana. Levitò fino a loro e, quando Hans vide i suoi occhi, non poté fare a meno di notare quanto fossero simili a quelli di suo fratello.

- Puoi aiutarlo, vero?

Lei si avvicinò ulteriormente, rivolgendo un sorriso al ragazzo. Gli appoggiò una mano sulla guancia, accarezzandola piano e Hans sentì un insolito calore irradiarlo, il tocco di quella donna era etereo. Lentamente, il dolore lancinante alla spalla si dissolse e sulla pelle non ve ne fu più traccia.

- Ti senti meglio? – Lui annuì. – ... Ne sono contenta. Aleksei ti vuole un bene immenso, non mi sarei mai perdonata il non averti curato la ferita.-
Aleksei...? È così che ti fai chiamare, ora? E... e Benedikt?-
- Benedikt von Hresvelg è morto, Hans. Il mio nome è sempre stato Aleksei Irek Blaiddyd.-
- Blaiddyd... mio padre ha detto che sei figlio di un re. – Sospirò, abbassando lo sguardo e stringendo più forte il tomo che aveva tra le braccia. – Sei venuto fin qui per farmi la guerra, non è vero?-
- Sei impazzito? Non potrei mai, siamo fratelli.-
- ... Ma non di sangue, noi non siamo realmente legati.-
- Non contano i legami di sangue, qui. Siamo cresciuti come fratelli e per me sei e sempre sarai tale. Io non muovo guerra alle persone che amo.-
- Eppure hai attaccato la donna che ti ha sempre fatto da madre.-
- Lei mi ha riempito di bugie.-
- Capisco...-
- Sai, sono contento di averti rivisto. Volevo scusarmi con te per essere sparito ed averti causato tanti problemi... ho agito d'impulso, senza pensarci.-
Hans rise sotto i baffi.
- Non cambierai mai, Ben— ... Aleksei. C'è un diminutivo a questo nome?-
Aleksei sbatté le palpebre un paio di volte. Non che ne sapesse molto del linguaggio del Faerghus...
- Alyosha, oppure Lyosha. Ma io lo trovo bellissimo così com'è.- Disse Ksenia. Hans la guardò, pensandoci sopra.
- ... Avete ragione, uhm...-
- Mi chiamo Ksenia, sono sua madre.-
- Sua madre?! – Il principe non riuscì a non ricordare le parole di Byleth: "probabilmente anche il cadavere di sua madre è sepolto a Tailtean". – U—uno zombie?!-
- Non è morta, Hans.-
Peggio. Non sai che mi è successo là sotto, dieci giorni a farmi mangiare dai vermi...- Lei sorrise, facendolo spaventare ulteriormente.
- Non infierire! ... In ogni caso, devo andare alla Sala del Trono e parlare con l'imperatrice.-
- Ci combatterai, quindi?-
- Questo dipende tutto da lei. Nel frattempo, ti dispiacerebbe fare l'ostaggio? – Senza dargli il tempo di elaborare, Aleksei girò Hans in modo da farsi dare le spalle e poi gli puntò la lama di Areadbhar alla gola. La sua luce era estremamente inquietante e si rifletteva nei suoi occhi lilla. – Non preoccuparti, non ti faccio nulla. – Sussurrò il biondo. – Ascoltatemi bene: il principe ed erede al trono ora è mio ostaggio, un passo falso e gli stacco la testa.
Liberate il passaggio affinché io possa dirigermi alla Sala del Trono, in questo modo non gli succederà nulla. Artemiya, vieni con me!-

Dal manipolo di soldati in blu emerse un volto ad Hans familiare: l'attuale capocasa dei Leoni Blu, con la quale aveva scambiato qualche parola i primi giorni di scuola, ma che subito dopo si era volatilizzata. Ecco dov'era finita... con quell'armatura addosso e l'espressione rigida sembrava una persona completamente diversa dalla ragazza timidissima che aveva incontrato.
Aleksei spinse il fratello in avanti, iniziando a camminare in mezzo ai soldati adrestiani, sia lui che le donne al suo seguito con la guardia alta. Seppur si fidasse di lui, il principe era terrorizzato dalla lancia che aveva alla gola, un passo falso, uno scatto mal calcolato... e zac, avrebbe ricevuto il dono dell'ubiquità.
Il portone si richiuse alle loro spalle e, non appena nella sala ricevimenti si scatenò nuovamente il caos, Areadbhar venne calata e la sua luce si dissolse. Hans tirò un sospiro di sollievo.

- Perché hai voluto anche me?- Domandò Artemiya.
- Sei o non sei lo Scudo del Faerghus?-
Le sue guance si tinsero violentemente di rosso.
- Io...-
- Devi proteggere mia madre, è ancora debole... e fare in modo che non usi più quel potere, o saremmo tutti in guai seri se si scatenasse in un luogo così ristretto.-
- Ricevuto!-
- Hai così poca fiducia in me, Aleksei?- Chiese la regina, fingendosi offesa.
Mamma, hai provato ad uccidere anche me nella tua furia cieca, vorrei evitare di doverti trafiggere nuovamente.-
- Mi dispiace...-

I quattro proseguirono a ritroso per il corridoio prima percorso da Hans. A ripensarci, anche Aleksei aveva fatto quella stessa strada quando fuggì dalla sua prigionia, senza parlare di tutte quelle volte in cui era passato di lì perché, semplicemente, ci aveva vissuto.
Di fronte all'unica barriera che li separava dall'imperatrice, Ksenia prese la mano al figlio, fermandolo.

- La Luna Crescente non funziona al suo massimo se vieni ferito da una reliquia. Fa attenzione, non voglio che tu soffra com'è successo a me.-
- Fidati di me.-

La donna lo lasciò andare e, finalmente, giunsero alla tappa finale, l'obiettivo che si erano preposti. A Ksenia il cuore martellava nel petto, ogni muscolo del suo corpo rigido come pietra. Erano passati vent'anni da quando l'aveva vista, ma come, come dimenticarsene?
La sovrana che aveva messo fine al Sacro Regno di Faerghus, le aveva portato via il figlio ed aveva decapitato l'amore della sua vita. Al solo pensiero, il sangue ribollì, lo sentì scalpitare nelle vene e cercare di aprirle, il dolore sempre crescente.
Artemiya le prese la mano ed il contatto con il freddo metallo dei suoi guanti la riportò alla realtà. Il dolore cessò. Le due si guardarono negli occhi e la ragazzina le rivolse un timido sorriso. La regina ricambiò.
Edelgard era immobile, sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro, che la sua facciata di gelida e stoica imperatrice minacciasse un crollo imminente. Vide la spalla nuda di suo figlio, la giacca strappata in quel punto, e si congelò ulteriormente, lanciando dardi avvelenati al gruppo attorno a lui, concentrandosi ulteriormente su quello che una volta era il suo primogenito. Aleksei illuminò la lama di Areadbhar, la tensione si tagliava con il coltello.

- Bene, – Hubert parlò, la sua voce talmente calma da risultare irritante. – immagino che il Generale von Gerth meriti una punizione. – Il suo sguardo volò dritto verso Artemiya, la quale stava ancora stringendo la mano a Ksenia. – Voi non dovreste essere morta, avvelenata da vostro nonno, Lady Artemiya?-
- Al contrario vostro, lui non è un barbaro che condanna a morte le ragazzine, dovreste imparare dal vostro subordinato.- Lei rispose con tono acido, facendo ridere il marchese.
- Di voi si diceva che foste estremamente timida e remissiva, a quanto pare l'influenza di quell'ingrato fa male a tutti, ha contagiato fin troppe persone.-
- Basta così, Hubert. – Edelgard, finalmente, parlò. – Qual è il tuo obiettivo, Benedikt? Perché hai attaccato quella che una volta era la tua casa?-
- Potrei farti la stessa domanda. – Invece di una voce maschile, però, rispose la donna che gli stava dietro. – Perché hai scatenato una guerra che ha mietuto così tante vittime innocenti, invaso territori e stretto un'alleanza con i tuoi stessi carnefici, solo per uccidere un lucertolone con smanie di potere? Era davvero necessario, imperatrice?-
Non puoi pretendere che le vittime ammontino a zero quando una causa è così grande. La colpa del Regno fu quella di ospitare la Chiesa di Seiros, se non l'avesse fatto, magari il Re degli Illusi avrebbe ancora la testa sulle spalle.-
Ksenia strinse i pugni fino ad incidere mezzelune sui palmi delle mani, i tagli pulsavano.
- Perché non avrebbe dovuto farlo, con gli accordi che il Regno aveva con la Chiesa? Senza l'approvazione dell'Arcivescova il titolo del re cade. Ed in ogni caso, senza alcuna prova della malvagità di Rhea, come, dimmelo, come Dimitri avrebbe dovuto sapere che ospitarla fosse un errore? Hai gestito così bene il tuo grande piano da averla fatta passare come vittima, e di conseguenza versato sangue inutile a destra e a manca.
Ancora, dopo vent'anni, ti fai tutti questi castelli in aria, pensi di essere in cima al mondo che hai plasmato con le tue mani insozzate. Svegliati, esistono ancora figli della Dea là fuori ed Agartha è più grande che mai. Non hai risolto proprio nulla.-

Edelgard non disse nulla, ma Hubert prese da sé l'iniziativa. Una runa oscura apparve nel suo palmo e le scagliò Luna Λ contro, un astro lucente apparve alle spalle di Ksenia e venne sostituito da un vortice nero.
Lei aprì le mani, Lonnbéimnech si incendiò e venne completamente avvolta da una luce che dissolse l'oscurità dell'incantesimo di Hubert con immane facilità.

- Si cade sempre nelle stesse abitudini, a quanto pare. – Le tremavano le gambe, ma la gonna lunga le nascondeva. – Non ti piace quando parlo, vero, Edelgard?-
- Non so nemmeno chi tu sia, come potrei?-
- Dovevo immaginarlo, sei così cieca da non essere in grado di ricordare le tue vittime, nemmeno quelle che hai seppellito mentre erano ancora in vita.-

L'imperatrice si morse il labbro, realizzando. Ora l'aveva riconosciuta, senza tutto quel fango, il sangue e la pioggia a sfigurarla non se n'era resa conto, ma lei era quella donna insolente di Tailtean. Adesso aveva tutto più senso, ecco chi aveva rivelato tutto a Benedikt, non un fantasma o chissà quale sogno premonitore.

- Ciò che voglio è il regno che mi avete rubato, pensavo di avervelo già detto.- Aleksei parlò, spostando la conversazione su di sé.
- Non ho intenzione di regalarti un terzo del mio territorio, non dopo quello che hai fatto.-
- Quella è la mia casa!-
- È questa casa tua, per quale motivo ti ostini tanto a voler vivere in un posto del genere?!-
- Perché mi hai mentito e voglio starti il più lontano possibile!-

In un'esplosione di rabbia, il leone si scagliò sull'aquila, brandendo Areadbhar ed usandola come un giavellotto. Una freccia infuocata ed infusa di fulmini si schiantò proprio sul trono dove stava seduta l'imperatrice, miracolosamente fuggita un attimo prima di essere impalata e fulminata a morte. Aleksei con un volo felino estrasse la reliquia dalla seduta, non perdendo tempo a tornare sul suo obiettivo.
Neanche Edelgard perse ulteriori secondi preziosi e presto la lama di Yagrush venne diretta verso lo stomaco del principe, nel punto in cui le placche dell'armatura si intersecavano tra loro. Lui riuscì ad evitare il colpo solo in parte, ritrovandosi con lungo taglio sanguinante sul fianco.
Ignorò l'intenso bruciore ed approfittò della ritirata di lei per tentare di trafiggerla, ma fece in tempo a proteggersi con lo scudo. L'immensa forza usata, però, fu capace di farla sbilanciare.
Aleksei le tirò un calcio sul fianco, facendola rotolare a terra di qualche metro.

Attorno a loro, si era scatenato un ulteriore caos. Artemiya aveva incrociato le lame con Byleth e Ksenia si destreggiava tra la magia di Hubert e nel frattempo teneva un occhio vigile su Hans, pronta a proteggerlo nel caso fosse finito nel tumulto.
Il principe imperiale era terrorizzato da tutta quella visione di violenza ed aveva finito per rifugiarsi in un angolo e sperare che tutto ciò finisse in fretta, o di svegliarsi da quell'incubo fin troppo realistico.
Ad Artemiya volò la spada dalle mani ed, esausta, crollò a terra, incapace di muoversi con l'armatura addosso, il sudore sulla fronte le appiccicava la frangia al viso. Ksenia ansimava, era arrivata al suo limite, ma Hubert, seppur ferito e sanguinante, non aveva intenzione di darle tregua. Ormai sembrava uno scontro a senso unico.

Le lame di Areadbhar e Yagrush stridevano ad ogni contatto; nessuno dei due, nonostante i violenti colpi ricevuti, osava arretrare di un passo.
Edelgard assestò un fendente mirando verso il collo dell'avversario, ma Aleksei intercettò il colpo d'ascia con uguale, se non superiore, veemenza. Il metallo d'ombra risuonò come mille campane apocalittiche ed Areadbhar iniziò a creparsi, le fiamme divennero più alte come se l'anima al suo interno stesse soffrendo. Il principe non gliela diede vinta e, arrecando più forza, respinse l'imperatrice ma, nel momento in cui le lame smisero di collidere, la sua reliquia si spezzò in due parti e la zampa del leone cadde al suolo, distrutta, lui in ginocchio.
Non c'era tempo per stupirsi o piangerla, non avevano finito.
Edelgard, avvalendosi del vantaggio, subito caricò un attacco per dargli il colpo di grazia, ma lui si azzardò a parare l'ascia con il braccio. Fortunatamente venne colpito nel punto in cui l'armatura era solida e finì solo per sentire le ossa del braccio destro spezzarsi sotto il suo peso. Strinse forte i denti, il dolore era immenso. Cosa fare? Era ambidestro, ma non era così stupido da combattere una come lei a mani nude.
Con la parte buona afferrò l'asta di Areadbhar, ma in quello stesso istante accadde l'impensabile: i pezzi e le briciole d'osso si riunirono e saldarono assieme, ricomponendo la lancia originale. La sentiva diversa al suo tocco, come se entrambi i suoi Segni vi risuonassero all'interno.
Possibile... possibile che gli avesse infuso il suo potere? No, doveva essere qualcos'altro.
Un flash gli riapparve nella mente.
Il sigillo a Fhirdiad.
Sua madre.
Sangue.
La lama di Areadbhar ricoperta di sangue rigettato.
La lama di Areadbhar che assorbiva il sangue come una spugna.
... Areadbhar aveva acquisito la Luna Crescente.
Scattò in piedi come una molla e, con la sinistra, diede un colpo diretto al ventre di Edelgard, scagliandola a terra. A quanto pare, era completamente esausta, nonostante volesse dare una parvenza di forza.
Aleksei la sovrastò, puntandole la lama alla gola. Lei lo guardò, congelandolo con lo sguardo.

- ... Abdicate.-
- Non ti sarebbe più facile uccidermi? Hai vinto, fallo.-
- Siete stata mia madre, dannazione, vi sembro un mostro?! – Alzò la voce. – Volete che privi mio fratello della donna a cui tiene maggiormente?-
Edelgard soffocò una risata.
- Voi Blaiddyd siete troppo buoni, ma questo vi porterà sempre alla rovina.-


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Capitolo 23
*** 22 ; The Funeral Portrait ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

22

The Funeral Portrait


Erano passate poco più di due lune dal giorno in cui il Sacro Regno di Faerghus acquisì di nuovo la sua esistenza ed indipendenza, il titolo di regina di Ksenia tornò ad essere valido e Fhirdiad ricominciò ad essere segnata sulle mappe del Fódlan come capitale del nord.
A tal proposito, la città ogni giorno acquisiva sempre più vita e si avvicinava al suo antico splendore. Case vennero ricostruite, i monumenti distrutti riportati alla luce e la famosissima Scuola di Magia prevedeva di riaprire presto i battenti e dare il benvenuto a chiunque volesse imparare le arti magiche dai più grandi esperti del continente.
Fu tutto possibile grazie ai fondi ed agli aiuti inviati dal nuovo imperatore: Hans von Hresvelg che, seppur molto giovane, aveva terminato l'anno al Garreg Mach in anticipo per ereditare il titolo dalla madre ed essere del più completo supporto verso quello che una volta credeva fratello di sangue. Nonostante tra loro non ci fosse alcuna parentela, il legame che li univa si era consolidato ancor di più dopo gli eventi i quali, in meno di un anno, avevano completamente stravolto le vite di entrambi.
Hans aveva insistito parecchio anche per avere Aleksei e Sera alla sua cerimonia di incoronazione; vi avevano partecipato volentieri ed in barba a tutte le occhiate non troppo simpatiche dei nobili presenti -l'imperatore aveva alzato parecchio le tasse a loro proprio per aiutare le regioni del nord-.
Ricoperta di neve, Fhirdiad era stupenda.

Le ferite di Aleksei erano guarite abbastanza in fretta; come previsto da sua madre, la Luna Crescente ci aveva messo qualche giorno a guarire la ferita al ventre provocata da Yagrush, mentre per il braccio rotto, non essendo grave, aveva impiegato poco più di una settimana. Ciò non era bastato a fermarlo, aveva aiutato nella ricostruzione della città in ogni modo possibile, guadagnandosi il rispetto dei suoi cittadini e, presto, nuovi sudditi.
Aveva deciso di tagliare la sua lunga chioma bionda come simbolo di rinascita. Ora le ciocche dorate erano tutte della stessa lunghezza e gli accarezzavano le spalle -quelle alla sua destra le teneva però dietro l'orecchio per dare una parvenza di asimmetria-.
Sera, al contrario suo, con tutto ciò che era successo non aveva avuto il tempo di tagliarli ed ora aveva splendidi ricciolini fin sul petto ed anche oltre. Era bellissima, aveva abbandonato il suo aspetto da bambina ed assunto un'aria da donna adulta, perfetta per una futura regina.

Con grande sorpresa, a pochi giorni dal rientro dell'esercito nella capitale, al palazzo reale si era presentato Ephraim in sella ad un cavallo bianco.
Aveva porso i suoi ossequi alla regina e chiesto asilo. Ksenia era stata più che felice di accoglierlo, era grata che lui avesse finalmente deciso di vivere per sé stesso e per la sua famiglia piuttosto che essere devoto ad un mero concetto, ma contrario a chi lo portava avanti.
Per Aleksei fu uno shock venire a sapere che il generale e sua madre fossero imparentati -non c'era mai stato tempo per dirglielo-, ma la notizia lo aveva allietato parecchio.

Luna Eterea; ventesimo giorno
1206

- Ne sei sicura, Ksenia? È tuo padre, so che sei arrabbiata per ciò che ha fatto a nostra madre ed a tante altre persone, ma ne avrai davvero la forza? Nonostante tutto, tu gli vuoi bene.

La regina aveva la testa china, fingeva di essere concentrata sulle scartoffie tutte sparpagliate sulla scrivania, ma la voce di suo fratello le era arrivata forte e chiara. Si tormentò il labbro con i denti, la penna d'oca tremolava nella mano destra.
Dopo una manciata di secondi che parvero un'eternità, annuì, facendo uscire tutta l'aria accumulata nei polmoni in una sola volta.

- Non sei obbligata a sporcarti le mani. Posso farlo io. – Lei scosse il capo. – Ksenia...-
- ... Eph. – Replicò, alzando finalmente lo sguardo. – Non posso lasciarti fare tutto e starmene lì a guardare, è colpa mia se è riuscito a fare tante cose di dubbia moralità, perciò io, e soltanto io, devo ucciderlo. Sì, gli voglio bene, non posso negarlo, per questo motivo sono l'unica a poterlo fare.
Se non mi avesse adulata per tanti anni con la mummia di mio marito e minacciato che l'avrebbe distrutta se solo gli avessi disobbedito, l'avrei già fatto, te l'assicuro.
Le mele marce agarthee devono essere eliminate, loro meritano di tornare in superficie. Il principe Malkuth è stato giustiziato da Thamiel per ciò che ha fatto a Dedue... ora è il mio momento.-
- Sei sicura che ciò non minerà ulteriormente alla tua povera salute mentale?-
- Quella passa in secondo piano. Ormai il mio tempo è quasi giunto al termine, me lo porterò nella tomba, volente o nolente.-
- Capisco... spero non te ne pentirai.-

L'uomo le si avvicinò e dalla tasca del cappotto estrasse un pugnale inquietante dalla lama nera, l'aveva rubato proprio a Myson poco prima. Lo posò con cautela tra le mani di sua sorella ed i due si guardarono negli occhi accennando un sorriso.

- Nel bene o nel male, sarò sempre pronto ad assisterti.-

Chiuse gli occhi, beandosi delle mani che delicatamente scioglievano i nodi nei suoi capelli biondi. Di solito non permetteva a nessuno di toccarli, Sera era l'unica ad avere un tale privilegio.

- Anche da corti, non te ne prendi mai cura.- Si lamentò lei, continuando a pettinarlo.
- Mi dispiace.-
- Tu che mi chiedi scusa per una cosa simile? Chi ti ha sostituito?!-
- ... Non è per questo che mi sto scusando. In realtà, c'è una cosa di cui vorrei parlarti. Devo farlo da tanto tempo, ma non ne ho mai avuto il coraggio, è umiliante.-
- Che succede, Aleksei?-

La ragazza lasciò la spazzola sulla specchiera e girò attorno alla sedia su cui stava seduto per fronteggiarlo. Vedendo che lui non riusciva a guardarla in volto, si inginocchiò sul pavimento e gli prese le mani, stringendole tra le sue. Erano calde, grandi e, con tutto l'allenamento svolto negli ultimi mesi, callose, ma comunque piacevoli da toccare. Gli accarezzò il dorso con il pollice, lui si morse il labbro, come se volesse rifiutare il suo gesto ma non ne fosse capace.

- Per favore, parlami, non è da te non riuscire a dirmi cosa ti passa per la testa.-
- È che— – Si bloccò per qualche secondo, chiudendo gli occhi. – quando mi torturarono... è stato orribile...-
- Posso immaginare, o forse no, tu sei tornato in uno stato molto più pietoso di come venivo lasciata io.-
- No, non è questo. L'essere sventrato quotidianamente non fu la parte peggiore. – Sera deglutì con orrore, non era mai sceso nei dettagli. – La persona che mi torturava era una donna completamente pazza. Diceva di amarmi mentre si divertiva a procurarmi dolori inimmaginabili, con acqua bollente, fuoco, acido, coltelli, piombo fuso.
Eppure, il peggio è stato quando... quando... – Aleksei boccheggiò, stringendole le mani. – lei... ha deciso di violarmi, mentre io non potevo ribellarmi perché completamente narcotizzato, mi ha usato come il suo giocattolo personale ed io non potevo fare nulla, non riuscivo nemmeno a dissociarmi perché pensavo a te, ad aspettarmi ad Itha. Ed intanto io ti stavo tradendo in una cella impregnata dall'odore del mio stesso sangue, obbligato ad ascoltare gli ansimi di quella donna.-

La lasciò, coprendosi il volto con le mani e cercando di, inutilmente, nascondere i singhiozzi e le lacrime che gli rigavano il viso con prepotenza, il cuore che batteva all'impazzata per averle svelato il suo peggior segreto, la sua umiliazione più grande, l'essere stato usato come mero oggetto sessuale inanimato. Aveva voglia di vomitare.
Sera spalancò gli occhi e schiuse le labbra. Anche il suo cuore aveva accelerato i battiti e le lacrime minacciavano di uscire. Si stava sentendo male. No, non poteva affatto immaginare cos'avesse subito, né avrebbe mai pensato che, una persona potente quanto lui, potesse arrivare a patire un calvario simile.
Si alzò in piedi tremando, gli tolse le mani dal viso e le sostituì con le sue, alzandogli la testa e costringendolo a guardarla. Sembrava un cane bastonato, i suoi occhi erano rossi e le iridi ghiacciate affogate in uno specchio d'acqua.
Quante volte l'aveva visto piangere nell'ultimo anno, molte più di quelle degli ultimi dieci. Spesso si era chiesta se questa strada fosse giusta per lui; da quando aveva conosciuto Artemiya, tutto ciò di sicuro che lo circondava si era sgretolato ed aveva avuto l'effetto di renderlo più fragile. Non era più Benedikt il futuro imperatore presuntuoso e viziato, quello che aveva davanti era tutta un'altra persona segnata da innumerevoli scoperte che avevano completamente rimescolato la sua esistenza. Da principe imperiale a futuro re di una terra ricoperta di neve per tre quarti dell'anno.
Si chinò in avanti, appoggiando la fronte contro la sua e chiudendo gli occhi. Aleksei rimaneva immobile come una statua, ma le lacrime continuavano a fuoriuscire.
La sua pelle era bollente, il respiro irregolare, gli tremava il labbro inferiore. Era sconvolto, lo percepiva, aveva recluso dentro di sé quei sentimenti per mesi ed ora era letteralmente esploso, in modo molto simile ad un fiume che rompe i suoi argini dopo una tempesta.

- Aleksei... – Mormorò, quasi impercettibilmente. Non era sicura che l'avesse sentita. – io... io non—-
- Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. Ti ho sempre voluta sposare, ma ho rovinato tutto. Ti ho tradita, sono stato con un'altra, non sono degno di te.-
- Cosa... cosa stai dicendo? Il matrimonio è tra due giorni.- Alzò la testa, guardandolo di nuovo negli occhi.
- No, non più. Ho distrutto il nostro rapporto, tra noi è finita quello stesso giorno, sono stato un egoista a far finta di nulla. Odiami, puoi farlo, ne hai il diritto, Sera. Trova un altro uomo, uno che ti ami veramente e non ti tradisca, non ti merito.-
- A volte dici cose talmente assurde, – Replicò. – è uno dei lati che più amo di te, ma stavolta hai superato così tanto il limite che vorrei prenderti a schiaffi.
Pensi che m'importi di quella donna? Aleksei, l'hai detto tu stesso, non riuscivi nemmeno a muoverti quando ti ha fatto quelle cose, come potrebbe essere colpa tua?-
- Lo è—-
- No, scemo! Una vittima non dovrebbe mai prendersi la colpa come stai facendo tu, non lo sarebbe stata nemmeno se fossi stato capace di difenderti. Se non volevi, non volevi e basta, quindi il carnefice è solo e soltanto lei! Capito? In che lingua vuoi te lo ripeta? Quella dei muli, visto che è la specie a cui appartieni?-
- Sera...-
"Sera" un corno, Aleksei. Diamine, sei uguale a tua madre, vi piace proprio prendervi colpe di cose terribili che non avete fatto.
Mi ami o no?-
- Certo, più di ogni altra cosa al mondo. Più del sole, della luna, delle stelle, sei la mia luce, Sera.-
- E allora dopodomani ci sposiamo, va bene?-
Lui si ritrovò ad annuire meccanicamente, come stregato da lei.
- ... Un ultima cosa. Non parlare di questa cosa a mia madre, ha già tante cose per cui soffrire, non voglio aggiungergliene altre.-
- Va bene... ora preparati, ormai è tardi, la cerimonia inizia tra poco ed io non ho ancora aiutato la regina.-

Sera lo lasciò solo ed uscì dalla stanza, dirigendosi verso quella di Ksenia. Nel tragitto ripensò al dolore di Aleksei, al suo viso contrito, le lacrime che gli bagnavano la pelle rendendola lucida e luminosa.
Desiderava aver avuto più voce in capitolo quando decise, d'impulso come al solito, di andare ad Enbarr a parlare con l'imperatrice. Se solo l'avesse fermato, se solo fosse stata le sue redini... ed invece no, aveva finito per farsi arrestare, torturare e— non voleva pensarci.
Scosse il capo e prese un profondo respiro. Non poteva farsi influenzare dai pensieri negativi.

Era stato scelto il ventesimo giorno della Luna Eterea perché era il suo quarantaquattresimo compleanno.
La regina aveva voluto regalare al marito un funerale ed una degna sepoltura, così che potesse finalmente riposare in pace nel luogo in cui era cresciuto, vicino a suo padre, suo nonno e tutti i suoi avi fino a Loog. Per quanto lo amasse e fosse stato fondamentale a tenerla in piedi in tutti quegli anni di solitudine, si era resa conto che l'atto di tenere per sé il suo cadavere fosse estremamente egoista, era arrivata anche a pensare che il suo fantasma si fosse attaccato a loro figlio proprio perché il corpo non era mai stato sepolto o, peggio, disturbato quando gli agarthei lo tirarono fuori dal fango di Tailtean e ricomposto come una bambola rotta.
Ksenia ricordava di aver trovato, tra gli appunti di suo padre, vari progetti per riportarlo in vita, tutti falliti – una fortuna, chissà cosa gli avrebbe fatto fare se avesse potuto controllarlo a proprio piacimento, sicuramente l'avrebbe potuto sfruttare per ammansire anche lei.
Sinceramente, non voleva sapere quanto ed in che modo avesse profanato il suo cadavere, non aveva mai avuto il coraggio di rimuovergli l'armatura ed ormai era diventata un tutt'uno con lui.

Aleksei era seduto, da solo, in prima fila.
Al piano terra della reggia di Fhirdiad era stato istituito un altare per la cerimonia funeraria. La bara in ciliegio era riposta al centro e circondata da una miriade di fiori blu, sul coperchio chiuso una spada cerimoniale in argento purissimo con l'elsa decorata di zaffiri.
Due cavalieri in completa armatura argentata, con pennacchi sull'elmo e mantelli blu raffiguranti il vessillo del Faerghus, erano fermi come statue a controllare che non vi fosse alcun attentatore alla vita dei sovrani – il castello era aperto a tutti quel giorno e non si poteva escludere che qualche malintenzionato, approfittandosi della situazione, facesse irruzione e tentasse di rubare gli oggetti preziosi ed i testi sacri che servivano per la cerimonia funeraria.
Il tempo passava e lentamente la sala iniziò a popolarsi; Artemiya si sedette alla sinistra del principe e gli prese la mano in segno di conforto, accanto a lei suo nonno, granduca Rufus di Itha.
Nelle panche dietro di loro presero posto uno stuolo di nobili decaduti -dei quali si stava lavorando per ricostruire i casati-, cittadini della capitale e popolani provenienti da tutto il regno.
Nella penultima sedeva Myson, da solo, nel suo travestimento che lo rendeva più umano e meno un cadavere respirante, mentre in fondo c'erano Behemoth, Thamiel, Yolandi, Sera, Hans e Mitja in tal ordine.
L'imperatore si trovava a Fhirdiad non per il funerale del re, ma per l'incoronazione di suo fratello che si sarebbe tenuta l'indomani, ma aveva deciso di partecipare anche a quella cerimonia in segno di rispetto per il defunto, nonostante si sentisse terribilmente in colpa; dopotutto, lui era in quella bara a causa di sua madre.

- Sai... – La voce di Mitja gli giunse alle orecchie, un sorriso sghembo ed un'insolita confidenza. – che nella cassa non c'è un mucchio d'ossa, ma una mummia? Avresti dovuto vederlo, tutto raggrinzito e con la testa cucita malamente sul collo. Somiglia tantissimo ad Aleksei.-
- Mitja...! – Sera lo rimproverò, cercando in tutti i modi di bisbigliare e non urlargli in faccia. – Ti sembra il modo di parlare così di un re defunto per proteggere il suo popolo? Per giunta, davanti ad un imperatore?-
- Beh, a quanto pare ha fallito. Infatti guarda dov'è. Ha fallito pure a fare un figlio decente e ha fallito ad avere uno zio con la morale a posto.-
- Ma che hai oggi? Pensavo lo rispettassi. – Mitja non rispose, al suo posto alzò la testa e lanciò un'occhiata truce in avanti. Sera scorse la testa riccioluta di Artemiya e vicino a lei i capelli biondi -ormai più bianchi- di Rufus. – ... Ora ho capito. È per Mimi?-
- Ho così voglia di sparare in testa a quel bastardo. Siamo già ad un funerale, potremmo risparmiare sulla cerimonia.-
- Cerca di non fare una strage inutile.- Sospirò.

Hans era allucinato dal discorso assurdo a cui aveva appena assistito -dopotutto si era trovato tra due fuochi-; le persone del Faerghus erano tutte così... matte? Allora aveva senso che anche suo fratello fosse tanto fuori dalle righe, forse nascere al freddo dava alla testa.
Si guardò intorno cercando di scacciare l'imbarazzo, finché non vide un uomo dal lato destro del viso completamente sfigurato che gli fece accapponare la pelle. Si abbassò verso Sera per farsi udire il meno possibile.

- Chi è quella persona inquietante?-
- È il padre della regina.- Rispose lei.
- E un mostro, un mostro della peggior specie.- Al discorso si intromise una ragazzina dai capelli e gli occhi nerissimi con la pelle pallida.
- Mostro...?- Il giovane sbatté le palpebre un paio di volte. Che fosse...? No, non era possibile. Il drago che aveva distrutto il soffitto del palazzo imperiale? Eppure avevano la stessa parte del volto dilaniata.
- Ciò che intende dire mia sorella, – L'uomo accanto a lei parlò. Lo riconobbe come quello in sella al drago. – è che è una persona molto cattiva, vi consiglio di stargli lontano.-
- È un drago...? Quello che stavate cavalcando quando avete portato via mio fratello da Enbarr?-
- Eh? No, vi confondete con Behemoth. – L'albino indicò il tizio accanto a lui: un uomo con lunghi capelli verdi, le orecchie a punta ed il viso dilaniato, il quale gli mormorò una sfilza di scuse nonappena incontrò il suo sguardo. – Lui si chiama Myson, è colpa sua se Aleksei ha un doppio segno. È anche suo nonno.-
- Fa paura.-
- Abbiatene, Maestà.-

Il loro discorso venne interrotto da un suono di trombe ed un coro che iniziò a cantare le sacre scritture.
Subito dopo fece il suo ingresso nella sala Lei, la regina, accompagnata dal ritrovato fratello Ephraim von Gerth. La donna indossava un accollato abito completamente nero, la crinolette la rendeva ancor più sinuosa e lasciava spazio ad un'ornata gonna lunga e spessa, le braccia interamente coperte dai guanti.
Al collo portava un medaglione d'argento al cui interno era stata sigillata una ciocca di capelli biondi, grossi orecchini nel medesimo stile, d'argento e pietre nere, dondolavano dalle sue orecchie ad ogni lento e sofferto passo.
Gli splendidi capelli color pesca erano stati tirati su, meticolosamente intrecciati in un intricato disegno, alcune ciocche arricciate cadevano dolcemente sulle sue spalle ed un velo scuro scendeva dall'acconciatura fino ai fianchi.
Camminava piano, nonostante fosse aiutata sia da un bastone che da suo fratello, con il quale era a braccetto, faticava a reggersi in piedi. Il veloce declino del suo corpo si era manifestato tutto all'improvviso, come una martellata in faccia; un giorno poteva correre maratone, quello dopo era incapace di alzarsi dal letto in autonomia.
Lei ed Ephraim si sedettero vicino ad Aleksei, il quale le rivolse un sorriso.

- Come stai?- Le chiese, la sua voce seminascosta dai canti.
- ... Così, l'hai visto anche tu.-
- Mi dispiace... vorrei esserti più d'aiuto.-
- Non crucciarti, è solo il normale scorrere del tempo. Ora ascolta la cerimonia.-

Ma al principe sembravano tutti brusii ovattati, non riusciva a concentrarsi su qualcosa che non fosse la tragica situazione di sua madre. Tra quanti giorni sarebbe stato seduto nello stesso posto, ad ascoltare gli stessi canti, davanti ad una bara simile, circondata dagli stessi fiori? A giudicare da come si era presentata, pochi.
Solo il giorno prima riusciva a muoversi senza l'aiuto del fratello.
Strinse la mano di Artemiya, la quale era ancora intrecciata nella sua e lei si avvicinò ulteriormente, ricambiando la stretta. Per una frazione di secondo, vide un'occhiata schifata di Rufus. Poteva schifarsi quanto gli pareva, ma se ora si ritrovavano tutti lì era colpa sua, dopotutto era stato lui a chiamarlo "Dimitri" in un atto di cecità folle.
La cerimonia durò un lasso di tempo che ad Aleksei parve infinito, non per la sua effettiva lunghezza, ma per i pensieri che continuavano ad affliggerlo e portarlo da altre parti. L'unico momento che riuscì a seguire, fu quando il sacerdote terminò il suo discorso e chiamò la regina a dire un paio di parole riguardo al defunto. Ksenia si alzò rifiutando l'aiuto del fratello e, instabile sui suoi piedi ed il bastone, raggiunse da sola il suo posto. Lanciò uno sguardo a tutti i presenti talmente intenso da trafiggerli e, dopo infiniti secondi di silenzio, iniziò a parlare, rigida.

- A me non è mai importato delle tradizioni. Le ho sempre trovate superflue, stantie, lunghissime feste per conferire questo e quello, quando l'unico strumento a rendere valido tutto ciò erano miseri pezzi di carta, di quella che a contatto con il fuoco scompare... e tutte quelle cerimonie pompose rese inutili.

Ma dopo tanto tempo di solitudine, quando il regno che mi ha cresciuta ha cominciato a svanirmi come sabbia dalle mani, ho capito che conferivano un'identità al popolo e lo diversificava da un altro, perché ciò che rende belli i viaggi è proprio conoscere tali differenze. Purtroppo, al Faerghus, queste cerimonie furono portate via, assieme al suo stesso nome, che diventò "Adrestia del Nord"... un insulto alla nostra neve, alle nostre terre, alle nostre fortezze, al nostro cielo, ai nostri abitanti... rinchiusa nella mia gabbia interrata, provavo una costante rabbia.

Per questo motivo, oggi, ventesimo giorno della Luna Eterea, anno 1206, ho deciso di riportare alla luce la tradizione e di celebrare il funerale del re, a vent'anni dalla sua morte; nonostante non ci sia un corpo, – Bugia. – questo evento segna la rinascita del regno che gli fu portato via quel tragico giorno alla pianura di Tailtean. Ho scelto il giorno del suo compleanno per regalargli finalmente una tomba in cui potesse riposare accanto al suo amato padre, nelle sue amate terre, nel suo amato castello. Se fosse stato in vita, avrebbe voluto così.

... Ho conosciuto il principe Dimitri Alexandre Blaiddyd quando ero una bambina triste e con l'unica compagnia di una madre tiranna e torturatrice. Ma il suo sorriso, i suoi piccoli gesti che mi permettevano di disobbedire a quella donna, furono quelli che mi fecero amare la sua compagnia... e la vita stessa. Mi diede la forza di lottare, di essere indipendente e forte, di impormi anche nelle situazioni difficili, gli dovevo tutto.
Nel lontano 1176, anno in cui la Tragedia del Duscur sconvolse il nostro popolo, io mi adoperai per sdebitarmi ed aiutarlo a rialzarsi come lui fece con me.
Conobbi un ragazzo estremamente fragile, che diventò un uomo ancora più sull'orlo dell'autodistruzione, con l'unico difetto di avere un animo troppo buono per il mondo marcio che lo circondava.
Diede asilo ad una tiranna solo per tenere unito il Sacro Regno di Faerghus, per non versare il sangue del suo popolo e, quando fu ora di affrontare il mostro della guerra, scese in prima linea e diede la vita su quel campo di battaglia, arrivando a perdere la sua stessa testa.
Quest'oggi celebriamo la nascita e la morte di un grande sovrano, un uomo che ha combattuto fino alla fine per salvare e rendere libera la sua gente.
Lunga vita alla memoria di Dimitri Alexandre Blaiddyd.-

Il silenzio rimase tombale per qualche altro secondo, la figura della regina svettava sull'altare, in piedi, diritta come una statua, sembrava giudicare tutto ciò che la stava circondando.
Poi, l'orchestra ricominciò a suonare una lieve e lenta melodia, il coro a cantarci sopra, in acuti e tristi sospiri.
Madre e figlio incrociarono gli sguardi e lui si alzò in piedi, percorrendo i pochi metri che li dividevano e superandola fino alla bara in cui giaceva suo padre. Non era tradizione, ma aveva insistito a voler portare la cassa fino al sepolcro da solo, con le sue sole forze, come un atto di dimostrazione; "sono pronto a prendere sulle spalle ciò che mi hai lasciato".
Afferrò una delle maniglie dorate e, senza sforzo, sollevò la bara quel poco che bastava per appoggiarsela sulla spalla, alzarsi e tenerla in equilibrio poggiandoci un braccio al di sotto.
Uno stuolo di persone, con la regina in testa, lo seguì in ogni suo passo successivo, fino al cimitero nel giardino interno del castello, nel quale era già stata scavata una fossa. Solo lì affidò il prezioso involucro a chi di dovere, i quali lo calarono fin nelle viscere della terra.
Mentre veniva lentamente riempita di terra, il principe teneva sua madre tra le braccia, la quale stava singhiozzando contro il suo petto. Era chiaro che ancora non avesse superato la morte di suo marito e, ormai, non sarebbe più accaduto. Si ritrovò a perdere qualche lacrima di suo, ed intanto accarezzava l'ornata acconciatura della donna.
Una volta riempita la tomba, le diede un bacio sulla fronte e la prese per mano, aiutandola a tornare all'interno del castello. Lì, i due si riunirono con Ephraim, Artemiya, Mitja, Sera, Hans, Thamiel, Yolandi e Behemoth; come loro, erano tutti vestiti con semplici abiti neri adatti all'occasione.

- Il vostro discorso è stato davvero emozionante, Maestà, ho provato a trattenere le lacrime per tutto il tempo, ma alle vostre parole sono crollata.- Artemiya tirò su col naso, asciugandosi una lacrima ribelle con il fazzoletto di stoffa.
- È vero... è stato difficile non mettersi a piangere...- Disse Thamiel, con la voce tremolante e gli occhi tutti arrossati.
- Tu hai iniziato a piagnucolare non appena lei ha fatto il suo ingresso nella sala, nessuno aveva ancora detto nulla.- Replicò Yolandi, prendendolo in giro.
Ksenia rivolse un debole sorriso ai presenti, un sorriso che non raggiunse anche i suoi occhi di ghiaccio.
- Spero di non avervi rovinato la giornata con la mia tristezza. Nel caso, vi prego di accettare le mie scuse. – Chinò brevemente il capo, poi rivolse lo sguardo a suo fratello. – Devo ammettere di non sentirmi particolarmente bene al momento... Ephraim, mi faresti il favore di aiutarmi a raggiungere la mia stanza? Ho bisogno di riposare.-
- Certo, andiamo.-

I due si allontanarono insieme, lasciando i più giovani a parlare tra loro. Entrambi sapevano che lei non si era voluta separare dal gruppo perché stanca, perciò l'uomo la condusse per la sala finché non incontrarono Myson, il quale stava ancora in piedi ad osservare l'altare che veniva velocemente smantellato. Quando li vide, si avvicinò.

- Anaxagoras.-
- Padre.-
- È stata una cerimonia inutilmente lunga.-
- Questa è la tradizione del Faerghus.-
- Potevi farlo seppellire subito.-
- È rimasto fuori dalla sua tomba per vent'anni, qualche ora in più non avrebbe cambiato nulla.-
- ... Pensavo fossi morbosamente legata a quel cadavere, mi stupisce tu te ne sia voluta liberare.-
- Non me ne sono "liberata", ho organizzato un funerale proprio perché ci tengo, perché se lo merita.-
- È morto. I morti non meritano nulla, non possono sentirti.-
Lei sospirò, sapeva quanto la testa di uno scienziato fosse dura, ma lui sembrava quasi divertirsi a smontare i suoi sentimentalismi.
- Padre, potreste venire con me? Vorrei parlarvi in privato.-
Myson rivolse un'occhiata ad Ephraim.
- È necessario lui?-
- Sì. L'argomento riguarda nostra madre.- Ksenia mentì.
- ... Bene. Ti seguo.-

La regina portò l'agartheo nel suo studio, dove ancora regnava il caos sulla scrivania, fogli sparsi per tutto il piano, macchie nerissime d'inchiostro rovinavano il legno ed una piuma d'oca era divisa in tre pezzi. Quando Ksenia la rivide, non riuscì a non pensare a Dimitri ed al suo scarso autocontrollo riguardo le cose fragili; eppure, con lei, era riuscito ad essere sempre delicato, anche nei momenti più stressanti.

- Di cosa volevi discutere?- La voce di suo padre la destò dal suo sogno ad occhi aperti.
- Riguardo mia madre, l'ho detto.-
- ... Cleobulus, o quel mero topo da laboratorio?-
- Non chiamatela "topo da laboratorio". Aveva un nome, ed era "Cornelia".-
- Mi sorprende che tu riesca a parlarne a cuor leggero, Cleobulus si era proprio divertita ad impersonarla nel peggior modo possibile e torturarti psicologicamente. Quella vera nemmeno la conoscesti.-
- Me ne ha parlato Ephraim. Nonostante fosse molto piccolo quando è scomparsa, lui la ricorda bene. – Myson si voltò per qualche secondo. Il generale stava in piedi davanti alla porta chiusa come una statua, lo sguardo duro e fisso. – Era la miglior madre che si potesse avere. Una gran donna, dall'immane intelligenza e forza.-
- Ed il suo volto? Non lo ricordi con odio?-
- Odiare il volto di mia madre sarebbe come odiare me stessa e mio fratello, siamo troppo simili a lei. E di questo ne sono felice, teniamo viva la sua memoria.-
- C'è qualcos'altro di cui vuoi parlare, vero? Se avessi voluto raccontarmi delle storielle su quella donna, non ci sarebbe stato bisogno di portarmi fin qui.-
- ... Una domanda l'avrei. Perché?
Perché sacrificare tutte quelle vite innocenti per creare il mio Segno e tutti gli altri esperimenti sul sangue che avete condotto, sia per conto vostro che sotto gli ordini di Thales? Perché sfigurare Behemoth e rubargli le ossa? Perché creare tutte quelle armi distruttive?-
- Anaxagoras, non fare domande stupide. Per punire le bestie che ci hanno relegato nelle viscere della terra e gli umani che si sono piegati al loro volere, dovresti saperlo. Le vite in superficie valgono meno di zero, motivo per il quale ce ne appropriamo.-
- Ho capito. Era ciò che mi serviva per prendere una decisione finale.-

Ksenia mollò il bastone che la sosteneva ed accadde tutto in un lampo: dalla manica del vestito estrasse un pugnale -lo stesso rubato proprio al suo interlocutore-, si slanciò in avanti e lo piantò nel ventre di suo padre, prendendolo alla sprovvista.
Lui spalancò gli occhi ed emise un gemito di dolore, il quale presto si trasformò in un rivolo di sangue che, dalle labbra, gli colò lungo tutta la gola. Crollò in ginocchio e lei, dapprima già instabile, lo seguì, rifiutandosi di separare le mani dall'elsa e rischiare che se ne liberasse.
Le loro fronti erano appoggiate l'una contro l'altra, gli occhi di ghiaccio semispeculari.

- Perché... figlia mia...?- Mormorò, l'aria che faticava ad uscire dalla bocca. Il veleno dell'arma stava entrando in circolo.
- Perché non posso morire e lasciarvi qui, libero di fare ancora del male. So che siete interessato al sangue di mio figlio, non vi permetterò di sfiorarlo neanche con un dito.-
- Capisco... quindi è così che mi hai sempre preferito...- Le afferrò le spalle, ormai completamente senza forze.
- Mi dispiace.-
Lui rise, piegandosi in avanti, in un abbraccio lieve.
- Anaxagoras, ti voglio bene.-
- ... Anch'io, padre.-
Dal corpo di Myson iniziò ad uscire una sostanza nera simile al fumo, finché esso non si sgretolò completamente, trasformandosi in cenere.
Ksenia si asciugò le lacrime con il guanto.

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Capitolo 24
*** 23 ; Equus ***


Fulmine Sanguinolento - Il Leone che si credette un'Aquila
 

23

Equus


Il sole era alto, i suoi raggi si riflettevano sulla neve rendendola quasi abbagliante; eppure, il gelo era costante e la temperatura non accennava ad aumentare di un solo grado, proprio come ci si aspetterebbe da un giorno di fine Luna Eterea a Fhirdiad.
Ai suoi abitanti, abituati com'erano, non importava affatto, ma nemmeno chi veniva da lontano, dal caldo umido dell'Adrestia, sembrava curarsene. Se il giorno prima era stato un giorno di lutto, quello era un giorno di festa, un giorno di rinascita; il giorno in cui, dopo più di venticinque anni, il Sacro Regno di Faerghus avrebbe visto un nuovo re.

La cerimonia si doveva svolgere davanti al trono del sovrano, all'interno della reggia. Sulla scalinata che portava alla seduta erano già presenti dei cavalieri vestiti in splendide armature ornamentali ed armi dello stesso genere.
In basso, la folla del giorno prima, duplicata in numero di individui, aspettava trepidante l'inizio del rito; persone di ogni casta sociale erano mescolate in un solo luogo, il popolo più coeso che mai.
Ksenia era seduta sul trono. Indossava un abito simile a quello che aveva portato alla marcia su Enbarr, ma molto più elaborato. Esso presentava uno scollo a V che lasciava scoperti spalle e petto ed era formato da due strati, quello sottostante toccava il pavimento, era bianco ed interamente ricamato con motivi floreali eseguiti con un filo dorato; l'altro strato era blu elettrico ricamato d'argento ed avvolgeva il vestito come un soprabito, finendo in un lunghissimo strascico. Le maniche erano lunghe ma tagliate e le sue braccia, la sinistra appoggiata su un bracciolo e la destra che sorreggeva Areadbhar, fuoriuscivano mostrando al mondo le profonde ferite ormai ridotte a superficiali disegni rosa tenue su tutta la pelle diafana.
Al collo aveva più collane d'oro e zaffiri, una delle quali talmente spessa ed alta da avvolgerle tutta la gola, mentre ai polsi decine di bracciali dello stesso tipo.
Sulla testa, una corona da uomo; dodici punte dorate dai disegni estremamente intricati e zaffiri grandi come noci, il metallo spesso e pesante sulla sua testolina. Chiaramente le stava grande, non era stata creata su misura per lei come Lonnbéimnech.
I suoi capelli rosa salmone erano stati lasciati lisci e pettinati come li aveva di solito, per non appesantire ulteriormente tutto quello sfarzo.
Sulle spalle, invece, portava un mantello blu sul quale era impressa l'effige del cavaliere sul grifone, dal suo interno spuntava della calda e grigiastra pelliccia di lupo; solo il suo peso la piegava leggermente in avanti, facendola sembrare quasi gobba.

L'orchestra iniziò a suonare l'inno del Regno -una canzone estremamente emozionante su un cavaliere che dava la sua vita per proteggere la madrepatria- e la donna alzò la testa, costringendosi ad avere un'aria solenne. Poco dopo, dalla scalinata di destra entrò Artemiya Rosenrot Blaiddyd, anch'essa in uno splendido abito blu, seguita da Ephraim von Gerth che aveva un'armatura ornamentale, ancor più elaborata di quelle dei cavalieri. I due si misero una a destra ed uno a sinistra del trono e, appena presero posizione, entrò l'ancora per poco principe: Aleksei Irek Blaiddyd.
Lui era vestito interamente di bianco, gli abiti ornati tutti d'oro; una fascia blu passava sulla spalla destra e si annodava al fianco sinistro. I suoi capelli biondi erano stati meticolosamente pettinati e lasciati liberi in modo che la sua testa potesse ospitare facilmente la corona.

La musica crebbe d'intensità, i violini suonavano una melodia stridula e piacevole, accompagnata da flauti traversi e trombe.
Sera lo osservava dal basso con le mani giunte e gli occhi sognanti; era bellissimo, così sopraelevato sembrava un vero e proprio angelo, aveva la sensazione che, da un momento all'altro, i lembi di quella giacca candida si sarebbero trasformati in due ali piumate e, con la corona in testa, sarebbe volato via e scomparso tra le nuvole che quella mattina adornavano il cielo.
Con lei erano ovviamente presenti tutti i personaggi chiave del cammino intrapreso da Aleksei. Thamiel era vestito di viola scuro, Yolandi con un abito corto dalle tinte simili, Behemoth portava la solita lunga veste, Mitja era in lilla e celeste e Hans, nel tipico rosso adrestiano, somigliava ad un faro nella notte. Sera, invece, portava un semplicissimo vestito rosa pallido, stretto in vita e con un piccolo strascico che le stava alla perfezione.

- Mi sono sempre aspettato di assistere all'incoronazione di mio fratello, – Hans le parlò a bassa voce, chinandosi per farsi udire bene. – ma non avrei mai creduto di vederlo governare un luogo che non fosse l'Adrestia e, anzi, che ciò accadesse dopo la mia presa di potere.-
Nessuno si sarebbe aspettato un simile svolgimento degli eventi.- Replicò lei, senza distogliere lo sguardo da Aleksei.
- ... Hai ragione, devo ammettere di trovarmi ancora sconvolto per via di tutte queste nuove rivelazioni, ma sono contento che non abbiamo dovuto ucciderci a vicenda.-

Artemiya fece un passo in avanti e tolse la pesante corona dalla testa di Ksenia. Successivamente, la donna si alzò in piedi -tremava, eppure continuava ad esercitare un'immensa aria di forza- ed Aleksei si inginocchiò davanti a lei. Ephraim le tolse il mantello dalle spalle e lo avvolse attorno a quelle del principe; la giovane Blaiddyd fece lo stesso con la corona, la quale gli calzò a pennello e si mescolò con i suoi capelli biondi.
Lui alzò il capo, guardando negli occhi sua madre e specchiandosi nelle sue iridi speculari. Vista dal basso faceva quasi paura, sembrava una statua che aveva improvvisamente preso vita.

- Quest'oggi, ventunesimo giorno della Luna Eterea, anno 1206, siamo tutti riuniti per assistere e celebrare un evento estremamente importante per la rinascita del Sacro Regno di Faerghus.
Per tanti anni siamo rimasti senza un re, un sovrano che discendesse dal grande Loog, fondatore della nostra madrepatria. Era rimasta solo una regina dal ruolo insignificante e, come tale, è ora mio compito abdicare e cedere il trono al mio qui presente figlio: Aleksei Irek Blaiddyd.
Principe, accetti la corona che ora si trova sulla tua testa ed Areadbhar, la Macellaia, la sacra reliquia del casato dei Blaiddyd?- L'eco della sua voce risuonò in tutta la sala del trono fino a sovrapporsi anche alla musica suonata dall'orchestra.
- Accetto.- Rispose lui, fermo, stoico.

La regina alzò Areadbhar al cielo, il Segno della Luna Crescente le fluì dentro e la fece illuminare. La calò fino a toccargli prima la spalla destra e poi la sinistra, riponendola infine in posizione diritta.

- Con questo gesto, io lascio a te tutto ciò che ci circonda.
Brandisci Areadbhar per proteggere la tua gente, usa la corona per guidarla nel giusto, riscaldala con il mantello sulle tue spalle. Che la Dea Sothis ti protegga in questo cammino insidioso.
Lunga vita al nuovo Re di Faerghus: Aleksei Irek Blaiddyd.
Ora prendi il trono che ti spetta, figlio mio.

Il re si alzò in piedi e sua madre gli lasciò la reliquia. La fece roteare tra le mani, la sua luce più forte che mai, il suo potere in risonanza fece soffiare il vento anche in quel luogo senza finestre. Il rito era completo, la corona era sua, il Faerghus era suo.
L'asta di Areadbhar toccò il pavimento, ma lui non si sedette. Invece, fece un passo in avanti, guardò uno ad uno i suoi sudditi e decise di parlare.

- Prometto di essere un sovrano all'altezza delle vostre aspettative, di perseguire lo stesso cammino che mio padre percorse tanti anni fa. Un cammino atto a proteggere il popolo mettendo la mia stessa vita davanti alla minaccia; sarò io stesso lo Scudo, ma anche la Lancia di questo regno che ha un estremo bisogno di rinascita.
Dovessi venir meno alle mie stesse parole, avete il permesso di tagliarmi la testa e bruciare ciò che ne resta fino a rendere cenere le mie carni.

Sono cresciuto in Adrestia, riempito di bugie, con la convinzione che avrei governato il continente dal basso. Ma ora sono qui, nell'unico luogo in cui sarei sempre dovuto essere, tra le persone che avrebbero sempre dovuto circondarmi. Ho combattuto una battaglia estenuante contro me stesso per arrivare a questo punto e ne sono fiero, sono fiero di essere Aleksei Irek Blaiddyd, sono fiero di essere re del Sacro Regno di Faerghus, sono fiero di essere figlio di mia madre e sono fiero di essere figlio di mio padre.

Con Areadbhar prometto di difendere il mio popolo, con la corona prometto di guidarlo, con il mantello prometto di riscaldarlo. Sul mio trono, prometto di essere sempre nel giusto.
Che una nuova era cominci.

Quando finì di parlare, prese un profondo respiro e, senza mai dare le spalle a coloro che avevano assistito al suo discorso, prese finalmente posto sul trono.
Non ci si era mai seduto prima, aveva sempre visto sua madre lì sopra e tutto ciò era nuovo. Non era comodo, era solo un blocco di pietra con lo schienale alto ed il Segno di Blaiddyd incisovi sopra ma, nonostante ciò, si sentiva estremamente a suo agio, come se fosse stato creato appositamente per lui.
Adesso era un re. D'ora in poi, non ci sarebbe stato più tempo per oziare, "Benedikt" era ufficialmente morto e quello era stato il suo funerale.

Mancava una sola cosa per portare a termine il suo percorso di rinascita, un evento che lo avrebbe finalmente fatto sentire completo.
Lo aspettava da anni, l'unica certezza che aveva sempre avuto e lo aveva tenuto il più possibile su una strada di autoconservazione -nonostante il suo atteggiamento rischiasse sempre di portarlo in situazioni non proprio semplici-, lo aveva promesso.
Il matrimonio con Sera.
Ne avevano passate così tante insieme, prima lei non voleva sposarlo perché un'attendente non può sposare il futuro imperatore, poi lui non voleva più farlo perché convinto di averla tradita, ma ormai il giorno era arrivato e, che lo avessero voluto o no, avrebbero dovuto unirsi in matrimonio.
A differenza delle celebrazioni avvenute nei giorni precedenti, l'incoronazione della regina sarebbe avvenuta a porte chiuse per scelta di entrambi gli sposi. La loro relazione era sempre stata discreta; nemmeno quando era venuta a galla avevano reso gli altri partecipi. Era una cosa tra loro due soltanto e così doveva essere anche il giorno della loro unione.
Nonostante ciò, Aleksei era profondamente nervoso, forse più di quando sua madre l'aveva incoronato. Quello che lo affliggeva maggiormente erano ancora gli eventi nelle prigioni di Enbarr, il tarlo che gli diceva "l'hai tradita" non se ne voleva andare, nemmeno dopo che lei lo aveva ulteriormente rassicurato.
D'altra parte, anche Sera era piuttosto in ansia; convinta che quel giorno non sarebbe mai arrivato, aveva finito per adagiarsi sugli allori, ed ora si era dovuta svegliare di colpo, mettersi un abito bianco ed aspettare che le mettessero una corona sulla testa. E se i nobili del Regno non l'avessero accettata? Se a causa sua Aleksei stesso avesse perso credibilità? Chi mai avrebbe voluto come regina una ragazzina nata in un minuscolo villaggio nel territorio degli Hrym, cresciuta a pane (poco) e acqua e costretta a fare da balia ad un principe per guadagnare qualche soldo? Questo suo tratto sarebbe potuto piacere al popolo, ma non erano le persone comuni ad avere potere decisionale, motivo per il quale aveva paura. Dopotutto, re Lambert fu assassinato perché rivoluzionario.

La sala del trono era stata allestita in modo simile al funerale di due giorni prima, con due gruppi di panche divisi da un tappeto blu che percorreva tutta la navata centrale e saliva fin sulla scalinata che portava alla seduta. Immancabile la banda che suonava le canzoni tradizionali del Faerghus.
Aleksei e Sera erano entrati in modo inusuale: tenendosi per mano.
La tradizione voleva che ognuno degli sposi fosse accompagnato all'altare da un genitore od un parente stretto, ma Ksenia stava piuttosto male quel pomeriggio, mentre Sera non aveva nessuno lì per lei, perciò avevano preferito andare insieme, come se fossero già uniti.
Lui indossava l'armatura che aveva portato in battaglia e la sua corona d'oro e zaffiri, mentre lei... lei portava il vestito che la regina stessa ebbe al suo matrimonio segreto; era interamente bianco, accollato, con le maniche lunghe e la gonna ampia che toccava il pavimento, tenuta in posizione dalla crinolina. Il collo era pieno di gioielli, seminascosti da una pelliccia che le si avvolgeva attorno alle spalle ed al petto, dalla quale partiva un mantello talmente lungo da sembrare infinito. Elemento inusuale per lei, ma non per la tradizione, l'armatura ornamentale d'argento che le era stata affissa al busto. I capelli castani erano stati tirati all'indietro e fissati con un fermaglio dorato, con alcuni dei suoi ricciolini lasciati ribelli.
Nella mano libera stringeva un bouquet di splendidi fiori blu.

Mentre camminavano, ogni tanto i suoi occhi verdi si posavano per qualche secondo sul viso del suo futuro marito. Cercava di stare serio, ma ogni qualvolta smetteva di pensarci, le sue labbra si distendevano in un piccolo sorriso. Le trasmetteva il calore della sua mano anche attraverso lo spesso guanto di pelle. La strinse un pochettino e lui ricambiò, premurandosi di non attivare il Segno di Blaiddyd e spezzarle tutte le ossa in un sol colpo.
Durante la sua permanenza al suo fianco aveva visto più di una persona attenta a non farsi toccare da lui; la sua fama di "rompitore di porte (ed ossa)" aveva raggiunto varie orecchie nel corso degli anni, eppure a lei non aveva mai fatto nulla, nemmeno quando l'afferrava distrattamente -gesti che, nella maggior parte dei casi, attivavano il Segno-. Spesso si era chiesta se, inconsciamente, l'avesse usato di proposito, pur non sapendo di averlo. Chi lo sa cosa gli passava per la testa, a volte non sapeva decifrarlo nemmeno lei.

Il sacramento del matrimonio nel Faerghus veniva sempre celebrato da un sacerdote, perciò l'uomo dell'altro giorno era già al suo posto, testi sacri alla mano, ad aspettare gli sposi.
Aleksei e Sera arrivarono finalmente in fondo alla sala e divisero le loro mani per concentrarsi sull'interlocutore.
In realtà nessuno dei due ascoltò il sermone, era troppo lungo e nella lingua del Regno -Ksenia aveva spiegato loro che in pochi la conoscevano, spesso nemmeno i nobili sapevano parlarla-, perciò non capirono neanche una parola, finché non giunse agli atti finali e ricominciò a parlare la lingua del Fódlan. Fece loro le fatidiche domande di rito, chiedendo se fossero sicuri dell'unione e se accettavano gli anelli.
Ed in quel momento, ogni dubbio, rimuginamento, paura, vennero spazzati via. Lì c'erano solo loro due e nessun'altro, il sogno che si avverava, l'amore che finalmente trionfava, due cuori che battevano all'unisono. Senza pensarci, risposero affermativamente a tutte le domande poste, promettendosi amore eterno.
Allora Artemiya si fece avanti con un cuscino di velluto sul quale era adagiato un diadema; era simile alla corona sulla testa di Aleksei, anch'essa d'oro e zaffiri, ma dall'aspetto più fine ed aggraziato, gli intarsi delicati e le pietre a forma di goccia. Il re la prese e, delicatamente, la posò sul capo della nuova regina.

- Ho aspettato questo giorno da tempo immemore, tra dubbi e paure, ma è finalmente arrivato ed è ora il più felice della mia intera esistenza.
Insieme ne abbiamo passate tante, così pesanti da averci forgiato in due persone completamente differenti, eppure siamo arrivati a queste promesse; ed io voglio passarne altre con te, finché respiro, finché non sarò sepolto anch'io in quel cimitero. Eri, e sei, la mia unica certezza, sapevo di non poter perdere tutto, perché potevo non avere nulla, ma se eri con me tutto risultava vano.
Ho rischiato di perderti per sempre e quello fu l'unico momento in cui il mio castello interiore aveva tremato al punto da cadere, – Il suo sguardo volò per un attimo a sua madre, seduta in prima fila. I grazie per quel gesto non sarebbero mai stati troppi, se non l'avesse salvata, forse neanche lui sarebbe ancora vivo. – ma sei ancora qui con me e non permetterò che accada di nuovo.
Sera Mayer, con questa corona ti chiedo se vuoi continuare a stare al mio fianco, essere la mia regina ed aiutarmi a far tornare a splendere il Sacro Regno di Faerghus. Mi accompagnerai in questa ennesima pazzia?-
- Ti è sempre piaciuto chiedere l'ovvio per soddisfare il tuo ego da principino viziato. Sei cambiato radicalmente, ma al contempo sei la stessa persona che, in segreto, ho sempre fantasticato di sposare; in un palazzo, con un abito bianco, splendidi fiori e musica suonata solo per noi. Tutto questo non mi sembra ancora vero, una storia scritta da una contadina sognatrice su una poveretta che sposa un principe, anzi, un re. Invece sei qui a chiedermelo, in carne ed ossa, guardandomi con quelle iridi di ghiaccio che ho sempre ammirato in solitaria... non posso perdere l'occasione di poterle guardare senza sentirmi sbagliata o colpevole, non voglio più rimanere nell'ombra, voglio assisterti camminando al tuo fianco fino alla fine dei miei giorni.
Accetto con piacere il tuo dono, Aleksei Irek Blaiddyd.-

Si guardarono negli occhi e si diedero un lungo abbraccio. Aleksei la strinse a sé con una forza ed una delicatezza che su di lui sembravano aliene e lei, nonostante fosse pressata contro il metallo della sua armatura, poteva comunque sentire il calore del suo corpo. Lottò per non piangere e non rovinare il trucco che Mitja le aveva messo meticolosamente attorno agli occhi, ma fu complicato. Era tutto così irreale. Era una regina. La ragazzina semianalfabeta era diventata regina. E nessuno se n'era lamentato. Non credeva di meritarsi tanta fortuna.

Se al rito del matrimonio avevano permesso ai nobili di assistere, alla successiva cena era stato loro proibito di sedersi alla lunga tavolata che era stata imbandita nella sala ricevimenti.
Aleksei e Sera erano seduti al centro, vicino a lei Artemiya e Rufus e Hans a capo tavola, mentre vicino a lui Ksenia. Di fronte ad Artemiya c'era Mitja, da un lato Yolandi e dall'altro Ephraim, Thamiel e Behemoth all'altro capo.
La quantità di cibo e portate sarebbe bastata anche per i nobili lasciati indietro, ma quel momento doveva essere intimo, non circondato da sconosciuti -in realtà Aleksei non avrebbe voluto nemmeno Rufus, ma non voleva fare un torto a sua cugina-.

- Allora, come ci si sente ad essere sposati?- Domandò Thamiel al re, scrutandolo con i suoi occhi scarlatti.
- Uhm, – Aleksei ci rimuginò un attimo, tagliando un pezzo di torta con la forchetta. – a pensarci, uguale a prima. Sono solo felice di non dover più nascondere il legame che unisce me e Sera.- Lei arrossì, abbassando il capo.
- Beato te che hai scelto chi sposare, ad Agartha non ci sono matrimoni d'amore e, per quanto ne so, difficilmente anche qui in superficie, soprattutto tra i nobili.-
- Forse sono stato fortunato... sia i miei veri genitori che quelli adottivi hanno scelto con chi condividere la vi— – Il suo sguardo cadde per un attimo su Ksenia, la quale si era bloccata con un boccone a metà strada. – mi dispiace, mamma.-
La donna posò la forchetta nel piatto.
- Aleksei, non puoi pesare ogni singola parola quando ci sono io. Parla liberamente, non hai di che preoccuparti.- Detto ciò, mise finalmente in bocca la torta.

Poco più in là, Mitja si stava divertendo parecchio ad allungare i piedi sotto al tavolo per infastidire Artemiya, la quale di risposta gli dava dei calci per farlo smettere. Lui ridacchiava, lei era rossa e Rufus li guardava male.

- Che diavolo stai facendo, animale?- Il vecchio assottigliò lo sguardo, come se non riuscisse a vederlo bene.
- Io? Niente, signore.-
- Perché mia nipote sgambetta sotto al tavolo, allora?-
- Non lo so, lo chieda a lei, io sono lontano.- Mitja finse di guardare in alto, il sorrisetto che non accennava ad andarsene.
- Azzardati a disturbarla di nuovo e ti strappo via le unghie da mani e piedi.-
- Che esagerato...-
- Nonno, basta. – Si intromise Artemiya. – Quando potrò vedervi andare d'accordo?-
- Nemmeno quando sarò nella tomba.- Replicò il granduca.
- Il che avverrà molto presto, non ci sarà tempo per fare pace.-

La ragazza roteò gli occhi, sbuffando.

A cena finita si aprirono le danze, gli sposi al centro della sala ed i pochi altri che ne avevano voglia si unirono a loro. Mitja aveva subito preso con sé Artemiya prima per fare un dispetto a Rufus, ma quando furono insieme se ne dimenticò completamente e si concentrò solo su di lei. Thamiel invece ballava con sua sorella, divertendosi anche troppo nonostante l'orchestra stesse suonando un lento.
Dopo il primo ballo Aleksei si separò da Sera e raggiunse sua madre che, con Ephraim, era ancora seduta.

- Vorresti ballare con me?- Le offrì la mano, sorridendo.
- Aleksei, l'hai visto anche tu che ormai non riesco più a camminare, ti intralcerei...-
- Non mi importa danzare bene, voglio solo farlo con te. Metti i piedi sopra ai miei, non dovrai fare null'altro.-
- Immagino che non accetterai un "no" come risposta...-

Con un sorriso amaro, Ksenia si fece tirare in piedi e si mise sopra agli stivali del figlio, il quale la portò verso il centro della stanza ed iniziò a "danzare" – un eufemismo, in realtà ruotava lentamente su sé stesso tenendola stretta a sé e nient'altro.
Sua madre sorrideva, ma il suo sorriso non raggiungeva i suoi splendidi occhi; era forzato, fin troppo.

- ... Dov'è Myson? Non l'ho più visto dopo il funerale. – Lei tacque, distogliendo improvvisamente lo sguardo. Aleksei sollevò un sopracciglio. – Gli è successo qualcosa? È per questo che ti sforzi così tanto di sorridere? – Di nuovo, non fiatò. Se avesse potuto, sarebbe fuggita, glielo si leggeva nei movimenti del corpo. – ... Mamma?-
- L'ho ucciso.- Disse, all'improvviso, tutto d'un fiato.
- ... Cosa? Ed il corpo? Non dirmi che ti sei tenuta un altro cada—-
- Cenere. Gli agarthei come lui non sono umani, quando muoiono diventano cenere.- Sussurrò.
- Perché lo hai fatto? Ho sempre pensato foste molto legati.-
- Io ho le ore contate e tu sei un perfetto soggetto su cui sperimentare... ha sempre voluto mettere le mani su un Segno di Blaiddyd vivo, non potevo permetterglielo. Se lui ed Odesse avessero preso te o i tuoi figli, per voi sarebbe stata la fine.-
- Odesse? Chi è Odesse?-
- Il suo braccio destro. Se mio padre era quello esperto di tecnologia e scienza, ad Odesse piaceva mettere le mani in pasta o, meglio, nella carne. Ha sperimentato anche su sé stesso, alterando il suo corpo fino a farsi crescere le ali e gli artigli di un rapace e voleva trasformare il cadavere di tuo padre in un mostro.-
- E si trova ancora a Shambhala? Mamma, va ucciso anche lui, forse è anche peggio di Myson—- Lui si allarmò subito.
- No, è scomparso da una decina d'anni, si sono completamente perse le sue tracce. Nemmeno mio padre è più riuscito a contattarlo, forse è morto.-
- ... Lo spero.-
- Aleksei... – Lei guardò in giro, vedendo le persone nella sala muoversi attorno a loro. Yolandi, una volta libera, aveva subito preso Sera ed ora stavano saltellando in cerchio ridacchiando, mentre Artemiya era passata a Thamiel e Mitja parlava con Ephraim e Hans. – Ricordi che ti dissi di avere un segreto che non ti avrei raccontato fino a quando non mi fossi sentita pronta? – Il figlio annuì. – Non lo sono nemmeno ora, ma se continuassi a temporeggiare, finirei per morire senza avertelo detto e non voglio che tu veda solo la mia versione idealizzata. Possiamo uscire e parlarne?-

Il re acconsentì e la prese in braccio -portarla sui suoi piedi li avrebbe solo rallentati-, iniziando a dirigersi verso il portone che dava sui giardini.
Una volta fuori, uno splendido cielo stellato li accolse; gli astri erano limpidi, la luna calante abbastanza luminosa da trasmettere il proprio bagliore anche a terra. Il freddo non era per nulla pungente, tanto da poter stare all'aperto senza troppi problemi.
La portò attraverso le piante ancora acerbe, finché non si sedettero su di una panchina che precedeva il cimitero. Lei gli prese la mano sinistra e la spogliò dal guanto e l'armatura, tastando la sua pelle nuda e la fede che aveva al dito. Era la stessa che portava suo padre -e, come ogni altra cosa, anche la misura dell'anello combaciava-, identica a quella posseduta da lei, ora riforgiata per Sera e piazzata sul suo anulare.
Fissare e tastare la sua mano, sentirne il calore, le provocava una visione distorta delle cose, sentiva che se avesse guardato quell'uomo nell'interezza avrebbe visto suo marito, sarebbe tornata indietro di vent'anni, e lui sarebbe stato ancora vivo, a sorriderle, ad amarla. Alzò la testa ed effettivamente vide quel viso, identico e bloccato nel tempo, ma gli occhi erano diversi, speculari ai suoi. Non sarebbe mai stato Dimitri. La persona accanto a lei era l'ultima prova della sua passata esistenza, un'immagine perfetta ma deformata di lui.
Ksenia si morse il labbro.

- Mi dispiace.-
- Non hai ancora iniziato a parlare e già ti scusi? È un record...!- Lui cercò di sdrammatizzare, ma era in realtà profondamente turbato.
- È solo... è solo che ho paura di finire odiata da mio figlio.-
- Mamma, come potrei odiarti? Sei estremamente importante per me.-
- Anche Edelgard von Hresvelg è stata tua madre, eppure ora la odi per ciò che ha fatto.-
- La situazione con lei è diversa.-
- Credimi, non differisce molto dalle atrocità che io stessa ho compiuto. Lei è stata un pilastro per vent'anni, ma è bastata una verità per farlo crollare; il nostro è molto più sottile e fragile, non reggerà.-
- Finché non mi racconterai la verità, non potrò giudicarti. E qualunque sarà la mia reazione, non cambierà il fatto che sono tuo figlio, sangue del tuo sangue.-

Lei sospirò. Gli lasciò la mano e si piantò le sue nelle ginocchia, increspando lo spesso tessuto della gonna. Tremava, era terrorizzata dalla sua ipotetica reazione. Ma non c'era tempo. Doveva parlare.

- Il fatto è che potrei essere una delle cause della morte di tuo padre. – Aleksei spalancò la bocca, ma non disse nulla. – Nel 1176, anno in cui avvenne il regicidio, ero ancora nelle grinfie di mia madre. Al tempo mi lasciava a digiuno per giorni, a volte settimane, in modo che non avessi abbastanza potere fisico e magico per ribellarmi a lei, ma un giorno mi costrinse ad ingozzarmi fino a vomitare. E così il giorno dopo ed il giorno dopo ancora, in meno di un mese ero passata da venti a cinquanta chili. Inizialmente non capii perché, ero solo una bambina, finché re Lambert non partì con moglie e figlio per il Duscur.
La donna che si fingeva mia madre mi prese per i capelli e mi portò nei sotterranei del castello, dove quattro uomini con delle maschere appuntite  ci stavano aspettando. Mi tolsero tutti i vestiti, mi legarono mani e piedi e mi appesero a testa in giù, sotto di me più secchi vuoti.
Fui sottoposta a giugulazione; un coltello recise tutti i vasi sanguigni del mio collo ed il sangue venne raccolto nei secchi sotto di me. Quando lo si fa con i maiali è per farli morire in fretta, ma a causa del mio Segno portarono avanti l'operazione per ore intere. Mi dissanguavo, aspettavano che la ferita si chiudesse e poi la riaprivano, arrivando così a rubarmi litri e litri di sangue.
Dopo che furono soddisfatti, uno degli uomini tagliò le corde che mi tenevano appesa ed io caddi di faccia sul pavimento, scatenando risate attutite dalle loro orribili maschere. Mi mollarono lì, nuda, sola e con il solo viso completamente impregnato del mio stesso sangue. – Cadde un silenzio tombale, dove lei si era bloccata a causa del ricordo e lui anche, inorridito dall'immagine che si era fatto nella testa. – E poi, – Continuò, la voce che si rompeva. – partimmo anche noi per il Duscur.

Il sangue rubatomi venne fatto bere ad un vasto gruppo di mercenari, i quali a causa del suo potere andarono completamente fuori di testa. Diventarono estremamente violenti, avevano la schiuma alla bocca ed una forza sovrumana. Attaccarono la scorta del re ed appiccarono incendi nei boschi, distrussero le abitazioni dei duscuriani e, una volta esaurito l'improvviso picco di forza, si suicidarono.
Io stessa venni impiegata come arma, mi costrinsero ad uccidere tante persone con la mia magia. Vidi il momento in cui tagliarono la testa a Lambert e lui vide me, nei suoi occhi azzurri c'erano tante domande, le quali vennero revocate quando perse la vita.

Dimitri rimase profondamente traumatizzato da quell'evento, come unico sopravvissuto aveva pensato di non meritarsi la vita, di dover portare sulle sue spalle il peso di tutte quelle morti. La sua mente si ruppe, aveva le allucinazioni, diceva di parlare con i caduti, ma io non vedevo nulla.
Dentro di sé maturò un'immensa rabbia, un estremo senso di giustizia, una violenza insita che mai sarebbe dovuta uscire. E nascondeva tutto ciò dietro un sorriso gentile, aiutato dal suo cuore puro.
Questo lo portò a credere di non valere nulla, a voler buttare via la sua vita in battaglia. Se solo... se solo non fossi mai esistita, se il mio sangue non fosse stato così speciale, se Myson ed Odesse non l'avessero creato—- La sua voce si ruppe completamente e scoppiò a piangere.

Aleksei rimase immobile ad ascoltare il suo pianto, lo sguardo fisso davanti a sé, eppure cieco al cielo stellato, nella sua visione un'unica immagine idealizzata di sua madre, bambina, appesa per i piedi e seviziata da coloro che l'avevano creata. Perché quella donna aveva dovuto soffrire così tanto nella sua vita? Perché tutto ciò che le portava gioia doveva esserle strappato via, anche costretta ad eliminare il sangue del suo sangue? Cos'aveva fatto di male per meritarsi di essere usata, torturata ed abbandonata e rasentare la morte una volta trovato un appoggio, qualcuno che l'amasse? Solo perché era nata agarthea, la "Dea" l'aveva punita? Perché era un esperimento e non aveva motivo di esistere?
Finalmente si voltò verso di lei e l'abbracciò forte, la tenne stretta a sé come se potesse scappargli da un momento all'altro.

- Mio padre conosceva questa storia? – Lei annuì debolmente contro il suo petto. – Cosa ne pensava?-
- ... Lui non mi ha mai dato la colpa, diceva che io stessa ero una vittima, eppure non mi sono mai sentita tale, mi sentivo e mi sento ancora il carnefice. È colpa mia se re Lambert morì, se Glenn Fraldarius morì, se la famiglia di Dedue morì, se i duscuriani vennero sterminati, è colpa mia per tutte le conseguenze che arrivarono, da Rufus ed i suoi abusi fisici e psicologici, il razzismo verso il Duscur, lo stato mentale di Dimitri, la Chiesa di Seiros che, fiutata l'aria pesante, si insinuava silenziosamente nelle nostre fila. Ed infine, se la Purissima usò mio marito per il suo tornaconto personale e lo lasciò suicidarsi su quel campo di battaglia.
Tutto perché io ho risucchiato la vita della vera Cornelia mentre ero nel suo grembo e sono venuta alla luce.
E tu cosa ne pensi, figlio mio?-
- Penso che nulla di ciò che ho sentito mi ha fatto cambiare opinione su di te. Sei forte, nonostante tutto sei sopravvissuta fino a qui e non hai mai mollato, hai usato quella tua maledizione per aiutare le persone e ciò ti fa onore. Non avrei mai potuto chiedere madre migliore.-
- Aleksei... – Mugolò, stropicciandosi un occhio con la mano. – c'è un'ultima cosa prima di andare. Nella mia stanza, all'interno del comodino, ho messo una lettera. Il destinatario è Artemiya, ma vorrei che la leggeste anche tu, Sera e Mitja, contiene la verità su Ekaterina, la figlia di Rufus.-
- Perché non gliela consegni tu stessa?-
- Temo non sarà possibile.-
- Per quale motivo?-

Ksenia sospirò profondamente e le sue mani afferrarono i lembi della gonna, che iniziò ad alzare. Il tessuto saliva, ma sotto di esso non c'era nulla oltre alle scarpe, vuote, che aveva indossato fino a quel momento. Al posto delle gambe un mucchio di cenere, pallida e grigia. Successivamente la mollò di colpo e di conseguenza alzò una piccola nuvola di polvere. Aleksei, spaventato, l'afferrò per i polsi, ma non riuscì ad esercitare una presa per il terrore di strapparle le mani.

- Finalmente...-
- No, no, no! Non andartene, per favore, non lasciarmi da solo! Mamma!- Urlò, stavolta fu lui a singhiozzare.
- Sono stata qui anche troppo, Aleksei, mi sono trattenuta dal giorno in cui ho salvato Sera e da lì andò sempre peggio, la mia magia era fuori controllo, è un miracolo che io abbia assistito anche solo alla tua vittoria sull'Impero. – Lui tacque, con il capo chino e le lacrime che scorrevano lungo la sua pelle bianca. – Non sei da solo... ci sono tuo fratello, mio fratello, tua moglie, gli amici che ti sei fatto in questo lungo viaggio... io non sono un tassello così importante come credi, amare un cadavere non lo riporterà indietro, l'ho imparato a mie spese. E nonostante possa parlare, io sono morta già da tempo. Tutto ciò che ora ti chiedo è di non celebrare il mio funerale, ma per favore, costruisci una statua in nome di tuo padre. Il Re delle Tempeste non deve essere dimenticato. Ricorda, ti voglio be— – La donna voltò il capo di colpo, i suoi occhi azzurri fissi e vitrei sul nulla, un largo sorriso si espanse sul suo volto. – Mitya... finalmente...-

Anche il figlio si girò in quella direzione, ma non vide nulla. Lei si sporse in avanti, allungando il braccio destro come se qualcuno le tendesse la mano. A quel punto dalla scollatura del suo vestito comparvero delle crepe e le cicatrici sulle sue braccia si riaprirono, senza però versare una singola goccia di sangue. La mano si sgretolò, seguita dall'arto intero, il volto si spaccò similmente a quello di Myson nella sua forma più inquietante. La stoffa del sontuoso abito si afflosciò e si svuotò velocemente della carne, spalle, l'altro braccio, collo e testa si tramutarono in cenere, lasciando solo un vestito adagiato sulla panchina. Si alzò improvvisamente il vento, il quale portò via tutto ciò che restava di sua madre.
Era rimasto solo.
Con gli occhi spalancati, ancora incredulo, prese l'abito e lo strinse forte a sé come se dentro ci fosse ancora lei. Aveva il suo profumo, il suo calore, e ciò lo fece scoppiare a piangere come un bambino. Non poteva essere appena successo. Sapeva che sua madre sarebbe morta, ma non si era mai preparato all'evenienza, né avrebbe pensato di vederla trasformarsi in cenere di fronte a lui.

Tornò alla sala ricevimenti ormai a notte fonda, presentandosi con gli occhi rossi, gonfi, il viso bagnato, i capelli appiccicati alla faccia e con l'abito di Ksenia tenuto saldamente nello stesso modo in cui, ore prima, l'aveva portata fuori, come se fossero tornati insieme.
La prima ad avvicinarsi a lui fu Sera, preoccupata e confusa dall'immagine.

- Cos'è successo...?-
Subito dopo, anche gli altri presenti si aggiunsero a lei.
- Ora è cenere.- Disse solo, indietreggiando di un passo, come se volesse proteggere ciò che aveva tra le braccia.
Nessuno inizialmente comprese quella frase, tranne gli agarthei lì presenti. Thamiel spalancò i suoi occhi scarlatti e da essi scesero delle lacrime, mentre il volto apatico di Yolandi si sgretolò, mostrando grande tristezza.
- Se n'è... andata...?- Sussurrò Artemiya, tremando. Aleksei annuì debolmente, facendo piangere anche lei.
- Mi dispiace... – Mormorò l'albino, facendosi avanti. – Erano anni che lo desiderava, dovremmo essere contenti per lei, ma—- Il suo discorso venne interrotto da un singhiozzo e sua sorella gli prese la mano.

A quel punto, Sera abbracciò il marito ed a lei si unirono Artemiya, Thamiel, Hans e Yolandi. Nonostante Ksenia avesse lasciato una voragine, dovevano farsi forza a vicenda per riempire quel buco.

Il mattino successivo, il quartetto originale si ritrovò nella stanza di Mitja. Lui ed Artemiya erano seduti sul letto e quest'ultima aveva in mano la lettera scritta dalla precedente regina.

"Cara Artemiya Rosenrot Blaiddyd,

Ho deciso di scrivere questa lettera per te perché ritengo che tu debba sapere la verità su tua madre, Ekaterina. Ti avrei raccontato subito ciò che ne è stato di lei, ma ho preferito usare il mio silenzio come ricatto affinché Rufus mi aiutasse nella nostra causa, ma ora che è tutto finito non ho più motivo di tacere.
Se stai leggendo molto probabilmente sarò già morta, ma non disperate, i morti non muoiono mai per davvero, le anime volano e saranno sempre con voi.

Ekaterina Zelenia Blaiddyd era una ragazza, e poi donna, forte, decisa, intraprendente e con spiccate doti da leader, con una dolcezza interiore insuperabile, proprio come te. Se avessi avuto i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, avrei pensato che fossi lei.
La verità è che subiva continue pressioni da parte di tuo nonno e ciò la portava a ribellarsi a tutti i suoi ordini.
Quando venni ad Itha e ci incontrammo per la prima volta, la vidi accanto a te, le mani sulle tue spalle, e quando si accorse che ero in grado di vederla, mi raccontò cosa le successe dopo la guerra. Aveva incontrato un soldato dell'esercito dei Fraldarius, un uomo di umili origini, del quale si innamorò perdutamente.
A Rufus non stava bene che la sua preziosa figlia stesse con il figlio di un contadino, nonostante ormai nel Faerghus nessuno fosse più nobile, e fece di tutto per separarli. Nonostante i tentativi, i due fuggirono e si nascosero presso il non-più confine tra Impero e Regno, nei pressi di Arianrhod. Riuscì a rintracciarla quattro anni dopo ma, trovandola incinta, si arrabbiò al punto da esiliare quest'uomo in un luogo sconosciuto e, non appena tu nascesti, la giustiziò con le sue stesse mani.
Tuo padre potrebbe essere ancora vivo, Artemiya, dovresti cercarlo prima che sia troppo tardi.

Non so come tu conosca Rufus Thierry Blaiddyd, se come un nonno amorevole o per la bestia che è in realtà, in ogni caso meriti di sapere la verità.
Da giovane, dopo il regicidio, Dimitri era ancora troppo giovane per ascendere al trono, perciò venne nominato reggente in quanto unico membro della famiglia ancora in vita. Questo suo incarico lo faceva sentire potente ed autorizzato a fare e dire tutto ciò che voleva. Tutte le notti venivano portate più donne al castello, le usava per un po' promettendo loro ricchezza e poi le abbandonava, spesso con in grembo figli illegittimi di cui si sbarazzava.
Non contento, aveva una relazione con l'agarthea che si fingeva mia madre e, spesso, aveva espresso il desiderio di volere anche me, nonostante fossi una ragazzina, perché "carne giovane e vergine".
Abusava psicologicamente di suo nipote, aggravando la sua precaria stabilità mentale e sperando che questo crollasse, venisse chiuso in un manicomio e gli lasciasse finalmente il trono a cui aveva tanto ambito. Lo chiamava mostro, lo picchiava, gli dava la colpa per la morte di suo padre e gli ripeteva che nessuno lo avrebbe mai amato.

Mi dispiace rovinarti la visione che hai dell'unico membro della famiglia con cui sei cresciuta, ma non meriti di vivere in una bugia. Tu sei troppo buona per questo mondo.

Ti voglio bene,

Tua,
Ksenia Arnim"

In un istante, la lettera si stropicciò tra le sue mani e strinse i denti talmente forte da rischiare di spezzarli.
Tutti erano in silenzio, Aleksei conosceva già questa storia, ma ancora lo turbava, Sera aveva le mani davanti alla bocca e Mitja... Mitja aveva gli occhi spalancati, allucinati, sembrava sul punto di esplodere.
Ed esplose.
Si fiondò giù dal letto ed infilò un braccio sotto di esso, dal quale estrasse il suo fucile, illuminatosi in un istante. Prima che si lanciasse fuori dalla stanza, però, Aleksei lo afferrò per un polso.

- Fermo!-
- Lasciami, devo andare ad ammazzarlo!-
- E cosa risolverai?-
Tutto, finalmente quel bastardo lascerà in pace Artemiya!-
- Mitja, – La voce di lei giunse alle loro spalle. – fallo.-

Lui rivolse un sorriso sghembo al re, il quale lo lasciò, e fuggì fuori. Direzione: camera del mostro.
Corse all'impazzata, ancor più in fretta di quando si era districato tra baliste ed onagri sulle mura del Forte Merceus; stavolta non per salvarsi la vita, ma per toglierne un'altra, una che aveva sempre desiderato terminare. Non gli importava delle conseguenze, Aleksei avrebbe anche potuto giustiziarlo, tagliargli le mani... ma la sua  priorità era sempre stata Artemiya e, se lei finalmente aveva deciso di liberarsene, era ben felice di accontentarla. Quando raggiunse la stanza designata, la buttò giù senza pensarci troppo, trovandovi un Rufus svegliatosi di colpo per il forte boato. Quando i suoi occhi visualizzarono la figura alta di Mitja reggere un tubo di ferro luminoso, si spaventò, sussultando.

- Cosa diamine stai facendo?!-
- Ciò che è giusto.-
- "Giusto"? È giusto buttare giù la porta di una persona che sta dormendo?!-
- Oh, non parlavo di quello. Saluta il mondo dei vivi, perché ora ti ammazzo.-
- Ma cosa—-

Ci fu un boato terrificante e, l'istante dopo, nel muro della stanza si era formata una vera e propria voragine dalla quale entrò il freddo invernale. Ciò che era stato risparmiato dalla potenza del colpo era imbrattato di sangue, il rumore delle gocce che si infrangevano sul pavimento era assordante.
Di Rufus Thierry Blaiddyd non rimaneva più nulla se non la parte inferiore del corpo a metà tra il letto ed il suolo, gli organi interni erano sparsi per terra in un cumulo di carne informe.
Era una visione così dannatamente soddisfacente.
Artemiya si palesò dietro di lui qualche secondo dopo. Entrò meccanicamente nella stanza e, senza curarsi del lago che le imbrattava le scarpe, si guardò attorno come una bambina spaesata. Scavalcò i pezzi di suo nonno riversi in giro e si chinò su un oggetto che aveva attirato la sua attenzione. Prese la corona di Rufus e se la mise in testa, tingendo i suoi boccoli castani di rosso, lo sguardo fisso sull'autore di quella carneficina.

- Lunga vita alla nuova gran duchessa di Itha, Artemiya Rosenrot Blaiddyd!

Esclamò, esibendosi in un profondo inchino.

Dopo infiniti mesi di lavori estenuanti, Fhirdiad aveva preso sempre più il suo aspetto originale e tantissime persone si erano aggiunte tra le fila dei suoi cittadini. La primavera era arrivata da poco ed il nuovo anno era iniziato.
Ed a dare nuova vita alla capitale, al suo centro il re aveva fatto allestire un nuovo monumento. Aveva disobbedito alle ultime volontà di sua madre e, se lei lo fosse venuto a prendere nel sonno, se ne sarebbe preso la piena responsabilità, ma non avrebbe mai voluto dimenticarsi del suo viso. Qualcosa doveva ricordarlo sia a lui che alle generazioni a venire.
Per questo motivo aveva fatto scolpire una gigantesca statua raffigurante i suoi genitori. Si tenevano stretti come se stessero danzando e non avevano occhi che l'uno per l'altra, sui loro visi un sorriso privo di ogni sofferenza. Dimitri portava l'armatura con cui era stato seppellito, mentre Ksenia il vestito con cui aveva partecipato all'assalto al Forte Merceus, i capelli splendidamente intrecciati nella pietra e sul suo capo una riproduzione di Lonnbéimnech.
I due ex regnanti erano posti su un piedistallo sul quale era stata posta una targhetta recitante:

"Al Re delle Tempeste ed alla Regina Immortale,
coloro che protessero il Sacro Regno di Faerghus.
La loro memoria ed il loro amore saranno sempre nei nostri cuori.

- Dal re Aleksei Irek Blaiddyd e dalla regina Sera Mayer"


Eee ho finito, signore e signori. Non credevo di riuscire a scrivere un'intera storia in meno di un anno, ma ce l'ho fatta e sono fiera di me. Come tutte le mie storie, Bloody Lightning è nata da un'idea a caso, ma le idee a caso sono quelle che possono portare agli sviluppi più grandi, quindi eccomi qua, spero vi sia piaciuto questo delirio.
Dopo una (brutta) fanfiction sulla seconda generazione di yugioh 5D's ed una su 3 Houses, potete chiamarmi CEO delle kidfic. Ne arriverà una terza, in futuro? Chi lo sa, dipende tutto se troverò un'altra grandissima ossessione per la quale sentirò il bisogno di creare dei figli.
Detto ciò, io vi saluto qui, la prima longfic italiana su Fire Emblem Three Houses è ufficialmente completa, perciò voglio ringraziarvi se siete giunti fino a questo punto e spero vi siate divertiti.
Adios!

Jigokuko

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